Anno XI. Fascicolo 1 BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. XI. — 1892. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1892 SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA MENTE ET MALLEO Ufficio di Presidenza per l’anno 1892. Presidente Prof, comm. Giovanni Ornboni Vice-Presidente Prof. cav. ir turo Issel Segretario Prof. ing. Romolo Meli Vie e-Segr etarì Dott. Arturo nob. Negri Dott. Luigi Schopen Tesoriere Avv. comra. Tommaso Tittoni Dep. al Parlamento Nazionale. Vice-Tesoriere Ing. cav. Augusto Statuti Areliivista Prof. dott. Giuseppe Tuccimei Consiglieri Ing. Angelo Alessandri Prof. Francesco Bassani Prof. cav. Igino Cocchi Ing. Emilio Cortese Cav. Enrico De Nicolis. Dott. Giovanni Di Stefano Dott. Lodovico Foresti Dott. cav. Carlo For nasini Dott. Giuseppe ab. Mazzetti Cav. ing. Lucio Mazzuoli Comm. ing. Niccolò Pellati Conte comm . Giuseppe Scai'abelli Senatore del Regno Commissione per le pubblicazioni. Il Presidente 1 Il Segretario ) ( } Il Tesoriere t v/ 1 ’ L’Archivista ( Prof. cav. A. D’Achiardi Prof. comm. G. Giorgio Gemmella.ro- Conte cornili. G. Scarabelli Gommi-Flamini. Sede della Società — Roma -• Via S. Susanna, 1 A, presso il Museo Agrario. / BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. XI. — 1892 ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1892 SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Elenco dei Presidenti succedutisi dal 1881, epoca della istituzione della Società, in poi. Presid. per l’anno 55 55 55 55 1881-82 Meneghini 1883 Capellini 1884 Stoppani 1885 De Zigno 1886 Capellini Presid. per l’anno 55 55 55 55 55 55 1887 Cocchi 1888 ScARABELLI 1889 Capellini 1890 Taramelli 1891 Gemmellaro Ufficio di Presidenza per l’anno 1892. Presidente Prof. comm. Giovanni Oniboni V iee-PresidLente Prof. cav. Arturo Issel Segretario Prof. ing. Romolo Meli Vice-Segretari Dott. Arturo nob. Negri Dott. Luiqi Schopen Tesoriere Avv. comm. Tommaso Tittoni Dep. al Parlamento Nazionale. "V iee-Tesoriere Ing. cav. Angusto Statuti 'Areliivista Prof. dott. Giuseppe Tuccimei G onsigli eri Ing. Angelo Alessandri Prof. Francesco Bussani Prof. cav. Igino Cocchi Ing. Emilio Cortese Cav. Enrico De Nicolis. Dott. Giovanni Di Stefano Dott. Lodovico Foresti Dott. cav. Carlo For nasini Dott Giuseppe ab. Mazzetti Cav. ing. Lucio Mazzuoli Comm. ing. Niccolò Pellati Conte comm. Giuseppe Scarabelli Senatore del Regno 4 ELENCO LEI SOCI PERPETUI Soci perpetui 1. Quintino Sella (mol to a Biella il 14 marzo 1884). Fu uno dei tre istitutori della Società, e venne, per il primo, annoverato tra i Soci perpetui per deliberazione unanime nell’Adunanza generale tenutasi dalla Società il 14 settembre 1885 in Arezzo. 2. Francesco Molon (morto a Vicenza il 1 marzo 1885). Fu Consigliere della Società, alla quale legava con suo testa- mento la somma di Lire 25,000; venne iscritto fra i Soci per- petui per deliberazione unanime nell’Adunanza generale del 14 settembre 1885. 3. Giuseppe Meneghini (morto a Pisa il 29 gennaio 1889). Per i suoi insigni meriti scientifici venne acclamato Socio perpetuo nell’Adunanza generale di Savona il 15 settembre 1887. 5. Giovanni Capellini, senatore del Regno. È uno dei tre fonda- tori della Società, e venne iscritto tra i Soci perpetui per deliberazione unanime nella Adunanza generale tenutasi in Taormina il 2 ottobre 1891. 4. Felice Giordano. È ano dei tre fondatori della Società e venne iscritto tra i Soci perpetui per deliberazione unanime nel- l’Adunanza generale tenutasi a Taormina il 2 ottobre 1891. ELENCO DEI SOCI 5 Elenco dei Soci ordinari per l’anno 1892 (*) Addo di nomina 1884. Alessandri ing. Angelo. Piazzale Stazione -24. Bergamo. 1891. Ambrosioni dott Michelangelo. Bergamo. (Alta Città). 1881. Amici Bey ing. Federico. Cairo (Egitto). 1890. m Amighetti dott. Sac. Alessio. Collegio di Lovere (Provin- cia di Bergamo). 1891. Angelelli ing. Ettore. Via Teatro Argentina 44. Roma. 1886. Antonelli dott. D. Giuseppe. S. Panteleo 3, p. 3°. Roma. 1891. Armanelli dott. prof. Giuseppe. R. Liceo. Aseoli-Piceno. 1889. Avanzati dott. Francesco. Piazza della Lizza. Siena. 1882. Avanzi Riccardo. Piazza Scala. Verona. 1888. 10 Baggiolini dott. Alfredo. Vercelli. 1881. Baldacci ing. cav. Luigi. R. Ufficio geologico. Roma. 1890. Baratta Mario. Osservatorio geodinamico al Collegio Romano. Roma. 1884. *Bargagli cav. Piero. Via de’ Bardi, palazzo Tempi. Firenze. 1882. Bargellini prof. Mariano. R. Liceo. Siena. 1881. Bassani prof. Francesco. R. Università. Napoli. 1883. Becchetti prof. Sostene. Taranto. 1883. Beliucci comm. prof. Giuseppe. Università. Perugia. 1883. Benigni Olivieri march, dott. Oliviero. Ospedale S. Or- sola. Bologna. 1883. Berti dott. Giovanni. Via S. Stefano 43. Bologna. 1884. 20 Biagi dott. Giuseppe. Casalmaggiore (Cremona). 1888. Bocchi dott. Giovanni. Pennabilli (Rimini). 1882. Bollinger ing. Enrico. Via Principe Umberto 3. Milano. 1881. *Bombicc.i comm. prof. Luigi. R. Università. Bologna. 1892. Bonarelli Guido. Gubbio (Umbria). 1885. Bonetti prof. Filippo. Via S. Chiara, 57, p. 3. Roma. (*) L’asterisco indica i Soci a vita. ELENCO DEI SOCI 6 1885. 1881. 1882. 1890. 1891. 1884. 1884. 1887. 1891. 1881. 1889. 1884. 1882. 1882. 1890. 1881. 1881. 1891. 1891. 1881. 1885. 1881. 1882. 1885. 1890. 1887. 1886. 1882. 1882. 1886. 1881. 1885. 1886. Borgninì ing. conmi. Secondo. Direzione generale fer- rovie della Rete Adriatica. Firenze. Bornemann dott. J. G. Eisenach (Germania). Botti cav. avv. Ulderigo. Reggio di Calabria. Bozzi dott. Luigi. Corso Cavour 16. Pavia. 30 Brigida avv. Giuseppe. Salita Pontecorvo, 54. Napoli. Brugnatelli dott. Luigi. Via S. Martino 18. Pavia. Bruito prof. Carlo. R. Liceo. Mondovì. Bruno dott. Luigi. Geometra. Ragusa (Sicilia). Bucca prof. Lorenzo. R. Università. Catania. *Bumiller comm. ing. Ermanno. Via Lorenzo il Ma- gnifico 12. Firenze. Cacciamoli prof. Giovanni Battista. R. liceo. Relluno. Cadolini comm ing. Giovanni deputato al Parlamento. Via Rasella 145. Roma. Caftci barone Ippolito. Vizzini (Catania). Canavari prof. Mario. Museo geologico. Pisa. 40 Cantamessa cav. dott. Filippo. Via Modena 47. Roma. Capacci cav. ing. Celso. Via Vaifonda 7. Firenze. Capellini coirmi, prof. Giovanni , Senatore del Regno. R. Università. Eologna. Cappa ing. Umberto. R. Corpo Miniere. Caltanissetta. Carapezza ing. Emerico. R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri. Palermo. Cardinali prof. Federico. R. Istituto tecnico. Macerata. Castelli cav. dott. Federico. Villa S. Michele. Via Roma. Porta maremmana. Livorno. Castracane conte Francesco. Piazza delle Coppelle. Roma. Cattaneo ing. cav. Roberto. Via Ospedale 50. Torino. Cavara dott. Fridiano. Istituto botanico. Pavia. 50 Cermenati dott. Mario. R. Università. Roma. Charlon ing. E. Via Principe Tommaso 48. Torino. Cherici dott. Nicolò. Pieve S. Stefano (Arezzo). Chigi Zondadari march. Bonaventura. Siena. Ciofalo prof. Saverio. Termini Imerese (Palermo). Clerici ing. Enrico. Quatti o Fontane. Roma. *Cocchi cav. prof. Igino. Via de’ Pinti. 51. Firenze. Cocconi comm. prof. Girolamo. R. Università. Rologna. Colalè ing. Michele. R. Ufficio delle miniere. Caltanis- setta. ELENCO DEI SOCI 7 1881. Conti ing. cav. Cesare. Direttore dello Stabilimento Metallurgico. Agordo (Belluno). 1881. 60 Cortese ing. Emilio. Cesena per Borello (Prov. Forlì). 1890. Corti dott. Benedetto. Villa Prudenziana. Como. 1890. Cozzaglio Arturo. Perito agrim. Via degli Orti 24. Brescia. 1882. D'Achiardi cav. prof. Antonio. R. Università. Pisa. 1885. D’Ancona prof. cav. Cesare. R. Istituto superiore (Museo geologico). Firenze. 1883. De Amicis dott. Giovanili Augusto. R. Liceo D’Azeglio. Corso Vinzaglio 17. Torino. 1891. De Angelis dott. Gioacchino. Piazza S. Giovanni della Malva 5, p. 2°. Roma. 1881. De Ferrari ing. Paolo Emilio. Lungarno Torrigiani, 9, Firenze. 1883. De Gregorio Brunaccini march, dott. Antonio. Molo. Palermo. 1890. De Kroustchoff barone Charles. Nossiti Ostrow. S* Pe- tersbourg (Russie). 1881. 70 *Delaire cav. ing. Alexis. Boulevard St. Germain 135. Parigi. 1886. Del Bene ing. Luigi. Miniera di Morgnano e S. Croce. Spoleto. 1881. Delgado cav. Joaquim Philippe Neri/. Rua do Arco a Jesus. Lisbona. 1888. Della Campana nob. Cesare. Stradone S. Agostino, 26, interno 3. Genova. 1886. Dell’Erba ing. prof. Luigi. Via Trinità maggiore 6. Na- poli. 1890. *Dell’Oro comm. Luigi (di Giosuè). Via Silvio Pellico 12. Milano. 1881. Del Prato dott. Alberto. R. Università. Parma. 1882. De Marchi ing. cav. Lamberto. Via Napoli 65. Roma. 1881. De Rossi comm. prof. Michele Stefano. Piazza d'Ara- coeli 17. Roma. 1889. Dervieux sac. Ermanno. Via dei Mille 42. Torino. 1881. 80 De Stefani prof. Carlo. Via Pippo Spano 6. Firenze. 1881. Deivalque uffic. prof. Gustavo. Rue de la Paix 17. Liége. 1882. Di Canossa march. Ottavio. Castelvecchio. Verona. 1891. Di Lorenzo dott. Giuseppe. Museo Geologico della R. Università. Napoli ELENCO DEI SOCI 8 1883. Di Rovasenda cav. Luigi. Sciolze (Torino). 1885. Di Stefano dott. Giovanni. R. Ufficio geologico. Roma. 1887. Broli march. Giovanili. Narni. 1886. Fabbri dott. Alessandro. Terni. 1883. Fabri comm. ing. Antonio. Lungarno Torrigiani 29. Firenze. 1888. Fazio sac. Agostino. Seminario vescovile. Savona. 1887. 90 Foldi prof. cav. Giuseppe. Savona. 188L Foresti dott. Lodovico. Fuori Porta Saragozza 140-141. Bologna. 1881. Fornasini cav. dott. Carlo. Via delle Lame 24. Bologna. 1881. Forsijth Major dott. Carlo. Via Senese 4. Firenze. 1881. Fossen ing. Pietro. Carrara. 1891. Franchi ing. Secondo. R. Ufficio geologico. Via S. Su- sanna 1A. Roma. 1889. Franco prof. Pasquale. Corso Vittorio Emanuele 397. Napoli. 1889. Freda prof. Giovanni. R. Liceo Genovesi. Napoli. 1887. Frumento ing. Giuseppe. Via Genova 6. Savona. 1889. Fucini doti. Alberto. Empoli (Firenze). 1891. 100 Galli prof. cav. D. Ignazio. Direttore dell’Osservatorio Fisico-Meteorologico. Velletri. 1883. Gatta cav. cap. Luigi. Via Cavour 194. Roma. 1890. Gavazzeni dott. sac. Bernardino. Celana Bergamasco (prov. di Bergamo). 1882. Gemmellaro prof. comm. Gaetano Giorgio. R. Univer- sità. Palermo. 1891. Gianotti dott. Giovanni. Pozzo Strada Lionelto. Torino. 1881. * Giordano comm. ing. Felice. R. Ufficio geologico. Via S. Susanna, \A. Roma. 1884. Gobbani dott. Omero. Città della Pieve. 1886. Gozzi ing. Giustiniano. Cesena. 1884. Gualterio march, dott. Carlo. Bagnorea. 1886. Gualterio march, ing. Giambattista. Bagnorea. 1881. 110 * Hughes cav. prof. Thomas Mac Kenny. Università. Cambridge (Inghilterra). 1888. latta cav. Antonio. Ruvo di Puglia. 1891. Inghilleri prof. Giuseppe. Corleone (prov. di Palermo). 1881. Issel cav. prof. Arturo. R. Università. Genova. 1881. Jervis cav. prof. Guglielmo. Museo industriale. Torino. 1889. Johnston Lavis dott. Henry. Chiatamone 7. Napoli. ELENCO DEI SOCI 9 1883. Lais p. prof. Giuseppe. Via del Corallo 42 Roma. 1888. Lanino comm. ing. Giuseppe. Via d’Azeglio 38. Bologna. 1883. Lattes comm. ing. Oreste. Via del Collegio romano 10. Roma. 1891. Lavalle ing. prof. Giuseppe. R. Università. Messina. 1884. 120 *Levat ing. David. Rne de la Tremolile 28. Paris. 4882. Levi bar. Adolfo Scander. Piazza d’Azeglio 7. Firenze. 1883. Lorenzini dott. Amilcare. Porretta (Bologna). 1881. Lotti ing. Bernardino. R. Ufficio Geologico. Roma. 1882. Malagoli prof. Mario. R. Ginnasio. S. Remo. 1886. Mariani prof. Ernesto. R. Istituto tecnico. Udine. 1891. Marinoni canonico prof. Luigi. Lovere (Bergamo). 1891. Matteucci dott. Vittorio. Museo geologico della R. Uni- versità. Napoli. 1881. *Mattirolo ing. Ettore. R. Ufficio geologico. Roma. 1881. Mauro prof. Francesco. R. Scuola per gl’ Ingegneri. Napoli. 1881. 130 *Mayer Eymar prof. Carlo. Scuola politecnica. Zurigo. 4881. Mazzetti ab. dott. Giuseppe. Via Correggi 5. Modena. 1881. Mazzuoli ing. Lucio. Salita della Visitazione 5. Genova. 1881. Meli prof. ing. Romolo. Via del teatro Valle 51. Roma. 1889. Melzi conte Gilberto. Monte Napoleone 36. Milano. 1883. Mercalli ab. prof. Giuseppe. Reggio Calabria. 1890. Meschinelli dott. Luigi. Vicenza. 1881. Missaghi cav. prof. Giuseppe. R. Università. Cagliari. 1887. Morelliprof. D Niccolò. Museo geologico. ViaS. Agnese 1. Genova. 1889. Morini prof. Fausto R. Università. Sassari. 1886. 140 Moschetti ing. Claudio. Saluzzo. 4890. Namias dott. Isacco. R. Università. Museo di Minera- logia. Modena. 1881. Negri dott. Arturo. R. Università. Padova. 1885 Neviani prof. Aìitonio. R. Liceo Dante. Firenze. 1885. Nibbi ing. Dario. Cortona. 1881. * Niccoli cav. ing. Enrico. R. Corpo delle Miniere. Bo- logna. 1883. Niccolini march, ing. Giorgio. Via Paolo Toscanelli 1. Firenze. 1881. Nicolis (De) cav. Enrico. Corte Quaranta. Verona. 1888. Novarese ing. Vittorio. R. ufficio geologico. Roma. 1883. Olivero comm. Enrico. Tenente Generale, Via Venti Settembre, 69. Torino. 10 ELENCO DEI SOCI 4881. 1881. 1881. 1882. 1881. 1881. 1891. 1889 1891. 1882. 1882. 1881. 1881. 1881. 1891. 1881. 1883. 1884. 1886. 1891. 1885. 1883. 1890. 1889. 1892. 1892. 1884. 1881. 1891. 1892. 1889. 1881. 150 Omboìii cav. prof. Giovanni. R. Università. Padova. Pantanelli prof. Dante R. Università. Modena. Parona prof. Carlo Fabrizio. Museo Geologico, Palazzo Carignano. Torino. *Paulucci marchesa Marianna. Villa Novoli. Firenze. Pélagaud dott. Eliseo. Saint-Paul (Isola Borbone). Pellati comm. ing. Niccolò. R. Ufficio geologico. Roma. Perla dott. Alfredo. Anticoli di Campagna. Perozzo cav. ing. Luigi. Via Milano 24. Roma. Platania-Platania doft. Gaetano. Aci-Reale. Piatti prof. Angelo. Desenzano sul Lago. 160 Pili ing. Tommaso. Miniera Libiola. Sestri Levante. Pirona cav. prof. Giulio Andrea R. Liceo. Udine. Pompucci ing. Bernardino. Pesaro. Portis prof. Alessandro. R. Università. Roma. Ragazzi dott. Vincenzo. R. Università. Modena. Ragazzoni cav. prof. Giuseppe. Brescia. Ragnini dott. Romolo. Capitano medico 3° reggimento bersaglieri. Piazza Roma, 1. Ancona. Ricci prof. Arpago. Spoleto. Ricciardi prof. Leonardo. R. Istituto Tecnico. Reggio- Calabria. Riggio prof. Giuseppe. R. Università. Palermo. 170 Ristori dott. Giuseppe. Museo Paleontologico (Piazza S. Marco) Firenze. Riva Palazzi colonn. Giovanni. Capo di Stato mag- giore del 1° corpo d’armata. Torino. Roncalli conte dott. Alessandro. Bergamo (alta Cittì). Rosselli dott. Emmanuele. Via Fiesolana 1. Firenze. Rovereto march. Gaetano. Salita Rondinella 3. Genova. Rusconi sac. Giuseppe. Valmadrera (Prov. di Como). Sacco prof. Federico. Museo geologico. Palazzo Cari- gnano. Torino. Salmojraghi ing. Francesco. Via Monte di Pietà 9. Milano. Sabatini ing. Valentino. R. Ufficio Geologico. Via S. Su- sanna 1 A. Roma. Sansoni cav. prof. Francesco Museo di Mineralogia. R. i'niversità. Pavia. 180 Scacchi ing. prof. Eugenio. Via Costantinopoli 19. Napoli. Scarabelli Gommi Flamini conte comm. Giuseppe. Se- natore del Regno. Imola. ELENCO DEI SOCI 11 -1884. Schneider ing. Aroldo. Montecatini in Val di Cecina. 1891. Schopen dott. Luigi. Museo Geologico. R. Università. Palermo. 1881. Segrè ing. Claudio. Direzione ferrovie meridionali. Ancona. 1885. Sella ing. Corradino. Deputato al Parlamento Nazio- nale. Biella. 1882. * Silvani dott. Enrico. Via Garibaldi 4. Bologna. 1885. Simoncelli ing. Remo. Arcevia (Ancona). 1883. Simonelli dott. Vittorio*. Museo paleontologico. Bologna. 1881. Simoni dott. Luigi. Via Cavaliera 9. Bologna. 1882. 190 Sormani ing. cav. Claudio. R. Ufficio geologico. Roma. 1886. Spalletti contessa Gabriella. Piazza dellaPilotta 3. Roma. 1885. Speranzini prof. Nicola. Arcevia (Ancona). 1882. Spezia cav. prof. Giorgio. R. Università. Torino. 1887. Squinabol dott. Senofonte. Via S. Agnese. 1. Genova. 1882. Statuti cav. ing. Augusto. Via dell’Anima 17. Roma. 1891. Stella ing. Augusto. Viale Venezia, 16. Milano. 1886. *i Stephanescu prof. Gregorio. Università. Bukarest (Ru- mania). 1881. Strobel cav. prof. Pellegrino. R. Università. Parma. 1882. Strùver comm. prof. Giovanni. R. Università. Roma. 1881. 200 Szabò cav. prof. Giuseppe. Università. Budapest (Un- gheria). 1881. Taramelli cav. prof. Torquato. R. Università. Pavia. 1891. Taschero dott. Federico. Liceo Foscarini. Venezia. 1883. Tellini dott. Achille. R. Università. Roma. 1881. Tenore ing. prof. Gaetano. Via S. Gregorio Armeno 41. Napoli. 1883. Terrenzi dott. Giuseppe. Narni. 1885. Terrigi dott. Guglielmo. Via Manin 9. Roma. 1881. Tiltoni comm. avv. Tommaso. Deputato al Parlamento. Via Rasella. 157. Roma. 1889. Toldo dott. Giovanni. Casa Scarabelli. Imola. 1881. Tommasi prof. Annibaie. R. Università. Pavia. 1885. 210 Toso ing. Pietro. R. Corpo delle Miniere. Vicenza. 1890. Trabucco prof. Giacomo. R. Istituto Tecnico Galileo Galilei. Firenze. 1892. Traverso ing. Stefano. Via Caffaro 15. Genova. 1882. Tuccimei prof. Giuseppe. Via dell’Anima 59. Roma. 1882. * Turche ing. John. Ufficio dell’Acquedotto. Bologna. 12 ELENCO DEI SOCI 1881. Uzielli prof. Gustavo. [Scuola per gli Ingegneri. Torino. 1883. Valenti prof. Esperio. Imola. 1882. Verri cav. tenente colonnello Antonio. Ministero della Guerra. Roma. 1890. Vigliarolo dott. prof. Giovanni. Salita Pontecorvo 22. Napoli. 1883. Vilanova y Piera cav. prof. Giovanni. Università. Madrid. 1882. 220 Virgilio dott. Francesco. R. Università. Torino. 1881. Zaccagna ing. Dorhenico. R. Corpo delle Miniere. Carrara. 1881. 222 Zezi cav. ing. Pietro. Ufficio geologico. Roma. COMMISSIONI 13 COMMISSIONE PER LE PUBBLICAZIONI 11 Presidente II Segretario Il Tesoriere L’Archivista Cav. prof. A. D’Achiardi Comm. prof. G. Gemmellaro Conte comm. G. Scarabelli-Gommi-Flamini prò tempore COMMISSIONE DEL BILANCIO PEL 1892 F. Giordano G. Scarabelli P. Zezi COMMISSIONE per l’esame dei manoscritti inviati pel concorso al premio Molon. G. Capellini 1. Cocchi T. Taramelli RESOCONTO DELL’ADUNANZA. GENERALE JEMALE DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA tenuta a Padova il giorno 21 aprile 1892. Presidenza Omboni. Il Presidente apre TAdnnanza in un locale del Gabinetto geologico della R. Università di Padova, alle ore 2 pom., essendo presenti i Soci : Brugnatelli, Cacciamali, Capellini, Meschi- nelli, Negri, Nicolis e Taramelli. Assistono, quali invitati, i professori (non Soci): Marinelli (Geografìa) e Panebianco (Mineralogia). Giustificarono la loro assenza i Soci: Alessandri, Bassani, Bozzi, Cermenati, Ciopalo, De Amicis, Di Lorenzo, Di Ste- fano, Foresti, Issel, Matteucci, Mazzuoli, Meli, Scarabelli, Statuti, 'Tellini, Tittoni, Tuccimei e Verri. Il Rettore della Università, prof. Ferraris, che pure era stato invitato all'Adunanza, incaricò il Presidente di esprimere il suo rincrescimento di non potervi intervenire, avendo dovuto recarsi, come rappresentante dell’Università di Padova, alla festa pel cen- tenario dell’Università di Ferrara. Il Presidente legge il seguente discorso: Colleglli carissimi, * Già un’altra volta ci trovammo riuniti qui in Padova, nella primavera del 1885, avendo a nostro presidente quell’insigne geo- logo e paleontologo, che fu il bar. Achille De Zigno, del quale lamentiamo tutti la recente perdita. Era sua intenzione, allora, di invitarci, per la solita adunanza estiva od autunnale, in qualche altro luogo di questa regione veneta, così interessante per la sua 16 ADUNANZA GENERALE JEMALE struttura geologica generale, (che anch’egli aveva tanto studiata), e per le sue località importantissime nella storia della Geologia italiana ed anche di quella generale; ma la sua malferma salute e la sua avanzata età glielo impedirono, così che noi ci riunimmo invece, nell’autunno, ad Arezzo, e ne visitammo i dintorni inte- ressantissimi, sotto la sapiente guida del vicepresidente d’ allora, prof. Capellini, e del collega prof. Cocchi. La Società, quindi, che aveva già veduto nel 1882 alcuni luoghi del Veneto occidentale (e precisamente della riva veronese del Lago di Garda), deve aver conservato vivo il suo desiderio di riunirsi di nuovo in questa re- gione veneta, per visitarvi alcune di quelle località, che divennero celebri per i loro strati, i loro fossili o i loro fenomeni geologici, studiati e descritti da tanti e tanti naturalisti, antichi e moderni, italiani e stranieri. Ed è, di certo, per esprimere questo suo desi- derio, oltre che per dare a me un attestato di somma benevolenza (della quale serberò sempre gratissima memoria), che la Società, nella sua riunione di Bergamo, nel 1890, chiamò me, professore qui a Padova, a fungere da suo presidente in quest’anno 1892. Ecco perchè vi ho invitati a venire qui a Padova una seconda volta, e vi propongo, come dirò dopo, di ritrovarci, nel prossimo autunno, a Vicenza. « Questa vecchia città di Padova, in fatto di cose geologiche, non ha di interessante, entro le sue mura, che le sue costruzioni fatte od ornate colla trachite degli Euganei (detta comunemente masegna ), col calcare grossolano proveniente da varie cave dei Colli Belici, e con diverse specie di marmi del Veronese e del Vicentino, le sue vie coi marciapiedi di trachite e col selciato fatto con ciottoli del Brenta (e quindi di rocce della Valle Sugana), le collezioni geologiche e paleontologiche del defunto bar. De Zigno, le molte piante fossili conservate presso la Direzione dell’Orto Bo- tanico, e il Gabinetto di Geologia di questa Università. « Le collezioni messe assieme dal barone A. De Zigno con- tengono una ricca serie di fossili del Veneto, appartenenti a tutti i terreni (molti dei quali furono descritti e pubblicati dallo stesso De Zigno), e poi il ricco materiale, col quale questo nostro compianto^ collega compilò l’importante sua opera sulla Flora oolitica. Ma ora, per la morte del nostro collega, non v’è alcuno là, dove stanno, che le possa mostrare ai geologi, esponendone le DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 17 origini, facendone vedere i pezzi più interessanti, e dimostrando il valore scientifico di questi pezzi. Ho, però, fondata speranza di potere far sì che in un tempo non lontano esse vengano a far parte del Gabinetto di Geologia di questa Università, affidato alle mie cure, e sempre aperto ai visitatori. « Le piante fossili conservate all'Orto Botanico meritano, come lo stesso Orto (che è il più antico od uno dei più antichi, e con- tiene la famosa Palma di Goethe ), una visita da parte dei geo- logi. Sono fusti e frondi di palme, altri avanzi di piante diverse, modelli in gesso di frutti, ecc., in gran numero, che fornirono ma- teriali per molte belle Memorie, specialmente ad Abramo Massa- longo ed al prof. De Visiani, e costituiscono una collezione inte- ressantissima, e conservata in perfetto ordine, in due sale annesse alla direzione dell’Orto. « Del Gabinetto di Geologia di questa Università potrete leg- gere la storia in un mio opuscolo, nel quale io lo descrissi come stava nel 1880, quando era di Mineralogia e Geologia, cioè prima che fosse avvenuta la sua divisione, per la quale tutte le colle- zioni mineralogiche sono ora nella prima sala, sotto la direzione del prof. Panebianco, e nelle altre due sale sono quelle geologiche, con una distribuzione un po’ diversa da quella descritta nel citato opuscolo ('). I1) Per i colleghi, che non possiedono quel mio opuscolo (Il Gabinetto di Mineralogia e Geologia della R. Università di Padova. Padova, Sac- chetto, 1880), ne riporto qui la parte storica: « Il Gabinetto di Mineralogia e Geologia fu dapprima una parte d’un Museo di Storia Naturale, il quale ebbe la sua prima origine nel cosi detto Museo Vallisneriano, cioè in una raccolta di prodotti naturali e di altri og- getti di varie specie, messa insieme dal celebre Antonio Vallisnieri, professore di medicina in questa Università. Questa raccolta fu donata alla Università, nel 1733, da Antonio Vallisnieri figlio, pel quale fu fondata, nel 1734, la cattedra per la descrizione e dimostrazione dei semplici non vegetabili, dive- nuta più tardi la cattedra di Storia naturale speciale. Negli anni 1735 e 1736 fu fatto il trasporto di quella raccolta nei locali dell’Università; e il catalogo della stessa raccolta fu pubblicato nel primo volume degli scritti di Vallisnieri padre, stampati in Venezia, nel 1733. « Nel 1755 l’Università, ad istanza del prof. Vallisnieri, acquistò una raccolta di petrefatti del Veronese e del Trentino, fatta da G. B. Della Valle, 2 18 ADUNANZA GENERALE .IEMALE « Fuori di Padova, a poca distanza, sorgono, coni’ è ben noto, i Colli Euganei, già studiati dal Da Rio, dal Catullo, dal De Zigno, dal Pirona* dal Rever, e da altri, ed i quali sono gli ultimi resti d'un solo vulcano, col suo centro là, dove è il Monte Venda, con farmacista di Vicenza; e nel 1758 vi aggiunse una collezione di minerali e di piante, già appartenente a certo Strayt, collettore e negoziante di anticaglie. « Nel 1759 il figlio del celebre Zannichelli donò all’Università una col- lezione fatta da suo padre, la quale comprendeva molte conchiglie fossili del Vicentino e del Veronese, un cranio umano incrostato, un dente fossile d’ip- popotamo, trovato nel Modenese, e diversi avanzi (ossa e denti molari) d’ele- fante dell’Agro Romano; nel 1760 fece altrettanto il Principe della Cattolica, di una sua collezione di agate, diaspri, e marmi della Sicilia; nel 1768 il professore Luigi Rousseau d’Ingolstadt fece il dono di una serie di quarzi cristallizzati e di altri minerali; Gerolamo Festari di Valdagno regalò nel 1770 una collezione di rocce vulcaniche del Vicentino: e nel 1772 il cava- liere Strange, naturalista inglese, volle dividere con questo Museo il frutto delle sue ricerche geologiche nei Colli Euganei. “ Morto nel 1777 il professore Vallisnieri, senza che gli fosse nominato un successore, e nel 1778 il custode Giovanni Fabris, fu nominato custode Bartolomeo Fabris; ed il Museo, rimasto affidato alle cure del solo custode fin al 1806, ebbe in dono, dal padre Bosini, Olivetano, una collezione di pro- dotti vesuviani (nel 1789), e in cambio, dal signor Walther, di Bressanone, dei minerali e fossili del Trentino (nel 1791). « Nel 1806 fu nominato professore di Storia Naturale Stefano Andrea Renier, ed a lui affidata la direzione del Museo, il quale continuò ad arric- chirsi, per opera del nuovo Direttore e del custode Fabris. Nel 1808 ebbe dal conte Marzari-Pencati una collezione di rocce del Padovano, del Vicen- tino e del Bergamasco, per commissione del Governo Italico;] nel 1809 ebbe delle forme cristallografiche in legno dal conte Moscati, e delle rocce del Vicentino dal conte Corniani: e nel 1810 molti duplicati di minerali, dalla Università di Pavia e dal Consiglio delle Miniere allora esistente a Milano. « Nel 1820, essendosi ammalato il prof. Renier, fu chiamato a supplirlo T. A. Catullo, il quale divenne poi professore titolare, e diresse ed aumentò il Museo fin al 1852. — Per non dire se non dei lavori ed aumenti più im- portanti, che furono fatti dal Catullo, accennerò soltanto : il riordinamento del Museo (colla compilazione di cataloghi speciali), fatto negli anni 1880 e 1831, direttamente dal Catullo per la parte mineralogica e geologica; l’acquisto di conchiglie fossili subapennine, dal professore Jan, nel 1830; l'acquisto di rocce e di fossili della Germania, dall’Emporio Mineralogico di Eidelberga, nel 1831 ; il dono di rocce e fossili del Veneto, cominciato dal Catullo nel 1831, e continuato poi nel 1841, nel 1842, nel 1850 e nel 1851 ; il dono di minerali e rocce dell’Egitto, fatto nel 1836 dal cavaliere Acerbi. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 19 numerosi filoni diretti a raggi attorno a questo centro, con una ricca varietà di rocce trachitiche, andesitiche e basaltiche, e con le famose sorgenti termali e minerali di Abano, di Monte Ortone, della Battaglia, ecc., che meritano una visita, anche da chi non si occupa di geologia. già console austriaco in quel paese ; il dono di rocce dell 'Ungheria, e di piante fossili della Germania, fatto, nello stesso anno, dal prof. Luigi Configliacchi: quello di altre rocce e di minerali dell'Ungheria, fatto, qualche anno dopo, dal signor Zipser di Neusohl; l'acquisto fatto nel 1841, per la somma di die- cimila lire austriache, di una ricchissima collezione di pesci fossili e di filliti del Monte Bolca, e di altri petrefatti del Veneto, già appartenente al sig. Ca- stellini di Castel Gomberto; il dono di rocce del Tirolo meridionale e degli Euganei, raccolte nel 1842 e nel 1843 dal dott. Pietro Doderlein, allora assi- stenti del Catullo, ed ora professore a Palermo ; la compera d’una collezione mineralogica del Nobile di Baraux, nel 1843; i doni fatti al Museo, dal 1843 al 1851, da vari studenti, di rocce e fossili del Veneto e della Lombardia: e finalmente il dono, fatto nel 1850 dal Catullo, di una collezione di rocce e fossili dei dintorni di Parigi, che a lui era stata regalata dai professori Cordier e Brongniart. « Messo in riposo, nel dicembre del 1851, il Catullo, la direzione del Museo passò, nel febbraio del 1852, nelle mani del prof. Raffaele Molili, il quale si occupò principalmente della parte zoologica, così che, per le altre parti, non fece altro che acquistare alcuni strumenti (bilancia, spettroscopio, goniometro di Babinet, ecc.), una collezione di forme cristallografiche di legno, e delle ossa fossili di Pikermy, far eseguire molti disegni di pesci fossili, e cedere all’Orto Botanico molte piante fossili. u Partito da Padova il prof. Molin nel 1866, fu chiamato ad occupare provvisoriamente la cattedra di Storia Naturale Speciale e ad assumere la Direzione del relativo Museo il prof. Antonio Keller, il quale, da quell'anno fin al novembre del 1869, fece alla parte mineralogica e geologica del Museo varie aggiunte, e principalmente quella di una collezione di rocce e fossili della Lombardia (dei fratelli Villa di Milano'1 , e quella di alcuni minerali. « Finalmente, nel 1869, divisa la cattedra di Storia Naturale Speciale in due, cioè in quella di Zoologia e Anatomia comparata, e quella di Mine- ralogia e Geologia, fu fatta, nel novembre dello stesso anno, la consegna di tutto il Museo al professore Canestrini ed a me;. e noi due, subito, trovati insufficienti i locali, le collezioni, il personale e la dotazione, cominciammo a domandare provvedimenti atti a migliorare tutte le condizioni del Museo, e demmo principio ad un lungo e grave lavoro di riordinamento e di aumento, per quelle collezioni, che ne avevano più urgente bisogno. Riuscimmo presto ad ottenere un aumento nella dotazione e nel personale addetto al Museo; e più tardi, nel 1874, il trasporto di tutte le collezioni zoologiche in alcuni 20 ADUNANZA GENERALE JEMALE « Venendo ora ad occuparci della vita della Società, devo anzitutto rendervi noto che, secondo le notizie avute dal Segretario e dal Vicetesoriere, ambedue impediti di venire a questa adunanza, il numero dei soci va diminuendo; così che, se si vuole che la Società non intiSichisca, e non diventi incapace di continuare a pubblicare grossi volumi di Bollettino , come furono quelli degli anni scorsi, è assolutamente necessario che ognuno di noi faccia di tutto per trattenere chi fa già parte della Società, e trovare altri, che abbiano ad entrarvi e rimanervi. « Pur troppo la lamentata diminuzione non è dovuta soltanto ai colleghi, che volontariamente ci abbandonarono, sia dando rego- locali della Scuola di Medicina a S. Mattia ; ma i nostri desideri sono ancora ben lontani dall’essere soddisfatti « Avute in consegna, per farne il Gabinetto di Mineralogia e Geologia, le collezioni mineralogiche, geologiche e paleontologiche raccolte dal Catullo, meno le piante fossili, che erano state cedute dal prof. Molin al Direttore dell’Orto Botanico, ebbi a fare un lungo, difficile e noioso lavoro, per dare a tutte le collezioni rimaste sotto la mia direzione un ordinamento, che mi paresse migliore di quello, in cui le ebbi a trovare, e per distribuirle conve- nientemente nei locali e scaffali rimasti a mia disposizione dopo la partenza delle collezioni zoologiche; dovetti spendere una gran parte della dotazione, ed anche un sussidio straordinario, per fare parecchi mobili nuovi, e per far adattare gli scaffali già adoperati per le collezioni zoologiche ; feci, col resto della dotazione, parecchi importanti acquisti di minerali, di rocce, di fossili, di istrumenti e di libri ; donai io stesso al gabinetto molti oggetti già di mia proprietà, e molti altri, che andai raccogliendo nelle escursioni fatte nel Ve- neto e in altri paesi; ed altri ancora ne ebbi in dono dal prof. Paolo Man- tovani (di Roma), dall’abate Masè (di Castel d’Ario), dal prof. Taramelli, dal conte Carlo Avogadro degli Azzoni, da parecchi studenti, dal prof. Barrande, dal dott. Francesco Bassani, dal prof. De Visiani, dal dott. Arturo Negri, dal barone Achille De Zigno, e da altre benemerite persone ». Dopo il 1880, e precisamente, nell’anno 1888, per l’avvenuta divisione (proposta da me alla Facoltà di Scienze Matematiche, e da questa al Mini- stero) della cattedra di Mineralogia e Geologia in due, fu diviso in due anche il relativo Gabinetto ; io Consegnai al nuovo professore di Mineralogia Rug- gero Panebianco le collezioni mineralogiche ed i relativi libri, istrumenti, modelli, ecc., e modificai alquanto la distribuzione delle collezioni geologiche e paleontologiche, per concentrarle nelle due sale a me rimaste per il Gabi- netto di Geologia. Poi continuai ad arricchirle con acquisti e con doni miei ed altrui, a studiarle coll’aiuto dei miei successivi assistenti, ed a permetterne lo studio al barone De Zigno e ad altri paleontologi. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 21 larmente le loro dimissioni, sia cessando di pagare le quote annue, e mettendo, così, la Società nell'obbligo di radiarli. Alcuni ci fu- rono tolti, ogni anno, dalla morte ; e tra quelli, che morirono dopo la nostra ultima riunione, ho già accennato trovarsi il bar. De Zigno, del quale vi parlerò a lungo nella adunanza autunnale, quando avrò raccolto sufficienti notizie, ed avrò esaminato tutte le sue pubblicazioni abbastanza bene, per intrattenervi in modo completo intorno alla sua vita ed ai suoi molti e diversi studi e lavori. « A colmare, in parte, le lacune risultanti dalle citate per- dite, avremo ad ammettere alcuni soci nuovi, dei quali il Segre- tario vi leggerà i nomi e i proponenti. « Come sia stata la vita finanziaria della Società negli ultimi anni, lo dimostreranno i bilanci relativi al 1890 ed al 1891, che presenterò, or ora ricevuti dal nostro Tesoriere, deputato Tittoni. Secondo il nostro Statuto, una Commissione nominata dal Consi- glio Direttivo li esaminerà, e li ripresenterà all’adunanza estiva od autunnale, con le sue osservazioni, per la loro approvazione. Nel 1890 l'attivo fu di circa L. 7000, e il passivo di circa 3000 lire, così che ci fu un residuo attivo di quasi 4000 lire. Nel 1891 l’at- tivo fu di circa 8000 lire, e il passivo di circa 3500, così che rimasero per il 1892 più di 4500 lire. - Della riscossione delle quote dovute dai Soci si occupa at- tivamente il nostro Vicetesoriere, ingegnere Augusto Statuti, il quale ha proposto al Consiglio di Amministrazione due nuovi modi di attuarla, destinati a renderla più sollecita e meno costosa. “ Uno dei nostri soci fondatori, il comm. Felice Giordano, di cui tutti noi conosciamo l'animo gentile e generoso in molte e di- verse circostanze, quand’ebbe ricevuto la notizia della sua nomina a socio perpetuo, decisa nell’adunanza tenuta a Taormina, volle fare alla Società un dono di lire 200; ed io, che ho già ringra- ziato, come Presidente, a nome della Società, l’egregio e generoso donatore, sono ora ben lieto di rendere noto a voi tutti il suo co- spicuo dono, credendo che noi tutti, qui riuniti, faremo cosa grata a lui, ripetendogli, per mezzo del telegrafo, saluti e ringraziamenti. « 11 Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, negli anni scorsi, accordò dei sussidi alla Società, in considerazione delle pubblicazioni di questa, spesso di tale natura, da riuscirne utili talune applicazioni all’ agricoltura, all’industria, ai lavori di inge- 22 ADUNANZA GENERALE JEMALE gneria, ecc.; ma, non se per quale cagione, nou ce ne diede alcuno nel 1891. Ora la Presidenza domanderà e, spero, otterrà che esso ricominci ad accordarci un sussidio, senza del quale le pubblica- zioni nostre dovrebbero ridursi di molto. “ Queste pubblicazioni, che consistono nel nostro Bollettino , vanno, come al solito, lentamente, per molte e diverse cause, fra le quali devo annoverare la tardanza o la lentezza degli autori nel correggere le prove di stampa, il tempo necessario per preparare le tavole da unire al testo, ecc., ma domina principalmente questa, che il nostro Segretario, prof. Meli, che si occupa tanto bene e con tanto amore di quanto si riferisce alla stampa ed alle altre operazioni necessarie per la pubblicazione dei fascicoli, ha, nello stesso tempo, per le sue circostanze particolari, tante altre cose, a cui attendere, e, per giunta, fu spesso ammalato, e lo è tuttora. Solo rimedio a tutto questo è il trovare uno, che aiuti bene il Segretario ; e credo che presto questo rimedio sarà attuato. Intanto ho saputo dal Segretario che alcuni fogli del fascicolo 3° del volume X (1891) del Bollettino sono già stampati, ed altri si stamperanno in questa settimana e nelle successive; ma rimarrà da compilarsi l'Indice analitico, il quale, se si vuole alfabetico e così particolareggiato come quello del 1890, costerà al Segretario qualche mese di lavoro, per la semplice compilazione. Anche a questo guaio spero che si potrà rimediare, sia facendo sì che il fascicolo sia pubblicato prima che sia cominciata la compilazione dell'Indice, sia rinunciando ad avere in ciascun volume un indice alfabetico, e così particolareg- giato, e determinando che di tanto in tanto venga fatto e pubbli- cato un indice alfabetico e completo per un certo numero di volumi. « Col 31 dello scorso marzo è scaduto il termine per la pre- sentazione dei lavori concorrenti al premio Molo il , per il quale fu riaperto nel 1889 il concorso sul tema: Storia dei progressi della Geologia in Italia dal 1860 al 1885. Un solo lavoro è pervenuto alla Segreteria; ed a giudicarlo fu eletta oggi dal Consiglio, a norma del regolamento speciale per il detto premio, una Commis- sione, la quale avrà a riferire intorno al detto lavoro nella adu- nanza estiva della Società. « Finirò coll’indicare come potrebbe, secondo me, venire sod- disfatto in quest'anno il desiderio della Società, di visitare alcune altre fra le più interessanti località del Veneto, dopo avere veduto, DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 23 nell' autunno del 1882, alcune di quelle del Veronése occidentale. La Società potrebbe riunirsi, nel prossimo settembre, a Vicenza, dove, secondo alcune lettere già avute dal Sindaco di quella città e dal comm. Paolo Lioy, saremmo, di certo, bene accolti, e tro- veremmo gli aiuti atti a renderci più facili le gite progettate. Da Vicenza si potrebbe fare una gita a Roncà, alla Valle degli Stan- ghellini ed al Monte Bolca ; poi si potrebbe andare a Recoaro, a Schio, ad Arsiero, ad Asiago nei Sette Comuni, e finalmente a Bassano, per terminare la riunione con una escursione nei dintorni di questa città ed a Possagno. Certamente, vi sono altre parti della regione veneta (il Bellunese, il Trevisano, il Friuli) ed altri luoghi, che meriterebbero gite ed escursioni; ma la Società può riserbarne la visita ad altre epoche, sotto la direzione di altri geologi. - Dopo la cattiva prova fatta in Sicilia, nell’ autunno scorso, temo che non potrò accompagnare i colleghi in tutte le gite pro- gettate ; farò, ad ogni modo, di essere con loro nei luoghi di riu- nione e di fermata; ed a guidarli, meglio di quello, che potrei far io, nelle gite, essi avranno il dott. Arturo Negri, che è qui assistente alla cattedra di Geologia, è ora nostro Vicesegretario, è già noto a voi per vari suoi lavori geologici e paleontologici, ed ha studiato minutamente tutto il Vicentino, per farne una Carta geologica meritevole di stare a fianco di quelle del Friuli, del Bellunese e del Veronese, che noi dobbiamo ai colleglli Tarameli! e Nicolis ». Il Socio Capellini fa omaggio alla Società del lavoro inti- tolato: I tronchi di Ben netti tee dM musei italiani, pubblicato da lui e dal conte Solms-Laubach. Il Presidente dà comunicazione del seguente elenco, redatto dal Segretario Meli, delle pubblicazioni mandate in dono alla So- cietà dai loro autori, e delle altre periodiche, mandate in cambio: Bombicci Luigi, Nuoce ricerche sulla, Melano fi 'agile della miniera Giona presso Racalmuto in Sicilia — Le gradarioni della sferoedria nei cristalli. Sue coesisterne nelle forme nor- malmente reticolari — Altri esempi eli contorsioni elicoidi nelle facce e negli aggregati simmetrici dei cristalli. Bologna, tipo- grafìa Gamberini e Parmeggiani, 1891, in 4° di pag. 63 con 3 tav. 24 ADUNANZA GENERALE JEMALE (Estr. d. serie 5a, tomo I delle Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna). Carez L., Sur l’àge des couches qui entourent la source de la Sals {Aude). Estr. d. Bullet. de la Soc. géol. de France, 3e sér., tom. XIX, pag. 480, séance du 20 avril 1891. Idem, Sur quelques points de la geologie des Corbières. Estr. d. Bulletin de la Soc. géolog. de Frange, 3e serie, tom. XIX, pag. 702, séance du 8 Juin 1891. Idem, Revue animelle de Geologie. Dans la Revue generale des Sciences pures et appliquées paraissant le 15 et le 30 de chaque mois, 2e année, n. 18. Paris, 30 septembre 1891. De Bosniaski Sigismondo, Flora fossile del Verrucano nel Monte Pisano. Comunicazione fatta alla Società toscana di scienze naturali nell’adunanza del 18 novembre 1890. Pisa, tip. Nistri, 1890, di pag. 22 in 8°. Dewalque GL, Sur les dépóts de l’éocène moijen et supérieur de la région comprise entre la Dijle et le che-min de fer de Ni- velles à Bruxelles par G. Vincent et J. Couturieaux. Rapport de M. G. Dewalque, premier commissaire. Estr. d. Bulletin de l’Académie R. de Belgique, 4e serie, tom. XXII, n. 12, 1891, in 8° di pag. 3. Forir H., Quelques particularités rernarquables de la plan- chette de Herve. Roclies crétacées , argiles à silex , phosphate de chaux , sable et argile tertiaires — Espèces non encore citées du ‘phosphate de chaux de la Hesbaye. Liége, 1891, in 8° di pag. 13. (Estr. d. Annal. de la Soc. géolog. de Belgique, tom. XVIII. Mémoires 1891). Idem, Sur un facies rernarquable de l’assise de Heroe {sc- nonien moyen d’Orb.) au S. au S-W. et à l’E. de Henri- Cho- pelle — Sur Vexistence du sable Mane , Tongrien inférmi)' (?), des argiles à silex et du sable hermeri à Beaufays. Liége, II. Vaillant, 1891, in 8° di pag. 10. (Estr. d. Ann. de la Soc. de Belgique, tom. XIX, mémoires et Bullet. 1891). Idem, Relations entre l’ètage Landénien Belge et les cou- ches inférieures du systéme Eocène du bassin de Paris, d'après MM. Gosselet et von Koenen. Liége, H. Yaillant-Carmanne, 1891, in 8° di pag. 6. (Estr. d. Ann. de la Soc. géolog. de Belgique, tom. XVIII, Bullet. 1891). DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 25 Matteucci R. V., Sulla fase eruttiva del Vesuvio comin- ciata nel giugno 1891. Napoli, tip. d. R. Accad. d. Scienze fis. e matem., 1891, in 4° di pag. 31 con 2 tav. (Estr. d. voi. Y, serie 2a, n. 2 degli Atti d. R. Acc. d. Se. fis. e matem. di Na- poli, 1891. Stefanescu S., Carte géologique de la Roumanie publiée par Mathei M. Draghiceanu ingénieur apprécìée par Sabba Stefa- nescu prof esseur ciu Lycée St. Sava. Bucuresci, J. Y. Socecu, 1891, in 8" di pag. 23. Tommasi Annibaie, Contribuzione allo studio della fauna cretacea del Friuli — I fossili Senoniani di Vernasso presso S. Pietro al Natisone. Venezia, G. Antonelli, 1891, in 8° di pag. 34. (Estr. d. Atti del R. Istituto Veneto di se., lett. ed arti, tomo II, ser. 8a). Traverso Stefano, Calcare fossilifero nel Gerrei (Sardegna). Torino, Fr. Casanova, 1891, in 8° di pag. 21 con 3 tavole. Idem, Note sulla geologia e sui giacimenti argentiferi del Sarrabus (Sardegna). Torino, Fr. Casanova, 1890, in 4° di pag. 57 con 17 tavole ed una carta geologica-mineraria. Tuccimei Giuseppe, Alcuni mammiferi fossili delle pr ovine ie Umbra e Romana. Roma, tip. d. Pace, 1891, in 4°, di pag. 68 con 7 tav. in fototipia, (Estr. d. Mem. d. pont. Acc. d. Nuovi Lincei, voi. VII). Idem, Note stratigrafiche sopra la formazione secondaria dei Monti Sabini. Roma, F. Cuggiani, 1891, in 4° picc. di pag. 15 con una tavola. (Estr. d. Mem. d. pont. Acc. de’ Nuovi Lincei voi. VI). Pubblicazioni periodiche. Annals of thè Queensland Museum. N. 1 : Synonymical ca- talogne of thè Lepidoptera Rliopalocera (ButterfUes) of Australia , ivith full bibliographical reference; including descriptions of some new species by W. H. Miskin. Brisbane, James C. Beai, 1891, in 8° di pag. xx-92, e IX carte. Annalen des k. k. Naturhistorischen Hofmuseums redigirt von Dr. Franz Ritter von Hauer. Band. VI, n. 2, 3 und 4. Annuaire géologique universel; revue de geologie et paléon- 26 ADUNANZA GENERALE JEMALE tologie dirigée par le Dr. L. Carez pour la partie géologique, pal- li. Douvillé por la partie paléontologique avec le concours de nom- breux géologues fran^ais et étrangers fonde par le D1’. Dagincourt. Année 1890, toni. VII, 2e et 3e fascicule. Paris, 1892, in 8°. Boletin del Instituto Geogràfico Argentino, toni. XII, cua- dernos I-IV, Y y VI. Bulletin international de l’Académie des Sciences de Cracovie. Comptes-rendus de l’année 1891, Décembre; 1892, Février. Jabrbucb der kaiserlich-kòniglichen geologischen Reichsanstalt. Jahrgang 1891, voi. LI, disp. la. Wien, 1891, in 8°. Ministère des travaux publics de France — Bulletin des Ser- vices de la Carte géologique de la France et des topographies sou- terraines, n. 20, toni. II, (1890-1891), Septembre 1891 : ( Étudte sur la constitution géologique clu massif de la Vanoise ( Alpes de Savoie) par M. P. Termier); n. 21, toni. Ili, (1891-92), Juillet 1891: Les chaines subalpines entre Gap et Digne. Contribution à l’histore géologique des Alpes frcincaises par Binile Haug; n. 22, toni. Ili, (1891-92), Juillet 1891: I. Note de M. Michel Léoy j sur les derniers travaux de G. Maillard ; II. Note sur diverses règions de la feuille d' Annecij par G. Maillard); n. 23, tom. II, (1890-91), Septembre 1891: I. Contribution à la géo- logie de l’Oise. Notice géologique de Beauvais par H. Thomas; II. Note sur le trias de l’Ariège et de l’Aude par C. de Lacvi- vier. Paris, Baudry et Comp. éditeur, 1891, 4 fascicoli in 8°. Quarterly (The) Journal of thè Geological Society, voi. XLVIII, part. I, n° 189 (February 1, 1892). B. Accademia Lincei. Rendiconti, ser. 5a, voi. I, 1° semestre, fase. 4°. Revista de sciencias naturaes e Sociaes orgào de Sociedade Carlos Ribeiro, voi. II, n. 7. Porto (Portugal). Verhandlungen der k. k. geologischen Reichsanstalt. Wien, 1891, nn. 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18; 1892 n. 1. Verhandlungen des naturhistorischen Vereines der preussischen Rheinlande, Westfalens und des Reg.-Bezirks Osnabriick. 48ma an- nata, ser. 5a, an. Vili, 1891, fase. 1°. Zeitschrift des Deutschen geologischen Gesellschaft, voi. XLIII, 1891, fase. 1°, Januar-Marz. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 27 Il Presidente informa l’Assemblea intorno alle deliberazioni prese dal Consiglio Direttivo, riguardanti : 1° La nomina del Socio A. Negri a Vice-segretario. 2° La circolare da inviarsi a tutti i Soci intorno alla ri- scossione delle quote annuali per mezzo di assegno postale all'atto della consegna del primo fascicolo del Bollettino. 3° La nuova forma di ricevuta delle quote pagate dai Soci, che non accetteranno il pagamento per mezzo di assegno postale. 4° La nomina dei Soci Scarabelli, Giordano e Zezi a formare la Commissione pei bilanci. Lo stesso Presidente presenta le lettere, colle quali i Soci Capellini e Giordano hanno ringraziato per la loro nomina a Soci perpetui, deliberata nella Adunanza generale della Società te- nuta a Taormina nello scorso ottobre. Aggiunge che il Socio Gior- dano, in occasione di tale nomina, ha fatto alla Società il dono di 200 lire; e propone che gli sia mandato un telegramma di ringraziamento. I Soci presenti aderiscono alla proposta. Dà quindi comunicazione delle lettere di ringraziamento: del Socio Issel, per la sua nomina a Vice-presidente; del Socio Fo- resti, per la sua nomina a Consigliere ; e della Biblioteca Civica di Bergamo, per l’invio della serie completa del Bollettino della Società. II Presidente annuncia la morte dei Soci : De Zigno comm. barone Achille (che fu Presidente della Società nel 1885) morto a Padova il 15 gennaio 1892. Dal Buono Angelo, Ingegnere provinciale di 1 a classe, morto a Poggio-Mirteto (Sabina) il 16 febbraio 1892. nell’età di anni 66. Dal Pozzo di Mombello cav. prof. Enrico (Perugia). Toni conte cav. Francesco di anni 68, morto a Spoleto il 25 febbraio 1892. Sono ammessi a far parte della Società, come Soci effettivi, i signori: 28 ADUNANZA GENERALE JEMALE Bonarelli Guido di Gubbio, studente di Scienze naturali a Torino (Museo geologico), proposto dai Soci Parona e Sacco. Rovereto marchese Gaetano (Genova), proposto dai Soci Issel e Meli. Rusconi sac. Giuseppe di Valmadrera (Prov. di Como), proposto dai Soci Omboni e Meli. Sansoni Francesco, prof, di Mineralogia nella R. Uni- versità di Pavia, proposto dai Soci Taramelli e Parona. Traverso ing. Stefano, proposto dai Soci Issel e Meli. Il Presidente presenta la nota seguente di Soci, che hanno mandate le loro dimissioni: Avanzi Riccardo. Verona. Cantoni ing. Angelo. Pavia. Contessa dott. Ulisse. Stroncone (Terni). Ferri Mancini prof. Filippo. Roma, Freda prof. Giovanni. Napoli. Guiducci dott. Antonio. Arezzo. Pacini Candelo prof. Michele. Savona. " Roisecco ing. Ignazio. Bologna, Sciolette ing. G. Battista. Roma. Zonghi prof. Augusto. Fabriano. Lo stesso Presidente presenta i bilanci consuntivi del 1890 e del 1891, che saranno esaminati dalla Commissione nominata dal Consiglio direttivo, e presentati per l'approvazione alla prossima Adunanza estiva. Comunica poi le lettere del Sindaco di Vicenza e del comm. Lioy, i quali applaudono al progetto di tenere la riunione estiva a Vicenza nel prossimo settembre. Annuncia infine la presentazione dei seguenti lavori da pub- blicarsi nel Bollettino : Baratta Mario. Il terremoto laziale del 22 gennaio 1892. Bozzi Luigi. Rivista delle flore fossili italiane. Franco Pasquale. Sull’idocrasio del M. Somma (con 4 tavole doppie). DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 29 Verri Antonio. Alcune osservazioni sui tufi da costru- zione della campagna di Roma. Id. id. Note per lo studio sul sollevamento dell’ Ape mino centrale. Dal Socio De Amicis sono giunte le due comunicazioni se- guenti : 1° Nella Provincia di Alessandria si sta costruendo una nuova strada destinata a porre in diretta communicazione tra loro i paesi di Castello di Annone (circondario di Alessandria) e di Nizza Monferrato (circondario di Acqui). Detta strada, poco lungi da Cortiglione, per traversare la regione detta Val di Berti, è stata tagliata quasi completamente nei conglomerati e nelle sabbie gialle del Pliocene superiore, che raggiungono ivi notevole potenza; ed in tale lavoro di sterro sono venuti in luce molti ed interessanti resti di mammiferi terrestri, alcuni dei quali incrostati da Ostree ed altri molluschi marini. 11 sig. Riccardo Becenti, di Cortiglione, già mio allievo ed ora studente di medicina, si diede premura di avvertirmi che in detta località si rinvenivano nel fare gli scavi, denti, ossa, ecc. e mi invitò in pari tempo a recarmi sul posto per farne raccolta. Impedito prima da malattia, poi dalla impraticabilità, a cagione del tempo, di quei luoghi, di recarmi colà, pregai il sig. Becenti a voler raccogliere ed inviarmi quanto si era trovato ed avesse potuto avere, e mercè la sua cortesia posseggo ora un discreto nu- mero di pezzi appartenenti a mammiferi terrestri. Occupato da altri studi, non ho potuto entrare nelle più minute particolarità della loro specifica determinazione; però fino d'ora posso citare, fra gli altri, resti di Rhinoceros etruscus Falc., di Equus Stenonis Cocchi, di Bos sp., di Cervus sp., di Maslodon sp., ecc. ; insomma una fauna interessantissima. Disgraziatamente, come succede quasi sem- pre per l’ignoranza dei lavoranti e l’incuria di chi ad essi dovrebbe mantenere sorveglianza, molte ossa andarono frantumate e disperse, senza speranza di più poterle ritrovare. Di più il sig. Becenti mi scrive che « un grossissimo dente, che Egli ritiene appartenesse ad un Mastodonte, ed altri resti furono da un prete del luogo spe- diti a Roma - . Non mi dice a chi furono spediti, nè se furono studiati. !0 ADUNANZA GENERALE .TEMALE Non appena la stagione si sia messa al buono in modo da permettermi una proficua escursione, e non sì tosto il sig. Becenti mi annunci che furono ripresi i lavori, attualmente interrotti, di quella strada, mi recherò sul posto a fare altre ricerche. Spero così di potere nella prossima adunanza estiva della Società presen- tare una relazione accurata e minuta, illustrata da tavole, ove ne sia il caso, dei miei studi su tali resti fossili. Intanto mi pare si debba essere grati al sig. Becenti che ne ha segnalato il rinveni- mento e che d’ora innanzi farà in maniera che più nulla vada disperso. 2° I eh. prof. C. F. Parona e F. Sacco mi hanno pre- stato per istudio una ricca raccolta di foraminiferi non ancora illu- strati, provenienti dal pliocene di ristrettissima regione del Niz- zardo, donati molti anni addietro al Museo Geologico della R. Uni- versità di Torino dal sig. prof. Perez. Nel rendere i più sentiti rin- graziamenti ai professori suddetti per avermi dato occasione per riprendere i miei studi sui Foraminiferi, involontariamente inter- rotti fino dal 1885, ed annunciando la assai prossima presentazione di una nota illustrativa in proposito, corredata di tavole, tengo a far sapere fin d'ora che sono oltre 120 le specie che ho potuto di- stinguere ; che di parecchie ho dovuto separare varietà notevoli spe- cialmente perchè fanno passaggio da una specie ad un’altra, ed inoltre che ho trovato grandissima analogia tra questa del Nizzardo e la fauna pliocenica a foraminiferi italiana. Il lavoro che presen- terò prima ancora della adunanza estiva, aprirà la serie della illu- strazione dei foraminiferi fossili del Piemonte, che già ho comin- ciato e che continuerò, spero, senza interruzione. Dal Socio Clerici pervenne la seguente comunicazione : Dopo il ritrovamento di argille turchiniccie plioceniche alla sinistra del Tevere nell’interno di Roma (v. Boll. voi. X, 1891, fase. 1), intrapresi un più minuto esame di altre argille di Roma e dintorni immediati, raccolte per mezzo di trivellazioni o per la- vori di scavo. Fra i materiali esaminati credo conveniente menzio- nare un’argilla grigiastra che si trova alla base di una collina facente parte del gruppo dei monti Parioli e tagliata in occasione DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 31 dei lavori per la passeggiata Flaminia ad un miglio da Roma. Questa argilla che contiene foraminifere ben conservate, e per il colore, come per la fauna racchiusavi, nonché per la sua giacitura differisce notevolmente tanto dalle ben note argille Vaticane e del M. Mario, come da quella rinvenuta quasi alla stessa quota nella piazza di Spagna in Roma. La stratificazione non è ben visibile; può ritenersi che sia quasi orizzontale, ma le superflui che la limitano sopra e sotto sono ondulate ed assai irregolari, al disopra per l’erosione prece- dente la deposizione di quelle sabbie giallastre a concrezioni tra- vertinose che la ricoprono ; al disotto perchè l’argilla si posò sopra un cumulo irregolare di materie deposte al fondo di quel mare. Sotto l’argilla che ha quindi una potenza variabile da 1-4 m., sta una sabbia grossolana, ghiaiosa ad elementi vulcanici, la quale in un punto della sezione diviene una ghiaia assai grossolana con pezzi perfino di 0,50 di diametro. Vi si vedono pezzi di calcari apennini, di tufi vulcanici, di conglomerati e brecce ed arenarie fossilifere plioceniche. In uno scavo che io ho fatto appositamente ho trovato sotto la detta sabbia grossolana di nuovo l’argilla gri- giastra e giallastra, che sembra continuare a profondità maggiore di quella dello scavo. Le specie di foraminifere in quell’argilla riconosciute mercè la gentile collaborazione del dott. Terrigi sono : Miliolina semiuulum Haplophragmium globigerini forme Bulimìna pupoides * Buchiana - ovata ■ affinis Bolivma panciata » dilatata Plenrostomella alter nans Lagena gracillima » elongata Nodosaria cornmunis » calomorpha ADUNANZA GENERALE JEMALE Nodosaria hispida » Roemeri » glabra » far cime a » robusta Cristellaria reniformi s » vortex » ro tubata U viger ina pygmaea » asperula » Brunnensis Globigerina bulloides , et var. triloba » regularis « infiata » rubra Orbulina universa Planorbulina rotula Truncatulina lobatula « Ungeriana Questa argilla dimostra un fatto molto importante, e cioè 1'esistenza del mare nell’attuale valle del Tevere in un' epoca non molto lontana, in un' epoca in cui i vulcani erano già in piena attività, conclusione che non può estendersi alle argille Vaticane. Riferendomi alla tabella pubblicata nel fase. 3° del presente vo- lume (v. Sul Castor fiber, sull ' Elephas meridionali, e sul periodo glaciale ), riporterei la deposizione di questa argilla all’ Intergla- ciale, non più antico. Io credo anche molto probabile che il mare in qualche punto della Campagna romana non si sia ritirato re- golarmente e progressivamente; ma una volta abbandonato un tratto di terra, sia ritornato ad invaderla qualche tempo dopo, quando già su depositi marini se ne erano formati alcuni lacustri e pa- lustri. Questo fatto lo deduco confrontando le mie ricerche sul sot- tosuolo della Banca Nazionale in Roma (v. Boll, del R. Com. Geol. 1886) e le precedenti ricerche del dott. Terrigi sulla natura dei terreni al Colle Quirinale (v. R. Acc. dei Lincei, 1887) talché si avrebbe la seguente successione di terreni : o DELLA. SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 33 Quote sul mare 42 — Tufo granulare 41 — Tufo terroso 38,67 Argilla marnosa giallastra \ 33,70 Strato di cliatomee d’acqua dolce ! 33,65 Argilla grigia e torbosa con molluschi d’acqua dolce i e terrestri 1 30,40 Argilla sabbiosa giallastra con foraminifere ’ 23,50 Argille turchiniccie e torbose con moli, d’acqua dolce ) 6,15 Sabbia terrosa ad elementi vulcanici j 3,50 Argille turchine a globigerine fluvio lacustre marino palustre marino In seguito fornirò su questo argomento maggiori dettagli. Il prof. Taramelli presenta il lavoro del Socio Corti Be- nedetto, che è accompagnato da una carta geologica e che ha per titolo: Osservazioni stratigrafiche e paleontologiche sulla re- gione compresa fra i due rami del lago di Como > e limitata al sud dai colli Briantei. Il prof. Taramelli presenta un schizzo geologico ed alcuni paesaggi geologici delle valli della Stallina e della Pioverna, in Lombardia, tra il Serio ed il Brembo, descrivendo per sommi capi i rapporti tra la serie degli scisti cristallini, comprendenti una grossa massa di granito antibolico, e le rocce mesozoiche soprastanti. Gli scisti cristallini, nelle adiacenze di Introbbio e di Vai- torta, presentano qualche analogia con quelli della massa del Le- gnone e del crinale orobico a sud di Morbegno; però sono meno frequenti le rocce con abbondanza di granati ; contengono andalu- site, tormalina, giargon e e sostanza carboniosa; alla base si fanno gneissici e presentano banchi di scisti anfìbolici. La massa grani- tica, già indicata ma con contorno inesatto nelle carte precedenti, si presenta con forma di elissoide, toccando dove è più vasta l’al- titudine di circa 2300 m. alla Cima di Carne; ricopre il micascisto gneissico ed è ricoperta, a volta dal micascisto tormalinifero, a volta dal porfido quarzoso permiano. Questo è molto più sviluppato e più continuo di quanto risulta dalle carte pubblicate ed è sem- pre molto quarzifero; si sviluppa specialmente in due località, al passo di Cedrino ed a Costa Peghera. Ricoprono il porfido quasi costantemente delle arenarie quarzose con tracce di vegetali, che 3 34 ADUNANZA GENERALE JEMALE passano verso oriente a scisti argillo-micacei, alla sella di Salrau- rano e nella Val Mora, rappresentando a un tempo la formazione di Branzi e Carona e quella del Collio. Nell'area esaminata, sono straordinarie la potenza e l'estensione di affioramento del conglomerato Verruc ano, che l’autore riferisce al Permiano ; essendo il trias inferiore rappresentato, dove non in- tervengono disturbi stratigrafici, dalle arenarie più o meno scistose, o marnose, variegate, distintissime alle pendici settentrionali della Gógna ed in Vaitorta. Il Pizzo dei Tre Signori (2560 m.) risulta nella sua massa culminante di questo conglomerato in banchi for- temente piegati a nord o nord-ovest, dello spessore complessivo di almeno 600 metri; l’alta valle di Biandino è scavata esclusiva- mente in questo terreno ed alla località detta la Scala si osserva evidente la successione del conglomerato al porfido e l’appoggiarsi di questo al granito. La serie triasica segue regolare sulle arenarie variegate, con forte sviluppo del calcare a Giroporella e delle dolomie infrarai- bliane, con intermittente comparsa delle marne raibliane o di Wengen, con gessi, coronata dalla dolomia principale della Corna grande e dell’Araralta ; il paesaggio dolomitico di questa montagna è marcatissimo. La tettonica della regione offre molta analogia con quella della Valsugana; inquantochè la detta massa di granito anfibolico, come quella della Cima d’Asta, ha determinato con la sua com- pattezza una frattura con scorrimento a sud, e la serie scistoso- cristallina, col mantello di rocce permiane, trovasi a formare una anteclinale, coricata e rotta, con frequenti casi di contatto discor- dante tra le rocce triasiche, i porfidi e gli scisti. Sonvi altresi delle fratture parallele all’asse di corrugamento, in corrispondenza delle valli Rossiga e di Bindo,ed altre normali od oblique alla principale, come quella presso Baiedo di Parturo e l’altra presso Val torta, seguita dalla Stabina fin presso Forno vo, per cui il trias medio trovasi a contatto discordante col verrucano. La frattura principale, che passa pel varco di Cedrino e pel Rio d' Acquadure e si continua a nord-est verso il passo di Salmurano, sembra es- sere in continuazione all’importante frattura che fu dimostrata dal prof. Benecke nel gruppo della Gógna, a spiegazione dei compli- cati rapporti delle dolomie nelle adiacenze di Esino. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA. Il terreno erratico è molto interessante, indicando iu alcuni suoi particolari il periodo di arrestamento ultimo dei piccoli ghiac- ciai, che confluivano in quello del Brembo, avente la morena fron- tale presso Piazza e nel ramo orientale di quello del Lario, de- scritto dallo Stoppani. È una località molto importante e molto opportuna per gli studi preliminari del rilievo geologico della regione lombarda. Con- frontando questo tratto coll'attiguo in prosecuzione della catena orobica, si potrà deflnire la equivalenza o meno delle rocce scistose e gneissiche distinte coi nomi di Besimaudite, gneiss dello Spinga, del Smetta, ecc., colla serie normale del permocarbonifero; e nello stesso tempo si potranno studiare i fenomeni di contatto tra gli scisti cristallini e l'accennata massa di granito anfibolico e deci- dere se questa sia, o meno, coetanea colle maggiori masse dell’A- damello e del Tonale. Alcune ricerche microlitologiche furono in proposito già iniziate dal dott. Luigi Brugnatelli, molti particolari furono indicati, or fa un decennio, in una pregevole pubblicazione del dott. Tommasi; ma il più rimane ancora a farsi e l’autore sarà lieto di porre a disposizione dei rilevatori di quella regione i materiali e le osservazioni, che ha raccolto col limitato scopo di una semplice ricognizione. Il Socio Cacciamali presenta il suo lavoro, accompagnato da una piccola carta geologica e da uno schizzo tettonico intitolato : Geologia Arginate. Il Socio Negri, dietro cortese invito del Presidente, espone alcune principali particolarità della carta geologica della provincia di Vicenza; carta che quanto prima verrà pubblicata al 75.000 a spese del Club Alpino e della provincia di Vicenza, e sulla quale il detto Socio si riserva di fare più ampie comunicazioni, in occa- sione della prossima Seduta estiva. La seduta è tolta alle ore 4 pomeridiane. Il Vice-segretario A. Negri. IL TERREMOTO LAZIALE DEL 22 GENNAIO 1892 (Con una tavola). La notte del 22 gennaio in Roma si sentì una mediocre scossa di terremoto: parecchi spaventati uscirono dalle case riversandosi sulle piazze e sulle strade. Al giorno dopo i giornali cittadini co- minciarono a gridare contro la Sismologia dicendo che a nulla serve, nemmeno a togliere la naturale e legittima curiosità di chi, dopo una scossa, vuol conoscere l'ora precisa in cui si è sentita, la direzione, la forma che ha avuto il movimento ecc. : si giunse anche a dire, confondendo evidentemente la Sismologia con l’Astronomia, che questa scienza ai tempi de’ Caldei ed Egizii era scienza di previsione mentre ora è solo di pura constatazioue dei fenomeni avvenuti. Mentre queste inesattezze si scrivevano sui giornali intorno alla Sismologia, una folla tumultuante faceva una ostile dimostra- zione ad un sismologo perchè egli, con il suo studio e con i suoi apparecchi, non aveva saputo prevedere il terremoto. Questi fatti, invero dolorosi assai, sono una conseguenza natu- rale di rosee illusioni sconsigliatamente create e mantenute nella mente del popolo, che, per la sua poca cultura, non essendo capace di discernere la veridicità di quanto egli si sente a dire ed a ri- petere, prova ad ogni terremoto una disillusione completa che gli crea una sfiducia assoluta nella scienza e negli scienziati. Piuttosto che alla previsione dei terremoti — ora scientifica- mente impossibile — gli studii sismologici si devono limitare, e si limitano tuttora infatti, alla semplice constatazione dei fatti, alle lo - giche deduzioni ed interpretazioni dei fenomeni avvenuti : questo è il vero scopo ed indirizzo della sismologia razionale: il resto non è altro, se non che fantasia paragonabile a quella del Bertholon che credeva di aver scoperto il paraterremoto. Devo alla gentilezza del prof. Tacchini, direttore del R. Uf- M. BARATTA. II. TERREMOTO LAZIALE DEL 22 GENNAIO 1892 37 ficio centrale di Meteorologia e Geodinamica, il permesso di po- ter qui pubblicare queste prime note ed impressioni in cui è fatto uso, oltre che degli appunti presi personalmente sui luoghi del di- sastro, anche del ricco materiale pervenuto al detto Ufficio e che verrà reso di pubblica ragione nei supplementi al Bollettino Me- teorico. I. Il sistema vulcanico laziale è composto dai colli Albani, Tu- scolani e Veliterni: sorge affatto isolato in mezzo a lapilli ed a ceneri dimostranti la passata attività. Attorno al monte Cave gira una catena anelliforme di monti lunga circa 30 miglia, alta circa G00 metri, fra cui i più elevati sono l’ Artemisio ed il Tuscolot questa catena, munita de’ suoi contrafforti, forma il più antico cra- tere, del quale una parte, che è totalmente sprofondata, ha dato luogo fra l’altro ai laghi di Nemi e di Albano. Entro questo primo recinto, formante il cratere primitivo, hav- vene un altro costituito dai monti Albani, racchiudente i Campi d' Annibaie, esso pure slabbrato verso Roma: è munito di un colle avventizio chiamato colle del Vescovo. Pare che questi colli abbiano eruttata dall’epoca terziaria fino ai primi secoli della civiltà romana : ora però il vulcanismo attivo, primario è totalmente spento, ed unici rappresentanti dell’interno dinamismo sono i fenomeni secondarii, fra cui i principali sono le Solfatare di Torre Caldana e di Altieri, da cui si svolge anidride carbonica ed acido solfidrico; le termali delle Fratocchie (tempe- ratura 20°-32°) e di Mezza Selva: le sorgenti acidule dell’Acqua Santa e dell’Acetosa : i getti di anidride carbonica osservati presso Roma sulla sinistra del Tevere; la mofeta di Morena e l’acqua Bollicante, ed altri parecchi, che per brevità tralascio di anche solo nominare. Frequenti terremoti scuotono questa regione: di essi presento un catalogo in cui sono elencati i principali, catalogo che venne compilato sulle opere del Bonito, Mercalli, Perry, De-Rossi e degli altri che si occuparono della storia sismica di Roma. Per l’intelligenza del catalogo è duopo dichiarare che per forte s’intende quel terremoto che produce un suono più o meno gene- 38 M. BARATTA rale di campanelli, che la arrestare orologi ecc. ; per fortissimo quando cadono calcinacci, fumaiuoli, si hanno lesioni nei fabbricati ; per rovinoso quando cade totalmente o parzialmente qualche edi- iicio ed iniìne disastrosi sono quei terremoti che producono rovina in molti fabbricati e disgraziatamente costano la vita a persone; per maggiore brevità poi si è tralasciata la parola terremoto o scossa , che quindi deve essere sempre sottintesa. CATALOGO LEI PRINCIPALI FENOMENI SISMICI AVVENUTI A ROMA A. C. 361. Tito Livio narra che uscirono vapori pestilenziali e fiamme da una vo- ragine apertasi nel Foro Romano. 269. Tito Livio nel libro XV, 5 dice : « in agro Caleno diducta repente terra flammam erumpisse alatam, quae triduo fato fiagrans ...... 91. Il Muratori (Rer. Red. Script I, 33) dice che « in Sannitihus vastis- simo terrae hiatu flammam prorupuit et usque in coelum estendi, visa est. 81. Terremoto disastroso a Roma. 63. Uno fortissimo a Roma ed altrove. 49, 47 e 33. Tre fortissimi a Roma. D. C. 15. Uno fortissimo a Roma. 20 e 25. Due forti a Roma. 27. Uno disastroso a Roma che fece rovinare l’anfiteatro di Fidena. 69. Uno fortissimo in provincia di Chieti e di Roma. 85 e 94. Due terremoti rovinosi a Roma. 191. Altro rovinoso a Roma specialmente nel tempio della Pace. 223. Uno forte a Roma: è forse il medesimo che Dione Cassio mette nel 227. 258. Uno fortissimo a Roma. 304 (21 genn.). Uno fortissimo a Roma. 392. Uno a Roma con danni. 409. Forte a Roma per sette giorni continui. 441. Uno rovinoso a Roma. 443. Terremoto che fece cadere molte statue, portici ecc. 454 e 455. Alcuni che fanno a Roma rovinare il Circo. 477. Uno rovinoso a Roma per 40 giorni: vien lesionato il Colosseo. 790. Uno forte a Roma. 801. Aprile 30; uno disastroso a Spoleto e Roma. 817. Nel mese di giugno uno fortissimo a Montecavo, Roma ed Ancona. IL TERREMOTO LAZIALE DEL 22 GENNAIO 1892 39 864. 897. 911. 1017. 1027. 1199. 1287. 1348. 1349. 1350. 1403. 1448. 1447. 1703. 1712. 1730. 1750. 1752. 1754. 1762. 1 763. 1764. Terremoto in Toscana e molti nella campagna romana. Uno rovinoso a Eoma. Nell’anno terremoto a Roma ed in Toscana con danni. Uno forte a Roma. Nel giorno di Pasqua forte a Roma. Altro forte a Roma. Parecchi forti a Roma. Uno disastroso che recò gravi danni alla basilica di S. Paolo. Terremoto che percosse sopra tutto il Colosseo e la basilica di Co- stantino. Uno fortissimo a Roma. Nel 17 marzo uno forte a Roma. Fortissimo a Roma all’8 novembre. Marzo 15, altro a Roma. 14 gennaio (ore 2 italiane) violentissima scossa a Roma, sentita forte- mente anche nell’Apennino Umbro ed Abruzzese. 16 gennaio, repliche a Roma. 2 febbraio (ore 18 1/i), scossa violentissima che danneggiò la volta della basilica in Vaticano, ma non cagionò gravi danni in città. Il cen- tro di questo terremoto pare sia stato a Norcia, che rimase quasi distrutta. 3 febbraio (ore 20 3/4), altra scossa fortissima a Roma per la quale rovinarono tre archi del secondo recinto del Colosseo, dalla parte di S. Gregorio. 21 marzo, uno forte a Roma, ad Albano, a Frascati ed a Castel Gandolfo. In principio di questo anno uno rovinoso a Roma. Marzo 12 (ore 10 pom.) terremoto fortissimo a Roma, Tivoli, Aquila, Cascia ; rovinoso a Solmona, disastroso a Norcia. Si ebbero re- pliche più o meno forti fino al 28 giugno. Febbraio 11 (ore 20 1/i) forte a Roma, seguito da altro più debole : nella medesima notte si sentì una forte scossa a Frascati, Albano, Marino per cui molti spaventati uscirono di casa: quattro scosse furono intese a Monterotondo e sette a Tivoli. Nel mese di settembre forte scossa a Velletri, Frascati e Marino ove rovinarono due case. Giugno 7. Forte scossa a Roma, Tivoli, Frascati, Valmontone, Pale- strina, Ariccia e Castel Gandolfo. Nell’anno si ebbero esplosioni di idrogeno solforato ad Ariccia, ove si formò una specie di cratere. Ottobre 10 (ore 18). Forte ad Aquila, Ariccia, Roma. In quest’anno il cratere centrale latino diede frequenti muggiti. Marzo 14. Due ai colli Albani specialmente forti ad Ariccia. Aprile 26. Tre nella identica località, ma forti in modo speciale a Ma- rino ed a Frascati. Nel mese di maggio una forte scossa a Roma e castelli circonvicini. M. BARATTA 40 1772. Dal 18 febbraio al 15 ottobre 19 scosse ai CoPi Albani, delle quali la più forte fu sentita il 22 giugno. 1773. Aprile 22 (ore 8). Uno forte a Frascati e luoghi adiacenti. Aprile 23. Due altre leggere scosse, una alle ore 14 e l’altra alle 18. Nel cratere di Ariccia avvennero esplosioni di idrogeno solforato. 1784. Verso la fine di aprile alcune forti a Frascati, Marino, Albano, Ariccia ove cadde una casa. 16 marzo, due ai colli Albani, specie a Marino. 1785. Giugno 5, una forte a Velletri. Ottobre 2 (ore 10 poni.) una a Roma, che fu molto forte a Tivoli, Fra- scati, Marino, Castel Gandolfo, Terni, Spoleto e Rieti, ove se ne sentirono due forti o fortissime. Ottobre 9. Alcune forti NE-SO sentite a Norcia. 1786. Alcune a Roma e Terni. 1795. Agosto 19. In S. Gregorio (Tivoli) si sentirono due forti scosse per le quali caddero tre case ; furono sentite anche a Frascati, ove però non produssero danni. 1799. Parecchi forti ad Ariccia. 1801. Verso la fine di ottobre una forte a Frascati, Monte Porzio, Albano, Ariccia, Velletri. 1806. Dal 26 al 30 aprile si sentirono scosse da Roma a Napoli. Il centro si crede sia stato a Tuscolo. La villa Ruffinella del senatore L. Bo- naparte fu sconquassata e molti danni soffrirono Marino, Genzano, Nomi, Ariccia, Frascati e Velletri. 1809. Nell’anno si ebbero frequenti terremoti nel Lazio, Dal cratere di Mon- tecompatri uscirono getti di vapore. 1811. Febbraio 18. Nella notte uno forte a Roma, Frascati e Tivoli. 1812. Nella notte dal 21 al 22 maggio scossa ondulatoria di 7 od 8 secondi molto forte a Roma. Soffrì specialmente la parte della città fra l’Esquilino ed il Pincio. Molte screpolature nelle volte delle chiese e nei palazzi ; fuori porta S. Paolo cadde una casa sotto le cui macerie rimasero sepolti tre individui. Alle 4 replica poco sensibile. 1818. Nella notte del 5 agosto parecchie scosse forti a Roma, Frascati ed Albano. 1819. Febbraio 26. Alcune SE-NO a Roma, Frascati ed Albano. 1827. Maggio 12. Ai colli Albani tre scosse, delle quali una molto forte. Nell’anno altre quattro. 1828. Maggio 11. Dopo le 7 ant. forte scossa ad Albano e quindi successiva replica; altra come sopra pure ad Albano il 25 dicembre. 1829. Maggio 21, 22. Comincia un vero periodo sismico fra Civitalavinia e Frascati. Giugno 1, ore 14, scossa disastrosa che fece larghe fenditure nei fab- bricati; molti camini caduti. In tre mesi si sentirono 24S scosse, delle quali 21 furono folli. IL TERREMOTO LAZIALE DEL 22 GENNAIO 1892 41 1834. Dicembre 8. Al levar del sole, uno fortissimo a Roma e specialmente nei colli Albani. 1837. Maggio 28. Verso sera molte forti scosse a Roma e Velletri e ai colli Laziali. Maggio 29. Prima di giorno tre forti scosse ad Albano, Frascati e Marino. Giugno 1. Parecchie nei colli Laziali. 1838-39. Il lago di Nemi fu in preda a parecchi fenomeni sismici. 1846. Luglio 29. Alle ore 9,25 pom. una forte a Roma. 1848. Giugno 28. Alle 4,40 pom. una forte a Roma con direzioni N-S seguita da leggera replica. 1849. Dicembre 1. Alle ore 8 ant., 9,45 e 10,30 parecchi a Roma, fra cui uno di 34 secondi. Dicembre 6. Alle ore 8,45 pom. una forte che durò 46 secondi. 1850. Verso il 25 giugno a Montefortino (Velletri) terremoto forte. 1855. Giugno 29. Terremoto alle 4,3 ant a Frascati, Castel Porziano, Pra- tica, Ardea, Altre scosse alle 4,34; 5,15; 5,36; 5,45; 7,20 ant. Alle 0,45 pom. da Frascati fino a Roma ne fu sentita una fortissima predominantemente sussultoria ; nella notte quattro altre e fino al 30 parecchie più leggere. 1861. In gennaio uno forte a Frascati. Nel luglio 18 alle 4,50 pom. uno forte a Roma. 1867. Giugno 2. Alle ore 1,15 ant. una leggera a Roma con direzione E-O. Alla mezzanotte fra il 22-23 una mediocre ad Albano. AITI ant. del 23 si ebbe una forte scossa ed alle 2 circa parecchie altre sussultorie di mediocre intensità. Settembre 4, una leggera a Frascati ; al giorno 6 (ore 9,5 pom.) un’altra forte con direzione O-E, ed alle 0,30 ant. del 7 altra mediocre. 1870. Gennaio 7. Alle 11,40 pom. una forte a Velletri che durò 4 secondi e fu preceduta da altra leggera. Gennaio 8. Alle 1,30 ant. altra forte sentita a Roma, Rocca di Papa e Frascati. 1872. Aprile 25 o 26. Una fra Rocca di Papa e Frascati. Verso il 26 un’altra al lago di Vico. 1873. Gennaio 19. Fortissimo ai colli Laziali. 1877. Aprile 28. Uno forte ai colli Laziali. Agosto 16. Uno fortissimo nella stessa località con repliche durante tutto il mese. 1884. Agosto 7. Alle 3,15 ant. terremoto Laziale. 1888. Aprile 12. Alle 5,56 poni, forte terremoto Laziale. 42 M. BARATTA IL Condizioni sismiche e vulcaniche d’Ilalia nel mese di gennaio. Terremoti. Il gennaio si apre con una scossa ondulatoria sus- sultoria avvenuta il 1° verso le 5 ant. a Badia Calavena, che pro- dusse scostamento di muri : essa è una delle molte repliche che co- stituiscono il grande periodo veronese cominciato il 7 giugno 1891 (’). Il 5, dopo una scossa sentita circa le 2 ant. a Bardolino ed a Ve- rona, ove fu seguita da tremiti piuttosto forti, avvenne verso le 5 pom. una forte nella regione Bresciano-Veronese, che fu pure sen- tita in varie località delle provincie di Parma, Modena, Vicenza, Padova, Venezia, Piacenza, Sondrio, Alessandria, Genova e Firenze (2). Questa scossa fu seguita da parecchie repliche nei giorni 5 e 6. Al 7 abbiamo un sensibile terremoto alle 0,30 ant. a Dronero (Cuneo) e quindi si scuote leggermente il Bellunese ed anche varie località delle provincie di Treviso, Udine e infine alle 0 ant. circa di detto giorno si ha una sensibile scossa in quel di Brescia. Circa le 8,5 ant. dell’ 8 si sente un mediocre terremoto a Castel- lina nel Chienti preceduto alle 3,15 da sensibile scossa. Verso le 8,45 ant. del 9 leggera scossa a Barbarano ; alle 11 ant. dell’ 11 a Sermione: in questo stesso giorno se ne ha una a Bel- luno verso le 3 ant.; il 14 piccola scossa a Sauris. Nel 16 abbiamo un leggero terremoto all’ 1 ant. a Montefia- scone in quel di Viterbo ed alle 1 3/4 del 18 a Caldarola in pro- vincia di Macerata. Circa le 9 pom. del 21 è avvertito un leggero terremoto a Borgo Collefegato e ad Aquila : alle 7,45 del 22 ad Isola del Liri ed alle 11,30 dello stesso giorno, a Sellano di Perugia. Vesuvio. Dopo l’eruzione del 6 giugno 1891, sgorgarono con- p) Baratta M., Il terremoto veronese del 7 giugno 1891. Roma 1892. (2) Baratta M., Il terremoto della Riviera Bresciano - Veronese del lago di Garda del 5 gennaio 1892. Roma 1892. IL TERREMOTO LAZIALE DEL 22 GENNAIO 1892 43 tinuamente, con lievi fasi d’incremento o di diminuzione, lave dalla parte più bassa della fenditura aperta, nella parte settentrionale. Sulla fine di dicembre ne fu emessa maggior copia con più abbondante quantità di fumo dal cratere e con parecchi buffi di cenere. Nel mese di gennaio l’attività eruttiva si è mantenuta più dimessa. Etna. Gennaio 1 e 17 calma; 2, Etna scoperto al mattino con debolissime emanazioni di vapori, indi coperto per il resto della giornata; 3, al mattino debolissime emanazioni di fumo erut- tivo; 4, debolissime emanazioni di vapori bianchi fino a mezzodì indi calmo; 5, 6, 9, 15, 16, 18, 20, 22, 25, 27, coperto; 7, al mattino mediocre pennacchio di fumo bianco, che cresce fino a mezzogiorno tanto da diventare folto, indi diminuisce grado grado scomparendo verso le 5,30 pom. ; 8, 26, 28 deboli emanazioni di vapori bianchi; 10, Etna coperto; rischiaratosi verso le 3 pom. mostrò deboli emanazioni di vapori bianchi; 11, al mattino come sopra, fumi mediocri al mezzodì e pomeriggio; 12, ad intervalli emana- zioni di vapori bianchi ora deboli ed ora mediocri; 13, mediocri emanazioni di vapori bianchi; 14, fino a mezzodì mediocre pen- nacchio di fumo bianco, indi coperto; 19, fino a mezzodì coperto, indi mediocre pennacchio di fumo bianco; 21, fino alle 9 ant. me- diocre pennacchio di bianchi vapori poi coperto ; 23 Etna mediocre pennacchio di fumo bianco ; 28, debolissime emanazioni come sopra. Condizioni meteoriche. Il giorno 19 e 20 pressione notevolmente elevata dalla Scan- dinavia al Mar Nero (Svezia meridionale 777 il 19, Varsavia ed Odessa 773 il 20); depressione intorno alla Sardegna il 19 (Porto Torres 747), sul Tirreno ed all’occidente il 20 (Napoli 751, Irlanda meridionale 752). In Italia il 19 barometro salito sulla Sardegna, diminuito a sud-est; nevicate sull’ Emilia e sull’Apennino centrale; pioggie quasi generali ; venti forti del 1° quadrante al Nord, me- ridionali al sud, temperatura diminuita : il 20 barometro salito spe- specialmente al sud, pioggie pure al sud, pioggie ad alcune nevicate al centro : venti forti settentrionali sul continente temperatura diminuita. 44 M. BARATTA Il 21 pressione elevata dalla Lapponia al centro (Lapponia 771, Amburgo e Vienna 767) minima a nord-ovest (Ebridi 750) bassa ad ovest e sul Mediterraneo (Biarritz ed Atene 755). In Italia barometro molto salito, alcune pioggie al sud del continente, venti qua e là freschi del 4° quadrante, temperatura diminuita. Dal 22 al 24 minima a nord-ovest (Ebridi 748 e 752, il 24 Inghilterra centrale 760): pressione elevata altrove (il 22 Lap- ponia 773, Vienna 772 ; il 23 Arcangelo 773, Zurigo 769, Atene 772 ; il 24 Arcangelo 777, Zurigo 770). In Italia il 22 barometro al- quanto salito, qualche rara pioggia, qualche nebbia al nord, tem- peratura aumentata; il 22 e il 24 barometro disceso; nebbie al nord alcune pioggie al centro il 23, in Sardegna ed in Sicilia il 24. Fenomeni precursori. In questo terremoto mancano quasi assolutamente i fenomeni precursori: nessun fenomeno fisiologico fu preventivamente osser- vato: nessun boato fu sentito e nessuna perturbazione nel regime idrico sotterraneo fu avvertita qualche tempo prima della grande scossa: I tromometri a Rocca di Papa, Ceccano, Velletri durante il 22 furon in perfetta quieta: tutto era in calma, eccezione fatta di qualche piccola scossetta, più sotto riportata, che fu avvertita solo da delicatissimi apparecchi, sebbene non al tutto esenti da in- fluenze esteriori : Gennaio 13 (3 poni.) 14 (9 ant. e 3 poni.) 19 (9 pom.) 26 (9 ant). a Montefìascone fu molto agitato il mercurio nella bacinella. » 20 Alle 9,30 pom. scossa a Vico nel Lazio più intensa di quella del 22 sentita pure a Collopardo ed a Velletri. » — Alle 10,6 e 10,52 poni, scossette registrate dal solo sismodinamografo dell’Osservatorio di Velletri. » 21 Alle 8,55 poni, scossa in provincia di Aquila e Pe- rugia, sentita pure in qualche località della pro- vincia di Roma. » 22 Alle 11,45 ant. altra scossa in provincia di Perugia. II, TERREMOTO LAZIALE DEL 22 GENNAIO 1892 45 Gennaio 22. Alle 8 pom. scossa sussultoria a Palestrina, che fu avvertita da parecchi (‘). » — Dalle 11 ant. a mezzodì il sismodinamografo di Vel- letri registrò 7 scossette. » — Alle 11,14 pom. scossetta a Velletri segnata dal solo sismodinamografo. III. Notizie e documenti raccolti (2). PROVINCIA DI ROMA Circondario di Roma. Albano (llh28m). — Porte scossa di 3S seguita da rombo: la popolazione uscì all’aperto ; nessun grave danno tranne qualche screpolatura ed una torretta caduta in una casa di campagna. In un cancello alla villa Barberini vi sono due pilastri sormontati da due sfere di peperino di 40 centimetri di diametro: una di esse cadde da 5 m. di altezza verso sud-sud-est alla distanza di m. 2 rompendosi in 4 pezzi. Secondo notizie del prof. De Rossi la scossa sarebbe avvenuta alle 11,20: fu ondulatoria ovest, sud, ovest-est, nord, est: dell’inten- sità VI, e della durata di circa 10 secondi. Anzio — (ore 11,34) scossa forte sussultoria tino alla sua fase massima poi leggermente ondulatoria della durata da 4 a 5S e di direzione sud, est-nord, ovest. Durante la scossa e pochi minuti prima che si sentisse da qualche persona furono percepiti leggeri rombi che dalle navi in porto furon paragonati al rumore di un carro passante in vicinanza. La scossa fu pure intesa dai piccoli legni ancorati nel porto: grande spavento però senza disgrazie. Intensità VI. (>) Io credo clic ci sia uno sbaglio di data e che cioè questa scossa si riferisca al 21, concordando per l’ora con quella sentita ad Aquila, Perugia ed in qualche località di Roma. (2) I gradi di intensità sono riferibili alla scala De Rossi-Forel. 46 M. BARATTA Ariccia (ore 11,27). — Da relazioni avute sul luogo risulta che la scossa fu sussultoria-ondulatoria assai violenta : però non si eb- bero a notare disgrazie e danni, tranne la caduta di tre camini. Nella chiesa di Galloro fu lesionata una parte della volta avente forma di semicupola e si notò una grossa screpolatura sul l’arco della porta orientata in direzioni sud-est-nord-ovest. Canterano (ore ll,30=t5m). Si sentirono due scosse, cia- scuna di 6 o 7 secondi: la prima fu preceduta da rombo fortis- simo: intensità V. Capranica. — La scossa raggiunse l’intensità VI. Carpineto. — La scossa fu molto forte : fu intesa alle 11,25 circa: durò 8 secondi: fu ondulatoria con direzione est, nord, est, ovest, sud, ovest : intensità VI. Casape. — La scossa ebbe l’intensità VI. Castel S. Pietro. — La scossa ebbe l’intensità VI. Ceccano (ore 11,25 poni.). — Scossa intesa anche nei paesi circonvicini: intensità VI: durata da 4 a 5 secondi: fu unica- mente ondulatoria nord-sud. Taluno avvertì un rombo precedente. Il tromometro alle 8 pom. era calmo. Cecchina (Stazione ferroviaria della). La stazione soffrì al- cuni danni, talché fu necessario puntellare dei muri e qualche soffitto. Le scosse furono due. Civttalavtnia (ore 11,30). — Violento terremoto di 8 secondi. Dalle macerie della torre medioevale furono estratte vive due persone moribonde : quasi tutte le case sono più o meno danneggiate : otto edificii, fra cui il palazzo comunale, la chiesa, la casa del parroco ebbero grandissime lesioni. Della torre cadde la parte dei merli verso nord-est. In una casa, situata nella piazza, la cui facciata è quasi pa- rallela alla direzione nord-sud si ebbero fessure ed il tetto sfon- dato per la caduta dei merli della torre come si è detto testé. Una casa all’estremità sud-nord del paese ebbe la facciata a nord lesio- nata, mentre le altre rimasero intatte. Nella casa Baccarini una statuetta di terracotta fu spezzata alle gambe e il corpo cadde ad est, mentre la base rimase intatta : le pareti interne e le volte presentano grandi fessure in tutti i sensi, nella stessa casa una porta chiusa con mattoni in costa cadde verso est; la parete è diretta nord-sud. IL TERREMOTO LAZIALE DEL 22 GENNAIO 1892 47 Nella casa Forzi uno spigolo di muro diretto nord-ovest, venne in fuori di 6-7 cm. Una madonna di gesso cadde verso nord-est. Le palle sormontanti i pilastri del convento caddero in dire- zione sud-ovest. Relazioni orali dicono che la scossa ebbe direzione ovest-est e gli abitanti interrogati affermano che sia venuta dal mare: fu preanunciata 5 minuti prima da un forte rombo simile ad un tuono : dapprima si ebbero due forti ondulazioni poi quattro o cinque sussulti. Parecchi contadini, che dormivano in alcune grotte presso il lago di Nemi, mi assicurarono di aver avvertito essi pure un for- tissimo movimento ed altri aggiunsero di aver visto sul lago stesso un lampo. L’ora fu dedotta da un buon orologio da tasca che si è fermato. Castel Porziano. — Nel casale di Decima la scossa fu sì forte che la gente spaventata fuggì da casa. Fiumicino (ore 11,28). — Si sentirono generalmente due scosse ondulatorie da nord-est: di cui la prima fu più sensibile dell'altra. Formello (ore 11,80). — Scossa sussultoria-ondulatoria di un minuto. Alcuni narrarono che durante il giorno 22 si intese un rumore sotterraneo in una galleria in costruzione. Gallicano. — La scossa ebbe intensità VI. Genzano (ore 11,30). — La scossa fu sussultoria-ondulatoria preceduta da un rombo simile ad un rumore di treno : durò circa 4 secondi. Gravemente danneggiato è il Duomo, la cui volta ha parecchie fessure in senso nord-est, ed altre 5 case : minacciano rovina 5 fab- bricati. Nel palazzo Sforza Cesarmi due candelieri caddero da sud-ovest a nord-est; un’altro fu girato: la parte più danneggiata è l’angolo del palazzo rivolto a sud-ovest. Le bottiglie del caffè Nazionale caddero verso sud-est: in tale direzione fu pure trasportato per 8 cm. circa un boccale. Alcune bottiglie precipitarono da 2 m. di altezza sopra un tavolo. In altra casa cadde un grosso oggetto da sud-est a nord-ovest. 48 M. BARATTA Sulla strada di Gtenzano si ruppe un grosso pilastro di un cancello : era alto circa 4 metri ed i blocchi, alcuni dei quali fu- rono spinti a più di 10 m. di distanza, caddero verso sud-sud-ovest: una pianta ivi fu quasi sradicata, elevata dal terreno e rovesciata verso sud. A Pozzo Bonelli al sud di Genzano un contadino narrò che 5 o 10 minuti prima della scossa si dovette alzare perchè vide che i buoi erano oltremodo inquieti e si rizzavano sulle gambe poste- riori : disse pure che la scossa fu composta di due sussulti ed al- trettante ondulazioni, che fu preceduta, due secondi circa, da un rumore simile ad un tuono proveniente dal mare. Alcuni mi assicurarono di aver visto un lampo. Zagarolo. — La scossa ebbe intensità VI. Ienne. — Alle ore 11,35 pom. si ebbe una scossa ondula- toria prolungata per 7 od 8 secondi. Labico. — La scossa ebbe intensità VI. Marino. — La scossa fu leggera: nessun bicchiere fu rove- sciato: nelle ville e nel cimitero non furon notati nè spostamenti, nè rotazioni di oggetti. Mondragone. — La scossa fu sentita alle 11,25 e qualche secondo: durò da 8 a 10 secondi: ebbe due riprese sussultorie dopo breve ondulazione da sud-est a nord-ovest. All’Osservatorio meteorico un’asticina vibrante ha lasciato sul vetro affumicato una traccia nord-sud di 2 cm. ed un’altra più breve in direzione est-ovest. Caddero dei calcinacci e si ebbero lesioni piuttosto gravi in qualche fabbricato. Montecavo (ore 11,24). — Porte scossa sussultoria-ondula- toria da nord-ovest a sud-est. Molte screpolature nelle case. Un muro a secco di cinta cadde per un metro circa verso sud-ovest. Montecelio (ore 11,30). — La scossa fu ondulatoria e durò 6 secondi e fu intesa in special modo nella caserma dei Carabi- nieri, che trovasi isolata sul monte Albano a poca distanza dal paese. Intensità V. Monterotondo (lU',22',10")- — La scossa fu dapprima on- dulatoria e quindi risultò composta di due sussulti : durò sette secondi. L’orologio della torre suonò cinque colpi. Una casa ebbe una forte lesione: la scossa fu preceduta da forte rombo. IL TERREMOTO LAZIALE DEL 22 GENNAIO 1892 49 Nemi. — La scossa fu ondulatoria-sussultoria con direzione da sud-ovest a nord-est : tremolio e movimento di sopramobili ; lesioni nelle pareti e nei soffitti delle case: parecchie screpolature negli architravi delle volte del duomo e del palazzo municipale. Alcuni mi raccontarono che parecchi cavalli mezz’ora prima si mostrarono inquieti. Si dice che il lago abbia mandato un ludo, ed alcuno afferma di aver visto sul lago un lampo. Nettuno (ore 11,25). — La scossa fu ondulatoria est-ovest, durò circa 10 secondi e fu preceduta da forte rombo. Intensità VI. Palestrina. — La scossa fu ondulatoria-sussultoria : qualche lesione alle case. Pontegalera. — La scossa fu debolissima ed intesa solo da un cantoniere a pocà distanza dalla stazione, ove però dal personale non fu avvertita. Prenestina. — La scossa raggiunse l’intensità YI. Rocca Priora (ore 11,30 circa). — La scossa fu ondulatoria- sussultoria, da nord- est-est a sud-sud-ovest, durò circa 10s, la maggior intensità fu nel mezzo. In una casa si ruppe una trave, qualche screpolatura di lieve entità in qualche fabbricato. Intensità VI. Rocca di Papa. — Alle llh,24m,30s pom. circa si ebbero le prime trepidazioni del suolo che fecero scattare qualche sismoscopio: ma la fase massima del movimento va portata sulle 11,25 pom. Funzionarono tutti gli apparecchi svariatissimi dell’ Osservatorio Geodinamico, che sono più di 30, e poco dopo la scossa i molti pendoli indicarono concordemente la direzione nord-nord-est a sud-sud ovest ed alcuni battevano ancora sulle custodie. Fu notevole anche il movimento sussultorio indicato dagli strumenti. La scossa cominciò con violenta ondulazione e dopo pochi se- condi parve spegnersi, quindi cominciò violentissimo il moto sus- sultorio, la sua durata, approssimativamente apprezzata, si può giu- dicare di 8-10 secondi. La violenza del terremoto fu oltremodo straordinaria producendo molti dann i ai fabbricati del paese e non lasciando immune nemmeno la casa di abitazione annessa all’Os- servatorio ; la sua intensità corrisponde al N. 8 della scala De-Rossi- Forel. — La popolazione ne fu oltremodo spaventata. — Nessuno avvertì rombi e scossette foriere del terremoto ed in generale può dirsi che nessun animale presentì il fenomeno. 4 50 M. BARATTA Anche i tromometri osservati varie volte durante il giorno si mantennero quieti. Roma. — R. Osservatorio del Collegio Romano. — Alle llh,25m,12s (-t 6S) cominciò un sensibile movimento della torre del Collegio Romano, indicato da vari strumenti sismici ivi collocati. Dopo pochissimi secondi sopraggiunsero forti oscillazioni della torre, la quale probabilmente si allontanò dalla sua posizione di equi- librio non meno di 4 mm. come sembra risultare dalle confuse traccie lasciate dal sismometrografo Brassard a lastra affumicata, i cui stili, per l’ingente movimento del fabbricato, si urtarono fra loro. Le oscillazioni della torre perdurarono considerevoli per mezzo minuto primo, ma non cessarono completamente neppure dopo un intero minuto. Oltre il movimento ondulatorio della torre in diverse e succes- sive direzioni si ebbe un notevole moto sussultorio, durante il terre- moto, il quale probabilmente cominciò con leggero tremito verticale. All’ Osservatorio astronomico non si arrestò alcun pendolo, tranne quello congiunto alla mostra elettrica che è posta nelfatrio del- l’Ufficio Centrale di Met. e Geodinamica. R. Osservatorio Astronomico al Campidoglio. — La scossa fu assai forte, fu sussultoria-ondulatoria, di 8 secondi circa con direzione da nord-ovest a sud-est. L’ora fu llh,25m,21s. Specola Vaticana. — Alle 11,2(5 alla Specola Vaticana fu avvertita una scossa sensibile, la quale fece oscillare le impalca- ture, i vetri, le soffitte. La durata fu circa 6 a 7 secondi II mo- vimento fu ondulatorio, e gli strumenti registratori diedero una traccia di circa 10 mm., e quelli nelle pareti poste nel senso del meridiano non si mossero punto. Nessuno dei regolatori a pendolo si fermò, comecché posti in alto. Non fu sentito alcun rombo. Comunicazione del prof. M. S. De Rossi (*). — « La scossa, av- venuta alle 11,26, fu eminentemente ondulatoria, provenendo il primo impulso da nord-ovest a sud-est : la durata fu approssimativamente di 8 a 10 secondi le onde furono abbastanza lente e del ritmo al- l’ incirca di una al secondo. Il tromometro normale, quattro minuti dopo la scossa, oscillava ancora per 90 divisioni, della scala mi- crometrica. t1) Nel giornale «La Voce della Verità» del 24 gennaio 1892. IL TERREMOTO LAZIALE DEL 22 GENNAIO 1892 51 In generale tutti gli avvisatori sismici hanno funzionato, ma di preferenza agitaronsi i pendoli lunghi, lo che indica che il centro della scossa non fu vicino a Roma, dove solo giunsero le onde del movimento proveniente da altro centro » . In città la scossa fu generalmente avvertita, anzi incusse tanto timore che molti lasciarono le case e si ritirarono nelle piazze e nelle vie. Da informazioni avute risulta che la scossa dapprima fu on- dulatoria, poi sussultoria (J), durò circa 7 secondi: raggiunse il grado Y della scala De Rossi-Forel e fu accompagnata, secondo moltissimi, da un rombo. Nessun danno tranne a S. Pietro, in cui precipitò una piccola parte del cornicione della facciata della chiesa. S. Gregorio da Sassola (ore 11,30 p.). — Fortissima scossa ondulatoria di 5 secondi. Lesioni in una casa. Intensità Yl. S. Polo de’ Cavalieri (ore 11,24). — Scossa ondulatoria di 8 secondi. Nessun danno. Intensità V. Subiaco (ore 11,28'- 11 l/2). — Due scosse con rombo. In- tensità Y. Tivoli (ore 11,28). — Scossa ondulatoria di direzione sud- ovest a nord-est e della durata di 20 secondi : qualcuno in città as- sicura di aver sentito un leggero rombo; in campagna pare sia stato fortissimo. L’intensità della scossa fu YI. Parecchi segni di inquietitudine negli animali qualche secondo prima e durante la scossa. Yicovaro (ore 11,27). — La scossa fu ondulatoria e piuttosto forte. Intensità Y. P) Contrariamente al comunicato della Specola Vaticana, che asserisce la scossa essere stata solo ondulatoria, io, che nella notte stessa raccolsi det- tagliate notizie dalle persone, che per lo spavento eran fuggite dalle case, posso accertare che quasi universalmente mi raccontarono di aver percepito il solo sussulto e non l’ondulazione che precedette; e ciò perchè la maggior parte di essi era già addormentata, e fu risvegliata nella fase più forte, cioè nella sussultoria. Baratta M. 52 M. BARATTA Valle Pietra (ore 11,29). — Scossa ondulatoria est-ovest di 15 secondi avvertita da molti che furono svegliati. Intensità VI. La scossa non fu intesa a S. Angelo. Circondario di Velletri. Artena (ore 11,25). — Forte scossa ondulatoria in prevalenza e poi sussultoria con direzione sud-nord : fu accompagnata da un rombo cupo abbastanza forte. Segni (ore 11,27). — La scossa fu forte ed ondulatoria, durò 8 secondi circa. Fu preceduta, accompagnata e seguita da rombo che, come venne man mano crescendo, così andò decrescendo. All’osservatorio il sismografo diede tracce sud-ovest a est- nord-est. Terracina (ore 11,28). — Unica scossa ondulatoria della intensità V, della durata di 6 secondi e direzione est-ovest. Valmontone (ore 11,25-26). — Le scosse furono due: dap- prima fuvvi ondulazione, quindi seguì il sussulto: la durata del fenomeno fu di 6 secondi e la direzione del primo urto fu nord- sud, quella predominante delle scosse da nord-nord-est a sud-sud- ovest. Velletri (ore 11,25). — La scossa fu violentissima e durò da 7 ad 8 secondi. Le persone deste avvertirono il rombo anche prima della scossa, chi come uno scoppio di vento, chi come il fra- casso di molti carri pesanti correnti sul selciato delle vie. Il moto cominciò da ovest-sud-ovest a est-nord-est. Dopo una pausa di 8 o 4 secondi riprese con brusca violenza e con urlo terribile, cam- biando direzione, cioè da nord-nord-ovest a sud-sud-est. Il sismodinamografo Galli lasciò una traccia di moto ondula- torio di 13 mm. : dalla penna che registra i moti sussultorii uscì solo qualche goccia d’ inchiostro. Tale apparecchio registrò pure una vibrazione leggermente crescente, incominciata circa 30 o 40 secondi prima. Circa le 12 ore prima, cioè dalle 11 ant. a mezzodì del 22, segnò 7 scossette non avvertite da alcuno : un’altra scossa fu pure registrata alle ore 11,14 cioè 11 minuti prima della forte scossa. IL TERREMOTO LAZIALE DEL 22 GENNAIO 1892 53 Ebbero lesioni gravissime la Caserma delle guardie, il palazzo comunale ed altri 13 edificii : e furon pure danneggiate altre 20 case. Sulla strada fra Velletri e Civitalavinia il terremoto ha spez- zato una grossa lapide di marmo ricordante il ponte costruito da Pio VI. Circondario di Civitavecchia. Cerveteri (ore 11,15-30). — La scossa fu leggerissima, ondulatoria, con direzione est-ovest. Intensità IV. La scossa non fu intesa a Civitavecchia. Circondario di Fr osinone. Ceccano (ore 11,21). — La scossa fu ondulatoria, di direzione sud-ovest a nord-est e della durata di 5 secondi e fu accompagnata da rombo. Intensità VI. Il tromometro era in quiete alle ore 8 pom. dello stesso giorno. Collepardo (ore 11,25). — La scossa fu ondulatoria e durò oltre 10 secondi. Nessun danno tranne un po’ di panico. Frosinone (ore 11,28'30")- — La scossa fu ondulatoria, durò circa 20 secondi ed ebbe direzione da nord-est a sud-ovest. Inten- sità V. Pipi (ore 11,23). — La scossa fu ondulatoria in senso sud- est a nord-ovest e durò 4 secondi. Trivigliano (ore 11,45 circa). — Leggerissima scossa ondu- latoria di 2 secondi: nessuna apprensione. Vico nel Lazio (ore 11,30). — Scossa di terremoto. Circondario di Viterbo. Barbarano. — La scossa laziale fu avvertita da 4 o 5 per- sone che non poterono indicare l’ora: si ebbe un piccolo movimento nelle case: da un solo individuo fu subito attribuito a terremoto. Ci vita castellana (ore 11,30 circa). — Da alcune persone fu avvertita una leggerissima scossa ondulatoria di 2 o 3 secondi, che fu creduta dapprima un violento buffo di vento. 54 M. BARATTA Orte (ore 11,25 circa). — Da pochissimi fu avvertita la scossa che durò pochi secondi e fu ondulatoria-sussultoria. Ronciglione (ore 11,15). — Fu avvertita una scossa ondu- latoria-sussultoria. Sutri (ore 11,30). — Sensibile scossa ondulatoria dell’inten- sità IV. La scossa non fu intesa a Latera, Viterbo ed Acquapendente. PROVINCIA DI AQUILA Circondario di Aquila. Aquila (ore 11,20). — La scossa fu ondulatoria e della durata di circa 2 secondi e di direzione sud-nord: quantunque sia stata avvertita da tutti gli apparecchi sismici dell' Osservatorio, fu sentita solo leggermente da poche persone. Rocca di Mezzo (ore 11 circa). — La scossa fu ondulatoria ed essendo quasi tutti gli abitanti addormentati, fu avvertita da uno solo. Circondario di Avezzano. Ayezzano (ore 11,26 nir 3 m.). — 11 terremoto fu ondulatorio con direzioni sud-ovest a nord-est e della durata di 5 secondi : da principio fu debole e raggiunse la massima intensità (V) nel mezzo. Circondario di Cittaducale. Borgocollefegato (ore 11,30). — Scossa nord-ovest a sud- est di 7 secondi. Intensità V. Cittaducale (ore 11,28'57"). — La scossa fu ondulatoria est- ovest e della durata di 3 secondi. La scossa non fu intesa a Leonessa. IL TERREMOTO LAZIALE DEL 22 GENNAIO 1892 55 Circondario di Solmona. Solmona (ore 11,26). — Leggera scossa sud-est a nord-ovest di 3 secondi circa preceduta da leggero e breve rombo. Intensità IY. PROVINCIA DI PERUGIA Circondario di Rieti. Magliano Sabino (ore 11,30). — La scossa fu ondulatoria da sud a nord e durò 20 secondi. Orvinio (ore 11,30). — La scossa fu piuttosto sussultoria ed avvertita da pochi. Poggio Mirteto (ore 11,26'30" 30"). — La scossa, che durò 3 secondi, fu dapprima sussultoria, poi ondulatoria con dire- zione nord-nord-ovest a sud-sud-est, la sua intensità fu uguale a 1Y. Se an origlia (ore 11,30). — Furono avvertite due scosse ondu- latorie nord-sud della durata complessiva di 5 secondi: fu pure inteso un boato. Stimigliano. — La scossa fu assai debole ed avvertita da poche persone. Circondario di Spoleto. Spoleto (ore 11,25). — La scossa fu molto leggera ed a diverse riprese: non risvegliò alcuno e non fu nemmeno avvertita da tutti quelli che allora erano desti. PROVINCIA DI ANCONA Fabriano (ore 11,30 circa). — Parecchie persone insieme adunate avvertirono un tremito che non seppero a che attribuire, ma uscendo furono interpellate se si fossero accorte del terremoto. 56 M. BARATTA PROVINCIA DI CASERTA Circondario di Sor a. Isola del Diri (ore 11,32). — Scossa di terremoto in senso ondulatorio dell' intensità V, di direzione nord-est a sud-ovest. Montecassino (ore 11,25). — Scossa ondulatoria est-ovest e della durata di circa 10 secondi. Intensità V. Vicalvi (ore 11,30 circa). — La scossa fu ondulatoria: spa- vento nella popolazione. Cicondario di Gaeta. Borgo Gaeta (ore 11,32'34"). — Scossa ondulatoria nord- sud di 3 secondi e dell’ intensità IV. Sessa Aurunca (ore 11,25). — Scossa ondulatoria. PROVINCIA DI CAMPOBASSO Campobasso. — La scossa fu sentita da qualcuno. PROVINCIA DI BENEVENTO Benevento (ore 11,26). — La scossa fu leggera ed ondu- latoria. IV. Studio ed interpretazione del fenomeno. Il terremoto laziale è stato un fenomeno puramente locale nel senso più ristretto della parola, e quindi il suo centro dovrà ricercarsi o nei luoghi che hanno sofferto maggiori danni, oppure in un area più vasta, ma vicina allo spazio più fortemente dan- neggiato. Infatti se il centro di un terremoto si trovasse sotto ad una regione priva di costruzioni ed attorno ad essa vi fossero, però IL TERREMOTO LAZIALE DEL 22 GENNAIO 1892 57 ad una certa distanza, varii paesi, noi vedremo che alcuno di questi, a seconda delle speciali condizioni geologiche della regione e dello stato più. o meno buono dei fabbricati, verrà più o meno danneggiato, appunto perchè gli effetti di una forza che abbia agito nell’interno della crosta, saranno assai diversi ed in relazione sempre con gli ostacoli e con le condizioni favorevoli che l’onda sismica avrà incontrato nella sua propagazione. Quindi cerchiamo di applicare per la ricerca dell 'epicentro il metodo del Mallet, con il quale vien determinato mediante lo studio della direzione delle scosse, essendo assolutamente impossibile usare quello proposto da Seebach, fondato sulla conoscenza esatta dell’ora in cui la scossa si è sentita nelle varie località. Le direzioni accennate nelle note convergono - almeno per la maggior parte - specialmente fra Genzano, Nemi e Civitalavinia : ed io appunto mi son formato il concetto, non solo per lo studio car- tografico della scossa, ma anche per una rapida ispezione fatta sui luoghi, che l’epicentro debba essere collocato a circa un chilometro da Genzano verso Civitalavinia : infatti ivi la componente verticale del moto sismico deve essere stata assai grande perchè, fra l’altro, un solidissimo^ colossale pilastro fu spezzato in parecchi pezzi e sbalzato via ed una grossa pianta, ivi vicina, fu quasi divelta dal terreno e piegata nella direzione della scossa. La zona dell’epicentro è assai ristretta e viene ad avere la forma di una elissi grandemente schiacciata, la cui posizione, coin- cidendo con una generatrice del gran cono formato dal monte Ar- temisio, condurrebbe ad ammettere che ivi esista una frattura (') i cui labbri abbiano vibrato. Ora, prendendo le varie direzioni avvertite e distribuendole come lo indica lo specchio seguente, tenuto però conto che per esempio con N-S si intende indicare tanto la direzione N-S che la S-N si verrebbe a concludere che le direzioni del primo gruppo N-S N 9 NNW-SSE « 2 NW-SE « 7 WNW-ESE « 1 (!) Su questa direzione si vede anche un allineamento non indifferente di coni vulcanici. 58 M. BARATTA W-E N 7 WSW-ENE « 2 SW-NE » 5 SSW-NNE « 1 sono abbastanza predominanti su quello del secondo : e questa è la direzione della scossa data dalle relazioni più attendibili. Paragonando poi le direzioni fra loro perpendicolari, si rileva N . . n. 9 W . . n. 7 NNW . . . . . . * 2 wsw . . . . . * 2 NW . . - 7 sw . . » 5 WNW . . . sws una corrispondenza che indica una dipendenza fra le onde incro- ciantisi ad angolo retto. Ora, siccome quando si produce una nuova frattura o si ria- prono i margini di una preesistente, si determinano delle oscilla- zioni normali ai suoi lati ed altre che a questi sono parallele, così i nostri due gruppi verrebbero ad indicarci il modo di agire della frattura, i cui labbri, vibrando, hanno dato origine a scosse di terremoto. Rispetto poi alla profondità a cui è avvenuto l'impulso, ho cercato di applicare la nota formola del Mallet, studiando quelle screpolature che appunto presentano le condizioni volute dalla legge, ma ho ottenuto risultati talmente contradittorii (che qui sotto riporto) sui quali seriamente non si possono fare deduzioni. p = m 800 X tag 62° = 1.501 metri p = 1200 X tag 82° = 8.544 « p= 1300 X tag 71 =3.770 « La scossa non fu istantanea ; cominciò con un leggero tremito (llh 24m 30s a Rocca di Papa) e raggiunse la sua maggior forza circa le ore 11,25 (llh 25m a Yelletri; llh25m21s a Roma. Oss. del Campidoglio) : la discrepanza dell’ora data dai varii osserva- tori si deve ricercare appunto nell’aver preso, come principio della scossa, chi la fase iniziale, chi quella di massima intensità del terremoto. IL TERREMOTO LAZIALE DEL 22 GENNAIO 1892 59 In generale - ad eccezione delle prime vibrazioni, dovute quasi ad una azione preparatrice delle forze endogene - nell’area meso- sismica la scossa fu predominantemente sussultoria : e ciò concorda appunto con le esperienze del Wertheim. ★ * L’area scossa da un terremoto convenzionalmente si suole di- videre in varie zone aventi ciascuna una diversa intensità: comin- cierò dalla zona mesosismica del Mallet che è l’area scossa con più forza e che occupa, rispetto alle altre, una posizione centrale. Zona mesosismica. — Comprende, come appunto si è detto, i luoghi ove il terremoto raggiunse la sua massima intensità : ha forma predominantemente elittica, con l’asse maggiore, che misura 18 chilometri circa, disposto da NNE a SSW : la sua parte che corre da NE, E, SW è alquanto più estesa dell’altra forse per azione delle montagne, che ivi raggiungono maggiori altezze. Zona isosismica forte. — Ha forma quasi circolare con un diametro di circa 80 chilometri : la zona mesosismica rispetto alla isosismica forte si trova in una posizione eccentrica appunto perchè dalla parte ESE l'onda sismica si propagò con maggior velocità e forza passando per il calcare eocenico o cretaceo, che per la sua compattezza - come si sa - ha favorito la trasmissione del movi- mento, la cui intensità invece a NWW fu affievolita dall’ incoe- renza del terreno. Zona isosismica leggera. — Comprende i paesi ove la scossa non fu universalmente intesa : ha forma elittica con l’asse maggiore di circa 145 chilometri disposto da NW a SE. Zona isosismica leggerissima. — Comprende quelle località in cui il terremoto è stato appena percepito dagli strumenti o da qualche persona isolata: nella parte settentrionale ha per limiti Ronciglione; Spoleto, Fabriano; nella parte meridionale Caserta e Benevento. Qua e là si notano alternanze di intensità, ma non assai grandi. Il semicerchio formato dalla catena del Cimino ha arrestato il movimento sismico che fu percepito tutto intorno alla parte esterna, ad Orte, Civitacastellana, Ronciglione, Barbarano, ma non fu menomamente inteso nell’interno del semicerchio stesso. Nella tav. I sono tracciate le zone isosismiche testé accennate, ad eccezione dell’ultima, che non si è creduto conveniente di rap- 62 M. BARATTA. IL TERREMOTO LAZIALE DEL 22 GENNAIO 1892 tura si sono scossi come la parte meno resistente della crosta terrestre. Io non credo che una corrente di lava abbia violentemente urtato contro la crosta, ma piuttosto sono proclive ad ascrivere all’acqua ed alla tensione de'suoi vapori la causa di codesti ter- remoti e di tutti quelli di dinamismo. Infatti la tensione dei vapori, le esplosioni derivanti dallo stato sferoidale e di sovrariscaldamento e quelle causate dalla accen- sione di miscele detonanti, provenienti specialmente dalla decom- posizione dell’acqua (*) io le credo le cause prossime dei terremoti di dinanismo, le sole con le quali si possano spiegare le varie modalità ed i vari fenomeni che a codesti terremoti sono precedenti e concomitanti. Roma, febbraio 1892. Dott. Mario Baratta. (9 Baratta M., op. cit. e Contribuzione alla teoria dei terremoti. Boll. Soc. Geol. Ital. voi. IX, fase. 2. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Carta sismica del terremoto Laziale del 22 gennaio 1892. — Limite della zona mesosismica, racchiudente l’epicentro segnato con una piccola freccia w, — > — — - Limite della zona isosismica forte Limite della zona isosismica leggera Scala */i .ìii.ooo » ir. I TUFI VULCANICI DA COSTRUZIONE DELLA CAMPAGNA DI ROMA Il problema sulla genesi dei tufi vulcanici gialli adoperati nelle fabbriche, le cui formazioni costituiscono uno dei prodotti più importanti dei crateri antichi tirreni, abbraccia tre quistioni : la Quale è il loro piano stratigrafico, e quali erano le con- dizioni del territorio allorché furono formati quei tufi; 2a Come furono formati i tufi; 3a Come è uscito dai crateri il materiale che compone i tufi. Riguardo alla prima quistione le osservazioni fatte sui sistemi Vulsinio e Cimino mi fecero concludere fino dal 1878 che il ma- teriale dei tufi cadde su terreno asciutto ed in fase di corrosione molto avanzata ; che rappresenta uno degli ultimi prodotti di quei crateri. Circa la seconda ritenni che il solidificamento dei tufi di- penda da un processo analogo a quello che determina l’indurimento delle malte, e cioè ad una cementazione dovuta a soluzione acquosa della pasta. Le osservazioni escludendo che il materiale fosse ca- duto dentro bacini acquei; che i tufi fossero il prodotto del dila- vamento del terreno in conseguenza di pioggie e dell’ammassamento nelle bassure del materiale fluitato dai corsi d’acqua; che fossero composti da banchi di rigetto detritico cementati da filtrazione delle acque piovane, pensai che la pasta cementizia fosse stata sciolta da acqua eruttata dal cratere insieme alle altre materie che compongono i tufi. Riguardo alla terza quistione sono stato sempre perplesso se si possano considerare le eruzioni avvenute con proiezione e quindi cadute sul terreno in pioggia, oppure per ver- samento dal cratere. Però, comunque fosse avvenuta l’eruzione, sempre ho ritenuto che i tufi prima di consolidarsi abbiano cam- minato per estensioni grandi di territorio in forma di correnti fangose. Ho dichiarato altrove che non escludeva il caso che qualche rigetto tufaceo fosse caduto nel mare o in bacini lacustri ; ma che 64 A. VERRI nello stadio d’insieme della massa riteneva simile circostanza non necessaria alla formazione dei tufi, bensì puramente accidentale. Per considerare le eruzioni dei tufi avvenute mediante tra- bocco di fanghi dal cratere sta la finezza, l’omogeneità della pasta, la sua uniformità su tutta la linea dei vulcani da Bolsena al Lazio ; sta la limitazione dei tufi su settori determinati dei vasti rilievi lenticolari che formano anello ai coni craterici. Quanto è difficile comprendere la mancanza dei tufi su alcuni settori del rilievo cir- costante ai coni craterici immaginando la caduta dei materiali in pioggia, altrettanto sarebbe facile spiegare questo fatto ed anche la mancanza totale dei tufi sulle pendici dei coni supponendo l’eru- zione per versamento, colla posizione e direzione dei punti di tra- bocco, colla ripidità e coll’abbondante rigetto scioltissimo che copre i declivi sui quali dovevano scorrere le correnti fangose. Nel sistema Yulsinio si hanno i tufi sull’orlo del recinto del lago di Bolsena a Montefiascone, alle Grotte di San Lorenzo ; sono dentro il recinto del lago quelli sotto San Lorenzo; vicinissimi al recinto quelli sulla valle della Marta, la quale costituisce l'emis- sario del lago ; vicinissimi al recinto quelli della Capraccia, i quali sono anche a contatto del cratere di Monterado sopra Bagnorea. Nel sistema Cimino i tufi gialli da costruzione cominciano appena al piede del cono craterico di Vico dove l’espandimento non è stato ostacolato dalla massa trachitica del monte Cimino; dentro il re- cinto si trovano verso Vico banchi poco spessi d’una roccia, che per la pasta richiama la composizione di quei tufi. Non conosco il sistema Sabbatino; però nel sistema Laziale medesimo i tufi gialli da costruzione della valle del Sacco vengono fino ai piedi del cono antico, e dalla via Prenestina li ho veduti risalire il fosso di Torre tre teste avvicinandosi a Frascati. Ma nella storia del vulcanismo moderno sembra che manchino esempi di trabocchi di fanghi alternati con eruzioni laviche, mentre si hanno esempi di correnti fangose prodotte dal condensamento dei vapori acquei lanciati dal vulcano nella prima fase dell’ eru- zione e ricaduti in pioggia. Se, tenuto conto della grandiosità degli espandimenti, si può ammettere che la eruzione dei detriti potesse avvenire insieme alla trasformazione del vapore in acqua, e che quei detriti ricadessero inzuppati sopra i coni craterici, gli effetti finali riuscirebbero somiglianti ad una eruzione per trabocco, ed I TUFI VULCANICI DA COSTRUZIONE DELLA CAMPAGNA DI ROMA 65 allora sarebbe risoluto in tutte le sue parti il problema sulla ge- nesi dei tufi vulcanici gialli da costruzione. Questi tufi rappresentano un periodo singolare nella storia dell’attività dei vulcani tirreni per la quantità immensa del ma- teriale eruttato, pel predominio in quello di una pasta speciale ed uniforme, perchè im materiale eguale non si ritrova negli altri periodi eruttivi. Considerata anche la posizione stratigrafica di questi tufi sarei indotto a ritenere le loro eruzioni come contem- poranee su tutta la linea dei vulcani da Bolsena al Lazio ; ed a supporre che abbiano connessione intima cogli sventramenti e fra- namenti dei crateri di Bolsena, di Vico, di Bracciano, collo sven- tramento del cono antico Laziale. Nel sistema Cimino ebbi occasione di notare una sola varietà di tufo giallo da costruzione ricca di pomici gialle e nere, e mi sembrò che questa fosse stata eruttata dopo tutte le correnti la- viche. Invece nel sistema Yulsinio notai più qualità di tufi da costruzione : tra queste spicca la varietà pomice® analoga ai tufi cimini, ma si ha pure una varietà non molto abbondante di tufo giallo detto forte, il quale mi pare che potrebbe chiamarsi piut- tosto brecciforme. Nel sistema Yulsinio dopo quelle dei tufi sono venute altre eruzioni di lave leucitiche, e questo si vede partico- larmente nella lava del Palazzaccio, la cui colata dal Monterado scende a Bagnorea. In tutti e due i sistemi ho poi notato che vi sono state al- meno due eruzioni di tufi gialli da costruzione, ma la poca quan- tità delle pomici od altro detrito sciolto compresa tra i banchi del tufo accenna a far credere che le eruzioni si siano succedute a breve intervallo. Dalle testate che s'incontrano nella valle del Tevere a monte di Roma s’indurrebbe che anche i crateri Sabatini ebbero eru- zioni di tufo giallo da costruzione delle varietà pomicea e brecci- forme. Il Tittoni per i tufi pomicei della contrada occidentale di quel sistema accennò propendere ad ammettere l’ipotesi che fos- sero prodotti da eruzione fangosa, e li indica compresi tra eru- zioni di lava (’). 0) La ragione tracliitica dell'Agro Salatino e Cerite. Boll. Soc. Geol. it. Voi. IV, 1885. 5 66 A. VERRI Conosceva i tufi da costruzione della campagna di Roma solo per averne veduti dei campioni: nell’inverno scorso feci qualche passeggiata fuori città per formarmi un’idea del terreno, almeno quel tanto che mi bastasse a capire le descrizioni dei valenti geo- logi che lo hanno studiato e lo stanno studiando. Poiché nel vi- sitare le cave dei tufi mi sono occorse osservazioni che mi con- ducono ad estendere al territorio Laziale le conclusioni cui era venuto colle osservazioni eseguite nei territori Yulsinii e Cimini, le riassumo in questa Nota. Non intendendo scrivere una monografia, ma fissare semplici appunti presi in alcune passeggiate spinte a poca distanza dalla città, mi astengo dal premettere il riassunto bibliografico degli studi fatti su questi tufi. Devo però ricordare che già il von Buch, e poi l’ingegnere Degli Abbati opinarono che i tufi gialli da co- struzione della campagna di Roma fossero generati da correnti fangose: però essi li consideravano come il prodotto della espor- tazione operata da pioggie diluviali del materiale detritico giacente sul terreno. Il Terrigi pure ha considerati i tufi come correnti vul- caniche, ma di materiale fuso per azione termica (1). Devo ricor- dare altresì che il Ponzi opinò che i peperini, i quali coprono le pendici del cratere Albano e sono composti da un tufo bigio di consistenza litoide racchiudente interclusi svariati di rocce vulca- niche e calcari, siano nati dall’impasto delle ceneri ed altri de- triti lanciati intorno alla bocca eruttiva colle acque di pioggia prodot- tasi dal condensamento nelle regioni atmosferiche dei vapori emessi durante la prima fase d’un periodo eruttivo. Questa ipotesi illu- strata recentemente dal Meli (2) può darsi che, come ho accennato indietro, completi la soluzione dei quesiti che presenta il problema dei tufi gialli da costruzione. Alla base della pendice ovest della collinetta di Castel Giu- bileo, appiè della ripa del Monte delle Grotte lungo la via Fla- minia, infine sotto ai’ tufi calcarei dei Parioli affiora una specie (C Per questa ipotesi e per le altre vedasi: Meli, Notizie ed osserva- zioni sui resti organici rinvenuti nei tufi Leucitici della 'provincia di Roma- Boll. R. Coro. Geol. 1881-1882. (2) Meli, Sopra i resti fossili d'un grande avvoltoio racchiuso nei pe- perini laziali. Boll. Soc. Geol. Voi Vili, 1889. I TUFI VULCANICI DA COSTRUZIONE DELLA CAMPAGNA DI ROMA 67 di tufo brecciforme grigio-violaceo, nel quale ho veduto cavità ci- lindriche orizzontali ed inclinate, che mi sembrano modelli di tronchi di piante travolte. Accenno questa roccia non adatta ad uso di fabbriche solo per la sua singolarità di struttura, indicante una genesi diversa da quella dei banchi di altri detriti piovuti sul ter- ritorio; per la sua localizzazione, non avendola più incontrata in altre parti, nemmeno al piede delle ondulazioni della destra del Tevere fronteggianti i Parioli, mentre si può ritenere che in ori- gine formasse un banco continuo attraverso la valle attuale ; infine perchè sopra questa si trova un tufo giallo pomiceo del tutto so- migliante ai tufi pomicei vulsinii e cimini. I due tufi sono sepa- rati da altre materie vulcaniche, ed anche da qualche banco di ghiaie. Nel tufo pomiceo di Castel Giubileo ho notata ricchezza di cristalli di sanidino, mentre non ho vedute leuciti ; ma nei tufi pomicei vicini delle tombe di Fidene e del Monte delle Grotte ho trovate pure le leuciti, ed in qualche punto anche con abbon- danza : perciò può darsi che quei tre affioramenti siano parti d’una formazione unica. La formazione dei tufi gialli da costruzione più importante e per estensione e per l'uso è la varietà brecciforme, la quale qualche volta diviene quasi omogenea per prevalenza della pasta e rarità degl’inclusi visibili ad occhio nudo. Studiando queste masse ho osservati i fatti seguenti : 1. Mancano in alcuni settori del territorio circostante al gruppo dei coni vulcanici. Spintomi a distanza di vari chilometri sulle colline del Gianicolo, del Vaticano, del Montemario, della Farnesina, non ho veduto tufi da costruzione; nè questi tufi sono stati incontrati negli scavi dei pozzi per le fortificazioni. Si hanno tufi gialli da costruzione a Pietralata, prèsso Torre tre teste sulla via Prenestina, a Centocelle sulla via Casilina, a Capo di Bove sulla via Appia, nel pozzo scavato sul forte Ardea- tino, nella tenuta delle tre fontane tra le vie Laurentina ed Ostiense. L'ingegnere Vescovali per un suo progetto di galleria di drenaggio ha eseguite quattro trivellazioni in una linea concentrica a quella sopra tracciata su una lunghezza di 2726 metri tra i fossi della Marranella e della Caffarella, approfondando i pozzi alle quote — 11,29 -f- 2,77 -J- 4,53 -j- 4,49. e non appare che siano stati tro- vati i tufi da costruzione. Combinata questa osservazione coll’altra 68 A. VERE! dei grandi banchi di tufo da costruzione che si hanno lungo l'Àniene dal ponte Mammolo al ponte Salaro, e lungo il Tevere dal Mon- teverde al Truglio, si deduce che l’espandimento tufaceo giunto alla zona tracciata indietro si divise in più correnti riversandosi nelle depressioni segnate oggi dalle valli del Tevere e dell’Aniene. 2. I tufi gialli da costruzione in alcune contrade posano sopra ghiaie calcari (cave presso al ponte Nomentano), in altre su banchi di detriti vulcanici sciolti (cave fuori porta San Paolo tra il fosso delle Tre fontane ed il fosso delTAcquacetosa). Alla Yalchetta (tra le strade Ostiense e Laurentina) si ha la stratigrafia : a) Detriti vulcanici grigi ; b) Marne molto calcaree con molluschi d’acqua dolce che passano a tufi calcarei: c ) Pozzolane rosse; d ) Tufi gialli da costruzione superiormente. All’ Acqu acetosa si ha la stratigrafia: a) Lave leucitiche; b) Detriti vulcanici incoerenti; c) Tufi gialli da costruzione superiormente. I dati stratigrafici suesposti concludono quindi ad escludere che i tufi gialli da costruzione rappresentino detriti vulcanici pio- vuti dentro un bacino acqueo. Lo spandimento dei tufi tra l’Acquacetosa e la Yalchetta ha spessore di pochi metri, è largo almeno tre chilometri. 3. Mentre gli altri rigetti di detrito vulcanico si dispon- gono con strati a mantello sulle ondulazioni del terreno, con quanta regolarità può essere permessa ad una stratificazione di tal genere, e dalle condizioni in cui doveva trovarsi il territorio nel periodo delle eruzioni, i tufi ora hanno spessore che supera anche i 20 metri, ora appena di qualche metro: il primo caso capita gene- ralmente nelle valli, il secondo sopra le ondulazioni del terreno. Si modellano quindi sul terreno come una materia colata dentro una stampa, manifestando con ciò la loro fluidità iniziale. 4. Tutte le cave, tanto quelle scavate in galleria nelle masse di maggiore potenza, quanto quelle a cielo aperto sui banchi di potenza minore, costantemente mostrano la massa fratturata con una rete di fenditure poligonali: qualche volta dalla visita delle I TUFI VULCANICI DA COSTRUZIONE DELLA CAMPAGNA DI ROMA 9 cave ho riportato anche l'impressione di aver veduto segni d’acca- vallamento di onde fluide. Non tengo conto di tale impressione ottica, e mi fermo alla fratturazione poliedra. Questa non avviene nelle formazioni sedimentarie subacquee, e meno ancora nelle formazioni composte da detriti cementati da filtrazione di acque piovane, a meno che siano soggette a pressioni potenti : pressioni che non sem- brerebbe debbano avere subite i tufi da costruzione, considerato il posto che occupano nella scala dei rigetti del vulcanismo tirreno. Invece la fratturazione poliedra mi sembra effetto naturale del prosciugamento di una massa pastosa posata sopra terreno asciutto. 5. Lungo la via Ostiense dopo il Tori-accio si trova un banco potente di tufo giallo brecciforme da costruzione con disseminate nella pasta ghiaje sferoidali ed ellissoidali di rocce calcaree dell’Apen- nino niente alterate da azione termica. Per spiegare il fatto, mantenendomi coerente alle altre osser- vazioni, suppongo che la corrente pastosa strisciando su un greto ghiajoso si sia inglobate delle ghiaje nella massa. Si può anche supporre quella roccia composta da alluvioni, ma è evidente l’esagerazione in cui si deve cadere immaginando pioggie di tale intensità da darci per prodotto masse così potenti senza accenno di quella stratificazione sedimentaria che pure non manca neanche nelle conoidi alluvionali, e talmente estese da co- prire distese grandi di territorio. Eppoi bisognerebbe che tale ipo- tesi spiegasse la finezza, omogeneità, uniformità della pasta della formazione tufacea. 6. Dalla collezione dei saggi delle rocce estratte dal pozzo trivellato l’anno 1885 nel forte sull’Appia antica, conservata presso la Direzione del Genio militare di Roma, rilevo i dati: Quote ROCCE INCONTRATE Potenza -h68 60 Lava leucitica 11 56 -t- 57 04 Detriti vulcanici diversi 1 50 -+•55 54 Tufo giallo da costruzione ricco di leuciti 1 50 -i-54 04 Detriti vulcanici diversi 15 01 -4-39 03 Tufo giallo da costruzione 2 98 -4-36 05 Detriti vulcanici diversi 4 96 70 A. VERRI Quote EOCCE INEONTKATE Potenza -+- 31 09 Tufo giallo da costruzione 2 51 + 28 58 Detriti vulcanici diversi 19 19 + 9 39 Lava leucitica 2 07 -+- 7 32 Detriti vulcanici diversi 10 00 — 2 68 Marne con molluschi d’acqua dolce 12 85 - 15 53 Sabbie e ghiaje calcari con detriti vulcanici 4 55 - 20 08 Marne con elementi vulcanici 2 70 — 22 78 ( — 46 88 Marne senza elementi vulcanici ^ 24 1 10 Questo profilo indicherebbe tre eruzioni di tufi, e che le eruzioni si sono seguite a poca distanza di tempo, poiché il banco più grosso interposto si compone della pozzolana rossa, la quale pare siaTstata proiettata in una sola eruzione. Le sezioni di altri pozzi scavati nello stesso luogo danno qualche differenza nelle posizioni altimetriche dei tufi: differenze naturali considerato il modo come la roccia si espandeva. È però importante osservare che in quei pozzi il banco medio raggiunge fino lo spessore di metri 9.70. La mancanza di sovrapposizione di più correnti nelle testate che si presentano lungo le valli dell’Aniene e del Tevere (dato che osservazioni accurate non ve ne riscontrino) potrebbe in massima essere spiegata dal piccolo rilievo del terreno, e quindi dalla poca profondità delle valli, le quali riescendo colmate da una eruzione, la corrente tufacea della eruzione successiva doveva inalvearsi su altre valli. Però su questo proposito devo notare che i tufi di Vigna Pia sono composti da due banchi di struttura sensibilmente diversa e col piano di divisione visibilissimo. Nelle cave prossime di Mon- teverde ho veduto prevalere il tufo di struttura quasi omogenea che costituisce il banco superiore di quello di Vigna Pia, ma vi si trova anche del tufo spiccatamente breccifonne. È da avvertire che in questi casi le differenze potrebbero derivare anche dalla via percorsa dalle singole correnti di una stessa eruzione prima di arrivare ai I TUFI VULCANICI DA COSTRUZIONE DELLA CAMPAGNA DI ROMA 71 luoghi di confluenza, e quindi dai materiali che abbiano incontrati per strada ed inglobati nella massa. Notevole differenza nel colorito presentano i tufi brecciformi da costruzione di Grottarossa in confronto degli altri : questi hanno colore ranciato, quelli di Grottarossa giallo chiaro sudicio. Sono certamente prodotti da eruzioni diverse, e probabilmente i tufi di Grottarossa vengono dai crateri Sabatini. 7. Si vede dal profilo del pozzo di Appia antica che i tufi da costruzione dei dintorni di Eoma sono compresi tra eruzioni di lave leucitiche, come nei sistemi Vulsinio e Sabatino. Riferendoli alle colate laviche che si vedono sul territorio, mi pare che ven- gano anteriori alle lave di Capo di Bove, e posteriori alle lave dell’Acquacetosa. 8. La valle inferiore dell’Aniene dal bacino del lago dei tartari alla confluenza nel Tevere, la valle del Tevere dalle colline di Monterotondo alla confluenza dell’Aniene sono fiancheggiate da ondulazioni di terreno composto da materiale vulcanico. A Grotta rossa, al ponte Salaro, dal ponte Nomentano al ponte Mammolo grossi banchi del tufo da costruzione scendono sul piano delle valli, la cui quota sta tra 15 e 17 metri, ed in alcuni punti accennano a scendere più abbasso. Difatti nel pozzo del forte Pietralata sca- vato fino alla quota 18,70 seguitò a trovarsi il tufo, mentre la quota corrispondente della valle dell’Aniene è 17 metri. Sono pure sul piano della valle le marne d’acqua dolce contenenti incrostazioni calcaree al piede delle ondulazioni del Monte Sacro, del Prato Fiscale, del Monte Antenne, dei Parioli ; le masse di tufo calcareo di struttura sedimentare, stallattitica, mammellonare, contenente filliti e larve di friganidi, le quali masse potenti sui Parioli si collegano ai tufi calcari della Torretta al di là del Tevere. Sono sul piano della valle gli strati pliocenici con pettuncoli che si ve- dono nel taglio della strada di Tor di Quinto inclinati verso oriente; i banchi di ghiaje calcari, nelle quali non ho veduto materie vulca- niche, che vanno sopra quegli strati a pettuncoli ; le sabbie gialle probabilmente marine sotto Tor di Quinto; sono infine sul piano della valle i banchi di ghiaje calcari con frammenti di rocce fria- bili vulcaniche (tra le quali però mai ho veduto il tufo giallo brecciforme da costruzione) del Monte Sacro, del ponte Nomentano. Banchi di tufo giallo da costruzione grossi pochi metri stanno 72 A. VERRI sopra le ondulazioni che costeggiano a destra l'Àniene tra i ponti Nomentano e Salato, al piede delle quali si hanno le marne con- tenenti incrostazioni calcaree. Sopra ai tufi brecciformi da costruzione del ponte Nomentano stanno strati di arenarie gialle che paiono composte da lavaggio delle grandi distese di tufo, non ancora coperte dalla vegetazione, versato dentro un bacino acqueo; e sopra quelle banchi di ghiaie, marne con molluschi d’acqua dolce, detriti vulcanici incoerenti. Le sezioni del terreno nel tronco del Tevere a valle di Roma mostrano sul piano della valle a destra gli strati di marne plioce- niche che dalla Farnesina vengono al Gianicolo coperte da strati di sabbie gialle eppoi da banchi di ghiaja, poi da marne ed infine da materie vulcaniche. Appresso s’incontrano i tufi da costruzione di Monteverde ; poi banchi di detriti vulcanici grigi ; poi i banchi di tufi da costruzione della stazione di San Paolo e di Vigna Pia; poi banchi di ghiaje coperte da detriti vulcanici grigi; poi la testata della ondulazione del T raglio composta al basso da una specie di arenaria vulcanica friabile e sopra da tufi gialli da costru- zione ricchi di leuciti, i quali pare che appartengano al banco infe- riore dei tufi di Vigna Pia; poi i banchi delle ghiaje calcari della Magliana nelle quali non ho veduto frammenti di rocce vulcaniche, ma ho trovati dei cristalli di pirosseni, coronate da banchi di sabbie gialle ; poi le formazioni con fossili marini di Ponte Galera. Le formazioni sedimentarie interposte tra le testate dei tufi presen- tano nel senso della valle stratificazione orizzontale o quasi. A sinistra davanti San Paolo troviamo al basso una roccia da costruzione molto più resistente dei tufi ordinari, la quale richiama quei tufi per la pasta cementante, le arenarie grossolane per la struttura. Questo tufo è coperto da un grosso banco di ceneri grigie sopra le quali stanno altri detriti vulcanici. Tra San Paolo ed il fosso delle Tre fontane grandi banchi di materiali vulcanici grigi, i quali nel pozzo scavato fino alla quota 5 sul forte Ostiense segui- tarono a trovarsi, mentre la quota corrispondente del piano della valle è 12. Dopo vengono le marne con molluschi d’acqua dolce della Valchetta, le quali si sovrappongono a detriti vulcanici grigi, e si sfumano in banchi di concrezioni calcari, che assumono una certa potenza e presentano anche struttura mammellonare e stallat- titica allo sbocco del fosso di Vallerano. Come ho notato indietro, I TUFI VULCANICI DA COSTRUZIONE DELLA CAMPAGNA DI ROMA 73 le marne e le rocce concrezionari della Valclietta sono coperte da detrito vulcanico sciolto, e sopra questo posa il banco di tulo giallo da costruzione che si estende fino al fosso dell’Acquace- tosa. Appena passata la massa d'incrostazioni calcaree che sta allo sbocco del fosso di Vallerano, abbiamo sul piano della valle il grosso banco dei tufi gialli da costruzione contenenti le ghiaje calcari. Questa colata s’incontra fino al fosso del Risano, eppoi vengono le alture di Malafede e del Campo di Merlo composte da marne con concrezioni calcaree, banchi di ghiaje di rocce apenniniche, sabbie vulcaniche. Lungo la vicina via Laurei_tina si vedono le lave dell’Acqua- cetosa, di Vallerano ecc. Da questo abbozzo del terreno appare che i banchi più potenti del tufo giallo da costruzione si presentano lungo una linea segnata dei corsi dell’Aniene e del Tevere, la quale costituisce una linea perimetrica del rilievo lenticolare costruito dai rigetti del vulcano Laziale sopra al bacino depresso, ed una linea d’intersezione tra i rilievi vulcanici Sabatino e Laziale, percui doveva richiamare il corso delle acque dei fiumi apenninici per sboccare al mare. Il masso di tufo giallo da costruzione del Campidoglio segna un tratto di collegamento tra i tufi a monte ed a valle di Roma. 9. La trivellazione nel forte sull’Appia antica, le trivellazioni dell’ingegnere Vescovali mostrano nel settore tra le valli dell'Aniéne e del Tevere marne alle quote -f- 12,92 -f- 10,87 -)- 6,35 -f- 2,14 — 2,68 — 5,29, indicando, colla distribuzione delle altre ~nrne visibili sopra al territorio, esservi avvenuti ristagni d’acqua a livelli diversi ed in tempi diversi (*). Col sollevamento post-pliocenico le acque di un bacino mon- tuoso esteso 17000 chilometri quadrati sboccate dalle valli apenni- niche in parte incontrarono i rilievi costrutti dalle eruzioni trachitiche dei crateri Vulsinii, Cimini, Sabbatini ed inalveate tra la montagna e quei rilievi, confluirono nel territorio della campagna di Roma; in parte vi sboccarono direttamente. La disposizione delle formazioni antiche attorno ai crateri di (*) Ringrazio l’egregio Ingegnere delle note favoritemi, ed il collega Capitano Carcasio per avermele procurate, e per le altre note circa i pozzi scavati nei forti. 74 A. VERRI Bolsena e del Cimino mostra i crateri compresi dentro grandi de- pressioni conchiformi. In condizioni somiglianti pare che si trovino i crateri Sabatini considerata la disposizione delle formazioni plio- ceniche sulla destra del Tevere. Nel periodo del vulcanismo leucitico si aprirono i crateri La- ziali, e considerata la quota sottomarina alla quale la trivellazione di Appia antica segna i sedimenti pliocenici, considerata la posizione del pliocene a Porto d’Anzio e presso l’Osteria del Malpasso, in- durrei che anche il vulcano Laziale eruppe in una depressione conchiforme. Però, col perdersi della catena litorale dopo i monti di Civitavecchia, la conca nella quale eruppe il vulcano Laziale, mancato un recinto esterno rilevato, rimase aperta verso il Tirreno, e le acque dei fiumi apenninici arrivate alla campagna di Roma ebbero foce in mare spagliando attraverso quella estesa depressione. La figura conchiforme dei bacini vulcanici mi dimostra l’ipotesi che ho più volte enunciata, essere cioè le manifestazioni esterne del vulcanismo determinate dall’ incrociarsi di più piani di frattura disposti in senso anticlinale. Pel calcolo delle vicende geologiche della campagna di Roma abbiamo pertanto i fattori: 1. Movimenti sismici derivanti dal sollevamento post-plio- cenico, complicati dalla presenza d’un grande vulcano; 2. Sbocco di fiumi apenninici portanti nel bacino gli sfasciumi delle catene montuose; 3. Eruzioni vulcaniche ora in forma di pioggia di rigetti detritici, ora in forma di correnti laviche e fangose ; 4. Permeabilità dei detriti vulcanici caduti in forma di pioggia, per la 'quale grande doveva essere V assorbimento delle acque confluenti nel bacino ; 5. Copia di sorgive minerali scaturenti attraverso le fratture degli strati terrestri, e componenti masse di incrostazioni calcaree. Quindi un ripetersi di ristagni d’acqua, di scavo di valli, di riempimenti delle valli con depositi fluviali, lacustri e rigetti vulcanici. La storia idrografica della campagna di Roma ha tre momenti distinti : I. dal principio della depressione del territorio all’apertura dei crateri Laziali; I TUFI VULCANICI DA COSTRUZIONE DELLA CAMPAGNA DI ROMA 75 II. eruzioni del vulcano Laziale; III. vicende dopo le eruzioni. Il primo momento comprende il lavoro delle acque dei fiumi apenninici spaglianti sul bacino, e contrastanti coi loro depositi l’ invasione marina favorita dal deprimersi del terreno ; il secondo la lotta delle acque dei fiumi apenninici per stabilirsi una valle sul territorio che i rigetti vulcanici elevavano ; il terzo la costitu- zione definitiva della valle ed il suo successivo interrirsi. Oltre ai movimenti sismici, le cause dell’ interrimento furono: il protendi- mento della deltazione del Tevere ; la larghezza stessa acquistata dalla valle in consequenza delle corrosioni dei torrenti che vi con- fluiscono e delle corrosioni prodotte dai meandri dei fiumi; le esondazioni dei fiumi sulle valli così allargate (’). Nel calcolo dell’intensità delle azioni, e quindi della loro durata, è da concedere la sua parte abbondante alla circostanza che si sono svolte in un periodo di vulcanicità erompente ; ma non m'appare il bisogno di ricorrere a cataclismi eccezionali, e meno ad influenza di climatologie diluviali. Calcolati sulla portata attuale del Tevere, i fiumi apenninici versavano annualmente nel bacino diecimila milioni di metri cubi d’acqua. Nei particolari delle vicende idrografiche del secondo momento, più che i rigetti detritici sciolti, i quali in massima disponendosi a mantello sopra ai rilievi orografici ne modificavano proporzio- nalmente le altimetrie, mi sembra che debbano avere importanza le ostruzioni recate ai corsi d’acqua dalle correnti vulcaniche. Perciò sotto tal punto di vista mi pare che sia d’interesse grande lo studio della genesi dei tufi gialli da costruzione, rappresentati da masse potenti nelle valli del Tevere e dell’Aniene. 0) Verri, Azione delle forze nell'assetto delle valli. Boll. Soc. Geol. Voi. V, 1886. Antonio Verri. SOPRA LE AFFINITÀ ZOOLOGICHE DELLA R 0 TIIP LE T ZIA PURISTA Sim. Quando ebbi ad occuparmi dei fossili miocenici raccolti dal dott. A. Rotbpletz alla Grande Canaria (') rimasi lungamente imba- razzato davanti a certe singolari conchiglie, che, per un verso o per l’altro, mi pareva si scostassero da ogni forma conosciuta. Esauriti senza frutto i mezzi di studio che erano a mia disposi- zione, battezzai gli enigmatici organismi con un nome nuovo « Roth- pletsia rudista * ; e proposi di collocarli fra i molluschi glossofori, nella famiglia dei Capulidi, vicino agli Hipponyx. In una comunicazione epistolare alla Zeitschrift der Deutschen geologischen Gesellschaft (2) il sig. dott. Paul Oppenheim ha com- battuta con molta vivacità l'opinione mia sopra le affinità zoolo- giche del nuovo genere, sostenendo che non si tratta per niente di un mollusco glossoforo e tanto meno di un ipponicide; che la Rothpletzia è invece una bivalve spettante al gruppo delle Ca- macee, una Rudista miocenica bella e buona. Io son grato al dott. Oppenheim per l’onore che mi fa discu- tendo il mio modesto parere, e per la buona intenzione che di- mostra provandosi a correggere lo sbaglio grossolano in cui mi crede caduto. Più ancora gli sarei grato se le ragioni sue fossero di na- tura da persuadermi eh’ egli ha colto nel segno : se fossi certo che proprio a me è toccata la fortuna (mettiamo pure incompresa) di richiamare l’attenzione dei paleontologi sovra la prima Rudista neogenica. Ma non valsero, pur troppo, gli argomenti del mio con- p) Vedi: Rotbpletz und Simonelli, Die marinen Ablagerungen auf Gran Canaria. Zeitsclir. d. lleutsch. geol. Gesellschaft, Jalirg. 1890. (2) Bd. XLIII, 3. Heft, S. 748. 1891. Y. SIMONELLI. SOPRA LE AFFINITÀ ZOOLOGICHE ECC. 77 tradittore, nè valse l’esame, ripetuto spassionatamente, del fossile che motivò la controversia, a modificare la mia prima opinione. Dirà il giudizio dei maestri e dei colleghi se sia questa la buona, o se debba invece preferirsi la interpetrazione sostenuta dal dott. Oppenheim. Mi si conceda di ricordare i principali caratteri della Roth- pletsia nudista j aiutandomi, per far più chiara la descrizione, con una figura schematica. La conchiglia, quando è completa, si com- pone di due pezzi, diciamo pur di due valve: una inferiore (a) in forma di tubo leggermente conico, arcuato, con tendenza, quando più quando meno manifesta, all’av- volgimento elicoide ; una superiore ( b ) molto più piccola, pileiforme, che fa da coperchio. Il pezzo inferiore, che si trova spesso fissato per l’estremo aborale su tuberi di Litho- tliamnium, ha l’apertura tagliata secondo un piano molto obliquo rispetto all’asse longitudinale e limitata da un orlo quasi tagliente. Di fuori apparisce squamoso, per lo sporger che fanno i margini delle sottili laminette formanti il guscio ; e la cavità sua vien d’ordinario divisa in più camere so- vrapposte, mercè diaframmi trasversali ( c ) paragonabili a quelli dei Vermeti. Sull’interna superficie, nel lato corrispondente alla grande curva del tubo, si disegna il semicerchio di una larga impronta mu- scolare (d) parallela e contigua al magine dell’apertura. Quanto al pezzo superiore non lo si potrebbe descriver meglio che parago- nandolo, per la forma e la ornamentazione, alle conchiglie di certi ffippomyx, per esempio dell’//, sulcatus Michti. Fu in special modo per la presenza dell’accennata impronta muscolare, che io m’indussi a ritenere più che probabile l’affinità della Rothpletzia con gl’Ipponicidi. — Senza che mi dissimulassi peraltro la difficoltà del paragone fra la conchiglia dorsale di un Hipponyx o di una Mitrularia , e i tubi concamerati, affissi per l’estremo inferiore, che nella grandissima maggioranza dei casi son quanto rimane della Rothpletzia. Nemmeno mi era sfuggita la gros- solana rassomiglianza fra l’aspetto esteriore del fossile problema- tico e quello di certe Rudiste; ma sembrandomi che risultasse 78 V. SIMONELLI chiara abbastanza dalle figure e che in nessun modo potesse aver valore tassinomico, mi limitai a ricordarla col nome specifico adot- tato, senza spenderci sopra altre parole. Il doti Oppenheim si fonda al contrario quasi esclusivamente su questa analogia di habitus , per affermare la parentela della Roth- pletzia con le Camacee. Egli osserva che la valva superiore della Rothpletzia ha forma e scultura affatto inusitate negli opercoli dei Gasteropodi, e situazione diametralmente opposta a quella del disco ventrale (Solile nplatte) degli Hipponyx. Nota che la concamera- zione della conchiglia è carattere finora non riscontrato negli Ippo- nicidi e riprodotto dai soli Vermeti, tanto lontani dalla Rothpletzia per la natura dell’apparato opercolare. Nega l’evidenza dell’im- pronta lasciata dall’adduttore, lasciando credere che io l'abbia esa- gerata ad arte nelle figure : mentre nelle figure medesime, e segna- tamente in quella, ove è riprodotta una sezione longitudinale del fossile, egli trova indicate traccie di canali, che io non sono stato capace di riconoscere sul vero, e che per conseguenza non ho mai sognato di rappresentare. Non si dà pensiero dell'apparato cardinale mancante : « Dass Schlòsszàhne fehlen, così egli scrive, wurde noch « nicht gegen die Bivalvennatur der Type sprechen da dergleichen « bei verkummernden und senilen Formen ja wohl auftritt ». Prima di rassegnarmi a credere che la Rothpletzia sia dav- vero una Rudista, che ha perduto i denti per vecchiaia, vorrei assi- curarmi che in nessun modo la conformazione sua possa conciliarsi coi caratteri normali dei Gasteropodi. Ma non mi bastano le prove d’incompatibilità addotte dal sig. Oppenheim. Può ritenersi infatti che cadano le più gravi fra queste, se, invece di considerare la piccola valva superiore della Rothpletzia come un opercolo, si cerchi in essa l’equivalente della conchiglia dorsale di un Hipponyx o di una Mitrularia : se la valva maggiore, concamerata ed affìssa per l'apice, non si riguardi più come una conchiglia dorsale orientata alla rovescia, ma sibbene come un disco basale modificato. E la posizione dell'impronta lasciata dal muscolo adduttore (impronta che, giova ripeterlo, spicca nettissima in diversi esemplari) confer- merebbe appieno questo modo di vedere. Il caratteristico ferro di cavallo suole occupare nella conchiglia dorsale degli Ipponicidi il lato corrispondente alla piccola curva; mentre in quella che con- sideriamo come produzione del lobo operculigero della Rothpletzia , lo troviamo sul lato che corrisponde alla curva maggiore (fig. 1, d ). SOPRA LE AFFINITÀ ZOOLOGICHE ECC. 79 Nè potrebbe essere altrimenti data l’inversa orientazione che hanno, l'una rispetto all'altra, le due valve della Rothpletzia : essendo volto in un senso il fianco convesso della superiore, nel senso op- posto quello della inferiore. Se in questa ultima il muscolo s'in- seriva in posizione normale, cioè in corrispondenza della piccola curva (fig. 1, b ), nel pezzo sottoposto l’impronta doveva trovarsi, come si trova, sul lato che corrisponde alla curva maggiore. A determinare la forma e lo sviluppo eccezionale della valva inferiore può credersi abbiano contribuito efficacemente le speciali condizioni di vita in cui si trovò l’animale. Le alghe calcarifere, che vegetavano rigogliose attorno alla Rothpletzia, dovettero, con la nota rapidità del loro accrescimento, tendere ad avvilupparla coi ramuli, a seppellirla nella massa pietrosa dei cespi. Per sot- trarsi alla minacciata soffocazione, per emergere sugli incomodi vi- cini, il mollusco non aveva altra via che quella di aumentare rapi- damente l’altezza del suo sostegno ventrale; effetto che poteva raggiungere meglio e più presto segregando un tubo concamerato invece di uno zoccolo massiccio. Quanto ai caratteri microscopici del guscio, che il sig. Op- penheim mi rimprovera di aver trascurati, io sapeva fin dal 1890 che non appoggiano per nulla l’idea di un rapporto qualsiasi fra la Rothpletzia e le Camacee. Ecco qui la rozza, ma fedele riproduzione foto- grafica di una lamina sot- tile tagliata nella valva inferiore della Rothplet- zia rudista , in direzione normale alle strie d’ac- crescimento, ed ingran- dita all’ incirca 10 dia- metri. Non vi so ricono- scere il menomo indizio della struttura tubulare, dei grandi prismi, dei canali, delle lacune, che caratterizzano così spic- catamente le conchiglie delle Camacee ; ma trovo invece, come negli Hipponyx, lo strato esterno formato da una fitta compagine di 80 V. SIMONELLI. SOPRA LE AFFINITÀ ZOOLOGICHE ECC. laminette inclinate di 30°-40° rispetto all'asse verticale; mentre nello strato interno, per quanto invaso dalla spatizzazione, può di- stinguersi una zona oscura analoga a quelle che nel guscio fall' Hip- ponyx mitrala Lk. occupano la stessa posizione, e che esaminate con forti obbiettivi si risolvono in un reticolato a maglie tondeg- gianti. La mancanza dell’ apparato cardinale, verificata anche dal sig. Oppenheim, è finalmente una ragione decisiva per negare la parentela della Rothpletzia con le bivalvi in genere ed in specie con le Rudiste. Ho esteso l’esame a numerosi esemplari, svariati per l’età, per la grandezza, pel modo di conservazione, senza tro- vare nemmeno la più piccola traccia di denti o di fossette; e se davvero si trattasse di una Camacea, per quanto ammiserita e se- nile, dovrebbe pur vedersene qualche cosa più che la traccia. Io non so se le considerazioni esposte varranno a modificare il giudizio del sig. Oppenheim. Quel che mi conforta nel pubbli- carle è l’accoglienza favorevole che hanno già ottenuta presso uno dei più dotti conoscitori di molluschi viventi e fossili, il dott. Paul Fischer del Museo di Parigi. Richiesto del suo parere sulla Roth- pletzia, l’illustre malacologo mi rispondeva approvando il ravvici- namento agli Hipponyx e l’interpetrazione data per le diverse parti della conchiglia; mentre giudicava affatto insussistenti i pre- tesi rapporti con le Rudiste. « Je conteste tout à fait, così mi scriveva il dott. Fischer in data 23 aprile 1892, l’hypothese d’après laquelle les Rothpletzia seraient des Rudistes tertiaires. Ils n’en ont ni la structure, ni la charnière, ni les empreintes. Je possède des Rothpletzia d’ages très différents et ils montrent tous les mèmes caractères. Au surplus, il m’est arrivò déja de constater que l’on avait fait de très grosses erreurs sous l’influence de cette idée que les Rudistes s’étaient per- pétués jusqu’à l’epoque tertiaire, et j’ai regu de pretendus Rudistes qui étaient des Balanus et des Pyrgoma miocènes et pliocènes. Je crois donc que vous étes dans le vrai en protestant contre l’as- sertion de M. Oppenheim ». Bologna, R. Istituto geologico e paleontologico, maggio 1892. Dott. Vittorio Simonelli. FORAMINIFERI PLIOCENICI DI CASTELLARQUATO E LUGAGNANO NELLA PROVINCIA DI PIACENZA I. Lo studio dei foraminiferi, che in questi ultimi anni ha preso uno sviluppo molto notevole, mercè i lavori diligenti e indefessi d’illustri scienziati italiani e stranieri, continua a recare alla Geo- logia stratigrafica e alla Paleontologia un prezioso contributo di scoperte scientifiche. Dopo il classico e monumentale lavoro del Brady (*) sui foraminiferi viventi nei mari e negli oceani, tutte le ricerche paleontologiche sui foraminiferi fossili, riescono sempre più interessanti, sia pel confronto che si può istituire fra le specie fos- sili e le viventi, come per le importanti conclusioni che se ne pos- sono trarre circa la natura degli antichi depositi marini. Dopo alcuni lavori, che ho pubblicato in questi ultimi anni sui foraminiferi dei terreni terziari del Modenese e del Reggiano, inseriti in parte nel presente Bollettino e in parte negli Atti della Società dei Naturalisti di Modena, ho intrapreso lo studio dei fo- raminiferi pliocenici del Piacentino e segnatamente di Castellar- quato e di Lugagnano, ove gli strati pliocenici, oltre all’essere molto sviluppati, presentano una ricca messe di fossili, tanto ma- croscopici quanto microscopici. In codeste località, il pliocene si presenta ben distinto nei due piani secondari, inferiore e superiore, denominati rispettivamente (L Henry B. Brady, Foraminifera dredged by II. M. S. Challenger, during thè years, 1873-1876; Report on thè scientific results of thè voyage of II. M. S. Challenger. Zoology, voi. IX. London 1884. 6 82 M. MALAGOLI piacentino ed astiano. Il pliocene inferiore, o piacentino, è rappre- sentato dalle marne azzurre fossilifere, mentre il pliocene superiore, od Astiano, consta di sabbie gialle, di breccie conchigliari e di conglomerati. I foraminiferi, di cui terrò parola nella presente Memoria, pro- vengono in gran parte dalle marne azzurre e dalle sabbie gialle, e sono stati separati da queste roccie per mezzo della lavatura e di ripetute decantazioni. Non è a credersi però che tale procedi- mento basti per avere raccolti tutti i foraminiferi, ma si ottiene con esso, tanto per le sabbie, quanto per le marne, un residuo arenaceo più o meno abbondante, molto ricco d'organismi micro- scopici di varia natura, fra cui sono frequenti i foraminiferi. Tro- vansi poi associati a questi, dei piccoli crostacei (Ostracodi), dei briozoi, delle spine e placche di echinodermi e piccolissime con- chiglie di molluschi. Tutto il resto è essenzialmente composto di granuli quarzosi e feldespatici, di pagliette di mica e d’idrocarburi solidi e di numerosi frammenti indeterminabili di conchiglie, per lo più bivalvi. Seguirò, anche in questo lavoro, la classificazione e la nomen- clatura del Brady, come quella che attualmente è adottata da tutti gli autori. II. Genere ì Si loeri 1 i n;i D’Orbigy. 1. Biloculina r ingens L am arie. Bilocali n a ringens Lamark, 1804, Ann. du Museum, voi. V, pag. 851 ; voi. IX, tav. XII, fig. 1. » clypeata D’Orb., 1846, Foram. foss. Vien., pag. 263, tav. XV, fig. 19-21. » simplex D’Orb., 1846, id. id., pag. 264, tav. XV, fig. 25-27. » ringens Brady, 1884, Foram. Ghall., pag. 142, tav. II, fig. 7-8. La grande variabilità, che presenta questa conchiglietta, nella forma dell’ apertura, nello sviluppo del margine e nella sua gros- sezza, ha fatto sì che molti autori l’abbiano designata con nomi FORA M I N I FK R I PLIOCENICI ECO. Qo Ori diversi. Si distingue però facilmente dalla BilocuLina bulioides e dalla B. depressa colle quali ha maggiori affinità. È frequente nelle marne di Castellarquato. Abbonda attualmente nel mare, ove è stata trovata a varie profondità, ed è comune allo stato fossile nei terreni terziari. 2. Biloculina elo agata D’Orbigny. Biloculina elongata D’Orb., 1826, Ann. Se. Nat., voi. VII. p. 298, n. 8. » » Brady, 1884, Forum. Chall, p. 144, t. II, fig. 9 a, b. » » Fornasini, 1891, Forum, plioc. font. Savena , t. II, fig. 1-2. È una forma non molto frequente, rinvenuta nelle marne di Castellarquato. Questa specie cosmopolita, vive anche attualmente nel mare presso le coste. Abbonda nell’Oceano Atlantico al nord e nel Pacifico al sud. Einviensi pure nel pliocene e miocene del Mo- denese e delle regioni limitrofe. 3. Biloculina depressa D’Orb igny. Biloculina depressa D’Orb., 1826, Ann. Se. Nat., voi. VII, p. 298. » lunula D’Orb., 1846, Foram. foss. Vien., p. 264, t. XV, fig. 22-24. » depressa Brady, 1884, Foram. Chall., p. 145, t. II, fig. 12, 15-17. Questa specie, facilmente riconoscibile per la sua forma de- pressa, per la carena acuta ond’è munito il suo margine e per la sua grande apertura orale, è molto frequente nelle marne di Ca- stellarquato. Questa specie, che trovasi fossile dal Lias in poi e che vive tutt’ora negli oceani, l’ho pure rinvenuta nel pliocene e miocene del Modenese. Genere Spirolocixl ina D’Orbigny. 4. SpirolociUina planulala Lamark. Spiroloculina badenensis D’Orb., 1846, Foram. foss. Vien., p. 270, t. XVI, fig. 18-15. 84 m. malagom S piroloculi n a planulata Brady, 1884, Foram. Oliali ., p. 148, t. IX, fig. 11. Questa specie, trovasi nelle marne di C astellar quato, dove però non è molto frequente. Si distinque dalle altre affini e spe- cialmente dalla Spiroloculina canaliculata , per la sua forma molto più compressa e per il contorno semplice. Trovasi fossile nei ter- reni terziari e vive attualmente, insieme ad altri organismi, in vi- cinanza delle coste. Rinviensi pure nelle acque salmastre e a mag- giori profondità negli oceani. L’ho rinvenuta altresì nel tortoniano di Montebaranzone, presso Sassuolo, nella provincia di Modena. 5. Spiroloculina canaliculata D'Orbigny. Spiroloculina canaliculata D’Orb. , 1846 , Foram. foss. Vieti. , p. 268, t. XVI, fig. 10-12. I pochi esemplari rinvenuti nelle marne di Castellarquato, si distinguono facilmente da quelli riferibili alla specie precedente, per avere il contorno delle logge esteriori, bicarenato. Questa specie, che sin’ora non si conosce vivente, l’ho rinvenuta altre volte nelle marne plioceniche dei dintorni di Sassuolo. 6. Spiroloculina excavata D'Orbigny. Spiroloculina excavata D’Orb., 1846, Foram. foss. Vieti., p. 271, t, XVI, fig. 19-21. » » Brady, 1884, Foram. Oliali., p. 151, t. IX, fig. 5-6. Di questa caratteristica specie ho trovato un solo esem- plare, perfettamente conservato, nelle sabbie gialle di Castellar- quato. Essa è frequente in altri depositi terziari, pliocenici e mio- cenici. L’ho rinvenuta eziandio nel pliocene del Modenese e del Reggiano e nel tortoniano di Montegibio, presso Sassuolo, nella provincia di Modena. Vive anche attualmente nelle zone temperate a piccole profondità. FORAMI NI FERI PLIOCENICI ECC. 85 Genere Miliolina Williamson. 7. Miliolina seminulum Limnaeus. Quinquel oculina hauerina D’Orb., 1 846, Forarti, foss. Vien., p. 286, t. XVII, fig. 25-27. » mayeriana D’Orb., 1846, id. id., p. 287, t. XVIII fig. 1-3. » triangularis D’Orb., 1846, id. id., p. 288, t. XVIII, fig. 7-9 » akneriana D’Orb., 1846, id. id., p. 290, t. XVIII, fig. 16-21. 31 i 1 i o 1 i n a seminulum Brady, 1884, Foram. Chall., p. 157, t. V, fig. 6 a, 6 b, c. L’estrema variabilità di forme e dimensioni che presentano gl’individui appartenenti al genere Miliolina , ha creato un numero grandissimo di specie, che ora mercè gli studi più recenti ed ac- creditati sono state di molto ridotte. Nel genere Miliolina non si deve tener conto delle modificazioni leggere o accidentali che pos- sono assumere le specie, ma solamente di quelle che bastano, quasi direi, a primo aspetto, a identificarle. Per avere una prova della facilità con cui si potrebbero creare delle nuove specie di Milioline, basta rammentare che arrivano quasi alla quarantina i nomi di- versi sotto cui è stata indicata la Miliolina seminulum del Linneo. Questa specie, comunissima nei terreni terziari del nostro Ap- pennino, proviene dalle marne di Castellarquato. È molto meno frequente in quelle di Lugagnano. Trovasi pure nelle sabbie gialle. Vive auche attualmente nel mare e negli oceani a varie profondità, ma predilige le coste e i bassi fondi marini. 8. Miliolina tricarinata D’Orbigny. Triloculina tricarinata D’Orb., 1826, Ann. Se. Nat., voi. VII, p. 299. » gibba D’Orb., 1846, Foram. foss. Vien., p. 274, t. XVI, fig. 22-24. Miliolina t r i c a r i n at a Brady, 1884, Foram. Chall., p. 165, t. Ili, fig. 17 a, b. Questa specie si distingue dalla Miliolina tmgonula Lamark ( Triloculina austriaca D’Orb.) per il suo insieme a logge care- 86 M. MALAGOM nate. È frequente nelle marne di Castellarquato. L’ho rinvenuta altresì nel pliocene di Tressa presso Siena e nel Tortoniano di Montegibio. Vive tutt’ora nel mare a diverse profondità, ma pre- dilige aneli’ essa le coste. 9. Miliolina consobrina D’Orbignv. Triloculina consobrina D’Orb., 1846, Foram. foss. Vieti., p. 277, t. XVII, flg. 10-11. Codesta specie, comunissima nelle marne di Castellarquato, si distingue facilmente dalla Miliolina oblonga Montagli ( Triloculina oblonga D’Orb.), colla quale a primo aspetto si potrebbe confon- dere, per avere le logge carenate e per l’apertura orale più piccola e più rotondeggiante. Non si conosce vivente. 10. Miliolina infiala D’Orbigny. Triloculina i n f 1 a t a D’Orb.. 1846, Foram. foss. Vieti., p. 278, t. XVII; fig. 13-15. Frequente nelle marne di Castellarquato. Questa specie è affine alla precedente, ma ne differisce per la sua forma più larga non depressa e per la maggiore ampiezza del suo peristoma. Non si conosce vivente. 11. Miliolina inornata D’Orbigny. Triloculina in ornata D’Orb., 1846, Foravi, foss. Vieti., p. 279, t. XVII, fig. 16-18. Riferisco a questa specie alcuni piccoli esemplari provenienti dalle marne di Castellarquato, i quali differiscono alquanto dal tipo per avere le logge un po’ meno arcuate. Questa bellissima specie si distingue facilmente dalla Miliolina infiala ( Triloculina infiala D’Orb.) pel suo insieme più largo, per la diversità delle logge e per la sua apertura più piccola, munita di un dente semplice. Non si conosce vivente. FORAWIMFERI PLIOCEMCr ECC. 87 12. Mìliolina longirostra D’Orbigny. Quinqueloculina longirostra D’Orb., 1846, Foram. foss. Vieti., p. 291, t. XVIII, fig. 25-27. È frequente nelle marne di Castellarquato, e si distingue assai bene dalle altre specie, per avere una forma molto depressa, al- lungata e carenata, e per essere munita di un lungo rostro, termi- nato da uu’apertura circolare fornita di un dente biforcato. Rin- viensi di frequente nei terreni ternari. Anche questa specie non si conosce vivente. 13. Mìliolina Partschii D'Orbigny. Quinqueloculina Partschii D’Orb., 1846, Foram. foss. Vieti., p. 293, t. XIX, fig. 4-6. Ho trovato pochi esemplari di questa specie nelle marne di Castellarquato. Le conchigliette presentano tutti i caratteri del tipo, sono cioè di forma ovale, compressa e carenate, munite di lungo rostro terminato da una piccola apertura rotondeggiante. Trovasi pure nel miocene e nel pliocene del Modenese e nel pliocene di Reggio, Siena e Volterra. Non si conosce vivente. 14. Mìliolina secans D’Orbigny. Quinqueloculina Haidingeri D’Orb., 1846, Forarti, foss. Vieti., p. 289, t. XVIII, fig. 18-15. M iliolina secans Brady, 1884, Foram. Chall., p. 167, t. VI, fig. 1-2. Due piccoli esemplari nelle marne di Castellarquato. Differi- scono però alquanto dalla forma tipica e da quelle che ho trovato in varie località del Modenese e del Reggiano per avere le logge più rigonfie e meno carenate. Vive anche attualmente nei nostri mari, in vicinanza delle coste, ove acquista notevoli dimensioni. Abbonda nel Mediterraneo. M. MALA.GOU 15. Miliolina juleana D’Orbigny. Quinqueloculina juleana D’Orb. 1846, Foram. fos-s. Vìen., p. 298, t. XX, fig. 1-8. Di questa specie ho trovato un solo esemplare nelle marne di Castellarquato. Esso presenta tutti i caratteri del tipo. Non si conosce vivente. 16. Miliolina peregrina D’Orbigny. Quinqueloculina peregrina D’Orb., 1846, Foram. foss. Vìen , p. 292, t. XIX, f. 1-8. Questa specie è comune nelle marne di Castellarquato. Pre, senta qualche somiglianza colla Miliolina seminulum di Linneo- ma ne differisce per avere la carena nettamente pronunciata e per la mancanza di appendici al dente. Trovasi pure nelle marne tor- toniane di Montegibio, Anche questa specie non si conosce vivente. 17. Miliolina rodolphina D’Orbigny. Quinqueloculina rodolphina D’Orb., Foram. foss. Vìen , p. 299, t. XX, fig. 7-9. Pochi esemplari nelle marne di Castellarquato. Questa specie si distingue facilmente dalle altre, per le sue logge tricarinate e per la sua piccola apertura rotonda, munita di un dente semplice. La loggia maggiore si prolunga alquanto a foggia di rostro. Non si conosce vivente. 18. Miliolina pulchella D'Orbigny. Adelosina pulchella D’Orb., 1846, Foram. foss. Vìen., p. 303, t. XX, fig. 25-29. Diversi giovani esemplari, provenienti dalle marne di Castel- larquato. Essi sono riferibili all’esemplare figurato dall’Orbigny al n. 26 della tavola predetta. Non si conosce vivente. FORAMINIFERI PLIOCENICI ECC. 89 Genere IPlanispir-in». Seguenza. 19. Planispirina celata Costa. S piroloculi n a celata Costa, 1855, Meni. Accacl. Napoli, voi. II, p. 1 26, t. I, fig. 14. » » Costa, 1856, Atti Accad. Pontif., voi. VII, t. XXVI, fig. 5. Planispi rina » Brady, 1884, Foram. Chall., p. 197, t. Vili, fig. 1-4. Specie comune nelle marne di Castellarquato. Essa presenta molta somiglianza colla Miliolina agglutimns D'Orb., colla quale è stata per lungo tempo confusa, ma ne differisce per la sua forma depressa e per la sua periferia angolosa. Abbonda pure nelle marne plioceniche di molte altre località italiane e straniere e vive anche attualmente a diverse profondità marine, ma è più frequente in vicinanza delle coste. Genere Cornuspira Schultze. 20. Cornuspira foliacea Philippi. Or bis foliaceus Philippi, 1844, Enum. Moli. Sicil., voi. II, p. 147, t. XXIV, fig. 26. Cornuspira foliacea Brady, 1884, Foram. Chall., p. 199, t. XI, fig. 5-9. Un piccolissimo esemplare nelle marne di Lugagnano. Esso presenta tutti i caratteri del tipo. Fossile dall’eocene in poi. Vive tuttora a grandi profondità negli oceani. Genere Textularia Defrance. 21. Textularia sagittula Defrance. Textularia sagittula Defr., 1 824, Dict. Se. Nat., voi. XXII, p. 177 ; voi. LUI, p. 344; Atlas Conch., t. XIII, fig. 5. ” nussdorfensis D’Orb., 1846, Foram. foss. Vien., p. 243, t. XIV, fig. 17-19. 90 M. MA.LAGOLI T ex tuiaria sagi t tuia Fornasini, 1887, Boll. Soc. Geol. ItaL, voi. VI, fase. 3°, t. IX, fig. 1, 2 a,b. » » Brady, 1884, Foram. Chaìl., p. 361, t. XLII, fig. 17-18. Frequente nelle marne di C astellar qnato e di Lugagnano. È pure comune nel Modenese e nel Reggiano, dove la rinvenni in varie località, tanto negli strati pliocenici quanto in quelli miocenici, e segnatamente nel tortoniano di Montegibio. Questa specie cosmo- polita è stata trovata a grandi profondità nell’oceano Atlantico e segnatamente nelle zone temperate. 22. Textularia gibbosa D’Orbigny. Textularia gibbosa D’Orb., 1826, Ann. Se. Nat., voi. VII, p. 262. » » Fornasini, 1887, Boll. Soc. Geol. Ital., voi. VI. fase. 2°, t. II, fig. 1 a, b. I pochi esemplari che ho rinvenuti, tanto nelle marne di Ca- stellarquato, come in quelle di Lugagnano, sono caratteristici nella loro forma complessiva; variano però alquanto fra loro per lo svi- luppo e pel numero delle logge. Un bellissimo esemplare, tratto dalle marne di Castellarquato, pare abbia raggiunto il suo com- pleto sviluppo: è più lungo che largo e le sue logge decrescono regolarmente in grandezza, ciò che non si osserva negli altri esem- plari meno sviluppati. L’ho trovata più frequente negli strati ter- ziari del Modenese e segnatamente nel pliocene di Sassuolo e nel tortoniano di Montegibio. Vive anche attualmente nei nostri mari in vicinanza delle coste, ma vi è piuttosto rara. 23. Textularia tuberosa D’Orbigny. Textularia tuberosa D’Orb., 1826, Ann. Se. Nat., voi. VII, p. 263. » » Fornasini, 1887, Boll. Soc. Geol. Ital., voi. II. fase. 2°, t. II, fig. 2 a, b. Specie comune tanto a Castellarquato, quanto a Lugagnano. Si distingue facilmente dalla specie precedente per la sua forma globosa. Gli esemplari raccolti sono tutti piccolissimi e in ottimo stato di conservazione. Questa specie è molto frequente nei depo- siti terziari. L’ho rinvenuta pure in varie località del Modenese e FORAMI NIFERI PLIOCENICI ECC. 91 del Reggiano, negli strati pliocenici inferiori, e nelle marne torto- niane. Non è ancor bene accertato se questa specie trovasi vivente nei nostri mari. 24. Textularia abbreviata D’Orbigny. Textularia abbreviata D’Orb., 1846, Foram. foss. Vien., p. 249, t. XV, fig. 9-12. » » Fornasini, 1887, Boll. Soc. tìeol. Ital., voi. VI, fase. 3°, t. XI, fig. 3 a, b. Pochi e piccolissimi esemplari nelle marne di Castellarquato e di Lugagnano. Trovasi più di frequente nei terreni pliocenici e miocenici del Modenese e del Reggiano. Non si conosce vivente. Genere Bigenerina D’Orbigny. 25. Bigenerina noclosaria D’Orbigny. Bigenerina nodosaria D’Orb., 1826, Ann. Se. Nat., voi. VII, p. 261 , t. XI, fig. 9-12. « agglu t in ans D’Orb., 1846, Foram. foss. Vien., p. 238, t. XIV, fig. 8-10. nodosaria Brady, 1874, Foram. Chall., p. 369, t. XLIV, fig. 14-18. Questa specie è comune tanto a Castellarquato, quanto a Lu- gagnano, nelle marne. È pure frequente nei terreni terziari d’Italia, e vive anche attualmente nei nostri mari a varie profondità. Genere Bulimina D’Orbigny. 26. Bulimina elongata D’Orbigny. Bulimina elongata D’Orb., 1846, Foram. foss. Vieti., p. 187, t. XI, fig. '19-20. » » Brady, 1884, Foram. Chall., p. 401, t. LI, fig. 1. Un piccolo esemplare proveniente dalle marne di Lugagnano. Vive nel mare a grandi profondità e specialmente nell’Oceano atlantico. 92 M. MALAGOLI Genere Bolivina D’Orbigny. 27. Bolivina punctata D’Orbigny. Bolivina punctata D’Orb , 1839, Foram. Amér. Mérid., p. 61, t. Vili, fig. 10-12. » antiqua D’Orb., 1846, Foram. foss. Vien., p. 240, t. XIV, fig. 11-13. » punctata Brady, 1884. Foram. Chall., p. 417, t. LII, fig. 18-19. Questa specie cosmopolita è comunissima nelle marne di Lu- gagnano. In quelle di Castellarquato è molto meno frequente. L’ho trovata comunissima anche nelle marne plioceniche del Reggiano, e precisamente a Coderoggio, dove trovasi associata colla Bolivina dilatata Reuss. Vive anche attualmente nel mare a varie profon- dità, ma predilige i letti più profondi. Genere Lagena Walker et Boys. 28. Lagena crenata Parker et Jones. L a gena crenata Parker et Jones 1865, Phil. Trans., voi. CIV, p. 420, t. XVIH, fig. 4 a, b. » » Brady, 1884, Foram. Chall., p. 467, t. LVII, fig. 15-21. Questa bellissima specie, tanto frequente nelle marne di Ca- stellarquato, è veramente caratteristica per la sua forma ad orciuolo, pianeggiante nella sua parte inferiore e munita alla periferia della base di piccole pieghe longitudinali che ne adornano l’aspetto. Co- desta forma è poco diffusa altrove allo stato fossile. Rinviensi di rado negli oceani a grandi profondità ed anche in vicinanza delle coste. Genere Nodosaria Lamark. 