/ I: Anno XV. Fascicolo 1“ (1“ trimestre 1896) BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. XV. — i89ò. KOMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1896 Si leggano le avvertenze stampate nella terza pagina della copertina. BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Volumi finora pubblicati. Voi. I (1882) 260 pag. Jl II (1883) 314 » n III (1884) 188 JJ IV (1885) 528 ?» V (1886) 516 ?» 7! VI (1887) 570 ?» it VII (1888) 430 ?» n Vili (1889) 600 ?» li IX (1890) 826 ?» n X (1891) 1023 ?» li XI (1892) 702 ?» ji XII (1893) 892 » n XIII (1894) 317 ?» li XIV (1895) 324 ?» I volumi I, II e III si e 4 tavole. 6 tavole. 5) una tavola. 19 tavole e 3 carte geologiche a colori. 11 tavole. 18 tavole e una carta geologica a colori. 14 ^ " 3 Il y> » ” 25 » , ” " 21 « e 2 carte geologiche a colori. 11 tavole. 7 » 5 » 7 » gli altri a L. 20. altri a ju. _ . A chi richiede parecchi volumi si accorda un ribasso proporzionato. Ai librai si accorda uno sconto da convenirsi. Ai soli soci che desiderano completare la collezione sono accordati i volumi arretrati al prezzo di L. 8 l’uno indistintamente. Si accorda anche un ribasso per chi, non essendo socio, paga an i- cipatamente Tabbonamento per ogni annata da pubblicarsi. Per l’aeqmto dirigere lettere e vaglia alVEeowmo cav. ing. Aiovsro StatutIj via dell’Anima 17 j Roma. BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. XV. — 1896. ROMA TIPOORAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1896 -;^7. \ I k SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA MENTE ET MALLEO fondata in Bologna il 29 settembre 1881. Ufficio di Presidenza per l’anno 1896. Presidente. Prof. Carlo De Stefani (Firenze). Vice-Presidente. Prof. cav.]DANTE Pantanelli (Modena). Segretario. Ing. dott. Enrico Clerici (Poma). Vice-Segretari. Dott. Mario Baratta (Roma). | Dott. Giuseppe Ristori (Firenze). Tesoriere. Aw. comm. Tommaso Tittoni, Deputato al Parlamento Nazionale (Roma). Economo. Ing. cav. Augusto Statuti (Roma). Archivista. Prof. ing. Romolo Meli (Roma). Consiglieri Cav. Luigi Di Rovasenda (Sciolze). Ing. Bernardino Lotti (Roma). Prof.comm. Giovanni Omboni (Padova). Ing. comm. Nicolò Pellati (Roma). Ing. cav. Luigi Baldacci (Roma). Prof. Mario Canavari (Pisa). Ing. comm.. Lucio Mazzuoli (Roma). Prof. Arturo Negri (Padova). Dott. Giuseppe Mazzetti (Modena). Prof. Federico Sacco (Torino). Ing. Pietro Toso (Firenze). Dott. Mario Cermenati (Roma). Commissione per le pubblicazioni. Il Presidente Il Segretario Il Tesoriere L’Archivista Prof, cav! A. D’Achiardi (Pisa). Prof. cav. Francesco Bassani (Napoli). Prof. cav. Torquato Taramelli (Pavia). I I {prò tempore) Commissione del bilancio. Prof. comm. Giovanni Struever (Roma). Ing. cav. Pietro Zezi (Roma). Prof. cav. Giuseppe Tuccimei (Roma). Sede della Società: Roma, Via S. Susanna, 1 A, presso il R. Ufficio geologico. IV ELENCO DEI PRESIDENTI. — SOCI PERPETUI Elenco dei Presidenti succedutisi annualmente dalla fondazione della Società in poi. 1881-82. Giuseppe Meneghini 1883. Giovanni Capellini 1884. Antonio Stoppani 1888. Giuseppe Scarabelli 1886. Giovanni Capellini 1887. Igino Cocchi 1885. Achille De Zigno 1889. Giovanni Capellini 1890. Torquato Tabamelli 1891. Gaetano Giorgio Gemmeli.aro 1892. Giovanni Omboni 1893. Arturo Issel 1894. Giovanni Capellini 1895. Igino Cocchi. Soci perpetni 1. Quintino Sella (morto a Biella il 14 marzo 1884). Fu uno dei tre istitutori della Società, e venne, per il primo, annoverato tra i soci perpetui per deliberazione unanime neH’Adunanza generale tenutasi dalla Società il 14 settembre 1885 in Arezzo. 2. Francesco Molon (morto a Vicenza il 1 marzo 1885). Fu consigliere della Società, alla quale legava con suo testa- mento la somma di Lire 25,000; venne iscritto fra i soci per- petui per deliberazione unanime nell’Adunanza generale del 14 settembre 1885. 3. Giuseppe Meneghini (morto a Pisa il 29 gennaio 1889). Per i suoi insigni meriti scientifici venne acclamato socio perpetuo nell’Adunanza generale di Savona il 15 settembre 1887- 4. Giovanni Capellini, senatore del Regno. É uno dei tre fonda- tori della Società, e venne iscritto tra i soci perpetui per deliberazione unanime nella Adunanza generale tenutasi in Taormina il 2 ottobre 1891. 5. Felice Giordano (morto a Vallombrosa il 16 luglio 1892). Fu uno dei tre fondatori della Società e venne iscritto tra i soci perpetui per deliberazione unanime nell’Adunanza generale tenutasi a Taormina il 2 ottobre 1891. ELENCO DEI SOCI V Elenco dei Soci per l’anno 1896. (L’asterisco indica i Soci a vita). Anno di 1894. Aichino ing. Giovanni. R. Ufficio geologico. Roma. 1891. Amhrosioni dott. Michelangelo. Chigoolo d’isola. (Ber- gamo). 1890. Amighetti dott. sac. Alessio. Collegio di Rovere (Provin- cia di Bergamo). 1891. Angelelli ing. Ettore. Via Madonna de’ Monti 7. Roma. 1886. Antonelli dott. D. Giuseppe. S. Pantaleo- 3. Roma. 1896. Arcangeli prof. Giovanni. R. orto botanico. Pisa. 1889. Avanzati dott. Francesco. Piazza della Lizza. Siena. 1881. Baldacci ing. cav. Luigi. R. Ufficio geologico. Roma. 1890. Baratta dott. Mario. Osservatorio geodinamico al Col- legio Romano. Roma. 1884. ÌO^Bargagli cav. Piero. Via de’ Bardi, palazzo Tempi. Firenze. 1882. Bargellini prof. Mariano. R. Liceo. Siena. 1881. Bassani prof. cav. Francesco. R. Università. Napoli. 1883. ' Bellucci \>voi. comm. Giuseppe. Università. Perugia. 1883. Benigni Olivieri dott. march. Oliviero. Ospedale S. Or- sola. Bologna. 1883. Berti dott. Giovanni. Via S. Stefano 43. Bologna. 1884. Biagi dott. Giuseppe. Badia Polesine (Rovigo). 1896. Bianchi avv. Giovanni Battista. Pisa. 1881. *Bomhicci prof. comm. Luigi. R. Università. Bologna. 1892. Bonarelli dott. Guido. Gubbio (Umbria). 1885. 20 Bonetti prof. Filippo. Via Ludovisi 36. Roma. 1885. Borgnini ing. comm. Secondo. Direzione generale fer- rovie della Rete Adriatica. Firenze. 1881. Bornemann dott. ./. G. Eisenach (Germania). 1896. Bosco capitano Camillo. Tribunale Militare, Firenze. 1882. Botti avv. cav. Ulderigo. Reggio di Calabria. VI ELENCO DEI SOCI 1893. Botto Micca dott. Luigi. Via Accademia Albertina 21. Torino. 1884. Brugnatelli dott. Luigi. R. Università (Museo minera- logico). Pavia. 1884. Bruno prof. Carlo. R. Istituto tecnico. Mondovì. 1887. Bruno dott. Luigi, Geometra. Ivrea. 1891. Bucca prof. Lorenzo. R. Università. Catania. 1881. 50 *Bumiller iiig. comm. Ermanno. Via Lorenzo il Ma- gnifico 12. Firenze. 1889. Cacciamali prof. Giovanni Battista. R. Liceo. Brescia 1882. Cafìci barone Ippolito. Vizziiii (Catania). 1882. Canavari prof. Mario. R. Museo geologico. Pisa. 1881. Capacci ing. cav. Celso. Via Vaifonda 7. Firenze. 1881. *CupelUni prof. comm. Giovanili, Senatore del Regno. R. Università. Bologna. 1891. Cappa ing. C/m&er^o. R. Corpo Miniere. Nebida (Iglesias). 1891. Carapezza ing. Enterico. R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri. Palermo. 1881, Cardinali prof. Federico. R. Istituto tecnico. Macerata. 1896. Carmignani Giovanni, allievo ingegnere. Pisa. 1896. 40 Carniccio prof. Antonio. R. Università. Roma. 1885. Castelli dott. cav. Federico. Villa S. Michele. Via Roma. Porta maremmana. Livorno. 1882. Cattaneo ing. cav. Roberto. Via Ospedale 50. Torino. 1890. Cermenati dott. Mario. Via di Parione 57. Roma. 1894. Cernili Irelli Serafino. Piazza Rondanini 52. Roma. 1896. Cettolini prof. cav. Sante. R. Scuola d’enologia. Cagliari. 1887. Charlon ing. E. Rue Pierre Duprèt 25. Marsiglia. 1895. Chelussi prof. Italo. R. Scuola Normale. Aquila. 1882. Chigi Zondadari march. Bonaventura. Senatore del Regno. Siena. 1882. do falò prof. Saverio. Termini Imerese (Palermo). 1886. 50 Clerici ing. dott. Enrico. Quatti o Fontane 159. Roma. 1881. *Cocchi prof. comm. Igino. Via de’ Pinti 51. Firenze. 1885. Cocconi prof. comm. Girolamo. R. Università. Bo- logna. 1886. Colalè ing. Michele. Scuola mineraria. Agordo. 1894. Conedera ing. Raimondo. Massa Marittima (Grosseto). 1894. Corsi ing. Arnaldo. Via Vaifonda 54. Firenze. 1881. Cortese ing. Emilio. Casteani (Gavorrano). 1890. Corti dott. Benedetto. Museo Civico. Milano. ELENCO DEI SOCI TU 1895. Crema ing. Camillo. Via Barctti 3. Torino. 1882. D'Achiardi prof. cav. Antonio. R. Università. Pisa. 1894. 60 D’ Achiardi dott. Giovanni. R.. Museo Mineralogico. Pisa. 1885. D’. Ancona prof. cav. Cesare. R. Istituto superiore (Museo geologico). Firenze. 1896. D'Ancona Giuseppe. Pisa. 1894. De Agostini dott. Giovanni. Via S. Zenobi 51. Firenze. 1883. De Amicis prof. Giovanni Augusto. Via Sacchi 38. Torino. 1893. De Alessandri dott. Giulio. Piazza Castello 25. Torino. 1891. De Angelis D' Ossat dott. Gioacchino. R. Università. Roma. 1893. Deecke prof. Wilhelm. Università. Greifswald (Prussia). 1881. De Ferrari ing. Paolo Emilio. Contrada S. Marco 667, Palazzo Roi. Vicenza. 1894. De Franchis dott. Filippo. Gelatina (Lecce). 1883. 70 De Gregorio Brunaccini dott. march. Antonio. Molo. Palermo. 1881. *Delaire ing. cav. Alexis. Boulevard St. Germain 135. Parigi. 1886. Del Bene ing. Luigi. Miniera di Morgnano e S. Croce. Spoleto. 1881. Delgado cav. Joaquim Philippe Neriy. Rua do Arco a Jesus. Lisbona. 1886. Dell'Erba ing. prof. Luigi. Via Trinità maggiore 6. Na- poli. 1890. *Dell'Oro comm. Luigi (di Giosuè). Via Silvio Pellico 12. Milano. 1891. De Lorenzo dott. Giuseppe. Museo Geologico della R. Università. Napoli 1881. Del Prato dott. Alberto. R. Università. Parma. 1882. Demarchi ing. cav. Lamberto. Via Napoli 65. Roma. 1894. De Pian ing. Luigi. Massa Marittima (Grosseto). 1892 . 80 De Pretto dott. Olinto. Schio (Vicenza). 1881. De Rossi prof. comm. Michele Stefano. Piazza dAra- coeli 17. Roma. 1889. Dervieux sac. Ermanno. Piazza Gran Madre di Dio 14. Torino. 1881. De Stefani prof. Carlo. Piazza S. Marco 2. Firenze. 1881. Dewalque^voi. ufFic. Gustavo. Rue de laPaixl7. Liége. 1883. Di Rovasenda cav. Luigi. Sciolze (Torino). TIII ELENCO DEI SOCI 1885. Di Stefano dott. cav. Giovanni. R. Ufficio geologico. Roma. 1893. Fabrini dott. Emilio. R. Liceo. Chieti. 1895. Fedeli prof. Carlo. R. Università. Pisa. 1894. Ferraris ing. comm. Erminio., Dirett. miniera di Mon- teponi. Iglesias. 1893. 90 Fino prof. Vincenzo. Via Arsenale 33. Torino. 1887. Foldi prof. cav. Giuseppe. Corso Amedeo 6. Savona. 1881. Fornasini dott. cav. Carlo. Via delle Lame 24. Bologna. 1881. Forsijth Major dott. Carlo. Via Senese 4. Firenze. 1891. Franchi ing. Secondo. R. Ufficio geologico. Roma. 1889. Franco prof. Pasquale. Corso Vittorio Emanuele 397. Napoli. 1887. Frumento ing. Giuseppe. Via Genova 6. Savona. 1889. Fucini dott. Alberto. R. Museo geologico. Pisa. 1891. Galli prof. cav. D. Ignazio. Direttore delPOsservatorio Fisico-Meteorologico. Velletri. 1890. Gavazzeni dott. sac. Bernardino. Celana Bergamasco (Bergamo), 1882. 100 Gemmellaro prof. comm. Gaetano Giorgio. R. Univer- sità. Palermo. 1895. Giacomelli dott. Pietro. Bergamo. 1891. Gianotti dott. Giovanni. R. Scuola tecnica. Como. 1896, Gioii Gino. Via Roudinelli 10. Firenze. 1893. Gioii dott. Giuseppe. S. Frediano a Settimo (Pisa). 1884. Gobboni dott. Omero. Città della Pieve 1886. Gozzi ing. Giustiniano. Cesena. 1892. Greco dott. Benedetto. R. Museo geologico. Pisa. 1884. Gualterio dott. march. Carlo. Bagnorea. 1886. Gualterio ing. march. Giambattista. Bagnorea. 1881. ìM)*Hughes prof. cav. Thomas Mac Kenny. Università. Cambridge (Inghilterra). 1895. Incontri march. Gino. Via Giuseppe Giusti 20. Firenze. 1891. Inghilleri prof. Giuseppe. Corleone (Palermo). 1881. Issel prof. comm. Arturo. Via Gropallo 3. Genova. 1881. Jervis prof. cav. Guglielmo. Museo industriale. Torino. 1889. Johnston-Lavis dott. Henry. Beaulieu (Alpes Mariti- mes) Francia. 1883. Lais prof. p. Giwsejo/ie. Via del Corallo 12. Roma. 1888. Lanino ing. comm. Ginse/ijoe. Via d’ Azeglio 38. Bologna. 1883. Lattes ing. comra. Oreste. Via Nazionale 96. Roma. ELENCO DEI SOCI IX 1891. Lavalle ing. prof. Giuseppe'. R. Università. Messina. ^1884. i'ìQ* Levai ing. David. Rue de Prìnteraps 9. Paris. 1882. Levi bar. Adolfo Scander. Piazza d’ Azeglio 7. Firenze. 1896. Levi Gustavo. Via Ginori 34. Firenze. 1881. Lotti ing. Bernardino. R. Ufficio geologico. Roma. 1882. Malagoli prof. Mario. R. Ginnasio. S. Remo. 1893. Manzone Tpvot Faustino. R. Istituto Anatomico. Roma. 1886. Mariani prof. Ernesto. Museo Civico. Milano. 1894. Marinelli Olinto. Piazza d’ Azeglio 12. Firenze. 1891. Marinoni prof. can. Luigi. Rovere (Bergamo). 1895. Martone prof. Michele. R. Liceo. Reggio Calabria. 1881. 130 Matteucci dott. Vittorio. Museo geologico della R. Uni- versità. Napoli. 1881. *Mattirolo ing. Ettore. R. Ufficio geologico. Roma. d881. *Mayer Eijmar prof. Carlo. Scuola politecnica. Zurigo. 1881. Mazzetti dott. ab. Giuseppe. Via Correggi 5. Modena. 1881. Mazzuoli ing. comm. Lucio. Via S. Susanna 9. Roma. 1881. Meli ing. prof. Romolo. Via del Teatro Valle 51. Roma- 1889. Melzi conte Gilberto. Monte Napoleone 36. Milano. 1883. Mercalli prof. sac. Giuseppe. R. Liceo Vittorio Ema- nuele. Napoli. 1890. Meschinelli dott. Luigi. Vicenza. 1894. Mezzena ing. Elvino. Buggerru. (Sardegna). 1882. 140 Miniera di Libiola (Direzione). Sestri Levante. 1881. Missaghi prof. cav. Giuseppe. R. Università. Cagliari. 1895. Morandini ing. Bernardino. Massa Marittima (Grosseto). 1895. Morena ing. Tobia. Cantiano (Ancona). 1891. Moretti ing. Guido. Brembate di Sotto (Bergamo). 1889. Morini prof. Fausto. R. Università. Messina. 1886. Moschetti ing. Claudio. Ufficio d’Arte. Cuneo. 1890. Namias dott. Isacco. R. Università (Museo di Minera- logia). Modena. 1881. Negri dott. Arturo. R. Università. Padova. 1883. Neviani prof. Antonio. R. Liceo E. Q. Visconti. Roma. 1881 iòO'^Niccoli ing. comm. Enrico. R. Corpo delle Miniere. Bologna. 1883. Niccolini ing. march. Giorgio. Via Scialoja 19. Firenze. 1881. Nicolis {De) cav. Enrico. Corte Quaranta. Verona. 1888. Novarese ing. Vittorio. R. Ufficio geologico. Roma. 1883. Olivero tenente generale comm. Enrico. Via Venti Set- tembre 69. Torino. •1881. 1881. 1881. 1892. 1882. 1881. 1881. 1893. 1891. 1882. 1881. 1894. 1891. 1883. 1886. 1893. 1885. 1892. 1883. 1890. 1895. 1892. 1893. 1892. 1892. 1884. 1895. 1881. 1891. 1889. 1881. 1884. ELENCO DEI SOCI Omboni prof, cómra. Giovanni. R. Università. Padova. Panlanelli prof. cav. Dante. R. Università. Modena. Parona prof. Carlo Fabrizio. R. Museo geologico (Pa- lazzo Carignano). Torino. Patroni dott. Carlo. Anticaglia 24. Napoli. *Paulucci marchesa Marianna. Villa Novoli. Firenze. 160 Pélagaud dott. Eliseo. 15 Quai de l’Archevèché. Lyon. Pellati ing. comm. Niccolò. R. Ufficio geologico. Roma. Peola dott. Paolo. Museo Civico Craveri. Bra (Cuneo). Platania-Platania dott. Gaetano. Aci-Reale. Piatti prof. Angelo. Deseuzano sul Lago. Pompucci ing. Bernardino. Pesaro. Porro ing. Cesare. Via Passione 4. Milano. Ragazzi dott. Vincenzo. Via Manzoni 2. Torino. Ragnini dott. Romolo. Capitano medico 74° reggimento fanteria. Vercelli. Ricciardi prof. Leonardo. R. Istituto tecnico. Girgenti. 170 Ridoni ing. Ercole. Miniera di Montecatini in Val di Cecina Ristori dott. Giuseppe. R. Museo palentologico (Piazza S. Marco). Firenze. Riva Carlo. Corso Magenta 52. Milano. Riva Palazzi maggior generale Giovanni. Comandante la Brigata Basilicata. Corso Milano 29. Novara. Ro7icalli dott. conte Alessaìidro. Bergamo (alta Città). Rosselli ing. Emanuele. Via del Fosso 1. Livorno. Rossi Guido. Via Privata (Porta Salaria) 12. Roma. Rovello cav. ing. Alberto. Via Maria Vittoria 52. To- rino. Rovereto march. Gaetano. Salita Rondinella 5. Genova. Rusconi sac. Giuseppe. Valmadrera (Prov. di Como). 180 Sacco prof. Federico. R. Museo geologico (Palazzo Ca- rignano). Torino. Salomon dott. Guglielmo. R. Università. Pavia. Samojraghi ing. Francesco. Via Monte di Pietà 9. Milano. Sabatini ing. Venturino. R. Ufficio geologico. Roma. Scacchi ing. prof. £wgemo. Via Costantinopoli 19. Napoli. Scarabelli Gommi Flamini conte comm. Giuseppe. Se- natore del Regno. Imola. Schneider ing. Aroldo. Montecatini in Val di Cecina. ELENCO DEI SOCI XI 1891. Schopen doti. Luigi. R. Università (Museo geologico). Palermo. 1895. Scott Herbert. Usina Wigg. Miguel Burnier. Minas. Brasilo. 1881. Segrè ing. Claudio. Direzione ferrovie meridionali. Ancona. 1885. 190 Sella ing. Corradino. Deputato al Parlamento. Biella. 1893. Sella ing. Erminio. Biella. 1882. ^Silvani dott. Enrico. Via Garibaldi 4. Bologna. 1883. Simonelli dott. Vittorio. R. Museo geologico. Parma. 1881. Simoni dott. Luigi. Via Cavaliera 9. Bologna. 1882. Sorniani ing. cav. Claudio. R. Ufficio geologico. Roma. 1883. Speranzini prof. Nicola. Arcevia (Ancona). 1882. Spezia prof. cav. Giorgio. R. Università. Torino 1896. Spirek ing. Vincenzo. Dirett. miniera del Siele. Santa Fiora (Grosseto). 1882. Statuti ing. cav. Augusto. Via dell’Anima 17. Roma. 1861. 200 Stella ing. Augusto. R. Ufficio geologico. Roma. 1886. * Stephanescu ^roi. Greg'oHo. Università. Bukarest (Ro- mania). 1882. Struver prof. comm. Giovanni. R. Università. Roma. 1896. Tagiuri Clemente Corrado. Via Roma 34. Livorno. 1881. Taramelli prof. cav. Torquato. R. Università. Pavia. 1891. Taschero dott. Federico. Mondovì. 1883. Telimi dott. Achille. R. Istituto tecnico. Udine. 1881. Tenore ing. prof. Gaetano. Via S. Gregorio Armeno 41. Napoli. 1881. Tittoni avv. comm. Tommaso. Deputato al Parlamento. Via Rasella 157. Roma. 1889. Toldo dott. Giovanni. R. Scuola tecnica. Legnago. 1881. 210 Tommasi prof. Annibaie. R. Università. Pavia. 1883. Toso ing. Pietro. Via de’ Serragli 13. Firenze. 1890. Trabucco prof. Giacomo. R. Istituto tecnico Galileo Galilei. Firenze. 1892. Traverso ing. Stefano. Via Caffaro 13. Genova. 1893. Traverso ing. comm. Giovanni Battista. Via Girandi 4. Alba (Piemonte). 1882. Tuccimei prof. cav. Giuseppe. Via dell’Anima 59. Roma. 1882. "'‘Turche ing. John. Ufficio dell’Acquedotto. Bologna. 1896. Ugolini Pietro Riccardo. Via Vittorio Emanuele 7. Pisa. XII ELENCO DELLE SOCIETÀ, ISTITUTI, BIBLIOTECHE ECC. 4893. Uzielli Guido. Piazza d’Azeglio 26. Firenze. 4881. Uzielli prof. Gustavo. Viale Michelangelo 4 bis, Villa Nobili. Firenze. 4883. 220 Valenti prof. Esperio. Imola. 4882. Verri colonnello cav. Antonio. Direzione territoriale del Genio militare. Taranto. 4893. Vinassa de Regny dott. Paolo Eugenio. Museo Geolo- gico, R. Università. Parma. 1882. Virgilio dott. Francesco. R. Museo di geologia (Palazzo Carignano). Torino. 4881. Zaccagna ing. cav. Domenico. R. Corpo delle Miniere. Carrara. 4881. 225 Zezi ing. cav. Pietro. R. Ufficio geologico. Roma. Elenco delle Società, Istituti, Biblioteche, ecc. che ricevono il Bollettino in cambio [c.] o in omaggio [d.]. Accademia Gioenia di scienze, lettere, ecc. Catania, [c.] Accademia (R.) dei Lincei. Roma, [c.] Accademia (R.) Petrarca. Arezzo, [d.] Biblioteca Civica. Bergamo, [d.] Biblioteca Civica. Catanzaro (Calabria), [d.j Biblioteca Civica. Terni, [d.] Biblioteca Civica Comunale. Vicenza, [d.] Biblioteca Comunale. Arezzo, [d.] Biblioteca Comunale. Rimini, [d.] Biblioteca Comunale. Savona, [d.] Biblioteca Comunale. Termini-lmerese (Palermo), [d.] Biblioteca del Club alpino. Savona. [d.J Biblioteca della Repubblica. S. Marino, [d.] Biblioteca del Ministero di Agricoltura, Ind. e Comm. Roma, [d.] Biblioteca Universitaria R. Università. Bologna, [d.] Comitato (R.) geologico. Roma, [d.] xm ELENCO DELLE SOCIETÀ, ISTITUTI, BIBLIOTECHE ECC. Società Economica. Savona. [d.J Società geografica italiana. Roma, [c.] Società Ingegneri ed Architetti. Roma. [c.J Académie des Sciences. Cracovia, [c.] Bureau géologique roumain. Bukarest (Rumenia). [c.] Comité géologique. Institut des mines. S‘. Pétersbourg (Russia), [c,] Deutsche geologische Gesellschaft. Berlin, [c.] Direction des Travaux géologiques. Lisbona (Portogallo), [c.] Geological (thè) Society. London, [c.] Geological (thè) Society of America. Rochester (Nev-York). U. S. America, [c.] Geological (thè) Society of India. Calcutta (India), [c.] Geological Survey of New South Wales. Sydney (Australia), [c.] Instituto geogràfico argentino. Buenos-Ayres. [c.] K. k geologischen Landesanstalt und Bergakademie. Berlin. [c.J K. k. geologische Reichsanstalt . Wien. [c.J K. k. Naturhistorisches Hofmuseum. Geolog. und palaeont. Ab- theilung. Wien. [c.J Magyarorsggi Karpategyesulet . Lòcse (Ungheria). [c.J Naturforschende Gesellschaft. Freiburg (Baden). [c.J Naturhistorischen Verein d. preuss. Rheinlande und Westfalens. Bonn am Rhein (Germania). [c.J Royal Institut géologique de Hongrie. Budapest (Ungheria). [c.J Royal (thè) Dublin Society. Dublino (Irlanda). [c.J Société Belge de Géologie, de Paléontologie et d’Hydrologie Bru- xelles. [c.J Société des naturalistes. S‘. Pétersbourg (Russia). [c.J Société géologique de Belgique. Liége (Belgio). [c.J Société géologique de France. Paris. [c.J Société Linnéenne. Bordeaux (Francia). [c.J Société rogale malacologique de Belgique. Bruxelles (Belgio), [c.- United (thè) States geological Survey. Washington (U. S. Ame- rica). [c.J Université rogale. Upsala. [c.J University of Visconsin (U. S. America). [c.J ■ V ADUNANZA GENEEALE INVEENALE DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA TENUTA IN ROMA IL 16 FEBBRAIO 1896. La seduta è aperta ad ore 14.30 nella sala della biblioteca del E. Ufficio Geologico. Presidenza De Stefani. Sono presenti i soci: Aichino, Angelelli, Cermenati, Ce- rulli-Irelli, De Angelis d’Ossat, Demarchi, De Eossi, Di Stefano, Franchi, Lattes, Lotti, Luzi, Mattirolo, Meli, Ne- viANi, Pantanelli, Pellati, Sabatini, Statuti, Stella, Tit- TONi, Zezi e il segretario Clerici. Hanno scusato la loro assenza i soci: Baldacci, Bassani, Bo- NARELLi, Capellini, Cocchi, Cortese, De Ferrari, De Loren- zo, Mazzetti, Negri, Omboni, Patroni, Eistori, Scarabelli, Trabucco. Il Presidente partecipa la morte del socio prof. Giulio An- drea PiRoNA che sarà commemorato nell’adunanza estiva. Il Segretario legge l’elenco dei soci dimissionari che sono : Alessandri, Armanelli, Brigida, Morelli, Ricci, Torrigiani e Yigliarolo. Quindi l’Assemblea procede all’approvazione dei seguenti nuovi soci: Bosco capitano Camillo, a Firenze, proposto dai soci De Ste- fani e Ristori. Gioli Gino a Firenze, proposto dai, soci De Stefani e Clerici. Levi Gustavo a Firenze, proposto dai soci De Stefani e Ri- stori. Tagiuri Clemente Corrado a Livorno, proposto dai soci Cana- VARi e De Stefani. 2 ADUNANZA GENERALE INVERNALE Il SegtRETario legge l’elenco delle pubblicazioni giunte in dono alla Società dal 19 settembre 1895 al 16 febbraio 1896. Bassani F., A'pimnti di ittiologia italiana. Napoli 1895, 26 pag. in 4°, 1 tav. Botti U., Dei Piani e Sottopiani in Geologia. Manuale alfabetico ragionato. Reggio Calabria 1895, 302 pag. 8“. Britisb Museum (Naturai History), An introduction to thè Studes of Rocks. London 1895, 118 pag. 8°. Flores E., Catalogo dei mammiferi fossili dell'Italia meridionale continentale. Napoli 1895, 48 pag. 4°, 1 tav. Francbetti L., L'avvenire della Colonia Eritrea. Roma 1895. 24 pag. 8®. Geological Society, Geological literature added to thè Geological Society’ s Library during thè Half-year ended Becember 1894. London 1895, 58 pag, 8°. Jobnston-Lavis H. J., Notes on thè geography, geology, agricol- ture and economies of Iceland. 1895, 26 pag. 8”. Jobnston-Lavis H. J., e Franco P., Formation of Fluorids etc. London 1895, 6 pag. 8”. Neviani A., Briozoi neozoici di alcune località d Italia., Roma, 1895, parte I, 16 pag., 8°, parte II, 23 pag., 8°. Id. Briozoi fossili illustrati da Soldani Ambrogio nel 1780. Roma 1895, 8 pag. 8°. Id, Nota preliminare sui Briozoi fossili del postpliocene antico della Farnesina e M. Mario. Roma 1895, 10 pag. 8°. Nicolis E., Depositi quaternari nel veronese. Venezia 1895, 15 pag. 8®, 1 tav. Peola P., Sulla presenza della vite nel terziario di Bra. Torino 1895, 10 pag. 8°. Scott H., The mines of Elba. London 1895, 51 pag. 8®, 4 tav. Société Linnéenne de Bordeaux, Catalogne de la Bibliothèque. 1®'' fase. Bordeaux 1894, 174 pag. 8®. Tommasi A., Contributo alla fauna del calcare bianco del Late- mar e della Lombardia. Rovereto 1895, 7 pag. 8°, 1 tav. Virgilio F., Argomenti in appoggio della nuova ipotesi sulla ori- gine della Collina di Torino. Torino 1895, 20 pag. 8°, 1 tav. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 3 Il Presidente partecipa le seguenti deliberazioni del Consiglio: « Il socio Baratta è nominato vice-segretario per il biennio 1896-97 « Il socio Tittoni è confermato nella carica di Tesoriere. B La commissione giudicatrice del concorso al premio Molon, il cui termine scade il 31 marzo 1896, è composta dei soci Capel- lini, Cocchi, Taramelli. « Il prossimo concorso Molon sarà bandito nella seduta estiva, e scadrà col 31 marzo 1898 e, per questa volta, sarà destinato a lavori di soggetto paleontologico. A far parte della commissione incaricata di proporre i modi del detto concorso il Consiglio ha nominato i soci Bassani, Canavari e Di Stefano. « ,Fino a nuovo avviso, per le memorie da inserirsi nel Bollet- tino, se gli autori domandano un sussidio per le tavole ed illu- strazioni, devono presentare un preventivo della spesa totale sul quale la Presidenza stabilirà la misura del sussidio. La somma accor- data sarà comunicata dal Segretario all’autore ed ogni spesa mag- giore dovrà essere esclusivamente a carico di questo » . Poscia il Presidente legge le risultanze dei bilanci consuntivo 1895 e preventivo 1896 che furono regolarmente presentati dall’e- conomo Statuti. Il primo, mercè le cure del cessato Presidente prof. Cocchi, si chiuse con un residuo attivo, tanto che il Consiglio ap- provò l’impiego di Lire 1407.70 per l’acquisto di Lire 75 di Ren- dita, e un residuo attivo è pure previsto nel preventivo 1896. 2 4 ADUNANZA GENERALE INVERNALE BILANCIO PEEVEN approvato dal Consiglio nell’ ENTR ATE 1. Tassa sociale deU anno in corso ed arretrati (C 6 vendita bollettini 2. Sussidio ordinario del Ministero di Agricoltura e Com- mercio pel 1896 ” 3. Sussidio straordinario del Ministero suddetto .... * 4. Interessi del Legato Molon relativi all’anno 1896 . . 5. Eendita consolidata proveniente dai versamenti dei Soci a vita 6. Rendita consolidata derivante dai premi Molon non con- feriti 7. Rendita consolidata derivante dagli introiti ordinari della Società Sommano . . . L. Sopravanzo del 1895 . . . » 3000 !— 462 50 300 1 — 1020 ' j — 164 — 156 — 72 5174 50 2883 '32 Totale attivo L. 8057 82 (0 Dettaglio delle tasse arretrate pel 1896 Per l’anno 1893 Soci N. 2 L. 30 00 Id. 1894 Id. « 5 ” ^5,00 Id. 1895 Id. n 26 ” 390,00 Totale . . . L. 495,00 DELLA. SOCIETÀ GEOLOGICA ITATIANA 5 rivo DELL’ANNO 1896 Adunanza del 16 febbraio 1896. SPESE 1. stampa del bollettino — Voi. XIV, fase. 2° ed ultimo 1895 L. 935 ^ 60 2. Id. id. Voi. XV, 1896 » 2400 — 3. Contribuzione per tavole nei volumi già pubblicati . . V 60 — 4. Contribuzione per tavole del Voi. XV ...... V 450 — 5. Spese d’ufficio •n 300 — 6. Oggetti di cancelleria 7. Tassa di manomorta sulla rendita del legato Molon — n 50 Anno 1896 ft 54 — 8. Compenso al portiere per gli anni 1895 e 1896 . . . n 100 — 9. Rimborso per spese di viaggio al Segretario ed Economo rt 100 — 10. Spesa per la lapide eretta a Vicenza alla memoria del Molon 120 — 11. Fondo di riserva per imprevisti 12. Debito della Società verso il fondo Molon (come dal con- 580 1 suntivo 1895) al P gennaio 1896 13. Debito della Società verso il fondo pel premio Molon per due terzi dell’importo complessivo della rendita dell’ anno D 1520 1 1 96 1896 — al netto n , 644 — Sopravanzo attivo disponibile . . . n co 26 Totale . . . ! 1 8057 82 Roma, 8 febbraio 1896. V.° Il Presidente CARLO DE STEFANI L’Economo della Società AUGUSTO STATUTI 0 adunanza generale invernale Viene pure presentato il registro speciale per 1’ amministra- zione del fondo Molon ove, in seguito ad apposita deliberazione del Consiglio, si trovano già trascritte le partite che si riferiscono dal 1886 ad oggi. Il Presidente propone e l'assemblea approva per acclamazione un voto di plauso all economo Statuti per la sua costante operosità a vantaggio della Società. Quindi il Presidente fa sapere cbe è stata messa in opera la lapide cbe la Società aveva già deliberato di erigere alla me- moria di Francesco Molon. Il testo della lapide è il seguente : A FRANCESCO • MOLON GEOLOGO • VICENTINO CHE • DEL • SVO • CENSO • LARGAMENTE • DISPOSE A • FAVORE DEGLI ■ STVDI • A • LVI • PREDILETTI LA ■ SOCIETÀ’ • GEOLOGICA • ITALIANA DA • LVI • BENEFICATA NELLA • CASA • DOVE • EGLI • ABITO’ MEMORE • E • RICONOSCENTE Q_- M • P. NEL • SETTEMBRE • DEL • 1895 Il Presidente partecipa infine cbe il Ministero d’ Agricoltura Industria e Commercio ha concesso alla Società un sussidio straor- dinario e coglie l’occasione per ringraziarne il già Presidente prof. Cocchi, come pure il comm. Pellati per la sua valida cooperazione. Il consigliere Pellati rispondendo ricorda l’opera efficace dei passati presidenti Capellini e Cocchi, che colla loro saggia ammi- nistrazione seppero far rifiorire le condizioni economiche della Società. DELLA. SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA • L’Assemblea approva ad unanimità che al prof. Capellini, uno dei fondatori della Società, ed al prof. Cocchi che tanto hanno contribuito a migliorare il bilancio sociale, siano a cura della Pre- sidenza fatti pervenire speciali espressioni di omaggio e saluti. Il Segretario legge il titolo delle seguenti memorie e note presentate per la stampa nel Bollettino : Corti B., Sul deposito villafranchiano di Fossano in Piemonte [12 febbraio 1896]. Vinassa de Eegny P. E., I molluschi delle glauconie bellunesi. (con 2 tav.) [14 febbraio 1896]. Greco B., Il Lias superiore nel circondario di Rossano Calabro. (con 1 tav.) [14 febbraio 1896]. Virgilio P., Risposta al dott F. Sacco sull'origine della collina di Torino. [15 febbraio 1896]. De Alessandri G., Ricerche sui pesci fossili di Paranà. [15 feb- raio 1896]. De Angelis d’Ossat G., I dintorni di Rapolano, carta geoidro- grafica. [15 febbraio 1896]. Meli E,., Molluschi fossili recentemente estratti dal giacimento classico del M. Mario. 3^ comunicazione [16 febbraio 1896]. Bonarelli G., Nuovi affioramenti aleniani delV Appennino centrale. [16 febbraio 1896]. Il Presidente informa l’assemblea che fu presentata una do- manda finnata da dodici soci allo scopo di tenere un adunanza in Sar- degna. Questa domanda fu approvata dal Consiglio e l’adunanza si terrà nella prima quindicina di aprile ; essa sostituirà, per quel che si riferisce alle escursioni, la parte dedicata a quello scopo nella adunanza estiva. Egli informa i presenti delle facilitazioni che sono già state concesse per i viaggi, e svolge i punti principali del pro- gramma che, per lo speciale interesse dei luoghi che saranno visi- tati, indurrà molti soci ad intervenirvi. Il socio Sabatini fa una comunicazione Sull’ origine del fel- spato nelle leucititi labiali che trovasi pubblicata per disteso dopo il resoconto. 8 ADUNANZA GENERALE INVERNALE Il socio Franchi fa una comunicazione intitolata : Prasiniti ed anflholiti sodiche provenienti dalla metamorfosi di roccie dia- basiche presso Pegli, alle isole Giglio e Gorgona ed al Capo Argentario (^. Scopo di questa comunicazione sono i risultati dello studio di alcune roccie da me raccolte presso Pegli e di altre raccolte dal Lotti alle isole Giglio e Gorgona ed al Capo Argentario. Sono roccie che si possono raggruppare sotto due tipi principali, pra- siniti ed anf botiti sodiche, aventi i caratteri di quelle che di- mostrai derivate dalle metamorfosi di roccie diahasiche nelle Alpi occidentali. « Presso Pegli, ad ovest dell’ abitato, una rupe che sovrasta alla strada è costituita essenzialmente da eufotide a gastaldite (ga- staldit-gabbro del Bonney) e da eufotidi saussuritiche. In queste sono vene o masse di roccia massiccia a grana minuta, roccia che prevale al punto di inserzione della salita Kapalli. Al microscopio queste roccie si presentano come roccie essenzialmente anfiboliche (antibolo verde e violetto) identiche a quelle dette anfiboliti so- diche nelle Alpi occidentali, e che ivi pui-e come non dubbi resti di augite e di felspati primitivi si riconoscono derivati da roccie diabasiche. Qualche campione di roccia con felspato (albite) essen- ziale è riconosciuto come una vera prasinite. Air isola del Giglio si hanno pui-e tipi di roccie diabasiche, talvolta con resti di augite e di felspati portìroidi primitivi,^ tra- sformate in anfiboliti sodiche, molto simili a quelle di Pegli. Vi sono pure bei tipi di eufotidi uralitizzate con antiboli violetti. « Air isola di Gorgona si ha una serie di roccie a grana cre- scente dall’ afauitica di certe diabasi a quella granulare di certe eufotidi a grana minuta. L’ augite si riconosce ancora in qualcuno dei tipi micromeri, mentre negli altri il pirosseno è completamente trasformato in anfibolo verde secondario; l’anfibolo violetto e su- bordinato. Tutte queste roccie di Gorgona posseggono un fondo a mosaico albitico caratteristico delle prasiniti. « Al Capo Argentario sonvi alcuni tipi di porf riti augitiche in cui i felspati sono talora quasi completamente conservati, tal altra parzialmente trasformati in mosaico albitico ed epidoto. Il (1) Bozze restituite il 20 marzo 1896. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 9 pirosseno è più o meno trasformato in anfibolo verde, antibolo vio- letto ed in leiicoxene. Vi sono pure varioliti. « In questa località sono frequenti eufotidi e roccie tufacee costituite da elementi di queste nelle quali il diallagio presenta interessanti trasformazioni in anfibolo bruno ed in crocidoUte, minerale questo già segnalato dal Lacroix su campioni da me la- sciati al Collegio di Francia. a Non mi dilungo oltre sui dettagli petrografìci di queste roccie, sulle quali presenterò in seguito notizie meno incomplete, ed affermandone solo la identità fino ai particolari microscopici con quelle della zona delle pietre verdi delle Alpi, metto a disposi- zione dei soci i campioni e le sezioni sottili, disposto a mostrar loro al microscopio ciò che potesse singolarmente interessare ». Il presidente De Stefani dice che le serpentine e le roccie verdi concomitanti del Griglio, dell’ Elba e del Monte Argentario sono per lo meno predevoniane e possono corrispondere per età a quelle antiche delle Alpi. Al monte Argentario vi sono insieme al- cune traccie di diaspri, forse fossiliferi come sempre sono i diaspri, certo assai antichi. Non gli sembra inverosimile che pure i diaspri recentemente indicati nelle Alpi occidentali, e nei quali per la prima volta trovò fossili il Peruzzi, sieno antichissimi e forse anche prepaleozoici. Talune incertezze sull’ età di questi terreni si potranno risol- vere in Sardegna dove in alcuni pochi luoghi della regione orientale trovansi terreni serpentinosi ohe sono in qualche rapporto con gli strati paleozoici. Il socio Franchi aggiunge che per le roccie di cui si tratta nelle Alpi occidentali si può al più affermare 1’ età precarbonifera, e fa un voto perchè siano studiate le radiolarie che il Presidente dice esistere al Capo Argentario in relazione con quelle pietre verdi, per confrontarle con quelle di Rivara, di Cesana e di Monte- notte studiate dal Parona. Il socio Cerulei Irelli fa la seguente comunicazione : Mol- luschi fossili del Pliocene nella Provincia di Teramo (^). « Nell’ autunno del 1894 intrapresi alcune escursioni nei terreni (') Ultime bozze restituite il 2 aprile 1896. 10 ADUNANZA GENERALE INVERNALE pliocenici dell’Abruzzo Teramano, allo scopo di illustrare questa regione, pur essa interessante, ma rimasta finora troppo trascurata e poco nota. tf La ristrettezza del tempo ed il sopraggiungere della cattiva stagione mi obbligarono però, mio malgrado, a limitare le mie ri- cerche soltanto alla zona pliocenica compresa fra Colonnella, Sel- lante, Castellalto e Notaresco. « Non credo tuttavia riuscirà discaro che io presenti 1’ elenco delle specie di molluschi fossili raccolte e studiate fino ad oggi nelle argille (a) e nelle sabbie (s). Bulla Brocchii Mich. (s.) » sp. (a.) Ringicula buccinea Desh. (s.) Conus antediluvianus Brug. (a.) » striatulus Eroe. (a.) Pseudotoma Bonellii Bell. (a.) Dolichotoma cataphracta Eroe, (a.) Surcula dimidiata Eroe. (a. s.) » rotulata Bon. (a.) Clinura Calliope Eroe. (a.) Pleurotoma contigua Eroe. (a.) n rotata Eroe. (a.) » turricula Eroe, (a.) Drillia Allionii Bell (a.) » crispata Jan. (a.) n sigmoidea Bron. (a.) Gancellaria Bonellii Bell. (a.) n Brocchii Grosse (s.) )) italica D’Anc. (a.) n lyrata Eroe. (a.) I) mitraeformis Eroe. (a.) !) serrata Bronn. (a.) Mitra scrobiculata Eroe. (a.) Turricula cupressina Eroe, (a.) Fusus clavatus Eroe. (a.) n longiroster Eroe. (a.) Latirus fornicatus Eroe. (a.) Pisania baccata Bell. (a.) Nassa ungulata Eroe. (s.) » clathrata Born. (a.) » emiliana May. (a.) Nassa gigantula Bon. (a. s.) » incrassata Mtill. (s.) » italica May. (a.) » mutabilis L. (a.) » prismatica Eroe. (a.) » semistriata Eroe. (a.) n spinulosa Eh. (a.) !) transitans Bell. (a.) n turbinella Eroe. (a.) Columbella corapta Bron. (a.) » nassoides Grat. (a.) » thiara Eroe. (a.) Typhis fistulosus Eroe. (a.) Murex craticulatus L. (a. s.) » scalaris Eroe. (a.) n squarnulatus Eroe. (a.) n vaginatus lan. (a.) n sp. (s.) Triton Apenninicum Sassi (a.) Morio sp. (a.) Chenopus pespelecani Eh. (a.) Cerithium crenatum Eroe. (s.) » vulgatum Erug. (s.) Vermetus intortus Lk. (a. s.) n semisurrectus Biv. (a.) Turritella subcmgulata Eroe, (a.) » tornata Eroe. fa. s.) n tricarinata Eroe (a. s.) Solarium Emiliae Seinp. (a.) n moniliferum Bron. (a.) Calyptraea chinens's L. (a.) DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA H Natica epiglottina Lk. (a.) Arca Noae L. (a.) !» millepunctata Lk. (a. s.) » pectinata Eroe. (a.) Neverita Josephinia Risso (a. s.) Pectunculus insubricus Eroe, (s.) Naticina catena Da Costa (a.) Limopsis aurita Eroe. (a.) Scalaria alternicostata Bron. (a.) Il Brocckii Semp. (a.) n frondicula S. Wood. (a.) n Woodi May. (a.) n pseudoscalaris Eroe. (a.) Nucula sulcata Bron. (a.) Bulina polita L. (a.) Leda concava Bron. (a.) Dentalium Delesserti Ch. (a.) n excisa Ph. (a.) 1) elephantinum L. (a.) » pusio Ph. (a.) Il octogonum Lk. (a.) Venericardia intermedia Eroe, (a.) 1) sexangulare Lk. (a.s.) Il rhomboidea Eroe .(a.) Pulsellum tetragonum Eroe. (a.) » sulcata Brug. (a. s.) Siphonodentalium incurvum Cardium hians Eroe. (a. s.) Ren. (s.) Il tuberculatum L. (a. s.) Ostrea lamellasa Eroe. (a. s.) ■ n mucronatum Poli (a.) Anomia ephippium L. (a.) Chama gryphoides L. (a.) Lima sp. (a.) Isocardia cor L. (a.) Amussium cristatum Bron. (a.) Cytherea multilamella Lk. (a. s.) n duodecimlamella- Venus gallina L. (a.) tum Bron. (a.) Il islandicoides Lk. (a.) Chlamys Angelonii Menegh. (a.) Il ovata Penn. (s.) » flexuosa Poli (a.) Pharus legumen L. (s.) 1) opercularis L. (a. s.) Mactra subtruncata Mont. (a s.) n septemradiata Mul. (a.) Corbula gibba 01. (a. s.) Pecten flahelliformis Eroe. (a.) Saxicava arclica L. (a.) 1) jacoboeus Lk. (a.) Lucina sp. (s.) Pinna sp. (a.) Tellina distorta Poli (s.) Arca Darwini May. (s.) Il fabula Gm. (s.) Il diluvi.i Lk. (a.) n ventricosa De Serres (a.) Il lactea L. (a.) « Mi astengo per ora da qualunque considerazione geologica e paleontologica, attendendo che ulteriori e più estese ricerche, che ho in animo di intraprendere fra breve, mi permettano di fare uno studio generale e completo su tutta la formazione pliocenica della provincia ». Il socio Meli presenta una prima vertebra cervicale o atlante di Elephas rinvenuta nelle ghiaie ad elementi vulcanici che si estraggono nella cava esistente sulla via Flaminia poco oltre il II miglio, e comunica altresì il rinvenimento di ' denti di Rinoce- ros Merchi nelle stesse ghiaie. 12 ADUNANZA GENERALE INVERNALE Il socio Clerici comunica: Alcune notizie di geologia ro- mana (’). « Sono in grado di annunziare il rinvenimento di altri giaci- menti diatomeiferi nei dintorni di Koma. Sono tutti d’ acqua dolce ed in relazione coi tufi vulcanici: di essi dirò soltanto della loca- lità, ad altra occasione i dettagli. K I. In una vallecola adiacente alla località detta Sedia del Diavolo, a sinistra della via Nomentana, fra il 2“ e 3° Km. : il deposito tripolaceo sta sopra materiali vulcanici di quel tipo gra- nulare che rappresenta, per ora, il più antico tufo dei dintorni di Roma alla sinistra del Tevere. Questo deposito non è da confondersi con quello marnoso, pure diatomeifero, soprapposto al tufo litoide nelle cave della anzidetta località: faccio rimarcare che questo tufo litoide si trova dunque preceduto e seguito da formazioni a diatomee d ac- qua dolce. « II. Un banco più potente di materiale diatomeifero trovasi presso r abbandonata cava di tufo litoide detta delle Vigne Nuove (ved. n. 20 Elenco delle cave e fornaci in esercizio nei din- torni di Roma ecc. nella Rivista mineraria del 1887, Firenze 1889) ad un livello più basso del tufo litoide. « III. Altra località interessante è all’ ingresso del paese di Mentana al punto ove dalla strada di Monterotondo si stacca una traversa che va al M. Formelluccio. Qui però non si ha un vero giacimento diatomeifero, ossia una roccia prevalentemente composta di diatomee, ma qualche straterello argilloso in. un banco di materiale vulcanico a stratificazione irregolare, che nell’ insieme costituirebbe presso a poco ciò che una volta cbiamavasi tufo ri- composto. La presenza di diatomee in questo materiale, ma in lo- calità prossima a Monterotondo, fu già segnalata dal collega dottoi De Angelis e quindi io non faccio che confermarla : del pari con- fermo le sue deduzioni circa la esatta provenienza di un molare di Rhinoceros che a lui venne donato. Infatti il molare di Rhino- creos che ora presento, e che è un penultimo superiore sinistro, è stato da me scavato insieme a resti di altri mammiferi, in una breve sosta che feci colà. « La specie è quella stessa che frequentemente rinviensi nelle (1) Ultime bozze restituite il 4 aprile 189G. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 13 ofhiaie ad elementi vulcanici dei dintorni di Eoma e che io altre 0 volte ho chiamato Rìiinoceros megarhinus De Christ., nome che forse sarà meglio sostituire con quello di Rh. Merchi Kaup. Ritengo pure che il mio esemplare e quello del dott. De Angelis appartengano ad una stessa specie, ma quest’ultimo fu dal De Angelis deter- minato per Rh. etruscus Falc. comprendendo in questa denomina- zione anche il Rh. Merchi. Ammesso ciò il Rh. etruscus, che parecchi autori hanno di- chiarato specie essenzialmente pliocenica, esisterebbe nel quaternario romano: ad ogni modo la posizione della roccia tufacea, da cui i due denti provengono, è ben determinata essendo posteriore al tufo granulare con pallottole pisolitiche tanto esteso nei dintorni di Roma. « IV. Un altro materiale riccamente diatomeifero, intramez- zato con argilla carboniosa e con materiali tufaceo-vulcanici, ho raccolto a Malafede sulla via Ostiense e più precisamente un chi- lometro a sud lungo la strada che va al fosso del Fontanile e Tenuta dell’ Infermeria. « Giace su quattro metri di sabbia sciolta di color grigio-oscuro, nella massa, per la grande abbondanza in essa dell’ augite, riposante su ghiaie di cui sembra ve ne fosse una cava parecchi anni fa. Il materiale diatomeifero è poi coperto da argilla verdognola in cui non ho raccolto fossili. « Ritengo che appunto in questa località il dott. Bleicher abbia raccolto il materiale diatomeifero studiato dieci anni più tardi dal Guinard e che ora ricordo per le discussioni cui ha dato luogo fra 1 geologi del suolo romano. « Per parte mia confermo 1’ origine continentale del giacimento e l’esistenza in esso di abbondanti spicule di Potamospongie ^ . Il socio Clerici, fa sapere che egli ha intrapreso una ap- posita ricerca di fossili continentali nelle varie stratificazioni più 0 meno littoranee del Monte Mario e dintorni allo scopo di con- tribuire se possibile con nuovi argomenti alla discussione dell’ età del giacimento classico e delle susseguenti sabbie povere e ghiaie del tipo detto senza elementi vulcanici. Frattanto egli presenta buon numero di molluschi raccolti presso il fosso dell’ Inviolatella oltre il IV miglio della via Cassia, in certe sabbie sottoposte alle anzidette ghiaie. Si riserva di presentare l’ elenco dettagliato delle specie. 14 ADUNANZA GEN. INVERNALE DELLA SOC. GEOLOGICA ITALIANA Il socio Meli domanda al Clerici se non sia possibile qual- che equivoco nel giudicare della posizione delle sabbie, da cui pro- vengono i fossili presentati, e delle ghiaie, poiché nelle ghiaie di queir orizzonte furono trovati resti di Elephas meridionalis e di Equus stenonis. Clerici risponde che equivoco non è possibile perchè si tratta di una sezione quasi verticale provocata dall’ azione del fosso deirinviolatella che vi scorre alla base, la quale è però spesso coperta dal materiale che frana. La sezione d’alto in basso è la seguente: ghiaie, che, in certe vallecole esistenti pochi passi a monte, sono sormontate da sabbie quarzose giallognole con noduletti limonitici le quali sorreg- gono i materiali tufacei. Sotto le ghiaie, a metà altezza della sezione, vi è la sabbia biancastra talvolta macchiata in giallastro, ora sciolta ora leggermente argillosa, da cui provengono i fossili che sono abbondanti in una zona intermedia alta circa mezzo metro, seguita superiormente da qualche strato più argilloso e grigio in cui trovasi qualche piccola valva di Cardium Lamarcki Reeve. Sotto la sabbia vi è un banco, alto circa un metro, di argilla azzurrognola oscura, compatta, con grossi esemplari di Cardium Lamarcki e di Scro- bicularia plana Da Costa. Presentemente, il fosso avendo aspor- tato una parte del materiale franato, si vede che 1’ argilla riposa sopra sabbia giallognola. Il socio Clerici fa anche sapere d’ aver trovato una limi- tata formazione d’ acqua dolce, fossilifera, nella valle d Acquatra- versa alla confluenza del fosso della Rimessola, addossata alle sabbie gialle littorali di cui altra volta dette l’ elenco dei fossili, e di cui presenta buoni esemplari di Balams Mylensis Seg. nuovo per la località. Presenta pure ciottoli di piromaca racchiudente pic- cole e ben conservate nummiilitidee e ciottoli di andesite rinvenuti insieme a ciottoli di tufi diversi nella sabbia ricca d’ augite che è frapposta fra le sabbie littorali e la marna biancastra con mol- luschi continentali e diatomee. Si riserva di presentare una breve nota in proposito. La seduta è tolta ad ore 16. Il Segretario Enrico Clerici. SULLA. ESISTENZA DI STRATI DI TORBA AFFIORANTI ENTRO MARE, LUNGO LA SPIAGGIA DI FOGLINO PRESSO Nettuno nella provincia di Roma. Nota del prof. Romolo Meli. Da quasi un ventennio, soglio passare una parte della estate nella stazione balnearia di Porto d’ Anzio sulla spiaggia romana. Ho messo a profitto tale ridente soggiorno per eseguire, di tanto in tanto, escursioni geologiche attraverso i territori di Anzio e di Nettuno, raccogliendo copioso ed importante materiale scientifico, specialmente in molluschi fossili e viventi (questi ultimi tanto marini, che d’acqua dolce). Ma siffatto materiale (i), pur troppo, si (’) Ecco l’elenco delle principali mie pubblicazioni, nelle quali, anche incidentalmente, si fa parola della geologia e dei fossili del territorio Anziate e Nettunese : 1. Meli E., Notizie ed osservazioni sui resti organici rinvenuti nei tufi, leu- citici della provincia di Roma (Bollettino del E. Comitato geologico d’Italia, anno 1881, n. 9-10, pag. 428-457). Sulla fine della Memoria si parla dei tufi delle Grottacce, contenenti con- chiglie marine ; del macco ; delle sottostanti marne grigie del pliocene infe- riore a Pecten ( Chlamys) Ustrisc Dod.-Meli ; delle marne azzurrognole della fornace Morronese ; delle sabbie fossilifere post-plioceniche ; del Uhm ; vi è data una sezione geologica schematica da Anzio alla stazione della Cecchina (ved. pag. 27-32 dell’ estratto ; pag. 452-457 del Bollettino). 2. Le marne plioceniche del Monte Mario (Bollett. d. R. Comitato geolog. d’Italia, anno 1882, n. 3-4). Nella nota a piedi della pag. 92-93 (pag. 4 dell’estr.) è citata YOstrea co- cAZear Poli var. alata Foresti e var. navicularis Brocc., rinvenute nelle marme grigie del pliocene inferiore della costa tra Capo d’ Anzio e Torre Caldura. 3. Ulteriori notizie ed osservazioni sui resti fossili rinvenuti nei tufi vul- canici della provincia di Roma (Bollett. del E. Comitato geologico, anno 1882, n. 9-10. Ved. pag. 260-280; n. 11-12. Ved. pag. 358-366, con 3 tav.). R. MELI 16 accumula ogni anno, senza che trovi il tempo di determinarlo, o che mi decida a pubblicarne quella’ parte, che ho studiato. Soltanto Anche sulla fine di questa Memoria si parla dei tufi delle Grottacce, delle sottoposte marne, e sono date le note dei fossili, che vi si estrassero. Si fa parola dei due molari superiori di Elephas antiquu-<‘ Pale., rinvenuti nel lehm tra Foglino e Nettuno (pag. 26-30 dell’estratto; pag. 361-366 del Bollettino). 4. Cenni geologici sulla costa d' Anzio e Nettuno ed elenco dei molluschi pliocenici ivi raccolti (Annuario del R. Istituto tecnico di Roma, an- nata IX, 1884, pag. 95-123 con tav.). 5. Echinodermi ed altri fossili pliocenici d' Anzio (Bollett. d. R. Comitato geologico d’ Ital., anno 1885, n. 5-6, pag. 188-190). L’articolo fu anche stampato nel « Bollettino del Naturalista collettore, allevatore ». Siena, anno V, 1885, n. 6 (ved. pag. 8-3-84), ma con qualche va- riante. Vi si trovano indicate le varie specie di echinodermi, rinvenuti nel macco tra Anzio e Nettuno. 6. Sopra alcune ossa fossili rinvenute nelle ghiaie alluvionali presso la via Nomentana, al 3° chilometro da Roma (Bollett. d. R. Comitato geol. d’Italia, anno 1886, n. 7-8. pag. 265-280). Alla pag. 280 (pag. 17 dell’e- stratto) sono ricordati i molari à: Elephas antiquus rinvenuti nel lehm presso S. Rocco, sulla costa di Nettuno. 7. Ponzi G. e Meli R., Molluschi fossili del Monte Mario presso Roma. Atti d. R. Accad. dei Lincei, 1885-86, serie 4^ Mem. d. Classe di se. fis. mai e nai voi. Ili, pag. 672-698, con tavola. Alla nota 2 in fondo alla pag. 675 si parla delle marne grigie di Torre Caldara, le quali vengono indicate come sincrone delle marne vaticane e rife- rite al pliocene inferiore, di mare profondo. 8. Notizie bibliografiche sulle rocce magnetiche. Nel Bollettino della Soc. geol. ital., voi. IX, (1890), fase. Ili, pag. 609-670. Alla pag. 624 (18 dell’estr.) nota 2 è importato che il Secchi ha avvertito che r inclinazione magnetica cala regolarmente, perchè ivi non si trovano de- positi tufacei, che possano infiuire colla loro vicinanza sulla sbarra magne- tica. Si aggiunge poi che per trovare depositi tufacei intorno Anzio, bisogna andare alle Grottacce presso Foglino, o verso Tor S. Lorenzo, oppure nell in- terno della macchia di Anzio. L’autore scrive ancora che ai tumuleti di Net- tuno si trova una sabbia argillosa molto ferrifera. 9. Sopra alcuni resti di mammiferi fossili nei terreni quaternari della provincia di Roma. Comunicazioni fatte alla Soc. geologica italiana nell'Adunanza generale tenutasi in Palermo il giorno 11 ottobre 1891 (Boll. d. Soc. geol. ital., voi. X (1891), pag. 1001-1003). SULLA ESISTENZA DI STRATI DI TORBA ECO. 17 ad intervalli stampai qualche mia osservazione e detti qualche notizia sulla geologia e sui fossili raccolti nella sopradetta re- Vi è data la notizia del rinvenimento di un molare inferiore di Equus caballus Linn., nel lehn quaternario della spiaggia tra S. Rocco e Foglino ; vi si parla anche ; delle silici scheggiate, che vi si rinvengono ; delle marne delle Grottacce e degli echinodermi del macco tra Anzio e Nettuno. 10. Cenni sul granito dell' isola del Giglio e bibliografia scientifica (prin- cipalmente geologica) relativa a quest' isola. Roma, Tip. d. R. Accad. d. Lincei, 1892, in 8° di pag. 59 (estr. d. Bollettino della Soc. geol. ital., voi. X, 1891, fase. Ili, pag. 383-439). Alla pag. 18 dell’ estr. (pag. 398 del Bollettino) avvertesi che un fram- mento di antica colonna in granito, che trovasi piantata sul molo Innocen- ziano del porto d’ Anzio, poco prima di arrivare all’ attuale Capitaneria del porto, è di granito gigliese. L’autore potè precisarne la provenienza per la presenza della pinite, che trovasi appunto nel granito dell’ isola del Giglio. E, siccome quel frammento di colonna proviene dagli avanzi dell’ antico An- tium con tutta probabilità, così resta confermato che i Romani cavarono gra- nito gigliese e lo usarono nei loro monumenti. 11. R. Università Romana. — Scuola d’ Applicazione per gli Ingegneri. — An- nuario per l'anno scolastico 1892-93 compilato dal Segretario della Scuola. Roma, Tip. d. R. Accad. dei Lincei, 1892, in 12° picc. Alla pag. 84-87 trovasi stampata una breve relazione dell’ escursione geo- logica eseguita dal prof. Meli cogli allievi del 2° corso a Nettuno ed alle Grot- tacce ; vi si trovano indicate le marne fossilifere ed i tufi di questa località. La predetta relazione trovasi anche riprodotta, con qualche piccola variante, nel libro ; Breve relazione delle escursioni geologiche eseguite con gli al- lievi della R. Scuola d' Applicazione per V Ingegneri di Roma, nell'anno sco- lastico 1891-1892. Con indicazioni bibliografiche su Borghetto, Capr arala, Bagnala ed appendice bibliografica su Viterbo. Roma, tip. d. R. Acc. d. Lincei, 1893-96, in 12°. (Per la escursione a Nettuno ed alle Grottacce ved. pag. 3-5). 12. Sulla Eastonia rugosa Ghema.., rinvenuta tanto vivente che fossile sulla costa romana. Nel Bollettino della Società romana per gli studi zoolo- gici, anno II, 1893, voi. II, n. VII e Vili, pag. 272. Nel resoconto del processo verbale dell’ Adunanza, tenutasi dalla Società Zoologica -romana il giorno 18 luglio 1893, è dato un breve sunto della comu- nicazione fatta in quella Seduta sul rinvenimento della Eastonia rugosa sul littorale di Anzio. 13. Notizie sopra alcuni fossili recentemente ritrovati nella provincia di Roma (Boll. d. Soc. geolog. ital., voi. XIV, 1895, pag. 91-94). Vi è citato il molare di cervo rinvenuto nelle pozzolane incontrate nella R. MELI 18 gione, la quale, innanzi le mie pubblicazioni, si può dire, cbe fosse geologicamente assai poco conosciuta (^). Però, quelle note perforazione fatta a Carano nel 1879, e vi si accenna ad altro dente di mammifero (molare di nn'Equus caballus assai giovane) rinvenuto nella medesima località. 14. Notizie sui resti di mammiferi fossili rinvenuti recentemente in loca- lità italiane (Boll. d. Soc. geol. ital., voi. XIV, 1895, pag. 148-164). Vi si parla del dente di cavallo estratto dalle pozzolane di Carano; di un corno di Cervus ek;9/iMS ritrovato presso Conca; delle pozzolane e dei tufi esistenti nella valle dell’ Astura; delle ferriere di Conca; di due corni, pari- menti di C. elaphus, rinvenuti presso Nettuno ; della corrosione e demolizione, che soffre la costa tra Tor Caldara ed Astura e dell’ insabbiamento del porto Neroniano. (^) La bibliografia geologica su Anzio, Nettuno e dintorni, anteriore al- l’anno 1884, (del resto assai ristretta) può leggersi nella mia memoria: Cenni geologici sulla costa d' Anzio e Nettuno ecc., stampata rxAVAnnuario del R. Istituto tecnico dÀ Roma, annata IX, 1884. Vedansi, per la bibliografia, le note alla pag. 97, e quelle alle pag. 113-115. Anteriormente al 1881, data della prima mia pubblicazione, in cui parlo della geologia dei dintorni di Anzio e Nettuno, dettero una qualche notizia attinente alla storia naturale inorganica di questa regione, principalmente i seguenti autori, che indico con ordine cronologico : Kircher A. (1671); Bonanni F. (1709 : ved. anche l’edizione del Battarra G. A. 1773); Dezallier d’Argenville (1742 ed edizioni posteriori); Cermelli P. M. (1782); De Bonstetten K. V. (1805, 1861); Brocchi G. B. (1817); Treve- lyan W. C. (1838); Collegno G. (1844, 1847); Marmocchi F. C. (1844); Ponzi G. (1847, 1850, 1862, 1864, 1866, 1871, 1872, 1873, 1875, 1876, 1878, 1879, 1880); Murchison J. R. (1850); Palmieri A. (1851, 1858); Pareto L. (1852); Desjar- dins E. (1854; avendo dato un piccolo schema di carta geologica del Lazio); Spada Lavini A. (1857); Secchi A. (1859); Pigorini L. (1866, 1867); De Rossi M. S. (1867, 1873); Murray J. (1869, 1881) ; Delesse M. (1871); Giordano F. (1871, 1878, 1881); Ludwig R. (1874; un riassunto in italiano della Memoria del Ludwig fu stampato nel 1875 nel Bollett. d. R. Comitato geolog. d Italia), Mantovani P. (1875, 1878); Struwer G. (1876); Uzielli G. (1876); Ceselli M. (1877); Verri A. (1877) ; Di lucci P. (1878) ; Keller F. (1878) ; De Stefani C. (1879) ; Jervis G. (1881). Dall’esame della letteratura segnata nella mia predetta memoria (1884), si può rilevare facilmente che, tolte le poche osservazioni del Brocchi (1817), la pic- cola nota del Trevelyan (1838), e la memoria del Ludwig (1874), che è l’unica veramente originale ed importante per la geologia della costa Anzio-Nettuno , tutto il resto della bibliografia geologica si riduce alle poche parole, dette dal Ponzi circa il macco d’Anzio, ripetute e riportate da altri (Murchison, Desjardins, Giordano, Mantovani, Jervis, ecc.) in scritti posteriori, con mag- giori 0 minori aggiunte e varianti. SULLA ESISTENZA DI STRATI DI TORBA ECO. 19 sono oggi da considerarsi come incomplete, giacché aA^’ei ora da aggiungervi molte altre osservazioni e dovrei aumentare in modo rilevante le liste dei fossili, rese di pubblica ragione ; potrei infine precisare ora, con maggiore sicurezza e cognizione di causa, i vari piani del pliocene e del quaternario, in cui debbonsi collocare i diversi terreni, che mostrano le loro testate scoperte lungo tutta la costa, tra Tor S. Lorenzo, Torre Caldura, Capo d’ Anzio, Anzio, Nettuno, S. Rocco, Foglino, G-rottacce, Torre Astura, Foce dei- fi Astura, Torre di Foce Verde e Fogliano. Le gite di esplorazione, che bo praticato durante le annuali residenze estive, furono assai numerose ed in diverse direzioni ; io le eseguii fin quando le comunicazioni attraverso il citato territo- rio non erano, come oggi, così spedite, facili e sicure, giacché al- lora non esisteva il tronco ferroviario Ceccbina-Anzio-Nettuno, il quale venne aperto al pubblico esercizio soltanto nel marzo 1884. Da Roma mi recai due volte a piedi in Anzio. Nella prima gita pede- stre ebbi a compagno e duce fiottimo amico, prof. Filippo Keller. In tal modo mi é cognita minutamente, per averla percorsa, passo a passo, e ripetute volte, la spiaggia da Tor S. Lorenzo a Torre di Foce Verde. Entro terra, conosco, per averlo attraversato a piedi, il territorio da Tor S. Lorenzo a Carroceto ; da questa località alle cave di pozzolana verso Tor S. Anastasia ; da Ceccbina a Carroceto ; dal casale di Carroceto ad Anzio e Nettuno, sia per- correndo la via rotabile, sia i vari stradoni attraverso la macchia ; da Nettuno alla Torre del monumento ; alla Torre Astura ; alla foce di Astura; al ponte della Cavata; a passo Genovese, lungo lo stradone, che da questa ultima località va nella direzione di Cisterna, attraver- sando la macchia'; alle Ferriere di Conca ; a Campo Morto ; a Conca, sia percorrendo la vecchia strada, sia la nuova strada consorziale trac- ciata sull’andamento della antica; ecc. Eseguii tali escursioni spesso in compagnia di altri geologi, o naturalisti, e mi piace di rammen- tare tra questi : l’intelligentissimo giovane, a me carissimo, B. Maz- zoni, tanto presto rapito all’affetto de’ suoi ed alla scienza geologica, che con tanto amore coltivava; il prof. F. Keller; il dott. Edw. MUes di Brighton; l’avv. J. Santos Rodriguez; il sig. P. Dorelle, uno dei migliori studenti del 5® anno di medicina nella nostra Università, il quale con molto criterio e con vero trasporto segue anche i corsi di scienze naturali; il prof. P. De Vescovi; i nostri 3 K. MELI 20 Soci. dott. G. Di Stefano, ing. E. Clerici, ed altri molti amici e studenti, che, pur non occupandosi di scienze naturali. Tollero tuttavia gentilmente tenermi compagnia nelle mie peregrinazioni scientifiche. Cotali escursioni mi servirono assai bene per collegare fra loro le osservazioni, che aveva fatto in altri punti della spiaggia e del lit- torale romano, cioè, a N. di Anzio, lungo la spiaggia di Montalto, Corneto-Tarquinia, Civitavecchia, S. Marinella, S. Severa, Palo, Pali- doro. Ponte Galera, Malagrotta sulla via Am-elia, Magliana, Fiu- micino, Ostia, Malpasso, Castel-Porziano; e, a S. di Anzio, Lago di Fogliano, di Paola, Circeo, Paludi Pontine, Cisterna, Tor Tre Ponti, Terracina e Gaeta. A completare l’esplorazione del littorale romano, non mi resterebbe che di percorrere i piccoli tratti; Tor S. Lorenzo-Ardea-Castel Porziano; di rimontare FAstiu-a e confluenti, dalla sua foce fino a Conca; di perlustrare la regione Carano-Vel- letri, 0 Torre del Monumento - Velletri, e di rilevare geologica- mente il basso cordone littorale, che s’ interpone tra la depressione delle Paludi Pontine ed il mare, a destra del fiume Sisto, visi- tando particolarmente il Rio Martino, per decidere se si tratti di taglio artificiale, come tutto fa credere, ovvero di incisione natu- rale. Il primo itinerario sarà eseguito nei prossimi mesi insieme al nostro collega ing. E. Clerici, che volle talora associarsi meco nelle escursioni; gli altri itinerari sono rimandati alle venture stagioni estive. Compiute le rimanenti escursioni, io mi troverei in gra,do di eseguire con sufiicente esattezza una carta geologica d’ insieme dell’ intero littorale romano. Uno dei punti sulla spiaggia di Nettuno, che ho più volte visitato e percorso in ciascun anno, è il littorale di Foglino. Questa località attirò subito la mia attenzione, fin dal 1881, per i suoi molluschi fossili nelle marne grigie, le quali erano allora cavate alla fornace Morronese, ora fatiscente e pressoché distrutta dai proiettili dei cannoni del poligono militare. Non credo inutile dare un rapido cenno sui terreni, che si osservano lungo quel littorale, dal fiumicello Loracina alla punta di Torre Astura. Le marne marine della fornace Morronese sono le roccie più antiche, che si osservino in questo tratto di costa. Esse però sono più recenti delle marne grigie di Tor Caldara (pliocene inferiore) SULLA ESISTENZA DI STRATI DI TORBA ECO. 21 e della soprastante formazione pliocenica del macco. Potrebbero riferirsi ad nn pliocene molto recente; come lo indicano i fossili ritrovativi, dei quali pubblicai nel 1884 un’elenco (*), che ora do- vrebbe essere aumentato delle nuove specie, raccolte dopo la stampa di quella memoria. Le stesse marne sono poi scoperte, poco più oltre della for- nace Morronese, alle Grottacce verso Torre Astura e nel loro affio- ramento sul mare sono in corrosione, demolite dalle onde, che le percuotono in tempo di burrasca ed insabbiate alla base dalle arene, che vi si vanno accumulando durante i periodi di mare calmo e tranquillo. Sopra queste marne, plastiche, grigio-azzurrognole, fos- silifere, si aveva, nella cava della fornace Morronese, uno strato di sabbie giallastre assai ricco di molluschi (^). Nella vicina cava di tufo, ora abbandonata ed inattiva, invece delle sabbie gialle post-plioceniche, si mostra sotto il tufo uno strato di marna, pari- menti assai ricco di fossili, frammisti però a materiali vulcanici sciolti. Al di sopra dei predetti strati fossiliferi ricorre il tufo, più 0 meno litoide, racchiudente molluschi marini, alla base con nume- rosi frammenti di calcare bianco, secondario, interclusi lavici, cri- stalli di augite, ecc., con potenza e facies variabili. (*) Meli E., Cenni geolog. sulla costa d' Anzio Annuario del R. Istituto Tecnico di Roma, ved. pag. 120, 121. Vedasi ancora la pag. 119, ove è stampato: « Nella serie stratigrafica, mi sembra che dopo le roccie del “ macco debbano essere collocate le marne grigie, che spuntano sulla spiag- li già di Foglino presso la fornace di laterizi e nella località detta Le Grot- ti tacce, verso Astura ». In questa pubblicazione, le marne predette sono riferite al pliocene superiore. (^) Nella Adunanza generale, tenutasi dalla Società Geologica Italiana a Vicenza, il giorno 11 settembre 1892, io presentai una memoria col titolo: Elenco dei molluschi quaternart della spiaggia di Foglino presso Nettuno con bibliografia, specialmente scientifica, su quel tratto di costa romana, che da Anzio va ad Astura (Ved. Boll. d. Soc. geol. ital. anno XI, 1892, fase. 3, pag. 661-G62). In questa memoria sono enumerate principalmente le specie raccolte nelle sabbie gialle della fornace Morronese e nello strato con materiali vulcanici sotto il tufo litoide della vicina cava. La suddetta memoria non fu ancora pubblicata, e giace coperta di polvere insieme a parecchie altre da me scritte e non edite. Però, ho in animo di stamparla in progresso di tempo, anche per la ricca bibliografia scientifica e storica, che Paccompagna, e che a me costò tempo, fatica e non tenue spesa. 22 R. MELI Così, tra le marne grigie e il banco di tufo si osserva alle Grottacce uno strato intermedio risultante da frammenti di calcare bianco, più o meno rotolati, di mediocre grandezza, riuniti fra loro da scarso cemento in modo da formare un conglomerato d’aspetto puddingoide. Nel cemento si notano cristalletti d augite ed altri minerali vulcanici. La potenza media dello strato è di 0"',35. Superiore a tutte le citate rocce sta il sabbione giallo-bruno, alquanto argilloso (lelm), con ciottoli qualche volta scheggiati; questa roccia ricopre poi tutto il territorio da Tor S. Lorenzo a Carroceto, da Nettuno a Conca, a Torre Astura, specialmente nelle macchie. Soltanto lungo la valle dell’ Astura si mostrano scoperà nelle sponde laterali i banchi di tufi litoidi, gialli, e giallo-lionati, i tufi friabili e le sottostanti pozzolane rosse a scorie rosse, con depositi più recenti d’alluvione, che si adagiano qua e là indiffe- rentemente e sui tufi e sulle pozzolane, ciò dipendendo dello stato di erosione, che presentava la vallata in quei punti, ove si effet- tuarono le deposizioni meccaniche, dovute alle alluvioni di quel corso d’acqua (i). Finalmente la destra del fiumicello Loracina limita la formazione del macco j la quale non affiora più, nè è più visibile al di la del Loracina, oltre la sua sinistra riva, in tutto il re- stante territorio della provincia di Koma. Ritornando al littorale di Foglino, nelle mie numerose escur- zioni fattevi, aveva sempre trovato e raccolto, gettate sull’ arena (1) Nella valle dell’Astura si ripete esattamente quanto osserviamo, in scala -maggiore, nelle valli del Tevere e delFAniene presso Eoma. Come in queste ultime, cosi in quella del fiume Astura, i tufi litoidi mostransi lungo i fianchi di essa e ne occupano le zone più depresse, ossia T ultimo tronco, quasi che avessero corso nelle solcature preesistenti e le avessero riempiute. Le alluvioni con resti isolati e logorati di mammiferi sono superiori ai tufi e però più recenti di questi. In altra comunicazione faccio appunto conoscere che presso Conca l’ing. Clerici scavò in mia presenza pezzi di corno di Cervu^ elaphus nelle alluvioni superiori ai tufi. Sia nei dintorni di Eoma, che nella valle dell’Astura, le pozzolane rosse, a scorie rosse di provenienza laziale, senza distinta stratificazione, stanno sotto ai tufi giallastri, anche essi non stratificati, ma in masse caotiche. \^i ha quindi un perfe-fto riscontro nella serie stratigrafica e nella gia- citura di queste roccie laziali nell’ultimo tronco dell Astura e le analoghe, pa rimenti laziali, che troviamo nelTultimo tronco deU’Aniene, del Tevere a valle di Eoma, e dei corsi d’acqua che, pure a valle di Eoma, solcano la parte hassa del cono laziale e shoccano sulla sinistra del Tevere. SULl.A ESISTENZA DI STRATI DI TORBA ECO. 23 della spiaggia, valve fresche ed isolate di Pholas dactylus Linn. e di Pholas candida Linn. di tutte grandezze ed età. Alcune delle valve della Ph. dactylus trovate sulla predetta spiaggia sono molto grandi e raggiungono quasi le dimensioni delle figiue di questa specie, date dal Poli nella sua bell’opera: Testacea utriusque Siciliae Tom. I, 1791, pag. 40-49, tab. VII fig. 1-4. Invece la Pholas can- dida Linn. trovasi in esemplari di dimensioni molto minori di quelle date nelle figure del Cbemnitz {Neiies systematisches Gon- chylien- Cabinet, tom. Vili, 1785, tav. 101, fig. 861, 862) e del- \ Encyclopédie méthodique ( Vers, seconde partie, PI. 168, fig. 11). Gli esemplari, che rinvengonsi sulla costa di Foglino, hanno di- mensioni maggiori della figura datane da Donovan {Hist. natur. d. coquill. d' Angleterre ; edizione Cbenu nella Bibliothèque con- chyliol, tom. I, 1845, PI. 35, fig. 7, 8); le maggiori valve, presso a poco, raggiungono la grandezza delle figure esibite dal Gualtieri per questa specie {Index testarum conchijUor., 1742, tab. 105, fig. E), e misurano mm. 48 in lunghezza. Colle valve isolate delle foladi sullo stesso littorale raccolgonsi valve staccate ed esemplari completi, a valve riunite e chiuse, di Cardium LamarcJci Reeve. Però, questi Cardium non presentano aspetto fresco, come i gusci delle altre conchiglie attuali, che il mare respinge sulla spiaggia, e come gli esemplari di Cardium Lamarcki Reeve, che ho preso coir animale vivo nel lago di Fogliano. Sono invece biancastri, senza colorazione, a valve in generale robuste, ma più o meno calcinate; sono infine esemplari moderni, ma per lo meno subfossili. Gli esem- plari a valve chiuse, se vengano aperti, si trovano d’ordinario ri- pieni di un’argilla nera, torbosa, con numerosi esemplari di Hy- drobia ventrosa Mont. = Paludestrina acuta Drap. ( Gyclostoma), anch’essi bianchi, calcinati più o meno, e, come i Cardium, che li contengono, se non fossili, per lo meno subfossili. Le valve delle foladi e dei Cardium Lamarcki in parola tro- vansi lungo tutto il littorale di Foglino, dai tumuleti di Nettuno fino alle Grottacce; ma, con maggiore frequenza si raccolgono nel tratto, che corre dalla foce del rio Foglino fino a quasi le Grot- tacce. In questo tratto medesimo si rinvengono sulla spiaggia bloc- chi più 0 meno grandi di argilla nera torbosa e di vera torba, quasi tutti di forma parallelepipeda. I maggiori blocchi hanno le dimen- sioni di 0'",60 X 0™,40 X 0“,30. Tanto le valve di Pholas, quanto R. MELI 24 gli esemplari di Cardium Lamarcki ed i pezzi di torba si rac- colgono con maggiore abbondanza subito dopo una forte mareg- giata. Allora, percorrendo la spiaggia, sulle arene bagnate dai flutti, che furono in agitazione, si troveranno gettati, e gli esemplari di Cardium Lamarcki, e le valve disunite delle foladi, e i pezzi ed i blocchi di torba. Tra i gusci di foladi moderne, le valve e gli esem- plari di Cardium Lamarcki, e i pezzi di torba, più o meno le- gnosa e di aspetto recente, non si supporrebbe a prima vista do- vere esistere una relazione qualsiasi. Eppure, vi ha tra loro con- nessione e legame, come v^edremo in seguito. I pezzi di torba rigettati sulla spiaggia di Foglino, mi ave- vano fatto sospettare, già da molto tempo, che strati torbosi affio- rassero entro mare lungo quel tratto, a non grande distanza dal bordo marino (‘). Questa mia supposizione, oltre che dai blocchi reietti, era anche confermata da una domanda presentata, anni in- dietro, all’ Ufficio delle Miniere di Roma per concessione di esca- vazione di torba nel territorio di Foglino (“). Peraltro, nelle mie numerose escursioni in quella spiaggia mai aveva potuto osservare in posto strati di argille nerastre torbose, o di torba. Mi era, è (1) Difatti nella relazione delle escursioni geologiche eseguite cogli allievi ingegneri della scuola di Roma nel 1892, io scriveva: « Sulla spiaggia di Fo- « glino devonsi contenere strati di torba, a giudicarlo dai numerosi fram- « menti, che vi si trovano gettati dal mare e che sono frammisti alle sabbie « moderne «. {Annuario della R. Scuola di Applicazione degli Ingegneri di Roma per Vanno scolastico 1892-93. Ved. pag. 85. Vedasi ancora pag. 4 della ; Breve relazione delle escursioni geologiche eseguite con gli allievi della R. Scuola d'applicaz. per gli Ingegneri di Roma nell'anno scolastico 1891-92 con indicazioni bibliografiche su Borghetto, Gaprarola, Bagnaia ed appendice bibliografica su Viterbo. Roma, tip. R. Accad. dei Lincei, 1893-95, in 16°). ■ • j- D (2) Vedasi: Demarchi V., 1 prodotti minerali della provincia di Roma. Roma, Eredi Botta, 1882, in 8°. Estr. d. Annali di Statistica, voi. 2°, serie 3h Alle pag. 55-56 (estr.) è segnata una domanda di ricerche per lignite da ese- guirsi nel territorio di Nettuno '(Quarto delle Gragnuole). Tali ricerche fu- rono autorizzate con decreto prefettizio del 2 marzo 1874; ma, per opposi- zione fatta al suddetto decreto dal Comune di Nettuno e da alcuni cittadini, i lavori di scavo per la lignite non vennero eseguiti. Anche Jervis indica la presenza di lignite a Nettuno (Jervis G,, / te- sori sotterranei dell'Italia. Parte 3^ Regione delle isole ecZ addenda ai pre- cedenti volumi, 1881. Vedasi pag. 530, n. 2081 ter). SULLA EStSTENZA DI STRATI DI TORBA ECO. 25 vero, accorto che tutto quel tratto di spiaggia è argilloso ; e che la natura vera della spiaggia è nascosta e mascherata da un banco continuo di arene mobili, che, gettate dai marosi a maggiore di- stanza dal bordo del mare, accumulate e spinte poi dai venti, for- mano dune in più punti di quel littorale. A questa conclusione era venuto, fin da due anni indietro, quando, avendo percorso la spiaggia, la mattina dopo una forte burrasca, trovai con sorpresa scomparse e rimosse via le arene presso il bordo del mare battuto dalle grandi onde, lungo il littorale di Foglino e messe allo scoperto le argille, che costituiscono la roccia di fondo in quel tratto di spiaggia. Or bene, nella escursione, fatta in compagnia del nostro socio dott. Enrico Clerici il giorno 6 agosto del corrente anno, dopo la violenta mareggiata avvenuta il giorno innanzi, lunedì 5, potei os- servare due strati di torba, aventi fra loro interposto un’ altro strato di argilla nerastra, affiorare entro mare. Cosi restarono accertate le mie supposizioni e fu dimostrata di fatto la presenza della torba lungo quel tratto di spiaggia. Vado adesso a indicare con precisione il punto, ove affiorano entro mare gli strati di torba ed a spiegare la causa per la quale non potei vederli per il passato. Dopo il ponte in muratura, mezzo fatiscente, di Foglino sul rio omonimo, andando, lungo la spiaggia, verso Torre d’ Astura, si giunge all’altezza della cava di tufo giallo, racchiudente numerosi interclusi e pezzi di calcare secondario. Tale tufo fu, anni indietro, estratto per essere adoperato nelle costruzioni specialmente ad Anzio. Cosi, fu usato nel muragliene, o banchina, eseguita nel 1886 dalle fer- rovie secondarie romane (FF. SS. RR.) in Anzio sulla spiaggia di ponente entro il bacino dell’antico porto Neroniano. In quel punto della spiaggia di Foglino fu allora costruito un ponte di legno per il caricamento del tufo sulle barche, del quale ponte oggi ancora si vedono alcuni pali, o passoni, residuali piantati nel mare. A circa 80'", più avanti da questi pali verso Astura, lungo sempre la linea di spiaggia, affiorano entro mare due strati di torba della potenza di 0‘",30, separati da altro strato, di consimile spessore, di argilla grigiastra torbosa. La torba è talvolta legnosa con tronchetti e rami ed ha aspetto recente. Gli strati sono inclinati; pendono verso la costa con leggero declivio; si approfondano nel terreno ricoperti 26 R. MELI dalle sabbie mobili moderne, mentre in direzione opposta mostrano le loro testate rivolte verso il mare, che, essendo in quel punto quasi sempre mosso, le demolisce a gradini e nelle burrasche ne getta i pezzi sulla spiaggia. Gli strati furono constatati e riscontrati per una lunghezza di circa 300'", con andamento parallelo al bordo del mare, entro il quale si trovano immersi ad una distanza di 4'", a 5™, dalla linea di spiaggia, a mare tranquillo ed a livello medio. Si può ora domandare ; perchè nelle precedenti escirnsioni non abbia mai potuto vedere in posto gli strati di torba?. Le ragioni sono parecchie e si deve solo ad un complesso di circostanze favo- revoli, verificatesi nella escursione del 6 agosto, se fu possibile di vedere spuntare entro mare i predetti strati. Il mare, aperto in quel tratto ai venti dominanti, è mosso, di solito, anche in tempo di calma. È questa una delle principali ragioni, che non mi permi- sero di poter vedere entro l’acqua le testate degli strati di torba. Vi ha poi l’insabbiamento, che ricopre e nasconde la natura del fondo. Nella escursione del 6 agosto il mare era tranquillo e la marea straordinariamente bassa; inoltre il fondo marino era stato sconvolto e spazzato dalle arene mobili, che ne mascherano abi- tualmente la sua natura, dalla violenta mareggiata del giorno in- nanzi. Questa riunione di circostanze permise di osservare gli strati torbosi entro mare. Ma v’ha un’altro fatto, che spiega la provenienza dei gusci di Pholas, reietti, a valve separate, su quel tratto di spiaggia. Osser- vando i blocchi di torba terrosa e di argilla nera torbosa, disseminati sulla spiaggia, notai sopra una delle loro superficie, che in posto do- veva corrispondere al piano superiore scoperto dello strato, una serie di fori a sezione circolare, per modo da risultarne una superficie cribrata. 