29. Nodosaria radicala Limnaeus. Nodosaria radicula D’Orb., 1826, Ann. Se. Nat., voi. VII, p. 252 n. 3. » » Brady, 1884, Foram. Chall., p. 495, t. LXI, fig. 28-31. FORAMINIFERI PLIOCENICI ECC. 93 Un solo esemplare nelle marne di Castellarquato. Questa specie rinviensi altresì nel miocene del Modenese. Vive nel mare a di- verse profondità. 30. Noclosaria scalaris Batsch. No dosarla longicauda D’Orb., 1826, Ann. Se. Nat., voi. VII, p. 254, n. 28. » il Silvestri, 1872, Nodos. foss. e viv. d'Ital., p. 58, t- V, fig. 102-127. » scalaris Brady, 1884, Foravi. Chall., p. 510, t. LXIII, fig. 28-31. Piccoli esemplari di questa specie, si trovano nelle marne di Castellarquato e in quelle di Lugagnano. Trovansi pure nel plio- cene del Modenese e del Reggiano. Vive attualmente nei nostri mari a piccole profondità. 31. Noclosaria semen Doderleiu. Nodosaria s e in e n Malagoli. 1888, Atti Soc. Nat. di Modena, voi. VII, p. 1, t. I, fig. 1-2. Questa specie comunissima nei terreni pliocenici del Modenese e del Reggiano, si avvicina, per alcune particolarità morfologiche, alla Noclosaria raphanus di Linneo ( Nautilus raphanus Limnaeus), ma ne differisce pel numero e per lo sviluppo delle coste, non che per la forma delle concamerazioni. Nella Nodosaria raphanus le coste sono in minor numero e più sviluppate e le logge meno glo- bose. Si rilevano inoltre altre differenze nella forma della bocca e nello sviluppo delle logge iniziali. Proviene dalle marne di Castel- larquato. Non si conosce vivente. 32. Nodosaria vertebrali Batsch. Nautilus (Orthoceras) vertebralis Batsch, 1791 , Conchyt. des Seesandes, p. 3, n. 6, t. II, fig. 6 a, b. Nodosaria vertebralis Brady, 1884, Foram. Chall., p. 514, t LXIII, fig. 35; t. LXIV, fig. 11-14. Questa specie è stata raccolta a Castellarquato dal prof. Do- derlein. Sono diversi esemplari bene conservati i quali presentano 94 M. MALAGOLI molta somiglianza colla Nodosaria acicula di Lamarb. Vive anche attualmente a mediocri profondità. 33. Nodosaria laevigata D’Orbigny. Glandulina laevigata D’Orb., 1846, Foram. foss. Vien., p. 29, t. I, fig. 4-5. Nodosaria laevigata Brady, 1884, Foram. diali., p. 490, t. LXI, fig. 17-22. Specie non molto frequente, nelle marne di Castellarquato. L'ho trovata in maggior copia nelle marne plioceniche del Mode- nese e nel Reggiano e nel tortoniano di Montebaranzone. È una specie cosmopolita che vive nel mare a diverse profondità. Genere Frondiculai-ia Defrance. 34. Frondicularia alata D’Orbigny. Frondicularia alata D’Orb., 1876, Ann. Se. Nat., voi. VII, p. 256, n. 2. » » Brady, 1884, Foram. diali., p. 522, t. LXV, fig. 20-23. Specie raccolta dal prof. Doderlein nelle marne di Castellar- quato. Trovasi anche nel tortoniano di Montegibio. Vive tuttora nel mare a grandi profondità. Genere Cristellaria Lamarb. 35. Cristellaria rotulata Lamarb. R obuli n a simplex D’Orb., 1846, Foram. Foss. Vien, p. 102, t. IV, fig. 27-28. Cristellaria rotulata Brady, 1884, Foram. diali., p- 547, t. LXIX. fig. 15 a, b. Trovasi nelle marne di Lugagnano, dove si rinviene di rado. Esiste altresì nelle marne tortoniane di Montegibio e vive tuttora nel mare a grandi profondità. FORAMINIFERI PLIOCENICI ECC. 95 36. Cristellaria cultrata Montfort. Robulina cult rata D’Orb., 1846, Foram. foss., Vien., p. 96, t. IV, fig. 10-13. » s i m i 1 i s D’Orb., id. id., p. 98, t. IV, fig. 14-15. Cristellaria cultrata Brady, 1884, Foram. Chall., p. 550, t. LXX, fig. 4-6. Comune a Castellarquato, dove è stata raccolta dal prof. Do- derlein. Questa specie trovasi pure in altri depositi pliocenici e miocenici e segnatamente nel Modenese e nel Reggiano. Vive tut- tora nel mare a mediocri profondità non molto lontano dalle coste. 37. Cristellaria inornata D’Orbigny. Cristellaria inornata D’Orb., 1846, Foram. foss. Vien., p. 102, t. IVj fig. 25-26. Riferisco a questa specie un esemplare raccolto a Castellar- quato dal prof. Doderlein. Esso presenta tutti i caratteri del tipo. Trovasi più di frequente nel miocene, a Montegibio e a Monteba- ranzone nel Modenese. 38. Cristellaria cassis Fichtel et Moli. Cristellaria cassis D’Orb., 1826, Ann. Se. Nat., voi. VII, p. 290, n. 3. i » D’Orb., Foram. foss. Vien., p. 91, t. IV, fig. 4-7. » » Brady, 1884, Foram. Chall., p. 552, t. LXVIII. fig. 10. Questa specie è stata raccolta dal prof. Doderlein a Castel- larquato, dove, a giudicare dal numero degli esemplari, sarebbe comune. Questa specie è molto frequente nei depositi terziari, plio- cenici e miocenici delle provincie limitrofe e segnatamente del Modenese e del Reggiano. È comune nell’Adriatico e nel Medi- terraneo, ove si trova a piccole profondità. 96 M. MA.LAGOLI Genere lr'olj^niorph.ina D’Orbigny. 39. Polymorphina gibba d’Orbigny. Globulina gibba D’Orb., 1846, Foram.foss. Vien., p. 227, t. XIII, fig. 13-14. Polymorphina gibba Brady, 1884, Forum. Oliali., p 561, t. LXXI, fig. 12 a, b. Comune nelle marne di Castellarquato e in quelle di Luga- gnano. Trovasi pure nel tortoniano di Montegibio e di Monteba- ranzone. Vive anche attualmente a grandi profondità marine e più di rado nei bassi fondi. 40. Polymorphina ovata D’Orbigny. Polymorphina ovata D’Orb., 1846, Foram foss. Viari., p. 233, t, XIII, fig. 1-3. » » Brady, 1884, Foram. Chall., p. 564, t. LXXII, fig. 7-8. Pochi esemplari nelle marne di Castellarquato. Vive anche attualmente a mediocri profondità. 41. Polymorphina problema D’Orbigny. G u 1 1 u 1 i n a problema D’Orb., Foram.foss. Vien., p. 224, t. XII, fig. 26-28. » austriaca D’Orb., id. id., p. 223, t. XII, fig. 23-25. Polymorphina p r o b 1 e m a Brady, 1884, Foram. Chall., p 568, t. LXXII, fig. 1. Specie comune a Castellarquato e a Lugagnano, nelle marne. Trovasi anche vivente a piccole profondità marine. 42. Polymorphina communio D'Orbignv. Guttulina communis D’Orb , 1846, Foram. foss. Vien., p. 224, t. XIII fig. 6-8. P o 1 y m o r p h i n a com m u n i s Brady, 1884 , Foram. Chall., p. 578, t. LXXII, fig. 13. Questa specie è molto affine alla precedente, ma se ne di- stingue per la sua forma triangolare e per una maggiore simme- FORAMI NIFE RI PLIOCENICI ECC. 97 tria nella disposizione delle logge, le quali inoltre sono meno glo- bose che nella specie precedente. Il Reuss ritiene che la Polymor- phina communis sia una varietà della Polymorplnina problema. La presente specie è comunissima a Castellarquato e meno fre- quente a Lugagnano. Trovasi pure in altre località ed anche nel miocene. Vive attualmente nel mare a mediocri profondità. Genere ULviger* ina D’Orbigny. 43. Uvigerina pygmaea D’Orbigny. Uvigerina pygmaea D’Orb., 1846, Foram. Foss. Vien., p. 190, t. XI, fig. 25-26. » >’ Brady, 1884, Foram. Chall., p. 575, t. LXXIV, fig. 11-12. Un solo esemplare nelle marne di Castellarquato. Trovasi però non di rado in altri depositi terziari, come per esempio nel plio- cene del Modenese e del Reggiano e nel tortoniano di Montegibio. Trovasi pure vivente negli oceani, e a diverse profondità, nelle zone littorali. Genere Grlobigerina D’Orbigny. 44. Globigerina bulloides D’Orbigny. Globigerina bulloides D’Orb., 1846, Foram. foss. Vien., p. 163, t. IX, fig. 4-6. « » Brady, 1884, Foram. Chall., p. 598, t. LXXIX, fig. 3-7. Specie comune nelle marne e nelle sabbie di Castellarquato e di Lugagnano. Questa specie cosmopolita, vive tuttora nei nostri mari e negli oceani. Le sabbie marine littorali ne contengono in gran coppia. 45. Globigerina regularis d’Orbigny. G 1 o b i g e ri n a regularis D’Orb., 1846, Foram. foss. Vien., p. 162, t. IX, fig. 1-3. 7 98 M MALAGOLI Pochi esemplari nelle marne di Castellarquato. Questa specie rinviensi più di frequente nel pliocene e nel miocene di altre località. Non si conosce vivente. 46. Globigerina triloba Reuss. Globigerina triloba Reuss, 18491 Denkschr. d. k. Akad. Wiss. Wien, ' voi. I, p. 374, XLYII, fig. 2. n n Brady, 1884, Foram. Chall., p. 595, t. LXXXI, fig. 2-3. Non ne ho trovato che pochi esemplari nelle marne di Lu- gagnano. È tuttora vivente e trovasi sempre associata alla Globi- gerina bulloides. 47. Globigerina bilobata D’Orbigny. Globigerina bilobata D’Orb., 1846, Foram. foss. Vien., p. 164, t. IX’ fig. 11-14. Un solo esemplare nelle marne di Castellarquato. Questa specie è considerata dal Brady come la riunione di due individui della comunissima Orbulina universa. Trovasi fossile in altre località e vive tuttora nel mare insieme all’ Orbulina universa. Genere Orbulina D’Orbigny. 48. Orbulina universa D’Orbigny. Orbulina universa D’Orb., 1846, Foram. foss. Vien., p. 22, 1. 1, fig 1. » » Brady, 1884, Foram. Chall., p. 608, t. LXXXI, fig. 8-9. Specie comune tanto nelle marne quanto nelle sabbie gialle di Castellarquato. Questa specie cosmopolita, tanto frequente allo stato fossile nei terreni terziari, vive tuttora nei nostri mari a di- verse profondità. Nelle sabbie littorali dell’Adriatico e del Medi- terraneo si trova in abbondanza. FORAMINIFERI PLIOCENICI ECC. 99 Genere Sphaeroidina D'Orbigny. 49. Sphaeroidina bulloides D’Orbigny. Sphaeroidina austriaca D’Orb., 1846, Foram. foss. Vieti., p. 284, t. XX, fig. 19-21. » bulloicles Brady , 1884, Foram. Oliali., p. 620, t. LXXXIV, fig. 1-7. Di questa specie, tanto comune nei terreni terziari, ne ho trovato un solo esemplare nelle marne di Lugagnano. Vive anche attualmente a varie profondità marine. Genere Discovlbina Parker et Jones. 50. Discorbina rosacea D’Orbigny. Asterigerina planorbis D’Orb., 1846, Foram. foss. Vieti., p. 205, t. XI, fig. 1-3. Discorbina rosacea Brady, 1884, Foram. Oliali., p. 644, t. LXXXVII, fig. 1-4. Questa bellissima e caratteristica specie, è comunissima nelle marne di Lugagnano; in quelle di Castellarquato non mi è riu- scito di trovarne fin’ ora neppure un esemplare. È una specie che vive anche- attualmente negli oceani e trovasi più di frequente a grandi profondità. Genere Planorbalina D’Orbigny. 51. Planorbulina mediterranensis D’Orbigny. Pian orb u li n a mediterranensis D’Orb., 1846, Foram. foss. Vieti., p. 166, t. IX, fig. 15-17. ” » Brady, 1884, Foram. Oliali., p. 656, t. XCII, fig. 1-3. Questa specie, che ho rinvenuto soltanto nelle marne di Lu- gagnano, è molto rara. Due soli esemplari minutissimi ho potuto 100 M. MALAGOLI scegliere dal residuo di lavaggio delle predette marne. Vive autual- mente nel Mediterraneo e nell’Atlantico, a mediocri profondità. Genere Trimcatulina D'Orbigny. 52. Truncatulìna lobatula D’Orbigny. Trnncatulina lobatula D’Orb., 1846, Foram. foss. Vien., p. 168, t, IX, fig. 18-73. » » Brady, 1884, Foram. diali., p. 660, t. XCII, fig. 10. Questa specie trovasi comunemente tanto nelle marne di Ca- stellarquato, quanto in quelle di Lugagnano. E una specie che s’incontra di frequente nei terreni terziari e che vive anche oggidì nei bassi fondi marini e a maggiori profondità negli oceani. 53. Truncatulìna Duternplei D’Orbigny. Rotalina Duternplei D’Orb., 1846, Foram. foss. Vien., p. 157, t. Vili, fig. 19-21. Truncatulina Duternplei D’Orb., 1884, Foram. Chall., p. 665, t. XCV, fig. 5 a, b, c. Specie comune nelle marne di Lugagnano. L’bo trovata pure in alcuni strati miocenici di Paullo nel Modenese e nei depositi miocenici o pliocenici di altre località. Vive anche tuttora negli oceani, a grandi profondità. Genere Anomalina Parker et Jones. 54. Anomalina rotula D’Orbigny. Anomalina rotula D’Orb., 1846, Foram. foss. Vien., p. 172, t. X, fig. 10-12. Un solo esemplare nelle marne di Castellarquato. Questa specie però è comune in altri depositi terziari d’Italia. Io l’ho trovata di frequente nel Modenese e nel Reggiano, tanto nel pliocene quanto nel miocene. Non si conosce vivente. FORAMINIFERI PLIOCENICI F.CC. 101 Genere IPixlvinulina Parker et Jones. 55. Pulvinulina auricula Ficktel et Moli. Pulvinulina auricula Parker et Jones, 1865, Pini. Trans., voi. CLV, p. 393. » » Brady, 1884, Foram. Citali, p. 688, t. CYI, fig. 5 a, b, c. Questa specie, molto comune nelle marne di Castellarquato, trovasi anche in quelle di Lugagnano; ma in minor quantità. Vive tuttora nel Mediterraneo e nell’Atlantico; abita di preferenza le zone littorali, ma trovasi talvolta a maggiori profondità lontano dalle coste. Genere Rotai ia Lamark. 56. Rotedia Beccarli Limnaeus. R o t a 1 i a Beccarii Terrigi, 1880, Atti dell’Accad. Pontif., anno XXXIII, p. 208, t. Ili, fig. 62; t. IV", fig. 63-66. » » Brady, 1884, Foram. Citali. , p. 704, t. CVII, fig. 2-3. Specie comunissima nelle sabbie gialle di Castellarquato ; rin- viensi pure, ma con minore frequenza, nelle marne della stessa località e in quelle di Lugagnano. È frequentissima nei depositi terziari, e trovasi vivente in quasi tutte le zone littorali dei mari temperati. Genere Nonionina D’Orbigny. 57. Nonionina umbilicatula Montagli. Nonionina Soldani D’Orb., 1846, Foram. foss. Wien., p. 109, t. V, fig. 15-16. » umbilicatula Brady, 1884, Foram. Chall., p. 729, t, CIX, fig. 8-9. Pochi esemplari nelle marne di Castellarquato. Questa specie, trovasi fossile dall’eocene in poi. Vive anche attualmente nel Me- diterraneo, nel Mar rosso e negli oceani. Si può quindi conside- rare come una specie cosmopolita. 102 M. MALAGOLI 58. Nonionina boueana D’Orbigny. Nonionina boueana D’Orb., 1846, Foram. foss. Vieti., p. 108, t. V, fig. 11-12. w » Brady, 1884, Foram. Chall., p. 729, t. CIX, fig. 12-13. Specie comunissima nelle marne di Castellarqnato ; la quale, unitamente alla Pulvinulina auricula e alla Poly stornella crispa, costituisce la maggior parte dei foraminiferi raccolti. Trovasi fos- sile dal miocene in poi, e vive tuttora nel mare a piccoìe pro- fondità. 59. Nonionina communio D’Orbigny. Nonionina c'ommiinis D’Orb., 1846, Foram. foss. Vieti., p. 108, t. Y, fig. 7, 8. » boueana Reuss, 1864, Sitzungb. d. k. Ak. Wiss.Wien, voi. L, p. 479, n. 5. Questa specie, trovata nelle marne di Lugagnano, in alto, è considerata dal Reuss come riferibile alla precedente, e ritiene il nome di Nonionina communis , come sinonimo della Nonionina boueana. Il JBrady la considera come una semplice varietà di que- st’ultima. Vive anche attualmente a varie profondità marine e tro- vasi associata colla Nonionina boueana. Genere IPoJystoiiiella Lamark. 60. Polystomella crispa Limnaeus. Polis tornella crispa D’Orb., 1846, Foram. foss. Vieti., p. 125, t. VI, fig. 9-14. '» » Brady, 1884, Foram. Chall., p. 736, t. CX, fig. 6, 7. Specie frequentissima nelle marne e nelle sabbie di Castel- larquato e di Lugagnano. Trovasi pure assai di frequente nei ter- reni terziari d’Italia,- e segnatamente nei depositi marnosi ed are- nacei. È una specie cosmopolita che vive a varie profondità ma- rine. FORAMINIFERI PLIOCENICI ECC. 103 III. Dalla precedente rassegna dei Foraminiferi fossili di Castel- larquato e di Lugagnano, si può facilmente rilevare quanto mi- nore sia il numero delle specie comuni a queste due località in confronto col numero totale delle specie rinvenute. Le specie comuni, tanto nelle marne di Castellarquato, quanto in quelle di Lugagnano, sono le seguenti: B ilo ottima ringens , Bolivina ■ punctata > Polijmorphina communio, Truncatulina lobatula , Ro- talia Beccarii e Polystomella crispa. Le quali specie o sono co- smopolite, o vivono nel mare a medie profondità. Alcune altre specie sono state trovate soltanto a Lugagnano e così : Cornuspira foliacea, Bulimina elongata , Cristellaria rotulata , Spaeroidina bvlloides , Liscorbina rosacea J Truncatulina Dutemplei, Planor- bulina mediterranensis e Nonionina communis. Tutte specie, co- deste, le quali vivono attualmente nei mari a profondità che supe- rano i 500 metri. Tutti gli altri foraminiferi, sono stati rinvenuti soltanto a Castellarquato e le loro forme sono tutte da riferirsi a quelle che vivono tuttora nel mare a mediocri profondità e di preferenza nelle zone littorali. Si può quindi ritenere che le marne di Castellarquato si siano depositate in un seno di mare poco pro- fondo, mentre quelle di Lugagnano si sarebbero depositate a mag- giori prorondità, ma non molto distante dalle coste. Le sabbie gialle di Castellarquato e di Lugagnano, sarebbero i rappresentanti dell’antica zona littorale a poca distanza dalla quale si deposita- rono le marne. La natura stessa della roccia e la presenza degli Ostracodi, dei Briozoi, delle placche e spine di echinodermi, non che di piccoli molluschi, depongono in favore di codesta ipotesi. M. Malagoll La Società geologica italiana tiene due adunanze ordinarie all’anno ; l’una invernale nella città dove ha sede il Presidente, l’altra estiva in luogo da de- stinarsi anno per anno. Per far parte della Società occorre esser presentato da due soci in una adunanza ordinaria, e pagare una tassa annua di L. 15, e una tassa d’entrata di L. 5. La tassa annua può esser sostituita dal pagamento di L. 200 per una sola volta. I versamenti si fanno al socio cav. ing. Augusto Statuti, via dell’Anima 17, Poma. Ogni socio all’atto dell’ammissione si obbliga di restare nella Società per tre anni, al cessare dei quali l’impegno s’intende rinnovato di anno in anno, se non venga denunziato tre mesi prima della scadenza. I soci hanno diritto al Bollettino che periodicamente si stampa in fascicoli. Nel bollettino si pubblicano le memorie presentate ed accettate nelle Adunanze o dalla Presidenza, insieme all’elenco dei soci, ai bilanci e ai reso- conti delle adunanze generali e delle escursioni. Le memorie che non vengono presentate in Adunanza generale, saranno inviate alla Presidenza, e per essa al Segretario. L’Autore di una memoria fornita di tavole, se per la esecuzione di queste domanda un sussidio alla Società, deve lasciare a questa la cura di farle ese- guire, o almeno mettersi in pieno accordo colla Presidenza. Agli autori si danno 50 copie dell’estratto. Per le successive 50 il -prezzo a carico dell’autore è in ragione di L. 6 per ogni foglio di pag. 16, e L. 3 per ogni mezzo foglio o frazione di mezzo foglio. I volumi arretrati del bollettino si vendono al prezzo di L. 20 runo, meno il voi. IV (1885) che si vende L. 30. Ai librai è accordato uno sconto da convenirsi. — Ai soli Soci che desiderano completare la collezione sono accordati i volumi arretrati al prezzo di L. 10 l’uno indistintamente. — Per l’acquisto, diriggere lettere e vaglia al socio cav. ing. Augusto Statuti, Via dell’ Anima 17, Poma. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE FASCICOLO. Elenco dei Presidenti della Società geologica italiana dal ISSI in poi Pag. 3 Ufficio di 'presidenza pel 1892 « » Soci perpetui » 4 Elenco dei Soci ordinari per Vanno 1892 » 5 Commissione per le pubblicazioni » 13 Commissione del bilancio pel 1892 « ». Commissione per l’esame dei manoscritti inviati pel con- corso al premio Molon » » Resoconto dell’ Adunanza generale jemale della Società geo- logica italiana tenuta a Padova il giorno 21 aprile 1892 » 15 M. Baratta. Il terremoto laziale del 22 gennaio 1892 (con 1 tav.) » 36 A. Verri. Alcune osservazioni sui tufi da costruzione della campagna di Roma » 63 V. Simonelli. Sopra le affinità zoologiche della Roth- pletzia Rudista Sim » 76 M. Malagoli. Foraminiferi pliocenici di Castellar guato e Lug ugnano nella provincia di Piacenza . ...» 81 Anno XI. Fascicolo 2' BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. XI. — 1892. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 4893 SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA MENTE ET MALLEO Ufficio di Presidenza per l’anno 1892. Presidente Prof. comm. Giovanni Omboni Vìe e-Pre siderite Prof. cav. ir turo Issel Segretario Prof. ing. Romolo Meli Dott. Arturo nob. Negri Dott. Luigi Schopen Tesoriere Avv. comm. Tommaso Tittoni Dep. al Parlamento Nazionale. Vice-Tesoriere Ing. cav. Augusto Statuti jAreliivista Prof. dott. Giuseppe Tuccimei Ing. Angelo Alessandri Prof. Francesco Bassani Prof. cav. Igino Cocchi Ing. Emilio Cortese Cav. Enrico De Nicolis. Dott. Giovanni Di Stefano Dott. Lodovico Foresti Dott. cav. Carlo Fornasini Dott. Giuseppe ab. Mazzetti Cav. ing. Lucio Mazzuoli Comm. ing. Niccolò Pellati Conte comm. Giuseppe Scar abelli Senatore del Regno Viee-Segretari G ousiglieri Commissione per le pubblicazioni. Prof. cav. A. D’Achiardi Prof, comin. Giorgio Gemmella.ro Conte comm. G. Scarabelli Gommi-Plamini. Sede della Società — Roma - Via S. Susanna, 1 A, presso il Museo Agrario CURSUS SPELAEUS NEI DINTORNI DI ROMA Mentre nei depositi quaternari della provincia di Roma alcuni mammiferi sono molto abbondanti, altri si fanno rimarcare per la loro rarità : l’orso è fra quelle specie i cui resti si rinvengono più raramente. Il primo a farne parola sembra essere il Pianciani (') che fra le ossa raccolte a Magognano trovò « un canino mutilato con parte « d’una rispettabil mascella appartenente probabilmente a qualche « specie di Orso ». Il Ponzi nel 1846 alla riunione degli scienziati italiani in Genova, presentò una Memoria : Sulle ossa fossili della campagna Romana (2), in cui è registrato un canino ed un osso del metacarpo di Ursus provenienti dalle sabbie del Tevere a Ponte Molle, col- l'avvertenza che questi resti sono insufficienti a determinare la specie. Il Ceselli asserisce che egli verso la fine del 1846 trovò a Ponte Mammolo un omero di Ursus spelaeus con selci tagliate ma molto rotolate (3), e tiene a far sapere che nell’anno 1853 lesse all’Acca- demia dei Quiriti « una Memoria sopra il ritrovamento di ossa e “ denti di alcuni carnivori e specialmente dell’ Ursus speloeus e della “ Hyaena speloea e selci nella breccia quaternaria della Campagna 0) Pianciani G. B., Delle ossa fossili di Magognano nel territorio di Viterbo. Bologna 1817, pag. 6. (2) Ponzi G., Sulle ossa fossili della Campagna Romana. Atti dell’VIIP riunione degli scienziati italiani tenutasi in Genova nel 1846. Genova 1847, pag. 681. (3) Ceselli L., Stromenti in silice della prima epoca della pietra della Campagna Romana. Lettera al prof. Luigi Pigorini. Roma 1866, pag. 4. 8 106 E. CLERICI « Romana » senza precisare quindi nè la qualità delle ossa trovate, nè la località (!). Nel 1865 il dott. Bleicher pubblicò nel Bulletin de la Société d’histoire naturelle de Colmar il suo primo scritto sulla Campagna Romana, ed in esso dice che le sue ricerche gli permettono di se- gnalare delle specie che fin allora non erano state indicate nei ter- reni di trasporto e che fra queste specie si trova l’orso, probabilmente delle caverne, di cui non ne ha che un femore perfettamente carat- teristico (2). Poche pagine dopo ripete che i carnivori non sono rap- presentati da alcun’ altra specie che 1’ Ursus spelaeus. Nello stesso Bollettino è inserita anche, un'altra Memoria del Bleicher: Recherches géologiques faites dans les emiro-m de Rome. A pag. 28 dell’estratto, nella fauna dell’epoca quaternaria è compreso 1’ Ursus spelaeus , ma senza indicazione di località. Nel quadro della fauna più recente è riportato l’ Ursus ; ma l’autore avverte che tale elenco è ricavato dalla Memoria del Ponzi avente per titolo: Dell’ Aniene e dei suoi relitti. Il Ponzi anche in altri lavori, oltre quello precedentemente citato, fa semplice menzione dell’orso. Nel catalogo dei fossili estratti dal travertino rosso delle Caprine presso Tivoli pone l’ Ursus senza ulteriore specificazione (3) ; ma nella Cronaca subappennina l’orso non è più compreso fra i fossili rinvenuti alle Caprine. Al- l’elenco di quelli provenienti dalle brecce alluvionali del Tevere al Ponte Milvio leggesi soltanto : « Ursus ? •» e all" elenco dei fossili delle breccie dell’ Aniene al Monte Sacro : « Ursus spelaeus » (4). (>) Ceselli L., Str omenti in silice ecc., Ivlern. cit., pag. 6. In appendice a questa lettera è riportato un documento estratto dagli Atti dell’Àccademia dei Quiriti relativo alla lettura dall’A. fatta nel 1853, e ciò evidentemente per meglio contrastare al Bleicher la priorità d’aver trovato selci tagliate e resti d’orso nella Campagna di Roma. (2) Bleicher, Essai d'une monographie géologique du Mont Sacré. Quel- ques mots sur V ancienneté de l'homme dans la vallèe de l'Anio. Bull, de la soc. d’hist. nat. de Colmar. Colmar 1865, pag. 150. (3) Ponzi G., Dell' Aniene e dei suoi relitti. Atti della Acc. pont. dei Nuovi Lincei, anno XY, sess. del 4 maggio 1862. Roma 1862, pag. 18, estr. (4) Ponzi G., Cronaca subappennina o abbozzo d'un quadro generale del periodo glaciale. Atti del XI0 congresso degli scienziati italiani tenutosi in Roma nell’ottobre 1873. Roma 1875, pag. 55 e 56. l’ URSUS SPELAEUS NEI DINTORNI DI ROMA 107 Nella Memoria : Le ossa fossili subaperìnine dei contorni di Roma , il Ponzi nella fauna chiamata terziaria pre-glaciale al n. 23 pone : « Ursus spelaeus Blum. — Un mezzo omero ben conservato - di un vecchio individuo e di colossale statura. — Rinvenuto con * resti di elafo in una spelonca della catena sabina presso Poggio « Mojano » (') ; ma nella fauna quaternaria post-glaciale l’orso è taciuto del tutto (2). Però il Mantovani nella sua Descrizione geologica della Campagna Romana (pubblicata vari anni dopo la grande inonda- zione del Tevere che a detta del Ponzi recò tanti danni alle col- lezioni geologiche universitarie) a proposito della fauna alluvionale del Tevere scrive: « n. 12 — Ursus speloeus — Un solo femore pos- « seduto dal prof. Ponzi » (3). Probabilmente il Mantovani è caduto in equivoco circa la località di questo femore perchè nel Museo esisteva ed esiste tuttora un solo frammento di femore, oltre la metà con capo articolare superiore, sul quale è attaccata una vec- chia etichetta colla scritta « Femore di Orso: Monte Sacro — Ponzi « . Quindi nella migliore ipotesi, bisogna supporre che il Ponzi nel redigere quella Memoria se ne sia dimenticato, al pari della menzione già fatta nella Cronaca subappennina. Il Frère Indes fra le ossa da lui raccolte nella caverna al Monte delle Gioie trovò due o tre falangi che con dubbio riferisce all’ Ursus spelaeus (4). Finalmente il prof. Meli in una comunicazione fatta alla So- cietà geologica it. (5) parla di un canino di grosso carnivoro pro- veniente dalle ghiaie di Ponte Molle « che dalle dimensioni del p) Ponzi G., Le ossa fossili subapennine dei contorni di Roma. Atti della R. Acc. dei Lincei. Mem. della CI. di se. fis. mat. e nat., ser. 3a, voi. II. Roma 1878, pag. 731. p) Sull’omero di Poggio Mojano donato al Museo geologico universitario dal sig. Palmegiani il 25 nov. 1877, il Ponzi fece una comunicazione alla R. Accademia dei Lincei nella seduta del 7 aprile 1878. (Transunti, voi. II, Roma 1878, pag. 130). (3) Mantovani P., Descrizione geologica della Campagna Romana. Roma, 1875, pag. 106. (4) Fr. Indes, Paleontologie quaternaire de la campagne romaine. Mat. pour l’hist. primitive et nat. de l’homme, voi. VII, 2° sér. Toulouse 1872. (°) Boll, della Soc. geol. italiana, anno Vili, Roma 1889, pag. 41. 108 E. CLERICI « dente e dalla sua forma deve esser riferito all’ Ursus ( U. spelaeus « Blum.) piuttostochè ad un grosso felino (Felis cfr. leo) ». A questo proposito ricorda il femore del Monte Sacro e l’omero di Poggio Mojano (1). Di fronte a così scarso materiale finora trovato (2) od annun- ziato non sembrerà inopportuno che io dia notizia di due canini trovati nelle ghiaie, ad elementi vulcanici, che si estraggono nella cava esistente sulla via Flaminia oltre il Ponte Molle, dove si diparte la strada che conduce ad Aquatraversa. Ambedue figurano nella collezione del Collège Frangais in Roma. Uno fu trovato nel 1888 ma, siccome mi fu comunicato man- cante della punta che distaccatasi è stata smarrita, ne presi nota soltanto riserbandomi di tenerne conto in una migliore occasione. Questi canini sono molto ben conservati, hanno patito assai poco per il trasporto fra le ghiaie. Uno è l’inferiore sinistro (fig. 1) (* ) A questo omero è ancora attaccata un po’ della ganga o breccia os- sifera che lo conteneva : vi si scorgono ossicini, denti di roditori ed un fram- mento di Helix rotundata. (2) Nel Museo geologico universitario si trova anche un pezzo, pervenu- tovi nel maggio 1878, raccolto nelle ghiaie presso Tor di Quinto, al quale sono annesse due etichette ; nell’una leggesi : « Frammento di occipite forse di «carnivoro», nell’altra: «Cresta occipitale di Ursus spelaeus ». L’ URSUS SPELAEVS NEI DINTORNI DI ROMA 109 l'altro l'inferiore destro (fìg. 2). Questo, che è quello mancante della punta, ha la radice più regolare, mostra alla superficie esterna della corona una specie di solco poco profondo (indicato con S nella figura) in cui lo smalto è un po’ logorato per l’attrito col cor- rispondente canino superiore. Anche l’altro mostra questo partico- lare, ma meno sentitamente, ed ha la radice alquanto rigonfia. Le dimensioni di questi due denti sono: Lunghezza della radice (misurata sul dorso sinistro destro superiore) mm. 63 mm. 65 Massima altezza (misurata normalmente alla lunghezza) » 27 » 32 Spessore * 19 » 20 Altezza della corona (misurata sul lato esterno) » — « 38 Id. id. interno « — » 33 Lunghezza della base della corona. ... ^ 27 » 25,5 Larghezza misurata normalmente alla lungh. » 19,5 » 18,5 Questi denti non possono essere di un grosso felino (per es. Felis leo ) perchè la corona è sprovvista di quei solchi longitudi- nali tanto caratteristici del genere Felis. Le iene non hanno canini inferiori così grossi o per meglio dire con radice così voluminosa; inoltre la corona nel genere Hyaena si va assottigliando meno 110 E. CLERICI. h' URSUS SPELAEUS NEI DINTORNI DI ROMA. sentitamente, è provvista di risalti longitudinali caratteristici ed ha la base meno ampia relativamente all’altezza della corona stessa. In seguito al confronto fatto con canini di Ursus spelaeus d’altre località attribuisco i denti in questione a questa piuttosto che a qualche altra specie di orso. In tutti i paesi i resti di Ursus spelaeus sono generalmente assai rari nelle alluvioni quaternarie; ma molto abbondanti nelle caverne dove se ne trovano ammassate le ossa di centinaia d’indi- vidui a vario grado di sviluppo e di robustezza. Di tali caverne ne sono state trovate tanto nell’Italia settentrionale come nella meridionale quindi se nella Campagna Romana l’orso fossile è tanto raro la causa probabile dev’essere stata la mancanza di caverne atte a dargli conveniente rifugio, posto che le nostre contrade siano già state abbastanza esplorate in modo da render vana la speranza di trovarne. Enrico Clerici. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE SULLA REGIONE COMPRESA FRA I DUE RAMI DEL LAGO DI COMO E LIMITATA A SUD DAI LAGHI DELLA BRIANZA. (con una tavola) Capitolo I. Cenni orografici sulla regione. Relazioni fra la formazione dei suolo e la sua struttura geologica. La regione compresa fra i due rami del lago di Como, col pro- montorio di Bellagio a nord e limitata a sud dai laghi della Brianza, si presenta interessante dal punto di vista geologico per la ben distinta serie dei terreni mesozoici, dalla dolomia triasica agli ul- timi rappresentanti della Creta, non meno che per l’importanza che quivi assumono i terreni quaternari e recenti. Le massime altezze sono rappresentate dal monte S. Primo (1683 m.), monte Palanzone (1435 m.), Corno mediano di Canzo (1372 m.), passando alle successive del monte Croce (1351 m.), monte Bolettone (1317 m.), monte Prasanto (1251 m.); l’altezza media delle vette della regione si può calcolare a 1100 m. sul li- vello marino. Esse ora sono di natura calcarea a dolci declivi ed a dossi arrotondati coperti d’abbondanti pascoli, sparsi di pianori e dai fianchi rivestiti della lussureggiante vegetazione dei castagneti, delle querce e dei faggi ; oppure si rizzano con aspri gioghi e balze scoscese di carattere dolomitico, spoglie di vegetazione. Di questa regione, che si presenta tanto nettamente delimitata a mò di triangolo, risaltano subito allo sguardo dello studioso e del 112 B. CORTI dilettante i forti contrasti delle due sponde, dovuti alla diversa na- tura delle rocce costituenti, bagnate dalle acque del Lario, il cui livello è calcolato a 199 m. su quello del mare e la massima pro- fondità di 414 m., di fronte a Careno. La sponda orientale, per due terzi circa del suo percorso, da Como fino alla punta della Cavagnola, è tutta a vette arrotondate, dagli erbosi declivi lievemente degradanti e dalle selle regolar- mente allineate aprenti il passo da una valle all’ altra. È una ca- tena non interrotta di calcari del Lias inferiore che si segue da Brunate sopra Como, procedendo per S. Maurizio e così di seguito lungo la costa del monte Boletto, Bolettone, del Palanzone, del monte Baol, monte Croce, monte Cipei, monte Cima del Costone, fino alla vetta del S. Primo; ma senza bruschi cambiamenti di paesaggio, lentamente innalzandoci da una colma all’altra, percor- rendo sempre il sommo della montagna. Le selle erbose fanno comunicare i due versanti, nei cui fianchi sono incise le valli, con corrispondenza di simmetria nei loro alli- neamenti da una parte e dall’altra ; si allargano esse, nel loro corso, ricevendo il contributo delle vallecole minori e mettendo nell’as- sieme del paesaggio una nota festosa e pittoresca di piani erbosi, di forre rigogliose, di sfasciumi morenici dai voluminosi erratici precipitanti a valle. Il ghiacciajo poi si è incaricato di togliere alle valli la nudità desolante degli strati, ammantandoli di copioso de- trito e contribuendo così efficacemente alla formazione dei pianori. I coltivi di Molina, Lemna, Palanzo, Zelbio, Yeleso, Erno, Nesso poggiano sul detrito morenico, la cui presenza contribuì non poco alla formazione della torbiera in pendìo di Yeleso di cui parlano l’ Amoretti, lo Stoppani e il Curioni ('). Essa è situata all’altezza circa del piano del Tivano, vale a dire a circa 957 m. « D’ottima qualità è la torba, dice l’ Amoretti, e anche abbon- dante, essendovene uno strato che in qualche luogo ha quattro piedi (‘) Amoretti C., Viaggio da Milano ai tre laghi , Maggiore , di Lu- gano e di Como , e dei monti che li circondano. Milano, 1794 ; 6a ediz. 1822. — Stoppani A., Corso di Geologia. Milano 1873. — Curioni G., Geologia applicata delle provincie lombarde. Milano, 1874, voi. II, pag. 241. OSSERVAZIONI STR ATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECO. 113 di altezza. Misti alla torba vi sono dei grossissimi tronchi di la- rice, i quali sul luogo tagliansi colla vanga come la torba stessa, ma esposti all'aria induriscono. Guardando la posizione del luogo, argomentasi che vi fosse un catino a prato contornato da alture che vi ritenevan le acque, nelle quali si formò la torba, caddero e marcirono i tronchi degli alberi; finché uno sconvolgimento di- strusse il contorno occidentale, rimase asciutto il fondo e divenne prato « . La conformazione stessa però di questa catena di monti e la disposizione degli strati ha contribuito alla formazione dei piani di Nesso e del Tivano non chè dei pianori più piccoli sparsi quà e là lungo questa catena di monti. Riguardo ai piani di Nesso e del Tivano sono assai interes- santi gli imbuti scaricatori, di cui parlano l’Amoretti e il Curioni ('). Scendendo dal monte Palanzone, sopra il versante del piano di Nesso, si osservano alcune aperture naturali, attraverso il cal- care liassico, di vario diametro, e certo di rilevante profondità. Mi ricordo che passando anni sono nel mese di febbraio, dopo un’abbondante nevicata, attraverso i monti di Pognana, sotto il piano del monte Bool (1405 m.), rimasi colpito alla vista di alcune pianticelle di verdi felci e di carpini prosperose in mezzo allo squal- lore nivale e al freddo pungentissimo. Crescevano sul margine di una grotticella di poco più di m. 0,50 di diametro d’apertura. Un’aria tepida usciva a sbuffi dal suo interno, facendo oscil- lare le frondi dei giovani arbusti. A quali profondità arriva quella voragine? S’arresta essa, op- pure è in comunicazione colle acque del lago? Ecco dei problemi che attendono una soluzione. Il piano di Nesso acquitrinoso e facilmente allagabile dopo copiose pioggie, oltre allo avere uno scaricatore naturale nella valle Marina, che si congiunge alla valle Giurata, presenta due piccoli imbuti che si aprono a fior del suolo, situati a destra e a sinistra del piano per chi scende dal monte Palanzone, intorno ai quali, (*) (*) Amoretti C., op. cit., pag. 343. — Curioni G., op. cit., voi. I, pa- gine 371-372. 114 B. CORTI dopo diuturne pioggie, si produce l’afflusso delle acque precipitanti nelle profondità degli strati. Poco oltre, il pian Tivano, situato a sud del S. Primo, e con un’estensione di circa un chilometro quadrato, ha uno scaricatore nella voragine, detta il Buco della Niccolina , posto a sud-ovest di esso. Dice il Curioni della opinione di alcuni che le acque scari- cantisi per esso, vadano a finire al di sotto del livello del lago, e di quella d’altri, i quali asseriscono, che in occasione, di grandi pioggie, le acque sboccano da una grotta che si osserva sopra il ponte della strada presso Careno. Io sono d’avviso, e molti del comune di Nesso lo sono pure, che il vero scaricatore del Buco della Niccolina si trovi sulla sponda destra della valle di Nosée sopra Nesso, rappresentato da una ca- verna, alta dai 40 ai 50 m. sul fondo della valle, dalla quale scaturisce, corrispondentemente all’ allagamento del pian del Tivano, un corpo d’acque limacciose, come quelle che hanno subito un lungo trasporto attraverso le profondità degli strati. Un secondo scaricatore del pian Tivano è un piccolo imbuto situato a breve distanza dal primo, at- traverso il quale s’ingolfano pure le acque. Secondo Y Amoretti si osservano altre voragini a Bianca monda sopra Zelbio e a Profondà sopra Blevio presso Como; a queste io ne aggiungo un’altra che si trova all’Alpe della Freggia (1139 m.) sopra il pian di Nesso. Caratteristica è la grotta della Pliniana prima di Torno, allo sbocco della valle del Colorò, descritta da Plinio Secondo e che gode del fenomeno fisico dell’ intermittenza delle acque. Le falde settentrionali e orientali del monte S. Primo hanno un’aspetto tutto diverso, per il succedere della formazione dolomi- tica ai calcari liasici; da un versante scendono a balze dirupate sopra Lezzeno, e dall’altro sopra Magreglio e Barai; sono scom- parsi i pascoli erbosi e la vegetazione dei castagneti, delle quercie e dei faggi. Le valli scarse di acque incidono profondamente i fianchi dei monti e scendono ripide alla sponda del lago senza ombra di ve- getazione. Quindi è una zona a coltivi, scaglionati in piani degra- danti, che si stende al di sotto delle balze dolomitiche, da Sor- mazzana a Villa di Lezzeno, piantata a frutteti, viti, frumento e OSSERVAZIONI STRATI GRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 115 grano turco, sopra la quale verdeggiano le forre delle quercie e dei castagneti; questo lembo di vegetazione è dovuto alla morena e agli strati marnosi dell’Inffalias. Gli scoscesi Grosgalli dalle creste dentate, coi fianchi spogli di verzura e i ripidi sentieri, incisi nella candida dolomia, mutano ancora la natura del paesaggio, il quale dopo la Villa Bezzana ri- prende la sua nota festosa al riapparire della formazione infralias- sica, che colmando tutto il promontorio di Bellagio, contribuisce ad abbellire la natura ridente e incantevole della regione. È un lusso di vegetazione, una festa di colori, che contrasta fortemente colle scogliere dolomitiche della sponda occidentale, cu- pamente specchiantesi nelle acque del Lario, colle valli profonda- mente incise, povere d’acqua; al riapparire delblnfralias verdeg- giano gli ulivi e i campi di Limonda, Vassena e Onno. La valle del Perlo, la Vallassina e la Valbrona, comprese fra i due lati del triangolo, devono la ricchezza dei loro pascoli e boschi e la copia delle loro acque agli scisti marnosi infraliassici e all’esistenza delle morene. Salendo la valle del Perlo si afferra subito il contrasto delle due sponde dolomitiche incassanti i due lati del torrente a mo’ di ripidi muraglioni, col progressivo allargarsi della valle in corri- spondenza del maggiore sviluppo della formazione infraliassica, e l’estendersi della zona dei pascoli e della zona boschiva sulla sponda destra, da Guello alle falde del monte Grisucio (921 m.) per salire all’Alpe di Pietra Lentina. E difatto molto rimarchevole e degna d’encomio la estesa pian- tagione di pini che il sig. Marchese Trotti va praticando da anni in quei terreni di sua proprietà. La valle del Perlo, nella sua parte superiore, s’allarga sempre più, attraversando il terreno morenico che sulle due sponde è ricco di praterie, cui fanno strano contrasto i nudi pinacoli delle due dolomie. Al di là del R. Dalco incomincia il corso del Lambro at- traverso l’Infralias, formando la Vallassina, che s’arricchisce del contributo delle numerose vallecole d’ambo le sponde, passando da Magreglio, Barni e Lasnigo ; dove riceve il ramo del piccolo Lambro, che scende dal R. Pian di Orezzo sito alle falde nord-est del monte Oriolo. Lungo le due sponde della Vallassina si potrebbe tracciare una 116 B. CORTI linea di demarcazione, la quale limita al basso la zona dei pascoli e dei boschi delllnfralias, e in alto lo sviluppo dei banchi della Dolomia, che fa da cornice al paesaggio. Sopra Lasnigo la morena e gli scisti marnosi arricchiscono le due sponde del piccolo Lambro di ubertosissimi pascoli, coronati da castagneti, quercie e faggi. I terrazzi di Rezzago, Caglio e Sor- mano e l’incisione profonda delle loro valli, che sboccano sulla destra sponda del Lambro, suscitano la meraviglia dell'osservatore per la potenza rilevante del loro sviluppo e della loro estensione, dovuta ad una immensa morena profonda che fermò il suo ma- teriale in quell’ ampia insenatura, colmandola, e sovra essa pote- rono così formarsi i terrazzi dei coltivi e l’ampia distesa dei pascoli di S. Valeria sopra Caglio. Ad Asso la Vallategna, sboccante nel Lambro, attraversa la Valbrona, nel suo corso inferiore accogliendo sulla sua sponda di sinistra le vailette che scendono dai fianchi dei Corni di Canzo, la regione è a pascoli coronati da boschi. Dopo Candalino e Osigo la Valbrona s’allarga, e il detrito morenico copre le due sponde della valle di Caprante, il cui ramo di destra attraversa i fertili prati di C. Oneda, dovuti alla friabilità degli scisti marnosi, che occu- pano tutta la Valbrona. A proposito dei quali giova accennare alla valle dell’Oro, vai delFInferno, di Luera e vai Boa del versante meridionale dei Corni di Canzo che, incidendo i loro strati, scendono nella vai Ritorto, le cui sponde ne sono in parte formate. La fertilità della valle, che s’apre da Civate a Malgrate, è dovuta oltre che alla erodibi- lità dell’Infralias, anche alla copiosa disseminazione morenica. 1 rapporti fra l’orografia della regione e la sua costituzione geologica, quanto al deposito degli strati dell’Infralias inferiore, mi pare si possano riassumere nei quattro punti seguenti: I. La presenza degli strati infraliassici determina l'in- cisione delle valli. IL IL incisione delle selle. III. Essendo impermeabili , fanno da raccoglitori delle acque , determinando la circolazione sotterranea. IV. La gran copia di magnesia in essi contenuta origina le fonti magnesiache. OSSERVAZIONI STRATI GRAFI CHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 117 I. Incisione delle valli. Ne sono esempi evidentissimi nella mia regione, la vai del Perlo, la Vallassina, Valbrona, Yal di Eezzago, valle dell’Oro, dell’Inferno, di Luera, Yal Boa e Val Ritorto. La natura loro di strati marnosi e scistosi aumentò la erodi- bilità più o meno comune a tutte le rocce, favorendo l’abrasione e l’incisione delle valli ; considerando inoltre che sono compresi fra due piani di dolomie, si capisce come solo attraverso ad essi le acque si siano scavato il loro passaggio. II. Incisione delle Selle. Le ragioni di questo fatto sono evidentemente identiche a quelle accennate per l’incisione delle valli, poiché degli strati af- fioranti sono maggiormente soggette ad erosione le testate dei cal- cari marnosi, friabili e scistosi di quelle dei banchi compatti, sub- cristallini di dolomia. Ne sono esempi evidentissimi il passo della Madonna di Ghi- salle sopra Magreglio, della Yal Yarbiga a Barai, del R. Pian di Orezzo fra Lasnigo e Onno e della valle dell’Oro alle pendici del monte Rai. III. Raccoglimento delle acque. Nella mia regione se ne hanno numerosi esempi tanto nella valle del Perlo che in Vallassina e Valbrona; frequenti sono le sor- genti, o meglio le polle di acque, che, anche in periodo di siccità, ci attestano colla loro presenza il fatto di una circolazione sotter- ranea, di cui gli strati marnosi, impermeabili, si sono fatti collettori. IY. Fonti magnesiache e ferruginose. Due sono le fonti di cui è conosciuta l’efficacia: la prima, solfo- ferruginosa a Magreglio ; la seconda, magnesiaco- ferrugi- nosa, detta della Madonna della febbre presso la sorgente del Lambro, molto purgativa per la copia di sale di magnesia. Varie altre fonti di poca importanza solfo- ferruginose si hanno in Yallassina, lascianti una traccia intensamente rugginosa sul loro passaggio. 118 B. CORTI La regione è limitata a sud, come ho detto, dai laghi briantei: di Annone, il quale deve la sua origine probabilmente, secondo il prof. Taramelli (') a sbarramento morenico di una sua continua- zione verso Lecco per la Valmadrera; di Pusiano e di Alserio, separati dal talus posglaciale del Lambro, a nord dei quali s’al- lunga il solitario laghetto del Segnino ; dal lago di Montorfano pure a sbarramento morenico ; e infine dal corso del T. Cosia, che dopo aver ricevuto il contributo delle varie valli dei monti di "Vili’ Al- bese e Tavernerio, scende, profondamente incassato in mezzo agli strati marnosi della Creta, a metter foce nel lago di Como. Questo versante della regione briantea è, senza dubbio, il più fertile e il più ameno, per l'abbondante e rigogliosa vegetazione delle viti, gelsi, frutteti e dei campi a frumento, grano turco e civaie, nonché dei pascoli e dei boschi, dovuta alla estesa dispersione morenica. Non mancano i depositi di torba lungo le sponde del lago di Pusiano. Era molto rinomata, circa quindici anni fa, per la sua esten- sione e l’ottima qualità del materiale. Occupava, secondo il Cu- rioni (2), circa 2000 pertiche metriche; lo spessore del depo- sito superava in alcuni punti i 3 m. si coltivava da circa 40 anni, formando copioso combustibile agli stabilimenti serici dei dintorni, nonché per la lavorazione del ferro, oggi è pressoché esausta. * ■¥• * Devo l’incitamento allo studio di questa regione, al mio maestro prof. Taramelli, il quale mi consigliò la minuta osservazione di dettaglio, specie riguardo ai depositi del quaternario, adottando per i rilievi, le tavolette topografiche dello Stato Maggiore a curve quotate a 25/iooo- In pari tempo mi accennava alla probabilità di qualche mu- tazione, che avrei potuto introdurre nella delimitazione dei vari terreni. ) * I P) Taramelli T., Il Cantori Ticino meridionale ed i paesi finitimi. Berna, 1880, pag. 30. (2) Curioni G., op. cit. voi II., pag. 238, 239. i OSSERVAZIONI STRATI GRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 119 Così incoraggiato a questo studio, feci procedere di pari passo la lettura degli autori illustranti la mia regione, colle osservazioni e le ricerche sul luogo, allo scopo di risolvere i dubbi, accertarmi dei fatti e connetterli fra loro. L’uso delle tavolette topografiche a 25/iooo mi fu di aiuto non lieve, coadiuvato però dal barometro nel calcolo delle altezze. Prima di passare alla descrizione dei singoli terreni, trovo acconcio spendere brevissime parole riguardo agli autori che se ne sono occupati nei loro scritti. E anzitutto giova premettere che nessun autore ha trattato monograficamente di questa regione, la cui colorazione geologica è compresa nel foglio XXIV. Dufour, rilevato dai signori Negri, Sprea- fico e Stoppani e illustrato dal sig. prof. Taramelli nel suo Canton Ticino meridionale ed i paesi finitimi. Lo Stoppani nei suoi Studi geologici e paleontologici sulla Lombardia accenna ai vari terreni della Vallassina e Brianza, e più particolarmente si diffonde a parlare dell’infralias nella sua Memoria: Sulle condizioni generali degli strati ad Avi cui a contorta. La cui fauna illustrò nel volume terzo della: Paleontologie lombarde , con particolare riguardo alle classiche località dell’Az- zarola, di Valmadrera, Luera, Valle dell'Oro, Barai e Guggiate, corredando l’opera con annessi spaccati, fra cui quello dei Corni di Canzo, della Val Varbiga sopra Barai, della Val del Perlo, dei Grosgalli e del M. S. Primo, mentre il Meneghini colla sua : Mo- nographie des fossiles du calcaire rouge ammonitique de Lom- bardie et de V Apennin centrai , constatava splendidamente la lias- sicità di quella fauna. Delle opere dell’Hauer trattanti della costituzione geologica della Lombardia, non trascurai i punti precipui che interessano la mia regione. Del territorio brianteo molto se ne occuparono i fratelli Villa, nelle loro numerose Memorie che ho procurato di consultare. L’Om- boni dettò una descrizione geologica dell’Alta Italia intitolata : Le nostre Alpi e la pianura del Po , nella quale, parlando della Lombardia, tratta dei terreni affioranti nella mia regione. Del si- stema glaciale del lago di Como e dello sviluppo delle sue mo- rene tratta nella Memoria : / ghiacciai antichi e il terreno erra- 120 B. CORTI tico in Lombardia , mentre lo Stoppani sviluppa i suoi concetti sul carattere marino dell’anfiteatro morenico del lago di Como nel- 1’ Era neozoica. Ulteriori dettagli intorno ai terreni di questa regione ce li ha fomiti il Curioni nella sua : Geologia applicata delle provinole lombarde , dove, alle notizie desunte dallo Stoppani, Hauer, Amo- retti, Villa e Omboni, altre ne aggiunge di sue. Anche il Parona nelle : Note paleontologiche sul lias infe- riore nelle prealpi lombarde , accenna allo sviluppo di questo piano sulle sponde orientali e occidentali del lago di Como. fy ' O Importante è lo studio del dott. A. Tommasi: Alcune osser- vazioni stratigrafiche sui Corni di Causo , di cui mi sono valso come guida nei criteri delle mie osservazioni. Da ultimo lo Stur (') s’occupò degli strati cretacei di Me- rone, Masnaga, Rogeno ecc. in Brianza. Descrizione delle formazioni affioranti nell’ area della regione. Capitolo II. I Gessi di Limonta e la Dolomia principiale a Megalodon Gùmbelii. I rappresentanti dei più antichi terreni della zona sono costi- tuiti dai gessi di Limonta immediatamente sottoposti alla Haupt- Dolomite senza traccia alcuna di marne, arenarie o calcari lastri- formi. Questo passaggio repentino si rileva con chiarezza lungo la strada mulattiera, che da S. Vito conduce a Limonta, poiché dopo i calcari compatti cerulei infraliassici di Visgnola si incontra la potente formazione dolomitica all’angolo della vallecola sopra la f1) Stur. D,, Eine fluchtige, die Inoceramen SchichLen des Wiener Sand- steins belreffende Studienreiss nach Italien. (Jahrbuch) der Kaiserlich-KOni- glichen geologischen Reichsanstalt. 1889. Wien, XXXIX. Band. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 121 Madonna del Moletto e subito dopo per il tratto di circa 330 m. affiorano i gessi a strati piegati a sinclinale, su una media di 40 m. d’altezza sul livello del lago; le cave aperte per la escavazione del materiale sono quattro, di cui sole due attualmente in atti- vità; il profitto è mediocre. La Dolomia principale che costituisce l’ultimo membro del Trias superiore e parte precipua nell’ossatura gigantesca della ca- tena di monti della sponda orientale del lago di Lecco, fu dallo Stoppani, nei suoi studi prima, e nella Rivista geologica della Lom- bardia poi, seguita nel suo sviluppo e nei suoi rapporti cogli altri strati. Gran merito inoltre dell'illustre geologo fu di separare netta- mente questa formazione dalla dolomia dell’Infralias superiore, per mezzo del piano infraliassico inferiore degli scisti marnosi ad Avi- cula ; per cui essa resta delimitata inferiormente dagli strati di Raibl, o di Gorno e Dossena, e superiormente dagli scisti neri ad Avicula , col Banco madreporico, dell’Infralias inferiore. Corrisponde alla Haupt- Dolomite di Merian, Gumbel e Hauer del Tirolo settentrionale e del Yorarlberg, e alla dolomia ad Avi- cula exilis del Curioni. Questa formazione è caratterizzata dalla presenza di grossi Car- dium , Avicula exilis , Megalodon Giìmbelii , Gervillia salvata ecc. ; si distingue per la sua compattezza, tanto che serve assai bene alla escavazione di materiale che si riscalda nelle fornaci allo scopo di espellerne l’acido carbonico, per ottenerne delle calci grasse. A Villa di Lezzeno, a Vassena, Onno, alle 'Fornaci Calchere, del Cantone e di Parò si hanno esempi della escavazione e riduzione di questa dolomia. Riporto una analisi chimica della dolomia bian- chiccia di Parè tolta dall’opera del Curioni (Q. Carbonato di calce 0,550 Id. di magnesia 0,432 Acido silicico, ossidi di alluminio e di ferro 0.006 0,988 Acqua e perdita 0,012 1,000 (0 Curioni, op. cit., voi. Il, pag. 38. 9 122 B. CORTI Dalla quale risulta la natura dolomitica della roccia e la sua attitudine ad essere impiegata nell’edilizia come calce grassa. La compattezza e la sua friabilità varia molto da luogo a luogo, per quanto ho potuto rilevare; la prima è maggiore nella parte inferiore del deposito, mentre nella zona superiore, in pros- simità coll’infralias, diventa più erodibile e friabile; fatto questo di non lieve importanza, concorrendo esso a stabilire il termine del Trias superiore e la base del Giura. Yi si aggiunga : il colore ge- neralmente bianchiccio e la struttura subcristallina, tanto da as- somigliare ad un calcare saccaroide, e si avrà una fedele imma- gine di questa dolomia dalle intere catene di monti a cime frasta- gliate e ad aguglie. Affioramento della Dolomia. Compare subito a Villa di Lezzeno, dove è situata la fornace ; è bianca grigiastra, subcristallina, e s'innalza a formare tutta l’os- satura dei Grosgalli, raggiungendo un’altezza massima di 879 m. sul livello del lago, colla cima del M. Nuvolone 1078 m. Con- tinua fino alla Villa Bezzana, prima di S. Giovanni di Bellagio ; e dalla parte della valle del Perlo, arriva fino a C. Caselli, sovrasta a C. Begola 602 m. ; C. Brogno 582 m. ; C. Seller e C. Boccolo. Presenta molta scarsità di fossili, benché a detta del Curioni (]) : u II prof. Balsamo Crivelli, molti anni addietro, vi abbia trovata la Gervillia salvata , ed altri fossili del terreno d’Esino ». Le ricerche fatte da me attraverso i dirupi dei Grosgalli, mi diedero per risultato, le seguenti specie, delle quali riferisco l’al- tezza alla quale furono trovate. Sul versante del lago di Como: Avicula exilis Stopp. (a 865 m. sui fianchi del Monte Nu- volone). Esemplari ben conservati formanti una breccia cristallina, Delpliinula Escheri Stopp. (Idem). Profondamente incassata nella roccia, dalla quale si può a stento isolare. (J) Curioni, op. cit., voi. II, pag. 38. OSSERVAZIONI STRATI GRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. ] 23 Megalodon Grùmbelii Stopp. (a 936 m. lungo la cresta den- tata del M. Nuvolone). Esemplari ben conservati, facilmente isolabili dalla roccia, ma assai rari. Turbo Taramellii Stopp. (a 650 m. scendendo dai fianchi del M. Nuvolone. Val di Casole). Delphinula Ragazzoni Stopp. (a 75. m. sotto C. Pelo 618 m.). Myophoria Balsami Stopp. (a C. Pelo). Piccole conchiglie piuttosto abbondanti e conservanti le tracce delle linee di accrescimento. Sul versante della valle del Perlo: Avicula exiiis Stopp. (a 300 m. sul livello del torrente, in linea retta sopra C. Neri). Megalodon Grùmbelii Stopp. (a 450 m. sopra C. Brogno). In frammenti mal conservati. Delphinula Regazzoni Stopp. (Solem). Pecten sp. cf. Stopp. Paleontologie Lombarde. Voi, III, T. 60, tig. 15. (Nella zona superiore del deposito, quasi a contatto col- l’infralias). Alla punta di Bellagio, in prossimità della Villa Fanny, ri- compare la dolomia, che, girato il promontorio, s’estende per breve tratto, eretta in strati verticali fino alla C. Sfondrata, sul versante del lago di Lecco; verso il quale si sviluppa maggiormente non tanto in altezza, quanto in estensione. Sopra Visgnola e S. Vito s’innalza a formare il M. damasca (698 m.), di cui il versante orientale scende bruscamente dirupato, mentre le falde occidentali sono a pendio più morbido e meno ac- cidentato sopra C. Scegola 325 m. ; G-orla 402 m. ; Alpe Covetto 512 m. ; e Chevrio 535 m. In essa è aperta la strada della Vallassina, lungo i lati della quale, dopo Guelfi), salendo per Civenna, s’innalza ad un mas- simo di 817 m. sulla destra, con una spiccatissima anticlinale; mentre, a mano manca, scende a formare la sponda del lago, per il tratto che corre dalle vallecole di C. Fopa a nord, fino a poco prima la Val Varcio a sud, alimentando la fornace sita fra Li- monta e Vassena. Continua il suo sviluppo nei monti di Magreglio e Onno, rag- 124 B. CORTI giungendo un massimo d’altezza a 971 m. colla vetta del M. Ca- vai di Barnì. Ricompare sulla sponda del lago con una curva anticlinale, a cui corrisponde la vetta del M. Oriolo (1110 m.) sulla sponda sinistra del Lambro ; forma la parte superiore del Pian di Orezzo dove nasce il ramo del piccolo Lambro, e sulla sinistra di questo s’innalza a 1035 m. colla cima del M. Megna. Lo sbocco della valle del Cornacchiari segna il riapparire della dolomia, che prosegue senza alcuna interruzione lungo le sponde del lago fino a S. Dionigi di Malgrate, alimentando le fornaci delle Calchere, del Cantone e di Parè. In questa area la dolomia forma elevati dirupi, spogli di ve- getazione, che scendono quasi a picco nelle acque del lago a strati, ora in apparenza orizzontali, ed ora distintamente piegati a forti curve. La massa dolomitica raggiunge i 1147 m. colla vetta del M. Moregallo; seguono le altezze minori del M. Porcellina 723 m. e Sasso di Preguda 645 m. La valle dell’Oro a nord di Suello e di Givate, limita a sud la formazione dolomitica a Megalodon , che dal M. Pesura 1198 m., s’innalza lungo le falde del M. Rai 1261 m. ed è terminata a nord-est dalla Yal Molinata, e dal Torrente Inferno, che vanno a sboccare nel fiume Ritorto attraversante la bassura di Valmadrera. Sulla sponda destra di questa, a circa 450 m. sul suo letto, riappare la dolomia, che entra nella compage del M. Baro 922 m., sovrasta di circa 503 m. Sala e Galbiate, e sulla sponda occi- dentale del lago di Pescarenico appare sovrastante al deposito lacustro-glaciale di Pescalina, di cui dirò a suo luogo, e alla morena del ponte di Lecco, che addossata ai fianchi del M. Crocetta 449 m. si ripiega verso Valmadrera; attraverso alle lacerature del mantello morenico, si affaccia la dolomia grigiastra subcristallina, eretta in strati verticali. L’aspetto generale della dolomia della sponda occidentale del lago di Lecco si mantiene abbastanza uniforme ; in alcuni punti essa è affatto identica a quella dei Grosgalli, come a C. Piazza Regonda sopra Rimonta ed a Guello. I banchi sovrastanti C. Gorla e l’Alpe Covetto, perdono la facies dolomitica subcristallina, si fanno calcareo marnosi, erodi- OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECO. 125 bili, assumendo la tinta grigio cerulea degli scisti infraliassici. Questi banchi si alternano con banchi porosi, friabili, che permet- tono lo sviluppo della vegetazione, mentre sul versante del lago la dolomia conserva la sua tinta chiara, qua e là chiazzata da macchie giallastre tanto caratteristiche. Oltre Civenna fino a Barni, continuano sempre gli strati mar- nosi cerulei della dolomia, fortemente inclinati a nord-est ; coperti di vegetazione, perchè quivi la roccia, alteratasi sotto l’azione me- teorica, diventa a tratti porosa e friabile. A M. Cavai di Barni, M. Oriolo e M. Megna e per tutto il tratto della valle del Cornacchiari fino a S. Dionigi di Malgrate, ia dolomia conserva mirabilmente la sua natura subcristallina, a tinte bianco grigiastre, spoglia di vegetazione, a pendìi scoscesi ed a burroni profondi. Identico è l'aspetto degli strati del Monte Pesura, Monte Rai, e Monte Barro. Oltre alla alterazione della dolomia in calcari marnosi, e alla porosità di cui ho detto poco sopra, devo aggiungere la tinta leg- germente rosea carnicina , che essa assume qua e là a tratti, ovunque i banchi raggiungono una certa potenza. Riporto l’elenco delle specie dei fossili raccolti da me in questa zona dolomitica: Avicuìa exilis Stopp. (Ài monti di Civenna tra C. Olivella e l’Alpe Alzo). Turbo sp. (Scendendo da C. S. Vito, sotto Civenna pei dirupi sovrastanti la fornace). Gervillia salvata Brun. (Sui fianchi del M. Cavai di Barni, scendendo per la Val del Montone). Megalodon G-iimbelii Stopp. (Idem). Parecchi frammenti di Turbo raccolsi pure sui fianchi del M. Oriolo poco prima dell’origine della valletta di Majesimo, che va a sboccare sulla sponda sinistra del Lambro; altri frammenti di Avicula exilis rinvenni sui dirupi del M. Moregallo. Si può asserire che la dolomia principale aumenta la potenza e l’estensione del suo sviluppo, procedendo da ponente ad oriente, nell’area del foglio XXIV Dufour. 126 B. CORTI Capitolo III. 'Formazioni infraliasiche. La penisola bagnata dai due rami del lago di Como, presenta una rilevante potenza ed estensione di questi terreni, e delle lo- calità fossilifere classiche. Studiata in dettaglio e con esito molto felice dagli autori della carta geologica, meritava però ancora ulteriori rilievi, secondo l'opinione del prof. Taramelli (!), massime per quanto riguarda i versanti meridionali e settentrionali dei Corni di Canzo e del monte Barro, per la complicazione delle curve e dei salti di quelle stra- ordinarie contorsioni. Molto pregevoli sono le notizie, che ci dà il Curioni (2) in- torno agli affioramenti di questi terreni a Lezzeno, Villa Bezzana, nella valle di Perlo, nella Valbrona etc., ma pure non sufficienti per un accurato studio di dettaglio. Questa mancanza di note un po' dettagliate, mi ha spinto a riempire in parte la lacuna con una serie di indagini accurate. Il risultato delle quali mi consente di modificare alquanto i limiti di essi terreni, e in pari tempo di enunciare le specie fossili rac- colte e determinate da me. Lo svolgersi di queste formazioni in Lombardia, lo sviluppo e l’estensione loro, la posizione stratigrafica e divisione in due piani distinti di infralias inferiore e superiore si deve allo Stoppani. Fu una erudita illustrazione che ne fece colla sua Memoria: Sulle condizioni generali degli strati ad Avi cui a contorta in Lombardia e in seguito, colla monografia paleontologica di quei sto terreno. Il risultato dei quali studi fu di fissare nettamente i limiti del terreno infraliasico, stabilendone i caratteri petrografici e pa- leontologici e di affermare come conclusione che esso è disteso in Lombardia tra il trias superiore e il lias; attraversa tutta l’Eu- ìopa, con una potenza sempre considerevole, talvolta enorme, for- (') Taramelli T., op. cit., pag. 75. (2) Curioni G., op. cit., voi. I, pag. 241 ecc. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECO. 127 mando un piano a sè, che è il primo del grande sistema giurese; ad esso non conviene nè il nome di Bone-bed degli inglesi, ,o di Kòssener Schichten di Hauer e di Suess e nemmeno quello più generico di strati ad Avìcula contorta ; esso deve chiamarsi con maggior proprietà: 'piano infraliasico. Quindi l’autore parla del calcare a Griphaea arcuata o della dolomia superiore, corrispondente al Kalk mit Megalodon scutatus di Escher, al Dachsteinkalk di Hauer e Suess e al Grès di Eet- tange , e di Luxemburg di Terquem , ne fa constatare la sua po- sizione, superiore agli strati ad Avicula contorta , quasi da sem- brarne la continuazione, e la distinzione netta che si deve man- tenere fra questa dolomia e quella a Megalodon Gumbelii del trias superiore. L’una e l’altra, dice l’illustre geologo, contengono dei grossi Cardium , eppure differenziano completamente. Nella tavola sinottica del piano infraliasico, che egli unisce alla sua Memoria, è fissata, come ho detto, la distinzione di in- feriore e superiore. Il primo si divide in due zone, inferiore e superiore; quella comprende il gruppo delle lumachelle e degli scisti neri marnosi, ed è detta zona a Bactryllium , questa il de- posito dell’Azzarola ed il banco madreporico, o zona a Terebra- tida gregaria. L’infralias superiore, rappresentato da arenarie o grès e, quasi esclusivamente, da calcaree dolomitiche, è diviso in due zone ad Am. planorbis , e Am. angidatus. Premessi questi brevi cenni riassuntivi della Memoria dell’a- bate Stoppani, passo alla descrizione dell’infralias della mia zona, seguendo il metodo ascendente in uso, dagli scisti del piano infe- riore alla dolomia a Conchodon del superiore. Infralias inferiore o deposito degli scisti neri marnosi. Il deposito degli scisti neri occupante la penisola del promon- torio di Bellagio, per la evidente corrispondenza stratigrafica, è la continuazione di quello che riempie la vai Solda tra Lugano e Porlezza, e partendo dalla estremità settentrionale del lago di Lu- gano, cinge il monte Galbiga, e scende ad occupare la Tremezzina, formando quella zona semicircolare, descritta da Escher, d’una con- tinuità meravigliosa e che si vede tanto bene da Bellagio. 128 B. CORTI Affiorano lungo la sponda orientale a Quaglino dopo Carva- gnana, innalzandosi lungo la Yal Valerna a 300 m. sul livello del lago, a 350 m. lungo la Val di Bagnana sopra Ponisio, 280 m. lungo la Val della Chiesa sopra Lezzeno e lungo la Val di Bozzo, e fino a 450 m. lungo la Val di Villa, allo incontro della Vallecola, che dall’ Alpe dei Picet 1231 m. sulle coste del monte S. Primo, scende a sboccare a sud est dell'Alpe Giaff 926 m. nella Vallecola dell’Acqua fredda. Quindi si stendono sulla sponda destra della Val di Villa, bene sviluppati a C. Fos, C. Pier, C. Monte 686 m. scendendo fino a poco prima delle fornaci di Villa, dove si appoggiano in strati quasi orizzontali alla dolomia a MegalocLoa che il Curioni (') dice curvata a piega anticlinale. 11 deposito morenico molto potente, che da Sormazzana si estende fino a Sossana, innalzandosi in media dai 100 ai 150 m. sul livello del lago, cela in parte l’affioramento degli strati. Questi però nelle parti superiori alla morena, mantengono l’aspetto costante di calcari marnosi, compatti, cerulei, sovente con carattere dolo- mitico e uniformemente alternati con veri strati marnosi lutulenti, ricchi di pirite in decomposizione : talora gli scisti sono di natura essenzialmente argillosa. Un’alternanza molto spiccata di strati marnosi calcarei assai sconcertati e poco compatti con altri verdognoli, talora ocracei, esilissimi e fogliettati e sottoposti a banchi di calcari compatti subcristallini, grigio cerulei, quasi interamente costituiti da polipai, si osserva a Villa di Lezzeno, dove la valle di Casate segna per un certo tratto, il limite fra gli scisti neri e la dolomia triasica. Alla fornace di Villa di Lezzeno, gli scisti si appoggiano alla dolomia dei Grosgalli, salendo lungo la valle di Casate alle falde del monte Ceppo di Mucchio 1086 m. sulla sinistra sponda, e adagiandosi sui fianchi del monte Nuvolone 1078 m. sulla destra. Dove formano una striscia, che estendendosi a mano manca della Valle del Perlo, occupa la località di C. Roncello, C. Boccolo, Gravedona, C. Seller, e girando attorno ai Grosgalli sopra C. Bro- gno, C. Begola e C. Neri, ricompare sulle sponde del lago alla Villa Bezzana, mantenendo una natura costante di calcare com- patto, grigio affumicato, a strati alternanti di scisti marnosi con (*) (*) Curioni G., op. cit., voi. I, pag. 241. OSSERVAZIONI STRATI GRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 129 tracce manifeste di noduli alterati di pirite e residui di bitume. Scarsi i fossili, ad eccezione di qualche bivalve e qualche meno rara Terebratula. In prossimità della dolomia principale del monte Nuvolone o dei Grosgalli, l’infralias è quasi essenzialmente marnoso, a sottili straterelli argillosi con distinti Bactryllium , e lungo il ripido sen- tiero che da Villa di Lezzeno, attraverso i Grosgalli conduce a Bellagio, si può seguire non interrotta la formazione della dolomia principale, fino al muro di cinta della Villa Bezzana, dopo l’an- golo acuto che gli strati dolomitici, da prima orizzontali fanno a perpendicolo sul livello del lago. È nella insenatura di questo angolo che, immediatamente al cominciare del muro di cinta della Villa Bezzana, con un pas- saggio deciso, succedono gli strati marnosi alla dolomia triasica. Da Villa Bezzana in avanti, il deposito infraliasico forma la sponda che continua fino alla Villa Fanny, e riempie il promontorio di Bellagio, ricomparendo sulla sponda occidentale del ramo di Lecco per il tratto che corre fra C. Sfondrata e la località, detta della Madonna del Moletto. Quindi risale la valle del Perlo lungo le due sponde, fino circa all’altezza di Chevrio. Qui gli autori del foglio Dufour fanno prendere al deposito una direzione sud-est descrivendo una curva limitata dalla strada, che sale per Civenna, la quale, secondo la loro delimitazione, segna fino a poco oltre Guello il confine fra esso deposito e la dolomia triasica. Ho potuto constatare che, tenendo per sicuri i confini assegnati alTinfralias fino a Chevrio, si debba modificarne alquanto l’esten- sione dal lato destro della strada per chi sale da Bellagio, dando maggiore sviluppo alla dolomia principale, la quale viene così ad occupare le località di C. Sorlero, Gallasco e Guello. Difatti, dopo la biforcazione della strada per Chevrio, percorrendo il tratto fino a Guello, si vede la formazione dolomitica affiorare anche sulla destra, e salendo dalla Valle del Perlo sotto C. Brogno, per C. Sorlero, si osservano gli strati infraliasici, in cui è scavato il letto del torrente, a cui dopo breve tratto succedono i banchi dolomitici sporgenti qua e là dal terreno vegetale. Nessuna traccia di fossili ho rimarcato, ma il suo aspetto bianco grigiastro, subcristallino, non mi lascia alcun dubbio a identificarla 130 B. CORTI colla dolomia a Megalodon dei Grosgalli; la località fossilifera classica di questa zona è la valle di Guggiate. Frequenti sono gli esempi di perfetta concordanza nella stra- tificazione di questi scisti, come si può scorgere sopra S. Giovanni di Bellagio sulla sinistra sponda della valle del Perlo, dove la loro disposizione orizzontale coincide con quella della destra sponda : essi sono compatti, con vene di calcite e sottilissimi strati alter- nanti marnosi senza alcuna traccia di fossili. Questa compattezza, forse in grado maggiore, assume l’infralias a Regattola e a Yisgnola. Sulla sponda occidentale del lago di Lecco compaiono i cal- cari infraliasici per un breve tratto dopo Limonta, allo sbocco della Val di Vaglia a nord, fino allo sbocco della seconda vallecola, dopo di essa, a sud. S’innalzano ad un massimo di circa 300 m. sul pelo del lago, fino quasi a C. Varola a nord-ovest, e a C. Gorla a sud-est, in generale si mantengono orizzontali, e rappresentano il riempimento di una curva sinclinale della dolomia principale. Mi sembra che il Curioni (') non si esprima troppo esatta- mente a proposito di questo affioramento, dicendo: « l’infralias in- vade qui un esteso spazio ; si stende sopra Limonta « ma sibbene incomincia a mostrarsi dopo Limonta, mentre superiormente si rizza la dolomia principale del monte Garnasca. La natura di questi strati in nulla diversifica dagli altri. Salendo la valle del Perlo dopo Chevrio, la roccia è comple- tamente mascherata dal mantello morenico, che in alcuni punti è abbastanza lieve per lasciare luogo a ripetuti affioramenti della dolomia principale, come si vede distintamente a Guello, Cernob- bio ed a C. Fra Filippo. Tutto questo tratto adunque, che gli autori della carta hanno segnato giustamente quaternario per lo sviluppo rimarchevole del detrito morenico, verrebbe ad essere occupato dalla dolomia a Megalodon , i cui confini si allarghereb- bero in direzione da nord-est a sud-ovest, comprendendo così i R. Terminit con C. Prà Calice, C. Costa Prada, l’alpe Alzo 874 m. la valle di Spin con Cernobbio, C. Neri, C. Fra Filippo e il monte Grisucio 921 m. Gli scisti marnosi delTInfralias si scorgono sotto Cernobbio a formare la sponda destra del Perlo, molto friabili, alternati con P) Curioni G., Op. cit., voi. I, pag. 242. I ! OSSERVAZIONI STRATI GRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 131 calcari affumicati, sovrapponentisi ai banchi della dolomia princi- pale. La morena li copre da Cernobbio a C. S. Eustachio sulla mano manca del torrente, foggiando la sponda a curve arroton- date, coperte da pascoli. La parte superiore della valle fino a circa 100 m. sotto l’Alpe della Villa 1204 m. è scavata negli scisti marnosi, i quali affio- rano lungo la strada che da C. Fra. Filippo conduce all’Alpe Pietra Lentina. Qui essi si dirigono da ovest ad est formando una curva di circa 125 m. di potenza, che gira a nord-est della villa Pietra Luna e del R. Dalco e costitusce la parte superiore della valle di Spin. Alla C. Monte Tomaso 838 m. piegano a sud-ovest, ed è in questo punto che è scavato il passo della Madonna di Ghisallo, appunto per la erodibilità degli strati compresi fra le due dolomie: continuano poi a sud sopra Magreglio, limitati ad est dalla dolo- mia principale del R. Prà Giorgio 836 m., e ad ovest dalla for- mazione a Conchodon del M. Faggi di Magreglio 1116 m. La loro potenza media a Magreglio calcolai approssimativa- mente di 200 m. A sud si allargano i loro limiti, che a Barni raggiungono i 300 m. sul letto del fiume, inclinano questi strati a nord-est e hanno direzione da nord-ovest a sud-est, come è dato scorgere sotto al Castello di Barni. I dintorni di questo comune colla Valle Varbiga formano una località eminentemente fossilifera, la cui fauna, illustrata dallo Stoppani, consta di ventisette specie appartenenti alla zona a Te- nebratala gregaria , come si può facilmente scogere dal confronto colla fauna della zona inferiore a Bactryllium striolatum. Fra queste ventisette specie sei sono comuni alle due zone, e le rima- nenti sono esclusivamente della zona a Ter. Gregaria , comuni e caratteristiche del deposito di Azzarda, come la Corbis depressa e il Cardium nuculoides , i quali tanto ivi che a Barni sono ab- bondantissimi; il Cardium barnense, Pecten barnensis e Plica- tula barnensis sono esclusivi degli strati di Barni. Le sedici specie, che riporto nell’elenco dei fossili dell’Infralias, trovate da me, in più delle ventisette specie citate dallo Stoppani, appartengono tutte alla zona a Terebratula gregaria , per modo che i dati paleonto- logici sono pienamente suffragati dai petrografici. L’essere la fauna di Barni propria della zona superiore dell’in- fralias inferiore, trae seco che la natura degli strati debba essere 132 B. CORTI calcareo-marnosa compatta, colla quasi esclusione di scisti lutulenti e argillosi, e così è di fatto. Le due sponde del Lambro procedono incassate negli strati dell’ infralias, che da una parte e dall’altra s’innalzano dai 300 ai 400 m. sul letto del fiume, a mano destra lungo i fianchi del M. Gerbal 1531 m., e M. Torretta 1106 m., e a mano manca lungo quelli del M. Oriolo 1076 m. Gli strati conservano la loro natura litologica come a Barai, la loro direzione è costantemente da ovest ad est, e questa appare evidentissima sulla sponda sinistra del Lambro in parecchi punti, mentre sulla destra, non sempre la direzione degli strati è visi- bile, perchè mascherati dal deposito alluvionale e morenico. In questa regione della Yallassina sono assai scarse le tracce di fossili, che si possono ridurre a poche specie tutte della sponda destra del Lambro, in prossimità di Valle Matadino. A Lasnigo la formazione infraliasica si espande in direzione nord-est nella valle del piccolo Lambro, che scende dal Pian di Orezzo, fino all’altezza di circa 850 m. ed è limitata a destra della valle dal M. Oriolo 1076 m., ed a manca dal M. Megna 1053 m., sui cui fianchi s’innalza, a strati fortemente inclinati a sud, a circa 220 m. sul letto della valle. Gli strati sono esclusivamente calcarei, compatti, cerulei, con assoluta mancanza di fossili. Due espansioni laterali degli scisti marnosi si hanno lungo la valle del Lambro; essi sulla destra del fiume assumono uno sviluppo maggiore di quello assegnato dagli autori del foglio. Poiché dopo i Mulini verrebbero a comprendere tutto il tratto oc- cupato da Brazzova, Mudrone, Gemù e il castello di Bezzago colle valli Sancio, di Seie e di Rezzago: i quali strati infraliasici vanno a congiungersi con quelli della sponda sinistra di Traino e Pagnano, limitati a sud-ovest dalla dolomia a Conchodon delle Cappellette di Asso, la loro massima altezza sul letto del Lambro è calcolata da me di 400 m. Che essi appartengano all’ infralias inferiore lo prova il fatto della loro continuità con quelli della sponda sinistra del Lambro, come si può facilmente vedere osservando il letto del fiume che pa- lesa la loro natura petrografica di calcari marnosi, alternanti con banchi argillosi, ocracei, e la presenza indubitabile di fossili in- fraliasici. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 133 Le acque della valle in alcuni punti sotto Rezzago hanno abraso la morena mettendo a nudo la roccia a strati pressoché orizzontali, che offrono alcune specie fossili, assai alterate per la forte compressione subita. Il Curioni (l) dice: « Lungo il ramo del Lambro che pro- cede da Rezzago, si vedono banchi di calcari marnosi, in posizione quasi orizzontale, alternanti con banchi argillosi, tutti ripieni di individui della Pholadomya lagenalis compressi e assai malconci. E probabile che l'infralias occupi anche qui una grande esten- sione, poiché se ne vedono tracce in più luoghi, dove le acque del Lambro di Rezzago hanno spazzato il suo letto dagli ingombri del terreno morenico: va poi a perdersi presso Pagnano e Asso, sotto il complesso del gruppo liasico ». Ho voluto citare integralmente il passo del Curioni, perchè è ad esso, che devo i risultati nella ricerca delle specie ; devo ag- giungere che le sue osservazioni sono molto esatte, specie per quanto riguarda la natura petrografica degli strati e la loro posi- zione orizzontale, locchè si vede molto distintamente a C. Nova 545 m. sulla sponda sinistra della Vaile di Rezzago. Nella loro zona superiore quanto più s’avvicinano al limite di contatto della dolomia a Co nello don, diventano sempre più compatti e cristallini, come al castello di Rezzago. Gli autori hanno segnato tutta questa zona colla tinta del quaternario, e in ciò sono esattissimi, ed io pure mantengo, anzi, come dirò in seguito, parlando dell’espansione morenica, ne allargo i confini, ma trattandosi d’un lavoro di dettaglio, non poteva omet- tere di riferire il risultato delle mie osservazioni. A manca del Lambro, tutta la Valbrona è incisa negli scisti infraliasici con direzione di nord-est. Questi scisti, dopo Fraino e Pagnano, girando attorno al M. Megna, ed appoggiandosi alla sua dolomia per un’altezza media di circa 350 m. sul letto della Valle Vallategna, continuano sopra Visino, Osigo e Maisano, quindi sulla sinistra della valle di Caprante e della valle del Cornacchiari, a formare il tratto di sponda del lago di Lecco, limitato a nord dalla località detta di S. Anna, e a sud dall’ultima delle valli sopra citate. (') C. Curioni, op. cit., voi. I, pag. 242. 134 B. CORTI In tutta questa zona gli strati sono ealcareo-compatti, con quasi assoluta mancanza di fossili; il terreno erratico copre gli strati fino ad una media altezza di 150 m. sul livello della strada " maestra. Attraverso a quegli strati si sono praticato il loro pas- saggio le piccole valli, che scendono dal M. Megna, e vanno a metter foce nella vai Yallategna e nella valle del Cornacchiari. Ho detto che l’infralias forma il tratto di sponda del lago, da S. Anna fino alla valle del Cornacchiari, devo aggiungere che esso si mostra bene sviluppato a nord di S. Anna, formando la sponda di lago, che incomincia fra la fornace e la Val Yarcio a nord di Vassena, e a sud comprende il comune di Onno. Calcolai la sua massima altezza, sul pelo del lago, di 400 m. Mirabile è la compattezza di questi strati, in cui sono incise le . valli Yarcio, del Ponte, del Mulino e del Montone ; il loro im- provviso apparire in mezzo alla dolomia principale corrisponde ad una piega sinclinale di questa, ed impartisce al paesaggio una nota più lieta e festosa di vegetazione. Ritornando alla Yalbrona, ad Asso vediamo gli scisti marnosi, messi allo scoperto recentemente (Q che proseguono a formare la sinistra sponda della Val Valletegna, espandendosi, dopo Yisino, nella Valbrona, sui fianchi dei Corni di Canzo verso sud-est. Il loro limite a nord-est è alla Madonna della Febbre, sulla destra della valle di Caprante; ad est si appoggiano alla dolomia della Frazione di Abbadia, che s’innalza a scogliera per 450 m. circa sul livello del lago. Risalendo il corso della Yal Yallategna, si può seguire la direzione degli strati messi allo scoperto delle acque del fiume, fino poco oltre Candalino. Da questa banda, la mancanza di detrito morenico permette di vedere il passaggio degli scisti neri marnosi ai calcari compatti alternanti con zone di sottili strati argillosi, friabilissimi, con trac- eie di Mytilus , di Cardite e di Nucule. Superiormente si sviluppa il banco madreporico, d’una potenza in alcuni punti sino a 20 metri. Questi strati si elevano sul letto del fiume, da Cranno fin quasi a Candalino per una media di'200 (0 Nel luglio del 1889. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECO. 135 m., in essi sono incise le vallette che scendono dai fianchi dei Corni di Canzo a metter foce nella Val Vallategna, A Candalino, secondo gli autori del foglio, gli scisti assume- rebbero una potenza molto maggiore, mutando direzione da nord- est a sud-est e appimto, in rapporto a questa nuova direzione, si collegherebbe il loro forte sviluppo verso i Corni di Canzo, con un massimo di estensione fra Candalino a sud-ovest, la vai di Caprante. a nord-est, e i prati di C. Oneda 720 m. a sud-est. Così il deposito presenta una figura approssimativa di triangolo di cui la base è data dal tratto fra Candalino e la valle di Caprante, e il vertice trovasi ai prati di C. Oneda. In effetto però questo sviluppo, 'assegnato agli scisti infralia- sici, è superiore al vero, come ho potuto convincermi, percorrendo parecchie volte il versante dei Corni di Canzo, dalla parte di Yalbrona. Scendendo da essi, e seguendo la Val Pianezza, dalla sua ori- rigine fin quasi sopra Candalino, la zona attraversata è essenzial- mente dolomitica, se si eccettuino alcuni lembi di scisti neri mar- nosi, affioranti qua e là ad intervalli sul thalweg della Val Pia- nezza poco prima di Candalino, dove la formazione dell’infralias inferiore appare manifesta alle prime case del paese. Concluderei restringendo i limiti da questo lato, escludendo tutta la Val Pia- nezza e parte di Val Criarolo, al di là della quale gli scisti marnosi si presentano in tutto il loro sviluppo. Salendo verso C. Oneda, agli strati marnosi succedono dei banchi calcarei compatti, cerulei, con reticolati di vene di calcite, come per il deposito infraliasico di Regattola, superiormente appare il banco madreporico. Anche le osservazioni del dott. A. Tommasi (*) concordano colle mie deduzioni. Egli dice che, salendo da Candalino, appena lasciate le ultime case del paese, si imbattè subito nella dolomia a Con- chodon ; aggiunge però che, discendendo giù nel letto del torrente, qua è la si riesce a veder affiorare gli scisti neri. Del resto questi affioramenti parziali, che risalendo il letto del torrente scompaiono ben tosto, non sono di tale continuità da (J) A. Tommasi, Alcune osservazioni stratigrafiche sui Corni di Canzo e dintorni. E. Ist. Lomb. 1882, pag. 8. 136 B. CORTI costituire un vero regolare deposito, specie in confronto alla impo- nente formazione dolomitica che si spinge su su a formare le sco- gliere e i dirupi dei Corni di Cauzo del versante settentrionale. Mentre per tutto il tratto circostante la parte superiore di Val Cria- rolo, dal punto di immissione della valle di Gagello al suo punto di origine, e per tutta la zona dei prati di C. Oneda, tino alla Ma donna della febbre, la formazione degli scisti neri assume il vero aspetto di un deposito regolare e potente. Sopra C. Oneda si innalzano a oltrepassare i Corni di Canzo piegandosi a curva anticlinale sopra la valle di Moreggie che nasce dai fianchi dolomitici del monte Moregallo e va a sboccare nel lago di Lecco sotto il nome di Val di Moregallo. Entrano nella compagine dei Corni di Canzo, scendendo a for- mare una vasta zona, che dal lato di est occupa le valli Molinata, dell’ Inferno, di Luera e Boa sopra Valmadrera e costituiscono parte della sponda sinistra della Val Ritorto. Ad est s’innalzano sulle falde del monte Prasauto o Cornicciuolo 1251 m., fino all’ Alpe Alta 1086 m. ('), e sono limitati a sud-ovest dalle balze dolomi- tiche del monte Rai 1261 m., intorno alle quali descrivono una curva anticlinale che scende in sinclinale ad occupare il corso della valle dell’Oro fino a Civate, ed è limitata dalla dolomia a Concho- don potentissima del monte Pesura a nord-nord-ovest e sud-sud- ovest e a nord-nord-est dai dirupi della dolomia principale del Corno Birone 1115 m. e del Ceppo di Forcola 793 m. L’aspetto litologico degli strati di tutta questa regione è assai varia. Frequenti i casi in cui il calcare improvvisamente diventa do- lomitico, per poi ricomparire ancora marnoso, non rare le somi- glianze spiccatissime col lias inferiore, al punto, in vista della assoluta mancanza di fossili, da essere fortemente in dubbio a qual piano ascrivere il deposito. Bene rappresentata è la zona inferiore a Bactryllium , in valle dell’Oro, vai Ritorto, S. Pietro di Civate, S. Tomaso, da scisti mar- nosi molto friabili, mentre alla Luera è la zona a Terebrcitula gre- garia che assume maggior potenza. Il banco madreporico di natura esclusivamente dolomitica, appare evidente sulla sommità della sponda meridionale di Valle dell’Oro, a S. Tomaso, alla chiesa di 0) A. Tommasi, op. cit. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 137 S. Pietro, e sulle falde del monte Cornicciuolo, nonché sui fianchi del Corno mediano di Canzo. Ad ovest il monte Cornicciuolo ha le sue falde meridionali formate superiormente a circa 900 m. dal banco madreporico, pieno zeppo di coralli; è da notarsi a questo proposito, la disposizione regolare degli strati e la loro inclinazione costante verso sud-ovest. I quali inferiormente, in vicinanza dell’Alpe, a circa 200 m. dal vertice, passano a veri scisti calcareo-marnosi a superficie in- terna. anche tagliata a fresco, rugginosa, con Plicatula intusstriata. Essi girano attorno al monte Rai dal lato del versante meri- dionale, colla zona del banco madreporico, degli scisti e delle lu- machelle che si appoggiano alle sue falde. Quivi il deposito si at- tenua di molto, sembrando quasi scomparire, ma in effetto esso con- tinua a sud-est formando una curva, la cui concavità si appoggia alla Haupt-dolomite del Corno Pirone, mentre la convessità a strati fortemente contorti, per la subita ripiegatura, si appoggia all’in- fralias superiore del monte Pesura. È una striscia per la maggior parte formata da marne oscure, a noduli e filoncelli di calcare, a superficie intensamente rugginosa per la decomposizione dei solfuri e degli ossidi di ferro sparsivi in copia. Ad essi si sovrappongono i Calcari lumachella , molto tenaci e compatti, alcuna volta però scistosi, generalmente ocracei e non di rado a tinte carnicine molto sbiadite, quindi il banco madre- porico. Questo sulla sponda destra della valle, qua e là assume un ragguardevole sviluppo, presto però soprafatto dalla dolomia dei- fi infralias superiore, la quale in certi punti, come dirò in appresso, attraversa il fondo della valle, riducendo di assai il deposito degli scisti neri. A mano manca della valle la dolomia principale del Corno Birone, che si slancia ardita a formarne la vetta a strati pressoché verticali, è nettamente distinta dal deposito superiore, il quale si sviluppa in tutta la sua potenza sulla destra del torrente, a mano manca della chiesetta di S. Pietro, per chi sale da Civate. L’allargarsi della valle dopo la C. Oro 377 m. ci avverte che la nostra formazione prende un maggiore sviluppo; difatto essa si spinge sulla destra dal torrente fino alla C. Linate a strati essen- zialmente calcareo-marnosi, nerastri con impronte di Gervilie , Ostree , 10 138 B. CORTI Plicatule e Avicule ; essi si appoggiano a banchi di calcari grigia- stri, subcristallini, stipati di Terebratule. Questo allargamento della valle, quasi a forma di triangolo, colla base a monte e il vertice a valle, dovuta al maggiore svi- luppo dei banchi marnosi, cessa in prossimità di C. Prevondè, per il fatto che le balze della dolomia superiore di Scola sulla sponda destra, si spingono molto in basso nella valle con direzione da sud- ovest a nord-est e inferiormente al Mulino di Valle dell’Oro, for- mano l’Orrido di Civate. Giova accennare però che in linea retta, sotto il Mulino di vai dell’Oro, sulla destra del torrente, al punto in cui il Mura- glione di dolomia piega ad angolo, a formare una delle pareti del- l'Orrido, vidi improvvisamente affiorare degli strati calcareo-mar- nosi, intercalati con esilissimi straterelli, che non esito di ascrivere all’infralias inferiore, la loro potenza è però insignificante. A circa cento metri dall’Orrido, verso Civate, ecco riapparire i calcari grigio-cerulei, molto compatti e selciosi, con assoluta mancanza di fossili, i quali continuano fino a Civate. Verso est la formazione infraliasica, che ho detto scendere sopra Valmadrera com- prendendo la vai dell’Inferno, di Lucra e Boa, rappresenta una vera curva anticlinale, il cui braccio meridionale è dato dalla zona di vai dell’Oro, ed il settentrionale dal deposito di Valmadrera. Raggiunge questo una potenza ed estensione molto maggiore, offrendo bene sviluppato il banco madreporico, massime alla Luera e a S. Tomaso, con Veri muraglioni pieni zeppi di coralli. Le valli sopra dette incidono il deposito, che si può seguire per lungo tratto ove lo sfaciume precipitante dalle soprastanti vette- non lo maschera ; più in basso sopra Valmadrera, a Ceppo e a Gian- vacca, la morena impedisce di seguirlo di continuo, benché però a Gianvacca gli strati calcareo compatti grigio cerulei a vene in- trecciantisi di calcite si possano scorgere manifestamente. La roccia presenta le solite accidentalità di alterazione e decomposizione in- tercalata da straterelli esilissimi di marne e argille grasse va- ricolori. Fossili se ne rinvengono ovunque in questa regione, specie sul fondo delle vallecole che la attraversano, andando a metter capo nella vai Ritorto ; ma la località più importante è alla Luera dove OSSERVAZIONI STRATI GRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECO. 139 gli strati si svasano a mo’ di conca e danno adito al passaggio della valle; essi sono molto fossiliferi, come lo è il banco madreporico di S. Tomaso 572 m. dove raccolsi: la Thecosmilia Omboni, Rab- dophyllia laagobardica, Lepiconus Bassi , e negli strati marnosi la Pinna miliarict il Pecten Falgeri e frammenti di Ostree. Sulla sponda orientale della vai Ritorto, gli scisti marnosi come dice lo Stoppani (l) entrano nella compage del monte Barro; e per vero dire, dopo quanto ha scritto l'illustre geologo riguardo al deposito dell’ Azzarda (2), illustrandone la fauna, e quello che il Curioni (3) aggiunse, poco mi resta da dire, che non sia una ripe- tizione di quanto già fu osservato e riferito da altri, per cui mi limiterò ad alcuni brevi particolari di dettaglio concernenti la facies litologica e le sue variazioni. Quanto ai fossili raccolti da me all’ Azzarda, non credo oppor- tuno citarne l'elenco in calce a questo capitolo, riducendosi essi a poco più di cinquanta specie, ben poca cosa rispetto alle 146 il- lustrate dallo Stoppani. Appena oltrepassata la sponda destra della vai Ritorto, al di là della linea ferroviaria si stendono dei campi salienti con dolce pendio ed a scaglioni lungo i fianchi del monte Crocetta 449 m. che si estendono a sud-ovest fino alla trincea della ferrovia aperta nel banco dell’Azzarola, alla base del monte Barro. Questi coltivi rap- presentano lo sfasciume, lo spappolamento degli scisti marnosi e delle lumachelle formanti un fertile terriccio vegetale. Al Gaggio essi sono convertiti in una vera fanghiglia ocracea, friabilissima, che lascia allo scoperto degli arnioni durissimi di calcari selciosi. L’abbondante detrito morenico a nord-est della valle, in corrispon- denza al suo allargamento verso il lago di Lecco, li nasconde per breve tratto, quindi succede un lembo di dolomia triasica, che rap- presenta il braccio nord di una spiccatissima curva anticlinale. A (') A. Stoppani, Sulle condizioni generali degli strati ad Avi cui a con- torta, sulla loro costituzione in Lombardia e sulla costituzione definitiva del piano infralisco. Att. Soc. Ital. di se. nat. voi. III. Milano, 1861, pag. 54. (2) Idem, Sulle condizioni ecc., pag. 60. — Idem, Rivista geologica della Lombardia ecc., 1859, pag. 55 e seg. — Idem, Pu.léontologie lombarde ecc., pag 38. — Idem, Studi geologici ecc., pag. 101-107. (:ì) G. Curioni, Geol. appi, ecc., voi. I, pag. 243-244. 140 B. CORTI ridosso del quale s’erge l’infralias, che al Gaggio, nella zona supe- riore, è a strati pressoché verticali, mentre qua e là appalesa dei forti sconcerti subiti. La loro massima potenza calcolata sul fondo della valle è di circa 150 m.; a sud-ovest del Gaggio essa aumenta considerevol- mente, fino a raggiungere 360 m. a C. Bianca e allo Zucco di Buf- falora. Sono veri banchi calcarei, nerastri e compatti, con sottilis- simi straterelli marnosi friabili in cui rinvenni frequentissime Te- nebratale ; sono ora verticali ed ora variamente inclinati. All’ Azzarda la loro direzione è manifestissima da ovest-nord- ovest a est-sud-est. Alla descrizione, che lo Stoppani fa di quella classica località fossilifera, sia dal punto di vista petrografico della successione degli strati calcarei alternanti colle marne verdognole e grigie degli scisti neri, al deposito superiore madreporico, che dal lato paleontologico illustrativo della fauna, nulla v’è da aggiungere. Rilevo il fatto che il geologo lombardo nei suoi primordi dello studio su quel terreno credeva d’avere a fare col primo membro del trias; opinione ori- ginata dalla considerazione del repentino passaggio da una zona dolomitica così scarsa di fossili, ad un deposito che ne è sì pro- digo; l’abbondanza delle terebratule e delle cidariti ; di certi jjo- lipai ; e sopra tutto 1’incontro delle Avicule speciosa ed Fscheri. Dopo l'Azzarola, gli strati che si appoggiano al braccio sud dell’anticlinale della dolomia triasica del monte Barro, girano at- torno ad esso, dal versante meridionale, formando una striscia che s’innalza verso il convento di S. Francesco con una potenza media di 100 metri, quindi si attenua alquanto, terminando sopra la chiesa di S. Alessandro, con dei banchi di calcari compatti, nera- stri, privi di fossili. Questa zona degli scisti infraliasici sostiene, non interrotta, tutta la serie dei terreni giuresi e cretacei, che si osserva da Sala al Barro, a Tignola e a S. Alessandro, dove il Curioni (>) rileva un rovesciamento di banchi del lias superiore, rosso ad Aprici, o titonico, majolica e argille cretacee variocolori. I vari punti di contatto colla dolomia triasica non presentano quasi mai una demarcazione bene spiccata, come altrove osservai (>) G. Curioni, op. cit., voi. I, pag. 244. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 141 per il deposito in Vallassina, ed in ispecie alla Villa Bezzana sopra S. Giovanni di Bellagio; causa coadiuvante, il tritume dolomitico franante dalla vetta del monte Barro. Nella zona superiore di contatto colla dolomia a Conchodon , si osserva la dolomitizzazione della roccia, che quasi sempre è oc- cupata dal banco madreporico di potenza, per altro, assai limitata. Alcune tracce di fossili si rinvengono con Terebratula gre- garia, Nucula subovalis, Cardila aspera , munita e Anatina prae- cursor. Segue l'elenco delle specie fossili delle principali località. 142 B. CORTI Elenco delle specie fossili degli scisti marnosi dell’ Infralias Alpe Giaff Vi! la di Lezzeno Villa Bezzana Valle di Guggiate Sopra S. Giovanni di Bel- lagio Valle del Perlo presso Guggiate Presso Liinonta. Al Sasso di Lentina Barni (Val Yarbiga) Presso la Val Matadino Sotto Kezzago Presso Val Orlatolo C. Oneda (Valbrona) |j S. Pietro Valle dell’Oro Luera Yalmadrera Turbo Picteti Stpp. . Stomatici Trotti Stpp Ce.ri.thi.um. Hp.m.p.s d’Orli Pholadomya lariana Stpp. . . . 4“ -4- 55 lag (malia Schaf -f- Lucina circularis Stpp. . . — H Carclium cloacinum Quenst. . 4~ ri harnp.nRp, Stpp -4— 15 'phn.RpnJ.iisi Stpp ~h -+~ [ » austriaca Hauer — 1 — n munita Stpp 4- — h- 4- n Quenstedti Stpp » Luerae Stpp. -H Anatina Baldassari Stpp » praecursor Oppel .... 15 A mici Stpp -t- _ » arista Stpp. . -4— 4- -1 . . . Arca, impp.rial.is Roani i5 Ruhnimlì.R rinlrlf » Matani Stpp . . . -t- Leda complanata Goldf .... 4— -4- • il Dp.ffnp.ri. Opp Pinna miliaria Stpp Mytilus psilonoti Quenst 4— 1 OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 143 Elenco delle specie fossili ile^li scisti marnosi deH’Infralias Alpe Giaff | Villa di Lezzeno ! Villa Bazzana | Valle di Guggiate Sopra S. Giovanni di Bel- lagio Valle del Perlo presso Gugliate Presso Limonta Al Sasso di Lentiua Barili (Val Varbiga) Presso la Val Matadino || | Sotto Rezzago Presso Val Criarolo C. Oneda (Valbrona) S. Pietro Valle dell'Oro Luera Valmadrera o to tO ri 3 Mytilus rugosus Roem - » Schafhàutli Stur. .... - - - ini min contorta. Porti. . . "+_ - — H - — H —H - - - - - - - — H - - - - - - n Zanninh.al.lii Stpp. - Plicatula intusstriata Gm - -h - - — H -4- — H H- « leucensis Stpp Ostrea nodosa Goldf. H— » palmetta Sow » costulata Roem - Terebratula gregaria Suess. . . . n grossulus Suess . . . Lingula Suessi Stpp - -H - - H- l - - Cidaris Ombonii Stpp - Thecosmilia Ombonii Stpp fr Rabdophyllia langobardica Stpp. Lepiconus Bassi Stpp Bactryllium deplanatum Heer. . - » striolatum Heer. . . 144 B. CORTI Secondo piano dell’ Infralias. Infralias superiore o dolomia a Concilo don. Nella introduzione del capitolo precedente ho accennato alla distinzione, proposta dallo Stoppani, di due piani inferiore e supe- riore, basata su dati petrografìa e paleontologici, dell’infralis, e alle sinonimie loro coi depositi corrispondenti dei geologi inglesi, tedeschi e francesi. Questo piano, risultante dall’insieme di calcari compatti e di banchi dolomitici a struttura cristallina, è chiamato dolomia a Con- chodon per la presenza di una grossa bivalve che diede luogo a molte controversie; nella regione limitata dai due rami del lago di Como è di una potenza ed estensione ragguardevole. Si sovrappone immediatamente al banco madreporico, il quale getta, per così dire, le radici dei suoi polipai, nelle marne e nei calcari sottostanti, mentre nella zona superiore diventa esclusiva- mente dolomitico. L’ infralias superiore è poco delimitato dal lias inferiore, per i fatti, che verrò accennando in seguito del diffondersi della massa dolomitica attraverso gli strati del lias inferiore. A nord-est di S. Giovanni di Bellagio appare attraverso il detrito glaciale sulla sponda sinistra del T. Perlo, al di sopra di Guggiate, formando una breve zona che si segue, non interrotta, percorrendo la strada mulattiera che sale a C. Perlo, C. Neri e C. Begola. Qua e là affiora dal terriccio vegetale, in forma di piccoli dossi arrotondati evidentemente dall’azione del ghiacciaio. Da C. Begola in avanti procede incassata nella dolomia fino a C. Brogno situato sovra un piccolo pianoro sparso di erratici. La roccia è bianco-grigiastra, subcristallina con nessuna traccia di stratificazione, in corrispondenza di C. Brogno; riappare poi più sotto, prima di raggiungere il letto del Perlo, dove, attraverso alla morena tenacemente impastata, si sovrappone agli scisti marnosi, che attraversano diagonalmente il fondo della valle per riapparire sulla destra sponda. È nella zona inferiore di questo deposito del- OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECO. 145 l’infralias superiore, che furono raccolti gli esemplari delle bivalvi descritte dallo Stoppani (’). Nel foglio Dufouf la dolomia cessa prima di C. Brogno e non riappare che sopra Gravedona, per lo sviluppo del deposito quater- nario che riempie la valle del Perlo. Osservo in proposito che, pur rimanendo esattissima la delimitazione del quaternario fatta dagli autori, si deve però intendere non interrotta la zona dolomitica per quel tratto. Difatto la dolomia si mostra qua e là dove il detrito e il terriccio fu abraso, e continua sulla sinistra del Perlo, con C. Rovenzola e C. Vero, innalzandosi a formare il monte Ceppo del Mucchio 1086 m. sempre a banchi senza apparente stratifica- zione; verso il corso del torrente la morena la copre compieta- mente sotto C. Rovenzo, Lorello, Taiana. e S. Eustachio. La nostra formazione si estende per una zona rilevante, che si sovrappone agli scisti marnosi della sponda orientale del lago di Como, sopra descritti. S’innalza, non interrotta ed a banchi dolomitici subcristallini, a volta farinosi o granulosi, dal Ceppo del Mucchio all'Alpe della Villa 1204 m. e all’Alpe dei Picet 1231 m., quindi per tutto il tratto della vai dell’Acqua fredda, fino quasi alle sue origini, e si prolunga con una striscia che forma il tratto di sponda del lago di Como, compreso tra il lias inferiore della Cavagnola e gli scisti marnosi di Quaglino. Salendo le dirupate vallecole di Bozzo, della Chiesa, di Ba- gnana e di Valerina si può verificare l’immediato succedere dei banchi di dolomia grigiastra subcristallina agli strati marnosi, anche per il mutarsi istantaneo dell’orografia della regione. Molto difficile sono a rilevarsi i limiti fra il piano infralias- sico superiore ed i calcari cerulei liasici, per l’alternarsi acciden- tale di veri e propri calcari cerulei compatti e selciosi coi banchi dolomitici. Così è impossibile il fissare un limite fra queste due formazioni sul versante settentrionale del monte S. Primo. Gli autori del foglio hanno assegnato alla dolomia infraliasica una potenza molto rilevante, con un massimo di circa 650 metri fra C. Pascola sulla sponda sinistra della vai di Villa e l’estrema (') A. Stoppani, Paléontologie ecc., voi. Ili, pag. 247, tav. 38, 39, 40. 146 B. CORTI parte superiore della valle dell’Acqua fredda, ed un minimo di 300 m. fra Carvagnana e il monte Colmenacco ; io mantengo questi limiti, non avendo dalle mie osservazioni 'desunto argomento in contrario. All’Alpe della Villa 1204 m. la dolomia forma quel tratto di montagna detto le R. Coste, che si addossa al monte S. Primo, e nel quale è scavato l’ultimo tratto superiore della valle del Perlo; si estende alla vai Pianone, all’Alpe del Borgo 1170 m. all’Alpe di Magreglio 1311 m. al monte Forcella 1331 m. all’Alpe di Ci- venna e per tutto il R. Dalco, dove forma l’altipiano sul quale sorge la villa Pietra Luna. Gli autori del foglio Dufour segnano col colore dell’infralias inferiore, tutta la zona inferiore al R. Dalco, che comprende l'Alpe del Pianorancio, la sorgente del Lambro e il suo corso superiore fino a Magreglio. Io estende: ei invece i confini della dolomia superiore a tutto quel tratto, restringendo il limite degli scisti marnosi ad una striscia che, come dissi parlando di essi, gira a nord del R. Dalco e scende a Magreglio, dopo aver formato il passo della Madonna di Ghi- sallo. Difatto, scendendo per il sentiero che attraversa l’altipiano del Pianorancio, sopra Magreglio, si osserva continuare non inter- rotta la formazione dolomitica, attraverso la quale sgorga la sor- gente intermittente del Lambro, detta la Menaresta. A sud di Magreglio, sulla sponda sinistra della valle di Var- biga, entra nella formazione delle balze del monte Faggi di Ma- greglio 1116 m., dell’Alpe di Terra Biotta 1415 m. e dell’Alpe Spiazzola 1255 m. La dolomia infraliasica si mantiene in banchi cristallini a su- perficie polverulenta, tali da presentare netto il passaggio ai cal- cari superiori stratificati del lias inferiore della catena, che rag- giunge il suo massimo d’altezza colla vetta del monte S. Primo 1635 metri. A nord-ovest della vai Varbiga, in comune di Barai, la do- lomia, ridotta ad una listerella di poco più di 80 metri di spessore, rinserra delle grosse bivalvi nella sua parte di contatto col banco madreporico. È difficile lo stabilire con precisione il suo limite inferiore e il cessare del banco madreporico, tanto sono intimamente fusi, così OSSERVAZIONI STRATI GRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 147 da trovarsi i polipai diramantisi nei banchi dolomitici, che presen- tano le sezioni delle grosse bivalvi: sta però sempre il fatto che in tutta la mia regione il reciproco conline fra i piani infraliasici è rappresentato dal banco madreporico. Continua la striscia della dolomia a Conchodon a sud di Barai , sulla destra del Lambro, sovrapposta agli strati calcareo marnosi compatti, che ne formano le sponde, elevata di poco più di 100 m. e limitata superiormente dal lias inferiore del monte Gerbal a nord- ovest e dal monte Torretta a sud-ovest ; in corrispondenza di Las- nigo si espande a comprendere Decinisio, Sormano, C. Galleggio, C. Bella e S. Nazario Celso; formando uno sperone che serra il corso dal Lambro in una gola di fronte a Fraino. Qui dagli autori del foglio si fa arrestare il suo sviluppo, per il comparire del quaternario, che riempie a mo’ d’anfiteatro il territorio di Rezzago, Caglio e Sormano. Parlando dell’infralias inferiore, ho detto del suo espandersi sulla sponda destra del Lambro, nelle valli di Sancio e di Rez- zago : ora io ho osservato che la dolomia di Sormano continua ad estendersi a sud, descrivendo una curva anticlinale diretta da nord- est a sud-ovest con una potenza massima di circa 60 metri, assu- mendo quindi direzione di sud-est dopo Rezzago, per andare a so- vrapporsi all’infralias inferiore della sinistra del Lambro, di Pa- gnano e di Asso e congiungersi quindi più a sud, non interrotta con quella di Yalbrona. A prova di questo cito due fatti di mia osservazione e un terzo che tolgo dal Curioni ('). Lungo la strada, che da Lasnigo conduce ad Asso, si vedono gli strati infraliasici, sulla mano manca, ora orizzontali, ed ora elevati fin presso la verticale o inclinati a sud-est, i quali alle Cappellerie sopra Asso, si fanno gradatamente meno marnosi, quindi più calcarei, per assumere finalmente un deciso aspetto subcristal- lino dolomitico, perdendo in pari tempo il colore ceruleo per as- sumere un tono grigiastro sempre più sfumato fino al bianco can- dido, tale da costituire uno dei più begli esemplari di dolomia. Evidentemente è il succedere dell’infralias superiore, che dalla sponda sinistra attraversa il letto del Lambro e compare sulla destra. (■) 6. Curioni, op. cit., voi-. I. pag. 256. 148 B. CORTI Inferiormente alle Cappelletto osservai un altro affioramento al Ponte Scuro sulla destra del fiume. Il Curioni poi dice che « lungo la strada, che da Asso mette all’Alpe di Fiorana, trovasi questa dolomia allo scoperto accennando di coprire l’infralias già indicato sotto Rezzago ». L’essere la roccia in posto quasi ovunque mascherata dal de- trito morenico e dal terriccio vegetale, non impedisce che dietro la scorta di questi fatti si possa affermare la continuazione della zona dolomitica per tutto il tratto sopra accennato, e la sua con- nessione con quella di Valbrona. A proposito della quale, giova anzitutto premettere una con- siderazione riguardo al suo straordinario spessore di circa 450 m. lungo la valle di Pianezza, fino all’estrema vetta dei Corni di Canzo ; e in secondo luogo la nessuna traccia di passaggio ai cal- cari selciosi del lias inferiore. Si estende essa lungo tutta la Valbrona, limitata nella sua zona inferiore dal banco madreporico, pieno zeppo di stupendi co- ralli e potente in alcuni punti perfino una ventina di metri. I tre Corni di Canzo, quanto ai caratteri petrografici, risultano della medesima dolomia che ho seguita nella Val Pianezza, bianca grigiastra talora a variazione di colore caffè e latte ed a screzia- ture bianche, come egregiamente descrive il dott. Tommasi (!) il quale però, dalla seguente analisi chimica di quattro campioni di dolomia eseguita dal dott. Bonardi: Componenti per 1000 I. li. ni. IV. Carbonato di calce . . . . 0,642 0,678 0,978 1 0,966 Cabonato di magnesia . . 0,266 0,323 0,016 0,033 [ Argilla 0,100 — — — 1,008 1,001 0,994 0,999 di cui il 1° è di Valbrona, il 2° del Corno occidentale, il 3° del Corno mediano, il 4° del Corno orientale, verrebbe a concludere che solo il Corno occidentale sarebbe veramente dolomitico. C) A. Tommasi, op. cit. , pag. 9. OSSERVAZIONI STR ATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 149 Però dall'esame delle analisi chimiche si vede che dopo la dolomia del Corno occidentale, quella di Valbrona maggiormente s'avvicina ad un tipo di calcare dolomitico, per il rilevante quan- titativo del carbonato di magnesia, calcolando anche il quantita- tivo di argilla di cui non si ha traccia negli altri tre esemplari. Lo stesso dott. Tommasi a 300 metri dal vertice del Corno mediano asserisce aver fatto una copiosa raccolta di Terebratule di forme tutte spettanti all’infralias superiore, ed un piccolo polipaio, da una frana minante dalla vetta di quel Corno. La conclusione del Tommasi è, ad onta dell’analisi chimica contraddittoria, spiegabile col fatto dell'accidentalità della roccia sottoposta all’analisi. Sarebbe più esatto, tenuto conto dei loro ca- ratteri litologici tanto uniformi e diversi dai calcari liasici di Va- Bavella, lo ascriverli alla dolomia a Conchodon dell’infralias sul periore, che ai calcari bigi di Saltrio. Questa convinzione nasce spontaneamente in chi salga ai Corni di Canzo dal versante di Valbrona, seguendo il corso di Val Pia- nezza, come ho avuto occasione di ripetere più volte, rilevando non interrotta la formazione dolomitica che si riversa al di là del Corno mediano sul versante meridionale, e che passa sulla sponda si- nistra di vai Bavella, rizzandosi verticalmente a nord della Lu- era (Q sopra il banco madreporico, forma la vetta del Cornic- ciuolo o monte Prasanto, con banchi a strati inclinati a sud-ovest, il corso superiore della Valle S. Miro e le balze dirupate del monte Bai a nord-est della valle dell’Oro. A nord-ovest costituisce la massa del monte Pesura colle zone dei due versanti del lago di Pusiano e Annone a mezzodì, e della valle Bavella a settentrione. Gli autori del foglio assegnano a nord-nord-ovest del monte Pesura un limite molto vasto, che comprenderebbe la metà supe- riore delle due sponde del lago del Segrino e il tratto, che dal suo estremo settentrionale va fino a Canzo. Il risultato delle mie osservazioni m’induce a ritenere la roccia che forma le due sponde del lago del Segrino, nonché la zona che le congiunge a Canzo, riferibili al piano del lias inferiore, piut- tosto che alla dolomia a Conchodon , a motivo dei suoi caratteri (Q A. Stoppani, Studi geologici e paleontologici ecc., pag. 98. 150 B. CORTI litologici perfettamente identici a quelli del calcare di Saltrio, e della uniforme sua stratificazione orizzontale, che s'accorda piena- mente con quella del monte Scioccia 671 m. innalzantesi sulla destra del lago. Per cui io ridurrei il confine della dolomia, sul versante oc- cidentale del monte Pesura, ad una linea, che partendo dall’Alpe Fusi a circa 570 m. sul livello del lago del Segrino, va degradando tenendosi ad una media altezza di 350 m. fino a Canzo. A sud del monte Pesura l’infralias forma le balze dolomitiche della sponda destra della vai dell’Oro; è una zona di poca potenza che a Scola, sopra Civate, si vede, manifestamente e con un pas- saggio dei più spiccati e caratteristici apparire sotto gli strati cal- careo selciosi del lias inferiore. Sulla sponda orientale di Val Ritorta vediamo apparire la dolomia, sottile striscia, che s’adagia sugli scisti marnosi e va a finire sopra Vignola, dal versante del lago di Pescarenico. Capitolo IY. ' Lias inferiore; formazione di Saltrio e Moltrasio. 11 deposito, che raggiunge la massima potenza ed estensione sulla sponda orientale del lago di Como, è quello del lias inferiore. Esso forma una catena non interrotta di monti che da Brunate 515 m., sopra Como, s’innalza gradatamente alla vetta del monte S. Primo, come ho già detto, parlando della orografìa della regione, coi due versanti, del lago di Como fino alla punta della Cavagnola ad ovest, della Yallassina ad est e della Brianza a sud. Per la costante uniformità della sua natura litologica, non può, in alcun modo, presentare dei dubbi quanto al suo giusto riferimento. Si sovrappone alla dolomia, non sempre, come ho detto, con evidenti tracce delle loro reciproche zone di contatto. Sono cal- cari compatti, grigio-cerulei, affumicati, a filoni ed a noduli di selce, con vene talora di candida quarzite, diramantisi a tuo’ di reticolato, talora con druse di nitidi cristalli di calcite, Alla superfìcie talora subisce questo calcare una alterazione. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 151 che lo trasforma totalmente in una marna cariata, porosa, facil- mente friabile, oppure si scaglia in im detrito ocraceo, rugginoso per degradazione atmosferica, mutandosi in un terriccio vegetale, che ha una lontana somiglianza col ferretto della pianura lombarda. Notevole pure è il fatto della dolomitizzazione, specie nella sua zona inferiore, e l'invasione dei banchi esclusivamente selciosi at- traverso gli strati calcareo-marnosi. L’edilizia ne trae un ottimo materiale da costruzione; a Quar- zano, Pognana e Careno sono aperte da tempo cave di questo cal- care; scavi parziali si stanno praticando lungo la strada da Torno a Como, e su più larga scala alla Rienza sopra S. Martino in territorio di Como. Questa zona liassica, che si stende da Como alla punta della Cavagnola, ha una perfetta corrispondenza con quella della sponda occidentale in cui è sculta la valle d’Intelvi. Di minore potenza ed estensione sono gli altri affioramenti al lago del Segrino, alle Alpi di Carella sopra Cesana di Brianza, a Civate e alla Santa, a Sala e Galbiate e in Yal Ravella per salire ai Corni di Ganzo, i quali tutti mantengono una uniforme facies litologica assai spiccata. Le specie caratteristiche di questo piano sono : Belemniies acutus Mill., Ammonites bisulcatus Sow., Am. obiu- sus Sow., Am. stellaris Sow., Am. Conybeari Sow., Am. catena- tus Sow., Am. Phillipsii Sow., Pleurotomaria anglica Defr., Car- dinia hybrida Agass., Grypliaea arcuata Lam., Rhynchonella variabilis D’Orb., Spiri fer Walcottii Sow. Secondo lo Stoppani, i calcari biancastri di Induno, le arenarie di Viggiù, i marmi di Saltrio e di Arzo, i calcari grigio e nero affumicati del lago di Como, M. Bisbino e Generoso, Moltrasio, Carate, Careno, S. Primo, quelli di Erba, M. Cornicciuolo, della Santa, Galbiate, Erve, infine i calcari nerastri, bigi, bianco-rosei, salini e subsalini di Novale e di Zandobbio in Val Cavallina, sono da considerarsi come una formazione individua, che si potrebbe chiamare, assumendo per tipo la località più marcata e fossilifera : formazione di Saltrio. 11 Collegno prima dello Stoppani, parlando delle arenarie di Viggiù, che presentano tutte le gradazioni, dalla grana fina, ad una grana media, e ad una vera breccia, vi accenna dei Crinoidi 152 B. CORTI e chiama quelle rocce ooliti e le associa ai calcare di Saltrio e del M. S. Primo. È opinione del prof. Taramelli (*) che gli strati di Moltrasio e Carate della sponda occidentale del lago di Como non appar- tengano allo stesso livello di quello di Saltrio, Viggiù e Brenno, ed il Lavizzari (2) nella sua serie dei terreni sedimentari del Canton Ticino, pose il calcare del M. Generoso in un piano infe- riore a quello di Arzo e Saltrio. Lo Stoppani trae argomento all’unità del lias inferiore, dalla costanza dei caratteri e dalla inalterabilità di direzione del terreno immediatamente sovrastante, vale a dire del rosso ammoniaco , il quale per la spiccata e uniforme sua caratteristica litologica, come anche per l’abbondanza dei petrefatti, segna un orizzonte di una validità cronologica molto apprezzabile. Per quanto riguarda i caratteri mineralogici, pare a prima vista che tutto accenni a distruggere l’unità di formazione del lias inferiore. Come trovare un punto di confronto fra i banchi di calcarea bianca, subfarinosa con macchie pulverolente di sostanza cloritica di Induno, gli strati di calcari compatti, biancastri, brunicci, gial- lognoli e spesso disseminati di sostanza cloritica di Saltrio, le arenarie e le brecce di Viggiù, i marmi variegati di Arzo e Tre- mona e i calcari grigio-affumicati del S. Primo e di Moltrasio? Ma, come l’autore giustamente osserva, parallelamente a grandi divergenze risaltano alcuni caratteri, che si possono stabilire come punti di confronto, anzi di somiglianza, nelle discordanze litolo- giche. Quali ad esempio, la presenza ovunque di un calcare nero, della sostanza cloritica disseminata in più luoghi, la superficie scoriacea di certi banchi in diverse località, e la tendenza della roccia a subire una parziale dolomitizzazione. A questi caratteri di riavvicinamento, altri, a mio parere, se ne possono aggiungere, come, la presenza, talora quasi esclusiva, P) T. Taramelli, Il Canton Ticino ecc.. pag. 77. (2) G. Omboni, Rapporto sul Congresso dei naturalisti svizzeri in Lu- gano. Atti Soc. it. di se. nat., 25 nov. 1860. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 153 dei filoni e noduli di selce nera, le druse di cristalli di calcite, i filoni di dolomite e le Tene di bianca quarzite. Il Parona pensa che la varietà litologica della serie di rocce costituenti il lias inferiore, dipenda dall’essersi esse depositate in condizioni diverse di mare, fatto questo comprovato dalla fauna di questo piano che si presenta qua e là con facies diverse. Riguardo ai caratteri paleontologici abbiamo un distacco enor- me, ima lacuna vastissima. Mentre a Saltrio e ad Arzo evvi una grande abbondanza di fossili (l), a Yiggiù, Moltrasio, Carate, al M. Generoso, a Careno, Pognana, al S. Primo, e in tutta la zona della sponda orientale del lagoni Como, sulle falde meridionali del M. Barro, a Civate e Valmadrera, rimarcai una grande scar- sità di fossili, che per la maggior parte delle località diventa una assoluta mancanza. Il Parona nei suoi studi sulla fauna liassica delle prealpi bergamasche (2) asserisce che in concomitanza delle varie facies petrografiche il lias inferiore presenta anche diverse facies paleon- tologiche. Egli ci fece conoscere quella del calcare selcioso nerastro di Carenno in vai d’Erve, la quale non ha quasi alcun rapporto colla fauna del lias inferiore di Saltrio, mentre invece è sincrona con quella della Spezia illustrata dal Canevari (3), sia per le specie, come per lo sviluppo degli individui. Nella provincia di Brescia la serie liassica fu molto bene studiata dal Bittner (4), e il risultato delle sue osservazioni è la divisione del lias inferiore in tre piani rappresentati in serie ascen- dente dalla Corna bresciana, dal Calcare selcìfero a crinoidiJ e dal Corso. Nel veneto orientale li lias inferiore è rappresentato secondo (') C. F. Parona, I brachiopodi Cassici di Saltrio e Arzo nelle prealpi lombarde. Mem. d. E. Ist. lombardo, 1884. (2) C. F. Parona, Sopra alcuni fossili del lias inferiore di Carenno, Nese ed Adrara nelle prealpi bergamasche. Atti Soc. it. di se. nat., 1884. (3) M. Canevari, Beitràge zur Fauna des Lias von Spezia. Paleonto- graphica, 1882. (4) A Bittner, Sulle formazioni mesozoiche più recenti delle prealpi bresciane. Boll. Comit. geol. it., 1883, pag. 241. 11 154 B. CORTI il sig. Taramelli (’) dalla dolomia di Sospiralo con Rhynchonella tetraedro Sow., Rhyn. subtetraedra David., Rliyn. quinqueplicata Zieten, e nel Tiralo occidentale dal calcare ad Am. fimbriatus e Ter. 'punctata di S. Lucia, Glera e Bezzecca e dalla zona a Pos- sidonomya Tams del passo del Lindo. Il De Stefani nel suo studio sul lias inferiore ad Arietiti del- l’Appenni o settentrionale (2) dopo averlo distinto in due piani, l’uno inferiore ad Aegoceras angulatum e Arietites Bitcklandi ; l’altra superiore colla zona a Pentacrinus tuberculatus , Ar. obtusus, Oxyaoticeras oxynotus, Aegoceras raricostatus, assegna a ciascun piano tre plaghe a Cefalopodi, Brachiopodi, Gasteropodi. Egli col- loca i calcari di Arzo, di Saltrio, ecc. in Lombardia, fra i calcari di Erto nel Veneto e i calcari grigi del vallone di S. Colombai! e del colle di Pouriac in Piemonte, nella plaga a cefalopodi del suo piano superiore, che rappresenta uno stadio di mare più pro- fondo del piano precedente. ★ * * Dopo aver detto della uniformità litologica del lias inferiore della sponda orientale del lago di Como, non posso trascurare un cenno sulla costante loro inclinazione a nord-ovest dalla Punta di Geno all’ex convento di S. Donato, dove si mettono quasi oriz- zontali per qualche tratto, al di sopra del ponte della strada mulat- tiera che conduce a Garzola, dopo del quale inclinano a sud-est fino a Camnago ; sopra il quale paese la inclinazione degli strati è di 30° a sud-est, e la direzione da sud-ovest a nord-est. È una curva anticlinale evidentissima la cui gamba nord è rappresentata dal fascio di strati della Punta di Geno, e la gamba sud da quelli di Garzola e Camnago. Gli strati furono contorti in prossimità del convento di S. Donato e spezzati più sotto alla così detta Grotta del Mago. Ai primi abitati di Camnago Volta si scorgono gli strati pie- Cl T. Taramelli, Monografia stratigrafica e paleontologica del Lias delle provinole venete. Venezia, 1880. (s) C. De Stefani, Lias inferiore ad arietiti dell' Appennino settentrio- nale. Soc. tose. se. nat., 1886. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECO. 155 carsi in manifestissima curva sinclinale sotto i calcari marnosi del rosso ammonitico di Camnago, Ponzate, Solzago. Tavernerio, Albese ed Erba. Il passaggio fra il lias inferiore e questo piano non è sempre manifesto per l’abbondanza del detrito morenico o anche per acci- dentale discordanza degli strati. Un esempio evidentissimo di netta delimitazione fra questi due piani si osserva sopra il Buco del Piombo in comune di Erba, scendendo dalla torre del Broncino, appena oltrepassata la fontana Carei, e nella valle del Torrente Bova, a mezzodì del Buco del Piombo. Quivi gli strati del lias inferiore si sviluppano lungo le falde del M. Panigai sopra Crevenna, Pezza e Ponte Lambro e lungo le sue sponde fino a Casiino, formando alla sinistra del fiume i dossi di Proserpio, Castelmarte e l’altura del M. Scioscia 671 m., a stratificazione orizzontale. A nord-ovest di Casiino, la valle del Piot e la vai Lunga attraversano il lias inferiore affiorante frammezzo alla morena, che s’innalza col M. Orsera 1107 m., a raggiungere la catena del M. Bool, M. Croce, M. Braga di Cavallo e M. Cippei sopra Rez- zago, Caglio, Sormano, mentre alla destra del Lambro, dopo Ca- siino, continua colla zona del M. Barzaghino 1068 m., M. Croce di Pizzallo 976 m. e M. Piazza Durella 857 m., sopra Cà Bianca e Carenna. Il paese di Ganzo poggia sul lias inferiore, che s’ innalza da Villa Verza a C. Bianco 524 m. e C. Castello 451 m. a nord-est, fino alla tampa del Roncatoli, dove si nasconde sotto il rosso am- monitico, per ricomparire, al cessare di questo, lungo la mulat- tiera che sale ai Corni di Canzo. Esso continua a formare la parete destra di vai Ravella, a strati nerastri, selciosi, molto compatti, inclinati a nord-nord-ovest fino all’Alpe grassa 725 m., e più oltre ancora, dove la mulattiera piega ad angolo acuto in corrispondenza di una vallecola scendente nel T. Ravella. Dopo breve tratto sono interrotti da marne calcaree selciose variocolori, per riapparire quasi subito fino all’Alpe Ber- talli 779 m. Quivi il deposito cessa per l’affiorare delle arenarie micacee giallastre, di cui dirò in seguito parlando dei terreni cretacei. 156 B. CORTI Alla Luera sovrasta alla dolomia superiore, quindi entra nella compagine del Cornicciuolo, mantenendosi costante lungo la sponda sinistra del T. Bavella, occupando la parte superiore della valle di S. Miro e il versante settentrionale del M. Pesura, fino a Canzo. A sud di Ganzo forma una zona che corre parallela alla sponda sinistra del lago del Segrino innalzandosi sul suo livello 374 m. con un minimo di 310 e un massimo di 570 metri d’altezza; si sovrappone alla dolomia del M. Pesura e si estende non interrotta sopra Cesana di Brianza, Snello e Civate, sostenendo tutta la serie ben distinta dei calcari rosei compatti, della Bicicola di Suello, i calcari marnosi del lias superiore, i selciosi del Titonico, le cal- caree bianche marmoree della Majolica, le marne variegate di Suello e Civate e le arenarie di Cesana di Brianza e Pusiano. Questa zona io l'ho seguita, oltre che dai fianchi del M. Pe- sura sopra Cesana e Suello, anche dai calcari grigio-affumicati della Santa che seguii senza interruzione, salendo da Civate a Scola 363 m. Mano mano che si sale, essi diventano più compatti, a filoni di selce, assumendo la vera nota caratteristica di quelli della sponda orientale del lago di Como. Giunti a Scola, improvvisamente cessano, circa 3 metri prima del piccolo piazzale, che guarda la valle, e immediatamente suc- cedono dei banchi di dolomia, generalmente bianco-grigiastra, qua e là con leggera tinta caffè e latte, formanti un muraglione a strati leggermente inclinati a sud-est, che scendono a picco sul fondo della vai dell’Oro e ne formano la gora, detta l’Orrido di Civate. A Sala al Barro si vedono dei calcari cerulei, affumicati, spesso selciosi, succedere alla Majolica a strati pressoché verticali; è in essi che è scavata la piccola galleria prima della Fermata di Civate fino alla quale essi si spingono, a strati sempre verticali, adagian- tisi sulla dolomia superiore, che copre il vicino deposito dell’Az- zarola; evidentemente essi sono la continuazione di quelli che a strati pure verticali si osservano di fronte alla Santa. Sopra Sala e Galbiate formano una zona che continua fino alla Chiesa di S. Alessandro, come quella di Suello e di Civate e sopporta tutta la serie liassica, giurese e cretacea di Sala, Gal- biate e Yignola. OSSERVAZIONI STRATI GRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 157 Di fronte alla splendida fauna di Arzo e Saltrio, di cui s’è tanto egregiamente occupato il Parona, il nostro deposito, come ho detto, presenta una desolante scarsità di fossili. A Brunate ed a Blevio si rinvengono, molto rari per altro, degli esemplari dell 'Arietites stellaris Sow. A Careno si hanno nelle cave del calcare liasico degli esemplari, se non tanto fre- quenti, pure ben conservati di Ar. semicostatus T. B., Ar. Cony- beari Sow., Ar. bisulcatus Brug., Ar. stellaris Sow. A Pognana pure si hanno esemplari dell’ Arietites stellaris , bisulcatus, semicostatus ; corrispondentemente sulla sponda occi- dentale, nelle cave di Moltrasio si hanno frequentissimi modelli ed impronte delle medesime specie; alle quali posso aggiungere una impronta di Pecten colla regione cardinale incompleta, trovata da me alla Villa Pizzo in Comune di Cernobbio. Simile povertà di fauna trova un riscontro nei calcari di vall’Intelvi, dove nulla si rinvenne, se si eccettuino alcune arietiti di Laino e di Pona, di assai difficile determinazione, e di alcuni brachiopodi della vetta del M. Generoso, fra i quali il Parona (J) riconobbe le seguenti specie : Spiri ferina expansa Stpp. * Walcottii Sow. » alpina Opp. Rhynchonella variabilis Sebi.? Nei calcari di Moltrasio caratterizzati dai grossi Arietites bisulcatus e stellaris, dice il prof. Taramelli (2) che furono tro- vate delle tìlliti, e che il prof. Sordelli il quale stava studiandole, asseriva che la maggior parte delle specie, spettano assolutamente al lias inferiore. Negli strati Lassici di Val Bavella e della Luera, sulle pen- dici dei Corni di Canzo, di Suello, Civate e Sala, rimarcai nessuna traccia di fossili, solo a Galbiate inferiore trovai la Belemnites brevirostris D’Orb. 0) C. F. Parona, Note paleontologiche sul lias inferiore delle prealpi lombarde, 1889, pag. 8. (*) T. Taramelli, Il Canton Ticino ecc., pag. 78. 158 B. CORTI Capitolo V. Lias medio. Gli strati della Bicicola sono considerati dal Parona (') come probabili rappresentanti del Lias medio, sia in riguardo alla loro posizione stratigrafìca che alla loro fauna. Sono strati di un cal- care marmoreo, roseo, molto compatto che formano la rupe, detta Sasso Bicicola, a 377 m. sul livello marino. Quivi la serie Basica è molto bene distinta, massime alla lo- calità detta di C. Boroncelli, da dove si sale alla Bicicola. Essa è così costituita in serie discendente: 1. Calcare marnoso e maiolica cretacea lattea, marmorea a sot- tilissime suture. 2. Calcare compatto roseo. 3. Calcare rosso ad aptici. 4. Calcare rosso marnoso ad arpoceratidi, estremamente fos- silifero. 5. Il calcare compatto carnicino della Bicicola. 6. Una zona di sottili sckisti calcari neri. 7. Il calcare grigio-ceruleo ad Arietiti. Il compianto prof. Meneghini (2) illustrò la fauna della Bicicola con una splendida monografia, dalla quale risultano 42 specie di sicura determinazione e 6 di incerta. La presenza di foraminiferi nel calcare marmoreo della Bicicola è attestata da alcune Globi- gerine , Nodosane, Textularie riscontrate in sezioni sottili (3). Tra- i fossili di sicura determinazione, i seguenti sono propri del Lias medio e inferiore: Nautilus intermedius Sovv. , Phylloceras Partschi Stur., Phyl. Zetes d’Orb., Aegoceras strialum Reim., Harpoceras Al- govianum Opp., Harp. Masseanum d’Orb., Pecten subreticulatas Stol., Ter ebr aiuta Aspasia Mgh., Millericrinus Hausmanni Roem. (J) C. F. Parona, Note paleontologiche sul lias inferiore ecc., pag. 9. (2) I. Meneghini, Paleontologie lombarde, voi. IV, 1867-81. (3) Idem, op. cit., pag. 221, tav. XXXI, fig. 13. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 159 Nel deposito della Bicicola mancano affatto le specie più tipiche del lias superiore, e di quelle comuni ad esso, che sono undici specie, di cui tre di determinazione dubbia, la maggior parte non sono già comuni col rosso ammonitico marnoso, ma col Medolo, il quale, per taluni caratteri della sua fauna e per la posizione che occupa nella serie delle formazioni liasiche rilevate da Bittner nella provincia di Brescia (1), parrebbe rappresentare il lias medio piuttosto che il superiore; dubbio già espresso dallo Zittel. Queste considerazioni basate sullo studio della fauna della Bici- cola e della sua posizione stratigrafìca, hanno permesso al Parona di ritenere con molta probabilità che gli strati della Bicicola rap- presentino il Lias medio. Questa idea nasce molto facilmente dopo la lettura del Me- neghini sui fossili del rosso ammonitico di Lombardia, e più par- ticolarmente, dalle considerazioni stratigrafiche che pone in fine del- l’opera sua. Della fauna di questa località ha potuto determinare due specie che si trovano nella Collezione lombarda del Museo geologico della R. Università di Pavia. Si può affermare con sicurezza che nella mia regione, allo in- fuori della Bicicola, di cui con molto riserbo riporto il risultato degli studi del Meneghini e del Parona, non saprei trovare altri probabili rappresentanti del Lias medio. Alcun dubbio però mi è nato dall’avere rinvenuto nelle vici- nanze di Ponzate, due frammenti di fossili, di cui uno determinai per un: Harpoceras Algovianum , Opp. Questo frammento, molto ben conservato, è impietrito in un cal- care marnoso-grigiastro che dà poca effervescenza cogli acidi, e ricco di mica; esso è identico per la sua natura litologica, agli strati e calcari arenacei, cerulei, fossiliferi di Val Marianna in Tal Cuvia e di Y araro sui Pizzoni di Laveno, che corrispondono o al Lias medio o al Medolo bresciano. Il secondo frammento si presenta in una stato di conservazione molto inferiore ; è impietrito in un cal- care grigio, a frattura concoide, molto effervescente cogli acidi, con frequenti inclusioni di limonite, assomiglia al calcare grigio del Lias medio del monte Misma. U) A . Bittner, Sulle formazioni mesozoiche ecc. 1883. 160 B. CORTI Ora, se qualche considerazione si può instituire in merito a questi due fossili, o meglio, ad uno solo di essi, all ' Earpoceras Algovianum ; alla natura litologica del calcare, essenzialmente di- verso da quello del lias inferiore, e somigliante a quello di Val Marianna in Valcuvia e dei Pizzoni di Laveno; qualora si tenga conto del fatto importante dell’essere essi portati da altra località che non può trovarsi che nei monti sovrastanti Civiglio e la valle del Ponzasco, non potrebbe nascere il dubbio, siano essi i rappresen- tanti di una zona del Lias medio ? E che il detrito vegetale e la forte espansione morenica celino questo piano e i suoi rapporti di contatto colle altre formazioni Massiche ? Capitolo VI. Lias superiore; o calcare rosso ammonitico. Questo piano dell'epoca mesozoica è il più noto fra i lombardi, per avere destato l’interesse di molti geologi nazionali e stranieri, per la sua facies litologica tanto evidente e di una continuità assai spiccata, e per l’abbondanza veramente straordinaria dei petrefatti. Dopo gli studi dello Stoppani, dell’Hauer e del Meneghini (l), s'è fatta molta luce a proposito della conoscenza di questo piano e s’è ormai dimostrato che la maggior parte dei fossili spettano indubbiamente al Lias superiore. Il merito principale va dato allo Stoppani per aver prima del- l’Hauer e del Quenstedt intravveduta e affermata un’unità di epoca rispetto alle tre formazioni del Lias superiore, Rosso ad Aptici e Majolica; o meglio, per averli considerati come formanti un solo indivisibile complesso, e accennato alle diverse cause chimiche e meccaniche che originarono le varie loro facies litologiche, e alle varie fasi di sviluppo e di estinzione delle faune. (M A. Stoppani, Studi geol. ecc. — Idem, Rivista geologica ecc. — Hauer, Ueber die Cephalopoden aus dem Lias der Nord-Ostlischen Alpen (Denksch. d. k. Akad. d. Wiss., Wien, 1856). — Meneghini, Paléontologie lombarde ecc. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 161 Anche il prof. Taramelli (Q si attiene a questo concetto dello Stoppani, indotto dalla attiguità e concordanza di essi piani che egli dice con una assai felice espressione « sfumantisi l'uno nel- l’altro così costantemente associati in una zona senza confronto mi- nore delle marne del calcari selciosi, delle brecciole e delle dolo- mie, riferite al lias inferiore » . Di fatto queste tre formazioni prese nel loro insieme e para- gonate, nelle singole località nostre lombarde, al piano inferiore di Saltrio, rappresentano una minima proporzione. L’Hauer considerando gli strati del lias superiore dal punto di vista litologico, di divide in due zone, la inferiore costituita da calcari grigi, la superiore da masse calcaree rosse ; quanto alla fauna loro dice non potersi stabilire una vera e propria divisione. Il rosso ammonitico lombardo, in generale mantiene una facies costante litologica e un andamento stratigrafico, che poco diversifica nelle varie località delle nostre prealpi lombarde. Kiguardo alla sua tinta mi pare si possa stabilire una divisione fra le province occidentali e le orientali. Nelle prime predomina la tinta rossa, con qualche zona clo- ritica, cha si alterna o si sostituisce totalmente alla prima, come ci è dato vedere nei vari affioramenti di tutta la provincia di Como. Nelle seconde la tinta si fa sovente livida o bianchiccia, ta- lora accidentalmente nerastra o grigia, come a Pilzone sul lago d'Iseo, e gialliccia nella provincia di Brescia. Nel foglio Dufour si osserva una sinclinale, il cui asse inco- minciando da Mendrisio prosegue con direzione sud-sud-est fino a Morbio, dove si biforca; l’una zona mantenendo questa direzione sopra S. Simone, l’altra deviando leggermente a sud-est di Balerna. Questa sinclinale sostenuta dai calcari del lias inferiore del Generoso e del Bisbino, arrivata alla località sopra citata, scom- pare affatto, mascherata forse dal terreno morenico di Balerna e Pontegana. Quindi segue l’alluvione del T. Breggia, colle morene laterali di Quarzino e Folcino sulla destra, di Piazza e Cernobbio sulla sinistra, colla alluvione ipomorenica fortemente cementata, sotto- stante a Piazza. Queste morene si addossano da una parte e dal- (*) (*) T. Taramelli, Il Cantori Ticino ecc., pag. 82. 162 B. CORTI l’altra ai calcari liasici di Maslianico e Rovenna sulla sinistra e di Cardina alla destra, segue poi il deposito alluvionale e lacustro- glaciale di Como e non riappare traccia della sinclinale di Men- drisio che nella valle della Cosia sotto Camnago. Questa deve essere la continuazione di quella che prosegue in direzione sud-sud-est passando sotto Como diagonalmente per assumere direzione di nord-nord-est nella vailetta della Cosia. Di fatto fu constatata la presenza del lias superiore alla sta- zione ferroviaria di Como, praticandovi dei trafori per acqua po- tabile. È al Merian Q) che si deve il merito principale d'aver seguito il rosso ammonitico, oltre Mendrisio, sul fianco meridionale dei monti fino al lago di Como; egli lo osservò sopra la massa del Generoso all’Alpe di Salorino e presso l’Alpe Baldovana, quindi sul lembo orientale di questa massa presso Lovergniana, Castello e segnatamente nello spaccato della valle della Breggia. Lo Stoppani, l’Omboni, il Curioni (2) parlano di questa sin- clinale di Camnago, mirabile in vero per la sua continuità e ab- bondanza di fossili. Nel foglio Dufour è segnata dal letto del Cosia innalzantesi e prolungantesi fino alla valle del T. Bova e all’antico convento di S. Salvatore sopra Erba. In essa il maggiore sviluppo è devoluto al Rosso ad Aptici e alla Majolica, mentre al rosso am- monitico non è assegnata che una ristretta zona. In effetto però è cosa molto difficile il voler stabilire una de- limitazione marcata fra la zona del rosso ammonitico e quella su- periore del rosso ad Aptici, sia per la comunanza dei caratteri petrografici, che per la strana mescolanza delle ammoniti e degli aptici. Ed è per questo che nella descrizione parlerò contemporanea- mente dell’una e dall’altra, accennando ai loro reciproci rapporti di contatto e di sviluppo. f1) P. Merian, Ueber die Flotz-formationem der Vmgegend von Mendri- sio. Verhandl. d. Natf. Gesell., Basel, 1854, pag. 80. (2) A. Stoppani, Studi geologici etc. — Idem, Rivista geologica ecc. — G. Omboni, Le nostre Alpi e la pianura del Po, 1879. — G. Curioni, Geo- logia applicata ecc. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECO. 163 Però se difficile è il fissare una linea netta di confine fra i due piani, citerò, nel seguito del presente capitolo, degli esempi spiccatissimi di passaggi molto netti e decisi, dove la facies lito- logica e paleontologica subisce un cambiamento repentino e bene individualizzato. Gli altri affioramenti segnati nel foglio Dufour compaiono ai Corni di Canzo, a Suello, Civate e Galbiate alle falde del monte Barro. Nella descrizione dei quali procederò con ordine, incominciando dalla sinclinale di Camnago, e cercando di dire partitamente di cia- scuna zona, per quanto lo permette la loro indissolubilità. Sinclinale di Camnago. — Il torrente Cosia che nasce dalla confluenza della valle che scende dalle Alpi Turati, dalla vai dei Valloni e dalla vai Kondinina, incise nei fianchi del monte Bo- lettone 1317 m. scende con un dislivello totale di 312 metri, sotto Camnago, dove nel mezzo del suo letto s’avvanza uno sperone di Majolica dell’altezza media di circa 20 metri sul fondo del torrente. La direzione degli strati è da sud-sud-ovest a nord-nord-est e l’affioramento del sopradetto calcare continua per un tratto di circa 100 m., perchè coperto dalla morena, come si vede alle prime case del paese, alla destra del ponte gettato sopra la vallecola scendente da Civiglio. La quale è incisa nel calcare del lias inferiore e viene a lam- bire colle sue acque gli strati del lias superiore, del Titonico e della Majolica, nella parte posteriore dello sprone, dopo aver girato attorno al quale sbocca nel Cosia. In quella valletta la successione degli strati è evidente, per l’abrasione della morena, che doveva riempire tutta la valle. I ca- ratteri petrografici dei due piani sono bene differenziati; il primo è un calcare rosso mandorlato, con frequenti zone cloritiche, mar- noso compatto, cod straterelli di calcite, struttura fibrosa e super- ficie scagliosa. Il secondo è sempre, e ovunque, più compatto e si- liceo, benché non manchi di straterelli marnosi e nella sua parte superiore sfuma insensibilmente in un calcare compatto marmoreo a frattura concoide, prima roseo, quindi biancastro. Questi strati, che devono aver subito delle forti contorsioni, come si rivela dal loro andamento irregolare, benché continuo e non discordante e dallo schiacciamento presentato da alcuni fossili, s’in- nalzano sempre più inclinati di pochi gradi a nord-nord-ovest, ada- 164 B. CORTI giandosi sugli strati del lias inferiore, la cui zona di contatto non è dato scorgere per il residuo di morena a monte : i calcari mar- nosi inferiori abbondano di ammoniti e di Nautilus, mentre i calcari selciosi sovrapposti abbondano di Aptici e di Belemniti. Salendo la via che da Camnago conduce a Ponzate, si scorge il terreno morenico cbe maschera completamente gli strati del lias superiore, i quali compaiono improvvisamente per un tratto di 18 metri in lungezza per 2,50 di altezza, a mano manca, a circa 90 metri sopra Camnago. Sono marnosi, a vene cloritiche, profondamente corrosi dal- l’azione meteorica inclinati di circa 40° a sud-sud-est con direzione da sud-sud-ovest a nord-nord-est. Panno passaggio ad un calcare gialliccio, cloritico, di circa m. 0,60 di potenza, a cui succede immediatamente la majolica; superioremente vi è copioso il terriccio vegetale dei coltivi, attra- verso il quale, risalendo per un tratto di circa 50 metri; in di- rezione nord-nord-ovest affiorano ancora. Un altro affioramento si scorge lungo la viottola cbe dalla strada maestra da Camnago a Ponzate conduce a Campora, ap- pena passata la casa Caprani ; è un fascio di strati marnosi rosso- cloritici dello spessore di circa 10 metri sopra un’altezza di 2,50 m. che fanno passaggio alla majolica; sono inclinati di 55° a sud-sud-est. In questo affioramento ho trovato i seguenti fossili: Ter ebr aiuta triangularis Lamark, Aptychus profundus (Yoltz.), Stpp., Ppjhyl- laricrinus fenestratus Dum., Rhynchoteuthis Fischeri Oost. ('). Continuando a salire la strada per Ponzate, attraverso la ma- jolica, all’ultima svolta, prima d’entrare in paese, si vedono gli strati del Rosso ad Aptici, sulla mano manca, passare alla Majo- lica con un distacco netto e deciso dei più caratteristici. Essi strati sono molto selciosi e alternanti con zone di calcare marnoso com- patto, continuano per un tratto di poco più di 60 metri, fino all’im- bocco della stradicciuola, che prima dell’entrata del paese scende sopra Cammago. Dalla mano manca si osservano gli strati attraversare la strada maestra per continuare sulla destra, e riapparire potenti a strati (*) (*) B. Corti, Sui fossili della Majolica di Campora (Estr. Kend. R. Isti- tuto lombardo di scienze e lettere. Serie II, voi. XXV, Fase. VI, 1892). OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 165 orizzontali e con direzione nord-nord-ovest nella valle di Ponzate che è scavata in essi. Sono calcari cloritici alternantisi con zone mar- nose fogliettate, rossastre, lutulenti, risultanti quasi esclusivamente di un impasto di piccolissimi crostacei del genere Bairdia. Vi rinvenni traccie di Harpoceras, assai male conservati e frammenti di Belemnitì , nessuna traccia di Aptici ed un modello interno del Perisphinctes colubrinus Rein. che è una specie del Titonico inferiore della provincia di Verona e del Diphyakalk del Tirolo meridionale. Questi calcari sono poco sviluppati sulla sinistra sponda della valle, mentre sulla destra raggiungono un’altezza di 10 metri sul thalvoeg per sfumare in strati a filoni di selce, con assoluta man- canza di fossili che affiorano al ponte gettato sopra la valle a mano manca della strada che conduce da Camnago a Casina ; sono al tutto simili a quelli che ho notato alla svolta della strada per Ponzate ; dove gli strati selciosi si manifestano nella loro massima potenza è alla salita da Vill’Albese alle Alpi Turati 858 m. Quivi col lias superiore formano una vasta zona che s’innalza fino al Buco del Piombo, attraversa la valle del T. Bova e si spinge fino al Convento di S. Salvatore sopra Erba; cosi la sinclinale è segnata nel foglio Dufour dagli egregi autori. Belle varie valli che scendono dai monti: Uccelleria 1026 m. vai Ponzasco ; monte Bollette 1234 m. vai Piatellina e vai Ta- vernerio; monte Bolettone 1317 m. vai dei Valloni , vai Rondinina e valle delle Alpi Turati , queste ultime due attraversano la zona più potente di questi strati. Fossili si rinvengono in copia a Sol- zago, Tavernario e nei dintorni di Vill’Albese e di Erba. In direzione nord-nord-est sopra Vill’Albese il lias superiore mantiene costanti i caratteri litologici, di cui dissi parlando della valle di Ponzate. Secondo il Curioni (!) nella vallecola detta Pozzolo, presso Cam- pidè, sul medesimo monte, ma più verso le Alpi di Albese, si os- servano veri banchi di calcarea verdognola con Ammonites helius , su cui posano molti banchi di calcaree marnose, rosse, ammoniti- fere coperte da banchi calcarei rossastri e selciosi ; questa descrizione del Curioni verificai essere molto esatta. (*) (*) G. Curioni, Geologia applicata, ecc., voi. I. pag. 268. 166 B. CORTI Scendendo dalla costa del monte Bolettone verso il T. Bova, si attraversa la zona del lias inferiore, che da marnoso diventa esclu- sivamente siliceo alla Torre del Broncino 1076 m. ; appena oltre- passata la fonte Carei affiorano i calcari ad Harpoceras, a strati marnosi molto potenti, ai quali succedono dei calcari bigi compatti a tinte leggermente rosee, che rappresenterebbero il piano superiore ad Aptici; essi sfumano gradatamente nella majoiica. Una evidente successione si osserva a nord di Erba ; sopra le calcaree grigie spesso giallastre e subcristalline per incipiente do- lomitizzazione del lias inferiore, riposano i banchi ad Harpoceras inclinati a nord-est con aspetto brecciforme, sui quali si adagiano i calcari selciosi titonici. Essi formano la base della caverna, detta del Buco del Piombo, scavata nella Majoiica. La sinclinale di Camnago nel foglio Dufour continua sulla sponda sinistra del T. Bova, con un lembo di rosso ammoni tico, che comprende l’antico convento di S. Salvatore sulle falde del monte Panigai, e quivi si arresta. Però in seguito a dettagliate osservazioni ho potuto convin- cermi che essa continua ben più oltre, con ripetuti affioramenti, di cui due molto visibili alle falde del monte Croce di Casiino e del monte Begondello a circa 150 m. sulla strada che da Lezza conduce a Casiino. Sopra questo paese il Titonico è stranamente rappresentato da un calcare marnoso, con rognoni di selce molto alterata e con asso- luta mancanza di fossili, e proseguendo per la strada da Casiino a Scarenna, si vede in più luoghi manifestamente affiorare coll’a- spetto di uno strano conglomerato di massi selciosi, compresi nel deposito della maiolica. Il tratto, dove si verificano questi affiora- menti è tra Casiino e Cà Bianca, a ridosso delle falde del monte Barzaghino e del monte Croce di Pizzallo a circa 30 metri in media d’altezza sul livello della strada. Non hanno questi strati la continuità tanto spiccata della sin- clinale di Camnago, per il loro apparire qua e là saltuariamente e con una massima potenza di circa 4 metri, ma se ne può affer- mare, senza alcun dubbio,, la loro ìntima connessione con quella. Dopo Cà Bianca, alla svolta della strada, a mano sinistra, è molto manifesto il loro affioramento a ma' di sinclinale, il braccio OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 167 inferiore della quale si estende molto in basso, tanto che lo si vede attraversare la strada. Sopra questi strati, dal punto di vista topografico, e inferior- mente, dal lato stratigrafico, si mantengono costanti i calcari del lias inferiore , come ho già detto parlando di questo piano. Per dire degli altri affioramenti delle due zone nella mia re- gione, accennerò alla striscia che da Carella a sud-est del Segrino, passando sopra Cesana e Snello si prolunga fino a Civate, e, in- terrotta dalla Yal Ritorto, continua sopra Sala, Galbiate e Vignola sulla destra sponda del lago di Gfarlate. Incominciano ad affiorare gli strati del Rosso ad Àptici sopra il ponte dello scaricatore del lago del Segrino, a mano manca della strada che da Carella conduce a Pusiano, sono molto compatti a grossi rognoni di selce, si associano ai calcari ad Harpoceras con- tinuando sopra Cesana, S. Fermo, Snello e Civate. Questi strati ammonitiferi sono i soliti calcari rossastri, com- patti, a cui però si interpone un banco calcareo-argilloso, ricco di perossido di manganese e dello spessore di circa m. 1,50; il ti- tonico è costituito dalla solita petroselce, intercalata con banchi di calcare rosso argilloso. Per salire al monte Pesura fra Suello e Cesana, esso assume una potenza rilevante per banchi di pura selce rossa, sopra la quale poggiano strati marnosi rossicci di uno spessore, che varia da 3 a 5 metri, con Harpoceras radians, Pliyl- loceras Nilsoni e Capitami. Quindi si mutano nel solito calcare gialliccio compatto, al di sopra del quale ricompaiono i banchi di selce rossa alternantisi con strati calcarei argillosi, talvolta lutulenti. Si appoggiano essi al lias inferiore, che innalzandosi a mo’ di curva anticlinale verso nord-nord-ovest, forma l'Alpe Carella 665 m. sulla sponda sinistra del lago del Segrino ; quindi si estendono fin sopra Civate, per poi continuare sull’altra sponda della Yal Ri- torto, sopra Sala e Galbiate alle falde del monte Barro. La serie liasica è molto chiara e distinta nei dintorni di S. Fermo e Suello, per la continuità e costanza dei caratteri pe- trografici e paleontologici. Il Meneghini riporta 24 specie di Suello, fra le quali una Ostrea sp. ed uno Spirifer Stoppanti, specie tutte del lias superiore. Questa zona di strati, oltrepassata la Val Ritorto, si prolunga 168 B. CORTI a Sala e Galbiate e discende fino alla sponda destra del lago di Gar- late, mostrandosi molto sviluppata, per quanto concerne il Rosso ammonitico, a Calcherino. Io ho seguito questa zona, percorrendo la strada da Insirauo, Torretta, Yignola, Galbiate e Sala, per rilevarne, con dettaglio, l’andamento stratigrafico. Nel breve spazio da Pescarenico a Yignola, mi sono convinto della mirabile successione dei vari piani lias- sico-giuresi e cretacei che si addossano alle falde del monte Barro per continuare poi sulla sponda sinistra del lago di Garlate a Chiuso, Yercurago e Carenno. Sinclinale dei Corni di Canzo. — L’affioramento del rosso ammonitico comincia sopra Canzo alla località detta la Tampa del Roncaiou, con una potenza di non meno di 15 m., scarso però di fossili ad eccezione delle poche specie che citerò nell’elenco più sotto. È una massa compatta dei soliti calcari rosso marnosi, senza alcun piano apparente di stratificazione; è detta Tampa perchè vi sono praticate una galleria nella sua parte superiore, e varie nella parte inferiore, chiamate complessivamente: Tampa del Maglio. L’ Amoretti (') parlando dei Corni di Canzo, accenna ad al- cune particolarità litologiche e stratigrafiche di questa Tampa. Quivi il lias superiore è di una continuità mirabile tanto che ho potuto seguirlo fino all’Alpe grassa 732 m. ; salendo la mulat- tiera che conduce ai Corni di Canzo, e constatarne la riapparizione prima e dopo l’Alpe Bertalli 779 m. All’Alpe Grassa gli strati ad Harpoceras hanno facies litolo- gica molto diversa da quella, che offrono alla Tampa sopra Canzo, dove mostrano evidentissimo il loro passaggio alla zona superiore del Rosso ad Aptici, per il subitaneo mutarsi della loro natura marnosa, a strati quasi orizzontali, selciosi mandorlati, a tinta rosea, di poca potenza, in alcuni punti di m. 0,70 di spessore, quasi affatto privi di fossili, ad eccezione di pochi esemplari di Aptici male conservati. (0 C. Amoretti, Viaggio ai tre laghi ecc. pag. 339. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 169 Il Curioni (’), parlando dell’affioramento di questi strati ai Corni di Canzo, e dopo aver detto come essi s’incontrino nella Val Bavella presso S. Miro e s’innalzino sulle alture dei Corni di Canzo, aggiunge qualche breve considerazione sulle contorsioni e gli sconcerti loro. Il risultato dei quali fu la rottura degli strati che diede luogo a forti interruzioni. Un esempio d’interruzione assai evidente è quello della zona del rosso ammonitico di Suello, che s’innalza sopra Civate e si con- nette con quella della Valle Luera, e questa alla sua volta con quella della Val Bavella. C) 6. Curioni, Geol. a'pp. ecc., voi. I. 12 170 B. CORTI Elenco delle specie fossili del Lias superiore e del Bosso ad aptici Valletta sotto Camnago II Lungo la strada da Cam- nago a Ponzate Presso Campova Camnago Ponzate Vill’Albese Erba Buco del Piombo S. Fermo Suello Tampa del Koncaiou rS Ó> 3 4 Hn.Tpnnp.rnR hi. frena. g* 4- n complanatum Brug. . . ji rii Rr.ni.rì.p.R Zi pf, - » Comense d. B » Mercati Hauer - 4— - - - - » radians Eein 4- -4- » al.gnnia.nwm. Opp —i— » Aalense Ziet » insigne Schubl » sternale d. B 4- Hammatoceras Reus.si Hauer .... Amaltheus spinatus Brug Coeloceras subarmatum Youn01. . . Steplianoceras Braunianum, d'Orb. » subanquinum Mgh. . » Besplacei d’Orb. . . Simoceras Reqleyi Tbiol - -4- - - Phylloceras Lariense Mgli » Mimatense d’Orb. . . . 4- » Doderleinianum Cat. . n Selinoides Mgh » Capitane i Cat 4- - - - 4- - 4- - 4- » Nilsoni Hèb 4- » heterophylloides Opp. . Lytoceras fimbriatum Sow -4- -4- 4- » lineatum Schlth 4- » cornucopiae Y. B -4- 4- » Dorcadis Mgh Aptychus sublaevis d’Orb -4— 11 discus Stpp -4— P OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 171 Elenco delle specie fossili del Lias superiore e del Eosso ad aptici Vailetta sotto Camnago Lungo la strada da Cam- nago a Ponzate Presso Campora Camnago Ponzate Vill’Albese : Erba Baco del Piombo S. Fermo Suello S Tampa del Roncaiou Luera Apiychus pernoides Stpp -4— -t- n scapha Stpp » zonatus Stpp n profundus (Yoltz.) Stpp. . -h- H- » crassilabrum Stpp » depressus Yoltz. . . . » acutangularis Stpp. . . . Nautilus interrnedius Sow Aulacoceras Indunense Stpp. Belemnites subtenuis Simps « Sauvanansus d’Orb. . . « hastatus ? (Blainv) Stopp. » Fleuriausus{ d'Orb.)Stpp. » cfr. Argovianus Mayer. » cfr. Neyrivensis E. Fov. » cfr. exilis d’Orb — 1— » cfr. Dionysii E. Fov. . » cfr. Coyuanda.nus d’Orb. » cfr. Neumarktensis Opp. Inocerantus Isodiocardiopsis Stpp. . Terebratula Renieri Cat. . . triangulus Lamark . . Phyllocrinus fenestratus Demi. . . . Rhynchoteuthis Bischeri Oost. . . . ” sp. ind 172 B. CORTI Capitolo VII. Majolica; neocomiano, biancone o creta inferiore. Intimamente connesso cogli strati inferiori titonici si mostra un deposito di calcari compatti, omogenei, color latteo o bianco sporco con filoncelli e rognoni di silice bionda, cerulea o opalina, sparsa di finissime suture. Riguardo a questo deposito, parlando dei calcari rosso mar- nosi del lias superiore e dei selciosi sovrastanti, ho detto della unità di epoca ideata dallo Stoppani e accettata dal prof. Tara- melli e della loro indissolubilità dal punto di vista litologico per- ii graduato sfumarsi delle loro zone di contatto. Si può asserire che in Lombardia la majolica rappresenta uno degli orizzonti litologici più distinti e continuati, e nella mia re- gione molto rilevante è la potenza e l’estensione che assume, mas- sime nella sinclinale di Camnago, come verrò dicendo in seguito. Lo Stoppani (') colloca il marmo majolica di Camnago, Erba, Snello, Induno, Eraschirolo nell'ultimo membro in serie ascendente dell’epoca giurese, basando questo suo riferimento, oltre che sulla prova del sincronismo coi due terreni sottoposti, sui fossili da lui scoperti nella vera maiolica. Ammonite s tatricus Pusch. Fraschirolo. » plicatilis Sow. » Aptychus lamellosus Munst. « » profundus Woltz » Belemnites hastatus (?) Blain. » » exilis d’Orb. » » comensis Stpp. Camnago tutti dell’epoca giurese. Il Curioni (2) ne fa un terreno a parte, o neocomiano , nel (Ù A. Stoppani, Studi geol. ecc., pag. 82. (2) G. Curioni, Geol. appi, ecc., voi. I, pag. 285. OSSERVAZIONI STRATI GRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 173 quale comprende i calcari bianchi compatti, marmorei ad arnioni di selce di Camnago, Solzago, Tavernerio etc. Questo riferimento della majolica al neocotniano è mantenuto dagli autori del foglio 24° Dufour. Oltre gli Aptychus lamellosus e profundus, vi si trovano pure il SerraotiiSj Y angulicostatus ed il Fleuriasus come a Camnago, Tavernerio e Solzago. Nella Memoria dei signori Spreafico e Negri la delimitazione di questo deposito non è certa, massime per quanto riguarda i suoi confini colle marne a fucoidi superiori ; secondo quegli autori esso rappresenterebbe da noi quello che in altre parti d’Europa è co- stituito da una gran massa di terreni, rappresentanti i piani del giura superiore e del neocomiano. Recentemente in una mia Nota preventiva letta all’Istituto lombardo (') ho riportato i risultati di alcune mie ricerche pa- leontologiche e stratigrafìche sulla Majolica di Campora presso Como, venendo alla conclusione del riferimento della majolica alla creta inferiore e degli strati selciosi ad aptici al Titonico. Le mie conclusioni sono basate sulle specie fossili cui accen- nerò più sotto. ★ ■¥• * Appare la maiolica nel letto del T. Cosia, sotto Camnago, in direzione da sud-sud-ovest a nord-nord-est formando quello sperone di cui ho già detto. Ha un’altezza media di circa 20 metri, ed è allo scoperto per circa 100 metri. A Campora la roccia presenta qualche traccia di stratifica- zione, è frequentemente attraversata da filoncelli e sparsa di noduli di selce cerulea ed opalina ; qua e là si osservano dei sottili stra- terelli lutulenti, grigiastri, dovuti alla decomposizione del calcare e degli ossidi di ferro; superiormente ha l’aspetto brecciforme, per lo scagliarsi della roccia all’atto del subito corrugamento e al suo posteriore rimpasto. f1) B. Corti, Sopra i fossili della Majolica di Campora presso Como (Estr. Rend. R. Ist. Lombardo, 10 marzo 1892). 174 B. CORTI Lungo la strada, che da Camnago conduce a Ponzate appare la maiolica improvvisamente, a mano manca, sovrapponentesi agli strati calcarei marnosi ammonitici. Continua la nostra formazione molto sviluppata e potente a mano manca, mantenendo uniformità litologica spiccata. La si se- gue senza alcuna interruzione fino all’ultima svolta della strada, prima di Ponzate, dove cessa improvvisamente, mostrando eviden- tissimo il suo passaggio netto e deciso agli strati inferiori ti- tonici. A Casina, Solzago, Tavernerio occupa una estesa zona con una potenza massima di 200 metri fra Campora e Ponzate in linea retta. Sopra Solzago e Tavernerio si attenua di molto fino a ridursi a poco più di 80 metri di spessore e continua passando sopra Al- bese, sotto l'Alpe Turati e la Torre del Broncino, formando la caverna detta del Buco del Piombo. Essa riposa sopra un banco della potenza di quattro metri di strati selciosi e calcareo marnosi-rossastri, i quali ricompaiono al di sopra di essa, a mo’ di curva sinclinale. Nella valle del T. Bova, sopra al Buco del Piombo la majo- lica assume un ragguardevole sviluppo, il letto del torrente e le due sponde sono scavate in essa, e sulla sinistra della valle s’in- nalza a formare sulle falde e sulla vetta del M. PanigaL una zona di circa 60 metri di potenza, sostenuta dagli strati inferiori che affiorano a S. Salvatore. Quindi si prolunga, non interrotta, lungo le falde del monte Croce di Casiino e del M. Regondello e s’arresta un po’prima di Casiino, per ricominciare subito dopo, sulla sponda destra del Lambro, lungo la strada che corre da Casiino a Scarenna, per un tratto non interrotto della potenza media di 15 metri; dopo Cà Bianca continua fino alla Cappelletta, che si vede alla destra della strada. Nel foglio Dufour la majolica si arresta a nord-est dello sbocco della Val Rondinina nella Val dei Valloni sopra Vili’ Al - bese e il torrente Bova attraversa esclusivamente il lias inferiore e il lias superiore, e dalla sponda sinistra di esso, in avanti, si stende la tinta dei calcari grigio affumicati Rasici, dove ho detto invece affiorare la majolica cogli strati sottoposti. OSSERVAZIONI STRATI GRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 175 Con la medesima tinta è segnato quel lungo sperone che si avanza nella valle del Lambro e che è compreso fra questo e il T. Ravella, mentre risulta formato dal calcare bianco della majolica. Sopra Canzo alla Tampa del Roncaiou, compare questa for- mazione bianco-lattea, a suture finissime, senza traccia di fossili e con distinto passaggio agli strati ad Aptici ; ha uno spessore dai due ai tre metri e continua non interrotta fino al cominciare della mulattiera che sale all’Alpe Grassa. Poi il comparire da una parte e dall’altra della strada dei calcari cerulei, il terriccio vegetale e l’alternarsi delle marne variegate e degli strati ad Earpoceras mi fecero avvertito del cessare di essa. A non molto si riduce quindi il suo affioramento in questa zona, ma nulla ci vieta di supporre con molta probabilità che essa scompaia sotto le marne variegate e le arenarie micacee della creta, che si spingono sotto il Corno mediano fino all’altezza di 1100 metri. Segna inoltre la majolica una striscia da Carella a Civate, passando sopra Penzano, Cesana e Suello. Io l’ho osservata al Sasso della Bicicola e sotto Civate alla svolta della strada per Valmadrera, dopo C. Castelnuovo, dove essa succede alle marne rosso -vinate, che si osservano fra Civate e Suello. Ha tinta cinerea ed è attraversata da filoni di selce bionda, quivi trovai un frammento di Aptychus Didaiji. Alle falde del M. Barro, dove la serie dei terreni si ripete identicamente, si osserva la majolica alla Stazione di Sala, lungo la strada che procede parallela alla linea ferroviaria, e precisa- mente di fronte al Casello. Quivi gli strati eretti fin quasi alla verticale, con direzione da sud-sud-ovest a nord-nord-est, si appoggiano ai calcari cerulei del lias inferiore, per evidente scorrimento di strati. Questo lembo di maiolica si stende sopra Sala e Galbiate, coperto dalle marne variocolori della Creta e appare ancora dopo Vignola, prima della svolta della strada, per un tratto di pochi metri. Dopo aver detto brevemente di questa formazione tanto ca- ratteristica per la sua facies litologica così uniforme e costante, ag- 176 B. CORTI giungo il risultato delle mie ricerche paleontologiche di cui altrove ho già detto (1). Tutti gli autori furono sempre concordi nello ammettere una grande scarsità di fossili nella maiolica nostra lombarda, e ad eccezione delle specie citate poco sopra, nulla si era mai trovato. Il Curioni (2) dice che nella Valle della Cosia trovò be- lemniti ed antichi nella majolica. Il risultato delle mie ricerche nella majolica di Campora in Comune di Camnago Volta furono le seguenti: Dei brachiopodi il gen. Terebratula colle specie : Terebratula nucleata Schl., Terebratula Euganensis , Pictet. Dei Lamelli- branchi il gen. Gervilia colla specie Gervilia aliformis (Sow.) d’Orb. , il gen. Inoceramus con una specie indeterminata, così pure il gen. Modiola. Dei cefalopodi il gen. Aptychus colle specie Aptychus Didayi Coquand, Ap. angulico status, Pictet e Loriol; Ap. Seranonis , Coquand, Ap. profundus (Voltz.) Stpp. il gen. Eoplites colla specie Eoplites Cryptoceras , d’Orb. , il gen . Belemnites colla spe- cie bipartitus (Catullo) Blainville ed una specie incerta. Aggiunte ai capitoli VI e VII. Al momento di correggere le bozze di stampa del presente lavoro devo fare ai capitoli sesto e settimo le seguenti aggiunte, in vista delle nuove specie di fossili che ho trovate nel titonico presso Campora e nella majolica della località omonima, e che insieme alle specie di altre località titoniche di Lombardia rap- presentano il materiale per una mia prossima monografìa sulla Fauna titonica lombarda. (l) B. Corti, Sui fossili della maiolica di Campora presso Como (Estr. Rend. R. Ist. Lombardo 1892). (*) G. Curioni, Sui terreni di sedimento inferiore dell'Italia setten- trionale. (Memoria, I. R. Istituto Lombardo, 2 aprile 1845). OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 177 PESCI Ord. Selacii. Fam. Lamnidae. Gen. Orthacodus Orthacodus cfr. impressus Zittel sp. : Zittel, Die Fauna der aeltern Tithonbildungen (Sappi. Paleontogr. Cassel, 1870), p. 25, tav. I, fìg. 3-4 (Sphenodus). Altre specie molto affini a questa sono: L ' Orth. longidens Agass. sp. (Lamna [ Sphenodus ] longidens Ag.): cfr. Agassiz, Recher- ches sur les poiss. fossil., 1843, voi. Ili, pag. 298, tav. XXXVII. fìg. 24-29; l’ Orth. tithonius Gemm. sp. ( Sphenodus tithonius Gemm.) : cfr. Gemmellaro, Studi paleontologici sulla fauna del calcare a Terebratula janitor J 1876, pag. 8, tav. II, fi g. 32-41. Esemplare malconcio, privo della radice, ha la corona incom- pleta e mostra soltanto una faccia; lascia vedere tracce della ca- ratteristica impressione longitudinale sulla faccia interna. Giacimenti: nel titonico di Rogoznik, di Trento e di No- riglio presso Rovereto, delle Alpi Friburghesi, nel titonico di Ro- vere di Velo nel Veronese (’). Nei calcari marnosi rossi presso Campora. f1) Queste indicazioni mi vennero gentilmente fornite dal sig. prof. F. Bassani, al quale comunicai per esame l’esemplare e al quale rendo pubbliche grazie. 178 B. CORTI CROSTACEI Due placche, che il prof. C. F. Parona dubita possano essere di un Pollicipes. Belemnites bipartitus (Catullo) Blainville : cfr. F. I. Pictet, Matériaux pour la paleontologie suisse. Description des fossiles contenus dans le terrain nèocomien des Voirons , 1858, pag. 2, tav. I. Nella majolica di Campora. Un solo esemplare. Belemnites ensifer Opp.: cfr. Zittel, Die Cephalopoden der Stramberger Schichten , 1868, pag. 36, tav. I, fig. 9-10-11. Nei calcari marnosi rossi presso Campora. Due esemplari. Giacimenti: nel titonico inferiore della provincia di Ve- rona, nel Diphyakalk del Tirolo meridionale, nel titonico di Ro- goznik e di Stramberger nei Carpazi etc. Belemnites cfr. conophorus Opp.: cfr. Zittel, Die Cephal. ecc., pag. 34, tav. I, fig. 1-5. Nei calcari marnosi rossi presso Campora. Un solo esemplare. Giacimenti: nel titonico superiore della provincia di Ve- rona, nel Diphyakalk del Tirolo meridionale, nel titonico delle Alpi Friburghesi, di Stramberger ecc. Aptychus punctatus Voltz : cfr. Zittel, Die Cephal. ecc., pag. 52, tav. I, fig. 15 a b. Due esemplari, l’uno dei calcari rossi marnosi e l’altro della majolica di Campora, più alcuni frammenti. Giacimenti: nel titonico inferiore della provincia di Ve- rona ; nel Diphyakalk del Tirolo meridionale ; nel titonico di Ro- goznik, di Stramberger, delle Alpi Friburghesi etc. Aptychus Beyrichi Opp.: cfr. Zittel, Die Cephal. ecc., pag. 54, tav. I, fig. 16-19. OSSERVAZIONI STRATI GRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 179 Tre begli esemplari nei calcari marnosi rossi presso Campora. Giacimenti: nel titonico superiore della provincia di Ve- rona , nel Diphyakalk del Tirolo meridionale , nel titonico di Ro- goznik, Stramberger, delle Alpi Friburghesi etc. Aptychus latus Park.: cfr. Favre, Description des fossiles da terrain Oxfordien des Alpes Fribourgeoises , 1876, pag. 62. tav. VI, fig. 9-10. Un solo esemplare nei calcari marnosi rossi presso Campora. Giacimenti: nel titonico inferiore della provincia di Ve- rona, nelle Alpi Friburghesi, negli strati ad Aspidoceras acan- thicum. Aptychus obliquus Quenst. : cfr. Favre, Description des fos- siles des couches tithoniques des Alpes Fribourgeoises , 1879 pag. 45, tav. Ili, fig. 13. Un solo esemplare nei calcari marnosi rossi presso Campora, Giacimenti: nel titonico delle Alpi Friburghesi, negli strati ad Asp. acanthicum ecc. Aptychus profundus Voltz. : cfr. Stoppani e Meneghini, Pa- lèontologie lombarde , pag. 122, tav. XXV, fig. 3. Due esemplari nei calcari marnosi rossi presso Campora. Giacimenti: negli strati ad Aptici di Camnago, Ponzate, Erba ecc., nella majolica di Fraschirolo. Aptychus Didayi Coquand. : cfr. Pictet, Description des fos- siles contenus dans le terr. neoc. des Voirons , tav. X, fig. 1-2. Tre frammenti nella majolica di Campora. Giacimenti: negli strati a Terebratula diphyoides di Beries. Aptychus angulicostatus Pictet ed De Loriol : cfr. Pictet, Description ecc., pag. 46, tav. X, fig. 1-12. Una sola impronta nella majolica di Campora. Giacimenti: nel neocomiano delle basse Alpi della Sviz- zera ecc. Aptychus Seranonis Coquand: cfr. Pictet, Description ecc. pag. 48, tav. XI, fig. 1-8. Molti esemplari nella majolica di Campora. Giacimenti: negli strati a Terebatula diphyoides di Ber- rias, nel Biancone veneto etc. Aptychus sp. ind. 180 B. CORTI Tre esemplari nei calcari marnosi rossi presso Campora, non riferibili ad alcuna specie conosciuta. Hoplites cfr. Cryptoceras d'Orb. : cfr. D'Orbigny, Cèph. crét ., pag. 106, fìg. 24. Un modello interno mal conservato, nella majolica di Campora. Giacimenti: nel Biancone veneto ecc. Olcostephanus Groteanus Opp. sp. : cfr. Zittel, Die Cephalop. d. Stramberg. ecc.. pag. 90, tav. XVI, fìg. 1-4. Un solo esemplare nella majolica di Campora. Giacimenti: nel titonico superiore della provincia di Ve- rona, nel giura indiano (Tibet); nel titonico superiore di Stram- berger e nel neocomiano inferiore di Berrias (Ardèche). Phylloceras serum Opp. sp. : cfr. Zittel, Die Cephalop. d. Stramberg. ecc., pag. 66, tav. VII, fìg. 5-6. Un solo esemplare , modello interno , nei calcari marnosi presso Campora. Giacimenti: nel titonico superiore della provincia di Ve- rona, nel titonico inferiore di Sicilia, dell’ Appennino centrale, di Rogoznik, nel titonico superiore di Stramberger, ecc. Phylloceras Kochi Opp. sp. : cfr. Zittel, Die Cephal. d. Stram- berger ecc., pag. 65, tav. VI, fìg. labe. Un solo esemplare nei calcari marnosi rossi presso Campora. Giacimenti: nel titonico di Stramberger e nel Klippenkalk di Rogoznik ecc. Phylloceras ptychostoma Benecke sp. : cfr. Zittel, Die Ce- phal. d. Stramberger ecc., pag. 68, tav. VII, fìg. 3 ab, fìg. 4 ab. Un solo esemplare nei calcari marnosi rossi presso Campora. Giacimenti: nel titonico di Stramberger e del Tirolo me- ridionale. Phylloceras ptychoicum Qu. sp. : cfr. Zitte], Die Cephal. d. Stramberger ecc., pag. 59, tav. IV, fìg. 3-9. Due esemplari nei calcari marnosi rossi presso Campora. Giacimenti: nel titonico inferiore del Tirolo meridionale delle Alpi nordiche, della Svizzera, di Rogoznik, nel titonico su- periore di Stramberger e nel titonico della provincia di Verona. Phylloceras Silesiacum Opp. sp. : cfr. Zittel, Die Cephal. d. Stramberger ecc., pag. 62, tav. V, fìg. 1-7. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 181 Un solo esemplare nei calcari marnosi rossi presso Campora. Giacimenti: nel titonico della provincia di Verona, nel titonico inferiore del Tirolo meridionale, dei Carpazi, delle Alpi Friburghesi ecc. Phylloceras Manfredi Oppel: cfr. Favre, Description des fossile s da terrain oxfordìen des Alpes Fribourgeoises , 1876, pag. 31, tav. II, fìg. 9-11. Un solo esemplare nei calcari marnosi rossi presso Campora. Giacimenti: è specie caratteristica della zona ad A. tran- sversarius. Lythoceras quadrisulcatum d’Orb. sp. : cfr. Zittel, Die Ce- ppai. ecc., pag. 71, tav. IX, fìg. 1-5. Due esemplari, modelli interni, l’uno nei calcari marnosi rossi presso Campora, l’altro nella majolica. Giacimenti: nel titonico della provincia di Verona, nel Diphyakalk del Tirolo meridionale; nel titonico di Sicilia, di Rogoznik e di Stramberger, nel neocomiano di Berrias (Ardéche). Eaploceras sp. ind. : (cfr. Zittel, Die Fama ecc., tav. XXVII, fig. 2-6). Un solo esemplare nei calcari marnosi rossi presso Campora. Aspidoceras Rogoznicense Zeuschn. : cfr. Zittel, Die Fauna ecc., pag. 79, tav. VII, fig. 1 ab. Un solo esemplare nei calcari marnosi rossi presso Campora. Giacimenti: nel titonico della provincia di Verona, nel Diphyakalk del Tirolo meridionale, nelle Alpi Friburghesi, a Ro- goznik e a Stramberger. Aspidoceras cfr. cyclotum Opp. sp.: cfr. Zittel, Die Fauna ecc., pag. 83, tav. VI, fig. 2 bis, 5. Un solo esemplare nei calcari marnosi rossi presso Campora. Giacimenti: nel Diphyakalk del Tirolo meridionale, nel- l’Appennino centrale ed a Rogoznik. Simoceras biruncinatum Qu. sp. : cfr. Zittel, Die Fauna ecc. pag. 92, tav. Vili, fig. 5-6. Un solo esemplare nei calcari marnosi rossi presso Campora. Giacimenti: nel titonico inferiore della provincia di Ve- rona e del Tirolo meridionale. Simoceras volanense Opp.: cfr. Zittel, Die Fama ecc., pag. 95, tav. Vili, fìg. 7-9. 182 B. CORTI Un solo esemplare nei calcari marnosi rossi presso Campora. Giacimenti: nel titonico inferiore della provincia di Ve- rona, dell’ Appennino centrale, del Tirolo meridionale, dei Carpazi e del titonico superiore di Stramberger. Perisphinctes geron Ziti: cfr. Zittel, Die Fauna ecc., pag. 112, tav. XI tìg. 3. La metà di un esemplare nei calcari marnosi rossi presso Campora. Giacimenti: nel titonico inferiore della provincia di Ve- rona, dei Carpazi, del Tirolo meridionale e dell’ Appennino cen frale ecc. Perisphinctes contiguus , Cat. sp. : cfr. Zittel, Die Fauna ecc. pag. 110, tav. XI, fig. 1-2. Un solo esemplare nei calcari marnosi rossi presso Campora. Giacimenti: nel titonico inferiore della provincia di Ve- rona, dei Carpazi, delle Alpi meridionali e dell’ Appennino cen- trale. Perisphinctes colubrinus Rein. sp. : cfr. Zittel, Die Fauna ecc., pag. 107, tav. IX, fig. 6; tav. X, fig. 4-5-6. Tre esemplari nei calcari marnosi rossi presso Campora. Giacimenti: nel titonico inferiore della provincia di Ve- rona, dei Carpazi, del Tirolo meridionale e dell’ Appennino centrale Rhynchoteutliis Fischeri Ooster. : cfr. Favre, Terrain oxfor- clien d. Alp. Fribourgeoises, pag. 28, tav. II, fig. 4. Due esemplari nei calcari marnosi rossi presso Campora. Giacimenti: nel terreno oxfordiano delle Alpi Friburghesi. Rhyncholeuthis Camporae mihi sp. nov. Tre esemplari nei calcari marnosi rossi presso Campora. Rhynchoteuthis sp. ind. Un solo esemplare nei calcari marnosi rossi presso Campora. Modiola sp. ind. : cfr. Zittel, Handbuch der Paleontologie , II Band., pag. 41. Un solo esemplare conservante il margine palleale, nella ma- iolica di Campora. Inoceramus sp. ? : cfr. Zittel, Handbuch der Paleontologie , II Band., pag. 38. Un’impronta nella majolica di Campora. Gervilia aliformis (Sow.) d’Orb. : cfr. F. I. Pictet, Maté- OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECO. 183 riaux pour la paleontologie snisse. Description des fossiles du terrain Aptien de la Perte da Rhóne et des environs de S . Croix , 1854-58, pag. 120, tav. XVIII, fig. 1-2. Un esemplare e dieci frammenti nella majolica di Campora. Giacimenti: è specie dell’ Aptiano. Terebratala nacleata Schl. : cfr. De Loriol, Monogr. paléon- tol. d. conch. de la zone à Ammon. tenuilobatus de Baden ( Ar - govie), 1876-78, pag. 171, tav. XXIII, fig. 16-18. Un solo esemplare nella majolica di Campora. Giacimenti: nel titonico superiore della provincia di Ve- rona, negli strati ad Aspidoc. acanihicum. Terebratida Bouei Zeunscfi. : cfr. Zittel, Die Fauna ecc., pag. 131, tav. XIII, fig. 15. Una impronta della valva minore e un esemplare intero nella majolica di Campora. Giacimenti: nel titonico inferiore della provincia di Ve- rona, dei Carpazi, dell’ Appennino centrale e del nord di Sicilia, delle Alpi nordiche. Terebratala diphya Fab. Col.: cfr. Zittel, Die Fauna ecc., pag-. 126, tav. XIII, fig. 1-10. Un solo esemplare nei calcari marnosi rossi presso Campora. Giacimenti: nel titonico inferiore e superiore della pro- vincia di Verona, nel Diphyakalk del Tirolo meridionale; assai comune. Terebratula dilatata Catullo: cfr. Pictet, Étude monogra- phique des Térébratules du qroupe de la T. Diphya , 1867, pag. 171, tav. XXXII. Un solo esemplare nei calcari marnosi rossi presso Campora. Giacimenti : nel Trentino, a Volano, al M. Baldo, al M. Nago, a Bogoznik. Terebratula triangulus Link : cfr. Pictet , Étud. mono- graph. ecc., pag. 180, tav. XXXIV, fig. 1-3. Otto esemplari, di cui sette nei calcari marnosi rossi di Cam- pora, ed uno nella majolica. Giacimenti: nel titonico inferiore delle Alpi venete, del Tirolo meridionale, dell'Appennino centrale e dei Carpazi. Terebratula rectangularis Pict. : cfr. Pictet, Étud. mono- graph., pag. 181, tav. XXXIV, fig. 4. 184 B. CORTI La valva maggiore di un esemplare raccolto nei calcari mar- nosi rossi presso Campora. Giacimenti: nel titonico veneto, nel neocomiano ecc. Terebratula Euganensis Pict. : cfr. Pictet, Étud. monograph., pag. 182, tav. XXX1Y, fig. 5-10. Cinque esemplari e parecchi frammenti nella majolica di Campora. Giacimenti: nel titonico superiore della provincia di Ve- rona e nel neocomiano. Metaporhinus convexus Cot. sp. : cfr. Cottau in Zittel, Die Fauna ecc., pag. 151, tav. XV, fig. 1-4. Un solo esemplare nei calcari marnosi rossi presso Campora. Giacimenti: nel titonico della provincia di Verona, nel titonico delle Alpi di Friburgo, dei Carpazi, del Tirolo meridio- nale. Collyrites Friburgensis Oost. : cfr. Cottau in Zittel, Die Fauna ecc., pag. 152, tav. XV, fig. 5-6. Un solo esemplare nei calcari marnosi rossi presso Campora. Giacimenti: nel titonico inferiore della provincia di Ve- rona, di Savoja, della Svizzera occidentale, della Spagna, dei Car- pazi e del Tirolo meridionale. Phylloricrinus fenestrata Dum. : cfr. Dumertier, Quelques gisements de l’oxfordien inférieur de V Ar deche, pag. 49, tav. V, fig. 14-16. Un bellissimo esemplare nei calcari marnosi rossi presso Campora. Phylloricrinus cfr. Mabosianus d’Orbigny : cfr. Pictet, Fame a Ter. diphyoides ecc., pag. 119, tav. XXVIII, fig. 2-3. Un solo esemplare nella majolica di Campora. Phylloricrinus nutantiformis Schauroth. sp.: cfr. Zittel, Die Fauna ecc., pag. 163, tav. XV, fig. 19. Un solo esemplare nei calcari marnosi rossi presso Campora. Giacimenti: nel Diphyakalk di Fondi presso i Sette Co- rnimi. Pentacrinites subteres : cfr. Quenstedt, Der Jura , 1858, pag. 554, tav. LXXII, fig. 34. Un solo esemplare nei calcari marnosi rossi presso Campora. Un frammento di corallo. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECO. 185 Capitolo Vili. Formazioni cretacee; creta media e superiore. Prima di entrare nella descrizione di questi terreni accenno alla delimitazione della creta briantea, proposta dallo Stoppani nei suoi Studi geologici molti anni fa, colla quale si veniva alla distinzione tra le due puddinghe di Sirone e di Centemero, l'una ippuritica e l’altra nummolitica. Tra la puddinga di Sirone a R udiste, Acteonelle e Hippuritì rappresentante la creta media, e la majolica, si era constatata la esistenza di una zona calcar eo-marnosa, e sopra alla puddinga una serie di arenarie compatte alternanti con essa. Il Curioni nella Geologia applicata , mantiene la triplice di- visione della creta briantea proposta dallo Stoppani. A proposito della quale il prof. Taramelli (J) diceche:» Non le si potrà accordare molto valore cronologico in riguardo ai piani cretacei conosciuti altrove ; ma stratigrafìcamente e per uno studio locale è ancora quanto di meglio si poteva fare per questi terreni » . Premesse queste brevi indispensabili considerazioni, passo alla descrizione della serie cretacea. Lungo la sponda sinistra della Cosia, salendo da Como verso Solzago, si osservano gli strati calcareo marnosi, bianco-grigiastri e rosso-vinati a superficie scagliosa, in corrispondenza del dosso di Majolica sotto Camnago,e del ponte di pietra gettato attraverso la Cosia. Essi attraversano il letto del torrente in linea diagonale con direzione da nord-ovest a sud-est e scompaiono sotto i coltivi della sponda destra per sovrapporsi al banco di majolica di Cam- pora, senza che se ne possa rilevare il passaggio per la presenza dei coltivi che coprono il deposito. Dopo il primo ponte di pietra, ai calcari marnosi bianco-gri- giastri e rosso-vinati si sovrappongono degli strati marnosi fogliet- tati, friabilissimi, rossastri, plumbei, alternanti con veri calcari (*) (*) T. Taramelli, R Canton Ticino meridionale ecc., pag. 88. 13 186 B. CORTI bluastri marnosi, che continuano, al di là del secondo ponte, bene sviluppati e manifesti sulla sinistra della Cosia. Procedendo sempre verso Solzago si incontrano sotto C. S. Bartolomeo in frazione di quel comune, sulla sponda sinistra del torrente delle alternanze di strati formate da marne azzurre, rosso vinate, fogliettate, friabili e lutulenti, calcari marnosi grigiastri compatti, e debolmente micacei ; e vere arenarie a cemento calcare compattissime: formano un banco di strati inclinati a sud-ovest. Secondo me, le marne rosso vinate rappresenterebbero la creta media, e i calcari compatti colle arenarie la creta superiore. La abrasione esercitata dalle acque della Cosia demolisce gradatamente le marne bleu rossastre, e lascia in posto i calcari e le arenarie della creta superiore. È negli strati plumbei marnosi che ho trovato una sicura impronta di una foglia col suo peduncolo, e impronte di vertebrati a superficie zigrinata, forse squamine di rettili o di pesci. In corrispondenza, sulla sponda destra, si osservano delle marne lutulenti grigie, dei calcari giallastri marnosi compatti a strati di arenarie lamellari, essenzialmente micacee, e le solite marne rosso- vinate che s’innalzano a formare la collina sulla quale è situata C. S. Bartolomeo, esse passano insensibilmente alla majolica, sfu- mando in calcari marnosi bianco -grigiastri. Per cui nel breve spazio tra l’affioramento della majolica di Camnago e Solzago e l'eocene di Montorfano e di Urago si ha abbozzata tutta la serie cretacea. Il Curioni (’) suddivide questi strati cretacei in una succes- sione di 7 banchi che dice quasi eguali a quelli del torrente della Yena di Induno, e ne calcola la loro inclinazione di 50° verso sud- ovest. Salendo sempre il letto della Cosia fin sotto Tavernerio si ve- dono degli strati di calcari marnosi variegati a tinte rossastre e cloritiche che attraversano il letto del torrente ; essi corrispondono alle marne variegate della creta media di cui dissi sotto Camnago. Secondo le mie osservazioni quindi, stabilirei la seguente suc- cessione della serie cretacea nel letto del T. Cosia: p) G. Curioni, Geologia applicata ecc., voi. I, pag. 292, 293. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECO. 187 Creta ( 1. Majolica inferiore ( 2. Calcari marnosi compatti, bianco-grigiastri. f 3. Calcari marnosi rosso-vinati a superficie scagliosa Creta ' (marne variegate). media ì 4. Marne cerulee con impronte di vegetali e di rettili \ o pesci. Creta superiore 5. Calcari marnosi giallastri a. Chondrites compatti e lievemente micacei. 6. Arenarie calcaree compatte. 7. Arenarie a straterelli, molto micacee. ★ Scendendo dalla Torre del Broncino verso il Buco del Piombo sopra Erba, dopo la fontana Carei, si osserva la successione dei calcari del lias inferiore, superiore e del titonico alla majolica, la quale, dopo un breve affioramento passa a calcari marnosi bian- chicci quindi ad altri variegati, a superficie scagliosa a strati in- clinati a sud-ovest; continuano per breve tratto, dopo la pianta- gione dei pini e poi cessano per dar luogo ancora alla majolica. Da Tavernerio fino al lago di Pusiano il terreno erratico, i coltivi e la dispersione alluvionale mascherano la creta. Casiino. A Casiino, a monte del ponte gettato sul fiume che sbocca nella valle del Lambro, si osservano delle marne variegate molto compatte, simili a quelle di Camnago, di Tavernerio, di Ca- prino Bergamasco e della Valletta di Opreno. Si seguono per breve tratto, risalendo la valle, e pare facciano passaggio a calcari bianco- grigiastri, compatti, che potrebbero rappresentare la majolica che affiora poi, come ho già detto, sopra Casiino e Cà Bianca. Dall’esistenza del dosso di majolica in mezzo alla valle del Lambro e dal corrispondente affioramento di Cà Bianca alla base del M. Barzaghino sulla sponda destra del fiume, si potrebbe ar- guire che il tratto della valle del Lambro da Ponte a Canzo, cor- risponda alla abrasione della creta media e superiore, rimanendo l’avanzo del dosso di Majolica di Canzo, della zona di majolica compatta sopra Cà Bianca, e probabilmente il breve lembo delle marne variegate di Casiino. 188 B. CORTI Val Bavella. Salendo ai Corni di Canzo, lungo la mulat- tiera che segue la sponda destra della valle, si vedono a circa 600 metri sul livello del mare, prima dell’Alpe Grassa, delle marne variegate giallo-rosso, cloritiche, talora micacee, in parte coperte dall’ humus che ne cela il loro vero sviluppo. Succede ad esse un lembo di strati marnosi del lias superiore e sopra ancora le arenarie micacee scistose a vene di quarzo, che ritengo della creta superiore, le quali all’Alpe Grassa passano alle marne variegate della creta media, cui succedono, indubbiamente, per forti sconcerti e rovesciamenti di strati, i calcari selciosi del lias inferiore. All’Alpe Bertalli, salendo per il sentiero lungo il torrentello che scende in vai Ravella, si vedono riapparire le arenarie mica- cee rosso-giallastre, che continuano non interrotte e più compatte mano mano che si sale. Io le ho seguite sopra l’Alpe Bertalli per un’ora circa di cammino, e secondo il calcolo delle curve quotate e dell’aneroide, computai il tratto di 325 metri iit linea retta sopra l’Alpe Ber- talli (779 m.), ciò che mi dà un’altezza di 1104 metri sul livello del mare. Si spingono queste arenarie sotto il corno di mezzo a 268 metri dalla sua vetta (1372 m.). Lo Stoppani (*) parlando della creta di questa zona di vai Ravella, dice che « spinge i suoi strati inferiori verdi e rosso-vinati o bianchi, friabili a frattura romboidale, ben alto a ridosso del M. Cornicciolo ». Di fatto l’insieme degli strati cretacei con alternanze di marne e arenarie micacee assume una rilevante potenza sulla sponda si- nistra di Val Ravella, nella massa del M. Cornicciolo, dove con maggior facilità si possono seguire per la minor copia di detrito e di humus. Lago di Pu siano. Le marne rosso-vinate, giallognole, mi- cacee con alternanza di strati grigiastri, cloritici, si estendono lungo il lago di Pusiano incominciando ad apparire per breve tratto a Penzano, attraverso il materiale morenico ; quindi si mostrano più sviluppate a Cesana, Suello e Civate al di sopra della Majolica. O A. Stoppani, Studi geol. ecc , pag. 76. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 189 A Pusiano sono dei veri strati di calcari cinerei a vene di selce nera e bionda e di calcite, delle arenarie compatte, grigie a Reticiilipora lingeriensis , sopra le quali si hanno dei calcari mar- nosi, cinerei, variegati in roseo, verdicci, con calcari psammitici, cerulei. Da Cesana a Suello si ha campo di osservare le arenarie mi- cacee gialle della creta superiore, sulla quale è situato il comune di Cesana di Brianza, ed a mano manca di questi, lungo la stra- dicciuola che conduce a Suello, si vedono gli strati inferiori dei calcari marnosi rosso cloritici, a superficie scagliosa della creta media, identici a quelli di Casiino. Dopo Suello, passata la valle Varea, perdono la loro tinta vinata per assumere un colore cinereo, talora ocraceo, e così con- tinuano fino a C. Boroncelli, dove si vedono affiorare in fascio sotto il fabbricato. Immaginando quindi uno spaccato da Cesana alla Bicicola di Suello si ha tutta la serie cretacea e giurese liaùca distinta. Gli strati continuano sempre più o meno compatti, variegati e scagliosi, scendendo da C. Boroncelli a C. Borima. Un passaggio evidente dalla creta media alla inferiore si scorge sopra Suello, dove le marne variegate diventano gradatamente più scialbe, grigio-biancastre confondendosi colla Majolica. Da Suello a C. Castelnuovo prima di Civate continuano non interrotti e assai sviluppati a mano manca della strada gli strati marnosi rosso-vinati a chiazze ed a vene verdastre, sfaldantisi in lastre verticali che il Breislak (!) descrive come scisti calcarei marno-ferrugìnon e sopra ad essi la creta superiore coi calcari psammitici argillosi, le arenarie compatte del lago di Pusiano e d' Annone. Per terminare la descrizione dei terreni cretacei non mi resta a dire che della zona che da Sala al Barro si stende sotto S. A- lessandro alle pendici del M. Barro. A Sala essi si sovrappongono alla majolica con successione di marne bianche, rosse e cloritiche, scistose, e sopra ancora marne P) Breislak, Osservazioni sui terreni compresi tra il lago d'Orta e il lago Maggiore (Estr. d. R. Ist. Lomb.-Veneto, tomo V, 1838). 190 B. CORTI grigie cineree, scialbe, micacee con alternanza di arenarie compatte azzurrognole dette Molerà. Queste arenarie si estendono lungo le sponde del lago di An- none, ma non si possono vedere sopra Sala e Galbiate, fino alla svolta della strada in prossimità di Yignola, perchè coperte dal terreno morenico; da Yignola si seguono fino sotto la Chiesa di S. Alessandro, colla solita successione di arenarie variegate, calcari marnosi e arenarie compatte, fino al comparire della Majolica alla quale passano pel tramite dei soliti calcari bigì-biancastri, com- patti. Sezioni sottili al microscopio. Sezione. Creta superiore del lago d’ Annone : contiene qualche Globigerina. » Creta superiore di Pusiano : calcare a radiolarie ( Ceno- sphaera, Dictyastrum , Spongotripus e- qualche rara Globigerina). Capitolo TX. Formazioni quaternarie e recenti. Alluvioni cementate; massi erratici ; morene , torbe , alluvione postglaciale. Una delle note più spiccate di questa regione, è la copiosa dis- seminazione dei massi erratici ad elevate altezze e l’enorme svi- luppo di alcune morene. Il suo aspetto ridente congiunto alla ricchezza dei pascoli, è dovuto all’azione molteplice del ghiacciajo, che riversava la sua mole sui fianchi delle catene di monti bagnati dal Lario e per entro la valle del Perlo a ridosso dei dirupi Grosgalli da una parte, e delle Alpi di Limonta, Civenna e Magreglio dall’altra ; nella Yal- brona appoggiandosi alla dolomia del versante settentrionale dei Corni di Canzo e nella valle di Eezzago, scendendo poscia per la vai Lunga sopra Casiino; nella vai Ritorto e più giù in tutta la regione briantea. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECO. 191 Le tracce evidenti di questo fatto ci permettono di rico- struire, per modo di dire, la storia del fenomeno e in pari tempo ci offrono un largo campo di osservazioni, con tutto l’ insieme degli arrotondamenti e striature delle rocce, morene e massi erratici. Nella descrizione del quaternario seguirò il metodo ascendente adottato, accennando prima all 'alluvione ipomorenica cementata ad elementi alpini, sottostante alle morene, da non confondersi col ceppo dell’Adda o Villafranchiano. Il ceppo della mia regione, corrisponde, secondo me, al Dilu- vium, soprastante al Villafranchiano e sottostante alla morena, per cui la denominazione di alluvione ipomorenica mi pare acconcia. Gli autori del foglio Dufour non hanno segnato alcuna zona di questa alluvione. Dalle mie osservazioni risulta che nella valle della Cosia tutto il tratto che corre dalla C. S. Bartolomeo sotto Solzago, a Camnago, appare scavato in questa breccia ipomorenica risultante da ciottoli di serpentino, micascisto, gneiss, porfido, quarzo, granito, diorite e sienite. Essa forma sulla sinistra del torrente una muraglia dell’al- tezza di circa 7 metri, mentre, prima di Campora, le acque vi hanno scavata una gora profonda, detta il Buco della Volpe. Al di sopra di questa alluvione si sovrappone la morena, ca- ratteristica per lo sfasciume caotico dei suoi elementi. Lo stesso dicasi del breve affioramento nella valle di S. Do- nato sopra Como, il quale, maggiormente sviluppato sulla sinistra sponda della valle, supporta una morena insinuata molto caratte- stica per il suo aspetto e il franare del suo detrito. Evidentissima poi e assai sviluppata ci si mostra l’alluvione ipomorenica lungo la trincea della ferrovia S. Giovanni-Como, che si prolunga dalle basi del monte delle Tre Croci, fino alla sta- zione di Albate Camerlata, ritornando ad apparire qua e là in piccoli affioramenti lungo il percorso della ferrovia, e più spic- cata sotto Acquanera presso la stazione di Albate-Trecallo. Di eguale natura, sia per gli elementi costitutivi che per la compattezza, è il conglomerato che si vede affiorare a mano manca della strada che da Corneno scende a Pusiano, e per breve tratto al di là del ponte di Caslino ; colla differenza che il conglo- merato della valle della Cosia è più ricco di micascisto, mentre 192 B. CORTI questo abbonda maggiormente del serpentino di Yal Malenco e della Valle della Mera. Compatta assai, e per nulla dissimile, quanto alla tenacità dell’ impasto, della puddinga che si stende lungo l’Adda da Paderno sin quasi a Cassano, è l’alluvione cementata che osservai allo sbocco delle vallette di Sormazzana, Lezzeno e Sos- sana sul lago di Como, e alla sorgente alcalino-ferruginosa di Ma- greglio in Vallassina. Si vede difatto all’entrata delle vallette di Sormazzana, Lezzeno e Sossana, per un tratto breve, relativamente al percorso della valle, un conglomerato tenacissimo formante le due sponde, al di sopra del quale si osserva la morena coi massi erratici. Così a Magreglio la breccia è fortemente cementata, ad ele- menti molto grossolani ed esclusivamente alpini ; sopra la quale si impone immediatamente la morena con un passaggio netto e deciso. Questa assume una straordinaria estensione, spandendosi in tutta la Vallassina, lungo le sponde bagnate dai due rami del Lario e formando l'anfiteatro delle colline e dei poggi circostanti i laghi briantei, con disseminazione di rocce alpine e accompagnandosi nella regione di Montorfano, Albese, Orsenigo, coll’ alluvione pos- glaciale e le morene rimestate, colla formazione torbosa del lago di Montorfano, Alserio, Pusiano e Annone e colla alluvione postgla- ciale del piano d’Erba. Questa alluvione postglaciale si estende lungo quasi tutto il corso superiore del Lambro, limitata dalle morene di destra e si- nistra che riempiono tutta la vai Lunga sopra Casiino, innalzan- dosi lungo i fianchi del monte Orsera e del monte Barzaghino a 700 metri d’altezza, coronate superiormente da numerosi erratici di Serizzo ghiandone, gneiss, serpentino e micascisto. La morena sboccando dalla valle di Casiino, corre parallela alla sponda destra del Lambro fino a Scarenna, per poi comparire a Asso e più oltre, e dall’altra, alla sinistra del T. Bavella fino quasi a Canzo, formando i declivi terrazzati di C. Bavella, C. Mi- glia e di S. Bocco presso Castelmarte. Sui fianchi del monte Pesura si osserva una copiosa dissemi- nazione di erratici quasi tutti di serpentino e micascisto. Percorrendo la strada da Asso a Lasnigo si vedono sulla sponda destra del Lambro i paesi di Bezzago, Caglio e Sormano, poggiare sopra una morena vastissima, cementata fortemente sotto Bezzago, OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECO. 193 con evidentissimo impasto di fanghiglie e ciottoli arrotondati e striati: bell' esempio di morena profonda. Nella valle di Eezzago dietro avviso del dott. Tommasi osservai una serie di piramidi di erosione nel materiale mo- renico. Questa morena si estende dalla valle di Rezzago a Decinisio, toccando la massima altezza di 890 metri sopra S. Valeria di Sormano. A Lasnigo la morena si biforca, formando due rami, chiudenti nel loro ambito il monte Oriolo 1076 m., e che risalgono le due valli del Lambro, colla importante disseminazione di Serizzo ghian- done di C. Dosseglio sopra Lasnigo, e si riuniscono a Barai dove la morena si estende fino sopra Magreglio. Le morene laterali delle due sponde della penisola lariana incominciano sopra Como, con lembi addossati alla montagna alla altezza di 510 metri sul livello del lago a Civiglio e Brunate; quindi cessano quasi subito, per dar luogo ad una disseminazione copiosa di erratici di serizzo, serpentino, micascisto, granitite e diorite, che si estende continua da Como fino a S. Giovanni di Bel- lagio, lungo le sponde del lago ad un’altezza, che varia assai, da 150 a 600 metri sul livello del lago. La roccia in più luoghi presenta evidentissima la lisciatura e l’arrotondamento subito dal ghiacciajo. La morena riappare dapprima qua e là a brevi tratti in tre punti, sulla strada che va da Como a Torno, a 270 metri sopra questo paese ; essa compare potente, rimontando la valle di Serravai fino all’altezza di 450 metri circa. Nelle valli di Molina, Lemna e Palanzo si estende per tutta l’area occupata dalle valli omonime, innalzandosi a 600 e anche 700 metri; offre poi alcune frane d’aspetto identico a quello della morena al ponte di Lecco, essa appare in tutto simile a quella di Rezzago, Caslino e Capovico presso Blevio. Parimente le quattro valli che riunite formano l’orrido di Nesso, scavato nel lias inferiore, attraversano una zona esclusivamente morenica alta dai 700 agli 800 metri sul lago, con frane: sopra questa morena si trovano Zelbio, Veleso, Erno e le frazioni di Nesso, fra cui Scerio rimarcabile per la mole dei suoi massi di serizzo, che già da alcuni anni si stanno demolendo. 194 B. CORTI In questa zona poi l’edificio morenico è coronato dai trovanti fino all’altezza di 1200 metri circa sul livello del mare. Scendendo lungo le coste del S. Primo da Colmenacco, sopra Carvagnana, attraverso i dirupi della dolomia infraliasica, a 500 metri sol lago incominciano ad apparire gli erratici, esclusivamente di serizzo, dapprima in piccola copia, quindi più frequenti e di maggior mole, fra cui uno veramente colossale, il così detto Sasso di Pravolta; compare poi la morena clie si estende da Carva- gnana a Villa e raggiunge i 350 metri circa d’altezza sul livello del lago. A Guggiate essa riempie la valle del Perlo, adagiandosi sopra gli strati dell’infralias, e risalendo il corso del torrente si spinge in prossimità di C. Padume e C. Sassopiatto, mostrando frequenti frane sotto S. Eustachio sulla sponda sinistra. Dove l’edificio morenico è abraso, restano i numerosi erratici e l’arrotondamento delle rocce ad attestare il passaggio del ghiac- ciajo come a Begola, Brogno e Gravedona sulla sinistra, all’Alpe Covetto e a Limonta sulla destra del torrente. Ragguardevole altezza raggiunge la morena del monte Grisucio sulla destra del Perlo, cessando poco prima del Sasso di Lentina che trovasi a 704 metri, nel quale punto incomincia la copiosa disseminazione dei trovanti di serizzo e di diorite e gneiss, che, salendo all’Alpe di Civenna e alla Villa della Pietra Luna 973 m., si sparge per tutto il Piano Rancio e scende sopra la sorgente del Lambro fino sopra la morena di Magreglio. Girato il promontorio di Bellagio, cessa come per incanto la presenza delle morene e degli erratici per non lieve tratto, ad ec- cezione di un piccolo lembo sopra Limonta con disseminazione di massi di micascisto e granito, e della morena che s'innalza sopra Vassena e va a congiungersi con quella di Magreglio. Dopo Onno nella valle del Cornacchiari, dove la dolomia a Megalodon succede all’infralias, riappare la morena rimarchevole per la sua estensione, che occupa tutta Valbrona, coronata sopra Candalino da copiosi erratici e spingentesi fino a Asso, collo sfa- celo morenico di Visino e l’alluvione postglaciale della vai Val- lategna. Tipica è la morena di Malgrate, che da una parte si spinge in Valmadrera a ridosso della dolomia del monte Moregallo 1147 m., OSSERVAZIONI STRATI GRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 195 cogli erratici, fra i quali il Sasso di Preguda; e dall'altra, girando attorno alla Crocetta 449 m. innalzandosi all’altezza di 90 metri circa sul livello del lago, manda il proprio sfasciume caotico lino a Pe- scate. L’aspetto suo generale è quello di un ammasso di arena stra- tificata, con banchi, ora quasi orizzontali, ora fortemente inclinati, in continua mina, come appare poco prima di Pescate, ed a ciottoli arrotondati e striati. ★ * * L’Omboni (’) spiega il sistema morenico della Yallassina e della Brianza colla esistenza dell’antico ghiacciajo del lago di Como, proveniente dalla Valtellina e dalla valle di Chiavenna e risul- tante dalla loro fusione. Esso colle morene di destra e sinistra si spinse a sud, incontrando sul suo passaggio le valli laterali che si aprono sulle sponde orientali del Lario, cioè la vai Varrone, Val- sassina e valle del Perlo, e le valli di Nesso, Zelbio e Yeleso, quelle di Lemna, Palanzo e Molina, e mandò per entro ad esse gli elementi delle sue morene. Ora, tenendo solo calcolo del ramo di destra entrato nel lago di Como, è evidente l’induzione fatta dal prof. Omboni della dira- mazione del ghiacciajo allo incontro del monte S. Primo, sul cui versante settentrionale, si innalzò secondo l’autore a 700 metri d’al- tezza sul livello del lago a formare una morena evidentissima d’ostacolo. Questa accumulò i depositi erratici sulle pendici del monte S. Primo e formò la morena laterale sinistra del ghiacciajo da Bel- lagio a Como. Questi lasciò scarse vestigia lungo i dirupi dei G-rosgalli da S. Giovanni a Villa di Lezzeno, ad eccezione però di qualche masso erratico di mediocre dimensione, ed esclusivamente di serizzo ghian- done, proveniente della valle del Masino. Dopo Villa fino a Lezzeno, Sossana, Sormazzana e Garvagnana e oltre ancora fino alla punta della Cavagnola, la morena potè de- f1) G. Omboni, I qliiacciaj antichi e il terreno erratico in Lombardia. 1861, pag. 40. 196 B. CORTI positarsi stante le favorevoli condizioni orografiche create dagli scisti marnosi infraliasici. Dalla punta della Cavagnola a Nesso pochi erratici, solo l’ar- rotondamento parziale della roccia attesta il passaggio del ghiac- ciajo, il quale ha poi insinuato il proprio materiale morenico nelle valli di Nesso, Erno, Zelbio e Yeleso, e in quelle di Molina, Lemna, Palanzo, nella valle del Colorò, sopra Torno e Blevio e lungo la strada per Como. Si capisce che sui monti che da Blevio si estendono a S. Mau- rizio sopra Brunate, non vi siano erratici di notevoli dimensioni, stante il ripido pendìo. Tracce del fenomeno glaciale si hanno nell'arrotondamento parziale della roccia affiorante, e nel riapparire degli erratici nel bacino di Como, al Falchette e ai Piani a 361 metri sul lago. Una prova importante la si cerchi nei lembi di morene che si addossano agli strati del lias inferiore sopra Cernobbio, Piazza e Maslianico e nei ciottoli striati trovati dallo Stoppani nella valle della Breggia. Nel bacino di Como il ghiacciajo si innalzava fin sopra Brunate 716 m., per il fatto constatato da me dell’esistenza d’una morena che si incontra a Pizzo, recentemente messa allo scoperto per la- vori di sterro, all’ingresso del paese; essa riappare più in là in direzione nord-nord-ovest lungo la mulattiera, che dalla chiesa par- rocchiale conduce al Cimitero. La sua natura di vera morena è posta fuori di dubbio per l’aspetto suo tanto caratteristico, per la natura degli elementi suoi esclusivamente alpini e per i ciottoli striati. Avendo parlato del bacino di Como, dirò del Sasso della Prasca (’) di serizzo lungo 7 in., largo 4, alto 4 che si osserva a circa 300 metri sopra la punta di Geno. Il ghiacciajo venendo a sboccare nella valle di Como incontrava avanti a se due vie per le quali espandersi. La prima, e più importante a sud-est del suo corso, è formata dal passo fra il monte Baradello e il monte Goi, mediante il quale potè distendersi fino a Cucciago e Cantù, coprendo lo spazio oc- 0) Descritto dal « Corriere del Lario » 1859. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 197 cupato dai paesi di Albate, Senna, Intimiano, che colle loro colli- nette basse, allungate, curve e colla concavità verso nord-ovest dovevano formare la morena di sinistra ; e lo spazio che comprende le colline di Fino, Bernate, Casnate, Luisago, Civello, Lucino e Rebbio, morena di destra. Il secondo sbocco si presentava nella valle del T. Cosia, per entro la quale si diresse, spingendosi fino al Colle di Montorfano. Questo ramo di sinistra del grande ghiacciajo del bacino di Como, prima di deviare si innalzò sui fianchi dei mónti, che dalla punta di Geno continuano fino a Tavernerio, Albese e Erba, sor- passandoli e deponendo i detriti morenici, di cui dissi, con un dislivello medio di 220 metri su 12.500 metri; terrazzando nel suo corso le località della Rienza, del Refrecc, di Lora e di Lipomo. Percorrendo la valle della Cosia lungo la strada che da S. Mar- tino sale gradatamente fino a Camnago e più in su a Ponzate, si può abbracciare con un solo sguardo tutto un complesso di terrazzi morenici disposti a guisa di anfiteatro. Ora per procedere con ordine nella esposizione dei fatti, giova che mi rifaccia indietro per seguire l’ipotesi dell’Omboni. Il ramo del ghiacciajo che davanti all’ostacolo del monte S. Primo deviò a sinistra, mandò due rami entro la Vallassina, l’uno per il passo della Madonna di Ghisallo, e Magreglio, l’altro, per la valle del Lavategna, nella Valbrona. Importa però aggiungere che il ghiacciajo lungo tutto il tratto da Bellagio a Lecco, oltre le diramazioni accennate dall’Omboni, depositò innumerevole copia di massi e ciottoli di serpentino e di roccie anfiboliche della Valtellina, così si spiegano i depositi di Rimonta, Vassena, Onno e dei fianchi dei Corni di Canzo, nonché la evidente lisciatura della dolomia del monte Maregallo e di Parò. Esaminiamo il percorso dei due rami della Vallassina e co- minciamo da quello entrato per il passo di Ghisallo e di Ma- greglio. Il ghiacciajo, incontrando le valli del Ponte e del Mulino, in corrispondenza di Vassena, tentò risalirle, occupando coi propri de- positi il fondo di esse, per quanto lo poteva permettere la ripida inclinazione, la quale fece sì che esso dovesse trovare uno sbocco attraverso il passo della Madonna di Ghisallo, che trovandosi ad un'altezza di 754 m. permise quanto non potè il passo dell’ Alpe 198 B. CORTI di Prato alto, che per essere a maggiore altezza non potè essere superato dal ghiacciajo. Al di qua del passo di Ghisallo si riversò adunque, spandendo il proprio materiale nell’altipiano di Magreglio 737 in., addossan- dolo alle falde del R. Balco e risalendo la valle del Lambro fino alla sorgente 942 m., in direzione nord-nord-ovest. Quindi seguitò in direzione sud-sud-est rispetto a Magreglio, seguendo naturalmente il corso del Lambro, e compiendo una di- scesa per un dislivello di 96 m., se si calcola la differenza barome- trica d’altezza del piano di Magreglio 737 m. e di Barai 641 m. su una distanza di 825 m. calcolata alla scala dal 23/1000. Quivi la massa glaciale si espanse e da un lato proseguì, per la valle del Lambro il suo corso discendente in direzione sud-sud- ovest; mentre dall'altro lato, il fatto di questa espansione conco- mitante alla progressiva discesa, l’ostacolo della massa del monte Oriolo 1076 m. e il presentarsi di una valle portò un rigurgito, il quale spinse la massa glaciale fra il monte Oriolo e il monte Cavai di Barai 943 metri. Raggiunse una massima altezza di 917 m. alla località detta la Cassina. per subito riversarsi verso il Pian di Orezzo 816 m., e giù lungo il corso secondario del Lambro fino alle località dei Mulini 523 m., con un totale dislivello di 394 m. un massimo di 159 m. ed un minimo di 26 m. passando per le successive in- termediarie di 101, 68, e 46 m., su una distanza complessiva di 3458 m., come si può facilmante rilevare dal seguente prospetto : Altezze sul mare Dislivello Distanze La Cassina m. 917 C. Orezzo * 816 m. 101 m. 550, R. Pian di Orezzo. . . . » 790 » 26 7) 813,50 C. Dosseglio « 728 » 62 T) 814,50 Lasnigo « 569 » 159 V 640,50 Molini • « 523 « 46 n 639,50 m. 394 m. 3458,00 In corrispondenza al massimo dislivello fra C. Dosseglio e La- snigo, si nota il massimo sviluppo del deposito morenico e dei OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECO. 199 massi erratici ; ai Molini il ramo di sud-est si fuse con quello di sud-ovest. Ha un dislivello totale di 118 m., un massimo di 20 ed un minimo di 3, colle successive intermedie di 14, 11, 5, 4, 13, 9, 12, 16 metri. Su una distanza di 4380 metri. Altezze sul mare Dislivello Distanze Barni paese sup m. 641 * » inf. n 627 m. 14 m. 225 Primo ponte sul Lambro 7 616 71 11 7 475 Ponte di Sasso n 611 7> 5 7 275 Valle dell'Almano .... 7 607 71 4 V 387 Valle del Roncaccio . . . 7 587 7) 20 7 385 Valle di Matadino .... 7) 574 71 13 7 775 Valle Solss 7! 565 7) 9 7 350 Valle della Cassina . . . 7 1 553 7) 12 7 220 Sotto S. Alessandro . . . V 537 7 16 7 450 Molino superiore 71 534 71 3 Molino inferiore, V 523 7 11 7 238 m. 118 m. 4380 Ai Molini, dopo Lasnigo, i due rami che nel loro ambito ave- vano circuito il monte Oriolo, si fusero insieme in uno solo, il quale scese nella Valle del Lambro, sulla cui sponda sinistra si innalzò forse appena di 150 m., mentre sulla destra,’ in corrispon- denza delle valli di Sancio e di Rezzago, affluenti nel Lambro, si insinuò raggiungendo un’altezza ìnassima di 890 m. ed un’esten- sione assai ragguardevole, che valuto a circa 2000 metri quadrati, qualora si consideri che i paesi di Rezzago, Caglio, Sormano, De- cinisio, colle frazioni di Gemù, Mudrone e Brazzova, poggiano interamente sopra la morena. È fuori dubbio che il ghiacciaio si sia insinuato in tutto il tratto limitato delle valli di Rezzago a Sud, dal monte Torretta 1106 m. e monte Cippei 1236 m. a nord, dai monti Bool 1405 m. monte Croce 1351 m. monte Panchetta 1244 ad ovest e dal corso del Lambro ad est. 200 B. CORTI 10 trovo la ragione di questa forte espansione glaciale nelle seguenti cause: 1° Il forte aumento della massa del ghiacciajo, acquistato dopo la fusione dei due rami, sotto Lasnigo. 2° La forte pendenza del monte Megna 1053 m. sulla sponda sinistra del Lambro. 3° La presenza della valle di Rezzago sulla destra colle valli acuenti di San ciò e la Valle. 4° L’angusto passaggio del Lambro dopo l’affluenza della Val di Rezzago. 5° Il dislivello naturale del letto del Lambro di 93 m. dai Molini al Ponte Scuro sopra Asso, su una distanza di 1725 m. Si capisce facilmente come una massa potente di ghiaccio, costretta a percorrere una via, per così dire, tracciata dal corso di una valle, debba aumentare considerevolmente di velocità in pro- porzione al pendio di questa ed espandersi nel primo ambito che le si offre ad uno dei lati, con tanto più di intensità dinamica e di volume, quanto maggiori sono i gradi di pendenza dell'altra sponda e angusto il passaggio a valle. Ciò sempre per la plasti- cità del ghiacciajo. L’altro ramo entrò per la valle del Cornacchiari, nella valle di Caprante, di Pozzolo e del Cereè, quindi occupò la Valbrona, seguendo il corso di vai Vallategna e terminando ad Asso dove si ricongiunge con quello entrato per il passo di Ghisallo. Di fatto il ghiacciajo risalendo la valle del Cornacchiari non ebbe avanti a sè che lievi ostacoli da superare, per riversarsi nella Valbrona. Dal livello del lago raggiunge l’altezza di 311 m. ad Osigo, espandendosi largamente sulla sponda destra della valle di Ca- prante. Da Osigo il ghiacciajo scese con un dislivello di 28 m. su una distanza di 400 m. a Candalino, dove incominciò la propria espansione parziale nella valle del Criarolo, nelle vallecole di Ri- genera, del Vallone e di Gagello, mentre fu più copiosa nella valle di Pianezza, risalendola fino alla sua origine e più oltre sui fianchi settentrionali dei Corni di Canzo. 11 massimo d’altezza sul pelo del lago, cui arrivò il ghiacciajo che dirò della Valbrona, è di 1098 metri sui fianchi dei Corni di OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECO. 201 Canzo a monte di Val Pianezza, come ho desunto dall’ultimo li- mite dei massi erratici. Dal livello del lago dovette innalzarsi di 311 m. per salire fino ad Osigo, e da Osigo ad Asso proseguì con un dislivello com- plessivo di 80 m., un massimo di 28 e un minimo di 2 m. pas- sando per le intermedie di 3, 4, 19, 16 m. su una distanza di 4817 metri. Altezze sul mare Dislivello Distanze Osigo . . 510 Livello del lago .... n 199 m. 311 m. 2200 Osigo 510 — — Candalino n 482 7> 28 Ti 400 Crocetta di Candalino . . » 479 7 3 7) 450 n n • ” 475 n 4 Ti 275 Yisino n 471 r. ì 4 7 400 n . 469 7) 2 * 320 Ti . » 465 7) 4 Ti 325 n n 446 7! 19 Ti 435 Ponte Scuro 430 7) 16 7 1012 m. 391 m. 5817 Ad Asso i due rami si fusero e scesero ad occupare il bacino di Canzo, dove il ghiacciajo prese due distinte direzioni per le con- dizioni orografiche della regione. Un ramo si spinse nella valle del Lambro innalzandosi lungo i fianchi del monte Croce di Pizzallo 976 m. e monte Barzaghino 1068 m. sulla destra, e il monte Sciocia 671 m. sulla sinistra, in- sinuandosi sopra Casiino entro le valli del Piot., la Val Midria, valle di Norzate e Val Lunga, comprese fra i Monti Croce di Ca- siino 1155 m. ; monte Orsera 1107 m. ; monte Colma Piana 1182 m. ad ovest; monte Dosso della Fornace 999 m. a nord; monte Dosso Mattone 1046 m. e monte Barzaghino 1068 m. ad est e il corso del Lambro a sud. L’aspetto della morena di Casiino è simile a quella della valle di Rezzago, con fanghiglie e ciottoli arrotondati e striati. Alle basi del monte Orfano il ghiacciaio si incontrò col ramo di sinistra del bacino di Como, risalito per la valle della Cosia. 14 202 B. CORTI Continuò ad espandersi nel suo corso lungo la valle del Lambro, con un dislivello totale di 427 m., innalzandosi lungo i fianchi del T. Bova, fino quasi al Buco del Piombo, e sul pendìo delle Alpi Turati, formando i terrazzi di Lezza, Crevenna, Erba e Buc- cinigo e i depositi parziali di Pomerio, Resenterio, Vili’ Albese, Albese, poggiando sui fianchi del Dosso Fragoso 829 metri. Sulla sinistra del Lambro in corrispondenza di Carpesino, Ar- cellasco, Boffalora, Campolungo e Longone al Segrino, raggiunse una vasta estensione. L’altra direzione presa dal ghiacciajo all’uscire dal bacino di Canzo, fu, per modo di dire, duplice. Poiché da una parte risalì la valle del T. Ravella in direzione nord-est fino alle falde dei Corni di Canzo all’Alpe Bertalli 779 m. per un’altezza di 392 m. sul livello di Canzo, e dall’altra si riversò attraverso il passaggio del Segrino in direzione sud-sud-est delimitandone a valle lo sbocco e formando le collinette terrazzate di Mariaga, Caretta, Galliano, per poi congiungersi coll’altro ramo della valle del Lambro, ter- minando nel bacino dei laghi di Pusiano e di Annone. Il ghiacciajo del lago di Lecco, allo incontro del monte Barro, si divise in due parti, l’una entrò per la pianura di Valmadrera e l’altra per la valle dell’Adda. Il ramo di Valmadrera tentò da una parte e dall’altra di ri- salire il fondo delle valli e le pendici dei monti. Sulla destra della Val Ritorto, attraversante per il lungo la pianura di Valmadrera, raggiunse un’altezza massima di 180 m. sulle falde del monte Crocetta 449 metri; maggiore espansione e altezza raggiunse in- vece sulla sinistra sponda appoggiandosi ai dirupi del monte More- gallo, monte Prasanto, monte Rai a circa 400 m. sul pelo del lago. Questo ramo di Valmadrera deve essersi congiunto coll’altro di Vallassina uscito dallo sbocco del Segrino, per il fatto della pre- senza di alcuni residui di morene sotto Carella e per tutto il tratto che corre da Corneno a Pusiano ; di un avanzo di morena a sud- sud-ovest di Cesana, a S. Fermo e per la disseminazione degli er- ratici che s’incontrano in Val Visguola, Val Molina, Val Cappelline, Val Varea e Val dell’Oro da Carella a Civate. Dall’insieme di tutti questi fatti si può arguire quale pen- denza abbia subito il gbiaeciajo da nord a sud; dalla massa dei OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECC. 203 quale dovevano sporgere le estreme vette del S. Primo, monte Poncive, monte Palanzone, monte Boletto, monte Bolettone, Corni di Canzo, monte Rai, monte Prasanto e Corno Birone, per river- sarsi poi nella regione briantea. Capitolo X. Depositi lacustro-glaciali dei laghi di Pescarenico e di Como. Il deposito lacustro-glaciale del lago di Pescarenico, a Pesca- lina, incomincia dopo la morena di Pescate, e si estende per un tratto di circa 350 m., con una potenza media di m. 3.50 ed un massimo di m. 6 sul livello del lago. Negli strati superiori compaiono marne giallastre, tenacemente impastate e includenti minuti frammenti di serpentino, quarzo, fel- spato, granato, calcare ceruleo e mica, poco effervescenti cogli acidi ; seguono delle marne plumbee finissime e strati profondi di argille finissime con residui carboniosi. Queste argille all’analisi microscopica mi si presentarono ricche di gusci silicei di diatomee fossili, delle quali ho potuto determi- nare 46 specie nonché 3 Spongolithis (Q. Eseguii l’analisi microscopica su materiali degli strati supe- riori, mediani e profondi, questi ultimi solo mi diedero un reperto positivo. Basandomi sulle specie delle diatomee fossili comuni con quelle delle argille di Beffe (2) e col deposito siliceo di Down e della farina fossile di S. Fiora (3) ho potuto fissare l’età del deposito che ritengo lacustro-glaciale, anche in riguardo al suo giacimento, sot- tostante alla morena. (B B. Corti, Ricerche micropaleontologiche sulle argille del deposito lacustro-glaciale del Lago di Pescarenico (Est. Boll. Soc. Geol. Ital. voi. X, fase. IV, 1892). (2) Bonardi e Parona, Ricerche micropaleontologiche sulle argille li- gnitiche di Leffe in vai Gandino (Atti Soc. It. di se. nat., voi. XXVI). Mi- lano, 1883. (3) C. G. Ehrenberg, Zur Mikrogeologie. Leipzig, 1854. 204 B. CORTI Per la tecnica microscopica ho seguito i metodi indicati dagli autori Q) trattando il materiale da esaminare, con acido nitrico e clorato di potassa, per ebollizione e successive decantazioni, allo scopo di distruggere i residui delle sostanze organiche e gli ele- menti calcari. * * Il deposito lacustro-glaciale del lago di Como si osserva al Manicomio provinciale di Como, per un taglio praticato attraverso ad un rialzo di terreno ed è a strati di sabbie gialle finissime, alter- nanti con altre ocracee e marne plumbee giallastre, cineree ; nella parte superiore del deposito le sabbie sono cementate; l’altezza sul livello del lago è di m. 44. Si estende questo deposito a tutta la zona di S. Martino e di S. Giuseppe, nonché a Camerlata, alle falde del monte Tre Croci e nella valle della Cosia fino alla sorgente del Refrecc, con marne plumbee, e argille plastiche, dette litone; l'acquedotto del sig. G. Garrè che fornisce l’acqua potabile alla città di Como allaccia le varie polle d’acqua dovute ad una sona di resultine per il contatto della morena colle marne e le argille sottostanti impermeabili che fanno da collettrici. Questa zona di deposito lacustro-glaciale si mostra evidentis- sima anche allo sbocco della vai Valeria. L’analisi petrografia fatta da me sul materiale dei tìloncelli di sabbia del deposito del Manicomio provinciale di Como mi diede per risultato i seguenti minerali: Staurolite (in piccoli granuli, scarsa) ; Granato ; Magnetite (assai scarsa) ; Serpentino (molto abbondante) ; Muscovite e Bio- tite (scarsa); Orneblenda verde ; Tormalina ; Quarzo ; F eldispati; e molta copia di Calcari. L’analisi petrografia dimostra la prevalenza degli elementi alpini in questo deposito, dovuto alla dispersione del materiale morenico; nessuna traccia di Diatomee fossili. f1) I. Pelletan, Le Diatomées. Paris, 1891, pag. 110 ecc. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE ECO. 205 AUTORI CONSULTATI Amoretti 0., Viaggio ai tre laghi, Maggiore, di Lugano e di Como, e dei monti che li circondano. Milano, 1794. Bittner A., Sulle formazioni mesozoiche più recenti delle Alpi bre- sciane. Boll, del Com. geolog., voi. XIV, 1883. Breislak S., Osservazioni sopra i terreni compresi tra il lago Mag- giore e quello di Lugano. Mem. I. R. Ist. d. R. Lomb. Venet., tom. V, 1838. Brun I., Diatomées des Alpes et clu Jura et de la region suisse et fran- cane des environs de Genève. Genève, 1880. Bonardi e Parona, Ricerche micropaleontologiche sulle argille del ba- cino lignitico di Leffe in vai Gandino. Att. Soc. It. d. Se. Nat., voi. XXVI. Milano, 1883. Collegno G., Sur l'age des calcaires de Lac du Come. Bull. Soc. géol. de France, t. X, pag. 244, 247. Paris, 1829. Id., Sur les terrains stratif'es des Alpes lombardes. Bull. Soc. géol. de France. He sèrie, t. I. Paris, 1844. Id., Note sur le calcane rouge des Alpes Lombardes. 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SERIE dei TERRENI I J AM/f/tonr yi/n/rr/im/rr fr/zosi/o /nrz/x/ro y/nrzn/r ÌMR0É AAorr/zr r ntnxst rrm/rn' A//i/nio/ir //zfz/rzonrtztra I frr/n .uz/zn/orr, nrr/zur/r e rrr/mrt | iziirarri nznz/zn//i I fnr/u nzrr/i a. tzzar/ir tnr/rynfr frr/n t/zfr/orr. //ztrr//r a /Tirai r/t fti/mr/ yr/y/ ro/zzyza/// r nzfi/o/ira Crr/mri sr/rzo,«. /‘orso za/ zt/ztyr A z/.t ( ///ura) I fa/cnrz i/innia.11, /farsa luiiinoizitini \ f A za x .tu/rr/orr / fit/ntrt st/eiosi \ izz/tr/ziui crca/rt n/ATiizzìm/t f Aznt izz/rriorr; I //o/azzzzzz n Ab/zr/zoz/ozz | (AzzA/n/zerr xtyjrrìorr/ ■ S'risti in/sli>int/a rnzi/or/n | (Azz/rri/iax zzzfrzorrj. fn/zzzzzztz yzizziriyzrt/r | formuzozzr fessi Atra ^ fr/nrt/itt// Aorez/z/d AòsszA/Are t'rola Ji 1.7. Vino _ RISPOSTA AD ALCUNE OSSERVAZIONI ALLA NOTA L'ISOLA DI LAMPEDUSA STUDIO GE0-PALE0NT0L06IC0 (*). Il prof. C. De-Stefani, in un suo recente studio (2), scrive : « Lampeduse. — Calcara avait reconnu que le calcaire compacte « constituant Pile a les mémes caractères lithologiques que le cal- li caire de Malta. Ses fossiles, ordinairement mal conservés, ont « été dernièrement regardés comme pliocènes; mais P examen d’un « échantillon figure par M. Trabucco, qui me l’a fait voir, c’est- « à-dii’e d’un Lithodomus qui a fait son trou dans une Heliastraea « ( Rcculini Ed. et IL, ou Ellisiana Defr.), genre et espèces man- fi quant au pliocène, mais caractéristiques du miocène, m’ont per- ii suadé quii s’agit bien de la zone lielvetienne ». Ringrazio il valente maestro di essersi occupato del mio la- voro e per mostrargli in quale considerazione io tenga anche una sua semplice opinione, ritorno volentieri sulle conclusioni emesse in quella Nota (3). Anzitutto conviene rettificare l’osservazione attribuita al Cal- cara. Questo studioso non ha riconosciuto « que le calcaire compacte « constituant l’ìle a les mémes caractères lithologiques que le cal- li caire de Malta » e, per essere più esatto, riporto le sue parole : P) Boll, della Soc. geol. ital., voi. IX, fase. 3°. (2) De Stefani C., Les terrains tertiaires supérieurs du bassin de la Meditérranée. Ann. de la Soc. géol. de Belgique, 1891-92, t. XVIII, 2° li- vraison, pag. 229. t*) Trabucco G., L'isola di Lampedusa ecc., pag. 28. 210 G. TRABUCCO « Considerando, egli scrive (’), ora l’isola di Lampedusa per « le geognostiche relazioni, osservo pria di tutto che presenta « l’uguale natura di terreno con l’isoletta del Lampione. Poco o « nulla altresì differisce il calcario di Lampedusa da quello delle “ propinque isole di Gozzo e di Malta, della costa di Barberia ed « anche della Sicilia, della prov. di Lecce e di tutte le altre con- « trade della penisola che risultano di terreno terziario; ma se in “ generale tali depositi terziari sembrano simili , in particolare poi « e con lo stretto paragone si osservano differire non poco per i « caratteri di struttura e di paleontologia ». Enumera poscia le seguenti specie del calcare dell’isola (2) : Clavagella bacillaris Desh. Petricola lithophaga Bronn Isocardium dubium ? Calcara Cardium tuberculaturn Linn. Pecten Jacobaeus Linn. Gliama gryphoides Linn. Conus mediterraneus Brug. aggiungendo che « si riferiscono pressoché a specie identiche a « quelle che attualmente arricchiscono la fauna malacologica del « nostro mare » (3). E così anche il Calcara viene indirettamente ad escludere la sincronizzazione degli strati calcarei di Lampedusa con quelli di Malta; tanto più ora, che dai lavori del Euchs si sa doversi questi attribuire al miocene medio ed inferiore. Venendo ora alla questione, domando: può l’opinione emessa dal De-Stefani, a proposito del gen. Astraea (4), infirmare le mie conclusioni cronologiche sull’isola di Lampedusa (5), suffragate da dati di fatto tanto importanti, e tanto meno autorizzare ad attribuire all’ elveziano le assise, di cui l’isola è costituita? f1) Calcara P., Descrizione dell'isola di Lampedusa, pag. 19. (2) Op. cit., pag. 17. (3) Op. cit., pag. 17. (4) Trabucco G., L'isola di Lampedusa ecc., pag. 35. (5) Op. cit., pag. 28. RISPOSTA AD ALCUNE OSSERVAZIONI ECO. 211 Francamente: io credo di nò. Tuttavia per mostrare agli studiosi quanta ponderazione abbia accompagnato la determinazione dei fossili e le conseguenti dedu- zioni, aggiungerò che lo stesso esemplare veduto dal De-Stefani fu molto tempo prima spedito per consiglio ad un valente specialista, il prof. A. D’Achiardi, a cui rinnovo i più sentiti ringraziamenti. Egli, osservandomi che « le cattive condizioni del fossile (mo- « dello interno) non permettevano una esatta determinazione spe- « cifica, conchiudeva: doversi il fossile attribuire al gen. Astraea « e che la specie, connettendosi per la grande rassomiglianza ad « altre mioceniche e recenti (della Sicilia), era molto verosimile « che di quelle fosse la derivata, di queste la genitrice » . Cade così l’osservazione del De-Stefani, che contrasta pure colla fauna citata dal Calcara e da me. Del resto i fossili di Lampedusa citati dal Calcara, sono quelli da me determinati: \ . i Ficula geometra Bors. Conus Noe Brocc. Turritella subangulata Brocc. Clavagella bacillaris Desh. Petricola lithophaga Retz. Carclium aculeatum Linn. Chama gryphoides Linn. Lithodomus lithophagus Linn. I Arca diluvii Lamk. Vola Jacobaea Linn. Clavulina communis D’Orb. Truncatuliaa Ungeriana D’Orb. Polystomella crispa Linn. » striato-punctata Ficht. et Moli. comuni e parecchi caratteristici dei bacini pliocenici mediterranei. La comunanza di alcune specie, quali P. Jacobaeus, A. diluvii , P. crispa ecc. coi limitrofi giacimenti pliocenici del litorale africano, l'identità litologica e la medesima disposizione delle assise con quelle delle spiaggie settentrionali dell’ Africa, da cui l’isola è se- parata da bassifondi (che furono ascritte concordemente da emi- 212 G. TRABUCCO nenti studiosi (]) al piano piacentino ) non lasciano dubbio sulle conclusioni cronologiche precedentemente emesse. Aggiungerò ancora poche parole a proposito dell’antica assi- milazione degli strati calcareo-marnosi di Lampedusa con quelli di Malta ; questione della quale ho creduto inutile occuparmi pre- cedentemente. Puchs (2) divide la serie degli strati terziari di Malta in due gruppi: Ii Calcare di Leitha a nullipore, briozoi, con- chiglie, echinodermi e foraminiferi. Sabbie verdi e calcare ad heterosteqina con brio- zoi, ostriche, pecten, echini , heterosteqme , , l n \v- A- A / corrispondenti alle sabbie di Neudorf. Marne a P. cristatus, P. spinulosus , somiglianti sotto ogni rapporto a quelle di Baden. 11. Strati a pecten identici a quelli di Schio, costituiti da una roccia tenera, morbida ed omogenea, di struttura tufacea o finamente . .. 2. Calcare inferiore e marne a P. arcuatusJ P. deletus, Spondylus cf. Cisalpinus, Theci- diurn Adampsi ecc. Enumera pure una ricca serie di fossili di ciascun piano, i quali escludono assolutamente qualunque assimilazione cogli strati di cui è costituita Lampedusa. C) Pomel M., Geologie de la pétite Syrte etc. Bull. Soc. géol. de France, 3e sèrie, 1878, p. 217. — Rollami M. G., Geologie de la région du lac Kelbìa et du litoral da la Tunisie centrai. Bull. Soc. ge'ol. de France, 1888, p. 187. — Welsch M., Sur les diffèrentes étages pliocènes des environs d'Alger. Bull. Soc. géol de France, 3e sèr., XVII, 1888-89, p. 125. (2) Fuclis T., L'età degli strati terziari di Malta. Boll. d. Com. geol., 1874, voi. V, pag. 377. RISPOSTA AD ALCUNE OSSERVAZIONI ECC. 213 Il recensore T. della Rassegna delle Scienze geologiche in Italia f1) scrive : « riporta forse soverchiamente brani di diversi autori » . E più sotto : « per dimostrare viemeglio la pertinenza « delle isole Pelagie all'Africa, havvi anche una cartina colle curve « batimetriche e con una sezione, in cui però la scala per le al- « tezze al confronto di quella per le lunghezze è troppo esagerata ecc.» . A queste osservazioni, destituite di fondamento e di serietà, credo inutile rispondere. (*) Rassegna delle Scienze geni, in Italia, anno I, fase. 3° e 4° (parte 2a), pag. 428. G-. Trabucco G. hi Gl! SULLA OPHIOGL YPHA (AC R DURA) GRANULATA Beneck Sp. DEL MUSCHELKALK DI RECOARO (i). (con una tavola). E. W. Benecke in Ueber einige Muschelkalk , a pag. 28, de- scrive una specie di (Mura del Trias di Recoaro col nome Acroura granulata e ne dà quattro figure alla tavola seconda, fig. 2-5. Gli esemplari sui quali il predetto paleontologo fondò la sua specie erano in numero di otto, sparsi su due pezzi di calcare, ma a quanto sembra non troppo bene conservati, perchè tanto dalla descri- zione, quanto dalle figure non si rilevano alcuni caratteri importanti, sia per la completa descrizione delle specie, sia per il riferimento generico. (*) (*) Opere citate in questa Nota : Golclfuss, Petrefatta Germaniae. Dusseldorf, 1826. Muller et Troschel, System der Asteriden. 1842. Pictet F. I., Traité de Paléontologie. T. IV. Paris, 1857. Benecke E. W., Ueber einige Muschelkalk- Ablagerung en der Alpen. Mlinchen, 1868. Quensted A., Petrefactenkunde Deutschlands. IV. B ; 8 H. Leipzig, 1875. Lepsius R., Das westliche siid-Tirol. — Geologisch Dargestellt. Berlin. 1878. Lyman Tli., Report on tlie Ophiuroidea dredgen by H. M. S. Chal- lenger. London, 1882. Zittel K., Traité de Paléontologie (Trad. Ch. Barrois), Miincheu 1883. Boelim G., Ein beitrag zur Kenntniss fossiler Ophiuren. 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Superficie aborale finamente granulosa (fig. 2); le zone interradiali sono depresse, ed i solchi larghi lungo il lembo si fanno più ristretti verso il centro del disco, e secondo Benecke, cessano a metà della distanza fra il margine ed il centro, per unirsi con altri solchi che circondano un’area centrale, essa pure pentagonale che starebbe a 36° dall’esterno; questo carattere non si rileva nel- l’esemplare del museo di Firenze, forse per la compressione late- rale ricevuta, come si distingue dalla citata fig. 1 ; in questo esem- plare però si osservano molto bene le placche radiali di forma sub- orbicolare (fig. 2 a) che a due a due si trovano alla base delle braccia; esse hanno un diametro di circa 1 mm., e la superficie loro è quasi liscia, la distanza reciproca dal lato interno (spazi radiali) è di mm. 0,50, dal lato esterno (spazi interradiali) di mm. 1,75. Superficie orale (fig. 3). Questa non l’ho potuta osser- vare direttamente, non possedendo esemplari rivolti dalla parte ventrale ; perciò riportandone la figura data dal Benecke, ne rias- sumo pure la descrizione. La superficie ventrale è così granulosa come la dorsale, e sembra riempire del tutto lo spazio interbrachiale, il margine esterno e (’) Questi esemplari sembrano molto rari, perchè non ne esistono nella maggior parte dei musei di Paleontologia delle principali università italiane. 216 A. NEVIANI gli scudetti boccali. Presso la bocca si rimarcano per la loro grandezza le placche boccali che hanno forma elittica trasversale, in modo che colla parte ristretta vengono ad appoggiarsi sulle braccia e tanto vicine le une alle altre, da formare un cerchio che separa la bocca dalla rimanente parte del disco ; il margine esterno ha nel mezzo una grossa prominenza e due più piccole laterali; mentre il lato interno presenta pure una prominenza mediana con due insenature ai lati. A questo proposito Benecke osserva che non si può porre in dubbio che questi scudetti non appartengano alla parte esterna, piuttostochè all’armatura ossea interna, giacché os- serva che essi sono semplici, che giacciono presso la superficie granulata e non più profondamente, che sono appoggiati sulle braccia, ed infine per la grande analogia, sia per la posizione quanto per la forma colle corrispondenti parti delle Ofiure viventi. Sul lato boccale, ciascuna delle placche ora descritte, porta una piccola squama che termina con due papille, a ciascun lato poi sonvene per lo meno altre tre. In un esemplare studiato da Benecke, sembra siavi ancora una serie di piccole piastrelle sul margine boccale delle placche grande e piccola, come si riscontra anche in alcune forme viventi, ma questa particolarità non fu di- segnata dall’autore per non indicare nella figura ' parti ipotetiche, tanto più che il disegno nel suo insieme dà una giusta rappre- sentazione. Il carattere delle fenditure genitali, che è tanto utile per il riconoscimento di alcuni generi, non è stato ben determinato da Benecke, giacché accenna dubitativamente alla presenza di una sola e lunga apertura posta presso un braccio. Braccia. Nell’esemplare da me studiato le braccia che rag- giungono circa 30 mm. di lunghezza sono ben conservate, e pre- sentano vari caratteri interessanti ; non si osservano però le ver- tebrine interne come in quelli di Benecke. La proporzione fra la lunghezza delle braccia ed il diametro del disco, è di circa 1 : 4, e perciò in questo esemplare tale proporzione, è molto diversa di quella osservata da Benecke, giacché egli avendo trovato mm. 6 per il disco e mm. 14 per le braccia dà la proporzione di poco più del doppio;- notisi però che l’autore dichiara che non trovò alcun ^braccio completo fino all’estremità. La fig. 4 mostra un frammento di braccio veduto dal lato ventrale, privo delle plac- SULLA OPHIOGLYPHA ( ACROURA ) GRANULATA BENECK SP. 217 chette, per porre in evidenza le piccole vertebre a forma di x, col lato lungo sulla linea mediana. 11 taglio trasversale (fig. 5) mo- stra la medesima vertebra veduta di fronte colla placca dorsale e le due laterali. Nel lato inferiore (fig. 3 a) si osservano pure piccole squame tentacolari, che difendono l’apertura per l'uscita dei pedicelli ambulacrali, poste fra la serie ventrale e la laterale. Nel braccio meglio conservato si contano non meno di 55 articoli. Le braccia, che presso il disco hanno sezione poligonale col diametro di circa mm. 1,50, si vanno arrotondando verso l’estre- mità, così che le placche dorsali cambiano d’aspetto ; infatti esse presso il disco sono più larghe che lunghe, mentre diventano più lunghe che larghe verso la fine delle braccia, ove al con- trario sono più sviluppate le placche laterali. Sui lati sonvi al- meno due pungiglioni, come si rileva da alcune placche laterali che in una delle braccia sono voltate di fianco (fig. 1 a-b, e fig. 7) ed anche dalle insenature (fig. 6 a) che presentano alcune di dette placche presso l’origine delle braccia; anzi queste ultime essendo vedute dall’alto fanno sospettare che gli aculei siano per lo meno quattro. Nell’esemplare studiato questi aculei sono staccati dalle braccia e se ne vedono parecchi sparsi nel calcare vicino aH’Ofiura, non è possibile però riconoscere la loro lunghezza completa, e det- tagli della loro forma; tuttavia sembrano essere semplici coni al- lungati, arrotondati alla cima, e lunghi poco più di ciascuna ar- ticolazione. Osservazioni sul genere Acroura ed altri. Il genere Acroura fu stabilito da Agassiz su di una figura data dal Goldfuss, per V Acroura prisca (Munster) Golf. sp. ('), di- stinguendo questo genere dagli altri per avere, secondo l’asserzione di Agassiz, delle piccole squame ai lati delle braccia in luogo di pungiglioni. I paleontologi però non accettarono questa denomina- zione, facendo osservare che le squame notate dall’Agassiz debbono t1) Goldfuss, Petrefacla Germaniae. I, pag. 206; T. LVII, f. 6. 15 218 A. DEVIAMI considerarsi per piccoli pungiglioni, e che d’altronde questo carat- tere non era sufficiente per stabilire un nuovo genere. Per queste osservazioni, il genere Acroura rimane destituito di ogni fondamento, e non avendo alcuna importanza, viene tolto dalla serie dei nomi generici delle Oflure. 1 paleontologi infatti o pongono il genere Acroura in sino- nimia, o non lo citano affatto; ma per quanto riguarda la specie innanzi descritta, nessuno ne dice parola ; quindi è il caso di stu- diare a quale genere si debba ascrivere. A questo proposito troviamo nel Benecke queste interessanti osservazioni ('). Si è detto che probabilmente esistono (nella Acroura granulata) soltanto due lunghe aperture genitali in ciascun spazio interbrachiale. Se così fosse allora cadrebbe il confronto col genere Ophioderma che ha quattro fenditure genitali, per quanto pos- segga il disco egualmente granulato. Una seconda famiglia, com- posta da Miiller e Troschel, comprende le specie con due aperture genitali, e si distingue in due suddivisioni secondo la mancanza o la presenza delle papille della bocca; papille che ha certamente la specie di Recoaro. E poiché le braccia sono anche coperte di parti dure, può essere confrontata con un piccolo numero di generi. Fra questi Ophiocoma è molto affine, giacché possiede una egual forma di disco ed una eguale granulazione, ma se ne discosta per la disposizione delle parti della rosetta boccale. Tuttavia Y Acroura granulata sarebbe stata riferita a questo genere se vi fosse piena sicurezza della esistenza di due sole aperture genitali. Se contro l’aspettazione si trovassero quattro aperture genitali allora il ge- nere più vicino di tutti sarebbe Ophioderma. Per quanto le re- lazioni di affinità di questa nuova specie possano variarsi come si voglia, tuttavia essa offre una conferma della osservazione già più volte fatta che nel grande tipo degli Echinodermi, la classe degli Asteridi conservò una rimarchevole costanza nel processo evolutivo. Escludendo che la specie di Recoaro si debba riportare al ge- nere Ophioderma , il Benecke accenna al genere Ophiocoma , fatto poi sinonimo di Ophìurella. Nella monografia sulle Oflure fossili del Boehm (2), 1’ Acroura granulata vi è citata solamente in quanto (q Benecke, Muschelkalk, pag. 28. (2) Boehm, Ophiuren, pag. 12 (243) e 22 (253). 219 SULLA OPHIOGL YPHA ( ACROURA ) GRANULATA BENECK SP. ha eguale portamento delle braccia dell' Ophio derma migra. Per ciò che riguarda il genere Acroura ripete le stesse osservazioni sovrariportate e che troviamo ancora nei trattati del Pictet (!), Zittel (1 2), Quensteed (3) ; ma a proposito dell 'Acroura prisca Mùnst ed Acroura Agassizi Miinst, il Boehm non accenna con certezza a quali generi si debbono riportare. A pag. 46 (277) descrive la nuova specie Ophiocten (?) ferrugineum , ponendo dubitativo il nome generico, ed infatti sia confrontando le figure date dal Boehm, sia leggendo la diagnosi del genere data dal Lvman (4), vediamo for- tissime analogie colla specie di Recoaro, e quindi il riferimento ad un genere unico. Anche Lepsius (5) nelle osservazioni che fa se- guire alla descrizione della sua Ophiura Dorae del Retico di Val Lorina, accenna alle difficoltà della determinazione dei generi degli Ofiuroidi in questo modo: « Non vi può essere alcun dubbio che lo Stelleride che ci sta dinanzi appartenga agli Ofìuridi, ma a quale dei vari generi di quest’ordine esso sia da ascrivere, io non ardisco assicurare e quindi io chiamo questo stelleride col nome dell’ordine : Ophiura » . Più oltre ricorda Y Acroura granulata del Benecke, ma non ne discute il valore della determinazione. Qui è il caso di ripetere che le Ofiure hanno una grande co- stanza di caratteri, e che i generi con troppa facilità si confon- dono nelle specie viventi ove pure si hanno tanti buoni dati per una diagnosi, mentre per le specie fossili una esatta determina- zione riesce sempre più difficile ; perciò diminuendo per quanto sia possibile il numero dei generi per le specie fossili, si possono be- nissimo accettare i soli sei generi riportati, ad eccezione dei ge- neri paleozoici, dallo Zittel ai seguenti: Ophioderma , Aspidura , Ophiurella , Geocoma , Ophiolepis ed Opino glyplia, per i quali si può fare la seguente tavola analitica, donde risulta che la specie di Recoaro va assegnata al genere Ophioghjpha. (1) Pictet, Traité, T. IV, pag. 275. (2) Zittel, Traité, T. I, pag. 449. (3) Quensteed, Petrefactenkunde, p. 128. (4) Lyman, Challenger-Ophiuroidea, pag. 78. (5) Lepsius, Das IVestliche Sùd-Tirol, pag. 859. 220 A. NEVIANI /con quattro aperture genitali negli interradi Ophioderma M. et Tr / braccia corte, appia- ttite, ravvicinate alla Vbase in modo da dare placche boccali J^Ee™ * ^ senza papille Aspidura Ag. © , [con due aperture i genitali negli • interradi ) 'placche boccali) con papille (braccia lunghe, ben distinte fra loro e idal disco Ophiurella Ag. / I senza squame tenta- colari Geocoma D’Orb. Ìuna o due squa- me tentacolari . Ophiolepis M. et Tr. numerose squa- me tentacolari . Ophioglypha Lym. Confrontando i caratteri del genere Geocoma , si potrebbe cre- dere che la specie del Benecke vi si dovesse riportare, ma in questo genere mancano le scaglie tentacolari; altre relazioni si possono trovare anche con altri generi, così per la granulosità del disco, e per la presenza di scaglie tentacolari, ha affinità col genere Ophiurella , ma se ne distingue perchè le placche boccali sono grandi e provviste di papille, mentre le Ophiurellae hanno placche piccole senza papille. Stando alla frase diagnostica data dallo Zittel (*) per la Ophioglypha ed anche dal Lyman (2), tro- veremo come principale differenza la presenza di un disco gra- nulato, in luogo di una superfìcie ricoperta da numerose placche ; questa differenza mi ha tenuto alquanto in dubbio per il riferi- mento delle specie di Recoaro, ma mi sono deciso per questo genere, perchè nelle 35 specie delle quali il Lyman, nella citata Memoria, ci dà numerose figure, ho trovato che più della metà hanno squame piccolissime ravvicinate fra loro, e tutte punteggiate sulla super- fìcie; tali particolarità difficilmente si osservano in un esemplare fossile, nel quale la conservazione, per quanto si possa ritenere eccellente, non è mai perfetta ; e le parti, specialmente per ciò che riguarda la loro connessione, possono assumere apparenze assai di- verse. Firenze, maggio 1892. Antonio Ne vi ani. f1) Zittel, Traité, pag. 451. (2) Lyman, Ophiuroidea- Challenger, pag. 34. SULLA OPHIOGL YPHA ( ACROURA ) GRANULATA BENECK SP. 221 SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Fig. 1. Ophioglypha granulosa Ben. sp. in grandezza naturale; su esemplare di calcare concliigliare di Eecoaro, con residui di Encrini ed altri fossili. In a-b il braccio è volto di fianco (v. fig. 7) ; in c, c sonvi due frammenti di braccia visti dal lato ventrale. » la. — lato aborale, grandezza naturale; (figura copiata dalla Memoria di Benecke). » 1 b. — lato orale grand, nat. (figura copiata c. s ). » 2. — Superficie dorsale ; ingrand. 3/1. » 3. — Superficie ventrale, in ale squame tentacolari (figura copiata c. s.). » 4. — Frammento di braccio veduto dalla parte ventrale, dopo essere state tolte le placche per vedere le vertebre (figura copiata c. s.). » 5. — Sezione trasversale d’un braccio (figura copiata c. s.). » 6. — Frammento di braccio veduto dal lato dorsale, in a si osservano le insenature per l’articolazione dei pungiglioni; ingr. s/l. » 7. — Frammento di braccio veduto di fianco; ingr. t/1. Boll.S Geol.It.VòIXT.T. Ili A Nevraru-( OpTno^lyplia granulata Benk.sp) Lit . L . S alcrmone , Roma mn FORAMINIFERI E DIATOMEE FOSSILI DELLE SABBIE GIALLE PLIOCENICHE DELLA FOLLA D’iNDUNO. Alcuni esemplari di sabbie gialle raccolte da me, sul prin- cipio del mese di agosto, alla Folla d’Induno, mi offersero gusci di Foraminiferi e frustrili di Diatomee che mi proposi di determinare. Uno dei motivi che mi indusse a continuarne l’analisi micro- scopica, fu l’avervi trovata una strana promiscuità di foraminiferi e diatomee d’acqua dolce e marina. La Folla d’Induno, località celebre nella geologia lombarda ('), si trova a nord-nord-ovest di Varese ed a breve distanza da questa città. Alla base, lungo il corso dell’Olona, sopra le marne cretacee, a strati sollevati quasi alla verticale, si stendono le argille azzurre plioceniche, alle quali il Curioni assegna uno spessore di oltre dieci metri e nelle quali lo Spreafico trovò, fra le altre specie, le se- guenti : Dentalium inacquale Bronn ; Nassa costulata Brocc.; Ostrea cochlear Poli ; Pecten cristatus Bronn ; Pecten De-Filippi Stopp. ; Nucula piacentina Lk. ; Arca Diluvi Lk. ecc. Superiormente a queste argille si adagia un tenue strato di sabbie gialle, che lo Stoppani dice prive di fossili marini e ricche di pezzi di legno fluitati eh accennano all’ avanzarsi dell'allu- vione; sovraincombe a questo deposito il Villafranchiano, che si espande poi a sud a formare i terrazzi dell’Olona e che in qualche punto si appoggia direttamente sulle marne argillose cineree del Miocene (2). (0 A. Stoppani, Corso di Geologia, voi. II, pag. 548 ; G. Curioni, Geo- logia applicata delle provinole lombarde, voi. I, pag. 317, Milano; L. Maggi, Sulla costituzione geologica del territorio varesino, Varese, 1874, pag. 27 ; T. Taramelli, Materiali perla Carta geologica della Svizzera, Berna, 1880. (2) B. Corti, I Terrazzi dell' Olona, pag. 9. (Estr. dal Corriere della Domenica), Como, 1892. 224 B. CORTI Nella preparazione del materiale da studio mi sono valso di ripetuti lavaggi con setaccio e di ebullizioni con potassa, come con- siglia opportunamente il dott. Teliini (!), per la determinazione dei Foraminiferi ; per la ricerca delle Diatomee feci bollire in capsula le sabbie con una soluzione molto allungata di Acido nitrico e Clorato di potassa, quindi procedei coi soliti lavaggi in acqua di- stillata e filtrata. I Foraminiferi sono frammentati e a volta coperti da incro- stazioni calcaree o arenacee, le diatomee invece sono in miglior stato di conservazione. L’elenco delle specie fossili dei Foraminiferi è il seguente: 1. Biloculina inornata d’Orbigny (Cfr. d’Orbigny. Foram. foss. Vienne , 1846, t. XVI, pag. 266, fìg. 7-9). Non si conosce vivente. Fossile nel bacino terziario di Vienna (d’Orbigny) ; nelle sabbie gialle di s. Colombano (Mariani) (2); nella marna di Casteuedolo (Corti) (3). Poco frequente, x 70. 2. Miliolina boueana d’ Orbigny (Cfr. d’ Orbigny, Op. cit., pag. 293, t. XIX, fig. 7-8). Ancora vivente. — Fossile nel bacino di Vienna (d’Orbigny); nelle sabbie di s. Colombano (Mariani). Poco frequente, esemplari mal conservati, x 35. 3. Textularia aciculata d'Orbigny (Cfr. d’Orbigny, Tabi, mèth ., t. XI, fig. 1-4, 1826). Fossile nelle sabbie di s. Colombano (Mariani); nelle sabbie gialle del Vaticano (Terrigi) (4). Non è più vivente. (0 A. Telimi, Istruzioni per la raccolta, la 'preparazione e la conser- vazione dei Foraminiferi viventi e fossili, pag. 12, 13 (Est. Boll, e Riv. Ital. se. nat., Siena, 1892). (2) E. Mariani, Foraminiferi della collina di s. Colombano lodigiano, (Est. Rend. Ist. Lom. serie 5a, voi. XXXI, fase. 10-11, 1888). (3) B. Corti, Foraminiferi e Diatomee fossili del pliocene di Castene- dolo. (Est. Rend. R. Ist. Lomb., serie 2a, voi. XXV, fase. 15-16, 1892). (4j G. Terrigi, Fauna Vaticana a Foraminiferi delle sabbie gialle nel pliocene subappennino. (Att. Acc. pont. Nuovi Line., Ann. XXXIII, Sess. 2a del 22 genn. 1880). FORAMINIFERI E DIATOMEE FOSSILI ECC. 225 Frequente, esemplari ben conservati: X 60 4. Bulimina eiegans d'Orbignv (Cfr. d’Orbigny, Ann. Se. Nat., voi. VII, pag. 270, n. 10, 1826); B. Brady, Report on thè Fo- ramini fera dredged etc. 1884 B. eiegans , var. exili s pag. 399. t. L, f. 5, 6). Ancora vivente. — Fossile nelle sabbie di s. Colombano (Ma- riani). Molto frequente, esemplari ora frammentati ed ora ben con- servati. X 70. 5. Bulimina marginata d'Orbigny (Cfr. d’Orbigny. Ann. Se. Nat., voi. VII, pag. 269, n. 4, t. XII, fig. 10-12, 1826). Ancora vivente. — Fossile nelle sabbie di s. Colombano (Ma- riani). Frequente, esemplari ben conservati. X 60. 6. Lagena quinquelatera Brady (Cfr. H. B. Brady, Report Foram. Challenger ., pag. 484, t. LXI, fig. 15-16). Ancora vivente. — Fossile nella marna di Castenedolo (Corti). Molto frequente, esemplari mal conservati. X 40. 7. Nodosaria calomorpha Heuss (Cfr. H. B. Brady, Op. cit., pag. 497, t. LXI, fig. 23-27). Ancora vivente — Fossile nella marna di Castenedolo (Corti); nelle sabbie gialle plioceniche del Vaticano (Terrigi). Parecchi esemplari in mediocre stato di conservazione, X 50. 8. Nodosaria ( Glandolino) laovigata d'Orbigny. Cfr. d’Orbigny, Foram. foss. Vienne , pag. 29, t. I, fig. 4-5, 1846). Cfr. B. Brady. Report etc. pag. 490 t. LXI f. 17, 22, 32. Ancora vivente. — Fossile nelle sabbie di s. Colombano (Ma- riani); nel bacino terziario di Vienna (d’Orbigny). Parecchi esemplari mal conservati. X 35. 9. Discorbina globulari d’Orbigny (Cfr. H. B. Brady, Op. cit., pag. 643, t. LXVXVI, fig. 8-13). Ancora vivente. — Fossile nella marna pliocenica di Caste- nedolo (Corti). Frequenti esemplari tutti ben conservati. X 40. 10. Truncatulina ungeriana d’Orbigny, (Cfr. d’Orbigny, Foram. foss. Vienne , pag. 157, t. Vili, fig. 16-18 1846). Ancora vivente. — Fossile nel bacino terziario di Vienna (d’Orbigny) ; nelle sabbie di s. Colombano (Mariani). 226 B. CORTI Qualche raro esemplare e parecchi frammenti, x 40. 11. Nonionina àepressula ( Nautilus depressulus ) Walter e Iacob. Cfr. B. Brady. Report etc. pag. 725. t. CIX. f. 67). Ancora vivente. — Fossile nel bacino terziario di Vienna (d’Orbigny); nelle sabbie di s. Colombano (Mariani). Frequente, esemplari ben conservati, x 50. 12. Polystomella crispa Lam. (Cfr. G-. B. Corti, Foramini- feri e Diatomee fossili del pliocene di Castenedolo , pag. 18, fìg. 21). Ancora vivente. — Fossile nelle sabbie di s. Colombano (Ma- riani); nella Marna pliocenica di Castenedolo (Corti). Frequente, esemplari in mediocre stato di conservazione. X 70. Elenco delle Diatomee. 1. Achnanthes exilis Ktz. (Cfr. Brun, Diatomées des Alpes et du Tura et de la région suisse et francaise des environs de Genève , pag. 28, tav. Ili, fìg. 29, 1882). 2. Achnanthes delicatula Ktz. (Cfr. Brun, Op. cit., tav, III, fìg. 24). 3. Achnanthes flexella var. alpestris Breb. (Cfr. Brun, Op. cit., tav. Ili, fìg. 26). 4. Cocconeis helvetica Brun (Cfr. Brun, Op. cit., tav. Ili, % 27). 5. Gomphonema glaciale Ktz. (Cfr. Brun, Op. cit., tav. VI, fig. 14). 6. Gomphonema acuminatum Ehr. (Cfr. Brun, Op. cit., tav. VI, fig. 4). 7. Epithemia argus var. alpestris Ehr. (Cfr. Brun, Op. cit., tav. II, fig. 1). 8. Himanthidium gracile Ehi’. (Cfr. Brun. Op. cit., tav. II, fig. 24). 9. Himanthidium pedinale var. minus (Cfr. Brun, Op. cit., tav. II, fìg. 19). 10. Cymbella helvetica Sm. (Cfr, Brun, Op. cit., tav. Ili, fig. 3-11). FORAMINIFERI E DIATOMEE FOSSILI ECC. 227 11. Cymbella a finis Ktz. (Cfr. Brun, Op. cit., tav. Ili, fig- 14). 12. Cymbella albina Griin. (Cfr. Brun, Op. cit., tav. Ili, fig. 7). 13. Cymbella lanceolata Brun. (Cfr. Brun, Op. cit., tav. Ili, fig. 19). 14. Navicala gracilis Ehr. (Cfr. Brun, Op. cit., tav. VII, %. 5). 15. Navicala cuspidata var. alpestris (Cfr. Brun, Op. cit., pag. 66). 16. Navicala limosa Ktz. (Cfr. Brun, Op. cit., tav. VII. fig- 12). 17. Pinnularìa nobilis Ehr. (Cfr. Brun, Op. cit., tav. Vili. %. 17). 18. Pinnularia viridis Rab. (Cfr. Brun, Op. cit., tav. Vili, fig. 5). 19. Pinnularia cardinalis Brun (Cfr. Brun, Op. cit., tav. Vili, fig. 23). 20. Surirella helvetica Brun. (Cfr. Bruu, Op. cit., tav. II, fig. 4). 21. Tryblionella anqustata W. Sm. (Cfr. Brun, Op. cit., tav. IV, fig. 28). 22. Nitzschia thermalis Auerw. (Cfr. Brun, Op. cit., tav. V, fig. 17). 23. Nitzschia linearis Ag. et. W, Sem. (Cfr. Brun, Op. cit., tav. V, fig. 26. 24. Odontidium hyemale Lyngb. (Cfr. Brun, Op. cit., tav. IV, fig. 2-7). 25. Denlicula frigida Ktz. (Cfr. Brun, Op. cit., tav. Ili, fig. 36). 26. Denticula elegans Ktz. (Cfr. Brun, Op. cit., tav. Ili, fig. 37). 27. Diatoma tenue Ag. (Cfr. Brun, Op. cit-, tav. IV, fig. 14-15). 28. Fragilaria mutabilis Gran. (Cfr. Brun, Op. cit., tav. IV, fig. 8). 29. Synedra lunaris Ehr. (Cfr. Brun, Op. cit., tav. IV, fig. 22). 30. Synedra radians Ktz. (Cfr. Brun., Op. cit., tav. V, fig. 6). 228 B. CORTI 31. Synedra gracili s Ktz. (Cfr. Bruii, Op. cit., tay. Y, fig. 7). 32. Synedra biceps W. Sin. (Cfr. Brun, Op. cit., tay. Ili, iig. 10). 33. Meridion circulare Ag. (Cfr. Brun, Op. cit., tav. IX, tìg. 11). 34. Melosira dislans Ehr. (Cfr. Brun, Op. cit., tay. I, fig. 3). 35. Melosira distans yar. nivalis (Cfr. Brun, Op. cit., tav. I, fig. 4). 36. Actinocyclus biternarius Ehn. (Cfr. Ehrenberg, Zur Mi- tro geologie, tav. XXII, fig. 12). 37. Coscinodiscus minor Ehr. (Cfr. Ehrenberg., Op. cit., tav. XXII, fig. 7). La presenza dei Foraminiferi in queste sabbie gialle è per sè cosa di importanza molto relativa, essendone già stata ammessa antecedentemente la loro origine marina ed il riferimento all' Astiano, ma la coesistenza di una microflora di diatomee fossili quasi esclu- sivamente d’acqua dolce, con rappresentanza di alcune specie alpine e della zona nivale, viene ad aggiungere, come dissi più sopra, nuovo interesse alla questione.- Difatto, pure attribuendo un valore molto lieve a riferimenti basati sullo studio delle Diatomee fossili, e accettando con cauto riserbo le deduzioni che se ne sono tratte fino ad oggi, resta un fatto indiscutibile che alcune specie si devono ormai ritenere come tipiche di certi depositi- Ne sono una prova le conclusioni che si sone tratte dagli studi dell’ Ehrenberg, Castracane, Lanzi, Bonardi, Parona e Nicotra. nonché, oso aggiungere, da quel poco che per avventura ho fatto anch’io. Dall’elenco dei foraminiferi si vede che la faunula della Folla d’Induno è rappresentata da dodici specie, di cui nove comuni col deposito di s. Colombano, che dagli studi accurati del dott. E. Ma- riani risulta di mare poco profondo, e le rimanenti sono comuni colle marne plioceniche di Castenedolo, formazione di estuario. Da un numero così esiguo di specie altro non si può dedurre che una spiccata analogia colle sabbie gialle ferruginose di s. Co- lombano, e che perciò, le sabbie gialle della Polla d’Induno siano un deposito di mare poco profondo. FORAMINIFERI E DIATOMEE FOSSILI ECC. 229 Efficaci argomenti intorno alla origine e all’età delle sabbie gialle ci sono forniti invece dalle Diatomee. Queste, come si è visto dall’elenco, sommano a trentasette, fra cui due sole esclusivamente marine, le rimanenti sono tutte specie d’acqua dolce e comuni a depositi quaternari lombardi ed ai laghi alpini. Ora, mentre la presenza dei Foraminiferi è valido argomento per ritenere le sabbie della Folla d’Induno d'orìgine marina, le Diatomee non possono escludere la certezza dell’avanzamento di una conoide in un estuario nel quale iìnivano di deporsi le sabbie. Esso andò colmandosi, nel mentre le potenti fiumane precipitavano dalla Yalgana e dalla Val di Brinzio i materiali che si cementa- rono per formare l’alluvione Yillafranchiana superiore al deposito delle sabbie gialle. Non si può negare quindi la loro origine marina e il riferi- mento ad uno dei piani del pliocene, ma si deve pure ammettere che in quell epoca prevalse un'energica azione fluitante coadiuvata da torrenziali fiumane e abbondanti piogge, che portò forte con- tributo di sabbie, di detriti e di reliquie organiche a colmare l’estuario della Folla d’induno e a formare il conglomerato Vil- lafranchiano. Così, insieme a quelle alluvioni si mescolava una piccola flora diatomacea. In nessun altro modo si può spiegare razionalmente la pro- miscuità di specie marine e d’acqua dolce in uno stesso deposito, anche ammessa l’adattabilità di alcune a un ambiente diverso. Ciò che è molto importante è la presenza di alcune specie della zona nivale , quali: il Gomphonema glaciale , la Cymbella alpina , 1 ' Odontidium hyemale , la Denticida frigida , la Synedra radians , e la Melosira distans var. nivalis, poiché non si può ammettere la loro esistenza che al limite delle nevi e delle ve- drette, le quali dovevano per conseguenza coronare le vette dei monti di Yalgana e Val di Brinzio già fino dall’epoca dell’estuario plio- cenico. Ciò è un forte argomento in sostegno della idea del prof. T. Taramelli di una fugace espansione glaciale, avvenuta sullo scorcio del Pliocene, che portò i massi di granito nel Ceppo di Pontegana. Così mentre si deponevano le sabbie gialle sul fondo dell’estuario 230 B. CORTI. FORAMINIFERI E D1ATOMEE FOSSILI ECC. della Folla d’Induno, sulle vette delle prealpi Comasche candeg- giavano le nevi. lo ritengo quindi che le sabbie gialle a foraminiferi ed a Dia- tomee della Folla d’Induno non si debbano disgiungere dall’allu- vione Yillafrancbiana soprastante, ma formare un solo piano, che riferirei ad uno dei più recenti del pliocene, e con tutta probabi- lità coevo al deposito di s. Colombano lodigiano. (Settembre 1892). Dott. Benedetto Corti. SULLA ESTENSIONE DEL TRIAS SUPERIORE NELLA PROVINCIA DI SALERNO Il recente bel lavoro del prof. F. Bassani « Sui fossili e sul- l'età degli schisti bituminosi di Monte Pettine presso Giffoni Valle Piana in provincia di Salerno J Napoli, 1892 » ('), ha pro- vato che la fauna ittiologica di Giffoni, raccolta da tempo da G. 0. Costa e conservata nel Museo geologico dell’ Università di Napoli, è contemporanea a quella di Seefeld (Tirolo), e che rap- presenta quindi la Dolomia principale. Dobbiamo esser grati al chiarissimo professore di avere stabilito questo fatto, che segna un notevole progresso nelle conoscenze geologiche della provincia di Salerno, e di aver portata così la luce sull’età di una fauna che, nonostante le illustrazioni del Costa e dell’Egerton, era assai oscu- ramente conosciuta. L’anno scorso, mercè la cortesia dell’amico prof. Bassani, io potei fare uno studio rapido di parte dei molluschi che furono rac- colti dal Costa nei calcari dolomitici alternanti con gli schisti bi- tuminosi; però il cattivo stato di conservazione di molti dei fossili, il ristretto numero di esemplari e il troppo breve esame non mi permisero delle determinazioni sicure ; tuttavia dall’ insieme di tali determinazioni (Bassani, op. cit., pag. 20) si trae la stretta affinità che gli strati di Giffoni mostrano anche con piani inferiori alla Dolomia principale (2). Degli altri fossili, raccolti più tardi dagl’in- f1) Mem. della Soc. ital. delle Scienze, ser. 3a, t. IX. (2) Avendo visti recentemente nel Museo geologico dell’Università di Napoli gli altri molluschi del monte Pettine che ancora non aveva studiati, e di nuovo quelli che avevo brevemente esaminati due anni fa, mi son convinto che nei calcari dolomitici alternanti con gli schisti a pesci c’è anche la Ger- 232 G. DI-STEFANO gegneri Baldacci e Viola, provano 1'esistenza di strati simili non solo nei calcari dolomitici di Gittoni superiori a quelli a pesci, ma in mol- tissimi altri luoghi della provincia di Salerno. 1 resti organici ai quali accenno sono stati raccolti a S. Liberatore presso Vietri, al Telegrafo di Salerno, alle Creste di Salerno, al Monte Acellica, a Diecimare, in alcuni luoghi tra Cava dei Tirreni e Pellezzano ; presso Solofra, a Gittoni Vaile Piana, al Monte Lieggio, al Monte dei Mai ecc. Pertanto, mentre da’ miei colleghi si prepara una compiuta descri- zione del Trias salernitano e di quello della Basilicata, io credo utile di anticipare nel loro nome e nel mio queste brevi notizie. La Gervilleia exilis si presenta dappertutto e spesso in ottimo stato di conservazione, insieme con qualche altra piccola forma con- genere non ben determinabile. È accompagnata da modelli di Me- galodus , assai mal conservati e sui quali una distinzione specifica sarebbe per ora arrischiata. A Gittoni Valle Piana, anche negli strati villeia exilis Stopp., come di già aveva pensato il prof. Bassani. Debbo notare inoltre che il Trochus contabulatus, G. 0. Costa ( Note geologiche e paleon. tologiche sui monti Picentini nel Principato Citeriore; Napoli, 1864, tav. V, fig. 4), raccolto negli stessi strati, è certamente il Turbo solitarius Ben. Queste specie caratteristiche della Dolomia principale sono associate con altre ( Mytilus cfr. Miinsteri Klipst., Cardita cfr. crenata Goldf., Fimbria cfr. Mel- angi Hauer ecc.) solite degli strati di Raibl., di S. Cassiano e di quelli a Cardita equivalenti. La determinazione di tali specie, non sicura per le ra- gioni esposte sopra, è ora avvalorata dal fatto che il prof. Bassani ha potuto rinvenirle in parte ben determinabili tra i fossili della Dolomia con Gervilleia exilis e Turbo solitarius di una località posta tra Baronissi e Mercato S. Se- verino. Mentre egli ne prapara la illustrazione, son lieto di constatare che vengono cosi confermati quei rapporti paleontologici della Dolomia principale del Sa- lernitano con qualche orizzonte più basso indicati dalla Nota dei fossili da me determinati e così gentilmente pubblicata dal prof. Bassani. Questi fatti danno una più estesa conoscenza paleontologica della Hauptdolomit ed acquistano una certa importanza, ora che cominciamo ad avviarci verso una divisione più semplice del Trias superiore, e che si accorda alla Dolomia principale una più grande estensione nel tempo. Come vedremo appresso, questi carat- teri si ripetono in parte anche nella Dolomia principale della Calabria Ci- teriore. SULLA ESTENSIONE DEL TRIAS SUPERIORE ECO. 233 superiori agli schisti ittiolitici, si raccoglie una Cardila che difficil- mente potrà separarsi dalla Cardita crenata Goldf. e a Corpo di Cava un esemplare di Fimbria che io reputo identico con la Fim- bria Mellincji Hauer. Varie sezioni e vari modelli di un gastero- pode riferibili con dubbio al Turbo solitarius Ben. (= T. Son- gavalii Stopp.) si notano in molti luoghi; però un esemplare di Corpo di Cava è ben conservato e perfettameute determinabile. È importante il fatto che tra Cava dei Tirreni e Pellezzano e al Telegrafo di Salerno la dolomia grigia con Gervilleia exilis si mostra gremita in certi punti di vere Diploporae. Lasciando im- pregiudicata la questione se nelle Diploporae siano rappresentate o no le ramificazioni sterili del genere Gyroporella , è certo che tutti gli articoli osservati hanno canali che sboccano al di fuori, e che forme con questi caratteri non erano state sinora trovate da sole in un piano triassico tanto elevato. Il Deecke (') indicò per primo la presenza di sezioni di Diploporae associate con altre di vere Gyroporellae negli strati con Dicerocardium di Caino e da ciò fu indotto a pensare col prof. G. Steinmann che queste sezioni mo- strassero i canali fruttiferi e sterili di uno stesso gènere. Tuttavia, oltre che nel Salernitano, delle Diploporae costituiscono, spesso da sole, la Dolomia con Gervilleia exilis e Turbo solitarius nella Calabria settentrionale. La Gervilleia exilis e il Turbo solitarius mostrano chiara- mente la presenza della Dolomia principale, mentre che la Cardita cfr. crenata e la F. cfr. Mellingi con esse associate indicano quelle relazioni con orizzonti un po’ più bassi che si constatano anche al Monte Pettine. Or, per quanto abbiamo detto, vanno riferiti alla Dolomia principale non solo gli schisti bituminiferi della parte inferiore del Monte Pettine, ma anche i superiori calcari dolomi- tici con tutte le altre grandi masse di dolomie e calcari associati che pigliano sì notevole sviluppo in estensione e potenza nel Sa- lernitano. Gli strati con Gervilleia exilis sono composti, subordinatamente e alla parte inferiore, di schisti argillosi e calcarei bituminiferi, ed P) W. Deecke, Ueber einige neue Siphoneen (Neues Jahrbuch ecc., 1883, 1 Bd.). 16 234 G. DI-STEFANO essenzialmente di calcari dolomitici grigi e cristallini, passanti a dolomie cristalline, talora farinose e a calcari compatti. Questo in- sieme di rocce ha una potenza superiore ai 1000 m. ed è ricoperto per lo più, ma non sempre, dal Cretaceo. Insieme con esso il Trias costituisce quel gruppo di monti dirupati che si estende a levante e ponente di Salerno, dal fianco orientale del Monte Cerreto e dal meridionale del Monte Chiunzo, ai monti di Yietri, di Salerno, di Cava dei Tirreni e di Pellezzano; al Monte Accelica, alla re- gione Diecimare, ai dintorni di Gajano, ai monti di Mango, Casti- glione dei Genovesi, S. Cipriano Picentino, Gi foni, Giffoni Valle Piana, Calabritto, Caposele, Montella, Solofra, Montoro, Bracigliano, Torello ecc. I lavori di rilevamento dell’ Ufficio geologico hanno scoperto anche gli strati con Ger olitela exilis nei monti dolomitici da Atena a Sala Consilina (M. di Sito Alto) e in Basii. cata nei monti di Brienza, di Moliterno, nella valle dell'Agri, nei monti di Castiglione ecc. Per quanto riguarda la Basilicata, specialmente per i dintorni di Lagonegro, lascio la parola ad un egregio allievo del prof. Bas- sani, il sig. G. Di Lorenzo, che deve farci importanti comu- nicazioni. Simili strati sono, come è noto, anche molto sviluppati nella Calabria settentrionale, ove recentemente l ing. E. Cortese e io ab- biamo fatto un’ esplorazione paleontologica che ha dato buoni ri- sultati; ma del T.ias superiore calabrese non debbo però qui in- trattenermi, avendo in preparazione una Nota che ne esporrà i caratteri generali e la breve sto.ia. Noterò infine che nel calcare compatto di S. Liberatore e in quello dolomitico del Monte Mai si raccolgono, insieme con l’Ostrea Picletiaaa , Stopp. del Retico e degli inferiori Strati a Cardila ('), degli esemplari di una Plicatula finamente co." tata, che mostra in- tima analogia con la PI. intusstriata Emm. La roccia che li contiene è strettamente associata alle dolomie con Gervilteia exilis e sembra non potersene staccare ; però io mi guarderò bene dal trarre delle conclusioni, perchè sono in corso ulteriori osservazioni per verificare nel Salernitano la presenza del Retico, e perchè la determinazione (*) (*) S. v. Wohrmann, Die Fauna der sogenannten Cardita-und Raibleie Schichten ecc. (Jahrb. d. k. k. geol. Reichsanstalt, XXXIX Bd., 1889). SULLA ESTENSIONE DEL TRIAS SUPERIORE ECC. 235 delle Plicatulae reticulalae è difficile e si possono quindi confon- dere nel nome di PI. iatusstriata varie specie. Dall’altro canto in simili forme la cerniera non è sempre bene osservabile, e chi è coscienzioso osservatore e non dispone di un materiale ben con- servato e abbondante, rimane perplesso se si tratti eventualmente anche di qualche piccola Osirea finamente costata all'interno. La risoluzione di questa questione sarà dunque oggetto di una Nota che avrò l’onore di presentarvi più tardi. Giovanni Di-Stefano. LE FR ONDIC U LA RIE TERZIARIE DEL PIEMONTE Nota paleontologica. (Con una tavola). Nel passato anno avevano fatto oggetto dei miei studi micro- paleontologici i foraminiferi fossili appartenenti al gen. Cristellaria Lamk. delle principali località piemontesi; in seguito essendomi occupato di quelli appartenenti al gen. Frondicularia , ne presento ora la monograia. Tutto quello, che sino al presente si conosceva di questo ge- nere nel Piena ulti, si riduceva al catalogo di quattro specie, che ora, mediante l’aiuto delle collezioni paleontologiche Rovasenda in Sciolze e del R. Museo Geologico di Torino, a cui faccio i miei ringraziamenti, posso elevare al numero di 9, fra cui 3 specie nuove. Gen. Frondicularia Defr. 1824. I caratteri, accettati comunemente come distintivi per questo genere della famiglia dei Lagenidi , possono ridursi all 'avere i loculi (camere) crescenti in linea retta od arcata in modo, che il primo sia abbraccialo dal secondo che ha la forma di un V, il quale a sua volta è abbracciato dal terzo e così pe’h gli altri successivamente. Se comunemente si ammettono dai naturalisti i sovradetti ca- ratteri come distintivi del genere, si trova poi grande divergenza nello stabilirne i caratteri distintivi delle singole specie, essendo queste ancora poco studiate e ancor meno comparate fra di loro. Per ora seguo l'opinione di coloro, che ammettono in cia- scuna specie due forme, la forma A a macrosfera e la forma B a microsfera. E. DERVIEUX. LE FR0NDICTJLAR1E TERZIARIE DEL PIEMONTE 237 Il carattere e-senziale per le Frondicularie si trova nell’avere le camere fatte a forma di un Y, più o meno ape to; l’esseie poi disposte in linea retta oppure arcata, io stimo che poco monti, perchè può bastare il trovarsi in una parte laterale un indeboli- mento nella conchiglia, perchè l’animale ponga la sua apertura da quella parte, quindi io considero alcune forme anche come Fron- dicularie, forme che altri forse avrebbero chiamate F lab diine. Al sottogenere Flabellina io ascrivo le forme in cui le piume camere sono allungate e disposte come nelle Cristellarie e le successive sono a Y come nelle Frondicularie. 1. Frondicularìa complanata Defr., 1824. 1824. Frondicu laria coni planai a. Defrance, Dici. Se. Nat., Paris, voi. 32 pag. 178. Osservazione: La Frond. complanata tipica è distinta (1) * dal contorno più o meno ovale, dovuto alla tendenza che hanno i segmenti di riunirsi in basso verso il segmento in.ziale » (2). Ora certamente se si prende solo questo carattere della forma più o meno ovale , senza osservare la figura, è cosa molto difficile in pratica poterla distinguere. E difatti sin ora non si può mostrare delle località fossilifere, di cui tratto, anche un solo esemplare che si possa ascrivere alla forma tipica della Frond. compia nata,. Io però degli esemplari figurati nella mia tavola propongo che si debbano considerare come appartenenti a questa specie le forme indicate alle tig. 3, 7 e 8. La fig. 7 rappresenta un esemplare, che per aver subito molto l’azione dell’aria e dell’umidità è piuttosto corroso, quantunque mostri abbastanza bene la forma ovale allungala con i segmenti che tendono a riunirsi in basso. La figura n. 3 rappresenta un esemplare che ci indica i ca- ratteri della sp. compla/iata ; però con l’ ingrossamento in modo in- t1) Per maggior comodità ho riprodotta nella tav. IV, fig. 5 la figura tipica del Defrance. (2) Fornasini 1891, La Frond. complanata. (Mem. R. Acc. Se. di Bo- logna, serie 5a, voi. I, pag. 485). 238 E. DERVIEUX verso essendo nella figura di Defrance nella parte inferiore, mentre in questa è nella parte superiore ('). Sono forme dell ' Elveziano. 2, var. alata D'Orbigny. (Tav. IV, fig. 6, 9, 10, 11, 12). 1826. Fr ondic ul ar i a alata. D’Orbigny, Ann. Se. Nat., voi. VII, pag. 256. 1838. Pennatula diluvii. Michelotti, Specimen Zoofili, diluv., pag. 223, tav. VII, fig. 8. 1847. Frondic u laria » Sismonda, Synopsis method. anim. inveri- Pedem. 1871. » complanata. Sismonda, Matériaux fi. la Paléont. (Mem. Acc. Se. Torino, voi. XXV, Serie 2a, pag. 261). 1890. » » Sacco, Cat. paleont. Piem., n. 521. 1891. » alata. Fornasini (Mem. Acc. Se. di Bologna, ser. 5a voi. I, pag. 482, in nota). Mensura: mm, 8. Orizzonte: Miocene. Pliocene. Località: Arignano (P). Zinola, (P). Torino (E). Osservazione: Non saprei meglio descrivere questa varietà dopo le parole, che scrisse il dott. Fornasini a pag. 481 del sopra- citato studio : La differenza caratteristica tra la Frond. compia- ti- nata e la Frond. alata consiste unicamente nel contorno generale, « in conseguenza del diverso sviluppo dei segmenti, protendendosi « questi, nella seconda, lateralmente sino a dare alla conchiglia “ un aspetto più o meno triangolare. In realtà non esiste differenza « sostanziale (-’) fra le due forme, osservandosi passaggi graduati * dallhina all’altra ». Siccome si dà molta importanza a piccole particolarità, come sarebbe l’essere o no costulato il segmento iniziale, così anch’ io os- servai che questo nell’esemplare figurato al n. 11 è perfettamente coperto di costule come nella Frond. denticnlata di Costa. Negli esemplari figurati nei n. 6, e 12 si può osservare l’an- damento di questa varietà (3) e quindi stabilire : 0) È degna di osservazione quella specie di prominenza, che le dà l’a- spetto di una grossa costola nella parte centrale. (2) E difatti si considera come una semplice varietà e non specie diversa. (3) Poiché io stimo che questi esemplari 6 e 9 sieno le forme mioce- niche di questa varietà. LE FRONDICVLAFJE TERZIARIE DEL PIEMORTE 239 1° Che nel miocene piemontese esisteva la Frond. var. alata (fìg. 6, 8, 9) e che questa era pure dimorfa, avendo nelle fìg. 6 una forma B e nella fìg. 8, 9, la forma A. 2° Che le dimensioni erano maggiori nel miocene che nei pe- riodi successivi, almeno per le osservazioni sino al presente. 3. var. cordata (Reuss). (Tav. IV, fig. 13). 1854. Flabellina cordata. Reuss, Danksehr. k. Ak. IViss., Wien, voi. VII, Abtk. I, pag. 67, tav. XXX, fig. 6 (pars). Distinguitur haec varietas fere circularis propter formaci, et primos loculos aDnullatos. Mensura : mm. 6. Orizzonte: Elveziano. Località: Sabbie Gaudano (Sciolze). Osservazione: L’esemplare tìgu -ato al n. 13 era già in collezione considerato come Frond. annullarla ed in vero ne ha ima grande somiglianza per avere il primo loculo circondato dai 2 o 3 successivi. L'unico carattere che ne lo di ferenzia dalla Frond. annullarla D’Orbigny, 1846, si è il non avere la superfìcie striata longitudinalmente, carattere che è considerato come distintivo per quella varietà, quantunque potrebbe essersi perd ito in questo esem- plare per il fregamento con le sabbie circostanti. Avendo osservata la specie del Reuss (1854) sopra indicata, che per avere le camere non in linea retta egli chiamò Flabellina cordata , per con moltiplicare la nomenclatura mi servo della denominazione del Reuss per la var. sopra detta, considerandola però solo in parte. 4. var. cf. lanceolata Yan den Broeck. (Tav. IV, fig. 14). 1876. Frond. alata var. lanceolata Van den Broeck, Annales de la Soc. de Microsc., II, | ag. 118. Ter. 2°, fig. 13. Località: Viale presso Asti. Osservazione: Credo di poter unire questo solo esemplare pliocenico dell’Astigiano alla varietà stabilita dal prof. Yan den 240 E. DERVIEUX Broeck nel 1876, e che dice distinguersi « par sa forme generale « plus élargie, moins élancée et moins acuminée en avant « . 5. Frondicularia revoluta Dervieux. (Tav. IV, fig. 3). F. testa ovalis, oblongata; loculi regulariter crescentes in li- neam curvatami ; suturae profundae. Monsura: mm. 8. Orizzonte: Elveziano. Località: Monte dei Cappuccini (Torino) (comune). Osservazione: Questa specie forse da taluno sarebbe stata considerata come una Flabellina , ma essendo i loculi disposti solo ad arco conservando sempre la forma caratteristica a V, io la con- sidero come Frondicularia ('). 6. Frondicularia Rovasendae Dervieux. (Tav. IV, fig. 17). 1878. Frondicularia spatulata. Williamson. Fuchs. Stud. Tert Ober. It. (LXXXVIII, Sitz. d. k. Ak. Wiss., I Abth., Maj Heft.), pag. 54. 1890. » » Sacco, Gat. pai. Pierri., n. 520. Orizzonte: Elveziano. Località: Sciolze. Osservazione: Avendo minutamente osservati gli esem- plari, che servirono a stabilire la specie Frond. spatulata William- son nei nostri cataloghi piemontesi, mi venne il dubbio che si trattasse di diversa specie, quindi scrissi al chmo prof. Williamson per conoscere minutamente i caratteri della sua specie; ed egli con molta gentilezza mi rispose dicendo che fu per sbaglio che quegli esemplari si trovarono nella sua collezione e che quindi non si è da considerare come specificamente diversa ma una pura varietà. Ora siccome quella forma è molto incerta ed io posso pre- sentare vari esemplari da dimostrarne un carattere abbastanza sta- Cl Si osservi la FI. pulchra D’Orbigny, 1840, loc. cit., pag. 25, tav. II, fisr. 12. 13. 14. LE FR0ND1CULARIE TERZIARIE DEL PIEMONTE 241 bile, credo dover considerarli come una specie che chiamo Rova- sendae in omaggio al chino naturalista, che ne è il proprietario. Questa comprenderebbe forme minutissime aventi al più 2 mm. di lunghezza, in cui i loculi crescono in modo da dare una forma quasi romboidale e per modo di dire contraria alla Frond. com- pianola, in cui tendono a riunirsi in basso. 7. Frondicularia cf. multilineata Heuss. (Tav. IV, fig. 19, 20, 26). 1854. Frond. multilineata. Keuss, Denkschr. k. Ak. Wiss., voi. VII, pag. 66. Osservazione : Con le cognizioni, che si ha solo al presente riguardo questi esseri sono costretto a considerare con molta incer- tezza le forme figurate ai numeri 16, 19 e 20 della mia tavola (IV) quali appartenenti alla specie di Reuss come forma A e l’esem- plare gracilissimo figurato al n. 26 come forma B. Sottogenere Flabellina (D’Orbigny). 1826. 8. Flabellina oolithica Deecke. (Tav. IV, fig. 24, 25). 1884. Flabellina oolithica. Deeck. Die Foram. d. Zone des Stephano- ceras, pag. 52, tav. I, fig. 23 23b. Orizzonte: Elveziano. Località : Sciolze. Osservazione: L'autore (Deecke) la descrive come una specie che ha la forma molto stretta e sottile, la quale mostra nel suo insieme per le prime camere i caratteri del genere Cristellaria , mentre l’ultima ha i caratteri del gen. Frondicularia. Ora io posso osservare di più. che forse l’esemplare modello preso dal Deecke è un esemplare molto giovane e ditfatti anche la mia figura 24 dimostra 242 E. DERVIEUX solo 2 camere decisamente caratteristiche del gen. Frondicularia , mentre la figura 25 ne mostra 8. 9. Flabellina rugosiformis Dervieux. (Tav. IV, fig. 24, 26). 1878. Frondicularia rugosa. Fuclis, 1. c. 1890. » v Sacco, Cat. pai. Pierri., n. 522. Orizzonte : Elveziano. Località: Sciolze. Osservazione: Questa specie venne stabilita su vari esem- plari dal cav. Luigi di Rovasenda, quantunque nou pubblicata prima del catalogo del Fuchs (1878). Essa comprende quelle forme che hanno un aspetto piuttosto ruvido in generale come nel genere Textularia ; anzi mal osservate sembrerebbero Textularie ; ma, ac- curatamente vedute, presentano le prime camere piccole e di forma quasi rotonda, disposte a spira, mentre le rimanenti camere sono più grandi, crescenti e della forma a Y molto aperto da accostarsi alle Linguline. Io vi dovetti mutar nome, perchè già esiste una specie Flabellina rugosa D’Orbigny, 1840 (Mém. Soc. géol. France, IY, pag. 23, tav. Il, fig. 4-7) ben diversa dalla presente. Prima di chiudere la mia Memoria prego di osservare la fig. 1 che rappresenta un unico esemplare, eocenico probabilmente, e la fig. 2 altro esemplare miocenico di Frondicularia. Per ora non credo poterli specificare per insufficienza di esemplari. Ermanno Dervieux. LE FRONDICULARIE TERZIARIE DEL PIEMONTE 243 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Figure Nome specifico Località Altezza in rara. 1 Frondicularia sp. Gassino (Eocene) 3,5 2 » sp. Sciolze (Elveziano) 4 3 » complanata Baldissero (Elveziano) 8 4 « revoluta Dervieux M. Cappuccini. Torino (Elv.) 6,5 5 » complanata Defr. (tipica figura del Defrance) — 6 var. alata (D’Orbigny) B Sciolze (Elveziano) 7 7 « complanata Bardassano 8 8 n n Sciolze (Elveziano) 6,50 9 >> alata (D’Orbigny) A n il 6 10 n r> n 13 Zinola (Pliocene) 5,20 11-12 n n ii A 11 11 — 13 " cordata (Reuss) Sciolze (Elveziano) 5 14 - » lanceolata cf.v. denBr. Viale 5,5 15 — Sciolze (Elveziano) 1 16 Fr. cf. multilineat.a Reuss 11 11 1 17 » Rovasendae Dervieux 11 11 1,1 18 11 11 1 19-20-26 n cf. multili ne ata Reuss 11 11 1 24-25 Flabellina oolithica, Deecke 11 11 0,8-2 21-22-23 » rugosiformis Derv. 11 11 1 ♦ Dervieux deldalvero Bollettino d Soc.Geol.Ital ! = Voi XI . Tav: B L1T. COU, ARTIDI AGNELLI . TORINO Baronetto Li(. STUDII SULL’ IDOCRASIA DEL MONTE SOMMA (con 3 tavole) L’Idocrasia presenta differenze notevoli tra le inclinazioni di facce, che dovrebbero essere identiche, se i cristalli avessero sim- metria quadratica; onde Breithaupt (') credette doverli riferire al sistema monoclino, tenendo conto specialmente delle inclinazioni tra le facce Jlllj e la base. Ma le ricerche posteriori di Kok- scharow (2), Zepharowich (3), Striiver (4), Dolter(5), dimostrarono che le inclinazioni del quadratottaedro fondamentale sulla base ora erano uguali, ora variamente disuguali ; e che le moltissime misure prese non confermavano l'opinione del Breithaupt. In vece si ritenne che le differenze tra le inclinazioni omologhe fossero effetto d’im- perfezione nei cristalli (6), e soprattutto d’ipoparallelismo nei sub- individui che vi si aggruppano (7). Le proprietà ottiche dei cristalli d’ Idocrasia non presentano minori anomalie; perchè talvolta essi si mostrano monoassiali, tal’ altra biassiali e spesso come gruppi polisintetici d’individui biassiali. Mallard (8), considerando special- P) Breithaupt, Volstandiges Handb., voi. I, p. 212; II, p. 652. (2) Kokscharow, Materialien zur Min. Russ., I, p. 121 e seg. (3) Zepharowich, Sitzungsber. Ak. Wiss. zur Wien., 1864, p. 16. (4) Striiver, Atti della R. Accademia dei Lincei, 1876-77, p. 109. (5) Dalter, Zeitschr. fiir Krist. und Min., voi. V, p. 289 e seg. (6) Kokscharow, Mater. zur. Min. Russ., I, p. 126. (7) Zepharowich, op. cit., p. 41 ; Striiver, Atti della R. Accademia dei Lincei, 1887, p. 14. (8) Mallard, Phénomènes optiques anomaux, p. 79. 246 P. FRANCO mente le proprietà ottiche dei cristalli d' Idocrasia, conchiuse, tor- nando all’idea di Breithanpt, che essi fossero gruppi quadrigemini di cristalli monoclini limiti. Altri cristallografi però non accettano la spiegazione precedente, ritenendo che V Idocrasia presenti ano- malie nelle sue proprietà ottiche, perchè i suoi cristalli non hanno costituzione omogenea; e Klocke ('), notando che per la pressione le proprietà ottiche dei cristalli d’ Idocrasia si deformano, concluse che la mutua compressione fra più individui aggruppatisi sia la causa che li rende biassiali. Veramente la pressione deforma tutti i cristalli ; ma in alcuni quelle che sembrano anomalie ottiche non sono deformazioni prodotte dalla pressione, sibbene effetto di mi- metismo (2). Come si vede la questione è tutt’ altro che risoluta; dacché gruppi quadrigemini di cristalli monoclini limiti possono simulare la simmetria quadratica, e l’essere i snbindividui bias- siali non è dimostrato, per quanto io sappia, dipenda da deforma- zioni. Che anzi ricordo le parole con le quali Dòlter conchiudeva le sue ricerche al proposito : « le oscillazioni degli angoli teoreti- camente uguali non sono tali da sostenere l’idea che l’ Idocrasia non appartenga al sistema quadratico : rimane aperta la questione se ciò possa affermarsi partendo da un altro punto di vista » (3). La spiegazione data da Klocke però concorda con molti fatti di cristallogenesi; e credetti che la poliedria dei cristalli d'Ido- crasia posta in riscontro colle loro proprietà ottiche potesse con- tribuire non poco a decidere. Mi parve quindi opportuno riprendere lo studio dell’ Idocrasia del M. Somma, e di alcuni risultamenti ottenuti e del metodo se- guito nelle ricerche feci cenno in una Nota preliminare letta alla Società dei naturalisti (4). Ulteriori ricerche m'hanno condotto alle seguenti conclusioni: 1° che nell’ Idocrasia del M. Somma occorrono gruppi po- ligemini di subindividui biassiali : la geminazione avviene secondo facce ottaedriche; (*) (*) Klocke, Neues Jahrb., 1881, II, p. 260. (2) Tschermak, Mineralogie 1889, p. 89. (3) Dòlter, loc. cit., p. 294. (4) Bollettino della Società dei naturalisti in Napoli, 1890, p. 178. STUDII SULL’ IDOCRASIA DEL MONTE SOMMA 247 2° che nei cristalli apparentemente semplici le facce jlOOf, • 110* dànno abitualmente due immagini nitide (ed altre sbiadite) nella loro zona, fatto che appoggerebbe l’ipotesi del Mallard; 3° che i cristalli genuini d’Idocrasia sono quadratici; ma spesso per mutua compressione si deformano nelle loro proprietà ottiche e nella inclinazione delle facce, risultandone poliedria no- tevolissima: questa segue la legge di Frankenheim, cioè che la poliedria è maggiore nelle facce più estese; 4° che la mutua compressione nei cristalli può sviluppare in essi subindividui o lamelle emitrope e biassiali. Come è noto, causa di questa compressione è la tensione che hanno i cristalli a prendere la forma sferica nel loro formarsi ('): per essa i cri- stalli in formazione venendo in contatto fra loro, vicendevolmente si deformano (-), e talvolta si sviluppano in essi subindividui o lamelle emitrope (3). Avendo per queste ricerche misurati molti cristalli, non mi sembra fuor di proposito dire un cenno delle facce che vi occor- rono, tra le quali alcune sono nuove e con caratteristiche elevate. Nella serie dei cristalli esaminati le facce osservate sono: jOOlj, J100!, )310(, J210J, J110|, )114(, J 1 1 3 • , |112 , jlllj, 221|, J331|, )441(, |101|, J201j, ,312}, {211|, |311|, }511{, J421(, |423|, >711} (4). )13 7 1(, J28 7 1|*, |35 7 1}*, |35 5 3j*, 63 9 2,*. Oltre a queste facce sono state osservate nell' Idocrasia del M. Somma: ]411( Haùy(5), J302|, |301| Zepharowich, }20 5 2} (') Quinke, Pogg. Ann., 1877, voi. II, p. 172; Lehmann, Molekular - physik-Krystallirachstum, voi. I, p. 291 e seg. (2) Frankenheim, Pogg. Ann., 1860, voi. CXI, p. 1 e seg. (3) Lehmann, AJolekularphysih, voi. I, p. 67 e seg., p. 410 e seg. (4) Le inclinazioni di questa faccia sulla (111), (100) le darebbero il sim- bolo (20 3 3) molto prossimo a (711): le ragioni per le quali ho preferito quest’ultimo saranno esposte in seguito. (5) La faccia (411) fu osservata la prima volta da Hauy e determinata mercè le inclinazioni (411) (100) 152° 3', (411; (111) 143° 12' [Hauy, Traiti 248 P. FRANCO Groth e Biiking. (Vedi fig. 1 e 2, le lìg. 3 e 4 rappresentano due cristalli assai ricchi di facce). Le nuove facce osservate distinte da * hanno caratteristiche elevate; ed ho creduto tenerne conto, a parte qualunqm conside- razione teorica, perchè è ritenuta la faccia )20 5 2( osservata da Groth e Biiking (’): di più Kupfer ritenne come genuine facce con caratteristiche assai maggiori osservate da Kokscharow (2). Pur troppo le nuove facce osservate non hanno una grande nitidezza; ma anche le facce più comuni talvolta per poliedria non dànno immagini nitide. Das Cloizeaux dà come criterio per consi- derare le facce con caratteristiche elevate come genuine l’appar- tenere esse a zone conosciute nella specie (3) (Legge di Weiss); e a questa condizione rispondono le facce osservate. Notisi in fine che il simbolo non cambia per piccole variazioni nelle inclina- zioni loro. de Min., voi. II, p. 578, § 5, t. XLVII, fìg. 74] assai prossime a quelle date da Dos Cloizeaux 152° 9', 143° 10'. In seguito questa faccia fu riportata da Phillips [ Mineraloj] y, 3a ediz., p. 34], da Mohs-Haidinger [ Treatese on Mi- neralogy, voi. II, p. 355, tav. XVIII, fig. 96J, da Des Cloizeaux [ Manuel de Min., voi. I, p. 280, tav. XVIII, fig. 105] e da Dana [A System of Mine- ralogy, 5a ediz., p. 277, fig. 264]: notisi che Dana e Des Cloizeaux riportano la figura del cristallo data da Mohs. Però la faccia (411) non è stata trovata dagli autori che più recentemente hanno studiato l’Idrocrasia del M. Somma Hessemberg, Zephar >wich, Groth e Biiking; nè a noi è avvenuto di trovarla: si è trovata invece costantemente la faccia |511], che le è assai prossima; ma non tale da potersi confondere per le sue inclinazioni (511) (100) 157°5', (511) (111) 138° 14'. Questa singolare discrepanza non si può altrimenti spie- gare che ammettendo avere Mohs, Dana, Des Cloizeaux riportata la faccia {411 } sulla fede di Hatìy; e che o tale faccia sia rara oltremodo, o Hatiy non l’osservò in cristalli provenienti dal M. Somma. (') Hintze, Handbuch der Min., voi. I, p. 296. (2) Kokscharow, Mat. zur Min. Russ.. voi. I, p. 132. (3) Manuel de mineralogie, voi. II, fase. 1°, p. 105 e 106. STUDII SULL IDOCRASIA DEL MONTE SOMMA 249 Le zone principali alle quali appartengono le facce sono: ((100) / (001) (001) ( (001) (100) (310) (102) I (114) ) (423) (711) (210) (ioi) I (113) (421) (511) 1(110) (302) (112) ( (210) (3H) (201) (IH) 1 (211) ((100) (301) | (221) /(ilo) (IH) (10 3 1) 1 (100) (331) (211) (Oli) (331) (441) (312) (131) ((110) (HO) (101) 1(031) (423) (112) ( (H3) /(HO) ((HO) '(HO) / (100) (421) (13 7 1) 1(511) (13 7 1) (311) (7 11) (311) .(28 7 1) (201) i (4 2 1) (221) ! (35 7 1) (312) 1(331) (1 7 1) (423) 1(111) (001) ((001) ((001) (711) j (28 7 1) (SU) (35 5 3) ( (20 5 2) ( (35 7 1) (63 9 2) L’inclinazione media delle facce del quadratottaedro fonda- mentale sulla base dell’ Idocrasia è : 37° 13' 28" Kokscharow 37° 12' 34" Zepharowich quella osservata da Dòlter nell’ Idocrasia del M. Somma è: 37° 8' 23" fra i limiti 37° 25' 36° 40'. Nei cristalli esaminati da noi il valore medio ricavato dalle inclinazioni \001[ )111( è 37° V 15", prendendo la media di 47 17 250 P. FRANCO osservazioni di cui 27 hanno peso 2, e 20 hanno peso 1. Questo valore è notevolmente più piccolo di quelli sopra riportati; nè po- trebbe essere altrimenti, considerando che la base è poliedrica ad angoli salienti. Il valore ricavato dalle inclinazioni }111 J )110f è 37° 11' 30", pochissimo differente da quello osservato da Zepha- rowich, e che deve ritenersi più prossimo al vero; perchè le |110( raramente sono poliedriche nella zona [001, 110]. Nel cristallo N. 4, fig. 18, dove la (001) non è poliedrica, abbiamo (001) (111) 37° 10' 30", (001) (111) 37° 9' 15": Zepharowich in un frammento di cristallo del M. Somma, che aveva le facce assai piane, trovò (001) (111) 37° 9'. La migliore tra le misure prese da Dòlter dà 37° 16' e tra le buone ve ne sono di 37° 15' e 37° 8'. Certo per determinare le costanti cristallografiche nell’ Idocrasia la poliedria delle )110| induce, nei casi ordinari, errori più piccoli di quelli che v'induce la poliedria di ■ 001 ■ ; per questo sono preferibili le inclinazioni jlllj JllOj alle jlllj jOOlj. E quando pure si voles- sero prendere in considerazione le une e le altre per determinare il valore medio dell'angolo che le facce del quadratottaedro fon- damentale fanno colla base, si dovrebbe dare il peso 1 alle incli- nazioni jlllj ,001 ( e il peso 3 alle inclinazioni jlllj jllOj: il valore medio così ottenuto sarebbe 37° 9’, prossimo a quello osser- vato da Zepharowich e da noi quando la base non è poliedrica. Per determinare le inclinazioni probabili delle facce che pre- sentano i cristalli d’ Idocrasia del M. Somma ho creduto conve- niente porre in riscontro le inclinazioni medie osservate da Zepha- rowich, quelle dell’ Idocrasia in generale riportate da Hintze, e quelle calcolate da noi, assumendo rispettivamente come misura fondamentale : 37° 12' 30" valore medio osservato da Zepharowich nell’ Idocrasia del M. Somma. 37° 12' 34" valore ricavato da Zepharowich col metodo dei minimi quadrati da tutti i cristalli d’ Idocrasia osservati da lui. 37° 13' 28" valore medio dato da Kokscharow. 37° 11' 30" media delle inclinazioni jlllj jllOj osservate da noi. 37° 9' 0" media delle inclinazioni jlllj jllOj e jlllj jOOlj os- servate da noi. STUDH sull’ idocrasia del monte somma 251 Le medie di tutti questi valori sono le medie adottate per calcolare le variazioni degli angoli di facce omologhe prodotte dalla tensione dei subindividui nei cristalli complessi. (Quadro N. 1)('). I valori medi adottati differiscono al massimo di 0° 0' 26" da quelli calcolati da Zepharowich per l’ Idocrasia del M. Somma ; e la differenza tra essi e quelli dati dalla media più elevata e dalla più bassa supera di poco l’errore di osservazione (2) : possiamo quindi ritenerli come molto prossimi ai veri. Le inclinazioni poi mercè le quali sono state determinate le nuove facce sono nel cristallo. ( Cr . N. 1, fig. 5). osservati calcolati differenze (100) (13 7 1) 28° 57' 29° 08' — 0° 11' (210) (13 7 1) 7 10 7 24 + 0 14 (100) (28 7 1) 14 34 14 30 +0 04 (100) (35 7 1) 11 27 11 41 —0 14 La faccia (13 7 1) osservata per la prima volta da Groth e Buking dà un’immagine abbastanza nitida: le altre, comprese nella zona [100, 13 7 1] sono alquanto poliedriche, ma presentano un'im- magine più brillante alla quale si riferiscono le misure. Notisi che il cristallo che presenta queste facce è un gruppo poligemino leg- germente deformato; quindi la notevole differenza tra gli angoli calcolati e quelli osservati. (*) (*) Il dott. A. Sella ha sagacemente fatto osservare in una Nota recen- temente pubblicata quanto sia illusorio determinare fino ai secondi e col me- todo dei minimi quadrati le inclinazioni nei cristalli. Io sono perfettamente d’accordo con lui; e se nel quadro seguente i calcoli sono spinti fino ai se- condi, è solamente per avere esatta la cifra dei primi. (2) Le inclinazioni sono state determinate con un goniometro Fues N. 3. In un cristallo di quarzo, ove le facce del prisma danno immagini assai ni- tide, cinquanta misure dello stesso angolo differiscono al massimo di 0° V, Nei cristalli d’Idsocrasia per le facce che danno immagini assai nitide, ho ritenuto che l’errore d’osservazione possa elevarsi a 0°2'. Le proprietà ottiche sono state studiate con un microscopio polarizzante Reichert, grande modello e coll’apparato di Adam, costruito da Fues 252 P. FRANCO Nel cristallo N. 2 si osservano due faccette )35 5 3j, )63 9 2| che sono in zona con }001{ : la }63 9 2( da un’immagine abbastanza nitida, la )35 5 3( la dà alquanto sbiadita: sono state determinate mercè le inclinazioni: osservati calcolati differenze (63 9 2) (001) 86" 37' 86° 39' — 0° 2' (63 9 2) (100) 8 52 8 48 + 0 4 (35 5 3) (001) 81 03 81 01 -4-0 2 (36 5 3) (100) 12 00 12 06 — 0 6 Di (001) si è puntata l’immagine centrale più brillante, di (100) l’immagine media; essendo queste facce alquanto poliedriche. Nel cristallo N. 3 la faccia ifj dà un’immagine sbiadita e s’inchina su (100) di 17° 25' e su (111) di 47° 4'. Essa potrebbe avere il simbolo |20 3 3( molto prossimo al simbolo J7 1 lj, e al quale non dubito di riferirla, malgrado che le differenze tra le in- clinazioni calcolate e quelle osservate siano di 0° 38' e 0° 48' ri- spettivamente ; dacché questa differenza si scosta pochissimo da quella tra certe inclinazioni osservate da Zepharowich e le corri- spondenti calcolate. La faccia cp è molto dubbia: essa potrebbe rispondere al simbolo ^10 3 1( (1). Cristallo polisintetico secondo }113( (fig. 5). Questo cristallo, ed altri di quelli esaminati, appartengono alla collezione del dott. Jobnston Lavis, la cortesia del quale anche in questa occasione ha voluto contribuire alle mie ricerche. Il cri- stallo è rappresentato dalla fig. 5: in esso le facce (110), (210), P) Ho riferito con tutte le particolarità i dati che hanno servito alla determinazione delle nuove facce, perchè ognuno possa averle in quel conto che crede migliore: è notevole che (35 5 3), {63 9 2} siano nella zona già co- nosciuta [001, 711]; e le {28 7 1}, {35 7 1} sono rispettivamente nelle zone [001, 411], [001, 511], ed entrambe nella zona [001, 13 7 1] tutte note nel- l’ Id'rocrasia. STUDII SULL’ IDOCRASIA DEL MONTE SOMMA 253 (100), (210) si mostrano come di cristallo semplice: la faccia (110) dopo un certo tratto dà luogo ad una serie di angoli rientranti, i cui spigoli sono sensibilmente normali allo spigolo Le facce f2 dell’angolo rientrante, che sono alquanto poliedriche, come pure le (100), (110), s'inclinano (immagini centrali): fx(iio) 45° or e* (110) 45 03 e, (100) 88 51 f2 (100) 89 02 Si f2 22 45 quindi il piano hisettore dell’angolo fi f2 s’inclina su ciascuna di esse 78° 37'. Essendo le fi f2 poliedriche, ho voluto calcolare l’angolo precedente mercè le inclinazioni fi (110) 45° e fi (100) 88° 51': esso risulta di 78° 34' e l’angolo che lo spigolo fa collo spi- golo è uguale a 16° 17'. L’angolo del piano hisettore con ciascuna delle facce f, calcolato mercè le inclinazioni f2(110) 45° e f2 (100) 89° 2', risulta di 79° 31' ; e l’angolo che lo spigolo fa collo spigolo è di 14° 55'. Prendendo la media dei due valori ottenuti, si ha pel primo 79° 2', pel secondo 15° 46'. Osser- vando la faccia (110) sul disco girante del microscopio fornito di slitte ortogonali, dopo averla resa parallela al piano della lastrina su cui era fissata con cera, l’angolo che lo spigolo fa con è di 16° circa. Il valore medio dell’angolo che il piano bi- settore fa con ciascuna delle facce f si potrebbe avere prendendo la media dei valori calcolati e quello osservato, dando però ai due primi il peso 2 e al terzo il pedo 1 : così esso risulta di 78° 54'. Intanto la faccia (110) è solo apparentemente piana; perchè infatti essa è leggermente spezzata secondo la zona [110, 111] e le due immagini distano di 0° 58'. Quindi il piano hisettore del- 254 P. FRANCO l’angolo f) ?2 è solo approssimativamente normale a (110), mentre fa angolo di 78° 54' colle £, le quali poi s’inclinano di 45° colla (110). Tutto questo porta a conchiudere che il piano bisettore del- l’angolo f] ?2 e molto prossimo alla faccia (113) del cristallo. Cor- reggendo l’inclinazione media f (100) di 88° 57’ in 89° 7', la cor- rispondenza del piano suddetto colla faccia (113) sarebbe completa; e le facce f2 sarebbero le (010) OlO) dei cristalli geminati. Sebbene la detta correzione di 0° 10' sia compatibilissima colla poliedria del cristallo, pure la poliedria di (110) mostra che il piano di geminazione è soltanto prossimo alla faccia (113), ma non vi corrisponde perfettamente. Il cristallo dunque si mostra costituito nella sua metà destra da subindividui geminati secondo (113); in questi le facce (110) si dispongono in un piano, essendo esse normali al piano di gemi- nazione. Per modo che addossandosi il gruppo gemino ad un cri- stallo semplice colle facce (110) coincidenti e lo spigolo di gemi- nazione del primo normale allo spigolo del secondo, tutto il cristallo prenderebbe l’aspetto di cristallo semplice, se la (110) si estendesse fino a fare sparire le facce dei subindividui geminati ; os- servato però a luce polarizzata in lamine parallele a j001(, si mo- strerebbe birifrangente e polisintetico. Se i subindividui geminati si estendessero oltre il piano di geminazione, per modo da dare cri- stalli incrociati, noi avremmo in lamine parallele alle basi proprietà ottiche omologhe d’ambe le parti di un piano parallelo a (010). E se al primo gruppo se ne associasse un secondo, disposto però ortogonalmente, noi avremmo nei quattro quadranti delle sezioni basali fenomeni ottici identici. È quasi inutile rilevare che il complesso anche in questo caso assumerebbe esteriormente l’aspetto di cristallo semplice e sim- metria quadratica, qualunque fosse la simmetria dei subindividui. Solo se essi sono trimetrici limiti ai quadratici, o se quadratici deformati, le jllOj non si costituiranno in un piano; ma esse e le J100| si mostreranno spezzate in una zona diversa dalla loro. Questo è il caso del presento cristallo e di altri, che apparente- mente sembrano semplici. A luce polarizzata convergente le sezioni basali mostrerebbero STUDir sull’ idocrasia del monte somma 255 quattro sistemi di curve, che non sono cerchi (1), fenomeno osser- vato da Mallard e da altri (2) ; e le sezioni assiali rivelerebbero nel cristallo una costituzione a clepsidra, o a tramoggie quadrangolari opposte ai vertici, fenomeno osservato da Prendel (3). Tali fenomeni però si hanno quando i subindividui sono di- sposti in serie distinte, quando, come scrive Mallard (4), le reti restano isolate. Quando invece i subindividui non serbano la di- sposizione in serie e le reti sono in certo modo combinate, allora le lamine basali, osservate a luce polarizzata parallela, lasciano scorgere la natura polisintetica del cristallo; ma a luce polarizzata convergente mostrano una serie di cerchi con croce nera, le braccia della quale per la non omogeneità del cristallo, si dislocano cam- biando di azimuth, fenomeno assai comune nell’ Idocrasia e notato per la prima volta da Des Cloizeaux (5). Ho dovuto conservare integro il cristallo ora descritto, perchè forse è Tunico, che presenta spiccatamente siffatta specie di gemi- nazione; ma lamine di altri cristalli confermano per le proprietà ottiche ’e conclusioni precedenti. Proprietà ottiche di un cristallo di Val d’Aia. Sebbene sia estranea al mio scopo l’ Idocrasia di questa loca- lità, pure mi è convenuto descrivere le proprietà ottiche di un cri- stallo che illustra il caso precedente. La fig. 8 rappresenta una lamina basale osservata a luce po- larizzata parallela: essa risulta di una parte centrale grossolana- (*) (*) Se i subindividui fossero ugualmente deformati e formassero nel com- plesso serie ben distinte, le curve isocromatiche che essi darebbero a luce polarizzata convergente sarebbero lemniscate: questo però non è il caso più abituale e le curve si deformano. Vedi la discussione di casi analoghi in Mal- lard, Phen. opt., p. 76 e seg. (2) Mallard, op. cit-, p. 79; Madelung, Zeitschr. ftir Kryst., voi. VII, p. 75; Brezina, Tschermak’s Mitth , 1877, p. 98; Klocke, Neues Jahrb., 1881, I, p. 204. t3) Prendel, Zeitschr. fiir Kryst., voi. XVII, p. 95. (4) Mallard, op. cit., p. 22. Vedi pure in Prendel i fenomeni osservati nelle sezioni basali. (5) Des Cloizeaux, Manuel de mineralogie, voi. I, p. 280. 256 P. FRANCO mente ettagona, che, cambiando di azimuth rimane estinta incom- pletamente; e mostrasi formata di parecchi subindividui le tracce dei quali sono parallele a JlOOj ed a )110j. La estinzione di questi non avviene contemporaneamente, ma in azimuth molto vicini, e in molti di essi la estinzione è vaga. Il rimanente della lamina è for- mato da otto settori biassiali. quattro in corrispondenza delle dia- gonali del prisma fondamentale, e quattro in corrispondenza delle normali ai lati, La estinzione in ciascuno di essi è abbastanza de- cisa; ma nei settori omologhi le direzioni di estinzione non sono perfettamente ortogonali. Nei settori disposti secondo le diagonali il piano degli assi ottici e parallelo alla diagonale corrispondente, negli altri è parallelo alle normali alle facce del prisma corri- spondente. La fig. 9 mostra la stessa lamina girata di 45° rispetto al piano di polarizzazione dell’istrumento: i settori periferici riman- gono abbastanza distinti, mentre la parte centrale si mostra ancor più complicatamente costituita. Osservata la lamina a luce polarizzata convergente, i settori periferici mostrano distinte le curve dei biassiali, specialmente nella parte esterna: la parte centrale mostra curve sensibilmente circo- lari e una croce che si disloca cambiando di azimuth. Nell’ Idocrasia w è maggiore di e ; quindi per le pressioni la- terali il piano degli assi ottici nel cristallo deformato è normale alla direzione della pressione (’). Ora nei settori • disposti secondo le diagonali le pressioni più efficaci a deformarli sono quelle dei subindividui dei settori alterni; non quelle del gruppo centrale, che non hanno pressioni contrapposte. Identiche considerazioni val- gono pei settori disposti secondo le normali alle facce del prisma fondamentale. Le proprietà ottiche di questa lamina dunque mo- strano come essa appartenga a un cristalo, che è complesso con simmetria pseudo-quadratica di subindividui biassiali: che questi rimangono abbastanza distinti verso la periferia, mentre verso il centro s’intrecciano in modo da simulare a luce polarizzata con- vergente i fenomeni dei monoassiali : in fine che il piano degli assi ottici nei gruppi periferici è normale alla direzione di pressione (!) Mallard, Cristallo grafìe, voi. II, p. 342. STUDII SULL’ IDOCRASIA DEL MONTE SOMMA 257 più efficace, proveniente dalla tensione dei subindividui nei gruppi alterni. Le fig. 10 e 11 mostrano le curve che si hanno nella parte centrale ottagona della lamina, le fig. 12 e 13 mostrano quelle che si hanno nei settori periferici; e finalmente le fig. 14 e 15 mostrano quelle che si hannò al limite tra la parte centrale e i settori periferici. La configurazione delle curve conferma quel che innanzi è stato detto sulla costituzione del cristallo (1). Lamina basale di un cristallo d’Idocrasia del Monte Somma. In questo cristallo esistono solo le facce jlOOj, jll0( in gran parte rotte (fig. 16) e le facce (111), (111): invece della base presenta un’escavazione a tramoggia quadrangolare, resa alquanto irregolare da fratture accidentali (nella figura queste non sono di- segnate). Le facce di questa dànno naturalmente immagini multiple; ma, tra molte sbiadate, ne spiccano alcune che s’inclinano fra loro di 36° circa: per modo che possiamo ritenere concorrano a for- marla soprattutto le facce '111'. ,001|. Sebbene in questo cristallo si possa ravvisare un complesso polisintetico, pure non è possibile stabilire esattamente il piano di geminazione stante la grande po- liedria della tramoggia. Una lamina prossima alla base mostra costituzione zonata grossolanamente ottagona (fig. 17): le zone si estinguono nel piano di polarizzazione dell’istrumento e sono alternamente di diverso segno (2). A luce polarizzata convergente si hanno zone circolari un po’ deformate e una croce nera, le braccia della quale si de- formano cambiando di azimuth. (!) La lamina descritta appartiene ad un cristallo che presenta solo le facce della zona [100, 110] e tanto poliedriche da divenir curve: una piccola faccia di quadratottaedro fondamentale è servita per stabilire le facce del pri- sma fondamentale. Un cristallo analogo avuto dalla cortesia del prof. Uzielli mostrò solo debole birifrangenza, estinzione vaga, e curve dei monoassiali dislocate. (2) Fenomeni analoghi sono stati osservati da Rosenbusch, Mikr. Phys., 21 ediz., voi. I, p. 204. 258 P. FRANCO Anche questo cristallo dunque si mostra come complesso di subindividui biassiali; così che la scoperta di Mallard rimane con- fermata in quanto che parecchi cristalli d’ Idocrasia sono gruppi quadrigemini di subindividui biassiali: non rimane confermata in quanto che riguarda tali subindividui come monoclini, essendo essi invece quadratici e deformati per mutua compressione, come di- mostreremo in seguito. Nei cristalli con costituzione zonata il fatto che le zone al- terne siano otticamente di segno contrario può convenire tanto a subindividui monoclini geminati secondo (100), quanto a subin- dividui quadratici geminati secondo una faccia di quadratottaedro, nelle sezioni oblique al piano di geminazione, come mostrano le % I, II. Infine se la costituzione zonata fosse dovuta a zone di accre- scimento, non si potrebbero spiegare le proprietà ottiche del cri- stallo di Yal d’Aia. Abbiamo detto che i cristalli genuini d’ Idocrasia del M. Somma sono quadratici geometricamente e fisicamente, e che le differenze che vi occorrono dalla simmetria quadratica sono effetto di defor- mazione: quel che segue lo dimostra, credo, pienamente. Cristallo N. 4 (fig. 18, quadro N. 2). È lungo tre millimetri e mezzo e largo cinque: le basi si presentano per metà nitide in corrispondenza di (110) e per l’altra metà scabre. La base superiore (fig. 19) dà un’immagine nitida, STUDI! SULL’ IDOCRASIA DEL MONTE SOMMA 259 corrispondente alla metà piana della faccia, e un’altra moltissimo sbiadata, corrispondente alla metà scabra : distano fra loro 0° 8'. Nella zona [100, 110] abbiamo le forme jlOOj, }210j, )110(; le J210{ sono poco estese e dànno una sola immagine, tranne la )120', che è larga 1G decimillimetri e dà due immagini distanti fra loro di 1° 0'. Le )100(, jllO sono più estese e dànno due immagini assai distinte, a parte alcune molto sbiadate (J). Le jlll(, j331j dànno immagini uniche e nitide. Se le immagini multiple della )100[ jllOj dipendessero da ipoparallelismo di subindividui, non vi sarebbe ragione alcuna perchè non le dessero anche le jlllj, )331(. In corrispondenza di (111) notasi sulla (100) un’intaccatura nel fondo della quale si scorgono le facce di un altro cristallo com- penetrato. Che per effetto della tensione del subindividui compe- netrati si spezzino le facce prismatiche e non le ottaedriche appare chiaro, quando si consideri che quelli si aggruppano secondo le facce della zona [100, 110], e quindi la componente utile della tensione su queste facce è assai più grande che sulle facce ottae- driche, essendo la estensione di queste assai piccola rispetto a quella delle prime. In fine le inclinazioni (001) (311) = 59° 29' 0", (001) (131) = = 59° 28' 45", (001) (131) = 59° 28' 30", (001) (311) = 59° 28' 0" fanno vedere che il cristallo è essenzialmenLe quadratico: queste e le inclinazioni (001) (111) = 37° 10' 30", (001) (111) = 37° 9' 15", (001) (331) = 66° 18' 0", (001) (331) = 66° 16' 15" sono vicinis- sime alle inclinazioni calcolate quando l’angolo di jOOlf |lllj è prossimo a 37° 10'. Sicché in questo cristallo d’ Idocrasia, ove la base superiore nella sua parte nitida non è poliedrica, la differenza dalle incli- nazioni necessarie per la simmetria quadratica e la razionalità degl’indici non supera l’errore d’osservazione. Veramente troverebbe un appoggio nelle due immagini che presentano le |100f chi vo- lesse considerare il cristallo come un gruppo guadrigemino di cri- stalli monoclini limiti geminati secondo le facce di un prisma rombico fondamentale (fig. 20). Le ) 1 1 1 ( del complesso sarebbero emidomi nei subindividui, e le jllOj del complesso sarebbero gli ortodomi 0) Nei cristalli prismatici la più gran parte delle facce (100}, (110} dànno due immagini. 260 P. FRANCO dei subindividui (’). A questa considerazione si opporrebbero le due immagini che presentano le jllOj del cristallo ; anche ammettendo che le inclinazioni jOOlj )100j, jOOlj j010| nei subindividui siano limiti a 90° e non diano sulla base nitida angoli salienti o rien- tranti apprezzabili. E chi per ispiegare le due immagini che pre- sentano le JllOj del cristallo volesse ammettere che ciascuno dei quattro subindividui geminati non sia semplice, ma risulti da due cristalli triclini limiti (2) geminati secondo il pinacoide quasi nor- male a quello che nel complesso si presenta come faccia JllOj (fìg. 21), troverebbe difficoltà nelle facce Jlllj, J831J. Le quali nell’ipotesi fatta dovrebbero dare due immagini mentre ne dànno una sola e nitida, anche quando tali facce siano abbastanza estese e il luogo del loro spigolo di geminazione sia posto parallelo al filo verticale dell’oculare: secondo le inclinazioni (110) (110)2 , (001) (110)c (3), (001) (111), le due immagini di (111) disierebbero di 0° 4', angolo apprezzabilissimo, vista la nitidezza della faccia. Per modo che il cristallo ora descritto esclude affatto l’idea che i cristalli genuini d’ Idocrasia siano trimetrici e che la sim- metria quadratica dipenda da mimetismo. Resta dunque che le differenze dalla simmetria quadratica sieno effetto di deformazione nei cristalli, la quale è dovuta alla mutua compressione loro, che, oltre a deformarli, talvolta li muta iu complessi poligemini. Questo fatto è dimostrato dal cristallo polisintetico (fìg. 5) e da altri di cui tratteremo brevemente. Nel cristallo polisintetico (tìg. 5) precedemente descritto la faccia (110) è spezzata nella zona [110, 111]: sulla faccia (100) (!) Analogamente all’Apofillite v. Rumpf, Tschermak’s Mitth , voi. II, p. 869 e Mallard, op. cit., p. 67. (2) Analogamente alla Cabasia *v. Becke, Tschermak’s Mitth., voi. II, p. 391. (3) L’inclinazione (001) (110), è stata determinata puntando il centro delle due immagini soprapposte: puntando ora l’una, ora l’altra, la differenza è di 0°2/; questa non influisce sul risultamento, perchè la detta inclinazione entra nel calcolo pel suo seno, e la differenza in essa di 0°2' altererebbe sol di due unità la settima cifra decimale del logaritmo corrispondente. STUDII SULL’ IDOCRASIA DEL MONTE SOMMA 261 si nota un solco parallelo all’intersezione , e sullo spigolo si notano le faccette )20 7 1( che s'incontrano con angoli rientranti. Tutto questo dimostra che nel cristallo due individui si sono ad- dossati secondo la faccia (111). Che questi due individui abbiano esercitata una compressione vicendevole appare evidente considerando le strie longitudinali della faccia (100). Queste, che nei cristalli, ove l’aggruppamento degl’in- dividui avviene secondo le facce della zona [100, 110], sono ret- tilinee, nel caso presente invece sono incurvate come mostra la fig. 6. Oggi è sicuramente dimostrato che la pressione in essi dia luogo a lamelle e a subindividui geminati ('); ed è noto pure che nei geminati per compressione il piano di geminazione si scosta alquanto dalla faccia tipica cui dovrebbe essere parallelo (2). In fine la base superiore mostra (fig. 7) una serie di piramidi quadrate, le facce delle quali si trovano sensibilmente in corri- spondenza delle facce jlllj del cristallo, e le basi loro parallele alle basi di questo. Per tali caratteri non possiamo ritenere che le piramidi siano gli estremi dei subindividui geminati, esse invece appartengono a nuovi individui soprappostisi al cristallo già com- pleto e che hanno seguito la simmetria quadratica del complesso. Cristallo N. 5 (fig. 22). In questo cristallo abbiamo nella zona [100, 110] le forme )100{, |110[, j210j, j310j, che presentano quasi tutte le loro facce : di queste come rilevasi dal quadro N. 3 solo le (110), (110) e (100) danno due immagini distinte, le altre danno immagini uniche. Di più, mentre le inclinazioni (100) (1 10)2 , (110) (120), (120) (130). (110) (010) differiscono dalle inclinazioni calcolate meno dell’er- rore di osservazione, le altre ne differiscono notevolmente. E dif- ficile spiegare questi fatti col semplice ipoparallelismo d’individui ; a meno che non se ne ammettano tanti quante sono le facce com- (') Vedi i riferimenti in Lehmann, Molecular physik., voi. I, p. 67 e seg. (2) Mugge, Neues Jahrb., 1886, voi. I, p 144 e seg. Vedi pei rapporti tra la geminazione dei cristalli e la poliedria delle loro facce : Scacchi, Po- liedrici. 262 P. FRANCO prese tra (010) e (110), che si dovrebbero però riconoscere osser- vando una lamina basale del cristallo a luce polarizzata paral- lela. Ma, così operando, si vede come esso risulti da due individui principalmente, mostra costituzione zonata, e le zone sono parallele al contorno ottagono del cristallo (fìg. 23). Osservando con una la- mina sensibile di mica che dia il verde di 1° ordine si notano due serie di zone alternantisi, l’una colorata in verde giallastro, l’altra in azzurro-indaco ; e in esse si notano zone più fine differenti per intensità di colore. A luce polarizzata convergente in un punto si hanno zone quasi circolari (fig. 24), in altri zone deformate (fìg. 25), e in altri curve di biassiali (fig. 26 e 27). La base del cristallo è poco poliedrica, dà un’immagine più nitida ed altre meno nitide distanti dalla prima 0° 10' al più : vi si notano zone di accrescimento più o meno distinte come mostra la fig. 22. Da tutti questi fatti appare chiaro che il cristallo risulta da due individui principalmente, i quali per la loro mutua compres- sione hanno alterato le inclinazioni delle facce nella zona [100, 110], hanno prodotto lamine polisintetiche ed hanno deformato le curve isocromatiche del complesso. Cristallo N. 6 (fig. 28). Risulta formato da tre individui che in gran parte si com- penetrano, ma in parte rimangono distinti in modo da potersi ri- conoscere in ciascuno di essi facce della zona [100, 110]. Nel quadro N. 4 sono riportate le inclinazioni di queste, e si rileva che esse sono spostate in ciascuno dei tre individui, nei quali però la birifrangenza non è in rapporto colla poliedria delle facce. Ridotto il cristallo in lamina basale, ed osservato a luce po- larizzata parallela, la birifrangenza è assai distinta negl’individui I e III verso le parti periferiche ove sono abbastanza traslucidi; chè nel mezzo il cristallo è poco traslucido e i caratteri ottici non vi si scorgono bene: l’individuo II abbastanza traslucido mostra debole birifrangenza. A luce polarizzata convergente questo mostra curve circolari traversate da una croce nera, le braccia della quale STUDII SULL’ IDOCRASIA DEL MONTE SOMMA 263 si dislocano cambiando di azimuth (fig. 29 e 30) ; mentre gl'in- dividui I e III mostrano distinte le curve dei biassiali (fig. 29 a 31). È notevole che la birifrangenza non è in rapporto colla po- liedri delle facce, la qual cosa occorre pure in altri cristalli; e dimostra che quando sono genuini, essi sono monoassiali, e l’essere biassiali alcuni è l’effetto della mutua compressione loro. Come poi avvenga che questa induca poliedri negl’individui fra i quali si esercita, senza per altro renderli biassiali, credo si possa spiegare ricordando le seguenti cose. La mutua compressione nei cristalli mentre essi si formano fa che le loro facce si spezzino ('). Questa deformazione può con- sistere in uno spostamento di molecole secondo determinati piani di scorrimento ; e in tal caso il cristallo dopo la deformazione pos- siede nella sua struttura la stessa simmetria che possedeva allo stato originario (2). Può essere invece che la mutua compressione porti deformazione nelle molecole, e allora cambia la simmetria nella struttura e quindi il carattere della doppia rifrazione (3). Questa deformazione può essere transitoria [ quarzo , sanidina (Biiking)J ('*.) o permanente [ tormalina , apatite (Buking) ; salgemma (Reuss)] (5). Neumann stabilì pei corpi amorfi che quando la deformazione non è imiforme, il corpo deformato si comporta come un complesso di subindividui cristallini piccolissimi, nei quali gli assi di elasticità ottica per valore e direzione variano nelle diverse parti dell’indi- viduo deformato; quando invece la deformazione è uniforme, il corpo amorfo si comporta come un biassiale. Pocket estese ai cri- stalli monoassiali la teoria di Neumann (fi). Infine un corpo defor- mato, secondo la diversa posizione delle sue parti rispetto alle di- rezioni di deformazione, può avere i suoi caratteri ottici variamente alterati, come prova il seguente esperimento del Brewster, che ri- portiamo colle sue stesse parole. (*) Frankenheim, Pogg. Ann , 1860, voi. CXI, p. 1 e seg. (2) Liebisch, Physikalische Kry stallo graphie, p. 109. (3) Vedi i riferimenti in Liebisch, op. cit., p. 582 e seg. (4) Buking, Zeitschr. fur Kryst., voi. VII, p. 555. (5) Mallard, Gristaltographie, voi. II, p. 69. (6) Pockel, Annalen der physik und chemie N. F., voi. XXXVII, p. 141, 269, 372; voi. XXXIX, p. 440. 264 P. FRANCO « Se una lastra di vetro, ovvero una bacchetta è piegata colle mani, essa mostra nello stesso tempo le due strutture opposte de- scritte nella precedente proposizione. La parte convessa della la- mina, o dilatata, mostra una serie di frange simili a quelle pro- dotte dalla prima classe di cristalli birifrangenti (birifrangenti po- sitivi); e la parte concava, compressa, mostra un’altra serie di frange prodotta dall’altra classe di cristalli (birifrangenti negativi). Queste due serie sono separate da una zona nera intensa dove non è nè compressione, nè dilatazione » ('). Dopo tutto questo è chiaro che nei cristalli d’Idocrasia si avrà poliedria nelle facce della zona [100, 110] e birifrangenza secondo l’asse quaternario, se la mutua compressione loro ha pro- dotto non solo scorrimento delle molecole, ma anche deformazione; e avremo solo poliedria quando la compressione loro ha prodotto solo scorrimento di molecole. Mallard pensa che la compressione nei cristalli produce solo effetti transitorii (2), quando essi sono genuini e non mimetici. A parte le esperienze di Reusch sul salgemma, bisogna notare che, ritenuta vera l’opinione del Mallard per i cristalli già consolidati, non lo può essere pei cristalli in formazione, come lo provano so- prattutto le ricerche microscopiche dei minerali costituenti rocce. Nella Nota preliminare distinsi i cristalli d’ Idocrasia del M. Somma in tre gruppi, nel primo dei quali sono compresi i cristalli prismatici (1° tipo del Des Cloizeaux) e nel secondo gli ottaedrici (IIP tipo del Des Cloizeaux): il terzo gruppo com- prende speciali aggregazioni di cristalli. Nei primi, ove l’aggrup- pamento degli individui avviene ordinariamente secondo le facce jx00{, jllOf, la poliedria è assai sviluppata sulle facce prismatiche secondo l’asse della loro zona e manca generalmente sulle facce ottaedriche : nei secondi invece ove l’ aggruppamento degl’individui avviene secondo la base, la poliedria è nelle zone degli assi bi- narii, cioè sulle facce ottaedriche, e manca quasi nella zona del- C) Philosophical Transactions of thè Koyal Society of London, 1816, p. 159, proposiz III. (2) Traité de cristallo graphie, voi. II, p. 344. STUDII SULL’ IDOCRASIA DEL MONTE SOMMA 265 l’asse quaternario. Le misure riportate nei quadri N. 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13 e 14 mostrano assai chiari i fatti suaccennati: le faccette in cui si risolvono le facce tipiche del cristallo non sono facce vicinali , cioè non sono rappresentate da simboli determinati e costanti, per quanto i loro indici possano essere elevati. Esse sono porzioni di facce genuine spostate dalla mutua compressione degl’in- dividui che costituiscono il complesso. Le figure 32, 33, 34, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 41, 42 e 43 rap- presentano alcuni dei cristalli misurati; e di quelli prismatici si è indicata la poliedria della base. Ho stimato superfluo descrivere tutte le particolarità di questi cristalli; perahè basta uno sguardo alle figure che li rappresen- tano e ai quadri delle inclinazioni delle loro facce per riconoscere come la poliedria segua le leggi sopraindicate. Solo credo oppor- tuno di rilevare aicuni particolari di maggiore importanza. Cristallo N. 7 (fig. 32 e 33). In questo la base superiore presenta uno spigolo quasi paral- lelo all’intersezione j e dà due immagini più nitide nella zona [001, 100] O distanti fra loro 0° 55'. Le facce del quadratottaedro fondamentale dànno una sola im- magine nitida le loro inclinazioni sulle ^110( rispettive sono: (110)2 ! (111)! 52° 50' 30" (ll0)2 ! (111)! 52 51 00 (110)c ! (111)! 52 50 45 (x) Non si potrebbe assolutamente parlare di zona [001, 100], perchè la (100) è spezzata e i poli delle due faccette distano di 0°40/: le loro imma- gini, se capitano quasi contemporaneamente sul filo verticale dell’oculare, re- stano però in gran parte distinte. Ma portando successivamente al centro l’una e l’altra immagine la differenza angolare da (001)2 è appena di 0°1'45": ho presa la media delle due inclinazioni e l’ho riguardata come molto prossima all’inclinazione genuina di (001)3 (100). Voglio poi far notare una volta per sempre che le inclinazioni delle faccette (nelle quali si risolvono le facce genuine) riportate nei quadri sono quelle delle loro immagini più o meno nitide: di quelle molto sbiadite non ho tenuto conto, dubitando potessero provenire da interferenza. 18 266 P. FRANCO queste inclinazioni concordano colle inclinazioni jlllj jOOlj = = 37° 9' 10' osservate da noi e da Zepharowich quando la base non è poliedrica. Di (110) (111) non si può avere misura atten- dibile per la notevole poliedria di (IlO). Gli angoli culminanti del quadratottaedro fondamentale sono : (111)! (111)! 50° 10' 30" (111)! (IH)! 50 08 00 (111)! (111)! 51 12 00 (111)! (Hi)! 51 11 00 La differenza tra le due prime inclinazioni e le due altre sono notevolissime, e parrebbe cbe questo cristallo dovesse avere sim- metria ortorombica ; ma ben considerando le cose, si vede che tale differenza è effetto di deformazione. È opportuno però prendere in esame gli angoli interni, non gli angoli supplementari riportati nei quadri. Lo spigolo sulla base superiore che abbiamo innanzi descritto indica che il cristallo risulta da due individui uniti secondo (100). Che la poliedria di (001) sia effetto di compressione fra i due individui e non di ipoparallelismo è reso evidente dall’essere in zona le immagini di jlOOj, jllOj, )210j. Tale mutua compressione ha spezzate e spostate queste facce: le (1 10)2 , (ll0)2, che colle rispettive Jlll[ fanno angoli assai prossimi al vero, s’inclinano fra loro di 90° 40'; cioè sono state spostate dalla loro posizione ge- nuina divergendo di 0° 40'. Chiamiamo b l’inclinazione (110) (1 10), B l’inclinazione (111) (111) e C l’inclinazione (111) (001); la relazione senCcos|-& = = cos {- B dimostra che l’inclinazione degli spigoli culminati del quadratottaedro varia direttamente colle inclinazioni delle facce ) 1 1 0 ( che vi corrispondono. Noi abbiamo trovato (111) (ili) 129° 49' 30", (111) (IH) 129° 52', (111) (111) 128° 48', (ili) (III) 128° 49': dalle incli- nazioni jlll| jllOj osservate in questo cristallo, Tangolo culmi- nante del quadratottaedro risulta 129° 24' 40", dal quale i due primi valori differiscono per eccesso e i due secondi per difetto. Questo è in perfetto accordo collo spostamento di (110)2 (1Ì0)2: la (IlO). è molto poliedrica, e la (ITO) dà immagine alquanto di- i STUDtl SULL' IDOCRA.SIA. DEL MONTE SOMMA. 267 spersa; per modo che non è possibile avere da essa misure di tal precisione che corrispondano alle variazioni anzidette, e dobbiamo contentarci che la corrispondenza tra il calcolo e l'osservazione si avveri per le inclinazioni (110), (110) e (111), (111). In fine non posso tralasciare una considerazione. I due indi- vidui che costituiscono il cristallo sono uniti secondo un piano pa- rallelo a (100) ; se la mutua compressione loro ha agito in modo da far divergere le (110), (110), non ha potuto operare altrimenti sulle (110), (Ilo): e allora la variazione negli angoli culminanti di jlll( corrisponderebbe perfettamente agli effetti della compres- sione suddetta. Ho voluto esaminare le proprietà ottiche del cristallo ; e, perchè esso è poco traslucido, ho dovuto ridurlo in lamina assai sottile. Questa a luce parallela non dà segno riconoscibile di birifrangenza malgrado adoperassi lo stauroscopio di Schrauf, e a luce polariz- zata convergente dà una croce nera sbiadata e non lascia vedere zone isocromatiche : pare quindi che se anche vi sia birifrangenza secondo l'asse, essa è assai debole. Cristallo N. 10 (fig. 38 e 39). Le facce della zona [100, 110] sono quasi tutte multiple, e le faccette in cui esse si risolvono rispondono talvolta a simboli di nuove facce: così la (100)4 è molto prossima alla faccia (10 1 0) ; e la (210)2 è molto prossima alla faccia (7 4 0), riportata da Hintze. Le inclinazioni ) 1 1 1 ( jllOj, riferite all’immagine di jllO| in zona con jlllj e jllTj hanno lo stesso valore 52° 52'. La base presenta tracce di parecchi subindividui, e quelle che sono parallele a (010) si presentano ondulate, come se il cristallo avesse subito una pres- sione normale a (100). Il cristallo è poco traslucido, una lamina quasi parallela alla base mostrasi composta di parecchi subindividui inegualmente bi- rifrangenti secondo l’asse quaternario. Cristallo N. 11 (fig. 40). In questo le facce della zona [100, 110] sono nitidissime: tranne la (110), che dà immagine unica, le J1 10(, )100{ e pa- 268 P. FRANCO recchie delle )210j danno due sole immagini e assai nitide. Con- siderando specialmente le }100(, )110(, si ha: (100)! (100)2 0° 45' 0 co (HO)! (110)2 0 47 30 (010): (010)2 0 38 30 (11 0) 1 (110)2 0 35 00 l-M O O (100)2 0 55 00 (Ilo), (110)2 0 44 30 0 1— ‘1 0 (010)2 0 13 30 dove chiaramente si scorge che, anche tenendo conto dell’errore d’osservazione, la distanza angolare delle due immagini che ciascuna faccia presenta può ritenersi uguale nelle facce (100), (110), (110); ma è assai differente nelle (010). (110), (100), (0Ì0). Questo è inconcepibile nell’ipotesi che i cristalli d’ Idocrasia siano gruppi quadrigemini di cristalli monoclini. Inoltre le basi danno, tra molte immagini assai sbiadate, una centrale più nitida: considerando questa si ha: (001) (110) 90° 08' 30" (001) (110) 00 co 0 CO *0 00' (001) (110) 89 51 30 (001) (ilo) 90 08 30 (001) (100) 90 01 00 (001) (100) 89 58 30 (001) (100)2 90 00 30 (001) M 0 0 90 00 30 (001) (010) 90 10 00 (001) (010) 89 50 00 (001) (ilo) 89 38 30 (001) (HO) 90 20 00 (001) (110) 89 56 00 (001) (110) 90 02 30 Dando le facce della zona [100, 110] due immagini, le in- clinazioni sopra riportate sono medie delle due misure: tranne la ( 100)2 , la differenza che si ha puntando successivamente le due immagini che danno le facce prismatiche si eleva al massimo a 0° 2'. Da tali inclinazioni risulta: che nel cristallo sono parallele le basi, le facce opposte della forma }100j, le (110) e (HO); ma non sono parallele le (1 10), (110): di più mentre le (100), (100) sono ortogonali colle basi, le altre facce non lo sono. Anche a ri- guardare il cristallo come triclino, non si potrebbe dare ragione delle facce (110), (110) non parallele fra loro; nè migliore spie- STUDII SULL’ IDOCRASIA DEL MONTE SOMMA 269 gazione potrebbe aversi, supponendo ipoparallelismo di subindivindui. Invece considerando la poliedria della base, ove, a parte individui più piccoli, si riconosce im individuo centrale /? compresso par- zialmente in uno periferico «, la mutua compressione loro spiega la deformazione del cristallo. La qual cosa viene pure confermata da che le jlll|, tranne la (111), dànno immagini uniche e nitide, e s’inclinano ugualmente sulle rispettive )110(. Cristallo N. 17 (fig. 45). Risulta principalmente da tre individui a, p, y : ad a, cbe è il più sviluppato, si attacca § col piano di unione (100), lasciando (100) di a in gran parte scoperta: y vi si attacca apparentemente col piano (OlO), e le facce ettaedriche di y si mettono quasi a livello delle facce ettaedriche di a, formando un angolo rientrante alquanto inperfetto nella direzione la (112) di a colla (331) di y. La poliedria cui dà luogo questo aggruppamento presenta le seguenti cose da notare: 1° Delle facce prismatiche di a la (100) è profondamente poliedrica secondo l'asse quaternario, la poliedria delle altre è meno spiccata. Mentre le immagini di (ilo) si mostrano divise in tre gruppi non perfettamente in zona (corrispondenti ad a, /?, y) e le immagini estreme distano di 5° circa, mentre nella (110) le im- magini estreme distano un grado appena; la 100 dà una serie d’im- magini di cui le estreme distano di 13° circa, essa tende a dive- nire curva. 2° La faccia (113) di a , che si trova in contatto con y, si presenta poliedrica colle immagini estreme distanti un grado circa, così pure la faccia (ll2). Nelle altre facce ettaedriche di a la po- liedria o manca o è pochissimo sensibile come rilevasi dal qua- dro N. 15. Cristallo N. 18 (fig. 46). È formato da due individui, uno più grande, l’altro più pic- colo: questo s’impianta sull’angolo superiore di sinistra del cristallo grande secondo una faccia (60 100 9) prossima a (6 10 1). Un cri- 270 P. FRANCO stallo analogo era impiantato sul vertice (111), che si staccò per lieve pressione. Le facce (111), (111) del cristallo maggiore pre- sentano angoli salienti e rientranti secondo le bisettrici dei loro vertici. In tale direzione le facce ettaedriche non si sono mai mo- strate poliedriche; ed è chiaro che nel caso presente la speciale poliedria delle facce ottaedriche nel cristallo maggiore è cagionata dai cristalli più piccoli impiantati sui suoi vertici. Cristallo N. 19 (fig. 47). Sulla base di questo sporgono alcuni cristalli più piccoli, tra i quali uno al centro che ha la (111) parallela alla base del cri- stallo grande. Intorno ai cristalli che sporgono la base mostra rughe parallele al loro perimetro, le quali, data la disposizione del cri- stallino centrale, non possono essere considerate come zone d’ac- crescimento, ma piuttosto come effetto di tensione. Altro effetto di questa è che le ) 1 1 1 ( del crittallo grande si mostrano spezzate secondo una diagonale e ondulate. Questi rilievi si osservano bene illuminando con incidenza di 45° le facce del cristallo. Conclusioni. Dalle cose dette risulta: 1 0 che i cristalli genuini d’ Idocrasia sono quadratici ; 2° che essi d’ordinario sono aggruppamenti di più individui, i quali per mutua compressione si deformano nelle inclinazioni delle facce e nelle proprietà ottiche; 3P che tale compressione può dar luogo a subindividui geminati. Questi, ove restano distinti, si presentano per lo più netta- mente biassiali; d'ordinario però essi, mescolandosi più o meno intimamente, fanno sì che il cristallo presenti le curve isocroma- tiche dei monoassiali deformate. STUDII SULL’lDOCRASIA DEL MONTE SOMMA 271 Quadro N. 1. Zepharowich Inclinazioni inedie osservate nell’ Idocrasia del M. Somma Inclinazioni calcolate sulla media precedente Zepharowich Idocrasia in generale. Valori riportatila Hintze 0 / // 0 / // o / // {0011 1111} 37 12 20 37 12 20 37 14 30 co 1—1 o o 14 16 00 14 12 05 14 13 00 {2211 {110} 33 18 30 33 22 07 33 20 00 {3311 {1101 23 30 00 23 42 16 23 40 30 {1011 {001} 28 14 30 28 13 42 28 15 30 {302) {1001 51 49 00 51 09 25 51 07 00 {201} {ooi; ' 47 01 00 47 02 04 47 04 00 {301} {100! 31 44 20 31 50 16 31 48 00 1211} {0011 — 50 11 16 50 14 30 {211} lUO} 43 08 45 43 13 10 43 11 00 Des Cloizeaux {3111 {001} 59 30 00 59 29 57 59 32 00 {3121 {001} 40 17 00 40 19 29 40 22 00 (421) {001} 67 19 00 67 22 30 67 25 00 {5111 {0011 69 48 30 69 58 20 69 57 30 cor». 59'47" {210} {100! 26 32 00 26 33 55 26 33 55 {210) lUO} 18 31 20 18 26 05 18 26 05 {1001 1001) 90 05 00 90 00 00 90 00 00 {100) ino) 44 59 55 45 00 00 45 00 00 Kokscharow Franco (la media) Franco (2a media) Idocrasia del M. Somma Idocrasia del M. Somma Idocrasia del M. Somma (mi {001} O / // 37 13 28 o / // 37 11 30 O / // 37 09 00 {114) {001} 10 45 15 10 44 30 10 43 32 {113) {001) 14 12 38 14 11 40 14 10 26 {1121 {0011 20 47 58 20 46 37 20 44 54 {221} {001} 56 38 59 56 37 05 56 34 42 {331} {0011 66 18 35 66 17 06 66 15 11 272 P. FRANCO Kokscharow Idocrasia del M. Somma Franco (la media) Idocrasia del H. Somma Franco (2a media) Idocrasia del M. Somma (101) (001] 0 // / o / // 28 14 40 28 12 59 28 10 49 1201] (001] 47 03 14 47 01 12 46 58 37 1312] (001} 40 20 39 40 18 38 40 16 04 (211] [001] 50 12 24 50 10 24 50 07 50 (311) (001) 59 30 59 59 29 12 59 26 55 (511) 1001} 69 59 06 69 57 47 69 56 06 (421) 1001} 67 23 20 67 21 53 67 20 08 Zepharowich Idocrasia del M. Somma. Inclinazioni calcolate Idocrasia del M. Somma Inclinazioni medie adottate nel présente lavoro Un} looi) (114] (001] (113] (001] (112) (001) (221] (001] (331) [001] (101) (001] (201) (001] (312) (001) (211) (001) (311] (001] (511) (001) (421) (001) (111) (111) O / /. 37 12 34 10 44 54 14 12 12 20 47 21 56 38 06 66 17 55 28 13 54 47 02 08 40 19 43 50 11 29 59 30 10 69 58 30 67 22 40 50 37 54 O / ,/ 37 12 13 10 44 33 14 12 10 20 46 42 56 37 47 66 17 40 28 13 36 47 01 52 40 19 35 50 11 19 59 29 52 69 58 26 67 22 35 50 37 28 STUDII SULL’ IDOCRASIA DEL MONTE SOMMA 273 Quadro N. 2. Cristallo N. 4 (I tipo), fig. 18. Zona [100, 110] Facce e loro dimensioni in decimillimetri Angoli delle normali alle facce Differenza dagli angoli calcolati (100) 25 (110), (100)? 45°16/00// 0 / + 0 16 (210) 7 (100) (HO), 43 24 00 — 1 36 (110) 28 (HO), (HO), 02 06 00 (120) 10 (HO), (HO), 00 34 00 (010) 20 (HO), (120) 16 09 00 — 2 17 (120) (120) (010),! 26 50 30 -+• 0 24 (110) 20 (010), (010), 00 24 00 (100) 14 (010), (120), 25 37 00 — 0 49 (ITO) 23 (120), (120), 01 00 00 (120) — (120), (HO), 18 02 00 — 0 24 (010) 22 ( 1 IO;, (ITO),! 01 53 00 (120) 16 (110), (110), 00 50 00 (110) 11 (HO), (210),! 15 35 00 — 1 51 (210) 7 (210), (210),! 00 20 00 (210), (100), 26 24 00 — 0 10 Angoli delle normali Differenza alle facce dagli angoli calcolati (100)i (100),! 00°17/00// Zona [001, 110] (100), (210)? 26 49 00 h- 0 15 (001)! (111)! 37 10 30 — 0 02 (210) (110),! 17 45 30 — 0 41 (111) (331)! 29 07 30 -t- 0 01 (110), (110), 00 50 00 (331) (110)o 23 45 30 + 0 01 (110), (120) ! 18 12 30 — 0 14 (110)c (001),! 90 07 00 -+- 0 07 (120) (010),! 26 10 30 — 0 24 (001), (001),? 00 08 15 (010) (010)2! 00 40 30 (001), (IH) ? 36 57 15 — 0 15 (010), (120)! 25 48 30 — 0 46 (IH) (331)? 29 08 30 -4- 0 02 (120) (110),! 18 18 00 — 0 08 (331), (HO), 23 41 30 H- 0 01 (110), (110), 00 45 00 (HO), (001)! 89 52 00 I - 0 08 274 P. FRANCO Angoli delle normali alle facce Differenza dagli angoli calcolati Angoli delle normali alle facce Differenza dagli angoli calcolati Zona fOOl , ITO] (001), (111) 0 / // 37 13 00 0 / H- 0 01 (001)! (111)! 0 / // 37 09 15 o / — 0 03 (III) (110) 52 45 00 — 0 03 (Ili) (331) 29 07 00 -+- 0 01 (HO) (001) 89 52 00 — 0 08 (331) (110), 23 40 15 0 00 (HO), (110), 00 10 00 (110), (331)? 23 49 00 + 0 09 (331) (111) 28 54 30 — 0 04 (001)! (311) 59 29 00 — 0 01 (HI) (001),! 36 54 09 — 0 18 (001) (131) 59 28 45 — 0 01 (001), (001),! 00 09 00 (001) (131) 59 28 30 1 o l—l tO]M (001), (001),? 00 20 00 (001) (311) 59 28 30 -Olì STUDII SULL IDOCRASIÀ DEL MONTE SOMMA 75 Quadro N. 3. Cristallo N. 5 (fig. 22). Individuo N, I. Angoli delle normali alle facce Differenza dagli angoli calcolati Individuo N. II. Angoli delle normali alle facce Differenza dagli angoli calcolati 0 / // o / O / (IlO) (010) 45 02 00 0 02 (010) (110) 44 17 00 — 0 03 (010) (120) 26 30 00 — 0 04 (110), (110), 00 56 30 (120) (110) 18 13 30 — 0 13 (HO), (210) 17 35 40 — 0 51 (110) (210) 18 15 30 — 0 11 (210) (310) 08 38 30 -t- 0 30 (210) (100) 27 12 00 + 0 38 (310) (100), 18 07 30 — 0 19 (100) (310) 18 07 00 — 0 19 (100), (100), 00 27 00 (310) (210) 08 06 00 — 0 02 (100), (ITO) 44 53 30 — 0 07 (210) (110)i 18 02 30 - 0 24 (IlO) (120) 18 25 00 — 0 01 (110), (110), 00 42 30 (120) (130) 08 06 30 — 0 02 (110), (120) 18 00 00 — 0 26 1120) (130) 08 04 00 - 0 04 (130) ,010) 18 47 00 +- 0 21 (100) (130) 18 20 00 — 0 06 (130) (120) 07 57 00 — 0 11 276 P. FRANCO Quadro N. 4. Cristallo N. 6 (fig. 28). Individuo N. 1. Angoli delle normali alle facce Differenza dagli angoli calcolati Individuo N. II. Angoli delle normali alle facce Differenza dagli angoli calcolati Individuo N. III. Angoli delle normali alle facce Differenza dagli angoli calcolati (110) (120) 18 06 00 0 / -0 20 (110) f 120) 18 48 00 + 0°22 (110) (210) 18° 06 00 0 / — 0 20 (120) (010) 26 52 30 -*-018 (120) (010) 2614 30 -0 10 (210) (100) 27 02 00 ■h-O 28 (010) (120) 26 28 30 —0 06 (010) (120) 26 32 30 —0 02 (100) (210; 26 28 00 -0 06 (120) (HO), 17 31 00 —0 55 (120) (110) 18 50 30 -4-0 24 (210) (HO) 19 06 00 -t-0 40 (rio)x(HO), 00 34 00 (110) (210) 18 05 00 —0 21 (110) (120) 17 41 30 -6 45 (Il0),(2l0) 17 4100 -0 45 (210) (100) 26 09 00 —0 25 (113) (111) 22 38 30 —0 22 (111) (HO) 52 59 00 -4—0 11 (110) assai poliedrica (110)(11I) 52 51 00 -hO 03 (111) (114) 27 16 00 -4-0 48 ♦ (114) (001) 09 41 00 -1 03 STUDII SULLÌDOCRASIA DEL M. SOMMA 277 Quadro N. 5. Cristallo N. 7 (I tipo), fig. 32r33. Zona [100, 110] Facce e loro dimensioni in decimillimetri. Angoli delle normali alle facce Differenza dagli angoli calcolati (100) 8 (110), (110),! 00° 25" 30" 0 / 0 00 (210) — (110) 9 (110), (110), 00 42 30 — 0 06 (120) — (110), (120) 17 31 30 - 0 55 (010) 8 (120) (010), 27 05 00 + 0 31 (120) — (110) 15 (010), (010), 00 10 30 0 00 (210) — (010), (120) . 26 22 00 - 0 12 (100) 7 (120) (HO), 12 46 00 (210) — (ilo) 12 (HO), (110), 01 23 00 0 00 (120) — (HO), (110), 00 43 00 (010) — (HO), (110)* 00 43 00 (120) — (HO) 15 (HO)* (110), 00 35 00 (210, — (110). (HO). 01 32 00 (HO). (HO), 00 38 00 (HO), (HO). 00 38 00 Angoli delle normali dagli angoli alle facce calcolati (HO), (110), 00 39 00 (HO), (HO),, 01 00 00 (100),! (100),! o / // 00 39 30 (110)4110),, 00 52 00 (100), (210) 26 28 15 o / - 0 06 (I104(H0)„ 00 43 00 (210) (110), 17 32 45 - 0 54 (I10)„(I10)„ 01 23 00 278 P. FRANCO STUDII SULL’ IDOCKASIA DEL MONTE SOMMA 279 Quadro N. 6. Cristallo N. 8 (I Tipo), fi g. 34-35. Zona [100, 110] Facce e loro dimensioni in decimillimetri. Angoli delle normali alle facce Differenza dagli angoli calcolati (100) 5 (110), (110),! 01° 16' 30" (210) 8 (110) 10 (110), (110),! 03 07 00 (120) — (110), (110)4 01 45 00 (010) 8 (110)4 (120), 11 35 30 o / — 6 51 (120) 7 dio) 8 (120), (12o),! 00 23 30 (210) — (120), (120), 01 22 00 (100) | — ■ (120), (110),! 26 19 00 — 0 07 (110) 10 (120) m ì 3 (010) (120) 26 26 30 — 0 08 (010) 5 (120) (110),! 18 12 00 — 0 14 (120) 8 (HO), (110), 00 45 00 (HO) 10 (210) 3 (110), (210) 17 30 00 - 0 56 (210) (100),! 26 43 00 -t- 0 09 (100), (100),! 00 30 00 Angoli delle normali dagli angoli alle facce calcolati (100), (210) 26 35 00 O O ! (210) (HO), 15 45 00 - 2 41 o / (100) (210), 26 16 00 — 0 18 (110), (110),! 01 48 30 (210), (210),! 00 24 00 (HO), (HO), 00 56 30 (2 10) 2 [210)3 00 51 00 (ITO), (II0)4 02 19 00 (210), (210)4 00 56 00 (II0)4 (120) ! 15 18 00 - 3 08 (210), (110), 16 21 00 — 2 05 (120) (010),! 26 45 00 + 0 11 280 P. FRANCO Angoli delle normali alle facce Differenza dagli angoli calcolati Angoli delle normali alle facce Differenza dagli angoli calcolati 0 / // o / // ° / (010), (010), 00 27 00 (110) (111) 52 59 00 + 0 11 (010), (120)! 26 15 00 O / — 0 19 (IH) (113) 23 01 00 -+ 0 01 (120) (110),! 17 36 00 — 0 50 (113) (001) 13 55 30 - 0 17 (110), (HO),! 00 06 00 (110), (HO),! 01 32 00 (lIO), (210)! 17 41 30 — 0 45 Zona [001, HO] (210) (110) 26 47 30 -i- 0 13 (001)c (HO) 90 27 00 +- 0 27 (HO) (001), 87 32 00 - 2 28 (001), (001), 02 05 00 Zona [001, 110] (001), (00I)8! 00 35 00 (001)c (113)? 13 52 00 — 0 20 (001), (HO) 90 16 00 -+ 0 16 (113) (111)! 23 23 00 h- 0 23 (HO) (111) 52 53 00 -+- 0 08 (111) (110)! 52 39 00 — 0 09 (111) (113) 23 01 00 -+ 0 01 (110) (111)! 52 44 30 — 0 04 (113) (001)c 13 10 00 — 1 02 (111) (113)? 22 13 00 -+- 0 18 (113) (OCl)c 13 57 00 — 0 15 (00I)C (113) 14 24 00 + 0 12 N. B. — (001)c, (00l)c sono le (113) (III) 22 55 00 — 0 05 immagini centrali delle basi, le im- magini laterali ne distano per un (III) (HO)! 