1 fori sono col loro asse maggiore perpendicolari alla super- ficie perforata. Rotti i blocchi nella direzione dell’asse di ciascuno dei fori, trovai cavità allungate di forma cilindro-conica, più ampie alla base, entro le quali erano in posto le due valve di una Pìiolas. Questo fatto di trovare le foladi innicchiate nella torba è interes- sante zoologicamente, ed è nuovo, non essendo stato finora accen- nato, per quanto io sappia, da alcuno. D ordinario, quasi tutti gli autori dicono che le foladi penetrano, sia negli strati d argilla, sia in quelli calcarei. SULLA ESISTENZA DI STRATI DI TORBA ECO. 27 Non intendo qui di passare in rassegna quanto fu scritto a proposito delle foladi e dei loro modi e mezzi di perforazione, perchè non riguarda l’argomento principale di questa Nota ; potrà, volendo, esser questo il soggetto di altra memoria. Segnerò sol- tanto qualche citazione riguardante la natura fisica della materia, entro la quale le foladi si scavano il loro foro. Tralasciando quindi le citazioni degli antichi naturalisti, di Aldrovandi, di Gesnéro, di Kéaumur, di Linneo, di Lafaille. di Fleuriau de Bellevue ('), di De Saussure, ecc. ricorderò soltanto alcuni dei più recenti, che parlarono della perforazione della Pholas. Già il Buonanni, fin dal 1681, scrivendo sulle foladi, che si osservano al Monte Conero presso Ancona, aveva ritenuto che si scavassero il loro foro nella roccia per azione meccanica delle loro valve, presentanti superficie esterna scabra ed agenti come una raspa neU’interno del foro (^). Giovanni Bianchi (Jano Bianco) indica i fori delle foladi scavate nel duro marmo, e crede che la cavità si effettui per movimento meccanico di terebrazione (^). Olivi dice d’aver veduto dei pezzi di lava immersi nell’Adriatico, forati dalle foladi (^). Poli scrive che le foladi inabitano le pietre e le argille e ritiene che lo scavo dei loro fori si effettui per azione mec- canica (terebrazione). Difatti dice che le conchiglie delle foladi sono « albescentes et striis, mucronibus, interdum etiam plicis refertae, « lapidibus, vel argillae terebrandae destinatis » (^). Brocchi parla (’) Fleuriau de Bellevue, Mémoire sur quelques nouveaux genres de mol- lusques et de vere lithophages et sur la faculté qu'ont ces animaux de percer les rochers.Yeà. Journal de physique, Tomo LIV, (1802), pag. 345-355. Ved. ancora Bulletin des Sciences, num. 62. (2) Buonanni P., Ricreatione dell'occhio e della mente nell' osserva-, tion' delle chiocciole. Roma, Varese, 1681, in 4° picc. (Ved. Parte I^, cap. V, pag. 48-62. Le figure n. 25, 26 della seconda classe dei testacei bivalvi rap- presentano abbastanza bene la Pholas dactylus Linn.). Ho parecchi esemplari di questa specie, provenienti appunto dal Monte Conero, innicchiati, non in roccia calcarea, come dice il Buonanni, ma in una marna indurita, la quale contiene gusci di foraminiferi fossili. (3) Jani Planci, De conchis minus notis liber. Venetiis, 1739, (ved. pag. 33 sulla fine, e principio della seguente pag. 34). (^) Olivi G., Zoologia Adriatica, Bassano, 1792, in 4°. Ved. pag. 93-94. (5) Poli Fr. X., Testac. utriusq. Siciliae, tom. I, 1791. Vedi pag. 39, ove parla del genere Pholas. Anche nelle pagine seguenti, e particolarmente R. MEU 28 delle foladi e delle altre conchiglie litofaghe, ma le sue osserva- zioni dimostrano che sempre le rinvenne entro roccie calcari (^). Blainville, parlando del genere Pholas, scrive : « Ces animaux vivent « dans la vase, l’argile, les pierres calcaires et rnéme dans le « hois (-). Baldassirri Fr. nella Storitt ncituv(il& degli (iiiwidli lUveTte- brati di Lamarck, comimidiata ed arricchita di note (Pesaro, A. Nobili, 1834, in 8“.) paria della perforazione operata nelle roc- cie dalle foladi (3), e, in seguito alla esposizione delle varie ipo- tesi fino allora ammesse, propende a conchiudere che l’ azione chi- mica agisca insieme all' azione meccanica delle valve nello scavo fatto entro la roccia. Dopo che, egli dice « rrn Arrido qualunque « avesse alla prima ammollito la roccia e che poscia 1 animale K con la rotazione delle sue valve ne avesse consumata la parte « già cedevole, sino alla formazione di una cavità capace di con- n tenerlo » ecc. (Baldassini Fr., op. cit., pag. 371). Lo stesso Bald^s- sini riferisce che Defrance osservò ima perforazione fatta da ima specie di folade nel legno Guajaco, resinoso e molto duro (op. cit. pag. 371). Ma, nel caso indicato da Defrance, si trattava realmente di PholaSj 0 non piuttosto di Teredo?. Un bel riassunto delle anteriori prrhblicazioni sul genere Pholas è stampato dal Deshayes nel suo Traité élémentaire de Conchyliologie aree les applications de celle Science à la géologie (Paris, 1843-50), alla famiglia Pholadaires (Tom. I, partie seconde, alla pag. 42, è stampata la sua opinione, che, cioè, lo scavo della cripta si faccia, sia per mezzo del piede, sia col sussidio delle valve, giranti verti- calmente sul loro asse, ed allora aventi a punto d’appoggio l’apice del piede. (1) Brocchi G.B., Conchiologia fossile subapennina, mia.no, 18U-, ved. tom. I, pag. 139-141, e tom. II, pag. 591, 594-596. (2) Blainville (de) Ducrotay H. M., Manuel de Malacologie et de con- chyl, 1825, pag. 578. Ved. anche pag. 632, quantunque si tratti a quanto pare non di vera Pholas, ma di Teredo. (3) Ved. pag. 281 e 370-371 alla nota (57). Vedasi ancora : Baldassini Fr., Considerazioni sul modo con cui^ si sup- pone che i molluschi litofagi perforino le rocce. Bologna, Marsigh, 1830, in 8“, di pag. 12. Estr. d. Supplemento alla raccolta delle opere mediche moderne italiane e straniere, Bologna, Tom. IV, pag. 47-48. Credo^ che sia riprodotta anche negli Annali di Storia naturale di Bologna, fascicolo 10, anno 1830, pag. 47. SULLA ESISTENZA DI STRATI DI TORBA ECO. 29 pag. 37-40) e sopratiitto al genere Pholas (tona, citato, pag. 67-77). Deshayes sostiene che il foro delle foladi nelle roccie non sia fatto per mezzo meccanico, ma solo per una sostanza acida se- gregata dairanimale. Ciò porta alla conclusione che le foladi deb- bano innicchiarsi unicamente nei calcari e nelle marne, cioè, nelle roccie attaccate e sciolte con facilità dagli acidi. In ordine a tali ipotesi, Deshayes respinge il fatto citato dall’Olivi e scrive « Mais cette observation est aujourd’hui contestee, parce qu’elle éta- blirait une exception unique à • une règie jusqu’à présent inva- “ riable; c’est que les mollusques perforateurs ne pènètrent jamais que dans les suhstances calcaires, ou argilo-calcaires. On est <4 aujourd’hui d’autant plus convaincu de l’universalité de ce fait, « que l'on sait que ce n’est pas le frottement de la coquille contro K les parois du trou, que ce trou s’ agran dit, mais que sa cavitò est « augmentée au moyen d'une sécrétion de l’animal, sécrétion pro- « bahlement acide, mais dont la nature n’est pas parfaitement " connue » (op. cit. Tom. I, part. II, pag. 69-70). E più innanzi (pag. 75-76) dice ancora: « Gomme nous l’avons dit, les pholades « sont perforantes et s’étahlissent tantot dans les argiles durcies, « tantot dans les calcaires plus ou moins durs ». Deshayes nella stessa opera torna a riparlare, e con molto criterio, della perfora- zione delle rocce, eseguita dalle conchiglie bivalvi litofaghe ; prende di nuovo in esame il fatto della lava (forse già bucherata) citato dall’ Olivi, esamina l’altro indicato da Cailliaud di una roccia primi- tiva (gneiss) perforata ; parla delle arenarie dure, perforate da mol- luschi e fa vedere che il cemento di esse era calcareo ; esclude che il foro possa effettuarsi col movimento meccanico delle valve della conchiglia, generalmente sottili, e conclude per l’ esistenza d’un liquido acido emesso dal mollusco ed applicato sulle pareti del foro. Di ciò Deshayes trova una prova nella scoperta d’un or- gano speciale di secrezione nel mantello dei molluschi perforatori (op. cit., pag. 464-470). Cailliaud sostiene in modo assoluto che le foladi perforino le roccie soltanto con mezzi meccanici ('). A sostegno della sua teoria (*} Cailliaud Fréd. S., Note sur un nouveau fait relatif à la perfora- tion des pierres par les Pholades. Nantes, 1852, in 8°. Mémoire sur les mollusques perforants. Harlem, 1856, in 4°, con 3 tavole. Procédé employé par les pholades dans leur perforation, 1857, in 8®. R. MELI 30 egli fece esperienze in proposito. Per escludere poi l’azione chi- iiiica delle foladi nello scavo dei fori, cita 1 esempio di foladi in- niccMatesi in roccie silicee. Come è noto, Cailliaud trovò sulle coste di Poulinguen presso lo sbocco della Loira, centinaia di fo- ladi alloggiate in uno gneiss, passante al mica-schisto. Woodward (') invece attribuisce lo scavo della cavità all'azione meccanica. Difatti scrive : « Les Pholadidae perforent toutes les sub- « stances qui sont moins dures que leurs valves » (op. cit., pag. 517). Riferisce poi, in nota, le esperienze di Cailliaud sulla perforazione meccanica del calcare con le valve di foladi e di Robertson ( ) nella creta bianca (craie), e conclude che lo stato delle foladi « est toujours en rapport avec la nature des matériaux dans lesquels « elles creusent ; dans les fonds mous elles arrivent à la plus grande « tarile et à la plus grande perfection, tandis que dans les rocbes li dures et surtout dans celles qui sont arénacées, elles sont rabou- « gries, et toutes les pointes et les arétes sont usées par la friction * . (Woodward, op. cit., pag. 618). Anche Zittel ritiene che il foro delle Poladidee si effettui con mezzo meccanico ed avverte che il liquido corrosivo, col quale il Cailliaud F. S., Nouvelles observations au sujet de la ferforation des pierres par les mollusques (Journ. de conchyl., Tom. I, 1850, pag. 363-369). Cailliaud F. S., Nouveau fait relatif à la perforation des pierres par ^ les Pholades. Nei Comptes reiidus des séances de l’Académ. des sciences Tom. XXXIII (Juillet-décembre 1851) pag. 572, 573. Dichiara d’aver trovato a centinaia le foladi in cavita, lunghe 15 e fino 20 cm., in un gneiss, che passa al mica-schisto. Cita ancora d’aver trovato molluschi fossili entro fon scavati in un porfido protoginico a Lessines (Belgio). Ritiene, con Brongniart, che i fori sieno stati scavati posteriormente alla formazione della roccia. OlservoXìons et nouveaux faits sur les mollusques perforants en gé- néral. Nei Comptes-rendus de l’Académ. d. sciences, Tom. XXXIX, Juillet- décembre 1854, pag. 34-36. Ved. anche alla pag. 755. Ved. ancora; Institut n. 1072, 1854, alla pag. 245. (1) Woodward S. P., Manuel de Conchyliol. ou hist. nat. d. moli vi- vants et fossiles augmenté d'une appendice par Rulph Tate trad. par A. Humhert. Paris, 1870. Vedi pag. 517. (2) Notice de M. Robertson sur la perforation des pierres par le Pho- las daetylus. Nel Journal de Conchyliologie, Tom. IV, 1853, pag. 311-315. Ved. ancora, nello stesso giornale, l’articolo precedente, col titolo : De la per- foration des roches par certains mollusques (Journ. d. Conchyl., 1853, pag. 308-310). SULLA. ESISTENZA DI STRATI DI TORBA ECO. 31 mollusco dovrebbe attaccare chimicamente le roccie, non venne finora svelato : » Alle Pholadiden sind Bohrmuscbeln, welche sich i4 gerade oder gebogene Hòhlungen in Holtz, Steine, oder fremde » Korper graben und diese Eohren haufig mit KalMgen Wandungen « bekleiden. Das Bohren wird durch eine drehende Bewegung theils « der mit feinen Stacheln und Eauhigkeiten versehenen Schale, theils « des mit Kieselkorperchen erfiillten Vordertheils des Korpers be- li werkstelligt. Eine àtzende Elussigkeit, welche nach aiterei’ Anna- li hme zur Herstellung der Eohren verwendet werden solite, konnte n niemals nachgewiesen werden n (Zittel K., Handbuch d. Palaeon- tologie. I Abth. Palaeosoologie. IL Band. Mollusca und Arthro- poda, pag. 137). Fischer (') poi, parlando della famiglia Pholadidae dice sol- tanto che sono animali perforanti la pietra o il legno. Però que- st’ultima sostanza è scavata in gallerie dal gruppo Xylophaga. Avverte pure che nelle conchiglie perforanti (Pholadidae) il car- bonato di calcio « a un arrangement atomique semblable à celui « de l’arragonite, qui est beaucoup plus dure que le spath cal- ti caire » (^). Hoernes parimenti stampa: n Tous les Pholadidae creusent « dans le bois, les roches, les coquilles, par un mouvement ro- ti tatoire » (^). Potrei moltiplicare le citazioni, (^) ma, siccome le credo già troppo numerose, così cesso dal darne altre. (‘) Fischer, P., Manuel de Conchyl. Paris, 1881-87. Ved. pag. 1132. (*) Fischer P., Manuel citato, pag. 19. (3) Hoernes E., Manuel de paléontologie trad. de V allemand par L. Dolio. Paris, 1886. (Ved. pag. 313). (^) Sull’ argomento dei molluschi, che perforano le roccie, si possono inoltre consultare i seguenti lavori: Réaumur (de) R. A., Observations sur le mouvement progressif de quel- ques coquillages de mer, sur celui des hérissons de mer et sur celui d'une espece d'étoile (Mém. de l’Académie d. se. de Paris, 3 sept. 1712, con 3 tavole). Collinson P., Some observations on thè hardness of shells, and on thè food of thè soal-fish. Nelle Philos. transact., voi. 43, n. 472, 1744, pag. 37-39. Osler Edw., On burrowing and boring marine animals. Nell’ Edinb, Journal of Science, voi. VI, 1827, pag. 270-274. Cailliaud F., Notice sur le genre Gastrochaena. Nel Magasin de Zoo- logie {Mollusques), 1843. 32 R. MELI In ogni modo, quelle, che ho sopra riportate sono più che suffi- cienti per conchiudere che finora i naturalisti non hanno rinvenuto le foladi colle valve in posto nei fori da esse scavati entro la torba. Mi pare quindi un fatto nuovo e perciò degno di rimarco. Devo peraltro dichiarare che i pezzi di torba, che osservai, per- forati e racchiudenti le valve delle foladi, erano tutti di torba terrosa nera. In essi rinvenni campioni di Fholas dactylus Linn. e Ph. candida Linn., sempre nel loro foro, a valve unite, e di tutte età; gli esemplari erano morti, senza parti molli; il foro riempiuto per lo più dalle arene della spiaggia. La esistenza delle foladi, abitanti negli strati di torba, affioranti in mare a pochi passi dal lido, spiega bene la pre- senza delle loro valve reiette e disseminate su quella spiaggia. Le onde marine, demolendo gli strati di torba, fanno cadere le conchiglie delle foladi morte, che scavarono le loro abitazioni nella Clark Will., On thè terebrating Mollusca. Negli Ann. ofnat. hist. 2^ se- ries, voi. V, 1850, pag. 6-14. _ ^ j Debliayes G. P., Quelques observations au sujet de La perforation des pierres par les mollusques (Jourual de Conchyliol. Tom. I, Année 1850, pag. 22-34. Veci, anche pag. 273). Sostiene che i molluschi perforatori ope- rino il foro mediante secrezione chimica. Thorent, De la perforation des pierres par les mollusques (Journ. de Conchyl. 1850, pag. 171-174). Lovelle-Pieeve, Sullo stesso argomento (Journ.de Conchyl. 1850,p. 174-175). S. P. (Petit de la Saussaye), Du résultat de récherches faites par M. Cailliaud de Nantes, sur le littoral du département de la Loire-inférieure (Journal de Conchyl. Tom. II, 1851, pag. 301-303. Ved. anche la nota alla pag. 431). Aucapitaine, Note sur les moyens qu'emploient les Pholades pour creu- ser les roches dans lesquelles elles se logent. Nei Comptes-rendus de PAcad. d. Sciences. Tom. XXXIII (Juillet-décemhre 1851) pag. 661. L’Autere ritiene che per l’azione combinata, chimica e meccanica, le foladi scavino le loro camere nelle roccie. De Serres Marcel, Note sur les mollusques lithodomes. Nella Revue et Magaz. de Zoologie, 2“^ sèrie, toni. V, 1853, pag. 393-394. S. P. (Petit de la Saussaye), De la perforation des roches par certains mollusques (Journ. de conchyl., Tom. IV, 1853, pag. 308-310). Blanchard Emile, L'organisation du règne animai, Paris, in foL, con tavole (Ved. Moli. Acéphales, pag. 11-23. Alle pag. 20-23 trattasi del modo, col quale le foladi operano i fori nelle roccie e vi si trovano parecchie cita- zioni bibliografiche relative alla perforazione delle roccie operata dai molluschi). SULLA ESISTENZA DI STRATI DI TORBA ECO. 33 torba terrosa, e ne trasportano le valve sparpagliandole sulla vi- cina costa. La valva della conchiglia, sottile^ poco pesante, con una superficie internamente concava ed assai ampia in rapporto al proprio peso, si presta facilmente a tale trasporto. Gli esemplari di Cardiim Lamarcki Reeve, sempre morti, e con subfossilizzazione ben avanzata, compresi nelle argille ne- rastre, gettati anch’essi su quel tratto di spiaggia insieme alle valve di foladi e ai pezzi di torba, farebbero ragionevolmente sup- porre che insieme alla torba, e probabilmente sotto di essa, esi- stessero strati salmastri a C. Lamarcki Eeeve, Paludestrina acuta (Drap.), Hijdrobia, ecc., afiìoranti entro mare ed in via di demolizione. Ho detto che probabilmente lo strato argilloso salmastro dovrebbe trovarsi sotto alla torba, perchè non lo rinvenni al di sopra degli strati torbosi e perchè non mi parve di vedere valve di Cardium nello strato argilloso interposto ai due di torba. Se lo strato sal- Aucapitaine H., Observations sur les moli. perforants. Negli Ann. d. se. natur., 4“® sèrie, 1854, p. 367-372. De Serres Marcel, Action exercée sur les roches 'par les mollusq. per- forants et moyens de disting. cette action des effets produits par les agents extér. Montpellier, 1854, in 4° di pag. 37, con 1 tav. colorata. De Serres Marcel, Note additionnelle au mémoire sur Vaction exercée sur les roches par les mollusques perforante. Montpellier, 1854, in 4° di pag. 4. Mémoire sur les mollusques perforante. Nei Naturk. Verhandlung. Maatsch. Haarlem, 1856 (con 3 tavole). Carainagna C., Sulla perforazione nel sasso del L i t h o d o m u s 1 i t li o- phagus Linn. Nel Bullett. malacologico ital., voi. Ili, 1870, n. 2, pag. 46-49. L’Autore sostiene che i litodomi consumino meccanicamente la roccia. Carazzi Davide, La perforazione delle roccie calcaree per opera dei datteri (Lithodomus dactylus). Negli Atti della Soc. Ligustica di se. natur. e geograf. Anno III, voi. Ili, 1892, pag. 279-297. Il Carazzi tende ad ammet- tere l’azione chimica per parte del mollusco. Vogt et Tung, Traité d'anatomie comparée pratique. Alla pag. 759 è stampato che presso i litodomi « le pied fort et court renferme des grains « de silice, qui jouent vraisemblement le rSle principal dans le percement « des pierres, oh ces acéphales aiment se loger r. A me sembra che, ammettendo pure la possibilità dell’azione chimica per parte di sostanza acida segregata dal mollusco, i grani di silice, che i flutti gettano nei fori dei litodomi, possano contribuire efEcacemente allo scavo dei fori nelle rocce calcaree, giacché, messi sotto il piede dell’animale e posti in contatto della superfìcie del foro, col movimento rotatorio dell’a- nimale stesso terehrano e scavano la roccia. E. MELI 34 mastro fosse inferiore alla torba, si avrebbe una sezione geologica analoga a quella, che si è osservata nello scavo del nuovo diver- sivo del Linea nellultimo tronco delle Paludi Pontine (') e vi sa- rebbe un riscontro ben marcato fra le sezioni delle due località, riscontro che darebbe luogo a considerazioni importanti per l’as- settamento topografico delle due località durante i tempi moderni. Ma, innanzi di correre, come oggi è abituale sistema di Uluno, ad azzardate conclusioni, che ulteriori e più serie osservazioni dimo- strano poi infondate, faccio punto, e le rimando a quando avrò mag- giori e più sicuri dati, fornitimi da altre osservazioni di fatto. In ultimo farò pure noto che sulla spiaggia di Foglino ven- gono spesso gettati dal mare ciottoli di focaia bianco-giallognola, gial lastra, o nera, pieni di Nummulitidi, le cui sezioni benissimo con- servate, si mostrano alla superficie del ciottolo. In un ciottoletto di piromaca nera ho notato sezioni bellissime di Alveolina, che sono le più abbondanti; poi di piccole Nummulites, di qualche Assilinct e di altre piccole foraminifere. Il rinvenimento di ciottoli nummulitici non è un fatto raio, nelle ghiaie della regione romana e sabina. Difatti, trovai un grosso ciottolo siliceo con vere Nummuliti, tra Monte Calvo e la diroc- cata chiesa dei Colori, presso l’ imbocco della via traversa di Poggio- Nativo in Sabina f). (!) Meli R., Sopra la natura geologica dei terreni rinvenuti nella fondazione del sifone ecc., nelle Paludi Pontine {Boll. d. Soc. Geol. ital, Voi. XIII, 1894, fase. 1°. Ved. pag. 50-51). (2) Meli E., Sulla zona di fori, lasciati dai litodomi pliocenici nella calcaria giurese di Para-Sabina. Nel Bollett. d. R. Comitato geologico, 1882, n. 5-6. (Ved. nota 1 a piedi della pag. 4 dell’estr.). Poiché ho citata questa mia nota, rettifico un’errore, in cui sono incorso. Nelle marne d’acqua dolce della fornace Eusebi presso Poggio-Mirteto, in- sieme ad alcune Helix rinvenutevi, ho pure citato un’esemplare ài Priamus helicoides (Brocc.) = Balia priamus Meuschen {Helix), che osservai presso il prof. Nardi nel Gabinetto di Storia naturale esistente nella Scuola tecnica di Poggio-Mirteto. Ma, dopo quella pubblicazione, essendo ritornato più volte in Sabina ed avendo nuovamente osservato l’esemplare in parola, invece di un Priamus, che è genere di molluschi marini, e che era fuori di posto nelle marne d’acqua dolce, vi riconobbi un’esemplare di Glandina, probabilmente della Gl. lunensis De Stef. Tale specie è citata dal Tuccimei, come rinvenuta dal dott. Nardi nelle marne della fornace Eusebi presso Poggio-Mirteto (Tuccimei G., Il Villafran- SULLA ESISTENZA DI STRATI DI TORBA ECO. 35 Però, la presenza, di questi ciottoli nummulitici si spiega bene in quella località, poiché nei dintorni di Poggio Nativo e TofiBa, secondo Verri, si ha in posto l’eocene nummulitico (’). Anche Verri raccolse ciottoli nummulitici nelle ghiaie dei tor- renti tra Orte e Passano (^) ed il Tittoni rinvenne parimenti ciot- toli di calcare nummulitico, sparso di minute nummuliti nelle ghiaie plioceniche, che indicano l’antico litorale alle radici dei monti Sabatini, tra Monterano e la Bandita, e nei colli della Sol- faraticchia del Sasso e di Griciano (®). Donde provengono i ciottoli di piromaca pieni di Nummulitidi, che sono gettati dal mare sulla spiaggia di Foglino? A questa domanda non so proprio cosa rispondere, giacché non conosco in posto strati nummulitici, affioranti in tutta quella regione littorale. Senza ricorre alla comoda ipotesi della scomparsa Tirrenide, parmi che più razionalmente ciò potrebbe far supporre che strati eocenici esistessero in qualche punto dei monti pontini, generalmente segnati come cretacei, e che da essi siano stati convogliati a mare i suddetti frammenti mediante i corsi d’acqua, alla stessa guisa dei chiana nelle valli sabine e i suoi fossili caratteristici. Boll. d. Soc. Geol. ital., Voi. Vili, 1889, pag. 113 n. 14 e pag. 126-127). È pure indicata dal De Stefani come rinvenuta a Poggio-Mirteto ; ma però, si raccolse nelle marne d’acqua dolce e non già negli strati interposti ai sedimenti marini. (De Ste- fani C., Molluschi continentali pliocenici d' Italia. Atti d. Soc. Tose, di se. natur. resid. in Pisa, 1876-84. Ved. pag. 115-116 e 147 dell’estr., tav. Ili, fig. 13). Alla pag. 169 (estr.) è indicata la specie come rinvenuta anche nella perforazione di S. Vittorino presso Perugia. (1) Verri A., Seguito delle note sui terreni terziari e quaternari del bacino del Tevere, stampato negli Atti d. Soc. di Se. natur. di Milano, voi. XXIII, 1880-81, pag. 282. Sulla presenza del nummulitico in posto presso TofBa vedansi però le osservazioni fatte al Verri dal Tuccimei nella sua me- moria: Sulla struttura e i terreni che formano la catena di Fara in Sa- bina. Nel Bollett. d. Soc. Geolog. ital., voi. II, 1883, pag. 37. (2) Verri A., I vulcani Cimini. Atti d. E. Accad. d. Lincei, 1879-80, serie 3^ Memoria d. Classe di se. fìs. mat. e natur., voi. Vili (ved. pag. 10 estratto); Sui tufi dei vulcani tirreni. Nel Boll. d. Soc. Geol. ital., voi. V, 1886 fase, 1°. (Ved. pag. 52). (f) Tittoni, T., La regione trachitica dell'Agro Sabatino e Gerite. Nel Boll. d. Soc. Geol. ital., voi. IV, 1885. Ved. pag. 354. 4 3G r. meli, sulla esistenza di strati di torba ecc. pezzi di calcare bianco, che, numerosi, troviamo interclusi nel tufo giallo della spiaggia di Foglino, e che per la facies della roccia sembrano provenire dal gruppo pontino. [30 aprile 1896]. SULLA ORIGINE DELLA COLLINA DI TORINO Risposta al dott. F. Sacco. Nota del dott. F. Virgilio. Una Nota del dott. Sacco dal titolo: Les rapiwrts géo-tec- toniques entre les Aìpes et les Apennins ('), portante la data del 5 febbraio 1895, per un ritardo avvenuto nella sua pubblicazione, non venne a mia conoscenza che il 30 settembre decorso. Soggetto principale di detta Nota è la ricerca del limite tra le Alpi e l’Appennino, una questióne che si dibatte da quasi 19 secoli tra geografi e geologi e che al giorno d oggi può dirsi an- cora insoluta. Ma nello esame che il Sacco fa delle relazioni geo- tectoniche tra le due catene montuose in parola egli viene in campo con un’altra questione di non minore importanza della prima, quella cioè riflettente il modo di formazione dei conglomerati oligo-mio- cenici della Collina di Torino, questione che implica l’origine della Collina stessa. L’Autore perciò discute l’ipotesi del Gastaldi (^) e la mia (3) relative a tale questione. E siccome egli cerca di com- battere questa mia ipotesi muovendo contro di essa parecchie obie- zioni e contrapponendo una sua ben diversa opinione, sento la ne- cessità di confutare le prime e ad un tempo le idee dell’ Autore in proposito. Con tale confutazione la mia ipotesi riuscirà più chiara, e perciò più adatta a spiegare in maniera convincente, e meglio di qualunque altra, tutti i fatti osservabili e costatati. (1) Bull. d. 1. Soc. Belge d. GéoL, d. Baléont. et dHydr., T. IX. Bru- xelles, 1895. . . . (2) Gastaldi B., Sugli elementi che compongono i conglomerati mioce- nici del Piemonte. MeiiR d. R. Acc. d. Se. d. Torino, ser. 2-., voi. XX, 1863. (3) Virgilio F., La Collina diTorino in rapporto alle Alpi, all' Appennino ed alla pianura del Po, Torino, 1895. F. VIRGILIO, SULLA ORIGINE DELLA COLLINA DI TORINO 37 Avendo poi trovato in parecchi punti di detta Nota del Sacco esposte asserzioni inesatte ed idee inammissibili, passerò in rivista tutti quei punti secondo il loro stesso ordine, soiferman donai con più ampia discussione ai paragrafi riflettenti la mia ipotesi e quella dell’Autore sulla origine della Collina di Torino. Nel maggio decorso io pubblicai una Nota suppletiva alla pri- ma mia Memoria a maggiore dilucidazione della ipotesi (') ; e credo, che se il Sacco avesse avuto comunicazione di essa prima di redigere la sua Nota avrebbe di molto ridotto le obiezioni. L’Autore comincia coll’ accennare alla origine della questione sul limite tra le Alpi e l’Appennino, alla sua importanza e neces- sità quindi di risolverla ed al punto di vista sotto cui considerarla. Dice della tendenza di molti geografi e di alcuni geologi a fissare tale limite alla depressione Savonese; e si dichiara convinto che la scelta, «■ sotto il punto di vista geologico ed orotectonico un po’ elevato e sintetico » , debba cadere invece sulla depressione Genovese 0 dei Giovi. Questa opinione non è nuova, inquantocbè oltre allo Scbau- bacb (“) ed al Leipoldt (^), che fissarono il limite in parola alla Bocchetta, tra Ponte Decimo e Voltaggio, da Neumann (“*) fino al De Stefani, vi furono altri geologi, che propugnarono la depres- sione del Passo dei Giovi quale limite incontestabile tra le Alpi e l’Appennino. Nella Relazione del Marinelli, sostenitore invece del Passo di Altare o di Gadibona, da me citata nelle precedenti note, il De Stefani figura col Franchi e col Suess tra i fautori del Passo di Gadibona (pag. 17), e ciò in conseguenza dei suoi lavori pubblicati anteriormente al 1892. Ma nella Memoria: Divisione delle mon- (1) Virgilio F., Argomenti in appoggio della nuova ipotesi sulla ori- gine della Collina di Torino. Atti d. R. Acc. d. Se. d. Torino, voi. XXX, 1895. (*) In Marinelli G., Sulla linea di divisione da adottarsi nell'insegna- mento tra le Alpi e gli Appennini. Atti d. primo Congr. Geogr. Ital., voi. II. P. II. Genova, 1892, Schaubacli,®Z)ie deutschen Alpen, Wien, 1845. P ediz. (3) In Marinelli G., Id. id. Leipoldt, Die mittlere Eòlie Europas, Plauen, 1874, pag. 47. (■*) In Marinelli G., Id. id. Neumann, Die Grenzen der Alpen. Zeitsclir. d. D. u. Oe. Alpenvereins, Wien, 1882, pag. 189. F. VIRGILIO 38 lagne italiane (‘) il De Stefani stesso si dichiara apertamente per il Passo dei Giovi, come risulta dal seguente paragrafo a pag. 168: li Per tutto r insieme delle circostanze delle quali deve tener conto la geografia, il limite fra le Alpi ed Appennini, giogaie di- versissime per costituzione geologica e per istruttura, può mettersi al Colle dell’Altare (436 m.), il colle più basso che sia in tutte queste due potenti giogaie dal Danubio all’ Istmo di Catanzaro. Geologicamente però il confine dovrebbe portarsi un poco più a le- vante, cioè al Passo dei Giovi, a NO di Genova; geologicamente infatti l’Appennino fra il Colle dei Giovi ed il Colle dell Altare non è che una ripetizione dell’Alpe Marittima « . Il Sacco, premessa la sua adesione per la depressione dei Giovi, procede a svolgere le ragioni, sulle quali crede di poggiare tale scelta. . . Dapprima, considerando egli geologicamente nel loro insieme le due catene montuose, dice potersi definire sinteticamente le Alpi come una » catena arcaica con coperture paleo e mesozoiche » e 1 Ap- pennino come una « catena mesozoica con coperture cenozoiche " . Dice poscia del modo come entrambe si sviluppano e dei loro rapporti reciproci. E qui cominciano le inesattezze. Infatti, dopo avere egli rilevato che la zona paleo-mesozoica (zona calcarea meridionale o interna) delle Alpi, che nella Venezia e nella Lombardia « circonda largamente la catena arcaica assiale " , che si riduce a scarsi lembi nel Biellese e che scompare^ nel Cana- vese, dice: “ de méme, la grande zone archaique principale dans la courbe des Alpes occidentales vient à disparaitre^ environ de moitié (la partie intérieure ou orientale) entre le Biellais et le débouché de la Vallee de Suse». Anzitutto in questo periodo non si comprende l’appellativo di <1 principale » che l’Autore assegna alla zona arcaica del Monte Rosa, a cui egli certamente allude, inquantochè tutte le Alpi occidentali estese dal Reno al Golfo di Genova constano essenzialmente di tre principali zone concentriche, due arcaiche, del Monte Bianco e del Monte Rosa, ed una paleo-mesozoica, del Brian9onnese, com- presa tra le prime due. In secondo luogo la zona del Monte Rosa non scompare nella (*) (*) Boll. d. Club Alpino Italiano, Torino, 1892. SULLA ORIGINE DELLA COLLINA DI TORINO 39 sua metà circa interna od orientale tra il Biellese e lo sbocco della Valle di Susa, ma solo da interna che essa è nella sua metà nord- orientale, dal Massiccio del Ticino al Massiccio del Gran Paradiso, diventa esterna dal Massiccio del Gran Paradiso al Massiccio Dora-Val Maira, col quale termina, pur mantenendosi sempre parallela e ad oriente della zona del Brian9onnese a costituire il lato interno dell’arco alpino. Il minore sviluppo in senso orizzontale che si verifica della grande ala orientale dell’ anticlin ale arcaico Dora-Val Maira relativamente allo sviluppo della sua ala occidentale non pirò fare ammettere, secondo il mio modo di vedere, la scomparsa in questo tratto della zona del Monte Rosa della sua metà circa orientale, sia ammettendo l’opinione dello Zaccagna(') del rovesciamento ad oriente di quell’ anticlinale, sia accettando l’ipotesi del Diener (2) dello sprofondamento della regione piemon- tese avvenuto in seguito alla più intensa fase di corrugamento al- pino verificatasi dopo l’eocene. D’altronde questo aspetto della metà meridionale di tutta la zona del Monte Rosa è una conseguenza del modo stesso come av- venne il corrugamento alpino alla estremità occidentale della ca- tena. Per tale fatto, come le tre zone più meridionali colle quali terminano ad occidente le Alpi Orientali, cioè la zona anfibolitica d’Ivrea, la zona della Valtellina e la zona calcarea meridionale, quella del Monte Rosa finisce obbliquamente a cuneo nella depres- sione piemontese. L’ammessione del Sacco dipende certamente dal suo precon- cetto che tutte le masse centrali del margine interno della catena alpina spettino ad una unica zona estesa dalla Liguria aH’Adamello fino a Gratz, e che non vi sia differenza alcuna tra le Alpi Occi- dentali e le Orientali. Nessuna delle tre grandi zone principali delle Alpi Occiden- dentali si prolunga nelle Orientali, perchè la zona del Monte Rosa termina contro il Massiccio di Adula alla Val Blegno, la zona del Brian9onnese al Reno citeriore e la zona del Monte Bianco si estin- gue contro la regione del fiysch del Pràttigau. Ed oltre a ciò, (1) Zaccagna D., Sulla geologia delle Alpi occidentali, Boll. d. R. Corri. Geol. d’Italia. Voi. XVIII, Roma, 1887. (2) Diener C., Ber Gebirgsbau der Westalpen, Wien, 1891. 40 F. VIRGILIO come le tre zone delle Alpi Occidentali formano arco colla conca- vità rivolta a sud-est, verso la pianura piemontese, del pan 1 estre- mità occidentale delle Alpi Orientali è disposta ad arco volto pure a sud-est, colle seguenti zone ; la calcarea meridionale meso-ceno- zoica che cinge dalla Sesia la pianura lombarda, 1’ arcaica della Valtellina da Biella, 1’ anfibolitica d’ Ivrea. 1’ arcaica del Bernina dal Massiccio della Mera, la mesozoica tra l’ Engadina e 1 Ortler, r arcaica di Silvretta dal Massiccio omonimo, e la triasica calca- rea settentrionale dal Sistema di Adula. Con quelle premesse, per dimostrare che 1’ accentuata curva- tura delle Alpi Occidentali intorno alla depressione piemontese è « sensibilmente meno brusca e rapida di quanto sembri risultare dal semplice esame della loro orografia » , il Sacco dice, che “ m realtà la zona arcaica * , certamente la zona del Monte Rosa, “ si estende sotto r attuale pianura del Po dall’ Eporediese al Braidese ed al Mon- regalese, si dirige poscia all’est, si affonda sotto i terreni oHgo- miocenici delle Langhe e si unisce alla zona arcaica del Massiccio Ligure tra Savona e Genova » . Nello stesso modo dice, che la zona calcarea meridionale delle Alpi Orientali « si sviluppa dall’ Epore- diese e dal Canavese verso sud, sorreggendo 1’ attuale Collina di Torino, si dirige poscia verso il Braidese collegandosi colla zona calcarea esterna monregalese, fasciando internamente la zona ar- caica da ovest ad est, inferiormente ai terreni oligo-miocenici del- l’Albigese e dell’Alto Monferrato e comparendo a Voltaggio per dirigersi nettamente a sud fino a Sestri Ponente e Genova " . Prima di passare allo esame dei fatti che l’Autore cita in appoggio di questi prolungamenti ipotetici, si può già osservare, che in tesi generale il concetto della individuazione tectonica di una zona in una catena di monti a pieghe, non risulta dalla sola natura rocciosa dei terreni che la costituiscono, nè dalla età geo- logica di questi, ma in special modo dall’ andamento delle pieghe del complesso di strati formanti la zona e più o meno estesi in direzione stessa della catena. Di tal modo se una zona rimane interrotta da una depressione o da un complesso di fratture, si potrà ammettere il suo prolungamento profondo solo nel caso che al di là dell’ area di interruzione esista un identico complesso di strati disposti a pieghe con andamento identico a quello delle pie- ghe del tratto di zona interrotta. SULLA ORIGINE DELLA COLLINA DI TORINO 41 In secondo luogo non è certo ammessibile in via generale, che le rocce costituenti i vari terreni di una catena montuosa debbano cessare al piede stesso di essa tutto lungo il margine di una pia- nura 0 di un mare, salvo che in casi di fatti palesi ed accertati. Per contro si ha ben ragione di ammettere il loro prolungamento più 0 meno profondo a distanze più o meno considerevoli dalla catena montuosa superficiale, pur ammettendo più o meno estese interruzioni dovute a fratture profonde o ad altre cause posteriori alla loro formazione. Nulla si oppone ad ammettere per esempio che i terreni più antichi delle nostre Alpi si prolunghino al disotto della pianura del Po, dell’ Appennino, del fondo dell’Adriatico, delle Alpi Dinariche, ecc. ; mentre d’altra parte nulla ci può auto- rizzare a considerare il massiccio arcaico della Sila in Calabria come la vera continuazione per prolungamento subtirrenico della zona arcaica alpina del Monte Posa. Ciò premesso, 1’ ammessione da parte del Sacco dei prolun- gamenti delle due zone del Monte Rosa e della calcarea meridio- nale delle Alpi Orientali non attenua per nulla la brusca e rapida curvatura delle Alpi Occidentali attorno alla depressione piemontese, inquantochè l’accentuato arco alpino deve esclusivamente conside- rarsi come formato solo dai vari terreni disposti a pieghe e costi- tuenti il rilievo positivo di tutto il tratto meridionale della catena alpina occidentale, ed in conseguenza rappresentato dalle diverse e ben caratterizzate zone montuose formate da quegli stessi terreni colle loro pieghe, prescindendo affatto da qualsiasi più o meno probabile loro prolungamento sotterraneo. La zona arcaica del Monte Rosa dalla direzione nord-est sud-ovest, che ha ancora nel Massic- cio del G-ran Paradiso, prende quella di nord-sud e poscia quella di nord-ovest sud-est nel Massiccio Dora-Val Maira e scompare nella pianura del Po a Borgo S. Dalmazzo, costituendo tutto il versante alpino italiano da Ivrea allo sbocco della Stura di Cuneo. E la zona paleo-mesozoica del Brian^onnese dalla direzione est-ovest che ha dal Passo di Nufenen fino a Sion nella Valle del Rodano, devia a sud-ovest da Sion a Moùtiers in Tarantasia, si dirige poscia da nord a sud da Moùtiers al Mont Chambeyron, di qui alla Cima Besimauda delle Alpi Marittime scorre in direzione nord-ovest sud-est e dopo di avere assunto da questo monte il netto andamento ovest-est scompare al littorale ligure tra Albenga e Savona. 42 F. TIKGILTO Questa accentuata curvatura perciò delle dette due zone al- pine non ha nulla a che fare nè può venire attenuata da un ipo- tetico loro prolungamento profondo nell’alta Valle del Po, e tanto meno dallo estendersi, del pari profondamente, della zona calcarea meridionale delle Alpi Orientali, che cessa di essere visibile nel Canavese. Un intimo rapporto tra quest’ ultima zona e quella che co- mincia a Voltaggio lo ammisi io pure nella mia prima Memoria sulla Collina di Torino (pag. 127), perchè, secondo il mio modo di vedere, fu una parte di quella zona calcarea meridionale alpina, che per lento scorrimento subacqueo costituì in origine 1 ossatura di tutto il vero Appennino. Il Sacco dice « sembrare inammissibile che una metà della grandiosa zona arcaica si aifonda ad un tratto a sud delle Piealpi hiellesi, eporediesi e canavesane, mentre che in generale il suo andamento visibile è nell’assieme abbastanza regolare » . Ma sono per l’appunto l’andamento regolare delle sue pieghe e la dispo- sizione di queste verso la pianura padana, che rendono evidente la disposizione stratigrafìca ed il comportarsi di detta zona tutto lungo il suo margine orientale, senza sprofondamento repentino di alcuna sua metà, come dissi precedentemente e come dimostrano le sezioni geologiche tracciate e descritte dal Baretti (Q per il Massiccio del Gran Paradiso e dallo Zaccagna (2) per il Massiccio Dora-Val Maira. L’ Autore passa poi ad accennare al alcuni dei fatti, ai quali egli crede di appoggiare « l’ipotetico sviluppo sotterraneo della ca- tena geologicamente definita come alpina Per dimostrare che « la parte interna od orientale della potente catena arcaica delle Alpi Occidentali, si trova sotto i depositi pliocenici e quaternari della Valle del Po ”, dapprima dice che « l’asse anticlinale di detta catena da centrale, che esso era in rapporto alla catena alpina nelle Alpi Venete e Lombarde, si avvicina leggermente alla pianura nelle Alpi Graie, fino a che nelle Cozie e nelle Marittime diventa ad un tratto eccentrico al punto di toccare sovente la regione subalpina * . In primo luogo 1' anticlinale arcaico, o per meglio dire gli anticli- nali arcaici, perchè in realtà sono più d’uno, delle Alpi Venete e (1) Baretti M., Geologia della 'provincia di Torino. Torino, 1893 (2) Zaccagna D., op. cit. SULLA ORIGINE DELLA COLLINA DI TORINO 43 Lombarde non hanno aiFatto nulla di comune coll’ anticlinale ar- caico orientale delle Alpi Graie e Cozie, per la semplice ragione che i primi appartengono a zone delle Alpi Orientali distinte ed indipendenti tra loro e dalla zona del Monte Eosa delle Alpi Oc- cidentali, e l’ultimo è formato appunto da questa zona col Mas- siccio del Gran Paradiso nelle Alpi Graie e col Massiccio Dora- Val Maira nelle Alpi Cozie. In secondo luogo il Massiccio arcaico del Mercantour, che fa parte integrante della zona del Monte Bianco, è pure del tutto indipendente dalla zona arcaica del Monte Rosa, dalla quale è nettamente separato colla potente zona del Brian9onnese ; e non sarebbe quindi neppure un anticlinale eccen- trico alla catena alpina come lo è quello invece del Massiccio Dora-Val Maira, In terzo luogo l’anticlinale delle Alpi Marittime ad est del Massiccio arcaico del Mercantour, anticlinale che si avvi- cina alla pianura del Po, non è neppure costituito di rocce arcai- che, ma completamente di terreni paleo-mesozoici, perchè è il pro- lungamento ininterrotto della zona paleo-mesozoica del Brian^onnese. Nè valgono infine a provare l’estendersi profondo della zona arcaica del Monte Rosa nella Valle del Po i protendimenti rocciosi del Musinè, di Piossasco, di Saluzzo e della Rocca di Cavour, ai quali in seguito l’Autore si appiglia, inquantochè essi non sono che le ultime propagini di terreni prepaleozoici emergenti dai terreni re- centi della pianura ed in diretta continuazione delle stesse masse rocciose in posto di tutto il gruppo Dora-Val Maira, vale a dire della zona arcaica del Monte Rosa, tranne quello della Rocca di Cavour, che è però separato di soli 5 km. dalle formazioni iden- tiche del corrispondente versante alpino. L’Autore poscia alla domanda: « perchè le Colline Alessandria- Casale-Torino dapprima dirette da est-sud-est ad ovest-nord-ovest per 60 km. da Pavone a Lavriano, cangiano d’un tratto di dire- zione tra Casalborgone e Chivasso assumendone una quasi ortogo- nale alla prima da Chivasso a Moncalieri ed elevandosi a più di 700 m. sul mare », risponde: « perchè le pieghe, dopo di essersi svi- luppate liberamente verso nord-ovest, urtarono profondamente contro le formazioni sepolte ed in continuazione delle Prealpi Biellesi ed Eporediesi, e furono da queste obbligate a cangiare rapidamente la direzione per assumere quella delle stesse Prealpi sotterranee, lungo le quali dovettero naturalmente allinearsi » . Ma anche qui vi 44 F. VIRGILIO è qualcosa da osservare. Infatti, dicendo che le Colline da Pavone a Casalborgone hanno una direzione est-sud-est ovest-nord-ovest e da Chivasso a Moncalieri una direzione quasi ortogonale alla prima, l’Autore certamente si riferisce alle direzioni dei vari anticlinaH collinosi che da oriente convergono verso Casalborgone per conti- nuarsi poi in un anticlinale unico da S. Raffaele per Superga a Moncalieri. In tal senso è precisa la generale^ direzione di^ tutto il gruppo di colline colla sua deviazione nelle vicinanze di Chivasso. Ma con tale premessa non è affatto giusta la prima parte della risposta, la quale afferma che le pieghe costituenti le stesse colline da Pavone a Chivasso si svilupparono da sud-est a nord-ovest, per la ragione che, essendo questa presso a poco la direzione degli anticlinali, le rispettive pieghe dovettero certamente svilupparsi in direzione normale, cioè o verso nord-est o verso sud-ovest all in- circa. Lo sviluppo verso nord-ovest potrebbe stare solo per la piega dell’unico anticlinale S. Reffaele-Moncalieri, perchè appunto la direzione di questo anticlinale è da nord-est a sud-ovest. Ed am- mettendo pure lo sviluppo di quelle pieghe verso nord-ovest, come dice l’Autore, ed accettando l’opinione che esse mffarono sotterra- neamente contro i protendimenti rocciosi delle Prealpi Biellesi ed Eporediesi, la deviazione nella direzione primitiva delle pieghe stesse doveva certamente avvenire in senso affatto contrario a quello attualmente visibile e perciò ammesso dall’Autore, vale a dire verso nord 0 nord-est. Infatti, se le rocce delle Prealpi Biellesi, Epore- diesi e Canavesane si sviluppano ancora oggidì profondamente « verso sud in modo da sostenere direttamente l’ attuale Collina di Tormo (considerata in un senso esteso) », come il Sacco afferma nella pagina precedente della sua Nota, l’ ostacolo, contro il quale urtarono le pieghe provenienti da sud-est, doveva avere la direzione nord-sud; ma in tal caso, per la più elementare composizione dei due mo- vimenti, quello cioè di propagazione delle pieghe e quello di rea- zione prodotta dall’ ostacolo, la direzione del moto composto o risultante, vale a dire la deviazione nella direzione di propapzione delle pieghe, doveva prodursi verso nord o nord-est, e mai verso sud 0 sud-ovest. Termina il paragrafo dicendo che, senza una tale ammessione, « quelle colline avrebbero dovuto avanzarsi ed allinearsi contro le regioni prealpine di Lanzo, come si verifica un fatto analogo e con SULLA. ORIGINE DELLA COLLINA DI TORINO 45 terreni terziari simili lungo le Prealpi Lombarde . Ma come ho di- mostrato prima, la disposizione attuale delle Colline è affatto con- traria all’ ammessione dell’ Autore, e risulta invece perfettamente spiegabile colla mia ipotesi dello scorrimento subacqueo dei mate- riali costitutivi durante il loro originarsi, come si vedrà meglio in seguito. Ed il fatto che si osserva lungo le Prealpi Lombarde fu pure da me spiegato colla medesima ipotesi a pagina 92 della mia prima Memoria sulla Collina di Torino. Porta poi come « conferma » della sua esposizione il « fenomeno abbastanza curioso ed interessante »> dell’ origine dei conglomerati oligo-miocenici delle colline stesse, mentre un tal fenomeno, come dirò più innanzi, riesce affatto contrario alla ipotesi dell’Autore e conferma invece pienamente la mia. Passa quindi a dire dei conglomerati oligo-miocenici costituenti in gran parte le Colline di Torino « (considerate in senso esteso) » e dei loro elementi rocciosi colle indicazioni delle regioni alpine ed appenniniche, dove attualmente s’ incontrano in posto le analoghe rocce e dalle quali abbiano potuto provenire i ciottoli ed i massi inglobati, e si arresta ad esaminare due delle ipotesi emesse per spiegare il modo come si originarono quei conglomerati, cioè l’ ipo- tesi del Gastaldi (^) e la mia. Ad una terza ipotesi, quella del Mazzuoli (-), da questi proposta dopo quella del Gastaldi e prima della mia, egli accenna in seguito, appunto perchè le sue idee su tale questione collimano in gran parte con quelle del Mazzuoli. Nell’ accennare però alla ipotesi del Gastaldi, che fu pure ac- cettata dal Baretti, il Sacco dice, che essa si collega coll’ azione glaciale, perchè suppone dei ghiacci galleggianti, che, staccandosi dai ghiacciai alpino-appenninici sboccanti nel mare, avrebbero sparso sul fondo di questo gli elementi ciottolosi che essi trasportavano. A vero dire il Gastaldi ricorse alle zattere di ghiaccio non per spiegare la deposizione sul fondo marino degli elementi ciottolosi costituenti i conglomerati, ma solo per spiegare la presenza in questi dei massi angolosi e dei pochi ciottoli striati creduti di ori- gine glaciale. (1) Gastaldi B., op. cit. (^) Mazzuoli L., Sul modo di formazione dei conglomerati miocenici dell' Appennino ligure. Boll. d. R. Com. Geol. d’Italia. Voi. XIX, Roma, 1888. 46 F. VIRGILIO E qui credo necessario riportare in nota testualmente le frasi dell’Autore (^), percliè il lettore possa meglio comprendere le risposte (1) Il Sacco COSI scrive: (I) (i) « Une autre hypothèse fut très récemment proposée par Virgilio qui admet que rentassement des matériaux caillouteux tombés et transportés par les fleuves sur les rivages de la mer miocémque padane le long des pentes alpines et apenniniques par son poids et par l’ inclinaison du fond marin, ait pu produire un mouvement de^ glisseraent en masse de tous les dépòts tertiaires éo-oligo-miocéniques depuis les Alpes et depuis les Apennins vers le centre du bassin du Pò, jusqu’ à ce que se produisit la ren- contre, sous les eaux marines, des conglomérats d’ origine alpine avec les con- glomérats d’ origine apenninique » . (II) “ Il en serait résulté une pénétration intime et réciproque des deux masses caillouteuses, le mélanp de leurs élé- ments lithologiques et enfin le plissement et l’émersion des collines de Turin ». (III)« L’ hypothèse de Gastaldi ne paraìt point acceptahle, parce qu’ elle se heurte contre les connées climatologiques de l’époque miocénique, contre les données paléontologiques, qui nous offi-ent les restes d’ une faune tropicale très riche, renfermée parmi les couches à calilo ux des collines de Turin, et enfin contre les données lithologiques, qui nous raontrent que, parmi les cail- loux des collines de Turin, les éléments de la chaìne alpine centrale sont relativement rares et ceux des Préalpes, au coutraire, sont ahondants, tandis que justement le contraire devrait se constater s’il était question d’une action o-laciaire, ainsi qu’on Pobserve dans les véritables dépòts morainiques qua- ternaires. En outre, cette hypothèse laisse encore tout à fait inexpliqués plu- sieurs faits de distribution regionale et stratigraphique des cailloux dans le Miocène piémontais ». , ^ • i uL’ hypothèse de Virgilio, application aux collines de lurin de i liy- pothèse émise en 1882 par Bombice! pour PApennin et appuyée par les re- cherches expérimentales de Eeyer, me semble moins admissible encore ». (IV) u En effet, avant tout, P on ne peut vraiment comprendere comment des en- tassements caillouteux auraient pu produire, sur une pente qui ne pouvait pas étre très forte, un glissement général, sur plusieurs dizaines de kilometres, de P énorme masse de terrains tertiaires occupant le fond de la grande vallèe padane ». (V) « Mais mème en admettant cela, il reste à expliquer P absence de cailloux dans les terrains miocéniques des collines du Tortonais, du Ca- salais, du Haut-Montferrat, des Langhes, etc., collines qui sont placees entre celles de Turin et PApennin, d’où devaient dériver les cailloux apenniniques des collines de Turin ». (VI) « L’on ne comprend pas comment aurait pu se faire la pénétration réciproque des masses caillouteuses provenant des Alpes avec celles provenant de PApennin, tandis que les couches constituant les ()) I numeri romani tra parentesi posti in testa ai vari periodi del Sacco qui riportati servono di richiamo alle corrispondenti mie risposte che se- guiranno. SULLA. ORIGINE DELLA COLLINA DI TORINO 47 che farò alle osservazioni da lui fatte riguardo alla mia ipotesi, nonché la confutazione delle sue asserzioni. collines de Turin présentent una re'gularité admirable, tant générale que ré- ciproque ». (VII) « Il reste inexplicable comment, tandis que les masses cail- louteases alpines étaient certaineraent plus puissantes et placées sur des pentes plus fortes que les masses apenniniques, le plissement qui donna origine aux collines, et qui aurait été causé par la rencontre et par la compression ré- ciproque de ces masses, se soit produit près des Alpes, et non près de l’Apennin, cornine cela aurait dù se produire dans cette hypothèse ». (Vili) « Il est dif- ficile d’expliquer cet énorme glissement général des terrains tertiaires des Alpes piémontaises vers le centre du bassin, tandis que ceux de la Lombardie, en des conditions très semblables, sont reste's au voisinage, je dirai mème, tout contro les Préalpes ». (IX) « Il semble difiicile d’expliquer Parrivée dans la région de Turin d’ éléments litbologiques de la région alpine comprise entre le Biellais et le Lac Majeur, tandis que les masses caillouteuses, glissant vers le sud, des Préalpes éporediaises, canavaises, etc., auraient dù s’ opposer à ce voyage vers le sud-est ». (X) « En admettant par contre, comme je le proposais déjà en 1889 (/ Colli Monregalesi, p. 23), le développement souterrain vers le sud et le sud- ouest de la zone archaique et paléo-mésozoìqne alpine, qui finit maintenant en apparence à la région préalpine comprise entre le Biellais et le Canavais, P explication des phénomènes sus-exposés devient facile. La région des collines actuelles de Turin devait se présenter, pendant le Miocène, comme une baie marine, fermée par une còte découpée, constituée de roches archaiques et paléo-mésozoi’ques, où se déposaient des formations sablonneuses, graveleuses et caillouteuses dont les éléments dérivaient très partiellement de Pérosion des cùtes, comme P a exposé en 1888 M. Mazzuoli, dans ses études « Sul modo di formazione ' dei conglomerati miocenici dell' Appennino ligure n-, mais il y a spécialement lieu de faire appel ici au transport impétueux des courants d’eau descendant des Alpes et des Préalpes de cette époque, particulièrement dans des périodes de débordement, ainsi que je Pexposais en 1889 (/ Colli Monregalesi, pag. 23-24. — Bacino terziario del Piemonte, p. 406)». u La présence des éléments apenniniques dans le Miocène des collines de Turin est aussi facile à expliquer par le fait que les formations apenni- niques s’avanfaient alors jusqu’à cette région, soit comme une zone d’ entou- rage duterrain archaique (comme on voit de nos jours entre Génes et Voltaggio) émergeant peut-étre en quelque point au sud des collines de Turin, soit comme la continuation occidentale de PApennin pavais-tortonais, qui devait se prolonger à cette époque jusqu’à la région turinoise, avec une sèrie de plis émergeant en partie de la mer, et par conséquent de facile dénudation. Il devait enfin se vérifier, pendant le Miocène, dans la partie occidentale du Golfe padan, la convergence des formations alpines avec les formations apen- niniques, d’où le mélange de leurs éléments litbologiques dans les terrains miocéniques des collines de Turin. Le fait bien connu que les cailloux apen- 48 F. VIRGILIO (I) (') Anzitutto faccio osservare l’errore in cui il Sacco è caduto nella interpretazione della mia ipotesi. EgU parla di un mo- vimento di scorrimento in massa di tutti i depositi terziari eo-oligo- miocenici, il quale certamente non avrebbe potuto prodursi che po- steriormente alla deposizione stessa di quei terreni, e quindi non prima della fine del miocene. Ma io non ho mai detto questo. A pagina 87 della mia Memoria è premesso, che albiniziarsi del periodo oligocenico, coll’epoca tongriana, cominciò altresì la terza fase di corrugamento alpino-appenninico, per cui l’ Appennino si co- stituì esso pure in catena montuosa, pur lasciando qualche comu- nicazione ancora tra l’Adriatico ed il Tirreno, e che si iniziò piire il trasporto al mare per opera dei torrenti scendenti dalle Alpi e dagli Appennini del materiale roccioso sotto forma di veri ciottoli fluviali alternato con ghiaie, sabbie ed argille, a seconda dei loro periodi di piene e di magre, ed inglobante piccoli e grossi massi a spigoli vivi, perchè provenienti solo dai tratti di spiaggia a rupi scoscese e ripide. A pagina 88 è chiaramente detto, che fin d al- lora cominciò pure il lento moto di scorrimento di quei matenali fini e grossi sul fondo marino dai littorali verso il largo,^ e che un tale scorrimento fu originato dal crescente accumulo dei mate- riali trasportati al mare dai torrenti, e quindi dal crescente loro peso complessivo, nonché dal contemporaneo aumento^ della pen- denza del fondo marino in vicinanza delle Alpi e dell’ Appennino, dovuto all’ accennato progressivo corragamento delle due catene montuose. In ultimo poi del paragrafo stesso è pm- detto, che lo scorrimento fu facilitato dalla potente massa poltigliosa delle ar- gille scagliose depositatesi prima, e si comunicò altresì agli strati calcarei eocenici, che si erano depositati del pari anteriormente ai primi conglomerati tongriani. ^ • j. j i Tutto ciò, parmi, è ben diverso dal come viene enunciato dal Sacco; ed una tale diversità è certamente della massima impor- mniques deviennent rares dans les terrains du MiocèRe moyen des collines de Turin, tandis qu’ ils sont sì communs dans férieur {aquitmien) de la mème région, dépend certainement de denudai et de r ensevelissement des reliefs voisins apenmniqnes pendant le coni, de l’époque miocénique ». (1) Veggasi la nota (1) a pag. 46. SULLA ORIGINE DELLA COLLINA DI TORINO 49 tanza, perchè implica la maggiore o minore verosimiglianza del fenomeno e può rendere l’ipotesi più o meno attendibile. (II) La conclusione quindi della penetrazione intima e reci- proca delle masse ciottolose, del mescolarsi dei loro elementi, del corrugamento e della emersione delle colline, a cui giunge l’Autore, risulta certamente inverosimile affatto, perchè la premessa relativa al fenomeno è del tutto erronea ed assolutamente contraria alle mie asserzioni. (Ili) È pure errata la spiegazione che il Sacco dà della ra- rità nelle Colline di Torino degli elementi di rocce centrali alpine relativamente aU’abhondanza di quelli delle rocce prealpine, per dire che l’ipotesi del Gastaldi urta pure contro i dati litologici dei conglomerati in questione. Infatti, siccome lo stesso Gastaldi (^) rilevò il fatto accennato senza spiegarlo, io, a pagina 49 della mia Memoria, dissi, che esso potrebbe spiegarsi colla minore ele- vazione di tutta la catena alpina durante il periodo miocenico, e quindi colla minore superficie scoperta di quelle rocce centrali più antiche, non atte perciò a dare un grande contingente di materiale di sfacelo, ed inoltre col fatto che in allora le vallate alpine do- vevano essere certamente meno incise nei terreni più profondi e centrali delle masse alpine. Ma questa spiegazione sta, bene inteso, non ammettendo i ghiacciai alpini miocenici estesi fino al mare, come supponeva invece il Gastaldi. Ora il Sacco dice, che ammessa col Gastaldi l’azione glaciale, avrebbe dovuto verificarsi il fenomeno affatto contrario nella provenienza degli elementi rocciosi, vale a dire abbondanza di quelli delle masse centrali e scarsità degli altri delle Prealpi. Ma neppure con questa ammessione avrebbe potuto succedere tutto ciò, perchè sarebbe stato impedito dagli stessi ghiac- ciai. Se il Gastaldi, gran conoscitore del fenomeno glaciale, non esitò a rilevare il fatto senza spiegarlo, devesi ben ammettere in lui la intuizione, che esso non costituiva un argomento contrario alla sua ipotesi dei ghiacciai miocenici estesi fino al mare. Infatti, s’ immagini l’attuale Valle del Po ricoperta dal mare esteso fino ai piedi delle Alpi e degli Appennini ed i ghiacciai alpini sboc- canti dalle rispettive vallate fino ad immergere le loro fronti nelle acque marine. Le aree rocciose libere dal ghiaccio e sporgenti dal- (*) (*) Gastaldi B., Op. cit., pag. 33. 50 F. VIRGILIO l’GnorniB mantello glaciale andrebbero certamente ciescendo dalle regioni centrali e più elevate della catena alpina \ erso le Prealpi, dagli alti circhi glaciali verso gli sbocchi delle singole vallate. In conseguenza di ciò il materiale morenico superficiale abbando- nato in mare dalle fronti dei ghiacciai o trasportato al largo da zattere di ghiaccio sarebbe costituito in preponderanza dal prodotto di sfacelo meteorico delle rocce più esterne della catena montuosa, perchè le più centrali si troverebbero in massima parte coperte e perciò protette dalle masse glaciali stesse. Un fatto identico av- viene pure per il morenico abbandonato dai ghiacciai alpini at- tuali, come si osserva del pari più accentuato nei veri depositi morenici quaternari, e quindi il contrario assolutamente di quanto asserisce il Sacco. I numerosissimi massi erratici dell’apparato gla- ciale della Dora Eiparia sono quasi tutti costituiti da serpentina, da eufotide, da gneiss centrale, da anfiboliti, rocce queste che for- mano i versanti della valle nell’ultimo suo tratto verso lo sbocco nella pianura, mentre sono rarissimi i massi di calcare e di quar- zite triasici, di arenarie carbonifere, di calcescisti e di gneiss re- centi prepaleozoici, che sono invece rocce sviluppate in tutto il resto della valle in alto. Nello stesso modo rari sono nelhappa- rato morenico della Dora Baltea gli elementi rocciosi provenienti dal protogino e dalle rocce giuraliasiche, triasiche e carbonifere del Monte Bianco, dal protogino di Valpellina, nonché dal gneiss centrale del Gran Paradiso. Ed eccomi ora a rispondere alle varie obiezioni che il Sacco muove contro la mia ipotesi. (IV) A questa prima osservazione ho già risposto in gran parte precedentemente (I), essendo essa la ripetizione della erronea inter- pretazione data alla mia ipotesi. Il moto di scorrimento cominciò coll’arrivo al mare dei materiali trasportati dai torrenti e pro- gredì di mano in mano che producevasi il loro accumulo sui lit- torali; si comunicò in seguito ai calcari eocenici; fu facilitato dalle slittanti argille scagliose e dalla crescente pendenza del fondo marino in prossimità delle spiagge alpina ed appenninica per i ini- ziatosi corrugamento posteocenico delle due catene montuose ; e con- tinuò nei depositi delle successive epoche oligo-mioceniche. Questo concetto è pure chiaramente esposto nella mia Nota suppletiva alla prima Memoria colla frase (pag. 7) : « Questa formazione ton- SULLA ORIGINE DELLA COLLINA DI TORINO 51 griana, di mano in mano che veniva accumulata dai torrenti al- pini ed appenninici, progrediva sul fondo marino per lento scor- rimento e si sviluppava in estensione » . Più che un movimento in massa era quindi una distensione in senso orizzontale del mate- riale littoraneo con scorrimento dei suoi elementi, assolutamente incoerenti, gli uni sugli altri. La stessa disposizione degli affiora- menti attuali delle varie formazioni oligo-mioceniche in tutto il bacino piemontese prova, secondo me, lo scorrimento successivo di esse le une sulle altre (pag. 11 della mia Nota suppletiva e se- zione IX annessa). Non si tratta perciò affatto di scorrimento ge- nerale dell’enorme massa di terreni terziari occupante il fondo della grande Valle padana. Riguardo alle pendenze del fondo marino in vicinanza delle Alpi e dell’Appennino all’aurora del miocene, nella stessa mia Nota suppletiva, tenuto conto delle pendenze attuali dei versanti padani alpino ed appenninico, del rapporto tra le pendenze attuali dei versanti padano e tirrenico e del modo come si compie il lavoro erosivo meteorico nelle regioni montuose, credo di avere anzitutto dimostrato : « Per le fatte considerazioni può ben ammettersi che dall’eo- cene al miocene il versante alpino avesse una pendenza di almeno 6° e forse anche maggiore, e quello appenninico una inclinazione di circa 3" ; e che tali pendenze fossero aumentate gradatamente di un certo valore relativo dal miocene al quaternario antico in se- guito al corrispondente corrugamento alpino-appenninico, per ri- tornare poscia agli attuali valori a causa della successiva erosione meteorica avvenuta dal quaternario antico al giorno d’oggi (pag. 15) » . Ed in questa stessa Nota (pagg. 19 e 20) io credo di avere ancora dimostrata la possibilità di scorrimenti di masse rocciose superficiali per chilometri e chilometri, specialmente in seno alle acque e ad elementi incoerenti, su basi inclinate di un valore an- golare piccolo, persino di 2® a 3°. D’altronde il Sacco, dicendo qui che la pendenza del fondo marino non poteva essere troppo forte, si contradice apertamente, perchè non ha tenuto presente un fatto importantissimo, che, de- dotto dalle stesse sue osservazioni, risulta affatto contrario a questa sua asserzione, mentre riesce a tutto vantaggio della mia ipotesi. Infatti, l’Autore nello studio di tutti i terreni terziari del bacino 5 F. VIRGILIO L’ Elveziano è formazione di basso fondo marino e vera lit- toranea (pag. 349). Nel Monregalese e nelle Colline Torinesi esso si presenta gbiaioso-ciottoloso nella parte inferiore 'e marnoso-sab- bioso nella parte superiore; e nelle Langbe, nell’Alto Monferrato, nel Tortonese e ad oriente delle Colline Torino-Valenza è specia - mente sviluppato 1’ Elveziano superiore (pag. 350). Ed ecco come si psesenta questo terreno nelle seguenti loca- lità daH’Autore stesso indicate. Nel Monregalese a destra della Corsaglia e lungo il torrente Monria l’ Elveziano inferiore è ciottoloso, ad elementi volumino- sissiL, talora a spigoli acuti (pagg. 358, 360). Al Eric Montegrosso presso Mombasiglio (Langbe), a Serravalle delle Langbe ed m moltissime altre località s' incontrano lenti ciottolose (pagg. 363, 365). Nelle colline di Mondovi anche 1’ Elveziano medio-superiore contiene ciottoloni voluminosissimi, non di rado a spigoli poco smussati, provenienti dalle vicine Alpi Marittime (pag. 36/). A Pasco sul Tanaro (Langbe), a Clavesana, a Eavigliano sulla de- stra del Tanaro (Langbe), a Dogliani (Langbe) ed m molti altri punti s’ incontrano ciottoli voluminosissimi ed angolosi (pagg. 369, 371, 372). Nei dintorni di Monforte (Langbe) si osservano depositi ciottolosi ad elementi assai voluminosi provenienti dalle Alpi Ma- rittime meridionali ed alcuni a spigoli poco arrotondati (pag. 3/4). Lungo la strada Diano-Alba (Langbe) s’ incontrano non di rado lenti ciottolose (pag. 376). A Vargo sulla destra della Scrwia (Tortonese) e presso Pecetto di Valenza vi sono pure lenti gbia- ioso-ciottolose (pagg. 384, 386). Presso Albugnano comincia la vera facies ciottolosa, cbe si estende ai colli Torinesi per Baldissero con una potenza di 1700 metri, ricca di fossili. Gli elementi sono talora voluminosissimi ed a spigoli poco smussati (pagg. 399, 400). Nei colli Torinesi i conglomerati coi ciottoli più voluminosi ( i oltre 30 metri cubi) sono sempre nell’ Elveziano inferiore e medio (pagg 403, 405). Qui i ciottoli sono “ essenzialmente di origine alpina, in massima parte serpentinosi ed eufotidici r ; e per il loro trasporto « pare più logico ammettere solo l’ azione di potenti cor- renti acquee » (pag. 406). Da S. Raffaele a Casalborgone il con- glomerato dell’ Elveziano medio-inferiore, come nelle Colline ioii- nesi e nel Monregalese, ba una potenza straordinaria ed e ad elemen i di origine alpina (pagg. 411, 412). La potenza aumenta da est ad SULLA ORIGINE DELLA COLLINA DI TORINO 55 ovest, verso le Alpi, « essendo specialmente di origine alpina gli elementi costituenti fino a raggiungere i 2500 metri (pag. 414). Ma oltre all’ Elveziano, anche il Tortoniano ed il Messiniano contengono conglomerati, come risulta pure dalle seguenti osser- vazioni del Sacco tolte dallo stesso suo lavoro. Il Tortoniano a nord di Montalto Bormida (Alto Monferrato) è in veri banchi ghiaioso-ciottolosi (pag. 427). A Vargo ed a Staz- zano sulla destra della Scrivia (Tortonese) i conglomerati tortoniani sono ad elementi considerevoli di rocce appenniniche e fossiliferi (pagg. 428, 429). Nei colli Torinesi, presso Moncucco, ad Avuglione ed a Marentino il Tortoniano medio ed inferiore è in lenti od in- terstrati ghiaiosi e ciottolosi, talora anche a grossi elementi (pagg. 436, 437). Il Messiniano si presenta con conglomerati ad elementi vo- luminosi provenienti dall’ Appennino e dalle Alpi Marittime a Briosa ed a S. Antonio sul Tanaro, a Morra, a Guarene, a Magliano, a Govone e tra il Belbo e la Bormida (Langhe), a Fontanile (Alto Monferrato), a S. Michele Bormida, a S. Stefano ed a Zerbe (pagg. 447, 450, 453-456). Nel Tortonese meridionale il conglo- merato raggiunge una grande potenza, talora di 100 metri circa (pag. 459). Nella parte nord-est delle colline Tortonesi ricompare il Messiniano colle solite zone ciottolose (pag. 460). Nelle Colline Torino-Valenza il Messiniano si presenta con grosse e potenti lenti ghiaioso-ciottolose perfino conglomeratiche ad elementi talora vo- luminosissimi tra Montecastello e Pecetto, al Bric Paradiso tra Valenza ed Alessandria, in Val Guascona ed a Trisolio (pagg. 461, 463, 464, 471, 472). Eiguardo infine a questo stesso terreno del Messiniano trovo in un altro lavoro del Sacco {V Appennino settentrionale') che esso, costituito di sabbie, di arenarie e di conglomerati ad ele- menti talora di mezzo metro di diametro (pag. 913), è tipico nella conca di Val Scrivia e molto sviluppato nel Tortonese, nel Vo- gherese e nel Pavese in facies spesso ghiaioso-ciottolosa (pag. 914). I ciottoli sono spesso traforati dalle litodome e talora costituiti di rocce di origine alpina (pag. 915). E conclude così a pag. 920: « È notevolissimo come i ciottoli messiniani siano talora rappre- (') Boll. d. Soc. geol. ital., voi. X, Roma, 1891. F. VIRGILIO 56 sentati da elementi alpini, come graniti, gneiss, porfidi, calcari e rocce verdi svariate, come osservasi benissimo per esempio nelle colline di Broni. Ciò indicherebbe che le formazioni messiniane in esame furono in parte depositate da correnti acquee provenienti dalle regioni alpine Dai qui raccolti dati relativi ai terreni esclusivamente mio- cenici dalle quattro epoche langhiana, elveziana, tortoniana e mes- siniana si possono dedurre le seguenti conclusioni: P Per il Langhiano una parte degli elementi delle scarse lenti conglomeratiche che s’ incontrano sulla linea Cocconato-Sciolze- Torino può benissimo essere pervenuta direttamente dalle Alpi Marittime, trovandosi questo medesimo terreno come deposito di basso fondo marino nelle Lunghe. 2^ I ciottoli miocenici dell’ Elveziano mancherebbero sol- tanto nell’Alto Monferrato e nel Casalese, mentre esistono abbon- dantissimamente, come si è visto secondo il Sacco stesso, dal piede delle Alpi Marittime fino ad Alba in tutta la regione compresa fra il Tanaro e la Bormida di Millesimo, vale a dire le Lunghe, nel Tortonese meridionale fin dove si estende 1 Elveziano a destra della Scrivia, e persino nella parte orientale delle Colline Tonno- Valenza, a Pecette. Ciò posto, essendo 1’ Elveziano inferiore emi- nentemente conglomeratico con massi a spigoli vivi, ed il ^ supe- riore specialmente marnoso-sabbioso, e per dippiù trovandosi solo quest’ultimo sviluppato nell’Alto Monferrato e nel Casalese, mentre il primo è grandemente predominante nel Monregalese, nelle Lunghe, e nelle vere Colline di Torino, questo fatto, dimostrato colle pre- cedenti osservazioni del Sacco stesso, più che una obiezione alla mia ipotesi, ne costituisce, secondo me, una vera e completa con- ferma. Infatti, ammesso che durante la prima metà dell’ epoca el- veziana per le straordinarie piogge le poderose fiumane alpine ed appenniniche trasportavano ed accumulavano sulle spiagge manne i ciottoli, ai quali si univano i massi rocciosi provenienti dallo sfacelo di tratti dirupati e scosceci del littorale stesso, tutto quel materiale per lento scorrimento subacqueo sull’ inclinato fondo ma- rino dovette estendersi fino a raggiungere la massima depressione di questo. La fossa marina, incontro dei due piani inclinati sub- acquei alpino ed appenninico, per la curvatura stessa di tutto il tratto montuoso Alpi Graie-Alpi Cozie-Alpi Marittime-Appennino Li- SULLA ORIGINE DELLA COLLINA DI TORINO 57 gare, doveva conispondere presso a poco alla linea curva Savigliano- Carignano-Moncalieri-Sciolze-Casalbergone, ecc.; e verso questa linea doveva convergere tutto il materiale abbandonato dai torrenti sul littorale esteso presso a poco da Arona per Biella, Ivrea, Pinerolo, Borgo S. Dalmazzo, Mondovì, Millesimo, Acqui fino a Tortona. Ciò premesso è evidente cbe dal tratto di spiaggia compreso tra Ivrea e Millesimo la quantità del materiale doveva risultare enorme- mente maggiore di quello proveniente dal littorale Millesimo-Tor- tona ; ed in conseguenza il materiale roccioso originario delle Alpi Marittime, già più abbondante di quello originario dell’ Appennino Ligure, dovette presto incontrarsi coll’ altro, più copioso ancora, proveniente dalle Alpi Cozie e dalle Graie. Per la qualcosa il primo materiale, in seguito all’ ostacolo dell’ ultimo, potè solo esten- dersi sul fondo marino senza abbandonare il piede delle Alpi Ma- rittime stesse, mentre il materiale delle Alpi Cozie e Graie, perchè dotato di maggiore velocità di scorrimento per maggiore inclina- zione del fondo marino da quel lato, raggiunse in massima parte la depressione marina. Del pari il materiale proveniente dall’ Ap- pennino Ligure, in minore quantità e per più ampia estensione libera del fondo marino, potè spingersi fin verso la fossa marina, abbandonando il piede appenninico ed in gran parte il corrispon- dente fondo marino stesso. Nella seconda metà poi dell’ epoca el- veziana tutta quell’ area subacquea fu occupata dal materiale mar- noso-sabbioso, che oggidì rappresenta l’ elveziano superiore dell’Alto Monferrato e della parte orientale delle Colline Torino-Valeuza. Nè può obiettarsi che i ciottoli provenienti dall’ Appennino Ligm’e avessero potuto incontrare 1’ ostacolo subacqueo del materiale pro- veniente dal littorale Ivrea-Biella-Arona, perchè, come risulta nella mia Memoria sulla Collina di Torino (pagg. 31 e 91), quest’ul- timo materiale invece di scorrere in direzione nord-sud, per la pendenza del corrispondente fondo marino, fu costretto ad esten- dersi in direzione nord-est sud-ovest. Le lenti ciottolose infine di Pecette di Valenza corrispondono a quelle di Vargo a destra della Scrivia, per cui una parte di quei ciottoli può ben essere perve- nuta dal tratto dell’ Appennino posto a destra della Scrivia. I ciottoli voluminosi ed i massi angolosi dei dintorni di Mon- forte perverrebbero, secondo il Sacco, dalle Alpi Marittime meri- dionali; e Manforte dista dal Mongioie più di 50 chilometri in F. VIRGILIO 58 linea retta. Ma Albiignano è lontano dal piede dell Appennino Li- gure poco più di 60 cMlometri e la Collina di Torino di 70 chi- lometri circa. Perchè dunque i ciottoli di queste ultime bcalità non possono essere pervenuti in minima parte dairAppennmo Li- gure, essendo in massima parte di origine alpina, come lo stesso Sacco afferma? _ _ . . Tutto ciò, credo, possa bastare riguardo ai ciottoli elveziam. 3^ Ciottoli miocenici del Tortoniano di origine appenninica s’ incontrano nell’Alto Monferrato e nel Tortonese meridionale come si è visto prima, e possono perciò avere i loro corrispondenti nei ciottoli di Moncucco, di Avuglione e di Marentino del versante sud-est dei Colli Torinesi. 