52 55 00 n- 0 07 grado circa. STUDII SULL’ IDOCRASIA DEI, MONTE SOMMA 281 Quadro N. 7. Cristallo N. 9 (I tipo), fig. 36-37. Zona [100, 110] Facce e loro dimensioni in decimillimetri. Angoli delle normali alle facce Differenza dagli angoli calcolati (100) 15 (120), (110) 16°36/00// o ✓ - 1 50 (110) 25 (110) (100) 44 52 00 — 0 08 (120) 08 (010) 11 (100) (110), 45 03 00 -+- 0 03 (130) — (HO), (HO), 00 09 00 (120) 07 (HO), (010) 45 01 00 -+- 0 01 (110) 17 (100) 12 (010) (110) 44 53 00 — 0 07 (ilo) 20 (HO) (100) 44 57 00 — 0 03 (010) 10 (110) 20 Angoli delle normali Differenza dagli angoli alle facce calcolati Zona [001, 110] 0 / // O . (100)1(110),! 45 02 00 -+- 0 02 (001), (001), 01 08 00 (110), (110), 00 37 00 (001), (113) 14 01 00 — 0 12 (110), (120), 17 41 00 — 0 45 (113) (111) 22 59 00 — 0 12 (120), (120), 00 13 00 (111) (110) 52 54 30 + 0 08 (120), (010) 26 28 00 — 0 06 (110) (001), 90 13 00 -+ 0 13 (010) (130)? 18 30 00 -+- 0 04 (001), (001), 00 45 00 (130) (120), 08 04 00 - 0 08 (001), (HI) 36 18 00 — 0 54 (120), (120), 01 02 OU (HI) (HO) 52 52 00 -+- 0 04 (110), (120), 00 52 00 (HO) (001), 88 50 00 — 1 10 19 282 P. FRANCO Angoli delle normali alle facce Differenza dagli angoli calcolati Angoli delle normali alle facce Differenza dagli angoli calcolati Zona [001 1I0J (001), (001), 00°33/30// (001)» (001),! 00° 14 00" (001), (001), 00 32 30 (001), (001), 00 18 30 (001), (113) 13 31 00 — 0°4l' (001), (HO)» 90 11 00 r-H i— 1 O O + (113) (III) 23 14 00 -+- 0 14 (110)! (HO), 00 08 00 (III) (HO),! 52 29 00 — 0 19 (110), (111) 52 57 00 -t- 0 09 (HO), (HO), 00 11 00 (III) (113)? 23 27 00 -i- 0 27 (110), (111) 52 48 30 0 00 (113) (001), 13 01 00 — 1 11 (111) (001), 36 21 00 - 0 51 STDDII SULL’ [DOCRASTA DEL MONTE SOMMA 283 Quadro N. 8. Cristallo N. 10 (I Tipo), fig. 38-39. Zona [100, 110] Angoli delle normali Differenza dagli angoli Facce e loro dimensioni in decimillimetri. (100) 27 (110) (100), 43 0 56 // 00 — ì 0 / 04 ?(10.1.0) (310) — (100), (100), 00 56 00 (210) 10 (100), (HO), 43 38 00 — ì 22 ?(740) (HO) 17 (HO), (ilo). 01 11 00 (010) 10 (HO), (110), 01 26 30 (110) (100) 22 25 (HO), (110)4 00 57 00 dio) 25 (110)4 (010), 41 32 00 — 3 28 (010) 110) 15 23 (010), (010), 01 22 00 (010), (010), 00 28 00 (010), (ITO), 42 58 00 — 2 02 Angoli delle normali Differenza dagli angoli (HO), (HO), 00 56 00 alle facce calcolati (110), (HO), 01 12 00 (110), (100), 43 44 00 — 1 16 (100), (100), oo‘ 44 /✓ 00 (100), (100), 00 43 00 0 / Zona [001 110] (100), (10 1.0) 05 41 00 - 0 02 (001), (001), 01 47 00 (10 1.0) (310)? 14 20 00 -4- 1 37 (001), (001), 00 18 00 (310) (210) 06 20 00 -4- 1 58 (001), (111) 35 06 30 (210) (740) 03 18 00 -1- 0 04 (111) (110) 52 52 00 4- 0 04 (740) (110), 12 12 30 — 2 03 (110) (IH) 52 52 00 -+- 0 04 (110), (110), 02 14 00 (110), (110), 01 01 30 (110), (110)* 00 59 00 Zona [001, HO] (110)* (010), 43 06 00 — 1 54 (001) (HO) 89 58 30 — 0 02 (010), (010), 00 19 30 (001) (HI) 37 12 30 0 00 (010), (HO) 44 34 00 — 0 26 (111) (110) 52 51 00 0 03 284 P. FRA.NCO Quadro N. 9. Cristallo N. Il (I Tipo), fig. 40. Angoli delle normali alle facce Differenza dagli angoli calcolati Angoli delle normali alle facce Differenza dagli angoli calcolati 0 / // 0 / // (100),! (100),! 00 45 80 (010), (010), 00 14 30 (100), (210) 26 24 00 o / — 0 10 (010), (120) 26 14 30 0 / - 0 20 (210) (110),! 17 42 30 — 0 46 (120) (HO)! 18 06 30 — 0 20 (110), (110),! 00 47 30 (HO) (210) 18 29 00 — t— 0 03 (110), (120)! 17 53 30 — 0 33 (210) (100), 26 11 00 — 0 15 (120) (010),! 26 27 30 — 0 07 (010), (010)2! 00 28 30 (010), (110),! 44 25 30 — 0 35 (110), (HO),! 00 35 00 Zona [001, 110] (HO), (210) 18 19 00 — 0 07 (001), (001), 00 11 00 (210) (100),! 25 57 00 — 0 27 . (001), (001), 00 10 00 (100), (100),! 00 55 00 (001), (113)? 14 16 30 0 04 1 (100), (210),! 25 58 00 - 0 28 (113) (111) 22 55 00 - 0 05 (210), (210),! 00 07 30 (111) (110) 52 47 00 — 0 01 (210), (HO),! 18 08 30 - 0 18 (110) (111) 52 45 30 — 0 03 (HO), (HO),! 00 44 30 (111) (001) 37 07 30 — 0 05 (HO), (120), 17 44 00 — 0 42 (001) (IH) 37 07 30 — 0 05 (120), (120), 00 10 30 (III) (HO) 53 01 00 0 13 (120), (I20)s 00 11 00 (HO) (IH)! 52 47 00 — 0 01 (120), (010), 26 45 00 + 0 11 (IH) (113)? 23 25 30 -t- 0 25 (010), (010), 00 13 30 (113) (001), 13 28 00 -+- 0 44 STUDII SULL’ IDOCRASIA DEL MONTE SOMMA 285 Angoli delle normali alle facce Differenza dagli angoli calcolati Angoli delle normali alle facce Differenza degli angoli calcolati . o / // 0 / Zona [001, 110] (001), (100) 90 01 30 — 0 01 o tu o / (001) (113) 13 46 00 — 0 22 (100) (001) 89 58 30 — 0 02 (113) (111) 23 09 00 -+- 0 09 (001) (100), 89 55 30 — 0 05 (111) (110) 52 43 30 — 0 05 (100), (100), 00 05 00 (110) (001) 90 20 00 + 0 20 (100), (101) 62 10 30 -i- 0 23 (001) (III), 37 06 30 — 0 06 (101) (001), 27 41 00 — 0 32 (1 1 1) i (III), 00 07 30 (III), (110) 52 48 30 0 00 (110) (111) 52 47 00 - 0 01 Zona [001, 010] (111) (113) 23 01 30 -+- 0 01 (001) (010) 90 10 00 — H 0 10 (113) (001) 14 07 30 — 0 05 (010) (001) 89 50 00 — 0 10 Zona [001, 100] (001) (312) 40 26 00 -+- 0 07 (001)L (001), 00 09 00 (001) (511) 70 01 00 -+- 0 03 286 P. FRANCO Quadro N. 10. Cristallo N. 12 , fig. 41. Angoli delle normali alle facce Differenza dagli angoli calcolati Angoli delle normali alle facce Differenza dagli angoli calcolati Zona [100, 110] (113), (113), 00° 227 OO" (100), (100), 00° 58 00" (llò), (111) 22 43 00 0 / — 0 17 (100), (210) 25 57 00 — 0 27' (111) (110), 52 54 00 -+- 0 06 (210) (540) 12 09 00 -+- 0 03 (110), (111) 52 54 00 + 0 06 (540) (110)! ' 05 17 00 (111) (00l)c 36 59 00 (110), (110)o 03 51 00 (110)u (120), 14 55 00 (120), (120)u 03 57 00 Zona [001, llO] (120)u (010), 22 22 00 (001)c (111) 37 07 00 — 0 05 (010), (010)u 01 40 00 (111) (331) 29 06 00 -T- 0 01 (010)u (120),! 25 52 00 (331) (HO) 23 43 00 0 00 (120), (120),! 00 07 30 (HO) (III) 52 47 00 — 0 01 (120), (I10)c! 18 12 00 - 0 14 (III) (113), 22 48 00 — 0 55 (ll3), (113), 00 23 00 (120), (120), 01 25 00 (113), (00l)c 13 55 00 -+- 1 43 (120), (HO),! 16 09 00 (00l)c (I10)c! 89 58 30 — 0 02 (ilo), (ilo),! oo 51 30 (HO) (113) 75 37 00 - 0 10 (ITO), (210), 17 33 00 — 0 53 (113) (001)c 14 39 00 -+- 0 27 (210), (210),! 00 39 00 (210), (100), 25 54 00 — 0 40 (100) (101) 62 10 30 -+- 0 37 (001)o (312) 40 13 00 — 0 06 Zona [001, 110] (312) (311) 19 07 00 — 0 03 (001), (001)u 04 59 00 (312) (311) 19 07 00 — 0 03 (001)u(113), 09 13 00 (001)c (511) 69 22 00 — 0 36 STUDII SULL’ IDOCRASIA DEL MONTE SOMMA 287 Quadro N. 11. Cristallo N. 13 (II Tipo), fig. 42. Angoli delle normali alle facce Differenza degli angoli calcolati Angoli delle normali alle facce Differenza dagli angoli calcolati Zona [100, 110) (331) (HO), 24° 05' // 00 — H 0 / 25 (100) (110) 45' 08 00 0 08 (HO), (HO), 00 14 00 (110) (010),? 45 00 00 0 00 (HO), (HO), 00 05 00 (010), (010),! 00 11 00 (HO), (IH) 52 55 00 0 07 (oio), (Ho) 44 57 00 — 0 03 (IH) (001), 37 01 00 — 0 11 (iio) (2io) 18 31 00 -+- 0 05 (210) (100)! 26 24 00 — 0 10 (100) (210) 26 15 00 — 0 19 Zona [001 HO] (210) (HO),! 18 40 00 -4- 0 14 (001) (111),? 36 35 00 — 0 37 (HO), (HO), 00 04 30 (Ili), (111),! 00 24 00 (HO), (120) 18 05 00 — 0 21 (111). (HO) 52 51 30 — f- 0 03 (120) (010) 26 41 00 H- 0 15 (110) (III) 53 02 00 H- 0 14 (010) (100) 90 05 00 — t- 0 05 (III) (001) 37 05 00 — 0 07 (001), (001), 00 05 00 (001), (III) 37 06 30 — 0 06 (IH) (111), 105 37 30 H- 0 01 Zona [001, 110] (111). (HI), 00 19 30 (001),! (001), 00 12 00 (IH), (001) 36 52 00 — 0 20 (001), (113)? 13 27 30 — 0 45 (113) (111) 22 23 30 — t— 0 23 (111) (110) 53 03 00 -+- 0 15 Zona [001 010] (110) (111) 52 53 0( — f— 0 05 (001) (010)! 90 00 30 0 00 (IH) (001) 37 00 00 — 0 12 (010) (001), 90 03 00 0 03 (001) (III), 36 51 00 — 0 21 (001), (00i)2 00 03 00 (III), (IH) 2 00 17 00 (001), (010) 89 45 30 — 0 15 (III), (331)? 28 36 00 0 30 (010) (001) 90 04 30 0 04 288 P. FRANCO Quadro N. 12. Cristallo N. 14 (Il Tipo) fìg. 43. Angoli delle normali alle facce Differenza dagli angoli calcolati Angoli de]le normali alle facce Differenza dagli angoli calcolati Zona [100, 110] o / // o / (001) (111) 37 24 30 -i- 0 12 (100) (210) 26 26 00 — 0 08 (III) (HO) 52 47 30 0 00 (210) (110) 18 27 00 — 0 01 (110) (120) 18 13 00 — 0 13 (001) (Oli) 28 12 00 — 0 01 (12.0) (010) 26 29 00 — 0 05 (001) (101) 28 08 00 — 0 05 (010) (120) 18 36 00 + 0 10 (001) (OH) 28 06 00 — 0 07 (120) (110) 26 33 00 - 0 01 Zona [HO, 001] (HO) (010) 45 09 30 + 0 09 (HO)i (110), 00 10 00 (010) (110) 44 58 30 — 0 02 (110), (110), 00 23 30 (HO) (210) 18 27 30 -+- 0 01 (HO), (IH), 52 38 30 — 0 10 (210) (100) 26 34 00 0 00 ( 1 1 1 ) i (IH), 00 10 00 (IH), (001) 36 54 00 — 0 18 Zona [110, 001] (001) (111),* 36 55 00 - 0 17 (110) (331)? 23 40 20 -+- 0 02 (111), (111), 00 16 30 (331) ( 1 1 1 ) i ! 28 52 30 - 0 14 (111), (111), 00 08 00 (1 1 1 ) i (111), 00 11 30 (111) (331) 29 28 00 -+- 0 22 (111) (001) 36 58 30 (331) (HO) 23 14 30 — 0 26 Quadro N. 13. Cristallo N. 15 (li Tipo). Angoli delle normali alle facce Differenza dagli angoli calcolati Angoli delle normali alle facce Differenza dagli angoli calcolati (lll)c (00l)c 37°Oo'oo" (001)o (IH), 37 04 00 (IIl)x (IH), 00 09 00 0 / - 0 12 - 0 08 (111) (001)c 37°09/00/' (001)c (111). 37 01 00 (111), (111), 00 09 00 o / — 0 03 — 0 11 STUDII SULL’ IDOCRASIA DEL MONTE SOMMA 289 Quadro N. 14. Cristallo N. 16 , tìg. 44. Individuo I. Angoli delle normali alle facce Differenza dagli angoli calcolati Individuo II. Angoli delle normali alle facce Differenza dagli angoli calcolati Zona [001, 110] (111) £(101) 25U18/00'/ 0 / 0 00 (III) (001)c 36°58/00" - 0°14 (101) (IH) 26 15 00 -+- 0 57 (001)o (111) 37 01 30 — 0 11 (111) (110)3 52 40 30 — 0 08 (110)e (331)! 23 48 30 -i- 0 05 (331) (221), 09 40 30 — 0 01 (221), (22l)tì 00 10 00 (22l)u (lll)c 19 20 00 — 0 05 (111) (00l)o 36 59 30 — 0 12 (00l)c (IH), 36 39 30 - 0 32 (III), (III)2 00 37 00 Zona [001, HO] (HO) (001)c 37 02 00 — 0 10 (001)o (IH) 37 08 30 — 0 04 (IH) (HO) 52 47 00 — 0 01 (HO) (III) 53 06 30 + 0 18 (HI) (00l)o 37 10 30 — 0 02 (00l)c (III) 36 05 00 — 1 07 (III) (III) 51 24 30 — f— 0 48 (HI) (III) 50 19 30 — 0 18 (111) (111) 50 28 30 - 0 09 290 P. FRANCO Quadro N. Gruppo di 3 cristalli, ir Zona [100, 110] Angoli delle normali alle facce Diffe- renza Angoli delle normali alle facce Diffe- renza Angoli delle normali alle facce Cristallo cc Cristallo p Cristallo « (100), (100), 01 00 oo" (100), (100), 01° 33 3Ò' (100), (201)! 42°58 0( (100), (100), 00 36 30 (100), (100), 00 43 30 (201)! (101),! 18 49 0( (100), (100)* 06 10 30 (101), (101), 00 18 OC (100)* (100), 00 54 30 (101), (001) 27 55 0( (100), (100), 01 11 30 (100), (100)u 03 11 00 (I00)u(810), 03 52 00 (HO), (112), 68 26 OC (310), (310), 01 00 00 (112), (112)0 01 16 8( (310), (310), 00 52 00 (II2)U(1I8), 06 06 3( (310), (210)! 06 93 30 (100), (210) 25 38 00 — 056 (113), (113), 00 23 0( (210) (110), 19 01 30 (210) (110),! 17 13 00 — 1 13 (113), (H3)o 00 42 3( (110), (1 10)o>! 00 59 30 (110), (110),! 01 27 00 (110)u (010),! 43 26 00 (010), (010), 00 30 00 (110), (312)! 54 59 0( (010), (010), 00 52 30 (312) (101), 15 45 0( (101), (101), 00 15 0( (101), (112), 17 05 0( (010), (010), 00 30 30 (112), (ll2)cj 02 26 0( (010), (010), 00 34 30 (010), (130) 17 52 30 (130) (120) 07 40 00 (HO), (312), .55 15 OC (120) (HO), 16 05 00 (312), (312), 00 08 OC (ilo), (ilo). 01 13 00 (312), (101), 15 36 OC (ITO), (HO),! 01 39 00 (HO), (HO), 04 02 00 (101), (101)u 00 20 0( (HO), (110)0, 02 04 00 (HO), (HO), 01 03 00 (101)u(112) 18 44 3C (1I0U100), 42 59 00 • (HO), (210) 15 07 30 (210) (310) 07 39 00 -0 49 (112) (Oli) 20 21 S( (310) (100) 17 19 30 -1 07 STUDII SULL’ IDOCRASIA DEL MONTE SOMMA 291 17, fig. 45. ati, distinti colle lettere «, /?, y. [100, 001] Zona [110, 201] e normali Diffe- Angoli delle normali Diffe- Angoli delle normali Diffe- *acce renza alle facce renza alle facce renza ilio P Cristallo y Cristallo a 0 / !/ o / o ✓ 0 / // O / (110), (201)! 59 23 00 h-0 33 (201) (312), 14 12 00 —0 09 (312), (3I2)2 00 08 00 [Ilo, 001] Zona [HO, 201] 52 49 00 H-0 01 (HO), (331) 23 40 00 —0 02 (HO), (421) 29 46 00 — 0 05 00 21 00 (331) (111) 29 06 30 H-0 01 (421) (3ll) 10 43 00 —0 01 (111) (113) 23 01 00 h-0 01 (311) (201) 19 19 00 h-0 04 (113) (001) 14 02 30 —010 (201) (312)! 1418 30 —0 03 (312) (111)! 16 5100 •h-0 02 (111) (132) 16 38 00 h-0 09 [110, 101] 54 52 00 -4-0 15 15 25 00 —0 25 00 15 30 [HO, 101] 54 34 30 —0 03 • Pasquale Franco. . r- Boll, d. Soc. Se alitai- Vol.X/(/89Z) Tav. V F. Franco- dio. Ff.lit. A. Ser/no ■ Napoli F. Franco dis. ■ '■ " V V : ;A'.3 P. Fr-anco- Zdc>crasi-cc de/ Zdv/i/v Somma, Tfois./I Boll. d. S'oc. Geolotf. Ital Volli 0&9Z). Tau. VI J{. Strino - J/ apuli P. Franco - Idocrasia. del Mence Somma Tanlff è oli. Soc. (Scoi. It. Vol.XI y lóP2} Tav. V/d. * F. Franco tfis. M Senno -JVa/io// -■ : * . ■ ; La Società geologica italiana tiene due adunanze ordinarie all’anno ; l’una invernale nella città dove ha sede il Presidente, l’altra estiva in luogo da de- stinarsi anno per anno. Per far parte della Società occorre esser presentato da due soci in una idunanza ordinaria, e pagare una tassa annua di L. 15, e una tassa d’entrata ii L. 5. La tassa annua può esser sostituita dal pagamento di L. 200 per una sola volta. I versamenti si fanno al socio cav. ing. Augusto Statuti, via dell’Anima 17, Roma. Ogni socio all’atto dell’ammissione si obbliga di restare nella Società per tre anni, al cessare dei quali l’impegno s’intende rinnovato di anno in anno, se non venga denunziato tre mesi prima della scadenza. I soci hanno diritto al Bollettino che periodicamente si stampa in fascicoli. Nel bollettino si pubblicano le memorie presentate ed accettate nelle Adunanze o dalla Presidenza, insieme all’elenco dei soci, ai bilanci e ai reso- conti delle adunanze generali e delle escursioni. Le memorie che non vengono presentate in Adunanza generale, saranno inviate alla Presidenza, e per essa al Segretario. L’Autore di una memoria fornita di tavole, se per la esecuzione di queste domanda un sussidio alla Società, deve lasciare a questa la cura di farle ese- guire, o almeno mettersi in pieno accordo colla Presidenza. Agli autori si danno 50 copie dell’estratto. Per le successive 50 il prezzo a carico dell’autore è in ragione di L. 6 per ogni foglio di pag. 16, e L. 8 per ogni mezzo foglio o frazione di mezzo foglio. I volumi arretrati del bollettino si vendono al prezzo di L. 20 l’uno, meno il voi. IV (1885) che si vende L. 30. Ai librai è accordato uno sconto da convenirsi. — Ai soli Soci che desiderano completare la collezione sono accordati i volumi arretrati al prezzo di L. 10 l’uno indistintamente. — Per l’acquisto, diriggere lettere e vaglia al socio cav. ing. Augusto Statuti, via dell’ Anima 17, Poma. SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA MENTE ET MALLEO Ufficio di Presidenza per l’anno 1892. Presicìeiite Prof, cornai. Giovanni Omboni V le e-F»re si dente Prof. cav. Arturo Issel Segretario Prof. ing. Romolo Meli Viee-Segretarì Dott. Arturo nob. Negri Dott. Luiqi Scho pen Tesoriere Avv. comm. Tommaso TittOni Dep. a! Parlamento Nazionale. V iee-Tesoriere lag. cav. Augusto Statuti ella vi sta Prof, dott, Giuseppe Tuccimei CJ onsiglierì Ing. Angelo Alessandri Prof. Francesco Bcissani Prof. cav. Igino Cocchi Ing. Emilio Cortese Cav. Enrico De Nicolis. Dott. Giovanni Di Stefano Dott. Lodovico Foresti s Dott. cav. Carlo Fornasini Dott. Giuseppe ab. Mazzetti Cav. ing. Lucio Mazzuoli Comm. ing. Niccolò Pellati > Conte comm. Giuseppe S carabelli Senatore del Regno Commissione per le pubblicazioni [prò tempore) Il Presidente Il Segretario ( Il Tesoriere I L’Archivista 1 Prof. cav. A. D’Achiardi Prof. comm. Giorgio Gemmellaro Conte comm. G. Scarabelli . Gommi-Flamini. Sede della Società — Roma - Via S. Susanna, 1 A, presso il Museo Agrario GEOLOGIA ARPINATE Avvertenze preliminari. Dall’ottobre del 18S7 al novembre del 1891, per ragioni pro- fessionali, ebbi residenza in Arpino, piccola città situata nel bacino del Liri, ameno ed industrioso bacino, ma stato in precedenza — salvo i rilevamenti fatti dal R. Ufficio Geologico, non peranco pub- blicati — poco o nulla studiato sotto l’aspetto geologico; appro- fittai quindi dell’ opportunità per fare alcune utili escursioni in quella regione, e specialmente nel territorio arpinate. Ma per la mancanza assoluta di mezzi di studio in quel piccolo centro, egualmente lon- tano e da Roma e da Napoli ('), per la grande scarsezza di lavori pubblicati che anche indirettamente riguardassero la geologia di quei luoghi (2), e per le inesattezze stesse che esistevano f1) Specialmente la determinazione dei fossili era per me un serio im- barazzo : debbo tale determinazione alla cortesia ed alla gentilezza del prof. Ro- molo Meli, al quale spedivo mano mano qualche esemplare, che poi aveva di ritorno classificato. Anche dal dott. Achille Teliini, dall’ing. Pietro Zezi e dal prof. Ottavio Ferrerò ebbi aiuti e consigli; e qui ne li ringrazio sentitamente. (2) Della geologia di questi luoghi scrissero variamente i defunti Giu- seppe Ponzi, Oronzio Costa ed Antonio Stoppani, ed i viventi ing. Gaetano Tenore, prof. Ottavio Ferrerò e dott. Giustiniano Nicolucci ; ma i loro lavori toccano troppo indirettamente Arpino: la Carta geologica di Valle Latina del Ponzi (1848) e la Carta geologica di Terra di Lavoro del Tenore (1872) sono saggi d’indole troppo generale — il Costa si occupò specialmente di paleon- tologia — d’antropologia il Nicolucci — dei petroli di s. Giovanni Incarico lo Stoppani. Abbiamo anche studi in dettaglio del Marinoni in Val di Cornino, del Zezi e del Branco in territori del circondario di Frosinone : ma nulla che riguardi specialmente Arpino ed i suoi dintorni. 20 ‘194: G. B. CACCIAMALI nella edizione del 1881 della Carta geologica d’Italia (!), ebbi ad incontrare non poche difficoltà ed a perdere del tempo prezioso; onde il risultato de’ miei studi è riuscito assai inferiore al desi- derio, e molto resta ancora a fare colà. Tuttavia, poiché ora son lontano da Arpino, penso non sia del tutto inopportuno rendere di pubblica ragione, colla presente memoria, quel poco che vi ho fatto. In questo lavoretto — il quale riassume anche tutte quelle brevi note che su quella regione sono andato qua e là pubblicando, e che trattano per lo più di specialissimi argomenti (2) — verrò io stesso indicando i punti che, secondo me, sarebbero meritevoli di (!) Questa prima edizione fu compilata in fretta in occasione del Con- gresso Internazionale di Bologna; e per le parti d’Italia che non conosceva, tra cui questa regione, il R. Ufficio geologico si dovette valere dei pochi la- vori esistenti, onde gli inevitabili errori. Per opera dello stesso Ufficio essendo poi stato fatto il rilievo geologico della regione in discorso, nell’edizione del 1889 della Carta d’Italia quelle inesattezze sparirono; tuttavia qualche menda resta ancora a farsi, come risulterà dalla presente mia memoria. (2) Ecco l’elenco di queste mie pubblicazioni : In Valle del Livi, osservazioni orografiche e geognostiche (Boll. d. C. A. I. pel 1888. Torino, 1889). Petroli e bitumi di Valle Latina (Riv. It. d. Se. Nat. Siena, 1889). Il fenomeno del Carso a Fontana Livi (Riv. It. d. Se. Nat. Siena, 1889) . Gli elefanti fossili di Val di Cornino (Boll. d. Soc. Geol. It. Roma, 1890) . Gli elefanti fossili d' Aquino (Boll. d. Soc. Geol. It. Roma, 1890). Sulla possibile origine endogena di alcune puddinghe (Riv. It. d. Se. Nat. Siena, 1890). Scoperte paleontologiche ad Arpino (Giornale « La Farmacia » di Mad- doloni. Caserta, 1890). Sopra un atfioramento di schisto bituminoso a Santopadre (Boll. d. R. Com. Geol. Roma, 1890). Il terremoto sorano del 9 maggio 1891 (Ann. d. Uff. Cent. Meteor. e Geod. pel 1889. Roma, 1891). Le bambole di creta a Castellivi (Riv. It. d. Se. Nat. Siena, 1891). Gli anticrateri dell' Appennino sorano (Boll. d. C. A. I. pel 1891. To- rino, 1892). Debbo qui inoltre avvertire come la collezione litologica e paleontologica che venni mano mano accumulando si conserva ora — salvo qualche fossile che mi portai a titolo di ricordo — nel gabinetto di Storia Naturale del Liceo d’Arpino, al quale ne feci donazione. GEOLOGIA AKPINATE 295 ulteriore studio. Siccome poi il lavoretto stesso si riferisce special- mente alla geologia d’Arpino e comuni limitrofi, ossia al territorio che sta entro i limiti dell’unita carta, ho creduto opportuno, me- diante appositi richiami, mettere fuori testo quelle osservazioni che riguardano località più lontane e che solo indirettamente a quel territorio si riferiscono. Nella presente memoria, dopo un breve capitolo sulla attuale configurazione del territorio in discorso — capitolo al quale è unito un piccolo schizzo dimostrativo dell’orografia di più vasta regione — passo allo studio dei singoli terreni che, in serie normale ascen- dente, vi si riscontrano, e cioè : della creta prima pel secondario, poi dell’eocene, del miocene (?), del pliocene inferiore e del plio- cene superiore pel terziario, ed infine del quaternario. Le formazioni anteriori al quaternario — di natura marina, ed in generale uni- formi quando appartenenti alla medesima epoca geologica — stu- diate secondo i criteri dell’età, lo sono contemporaneamente secondo il criterio petrografico, inquantocchè la geologia arpinate si può così riassumere : calcari compatti per il periodo cretaceo, calcari arenosi e brecciosi per l’eocenico, traccie d’arenarie e scisti dubbiamente ascrivibili al miocene, marne argillose per il pliocenico inferiore, ed arenarie e puddinghe per il pliocenico superiore. Riguardo invece al quaternario, siccome delle svariate sue formazioni, di natura affatto continentale, sarebbe prematuro stabilire la successione od il sincronismo, tanto più perchè in quelle regioni manca ogni traccia dell’epoca glaciale a cui potersi riferire, e siccome anche taluno dei fatti geofisici e dei depositi che descrivo nel quaternario hanno probabilmente cominciato anche prima, ed altri si continuano tuttavia, ho preferito seguire il criterio litologico anziché il cronologico, passando in rassegna i singoli fatti ed i singoli depositi anziché i singoli periodi. Chiude la memoria un cenno sulla tectonica generale del territorio studiato e sullo sviluppo delle sue fasi orogenetiche: a quest’ultimo capitolo sono uniti due piccoli profili dimostrativi della tectonica speciale dei colli su cui giace Arpino ('). I1) Terminai di compilare la presente Memoria nell’inverno 1891-92 men- tre mi trovava a Belluno ; ora che correggo le prove di stampa mi trovo a Brescia, e qui possono dirigermi le corrispondenze coloro cui interessasse avere ulteriori informazioni. 296 G. B. CACCtÀMALI Cenni oro -idrografici. Il territorio arpinate giace nel versante sinistro del bacino del Liri, e sta fra i territori di Isola a nord-ovest, di Fontechiari a nord-est, di Santopadre a sud-est e di Fontana a sud-ovest. Le mag- giori sue alture, oltrepassanti i 700 m. dal mare, si trovano a sud-est, e sono rappresentate da M. La Guardia (860 m.) e da M. Nero (808 m.), a settentrione dei quali si distende l'altopiano delle Fagliete, mentre a mezzodì si protende uno sperone sul quale sta Santopadre. Da queste elevazioni, a sud-est ancora, si scende rapidamente alla spaccatura nella quale scorre il Melfa, per poi tosto risalire a maggiori altezze; mentre a nord-ovest si scende, più dolcemente, alla pianura del Fibreno ed al Liri ; e vi si scende mediante serie sensibilmente parallele di colli, determinanti i pic- coli bacini degli affluenti del Liri. Il Liri in questa plaga scorre con direzione generale da nord- nord-est a sud-sud-ovest, ricevendo a sinistra: il Fibreno, i fossi Sarzana e Porcile, le cui acque riunite vanno a scaricarsi a set- tentrione d’isola, il fosso del Vallone, che scorre sotto Arpino, ed il Rio Ermucci, passante sotto Fontana. Esaminando dettaglia- tamente il corso di questi quattro affluenti, si scorge come dap- prima si dirigano sensibilmente a nord-ovest, e poi, nell’ultimo loro tratto, si volgano a sud-ovest: il Rio Ermucci è quello che più manifestamente offre questa specie di gombito, ed il Sarzana ed il Fibreno son quelli che la presentano con minore accentuazione. Il Fibreno inoltre, nella prima parte del suo corso, si trova eviden- temente fuori del sistema orografico arpinate: vi apparterrebbe se traesse la sua origine dagli avvallamenti posti tra Colle Laurita e Costecalle, il che invece non è. La speciale costituzione orografica del territorio arpinate è in diretta dipendenza da fatti più gene- rali e che riguardano l’intera orografia dell’Italia di mezzo. In altri miei lavori ([) ho dimostrato, come nel gran bacino del Liri si possano individuare almeno tre principali catene di montagne, tra (*) (*) In Valle del Liri , osservazioni orografiche e geognostiche ; e II ter- remoto sorano del 9 maggio 1891. GEOLOGIA ARPINATE 297 loro parallele e dirette da nord-ovest a sud-est, e cioè: l’Apenni- nica p. d., la litorale tirrenica o dei M. Lepini, ed una terza in- termedia, rappresentata dai M. Ernici e dal gruppo di M. Cairo — e come questa terza catena sia completamente interrotta e spostata tra Isola e Sora, per modo da permettere al Liri di passare, attra- versando tale interruzione, da una vallata longitudinale all’altra. In conseguenza di questi fatti i M. Ernici, verso sud-est, cessereb- bero a Sora — ed il gruppo di M. Cairo, nel suo estremo di nord-ovest, cesserebbe ad Isola. Senoncbè, mentre sulla destra del Liri la catena Ernica finisce bruscamente coi monti che sovrastano a Sora, sulla sinistra del Liri invece la catena di M. Cairo finisce in modo più. blando, suddividendosi in serie parallele e secondarie di colline che costituiscono l’ondulato territorio arpinate. Di queste catene di colline, che dalle elevazioni di sud-est vanno mano mano degradando a nord-ovest, la più importante è certo quella che, staccandosi dall’altopiano delle Fagliete, viene a formare le due colline su cui giace Arpino, e che poi, abbassatasi a Colle Carino ed a Yallefredda, si rialza e finisce con Colle Mor- rone a sud-est di Isola : questa catena separa le acque del Sarzana e del Porcile da quelle del Vallone. Le due colline della città d’ Arpino meritano uno speciale cenno: la frazione Civitavecchia emerge sopra una prima collina a 627 m. — alle falde di questa si trova il quartiere orientale della città, detto del Colle, pel quale passa la linea di livello segnante 500 m. d’altezza — dal Colle si scende alla parte piana centrale della città, di poco oltrepas- sante i 400 m. ; il quartiere occidentale poi, detto di Civita, si innalza nuovamente sopra una seconda collina, la cui estrema punta, detta il Castello, misura 450 m. : è questo uno sperone che scende a picco e domina il Vallone. La depressione del Vallone, mentre a mattina d’ Arpino è piut- tosto angusta, a sera si apre alquanto, costituendo la parte più bassa e pianeggiante del nostro territorio: al suo sbocco nel Liri siamo a soli 190 m. d’altezza. Scendendo da Arpino al Liri per il Vallone, nel mentre a destra abbiamo la cennata serie di poggi, emergente a 441 m. con Colle Morrone, a sinistra abbiamo un’altra serie che, staccatasi da M. Nero, si avanza più direttamente verso il Liri, rialzandosi sulla fine a 450 m. con Colle Castelluccio : questa seconda serie separa le acque del Vallone da quelle dell’Ermucci. 298 G. B. CACCIAMALI Oltre l’Ermucci, a sud-ovest del nostro territorio, abbiamo una terza catena di colli che, staccandosi da M. Favone (775 m.) a Santopadre, finisce, rialzandosi a poco più di 500 m., a sera di Fontana. — A nord-est poi del territorio stesso, oltre il Sarzana, abbiamo una quarta serie di colli che passa alle Selvelle ed a Costecalle e che pure finisce al Liri rialzandosi con Colle Menghitto (360 m.) a nord-est d’isola — ed una quinta serie rappresentata da Colle Laurita. Cretaceo. La formazione geologica più antica che si riscontra nel ter- ritorio di Arpino non risale oltre il periodo cretaceo, ed è precisa- mente la calcarea ippuritica così frequente nell’Apennino meridio- nale ; possiamo anzi dire essere il nostro sottosuolo interamente for- mato da questa calcarea, mascherata in generale da un manto plio- cenico: essa apparisce qua e là, per lo più sulle maggiori alture, coladdove i sollevamenti del suolo, squarciando le più recenti for- mazioni, la portarono a giorno, senza che ulteriori depositi giun- gessero a nasconderla ; ma talvolta apparisce anche a livelli abba- stanza bassi, per denudazioni avvenute più tardi a spese degli stessi terreni più recenti che la ricoprivano, denudazioni seguite spesso anche da erosioni nella calcarea stessa. La più considerevole distesa dell’ippuritico nel territorio nostro si trova a sud-est: essa costituisce da sola le alture di M. Nero e di M. La Guardia, toccando le Fagliete ed i zig-zag della strada carrozzabile Arpino-Santopadre : più in là va a formare, tra Ca- salvieri e Roccasecca 1’ orrido del Melfa, oltre il quale continua senza interruzione a M. Cairo ed a Montecassino. — Alcune pic- cole isole della stessa roccia collegano questa massa imponente di calcare colle altre distese ippuritiche di Arpino e di Fontana: così l’isola toccante ancora la strada Arpino-Santopadre a mattina della Madonna del Piano e formante un precipizio che scende sul ramo più settentrionale dell’Ermucci, e l’isola che sta sotto Casale Ma- gnavino, e che mentre in alto emerge formando le Rave Pizzute, nel fosso Porcile mostra di essersi scoperta per asportazione della gonfolite pliocenica che doveva ricoprirla, collegano il calcare di M. Nero e di M. La Guardia col calcare di Arpino — mentre GEOLOGIA ARPINATE 299 l'altra isola calcarea che mostrasi a mattina della masseria Bianchi e che dall’alto scende nell’alveo del ramo più meridionale dell’Er- mucci, riattacca l’affioramento principale di M. la Guardia e di M. Nero colla distesa calcarea di Fontana. L’affioramento ippuritico d’Arpino è costituito da tre lembi : il primo, più elevato, va dalle Concie a Civitavecchia ed al Cimi- tero, e scende ripido sopra la città: si unisce col secondo alla porta settentrionale d’Arpino — questo secondo costituisce lo sperone del Castello e precipita a dirupi sul Vallone e sulla stazione ferroviaria: si unisce col terzo alla fabbrica Pelagalli — questo terzo a nord scende denudato fino al fosso Porcile, ed a sud si riattacca al primo dal quale non è diviso che per mezzo d’una sottile lingua plio- cenica. L'affioramento ippuritico di Fontana è pure costituito da tre lembi, tra loro separati da due strette lingue di puddinghe ed are- narie del pliocene superiore : il lembo settentrionale, più piccolo di tutti, va dalla masseria Paglietti alla masseria Bianchi, costituendo M. Dolce — il lembo mediano si distende ampiamente a sud di Fontana tra Colle Le Cese e M. Nero d’Arce — ed il lembo me- ridionale costituisce M. s. Martino, che prosegue per Arce. Le rupi calcaree di Arce poi continuano in direzione di sud-est a Rocca- secca, chiudendo dal lato di sud il bacino pliocenico di Santopadre. La calcarea ippuritica arpinate, della quale abbiamo ora de- scritti gli affioramenti, è quasi sempre bianca, talvolta grigia e talvolta bianchissima per effetto di naturali alterazioni ; essa offre consistenza varia : più spesso è fratturata e frammentata, onde non dà che pochi e limitati blocchi buoni come pietra da taglio; ma qualche volta è abbastanza bella, omogenea e scheggiante, com- patta od arenosa, da poter subire anche buona pulitura (‘). È buona in qualche punto per calce, ma non troppo in altri, perchè alquanto (L Veri marmi però non danno le calcaree del territorio arpinate, mentre ne danno quelle, dello stesso periodo geologico, di Atina, di Montecassino, ecc. Ad Atina abbiamo infatti parecchie calcaree, bianche, cineree, caffè e latte, brecciate, tutte di facile lavoratura e suscettive di bel pulimento. Quanto a Montecassino, la calcarea è ivi prevalentemente bigia, a struttura arenosa, dura, solida, venata, e così zeppa di fossili da prendere l’aspetto d’una vera lurna- chella, e come tale è usata in quel monastero. 300 G. B. CACCIAMALI dolomitica ; fatto che del resto si verifica in quasi tutte le calcaree di queste regioni (1). Ho detto come la calcarea arpinate sia spesso rotta e frammen- tata; aggiungo anzi come in alcuni punti essa si mostri così mi- nutamente divisa da potersi quasi dire una brecciola disgregata, e talvolta fin polverulenta e d’una grande bianchezza. Questo fatto si verifica anche nei circostanti territori ; e secondo i luoghi e se- condo l’uso cui si destina, il calcare così sgretolato assume nomi diversi, come: cemento , gesso, marmo in polvere, sabbione, sabbia bianca; ma più spesso chiamasi arena se sabbioso, e stucco se farinoso (2). Lo sgretolamento e la polverizzazione naturale del calcare non sembra doversi semplicemente attribuire a cause superficiali, cioè alla sola azione meteorica esterna : il calcare si altera e si sfascia, è vero, per le azioni meccaniche, fisiche e chimiche degli agenti atmosferici ; ma non senza aver prima subito una estesa e profonda alterazione dovuta all’ interno metamorfismo. Fu già osservato come — pur rinvenendosi quivi calcaree conservanti il loro originario tes- suto — sia però comune la loro sub-cristallizzazione, specie quando esse son dolomitiche; e come dopo un primo metamorfismo, che rese più cristallina la roccia, un secondo ne ageveli la naturale degradazione. Solo quest’ultimo sarebbe dovuto all'azione dell’aria, dell’umidità atmosferica, delle pioggie e del gelo, che determinereb- bero principalmente l’idratazione della materia cementizia, nonché (!) Il prof. Ferrerò infatti, in saggi provenienti da Sora, da Atina, da s. Elia, da Arpino, da Roccasecca, riscontrò rispettivamente: 31,10 — 23,47 — 7,19 — 1,97 e 0,37 °/0 di carbonato di magnesio: la calcarea di Roccasecca, appunto perchè poverissima di magnesia, dà ottima calce grassa (L. 0. Ferrerò, Contribuzioni allo studio del materiale litologico della provincia di Terra di Lavoro. Caserta, 1879). (2) Oltreché ad Arpino, incontrasi tale materiale ad Alvito, ad Atina, a s. Donato, a Roccasecca, a Colle s. Magno, a Cassino, a Cervaro, ecc. Si usa di preferenza per malte, che riescono cosi candide da risparmiare l’imbianca- mento delle case ; specialmente negli intonachi interni delle abitazioni si fa uso di queste malte, e tali intonachi, una volta appianati e compressi, assu- mono una solidità particolare ed una lucentezza marmorea. Dello stucco si servono pure i falegnami, impastandolo con colla, per coprire i difetti del le- gname : per la sua grande bianchezza e l’estrema divisione, esso potrebbe uti- lizzarsi anche neU’arte ceramica e nelle fabbriche di carta. GEOLOGIA ARPICATE 301 l’ossidazione delle piriti in taluni di questi calcari dolomitici con- tenute (l). Io però distinguo ancora l’origine delVarena da quella dello stucco : questo — che sarebbe una vera creta o calcare terroso — pur associandosi talvolta all 'arena, trovasi indipendentemente da essa (2); ma la trasformazione del calcare compatto in terroso li- mitasi a pochi centimetri, vero effetto di idratazione e di ossida- zione, mentre l'arena , ossia il calcare minutamente frammentato, raggiunge profondità considerevoli, e la sua origine l’ attribuirei piuttosto all’azione combinata di cause meteoriche e di cause si- smiche, cui aggiungerei lo sprigionamento di gaz dai calcari stessi, gaz per lo più idrocarburati derivanti dalla materia organica dei fossili e generanti i petroli (3). Un’altra specie di metamorfismo verificantesi in questi cal- cari è la loro trasformazione in pseudo-puddinghe ossia in calcare puddinghiforme, costituito cioè da elementi arrotondati, più o meno coerenti fra loro. Questo fatto, quantunque si manifesti anche nel territorio arpinate, pure è ben evidente solo a Montecassino, dove fu da me per la prima volta notato ed illustrato (4). Tale trasfor- mazione si sarebbe operata nel seguente modo : quegli strati calcarei che, per la loro speciale struttura, più si prestavano a fratturarsi, si sarebbero dapprima minutamente fratturati — poi una infiltrazione di acque solventi (non incrostanti, chè allora avrebbe piuttosto determinata la risaldatura dei frammenti rocciosi, ossia la formazione d’una breccia), avrebbe smussate lentamente le aspe- f1) Alle origini del Mollarino, in Val di Cornino, infatti il calcare do- lomitico, in completo sfacelo, contiene dendriti di pirite marziale e magnetica. (*) Fra d'altro lo rinvenni nel calcare di Colle Grande, in territorio di s. Giovanni Incarico, per modo che quivi potei meglio isolare alcuni fossili. (:1) Su questo argomento veggasi la mia memoria: Petroli e bitumi di Valle Latina . (4) Veggasi la mia nota : Sulla possibile origine endogena di alcune puddinghe. Assumo tutta la responsabilità di questa teoria delle pseudo-pud- dinghe, ossia delle puddinghe di formazione endogena, da me concepita a Montecassino il 23 ottobre 1890. Ebbi però il piacere di vederla accolta da due chiarissimi geologi, dal Taramelli cioè che me ne scriveva : « molto mi persuade » e dal Bittner che me ne scriveva : « es scheint mir dieselhe ganz und gar plausibel zu sein ». Ambedue però fecero le loro riserve pei calcari così detti mandorlati o bernoccoluti, ai quali io volli estendere la teoria. 302 G. B. CACCIAMALI rità dei frammenti stessi, in modo da arrotondarli, lasciando indi nei loro interstizi del calcare sfarinato. Per le citate frequenti alterazioni, e per le frequentissime fratture che si riscontrano in questi calcari ippuritici, non è sempre possibile riconoscere in essi la stratificazione, onde ne riesce som- mamente difficile lo studio dei vari piani od orizzonti geologici, che sarebbe assai interessante (1). Tuttavia, dietro l’esame dei fos- (!) Questi piani si potrebbero meglio identificare quando si facesse uno studio comparato di tutte le località circonvicine : i punti da me visitati mi rivelarono — in mezzo alla prevalente massa di calcari bianchi compatti — dei calcari cristallini, arenosi, marnosi, brecciati, rossi, gialli, siderolitici, clo- ritici, nonché argille cloritiche e selci, ossia tutto quel complesso di materiale litologico caratteristico appunto dei vari piani della creta; e però l’intera serie cretacea non parrebbe mancarvi. Nella catena dei M. Lepini, e precisamente tra Falvaterra e s. Giovanni Incarico, tra Pastena e Pico, ho potuto constatare — cosa del resto già av- vertita fin dal 1848 dal Ponzi — che negli strati più alti (orograficamente in , basso) le calcaree sono alquanto marnose e di color giallo-verdognolo, non già per inclusione di clorite, ma per principio colorante originario, e presen- tano venature bianche spatiche; mentre alla base delle serie (orograficamente in alto) acquistano spesso color carnicino o sono variegate di rossastro ( pietre coralline). Calcari rossi, rosei o gialli, calcari ricchi di ferro pisolitico e calcari brecciati rossi e gialli di bellissimo aspetto, stati apparecchiati come marmi, riscontransi specialmente sopra Cassino e sopra Àlvito: le breccie però indi- cano per certo fratturazioni e ricementazioni avvenute più recentemente nei calcari originari. In V al di Cornino, lungo la via che da Settefrati conduce in Val di Canneto e lungo quella che da Picinisco conduce a M. Meta, si mostrano, associati alla calcarea, degli straterelli di selce varicolore facilmente sgretolahili ed alternanti con straterelli, anche più esigui, di un materiale verde che si riduce in minu- tissime scaglie (argille cloritiche ?). A s. Donato, ancora in Val di Cornino, il calcare cretaceo è bianco, solido, compatto, talvolta candido e subcristallino o di aspetto cereo, e talvolta verdino fiorato per inclusione di clorite, adat- tatissimo non solo per calce e per lavori da taglio, ma altresì per ornamento. Traccie di selci varicolori, di argille cloritiche e di calcare cloritico rinvenni pure salendo a Montecassino. Ma il piano cretaceo più antico deve essere costituito dalla calcarea bianca o bianco-grigiastra, molto compatta e subcristallina che costituisce M. Meta, alla quale si associano straterelli e noduli di selce nera e bionda omogenea e di selce grigia alquanto porosa — e fors’anco dalla calcarea nera ricordata dal prof. Camillo Marinoni a s. Biagio Saracinesco ai piedi di M. GEOLOGIA ARPINATE 303 sili che vi si rinvengono, i calcari arpinati sembrano appartenere a due piani geologici distinti, e cioè: in parte, ad uno dei piani del cretaceo inferiore più alto (Urgo-Aptiano ?) ed in parte al piano Turoniano del cretaceo superiore più basso. La distesa calcarea che sta a sud-est del nostro territorio ap- parterrebbe al cretaceo inferiore : in essa difatti sono piuttosto ab- bondanti le Nerinee, che trovansi specialmente a M. Nero, insieme ad Acteonelle. Al cretaceo superiore apparterrebbero invece i lembi calcarei di Fontana e d’Arpino: in questi ultimi infatti sono abbondantis- sime le Rudiste, che si trovano massimamente a Civitavecchia, dove si chiamano: ossa vetrificate, corna vetrificate > serventi vetrifi- cati, midolle di pietra', di questi strani bivalvi vennero determi- nate le seguenti specie: Hippurites silicata , Defr. » organisans, Montf. » toucasiana ? » comu-pastoris , D’ Orb. Sphaerulites sp. Caprina sp. Nè vi mancano forme di Nerinaea e di Acteonella. Anche al Ca- stello d’Arpino si mostrano le ippuriti, e specialmente VE. silicata , della quale potei avere un esemplare di grandissime dimensioni. Nel calcare che si incontra, entro Arpino, sulla via che mena a Civita ad al Castello, e precisamente davanti alla casa Incagnoli, si mostrano grandi Pecten appartenenti ai generi Janira e Neithea : Cavallo {Il terremoto del circondario Sorano nel luglio 1873. Ann. Staz. Agr. Caserta, 1873), e dal prof. Luigi Ottavio Ferrerò nel vallone del Lacerno sopra Campoli e Pescosolido. {Contribuzioni, ecc., op. cit.). In quest’ultima località detta calcarea, chiamata lavagna è stata anche escavata ed usata come pietra tegolare, è bituminosa, argillosa e fossilifera, e meriterebbe uno studio speciale. Per l’identificazione dei vari piani dell’ippuritico sarà utile consultare la memoria del prof. Francesco Bassani sopra 11 calcare a Nerinee di Pigna- taro Maggiore (Rend. d. R. Accad. di Scienze fis. e mat. Napoli, 1890). 304 G. B. CACCI AMALI il selciato di questa parte della città presenta, del resto, frequenti le impronte di tali bivalvi. Anche nei lembi calcerei di Fontana ho notato alquante traccie di ippuriti (’). Eocene. Sopra le calcaree cretacee si trovano in queste regioni le cal- caree eoceniche, che da quelle poco si distinguono, onde non è tanto facile litologicamente assegnare i limiti alle due, e solo il dato paleontologico può all’uopo supplire, essendo le ippuriti caratteri- stiche del cretaceo e le nummoliti dall’eocene. Tuttavia i calcari eocenici si mostrano in generale arenosi nei loro strati inferiori e brecciosi nei loro strati più alti: tale aspetto brecciforme non è già dovuto, come succede per i calcari cretacei, a fratturamento posteriore alla loro formazione, ma è originario : si vede manife- stamente come questi banchi siano costituiti da materiale rima- neggiato, da frammenti tolti ai calcari cretacei preesistenti; non è infatti rado il caso di calcari eocenici ricomposti con avanzi di calcari ippuritici; e per conseguenza non rada la presenza di ru- diste, più o meno frammentate, insieme a nummoliti e ad altri fossili eocenici entro i calcari di questo periodo : tale fatto è stato verificato ad esempio nell'Avellinese, nel Matese e nel bacino di Venafro — e lo vediamo ripetersi nella vallata del Liri. Quivi le calcaree eoceniche si elevano ad altezze considerevoli sul versante sud-ovest della catena degli Ernici, formando l’ossatura si- nistra di Valle Latina: i monti di Verdi e di Monte S. Giovanni (') A Montecassino, insieme alle Janire ed alle Ippuriti, abbondano Ac- teonelle e Nerinee. Due altre località fossilifere di questo periodo, ricche di 'Nerinee, di Chamacee e di Ippuriti, sarebbero : Alvito nella catena Apennina e s. Gio- vanni Incarico nella catena Lepina. G. 0. Costa nelle sue Note geol. e paleont. su taluni degli Agemini della Campania (Atti d. R. Ist. d’Incorag. alle se. nat. Napoli, 1866) descrive diverse specie di Nerinee delle montagne di Val di Cornino, M. Cairo e Mon- tecassino, come la N. anulosa, la N. meridionali, nonché Radiolites, Pecten, ecc.. Nelle montagne poi tra Alvito e s. Donato ricorda denti d’ittioliti, quali il Pycnodus gigas, Ag. e lo Strophodus magnus, Ag. GEOLOGIA. ARPIONATE 305 Campano infatti ne sono in gran parte costituiti; e scendendo da quelle alture, tali calcari mostransi in lembi anche più in basso, e perfino lungo il Sacco, come a Ceccano, che sta sopra un’isola di calcare breccioso, stato attribuito alinocene superiore (Q. Nel gruppo di Monte Cairo invece sembra non appariscano affatto: bisogna però fare eccezione per le estreme sue degrada- zioni arpinati, dove sono osservabili alcuni affioramenti di calcare eocenico. Quattro di questi sono abbastanza estesi e ci rappresen- tano gli estremi di nord-ovest delle quattro serie di poggi attraversanti il nostro territorio, quegli estremi rialzati a cui corrispondono i go- miti del Fibreno, del Sarzana, del Vallone e dell’Ermucci. Tali affioramenti quindi si mostrano allineati lungo il Liri, e costitui- scono rispettivamente Colle Menghitto, Colle Morrone, Colle Ca- stelluccio ed il versante di Fontana, tra loro separati da depositi pliocenici e da travertino quaternario. L’affioramento di Colle Morrone, attraversato da una galleria ferroviaria, si distende fin sopra la carrozzabile Arpino-Isola, e mediante i piccoli lembi del casino Polsinelli e di Vuotti si con- tinua coll’affioramento di Colle Menghitto. Analogamente la distesa eocenica di Colle Castelluccio, attraversata dalla carrozzabile Ar- pino-Arce, si continua con quella di Fontana, addossata ai calcari ippuritici di Monte Dolce e di Colle Le Cese, e scendente all’Er- mucci : quivi in essa furono aperte parecchie trincee per la strada ferrata, ed il travertino ne isola il piccolo lembo che sta a nord del polverificio in costruzione. Più profondo distacco sembra esistere tra i due colli che fian- cheggiano il Vallone, dove però troviamo altre piccole isolette di calcare eocenico, come alle Fornaci, al casino Conte, alla stazione d’Arpino, all’ingresso meridionale d’Arpino stesso, ed a s. Lucia, dove questo calcare s’addossa all’ippuritico. Queste calcaree eoceniche sono d’aspetto molto vario, ma per lo più brecciate, risultando costituite da frammenti di calcari cretacei che preesistevano, frammenti spesso senza coerenza tra loro e spesso invece ricementati per opera di acque calcarifere. 0 Branco W I vulcani degli Ernici nella Valle del Sacco (Atti della R. Àccad. dei Lincei, Roma 1877). In detta memoria son ricordati nummoliti e corallari nel calcare di Ceccano. 306 G. B. eA.CCIA.MA.LI Difficil cosa è riconoscerne la stratificazione e determinarne la pendenza. A Colle Morrone i frammenti rocciosi coi quali fu ricomposta la breccia terziaria sono in generale di un bel bianco, e la breccia stessa è ricca di geodi e vene spaticbe : la materia cementante è talvolta compatta, sia bianca, sia rossastra, ed allora la roccia assume un bell’aspetto e si escava utilmente per lavori edilizi ed altri manufatti, ed anche come marmo. Sotto l’azione degradante dell’atmosfera questo calcare breccioso di Colle Morrone prende, al pari del calcare cretaceo, l’aspetto di scogliere, assai più spu- gnose però delle scogliere ippuritiche. — Nel calcare in parola abbondano i fossili cretacei: lungo un taglio naturale del Colle, nel quale è praticata una scorciatoia cbe da Vallefredda discende ad Isola, rinvenni una Chemnitzia e molte Nerinee aventi grandi affinità colla Nerinaea amiosa Costa. A Colle Menghitto la roccia è anche più bianca, e vi abbon- dano le rudiste. A Santa Lucia la breccia è piuttosto incoerente, e vi si scava, come nel calcare ippuritico, lo stucco. A Colle Castelluccio la calcarea, quantunque bracciata e qual- che volta anche abbastanza ben cementata, non presenta così fre- quenti le incrostazioni spatiche; ed il suo aspetto non è tanto a scogliere come lo è quello della calcarea di Colle Morrone e delle calcaree ippuritiche. Inoltre il calcare di Colle Castelluccio pre- senta assai meno la bianchezza offerta da quelli di Colle Morrone e di Colle Menghitto. Nella parte orientale dell’ affioramento eocenico di Colle Ca- stelluccio, e cioè nei pressi del casino Pelagalli, la roccia assume aspetti molto vari: quello di calcare bianco dolomitico, quello di calcare arenoso grigio compatto, quello di arenaria giallognola in decomposizione, quello brecciforme e persino quello puddingoide. In questa località fu escavato per trarne le pietre che formano il parapetto del Corso Tulliano in Arpino ed altri manufatti: in qualche punto potrebbe anche essere utilizzato per marmo. — Nella punta nord-ovest dello stesso affioramento, presso la foce del Vallone, il calcare riappare arenoso e facilmente fendentesi in lastrelle. — Anche lungo il versante nord-est di Colle Castelluccio, tra la carroz- zabile Arpino-Arce ed il fosso del Vallone, è facile incontrare dei GEOLOGIA ARPICATE 307 massi erranti d’un calcare arenoso giallognolo, certo strappati' al Colle, ma che a prima vista si direbbero di tufo pliocenico. — Assieme a questi massi rinvengonsi con una certa frequenza dei ciottoli, pure erranti, di un calcare ricco di Chemnitzie e di sva- riate Nerinee, tra le quali abbonda la Nerinaea inversa Costa : anche tali ciottoli, originariamenti appartenenti aH’ippuritico infe- riore, provengono certo dallo sfacelo della breccia terziaria del Colle. L’affioramento di Fontana infine presenta lo stesso aspetto del precedente, mostrando del pari calcari brecciosi e calcari arenosi. Questa località meriterebbe di essere studiata, allo scopo di osser- varvi i passaggi dalla creta aH’eocene. Io, dallo studio un po’ più particolareggiato fatto sui due affioramenti di Colle Castelluccio e di Colle Morrone, son venuto nella persuasione che in queste formazioni si debbano distinguere due piani diversi, dei quali il più alto (eocene superiore od oligo- cene) sarebbe rappresentato dai calcari brecciosi ed arenosi prece- dentemente descritti; ed il più basso (eocene inferiore) sarebbe rappresentato da un calcare arenoso compatto, il quale non affiora che in un punto minuscolo sul limite meridionale di ciascuna delle due grandi distese calcaree in discorso, e cioè: per Colle Castel- luccio sulla strada a mattina di S. Paolo, e per Colle Morrone nel bosco a sera di Morrone. Infatti, siccome la pendenza gene- rale di questi calcari sembra essere verso nord-nord-ovest, e sic- come i due citati lembi di calcare arenoso compatto sono decisa- mente sottoposti alle rispettive masse di calcare brecciato preva- lente, è probabile che qui si tratti di una ripetizione della serie, ripetizione dovuta alla frattura del Yallone, la quale avrebbe de- terminato un salto e l’uniclinale dei due colli. Nel lembo di calcare arenoso compatto a mattina di S. Paolo è praticata una cava, e nelle scaglie da essa provenienti notai al- cune forme di bivalvi, non però determinabili; avanzando più a nord si vede come la calcarea cominci prima a contenere qualche frammento roccioso, e poi si cambi decisamente in calcarea Frecciata. Nel lembo di calcare arenoso compatto del bosco di Morrone trovai un Pecten di specie indeterminabile, ed in una sezione fatta con un campione di esso calcano il dottor Telimi notò delle Glo- bigerine. 308 G. B. CACClAMALI In questi calcari, che stratigratìcamente e petrograficamente attribuisco all’eocene inferiore, non riscontransi nummoliti, e forse l’assenza di tali fossili caratteristici può dipendere dal fatto che la roccia contiene elementi alquanto grossolani, essendo già stato avvertito che i foraminiferi appunto scarseggiano o non si trovano affatto nè in roccia ad elementi grossolani, nè in roccie che abbiano subita una trasformazione troppo marcata. A maggior ragione non si trovano nummoliti nel calcare brec- ciato che attribuisco all'eocene superiore od all’oligocene. Vi si rinvengono però — dove almeno questo stesso calcare si fa are- noso — altri fossili: nella parte orientale infatti dell’affioramento di Colle Castelluccio, dove il calcare assume svariati aspetti, ab- bondano esemplari di Ostrea crassissima Lmk., visibili anche nelle pietre del parapetto del Corso Tulliano ad Arpino — esem- plari che si ripetono nel calcare arenoso fendentisi in lastrelle presso lo sbocco del Vallone — che si ripetono erranti lungo il fianco settentrionale del colle stesso, insieme ai ciottoli a Nerinee più sopra ricordati — e che si ripetono infine, ancora seguendo la sinistra sponda del Vallone, entro ai massi erranti di calcare are- noso giallognolo più sopra pure ricordati. La specie cui tali Ostree appartengono confermerebbe trattarsi di periodo oligocenico, di quel periodo cioè che segna passaggio tra l’eocene ed il miocene ('). E la presenza poi delle stesse Ostree nel calcare arenoso e non in quello breccioso si spiega benissimo, perocché nemmeno la vita di questi molluschi poteva essere pos- sibile quando o dove speciali condizioni, certo turbolente, sfascia- vano i calcari secondari per ricomporre quelli terziari ; dico quando o dove, perchè la stratigrafia di Colle Castelluccio, meglio studiata, rivelerà se si tratti di periodi successivi o di formazioni eteropiche. Insieme alle Ostree, nel materiale edilizio escavato presso il casino Pelagalli furono rinvenuti anche denti globosi di pesce. — Numerosissimi denti di questa forma, ed alcuni anche di quelli aguzzi, mi si disse essere stati rinvenuti, insieme a grandi Pecten, lungo l’Ermucci scavando pietra calcarea pei manufatti della linea (') Anche a Monte S. Giovanni Campano rinvenni erranti numerosi esemplari di Ostrea crassissima, Lmk., nonché un frammento di polipajo { Astrocaenia ?) attribuibile pure all’oligocene, od anche al miocene inferiore. GEOLOGIA ARPINATE 309 ferroviaria ; ma nulla potei avere, nè le indicazioni avute furono tali da potermi sincerare se tali fossili appartenessero alla calca- rea cretacea od a quella eocenica. — Con certezza posso solo dire di alcuni Pecten trovati nel calcare eocenico arenoso al viadotto sotto Fontana, e di traccie d ' Ostrea rinvenute salendo ancora a Fontana. A Colle Morrone ed a Colle Menghitto, frammezzo alla breccia, non potei scorgere nè strati di calcare arenoso, nè fossili eocenici, per cui queste formazioni da una parte, e quelle di Colle Castel- luccio e di Fontana dall’altra, sarebbero davvero eteropiche. Miocene. In vari punti del bacino del Liri si può scorgere come sul calcare breccioso eocenico riposino delle arenarie siliceo-calcari, micacee, spesso scistose, di color grigio o bruno, azzurrastro o gial- lastro, alternanti in basso con dei calcari marnosi e superiormente con marne ed argille scistose turchine. Queste arenarie, prive di fossili, si ascrivono generalmente all’eocene superiore: si trovano, per esempio, nella parte superiore della valle del Liri tra Balso- rano e Campoli — in Val di Cornino tra Alvito e Picinisco — nella valle del Sacco tra Castro e Falvaterra — nella parte infe- riore della valle del Liri tra S. Giovanni Incarico e Pontecorvo; mancano però nel territorio arpinate, nel quale dal calcare brec- ciato eocenico si salta di piè pari alle marne turchine plioceniche, le quali, almeno nei loro strati più bassi, e specialmente dove si fanno arenoso-micacee od argillo-scistose, si presentano tuttavia con ima facies miocenica. In due soli punti della regione che descrivo io riconoscerei però il miocene: uno sarebbe a Valle Contere a sud-est di Santopadre (’) e l’altro lungo il ramo meridionale del Rio Ermucci, al confine tra i territori di Santopadre, Arpino e Fontana (2). Q) Questo fu già da me illustrato colla mia Nota: « Sopra un affiora- mento di schisto bituminoso a Santopadre ». (2) Secondo altri sarebbero mioceniche anche le mollasse che si disten- dono a nord di Ceprano fino a Strangolagalli, nonché a Ripi e Frosinone, sulla destra del Liri, e fino ad Arce sulla sinistra. 21 310 G. B. CACCIAMALI Valle Contere è una depressione che sta tra l'altura plioce- nica di Santopadre e quella ippuritica di M. Inero, la quale scende rapida al Melfa: il contatto discordante tra la puddinga del plio- cene superiore ed il calcare cretaceo coincide coll'andamento dei due fossi che determinano la Valle Contere, fossi che poi riuniti si versano nel Melfa a nord di Monte Inero. Il fosso meridionale, scorrendo in direzione di nord-est si trova quasi nella stessa direzione degli strati pliocenici, i quali pendono ad ovest-nord-ovest; per cui lungo questo fosso dei cennati strati vengono a mostrarsi i più bassi della serie, e se qualche altro materiale sottoposto alle puddinghe ve- nisse ad affiorare, qui di preferenza dovrebbe farsi vedere. Ed in- fatti ho notato come qui faccia capolino la solita marna turchina del pliocene inferiore, e sotto di essa lo schisto arenoso grigio- scuro bituminifero, che avrei ascritto al miocene. Anche nell’altra località dove, secondo me, affiorerebbe il mio- cene, si verifica lo stesso fatto : risalendo, dall'imbocco della lunga galleria ferroviaria, il ramo meridionale del Rio Ermucci, si incon- trano lungo questo fosso diversi limitatissimi affioramenti di marna del pliocene inferiore, sottoposta alle puddinghe ed arenarie del pliocene superiore, fino a che poi si giunge a quell’isola calcarea che sta tra la massa cretacea di Monte Nero e quella di Fontana: a quest'isola calcarea si vede addossata discordantemente un’are- naria grigia, micacea, di facile sfaldatura, probabilmente sottoposta alla marna ed appartenente al miocene. Pliocene inferiore Durante il periodo pliocenico, o subapennino, la penisola ita- lica, molto più sottile che non oggidì, doveva presentare alle sue spiagge due lunghi sistemi di penisole e di isole calcaree, press’ a poco come ora le coste della Dalmazia ; ed il mare adattandosi a quell’ orografia doveva dare confini irregolari a’ suoi depositi, che adesso formano lingue e golfi alla base di quegli antichi rilievi, sui quali detti depositi riposano con stratificazione discordante. Nel bacino del Liri il terreno pliocenico non mostrasi affatto al di sopra di Sora: soltanto in Val di Cornino comincia ad appa- rire in lembi, per poi distendersi ampiamente nei territori di Fon- GEOLOGIA ARPINATE 311 teckiari, Arpino e Santopadre — oltrepassato il Liri si distende di nuovo, tra Monte S. Giovanni e Verdi, nelle insenature lasciate dai calcari eocenici — nella valle inferiore del Liri poi, e special- mente da Pontecorvo a Cassino, apparisce solo a piccoli tratti, nelle erosioni profonde, perchè ricoperto dai depositi quaternari. Il territorio nostro 'dunque, salvo le masse calcaree più sopra descritte, è quasi interamente costituito da pliocene : alla superficie però ne appare generalmente solo il piano superiore, costituito da arenarie e puddinghe che descriveremo più avanti e che ricoprono quasi dovunque la marna argillosa turchina del piano inferiore, di cui ora intendiamo parlare. Tale marna si mostra a giorno solo in ristrettissimi tratti, e specialmente nella parte occidentale del territorio arpinate, cioè lungo il Vallone, dove pure, se non dal pliocene superiore, è in gran parte ricoperta dal quaternario. Alla destra del Vallone la marna argillosa in discorso si trova sotto Vallefredda — dove viene utilizzata per laterizi e stoviglie dai fratelli Mancini — e da qui lungo la linea ferroviaria fino al viadotto di S. Lucia; ed alla sinistra si trova nella località detta Le Fornaci, dove è pure lar- gamente utilizzata per laterizi. Altri lembi quasi insignificanti di detta marna si possono constatare sotto Arpino risalendo il fosso stesso del Vallone od i suoi affluenti. Anche nell’alveo del Rio Ermucci si riscontrano piccoli lembi di marna ; anzi lungo il ramo meridionale di detto Rio questi lembi offrono una stratificazione costantemente rialzata a mattina ; cosicché il più orientale, addos- sato ad un affioramento di calcare ippuritico, viene a mettere a giorno gli strati più bassi, nei quali alla marna si è sostituita una arenaria micacea, che già precedentemente ho attribuita al mio- cene, al pari dello schisto bituminoso di Santopadre. Se però la marna turchina del pliocene inferiore non si mo- stra tanto a giorno, fu per altro incontrata abbondantemente nel sottosuolo, quando si aprirono le gallerie per la ferrovia, e preci- samente fu incontrata: nell’ ultimo tratto della galleria che da Isola mette a Vallefredda (il primo tratto essendo stato aperto nel cal- care breccioso eocenico), nei due piccoli trafori tra Vallefredda ed Arpino, in tutto il lungo traforo tra il fosso del Vallone ed il Rio Ermucci, e in quell’altro breve che segue di poi. La marna estratta dalle gallerie si vede tuttora accumulata allo sbocco delle mede- 312 G. B. CACCIAMALI sime. Anche nel fare le fondamenta ai pilastri del viadotto di S. Lucia si trovò, sotto al terreno alluvionale, la stessa marna ; la quale si rievenne in vari periodi di tempo, come mi venne da più persone riferito, pure dentro Arpino, nella sua parte piana meridionale (Corso Tulliano) a più metri di profondità e nel fare le fondamenta di alcune case. ’ La marna della quale ho descritto e gli affioramenti ed il giacimento è piuttosto argillosa e plastica, generalmente scagliosa, qualche volta a frattura concoide raggiata, e presenta una tinta azzurro-cinerea, con solo qualche chiazza giallognola o nerastra. Portata a contatto dell’aria, dopo alcuni giorni si gonfia, fiorisce quasi come la calce viva coll’acqua, e si riduce in scaglie sempre più minute. La sua scomposta stratificazione, la frequenza in essa di liscie e lucenti superfici di scorrimento, e la sua struttura spesse volte scistosa, mostrano come abbia subito replicati spostamenti e forti pressioni. Sovente è intercalata da straterelli arenosi, aquile-ri; ed oltre ai fossili di cui dirò più avanti, contiene in qualche punto traccie di sostanze vegetali torbificate. Quando si trattò di costruire il tronco ferroviario Arce-Sora, passante per Arpino, uno studio geologico dettagliato di questa regione non era stato per anco fatto, ed è da deplorarsi che nes- suno l’abbia fatto fare, nè domandato a chi poteva farlo, per cui dai costruttori non venne menomamente sospettata l’estesissima sotterranea presenza di questa formazione, la quale diede poi molto da fare e per i suoi strati acquiferi e per la sua debole resistenza alle spinte laterali ; per questa sua proprietà negativa si deforma- rono le gallerie e se ne ruppe la travatura, onde fu necessario ri- fare in alcuni punti l’armatura, e costruire le gallerie con sezione circolare anziché ovoide. La semplice pressione d’un interro (fatto contro il primo pilastro del viadotto di S. Lucia) sopra la marna sottostante, bastò a determinare una emersione laterale di questa, e quindi un abbassamento del terrapieno stesso, quasi come se si trattasse di liquidi in vasi comunicanti (*). (*) Questi fatti sono stati notati anche nelle gallerie dei Giovi (Genova), in quella di Pratolino (Firenze) ed ovunque si incontravano argille scagliose, le quali presentando pochissima resistenza alle pressioni, sono di grande osta- colo alla costruzione ed alla manutenzione di gallerie, di trincee, ecc. neces- GEOLOGIA ARPINATE 313 Le nostre marne argillose plioceniche non sembrano esser così ricche di fossili come lo sono solitamente altrove: ne’ loro limitati affioramenti non vidi mai traccia di fossili — nella cava Mancini a Vallefredda e nelle escavazioni per fondamento di edilizi entro Arpino mi si disse che ne furon trovati, ma non potei averne — dai trafori ferroviari ne furono estratti, ma scarsamente, ed io ebbi solo ima Natica (cfr. N. helicina Broc.) — dallo smottamento infine del suolo per i pilastri del viadotto di S. Lucia furon messi a giorno moltissimi esemplari di Pinna (cfr. P. Brocchii D’Orb.), classificati dagli operai che li trovarono per 'pesci sema testa , cui somigliano infatti e per la forma e per la lucentezza ; tutti questi esemplari pesentano però piccole dimensioni, per cui — tenuto conto anche della loro ornamentazione — possiamo dire di essere forse in presenza di una nuova specie. In alcuni blocchi di marna argillosa turchina — che trovai nel gabinetto di Storia Naturale alla mia andata in Arpino, e dei quali non era indicata la località, ma che probabilmente proveni- vano dai lavori ferroviari già in corso, e che quindi si possono ri- tenere arpinati e pliocenici — potei rintracciare i seguenti fossili: Fusus, Nassa , Mocliola , Arca {Anomalo cardi cì), Pecten ( Amus - sium ), ed Avicula n. sp. ? (affine all’ A. phalenacea Lmk.) (*). Si sa. che il pliocene inferiore viene solitamente diviso nei due piani Messiniano e Piacenziano, ed io credo che le nostre marne argillose turchine ci rappresentino non solo il tipico Piacenziano, sitando rivestimenti robustissimi. Per Arpino però non si trattava delle famose argille scagliose, ma di marne plioceniche. i* 1) Se i fossili si mostrano piuttosto scarsamente nelle marne di Arpino, sembrano più abbondanti in quelle del finitimo territorio di M. S. Giovanni Campano: delle marne bitumizzate di questa località potei avere alcuni esem- plari di Strombus coronatus, Defr. e di Cerithium tninutum? De Serres — alla bocca di una galleria, ivi escavata per l’estrazione dell’asfalto, io stesso raccolsi esemplari di Arca, Cardium, Lutraria, Venus multilanella ? Lmk. e Solenì — ed in una cava della stessa marna, non bitumizzata ed usata per laterizi, trovai altri fossili dei generi Cardium e Lucina , nonché spa- tangoidi del tipo Hemiaster o Schizaster (cfr. canaliferus). 314 G. B. CACCIAMALI ma nei loro strati inferiori — di mare molto profondo e con fossili di pliocene molto antico — ci rappresentino pure il Messiniano ('). Pliocene superiore Tanto nel soprasuolo quanto nelle escavazioni del sottosuolo si può constatare come le marne turchine del pliocene inferiore facciano, nel territorio arpinate, insensibile passaggio alle arenarie ed alle puddinghe del pliocene superiore: le marne turchine già nei loro strati più alti cominciano a farsi prevalentemente arenose {creta tufigna del volgo) — abbiamo indi un’alternanza di marna e di arenaria con rari banchi di puddinga — ed infine si alter- nano esclusivamente strati d’arenaria e grossi banchi di puddinga, i quali ultimi si fanuo poi predominanti in alto. Mancano quindi le caratteristiche sabbie gialle del piano Astiano, le quali sono forse rappresentate dalle arenarie inferiori, mentre le arenarie superiori e le puddinghe rappresenterebbero il piano Yillafrancbiano. Nè diversa è la costituzione litologica del pliocene superiore nelle località prossime al territorio nostro : sulla destra del Liri, infatti il pliocene superiore di Veroli, di Monte S. Giovanni e di Isola (-) presenta i cennati caratteri petrografici, salvo che la puddinga, ab- bondante nelle regioni elevate, va mano mano diminuendo a valle, per modo da essere quivi totalmente rimpiazzata dall’arenaria. E sulla sinistra del Liri le arenarie e le puddinghe arpinati conti- nuano ad oriente in Val di Cornino, dove dominano le puddinghe, ed a mezzogiorno nei territori d’Arce e Eoccasecca, ed anche più (!) A conferma di ciò aggiungerò come già il prof. Ponzi distinguesse due assise nelle marne turchine della provincia di Roma, di cui l’inferiore con fauna presentante ancora fisionomia miocenica — e come il prof. Meli mi avvertisse di aver avuti alcuni fossili delle marne di M. S. Giovanni Campano con facies piuttosto miocenica {Pinna, Ostrea, Cardium, Conus). (2) Nella carta geologica d’Italia, pubblicata nel 1889 dal R. Ufficio geologico, è segnato erroneamente il cretaceo ad Isola Liri: si tratta invece per il lembo sud-est dell’eocenico di Colle Morrone, e per il lembo nord-ovest di puddinga pliocenica. GEOLOGIA ARPINATE 315 giù, emergendo qua e là per brevi tratti dai terreni quaternari, e mostrando le arenarie completamente sostituite alle puddinghe ('). Siamo dunque in presenza di formazioni eteropiche del Vil- lafranehiano, rappresentato da materiale diverso in località tra loro vicinissime : in prossimità dei grandi rilievi calcarei vi prevalgono gli elementi grossolani, e quindi le puddinghe e le gonfoliti, e nella pianura vi dominano esclusivamente gli elementi minuti, e quindi le arenarie. Per constatare la potenza di queste formazioni del pliocene superiore basta percorrere la strada che da Arpino conduce a San- topadre, la quale dai 500 m. si eleva fin oltre i 700, quasi sempre tagliando dette formazioni, che quivi dominano quasi affatto indi- sturbate: tenuto calcolo della lunghezza e della pendenza della strada e della pendenza degli strati, si ha per questi una potenza di oltre 100 metri. Ma descriviamo separatamente i due materiali. L’arenaria, detta volgarmente tufo, è prevalentemente di natura calcarea, con qualche elemento o quarzoso o micaceo o ferruginoso, e qualche volta è anche marnosa; si presenta d’ordinario con una tinta gial- lastra o grigia od anche turchiniccia; talvolta è fortemente cemen- tata e talaltra poco coerente: nel primo caso forma dei banchi molto compatti e duri, e nel secondo caso offre l’aspetto di una mollassa , ed allora rinserra sovente lastrelle indurite da ce- mento calcareo, o grossi nuclei arrotondati e di grande compattezza, lastrelle o nuclei che sporgono dalla massa generale. — In quel tratto della carrozzabile Arpino-Arce che attraversa la lingua plio- cenica posta tra i calcari di Colle Castelluccio e di Fontana — oltre ad un principio di sostituzione eteropica dell’ arenaria alla pud- dinga — si mostra in modo evidentissimo il fatto dei noduli d’are- naria compatta inclusi nella massa generale poco coerente, e sporgenti dalla stessa. Questo fatto io lo spiegherei mediante una primitiva (0 Qualche traccia di sabbie gialle sarebbe però stata ritrovata dal Branco in vari punti della Valle del Sacco tra Amara e Castro (/ Vulcani degli, Ernici mem. cit.). Io stesso ne avrei trovate dubbie traccie a Casal- vieri, a Roccasecca ed a Pontecorvo. 316 G. B. CACCIAMALI cementazione di tutta la massa, ed una susseguita disaggregazione della stessa, disaggregazione che sarebbe rimasta incompiuta ('). La puddinga presentasi in banchi di più metri di spessore, gli uni agli altri sovrapposti in modo da offrire spesso un aspetto fantastico, come di grandi muraglioni ciclopici: anche a distanza si scorge agevolmente se trattasi di calcare o di puddinga, inquan- tochè il primo offre, come si disse, un aspetto affatto diverso, quello cioè di scogliere. — La nostra puddinga è costituita da ciottoli pre- valentemente di colore bianco e di natura calcarea : non ne mancano però di giallognoli, di rosei, di nerastri, nè vi mancano ciottoletti silicei, e nemmeno rognoni e noduli di ferro limonitico. La materia cementante è del pari calcarea, ma qualche volta anche argillo-fer- rifera. — Offre gradazioni varie nella grossezza de’ suoi elementi: alcune volte passa all’arenaria, ed altre volte, per contenere ele- menti di un decimetro e più di diametro, diventa una vera gon- folite. Anche nella consistenza offre gradazioni varie : talvolta non è che un sabbione ghiaioso poco coerente, che quasi si prenderebbe per un deposito d’alluvione quaternaria, e talvolta è compattissima, dura e solida tanto da far quasi sospettare appartenga a formazioni geologiche più antiche: è allora una bellissima puddinga, turchi- niccia e giallognola, e s'impiega non solo per murature (come nelle mura pelasgiche di Arpino), ma altresì per macine da mulino (come a Collecarino). — Non vi ha dubbio che i calcari cretacei ed eo- cenici, già emersi quando la puddinga si formava, abbiano forniti i materiali per la sua costituzione: ne fa prova anche il fatto che spesso ne’ suoi ciottoli si rinvengono fossili appartenenti a quei periodi geologici, come rudiste, pettini ed anche nummoliti. Non v’ha nemmeno dubbio che queste puddinghe sieno di forma- zione litoranea, si sieno cioè costituite con ghiaie e ciottoli spinti e deposti in mare da torrenti di breve corso. L’arenaria e la puddinga del pliocene superiore d’ Arpino, cor- rispondenti al Villafranchiano, sembrano prive affatto di fossili propri, e questo fatto dipende forse dalle condizioni speciali nelle quali quelle roccie si formavano: se infatti i ciottoli, le ghiaie e le sabbie che le compongono rappresentano le dejezini d’impetuose (') Veggasi la mia Nota: Sulla possibile origine endogena di alcune puddinghe . GEOLOGIA ARPINATE 317 correnti d’acqua spinte nel mare pliocenico che batteva in ritirata, la vita marina non doveva trovarsi nelle condizioni più opportune per prosperare. — Tuttavia, a ridosso della chiesetta di S. Lucia, sotto Arpino, esiste un limitatissimo lembo di sabbione compatto offrente una facies petrografia alquanto diversa da quella delle solite arenarie e puddinghe, e numerosi bivalvi dei generi : Pinna, Lima , Corbula , Lucina , Astante , Venus, Cardium , Vola , Janira , Pecten (cfr. P. scabrellus e P. varius ), ai quali si aggiunge qualche foraminifero, un corollario ( Cladocora ?), e modelli d’arenaria ri- feribili a grosse fucoidi. Era questo forse un seno relativamente tranquillo dove la vita poteva prosperare (’). Non debbono in ogni modo mancare, nei sabbioni e nei con- glomerati villafranchiani arpinati, ossami di animali continentali trascinati dalle correnti: quando io andai in Arpino, da alcuni operai addetti ai lavori ferroviari sentii infatti vagamente accen- nare ad ossami che sarebbero stati trovati nella galleria che unisce il Tallone all’Ermucci, e poi dispersi; e però, dietro speciali mie raccomandazioni fatte ai signori ingegneri soprastanti a quei lavori, nel maggio del 1889 si pervenne a salvare una certa quantità di ossami, effettivamente scoperti a circa 340 m. d’inoltramento dal- l'Ermucci ed a 25 m. di profondità dal soprasuolo. Recatomi sul luogo, potei constatare come queste ossa fossero sparpagliate e for- temente cementate negli strati di puddinga e d’arenaria: esami- nando poi più tardi quegli avanzi, e specialmente i denti che vi andavano uniti, mi persuasi trattarsi di due specie distinte di ani- 0) L’arenaria di Monte S. Giovanni Campano, giallastra, grigia o tur- chiniccia — o nerastra per associazione di bitume — sovrastante alle marne del pliocene inferiore, e forse corrispondente davvero all’Astiano, è abbon- dantemente fossilifera: vi rinvenni numerosissimi esemplari di Ostrea, Pinna (cfr. P. Brocchii D’Orb.), Modiola (cfr. M. incurvata Phil.). Solen?, Venus?, Lucina?, Pectunculus?, Cardium, nuculidi forse di nuova specie ( Leda o Solenella ?), non che alcuni gasteropodi dei generi Natica ? e Nassa ? — Nella puddinga poi, a cui passa superiormente l’arenaria, trovai un'Arca ( Bar - batia). Debbo infine ricordare di questa stessa località il Lithodomus lithopha- 26 G. B. CACCIAMALI cesso di argillificazione deve aver cominciato dacché i calcari stessi vennero a giorno, e deve essere tuttora continuo, per quanto len- tissimo : avremo perciò argille terziarie — e forse non altra origine hanno le argille marnose turchine plioceniche più sopra descritte — ed avremo argille quaternarie, quali appunto le terre in discorso. Se non che v’è ragione per credere che queste ultime si sieno for- mate più rapidamente e più abbondantemente sul principio del- l'èra quaternaria di quel che non si formino ora, e la ragione sa- rebbe quella stessa per la quale in quel periodo di tempo si formò, del pari più rapidamente e più abbondantemente di quel che non si formi ora, il travertino. L’argilla rossa, abbondante in vari punti sì del territorio ar- pinate che dei territori finitimi, forma coll’acqua una pasta tena- cissima, e quantunque ferrugginosa è buona per l’arte del vasajo ; ma più spesso si usa come pozzolana nelle malte, avendo una certa azione idraulica sulle calci. Non mi consta però che ad Arpino si utilizzi per questi scopi : si impiega invece nelle manifatture sì di Arpino che d’isola, come smettica, un’argilla giallastra, molto spap- polata e dolce al tatto, che si raccoglie nei meandri del travertino di Camello. Alluvioni e frane. — Tolto il travertino, le formazioni quaternarie del territorio arpinate aventi qualche estensione, si ri- ducono a materiali di frana, di rimaneggiamento, di dejezione e di alluvione, commisti o sovrapposti al travertino stesso e formanti qua e là parziali riempimenti, specie lungo il Fibreno e lungo il Vallone. Detti materiali sono a volta caotici e costituiti da fram- menti angolosi, perchè dovuti a frane e dejezioni torrenziali, ed a volta substratificati e costituiti da frammenti arrotondati, perchè dovuti a rimaneggiamenti ed espandimenti fluviali. — Quanto a fossili, in queste formazioni non posso ricordare che quelli rinve- nuti, nell’autunno del 1890, entro ad un deposito alluvionale co- stituito da terra rossa mista a straterelli ghiajosi, e stato tagliato da una trincea per la linea ferroviaria. Questo deposito si trova presso la stazione di Arpino, e descrivendo altrove i fossili rinve- nutivi, dissi essere inclinato a crederlo un espandimento del Diri ('); ora però ritengo più probabile ci rappresenti una conoide del fosso (L Scoperte 'paleontologiche ad Arpino. GEOLOGIA ARPICATE 327 del Vallone, perchè quivi detto fosso esce appunto da una stretta che sta alla base della rupe del castello. I fossili in discorso, oltre a frammenti di osso, sarebbero : l’estremità di un canino superiore sinistro di Hippopotamus major , due molari inferiori di Bospri- migenius , ed una zanna di un giovine Elephas, forse 1’ E. anti- qnus (l). Aggiungo una C gelo si orna elegans che rinvenni in un banco di breccia formatasi per cementazione di detriti caduti dall’alto, ai piedi della rupe del Castello d’Arpino, e precisamente dove ora sorge la stazione ferroviaria. Sorgenti minerali. — E curiosa nel territorio di Fon- tana l’alternanza sopra un ristretto spazio di sorgenti d’acqua sol- furea con sorgenti d’acqua dolce : in due punti specialmente di quel territorio si osservano polle d’acqua solforosa: alle Cadane cioè, e sotto la cavità denominata « fossa del monte » ; in questo se- condo punto si trova un piccolo laghetto formato da numerose ed abbondanti sorgenti, delle quali quella solforosa sgorga dalla parte opposta alla montagna, attraverso la ghiaja alluvionale, su cui lascia un deposito bianco-gialliccio di zolfo (2). O Fuori del territorio arpinate molti altri ossami di mammiferi fossili furono rinvenuti nelle alluvioni della Valle del Liri, e cioè: V Elephas meri- dionali a Roccasecca, Aquino e Cassino — VE. antiquus a Casalvieri, Aquino e Pontecorvo — VE. primigenius a Castellivi, Casalvieri ed Isoletta — l 'Hip- popotamus major a Roccasecca — il Bos primigenius a Ceprano ed Aquino — il Cervus elephus a Collepardo, Sora e Ceprano — il G. dama a Campoli, Roccasecca e Cassino — il C. alces a Roccasecca — ■ VEquus Stenonis ed E. caballus a Cassino — il Rhinoceros megarhinus ad Alvito, Isoletta e Cas- sino — il R. thicorkinus ad Isoletta — Sus, Antilope, Lemnus e Hyaena campana a Cassino. In proposito veggansi i seguenti lavori: G. 0. Costa, Paleontologia delle provinole napoletane — Appendice Ia Vertebrati (Napoli 1865). G. Nicolucci, Elefanti fossili della Valle del Liri (Mem. d. Soc. It. d. Se.; Napoli, 1882). G. Nicolucci, Note paleontologiche (Mem. d. Soc. It. d. Se. ; Napoli, 1883). Veggansi anche le mie Note: Gli elefanti di Val di Cornino — e: Gli elefanti fossili d' Aquino. (2) Il dott. Francesco Lucchetti di Fontana lasciò un manoscritto sulle virtù terapeutiche di queste acque, manoscritto che fu recentemente pubbli- cato dal nipote (Luigi Lucchetti: Il mio paesello. Venezia, Longhi e Monta- nari, 1891). 328 G. B. CACCI AMALI Sorgenti solfuree ed emanazioni di gaz acido solfidrico del resto si trovano con una certa frequenza anche in località circo- stanti: in Val di Cornino per esempio sono abbondantissime, ed a S. Donato si ponno anche osservare un bollitojo (gaz solfidrico gor- gogliante nell'acqua) ed un vulcanello fangoso (gaz solfidrico ema- nante da argilla stemperabile). Tectonica ed Orogenesi. A quanto ho detto sulla orografia generale, e poi partitamente sulla stratigrafia, sulla petrografia e sulla paleontologia delle varie formazioni del territorio arpinate, è d’uopo aggiunga alcune altre considerazioni geognostiche, dirette a meglio chiarire la tettonica della regione in discorso, ossia i rapporti di giacitura tra le for- mazioni descritte, e quindi specialmente a rifare, come è possibile, la storia geologica del territorio stesso, nelle sue fasi petrogeniche, biologiche ed orogeniche. Certo è che, più risaliamo i tempi, più scarsi, malsicuri e di difficile interpretazione si fanno i dati di cui possiamo disporre per ricostituire il passato ; nel nostro caso speciale poi, siccome i ter- reni più antichi che affiorano nella plaga descritta non vanno oltre il cretaceo, da questo convien prendere le mosse. Se il calcare compatto ippuritico costituisce il sottosuolo del- l’intero territorio in esame, dobbiamo ammettere che durante il periodo cretaceo il territorio stesso fosse interamente occupato dal mare, sul cui fondo, per l’azione biologica di molluschi, di coral- laio e di foraminiferi, s’andavano accumulando quegli strati cal- carei che oggi riscontriamo così ricchi di spoglie e di impronte delle nerinee, delle acteonelle, dei pettini e delle ippuriti che in quel mare prosperavano. Sui calcari compatti della creta noi riscontriamo i calcari are- nosi e brecciati dell’eocene: questi, anziché per causa biologica, mostrano di essersi costituiti per lo sfasciarsi di altri calcari pre- cedentemente formati e già sollevati: onde dobbiamo concludere che, tra il periodo cretaceo e l’eocenico, qualche lembo di terra- ferma abbia dovuto sorgere. Solo con uno studio accurato e minu- zioso sui rapporti stratigrafici esistenti tra le due formazioni, e sui GEOLOGIA ARPINATE 329 loro fossili, esteso anche alle regioni circonvicine, si potrà deter- minare approssimativamente l’estensione di quegli antichi lembi di terre emerse, si potrà constatare se tra la creta e l’eocene fuvvi o meno un hiatus, si potrà interpretare meglio la natura eteropica dei vari depositi eocenici, e stabilirne le corrispondenze. In non minore oscurità siamo quando si voglia conoscere lo stato delle cose durante il periodo miocenico : benché relativamente estese nel vicino circondario di Fresinone, scarse e dubbie sono nella nostra regione le formazioni di questo periodo, ed incertis- simi quindi i loro rapporti sì colle precedenti che colle susseguenti formazioni. È bensì vero che all’alba dei tempi pliocenici le nostre calcaree, sì cretacee che eoceniche, dovevano essere già sollevate, perocché noi troviamo i depositi pliocenici addossati discordante- mente su di esse; ma la loro emersione avvenne prima del mio- cene o dopo? Io non lo saprei dire. Maggior luce abbiamo dal principio del pliocene in poi: al- l’alba dei tempi pliocenici, come ho detto pocanzi, le masse cal- caree cretacee ed eoceniche che si trovano nelle nostra plaga, erano già venute a giorno e, come già feci avvertire, dovevano dare alla regione press’a poco quell’aspetto di arcipelago che è offerto og- gidì dalle coste della Dalmazia. L'altezza però a cui giungevano qu3ste nostre scogliere calcaree non doveva essere quella da esse ora presentata, ma alquanto minore, perocché un nuovo sollevamento avvenne, come vedremo, sulla fine dello stesso periodo pliocenico. La tettonica di quell’arcipelago — salvo la minore elevazione delle masse, e salve le parziali modificazioni avvenute posterior- mente — doveva essere su per giù quale manifestati ancor oggi negli affioramenti calcarei che da soli lo costituivano, ed in rela- zione certo col potente corrugamento che generò l’intero sistema delle catene parallele dell’Italia centrale, le quali, dirette da nord-ovest a sud-est, ci presentano strati ad anticlinale, mentre le valli longitu- dinali intercorrenti offrono altrettante sinclinali. Nelle nostre calcaree intatti, che ci rappresentano le ultime degradazioni di nord-ovest della catena di Monte Cairo, possiamo ancora distintamente scor- gere, malgrado i locali disturbi, traccie dell’ anticlinale, perocché gli strati ad Arce, ai Marti, a Monte Dolce, ecc. mostrano una pre- valente pendenza a sud, mentre al gombito dell’Ermucci, a Colle 330 G. B. CACCIAMALI Castellacelo, a Colle Morrone, ecc. mostrano nna pravalente pen- denza a nord. Sul principio dunque del pliocene le masse calcaree, per quanto già emerse, si trovavano ad un’altezza minore dell’attuale, ed il mare si insinuava fra esse in canali e golfi: questo mare doveva essere profondo e tranquillo, ed in esso s’andavano deponendo, in un cogli avanzi della fauna che vi prosperava, le marne turchine del pliocene inferiore. Più tardi le forze sollevanti devono aver ripigliato vigore, quindi il fondo del mare deve essersi grado grado elevato ; con- temporaneamente mutate condizioni atmosferiche dovettero provo- care su quell’arcipelago pliocenico tali impetuose e torrenziali cor- renti da trascinare nei canali e depositare sopra le marne prece- dentemente formatesi, ed anco sui fianchi stessi delle scogliere cal- caree, i materiali arenosi, ghiaiosi e ciottolosi, che poi costituirono le arenarie, le puddinghe e le gonfoliti di cui è ricco il territorio nostro; e così si spiegano ed i rari affioramenti delle marne ed i costanti contatti tra i calcari cretacei od eocenici ed il villafran- chiano, contatti che costituiscono uno dei tratti caratteristici della geologia arpinate. Il formarsi di questi materiali, d’origine torrenziale e di de- posizione litoranea, doveva rendere quasi impossibile la vita ma- rina, e quindi si spiega la mancanza di fossili marini nelle nostre puddinghe, rinserranti invece avanzi di specie continentali trasci- nati dalle correnti, quali sono appunto gli ossami di cervo e di cignale rinvenuti nella lunga galleria dell’Ermucci. D’altra parte, nei siti un po’ discosti dalle spiaggie poterono esser spinte solo le arene e non i ciottoli, e così si spiege la sostituzione eteropica delle arenarie alle puddinghe mano mano che ci allontaniamo dai centri di emersione. Quanto poi all’alternanza di banchi d’arenaria con banchi di puddinga, si spiega coi periodi alterni di magra e di piena. Già per l’accumularsi dei materiali di queste grandi alluvioni plioceniche gli alvei dei canali marini incominciarono a colmarsi ; ma poi, per un nuovo vigoroso impulso dell’azione endogena sol- levatrice, il mare sparve totalmente dalla nostra^egione, ed i ma-1 teriali stessi furono sollevati ed inclinati, e portati insieme alle GEOLOGIA ARPICATE 331 calcaree, all’altezza a cui attualmente si trovano. Cominciò allora l'èra quaternaria, durante la quale sul territorio nostro, che già quasi offriva l’aspetto d’oggidì, andarono formandosi le terre rosse* i travertini e gli ultimi materiali alluvionali. Il sollevamento postpliocenico dovette probabilmente non essere che una continuazione dei precedenti, producendo quindi analoghi effetti: ciò sarebbe dimostrato dal fatto che la pendenza delle pud- dinghe villafranchiane, quantunque minore, concorda però in gene- rale, salvo cioè locali disturbi, con quella dei calcari. A quest’ultimo sollevamento credo debba attribuirsi la mas- sima parte di quelle dislocazioni secondarie che si riscontrano nelle masse stesse dei calcari. Se infatti osserviamo la tettonica speciale delle masse cretacee su cui sta Arpino, troveremo nei loro strati inclinazioni ben diverse : le due isole ippuritiche di Pelagalli e di Ci- vitavecchia hanno gli strati pendenti ad ovest-nord-ovest di circa25°. — e l’altra isola ippuritica del Castello li mostra pendenti a nord di circa 35°. Il contatto fra le calcaree di diversa pendenza e for- manti una sinclinale ad angolo, trovasi nella località detta il Caùto, tra Arpino e S. Lucia; ma quivi la vegetazione permette solo in urr punto, e precisamente lungo la via mulattiera che scende alla stazione, di scorgere la traccia di tale contatto, attraversante la via in direzione da ovest ad est ; sotto forma poi di una vera parete lisciata continua entro Arpino, e passa anche oltre a mattina; ma non apparisce più come linea di contatto tra due masse calcari, bensì come linea di contatto tra il calcare cretaceo che subì il maggior sollevamento e le formazioni del pliocene superiore rico- prenti il calcare cretaceo che subì il minor sollevamento : a questo contatto trovasi — come salbanda — un materiale di calcare fram- mentato e rimaneggiato. Detta parete o piano di scorrimento, pro- dottasi per l'attrito di due masse l’una sollevantesi più dell’altra, entrando in Arpino dal Caùto, si mostra di quando in quando lungo la via del Colle, e precisamente : prima entro casa Pesce, poi sotto casa Maturi, poi dietro casa Zumpetta, indi più a mattina alle Concie, ed ancora al Crocifisso (svolto della via esterna per Civi- tavecchia), ed offre una pendenza media di 63° sud. Al sollevamento postpliocenico io attribuirei pure la frattura del Vallone, la quale determinò, od almeno accentuò, il salto esi- 332 G. B. CACCIAMALI stente tra i calcari pressoché uniclinali di Colle Castelluccio e di Colle Morrone, salto mascherato poi dalle formazioni quaternarie ; anzi l’andamento del Vallone essendo sulla stessa direzione del gran salto di Arpino, riterrei unico il fatto, e cioè la faglia del Vallone non essere che la continuazione di quella d’ Arpino. Altri piani di scorrimento con pareti lisciate s’incontrano qua e là negli affioramenti calcarei: una per esempio al Casino Conti nel Vallone — un’altra al di là della Madonna del Piano sulla strada per Santopadre — un’altra presso la Fossa cieca dietro Monte Nero — un’altra ancora, e lunghissima, alle Petrara, verso il Melfa. Tali dislocazioni od alterazioni della tettonica normale delle nostre calcaree, dipendono probabilmente dal fatto che quivi la forza sol- levante era in decrescenza, come lo dimostra l’interruzione di Isola tra la catena Ernica e quella di Monte Cairo; ed è molto facile che tali anormalità sieno state determinate, o per lo meno accen- tuate, da disturbi postpliocenici. All’alba dunque de’ tempi quaternari il territorio nostro pre- sentava — salvo le erosioni ed i depositi, esclusivamente conti- nentali (d’alluvione o d’incrostazione) che si formarono di poi — l'assettamento oro-idrografico che presenta oggidì. Dopo il sollevamento postpliocenico, che determinò tale asset- tamento, nuove torrenziali alluvioni dovettero erodere profonda- mente ed asportare buona parte delle stesse arenarie e puddinghe che erano appena emerse: difatti in molti punti le nostre calcaree sono denudate del manto pliocenico che doveva ricoprirle, ed una attenta ispezione al Vallone ci rivela che quivi le arenarie e le puddinghe dovettero venire fortemente riescavate prima che le acque del Diri vi si espandessero per deporvi, con maggiore tranquillità, il travertino. Le acque del Liri, alla cui azione incrostante è dovuto il tra- vertino, dovettero di poi espandersi in veri laghi e giungere fin verso i 300 metri d’altezza dal livello del mare, perocché tale ap- punto è l’altezza che raggiunge il travertino. E siccome in questo si son rinvenuti fossili umani, dobbiamo ammettere che in quel- l’epoca l’uomo già esistesse sul nostro suolo. Più tardi il Liri andò man mano abbassando il suo livello e ritirandosi nelle sue sedi attuali, erodendo lo stesso travertino e GEOLOGIA ARPINATE 333 scavandosi un letto alquanto incassato. A questo periodo di ritirata del Liri io riferirei quella conoide alluvionale del fosso del Val- lone che si riscontra alla trincea ferroviaria sotto Arpino, conoide che si formò per l’uscita del fosso dalla stretta che sta a sud della rupe d’ Arpino tra il calcare e la puddinga erosa, conoide che rin- serrava avanzi di ippopotamo, di elefante e di bue primigenio. G. B. Cacciamali. ■ . of. ''^O C. & O f 0^ ICA ^£&?&S- Pot. i/u&vn* m T'£ w ,Tryy$ (^w19«K% J'Sirr W9J Te ’^nv.rr ,'»V|’t>l(c^rq 'Va'X ■fp'tf'y) <£ 'T} ^wJ2^^7if o9fc^ 3 5o fui / ®'< »J^) w. ° ('’Wy) <^*7'fvxi M->V I i K/J?4ff92JK~.ir ILLUSTRAZIONE DELLA FLORA RINVENUTA NELLE FONDAZIONI DEL PONTE IN FERRO SUL TEVERE A RIPETTA (con due tavole). Una quindicina di anni fa, allorquando fu costruito il ponte in ferro sul Tevere a Ripetta, nell’ affondare i cilindri della pila e della spalla di destra s’incontrarono dapprima melme e sabbie di moderno trasporto fra le quote di m. 2,10 sopra lo zero dell’idro- metro (tale essendo allora la quota media del fondo) e di m. 2,30 sotto. Quindi sabbie grossolane con piccola ghiaia fÌDo a m. 2,92; argilla sabbiosa fino a m. 4,42 ; infine marne plastiche fino alla quota di m. 7,50 sempre sotto lo zero dell'idrometro, e questa fu la massima profondità raggiunta dai detti cilindri (!). Alla quota di — 6,50, e cioè alla profondità di m. 8,60 dal fondo del fiume, le marne contenevano uno strato torboso con foglie, frammenti di legni e di steli, i saggi del quale nel disseccarsi acquistarono la tendenza a sfaldarsi in lamine presso a poco come avviene per la torba papiracea. Circa i resti vegetali contenuti in questo strato torboso, il prof. Meli nella Memoria : Sulla natura geologica dei terreni in- contrati nelle fondazioni tubulari del nuovo ponte di ferro co- struito sul Tevere a Ripetta e sull’ Uni o sinuatus Lamk. rin- venutovi (2) dice, riportando però un altrui parere, che vi si riscon- (1) Per i lavori di sistemazione del Tevere e per la costruzione dei mu- raglioni, il ponte è stato prolungato dalla parte dei Prati di Castello, sicché i cilindri della spalla destra costituiscono ora una pila. (2) Atti della R. Accad. dei Lincei, Mem. della Classe di Se. fis. mat. e nat., ser. 3a voi. Vili, Roma 1880. 336 E. CLERICI trarono dei muschi, foglie, e semi appartenenti a piante « che non « sarebbero da riportarsi a nessuna specie della nostra flora attuale » . Desideroso di chiarire e verificare la cosa, poiché nessuno finora si era accinto a farlo, ottenni dal gentilissimo prof. Meli un pezzo del materiale torboso. Il compito che mi proposi fu dapprima quello di isolare le foglie per quanto fosse possibile intiere o di rimettere insieme i frammenti per poi passare alla determinazione specifica. Sormontate varie difficoltà che mi si presentarono nella prepa- razione del materiale per lo studio, m’avvidi ben presto che nella torba si contenevano abbondantemente delle forme esistenti nella nostra flora. Ad avvalorare le mie determinazioni occorreva quindi di pre- sentare anche le figure degli esemplari fossili. Provati vari sistemi di riproduzione ottenni dei risultati soddisfacenti con un procedi- mento molto analogo alla fisiotipia. Poiché il metodo per isolare le foglie e quello per illustrarle sono applicabili in altri casi, non sarà inutile farne un cenno prima di passare alla descrizione delle specie. Così pure premetterò qualche dettaglio sul giacimento. Sull’età della torba. I cocci ed altri manufatti trovati nelle escavazioni fino a circa 6 m. sotto il fondo dimostrano che fino a questa profondità i ma- teriali sono rimaneggiati e di recentissima deposizione. I resti organici che allora furono estratti dalle sabbie (') consistono in conchiglie terrestri, d’acqua dolce e marine, queste ultime quasi tutte molto logorate, le altre meglio conservate e di aspetto più recente; qualche esemplare non è neppur fossile. Queste conchiglie sono le seguenti : I. Terrestri. Helix apicina Lamie. Helix rotundata Muli. (!) Meli E., Mem. cit., nota a pag. 7 estr. ILLUSTRAZIONE DELLA FLORA ECC. 337 Bulimìnus detritus Muli. Ferussacia Hohenwardti Rossm. (?) Pupa minutissima Hartm. (?) Carychium minimum Muli. ' IL D’acqua dolce. Bythinia tentaculata Lin. Limnaea stagnalis Lin. Limnaea ovata Drap. Limnaea palustris Muli. Neritina fluviatilis Lin. Paio Reguieni Michd. var. romanus Rig. Unio sinuatus Lamk. III. Marine. Natica millepunctata Lamk. Ceritlnium tricinctum Brocc. Ceritliium vulgatum Brug. yar. minutum Phil. Cerithiolum scabrum Olivi Chenopus pes-pelecani Lin. Melanopsis nodosa Ber. Turritella subangulata Brocc. Tarritella subangulata var. acutangula Brocc. Turritella tricarinata Brocc. Turritella Broccliii Bronn Ostrea lamellosa Brocc. Arca diluvii Lamk. Pectunculus inflatus Brocc. Pectunculus obliquatus Ponzi-Rayn. Ghama gryphoides Lin. Cardium oblongum Chemn. Cardium edule Lin. Venus ovata Penn. Arcopagia corbis Bronn Corbula gibba Olivi 338 E. CLERICI Ad eccezione dell' Unto sinuatus, che è una specie in via di estinzione, tutte le specie degli elenchi I e II non danno luogo ad alcuna considerazione speciale poiché abbondano tanto viventi che fossili nei terreni quaternari dei dintorni di Roma. Nell’elenco III sono comprese anche le specie salmastre: più della metà delle specie vivono attualmente nel Mediterraneo, ma si ritrovano anche nei terreni ascritti al pliocene superiore. Le altre però sono estinte (od emigrate come la Melanopsis nodosa) e proprie di questi terreni. Basandosi perciò sopra queste ultime specie l’età della flora contenuta nella torba non potrebbe essere più antica del pliocene superiore. Ma evidentemente, per il diverso stato di conservazione, i mol- luschi continentali e le foglie sono più recenti di quei molluschi marini molto logorati che io ritengo siano così logorati per il su- bito rimescolamento e trasporto da terreni del pliocene e del post- pliocene inferiore a monte di Roma (1). Infatti fra queste specie sono da notarsi: Cerithium tricinctum Brocc. Melanopsis nodosa Fér. Turritella subangulata Brocc. le quali sono molto rare nelle assise del M. Mario e dintorni ma che, le prime due specialmente insieme al Cardium'edule sono abbondantissime verso la Sabina. (L) Non diversa è l’origine dei fossili ( Cerithium vulgatum , Turritella subangulata, ecc.) rinvenuti dal Fr. Indes ( Deuxième lettre à M.Édouard de Verneuil sur la formation des tufs des environs de Rome. Bull, de la Soc. Géol. de France, 3e serie, voi. XXVII, Paris 1870, pag. 418-19: 29 éd. Bé- tliune 1875, pag. 52) nel tufo litoide di Monte Verde e delle rare valve di Cardium edule che ho raccolto, tanto nel tufo grigio che nel sovrapposto tufo giallo, nelle cave dette di Grotta Rossa sulla via Flaminia. (2) Questa specie, della quale non ho esemplari tolti dal giacimento classico del M. Mario, è assai frequente nelle sabbie ed argille salmastre di Acquatraversa, Inviolatella, ecc., in quelle alla base dei Cornicolani e dei Lu- cani : valve più o meno logorate rinvengonsi nei fossi di tutte queste località. ILLUSTRAZIONE DELLA FLORA ECC. 339 La presenza delle conchiglie logorate (') si può agevolmente spiegare quando si pensi che il bacino del Tevere abbraccia una enorme estensione di terreno pliocenico allo scoperto (sabbie gialle ed argille) e che in molti punti, come, per citare un esempio, da Fiano Romano a Ponzano, il Tevere si è scavato uno stretto pas- saggio fra questi materiali. Di più i fenomeni d’erosione una volta dovettero essere molto più considerevoli se, come si ritiene gene- ralmente, la massa delle acque era assai maggiore. Alcune specie, come per es. il Pectunculus inflatus che è rap- presentato da valve ben conservate, possono essere trasportate da una distanza molto minore, da qualche lembo pliocenico in cui il Tevere ha scavato il proprio letto poco lungi dal punto ove la cor- rente le ha di nuovo abbandonate. Per quanto precede ed anche in considerazione dello stato di poco avanzata fossilizzazione delle foglie, nonché delle specie di piante riconosciutevi, deve ritenersi che il deposito in questione si originò in epoca postpliocenica piuttosto recente. Resta ora a vedersi se tale deposizione avvenne in acque flu- viali, lacustri o marine. Insieme alle dette conchiglie il prof. Meli trovò anche delle foraminifere (2) cioè : Bulimina ovata D’Orb. Orbulina universa D’Orb. Pullenia bulloides d'Orb. Rotalia Beccarii Linn. Nonionina communis D’Orb. Polystomella crisma Lin. ed io ne ho rinvenute anche attaccate alle foglie della torba. (J) Nelle sabbie cenerognole estratte dalle fondazioni del ponte Umberto I, 400 m. a valle di quello di Bipetta, ho trovato i seguenti fossili marini molto logorati : Cerithium vulgalum, Cerithium tricinctum , Melanopsis noiosa , Turritella subangulata, Cardium edule, Gladocora caespitosa, insieme ad alcuni molluschi terrestri e d’acqua dolce: Helix carthusiana, Helix profuga, Limnea palustris, Unio romanus, Unio sinuatus. (*) Mem. cit., nota a pag. 8. 340 E. CLERICI Se i molluschi marini anzidetti sono di trasporto, a più forte ragione, possono esserlo gli esili gusci delle foraminifere, al pari di quelli che abbondano nelle sabbie e nelle melme delle attuali piene del Tevere. Fino a qualche anno fa, specialmente in seguito alle ricerche del prof. Meli (') istituite sopra saggi di trivellazioni, si ammetteva che i depositi fluviali e lacustri presso le sponde del Tevere e nella parte bassa della città si estendessero fino a profondità molto notevole, malgrado la poca distanza dal gruppo di M. Mario. A priori non v'è alcuna difficoltà ad ammettere che nel sol- levamento postpliocenico del suolo romano un imponente corso d’acqua, ora sostituito dal Tevere, abbia largamente scavato e pro- tratto il proprio letto dapprima su depositi del postpliocene infe- riore e poi anche su quelli immediatamente sottoposti del pliocene e che perciò abbia rimescolato fossili e materiali di epoche di- verse che ora si trovano deposti nella valle dapprima scavata, sia per un abbassamento del suolo, sia per una diminuita portata, le quali cause, tanto separate che unite, facendo diminuire la velocità delle acque limitano sempre più la loro capacità di trasporto. Pre- sentemente il suolo subisce un lento sollevamento ed il Tevere, notevolmente impoverito di acque, svolge il suo tortuoso corso sulle proprie alluvioni. Allorquando il territorio romano cominciò ad emergere dal mare, si costituì una spiaggia bassa con stagni e lagune, si for- marono depositi salmastri (2) ben presto seguiti da tranquilli sedi- menti d’acqua dolce, come si può in più luoghi constatare. Il Ponzi che dapprima in alcuni suoi lavori ammetteva alla sinistra del Tevere l’ esistenza di terreni pliocenici in diretta cor- rispondenza (ma a quota più bassa avendoli supposti inclinati verso Est) con quelli della destra, mano mano modificò le sue convinzioni fino a proclamare l’ esistenza di una grande faglia tibe- rina e conseguentemente di un netto distacco fra i terreni delle due sponde. P) Mem. cit. (2) Clerici E., La formazione salmastra nei dintorni di Roma (Rendi- conti della R. Acc. dei Lincei, Classe di Se. fis. mat. e nat., voi. II, pag. 147-154. Roma 1893). ILLUSTRAZIONE DELLA FLORA ECO. 341 I lavori di restauro all’acquedotto Vergine (') eseguiti presso la piazza di Spagna mi condussero all’importante scoperta di argille a pteropodi eguali a quelle del Vaticano e M. Mario ad una quota di circa 20 m. Ad esse si collegano forse le argille rinvenute per trivellazione presso a poco alla stessa quota alla piazza dell’Esqui- lino ed alla via Balbo. La differenza fra le due sponde del Tevere per ciò che ri- guarda il terreno marino, od almeno l’entità del dislocamento, viene ad essere notevolmente ridotta. Di non minore importanza fu la constatazione di un’argilla a foraminifere alla quota da 16 a 18 m. presso le catacombe di S. Valentino al 1° miglio della via Flaminia (2). Questa argilla giace sopra sabbia e voluminosa ghiaia ad elementi vulcanici con pezzi di conglomerati conchigliferi pliocenici a sua volta giacente su altra argilla. Mentre da un lato la ghiaia intercalata all’argilla denota un fenomeno di deltazione, dall’altro l’abbondanza degli ele- menti vulcanici e dei conglomerati fossiliferi fanno assegnare al deposito di quell’argilla un’età non più remota del glaciale (3). Mentre quindi il M. Mario e la larga zona di terreno a po- nente di questo si andava sollevando, ad oriente esistevano ancora acque marine. L’enorme quantità di materiali vulcanici che quivi ricopre il terreno marino, ed in parecchi punti il lacustre a questo sovrap- posto, rende assai diffìcile di poter precisare le variazioni avvenute nell’andamento del corso del fiume e la posizione del suo primitivo shocco. Forse im estuario sarà esistito per qualche tempo intorno al luogo ove ora è la parte più bassa della città, ma le abbondanti Q) Clerici E., Sulle argille 'plioceniche alla sinistra del Tevere nell'in- terno di Roma, Comunicazione alla Soc. Geol. It., voi. X, fase. 1. (2) Clerici E., Sull'argilla grigiastra che si trova alla base di una collina facente parte del gruppo dei Monti Parioli sulla passeggiata fla- minia presso Roma. Comunicaz. alla Soc. Geol. It., Adunanza invernale, 1892 (voi. XI, pag. 30-33). (3) Per la classificazione dell’era quaternaria ved. Clerici E., Sul Cast or fiber sull' Elephas meridionalis e sul periodo glaciale nei dintorni di Roma (Boll, della Soc. Geol. It., voi. X, pag. 364-365). 23 342 E. CLERICI alluvioni protrassero rapidamente la foce verso la Magliana e Ponte Galera. Questo protendimento continua ancora in ragione di poco più di un metro all’anno e, complessivamente, nelle epoche storiche non fu minore di 10 km. Ammessa l’esistenza del mare su parte del suolo romano in tempi quaternari a noi molto prossimi, potrebbe esser probabile che il deposito torboso di Pipetta si fosse effettuato nelPestuario preceden- temente supposto. Ma le foraminifere, per quanto già si è detto, non sono sufficienti a dimostrare una formazione di mar libero e degli altri organismi marini raccolti a Ripetta nessuno visse mentre le foglie si deponevano. Se tale deposizione avvenne nell’ anzidetto estuario, in questo le acque fluviali cominciavano ad aver la pre- valenza su quelle marine ed impaludavano. Preparazione del materiale. Il materiale torboso nel disseccarsi è aumentato di volume fendendosi secondo i piani di stratificazione. Le singole falde,' che facilmente si possono distaccare, sono composte quasi esclusiva- mente di foglie nerastre affastellate e frammischiate con sabbia cenerognola un poco argillosa, formando un insieme confuso nel quale è assai difficile discernere la forma delle foglie e l’andamento delle nervature, perchè, per la pressione subita, le foglie si sono addossate e strette l’una sull’altra tanto che le nervature di una foglia si sono stampate sulle altre. A causa della grande aderenza delle foglie e della loro estrema fragilità non era possibile di isolarne che piccoli frammenti insuffi- cienti allo studio. Rimediai a questo inconveniente facendo rammollire il mate- riale torboso con glicerina ed acqua, la quale miscela rende pie- ghevoli e quindi meno fragili le foglie. Qualche volta riesce utile di aiutare l’azione del liquido col calore fin quasi all’ebollizione. Nel frattempo l’argilla si spappola ed una gran parte della sabbia, fortemente aderente alle foglie, si distacca. Queste impu- rità, insieme a piccoli frammenti della torba (che si raccolgono sopra uno staccino per poi ricercarvi i semi), si possono eliminare decantando ed aggiungendo acqua più volte. Questa lavatura si fa ILLUSTRAZIONE DELLA FLORA ECC. 343 in una bacinella a fondo piano, od altro recipiente adatto, che si scuote con movimento orizzontale di poca estensione ma piuttosto rapido. Di tanto intanto si comprime e si scuote leggermente la falda torbosa con le dita. Quindi per isolare le foglie s’impiega un pennello grosso e morbido ed una pinza a punta schiacciata, lavorando sempre sot- t’acqua. I pezzi che mano mano si distaccano, col pennello si con- ducono sopra una lastrella di vetro immersa e vi si fanno aderire ; tenendoli fermi col pennello si possono estrarre dalla bacinella e mettere in un’altra con pochissima acqua, ove si continua a pulirli con maggiore comodità. Col pennello si raschiano via tutti i grani di sabbia ed i pezzetti di altre foglie ancora aderenti, si ricambia l’acqua quante volte occorra e si raccoglie di nuovo la foglia sulla lastrella di vetro, distendendovela il meglio possibile. Si estrae dall’acqua, si capovolge la lastrella, senza che per questo la foglia cada, e la si applica sopra una pagina di un libro vecchio. Si com- prime e si fa scorrere la lastrella sulla carta. La foglia resta per- fettamente spianata ed aderente alla carta: si volta qualche pa- gina e si continua la stessa operazione con altri esemplari. Dopo due o tre giorni le foglie sono perfettamente asciutte e si distaccano dalla carta colla massima facilità. Essendo però di bel nuovo divenute fragilissime, con molta cura si raccolgono sopra un foglietto di carta e si mettono fra due lastrelle di vetro che si possono tenere insieme legandole con un filo o adoperando un anello di gomma elastica, una molletta od anche qualche goccia di cera. Facendo penetrare fra i due vetri un poco d'acqua, e meglio se addizionata di glicerina, la foglia si può esaminare molto con- venientemente anche contro luce. Talvolta è vantaggioso di aggiungere un poco di glicerina anche all’acqua di ultima lavatura prima di chiudere le foglie nel libro per premunirsi contro la fragilità. In altri casi bisogna assoluta- mente fare asciugare le foglie tenendole fra due vetri. Quando gli esemplari secchi si dispongono sopra un cartoncino per esaminarli o per confrontarne i pezzi, è bene ricoprire il tutto con una lastra di vetro perchè al minimo soffio volano via e poi perchè disseccan- dosi ulteriormente si accartocciano ed allora divengono tanto fragili che appena toccati si rompono. 344 E. CLERICI Esecuzione delle figure. Nella rappresentazione delle foglie di piante viventi, fatta allo scopo di fornire una utile ed indispensabile guida per lo studio delle filliti, è necessario servirsi di un mezzo meccanico, poiché per quanta cura si ponga nel disegnarle, a parte la questione del tempo, è pressoché impossibile riprodurre con verità assoluta tutti i mi- nimi particolari che presentano le nervature e la minuta rete da esse formata. La fisiotipia, tanto bene messa in pratica nei classici lavori dell’Ettingshausen e del Pokorny, è a questo riguardo quanto d meglio si possa desiderare, offrendo sulla carta perfino le differenze di rilievo fra i nervi di vario ordine. La fisiotipia è applicabile con tutti quelli oggetti che, come le foglie, si possono tenere spianati ed hanno uno spessore piut- tosto piccolo. Già da una cinquantina di anni fu perfino tentata la ripro- duzione di lastre con impronte di pesci fossili servendosi della gal- vanoplastica per ottenere dalle medesime il cliché o matrice tipo- grafica. Le prove decisive sulla rappresentazione delle foglie furono fatte in Vienna tra il 1849 ed il 1852 da A. Auer direttore della tipografìa imperiale. Subito dopo Heufler (’) applicò il sistema per le alghe, muschi, licheni, ecc. pubblicando in proposito sette ta- vole con figure in rilievo ed in colori imitanti più o meno perfet- tamente quelli naturali. Nel 1854 v. Ettingshausen (2) coll’illustrazione delle foglie di euforbiacee e con quella delle papilionacee cominciò una nu- (’) Heufler L., Specimen florae cryptogamae vallis Arspach, Carpatae Transylvania, Viennae 1853. Due anni dopo anche in Italia apparve un lavoro dello stesso genere, con figure a colori, per opera dei fratelli Carlo ed Agostino Perini : Flora del- l'Italia settentrionale e del Tirolo meridionale rappresentata colla fisiotipia. Tip. Perini, Trento 1855, che però non ho potuto ancora consultare. (2) Ettingshausen v. C., Ueber die Nervation der Blàtter und blatte- rigen Organe bei den Euphorbiaceen mit besonderer Berùcksichtigung der vorvceltlichen Formen. — Ueber die Nervation der Papilionaceen. — Sitzb. d. math.-naturw. Classe d. k. Akad. d. Wissensch. XII Bd. ILLUSTRAZIONE DELLA FLORA ECC. 345 merosa ed interessantissima serie di pubblicazioni fra cui la Flora austriaca, grandiosa opera con più di mille tavole in folio , fatta in collaborazione con Pokorny. Ma l' inventore od almeno il precursore della fisiotipia fu Tommaso Luigi Berta di Parma, il quale dopo avere stabilito un metodo per preparare gli scheletri delle foglie e poi quello per poterne stampare delle copie pubblicò a Parma fin dal 1828 una Iconografia di scheletri di diverse foglie indigene ed esotiche preparati ed impressi , con 50 tavole (Q. Nel 1830 cominciò a pubblicare in fascicoli un’ altra opera dello stesso genere : Iconografia del sistema vascolare delle foglie messo a nudo ed impresso , con 60 tavole in 4°. Le figure sono della stessa nitidezza di quelle delle opere di Ettingshausen, ma il metodo per ottenerle non è descritto. L’autore prometteva di farlo conoscere ; ma ignoro se ciò avvenne. Dal testo traspare che per preparare gli scheletri di foglie ricorresse alla macerazione in apposito liquido ed al calore senza grave spesa di tempo, anche meno d’un giorno, e quindi in modo diverso da quanto era allora noto (2). Quanto alla stampatura l’au- tore insiste sulla maggiore nitidezza che è possibile ottenere col suo metodo anziché dalla litografia ottenuta col tingere d’inchio- stro lo scheletro e riportarlo sulla pietra. Dichiara altresì il suo metodo non avere a che fare con quello del Corinaldi di Pisa che nel 1821 pubblicò un fascicolo (restato l' unico) con 4 tavole, che doveva far parte di un’ opera con 100 tavole in 25 fascicoli. Il Corinaldi (al quale spetterebbe pure una parte di merito), si ser- viva per le iconografie dello scheletro stesso tinto col pennello. La minutezza e precisione di dettaglio di cui è capace il me- todo del Berta fa che questi consigliasse l’uso della lente per me- 0) A quest’opera sono annessi alcuni scheletri di foglie e perciò non mi è stato possibile averla in lettura dalla biblioteca di Parma temendosi avesse a soffrire per il trasporto. (*) Il Berta stesso lo dice ( Icono'gr . del sist. vasc., pag. 85-88) non igno- rando che già altri si fossero occupati di questa preparazione degli scheletri di foglie. E riporta un passo tolto da uno scritto di Giovanni Gesner : Dis- serlationes Physicae de Vegetabilibus (1740), da cui risulta che certi Seba, Trevv, Gmelin, Holmann, e specialmente l’olandese Federico Buysch (1638- 1731) professore di anatomia ad Amsterdam, preparassero di tali scheletri. 346 E. CLERICI glio osservare l’impressa reticolatura. Egli dice altresì a proposito di una delle sue iconografìe (pag. 8) « La finezza dell’anastomosi « nello scheletro della passiflora lunata, che lo si osservi col mi- « croscopio o lente tale che ne faccia le veci, per tal maniera os- « servato, desterà forse la meraviglia il vedere, come siasi potuto “ questo, come altri simili, imprimere, senza che lo inchiostro di « stampa ne abbia chiusi i fiorellini ». Il Pokorny in una nota: Ueber die Darstellung einiger mi- krosfcopischer botanischer Objecte durch Naturselbstdruck (’) di- mostrò che la fisiotipia è il metodo di rappresentazione che può dare i più minuti dettagli,, anche se microscopici. In una tavola sono infatti riprodotte sezioni sottili di fusti e di legni, l’ epidermide di agave, foglie e pianticelle di muschi; figure tutte che per esser vedute bene occorre osservarle ad un ingrandimento lineare di 20-30 volte e più. Anzi la tavola è du- plicata per poter ritagliare da una le dette figure e metterle sul tavolinetto del microscopio. Il metodo è molto semplice, perchè non occorre altra prepa- razione che il disseccamento, e meriterebbe di essere largamente diffuso ed adottato. Consiste nel comprimere l’oggetto (foglie, fiori, piante intere, sezioni di legni) fra due lastre, una d’acciaio e l’altra di piombo, servendosi a tal fine di un torchio idraulico od altro di equivalente potenza. Il piombo (al quale si può sostituire una lega come quella adoperata per la stampa della musica) è abbastanza molle da ri- cevere l’impronta tanto delle grosse nervature come dei più piccoli dettagli (2). La lastra adoperata come clichè tipografico dà le figure con linee bianche su fondo nero, ma stampata come le in- (1) Sitzb. d. matli. -naturw. Classe, XXI Bd. 1 Heft. pag. 6-18, con 2 tav. Wien 1856. (2) Sullo stesso principio si fonda la fotoglittica o fotoplastica, detta anche Woodburytipia dal nome di chi vi apportò maggiori perfezionamenti. L’impronta sul piombo è ottenuta da una sottile pellicola di gelatina al bi- cromato sulla quale l’immagine fotografica sia stata già completamente svi- luppata. Le copie si tirano non un metodo speciale, ma dalla impronta si possono ricavare anche dei cliché colla galvano-plastica. ILLUSTRAZIONE DELLA FLORA ECC. 347 cisioni in rame dà figure molto più belle e su fondo bianco ('). Per avere anche il rilievo, il foglio di carta va stretto fra la matrice concava e la relativa contro impronta ottenute in rame colla gal- vanoplastica. Ma questi procedimenti non si possono eseguire per le piante fossili, nel qual caso bisogna contentarsi di un disegno più o meno schematico o di una fotografia. AH’imperfezione di queste ripro- duzioni si rimedia in parte riportando accanto alla figura del fos- sile la fisiotipia di una foglia di specie molto alfine, sistema in- vero lodevole e seguito già da alcuni paleofitologi. Buone fìsiotipie di piante viventi, non in rilievo, si possono ottenere in zincotipia, trasformando una prova litografica col cor- rodere il metallo mediante un acido (metodo che è anche detto gillotage dal nome dell’inventore) od in litografia impiegando come primo cliché la foglia secca stessa spalmata alla pagina inferiore dell’inchiostro cosiddetto da trasporto. Il trasporto sullo zinco e sulla pietra può anche esser fatto coll’intermezzo della fotografia. Infine per un numero molto ristretto di copie e quando non si ri- chieda assoluta precisione e finezza artistica, basta la foglia stessa spalmata con un inchiostro tipografico di buona qualità e di colore preferibilmente bruno anziché nero, applicato col rullo. Con le foglie estratte dalla torba presa in esame questo sistema di fisiotipia è assolutamente inapplicabile ed ho dovuto convin- cermene con la totale perdita di qualche esemplare. La causa dell’insuccesso è sempre la fragilità ; la pressione per quanto leg- gera del rullo inchiostratore spezza facilmente la foglia se già non è in frammenti. Alcuni pezzi restano attaccati al rullo essendo (*) (*) Vedasi anche: Pokorny A., Ueber die Anicendung der Buchdrucker- presse zur Darstellung physiotypischer Pllanzenabdrùcke (Sitzungsber. d. math. naturw. Classe d. k. Akad., XXI Bd, pag. 263-268, con 3 tav. Wien 1856). Ettingshausen C., Bericht ùber neuere Forschritte in der Erfindung der N aturselbstdruck.es und ùber die Anivendung desselben als JUittel der Darstellung und Untersuchung des Flàchen-Skelets der Pflanzen (Sitzb. ecc. XLVII Bd, pag. 89-98, con 1 tav. Wien 1863). Ettingshausen C. und Pokorny A., Physiotypia plantarum austriaca- rum. Die Gefàsspflanzen Oesterreichs in N aturselbstdruck mit besonderer Berùcksichtigung der Nervation in der Flàchenorganen der Pflanzen. Text- band pag. XIV-XXVI. 348 E. CLERICI l’inchiostro tipografico molto adesivo e, per la stessa ragione, altri pezzi restano attaccati alla carta al momento della stampa. Avendo tentato altri mezzi, ho ottenuto un esito soddisfacente col seguente procedimento che, in fondo, dà una fìsiotipia (’). La foglia fossile, che generalmente è in parecchi pezzi, viene disposta semplicemente sopra un pezzo di cartoncino della miglior qualità in fatto di levigatezza. Il cartoncino stesso è poi posato sopra una superficie perfettamente piana e liscia, p. e. una lastra di marmo. Al di sopra della foglia, in modo che i pezzi non si spostino, si depone un pezzo di carta velina sottilissima spalmata alla parte superiore d’inchiostro tipografico. La buona riuscita dipende in gran parte da questa carta, che deve essere liscia il più possibile ed assolutamente priva di filogra- nature, differenze di spessore, pieghe o di altre irregolarità. Questo pezzo di carta deve essere alquanto più grande della foglia da riprodursi e per poterlo mantenere ben disteso vi si incolla da un lato una striscia di cartoncino. Tenendo la carta con le dita vi si passa sopra il rullo inchiostratore finché ne resti spalmata uniformemente. Si depone quindi la carta sulla foglia fossile, colla parte inchiostrata in alto. Poi su questa un altro foglio di carta bianca ssai levigata, piuttosto sottile, poi qualche altro foglio di carta per formare cuscino ed infine un cartoncino. Quindi si passa sopra a tutto con un rullo perfettamente cilindrico e non compres- sibile, facendo una pressione forte ed uniforme per tutta la corsa. Eccellente per questa operazione sarebbe il torchio da stampare a mano in litografia. In tal modo si ottiene sulla carta bianca una fìsiotipia im- perfetta, ma abbastanza soddisfacente. Osservata con la lente si mostra formata da un insieme di punti precisamente come nelle riproduzioni in fototipia. Evidentemente la figura non viene in campo bianco e quindi non risalta molto, però se si vuole è fa- cile in seguito di mascherare la tinta di fondo coprendola con (') Il metodo proposto da Y. Fayod ( Note sur une nouvelle application de la photographie en botanique. Malpiglia, voi. Ili pag. 120, tav. IV, Ge- nova 1889) malgrado la sua semplicità non mi ha dato risultato migliore. Consiste nello stampare una fotografia servendosi della foglia come se questa fosse la lastra di vetro colla negativa. ILLUSTRAZIONE DELLA FLORA ECO. 349 della biacca da acquarello addizionata con qualche goccia di alcool e da applicarsi col pennello. Procedendo con attenzione non v'è pericolo di alterare il con- torno, poiché fra l' impronta della foglia e la tinta di fondo si pro- duce sempre una striscia sinuosa bianca che contorna tutta la fo- glia e che è tanto più ampia quanto è maggiore lo spessore della foglia stessa. Le due annesse tavole sono la riproduzione in fototipia delle figure in tal modo ottenute ed incollate sopra un cartoncino (1). Il procedimento descritto (ben inteso quando non si abbiano a disposizione i mezzi necessari per eseguire la fisiotipia propriamente detta) è utile anche per le foglie assai disseccate o vecchie che facilmente si romperebbero nello spalmarle d'inchiostro, ed è rac- comandabile per ottenere fìsiotipie di foglie di erbari, nel qual caso si vuole essere sicuri di non avariare l’esemplare nè di insu- diciarlo d’inchiostro. Sulla determinazione delle specie. Nello studio delle filliti riesce di valido aiuto la conoscenza di grande numero di foglie di piante viventi. Questa conoscenza, quando si tratti di giacimenti originatisi in epoche più remote, deve essere estesa sempre maggiormente alle piante esotiche poiché in tali casi aumentano le differenze con la flora attuale della regione e le analogie con le flore di lontane regioni. Il confronto della foglia fossile con le analoghe viventi è finora la via meno fallace per giungere ad una determinazione di qual- che valore. Per far ciò non sempre basta un numero ristretto di foglie di una data specie vivente, ma occorre tener conto della grande differenza che talvolta si riscontra nelle foglie di una stessa (*) (*) Trattandosi di una riproduzione di altra già per se stessa imperfetta, qualche particolare sulla reticolatura e sul contorno lasciano qualcosa a de- siderare, mentre non sarebbe cosi sulle figure originali. La fig. 36 mostra abbastanza bene la reticolatura. In ogni caso non bisogna dimenticare che si tratta di foglie fossili estratte non senza fatica da una piccola quantità di materiale torboso. 350 E. CLERICI specie, di una stessa pianta e perfino di quelle di uno stesso ra- moscello. Del più alto interesse sono anche le forme teratologiche, molto più frequenti in natura di quel che non si creda, poiché se trovate allo stato fossile in esemplari incompleti potrebbero portare ad una determinazione ben lungi dalla vera. Nelle classiche opere dell’Ettingshausen, che specialmente sono destinate allo studio delle fìlliti, non si trovano riportati molti esempi di polimorfismo (’) nè sono messe a confronto le foglie molto somiglianti ma di generi diversi, e neppure vi si trovano casi te- ratologici. Le suddette opere costituiscono, senza dubbio, un materiale indispensabile per il paleofìtologo e tornano effettivamente utili, io le adopero insieme alla numerosa raccolta di fìsiotipie che io stesso eseguisco in conformità di quanto ho già accennato, non dimenti- cando quanto scrisse il Massalongo (2) « che qualunque sia per essere » il progresso futuro della Botanica fossile, il più bravo in questa « scienza, sarà mai sempre quello che possiede la maggiore e più « estesa conoscenza delle piante attuali, e che possieda quindi « all’uopo il più ricco erbario ». Il Massalongo, però, proclamò anche il principio « che senza « frutti od altri organi riproduttori nel maggior numero di casi, non « può esser assolutamente stabilito, il genere di una foglia dicoti- « ledone, dall’appoggio dei soli nervi, almeno nello stato attuale « delle nostre cognizioni ». E questo è tuttora il parere di molti botanici, forse perchè dispongono nelle loro determinazioni di mezzi ben più efficaci che non quelli offerti dalle foglie. Il concetto di specie deve risultare dall’insieme dei caratteri offerti dalle singole parti di una pianta, e se questi caratteri fossero tutti ben noti e ben appariscenti, anche una sola foglia dovrebbe essere sufficiente a far riconoscere la specie. Le ricerche istituite sulla costituzione anatomica dei fusti, dei picciuoli e delle foglie, f1) Fanno certamente eccezione il lavoro sulla Castanea vesca e quelli più recenti sulle forme atavistiche. (2) Massalongo A. e Scarabelli Gommi Flamini G., Studi sulla flora fossile e geologia stratigrafica del Senigallese. Imola 1859. ILLUSTRAZIONE DELLA FLORA ECC. 351 hanno dimostrato quanti ed importanti caratteri di classificazione è possibile trarne, ma nessuna applicazione può farsene per le fil- liti in cui delle foglie non resta generalmente che un’impronta ed un poco di materia organica. Il primo lavoro nel quale sia tenuto conto della nervatura delle foglie come carattere distintivo ed elemento di classificazione è l 'Histoire des vègétaux fossiles (‘) di Adolfo Brongniart, un’opera di grande mole e di merito eccezionale. Le tavole 28 a 35 voi. 1, sono piene di bellissime incisioni rappresentanti la nervatura delle felci, alle pag. 148 e 149 è steso un quadro per la classificazione delle felci, e nella descrizione delle specie fossili è continuamente riportato il confronto colle analoghe viventi. E come il Brongniart dava maggior valore ai caratteri anatomici che alle forme esterne così egli ebbe cura di osservare ed illustrare anche sezioni di fusti e di picciuoli. Per le fanerogame il merito spetta al Bianconi quantunque nell’ Organographie végétale (Paris 1827) di De Candolle si trovi già una prima ripartizione delle foglie in base all’andamento della nervatura. Il Bianconi (2) dall’esame di più che trecento specie giunse a conclusioni molto importanti fra cui quella (pag. 357) « che il « margine è carattere variabilissimo e da non potercisi contare « sopra con alcuna sicurezza ». Però le figure sono meno perfette di quelle date dal Brongniart, anzi sono inferiori a quelle ottenute con qualunque altro sistema, l’autore essendo ricorso all’opera di un disegnatore ed essendosi contentato di figure quasi schematiche. Al presente lo studio della nervatura, ampliato e perfezionato da molti altri, ma principalmente da Heer e da Ettingshausen, potrebbe dirsi non consistere che nella distinzione di parecchi tipi di nervatura e nella loro nomenclatura. Infatti nello stesso genere si presentano specie che hanno nervatura non dello stesso tipo, ma di parecchi tipi, qualche volta (*) (*) Histoire des végétaux fossiles ou recherches botaniques et géologiques sur les végétaux renfermés dans les diverses couches du globe. Paris, 1828. (2) Bianconi G., Sul sistema vascolare delle foglie considerato come carattere distintivo per la determinazione delle filiti. Nuovi annali delle scienze naturali, anno I, tomo I, pag. 341-390, con 7 tav. Bologna, 1838. 352 E. CLERICI di tutti. Qualche volta si hanno perfino nella stessa specie nerva- ture di due tipi differenti. Da ciò ne consegue quanto sia difficile lo studio delle filliti e come debba essere esclusivamente fondato sul confronto colle piante viventi. Nella mia raccolta di fisiotipie oltre alle riproduzioni abba- stanza perfette conservo anche quelle mal riuscite, a nervatura ed orlo poco appariscenti, perchè rappresentano appunto il caso gene- rale delle filliti e servono da intermediarie nel confronto con quelle ben fatte. Certe volte ritaglio addirittura l’orlo d’una foglia prima di farne la fisiotipia onde poter concentrare tutta l’attenzione sulle nervature. Dell'utilità e della necessità di questo mezzo ho potuto convincermi allorché intrapresi le ricerche sulla Vitis vinifera fos- sile dei terreni quaternari e passai in rivista grande numero di foglie palminervie in tal modo mutilate. Non prolungo oltre questa digressione perchè non è mio scopo di insegnare come si deve contenersi nello studio delle filliti, ma soltanto di far notare che, conoscendo le difficoltà di simile studio, nulla ho trascurato per giungere a determinazioni non lungi dal vero. Enumerazione delle specie. Nello scarso materiale torboso che ho avuto a disposizione abbondano le foglie di dicotiledoni ed il mio studio si riduce sol- tanto a queste, perchè di monocotiledoni non ho trovato che frain- mentini inconcludenti. Di conifere e di felci nulla. Di muschi parecchi esemplari. In fine qualche seme ; ma non ho preso in considerazione che due soli generi facilmente riconoscibili non es- sendo ancora molto addestrato in questo studio. Spero che per buona parte degli esemplari fossili estratti dalla torba la determinazione possa ritenersi esatta. Alcuni esemplari, purtroppo, sono molto incompleti o mal conservati e la determina- zione specifica di questi è data soltanto in via approssimativa o probabile. Segue pertanto l’elenco delle specie che ho ritrovato nel ma- teriale torboso preso in esame. ILLUSTRAZIONE DELLA FLORA ECC. 353 Dicotiledoni. Fagus sylvatica Lin. (Tav. X, fig. 1-5). Ettingshausen C., Die Blattskelete der Dicotyledonen,'W\en 1861. tav. II, fig. 12: tav. Ili, fig. 5. Ettingshausen C. und Pokorny A., Physiotypia piantarmi austriacarum, Text- band, tav. X, fig. 1 e 2. Ettingshausen und Karsan, Beitràge zur Erforschung der atavistischen For- men an lebeden Pflanzen und ihrer Bezieliung der Arten ihrer Gattung. (Denkschr. matti, nat. Cl. d. k. Akad., LV Bd, Wien 1889) tav. V e VI. Pokorny A., Oesterreichs Holzpflanzen, Wien 1864, tav. XI, fig. 130-136. De Gayffier E., Herbier forestier de la France. Eeproduction per la photo- graphie d’après nature et de grand, nat. des principales plantes ligneu- ses qui croissent spont. en forèt. Paris 1868-73, voi. II ('). Foglia ovale, lunga 1 volta x/% circa la larghezza, a margine intero, ondulato, talvolta grossolanamente dentato. La base è re- golarmente arrotondata o cordiforme, oppure un poco assottigliata. Nervatura cheilodroma cioè corrente all’orlo. Nervo principale ro- busto regolarmente decrescente; nervi secondari semplici, robusti, in numero di 6-8 per parte, facenti un angolo di 40-50° col nervo mediano, paralleli o leggermente divergenti verso la fine. Sono retti, ma giunti all’orlo si ripiegano bruscamente in su e finiscono. I nervi terziari sono numerosi, uscenti ad angolo retto anastomiz- zandosi in aree trapezoidali. Questa specie in Italia è molto abbondante e costituisce estesi boschi. Negli Apennini si eleva fino a 1800-1900 m. e sull’Etna fino a 2000. Nel materiale torboso le foglie di faggio sono le più abbon- danti. Le fig. 3, 4 e 5 rappresentano foglie di forma e grandezza ordinaria ; la fig. 2 è di forma irregolare, la fig. 1 appartiene ad una foglia di piccola dimensione ed ancb’essa per nulla differisce dal faggio dei nostri boschi. (0 In questa bella opera nè le pagine del testo, nè le tavole portano numerazione alcuna, quindi nei riferimenti non si può citare che il nome delle specie. E. CLERICI 351 Carpinus betulus Lin. (Tav. X, fig. 6-11). Berta T. L., Iconografia del sistema vascolare delle foglie messo a nudo ed impresso. Parma 1830, tav. XLIV. Ettingshausen C., Die Blattskelete ecc., tav. II, fig. 10. Ettingshausen C. und Pokorny A., Physiotip. plant. austr., tav. X. fig. 6-8. Pokorny A., Oest. Holzpflanzen , tav. VI, fig. 91-97. De Gayffier E., Herbier forest. de la France, voi. II. Willkomm M., Forstliclie Flora von Deutscliand und Oesterreich, Leipzig- j Heidelberg 1875, fig. 42. Foglia oblunga, ovale, acuminata, a base arrotondata o leg- germente ristretta; con orlo doppiamente seghettato, con denti quasi uguali ed acuti. Nervatura cheilodroma, con nervo mediano robusto regolarmente decrescente, dal quale si partono 8-12 nervi secon- dari per parte con angolo di 40-45°, retti, paralleli che terminano ai denti più grandi e verso l’orlo mandano qualche diramazione ai sottostanti dentini. 1 nervi terziari sono molto lini e si anasto- mizzano formando aree molto strette. Questa specie è piuttosto abbondante tanto sulle Alpi che sull’Apennino fino a circa 1200 m. ; però diviene rara al mezzo- giorno. Nella torba ne ho trovate alcune foglie, molto mal conser- vate, tanto che sono state fra le più difficili ad isolarsi. Le fig. 6, 7 sono foglie di grandezza media, la fig. 8 è una foglia un poco più piccola alla quale si è rotto il picciuolo. Oltre alle foglie ho tro- vato alcune brattee involucrali, fig. 9, 10, 11 che, per quanto in cattivo stato, permettono una determinazione a conferma di quella delle foglie. Queste brattee sono trilobate, con lobi lanceolati, quello mediano molto più lungo e ad orlo seghettato o provvisto di radi dentini. Presentano tre nervature basali dritte e robuste, le late- rali a 45° colla mediana. I nervi secondari sono numerosi, uscenti ad angolo retto e si anastomizzano presso l’orlo. Infine di questa specie ho trovato anche un seme isolato. ILLUSTRAZIONE DELLA FLORA ECO. 355 Quercus ilex Lin. (Tav. X, fig. 13-17). Pokorny A., Oeat. Holzpflanzen, tav. X, fig. 119-123. Ettingshausen und Karsan, Beitràge zur Erforschung der atav. Formen ecc., (Denkschr. ecc., LVI Bd, Wien 1889) tav. XII, fig. 1 a 26. De Gayffier E., Herlier forest. de la France, voi. II. Foglia cuoiosa oblunga, ovale o lanceolata, arrotondata alla base o leggermente assottigliata; orlo intero, talvolta ondulato op- pure dentato od anche spinoso. Cheilodroma od anche laqueo- Dervia nelle foglie ad orlo intero. Nervatura principale robusta: i nervi secondari piuttosto fini, 7-8 per parte; i terziari appena vi- sibili ; reticolatura molto minuta. In generale la forma delle foglie è estremamente variabile. È una pianta meridionale caratteristica del littorale e delle isole del Mediterraneo ove forma boscaglia. Risale lino ad un migliaio di metri: all’Etna p. e. raggiunge 1300 m. Le fig. 13-16 rappresentano la comune forma a bordo intero ; la fig. 17 accenna alla forma dentellata od ondulata. Quercus pedunculata Ehrh. (Tav. X, fig. 18, 20, 22, 23). Ettingshausen C. und Pokorny A., Physiotyp. plant. austr., tav. XIII, fig. 1. Pokorny A., Oest. Holzpflanzen , tav. Vili, fig. 104-106. De Gayffier E., Herlier forest. de la France, voi. II. Foglia oblunga, stretta alla base, spesso provvista di due orecchiette, espansa al di sopra della metà, pennatifida o sinuato-lo- bata, con lobi arrotondati spesso provvisti di lobuli molto ottusi. Nervatura cheilodroma e laqueonervia. Nervo primario robustissimo, i secondari 6-8 per parte prominenti, diretti all’estremità dei lobi e muniti di ramificazioni dirette ai lobuli. I nervi terziari si ana- stomizzano in vicinanza dell’orlo. Il picciuolo è breve. Specie frequente nei boschi dell’Italia centrale ove si eleva meno del faggio, preferisce però le pianure. Nella torba le foglie di quercia di tipo lobato non sono rare, ma se ne possono estrarre pezzi molto incompleti ; sono duri, ma fragili, neri ed opachi. La determinazione delle quercie offre non 356 E. CLERICI poche difficoltà per la grande variabilità che si riscontra nella forma e dimensioni delle foglie; però questa specie, non fondata soltanto nelle fig. 18, 20, 22, 23, credo sia sufficientemente atten- dibile. Meno sicura è la specie seguente. Quercus cerris Lin. (Tav. X, fig. 19, 21, 24). Pokorny A., Oest. Holzpfl., tav. IX, fig. 110 e 111. De Gayffier E., Ilerhier forest. de la France, voi. II. Specie assai variabile per la forma delle foglie al punto da somigliare da un lato alla Q. pedunculata, alla Q. tosa Bosc. e dall’altro alla Q. pseudosuber Lin., cioè la foglia è ovale, oblunga, semplicemente oppur doppiamente pennatifida, ora semplicemente sinuato-dentata. Quando è lobata i lobi sono acuti, le insenature ora angustissime, ora straordinariamente ampie. Nervatura cheilo- droma e laqueonervia, i nervi secondari, 8-10 per parte uscenti a 40-60°, sono retti o poco curvati, provvisti di diramazioni che vanno ai lobuli e si anastomizzano fra loro presso l’orlo. Anche questa è una pianta comune nell’Italia centrale e me- ridionale. Oltre i tre frammenti fig. 19, 21 e 24 ne ho qualche altro ancora più incompleto. Alnus glutinosa Gaertn. (Tav. X, fig. 12). Ettingshausen C., Die Blattskelete ecc., tav. II, fig. 1. Ettingshausen C. und Pokorny A., Physiotyp. plant. austr., tav. X, fig. 3. Pokorny A., Oest. Holzpfl., tav. V, fig. 85. De Gayffier E., Ilerbier forest. de la France, voi. IL Foglia ovale, rotondeggiante, poco più lunga che larga, ottu- sissima, assottigliata alla base, doppiamente dentata : la denticola- tura è subeguale e poco profonda, la dentatura maggiore è ampia tanto che l’orlo potrebbe dirsi grossolanamente dentato o sinuato-) ondulato. Nervatura cheilodroma, nervo mediano molto robusto, re- golarmente decrescente, nervi secondari 7-8 per parte a 30-60°, \ molto prominenti, rettilinei, paralleli o poco divergenti ; corrono ai denti ed in vicinanza di questi lasciano partire delle dirama- ILLUSTRAZIONE DELLA FLORA ECC. 357 zioni che vanno ai denticoli. Alla base della foglia il primo paio di nervi è pochissimo sviluppato. I nervi terziari sono leggermente inflessi e formano aree ondeggiate molto lunghe. Pianta frequente nei luoghi umidi, che risale fino 1300 m. negli Apennini. Nella torba esaminata è poco frequente non avendone ritrovata che la foglia fig. 12 quasi intera e qualche piccolo frammento. Ulmus campestris Lin. (Tav. X, fig. 25). Pokorny A., Oest. Hohpflanzen, tav. XII, fig. 138-143. Foglia alquanto variabile nella forma: ma generalmente ovale acuminata, con base assai dissimmetrica, un lobo rotondeggiante ed espanso l’altro ristretto e sfuggente e perfino incavato. Orlo doppiamente seghettato con denti quasi eguali. Nervatura cheilo- droma, con 10-18 nervi secondari per parte, robusti, uscenti a 40-50°, paralleli, rettilinei o poco incurvati, spesso biforcati dalla metà ad un terzo del percorso e terminanti all’estremità dei denti maggiori. Altre piccole diramazioni fanno capo ai denti più piccoli. I nervi terziari sono poco appariscenti. Specie assai comune fino a 1300 m. Nella torba ne ho trovati pochi pezzi di foglie, fragilissimi e mal conservati. La fig. 25 è riportata soltanto perchè mostra il carattere distintivo della dissimmetria alla base. Populus alba Lin. (Tav. XI, fig. 27-34). Pokorny A., Oest. Hohpflanzen, tav. XXV, fig. 367-369. De Gayffier E., Herbier forest. de la France, voi. II. Specie con foglie straordinariamente variabili nella forma, di due tipi: l’uno rotondeggiante, ovale, allungato a contorno grosso- lanamente dentato, l’altro distintamente palmato con tre o cinque lobi. Quando la foglia è intera la nervatura è imperfettamente radio- nervia, con tre nervi basali robusti ; i laterali a 45° con 5 o 6 piccoli ed ineguali nervi secondari uscenti all’esterno, che vanno ai denti e si anastomizzano fra loro. Quando è lobata, è radionervia e cheilo- 24 E. CLERICI 358 droma con 3-5 nervi basali robusti con piccoli ed ineguali nervi secondari. La reticolatura è piuttosto grossolana. Le foglie irrego- larmente sinuato-dentate si riscontrano anche nel Populus cane- scens Sm. (Pokorny A., Oest. Holzpfl. tav. XXV, fig. 370 e 371) che, secondo alcuni costituisce una specie a sè, e, secondo altri, un ibrido del P. alba e del tremula , oppure una varietà del P. alba (P. alba var. canescens Ait.). Nella torba questa specie è molto abbondante e ne ho potuto estrarre delle foglie quasi intere con tutto il lungo picciuolo. La fig. 29 mostra una foglia distintamente trilobata, tutte le altre sono del tipo sinuato. Di questa specie ne ho rinvenuta una bella foglia nei tufi vulcanici della collina di villa Glori nel gruppo dei monti Parioli. Salix amygdalina Lin. (Tav. XI, fig. 42-44, 4-3, 47). Andersson N. J., Monographia salicum. Kongl. svenska vetenskaps Akad. — Handlingar, B. 6, n. 1, Holmiae 1867, tav. II, fig. 17. Ettingshausen C. und Pokorny A., Physiotypia plant. austr., voi. VI, tav. 585. Foglia lanceolata, seghettata. Nervatura camptodroma, cioè corrente ad arco, con 9-15 nervi secondari per paite, uscenti se- condo 50-60° e comprendenti da 1-3 nervi intermedi od intersti- ziali, che si staccano dalla nervatura mediana quasi ad angolo retto. Reticolatura molto fina. Questa specie ritenuta da molti come sinonimo di S. triandra Lin., per i caratteri della foglia è molto simile al S. daphnoides Will. (Ettingshausen C. und Pokorny A., Physiotyp ., voi. Ili, tav. 207, fig. 4; Pokorny, Oest. Holzpfl., tav. XX, fig. 268-270) e, conside- rato che il genere Salix è fra i più difficili a determinarsi speci- ficamente per le molte specie, per gl insensibili passaggi dall una all’altra e per gl’ibridi, io do questa determinazione con una certa riserva. Le fig. 42, 43, 44 e 47 appartengono alla stessa specie, la fig. 46 forse ne differisce un poco. Altre foglie di salici, che lascio indeterminate, sono quelle delle fig. 45, 48, 49 che appartengono ad una specie e le fig. 50 e 51 che appartengono ad un'altra. ILLUSTRAZIONE DELLA FLORA ECC. 359 Acer campestre Lin- (Tav. XI, fig. 35-41.) 'Berta T. L., Iconogr. del sistema vascolare ecc., tav. XX. Ettingshausen C. uncl Pokorny A., Physiotyp. plant. austr., voi. X, tav. 905 ; Text-band, tav. XVI, fig. 3 e 4. Pokorny A., Oest. Holzpfl, tav. XLIX, fig. 1029-1033. Foglia palmata a cinque lobi ora intieri, ora sinuato-dentati, con denti brevi ed arrotondati. Nervatura cheilodroma: 5 nervi basali, i mediani fanno 40-60° con quello di mezzo, gli esterni, più piccoli, 30-45° con i mediani. Questi nervi sono piuttosto sottili : i nervi secondari sono meno appariscenti e brochiodromi, cioè fini, quasi rettilinei, decorrenti fino alla metà della foglia ove si biforcano per unirsi ad arco coi nervi più vicini ; i nervi secondari terminano ai denti. Pianta comune nell’Italia media e meridionale: manca nelle Alpi e si eleva a piccola altezza. Nella torba è piuttosto abbondante, in esemplari di differenti forme e grandezze, come è mostrato nelle fig. 35 a 41. Diffìcili ad isolarle perchè delicatissime e spesso ridotte alla sola reticolatura la quale è abbastanza visibile nella fig. 36. Vitis vinifera Lin. Foex G. et Viale P., Ampélographie Américaine, Montpellier, 1885, tav. I, fig. 20, 21, 22. Fra le varie specie di semi contenuti nella torba ne ho tro- vato uno di vite frammentato sulla faccia dorsale, ma riconoscibile. La vite ha semi oblunghi, assottigliati alla parte inferiore ed ingrossati alla superiore. La faccia ventrale, cioè quella che è rivolta verso il centro del frutto, presenta due fossette longitudinali simmetricamente poste rispetto al piano mediano del seme. La faccia dorsale verso il terzo superiore mostra una specie di ombe- lico (la calaza), situato in una depressione più o meno marcata. * Il rafe è poco appariscente. 360 E. CLERICI Con questo nuovo rinvenimento si viene a confermare sempre più 1'esistenza della vite nel Quaternario: essa perciò è una delle specie più abbondanti nei dintorni di Roma. Infatti ne ho trovate filliti ed impronte di semi nel travertino di Fiano Romano, fusti grossi e piccoli nel tufo litoide di Anagni (stazione ferroviaria), nel tufo grigio di Peperino, nel tufo litoide giallo della Yalchetta (via Flaminia) nelle quali due ultime località si rinvengono anche pezzi di radici e semi; infine un seme completo, insieme a semi d’altre piante, nelle argille torbose rinvenute nelle fondazioni del palazzo della Banca Nazionale in Roma. Rubus sp. Heer 0., Die Pflanzen der Pfahlbauten, Zurich 1865, pag. 24, fig. 9 e 10. Fra i semi estratti dalla torba ve ne sono parecchi certa- mente di Rubus facilmente riconoscibili per essere quasi a forma di mandorla e colla superfìcie ornata da molte depressioni relati- vamente larghe di forma irregolare e variabile: ma quanto alla specie non saprei pronunciarmi, perchè alcuni esemplari convengono con fa fig. 9 succitata che è del R. idaeus Lin., altri, colla fig. 10 che è del R. fruticosus Lin. Il genere Rubus è anche rappresen- tato nella torba da un picciuolo munito di spine adunche e da qualche piccolo frammento di foglia. Crataegus oxycantha Lin. (Tav. X, fig. 26) P.okorny A., Oest. Holzpfl., tav. LVII, fig. 1167 e 1168. De Gayffier E., Ilerbier f 'ovest, de la France, voi. I ('). Specie a foglie molto variabili nella forma, fatte a ventaglio, pennatifìde con 3-5 lobi dentati oppure interi. Nervatura princi- pale robusta, i nervi secondari 2-6 per parte sono più sottili, assai ineguali ; alcuni più forti vanno diretti o poco curvati all’ estre- mità dei lobi emettendo qualche diramazione che va verso il lembo od i denti. Altri nervi secondari più piccoli vanno alle insenature, (J) La figura citata porta il nome di C. monogyna che va cambiato con quello di C. oxycantha secondo l’errata-corrige posta alla fine del voi. II. ILLUSTRAZIONE DELLA FLORA ECO. 361 talvolta molto profonde, e vi si biforcano per contornarle. Spesso alla base della foglia vi è un paio di nervi pochissimo sviluppati. Ne ho una sola foglia rappresentata nella fig. 26, la quale è a 5 lobi interi, i due inferiori sono più sviluppati degli altri. Le figure 1167 e 1168 citate dall’opera del Pokorny conven- gono assai bene, specialmente la prima, col mio esemplare, ma. esse sono determinate per Crataegus monogyna Jaq. da alcuni ritenuta specie distinta dal C. oxycantha Lin., da molti altri semplice va- rietà df questa. Foglie in tal modo lobate si trovano nei rametti sterili od alla base degli altri rami. Una foglia di questa specie l'ho trovata nel tufo grigio del Peperino (via Flaminia), nella quale roccia avevo già raccolto al- cuni pezzi di fusti. Muschi. Nel materiale torboso insieme alle foglie si trovano parecchi ciuffetti di muschi, in generale ben conservati, la cui ulteriore determinazione mi fu favorita dal dott. U. Brizi già noto per la sua competenza in briologia. Le specie sono le seguenti: Thamnium alopecurum De Not. (= Hypnum Lin.). Schimper W. Ph., Bryologia Europaea, Stuttgartiae, 1851-1855, voi. V {Tham- nium), pag. 4, tav. I. Specie comune in collina, nei luoghi assai umidi, a piè degli alberi nei boschi. Rhynchostegium rusciforme De Not. (= Hypnum Nek.). Schimper W. Ph., Bryol. Europ., voi. V ( Rhyncli .), pag. 2, tav. IX e X. Comune sulle pareti degli acquedotti, delle fontane, sulle pie tre irrigate, ecc. 362 E. CLERICI Rhynchostegium megapolitanum De Not. (= Hypnum Blandow.). Schimper W. Ph., Bryol. Europ., voi. V ( Rhynch .), pag. 8, tav. Y. Frequentissimo sul terreno, ai margini delle vie ; più di rado nei luoghi molto umidi. Rhynchostegium ortliophyllum Brizi n. sp. A Rliyncliostegio conferto De Not. proximo, valde differt, fo- liis erectis ovato-acutis, dentibus marginalibus apicern versus ma- jor ibuSj ac nervo robusto haud plano ad apicem defluente prae- ditis. Flores et theca ignoti. Fossile in argilla turfacea sub alveo Tiberis prope locum vulgo Ripetta Romse. Eurliynchium praelongum Scbimp. (= Hypnum Lin. ; Rhynchostegium De Not.). Schimper W. Ph., Bryol. Europ., voi. V ( Eurhynch .), pag. 19, tav. VI e VII. Nei pascoli aprici, umidi; frequente nell’alta Italia, non fre- quente nella provincia Romana. Eurliyncliium circinnatum Schimp. (= Hypnum Brid. ; Rhynchostegium De Not.). Schimper W. Ph., Bryol. Europ., voi. V, ( Eurh .), pag. 4, tav. III. Sulle rupi umide o asciutte, negli oliveti. ecc., frequente in tutta la regione mediterranea. Eurhynchium Stokesii Turni {Hypnum). {=Rhynchostegium De Not.). Schimper W. Ph., Bryol, Europ., voi. V ( Eurh .), pag. 20, tav. VII. Brizi U., Reliquie Notarisiane : I. Muschi, n. 9. Non raro nei boschi ombrosi di collina in tutta Italia. ILLUSTRAZIONE DELLA FLORA ECC. 363 Nekera crispa Hedwig (= Hypnum crispurn Lin.). Schimper W. Ph., Bryol. Europ., voi. V (Nekera), pag. 9, tav. IV. Specie frequente in tutta Italia sulle rupi e sugli alberi, più spesso in colline al disopra di 4-500 m., rara al piano. A semplice titolo d’esempio ne è riprodotto un pezzetto nella fig. 52. Nekera pennata Hedw. Schimper W. Ph., Bryol. Furop., voi. V [Nekera), pag. 6, tav. I. Specie rarissima, nota della Toscana e alta Italia, rara anche nella provincia di Roma. Homalia complanata De Not. (= Hypnum Lin.). Schimper W. Ph., Bryol. Europ., voi. V (Nekera), pag. 9, tav. V. Frequente nell’Italia media sugli alberi. Isothecium myurum Pollich (Hypnum). Schimper W. Ph., Bryol ■ Europ., voi. V ( Isoth .), pag. 5, tav. II. Frequente nelle colline boscose di tutta Italia. Leucodon morensis Schwagr. (= L. sciuroides var. morensis De Not.). Schimper W. Ph., Bryol. Europ., voi. V (Leucodon), pag. 4, tav. I. Piuttosto raro sui tronchi d’albero nella provincia Romana. Homalothecium sericeum Schimp. (= Hypnum Lin.). Schimper W. Ph., Bryol. Europ., voi. V (Ilomal), pag. 3, tav. I. Comune ovunque sulle rupi e sugli alberi. 364 E. CLERICI Anomodon attenuatus Hiibner ( Eypnum ). Schimper W. Pii., Bryol. Euro p., voi. V ( Anom .), pag. 6, tav. IV. Raro, sogli alberi nell’alta Italia (Alpi e Prealpi). Anoectangium compactum Schwàgr. (= Gymnostomum aestivum Hedw.). Scliimper W. Ph., Bryol ■ Europ., voi. I ( Anoect .), pag. 5, tav. I. Specie propria dell’Italia settentrionale (Valtellina, Vane- sia, ecc.) e non mai raccolta vivente nel resto d’ Italia. Bartramia strida Brid. Schimper W. Ph., Bryol. Europ., voi. IV ( Bartr .), pag. 10. tav. I. Frequente sul terriccio e sulle rupi vulcaniche. Aulacomnium palustre Lin. Schimper W. Ph., Bryol. Europ., voi. IV {Aulac.), pag. 9, tav. III. Nelle paludi torbose dell’alta Italia; ignoto nell’Italia centrale. Mnium undulatum Hedwig (= Bryum Schreb.). Schimper W. Ph., Bryol. Europ., voi. IV {Mnium), pag. 20-21, tav. III. Comunissimo in tutta Italia nei luoghi umidi e freschi dei boschi. Cindidotus fontinaloides Hedwig Schimper W. Ph., Bryol. Europ., voi III, {Ciuci.), pag. 9, tav. III. Frequente in tutta Italia sui sassi irrigati e sui legni som- mersi nelle acque correnti. ILLLSTR AZIONE DELLA FLORA ECO. 365 Barbula aciphylla Lin. (—Tortala De Not. Epil. Briol. Hai., pag. 555). Schimper W. Ph., Bryol. Europ., voi. II {Barbula), pag. 23, tav. IX. Propria dell’alta Italia, ignota nella provincia di Roma: nei luoghi freschi ed umidi. Dicranum scoparium Hedwig. Schimper W. Ph., Bryol. Europ., voi. I ( Dicran .), pag. 34, tav. XXVI. Nei luoghi selvatici in collina, frequente appiè degli alberi, in tutta Italia. Dicranum Glericii Brizi n. sp. Dicromo albicanti Bryol. Europ., simile a quo differt caulibus porcissime tomentosis, foliis minime strictis leniter falcatis, apice serrulatis , nervo robusto, basi haud dilatato , foliorum reti strictiori auriculis nullis. Theca ignota. Fossile in argina turfacea sub alveo Tiberis prope locum vulgo Ripetta Romae. Dicranella squarrosa Schimp. (= Angstroemia Muli.). Schimper W. Ph., Bryol. Europ., voi. I {Dicran.), pag. 17, tav. V. Specie nota soltanto sulle Alpi ed anche ivi rara ; ignota nel resto d’Italia. Campylopus atrovirens De Not. (= Dicranum microvirens Hook, et Tayl.). Schimper W. Ph., Bryol. Europ., voi. I {Campyl.), pag. 4, tav. IV. Specie propria dei monti del lago Maggiore, raccolta però vi- vente anche nella provincia Romana. La determinazione di questa specie lascia ancora qualche dubbio. 36G E. CLERICI Epatiche. Frullania dilatata Lin. De Notaris G., Appunti per un nuovo censimento delle Epatiche itatiane, Mem. Acc. Torino, ser. 2a, tomo XXXII, pag. 374, tav. IV, fig. 19. Brizi U., Prima contribuzione all'Epaticologia Romana, n. 9; Malpighia voi. III. Comune in tutta Italia sui tronchi d’albero. Come ho già fatto notare non tutte le piante enumerate, per numero d'esemplari, per lo stato di conservazione o per la varia dif- ficoltà di determinazione, meritano la stessa fiducia. Per alcune si può restare ancora dubbiosi. Limitando le considerazioni alle specie meglio accertate devesi notare che la determinazione dei muschi, per essere basata su pianticelle quasi intere, vale molto di più che quella delle dicotiledoni rappresentate da poche foglie isolate. In una nota preliminare che pubblicai sullo stesso argomento (’) le piante riconosciute nella torba erano 16 completamente deter- minate, più 4 determinate soltanto genericamente. Ne concludevo che tolte anche le specie meno certe, oltre la metà erano assolu- tamente identiche a quelle della nostra flora attuale. Nel frattempo l’elenco delle foglie, per mancanza di materiale, non ha avuto alcun incremento : ma quello dei muschi, che prima si componeva di tre specie ed una quarta riconosciuta genericamente, ora è stato portato a 24 specie ben accertate, mercè la valentìa del dott. Brizi che si è compiacciuto di studiare molti altri pezzetti di muschi (B Clerici E., Sulla flora rinvenuta nelle fondazioni del ponte in ferro sul Tevere a Ripetta. Rivista it. di Se. nat, e Boll, del Naturalista, an. XII. Siena 1892. ILLUSTRAZIONE DELLA FLORA ECO. 367 che ho raccapezzato fra i detriti di foglie ed i residui della mia primitiva ricerca. Ora vi è da annoverare anche una epatica ('). Un elenco così numeroso è una interessante novità non solo per la Campagna Romana, ma anche per la paleofitologia, poiché di muschi fossili finora non si conoscevano che ben poche specie, forse poco più d’una dozzina. Delle specie ora citate erano cono- sciute soltanto, se non erro, la Nekera crispa , Y Homalia com- planata e Y Eurhynchium praelongum delle palafitte di Roben- hausen e Moosseedorf nella Svizzera, e la prima anche alla Lagozza ed a Castione nell’Alta Italia. Due speci s, Rhynchostegium orthophyllum e Dicranum deridi sono nuove per la scienza ; altre, cinque, cioè Anomodon attenuatus , Anoectangium compactumj Aulacomnium palustre , Barbuta ad- ii hy Ila e Dicranella squarrosa , sono specie alpine o dell’ alta Italia e sconosciute nel resto d’Italia. Molti luoghi d’Italia sono briologicamente tuttora poco conosciuti e quindi le conclusioni fatte su queste 7 specie potrebbero in avvenire essere modificate. Del resto una differenza fra la flora attuale e quella quaternaria, anche assai recente, è stata constatata, come per la fauna, più volte e non deve quindi recare meraviglia. Tutti gli altri muschi sono assolutamente identici a quelli attualmente viventi. Alla stessa conclusione conducono gli esemplari di Fagus syl- oatica , Carpinus betulus, Quercus ilex , Acer campestre , tutte specie rappresentate da parecchi esemplari. Il materiale esaminato è troppo scarso per rendere possibile di fare delle deduzioni circa i caratteri della flora nell’epoca in cui si formù la torba. Yi figurano alberi di montagna ed alberi che preferiscono il piano e che sogliono fiancheggiare i corsi d’acqua ed altri luoghi umidi. Molte specie erano già state segnalate in altri depositi quaternari della provincia di Roma. Yi si rimarca per altro la mancanza di specie che pure insieme alle altre indicate sono abbondanti nei nostri boschi. Dei muschi, alcune specie prediliggono le alture, altre la pianura ; alcune vivono sugli alberi, altre sulla terra e sulle rupi ; l1) La torba contiene anche resti di coleotteri, poiché vi ho trovato una elitra a riflessi bronzini ed a scultura rugosa-lineata. E. CLERICI 368 alcune nei luoghi umidi, altre negli aridi: insomma le giaciture più diverse. Notevole è la presenza di una specie, Bartarmia strida, assolutamente propria dei terreni vulcanici. La mescolanza di piante con abitudini molto diverse mostra chiaramente che esse non vissero in posto formando torbiera, tanto più che vi mancano le specie caratteristiche di simile formazione, ma che provengono da differenti località trasportate dai vari corsi d’acqua in uno più grande e lasciate deporre in qualche punto ove la corrente era molto lenta, in una espen sione lacustre o sulla foce se si vuole, insieme ai detriti delle roccie, ed eventualmente ai fossili di queste, esistenti nei bacini idrografici dei vari affluenti. Da questo studio si può concludere che non soltanto la metà, ma almeno i due terzi delle specie estratte dalla torba di Ripetta sono identiche alle corrispondenti della nostra flora attuale. Enrico Clerici. ILLCST RAZIONE DELLA FLORA ECO. 369 SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Tav. X. 1-5 6-8 9-11 12 13-17 18, 20, 22, 23 19,21,24 25 26 Fagus sylvatica Lin. Carpinus betulus Lin. » » brattee involucrali. Alnus glutinosa Gaertn. Quercus ilex Lin. Quercus pedunculata Ehr. Quercus cerris Lin. Ulmus campestris Lin. Crataegus oxycantha Lin. Tav. XI. 27-34 35-41 42-44, 46, 47 45, 48, 49 50-51 52 Populus alba Lin. Acer campestre Lin. Salix amygdalina Lin. Salix sp. Salix sp. Nekera crispa Lin. Boll- della Soc. Geol. lt>- Voi. XI (1892) K. Clorici lisiolip. Tav. X. / Roma, Fototipia Danesi Boll, della Soc. Geoi. It. Voi. XI (1892) I?. Clerici fisiotip. Tav. XI Roma, Fototipia Danesi DESCRIZIONE SOMMARIA DELLE PRINCIPALI PIEGHE DELL’ APPENNINO FRA GENOVA E FIRENZE Avendo pubblicato nel giornale il Cosmos (') un lavoro sulle Pieghe dell' Appennino fra Genova e Firenze , lo ho corredato di una carta mostrante l’andamento delle pieghe, le quali costituiscono l’Appennino predetto, con una tavola di alcuni spaccati più impor- tanti al 100 mila. Delle pieghe però fu dato solo un accenno quanto mai sommario, perchè l’indole della pubblicazione non comportava una diffusione maggiore. Al mancamento derivante da quella brevità provvedo qui, dando delle pieghe una descrizione più estesa, dolente che le ragioni economiche vietino di accompagnarla con alcune delle tavole fatte da me, quali sarebbero necessarie. Le conclusioni ri- guardanti le ipotesi fattibili sull’ origine delle montagne non le riporto qui perchè si possono vedere nel Cosmos. Nemmeno ripor- terò la serie de’ terreni da me ammessa perchè questa si può ve- dere sostanzialmente in altre mie pubblicazioni (2). Accennerò solo, perchè quivi si hanno le maggiori divergenze, la serie dei terreni eocenici, che è la seguente, secondo me, a partire dalla Creta: 1. Calcari a Nummulites sub Lamarcld , N. irregularis etc. e galestri e arenarie dell’Eocene inferiore; 2. Arenarie (Macigno) e Calcari nummulitici dell’ Eocene medio ; 3. Calcari marnosi ad Helminthoida e Calcari nummulitici dell’Eocene medio; 0) Fase. 5°-6°, Torino, 1893. (2) C. De Stefani, Quadro comprensivo dei terreni che costituiscono l' Appennino settentrionale (Atti Soc. tose. Se. nat., voi. V, 1881). 