4^ Infine conglomerati miocenici del Messiniano sono am- piamente sviluppati dal Tanaro alla Bormida, vale a dire nelle Langhe, nell’Alto Monferrato e nel Tortonese meridionale e nord- orientale, e sono ad elementi provenienti dalle Alpi Marittime e dall’ Appennino. A questi perciò possono corrispondere per la pro- venienza i conglomerati pure messiniani della parte orientale delle Colline Torino-Valenza. Ma v’ha di più ; questi conglomerati mes- siniani, oltre ad essere sviluppati nel Tortonese, si estendono altresì nel Vogherese e nel Pavese, e contengono talora elementi di origine alpina (colline di Broni), che il Sacco stesso dice^ trasportati colà da correnti acquee delle regioni alpine per più di 80 chriometn. Con più ragione dunque si può ammettere che dall’ Appennino altri ciottoli abbiano potuto raggiungere l’area attualmente occupata dalle Colline Torinesi. (VI) Farmi di avere chiaramente spiegato il mio concetto della miscela degli elementi conglomeratici alpini cogli appenninici nella mia Memoria sulla Collina di Torino. A pagina 89^ è detto, che r incontro subacqueo delle masse conglomeratiche alpine ed appen- niniche avvenne nell’epoca aquitaniana, e che il continuo affluire dei materiali dalle spiagge dovette produrre una intima compe- netrazione tra di loro delle masse ciottolose non ancora consolidate per cementazione, e quindi una miscela tra gli elementi ^ rocciosi alpini e quelli appenninici, con prevalenza però dei primi. A pa- gina 91 poi è del pari chiaramente esposto, che il corrupmento delle masse conglomeratiche della futura Collina non si iniziò che dopo il Messiniano, e quindi dopo 1 incontro e la miscela degli SULLA ORIGINE DELLA COLLINA DI TORINO 59 elementi alpini cogli appenninici. Questo mio concetto infine risulta anche sufficientemente spiegato nella mia Nota suppletiva a pa- gina 7 e colle sezioni ideali annessevi. Ed a pagina 8 è pure dichiarato che 1’ emersione dal mare della piega anticlinale della Collina cominciò nell’ epoca tortoniana. La regolarità ammirevole degli strati costituenti le Colline di Torino, come dice il Sacco, può quindi stare Lenissimo senza distruggere affatto la possibilità della miscela dei ciottoli, perchè questa avvenne anteriormente al corrugamento ed al consolidamento degli strati. (VII) Dal detto innanzi si può ben dedurre la causa per cui la piega ad anticlinale della Collina di Torino si originò più pros- sima alle Alpi che non all' Appennino ad onta della maggior po- tenza delle masse conglomeratiche alpine e della maggiore loro velocità di scorrimento per la più forte pendenza del fondo marino su cui scorrevano. L’area di massima depressione marina, derivante appunto dallo incontro dei due piani inclinati alpino ed appenninico, doveva trovarsi più vicina al littorale alpino per la più accentuata inclinazione del fondo marino corrispondente al prolungamento del versante alpino, come è indicato nelle varie sezioni ideali annesse alla mia Nota suppletiva. Per tale eccentricità della fossa marina e per la conseguente affluenza in essa di tutte le masse scorrenti provenienti dalla spiaggia alpina e da quella appenninica, la prima piega dovette originarsi appunto in corrispondenza della fossa stessa, perchè colà le masse scorrenti le une contro le altre generavano reciprocamente le spinte e le controspinte. Tale prima piega fu inoltre obbligata ad assumere col suo asse la curvatura della stessa massima depressione marina, vale a dire sud-nord, sud-ovest nord-est, ovest-est (pagina 91 della mia Memoria). Nè in origine essa potè svi- lupparsi verso nord-est piuttosto che verso sud-ovest, perchè dal Ton- griano all’Elveziano il fondo marino comspondente al tratto di spiag- gia alpina compreso tra Ivrea ed Arona aveva la linea di massima pendenza diretta da nord-est a sud-ovest, pendenza che diventò poscia diretta da ovest ad est dall’ Elveziano in poi (pagg. 90-91 della mia Memoria). La confluenza di tutte le masse rocciose scor- renti verso la maggiore depressione marina fu inoltre causa del- r accentuarsi colà della piega per maggiore intensità delle contro- spinte, dell’ iniziarsi l’ emersione dal mare dalla sua estremità sud-occidentale, e della sua finale maggiore elevazione sul mare F. VIRGILIO 60 relativamente agli altri tratti collinosi orientali. Tutte le altre pieghe poi che originarono le colline attualmente poste tra quelle Toiino- Valenza e l’Appennino si produssero successivamente per rigurgito nelle masse rocciose meno copiose e scorrenti con minore velocità su di una base meno inclinata dall’ Appennino verso la depressione marina, mentre per le ragioni contrarie non potettero generarsi delle pieghe tra la Collina di Torino e le Alpi nelle masse da queste provenienti. A prova infine di tutte queste mie ammessioni credo possa ancora servire una esperienza fatta dal Eeyer (^) sulla formazione di pieghe in seguito allo scorrimento di masse rocciose su di un piano inclinato, di cui la pendenza cangi d’un tratto il suo valore angolare. Col cortese consenso dell’Autore riporto qui le corrispon- denti figure. Fig. 1. Fig. 2. K Nella fig. 1 si vede, che nell’ area dove l’ inclinazione della base repentinamente cangia, si originò una piega in seguito allo spostamento per scorrimento, mentre l’area anteriore restò non disturbata ». . • j +■ « Nella fig. 2 si vedono originate delle pieghe in due punti con inclinazione decrescente, mentre 1 area intermedia è rimasta indisturbata ». _ , . L’area anteriore, cioè quella a sinistra della prima piega in (1) Eeyer Ed., Deformation uni Gebirgsbildung. I. Heft. Leipzig, 189 2, pagg. 44-45. Traduzione italiana di F. Virgilio, pag. 42. SULLA ORIGINE DELLA COLLINA DI TORINO 61 entrambe le figure, corrisponderebbe alla regione posta tra le Col- line Torino- Valenza e le Alpi. E se è possibile la formazione di pieghe in una massa scor- rente su di una base inclinata nei tratti di rapida diminuzione della pendenza, con più ragione si produrranno delle pieghe in masse scorrenti l’ una contro l’ altra su due piani concorrenti in corrispondenza della intersezione di questi. Alla domanda che il Sacco fa a pagina 37 della sua Nota sulla causa della curva che presentano le Colline di Torino colla convessità rivolta a nord-ovest e della massima loro attuale eleva- zione sul livello marino verso 1’ estremità occidentale, si può quindi ben rispondere cogli argomenti suesposti in una maniera, parmi, più logica e più convincente di quella adoperata dall’ Autore stesso coir ammettere come causa Y urto sotterraneo subito dalle pieghe collinose contro le ipotetiche formazioni profonde delle Prealpi Biellesi ed Eporediesi. (Vili) A questa obiezione del Sacco, senza tener conto della erronea ripetizione dell’ enorme scorrimento generale dei terreni ter- ziari dalle Alpi Piemontesi verso il centro del bacino, alla quale ho già sufficientemente risposto, basterà contrapporre il paragrafo della mia Memoria sulla Collina di Torino, che riporto qui com- pleto dalla pagina 92. « Il conglomerato tongriano, che è grandemente sviluppato lungo le Prealpi dal Lago Maggiore fino alla Brianza e costituito pure di rocce anfiboliche, sienitiche, dioritiche, granitiche, porfi- riche, serpentinose, nonché di calcare eocenico, forma dei banchi fortemente rialzati e pendenti a sud ed a sud-ovest, cioè verso il gruppo di Colline Torino-Valenza. Il fatto della presenza di tale formazione alle falde delle Prealpi Lombarde, come lungo l’Ap- pennino, mentre essa manca al piede alpino piemontese, può spie- garsi con un meno accentuato moto di scorrimento nelle masse ciottolose discendenti dalle Alpi Lombarde sia per minor pendenza della base di scorrimento, sia per le maggiori masse conglomeratiche, che, provenienti dalle estese Alpi Piemontesi e dall’ Appennino, af- fiuivano da ovest, da sud-ovest e da sud verso il mezzo del bacino. Per la qualcosa lo scorrimento di quei conglomerati lombardi servì quasi esclusivamente al loro sviluppo in senso orizzontale ». E questo fatto si verificò ancor più dall’ Elveziano in poi per 62 F. VIRGILIO il cambiamento che subì nella direzione la pendenza del fondo marino corrispondente al piede alpino da Ivrea fin oltre le Alpi di Lombardia, esistendo nel Comasco, secondo lo Spreafico ed il Tarameli!, il conglomerato miocenico costituito di elementi coiri- spondenti alle rocce della Valsesia e del Toce (pag. 91 della mia Memoria). (IX) Con tutto quello che esposi nella mia Memoria sulla Collina di Torino (pagg. 90-92), con quello che ho precedentemente qui riportato e cogli argomenti e coi fatti che vi ho aggiunto, credo di avere anche a sufficienza risposto a questa ultima obiezione del Sacco contro la mia ipotesi, e di avere altresi provato spiegabilis- simo l’arrivo nella regione Torinese dal Tongriano al Langhiano di elementi rocciosi della regione alpina compresa tra il Biellese ed il Lago Maggiore ; fatto questo che fu pure affermato dal Ba- retti (pagg. 31 e 91 della mia Memoria). Fin qui parmi di avere ampiamente confutato tutte le obie- zioni mosse dal Sacco contro la mia ipotesi sul modo di formazione dei conglomerati oligo-miocenici in discussione e sulla origine delle Colline Torino-Valenza. Cercherò ora di dimostrare l’assoluta inat- tendibilità della sua ipotesi, la quale, come dissi in precedenza e come lo stesso Autore conferma, è la medesima ipoted esposta dal Mazzuoli nel 1888. Però mentre il Mazzuoli ammette i conglomerati originati da erosione marina e meteorica su spiagge a balze e rupi scoscese in lento e continuato abbassamento col fondo marmo, il Sacco, oltre alla erosione delle spiagge e delle isole rocciose, ricorre alle impetuose correnti acquee. Ma avendo io nella mia Memoria sulla Collina di Torino sufficientemente confutato gli ar- gomenti addotti dal Mazzuoli a sostegno delle ^ sue idee, indicherò semplicemente i punti della mia Memoria relativi alla mia confu- tazione di mano in mano che discuterò le idee del Sacco. (X) Nella Memoria I Colli Monregalesi (0 il Sacco ammette, che nell’epoca elveziana, mentre « la regione rocciosa alpina attual- mente profonda si avanzava notevolissimamente verso le attuali formazioni elveziane delle Colline di Torino, le grandi correnti acquee discendenti dal grandioso gruppo montuoso delle Alpi Oc- cidentali poterono portare a mare elementi rocciosi grossolani e (ij Boll. d. Soc. Geol. Ital., voi. Vili. Eoma, 1889. SULLA. ORIGINE DELLA COLLINA DI TORINO 63 depositarli sia sulla spiaggiasia a qualche chilometro entro mare Dice che « i : ciottoli elveziani provengono specialmente dalle più vicine regioni montuose » , e che è “ erronea l’ipotesi del Gastaldi della derivazione dei massi delle Colline Torinesi in gran parte dal- l'Appennino Ligure >?, perchè « gli elementi' di calcare, alberese, di macigno, ecc. derivano da vaste regioni collinose ligùriane esistenti in. Piemonte durante l’Oligocene e parte del Miocene e che furono in parte erose e distratte ed in parte coperte dai depositi terziatì più giovani e dal quaternario » . E conclude col dire che « per spie- gare la deposizione dei banchi ciottolosi, anche a grossi elementi, bastano generalmente le grandi correnti acquee sboccanti di tratto in tratto impetuosamente in mare ». Col richiamo di questa sua ipotesi relativa specialmente al conglomerato elveziano e coll’appoggio invocato della ipotesi del Mazzuoli circa l’erosione delle spiagge rocciose, il quale Autore trattò del conglomerato tongriano, il Sacco fa logicamente dedurre che la sua ipotesi riflette la genesi non dei soli conglomerati mio- cenici, come realmente dice, ma di tutte le formazioni conglome- ratiche originatesi durante i due periodi dell’Oligocene e del Mio- cene, dal Tongriano al Messiniano. Ciò premesso e cominciando dal conglomerato tongriano leggo n'el Bacino Terziario del Piemonte del Sacco stesso (pag. 133) quanto segue : « in alcune regioni, come per esempio al Monte del Ratto » (a sud di Molare) « tra l’arenaria tongriana e la serpen- tina antica, veggonsi enormi frammenti brecciosi o ciottolosi che ci rappresentano il prodotto dell’azione flsico-meccanica delle onde tongriane contro le rocce che costituivano le scogliere o le sponde frastagliate del mare di quell’epoca ; infatti assieme ai grossi massi sovraccennati veggonsi spesso lenti di ciottolini discoidali, leviga- tissimi, luccicanti, che ricordano molto bene quelli delle attuali spiagge marine; fenomeni consimili osservansi pure attorno agli spuntoni serpentinosi di Eric Boccone, di Eric Marzapiede ecc. ». Tra Mondovì e Ceva, ad est della Valle del Tanaro e presso Ronzone il conglomerato tongriano è ad elementi ciottolosi enormi ed a frammenti brecciosi colossali (pagg. 150, 156, 171). Le falde appenniniche nei dintorni di Ronzone erano in allora sco- gliere littoranee (pag. 172). Conglomerato di potenza enorme si 64 F. VIRGILIO osserva a Lermo, a Mornese, a Voltaggio, a Rocchetta Ligure, ecc. (pag. 174). Nelle colline Tortonesi prevalgono elementi di calcare alberese, di macigno e di serpentine appenniniche (pag. 189). A Pavone e Pietramarazzi (Alessandria) vi sono ciottoli volumi- nosi e frammenti angolosi liguriani (pag. 194). Quasi m tutte le colline Torino- Valenza, Tortonesi, Pavesi, ecc. i ciottoli tongriani sono tratti da formazioni liguriane (pag. 195). Nelle colline di Lù (Alessandria) i ciottoli talora voluminosissimi sono di^ calcare al- berese, di arenaria liguriana ed in quantità notevolissima di gra- nito, specialmente rosso, di serpentina, di eufotide, di diorite, ecc. (pag. 196). In Val Grana s'incontrano enormi ciottoloni serpenti- nosi e granitici, e presso Camagna ciottoli di rocce alpine con ciot- toli di calcare alberese (pag. 197). Da Montalero e Rossingo (Valle della Stura) gli elementi voluminosissimi sono di serpentina, di granito, di sienite, di quarzite, di porfido, di eufotide, di diorite, ecc. (pag. 203). Da Villadeati a Penango in gran parte si trovano ele- menti liguriani di arenarie e di calcare alberese e di serpentina isolati come erranti (pag. 213). A nord di Cocconato-Marmorito il conglomerato è di grandissima potenza e ad elementi volumino- sissimi in gran parte di calcari e di arenarie liguriane e in parte maggiore di rocce cristalline alpine con abbondanza di fossili ma- rini (pag. 214). Nei dintorni di Gassino il conglomerato, potente di 1000 metri, è ad elementi di oltre un metro di diametro di calcari e di arenarie liguriane e di rocce cristaUine alpine (pagg. 220, 222). E termina col dire: « Alle falde delle Alpi Centrali esiste certamente una potente fascia di terreni tongriani come si è visto lungo le falde dell Ap- pennino Settentrionale, e come, a nord delle Alpi, si osserva in Svizzera; ma in Piemonte tale fascia tongriana subalpina è com- pletamente mascherata dai depositi terziari superiori e dal qua- ternario ; essa compare e si sviluppa abbastanza estesamente nella Lombardia e specialmente nel Veneto « (pag. 222). « Le placche entroappenniniche ci indicano chiaramente che neil’epoca tongriana il mare adriatico o padano collegavasi col mare Tirreno tra la Liguria ed il Piemonte " (pag. 223). Nell’altra sua Memoria poi Appennino Settentrionale egli rileva l’estensione grandissima del mare tongriano dalla zona del SULLA. ORIGINE DELLA COLLINA DI TORINO 65 corrispondente terreno lungo tutto il tratto S. Sebastiano Currone- Varzi-Bardi-Borgotaro (pag. 886). Kiassumendo, i limiti estremi della formazione tongriana di tutto il bacino terziario piemontese, rilevati dalla Carta geologica del Sacco stesso, passerebbero approssimativamente dalle seguenti località : S. Michele di Mondovì, Bagnasco, Altare, Griusvalla, Sas- sello, Fiaccone, Ronco Scrivia, Rocchetta Ligure, S. Sebastiano Cur- rone, Varzi, Bardi, Borgotaro (limite meridionale); Superga, Chi- vasso, Brusasco, Pontestura, Ottiglio, Pavone (limite settentrionale). Ed oltre a ciò il Sacco ammette non solo la continuazione di questo terreno in tutto l’ interno del bacino Asti- Alessandria al disotto di tutti gli altri terreni più giovani, ma altresì a nord delle Colline Torino-Valenza fino al piede delle Alpi Piemontesi. Dunque durante l’epoca tongriana il mare Adriatico doveva estendersi per tutta la vasta regione occupata attualmente dalle Colline Torino-Bassignana, per tutto il Monregalese, per le Langhe, per l’Alto Monferrato, per il Tortonese verso oriente per Bardi, Borgotaro, ecc., e spingersi agli attuali piedi dell’ Appennino Li- gure, delle Alpi Marittime, delle Cozie, delle Graie, delle Pen- nine, ecc. Comunicava infine col Tirreno per parecchi stretti e ca- nali, specialmente pel Savonese e pel Genovesato. Stabilito quindi tutto ciò e tenuto altresì conto della indi- scutibile origine prettamente marina di tutta la formazione ton- griana in discussione, la ipotesi del Sacco della erosione marina sulle spiagge rocciose e del trasporto impetuoso delle correnti acquee discendenti dalle Alpi e dall’ Appennino non può certamente rispondere alle seguenti domande: 1.^ In qual modo i ciottoli voluminosi ed i massi angolosi di calcare alberese, di macigno, di serpentina appenninica arri- varono nelle regioni delle attuali colline Tortonesi e Pavesi, a Pavone, a Lù, in Val Grana, a Penango, a Gassino ? 2^ Se tali elementi furono originati « da vaste regioni colli- nose liguriane esistenti in Piemonte durante l’Oligocene e parte del Miocene che furono in parte erose e distrutte dal mare stesso » , come poterono essi in massima parte essumere la pretta forma ciot- tolosa caratteristica dei ciottoli di fiume? 3^ Come si formarono ed a spese di chi gli stessi «■ conglo- merati liguriani cementatissimi e ad elementi appenninici ed al- 64 F. VIRGIUO osserva a Lermo, a Mornese, a Voltaggio, a Rocchetta Ligure, ecc. (pag. 174). Nelle colline Tortonesi prevalgono elementi di calcare alberese, di macigno e di serpentine appenniniche (pag. 189). A Pavone e Pietramarazzi (Alessandria) vi sono ciottoli volumi- nosi e frammenti angolosi liguriani (pag. 194). Quasi in tutte le colline Torino- Valenza, Tortonesi, Pavesi, ecc. i ciottoli tongriani sono tratti da formazioni liguriane (pag. 195). Nelle colline di Lù (Alessandria) i ciottoli talora voluminosissimi sono di^ calcare al- berese, di arenaria liguriana ed in quantità notevolissima di gra- nito, specialmente rosso, di serpentina, di eufotide, di diorite, ecc. (pag. 196). In Val Grana sincontrano enormi ciottoloni serpenti- nosi e granitici, e presso Camagna ciottoli di rocce alpine con ciot- toli di calcare alberese (pag. 197). Da Monlalero e Rossingo (Valle della Stm-a) gli elementi voluminosissimi sono di serpentina, di granito, di sienite, di quarzite, di porfido, di eufotide, di diorite, ecc. (pag. 203). Da Villadeati a Penango in gran parte si trovano ele- menti liguriani di arenarie e di calcare alberese e di serpentina isolati come erranti (pag. 213). A nord di Cocconato-Marmorito il conglomerato è di grandissima potenza e ad elementi volumino- sissimi in gran parte di calcari e di arenarie liguriane e in parte maggiore di rocce cristalline alpine con abbondanza di fossili ma- rini (pag. 214). Nei dintorni di Gassino il conglomerato, potente di 1000 metri, è ad elementi di oltre un metro di diametro di calcari e di arenarie liguriane e di rocce cristaRine alpine (pagg. 220, 222). E termina col dire: « Alle falde delle Alpi Centrali esiste certamente una potente fascia di terreni tongriani come si è visto lungo le faWe dell Ap- pennino Settentrionale, e come, a nord delle Alpi, si osserva in Svizzera; ma in Piemonte tale fascia tongriana subalpina è com- pletamente mascherata dai depositi terziari superiori e dal qua- ternario ; essa compare e si sviluppa abbastanza estesamente nella Lombardia e specialmente nel Veneto » (pag. 222).^ « Le placche entroappenniniche ci indicano chiaramente che nell’epoca tongriana il mare adriatico o padano collegavasi col mare Tirreno tra la Liguria ed il Piemonte * (pag. 223). Nell’altra sua Memoria poi m\Y Appennino Settentrionale egli rileva l’estensione grandissima del mare tongriano dalla zona del SULLA OR(GINE DELLA COLLINA DI TORINO 65 corrispondente terreno lungo tutto il tratto S. Sebastiano Currone- Varzi-Bardi-Borgotaro (pag. 886). Kiassumendo, i limiti estremi della formazione tongriana di tutto il bacino terziario piemontese, rilevati dalla Carta geologica del Sacco stesso, passerebbero approssimativamente dalle seguenti località : S. Michele di Mondovì, Bagnasco, Altare, Giusvalla, Sas- sella, Fiaccone, Konco Scrivia, Bocchetta Ligure, S. Sebastiano Bur- rone, Varzi, Bardi, Borgataro (limite meridionale); Superga, Chi- vasso, Brusasco, Pontestura, Ottiglio, Pavone (limite settentrionale). Ed oltre a ciò il Sacco ammette non solo la continuazione di questo terreno in tutto Tinterno del bacino Asti-Alessandria al disotto di tutti gii altri terreni più giovani, ma altresì a nord delle Colline Torino- Valenza fino al piede delle Alpi Piemontesi. Dunque durante l’epoca tongriana il mare Adriatico doveva estendersi per tutta la vasta regione occupata attualmente dalle Colline Torino-Bassignana, per tutto il Monregalese, per le Langhe, per l’Alto Monferrato, per il Tortonese verso oriente per Bardi, Borgotaro, ecc., e spingersi agli attuali piedi dell’Appennino Li- gure, delle Alpi Marittime, delle Cozie, delle Graie, delle Pen- nine, ecc. Comunicava infine col Tirreno per parecchi stretti e ca- nali, specialmente pel Savonese e pel Genovesato. Stabilito quindi tutto ciò e tenuto altresì conto della indi- scutibile origine prettamente marina di tutta la formazione ton- griana in discussione, la ipotesi del Sacco della erosione marina sulle spiagge rocciose e del trasporto impetuoso delle correnti acquee discendenti dalle Alpi e dall’ Appennino non può certamente rispondere alle seguenti domande: 1.®’ In qual modo i ciottoli voluminosi ed i massi angolosi di calcare alberese, di macigno, di serpentina appenninica arri- varono nelle regioni delle attuali colline Tortonesi e Pavesi, a Pavone, a Lù, in Val Grana, a Penango, a Gassino ? 2^ Se tali elementi furono originati « da vaste regioni colli- nose liguriane esistenti in Piemonte durante l’Oligocene e parte del Miocene che furono in parte erose e distrutte dal mare stesso » , come poterono essi in massima parte essumere la pretta forma ciot- tolosa caratteristica dei ciottoli di fiume? S®’ Come si formarono ed a spese di chi gli stessi « conglo- merati liguriani cementatissimi e ad elementi appenninici ed al- F. VIRGILIO 66 pini, delle Colline Torinesi e Tortonesi ? (Sacco, terziari del Piemonte, pag. 55). _ _ _ . . 4»- Come avvenne la deposizione dei ciottoli voluminosis- simi di rocce cristalline alpine nelle aree ora occupate dalle col- line di Lù, nella Val Grana, nella Valle della Stura, a nord di Cocconato-Marmorito, a Gassino, ecc.? 5^ In quale maniera i conglomerati tongriani poterono estenderei su tutto il vastissimo fondo marino dalla spiaggia ap- penninica al littorale alpino e raggiungere 1’ enorme potenza di 1000 metri nei dintorni di Gassino? 6^ Ammesso pure che i conglomerati tongriani si fossero formati a spese di protendimenti di rocce alpine ed appenniniche verso il centro del bacino marino, e che la loro estensione fosse avvenuta per retrocessione dei littorali rocciosi in seguito ad eio- sione marina, come poterono formarsi col medesimo processo e nel mezzo del bacino stesso i conglomerati delle epoche successive in genere e della elveziana in specie? Per spiegare la deposizione dei ciottoli di rocce alpine nel e colline di Lù e quella dei ciottoli di rocce appenniniche a Gas- sino bisognerebbe ammettere all’ aurora dell' epoca tongriana il piede delle Alpi esteso fino a Lù e quello dell’ Appennino fino a Gassino. Ma con tale ammessione il mare non poteva^ certo esi- stere in quelle regioni, trovandosi Lù di 15 chilometri più a sud di Gassino. D’altra parte, pur ammettendo l’ esistenza di canali marittimi, 1’ erosione marina sulle spiagge rocciose dirupate avrebbe dato origine a scogliere littoranee costituite da frammenti ango- losi con una minima quantità di ciottoli veri marini; ed i mate- riali trasportati ed abbandonati dai torrenti nel mare avrebbero assunto la forma e la struttura caratteristiche dei delta. Nè infine r indietreggiare per erosione dei littorali rocciosi unito alla e - tazione spiegherebbe la straordinaria potenza di 1000 metri per il conglomerato e di 2500 metri per tutto il complesso della for- mazione tongriana, come ammette il Sacco stesso, ma tutto al piu darebbe ragione della sua estensione in senso orizzontale. Questo fu il motivo, per cui il Mazzuoli ricorse alla ipotesi del contem- poraneo lento abbassamento tanto delle spiagge _ quanto del fondo marino; ipotesi che io confutai anche nella mia Memoria sulla Collina di Torino (pag. 52). SULIA ORIGINE DELLA. COLLINA DI TORINO 67 Dunque l’ ipotesi del Sacco non può in alcun modo spiegare la genesi dei potenti conglomerati tongriani. Ed ora dimostrerò che a più forte ragione essa risulta assolutamente negativa per la spiegazione del modo di formazione dei veri conglomerati mio- cenici, pur trascurando i depositi, anche marini, originatisi nel- r epoca aquitaniana, ultima dell’Oligocene, e nell’ epoca langhiana, prima del Miocene, che contengono del pari conglomerati ad ele- menti voluminosissimi ed enormi a Camino, a Brusasco, a Lavriano, a Castagneto, a Marmorito, ad ovest di Superga, ecc., con potenze complessive di 2000 metri il primo e di 1000 metri il secondo. Considero quindi dapprima l’ ipotesi relativamente alla formazione elveziana, la più importante in questo caso del periodo miocenico. Il Sacco dice, che durante il Miocene la regione delle attuali Colline di Torino era una baia marina, limitata a nord e ad ovest da coste frastagliate costituite di rocce arcaiche e paleo-mesozoiche come protendimenti di quelle comprese ora tra il Biellese ed il Canavese, ed a sud da tutte le formazioni appenniniche estese fino al Tortonese ed al Pavese e convergenti ad occidente colle for- mazioni alpine suaccennate. E mentre il mare compiva la sua azione erosiva su quelle spiagge, i torrenti alpini e prealpini vi portavano elementi rocciosi grossolani, depositandoli sia sulle sia a qualche chilometro entro mare. Si vegga ora se con questa premessa è possibile spiegare il carattere essenzialmente marino della formazione elveziana, la sua estensione, la sua potenza, nonché la natura rocciosa, la forma e le dimensioni dei suoi stessi elementi, come risultano dalle mede- sime osservazioni del Sacco da me riportate a pag. 54. Se 1 Appennino convergeva colle Alpi nella regione delle at- tuali Colline di Torino non potevano certamente essere depositati in mare i ciottoli voluminosissimi con massi enormi angolosi pro- venienti dalle Alpi Marittime nel Monregalese, a destra della Cor- saglia, presso Mombasiglio, a Serravalle delle Langhe, a Pasco sul Tanaro, a Clavesana, a Favigliano, a Dogliani e nei dintorni di Monforte, località poste dai 60 agli 80 chilometri più al sud. Se gli elementi rocciosi arrotondati ed angolosi, piccoli e co- lossali provenienti dalle Alpi Cozie, dalle Graie e dalle Pennine si trovano abbondantemente a cominciare da Albugnano e da Bal- dissero, con una potenza complessiva del conglomerato qui di ben 6 F. VIRGILIO 68 1700 metri, e commisti a numerosissimi fossili marini, potenza, che da S. Raffaele a Casalborgone e nella Collina di Torino di- venta straordinaria, raggiungendo essa i 2500 metri, bisognerebbe ammettere, che le rocce arcaiche e paleo-mesozoiche fossero in al- lora estese almeno fino ad Albugnano. Ma trovandosi altresì ciot- toli delle formazioni appenniniche sul versante padano della Col- lina di Torino, per la stessa ragione queste formazioni dovevano spingersi fin là come terre emerse. Ed in tal caso dove esisteva il mare, trovandosi Albugnano Ì5 chilometri più a sud di Chi- vasso? D’altra parte, se le formazioni arcaiche e paleo-mesozoiche alpine avessero costituito la spiaggia marina solo in corrispondenza dell’ attuale corso del Po, chi ed in qual modo avrebbe potuto tra- sportare i loro frammenti sul fondo marino per una quindicina di chilometri fino al punto in cui trovasi oggidì Albugnano ? Di certo non i torrenti sboccanti in mare. È affatto erronea l’ asserzione del Sacco, che gli elementi rocciosi grossolani portati da un torrente in mare possano da quello stesso essere depositati a qualche chi- lometro dalla spiaggia sul fondo marino, per la semplice ragione che il torrente o fiume alla sua foce perde completamente la forza di trasporto e vi abbandona immediatamente tutto il materiale trasportato. Nè il mare stesso può col moto ondoso o con quello delle correnti allontanare quei materiali grossolani dalla spiaggia, come io dimostrai nella mia Memoria sulla Collina di Torino (pag. 58). Del pari, se il littorale meridionale fosse stato invece in cor- rispondenza dello attuale piede delle Alpi Marittime e dell’Ap- pennino Ligure fino a Tortona, chi ed in qual modo avrebbe po- tuto trasportare e depositare sul fondo marino gli elementi rocciosi voluminosi delle Alpi Marittime per una quarantina di chilometri da Mondovì o da Millesimo fino ad Alba e quelli appenninici per una ventina di chilometri da Tortona a Valenza? E ciò senza nep- pure tener conto tanto degli elementi rocciosi alpini ed appenni- nici esistenti indubbiamente in tutto il bacino Asti-Alessandria sottostanti agli altri terreni più giovani dell’ Elveziano, quanto di quelli appenninici che s’ incontrano nella Collina di Torino. Oltre a ciò la convergenza dell’ Appennino colla catena alpina durante 1’ epoca elveziana nella regione attualmente occupata dalla SULLA ORIGINE DELLA COLLINA DI TORINO 69 Collina di Torino non può certo nemmeno spiegare la grande esten- sione del mare tongriano, ammessa dal Sacco stesso, e l’ enorme sviluppo orizzontalmente e verticalmente della potente formazione tongriana in unione colle successive aquitaniana e langhiana. La minore quantità dei ciottoli appenninici nell' Elveziano delle Colline di Torino in rapporto a quelli pure appenninici che s’incontrano nell’Aquitaniano della medesima regione può spiegarsi benissimo colla diminuita quantità di materiale roccioso appenni- nico trasportato dai torrenti durante 1’ epoca elveziana relativamente a quello trasportato durante l’ aquitaniana. E questo in seguito all’ enorme e continuato sfacelo, a cui andarono soggette le rocce superficiali appenniniche dall’ epoca tongriana alla elveziana mentre non avevano quelle rocce ancora subito il corrugamento della fase mio-pliocenica. Riguardo ai conglomerati tortoniani che s’ incontrano presso Montaldo Bormida, a Vargo, presso Serravalle Seri via e nei Colli Torinesi ad Avuglione ed a Marentino si possono ripetere le me- desime obiezioni fatte per gli elveziani. Ed in ultimo lo stesso può dirsi ancora dei conglomerati messiniani che da S. Antonio sul Tanaro e Morra si estendono a Guarene, a Magliano, a Govone, a Fontanile, tra il Lemmo e la Scrivia, nel Tortonese, nel Vogherese, nel Pavese, nonché nelle Colline Torino-Valenza tra Montecastello e Valenza, tra Valenza ed Alessandria, in Val Guascona e tra S. Salvatore e Cuccare. Per spiegare infine la presenza dei ciottoli messiniani di rocce alpine nelle colline di Broni colla ipotesi del Sacco bisognerebbe altresì ammettere durante tale epoca il piede della catena alpina esteso fin là come spiaggia rocciosa dirupata. Credo di avere esuberantemente dimostrata l’ assoluta insufB- cienza della ipotesi del Sacco a spiegare tutti i fatti risultanti dalle sue stesse osservazioni e ad un tempo rilevato le palesi con- tradizioni tra le sue ammessioni ed i fatti stessi. Per contro, dalla confutazione fatta a quella ipotesi e dagli argomenti ad essa con- trapposti, la mia ipotesi dello scorrimento lentissimo sul fondo mai ino per effetto della gravità dei materiali rocciosi provenienti dal trasporto delle correnti acquee e dalla erosione marina sulle spiagge risulta, parmi, del tutto convincente. Questa ipotesi, che ho ampiamente sviluppato nelle mie due pubblicazioni anteriori, 70 F. VIRGILIO, SULLA ORIGINE DELLA COLLINA DI TORINO riesce a dar ragione con facilità e chiarezza di tutti i fatti osser- vati e costatati, e meglio di ogni altra ipotesi finora emessa. Ben altre osservazioni si potrebbero ancora fare agli ulteriori concetti espressi dal Sacco nella Nota in discussione riguardo alla tectonica alpino-appenninica, all’ andamento ed ai rapporti delle diverse zone rocciose delle Alpi tanto tra di loro e coll Appennino quanto con altri sistemi montuosi d’ Europa, d’Asia e d Africa, ed in ultimo riguardo alla carta schematica geo-tectonica annessa alla Nota Ma non voglio ampliare i limiti della presente risposta, al- terandone lo scopo, e faccio punto. [2 maggio 1896]. SULL’ ORIGINE DEL FELSPATO NELLE LEUCITITI LAZIALI Nota dell’ ing. Venturino Sabatini. Le leucititi laziali molte volte sembrano prive di felspato. Altre volte però questo elemento vi apparisce, sia allo stato d’im- pregnazioni nel magma, sia sotto forme di masse irregolari, ora piccole e rare, ora più grandi e più o meno abondanti. Il fatto che moltissime piccole leuciti sono incluse nel felspato, sicché, in certi punti, questo sembra far da cemento a quelle, colpisce a pri- ma vista ed era stato notato da altri | ma attribuito ad inclusioni di cristalli del primo tempo, avvenute prima che avessero potuto pren- dere il maggiore sviluppo degli altri cristalli non avviluppati. Questo felspato quindi, malgrado l’assenza di forme proprie, fu messo nel primo tempo, quantunque rilegato alla fine di esso. A questa ipotesi ho dovuto subito oppormi, dopo lo studio di oltre trecento preparazioni di lave laziali. Difatti era troppo frequente il caso di vedere il felspato intimamente unito agli ele- menti di seconda consolidazione. Lasciando da parte le piccole leu- citi, per le quali è molto difficile separare quelle dei due tempi, noterò che i microliti di pirossene spesso gremiscono tanto il fel- spato, da risultarne un vero impasto dei due elementi. Non poteva quindi trattarsi di felspato di prima consolidazione. D’ altro lato 1 as- senza di forme microlitiche permetteva di porre in dubbio che si trat- V. SABATINI, sull’origine DEL FELSPATO NELLE LEUCITITI LAZIALI 71 tasse invece di un elemento del secondo tempo. Si sa difatti che, se la sanidina presenta qualche volta plaghe irregolari nel secondo tem- po delle roccie microlitiche, i felspati basici vi sono ordinariamente allungati nella zona e nelle leucititi laziali il felspato è a volte acido, a volte basico. Frattanto la determinazione dell’ età di questo felspato s’imponeva, perchè se doveva passare nel secondo tempo, il nome della roccia doveva mutarsi da leucitite in leuco- tefrite. Ma quando giunsi a studiare le lave della Valle dei Ladroni e di G-rottaferrata, trovai che, in certi punti, tra le leuciti vi erano dei gruppi che, malgrado le loro forme globulari e le inclusioni ca- ratteristiche a corona, polarizzavano nel modo dei felspati. L’estin- zione in ogni gruppo era unica o leggermente ondulata nell’in- sieme del gruppo. In altri punti v’era di più : anche gli interstizi tra le leuciti del gruppo erano trasformati. Ne nascevano così delle plaghe uniche, per cui i contorni delle leuciti sparivano compieta- mente tra’ nicol incrociati. In questi casi, certe volte erano apparse le sfaldature o le geminazioni, semplici o multiple, e tutte si con- tinuavano senza interruzione da una leucite all’altra, attraverso gl’interstizi. Questo prodotto d’alterazione era inattaccabile con gli acidi e biasse in luce convergente. Rifrangenza e birifrangenza erano quelle del felspato. Le sezioni normali alle bisettrici, con le loro estinzioni, hanno mostrato trattarsi di un tipo variabile dall’ albite- oligoclasia all’ oligoclasia-andesina. Constatato così che trattavasi d’un prodotto secondario do- vuto all’alterazione della leucite, ripresi tutte le altre leucititi la- ziali ove avevo trovato il felspato, e, per quanto non sempre ugual- mente evidenti, ritrovai qua e là tanti indizi d’un’ eguale trasfor- mazione, da poter concludere che quell’elemento era sempre d’ori- gine secondaria. Però la sua determinazione seguitò a variare. Nella lava che dai Campi d’ Annibaie, tra Rocca di Papa e monte Pila, precipita nella Val Molara sottostante, una delle roccie ove il fel- spato è più abondante e in plaghe più estese, esso varia da’ pressi del labrador a quelli della bytownite e dell’anortite. Trovasi dun- que in queste roccie tutta la serie de’ felspati calco-sodici. Perfino il fatto notissimo della zonatura dei felspati di primaria formazione, si ritrova qui, col felspato più basico all’interno, avviluppato da 72 T. SABATINI UD orlo più acido, fatto che si spiega colla variabilità già accen- nata di questo elemento, ma che non di meno aveva contribuito a sviarmi sul principio. La trasformazione della leucite in sanidina e nefelina era già nota. La formola della prima si sdoppia in quelle delle altre due. Io non ho potuto constatare mai la sanidina, ma la nefelina si, in molti casi, sebbene pare dubbio che tutta la nefelina sia dovuta a tale alterazione (^). Anche la trasformazione in albite era nota ed attribuita non ad una modificazione molecolare della leu- cite, ma a circolazione di acque sodiche. Nelle leuciti ti laziali è probabile che per circolazione di acque sodico-calcicbe si sia avuto il fenomano più completo. Ammettendo tale ipotesi, tre casi potevano darsi: o l’altera- zione avveniva per sostituzione di elementi all arrivo delle acque mineralizzate sulle leuciti, e queste si trasformavano in globuli di felspato, in posto \ ovvero la materia felspatica che ne^ derivava, si espandeva anche all’ esterno delle antiche leuciti, negli spazi tra runa e l’altra, e si aveva quindi una ricristallizzazione in massa fuori e dentro con produzione di plaghe uniformi; ovvero la ma- teria felspatica andava altrove ad avviluppare leuciti intatte e ap- parivano nel felspato le inclusioni di leucite già segnalate da altri. In quest’ultimo caso quindi più che d’ inclusioni si trattava di una vera cementazione. Avendo fatte vedere al mio amico e collega ing. Viola, di cui gli ultimi bellissimi lavori hanno dimostrata tutta la compe- tenza, le preparazioni su cui si basano i precedenti risultati, egli li ha egualmente constatati in alcune roccie degli Ernici. (^) Però nello spiegare l’alterazione descritta, il Viola, anzi che a circola- zione di acque calco-sodiche, crede ad una alterazione in posto. Le inclusioni di pirossene nelle leuciti avrebbero dato la calce e la soda, visto che in generale i pirosseni di queste roccie sono più 0 meno colorati e quindi più o meno sodici. Del resto altra soda (1) È nota anche la trasformazione in zeoliti. Io l’ho trovata sopratutto nei tufi della regione. _ c cj. r (2) Leucititi di Morolo e basalti leucitici di Giuliano, Villa b. btetano, Patrica, Morolo e Gallarne (piccole e grandi leuciti trasformate). Leucotefnti di Ticchiena e leucohasaniti o leucotefriti con olivina di S. Francesco plesso Ceccano e di Pofi (grandi leuciti trasformate). sull’ origine del felspato nelle leucititi laziali 73 si trova nelle stesse leuciti. In appoggio deH’ipotesi deH’ing. Viola citerò il fatto che in certe leuciti parzialmente trasformate le in- clusioni simmetriche di pirossene sono sparite nelle parti alterate, mentre sussistono nelle parti intatte, e 1’ altro fatto che spesso, ove le leuciti sono più ricche in inclusioni di pirossene, ivi si sono avuti i felspati più basici. Le alterazioni degl’interstizi sarebbero egualmente dovute ad alterazioni di leuciti estremamente piccole, che sono disseminate nel magma, ma che sfuggono al microscopio. Con questo modo di vedere si spiegherebbe la variabilità della natura del felspato da punto a punto. rinalmente dirò due parole sul modo come procede l’alte- razione in ogni singola leucite. Anche qui sono da considerarsi tre casi. La trasformazione può avvenire da un lato del cristallo, verso l’esterno, così che una parte mostrasi polarizzante al modo del felspato, e l’altra quasi isotropa o con le solite anomalie. Certe volte l’alterazione è più estesa fino ad avere il nucleo intatto e l’orlo interamente trasformato. In un secondo caso la trasformazione avviene per punti, in tutto il cristallo, che così mostrasi gremito di punti polarizzanti, separati da punti estinti. Si ha allora l’illu- sione delle spugne di quarzo globulare nei porfidi e nelle rioliti. Ma il terzo caso è il più frequente e il più caratteristico. Sono le lamelle anomali della leucite che cominciano a polarizzare più vivamente, fino a raggiungere la birifrangenza del felspato. Così una serie di lamelle anomali della prima si trasforma in lamelle emitropi del secondo. Certe volte anche una seconda serie di la- melle anomali si trasforma ed incrocia la prima. Nascono così le geminazioni dell’albite e del periclino. Le leuciti più vecchie, che sono generalmente le più grandi, hanno sulla luce polarizzata un’azione maggiore delle più piccole, che sono generalmente le più giovani. Non sarebbe questo fatto dovuto ad un principio d’alterazione nelle prime, o ad un’altera- zione più spinta? Concludendo le leucititi laziali, al pari di tutte quelle studiate finora negli Brnici, erano in origine roccie molto basiche, senza fel- spato. Tutto quello che certe volte vi apparisce è dovuto ad azioni secondarie. E questa è una delle più importanti conclusioni a cui finora si è arrivato nello studio delle roccie eruttive della provin- cia romana. 