372 C. DE STEFANI 4. Galestri, calcari, arenarie, roccie eruttive, scarsi calcari nummulitici dell’Eocene superiore!1). Sinclinale della Polcevera. — La valle della Polcevera, che termina nel mare ligure a Sampierdarena, insieme colla Scrivia che ne è quasi la continuazione a settentrione, verso il Po, segnano il confine tra la Riviera ligure di Levante e quella di Ponente, e fra l’ Appennino Savonese costituito da roccie cristalline assai an- tiche e l’ Appennino geologicamente molto diverso che ora esami- nerò. Quelle valli percorrono un sinclinale compreso fra l’ultimo anticlinale cristallino del monte delle Figne e del monte Penello situato a ponente, diretto da nord a sud, ed il primo anticlinale dell’Appennino che termina a Genova, a levante, con ugual dire- zione. Il sinclinale è costituito da galestri e schisti argillosi della parte più alta dell’ Eocene superiore, contenenti, nel lato occiden- tale, Diabasi, Gabbri e Peridotiti eruttive. Esso però è tutt’altro che rispondente ad una piega concava regolare, perchè gli strati, diretti bensì, con poche deviazioni, da nord a sud, come le valli, non serbano la pendenza regolare che dovrebbero avere al di sopra delle roccie più antiche degli anticlinali adiacenti, salvo in qualche (!) Recentemente si ebbero tre pubblicazioni di qualche importanza sulla struttura dell’ Appennino Ligure, cioè: Rovereto, Sezione geologica da Genova a Piacenza (Atti d. Soc. ligu- stica di Se. nat., voi. Ili, 1892). Sacco, L' Appennino settentrionale ( Parte centrale). (Boll, della Soc. geol. it., voi. X) 1892. Mazzuoli, Nuove osservazioni sulle formazioni ofiolitiche della Riviera di Levante in Liguria Boll. Com. geol., voi. XXIII, 1892. L’ultima è accompagnata da uno studio topografico molto accurato. Le conclusioni de’ citati autori differiscono essenzialmente dalle mie, perchè, pur prescindendo dalle diverse età attribuite ai terreni, è diversa anche la suc- cessione stratigrafica stabilita pei medesimi ; per es. : gli strati n. 3 son rite- nuti superiori al n. 4, onde avviene che i da me creduti anticlinali sono da essi riguardati come sinclinali, e viceversa. Le cagioni di tali sostanziali diffe- renze derivano da ciò che io nel considerar que’ terreni mi sono partito dal- l’ Appennino toscano dove la serie de’ terreni è fossilifera, completa e ben chiara a stabilirsi ; i citati autori invece sono partiti dall’Appennino Ligure dove tali circostanze mai si verificano. È evidente che dove si hanno frequenti rovesciamenti e dove mancano i fossili mancano anche i criteri per istabilire una esatta successione dei terreni. DESCRIZIONE SOMMARIA ECO. 373 tratto, per es. a destra della Polcevera. Essi invece sono spesso verticali e quasi sempre pendenti, di 70° o meno, ad est, perciò a ridosso dell' anticlinale che termina a Genova ; sono quindi in parte rovesciati ed apparentemente sottostanti a roccie più antiche. Piega di Genova. — Il primo anticlinale che troviamo a le- vante della Polcevera è quella del calcare marnoso (Eocene medio) che probabilmente racchiude un lembo cretaceo indicato dal Pareto a Sant’Olcese. Esso comincia sotto i terreni miocenici di Savignone e Casella, traversa la Scrivia, indi la Sardonella e il Bisagno a valle di Struppa, e scende al mare nelle vicinanze di Sampierdarena e in Genova nel monte della Guardia, e a S. Benigno. La sua lunghezza visibile è di 18 chilometri. La direzione è con molta regolarità da nord a sud, e la disposizione anticlinale è ben manifesta lungo il torrente Sardonella. Nel lato occidentale della piega i calcari, come gli schisti sovrastanti del sinclinale della Polcevera, sono rovesciati, quasi generalmente pendendo verso est, anche in Genova, come si può vedere al monte della Guardia. Nel lato orientale le pendenze sono comunemente regolari : vi sono però, anco da questa parte, delle inversioni, fin di 40° ad ovest o sud-ovest nel monte Montanasco sul Bisagno, a Quezzi, a S. Gottardo, e vi sono for- tissimi contorcimenti nel monte Crovo, alla Croce di San Siro, presso Stagli eno e altrove. Fra questa piega e l’altra più orientale inter- cede un sinclinale (1-2), assai ampio e regolare, ad onta dei nu- merosi scontorcimenti, diretto anch’esso da nord a sud, da Bocchetta Ligure al mare presso la Sturla. Alcuni di quelli scontorcimenti, a S. Olcese e Montoggio, presso Struppa e Molassana, ricoprono anche pieghe secondarie e limitate dei calcari marnosi ad Helmin- thoida del lato orientale della piega descritta. Il sinclinale è oc- cupato dalla parte più alta dell’ Eocene superiore, cioè da argille schistose con poche arenarie, calcari compatti e diaspri, con pez- zetti di rame nativo, talora epigenici di denti di squalo. Queste argille, pella loro facile corrosione, formano una lunga bassura in mezzo ai calcari più resistenti. Il Pareto e l’ Issel le seguirono in gran parte dalla Sella e dalla Serra di Bavari a Maro e S. Eusebio, a Molassana e pel Rio omonimo sulla vetta della collina detta il Castelluzzo sopra l’Olmo, sulla Colla della Sisa, sempre nella valle 25 374 C. DE STEFANI del Bisagno, poi, passato lo spartiacque, in valle della Scrivia a Montoggio, alla Casella, nei monti di Salato. Tanto a levante quanto a ponente mi parve evidente la sovrapposizione ai calcari marnosi. Piega del monte Antola (2). — A levante, il detto sinclinale è chiuso da una piega convessa di calcari marnosi, con qualche banco d’arenaria e con estesi banchi di lavagne , piega più rag- guardevole dell’antecedente, lunga almeno 26 chilometri, poiché da levante di Rocchetta ligure si estende quasi regolarmente, diretta essa pure da nord a sud, con lievi e parziali deviazioni da nord- nord-est a sud-sud-ovest nella metà del suo percorso, fino al lito- rale marino, fra la Sturla e Recco. Di essa fa parte il monte An- tóla (1598 m.). A sud dell' Antola il vertice della piega scende presso a poco pei monti Duso (1456 m.) e Prela, pel monte Candelozzo (1034) e pei monti minori che separano il Bisagno dalla Lavagna. La disposizione anticlinale degli strati esteriori è evidente quasi in ogni punto, giacché i rovesciamenti sono assai meno generali che nel lato occidentale della piega di Genova. Il Bisagno traversa tutta la piega, e lungo esso, perciò, meglio che altrove, ne riman- gono schiarite le circostanze. Le contorsioni e le ondulazioni secondarie sono molto fre- quenti e potenti nell’ Antola, nel monte Lago (1943 m.), nella Sisa (979 m.), nel Pian di Croce, nelle pendici del monte Prete, ecc., Ma forse in niun luogo la distinzione fra quelle ondulazioni o pieghe secondarie si nota così evidente come lungo il Bisagno. Una di queste ondulazioni, la maggiore e più occidentale, con infinite contorsioni parziali, si estende sotto il monte Prete fra Noceto e Cavassolo ; l’asse dell’ anticlinale passa circa sotto Pie’ di Rosso, diretto da nord a sud; il lato occidentale di questa piega secondaria pende talora di 70° e più ad ovest. La piega più occidentale, minore assai, comparisce fra Cavas- solo e Prato, e l’asse del sinclinale intermedio, diretto pur esso quasi regolarmente da nord a sud, si manifesta appunto a mezzo- giorno di Cavassolo. Nel sinclinale (2-3) che segue la piega dell’Antola ad oriente si manifestano i galestri scuri della zona eocenica più recente, ma non in tutta la sua lunghezza, bensì come mandorla o come lente, DESCRIZIONE SOMMARIA ECC. 875 la quale cominciando a nord nel Comune di Propata, nell’alta valle del Brugneto, che è l’origine principale e più importante della Trebbia, scende a sud, traversando lo spartiacque del Trebbia nei dintorni di Garaventa, e lungo il torrente Laccio termina alla Scot- terà sullo spartiacque del Bisagno, nè più ricomparisce verso il mare, se non forse parzialmente a ridosso dell’ anticipale più orien- tale che or ora esamineremo, dove questo s’incurva a sud-ovest nel monte di Portofino. Questo sinclinale dunque, diretto prima irregolarmente da nord a sud, nella sua estremità meridionale sembra deviare, come tante altre pieghe più orientali, verso sud-ovest, parallelamente al Tirreno, e rimanere interrotto da questo mare. Coi galestri sono scarsa- mente arenarie, calcari, diaspri, brecciole con foraminifere, e sottili conglomerati di serpentino enstatitico e di diabase, i quali segnano 1’avvicinarsi delle eruzioni basiche tanto estese più ad oriente. Piega del monte Lesima (3). — Seguitando il nostro cam- mino a levante ritroviamo l’ anticipale formato per lo più dai cal- cari ad Helmintlioida, il più ragguardevole di tutto l’Apennino set- tentrionale per lunghezza e talora anche per ampiezza. Esso ha il nucleo formato per lo più, nella parte settentrionale, da calcari ad Helmintlioida , nella parte meridionale dall’arenaria dell’eocene medio : è quasi affatto parallelo ai precedenti e diretto perciò presso a poco da nord a sud, salvo alcune deviazioni talora fortissime, ma brevi; però nell’estremità meridionale, lungo il Tir- reno, devia debolmente a sud-sud-est, e corre parallelamente alla spiaggia. Comincia a settentrione sotto i terreni miocenici del Ca- stellai e della Cella di Bobbio, si alza nel monte Bogleglio (1490 m.) cingendo poi di due elevate file di montagne la parte alta della valle di Staffora fino al monte Lésima (1727 m.) che è la cima più alta della piega. L’anticlinale costeggia quindi la sinistra del Trebbia, passando sulla destra solo un minimo lembo de' calcari a monte di Ponte Organasco. La Trebbia lo traversa poi in tutta la sua ampiezza fra Loco e Trebbila, e ne mette bene in chiaro l’andamento. Lungo la Trebbia sono i monti Lesimina (1446 m.), e più a ponente il Cavalmurone (1671 m.), il monte Alfè (1651 m.), ed a ponente il monte Legno (1670 m.), e il Carmo (1642 m.); indi il monte Zu- 76 C. DE STEFANI chello (1422 m.), la Costalta (1328 m.), la Fracellana (1135 m.). Mentre a nord della Trebbia dominavano quasi esclusivemente i calcari marnosi ad Helminthoida , talora un poco scbistosi, intorno al fiume che appunto ne traversa la parte centrale, fra il Pianazzo e Trebbiola, sotto il monte Fogliata e intorno ai paesi Dondieri, Gostazza, Fascinetta, S. Brilla, Corna ed un poco più a sud, ap- paiono strati formanti quasi una cupola distinta, che io credo i più antichi di quella parte della piega e facenti passaggio all’ arenaria sottostante. Sono straterelli di schisti arenacei scuri, di calcare arenaceo o marnoso, e di arenaria non però in banchi alti. A sud della Trebbia, avvicinandosi il mare, i monti sono assai meno alti che a nord ; la piega traversa la valle della Lavagna e, stando al- l'andamento degli strati, devia come dissi verso sud-sud-est, lungo la spiaggia marina, raggiungendola da Camogli fino quasi a Setta fra Deiva e Framura. Siccome però la spiaggia è alquanto obliqua sulla direzione della piega e volge maggiormente a sud-est, così essa la traversa e ne mette a giorno le roccie, che credo le più an- tiche, cioè le arenarie dell’Eocene medio di Cavi, Sestri, Moneglia e Deiva snudate appunto dalla parte del mare, facenti passaggio con strati intermedi verso terra al calcare ad Helyiinthoida , ridotto però ad altezza minore assai che nel tratto settentrionale. La piega così ha una lunghezza di circa 70 chilometri ed è abbastanza regolare nella sua direzione; però, a differenza degli anticlinali più occidentali, non lo è altrettanto nella sua sezione trasversale. Il suo lato occidentale bensì pende regolarmente verso ovest, ma non sempre, come si disse, viene separato à&W a ut icli- nale dell’Antola mediante un sinclinale di schisti argillosi litolo- gicamente diversi ; pure, anco a mezzogiorno della Scotterà il sin- clinale fra le due pieghe è sufficientemente aperto per modo da potersi discernere i calcari marnosi spettanti all’ una e quelli spet- tanti all’altra. Lungo mare la piega è come dimezzata, ed il lato di sud-sud- ovest, almeno al disopra della superficie del mare, è stato portato via quasi completamente dalle onde. Il lato rivolto ad oriente ed a nord-nord-est, quasi generalmente, tanto lungo la parte della Staffora quanto lungo la Trebbia e in parte verso il mare, salvo fra Cavi e Sestri dove le arenarie serbano le pendenze regolari, è rovesciato contro levante, cioè contrariamente al rovesciamento del lato occi- DESCRIZIONE SOMMARIA ECO. 377 dentale della piega di Genova, e pendente pur esso verso nord, per lo più con rapida pendenza, talora anche solo di 45°. Questo rovesciamento fece credere a molti che i calcari ad Helminthoicla , come le arenarie di Moneglia e di Deiva, stessero sopra ai galestri ed alla zona delle Peridotiti, opinione contradetta dall’ordine, evidentemente invertito, secondo il quale le arenarie si succedono, e dalla regolarità quasi generale altrove. Del resto lungo la Lavagna e lungo il Trebbia si può osservare materialmente la disposizione anticlinale degli strati; nell’ ultimo fiume l’asse del- l’anticlinale può notarsi sotto il monte Fogliata e i Ravinelli, quasi rimpetto al Rio Finale. Prima di passare ai sinclinali più orientali esamineremo varie pieghe convesse che succedono da quella parte. Piega del Promontorio occidentale della Spezia (4). — Fra la destra della Trebbia, fra Trascino e Ottone, e la sinistra dei- fi Aveto, comparisce una piccola piega d’arenaria dell'Eocene medio, a strati sottili, cinta poi dai calcari ad Helminthoicla , i quali ap- paiono estesamente coll’arenaria tutto lungo l’alta valle dell’Aveto, senza passare a settentrione della foce di questo torrente nella Trebbia. Questa piega, la quale principia molto più a mezzogiorno dell’ anticlinale del monte Lesima, si dirige pur essa da nord a sud. Mi sembra probabile che questa piega, seguitando a mezzo- giorno, devii leggermente a sud-sud-est parallelamente all’estremità meridionale delle altre pieghe più occidentali, e sotto la copertura delle roccie dell’Eocene superiore comparisca nelle arenarie e ne’ cal- lcari ad Helminthoicla del monte Ghiffi e del monte Zatta traver- sando la parte più alta della valle del Taro. Nella predetta regione restano però ancora molte incertezze. Certo nell’immediato prolungamento della piega di monte Zatta, con direzione da nord-nord-est a sud-sud-est, comparisce il lungo anticlinale del promontorio occidentale della Spezia, che potrebbe essere l'estrema continuazione della piega dell’Aveto. Il nucleo for- mato dall’arenaria dell’Eocene medio comparisce tra il mare e la Tara nei dintorni di Carrodano e Cassana, nei monti Migianese, Malpertuso (820 m.), Capri (780 m.), Verugoli (740 m.), Brama- pane (678 m.) ecc. In mezzo all’arenaria, a sud di Cassana, per lunghezza di 25 chilom., compare successivamente tutta la serie 378 C. DE STEFANI delle roccie più antiche fino all’Infralias. Queste roccie, e tutte quelle più recenti, nella parte settentrionale, fino circa al vallone di Riccò, sono disposte ad anticlinale regolare sur ambedue le parti. Il lato orientale , dove l’ Infralias rimane direttamente scoperto sotto roccie assai recenti, seguita con pendenze regolari anche a mezzogiorno, e se ne vedono delle traccie sul mare al Forte di santa Maria ed al Pezzino: presso il ponte della Ciappa, sulla strada Spezia-Genova, sono alcune leggere pieghe secondarie, dalla qual locale apparenza, lo Zaccagna dedusse l’ esistenza di due an- ticlinali invece che d’uno (’). Nel lato occidentale invece la serie dei terreni è completa ; ed esso, a mezzogiorno del vallone di Riccò, poco a poco, procedendo a sud, si rovescia completamente contro ponente, e descrivendo un’elicoide si sdraia con pendenza non più a sud-ovest ma a nord-est, cioè contrariamente al rovesciamento del lato orientale della piega del Lesima; per modo che l'Infralias, cioè la roccia più antica, per la lunghezza di circa 8 chilometri, rimane altimetricamente sovrapposto ai terreni più recenti, cosa che ingannò per lungo tempo molti geologi. Questo rovesciamento fu riconosciuto dal Pareto, in un tempo nel quale la regolare so- vrapposizione degli strati nell’interno delle montagne formava assai più d’ora uno dei canoni della geologia (2). Il rovesciamento, dal terreno infraliassico più antico, si propaga fino ai terreni eocenici più recenti. L’arenaria dell’Eocene medio, nel lato occidentale, lungo mare, principia ed essere in parte rovesciata già fra Corniglio e Riomaggiore : da Riomaggiore alla punta Castagna gli strati are- nacei sono ordinariamente verticali, e di qui alla marina del Persico sono rovesciati. Piega del monte Penice (5) ed altre pieghe minori di Val di Staffora. — Poco dopo il termine settentrionale della piega di Trascino e dell’Aveto, ultimo probabile prolungamento di quella del promontorio occidentale, s’incontra la piega che dal suo monte più alto dirò piega del Penice. Essa, avendo per nucleo i calcari (Q M. Canavari, Contribuzione alla fauna del Lias inferiore di Spezia, 1888, fig. 7, 8, p. 144 e seg. (2) G. Guidoni e L. Pareto, Sulle montagne del Golfo della Spezia e sopra le Alpi Apuane. Biblioteca italiana, t. XLVII, Milano, 1832. DESCRIZIONE SOMMARIA ECO. 379- marnosi ad Helminthoida , comincia a nord, probabilmente nell'alta Val Tidone, diretta a principio da nord a sud parallelamente alla piega del Lesima: passa al monte d’Alpe (1252 m.) ed al monte Penice (1462 m.) il più alto di tutto l’anticlinale, e sollecitamente cambia alquanto direzione, deviando a sud-est parallelamente alla piega del Promontorio occidentale. La vetta dei Ginepri bruciati (1030 m.) è ancora formata dai calcari ad Helminthoida; ma a sud sulla Trebbia, sotto ai calcari, comparisce, per la lunghezza di poco più che tre chilometri, il nucleo d’arenaria dell’Eocene medio. La Trebbia lo traversa fra i Renai o Renati di Bobbio e Marsaglia. Verosimilmente la piega, con nucleo di calcari marnosi, seguita ad est pel monte Cogno e pel monte Rudella almeno fino a Farini d’Olmo sulla Nure, e pel monte S. Franca fino a Mor- fasso sulla Lubiana. È molto probabile che questa piega, deviando poi verso sud-est sia quella stessa la quale, con nucleo di calcari ad Helminthoida , si estende dal Ceno, pei monti Dosso, Albareto, Pareto, a Solignano sul Taro, dove la disposizione anticlinale è assai visibile, fino a monte Cassio (1022 m.), a monte Croce, e a Calestano sulla Baganza. Questa piega, come le più occidentali, è regolare ad ambedue i lati, salvo lievi inversioni. Lungo la Staffora, fra il monte Penice e la piega occidentale del Lesima, in mezzo al sinclinale degli schisti argillosi della zona eocenica successiva, appaiono una o due pieghette aventi per nucleo terreni cretacei, cinte pur esse da poco alto strato di calcare ad Helminthoida', ma sono talmente limitate che non turbano l’anda- mento del sinclinale piuttosto grandioso del quale poi si dirà. Sinclinale 3-4,5. — Prima di andare oltre esaminiamo il sinclinale esistente fra le già descritte pieghe del Lesima da una parte, del Promontorio occidentale e del Penice dall’altra. Essendo rovesciato, come si vide, contro levante, il lato orientale della piega del Lesima, ne viene che pure il sinclinale è rovesciato e che le pendenze di esso sono uniformi a sud-ovest od ovest-sud-ovest. Di questo rovesciamento ebbe da molto tempo qualche sospetto il Maz- zuoli (’); esso si manifesta a chiunque percorra la regione perpendi- colarmente agli strati ed è chiarito dalla successione invertita delle (l) L. Mazzuoli, Sul giacimento cuprifero della Gallinaria. Boll. Com. geol., 1885, p. 195, 380 C. DE STEFANI roccie. Partendo, sia dal litorale di Deiva e Moneg'lia verso oriente, sia dalla Spezia verso ponente, pel litorale, o pei torrenti Deiva o Mezema, pel Bisagno, per la strada del Bracco, pel Bargonasco o pel Gramolo, incontriamo successivamente; 1 Calcari marnosi ad Helmin- thoida ; 2 Strati arenacei, sckistoso-argillosi e calcarei dell'Eocene superiore ; 3 Gabbro ; 4 Peridotiti con Bastite e con Enstàtite al- ternanti coi Gabbri ; 5 Diabasi o Basalti poco o punto olivinici che formano il mezzo del sinclinale. Seguitando si ripete in or- dine inverso la medesima successione di roccie 4, 3, 2, 1. In qualche tratto, naturalmente, manca l’una o l’altra serie. Lungo il mare, nel promontorio fra Levanto e monte Rosso, la serie in- vertita arriva fino alle roccie della zona n. 2 dell’Eocene superiore le quali appunto formano tutta la spiaggia fra la Caserma delle guardie doganali di Levanto ed il lato sud-ovest del Mesco. Questo brano di roccie sedimentarie, benché direttamente sovrapposto alle Diabasi, ritengo non rappresenti il terreno più recente del Promon- torio, bensì il più antico, e credo risponda alla zona degli scbisti argillosi rovesciati sopra il sinclinale delle roccie eruttive e rap- presentanti là, come un isolato rimasuglio, il lato orientale della piega del L esima in continuazione degli scbisti argillosi situati più a nord-ovest, dentro terra, nel monte Serra tra Eramura e Déiva. S’intende che non faccio menzione di numerosi ripiegamenti secon- dari che turbano il sinclinale. A settentrione di Carrodano le Peridotiti, i Gabbri e le roccie dell’Eocene superiore coprono tutte le roccie anteriori dell' anticli- nale del Promontorio occidentale. Queste ricompariscono a nord nel monte Zatta, poi di nuovo nella valle dell’Aveto. Tra il monte Zatta e l’Aveto, le rocce eruttive le quali coprono l’anticlinale ar- rivano alle maggiori altezze dell’ Appennino nei monti Aiona (1700 m.), Nero (1681 m.), Penna (1735 m.) ed in altri monti vicini. Cessata la piega del Promontorio occidentale le roccie del- l’Eocene superiore seguitano a nord fra la piega del Lésima e quella del Penice ; il relativo sinclinale (3-5) è tuttora rovesciato con pendenze prevalenti ad ovest-sud-ovest, come il lato orientale della piega del Lésima. Piega dei Quadrelli (6) ed altre pieghe minori di Val di Trebbia. — Altre pieghe minori aventi per nucleo quasi unicamente calcari marnosi ad Helminthoida , assai friabili pei movimenti cui DESCRIZIONE SOMMARIA ECC. 381 vennero soggetti, seguitano più a nord-est lungo il Trebbia e il Nure con direzione presso a poco da nord-ovest a sud-est, quasi regolalmente parallele fra loro, e parallele anche al contine del- l'Àpennino dalla pianura padana, fatto a mio credere di molta im- portanza per l'orografia delTApennino. Esse furono soggette a mag- giori rovesciamenti delle pieghe precedenti. Scendendo la Trebbia, a nord-est del monte Penice, dopo rag- guardevole estensione di schisti argillosi e di rocce eruttive, ap- parisce un piccolo anticlinale di calcari marnosi a Helminthoida , sulla riva sinistra del fiume, sotto la Pietra Parcellara, fra Con- sensio e Rondanera. Non sale a più di 125 m. sul fimne ed ha poco più di mezzo chilometro d'ampiezza. Quantunque ben distinto, ha strati alquanto contorti e nel lato orientale alquanto rovesciati e pendenti a sud-ovest. La destra del fiume è coperta da altis- sime frane e solo in certi punti vi apparisce qualche brano di calcari in posto. Il grosso masso serpentinoso. del casale a le- vante di Ponte, quasi sul fiume, apparentemente nel posto de’ cal- cari marnosi, trarrebbe in inganno intorno alla sua posizione, se un attento esame non persuadesse che è uno dei massi franati dall’alto, dal monte Armelio. Più a levante presso il Perino, poco più di 150 m. a monte dell’osteria della Posta, lungo la strada Nazionale, s’incontra altro piccolissimo e regolare anticlinale in cui apparisce la Creta supe- riore, in strati verticali, per l’estensione di 8 o 10 mq. appena, discordanti nel modo più evidente sotto strati alti 3 o 4 m. al più di calcari marnosi. È verosimile che altre pieghette di questi, forse molto ristrette e compresse, appaiano in molti altri punti ; ma sem- brami poco possibile distinguerle sempre dai casi di pure e sem- plici alternanze. Nondimeno, scendendo ancora la Trebbia, troviamo ai Quadrelli, sulla destra del fiume, una intercalazione più ragguardevole dei detti calcari in mezzo agli schisti. Ivi gli strati pendono tutti uniformemente ad ovest-sud-ovest ; ammessa dunque, come dirò ora, 1'esistenza di una piega distinta, bisogna anche ammettere il suo rovesciamento che avrebbe avuto luogo nello stesso verso della piega del Lesima, cioè contro nord-est, contro la valle Padana. I calcari seguitano a sud-est pel monte Viserano e pei Cassinari al monte s. Anna e sotto Missano fino al Nure. Sulla sinistra del torrente, appunto sotto Missano, fra C. Murlo e Lugazzano, i cal- 382 C. DE STEFANI cari appaiono, non più come semplice intercalazione, ma come vero anticlinale, nel quale la curva degli strati più interni, sebbene molto scontorti, è assai visibile. Strila destra del Nure seguitano fra il Rio Cassino e il Rio dei Cornaletti, per lo meno sotto Ca- stelnardo verso il torrente Riglio, ed è quasi certamente questa piega, che ricomparisce rovesciata e come uniclmale pendente a sud-ovest ne’ calcari ad Helminthoida di Montechiuso e del Ca- stello di Montechino sul Riglio, ai cui due lati, dalle argille sca- gliose dell’Eocene superiore, viene estratto con pozzi il petrolio. Piega di Rivergaro (7). — Prescindendo da parecchie altre pieghe minori che probabilmente si manifestano in ispecie sul Nure, un anticlinale dei calcari ad Helminthoida, molto più ragguarde- vole e regolare, si manifesta all’uscita dei torrenti Riglio, Nure, Trebbia, Curetta e termina col lato nord est parzialmente scom- pleto verso la pianura, interrotto da terreni quaternari e pliocenici: dal principal comune ch’esso traversa lo chiamo piega od anlicli- nale di Rivergaro. Dal monte Bissago (579 m.) sulla Luretta, passa al monte Pillerone (594 m.) sul Trebbia, che traversa la piega fra il torrente Guardalabbia e i borghi di Statto e Savignano. Sulla destra della Trebbia passa al monte Dinavolo (700 m.), al Colle Castagnolo e al Colle Merlerà e scende al Nure che lo traversa da Carmiano fin poco a monte di Albarola. Sulla destra del Nure si alza alla Costa di Monte e va al Riglio ed al Chero. Lungo il Trebbia l’andamento degli strati è sufficentemente regolare, verso sud-ovest da una parte, verso nord-est dall’altra, e la divaricazione sembra manifestarsi presso a poco sotto Cisiano. Anche lungo il Nure, ad onta di parziali inversioni, le stratificazioni sono sufficen- temente regolari, e circa sotto Ustiano sembra passare l’asse della piega. In questi luoghi, come già notò il Taramelli, gli strati eoce- cenici si avvicinano il più alla pianura padana. Sinclinali 4, 5 — 6, 7, 8. — Fra le pieghe del Promontorio oc- cidentale e del Penice, quelle dei calcari marnosi dei Quadrelli e di Rivergaro e le altre del monte Molinatico e di Val di Magra che vedremo or ora, le roccie dell' Eocene superiore si dispongono in sinclinale assai ampio nell’alto delle valli del Taro, del Ceno, del Nure e sul Trebbia fra Bobbio e i Quadrelli. Le roccie sud- dette, sedimentarie ed eruttive, collegano insieme tutti gli anticli- DESCRIZIONE SOMMARIA EUC. 383 nuli predetti, i quali spuntano fuori dalle medesime a guisa di bottoni dall’ occhiello. Nelle valli del Nure e della Trebbia il sinclinale (5-6) è a volte tanto ampio che gli schisti argillosi ed i galestri formanti la zona fra le roccie eruttive ed i calcari ad Helminthoida costi- tuiscono il fondo delle valli, coprendo anche gli anticlinali minori, come quelli dei calcari marnosi di Condente e quelli della Creta di Perino e dei Bruzzi, mentre le Peridotiti formano la sommità di parecchi monti. L’ampiezza del sinclinale non esclude però resi- stenza di ribaltamenti spesso ragguardevoli. La serie delle Perido- titi, giacché si tratta quasi solo di questa specie di roccie eruttive, la quale da nord-ovest di Bobbio, da Komagnese nell'alta valle del Tidone, va a Pietra di Corvo, Sassi neri, al Groppo, monte Pradegna, Degara, Grotta di San Colombano, monte Barbarino, monte Gavi, monte Materano, monte Castello, Tre Abati, Costa della Capra, monte S. Agostino a levante di Coli, ed accenna ai lembi che si trovano a ponente di Farini l’Olmo ed alle Ferriere, questa serie è situata nell’asse o fondo del sinclinale 5-6 e mentre copre con molta regolarità a sud-ovest gli schisti argillosi o marne salate addossati alla piega del Penice, e talora, nei dintorni di Bobbio , orizzontali o quasi , a nord-est invece è coperta dagli stessi schisti formanti il lato orientale del sinclinale ed occiden- tale della piega convessa 6, la quale dai Quadrelli sul Trebbia va a Farini d’Olmo sul Nure. Questi schisti perciò sono rovesciati, e parrebbero più recenti delle Peridotiti del monte Barbarino e di S. Colombano. Ma a poco per volta si raddrizzano, e lungo il Trebbia fra Cadonica e Cassola già hanno assunto la debita pen- denza a sud-ovest e la conservano per tutta la lunghezza di quella e delle contigue valli fino all’ anticlinale più esterno (7) de’ cal- cari marnosi. Quella pendenza a sud-ovest si conserva anche nel lato nord-est del piccolo anticlinale di Perino nel quale la Creta ed i calcari marnosi ad Helminthoida sono disposti regolarmente, mentre gli schisti argillosi dell’ Eocene superiore, in quel lato nord-est, salvo gli strati immediatamente adiacenti ai calcari, hanno pendenza invertita fino di 17° e più verso ovest o sud-ovest, ap- parentemente sottostante alle roccie più antiche, come del resto sono rovesciati contro la pianura padana, e pendenti tutti a sud- ovest gli strati dell’anticlinale dai Quadrelli al Nure. In Val di Trebbia dunque si ha da una parte, verso Bobbio, un parziale ro- 384 C. DE STEFANI vesciamento dell’ Eocene superiore contro l’Àppennino, dall’ altra parte opposta, Terso l’uscita in piano, un rovesciamento più esteso contro la valle del Po. Nelle valli del Ceno e del Taro il sinclinale fra le pieghe del monte Zatta, cioè del Promontorio occidentale (4), di Solignano, probabile continuazione della piega del Penice (5), e quelle che ora vedremo del Cornoviglio (11), del Molinatico (12) e di Pon- tremoli (lo) si estende, da Borgotaro a Bardi, un ampio e rego- lare sinclinale occupato da rocce del Miocene il più antico, al- quanto lignit i fere. Piega del Promontorio orientale della Spezia (8). — Il Pro- montorio orientale della Spezia, per quanto riguarda i terreni eoce- nici, formava probabilmente in origine una sola piega diretta da nord-ovest a sud-est, parallelamente al Promontorio occidentale, sul cui termine settentrionale non sono ben certo; però nell’interno di essa compaiono gli strati schistosi più antichi dell’ Appennino, in parte forse paleozoici, e questi, come quasi sempre accade nell’in- terno delle pieghe maggiori, sono disposti in pieghe secondarie. Gli schisti antichi predetti formano il nucleo di due di tali pie- ghe, una situata poco a nord-ovest dell’altra, che insieme costitui- scono il Promontorio orientale. Nella piega nord-ovest gli schisti, e più propriamente la quarzite colla quale essi terminano, comin- ciano intorno a Migliarina e seguitano a sud lungo la spiaggia occidentale del Promontorio, terminando in strati orizzontali od appena ondulati al Castello di Lerici. La pendenza degli strati in- torno a Pitelli, dove raggiungono la maggiore estensione, è verso nord nord-est e nord-est: non emerge dunque se non il lato orien- tale della piega, che è interrotto ad ovest sul Golfo. Gli strati più antichi sul mare, nel monte Fornolo, pendono circa di 40°, ma a levante via via si raddrizzano, ed i più recenti e più orientali, nel monte Cerri, pendono già di 70°, avviandosi così a quel par- ziale rovesciamento che si manifesta poi chiaramente in più tratti nelle roccie del Lias inferiore e del Titoniano. Nei dintorni di Arcola diaspri e schisti Titoniani stanno or- dinariamente sopra l’ Infralias con grande salto d’età ma senza ap- parente discordanza stratigrafica ; i loro strati inferiori, a nord del Canale Quercio, principiano già ad essere rovesciati e più lo sono i superiori, i quali pendono già di 27° ad ovest 24 sud e rico- DESCRIZIONE SOMMARIA ECC. 385 prono terreni eocenici più recenti. Questi terreni e gli altri cretacei dei dintorni di Vezzano, fra la Durasca e la Ressora, per circa 8 chilometri, sono rovesciati a nord-est contro la Magra, ed in senso contrario al rovesciamento del Promontorio occidentale, con questa differenza, che nel Promontorio occidentale è regolare 1’ estremità nord e rovesciata quella sud, mentre nell’orientale accade l’opposto. I rovesciamenti hanno luogo come se divergessero dalla regione del Golfo. Nell' estremità meridionale della stessa piega, da Barcola alla Punta di Treggiano, i calcari del Lias inferiore costituiscono il fondo del sinclinale che separa la detta piega dall'altra situata più a sud-est. e pendendo essi costantemente circa di 50° a sud- ovest ne avviene che il sinclinale è rovesciato contro la Magra nello stesso senso de’ terreni titoniani, cretacei ed eocenici più settentrionali. Nella piega sud-est, lunga circa 8 chilometri, che per un certo tratto a nord va parallela alla precedente, gli strati schistosi in- feriori si trovano sul mare, nel tratto estremo, e formano una dol- cissima vòlta, verso il fiume Magra, in parte scoperta ad est, in parte cinta ad est e ad ovest dal calcare infraliassico. La quarzite più recente ricomparisce presso il termine settentrionale della piega, per brevissimo tratto nel fondo del torrentello sulla via al primo bivio della strada rotabile che provenendo da Pitelli va a Pugliola. Le altre roccie stanno attorno con regolarità. Lo spazio compreso tra le pieghe del Promontorio occiden- tale (4) e di quello orientale (8), cioè il Golfo ed il Piano di Spezia che prosegue nella valle di Ricco, risponde ad un ampio sinclinale (4-8), evidente, quantunque gli strati degli anticlinali adiacenti siano in parte scompleti pella erosione prodotta dal mare. L’Issel scrive: « noi crediamo col Zaccagna che le stratificazioni dei due promontori della Spezia costituiscano i resti di un anti- clinale coricato ad ovest, il quale negli ultimi tempi dell’era ter- ziaria avrebbe perduto la vòlta e sarebbe stato lungo il suo asse profondamente incavato dalla erosione, generandosi così la valle sottomarina di cui risulta il Golfo (’) ». Però ne’ Promontori della Spezia esistono, come si è già visto, almeno tre anticlinali ben di- pi A. Issel, Il terremoto del 1887 in Liguria. Boll. Coni, geol., 1888, pag\ 41. 386 C. DE STEFANI stinti con separazione perfetta di quello del Promontorio occiden- tale dagli altri. Un sinclinale molto ampio, rispondente alla Yal di Vara ed alla parte inferiore della Yal di Magra, separa le pieghe del Pro- montorio orientale da quella successiva del monte Cornoviglio e delle Alpi impilane (11). Il sinclinale (8-9, 11), formato da rocche dell’ Eocene superiore, pella prima volta lo troviamo riempito, nella parte inferiore di Val di Magra, da terreni del Miocene superiore e da strati orizzontali del Pliocene. Piega di Castellinovi Magra (9). — Le pieghe che seguite- remo ad incontrare nell' Appennino più a levante diversificano da quelle esaminate fin qui, perchè, piu- prescindendo dalle pieghe con roccie molto antiche delle Alpi Apuane, le altre hanno per lo più per nucleo l’arenaria dell’ Eocene medio. A levante del Promontorio orientale e parallele a questo suc- cedono le numerose pieghe delle Alpi Apuane, le quali preoccu- pano quasi solo le roccie più antiche e più interne sottostanti alla copertura de’ terreni eocenici. Però la prima piega che s’ incontra ha per nucleo l’arenaria dell’ Eocene medio ed è in certo modo indipendente dalle altre più orientali. Essa è regolare e si dirige da nord-ovest a sud-est, circa dalla Magra, per la Calcandola, per Castelnuovo Magra ('), Nicola, il Castellato (2) fino alla destra del torrente Carrione dove la disposizione anticlinale degli strati è ben visibile. Un sinclinale di calcari ad Elmintlioida e di schisti dei- fi Eocene superiore, molto contorti e talora quasi verticali, separa la detta piega dalla regione centrale delle Alpi Apuane e dalla principale piega convessa che dà origine a queste. Piega di Camaiore (IO). — Assai più a mezzogiorno nel pro- lungamento ideale della detta piega (9), sempre nel lato tirreno, e addossato al termine meridionale della regione centrale delle Alpi Apuane che sopravanza di poco a sud, è altro anticlinale indipen- (0 D. Zuccagna, Una escursione nella regione marmifera del Carra- rese. Boll. Com. geol., 1881, p. 481, sez. 3. (2) B. Lotti, La doppia piega d'Arni e la sezione trasversale delle Alpi Apuane. Boll. Com. geol., 1881, sez. 1. DESCRIZIONE SOMMARIA ECC. 387 dente, che da Val di Castello si estende a Camaiore ed a Mon- tramito, da nord-nord-ovest a snd-sud-est, con lunghezza di circa 8.500 m., con nucleo di schisti triassici e di calcari cretacei, in parte dimezzato nel lato occidentale lungo la pianura ed il mare. La piega, coperta nel lato orientale dall’arenaria, seguita certo lungo la pianura, benché la denudazione l’abbia fatta superficialmente scomparire, e dubito che dalla immediata continuazione dell'arena- ria del predetto lato abbia a sorgere il colletto arenaceo isolato nella pianura fra il cimitero di Massarosa e la Vincentella. Un sinclinale diroccie dell’Eocene superiore separa le dette zone d'are- naria dagli anticlinali più orientali, ma desso finisce poco a nord di Massarosa, dove i lembi laterali di arenaria delle due pieghe contigue si riuniscono. Però nell’arenaria ad est della parte meri- dionale della piega di Camaiore si nota qualche piega molto se- condaria, come nei colli di Bargecchia. Piega del Cornoviglio e della regione centrale delle Alpi Apuane (11). — La piega principalissima comprendente la regione centrale delle Alpi Apuane si eleva ad est delle pieghe precedenti e del Promontorio orientale, ed ha principio assai oltre nell' Appen- nino. A partire dalle origini del Taro e dalle sorgenti della Vara tutta la sinistra parte di questo fiume è costeggiata da una ele- vata cresta diretta da nord-ovest a sud-est, la quale, partendo dal monte Zuccone, dal Gottero (1639 m.), uno dei più alti dell’Appen- nino, seguita pei monti Antessio (1161 m.), Picchiava (1158 m.), Tondo (1207 m.), Cornoviglio (1163 m.), Alpicella (825 m.) fino alla Magra, dove l’intima strattura degli strati è chiaramente scoperta. Alla cresta predetta risponde un anticlinale regolare, diretto da nord-ovest a sud-est, parallelamente alle pieghe della Spezia ed all’estremità meridionale della piega del Lésima, dove l'arenaria eocenica apparisce come nucleo : ivi principia la gran piega di roccie eoceniche la quale seguita sulla sinistra della Magra chiudendo e ricoprendo tutte le pieghe a nucleo paleozoico della regione cen- trale delle Alpi Apuane e finisce sul Serchio rimpetto al monte Pisano. La sua importanza è dunque di gran lunga maggiore a qella delle altre pieghe fin qui esaminate: dessa prova di per se come in sostanza le Alpi Apuane non appartengano oggigiorno ad un sistema orografico e geografico diverso da quello dell’ Appennino. C. DE STEFANI Piega del monte Molinatico (12). — Ad est della piega del Promontorio occidentale ed a nord-est del Gottero. separata da ampia estensione di roccie dell’Eocene superiore, si manifesta l'el- lissoide quasi regolare con nucleo d'arenaria eocenica, la quale, principiando sulla sinistra del Taro, rimpetto a Borgotaro sulla destra del fiume, sale al monte Molinatico (1549 m.) ed alla Montagna pelata (1427 m.) e quivi cessa confinata a levante dal- l’Eocene superiore della Cisa. Gli strati sono d’ogn' intorno quasi perfettamente regolari e la lunghezza massima del nucleo è di circa 10 chil. da est-nord-est ad ovest-sud-ovest. In questa piega si ha il primo esempio, fra tutti quelli esa- minati, di una disposizione degli strati, non già ad ellissoide' molto allungata, con assi assai differenti, ma quasi a cupola con assi poco diversi. Piega di Pontremoli (13). Ancora a levante del Gottero, ma a mezzogiorno della piega di monte Molinatico, separata da questa mediante regolare sinclinale di roccie dell’Eocene superiore lungo la sinistra del Verde e nei dintorni di Grondola e Monte- lungo, sta questa ampia ma bassa cupola d'arenaria dell’Eocene medio, avente per nucleo terreni cretacei e titoniani a Giaredo sulla Gordana, a circonferenza sufficentemente regolare, il cui centro ri- sponde quasi a Pontremoli. Le valli del Caprio, della Magriola, del Verde, della Betigna, della Gordana, del Teglia, tutte fluenti alla Magra la traversano nella loro parte inferiore. Sono notevoli la regolarità e l’ampiezza di queste cupole are- nacee di monte Molinatico e di Pontremoli, sebbene si trovino quasi nella parte centrale dell’Apennino ed in mezzo ad altre pieghe for- temente contorte e rovesciate. Piega della Bandita di Fivizzano (14). — Ancora a sud, anzi a sud-est e direttamente a levante della piega del Cornoviglio (9), si manifesta un piccolo anticlinale regolare d’arenaria. Sorge poco a sud-est di Fivizzano, nel monte Bandita, e scen- dendo alTAulella fra Casola e Codiponte, dopo appena 4 chilom., DESCRIZIONE SOMMARIA ECC. 389 passa alle Alpi Apuane, coprendo le roccie infraliassiclie e Massiche formanti un nucleo sufficientemente distinto dalle altre pieghe apuane lungo la Tassonara. La direzione è sul principio precisa- mente da nord a sud, perciò parallella alle pieghe di Genova, del- l’Antola ed alla prima parte del Lesima ; bensì devia poi alquanto a sud-ovest come tutte le altre pieghe meridionali. Anche mediante questa piega le Alpi Apuane si trovano intimamente annesse al rimamente Apennino di cui fanno parte. Pieghe interne della regione centrale delle Alpi Apuane (11-14). — Il sinclinale (11-14) situato fra la detta piega di Fi- vizzano e quella del Cornoviglio è occupato da roccie appartenenti all’Eocene superiore, e cessa irregolarmente incuneato nelle Alpi Apuane, lungo il Lucido e nel monte d’Ugliancaldo, dove cessa l’arenaria eocenica formante da quella parte uno de’ giri esterni delle Alpi Apuane. L’ arenaria formante il lato occidentale della piega del Cornoviglio seguita ad occidente delle Alpi Apuane, lungo il mare, fino ai dintorni di Massa. D’altra parte l’arenaria del lato orientale della piega della Bandita di Fivizzano, cinge estesamente, frastagliata da qualche piega molto secondaria, tutto il lato orien- tale della regione centrale delle Alpi Apuane, costeggiando la destra del Serchio fino alla Torrite di Gallicano. Di qui, deviando a sud-ovest, con strati poco inclinati, cinge la regione centrale a mezzogiorno, ne’ monti Albano, Bicocca, Bal- doria, Poraglicf, nell'Alpe della Pescaglia, passa ai colli di Fon- dagno, Partigliano, Tempagnano fino alla Vinciola, alla Freddana e al Serchio; poi si estende a mezzogiorno della Freddana fino ai poggi di Fibbialla, e di Valpromaro ed al monte Ghilardona, ai colli di Pedona, e Stiava, tornando a sinistra della Freddana ne’ poggi di Gombitelli e di Nocchi. Quivi l’arenaria interrompe il suo giro attorno Alle Alpi Apuane dalla parte del mare Tirreno e non lo riprende che nei dintorni di Massa. A levante, dalla Tor- rite di Gallicano in poi. essa stessa forma il sinclinale che separa la regione centrale dalla piega più orientale di Torrite Cava ; nel- l’estremità meridionale del suo ampio giro forma il sinclinale fra la detta regione e la piega di monte Bozzapila (15). Non istarò a ripetere la descrizione di tutte le pieghe le quali tur- barono gli strati più antichi della regione centrale delle Alpi Apuane. 26 390 C. DE STEFANI Ne feci altrove imo studio particolareggiato (*); però un breve cenno mostrerà le differenze non piccole che passano fra le mede- sime ed il rimanente dell’ Appennino. La regione è fra le più di- sturbate e per ora è una fra quelle donde si possono ricavare i più importanti ammaestramenti intorno alla disposizione delle pieghe ed all’ origine delle montagne. Dalla piega principale Frigido-Versilia (A), diretta da nord- nord-ovest a sud-sud-est, si parte ad oriente l’altra piega — Ver- silia-Valle di Gramolazzo (B) — diretta da nord a sud. Da quest’ultima ha origine ad oriente la piega di Mosceta o C, la quale descrive un semicerchio convesso ad ovest, a metà circa del quale si parte l’altra piega D verso settentrione. Comprese fra le pieghe B, C, D, altre se ne trovano, concentriche fra loro, cur- vate a ferro di cavallo, colla convessità a mezzogiorno e l’apertura a settentrione, tutte disposte attorno al monte Sombra , che è come il pernio attorno al quale le pieghe hanno girato; esse sono uni- formente rovesciate verso l'interno. Il giro di queste pieghe attorno al monte Sombra costituisce uno dei fenomeni stratigrafici più no- tevoli fra quelli che sono finora conosciuti. Altre piccole pieghe si trovano a levante, e fra queste sono notevoli alcune, ne’ dintorni d’Ugliancaldo e di Corfigliano, nelle quali i calcari nummolitici dell’eocene medio si trovano strettamente impigliati in mezzo ai terreni triassici. Ciò prova che le pieghe interne delle Alpi Apuane, sebbene abbiano avuto principio in età antiche, pur durarono a formarsi in tempi molto recenti insieme con tutte quelle del restante Apennino. Fra le altre pieghe d’importanza minore che si trovano a le- vante della regione centrale sono anche a ricordarsi quelle tre o quattro della Pania secca, e delle sue pendici verso la Torrite, brevi, dirette da ovest-sud-ovest ad est-nord-est, e rovesciate tutte con pendenza verso nord-ovest. Non le descrissi nel mio citato la- voro, non avendone sceverato tutte le circostanze, e solo le accennai più tardi (2). (*) C. De Stefani, Le pieghe delle Alpi Apuane. Firenze, Le Mon- nien, 1889. (2) C. De Stefani, Gli antichi ghiacciai delle Alpi Apuane. Bull, del Club alp. it., 1891, p. 7. DESCRIZIONE SOMMARIA ECO. 391 Ad est troviamo ancora le piccole pieghe con nucleo infralias- sico di presso Deccio sulla Tórrite Secca e di sotto Calomini sulla Tórrite di Gallicano, situate forse anche in continuazione l’una dell'altra, dirette circa da nord-nord-ovest a sud-sud-est, rego- lare la prima, formata da strati molto contorti ed in parte rove- sciati la seconda. Fra questa e le pieghe A, B, G è ancora la piega del Forno Yolasco, avente per nucleo schisti triassici, regolare, a curva assai ampia, coll’asse maggiore diretto circa da nord-est a sud-ovest. Altre minori pieghe, in parte completamente rovesciate, si tro- vato alquanto più a mezzogiorno. Principale fra queste è quella con nucleo infraliassico, che dalle Capanne di Pascoso giunge a Tor- ciliano sul Lucese, diretta circa da nord a sud, a guisa di ampio semicerchio convesso verso levante, esempio che per solito non è dato dalle altre pieghe delle Alpi Apuane, irregolarmente rove- sciata, parte a levante, parte a ponente, cioè non sempre verso la parte interna della curva, esempio che pure non ci è offerto dalle altre pieghe. Fra la detta piega e l’altra della Tórrite Cava che si esami- nerà poi, è quella più breve, che dall’Ajola giunge alla Pedogna, in parte rovesciata con pendenza ad ovest. Piaga di monta Bozzapila (15). — A sud della cintura are- nacea che chiude la regione centrale delle Alpi Apuane ed a sud- est della piega più esterna di Camaiore (10), quella giogaia si restringe molto e, salvo lievissime ondulazioni di terreni eocenici, è costituita da pieghe uniche e brevi. Prima comparisce la piega regolare di monte Bozzapila, con nucleo di diaspri giuresi più volte contorti e ripiegati, lungo circa 4 chilometri e circondata quasi peli’ intero da terreni eocenici ne’ quali si manifestano brevi ondulazioni minori. La direzione torna da capo ad essere da nord a sud come le pieghe più settentrionali dell’Appennino genovese. Piega delle Avane (16). — Sorge appena più a ponente della terminazione meridionale della piega precedente ed è l’ultimo ter- mine delle Alpi Apuane. Anche questa è diretta da nord a sud, ma con leggera convessità a nord-est: è lunga circa 6,500 m. All’op- posto della piega di Camaiore (10) è completa solo dalla parte del 392 C. DE STEFANI mare, mostrando essa gli strati interni tino all'Infralias, a sud e specialmente ad est, lungo il Serchio che la interrompe. In origine proseguiva certamente lungo la pianura, parallelamente al monte Pisano, e probabilmente è tutta rovesciata contro est con pendenza regolare ad ovest, come la successiva piega delle Mulina nel monte Pisano. Questi eventuali rovesciamenti non potevano aver luogo senza un'alta copertura di roccie sovrastanti delle quali oggi non è rima- sta alcuna traccia. Piega del monte Pisano (17). — All’estremità meridionale delle Alpi Apuane e nella loro apparente continuazione succede il monte Pisano, le cui pieghe, principale o secondaria, sono però affatto indipendenti. Un sinclinale profondissimo (16-17) di arenarie eoceniche separa le due regioni ed è trasversato dal Serchio prima di gettarsi in mare. Gli attuali lavori pel nuovo emissario del Pa- lude di Bientina, parallello al Serchio, hanno dato occasione ad am- plissimi scavi lino al disotto dell'alveo del fiume ed hanno messo allo scoperto il sottosuolo argilloso e sabbioso, anteriore al pas- saggio del Serchio per quelle parti, e quasi certamente pliocenico, riconfermando così che la valle di Ripafratta è una valle antica di sinclinale, e non affatto recente e di erosione. I terreni eocenici coprivano verosimilmente, una volta, tutto il monte Pisano, formandovi attorno una sola piega abbastanza rag- guardevole : oggi se ne trovano scarsi lembi solo nel lato occiden- tale lungo il Serchio ed a nord-est nella collina di S. Leonardo. Nelle rocce antiche, le quali formano il monte, sono a distin- guere due pieghe, di disuguale importanza. Ad est della piega delle Avane e parallela a questa ed al Serchio, nell’estremità nord- ovest del monte, è la piega delle Mulina, lunga circa 5 chilometri, avente nucleo triassico, rovesciata contro est, diretta da nord a sud con leggera convessità ad ovest. A sud-est succede la piega principale, avente per nucleo ter- reni paleozoici, la quale costituisce un’ellissoide molto ampia ad assi quasi uguali; l’asse maggiore è diretto da nord-ovest a sud-est. Col monte Pisano si arriva al termine meridionale della re- gione che abbiamo impreso ad esaminare, cioè al parallelo di Fi- renze; ma in rispondenza ad esso l’Apennino raggiunge un’ampiezza DESCRIZIONE SOMMARIA ECC. 393 trasversale già molto ragguardevole e gran numero di pieghe s’in- contrano ancora più a levante. Piega di Diecimo (18). — Si è visto come mediante le pieghe del Cornoviglio (11) e della Bandita di Fivizzano (14) le Alpi Apuane facciano parte integrante dell' Appennino. Questo fatto im- portante ci è riconfermato da altre pieghe. Finora nelle Alpi Apuane non si è ripetuto il caso ordinario dell’ Appennino genovese, di pieghe dirette prima più o meno se- condo il meridiano e deviate nella loro estremità meridionale verso est o sud-est. Questo caso si manifesta in alcune pieghe laterali non ancora esaminato, le quali pure, originate nelle Alpi Apuane, deviano ed entrano a far parte dell’Appennino, connettendo stretta- mente questo con quelle. Già in addietro non abbiamo escluso che le estreme pieghe a levante della regione centrale lungo il Serchio, di presso Deccio sulla Tornite Secca e di sotto Calómini sulla Tornite di Gallicano, dirette circa da nord-nord-ovest a sud-sud-est, siano il prolungamento l’una dell’altra. Più probabile, al di sotto dell’estesissima cintura d’arenaria eocenica, è il collegamento fra l’ultima piega e quella che si manifesta più a sud a partire dal monte Palódina, nella parte inferiore della valle della Tornite Cava, parallelamente ed a levante dell’estremità meridionale della principal piega A della regione centrale apuana, e separata da questa mediante esteso sin- clinale d'arenaria entro il quale si manifestano pieghe piccole e secondarie. Il nucleo più antico, che apparisce lungo la Tornite Cava, è costituito da rocce del sistema liassico, alle quali, a sud e sud-est, subentrano rocce via via più recenti. La piega è una delle più grandi delle Alpi Apuane, ampia e nell’insieme molto regolare, quantunque i singoli strati siano sovente assai turbati e scontorti. A principio ha direzione da nord-nord-ovest a sud-sud-est e si di- lunga, sempre facendo parte delle Alpi Apuane, dal monte Palo- dina, fino ad Aquilea sul Serchio per circa 13.500 m. ; però a sud del Borgo a Mozzano e di Diecimo essa devia da ovest ad est e seguita come parte dell’ Appennino : ivi appunto il Serchio, come la Magra più a nord, forma una vallata di erosione, in fondo alla quale si scoprono terreni giuresi, e confina le Alpi Apuane, cui 394 C. DE STEFANI rimane la parte di piega che è sulla destra, dall’ Appennino nel quale seguita la piega a sinistra. Entrata nell’ Appennino la piega continua per circa 23 km. fino alla Nievole e probabilmente alla pianura Pistoiese, parallelamente ad altre pieghe più settentrionali che poi esamineremo. A principio, sul Serchio, per un centro tratto serba il nucleo di rocce cretacee e titoniane assai contorte. Nel- l'estremità orientale, sotto l’estremo lembo della piega verso la pia- nura, nei dintorni di Montecatini di vai di Nievole, come alla Forra- buia ed al Mulino di Vico sulla Nievole, ricomparisce il nucleo delle rocce più antiche titoniane e liassiche, non forse come ininterrotta continuazione del nucleo esistente lungo il Serchio, ma certo nel pro- seguimento dell’asse del medesimo, o parallelo ad esso: anche quel nucleo è diretto da ovest ad est o da sud-ovest a nord-est. L’ing. Zaccagna lo ritenne diretto da nord a sud perpendicolarmente al piano (1), ciò che non si accorda colle pendenze del poggio di Mon- tecatini. Il lungo tratto intermedio fra i due nuclei del Serchio e di Montecatini è interamente formato dall’arenaria eocenica, e siccome il sinclinale che separa la piega dalle altre più settentrionali non è costituito da rocce eterogenee ma dalla stessa arenaria, e non è palesato da alcun tratto geografico, così l’ esistenza dell’anticlinale si può dedurre solo attentamente studiando la pendenza degli strati. Questi, nel lato meridionale della piega, pendono uniformemente e costantemente a sud o sud-ovest verso la pianura di Lucca e la Val di Nievole. L’anticlinale dunque risponde alle vette che sepa- rano la detta regione dalla Val di Lima. Pieghe del monte Albano (19). — Fatto singolare a notarsi è questo, che in rispondenza all’estremità orientale della piega pre- detta e quasi perpendicolarmente ad essa si dilunga la piccola e stretta giogaia del monte Albano la quale riacquista la solita direzione appenninica nord-ovest a sud-est, perciò parallela al più occidentale monte Pisano. Non è fuori d’ogni probabilità che essa sia una sem- plice ulteriore deviazione della piega di Diecimo : è costituita da molte piccole pieghe aventi tutte per nucleo terreni cretacei o più (J) D. Zaccagna, 1 terreni della Val di Nievole fra Moiisummano e Montecatini. Boll. Coni, geol-, 1882, p. 237. DESCRIZIONE SOMMARIA ECC. 395 antichi. Alcune sono assai ampie e poco meno che circolari, come le pieghe di Pontremoli e del monte Molinatico in Val di Magra, attestando la non ragguardevole intensità dei movimenti che le produssero; non mancano però i rovesciamenti. Nell'estremità settentrionale del monte Albano, lungo la pia- nura della Nievole, è la stretta piega da nord-ovest a sud-est, con nucleo Massico, di Monsummano, per limitatissimi tratti rovesciata contro est ; parallela a levante, è la piega formante almeno in parte la principal vetta del monte, il cui nucleo cretaceo, disposto ad anticlinale, si vede bene presso il Poggiolo verso Serravalle. Nell’ estremità meridionale, sull’Arno, che la traversa, è altra breve piega ellissoidale alquanto irregolare, con nucleo cretaceo, il cui asse maggiore è diretto circa da levante a ponente, quindi tra- sversalmente alla direzione del monte Albano. Il suo lato sud-est è parzialmente rovesciato con pendenze ripidissime a nord e nord-ovest. Phga di Mosoiano (20). — Poco a sud-est, e lasciando la piccola piega irregolarmente circolare di s. Romolo, come ultima prosecuzione del monte Albano sulla sinistra dell’Arno, si mani- festa la piega che dirò di Mosciano, con nucleo cretaceo, lunga circa 9 km., da Marliano a Montebuoni, diretta ancora da nord- ovest a sud-est e nel lato nord-est parzialmente rovesciata contro la pianura fiorentina. A sud-est seguiterebbero altre pieghe, non nel prolungamento di quelle descritte, ma in rapporti più complicati con esse. Si usci- rebbe però dal parallelo di Firenze e dai limiti che mi sono trac- ciati, per cui non ne parlerò. Dalla piega di Diecimo (18) a quelle del monte Albano (19) varie circostanze rimangono ancora incerte; però da tutto l’anda- mento degli strati risulta in modo superiore ad ogni dubbio che la regione rispondente al piano di Lucca, alla Val di Nievole, a tutte le piccole colline circostanti ed alla bassa Val di Pesa, non venne formata da subbissamene o da corrosione de’ monti circo- stanti ma da naturale loro disposizione orogenica, e corrisponde in uua parola ad un’amplissima conca sinclinale (15-17-18-19-20) la quale fu riempita da strati pliocenici quasi orizzontali. 196 C. DE STEFANI Piega del Barghigiano (21). — Ripigliando il camminino, ad est e nord-est della piega di Diecimo, adiacente e parallela a questa ed alla regione centrale delle Alpi Apuane (11-14), incontriamo la piega del Barghigiano, che sorge nel monte Perpoli in Garfagnana, e che pure, sebbene per brevissimo tratto, rientra nei limiti geo- grafici della giogaia apuana sulla destra del Serchio, passando poi subito alla sinistra del fiume e all’ Appennino. Si dirige prima da nord-ovest a sud-est, per circa 17 km.; traversata la Val di Lima passa forse da ovest ad est come la piega di Diecimo ad essa pa- rallela ; però io non ne ho riconosciuto le traccie. A settentrione la regolare disposizione anticlinale degli strati arenacei, scendenti con debolissima pendenza lungo la valle del Silico ed il monte Per- poli, è molto evidente : essi chiudono da quella parte la conca plio- cenica di Castelnuovo. La disposizione anticlinale si conserva ancora evidentissima per tutto il tratto lungo il quale la piega ha dire- zione a sud-est, ed è rivelata pure dal nucleo dei calcari nummu- litici lungo il Serchio e nel Barghigiano, e dei calcari cretacei nella vailetta del Segone intorno Gromignana. Se a nord la separazione dell’ anticlinale è assai palese, non lo è altrettanto ad ovest, sul principio, nel monte Perpoli, dove l’ arenaria, in strati forse par- zialmente addossati e rovesciati, separa i calcari nummulitici del- l’anticlinale Barghigiano (21) da quelli delle Alpi Apuane (11-14); però probabilmente poco più a sud rispondono al sinclinale i terreni dell’Eocene superiore di Campo e di Cascio. Ad ogni modo, passato quel tratto settentrionale, il sinclinale ((11,14), 18-21) si fa ben chiaro ed ampio, originando la conca di Barga situata fra le Alpi Apuane e l’Appennino e riempita da strati lacustri plio- cenici orizzontali. A mezzogiorno della conca di Barga, al Ponte a Calavorno, la piega del Barghigiano torna anche superficialmente contigua a quella di Diecimo, e nel sinclinale (18-21) d’arenaria eocenica che le separa gli strati sono reciprocamente addossati per modo da non potersi segnare con esattezza l’asse del sinclinale. Per questa medesima impossibilità e per l’uniformità dei caratteri del- l’arenaria rimane incerta pure l’ulteriore deviazione della piega a levante lungo la Val di Lima. Piega centrale (22). — Ripigliamo il cammino, tornando alle pieghe più settentrionali situate ad est di quelle del monte Moli- DESCRIZIONE SOMMARIA ECC. 397 natico (12) e di Pontremoli (13), nel cui prolungamento si am- pliavano le pieghe delle Alpi Apuane fin qui esaminate. A oriente dunque di quelle predette e del Cornoviglio (11), ne sorge una delle più importanti deH’Appennino, perchè segue lo spartiacque, talché l’ho appellata centrale , e per l'altezza dei monti che la formano. Essa è costituita interamente dall’ arenaria eoce- nica, ed è assai allungata, con direzione regolarissima da nord-ovest a sud-est, parallellamente alle pieghe più occidentali. La sotto- posizione dell’arenaria alle rocce dell’Eocene superiore è sempre ben palese. La piega comincia nel monte Cavallo (1171 m.) sulla sini- stra del Rio di Gravagna fluente alla Magra, sale subito allo spar- tiacque fra Tirreno e Adriatico e forma successivamente i monti Borgognone, Orsaro (1830 m.), Marmagna (1851 m.), Sillara (1861 m.), Bocco (1805 m.), per lunghezza di circa 17 chilom. Interrotto dalle rocce dell' Eocene superiore, al Passo di Li- nari, delle quali non ho ancora potuto determinare la disposizione stratigrafica, l’anticlinale d'arenaria continua colla stessa direzione, altissimo ed ampio, per circa 5 chilom., nella cresta elevata del monte Acuto (1927 m.), e nel monte Succiso (2017 m.). È singo- lare che il monte Succiso, il più alto di tutto l’ Appennino esami- nato fin qui, non si trova sullo spartiacque, ma ad oriente, nel versante Tirreno, fatto che vedremo ripetersi altrove. Avanti al passo del Cerreto, fra le valli del Rosaro e della Secchia, la piega è parzialmente interrotta da un sinclinale del- l’Eocene superiore trasversale alla direzione della piega e dell’ Ap- pennino. A nord-est di questo sembra esista una breve deviazione dell’an- ticlinale arenaceo verso i monti Spiaggia Bella (1786 m.) e Scaluc- chia (1411 m,) nel versante adriatico. Però ad ovest, nel versante della vai di Magra, la piega deU’arenaria seguita più basso dello spartiacque, colla stessa direzione da nord-ovest a sud-est, rialzan- dosi tosto di nuovo alle cime principali della catena ed amplian- dosi assai, anche per la suddivisione in ondulazioni distinte, benché secondarie, la più orientale delle quali vedesi benissimo sotto il colle Cerretta rimpetto al Riarbero. L’anticlinale seguita così nella vai di Serchio. L’ampiezza trasversale della piega, in alcuni punti, da Li- gonchio nel Reggiano al colle di Tea in provincia di Massa, è 398 C. DE STEFANI di più che 12 chilometri, dalla Lama Lite nel Reggiano alle Ver- ruche sul Serchio è di quasi 11 chilometri. Vi spuntano in mezzo, di solito in fondo alle valli, e quasi sempre nel versante tirreno, le roccie più antiche di tutto il principal crinale Appenninico, come alla Spezia e nelle Alpi Apuane, in cupole ellissoidali sem- plici, talora regolarissime ed ampie, successive a moto di catena. Queste cupole sono quelle di Camporaghena con roccie trias- siche o paleozoiche, di Sassalbo e Mommio con roccie infraliassiche, in vai di Magra, della Maccagnina in vai di Secchia con rocce neocomiane, le più antiche di tutto il versante adriatico, del monte Ischia con roccie cretacee, di Soraggio, di Corfìno in vai di Serchio, pur con roccie infraliassiche, dell’Isola nel torrente di Castiglione con calcari nummulitici. La cintura arenacea intorno a queste roccie antiche è piuttosto limitata a sud-ovest lungo la Magra e il Serchio ; ma è più alta superiormente e nel lato nord-est, dove forma, come nel primo tratto, i monti più alti lungo lo spartiacque, cioè il Cavai Bianco (1854 m.), la Nuda (1895 m.), monte Belfiore (1810 m.), monte Sil- lano (1875 in.), monte Prado (1064 m ) il più alto lungo lo spar- tiacque di tutto l’Appennino settentrionale, gli Scaloni (1981 m.), Bacco di Scala (1850 m.), le Forbici (1818 m.), fino alla Foce o Passo delle Radici. Mentre nel lato sud-ovest e nel mezzo le pendenze sono re- golari e talora gli strati sono orizzontali, questi, nel lato nord-est sul crinale, a partire dal monte Sillano, sono per lungo tratto ro- vesciati contro la valle del Pò, di guisa che l’arenaria sembra più recente dell’Eocene superiore delle valli dell’Ozola e del Dolo. La pendenza invertita, a ponente del Giovarello, giunge a 50° verso sud-ovest od ovest-sud-ovest. Al massimo rovesciamento corrisponde una variazione, però di poca durata, nella roccia costituente il cri- nale, la quale, nella maggior depressione di questo, intorno alla Foce delle Radici (1528 m.), non è più l’arenaria, ma il terreno dell’Eo- cene superiore sottostante ad essa per via del rovesciamento. A set- tentrione della Foce si verifica pure un fatto, già noto nelle Alpi Apuane, ma unico per ora nel vero Apennino ; vale a dire la vetta dell’Alpicella delle Radici, per non breve tratto, è formata da un lembo isolato di arenaria sovrastante ai calcari ed ai galestri del- l’Eocene superiore, per modo che sembrerebbe la roccia più recente, DESCRIZIONE SOMMÀRIA ECC. 399 se non fosse che le pendenze accennano ad altro lembo, pure iso- lato, il quale sta ad est, più basso, lungo la strada nazionale, e poi a tutte le masse circostanti. A sud-est delle Radici il crinale seguita per l'Alpe di S. Pel- legrino ed oltre, formato di nuovo dall’arenaria, tuttora rovesciata a nord-est debolmente pendente e quasi orizzontale a sud-ovest verso il Sercbio. Ivi, nella valle del Sillico e sullo spartiacque fra questo torrente e quello di Castiglione, fluenti ambedue al Serchio, nel- l’arenaria così dolcemente declive si manifesta una debolissima on- dulazione sinclinale che separa questa piega da quella del Barghi- giano (21) nel suo principio. La piega centrale seguita amplissima, parallela a quella del Barghigiano, mal distinta da essa nel suo lato sud-ovest, peli’ uni- formità dell’arenaria. Sullo spartiacque forma ancora i monti Romeccbio, dell’ Omo (1859 m.), Giovo (1991 m.) e Rondinaio (1964 in.). Nel lato nord-est, fino al Giovo, essa è rovesciata sopra le roccie più recenti delle valli del Dragone e della Scoltenna; nelle cime di Romeccbio, per via del rovesciamento, l’arenaria pende fin di 20° a sud-ovest, e fra quelle e la Cima dell’ Omo il rovesciamento è accompagnato da contorsioni, per le quali, nella foce della Portic- ciola, uno strettissimo lembo di Eocene superiore si spinge fino nel versante del Sercbio. Dopo il Giovo il rovesciamento cessa, e le pendenze degli strati tornano regolari come erano a nord-est del monte Sillano. In rispondenza al monte Rondinaio ed a Vitiana, dopo un re- golare andamento a sud-est mantenuto per circa 65 chilometri, pa- rallelamente a quasi tutte le pieghe appenniniche più occidentali, essa devia, però brevemente, a levante, come la piega di Decimo (18) e probabilmente quella del Barghigiano (21), ma poi torna a sud, indi a sud-est. Anche lo spartiacque acquista la direzione ad est, fino alle Tre Potenze (1940 m.); ma questo seguendo verso l’Abetone una direzione perpendicolare agli strati, abbandona la nostra piega che d’allora in poi rimane interamente nel versante tirreno della valle del Serchio. Colla deviazione ad est la piega diventa maggiormente ampia: infatti la sua larghezza trasversale [fra Controne in vai di Lima 400 C. DE STEFANI e il Ponte di Picchiasassi sotto l’Abetone nel modenese, supera i 15 chilometri. In quel tratto, in mezzo all’arenaria, si manifesta di nuovo, come più a nord, amplissimo nucleo , lungo fin 10 chil., di roccie liassiche, coperto da alti calcari cretacei ('); però, se in alcuni punti queste roccie sono orizzontali, altrove formano ripie- gamenti pe’ quali appaiono fin verticali e che ne fanno parere la massa molto più grande che non sia. Nel lato occidentale, nella bassa vai di Lima, gli strati sono anche parzialmente rovesciati sopra l’arenaria pendente perciò a nord-est. L’arenaria del lato occidentale è per lungo tratto regolare, e dallo spartiacque fino a Pupiglio sulla Lima forma una cresta elevata (Poggione 1771 m., Uccelliera 1656 m.. Piastra 1400 m.). Sulla sinistra della Lima la piega seguita ancora a sud-est, in parte verticale, in parte leggermente rovesciata al solito contro oriente, e finisce nel piano di Pistoia, circa tra il Vincio di Vincio ed il Vincio di Brandeglio, dopo nn percorso di circa 95 chilometri, dopo aver formato le più elevate cime dello spartiacque fra Adria- tico e Tirreno, dopo aver toccato le provincie di Parma, Reggio. Modena, Massa, Lucca, Firenze. Il sinclinale (12, 13, 9, 14, 21, 18? — 22) che separa questa piega dalle altre più occidentali descritte a suo tempo è molto va- riato. Nella parte settentrionale, fino all'incontro della piega del Barghigiano (21), vi sono di mezzo costantemente terreni dell’Eo- cene superiore disposti quasi generalmente con regolarità. Il sin- clinale, ristretto verso il monte Molinatico (12), principia a farsi più aperto verso la piega di Pontremoli (13) e diventa amplissimo in rispondenza alla piega del Cornoviglio (9) che sbarra la vai di Magra, tanto che gli strati eocenici che ne formano il fondo sono in molti punti orizzontali o quasi: questo spazio, rispondente al- l’alta vai di Magra, era occupato, durante il Pliocene, da un gran lago ed è ora riempito da strati argillosi e sabbiosi di quell’età, orizzontali. (') B. Lotti, Sezioni geologiche nei dintorni dei Bagni di Lucca. Boll. Coiti, geol., voi. XVII,' ‘ 1886. DESCRIZIONE SOMMARIA ECO. 401 Il sinclinale si ristringe, serbandosi però regolare, in rispon- denza alla piega di Fivizzano (14); ma torna poi ad amplificarsi in vai di Serchio, parallelamente alla regione centrale delle Alpi Apuane, dove forma un altro bacino che fu lacustre durante il Plio- cene, riempito da strati di questa età, il bacino di Garfagnana. Il fondo di esso è occupato da strati eocenici in parte orizzontali, in parte conformati a piccolissime pieghe pure parzialmente ro- vesciate. Il bacino è chiuso a sud-est dalla ondulazione sinclinale ad amplissimo raggio che segna il principio settentrionale della piega del Barghigiano (21) accosto a quella Centrale, e che separa pur l’una dall'altra. Più a mezzogiorno le due pieghe seguitano parallele; però, mancando nel sinclinale intermedio ogni roccia eterogenea, e tro- vandosi ad immediato contatto l’arenaria dei lembi esteriori delle due pieghe, non si può segnare il confine preciso fra una e l’altra. Solo, probabilmente nell’estremità meridionale, in rispondenza alla bassa vai di Lima, si ha traccia di questo sinclinale in certi strati di calcari e galestri nel monte Calvario fra i Bagni di Lucca e Contarne. Pella medesima uniformità delle roccie non potrei dire con si- curezza se la piega del Barghigiano (21) seguiti deviando ad est come quella di Decimo (18) e la piega Centrale (22); perciò non saprei per ora se nell’arenaria esistente fra queste due pieghe, si- curamente ben distinte, esista un unico sinclinale, che potrebbe essere rappresentato da certi alberesi di Castelvecchio, oppure se di mezzo sia anche un altro anticlinale (18); quest’ultima opinione mi sembra meno verosimile. Certo è che la piega Centrale termina sulla pianura pistoiese, non con brusca interruzione, ma con strati i quali pendono rego- larmente verso e sotto la medesima. Piega del monte Ventasso (23). — Ad oriente della piega centrale, nel Parmense, si hanno traccie di una piega che dalla destra della Parma, pel monte Caio (1589 m.), va alla Cedra e probabilmente all’ Enza, coprendo il lembo cretaceo di Selvanizza, indi termina bruscamente sulla Secchia nel monte Ventasso (1727 m.) dove l’arenaria eocenica copre estesa superficie. L’Eocene superiore 402 C. DE STEFANI all’intorno è molto esteso. Questa regione è per ora la meno co- nosciuta di tutto l’ Appennino settentrionale, per cui molte circo- stanze sull’esistenza e sull’ andamento delle pieghe rimangono ignorate. Piega del Cusna (24). — A sud-est del monteV entasso, nel suo diretto prolungamento, traversata la Secchia, una nuova piega d’are- naria, lunga appena 11 chilometri, ma pur ragguardevole, si alza sopra Casalino e diretta al solito a sud-est, parallelamente alla piega centrale ed alle altre più occidentali, dal monte Cisa (1701 m.) pei monti Cusna (2121 m.), Piella (2071 m.), Vallestrina (1905 m.), Ravino (1882 m.), va, sempre nel versante adriatico, al Dolo, do^e finisce. Anche qui, come pel Succiso, si verifica che la cima più alta di quel tratto di giogaia, anzi la più alta fra quelle esami- nate fin ora, sta interamente nel versante padano a levante dello spartiacque. Gli strati sono quasi orizzontali nell'alto Cusna e presso che verticali sul Dolo; 1’esistenza dell’anticlinale, oltre che dalla natura delle rocce contigue, è attestata dalla stessa disposizione a cupola, lungo il Dolo, dalla loro sovrapposizione regolare a nord- est e nel mezzo. La valle dell’Ozola e l’alto Dolo seguono il sinclinale (22-24) di rocce dell’ Eocene superiore, con conglomerati serpentinosi, che separa la presente piega da quella centrale e che è in gran parte rovesciato, con pendenza a sud-ovest, come il lato orientale di questa. Piega del Cimone (25). — Più a sud, dopo non breve inter- ruzione, ma quasi diretta continuazione della piega del Cusna, ad est della piega Centrale e parallelo a questa, si alza altro impor- tante anticlinale che, dalla cima più alta, dirò del monte Cimone. Il suo andamento è più del solito irregolare. Lungo la fiumara di S. Anna fluente alla sinistra della Scol- tenna, a valle dei Caprili, si manifesta una piccola piega di are- naria, regolare ed evidente, diretta da ovest ad est, che sulla si- nistra del torrente dà luogo a dirupi ragguardevoli, e per mezzo di strati più schìstosi, che 'si rimane incerti a qual piano attribuire, DESCRIZIONE SOMMARIA ECC. 40B fa passaggio al terreno sovrastante. Ma ben tosto l’arenaria si alza e si dilunga sulla destra e forma il monte sopra le Tagliole (Nuda, 1775 m. e Costa del Paradiso 1710 m.). Qui la piega devia leg- germente a nord-est, come il t ratto della piega centrale che è ad essa contiguo al Giovo ed al Rondinaio. Nello stesso tempo essa, non più regolare, si rovescia peli’ intero contro sud, con pendenza a nord, vale a dire in senso contrario al rovesciamento che ha pure in quel tratto la piega centrale (22). Così diretta e rovesciata se- guita a traverso il Rio delle Tagliole nel monte Modino (1559 m.), quindi a traverso il Rio delle Pozze nell’Alpicella (1738 m.); ma quivi, dopo avere assunto temporaneamente direzione quasi da sud a nord, bruscamente si rivolta e devia ancora, secondo la direzione predominante dell' Appennino, verso sud-est, alzandosi nella più elevata cima dell’ Appennino settentrionale, nel Cimone di Fanano (2165 m.), ripetendo così, come pel Succiso e pel Cusna, il fatto che la più alta cima si trovi fuori del crinale principale e tutta nel versante adriatico. Gli strati del Cimone sono ancora in parte rovesciati e pendenti verso ovest e nord-est. Dalla vetta del Cimone la piega di arenaria devia a sud, e pel monte Lagoni (1861 m.) arriva allo spartiacque nel Libro Aperto (1957 m.), e lungo lo spartiacque seguita con direzione da nord-ovest a sud-est, sebbene la massa principale si conservi sempre nel versante adriatico, formandovi altissimi e dirupati contrafforti ; anzi tra la cima dei Tariffi (1799 m.) e lo Spigolino (1827 m.) lo spartiacque è formato dall’Eocene superiore del sinclinale adia- cente (22-25). A sud-est dello Spigolino il lato occidentale dell’an- ticlinale seguita pel Cupolino (1853 m.) e pel Cornaccio (1881 m.), mentre uno sperone elevatissimo d’arenaria, rispondente alla vetta dell'anticlinale, si parte dal Cornaccio verso nord e nord-est for- mando l’elevato Corno alle scale (1945 m.), situato al solito nel ver- sante adriatico, il Balzo all’Oro (1939 m.) e la Nuda (1827 in.). A sud-est del Cornaccio l’arenaria seguita sullo spartiacque peli’ Uccelliera (1814 m.) e pel Poggio delle Ignude (1732 m.), emettendo ancora alti contrafforti ad oriente ma stendendosi pur molto nel versante tirreno, con declivio lentissimo. In rispondenza al Limestre, affluente della Lima ed all’alto Reno, in mezzo all’arenaria, si manifesta regolarmente il nucleo di calcari e schisti dell’Eocene inferiore, poi di rocce della creta su- 404 C. DE STEFANI periore, che si dirige da nord-ovest a sud-est, da S. Marcello a Pistoia, fino al termine della piega, sormontando quindi lo spar- tiacque dell’ Appennino per entrare nel versante Adriatico e tornare poi in quello Tirreno. 1 passi dell'Oppio fra Peno e Limestre e del Fornello fra Reno e Ombrone sono incisi in questo nucleo. La pen- dice occidentale dell’arenaria, traversando pur essa l'alta Val di Reno pel monte Balza (851 m.) e pel Sasso di Cireglio (889 m.), finisce diretta circa da nord a sud, sulla destra dell’Ombrone, in- terrotta dalla pianura Pistoiese, senza chiudere le rocce n immilli - tiche e cretacee più antiche. Anche il lembo orientale della piega, dal Poggio dei Malandrini a sud del Poggio delle Ignude, continua lungo la sinistra dell'Orsigna affluente al Reno, traversa questo fiume a monte di Pracchia, indi l’ Ombrone a monte di Piteccio, e limitato allora quasi solo al versante Tirreno finisce interrotto dalla pianura fra Pistoia e Prato. Il percorso tortuoso della piega è in tutto di poco sopra 40 chilometri. Il sinclinale intermedio fra questa piega e quella centrale (22-25), formato sempre da rocce dell’Eocene superiore, segue le vicende dei lembi attigui dei due anticlinali. Sul principio, quasi iu rispondenza al Giovo ed al Lago Santo, esso si trova ad am- bedue le parti sottostante ai due anticlinali rovesciati, come si è detto, in senso contrario, per modo che quegli il quale lo osser- vasse soltanto in quel tratto crederebbe aver che fare con un anti- clinale e con una roccia più antica dell'arenaria. Più a sud-est, mentre l'anticlinale della piega centrale (22) si raddrizza, l’altro del Cimone (25) si mantiene rovesciato, per la qual cosa il sin- clinale intermedio seguita, fra il Balzo alla Rosa e monte Modino, fra il ponte di Picchiasassi e Fiumalbo, col lembo orientale rovesciato e con pendenza generale, in quel tratto, verso nord. Dopo, esso devia, come gli anticlinali contigui, a sud e forma il passo dell’Abetone e tutta l’alta Val di Lima, mentre diventano regolari anche l'anti- clinale del Cimone (25) e con esso il nostro sinclinale, che si trova perciò ampio vari chilometri assai più che in ogni altro luogo, e che sormonta regolarmente le arenarie ad ambedue i lati. Se non che a sud del monte Caligi e della Piastra, il sinclinale diventa verticale ed assai ristretto, per modo che sulla Lima, a Pupiglio, chi l’os- servasse solo in quel luogo, lo prenderebbe per un interstrato nel- l’arenaria; passata la Lima, ampliandosi di poco, con direzione a DESCRIZIONE SOMMARIA ECC. 405 sud-est, passa a Naffrico e presso Pnmetta, donde scende all'alto Reno poi verso la pianura Pistoiese. Piega di Rocca Cometa (26). — A levante delle descritte pieghe, verso la valle padana si incontrano parecchie altre ondu- lazioni apparentemente molto secondarie. Molto vicina a quella del (limone (25) ne sorge un'altra, per ora poco studiata, forse meno ampia trasversalmente ma egualmente lunga e quasi allatto paral- lela. Il nucleo è formato ordina riamente dall’arenaria eocenica e si dirige come il solito circa da nord-ovest a sud-est. Comincia sul Panaro fra Magrignana e Monte Greto; passa verosimilmente al monte Cervarola ed alla Calvanella, traversa parecchi contrafforti che provengono dallo spartiacque principale, dal monte Lancio e dallo Spigolino, formando monti ancora elevati e scendendo alla Dardagna a sud-ovest di Rocca Cometa ; quivi intorno probabil- mente, come nucleo, appaiono strati della creta media ; e può es- sere che vi siano complicazioni per ora ignote. Oltre la Dardagna la piega d’arenaria forma i monti Castel- lina (1277 m.), Grande (1531 m.), Cocomero, Toccacielo e Gra- nagliene, traversando il Reno fra Pracchia ed il casello 60 della ferrovia sotto il Borgo Capanne. Gli strati esteriormente sono spesso verticali e talora rovesciati con pendenza sud-ovest. Passando il Reno traversa le due Limentre e va verso il Bisenzio ma non ne conosco il termine. Del sinclinale (25-26) che sta verso la piega del Cimone, nou conosco l’intero percorso, ma solo numerose tracce, a traverso gli scabrosissimi contrafforti solcati da esso, tra il Fellicarolo e il Reno, sulle pendici ad ovest del monte Grande nella Nuda e nel balzo di Fabuino fra la Dardagna e il Sella, ad ovest del monte Rotondo tra il Sella e la Randaragna, tra i monti Orsigna e Cocomero, lungo il R °no intorno Pracchia, dove gli strati sono pochi e serrati fra l'arenaria, e probabilmente sul Rio Yincigliaia in vai d’ Om- brane. Non ne conosco più oltre. A nord-est le rocce dell’Eocene superiore sono estesissime, e talora, verso la pianura padana, ne spuntano lievi ondulazioni con nucleo cretaceo. Nei sinclinali di tutte le pieghe esaminate fin qui non com- paiono rocce più recenti dell’Eocene superiore: però in qualche 27 406 C. DE STEFANI sinclinale molto secondario, situato a nord-est della piega di Rocca Cometa (26) appaiono strettamente pigiati ed anche rovesciati strati del Miocene, fatto che è poi dei più distinti dell’ Appennino For- livese e Marchigiano. Un simile esempio si riscontra nell’arenaria miocenica di Porretta, chiusa in mezzo all’Eocene superiore in uno stretto sinclinale rovesciato contro nord-est, in istrati pendenti a sud- ovest presso alla verticale. Le altre complicate supposizioni fatte per ispiegare la situazione di quell'arenaria non mi paiono esatte ; del resto il fatto, ripeto, è comunissimo altrove. Piega di Fiesole (27). — Un certo tratto più a levante, nel versante tirreno, con direzione quasi perpendicolare allo spartiacque, die ivi, poco oltre, comincia ad essere formato da terreni mioce- nici, apparisce una piega anticlinale nella breve giogaia della Cal- vana che separa la valle del Bisenzio da vai di Sieve e da vai di Marina. Il nucleo è regolare e formato dai calcari marnosi ad Ilei- mintlioida , come le pieghe intorno Genova, e si dirige per circa 15 chilometri presso a poco da nord a sud. Giunto quasi alla pianura di Prato e Firenze devia parallelamente a questa con direzione da nord-ovest a sud-est, pei colli della Lastra e di Fiesole fino a in- contrare l’Arno. In questo nuovo tratto, e per quasi tutta la sua lunghezza di almeno altri 15 chilometri, il nucleo è formato da rocce cretacee, spesso molto contorte ed in parte alquanto rove- sciate contro la pianura di Firenze, con pendenza a nord-est. Nel sinclinale (26-27) che separa questa piega dalle altre oc- cidentali del Pistoiese, nel tratto che si dirige da nord a sud, si trovano le rocce sedimentarie ed eruttive dell’Eocene superiore di vai di Bisenzio. Il tratto che devia a sud-est confina, come si è detto, la pianura fiorentina percorsa dall’Arno, superficialmente riempita da terreni alluvionali e pliocenici; e gli strati ne scendono sotto la medesima, come vi scendono regolarmente gli strati di tutte le altre pieghe circostanti (26?, 25, 22, 19, 20) cioè quelle del Cimone, la piega Centrale, le pieghe del Montalbano e di Mo- sciano, cui si potrebbe aggiungere la piega di vai d’Ema, con nucleo cretaceo, diretta da ovest ad est, che ho lasciato fuori della descri- zione e che chiude la pianura a sud di Firenze. La vallata di Fi- renze è adunque un grande sinclinale riempito da terreni pliocenici, simile alla vallata di Lucca e della Nievole, cinto da non minore DESCRIZIONE SOMMARIA ECC. 407 numero di anticlinali, ed un po'meno simile ai bacini pliocenici lacu- stri della vai di Taro, della vai di Magra inferiore, di vai di Magra superiore, di Garfagnana e di Barga situati in mezzo a due od a tre soli anticlinali. Fra i fenomeni speciali alla vallata sinclinale di Firenze sono il parziale rovesciamento verso di essa degli strati esterni della piega di Mosciano (20), la terminazione regolare ma in tronco delle pieghe centrale e del Cimone (25, 22) e qualche fenomeno della piega di Fiesole che ora accennerò. In questa piega, dopo la sua deviazione lungo il piano, nel lato sud-ovest, vanno man mano scomparendo i terreni più recenti, per modo che nei colli di Fiesole, tra il Mugnone e l’Arno, non si vede a giorno nemmeno la metà sud-ovest del nucleo cretaceo, il quale, così dimezzato, scende sotto il pliocene e le alluvioni del piano. In questo, scavando a poche diecine di metri, s’incontrano i calcari ed i galestri dell’ Eo- cene inferiore e medio, non già i sovrastanti calcari marnosi ad Helminthoida che formano il nucleo della piega nella Calvana: ciò vuol dire dunque : 1° che questi mancano in mezzo alla creta nel sinclinale corrente fra la piega di Fiesole e quella di vai d’Ema, sul quale sinclinale risiede Firenze; 2° che dessi si arrestano sotto il piano alquanto più ad ovest di Firenze; 3° che finalmente il bacino di Pistoia e di Firenze, nella parte attigua a questa città, benché qui pure disposto a sinclinale, è stato amplificato dall’ ero- sione. Nel lato concavo od interno della piega di Fiesole, cioè ad est e a nord di essa, gli strati succedono ordinariamente regola- rissimi, in serie completa, perciò molto estesi, talché lontano dal nucleo cretaceo di Fiesole si apre l'ampio e regolare bacino sincli- nale di vai di Sieve, il più esteso fra quelli interni all’ Appennino fin qui esaminati, riempito da terreni pliocenici lacustri, al solito orizzontali. Esso è diretto da nord a sud-est ed è chiuso a nord- est da pieghe che io non accennerò e nelle quali, per la prima volta, prendono parte grandissima terreni miocenici. Piega di Pontassieve (28). — Per terminare l’elenco delle pieghe del nostro Apennnino ricorderò più a levante quella che costeggia la Sieve, parallelamente verso la sua foce in Arno. Essa va da nord-nord-est a sud-sud-ovest, con direzione diversa da quelle fin qui esaminate, descrivendo una leggera curva convessa a 408 C. DE STEFANI. DESCRIZIONE SOMMARIA ECC. nord ovest. Il suo nucleo è formato da arenarie cretacee le quali costeggiano la parte sinistra della Sieve (’). Quasi certamente que- sto nucleo cretaceo seguita a mezzogiorno costeggiando la destra dell' Arno, come verso la stessa parte, fino a Yolognano, Rignano ed oltre, seguita la piega, che verso Rignano appunto è per largo tratto rovesciata, essendo che i calcari da cemento ed i calcari nummulitici eocenici pendano verso levante e scendano sotto l'are- naria cretacea. Il sinclinale fra questa piega e quella di Fiesole è piuttosto ampio e regolare. A levante, seguitano altre pieghe che non de- scriverò per ora. Carlo De Stefani. (') Nella tavola del Cosmos l’asse di questa piega è leggerissimamente spostato sulla destra della Sieve ed è interrotto sull’Arno. I FOSSILI DI GASSINO- Nella prima metà del corretto secolo il calcare di Gassino, allora largamente scavato come pietra da calce, da costruzione, ed anche ornamentale, venne ripetutamente esaminato da diversi geo- logi fra cui Della Marmora, Pareto, e specialmente Provana di Collegno, tutti riconoscendovi le Nummuliti, ed attribuendolo, se- condo le denominazioni di quell’epoca, alla serie cretacea superiore o epicretacea oppure all'Eocene. Tali giustissime osservazioni vennero in seguito, forse per la decadenza economica, od anche per Fesaurimento di alcune cave del calcare in questione, quasi completamente dimenticate, tanto che altri credette poter riferire i terreni in discorso persino al Miocene, ed io stesso che già aveva raccolto molti fossili del cal- care di Gassino dalla parte di Bardassano non senza qualche esi- tazione cominciava ad attribuirlo al Tongriano (’). Più tardi il prof. Portis avendomi onorato di una visita a Sciolze, paese non molto distante da Gassino ove tengo la mia (!) Una cava alla Villa De Filippi vicinissima alla cascina che appar- teneva allora alla famiglia Collegno, sotto Bussolino, è ora pressoché esaurita ed abbandonata, in quella abbondavano le Nummuliti come vedremo in seguito- Rare sono le Nummuliti nel calcare cosidetto di Gassino verso Bardas- sano (le sole specie che vi rinvenni sono la N. striata e la Bouchéri), ed in- fatti in tante colonne, basamenti, balaustre che forni agli edifizi di Torino, non mi venne mai fatto di riscontrarvi una Nummulite, come del resto può a suo bel agio convincersene chicchessia. Quindi può facilmente accadere che un forestiere in una visita a Gassino non ne trovi pur una percorrendo le cave dalla parte di Bardassano, mentre può incontrare numerose sezioni di Orbitoidi. 410 L. DI ROVASEKDA collezione, dopo breve esame ammise una certa analogia fra i car- politi di Gassino e le Fracastorie del Vicentino, come io gli aveva con molti dubbi accennato. Ma nel 1886 avendo il Telimi scoperto la Serpula spirulaea , le Nummulites, Teli iliat che ffi N. complanata ed altre molte nelle cave di Bussolino, il Portis uscì fuori col suo lavoro Sulla vera posizione del calcare di Gassino collocandolo finalmente nel suo vero posto, nel Bartoniano. Nel seguente anno 1887 il Sacco pubblicò alla scala di V25000 una grande Carta geologica dei colli Torinesi dove figura ben delineato l’affioramento Bartoniano in esame. Infine lo stesso au- tore nel 1889 pubblicò un lavoro generale, accompagnato da una grande carta geologica ad Viooooo sul Bacino terziario del Pie- monte dove la zona eocenica di Gassino viene delineata e descritta assieme a molte altre simili e contemporanee che affiorano qua e là nelle colline Torino-Casale. Inoltre le Nummuliti di Gassino, che apportarono tanta luce per la cronologia di quei terreni, ebbero allora per la prima volta un distinto cultore che ne pubblicò le figure non mai apparse prima fra gli scritti di tanti geologi che trattarono del calcare di Gassino. È nel 1888 che il D. Achille Teliini pubblicò Le JShimmu- litidee terziarie dell’alta Italia occidentale con definizioni pre- cise, particolareggiate, corredate di buone figure che si riferiscono alle Nummuliti del calcare di Gassino, lavoro che fa testo, come il susseguente sulle Nummuliti della Majella, per lo studio speciale di questi foraminiferi (1). Dopo di ciò parrebbe inutile aggiungere parola al riguardo; ma siccome tuttora da alcuni si continua a considerare il calcare di Gassino come più giovane che l'Eocene, ed a paragonarlo con altri calcari assai più recenti ; siccome inoltre da oltre 30 anni vado raccogliendo fossili in detto calcare, ed in questi ultimi anni mi son dedicato a speciali ricerche paleontologiche in tutte le re- gioni delTaffioramento eocenico di Gassino, così sembrami oppor- (9 Oltre ai sullodati lavori del Teliini che mi posero in grado di rico- noscere molte Nummuliti, egli stesso ebbe ancora la gentilezza di fornirmi ampie spiegazioni e determinazioni di varietà dubbie che io gli aveva spedito in esame, del quale favore gli rendo vive grazie. I FOSSILI DI GASSILO 411 \nno di rendere noti i risultati di queste mie ricerche, quantunque non avendo ancora potuto studiare completamente il materiale rac- colto, debba esporre la presente nota come un cenno provvisorio, che dovrà subire certamente in avvenire non poche modificazioni ed aggiunte. Riguardo alla posizione stratigrafica dell’ affioramento Barto- niano di Gassino, io rimando il lettore ai sovraccennati studi del Sacco ('), specialmente alla sua carta geologica ad y25000 ; mi limito qui semplicemente ad accennare per maggior chiarezza di questa nota come, muovendo dall’Astigiano verso Gassino, si attraversi gradatissimamente la seguente completa, tipica, bellissima serie stratigrafica. 1° Depositi fluvio-lacustri del Villa fr conciliano . 2° Tipiche sabbie gialle marine dell 'Astiano. 3° Le solite marne azzurrognole del Piacensiano. 4° Marne e sabbie gessifere e calcarifere del Messiniano. 5° Marne e sabbie grigiastre del Tortoniano. 6° Potentissima pila di marne, sabbie, arenarie e conglo- merati dell’ EÌveziano. 7° Piccola serie di marne calcaree compatte, scagliose, del Langhiano. 8° Potente serie di marne grigiastre, friabili, dell ' Aqkila- niano. 9° Strati arenacei e conglomeratici, fortemente sollevati del Tongriano. 10° Marne grigie e strati calcarei, quasi verticali del Bar- toniano. Ciò premesso esaminiamo più minutamente l’affioramento B ar- to niano, conosciuto sotto il nome di Calcare di Gassino, che è lo scopo di questa Nota, Esso forma una piccola anticlinale della lunghezza di soli 5 kilometri in direzione da N-E a S-O, dalla villa Donaudi nella f1) Sono lieto di cogliere questa occasione per rivolgere al mio carissimo amico il prof. F. Sacco i più vivi ringraziamenti per il potente aiuto che mi diede in questo lavoro. 412 L. DI ROVASEISDA valle di Baipassano lino alla cascina Laurente sotto S. Dalmazzo al di là di Bussolino in territorio di Rivaiba. È come un occhiello aperto nella formazione oligocenica dentro la quale è contornato dal conglomerato Tongriano , per intero dal lato N-E e solo per un terzo dal lato 0, come si osserva nella carta geologica del Sacco. Dalla Trinità di Gassino presso la villa Fei di sopra rivol- gendo lo sguardo alla cappella di S. Dalmazzo al di là della valle di Rivaiba, noi abbiamo a destra gli strati calcarei coperti da marne, e sopra di esse il conglomerato Tongriano colla pendenza verso levante, alla sinistra gli strati corrispondenti che pendono verso ponente; ma qui come dissi il conglomerato Tongriano non accompagna più la gamba sinistra del calcare in tutto il suo per- corso, esso si arresta alla villa Bersanino, proseguendo gli strati calcarei senza il tetto del conglomerato dalla parte di Gassino solo tino alla villa Aprile, ove scompaiono anch’essi. La gamba destra invece, pendente verso levante, seguita pa- rallela al conglomerato, ci mostra il calcare nelle cave dell’avv. Giannone, alla villa Aprile, alla villa Palazzo, alia villa Mela, al Canta; poi attraversa la valle di Rivaiba e sale ai tetti Bertot seguitando dietro il colle il suo corso verso S. Dalmazzo. Sin dalle cave del Mela, ove sono due o tre strati calcarei vicini, si osserva una diminuzione di spessore in detti strati, e traversata la valle ne resta uno solo di qualche spessore ; e sopra i tetti Bertot si vedono gli altri ridotti a piccoli straterelli di due 0 tre centim. di spessore che si assottigliano man mano finché si perdono. Ma nelle colline di Bussolino essendo la formazione in esame profondamente incisa, sotto lo strato sopraddetto ne affiorano altri più antichi che non si vedono verso Baipassano; in totale dalla parte di Bussolino si scavano per i forni 3 soli strati. Essi sono evidentemente sovrapposti gli uni agli altri, rego- larmente e senza perturbazioni, con uguale inclinazione fortissima verso levante e riescono molto istruttivi pei fossili che contengono, 1 quali devono essere studiati separatamente. Tali strati sono di costituzione alquanto diversa fra di loro, valutati anche diversamente dai calcinai per maggiore o minore immissione di sabbie e di marne, e distinti sul luogo coi nomi seguenti : I FOSSILI DI GASSINO 418 1° il più alto è detto dei Bertot dai nome dei proprietari della cava la quale era prima in prossimità della strada di Rivalba in corrispondenza cogli strati calcarei di Bardassano, ora attivata solo sotto la cascina dei Bertot nel bosco a notte. 2° (in serie discendente) per la regione in cui si trova è detto del Caviggione ai Morei (Morelli). 3° di Villa De Filippi che si divide in due o tre rami vicinissimi a ridosso del gruppo di case di detto nome. Diversa è la facies dei 3 strati; il 1° piuttosto bianco, mar- moreggiato quando contiene molti Litothamnium , è quello stesso che viene direttamente, senza interruzione, dalla villa Giannone, ove è utilizzato per calce in tre o quattro differenti siti a S e ad 0 di detta villa, poi alla villa Aprile, al Mela, al Canta come dissi, qualche volta anche nei campi bassi della valle di Rivalba, sale ai Bertot e prosegue fino alla cascina Laurente sotto la cappella di S. Dalmazzo. Ne indicherò separatamente i fossili trovati. Questo strato oltre la facies già indicata, si riconosce più precisamente perchè si mostra sempre accompagnato nel suo percorso da una marna sabbiosa ripiena di Terebratule ; tale sabbia si osserva fin dalla villa Donaudi presso la strada provinciale nuova da Bardassano alla Ressa, riappare nella valle sotto la Trinità di Gassino prima del- l’emersione del calcare, s’incontra dopo aderente al calcare nella strada sotto la villa Giannone, nella prima cava sopra il giardino di detta villa, al Canta, a ridosso della strada di Rivalba ove era la cava antica del calcare che sale ai Bertot, poi s’incontra poco prima della cascina Laurente dove le Terebratule sono in abbon- danza straordinaria ; insomma per tutta la linea del calcare da me distinto col nome di Bertot. È preziosa questa zona sabbioso- arenacea che fa riconoscere questo strato superiore, più noto gene- ralmente col nome di calcare di Gassino, per tutto il suo affio- ramento. Il 2° strato al Caviggione , di poco spessore, non è compatto ma cavernoso, quasi lentiforme tramezzo alla marna ; talora zeppo di Orbitoidi e di Nummuliti, a volte è ghiajoso e poggia sopra una marna rossastra (come non si riscontra in altro sito) la quale contiene la famosa Serpula spirulaea , la N. complanata e la N Tchihatcheffi in grande abbondanza. Questo secondo strato che affiora per breve tratto è separato dal 1° da 100 e più metri di 414 I.. DI ROVASEXDA marne turcLiniccie che superiormente contengono molti IÀlotha- muium e concrezioni calcari con qualche raro polipajo e inferior- mente passano ad una marna di colore omogeneo priva affatto di fossili fino al contato dello strato n° 2. Il 3° strato ha pivi analogia col 1° ma è alquanto arenaceo e coperto da una arenaria calcarea talora piena zeppa di Nummu- liti , di Orbitoidi , Cidariti , Pentacrinus ecc., ed è addossato ad una marna sabbiosa contenente grande quantità di Zoophicos. Questo è il più antico di tutti gli strati calcarei e non affiora dalla parte di Bardassano. Gli strati n° 2 e n° 3 si perdono prima di arrivare alla villa Lard posta a cavaliere del colle ed affiorano di nuovo tra Cavig- gione e V. Laurente. Si osserva poi che gli strati sopradetti nelle colline di Bus- solino sono molto più sollevati che dall’altra parte della valle verso Bardassano, essendo essi quasi verticali, conservando però tutti il parallelismo e la pendenza verso Levante; diminuisce pure la in- clinazione verso occidente ; infatti vediamo gli strati presentare minor inclinazione alle due estremità opposte dell'elissoide. come già aveva osservato il Sacco a pag. 386 del suo lavoro sul Ba- cino terziario del Piemonte. Come gli strati n° 2 e n° 3 (Q così il n° 1 seguita, interrotto per qualche tratto, fino alla cascina Laurente verso occidente. Indicata per tal modo la costituzione della serie eocenica di Gassino, passiamo all’ esame paleontologico sommario dei suoi sin- goli membri, incominciando dalla zona di regolare passaggio dal Tongriano al Bartoniano. Prima però debbo ancora osservare come dalle colline mioce- niche di Sciolze e Bardassano movendo verso Gassino, appena lasciato Y Aquitaniano alle fornaci di Tondenito affiori il Conglomerato Ton- griano con una pendenza di 60 gradi, mentre prima i terreni in- cumbenti elveziani , langhiani ed aquitaniani pendevano solo di circa 30°; anche la direzione del sollevamento è alquanto cambiata; essa era prima da S a E ora è diretta da S-E a N-O. In contatto (B Questa è la cava da me citata in nota in principio di questo scritto; essa fu esaurita anticamente per uso di calce nella parte superiore che si estendeva verso la villa Lard ed ora è attivata solo alla villa Defilippi. I FOSSILI DI GASSILO 415 col Tongriano scaturisce una polla d’acqua di poca importanza ma che non dissecca mai. Tutto questo è precisamente come definisce il Collegno nel suo spaccato che è ancora presentemente il più esatto di tutti, mentre altri fa concordare le pendenze del Tongriano o,o\YAcqui- taniano. Attraversato il conglomerato Tongriano alla Costa Battaina, che è come il muro di cinta dell’elissoide calcare, dopo due o tre metri di marne irregolarmente disposte, alternate con straterelli di sabbia incontrasi un banco sabbioso assai interessante perchè con- tiene i seguenti fossili: Orbitoides aspera Gùmb. var. piccola (in grande quantità). Nammulites striata var. pedemontana Teli. N. Fiditeli Michti var. problematica Teli, (ivi tutti gli esemp. trovati finora appartengono a questa varietà (J). N. intermedia fide Telimi N. Tchihatcheffi D’Arch. et Haime. N. anomala De la Harpe. e varie altre Nummuliti minutissime ancora da studiare. Il sito non fu esplorato finora che per minimo tratto. Alla suddetta zona arenacea sabbiosa succedono in scala di- scendente per lo spessore di 150 metri circa, marne che conten- gono rari fossili, quali : Aturici Aturi Bast. enormi (un es. da me raccolto sul posto misura 30 cent, di larg.). Nautilus decipiens Michti. Lima miocenica Sismd. « » var. eocenica mihi (con uguale larghezza del tipo ma mentre la forma miocenica è lunga 11 (x) Debbo qui osservare che quantunque io sia portato a credere che la A. Fiditeli var. problematica Teli, non sia che una varietà accidentale della N. Fichteli Michti, essa fu da me trovata in grande quantità sopra Verona tra i forti al colle Cain colla N. perforata, N. Lucasana, Terebellum, Echi- nanthus, Echinolampas ecc. ed in altri siti. 416 L. DI ROVASENDA cent, questa è solo lunga 8 ceut. coll’umbone più rialzato e più centrale che le dà l’aspetto di un Pectunculus). Peccliiolia Gastaldii Michti P. Meneghini ( Charna arietina). Xenophora prox. Borsoni ( trovai una • varietà simile a Castel Gomberto). Inferiormente le marne diventano sabbiose accostandosi al cal- care e formano quella preziosa zona delle Tenebratale , citata su- perioriormente, che accompagna per tutto lo strato di calcare so- pradescritto col nome di Bertot; esse contengono i seguenti fossili che credo indubbiamente spettare alla formazione bartoniana : Carpoliti e Filati molto interessanti ma ancora da stu- diare. Porocidaris sp. forma lunga mill. 80, fatta a ventaglio larga mill. 20. Terebratula sp. (si avvicina alla piccola Terebratula di S. Vito in vai di Brendola ma questa è più allungata quella più rigontiia). T. sp. (vicina alla precedente). T. sp. T. sphoenoidea Phil. (ritenuta per T. minor dal Davidson che la ebbe in esame da me molti anni addietro). Terebratulina caput serpentis Linn. Rhignchonella Buchii Michti. R. complanata Brocc. (determinata così dal Davidson). R. deformis Segu. Thecidea testudinaria ? Micht. Leda sp. Arca sp. Lucina sp. Cardium sp. Pecten Philippi ? Stoppani. Ostrea 2 sp. (Altre piccole bivalvi ridotte a moduli non facili a deter- minare). I FOSSILI DI GASSINO 417 Crcdeodea tuberculatissima Sacc. Gcdeodea tauroglobosa Sacc. var. ornaiulina Sacc. » » var. subtuber calar is Sacc. n » var. gassinensis Sacc. »» proechinophora Sacc. Cirsotrema gassinense Sacc. « » var. subeovaricosa Sacc. !» eovaricosum Sacc. !» eoaariculatum Sacc. !» Rovasendai Sacc. Xenophora sp. Ranella sp. Voluta sp. Capulus sp. Scalpellarti Michelottianum Segu. Palaega Gastaldii Sismd. Nella zona inferiore o strato calcare del n. 1° dei Bertot tro- viamo i seguenti fossili: Lithothamnium (sovente formano il complesso di tutta la roccia che prende un aspetto bigio marmoreggiato). Nummulites striata var. pedemontana Teli. N. Boucheri de la Harpe var. incrassata. Heterostegina reticolata Riit. (si trova pure a Verona Porta S. Giorgio e Castel S. Pietro). Orbitoides papyracea Boubée. O. aspera Giimb. 0. ephippìum Schl. 0. patellaris Sebi. 0. stellata D'Arch. 0. stella Giimb. Vaginalina legameli Linn. Isis brevis D’Acch. 1. sp. Ceratotrochus sp. Astrea crenalata Gold. 418 L. DI R07ASENDA. Stylocoenia sp. Diplohelia sp. Dasiphyllia sp. Mycetophyllia sp. Cidaris sp. Runa Lesovi Michti. Stirechinus minimus Mazzetti (specie rara; la seconda nota del genere) fide D. Mazzetti. Echinanthus Sopitianus Dames fide Pantanelli. E. sp. E. scutella Gold. Echinolampas Beaumonti Agass. fide Pantanelli. E. Suessi fide Taramelli. E. sp. Asteropeclen poritoides Desm. Penlacrinus d dactylus D’Orb. P. sp. Bourgueticrinus italicus May. lerebratula sp. Rhynco nella Buchi* Mieliti. Terebratulina caput serpentis Linn. Pecten sp. (a grosse spine ottuse). P. sp. (piccolo, allargato, che si trova pure a villa Defilippi). P. (varie altre specie da studiare). Ostrea gigantea Desh. (enorme spessore cent. 5 per cent. 20 di larghezza). Carcharodon productus Agassiz. C. lieretodon Ag. C. angustidens Ag. C. polygirus Ag. Otodus laneeolatus Ag. 0. obliquus Ag. Lamna longidens Ag. Z. rapliiodon Ag. L. contordidens Ag. L. cuspidata Ag. L. elegans Ag. Oxyrhina isoscelica Sism. I FOSSILI DI GASSINO 419 0. crassklens A g. 0. leptodon Ag. 0. xiphodon Ag. 0. Desor i Ag. Acrodus Gastaldii Costa. Denti di Sparoide. Dio don maristodus Portis. D. incertus Michel otti. Ichthyodorulites Giannoni mihi (della lnng. di 20 cent, su 6 mill. di gross. alla base, cilidrico scanalato ; la dedico all’avv. Giannone proprietario della cava ove fu rinve- nuto e che me l'ha regalato). Notidanus primigenia Agas. N. sp. (a piccoli denti convessi e ricurvi). N. sp. Succede lo strato calcare n° 2 reg. Caviggione il quale contiene: Nmnmulites Boucheri De la Harpe (rara). N. striata D’Orb. N. striata var. pedemontana Teli. N. Fiditeli Michti (rara). N. Tchiliatcheffi D’Arch. et Haime (frequ.). N. Tehihatcheff var. depressa Teliini Helvetica Kauf. N. Tehihatdieffì (var. diverse, passanti gradatamente l’una all’altra). N. complanata Lk. (freq.). N contorta Desh. (non rara). N. biarritzensis D’Arch. (non freq.). N. Gnettardi D’Arch. (freq.). N. Chavannesi De La Harpe (ritenuta per tale dal Tellini). N. Brongniarti D’Arch. (Tellini la ritiene una varietà; 3 esemplari). N. anomala De la Harpe (non rara). N. variolaria Sow. fide d. Teliini. N. Molli D’Arch. var. (così mi fu determinata del Tellini). N. sp. (che sembra la compagna, senza camera centrale, della 420 L. DI ROVA.SENDA N. reticulata Teli, salvo a verificare con altri esemplari ; così determinata dal Teliini). N. Rovasendai Teli, (non rara) (*). Iìeterostegina sp. (diverse forme). Operculina ammonea Levm. Orbitoides papyracea Boub. O. ephippium Sclot. (freq.). 0. patellaris Schl. 0. stella Gfimb. 0. stellata D’Arch. 0. radians D'Arch. 0. » var. Scarantum 0. tenuistriata Gfimb. 0. dispansa Sow. 0. strophiolata Gfimb. Calcarina tetraedra Gfimb. (il Gfimbel la cita del colle di Mosciano presso Firenze coll’ Orbitoides stellata ed O. stella ); freq. Cupularia ? conoidea mihi (piccolo briozoo formato di ovuli collocati intorno ad un asse con celle aperte all’ esterno, e formante un piccolo cono di 1 mill. e 1/2 di altezza su 1 mill. di larg. con cella aperta all’apice. Lo trovai pure sui colli di Verona). Asteropecten sp. (diverse forme). Conocrinus pyriformis Munster. C. Torrenti D’Arch. Serpula spirulaea Lk. Ostrea gigantea Desh. Infine nella parte inferiore della serie stratigrafica esaminata troviamo la zona calcarea n° 3 di villa Defilippi che contiene i seguenti fossili : (!) Ha rapporto colla N. Murchisoni Brunner var. minor, ne differisce per essere più piccola (da 3 mill. a 9 di diametro) strie raggiate e contorte che vanno dall’ombone al margine, spira più regolare, setti meno avvicinati, più regolari, 6 giri, camere solo 3 volte più alte che larghe. I FOSSILI DI GASSINO 421 Nummulites striata D'Orb. var. 'pedemontana Teli. N. contorta Desh. N. biarritzensis D’Arch. N. Guettardi D’Arch. y. Roualti D’Arch. et Haime (') (freq.). N. lucasana Defr. (2) (non rara). N. perforata D’Orb. (3). (*) La .V. Roualti D’Arch. è forma poco conosciuta, negli esemplari del calcare di villa Defilippi da me rinvenuti, essa ha la massima larghezza in 25 mill. su 5 mill. di spessore « media » in 10 » su 3 » » n minima » in 5 « su 3 » » In generale la forma e conico-schiacciata nelle grandi, più regolarmente conica nelle piccole ; le strie molto contorte ed irregolari fino a correre pa- rallelamente al margine; sonvi granulazioni tra le strie, e qualche volta anche sparse in ogni senso, ma tanto le strie che le granulazioni sempre più visibili da una parte della faccia. Si osserva nelle grandi il margine alquanto ondulato e più assottigliato. L’interno è conosciuto e non ho saputo trovarvi differenza dalla N. Lucasana. Il prof. Seguenza cita la N. Roualti in Sicilia a Militello, al M. Pel- legrino a Palermo, a Termini Imerese, alla piana dei Greci prov. di Palermo, e nelle argille del Messinese presso Mistretta (Seg., Brevissimi cenni intorno la serie terziaria prov. di Messina. Firenze, 1873). (2) La .V. Lucasana ha massima grandezza 8 mill. su 4 di spessore minima » 3 » su 2 a 3 » Questa forma è fatta quasi a cono con centro od ombelico sollevato, granulazioni più o meno fitte ma sparse pertutto, più verso il centro che al margine, quasi sempre visibili all’ esterno. Strie raramente visibili, dirette dal centro al margine ondulate. In generale quadra alla forma di Gassino la descrizione del De la Harpe della Lucasana di Ledy Brace p, 5, Description des Nummulites des Falaises de Biarritz. Ho paragonato 40 es. di Gassino posti sopra una tavoletta con altret- tanti del colle di Gain sopra Verona, l’analogia è completa, non vi può es- sere dubbio. In alcuni es. di N. Tjucasana si osservano le granulazioni, assottiglian- dole, fino nella sezione mediana, sempre più affollate al centro che al margine. (3) In questa mia nota io già aveva scritto che trovandosi la N. Lu- casana senza la sua compagna la N. perforata non doveva arguirsi che la non ci fosse, ed infatti avendo spedito al sig. Telimi alcune Nummulites fra le quali glie ne faceva rilevare una che mi aveva mostrato le granulazioni 422 L. DI ROVASENDA Orbitoides papyracea Boubée. 0. aspera Giimb. 0. ephippium Sebi. 0. dispansa Soyv. 0. patellaris Schl. 0. radians var. Scharantum 0. moltiplicata ? Giimb. Isis brevis d’Achi. 1. laxesulcata Michti. Diplohelia sp. Blastotrochus ? sp. Cidaris sp. (varie forme). Echinus sp. Psammechinus biarritzensis Cotteau Echinocyamus Studeri Sismd. Spantangus sp. Conocrinus Thorrenti D'Arck. C. cilindricus mihi. Pentacrinus didactylus Orli. P. sp. Bourgueticrinus Zignoi Menegh. B. Thorrenti D’Arch. Serpula sp. Ceriopora simplex Michti. C. ramosa mihi. Defrauda fungiculus mihi. D. convexa mihi. D. tiorris mihi. H or nera, Lep ralla, Fasciculipora, Berenicea, Cupularia ed altri generi di cui spero col tempo dare la descri- zione e la figura). Ianira e Pecten diversi. internamente nell’assottigliarla, egli vi riconobbe la N. perforata ; perciò ho aggiunto alla N. lucasana la sua compagna la N. perforata tanto caratteri- stica ed importante per la determinazione del piano. I FOSSILI DI GASSIMI 423 Nerita Pluionis Bast. N. carinata mitri. Nella descritta elissoide abbiamo molti numeri della scala nummulitica del De la Harpe. ( Nummulites da compiè de Nice , p. 224). Il n° 7 di detta scala, rappresentato dall’associazione della N. Fiditeli colla N. intermedia , si riscontrerebbe nel piccolo banco sabbioso-arenaceo alla Costa Battaina sulla strada di Tondenito, immediatamente sotto il conglomerato Tongriano (’). Il n° 6 rappresentato dalla coppia N Tchihatcheffi e N. com- planata si riscontra nello strato medio del calcare Caviggione ove queste due Nammiéiti sono frequentissime, e la coppia non si trova nè superiormente nè inferiormente a questo strato. Il n. 5° colla coppia N. striata e N. contorta si trova nello stesso strato, ed inoltre vi è pure quella della N. biarritzensis e N. Guettardi cbe il De la Harpe osserva doversi ancora comprendere nella scala, e dice occupare sempre un livello inferiore a quello della N striata. Ambedue queste coppie si osservano pure nello strato susseguente della villa Defìlippi. Infine nel calcare di villa Defìlippi comparisce la coppia della N. lucasana e N. perforala del n° 3 della scala le quali non sono mai apparse negli strati superiori. Dal fin qui detto si può conchiudere : 1° Non è esatto comprendere col solo nome di Calcare di Gassino tutti gli strati che affiorano sia a destra che a sinistra della valle di Brivalba presso Gassino. 2° Sulla destra di detta valle, cioè dalla parte di Bussolino, sono ben distinti tre strati di calcare differenti, sovrapposti gli uni agli altri visibilmente, e separati da marne di notevole spes- sore alcune delle quali fanno riconoscere i corrispondenti strati da una parte e dall’altra della valle, cioè quelli di Bussolino e quelli di Bardassano. f1) E bene notare come questo straterello sabbioso-arenaceo contenga gli stessi elementi del conglomerato tongriano al quale piano credo si debba attribuire. 424 L. DI ROVASENDA. I FOSSILI DI GASSINO 3° Oltre la facies caratteristica dei detti strati, essi si distin- guono per contenere fossili diversi specialmente Nummulili J donde risulta l’importanza dell'elissoide di Gassino, la quale ci presenta gradatamente tutta la serie nummulitica dalla N. Boucheri , N. Fiditeli ecc. fino alla N. lucasana e N. perforata cioè dal Toncjriano al P ansiamo. Sarebbe perciò senza dubbio meritevole di maggior studio la ricca sua fauna e la sua flora, mentre con questa nota ho inteso di esporre al riguardo semplicemente un cenno preventivo e prov- visorio (’). Luigi Di Rovasenda. (*) (*) Parmi opportuno accennare la grande analogia esistente fra il cal- care di Gassino ed i terreni dei dintorni di Verona. Infatti uscendo dalla porta di S. Giorgio e salendo per la via di S. Leo- nardo si traversano gli strati in serie discendente incontrando prima i piii recenti i quali contengono gran copia di Orbitoidi, ( 0 . radians, 0. patella- ris, 0. stellata, 0. stella, 0. ephippium, 0. papyracea, O. Portisi, 0. di- spansa ecc. Nwmmulites striata, N. contorta, Bourgueticrinus Thorrenti, Conocrìnus pyriformis, la Cupularia conoidea ecc., Echinanthus iufo,Echi- nolampas-, poi N. Tcliihatcheffi, N. complanata e seguitando da S. Mattia al colle Cain succedono strati sabbioso-calcari colla N. lucasana, la TV. perfo- forata e fra queste in abbondanza la N. Fiditeli var. problematica Teli. Il sig. prof. Torquato Taramelli visitando la mia collezzione trovò grande analogia fra i calcari, di Gassino e quelli di Butrio nella prov. di Udine. L' APPENNINO DELL’EMILIA Studio geologico sommario. Dopo lo studio geologico del tipico bacino terziario del Pie- monte (*) e dell'Appennino settentrionale (2) compreso tra la Li- guria e la valle padana, naturale mi venne il desiderio di esten- dere gli studi verso est e di esaminare l’Appennino emiliano, sia per osservarvi il modo di svolgersi e di presentarsi dei terreni terziari, sia per continuare le osservazioni sui rapporti esistenti fra i terreni eocenici e quella potente serie di formazioni schistoso- argillose ofiolitifere ritenute sinora come eoceniche e che invece da alcuni anni io considero come cretacee. A tale studio fui anche maggiormente spinto dal fatto che sulla regione emiliana vennero già pubblicati, da diversi illustri geologi e paleontologi, numerosis- simi lavori, ma per lo più fra loro molto contraddittori, con inter- pretazioni stratigrafiche svariatissime, tanto che anche oggi dopo tanti studi detta regione si presenta tuttora, geologicamente, in parte problematica. Desideravo quindi farmene de visu un concetto generale per poter paragonare la serie geologica dell’ Emilia con quella delle regioni appenniniche che avevo prima studiate. Debbo però subito premettere che a tale esame geologico potei appena consacrare un paio di mesi nella scorsa primavera (1892) per modo che il lavoro che ora presento (3) contiene solo osservazioni (') F. Sacco. Il Bacino terziario del Piemonte, Milano, Eoma, Torino, 1888-90 (con 2 carte geologiche nel testo e grande carta geologica al 100,000°). (2) F. Sacco, V Appennino settentrionale (parte centrale). Boll. Soc. geol. it., voi. X, 1891 (con grande carta geologica al 100,000°). (3) Questo lavoro, presentato nella la seduta (11 settembre 1892) del Congresso geologico italiano in Vicenza, è una sintetica illustrazione della 426 1''. SACCO generali, nè pretende quindi affatto di sciogliere tutti i problemi della geologia emiliana. Naturalmente, anzi a maggior ragione, la carta geologica al 100,000 che fa parte integrante di questo lavoro non deve essere considerata che come un semplice abbozzo, e dovrà quindi subire in avvenire molte correzioni e modificazioni più o meno importanti. Contuttociò credetti opportuno pubblicare tale carta, poiché son convinto che una carta geologica, anche se imperfetta, costituisce sempre la parte più importante, più utile e più profit- tevole di un lavoro di geologia, tanto più che risparmia una lunga serie di osservazioni e di descrizioni inutili, perchè non vengono quasi mai lette, mentre che sulla carta moltissimi fenomeni ven- gono afferrati e compresi di tratto con un semplice sguardo. Debbo specialmente fare osservare come per i diversi affiora- menti di terreni secondari che appaiono sul versante tirreno tra la Val Magra e la Val Lima io non abbia fatto studi speciali, ben sapendo essersene accuratamente occupati in questi ultimi tempi il Lotti, il De Stefani, lo Zaccagna, ecc.; quindi credo più logico ri- mandare all’esame dei loro speciali lavori in proposito. Perciò la carta geologica è da riguardarsi come affatto provvisoria rispetto a tali affioramenti, che sono indicati alquanto schematicamente, in attesa che gli studi dei geologi suddetti vengano presto concretati in una buona carta geologica in grande scala. Riguardo alla Bibliografia geo-paleontologica dell’ Appennino emiliano rimando per brevità alla utilissima Bibliograpliie géolo- gique et •palèo ntologique de V Italie (Bologne 1881), riservandomi solo di indicare alla fine del lavoro la Bibliografia, relativamente assai copiosa, riguardante l’ultimo decennio 1881-92. Per ora mi limito qui a pochi cenni generali sugli studi geologici anteriori riguardanti la regione emiliana, anche perchè se discendessi a particolari dovrei fare osservazioni critiche, che potrebbero essere male interpretate e suscitare polemiche da cui assolutamente rifuggo ritenendole soltanto dapnose alla scienza ed alle persone ; giudichi Carta geologica dell' Appennino dell' Emilia (scala di 1:100,000, 25 colori, diametro centimetri 95 X 120, in 3 fogli) pubblicata a Torino nel settembre del 1892, e che trovasi in vendita presso la libreria Loescher, Torino, al puro prezzo di stampa: L. 6. l’appennino dell'Emilia. 427 altri le differenze fra le mie interpretazioni e quelle degli autori, che mi hanno preceduto. Per la provincia di Parma, se si eccettuano alcune Note dovute all' Amoretti, al Mantovani, e specialmente allo Strobel ed al Del Prato, mancava assolutamente sinora uno studio geologico gene- rale e quindi non esisteva affatto una carta geologica. Invece nella provincia di Modena e Reggio furono già fatti studi geologici e paleontologici numerosi ed importanti, sia nei tempi addietro, specialmente da Spallanzani e Bianconi, sia più re- centemente da Mantovani, Stdhr, Mazzetti, Manzoni, Ferretti, Coppi, Doderlein, Pantanelli, eco. Certamente fra tutti i sovracitati autori è specialmente al Doderlein, che spetta il maggior merito per la conoscenza dell’Appennino modenese e reggiano, tanto più che egli rilevò e pubblicò la Carta geologica delle provinole di Modena e Reggio (Bologna, 1872) solo lasciandone incompleta la descrizione; tale lavoro è di notevole importanza, la serie stratigrafica ricono- sciuta è in gran parte accettabile; solo credo che, oltre a numerose modificazioni nella delimitazione dei terreni, si debbano fare le seguenti principali correzioni: Il Gesso inferiore dell'alta mon- tagna (indicato dal Doderlein al n. 23 nella scala dei terreni) ri- tenuto come superiore alle argille scagliose, apparterrebbe invece, se- condo me, al Trias. La distinzione e la delimitazione dei Calcari e del Macigno inferiore e superiore (19, 20, 21, 22) sono da modificarsi notevolmente. Il Calcare grigio compatto (16) posto sopra al Calcare cristallino nummulitico (16) ed alla Molassa silicea inferiore (17) deve ritenersi come assolutamente inferiore a dette formazioni e rife- ribile invece al calcare a Fucoidi ( Parisiano )■ Ad un piano unico, il Tongriano , vanno attribuite le formazioni (15), (17), (18) indi- cate in piani differenti, nonché gran parte delle Marne grigio- oscure sabbionose (14), almeno nel reggiano, poiché nel modenese le zone così indicate dal Doderlein appartengono in gran parte al- l’ Elveziano. Le formazioni (10), (12), (13) ed una parte del (14) sono riferibili per lo più all’ Elveziano. Quanto alle Marne bian- castre (11) paiono appartenere a piani diversissimi. Passando alla provincia di Bologna vediamo che anche qui abbondano gli studi geologici e paleontologici fatti da diversi au- tori ; dapprima da Monti, Santagata, Bianconi, ecc., poscia da Sca- rabelli (che sin dal 1853 ne pubblicò una cartina geologica), For- 128 F. SACCO nasini, Foresti, Capellini, Bombicci, Manzoni, eoe., ecc. Fra questi autori eccelle in modo assoluto il Capellini per abbondanza ed im- portanza di lavori, sia paleontologici che geologici. Rispetto alla geologia, fra le pubblicazioni più notevoli del Capellini dobbiamo notare la Carta geologica della provincia di Bologna (Bologna, 1881), solo è a deplorare che in questa carta, a parte le corre- zioni a farsi riguardo alla delimitazione delle formazioni, siano in gran parte inglobati assieme i terreni eocenici e cretacei; le ar- gille scagliose siano indicate come detriti delle roccie cretacee , e mioceniche rimpastale-, ciò che parrebbe riportarne l'età di forma- zione a dopo il Miocene ; e che una parte degli schisti eocenici siano riferiti al Miocene. Ma, in seguito il Capellini stesso con diversi lavori paleontologici molto importanti contribuì potentemente a chia- rire i problemi geologici dell’Appennino bolognese e ad eliminare qualcuno dei precitati errori. Quanto alla provincia di Massa Carrara troviamo pure nume- rosissimi lavori geo-paleontologici fatti dapprima da Guidoni, Pa- reto, Savi, Pilla,, ecc., poi da Cocchi, Meneghini, Capellini, Forsyth Major, Lotti, Zaccagna, De Stefani ecc. ; manca però tuttora una Carta geologica generale in grande scala. In questi ultimi 20 anni la regione apuana e circumapuana venne fatta oggetto di nume- rosi studi e di accurati rilevamenti geologici, sia da parte del R. Istituto geologico italiano per mezzo particolarmente dello Zac- cagna e del Lotti, sia da parte del De Stefani specialmente il quale pubblicò in proposito una gran quantità di note, nonché un lavoro molto esteso {Le pieghe delle Alpi Apuane. Firenze, 1889). Siccome verrà pubblicata fra poco dal R. Comitato geol. ital. la carta geologica di questa importantissima regione, così credetti op- portuno limitarmi quivi a poche escursioni per delineare sulla mia Carta geologica almeno nel complesso le diverse formazioni della regione periferica delle Alpi Apuane, occupandomi appena superfi- cialmente, come già dissi sopra, dei diversi terreni secondari quivi affioranti, tanto più che essi vennero già in gran parte illustrati da lavori geologici e paleontologici speciali e che le loro aree di distri- buzione verranno presto precisamente delineate dal R. Ufficio geol. ital. con una carta geologica generale. Ciò premetto nettamente, desi- derando di non entrare con questo mio lavoro nella polemica scien- tifica dibattutasi in questi ultimi anni rispetto alla regione apuana. l'appennino dell'Emilia 429 Arcaico. . j Nella parte centrale delle Alpi Apuane, sotto ai terreni schi- stosi di varia natura riferibili al' Pernio-carboni fero affiorano for- mazioni schistoso-cristalline, che potrebbero forse in parte attri- buirsi già all' Huronia.no . Primario. I terreni primari nella regione in esame, come si verifica so- vente anche altrove, sono rappresentati specialmente dalle forma- zioni pernio-carbonifere , che appaiono largamente nella regione centrale delle Alpi Apuane. Quivi però appare anche una serie assai potente di talcoschisti, calceschisti ecc., racchiudenti resti di Orthoceras, Actinocrinus , ecc., formazione, che viene riferita da alcuni alquanto dubitativamente al Siluriano. La serie perno-carbonifera è assai sviluppata nella parte cen- trale delle Alpi Apuane ed è costituita da schisti di varia natura, di cui alcuni con facies cristallina, alquanto simili a quelli con- temporanei delle Alpi Occidentali. Tali terreni affiorano eziandio all’estremità del promontorio orientale del Golfo della Spezia, dove sono rappresentati, in basso da talcoschisti e da cloriteschisti, talora nodulosi o anagenitici, ed in alto da schisti filladici, quarzitici e cloritici, talvolta anche anagenitici, i quali passano superiormente al Vosgiano , come ebbi già ad indicare nel lavoro sull' Appennino settentrionale , (1891). È poi molto importante il fatto, già segnalato dal Pareto, ( Coupes à travers V Appennin. B.S. G. deP., 18(51) e dallo Zaccagna nel suo lavoro sugli A ff or amenti di terreni antichi dell’ Appennino pontremolese e fvizzanese (S. Tose. Se. Nat. 1884), che, cioè, tra l’alta Yal Secchia e l’alta Val Rosaro presso il Passo dell’Ospe- dalaccio, sotto il M. Acuto, veggonsi affiorare per breve tratto spe- ciali schisti grigiastri, micacei, con noduli quarzosi, con facies com- plessiva che ricorda talora 1’ Appenninite, nonché schisti anfibolici epidotiferi e piritiferi, raramente schisti gneissiformi, cioè una for- 430 F. SACCO inazione che nel complesso credo riferibile al Permiano potendosi parallelizzare con formazioni simili, ritenute permiane , delle Alpi Apuane e delle Alpi Marittime. Tale riferimento è tanto più vero- simile, accettando quali triassici (come io propongo) i calcari ges- siferi delle vicinanze. Ad ogni modo l'interessante affioramento ac- cennato è certamente meritevole di speciale attenzione e di studi speciali. Disgraziatamente tale affioramento appare solo per poco più di 100 metri nella discesa dal Colle dell’Ospedalaccio in Yal Rosaro ed è in gran parte mascherato dal detrito dei terreni più recenti ; presentasi in strati quasi verticali, o con inclinazione a sud-est circa, immergendosi così sotto le quarziti vosgiane ed i calcari gessosi del Keuperiano. Secondario. Le formazioni secondarie nell’ Appennino dell’Emilia, o non appaiono affatto, oppure vi hanno un immenso sviluppo a seconda che riferisconsi all’Eocene (come è finora ammesso in generale), oppure al Cretaceo (come invece io penso) le argille scagliose, le potenti formazioni schistose arenacee e calcaree ofiolitifere, ecc. Si comprende quindi quanta importanza presenti la soluzione di tale questione, e come io vi abbia quindi data una speciale attenzione in questo lavoro. Quanto ai terreni cretacei, giurassici e triassici, cha affiorano assai frequenti ed estesi sul versante tirreno dell’ Appennino, mi limiterò a pochi cenni non avendo fatto su di essi studi speciali- perchè fuori della zona emiliana, che è precipuo oggetto di questo la1 voro, e perchè, come già dissi, altri geologi si occuparono di pro- posito in questi ultimi anni di tali terreni. Trias. La formazione triassica è molto estesa e potente nelle Alpi Apuane, che ne sono anzi in gran parte costituite, ma non ha invece grande estensione nella restante parte dell’area in esame; essa può scindersi complessivamente in un orizzonte inferiore spe- cialmente schistoso-quarzitico ( Vosgiano ), ed in un orizzonte su- periore specialmente calcareo ( Keuperiano ). l’appennino deli/emii.ia 431 Vosgiauo. Questo terreno è costituito di quarziti, arenarie e schisti di varia natima, non di rado anagenitici ; esso sembra passare gra- dualmente nella parte inferiore al Permiano , dalle cui formazioni schistose quindi non è sempre facilmente distinguibile. Il Vos- giano affiora assai estesamente nel promontorio orientale del Golfo della Spezia, ma presentasi poi specialmente sviluppato nelle Alpi Apuane, come risulta dai lavori del Cocchi, del De Stefani, del Lotti, dello Zaccagna, ecc. È molto interessante il notare come presso Sassalbo, sotto ai calcari gessosi (che io riferisco al Trias) affiorino qua e là, alle falde orientali del AI. Acuto, e precisamente al Passo dell’Ospeda- laccio, speciali formazioni quarzitiche bianco-rossicce, che crederei riferibili al Vosgiano , ciò che concorderebbe col fatto sovraccen- nato di una piccola emersione di Permiano in detta regione. Queste quarziti biancastre o giallo-rosee appaiono in diversi punti ria il Passo dell'Ospedalaccio ed il colle Cerretta, sotto le arenarie (Ma- cigno) eoceniche o sotto i loro detriti franoso-morenici ; tra il AI. Casarola e Cerreto dell' Alpi essi affiorano largamente mostrando nettissimamente la loro regolare, sovente fortissima, inclinazione ad est o est-sud-est, in modo da immergersi sotto ai calcari brec- cioso-cariati e gessiferi del Keuperiano . Keuperiano. Le formazioni riferibili complessivamente al Keuperiano sono in massima parte rappresentate da calcari, spesso dolomitici, talora compatti cristallini ( marmi , grenoni ), talora breccciosi, talora anche cavernosi ( carniole ), di tinta per lo più grigiastra o biancastra. La formazione keuperiana è affatto tipica nelle Alpi Apuane per il grande sviluppo e per le forti e ripetute ripiegature, nonché per l’escavazione dei famosi marmi ; su questa interessantissima regione fecero molti studi numerosi scienzati, ma specialmente Cocchi dapprima, e più recentemente il De Stefani, lo Zaccagna ed il Lotti. Il De Stefani, oltre a numerosissime Note, pubblicò nel 1889 un grandioso lavoro: Le pieghe delle Alpi Apuane , (Firenze), a cui sono annesse molte sezioni ed una gran carta geologica 482 F. SACCO al 25,000 riguardante la regione centrale di dette Alpi ; fra breve il Comitato geologico italiano pubblicherà pure carte geologiche speciali e generali ; perciò non credetti opportuno occuparmi di tale regione per quanto interessantissima. I terreni keuperiani sono pure assai sviluppati nel promon- torio orientale del golfo della Spezia, ma essi vennero eziandio studiati e descritti da molto tempo. Di particolare interesse, riguardo al presente lavoro, è il fatto che in molti punti della parte centrale dell’alto e medio Appennino èmiliauo, nonché nel versante tirreno, appaiono qua e là alcune formazioni calcareo-gessose. la cui importanza non venne finora cono- sciuta, poiché a mio parere ne venne male interpretata l’età. Tali formazioni sono costituite di calcari dolomitici grigiastri, spesso frammentari, sovente cavernosi, i quali in molti punti ed anche per tratti assai estesi inglobano o sono sostituiti da zone di gessi biancastri. La stratigrafia di questa speciale formazione è general- mente. confusa ; è certo tuttavia che questo terreno presentasi per lo piti fortissimamente corrugato, ripieghettato, rotto, spostato, tanto che riesce difficilissimo il conoscerne la precisa tettonica. Orbene, siccome questa formazione calcareo gessosa trovasi per lo più fra gli argilloschisti e le argille scagliose, i geologi che se ne occu- parono la credettero generalmente una semplice modalità di tali ter- reni, solo il Cocchi nel 1866 Sulla Geologia dell’Alta Valle di Magra ascrisse al Trias i calcari gessiferi di Sassalbo. Il Doderlein (1872) indicò il Gesso inferiore dell’alta montagna (23) come su- periore alle argille scagliose (24) ; il De Stefani accennando ( Quadro comprensivo dei terreni che costituiscono V Appennino settentrio- nale 1881) ad affioramenti di In fr alias, e di Lias nella valle della Secchia ed in altri punti dell'alto Appennino emiliano probabilmente si riferì a questi calcari cariati gessiferi, ma in lavori più recenti {I laghi dell' Appennino settentrionale , 1884) egli indica questi gessi, coi calcari ed i galestri, come appartenenti all’ Eocene supe- riore. Così pure lo Zaccagna, che in diversi lavori ebbe ad occu- parsi di questi calcari gessosi, non diede loro importanza e li consi- derò come semplici accidentalità originate dall’azione di acque minerali che avrebbero gessificato, a seconda le diverse regioni, calcari di varia età, cioè d &\Y In fr alias e del Lias , ma specialmente i calcari alberesi dell'Eocene ; d’altronde un’opinione alquanto si- I/APPENMNO DELL’EMILIA 433 mile fu espressa per le rocce in questione già nel 1851 da Savi e Meneghini nell’aggiunta al lavoro del Murchison: Memoria sitila struttura geologica delle Alpi, ecc., pag. 505. A me invece sembra che la suddetta speciale formazione sia riferibile al Trias e più precisamente al Keuperiano (1). Infatti trattasi di calcari dolomitici i quali hanno completamente la foxies, la strettura e la costituzione di una parte dei calcari triassici delle Alpi; la presenza delle zone gessose è un altro dei caratteri più spiccati del Keuperiano in una gran parte dell’Europa; lo stesso dicasi delle carniole, che sovente accompagnano o sostituiscono le zone gessose, nonché delle lenti di salgemma rivelate, per esempio, dalle sorgenti salate di Pojano in Val di Secchia. Inoltre la stra- tigrafia stessa ci indica la relativa antichità dei calcari in questione, sia perchè essi sono fortemente sollevati, rovesciati e pieghettati, sia perchè, là dove si possono ossservare bene i loro rapporti tettonici, questi calcari gessosi soggiacciono a tutti gli altri terreni tanto se- condari che terziari. È bensì vero che talora i calcari ed i gessi in esame appaiono fra le argille scagliose in modo da sembrare semplici lenti comprese fra di esse od anche placche ad esse sovrapposte ; ma, credo trattisi di una semplice parvenza spiegabile, supponendo che gli affioramenti calcarei in esame rappresentino per lo più le guglie o le creste di una regione triassica molto tormentata ed erosa soggiacente ai terreni costituenti la parte esterna, superficiale, direi, della regione appenninica; ora, essendo questi calcari spesso più resistenti alPerosione che non le argille scagliose o gli argillo- schisti sovrastanti, ne risulta che essi talora sporgono alquanto fra questi ultimi ; anzi, talora si verifica persino che le colate fangose alluviali, derivanti dall’erosione degli argilloschisti, vengano a cir- condare ed isolare più o meno completamente piccole zone di cal- cari gessosi, che in realtà sono certamente collegate con altre vicine zone consimili. Tale fatto si può osservare bene specialmente in Val Secchia tra Busana e le sorgenti salate di Pojano. Quivi, in modo particolare sul lato destro della valle, vedesi che nelle regioni di f1) Alcune zone di calcari con carniole nelle Alpi Apuane vengono attri- buite all’ Infralias per modo che anche i calcari in esame potrebbero essere interpretati come infraliassici; non conosco abbastanza la geologia apuana per presentare opinioni in proposito ; ma parmi tale interpretazione meno accettabile. 434 r. sacco sbocco degli affluenti (tipiche in proposito sono le vicinanze di Ta- lada) le colate di argille scagliose coprirono in gran parte i terreni calcareo-gessosi e poscia, essendosi allargate a delta nell'alveo della Secchia, simulano ora d'inglobare tali zone calcaree ; queste perciò appaiono quasi come placche giacenti sulle argille scagliose, tanto più che queste ultime per la loro facies caotica non sempre lasciano facilmente distinguere le zone in posto da quelle rimaneggiate. Credo debbasi a questi fenomeni l’opinione del Doderlein, e di altri geologi, che considerano i calcari gessosi come superiori o inglobati alle argille scagliose. Il fatto poi, che tra Sassalbo e presso Cerreto del- l'Alpe sotto ai calcari in questione, affiorano speciali schisti riferibili al Permiano ed una estesa formazione quarzitica del Vosgiano , viene ancora ad avvalorare l’opinione che tali calcari gessosi siano attribui- bili al Keuperiam. D’altronde 1 sovraccennati rapporti stratigrafici che osservami in Val Secchia sono quasi identici a quelli che veg- gonsi ad ovest di Genova nella zona di sovrapposizione degli argillo- schisti ofìoliti feri sui calcari certamente keuperiani , fortemente rad- drizzati e contorti. La questione sopraesposta ricorda molto una questione simile, con circostanze simili, che si dibattè e dibattesi tuttora fra Jacquot, Carez, Touchas, Lacvivier, Roussel ed altri, riguardo a speciali formazioni dei Pirenei, particolarmente quelle delle sorgenti della Sals (Aude). Finora non vennero ancora riscontrati fossili nel Trias dell’ Ap- pennino emiliano, mentre numerosi già si annoverano nella regione delle Alpi Apuane, sia perchè più studiata, sia perchè il Trias vi è più sviluppato e non vi ha la facies gessosa, direi, che indica con- dizioni di deposito poco favorevoli allo sviluppo degli organismi. La distribuzione geografica dei terreni in questione è assai irregolare, almeno in apparenza; però considerandoli nello assieme ed osservando che essi affiorano quasi sempre al fondo delle più profonde vallate, sia nel versante tirreno, sia nel versante padano, ne deriva logica la conclusione che esiste sotto l'alto Appennino emiliano una ampia zona triassica che naturalmente viene messa a nudo solo dalle più profonde incisioni ed erosioni e dalle più forti lacerazioni e pieghe stratigrafiche. La tettonica della formazione keuperìana è di assai difficile osservazione a causa, sia delle potenti e svariatissime pieghe e con- torsioni, sia della natura stessa del terreno, che spesso non mostra L’APPENNINO DELL’EMILIA 485 chiara la sua stratificazione. Nella Yalle della Secchia tra Busana e le sorgenti salate di Pojano, gli strati, sollevati, contorti, arricciati nel modo più bizzarro, sono generalmente diretti da est ad ovest circa: ma verso Busana essi prendono poco a poco una direzione nord-est-sud-ovest; in linea affatto generale, credo che l'andamento complessivo della formazione keuperiana , che presenta certamente diverse pieghe subparallele, sia da est ad ovest all' incirca, con una piega anticlinale, specialmente accentuata nella regione del Passo dell’Ospedalaccio ad un dipresso. È diffìcile valutare la potenza della zona keuperiana in esame, in causa appunto della sua tettonica molto conturbata; però nel più ampio affioramento di Val Secchia sembrami si possa ritenere il suo spessore come superiore a 600, o 700 metri. La formazione keilperiana , per la sua posizione e per sog- giacere alle potenti e compatte formazioni arenacee dell’Eocene, non si presenta molto sollevata nella regione appenninica in esame, oltrepassando solo di poco i 1200 metri nell'alta Val Secchia; ma nelle Alpi Apuane essa viene spinta anche oltre i 1900 m. s. 1. m. Quanto ai rapporti stratigrafici degli affioramenti keuperiani colle formazioni circostanti, essi sono quasi sempre molto oscuri, a causa specialmente della natura franosa degli argilloscbisti, che per lo più li circondano; in generale si osserva un hyatus fortissimo, per la diretta sovrapposizione di tali argilloschisti, spesso forte- mente sollevati e contorti, sopra le masse keuperiane ; invece nelle Alpi Apuane la grande formazione triassica è per lo più avvolta da una zona più o meno potente, qua e là interrotta, di In fr alias. Considerata dal lato orografico, la formazione in esame costi- tuisce, per la sua relativa durezza, speciali rilievi brulli, aridi, scoscesi, anche quando affiora al fondo delle vallate, come per esempio in Yal Secchia. Talora le regioni keuperiane si presentano super- ficialmente scavate a numerosi imbuti, come vedesi, per esempio, a nord di Sassalbo; ciò che deriva dalla dissoluzione delle lenti gessose per opera delle acque. Nelle regioni keuperiane sono piut- tosto vare le sorgenti acquee, di cui talune salate, come quelle fa- mose di Pojano. I terreni keuperiani per la loro natura ed oro- grafia poco si prestano all’ agricoltura ; invece sono qua e là uti- lizzati per estrazione di calce e di gesso, per pietrisco, eco. 436 F. SACCO Ciò premesso, accenniamo brevemente ai principali affioramenti keuperiani. La zona più estesa e più importante affiora al fondo della Valle della Secchia dalle sorgenti salate di Pojano sino a monte di Ligonchio con imo sviluppo continuo quindi di oltre 15 chilometri ed una ampiezza di 1 a 3 chilometri. Vi si possono os- servare sovente bellissime pieghe ed arricciamenti specialmente percorrendo l’alveo della Secchia, dal Molino di Porcile alle sor- genti salate, nonché di fronte a Busana ecc. Questa zona che a valle di Busana rappresenta un bellissimo anticlinale, lungo il cui asse corre precisamente la Secchia, è direttamente coperta dagli argilloschisti cretacei, fortissimamente sollevati, e con una specie di corona di lenti ofiolitiche circuenti la zona heuperiana (special- mente a sud di Costa dei Grassi) in modo da ricordare moltis- simo la zona di sovrapposizione degli argilloschisti ofiolitiferi cre- tacei sui calcari keuperiani ad ovest di Genova. Le lenti gessose sono abbondanti e sviluppatissime, tanto che talora sostituiscono completamente il calcare, il quale poi sovente è frammentario e molto cariato. Con una facies simile vediamo la formazione heuperiana spingersi lungo la Rossendola sino a monte di Ligonchio sotto la Casanova, apparendo poi anche in lembi isolati, probabilmente guglie della sottostante regione triassica, a sud di Ligonchio, tra Ligonchio e Casalino ed a Montecagno. Similmente vediamo affiorare più o meno estesamente i calcari gessosi del Keuperiano nell’alta Val Secchia presso la Pieve di Bu- sana, sotto Nismozza, a Cinquecerri, da Acquabona a Vallisnera, a monte di Collagna, nel vallone di Val bona, tra il M. Casarola e Cerreto dell’Alpe, dove poggiansi nettamente sulle quarziti vo- sgiane, a C. La Gabellina ecc. sino al Passso del Cerreto. Di qui possiamo seguire lo sviluppo dei calcari gessosi in esame nell'alta Val Rosaro, dove essi estendonsi assai vastamente fra le falde me- ridionali del M. Acuto e Sassalbo : anzi questo ultimo nome credo derivi precisamente dalla nivea bianchezza della zona gessosa che mostrasi quivi assai sviluppata ed arricciata. A sud dì Sassalbo i terreni keuperiani , piuttosto calcarei che gessosi, si estendono ancora notevolmente, in modo speciale sul lato destro della valle, finché essi vengono coperti definitivamente dai terreni eocenici. l’appennino dell’Emilia 437 I prof. Savi e Meneghini nell’appendice al lavoro di Murchison (Memoria sulla struttura geologica delle Alpi , degli Appennini e dei Carpasi , 1851) indicano a pag. 505 depositi gessosi presso l'Alpe di Corfìno, ciò che non ebbi a constatare. È interessante osservare come anche nella Valle di Soraggio esistano Tari affioramenti di calcare gessoso, probabilmente rife- ribile al Keuperiano. Tali affioramenti, ai quali forse si collega l'apparizione dell’ Infr alias presso Soraggio, si potrebbero quasi considerare come un prolungamento della zona keuperiana di Val Secchia-Ligonchio ; infatti, li troviamo in diversi punti sotto la Bocca di Soraggio sin quasi sotto il Passo Romecchio, ed anzi affiorano ancora sia in Valle Ameda ad est di Metello, sia nella alta Valle Ozola, al fondo di detto vallone, fra M. Cusna ed il Passo del Romecchio. Tali affioramenti sono molto importanti perchè ci indicano una grande estensione della zona triassica sotto l'Appennino emiliano. Infine nell'alta Val Taverone tra il M. Cavallina ed il M. Giogo ebbi pure a constatare che al fondo del vallone, sotto alla poten- tissima serie dei banchi arenacei (Macigno), suborizzontali, del- l'Eocene, appaiono qua e là ristretti affioramenti di calcari keupe- riani, che nell’ultimo lembo verso valle inglobano pure le carat- teristiche lenti gessose. Piccolo, ma notevole, è anche un affioramento di questo calcare gessoso a sud di Torsana al fondo di un vallone, che discende dal M. Acuto e sbocca nel Fosso di Lusignano. Anche questi affioramenti, per quanto minimi, sono importanti per indicarci il grande sviluppo della zona triassica, che probabilis- simamente estendesi ancora notevolmente verso ovest sotto il velo specialmente eocenico e cretaceo. Infralias. La formazione infraliassica venne già studiata da molti geologi e paleontologi, ed io ho nulla da aggiungere di nuovo in proposito. E noto essere essa costituita di calcari grigio-bleuastri, talora dolomitici, subcristallini, e di schisti calcarei grigio-bruni, non di rado fossiliferi (Avicida contorta , Plicatula intusstriata , Pinna, Candita , Myacites , Bactryllium , ecc.). Questo orizzonte, sviluppa- 29 438 F. SA.CCO tissimo nel golfo della Spezia, costituisce pure una interrotta ed irregolare cintura attorno alle Alpi Apuane: per questa regione io delimitai complessivamenie sulla carta geologica la zona infralias- sica, attenendomi speciamente ai lavori del De Stefani ; forse però in alcuni casi certe aree indicate come infraliassiche dovrebbero ancora attribuirsi al Eeuperiano. Manca l'orizzonte in esame nel- l’Appennino emiliano, se non gli si vogliono attribuire i calcari gessosi, che paionmi riferibili al Trias. Presso Soraggio nella parte settentrionale del M. la Ripa, veggonsi affiorare calcari dolomitici subcristallini, grigio-rosei-bian- castri, che lo Zaccagna nel suo lavoro sui Lembi titoniani a Soraggio ed a Casola in Lunigiana , 1883, crede debbansi attribuire all’ Li- fralias. Qualche affioramento infraliassico potrebbe forse esistere nella grande zona secondaria di Val Lima, osservandovisi calcari cariati, grigiastri, che non riesce facile staccare dal Lias inferiore. La potenza dell’ Puf r alias nel Golfo della Spezia è forse su- periore ai 500 metri ; esso viene spinto sin oltre i 1000 metri in alcuni punti delle Alpi Apuane; la sua tettonica è relativamente abbastanza chiara e regolare, solo verificandosi arricciature od on- dulazioni nell’andamento degli strati, spesso fortemente sollevati. Lias. Il terreno liassico è assai importante per la regione esaminata in questo lavoro a causa del suo apparire in molti punti dell’ Ap- pennino sotto al velo cretaceo-eocenico. Tuttavia siccome di questa formazione si occuparono già di proposito diversi geologi, special- mente in questi ultimi anni De Stefani, Zaccagna, Lotti, Mene- ghini, ecc., raccogliendone ed illustrandone i fossili, così mi limi- terò a pochi accenni in proposito. I calcari del Lias si presentano in strati più regolari e più nettamente visibili, che non quelli dell ' Lnfr alias ; sono di colore per lo più grigiastro, ma anche rosso-rosei; il De Stefani li suddi- vise in diverse zone, che dal basso all’alto sarebbero le seguenti: Zona a Psilonoti, Zona a Brachiopodi ed Angolati, Zona a Pentacrinus , Eu- geniacrinus , ecc., Zona ad Arietites bisulcatus, Zona ad Amaltlieus margaritatus e Zona ad llarpoceras radians. l’aPPENNINO DELL’EMILIA. 439 Vi sono relativamente abbondanti i fossili, specialmente Cefalo- podi, Brachiopodi e Crinoidei ; su tale proposito sono da consultarsi, oltre diversi studi antichi e recenti di vari autori, specialmente il lavoro del De Stefani sopra Le pieghe delle Alpi Apuane. Il LiaSj oltre a mostrarsi assai sviluppato sui due lati del golfo della Spezia, appare pure in diversi punti, ed anche molto estesamente, attorno alle Alpi Apuane, indicandoci di costituire esso quivi una zona certamente continua, ma parzialmente mascherata da terreni più recenti. Inoltre i calcari Massici affiorano in più punti tra le Alpi Apuane ed il crinale appenninico in modo da farci supporre 1’esistenza di una seconda complessa piega subparallela a quella, molto più accentuata, che originò le Alpi Apuane. Finora non fu constatato con certezza alcun affioramento Massico nel versante padano dell’Appennino emiliano ; solo è a notarsi che presso Ranzano in Val d’Enza fu trovata erratica un’ammonite, che venne classificata come Harpoceras radians da Mérian e Fischer, e come H. boscensis dal De Stefani; in ogni caso si tratterebbe di una forma tipicamente Massica, che indicherebbe un affioramento di IJas nell’alta Val d’Enza. Ma io non ebbi ad osservarvi nessuna zona liassica, per cui dubito alquanto che trattisi di un’ ammonite pro- veniente dalle formazioni cretacee quivi sviluppatissime. Invece debbo notare come sulla sinistra di Val Ricarbero (confluente di destra della Secchia) sul fianco nord-est del M. Mac- cagnina, abbia constato l’affioramento di calcari grigi, leggermente inclinati a sud-ovest, che paiono riferibili al Lias. Essi sono accom- pagnati da calceschisti rosei, usati come pietre da coti, forse attri- buibili al Giurese, se pure non sono già cretacei. I depositi fra- noso-morenici, quivi tanto estesi, non permettono minuti studi in proposito. La tettonica del Lias varia molto da luogo a luogo, e pre- sentasi sovente molto simile a quella dell’ Lnfralias , cioè con forti raddrizzamenti, ondulazioni, ecc. Gli affioramenti Massici, che esistono fra le Alpi Apuane ed il crinale appenninico, per lo più si mostrano costituiti in anticli- nali o cupole irregolari sovente però visibili solo in parte ; non di 440 F. SACCO rado nei banchi superiori la stratificazione è quasi scomparsa appa- rentemente. La serie Massica è talora potente più centinaia di metri, tal- volta invece mostrasi ridotta a solo pochi metri. I suoi banchi cal- carei sono in certi punti molto più sollevati che non quelli infra- li assici, in causa della loro posizione stratigrafica; vediamo infatti il Lias della Pania di Corfìno oltrepassare i 1600 m. s. 1. m. In alcune regioni si può osservare un passaggio abbastanza graduale dall’ I nfralias al Lias, e da questo al Giura , ma sovente invece fra questi due ultimi terreni esiste un liyatus abbastanza notevole. Quanto allo studio geo-paleontologico della formazione Massica rimando agli autori sovraccennati, che se ne occuparono particolar- mente ; qui presento solo i seguenti brevi cenni. Attorno alle Alpi Apuane vediamo svilupparsi notevolmente la zona Massica tra la Torrite Secca ed il Fosso della Ferriera con incli- nazione generale complessiva a nord-ovest e con una concordanza ab- bastanza regolare coi terreni sopra e sottostanti, come è ben illustrato dai lavori del De Stefani ; essa riappare nel rio Tassonara da Minuc- ciano sin quasi sotto Bergiola presentando quivi una regolare incli- nazione a nord-nord-ovest circa ed adagiandosi concordemente sul- XI nfralias-, non vi sono rari i fossili, talora piritizzati, specialmente dei generi Aegoceras , PhyUoceras , Lythoceras , Natica , ecc. Nel Vallone a nord di M. Bastione, un chilometro circa a monte di C. Pesciola, appaiono calcari grigiastri che possono forse riferirsi al Lias. In modo affatto tipico sviluppasi il Lias nelle vicinanze di Ca- stelpoggio, regione già conosciuta come fossilifera dal Guidoni, e che venne studiata in modo speciale dallo Zaccagna, il quale ne trattò appositamente nelle sue Osservazioni stratigrafiche nei din- torni di Castello ggio, Boll. Com. G. I., 1880. In tale regione si può osservare la seguente serie: Calceschisti marnosi di color rosso mattone e liste grigio violacescenti. Calcari e schisti diasprigni rossi, violacescenti e ver- dastri. Ftanite grigio-chiara. Giura. . . L’APPENNINO DELL’EMILIA 441 / Schisti giallo-lionati a Posiclonomya Brodai. Lias Calcari e schisti rosati con Arietiti , E aerini , ecc. j Calcari ceroidi o giallo-rossigni a lastre. ' Calcari grigi, grigio-neri e schisti giallastri. / Calcare dolomitico cristallino e Portoro. Infr alias ^a^car^ e schifi grigio-bruni con Bactryllium , Pinna.. I Avicula, ecc. \ Calcare cavernoso. ^ Schisti lucidi. Trias ... Calcari compatti (grezzoni). f Marmi saccaroidi. Passando agli affioramenti del Lias esistenti tra le Alpi Apuane ed il crinale appenninico, notiamo anzitutto la grande zona liassica di Yal Lima tra S. Cassiano e Vico Pancellorum ad un dipresso, in complesso si tratta anche qui di una grande anticlinale alquanto complessa per pieghe e fratture secondarie. Rimando per la cono- scenza di questa bella zona al lavoro speciale del Lotti: Sezioni geologiche dei dintorni dei Bagni di Lucca , Boll. Com. G. !.. 1886, il quale distinse quivi nel Lias i seguenti piani: Schisti e calcari marnosi grigio-verdastri a Posid. Bromi. con schisti, diaspri e calcari ad Aptici. Calcari grigio chiari con selce. Calcari rosei e grigio-cupi. Calcari dolomitici cavernosi. Calcari grigi ammonitiferi. Calcari zonati varicolori e schisti argillosi. È assai interessante l’affioramento liassico compreso fra Sasso- rosso e Soraggio in causa della sua grande estensione e ricchezza in fossili. La Pania di Corfino è costituita per la maggior parte di banchi calcarei grigiastri e di calcari rossastri del IÀas , che è quivi foggiato ad anticlinale, diretta da sud-est a nord-ovest circa, come l’indica la direzione stessa dell’affioramento in esame e la sua conti- nuazione verso nord-ovest nell’affioramento di Soraggio; è special- mente dallo scosceso fianco della vallata di Piume, quasi di fronte 442 F. SACCO a Sassorosso, che osservansi bene gli strati calcarei costituire una specie di volta, o cupola, abbastanza regolare. Vi si trovano nume- rosissime Ammoniti, Belemniti, Atractiti, Pentacrini ecc.,. fossili di cui già parlarono il Dini, il Savi ed altri; un elenco copioso di tali fossili ed interessanti osservazioni trovansi nei lavori del De Stefani sulla Geologia del M. Pisano , Mem. R. Com. geol. it. Ili, 1°, 1876, e sul Lias inferiore ad Arietiti dell’ Appennino setten- trionale,i Soc. Tose. Se. Nat.. 1887. Dopo una breve interruzione riappare estesa e potente la serie liassica tra le Capanne di Vibbiana e la Rocca di Soraggio, dove pure furono trovate parecchie Ammoniti. Di questa zona occupossi particolarmente lo Zaccagna nel suo lavoro sui Lembi titoniani a Soraggio ed a Casola in Luni- giana ecc. Soc. Tose. Se. Nat., 1883. Oltre ai calcari grigi affio- rano eziandio calcari rossastri e calcari selciferi. Infine nell’alta Valle di Monnnio riveggonsi apparire, al fondo dei valloni del gruppo della Nuda, i calcari grigi del Lias alter- nati con schisti selciosi ed includenti Ammoniti, Bivalvi, Rinco- nelle, Terebratule, Crinoidi, ecc., come risulta dal lavoro del Cocchi (1866) Sulla Geologia dell’alta Valle di Magra. Nelle vicinanze di Sassalbo in Val Rosaro, tra Sassalbo e C. Pa- nigaiola ad un dipresso, viene ad affiorare una zona di calcari gri- giastri, che sono forse attribuibili al Lias. Giurese. Gli autori, che, come ho sopra accennato, si occuparono dei terreni secondari della regione in esame, trattarono pure della for- mazione giurassica, interpretandola però molto variamente perchè i fossili vi sono assai scarsi e la facies litologica è talora confon- dibile con quella dei terreni cretacei. Non avendo fatto studi spe- ciali in proposito, mi limito a pochi cenni, indicando tale questione come molto interessante e degna di venir esaminata particolarmente, sia dal lato litologico che da quello paleontologico. In complesso io tenderei ad estendere alquanto la zona giurassica alle spese, direi, di una parte degli schisti attribuiti all'Infracretaceo ( Neoco - miano ), ma, ripeto, per mancanza di studi speciali, rimasi talora dubbioso nella delimitazione di questi terreni, per cui riguardo ad L 'APPENNINO DELL'EMILIA 443 essi la caria geologica che presento devesi considerare come affatto provvisoria. In generale la formazione ginrese consta di schisti marnosi o calcarei, talora di asprigni, di vario colore, sovente rossastri, giallo, verdognoli, grigiastri, ecc. I fossili vi scarseggiano, solo vi si trovano talvolta alcuni Aptychus , qualche rara Belemnite, ecc. Gli strati diasprigni conten- gono numerose Radiolarie. II Giurese avviluppa quasi sempre, più o meno regolarmente, le zone liassiche ed infraliassiche con andamento tettonico svariato, presentandosi talora anche fortissimamente sollevato. La sua potenza non è molto notevole, di 100 a 200 m. in media, ma sovente è appena di pochi metri in causa della tra- sgressiva sovrapposizione dei terreni più recenti sopra di esso. La natura generalmente poco compatta della formazione giu- rassica fa sì, che essa non costituisca regioni rilevate, anzi formi sovente depressioni, bassi colli, ecc. Nella Valle della Lima le formazioni giurassiche furono stu- diate specialmente dal Lotti nel sovraccennato lavoro : Sezioni geo- logiche nei dintorni dei Bagni di Lucca , Boll. R. Com. geol. it. 1886; esse sono quivi rappresentate da calcari grigio-bruni con selce e da calcari verdastri e violacescenti con argilloschisti e diaspri rossi e verdicci a Radiolari e talora con noduli di selce rossa, ecc. Essi ricoprono abbastanza regolarmente le formazioni liassiche e passano in alto a calcari selciosi grigi che sono generalmente attri- buiti al Neocomiano. Nella Garfagnana i terreni giurassici furono specialmente stu- diati ed illustrati dal De Stefani; però devonsi forse attribuire al Lias superiore gli schisti a Posidonomya che egli pone nel Giura. Quanto ai calcari ed agli schisti, che detto autore attribuisce al Ti- toniano e Neocomiano , io mantenni in gran parte la distinzione da lui fatta, pur dubitando che il Giurese debba forse estendersi più di quello che sia ora accettato; ma trattasi di questione delicata d’indole generale, che non sembra ancora matura per una soluzione sicm'a e soddisfacente. 444 F. SACCO Attorno alla emersione Massica della Pania di Corfino è pro- babile che affiori qualche zona giurassica; però riesce per ora in- certa la distinzione degli schisti rossastri quivi tanto sviluppati, ma che sono specialmente attribuibili al Cretaceo. Invece, attorno ai calcari Massici di Soraggio le formazioni giu- rassiche si possono meglio constatare, specialmente nel vallone Rimonio tra le capanne di Yibbiana e Casini di Corte, come pure presso quest’ ulti ma località, in Yal di Soraggio, sotto il Passo Ro- l’ affioramento dell’ assise giuresi. Formazioni simili appaiono nell’alta Valle di Mommio, nel- l’alta Valle del Taverone, cioè là dove esistono quelle zone di schisti, in gran parte rossicci o grigio-verdastri, che dovranno ac- curatamente esaminarsi per distinguere quanto è giurassico da quanto invece è cretaceo. Così sulla sinistra di Val Rosaro, un chi- lometro circa a sud di Sassalbo, veggonsi affiorare, speciali calce- schisti, rosei, rossicci, verde-grigiastri, che sono forse giuresi. Nei din- torni di Camporaghena e di Torsana tali formazioni sono sviluppatis- sime e spesso fortemente sollevate. Tra Minucciano e Casola affiorano interrottamente speciali zone di schisti marnosi o calcare o diasprigni, rosso-verdastri, in parte giurassici, che già vennero descritti dallo Zaccagna. Consi- mili zone, sempre assai ristrette, affiorano presso Equi e da Tenerano La stupenda zona giurassica di Castelpoggio-Carrara venne ciale: Osserv. strat. nei dintorni di Castetyoggio, 1880; quivi si sviluppano notevolmente i calceschisti marnosi rossastri, gli schisti delimitazione e nella precisa collocazione stratigrafica di dette for- mazioni. Ma ripeto, conchiudendo, la formazione giurassica della re- gione in esame deve ancora venire accuratamente studiata litolo- gicamente e paleontologicamente, prima di essere chiaramente de- cifrata: l’accennai di passaggio in questo lavoro, senza essermene occupato di proposito, solo per non lasciare una lacuna completa ri- guardo ad essa. mecchio, a La Rocca ecc. ecc. ; anzi lo Zaccagna potè riscontrare in quest’ ultima località resti fossili, Aptychus , ecc., che attestano verso ovest. già illustrata particolarmente dallo Zaccagna con uno studio spe- diasprigni rosso-violacei, ecc., pur rimanendovi qualche dubbio nella l’aPPEXNINO DELL'EMILIA 445 Infracretaceo. L'anno scorso nel lavoro sull' Appennino settentrionale enun- ciai con riserva che certe speciali formazioni arenacee, le quali si appoggiano ai terreni giurassici e sono ricoperte da una poten- tissima zona di schisti ofiolitiferi, da me riferiti al Cretaceo, potes- sero forse attribuirsi all’ Infracretaceo. Però nei rilevamenti geologici di quest’anno ebbi a constatare che dette arenarie sono invece attribuibili al vero Macigno eocenico, e debbono la strana posizione tettonica sovraccennata a potentissime e grandiose pieghe rovesciate. Gli stessi fenomeni si riscontrano eziandio nella regione in esame, come è indicato nei capitoli se- guenti. Ma sul versante tirreno della catena appenninica, di cui ci occupiamo, compaiono formazioni che paiono riferibili al vero In fra- cretaceo, specialmente al Neocomiano. Tale terreno è per lo più rappresentato da calcari grigio-biancastri, più o meno selciosi, a stratificazione spesso assai evidente. A dire il vero questa formazione, come l’analoga majolica della Lombardia, collegasi insensibilmente ai terreni giurassici, per cui alcuni autori, fra cui in molti casi mi porrei anch’io, ten- dono a portarla nel Giurese; certamente tale distinzione è molto difficile e talora sembra arbitraria. Non avendo fatto studi speciali in proposito non posso che accettare provvisoriamente l’interpreta- zione data dai geologi, che se ne occuparono nella regione in esame e quindi anche affatto provvisorie debbonsi considerare le delimita- zioni indicate sulla mia Carta geologica, in attesa della . pubblica- zione delle speciali carte geologiche in grande scala rilevate da altri geologi. La formazione calcarea attribuita al Neocomiano si presenta sviluppatissima nella grande zona secondaria di Val Lima, dove venne già studiata e descritta dal Lotti nel suo lavoro, Sez. geol. nei dintorni dei Bagni di Lucca. Gli strati calcarei sono talora fortemente sollevati, anche quasi verticali, con direzione nord-sud all’ incirca, come nel lato orientale dell’affioramento dalla Penna di Lucchio a Montale, ma nella parte 446 F. SACCO settentrionale assumono una più regolare inclinazione a nord o nord- ovest, come in parte del gruppo di M. Mosca e di M. Pratofiorito. Tra il Balzo nero e la C. Giumeglia gli strati di questa forma- zione si possono vedere stupendamente inclinati a leggero arco con pendenza assai forte a nord-est circa. Al colle Namporaja ed al Colle Tramonti gli strati in esame si presentano non di rado on- dulati ed anche talvolta fortemente sollevati. Ricordo qui come circa mezzo secolo fa il Murchison abbia osservato sui banchi calcarei di M. Pratofiorito una impronta che egli credette attribuibile ad un Crioceras , ciò che confermerebbe l’età neocomiana di questi terreni; essi invece per la loro natura ed intimo nesso colle formazioni giurassiche parrebbero doversi più logicamente attribuire al Giura. Nelle vicinanze di Coreglia Antelmintelli riappare questa for- mazione calcarea, specialmente sviluppata nella Valle Ania, dove sembra costituire quasi un anticlinale a cupola coll’asse del sol- levamento diretto da nord-nord-ovest a sud-sud-est; gli strati cal- carei, grigio-biancastri, spesso appena inclinati o quasi orizzontali, sono per lo più assai regolari, o solo leggermente ondulati. Se ne osserva anche un affioramento poco esteso ad est di Palazzetto. La formazione in esame, costituita essenzialmente di calcari grigio-chiari o biancastri, talora rosei e verdastri, mostrasi poi potente e sviluppatissima sulla destra del Serchio, nella regione periferica delle Alpi Apuane, e venne già specialmente descritta dal De Stefani nel suo lavoro Le pieghe delle Alpi Apuane , 1889, al quale lavoro rimando quindi il lettore. Non è improbabile che zone infracretacee appaiano eziandio nella parte periferica occidentale delle Alpi Apuane e forse anche attorno a qualcuno degli affioramenti giuraliassici di Soraggio e di Sassalbo, dove sarebbero rappresentati da calcari chiari, grigio-verdastri, ta- lora selciferi ; ma per ora la loro determinazione e delimitazione è ancora un po' troppo incerta per trattarne di proposito in questo lavoro. Cretaceo. La formazione cretacea è una delle più importanti nella co- stituzione delFAppennino emiliano, almeno secondo il mio modo l’appennino dell’Emilia. 447 di vedere, giacché la massima parte dei terreni, che io considero come cretacei, vennero e vengono tuttora attribuiti all’Eocene. Molto varia è la natura della formazione cretacea, quale io la comprendo, ma in generale essa è assai diversa da quella dei terreni cretacei della maggior parte d'Europa. Trovansi bensì qua e là zone calcaree che rappresentano abbastanza tipicamente il Cretaceo, ma in massima parte invece questo orizzonte è rappresentato da argillo- schisti e da schisti calcarei ed arenacei, di colore grigio-bruniccio, o giallastro, nonché, per regioni estesissime, da argille scagliose varicolori, ma specialmente rossastre, o verdognole, o bruno-viola- cescenti, con svariate concrezioni minerali, di ferro, di zolfo ecc., ecc. Gli schisti rossigni cretacei nel versante tirreno talora non sono fa- cilmente delimitabili da quelli giurassici e da quelli eocenici. In generale si può dire che gli argilloschisti trovansi specialmente nell’alto Appennino, mentre le argille scagliose sviluppansi partico- larmente ne1 le regioni meno elevate dell’ Appennino e nel Subap- pennino’sul versante padano. I resti paleontologici nel terreno in esame sono scarsissimi nell’Emilia, come d’altronde nell’ Appennino in generale, ed è anzi per tale motivo che le estesissime formazioni, che io ritengo cre- tacee, non vennero sinora riconosciute come tali: tuttavia tali resti non mancano e, poco a poco, se ne va aumentando il numero, come ebbi già ad indicare in un lavoro speciale sull’ A <70 des formati ons ophiolitiques récentes , Mém. Soc. belge de géol. etc. V, 1891, e come mi propongo di meglio dimostrare fra breve con nuovi re- centi ritrovati (’). Limitandomi a pochi cenni a tale proposito, indico anzitutto la grande abbondanza di impronte organiche ed inorganiche (Ne- mertilithes , Halymenites , Pennatwlites , Cylindrites , Caulerpa , Tae- tiidium , Palaeodictyon , Gyrophyllites , Zosterites , Zoopliycos , ecc.); abbondano specialmente le Fucoidi ( Chondrites , ecc.), abbondanza, che riscontrasi pure in molti tipici terreni cretacei; fra tali im- pronte è specialmente interessante il Gleichenophycos. 0) Sacco F., Contribution a la Conaissance paléontolocjique des Arcji- les écailleuses et des schistes ophiolitiféres de VApennin septentrionale. — Mèra. Soc. belge de Géol. etc., VII, 1893. 448 F. SACCO Riguardo ai vegetali sono di importanza capitale i resti di Bennettitée ( Cycadea , Cycadeoidea ) trovate in molti punti fra le argille scagliose dell’Emilia e che vennero recentemente illustrate con un importantissimo lavoro da Capellini e Solms; orbene tali resti di Cycadeoidea iudicano assai bene l’età cretacea dei terreni da cui provengono. È interessante a tale proposito notare la grande somiglianza della formazione delle argille scagliose dell’Emilia con formazioni simili del Maryland, pure ricche in resti di Bennettitee, e che già da tempo sono ritenute cretacee. Quanto ai fossili animali ricordiamo come gli scbisti diasprigni che si incontrano nei terreni in esame siano sovente zeppi di sche- letri silicei di Radiolarie, specialmente dei generi Caryospliaera , Ileliosphaera , Etrnosphaera, Actinomma , Raphidococcus , Trema- todiscus, Euchitonia , Spongodiscus , CornutelLa , Spirocarnpe, Li- thopera , Dicthiophinus , Polystychia , Stichocapsa, Diciy orni tra, Li- thocircus , Urocyrtis , Adelocyrtis , ecc. È bensì vero che trattan- dosi in gran parte di specie nuove il loro valore stratigrahco non è grande, tuttavia è a notarsi come tale fauna a Radiolarie venne dagli specialisti, come Riist ed Haechel, paragonata specialmente a quella dei terreni cretacei d’altre parti di Europa. Fra i Foraminiferi ricordiamo i resti di Globigerina , Oper- culina , Polystomella , Textularia , ecc. Interessautissimo dal lato paleontologico è il ritrovato dei rappresentanti del genere Bathysi- phon ( B . appenninicus ), genere finora conosciuto solo allo stato vivente con una sola specie; su tale fossile, come pure sopra un’altra specie (B. taurinensis) del Miocene dei colli torinesi, credo oppor- tuno presentare fra breve una Nota speciale, rimanendo qui fuori posto la descrizione di nuove forme. Accenniamo anche al rinvenimento di resti di Spugne, di Astreidee, di Hemipneustes , di Terebratula e di Rhynchonella vespertilio a facies specialmente cretacea. Fra le Bivalvi ricordo le curiose Roudaireia (R. emiliana ), se pure non trattasi di un genere nuovo ( Appenninia Sacc.) ma però sempre di facies affatto cretacea. Importantissimi sono i rin- venimenti, non rari, di Inocerami, spesso solo allo stato d’impronta, attribuibili a diverse specie, ma per lo più all’ Inoceramus Cripsii ; vi è però anche rappresentato l' Inoceramus labiatus. I. 'APPENNINO DELL'e.MII.IA 419 Di non miucre importanza sono i resti, relativamente non rari, di Ammoniti, specialmente dei generi Acanthoceras (A. Mantella . e A. naviculare ), Schio sub achia (Sdii. cf. goupiliana, Sdii, trina- rinata ), Desmoceras ( D . pianori) i forme). Pachycliscus (P. gali- cianus), ecc. ecc., nonché di frammenti di Hamites (IL cylindraceus ), e forse anche di Scaphites . Toxoceras . Ancyloceras , ecc. Di qualche interesse, per quanto scarsi, sono i resti di Oxy- rhina (0. Mantella ), di Lamia, di Ptychodus (P. cf. polygyrus). di Otodu$ (0. appendic ulatus). di Carcharodon. di Noiidanus. ecc. a facies pure cretacea. B finalmente, a più forte conferma dell’età cretacea delle ar- gille scagliose, venne in buon punto il rinvenimento e la recente illustrazione fatta dal Capellini di un frammento di Ichthyosaurus campylodon raccolto a Gombola. Quanto al fatto della grande scarsità dei resti organici, esso è facilmente spiegabile, considerando come le argille scagliose colle loro tinte iridescenti, colle frequenti inclusioni ofiolitiche, minerali, ecc., indichino essersi depositate in condizioni speciali, anormali, direi, certamente contrarie allo sviluppo della vita marina. Contuttociò è certo che nell’avvenire con ulteriori ricerche nonché con più estesi studi microscopici delle rocce calcaree e diasprigne si potrà estendere di molto il catalogo dei fossili delle argille scagliose cretacee dello Appennino italiano. La formazione cretacea costituendo il substratum, direi, dello Appennino emiliano affiora irregolarmente sotto ai terreni eocenici e più recenti, specialmente nella regione delle anticipali più ac- centuate e delle più forti abrasioni. La sua tettonica è molto conturbata per frequentissime pieghe, arricciamenti, spesso accompagnati da rotture e dislocazioni ; se a ciò si aggiunge la natura facilmente frammentaria e stemprabile del terreno delle argille scagliose, ci spieghiamo facilmente come esse, specialmente, alla superficie, presentino quello aspetto caotico e quel disordine stratigrafico che le caratterizza. Però, fatta astra- zione di questi fenomeni particolari, non riesce spesso difficile di delineare l’andamento stratigrafico generale della formazione in esame ; anzi in complesso si può dire che la tettonica del Cretaceo nell'Emilia è riducibile ad una serie di rughe più o meno accentuate, 450 F. SACCO più o meno anastomizzate, non di rado rovesciate, allineate in ge- nerale da est-sud-est ad ovest-nord-ovest circa. È assai difficile il precisare la potenza della serie cretacea specialmente per tali frequenti pieghe che possono ingannarci in proposito; tuttavia credo il suo spessore sia certamente di molto superiore ai 1000 metri. Per la sua natura specialmente argillosa il terreno cretaceo non raggiunge elevazioni considerevoli, al più di 1400, 1500 m. s. 1. m. ; si noti però che nell’ Appennino ligure, dove sono più svi- luppate le formazioni ofìolitiche, queste oltrepassano anche l’ele- vazione di 1700, 1800 m. Sono generalmente difficili ad osservarsi i rapporti del Cretaceo coi terreni sottostanti, e quasi sempre devesi constatare in tal caso un liyatus assai profondo. Invece superiormente si vede talora che gli schisti cretacei sembrano passare abbastanza gradualmente, per mezzo di ripetute alternanze di argilloschisti e di arenarie, ai banchi arenacei dell'Eocene; ma per lo più esiste anche quivi una lacuna per cui il Cretaceo è direttamente coperto con salto o con liyatus regolare dal Macigno , dai calcari ad Ilelminthoidea labiyrinthica , od anche da terreni più giovani. Finora non si possono indicare nelle regioni cretacee veri punti fossiliferi; quasi sempre i diaspri racchiudono numerosissime Ka- diolarie ; i calcari sovente presentano Foraminiferi, oppure resti di Fucoidi; gli strati arenacei offrono frequentemente svariatissime impronte ( Condriti , Nemertiliti , ecc.). Dal lato applicativo si possono fare alcune brevi osservazioni. È noto come l’orografìa sia in stretta relazione colla costituzione geologica; infatti vediamo le argille scagliose e gli argilloschisti del Cretaceo costituire regioni per lo più dolcemente ondulate (eccetto là dove profonde erosioni originarono burroni rovinosi) e bassi colli, tant'è, per esempio, che quasi tutti i colli che fanno comunicare fra di loro i due versanti dell’Appennino sono incisi appunto negli schisti cretacei. Le sorgenti acquee sono relativamente scarse; le val- late incise negli argilloschisti cretacei presentansi per lo più ampie; dove predominano le argille scagliose il paesaggio diventa arido, triste, desolato, d’aspetto, direi, caotico. Dal lato agricolo generalmente il Cretaceo non è molto fertile ; anzi le zone di argille scagliose costituiscono talora dei veri de- L’APPENNINO DELI, 'EMILIA 451 serti; invece gli argilloschisti si prestano specialmente alla colti- vazione pratense. Dal lato industriale notiamo l'importanza dei calcari alberesi come materiale da calce e da pietrisco, la presenza di depositi pe- troliferi, di materiali minerali specialmente nelle lenti ofìolitiche, di oficalci usate talora come materiale da costruzione, per paracarri, (in generale però di poca durata), ecc. Ma questi vantaggi indu- striali sono controbilanciati , anzi sopravanzati dagli svantaggi gravi che recano sovente le formazioni cretacee ai lavori d’inge- gneria in generale, sia per strade, sia per canali, tunnel, edifizì od altro ; sovente nelle regioni delle argille scagliose e degli argilloscMsti si verificano vere colate, che ricordano quelle delle lave vulcaniche, e frane grandiose, che tutto asportano e distrug- gono; ne sia esempio l’immane frana che distrusse anticamente il paese di Corniglio, rifabbricato ora più ad est del sito primitivo. Non credo sia il caso di fare un minuto esame regionale dei terreni cretacei, ciò che ci porterebbe a continue ripetizioni; mi limito quindi a pochi cenni generali, esaminando la regione emi- liana da ovest ad est e terminando con alcune considerazioni sul Cretaceo del versante tirreno. Credetti opportuno indicare le prin- cipali zone rossicce poiché le credo di speciale interesse. Riguardo alle formazioni ofìolitiche, non avendone fatto spe- ciali studi litologici, credo inutile di descriverle, giacché nel com- plesso esse hanno un modo di presentarsi abbastanza uniforme; cercai invece di indicarle per la massima parte sulla carta geolo- gica quantunque sia persuaso che moltissime mi siano ancora sfug- gite, ma però, credo, di poco rilievo; nell’Appennino bolognese segnai pure alcuni pochi grugni ofiolitiei, che non potei direttamente con- statare ma che erano indicati sulla carta geologica del Capellini, Nel segnare le masse ofiolitiche sulla carta al 100,000 ben sovente ne dovetti esagerare alquanto la grossezza, per renderle visibili. Noto infine come quelle varie emanazioni gazose od acquose conosciute col nome di salse , vulcanelli di fango, barboj, ecc., siano in generale in rapporto più o meno diretto, a mio parere, colla formazione delle argille scagliose cretacee, quantunque spesso in- vece trovinsi in regioni mioceniche o plioceniche, che però sovra- stano a tali argille. 452 F. SACCO Rimandando il lettore a quanto si è detto nel precedente la- voro &v\W Appennino settentrionale riguardo al Cretaceo del Pia- centino, accenniamo subito allo sviluppo delle argille scagliose bru- nastre attorno a Sai so maggiore, dove esse mostransi con una facies tipica e spesso con zone rossastre, così presso C. Bartellini, nella parte alta di Val Stirpi, presso il Cimitero di Salsomaggiore, poco a nord di C. Bagnina, ecc, ; esse ricompaiono con egual facies nel- l’alta Val Rovacchia fra Centopozzi e C. Passelli. In queste re- gioni le formazioni in esame si presentano qua e là petrolifere come a Centopozzi, Salsomaggiore, Salsominore ecc.; inoltre, come indica lo stesso nome di questi paesi, dalle argille scagliose escono, naturalmente od artificialmente, sorgenti ricche in diversi sali mi- nerali. La Val Parola è incisa nella parte alta in due principali zone cretacee arricciate complessivamente in direzione nord-ovest-sud-est; la zona meridionale è la più importante, sia per estensione, sia per inglobare diversi grugni ofiolitici e presentare diverse zone ros- signe presso C. Pastora, C. Matteo, nell'alta valle della Canala, ecc. Lo stesso fatto verificasi nella Valle Recchio, che intacca la formazione cretacea per due brevi tratti dapprima poi amplissi- mamente nella parte alta, dove abbondano le lenticelle ofiolitiche e dove vediamo parecchie zone rossigne attorno al M. Acuto, tra C. la Possessione e M. Pelato, presso C. Pojano, a sud di C. Si- moni ecc. È notevole, riguardo alla tettonica, come in generale gli strati cretacei nella regione in esame pendano, con vario grado, verso sud-ovest, ciò che fa supporre, o che quivi affiori specialmente la gamba meridionale della grande ruga, oppure che detta ruga siasi rovesciata verso nord, come sembrerebbe quasi più probabile. La Valle del Dordone è incisa in gran parte nell’asse di ima ruga di argille scagliose, talora petroleifere, come in alcuni punti a nord di S. Andrea (però con apparsa del petrolio in zone pia- ce asiane alla superficie), talora rossastre come presso S. Andrea, ma specialmente nella parte alta nella valletta Vettori ed altrove, ben spesso con grugni ofiolitici sparsi qua e là. Paleontologicamente è assai interessante la Val Dordone, giacché verso il suo termine, sul lato destro, specialmente nelle tipiche argille scagliose di M. Carvano e di Costa di M. Bago, furono rinvenuti numerosi resti di Cycadeoidea, Hamites , Desmoceras , ecc. l’aPPENNINO DELL'EMILIA. 453 La parte alta di Yal Ceno renne già descritta nel mio lavoro sull’ Appennino settentrionale ; riguardo alla parte bassa è solo a notarsi come vi si sviluppino nel modo più tipico le argille sca- gliose bruno-violescenti, qua e là biancastre, con parecchie ed anche potenti masse ofioliticbe e con numerosissime zone rosso-vinose, come tra Serravalle e Yal Dordia, tra Spiaggio ed i Riponi, in più punti dell’alta Yal Boccolo e di Yal Rizzone, al M. Croce tra Yiazzano e Benna, sulla prospettante sponda destra del Ceno. ecc. Una gran parte della Yalle del Taro venne già esaminata nel lavoro sull’ Appennino settentrionale ; poco ci rimane a dire riguardo alla parte bassa, dove sviluppansi le solite argille sca- gliose con interstrati arenacei e calcarei e con frequentissimi grugni ofiolitici, fra cui grandeggiano le potenti masse di M. Prin- zera, Rocca Galgano e M. Zirone. Come di solito, compaiono pure qua e là zone rossicce, come, sulla sinistra del Taro, nella val- letta Scalzarino (Felegara), nella vailetta di Silani-Carona, in molti punti della valletta tra Solignano e Bertucci, a sud di questa borgata, ecc. ; sulla destra del Taro vediamo alcune di dette zone rossicce specialmente nel vallone di Pero Turco (Mon- terotondo), poco a sud di Fornovo (dove gli strati in questione presentansi talora fortissimamente sollevati), presso Rioli, sopra la Torrata, sotto C. Lupore, in diversi punti di Val Grontone, ecc., ecc. Risalendo la Yalle del Taro, si nota come in complesso le argille scagliose vengano gradatamente sostituite da argilloschisti più o meno alternati con straterelli arenacei. Anche il rio Sporzana affluente di destra del Taro, incide più volte, e largamente, le argille scagliose variegate con bellissime zone rossicce, sia presso il suo termine, sia tra Neviano dei Rossi, Selva ed Ozzanello, sia presso Lesignano, sul versante orientale del M. Prinzera, ecc. Non sono rare le zone petroleifere, in cui si fanno tentativi di estrazione, però quasi sempre con poco profitto, così per esem- pio sotto Neviano dei Rossi; anche ad Ozzano sul Taro sonvi sor- genti petroleifere, che originansi certamente dalle argille scagliose, quivi poco profondamente situate. La Yal Baganza ci mostra ampiamente sviluppate le forma- zioni cretacee di cui essa intaglia ortogonalmente diverse zone, 30 454 F. SACCO probabilmente rughe. Ne vediamo diversi affioramenti verso il ter- mine della vallata appenninica, con piccole zone rossicce come sopra Limido. In fondo alla valle tra Cella e Ramiano osservansi affiorare sotto ai calcari parisiani alcune zone marnose rossastre, che forse già preludiano al Cretaceo superiore, se pure non sono ancora a ritenersi eoceniche, poiché in regioni vicine ebbi a riscon- trare arenarie nummulitiche fra marne rossicce alquanto simili. Interessante lo stretto ed allungato affioramento cretaceo di Corniana-Pui-Casette-C. Brugnana, rappresentandoci esso probabil- mente una forte ruga abbastanza regolare, ma in parte rovesciata. Nella parte alta della Valle Baganza gli argilloschisti si mo- strano ampiamente denudati, spesso alternati con straterelli are- nacei. È specialmente notevole l'apparsa di una regolarissima zona conglomeratico - brecciósa, compresa fra argilloschisti ed argille scagliose in parte rossigne, zona costituita di uno o più banchi drizzati quasi alla verticale e che per essere più resistenti dei ter- reni circostanti costituiscono quasi un muro rovinato di aspetto curiosissimo. Già presso Pralerna si riscontra una breccia calcareo- ofiolitica, utilizzata un tempo per l’estrazione di pietre da macina; ma a cominciare da un chilometro circa a sud di Viola (ovest di M. Cassio) la sovraccennata zona si sviluppa regolarmente con direzione nord-ovest-sud-est per molti chilometri, cioè, sin presso Piovolo. Altrove nell’Emilia ricompare ancoratale curiosa forma- zione, ma quella ora indicata è certamente la più tipica e la più sviluppata. A monte di Berceto veggonsi talora gli argilloschisti ofioli- tiferi star sopra ai calceschisti parisiani ad Helminthoidea laby- rintliica ; tale fatto assai strano credo sia spiegabile con forti rughe estesamente rovesciate, per cui la zona parisiana fu schiacciata e compressa per lunga estensione fra pieghe coricate degli argillo- schisti cretacei. Sotto il M. Formigare verso nord sonvi grugni di bellissimo granito roseo. Sovente presso le masse ofiolitiche gli argilloschisti presentano caratteristici impasti, direi, calcareo-arenacei, come per esempio al M. Cavallo. La gran Valle del Parma è scavata in massima parte entro terreni eocenici, ma intacca pure estese zone cretacee. Verso il suo I.’aPPENMXO DELL'EMILIA 455 sbocco troviamo le caratteristiche argille scagliose con zone ros- sastre in mille punti tra Vidiana e Mulazzana, colle sorgenti sa- late di Lesignano, col vulcanello microscopico, direi, o salsa di Eivalta, ecc. Una zona consimile, ma assai stretta, osservasi tra Catta- biano e Faviano ; altri piccoli affioramenti di argille scagliose varie- gate veggonsi nella valletta confluente Tocana. Più a monte ap- paiono qua e là zone schistose brune, che non è sempre facile di- stinguere e delimitare dai marnoschisti bruno-rosei del P arisiano. Nella parte alta della Valle predomina la facies degli argil- loschisti grigio-brunacei con arenarie e calcari che talvolta ren- dono incerta la distinzione del Cretaceo dall’Eocene. Notiamo come presso Corniglio esista una emanazione di carburo d’idrogeno ( fuochi fatui) e come nelle vicinanze sia stata raccolta un'impronta di Gleicheaophycos, che sembra caratteristica del Cretaceo. La tettonica degli schisti cretacei è molto conturbata da forti pieghe, spesso coricate in modo che talora i terreni cretacei giac- ciono in parte su quelli eocenici, come osservasi, per esempio, ad ovest di Corniglio sulla sinistra della Valle. Nella Val Bratica, che sbocca nel Parma sotto Corniglio, compaiono fra gli argilloschisti cretacei speciali formazioni rappre- sentate da strati o banchi calcareo-arenacei compattissimi, per lo più poco inclinati, che ricordano bensì il Macigno eocenico, ma credo deb- bansi piuttosto riferire ancora al Cretaceo; tale formazione è special- mente sviluppata attorno a Riana sulla sinistra della Val Bratica, ma appare eziandio per oltre 2 chilometri a monte di tale paesello, come pure sulla destra della vallata sotto il Passo del Ticchiano, nonché più a valle sotto Grammatica, Sevizzo, ecc. È probabilmente a questa stessa speciale formazione che deb- bonsi attribuire certi banchi arenacei che sviluppansi, in Val Parma, specialmente nella sua sinistra, da Le Giare ad un dipresso sino a monte di Corniglio, apparendo ancora saltuariamente qua e là così tra Groppo Vej e M. Cavardello (a sud di Sesta), ecc. D’altronde in queste regioni tra la Valle dell’Enza e la Val del Taro non sono rari gli sviluppi un po’ straordinari delle are- narie fra gli schisti cretacei, per modo che talora rimangono dubbi sulla loro età. Talvolta anche notansi, come per esempio presso Petrignacola, al Castello di Grajana ecc., lenticelle conglomeratiche i i 1 456 F. SACCO (ad elementi costituiti di Gneiss, Quarziti, Anfiboliti, Micaschisto tormalinifero, ecc.), ciò che ricorda la famosa puddinga cretacea di Sirone in Lombardia. Notiamo inoltre riguardo alla Val Bratica come sopra le men- zionate arenarie di Riana sviluppimi speciali calceschisti rosei e biancastri, spesso assolutamente ricoperti di impronte di Fucoidi svariatissime, a facies di Cretaceo abbastanza tipico. Tale zona ap- pare però anche altrove, così di fronte a Corniglio sopra Grana, ecc.. per lo più collegata a schisti e banchi arenacei cretacei. La Yal Termina quantunque relativamente poco estesa, mostra ampie zone di tipiche argille scagliose, spesso a vive tinte rossastre, come alla Costa di Bazzano, tra Torre e Castione, presso Quinzano presso Pietranera, nelle colline attorno a Paderna, ecc., ecc. Nella grande Valle dell’Enza il Cretaceo si presenta come per solito con una facies prevalentemente argillosa nella parte bassa e con un maggiore sviluppo di argil loschisti nella parte alta. Da S. Polo a Ciano troviamo sviluppatissime le argille sca- gliose bruno-violascenti con frequentissime zone rossicce special- mente sul lato sinistro della Valle, nonché più a sud presso Ca- lestino, presso il Molino di Bazzano, sotto Vertano, al M. Farneto, sotto il M. Crevato, ecc. Nella valletta confluente percorsa del Tassobbio le argille scagliose, ricche in grugni ofiolitici, sono pure molto sovente di color rossastro, come tra Crovara e Vedriano, nella Valletta dei Tuvi, sotto il Bosco delle Lame, in quasi tutta la vailetta di Le- guigno, ecc. Più a monte ritroviamo belle zone rossigne nella regione di affluenza dell’Atticola nella Lonza, nella parte alta delle Vallette Vaina e Maore, sopra le Braglie, tra M. Guardia e Selvanizza, nel rio di Varcherà, alla Costa d’Oro, presso Storto ecc. ecc. La Val Cedra, confluente di sinistra dell’Enza, presenta pure zone di schisti rossigni, particolarmente a nord di Monchio. Talora vi appaiono potenti e sviluppate zone schistose. marnoso-arenacee, grigio-giallastre, che in basso passano gradualmente agli schisti ros- signi tipici del Cretaceo, mentre in alto parrebbero quasi assumere la facies degli schisti arenacei eocenici ; ciò vedesi specialmente bene l’APPENKINO DELL’EMILIA 457 nei profondi tagli naturali delle colline di Ceda, Cozzanello, An- tria, ecc. Notiamo infine come nella regione di confluenza del Cedra nel- l’Enza, specialmente presso Selyanizza e Ranzano, furono già raccolti erratici alcuni resti di Ammoniti e di Inocerami, ciò che proya Paffio- ramento di terreni cretacei; però un'Ammonite fu determinata come una specie liassica, ciò che rimane però ancora a ristudiarsi. Nell’alta Valle d’Enza, presso il passo Lagostrello, che forma la comunicazione colla Valle Ta verone, fra gli argilloschisti cretacei troransi numerosi grugni granitici, alcuni assai voluminosi. La formazione cretacea della Valle di Crostolo è quasi uni- camente rappresentata dalle tipiche argille scagliose ricche in gra- gnoli ofìolitici, spesso così piccoli che sulla carta geologica debbonsi o tralasciare o di molto esagerare, ciò che d'altronde devesi pure ripetere per una gran parte dell’Emilia. Abbondano poi le zone rossigne sia nelle prossime vallette di Modoleno e Reverbera, sia tra il M. Corniola ed il M. Grafagnana, presso Casola, attorno al Molino delle Strette, presso La Vecchia, a nord di C. Salate, presso Montalto, tra Schiavino e Prederà, ecc. ecc. La Valle del Tresinaro attraversa diverse zone o anticlinali cretacee rappresentate specialmente dalle tipiche argille scagliose variegate ; vi predominano, come di solito, le tinte rossastre come tra Monte dell’ Evangelo e C. Spallanzani, nella parte alta della Valletta Lodola, sotto Ca Bertacchi. La stupenda, quanto stretta, zona di argille scagliose che si estende da Paullo sin oltre S. Romano, è quasi ovunque chiazzata di rosso. Anche la successiva zona più meridionale di Ca dei Pazzi - Baiso - Rontano è assolutamente tipica per il policromismo delle argille scagliose ; direi anzi esser questa una delle regioni più tipiche nell’Emilia per esaminare le argille scagliose colla loro facies rui- nosa, colle loro mille tinte minerali: basta per esempio citare il Vallone delle Viole degno d’esser visitato sotto questo punto di vista. La grande e lunga Valle della Secchia attraversa molte e svariate zone cretacee che accenneremo brevemente. Nella parte bassa predominano, come di solito, le argille scagliose colle famose 458 F. SACCO salse, o volcanelli, i quali però in parte trovansi in terreni plio- cenici, quantunque l’origine loro credo debbasi ricercare nel ter- reno cretaceo. Le striscie rossigne abbondano al M. Ca’Rotta, in Valle Ur- bana inferiore, sotto Rontano, in molti punti delle Valli Alegara e Pescale, nella cui parte alta sono pure frequentissimi i grugni olìolitici, talvolta brecciosi. Dette zone rossastre sono poi straordi- nariamente copiose nei dintorni di Roteglia, su ambi i fianchi della Valle; così pure nella Valletta Lucenta; tra questa, la borgata Lugara e Saltino; in molti punti di Val Rossena, ma specialmente di fronte a Prignano, presso Gombola (dove fu trovato il famoso Ichthyosaurus campylodo/ì), sotto Maranello, a Pian di Massaro, nei dintorni di C. Franchini, ecc. Continuando l'esame di Val Secchia, vediamo che essa attra- versa ai Querzoli un’altra bellissima zona di argille scagliose cretacee con frequentissime chiazze rossastre come presso Castel- daldo, nella valletta Dorgola, dai Querzoli sin quasi a S. Catte- rina, sotto Montale, al M. della Castagna, ecc. Anche presso Villa Minozzo e Pojano vediamo zone rossigne, ma più a monte esse divengono più rare e più strette, apparendo solo qua e là sotto il M. Campestrino, pr^so Pieve di Busana, a sud-ovest di Giarola, a sud di Collagna, in Val Biola, a sud-ovest della Gabellina, ad ovest di Ligonchio, ad est di Montecagno ecc.; predominano invece in modo assoluto gli argillo-schisti grigi, bian- castri o plumbei con straterelli arenacei e lenti calcaree. Tali schi- sti si mostrano sovente molto conturbati nel loro andamento stra- tigrafico, corrugati, sollevati, rovesciati, pieghettati, ciò che è in gran parte dovuto ai numerosi affioramenti triassici vicini ; ma non credo opportuno di scendere qui a particolari in proposito. Accenno soltanto come attorno all’ affioramento triassico di Pojano - Bu- sana specialmente, gli schisti cretacei si presentino talora abba- stanza regolarmente sollevati quasi alla verticale, donde deriva una specie di allineamento delle inglobate masse ofiolitiche come tra Talada e Bondolo, ricordando assai bene un fenomeno identico che, in condizioni molto simili, verificasi ad ovest di Genova. Talora in Val Secchia gli affioramenti triassici rimangono in tal modo talmente inglobati tra gli argilloschisti sollevati e contorti che paiono quasi loro sovrapposti. L'APPENNINO DELL’EMILIA 459 È molto interessante il notare come fra le arenarie alternate cogli argilloschisti presso Costa dei Grassi si ansi rinvenute in po- sto diversi resti di Inocerami e di Ammoniti, di cui una venne classificata come Ammonites eocenicus Mani, perchè sinora i ter- reni in esame si vollero inglobare nell’Eocene. Ricordo ancora come i calcari gessosi dell’alta Val Secchia, che io attribuisco al Keuperiano, vennero finora ritenuti general- mente come eocenici, forse in gran parte per i fenomeni stratigra- fici sovraccennati. Sul fianco settentrionale del M. Maccagnina, tra i calcari trias- sici ed il Macigno eocenico, appare, sopra ai calcari grigiastri, una zona di speciali calceschisti grigio-rosei ; potrebbe trattarsi di una speciale zona cretacea, ma dubito piuttosto sia essa da attribuirsi invece almeno in parte al Giura. Lo sfasciume franoso-morenico non lascia veder bene i rapporti e lo sviluppo di detta zona. Sul fianco settentrionale del M. Cusna, vengono ad affiorare per forte piega scbisti bruno-violacescenti e rossicci, forse cretacei, che costituiscono, per la loro natura poco resistente, le regioni subpianeggianti dei così detti Prati di Sara. Nelle parti alte della cresta che si estende dal M. Sillano al M. Cavalbianco in- contransi qua e là schisti grigio-bruni con interstrati calcarei che ricordano quelli analoghi del cretaceo ; forse trattasi di lembi residui di forti pieghe, se pure non sono a considerarsi come accidentalità della zona eocenica. I due importanti affluenti di destra della Secchia, il Dolio ed il Dragone, nella loro parte alta incidono ampiamente le for- mazioni cretacee rappresentate da argilloschisti, schisti plumbei con arenarie e calcari e con frequentissimi grugni ofiolitici; sono rare e piccole invece le zone rossigne che veggonsi per esempio in Val Dolo presso Earneta, presso Campolungo e S. Scolastica; alle falde meridionali del M. Modino, a nord di Frassinoro, sotto Braglie, e nella parte più alta della Valle Dragone sotto le arenarie eoce- niche; anzi quivi, sotto la dimetta, non sarebbe improbabile che alcune zone rossigne fossero già eoceniche. Talune zone ofiolitiche, come per esempio quelle delle colline della Madonna di Pietravolta (sud-ovest di Frassinoro), si presen- tano quasi come paste brecciose, o gabbri rosso-verdicci, quasi spu- gnosi, con rilegature bianche e verdastre ed impasto di elementi F. SACCO 460 brecciosi diversi. Vengono talvolta escavate ed utilizzate per para- carri, copertura di argini stradali, ecc., ma credo siano di poca durata all'azione degli agenti atmosferici. Nelle Vailette del T. Spezzano, del T. Tiepido e del T. Guezzo nella regione subapennina, sono sviluppatissime le argille scagliose tipiche, con rari e piccolissimi grugni ofiolitici ma con molto fre- quenti zone rossigne, come attorno a C. Marzola e C. Gironi, presso Oglio, tra Stella e Pazzano, attorno la Madonna di Pujanello, nel- l’alta Val Traino, ai Bardoni, al M. Comune, presso C. Pasquini, ecc. In queste regioni esistono due punti con salse o vulcanelli, cioè quello già ben famoso di M. Croce — C. Possessione, detto di Pujanello, l’altro meno noto, ma pure bellissimo, di C. Lama a nord-est di Ospitaletto. Nella grande vallata del Panaro affiorano estesissimamente i terreni cretacei colle solite facies. Infatti nella parte bassa pre- dominano in modo assoluto le argille scagliose variegate con zone e chiazze rossigne in mille punti, specialmente sopra C. Bellaria, attorno alle Cascine Osteriola, Guardia, Ca Bosco, La Colomba, ecc.; nella parte alta della valle Castiglione, presso Denzano, in molti punti tra Ospitaletto e Rocchetta, in Valle di R. Torto, sotto Pieve Trebbio, frequentemente nella valle Benedello, nonché poco a nord di Pavullo, nei valloni ruinosi di Cammorana, di Castagneto, delle Salde, di Rosola e Rivella, di Missano, della Frullina, di Lerna; tra Gajato e Montese, in diversi punti di Val Dardagnola, sotto C. Poiacci (Val Leo), sotto C. Felice, ecc. ecc. Sonvi talora zone rossigne e calcaree le quali lascianci per ora incerti nella loro attribuzione al cretaceo piuttosto che all’eo- cene, così per esempio quelle che affiorano nelle colline di C. La Colomba (Sud di Vignola), di Ospitaletto, di Montespecchio (ovest di Montese), ecc. Frequentissimi sono i grugni ofiolitici, per lo più piccoli, eccetto quelli di Montespecchio, Sastio e Val di Sasso. Ricordiamo qui come nelle arenarie schistose di S. Martino e Ranocchio siensi trovate impronte di Inocerami , fatto assai inte- ressante, che dimostra vieppiù l'età cretacea della formazione in esame. l’appennino dell’Emilia 461 Colle argille scagliose si alternano continuamente schisti are- nacei (ricchissimi in impronte molto svariate) che diventano in complesso sempre più importanti verso monte. Nell’alta Yal Leo, specialmente nei dintorni di Bocca Cor- neta, nelle cui vicinanze fu rinvenuta una stupenda impronta di Acanthoceras M.antelliiJ sembra quasi esistere una specie di pas- saggio fra gli argilloschisti plumbei, alternati con schisti arenacei, del Cretaceo e la stupenda serie di arenarie, più o meno calcaree, e di schisti stratificati dell'eocene. Nella parte alta di Yal Scoltenna (continuazione di Val Pa- naro) le argille scagliose sono sostituite in gran parte da argillo- schisti e schisti plumbei ; talora vi appaiono zone di color roseo, o rossigno, come presso il Colle di Mozzi, tra Santona e M. Castello, a M. di Rocchicciola, ecc. ecc. In questa vallata esistono poten- tissimi ripiegamenti, rovesciamenti ecc., che conturbano assai le formazioni eoceniche e cretacee della zona in esame. Tra Pievepelago e Modino si incontrano alcuni affioramenti di schisti rossigni e verdastri, che sembrano quasi di passaggio tra il cretaceo e l’eocene. Nella valle delle Pozze ritroviamo a Piumalbo gli schisti rossigni-violacescenti che credo attribuibili al Cretaceo, se pure non sono già riferibili all’Eocene; zone simili incontransi più a monte, specialmente tra C. Roncovecchio e C. Scagliette, ove pos- sonsi osservare fortemente sollevati ed arricciati gli schisti di color rosso-vinoso passante al bruno- violaceo ; ancora schisti simili ap- paiono al passo dell’Abetone, dove, salendo verso Remecione si può esaminare molto bene il passaggio dagli schisti rosso-bruni del Cretaceo superiore agli schisti rosso-verdastri, agli schisti sca- gliosi grigi ed alle arenarie dell' Eocene. Anche nella valle delle Tagliole vediamo simili schisti ros- signi nei dintorni di Tagliole, sia in fondo del vallone, sia in alto nel fosso della Capanna. Similmente nella valle Fontanaccia appaiono qua e là tali schisti rossastri, specialmente dal Passo Boccaja sino al termine del Posso Boccaja, nella parte più profonda di detto Fosso, ecc.; però non sarebbe affatto improbabile che si trattasse ancora, in questi casi, di Eocene. Risalendo il vallone di S. Anna Pelago, vediamo schisti ros- 462 F. SACCO signi e grigio verdastri sopra Caprili, presso S. Anna, a Fa- loppa ecc. In generale però è a notarsi che alcuna di dette zone rossi- gne è forse ancora da attribuirsi all’eocene, specialmente là dove esse alternansi in basso con straterelli arenacei. Esaminiamo ora il Cretaceo di Val Samoggia. Nella regione subappennina le argille scagliose si presentano coi loro caratteri più tipici, con una grande abbondanza di zone e strisce rosso- verde-violacescenti, come vedesi specialmente nei burroni tra Oli- veto e Pontemaggiore, da Monteveglio alla valle Marzadori, presso C. Campocorno, ecc. Assolutamente tipiche sono pure le argille scagliose, quasi ovunque chiazzate in rosso ed altri svariati colori, nella lunga e labirintica vallata di Ghiaia di Serravalle, da Serravalle sino a M. Orsello e M. Corone, nella valletta del Rio Secco, attorno a Ciano, nella Valle di Ghiaia di Ciano, ecc. Nella Val Samoggia a monte di Ponzano continuano sviluppa- tissime le argille scagliose tipiche con frequenti zone rossigne specialmente nei valloni dell'Isola e della Ca, quasi ovunque at- torno a Savigno, sovente nel Vallone Maledetto, nella parte alta della Valle delle Casette sino a Zocca, ecc. ecc. Pure interessante è la Val Lavino pel grande sviluppo delle argille scagliose tipiche, che formano come di solito burroni franosi ed aridi. Vi abbondano le zone rossigne in strati o chiazze special- mente nella parte alta del rio Torbido, nel Vallone Olivetta presso C. Torretta, a sud di Amola, tra M. S. Pietro e M. S. Giovanni, nel burrone ad est di questa borgata. Più a monte rivediamo frequen- tissime le zone rossastre da Molino dell’Oca a Montepastore e Montesevero. Non di rado alcuni schisti calcarei con zone rossigne parreb- bero quasi far passaggio all’eocene, come per esempio sull'altipiano di Montepastore. La grande vallata del Reno ci mostra regioni estesissime di Cretaceo. Nella regione subappennina predominano, come di solito, le tipiche argille scagliose inglobanti numerose zone rossastre e L 'APPENNINO DELL'EMILIA 463 policrome specialmente dalle falde occidentali e settentrionali del IL Pradona sino ai rovinosi burroni .di Paderno e Sabbiuno. Nella collina del Casone, specialmente verso C. Dovizzola, osservasi un grande sviluppo di schisti diasprigni, talora arenacei, che meriterebbero uno speciale studio microscopico, inglobando, pro- babilmente resti di Radiolarie. Più a monte le zone rossigne riscontransi nell’alto di Yal Yenola, attorno al Molino dei Sereni, in Yal Yergatello sin sotto Serra Sarzana, in Yalle Aneva presso la Ferriera, ad est di Ver- gato, presso C. Corneda, ecc. ; più a sud nella parte alta di Yalle Azzano, attorno a Ca dei Ladri, presso Gaggio montano, ecc. A cominciare ad un dipresso da Vergato, alla tipica facies delle argille scagliose si sostituisce gradatamente quella degli ar- gilloschisti con strati arenacei, degli scbisti plumbei con lenti are- nacee e calcaree, con una maggior frequenza di lenti oliolitiche. È degno di menzione il fatto che sopra alcune arenarie, alter- nate cogli argilloschisti, delle vicinanze dei Bagni di Porretta, si sono riscontrate numerose impronte di Ammoniti, che ci provano sempre più l’età cretacea del terreno in esame. La lunga valle del Setta, confluente di destra del Reno, è in parte incisa nelle formazioni cretacee, spesso ofìolitifere, non di rado con zone rossigne, come presso C. Romagnoli, a Sud di Montagu- razza, a sud di Creda, ecc. Più a monte predominano come di solito gli argilloschisti, le arenarie schistose, le lenti calcaree, gli schisti plumbei ecc. per lo più fortemente corrugati, arricciati, e talora rovesciati. La Val Savena intacca per poco le argille scagliose a sud di Rastignano con zonule rossastre, come presso C. Scaglia, nel Riolo, nel burrone di Ca dei Suzzi, ecc. Così pure la Val Zena attra- versa la stessa zona cretacea verso il suo termine, lasciando ve- dere le strisele rossigne sotto C. Chiesuola, nei dintorni di For- nace Colonna, presso C. Sesto, ecc. Percorrendo la valle dell’Idice, ritroviamo uno sviluppo asso- lutamente straordinario delle tipiche argille scagliose che costi- tuiscono regioni estesissime, pur troppo, come sempre, aride, deso- late ; alcune zone rossigne veggonsi a valle nei dintorni di Ciagnano 464 F. SACCO poco a monte di C. Dei Minghetti ; ma verso monte esse diventano più scarse pure comparendo qua e là a sud dei Boschi, in alcuni punti della prossima Val Sillaro, presso Ca di Guzzo, presso C'a di Palisci, nella parte alta di Val Diaterna, ecc. È notevole la Rocca di Cavrenna costituita di calcari bian- castri, fortemente sollevati ed ondulati, che attribuisco al Creta- ceo, tanto più essendo essi strettamente collegati con una lente ofiolitica. La straordinaria abbondanza di grugni ofiolitici, lungo l’estesa cresta, che si protende da Monterenzio a Cavrenna potrebbe forse da qualcuno interpretarsi come un’apparenza, cioè come semplice effetto del percorso quivi fatto dal rilevatore della carta geologica ; ma se questa ipotesi può avere qui ed altrove un certo valore, non vale da sola a spiegare il fenomeno, il quale credo dipenda special- mente dalla abrasione esercitata dagli agenti esterni, specialmente dall’acqua; giacché tale erosione, esercitando la sua azione denu- dante particolarmente sulle regioni più elevate, come sono appunto le creste, ne derivò che quivi gii argilloschisti furono più potente- mente abrasi, venendo così a giorno i grugni ofiolitici che, per esser più resistenti all’erosione, si conservano meglio. Presso i grugni ofiolitici, osservansi quasi sempre lembi fran- tumati di calcari grigio-biancastri, cariati, venati. Nella parte alta di Val Santerno il Cretaceo è specialmente costituito di argilloschisti grigio-plumbei, con straterelli arenacei e lenti calcaree, ma con rare zone rossigne, che appaiono solo qua e là in Val Violla sopra Mulinuccio, tra Razzopiano e Capanno, al Molino del Veccione; sotto Rovignale (Cornacchiaia), ecc. È interessante notare come presso la grande massa ofiolitica del M. Beni, ma in modo speciale direttamente contro il lato orien- tale della immensa lente ofiolitica del Sasso di Castro, esistano po- tenti schisti diasprigni grigio-rossigni, nonché una grandiosa massa di calcare biancastro, che credo equivalente a quello della Rocca di Cavrenna e attribuisco pure al Cretaceo. Ricordiamo come a nord di Fiorenzuola esista fra gli argillo- schisti una salsa detta Vulcano di Peglio. l’aPPEN'NIXO DELL’EMILIA 4 65 Riguardo al versante tirreno dell’Apennino emiliano, darò solo pochissimi cenni avendovi appena fatto una rapida corsa di coor- dinamento, nè essendo quindi sempre riescito a distinguere gli schisti rossigni, per lo più cretacei, da quelli, talora alquanto si- mili dell’Eocene, e talvolta anche del Giurese. In generale si può dire che gli schisti rossigni dell’Eocene, sono specialmente caratte- rizzati dall’ alternarsi con straterelli arenaceo-calcarei ; quelli cre- tacei invece non presentano generalmente tali intercalazioni, e si distinguono da quelli alquanto analoghi dal Giura per essere più scagliosi, più friabili, meno compatti, meno calcarei, spesso meno nettamente stratificati, ecc. Ad ogni modo senza l’aiuto dei dati paleontologici vi è sempre incertezza riguardo a queste forma- zioni. In Valle Ombrone la tipica zona degli argilloschisti bruni coi soliti straterelli, più o meno frantumati, calcareo-arenacei, affiora sotto il Macigno eocenico verso sud nelle colline presso Pistoia; quivi anzi sovente si osserva che su detta zona cretacea poggiano strati calcareo-arenacei nummulitiferi, che passano in alto gradual- mente al tipico Macigno. Famosa in proposito è da molto tempo la trincea ferroviaria di S. Anna presso la Stazione di Vajoni. Da oltre trent’anni il De Mortillet ebbe a trattare assai giustamente di queste varie formazioni nelle colline pistoiesi, riconoscendovi il Cretaceo per avervi trovati resti di Inocerami presso Ponsano. Una stretta zona di schisti e di calceschisti cretacei svilup- pasi da Fabbrica alla C. Panareccio; poscia essa discende, direi, in Val Reno ed allargandosi passa in Val Bardalone, estendendosi sino a S. Marcello con qualche raro grugno ofiolitico. È interessante a notarsi come sopra Bardalone (e precisamente fra C. Bandita ed Alpe Piana) fra gli argilloschisti bruni in esame trovisi una potente zona lentiforme di calcare alberese, che riterrei cretaceo, assai ben stratificato, largamente escavato per uso di pietrisco, ecc. Tale zona puramente calcarea parrebbe quasi un affioramento cretaceo fra gli argilloschisti bruni ; ma invece la cre- derei piuttosto una lente locale, come si osserva anche altrove in modo più o meno spiccato (così a Carrodano inferiore in Liguria). D’altronde non trattasi che di una notevole estensione dei calcari alberesi, tanto sparsi, in strati e banchi sottili, fra gli argilloschisti cretacei. 466 F. SACCO Tra le Piastre (alta Valle del Reno) e Popiglio (Val Lima) sviluppasi variamente ed interrottamente fra il Macigno eocenico una zona di argilloschisti bruno-plumbei, talora rosso -violacescenti (come in diversi punti presso Piastre, presso Naftrico, Casetta ecc.) con grugni otìolitici nella regione Cicco. I suddetti affioramenti, come pure quelli di S. Gimignano — Guzzano in Val Lima, sono probabilmente dovuti in parte ad an- ticlinali coricate. Attorno al grande affioramento dei calcari secondari di Val Lima, gli argilloschisti cretacei per lo più o sono affatto masche- rati dal sovraincombente Macigno eocenico, oppure affiorano solo in strette striscie con tinte spesso violacescenti ; ciò a causa delle potentissime compressioni e pieghe che essi dovettero subire, per cui i terreni superiori più compatti ( Macigno ) furono spinti diret- tamente e trasgressivamente contro e sopra ai terreni secondari an- tichi, ricoprendo in tal modo i terreni intermedi, specialmente quelli meno resistenti, come sono appunto gli schisti cretacei. Però nella parte occidentale di detto grande affioramento appare, ad un dipresso tra Cocolajo e S. Anna (Montefegatesi) una estesa zona di argilloschisti bruni e rossicci con straterelli arenaceo-calcarei per lo più frantumati alla superficie, come di solito; orbene tale tipica zona, che io riterrei cretacea, sta quivi infatti nettamente fra il Macigno eocenico ed i calcari grigio-biancastri del Neocomiano. Zone e fenomeni simili osservansi anche più a nord attorno al gruppo calcareo del M. Mosca ; ma quivi si sviluppano special- mente estese zone di schisti rosso-violacescenti, i quali però tal- volta si associano a calcari eocenici per cui sembrano riferibili in parte all’Eocene. Riguardo a questa interessante regione rimando agli studi speciali fattivi dal Lotti, solo indicando come un esempio la serie, che si osserva tra il M. Pratofìorito e la Regione Foce al Lago. Eocene Cretaceo P . . . Potenti banchi di arenarie {Macigno). Schisti rosso-violacescenti. Schisti grigio-verdastri. L 'APPENNINO DELL’EMILIA 467 I Schisti rosso-violacei. Schisti verdastri. Schisti rosso-violacescenti. Schisti compatti, scagliosi, di color rosso-vinato. alternati con rari strati calcarei grigi. Potente zona di schisti grigio-verdastri o rosso- vinati, più volte alternati con strati e banchi di calcare grigio; il tutto spesso fortemente ondulato e contorto. . , „ , Schisti rosso-vinati o verdicci con interstraterelli | di calcare selcioso grigio-verdastro. Schisti grigi o bruniccì, alternati con strati e banchi di calcare grigio più o meno selcioso. Banco di calcare grigio corroso. Schisti giallo-bruni, o verdastri, o rosso-violacei, spesso duri e scagliantisi in aghetti, intercalati a strati e banchi di calcari o di calcari are- nacei grigio-bruni. Schisti giallo-bruni con interstrati di calcare sel- I cioso grigio-bruno. i Potentissima zona di calcari grigio-biancastri, in Infracretaceo alto talvolta intercalati a striscie o strati schi- \ stosi di tinta rosso-vinata. Noto però che la zona che attribuisco per ora al Cretaceo è da altri invece riferita all’Eocene, quindi occorreranno ritrovati paleontologici per sciogliere la questione. Dalla Foce delle Badici discendendo in Val Castiglione, ve- diamo continuarsi per un breve tratto gli argilloschisti grigio- bruni con straterelli arenacei e calcarei e con qualche accenno a grugni ofìolitici presso la Foce; il tutto per lo più ondulato, ar- ricciato e contorto. In questa regione è interessante osservare come fra gli argilloschisti compaiano qua e là grosse ed estese lenti di calcare grigio che ha, direi, il tipico aspetto del Calcare cre- taceo; tale fatto sembrami indicare come per l’estendersi di dette zone calcaree si possa passare dal Cretaceo a facies di argille 4r>8 F. SACCO scagliose, Flysch ecc., al Cretaceo tipico regolare a facies marnoso- calcarea. Attorno all’affioramento liassico della Pania di Corfino si svi- luppa estesissimamente, sotto al Macigno eocenico, una potente serie di schisti marnosi, calcarei ed argillosi, di tinta per lo più rossigno-verdastra o violacescente, talora cupriferi, formazione che credo attribuibile in massima parte al Cretaceo, quantunque alcuni strati superiori possano forse già riferirsi all’Eocene, e viceversa nella parte inferiore spuntino qua e là zone calcaree o diasprigne, forse giurassiche. Ne segue una incertezza di delimitazione, che si potrà solo far sparire con uno studio molto accurato e profondo, specialmente paleontologico. Fatti consimili osservansi nell'alta Valle Aneda, attorno alla zona liassica di Soraggio, nell’alta Valle del Serchio, nell'alta Valle di Mommio (dove il Cocchi trovò denti di Ptycodus latissimus e di Pt. poligyrus ) attorno agli affioramenti trias-giurassici di Sassalbo, e nell'alta Val Taverone attorno a Camporaghena, ove però sotto agli schisti rossigni del Cretaceo appaiono i Calceschisti del Giura. Nella sella ad ovest di M. Marinelli è a notarsi un affiora- mento di argilloschisti plumbei con interstrati arenacei e calcarei, il tutto sollevato alla verticale. La tipica formazione degli argilloschisti bruni appare ben sviluppata un chilometro circa a monte di Soraggio. Fra i punti interessanti di queste regioni notiamo la cresta, che sviluppasi dalle Capanne di Caprignana al F. Rimonio, poiché quivi sembrerebbe esistere una specie di transizione fra gli argil- loschisti, le arenarie, ecc. del Cretaceo a facies di Flysch , e la formazione giurassica, quantunque sianvi frequenti disordini strati- grafici, rizzamenti, pieghettature ecc., che rendono irregolare tale passaggio. Attorno alla grande massa delle Alpi Apuane, specialmente presso Minucciano, Ugliancaldo, Tenerano, Castelpoggio, tra Car- rara e Massa, ecc., compaiono schisti grigi e rossigni, che sono forse in parte attribuibili al Cretaceo ed in parte al Giurese. Da quanto fu detto precedentemente risulta che è solo in via provvisoria che presento le delimitazioni dei terreni giurassici e cretacei, quali sono indicate sulla carta geologica. L’aPPENNINO DELL’EMILIA 469 Per una parte della Garfagnana ebbi ad utilizzare i diligeuti studi del De Stefani, solo discordando talora nella interpretazione stratigrafica, specialmente in ciò che egli attribuisce all'Eocene superiore la formazione degli argilloschisti con ofìoliti ecc., che io considero invece come cretacea. A questo proposito debbo notare come ad ovest di Castelnuovo Garfagnana sianvi alcuni punti dove i rapporti stratigratici sembrano appoggiare molto fortemente la mia tesi. Così per esempio al Molino superiore di Torrite, sulla sponda sinistra del T. Torrite Secca, vediamo nettamente la seguente sezione naturale: Eocene ^ Macigno. ' ’ ’ ’ \ Calcari nummulitici ( facies niceana ). j Argilloschisti bruni (colla tipica facies della solita Cretaceo..' zona ofiolitifera) con frammenti arenaceo-calcarei, " striscie rossicce, ecc. Lias ) Calcari grigi stratificati. Consimili rapporti, ma meno evidenti, osservansi pure presso Cerretoli, ecc. Tra il M. Yolsci ed il M. Umbriana si sviluppa, sui terreni giuraliassici, una bella zona di calceschisti cretacei varicolori as- sai bene delineata dal De Stefani, il quale raccolse un Inocera- mus Crvpsi al M. di Roggio. Riguardo a tale zona debbo notare come essa per la sua tinta bruna, rossiccia, o grigio-giallastra, per i suoi argilloschisti inglobanti straterelli calcarei o calcareo- arenacei (spesso ricoperti da una specie di patina o spalmatura verdognola), sovente screpolati e frantumati, nonché per il suo as- sieme, che spesso è alquanto caotico nelle regioni dove il terreno fu più esposto agli agenti esterni ; in complesso, dico, la suddetta zona cretacea, sembrami rappresentare soltanto una facies , solo alquanto meno conturbata, della solita grande zona schistosa-calcarea ofiolitifera. Forse essa deve tale sua relativa regolarità al trovarsi interposta, senza forti discordanze, tra il Macigno eocenico ed i Calcari neocomiani a tettonica abbastanza semplice. 31 470 F. SACCO. Nella parte superiore della zona indicata evvi sovente un grande sviluppo di scliisti rossi che soggiacciono al Macigno eo- cenico. Quanto alla conoscenza della descrizione delle formazioni ofio- litiche tanto sviluppate e tanto svariate della Garfagnana, rimando agli scritti del De Stefani, il quale se ne occupò più volte cou cura speciale. Noto solo come sia quivi frequentissima la facies di impasto breccioso nella formazione ofiolitica, come per esempio nella regione di Piazza al Serchio. Tra la Valle del Serchio e la Valle di Mommio osservansi qua e là affioramenti di argilloschisti brunastri, col solito accom- pagnamento di strati arenacei e calcarei più o meno infranti; sic- come tali terreni spesso vengono a giorno fra i calcari ad Ilel- minthoidea labyrinthica ed il Macigno eocenico, così parrebbero doversi inglobare nell'Eocene; però credo trattisi generalmente solo di un’apparenza di interstratificazione, ma che in realtà essi siano per lo più inferiori al Macigno e che il fatto sovraccennato, d’al- tronde assai frequente anche altrove, derivi da grandiosi ripiega- menti e da trasgressioni molto marcate. Nelle valli di Magra e di Aulella il Cretaceo è specialmente rappresentato da argilloschisti grigio-bruni, talora plumbei con interstraterelli arenacei, spesso arricciati e fortemente disturbati; nei dintorni di Aulla è notevole il grande sviluppo e la quantità dei grugni ofiolitici, spesso a facies brecciosa. Talora sonvi speciali zone di un calcare biancastro, che ri- corda il calcare del Cretaceo tipico; ciò specialmente si osserva per oltre un chilometro a nord-ovest, nonché in minor grado a nord-est, dei Canepari (Fosdinovo), dove detta zona, alquanto in- terrotta, inclina per lo più a sud-ovest, ed è perfettamente com- presa fra gli argilloschisti e gli schisti arenacei del Cretaceo. Nei dintorni di Aulla, specialmente al M. Pora notasi una grandissima quantità di grugni e di lenti ofìolitiche fra gli schisti ; si direbbe quasi un impasto schistoso-olìolitico. Nelle colline a nord di Sarzana hanno un grande sviluppo gli schisti arenacei grigiastri passanti a schisti plumbei, raramente rossigni o solo per brevi tratti, talora con leuti calcaree. l’appennino dell’emii.ia 471 Da Fosdinovo a Massa la formazione schistosa in esame appare in diverse zone e talora in modo che sembra interstratificata fra il calcare ad Helminthoidea labirintica ed il Macigno eocenico ; è perciò che essa venne sempre attribuita all’Eocene, mentre invece sembrami che l’indicato fenomeno sia dovuto a forti corrugamenti caùsati appunto dalla vicinanza della grande massa rocciosa delle Alpi Apuane contro la quale le formazioni cretacee ed eoceniche do- vettero fortemente pigiarsi e quindi arricciarsi per le potenti com- pressioni orogenetiche post-eoceniche. Tale mia interpretazione sembra provata dai fortissimi corru- gamenti e sollevamenti che veggonsi quasi ovunque, sia negli ar- gilloschisti, sia negli strati del Macigno , sia nei calceschisti ad Helminthoidea. Siccome però finora non potei ancora osservare bene nel ver- sante tirreno dell’ Appennino un graduale passaggio dal Macigno al calcare ad Helminthoidea , così non escludo che in detta zona di transizione possano esistere argilloschisti i quali ricordino talora quelli cretacei. Fra gli argilloschisti in esame incontransi pure rari grugni ofiolitici, nonché alcune zone rossigne, così presso C. Carnevale, presso Villa Podestà, tra Castelnuovo e Molino Soprano, tra il M. Castellaro ed il Castello Monteverde, ecc. ecc. È interessante osservare come tra Massa e Carrara affiori qua e là, fra il Macigno eocenico ed i calcari infraliassici, una sottile zona dei tipici argilloschisti bruni con striscie rossicce, zona special- mente visibile nel Canale della Foce poco ad ovest di Mirteto. Tali rapporti stratigrafici, simili a quelli già osservati presso la Turrite di Castelnuovo Garfagnana, sembranmi affatto concludenti riguardo all’età cretacea (non eocenica) di questa zona, che per me fa parte assolutamente della grande formazione ofiolitifera. Terziario. La serie terziaria dell’ Emilia non è certamente così tipica e regolare come nel bacino piemontese, ma essa è pure interessante, sia perchè vi sono rappresentati quasi tutti i terreni, di cui alcuni molto fossiliferi, sia perchè vi è sviluppatissimo l’Eocene con di- verse facies. 472 H. SACCO SUESSONIANO. Riguardo a questo capitolo rimando a quanto dissi in propo- sito nel lavoro sullo Appennino settentrionale non avendo per ora fatti notevoli da aggiungere. È certo che talvolta si vede un gra- duale passaggio dall’Eocene al Cretaceo per cui si può esser quasi sicuri che vi esiste eziandio una zona attribuibile al Suessoniano , ma non raccolsi ancora sufficienti elementi per precisarla e delimitarla. Se la zona nummulitica che incontrasi talora alla base del Ma- cigno corrisponde paleontologicamente al P arisiano, come general- mente si ammette, la formazione parisiana risulta nell'Appennino in esame (come anche altrove, nelle Alpi, ecc.) potentissima, certo dello spessore talora di oltre 1000 metri. Invece la zona suessoniana deve essere poco potente, come d'altronde in generale anche nelle Alpi, quindi naturalmente riesce più difficile il riconoscerla. Tale difficoltà di riconoscimento deve pure essere accresciuta dall'essere probabilmente la zona snessoniana di facies litologica intermedia fra quella dell’ Eocene e quella del Cretaceo, e forse talora piuttosto cretacea, direi, che eocenica. Così io inclinerei ad attribuire dubitativamente per ora al Suessoniano alcune zone schi- stose brunastre ed altre rossigne che sembrano passare gradata- mente agli argilloschisti cretacei. D'altronde non sarebbe per nulla a stupirsi che, date le grandi differenze, nella sedimentazione e nei fenomeni concomitanti, tra quanto si verificò nell’attuale regione appenninica e quanto si ve- rificò in generale altrove, anche la distinzione tra Cretaceo ed Eo- cene fosse da interpretarsi nell’Appennino differentemente che non altrove; probabilmente nella regione appenninica, come in quella carpatica ed altrove, la facies cretacea, direi, si continuò talora in parte fino all’ iniziarsi del periodo parisiano. Nè sarebbe impossibile che una parte della formazione num- mulitifera che sta sotto al Macigno dovesse pure riferirsi al Sues- soniano, quantunque essa sia certamente in massima parte pari- siana. Si deve inoltre considerare come nella classica serie eocenica del Vicentino noi vediamo che sotto alla potentissima pila parisiana degli strati di Ronca, di S. Giovanni Ilarione, del M. Bolca, del L’APPENNINO DELL’EMILIA 473 Membro di Chiampo, ecc. appaiano solo pochi metri di calcari e tufi di Spiìecco (spesso di tinta rossigna) attribuibili al Suesso- diano ; quindi non è a stupirsi che nell’ Appennino settentrionale sotto alla potentissima pila di calcescbisti, di arenarie ( Macigno ) e di calcari nummulitici del Parisiano appaiano solo pochi metri di schisti, spesso pure rossigni come a Spiìecco, riferibili al Suesso- niano e non sempre distinguibili dagli schisti del Cretaceo supe- riore al quale potrebbero talvolta fare graduale passaggio. Certamente nell'awenire le ricerche paleontologiche potranno rischiarare tale interessante questione, ma anche tali studi pro- babilmente confermeranno in parte il sovradetto. Infatti vennero già segnalati in diverse regioni zone, che non solo litologicamente ma anche paleontologicamente, riescono incertae sedis fra Cretaceo ed Eocene ; così per esempio nei Carpazi anche secondo i più recenti studi. Pure degna di nota è la cosi detta Faune miraculeuse du Londinien d’ Appenzel, che secondo il Mayer presenterebbe com- misti tipici fossili eocenici con Inocerami e Baculiti, ma che credo tuttavia debba piuttosto considerarsi come in gran parte cretacea. Un altro bellissimo esempio ce lo porge il recentissimo quanto accurato lavoro del Philippson Der Pelopones , 1891-1892, dove troviamo diversi fatti molto interessanti per l’interpretazione dei terreni dell’ Appennino italiano. Così notiamo anzitutto come nel Pelo- ponneso il Cretaceo sia rappresentato da schisti, arenarie e calcari a Rudiste, fra le quali formazioni sono inglobate a due livelli masse di Serpentina ; quanto all’Eocene esso vi è rappresentato pure dal Flysch , cioè da arenarie, marnoschisti, argilloschisti più o meno calcarei, che talvolta terminano alla base in un orizzonte a Num- muliti, Orbitoidi, Alveoline, ecc., analogo al Niceano dell’ Appen- nino ; infine tra i due terreni, Eocene e Cretaceo, appare qua e là una zona specialmente calcarea, così il Pyloskalk ed il Tripolitskalk, che oltre a Nummuliti, Orbitoidi, Alveoline, Miliolidi ed altri fora- miniferi, ingloba pure Rudiste. Potrebbe forse trattarsi di una zona suessoniana , ma sono certamente necessari ulteriori studi special- mente sul posto per chiarire la questione. Anche gli studi di Stache, Neumavr ed altri parrebbero aver provato esistere zone a Nummuliti e Rudiste associate. D’al- tronde bisogna ricordare come la constatazione di queste zone in- certae sedis tra Eocene e Cretaceo sia assai frequente, quindi per 474 F. SACCO indicarle furono proposti i nomi di Protocene , piano liburniano , strati di Cosina , Epicretaceo , strati di Laramie , ecc. Parisiano. Gli autori che, come accennai nelle prime pagine del lavoro, ebbero ad occuparsi della geologia appenninica trattarono quasi tutti più o meno diffusamente dell'Eocene, esagerandone anzi, a mio pa- rere, lo sviluppo perchè vi inglobarono eziandio gli argilloschisti e le argille scagliose ofìolitifere che io invece attribuisco al Cretaceo. Quindi la delimitazione, per quanto possa essere sommaria e prov- visoria, delle aree eoceniche da quelle cretacee è per la massima parte frutto della recente campagna geologica (Q. Nel complesso la formazione pàrisiana, quale io la comprendo, si può suddividere in uua zona inferiore specialmente arenacea o schistoso arenacea, sovente indicata col nome volgare di Macigno , e per la quale il Pilla propose il nome di Etrurio ed il Pareto adottò in parte il nome di Liguriano , ed in una zona superiore, specialmente marnoso-calcarea, schistoso-calcarea, inglobante pure interstrati arenacei, zona che corrisponderebbe al vero Flyscli o Li- guriano ( strido sensu ), e che è specialmente caratterizzata dall’ab- bondanza dell’ Helminthoiclea labyrinthica\ alla base di questa formazione arenacea e calcarea incontrasi talora un orizzonte poco potente, caratterizzato dalla copia straordinaria di Nummuliti, Or- bitoidi ed altri foraminiferi, nonché Briozoi, denti di Squali, ecc., orizzonte che forse corrisponde al Niceano di Pareto. È a notarsi come questo orizzonte nummulitico si trovi in alcune località (specialmente nell’ Appennino emiliano-toscano) verso la base della formazione arenacea, ed in altre località (come per esempio nella regione subappennina padana) sotto la zona ad Jfel- minth. labyr.; potrebbe trattarsi di due orizzonti diversi, ma sino a prova positiva contraria dubito invece che questo orizzonte num- Q) Quando già era stampata la carta geologica colle linee rosse, alcune escursioni sulla fine di luglio mi obbligarono a correzioni specialmente nella delimitazione delle zone eoceniche, per cui alcune lineette divisorie riman- gono spostate. L’APPENNINO DELL’EMILIA 475 mulitico, largamente inteso, sia essenzialmente un solo, che chiude inferiormente la tipica formazione eocenica nell' Appennino, come anche altrove. Certamente questi banchi nummulitici non trovansi unicamente alla base della serie eocenica, ma se ne incontrano pure a diversi livelli più in alto, in generale però predominano asso- lutamente nella parte inferiore di detta serie. Contro suddetta interpretazione, di un orizzonte nummulitifero complessivamente unico nella parte inferiore dell’eocene, potrebbe opporsi il fatto che nella regione subapennina padana manca la serie arenacea fra il piano nummulitifero e la serie argilloso-cal- carea ad Helm. lalnjr.\ ma potrebbe forse anche verificarsi che la formazione arenacea non sia assolutamente generale e che poco a poco assottigliandosi e modificandosi, specialmente da sud a nord, possa anche in gran parte scomparire o ridursi a quei pochi banchi arenacei che sovente accompagnano i banchi nummulitiferi nel basso Appennino padano. In altre parole la formazione del Macigno , deposito di mare poco profondo e, direi quasi, di littorale, potrebbe solo rappresen- tare una facies più o meno locale dell’Eocene, e quindi mancare od esser ridotto a poca cosa in certe regioni (così nel versante pa- dano dell’Appennino settentrionale) ed invece svilupparsi molto in altre regioni, come nella parte più elevata e nel versante tirreno di detto Appennino. Tale deferenza litologica potrebbe spiegarsi specialmente risa- lendo all’antica oro-idrografia eocenica; in questo caso, infatti, per quanto si possa ancora dir poco di preciso, è probabile che si do- vrebbero ammettere continenti emersi nella regione tirrena, come ce lo accennano le zone di terreni antichi delle Alpi apuane e di altre regioni toscane. Forse anche in qualche rapporto con queste differenze di condi- zione e di ambiente sta il fatto che il Cretaceo nel basso Appennino padano è rappresentato specialmente da argille scagliose, mentre che nell’alto Appennino e sul versante tirreno è specialmente co- stituito da argilloschisti con frequentissimi interstrati arenacei. Se si volessero ritenere i nomi proposti per i terreni in esame si potrebbe indicare col nome di Etrurio ( striato senso) la forma- zione del Macigno, e il nome di Liguriano ( strido senso ) la formazione superiore dei calceschisti, argilloschisti ecc. a Fucoidi, 476 F. SACCO Helmìnthoidea labyrinthica , ecc. Nella carta geologica cercai di distinguere nel complesso tali due zone che però talvolta non paiono nettamente delimitabili ; inoltre posi talora nella zona del Macigno i banchi calcarei che ne chiudono in basso la serie, e che spesso costituiscono con essa un tutto solo. Riguardo alla interpretazione cronologica del Macigno e del Flysch leggasi pure quanto espongo trattando delle generalità del Bar tornano. I caratteri paleontologici del Parisiano appenninico sono molto svariati ma non numerosi; essi constano specialmente di diverse impronte che riscontransi sia sugli schisti argilloso-calcarei, sia sugli strati arenacei; di queste impronte alcune sono certamente inorganiche, derivando da fenomeni tìsici, come movimenti del- l'acqua, ecc., altre rappresentano il passaggio di animali striscianti diversi, come forse è il caso delle Taphrhelminthopsis, llelmin- thopsis , Nemertilithes , della Helmìnthoidea labyrinthica , ecc. ; mol- tissime rappresentano l’impronta di piante marine Zoophycos , Fu- coidi, Condriti (Ch. furcatus , Ch.intricalus , Oh. Targionii, ecc.), ecc. Le zone marnoso-calcaree racchiudono sovente numerosi Fo- raminiferi, di cui sarebbe interessante uno studio speciale; vi ab- bondano i resti di Globigerina , Rotalina , Textidaria , Nodosaria , Frondicularia , Dentalina , F labellina , Robulina , Spirulina, Trun- catulina , Gaudrynia , ecc. ; specialmente interessanti sono poi le zone inferiori nummulitiche le quali racchiudono una fauna ricchissima sovente cementata dai grumuli calcarei dei IÀthothamnium. Pre- dominano le Nummuliti (N. biarritzensis , N. Ramondi , N. Inca- rnila, N. Lamarcki , TV. cf. scabra , vV. Thiathcheffi , ÌF. Leyme- rici , ecc.), le Assiline (A. granulosa , A. exponens ) e le Orbitoidi ( 0. papyracea , 0. stella, 0. nummulitica), nonché Alveolina, Cla- vulina , Crinoidei, Cidariti, Briozoi, Bivalvi (Oslraea, Cyprina , Lucina, Lutraria , I so cardia , ecc.), Univalvi ( Cassidaria , Tro- chus, Cerithium , ecc.), denti di Squalidi, ecc. Riguardo alla distribuzione geografica del Parisiano dobbiamo anzitutto indicare com'essa sia assai diversa a seconda che si con- sidera la formazione dei calcari marnosi ad Helminth. labyr. op- pure quella che complessivamente appelliamo del Macigno ; infatti la prima sviluppasi estesamente nella regione media e bassa del- L’aPPENNINO DELL’EMILIA 477 l’Appennino su tutto il versante padano e sopra una parte del ver- sante tirreno, invece la formazione del Macigno estendesi special- mente nella parte alta dell' Appennino ed attorno alle Alpi Apuane. Tale fatto ci proverebbe differenze batimetriche ed essersi verificato verso la metà del periodo parisiano nella regione ora appenninica un movimento orogenetico assai importante e tale da delineare già alquanto il rilievo appenninico alterando di molto la distribuzione e le condizioni del mare eocenico. Tanto l una come l’altra formazione trovansi ora in gran parte smembrate, ripiegate, arricciate ridotte a lembi più o meno estesi, più o meno spostati, per i fenomeni di corrugamento, di stiramento e di abrasione. Quanto alle zone nummulitifere (piano niceano ) esse sono sinora poco conosciute occorrendo rilevamenti minuti per scoprirle ; più note sono, coi calcari marnosi, quella di Langhirano-Calestano conosciuta col nome di zona di M. Sporno ; e colle arenarie quelle di Rocca Cometa, del Granagliene, del lago Scaffàjolo sotto il Corno delle Scale, dei dintorni di Castelnuovo Garfagnana, di Massa ecc.; ma son persuaso che nell’avvenire se ne scoprirà una serie molto maggiore; ne osservai tracce per esempio nella zona di contatto fra il Macigno eocenico e gli argill oscliis ti cretacei tra Fanano e Montecreto, nonché potentissimi banchi nelle colline di Barga, di Coreglia, ecc. La tettonica del Parisiano è sovente assai conturbata in causa dei potenti fenomeni orogenetici a cui andò soggetto tale terreno dopo la sua deposizione. Nella descrizione dello Appennino setten- trionale ebbi a trattare a lungo delle contorsioni subite dai terreni parisiani e nelle due annesse tavole sono schematicamente indi- cate, dietro osservazioni dal vero, numerosi ripiegamenti che paionmi degni di nota. In generale si può dire che la stratigrafia del Parisiano è più chiaramente distinguibile che non quella del Cretaceo ; ma ciò credo dipenda in gran parte dalla natura, generalmente più com- patta, delle formazioni eoceniche, rispetto a quelle, prevalentemente schistose, del Cretaceo, giacché in verità tutte sono per lo più for- temente conturbate. 478 F. SACCO È vero che non di rado veggonsi gli strati eocenici quasi oriz- zontali, ma sovente anche in tali casi con un esame più accurato si viene a riconoscere che trattasi invece di forti pieghe coricate che simulano a primo aspetto una certa regolarità. Già nel suaccennato lavoro sull' Appennino settentrionale ebbi a constatare e figurare dal vero molte di tali pieghe; nell’Emilia e attorno alle Alpi Apuane tali corrugamenti sono frequentissimi, tanto che talora veggonsi le argille scagliose cretacee colle tipiche lenti ofìolitiche ricoprire i calceschisti^ansm/M ad Helminth. labyr. come per esempio tra Corniglio e Berceto, a nord-est di Comiglio, ecc. Anzi è da osservarsi che se in certi casi i sovraccennati fenomeni di arricciamento e di rovesciamento si possono risolvere con sicu- rezza, altre volte invece lasciano incerti nella loro interpretazione. 11 trovarsi ora le formazioni parisiane ridotte a lembi spesso isolati, più o meno vasti, è da attribuirsi appunto ai fenomeni oro- genetici, che le hanno corrugate, lacerate e fortemente spostate. Assai grande è la potenza della serie parisiana , ma non di rado essa è di molto esagerata, apparentemente, da contorsioni, pieghettature e talvolta anche da grandiose pieghe a C, le quali raddoppiano quasi l’apparente spessore di tale formazione. La zona nummulitica inferiore ( Niceano ), anche collegandovi alcuni schisti varicolori, non è mai molto potente, raramente . di oltre 100 metri, per lo più invece soltanto di pochi metri. La serie arenacea ( Macigno ) in alcuni casi è potentissima, forse di circa 1000 metri, ma per lo più solo di 200 a 400 metri. Così pure la zona dei calcari marnosi ad Helm. labyr. oscilla molto nella sua potenza a secondo delle regioni in cui la si osserva; si è visto come nello Appennino settentrionale essa sembri anche raggiungere lo spessore di circa 1000 metri, ma nell’Emilia è ge- neralmente più sottile, cioè solo di 200 a 400 o 500 metri. Per cui nel complesso si può dire che il Parisiano dell’ Ap- pennino emiliano oltrepassa certamente i 1000 metri di spessore in alcune regioni. Altimetricamente il Parisiano è interessante poiché per la sua posizione stratigrafica e per la sua potenza e relativa compari L'aPPENNINO DELL’EMILIA 479 tezza esso costituisce le più alte cime dell’ Appennino dell'Emilia, spingendosi in alcuni punti della zona del Macigno anche oltre i 2000 metri come all’Alpe di Succiso (2017 m.), al M. Prado(2054m.), al M. Cusna (2121 m.), al M. Cimone (2165 m.), ecc. Invece la zona dei calceschisti ad Helm. labijr ., raggiunge elevazioni assai meno importanti, cioè di solo 1000 a 1500 m. come per esempio al M. Cavallino (1492 m.), al M. Giogo (1518 m.), al M. Cajo (1580 m.), ecc., toccando però quasi i 1700 al M. Prampa (1699 m.), elevazione massima raggiunta da questa zona nell' Ap- pennino dell’Emilia; notisi che nell’Appennino ligure essa giunge pure solo ai 1700 al M. Ebro (m. 1701), ed al M. Lesima (m. 1727). Quanto ai rapporti colle formazioni sotto e soprastanti, il Pa' risiano sovente presenta difficoltà di osservazione e quindi incer- tezza. La zona del Macigno , assieme coll’orizzonte nummulitico, sovente nella parte inferiore passa quasi di tratto a scliisti varico- lori, generalmente cretacei ; ma in alcuni casi una parte di tali schisti con straterelli calcarei biancastri sembra ancora riferibile all’Eocene, forse talvolta al Suessoniano. Superiormente la zona dei calceschisti si presenta sempre nel- l'Emilia, o senza alcuna copertura, o trasgressivamente coperta da terreni terziari assai più giovani, con un hyatus più o meno forte ; si è però visto nello studio dello Appennino settentrionale come in alcuni pochi punti il Parisiano venga coperto, quantunque ancora con qualche hyatus , da marne grigie riferibili al Bartoniano sup. Riguardo poi ai rapporti della zona del Macigno con quella dei Calceschisti ad Helm. labyr. essi sono raramente ben visibili, specialmente perchè fra la deposizione dei due terreni si verificò generalmente un forte movimento orogenitico, che ne alterò i rego- lari rapporti. In alcuni casi potei constatare come passino uno all’altro per mezzo di una ripetuta alternanza di schisti, arenarie e calcari, cioè con una alternanza di strati caratteristici dell’ una e dell’altra for- mazione; talora sembra che vi si interponga una zona di argillo- schisti e di arenarie, che ricordano alquanto la serie degli argillo- schisti cretacei. Riguardo a tale fatto debbo far notare come sovente, 480 F. SACCO anzi nel massimo numero dei casi, si osservi nell’ Appennino la seguente successione di zone d'alto in basso: Calceschisti a F uccidi. Helminth. labijr. ecc. Argilloschisti bruni otiolitiferi, Calcari alberesi, Calcari are- nacei ecc., Arenarie {Macigno). Orbene, data tale serie così frequente ad incontrarsi nelle re- gioni appenniniche (come risulta anche dall’esame della carta geo- logica), siccome il Macigno è certamente eocenico, giacché talvolta alla sua base compaiono zone nummulitiche, parrebbe naturale di considerare la grande zona degli schisti otiolitiferi come eocenica (come infatti è ora generalmente accettato). Siccome però i fossili incontrativi in vari punti accennano invece all’età cretacea, nò panni molto logico di ammettere due zone ofiolitifere, una eocenica e l’altra cretacea, così credo doversi piuttosto interpretare la sovra esposta serie stratigrafica come dovuta a potenti arricciamenti, più o meno rovesciati e trasgressivi, per cui la svariata e complessa zona otìolitifera (che considero come unica e di età cretacea) è venuta sovente ad intercalarsi apparentemente fra il Macigno ed i calceschisti eocenici. Non si possono segnalare vere località fossilifere nelle regioni f arisiane dell’ Appennino in esame, se si eccettuano i punti num- mulitiferi di Langhirano-Calestano, di alcuni luoghi dell’alto Ap- pennino, della Garfagnaua, ecc.; ma è probabile che ulteriori ac- curate ricerche in proposito moltiplicheranno immensamente questi punti fossiliferi. Quanto alle impronte svariate, che incontransi sugli strati del Macigno , esse sono abbastanza frequenti quasi ovunque, ma di poca importanza. Sugli schisti marnoso-calcarei dell’orizzonte superiore sono quasi ovunque abbondantissime le impronte di svariate Fucoidi, Con- driti, ecc., nonché della caratteristica Helminthoidea labyrinthica per modo che riesce quasi inutile il segnalare i punti dove tali resti furono già incontrati. L’aPPENNINO DELL’EMILIA 481 Dal lato orografico i terreni parisiani hanno una grande im- portanza, poiché costituiscono la massima parte degli alti rilievi apenninici, spesso con pendìi abrupti specialmente da un lato ; essi danno origine (per la loro relativa durezza) a strette valli là dove i corsi d’acqua devono inciderli ed attraversarli; nella zona di contatto coi terreni sottostanti originano ben sovente un velo acqueo che si rileva all’ esterno con una serie di copiose sorgenti, le quali costituiscono ben sovente centri di abitazione. Le formazioni parisiane per la loro speciale orografia e costi- tuzione non si prestano gran che all' agricoltura ; sul versante tir- reno vediamo che le regioni dei calceschisti, a tinta complessiva- mente grigiastra, sono in gran parte coperte di oliveti, mentre che i rilievi di Macigno , in generale a tinta rossiccia per decomposi- zione, presentansi per lo più ammantati di castagneti; in alcune regioni, per esempio, tra Aulla e Minucciano, tale distinzione agro- nomica è talvolta nettissima. Tanto i calceschisti quanto i banchi arenacei vengono frequen- temente e largamente utilizzati come materiali da costruzione, specialmente il Macigno; alcune zone calcaree, specialmente del Parisiano inferiore, sono anche scavate come materiale da calce; in alcune regioni i calceschisti, specialmente verso la base della loro serie, forniscono lastre ar desi ache, fatto che ricorda un feno- meno consimile, che sovente s’incontra nel Flysch alpino, appunto specialmente là dove esso passa inferiormente alla tipica zona num- mnlifera. Nella descrizione regionale del Parisiano tratterò dapprima della formazione più estesa nell’Emilia, cioè dei calceschisti a Fucoidi, o Liguriano ( strido senso), e poscia della formazione arena- cea, cioè del Macigno o Etrario (strido senso), quantunque in verità questa sia più antica di quella. Zona schistoso-calcarea (Liguriano str. s.). Nel Parmense la formazione parisiana è rappresentata quasi esclusivamente dai calceschisti a Fucoidi, i quali si presentano ora sotto forma di lembi staccati più o meno vasti, di cui mi limito ad indicare alcuni fra i più importanti. 482 F. SACCO A sud di Salsomaggiore si osserva una serie di placche pa- risene che si sviluppano da nord-ovest a sud-est in complesso ; ne fanno parte verso nord i lembi di M. Costa - M. Larino, di Ponte- grosso - C. Vitali, di Pagano - Benna, e verso sud i lembi di Vigo- leni, di Mariano e di M. Riviano. Tale allineamento indicherebbe una duplice piega diretta appunto da nord-ovest a sud-est; detta piega, cretacea ed eocenica, è di certo fortemente accentuata ed in parte coricata come lo prova la tettonica degli schisti cretacei e dei banchi parisiani , che sono in generale diretti da nord-ovest a sud-est e per lo più inclinati a sud-ovest. La placca di Mariano sembra costituire una conca sinclinale; quanto a quella di M. Riviano essa ci presenta i suoi strati per lo più fortemente sollevati, cioè di 50° a 70°, provandoci sempre più la realtà della forte piega sovraccennata. A nord di Fornovo evvi ancora qualche lembo calcareo forse da riferirsi al Parisi ano. In Val Ceno inferiore troviamo alcuni residui di calcari eoce- nici, contorti, sparsi, presso Piana, nonché l’ampia zona di Viauino- Serravalle che sembra rappresentare una sinclinale coricata, cogli strati qua e là fortemente sollevati e corrugati. Nella Valle del Taro dobbiamo notare la stretta e complessa zona parisiana di M. Pareto-Bertucci, ultimo sprone della grande placca di M. Dosso. Più importante è la zona, che si estende da Citerna ed Oriano a Solignano, sia per la sua ampiezza, sia perchè presenta stupende contorsioni e rovesciamenti specialmente nelle colline di S. Antonio e nel rilievo di Solignano Castello; quivi è ben chiaro che gli strati parisiani furono rovesciati in modo che costituiscono una C schiacciata, aperta ad est, e sembrano talora soggiacere agli schisti ofiolitiferi del Cretaceo; fenomeni simili osservansi al M. Mazzo- lato, ad ovest di Selva grossa, ecc. La Valle Baganza è in gran parte incisa in terreni parisiani per lo più molto arricciati. È a notarsi a questo proposito che mentre tra il Cretaceo ed i calceschisti parisiani esiste general- mente nell’Emilia un hyatus più o meno forte, invece nella parte L 'APPENNINO DELL’EMILIA 483 bassa di Val Baganza, come anche nella vicina Val Parma, appare eziandio la zona inferiore della serie di calceschisti, cioè la zona nummnlitifera ; nello studio dello Appennino settentrionale ho già notato verificarsi consimile fatto per largo tratto, pure specialmente nella regione del basso Appennino padano, dal Pavese al Piacentino. Verso la base della formazione nimmmlitica compaiono strati arenacei e schisti rossigni per i quali si passa inferiormente alle argille scagliose variegate del Cretaceo, anzi in alcuni punti quando non si rinvengono fossili si può rimanere incerti riguardo alla de- limitazione dei due orizzonti, tanto più che in alcuni punti osservai resti nummulitici fra schisti rossigni. Verso l’alto la zona nummulitifera presenta ripetute alter- nanze di arenarie, schisti con qualche lente conglomeratica e cal- cari marnosi, comparendo i fossili nummulitici, orbitoidici, ecc. in diversi strati, finché si giunge alla tipica zona dei calceschisti a Fucoidi. Il M. Sporno è già famoso per i fossili suddetti ; ma a dire il vero, non solo in tale località, ma in quasi tutta la regione com- presa la bassa Val Baganza e la bassa Val Parma, si incontrano non di rado strati arenacei e calcarei zeppi di Nummulites , Assi- lina, Orbitoides , Alveolina , Amphistegina ecc. con denti di Lamna , resti di Crinoidi, ecc.; e son certo che con ulteriori ricerche si potrà arricchire questa fauna ed estendere di molto questa zona nummulitifera; infatti in una sola gita potei raccogliere numerosi fossili poco sopra Langhirano, presso Tabbiano, e molto in alto nella serie, cioè presso il cimitero di Castrignano, al M. Milano ecc., nonché nella parte inferiore di detta serie come tra Tordenaso e Marzolara, alla C. Gallinara, ecc. Verso la parte bassa della zona in esame coi calcari e colle arenarie si alternano marne e argillo- schisti grigi e brunastri, analogamente cioè a quanto osservasi nel basso appennino pavese. Riguardo all’orizzonte nummulitifero debbo notare come tanto il Karrer che studiò i fossili, quanto il Del Prato che scoprì e studiò la formazione in posto, entrambi l’attribuiscono all’Oligocene; per me invece esso sarebbe schiettamente eocenico, cioè del Parisi ano. ; infatti, se i fossili che vi ho raccolti sono piuttosto piccoli e quindi di difficile determinazione, tuttavia oltre alle Amphistegina , all’ Orbi- loides papyracea e diverse altre forme, vi si possono riconoscere 484 F. SACCO resti di Alveolina (a facies parisiana ), numerose Nummuliti del gruppo delle granulose , nonché piccole Assilina , di modo che pel- ine non vi è dubbio che tale orizzonte è ben più antico dell’Oli- gocene ed è schiettamente P arisiano. Tra Marzolara e Calestano gli strati calcarei marnosi bian- castri sono sovente ondulati ed arricciati, ma con pendenza spe- cialmente a sud-est, ciò che forse ci indica una piega a C, almeno per una parte della zona ; compaiono anche qua e là, come presso Marzolara, sotto Puppiano, ecc., alcuni schisti marnosi rossigni, che sono forse da interpretarsi piuttosto come Parisiano inferiore che non come Cretaceo, tanto più che veggonsi talora calceschisti e marnoschisti rossastri o rosei intercalati fra i tipici calceschisti del Parisiano. Dai banchi calcarei escono numerose sorgenti acquee, di cui alcune assai importanti. A monte di Calestano la zona parisiana si presenta schiac- ciata in modo che i suoi strati sono in gran parte drizzati alla verticale con direzione nord-ovest sud-est all’ incirca, anche in que- sto caso costituendo in parte una sinclinale assai serrata. Più a monte troviamo un’altra importante zona parisiana fog- giata a sinclinale meno compressa, più regolare, a strati meno rial- zati e che, continuando la zona di Solignano, forma il rilievo del M. Cassio, sviluppandosi poi ampiamente in Val Parma. Nella parte alta di Val Baganza la zona dei calceschisti pa- risiani per una interessantissima piega coricata, aperta ad est, co- stituisce parte del fianco destro della valle, dove gli strati incli- nano ad ovest o nord-ovest, venendo ricoperti in alto dagli argillo- schisti ofiolitiferi. Quanto ai calcari di Gruppo del Vescovo essi, quantunque differiscano alquanto dai veri calceschisti, per essere in complesso un po' più compatti, talora più biancastri, ecc., tuttavia credo siano ancora riferibili a detta zona eocenica. La Valle del Parma è costituita in grandissima parte di ter- reni parisiani', si è già detto come nella sua parte inferiore com- paiano non rari strati nummulitiferi, specialmente sul lato sinistro della vallata. l'appennino dell’emiua -185 La tettonica delle formazioni parisiane non appare in com- plesso troppo disturbata, poiché gli strati presentano generalmente inclinazioni poco forti; però qua e là essi veggonsi notevolmente sollevati, come, per esempio, verso Berzola nel gruppo di M. Vi- tello, ecc., a causa forse di locali corrugamenti. Oltre ai calcari sono molto sviluppate le marne grigie, che nella parte inferiore della serie divengono anche rosee o rossigue, e sembrano in tal modo costituire talora quasi un passaggio alle argille scagliose del Cretaceo. Di tali zoue rosee vediamo bellis- simi esempi presso Bersatichetto, C. della Costa, sotto Orzale ed Isola, presso Masera, sotto Torre, presso C. Cimamonte, ecc. Anche alcune zone di argilloschisti bruniccì che indicai provvisoriamente come cretacei potrebbero forse ancora riferirsi al Parisiano ba- sale. Lungo la cresta di M. Spreta, a nord delle lenti ofìolitiche, osservansi lenti conglomeratiche fra mezzo agli schisti ed ai bau- chi arenacei del Parisiano inferiore. La grande elevazione che raggiungono i calceschisti al M. Cer- vellino (1492 m.) ed al M. Cajo (1580 m.) forse è dovuta in parte a pieghe e specialmente ad una piega coricata la quale aumenta apparentemente la potenza e quindi anche l’elevazione del Pa- risiano. Tale piega sembra provata, nel primo caso della sovrapposi- zione, con vari disturbi locali, degli schisti ofiolitiferi di M. Polo- Bocca Spiaggi ai calceschisti parisiani colla tipica Helminth. labyr .; nel secondo caso dal fatto che gli argilloschisti con lenti ofìolitiche di Pratopiano sembrano sovrapporsi ai calceschisti parisiani del gruppo del M. Cajo. Nella parte alta della Val Parma vediamo che la zona dei calceschisti eocenici, sotto forma di placche, isolate, più o meno ampie ed irregolari, si spinge sin contro il massimo rilievo appen- ninico costituito dal Macigno eocenico ; la tettonica di questa for- mazione parrebbe abbastanza regolare, presentando essa i suoi strati quasi orizzontali, solo leggermente inclinati, per lo più a nord circa, e parrebbe quindi anche abbastanza regolare la sua sovrapposizione alla zona del Macigno , coll’intermezzo dei soliti argilloschisti bruni, e talora rossicci (che danno origine a diversi colli, come per es., quello di Val di Tacca). Ma, a dire il vero, credo che tale rego- 32 486 F. SACCO larità sia più apparente che reale, tanto più se consideriamo an- zitutto le prossime grandiose pieghe coricate che presentano i cal- ceschisti di M. Polo e di M. Cajo, di cui le placche o zone eoceniche in questione paiono doversi ritenere come parti staccate; e se consideriamo eziandio che la grande zona del Macigno , co- stituente il crinale appenninico, è pure probabilmente da inter- pretarsi come una grandiosa sinclinale coricata, aperta verso sud. Guardando in complesso i fenomeni stratigrafici sovraccennati, si nota come essi quivi, nel versante settentrionale dell’ Appennino da Berceto all’alta Val Secchia ecc., siano molto simili, e simil- mente interpretabili, come quelli che osservansi sul versante me- ridionale da Pontremoli alla Garfagnana. Nella parte bassa di Val Parma, a monte di Corniglio, sin presso Bosco, sotto ai calceschisti appare una zona di marne schi- stose, sovente arenacee, spesso straterell ate, grigiastre, poco com- patte, che credo riferibili al Parisiano medio-inferiore; esse sono probabilmente parallellizzabili ad esempio con quelle analoghe, nummulitifere, di Bobbio in Val Trebbia, cioè a facies niceana. Nel gruppo montuoso di M. Polo sovente veggonsi affioramenti ofiolitici che parrebbero interstratificati ai calceschisti eocenici, ciò che credo spiegabile specialmente per gli arricciamenti che in queste regioni subirono sovente i diversi terreni. Nelle colline di Graiana, di fronte a Corniglio, vediamo ad un dipresso la seguente serie stratigrafica d’alto in basso. Calceschisti a Fucoidi, Helminth. labyrinthica , ecc. Parisiano. . .'Schisti arenacei grigio-giallastri, talora un pò calcarei. Schisti marnosi grigi con interstraterelli arenacei. Cretaceo. . . JArgilloschisti con strati arenacei e calcarei. Nella Valle dell'Enza vediamo le formazioni parisiane assai smembrate ma ancora notevolmente sviluppate. Nella Valle di Termina, confluente di sinistra dell’ Enza, le marne grigie, a facies quasi oligocenica, ed i calceschisti sono ridotti a lembi irregolarissimi giacenti sulle tipiche argille sca- gliose policrome ; vi si osservano pure zone o lenti di marne rosee, come presso Quinzano, a Nord di Urzano, ecc. L’APPENXINO D EL L ’ E M I l . I A 487 In simil modo si presentano le formazioni parisictne nella bassa Val d’Enza; i calceschisti, con strati arenacei e marnosi, sono per lo più disturbati, talora rovesciati in modo così completo da simu- lare una stratificazione regolare; vediamo però gli strati calcarei qua e là fortemente sollevati e contorti, come per esempio tra Cerezzola ed il Monumento di Petrarca. A monte della grande zona oligocenica di Yetto-Eanzano ri- troviamo ampie placche parisiane costituite di marnosehisti e cal- ceschisti, non di rado corrugati e rovesciati in modo da soggiacere parzialmente agli argilloschisti ofiolitiferi, come ebbi già ad indi- care pel gruppo del M. Cajo. Le Valli del Crostolo e del Tresinaro, oltre ai soliti lembi staccati di calceschisti parinomi , che sono talora difficilmente de- limitabili con linea netta dalle formazioni cretacee, come per esempio nei rilievi di C. Ronco, C. del Vento, C. Spallanzani, ecc., ci presentano una stupenda zona di calceschisti e di marne grigie disposte in strettissima sinclinale cogli strati sollevati alla verticale od anche alquanto rovesciati; tale zona sviluppasi da Pavullo a S. Romano costituendo un rilievo assai spiccato, attraversato da profondissime e strette forre. Il Doderlein delineò già assai bene questa zona, che però distinse da quella dei calceschisti a Fucoidi, indicandola come Calcare grigio compatto nummulitico e ritenen- dola più giovane della Molassa silicea inferiore , che è per me tongriana ; l’appellativo di nummulitico dato dal Dolerlein a questa zona farebbe supporre che egli vi abbia raccolto nummuliti, ciò che io non ebbi a constatare, ma che sarebbe affatto naturale. Nella regione subappennina fra l’Enza e la Secchia incontrami qua e là piccolissimi lembi calcarei che paiono riferibili al Pari- siano ; se ne osservano per esempio parecchi a sud di Casalgrande; nel Riazzone presso S. Ruffino sonvene altri, e probabilmente è in uno di essi che il Pantanelli ebbe a scoprire, anni addietro, alcuni resti nummulitici. 488 F. SACCO Ed ora passiamo all'esame della importantissima valle della Secchia. Già tra S. Michele dei Mucchietti, C. di Saltini e la Ma- donna di Compiano vediamo comparire i banchi calcarei del Pa- risiano fortissimamente sollevati e diretti in modo da attraversare obliquamente la vallata. Di fronte a Roteglia troviamo un altro lembo parisiano coi banchi assai sollevati, anzi parzialmente rovesciati a costituire in parte un leggiero arco. Qualche cosa di simile osservasi nella larga zona par maria, di Prignasco, specialmente presso La Negra. Risalendo l’importante vallata di Rossena osserviamo diverse placche importantissime di Parisiano , oltre a numerosi piccoli lembi irregolarmente sparsi, con varia inclinazione, per lo più costituiti di calcari marnosi alternati con marne schistose grigio-giallastre o bianchicce. La grande zona di Monfestino rappresenta tettonicamente una conca a dolce pendenza da ogni lato, salvo locali disturbi; essa si estende anche verso sud e costituisce quasi una placca frastagliata irregolarmente sopra gli argilloschisti del Cretaceo, nelle colline di Selva, Montebonello, ecc.; anzi quivi s’incontrano sovente difficoltà nella delimitazione del Cretaceo dall’Eocene, sia per la vegeta- zione, sia in causa delle sezioni poco profonde, sia per affinità litologiche nella zona di passaggio, ecc. La striscia parisiana di Gombola è maggiormente individua- lizzata poggiando direttamente sulle argille scagliose variegate, famose per aver presentato presso Gombola un resto di Ichthyosau- ras campulodon. Ritornando alla Yal Secchia la vediamo, a monte di Debbia, incisa amplissimamente nei terreni parisiani , costituiti di calce- se!) isti più o meno marnosi e di vere marne schistose, grigiastre, con interstrati qua e là di arenarie. Tali arenarie divengono più frequenti poco a poco nella parte inferiore della serie verso monte, finché si passa alla zona inferiore o zona del Macigno. Sia per questa gradualità relativa di passaggio, sia per la rapidità del rileva- mento, la delimitazione della zona dei calceschisti dalla zona del Macigno mi riuscì alquanto incerta. L’andamento stratigrafico della zona parisiana in esame è L’aPPENNIAO DELL’EMILIA 48!» assai vario, indicandoci parziali conche con inclinazioni per lo più poco forti, cioè di 10° a 40° ; però talora gli strati si presentano anche notevolmente sollevati, come per esempio si verifica nelle formazioni calcareo-arenacee del gruppo montuoso di M. Falò - Quer- ceto, dove i banchi sono spesso verticali o rovesciati con direzione media da nord-est a sud-ovest all’incirca. Verso monte invece la pendenza diventa più regolare e generalmente a nord circa. Nella valle del Dragone, e specialmente in quella del Dolo, si vede la sovrapposizione della zona dei calceschisti alla zona delle arenarie, ma ben sovente si trova qualche incertezza nel de- limitare nettamente tali due zone, specialmente là dove esse as- sumono una facies marnoso-arenacea ( niceana ?); quindi la loro delimitazione qual’è indicata sulla carta geologica riesce alquanto provvisoria per la rapidità e l’indole generale del rilevamento, tanto più che le dette due zone eoceniche sovente si intrecciano tra loro assai irregolarmente. Infatti la grande e tipica zona dei calceschisti, che costitui- sce l’elevalo gruppo del M. Prarnpa, spingendosi quivi ai 1700 m., si estende verso est in forma di placche irregolarissime, costituenti per lo più come di solito crinali elevati (M. Penna, M. Modino, Alpe Sigola, M. Cantiere, ecc.), ma talora discendendo anche cu- riosamente in fondo alle vallate, così da Alpe Sigola a Piandei- lagotti, in causa di pieghe assai spiccate. Le inclinazioni di questa formazione sono per lo più assai dolci, ma molto svariate e tali da indicarci sia sinclinali più o meno regolari, sia vere pieghe rovesciate. Più a nord, ad un dipresso lungo la linea di Villa Minozzo- Montefiorino - Lama Mocogno, verificasi la sovrapposizione di una grande zona di calceschisti alla estesa ma irregolarmente inter- rotta zona degli schisti arenacei ; tale sovrapposizione in certi tratti pare che sia abbastanza regolare, specialmente tra Lama Mocogno e Montefìorino, giacché vi è una certa concordanza stratigrafica, con pendenza per lo più dolce a nord circa, e nella zona di passaggio si osserva un’ alternanza di schisti arenacei e calcarei che rende talvolta assai incerta la netta delimitazione delle due formazioni, in generale così fortemente distinte. Tale fatto naturalmente rende alquanto provvisoria detta delimitazione in alcuni punti della carta geologica, specialmente nel gruppo del M. Mocogno e del M. Modino, 490 F. SACCO dove, nella parte occidentale, sono assai sviluppati speciali schisti grigiastri, poco compatti, di facies, niceana , talvolta di incerta col- locazione rispetto alle due zone in esame. Alla zona dei calceschisti paiono ancora da attribuirsi forma- zioni speciali calcareo-arenacee, a facies di Macigno , come per esempio quelle della parte .alta del rilievo di Toano; d’altronde se si esamina accuratamente la cosidetta zona dei calcari a Fu- coidi si vede come vi si trovino eziandio assai frequenti gli strati arenacei, anche potenti. Ritornando alla parte assiale dell’alta Val Secchia, a monte della grande zona tongriana vediamo i calceschisti parisiani ri- dotti a piccoli lembi irregolari, sparsi qua e là, spingentisi fin contro le masse del Macigno. Alle sorgenti della Secchia osservasi una bella placca di calceschisti parisiani tra i passi dell’Ospe- dalaccio e del Cerreto, zona interessantissima per la posizione, e perchè serve quasi a collegare i calceschisti del versante padano con quelli del versante tirreno. Percorrendo la Valle del Panaro troviamo sulla sua destra, già nella regione subappennina, alcune placche irregolari di Pari- si ano nelle colline a sud di Vignola; bellissima è quella di C. Monte, presso il Castello di Serravalle, per la sua tipica costituzione di calcari marnosi e per rappresentare il residuo di una stretta sin- clinale, giacché i suoi strati sono in parte sollevati alla verticale ed anche rovesciati. Invece le zone di C. Stiano, C. Belvedere ecc. sono meno facilmente delimitabili perchè costituite di calcari com- patti alternati con straterelli arenacei e schisti bruni o rossicci che sembrano far passaggio al sottostante cretaceo. Qualche cosa di simile osservasi nelle placche parisiane di Ospitaletto e di Festa - Coscogno, quivi sviluppandosi speciali cal- cari biancastri, compatti, alternati e commisti con arenarie e schi- sti in parte con facies cretacea. Lo stesso dicasi di vari lembi calcarei dei dintorni di Montese, Salto, Montespecchio, ecc. Anzi il ritrovamento di Inocerami ed Ammoniti in questi dintorni mi decise ad attribuire alcuni lembi di calcare arenaceo compatto al Cretaceo piuttosto che non all’Eocene. l’appennino dell’Emilia 491 Sotto Trentino, nei dintorni di C. Cella, evvi una zona di calceschisti parisiani. , che sembrano collegarsi colle zone arenacee v icine. Molto interessante è la grande zona parisìana di Ranocchio - Casellano, zona che si presenta da un lato fortemente rialzata, come osservasi per esempio al fondo del Panaro dove gli strati, diretti per lo più nel senso dell’asse della vallata, pendono più o meno fortemente a sud-est e presentansi anche verticali. Tale andamento stratigrafìco conservasi pure in complesso per i sottostanti strati arenacei ed argilloschistosi cretacei, che sviluppansi sulla sinistra della vallata sin oltre Montepassatore ; è in consimili strati are- nacei, ma presso Salto, C. Majolo, eco., che si raccolsero già resti di Inocerami dal Lorenzini e dal Mazzetti. Debbo accennare come la regione ora indicata sia stata recen- temente studiata in modo speciale dal Pantanelli : « Il Cretaceo di Moritele- Boll. Soc. Geol. I. - 1885 », il quale però giunse a conclusioni quasi opposte alle mie, attribuendo cioè al Cretaceo i calceschisti, che io in gran parte ritengo parisiani ed invece po- nendo nell’Eocene le argille scagliose e rocce concomitanti che io attribuisco al Cretaceo. Nella valle di Ghiaia troviamo alcuni lembi tipici di Pari- nano ; molto estesi, ma a limiti alquanto difficili a precisarsi, sono i lembi di C. Stiano e di M. Brollo. Molto più importante è la Yal Samoggia dove troviamo este- sissime zone parisiane , fra cui alcune a stratigrafia molto contur- bata; così per esempio vediamo gli strati calcarei sollevati quasi alla verticale, con direzione complessiva est-ovest, nel lembo di C. Biasini, il Castellaro, ecc., a nord di Merlano; così pure for- temente rialzati sono gli strati presso il Castello di Samoggia, indicandoci chiaramente come queste placche parisiane siano il residuo di una zona la quale fu sbranata e fortemente arricciata. Stupenda tettonicamente è la zona parisìana di S. Prospero - M. Ravanese - C. Sassone, poiché i suoi strati calcareo-arenacei, alternati con marnoschisti, furono potentemente sollevati e persino rovesciati; ne vediamo per esempio una sezione naturale assai istrut- tiva sul fianco destro di Val Maledetto di fronte a S. Prospero, mo- 492 F. SACCO strandosi quivi gli strati arricciati a C schiacciata aperta verso l’alto. Per questa ragione sono da consultarsi in modo speciale i lavori del Bianconi e del Neviani il quale ultimo nel gruppo del M. Monascoso, sopra alle argille scagliose ed alle arenarie creta- cee (in cui raccolse un'impronta di Inoceramo) ebbe ad incontrare nella formazione parisiana strati con Orbitoidi, Nummuliti, Ete- rostegine, Alveoline, Briozoi, Brachiopodi, ecc. L’estesa placca parisiana di S. Trinità - Montepassatore pre- senta qualche difficoltà di delimitazione per alcuni strati arenaceo- calcarei alternati con argilloschisti, che rassomigliano alquanto a quelli del sottostante Cretaceo. Verso il termine della Valle del Reno incontransi, nelle col- line di fronte alla Cartiera del Maglio, alcune zone arenaceo-cal- caree, che potrebbero essere lembi parisiani ; lo stesso fatto osservasi nella Val Savena a sud di Rostignano, nonché più ad est presso Calvadello, presso C. delle Scaglie (Val Zena), presso C. Sesto ecc. finché si arriva alla bella placca di C. dell’ Eremo coi tipici cal- cari biancastri basanti sulle argille scagliose. Risalendo la valle del Reno si incontrano altri lembi di cal- cari e di schisti parisiani, talora passanti a schisti arenacei che parrebbero indicare una transizione alla zona del Macigno. Però in alcuni di questi lembi, calcarei o calcareo-arenacei, rimangono talora dubbi sulla loro età e sulla loro delimitazione dalle circo- stanti zone cretacee. Tra la Val Setta, l’alta Val Savena e l’alta Valle dellTdice si sviluppa una vasta zona parisiana notevole non solo per la grande sua estensione, ma anche perchè la sua stratigrafia non sembra molto conturbata in generale. Tale fatto si può ad esempio osservare assai bene specialmente in Val Savena, la quale presenta il suo fianco destro concordante nel complesso della sua pendenza colla inclinazione degli strati parisiani, mentre il suo fianco sinistro taglia quasi ortogonalmente tutta la serie parisiana , che pende di 20° a 40° verso ovest all’incirca. Alcuni lembi di calceschisti sem- brano appiccicati contro le argille scagliose, come ad esempio quello l’APPENNINO DELL’EMILIA 498 delle Rovine (sud di Montaguragazza), che ha i suoi banchi cal- carei inclinati dolcemente a nord-ovest. Nella grande zona parisiana sovraccennata possiamo talvolta osservare un passaggio abbastanza graduato dalla formazione di ti- pico Macigno del gruppo del M. Bastione, alla tipica formazione di calceschisti ad Helm. labyr. del gruppo del M. Galletto - M. Venere ; tale passaggio sembra essere quasi insensibile in certi punti, tanto che riesce talora incerta la delimitazione delle due zone; si vede anzi sovente come nella serie dei tipici calceschisti ad Helm. labyr. si intercalino tratto tratto strati e banchi arenacei che ri- cordano perfettamente quelli del Macigno. Per tale studio riesce assai interessante il percorrere le creste di M. Venere -M. Bastione e di Monteacuto Vallese - Montefre- dente; talora nella parte inferiore dei Calceschisti appaiono cal- cari rosei, e per lo più un’alternanza, più o meno ripetuta, di cal- ceschisti con strati arenacei, per modo che talora la distinzione delle due zone riesce alquanto incerta, almeno secondo il rapido esame da me fattone. Nell'alta Valle dell’Idice i lembi parisiani sono quasi tutti arenacei; però sono forse da ritenersi eocenici gli strati calcarei, fortemente sollevati, che incontransi sulla cresta di Ca di Co, a sud di Monterenzio. Sono poi curiose, per la loro posizione fra le zone di schisti arenacei, le placche di calceschisti elei M. Canda e delle vicinanze sino alla valle del Santerno. Sul versante tirreno dell’ Appennino in esame la zona dei cal- ceschisti è in generale assai ben distinta dalla zona del Macigno e la sovrapposizione della prima sulla seconda risulta assai netta. Talora fra l’una e l’altra appaiono speciali schisti grigio-bruni i quali parrebbero intercalarsi stratigrafìcamente fra di esse ; però in mas- sima parte tali argilloschisti sono forse riferibili al Cretaceo e debbono la loro apparizione particolare a forti corrugamenti e ro- vesciamenti. 1 i 494 F. SACCO Risalendo la Valle del Serchio incominciamo ad incontrare calceschisti, che paiono riferibili alla zona in esame, tra Termini e la Valle Edron. Ma ad ovest di Piazza al Serchio la zona dei calceschisti, dei calcari marnosi ecc. si sviluppa straordinariamente e costituisce intieri gruppi montuosi come è complessivamente delineato sulla carta geologica, per cui non è necessaria una lunga spiegazione in proposito. Tettonicamente la formazione dei calceschisti sembra costi- tuire una conca con diramazioni laterali, cogli strati per lo più poco fortemente sollevati, sovente anzi quasi orizzontali ; invece la pendenza è più decisa presso le emersioni giurassiche e triassiche che rappresentano assai bene regioni di generale sollevamento, sia da Corflno a Codolo presso Pontremoli, sia nelle Alpi Apuane. Certe zone calcaree, però poco estese e poco potenti, assumono una facies speciale di calcari compatti che ricordano quelli della zona nummulitifera ; così per esempio a sud di Gragnana, sotto Terma (Valle Lucido), ecc. Da Regnano salendo al colle che forma passaggio alla Val Mommio vediamo i calceschisti talora sollevati quasi alla verti- cale, e appaiono sotto di essi speciali schisti bruni, i quali sono probabilmente riferibili al Cretaceo, ma quivi tettonicamente par- rebbero schisti di passaggio tra la zona dei calcari e quella del Macigno. Qualche cosa di simile osservasi presso Terenzano, ad est di Posara ed altrove. La distribuzione delle formazioni calceschistose è spesso irre- golarissima come vedesi per esempio tra Giuncugnano e M. Tondo, nei lembi tra Sillano e Piazza al Serchio, ecc. ; talvolta vedesi una sovrapposizione che parrebbe regolare della zona dei calce- schisti a quella del Macigno , ma credo trattisi solo di una regola- rità apparente, almeno in generale. Nell’alta Val Rosaro, oltre alla placca parisiana che sta a cavallo tra questa vallata e quella della Secchia, notiamo esistere al M. Marinelli una bella zona di calcari grigi che ricordano al- quanto per la facies alcuni calcari secondari. Speciali ricerche forse vi faranno scoprire fossili, ma per ora in mancanza di questi credo dover attribuire detti calcari all’eocene. Nei vasti gruppi montuosi di M. Cavardana e di M. S. An- I, 'APPENNINO DELL'EMILIA 495 tonio, i calcescisti inclinano (presso il M. Giogo) generalmente a sud-ovest; ne è forse un lembo staccato la placca costituente il rilievo del M. Pulara, che forma quasi anello di congiunzione tra i calcescisti dei due versanti appenninici. La zona dei calcari e marnoschisti del M. Bilio parte dalla bella conca parisiana di Pontremoli. Tra Bagnone e Licciana appare fra i calcescbisti una striscia di scisti bruni, spesso arenacei, sovente contorti che sono forse cretacei ed appaiono per un’anticlinale probabilmente coricata. In Val Magra la formazione parisiana , coi banchi e cogli scisti ondulati e talora quasi orizzontali, si sviluppa assai costi- tuendo il fondo della vallata da Pontremoli sin oltre Lusuolo; i suoi strati sono talora arricciati specialmente presso gli affiora- menti cretacei, ma in generale invece essi sono soltanto dolcemente ondulati, come verificasi pure per lo più nelle colline di Formoli, di Quercia, in Valle Aulella ecc., dove non riesce sempre facile la delimitazione del Cretaceo dall’Eocene nelle zone di transizione. La placca di calceschisti eocenici di Provenzana, sopra Aulla, collegantesi ad est colle zone analoghe di Posteria, Gorasco ecc., estendesi notevolmente ad ovest coi lembi di M. Frascara, M. Al- picella, M. Cuccaro, M. Dragnone, ecc., spesso mostrandosi in strette sinclinali rovesciate. Passando all’esame del versante direttamente tirreno vi vediamo ricomparire i calceschisti, ma in zone piccole o meglio in lembi sparsi; i più orientali appaiono nelle colline attorno a Ponzano, cogli strati ora fortemente drizzati come ad ovest di Ponzano, ora suborizzontali come al Chiapparo. I limiti di dette placche sono sovente difficili a stabilirsi nettamente, anzi talvolta sonvi lembi calcarei, come per esempio a sud di Giucano, la cui attribuzione piuttosto all’eocene che al cretaceo, riesce talora alquanto incerta senza ulteriori minuti studi. Interessante è la placca di calceschisti eocenici su cui sorge Fosdinovo, dove i banchi calcarei pendono specialmente ad ovest, mentre che nel vicino lembo a nord gli strati presentano inclina- zioni svariate, anche assai forti e non rare arricciature. Molto notevole è l’ allungata zona di calceschisti che svilup- 496 F. SACCO pasi da Paghezzana sin oltre Val Carrione; essa rappresenta pro- babilmente una sinclinale arricciata e parzialmente coricata, giac- ché vediamo i suoi strati in parte sollevati alla verticale come presso Caniparola, a nord di Castelnuovo, presso Lama, sotto il Castello di Monteverde, ecc., cioè là dove si può meglio osservare la stratificazione della zona in esame. Ad est di Val Carrione la zona dei calceschisti è ridotta a lembi poggianti sulle arenarie o sugli schisti. Quanto alla zona di calcare nummulitifero segnalato da Lotti ( Sopra un nuovo piano di calcare nummulitico - Boll. C. G. I. - 1879) sopra Villa Pellerani, noto come egli lo indichi quale un piano nummulitico regolarmente sovrapposto alla zona delle arenarie ( Macigno ), mentre io incli- nerei ad ammettere in questa regione alcune pieghe, in modo, per esempio, che la zona arenacea di Piana Maggio rappresenterebbe una sinclinale fortemente compressa, ciò che altererebbe alquanto le conclusioni del Lotti. Probabilmente gli allungati lembi calcarei di C. Pellerani e di C. Lazzarini si possono considerare come lembi residui del pro- lungamento della estesa zona dei calceschisti di Ortonovo - S. Lu- cia, zona che interpreterei come una sinclinale assai compressa. Quanto ai lembi di calcari che costituiscono piccoli rilievi verso il termine delle colline di Castelnuovo - Nicola, essi pendono per lo più verso sud o sud-est. Noto qui che le sovraccennate lunghe zone calcaree ed are- nacee tagliate quasi ortogonalmente dalle vallate sembrano provare come tali vallate siano quasi esclusivamente originate dalle ero- sioni acquee. Zona schistoso-arenacea. ( Etrurio slr. s .) 11 terreno etrurio del Pilla, nel suo stretto senso, include le formazioni prevalentemente arenacee ( Macigno ) che nella parte alta e nel versante tirreno deH’appennino settentrionale costituiscono gran parte dell’Eocene, e che terminano sovente alla base con un orizzonte calcareo, spesso nummulitifero, che corrisponde probabil- mente al Nicano del Pareto. I rilevamenti geologici mi mostrarono come questo terreno etrurio non sia già un vero piano, ma soltanto una I, '.APPENNINO DELI, 'EMILIA 497 facies dell’Eocene, facies che prevale specialmente nel Parisiano medio-inferiore come ebbi già a verificare nelle Alpi Marittime e come potei constatare eziandio nell’ Appennino settentrionale. Vedremo nel corso della rapida descrizione come talvolta non riesca sempre facile il distinguere la zona etrurica , cioè del Ma- cigno, da quella liguriana str. sensu , cioè dei calceschisti, in causa di alternanze e di passaggi litologici. Presso Berceto esiste una zona di schisti arenacei inclinati a nord-ovest o nord-est, che potrebbero essere eocenici, ma che forse sono piuttosto riferibili ancora al Cretaceo superiore. Tra Berceto e Pontremoli si estende una importantissima zona di schisti e banchi arenacei, zona costituente il gruppo del Monte Orsaro e quello del Monte Molinatico, proseguente poi verso ovest nel gruppo del Monte Spiaggi, del Monte Gottero ecc. Se passiamo all’esame tettonico della formazione summenzio- nata, costituente il grandioso gruppo del Monte Orsaro, Monte Sillaro, ecc., vediamo come i suoi banchi arenacei pendano abba- stanza regolarmente a nord-est di 20° a 60° per modo da andarsi ad immergere sotto agli argilloschisti, che io attribuisco in gran parte al Cretaceo; tale fenomeno può forse spiegarsi considerando la zona arenacea in esame come costituita da una sinclinale rove- sciata, aperta a sud-ovest. Notisi che eziandio nell'alta Valle d’Enza dove, a monte di Rigoso, la zona arenacea presenta solo più di un chilometro circa di ampiezza, i suoi strati veggonsi pendere a nord-ovest spesso assai fortemente e persino essere qua e là quasi verticali. Anche le zone cal- caree che si estendono a nord del gruppo del Monte Orsaro hanno forse subito, almeno in parte, un consimile fenomeno stratigrafico, come sembrerebbe provato dalla sovrapposizione, qua e là visibile, degli argilloschisti ofiolitiferi, che credo cretacei, alla zona dei calceschisti ad Helm. labyr ., che credo parisi ani. Per contemplare nel suo assieme, dal suo lato settentrionale, il bellissimo gruppo montuoso di Monte Orsaro, Monte Sillaro e constatare nettamente la complessiva pendenza dei suoi banchi arenacei a nord-est, riesce molto opportuna la salita del Monte 498 K. SACCO Nave (che rispetto a tale gruppo sembrami assai bene paragona- bile al Monte Crammont rispetto alla catena del Monte Bianco), dalla quale altura si gode di un panorama estesissimo, molto istruttivo e fra i più belli nell' Appennino dell'Emilia. A sud del Groppo del Vescovo, ma già nell’alta Valle della Magra, specialmente nei monti tra Pracchiola e Gravagna ad un dipresso, appare e si sviluppa assai una speciale formazione di schisti calcareo-arenacei, ma prevalentemente arenacei, grigiastri, straterellati, spesso ondulati, od anche contorti, che credo siano ancora riferibili alla zona arenacea dell'Eocene, forse rappresentando la parte superiore della zona del Macigno. È notevole che talora verso l'alto, come per esempio al Monte Cavezzana, detta zona passa gradualmente a calcescbisti, quasi ardesiaci, alquanto are- nacei, che ricordano molto la zona superiore dei calcescbisti ad Helmith. labyr.\ anzi non sarebbe improbabile che si trattasse veramente di una zona di passaggio tra queste due formazioni ■parmane. Nelle parti alte di Val Parma, Val Cedra, Valle Enza, ecc., troviamo pure qua e là zone arenacee, di cui alcune sono forse rife- ribili al Cretaceo, mentre altre (come a nord di Rigoso, tra Casa- rola e Monchio, a Storto, Poviglio, ecc.) potrebbero forse ancora attribuirsi a lembi sparsi della zona arenacea eocenica ; ma per ora non vi rinvenni fossili o caratteri tali da risolvere la questione. Nella parte alta di Val Secchia incontriamo dapprima alcuni lembi staccati di Macigno , così quelli del gruppo di Monte Cam- pestrino - Monte Ventasso, dove i banchi arenacei pendono per lo più a nord-ovest; ma nella parte alta del Monte Ventasso, essi sono in parte sollevati fortemente, per modo che si può supporre che anche questa piccola zona rappresenti tettonicamente in parte una sinclinale ora abrasa e spezzata. Sopra Campo vedesi un lembo di Macigno i cui banchi sono leggermente inclinati a sud-sud-ovest. l’aPPENNINO DELL’EMILIA 499 Nel grappo montaoso di Monte Acato, Alpe di Sacciso e Monte Casarola ritroviamo la continuazione litologica e stratigra- fica del gruppo del Monte Orsaro; cioè i banchi arenacei pendono per lo più a nord circa, anzi nella parte settentrionale essi veg- gonsi inclinare fortissimamente e costituire talora un arco (come per esempio al Monte Casarola) immergendosi sotto gli argillo- schisti cretacei ; quindi anche in questo caso devesi probabilmente sciogliere il problema stratigrafico ricorrendo ad una forte sincli- nale, incuneata fra gli argilloschisti cretacei, aperta verso sud. In queste regioni, anche per l’ affioramento dei terreni trias- sici. le formazioni tutte dovettero subire potenti contorsioni e spesso veri rovesciamenti, senza i quali non si potrebbero comprendere speciali fenomeni stratigrafici, per esempio il fatto che a valle di Cerreto i banchi del Macigno soggiaciono completamente agli argil- loschisti ; quivi probabilmente verificasi il termine occidentale di una forte e coricata piega sinclinale proveniente, direi, dal Monto Cavalbianco. Consimili fenomeni osservansi nel gruppo del Monte Caval- bianco e del Monte Sillano, quantunque talvolta gli strati arena- cei quivi presentino anche verso la base una inclinazione abbastanza regolare (ma forse solo apparentemente) a sud o sud-ovest circa; in verità credo trattisi per lo più di sinclinali più o meno cori- cate. Per tali fenomeni stratigrafici si potrebbero forse spiegare le apparse di scbisti bruni con strati calcarei, a facies cretacea , anche nella parte alta di alcuni rilievi montuosi, così fra il Passo Praderena ed il Monte Sillano, se pure non si tratta di schisti calcarei interstratificati alla zona del Macigno. In fondo alla Yalle Dolio, sia a sud di Monzone sia tra Mor- siano e Muschioso, vedesi apparire una zona di schisti e di ban- chi arenacei grigi, inclinati a nord nel primo caso,, quasi orizzon- tali nel secondo; essi parrebbero inferiori agli argilloschisti creta- cei, ma li credo invece riferibili all’Eocene, e spiego la loro posi- zione con forti arricciature. Questo è certamente il caso per la vicina zona arenacea di Monte Beccara-Monte Roncadello che da certi punti mostra gli strati pseudo-orizzontali, mentre in verità trattasi di una forte arricciatura come la indicano gli strati for- temente rialzati, o verticali, ed anzi parzialmente ricurvati ad arco^ che si possono stupendamente osservare lungo la strada tra Graz- 500 F. SACCO zano e Civago; coi banchi di tipico Macigno alternansi anche schisti arenacei grigi, qua e là con lenti o straterelli ghiaiosi. Questa zona di schisti arenacei grigiastri si estende poi largamente verso est, però con inclinazioni meno accentuate, ma assai varie, finché va a collegarsi coll’ampia e potentissima zona arenacea di Val Scoltenna (Panaro) e quindi del gruppo del Monte Cimone, mentre ad ovest collegasi col gruppo montuoso del Cusna. Alla base della formazione arenacea in esame appaiono talora schisti rossigni che, se pur non sono già cretacei, potrebbero quasi far passaggio al cretaceo superiore, il quale infatti affiora quasi sempre nelle vicinanze, così per esempio in Val Dragone presso Braglie. Tra Villa Minozzo e Lama Mocogno sviluppasi un’altra vasta zona arenacea, ad inclinazione, generalmente abbastanza contante e poco accentuata, verso nord all' incirca, e che per vasti tratti, special- mente tra Montefiorino e Lama Mocogno parrebbe far graduale passaggio alla sovrastante zona dei calceschisti per mezzo di alter- nanze di strati e schisti arenacei, marnosi, argillosi e calcarei. Però occorreranno studi più minuti riguardo a tale transizione che sarebbe certo assai interessante, poiché essa è sempre difficile ad osservarsi ed interpretarsi. Dall’aspetto esterno la zona arenacea si può talora riconoscere per presentare colline di tinta generale giallo-brunastra ed alquanto mammellonari, se non compaiono potenti banchi di Macigno com- patto, mentre le colline di calceschisto sono di tinta più chiara, spesso con dirupi che ne mettono a nudo la stratigrafia. Nella zona arenacea sovraccennata, oltre ai tipici banchi di Macigno , sviluppansi pure gli schisti marnoso-arenacei, grigiastri, poco compatti, con irregolari e numerose vene di calcare spatico, a facies niceana nel complesso, come per esempio sulla destra del Dolio di fronte a Toano. In Val Dolio, a sud di Monzone, si è già detto sopra come gli strati arenacei pendano regolarmente ed anche abbastanza for- temente a nord, in modo che parrebbero immergersi sotto gli schi- sti cretacei; ciò è probabilmente dovuto ad una piega coricata, aperta a sud, e fa dubitare che fatti consimili verifìchinsi pure ad est in modo da infirmare il sovraccennato graduale passaggio tra i calceschisti ed il Macigno. In alcuni punti, come presso borgata Dova, in Val Dolio, verso L’aPPENNIXO DELL’EMILIA 501 la base della zona delle arenarie compaiono speciali schisti rosei che parrebbero preludiare a quelli cretacei, pur essendo ancora riferibili all'Eocene inferiore. Nel gruppo del Monte Vallestrina i banchi arenacei pendono abbastanza dolcemente verso sud-ovest; ma alle origini del Dolio, cioè nel gruppo elevato del Monte Prado, veggonsi gli strati for- temente sollevati e disposti in modo che parrebbero costituire una sinclinale, la quale è a dolce pendio nelle regioni periferiche ed invece poco a poco rialzandosi diventa strettissima nel centro, dove costituisce appunto le guglie più erte ed elevate del Monte Prado. Ma in verità quivi la stratigrafia è assai più complicata, come d'altronde lo dimostrano gli stessi affioramenti di schisti bruni o varicolori, probabilmente cretacei oppure dell'Eocene inferiore, in questo elevato gruppo di Monte Prado-Monte Cusna. Infatti il ri- lievo del Cusna, che tocca i 2121 m., è costituito da una piega a C, aperta a sud (che si vede molto bene sul suo fianco occidentale) e che nella parte alta di detto rilievo è disposta in modo che per lungo tratto gli strati mostrano solo una leggiera inclinazione a nord o nord-est (parte alta del C). Sul fianco meridionale del vicino Monte La Piella gli strati arenacei, che potrebbero rappresentare la gamba sud-est della sin- clinale del Cusna, mostrano una regolare fortissima inclinazione a sud o sud-sud-est, terminando in alto (forse per rovesciamento) con schisti grigio-giallastri od anche verdicci o rosei, talvolta anche con strati marnoso-calcarei (con irregolari vene spatiche) ricchi in Zoophycos ed Iielminth. labyrinth ., colla facies complessiva del- l’orizzonte niceano , come osservasi assai bene lungo la cresta tra il Passone e la Lama della Lite. Al Monte Prado (2054 m.) la zona del Macigno presenta un’al- tra potentissima piega, forse una stretta sinclinale un po’ ondulata e slabbrata a calice, per modo che gli strati sono fortissimamente sollevati, con inclinazione a nord circa nel gruppo del Monte Prado e con pendenza a sud nel rilievo del Monte Castellina, ecc. Anche nel gruppo del Monte Giovare Ilo osservansi consimili fenomeni di arricciamento, i quali in queste regioni elevate si possono consta- tare assai bene direttamente e ci servono quindi di sicura base 33 502 F. SACCO per spiegare in modo consimile curiosi fenomeni stratigrafici che osservansi altrove, specialmente al fondo di alcune vallate. Attorno all’affioramento cretaceo di Foce delle Radici i banchi eocenici presentano una inclinazione abbastanza dolce nel gruppo delFÀlpicella delle Radici ; invece dall’Alpe S. Pellegrino verso le Forbici essi si mostrano potentissimamente sollevati, con inclina- zione a sud-ovest, e talora sono quasi verticali, ma poco a poco l’in- clinazione va diventando più dolce verso il sud. Risalendo la Valle della Scoltenna (Panaro) vediamo clic, come già si disse per i dintorni di Montefiorino, si passa talora abbastanza gradualmente dalla zona dei calceschisti a quella delle arenarie; così per esempio da Lama di Mocogno a Santona. Da Sassostorno a Pievepelago sviluppansi amplissimamente gli schisti arenacei grigiastri ; la loro stratigrafia è assai conturbata, come lo provano le varie e spesso forti inclinazioni ed i ripetuti affioramenti di strette zone cretacee. Sembra si tratti di tre o più pieghe assai forti e compresse, per modo che gli schisti pendono in parte a nord o nord-est, come nei dintorni di Magrignana, in parte verso sud-ovest come nel gruppo del Monte Castello, dove osservansi zone di schisti ardesiaci; talora gli strati sono sollevati quasi alla verticale ed anche parzialmente rovesciati, come ad est ed a sud del Monte Castello per qualche tratto. Forti pieghe si osservano a monte di Riolunato nei banchi di Maciyno ; d’altronde è solo con ripetute pieghe che si può spiegare l’andamento della zona arenacea di questa parte di Val Scoltenna. Nell’elevato gruppo del Monte Cimone i banchi arenacei pre- sentano in generale una pendenza non molto forte e disposta in modo da indicare quasi una curva dolce per quanto irregolare, come sembra pure verificarsi al Monte Rocca; ma in verità credo trattisi piuttosto di una sinclinale rovesciata. Nelle valli del Fontanaccio e nel grande gruppo montuoso del Monte Giovo e del Rondinaio prevale nella potente massa delle arenarie la pendenza, poco forte, a nord o nord ovest, sinché a valle di S. Anna Pelago gli schisti arenacei eocenici paiono andarsi ad immergere sotto gli argilloschisti ofiolitiferi, che crederei cretacei, di Rocca Pelago ; tale fenomeno deve probabilmente spiegarsi con l’ APPENNINO DELL’EMILIA 503 un royesciamento stratigrafìco, come si è già indicato altrove per consimili fenomeni tettonici. I banchi arenacei del Monte Modino, come pure quelli del Monte Lagoni, appoggiansi regolarmente sugli argilloschisti bruni e varicolori del Cretaceo, inclinando di 10° a 20° circa verso nord. Notiamo però come alcune zone di schisti grigio-rossigni e di marne grigio -verdognole o violacescenti che affiorano alla base della zona arenacea, come in Yal Fontanaccio, a nord di Pieve- pelago ecc., siano forse ancora riferibili all’Eocene inferiore, for- mando talora passaggio agli schisti policromi cretacei; il colle dellhibetone nella cresta verso il Cimone si presterebbe assai bene al minuto esame di questa interessante serie che potrebbe forse attribuirsi in parte al Suessoniano. Talora gli schisti rossi- gni in questione si presentano bizzarramente arricciati, come per esempio nell'alta vailetta della Boccaja sul fianco occidentale del Monterocchi, dove sono pure arricciatissimi gli strati arenacei su- periori. Nello sviluppatissimo ed elevatissimo gruppo montuoso di Alpe Tre Potenze, i banchi arenacei pendono in generale non molto for- temente verso nord con oscillazioni a nord-ovest ed a nord-est. Anche in questo caso potrebbero esistere quivi o diverse pieghe locali, oppure una grande piega rovesciata, ciò che ci spiegherebbe anche l'immenso spessore della zona arenacea. Noto qui come il trovarsi sovente le parti più elevate, cioè le creste dell’ Appennino in esame, costituite di potenti banchi arena- cei, credo dipenda in gran parte dal fatto che essi resistettero meglio degli schisti alle potentissime abrasioni prodotte dagli agenti atmosferici durante tante epoche geologiche. Ma inoltre osservai pure che le massime elevazioni di tali formazioni eoceniche corri- spondono spesso ai loro più forti arricciamenti ed alla comparsa quindi di terreni secondari nelle vicinanze. Nei rilievi montuosi a sud di Sestola e di Fauano sono svi- luppatissimi gli schisti arenacei e marnosi, grigiastri, talora quasi ardesiaci, che costituiscono una serie potentissima; la loro tetto- nica è apparentemente molto regolare, poiché gli strati si presen- tano per lo più con leggiere inclinazioni : ma possiamo osservare come in parecchi punti esistano forti contorsioni e ripetuti ripiega- menti più o meno estesi i quali ci provano potentissime compres- 504 F. SACCO sioni a cui andarono soggetti gli sckisti in questione nel loro sol- levamento. Fra queste contorsioni ricordo per esempio quella del colle Costa Fredda (Sestola) presso Roncoscaglia, quella bellissima (a forma quasi di S schiacciata d’alto in basso) che osservasi sul fianco meridionale del Monte Lancio di fronte alla borgata Sega, i fortissimi sollevamenti che mostrano gli strati arenacei lungo la cresta montuosa di Libro Aperto alla Cima dei Tauffi, i banchi arenacei quasi verticali che osservansi presso Fanano, ecc. Tutti questi fatti ci dimostrano come l’apparente regolare stratificazione nasconda invece ben spesso una tettonica molto conturbata, e come sovente i banchi quasi orizzontali siansi così disposti dopo aver subito un forte ripiegamento. D’altronde anche il fatto dei lembi arenacei sparsi sulle argille scagliose, come ne è -esempio tipico quella di Sestola coi banchi di Macigno leggermente inclinati a nord-est, ci provano l’importanza delle conturbazioni statigrafiche quivi verificatesi. Noto qui incidentalmente come non creda assolutamente accet- tabile l’ attribuzione delle arenarie di Sesta, e di altre consimili formazioni più a nord, al Bormidiano , come indica il Pantanelli nel suo lavoro Sezioni geologiche nell’ Appennino modenese e reggiano , 1883, B. C. Gr. I. Tale interpretazione venne d’altronde accettata eziandio nella compilazione della Carta geologica d’ Italia, 1889, in modo da renderla a questo riguardo in gran parte erronea. In Val Dardagna gli schisti cretacei, disposti in serie regolare sopra gli argilloschisti arenacei del Cretaceo, ed inclinati di pochi gradi a sud-ovest in complesso, presentarono già, specialmente verso la base, diversi interessanti fossili, cioè piccole Nummuliti striate, Orbitoidi, Clavulina Szaboi, Briozoi, Ostriche, Pettini, Denti di Squalidi ecc., specialmente sopra Case Corte, a Poggiol Forato, al Cappel Buso ecc., sino al Cupolino di Scaffajolo, come risulta dal- l’importante lavoro del Capellini II Cretaceo superiore ed il gruppo di Priabona, 1885, Mem. R. Ist. Bologna. D’altronde consimili zone nummulitiche si vanno gradatamente scoprendo in diversi punti della grande plaga arenacea in esame, specialmente nella sua parte basale. Nel gruppo montuoso di Corno delle Scale gli strati arenacei sembrano inclinare dolcemente ad ovest o sud-ovest in complesso, ma in verità vi si verificarono potentissimi corrugamenti, come l’APPENNINO DELL’EMILIA 505 ce lo provano per esempio le ripetute ripiegature ad S schiacciata che osservansi sul fianco orientale del Monte Grande, le arriccia- ture degli schisti presso Casale, i banchi spesso fortemente rial- zati ed anche rovesciati tra Casale, Monteacuto, Monte Tresca ecc., pur predominando l’inclinazione a sud-ovest circa. Più ad est, passando all’esame della Valle del Reno, possonsi vedere grandi ripiegature in mille punti della grande zona arena- cea, così per esempio nel gruppo del Monte Granaglione, sia sul lato del rio Maggiore, sia specialmente nella valle del Reno; quivi, come in molte altre regioni della zona arenacea, ma con maggior comodità, si può osservare assai bene come, mentre nella parte alta delle montagne gli strati sembrano talora quasi orizzontali per vaste estensioni, invece nelle profonde incisioni delle valli, detti strati sono fortemente sollevati rovesciati e contorti ; quindi le orizzontalità o dolci inclinazioni stratigrafiche delle parti alte debbonsi sovente spiegare o come conche o come completi rove- sciamenti. Parmi qui conveniente di dare un cenno speciale della zona arenacea che esiste presso i Bagni della Porretta, non già che essa abbia, secondo il mio modo di vedere, un'importanza speciale, rap- presentando uno dei mille lembi arenacei sparsi sulla formazione cretacea, ma perchè essa, sotto il nome di Macigno della Por- retta , fu oggetto di numerosi studi per parte di molti scienziati, geologi e paleontologi, i quali per la maggior parte attribuirono ed attribuiscono tuttora tale formazione al Miocene per esservisi trovati resti di Spatangus ■, Lucina, Isocardia , Ostrea , Gtjprina , Cassidaria , Aturia, ecc. che vennero riferiti a specie mioceniche. Non citerò riguardo a questa formazione l’opinione dei vari autori, talora diversa persino nello stesso autore in opere diverse, volendo anche di lontano evitare qualunque polemica; d’altronde ciò ap- partiene alla storia della geologia, mentre questo mio lavoro è un semplice contributo, per quanto d’indole un po’ generale. Il cosidetto Macigno di Porretta si presenta come una stretta zona di banchi arenacei sollevati fortissimamente con inclinazione a nord-est circa; verso est i banchi arenacei s’appoggiano sopra 506 F. SACCO una formazione marnosa, schistoso-scagliosa, grigiastra, a facies spe- ciale assai caratteristica. Considerata isolatamente riesce difficile interpretare la sovrac- cennata zona di Macigno , la quale sembra sporgere attraverso le argille scagliose ofiolitifere, quasi uno spuntone di terreno più an- tico, come l'interpretò già il Pareto; ma con un esame più esteso tale difficoltà scompare in gran parte. Infatti vediamo che poco più ad ovest del Passo dalla Futa verificasi un distacco di parte della massa arenacea della grande zona del crinale appennino, cioè il distacco di parte della massa costituente il gruppo di Poggio alle Forche-Monte Coroncina- Monte Gatta, i cui strati arenacei presentano generalmente inclinazioni poco accentuate, ma tali che sovente parrebbe che la formazione arenacea vada ad immergersi sotto gli argilloschisti del Cretaceo ; quindi devesi probabilmente ammettere quivi un rovesciamento stratigrafico più o meno esteso, probabilmente a forma di C. Fenomeni consimili vediamo nelle placche arenacee di Monte diBaigno (zona ancora unita alla massa principale) e di Poranceto, di cui troviamo la continuazione nella zoua arenacea di Castello di Bargi e più ad ovest nella placca allungata di Suriana, finché si giunge colla stessa direzione, alla famosa zona del Macigno della Porretta. Notiamo ancora come quelle speciali marne grigie scagliose che osservansi apparire sotto ai banchi di Macigno della Porretta nella parte orientale di questa zona, veggansi pure sotto agli strati arenacei, inclinati per lo più a nord nord-est, delle placche di Suriana, Castello di Bargi e Monte di Baigno; tale tipica forma- zione marnosa ricorda molto la zona marnosa che talora compare alla base del Parisiano in diversi punti dell’ Appennino settentrio- nale, zona corrispondente forse al sottopiano niceano e che potrebbe forse presentare fossili nummulitici a chi la esaminasse con cura. In conclusione io ritengo che la serie di placche di Macigno che si estendono dal Monte di Baigno a Porretta rappresentino sem- plicemente banchi della grande massa parisiana arenacea dell’alto Appennino, lembi staccatisi per una forte piega (probabilmente in parte rovesciata ed accompagnata anche da salto) verificatasi nei terreni cretacei ed eocenici. Certamente tale interpretazione stratigra- fica non riesce al tutto nuova, fra le tante che già vennero indicate a questo proposito ; una consimile era per esempio già stata presentata l’appennino dell’Emilia 507 dal Capellini e dal Lotti; ma attribuendo gli argilloschisti ofioli- tiferi al Cretaceo, come io propongo, e non alinocene come venne finora generalmente accettato, e riferendo il Macigno di Porretta al solito Macigno eocenico e non al Miocene come altri riterrebbe, l'interpretazione stratigrafica che propongo diversifica assai da quelle già esposte da altri. Preziosi argomenti paleontologici riguardo ai dintorni dei Ba- gni della Porretta possonsi ricavare dagli importanti lavori fatti su tale ragione dal Capellini, specialmente quelli sopra il Maci- gno della Porrclla e le rocce a Globigerine dell’ Appennino bo- lognese, 1881, e sopra II Cretaceo superiore ed il Piano di Pria- bona, 1884. Riguardo al primo lavoro notiamo come il Capellini abbia scoperto in diversi punti, ad esempio presso Magarone, e quindi in connessione colla zona del Macigno di Porretta, speciali strati a Globigerina , Robulina , Spirolina, Truncatulina, Texli- laria, Gaudrynia, Nodosaria , Frondicularia , Dentalina, Flabel- lina , denti di Pesci, ecc. ; forse trattasi di una fauna niceana ( lato senso). Le grandi placche parisiane di Casio e Casola e di Camu- gnano sono costituite in gran parte di strati arenacei, i quali pre- sentano varia inclinazione, e talora sono anche arricciati ed ondu- lati, come per esempio nei dintorni di Carpineta; vi hanno pure grande sviluppo speciali schisti marnosi grigi che costituiscono anche da soli piccole placche, come ad esempio quella sopra Villa Scappa, oppure grandi zone come tra Carpineta ed il Rio Azzano. Nel complesso queste formazioni arenaceo-schistose talvolta ricor- dano alquanto la facies del Tongriano tanto che in certi casi pos- sono persino sorgere dubbi a questo riguardo. Noto qui come interessante il fatto che secondo il lavoro del Capellini sopra i Calcari a Bivalvi di Monte Cavallo , Stagno e Casola nell’ Appennino bolognese , 1880, le rocce di dette località presentano numerosi fossili, specialmente Lucina , Lutraria , Tro- chus , Cerithium , Aturia , Vaginella ecc., ciò che prova che questi terreni eocenici, apparentemente privi di fossili, ad un esame spe- ciale o per scavi, ecc. ne presentano un numero abbastanza note- vole, quantunque in cattivo stato di conservazione. 508 F. SACCO Nella Val Setta, le formazioni arenacee del Pannano hanno un notevole sviluppo. G-ià appena attraversata la zona élveziana incontriamo nel fondo della valle parecchi banchi di calcare are- naceo eocenico sollevati quasi alla verticale, e tale formazione si con- tinua sino allo sbocco del Brasimone dove affiorano veri banchi di Macigno fortemente sollevati, e che si estendono assai verso sud. Il Gruppo del Monte Bastione è costituito di tipici banchi di Macigno che sembrano quasi costituire una conca stratigrafica allungata da est ad ovest. Questa formazione arenacea sembra tal- volta passare abbastanza gradualmente, verso nord, alla formazione calcarea di M. Balestra - Monte Venere, per mezzo di ripetute al- ternanze di arenarie, schisti e calcari. Nella parte alta di Val Setta i banchi arenacei sono spesso fortemente sollevati e rovesciati, assumendo talora un'apparente regolarità di stratificazione; però tra il Molino Nuovo e Monte- piano gli strati arenacei sono spesso sollevati di 30° a 50° od an- che portati quasi alla verticale. Nel Gruppo di Poggio alle Forche -Monte Citerna le arena- rie pendono specialmente verso sud-ovest, quantunque osservinsi anche inclinazioni opposte, come a Sud di S. Giacomo, al Monte Gradi, ecc. Vi esistono probabilmente pieghe. Risalendo la Valle dell’Idice vediamo apparire i banchi are- nacei inclinati ad ovest circa, sotto alla grande zona arenacea del Tongriano , tanto che talora possonsi incontrare incertezze di de- limitazione; sonvi inoltre lembi sparsi, come per esempio quelli di Frassineto, la Martina, ecc. Tanto nel Gruppo del Monte Freddi come in quello di Poggio Castellacelo gli strati arenacei pendono specialmente a nord-ovest o ad ovest all’incirca, per modo che paiono appoggiarsi regolarmente sugli argilloschisti ofiolitiferi del Cretaceo. Nell’alta Val Lanterno si verifica un grande sviluppo degli schisti arenacei, i quali ad oriente di Firenzuola pendono com- plessivamente e dolcemente ad est, mentre che a sud-ovest di detta città inclinano per lo più a sud con varianti a sud-ovest od a L’APPENNINO DELL’EMILIA 509 sud-est, secondo le località, in modo che complessivamente sem- brano costituire un’anticlinale abbastanza regolare, solo rotta nel centro per l'apparsa degli argilloschisti cretacei. Oltre ai banchi ed agli schisti arenacei si nota pure uno sviluppo di speciali mar- noscbisti grigiastri a facies niceana particolarmente alla base della serie arenacea, così al Poggio Muscoso, al Poggio Pioto ecc. Talvolta i banchi arenacei ricordano assai quelli del Tongriano come per esempio sopra il Peglio e presso Belmonte, tanto da lasciar talora dubbi sulla interpretazione di certe formazioni. Nelle colline fra Firenzuola e Barberino di Mugello la zona arenacea è molto estesa e potente, con inclinazione varia, ma in generale poco forte; però sul suo margine meridionale spesso i banchi arenacei assumono una fortissima pendenza a sud-sud-ovest (colline di S. Donato, di Poggio Protetto, di Monte Altuzzo, Mon- ticalli ecc.) ; vi compaiono speciali zone marnose grigio-rosee (come presso Casacce, Tre Campi ecc.). Inoltre compaiono nella zona meridionale, così per esempio nelle colline di S. Donato-Fabbiano, strati di calceschisti che sembrano quasi costituire passaggio alla formazione tipica dei calceschisti. Alla base della formazione arenacea in esame osservasi qua e là una zona calcarea (che nella carta geologica inglobai nella zòna arenacea) la quale credo corrisponda al solito orizzonte niceano , conosciuto dai geologi toscani sotto il nome di calcare screzialo , Questi calcari biancastri sono specialmente sviluppati in Val Sor- cella ed in Val Stura, presso Panna, S. Lucia, Prunecchio, ecc. Tra la Val Stura e l'alta Valle del Reno potentissima ed ol- tremodo estesa si presenta la formazione del Macigno , rappresen- tata come di solito da banchi arenacei alternati con schisti argil- loso-arenacei od anche arenaceo-calcari, di tinta grigiastra nel com- plesso. La tettonica ne è variabilissima, tanto che riescirebbe oscuro il tentare di descriverla; predominano le inclinazioni poco forti, però dovute talora a pieghe coricate. Nelle colline di Barberino-Mercatale, predomina la pendenza a nord; in quelle di S. Ippolito, di Cantagallo, di Poggio Cicialbo, di Monte La Croce, dell’alta valle della Limentra occidentale, della Valle del Reno ecc., si osserva specialmente una inclinazione generale a sud-ovest; tale tettonica, fatto importante, si continua complessivamente nella elevata catena montuosa di Monte Cocomero, 510 F. SACCO Monte Orsigna, Corno alle Scale, Monte Spigolino, Monte Ci- mone ecc. Le sovraccennate inclinazioni sono poco accentuate, cioè di 10° a 30° in media, credo però che in parte risultino da pieghe coricate, giacché in queste regioni appaiono pure sovente zone fortemente sollevate ed arricciate in scala più o meno vasta. Bellissimi esempi di tali fatti si possono specialmente osservare lungo il margine settentrionale della formazione arenacea, dai dintorni di Stagno alla Porretta, a Lizzano, Panano, Sestola ecc. ; quivi infatti, nelle numerose e profonde incisioni fatte dalle acque della Limentra orientale ed occidentale, del Reno, del Sella, del Leo, ecc. possiamo in moltissimi punti osservare direttamente e nettamente i banchi e gli schisti arenacei fortemente sollevati, contorti ed anche rove- sciati, mentre invece senza tali profonde incisioni la tettonica par- rebbe poco disturbata. È dietro tali constatazioni di fatto che la spiegazione del fa- moso Macigno della Porretta riesce spiegabile come un lembo residuo di una forte arricciatura della zona eocenica in esame. Così pure la leggiera inclinazione a nord circa che presentano in generale gli strati arenacei delle creste Monte Calvi - Monte Cal- vario, di Montecuccoli, di Monte Granagliene, ecc., è forse attribui- bile ad una grandiosa piega rovesciata, con accompagnamento di arricciature. Fortissimi sollevamenti di strati (talora con leggiera arcua- tila quasi residuo di grandiosa piega, per lo più con inclina- zione a sud o sud-ovest) veggonsi nella cresta tra Monte Fem- mina e Monte la Croce (Yal Limentra orientale), proseguendosi nel gruppo del Poggio Lupino, nei dintorni di C. Ghelardini (Val Li- mentra occidentale), di Poggio La Rossa, ecc. Altri notevoli driz- zameli di strati osservansi in Val Limentra occidentale presso Cor- niolo, presso la Sega ed a Taviano ; così pure in Val Reno presso Prac- chia, a Calvigi - Pidercoli e sotto il Granagliene. In linea generale questi forti sollevamenti, con direzione complessiva da nord-ovest a sud-est, si corrispondono per due o tre di queste vallate subparallele, indicandoci arricciamenti assai estesi ed importanti, che però si modificano da luogo a luogo anche se li seguiamo nel loro per- corso trasversale. Talvolta nella zona arenacea in esame appaiono striscie di l/ APPENNINO DELL’EMILIA 511 schisti rossigni, che sembrano preludiare alla parte basale della zona; così per esempio nella Val Limentra occidentale presso Spe- daletto, sia a destra della vallata sia alla sinistra fra le Cascine di Camporotondo. Nelle colline di Pistoja alla base della formazione arenacea in esame compaiono qua e là, per esempio nella famosa trincea ferroviaria di S. Anna, interessanti strati calcareo-arenacei nnmmu- litiferi, già segnalati dal De Mortillet, e che io riferirei al sotto- orizzonte niceano ; il Meneghini vi determinò Nummidites Piamondi , N. Guettardi, N. oariolaria ; in questa zona trovansi pure nume- rose Fucoidi , Zoophycos ecc. Il tutto basa sulla solita formazione di argilloschisti bruni con strati arenaceo-calcarei, per lo più con- torti ed infranti alla superficie del terreno, cioè la formazione che attribuisco al Cretaceo, attribuzione qui confermata dal fatto che presso Ponsano il De Mortillet segnalò sin dal 1861 il rinveni- mento di due Inocerami. Ad ovest della Valle del Peno la formazione arenacea, colla tipica facies di Macigno , utilizzata in parecchi punti come pietra da costruzione (come per esempio nell’alta Valle del Reno, in Val Lima, ecc.), presentasi per lo più coi suoi banchi poco ma varia- mente inclinati ; in parte ciò è forse spiegabile con pieghe coricate specialmente a nord, tanto più che talora vedesi il Macigno rico- perto dagli schisti che credo cretacei, come per esempio tra Pon- tepetri e S. Marcello. Tra le Borgate Piastre e Prunetta, nella zona di passaggio fra il Macigno e gli schisti bruni del Cretaceo, appare qua e là una zona di schisti grigio-rosei o rossigni che po- trebbero forse riferirsi al Suessoniano. In Val Sestajone, nelle vicinanze di borgata Costi, appaiono fra le arenarie speciali schisti con calcari che potrebbero forse essere attribuibili ad un affioramento cretaceo. Attorno al grandioso affioramento secondario della Val di Lima la formazione eocenica arenacea si dispone in cerchio irregolare ; la pen- denza dei suoi strati in generale è naturalmente verso l’esterno di tale affioramento, quantunque osservinsi pure eccezioni a tale regola generale. Anche in questi casi le pendenze abbastanza dolci della 512 F. SACCO grande zona del Macigno (periferica all'emersione secondaria) credo coll’apertura verso, detto affioramento; tale interpretazione par- rebbe anche spiegare le grandi elevazioni dei rilievi montuosi di Monte Uccelliera, di Alpe tre Potenze, del Rondinaio, ecc. Nella parte basale della zona arenacea in esame compaiono speciali schisti marnosi grigio-verdastri e rosso-violascescenti che sarebbero già attribuibili al Cretaceo; ma siccome essi si alter- nano con straterelli arenacei ed anzi talvolta sono divisi dai ter- reni secondari per mezzo di piccole zone arenacee, sembra più lo- gico di riferirli ancora alPEocene inferiore. Tale zona si può esa- minare nettissimamente attraversando i diversi colli che stanno tra il Macigno ed il Neocomiano a nord di Podere di Termini in Val di Lima sino alle falde meridionali del Monte Caligi. Sul lato occidentale della grande emersione secondaria di Val di Lima si osservano fenomeni alquanto simili a quelli sovraccen- nati sul lato orientale ; ma parvemi che quivi la zona rossigna, di- rei, sia attribuibile in parte all’Eocene ed in parte già al Creta- ceo; ma a dire il vero sapendo che queste interessantissime regioni furono già diligentemente studiate dal Lotti le esaminai solo di passaggio, sperando che presto detto autore vorrà pubblicarne la carta geologica in grande scala con ampia illustrazione anche pa- leontologica. Noto solo come nei dintorni di Montefegatesi appaiano bei calcari nummulitiferi. Nell’alta Val Fegana sulla destra, sopra Pracchi, osservasi una bellissima serie di strati e banchi calcarei grigiastri, ripetu- tamente ondulato-ripiegati per oltre un chilometro in modo da ricordare le classiche curve delle montagne del Giura ; tali banchi sono compresi fra schisti rossigni, per modo da sembrare attribui- bili al Cretaceo; dubito siano invece riferibili all’Eocene inferiore. Fatti e terreni consimili osservami un po’ più a valle dal fondo di Yal Fegana, dove veggonsi di nuovo bellissime ondulazioni strati- grafiche, a Montefegatesi, paese fondato appunto su tali banchi grigi o biancastri, calcarei inclinati ad ovest circa, che parrebbero a primo tratto doversi attribuire al secondario, ma che sono invece eocenici. Nella carta geologica, in questo caso come in altri simili pressso Coreglia, ecc., ho segnato tali zone colle tinte dell’Eocene a facie l’àPPENNINO DELL’EMILIA. 513 arenacea per non complicare ulteriormente la carta stessa, ma in- sisto sulla profonda differenza che esiste fra queste due formazioni, che sarà bene distinguere in studi speciali. Nella Garfagnana esiste un grande sviluppo di arenarie pari- siane le quali vennero già studiate specialmente dal De Stefani; esso scoprì in varii punti alla loro base speciali calcari nummu- litici (zona niceana :•) molto importanti, così a Sassi, al Torrione sopra Metello, sopra Torrite Secca, in fondo di Yal Serchio tra Diana, Terpoli e Treppignana ecc. Nell’ultima località accennata, in Yal Serchio, possiamo osservare assai bene come sotto ai ban- chi arenacei compaiano schisti marnoso-calcarei grigiastri ricchi in Elicoidi, quindi straterelli arenacei che sovrastano ad una zona specialmente calcarea, qua e là nummulitifera, che io credo doversi attribuire al sottopiano niceano , avendo completamente l’aspetto della zona nummulitifera che ebbi già più volte ad esaminare nelle Alpi marittime, sempre vedendola là, come qui, soggiacere diret- tamente alla potente serie delle arenarie {Macigno) e degli schisti a Fucoidi {Flysch). Tale quasi completa rassomiglianza di depositi della stessa età, ma di località tanto distanti, è certamente degna di nota. Un punto che panni interessantissimo riguardo ai rapporti stra- tigrafici dell’Eocene è la Valle di Torrite Secca, mezzo chilometro circa a monte di Torrite ; quivi infatti presso un Molino si vede netta- mente che la zona calcarea nummulitifera ( Niceano ) coperta ad est dal tipico Macigno come di solito, è divisa ad ovest dagli strati calcarei del Lias, per mezzo dei tipici schisti bruni con strati calcareo-arenacei frammentati, formazione che credo identica a quella della zona ofiolitifera, ritenuta eocenica e da me invece attribuita al Cretaceo, ciò che verrebbe qui nettamente confermato dalla stra- tigrafia; d’altronde fenomeni consimili osservansi in molti altri punti, così presso Mirteto (Massa), ecc. Per maggiori schiarimenti sul Parisiano dalla Garfagnana, rimando naturalmente agli accurati studi del De Stefani, avvertendo solo come egli attribuisca all’Eocene superiore gli argilloschisti ofiolitiferi che- io invece, come sopra dissi, considero come cretacei. Talvolta alla base della zona del Macigno compaiono schisti ros- 514 F. SACCO signi (per esempio alle falde meridionali del Monte Yolsci) che non riesce sempre facile attribuire piuttosto all'Eocene inferiore oppure già al Cretaceo superiore come parrebbe quasi più logico. Riguardo alla Valle del Serchio notiamo come a monte del Ponte Calavorno per diversi chilometri l’asse di detta Valle co- stituisca quasi la linea di divisione fra la formazione del Macigno sulla sinistra e la formazione secondaria sulla destra; però anche quivi compaiono al fondo della vallata lembi di Macigno come a Bolognana, al promontorio fronteggiante la Scogliera del Sasso ed a Galliano. Sulla sinistra della Val Serchio il Macigno si presenta po- tente e sviluppatissimo a costituire le alte catene del Monte Giovo, di Cima dell’Omo, del Monte Romecchio ecc. Nettissima appare, specialmente nel gruppo del Monte Giovo, la pendenza degli strati apparentemente assai dolce, cioè di 10° a 20° gradi circa verso il nord-est. in complesso; ma anche in questo caso dubito trattisi di grandiose pieghe rovesciate. Questa estesissima zona di Macigno si presenta in gran parte decomposta superficialmente in modo da essere sovente ridotta di nuovo al primitivo stato di sabbia disaggregata, il che ci spiega i profondi burroni franosi che solcano in ogni senso detta regione. Nelle colline di Coreglia-Barga alla base della potente serie arenacea sovraccennata appare e si sviluppa ampiamente attorno agli affioramenti secondari una speciale formazione (analoga a quella di Montefegatesi-Pracchi) costituita di schisti grigio-giallastri o rossigni con intercalazione di strati e banchi di calcare grigio, tal- volta in pila assai potente; tale formazione quantunque presenti diversi caratteri del Cretaceo superiore, tuttavia, siccome mi parve riconoscervi resti nummulitici, essa è riferibile al Parinano basale (zona niceana ) e forse, nella parte inferiore, già al Suessoniano ; nella carta geologica riunii detta zona in una sola tinta coll’Eo- cene a facies arenacea, ma in lavori speciali essa se ne dovrà nettamente distinguere. Questi calcari presentano una direzione complessiva da nord-ovest a sud-est con inclinazione varia sia nel senso che nel grado; nelle colline di Coreglia la pendenza è piuttosto dolce, però talvolta con curve od ondulazioni ripetute. Nella parte occidentale dell’affioramento in esame gli strati calcarei sono per lo più inclinati di 20° a 40° verso sud-ovest od l’appennino dell’Emilia 515 anche fortemente rialzati come nelle colline di Madonna delle Seggiane. Nelle colline a nord-est di Barga e più precisamente tra il pilone di C. Gragnana ed il Monte Vano raccolsi bei resti di Nummulites e di Assilina nei calcari e nelle brecciuole caratte- ristiche che quivi soggiaciono, con alternanze di passaggio, ai bandii arenacei leggermente inclinati. Questa zona nummulitifera, prosegui- mento di quella sovraccennata (Lucignano - Coreglia - Il Colle, ecc.) si continua verso nord-ovest per modo che la si può esaminare molto bene a nord di Barga in Val Corsonna. Quivi i calcari, inclinati per lo più dolcemente a sud-ovest, talvolta un po’ ondulati e cor- rugati, sono accompagnati (come sovente si verifica anche altrove) da schisti grigio-giallastri o rossicci. È probabilmente una continua- zione di questa zona niceana quella, già segnalata dal De Stefani, che appare assai sviluppata in Val Serchio dalle vicinanze di Piezza a Ceserana ecc. Attorno agli affioramenti secondari di Corfìno - Soraggio la formazione del Macigno si presenta tipica, potente, con varia in- clinazione; ora dolce e regolare come nella parte centrale della anticlinale che essi formano attorno ai terreni secondari, ora in- vece forte tanto che gli strati sono sollevati alla verticale od anche rovesciati, come nella parte alta del Monte Prado, tra Yibbiana e Verrucole nella zona di passaggio agli argilloschisti cretacei ecc. Talora verso la base della zona arenacea compaiono marne arenacee grigiastre a facies niceana , o schisti rossigni passanti al Cretaceo. Nell’alta regione appenninica di Monte La Nuda - Monte Ca- sarola - Alpe di Succiso - Monte Bocco - Monte Sillara - Monte Brusa - Monte Orsaro, ecc., i banchi arenacei presentano una in- clinazione per lo più dolce, abbastanza regolare e costante verso il nord-est all’ incirca. Dubito però che vi esistano forti pieghe o sinclinali rovesciate aperte per lo più a sud-ovest. Qua e là sotto alla potente zona arenacea, specialmente attorno agli affioramenti secondari, appaiono speciali schisti grigio-rossigni che in parte credo attribuibili al Cretaceo, ma che talora potrebbero forse ancora riferirsi al Suessoniano od al P-arismno inferiore, 516 F. SACCO come certamente è il caso là dove cogli schisiti rossigni alternansi straterelli calcarei nummulitiferi, come per esempio all’Alpe di Camporaghena. Ma come dissi più volte non riuscii ancora a tro- vare sempre criteri sicuri per fare tale distinzione, per cui sulla carta geologica detta delimitazione riesce talora incerta e provvi- soria, in attesa di contributi paleontologici per la soluzione di detta questione. La zona arenacea che sviluppasi da Fivizzano a Minucciano ecc. presenta un'inclinazione prevalentemente a nord e per lo più non molto forte, però con numerose varianti locali ; così per esem- pio presso le Cascine Francini (Mezzana) vediamo gli schisti are- nacei sollevati alla verticale e passanti ad argilloschisti bruni su cui si apppoggiano i calcari schistosi di Mezzana; parrebbe in questo caso che tali argilloschisti bruni costituiscano una zona di passaggio fra il Macigno ed i calcari 'par mani. In questo, come in altri simili casi, dubito invece si tratti di argilloschisti cretacei che vengono a giorno per forti corrugamenti. Noto qui come a Bagnone affiori nel fondo della valle una bellissima zona di Macigno a strati quasi orizzontali, frammezzo agli argilloschisti bruni, probabilmente cretacei, ai quali parrebbe inferiore. Forse tale fatto è spiegabile per mezzo di una piega cori- cata in rapporto colla zona arenacea del Monte Sillara, zona che rimarrebbe per un certo tratto trasgressivamente ricoperta dalla formazione degli argilloschisti. A sud di Aulla si osserva l’interessante zona arenacea del Monte Grosso (dalla cui vetta si gode uno dei più interessanti pa- norami della Lunigiana); gli strati vi sono fortissimamente solle- vati ed anche rovesciati, conservando una direzione abbastanza co- stante da nord-ovest a sud-ovest; ciò sembra indicarci una piega sinclinale più o meno compressa verificatasi in tale direzione. In- fatti vedesi che detta zona arenacea continua verso est-sud-est a costituire la Cresta dei Cerri, il Monte Nebbione, e più avanti ancora il gruppo di Monte Bastione, ecc. sino a Massa; invece ad ovest tale stretta sinclinale arenacea, attraversata la Magra, va a l’apPENNINO DELL’EMILIA 517 costituire il Monte Poggio, gli erti rilievi a sud di Calice, sin presso Rocchetta di Vara. Nelle colline di S. Stefano di Magra, Sarzana e Fosdinovo oltre agli argilloschisti cretacei compaiono pure, specialmente nei dintorni di Falcinello, zone arenacee, spesso drizzate e contorte, con impronte svariate ; forse potrebbe trattarsi di zone eoceniche arricciate, ma per ora le attribuisco ancora al Cretaceo, tanto più che nelle prossime colline di Vezzano il Cre- taceo ha in parte appunto una facies arenacea. La grande zona arenacea sopraccennata Fosdinovo - Massa, nella sua parte nord-ovest è costituita di banchi a pendenza ge- neralmente poco forte verso sud-ovest ; invece nella sua parte sud- est presenta i suoi strati per lo più fortemente sollevati e perfino talora rovesciati. In ambi i casi detta formazione sembra andarsi ad immergere sotto agli argilloschisti bruni i quali sopportano la la zona calcarea di R. La Bandita - Ortonovo - S. Lucia, ecc. ; quindi tali scbisti bruni parrebbero interstratificati fra il Macigno ed i calcari e perciò si dovrebbero ritenere anch’essi come eocenici. Invece gli argilloschisti sovraccennati debbono probabilmente ritenersi come cretacei, affioranti per una forte piega anticlinale, mentre la zona arenacea costituirebbe una piega sinclinale più o meno regolare, talvolta rovesciata a nord. Infatti se per esempio attraversiamo la potente zona arenacea di Piana Maggio (fra Massa e Carrara) vediamo che tra i calcari infraliassici e la zona di Ma- cigno in esame affiorano nel canale della Foce gli argilloschisti bruni e rossigni del Cretaceo; oltrepassato il colle Olivero rive- diamo comparire gli analoghi argilloschisti bruni irregolarmente ma fortemente rialzati e contorti; orbene 1’ intermedia zona are- nacea di Piana Maggio a strati quasi verticali, diretti ad un di- presso da nord-ovest a sud-est, sembra debbasi naturalmente inter- pretare come una strettissima sinclinale, avente tale direzione, co- stituita di una serie di strati di circa 800 m. di potenza, e com- presa fra gli argilloschisti bruni del Cretaceo; i prossimi lembi di calcare eocenico di Villa Pellerani. C. Lazzarini ecc. farebbero parte di pieghe speciali, loro proprie. Ho indicato tale esempio perchè facile a verificarsi e perchè fu già studiato e ben diversamente interpretato dal Lotti; ma credo che tale fenomeno sia molto esteso e frequente in queste regioni tanto tormentate nel loro assetto tettonico, perchè compresse contro 3: 518 F. SACCO una regione di relativa resistenza, direi, quale fu, nell’era cenozoica. il massiccio antico delle Alpi Apuane. Un’ultima zona arenacea, ridotta a lembi allineati in serie da nord-ovest a sud-est, esiste nella regione subappennina da Castel- nuovo di Magra alla Villa Pelini (est di Avenza). Anche in que- sto caso gli strati arenacei sono per lo più fortemente sollevati come può ad esempio osservarsi nel vallone di Bettigna, nel rilievo di Nicola, al colle di S. Teresa, di Villa Manfredi, sul banco orien- tale del M. Castellaro, ecc. In quest'ultima località, nella trincea fatta per la ferrovia si possono stupendamente esaminare le forti e ripe- tute contorsioni degli strati arenacei, e possiamo così sempre più convincerci dei grandiosi fenomeni stratigrabci che si verihcarono nelle formazioni arenacee del Parisiano nella regione appenninica. Bartoniano. Ho già ampiamente spiegato in diversi antecedenti lavori, specialmente sopra Le Ligurie)} B. S. G. F. 1888, e negli studi sul Bacino terziario del Piemonte 1889, e sull’ Appennino set- tentrionale^ 1891, come io intenda il Bartoniano , cioè quale piano equivalente ad Eocene superiore , e come lo ritenga superiore (non inferiore come si accettò bnora) al Liguriano il quale per me non è altro che una facies speciale che osservasi nel Cretaceo e nel- l'Eocene, e che, anche nel suo più stretto senso, rappresenta il Pa- risiano superiore. Finora questo mio modo di vedere non venne accettato, anzi fu osteggiato (') da varii geologi anche recentemente; ma spero che potrà meglio essere ricevuto in avvenire quando per la determina- zione rigorosa dei piani geologici si rimonterà all'origine delle denominazioni, come si fa per le specie animali e vegetali; hno a quel momento la sinonimia geologica si andrà purtroppo sempre più complicando come appunto verihcasi oggi. (M Per la dignità e la serietà della scienza e di me stesso credo op- portuno di rispondere solo con nuovi studi ai pseudolibelli, con veste scien- tifica, pubblicati da alcuni contro le mie idee sull’età cretacea delle forma- zioni ofiolitifere e sopra l'interpretazione cronologica del Liguriano. l’appennino dell’Emilia 519 Orbene, risalendo alle origini troviamo che il nome di Bcir- toniano fu fondato dal Maver nel 1857 sopra le riccamente fos- silifere ed assai potenti argille di Barton (Barton day) le quali inferiormente passano ai Bracklesham beds ( Parisiano ) e superior- mente, per mezzo di banchi sabbiosi (Upper Bagskot beds), pas- sano alle formazioni oligoceniche ( Headon beds , Osborne Beds , ecc.). Nello stesso modo vedonsi nel Belgio le sabbie di Wemmel ecc. ( Wemmeliano ), che sembrano identificabili al Barton-clay , passare gradatamente verso l'alto alle formazioni oligoceniche, mentre in basso poggiano, pare con hyatus , sui terreni parisiani (Laekeniano). Così pure nel classico bacino di Parigi le Sables moyens , o Sables de Beauchamp , che sono parallelizzate all’orizzonte del Barton-clay , superiormente mostrano una graduale transizione alle formazioni oligoceniche ed inferiormente poggiano sul tipico Cal- caire grossier (Parisiano). In Italia se esaminiamo la famosa zona di Priabona , che viene generalmente identificata col Barton-clay , vediamo appunto come essa (') mentre in alto essa passa gradualmente alla tipica formazione oligocenica ad Ampullina crassatina , Nummulites in- termedia, N. Fiditeli ecc., in basso invece poggia sui noti terreni parisiani rappresentati da potenti calcari nummulitici, il cosidetto Membro , ecc. Se consideriamo la serie stratigrafìca di un’altra regione im- portante per lo studio dell’Eocene, i dintorni di Gassino, località che diverrà ancor più interessante dopo che il mio carissimo amico cav. Luigi Rovasenda avrà reso di pubblica ragione (al che lo esorto vivamente) le numerose scoperte paleontologiche da lui fatte in tali terreni (2), vediamo come quivi in alcuni punti ai tipici banchi conglomeratici e sabbiosi dell’Oligocene (con Nummulites Fiditeli , N. intermedia , N. Tchihachefji , ecc.) succeda verso il basso una potente pila di marne grigie ; queste inferiormente di- ventano spesso sabbiose, talora con banchi arenacei caratterizzati P) Come potei meglio constatare de visu nella gita fatta durante il Con- gresso della Società geologica a Vicenza. (Nota agg. durante la stampa). (2) Il Rovasenda ha redatto poco dopo questa mia comunicazione una breve Nota (/ fossili di Gassino, Boll, della Soc. geol. ital., voi. XI. 1892), con una lista di fossili, bensì provvisoria, ma molto importante paleontologica- mente e geologicamente. 520 F. SACCO da numerosi resti di Tenebratala, Terebratulina, Rhynchonella. Lima, Teredo, Cirsotrema, Galeodea, Scalpellimi, Rhabdoci- daris, ecc. a facies già assolutamente eocenica. Detta formazione, essenzialmente marnosa, ma con frequenti banchi arenacei è quella che riferirei al Bartoniano superiore e medio; essa rappresenta il Bartoniano (quasi solo il Bartoniano superiore') nell’ Appennino settentrionale, come ad un dipresso l'ho indicata nelle mie carte geologiche. La sovraccennata zona marnosa bartoniana con banchi arenacei verso il basso diventa sempre più fossilifera (Carpoliti, Filliti, Bra- chiopodi, Molluschi ecc.) ed incomincia ad alternarsi con strati e banchi calcarei costituiti in gran parte da un impasto di Litho- thamnium con numerosissime Orbitoidi, poche Nummuliti (M. striata, N. Boucheri), Corallarì, Echinodermi ( Echinanthus , Echinolampas , Bourgueticrinus , ecc.), Brachiopodi, Pettini, Ostrea gigantea , ab- bondantissimi denti di Squalidi ecc. Questa zona costituisce il ti- pico e famoso Calcare di Gassino. Più in basso continuando ad alternarsi marne grigie (qua e là rossicce) e talvolta arenarie cogli strati calcarei, diventano nu- merose e svariatissime le Nummuliti (M. striata , N. Tchiatlicheffi , N. complanata , N. Guettardi , N. anomala ecc.) e compare anche la Serpula spirulea. Infine alla base della serie visibile nell’affioramento eocenico di Gassino, colla solita facies marnoso-calcarea, appaiono alcune Nummuliti di tipo assolutamente parisiano , come N. Roualti , N. lucasana e qualche rappresentante della N. perforata. Ne viene per conseguenza che nella descritta regolare ed inte- ressantissima serie stratigrafica di Gassino dobbiamo ammettere che il Bartoniano mentre superiormente viene ricoperto senza salti dalle formazioni oligoceniche , verso il basso passa gradualissimamente all’orizzonte parisiano , tanto che una netta delimitazione fra i due piani parrebbe alquanto incerta. Ora, passando all’esame dell' Appennino, vediamo come molto frequentemente sotto ai banchi basali della potente formazione oligocenica compaia una zona di marne grigie, che panni affatto parallelizzabile a quella simile che rappresenta il Bartoniano su- periore nella serie tipica di Gassino, e che perciò nelle mie carte geologiche indicai colla tinta del Bartoniano. Ma ammetto io pel l’aPPEXMNO DELL'EMILIA 521 primo come tale zona mentre per insensibili passaggi collegasi colla serie oligocenica (di cui parrebbe quindi costituire il membro basale) invece non mostra graduale transizione alle potenti forma- zioni eoceniche, che costituiscono gran parte dell’ Appennino; solo in qualche punto si può osservare come essa sia loro sovragiacente con hyatus e discordanza. Orbene tali potenti formazioni eoceniche ( Flysch , Macigno ecc.) dell’ Appennino (come pure dei Carpazi, dell’Asia, dell’Africa settentrionale ecc.) sono appunto quelle su cui il Mayer nel 1857 fondò il suo piano liguriano , inglobandovi pure potentissime for- mazioni di schisti ofiolitiferi, che credo riferibili al Cretaceo. Quindi il Liguriano tipico, anche togliendone le formazioni cre- tacee che finora vi furono racchiuse, non può assolutamente rappre- sentare un piano superiore al Bartoniano , come ora si ammette e come vuol tuttora sostenere il Mayer essendo egli così obbligato, anche dalla sua teoria degli equinozi, a parallelismi e riunioni affatto incongrue, per esempio, a porre nel Liguriano (come fece in questi ultimi anni) il Flysch a Fucoidi dell’ Appennino e delle Alpi e le for- mazioni a Nummulites intermedia dell’ Appennino Ligure, riunendo così nello stesso piano un terreno parisiano con uno tongriano. Riguardo alle formazioni cosidette liguriane (sensu str.), cioè Flysch , Macigno , ecc., debbo tuttavia ammettere che esse pre- sentano tuttora una certa difficoltà per la spiegazione della loro grande potenza, dei loro rapporti colle altre formazioni eoceniche, della loro deposizione, ecc. Siccome però in diversi punti dell’ Ap- pennino tali formazioni non solo si veggono terminare in basso con la tipica e sottile zona nummulitifera del Parisiano inferiore (sotto- piano niceano ) ma, per quanto più raramente, inglobano pure in di- versi punti della loro serie Alveoline, Assiline e Nummuliti del gruppo delle granulose, come per esempio nel gruppo del M. Sporno (Par- mense), e siccome anche in altre regioni fuori d’Italia (Svizzera, Austria, Africa settentrionale) si trovarono Nummuliti di tipo pa- risiano fra le formazioni schistose ed arenacee del cosidetto Flysch , così sembrami assolutamente logico e naturale di considerare dette complesse e potenti formazioni ( Flysch , Macigno ), su cui si fondò dal Mayer il piano Liguriano , come appartenenti al Parisiano. Avverto però come io intenda questi piani di Parisiano e Bartoniano in senso alquanto lato, cioè come eocene medio ed ! 