74 V. SABATINI, sull’origine DEL FELSPATO NELLE LEUCITITI LAZIALI Bibliografìa: Sauer. Z. d. d. geol. Gesellsch. XXX\ ni, 441, 1885. Kunz. Amer. Journal of Science, XXXI, 74, 1886. ~ Williams Fr. Annual Re'port of Arkansas, 1891. — Hussak. N. Jahrb, II, 151, 1892. Lacroix A. Les enclaves des roches volcaniques, 457, 1893. — Michel-Lévy et A. La- croix. Bull. Carte géol. de France, n. 45, VII, 1895. [20 marzo 1896]. MOLLUSCHI POSSILI RECENTEMENTE ESTRATTI DAL GIACIMENTO CLASSICO DEL MONTE MARIO PRESSO ROMA. Nota del prof. Romolo Meli. Continuando sempre le mie ricerche sul Monte Mario, in par- ticolare sulle sabbie marnose grigie e sulle sabbie gialle, imme- diatamente sovrastanti alle prime, nella nuova cava, fatta aprire da me e dall’ amico cav. Zuccari fin dal 1894, dietro il monte della Farnesina (lato nord-ovest), mi trovo in possesso di copioso materiale fossilifero, che vengo poco alla volta studiando e riunendo alla mia ragguardevole collezione di fossili del Monte Mario e delle colline circostanti. Come seguito alle due note sullo stesso argomento, da me presentate alla Società Geologica italiana nelle adunanze dello scorso anno 1895, cioè, in quella invernale tenutasi in Firenze il 21 aprile (1) e nell’altra estiva di Lucca il 19 settembre (^), comunico ora una terza lista di fossili, che ho ritrovati nelle esplorazioni eseguite durante l’ ultimo trimestre. Si tratta per la massima parte di specie di molluschi, poco comuni, o nuovi per quel giacimento, ovvero inesattamente citati nei cataloghi, finora pubblicati, dei fos- sili del Monte Mario. Ecco pertanto l’ indicazione delle specie ritrovate, alle quali ho fatto seguire talvolta brevi osservazioni in proposito. Thracia pubescens Pultn. ( Mya). Parecchi modelli interni ed un’ esemplare completo di questa specie assai rara nel giacimento della Farnesina. (1) Boll. d. Soc. Geolog. italiana, voi. XIV, 1895, fase. 1, pag. 94-96. (2) Bollettino predetto, voi. XIV, 1895, fase. 2, pag. 141-148. R. MELI, MOLLUSCHI FOSSILI RECENTEMENTE ESTRATTI ECO. 75 Axims flexuosus Montg. ( Tellina) = Pty china biplicata Phil. [Philippi K., Enum. moli. Siciliae Voi. I, pag. 15, tab. VI, fi- gura 4 a-c. Chenu, Man. de Conchyl. Voi. II, pag. 121 fig. 583. {Cryptodon flexuosus) — Woodi S. Cray Moli. Tom. Il, pag. 134 Tav. XII, fig. 20 {Cryptodon sinuosum) P. H., Conchyl. d. tevr. ieri, de la Belgique- P®. partie. Terr. pliocène scaldisien, pag. 179, n. 155 {Cryptodon flexuosum), Tav. 19 fig. 3 a-f {Axi- niis flexuosus)~]. Poche valve dalle sabbie grigie della Farnesina. La specie è segnata, come rinvenuta fossile al M. Mario, dal Nyst (op. cit., 1881, pag. 180). Lepton depressum Nyst. {Erycina). [Nyst P. H., Coq. foss. de Belgique, 1844, pag. 88, PI. 4. fig. ha^ a-e {Erycina depressa) — Nyst P. H., Conch. d. terr. Ieri, de Belgique. P® partie, {terr. plioc. scaldisien), pag. 188, n. 164, tav. 19, fig. 12 a-c {Lepton depressum) — Wood S., Cray Moli., tom. II, pag. 116 n. 3, tab. XI, fig. 6 {Lepton depressum)~\. Una bella e grande valva di questa specie, molto rara nel giacimento classico del Monte Mario, mai citata nei cataloghi fi- nora stampati del predetto giacimento. Loripinus fragilis Phil. {Lucina) — ■ Lucina bullula Peeve = Lucina lactea Linn. (n. auct.). Forma ben distinta dalla L. leucoma Turt. = L. lactea Poli et auct. (n. Linn.), la quale non fu finora rinvenuta nel giacimento classico del M. Mario. Della L. leucoma si conoscono poche valve delle sabbie gialle d’ Acquatraversa, mentre è comunissima in quelle di Malagrotta sulla via Aurelia, in esemplari perfetti dalle due valve. Ne trovai numerosi esemplari nelle marne quaternarie scoperte nella fondazione del nuovo diversivo del Linea nelle Paludi Pontine e ne ebbi esemplari vivi dalla rada di Civitavecchia e di Anzio. Della L. fragilis ritrovai alcune valve nelle sabbie grigie della Farnesina, ed un’esemplare completo dalle sabbie gialle di Malagrotta. È una specie nuova pel M. Mario e finora mai segnata nei cataloghi di questa località. 76 R. MELI Donax (Serrula) venusta Poli. Due piccole valve di questa specie, nuova per le sabbie grigie della Farnesina ; era stata da me citata ad A.cquatraversa (Ponzi e Meli, Moli. foss. del Monte Mario. Atti E. Accad. dei Lincei, 1885-86, Serie 4^, voi. III. Mem. d. Classe d. se. fis. mat. e na- tur. pag. 682, n. 58). Kinvenni questa specie nel quaternario del littorale Romano, alla stazione di Corneto-Tarquinia, nelle sabbie della fornace Morronese sulla spiaggia di Foglino presso Nettuno, e nelle sabbie miste a ceneri vulcaniche sottostanti al tufo giallo di Foglino, nella quale ultima località è piuttosto comune. Tellina (Peronaea) nitida Poli. Una valva dalle sabbie grigie della Farnesina. Quantunque citata nei Cataloghi del Conti, io non l’aveva mai ritrovata al M. Mario. Ne ho alcune valve di Acquatraversa e nella collezione Rigacci trovasi un’ esemplare proveniente da Malagrotta. Venerupis irus Linn. {Donax). Un esemplare completo dalle due valve rinvenuto nelle marne grigie della Farnesina, esistente nella collezione Martinetti ; anche l’ing. E. Clerici mi disse di averne trovato altro esemplare completo nelle predette marne. Specie nuova per le sabbie grigie della Farnesina. Una valva di tale specie fu trovata nelle marne del pliocene medio, sottostante a quello recente con Cardium Lamarki Reeve (= C. edule auct. n. Linn.), Tapes semicaudata D’Anc., ecc. alla mola di Torrimpietra, presso Cerveteri, dal Tittoni (^). Ne estrassi esemplari quaternari dalle sabbie sottostanti ai tufi, alla Fornace Morronese sulla spiaggia di Foglino presso Nettuno, i quali erano innicchiati entro un travertino con Helix terrestri. Esemplari vivi ebbi dalla rada di Civitavecchia e dagli scogli del macco tra Anzio e Nettuno (sotto il villino Mengarini). Cerithium varicosum Brocc. {Murex). Un bell’esemplare di questa specie, rara al Monte Mario, proveniente dalle sabbie grigie della Farnesina. Ne ho anche un (^) Tittoni T., La regione trachitica dell'Agro Sabatino e Gerite {Boll- d. Soc. Geol. Ital-, voi. IV, 1885 ; ved. pag. 349, in nota, al n. 10). MOLLUSCHI FOSSILI RECENTEMENTE ESTRATTI ECC. 77 grande esemplare delle sabbie gialle dell’alta Valle dell’Inferno, e ne vidi due esemplari, uno dei quali logorato per fluitazione, nella collezione Zuccari, estratti dalle sabbie gialle di Acqua- traversa. La specie è segnata nei cataloghi del Conti {Il Monte Ma- rio-, 1^ edizione, 1864, pag. 32; 2^ edizione, 1871, pag. 38), del Mantovani {Sulla distrib. gen. della fauna foss. nel mare 'plio- cenico, 1868, pag. 16. Descriz. geol. d. Campagna romana, 1875, pag. 43, n. 81), dello Zuccari {Collezione Rigacci. Catalogo dei fossili dei dintorni di Roma, 1882, pag. 16, n. 440). Ponzi lo segna come rinvenuto nelle sabbie di Acquatraversa {Cronaca subappennina, 1875, pag. 27, num. 37); così pure. Clerici {Sulla C orbi cui a fluminalis dei dintorni di Roma e sui fossili che V accompagnano. Nel Boll. d. Soc. Geol. it.. Voi. VII, 1888, pag. 108). Il Manzoni riguarda il C. varicosum, come una var. magna ed inermis del C. vulgatum Brug. {Saggio di Conch. foss. subap- penn. Imola, 1868, pag. 43-44). Anche il Foresti tende a ritenerlo come una varietà della predetta specie (Foresti, Cenni geolog. e pa- leont. sul pUoc. ant. di Castrocaro, 1876, pag. 34 e pag. 54, n. 108). Specie estinta, dal Manzoni riguardata come specie caratteri- stica dei nostri terreni pliocenici. Cassis saburon Lamk. = Cassis areola Conti. Un’ esemplare delle marne sabbiose e sabbie gialle della Far- nesina e qualche esemplare frammentario dalle sabbie gialle della Valle dell’Inferno. Follia plicata Brocc. {Murex). Un esemplare delle sabbie gialle della Valle dell’ Inferno di questa specie, nuova pel M. Mario. Murex conglobatus Michtti= Murex trunculus Goziiì (partim). Questo Murex fu confuso negli antecedenti cataloghi, salvo in quello dello Zuccari, col M. trunculus Linn. È molto raro nelle nostre formazioni plioceniche e ne ho visti due soli esemplari intieri e ben conservati, l’ uno della Valle dell’ Inferno e l’ altro delle sabbie grigie della Farnesina, i quali corrispondono perfettamente alla va- R. MELI 78 rietà disegnata nella tav. 3, fig. 1 a, b. della Malacologia plioc. italiana del D’Ancona. Murex scalaris Brocc. = Fusus rudis Conti (n. Phil..). [^D'Ancona C., Malac. plioc. ital.^ 1871, pag. 39, tav. VII, fig. 5 {a. b) e fig. 6. — Bellardi L., / moli. d. terr. terz. del Pie- monte e della Liguria. Parte 1% pag. 113, n. 81, tav. VII. fip ló]. Pochi esemplari delle sabbie grigie della Farnesina, i quali convengono colla figura del Bellardi sopracitata; però sono di di- mensioni minori delle figure date dal Brocchi (^Conch. foss. subap. 1814, tav. IX, fig. 1), dal Bellardi e dal D’Ancona, misurando il maggiore degli esemplari una lunghezza di mm. 18,5 ed una lar- ghezza di mm. 9. Confrontato con esemplari del Modenese e dell’Astigiano, in generale il 31. scalaris della Farnesina risulta più allungato nel senso della spira e meno rigonfio nell’ ultimo anfratto. Questa specie non è segnata nei cataloghi anteriori del M. Mario. Venne soltanto notata dal Conti {Il Monte Mario, 1^ ediz. 1864, pag. 33; 2^ ediz., 1871, pag. 39) e dallo Zuccari {Catal. d. foss. dei dintorni di Roma, pag. 16, n. 472) col nome di Fusus rudis (n. Phil., n. Borson). Convengo del tutto con De Gregorio che il M. scalaris formi r anello di congiunzione tra il M. ( Trophon) craticulatus e 1 im- bricatus (De Gregorio, Boll. d. Soc. Malacci, ital. voi. X, 1884, pag. 243), e perciò con il Brocchi {Condì, foss. subap. 1814, pa- gina 408) e con il De Gregorio (op. cit., pag. 243) considero il M. scalaris come una forma derivata dal craticulatus. Triton nodiferum Lamk. Un grande individuo frammentario di questa specie assai rara al Monte Mario, scavato nelle sabbie gialle della Valle dell’In- ferno, esistente nella coll. Martinetti. Xenophora trinacria Fisch. = X. crispa Phil. (non Konig), Conti. Specie comune al M. Mario, nelle sabbie grigie e gialle della Farnesina; meno frequente nelle sabbie gialle dell’alta Valle del l’Inferno. MOLLUSCHI FOSSILI RECENTEMENTE ESTRATTI ECC. 79 Citata nei cataloghi del Monte Mario sotto la denominazione di Phorus crispus. Su questa specie leggasi la memoria del Fischer stampata nel Journal de Conchijl. 3"’® serie, tom. XIX, n. 3, pag. 210-212. Chenopus Serresianus Michd. (Rostellaria) = Ch. pes-graciili Phil., Conti, Zuccari, ecc. Specie assai rara nelle sabbie grigie della Farnesina, dalle quali ne estrassi soltanto un esemplare. Più frequente nelle sabbie gialle della Valle dell’ Inferno. Citata nei precedenti cataloghi col nome di Ch. pes-graculi., la quale denominazione va ritirata es' sendo stata adoperata precedentemente dal Brongniart per altra specie. La forma è ben distinta dal Ch. pes-pelicani Linn. (Strombus) per i seguenti caratteri : Ha una spira più ottusa del Ch. pes-pe- licani: ha gli anfratti divisi circa il loro mezzo da un cingolo continuo, che li rende carinati, mentre nel Ch. pes-pelicani sono costantemente nodosi ; ha le digitazioni allungatissime ed il bordo del labbro, che le unisce, non è foliaceo e laminoso, come nel Ch. pes-pelicani. La famiglia Pleurotomidae è bene rappresentata nelle sabbie grigie della Farnesina. Però si tratta generalmente di specie pic- cole, 0 tutt’ al più di mediocre grandezza. Le specie, che raggiun- gono le maggiori dimensioni sono : Homotoma stria (Cale.); Homo- toma reticulata (Ben.). Nel giacimento classico del Monte Mario mancano completamente le grandi specie di Pleurotomidi, come sarebbero, per esempio : Dolichotoma cataphracta (Brocc.), Pleu- rotoma rotata (Brocc.), PI. turricula (Brocc.), Clavatula interrupta (Brocc.), Cl. romana (Defr.), Drillia Brocehii (Bon.), ecc. le quali sono comuni nei terreni pliocenici d’Italia. Ecco un saggio delle specie di Pleurotomidi, che ho in gran parte trovate nell’ esaminare le sabbie marnose grigie della Farnesina contenute nelle grosse bivalvi {Pectmculus, Panopaea, Vola Jaco- baea, ecc.), dopo averne fatto lavaggio. Bela {Haedropleura) septangularis Montg. {Murex). * " ” var. = Pleurotoma planaxoides Conti (2®- edizione 1871, pag. 39 e 58 n. 39). 80 R. MELI Bela bucciniformis Bell. = Pleurotoma Pondi Kayn. v. d. Heck. Ponzi, Conti (^. Homotoma (^Cirillia^ linearis Mtg. {Murex) = Pleurotoma elegans (Donov.). * {Cordieria) reticulata Ben. {Murex) r, ji » var. B. Bell. » histrix Jan {Pleurotoma) = PI. spinosus Conti. (1^ edizione pag. 33, n. 34, pag. 52 nu- mero 34) = PI. spinulosus Conti (2^ edi- zione pag. 39) (^). » infiata Jan {Pleurotoma) = PI. volutella Va- lencien. » stria Cale. {Pleurotoma)= PI. semiplicata Michtti, Conti, Zucc. (®). » anceps Eichw. {Pleurotoma) = PI. Renieri Conti. Raphitoma attenuata Montg. {Murex) = Pleurotoma gracilis Phil. (n. Montg.) = Pi gracile Conti [non Montg. Il Murex gracilis Montg. è = Clathurella emarginata Donov. {Mu- rex)). » submarginata Bon. {Pleurotoma) = Brillia cre- brieosta Zucc. (n. Bell.). » Mspidula Jan {Pleurotoma) = Pleurot. obtusan- gulum Conti. (1) Questa specie è descritta nel Catalogne des fossiles du Monte Mario recueillis par de Rayneval, Van den Hecke et Ponzi, 1854 ; ved. pag. 19 (Y). La specie trovasi disegnata nella fig. 14 della tavola II dei fossili del Monte Mario, fatta eseguire in litografia, per conto di Eayneval, circa (1856). Trovasi pure riprodotta, ma alquanto grossolanamente, nella fig. della tav. IV, che accompagna la pubblicazione: Coquilles fossiles de Monte Mario. Terrains tertiaires des environs de Rome par M. le conte De Ray- neval. Paris, J. B. Baillière, 1876, in 4°, con 2 tavole. (2) Queste tre specie di Homotoma furono citate anche nella precedente comunicazione (Meli E., Moli. foss. estratti recentemente dal giacimento clas- sico di Monte Mario. Boll, d. Soc. Geol. ital., voi. XIV, 1895, fase. 2, pa- (^^Specie rara, della quale ho anche un’esemplare proveniente dalle sabbie o-ialle dell’alta Valle dell’Inferno. MOLLUSCHI FOSSILI RECENTEMENTE ESTRATTI ECC. 81 Raphitoma nana Scacc. {Pleiirotoma) — - Pleurot. turgida Forbes. » hrachy stoma Pbil. {Pleurotoma). » nebula Montg. {Murex) = Pleurotoma Ginnan- nianum Conti. Mangelia costata Penn. {Murex) — Pleurotoma vulpecula Conti (n. Brocc.) (‘). » rugulosa Phil. {Pleurotoma). » angusta Jan {Pleurotoma) =? PI. Ceselli Conti (P edizione pag. 33 e pag. 51-52; 2^ edi- zione pag. 39 e 57-58). Clathurella {Sellar diella) emarginata Donov. {Murex) — PI. suturale Bronn, Conti. Daphnella Romanii Libassi {Pleurotoma) ~ PI. ancillarioìdes Rayn. v. d. Heck. Ponzi (^). Drillia sigmoidea Bronn {Pleurotoma) — PI. crassum Conti, (1“ edizione, pag. 33 e 51 n. 32) = PI. in- crassata (2“^ edizione, pag. 39) (3), Resta ancora qualche altra piccola specie, rara, ad essere precisata, mediante gli opportuni confronti con esemplari viventi. Tra i Briozoì della Farnesina cito la Stomatopora major Johnst. — Crisisina sp. del catalogo del Conti (Conti A., Il Monte Mario] 1^ edizione, 1864, pag. 37; 2^ edizione 1871, pag. 43). Ho pure rinvenuto, nell’ esaminare le sabbie marnose grigie della Farnesina, alcune delle 5 mascelle, o alveoli, dell’apparec- chio masticatore (lanterna d’ Aristotele) spettanti a diversi individui (1) Ne ho un’esemplare estratto dalle sabbie gialle dell’alta Valle del- l’Inferno. G) Un’esemplare frammentario delle sabbie gialle della Farnesina. Questa specie è figurata nella tav. II, fig. 13, dei fossili del M. Mario, fatta disegnare in Francia circa il 1856 dal Eayneval, e trovasi pure nella fig. 31 della tav. IV nella cattiva riproduzione, edita nel 1876 dal Baillière. La specie è de- scritta nel Catalogne des fossiles du M. Mario, sopra citato, pag. 19, (X). (3) Specie da me già citata per la Farnesina (R. Meli, Sopra alcune rare specie di moli foss. estr. d. giacimento classico del Monte Mario, Boll. d. Soc. Geol. Ital., voi. XIV, 1895, pag. 95). Ho raccolto- questa specie anche nelle marne di Bagnaia presso Viterbo in provincia di Roma. R. MELI 82 di Echinus. La mascella è isolata con dente all 'estremità dello spicchio. Ho parimenti trovato nelle sabbie alcuni pezzi complementari dell’ apparecchio suddetto (epifisi articolari) e sopratutto sbaire radiali {rotulae). Questi pezzi isolati dal Conti furono creduti con- chiglie interne di cefalopodi e vennero da lui descritti come spet- tanti alla sua nuova specie col nome di Beloptera ? cruciformi^ (Q. Ho pure estratto qualche piastrina amhulacrale, e interambu- lacrale con tubercolo principale di Dorocidaris painllata Leske {Cidaris)= Cidaris hijstrix Risso), nonché alcuni radioli di que- sta specie (-). Trovai pure radioli di Echinus, e più raramente tenuissimi radioli di Spatangus. Tra i resti di vertebrati rinvenuti nella sabbia grigia, dopo essere stata assoggettata al lavaggio e disseccata, noto diverse otoliti e una placca dermica (tubercolo) di Raja antiqua Agass. La placca dermica di Raja antiqua Agass., rinvenuta ora nelle sabbie maroose grigie della Farnesina, corrisponde abbastanza bene alle figure, date per tale specie, dall’Agassiz nella sua opera classica: Recherches sur Ics poissons fossiles (Ved. Voi. Ili, pa- gina 371 e tav. 37, fig. 33, 33a) e dal Lawiey nel suo lavoro; Nuovi studi sopra ai pesci ed altri vertebr. foss. delle colline toscane, pag. 42, sp. n. 1, tav. 2, fig. le-f. Soltanto la placca fossile della Farnesina è di maggiori dimensioni della citata figura del Lawiey, ed ha rotta la sua spina, od aculeo. Tubercoli cutanei di Raja sono segnati nel Catalogo dei fos- sili dei dintorni di Roma dello Zuccari (Ved. pag. 18, n. 530). Rinvenni inoltre numerosi pezzi calcarei (^) spettanti a Stel- leridi, dal Conti creduti denti di pesci. Dalle sabbie gialle di Acquatraversa sulla via Cassia furono (1) Conti A., R Monte Mario, D ediz., 1864, (pag. 35 e 53 n. 38); 2^ ediz., 1871, (pag. 41 e 59 n. 43). (*) Placchette di tale specie con radioli si ritrovano, più frequentemente, che non alla Farnesina, nelle sabbie gialle dell’alta Valle deU’Inferno, e ne ho parecchi esemplari nella mia raccolta. (*) Gaudry A., Mém. sur les pièces solides d. stellérides. Paris, 1852, in 4“ con. 5 tav. MOLLUSCHI FOSSILI RECENTEMENTE ESTRATTI ECC. 83 estratte le seguenti specie rare, alcune delle quali sono da aggiun- gersi ai cataloghi di fossili pubblicati per quella località. Panopaea glycimeris Born (Mya) var. = P. Fauja- sii Mén. Saxicava rugosa Linn. (Mya) var. ar etica. Etisis ensis Linn. fSolen). Asor antiquatus Pultn. ( Solecurtus). Fragilia fragilis Linn. ( Tellina). Tellina serrata Ben. " nitida Poli. Cytherea chiane Linn. (Venus). Questa ultima specie è abbondantissima nelle sabbie con Pe- ctuneulus, affioranti sulla destra del fosso, dopo la vallecola della Emessola. Cardium multicostatum Brocc. ” aculeatum Linn. Candita ( Venericardia) nudista Lamk. Trochus filiformis Eayn. v. d. Heck. Ponzi (Q. Cerithium varicosum Brocc. (Murex). Potamides tricinctus Brocc. (Murex). Melanopsis oomorpha De Stef. Helix vermicularia Bon. Schùoporella unicornis Johnst. var. ansata. Conchiglie bucherate da Spongiarì ( Vioa Nardina). La più importante di queste specie è X Helix (Macularia) ver- micularia Bon. È un bell’ esemplare, leggermente consumato per fluitazione, rinvenuto nelle sabbie gialle a Donax, che affiorano alla base della collina sulla sinistra del fosso, a monte del ponticello sulla via Cassia. L’esemplare è nella collezione del cav. Zuccari; misura mm. 29 di altezza; mm. 40 nel diametro maggiore e mm. 34 nel diametro minore. Nell’ultimo giro presenta traccie di coloramento bruno, accennanti a tre fascie, disposte in modo ana- (0 La specie è descritta nel Catalogne des foss. du M. Mario, già ci- tato, alla pag. 18 (T). È figurata nella tav. Il, fig. 12a-3; delle tavole in li- tografia eseguite nel 1856 per conto del Eayneval, ed à riprodotta aella tav. IV, fig. 26-27 della ristampa, fattane nel 1876 dal Baillière, sopra men- zionata. 7 84 R- MELI, MOLLUSCHI FOSSILI RECENTEMENTE ESTRATTI ECC. logo a quelle che si osservano in taluna delle tante varietà della vivente Helix {Maculano) vermiculaia Muli., cosi abbondante nei dintorni di Roma. L’ esemplare di Acquatraversa conviene colla figura di questa specie data dal De Stefani nel suo lavoro: Mollu- schi continentali 'pliocenici d’ Italia^ Pisa 1876-84. Yed. pag. 122- 123, tav. IV, fig. 4. _ . -u • L’ Helix vermicularia Bon. fu rinvenuta nel Yillafrancbiano lacustre della Sabina, a Castel S. Pietro, e alla fornace di Ca- stelnuovo di Farfa nella valle del Farfa; alla fornace Eusebi ed a Collerosa presso Poggio Mirteto, nelle quali località è abbon- dante (^). De Stefani la cita parimenti nel pliocene umbro, alla Galleria di S. Vittorino e S. Costanzo presso Perugia; a Monte di S. Angiolino, presso Citta di Castello (Bellucci) ; nella breccia ossifera della Capra Zoppa in Liguria (Issel) ; e nell’ Astigiano (Michelotti, Sismonda e Bonelli). È appunto in questo strato che si rinvennero il Potamides tricinctus, le Melanopsis . Corbicula fluminalis Q1PMÌ),\ plare di Vivipara (cfr. fasciata Miill.), la Valvata, le Lmnaee, Paludine. le quali indicai nella comunicazione Moli foss. est. recent, dal giacimento class, del M. Mario. Yed. Boll, della Soc. Geol. ital. voi. XIY, 1895, fase. 2, pagg. 141-148. L’ Helix vermicularia è una forma tipica del pliocene con- tinentale italiano; il suo rinvenimento nelle sabbie gialle romane offre un nuovo argomento per ritenerle plioceniche. [30 aprile 1896], (>) Tuccimei G., Il Villafranchiano nelle valli sabine e i suoi fos- sili caratteristici. Nel Bollettino d. Soc. Geol. Ital, Anno VEI, 1889, fase. l". Ved. pag. 108, n. 8. CONTRIBUZIONI PETROGRAFICHE Nota del dott. Italo Chelussi. Un intercluso della Trachite quarzifera di Canipiglia. Nella trachite quarzifera, che forma le più basse colline del campigliese, studiata dal vom Rath nel 1866, dal Vogelsang nel 1867 e posteriormente dal D’Achiardi nel 1885 e dal Dalmer nel 1887 fu rinvenuta interclusa un’altra roccia alquanto differente dalla trachite stessa; qualche anno fa il eh. prof. C. De Stefani mene inviò un campione del quale presento in questa nota l’ analisi mi- croscopica : esso fu trovato lungo lo stradello che sale da S. Vin- cenzo ai Pianali. Esso è di color grigio chiaro ed entro una massa a grana finissima sono sparsi porfiricamente alcuni cristalli abbastanza svi- luppati di feldspato e numerose bolle o cavità sferiche o sferoidali, di qualche millimetro di diametro, con le pareti ricoperte di una patina giallo- chiara o giallo-arancio; raramente queste bolle possono esser ripiene di quarzo secondario. I grossi cristalli feldspatici si rivelano al microscopio im- mersi in una pasta formata da plagioclasio, pirosseno, poca sostanza vitrea e prodotti secondari d’alterazione. I feldspati porfirici sono cristalli ed aggruppamenti di cristalli plagioclasici a sezione pre- valentemente tabulare allungata, a contorni netti e ben delineati dalla massa che li racchiude; quasi sempre sono abbastanza freschi e trasparenti, o alterati solamente alla periferia dove si forma una nettissima zona di una sostanza, grigia, granulare, opaca, per la maggior parte riferibile a calcite. Essi non hanno inclusioni notevoli e possono talvolta presentare una bellissima struttura zonale; le linee di geminazione ne sono per lo più numerose, sottili e ben distinte, e non di l'ado un fitto reticolato rivela l’ associazione delle I. CHELUSSI 86 due geminazioni, quella secondo la legge dell’albite e queUa se- condo la legge del periclino ; gli angoli, che le direzioni di estin- zione fanno con le tracce dei piani di geminazione, sono spesso molto forti e tali da poter ritenere questi plagioclasi di natura molto basica forse labradoritica. I plagioclasi della pasta fondamentale, sebbene in individui molto più piccoli, presentano presso a poco i medesimi caratteri dei plagioclasi porfirici ricordati. L’ altro componente, in quantità quasi uguale al plagioclasio e che con questo forma la massima parte della pasta della roccia, è un pirosseno verde chiaro, leggerissimamente pleocroico, oppm-e incoloro, in cristalletti poligonali, talvolta allungati, che presen- tano due serie di linee di sfaldatura incrociantisi fra loro sotto un angolo quasi retto. Per questi caratteri e per i colori di polariz- zazione abbastanza vivaci sembrami doverlo ritenere come augite. I prodotti di alterazione, non abbondanti, sono brunastri o verdastri ed in tal caso leggermente pleocroici ; qua e là vi si nota una sostanza vitrea, trasparente, priva di inclusioni che presenta notevolmente i caratteri della mesostasi, insinuandosi negli inter- stizi lasciati dagli altri minerali. Paragonando quest’ intercluso con quelli della trachite di Monte Virginio descritti dal Bucca (^) e con quelli del M. Dorè descritti dal Lacroix(2), sembra che esso si avvicini alquanto per la sua composizione mineralogica a quello di M. Virginio. Trachite d’Orciatico. Appartiene questa roccia al gruppo più settentrionale dei vulcani spenti dell’ Appennino settentrionale, costituito dai due lembi di Orciatico e Montecatini in vai di Cecina (^) e forma ^ il colle dell’ Annunziata subito a levante di Orciatico. Questa trachee presenta, secondo il prof. De Stefani, i medesimi caratteri litologici (1) Bucca L., Gli interclusi della trachite di Monte Virginio. Bollet- tino del R. Com. geol. it. 1886. (2) Lacroix, Sur les enclaves des trachytes du Mont Dorè et en far- ticulier sur les enclaves etc. Boll. Soc. geol. de Franco, troisieme serie, tome XIX, 1891. . . • 7 -R 11 (*) De Stefani C., I vulcani spenti dell' Appennino settentrionale. Boi . Soc. geol. it. voi. X, fase. 3. CONTRIBUZIONI PETROGRAFICHE 87 di quella di Montecatini descritta dal Rosenbusch come una Glim- mertrachyt (Rosenbusch H., Mikr. Phys., pag. 593-597); ma insieme si trovano dei banchi di struttura microfelsitica, uniforme, più com- patta, che dal Capellini e dal Lotti furon presi per rocce differenti più vicine ai basalti (De Stefani, 1. c. pag. 7). I campioni di questa roccia, che ebbi dalla gentilezza dei sigg. prof. De Stefani ed ing. B. Lotti, hanno color grigio chiaro uniforme, grana finissima, e sono molto spesso provvisti di numerose cavità sferiche o a mandorla le cui pareti son tappezzate da una sottilissima patina grigia cupa o giallastra ; esse sono talora riem- pite da una sostanza bruna lucente (ematite?) ben visibile nelle faccie levigate. La roccia ha poca durezza, è friabilissima e difficile a ridursi in lamine sottili adatte allo studio microscopico: per la sua grande porosità ha molta analogia con la trachite del tipo Drachenfels del Rosenbusch, assorbendo molta acqua (Zirkel, Lehr- huch der Petrographie, I Band, pag. 490-491), Essa apparisce al microscopio formata da una massa fonda- mentale grigia opaca, mescolata a frequenti prodotti d’alterazione di color verdastro; ed in essa si trovano cristalletti pirossenici, scagliette di biotite e prodotti cloritici che conservano le forme del minerale originario. II pirosseno è in granuli o in cristalli tabulari molto piccoli ; è incoloro non pleocrico, ed ha vivaci colori di polarizzazione; la ritengo come augite incolora benché raramente vi si possano osservare le due serie caratteristiche delle linee di sfaldabilità che s’ incro- ciano ad angolo quasi retto. Talvolta essa è alterata in una so- stanza fibrillare verde chiara, quasi insensibilmente pleocroica, riferi- bile alla clorite. Quest’ augite è accompagnata in maggiore o minor quantità, secondo le sezioni, da una biotite in piccole scagliette irregolari o in laminette sottili allungate con le terminazioni frastagliate alle due opposte estremità. Essa possiede un pleocroismo notevole varia- bile dal rosso biondo al giallo chiaro e all’ incoloro ; ha colori di polarizzazione molto bassi e si altera qualche volta in clorite. Prodotto secondario abbastanza frequente è la calcite che si annida nelle screpolature della roccia, e qualche volta riempie al- cune delle sue cavità. La pasta fondamentale, per quanto le sezioni non si possano I. CHELUSSI rendere abbastanza sottili e di grossezza uniforme e non ne per- mettano quindi uno studio completo, mi risulterebbe da un insieme di sostanza vitrea, calcite, prodotti cloritici e sostanza bruna argil- losa (?) in proporzioni variabili secondo i diversi campioni ; e dentro questo insieme vi sarebbero scagliette biotitiche, granuli pirossenici e clorite secondaria spesso coi contorni del minerale originario. La sua struttura sembra variare tra la micro-felsitica e la microcripto- cristallina; del resto tutta la roccia è in uno stato di avanzatis- sima alterazione. Da questa breve descrizione non mi pare si possano dedurre criteri esatti per la sua classificazione ; forse la roccia meriterebbe uno studio più accurato su campioni presi nelle diverse parti della formazione e possibilmente meno alterati di quelli da me adoperati. Due rocce di Radicofani. Mi furono inviate dal chiaris. ing. B. Lotti ed appartengono al più piccolo dei lembi eruttivi dell’ Appennino settentrionale, la cui roccia fu studiata da Weiss, Batb, Mercalli e Bucca ('). Dei due campioni inviatimi l’ uno ba struttura compatta, 1 altro è va- cuolare. 11 primo è di color grigio cupo con tono bluastro ; nella massa vi si nota qualche grosso cristallo di feldspato e colle lente nu- merosi granuli di olivina verdastra. Al microscopio risulta formato da plagioclasio, pirosseno e cristalletti scheletrici di magnetite e sostanza vitrea. 1 feldspati sono, o cristalli porfirici più grossi, o cristalletti che formano la massa fondamentale; tanto gli uni che gli altri hanno forma tabulare o listata, più raramente rettangolare; sono sempre freschissimi e privi di inclusioni ; i più piccoli si raccolgono tra loro in gruppetti di tre o quattro, diversamente orientati. Essi sono plagioclasi sempre geminati secondo la legge dell albite con gli angoli che le tracce dei piani di geminazione fanno con le di- rezioni di estinzione, sempre abbastanza forti; sembra perciò trat- tarsi di labradorite. L’olivina è molto abbondante, quasi quanto il mineiale pre- cedente; è in grossi granuli ed in aggruppamenti di granuli con (') De Stefani C., 1. c., pag. 37 e seg. CONTRIBUZIONI PETROGRAFICHE 89 diversa orientazione ottica. Non è alterata quasi affatto; ha forte rilievo, colori di polarizzazione molto vivaci e può contenere gra- nuli bruni, opachi di picotite. Il pirosseno in piccola quantità è un’augite incolora, che si potrebbe confondere facilmente con l’olivina se non assumesse tal- volta un colore leggerissimamente giallastro, non presentasse, seb- bene raramente, le linee caratteristiche di sfaldatura e cristalli tabulari abbastanza allungati; sembra inoltre priva di sufficiente rilievo, ed ha i colori di polarizzazione un poco più bassi che nella olivina. La massa fondamentale è formata da listerelle plagioclasicbe, da granuletti olivinici, da cristalletti scheletrici di magnetite e da sostanza vitrea brunastra più o meno trasparente. Questa roccia parmi rientrare nel gruppo dei Feldspat-basalt dello Zirbel e da indicarsi come un basalte olivinico. L’altro campione di Radicofani è bolloso, scoriaceo, rossastro, con macchiette brune e sembra essere il basalte detto ])e‘pa ricor- dato dal De Stefani (Q; ha molta analogia col campione precedente perchè si compone di olivina e poca augite, immerse in una massa microcriptocristallina feldspatica (?) cosparsa e quasi velata da minutissimi granuletti rosso bruni, forse dovuti ad olivina alterata in ossido di ferro. Differirebbe dalla roccia precedente per la man- cata formazione dei cristalli feldspatici e per un’avanzata alterazione dell’olivina, la quale alla periferia e lungo le linee di frattura si cambia in una sostanza rosso cupa e qualche volta giallastra. Giova in proposito ricordare l’opinione del De Stefani (1. c., pag. 40), che questa parte della roccia si sia solidificata all’aperto emettendo i gas e i vapori e diventando bollosa. Roccia di Lercara (Sicilia). Ebbi un campione di questa roccia dal prelodato ing. Lotti che la raccolse nell’eocene di Lercara in regione Manganano. Esso è di color verde cupo, qua e là macchiettato di bianco : ha una grana non tanto fina e poca durezza. Al microscopio la roccia rivela una struttura decisamente diabasica, essendo formata principalmente da grossi cristalli allungati di feldspato che s’ in- (1) De Stefani C,, 1. c., pag. 40. 90 I. CHELUSSI crociano in tutti i sensi e da una sostanza verdastra che riempie i vuoti e le maglie formate da quelli; accessoria e di origine pro- babilmente secondaria v’ è la magnetite in granuli abbastanza svi- luppati. I feldspati, di natura plagioclasica, sono alquanto alterati in caolino ; ma la loro alterazione non è tanto forte da toglierne la trasparenza e da non lasciar vedere le linee di geminazione che in generale sono poco numerose per ogni singolo individuo ; qualche volta nei cristalli più tozzi si può osservare un principio di strut- tura zonale. Inclusioni vere e proprie non ve ne ho notate; sono invece piuttosto abbondanti le infiltrazioni della sostanza verdastra. Le solite misure in essi delle direzioni di estinzione danno angoli non molto forti e variabili tra i 12" e i 15"; il che potrebbe far ritenere questi plagioclasi di natm-a non troppo basica. La sostanza che riempie i vacui, lasciati da questi feldspati può essere verde, verde chiarissima e trasparente, o verde bruna ed opaca; naturalmente non ha forma propria, ed è priva di pleocroismo sensibile ; a nicols incrociati le plaghe più chiare risultano formate da un aggregato di fibrille, irregolarmente disposte ed a colori di polarizzazione in generale poco vivaci; ritengo questa sostanza in parte clorite ed in parte viridite, prodotti secondari di minerali preesistenti, di cui però non mi è stato possibile notare traccia veruna. La roccia potrebbe essere ritenuta come un termine di passaggio tra un vero e proprio diabase ed un afanite diabasica dello Zirkel (‘). Roccia di Palagonia (Sicilia). Anche il campione di questa roccia lo ebbi dalla gentilezza dell’ing. Lotti che lo raccolse a Palagonia in Sicilia. Esso è, in massima parte, di color grigio cenere a grana finissima con nume- rose cavità per lo più circolari; in parte minore, ha color bruno, piceo, lucente, frattura scagliosa ed ha pure bolle circolari più pic- cole (1 mm. circa di diametro) delle precedenti. La parte bruna si presenta al microscopio come una massa vitrea, trasparente di color giallo più o meno chiaro e cosparsa di accumulazioni rotondeggianti o ellissoidali brune opache delle quali (1) Zirkel, Leìiriuch der Petr., IL Band, pag. 699. CONTRIBUZIONI PETROGRAFICHE 91 alcune portano nel loro centro un cristalletto spesso listiforme di un minerale limpido, incoloro con vivacissimi colori di polarizza- zione che ricordano l’olivina; altri granuli molto più grossi e gruppi di granuli, a spigoli smussati per riassorbimento magmatico, che si trovano sparsi porfiricamente nella massa vitrea trasparente o fra mezzo alle accumulazioni opache, sopra rammentate, sono da riferirsi pure, per i loro caratteri, all’olivina. Vi si notano anche aghetti e bastoncelli sottilissimi allungati di feldspato che sem- brano geminati secondo la legge dell’alhite e presentano angoli di estinzione molto forti. Delle cavità delle quali è provvista questa parte bruna della roccia, alcune sono ripiene di una sostanza rosso bruna quasi opaca (ematite?); ma tra essa e le pareti della cavità si trova sempre una zona sottilissima giallo chiara, che a nicols incrociati presenta l’aspetto di un aggregato di minutissime particelle a colori di po- larizzazione abbastanza vivaci. La medesima zona tappezza anche le cavità più piccole che molto spesso sono vuote all’ interno. L’altra parte del campione, che ha color cenere, è formata da una massa grigiastra, con tono più o meno carico, opaca e traversata in tutti i sensi da una gran quantità di individui feldspatici, unici, ed allora in forma di bastoncelli, con le terminazioni opposte sfran- giate 0 meglio biforcate; oppure in aghetti sottilissimi riuniti al- lora in fascetti con disposizione parallela o raggiata; i primi sono quasi sempre formati da due liste di geminazione. Le cavità di questa parte della roccia sono sempre tappezzate da una zona sottile, biancastra a struttura microfelsitica e nell’ in- terno sono quasi sempre vuote. Ciottoli nelle arenarie del reggiano e del fiorentino. Questi ciottoli furono trovati dal prof. De Stefani nell’arenaria dell’eocene medio al Cerrè delle Alpi nella montagna di Reggio e nell’ arenaria contemporanea di Mosciano presso Firenze. Riguardo alla loro composizione mineralogica sono di poca importanza e si possono raggruppare in ciottoli di granito, ciottoli di gneiss, e ciot- toli in parte di quarziti e in parte di micascisti e finalmente in ciottoli di porfido (?). Quelli di granito sono formati da quarzo, feldspato e mica bruna ; quelli gneissici da quarzo, feldspato, poca mica e da gran- 92 I- CHELUSSI, CONTRIBUZIONI PETROGRA.FICHE dissima quantità di magnetite che impartisce loro un colore ne- rastro ; le quarziti non presentano di notevole che alcuni cristalli feldspatici biancastri, rinchiusi nella loro massa ; mentre i micascisti sono alteratissimi e non presentano al microscopio che i soliti gra- nuli di quarzo circondati da una gran quantità di prodotti giallastri. I ciottoli che hanno 1' aspetto di porfido risultano da quarzo, feldspato giallastro, opaco, e muscovite abbondante ; vi manca in essi la pasta fondamentale caratteristica dei veri porfidi. [20 marzo 1896]. IL LIA,S SUPERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO CALABRO. Nota del dott. Benedetto Greco. (Con una tavola). Nelle vicinanze di Puntadura e precisamente nella località detta Pietracutale, sopra i calcari neri con Brachiopodi del Lias inferiore, come ebbi occasione di ricordare (•), giace in perfetta concordanza un calcare marnoso arenaceo di colore grigio azzurro- gnolo, talora scistoso, contenente qualche nodulo di pirite, trasfor- mata in limonite. Anche a Bocchigliero, sopra i calcari neri del Lias inferiore, segue un complesso di strati marnoso-arenacei , ma qui essi hanno un colore decisamente giallastro. In ambedue le località questa serie soprapposta ai calcari neri con Brachiopodi è molto fossilifera. Vi abbondano Fucoidi ed Ammoniti; rate vi sono le Belemniti. Il Fucini (2) ed io (3) riportammo questa serie al Lias superiore, per le analogie litologiche e le corrispondenze pa- leontologiche che essa presenta con il Lias superiore dei dintorni (1) Greco B., Il Lia^ inferiore nel circondario di Rossano Calabro. Atti della Soc. Tose, di Se. Nat., Memorie, voi. XIII. pag. 63-64. Pisa, 1893. (2) Fucini A., Molluschi e Brachiopodi del Lias inferiore di Longo- bucco. Bull, della Soc. Malacologica It., voi. XVI, 1892, pag. 10. (3) Greco B., Il Lias inf ecc., 1. c. pag. 66, 75, 78. B. GRECO, IL LIAS SUPERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO CALABRO 93 di Taormina, illustrato dal Gemmellaro (‘) e dal Seguenza (^). Le specie di Taormina che furono citate dal Fucini a Pietracutale sono le seguenti: Harpoceras Paronai Gemm., H. Lottii Gemm., II. Canavarii Gemm., H. Timaei Gemm., Coelocerm Raquinia- nmn d’Orb. Recentemente però l’ ing. Cortese (^) ha paragonato tali calcari marnosi arenacei con quelli che, nell’ Italia centrale (Tivoli per esempio) rappresentano il Lias medio, soggiungendo, forse per un equivoco, che a tal piano li aveva riferiti il Fucini. Di fatti il Fucini, non ha mai paragonato tale formazione col Lias medio dell’Italia centrale, ma bensì col Lias superiore dei dintorni di Taormina. Ora il Cortese, basandosi sui paragoni da lui istituiti e sui rapporti stratigrafici, ritiene che la formazione calcareo-marnosa in discorso debba essere riferita alla parte superiore del Lias medio. Alla parte inferiore poi dello stesso Lias medio il Cortese riferisce i calcari neri o grigi con Terebratula Rotsoam Schaur., T. Re- nieri Cat., T. punctata Sow., Rh. Briseis Gemm. e piccoli Me- galodus delle vette del gruppo del Pollino ('*). La collezione dei fossili di Pietracutale e di Bocchigliero esistente nel Museo geologico di Pisa fu cominciata dal prof. Ca- navari e da me nel 1891. Poi essa si è notevolmente accresciuta mercè l’ intelligente cooperazione del mio amico dott. Rocco Mazzei di Cropalati e del sig. Francesco Selvaggi, maestro elementare di Bocchigliero, i quali, trovandosi vicini ai giacimenti fossiliferi, eb- bero agio di raccogliere numerosi esemplari e spedirli quindi a Pisa. Nuovo materiale fu successivamente raccolto dal Fucini e da me. A proposito però del materiale raccolto dal Fucini nelle vicinanze di Bocchigliero si deve avvertire che in parte proviene (*) Gemmellaro G. G., Sopra taluni Harpoceratidi del Lias sup. di Taor- mina. Palermo, 1885; Monografia sui foss. del Lias sup. delle Prov. di Mes- sina e di Palermo ecc. Estr. d. Bull. d. Soc. di Se. Nat. ed Econ. di Palermo, seduta 30 dicembre 1885. (2) Segueiiza G., Il Lias sup. nel territorio di Taormina. Estr. d. Atti dellTst. Ven. di Se., Lett. ed Arti, adunanza del 20 giugno 1886. (3) Cortese E., Descrizione geologica della Calabria. Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia, pubblicate per cura del R. Ufficio geologico, voi. IX, pag. 102-103, Roma, 1895. {■‘) Vedi la comunicazione del Di Stefano nel Boll. d. Soc. Geol. Italiana, voi. XII, pag. 507. B. GRECO 94 da un calcare marnoso rossastro che a lui sembrò alternante coi calcari marnosi giallastri. Io non vidi in posto questa roccia, ma raccolsi delle Ammoniti in blocchi erratici da essa provenienti. Tutti i fossili della formazione calcareo-marnoso-arenacea di Pietracutale e di Boccbigliero, che ho in esame, lasciano molto a desiderare per il loro stato di conservazione. La maggior parte di essi appartiene ad Ammoniti più o meno fortemente deformate e che in generale non hanno conservato la linea lohale; ne riesce perciò difficile la determinazione specifica. In minor quantità si riferiscono a Fucoidi e solo alcuni ad Echinidi, Brachiopodi, La- mellihranchi, Gasteropodi e Belemniti. Ecco l’elenco delle specie da me studiate (’) : Chondrites Savii Zigno sp. n MeneghiniiTÀgYiOS^. n Uasinus Heer T> Canavarii Vin. n Mariae Vin. r irregularis Vin. Grecai Vin. » Taramellii Vin. Cidaris? sp. ind. Konmckina ( Koninckodonta) Geyeri ? Bittn. Terebralula Erhaenm Suess. Renieri ? Cat. Arca ? sp. ind. Pleuroiomaria ? sp. ind. Nautilus sp. ind. cfr. N.semi- striatus d’Orh. Phylloceras Nilssoni Héb. sp. B sp. ind. B Stoppami Mgh. B sp. ind. cfr.P/i. Part- schi Stur sp. Rhacophyllites lariensis Mgh. sp. B eximius Hauer sp. fl Nardii Mgh. sp. (= Rh. diopùs Gemm. sp.) Lytoceras fimbriatoides’^ Gemm. B sp. ind. cfr. L. cornu- copia Y. et B. sp. B sp. ind. Lytoceras dorcadis ? Mgh. Dumortieriaì Naxensis Gemm. B ? Haugi Gemm. Earpoceras(Arieticeras) Di Ste- fanoi Gemm. B {Arieticerai) P are- nai Gemm. B (Arieticerai) Fonta- nelleme Gemm. B (Grammocerai) Ca- navarii Gemm. fl ( Grammocerai) Ti- maei Gemm. (1) Per ciò che riguarda le Fucoidi vedi; Vinassa de Regny P. E., Nuove fucoidi liasiche. Atti d. Soc. Tose, di Se. Nat., Processi Verbali, voi. Vin, adunanza del 15 maggio 1892, pag. 111-115. IL LIA.S SUPERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO CALABRO 95 Harpoceras(Grammoceras) ra- diane ì Kein. sp. * { Grammoceras) ser- pentinum ì Eein. sp. » falci ferum ? Sow. sp. » (Hildoceras) Hoff- manni G-emm. (Hildoceras) Manzo- nii Gemm. Harpoceras sp. ind. cfr. H. ly- tìiense Y. et B. sp. Coeloceras crassum Y. et B. sp. Aptycìms sp. ind. cfr. Api. zo- natus Stopp. Atractites Indunensis Stopp. sp, Belemnites sp. ind. Ora, facendo astrazione dalle Fucoidi che non costituiscono un dato molto attendibile per la cronologia geologica, e dalle spe- cie indeterminate, se confrontiamo questa fauna calabrese con quelle liasiche conosciute in Italia, vedremo subito che su ventitré specie dodici si riferiscono a forme trovate nel Lias superiore della Lom- bardia e deH’Appennino centrale, illustrato magistralmente dal ve- nerato prof. Meneghini ('). Esse sono: Terebratula Erbaensis Suess, T. Renieri'? Cat., Ph. Nilssoni Héb. sp., Ph. Stoppami Mgh., Rhacophyllites lariensis Mgh. sp., Rh. eximius Hauer sp., Lyto- ceras dorcadisì Mgh., Harpoceras (Grammoceras) radians ? Kein. sp., H. ( Gr.) serpentinum ? Rein . sp., H. falciferum ? Sow., Coe- loceras crassum Y. et B. sp., ed Atractites Indunensis Stopp. sp. Ben diciannove specie poi: Terebratula Erbaensis Suess, Phyllo- ceras Nilssoni Héb. sp., Ph. Stoppami Mgh., Rhacophyllites la- riensis Mgh. sp., Rh. eximius Hauer sp., Lytoceras dorcadis ? Mgh., Dumortieria ? Naxensis Gemm., D. ? Haugi Gemm., Har- poceras (Arieticeras) Di Stefanoi Gemm., H. (Ar.) Paronai Gemm., H. (Ar.) Fontanellense Gemm., H. ( Grammoceras) Canararii Gemm., H. (Gr.) Timaei Gemm., H. ( Gr.) radians ? Eein. sp., H. ( Gr.) serpentinum f ~Rem sTg., H. falciferum? Sow. sp., iT. (Hildoceras) Hoffmanni Gemm., H. (Hild.) Manzonii Gemm., e Coeloceras cras- sum Y. et B. sp. riguardano specie raccolte nei calcari grigi con fucoidi alternanti con marne grigie e nerastre dei dintorni di Taor- mina (2), riferite dal Gemmellaro alla parte inferiore del Lias su- (1) Meneghini Q., Monographie des fossiles du calcaire rouge Ammoni- tigne (Lias supérieur) de Lombardie et de l'Apennin Central. Milan, 1867-81. (2) Gemmellaro G. G., Sopra taluni Harpoceratidi del Lias superiore dei dintorni di Taormina, pag. 4. Palermo, 1885; Monografia sui fossili del Lias B. GRECO 9) p6rior6. E ciò senza, tener conto delle specie. Nautilus sp. ind. cfr. N. semistriatiis d'Orb., Phìjlloceras sp. ind. cfr. Ph. PaTtschi Stui- sp., Lytoceras sp. ind cfr. L. comneofia T. et B. sp., Harpo- eeras sp. ind. cfr. H. lythense Y. et B. sp., Aptychus sp. ind. cfr. Apt. zonatus Stopp., delle quali le prinae tre insieme coll Apty- chus sp. ind. cfr. Apt. zonatus Stopp. si riferiscono a specie tro- vate nel Lias superiore di Lombardia e dell Appennino centrale ; e tutte, meno quest’ultima, hanno stretti rapporti con specie del Lias superiore di Taormina. Tre sole specie, Rhdcophyllites Noràii Mgh. sp. (== Rh. diopsis Gemm. sp.), Lytoceras fimbriatoides 7 Gemm. e Koninckina ( Koninckodonta) Geyeriì Bittn., sarebbero state tro- vate fino ad ora in terreni non più recenti del Lias medio, ma la loro presenza nella fauna calabrese non può avere certo molto va- lore in confronto colla grande preponderanza di Ammoniti tipici del Lias superiore. Concludendo quindi si può dire che i nostri calcari marnosi arenacei di Bocchigliero e di Pietracutale sono strettamente legati paleontologicamente ed anche litologicamente con quelli di Taor- mina e che quindi debbono essere, come questi, riferiti alla parte inferiore del Lias superiore. Viene in tal modo ad essere alquanto modificata l’opinione su ricordata dell’ ing. Cortese, secondo la quale le suddette formazioni calabresi dovrebbero essere riferite alla parte superiore del Lias medio. Credo poi non privo d’interesse di avvertire da ultimo che le specie più frequenti nelle classiche marne rosse dell Appennino e di Lombardia, quali sono: Harpoceras bifrons Brug. Har- poceras ( Lillia) coniense de Buch., Coeloceras Desplacei d Orb. mancano completamente nella fauna che vado a descrivere. Prima però di passare alla descrizione delle specie, compio, con animo grato, il piacevole dovere di ringraziare affettuosamente r ottimo mio Maestro, prof. Mario Canavari, per 1 aiuto ed i con- sigli dei quali mi è stato prodigo durante la compilazione di questo lavoro. superiore delle Prov. di Messina e di Palermo ecc., 1. c.; Seguenza G., Il Lias superiore nel territorio di Taormina, 1. c. IL LIAS SUPERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO CALABRO 9/7 Descrizione delle specie. Algae. Questa classe di piante è frequentissima nei calcari marnosi del Lias superiore di Pietracutale e di Bocchigliero, ove è rappre- sentata però semplicemente dal genere Chondrites. Fra gli esem- plari raccolti in queste località il dott, Vinassa de Eegny (Q ha distinto le seguenti specie: 1. Chondrites Canavarii Vin. Pietracutale. 2. Chondrites Mariae Vin. Pietracutale. 3. Chondrites irregularis Vin. Pietracutale. 4. Chondrites Grecoi Vin. Pietracutale. 5. Chondrites Savii Zigno sp. Pietracutale. 6. Chondrites Meneghina Zigno sp. Pietracutale. 7. Chondrites liasinus Heer. Bocchigliero. 8. Chondrites Taramellii Vin. Bocchigliero. Echinoidea. Gli Echinidi sono estremamente rari nel Lias superiore ca- labrese. A Pietracutale è stato raccolto un frammento che appartiene certamente a questa classe di animali, ma è completamente inde- terminabile anche genericamente. Da Bocchigliero proviene semplicemente una placchetta che forse appartiene al genere Cidaris. Brachiopoda. I. Genere liioni nck: ina, Suess. 1. Koninckina ( Koninckodonta) Geyeriì Bittn. Tav. I, fig. 1. 1893. Koninckina (Koninckodonta) Gey er i Bittner. Neue Konincki- niden des alpinen Lias. Jahrb. d. k. k. geol. Reichsanstalt. Bd. XLIII, pag. 140, tav. IV, fig. 10. (^) Vinassa de Eegny P. E., Nuove fucoidi liasiche. Atti d. Soc. To- scana di Se. Nat., Processi Verbali, voi. Vili, adunanza del 15 maggio 1892, pag. 111-115. B. GRECO 98 1894. Koninckina (Koninckodonta) Geyeri Fucini. Fauna d. calcari bianchi ceroidi con Ph. cylindricum Sow. sp. del M. Pisano. Atti d. Soc. Tose. d. Se. Nat. Memorie, voi. XIV, pag. 145, tav. \T, fig. 1, 2, 2 . Dimensioni ; Lunghezza mm. 5, larghezza mm. 7. Riferisco con dubbio a questa specie un solo esemplare ade- rente per la piccola valva alla roccia; la determinazione quindi è basata solamente sopra i caratteri della grande valva. Essa è re- golarmente convessa, colla maggiore gonfiezza nella sua parte me- diana, più larga che alta, con contorno subquadrangolare, alquanto arrotondato alla fronte, e a struttura evidentemente fibroso-sericea. La sua maggiore lunghezza si ha sulla linea cardinale che è dritta e provvista di due espansioni auricolari, distinte dal resto della conchiglia. L’ apice assai piccolo sorpassa appena la linea cardinale. I caratteri della regione apiciale e dell’apparato brachiale non sono osservabili. L’ esemplare ora descritto corrisponde, pei caratteri suddetti, alla K. (Koninckodonta) Geyeri Bitta,, quale è figurata dall’ autore e da Fucini, tanto che non saprei da essa distinguerla. Non sono però sicuro di tale determinazione specifica, perchè non ho potuto osservare i caratteri della piccola valva e della re- gione apiciale. Dalla K. Davidsoni Desi. (0 questa specie à di- stingue principalmente per la linea cardinale dritta anziché al- quanto angolosa e per l’ apice meno sporgente. La K. (Koninckodonta) Geyeri Bitta, è specie del Lias medio alpino ; ne sono stati trovati però numerosi esemplari nel Lias in- feriore del Monte Pisano. L' unico esemplare calabrese che io possiedo appartenente a tale specie, proviene da Bocchigliero e fa parte dei fossili raccolti dal maestro Selvaggi. (1) Deslongchamps, Mém. sur les Genres Leptaena et Thecidea ecc. Mem. d. la Soc. Linn. de Normandie, voi. IX, pag. 221, tav. XI, fig. 1,2; Gemmellaro, Sugli strati con Leptaena del Lias sup. della Sicilia. Estr. d. Boll. d. R. Comitato geologico, voi. XVII, pag. 22, tav. II, fig. 5, 6. IL LIAS SUPERIOBE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO CALABRO 99 IL Genere Terebratixla Klein. 1. Terebratula Erbaensis Suess. Tav. I, fig. 1869. Terebratula Erbaensis Zittel. Geol. Beob. aus den Centr. Apenn. Geogn. Palaeont. Beitr. von Benecke, II Bd., 2. H,, pag. 135, tav. 15, figure 5-10. 1867-81. Terebratula Erbaensis Meneghini. Monogr. des fosnles du calc.rouge amm. (Lias supérieur) de Lombardie et del' Apenn. Central., pag. 165, tav. XIX, fig. 6-8. {cum syn.). 1880. Terebratula Erbaensis Canavari. I Brachiopodi degli strati con T. Aspasia Mgh. nelVApp. Centrale. Atti d. E. Accad. dei Lincei, Classe d. Se. Fis. Mat. e Nat., voi. Vili, serie 3^ pag. 15. Dimensioni : Lunghezza mm. 34, larghezza mm. 30. Questa bella e caratteristica specie è rappresentata solamente da una piccola valva che Fucini raccolse a Bocchigliero. Essa è quasi appiattita, di forma subtriangolare, con margini leggermente incurvati in dentro e convergenti verso 1’ apice molto angusto ; la sua maggiore larghezza si trova presso la regione frontale che è arrotondata. Ai fianchi la conchiglia è repentinamente ripiegata ad angolo ed incavata. In questa infossatura scorre la linea commessu- rale che sembra essere diritta. Sulla parte mediana di essa valva si vedono per trasparenza le impronte lasciate dai seni venosi. Ho confrontato questo individuo cogli esemplari di T. Er- baensis Suess provenienti dal Lias superiore e dal Lias medio dell’ Appennino centrale esistenti nel nostro Museo geologico e pa- leontologico, e non mi resta alcun dubbio circa la sua determina- zione specifica. La T. Erbaensis Suess è specie del Lias medio e del Lias superiore. 2. Terebratula Renieri? Cat. Tav. I, fig. Za Zb. 1827. Terebratula Eenieri Catullo. Saggio di Zoologia Fossile, pag. 167, tav. V, fig. i, l. 1867-81. Terebratula Eenieri Meneghini. Monogr. des foss. du calcaire rouge amm. de Lombardie et de VApennin Centr., pag. 171. 8 100 B. GRECO 1880. Terebratula Renieri Canavari. / Brachiopodi degli strati a T. Aspasia Mgh. nell'App. Centr., 1. c., pag. 17, tav. II, fig- 9-10 [cura sun.). Riferisco con dubbio a questa specie una grande valva alquanto deformata raccolta dal Fucini a Boccbigliero. Essa sembra essere molto convessa, e provvista di una leggera depressione mediana, dovuta forse, a quanto mi sembra, alla deformazione cui fu soggetta; il suo apice è robusto, assai grosso, ricurvo, con forame molto ampio. Sulla superfìcie di essa valva si contano circa 12 pieghe grossolane ed irregolari che spariscono totalmente nella regione umbonale. La punteggiatura è minutissima. La T. Renieri Cat. è specie del Lias medio e superiore del- l’Appennino Centrale e di Lombardia. Lamellibranchiata et Gastropoda. Queste due classi di Molluschi sono estremamente rare nel Lias superiore calabrese. 1 Lamellibranchi sono rappresentati solamente da una valva destra di una piccola conchiglia indeterminabile specifìcamente, che sembra forse appartenere al genere Arca: essa proviene da Boccbigliero. I Gasteropodi da un modello interno indeterminabile anche genericamente trovato a Boccbigliero. Ha l’aspetto di una Pleu- rotomaria ma non può escludersi che possa appartenere invece al genere Trochiis. Cephalopoda. I. Genere ]Va,ii.tilixs Breyn. 1. Nautiliis sp. ind. cfr. N. semistriatus d’Orb. Modello interno di un piccolo Nautilus incompletamente con- servato. Per r ombelico stretto, per i setti assai ravvicinati fra loro, per la forma della linea suturale e per la sezione dei giri corri- sponde assai bene (meno che per le dimensioni immensamente più piccole) al N. semistriatus d’Orb., quale è fìgurato dall’autore nella tavola 26 della sua Paléontologie frangaise. Nulla però può dirsi con sicurezza per l’incompleto stato di conservazione dell’esemplare, nel quale non si osserva neanche la posizione del sifone. IL LIAS SUPERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO CALABRO 101 Il N. semistriatus d’Orb. è citato in Italia nel Lias superiore di Lombardia dal Meneghini. Il Gemmellaro paragona alla stessa specie tre esemplari trovati nel Lias superiore dei dintorni di Taor- mina, avvertendo che sembrano distinguersi da esse, per la man- canza di strie e per avere il forame sifonale situato al di sotto del centro dell altezza dei giri. È possibile che con questi esem- plari siciliani il nostro sia specificatamente legato. Esso fu raccolto dal Fucini a Boccbigliero. II. Genere JPhyllocei’as Suess. 1. Phylloceras Nilssoni Héb. sp. 1867-81. A. (Phylloceras) Nilssoni Meneghini. Mon. des foss. du cale. rouge amm. de Lorab. et de VApennin Centr., pag. 96, lav. XVIII, fig. 7-9 {cum. syn.). 1885. Phylloceras Nilssoni Gemmellaro. Mon. sui foss. del Lias sup. delle Prov. di Palermo e di Messina, ecc,. Bull. d. Soc. d. Se. Nat. ed Econ. di Palermo, sed. del 30 dicembre, pag. 1. 1886. Phylloceras Nilssoni Vacek. 0 olitile von Gap S. Vigilio, Abhandl. d. k. k. geol. Eeichsanstalt, Bd. XII, n. 3, pag. 11, tav. IV, fig. 1-7. 1893. Phylloceras Nilssoni Bonarelli. Osserv. sul Toarciano e sull' Ale- niano dell'App. Centrale. Boll, della Soc. geol. Ita!., voi. XII, pag. 228. 1895. PhyllocerasNilssoni Greco. Sulla presenza della Oolite inferiore nelle vicinanze di Rossano Calabro. Bstr. d. atti d. Soc. Tose, di Se. Nat., Proc. Verb., adun. del 3 marzo, pag. 4. Questa specie è rappresentata nel Lias superiore calabrese da un solo esemplare piuttosto grande che misura mm. 105 di dia- metro. Esso corrisponde completamente cogli esemplari originali del Meneghini esistenti in questo Museo. Fu raccolto dal Fucini nei calcari marnosi rossastri di Bocchigliero, alternanti con quelli gial- lastri. Il Ph. Nilssoni Héb. sp. è specie promiscua del Lias supe- riore e della Oolite inferiore. Nel Lias superiore italiano viene citata in Lombardia, nell’ Appennino Centrale ed in Sicilia; nella Oolite inferiore a S. Vigilio, nell’ Appennino Centrale ed in Calabria. 2. Phylloceras sp. ind. Insieme colla specie precedente fu raccolto dal Fucini un esemplare di un piccolo Phylloceras che non presenta caratteri 102 B. GRECO sufficienti per la determinazione specifica. Parrebbe un piccolo esemplare del Ph. Nilssoni Héb. sp., se ne distingue però per le strozzature peristomatiche indistinte, avvicinandosi per questo ca- rattere al Ph. Alontimm Gemm. (’)• Manca nel nostro esemplare la linea lobale per giustificare qualsiasi determinazione specifica. 3. Phylloceras Stoppami Mgh. Tav. I, fig- 4. 1867-81. A. (Phylloceras) Stop pani! Meneghini. Mon. d. foss. du cale. rouge amm. de Lombardie et de l'Apennin Central, pag. 99, tav’ XX, fig. 2. . , , , . 1885. Phylloceras Stoppanti Gemmellaro. Mon. sui foss. del Lms sup. delle Prov. di Palermo e di Messina, ecc., 1. c., pag. 1. Dimensioni : Diametro Altezza dell’ ultimo giro in rapporto al diametro Spessore * " " " Larghezza dell’ombelico » " mm. 77. * 0,56. » 0,26. * 0,13. Il Phylloceras Stoppami Mgh. non è raro a Pietracutale, gli esemplari però, conservati in modello, sono sempre in parte o to- talmente deformati. _ _ La specie è ben riconoscibile nella involuzione e forma dei giri, nel numero e forma dei rilievi cingolari e nella fine stnatura ornamentale, talché i nostri esemplari corrispondono in tutti i^ loro caratteri alla forma tipica descritta e figurata dal Meneghini. Avvertiamo solo che in essi non si vede la linea lobale. Tre degli esemplari esaminati furono raccolti dal Fucini, gli altri tre dal mio amico dott. Eocco Mazzei. 4. Phylloceras sp. ind. cfr. Ph. Partschi Stur sp. Dai calcari marnosi di Pietracutale provengono due esemplari di Phylloceras deformati ed incompleti, ed un terzo del tutto schiacciato, che conserva semplicemente la parte esterna dell uEimo giro. Non sono ben determinabili, ma hanno grandi rassomiglianze (1) Gemmellaro, Sui foss. d. strati a T. Aspasia Mgh. della contrada Rocche Rosse, presso Calati, pag. 9, tav. I, fig. 7 e tav. II, fig- 1 - IL LIAS SUPERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO CALABRO 103 col Ph. Partschi Stur sp., specialmente uno che ha la conchiglia in parte ben conservata e che presenta su di essa, fra le coste principali rilevate, numerose altre costoline secondarie, come pre- cisamente si osserva in quella specie. III. Genere Fthacopliyllites Zitt. 1. Rhacophyllites lariensis Mgh. sp. 1867-81. A. (Phylloceras) lariensis Meneghini. Mon. d. foss. du cal- caire rouge amm. de Lombardie et de l'Apennin Contr., pa- gina 80, tav. XVII, fig. 1-2. 1885. Rhacophyllites lariensis Gemmellaro. Mon. sui foss. del Lias sup. d. Prov. di Palermo e Messina ecc., 1. c. pag. 2. 1893. Rhacophyllites lariensis Geyer. Die mittelliasische Cephalopo- denfauna des Hinter-Schafberges in Oberósterreich. Ahhandl. der k. k. geologischen Reichsanstalt, Bd. XV, Heft 4, pag. 51, tay. VII, fig. 8, 9 {cum syn.). Fra i fossili provenienti dai calcari marnosi grigiastri di Pie- tracutale vi è un frammento dell’ultimo giro di un Rhacophyllites che va ascritto indubbiamente al Rh. lariensis Mgh. sp. Esso presenta infatti la ornamentazione caratteristica di questa specie, e cioè K de plessures flexueuses et très-penchées à l’avant, confluantes à la quille.... formée de noeuds comprimés, plus ou moins séparés et inégalement espacés ou confluents » . In detto frammento si osserva anche benissimo una delle strozzature peristomatiche inclinate in avanti che si trovano nella specie meneghiniana. Il Rh. lariensis Mgh. sp. in Italia è stato citato nel Lias superiore della Lombardia e di Sicilia ; recentemente dal Geyer è stato trovato anche nel Lias medio dell’ Hinter-Schafberg e dal Kilian nel Lias medio dell’ Andalusia. » 2. Rhacophyllites Nardii Mgh. sp. Tav. I, fig. ha-hb. 1854. Ammonites Nardii Meneghini. Nuovi fossili toscani. 'E.six. d. Ann. delle Università toscane, voi. Ili, pag. 27. 1879. Ammonites Nardii Reynès. Monographie des Ammonites, Lias, pag. 6, tav. XXXIX, fig. 12-16. 1884. Phylloceras diopsis Gemmellaro. Sui foss. d. strati a T . Aspasia Mgh. della contr. Rocche Rosse presso Salati, pag. 6, tav. II, fig. 6-8, tav. VI, fig. 1, 2. B. GRECO 104 1886. Phylloceras (Rliacophyllites) Nardi! De Stefani. Lias inf. ad Arieti dell'Ajpp. Settentrionale. Estr. d. Atti d. Soc. Tose, di Se. Nat., Memorie, voi. Vili, pag. 54. Dimensioni : Diametro Spessore deirnltimo giro in rapporto al diametro Altezza » » » * Larghezza dell’ombelico « " o mm. 60. » 0,26. . 0,36. « 0,31. Conchiglia compressa, discoidale, con giri appianati lateral- mente, arrotondati nella regione esterna e che scendono perpendi- colarmente nell' ombelico largo, profondo, gradinato e provvisto di carena circumombelicale. Essi giri sono ornati nella loro metà esterna da numerose pieghe trasversali curvate, fortemente inclinate in avanti e che si continuano anche nella regione sifonale, ove sono strettamente arcuate, colla convessità rivolta anteriormente. La se- zione trasversale dei giri è di forma ellissoidale, compressa lateral- mente ed incisa in basso. Nel nostro esemplare conservato in mo- dello interno non vi sono traccio di strozzature peristomatiche. La linea lobale non è osservabile. Il Rii. N ardii Mgh. sp. è rappresentato nel mio materiale dal solo esemplare figurato, raccolto dal Eucini nei calcari marnosi rossi alternanti con i calcari mamosi giallastri di Becchiglielo. Esso, confrontato cogli esemplari di Rh. Nardii Mgh. sp. tipici provenienti dai calcari rossi ammonitiferi di Campiglia, vi corrisponde perfettamente. Del pari esso presenta tutti i caratteri del Rh. diopsis Gemm. sp. Ora bisogna notare che il Meneghini descrisse questa specie nel 1854. La figura di essa però fu data solo nel 1879 dal Reynès, che ne ebbe in comunicazione dallo stesso Meneghini non sappiamo bene se un originale o un modello in gesso della specie ; in ogni modo si deve avvertire che la figura del Reynès non sembra molto fedele, inquantocbè presenta delle coste radiali principali, che mancano nella specie del Meneghini. Gli originali del Rh. Nardii Mgh. sp. di Campiglia e l’esemplare di Calabria corrispondono completamente al Rh. diopsis Gemm. sp., la cui linea lobale poi non differisce sostanzialmente da quella figm’ata dal Reynès per il Rh. Nardii Mgh. Sarei perciò propenso, col De Stefani, a consi- derare la specie del Gemmellaro come sinonima di quella del Me- IL LIAS SUPERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO CALABRO 105 neghini, e ad accettare per ragioni di priorità il nome proposto da quest’ultimo.- Il Rh. Nardii Mgh. sp. è stato citato nel Lias medio della Sicilia e nei calcari rossi ammonitiferi di Campiglia, che vengono considerati come strati di passaggio tra il Lias inferiore ed il Lias medio. 3. Rhacophyllìtes eximius Hauer sp. Tav. I, fig. 6a-6c. 1854. Ammonites eximius Hauer. Beitr. znr Kenntn. d. Hetero'phyllen d. Oesterr. Alpen. Sep.-Abdr. aus d. Sitzungsber. d. kais. Akad. d. Wiss., XII, Bd., pag. 5, tav. II, fig. 1-4. 1867-81. A. (Pbylloceras) eximius Meneghini. Monogr. d. foss. du cal- caire rouge amm. de Lombardie et de VApennin Centr., pag, 79 [cum. syn). 1885. Rhacophyilites eximius Gemmellaro. Mon. sui foss. del Lias sup. della Prov. di Palerm.o e di Messia, ecc., 1. c., pag. 2. 1893. Rhacophyilites eximius GejQx. Die mittelliasische Cephalopoden- fauna des Hinter-Schafberges, 1. c., pag. 50, tav. VII, fig. 3-7. Dimensioni : Diametro mni. 40. Altezza dellultimo giro in rapporto al diametro » 0,45. Spessore » » k » »0,17. Larghezza deU’ombelico in » » » 0,27. Conchiglia discoidale compressa, ad accrescimento piuttosto lento, composta di cinque giri molto più alti che larghi, compressi ai tìanchi, strettamente arrotondati alla regione sifonale ed incavati nella regione ombelicale, onde la loro sezione si può considerare presso a poco come una ellisse abbastanza allungata. L’ombelico è ampio, gradinato e provvisto di carena circumombelicale, perchè i giri scendono quasi perpendicolarmente neH’ombelico. La regione sifonale ha ben conservata la carena acuta sottile, sporgente, e che va mano mano rendendosi meno distinta procedendo verso i giri interni. Nella metà interna del giro la conchiglia è liscia, ma nella metà esterna è ornata da numerose e sottili pieghe arcuate ed inclinate in avanti che vanno ad incontrare con un angolo molto acuto la carena della regione sifonale. Nell’ultimo giro si osservano le strozzature peristomatiche inclinate in avanti e leggermente cur- vate, colla concavità rivolta anteriormente. 106 B. GRECO La linea lobale è benissimo conservata e corrisponde perfet- tamente alle figure che di essa hanno dato 1 Hauer ed il Geyer , si compone cioè di tre selle principali difille e di due selle ac- cessorie ; di tre lobi principali e di due accessori. La prima sella laterale è più alta di tutte, sorpassando alquanto la sella esterna. Il primo lobo laterale è il doppio più profondo del lobo sifonale e termina in tre rami. Le selle ed i lobi accessori sono un poco inclinati all’ esterno. Il solo esemplare ben conservato che ho raccolto nei calcari marnosi giallognoli di Bocchigliero corrisponde a quelli figurati daH’Hauer e dal Geyer. La specie in Italia è citata nel Lias superiore di Lombardia e di Sicilia; viene ricordata dal Geyer per il Lias medio dell Hin- ter-Schafbergs. IV. Genere Lytoceras Suess. 1. Ly tacer as fimbriatoides ? Gemm. 1884. Lytoceras fimbriatoides Gemmellaro. Sui foss. d. str. a T. Aspasia d. contr. Rocche Rosse, presso Salati, pag. 13, ta- vola III, fig. 20-23. Dimensioni : Diametro Altezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro * Spessore * « » n « Larghezza dell’ombelico in » « » 54. 0,35. 0,35. 0,38. Conchiglia discoidale convessa con ombelico molto largo e profondo, con spira costituita da quattro giri evoluti, che appena si toccano. La loro sezione è perfettamente circolare ; essi sono ornati di coste trasversali principali poco prominenti, increspate e quasi ugualmente distanti, fra le quali ve ne sono intercalate altre secondarie, generalmente in numero di sette, molto meno sviluppate e separate da spazi più larghi di esse. Molte di queste coste secondarie sono semplici, ma ve ne sono altre biforcate e qualcheduna anche triforcata. Tanto le coste principali quanto le secondarie sono alquanto^ fiessuose nella re- gione ombelicale, ove presentano la convessità rivolta posteriormente, IL LIAS SUPERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO CALABRO 107 e nei fianchi ove sono convesse verso la parte anteriore. Nei giri non vi è alcun indizio di strozzature peristomatiche. La linea lobale non è conservata. Il Gemmellaro distinse la sua specie dal L. fimbriatim Sow. sp. per la sezione dei giri circolare, per la mancanza nei modelli di strozzature peristomatiche, per i giri ornati di coste più fini e regolari, di cui le principali sono più numerose in ogni giro e per la linea lobale. Il nostro esemplare corrisponderebbe molto bene alla specie del Gemmellaro, ma non essendo però in esso conser- vata la linea lobale, così ho voluto far seguire il nome della specie da un ?. L’esemplare fu raccolto dal Selvaggi a Bocchigliero. Il L. fimbriatoides Gemm. fino ad ora è noto soltanto del Lias medio di Sicilia. 2. Lytoceras sp. ind. cfr. L. cornucofia Y. et B. sp. 1885. Lytoceras cfr. cornucopiae Gemmellaro. Mon. sui foss. del Lias sup. delle Prov. di Palermo e di Messina, ecc., 1. c., pag. 2. Nei calcari marnosi giallastri di Bocchigliero raccolsi un fram- mento di un grosso Lytoceras che per Tornamentazione costituita da un reticolo di coste spirali e radiali ricorda grandemente il L. cornucopia T. et B. sp. (') Nulla può dirsi di più stante il suo incompleto stato di con- servazione. La stessa cosa accade per tre frammenti di Lytoceras raccolti dal Fucini, allo sbocco dell’Ortiano presso Puntadura. Il L. cornucopia Y. et B. sp. è specie del Lias superiore. Il Gemmellaro paragona a questa specie alcuni Lytoceras del Lias superiore di Taormina. 3. Lytoceras sp. ind. Nei calcari marnosi giallastri di Bocchigliero furono raccolti dal Fucini, dal Selvaggi e da me numerosi frammenti in parte compressi e deformati di un Lytoceras che, mentre è diverso dalle forme precedentemente descritte, ricorda per gli ornamenti il Z. Vil- lae Mgh. del Lias superiore lombardo. Essi infatti presentano come (*) (*) D’Orbigny, Palé ontologie Frangane. Terr. jurass., voi. I, pag. 316, tav. 99. B. GRECO 108 la specie del Meneghini « cotes crénelées, fasciculées, dichotomes, liexueuses " , ma per il loro incompleto stato di conservazione non si può ulteriormente insistere nei confronti. Lo stesso si dica di altri due frammenti pure compressi e certamente appartenenti alla stessa specie dei precedenti raccolti dal Fucini allo sbocco del- rOrtiano. 4. Ly tacer as dorcadis'? Mgh. 1867-81. Ammonites (Lytoceras) dorcadis Meneghini. Mon des foss. du calcane rouge ammon. (Lias sup.) de Lombardie et de VApennin Central, pag. 107, tav. XX, fìg. 4 e tav. XXI, fig. 1. 1885. Lytoceras (Pleuracantites) dorcadis Gemmellaro. Sopra ta- luni Harpoceratidi del Lias sup. dei dintorni di Taormina, pag. 4. 1885. Lytoceras (Pleuracantites) dorcadis Gemmellaro. Monografia sui foss. del Lias sup. delle Frov. di Palermo e di Messina, ecc., 1. c., pag. 2. Riferisco con dubbio a questa specie un frammento di un giro che per la torma delle coste e per gli strangolamenti peristomatici corrisponde assai bene a quella varietà di Lytoceras dorcadis, dal Meneghini distinta col nome di Catriensis. Da essa si allontane- rebbe però per avere il dorso un poco più convesso. Manca nel mio esemplare la linea lobale. Esso proviene dai calcari marnosi giallastri', di Boccbigliero. V. Genere Dixnxortieria Haug. 1. Dumortieria ? Naxensis Gemm. 1885. Harpoceras (Grammoceras) Naxense Gemmellaro. Sopra ta- luni Harpoc. del Lias sup. dei dintorni di Taormina, pag. 6 tav. I, fig. 7-9. 1885. Dumortieria Naxensis Gemmellaro. Mon. sui foss. del Lias sup. delle Prov. di Palermo e di Messina, ecc., 1. c., pag. 3. Il Gemmellaro, nello stabilire questa nuova specie, fece os- servare la rassomiglianza che essa presenta coll E. ( Gr.) costulatum IL LIAS SUPERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO CALABRO 109 Schloth. (') e con Y H. {Dumortieria) Manieri Haug (2), ma cre- dette bene di riferirla al sottogenere Grammoceras. Successi- vamente però, in seguito ad un più attento esame, ritenne che questa specie insieme coll’//. Lottii Gemm. e con altre due nuove specie {Dumorlieria transitoria Gemm. e D. clensiradiata Gemm.) si dovesse riferire al genere Dumortieria. Haug (^), 1 autore di questo genere, è d’accordo col Gemmellaro nel separare tale genere dagli Harpoceras (ai quali era stato prima dall Haug stesso riferito come sottogenere), ma mentre precedente- mente riteneva che esso derivasse dai Cycloceras, ora, in seguito ad un più profondo studio, lo fa provenire dal gruppo dell’H^^o- ceras Jamesonù Osserva che carattere principale distintivo del genere Dumortieria è la sella laterale stretta, allungata, sporgente, e dubita che le quattro specie credute Durnortieriae dal Gemmel- laro appartengano proprio a questo genere ; crede che per la forma siano da riferire piuttosto agli Harpoceras, ma non può nulla as- serire finché non si conoscerà bene la linea lobale. Nella stessa incertezza debbo restare anch’io, non avendo potuto osservare la linea lobale negli esemplari calabresi apparte- nenti a tale specie; li riferisco quindi con dubbio al genere Du- mortieria. La /).? Naxensis Gemm. è specie piuttosto rara nel Lias superiore calabrese ; i sei esemplari esaminati provengono tutti da Bocchigliero, ove furono raccolti nei calcari marnosi giallognoli dal Fucini, dal Selvaggi e da me ; a Pietracutale tale specie non è stata ancora trovata. Questi esemplari corrispondono perfettamente a quelli descritti e figurati dal Gemmellaro, provenienti dal Lias superiore di Taormina. (‘) Zieten, Die Versteinerungen Wurtembergs, pag. 10, tav. 7, fig. 7 Stuttgart 1830. (*) Haug, Nouvelles Ammonites ou peu connus du Lias sup. Bull. d. 1. Soc. geol. de France, 3^ ser., voi. XII, pag. 349, tav. XIII, fig. 3; Beitràge zu einer Monogr. d. Ammonitengattung Harpoceras. Jahrbuch fur Min. ecc pag. 710, 1884, III Beil. Bd. (®) Ueber die Polymorphidae, eine neue Ammonitenfamilie aus dem Lias. Jahrbucli fiir Min. ecc., 1887, Il Bd. 2 H., pag. 120-121. 110 B. GRECO 2. Dumortieriaì Haugi Gemm. 1885 Harpoceras (Dumortieria) Haugi Gemmellaro. Sopra taluni Harvoc. del Lias sup. dei dintorni di Taormina, pag. 5, tav. 1, 1885 Dumortieria (Canavaria s. gen. n.) Haugi Gemmellaro^ sui foss. del Lias sup. delle Provincie di Palermo e di Messi- na, ecc. 1. c , pag. 3. Questa specie fu dapprima riferita dal Gemmellaro al sotto- genere Dumortieria coll’avvertenza che per i tubercoli sulla estre- mità di molte coste e per la linea lobale si allontana da tutte le specie del gruppo dell'/T. {Dum.) Levesquei d Orb. ( ) sp. e c e invece ricorda gli H. del gruppo dell’^. {Cyclocera^) binotatum Opp. sp. (^). Da questi si distingueva la specie siciliana per le coste ravvicinate e non tutte tubercolate e per la linea lobale _ meno profondamente dentata. Il dotto professore di Palermo ncbiamava l’attenzione dei paleontologi sulla nuova specie che secon o ni poteva servire a collegare il gruppo delViT. {Dum.) Levesquei d Or . sp col gruppo deir.ff. {Cycloceras) hinotatim Opp. sp. e terminava con queste parole: « L’Haug, quantunque non si conoscesse finora una specie intermedia di questi due gruppi di Harpoceras, pure ha stabilito la derivazione delle Dumortieriae dai Cycloceras, e il rinvenimento di questa Dumortieria che ha taluni caratteri ata- vici dei Cycloceras conferma ciò che egli ammette nel suo dotto lavoro " . In una nota successiva però il Gemmellaro fa di questa specie così definita il tipo di un nuovo sottogenere, Canavaria, de genere dumortieria. Ma l’Haug {^) osserva che, contrariamente a ciò che riteneva prima, in seguito ad uno studio accurato del ric- chissimo materiale del Museo di Monaco, crede che il suo genere Dumortieria derivi non più dai Cycloceras ma dal giuppo e XAegoceras Jamesoni. Se così stanno realmente le cose il sotto- genere Canavaria non potrebbe collegare le Dumortieriae coi Cy- (1) Haug, Beitràge zu einer Monographie der Ammonitengattung Har- poceras, 1. c., pag. 710. (2) Haug, Ibidem, pag. 710. (3) Ueher die Polyrnorphidae , dem Lias, 1. c , pag. 120-121. eine neue Ammonitenfamilie aus IL HAS SUPERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO CALARRO 111 cloceras e verrebbero meno le basi sulle quali sarebbe fondato il nuovo sottogenere del Gemmellaro. D’altra parte l’Haug dubita che le specie dal Gemmellaro riferite al genere Dumortieria vi appartengano certamente ; e crede che si potrà dare un giudizio sicuro quando di esse si conoscerà bene la linea lobale caratterizzata nelle Dumortieriae dalla sella laterale stretta, allungata, sporgente. Neanche nei miei esemplari si può osservare la linea lobale, essendo conservati in modello. Li riferisco quindi con dubbio al genere Dumortieria. La D.ì Haugi Gemm. è rara nel Lias superiore calabrese; tre esemplari ne furono raccolti dal Fucini allo sbocco dell’Ortiano ed un frammento da me nella vicina Pietracutale. Tutti corrispon- dono agli esemplari del Lias superiore di Taormina. VI. Genere Harpocei^as Waagen. 1. Harpoceras ( Arieticeras) Di Stefanoi Gemm. 1885. Harpoceras Di Stefanoi Gemmellaro. Sopra tal. Harpoc. del Lias sup. dei dintorni di Taormina, pag. 11, tav. I, fig. 14-19. 1885. Harpoceras (Grammoceras) Di Stefanoi Gemmellaro. i/ow. s. foss. del Lias sup. delle Prov. di Palermo e di Messina, ecc. 1. c., pag. 4. It Harpoceras (Arieticeras) Di Stefanoi Gemm. è specie piut- tosto rara nei calcari marnosi cenerognoli di Pietracutale, ove ne furono raccolti tre esemplari. Allo sbocco deirOrtiano, ne furono raccolti dal Fucini altri due ed uno, fossilizzato in roccia marnosa rossastra, fu da me tro- vato a Puntadura. Questa varietà litologica deve quindi trovarsi anche in tale località, ma io non l’ ho ancora veduta. Nessuna differenza esiste fra gli esemplari calabresi e quelli Siciliani descritti e figurati dal Gemmellaro. Crediamo non privo di qualche interesse il ricordare che passa grande somiglianza tra XH. (Ar.) Di Stefanoi Gemm. e XH. (Ar.) Algovianum Opp. sp. (^). Da questa specie fu separata XH. Di Stefanoi Gemm. per le coste tubercolate al contorno esterno e assai meno flessuose. (*) Oppel, Die Mittlere Lias Schwabens, pag. 51 (A.radians amal- thei), tav. HI, fig. 1. 