522 F. SACCO eocene superiore giacché se si volessero ridurre a rappresentare sem- plici orizzonti secondari, allora si sarebbe obbligati a fare paral- lelismi di pochi gruppi di strati tra regioni distanti, ciò che non credo per ora possibile, nè d’altronde molto utile, finché non siansi ben stabilite le corrispondenze delle suddivisioni stratigrafiche ge- nerali, e non siasi addivenuto ad un accordo sulla relativa classifica- zione dei varii depositi regionali, dal che purtroppo si è tuttora assai lontani. La formazione bartoniana non venne finora accennata menoma- mente nell'Emilia, e neppure individualizzata sotto altro nome ; notai però come alcune zone indicate dal Doderlein col nome di calcare cri- stallino nummulitico , corrispondano parzialmente a zone bartoniane. Tale formazione è costituita, come in generale nell’Appennino, di marne grigie, spesso scagliose, friabili, alternate con straterelli arenacei compatti, pure grigiastri ; tali caratteri a dire il vero concordereb- bero con quelli di molte zone oligoceniche e mioceniche, ma i so- vraccennati terreni del Bartoniano presentano un aspetto farinoso, direi (di lontano), speciale, tutto proprio, difficilmente descrivibile, che ricorda molto bene quello dei terreni eocenici superiori di molte regioni classiche, per esempio di Priabona. Le rapide corse eseguite per la ricognizione generale della geo- logia emiliana non mi permisero di fare speciali ricerche paleon- tologiche, ma son persuaso che con studi particolari si potranno scoprire fossili nella formazione in esame; anzi l’indicazione fatta dal Doderlein di zone di calcare cristallino nummulitico mi fa du- bitare che il Doderlein abbia già trovato Nummuliti nei banchi che io indico come bartonìani. La formazione bartoniana segue nella sua distribuzione geo- grafica quella del To ugnano , solo che essa è immensamente meno sviluppata, sia perchè molto più sottile, sia perchè in gran parte coperta dai terreni tongriani , sia perchè, per la sua natura poco resistente, essa fu in massima parte abrasa dagli agenti atmosfe- rici, tant’è che essa affiora soltanto sotto ai banchi arenacei del Tongriano, i quali la protessero da una completa distruzione ; d’al- tronde trattandosi di un deposito di mare abbastanza profondo è pure naturale che esso sia molto meno sviluppato in estensione, almeno nella regione appenninica, che non un deposito littoraneo come in gran parte è il Tongriano. L’aPPENNINO DELL’EMILIA 523 La tettonica del Bartoniano è generalmente regolare, con incli- nazioni poco forti, concordanti con quelle del sovrastante Tongriano. La sua potenza è assai piccola, di un centinaio di metri al più, ma generalmente invece solo di 20 a 40 m.. Per la sua na- tura e posizione il Bartoniano è mai spinto a grandi altezze, tut- tavia sotto alla Pietra di Bismantova oltrepassa anche gli 800 m. di elevazione. La formazione in esame è perfettamente staccata dal Barisiano per caratteri litologici e per fortissimo hyatus , durante il quale si verificarono nella regione appenninica grandiosi e potentissimi feno- meni geo-tettonici, tanto che è rarissimo osservare il Bartoniano adagiato sul Barisiano senza una discordanza stratigratìca marca- tissima. Invece i terreni bartoniani passano per lo più gradua- lissimamente a quelli tongriani , tanto che riesce sovente diffìcile delimitare gli uni dagli altri, anzi è probabile che in qualche re- gione io abbia esagerato sulla carta geologica l’estensione del Bar- toniano a danno, direi, del Tongriano , tanto più che questo ter- reno nella sua parte basale presenta talora speciali marne grigie, scaglioso-franose, che ricordano assai quelle del tipico Bartoniano. Da Pellegrino parmense a Varano dei Melegari si vede per lunghi tratti che, sotto alla potente formazione tongriana affiora, specialmente dal lato settentrionale, una sottile zona di marne grigie o rosso-verdastre, chiare, che attribuirei al Bartoniano. Alla base della grande zona tongriana di Castelnuovo nei Monti - Carpineti compaiono qua e là, specialmente sul lato me- ridionale speciali zone marnose grigiastre, talora alquanto rosee, in gran parte riferibili al Bartoniano. È bensì vero che anche nel Tongriano inferiore compaiono consimili zone marnose, come tra Monte-tenero e Magreto, tra Castelnuovo e Vallestra ecc., quindi posso aver talvolta esagerata alquanto l’estensione delle zone bar- toniane. In fondo alla Val d’Enza tra Ruzzano e Gottano, fra i banchi conglomeratici tongriani , evvi un affioramento di marne grigio-rosee, friabili, che sono forse bartonìane. Nelle colline di Castelnuovo - Burano, ecc., il Bartoniano sa- rebbe rappresentato da marne calcaree compatte, alternate con strati 524 F. SACCO arenacei, con una facies complessiva, che ricorda alcuni tipici de- positi eocenici. Sotto la potente placca arenacea tongriana della Pietra di Bismantova, la zona bartoniana appare tipica, specialmente sul lato sud-ovest, con una facies tale che ricorda talora perfetta- mente le zone marnose del famoso bartoniano di Gassino. Tra Saccaggio e Yallestra, specialmente nelle colline di Tap- pugnana, la distinzione delle marne bartoniane da quelle tongriane riesce molto incerta per cui la presento come provvisoria. Nella placca tongriana di Pianzo vediamo marne grigie, forse barto- niane, che paiono appoggiarsi sulle arenarie tongriane , forse per leggero rovesciamento stratigratìco. A sud-ovest di Pavullo, sotto la potente zona arenacea del Tongriano , tra Serra Parenti e C. Vaicozzo. si sviluppa una serie di strati marnoso-scagliosi grigiastri, alternati con arenarie, talora anzi con specie di arnioni arenacei, il tutto a stratificazione quasi orizzontale; anche in questo caso è specialmente la facies che mi fa ritenere tale zona come bartoniana , ma vi ho pur riconosciuto resti nummulitici ; però occorrono apposite ricerche ed appositi studi paleontologici, che credo sarebbero assai interessanti. Nella parte marginale della grande placca tongriana di Montese - Vergato affiorano qua e là striscie di marne grigio-chiare, scagliose, di facies bartoniana\ è vero però che veggonsi pure talora alla base del Tongriano alternarsi potenti banchi arenacei con zone marnose pseudo-bartoniane, così per esempio a C. Zano (presso Castelnuovo), forse alcune di tali zone furono indicate come bartoniane , ma ad ogni modo trattasi di un terreno molto antico, forse sestiano. Sestiano. Siccome in molti punti si osserva un graduale passaggio dal Bartoniano superiore al Tongriano , così è naturale il conchiu- dere che vi esista pure una formazione corrispondente al sottopiano Sestiano ; forse vi si debbono includere alcune di quelle speciali l’appenmno dell’ewilia 525 zone marnose, pseudo-bartoniane , già accennate nel precedente ca- pitolo; in gran parte questa zona è costituita di un'alternanza di strati arenacei e marnosi. Ma per mancanza di caratteri un poco spiccati litologici e paleontologici dobbiamo per ora limitarci a questi pochi accenni sul Sestiano che potrà forse venir individua- lizzato in avvenire con speciali studi, ma che d'altronde è un oriz- zonte di poca importanza. Tongriano. Crii autori che finora si occuparono della geologia emiliana non riuscirono ancora a distaccare l'Oligocene dal Miocene, ed an- che gli studi paleontologici non poterono finora togliere tale con- fusione. Il Doderlein è quello che meglio d’ogni altro seppe compren- dere la formazione tongriano. col nome di Conglomerati nummu- litico-madreporici ; ma, ingannato da differenza di facies , ne staccò una estesissima zona (che indicò specialmente nel Reggiano) che, sotto il nome di Marne grigio-oscure sabbionose, attribuì al Mio- cene medio, mentre riferì all'Eocene altre zone, che io credo tongriane , col nome di Molassa silicea inferiore , Calcare cri- stallino nummulitico (pars) e persino qualche parte del Macigno giovarne o superiore. La formazione tong riama è costituita in gran parte di are- narie, grigio-giallognole, per lo più in grossi banchi; con questa si alternano strati ed anche zone marnose, o marnoso-sabbiose gri- giastre le quali predominano specialmente nella parte inferiore della serie tongriana. Sovente sulle zone arenacee veggonsi lenti od anche banchi conglomeratici di varia potenza. Esistono eziandio altre facies , per lo più locali, come zone di marne grigio-violacescenti, zone sabbiose, biancastre, come ad ovest di Pavullo ecc., ma ne tratteremo nella descrizione regionale. I fossili non sono rari nelle formazioni tongriane dell’Emilia; basti ricordare le località già famose di Pietra Bismantova, Yal- 526 F. SACCO lestra, Montese ecc. ; ma si è ben lungi dall’averne fatta una raccolta completa ed una determinazione un po’ precisa. Yi si raccolsero già diversi Foraminiferi, piccole Nummuliti, forse varietà di N. Fiditeli; il Manzoni ed il Mazzetti vi segna- larono resti di Spugne e numerosi Echinodermi; qua e là abbon- dano i Corallarì ed i Briozoi, nonché resti di Molluschi ( Ostrea , Pecten , ecc.). Molto frequenti sono anche i denti di Pesci. La distribuzione geografica del Tongriano nell’Emilia è ab- bastanza strana, come risulta a colpo d’occhio dalla carta geologica e ci indica essersi verificati importantissimi fenomeni geo-tettonici sia tra il periodo parisiano e quello tongriano, sia dopo di questo. Certamente la potentissima abrasione verificatasi dal Tongriano al giorno d’oggi deve aver pure influito molto sull'attuale isola- mento, direi, delle formazioni in esame; ma credo che tale fatto dipenda in massima parte dai grandiosi corrugamenti che agitarono la regione appeninica. Tali corrugamenti si verificarono per lo più parallelamente all’asse appenninico, ciò che ci spiega appunto la distribuzione delle masse tongriane', ma in tali arricciamenti si verificarono eziandio delle specie di apofisi, direi, laterali, irradianti, per modo che le aree tongriane presentano quelle grandi soluzioni di continuità che ora vediamo esistere fra di esse, quantunque di ciò debbasi pure molto all’elevatezza dei rilievi parisiani rispetto alle aree cretacee. Il fatto che le formazioni tongriane sono più sviluppate nelle regioni entro-appenniniche che in quelle subappenniniche è spiega- bile in parte per fenomeni di abrasione e di corrugamento, perchè dette formazioni sono presso il crinale appenninico naturalmente molto assai potenti, essendo depositi in gran parte littoranei ed in parte grossolani e compatti, quindi resistenti agli agenti esterni. Per spiegarci l’accennata distribuzione del Tongriano è anche opportuno osservare quanto si verifica nel Tongriano delTortonese-Pa- vese, quivi osservandosi il passaggio fra la regolare disposizione a conca del Bacino terziario piemontese e la distribuzione ad irre- golari lembi entro-appenninici così tipica in gran parte dell’Appennino L’APPENNINO DELL'EMILIA 527 italiano. Infatti nella suddetta regione osservasi anzitutto come la for- mazione tongriana si disponga in diverse sinclinali più o meno regolari, subparallele al crinale appenninico, ed inoltre che le zone più entro- appenniniche sono arenaceo-conglomeratiche (S. Sehastiano-Varzi), quindi potenti e ben conservate, mentre quelle subappennine sono per lo più sottili, marnoso- sabbiose, poco potenti e ridotte ora in mille lembi dall’abrasione, la quale deve averne distrutte zone vastissime. Ora se noi cerchiamo di seguire l’ulteriore sviluppo verso est della formazione tongriana entro-appenninica dal Pavese alla Ro- magna, la vediamo appunto continuarsi nelle zone essenzialmente arenacee di Ruino-Trebecco, Rocca d’Olgisio, M. Piatello, M. Roc- cone (Monteregio), Borgotaro-Bardi, Specchio-Fosio, Castelnuovo dei Monti-Vallestra, Montese-M. Yigese, ecc. ecc., zone allungate nel senso dell’asse appenninico e quindi dei corrugamenti di questa regione. Nella distribuzione delle aree tongriane sovraccennate si nota inoltre il fatto importante che esse giacciono quasi sempre sulle argille scagliose del Cretaceo e si arrestano per lo più presso le zone far inane ; ciò perchè, a mio parere, mentre le prime già durante l'epoca tongriana dovevano costituire regioni basse facilmente trasformate in bacini di sedimentazione marina, invece i terreni calcarei del Parisiano dovevano fin d’allora costituire rilievi sui quali difficil- mente poteva verificarsi una sedimentazione importante; ed infatti là dove il Parisiano inferiore si presenta in parte marnoso-argil- loso, come per esemp:o nel subappennino pavese-piacentino, là tro- viamo l’ampia zona tongriana di Piozzano basata in gran parte sul Parisiano. In conclusione sembra doversi ammettere che la maggior parte delle zone tongriane entro-appennine rappresentano i residui di seni marini più o meno ampiamente collegati col mare libero e già in origine parzialmente circuiti dai rilievi parisiani. Riguardo alla tettonica delle zone tongriane essa è per lo più assai regolare, disponendosi tali zone in conche a pendìo piuttosto dolce, tanto che talora i loro strati presentansi per estese regioni quasi orizzontali. Ciò dicasi specialmente per le grandi zone entro-appen- niniche le quali vennero sollevate in massa, direi, e quindi senza 528 F. SACCO forti conturbamenti tettonici. Invece le aree tongriane subappen- nine furono per lo più fortemente corrugate in modo da presentare spesso i loro strati sollevati quasi alla verticale e persino rove- sciati, come vediamo per esempio qua e là nel parmense occiden- tale, a Montale-Pianzo. ecc. Tale fatto è assai interessante e ci fa sorgere l'idea che i corrugamenti appenninici in generale dalle epoche antiche alle re- centi si vadano gradatamente allontanando, direi, dalla parte cen- trale della catena verso la sua periferia; che cioè tali corrugamenti siansi verificati potentissimi nella regione centrale dell'Àppennino alla chiusura del periodo p arisiano, mentre invece dopo il periodo long viario essi si accentuarono specialmente nella regione subalpina. Variabilissima è da luogo a luogo la potenza della formazione tongriana ed essa è naturalmente maggiore nelle grandi zone are- nacee ; nei punti di maggior spessore tale potenza si può calcolare a 500 o 600 metri circa. Rispetto all’ altimetria sono naturalmente le zone arenacee entro-appenniniche che ci porgono le quote più elevate; ricordiamo come nel Piacentino la zona di Bardi-Borgotaro tocchi al M. Ba- rigazzo l’elevazione di 1284 metri. Nell'Emilia il Tongriano viene spinto a 1118 m. al M. Fuso (Moragnano), a 1047 metri alla Pietra di Bismantova, a 1083 m. al Monte della Torrazza (Sud di Mon- tese), ed a 1091 m. al M. Vigese nel Bolognese; tali elevazioni sono assai notevoli trattandosi di un deposito marino. Già trattando del Bartoniano si è detto come questo terreno passi per lo più gradualmente al Tongriano per modo che v’ è talora incertezza di delimitazione ; invece esiste sempre un hyatus assai forte tra le formazioni tongriane e quelle superiori, il che ci di- nota essersi verificati alla fine e dopo l’epoca tongriana potentis- simi fenomeni oro-tettonici, ciò che risulta anche a prima vista osservando sulla carta geologica la distribuzione ed i rapporti delle masse tongriane con quelle post-tongriane. L 'APPENNINO DELL’EMILIA 520 Nel Bolognese si segnalarono in parecchi punti resti di ambra frammezzo a formazioni che per lo più paiono attribuibili al Tongriano. Nel Parmense la formazione tongriana è assai sviluppata quantunque ridotta a lembi irregolari. Da Pellegrino parmense a Varano dei Melegari si sviluppa una zona tongriana costituita di marne sabbiose grigie, spesso compatte, talora scaglioso-friabili, nonché di strati e di banchi arenacei alternati con dette marne o costituenti un orizzonte spe- ciale verso la base di detta zona ; qua e là esistono pure lenti conglomeraticbe, come per esempio al Poggio, alle Ginestre, ecc. Alla base di detta zona compare talora un sottile orizzonte di marne grigio-rosee che sono probabilmente attribuibili in gran parte al Bartoniano ; quindi possiamo dire come la zona tongriana si presenti sovente (come per esempio a M. Castello in Val Ceno) così costituita: m \ Strati arenacei e potenti marne grkrio-violacescenti. Tongriano . • . ° ° ’ I Strati e banchi arenaceo-conglomeratici. Bartoniano ) Marne grigie o grigio-violacescenti, alquanto friabili. Cretaceo . . ) Argille scagliose variegate. Tettonicamente la zona di Pellegrino-Varano costituisce una specie di conca allungata da nord-ovest a sud-est, conca abbastanza regolare nella parte occidentale, ma che verso est presenta varie irregolarità, tanto che gli strati sono fortemente sollevati con incli- nazioni di 40°-50° e talora persino verticali o quasi, come al M. Salso, al M. Poggio, sotto Varano, ecc. I lembi tongriani a nord di Rocca Lanzara constano pure di marne sabbiose grigie, talora friabili, nonché di banchi arenacei grigio-giallastri. Gli strati hanno talvolta una inclinazione dolce ma in gran parte presentansi pure fortemente sollevati come nelle col- line di Monticello e specialmente in quella ad est di M. Bussa- reto, dove essi sono quasi completamente verticali, con direzione ovest-nord-ovest — est-sud-est. 530 F. SACCO Nel lembo tongriano di Viazzano predominano, più che le are- narie, le marne sabbiose, scaglioso-friabili, di tinta grigio-cenerognola, le quali nel M. di Viazzano inclinano a sud-sud-est, accordandosi alquanto per tale pendenza con quella che presentano le sottostanti argille scagliose rosso-violacescenti. Importantissima è la zona tongriana , estendentesi special- mente sulla destra del Ceno, tra Borello, Specchio, Fosio, Spiag- gio, ecc. Vi predominano in modo assoluto le arenarie, per lo più in banchi, e talora tanto compatte che esse vengono escavate come materiale da costruzione, come per esempio sotto il M. Guardia; osservansi pure qua e là piccole lenti conglomeratiche come sotto Il Poggio, sotto Carinotta, al M. Castello, presso i Catani, ecc. Inoltre non mancano le zone marnose, talora grigio-violacescenti, specialmente nella parte interna della zona attorno a C. Pettenati, nonché in striscie alla base delle arenarie come nella parte alta di Rio Cassolo, dove tali marne sono forse attribuibili in parte al Tongriano. Molto regolare è in generale la tettonica della zona in esame, giacché gli strati pendono per lo più di 10o-20°, raramente di 30", verso il centro di essa, per modo che detta zona costituisce una bella conca; tale zona accordasi in questo carattere, come in quello del predominio dei banchi arenacei, nel carattere generale delle zone tongriane entro-appenniniche. Sulla destra del Taro la formazione tongriana è ridotta a lembi iu gran parte marnosi o marnoso-sabbiosi, grigiastri, con pochi banchi o, meglio, strati arenacei. Gli strati presentano incli- nazioni svariate, per lo più poco accentuate, quantunque si mo- strino talora anche fortissimamente rialzati come nel Vallone a nord-ovest dei Folli, nella zona marnoso-sabbiosa di Selva-Si- vizzola ecc. Passiamo all'esame della grandiosa zona tongriana che pos- siamo appellare di Castelnuovo nei Monti. Essa è costituita essen- I.’aPPEXNINO DELL’EMILIA 531 zialmente di marne e di arenarie grigiastre, ma con prevalenza delle arenarie sia in strati, sia in banchi; talora osservansi pure marne grigio-violacescenti nella parte inferiore delle serie, come a Nord di Sasso, presso Felina, presso Gatta, ecc. Inoltre non sono rare le lenti ed i banchi conglomeratici, specialmente presso Ranzano, attorno a Gottano, presso Sola, presso Crovara, ecc.; qua e là incontransi lente lignitiche, come presso Sola, Yetto ecc. Già trattando del Bartoniano ebbi ad accennare come una parte delle marne arenacee grigiastre che sviluppansi tanto este- samente da Castelnuovo a Vallestra sia ancora riferibile al To ti- gnano, quantunque esse in parte si possaSo ritenere come bartoniane , riuscendo la loro delimitazione talora alquanto incerta. Tettonicamente la grande zona tongriana di Castelnuovo co- stituisce in complesso una conca allungata da est ad ovest, cogli strati aventi inclinazione per lo più non molto forte, cioè di 10° a 30° in media ; talora però gli strati si presentano sollevati for- temente come osservasi per esempio sotto Sasso, presso Crovara, tra Onfiano, Castagneto e Vallestra, presso Maro, tra Sola e M. Alto, presso Ranzano, ecc., cioè specialmente alla periferia della zona tongriana , perchè quivi si poterono far meglio sentire i corruga- menti dei terreni sottostanti, mentre la parte interna di detta zona rimase meno influenzata da tali fenomeni oro-tettonici. Oltre ai caratteri tettonici generali sopramenzionati esistono qua e là diversi fenomeni locali ; accennerò solo al fatto che in Val d’Enza ad ovest di Gottano esiste una piccola anticlinale per cui vengono a giorno marne grigio-rosee friabili, forse bartoniane , su cui si adagiano raggiatamele, direi, i banchi arenaceo-conglome- ratici; invece sul fianco orientale del rilievo allungato di Gottano gli strati arenaceo-ciottolosi sono non soltanto sollevati ma talora persino alquanto rovesciati. Le arenarie tongriane presentansi talora così compatte che vengono utilizzate come materiale da costruzione, come per esempio a nord di Busanella. I resti fossili non sono rari, specialmente nella famosa Pietra di Bismantova che si erge, quale gigantesca tartaruga, in mezzo all’ Appennino emiliano ; trattasi specialmente di denti di Pesci, (ffemipristis. Otodm, Sphaerodus, Oxhgrina, ecc.), Univalvi (Co- 532 F. SACCO nus, Cassidaria , ecc.), Ostriche, Pettini, Echinodermi ( Conoclypus , Spatangus , ecc.), Briozoi, Flabellum , ecc., piccole Nummuliti. Noto a questo proposito ancora come sin dal 1834 il Guido tti accennasse alla presenza di fossili a Kusino, come potè constatare anche il Del Prato « Sopra una calcaria a bivalvi nell’ Appennino Parmense - Boll. C. G. I. - 1881 •> che vi trovò resti di Lamia , Aturia, Oliva , Ampullaria , Conus, fiingicula, Donax , Thracici , Lucina , Echinolampas, CLraticularia , Globigerina , ecc. attribuendo però egli tale formazione fossilifera al Miocene superiore. Le frastagliature, che presenta la zona tongriana , specialmente a sud di Castelnuovo, nonché i lembi staccati, di cui è precipuo esempio la pietra di BismStntova coi suoi potenti banchi arenacei leggermente inclinati a nord-ovest, ci indicano le lacerazioni e le potentissime abrasioni quivi verificatesi dopo l'epoca tongriana. Ad est dalla Secchia ritroviamo un' altra grande zona ton- griana , quella di Pavullo. La costituzione di detta zona è assai varia ; infatti nella parte occidentale predominano le arenarie le quali sovente passano a vere sabbie bianco-giallastre con una facies affatto speciale, come si può osservare comodamente per esempio lungo la strada fra la Madonna di Pradolino e Gajanella. Il Doderlein indica tale formazione come Molassa silicea inferiore attribuendola all'Eocene. Invece nelle colline di Gajato predominano le arenarie com- pattissime, tanto che esse vengono utilizzate qua e là come ma- teriale da costruzione. Nella restante parte della zona tongriana sviluppansi le solite arenarie grigie (talora compattissime come a Sassoguidano, ecc.) alternate più o meno frequentemente con marne sabbiose. I fossili sono assai numerosi, specialmente nelle zone arenacee; abbondano in modo particolare gli Echinidi, nonché Ostriche, denti di Squali, chele di Crostacei, ecc. Tettonicamente la formazione tongriana di Pavullo costituisce una conca allungata da est ad ovest da Beandola a Monticello ad un dipresso, con delle appendici, direi, nelle colline di Senese, Idiano, Benedello, ecc., dove le inclinazioni sono alquanto varie, in generale però ovunque assai dolci, cioè di 10° a 30° circa; sono l’appenmno dell'e.mii.ia. 533 rari i casi di strati fortemente sollevati, come per esempio nel ri- lievo di C. Palagano. Amplissima è la zona tongriana di Montese-M. Yigese, anch’essa costituita essenzialmente di banchi arenacei grigiastri con frequenti alternanze di strati e di estese e potenti zone marnose grigio-bleu- stre, qua e là con lenti ciottolose, come per esempio presso la Madonna di Brasa, tra Bissano e Riola, ecc. Questa grande zona è già famosa paleontologicamente in se- guito alle pazienti ricerche fattevi specialmente dal Mazzetti, oltre che dal Manzoni, dal Pantanelli, ecc. Àbbondanvi gli Echinodermi as- sieme a Molluschi, Spugne, Briozoi, ecc. Pinora non erasi ancor riuscito a distinguere la formazione tongriana da quella elveziana che le si appoggia a nord, trat- tandosi in ambi i casi di terreni arenacei. La lunga pratica nello studio di questi diversi orizzonti mi ha facilitata tale distin- zione, per quanto possano ancor rimanere talora dei dubbi locali, ma riesce difficile esprimerne le differenze litologiche ; in generale si può dire che mentre la zona tongriana presenta strati marnoso- arenacei grigiastri, quella elveziana consta specialmente di banchi arenacei, sovente assai grossi, grigio-giallastri. Come di solito la zona in esame rappresenta una conca stra- tigrafica allungata da est ad ovest da Montese a Biola, con incli- nazioni non molto accentuate, cioè di 10° a 30°, raramente con strati fortemente sollevati, come a nord di Montese, al M. della Torrazza, ecc. Ma a nord di Castel D’Ajano la zona tongriana presenta la sua stratificazione diretta a nord-nord-est, in modo da formare una nuova conca, aperta a nord, in cui si adagia la for- mazione elveziana. La zona tongriana di Riola-M. Yigese costituisce una piccola conca stratigrafica speciale. I potenti e compatti banchi arenacei del M. Yigese sono utilizzati come materiale da costruzione; nell’as- sieme questo elevato gruppo montuoso ricorda molto bene la Pietra di Bismantova. L’ampia placca tongriana di M. Stanco-Monteguragazza, rap- presenta una irregolare conca stratigrafica; essa è in gran parte abrasa, forse perchè è costituita di marne e di arenarie sabbiose poco compatte, assai differenti dal tipo generale delle arenarie del Ton- 35 534 F. SACCO griano entro-appenninico; ricordano meglio alcune zone di Tongriano subappennino, come per esempio quella di Piozzano nel Piacentino. Tra Sibano in Val Reno e La Quercia in Val Setta appaiono, frammezzo alle arenarie elvesiane , speciali marne sabbiose, gri- giastre, poco compatte, direi friabili, le quali sono forse attribui- bili al Tongriano , quantunque per mancanza di ritrovati paleon- tologici debba enunciare tale ipotesi con molti dubbi per ora. Un ultima grande zona tong ciana , che possiamo appellare di Lojano, presentasi con caratteri alquanto differenti da quelli delle altre sopradescitte, almeno tettonicamente. Infatti essa non rappre- senta una vera conca completa, giacché i suoi strati pendono special- mente a nord in modo da venir poi ricoperti in parte senza notevole trasgressione, quantunque con fortissimo hyatus, dalle formazioni elvesiane. Però nelle colline di Quinzano, Guazzano, ecc. gli strati, talora fortemente sollevati, pendono in vario senso, per modo che la discordanza coi sovrastanti banchi elvesiani rimane manifesta. Ma in complesso, ripeto, gli strati tongriani , da Monzuno a Lojano, pendono per lo più a nord, e da Lojano a Filigare inclinano piut- tosto a nord-ovest, sempre dolcemente, cioè di 5° a 20° o 30°. Quanto alla costituzione della zona in esame è solo a notarsi che mentre nella parte settentrionale vi abbondano gli strati mar- noso-sabbiosi grigiastri, alternati con quelli arenacei, invece nella parte meridionale, da Roncastaldo a Filigare, i banchi arenacei hanno il sopravvento quasi assoluto, ciò che d'altronde corrisponde alla regola generale già enunciata precedentemente. In Yal Diaterna presso Belmonte sin sotto Ca Buraccia os- servasi una zona di marne arenacee grigio-bleuastre, dolcemente inclinate a sud nella parte settentrionale ed a nord-ovest nella parte meridionale; potrebbe forse trattarsi di un lembo tongriano. Non avendone potuto fare un esame speciale, enuncio tale ipotesi in via affatto provvisoria, tanto più che in queste regioni talora l'eocene assume appunto una facies oligocenica. Stampiano. Questo orizzonte geologico, essenzialmente marnoso, il quale costituisce il passaggio tra il Tongriano e V Aquitaniano nei ba- L’aPPENNINO DELL’EMILIA 535 cini in cui i terreni terziari si depositarono successivamente in modo regolare, come ad esempio nel tipico Bacino terziario dei Pie- monte, manca invece completamente nell’Emilia, dove esiste gene- ralmente una forte lacuna fra l’Oligocene inferiore ed il Miocene, indicandoci essersi verificato nella regione appenninica, durante questo lasso di tempo, potentissimi fenomeni oro-tettonici e forti corrugamenti. Aquitaniano. Per le ragioni sovraccennate anche la formazione aquitaniana si presenta pochissimo sviluppata nell’Emilia, anzi essa è quasi solo limitata al Parmense occidentale. Finora nella regione in esame Y Aquitaniano non venne ancora assolutamente, nè riconosciuto, nè accennato. È costituito in massima parte di marne grigie, talvolta arenacee ed alternate con strati arenacei, ma in complesso poco compatte, anzi direi quasi friabili. Finora non vi rinvenni fossili degni di nota. I suoi strati sono spesso conturbati, almeno nel Parmense, dove F Aquitaniano prende parte ad una serie di corrugamenti subappenninici molto accentuati. Poca èia sua potenza, torse di un centinaio di metri al più; quindi poco notevole la sua elevazione, anche in causa della facile abra- sione delle sue marne. È notevole che la formazione aquitaniana è sempre in rapporto più o meno stretto col Langhiano, al quale terreno essa passa gra- dualmente e dal quale fu in parte protetto contro gli agenti atmo- sferici. I primi lembi aquitaniani ad ovest compaiono nel Piacentino, nelle colline dei Pelati e di Cangelasio, poi si continuano verso sud-est costituendo una zona abbastanza estesa sin presso Fornovo di Taro. La tettonica, non sempre ben visibile iu causa della na- tura stessa del terreno, è molto svariata, ora dolce, ora fortemente conturbata, per trovarsi quivi 1’ Aquitaniano compreso, almeno in parte fra accentuatissimi corrugamenti del Cretaceo, il quale infatti affiora in zone allungate anche frammezzo ai terreni aquitaniani , 536 F. SACCO nonché fra esso e l’ Elveziano. Tuttavia la stratigrafia aquitaniana è quasi sempre più dolce di quella del sovrastante Langhiano. Forse anche aquitaniane sono certe marne grigie che affiorano nel vallone ad ovest di C. Levati, presso Fornovo. Notiamo infine come sulla sinistra di Val Secchia, a nord di Roteglia, compaia (come di solito sotto ad una caratteristica placca langhiana ) una zona di marne grigio-violacescenti alternate talora con straterelli arenacei, leggermente inclinate a nord-est, le quali potrebbero forse riferirsi all’ Aquiianiano, se pure non sono più an- tiche, ciò che, per mancanza di dati paleontologici, rimane ancora a decidersi. Langhiano. La formazione langhiana , quale io l'intendo e quale potei se- guire più o meno continuatamente per centinaia di chilometri dal Piemonte alla Romagna, non venne ancora individualizzata nel- l’Emilia; però alcuni geologi, specialmente il Pantanelli, indica- rono il Langhiano già nell’ Appennino emiliano, ma basarono per lo più le loro osservazioni su terreni, che per me sono assolutamente elveziani. D’altra parte, per quanto sia io il primo ad ammettere che so- vente evvi tra Elvesiono e Langhiano una graduale transizione tanto che talora ne rimane incerta la delimitaziane, tuttavia gli studi geologici fatti finora m’inducono a non accettare le idee di quelli i quali credono che queste due formazioni costituiscano un solo orizzonte e che sia inutile od impossibile distinguere l’una dal- l’altra. In generale il Langhiano dell’Emilia si presenta colla sua caratteristica facies di marne calcari grigio-bleuastre, compatte e scagliose o, meglio fissili, spesso con impronte di fossili schiac- ciati, in modo che ne riesce alquanto difficile la determinazione. La formazione langhiana si presenta in lembi nella regione subappennina, lembi talora allineati regolarmente come nel Par- mense occidentale, talora invece sparsi senza una vera regolarità; inoltre, mentre vediamo che nel Parmense occidentale le masse langhiane coronano le zone aquitaniane e non hanno alcun rap- porto con quelle elveziane, invece, nel resto dell’Emilia il Lmh- L’aPPENN INO DELL’EMILIA 537 ghiaino appare quasi sempre alla base della formazione langhiana alla quale passa gradualmente, senza ricoprire zone aquitaniane. Così pure una forte differenza riguardo alla tettonica troviamo nel Langhiano tra la regione occidentale del Parmense, dove questo terreno è rappresentato da strati per lo più fortemente sollevati, talora persino rovesciati, ed il resto dell’Emilia, dove questo ter- reno presenta quasi sempre inclinazioni dolci od almeno non molto accentuate. Tuttociò ci prova essersi verificati nel Parmense occi- dentale potentissimi corrugamenti sulla fine del periodo langhiano , quali forse non si verificarono, ed almeno con intensità meno grande, nel restante subappennino emiliano. Relativamente piccolo è lo spessore della formazione langhiana sia perchè trattasi di un deposito marnoso, tranquillo, sia perchè esso fu assai schiacciato, o nei movimenti orogenetici, oppure dai terreni sopraincombenti; tale spessore si può calcolare in complesso a poco più di 100 m. al massimo. Trovandosi il Langhiano distribuito soltanto nella regione sub- appennina, non raggiunge elevazioni notevoli, malgrado la sua re- lativa compattezza e quindi resistenza agli agenti atmosferici. Nel Parmense sollevasi a 559 m. al M. Inverno ; nel Modenese oltre- passa i 500 m. presso il M. della Sella. Ricordiamo però che nel tortonese il Langhiano raggiunge persino i 700 m. di elevazione. La formazione langhiana passa gradualissimamente sia al- l’ Aquitaniano sia all’ Elveziano per mezzo di alternanze litolo- giche spesso insensibili. Gli strati marnosi compatti del L^anghiano , non sempre net- tamente delimitabili dalle marne aquitaniane , cominciano ad appa- rire a sud-ovest di Salsomaggiore presso il M. dei Ronchi e con- tinuano poi nella parte alta delle colline verso sud-est, con dire- zione abbastanza costante nord-ovest-sud-est e pendenza variabile assai. Infatti nei lembi occidentali gli strati langhiani pendono per lo più di 20° a 30° verso il nord-est; invece nella zona allun- gata di Paggi-Cresta di Fajé, essi non soltanto sono fortissima- mente sollevati, anzi per lungo tratto completamente verticali, ma nelle colline attornianti C. Aliando detti strati pendono di 60°, 70° a sud-ovest, per cui li credo rovesciati; suppongo si tratti di una 538 F. SACCO strettissima piega sinclinale, in parte rovesciata a nord-est, e di cui forse una gamba è poco rappresentata. Qualche cosa di simile verificasi pure nella collina di La Batta- glia- C. Fajé. Si potrebbe forse anche supporre (quantunque mi sembri meno probabile) che la zona Faggi-Costa Fajé rappresenti la gamba meridionale di una accentuatissima anticlinale, in parte rovesciata a nord-est, di cui la zona di La Battaglia sarebbe la gamba set- tentrionale. Notisi che nella parte terminale occidentale di dette due zone, i loro strati pendono poco fortemente a sud o sud-est. Consimili fenomeni veggonsi ancora nella lunga zona di M. Pivino- M. Cucco - M. Chervano, dove gli strati pendono specialmente a sud-ovest di 40° a 70°, ma talora anche in senso opposto, per modo da indicarci rovesciamenti anche in questo caso ; d'altronde è quivi forse da ammettersi una sinclinale schiacciata, che presenta solo una parte delle due gambe. La placca langhiana di M. Inverno rappresenta una vera pic- cola conca stratigrafica, a strati generalmente non molto inclinati, eccetto che nella parte meridionale. Sono notevoli, panni, tali forti differenze tettoniche in depositi identici e poco distanti, il che credo più spiegabile considerando i rapporti che i diversi lembi langhiani presentano coi corrugamenti della sottostante formazione cretacea. Tra le vicinanze di S. Andrea e C. Scirone sviluppasi una zona di marne compatte, probabilmente langhiane , fortemente sollevate ed inclinate verso l’est all'incirca. Consimili marne osserviamo eziandio per breve tratto sul lato destro del burrone, che esiste ad ovest di C. Levati (Fornovo). Tra Neviano dei Rossi e la Val Baganza, nella parte alta della collina, sotto ai banchi messiniani , sviluppasi qua e là una zona di marne grigie, abbastanza compatte, che indicai sulla carta geo- logica colla tinta dell ' Elvesiano, ma che sono forse riferibili in parte pure al Langhiano. Verso est le formazioni langhiane invece di costituire l’alto delle colline soggiacciono alle zone elveziane , alle quali formano l’aPPENNINO DELL’EMILIA 539 graduale passaggio, presentando quasi sempre inclinazioni assai dolci; cosi esse mostransi nelle due valli di Termina, sia di Torre sia di Castione, così pure in Val d’Enza. Attorno al piccolo affioramento cretaceo tra S. Polo e Sedignano gli strati langhiani sono fortissimamente sollevati ; ciò pure verificasi a sud di Quattro Castella, dove detti strati pur immergendosi sotto i terreni elveziani , costituiscono talora creste collinose, appunto per essere talvolta quasi verticali: la loro direzione è complessivamente da est ad ovest, ma si adatta però assai bene alle irregolarità delle rughe cretacee, come osservasi nettamente presso Bergonzano. Nella zona di Vetto (M. della Sella) gli strati sono poco in- clinati, costituendo quasi una conca incompleta. Nella regione entro-appenninica notiamo come sotto la zona el- veziana di Casina affiorino in alcuni punti marne calcaree compatte, fissili, così sotto Migliara in Val Tassobbio, presso Giandeto, ecc. ; tali marne paiono riferibili al Langhiano , per quanto ricordino pure alcune zone p armane . Tipiche marne langhiane troviamo al M. Stadola presso Ron- tano, sulla sinistra della Secchia, dove esse, con inclinazione ab- bastanza spiccata, costituiscono una semi-conca in cui giacciono le formazioni elveziane. Poco lungi, sulla sinistra della Secchia, un buon chilometro a monte di Castellarano, esiste una piccola zona di marne grigie compatte, inclinate a sud-ovest, che crederei doversi ritenere lan- ghiane. Nel Bolognese ebbi ad osservare in diversi punti, verso la base delle potentissime formazioni elveziane , alcuni strati di marne com- patte che ricordano il Langhiano. Ma dette marne appaiono ti- piche e potenti soltanto sulla sinistra di Val Vergatello, ad un dipresso da C. Amore a C. Spezzola, deve mostransi sovente con inclinazioni svariate e talora discordanti da quella delia sovra- stante zona elveziana. Tuttavia fra i due orizzonti vi è general- mente un passaggio abbastanza graduale, giacché troviamo qua e là strati e banchi arenacei fra le marne langhiane , e viceversa le 540 F. SACCO marne a facies langlùana appaiono ancora in diversi livelli nella parte basale àeXX Elveziano, tanto che talvolta la loro delimita- zione rimane alquanto incerta. Fatti consimili osservansi nella parte bassa della Valle del Reno presso Calvenzano, un chilom. a valle della stazione delle Pioppe, di fronte a Sibano, ecc. Elveziano. La formazione elveziana, siccome estesissima e spesso ricca in fos- sili, venne finora esaminata, studiata e descritta più di qualunque altra da quasi tutti i geologi, che si occuparono dell’Emilia. Contuttociò presentando l' Elveziano diverse facies , con zone anche alquanto diverse, la sua collocazione stratigrafica è lungi dall’essere dovunque ben riconosciuta. Infatti nell' Emilia il Doderlein ne colloca una parte (Molassa superiore) nel Miocene superiore -ed una parte ( Calcare marnoso grossolano , Molassa serpentinosa e Marne grigio scure sabbionose [di cui però una parte è tongriana] ) nel Miocene medio; recentemente il Pantanelli tende ad attribuire al Langhiano una gran parte delle formazioni elveziane. Nel Bolognese il terreno in esame venne sgraziatamente para- gonato troppo allo Schlier , denominazione litologica di poco valore, e quindi la sua collocazione stratigrafica rimase sempre un po’in- certa, oscillando, direi, nella serie miocenica dal Langhiano al Tortoniano ; nella Carta geologica della Provincia di Bologna del Capellini le formazioni elveziane sono comprese in una sola tinta con quelle oligoceniche, come Miocene. In generale X Elveziano rappresenta nell’Emilia, come per lo più anche altrove, un deposito di mare poco profondo spesso sub- littoraneo; quindi è rappresentato da marne sabbiose, da sabbie, arenarie talora con lenti ciottolose, ecc. In complesso si nota che nell’Emilia occidentale predomina la facies sabbioso-arenacea più che non nella parte orientale, dove è molto estesa la facies mar- noso-sabbiosa. Ciò forse è anche attribuibile in parte al fatto che nel Bolognese essendo X Elveziano molto più esteso che ad ovest, vi si sviluppa notevolmente anche la sua parte superiore prevalen- temente marnoso-sabbiosa, mentre che X Elveziano inferiore è spe- l’appenniso dell’Emilia 541 cinlmente arenaceo. La sua tinta è per lo più grigiastra od alquanto giallognola, quella n%\Y Elveziano superiore e questa nell'inferiore. Riguardo alla Paleontologia dell 'Elveziano molti lavori furono fatti specialmente da Pantanelli, Coppi, Manzoni, Mazzetti, Fo- resti, Fornasini, Fuchs, Capellini, Simonelli eco., quindi rimando in proposito a tali lavori, solo accennando come in generale questa fauna non presenti notevoli differenze dalla solita fauna elveziana , variando però, anche notevolmente, secondo le regioni e specialmente secondo la natura litologica del terreno, in cui essa è conservata ; ciò che si spiega facilmente. La formazione elveziana si sviluppa specialmente nella parte medio-inferiore dell’ Appennino emiliano; la sua irregolare distri- buzione dipende, non solo da una irregolare distribuzione, direi, del mare elveziano , spesso disposto a seni, anse, ecc. lungo la ca- tena appenninica centrale già emersa, ma anche per gran parte dai fenomeni oro-tettonici e specialmente dall’azione erosiva delle acque. Pare evidente che il mare elveziano subappennino talora circondava isolotti, specialmente eocenici, come ad esempio quello della zona 'parinana di M. Duro-S. Romano. D’altronde si può fare in generale una divisione della formazione elveziana in subap- penninica ed entro-appenninica, a causa di una notevole ruga che si estende abbastanza costante subparallelamente al subappennino; donde la divisione della zona elveziana di Casola da quella di Yiano, della zona di M. Baranzone da quella di Montegibbio, della zona di Guiglia-Zona-Lojano, da quella di Yignola-Monteveglio- Paderno-Ciagnano, ecc. La tettonica del terreno elveziano è bensì molto varia da luogo a luogo, ma in complesso presentasi abbastanza regolare ; per lo più i suoi strati pendono verso nord di 10° a 20°, ma talora anche in senso opposto costituendo conche o seni entro-appenninici ; talvolta inoltre detti strati presentansi pure fortemente sollevati, ma per 542 F. SACCO poco e solo presso forti arricciature dei terreni sottostanti; ricor- diamo per esempio gli strati verticali di Montegibbio. La potenza àeìY Elvesiano sovente non è molto grande, ma dove questa formazione si estende molto, essa raggiunge anche no- tevole spessore, cioè di oltre 300, 400 metri, come nel Bolognese. Riguardo aH’altimetria è da notarsi come Y Elvesiano per essere talvolta molto compatto e resistente, in modo speciale nelle regioni più entro-appenniniche, raggiunga elevazioni talora assai rag- guardevoli, cioè di 600, 700, 800 m. s. 1. m., così al M. Questiolo (811), al M. Righetti (878), alla Rocca di Roffeno (890), al M. Pigna (882), al M. Saivaro (826), anzi oltrepassando persino i 900 m. a nord di Castel d’Ajano, presso Serra Sarzana ; tale ele- vazione è per ora la massima, che abbia constatato neYY Elvesiano dell’alta Italia. Raramente 1’ Elvesiano presenta rapporti regolari coi terreni sopra e sottostanti, ma invece appoggiasi indipendentemente su ter- reni antichi e presentasi libero superiormente, oppure ricoperto con forte hyatus da terreni molto più recenti. Però come già notammo trattando del Langhiano , in alcune regioni osservasi un passaggio regolarissimo, gradualissimo, tra la sottile zona langhiana e la sovrastante formazione elvesiana, tanto che la loro delimitazione ■netta non è sovente possibile. Così pure osservasi in alcune zone, specialmente del Parmense, una specie di transizione tra Y Elve- siano superiore ed il Tortoniano , ma in questo caso sovente esiste, malgrado la concordanza stratigrafìca, un po' di hyatus. L’ Elvesiano è quasi ovunque ricco in fossili (abbondano in certi banchi i resti di Ostrea , Pecten , Teredini, Ditrupe, ecc. in modo da costituire veri impasti organici) ma per lo più essi sono mal conservati o difficilmente estraibili; contuttociò alcuni punti speciali diven- nero già famosi paleontologicamente per le accurate ricerche, spe- l’aPPENNINO DELL’EMILIA 543 cialmente del Doderlein, del Coppi, del Pantanelli, del Manzoni, del Simonelli, ecc. ; ma son persuaso che ulteriori studi in proposito scopriranno nuove e ricche zone fossilifere, specialmente nei banchi arenaceo-calcarei, non troppo compatti. Dal lato oro-idrografico notiamo come per la loro relativa com- pattezza le formazioni elveziane costituiscano per lo più colline elevate ed erte, spesso solcate da profondi burroni o valloni. Queste regioni sono generalmente piuttosto aride, essendo rare le sorgenti acquee e queste quasi sempre situate verso il fondo delle vallate ; però esistono non di rado fonti alla base delle zone elveziane, per il solito fatto che le loro arenarie gemono a poco a poco in basso l’acqua di pioggia di cui si sono imbevute. Varia ne è la coltura agricola secondo le regioni e le eleva- zioni ; prospera molto bene la vite nelle regioni non tanto elevate, specialmente in quelle subappenniniche. Industrialmente il terreno elvesiano viene sovente utilizzato per estrarre arenarie ad uso materiale da costruzione, sabbia, ghiaia, ecc. Nel Parmense la formazione elveziana costituisce una note- vole parte delle colline da Salsomaggiore al Taro. Infatti Y Elve- siano colle sue marne arenacee, talora assai calcaree, inclinate per lo più a nord o nord-nord-est, forma il rilievo collinoso di Scipione ; vi si osservano lenti ciottolose ed incontransi assai frequenti i fos- sili, specialmente sopra C. del Prete. Nelle colline di Salsomaggiore la formazione elveziana è rap- presentata specialmente da marne grigio-bleuastre, per lo più as- sai compatte, a cui verso sud si aggiungono zone marnose sab- biose grigio-giallastre; infine nella parte più meridionale della formazione compaiono pure numerosi strati, o lenti ghiaioso-ciotto- lose, a cominciare dalle vicinanze di Contignacco sino a S. Andrea di Medesano : specialmente notevoli sono le zone ciottolose di Con- tignacco, Fornacchia, M. Argento, ecc. Alcuni ciottoli presentano tracce di fori dei Litodomi. Riguardo alla tettonica della vasta area elveziana in questione 544 F. SACCO è da notarsi il fatto che mentre gli strati hanno inclinazioni poco accentuate, cioè di 10° a 20° o 30°, raramente di 40°, tale incli- nazione è in gran parte (specialmente nella porzione meridionale) verso sud-sud-ovest, per modo che gli strati elveziani talora pa- rebbero quasi andarsi ad immergere sotto le argille scagliose ; ciò si potrebbe forse spiegare con un rovesciamento completo, a C coricato, dei terreni in esame. Però considerando che per vaste aree detti terreni sono quasi orizzontali od anche inclinati a nord-nord- est, nasce il dubbio che il fenomeno stratigrafico sopraccennato dipenda invece da corrugamenti della sottostante formazione delle argille scagliose, le quali infatti compaiono qua e là verso nord a Salsomaggiore, a Centopozzi, presso Miano, ecc. Tra le marne sabbiose d e\Y Elveziano s’incontrano non rari fossili, specialmente denti di Squali ( Carchàrodon , Lavina ), Ittio- doruliti, la tipica A. pomum , Ostriche (talora gigantesche). Pettini, Lucine, Teredini, ligniti, ecc. Presso S. Andrea di Medesano, al fondo del rio del Fabbro sonvi sorgenti sulfuree e salso-jodo-bromiche nonché ferruginoso-ar- senicali ed alcalino-terrose, ora utilizzate a scopo medicinale. Verso lo sbocco della Val Baganza, sulla sinistra, a sud-est di Neviano dei Bossi, affiora una zona di marne compatte, grigiastre, che rappresentano' YElveziano inferiore, se pure non comprendono anche in parte il Langhiano : lo stesso dicasi per l’affioramento, che osservasi sopra C. Torlotti. Ad est di Val Parma ricompare la formazione elvesiana sotto forma di marne sabbiose compatte, grigiastre o bianchicce, leg- germente inclinate a nord in complesso nelle colline di Torre, M. Moro, La Guardiola, ecc., costituendo, come di solito, rilievi assai spiccati. Questa zona attraversa la vai d’Enza, producendovi il restrin- gimento di Fontaneto, e poi estendesi straordinariamente verso est. Nelle colline di S. Polo-Salv erano la zona elveziana passa inferiormente al Langhiano per ripetute alternanze di marne com- patte con marne sabbiose, ecc.; gli strati sono spesso fortemente l’appenkino dell'Emilia 545 sollevati, specialmente sul margine settentrionale della zona e at- torno all’ affioramento cretaceo di M. Pezzola. Più a sud, YElveziano è spesso ridotto a lembi sparsi, fra cui famoso quello che, coi suoi strati arenacei leggermente inclinati a sud-est costituisce l’erta Rocca di Canossa ; notevole è la piccola placca elveziana, che trovasi nella parte più alta del lembo lan- ghiano di Carbognano. In Yal Campola Y Elvesiano è costituito specialmente di sabbie e di arenarie grigio-giallastre, con alternanza di marne, raramente con lenti ciottolose, come presso Paderna ; tra Sordiglio e Pecorile la formazione in esame costituisce una conca stratigrafica abba- stanza regolare. Attorno all'affioramento cretaceo di La Collina compaiono speciali marne grigio-violacescenti che potrebbero forse essere più antiche delY Elvesiano, se pure non ne rappresentano solo una facies particolare. Nelle colline di Sordiglio e Votigno gli strati elvesiani sono fortemente disturbati, talora anche portati alla verticale, in causa dei prossimi arricciamenti delle argille scagliose. La grande zona elveziana che possiamo appellare di Casina è costituita essenzialmente di arenarie e di marne sabbiose grigio- giallastre, talora notevolmente calcaree e quindi fortemente cementate ; tettonicamente essa rappresenta una conca abbastanza regolare, allungata, da Ciano ad Onfiano. cogli strati spesso suborizzontali nella parte centrale, ed inclinati solo di 10° a 20° in generale nella parte periferica. Non sono rari i punti fossiliferi, specialmente fra le marne arenacee. Notiamo come verso Carpineti la formazione elveziana si ap- poggi direttamente su quella tongriana , ciò che vedremo ripetersi meglio nel Bolognese. Continuando verso est l’esame dell’ Elvesiano entro-appennino, 10 vediamo ricomparire presso Baiso dove, colle sue tipiche arenarie marnose, spesso fossilifere, costituisce la grande placca su cui sta 11 Castello di Baiso, nonché il lembo minore del Monte. Gli strati inclinano variamente, ma per lo più dolcemente; predomina la pendenza a nord circa. È interessante osservare come in quelle regioni Y Elvesiano entro-appennino sia nettamente diviso dalla zona settentrionale per mezzo del rilievo parisiano di M. Duro-S. Romano. La zona 546 F. SACCO elveziana che trovasi a nord di tale rilievo sviluppasi estesamente da Montalto a Castellavano ; essa distinguesi in complesso dalle zone meridionali sopradescritte perchè oltre alle arenarie sabbiose grigio-giallastre, con qualche lente ghiaioso-ciottolosa (Montalto, Lorano. C. Rossi-C. Monte, Montebabbio, ecc.) che ne costituiscono le parti periferiche, più antiche, compaiono pure nella parte cen- trale (più giovane) della zona, speciali marne grigiastre o bleuastre, che ricordano quelle del Tortoniano , come osservasi specialmente nei dintorni di Viano. Tettonicamente la bella zona elveziana , che possiamo appel- lare di Viano, rappresenta una conca allungatissima, i cui strati, leggermente inclinati od anche suborizzontali nella parte assiale, asssumono alla periferia inclinazioni di circa 20°, ma talora persino di 40°, 50°, come per esempio nelle colline di Casella. Più verso est, questa conca non è completa ma si foggia a seno, aperto ad oriente, seno, in cui vengono ad insinuarsi abba- stanza gradualmente le formazioni più recenti. In questa regione le ricerche diligenti del Dordelein e del Ferretti specialmente, resero famosi, per ricchezza in fossili, i din- torni di Montebabbio, di S. Valentino, ecc. I lembi elveziani di M. Stadola-Roteglia sono essenzialmente arenacei, a banchi poco inclinati nelle parti più elevate. Tra la Secchia ed il Panaro la formazione elveziana è rap- presentata da una serie di zone più o meno estese, talora da semplici placche, residue certamente di una zona continua, che venne smem- brata dagli arricciamenti degli strati e dagli agenti atmosferici. A sud di Sassuolo cominciamo ad incontrare marne arenacee, probabilmente elvenane , inclinate a nord circa, nel vallone presso C. Molesina. La collina di Montegibbio è costituita di banchi compatti, grigiastri, marnoso-arenacei, sollevati fortissimamente, anzi talora persino rovesciati, con direzione prevalente da est ad ovest ; quindi questa zona elveziana rappresenta probabilmente una forte piega stratigrafica. Nella Valle della Secchia esiste un’ampia zona elveziana , con- tinuazione dei lembi più occidentali, e che possiamo appellare zona di Pigneto ; la costituiscono le solite marne sabbiose ed arenarie gri- l’ APPENNINO DELL’EMILIA 547 gio-giallastre, talora in grossi banchi, come per esempio dal fondo di Yal Secchia a Yezzano. Stratigraficamente detta zona costituisce una vera conca, i cui strati periferici pendono di 20° a 30° e più verso l’interno; forti raddrizzamenti osservansi in fondo di Yal Secchia. La zona di Pigneto continuasi ad est nella grande ed irre- golarmente allungata zona di Montebaranzone ; anche questa co- stituisce nel complesso una conca irregolare, che nella parte, peri- ferica consta di banchi marnoso-sabbiosi ed arenacei, mentre nella parte media sonvi zone di marne grigiastre che ricordano quelle tortoniane ; gli strati hanno pendenze poco forti, quantunque veg- gansi localmente molto rialzati, come a sud ovest di C. Marzola, al M. Tagliato, ecc. Le altre placche elveziane più ad est hanno una costituzione simile a quella sovraccennata ; predominano le arenarie sabbiose. Allo sbocco della Vallata del Panaro vediamo affiorare sotto alle alluvioni un lembo di arenarie marnose, grigiastre, inclinate a sud-est circa, su cui posa il paese di Yignola; credo siano rife- ribili all’ Elvezi ano. Poco distante esiste un altro piccolo affiora- mento di arenarie elveziane presso Doccia. Ad est del Panaro si sviluppa un’ampia e potente formazione elveziana tra Rocchetta e Zocca. La costituiscono come di solito banchi arenacei e sabbiosi grigio-giallastri, predominando le are- narie nella parte esterna e le sabbie, talora marnose, nella parte interna della zona in esame. È alla resistenza dei banchi arenacei che sono dovute le bizzarre elevate guglie di Pieve Trebbio, alte quasi 100 metri e nelle quali l’uomo scavò, specialmente nei secoli scorsi, diverse caverne a varie altezze, allo scopo di ricovero e di difesa. Anche questa zona tettonicamente rappresenta una conca ab- bastanza regolare, i cui strati inclinano verso il suo centro di circa 10° a 30° in generale; sono poco frequenti le inclinazioni maggiori, cioè di 40°, 50°, come per esempio in alcuni punti a sud di Pieve Trebbio. 548 F. SACCO Nel Bolognese possiamo distinguere abbastanza bene l' Elve- zicino entro-appennino (Zocca-Lojano), continuazione di quello or ora indicato, dall ' Elveziano subappennino, di cui già vedemmo un ac- cenno nel lembo di Vignola. Esaminiamo dapprima la zona subappennina. In continuazione del piccolo affioramento di Vignola, troviamo una potente zona mar- noso-arenacea grigiastra, su cui sta il paese di Monteveglio; l'incli- nazione dei suoi strati è poco accentuata e prevalentemente a nord. Un affioramento simile, ma più piccolo, osservasi sotto Oliveto, pure con dolce pendenza a nord. Prima di lasciare la Val Samoggia, accenniamo al curioso stretto lembo di Elveziano che compare sotto il Pliocene di Tiola, in forma di strati arenacei e marnosi grigiastri o giallastri, inclinati a nord-nord-est, talora anche assai notevolmente rialzati, come presso C. Pontiglio. Tale stretta zona è interessante perchè col- lega X Elveziano subappennino con quella entro-appennino, quan- tunque sembri meglio riferibile a quest’ultimo, specialmente con- siderando lo sviluppo dell 'Elveziano entro-appenninico nella Valle del Reno. Sulla destra della Val Samoggia, tra Cà di Roda e Cà il Monte ad un dipresso, osservansi sulle argille scagliose alcuni banchi marnoso-arenacei, che talora per la loro compattezza ricordano le marne langhiane ; potrebbero forse riferirsi all 'Elveziano. Tra la Samoggia e la bassa Val del Reno si sviluppa una potentissima zona elveziana , la quale è costituita prevalentemente di marne compatte biancastre (ciò che appellasi spesso Schlier) oltre a marne arenacee grigiastre, arenarie, ecc. ; per la sua relativa compattezza tale formazione costituisce per lo più colline elevate, grigiastre o biancastre, piuttosto erte, solcate da profondi burroni. Anche questa zona sembra costituire tettonicamente una conca allungata da ovest ad est, ma osservansi diverse irregolarità in pro- posito;. gli strati sono per lo più poco inclinati, sovente anzi quasi orizzontali. Vi sono frequenti i fossili, specialmente le bi- valvi, ma non sempre ben coonservabili. Oltre alla grande zona principale, sonovi placche isolate, come quelle di M. S. Michele e di M. S. Giovanni, le quali si stacca- L’aPPENNIX'O DELL’EMILIA 549 rono da detta zona forse in parte per causa di arricciamenti delle argille scagliose sottostanti ; nello stesso modo è spiegabile la for- mazione del prolungamento elvesiano dì M. Cervo, la placca di M. Sabbiuno, ecc. Nel subappennino bolognese 1' Elvesiano è sviluppatissimo colla facies solita di marne, più o meno arenacee, compatte, grigio-bian- castre ( Schlier ), costituenti alte colline ; l’inclinazione degli strati è generalmente molto dolce, alquanto varia da luogo a luogo : pre- vale la pendenza a nord, ma verificasi sovente anche verso sud, il che ci indica, come questa zona non rappresenti semplicemente l’ affioramento regolare della formazione elvesiana subpadana. Nella placca del M. Sabbiuno gli strati pendono prevalente- mente, ma dolcemente, a sud circa. Tra il Savena e ridice la zona elvesiana è ridotta ad una striscia irregolare, talora interrotta, con inclinazione prevalentemente a nord ; la costituiscono le solite marne arenacee; però nei lembi staccati, più a sud, compaiono pure notevoli banchi arenacei, come per esempio nella collina di Casola. Più a monte, sotto M. Armato, appare tra le argille scagliose del Cretaceo e le marne piacensiane una interessante zona elvesiana costituita di arenarie giallastre, che inclinano di 40° a 60° verso sud-est; è quindi probabile che sianvi altre consimili zone ere- siane mascherate dai terreni piocenici. La grande zona elvesiana entro-appenninica, che sviluppasi ad est di Zocca presenta talora verso la sua base una sottile striscia di Langkiano , ma per lo più appoggiasi dipendentemente sul Cre- taceo o sul Tongriano, come si è già osservato altrove più ad ovest. La parte inferiore dell' Elvesiano è specialmente costituita da banchi arenacei grigio-giallastri, assai compatti, come per esempio pos- siamo comodamente osservare nella valle del Reno tra Vergato e la stazione delle Pioppe. Invece Y Elvesiano medio e superiore consta prevalentemente di marne, più o meno sabbiose, grigiastre, come le vediamo sviluppatissime, per esempio in Valle del Reno nelle colline attorno a Mezzabotto. 36 550 F. SACCO Nelle colline da Zocca a Vergato predominano le arenarie grigio- giallastre, alternate talora con marne grigie e sabbie giallognole ; questi strati e banchi costituiscono nel complesso una conca al- lungata, a stratificazione piuttosto dolce; tale conca è disturbata però dall’ affioramento cretaceo di Prunarolo, che costituisce un anticlinale speciale nella circostante formazione elveziana. La delimitazione, qui fatta per la prima volta della grande zona arenacea miocenica Gfuiglia-Montese in Tongriano ed Elve- siano j parrà forse ad alcuno alquanto arbitraria, ma sembrami so- stenuta anche dai ritrovati paleontologici, oltre che dalla facies complessivamente speciale di ciascuna formazione. I banchi clve- zianì distinguonsi da quelli tongriani specialmente perchè, in ge- nerale, sono più potenti, più compatti, più calcarei, più uniformi nell'assieme ecc. Nella valle del Reno la formazione elveziana è potente e svi- luppatissima; dalle colline attornianti Vergato sino alla stazione delle Pioppe, come già dissi, vediamo F Elv e zzano inferiore costituito di potenti banchi arenacei grigio-giallastri, compatti (donde il restrin- gimento della vallata), inclinati per lo più a nord in complesso, però con varianti causate dagli affioramenti cretacei di Stazione delle Pioppe, di C. Steccola, ecc. che costituiscono talora piccole anticlinali speciali, in generale però ad inclinazioni non molto forti. A valle di Sibano si sviluppa amplissimamente F Elveziano medio costituito essenzialmente di marne grigiastre, più o meno arenacee, alternate con strati arenacei, pure generalmente grigiastri o giallastri. Per la minor compattezza relativa di questa serie marnosa la vallata del Reno si presenta naturalmente assai più larga che a monte, solo verificandosi restringimenti locali là dove appaiono banchi arenacei, così per esempio tra Mezzabotto e Ca- novella, a Panico, a nord di Lama ecc. ; così pure vediamo talora alcuni strati arenacei costituire dorsi o spigoli di colline, come per esempio i banchi, che discendono del M. Torrenera al fondo di Val Oggiola, poco sopra il Molino Oggioletta. 1 fossili sono assai frequenti nelle marne arenacee (per esempio nel gruppo del M. Luminasio, ecc.), ma son necessarie speciali cure L’APPENNINO DELL’EMILIA 551 per la loro estrazione, nè la loro conservazione è in generale molto soddisfacente. Gli strati pendono in generale assai dolcemente in varie dire- zioni, prevalentemente però verso nord ; ma le inclinazioni opposte, pure assai frequenti (vedi per esempio il gruppo di M. Luminasio, del M. Bacco, i dintorni di Canovella, ecc.) ci indicano speciali conche ed anticlinali, in rapporto probabilmente a rughe del sot- tostante Cretaceo. Così pure ci spieghiamo alcuni speciali forti sol- levamenti stratigrafici, come vediamo, per esempio, nella parte media della Valle del Piantone, al M. Torrenera, ecc. A est della valle del Reno la formazione elvesiana presentasi essenzialmenle costituita di arenarie sabbiose grigiastre, biancastre o giallognole, talora ben poco cementate, che presentano talvolta una facies speciale assai caratteristica, come per esempio in alcuni punti di Val Setta a nord di Lojano, a nord di Quinzano ecc. Verso il margine meridionale della formazione alle sabbie ed alle arenarie si aggiungono anche lenticelle ghiaioso-ciottolose, brecciose, come per esempio sotto S. Niccolo, al M. Bastia, ecc. Sonvi eziandio orizzonti marnosi, ma più o meno sabbiosi. Stratigraficamente possiamo osservare in generale come in Val Setta, tra Nuzzano e S. Niccolo la formazione elvesiana si disponga a sinclinale abbastanza regolare, con inclinazioni assai dolci, solo di 20° a 30° presso S. Niccolo. Ma, nella restante zona, che si svolge dalla Savena allTdice, gli strati elvesiani pendono complessivamente verso il nord circa, con inclinazione molto dolce nella parte set- tentrionale della zona, ed invece di 20° a 30° nella parte meri- dionale. Dobbiamo poi notare come nella parte superiore settentrio- nale, dell’accennata zona elvesiana di Val Setta-Valle Idice, alle tipiche arenarie sabbiose, grigio-giallastre, succedano verso l’alto della serie marne più o meno compatte, spesso sabbiose, grigie (qua e là però ancora con strati arenacei), costituenti le colline di Castelnuovo di Bisano, Barbarolo, eccitale zona rappresenta X El- vesiano superiore per quanto abbia talora una facies , direi, lorto- niana ed anzi a primo tratto possa anche venir confusa colle marne del Piacenziano inferiore. 552 F. SACCO Noto però come il Manzoni, che vi scoprì una ricca fauna in Val d'Idice, attribuisca invece tale formazione al Tortoniano \ i resti fossili da me raccolti in alcuni punti di detta zona (così presso Molinetto, ecc.) non paionmi tali da farla staccare dall ’ Elveziano. Riassumendo il sopradetto riguardo alla regione compresa fra Zena e Quinzano possiamo dire che vi troviamo la seguente serie: I Sabbie ed arenarie giallastre con strati o banchi Piacenzano j ghiaiosi, ciottolosi e conglomeratici. | Marne sabbiose grigiastre. Marne sabbiose arenacee, talora con letti ghiaiosi, i spesso fossilifere. Et.vf.ztano Marne grigiastre più o meno compatte, (Arenarie grigio-giallastre. Arenarie talora passanti a sabbie, grigio-biancastre. Tongriano — Marne ed arenarie grigio-brunicce. Tortoniano. La formazione tortoniana venne finora tipicamente riconosciuta solo nei dintorni di Montegibbio, per opera specialmente del Do- derlein, il quale vi raccolse una straordinaria quantità di fossili, pubblicandone un catalogo assai interessante. Il Coppi, il Panta- nelli, il Ferretti ed altri si occuparono eziandio di questa impor- tantissima regione. Nel Bolognese diversi autori, specialmente il Manzoni, segnalarono pure il Tortoniano , ma quivi trattasi sovente, a mio parere, di Elveziano superiore. In generale la formazione tortoniana è costituita di manie grigiastre poco compatte, che talora ricordano quelle del Piacenziano\ talvolta, per esempio nella tipica località di Montegibbio, colle marne si alternano frequentemente sabbie ed anche ghiaiette, come veri- ficasi pure nella altrettanto famosa località di Stazzano nel Tor- tonese ; ciò ci prova che la ricchezza paleontologica di queste L’APPENNINO DELL'EMILIA 553 famose regioni sia dovuta in gran parte a locali condizioni del mare tortoniano. La fauna tortonianci è una vera fauua intermedia tra quella elvesiana e quella pliocenica, ma nel complesso essa ha un carattere speciale, anche per la crassezza che sovente presentano le forme. Senza fermarmi ad un esame particolare rimando su questo propo- sito allo speciale lavoro del Doderlein: Cenni geologici intorno alla giacitura dei terreni miocenici mperiori dell' Italia cen- trale, 1862. Accenno soltanto alla ricchezza in Ceratotrochus e Trochocyathus , alla presenza di Cardila Jouanneti , di numerosis- sime Lucina , di molte grosse Melania e Melanopsis . della Rin- giculella gigantula , della Polinices redempta , di abbondantissime Pleurotoma J Conus , ecc. Il Tortoniano è ben poco sviluppato nell’Emilia e solo limi- tato a quelle poche località, dove si costituirono seni un po’ tran- quilli, che si conservarono con poche mutazioni dall'epoca miocenica a quella pliocenica; siccome il periodo tortoniano fu relativamente breve, così poco estesi ne sono sempre i depositi. Gli strati tortoniani sono ben poco inclinati e, in generale, verso il nord. La loro complessiva potenza è pure assai piccola, sovente di pochi metri, al più di un 40 o 50 m. In causa della loro posizione e poca compattezza le formazioni tortoniane non raggiungono notevoli elevazioni, spingendosi al più sino ai 300 o 350 m. s. 1. m. La serie tortoniana quasi sempre appoggiasi su quella elve- ziana con un hyatus più o meno forte, raramente con una reale transizione ; invece nella parte superiore è più frequente l’osservarvi un passaggio abbastanza graduale al Messiniano , quantunque anche in questo caso sovente esiste una lacuna stratigrafica. Le località fossilifere sinora conosciute nell’Emilia sono poche, ma quella dei dintorni di Montegibbio, per quanto poco estesa, è così ricca in fossili da renderla ben giustamente famosa quasi quanto quelle tipiche del Tortonese. Anche sulla sinistra della Secchia, nelle colline di S. Valentino, sonvi zone marnoso-sabbiose assai ricche in fossili, che sembrano riferibili in parte al Torto- niano. Quanto alle località fossilifere di Val d’Idice, ecc. indicate dal 554 F. SACCO Manzoni come tortoniane, credo siano necessari ulteriori studi in proposito, poiché forse trattasi di Elveziano superiore. Le zone tortoniane , essendo specialmente marnose, costitui- scono per lo più bassi colli, vallette, regioni pianeggianti, o dol- cemente inclinate. Nel Parmense a S. E. di Salsomaggiore, tra Val Ro vaccina e Val Parola esiste, direttamente sotte alla formazione messiniana, una zona di marne grigiastre, che sono forse riferibili al Tor- toniano. Nella Valle della Secchia troviamo la più bella e la più famosa zona del Tortoniano emiliano. Già trattando dell 'Elveziano si è notato come 1’allungata conca elveziana di Viano sia aperta ad est, costituendo così una specie di seno, in modo che presso Viano compaiono le marne dell’ Elveziano medio e superiore: è per tale disposizione stratigrafica che in tale seno troviamo sovrapporsi ai terreni elveziani delle colline di S. Valentino una zona di marne sabbiose, in cui il Ferretti raccolse una ricca fauna marina riferi- bile in parte al Tortoniano. Il tipico sviluppo della formazione tortoniana trovasi sulla destra della Secchia fra le due zone elvesiane di Montegibbio e di Montebaranzone ; quivi, specialmente nella metà superiore di Valle Urbana, che si suddivide in numerosi valloncelli, sino a C. del Chierico, ecc., il Tortoniano si sviluppa ampiamente sotto forma di marne e sabbie grigie e giallastre con lenticelle ghiaiose racchiu- denti la ricchissima e ben nota fauna segnalata specialmente dalle ricerche e dagli studi del Doderlein. La stratigrafia è quivi alquanto irregolare e varia, ma in complesso si nota che i depositi tortoniani si appoggiano specialmente sulla zona elveziana di Montegibbio, inclinando per lo più a sud di 10° a 30° circa. Nella parte mediana ad un dipresso della conca elveziana di Montebaranzone sono assai sviluppate speciali marne sabbiose gri- giastre, suborizzontali, a facies quasi tortoniana ; credo però siano esse ancora riferibili all’ Elveziano. Ad est di Montegibbio la zona tortoniana , rappresentata spe- cialmente da marne grigio-bluastre, che ricordano alquanto quelle L’APPENNINO DELL’EMILIA 555 piace risiane , con strati sabbiosi intercalati verso la base, si svi- luppa ancora per diversi chilometri; ma non è più ricca in fossili. Nel Bolognese rivediamo alcune piccole zone tor tornane, almeno a mio parere, ad est del Reno ; una di esse si estende da C. Bianca (poco più di 1 chilom. a sud di Casalecchio) sino alle colline di Gfaibola, fra le marne gessifere del Messiniano a sud e le marne compatte dell’ Elvesiano a nord; l’altra al contrario è compresa in modo più regolare tra Y Elveziano, a sud ed il Messiniano a nord e si estende assai più, cioè dalle colline di Monte Donato a quelle di Castel dei Britti. Le zone tortoniane sovraccennate collegansi col Messiniano piuttosto che non coll’ Elveziano da cui sono distaccate generalmente per un hyatus più o meno forte; esse constano specialmente di marne grigio-bluastre poco compatte, talora affatto tipiche come per esempio in Val Savena tra S. Ruffillo e Palazzazzo, dove i suoi strati (qua e là fossiliferi) pendono regolarmente a nord-est. Sa- rebbe interessante ricercarne e studiarne la fauna, perlustrando per esempio il vallone, che da C. Osteriola (Val Zena) sale a Monte- calvo, la Val Savena ed altre località dove la formazione torto- niana è messa a nudo da profondi burroni, scoscendimenti e tagli naturali. Messiniano. La formazione messiniana dell’Emilia venne già riconosciuta ed esaminata in diversi punti, specialmente là dove essa ingloba le caratteristiche lenti gessose ; così il Doderlein, lo Scarabelli ed il Capellini segnalarono da lungo tempo queste zone gessifere, che però, a mio credere, costituiscono solo una parte della estesa zona messiniana. Del Messiniano della bassa Val Magra si occupò spe- cialmente il Capellini. La formazione messiniana rappresenta come di solito un de- posito di mare basso, passante talora a maremma ; essa è costituita di marne più o meno sabbiose, grigiastre o giallognole, talora minu- tamente straterellate, le quali comprendono non di rado lenti più o meno potenti di gesso in grossi cristalli, con accompagnamento 556 F. SACCO talora di calcari grumulosi, ecc. Tra questi depositi trovansi tal- volta ciottoli sparsi, ma nel Parmense incontransi vere zone ghiaioso-ciottolose assai potenti, più o meno compatte, che ci in- dicano lo sbocco di qualche corrente terrestre. Ciò d'altronde è identico a quanto incontrasi sovente nel Messiniano della parte subappenninica del tipico Bacino terziario del Piemonte. Sono noti gli strati lignitici del Messiniano della bassa Yal Magra. I fossili sono in parte marini ed in parte salmastri, secondo le regioni; più caratteristici sono quelli salmastri, quali Nerito- donta, Melania , Melanopsis, Hydròbia , Adachna, ecc. che furono già in gran parte illustrati dal Pantanelli nel suo lavoro: Mono- grafia degli strati Pontici del Miocene superiore , ecc. 1886. I fossili marini sono specialmente paragonabili, sovente anzi affatto simili, a quelli del Piacenziano ; ciò tenderebbe a far riunire il Mes- siniano al Pliocene piuttosto che al Miocene. Nella serie messiniana di Yal Magra i fossili sono specialmente rappresentati da Filliti, resti di Tapirus , ecc. La formazione messiniana nell’Emilia costituisce nella regione subappenninica una zona non molto ampia in generale, ma assai estesa, presentando essa solo poche interruzioni ; oltre alla regolare distribuzione subappennina osservansi nel bolognese alcune zone messiniane alquanto entro-appennine, direi; tale fatto è però d’ac- cordo con simili disposizioni del Pliocene e ci indica come quivi il mare sulla fine dell’epoca miocenica e nell’epoca pliocenica si addentrasse ancora assai notevolmente nelle regioni ora appen- niniche. Tettonicamente la formazione messiniana è abbastanza rego- lare, giacché i suoi strati non presentano per lo più inclinazioni molto forti ; però nel Parmense e nel Bolognese sonvi punti in cui detti strati sono sollevati fortemente, cioè di oltre 30°, 40°, come per esempio presso Tabiano nel Parmense. Notiamo poi come, mentre in generale gli strati messiniani pendono a Nord, cioè regolarmente verso la pianura padana, in alcune regioni invece notansi inclinazioni opposte, specialmente là, dove tale terreno presentasi in zone entro- l’APPENNINO DELL’EMILIA 557 appenniniche, giacché quivi esso fu preso in sinclinali accentuatesi ancora dopo il Miocene. La potenza della serie messiniana è variabilissima a seconda delle regioni in cui la si osserva, non è però mai molto grande, rara- mente di oltre 50 o 60 metri, anche là, dove tale zona si mostra assai estesa ed ingloba lenti gessose. La formazione messiniana per la relativa consistenza di alcuni suoi strati è talvolta spinta ad elevazioni maggiori che non quella tortoniana , non di rado ad oltre 200, 300, talora anche a 400 m. s. 1. m, ; a sud-ovest di Scandiano presso C. del Vento trovansi marne fossilifere, che paiono del Messiniano , a circa 500 metri di elevazione. Inferiormente la serie messiniana sovente passa gradualmente alle marne tortoniane , anzi là dove ambedue questi orizzonti sono marnosi ne riesce incerta la delimitazione, fondata talvolta solo sulla presenza di calcari, gessi o sabbie; generalmente però il Messiniano posa discordantemente su terreni molto più antichi. Nella parte superiore la serie in esame collegasi pure talvolta gra- datamente colla serie piacenziana, colla quale concorda abbastanza bene in generale; talora però esiste fra di esse un hijatus più o meno forte, perchè è certo che tra il periodo messiniano e quello piacenziano si verificò un movimento oro-genetico assai importante. Le località fossilifere vennero già in gran parte riconosciute specialmente dal Doderlein, che le indica presso S. Polo e presso S. Valentino e Cadiroggio (Castellarano) ; il Pantanelli ne riconobbe un’altra zona presso C. Moscardina (ad est di Vignola), il Cocconi indicò pure fossili messiniani presso Sivizzano (Traversetolo) ed il Ferretti presso Ventoso, dove però non li ebbi a ritrovare. Ma se tali località presentano fossili salmastri, sono pure numerose quelle, in cui il Messiniano racchiude fossili marini, come per esempio qua e là fra Scandiano e Vezzano, in alcuni punti delle colline bolognesi, ecc. È nota la zona messiniana di Sarzana-Caniparola ecc., nella bassa Val Magra, per la grande ricchezza in ligniti, in Filliti, nonché per resti di Vertebrati. Le colline messiniane sovente sono meno dolci di quelle vi- cine tortoniane e piacenziane , per lo più anzi formano elevazioni alquanto spiccate ; dal lato agricolo quindi presentansi talora meno utili, direi, di quelle plioceniche. 558 F. SACCO Industrialmente invece è assai interessante il Messiniano per le numerose e talora potentissime lenti gessose, le quali ven- gono escavate quasi ovunque. In rapporto coi terreni messiniani trovansi pure alcune sorgenti solfuree, fra cui interessantissima quella di Tabiano nel Parmense, utilizzata su vasta scala a scopo medicinale. Le zone gessose, specialmente quelle potentissime del Bolognese, sovente danno origine a precipizi, imbuti, caverne, gradinate naturali, ecc. Nel Piacentino la zona messiniana compare solo in lembi sparsi tra il Piacenziano ed i terreni più antichi. Nel Parmense invece tale zona comincia a costituirsi continua subito ad est dello Stirone con marne grigie molto simili a quelle piacenziane , però con qualche lente sabbiosa e calcarea e la ca- ratteristica lente gessosa di C. dei Cassi. A cominciare dalla valle di Rovaccbia verso est, alle marne si sostituiscono rapidamente almeno in parte, potenti zone are- nacee e sabbiose con grosse ed estese lenti ghiaioso-ciottolose, spesso conglomeraticlie, con banchi molto fortemente sollevati, cioè con pendenze di 30° a 40° e più verso nord-est. È molto importante il fatto che fra queste marne sabbiose e ghiaiose sono assai fre- quenti i fossili marini (talora solo più allo stato di impronta) i quali nel complesso si avvicinano meglio a quelli pliocenici che non a quelli miocenici. Tale zona messiniana origina colline di forma erta e di tinta giallastra assai caratteristiche. Le famose sorgenti sulfuree di Tabiano, ora utilmente adope- rate a scopo medicinale, vengono a giorno precisamente nella parte superiore della zona messiniana , quivi assai tipica per la facies so- praindicata. Credo opportuno riportare qui un’analisi chimica fatta nel 1889 dal prof. D. Vitali sopra quest’acqua solforosa di Tabiano. Acido solfidrico gr. 0,1151 Anidride carbonica .... n 0,6873 Azoto •n 0,0241 Cloruro di Litio V 0,01620 n » Ammonio .... Tì 0,00323 » » Magnesio .... n 0,06788 » » Sodio . . . . , n 0,11377 l’aPPENNINO DELL'EMILIA 559 Solfato di Magnesio .• . • • gr. 0,15440 » » Calcio . . . . . » 1,78415 » » Sodio . . . . . » 0,23849 Carbonato di Calcio . . . . J* 0,29492 ” » Magnesio . . . ” 0.08675 » » Ferro . . . . ” 0,00724 Ioduro di Calcio . . . . . ” 0,00098 Solfuro di Calcio . . . . . » 0,00169 Sostanze organiche . . . . 0,00620 oltre a piccolissime quantità di iposolfiti, nitriti, fosfati e bromuri. Ad est di Yal Parola la stratificazione del Messiniano diventa meno forte, cioè di circa 30°, e sono ancora assai sviluppate le sabbie e le arenarie giallastre con lenti ciottolose sparse, finché questo terreno va ad immergersi sotto l’ampia zona piace nziana. Nell’ultimo tratto del suo sviluppo visibile tra il M. Zanone e S. Andrea di Medesano, il Messiniano a facies littoranea si pre- senta costituito esseuzialmente di sabbie ed arenarie giallastre con banchi conglomeratici assai notevoli, il tutto leggermente inclinato ad est circa, sovrapponendosi quindi esso alquanto discordantemente sull' Elv e zi ano pure sabbioso-arenaceo, ma di tinta complessivamente più grigia ; verso S. Andrea il terreno in esame è ridotto a lembi di conglomerato compatto irregolarmente sovrapposto all’ Eloeziano. Gli elementi ciottolosi, taluni di granito, di micaschisto, ecc., in alcuni casi raggiungono anche un metro circa di diametro. Talvolta le zone ciottolose sono disposte in amigdale fra le sabbie e le arenarie in modo che paiono state trasportate e deposte da correnti acquee impetuose, che localmente intaccarono ed erosero gli strati sabbiosi poco prima deposti, come verificasi talora appunto nei depositi fluvio-deltoidi. Ad est del Taro riappare tosto la zona messinianci con marne grigie o giallastre e sabbie giallognole a strati inclinati verso nord-est, costituendo lo spigolo, direi, della collina tra la borgata Ricco e la C. Levati. Riappare essa poco dopo nel vallone sotto bor- gata Folli sotto forma di marne sabbiose ed arenacee con frequenti interstrati ciottolosi e conglomeratici cementatissimi, il tutto con una inclinazione di circa 30°, talora persino di oltre 40°, verso 560 F. SACCO nord-est ; anche qui esiste una sorgente sulfurea (donde il nome di C. Acqua puzza) nella parte superiore della zona messiniana. Detta zona gradatamente girando, direi, viene a costituire il rilievo di Caselle coi suoi banchi sabbi oso-arenacei inclinati a sud-est, in modo cioè da immergersi sempre sotto la zona piacenziana. Sulla destra di Val Sporzana presso Respicchio sonvi diversi strati conglomeratici alternati colle sabbie marnose e colle arenarie messiniane ; tale costituzione litologica si presenta quasi uniforme in tutta la zona messiniana\ questa coi auoi strati inclinati di circa 20-30° forma una bella conca, la quale racchiude il curioso seno piacenziano di Roncolooao ; sono assai notevoli gli strati conglome- ratici di Piantogna, delle vicinanze di Sivizzano. ecc. Nelle colline di Neviano dei Rossi le marne sabbiose e le are- narie grigio-giallastre con lenti e strati ciottolosi del Messiniano presentano inclinazioni molto svariate, sia di intensità che di di- rezione, e ciò a causa di rughe cretacee e dello speciale affiora- mento miocenico già esaminato. Presso Faceto gli strati inclinano di una ventina di gradi verso nord circa; a sud di Neviano e nel rilievo verso C. Torricella i banchi sabbioso-arenacei e sovente con- glomeratici sono per lo più leggermente inclinati verso nord, mentre invece nelle colline di C. Torre dei Boriani gli strati di arenarie e sabbie gialle sono spesso inclinati a sud di 30° o 40°. In complesso si può dire che il Messiniano superiore è spe- cialmente marnoso sabbioso, mentre quello inferiore è particolarmente sabbioso-ciottoloso. Questo orizzonte ciottoloso si prolunga regolar- mente sino a Viale di Baganza; i suoi elementi sono in massima parte costituiti dai calcari e dalle arenarie eoceniche e cretacee, più raramente del Tongriano\ alcuni ciottoloni raggiungono anche il diametro di 1 metro, ma per lo più solo di una diecina di cen- timetri. Talvolta la zona conglomeratica presenta una ventina di metri di spessore, come tra Torlo tti e Vallezza; i suoi elementi sono per lo più disciolti fra le sabbie e le ghiaie. Ad est della Baganza la formazione messiniana riappare irre- golare, ma assai estesa sotto forma di marne spesso sabbiose, ta- tora arenacee, per lo più grigiastre, non di rado con fossili marini simili a quelli del Piacenziano ; sono invece più rare le lenti l’APPENNINO DELL’EMILIA 561 ciottolose. Tale terreno costituisce il gruppo collinoso di M. Ca- stelletto (dove però verso la base meridionale della collina appaiono anche marne compatte che potrebbero essere elveziane ), quindi si restringe verso est, e termina presso Rivalta colle sue caratteristi- che marne sabbiose, più o meno compatte, essendo mascherato verso oriente dalla formazione pliocenica. Ad est dell’Enza dopo una breve apparsa, presso S. Polo, di una sottile striscia di marne, forse messiniane, con fossili salmastri alla base del Piacenziano (col quale esse quasi si confondono lito- logicamente), la potente ruga cretacea di Quattro Castella non per- mette il libero apparire della zona messiniana, ma questa riaffiora tosto in Val Crostolo però con facies molto differente da quella di Tabiano-Fomovo-Rivalta ; essa cioè consta di marne grigiastre o gial- lognole, talora un po’ sabbiose, le quali racchiudono una serie nume- rosissima di lenti di gesso in grossi cristalli. Tale zona si continua ininterrotta da Val Crostolo sino a Ven- toso presso Scandiano. È poi interessante osservare come queste marne messiniane contengano pure, specialmente nella parte inferiore, fos- sili marini (particolarmente Ostrea , Pecten , Arca, Dentalium , ecc.) molto simili ai pliocenici, tanto che nascerebbero persino dubbi sull'interpretazione del terreno, che li ingloba ; uno di questi punti fossiliferi trovasi presso C. del Vento ad oltre 510 m. di eleva- zione. Sarebbe molto interessante, a mio parere, fare uno studio paleontologico di questa fauna marina speciale. Presso Ventoso veg- gonsi diversi strati sabbioso-arenacei messiniani presso una lente gessosa. Notisi anche come presso Ventoso il Ferretti abbia rac- colto resti di Melania , il che ci indicherebbe che la serie messi- niana in esame è in parte marina ed in parte maremmana. Sulla sinistra di Val Secchia la zona messiniana riappare tra il miocene ed il pliocene sotto forma di marne grigie, sovente un po’ sabbiose, grigiastre o giallognole, non sempre nettamente di- stinguibili dalle marne piacenziane ; esse, nelle colline di S. Va- lentino e sulla sinistra del vallone, che discende a Castellarano, racchiudono i caratteristici fossili salmastri del Messiniano , cioè Neritodonta , Melanopsis , ecc., come risulta specialmente dalle ac- curate e numerose ricerche fattevi dal Doderlein, dal Pantanelli, dal 562 F. SACCO Ferretti, dal Coppi, ecc. Questa zona messiniana è anzi, paleontolo- gicamente, la più tipica nell’ Appennino emiliano. Sulla destra della Secchia vediamo che alla base del Piacen- ziano esiste una zona più o meno estesa di marne sabbiose grigio- giallastre con fossili marini; parte di tale zona è probabilmente riferibile al Piacenziano inferiore, ma credo che una parte sia pure attribuibile al Messiniano, tanto più che nelle colline di Nirano, di Venanzio, ecc. sembrerebbe esistere un passaggio abbastanza gra- duale fra il Tortoniano ed il Piacenziano ; anzi mi venne riferito che nelle colline tra Levizzano e Madonna di Pujanello, dove ap- punto passa la sovraccennata zona di arenarie e marne sabbiose giallastre, siasi trovata una lente gessosa, ciò che non potei tut- tavia verilicare. Nella bassa Val Panaro trovansi due caratteristici affioramenti messiniani , cioè uno ad ovest di Vignola, tra Villa Rangoni e C. Botonda, dove appaiono le tipiche arenarie giallastre, compatte con lenti ghiaioso-ciottolose, nonché lenti gessose, l’altro ad est di Vignola, sulla sponda destra del Panaro, sotto C. Moscardina, dove affiorano per pochi metri speciali marne grigiastre con Melania , Melanopsis , ecc. Tra il Panaro e la Samoggia il Messiniano sembra compieta- mente mascherato dall’ estesissima formazione pliocenica; ma ad est della Samaggia vediamo che, a cominciare dai dintorni di C. Collina, sotto le marne sabbiose giallastre (con numerosissimi fos- sili marini) che chiudono in basso la serie piacenziana , compaiono strati arenacei e sabbiosi grigio-giallastri, talvolta molto calcarei, talvolta (alla base) con straterelli fogliettati farinosi, vero trip oli, il tutto con una inclinazione di 10° a 20° circa verso nord o nord-nord-est. Tale formazione è per me il tipico rappresentante del Messiniano , che si appoggia irregolarmente o sul Cretaceo o sull ' Elveziano. l’appennino dell’ewilia 563 Ad est di Val Lavino la zona messiniana cangia alquanto di facies , diventa maggiormente marnosa e vi appaiono estese e talora potentissime le caratteristiche lenti gessose; per esempio in Val Gessi (confluente di destra del T. Lavino) si osservano sei grossi banchi gessosi, assai distinti, inclinati di circa 25° verso nord- nord-ovest; sotto di essi appaiono marne grigie fossilifere, che po- trebbero forse rappresentare il Tortoniano , ma che probabilmente sono ancora attribuibili al Messiniano inferiore. Le marne fra cui sono acclusi i banchi gessosi, inglobano fossili marini, a facies piacenziana , nonché qualche resto di Melanopsis Matheroni , come per esempio sopra Fornace (Cava dei Gessi). Oltre alle marne gessifere sono pure frequenti le alternanze di strati are- nacei, nonché lenticelle gbiaioso-ciottolose, come per esempio presso C. di Sotto a nord di M. Castellano. Anche alcuni strati arenacei, che appaiono sotto Tizzano sono forse riferibili al Messiniano. Sulla destra della Valle del Reno appaiono due larghe zone messiniane nelle colline di Casaglia e di Gaibola, dove esse rappre- sentano i residui di una specie di conca, che si appoggia ai terreni miocenici di M. Albano eco. per modo che gli strati pendono per lo più dolcemente verso il sud. Predominano quivi le marne sab- biose ed arenacee grigio-giallastre, talora con lenticelle ghiaiose come presso il M. Grana, sovente invece con grosse e ripetute lenti gessose. Al M. Pradone troviamo strati marnoso-arenacei suboriz- zontali od appena inclinati ad ovest, i quali sono probabilmente riferibili al Messiniano. Le sovraccenuate zone messiniane hanno una posizione entro-ap- penninica, direi, alquanto irregolare : invece dalle colline sopra Bo- logna verso est sin oltre ridice la zona messiniana assume la sua regolare interposizione tra il Pliocene ed il Miocene, sovente anzi passa abbastanza gradualmente dal Tortoniano al Piacenziano presentando una serie tipica. Tale zona è rappresentata essenzial- mente da marne, più o meno sabbiose, le quali inglobano estesis- sime e potentissime lenti gessifere, costituite sovente di diversi, (4, 5 o più) grossi banchi di gesso cristallino sovrapposti ; è questa certamente una delle regioni più tipiche nell'Emilia per l’esame della formazione gessosa e dei curiosi fenomeni orografici ed idro- 564 F. SACCO grafici che l’accompagnano. Gli strati pendono per lo più dolcemente verso il nord-nord-est, anzi sono talora quasi orizzontali ; ciò che ci spiega la presenza di lembi messiniani staccati a sud, come sotto Monte Calvo; al contrario vediamo molto bene sulla sinistra del- l’Idice i potenti banchi gessosi fortemente sollevati, inclinando di 30° a 50° verso il nord circa. Tra i Gessi talora trovansi inclusi ciottoli diversi. Quanto al Messiniano di Sarzana (bassa Val Magra) consul- tinsi specialmente i lavori del Capellini ed il mio studio sull’yQc pennino settentrionale . Trattasi di un deposito essenzialmente sub- continentale, costituito di marne, arenarie e conglomerati ad elementi essenzialmente di Macigno coi banchi inclinati di 30° a 40° e più verso sud-ovest, inglobanti lenti ligmtiche con resti di piante, Ta- piri ecc. Tale formazione ben sviluppata nelle colline di Sarzana, è coperta ad est in gran parte dai terreni quaternari ; essa affiora però ancora nella bassa Val Parmignola colle solite marne lignitifere. Piacenziano. Quasi tutti coloro, che ebbero ad occuparsi della geologia del- l'Emilia, esaminarono e descrissero i terreni pliocenici a causa del loro grande sviluppo lungo le falde appenniniche e specialmente per la straordinaria quantità di fossili, che essi racchiudono quasi ovunque ; quindi mi limito a pochi cenni riguardo ad essi, per non fare inutili ripetizioni. In generale la formazione piacenziana si presenta colla facies tipica di marne grigio-bluastre, ora argillose, ora sabbiose; è no- tevole che, specialmente nelle colline tra Val Secchia e Val Samog- gia, alla base del Piacenziano esiste sovente una zona di marne sabbiose giallastre, assai ricche in fossili marini, ma per lo più di mare poco profondo, costituendo così un sottile orizzonte di pas- saggio tra il Piacenziano ed il Messiniano. Nelle colline bolognesi, oltre alla solita tipica zona di Pia- cenziano subappennino, sviluppasi estesissimamente una vastissima zona di pliocene, direi, entro-appenninico, la quale zona naturalmente presenta una facies particolare inerente alle speciali condizioni di L 'APPENNINO DELIì’EMIMA 505 una specie di braccio di mare, in cui essa fu depositata. Infatti in quest’ampia zona pliocenica entro-appenninica troviamo la serie •piace tuia na costituita, oltre che di marne grigie, anche di pile potentissime di sabbie e di arenarie grigie e giallastre nonché di zone ghiaiose e ciottolose (talora ad elementi nettamente impron- tati) le quali a primo tratto ricordano molto bene l'orizzonte astiano; anzi è solo dopo avere fatto un esame complessivo della formazione in questione, che parvemi poter concludere trattarsi soltanto di una facies speciale del Piacenziano entro-appenninico piuttosto che non di vero Astiano. I caratteri paleontologici, ovunque facili ad osservarsi, sono pres- soché identici a quelli del solito Piacenziano subappennino ; sic- come però i fossili cangiano col cangiare della facies del terreno in cui essi giacciono, così nelle colline bolognesi specialmente, dove la facies sabbiosa di mare basso è tanto sviluppata, anche la fauna diversifica da quella tipica del Piacenziano marnoso ed invece ras- somiglia moltissimo a quella del classico Astiano. Tali fatti lito- logici e paleontologici, che d'altronde si riscontrano assai sovente nel Pliocene di altre regioni, nonché spesso anche in altri casi per orizzonti geologici vicini, non credo debbano però condurci alla conclusione, che alcuni ne trarrebbero, di non doversi scindere il Pliocene in Piacenziano ed Astiano. II Piacenziano ha generalmente una distribuzione geografica assai regolare, cioè avvolge dal lato settentrionale le falde appen- niniche, avanzandosi talora un po’ addentro nell’ Appennino in forma di piccoli seni o golfi, talora invece scomparendo sotto la pianura padana in causa di forti corrugamenti dei terreni antichi lungo le falde appenniniche; però nel Bolognese la formazione piacenziana si addentra molto nell’ Appennino, costituendo una zona ampia ed irregolare, affatto entro-appenninica, che sviluppasi subparallela, ad un dipresso, alla zona subappenninica. Tettonicamente la formazione piacenziana non presenta fatti notevoli essendo essa quasi sempre inclinata appena di pochi gradi verso il nord in generale; tuttavia talora la pendenza diventa di oltre 10° e può anche variare di direzione, specialmente nelle zone entro-appenniniche del Bolognese. La potenza del Piacenziano lungo le falde appenniniche è pei lo più assai piccola, trattandosi di una formazione che viene a ter- 566 F. SACCO minare ad unghia, direi, contro l’ Appennino: però in alcune re- gioni osservasi tale terreno potente oltre 100 metri; nell’ Appen- nino bolognese questo terreno oltrepassa talora i 200 metri in spessore. Riguardo all'altimetria si può dire che in generale i terreni piacenziani vengono spinti presso le falde alpine verso i 200 o 300 metri di elevazione. Ma nella zona entro-appenuinica delle col- line bolognesi tale formazione raggiunge altezze ben maggiori, cioè 400, 500 ed anche 600 metri; anzi presso Medelana essi sono spinti sin oltre i 700 metri. Tale fatto è importantissimo trattan- dosi di depositi marini, quantunque littoranei, poiché detta eleva- zione è la massima che io abbia finora potuto constatare nel Plio- cene marino dall’Alta Italia. Inoltre la notevole elevazione sovrac- cennata. alla quale si avvicina alquanto quella di 570 metri che osservai nel Piacenziano subalpino di Mondovì, ci prova nettamente che nel corrugamento dell’Appennino le sue regioni centrali ven- nero sollevate assai più che non quelle esterne ; quindi se abbiamo le prove dirette e sicure che mentre la regione subappennina si sollevò dopo il periodo pliocenico di circa 300 metri, le regioni del medio Appennino si rialzarono di circa 600 metri, sembrerebbe lo- gico il concludere che la parte centrale dell’ Appennino si sarà sol- levata di oltre 1000 metri. La formazione piacenziana sovente si appoggia discordante- mente su terreni molto antichi, non di rado però sul Messiniano, con un hyatus più o meno forte ; ma sovente si osserva pure un gra- dualissimo passaggio tra i due orizzonti, tanto che, allorquando sono ambedue marnosi, ne riesce difficile assai la distinzione. Nella parte superiore sovente il Piacenziano subappennino non mostrasi co- perto dall 'Astiano perchè tale orizzonte è spesso coperto dai terreni quaternari; ma quando invece esistono i due orizzonti essi passano perle più gradatamente uno all’altro, ma con una zona di transizione assai sottile per modo che la loro distinzione riesce assai facile e netta, almeno in generale. Quasi ovunque la formazione piacenziana è fossilifera, come di solito, quindi non è il caso di indicare qui regioni speciali che soltanto accennerò nella rapida descrizione regionale ; solo in generale debbo indicare che, oltre alla conosciuta tipica fauna delle marne azzurre, nelle zone entro-appenniniche del Bolognese incontransi fre- l’aPPENNINO DELL’EMILIA 567 quentissimamente strati sabbiosi assolutamente zeppi di fossili, di mare poco profondo e di littorale, fossili che rappresentano una parte notevole della fauna illustrata dal Foresti nel suo Catalogo dei Molluschi fossili delle colline di Bologna. Le formazioni piacenziane costituiscono generalmente colline basse, spesso profondamente incise da caratteristici burroni venta- gliformi, direi, facili a mutar di forma per azione degli agenti atmo- sferici; sovente queste regioni formano anche altipiani irregolari in causa, sia della semi-orizzontalità degli strati, sia dell’esistere talora un velo quaternario nella loro parte superiore. Non di rado le marne piacenziane costituiscono nella loro parte superiore un velo acqueo assai costante, specialmente là, dove esiste uno strato diluviale od allindale sopra di esse. Dal lato agricolo le zone piacenziane si prestano specialmente alla coltura pratense, ma dove si sviluppano anche le zone sabbiose vi allignano stupendamente le viti. Il materiale marnoso è sovente utilizzato per laterizi, mentre che gli strati sabbiosi e ciottolosi vengono escavati qua e là per uso di costruzioni, pietrisco, ecc. Nel lavoro sopra Y Appennino settentrionale , ebbi già a descri- vere sommariamente il tipico Piacenziano del Piacentino. Verso est questo terreno si sviluppa ampiamente nel Parmense costituendo estese colline, sempre colla solita facies marnosa predominante; noto qui come alcuni geologi credettero poter costituire un piano speciale, tabianino, fondandolo sopra marne grigio-bleuastro, alquanto argillose, assai ricche in fossili, che sviluppansi specialmente nei din- torni di Tabiano; a mio parere tale distinzione non è sostenibile; trattasi semplicemente di Piacenziano inferiore colla sua solita, anzi tipica, facies. La zona piacenziana per erosione dà spesso origine a profondi e curiosi burroni labirintiformi, guglie, cortine marnose, ecc. Tra il Taro ed il Baganza la formazione piacenziana si estende notevo- lissimamente protraendosi per diversi chilometri a sud, e disponen- dosi in una specie di ampio seno, dove i suoi strati sono quasi oriz- 568 F. SA' 00 zontali, od appena inclinati verso nord in inedia, con uno spessore riconoscibile di circa 200 metri. Ad est di Val Baganza la zona piacenziana si restringe di molto, sempre conservando la stessa facies, prevalentemente mar- nosa e la stessa ricchezza in fossili : dopo un notevole allargamento nelle colline di Vezzano la zona in esame scompare per lungo tratto sotto ai terreni quaternari, per di nuovo riapparire nelle colline di Casalgrande. Sulla sinistra della Secchia la formazione piacenziana costi- tuisce un nuovo seno bellissimo, sdoppiato dall’ affioramento elve- ziano di M. Pradella; quivi detto terreno, coi banchi leggermente inclinati verso il centro della doppia conca, si spinge notevolmente ad ovest, presentando anche lembi residui isolati tra Montebabbio e S. Valentino. È questa una località interessantissima, di cui si occupò assai il Ferretti col raccoglierne i numerosi e svariati fossili, ma della quale sarebbe necessario uno speciale rilevamento geo- logico, poiché la carta geologica che presento, qui, come per tutto l’Appennino emiliano, è appena uno schema. È notevole come in queste regioni la serie piacenziana nella parte inferiore passi gradualmente al Messiniano con fossili d'acqua salmastra. Ad oriente della Secchia vediamo frequentemente come alla base del Piacenziano compaiano strati sabbiosi i quali racchiudono una ricca fauna marina e sembrano passare al Messiniano , il quale sarebbe quivi marino esso pure; tale fatto diventa poi più netto nelle colline di Lavezzano. Sulla destra del Panaro troviamo uno straordinario sviluppo della zona piacenziana a causa del fatto che quivi verificasi il suo sdoppiamento in una zona subappenninica ed in una zona entro-ap- penninica, sdoppiamento, che si continua assai spiccato nelle colline bolognesi. La zona piacenziana subappennina del Bolognese è abbastanza tipica, poco estesa, anzi molto stretta e talora anche interrotta, cogli strati inclinati regolarmente a nord circa. È però a notarsi come tra la Samoggia ed il Lavino, nella parte medio-inferiore od infe- riore affatto della serie piacenziana , compaiano marne sabbiose, sabbie ed arenarie giallastre sovente straordinariamente ricche in fossili di mare poco profondo, come vediamo specialmente nelle col- L 'APPENNINO DE LL'E M I LIA 569 line di Olirete, Pradalbino, C. Busa, S. Lorenzo in collina, ecc. Tale fatto è interessante, sia perchè ci mostra una facies , direi. astiana nel Piace asiano medio-inferiore, sia perchè esso appoggia l'attribuzione, che io faccio, al solo P incendiano , della potente for- mazione pliocenica entro-appennina del Bolognese, quantunque essa presenti estese zone a facies schiettamente asticina. La grande zona piacensiana entro-appeuninica è assai interes- sante pel suo sriluppo, per la sua posizione, la sua notevole alti- metria, la sua facies speciale, sia litologica, che paleontologica, la sua immensa ricchezza in fossili, ecc. Tale zona nelle colline ad est di Yignola è ancora in com- plesso unita a quella subappennina, però vediamo che essa vi si indi- vidualizza già tettonicamente costituendo una allungata conca spe- ciale, giacché a sud della ruga cretacea di Savignano-Monteveglio i suoi strati pendono già nettamente a sud-sud-ovest, in generale, assumendo di nuovo poco a poco l'inclinazione a nord nella parte meridionale della zona; è quindi quivi evidente la disposizione a conca abbastanza regolare. Tra il Panaro e la Samoggia la formazione piacensiana è co- stituita essenzialmente delle solite marne grigio-bleuastre, più o meno sabbiose, con uno spessore di oltre 150 metri: alla sua base compaiono, specialmente sul margine meridionale, alcuni strati sab- biosi, giallastri, con fossili di mare basso, come già si ebbe ad osser- vare altrove ; però non si tratta di un piano speciale, ma solo di un sottorizzonte, il quale rappresenta quasi un anello di passaggio al Messiniano ; credo debbasi ancora riferire al Piacenziano inferiore. Vediamo ciò assai bene nelle colline di C. Bellaria, di C. Mostino, C. Bottazzone, Castello di Serravalle, C. Cautiglia-C. Rusiano, ecc.; meno spiccatamente osservasi pure tale fatto alla base del Piacen- ziano nelle colline di Savignano-Monteveglio, specialmente attorno agli affioramenti cretacei, ma talora anche nella parte bassa delle val- late; così per esempio al fondo di Val Marzadori, tra C. Lavacchio e C. Campocorno, affiora una zona di banchi sabbioso-arenacei grigio- giallastri, inclinati leggermente a nord-nord-ovest circa, con fossili marini, zona che però potrebbe forse già interpretarsi come rnessi- niana. 570 F. SACCO In Val Samoggia la formazione piacenziana, quantunque si colleghi colle altre zona piacenziane ad est e ad ovest, tuttavia costituisce nel complesso ima conca speciale, irregolare assai, ma i cui strati pendono verso Zappolino, almeno in linea generale. In questa conca piacenziana , oltre alle tipiche marne bleuastre, che costituiscono le solite colline crestate ed a burroni ventagliformi, cominciano a svilupparsi notevolmente, in modo speciale nella parte media e medio-inferiore della serie, bellissimi banchi sabbiosi ed arenacei grigio-giallastri, a facies astiana ; è notevole poi come se- guitando accuratamente detti banchi sabbiosi si veggano talora tra- mutarsi poco a poco in banchi sabbioso-marnosi ed anche solo mar- nosi, per modo che anche litologicamente ne diventa chiara la facies piacenziana. Talvolta colle sabbie gialle sono anche commiste lenti ciotto lose, come per esempio a Monte S. Giovanni, presso C. Vico, ecc. Le zone sabbioso-arenacee giallastre talora si alternano con marne sab- biose grigiastre ed in tal caso esse sono per lo più straordinaria- mente ricche in fossili, come si verifica per esempio nelle colline di Zappolino, di C. la Costa, Castello, C. Vigo, C. il Monte, C. Lezzo, ecc., regioni tutte che sono veri Musei di fossili pliocenici. Altrove invece le arenarie e le sabbie gialle costituiscono veri banchi a sè, simulando assolutamente l 'Astiano ; in tal caso i fos- sili sono pure abbondanti, ma meno che in quello suaccennato ; ciò vediamo per esempio nell'alto delle colline di Palazzo, di Tiola, di Majola, di Mongiorgio, di Monte S. Giovanni, di Monte S. Pietro, di Montemaggiore, di C. Castiglione, ecc., cioè specialmente alla periferia della conca pliocenica in esame. Tra la Samoggia e la valle del Reno vediamo la formazione piacenziana presentarsi con due facies , che poi si incontrano ancora e con più chiari rapporti sulla destra del Reno ; cioè abbiamo una zona settentrionale, compresa ad un dipresso tra i rilievi elveziani di M. Cervo e di Tignano, la quale è costituita essenzialmente dalle tipiche marne sabbiose grigio-bleuastre e rappresenta certa- mente il Piacenziano inferiore : poi abbiamo una zona meridionale immensamente più vasta e potente, compresa tra i rilievi elveziani l’aPPENXINO DELL’EMILIA 571 di M. Cervo a nord e di M. Bonsara, M. Tramonto e Iano; quest ultima zona, secondo il mio modo di vedere, rappresenta il Piacenziano medio e superiore quantunque offra generalmente una marcatissima facies astiana, per modo che credo opportuno qualche cenno ulteriore ri- guardo ad essa. In complesso l’accennata zona meridionale di Piacenziano rap- presenta una conca allungata, che non è però chiusa alle sue estre- mità orientale ed occidentale, collegandosi essa regolarmente colle zone contigue contemporanee ; i suoi strati pendono per lo più dolce- mente di 5° a 10°, anzi nella parte media di detta conca essi sono quasi orizzontali. Tale formazione in linea generale si potrebbe di- stinguere in due zone; la zona inferiore, che credo rappresenti il Piacenziano medio , è costituita di un’alternanza di marne sab- biose, sabbie ed arenarie di tinta complessivamente grigiastra, con numerosi fossili, ed è visibile specialmente nella parte bassa dei val- loni di Rio Secco, R. Verde, R. Gemmese, R. (Divetta. Rio di C. Cam- pazzo, ecc. Sopra tale zona, e con passaggio gradualissimo, tanto che sarebbe assolutamente arbitraria una delimitazione, si sviluppa una serie di sabbie arenacee, e di ghiaie a tinta complessivamente giallastra, la quale costituisce le parti più elevate ed i margini della conca pliocenica; malgrado la sua facies asticina credo che detta zona rappresenti il Piacenziano superiore, come d'altronde ebbi già a verificare non di rado altrove, per esempio nel Piacentino, avendone già trattato particolarmente nel lavoro sulle Zone terziarie di Ver- nasca e Vigoleno , 1892; questa zona superiore del Piacenziano, è quasi ovunque straordinariamente ricca in fossili, di mare basso e di littorale, come vediamo per esempio nelle colline di Mongardino, di M. Grona, di Poggetto, di Serralunga, di Lagune, ecc. Un fatto assai interessante che osservasi nella conca piacen- siana in esame, ma che già accennammo comparire in contempo- ranei depositi più occidentali, è la presenza ed anzi talora il grande sviluppo delle lenti ed anche di veri grossi banchi ghiaioso-ciotto- losi, nelle regioni marginali, nord e sud, della conca in questione; così al M. Torrione, presso C. Palazzina, ecc., sul margine setten- trionale, ma specialmente sul margine meridionale nelle colline di Lagune, di Fornace e di Medelena, dove i potenti banchi ciottolosi sono spinti sin oltre i 700 metri di elevazione: nella parte alta dei valloni di Rio Maggiore e del T. 01 vetta i banchi ciottolosi 572 F. SACCO potentissimi sono in parte frammischiati a sabbia grigia o blua- stra, che dà loro un aspetto caratteristico. Nelle colline bolognesi tra il Reno e l’Idice troviamo la for- mazione piacenziano entro-appenninica assai più estesa e completa, ma. con una facies molto simile a quella sopraccennata; cioè pos- siamo osservarvi una grandiosa conca in cui il Piacenziano infe- riore è quasi tipico, cioè marnoso-sabbioso grigio-bleuastro, mentre il Piacenziano medio e superiore è essenzialmente sabbioso-arena- ceo con lenti o banchi ghiaioso-ciottolosi nella parte meridionale. La zona settentrionale del Piacenziano inferiore, continuazione evidente di quella di C. Cervo-C. Torre ad ovest del Reno, si svi- luppa ampia e potente dalle colline di C. Roncaglio presso il Reno, a quelle di Musiano, di M. Gradizzo, di M. Camporlina, di Monte Armato, ecc., con uua larghezza talora di oltre 3 chilom. ed una potenza di quasi 200 metri ; la sua inclinazione è dolcissima ed in complesso verso sud. Alla sua base compaiono talora alcuni strati sabbiosi giallastri, come già notammo per esempio nella bassa Val Panaro; li possiamo osservare in diversi punti, specialmente presso S. Andrea di Sesto, C. Colonna, sotto C. Maleto (dove appaiono eziandio arenarie e lenti ciottolose), presso G. Roncadello, ecc. Nel prolungamento della zona 'piacenziano ad est dell'Idice, sviluppansi notevolissimamente le sabbie giallastre, come vediamo nelle colline tra Ciagnano, C. Nova, C. Stefania, ecc. La zona meridionale del Piacenziano inferiore è meno svilup- pata di quella settentrionale; essa si estende per circa 1 chilo- metro d' ampiezza dalle colline di La Torre a quelle di C. Cam- puzzano, C. Bertino, La Creta, Monte del Lupo, ecc. Nella parte inferiore talora questa formazione termina con qualche strato sab- bioso-ghiaioso giallastro ; talora invece essa diventa marnoso-sabbiosa, grigiastra. Veramente straordinario è lo sviluppo della fo.mazione pia- cehziana media e superiore che costituisce fra il Reno e ridice una bellissima conca a pendenza per lo più dolcissima. Anche qui, come sulla sinistra del Reno, possiamo a grandi tratti distinguere una zona inferiore ( Piacenziano medio) costituita di marne sabbiose, di sabbia, di arenarie, talora persino di banchi ciottolosi a tinta l’appenxino dell’Emilia. 573 complessivamente grigiastra, ed ima zona superiore ( Piacenziano superiore) essenzialmente sabbioso-arenacea, talora anche ghiaioso- ciottolosa, giallastra, a facies astiana marcatissima. Notiamo però subito il fatto interessante, già osservato altrove più ad ovest, che seguendo i banchi pseudo-astiani dalla parte terminale del loro affioramento, dove essi costituiscono colline molto elevate (per esem- pio M. Arnigo, Gorgognano, M. Mario, M. La Rocca, M. Adone, Livergnano, M. delle Formiche, ecc.) verso la parte centrale della conca, vedesi la loro facies tramutarsi notevolmente poco a poco, per modo da assumere una costituzione meno grossolana ed ima tinta complessiva più grigiastra; tale fatto è d’altronde molto na- turale corrispondendo ad un cangiamento di condizioni di sedimenta- zione, sublittoranea nella parte periferica della conca, di mare basso invece nella sua regione interna. Quindi, fino a gravi prove contrarie credo dover ancora racchiudere nel Piacenziano le formazioni sab- bioso-areuacee pseudo-asticine, quantunque nel dubbio che si trat- tasse di vero Astiano , le avessi dapprima distinte, durante il ri- levamento geologico, dalle zone tipicamente piacenziane, delincando anzi a parte anche la zona intermedia, che credo riferibile al Pia- cenziano medio. Passando a qualche cenno particolare sulla zona del Piacen- ziano medio superiore possiamo dire come essa costituisca una bellissima conca, diretta da ovest-nord-ovest ad est-sud-est, con strati per lo più inclinati di pochi gradi; tale conca verso ovest si collega con quella della sinistra del Reno, mentre che ad est vien quasi a terminare contro i rilievi elveziani di Castelvecchio- Ronco Britti. Quasi ovunque questa zona è ricchissima in fossili, che com- paiono talora in veri nidi ; quivi naturalmente detti fossili raccol- gonsi a centinaia, come per esempio in Val Cavrinzano presso C. Barchetta, in diversi punti dell’alta Val Zena presso Zona, ecc. La parte settentrionale della zona in esame comincia colle colline di C. Rio Conco, C. del Sole, e si sviluppa verso sud-est nelle colline di Pieve del Pino, Riosto, C. Nuova, S. Chierico, Piz- zano, ecc. Nelle colline di Cà di Bazzone il Pliocene, che si di- spone a conca assai regolare e dolcissima, presenta molto spiccata la distinzione fra la facies marnosa grigia inferiore e quella sabbiosa giallastra superiore ; questa termina ad est nei lembi di Pizzano, ecc. 574 F. SACCO La parte meridionale invece costituisce le elevate colline di M. Mario, Battedizzo, Badolo, M. Adone, Livergnano, M. delle Formiche, C. di Lucca, ecc. Un fatto assai interessante, che osservasi nella parte meridio- nale della conca parisiana in esame è lo sviluppo dei banchi ciot- tolosi ; già li indicammo assai sviluppati nelle colline di Medelana; essi compaiono in lenti estese e ripetute verso la base della zona di sabbie e di arenarie che costituiscono la stretta di Sasso (’), sia sulla sinistra della valle, sia specialmente sulla destra (tanto a valle quanto a monte di C. Ziano) dove gli strati presentano uno spiccato quanto graduale rialzamento ondulato. Ma il grande sviluppo della serie ciottolosa incomincia solo a monte di C. Cinque Cerri, e va gra- datamente aumentando nel numero e nella potenza dei banchi con- glomeratici, i quali si estendono anche a sinistra della valle Setta a costituire i rialzi di C. Bianca, mentre che sulla destra essi assumono uno spessore complessivo di oltre 60 e 70 metri, special- mente sopra Lama. Questi banchi ciottolosi, inclinati ad est circa, alternano più volte con zone marnoso-sabbiose, o solo sabbiose, di tinta grigiastra, anzi sovente i ciottoli sono frammisti alla sabbia grigia ; più a monte questa zona ciottolosa diventa assai meno po- tente costituendo solo più la cresta dei Guassinari. Prima di lasciar la Val Setta debbo indicare come sulla sua destra il Capellini nella sua carta geologica segni sotto al Plio- cene una zona di Messi ninno, che io non ebbi a riconoscere. I banchi e le lenti ciottolose appaiono ancora a diversi livelli fra la arenarie giallastre di Predosa, di La Fortuna e di Liver- gnano, nonché più ad est nelle colline di Casola ed al Monte delle Formiche; in queste ultime regioni gli strati ciottolosi appaiono frequentemente alternati con sabbie e con arenarie nel versante set- tentrionale di dette colline, ma nella loro parte meridionale tali strati appaiono sotto forma di grandiosi banchi conglomeratici, com- patti, che costituiscono sovente pareti verticali o strapiombanti. (>) In questa zona esistono numerose abitazioni, direi, trogloditiche, poiché scavate nella sabbia compatta MW Astiano ; ma per i soliti fenomeni di gelo e disgelo, talvolta si verifica che detta sabbia si sfaldi in irregolari grandi lastre verticali che si staccano dalla massa rocciosa e precipitano producendo gravi disgrazie ed intercettando il passaggio, come si è verificato recentissi- mamente. l’appekni>‘o dell’ejiilla 575 Fra le arenarie alternate coi banchi conglomeratici incontransi talora grosse lenti, direi, a Clculocora , come per esempio al M. delle Formiche poco a nord della borgata di S. Maria di Zena. Riassumendo possiamo dire che la vasta formazione piacen- ziana entro-appenninica del Bolognese è nel complesso costituita delle tre seguenti zone, passanti l'una ali’altra per mezzo di for- mazioni intermedie di tipo misto. Sabbie ed arenarie giallastre talora con lenti ciotto- Ilose, con abbondantissimi fossili di abito littoraneo (facies astiano?). Sabbie ed arenarie giallo-grigiastre, o grigiastre, talora (con lenti od interstrati ciottolosi conglomeratici ; con numerosissimi fossili di mare basso. Marne sabbiose e marne grigio-bleuastre con fossili di mare profondo ( facies piace nziana tipica). Astiano. Finora la formazione astiano dell’Emilia venne riunita a quella piacenziana sotto l’appellativo complessivo di Pliocene, e neppure se ne fece una descrizione speciale, il che deriva forse in parte dal poco sviluppo di questa zona, la quale però è assai tipicamente indi- vidualizzata. li Astiano dell’Emilia consta, come di solito, di strati sabbioso- arenacei giallastri, alternati talora con strati marnosi, grigio-gial lognoli, talvolta anche con lenti ghiaioso-ciottolose. I fossili, di tipo schiettamente littoraneo, sono in certi punti molto abbondanti, spesso costituendo quasi impasti calcarei di Mol- luschi, Briozoi, Corallarì, ecc. ; talvolta però i fossili mancano o scarseggiano molto, forse per trovarsi in una regione maremmana. La zona astiano è unicamente limitata alle falde subappen- nine presso la pianura padana ; essa è generalmente assai stretta per essere ricoperta in gran parte dai terreni quaternari ; anzi per tratti 576 F. SACCO lunghissimi essa scompare affatto sotto ai depositi quaternari della pianura. Gli strati astiarli pendono quasi sempre regolarmente Terso nord in generale di pochi gradi, talora però anche di oltre 20°. come presso Quattro Castella. Essi non hanno una grande potenza complessiva, cioè soltanto di 50 a 60 metri, anzi in generale solo di 10 a 20 metri. Tali depositi raggiungono elevazioni poco notevoli, raramente toc- cando i 300 metri. Nella parte inferiore la serie astiana , con gra- duale, ma generalmente rapida alternanza, passa al Piacensiano superiore; superiormente essa invece è quasi sempre libera, direi oppure coperta trasgressivamente dai terreni sahariani. I terreni astiarli costituiscono colline piuttosto aride, alquanto rilevate in rispetto alle circostanti zone piacenziane sulle quali costi- tuiscono quasi un gradino, producendo restringimenti al fondo delle vallate a causa della relativa loro resistenza; ne è assai produt- tiva la viticoltura. Sovente le sabbie e le ghiaie astiane vengono escavate per materiale da costruzione le prime, per pietrisco le se- conde; le sorgenti acquee non sono rare alla loro base, cioè nella zona di passaggio al Piacensiano. Nell' esame dell’ Appennino settentrionale , 1891 , si è visto quanto sia estesa e potente la formazione astiana nel Piacentino ; ma nel Parmense essa si assottiglia alquanto, pur costituendo per tratti estesissimi il substratum degli altipiani, che stanno lungo le falde appenniniche. Non vi sono rari i fossili, specialmente là dove le sabbie gialle racchiudono straterelli ghiaiosi, come per esempio allo sbocco di Val S tifone sulla sua destra presso C. Maestà. Ricordo qui come in questo orizzonte nella collina di M. Bajaffa presso C. Nuova siasi trovato uno scheletro di Rinoceronte ; esso giaceva precisamente in argille sabbiose sovrapposte alle tipiche sabbie ghiaiose gialle dell 'Astiano e sottoposte invece ad argille sabbiose (con Pilliti e resti di Unio. Anodonta , Cyclostoma , ecc.) che sono probabilmente riferibili al Vìllafranchiano. Le lenti ghiaiose sono generalmente poco estese, talora però passano a veri letti arenaceo-ciottolosi specialmente nella parte superiore della serie astiana , come per esempio nelle colline di Costamezzana, dove esse costituiscono quasi un sottorizzonte, che si L’APPENNIKO DELL’EMILIA 577 potrebbe già appellare Villa franchiano o Fossahiano. Invece verso il basso l’ Astiano passa quasi sempre gradualmente al Piace asiano per le solite alternanze di marne e sabbie grigie e giallastre. Ad est del Taro la zona asticina , sempre colla solita facies di sabbie giallastre, si va gradatamente restringendo, per modo da apparire quasi solo pili come una cornice, direi, sotto ai terreni sahariani. I fossili, a tipo littoraneo vi abbondano assai di frequente, come osservasi per esempio presso S. Polo d’Enza e specialmente nelle collinette di Quattro Castella, dove gli strati pendono di oltre 20° verso nord. Dopo una scomparsa per parecchi chilometri vediamo affiorare alla base delle colline di Maranello speciali marne e sabbie giallo- grigiastre, inclinate di circa 8° a nord, le quali forse rappresen- tano V Astiano, probabilmente maremmano, passante al Villafran - chiano ; occorrerebbe rincontro di fossili per decidere la questione. li Astiano tipico, con fossili mariqi, sabbioso, con lenti ghiaiose, a tinta giallastra, compare nelle colline di Castelvetro, fra il Pia- censiano ed il Diluvium sahariano , il quale colla sua degrada- zione, direi, lungo i fianchi collineschi maschera quasi sempre la sottile zona astiana ; questa appare quindi nettamente solo in pochi punti per escavazioni naturali od artificiali. Tra Castelvetro e Yignola Y Astiano appare quasi solo in placche di sabbie gialle, talora ghiaioso-ciottolose, fossilifere, nelle colline di C. Betelli, C. 11 Loghetto, C. Castellina, ecc. Ad est del Panaro la zona astiana scompare quasi compieta- mente, solo mostrandosi in un piccolo affioramento presso Pragatto, dove essa è costituita specialmente di sabbie e di arenarie giallastre, inclinate di una diecina di gradi a nord e racchiudentistrat erelli ciot- tolosi. Ma detta zona ricompare nelle colline bolognesi a cominciare da Meloncello all’ incirca; si tratta sempre delle solite sabbie ed arenarie giallastre inclinate più o meno dolcemente a nord o nord- est, talora con qualche lente ghiaioso-ciottolosa, e con fossili lit- toranei. F. SACCO 57 8 Riguardo al Pliocene superiore dei colli bolognesi sono inte- ressanti tre placche, che stanno nella parte alta delle colline di Ronzano, C. Colonna-Caserma, e Villa Barbiano-C. Lavanda; quivi osservansi sabbie terrose giallastre, talvolta marnose, alternate e commiste con ghiaie e ciottoli, non di rado cementati, inclinanti nel complesso verso nord di pochi gradi; la loro facies è villa- franchiana , anzi talora per alterazione il terreno prende una tinta rossigna che lo avvicina ai lembi del Diluvium. Tali placche sono isolate sul culmine di colline elveziane ; però quella di Villa Bar- biano appoggiasi a sud sopra un lembo inacenzio.no , ciò che ci conferma maggiormente trattarsi di un deposito astiano a facies littoranea o subcontinentale. Sarebbe interessante farvi ricerche pa- leontologiche ed anche esaminare attentamente se non esistono altri consimili lembi nelle vicinanze. Si è già detto nel capitolo del Piacenziano come la vastis- sima zona pliocenica entro-appenninica del Bolognese presenti nella parte superiore una zona sabbioso-arenacea giallastra, a facies prettamente astiano , ma chq credo riferibile al Piacenziano supe- riore. Però le placche plioceniche sovraccennate penso appartengano veramente al piano astiano. Il Capellini nella sua carta geologica segnò come quaternaria la zona di Ronzano e come plioceniche le altre due, forse perchè queste sono meno ghiaioso-ciottolose e meno rossigne della prima. Villa franchiano. La formazione v illa franchi a na secondo il mio modo di vedere ò solo una facies continentale, fluvio-lacustre, del periodo astiano. Questo terreno è scarsamente rappresentato nell’ Emilia, invece è relativamente esteso sul versante tirreno e venne già esaminato e descritto da Capellini, Issel, Forsyth Major, Cocchi, e specialmente, per la Garfagnana, dal De Stefani, che ne pubblicò un accurato rilevamento geologico per la zona compresa nella tavoletta di Castelnuovo. Generalmente il Villafranchiano è costituito di marne gri- giastre, specialmente verso la base, e di banchi sabbiosi, ghiaiosi e conglomeratici alternati e commisti con marne argillose di tinta grigio-verdognola o giallastra ; non sono rare le lenti lignitiche. I l'appenniso dell'Emilia 579 fossili villa f raschiarli sono, o Molluschi terresti e d’acqua dolce, specialmente Eijalinia olivetorum firn., fi. cfr. isseliana Pant., Hdix italica De St., H. Brocchii May., Grlandina limensis D’Anc., Carychium rufolabiaturn De St., Cyclostorna , Vivipara , Planorbis , Neritina Bromi D’Anc., Bythinia , Nernciturella ovata Bronn., Melania etnisca De St., Melanopsis, Vaio cfr. Pillae De St., ecc.; nonché Vertebrati, come Emys , Canis etruscus , Hyaena robusta , Machairodus cultridens, Felis arvernensis , F. cfr. issiodorensis, Ursus etruscus , Cervus dicranius , Antilope , Leptobos elatus , Sirozsii , SAs arvernensis , Equus Stenonis , Mastodon arvernensis , ■Rhinoceros etruscus , Tcipyrus , Inuus. ecc. Sonvi pure talora resti di Cyprinus ; non rari neppure i residui di Cypris. Tra le talliti predominano i resti di Taxodiurn dubium Stbg., Glyptostrobus europaeus Brongn., Pf/ms oceanides Ung., Liqui- darnbcir europaeum Brongn., Platanus aceroides Gòpp., Acer joora- zianum Gaud., Cinammomum Scheuchzeri H., Fagus sylvatica L., Pianera Ungevi Ett., Sapindus falcifolia Brongn., Cassia li- gnitum Ung., Quercus sp., ecc. Nell’Emilia i pochi accenni di Villa franchiano trovansi lungo le falde appenniniche; invece sul versante tirreno questo terreno si inoltra notevolissimamente entro l’Appennino, così in Val Magra, nella Garfagnana ecc., indicandoci locali depositi fluvio-lacustri ori- ginati dalle deiezioni delle correnti acquee. Queste non trovavano talora una libera discesa, a poco a poco se la formarono colla lenta erosione delle dighe naturali, che ne impedivano localmente il ra- pido deflusso verso valle. Ad ogni modo tali depositi sono molto interessanti, sia per racchiudere la fauna terrestre del periodo plio- cenico, sia perchè ci delineano gli antichi corsi d’acqua, sia infine perchè colla loro potenza e natura litologica ci indicano l’importanza delle precipitazioni acquee già durante il periodo astiano , quale preludio già ben accentuato dei susseguenti fenomeni diluvio-glaciali. La tettonica dei depositi villafr anelli ani è assai irregolare, in rapporto col loro modo irregolare di formazione; ma in ogni ma- niera le inclinazioni sono generalmente poco accentuate. La loro potenza è pure naturalmente variabilissima ; raramente raggiunge i 200 metri, come in alcuni punti della conca di Castelnuovo Gar- fagnana, ma per lo più invece è solo di 20 a 40 metri. L’altimetria del Villafr anchiano è anch'essa sommamente va- 580 F. SACCO riabile, e d'altronde non ha grande importanza trattandosi di de- positi continentali; è nella Garfagnana che questo terreno trovasi pin elevato, raggiungendo quivi i (100 m.. e talora spingendosi persino oltre i 700 m. verso Corfino. Anche a Montepiano troviamo una piccola zona villaf ranchiana, che tocca i 700 m. di ele- vazione. Sono generalmente poco ben visibili i rapporti del Villa- f ranchimo coi terreni che lo racchiudono; si osserva qua e là nell’Emilia un terreno sabbioso-marnoso o ghiaioso, che sembra far passaggio da \X Astiano marino alla facies villa franchiana; nè ra- ramente si vedono formazioni sabbioso-ciottolose giallo-rossiccie che lasciano incerti sulla loro attribuzione al Villaf 'ranchiano o al Sahariano ; devesi però notare come ben sovente il primo per al- terazione superficiale assuma la facies del secondo, per modo che talora sono necessarie sezioni un po' profonde per decidere la que- stione, quando pure non si tratti di veri passaggi di un terreno all’altro; tali fatti osservansi specialmente in alcuni punti del sub- appennino emiliano e nelle valli della Magra e del Serchio. Le marne argillose del Villaf ranchiano costituiscono sovente utili veli acquiferi; in molti punti esse vengono escavate come eccel- lente materiale da laterizi ; invece i banchi ciottolosi sono utilizzati qua e là, specialmente in Garfagnana, per estrarne materiale da pie- trisco ; le lenti lignitiche vengono pure talvolta utilizzate, ma non credo abbiano una grande importanza. Nelle colline parmensi a sud di Borgo S. Donnino sembra che la formazione astiana passi talora in alto a depositi fluvio- lacustri, essendosi incontrati nella parte superiore della collina di Bajaffa strati marnoso-argillosi e sabbioso-ghiaiosi i quali, oltre a resti di Rhiaoceros , racchiudono Filliti, Anodonta , Unio , Cyclo- stoma , ecc. ; ad ogni modo si tratta di depositi dello spessore di pochi metri soltanto. Così pure nelle colline di Costamezzana l’ Astiano marino passa superiormente a depositi ciottolosi, che sembrano co- stituire una transizione al Villaf ranchiano. Nella bassa Val Crostolo, sotto ai depositi sabbioso-ghiaiosi e ciottolosi del Diluvium veggonsi apparire qua e là speciali marne grigio-verdiccie e giallognole, le quali sovente racchiudono una gran l’aPPENNIXO DELL'EMILIA 5S1 quantità di Molluschi terrestri e d'acqua dolce, specialmente Gy- clostoma , Hyalinia , Planorbis , ecc. : forse si tratta di 17 Uaf ran- chiamo superiore, ma potrebbe anche trattarsi già di Sahariano infe- riore; sarebbero quindi necessari speciali studi a tale proposito e riuscirebbe certamente interessantissimo un esame di detta fauna la quale sembrami esser più prossima a quella quaternaria che non a quella pliocenica. Uno dei migliori punti per l’esame del terreno in questione e per la raccolta dei relativi fossili, trovasi sulla destra del T. Modolena allo sbocco del rio discendente da Mucciatella. Ad est di Sassuolo si osserva che il rilievo su cui sta la chiesa di Fiorano è costituito di conglomerato cementatissimo che potrebbe forse essere Villa franchiamo , se pure non è già una facies locale di Diluvium. Poco lungi, cioè nelle colline di Maranello, vediamo pure spe- ciali marne e sabbie grigio-giallastre le quali potrebbero forse at- tribuirsi al Villa franchiamo, eccetto che rappresentino una facies salmastra d qN Astiano . Nelle colline bolognesi abbiamo le placche sabbioso-ciottolose di Ronzano, C. Colonna, ecc. le quali, la prima specialmente, hanno in parte una facies villafranchiana. Nell’alto Appennino bolognese troviamo a Montepiano una zona di marne ora sabbiose ora argillose, grigio-giallastre, in strati quasi orizzontali, che io credo attribuibili al Villa f ranchiamo ; sarebbe un deposito locale sublacustre formatosi per un ristagno d’acqua pro- dotto dallo sbarramento dei compatti banchi di Macigno parisiano che in seguito vennero incisi dalle correnti acquee. Nella parte supe- riore di questo deposito compaiono interstrati ciottoloso-brecciosi ed infine in alto si osserva una specie di velo terroso-ciottoloso, giallo- rossiccio che potrebbe forse già attribuirsi al Sahariano , se pure non è ancora Villa franchiamo alquanto alterato dagli agenti esterni. Sul versante tirreno dell’Appennino in esame troviamo un’ampia, potente ed interessantissima formazione villafranchiana nella grande conca di Scarperia-Borgo S. Lorenzo, cioè del Mugello, in Val Sieve. Tale formazione è costituita da una serie di sabbie grigio-giallastre, più o meno cementate, alternate talvolta con banchi marnoso-sabbiosi, e più sovente con banchi ghiaiosi, ciottoloso-brecciosi o conglomera- tici, che spesso (quelli superiori specialmente) assumono l'aspetto del ceppo lombardo, come osservasi, per esempio, nelle colline di Pu- 38 582 F. SACCO licciano. Questo terreno presenta inclinazioni dolcissime, per lo più verso sud. od anche mostrasi affatto orizzontale ; però presso il suo margine settentrionale vediamo sovente che i banchi arenacei con- glomeratici sono sollevati persino di 30° con pendenza a sud nel complesso, forse in parte per originaria deposizione deltoide. Negli strati marnoso-sabbiosi non sono rari i fossili ( Urlio , Pisidiim , Helix, Hyalinia, Lyrnnea, ecc.) sovente di diffìcile estrazione ma che certamente meriterebbero uno studio speciale; assai fossiliferi sono per esempio alcuni banchi in Valle Le Cale ad ovest di Pu- licciano. Nella parte superiore la formazione villafranchiana viene co- perta da depositi quaternari, ghiaioso-brecciosi, col solito ammanto di loess : ma non è sempre facile delimitare nettamente questi oriz- zonti geologici, a causa specialmente dei pochi tagli profondi, della estesa coltivazione e del fatto che per lo più il Villafranchiano stesso nella parte superiore assume una tinta giallastra di facies quaternaria. La sopraccennata formazione villafranchiana racchiude inte- ressanti resti di piante (Acer, Corilus, Aldus, Pianera, Betula , luglans, Quercus , Fagus , Pinus, G-lyptostrobus, Cyperites , ecc.), di Molluschi ( Hyalinia , Helix , Planorbis, Nematurella , Bythinia, Lymnaea , Valvata, Pisidiurri, Unio, Dreissena) e di Vertebrati ( Rhinoceros etruscus , Elephas meridionalis , Cervus , Inuus, ecc.) come risulta dallo speciale lavoro del Ristori sul Bacino plioce- nico di Mugello, 1890. Assai sviluppata è la formazione villafranchiana nella Gar- fagnana, ma riguardo a tale terreno invio allo speciale lavoro del De Stefani Sulle Ugniti della Valle del Secchio, 1887; mi li- mito qui ad accennare come la potentissima formazione villafran- chiana della Garfagnana sia costituita essenzialmente, nella parte inferiore di marne più o meno sabbiose od argillose, di tinta grigio- bleustra, spesso lignitifere, con resti di Molluschi terrestri ( Hya- linia,, ecc.), di Tapirus, Sus , ecc., e nella parte media e superiore di una alternanza di marne, sabbie e ciottoli, non di rado irrego- larmente commisti. La natura dei ciottoli varia alquanto da luogo l’aPPENNINO DELL’EMILIA 583 a luogo ; lo stesso dicasi della loro mole e della loro maggiore o minore cementazione. Talora la formazione villa franchiana nella sua parte supe- riore per alterazione superficiale assume l'aspetto del Diluviano , come vediamo per esempio sull'alto delle colline di Campo, Pic- chiarmi. ecc., dove le marne sabbiose grigie, inglobanti ciottoli e ciottoloni arenacei, per decomposizione superficiale presentano quasi una facies diluvio-morenica. Il trovarsi qua e là sparsi i lembi villafranchìani anche a 100, 200 metri sull'attuale fondo delle vallate ci indica con sicu- rezza il quantitativo di erosione eseguito dalle correnti acquee du- rante il periodo quaternario. Le lenti lignitiche sono talora ab- bastanza estese e potenti da venire utilmente scavate; non credo però che possano avere in futuro una grande importanza industriale. Molto notevole è l'importanza scientifica di questo grande bacino villa franchiano, a causa del racchiudere interessanti resti di Piante, di Molluschi e di Vertebrati; esso è dovuto certamente, come molti altri simili, ad un ristagno delle acque discendenti dall’ Appennino e dalle Alpi Apuane, non trovando tali acque un libero deflusso verso mare in causa degli sbarramenti rocciosi, spe- cialmente del Macigno parmano , e dovendo così costituire un ampio ed anche profondo lago irregolare, o forse meglio, diverse regioni lacustri più o meno ampiamente allacciate fra di loro. Riguardo all’età della formazione accennata è certo che essa è riferibile in maggior parte dlY Astiano a facies villa franchiana, ma non sarebbe impossibile che alcune zone marnose basali fossero già attribuibili al Pioxenzia,no . Nella Garfagnana orientale troviamo un altro grande bacino villafranchiano , Barga-Ghivizzano, causato dalla forra che il Ma- cigno costituisce al Ponte Calavorno. Questo bacino è di natura assai simile a quelle di Castelnuovo, ma si presenta più regolare nel suo assieme, meglio conservato e, in complesso, ad elementi un po’ meno grossolani ; vi predominano le sabbie marnose grigiastre, o leggermente verdicce e spesso inglobanti strati ghiaiosi o ciot- tolosi ed anche ciottoloso-brecciosi. Frequenti sono i banchi ciotto- losi e conglomeratici specialmente sui margini della conca; così da 584 F. SACCO Barga (la parte elevata del paese essendo appunto fondata sopra i conglomerati villa f ranchiani) alla Cresta Carnesciale, con pendenza più o meno dolce a sud o sud-ovest, nelle colline sopra Gliiviz- zano, nel promontorio di C. Colombaia (dove i banchi conglomeratici presentano una stratificazione deltoide, con forte inclinazione a nord- ovest), ecc. Le zone, assai frequenti, costituite di marne sabbiose inglo- banti alquanto caoticamente ciottoli e ciottoloni, ben spesso si alte- rano profondamente in modo da assumere una tinta giallo-rossiccia e quindi una facies quaternaria, mentre in realtà trattasi di de- positi di tinta grigiastra. Sonvi eziandio strati maruoso-sabbiosi gial- lastri che ricordano alquanto X Astiano marino. I banchi marnoso- argillosi originano qua e là sorgenti perenni. Talora per esportazione dei materali più tini alcune colline villafranchiane rimasero am- mantate di ciottoloni sparsi irregolarmente alla superficie del ter- reno, originando una facies morenica, ciò che verificasi pure tal- volta nel Villafr ambiano della conca di Castelnuovo. Un’altro grandioso sviluppo delle formazioni villafranchiane osservasi nel bacino idrografico della Magra, dove esse si esten- dono pure notevolissimamente nelle vallate confluenti del Teverone. dell’Aulella e del Bardine. Riguardo ai numerosi lembi villa franchi ani della Val Magra li ebbi già ad accennare nel lavoro sull' « Appennino settentrionale » . Tra il Bagnone e l’Aulella esiste un’ampia zona villa franchiana, irregolarissima di forma, natura e potenza, costituita essenzial- mente in basso di marne grigiastre e nella parte superiore (assai più potente) di sabbie, ghiaie e ciottoli di tinta complessivamente giallastra. È poi notevole come per estensioni assai grandi il Vil- lafranchiano superiore sia costituito di un curioso ammasso di fram- menti di Calcare parisiano , rotolati, di aspetto franoso, indicandoci di aver subito un trasporto brevissimo ; siccome tale fatto si osserva specialmente nella parte nord-est della zona villa franchiana, così se ne può dedurre che il predetto terreno pseudo-franoso rappre- senti il deposito littoraneo della regione sublacustre, deposito quivi formatosi sulla fine del Pliocene. l’aPPBNMNO DELL’EMILIA 585 Nella parte sud-ovest di questa, come delle altre zone villa- franehiane di queste regioni, riesce talora incerta la distinzione del Villa franchiamo dal Diluvium sahariano , tanto più che il primo alterandosi nella sua parte superficiale assume quasi completamente la facies del secondo. Molto importante è l’estesissima zona villa franchiana esistente tra il Taverone e l'Aulella; essa ha una costituzione complessivamente simile alla suaccennata, ma vi è meno estesa la formazione pseudo- franosa. ed invece molto più sviluppata la serie arenaceo-conglo- meratica talora potentissima , con pendenze dolcissime , anzi con fianchi talora quasi orizzontali ; come di solito nella parte inferiore della serie predominano le marne sabbiose grigiastre, che alternansi con strati sabbiosi e costituiscono locali veli acquei ; i materiali de- gli elementi ciottolosi e brecciosi sono prevalentemente calcarei. L'importanza di questa zona sta nel racchiudere essa numerosis- simi resti di Vertebrati, specialmente nella sua parte superiore, come risulta dalle ricerche del Cocchi, del Capellini e particolarmente del Forsyth Major nei dintorni di Olivola, dove nel complesso si può osservare d’alto in basso la seguente serie stratigrafica: Conglomerati più o meno cementati, talora brecciosi, giallastri. Sabbie, arenarie e marne giallastre, inglobanti numerosissimi resti di Cervidi, Bovidi, Rinoceronti, Mastodonti, Felini, Suini, Equidi, ecc. Banchi conglomeratico-brecciosi, sovente alternati con strati marnoso-sabbiosi giallastri. Marne e sabbie grigio-giallastre. Marne grigiastre o bluastre, talvolta con interstraterelli o lenti breccioso-ciottolose. Belle sezioni si possono anche osservare nelle colline della Madonna di Soliera, in quelle di Collecchia - Montevalesi, ecc. A sud dell'Aulella trovansi ancora lembi villa franchi ani rela- tivamente poco estesi e poco potenti, i quali nella parte loro su- periore assumono quasi completamente la facies quaternaria; il lembo più grande sviluppasi sull'alto delle colline di Caneva - Ce- serano, esso è costituito in gran parte di ciottoloni di Macigno , quantunque nella sua parte inferiore compaiano pure arenarie e marne sabbiose grigio-giallastre. Nella placche villafranchiane di Gorasco e S. Terenzo, che 586 F. SACCO sollevatisi sin oltre i 300 m., i ciottoli sono pure in gran parte di Macigno , commisti però anche a ciottoli di calcare eocenico. In complesso le formazioni villa franchia ne del bacino della Magra possono quindi presentarsi colle tre principali facies seguenti: Marne argillose o sabbiose grigio-giallastre con lenti ligniti- che (specialmente nella parte inferiore della serie villa franchiana). Arenarie e conglomerati iu banchi od in lenti, che passano poi per alternanze nella parte inferiore alla formazione sabbioso-marnosa. Depositi brecciosi ad elementi specialmente calcarei che verso il basso si alternano più volte con zone o lenti marnoso-sabbiose giallastre. Quaternario Le formazioni quaternarie nell'Emilia sono estesissime, costi- tuendone la vasta zona di pianura, una notevole porzione della zona subappennina, ed incontrandosi anche assai sviluppate nella regione appennina. Ma siccome trattasi di terreni abbastanza cono- sciuti mi limiterò a pochi cenni riguardo ad essi. Sahariano Come di solito credo opportuno di distinguere le formazioni sahariane a seconda della loro origine, fluviale o glaciale. Diluvium. — Finora venne fatta solo in parte dell'Emilia una distinzione fra i terreni diluviali propriamente detti e quelli alluviali più recenti. Il Doderlein divise però assai bene in complesso, nella sua carta geologica di Modena e Reggio, l’Alluviale antico dal moderno, e nel Bolognese pure il Capellini distinse il Postinocene (che ta- lora si accorda col Diluvium ) dal Recente. Il Diluvium consta di un accumulo, talora un po’ caotico, ma nel complesso abbastanza stratificato, di sabbia terrosa, ghiaia e ciottoli, con una tinta generale giallo-rossiccia; i materiali roc- ciosi sono talvolta ancora a spigoli poco arrotondati a causa del tra- sporto non molto lungo da essi subito ; talvolta si presentano for- temente alterati e decomposti. Nella parte superiore del Diluvium l’aPPENNINO DELL'EMILIA 587 esiste quasi sempre un velo più o meno potente di terriccio giallo- rossastro, cioè il così detto loess. I caratteri paleontologici sono tuttora poco conosciuti; trat- tasi essenzialmente di resti di Vertebrati e di Molluschi ; ma tal- volta evvi incertezza riguardo a certi depositi fluviali fossiliferi, se cioè trattisi di Villafranchiano o di Sahariano, tanto più che i fossili di questi due orizzonti geologici immediatamente sovrap- posti e d’origine simile hanno stretti rapporti fra di loro. Le formazioni diluviali sono specialmente sviluppate alle falde appenniniche dal lato padano, addentrandosi talora anche notevol- mente nelle più ampie vallate dell’ Appennino ; dal lato tirreno esse trovansi specialmente nell’interno delle valli, talora anche molto in alto verso monte. I depositi diluviali sono quasi orizzontali o appena inclinati da monte a valle. La loro potenza, variabilissima, non è mai molto grande, raramente di oltre 20 o 30 metri, almeno per quanto si può direttamente osservare, giacché sotto la pianura padana il loro spessore potrebbe essere assai più notevole. L’altimetria del Dilu- vium ha poca importanza, generalmente essa non è molto grande ; raramente questo terreno oltrepassa i 300 m. di elevazione sul versante padano ; invece su quello tirreno spingesi talora oltre i 500 o 600 metri, come in Val Lima, in alcuni punti della Gar- fagnana, ecc. È importante l’osservare il dislivello, talora assai notevole, che esiste tra il Diluvium e l’attuale fondo delle vallate, poiché ciò serve ad indicarci il quantitativo di erosione fatta dalle cor- renti acquee durante il periodo terrazzano ; per esempio in alcune regioni della Garfagnana, del Parmense, ecc., tale dislivello è di oltre 100, 150 e persino 200 metri, in generale però di solo 20 a 50 metri. Trattando del Villafranchiano si è notato come in alcuni punti esistano incertezze nella delimitazione fra detto terreno ed il Di- luvium, per modo che si può dubitare che quivi esista un pas- saggio fra i due depositi ; ma in generale la formazione diluviale appoggiasi direttamente su terreni di varia età con evidentissima discordanza stratigrafica. II Diluvium costituisce generalmente regioni piane più o meno vaste, sovente anzi veri altipiani, che sono quasi sempre sede di 588 F. SACCO centri di abitazione. Per lo più tali pianure sono alquanto aride alla superficie, ma alla loro base scorre sovente una falda acquea, natural- mente là, dove ai terreni diluviali soggiacciono terreni poco permea- bili. Industrialmente notiamo come il loess, che quasi sempre ricopre il Diluvium , venga frequentemente utilizzato come materiale per laterizi. Riguardo alla descrizione geologica regionale mi limiterò a pochissimi cenni sintetici. Nella collina a sud di Borgo S. Donnino il Diluvium posa o saVÌ Astiano o sul Villafranchia.no ; talora notansi terrazze che rendono incerta la delimitazione del Sahariano dal Terrazziamo ; in alcuni punti la formazione diluviale trovasi ad un livello di oltre 100, 150 metri sopra a quello dell'attuale fondo delle vicine vallate, come osserviamo per gli altipiani di Costa Marenga, C. For- tunini. C. Sanetta, Monterlinzana, C. Montemiarino, C. Biasetti, ecc. Ad est del Taro il Diluvium sviluppasi con egual facies e distribuzione. Un po’ entrovalle veggonsi gli altipiani diluviali dei Folli sopra Fornovo elevati anche di oltre 150 m. sul bassopiano del Taro. È notevole osservare come i lembi più meridionali delle zone diluviali di Macchia di M. Bastione trovinsi elevati di circa 200 sull’alveo del Taro, il che ci indica una erosione postsahariana potentissima, spiegabile considerando la natura poco resistente dei terreni incisi e la grandiosità della corrente acquea (il Taro) spe- cialmente nei periodi torrenziali ; infatti nelle regioni parmensi e reggiane non troviamo più dislivelli così importanti, quantunque sovente il Diluvium trovisi a 100 metri di elevazione sui vicini bassipiani alluvionali, come per esempio a Majatico, a Siviz- zano, ecc. L'altipiano allungato ed isolato di Montechiarugolo, è proba- bilmente un residuo dell'antico piano diluviale che venne inciso dall’ Enza da un lato e dal Masdone dall’altro, prima che le acque di questi due torrenti si riunissero a sud del suddetto altipiano. Nel subappenino reggiano sovente il Diluvium è poco indivi- dualizzato od anche manca affatto non essendovi grandi correnti acquee. Già trattando del Villafranchiano si è detto esistere sotto l’APPENMNO DELL’EMILIA 589 la zona diluviale tipica di Pujanello un orizzonte marnoso grigio- giallastro con Molluschi terrestri ed acquatici, orizzonte che presenta caratteri incertae sedis, quantunque i suddetti Molluschi abbiano una facies essenzialmente quaternaria, ciò che tuttavia non panni carattere decisivo. Allo sbocco della Valle della Secchia nuovamente troviamo i lembi diluviali ad oltre 100, 150 m. di elevazione sull’alveo del fiume, come vedesi negli altipiani di Casale, di C. dei Paderni, C. dei Ravazzini, Cadiroggio, ecc. Si è già ricordato altrove il lembo conglomeratico di Fiorano, che potrebbe essere una placca quaternaria cementata oppure un residuo di Villa franchi ano. Debbo poi accennare come i limiti del Diluvium verso valle siano generalmente alquanto incerti, sovente verificandosi diversi terrazzamenti o dolci pendìi che rendono alquanto arbitraria la distin- zione del Sahariano dal Terrazzano ; così per esempio la zona dilu- viale a nord-ovest di Vignola non è razionalmente ben divisibile, per un lungo tratto, da quella alluviale per non esservisi verifi- cate vere incisioni di correnti acquee, ma soltanto lavacri ed ero- sioni generali, allargate, non ben limitate. Al termine della Valle del Panaro troviamo, come di solito per le grandi vallate, i lembi più meridionali del Diluvium ad oltre 100. 150 m. di elevazione sul fondo alluvionale del Panaro. Anche i depositi diluviali delle colline di Oliveto, Pradalbino, Monteveccbio, ecc., elevasi in molti punti di oltre 100 metri sul fondo delle vallate di Samoggia e Lavino. Nella vallata secondaria, ma assai ampia, di Ghiaia di Ser- ra vali e esiste ancora una vasta zona di alluvione quaternaria, che ho riferito in parte al Diluvium , ma che forse potrebbe anche at- tribuirsi al Terrazziano antico. Nella Valle del Reno sonvi antichi lembi diluviali, per es. quelli di Tizzano, spinti a circa 200 m. sul livello dell’alveo at- tuale del fiume ; in questa vallata è interessante osservare come le placche di Diluvium esistano anche molto a monte, così sino a Sasso, talora passando gradualmente a quelle terrazziane. Notiamo infine come anche in Val Savena si osservi, tra Mu- siano e S. Ansano all’incirca, una serie di altipiani staccati, che accompagnano su ambi i lati il corso del torrente e sembrano ri- 590 F. SACCO feribili in parte ancora al Diluvium , ma in parte già al Ter- razziano. Trattando del Villafranchiano dell'alto Appennino bolognese si è detto come sopra la zona villafranchiana di Montepiano esista un deposito terroso-ciottoloso, che potrebbe forse riferirsi già al Diluvium. Lo stesso deve ripetersi per quel velo terroso-ghiaioso giallo- rossiccio, passante superiormente a loess, che nella conca di Scar- peria-Borgo S. Lorenzo ricopre la formazione villafranchiana. Tra Val Tavajano e Val Sorcella (nord-est di Barberino! trovansi lembi ciottolosi, probabilmente di Diluvium , elevati anche di 100 metri sul fondo degli attuali alvei, così per esempio presso Cascina Tozze. In diversi punti dell'alta Valle del Reno, di Val Lima e di altre vallate appenniniche esistono depositi quaternari abbastanza elevati sugli attuali corsi d’acqua e che sono probabilmente attri- buibili al Diluvium meno antico. Nella Garfagnana esistono diverse tipiche ed estese zone di Diluvium ; per esempio il bellissimo cono di deiezione di Barga. di Seggio-Pedona, del Piano di Coreglia, ecc., le grandi placche diluviali di Pieve Fosciana, Pian di Cerreto, Collemandina, ecc., altissimi isolati residui di un antico piano unico inciso ed eroso in gran parte durante il Terrazziano. Anche qui troviamo lungo il Serchio, a valle di Castelnuovo, diversi lembi quaternari assai elevati, che sono riferibili al Diluvium od al Terrazziano antico. Lo stesso dicasi per alcune sottili placche consimili che osservansi ai lati di Val Carrione (Carrara) a Bedizzano, ecc. Nelle più importanti zone di Diluvium si vede che esso sa- rebbe divisibile in diversi sottorizzonti in rapporto coi suoi terraz- zamenti; così per esempio nel cono di deiezione di Barga si può nettamente distinguere l'altipiano di Barga-Giardino-C. Nebbiana dalla zona più bassa Diversi - S. Pietro, che forma bellissima tran- sizione al vero Terrazziano , se pure non è già ad esso attribuibile. L 'APPENNINO DELL’EMILIA 591 Tipiche zone di Diluvium , talora decomposto, cioè allo stato di Ferretto , osservansi in Yal Magra dove esse ricoprono le formazioni villafr conciliane, come a Terrarossa, o appoggiansi al Messiniano , come a Sarzanello, oppure stanno direttamente sopra terreni antichi. Nel capitolo riguardante il Villa franchiano si è già parlato della incertezza che talora si riscontra nel delimitare il Diluvium dal Vili afranchi ano alterato, come osservasi per esempio in di- versi punti di Valle Aulella, così a Montevalesi, nelle colline di Valenza, di Terrarossa, ecc. Stupendo, tipico è il Diluvium {Ferretto) dell’altipiano di Quer- cia, a circa 100 m. sul piano Taverone. Anche presso Fivizzano osservansi depositi a facies diluviale, ma di incerta delimitazione. Interessanti sono i lembi diluviali di Tavernelle (Val Tave- rone) per essere tipici, assai elevati e molto addentro nella regione appenninica; lo stesso dicasi del Diluvium di Jera in Val Bagnone. Terreno morenico. — - Già da alcuni anni diversi geologi si occuparono della possibilità, che siano esistiti ghiacciai nell’ Ap- pennino settentrionale e sulle Alpi Apuane durante l'epoca dilu- vio-glaciale, e in massima parte conclusero affermativamente. Tocca allo Stoppani ed al Cocchi il merito di aver iniziato questi studi, al De Stefani di averli continuati ed ampiamente sviluppati. Il Pantanelli credette invece poter sostenere nel suo studio sui « così eletti ghiacciai appenninici « , che le credute morene non sono ge- neralmente altro che frane. Quantunque siami occupato appena incidentalmente di terreni quaternari nelle mie rapide escursioni nell’ Appennino, tuttavia do- vetti venire alla conclusione che non solo vi esistono tracce certe di antichi ghiacciai, ma che in alcune regioni tali ghiacciai dovettero costituirsi molto ampi ed allungati per modo da depositare un vero e tipico terreno morenico potente ed esteso talora per diversi chi- lometri; ciò ebbi a verificare in diversi punti dove finora la for- mazione glaciale non era ancora stata peranco riconosciuta. In generale il terreno morenico presentasi colla solita facies tipica, caotica; ma, a differenza di quanto osservasi nelle gran- diose morene delle Alpi, neU’Apennino questa formazione è quasi sempre sottile, talora assai sparsa, ad elementi rocciosi meno volu- 592 F. SACCO minosi e soventissimo con una facies franosa a causa del non lungo trasporto subito dai frammenti rocciosi; anzi in verità sovente il terreno morenico si confonde colle vere frane, tanto più quando trattasi di un terreno deposto da semplici vedrette glaciali. In molti casi le suddette difficoltà di delimitazione sono aumentate dal fatto che le morene, già di per sè non molto caratteristiche, sono mascherate in parte da vere frane più o meno antiche, o da al- luvioni di origine poco lontana e quindi ad elementi a spigoli non arrotondati. Talora osservansi sulle rocce più resistenti, special- mente arenacee ( Macigno ) dell’alto Appennino vere lisciature e sol- cature di origine glaciale, come per esempio al Lago Santo par- mense. Quanto alle strie sui ciottoli erratici, esse non sono molto frequenti, almeno con forma tipica, ciò che è in rapporto colla natura della roccia costituente i ciottoli e col non luogo trasporto da essi sopportato. Per i fatti sovraccennati lo studio delle formazioni moreniche dell’ Appennino settentrionale presenta talora molte incertezze; taluni depositi si prestano a varie interpretazioni, la loro delimitazione è spesso arbitraria ed il loro riconoscimento devesi talora far dipen- dere anche dall'esame delle circostanze oroidrogralìche della regione che si esamina. Ciò premetto perchè, mentre tralasciai di indicare alcune zone pseudo-franose o pseudo-alluviali che forse hanno un’origine gla- ciale, almeno in parte, debbo pur riconoscere che alcune zone da me indicate come moreniche potrebbero essere altrimenti interpre- tate, certamente con speciali studi diversamente delimitate. Ma contuttociò credo che nel complesso si approssimi molto al vero lo sviluppo delle formazioni glaciali come l’ho schematicamente segnato sulla Carta geologica. I depositi morenici trovansi essenzialmente nelle parti elevate del versante settentrionale dell’ Appennino e delle Alpi Apuane, per cause climatologiche facili a comprendersi ; per lo più essi giac- ciono nella parte inferiore delle alte vallate alpine, oppure alle falde dei rilievi montuosi più importanti, sotto forma o di veri depositi potenti, o di semplici accumuli irregolari oppure allo stato disperso. II terreno morenico non presenta quasi mai tracce di strati- ficazione ; ha potenza poco notevole, ma osservansi anche depositi L 'APPENNINO DELL’EMILIA 593 morenici che paiono avere oltre 100 ni. di spessore. Questo ter- reno trovasi già sulle terrazze a poca distanza (in basso) dalle alte cime apenniniche, così sin oltre i 1500 m. ; verso il basso lo si vede giungere sino ai 900, 800 m. s. 1. ni. ; raramente si abbassa sotto i 600 m., come sembra verificarsi in alcuni punti attorno alle Alpi Apuane. Orograficamente le formazioni glaciali sono spesso riconosci- bili per costituire regioni piano-ondulate verso il fondo delle valli, oppure terrazze sui fianchi montuosi, o cordoni irregolari allo sbocco di vailette secondarie ; in molti casi quindi esse favoriscono l’agri- coltura anche in alta montagna. Quanto all’idrografia devesi qui accennare che numerosi laghi dell'alto Appennino sono indicati da alcuni geologi, specialmente dal De Stefani, come laghi di origine morenica, mentre altri geo- logi, come il Pantanelli, li credono piuttosto causati da frane, da fenomeni di geotettonica, ecc. Dall’esame di numerosi laghi appen- ninici acquistai la convinzione che ben pochi, e non certamente i più importanti, sono di origine morenica, ma che invece in mas- sima parte essi derivano dallo sbarramento causato da strati in- clinati, resistenti, per lo più di Macigno ; sovente però devesi am- mettere l’intervento dell’azione glaciale, sia come protettrice per lungo tempo contro il riempimento della conca stratigrafica per opera dei fenomeni alluvio-franosi, sia come conservatrice ed anche ta- lora come elevatrice (con depositi morenici) dello sbarramento del lago. Questo sembrami precisamente il caso per un gran numero di laghi appenninici, per esempio per il famoso Lago Santo mo- denese, su cui si è già discusso assai a riguardo alla sua origine, glaciale o no. È certo che in quasi tutti questi laghi appenninici, in causa del graduale abbassamento deH’emissario per erosione, le acque sono ora racchiuse specialmente in una conca rocciosa in posto, conca di cui la zona di sbarramento corrisponde ad una zona di strati molto resistenti; ma in origine, cioè alla fine dell'epoca glaciale, è proba- bile che molti di questi laghi avessero anche un parziale (per quanto sottile) sbarramento morenico, ora in gran parte abraso, scomparso. E curioso notare come il modo di costituzione di questi pic- coli laghi appenninici abbia molti punti di contatto con quello dei grandi laghi subalpini. 594 F. SACCO Concludendo, secondo il mio modo di vedere i laghetti del- l' Appennino settentrionale sono quasi tutti di origine essenzialmente tettonica, per sbarramento prodotto da strati relativamente resi- stenti, ma essi souo per lo più anche in rapporto, più o meno im- portante secondo i casi, coi fenomeni glaciali. L'alto Appennino parmense è, a mio credere, la regione più classica per lo sviluppo glaciale nell’Appennino settentrionale. Già nell’alta valle della Magra, e più precisamente sulla sinistra del Vallone d’Ospitaletto, verso i 1200-1500 m. di elevazione, troviamo un bel lembo morenico costituente un irregolarissimo altipiano alle falde del gran rilievo del M. Orsaro, da cui discese il ghiacciaio che originò la formazione in esame. Risalendo la Val Parma troviamo che tra la borgata Bosco e le ripide falde del M. Orsaro si sviluppa una potente e tipica for- mazione morenica, a ciottoloni di Macigno caoticamente sparsi e frammisti a sabbia e terra grigio-giallastra. Tale formazione si estende per oltre 4 chilometri con un'ampiezza talora di un chilo- metro circa ed uno spessore in certi punti di quasi 100 metri. Al Lago Santo parmense vediamo come esso risulti da uno sbarramento fatto da banchi arenacei; ma nella sua parte esterna settentrionale, specialmente a nord-ovest, sonvi numerosi resti mo- renici sparsi e spesso ridotti a veri trovanti un po’ arrotondati. Così pure tra il M. Scavada ed il lago Gemio incontraci numerosi resi- dui glaciali, ma non molto potenti, irregolarmente sparsi. Sono importantissimi i tipici veli morenici che ammantano irregolarmente il M. Nave sino al M. Caro, tra i 1550 ed i 1600 m. circa, poiché essi ci indicano un grandioso sviluppo dei ghiacciai che ricoprivano il versante settentrionale della catena del M. Orsaro- M. Motto-M. Sillara. Notisi però che se gli attuali fondi delle vallate di Cedra e Parma sono, rispetto ai depositi morenici soprac- cennati, più bassi di circa 500 m., non è a dedursi che tale fosse la potenza della massa glaciale, dovendosi tener conto della poten- tissima erosione e della profondissima incisione postglaciale, che si può calcolare di almeno 200 o 300 metri nella regione in esame. Nell’alta valle Cedra incontrasi un altro stupendo sviluppo glaciale, tipico e potente, che si estende da un chilometro circa a l’aPPENNINO DELL’EMILIA 595 monte di Monehio sino alle ripide balze del gruppo del M. Sillara, con una lunghezza di oltre 4 chilometri ed una larghezza di un chilometro circa. Anche qui il terreno morenico presenta la tipica facies caotica, coi voluminosi blocchi di Macigno , irregolarmente sparsi, e che simulano gli erranti granitici delle morene subalpine. Queste due zone moreniche, del Parma e del Cedra, sono, secondo il mio modo di vedere, le più tipiche ed importanti for- mazioni glaciali dell’ Appennino settentrionale; anzi mi stupisco assai come esse non siano ancora state riconosciute e descritte come tali. Il loro sviluppo, tanto notevole, credo sia dovuto specialmente all’elevazione ed alla continuità del gruppo montuoso Orsaro-Sil- lara-Bocco, alla profondità ed esposizione delle due vallate, all'ab- bondanza quivi delle precipitazioni atmosferiche, ecc. Nell’alta valle dell’Enza non esiste un grande sviluppo morenico perchè questa vallata termina in alto ad un colle assai depresso, il Passo Lagostrello ; trovansi solo residui di detto terreno nelle vici- nanze del Lago Squincio, dove però una parte del materiale ha un'apparenza alluvio-franosa. Nella Val Liocca incontriamo qua e là lembi glaciali, però non molto estesi, originati dal gruppo del M. Acuto. Anche l’alta Valle della Secchia non presenta notevoli depo- siti morenici essendo aperta a sud coi passi dell’Ospedalaccio e del Cerreto. Tuttavia alle falde settentrionali ed occidentali dell'ele- vato gruppo del M. La Nuda osservansi formazioni di origine spe- cialmente glaciale, le quali costituiscono la conca del Lago Lungo, e si estendono irregolarmente nelle regioni ondulate di Lago le Gore, il lago Cerretano, ecc. Sulla sinistra della Secchia, alle falde me- ridionali del M. Casarola, esiste una formazione essenzialmente fra- nosa la quale però è in parte collegata con fenomeni glaciali, di cui veggonsi residui assai netti specialmente nel vallone a sud di M. Casarola. Nella parte alta del Posso Riarboro e della Rossendola i re- sidui glaciali sono in gran parte a facies franosa e non molto estesi, a limiti incertissimi ; essi si spingono anche assai a valle, così, in lembi, sino al Monte sopra Cerreto. Alle falde nord-est del gruppo del M. Cusna nell'alta Val Sec- 596 F. SACCO chiello esiste una vasta zona morenica, talvolta passante a depo- siti franosi; però negli altipiani, per dir così, irregolari di Febbio^ Rivarotonda, ecc., il terreno glaciale vi è affatto tipico, ricoprendo con vario spessore gli argilloschisti che affiorano qua e là nelle in- cisioni più profonde. Simili considerazioni debbonsi ripetere per l’alta valle del Dolo sotto le Forbici e per i dintorni di Civago, dove certamente l'azione diluvio-franosa ebbe una parte notevole nella costituzione di depositi caotici, che parzialmente possonsi rife- rire a morene; i dintorni di Civago presentano i lembi morenici più tipici; ancora nelle vicinanze di Fontanaluccia parrebbero esi- sterne residui. Nell'alta Val Dragone le formazioni glaciali, per quanto ge- neralmente commiste a formazioni diluvio-franose, sono assai svi- luppate, ma poco potenti, spesso costituendo solo veli superficiali od anche trovandosi allo stato sparso; così per esempio a sud di Piandelagotti, presso Faloppa, ecc.; non sempre in tali casi pos- sonsi distinguere nettamente le formazioni moreniche da quelle franose più recenti. La valle della Scoltenna nella sua parte alta presenta nume- rosi resti glaciali, quantunque poco estesi in generale. I più tipici ed importanti osservansi nel vallone di S. Anna Pelago che di- scende dal gruppo di Cima dell’ Omo e del M. Giovo ; infatti dai dintorni di S. Anna sin oltre il piano di C. Speziale troviamo su ambidue i lati della valle veri depositi morenici a grandi blocchi di Macigno irregolarmente sparsi, ciò per una lunghezza di oltre 2 chilometri; più a monte poi questa formazione va a collegarsi e confondersi cogli ammassi franosi, sovente moltissimo sviluppati, nella parte alta delle vallate appenniniche. Tra Pievepelago e Borra incontriamo un bel deposito alluvio- glaciale, il quale c’indicherebbe che forse il ghiacciaio di M. Giovo- M. Rondinajo discese un giorno fin presso Pievepelago ; però i de- positi ciottolosi su cui basa in parte questo paese credo siano solo di origine fluviale. In Val Tagliole sono sviluppatissime, quantunque poco potenti, le formazioni moreniche tra Tagliole e Mordini, spesso però con- fondendosi esse coi terreni franosi, i quali prendono poi gradata- l’appennino dell’emilia 597 mente il sopravvento a monte di borgata Mordini. Più in alto trovansi ancora alcuni residui morenici ; così al Lago Santo mode- nese ed al Lago Baccio vediamo che se le loro conche sono costituite da uno sbarramento di banchi di Macigno , leggermente inclinati a sud-ovest, la parte interna e superiore di tale sbarramento è in gran parte rivestita di terreno morenico, sovente solo allo stato di velo sottile, sotto cui spesso appare la roccia in posto ; anzi in al- cuni punti, per esempio nella parte settentrionale del Lago Santo, ebbi ad osservare la roccia arenacea tipicamente lisciata, striata, arrotondata. Il lago Santo corrisponde probabilmente ad una zona di schi- sti un po’ teneri (gli stessi forse che diedero origine al vicino passo Boccajo) compresi fra duri banchi di Macigno , per modo che in parte per erosione meteorica essi dovettero costituire una depres- sione già in epoca preglaciale ; un ghiacciaio-vedetta nella sua di- scesa dal M. Giovo occupò naturalmente tale depressione modifi- candola alquanto, vi depose a valle una specie di morena d’ostacolo e, nel periodo di regresso, un piccolo cordone morenico, forte- mente levigando (nella sua ulteriore discesa) i banchi arenacei di sbarramento. Ritirandosi il ghiacciaio la precedente depressione, ap- profondita (per rialzamento del margine settentrionale) e modificata, si convertì in lago abbastanza largo e profondo : in seguito l’emis- sario del lago incise poco a poco i depositi morenici ed i banchi arenacei di sbarramento, producendo nel Macigno piccole marmitte dei giganti ; in tal modo il livello del lago potè abbassarsi e questi assumere gradatamente la forma attuale. In valle delle Pozze i resti morenici sono scarsi e poco ca- ratteristici; essi si presentano invece meglio in Val Motte sotto forma specialmente di blocchi rocciosi, di origine franoso-morenica, che dalle vicinanze del Passo dell’Abetone si continuano interrottamente sin quasi a Fiumalbo, talora però mostrando anche una facies diluviale. Alle falde settentrionali del M. Cimone incontransi talora de- positi franosi che hanno in parte la facies glaciale, per esempio sopra Ponticelli. Residui morenici esistono in Val Fellicarolo; sono stupendi, per quanto poco potenti, in Valle Acquagrossa a sud di Fanano, a co- minciare dallo sbocco del torrentello che fronteggia la borgata Sega sin oltre C. Palai nelle cui vicinanze i blocchi morenici sono assai 39 598 F. SACCO sviluppati; in generale però qui come altrove le formazioni d’ori- gine glaciale confondonsi con quelle di semplice origine franosa. Verso est, abbassandosi gradatamente il crinale appenninico le formazioni moreniche vengono naturalmente a mancare. Sul versante tirreno dell’Appennino le formazioni glaciali ge- neralmente mancano, non essendovisi potuti costituire veri ghiacciai estesi, per motivi climatologici facili a comprendersi. Però in al- cuni punti speciali osservansi depositi a facies morenica, per esempio a sud dell’elevatissimo gruppo del M. Prado nei dintorni di Ca- sini di Corte, dove troviamo notevoli ammassi ciottolosi, con blocchi sovente assai voluminosi, in modo che sembrano attestare l’ inter- vento più o meno diretto dell’azione glaciale per il loro trasporto. Quanto alle Alpi Apuane sono molto notevoli, estesi e potenti i depositi morenici che osservansi sul loro versante settentrionale, specialmente in Val Gramolazzo, in Valle d’ Acqua bianca, in Val Tambuca, ecc., ciò che ci attesta il grande sviluppo dei ghiacciai su tale elevatissimo ed importantissimo gruppo montuoso. Ma queste formazioni vennero già recentemente studiate e descritte in modo speciale dal De Stefani, per cui credo opportuno di rimandare senz' altro al suo lavoro sopra Gli antichi ghiacciai delle Alpi Apuane, 1890. Terrazziamo Mi limito a pochi cenni riguardo a questo terreno in causa della sua poca importanza geologica. La formazione terrazziana è essenzialmente costituita di allu- vioni che talora formano diversi ordini di terrazze, come per esempio sulla sinistra del Reno a valle di Sasso, oppure costituiscono solo L’aPPESNINO DELL’EMILIA 599 i bassipiani delle vallate, finché gradatamente passano all’ AUu- viitm recente degli alvei dei fiumi e dei torrenti. Sovente le allu- vioni terrazzane sono coperte da un velo di loess giallastro, poco potente : esse non hanno generalmente un grande spessore, cioè sol- tanto di pochi metri, ma nella vallata padana acquistano potenza assai grande come dimostrarono alcuni scandagli. Se poco importanti sono geologicamente i terreni terrazziani , importantissimi invece sono essi per l'agricoltura costituendo il ter- reno più ampiamente, più produttivamente e più facilmente colti- vabile. Alcune torbiere ed estese zone franose dell’alto Appennino si formarono durante il periodo terranano. Questo periodo d’altronde è importantissimo per la configurazione della regione appenninica, giacché è specialmente durante il periodo terrazziano che si sol- carono profondamente, talora di oltre 100 e 200 m., le vallate prima delineate, moltissime nuove se ne costituirono, specialmente quasi tutte quelle secondarie ; le regioni più elevate andarono notevol- mente degradando per erosione e per gli altri diversi agenti esterni. Importantissimo poi è il periodo terrazziano per riguardo ai- fi apparsa ed al notevolissimo sviluppo dell'uomo preistorico nell’E- milia, come hanno già ampiamente dimostrato i numerosi lavori paleoetnologici, specialmente dello Strobel, del Pigorini, del Coppi, del Ferretti, del Bonizzi. del De Stefani (per la Garfagnana), ecc. Bicordo soltanto a questo proposito la caverna della Mussina nel Reggiano, le abitazioni preistoriche (Stazioni litiche) della Pietra di Bismantova, di Bellaria, ecc., ecc., e specialmente le famose, ti- piche, numerosissime Terremare e Marniere che costituiscono una delle più interessanti particolarità scientifiche dell’Emilia, e che passano anche, localmente, a Fondi di Capanne, Palafitte , ecc. N. B. — Il presente lavoro dovrebbe essere corredato di ta- vole di sezioni geologiche naturali ed ideali, come il precedente 600 K. SACCO ed analogo lavoro sull' Appennino settentrionale. Ma siccome tali tavole, se presentano solo abbozzi di sezioni (che, per quanto fatti in modo semplice ed economico paionmi di grandissima utilità per comprendere la tettonica delle regioni descritte) non sembrano ac- cette ad alcuni, e se si vogliono avere un po’ eleganti importano, una spesa che in quest’anno, date le condizioni finanziarie della Società sarebbe a completo mio carico, così mio malgrado sono obbligato a rinunciare per ora a pubblicare dette sezioni esplicative. Però la Carta geologica (!) è compagna necessaria di questo lavoro. (!) Sacco F., Carta geologica dello Appennino dell'Emilia. Scala di '{ìoo.ooo, 25 tinte, in 3 fogli. — Vendibile presso la libreria Loescher di C. Clausen, Torino. — L. 6. i F. Sacco. // Appennino de//' Emilia. Boll. Soc. geol. ital., voi. XI (1802). QUADRO RIASSUNTIVO DELLA COSTITUZIONE GEOLOGICA DELL’ APPENNINO DELL’EMILIA QUATERNARIO i Pliocene. Miocene TERZIARIO Oligocene Eocene . Infracretaceo Giurassico . . . SECONDARIO Liassico Infraliassico PRIMARIO . ARCAICO VlLLAFRANCHIANO. Terrazzano { Alluvioni sabbioso-ghiaiose e ciottolose, giallo-grigiastre; loess-, depositi torbosi. — Stazioni litiche, Marniere, Terreraare, Fondi di capanne. Morenico-. Depositi tcrroso-ciottolosi, d’aspetto caotico, talora ad elementi voluminosissimi; morene allungate al fondo delle vallate; ciottoloni sparsi sulle roccie, ecc. Diluvium : Depositi terroso-sabbiosi, ghiaiosi, ciottolosi od anche brecciosi, di linta giallastra, talora profondamente decomposti, spesso ricoperti da loess ; resti di Dos, Cerous, Molluschi continentali, ecc. Depositi fluvio-lacustri costituiti di marne sabbiose o argillose, grigie o giallastre, con banchi sabbioso-ghiaiosi, ciottolosi o conglo- meratici (ccppoidi) ; lenti lignitiche ; frequenti resti di Filliti, di Molluschi terresti o d’acqua dolce, di Vertebrati (Elephas, Ma- \ stodon. Rhynoceros, Cervus, Ursus, Felis, Hyena, Sus, Inuus), ecc. Astiano ( Sabbie e marne giallastre, talora con straterelli ghiaiosi, spesso ricchissime in fossili di mare basso o di littorale. Piacenziano ) Marne sabbiose od argillose grigio-bleuastre con fossili di mare profondo. -— Nella parte superiore delle zone entro-appenniniche t strati sabbiosi, ghiaiosi ed anche ciottolosi, grigio-giallastri, sovente straordinariamente ricchi in fossili di mare basso o di littorale. Messiniano ( Marne, talora sabbiose, ed arenarie grigio giallastre; marne straterellate ; tripoli ; banchi ghiaiosi o ciottolosi. — Lenti di Calcare l cariato o di Gesso; strati lignitiferi. Fossili marini o salmastri ( Adachna , Dreissena, Melania, Melanopsis, Neritodonta, ecc.). Tortoniano t Marne grigie, talora con qualche lente sabbioso-ghiaiosa e quivi talora assai ricche in fossili marini ( Ceratotrochus , Trochocyatus, l Cardila Jouanneti, Polinices redempta, numerose Pleurotomia, Conus, ecc.). Elyeziano ' Marne e sabbie arenacee grigie o giallastre, più o meno compatte, spesso un poco calcaree ; sabbie con lenti ciottolose. — Spesso \ ricchissimo in fossili di mare poco profondo (Foraminiferi, Lucina pomum , Denti di Squali, ecc.). Langhiano ( Marne, più o meno calcaree, compatte, fissili o scagliose, grigie; .con non rari fossili marini schiacciati. Aquitaniano { Marne grigiastre, poco compatte, friabili, talora un po’ sabbioso-arenacee. I Stampiano { (Manca). Tongriano ) Arenarie, Conglomerati, Marne sabbiose più o meno compatte, Sabbie quarzose biancastre; lenti lignitiche. — Nummuliti, Orbitoidi, | * ‘ I Echinodermi, Briozoi, Ostriche, Pettini, Denti di Squali, ecc. Skstiano | Strati marnosi ed arenacei grigio-giallastri. i Bartoniano { Marne, talora sabbioso-arenacee, grigiastre, per lo più friabili; Nummuliti, Orbitoidi, Zoophicos, ecc. ! Facies di Calceschisto: Banchi e schisti marnoso-calcarei o argillosi ( Flysch stricto sensu) a Fucoidi, Condriti, Zoophycos, (Liouriano sensu strìdo) Helminlhoidea labyrinthica ; schisti ardesiaci. -- Talora verso la base compaiono zone schistoso- arenacee o schisti bruni o rossigni con Nummuliti, Assiline, Orbitoidi, Alveoline, Anfistegine, Denti di Squali, ecc. Facies arenacea : Schisti e banchi arenacei (Macigno) con Zoophycos, Fucoidi, Condriti ed impronte svariate. — Ta- (Etrurio sonsu strido) lura, verso la base specialmente, sonvi zone calcareo-arenacee o schisti bruno-rossigni con Litho- thamnium, Nummuliti (N. biarritzensis, N. Ramondi, N. lucasana, N. Tchiha'tche/fi, Ar. La- mar chi ecc.). Assiline (A. exponens, A. granulosa), Orbitoidi ( 0 . papiracea, 0. stella, 0. num- mulitica), Alveolina, Clavulina Szaboi, Operculina, Globigerina, Crinoidi, Cidariti, Antozoi, Briozoi , Denti di Squali, ecc. (facies niceana). ( Schisti grigi o rossicci ; marne più o meno arenacee e strati arenacei grigiastri. Argilloschisti (l'lysch lato sensu) grigio-bruni, con iuterstrati arenacei (pseudornacigno), arenaceo-calcarci (Pietraforte), calcarei (Cal- care Alberese ). Argille scagliose brune o variegate; Argille galestrine; Galestri; Diaspri grigio-verdi o rossigni; Calcari bian- castri. — Lenti ofiolitiche sparse (Serpentina, Eufotide, Diabase (Gabbro), Granito, ecc.). Svariati resti paleoicnologici, (/Vemer- tilithes. Pennatuliles , Halymenites, Cylindrites, Caulerpa, Taenidium, Paleodictyon, ecc.). Impronte vegetali (Chondrites, Zo- sterites. Gyrophillites. Zoophycos, Gleychenophicos). Cycadea, Cycadeoidea. Foraminiferi. Numerosi Radiolari. Hemipncustes, Rhynchonella 'vespertilio, Ino'cerami (J. Cripsii, J. labiatus, ecc.). Roudaireia. Iiamites cylindraceus. Ammoniti ( Desmoceras pla- norbiforme, Acanthoceras Mantella, A. navicularc, Pachydiscus efr . galicianus, Schloenbachia, ecc., ecc.). Oxyrhina Mantella, Ptychodus polygyrus, Otodus appendiculatus. Coproliti. fchtyosaurus campylodon. — Calceschisti ed Argilloschisti ad Inoce- ramus Cripsii. — Schisti rossigni. { Calcari compatti grigio-biancastri, più o meno selciosi, talora rossi o verdicci, spesso in strati regolari. Calceschisti marnosi di color rosso-mattome, talora con striscie violacescenti Calcari e schisti diasprigni rossi, violacescenti, verdastri, ecc. ad Aptychus, Belemniti, ecc. Kf.it ' Ftaniti grigio-chiare. / Schisti giallo lionati o grigiastri a Posidonomia Bronni. \ ( Zona ad Harpoceras radians. < l Zona ad Amaltheus margaritatus. I Calcari grigiastri talora rosso-rosei o zonati o ceroidi o grigio-bruni verso la base. — 1 Zona ad Arietites bisulcatus. \ Talvolta selciosi, talora argillosi j Zona a Pentacrinus ed Eugenio crinus. f Zona a Bracliiopodi ed Angolati. \ Zona a Psilonoti. t Schisti e calcari grigio-bruni con Avicula contorta, Myacites faba, Cardinia regularis, Plicatula incusstriata, Pinna, Astar te cin - \ gulata, Chemnitzia usta, Bactryllium, ecc. — Talora verso l’alto sonvi banchi di calcare dolomitico e lenti di Portoro. — \ Calcare cavernoso. ( Calcari grigi, talora cristallini (marmi)-, calcari compatti (grezzoni)-, calcavi cavernosi (corniole)-. Dolomiti; Cipollini; zone gessose, ecc. ( Schisti di varia natura. Perniocarbonifero i Siluriano ? . } Huroniano ( ^ Vosgiano ( Quarziti, arenarie, schisti anagenitici. / Schisti quarziferi e cloritici, grigi o rossastri, con strati calcarei od anagenitici interposti, < Schisti Alludici grigio-bruni o rossicci. ' Talcoschisti, Clovitcschisti, Anfiboloscliisti epidotiferi e piritiferi; schisti anagenitici, ecc. { Calceschisti ad Orthoceras, Actinocrinus, ecc. (Alpi Apuane). ( ? Formazioni schistoso-cristalline. (Alpi Apuane). N. B. — Il presente lavoro serve di illustrazione alla Carta geol Libreria Loescher di C. Clausen, Torino, al puro prezzo di stampa: L. gica dell' Appennino dell'Emilia (Torino, Settembre, 1892. — Scala di 1 : 100.000 ; 25 colori, diam. centim. 95 X 120, in 3 fogli) vendibile presso la l ’appennino dell’Emilia 601 BIBLIOGRAFIA dal 1881 al 1892. Siccome nella Bibliographie géologique et 'paléontologiqiie de l’Italie , pubblicata nel 1881, in occasione del 2° Congresso geo- logico internazionale tenuto a Bologna, si trova un elenco biblio- grafico di quasi tutte le opere geo-paleontologiche pubblicate sino al 1880 sull’Appennino dell’Emilia nei Capitoli IY ( Les Province s de Massa- Carrara et de Lucca), XXI ( Les Provinces de Bolo- gne, Forti et Ravenna ), XXIII ( Les Provinces de Modena et de Reggio Emilia) e XXIY ( Les Provinces de Parma et de Piacenza), così, per ragioni di economia, credo opportuno limitare in questa Memoria la Bibliografia geologica della regione esaminata ai la- vori comparsi in proposito dal 1881 al giorno d’oggi, rimandando il lettore alla sovraccennata pubblicazione per le opere anteriori al 1881. Bagatti 0., Aggiunta all' Enumerazione sistematica dei Molluschi miocenici delle Prov. di Parma e Piacenza del prof. G. Cocconi. — (Parma, 1881). Barbieri L., Analisi di una pietra verde di Remo (breccia ofiolitica) più comunemente detta Serpentino di Renno. — Atti Soc. nat. di Modena. Voi. XV, (1882). Bellardi L. I Molluschi dei terreni terziari del Piemonte della Liguria. Parte III. Gasteropodi \Buccinidae , Cyclopsidae, Coralliofillidae, Olividae). — Mem. R. Acc. Se. Torino serie 2a, voi. XXXIV (1882). Id., I Molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria. Parte IV (Fasciolaridae, Turbinellidae). — Mem. R. Accad. Se. Torino, serie 2a, t. XXXVII (Torino, 1884). Id., L Molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria. Parte V {Mitridae pars.). — Mem. R. Acc. Se. Torino, serie 2a, t. XXXVIII (1887). là., I Molluschi dei terreni terziarie della Liguria. Parte V {Mitridae, con- tin.). — Mem. R. Acc. Se. Torino, serie 2a, t. XXXVIII (1887). .Id., I Molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria. Parte V {Mitridae, fine). — Mem. R. Acc. Se. Torino, serie 2a, voi. XXXIX (1888)- L’aPPENNIN'O DELL’EMILIA 601 B I B L I 0 G R A F I A dal 1881 al 1892. Siccome nella Bibliographie géologique et palèo ntologique de /' Italie, pubblicata nel 1881, in occasione del 2° Congresso geo- logico internazionale tenuto a Bologna, si trova un elenco biblio- grafico di quasi tutte le opere geo-paleontologiche pubblicate sino al 1880 suH’Appennino dell’Emilia nei Capitoli IV {Les Province s de Massa- Carrara et de Lucca), XXI ( Les Provinces de Bolo- gne, Forlì et Ravenna ), XXIII ( Les Provinces de Modena et de Reggio Emilia ) e XXIV ( Les Provinces de Parma et de Piacenza ), così, per ragioni di economia, credo opportuno limitare in questa Memoria la Bibliografia geologica della regione esaminata ai la- vori comparsi in proposito dal 1881 al giorno d’oggi, rimandando il lettore alla sovraccennata pubblicazione per le opere anteriori al 1881. Bagatti 0., Aggiunti! all' Enumerazione sistematica dei Molluschi miocenici delle Prov. di Parma e Piacenza del prof. G. Cocconi. — (Parma, 1881). Barbieri L., Analisi di una pietra verde di Renno (breccia ofiolitica) più comunemente detta Serpentino di Renno. — Atti Soc. nat. di Modena. Voi. XV, (1882). Bellardi L. I Molluschi dei terreni terziari del Piemonte della Liguria. Parte III. Gasteropodi i Buccinidae, Cyclopsidae, Cor alito fillidae, Olividae). — Mem. R. Acc. Se. Torino serie 2a, voi. XXXIV (1882). Id., I Molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria. Parte IV ( Fasciolarido.e , Turbinellidae). — Mem. R. Accad. Se. Torino, serie 2a, t. XXXVII (Torino, 1884). Id., L Molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria. Parte V ( Mitridae pars.). — Mem. R. Acc. Se. Torino, serie 2a, t. XXXVIII (1887). là., I Molluschi dei terreni terziarie della Liguria. Parte V {Mitridae, con- tin.). — Mem. R. Acc. Se. Torino, serie 2a, t. XXXVIII (1887). .Id., I Molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria. Parte V {Mitridae, fine). — Mem. R. Acc. Se. Torino, serie 2a, voi. XXXIX (1888)- 602 F. SACCO Bellardi e Sacco, 1 Molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Li- guria. Parte VI ( Volutidae , Marginellidae , Columbellidae). — Meni. R. Acc. Se. di Torino, s. 2a, t. XL (1890). Berzieri L., Monografia delle acque solforose minerali di Tabiano (1884). Boinbicci L., Il sollevamento dell' Appennino bolognese per diretta azione della gravità e delle pressioni laterali, con appendice sulle origini e sui reiterati trabocchi delle argille scagliose. — Mem. Acc. Se. Istit. Bo- logna, serie 4a, t. Ili (1882). Id., Montagne e vallate nel territorio di Bologna. — Dall'Opera «Appen- nino di Bologna^, (Bologna, 1882). Id., Sul giacimento e sulle forme cristalline della Datolite della Serra dei Banchetti (Alto Appennino bolognese). — Mem. Acc. Se. Istit. Bologna, serie 4a, tom. All (1886). Id., Sul giacimento e sul tipo litologico della Roccia Oligoclasile di Monte Cavaloro (Bolognese). — Mem. Acc. Se. Istit. Bologna, serie 4a, voi. IX (1888). 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IX (1888). f> Zaccagna D, In risposta alle osservazioni del De Stefani sopra alcune pub- blicazioni geologiche del fi. Com. geol. ital. sulle Alpi apuane. — Pro- cessi verbali Soc. tose. Se. nat. (1881). Id., Una escursione nella regione marmifera del carrarese. — Boll. Com. geol. it., XII (1881). Id., Affioramenti di terreni antichi nell' Appennino pontremolese e fivizza- nese. — Processi verbali Soc. tose. Se. nat. (1884). Id, (V. Lotti). Avvertenza. — Riguardo alla Carta geologica, alla scala di 1 ioo.ooo, di cui il presente lavoro rappresenta l'esplicazione sommaria, devesi notare come alcune escursioni fatte sulla fine di Luglio del 1892, quando già erano stampati il nero e le lineette rosse di detta Carta, mi abbiano obbligato a qualche correzione specialmente nell’alto Appennino, per cui quivi alcune de- limitazioni vennero spostate ed alcune lineette rosse in parte abolite. RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE ESTIVA TENUTA DALLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA NEL VICENTINO DAL 10 AL 15 SETTEMBRE 1892. I Soci della Società geologica italiana, che si trovavano pre- senti in Vicenza nella sera del 10 settembre, si riunirono alle ore 9 pom. nelle sale della Sezione vicentina del Club Alpino ita- liano, ricevuti cortesemente dal conte Colleoni, vice-presidente della sezione, dai consiglieri signori Cavalli e ing. Cita e da molti Soci. Vennero offerti gentilmente rinfreschi ed a ciascuno fu data in dono la : Guida storico-alpina di Vicenza , Recoaro e Schio di 0. Bren- tari e Se. Cainer (2a edizione, Vicenza, Sezione vicentina del Club alpino italiano editr., 1888, in 12.°, di pag. 252 con carta della regione, pianta di Vicenza, panorama alpino e 33 vedute in foto- tipia, legata in tela ed oro), unitamente alla Monografia litolo- gica vicentina , illustrazione per la raccolta delle pietre naturali della provincia di Vicenza esposta nella Mostra generale italiana in Torino 188 1 dalla Deputazione provinciale di Vicenza per cura dell’ ing. capo della provincia , Giuseppe Dal Monte. Vicenza, tip. LoDgo, in 8°. II comm. Lioy, a nome del Municipio, invitava poi tutti i Soci ad intervenire al teatro, ove rappresentavasi l’opera in mu- sica del Ponchielli - La Gioconda ». I Soci vi assistettero nei palchi messi a loro disposizione dal Municipio e dal Prefetto. Nella mattina del giorno 1 1 i Soci visitarono il Museo civico nel palazzo Chiericati, guidati dal comm. Paolo Lioy e dal diret- tore prof. Morsolin. I Soci vi si trattennero lungamente, osservando G16 ADUNANZA GENERALE ESTIVA le collezioni di storia naturale contenutevi, e principalmente : la avi- fauna della provincia vicentina; le collezioni di minerali e fossili riunite dal geologo Ludovico Pasini ; le raccolte dei molluschi ed altri invertebrati, eocenici ed oligocenici del Vicentino e Veronese; la ricca collezione delle filliti di Salcedo; le carpoliti del Monte Postale e specialmente la ricca collezione di Fracastorie , studiate dal Massalongo; il bel coccodrillo della lignite di Monte Purga (Bolca) ; i resti dei mammifèri quaternari delle caverne ossifere del Vicentino e del Veronese, tra i quali sono da ricordare, il cranio, i denti e gli altri resti spettanti agli Ursus spelaeus delle caverne di Velo Veronese; la importante collezione degli oggetti preistorici delle abitazioni lacustri del lago di Pimon, ecc. In appresso molti Soci si recarono alla Biblioteca civica, o Bibl. Bertolliana dal nome del suo fondatore, ove vennero loro mo- strati alcuni rari incunaboli, e codici pregevoli per miniature. Fu anche visitata la Mostra artistica e di arte applicata, esposta dalla Società vicentina d’incoraggiamento per le arti e mestieri nel grande salone della Basilica, stupendamente architettata dal Palladio. Al tocco poi ebbe luogo la Seduta d'inaugurazione. Seduta inaugurale deli’ 11 settembre in Vicenza. La seduta d' inaugurazione è aperta all' una pom. nella sala dell'Accademia Olimpica. Presidenza Omboni. Sono presenti i Soci: Amighetti, Armanelli, Bassani, Cac- CIAMALl, CaNAVARI, CAPELLINI, CHERICI, CORTI, COZZAGLIO, De Lorenzo, De Stefani, Di Stefano, Fornasini, Fucini, Gozzi, Greco, Issel, Mattirolo, Mazzetti, Negri, Parona, Patroni, Piva, Rovasenda, Sacco, Sansoni, Scarabelli, Statuti, Stella, Taramelli, Tellini, Tommasi, Toso, Vinassa e il sottoscritto Segretario Meli. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 617 Assistono alla Seduta il conte Contin di Castelseprio, Con- sigliere di prefettura, rappresentante il Prefetto; l’avv. Bevilac- qua, assessore di Vicenza, rappresentante il Sindaco; il conte G. C'olleoni, rappresentante la Deputazione provinciale ; il conte Al- merico da Schio, Presidente del Club Alpino (sezione di Vicenza); il comm. Paolo Lioy ; il comm. Antonio Fogazzaro, Presidente dell’Accademia Olimpica; il comm. Bartolomeo Clemente, Pre- sidente del Comizio Agrario; l’ing. Civita, Direttore del tram a vapore di Valdagno, insieme ad altri distinti personaggi e ad una scelta di Signore. Aperta la seduta, l’ assessore Bevilacqua, rappresentante il sindaco di Vicenza, legge il seguente discorso: « Sono orgoglioso di porgere il saluto affettuoso e riverente della nostra città a voi, o illustre schiera di dotti, che scrutate con occhio sapiente le viscere della terra, e, leggendo nei sassi e negli strati tellurici, ricostruite aH’immemore umanità la sua sto- ria e quella dell’universo e ci date tante belle ed utili cose, dal carbone e dal ferro, che avvivano le industrie moderne, all’oro ed ai gioielli, che adornano le nostre signore. « La città nostra tutta s’allieta della vostra riunione fra le sue mura, e vi avrebbe fatto feste ben più degne se, pel vostro espresso desiderio e per non distrarvi dai vostri studi fecondi, non avesse dovuto limitarsi a quelle accoglienze oneste e liete, che si devono ad ospiti illustri. « E ben faceste, o signori, a scegliere a sede di questo vo- stro Congresso la nostra Vicenza, perchè essa, favorita dalla natura d’un suolo svariato e di diversa struttura geologica, offre largo campo alle ricerche del naturalista e dei geologo; e perciò appunto ebbe sempre per la vostra scienza specialissimo culto e conta tra i propri figli insigni cultori di essa. « I nomi di Giuseppe Marzari Pencati, di Giovanni Battista Brocchi, di Lodovico Pasini, di Francesco Molon e di Francesco Beggiato, tutti nati e vissuti tra noi, sono glorie della scienza da voi professata e della patria. E se non temessi di offenderne la 618 ADUNANZA GENERALE ESTIVA nota modestia, a questa pleiade luminosa di illustri trapassati, vorrei aggiungere il nome di Paolo Lioy, che fra i tanti titoli al- l’affetto e alla gratitudine della sua nativa città, ha pur quello grandissimo di avere dall'oblio dei secoli, con scientifico acume, richiamate alla luce le abitazioni lacustri del nostro Fimon ; di Paolo Lioy, che altra volta vi rivolgeva assai più degnamente di me, che sono affatto profano ai vostri studi, il saluto di Yicenza. e che certo anche questa volta vi saprà fare qui, meglio di ogni altro, con intelletto d’amore gli onori di casa. « Vedendovi oggi raccolti in questa sala, Vicenza ricorda che il Teatro Olimpico non è nuovo a tali riunioni e con memore or- goglio ripensa al Congresso dei dotti qui convenuti da ogni parte d’Italia, allora serva e divisa, la sera del 15 settembre 1847, quando ad onorarli si rappresentava degnamente sulle scene dello splen- dido teatro di questa Accademia quella suprema tragedia greca di Sofocle, che è l’Edippo Re. Ricorda l’entusiasmo con cui furono in quella sera indimenticabile festeggiati i congressisti, la trage- dia e gli attori, nei quali si scorgevano la scienza, l'arte e le let- tere qui affratellate nel santo nome d’Italia: entusiasmo che, come scriveva Valentino Pasini, per quanti veggono più in là del mo- mento e delle apparenze, in sè conteneva il presentimento e l’istinto di una rigenerazione morale. « Nè s’ingannava il nostro sommo statista, e, rigenerata l’Ita- lia, voi sedeste ancora a Congresso in questo teatro il 14 settem- bre 1868, quando giovane d'anni, ma fin d’allora dottissimo, fun- geva da segretario quell'uomo onorando, che oggi presiede alla vostra Società ed a questa Adunanza, il prof. Giovanni Omboni, al quale specialmente, riverente, m’inchino. « Da molto tempo adunque Vicenza vi conosce e vi apprezza e siate quindi anche oggi i benvenuti fra noi a visitare col vostro dotto sguardo indagatore le nostre terre feconde, i nostri amenis- simi colli, dai quali l’eco ancora ripete l’altissimo invito ai vostri nobili studi dell’altro nostro grande concittadino Jacopo Zanella, che la scienza elevava a sublime poesia : T’avanza, t’avanza, Divino straniero, Conosci la stanza, Che i fati ti diero ». DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 619 Il conte Contin, rappresentante il Prefetto, parla in seguito come appresso: Illustri Scienziati! - È alto onore e distinto piacere per me il portarvi il saluto a nome del Governo, dando il benvenuto a tutti voi, che qui giun- geste dalle più. opposte regioni d’Italia col nobile proposito di con- tribuire coi severi vostri studi e colle dotte vostre disquisizioni al progresso delle discipline geologiche, prefiggendovi a meta delle vostre escursioni questa nobilissima e patriottica Provincia, a niuna seconda per fertilità di territori, per sorriso di natura, per virtù cittadine ed illustrazioni scientifiche, letterarie ed artistiche, e certo fra le più celebrate per le classiche sue condizioni telluriche e per le ricchezze racchiuse nel suo seno, le quali attirarono già per lo addietro sopra di loro l’attenzione e l’esame degli uomini i più insigni nella scienza, che coltivate con tanto amore. « Voi, che sì bene meritate di cotal scienza, avete diritto all’estimazione de’ connazionali vostri, e l’accoglienza cordiale, che troverete in questa gentile e cospicua città di Vicenza, in cui è tradizionale il culto del bello e dello scibile, e che ha pagine splendidissime nella storia del patrio risorgimento, vi sia di buon augurio e caparra delle nuove conquiste, che sarete per fare nei campi sereni delle vostre induzioni e dei vostri studi. « Il progresso nazionale, che è il substrato di quello delle scienze, delle lettere, delle arti e delle industrie, ed alla fin fine non è che la somma del lavoro costante, delle energiche volontà e delle maschie virtù dei migliori cittadini, può dirsi oggimai glo- ria non solo d’ogni popolo civile, ma gloria, a cui agognano pur quelli semi-barbari, che cominciano a pregustare i benefici d’una civiltà importata. E pertanto voi, che concorrete, per quanto da voi dipende, a far sì che l'Italia nostra condivida del pari cosifatta gloria, ben a ragione potete menar vanto dell’opera vostra e por- tare il vostro pensiero sopra più larghi orizzonti, varcando i con- fini dell’odierna vostra adunanza inaugurale. “ Signori ! Io ritengo interpretare i sentimenti dei personaggi preclari, che vollero col loro intervento accrescere lustro a questa 620 ADUNANZA GENERALE ESTIVA solennità, delle donne cortesi, che la allietano colle loro grazie ed attrattive, e di quanti sono gli egregi concittadini, che qui conven- nero, se vi esprimo i voti i più sinceri onde il miglior successo risponda alle speranze vostre e coroni gli sforzi vostri; successo, che non vi mancherà se, nell' accingervi ai nuovi vostri lavori colla usitata tenacità di proposito, li inaugurerete sotto gli auspici di Colui, che è incarnazione e simbolo della grande patria italiana e Principe modello, nel cui petto magnanimo palpita un cuore all'u- nisono con quello della Nazione, ornai orgogliosa di farsi sempre più prospera, forte e rispettata all'ombra dell'invitto vessillo sa- baudo e sotto l’egida della gloriosa Dinastia, che si prescelse coi suoi plebisciti » . (Applausi prolungati). Il conte Colleoni dà il benvenuto a nome della Deputazione provinciale ai membri della Società geologica italiana, e si com- piace che la carta geologica della provincia di Vicenza, eseguita dal Socio dott. Negri, sia oramai un fatto compiuto. Si augura che la presente riunione e le escursioni, che si faranno nella provincia, riescano utili al paese e feconde per la scienza geologica. Il conte A. Da Schio, presidente della Sezione di Vicenza del Club Alpino Italiano, saluta la Società geologica italiana a nome del Club Alpino; quindi dimostra felicemente come la missione del geologo e dell’alpinista si completino a vicenda; chè se il primo, studiando la terra nelle viscere, cerca di spiegare come si andò man mano formando il mondo, il secondo, tenendosi sempre alla superfìcie, studia in qual modo possa essere utile all’ agricol- tura e aH’industria, unendo l’utile al dilettevole. Si augura che presto la Società geologica italiana si aduni di nuovo a Vicenza e che ai geologi venga porto il saluto da un presidente della sezione del Club, che, come lo furono Fortis, Maraschin, Lioy, sia esso pure geologo, perchè così, meglio di quello che egli noi sappia, por- gerà saluto conveniente agli scienziati. Il Presidente Omboni ringrazia i precedenti oratori ed esprime a nome dei Soci i sensi di grato animo a Vicenza, che sì cor- DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 621 dialmente ha accolto la Società Geologica italiana; poi legge il discorso seguente: o Egregi Colleglli , t Una riunione di così eletti scienziati, davanti a tali autorità governative, provinciali, municipali, scientifiche e letterarie, davanti ad un pubblico così scelto e numeroso, in una sala abituata, per così dire, ad eccellenti oratori, dovrebbe esser aperta con un di- scorso solenne e corrispondente, pei suoi pregi scientifici e letterari, a quelli del s io uditorio, come fu, per esempio, quello, così bello per la forma, e così ricco di notizie interessanti, col quale, nel vi- cino Teatro Olimpico, nel settembre del 1868, il commendatore Paolo Lioy aprì una riunione straordinaria della Società Italiana di Scienze Naturali. Invece, mancando a me tutte le qualità di un buon oratore, io devo implorare, per questo mio discorso, la vostra più grande indulgenza, promettendo che sarò il più breve possibile, per non abusare troppo della vostra pazienza. « Anzitutto, ringrazio di nuovo voi, miei colleghi, per l’onore grandissimo, che mi avete fatto, volendomi a vostro Preridente in quest’anno. « Poi ringrazio di tutto cuore, a nome della Società Geologica, le autorità e i cittadini di Vicenza, che ci hanno così gentilmente e festosamente accolti, ci prestarono questa sala per la nostra riu- nione, hanno voluto anche onorarci colla loro presenza, e ci aiute- ranno a trovare i mezzi necessari per le nostre gite. I geologi sono abituati a trattare con le pietre, ma ciò non ha pietrificato il loro cuore, e non impedisce a loro di sentire ed apprezzare le genti- lezze, che loro vengono fatte, e di ricordarsene sempre, con grati- tudine; ed è ciò, appunto, che facciamo e faremo tutti noi, venuti qui, da tutte o quasi tutte le regioni italiane, a vedere e studiare questa regione vicentina, tanto famosa, da circa un secolo, per la sua struttura geologica, le sue rocce e suoi fossili. « Dopo la riunione, che ebbe luogo a Padova nello scorso aprile, e nella quale, in un breve discorso già pubblicato e distribuito a tutti i Soci, ho esposto molte cose concernenti piuttosto la compo- sizione e la vita amministrativa della Società, che la nostra scienza, 622 ADUNANZA. GENERALE ESTIVA il Ministero di Agricoltura, Industria e Commendo ha concesso alla Società un sussidio di 1200 lire ; 42 Soci aderirono alla proposta, fatta dalla Presidenza, di pagare le loro quote annue per mezzo della posta, quando ricevono da questa il primo fascicolo del Bollet- tino; di questo furono pubblicati parecchi fascicoli, più o meno in ritardo, per le soverchie occupazioni del nostro segretario, pro- fessore Meli ; ed io ho potuto soddisfare il mio desiderio di avere nel Gabinetto di Geologia della Università di Padova le importan- tissime collezioni e numerosi libri ed opuscoli geologici e paleon- tologici, che già appartennero al nostro compiato collega barone Achille De Zigno. « Voi tutti sapete che dopo quella riunione la Società ha fatto un'altra gravissima perdita: quella del commendatore Giordano, che fu uno dei suoi tre fondatori. Or bene, essa fu rappresentata ai di lui solenni funerali (che ebbero luogo nello scorso mese, a Roma) dal prof. Meli e dal Socio ingegnere Zezi, che vi deposero una corona dedicata dalla Società alla memoria dell' illustre defunto. « Ora, se non parlassi a geologi, che conoscono quanto o meglio di me la struttura di questa regione vicentina, dovrei appunto de- scrivere questa, almeno a grandi tratti. Ma voi sapete già che le rocce più antiche visibili nel Vicentino sono il micascisto e lo steascisto, a nudo attorno a Recoaro e nella vicina Valle dei Si- gnori; che su di esse stanno le rocce sedimentarie di tutte le epoche, da quella triasica (e forsanche da quella permiana) fino a quella attuale; che tutte queste rocce sedimentarie, meno le re- centi, sono attraversate od accompagnate da rocce eruttive, appar- tenenti a diverse epoche ; che tutte quante le rocce sono rotte, di- slocate e corrose, in modo di formare colline, montagne e valli di molte forme diverse ; che anche questa regione conserva, qua e là, le tracce di alcuni grandissimi ghiacciai dell’epoca quaternaria; che essa comprende anche una parte di quelle estesissime pianure, che si sono formate coll' essersi colmato il mare, che andava dap- prima fin a Torino ed a Cuneo, con i detriti portati fuori dalle valli dei ghiacciai e dai fiumi; e, finalmente, che essa ha anche delle alluvioni moderne, interessanti a studiarsi per la storia dei suoi fiumi. Voi conoscete pure la divisione e la suddivisione di tutte le rocce sedimentarie del Vicentino in terreni, piani e gruppi, e i fossili caratteristici di tutti questi piani e gruppi. Non parlerò, DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 623 dunque, più oltre della geologia di questa regione; ma inviterò, fra poco, il nostro collega Arturo Negri a presentarvi la sua nuova Carta geologica del Vicentino, e ad indicarvi, quando lo crederà opportuno, le cose principali, che saranno da osservarsi nelle nostre gite. Poiché, come le altre nostre riunioni estive od autunnali, anche questa comprenderà alcune gite, delle quali, con l’aiuto del commendatore Lioy, del dott. Negli e del dott. Meschinelli, ben pra- tici dei luoghi, ho combinato i programmi, che vi furono già di- stribuiti. Da questi sapete già che andremo domani a Recoaro, e poi, in altri giorni, a Schio e ad Asiago ; e che, dopo la chiusura della riunione, saremo liberi di discendere da Asiago per diverse vie, a Thiene, od a Bassano, in modo di vedere altri luoghi im- portanti, e fare, isolati od in piccoli gruppi, altre gite nei din- torni di Thiene, di Bassano e di Vicenza; gite, queste ultime, che chiamai libere, perchè, fatte da tutti insieme, avrebbero allungato e complicato soverchiamente la nostra riunione. « Lasciando, dunque, al dott. Negri l'indicarvi, oggi stesso, o meglio, in ciascuna gita, quando se ne presenterà l’occasione op- portuna, le rocce e i fatti più interessanti da vedersi ed esaminarsi in essa, non parlerò più oltre della geologia del Vicentino. Invece, giacché il vedere per la seconda volta riuniti in questa sala molti di voi mi rammenta parecchi maestri e colleghi dilettissimi, che furono qui con noi nel 1868, ed ora, pur troppo, non sono più in vita, permettetemi che il mio pensiero e il mio dire risalgano a quel- l'anno ed a quei maestri e colleghi. Allora era qui con noi Lodo- vico Pasini, della vicina Schio, ancora forte e robusto ed in istato di accompagnarci alla Madonna di M. Berico, per parlarci lassù di geologia e della battaglia del 48 ; erano qui con noi il Mene- ghini, nel mezzo della sua attivissima vita, e lo svizzero Studer, uno dei primi a conoscere bene le Alpi; erano qui con noi lo Stoppani e il Sella, di cui voi tutti conoscete quanto fecero per la geologia; v’ erano pure il Beggiato e il Molon, che furono di questa città, e studiarono la regione circostante, e ad uno dei quali (al Molon) dobbiamo il dono d’un cospicuo capitale, destinato ad aiutare la nostra Società nelle spese occorrenti per le sue pubbli- cazioni, ed anche a premiare dei buoni lavori geologici; v’era il Cornalia, che si era occupato un poco di geologia prima di diven- tare un eminente zoologo; v’ erano il Guiscardi, il Silvestri ed An- 624 ADUNANZA GENERALE ESTIVA tonio Villa, che pure fecero tanto per la geologia italiana e gene- rale; e v’era anche il Giordano, che ci descrisse la sua avventu- rosa salita, alpinistica e geologica, al Cervino, e fu per molti anni il capo di coloro, che lavorano per fare la grande Carta geologica dell’Italia. E un altro maestro e collega non vedo qui, che non fu con noi nel 68, ma ci avrebbe probabilmente chiamati qui, at- torno a lui, come nostro Presidente, nel 65, se non ne fosse stato impedito dalla sua grave età e dalla sua malferma salute: il ba- rone Achille De Zigno. E il non vedere più tra noi quei nostri maestri e colleghi mi attrista assai, e mi farebbe anche temere per l’avvenire della scienza in Italia, se non avessi veduto ogni anno sorgere parecchi geologi e paleontologi nuovi, volenterosi, ed attivi, e che vennero ad occupare, mano mano, i posti lasciati vuoti, e dànno motivo a bene sperare. Siano essi i benvenuti: meglio preparati, fin dal principio dei loro studi, che i loro predecessori, faranno più e meglio di questi. « Siccome, poi, è naturale consuetudine, anzi dovere, che nelle riunioni della Società siano commemorati i Soci defunti, e tutti quelli, che ho or ora citati, lo furono, meno il De Zigno e il Gior- dano, e di quest’ ultimo vi parlerà, con affetto d’amico ed autorità di erudito geologo, il prof. Cocchi, cosi io vi domando il permesso di parlarvi ora del barone De Zigno, del quale, nella nostra riunione d'aprile, non potei far altro che annunciarvi con poche parole la morte. t Achille De Zigno nacque a Padova il 14 gennaio del 1813. Suo padre, Marco, apparteneva ad una delle antiche famiglie pado- vane, e la madre, irlandese, era imparentata con cospicue famiglie inglesi e francesi (*). G) Le notizie, che si hanno intorno alla famiglia De Zigno, rimontano fin verso il 1630. Si sa che era ricca, e teneva un gran freno di casa; e che un Alberto De Zignis, nato nel 1630, fu creato conte del Sacro Bomano Im- pero, per sè e per i suoi discendenti, sotto il Papa Innocenzo XII, con Breve del 16 aprile 1693. ma di questo Breve non fece alcun uso, così che esso ri- mase poscia dimenticato nelle carte di famiglia. Nel 1838 fu riconfermata a Marco De Zigno la nobiltà. Nel 1857 Achille De Zigno fu creato barone ereditario dell’Impero Austriaco. Ne ottenne, poi. la conferma, per sè e i suoi discendenti, dal governo Italiano. I.bbi questi particolari (ed altri, che sono in altre note) dalla genti- lezza della famiglia De Zigno. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 625 - Fece i suoi primi studi con la madre e con parecchi profes- sori privati, e ne ebbe una copiosa, svariata e soda istruzione, che gli permise di passare, senza quella universitaria, a quegli studi, coi quali egli divenne uno dei più stimati naturalisti. A questi studi speciali si diede ben presto, con passione e con tutte le sue forze, essendo di famiglia assai ricca, e quindi in caso di disporre liberamente del suo tempo e della sua intelligenza; e dopo aver cominciato, già da giovinetto, in parecchi viaggi fatti con la fa- miglia, ad ammirare il bello della natura, ad osservarne i fatti interessanti, a raccogliere piante ed altri oggetti, a scrivere dis- sertazioni sopra argomenti di storia naturale, ed a stringere ami- chevoli relazioni con naturalisti di vari paesi (!). f1) Fece coi genitori la prima gita all’età eli 5 anni, a Bassano, Àsolo e Maser, fermandosi a Bassano presso il nobile Parolini, che gli mostrò il proprio gabinetto. Rimase così colpito alla vista dei metalli, minerali e cri- stalli, che il Parolini gliene regalò alcuni esemplari. Di ritorno a Padova, li pose in buon ordine in un cassetto, per ammirarli spesso ; e li conservò sempre, con particolare amore. Qualche tempo dopo, nel 1819, fece un lungo viaggio in Svizzera, coi suoi genitori. E nelle sue Memorie si rileva già fin d’allora una profonda ammirazione pel bello della natura e dell'arte, ed un'indole inclinata alla poesia. La madre sua gli faceva osservare ogni cosa, e gli nominava le piante, che egli con passione raccoglieva in un erbario. — A Berna visitò, coi parenti, il giardino botanico e il gabinetto di Storia Naturale, che impressionarono vivamente la sua immaginazione. — La famiglia vi teneva casa aperta, ed aveva riunioni di personaggi illustri del paese non solo, ma anche forestieri. Dopo un soggiorno di vari mesi nella Svizzera, la famiglia fece ritorno a Padova, fermandosi a lungo a Torino, a Genova ed a Milano. Nel 1827 andò colla famiglia a passare alcun tempo in Toscana, e più particolarmente a Firenze. Ed anche là si legò in amicizia con personaggi illustri, anche forestieri. Gli spassi non lo distrassero dai suoi studi predi- letti, e specialmente da quello della botanica, che egli coltivava sempre più con amore, avendo egli già incominciato all’età di 13 anni a scrivere disser- tazioni su argomenti di Storia Naturale, nelle lingue italiana, francese ed inglese. Ritornato a Padova, fece frequenti gite sui colli Euganei, arricchendo di molto il suo erbario. Nel 1833 dovette stabilirsi in campagna, per accudire agli affari, ed oc- cuparsi attivamente d’agricoltura; ma non trasandò i suoi studi prediletti; cominciò a studiare lo spagnuolo ; in frequenti visite all’Orto Botanico di Pa- 626 ADUNANZA GENERALE ESTIVA « Si occupò dapprima, principalmente, di botanica; così che potè pubblicare, dal 1833 al 39, parecchi opuscoli sulle piante crittogamiche del Padovano, sulle alghe microscopiche, sulla così detta generazione spontanea (alla quale si dichiarò contrario), e sui vasi spirali delle piante; ma poi, messosi in relazione col Catullo, col conte Da Rio e con Lodovico Pasini, e fatte, con questi due ultimi, alcune gite ed escursioni, si innamorò della geologia e della paleontologia, e si diede esclusivamente allo studio di queste due scienze, dividendo tutto il suo tempo fra questo e le svariate occupazioni volute dalle cariche pubbliche, a cui fu successivamente chiamato dalla fiducia dei concittadini e da quella del governo . Poiché fu chiamato a far parte nel 1835 della Commissione per la beneficenza pubblica, e nel 38 della amministrazione comunale; fu Podestà di Padova dal 1846 in poi, per dieci anni, e poi De- putato di Padova alla Congregazione Centrale Veneta, fin al 1866; fu mandato nel 1860 a Vienna, a rappresentare presso il Consiglio dell'Impero le province Venete; finalmente, dal 1872 in poi, per dodici aunni, fu sindaco di Vigodarzere; e sempre lavorò assidua- mente, compiendo i suoi doveri, come gli dettava la coscienza, e, per quanto glielo permisero le circostanze, per il maggior bene dei suoi concittadini e del suo paese ('). Ma in questa riunione di geo- dova fece relazione col professor Catullo e col conte Nicolò Da Dio : e, discor- rendo con essi, cominciò ad innamorarsi della geologia. Nel 1834 accompagnò il conte Da Rio in una gita geologica nei colli Euganei, dopo aver presentato alla Accademia delle Scienze di Padova il suo Catalogo delle 'piante crittogame enganee, che fu accolto assai favorevolmente, e gli valse la nomina di alunno in detta Accademia. Nel 1835, essendosi accorto che l’abusare degli occhi, osservando col microscopio, gli poteva indebolire la vista, lasciò per alcun tempo lo studio della botanica, e si diede a quello della geologia, assistendo alle lezioni del profesmre Catullo all’Università. Nell’estate del 1836 si recò a vedere i Sette Comuni, e fece a Schio la conoscenza di Lodovico Pasini. Andò poi a Milano e sul Lago Maggiore. Fece poi altre gite ed escursioni, nei colli Euganei, nel Trevigiano, nel Trentino, nel Vicentino, ecc., che gli fornirono i materiali per i primi lavori di geologia, di cui è detto nel testo. ì1) Più precisamente: nel settembre del 1846 il De Zigno assunse come assessore anziano le funzioni di Podestà; nel 1847 fu collocato dal Consiglio DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 627 logi e paleontologi non aggiungerò altri particolari intorno alla vita pubblica del nostro compianto collega, e parlerò soltanto di quello, che egli fece come geologo e paleontologo. k Quando egli cominciò ad occuparsi di geologia, erano già molti anni cbe, per opera dell' Arduino, del Lazzaro Moro, del Vallisnieri e di altri nostri naturalisti, le rocce componenti la crosta terrestre erano state divise in terreni primitivi, secondari e terziari, con 1’aggiunta di quelle dette di trasporto recente; ma era passato un tempo minore da che altri geologi, tedeschi, inglesi e francesi, avevano diviso i terreni, specialmente quelli secondari e terziari, in gruppi minori, ai quali avevano dato dei nomi particolari, tut- tora in uso, per esempio quelli di Rothliegende, Zechsteiu , Keuper, Oolite , Craie , ecc.; ed erano passati ancora meno anni da che si era cominciato ad adoperare, per distinguere questi gruppi, oltre al criterio stratigrafico ed a quello mineralogico, anche quello pa- leontologico. Inoltre, allora, erano diminuite e quasi finite le guerre fra Vulcanisti e Nettunisti, tendendo i geologi a mettersi d’accordo nel considerare d’origine ignea, o meglio emersoria, i graniti, i por- fidi, i basalti ecc.; e si era cominciato a trattare seriamente la questione dei sollevamenti, quella del metamorfismo, ed altre an- cora. E voi sapete benissimo che a sostenere l’origine emersoria dei graniti, dei porfidi e dei basalti, i sollevamenti e il metamor- Comunale nella terna per la nomina del Podestà ; e nel settembre fu nomi- nato definitivamente Podestà. Intanto che il De Zigno fu Podestà di Padova, fu estesa a quasi tutta la città la illuminazione a gas, ed anche la rete delle strade interne con sel- I ciati e marciapiedi, fu organizzato il corpo dei Civici Pompieri, e fornito di otto pompe perfezionate, fu fondato il Museo Civico (con i quadri delle cor- porazioni religiose soppresse al tempo napoleonico), fu ampliata la Biblioteca Municipale, fu ampliato anche l’Archivio Civico, fu eseguito, su documenti autentici, l’elenco di tutti i Podestà di Padova dal 1200 in poi, coi relativi stemmi, fu costruita la barriera di Codalnnga, con l’ampia strada e i viali, che conducono alla ferrovia, e fu curato il pagamento di tutti i debiti, che aveva il Comune. Nel 1856 il De Zigno fu eletto Deputato nella Congregazione Centrale Veneta, dal Consiglio Comunale, per dimostrargli la sua riconoscenza per l’abne- gazione e la solerzia da lui dimostrate in due invasioni del cholera ; e nel 1860 le Deputazioni Provinciali e quella Centrale lo elessero a deputato rappre- sentante le province Venete presso il Consiglio dell’Impero in Vienna. 628 ADUNANZA GENERALE ESTIVA fismo, contribuì il conte Marzari-Pencati, vicentino, che ne raccolse le prove specialmente nel Tirolo e nel Vicentino ; e sapete meglio di me che alla suddivisione dei terreni sedimentari del Veneto in gruppi equivalenti o corrispondenti a quelli distinti in altri paesi contribuirono altri geologi nostri, che furono l’abate Maraschini di Schio, il conte Da Rio, padovano, Lodovico Pasini, anch’egli di Schio, ed il professore Catullo, di Belluno. Nel 1840, quando il De Zigno stava facendo i suoi primi studi di geologia, il Mara- schini era già morto, dopo aver pubblicato il suo classico libro Stille formazioni delle rocce del Vicentino ; il conte da Rio aveva pubblicato la sua Orittologia eugànea; Lodovico Pasini aveva pub- blicato parecchi opuscoli sui sollevamenti avvenuti nelle Alpi, sulle rocce secondarie del Veneto e specialmente del Vicentino; e il Ca- tullo, oltre a parecchi lavori sulle rocce terziarie e quaternarie, sui sollevamenti avvenuti nelle Alpi Venete, sui massi erratici, sulle caverne, ecc., aveva pubblicato il suo Saggio di zoologia fossile delle Provincie Austro- Venete , contenente una descrizione particolareggiata, ma anche molto inesatta, delle rocce cristalline e secondarie del Veneto, divise, queste ultime, in gruppi caratte- rizzati da speciali serie di fossili ('). (*) (*) Intorno alla vita, agli studi e lavori del conte Marzari-Pencati si vedano i cenni pubblicati da Lodovico Pasini, nel 1856, nell’830 volume della Biblioteca Italiana, e quelli pubblicati da Francesco Molon nel 1874, negli Atti della Accademia Olimpica, a Vicenza. Del Maraschini non conosco che una sola biografìa stampata : quella pubblicata nel 1880 dal Bassani nel Bollettino della Società Veneto-Trentina di scienze naturali (Padova), e dalla quale risulta che il Maraschini nacque nel 1774, pubblicò nel 1810 (nel Giornale dell’italiana letteratura, di Padova) una descrizione dei monti di Schio e dei loro dintorni, e nel 1814 quella di altre località del Vicentino, viaggiò poi, in Italia, in Francia ed a Londra pubblicò nel 1822 e nel 1824 i due suoi lavori relativi al Vicentino, e mori nel 1825. lasciando parecchi scritti inediti, interessantissimi, che si riferiscono ai dintorni di Recoaro, ai terreni di transizione, alle modificazioni subite dal calcare al contatto colle rocce pirosseniche, al carbone fossile di Valli, ed agli errori commessi dal prof. Catullo in alcune sue pubblicazioni. Sul conte Nicolò Da Rio. di Padova, e sui suoi lavori scientifici abbiamo il cenno necrologico pubblicato, nel 1845. dal De Zigno, e nel quale si legge come quel naturalista, nato nel 1765, si diede agli studi geologici, ne pub- blicò i risultati in molte piccole Memorie e nella Orittologia, e si occupò anche di chimica (sostenendo le idee del Lavoisier), e poi anche dell'idrografia, DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 620 « Così, il De Zigno, al principio dei suoi studi, trovò già bene distinti nel Veneto i terreni di trasporto recente (cioè quelli al- luvionali e quelli diluviali) dai sottoposti terreni di sedimento , divisi questi in ternari e secondari ; e collocati in questi ultimi i gruppi della scaglia (corrispondente alla Graie dei Francesi), del biancone , della calcarea ammonitica rossa (formata da vari calcari rossi, ricchi di ammoniti, che ora si distinguono nel Veneto), dei calcari del Giara, della dolomia giurese , della arenaria variegata (corrispondente al Keuper ), del Muschelkalk , e della arenaria rossa , corrispondente al Rothliegende. Ma trovò ancora d’incerta sede, cioè del terreno giurese per Catullo, e di quello cretaceo per il Pasini, la calcarea rossa ammonitica , contenente, secondo Catullo, dei fossili misti, giuresi e cretacei, e promiscui ad essa ed al bia- cone, oppure ad essa ed ai calcari del Giura. Trovò d’incerta sede anche il biancone , cretaceo pel Pasini, giurese pel Catullo ; e d’in- certa sede anche il calcare ippuritico del Bellunese. Finalmente, trovò considerate come secondarie anche certe rocce nummulitiche. dell’agricoltura, dell’industria e del commercio del Padovano, meritando di- stinzioni onorifiche molto pregiate. Lodovico Pasini, di Schio, dopo aver avuto per maestri, in molte gite c in giornaliere conversazioni, il Maraschini e il Marzari-Pencati, e dopo d’avere anche studiato le pubblicazioni dei migliori geologi stranieri, fece, prima del 1840, molte osservazioni proprie nei monti e nelle colline del Vicentino e d’altre parti del Veneto, occupandosi del porfido pirossenico, delle ghiaje e puddinghe recenti, delle rocce sedimentarie descritte dal Catullo con parecchi e gravi errori stratigrafici, dei dintorni di Roveredo, delle idee teoriche di E. de Beauinont intorno ai sollevamenti ed ai sistemi di montagne, ecc. Molti particolari sugli studi, sui lavori e sulla vita di Lodovico Pasini si troveranno nella commemorazione pubblicata dal prof. Pirona negli Atti dell’Istituto Ve- neto pel 1869-70, e in quella inserita dal prof. Bassani nel Bollettino della Società Veneto-Trentina di Scienze Naturali (Padova) pel 1880. Tommaso Antonio Catullo, di Belluno, professore di storia naturale, dapprima nella sua città nativa, poi a Verona, poi a Vicenza, e finalmente, dal 1829 al 1851, nella Università di Padova, studiò principalmente il Bellu- nese, il Veronese, il Vicentino e i Colli Euganei, e pubblicò, dal 1813 al 1856, una grande quantità di lavori, dei quali si può fare un’ idea, consultando il Prospetto degli scritti pubblicati da T. A. Catullo, compilato da un suo amico e discepolo (Padova, Sicca, 1867), e poi la Commemorazione, che fu pubblicata dal De Zigno negli Atti dell’Istituto Veneto. 41 630 ADUNANZA GENERALE ESTIVA a Informato di questo insieme di risultati, in parte sicuri ed in parte incerti, a cui erano giunti i suoi predecessori, e conoscendo, pure, col mezzo di studi fatti sulle opere dei geologi nostri e di alcuni geologi stranieri, le discussioni già avvenute intorno ai sol- levamenti (creduti allora prodotti dalle rocce eruttive) ed al tra- sporto dei massi erratici , non si occupò delle ipotesi proposte per ispiegare quest1 ultimo fatto, ma si diede a raccogliere rocce e fos- sili, qua e là, nei Colli Euganei e in altre parti del Veneto, a studiare le giaciture degli strati, e ad esaminare le cose già de- scritte dagli altri, collo scopo di confermare o correggere le altrui asserzioni, considerazioni e conclusioni; e nel 1841 presentò all’ Ac- cademia delle Scienze di Padova il primo frutto degli studi suoi, in uno scritto sulla Giacitura dei terreni di sedimento del Tri- vigiano , che ripubblicò, poi, nel 1842, aumentato con nuovi par- ticolari, nel Bollettino della Società Geologica di Francia. In questo lavoro, accennate le contrarie idee del Murchison e del Pasini, re- lative al sollevamento di certi strati presso Campese, descrisse quelli terziari di Àsolo, di Monfumo e della Valle Organa, la scaglia di Possagno, e le sottoposte rocce (marne argillose, con calcari bi- tuminosi e marne micacee, ed il biancone), che sono sovrapposte ai calcari del Giura; e si dichiarò favorevole alla opinione del Murchison, cioè all’essere avvenuto il sollevamento delle Alpi dopo formati tutti i sedimenti descritti (o almeno la scaglia e gli strati sottoposti a questa), percèh tutti questi strati si vedono inclinati e dislocati lungo tutto il piede meridionale delle Alpi Venete. E questa opinione, rimessa in discussione nei vari Congressi di scien- ziati italiani, che ebbero luogo a Firenze, a Padova, a Lucca, a Milano, a Napoli, a Genova ed a Venezia, dal 1841 al 47, ed ap- provata, nel 1842, con apposito scritto, dal professore Catullo, venne poi ammessa da tutti, opportunamente modificata, cioè col ritenere sorte le Alpi a più riprese, ma con i suoi più grandiosi movi- menti durante e dopo l’epoca terziaria. « Nel 1842 ebbe luogo a Padova il IV0 dei Congressi or ora accennati. Or bene, per una Guida di Padova da donarsi dal mu- nicipio Padovano ai membri di esso, il De Zigno compilò dei cenni interessantissimi sugli stabilimenti di beneficenza, sui conventi, sui teatri e sulle carceri di quella città. Poi fece parte di quel Con- gresso, vi fu eletto segretario della sezione di geologia (di cui fu DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 631 presidente il marchese Pareto, e vicepresidente Lodovico Pasini), e si occupò della redazione degli atti di essa, con opportuni rias- sunti delle cose dette dal Pasini, dal Catullo e da altri, sui di- versi sedimenti allora d'epoca incerta. « Nel 1843 pubblicò un libro intitolato Introduzione allo studio della geologia , il quale è ima breve storia della geologia dai tempi più antichi fin alla fine del secolo scorso, compilata in gran parte sui primi capitoli dei Principi di geologia del Lyell, ma anche con notizie tolte da altri libri. Lo ripubblicò, poi, nel 1853, con altro titolo. « Nel 1844, in una lettera al Pasini, descrisse le cose vedute in una gita fatta nel Bellunese e nel Cadore, e specialmente i calcari di Castellavazzo, gli strati da Perarolo a Tai, la pietra verde di Peajo, stratificata e sovrapposta a strati ritenuti del Mu- schelkalk , ed una arenaria doleritica, che accompagna i dirupi doleritici; e confermò, così, le cose dette dal Pasini ai Congressi di Pisa e di Firenze intorno alla stessa pietra verde, già ritenuta dal Catullo per emersoria, come altre pietre verdi veramente emer- sone ed in filoni e vene. « In un’altra gita, fatta negli Euganei, trovò, nella scaglia bianca e compatta, due crioceri neocomiani ; e ne annunciò nel 1845 la scoperta all’ Accademia di Padova ed alla Società geologica di Francia, completando la notizia con le opportune descrizioni e fi- gure dei due fossili, ed aggiungendovi, nei cenni mandati a Parigi, alcune notizie sui fossili triasici trovati nel Vicentino, e sulla classificazione di certi strati del Bellunese nel Lias. Nello stesso anno scrisse alla stessa Società geologica intorno a dei penta- crini terziari del Veronese , pubblicò un articolo bibliografico sopra un Annuario geografico, e mandò alla suddetta Società un Cenno necrologico sul conte Da Rio. « Siamo giunti, così, al principio dell’anno 1846, che fu un anno di vive discussioni, e direi quasi di battaglie, fra il De Zigno e il Catullo. Cominciò il De Zigno, col pubblicare uno dei suoi più interessanti lavori geologici : la Memoria sul terreno cretaceo dell' Italia settentrionale . In questa Memoria, dopo accennata l’im- portanza oramai acquistata dal criterio paleontologico per la deter- minazione dell’età relativa delle rocce sedimentarie, quando non ba- stano o possono condurre in errore quello stratigrafico e quello mine- 632 ADUNANZA GENERALE ESTIVA ralogico, l’autore descrisse gli strati tagliati dalla valle del Piave tra Penèra e Pederoba, e dimostrò che in quei luoghi il biancone è ben distinto dalla scaglia (rappresentante della Graie dei Fran- cesi), per la sua natura mineralogica, per la sua posizione strati- grafica, e per i suoi fossili, e deve, per questi ultimi, essere con- siderato come neocomiano , e come un gruppo ben distinto dalla calcarea rossa ammonitica, sottoposta ad esso e con fossili giuresi. Ma, avendo creduto di vedere delle nummuliti in un calcare posto fra la scaglia e il biancone, ammise l’ esistenza di nummuliti nella parte media del terreno cretaceo. Poi, in un altro scritto, annunciò d’avere scoperto nel marmo eli Fontana fredda negli Euganei, sot- toposto al biancone, dei fossili propri del Giura superiore. Le con- clusioni della Memoria sul terreno cretaceo erano contrarie alle idee già prima esposte dal Catullo relativamente al biancone, alla calcarea rossa ammonitica ed ai fossili; ed erano differenti da quelle, a cui era giunto da poco tempo lo stesso Catullo, in varie piccole pubblicazioni, considerando la calcarea suddetta come in- feriore al calcare ippuritico del Bellunese, collocando tutte queste rocce, insieme con la scaglia, nel terreno cretaceo. Da ciò fu in- dotto il Catullo a pubblicare, negli Atti dell'Istituto Veneto di Scienze ecc., i suoi Cenni sul sistema cretaceo delle Alpi Venete , per sostenervi le opinioni or ora accennate, e dare le descrizioni e le figure delle ammoniti promiscue, secondo lui, al biancone ed alla calcarea rossa ammonitica. 11 De Zigno, sùbito, in una Nota intorno alla non promiscuità dei fossili fra il biancone e la calcarea ammonitica , pubblicata negli stessi Atti deiristituto Veneto, esaminando le singole ammoniti in questione, dimostrò vittoriosamente: 1° che non v’è alcuna ammonite veramente pro- miscua alle due rocce accennate; 2° che, non dovendosi tener conto delle specie nuove, di quelle dubbie, e di quelle male de- terminate dal Catullo, restavano soltanto otto specie ben determi- nate ed atte ad indicare l’età delle due rocce; 3° che, di queste otto specie, quattro erano neocomiane e proprie del biancone, e le altre quattro giuresi e proprie della calcarea ammonitica (’). (') Molti anni dopo, esaminati gli esemplari, che erano stati studiati dal Catullo, ed esistono ancora nel Gabinetto di Geologia dell’Università di Pa- dova, trovai giustissima la maggior parte delle osservazioni critiche fatte dal DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 633 « Oltre che a Venezia, nell’Istituto Veneto, la questione del neocomiano, della calcarea rossa ammonitica e dei loro fossili fu discussa anche a Genova, davanti ad un maggior numero di giu- dici competenti: nella Sezione di Geologia dell’ Vili0 Congresso degli scienziati italiani, nel settembre dello stesso anno 1846. Il De Zigno, che di quella sezione fu eletto segretario, e pubblicò gli Atti verbali , vi espose le cose già dette all’Istituto Veneto, parlò anche del marmo di Fontanafredda, aderì alla classificazione del combustibile di Raveo nel Trias, e si disse propenso a credere che esistano nel Veneto, sotto alla scaglia ed al neocomiano, due cal- cavee rosse con ammoniti , una superiore, con Tenebratala diphya e con ammoniti planulate, l’altra inferiore, coll’ Ammonites Wcilcotii, e siano state confuse insieme, come formanti una sola calcarea ammonitica. E i geologi presenti (Collegno, Pareto, Pasini, ecc.) approvarono le sue idee e conclusioni, aggiungendo interessantissimi particolari relativi al neocomiano, alle due calcaree ammoniticbe, ecc., del Veneto e della Lombardia. Naturalmente, il Catullo non rimase tranquillo, e in un lavoro scritto nel 1846, ma pubblicato nel 47, cercò di difendere le sue determinazioni e le sue opinioni; ma Ìnon persuase alcuno. E qui è da notarsi il fatto singolare che nessuno, nemmeno lo stesso De Zigno, diede la meritata importanza alle parole di quest’ultimo relative alle due calcaree ammonitiche del Veneto; così che passarono ancora molti anni prima che venisse dimostrata l’esistenza, nel Veneto, d’un calcare ammonitico corri- spondente a quello, veramente liasico, di Entràtico, Induno ed Erba nella Lombardia, e ben separato e distinto da quello superiore, ri- to nico, del Veronese e d’altri luoghi del Veneto. « Gli studi del De Zigno, di cui ho detto fin qui, completando e correggendo, specialmente per quanto concerneva i fossili, il ter- reno cretaceo e il Giura, quelli del Pasini e del Catullo, diedero per ultimo risultato, al principio del 1847, la distinzione d’un buon numero di gruppi sedimentari, caratterizzati col mezzo dei loro fossili, e corrispondenti, fino ad un certo segno, a quelli già ben De Zigno intorno ai nomi dati erroneamente nel 1846 ad alcune di quelle ammoniti dal prof. Catullo. Si veda, in proposito, una delle mie pubblicazioni, che saranno citate nella nota seguente. 634 ADUNANZA GENERALE ESTIVA distinti in altri paesi. Tali erano, dal basso all’alto: i micascisti e talcoscisti, tre gruppi corrispondenti a quelli del Trias germa- nico, le dolomie (ritenute giuresi), vari calcari grigi, rappresentanti il Lias e l’Oolite, il calcare rosso ammonitico, giurese, il terreno cretaceo, formato dal biancone, dal calcare ippuritico e dalla scaglia, diverse rocce terziarie, alcune sedimentarie, altre vulcaniche, col Penctacrinus didactylus (creduto prima d’altra specie), con le num- muliti, con le ligniti, ecc., e terminate, in alto, con le sabbie, arenarie e puddinghe, credute plioceniche dal Murchison. Or bene, questa serie di gruppi, il De Zigno la espose brevemente, ma nettamente, alla Società Geologica di Francia nel 1847, in uno scritto, che fu poi ristampato, con poche variazioni, nel 1849, in te- desco, nell’Annuario di Leonhard e Bronn ; di alcune parti di essa parlò al Congresso degli scienziati italiani, che ebbe luogo a Ve- nezia nel 1847, e del quale non furono pubblicati che in piccola parte gli Atti verbali ; ne sviluppò la parte relativa al terreno cretaceo in un scritto pubblicato nel 1849, correggendo l’errore commesso nel 1846, allorché prese per nummuliti i detriti di conchiglie con- tenuti in un calcare collocato fra il biancone e la scaglia ; e, final- mente, la espose con molti particolari, indicando per tutti i gruppi i loro fossili e la loro distribuzione geografica nel Veneto, in una Memoria Sulle rocce stratificate del Veneto , che fu pubblicata nel 1850, in francese e in tedesco a Vienna, ed in inglese a Londra. E così, nel 1850, quantunque il Catullo, in una sua nuova Memoria (con diverse parti interessanti relative al Trias, e con la descri- zione e le figure di parecchie specie nuove di fossili), abbia per- sistito a considerare cretacea la solita calcarea ammonitica, e ad ammettere la promiscuità di fossili giuresi e cretacei in essa e nel biancone, risultò definitivamente stabilita, nel suo insieme generale e nelle sue parti principali, la serie completa dei terreni sedimen- tari del Veneto , e delle loro suddivisioni. E con ciò lo stesso De Zigno, il Catullo ed altri geologi, italiani e stranieri, non ebbero, in séguito, a far altro che completarla e perfezionarla, nelle sue singole parti, con lo studio di queste particolareggiato e minuzioso, stratigrafico, geografico e paleontologico 0. \ (9 La Memoria del Catullo, a cui accenno nel testo, è quella intitolata: Memoria di geognosia-paleozoica sulle Alpi Venete (intitolata, però, negli DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 635 “ Come udiste, il De Zigno si manifestò, dal 1842 al 50 come geologo , che studia i terreni e le loro suddivisioni, determinandone l’età relativa col mezzo dei fossili. E non passò, dal 1842 al 50, un anno, nel quale egli non pubblicasse almeno un lavoro. Unica ec- cezione fu il 1848, cioè quell’anno, nel quale furono ben pochi, in tutta l'Europa, coloro, che ebbero la tranquillità necessaria per gli studi scientifici. E il De Zigno non fu, di certo, fra quei pochis- simi, essendo allora Podestà di Padova, in mezzo a quella sequela di dimostrazioni e di sanguinose repressioni, dopo le quali gli Au- striaci abbandonarono anche Padova, come Vicenza, Venezia, ecc. esemplari tirati a parte, Prodromo di geognosia-paleozoica delle Alpi Venete ), la quale fu scritta in parte prima e in parte dopo il 1846, e fu pubblicata nel 1848 dalla Società Italiana dei Quaranta. Dopo il 1850, il Catullo, in una lettera al Murchison, e poi in una Me- moria speciale, adottò una Nuova classificazione delle calcaree rosse ammo- nitiche delle Alpi Venete, vale a dire si decise a separare nettamente dal biancone la solita calcarea rossa ammonitica, per dividerla in due calcaree epidotiche, l’una inferiore, l’altra superiore, caratterizzate da molte specie d’ammoniti, descritte e rappresentate con figure nella stessa Memoria; ma, come potei verificare più tardi, citò come appartenenti all’inferiore parecchie ammoniti dell’attuale gruppo titonico, ed alla superiore altre ammoniti, che sono del Lias dellla Lombardia. Nel giudicare tutti i lavori del Catullo si deve tener presente che egli fu il primo in Italia ad applicare l’uso dei caratteri paleontologici alla di- stinzione di tutti i terreni di sedimento. « E lo fece lottando con indefessa perseveranza, contro le immense difficoltà, che inceppano tal fatta di studi nei paesi lontani dai grandi centri, ove ricchissime biblioteche e bene ordi- nate collezioni profondono agli studiosi innumerevoli mezzi per istituire gli opportuni confrontili. Così il De Zigno nella sua commemorazione del prof. Catullo. Degli errori commessi dal Catullo nella determinazione di molti fossili, e delle cagioni di essi, potranno dare un’idea le mie' seguenti pubblicazioni, che sono i risultati d’uno studio minuzioso degli stessi esemplari, che furono studiati e descritti dal Catullo, e sono rimasti nel Gabinetto di Geologia della Università di Padova dopo che questo Gabinetto cessò d’essere sotto la sua direzione : Dei fossili triasici del Veneto, che furono descritti e figurati dal prof. T. A. Catullo. Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, serie 5a, voi. Vili, 1882; Delle ammoniti, che furono descritte e figurate da T. A. Catullo. Ivi, serie 6a, voi. II, 1884. 636 ADUNANZA. GENERALE ESTIVA Vennero, poi, le battaglie, col mezzo delle quali gli Austriaci ri- tornarono a dominare in tutta la Venezia e nella Lombardia, e ri- misero il De Zigno a capo deU'amministrazione Municipale di Pa- dova. E il nostro collega, tanto nei primi mesi del 1848, quanto negli ultimi, ebbe a far uso di tutta la sua attività ed energia, per fare sì che, dalle reppressioni prima, e poi dal ritorno degli Austriaci, i suoi concittadini e la sua città avessero a soffrire il meno possibile (]). « Ritornata la calma, il De Zigno, come altri naturalisti, ri- tornò alla sua solita attività scientifica; ma, dopo la pubblicazione della già citata descrizione dei terreni e gruppi sedimentari del Veneto, fatta nel 1850, si diede preferibilmente allo studio dei fossili, vegetali ed animali, manifestandosi come valentissimo pa- leontologo, continuando, tuttavia, a pubblicare, di tanto in tanto, qualche lavoro di geologia stratigrafica. Uno di questi lavori, del 1853, sui Terreni giurassici del Veneto , contiene la descrizione di questi terreni, coll’indicazione dei loro principali fossili caratteristici. Un altro, del 1858, è un Prospetto dei terreni sedimentari del Ve- (!) Per esempio, nei primi mesi, trattando a voce col generale austriaco D’Aspre, ottenne che nessuno venisse molestato per le dimostrazioni avvenute, e si fece fare dallo stesso generale un’ampia dichiarazione in iscritto, colla quale garantiva che anche dopo la sua partenza nessun altro generale avrebbe recato molestia ai cittadini. Più tardi, dopo il ritorno degli Austriaci a Padova, ottenne che fosse ridotta al minimo limite di ventimila lire austriache la tassa di guerra, e annullata del tutto la multa (di quaranta mila fiorini) in- flitta alla città dal generale Haynau; e faciliti) la fuga del patriotta e lette- rato conte Carlo Leoni e di altri, di cui era stato ordinato l’arresto. Il defunto Antonio Tolomei, nel 1884, essendo sindaco di Padova, e cercando anche nell’Archivio municipale di Padova notizie e documenti per una espo- sizione risguardante il Risorgimento Italiano, vi trovò tali documenti relativi a ciò, che il De Zigno fece in occasione delle dimostrazioni avvenute nel feb- braio 1848, da esserne indotto a mandare allo stesso De Zigno un suo biglietto di visita con le linee seguenti: « Superbo di poter testimoniare esempi di fer- mezza e virtù concittadine, tanto più splendidi, quanto meno vantati ». Devo qui aggiungere che nel 1860 il De Zigno, essendo a Vienna nel Consiglio dell’Impero, dapprima perorando davanti a questo Consiglio, e poi ricorrendo in persona, direttamente, all’Imperatore, ottenne che fosse ridotta ad una somma minore un’imposta di 500,000 fiorini annui da pagarsi dalle Province Venete, e che fossero restituiti alla Congregazione Centrale Veneta i 500,000 fiorini pagati indebitamente da essa nell’anno precedente. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 637 neto , con l’indicazione delle località e dei fossili loro. Il terzo, dello stesso anno, è la descrizione del Terreno carbonifero del Veneto . come era stato di recente trovato, nel Frinii, dal Pirona e dai geologi austriaci. Del 61 sono dei cenni sulla Costituzione geologica dei colli Euganei. Del 1867 è il Sunto d’un lavoro sullo stato d’allora delle cognizioni intorno alla Costituzione geologica delle Alpi Venete , il quale conchiudeva colla necessità di arric- chire sempre più le collezioni paleontologiche, e di studiarle, per riempire le lacune esistenti nella conoscenza dei fossili veneti. Del 1869 è uno scritto Sulle formazioni giurassiche , nel quale sono distinti, col mezzo dei fossili, tre calcari diversi nella famosa cal- carea rossa ammonitica del Veneto. Finalmente, appartengono al 1888 dei Cenni sulle condizioni geologiche p-d idrografiche del bacino acquifero di due Ville , che fornisce l'acqua potabile a Padova, col mezzo d'un lungo acquedotto. Sarebbe interessantissimo ed assai istruttivo un esame minuzioso di tutti questi scritti poste- riori al 1850, confrontati con quelli d’altri geologi, per vedere con quanta cima scientifica il loro autore ha raccolto e messo insieme i fatti osservati da lui e quelli indicati dagli altri, per rendere sempre più completa e particolareggiata la conoscenza dei terreni e piani distinguibili nelle rocce sedimentarie delle Alpi Venete. Ma devo oggi astenermene, per non allungare troppo questo di- scorso e devo limitarmi ad affermare che esso mostrerebbe il grande valore del De Zigno come geologo stratigrafico. « Venendo ora agli studi e lavori paleontologici, troviamo an- zitutto quelli sulla Flora oolitica. Le piante fossili di Rotzo nei Sette Comuni, già note nel secolo scorso, (così che ne parlarono l’ Arduino, il Brocchi ed altri), attrassero l’attenzione del De Zigno prima del 1850, poiché egli, avutone un buon numero per le sue collezioni, e fattone un esame generale, ne parlò in quell’anno, pa- ragonando il loro insieme alla flora di Scarbourough. In appresso, continuò a farne raccoglierne, se ne procurò anche moltissime altre, dei Pernigotti nel Veronese, e di altri luoghi del Veneto, fece ve- nire anche delle piante oolitiche d’altri paesi, per esempio dell’In- ghilterra, e le studiò tutte quante, paragonandole fra loro; così che, dal 1853 all’85, potè pubblicare, intorno ad esse, parecchi opu- scoli, alcune Memorie con tavole, e la classica opera, in due vo- lumi, con 42 tavole, che è intitolata Flora fossilis formationis 638 ADUNANZA GENERALE ESTIVA oolithicae , per dare le descrizioni e le figure di tutte le specie di piante appartenenti all’epoca oolitica, e trattare alcuni argomenti relativi al loro insieme, alla loro distribuzione geografica, ai climi di quell’epoca, ecc. La Flora , or ora citata, pubblicata dal 1856 all’ 85, contiene nel primo volume le descrizioni e le figure di 145 specie di Acotiledoni (33 delle quali nuove), e nel secondo volume quelle di 168 specie (di cui 40 nuove) di Monocotiledoni e di Cicadacee. Per chi conosce e sa valutare quest'opera, è davvero doloroso il sapere che il nostro compianto collega non ha vissuto abbastanza per completare il manoscritto e le tavole del terzo vo- lume, il quale doveva contenere un buon numero di Conifere ed un’ appendice ai primi due volumi. « Un certo marmo del Veneto, nero con larghe linee bianche, che si vede spesso adoperato nelle antiche costruzioni di Padova e d’altre nostre città, deve queste linee bianche a due specie di fossili, una delle quali è una grande conchiglia quasi piana, del genere Perna , e l’altra sembrò a taluni un’ ostrica molto grande, e ad altri un'alga, colla quale fu fatto il genere Lithio- tis. Or bene, il De Zigno, raccolti molti esemplari di questo fos- sile singolare, e studiatili bene, li trovò con tali forme e tali altri caratteri, da doverli considerare come gli avanzi d'una pianta so- migliante, fino ad un certo segno, per le sue foglie piegate ed amplessicauli, alle Jucche, senza, per altro, trovare in quale, tra le famiglie vegetali ora viventi, essa debba essere collocata. E inerita d'essere citata la sua Memoria del 1871 (nella quale la Li- thiotis problematica è descritta), per la modestia, colla quale l’autore si dichiarò di opinione diversa da quella esposta da un altro insigne naturalista. “ Anche dell e piante triadiche di Recoaro si occupò il De Zigno; e specialmente di quelle, che erano state raccolte e imperfetta- mente studiate dal Massalongo. Egli pubblicò le tavole già pre- parate da questo naturalista, e vi aggiunse un’ opportuna e com- pleta descrizione di tutte le specie rappresentate in esse. « Come già dissi, oltre che di piante (oolitiche e triasiche), il De Zigno studiò, descrisse e pubblicò molte specie di animali fossili , quasi tutti appartenenti alla grande serie dei vertebrati , dopo avere studiato, come vedemmo, molte specie di molluschi , per ser- virsene nelle ricerche stratigrafiche relative al biancone, a tutto DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 639 il terreno cretaceo, al calcare rosso ammonitico, al marmo di Fon- tanafredda, eòe. * G-li invertebrati , dei quali si occupò il De Zigno come paleon- tologo, per descriverli come specie nuove, sono una Gervilia giu- rese ( Gervilia Buchi), un Aptico gigantesco, titoniano ( Aptychus Meneghini , del quale studiò anche la struttura microscopica, so- migliante a quella del così detto osso di Seppia), un Nautilo di Lonigo ( Nautilus leonicensis ), un emicardio ( HemicarcLium De G-regorii) di S. Giovanni Ilarione, ed un crostaceo ( Sphaeroma Catulloi) dell’Albettone, presso gli Euganei. « Intorno ai vertebrati fossili in generale il De Zigno non pubblicò alcun lavoro; ma di lui ne abbiamo uno, assai interes- sante, sui Vertebrati mesozoici del Veneto , con notizie sui pesci e rettili dei vari gruppi triasici, giuresi e cretacei, con l’aggiunta delle ragioni favorevoli alla collocazione del calcare colla Terebra- tula Rotzoana nell’Oolite, ed alla esistenza dei piani calloviano. coralliano e kimmeridgiano nel Veneto. « Gli studi speciali del De Zigno, che si riferiscono ad animali vertebrati , sono quelli, che lo condussero a descrivere parecchie spechie nuove di rettili, alcune ossa di uccelli, alcune specie nuove di mammiferi, e molte specie di pesci. Nel 1855 egli diede alle stampe uno scritto sulle Ossa di Rinoceronte fin allora trovate in Italia, e specialmente su un dente di R. minutus , proveniente da S. Pietro Montagnone. Del 1869 è la descrizione di tre denti molari di Mastodonte angustiente , trovati in vari luoghi del Veneto. Del 1874 è una Memoria sui Mammiferi fossili del Veneto, desti- nata a correggere le inesattezze esistenti in un lavoro del Gervais sui mammiferi fossili dell' Italia. A parecchi anni, fra il 1875 e l’87 appartengono alcuni fra i più interessanti lavori del De Zigno, cioè quelli sui sirenii fossili, e nei quali sono descritti gli avanzi di quattro specie nuove di Halitherium trovate nel Veneto, sono discussi i caratteri atti a distinguere gli aliteli dai felsinoterì. è descritto un cranio di felsinoterio trovato a Brà nel Piemonte, sono descritti alcuni dentini di aliterio, sono discussi i caratteri dei sin- goli generi di sirenidi fossili, e sono esaminati i rapporti fra questi sirenidi d’una volta e quelli d’oggidì. Del 1876 sono due lavori sui resti di squalodonte estratti dalla arenaria verde del Bellunese. Del 1880 è la descrizione d’un magnifico cranio di coccodrillo 640 ADUNANZA GENERALE ESTIVA estratto dal calcare eocenico di monte Zuello, nel Veronese, e da lui dedicato, come specie nuova, all’ Arduino. Nel 1881 e nel 90 il De Zigno descrisse alcune vertebre ed altri avanzi di ofidiani; e nell’ 88 pubblicò un breve cenno su delle ossa d’un grande uccello (pro- babilmente trampoliere e somigliante alle ardee). che erano state estratte dal calcare eocenico di monte Zuello, ricco di avanzi di ver- tebrati terrestri e marini. Nell' 88 descrisse una mascella superiore di aniracoterio , che fu cavata a Monteviale, e differisce da quelle degli altri antracoterì per avere quattro premolari invece di tre; nell’89 e nel 90 pubblicò due brevi scritti, a Vienna ed a Parigi, per sostenere che questo numero di premolari è naturale, cioè, non è dovuto all’essere stata modificata la mascella da chi la estrasse dalla lignite; e negli stessi anni 1889 e 90 pubblicò diversi scritti intorno a tre cheioni terziari del Veneto, due dei quali sono di specie nuove, e rappresentati da bellissimi esemplari. Finalmente, dei pesci fossili il De Zigno cominciò ad occuparsi prima del 1853, e continuò fin al termine della sua vita ; ed è principalmente con i suoi lavori su questi pesci, oltre che con quelli sulla flora coli- tica, che egli si acquistò la fama di ottimo paleontologo. «Nel 1853 egli annunziò alla Società Geologica di Francia la scoperta dei pesci fossili negli strati sulle rive del torrente Chiavon, fra Schio e Marostica, indicandoli come eocenici ; nel 54, avuto e studiato un maggior numero di quei pesci, scrisse alla stessa So- cietà per correggere il suo errore, considerandoli più recenti, e quasi tutti di specie nuove; e nel 1857 pubblicò una specie di ca- talogo di tutti i resti di pesci trovati nel Veneto fin a quell’ anno, indicando le specie giuresi, quelle cretacee, quelle eoceniche (del Bolca) e quelle mioceniche (del Chiavon); ma poi si diede quasi esclusivamente allo studio di tutti quelli del Bolca, esaminando, oltre a quelli acquistati per le sue collezioni, anche quelli nelle collezioni altrui, pubbliche e private, a Padova (Università), a Ve- rona, a Vienna e altrove. E furono frutti di questo studio, dal 1866 all’88, parecchie Memorie contenenti le descrizioni e le figure di un buon numero di specie nuove, e il Catalogo ragionato , che fu pubblicato nel 1874, conta più di 200 pagine, e contiene, opportu- natamente compendiate, le descrizioni di 90 generi e di 170 specie, a cui appartengono i pesci del Bolca fin allora ben conosciuti. Ma, come già dissi, il De Zigno non si occupò soltanto dei pesci fos- DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 64 1 sili del Veneto. Egli, infatti, pubblicò nel 1885 uno scritto su dei pesci eli Libano, che erano stati regalati all'Istituto Veneto; e l'ul- timo lavoro pubblicato da lui, nel 1891. tratta dei Pesci eli Lumez- zane, nella Val Trompia , in Lombardia, dell’epoca triasica. s Oltre ai lavori di geologia stratigrafìca ed a quelli di paleon- tologia, il De Zigno, dopo il 1850, ne pubblicò parecchi altri, di varia natura. Tali sono : un cenno bibliografico sulla Paleontologia della Sardegna del Meneghini ; la indicazione delle persone e dei luoghi da visitarsi dai naturalisti austriaci imbarcati sulla « Novara » , per raccogliere dati e materiali per la flora oolitica ; una relazione sull’ uredinea del frumento , che recò gravi danni nel Veneto nel 1862 ; un breve cenno sull ’ impronta d' equiseto nel gneiss pubblicata dal Sismonda, e dovuta, piuttosto, secondo lui, ad uno sfenofìllo; una Commemorazione del prof. T. A. Catullo , in cui sono esposti im- parzialmente i meriti e gli errori scientifici del vecchio geologo bellunese; un cenno bibliografico sulle pubblicazioni del Comitato geologico italiano; un lavoro, lungo e faticoso, compiuto insieme col prof. Pirona, per la compilazione della parte, che si riferisce al Veneto, della Bibliographie géologigue et paléontologigue de V Italie, pubblicata in occasione del Congresso Geologico di Bologna; e, finalmente, due biografie , nelle quali l’autore descrisse maestre- volmente la vita e i lavori dei nostri colleghi Gastaldi e Meneghini. « Eccovi esposto, più brevemente e meno male che mi fu pos- sibile, tutto quello, che ha fatto, come geologo e paleontologo, il nostro compianto collega in cinquantanni di vita scientifica, dal 1841 al 1891. « Quando si considerano tutti questi lavori, nel loro insieme, la prima osservazione, che si fa, è che essi furono ben numerosi: circa cento ; e la seconda è che essi sono fatti in modo, da poter servire come modelli. Ciascuno di essi, di solito, comincia con un compendio della storia delle ricerche fatte fin allora intorno all’ar- gomento da trattarsi od al gruppo di fossili da descriversi, poi è trattato l’argomento o sono descritti i fossili, nel modo più chiaro e completo, e poi, se occorre, vi sono le conclusioni, che si pos- sono dedurre dalle cose esposte o descritte, relativamente alle que- stioni stratigrafiche, oppure ai climi ed alle circostanze, in cui vis- sero gli animali o i vegetali descritti. E voi sapete meglio di me quante ricerche si debbono fare, quanti libri bisogna consultare, 642 ADUNANZA GENERALE ESTIVA quanto lavoro minuzioso e paziente occorre, per evitare gli errori iu questo genere di scritti, per raccogliere tutte le notizie e i dati, di cui si ha bisogno per conoscere le specie già descritte (a cui paragonare quelle credute nuove), per trovare i caratteri atti a di- stinguere nettamente le specie nuove da quelle già note, e per la soluzione dei dubbi, sempre frequenti e rinascenti in queste sorta di lavori. E fra quelle numerose pubblicazioni stanno due opere, che devono aver costato all'autore un lavoro ben maggiore di quello per le altre, pel gran numero delle specie descritte, delle citazioni relative ad esse, ecc. ; e sono la Flora oolithica e il Catalogo dei pesci del Bolca. E non va dimenticato che il De Zigno fece tutti questi lavori intanto che lo occupavano e gli facevano perdere mol- tissimo tempo tante altre e svariate cose, per le faccende della famiglia e per le cariche pubbliche, alle quali, come già dissi, egli fu chiamato dal 1835 in poi, e delle quali compì sempre e coscienziosamente tutti i doveri. È, dunque, difficile farsi una idea del come egli abbia potuto trovare il tempo e la lena per com- piere tanti lavori; ma, a spiegarcelo ci aiuta anzitutto il pensare che egli amò passionatamente la scienza, e poi anche il sapere, per mezzo dei suoi famigliali, che egli passava sempre ore ed ore, di giorno e di notte, nel suo gabinetto, in mezzo alle sue predi- lette collezioni e fra i suoi libri, studiando, leggendo e scrivendo, ed approfittava, per studiare e lavorare, anche dei più brevi istanti, che gli erano lasciati liberi dalle altre occupazioni. « I lavori del De Zigno, oltre che numerosi, furono anche d'un grande valore scientifico. In alcuni di essi egli determinò, col mezzo della stratigrafia e dei fossili, prima o meglio degli altri geologi, l’età relativa di alcuni gruppi di rocce sedimentarie del Veneto (per esempio, di quelli componenti il terreno cretaceo, e di quelli appartenenti al Giura ed all’Oolite); e negli anni dal 1847 al 50 sta- bilì definitivamente la serie completa dei terreni sedimentari del Veneto e delle loro principali suddivisioni. E con altri, più nume- rosi, trovò e descrisse un gran numero di specie nuove d’animali e vegetali fossili, ed anche molti generi nuovi, ed alcune famiglie nuove, che gli altri paleontologi accettarono e collocarono ai ri- spettivi posti nelle loro opere generali. « Se ora noi pensiamo anche alle grandi spese, che il De Zigno dovette fare per acquistare gli oggetti da studiare, per farli dise- DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 648 gnare in modo perfetto, e per procurarsi i libri necessari al loro studio, alla quantità di lavoro intellettuale impiegato per bene esaminare, confrontare e descrivere tutti quegli oggetti, ed al gran numero di lettere, che egli dovette scrivere ad altri naturalisti, per consultarli intorno ai suoi studi ed ai suoi dubbi, ed anche per rispondere alle loro domande e sciogliere i dubbi loro, cresce an- cora maggiormente la nostra ammirazione per il nostro defunto collega. « Quanti ricchi sappiamo che abbiano fatto o facciano ora, per la scienza, altrettanto? « La prodigiosa attività del De Zigno non diminuì che nel 1888, quando la morte di quella donna, ammirabile sotto ogni riguardo, che gli era stata fedele compagna per quarant’anni, lo colpì tanto vivamente, da togliergli per qualche tempo ogni energia; ma ben presto, incoraggiato dai figli, si rimise, quasi per distrarsi dal suo dolore, a lavorare, pubblicò i suoi ultimi scritti, già citati, e pei quali aveva già raccolto e ordinato i materiali, e cominciò il ma- noscritto del terzo volume della Flora oolithica ; ma la morte lo colse, dopo pochissimi giorni di malattia, nel mattino del 15 gen- naio di quest’anno, all’età di settantanove anni: proprio allora, che aveva finito di rimettere in ordine, in nuovi e più comodi locali, i suoi fossili e i suoi libri, coll’intenzione di riprendervi, più ala- cremente che mai, i suoi studi e i suoi lavori. « Ora egli riposa nella sua villa di Vigodarzere, presso Padova, vicino alle spoglie della sua diletta consorte ; le collezioni e i libri, che egli amò tanto, sono nel Gabinetto di Geologia della Univer- sità di Padova ; e le collezioni, vi rimarranno sempre ben distinte dalla altre. Così i libri, gli opuscoli e le collezioni, che già ap- partennero al nostro compianto collega, potranno servire, insieme con i libri, gli opuscoli e le collezioni appartenenti al citato Ga- binetto, alla conoscenza ed allo studio della geologia e della paleon- tologia del Veneto, ed a quelle generali (Q. Le collezioni, però, ( 1 ) L’autore di questi cenni acquistò dalla famiglia De Zigno le colle- zioni, i libri ed opuscoli, regalò il tutto alla Università di Padova, per il suo Gabinetto di Geologia, con la sola condizione che le collezioni del De Zigno rimangano sempre distinte dalle altre, per mezzo di opportuni cartelli od in altri modi. 644 ADUNANZA. GENERALE ESTIVA non contengono ora tutto quello, che il De Zigno raccolse per farle ; poiché egli, oltre, che appassionato per aumentarle sempre più, fu anche generoso donatore, e spesso regalò modelli di fossili ed esem- plari originali di grande valore ad altri geologi ed a pubblici Musei, dopo averli studiati e descritti per le sue pubblicazioni. Per esempio, nel 1881, in occasione del Congresso Geologico internazionale di Bo- logna, regalò al Mnseo di Geologia di quella Università una col- lezione di pesci fossili del Bolca, di specie rarissime e benissimo conservati, che furono stimati del valore di 6000 lire. « I lavori, di cui vi ho dato un' idea, procurarono al De Zigno onori scientifici di varie specie. Nel 1838, a venticinque anni, co- minciò a far parte dell’Accademia delle scienze di Padova, che contava nel suo seno il Santini, il Da Rio, il Catullo, il De Vi- siani, ecc. ; nel 1845 vi divenne membro effettivo (così che nell’85 vi celebrò il suo giubileo accademico), e ue fu presidente nel 1879-80; fu pure nel R. Istituto Veneto, e ne fu Presidente nel 1875-76; in vari Congressi degli scienziati italiani fu, ora segretario ed ora vicepresidente della Sezione di Geologia; appartenne alla Società Geologica di Francia fin dal 42; nel 1856 gli fu offerta la cattedra di Geologia nel Museo di Storia Naturale di Firenze, ma per ragioni di famiglia non la potè accettare ; nel Congresso Geo- grafico internazionale di Venezia (nell’81) fu vicepresidente del 3° gruppo ; iu quelli geologici internazionali di Bologna e di Berlino (nell’81 e nell’85) fu eletto vicepresidente per l’Italia; ed appar- tenne al R. Comitato Geologico Italiano (dall’ 85 in poi), alla So- cietà detta dei Quaranta, all’Accademia dei Lincei, ed a tante altre Accademie e Società scientifiche, italiane e straniere, che sarebbe qui troppo lungo enumerare. E da diversi governi ebbe numerose distinzioni onorifiche, cominciando colla croce di S. Lodovico pel merito civile (nel 1843), con quella di cavaliere della Corona di Ferro (nel 1852), e col titolo di barone (nel 1857), e terminando colla commenda della Corona d’Italia (nel 1857), e colla croce di ca- valiere dell’ordine del Merito di Savoja (nel 1891). « A indicare quale carattere egli ebbe, basterebbero quattro pa- role: quello d’un gentiluomo. L'attuale segretario del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, Paolo Fambri, in una circolare mandata ai Membri e Soci di detto Istituto, per far loro conoscere la morte del De Zigno, dopo accennati i di lui lavori scientifici, DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 615 10 disse: - il più compiuto e garbato signore, che si potesse de- siderare in società; gentiluomo di nascita, di abitudini, di senti- menti e di modi - . E soggiunse che « mantenevasi invariabilmente di carattere dolce e cortese, ma franco ed energico. Ricusava pres- sioni, sentiva alto, e sopratutto non recedeva d'una linea dalla idea e dai sentimenti una volta enunciati ... A voler ben definito 11 perduto collega nostro, bisogna dire che fu un insigne gentiluomo della vecchia scuola e un insigne scienziato della nuova». - A questa definizione aderisco completamente, quantunque io non abbia conosciuto il De Zigno che dopo il 1869; perchè, d’ allora in poi, lo vidi assai di frequente, andando da lui. per domandargli consigli, o venendo lui all’ Università, per lo studio dei fossili ap- partenenti a questa, e sempre lo trovai tale, da non potersi defi- nire in modo migliore che colla frase del Fambri. k E non posso finire meglio che col riportare alcune altre linee, scritte dallo stesso Fambri: « Morì meno ricco che non nascesse. Il lavorare costò alla - sua fortuna quanto e più che ad altri lo scioperare. Rese agli studi - dei servigi, che non gli furono certamente ricambiati. Ed egli ben « sei sapeva prima, e non se ne dichiarava punto deluso. Della scienza “ si mostrava, anzi, oltreché appassionato, soddisfattissimo, sempre. - Essa avevagli, diceva, in ogni tempo, procurato inestimabili amici. « Infatti, i colleghi l’ebbero sempre caro; e lunga memoria serbe- « ranno non solamente del valorosissimo geologo e naturalista, ma al- « tresì del collega leale e del cavaliere cortese (') ». Il discorso del Presidente è vivamente applaudito. (!) Nella citata lettera-circolare il segretario Fambri, dopo accennati i numerosi lavori scientifici del defunto, scrisse quanto segue : u Agli studi dedicò, può dirsi, la vita, e molta parte, altresì, del largo patrimonio. « Malgrado questa, non dirò inclinazione, ma addirittura passione scien- tifica, che ordinariamente assorbe ed isola l’individuo, egli fu il più compiuto e garbato signore, che si potesse desiderare in società. Gentiluomo di nascita, di abitudini, di sentimenti e di modi, egli, certo non molto, ma pure trovò anche tempo per quegli svaghi, che, quando non sono proprio che svaghi, possono chiamarsi un ornamento di più. « Amò, per esempio, di artistico e cavalleresco amore la spada, e, fin quasi in ultimo, la trattò con una certa maestria d’assaltante, cioè lontano assai dal giuoco lezioso, come dal licenzioso e naturalista. Egli di questa ma- 42 646 ADUNANZA. GENERALE ESTIVA PUBBLICAZIONI DEL Barone A. DE ZIGNO Opere. Catalogo ragionato dei fossili del calcare eocene di monte Solca e monte Postale. Pubblicato dapprima nei fascicoli del voi. Ili della serie 4* degli Atti del R. Istituto Veneto di Scienze ecc., e poi a parte. Pagine 211 in 8°, Venezia, 1874. Flora fossilis formationis oolithicae. Due volumi, in 4°, con 42 tavole. Pa- dova, 1856 a 1868 (il primo volume) e 1873 a 1885 (il secondo). terra ragionava continuamente meco con vera passione; e mi ricordo come un giorno, or fanno appena quattr’anni, cioè quand’era già sui settantacinque, ina- liconicamente dic'evami di non si scontentare troppo dell’età sua, ma dolergli una cosa, quella di dovere, venutagli meno la elasticità delle gambe, abban- donare la scherma, sebbene il pugno andasse; e di questo, coll'orgoglio del vecchio schermitore, mi faceva notare i movimenti rapidi, stretti e corretti. « Del resto, per lui la spada non rappresentava soltanto un’ arma e un esercizio, ma tutto un insieme di concetti e di doveri, che sempre onorano, afforzano ed elevano. « Mantenevasi invariabilmente (e in ciò l’educazione della spada c’è sempre per molto) uomo di carattere dolce, e cortese, ma franco ed energico. Ricusava pressioni, sentiva alto, e sopratut.to non recedeva di una linea dalle idee e' dai sentimenti una volta enunciati. « Ebbe perciò lunga e rispettabile impopolarità. Riconosciuto e onorato dagli scienziati tedeschi molto più e molto prima che dai nostrali, egli si trovò, negli anni suoi giovanili, gradualmente portato verso un ordine d’idee alquanto, anzi, per verità, troppo divergente dalle aspirazioni nazionali. Fatto quindi scopo ad osservazioni ed attacchi, ne sofferse; ma rifuggi dal retroce- dere per attenuarli comunque. Si fece al contrario un dovere di prodigare, ostentare le cortesie e deferenze, che gli erano rimproverate; laonde si trovò in qualche momento scopo a giusti sdegni, che sfidò, e, può quasi dirsi, pro- vocò. Eppure, chi ragionava con lui, un senso d’italianità politica schietta glielo trovava. Se non che, dalle conseguenze pratiche di questo lo allontana- vano ormai alcune sincere affezioni personali a gentiluomini stranieri, ed un culto incrollabile della propria coerenza, che egli identificava con la dignità e la onestà. « Allo straniero, però, nulla chiese; l’indipendenza personale altamente mantenne. Dalla finalmente maturata italianità politica del Veneto si riguardò sciolto, e l’accolse con lealtà cordiale, ma dignitosa. I bravi figli molto ono- ratamente vestirono l’uniforme nazionale. u Quanto alla popolazione, essa rispettò chi aveva saputo, nelle più dif- fìcili, anzi pericolose, condizioni, rispettare se medesimo, e sarebbe probabil- DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 647 Bibliographie géologique et paléontologique des Province s Vénitiennes. Fa parte della Bibliographie géologique et paléontologique de V Italie, par les soins du comité d'organisation da deuxième Congrès géologique In- ternational (à Bologne ). Bologna, Zanichelli, 1881. — Il manoscritto di questa parte fu messo insieme dal barone De Zigno e dal prof. G. A. Pirona ; e conteneva, in ciascuna scheda indicante il titolo e gli altri dati relativi ad una pubblicazione, anche un breve cenno o sunto delle cose contenute in questa: ma, per non ingrossare troppo il volume della Bibliografia intera, si sono dovuti omettere tutti questi cenni e sunti, per quanto interessantissimi. mente andato anche più oltre nel favore, se a lui fosse sembrato di doverlo comunque sollecitare; poiché del grande merito suo era conscia ed orgogliosa. « A taluno potrà sembrare, per avventura, che di codesto suo periodo impopolare poteva tacersi ; ma io penso che non sempre il silenzio è d’oro ; io penso che in un libero paese tutti i fatti importanti, piacciano o no, va- dano senza riguardi esposti, e senza preconcetti di sorta studiati e pesati. È soltanto cosi che il giudizio si fa largo, e discreto ad un tempo, poiché la franca ricerca spiega origini e procedimenti, e dell’acuta e forte osservazione psicologica e della assodata verità storica si giova la critica, a scemare o a dirittura sfrondare ora allori ed ora biasimi mal prodigati. «Troppi pud”ri, infatti, vennero talvolta dall’universale giudicati perti- nacie e impudenze, mentre, per converso, tal’altra, troppe impudenze vennero glorificate come nobili riscosse, non essendo che abili diserzioni. « È ciò ben comprese chi fregiò della croce di Savoia il forte petto di lui. « A volerlo ben definito, il perduto collega nostro, bisogna dire che fu un insigne gentiluomo della vecchia scuola, e un insigne scienziato della nuova. « Ciò vuol dire che in lui il vecchio e il nuovo furono egualmente a posto. « Egli lasciò sempre contenti e talora ammirati di sé tutti coloro, che ci ebbero a fare per qualsiasi diversa necessità o specie di cose. La sua vera c sostanziale cortesia era molto più che urbanità, rimanendo a ogni modo an- cora piena di una energia non altèra, ma alta. Egli si’inchinava, si profon- deva innanzi ad una sola cosa, al merito ; scevra di questo, riguardava e di- chiarava assai umile qualunque più elevata indizione. « Mori meno ricco che non nascesse. Il lavorare costò alla sua fortuna quanto e più che ad altri lo scioperare. Bese agli studi dei servigi, che non gli furono certam.-nte ricambiati. Ed egli ben sei sapeva prima, e non se ne ne dichiarava punto deluso. Della scienza si mostrava, anzi, oltreché appassionato, soddisfattissimo sempre. Essa avevagli, diceva, in ogni tempo procurato ine- stimabili amici. » Infatti, i colleghi l’ebbero sempre caro, e lunga memoria serberanno non solamente del valorosissimo geologo e naturalista, ma altresi del collega leale e del cavaliere cortese ». 648 ADUNANZA GENERALE ESTIVA Opuscoli. 1. — 1833. Pianta crytogdmae in Provvida Patavina hacusque observalac.- Patavii, typis Seminarli. Due pagine e mezza, in 8°, firmate A. Z. Nel 1834 il De Zigno lesse uno scritto su delle Alghe ecc che egli stesso citò nel 1839 (nel lavoro Sui corpi organici ecc.): ma non lo pubblicò. 2. — 1836. Cenno sulle ricerche dell'Ehrenberg intorno all'organismo degli infusori. Venezia, tipografia Picolti. Quattro pagine (estratte da un’opera in 8°, a due colonne), con le iniziali A. Z. sul frontispizio, e con una tavola rappresentante la Hg datila senta di Ehrenberg, con le varie sue parti distinte secondo questo autore. 3. — 1836. Sopra i vasi spirali delle piante. Due pagine in 8°, a due co- lonne, senza nome dell’autore, pubblicato in un’opera, a Venezia. 4. — 1839. Sopirà alcuni corpi organici, che si osservano nelle infusioni. Cenni letti alla I. R. Accademia di Scienze ecc. di Padova. Padova, tip. Cartallier e Sicca, pag. 23, in 8°. 5. — 1841. Sulla giacitura dei terreni di sedimento del T rivigia.no. Memoria letta all’Accademia di Scienze ecc. di Padova. Padova, Sicca. Pagine 14. in 8°, con una tavola rappresentante una sezione della collina di Pos- sagno. 6. — 1842. Sur les terrains tertiaires des environs de Trévise et de Padoue. Nel voi. XIV della prima serie del Bullettino della Società Geologica di Francia (7 novembre 1842), Parigi. Tre pagine in 8°. Breve sunto del la- voro precedente, con aggiunta di alcune linee intorno ai terreni terziari dei colli Euganei, già indicati dal Catullo nel 1828. trovati anche dall’au- tore nel 1833, negati poi dal Da Rio nella sua Orittologia euganea, e confermati, più tardi, da Doderlein e Pasini. 7. — 1842. Sugli stabilimenti di beneficenza, conventi, teatri e carceri di Padova. Nella Guida di Padova e della sua provincia, pubblicata in occasione della IV Riunione degli scienziati italiani. 8. — 1843. Atti verbali della sezione di geologia, mineralogia e geografia, negli Atti della IV Riunione degli scienziati italiani, che ebbe luogo in Padova nel settembre 1842. Padova, coi tipi del Seminario, 1843. Pa- gine 55, in 4°. 9. — 1843. Introduzione allo studio della geologia. Parte prima. Padova, Sicca. Pagine 121, in 8°. Questo lavoro fu, poi, ristampato, con altro titolo, nel 1853. 10. — 1844. Alcune osservazioni geologiche fatte nel Cadore. Lettera a L. Pasini. Nel voi. IV della prima serie degli Atti dell’I. R. Istituto Ve- neto di scienze, lettere ed arti, a pag. 39. Due pagine in 8°. 11. — 1815. Sopra due fossili rinvenuti nella calcarea dei monti Padovani. Memoria letta nell’Istituto Veneto ecc., nel marzo 1845, e stampata nel tomo 12° del Giornale dell’I. R. Istituto lombardo di Scienze, ecc. Bi- DEl.LA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 649 blioteca italiana. Milano, tipografia Bernardoni. Sette pagine, in 8°, con una tavola rappresentante i due fossili. Lavoro ristampato, poi, a Pa- dova, nello stesso anno, in -5 pagine in 4°, con la stessa tavola. 12. — 1845. Découverte chi Trias dans les montagnes cìu Vicentin, du lias dans le Bellmais, et de deux Crioceras dans le monts Euganéens. Bull. Soc. Géol. Frange. Deuxième sèrie, tome 2°, pag. 356 a 377. 13. — 1845. Sur les pentacrinites dans le terrain tertiaire. Ball. Soc. Géol. de Frange. Deuxième sèrie, voi. Il, pag. 574. 14. — 1845. Sull' Annuario geografico italiano pubblicato da Annibaie Ra- nuzzi. (Anno primo, Bologna. 1884). Cenno bibliografico, di 6 pagine, pubblicato in un giornale di Padova. 15. — 1845. Notice nécrologique sur Mr. le comte N. Da Rio, lue à la So- cietà Géologique de Franco le 0 j uhi 1845. — Due pagine in 8°. 16. — 1846. Sul terreno cretaceo dell'Italia settentrionale. Nel volume IV dei Nuovi Saggi della I. B. Accademia delle Scienze ecc. di Padova, Padova, Sicca. Pagine 12, in 4°, con una tavola rappresentante la se- zione della collina di Monfenera. 17. — 1846. Priorità de l'étude des Crioceras du terrain néocomien en Italie. Lettera pubblicata, in parte, nel Bull. Soc. Géol. de Frange, seconda serie, voi. Ili (1845-46), a pag. 269. Accompagna l’invio fatto del la- voro precedente alla Società Geologica di Francia, ed insiste sul diritto di priorità dell’autore per la distinzione del terreno neocomiano in Italia per mezzo dei due Crioceri scoperti da lui nei colli Euganei. 18. — 1846. Découverte du terrain néocomien dans les Alpes Venitiennes. Traduzione delle conclusioni del lavoro sul terreno cretaceo dell'Italia settentrionale, inserita nel voi. Ili della serie 2a. del Bull. Soc. Géol. de France. 19. — 1816. Sul marmo di Fontanafredda nei colli Euganei. Nel voi. V (1845-46) della serie prima degli Atti dell’Istituto Veneto ecc. Cinque pagine in 8°. Venezia. 20. — 18i6. Découverte des couclies oxfordiennes dans les collines Euga- néennes. Brano di lettera, pubblicato nel voi. Ili della seconda serie del Bollettino della Società Geologica di Francia, a pag. 488, e nel quale si annunzia la scoperta, di cui si tratta nel lavoro precedente. 21. — 1846. Nota intorno alla non promiscuità dei fossili fra il Biancone e la calcarea o/mmonitica delle Alpi Venete. Nel voi. V della la. serie degli Atti dell’I. R. Istituto Veneto ecc. (1845-46). Venezia, Natarovich. Di questa Nota, di 13 pagine in 8°, si parla a lungo nel testo. 21 bis — 1846. Intorno ai cenni del professore Tommaso Antonio Catullo sopra il sistema cretaceo delle Alpi Venete. — Osservazioni. Padova, Sicca. E una seconda edizione, di 13 pagine in 8°, con alcune variazioni, qua e là, nelle parole, della precedente Nota. 22. — 1816. Atti verbali della sezione di geologia e mineralogia della Vili Riunione degli scienziati, che ebbe luogo in Genova nel settembre 1840 . Padova, Sicca, 1849. Di pagine 71 in 4°. 650 ADUNANZA GENERALE ESTIVA 23. — 1846. Fossili neocomiani del Biancone. Genova. Una pagina in 4". È una delle brevi, ma importanti, comunicazioni stampate dall’autore nei precedenti Aiti. 24. — 1846. Sulle impronte circolari nella calcarea dei monti Euganei. Genova. Mezza pagina in 4°. E un’altra delle brevi, ma importanti, co- municazioni dell’autore al Congresso deg'li scienziati italiani, che ebbe luogo a Genova nel 1846. In una nota delle sue pubblicazioni, che il barone De Zigno distribuì ai suoi amici, egli indicò qui, nel 1847. i tre seguenti lavori : Sui terreni giu- resi e cretacei del Veneto ( Congresso di Venezia). Estensione del Trias nel Veneto, nella Valsugana e nel bacino di Trento (Congresso di Ve- nezia). Sui terreni secondari e terziari dei monti Euganei ( Congresso di Venezia). Questi tre lavori saranno stati scritti e presentati al Con- gresso degli scienziati italiani a Venezia; e il Diario di questo Congresso ci fa appunto sapere (nelle pagine 9, 16, e 40) che il De Zigno ha par- lato di questi argomenti in varie sedute della sezione di geologia e mi- neralogia; ma non mi consta che i tre lavori citati sieno stati stam- pati e pubblicati. 25. — 1847. Sur les terrains stratifiés des Alpes Vénitiennes. Nel voi. IV (parte 2a) del Bull. Soc. Géol. de Frange, a pagina 1100. Due pagine e mezza, in 8°. 26. — 1848. Nouvelles observations sur les terrains cretacés de Vltalie sep- tentrionale. Nel voi. VII della 2a serie del Bull, della Soc. Geol. di Francia, a pag. 25. Otto pagine in 8°. Parigi. 27. — 1848. Ueber die Ceschichtete Gebirge der Venetianischen Alpen. Nel Neues Jahrbuch far Mineralogie, Geognosie, Geologie und Petrefaktenkunde di Leonhard e Broun, pel 1849. Stuttgart. Quattro pagine in 8°. È una riproduzione, alquanto variata e con un poco più di particolari, dello scritto al n. 25. 27 bis — 1850. Nouvelles observations sur les terrains cretacés des Alpes Vénitiennes. Padova, Sicca. Tredici pag. in 8°. E una ristampa con poche variazioni nelle parole dello scritto, indicato al n. 26. Per esempio, vi è corretto: Immediatement au dessus de la scaglia in Immediatement sous la scaglia; e vi è pure corretto (nel paragrafo che comincia con Mes études paléontologiques) Hamites Bouchardianus D’Orb. in Hamites alternatus Phillips. 28. — 1850. Coup d'ceuil sur les terrains stratifiés des Alpes Vénitiennes. Presentò à la se'ance de l’Institut I. B. Géologique, du 16 avril 1850. Sedici pagine in 4°, con una tavola rapprentante uno spaccato dei monti fra Bassano e la Cima d’Asta, passando per i Setti Comuni. Nel voi. IV delle « Naturwissenschaftlichen Abhandlungen » di W. Haidinger. Vienna! 28 bis. — 1850. Uebersicht der geschichteten Gebirge der Venetianischen Alpen. Nel primo anno del Jahrbuch del k. k. Geolog. Reichsanstalt. Pagine 16 in 4°, con una tavola. Vienna. E una semplice traduzione del lavoro pre- cedente, colla stessa tavola. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 651 2 8 ter. — 185B On thè stratified formations of tlie Venetian Alps. — Ne! voi. VI del Quarterly Journal of thè Geological Society of London. Altra traduzione, con pochissime variazioni e con una breve aggiunta (sul me- tamorfismo di certi calcari cristallini), della Memoria col n. 28. 29. — 1850. Notizen aus den Venetianischen Alpen. Nello Jahrbuch der k. k. geologischen Eeichsanstalt pel 1850. Vienna, in 4°. Si annuncia che il De Zigno ha determinato l’età relativa di molte rocce secondarie del Veneto; e si fa conoscere la pubblicazione della Memoria col n. 28. 30. — 1852. Fossile Pflanzen der Venetianer Alpen, Nello Jahrbuch der k. k. geol. Reichs. pel 1852, 2° fascicolo, pag. 171. Vienna, in 4°. Poche linee, per annunciare la scoperta delle piante fossili del Chiavon, e gli studi dell’autore su quelle di Rotzo, dell’epoca stessa degli strati di Scar- borough. 31. — 1853. Nouveau gisement de poissons fossiles et de plantes. Paris. Nel voi. X della serie 2a del Bull, de la Soc. Geol. de Frange, a pag. 267. Una pagina in 8°. Lettera, che annuncia la scoperta di pesci e piante fossili negli strati sulle due rive del torrente Chiavon, fra Schio e Ma- rostica, e considera questi strati come appartenenti alla stessa epoca di quelli con pesci del B dea. 32. — 1853. Dccouoerte d'une flore jurassique analogue à celle de Scarbo- rough dans les couches oolithiques des Alpes Venitiennes. Nel voi. X della serie 2a del Bull de la Soc. Géol. de Fran9e, a pag. 268. Due pa- gine in 8°. Lettera, nella quale sono compendiate le cose dette nel la- voro seguente. 33. — 1853. Sui terreni jur rasici delle Alpi Venete e sulla flora fossile, che li distingue. Quattordici pagine in 8°. Scritta nel 1852, letta nel gennaio 1853 alla I. R. Accademia delle Scienze di Padova, pubblicata nel I volume della «Rivista Periodica» di questa Accademia, e poi anche a parte (Padova, Sicca), con la data del 1852. 34. — 1853. Sulle Cicad,acee fossili dell'Oolite. Nel voi. I della Rivista Pe- riodica della I. R. Accademia di Padova. Cinque pagine in 8°. Padova. 35. — 1853. Della geologia e suoi progressi prima del secolo XIX. Padova, Sicca. Pagine 75, in 8°. Ristampa, con parecchie modificazioni nella forma, del lavoro pubblicato nel 1843 come prima parte della Introdu- zione allo studio della geologia. 36. — 1854. Végétaux fossiles de la Vénétie. Nel voi. XI della serie 2a. del Bull, de la Soc. Géol. de Franfe. Due pagine in 8°. Lettera, nella quale si annunciano di nuovo le flore fossili giuresi del Vicentino e del Ve- ronese, gli studi relativi, ecc. Una lettera simile a questa deve esser stata pubblicata nel « Quarterly Journal » della Società Geologica di Londra; ma non ho potuto vederla. Ed un’altra ancora, nel « Neues Jahrbuch » di Leonhard e Broun. 37. — 1854. Poissons fossiles du Chiavon. Nel voi. XI della 2a. serie del Bull. de la Soc. Géol. de Fran9e, a pag. 469. Una pagina e mezza, in 8°, per rettificare certe cose pubblicate nello stesso Bullettino, nel 1853 (vedi " 652 ADUNANZA GENERALE ESTIVA il. 31), intorno ai pesci fossili del Chiavon ; cioè per dichiarare che que- sti, raccolti in maggior numero e meglio studiati, risultarono più re- centi di quelli del Bolca, cioè miocenici. 38. — 1855. Sulle ossa fossili di rinoceronte trovate in Italia. Nel voi. Ili della Rivista Periodica della I. R. Accademia delle Scienze di Padova. Pagine 15, in 8°. Padova. 39. — 1856. Sulla flora fossile dell' Oolite. Nel voi. VI delle Memorie dell’I. R. Istituto Wneto di Scienze ecc. Venezia. Quindici pagine in 4°. Le cose dette in questa Memoria si ritrovano, quasi tutte, nella prefazione del I volume della Flora fossilis formationis oolithicae. In un esem- plare di questa Memoria l'autore lia aggiunto una Nota manoscritta, la quale dice così : « Questa Memoria, del 1856, riassume lo stato delle nostre cognizioni fino a quell’anno sulla estensione geografica di questa flora. Quella letta aH’Accademia di Padova nel 1863 lo modifica essenzial- mente ». 40. — 1857. Sui resti fossili dei pesci trovati nel Veneto. Sunto di una Me- moria con questo titolo, pubblicato nel voi. V della Rivista Periodica della I. R. Acccademia di Scienze di Padova (1856-57). Quattro pagine in 8°, contenenti, con varie notizie, l’elenco delle specie nuove di pesci fossili fin allora note nei diversi strati fossiliferi del Veneto. 41. — 1858. Prospetto dei terreni sedimentari del Veneto. Nel voi. Ili della 3a. serie degli Atti dell’Istituto Veneto di Scienze ecc. Venezia. Pagine 12 in 8°. 42. — 1858. Del terreno carbonifero delle Alpi Venete. Nel voi. Ili della 3a. serie degli Atti dellTstituto Veneto ecc. Pagine 8 in 8°. 44. 1859. Delle Alghe e delle Calumar ie dei terreni Gol iti ci. Nella Ri- vista Periodica della Accademia delle Scienze di Padova (1858-59). Nove pagine in 8°. 45. — 1859. Some observations ■ on thè Flora of thè Oolithe. Nel voi. XVI del « Quarterly Journal « della Società Geologica di Londra, a pag. 110. Pagine 5, in 8, colle quali l’autore presentò, con parecchie osservazioni, alla detta Società Geologica le due parti della sua Flora fossilis for- mationis oolithicae. 46. — 1860 . Ueber die Gatiungen Pachy pter is und Thinnfeldia. Nelle « Verhandlungen der k. k. geologiche Reichsanstalt » pel 1860. Vienna. Pagine 2 in 4°. Lettera sui caratteri di quei generi di piante fossili. 47. — 1860. Beitrag zur Instruction in Beziehung des Vorkommen von Fos- silien des Ooliths. Nelle « Mittheilugen der k. k. geographischen Ge- sellschaft. I Jalirgaug, I Heft. Vienna. Pagine 2 in 4°. 48. — 1861. Sulla costituzione geologica dei monti Euganei. Nella Rivista Periodica della Accademia delle Scienze di Padova pel 1860-61. Pagine 16 in 8°. Padova. 49. — 1861. Sopra un un nuovo genere di felce fossile (Cy cadopteris). Nel voi. VI della serie 4a. degli Atti dell'Istituto Veneto. Venezia. Pa- gine 14 in 8°, con una tavola. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 653 50. — 1862. Sulle piante fossili del Trias di Recoaro raccolte dal prof . A. Massalongo. Nel voi. XI delle Memorie dell’Istituto Veneto ecc. Venezia. Pagine 32, con 10 tavole. 51. — 1862. Sull'uredinea, che in quest'anno invase il frumento in più luoghi delle Provincie Venete. Nel voi. Vili della serie 3a. degli Atti dell’Isti- tuto Veneto ecc. Venezia. Pagine 8 in 8°., con una tavola. 52. — 1863. Sopra i depositi di piante fossili dell' America settentrionale, delle Indie e dell' Australia, che alcuni autori riferiscono all'epoca oolitica. Nella Rivista Periodica dell’Accademia di Padova pel 1862-63. Pagine 14 in 8°, Padova. In questa Memoria sono modificate molte delle cose dette nella Memoria pubblicata nel 1856 intorno alla Flora fossile dell'Oolite. 53. — 1865. Intorno ad un saggio di gneis con impronta d'equiseto. Negli Atti dell’Istituto Veneto per l’anno 1864-65. Pagine 4 in 8°. Venezia. 54. — 1865. Dichopteris, Genus novum filicum fossilium. Monografia del genere Dichopteris, nuovo genere di felce fossile. Nel voi. XII delle Memorie dell’Istituto Veneto. Pagine 16 in 4°, con tre tavole. 55. — 1865. Osservazioni sulle felci fossili dell'Oolite, ed enumerazione delle specie finora rinvenute nei vari piani di questa formazione, col- l'aggiunta dei sinonimi, della descrizione dei generi e delle specie nuove, e di un prospetto della loro distribuzione geografica. Nella Ri- vista Periodica dell’Accademia di Padova pel 1864-65. Pagine 36 in 8°, con quadro. Padova. 56. — 1865. Di una nuova specie di Folidoforo. Nel voi. XI della serie 3a. degli Atti dell’Istituto Veneto. Venezia. Pagine 8 in 8°, con una tavola. 57. — 1867. Sullo stato attuale delle nostre cognizioni intorno alla costi- tuzione geologica delle Alpi Venete. Nel voi. XVI della Rivista Perio- dica dell’Accademia di Padova pel 1866-67. Pagine 3 in 8°. Padova. Brevissimo sunto d’una descrizione dei terreni secondar! del Veneto, che termina col voto che con istudì opportuni siano colmate le lacune tuttora esistenti nella conoscenza di quei terreni e dei loro fossili. 58. — 1868. Descrizione di alcune Cicadacee fossili rinvenute nell'Oolite delle Alpi Venete. Nel voi. XIII della serie 3a. degli Atti dell’Istituto Veneto. Pagine 16 in 8°, con una tavola. Venezia. 59. — 1869. Commemorazione del prof. cav. Tommaso Antonio Catullo. 'SA voi. XV della serie 3a. degli Atti dell’Istituto Veneto. Pagine 20 in 8°. Venezia. 60. — 1869. Ueber die Jurassischen Bildungen in den Sette Comuni (Ve- netien). Nelle « Verhandlungen der k. k. geol. Reichsanstalt » pel 1869, a pag. 291. Una pagina in 4°. Vienna. 61. — 1869. Bemerkungen zu Prof. Sclienk's Referat iiber die « Flora fos- silis formationis oolithicae ». Nelle «Verhandlungen der k. k. geol. Reich- sanstalt » pel 1869, a pag. 307. Pagine 4 in 4°. Vienna. 62. ' — 1870. Annotazioni paleontologiche. Nel voi. XV delle Memorie dell’Isti- tuto Veneto. Contiene la descrizione della Gerviha Buchi, e di un grandis- simo Aptico ( Aptychus Meneghini). Pagine 9 in 4°, con due tavole' 654: ADUNANZA GENERALE ESTIVA Venezia. In una Nota manoscritta in un esemplare di questa Memoria l’autore scrisse che, avendo studiato molti altri esemplari della Gervilia. li trovò somiglianti per la forma, ma non per la struttura, agli Inoce- rami : e cambiò, tuttavia, il suo nome in Inoceramus Bachi. 63. — 1870. Annotazioni paleontologiche. — Intorno ai resti di Mastodonte trovati nel Veneto. Presentata all’Accademia di Padova (cosi che ne fu inserito un sunto nella Rivista Periodica della stessa Accademia pel 1868-69), e poi pubblicata nel 1870, nel voi Vili dei « Nuovi Saggi » della stessa Accademia, Pagine 8 in 4°, con una tavola. Padova, Randi. In una Nota stampata, aggiunta alla Memoria dopo la sua pubblicazione, si dice che i denti descritti, invece che di Mastodon angustidens Cuvier, devono dirsi di Mastodon arvernense Croiz. et .Tob., e devono considerarsi come d’età incerta, cioè del miocene superiore, oppure del pliocene in- feriore. 64. — 1871. Fossile P/lanzen aus Marmorschichten ira Venetianischen. Nelle « Verhandlungen der k. k. geol. Reichsanstalt » pel 1871, a pag. 54. Pa- gina una in 4°. Vienna. 65. — 1872. Sulle piante monocotiledoni dell'epoca giurcse. Nella Rivista Periodica dell’Accademia di Padova pel 1871-72. Pagine 10 in 8°. Pa- dova, Randi. 66. — 1873. Restìe con Sirenoiden gefunden in Venetien. Nelle «Verhand- lungen der k. k. geol. Reichsanstalt » pel 1873, a pag. 25. Pagine 2 in 4’. Vienna. 67. — 1874. Sui mammiferi fossili del Veneto. Nella Rivista Periodica del- l’Accademia di Padova pel 1873-74. Pagine 12 in 8° Padova, Randi. 68. — 1874. Annotazioni paleontologiche. Pesci fossili nuovi del Calcare eoceno dei monti Polca e Postale. Nel voi. XVIII delle Memorie del- l’Istituto Veneto ecc. Pagine 14 in 4°, con tre tavole. Contiene descri- zioni e figure dei pesci denominati Odonteus pygmeus , Semiophorus Mas- salongianus, Ostracion oblongus, Synguathus He cheli , Solenorhynchm elegans, Anacanthus Zignii, Alexandrinum Molini. Queste specie erano state annunciate dall’autore negli Atti cfil’Istituto Veneto pel 1873-74. 69. — 1875. Annotazioni paleontologiche. — Sirenii fossili trovati nel Ve- neto (del genere Halitherium). Nel voi. XVIII delle Memorie dell’Isti- tuto Veneto ecc. Pagine 30 in 4°. con 5 tavole. Venezia Contiene la de- scrizione del V Halitherium Bellunese , nuova specie, del miocene di Bel- luno, e di tre specie nuove del monte Zuello nel Veronese ( Halitherium angusti frons, H. curvidem ed H. Veronese). 70. — 1 875. Einige Bemerkungen zu den Arheiten des Ilerrn Dr. O. Feistmantel iiber die Flora von Rajmahal. Nelle « Verhandlungen del k. k. geol. Reichsanstalt » pel 1875. Pagine 3 in 4°. Vienna. 71. — 1876. Squalodonreste von Libano bei Belluno. Nelle «Verhandlungen der k. k. geol. Reichsanstalt » pel 1876, a pag. 232. Una pagina e mezza in 4°. Vienna. L’autore espone brevemente le cose dette più in esteso nell Memoria seguente. DELLA. SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA (555 72. — 1876. Annotazioni paleontologiche — Sopra i resti di ano Squalo- donte scoperti nell'arenaria miocena del Bellunese. Nel voi. XX delle Memorie dell’Istituto Veneto. Pagine 20 in 4°, con due tavole. Venezia. 73. — 1876. Ueher Squalo don Gatulli Malia sp. aus der Myocàne Molasse von Libano bei Belluno. Nelle « Verliandlungen der k. k. geol- Reiclisanstalt » pel 1876, a pag. 293 Si tratta d’un pezzo di mascella’ che è nel museo dell’I. R. Istituto Geologico (a Vienna), già stato stu- diato dal Molin e determinato per Pachyodon Gatulli. Appartiene alla stessa specie, di cui si è occupato il De Zigno nella precedente Me- moria. Una pagina in 4°. Vienna. 74. — 1876. Sui volumi di Bollettino e di Memorie pubblicati dal R. Co- mitato Geologico italiano. E un breve cenno intorno, specialmente, alle Memorie (volumi I e II, e parte la. del III), con l’indicazione degli ar- gomenti trattati nelle singole Memorie. Una pagina in 8°. Venezia. 75. — 1877. Sur les siréniens fossiles de V Italie. Nel voi. VI della serie 3a. del Bull, della Soc. Geol. di Francia (1877-78), a pag. 66. Pagine 4 e mezza in 8°. Parigi. 76. — 1878. Sopra un nuovo Sirenio fossile scoperto nelle colline di Brà in Piemonte. Nel voi. II, della serie 3V delle Memorie della classe di Scienze Fisiche ecc. della R. Accademia dei Lincei. Pagine 12 in 4°. con 6 tavole. Roma. Questo nuovo Sirenio fu denominato dall’autore Felsi- notherium Gastaldi. 77. — 1878. Sulla distribuzione geologica e geografica delle Conifere fossili. Nella Rivista Periodica della Accademia di Podova pel 1877-78. Pagine 12 in 8°, e tre quadri tipografici. Padova, Randi. 78. — 1878. Annotazioni paleontologiche. — Aggiunte alla ittiologia del- l'epoca eocena. Nel voi. XX delle Memorie dell’Istituto Veneto, ecc. Pa- gine 12 in 4°. con 3 tavole. Contiene le figure e le descrizioni di tre specie nuove di pesci, donnminate Semiophorus gigas, Rhinobatus pri- nncevus e Torpedo Egertoni, che l’autore stesso aveva annunciate va- gamente, parlando di quattro plagiostomi nuovi, nel volume degli Atti dell’Istituto Veneto pel 1876-77. 79. — 1879. Annotazioni palentologiche. — Sulla Lithiotis problema- tica di Gtimbel Nel voi. XXI delle Memorie dell’Istituto Veneto ecc. Pagine 8 in 4°, con mia tavola. Venezia. 80. — 1880. Annotazioni paleontologiche. — Nuove osservazioni sull'H ali- ti er i um Veronense Zigno. Nel voi. XXI delle Memorie dell’Isti- tuto Veneto ecc. Pagine 8 in 4°, con una tavola. Venezia. Questo Hali- terium Veronense è uno dei quattro descritti nella Memoria n. 69; ne sono descritte e rappresentate alcune parti nuovamente trovate ; e sono pure descritti alcuni particolari osservati nel cranio dopo che questo fu completamente isolato dalla roccia. 81. — 1880. Sopra un cranio di Coccodrillo scoperto nel terreno eoceno del Veronese. Nel voi. V della serie 3a. delle Memorie della classe di Scienze Fisiche ecc. della R. Accad. dei Lincei. Pag. 8 in 4°, e due tav. Roma. 656 ADUNANZA. GENERALE ESTIVA 82. — 1881. Annotazioni paleontologiche. — Nuove aggiunte alla Fauna eocena del Veneto. Nel voi. XXI delle Memorie dell’Istituto Veneto ecc. Pagine 16 in 4°, con una tavola. Venezia. Contiene la descrizione dei piccoli denti incisivi di flalitheriim, di alcune vertebre d’un serpente (Palaeophys Oweni), di frammenti di dente rostrale di Pristis Bussavi , di un rostro di Ccclorhynchus rectus, di un Nautilo (AT. Leonicensis), e di un crostaceo isopodo (Sphaeroma Catulloi). 83. — 1883. Sui Vertebrati fossili dei terreni mesozoici delle Alpi Venete. Memoria citata nella Rivista Periodica dell’Accademia di Padova pel 1882-83, ma pubblicata nel voi. XI dei « Nuovi saggi » della stessa Ac- cademia. Pagine 12 in 4*1 Padova, Eandi. 84. — 1883. Comunicazione sopra ossa fossili d'uccelli. Nella Rivista Perio- dica dell’Accademia di Padova pel 1883-84. Pagine 2 in 8°. Padova. 85. — 1884. Due nuovi pesci, della famiglia dei Bali stini, scoperti nel ter- reno eoceno del Veronese. Nel tomo VI della serie 3a. delle Memorie della Soc. Italiana delle scienze (detta dei XL). Pagine 8 in 4®, con due ta- vole. Descrizione e figure di due specie di Protobalistum. Napoli. 86. — 1885. Sopra gli iitioliti dei Libano regalati all'Istituto ( Veneto ) dal signor I^evi. Nel voi. Ili della serie 6a. degli Atti dell’Istituto Veneto ecc. Pagine 3 in 8°. Venezia. 87. — 1885. Sopra uno scheletro fossile di M yliobat e s esistente nel museo Gazola in Verona. Nel tomo XXII delle Memorie dell’Istituto Ve- neto. Pagine 10 in 4°, con una tavola. Contiene, oltre la descrizione e la figura del Myliobat.es Garzolai Zigno, del monte Bolca, anche quelle dei pungiglioni di due Miliobati ( M. Clavonis Z. e M. leptacanthus Z.) del Chiavon. 87 bis. — 1885. Sur une nouvelle espéce fossile de Myliobates. Nel Compte rendu de la troisième session du Congrès gèologique inter- national «, Berlin, 1885. Pagine 2 in 8°, grande. Breve cenno, col quale l’autore lia accompagnato la Memoria precedente, nel presentarla al Con- gresso geologico di Berlino. 88. — 1887. Biografia di Bartolomeo Gastaldi. Nel voi. VI della serie 3a. delle Memorie della Società Italiana delle scienze (detta dei XL). Pa- gine 7 in 4°. Napoli. Vi è aggiunta la nota delle pubblicazioni del Gastaldi. 89. — 1887. Quelques observations sur les Sireniens fossiles. Nel voi. XV della serie 3a. del Bull, della Soc. Geol. di Francia (1886-87) a pag. 725. Pagine 4 in 8°, con una tavola. Parigi. 90. — 1888. Nuove aggiunte alla ittiofauna dell'epoca eocena. Nel voi. XXIII delle Memorie dell’Istituto Veneto ecc. Pagine 25 in 4°, con una tavola. Venezia. Questo lavoro, annunciato negli Atti dello stesso Istituto (1886-87), dà la descrizione e le figure di nove specie nuove, due delle quali ap- partengono a generi nuovi. Sono le specie denominate : Amphistium lon- gipenne, Acanthurus Gaudryi. Crenilabrus Szainochae, Aulorhamphus Bolcensis, A. Capellini, Syngnathus Bolcensis, Blochius macroptervs, Tetrodon pyymoeus, Histiocephalus Bassani. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 657 61. — 1888. Antractìterio di Monteviale. Nel voi. XX11I delle Memorie del- l’Istituto Veneto ece. Pagine 5 in 4°. con una tavola. Venezia. Memoria annunciata, in sunto, nel volume degli Atti dello stesso Istituto pel 1887-88. 92. — 1888. Cenni sulle condizioni geologiche ed idrografiche del Bacino acquifero di Due Ville in provincia di Vicenza. Pagine 7 in 8°, con due tavole. Padova, Salmin. 98. - 1889. Il prof. Giuseppe Meneghini. — Cenni necrologici. Nel voi. VII serie 3a delle Memorie della Società Italiana delle scienze (detta dei XL). Pagine 9 in 4°. Napoli. Con l’elenco delle pubblicazioni del Meneghini. 94. — 1889. Chelonii scoperti nei terreni cenozoici delle Prealpi Venete. Nel voi. XXIII delle Memorie dell’Istituto Veneto ecc. Pagine 12 in 4°, con due tavole. 95. — 1889. Erklàrung. Poche linee in risposta al sig. Teller, relativamente ai denti dell’Antracoterio di Monteviale. Nelle « Verhandlungen der k. k. geol. Reichsanstalt a pel 1889, a pag. 206. Vienna. 96. — 1890. Sur les Chéloniens cénosoiques de la Vénétie. Nel voi. XVIII della serie 3a. del Bull, della Soc. Geol. di Francia (1889-90), a pag. 257. Una pagina in 8°. Parigi. 97. — 1890. Cheioni terziari del Veneto. — Cheionio trovato nel calcare nummulitico a Àvesa presso Verona. Nel voi. XXIII delle Memoria dell’Istituto Veneto. Pagine 11 in 4°, con una tavola. Venezia. Memorie, di cui fu pubblicato un estratto, di pagine 8 in 8°, nel voi. I della4 serie 3a. degli Atti dell’Istituto Veneto ecc. (1889-90). Venezia. 98. — 1890. Sur VA n tr ac o t h e r i u m M o ns v ialens e. Nel voi. XVIII della serie 3X del Bull, della Soc. Geol. di Francia (1889-90), a pag. 254. Pagine 2 in 8°. Parigi. 99. — 1890. OfiAiani trovati allo stato fossile, e descrizione di due Colubri scoperti nei terreni terziari del Veneto. Nel voi. VI (1889-90) degli Atti e Memorie dell’Accademia di Padova. Pagine 6 in 8°. con una tavola. 100. — 1891. Pesci fossili di Lumezzane in Val T compia. Nel voi. VII della serie 4a. delle Memorie della classe di Scienze Fisiche ecc. della R. Ac- cademia dei Lincei. Pagine 9 in 4"., con due tavole. Roma. Questa Me- moria contiene la descrizione e le figure di cinque specie, denominate Lepidotus Triumplinorum, L. Ragazzonii, Pholidophorus Deecliei, Ph. Kneeri, Ph. Taramellii. Il Segretario dà lettura di alcuni telegrammi e lettere di ade- sione pervenute alla Presidenza, riguardanti l’Adunanza sociale di Vicenza. Hanno scusato l’assenza con lettera, o telegramma, i Soci: Alessandri, Angelelli, Cermexati, Cortese, De Gregorio, G58 ADUNANZA GENERA [.E ESTIVA Di? Nicolis, Broli, Mariani, Meschinelli, Namias, Niccoli. Pantanelli, Pellati, Rovereto, Salmoiraghi e Zezi. 11 Segretario comunica che il conte Michelangelo Spada ringraziò con lettera il prof. Meli, il quale, come Segretario della Società, si era recato in Roma il giorno 18 dello scorso agosto per assistere ai funerali dei defunto Socio perpetuo, comm. Felice Giordano, e per deporre sul tumulo una corona di fiori a nome della Società Geologica italiana. Sono proposti, come nuovi Soci, i signori: Deecice prof. Wilhelm (Greifswald-Prussia), presentato dai Soci Bassani e Meli. Fabrini dott. Emilio (Castelfiorentino), presentato dai Soci De Stefani e Statuti. Greco dott. Benedetto (Rossano in Calabria), presentato dai Soci Canavari e Meli. Patroni dott. Carlo (Napoli), presentato dai Soci Bassani e De Lorenzo. Ricci dott. Francesco (Premilcuore, prov. di Firenze), pre- sentato dai Soci Canavari e De Stefani. Riva Carlo (Milano), presentato dai Soci Parona e San- soni. Torrigiani marchese Luigi (Firenze), presentato dai Soci De Stefani e Omboni. Uzielli Guido (Firenze), presentato dai Soci De Stefani e Meli. Yinassa de Regna Paolo Eugenio (S. Benedetto Cascine, prov. di Pisa), presentato dai Soci Canavari e Meli. Messa ai voti la elezione a Soci dei precedenti candidati, restano tutti approvati. Il Segretario presenta la nota delle pubblicazioni giunte in omaggio alla Società. Oltre le pubblicazioni periodiche, che si ricevono in cambio DELLA. SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 659 del Bollettino , pervennero dal 1° maggio al 1° settembre 1892, i seguenti stampati: Annuaire géologique universel, Revue de geologie et paléontologie fondre par le D.r Dagincourt. Anne'e 1891, toni. Vili, ler fascicule. Bassani Fr., Sopra una nuova specie di Bphippus scoperta nell’eo- cene medio di Val Sordina presso Lonigo ( Veronese ), in 8°, pag. 3 con tav. (Estr. d. voi. VII, fase 3° del Bollettino d. Soc. geolog. Ital.). Id., Avanzi di vertebrati inferiori nel calcare marnoso triasico di Rogna nel Friuli. Roma, 1892, in 8° gr., di pag. 4. (Estr. d. Atti d. R. Accad. d. Lincei, ser. 5a. Rendiconti, voi. I, 1° semestre). Id., GVittioliti delle marne di Salcedo e di Novale nel Vicentino. Nota. Venezia, tip. Antonelli, 1892, in 8° picc., di pag 16. (Estr. d. tom. Ili, ser. 7a, d. Atti d. R. Istituto veneto d. Se. lettere ed arti). Id., Marmi e calcare litografico di Pietraroia ( prov . di Benevento ), in 4°, di pag. 4. (Estr. d. Rend. d. R, Istituto d’incoraggiamento di Napoli, fase. 7-8, luglio e agosto, 1892). Id., Sui fossili e sull'età degli schisti bituminosi di Monte Pettine presso Giffoni Valle Piana in provincia di Salerno ( Dolomia principale). Napoli, tip. d. R. Accad. d. Scienze fis. e matem., 1892, in 4°, di pag. 27. (Estr. d. tom. IX, serie 3a n. 3 della Soc. ital. di scienze detta dei XL.). Capellini G. e Solnis-Laubach, I tronchi di Bennettitee dei. Musei ita- liani. Notizie storiche, geologiche, botaniche. Bologna, Gamberini e Parmeg- giani, 1892, in 4°, di pag. 56, con 5 tavole. (Estr. d. serie 5a, tom. II delle Memorie d. R. Accad. delle Scienze dall’Istituto di Bologna). De Angelis G., Sopra un giacimento di roccie vulcaniche nel ter- ritorio di Rocca S. Stefano [prov. di Roma), in 8°, di pag. 4. (Estr. d. Ri- vista ital. d. Se. naturali e Bollettino del naturalista. Siena, anno XII, 15 aprile 1892). Delgado J. F. N., Fauna Silurica de Portugal. Descripmo de urna fórma nova de trilobite Lichas ( Uralichas ) Ribeir oi, Lisboa, tip. da Acad. R. das sciencias. 1892, in 4°, di pag. 31, con 6 tavole. Dewalque G., Observations sur la correlation des diverses bandes consi- derées comune frasniennes par M. Stainier et replique par G. Dewalque. Liége, H. Vaillant-Carmanne, 1892, in 8°, di pag. 15. (Extr. d. Ann. d. la Soc. géol. de Belg., tom. XIX, Me'moires, 1892). Foresti L ., Di una nuova specie di Ph oladomy a pliocenica, in 8°, di pag. 4, con 1 tavola. (Estr. d. Bullett. d. Soc. malacol. ital., voi. XVI, pag. 80-82) Harlé E. Une mand.ibule de singe du repaire de Hytnes de Montsau- nès [Il àute-Gar onne), in 8°, di pag. 7. (Estr. d. Compte-rendu de les séances du 17 février et 16 mars 1892 de la Société d’Hist. naturelle de Toulouse). Jahrbuch der kóniglicli Preussi-schen geolog. Landesanstalt und Berga- kademie zu Berlin fur das Jahr 1889. Berlin, J. H. Neumann, 1892, in 8° gr., con tav. (un volume legato in mezza tela). Meli R., Sui resti fossili di un avvoltoio del genere Gyps rinvenuti 660 ADUNANZA GENERALE ESTIVA nel 'peperino laziale, Roma 1892, in 8°, di pag. 8. (Estr. d. Bollettino della Società romana per gli studi zoologici, voi. I (1892), fase, i e ii). Sacco F., L'dge des formations ophiolitiques récentes, Bruxelles, Pol- leunis et Ceuterick, 1891, in 8°, di pag. 36 con tabella. (Estr. d. Bulletin de la Société belge de géologie, de paleontologie et d’hydrologie, tom. V, 1 891 ). Il Presidente propone di ringraziare con un telegramma il Ministero d’agricoltura, industria e commercio per il sussidio di L. 1200 concesso anche in quest'anno alla Società. La proposta è approvata aH’unauimità. Il Socio Capellini propone che la Presidenza nomini una Commissione, la quale si rechi a salutare la signora Camilla De Muri vedova Molon. Propone ancora che la stessa Commissione deponga una corona sulla tomba del defunto Socio perpetuo Fran- cesco Molon, ovvero, se la Commissione lo riconosca più conve- niente, collochi una lapide in memoria di quanto il Molon fece per la nostra Società. Le due proposte sono approvate per acclamazione, e la Com- missione viene composta del Presidente Omboni, e dei due Soci senatori, Capellini e Scarabelli. Il Presidente dà la parola al Socio Negri, il quale presenta la carta geologica della provincia di Vicenza, da lui rilevata nella scala di 1/75,000, e ne mette in rilievo le diverse formazioni e la loro tettonica, nonché l'orografia delle principali masse mon- tuose. Il Socio G. Di Stefano fa una comunicazione * Sulla esten- sione del trias superiore nella provincia di Salerno * ('). Il Socio De Lorenzo legge la seguente comunicazione: « I terreni dei dintorni di Lagonegro in Basilicata, conside- rati finora come cretacei o giuresi, rappresentano invece numerosi piani del trias superiore con sviluppo alpino del lias inferiore, o medio, e dell’infracretaceo. In pochi lembi di calcare dolomitico a (*) Questa comunicazione venne già stampata nel Bollettino voi. XI (1892) fase. 2°, pag. 231-235. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 661 scogliera e nella grandiosa pila di calcari con noduli di selce, che costituiscono il gruppo del Monte Sirino (2007 m.) e i monti vi- cini, si trovano: Diplopora del gruppo delle annullate? Cfionclrites prodromus Heer Traumatocrinus ornalus Dittmar sp. Posìdonomya Wengensis Wissmann Posklonomya gibbosa Gemmellaro Daonella Moussoni Merian sp. Halobia siculo. : Gemmellaro Halobia sp. n. Trachyceras sp. - Questi fossili indicano la stretta affinità, che passa fra i de- positi di Lagonegro e le formazioni del trias superiore delle Alpi e della Sicilia. Al di sopra dei calcari con selce si stende un po- tente mantello di scisti silicei a radiolarie, a cui fanno seguito scarsi lembi di dolomia con Avicula eccilis Stoppani, corrispondente alla parte superiore della Hauptdolomit delle Alpi e della provincia di Salerno. Su trasgressione rispetto alla dolomia triasica si pre- sentano calcari grigi e neri, bituminosi, con brachiopodi, probabil- mente del lias inferiore o medio. Chiudono la serie i calcari compatti, scuri, infracretacei con Sphaerulites affi Blumenbaehi Studer sp. » . Il Socio Can avari, in aggiunta alle importanti notizie, comu- nicate dai sigg. Di Stefano e De Lorenzo, a proposito dello svi- luppo dei terreni triasici nell’Italia peninsulare inferiore, ricorda che in Calabria, e precisamente a Monte Polline, il prof. Lovìsato raccolse fossili triasici ( Turbo solitarius , Gyroporella annu- lata ecc.) fin dal 1874 ('). In seguito, il Socio Bassani aggiunge alcune altre notizie sul trias superiore della provincia di Salerno e della Basilicata. Il Socio Meli presenta, perchè venga stampato nel Bollettino, un suo lavoro col titolo: Elenco dei molluschi quaternari della I1) Ved. Canavari M., Il trias nell' Appennino centrale. Atti della R. Ac- cad. dei Lincei, Transunti, 1882. 43 662 ADUNANZA GENERALE ESTIVA spiaggia -di Foglino presso Nettuno {provincia di Roma) con bibliografia , specialmente scientifica , su quel tratto di costa ro- mana, che da Ansio va a Terracina. Il Socio C. De Stefani annunzia una sua Nota Sul calcare ad Amp hi s t e g ina di Corneto. Il Socio Corti presenta per la stampa nel Bollettino una Nota intitolata : Foraminiferi e diatomee fossili delle sabbie gialle plio- ceniche della Folla d’Induno (*). Il Segretario presenta, perché siano pubblicate, due Memorie, l’una a nome del Socio Sacco, L’ Appennino dell' Emilia (2), e l’altra del socio Clerici col titolo : Illustrazione della flora fos- sile rinvenuta nelle formazioni del ponte in ferro sul Tevere a Ripetta, accompagnata da due tavole in fototipia (3). Il Socio Bassani ricorda come il Socio dott. L. Meschinelli si sia interessato grandemente, insieme al cb. comm. Paolo Lioy, affinchè la presente riunione estiva della Società si tenesse in Vicenza. Le accoglienze liete ed amichevoli ricevute in questa città, mentre dimostrano la gentilezza e lo squisito sentire della cittadinanza vicentina, non che il culto che porta alle scienze, fanno anche vedere quanto questi signori, e specialmente il comm. Lioy, si siano adoperati per la splendida riuscita dell’adunanza sociale. Propone quindi ad entrambi un voto unanime di ringraziamento ed al Socio Meschinelli, assente per malattia, anche un saluto. La proposta è approvata con plauso. .) La seduta è levata alle ore 3 pom. Il Segretario R. Meli. (') La Memoria del Socio dott. B. Corti fu già stampata nel Bollettino della Società, voi. XI (1892), fase. 2° pag 223-280. (2) Questa Memoria del Socio prof. Sacco venne parimenti già stampata nel Bollettino voi. XI (1892) fase. 3°, pag. 425-612. (3) Anche questo lavoro del Socio ing. E. Clerici venne già pubblicato nel Bollettino, voi. XI, (1892), fase. 3°, pag. 335-369. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 663 Dopo la sedata, i Soci si recarono, conformemente al programma stampato, che fu per cura della Presidenza distribuito lìn dallo scorso luglio, al Santuario di Monte Berico ed al Monte della Bella Guardia. Nella prima località si osservarono i calcari mar- nosi dell'oligocene inferiore (piano tongriano) con nummuliti, e nella seconda località si presero campioni di basalte. Dal piazzale del Santuario e dalle alture dei colli Berici, così memorandi per la storia della nostra indipendenza per la va- lorosa difesa opposta agli austriaci nel 1848, i Soci osservarono lo stupendo panorama, che vi si ammira, della città, della sottoposta pianura, dei colli e monti circostanti. Durante l’amena passeggiata, vennero raccolti sui colli Berici colla quota media di (140m) da alcuni Soci, che si occupano di Malacologia, molluschi terrestri, tra i quali molti esemplari di Helix nemoralis var. unicolore, gialla, che vi è abbondantissima; alcuni esemplari di Helix fruticum Muli., di Campylaea cingulato. Studer, var. colubrina Jan, e di Zonites compressus Ziegl., var. ita- lica Kobelt, ecc. Alle 7 Y2 ant. del giorno seguente. 12 settembre, i Soci par- tirono per Vald..gno in un treno speciale, messo a disposizione della Società dalla Direzione del tram Vicenza-Valdagno. Il treno, invece di fermarsi alla stazione di Yaldagno, proseguì, traversando il paese, fino innanzi al fabbricato delle scuole comu- nali, ove i Soci furano accolti festosamente dal sindaco dott. G. B. Gaianigo, dal cav. Marzotto, dalle autorità locali e ricevuti al- l'arrivo del treno al suono della banda cittadina. Condotti nella grande sala delle scuole comunali, quivi sedet- tero a lauta refezione, offerta da quel Comune. Furono fatti molti brindisi alla prosperità ed al benessere materiale e sociale di Yal- dagno, allo sviluppo della scienza geologica, all’incremento della Società, al comm. Lioy, che organizzò la gita e volle accompagnare i congressisti fino a Valdagno, ecc. Al levare delle mense fu con- dotto nella sala Giovanni Meneguzzo, la ben nota Guida geologica del Vicentino, che si ebbe, per parte dei geologi, applausi ed ac- coglienze amichevoli. Ringraziato il sindaco e le autorità tutte delle festose acco- glienze e del lauto trattamento ricevuto, i Soci proseguirono per Recoaro, parte in carrozze, percorrendo per circa 11 chilometri la 664 ADUNANZA GENERALE ESTIVA pittoresca via rotabile tracciata lungo la valle dell'Agno e parte a piedi per S. Quirico, salendo a Fongara ed al Monte Spitz, che ha l’altezza culminante di 1112m sul mare, e discendendo poi a Recoaro. Si osservarono, dopo Yaldagno, le rocce cretacee ( Scaglia , Bian- cone ed altri calcari), e da S. Quirico a Recoaro rocce del trias medio e superiore (calcari e arenarie rosse) sopragiacenti a rocce cristalline antiche (micascisti e steascisti). che fonnano la base dei monti di Recoaro. La comitiva, che si recò a piedi a Recoaro sotto la guida del dott. Negri, osservò inoltre un esteso spandimento di porfìriti e raccolse fossili nei calcari triassici, giungendo alle fonti minerali di Recoaro alle 5 e ’/2 pom. Nella sera, dopo il pranzo sociale, ottimamente servito nella grande sala dello Stabilimento Balneo-idroterapico, condotto dal Vi- sentini, che sorge di fronte alle R. fonti minerali, al quale inter- venne il sindaco di Recoaro ing. II. Trattenero, si tenne una lunga seduta dal Consiglio della Società. La mattina del giorno 13 settembre, alle 5 aut., si partì da Recoaro in carrozza, e, rifacendo la strada postale, percorsa nel giorno precedente, lungo la valle dell'Agno, si traversò Valdagno, e, pas- sando successivamente per Comedo. Cereda, Priabona, e Malo si giunse a Schio circa il mezzogiorno. Lungo la via si fecero pa- recchie fermate per visitare cave aperte nei calcari eocenici, e spe- cialmente a Priabona per osservare gli strati a Scrinila spirulaea Lk. ricchissimi di Orbituline ( Orbitolites papyracea ), che si rife- riscono alinocene superiore, piano bartoniano. Dopo il pranzo sociale, al quale fu invitato il sindaco di Schio, i Soci fecero escursioni nei dintorni per studiare gli strati elveziani a Sculetta subrotunda ed a Pecten deletus. Alle ore 6 pom. ebbe poi luogo la Seduta di chiusura. Seduta di chiusura del 13 settembre a Schio. L’Adunanza è tenuta nella sala del Municipio gentilmente concessa a tale scopo dall’on. Sindaco. La seduta è aperta alle ore 6 pom. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 665 Presidenza Omboni. Sono presenti i Soci: Amichetti, Bassani, Can avari, Ca- pellini, Cherici, Cocchi. Cozzaglio, Da Schio, De Lorenzo, De Nicolis, De Pretto, De Stefani C., Di Stefano G., Falda, Greco, Gozzi, Issel, Mattirolo, Mazzetti, Negri, Parona. Patroni. Rovasenda, Sacco. Scarabelli, Statuti, Stella, Tellini, Tommasi, Yinassa ed il Segretario Meli. Il Segretario partecipa che nella riunione del Consiglio Di- rettivo. tenutasi la sera del 12 corrente a Recoaro, fu deliberato di proporre .come nuovi Soci i Signori : Conte Almerico Da Schio (Vicenza), presentato dai Soci Capellini e Omboni. Dott. Olinto De Pretto e Leopoldo Falda (Vicenza), entrambi presentati dai Soci Meli e Omboni. Messa ai voti la elezione a Soci dei precedenti candidati, restano tutti approvati. È preso atto delle dimissioni inviate per la fine del 1892 dalla Socia contessa Gabriella Spallette Il Segretario comunica ancora che il Consiglio Direttivo nella predetta riunione di Recoaro ha cancellato per morosità i Soci se- guenti, i quali sono arretrati nel pagamento delle quote sociali di quattro annate (1889-92): Baldi ing. Federico (Savona). Chelussi prof. Italo (Pavia). Di Tacci ing. Pacifico (Roma). Elisei Alessandro (Gubbio). Ferrari ing. Bernardo (Costantinopoli). Pellizzari prof. Pietro (Taranto). Questa radiazione fu eseguita in conformità della delibera- zione, presa dallo stesso Consiglio Direttivo nella seduta del 2 ot- tobre 1891 in Taormina. 666 ADUNANZA GENERALK ESTIVA Vennero pure radiati per morosità, non avendo soddisfatto an- cora le tasse del triennio 1890-92, gli altri Soci: Baggiolini dott. Alfredo (Vercelli). Becchetti prof. Sostene (Taranto). Di Canossa march. Ottavio [Castelvecchio (Verona)]. Fabbri dott. Alessandro (Terni). Lorenzini dott. Amilcare [Porretta (Bologna)]. È data lettura di una lettera scritta dal Socio perpetuo Ca- pellini al Vice-tesoriere ing. Statuti, colla quale inviava in dono alla Società la somma di lire sessanta. Il Consiglio Direttivo, nella più volte citata seduta di Re- coaro, deliberava di accettare la predetta somma e di esonerare dal pagamento delle future quote annue il prof. Capellini, come Socio perpetuo. Il Segretario legge il testo del telegramma inviato al Mi- nistro di Agricoltura, Industria e Commercio, il giorno 11 corrente, in conformità della deliberazione presa nello stesso giorno nell’Adu- nanza di Vicenza. A S. E ■ il Ministro (V Agricoltura. Industria c Commercio. Roma La Società Geologica italiana, inaugurando oggi l’undecima sua Adu- nanza in Vicenza, ringrazia V. E. del sussidio accordatole e confida mai sarà per mancarle l'appoggio di codesto Ministero. Il Presidente Omboni 11 Presidente Omboni espone l’itinerario della escursione, da farsi nei giorni 14 e 15 settembre, ad Asiago nei Sette Comuni, colla quale si chiude T XI Adunanza estiva della Società, e dà alcune indicazioni sommarie sulle formazioni geologiche, che s'in- contreranno lungo la via da percorrersi. Dovendo poi nella odierna Seduta procedersi alla elezione delle cariche sociali, cioè, del Vice-presidente e dei quattro Consiglieri in sostituzione dei sigg. : prof. I. Cocchi, ing. L. Mazzuoli DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 607 ing. N. Pellati e senatore GL Scarabelli, uscenti di carica col 31 dicembre 1892, il Presidente invita i Soci presenti, a depositare la loro scheda di votazione, qualora non l'avessero ancora conse- gnata, e nomina i Soci Bassani, De Lorenzo e Greco all’ ufficio di scrutatori, incaricati di aprire le schede. Fatto lo spoglio delle schede, il risultato ne è proclamato dal Presidente nel modo che segue : Votanti 74. Eletto a Vice-presidente pel 1893 il Socio prof. Giovanni Capellini con voti 57. Eletto Segretario per il triennio 1893-95 il Socio prof. Giu- seppe Tijccimei con voti 56. Consiglieri eletti pel triennio 1893-95: Parona prof. Carlo Fabrizio con voti 56. Zezi ing. Pietro con voti 56. Taramelli prof. Torquato con voti 50. Riportarono poi ugual numero di voti per la elezione a Con- sigliere, i Soci: Gemmellaro prof. comm. Gaetano Giorgio e Ristori dott. Giuseppe: ambedue ebbero 22 voti. Ottennero inoltre : Per la elezione a Vice-presidente'. Bassani prof. Fran- cesco voti 8: Castracane conte Francesco e Scarabelli sena- tore Giuseppe, voti 2 per ciascuno: Parona prof. Carlo Fabrizio un voto. Per la elezione a Segretario : Meli prof. Romolo, che scade di carica alla fine del 1892, e che per l’articolo 6 dello Statuto sociale non può venire rieletto al medesimo ufficio, voti 6 ; Tel- lini dott. Achille voti 5. Per la elezione a Consigliere'. Om boni prof. Giovanni ri- portò voti 13. Si ebbe poi una scheda bianca. Avendo ottenuto parità di voti i Soci Gemmellaro e Ri- stori, si procede ad una seconda votazione di ballottaggio, cui prendono parte i Soci presenti. Risulta eletto Consigliere il Socio prof. comm. G. Giorgio Gemmellaro a grande maggioranza. 6G8 ADUNANZA GENERALE ESTIVA Il Socio Capellini prende la parola per ringraziare della sua elezione, colla quale è portato per la quarta volta alla Presidenza della Società. Egli accetta di buon grado un tale onore, ma ne sente anche il peso, ben conoscendo i doveri inerenti all’ufficio di Presidente. Come per lo passato, s’ interesserà per lo sviluppo e benessere della nostra Società. Il Presidente riferisce che la Commissione, nominata nella precedente Seduta per poire un ricordo al defunto Socio perpetuo Francesco Molon, ha proposto di apporgli una lapide marmorea in Vicenza, lasciando al Municipio, col quale verranno aperte tratta- tive in proposito, la scelta e la designazione del luogo più adatto ' per il collocamento della predetta lapide. Questa proposta venne inoltre discussa e fu approvata, insieme alla spesa relativa, dal Consiglio Direttivo della Società nella seduta tenuta a Recoaro la sera di ieri, 12 settembre. Il Presidente mette ai voti la proposta di collocare in Vi- cenza una lapide al Molon, ìd memoria di quanto fece per la Società, legando con suo testamento la somma di Lire 25,000. È approvata alla unanimità. Il Presidente informa l’Assemblea de' Soci di alcune deli- berazioni prese dal Consiglio Direttivo nella sua ultima seduta di Recoaro. La Commissione per la stampa delle pubblicazioni da inserirsi nel Bollettino, risultò composta, oltreché del Presidente, Segre- tario, Tesoriere e Archivista, dei Socì:Bassani prof. Fran- cesco, D’Achiardi prof. Antonio e Gemmellaro prof. Gaetano Giorgio. I Soci Cocchi prof. Igino, Strùver prof. Giovanni e Zezi ing. Pietro vennero chiamati a far parte della Commissione in- caricata della revisione del bilancio consuntivo pel 1892. Circa i bilanci consuntivi 1890 e 1891, questi non vennero stam- pati e distribuiti, come si doveva, in conformità della delibera- zione presa nell’Adunanza di Palermo F 11 ottobre 1891, perchè non furono inviati dal Tesoriere. Il Consiglio Direttivo nella Se- DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 669 duta di Recoaro si è occupato di ciò ; e, dopo rassicurazioni sullo stato finanziario della Società, date dal Vice-Tesoriere ing. Statuti e dal Segretario prof. Meli, questi due Soci hanno preso formale impegno, quando saranno tornati in Roma, di ottenere i bilanci arretrati dal Tesoriere, di farli stampare e distribuire a tutti i Soci prima dell’Adunanza iemale della Società ('). Lo stesso Consiglio Direttivo, visto il grande numero di tavole che accompagnano gli ultimi due volumi del Bollettino [XXVI tavole nel voi. IX (1890) e XXIII tavole nel voi. X (1892)] e, considerata la forte spesa, che ne consegue, ha deciso che d’ora innanzi il costo delle tavole deve essere sostenuto in totalità dagli autori. Parimenti ha deciso che non verranno più accettate quelle Me- morie, per la pubblicazione delle quali occorrano molti fogli di stampa, salvo il caso di un parere favorevole dato dalla Commis- sione per le pubblicazioni. Queste decisioni non hanno valore retroattivo e perciò non sono applicabili alle Memorie già presentate e che sono in corso di pub- blicazione nel Bollettino 1892. > Il Socio Canavari invita il Consiglio a provare se, stampando altrove il Bollettino, possa economizzarsi sul prezzo del foglio di stampa. Propone anche di ridurre la tiratura del Bollettino. Il Segretario Meli risponde: « La Società ha un regolare contratto colla tipografia dei Lincei per la stampa del Bollettino, nè è possibile di derogarvi, facendolo stampare altrove, senza andare incontro a litigi. « L’attuale contratto non fu rinnuovato sotto la mia gestione, poiché venne firmato il 23 febbraio 1888; è durevole per 6 anni e scade col 28 febbraio 1894. Il prezzo del foglio di 16 pagine del Bollettino, colla tiratura di 400 copie è di Lire 62 ; ma, in questa somma è computata la piegatura delle tavole, qualunque ne sia (0 I sopradetti bilanci (consuntivi per gli anni 1890 e 1891) vennero in seguito stampati e col 81 dicembre 1892 distribuiti per posta a tutti i Soci, unitamente ad una circolare esplicativa del Segretario. I documenti originali, a giustificazione delle spese segnate nei detti bilanci, trovansi tuttora depo- sitati presso uno dei Commissari l’ing. cav. P. Zezi (Roma - R. Ufficio geolo- gico) e sono a disposizione di qualunque Socio, che volesse osservarli. 670 ADUNANZA GENERALE ESTIVA il numero, la loro cucitura, la copertina dei fascicoli, le fascette stampate dei Soci e la composizione e stampa di sei circolari al- l’anno. Noto poi che la tiratura da 500 copie, come era per lo innanzi, venne col contratto attuale ridotta a 400, su proposta del precedente Segretario prof. Tuccimei. « La mia opinione è: che si troverà facilmente fuori di Roma una tipografìa, che stampi il Bollettino ad un prezzo minore al foglio ; ma sarà diffìcilmente rimpiazzato imo stabilimento tipografico, che presenti tanti vantaggi nella copia del materiale e dei caratteri e che abbia un personale così abile, come quello dei Lincei. È bene che i Soci sieno informati, che la tipografia ha tenuto in piedi al- cune Memorie per otto e dieci mesi ed anche più, senza chiedere un centesimo di compenso; che alla tipografia si dànno da alcuni autori dei manoscritti assolutamente ìllegibili; che taluni autori apportano correzioni straordinarie ed annullano dei brani nella re- visione delle bozze; ebbene, per tutto questo la tipografia non chiede d'ordinario alcun compenso. Non vi fu che un caso di un catalogo paleontologico, in cui dopo rimpaginazione e la numerazione succes- siva delle specie, ne furono introdotte e cancellate altre, lo che dette luogo ad un lavoro straordinario non indifferente, per il quale fu chiesto un tenue compenso, che del resto avrebbe dovuto essere a carico dell’autore. « Certamente, nel rinnuovamento del contratto l’ Ufficio di Pre- sidenza ed il nuovo Segretario terranno conto delle proposte del Socio Canavari e di altre fatte su questo argomento nelle Adunanze precedenti, nonché di alcune mie, che riguardano gli estratti -. Essendosi verificato il caso, che taluno, dopo aver chiesto di entrare a far parte della Società e dopo essere stato regolar- mente nominato Socio, non si è dato carico di firmare il modulo dell’obbligazione, prescritta nell' Adunanza 13 settembre 1887 a Sa- voua, nè tampoco di pagare la prima quota annuale e la tassa d'en- trata, il Consiglio Direttivo, sulla iniziativa del Vice-Tesoriere ing. Statuti, ha proposto il seguente articolo da aggiungersi nel Regolamento della Società : « Chiunque desideri di far parte della Società, quantunque presentato da due Soci, come è prescritto dall’art. 2° dello Statuto, e nominato regolarmente in Assemblea generale, non potrà essere DELLA. SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 671 considerato come Socio effettivo e non dovrà figurare nell’elenco dei Soci, se prima non avrà firmato il modulo dell’obbligazione a stampa, e se non avrà pagato, tanto la tassa di ammissione, quanto la prima quota annuale *. In conferma poi delle deliberazioni, prese già nelle Adunanze generali di Bologna (18 marzo 1883) e di Milano (6 aprile 1884) a riguardo della puntualità necessaria da parte di Soci nei ver- samenti delle tasse annuali, è proposto anche dal Consiglio Di- rettivo il seguente articolo da inserirsi nel Regolamento della Società : « A qualunque Socio ordinario, il quale col 1° aprile dell’anno in corso si trovi ancora in arretrato del pagamento della tassa so- ciale, dovuta per l’anno precedente, deve senz'altro esser sospeso l’invio delle pubblicazioni della Società. “ Il Tesoriere e il Segretario, ciascuno per la'parte che li ri- guarda, sono incaricati della esecuzione della presente deliberazione - . Messi ai voti, i due precedenti articoli di aggiunta al Regola- mento della Società restano approvati alla unanimità. E pure approvato l’invio dei volumi e fascicoli richiesti dalla (jcologiccd Survey of India (Calcutta) come mancanti per comple- tare la serie del Bollettino, che la suddetta Società ha in cambio dal 1887 in poi, avendo la Geological Survey of India spedita in dono la serie, ricchissima di volumi, delle sue pubblicazioni. Il Consiglio Direttivo propone anche di inviare in dono una copia del Bollettino, a cominciare dal voi. XI (1892) in poi, alla Biblioteca Civica di Vicenza. Su questa proposta, il Socio De Stefani prende la parola e dice che il dono è, a suo giudizio, inadeguato alle cortesie avute dalla città di Vicenza e per altra parte è troppo superiore alle forze della Società, la quale è costretta a negare la stampa di tavole ai giovani geologi aderenti. Siffatti doni non si usano nelle altre Società e perciò voterà contro questa, come contro ogni altra, spesa non giustificata. Il Socio perpetuo Capellini parla invece in favore della proposta e ne dimostra la opportunità e convenienza. Messo ai voti, è approvato, a grandissima maggioranza, l’invio del Bollettino alla Biblioteca Civica di Vicenza. 672 ADUNANZA GENERALE ESTIVA Il Presidente comunica ancora che il Consiglio Direttivo ha scelto il Yice-presidente prof. Issel, a Rappresentante della Società Geologica Italiana al prossimo Congresso internazionale geografico, che si terrà a Genova, e propone l’approvazione di tale nomina. Il Yice-presidente Issel. mentre ringrazia di tale onorifico in- carico, propone che in sua vece venga nominato il Socio perpetuo Capelline Il Socio Capeli.lni dichiara che accetterà un tale mandato soltanto qualora venga, insieme a lui, nominato anche il Yice-pre- sidente Issel. Si approva quindi per acclamazione la nomina dei Soci Ca- pellini ed Issel a rappresentanti della Società nel Congresso geo- grafico internazionale di Genova. 11 Presidente ricorda che col giorno 31 marzo 1892 venne chiuso il concorso al premio Molon di lire 1800, aperto in Catan- zaro il 26 settembre 1889 sul tema - Storia dei progressi della geologia in Italia dal 1860 al 188-1 » tema, che era stato pro- posto pel 1° concorso, andato deserto. All’ufficio di Presidenza pervenne in tempo utile (11 feb- braio 1892) solamente un manoscritto per concorrere al premio suddetto. Il manoscritto è accompagnato da una scheda sigillata, avente il motto latino « simplex sigillum veri ». La Commis- sione, nominata dal Consiglio Direttivo pel conferimento del pre- mio suddetto, composta dei Soci professori Capellini, Cocchi, e Taramelli, esaminò il manoscritto e non lo giudicò degno del premio. Il Presidente invita quindi il Socio Cocchi a leggere la relazione motivata sul manoscritto presentato al premio Molon, che conclude, non doversi conferire il premio predetto. Il Socio Cocchi legge quanto appresso: t La Commissione, dopo maturo esame, è venuta nella seguente deliberazione : « Considerando: che l’autore del ms. col motto « simplex si- gillavi veri » non si attenne al programma, avendo impiegato DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 67S troppe pagine nell' esporre, nè sempre sinteticamente e con novità di forma e di concetto, cose anteriori al 1860, con scapito del tempo e dello spazio, che avrebbe dovuto essere destinato alla storia dei progressi della Geologia in Italia da quell’epoca a noi; - che nella prefazione e nella divisione stessa dello scritto si rivela poca chiarezza di idee e un piano di lavoro non adequato all’alto concetto sintetico, che anche per sommi capi doveva met- tere in rilievo i punti culminanti della storia della Geologia in Italia nell’ultimo trentennio; * che il non felice concetto di trattare l’argomento per re- gioni anziché per epoche, lo costrinse a inevitabili ripetizioni e a pesante uniformità di capitoli; oltreché, nessun capitolo può dirsi trattato senza omissioni gravi, per malintese e disordinate citazioni o superfluità di giudizi, come che benevoli, portati sugli autori; t che in ciò che egli chiama Geologia dinamica , dal modo col quale vi ha trattato per es. dell’epoca glaciale e non degli attuali ghiacciai, non si capisce bene che cosa egli abbia inteso ; nè meglio si intende il perchè dalla Geologia, che egli chiama prima cronologica e poi stratigrafica, abbia potuto sottrarre le for- mazioni serpentinose e delle argille scagliose; « che la forma letteraria è soverchiamente trascurata nella lingua e nello stile; a che per quanto il tema richiedesse molti studi e un più ampio svolgimento, così da riuscire arduo per un solo autore, in un tempo relativamente breve, pure bastava la buona scelta del metodo nella conveniente divisione del lavoro e qualche argomento analitica- mente ben preparato e sinteticamente esposto, sceverandolo da ogni inutilità e con originalità di vedute, perchè lo scrittore si rivelasse profondamente versato negli studi geologici e pari all’altezza dell’ar- gomento ; « Per questi motivi, « la Commissione all’unanimità propone che non possa all’au- tore assegnarsi il premio Molon e che il manoscritto non debba essere stampato ». Il Presidente propone che il tema per il nuovo concorso al premio Molon non sia enunciato oggi; ma che la Commissione com- posta di tre membri, nominata dal Consiglio Direttivo, in confor- ADUNANZA GENERALE ESTIVA •574 mità delle disposizioni testamentarie del Molon, studi, se, d'ac- cordo sempre colle volontà lasciate dal testatore, il tema possa essere cambiato, o modificato. Se una tale proposta è approvata dall’Assemblea, la Commissione dovrà riferire in proposito nella fu- tura seduta iemale del Consiglio Direttivo, e verrà bandito il tema nella seduta estiva dell’anno prossimo, aprendosi così un nuovo concorso pel triennio 1894-96. Canavari si associa a tale proposta, sperando che il tema, scelto pel nuovo concorso, sarà diverso da quello finora stabilito, cioè: « Storia dei progressi della geologia in Italia dal 1860 al 1885 ». Un tema consimile non è adatto per giovani geologi. Il Socio perpetuo Capellini dichiara che egli ha pregato la Presidenza di non aprire il nuovo concorso Molon, appunto per dar tempo alla Commissione di scegliere il tema. Egli vedrà tutto quello che è possibile di fare a vantaggio della Società e dei giovani geologi. Può darsi che, d'accordo colla famiglia, il concorso possa essere cambiato e modificato nella forma. Potrebbe, per esempio, venire conferito il premio alla più importante memoria, pubblicata nel Bollettino della Società, durante il triennio, nel quale fu aperto il concorso. Ma, per modificare o variare la forma del concorso, occorrono trattative delicate colla famiglia Molon. Egli peraltro ha qualche speranza di riuscire a che sia tolto via il tema ob- bligato per conseguire il premio Molon. Il Socio De Stefani dice che converrà rispettare, il più pos- sibile, le disposizioni e gli intendimenti del testatore, che sono come legge: la non riuscita dei due primi concorsi, pei quali la scelta del tema non gli sembrò adatta, fin da principio, non può addursi come argomento contrario all’apertura di altri concorsi con temi opportunamente scelti fra quelli, dei quali è tanto grande il numero nella geologia italiana. Dopo queste dichiarazioni, il Presidente mette ai voti le proposte: che la Commissione studi la scelta del tema da fissarsi pel nuovo concorso; ne riferisca all'Adunanza iemale del Consiglio Direttivo, e lo proclami nell’Adunanza estiva del 1893, aprendo così, per la terza volta, il concorso al premio Molon pel triennio 1894-96. Tutte le suddette proposte sono approvate. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 675 Il Presidente presenta la scheda sugellata, che pervenne alla Segreteria, insieme al manoscritto il giorno 11 febbraio 1892, e, dopo aver fatto constatare l'integrità dei suggelli, la fa bruciare innanzi a tutti. Dopo ciò, si passa alle comunicazioni scientifiche : Il Segretario Meli presenta, a nome del Socio Dervieux, perchè venga stampata nel Bollettino, una Nota col titolo Le Fron- dacularie terziarie del Piemonte. Nota paleontologica (1). Il Socio Rovasenda presenta una Nota : Sui fossili del cal- care di G-assino (2). Il Socio Patroni legge la seguente comunicazione Intorno all'età degli strali a lamellibranchi e ad echinidi di Bciselice in 'provincia di Benevento. « Il Museo Geologico dell’ Università di Napoli possiede una collezione di echinidi e lamellibranchi fossili provenienti da Ba- selice in provincia di Benevento e propriamente da una zona di terra quasi triangolare, limitata da tre paeselli : Baselice, Gamba- tesa e Colle Sannita, o semplicemente Colle, come si suole spesso chiamarlo per brevità. « Gli echinidi vennero già studiati dall’ing. Domenico Cape- celatro; ma il suo lavoro non ha veduto ancora la luce. Restavano da studiarsi i lamellibranchi. E di questi mi sono occupato io, accettando volentieri l’incarico cortesemente affidatomi dal mio maestro prof. Bassani. « La maggior parte di questi lamellibranchi provengono da Baselice, e precisamente da una vicina contrada conosciuta col nome di Uomo morto , che trovasi ad ovest di Baselice, cioè tra questo paese e Castelvetere. Altri furono raccolti in vicinanza di Colle Sannita e solo qualcuno a Gambatesa. Gli strati, che li fornirono, sono costituiti da arenaria silicea e negli stessi strati si rinvennero anche gli echinidi. U) La Memoria del Socio E. Dervieux fu pubblicata nel Bollettino voi. XI (1892) fase. 2°, pag. 236-248 con una tavola. (2) La sopradetta Nota del Socio L. Di Rovasenda trovasi stampata nel Bollettino voi. XI (1892), fase. 3.°, pag. 409-424. 676 ADUNANZA. GENERALE ESTIVA « Nell'arenaria di Baselice io ho riscontrato i rappresentanti delle specie seguenti: Ostrea plicatula Gmelin » lamellosa Brocchi « linciala Lamarck Ilinnites Defrancei Micht. Hinnites Bassanii n. sp. Fedeli scabrellus Lamarck - solarium Lamarck « latissimus Brocc. sp. » (Janira) Besseri Andrz. » (Janira) Bendanti Bast. Cardium turonicum Mayer Lutrarici lutraria (Liti.) De Greg. Balanus perforatus Bruguière Lepralia pyriformis S. Wood « Quanto all'età degli strati a lamellibranchi e ad echinidi di Baselice, evidentemente terziari, essi appartengono sicuramente al Miocene. Infatti vi troviamo rappresentate le seguenti specie: Hinnites Defrancei , Pecten Besseri, P. Bendanti , P. solarium e Cardium turonicum , che hanno tutte un significato strettamente miocenico. Ora dei piani del miocene, non possono appartenere nò all' aquitaniano, nè al langhiano, perchè vi troviamo largamente rappresentato il Pecten latissimus , che non è mai stato trovato in giacimenti più antichi dell’elveziano. Il messiniano (ove si voglia considerarlo come miocene superiore) viene aneli’ esso posto fuori questione per la presenza nell’arenaria di Baselice di Pecten Bes- serij P. Bendanti, P. solarium , Hinnites Defrancei e Cardium turonicum , che, come è noto, non vissero in mari più recenti del tortoniano. « Restano dunque elveziano e tortoniano. Ed è più probabile che gli strati di Baselice spettino al primo, anziché al secondo di questi due piani, perchè essi racchiudono in numero relativamente notevole i rappresentanti di specie, che si rinvennero più copiosa- mente in altri depositi pure elveziani, che non in sedimenti tor- toniani. Citerò fra queste: Pecten scabrellus e P. Bendanti, comu- nissime nell’elveziano della Calabria. Nondimeno senza entrare in DELLA. SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 677 questa distinzione di elveziano e tortoniano io mi son contentato di concludere col riferire sicuramente le arenarie a lamelli branchi e ad echinidi di Baselice al miocene medio. - Son lieto che queste mie risultanze concordino pienamente con quelle, tuttora inedite, ottenute dal mio amico ing. Capecelatro, che me le ha recentemente comunicate. - L’ing. Capecelatro mi ha comunicato pure gentilmente l’elenco delle specie di echinidi riscontrate da lui a Baselice. Eccolo : Chjpeaster jntermedius Des Moul. » intermedia Des Moul. var. calaber Seg. ^ Reidii Wright « Scillae Des Moul. » altus Lamarck 9 pyramidalis Michd. ” gibbosus Marc, de Ser. 9 marginatus Lamarck » allicostatus Michd. » portentosi^ Des Moul. » portentosus Des Moul. var. elatior Seg. Amphiope perspicillata Ag. 9 Il Socio Gr. Di Stefano annunzia la scoperta di strati, rife- ribili al cretaceo inferiore (piano Urgoniano) nelle Puglie e fa la seguente comunicazione Sulla presenza dell' Urgoniano in Puglia: « Quella catena di colline, che, limitata a N. E. dal mare Adria- tico, a S. 0. dalla valle del Basente e del Bradano, a N. 0. dal Tavoliere di Puglia e a S. E. dalla pianura di Brindisi, corre parallelamente al litorale, estendendosi da S. Vito dei Normanni, Carovigno e Ceglie Messapico fino a Trani, Andria e Minervino- Murge, costituisce le Murge della Terra di Bari e in parte quelle della provincia di Lecce. Questa serie di piccole alture, che rag- giunge al M. Scozzone presso Minervino la massima elevazione di 670 m., è formata in modo subordinato di tufi calcarei, sab- bie ed argilla del Pliocene, il quale ne circonda gran parte della base ed è anche portato in alto in vari lembi, e prevalente- mente di calcari compatti 0 cristallini, che fino ad ora sono stati riferiti al Cretaceo e al Giurassico e come tali sono stati segnati 44 678 ADUNANZA GENERALE ESTIVA nelle Carte geologiche d’ Italia alla scala di 7i.ooo.ooo e Vsoo.ooo pub- blicate dall’Ufficio geologico. I calcari, creduti giurassici, si pre- sentano nei dintorni di Bari, Bi tonto, Terlizzi, Ruvo, Minervino Murge, Corato, Andria, Trani, Bisceglie. Molfetta e Giovinazzo. Alcuni lembi sono indicati presso Mola di Bari e Polignano a Mare, a Fasano, sotto Ostuni, a Mattola e vicino Altamura. L’ing. L. Baldacci, durante il rilevamento di quelle regioni, aveva di già associato al soprastante Cretaceo questi calcari ; le escursioni, che io potei fare in parte della Puglia con lui, con l'ing. E. Cortese e col sig. Michele Cassetti, diedero per la prima volta gli ele- menti paleontologici per stabilire la loro spettanza alla parte su- periore dell’ Urgoniano. Tale piano è rappresentato nelle Murge generalmente da calcari compatti, spesso litografici, talora cristal- lini, in istrati grandi e piccoli ben delineati, che si distendono in larghe ondulazioni con l’asse diretto da S. 0. a N. E. Questi cal- cari sono per lo più melati o biancastri, ma divengono anche rosei o rossi, come nei dintorni di Corato, Andria e Canosa; offrono un’ottima pietra da taglio, molto usata nella provincia di Bari e non di raro anche un elegante marmo. Essi in certi luoghi, come nel territorio di Andria e di Canosa, passano lateralmente e infe- riormente a ristrette masse di dolomie cristalline e brune, che sogliono trovarsi alla parte inferiore. I calcari e le dolomie, che vi sono intimamente associate, non lasciano scorgere gli strati su cui riposano; ma la potenza apparente dell’ Urgoniano è di circa 500 m. « Le innumerevoli sezioni diceratiformi, che gremiscono quegli strati, furono dubbiosamente riferiti al Diceras Escheri de Lor. ; però esse appartengono alla Toucasia cannata Math. sp. Gl’indi- vidui più numerosi e meglio conservati di questa specie si raccol- gono presso Corato, segnatamente nella grande cava Sfondarata, posta sulla strada rotabile Ruvo-Corato. Ivi i calcari compatti melati e biancastri, che danno lastre marmoree elegantissime pel capriccioso intreccio delle molte sezioni di Toucasia, alternano alla parte su- periore con straterelli più marnosi, zeppi di valve di una bella Posidonomya ?, che non si riesce di determinare anche specifica- mente. Insieme con le Toucasiae , il sig. Michele Cassetti ed io abbiamo raccolto rari esemplari di una Orbitolina , mal conservata, g olto affine alla 0. conoidea. Sulla spiaggia da Trani a Capo Co- DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 679 lonDa e da Molfetta a Giovinazzo gli strati, immergentisi con debole inclinazione nel mare, oltre a moltissime Toucasiae e a qualche Racliolites indeterminabile, contengono parecchi esemplari di piccole Monopleurae , costate, che sono da descrivere. « Le Toucasiae raccolte da me e dal signor Cassetti hanno i caratteri esterni ed interni di quella specie di Orgon (Bouches- du-Rhòne), che dal d’Orbigny fu riferita alla inglese Requienia Lonsdalei Sow. del Tower green sancì ; però il Douvillè (’) ha fatto giustamente notare che l'identità della specie mediterranea con quella d’Inghilterra, non solo non è provata, ma è più che dubbiosa, e che quindi conviene di ritenere per essa il nome di carinata , datole dal Matheron nel 1842 (2). Per quanto riguarda la determinazione generica, è da tener conto che tale specie pei caratteri interni, segnatamente per la presenza di lamine miofore prominenti, differisce bene dalle Requieniae e che perciò bisogna accettare per essa il nome di Toucasia , proposto dal Munier- Chalmas (3). Per queste ragioni la Requienia Lonsdalei del d'Orbignv dovrà chiamarsi Toucasia carinata Math. sp. - Spesso, ma non sempre, la Toucasia cannata suole occu- pare un livello più elevato di quello della Requienia ammonea Math., anzi la esistenza di forme, che per l'aspetto sembrano iden- tiche con essa in istrati coralligeni, i quali sono intercalati in altri con fauna aptiana, o vi passano lateralmente, o vi stanno sopra, è oramai riconosciuta come certa non solo nella Spagna e nei Pirenei, ma anche in Provenza, dove i sedimenti urgoniani e aptiani sogliono mostrarsi distinti. Per questi fatti, che sembrano parlare in favore dell’equivalenza dell Urgoniano e dell’Aptiano, si è proposto di riunire questi piani nel nome comprensivo di Urgo- aptiano e si sono anche dati ai livelli con Toucasia carinata e affinità aptiane vari nomi, fra i quali quello di Rhodanien dal Renevier (1854). Alcuni autori riguardano tali livelli come una (•) H. Douvillè, Sur quelques Rudistes du terrain crétacé inférieur des Pyrénées. Bull, de la Soc. géol. de France, 3. sér. tom. XVIII. Paris, 1889. (2) Matheron, Catalogue méthodique et déscriptif des corps organisés fossiles du département des Bouches-du-Rhóne. 1842. (3) Munier-Chalmas, Prodrome dinne classification des Rudistes. Jour- nal de Conchil., voi. XXI, 1873. — Études critiques sur les Rudistes. Bull, de la Sue. géol. de France, 3 sér. tom. X. Paris, 1882. (380 ADUNANZA GENERALE ESTIVA facies coralligena dell’Aptiauo inferiore. Pertanto gli studi fatti dal Douvillè (') sopra esemplari riferiti alla T. carinata e pro- venienti da orizzonti dei Pirenei con associazione di strati a fauna aptiana, hanno mostrato che quelle Toucasiae appartengono a specie differenti di quella del Matheron; per conseguenza sarà necessario di precisare con più esatte osservazioni paleontologiche, quale sia la reale diffusione nel tempo della Toucasia carinata degli strati urgoniani tipici di Orgon. Però dai molteplici studi fatti in Francia risulta chiaro che, come vi sono nel Giurassico superiore vari livelli di calcari coralligeni, ve ne possono essere anche vari a Requienia e Toucasia nel Cretaceo inferiore, dei quali alcuni possono trovarsi alla base dell’Urgoniano e altri in alto con passaggio all’Aptiano. « Lo studio dei calcari a Toucasia dell'Italia meridionale non è, a dir vero, peranche cominciato; però in quelli noti non si co- nosce finora associazione di faune aptiane, e quindi noi non pos- siamo staccarli, fino a prova in contrario, dalla parte superiore deH’Urgoniano, o meglio dalla sua facies coralligena. Vedremo presto quali saranno i risultati dello studio dei calcari a Toucasia di Sicilia da me intrapreso. « La esistenza di calcari a Toucasia , fondata su elementi pa- leontologici sicuri, viene ora provata per la prima volta nella parte meridionale del nostro continente. Questa scoperta ha dato anche la possibilità di stabilire la presenza di strati simili nel gruppo del Matese ; a Pietraroja (prov. di Benevento) e nei monti di Presenzano, presso Roccapipirozzi (prov. di Campobasso). Il sig. Michele Cassetti del R. Ufficio geologico ha infatti raccolti in quei calcari chiari, compatti o cristallini, sottoposti ad altri con Hippurites del gruppo dell' Hipp. giganteus , o con ittioliti, parecchi esemplari di Toucasia , che io ho giudicati identici con la Toucasia cannata. Calcari con fossili a tipo urgoniano sono stati trovati dal- l’ing. E. Cortese e da me anche sul M. Pollino, che è parte del- l’Appenuino calabrese. « I calcari subcristallini o cristallini, biancastri o giallicci, spesso marnosi, con Ilippurites, Radiolites , Ostrea e gasteropodi, che com- paiono su quelli a Toucasia al di sopra di Mola di Bari, presso i1) H. Douvillè, op. cit. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 681 Ruvo, Bitonto e nelle Murge di Àltamnra, estendendosi nella regione esaminata fino a Ostuni, Carovigno, Ceglie Messapico, Mottola e Matera, sono stati ritenuti sempre cretacei e riferiti vagamente al così detto « Ippuritico » o, in modo comprensivo al Turoniano e al Senoniano (De Giorgi). Io fio fatto un esame esatto dei fossili, che vi potei raccogliere insieme col sig. Cassetti e di quelli mandatimi per studio dal prof. De Giorgi ; ma il materiale studiato è fien poca cosa rispetto a quello, che si potrebbe raccogliere nei calcari cretacei pugliesi, zeppi di Rudiste, e in buona parte è indeterminabile, sic- ché riconosco la necessità di studi più completi. A me non è riuscito di provarvi con sicurezza l'esistenza delle varie specie che vi sono indicate dal De Giorgi (*) fra le quali Y Hippurites organisans Monft. che ora è ritenuta come specie senoniana (2) ; vi ho riconosciuto bensì l’ Bippurites giganteus d’Hombre Firmas, determinato con opportune sezioni, la Radiolites Sauvagesi d’Hombre Firmas e la sua var. so- cialis d’Orb., la R. angeiocles Lnùk., il Plagioptychus Aguilloni d’Orb., Y Actaeonella laevis d'Orb., oltre a varie Radiolites e ad alcuni Pecten , che io credo nuovi. Sebbene parecchie di queste specie turoniane siano anche indicate qua e là in mezzo a faune senoniane, la loro aggregazione e più la presenza delle due prime, che salgono con certezza fino alla base del Santoniano, mostrano che quei calcari pugliesi con Hippurites sono da porre veramente nel Turoniano, ma nelle parti più elevate di esso ( Angoumien ). Noi non possiamo perciò fino ad ora sospettare con buone ragioni la presenza in Puglia dei livelli ippuritici del Senoniano. Possiamo quindi ritenere che i cal- cari cretacei compatti e cristallini delle Puglie, debbano riferirsi all’Angoumiano e alle porzioni superiori dell’Urgoniano, senza vo- lere per altro escludere la esistenza possibile di altri piani cretacei nella Murge. « Come conclusione di questa Nota si può dire che dalle os- servazioni fatte non si rileva che i terreni delle Murge abbiano, (') C. De Giorgi, Da Bari al Mar Jonio. Bull, del R. Comitato geo- logico, n. 7-8 del 1877. — Note stratigrafichp e geologiche da Fasano ad Otranto. Boll, del R. Comitato geologico, n. 5-6 del 1881. (2) H. Douvillè, Révision des Hippurites. Bull, de la Soc. géol. de Trance. 6* sèrie, tom. XYTII, 1889, pag. 330. — A. Toucas, Note sur le Senionen et en particulier sur l'àge des couches à Hippurites. Bull, de la Soc. géol. de Trance, 3e sèrie, XIX, 1891. 682 ADUNANZA GENERALE ESTIVA come si è spesso affermato (!), un aspetto litologico e paleontologico differente da quello degli strati di tutto l'Appennino, perchè calcari coralligeni del Cretaceo sincronici e per tutto simili si presentano, per di solo dell’Italia inferiore, nell’ Appennino meridionale e nei suoi contrafforti » . Il Socio Greco parla sopra una nuova località fossilifera del l'ias inferiore nel circondario di Rossano presso Cosenza , in Calabria. Il Socio Sacco, dopo avere accennato ai numerosi studi, fatti da italiani e specialmente da tedeschi, sopra la cosidetta forma- zione di Schio a Saltella s ubro turi da , indica come, in se- guito ad una breve gita fatta nel pomeriggio allo scopo di esami- nare detta formazione, tenendo conto dei resti di Squalodon, dei numerosi denti di pesci e dell'assieme della ricca fauna marina, nonché della speciale facies della formazione stessa, è venuto alla conclusione che essa è ascrivibile all’ Elveziano. Credette di fare tale comunicazione, perchè la maggioranza dei geologi e paleontologi attribuisce il terreno in questione all'oligocene superiore, special- mente all’ Aquitaniano. Il Socio De Stefani dice che l’opinione del Sacco fu già manifestata da alcuni, ma non fu accettata dai più. Egli ritiene che i Pecten e le altre specie di Schio abbiano semplicemente le loro omologhe nell’ Elveziano e crede che gli strati di Schio siano un poco più antichi dell’ Elveziano e del miocene medio. Il Socio De Nicolis dice che la fauna del Monte Postale, che ha forme simili a quella degli strati di Schio e che contiene resti di pesci, è riferita parimenti &\Y Elveziano. Il Socio Bassani nota che lo studio dell’ittiofauna, racchiusa negli strati di Schio, conferma quanto disse il Socio Sacco, che cioè possano riferirsi all 'Elveziano. (*) (*) C. De Giorgi, Note geologiche sulla Basilicata. Lecce, 1879. — Un errore geografico. Rassegna Nazionale, anno IV, pag. 369 e 429. 1879. — Puglie ed Albania. Rassegna Nazionale, anno Vili. Firenze, 1886. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 683 Il Socio perpetuo Capellini esclude che debbano riferirsi alla parte media del miocene, cioè all’ Elveziano, e sostiene che sono più antichi e devono essere riportati al Langhiano. I resti di Squa- lodo/ij che ha osservato nella collezione del Socio De Pretto, con- fermano e giustificano il riferimento a tale piano. Il Socio Sacco replica, che, malgrado che alcune forme ac- cennino ad un piano più antico, egli crede che la formazione di Schio non possa attribuirsi al Langhiano , ma bensì all’ Elvesiano. Il Socio De Stefani fa la seguente breve comunicazione Sul granito dell’isola dell’Elba. > 518-524 Sestiano » 524-525 Tongriano . • » 525-534 Stampiano » 534-535 Aquitanjano ” 535-536 698 INDICE SISTEMATICO DEL VOLUME XI LanghM.no Pag. 536-540 Elveziano ; 540-552 Tortoniano » 552-555 Messiniano » 555-564 Piacenziano •> 564-575 Astiano « 575-578 VlLLAFRANCHIANO » 578-586 Quaternario » 586-600 Sahariano •> 586 Diluvium » 586-591 Morenico « 591-598 Terrazziano » 598-600 Bibliografia dal 1881 al 1892 » 600-614 Resoconto dell’Adunanza generale estiva tenuta dalla Società geologica italiana nel Vicentino dal 10 al 15 settem- bre 1892 615-694 Riunione nelle sale del Club Alpino italiano (sezione ■> di Vicenza) nella sera del 10 settembre ... i 615 Invito ai Soci per assistere al teatro . * ivi Visita al Museo Civico nella mattina del giorno 11 set- tembre, e cenno sulle collezioni di storia naturale osservatevi » 615-616 Visita alla Biblioteca Bertolliana ed alla Mostra arti- stica e di arte applicata nel salone della Ba- silica i 616 Seduta inaugurale dell’ll settembre in Vicenza ... » 616-662 Soci presenti » 616 Personaggi che assistono all’Adunanza » 617 Discorso dell’assessore Bevilacqua, rappresentante il sindaco di Vicenza » 617-618 Discorso del conte Contin rappresentante il Prefetto. » 619-620 Discorso del conte Colleoni, rappresentante la Depu- tazione provinciale e del conte Da Schio presi- dente della Sezione vicentina del Club Alpino italiano » 620 Ringraziamenti del Presidente Omboni » 620-621 Discorso del Presidente Omboni » 621-645 Elenco bibliografico delle pubblicazioni fatte dal ba- rone Achille De Zigno « 646-657 Soci che scusano l’assenza all’Adunanza » 657-658 Lettera di ringraziamento del conte Michelangelo Spada al Segretario per essere stata rappresen- tata la Società ai funerali del Socio perpetuo Felice Giordano e per la corona di fiori de- posta sul tumulo » 658 INDICE SISTEMATICO DEL VOLUME XI 699 Nuovi Soci Pag. 658 Elenco delle pubblicazioni innate alla Società in omaggio dal 1° maggio al 1° settembre 1892 . « 659-660 Proposta di inviare un telegramma di ringraziamento al Ministro di Agricoltura Industria e Commercio pel sussidio accordato alla Società » 660 Proposta del Socio Capellini e nomina di una Com- missione, la quale si rechi a salutare la signora Camilla De Muri ved. Molon, e deponga una corona sulla tomba del Socio perpetuo Francesco Molon, ovvero collochi una lapide al suddetto Socio a ricordo di quanto fece per la Società . » ivi Comunicazioni scientifiche » 660-662 Negri A., Sulla carta geologica della 'provincia di Vicenza ” 660 Di Stefano G., Sulla estensione del trias superiore della provincia di Salerno » ivi De Lorenzo G., Sui terreni dei dintorni di Lago- negro in Basilicata « 660-661 Canavari M., ricorda il trias rinvenuto dal prof. Lo- visato a Monte Polline (Calabria) » 661 Bassani F., parla sul trias superiore della provincia di Salerno e della Basilicata « ivi Meli R., presenta il suo lavoro : Elenco dei molluschi quaternari della spiaggia di Foglino presso Net- tuno (prov. di Roma) con bibliografia, special- mente scientifica, su quel tratto di costa romana, che da Anzio va a Terracina » 661-662 De Stefani C., annunzia una nota Sul calcare ad Amphisteg ina di Corneto » 662 Presentazione di altre memorie dei Soci Corti, Sacco e Clerici (tutte precedentemente stampate nel presente volume) » ivi Ringraziamenti al Socio L. Meschinelli ed al Com- mendator P. Lioy » ivi Breve riassunto fatto dal Segretario R. Meli delle escur- sioni eseguite ai Colli Berici nel pomeriggio del giorno 11; a Valdagno e Rècoaro il giorno 12, ed a Schio il 13 settembre. >5 663-664 Seduta di chiusura tenuta il 13 settembre 1892 a Schio. » 664-686 Soci presenti » 665 Nuovi Soci » ivi Socia dimissionaria » ivi Soci radiati per morosità « 665-666 Invio di lire sessanta del Socio perpetuo G. Capel- 00 INDICE SISTEMATICO DEL VOLUME XI lini, e relativa deliberazione del Consiglio Di- rettivo Pag. Testo del telegramma inviato al Ministro d’ Agricol- tura, Industria e Commercio » Il Presidente accenna l’itinerario della escursione di Asiago nei Sette Comuni » Elezioni sociali. Nomina degli scrutatori e risultato della votazione per il Vice-presidente pel 1893, pel Se- gretario per il triennio 1893-95, e per i 4 Con- siglieri, parimenti pel triennio 1893-95 .... » Ringraziamento del Socio perpetuo G. Capellini per la sua elezione a Vice-presidente » Deliberazione di collocare in Vicenza una lapide al defunto Socio perpetuo F. Moi.on » Commissione per la stampa delle pubblicazioni da inserirsi nel Bollettino » Commissione per la revisione del bilancio consuntivo del 1892 « Dichiarazione sui bilanci consuntivi 1890 e 1891 . « Deliberazione sulla spesa delle tavole annesse alle Memorie da stamparsi nel Bollettino « Deliberazione sulle Memorie per le quali si richie- dono parecchi fogli di stampa n Proposta del Socio M. Canavari sulla stampa e tira- tura del Bollettino » Dichiarazioni del Segretario R. Meli in proposito. . « Due articoli da aggiungersi nel Regolamento della So- cietà, l’uno relativo all’iscrizione dei nuovi Soci, e l’altro alla sospensione delle pubblicazioni della Società, a quei Soci che al 1° aprile di ogni anno risulteranno morosi della tassa dovuta per l’anno precedente » Invio dei volumi del Bollettino alla Geological Survey of India » Invio del Bollettino, a cominciare dal voi. XI (1892), alla Biblioteca Civica di Vicenza » Dichiarazioni dei Soci De Stefani C. e Capellini G. ; deliberazione approvante l’invio » Incarico ai Soci A. Issel e G. Capellini di rappre- sentare la Società nel Congresso geografico di Genova » Manoscritto pervenuto per concorrere al premio Molon, bandito il 26 settembre 1889 nell’Adunanza di Ca- tanzaro I! 666 ivi ivi 666-667 668 ivi ivi 668 668- 669 669 ivi ivi 669- 670 670-671 671 ivi ivi 672 ivi INDICE SISTEMATICO DEL VOLUME XI 701 Giudizio della Commissione e relazione motivata sul manoscritto presentato al concorso Molon. . . Pag. 672-678 Proposte e deliberazioni sul nuovo concorso al premio Molon da aprirsi per la 3a volta nell' Adunanza estiva del 1893 • . . . . » 673-674 La scheda suggellata, che accompagnava il manoscritto inviato al concorso, viene bruciata « 675 Comunicazioni scientifiche » 675-683 Presentazione della Memoria del Socio E. Dervieux. Le Frondicularie terziarie del Piemonte, e del Socio Di Pota send a L., Sui fossili del calcare di Gassino (già precedentemente stampate nel presente volume.) » 675 Patroni C., Intorno all'età degli strati a lamelli- branchi e ad echinidi di Baselice in provincia di Benevento » • 675-677 Di Stefano G., Sulla presenza dell' Urgoniano in Puglia » 677-682 Greco B., Su di una nuova località fossilifera del lias inferiore nel circondario di Possano presso Cosenza ( Calabria .) » 682 Sacco F., De Stefani C., De Nicolis E., Bassani F„ Capellini G., discussione sul piano, al quale debbonsi riferire gli strati a Saltella subrotunda di Schio. . ■ » 682-683 De Stefani C , Sul granito dell'Isola dell'Elba. . « 683 Patroni C’., Sopra una sezione di lamellibranchiato rinvenuto a Colle Sannita (provincia di Be- nevento.) » ivi Cocchi I., Commemorazione del defunto Socio perpe- tuo Felice Giordano. « 683-686 Ringraziamento al Socio R. Meli e sua nomina ad Archivista » 686 Breve riassunto, fatto dal Segretario R. Meli, della escursione geologica eseguita nei giorni 14 e 15 set- tembre 1892 ad Asiago nei Sette Comuni .... » 687-688 Negri A. Relazione delle escursioni geologiche ese- guite dal giorno 11 al 1Ò settembre 1892 .... » 689-694 Indice sistematico del presente volume XI » 695-701 La Società geologica italiana tiene due. adunanze ordinarie all’anno-, l’una ivemale nella città dove ha sede il Presidente, l’altra estiva in luogo da de- tinarsi anno per anno. Per far parte della Società occorre esser presentato da due soci in una dunanza ordinaria, e pagare una tassa annua di L. 1-5, e una tassa d’entrata i L. 5. La tassa annua può esser sostituita dal pagamento di L. 200 per ma sola volta. I versamenti si fanno al socio cav. ing. Augusto Statuti, via dell’Anima 7, Roma. Ogni socio all’atto dell’ammissione: si obbliga di restare nella Società per re anni, al cessare dei quali l’impegno s’intende rinnovato di anno in anno, e non venga denunziato tre mesi prima della scadenza. I soci hanno diritto al Bollettino che periodicamente si stampa in fascicoli. Nel bollettino si pubblicano le memorie presentate ed accettate nelle ulunanze o dalla Presidenza, insieme all’elenco dei soci, ai bilanci e ai reso- :onti delle adunanze generali e delle escursioni. Le memorie che non vengono presentate in Adunanza generale, saranno nviate alla Presidenza, é per essa al Segretario. L’Autore di una memoria fornita di tavole, se per la esecuzione di queste lomanda un sussidio alla Società, deve lasciare a questa la cura di farle ese- guire, o almeno mettersi in pieno accordo colla Presidenza. Agli autori si danno 50 copie dell’estratto. Per le successive 50 il prezzo i carico dell’autore è in ragione di L. 6 per ogni foglio di pag. 16, e L. 3 ier ogni mezzo foglio o frazione di mezzo foglio. I volumi arretrati del bollettino si vendono al prezzo di L. 12 l’uno, lette di sconto. — Ai soli Soci che desiderano completare la collezione sono iccordati i volumi arretrati al prezzo di L. 8 l’uno indistintamente. — Per .'acquisto, diriggere lettere e vaglia al socio cav. ing. Augusto Statuti, via le IP Anima 17, Roma. INDICE ■ DELLK MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE FASCICOLO. Cacciamali Gr. B. Geologia arginate (con 2 tav.) . Pag. 293 Clerici E. Illustrazione della flora rinvenuta nelle fonda- zioni del ponte in ferro sul Tevere a Ripetta (con 2 tav.) . . » 335 De Stefani C. Descrizione sommaria delle principali pieghe dell’ Appennino fra Genova e Firenze . . . . * 371 Di Rovasenda L. I fossili di Gassino ■> 409 Sacco F. V Appennino dell’Emilia (Studio geologico som- mario) » 425 Resoconto’ dell' Adunanza generale estiva tenuta dalla So- cietà geologica italiana nel Vicentino dal 10 al 15 settembre 1892 . . . . . . • » 615-1 Seduta dell' 11 settembre in Vicenza . . . « 616 Seduta del 13 settembre a Schio .... « 664 Negri A. Relazione delle escursioni geologiche eseguite dal giorno 11 al 15 settembre 1892 » 689 • Indice sistematico del vol. XI * 695