112 B. GRECO Ora io ho veduto in questo Museo esemplari determinati come H. Algovianum Opp. sp. del Lias medio dell Appennino Centrale che hanno le coste tubercolate al margine esterno e quasi punto fles- suose. Si può dire che lo stesso carattere abbiano gli esemplari del Lias superiore, flgurati dal Meneghini, e quelli considerati come appar- tenenti pure alla stessa specie e che 1’ Oppel aveva chiamati A. radians amalthei. Mi sorge quindi il dubbio che la specie del Gemmellaro in discussione sia così strettamente legata all H. (Ar.) Algovianuffi da non potersene separare speciflcamente. Ad ogni modo io propenderei a credere che sarebbe meglio porre tale specie nel gruppo delUiT. (Ar.) Algovianum Opp. come aveva ritenuto prima il Gemmellaro, anziché riferirla al sottogenere Grammoceras. 2. Harpoceras {Arieticeras) Paronai Gemm. 1885. Harpoceras Paronai Gemmellaro. Sopra tal. Harpoc. del Lias sup. dei dint. di Taormina, pag. 12, tav. I, fig. 20-22. 1885. Harpoceras (Gr amm o cer a s) Paronai Gemmellaro. Mon. sui foss. del Lias sup. delle Prov. di Messina e Palermo, ecc., 1. c , 1892 Harpoceras Paronai Fucini. Molluschi e Brachiopodi del Lias inf. di Longobucco. Boll, della Soc. Malacologica Italiana, vo- lume XVI, pag. 10. V Harpoceras {Arieticeras) Paronai Gemm. è rappresentato nel mio materiale da due frammenti di due grandi esemplari rac- colti dal Fucini a Bocchigliero e di due individui provenienti da Pietracutale. Tutti e quattro corrispondono per i loro caratteri aBa specie del Gemmellaro. Ad essa poi riferisco con dubbio un gio- vanissimo esemplare compresso lateralmente e deformato da sem- brare quasi stirato; esso fu raccolto dal Fucini nei calcari marnosi rossastri di Bocchigliero. lì E. {Ari) Paronai Gemm. è affine all’iT. {Ar.) Di Stefanoi Gemm.. da cui, come fa osservare il Gemmellaro, si distingue per le coste non tubercolate sulla regione sifonale e evanescenti al contorno esterno. Per gli stessi caratteri differisce dalViT. {Ar.) Al- govianum Opp. (0, al quale gruppo crederei che la specie in di- fi ) Oppel, Die Mittlere Lias Sclmabens. pag. hi {A. radians amal- thei), tav. 3, fìg. 1; Meneghini. Monographie d. foss. du calcaire rouge am- monii’. de Lombardie et de VApennin Centr., pag. 40, tav. X, fig. 1-2. IL LIAS SUPERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO CALABRO 113 scorso si dovesse ascrivere, come prima aveva fatto il Gemmellaro, piuttostochè al sottogenere Grammo ceras, come ha ritenuto in seguito. 3. Harpoceras {Arieticeras) Fontanelle use Gemm. 1885. Harpoceras Fontanellense Gemmellaro. Sopra tal. Harpoc. del Lias sup. dei dint. di Taormina, pag. 12, tav. II, fig. 1, 2. 1885. Harpoceras (Grammoceras) Fontanellense Gemmellaro Mon. sui foss. del Lias sup. delle Prov. di Palermo e di Messina, ecc., 1. c., pag. 4. li' Harpoceras {Arieticeras) Fontanellense Gemm. è specie non troppo rara nei calcari marnosi di Pietracutale, ove ne furono da me raccolti 8 esemplari; due ne furono poi trovati dal Fucini presso Puntadura allo sbocco dell’Ortiano. A Bocchigliero tale specie non è stata ancora trovata. Tutti gli esemplari corrispondono perfetta- mente alla descrizione e alle figure date per questa specie dal Gemmellaro. Kiferisco pure alla medesima un altro esemplare rac- colto a Pietracutale; esso è incompleto, ed è più grande dei due figurati dal Gemmellaro, presentando un giro di più degli esemplari siciliani: tale giro è molto sviluppato e nella porzione ben conser- vata di esso si osserva, a differenza degli altri individui, una costa biforcata; i giri precedenti corrispondono perfettamente a quelli degli altri esemplari di tale specie. Come fa osservare il Gemmellaro, YH. (Ar.) Fontanellense Gemm. è assai vicino all’zr. (Ar.) retrorsicosta Opp. sp. (') del gruppo dell’ir. (Ar.) Algovianum Opp. sp. (2). Da esso si può di- stinguere, per essere meno involuto e per l’ombelico più largo e sprovvisto di carena circumombelicale. Per questa rassomiglianza io crederei che sarebbe meglio porre la specie in discorso nel gruppo MY Harpoceras Algovianum Oppel, sp. come aveva dapprima fatto il Gemmellaro, anziché riferirla al sottogenere Grammoceras del quale è tipo YH. radians Kein. sp. che sembra ben diverso dal YH. Fontanellense Gemm. (*) Meneghini, Mon. d. foss. du calcaire rouge amm. (Lias sup.) de Lombardie et de VApennin Centr., pag. 46, tav. X, fig. 3. (*) Haug, Beitràge zu einer Monographie der Ammonitengattung Har- poceras, 1. c., pag. 629-630. 114 B. GRECO 4. Harpoceras ( Grammo ceras) Canavarii Gemm. 1885. Harpoceras ( Grammoceras) Canavarii Gemmellaro. (a/. Harpoc. del Lias sup. di Taormina, pag. 5, tav. I, fìg. 4-6. 1885 Harpoceras (Grammoceras) Canavarii Gemmellaro. Mon. sui foss. del Lias sup. delle Prov. di Palermo e ài Messina, ecc.. 1. c., pag. 6. 1892. Harpoceras Canavarii Fucini. Molluschi e Brachiopodi del Lias inf. di Longobucco, 1. c., pag. 10. V Harpoceras (Grammoceras) Canavarii Gemm. è specie as- sai vicina air^^'. (Grammoceras) Aalense Ziet. sp. (0. Da essa però, come osserva il Gemmellaro, si può tenere distinta per la sua minore involuzione, per le coste meno falciformi, più rade, e per le coste semplici in maggior numero di quelle biforcate. Un altra differenza consiste poi in ciò che la biforcazione delle coste neirZT. (Gr.) Canavarii Gemm. avviene sul contorno ombelicale e non sui fianchi come nell’ H. ( Gr .) Aalense Ziet. sp. Anche la linea lobale, secondo quanto afferma il Gemmellaro, sarebbe diversa nelle due specie. li' H. (Gr.) Canavarii Gemm. è piuttosto raro nel Lias supe- riore calabrese; tre esemplari provengono da Pietracutale j due fu- rono raccolti dal Fucini presso Puntadura, allo sbocco deirOrtiano, e due incompleti provengono dai calcari marnosi giallastri di Boc- chigliero. 5. Harpoceras (Grammoceras) Timaei Gemm. 1885 Harpoceras (Grammoceras) Timaei Gemmellaro. Sopra tal Harpoc. del Lias sup. dei dint. di Taormina, pag. 7, tav. 1, fig. 10-13. . 1885. Harpoceras (Grammoceras) Timaei Gemmellaro. Mon. sui foss. del Lias sup. delle Prov. di Palermo e di Messina, ecc., 1. c., 1892. Harpo^ce^as Timaei Fuciui. Molluschi e Brachiopodi del Lias inf di Longobucco, 1. c., pag. 10. È questa la specie più frequente nei calcari marnosi cenero- gnoli di Pietracutale. Numerosissimi esemplari isolati ne sono stati raccolti in questa località dal Fucini, dal prof. Canavari e da noe. Dal mio amico dott. Rocco Mazzei mi furono mandate alcune lastre . 37, tav. 28, fig. 3. (1) Zieten, Die Versteinerungen Wurtembergs, pag. IL LIAS SUPERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO CALABRO llS di detto calcaxe che sono letteralmente costituite da una congerie di esemplari appartenenti a tale specie. Come è quasi sempre il caso per le Ammoniti precedentemente descritte, anche queste sono schiacciate, deformate e non lasciano vedere la linea lobale. Tut- tavia mostrano evidenti i caratteri che il Gemmellaro attribuisce all’or. (Gr.) Timaei, al quale sono state riferite. 6. Harpoceras ( Grammoceras) radiane ? Kein. sp. 1818. Nautilus radians Eeinecke. Maris protogei Naut. et Argon., pa- gina 71, tav. IV, fig. 39-40. 1867-81. Ammonites radians Meneghini. Mon. des foss. du calcaire rouge amm. de Lombardie et de VApennin Centr., pag. 33, tav. IX, figure 2-6, tav. XI, fig.6-7 (cum syn.). 1885. Harpoceras (Grammoceras) radians Gemmellaro. Sopra tal. Harpoc. del Lias sup. dei dint. di Taormina, pag. 8. 1885. Harpoceras (Grammoceras) radians Gemmellaro. Mon. sui foss. del Lias sup. delle Prov. di Palermo e di Messina, qcc., 1. c., pag. 5. Riferisco con dubbio a questa specie numerosi esemplari, de- formati per compressione o incompletamente conservati, i quali hanno notevole corrispondenza con quelli descritti dal Meneghini sotto allo stesso nome. Siccome però in nessuno di essi ho potuto osservare la linea lobale, così non si può escludere che possano appartenere, per esempio, ìAV Harpoceras (Lioceras) Boscense Reyn. sp. (^) che si distingue particolarmente dal H. radians per la forma della linea lobale. Gli esemplari esaminati provengono in massima parte da Boc- chigliero, ove furono raccolti dal Fucini, dal Selvaggi e da me, tanto nei calcari marnosi giallastri, come nei rossastri con essi alternanti. Il Fucini inoltre ne raccolse tre esemplari incompleti in un calcare nero che si trova presso il paese di Longobucco, 7. Harpoceras ( Grammoceras) serpentinum ? Rein. sp. 1818. Argonauta serpentinus 'Siemecke. Maris protogei Naut. et Argon., pag. 86, tav. 13, fig. 74-75. (I) Eeynès, Essai de Géologie et de Paléontologie Aveyronnaises, Paris 1878, pag. 94, tav. Ili, fig. 2; Zittel, Geologische Beobachtungen aus den Central-Apenninen in Benecke, Beitrage, II Bd., 2. H., pag. 120, tav. 13, fig. 3-4. 9 B. GRECO 1867-81. Ammonites serpentinus Meneghini. Mon. des foss. du cale. rouge amm. de Lombardie et de V A'pennin Central, pag. 13, tav. 3% fig. 1 {cum syn). 1885. Hildoceras serpentinum Gemmellaro. Sopra tal. Harpoc. del Lias sup. dei dint. di Taormina, pag. 14. 1885. Harpoceras ( Grammoceras) serpentinum Gemmellaro. Mon. sui foss. del Lias sup. delle" Prov. di Palermo e di Messina, ecc., 1. c , pag. 5. Nei calcari marnosi giallastri di Bocchigliero furono raccolti dal Fucini, dal Selvaggi e da me, numerosi esemplari in cattivo stato di conservazione, appartenenti ad un Harpoceras che ricorda grandemente 17/. serpentinum Eein. sp. del Lias superiore di Lom- bardia, quale è figurato dal Meneghini. Essi, infatti, non^ raggiun- gendo mai le dimensioni dell’esemplare originale, vi corrispondono proporzionatamente per la forma e l’andamento delle coste e per la depressione spirale in prossimità dell’ ombelico. Non si può es- sere perfettamente sicuri però di tale determinazione, essendo essa basata sopra frammenti di esemplari o sopra individui deformati per compressione, in nessuno dei quali si può osservare la linea lobale. Riferisco pure con dubbio a questa specie due esemplari molto imperfetti raccolti dal Fucini presso Longobucco in un calcare nero. 8. Harpoceras falciferumì Sow. sp. 1821. Ammonites falcifer Sowerhy. The Minerai Conchology, voi. Ili, pag. 99, tav. 254, fig. 2. 1867-81. Ammonites falcifer Meneghini. Mon. d. foss. du cale, rouge amm. de Lombardie et de VApennin Central, pag. 14, tav. m, fig. 2-3 {cum syn). 1885. Harpoceras falciferum Haug. Mon. der Ammonitengattung Har- poceras. Neues Jahrhuch fiir Min. ecc. Beil. Bd. Ili, pag. 648. 1885. Harpoceras falciferum Gemmellaro. ^S'opm tal. Harpoc. del Lias sup. dei dint. di Taormina, pag. 9. Credo che appartengano a questa specie alcuni esemplari in- completamente conservati o deformati per compressione. Essi infatti per la loro conchiglia molto involuta e per la forma delle coste assai falcate corrispondono agli esemplari dell’ Appennino Centrale e di Lombardia; ma siccome in nessuno degli esemplari calabresi si può osservare la linea lobale, e, come si disse, il loro stato di IL LIAS SUPERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO CALABRO 117 conservazione lascia molto a desiderare, non si può essere sicuri di tale determinazione. Uno solo degli esemplari esaminati proviene da Pietracutale ; gli altri sono stati raccolti a Bocchigliero dal Fucini e da me tanto nei calcari marnosi giallastri quanto in quelli rossastri. 9. Harpoeeras (Hildoceras) Hoffmanni G-emm. 1885. Hildoceras (Lillia) Hoffmanni Gemmellaro. Sop^'a tal. Harpoc. del Lias sup. dei dint. di Taormina, jjag. 16, tav. II, fig. 11-15. 1885. Harpoeeras (Hildoceras) Hoffmanni Gemmellaro. Mon. sui foss. del Lias sup. delle Prov. di Palermo e di Messina, ecc., 1. c., pag. 4. V Harpoeeras (Hildoceras) Hoffmanni Gemm, è specie rara nel Lias superiore calabrese e gli esemplari raccolti sono in cat- tivo stato di conservazione. Tre di essi provengono da Pietracutale e tre da Bocchigliero. Tutti corrispondono agli esemplari siciliani descritti e figurati dal Gemmellaro ; ma, come al solito, in nessuno si può osservare la linea lobale. Questa specie ha affinità o,o\\' Hildoceras (Lillia) Bayani Dum. sp. (Q, ma ne è ben distinta, come osserva il Gemmellaro, per il suo ombelico più ampio, per alcune particolarità della linea lobale e per le coste non tubercolate sul contorno ombelicale. Per l’assenza di questi tubercoli appunto io credo che la specie in discorso debba essere riferita al sottogenere Hildoceras, come ha fatto ultimamente il Gemmellaro. 10. Harpoeeras (Hildoceras) Mansonii Gemm. 1885. Hildoceras Manzonii Gemmellaro. Sopra tal. Harpoc. del Lias sup. di Taormina, pag. 14, tav. II, fig. 16-17. 1885. Harpoeeras (Hildoceras) Manzonii GemmeW&xo. Èlon. sui foss. del Lias sup. delle Prov. di Palermo e di Messina, ecc., 1. c., pag. 4. Di questa specie ho potuto osservare quattro esemplari molto incompleti, che però corrispondono nei loro caratteri cogli esemplari di Taormina descritti dal Gemmellaro. Tre dei nostri «esemplari (1) Dumortier, Etud. pai. sur le dépòt jur. du Bassin du Rhòne. IV, pag. 69, tav. XVI, fig. 7-9. 118 B. GRECO provengono dai calcari marnosi giallognoli di Bocchigliero, ed uno fu raccolto dal Fucini nei calcari marnosi rossastri con essi al- ternanti. 11. Harpoceras sp. ind. cfr. H. UtìieMe Y. et B. sp. 1885. Harpoceras cfr. lithense Gemmellaro. Sofra tal Harpoc. del Lias sup. dei dint. di Taormina, pag. 9. 1885. Harpoceras (Lioceras) cfr. li t h ens e Gemmellaro. swi /òss. del Lias sup. delle Prov. di Palermo e di Messina, ecc., 1. c., pag. 7. Da Pietracutale provengono alcuni esemplari più o meno com- pleti ma a superficie mal conservata, che appartengono ad un Harpoceras simile al lithense Y. et B. sp. figurato dal Dumortier (') e dal Tate e Blake {^). Due di essi, di piccole dimensioni, che hanno la superficie un po’ meglio conservata, lasciano vedere le coste fra loro allontanate, come sono rappresentate dal Dumortier ; gli altri in stadio di sviluppo più avanzato e con la conchiglia non conservata lasciano solo scorgere gli indizii di esse coste. Tutti poi hanno l’ombelico proporzionatamente più ampio del tipo della specie, in nessuno è conservata la linea lobale. Credo che questi esemplari possano corrispondere a quelli si- ciliani dal Gemmellaro confrontati coll’i/. lithense Young et Bird. VII. Genere Coelocer*as Hyatt. 1. Coeloceras crassum Y. et B. sp. 1835. Ammonites crassus Young et Bird in Phillips. Geol. of ìorkshire, 2^ edizione, pag. 135, tav. XII, fig. 15. 1867-81. A. (Stephanoceras) crassus Meneghini. Mon. d. foss. du cale. rouge amm. de Lombardie et de l'Apennin Centr., pag. 70, tav. XV, fig. 3, tav. XVI, fig. 2-4 (cum syn.). 1885. Coeloceras crassum GemmeWaxo. Sopra tal. Harpoc. del LAas sup. dei dintorni di Taormina, pag. 4. 1885. Coeloceras Raquinianum Gemmellaro. Ibidem, pag. 4. 1885. Coeloceras crassum Gtva.m.e\\&xo. Mon. sui foss. del Lias sup. delle Prov. di Palermo e di Messina, ecc. 1. c., pag. 7. (1) Dumortier, Etud. pai. sur le dépótjurass. du Bassin du Rhóne. IV, pag. 56, tav. XI, fig. 9-10. (2) Tate and Blake, The Yorkshire Lias, pag. 304, tav. II, fig. 4. IL LIAS SUPERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO CALABRO 119 1885. Coeloceras Raquinianum Gemraellaro. Ibidem, pag. 7. 1886. Coeloceras crassum Seguenza. Il Lias sup. nel territorio di Taor- mina. Estr. d. Atti del R. Istituto Veneto di Se., Lett. ed Arti, adun. del 20 giugno, pag. 17. 1886. Coeloceras Raquinianum Seguenza. Ibidem, pag. 18. 1892. Coeloceras Raquinianum Fucini. Molluschi e Brachiopodi del Lias inf di Longohucco, 1. c,, pag. 10. Questa specie, molto variabile nel concetto inteso dal Mene- ghini, è rappresentata nel mio materiale da quattro esemplari abba- stanza completi, ma schiacciati per compressione, raccolti a Pietra- cutale. Essi corrispondono pei loro ornamenti agli esemplari rap- presentati dal Meneghini colle figure 2 e 3 della tav. XVI, e dal d’Orbigny {Coeloceras Raquinianum d’Orb. sp.) colla fig. 4 della tav. 106. Riferisco poi con dubbio alla medesima specie cinque fram- menti compressi dall’alto al basso nella regione sifonale, raccolti a Pietracutale, e due altri, schiacciati lateralmente, provenienti da Bocchigliero. In nessuno dei miei esemplari si vede la linea lobale. Vili. Genere A.ptyclius H. v. Meyer. 1. Aptychus sp. ind. cfr. Api. sonatus Stopp. Due esemplari di una specie di Aptychus sono stati trovati a Bocchigliero. Sono essi aderenti alla roccia per la loro superficie superiore e non lasciano quindi vedere che la loro parte inferiore. Nella forma e nelle dimensioni ricordano moltissimo Y Apt. zonatus Stopp. in Meneghini (‘) del Lias superiore lombardo, tanto che sarei stato disposto a riferirli a tale specie, se non mi avesse rat- tenuto il fatto di non aver potuto osservare gli ornamenti della superficie superiore. Uno di essi fu raccolto dal Fucini nei calcari marnosi gial- lastri, l’altro dal Selvaggi nei calcari marnosi rossastri. (1) Mon. des foss. du cale, rouge amm. de Lomb. et de VApennin Gentr., pag. 121, tav. XXIII, fig. 6, e tav. XXIV, fig. 5. 120 B. GRECO IX. Genere Atractites Gùmbel. 1. Atractites Indunensis Stopp. sp. Tav. I, fig. 7. 1867-81. Aulacoceras Indunense Meneghini. Mon. d. foss. du calcaire Touge amm. d. Lomb. et de V Apennin Centr., pag. 140, tav. XX\ I, fig. 1-4, e tav. XXVn, fig. 1-6. (cum syn.). Riferisco Atv ac tite^ Indunensis Stopp. sp. un frammento di un grande fragmocono alquanto schiacciato nella fossilizzazione e conservato in modello interno. Esso è costituito da sette loggie ed ha il sifone marginale ben distinto. Corrisponde benissimo, malgrado il suo imperfetto stato di conservazione, all’esemplare rappresentato dal Meneghini nella tav. XXVI, fig. 1. Avvertiamo che questa specie riportata già al genere Aulaco- ceras, deve riferirsi per i caratteri del guscio, che si possono anche rilevare dalla figura data dal Meneghini (tav. XXVI, fig. 2), al genere Atractites Gumb., secondo quanto fu detto dal Mojsiso- vics (>). L’A. Indunensis Stopp. sp. è specie del Lias superiore di Lombardia. X. Genere 'Belemnites (Agric.) Lister. 1. Belemnites sp. ind. Tanto nei calcari marnosi di Pietracutale quanto in quelli di Bocchigliero sono stati raccolti dal Fucini, dal Selvaggi e da me numerosi frammenti più o meno grandi di una specie di Belemnites. Atteso però il loro incompleto stato di conservazione, non può su essi basarsi alcuna determinazione specifica. [^9 maggio 1896] (1) Mojsisovics, Die Cephalopoden der Mediterraneen Triasprovinz. Herausgegehen von d. k. k. geologischen Reichsanstalt, pag. 299. Wien 1882. u !&■ J i. I % J s-;# >•; Tav. I B. CBISTOPAN! DIS. IL LIAS SUPERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO CALABRO 121 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Fig. 1. Koninckina ( Koninckodonta) Oeyeri? Bittn., pag. 97 Bocchi- gliero. n 2a-2b. Terebratula Erbaensis Suess, pag. 99 Bocchigliero. » Za-U. Terebratula Renieriì Cat., pag. 99 Bocchigliero. ” 4. Phylloceras Stopparli Mgh. pag. 102 Pietracutale. » Za-Zb. Rhacophyllites Nardii Mgh. sp., pag. 103 Bocchigliero. n 6a-Qc. Rhacophyllites eximius Hauer sp., pag. 105 Bocchigliero. ” 7 Atractites Indunensis Stopp. sp. pag. 120 Pietracutale. AVVERTENZE Per far parte della Società occorre esser presentato da due soci in una Adu- nanza ordinaria, e pagare una tassa d’entrata di L. 5 e una tassa annua di L. 15. La tassa annua può essere sostituita dal pagamento di L. 200 per una sola volta. Ogni socio all’atto dell’ammissione si obbliga di restare nella Società per tre anni, al cessare dei quali l’impegno s’ intende rinnovato di anno in anno, _ se non venga denunziato tre mesi prima della scadenza. La tassa sociale annua di L. 15 deve essere pagata entro i due primi mesi dell’ anno. I soci hanno diritto al Bollettino che si stampa in fascicoli trimestrali. Nel Bollettino si pubblicano le memorie presentate nelle Adunanze, insieme all’elenco dei soci, ai bilanci, ai resoconti delle Adunanze generali e delle escursioni. Le memorie che non vengono presentate in Adunanza generale saranno in- viate alla Presidenza, e per essa al Segretario ; col visto del Presidente saranno trasmesse alla stampa secondo l’ordine di presentazione. Fino a nuova disposizione non si accettano le memorie che per estensione su- perino approssimativamente quattro fogli di stampa e quelle che fossero lavori di compilazione. Le note e comunicazioni da inserirsi nei resoconti delle adunanze non devono superare due pagine. I manoscritti dovranno consistere in fogli dello stesso formato, scritti da una sola parte, in caratteri intelligibili, senza di che la Presidenza potrà respingerli. I lavori scompleti, sia nel manoscritto, sia nelle tavole, non possono essere presi in considerazione per la stampa. Una Memoria già presentata alla Società, e ritirata per modificarla o completarla, qualora non sia rinviata alla Segreteria entro 15 giorni, perde il suo turno per la stampa. Gli autori che domandano un sussidio per 1 ’ esecuzione di tavole o illustra- zioni annesse alle loro memorie devono presentare un preventivo della spesa totale sul quale la Presidenza determinerà caso per caso, secondo il bilancio sociale, se debba concedersi il concorso e in quale proporzione. La somma accordata sarà co- municata all’ autore, ed ogni spesa maggiore dovrà essere esclusivamente a carico di questo. Per le carte geologiche non si concede alcun sussidio. Le prove delle tavole (anche di quelle che gli autori fanno eseguire a proprie spese) debbono essere sottoposte al visto della Presidenza prima della tiratura. Di ciascuna memoria il Segretario spedirà all’autore, per la correzione, una prova in colonna, che dovrà essergli restituita al più tardi entro 15 giorni, e una in pagina, da restituirsi entro 8 giorni. Se le prove non saranno restituite nel termine prescritto, il Segretario s’in- caricherà d’ufficio della materiale correzione degli errori tipografici senza assumere alcuna responsabilità. Il Segretario prima di deliberare la stampa delle memorie si assicurerà che le correzioni indicate dagli autori siano state eseguite. Le spese straordinarie cagionate da correzioni maggiori del consueto, da cam- biamenti 0 rifusione di paragrafi, come pure la stampa di tavole sinottiche di formato maggiore del testo saranno addebitate agli autori, ed essi saranno in obbligo di pagarle al Segretario non appena ne abbiano ricevuto il relativo conto col visto del Presidente. Agli autori si dànno 50 copie degli estratti con copertina stampata. Se l’autore intende far tirare estratti per conto proprio, deve indicare per iscritto sulla prima prova corretta della sua memoria il numero degli esemplari che ne desidera. Il prezzo di 50 in 50 copiò, con copertina stampata ecc. sarà di L. 4 ogni foglio di pag. 16, e di L. 2 per ogni mezzo foglio o frazione di mezzo foglio. L’importo di questi estratti sarà indicato dal Segretario sulle bozze impagi- nate. Qualora l’ autore non l’ abbia pagato anticipatamente al Segretario, gli estratti saranno spediti contro assegno. A qualunque socio, il quale col 1“ aprile dell’anno corrente si trovi ancora in arretrato pel pagamento della tassa sociale dovuta per l’anno precedente, sarà sen- z’altro sospeso r invio delle pubblicazioni della Società e il medesimo non potrà prendere parte alle Adunanze. La presentazione delle memorie e la stampa delle medesime non avrà corso se l’autore non avrà pagato la tassa dell’anno in corso o soddisfatto ogni altro impegno verso la Società. Per il pagamento della tassa d’entrata, della tassa annua e per l’acquisto dei volumi del Bollettino dirigere lettere e vaglia all’Economo cav. ing. Augusto Statuti, via dell’Anima, 17, Koma. SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA MENTE ET MALLEO fondata in Bologna il 29 settembre 1881. Ufficio di Presidenza per l’anno 1896. Presidente. Prof. Carlo De Stefani (Firenze). Vice-Presidente. Prof. cav.T>ANTE Pantanelli (Modena). Segretario. Ing. dott. Enrico Clerici (Roma). Vice-Segretari. Dott. M«I0 B1I.ÌTTA (Koma). 1 Dott. Giosepp» Eistow (PbeMs). Tesoriere. comm. Tommabo Tittoni. Deputato al Parlamento Nazionale (Eoma). Economo. Ing. cav. Augusto Statuti (Roma). ArcMvista. Prof. ing. Romolo Meli (Roma). lav. Luigi Di Rovasenda (Sciolze). ng. Bernardino Lotti (Ro^). >rof.comm. Giotanni Omboni- (Padova), ng. oomm. Nicolò Pellati (Roma), ng. cav. Luigi Baldacci (Roma). Prof. Mario Canavari (Pisa). Consiglieri Ing. Prof. Dott. Prof. Ing. Dott. comm. Lucio Mazzuoli (Roma). Arturo Negri (Padova). Giuseppe Mazzetti (Modena). Federico Sacco (Torino). Pietro Toso (Firenze). Mario Cermenati (Roma). Commissione per le pubblicazioni. n Presidente l Il Segretario / tempore) Il Tesoriere ) ^ L’ArcMvista | Prof. cav. A. D’Achiardi (Pisa). Prof. cav. Francesco Bassani (Napoli). Prof. cav. Torquato Taramelli (Pavia). * Commissione del bilancio. Prof. comm. Giovanni Struever (Roma). Ing. cAv. Pietro Zezi (Roma). Prof. cav. Giuseppe Tuccimei (Roma). ^de deUa Società ; RoMA^ Via-S.- Susanna, 1 ^ presso il R. Dfdcio geoLogico. FAUNULA DEL LIAS MEDIO DI SPEZIA. Nota del doti Alberto Fucini. (con due tavole) Sui terreni secondari dei dintorni di Spezia poco restava a fare dopo i numerosi ed accurati lavori del Capellini e del Ca- navali. Solo lo studio della fauna del Lias medio non aveva fino ad ora invogliato nessuno, forse perché esso sarebbe stato rivolto a troppo piccol numero di specie e di esemplari. Nel riordinamento che si va facendo del Museo paleontologico dell Università di Pisa ho trovato una piccola raccolta di fossili del Lias medio di Spezia e ne ho intrapreso lo studio, essendomi sem- brata di una certa importanza anche perchè permette di stabilire con sicurezza a qual parte del Lias medio appartenga quel giaci- mento. La maggior parte degli esemplari in esame fu raccolta al Monte Parodi dal Canavari che ne fece soggetto di una breve comunicazione alla Società toscana di Scienze naturali ('). Altri pochi individui si trovavano già da molto tempo nel nostro Museo e forse furon raccolti promiscuamente alla fauna del Lias inferiore, studiata dal Canavari. La uguale fossilizzazione e l’ ignorata pre- senza di fossili anche nel Lias medio favorirono quella confusione. A studio incominciato ho poi avuto in esame, per cortesia del profes- sore De Stefani, anche alcuni esemplari di proprietà del Museo di Firenze. Così ho potuto studiare le seguenti specie (®) : Aitarle Canavarii sp. n. * Atractites cfr. indunensis Stopp. (‘) Canavari, Lotti e Zaccagna, Di alcune Ammoniti del Lias medio rinvenute al Monte Parodi. Atti d. Soc. tose, di Se. nat. (Proc. verbali), voi. Ili, pag. 246. (*) Le specie segnate con l’asterisco * si trovano anche nel deposito del Medolo. 10 124 A- FUCINI *Am,altheus margaritatus Mont. * » s'pinatus Brug. * RhacophylUtes libertus Gemm. * Phylloceras Meneghina Gemm. * frondosum Reynès ; ») Zetes d’Orb. * * tenuiUriatnm Mgh. I n mioptychum sp. n. s Capellina sp. n. * Lytoceras audax Mgh. * B nothum Mgh. * B sepositum Mgh. Aegoceras sp. ind. Coeloceras cfr. Sellae Gemm. * Harpoceras {Arieaceros) Algovianum Opp. | * B B Lotta Gemm. j * „ B retrorsicosta Opp. :1 B {Hildoceras) Bay ani Dum. ì B B {Leioceras ?) compactile Simps. | B [Crammoceras) fallaciosum Bayle j Amphiceras cfr. propinquum Gemm. j Di queste 23 specie, tolte le indeterminate e quelle che ho 1 creduto di dovere descrivere come nuove, se ne hanno a comune .^ col noto giacimento del Medolo ben 14 sopra le 19 che restano. ; Siamo dunque in presenza di un deposito equivalente a quello | del Medolo stesso, che gli autori si sono trovati d' accordo a ritenere ^ come un rappresentante del Lias medio più superiore. È il Domeriano del Bonarelli. Fra le specie che io non ho messo comuni col Medolo ha > importanza speciale, anche perchè di sicura determinazione, il. Phylloceras Zetes d’Orb., il quale figurerebbe anzi nella fauna di quel deposito studiata dall’Hauer e dal Meneghini. Nella descri-,; zione del Ph. Zetes si vedrà per quali ragioni io crederei che non' debba riferirsi a questa specie la forma del Medolo che pur vi fu rapportata dagli autori citati. Sebbene non di grande importanza è notevole anche la corn- spondenza che corre fra i due depositi posti a confronto, relativa FAUNULA DEL LIAS MEDIO DI SPEZIA 125 al modo di conservazione e di fossilizzazione delle specie. Per questa speciale fossilizzazione in idrossido di ferro, ho potuto, in molte delle specie studiate, rilevare con facilità i caratteri delle linee lohali, come benissimo potè fare il Meneghini per le Ammo- niti del Medolo. Per merito di tale fossilizzazione, posseduta anche dai fossili del Lias inferiore di Spezia, ho potuto poi isolare completamente delle specie impigliate nel calcare, sottoponendo tutto ad una forte azione di acido cloridrico. Prima di cominciare lo studio sistematico delle specie credo bene avvertire che le Ammoniti sono quasi tutte rappresentate da esemplari tutti concamerati e che quindi possono riguardarsi come giri interni di individui più adulti. In alcune, che raramente hanno conservata l’ ultima camera, questa non presenta la consueta fossi- lizzazione in idrossido di ferro, ma è mantenuta in modello sullo stesso calcare grigio che costituisce la roccia del giacimento. Chi volesse averanche cognizione della posizione stratigrafica dei calcari grigi, dai quali al Monte Parodi fu raccolta la piccola fauna che vado a descrivere, potrà esaminare la sezione geologica di Zac- cagna, inserita nel lavoro del Canavari (*). Modello interno di conchiglia cordiforme, un poco più alta che larga, non tanto rigonfia, equivalve e molto inequilaterale. Gli om- boni sono assai robusti, alti e ricurvi in avanti. Tanto posterior- mente che anteriormente parte da essi una carena che scende al margine, vicino alle impronte muscolari. La carena che si trova nella parte anteriore e che serviva a limitare nettamente l’ area (*) Canavari, Fauna del Lias inferiore di Spezia. Meni. d. E. Comit. geol., voi. Ili, pag. 202, a. 1888. LAMELLIBRANCHI. Gen. A^starte Sowerby AstaHe Canavarii sp. n. (Tav. II, fìg. 1) Altezza . Larghezza Spessore . mm. 7 i " 7 " 5 A. FUCINI 126 cordiforme è piuttosto ampia. Le impressioni muscolan sono am- bedue distinte e l’ anteriore che è più piccola, ma più rilevata della posteriore, sporge sul modello nettamente. Ciò ci dà a denotare quanto essa fosse realmente profonda nella conchiglia e quanto questa fosse spessa. Sebbene in modello il fossile conserva 1 im- pressione di forti rughe concentriche poco numerose e non tanto regolarmente allontanate. Il margine è finamente crenulato. Nes- sun seno si manifesta nella linea del pallio. ^ Questa specie è indiscutibilmente molto vicina all thrata Stol. (Q,la quale forse non è nemmeno da riguardarsi una vera Opis, non sembrandomi sufiìcienti per caratterizzarla generi- camente le leggere carene posteriori, visibili nel modello, di cui parla lo Stoliczka. La mia specie per quanto in modello mi sem- bra differire tuttavia da quella del Lias inferiore di Hierlatz, os- servata anche in modello, per V apice più acuto, per il contorno più quadrangolare per le rughe concentriche molto piu iinpresse e più irregolari, nonché per la forma della conchiglia più depressa. Intitolo questa specie dal Canavari che la raccolse e che tanto bene illustrò la fauna del Lias inferiore di Spezia. ì ■4 CEFALOPODL Gen. A-tra,ctites Gùmbel. Atractiles cfr. ladunensis Stopp. 1867-81. Aulacoceraslndunense Meneghini. Fossiles du Medolo. Pag. 41 , tav. VII, fig. 1-3 [cum. syn). Fragmocono che si accresce non tanto rapidamente e che ha la sezione perfettamente ellittica. 11 frammento però è talmente mal conservato che non permette di vedere la posizione della doccm sifonale e nemmeno l’altezza respettiva delle camere ; queste tuttavia sembrano alte; Gen. A-maltTaeus Montfort. Amaltheus margaritatus Mont. (Tav. Il, fig. 3 e 4) 1803.. Ammonites mar garitatus Montfort. Conchiliologie systématique. Pag. 90, tav. I, fig- 23. (1) Stoliczka, Ueber die Gasteropoden und Acephalen Schichten (Sitzungsb. d. k. Ak. d. Wiss. Bd. XLIII, pag. 194, der Hierlatz- tav. V, fig. 6j. FAUNULA. DEL LIAS MEDIO DI SPEZIA 127 1851. Ammonites actaeonoides Savi e Menegìimì. Considerazioni sulla geologia stratigrafica della Toscana. (Appendice alla memoria del Mnrchison). Sulla struttura delle Alpi, degli Appennini, ecc. pag. 352. 1867-81. A. (Amaltheus) margaritatus Fossiles du Medolo. Pag. 14. 1888. Amaltheus margaritatus Canavari. Fauna del Lias inferiore di Spezia. (Mem. d. E. Comit. geol., voi. Ili), pag. 84 e 196, tav. VI, fig. 15, 16. 1888. Amaltheus actaeonoides Canavari. Ibidem., pag. 86, tav. VI, fig. 17. 1893. Amaltheus margaritatus Geyer. Die mittelliasische Cephalopoden — Fauna des Hinter-Schafberges (Ahhand. d. k. k. geol. Eeich- sanstalt, Bd. XV), pag. 26, tav. Ili, fig. 1-6 {cum. syn.). È questa la specie più frequente nella fauna, invero poco nu- merosa, del Lias medio del Monte Parodi. Si spiega quindi facil- mente come essa, avanti che si conoscesse la presenza di fossili anche nel Lias medio dei dintorni di Spezia, venisse confusa con i fossili del ben noto giacimento del Lias inferiore di quella re- gione ed insieme ad essi studiata dal Canavari. Questo tanto più perchè le due faune hanno una facies identica. Ma il Canavari fu poi il primo a ritenere del Lias medio la specie in discus- sione appena egli stesso ebbe la fortuna di riconoscere fossiliferi i calcari del Lias medio, dei dintorni di Spezia e di raccogliervi la fauna che è oggetto del presente studio. Gli esemplari in esame appartengono ad individui giovani o, dirò meglio, sono formati dai giri interni di individui adulti. Essi presentano queste dimensioni: Diametro mm. 22 =1 — 18=1 — 14 =1 — 13=1 Alt. dell’ultimo giro n 9 = 0,41 — 8 = 0,44 — 6| = 0,46 — 6 = 0,46. Spessore » 6| = 0,30 — 6 = 0,33— 4| = 0,32— 3| = 0,27. Largh. dell’omhelico » 8|=0,38 — 6 = 0,33 — 4| = 0,32 — 4 =0,30. Come si vede dalle dimensioni date siamo davanti ad una serie di individui con i giri di forma assai variata cui corrisponde anche una certa variabilità negli ornamenti esterni. L’esemplare più grande fra quelli esaminati, non misurato perchè di conserva- zione troppo imperfetta, per la sua conchiglia compressa, per le dimensioni e per la forma e distribuzione dei nodi e delle coste corrisponde bene all’ esemplare figurato dal d’Orbigny, con la fi- gura 5 della tavola 68 della sua Paléontologie francaise ed anche 128 A. FUCINI a quello rappresentato dal Geyer con la figura 2 della tavola III nel suo lavoro sui Cefalopodi del Schafberg. • • t n r»Q\ i sull ictvuiv ctij. ^ ,, .1-, . J j 1 Un’altra forma (misurazioni 1^ e 2^) è quella illustrata dal . . .Il t* rii STìA7ia.. Canavari nei suoi lavori sulla fauna del Lias inferiore di Spezia, e questa è la più ampiamente rappresentata. Essa si caratterizza soprattutto per la piccola altezza dei giri, per lo spessore rela i- vamente grande di questi e per l’ ombelico ampio. Le coste non vi sono tanto numerose, 16 o 17 nell’ultimo giro, ma come succede sempre in tal caso sono assai forti, come robusti si manifestano pure i noduli embriciati della carena esterna. Ho osservato cbe ad o-ni costa corrispondono sulla carena due nodi in continuazione dello sdoppiamento cbe avviene delle stesse coste, fra il tuberco o, di cui vanno quasi tutte fornite, e la carena esterna. Dopo questa forma se ne presenta un’ altra (tav. ^ I,^ fig. 6) caratterizzata dal rapido accrescimento, dalla sezione dei gin qua- drancrolari e dalle coste non molto robuste terminanti quasi sulla metà' dell’altezza dei fianchi, ove presentano un leggero rilievo. La regione esterna è pressoché liscia inquantochè le coste non con- tinuano, oltre il tubercolo, che in forma di tenui strie moUo pie- gate in avanti. Anche la carena esterna non è molto distinta ne tanto chiaramente nodulosa. j -i tj i A questo tipo di forme, di cui anche il Wrigbt (>) ed il Bucb- man (2) figurarono alcuni esemplari, io credo cbe appartenga 1 A. actceonoides Savi e Mgb. cbe dal Canavari 0 venne '.descritto tra la fauna del Lias inferiore di Spezia perche con essa promiscua- mente raccolto, avanti cbe si conoscesse colà la presenza del Lias medio. Esso ha nell’ ultimo giro una quantità di coste rilevanti (22) ma esse rientrano per la forma fra quelle del A. margaritatus Montt. Per cortesia del prof. De Stefani ho avuto in comunicazione dal Museo geologico di Firenze un esemplare che per la sua com- pressione e per la forma generale della conchiglia si riporta al tipo, costituendone pur sempre una varietà, per le coste non tanto sviluppate, prive di tubercoli e molto attenuate sulla parte esterna. (1) Wriffht, Lias Ammoniten. Parte VI, tav. LVI, fig. 8, 9. (2) Buckman S. S., A Monograph on thè inferior Oolite Ammomtes. Part VI, tav. XLIX, fig. 1. r, • /•! •4-\ «fi (3) Canavari, Fauna del Lias inferiore di Spezia (loc. cit.) pag. tav. VI, fig. 17. FAUNULA DEL LIAS MEDIO DI SPEZIA 129 Questa parte resulta pressoché liscia e la carena leggerissima quasi indistintamente nodulosa. Tale esemplare si riferisce quindi a quella forma illustrata dal Geyer con la figura 6 della tavola III del suo lavoro sul Lias medio del Schafberg. Una forma ancora più importante e che a mio modo di vedere potrebbe tenersi separata specificamente, anche perchè si riscontra in diversi giacimenti è quella cui il Quenstedt dette il nome di Ammonite^ amaltheus laevis (Q. Nel Lias medio di Spezia questa forma è rappresentata da un individuo che corrisponde benissimo alle figure date dal Quenstedt. Sebbene esso facesse parte delle antiche collezioni del Museo mi credo autorizzato a ritenerlo vera- mente di Spezia, per la sua fossilizzazione identica a quella delle altre Ammoniti che ho in esame. La conchiglia è depressa con ombelico stretto, con la sezione dei giri ellittica e col dorso ap- pena carenato. La superficie è ornata di leggere coste sinuose le quali si riuniscono irregolarmente a fasci presso la regione ombe- licale come avviene in taluni Harpoceras. Ho voluto far notare tutte queste forme per dimostrare sempre più la variabilità di questa specie allo stato giovanile, nel quale stato ha tanti punti di contatto con VA. spinatus Brug. Il dott. Bonarelli ha recentemente e ragionevolmente riunito all’A. pseudocoslatum Hyatt TAmmonite che il Meneghini figurò col nome di A. margarltatus Montf. nel suo classico lavoro sui fossili del calcare rosso ammonitifero. Debbo però notare che nella descrizione il Meneghini cita anche un esemplare raccolto alla Fo- nerà dal prof. Calderini. Io ho potuto esaminare, questo esemplare e assicurarmi che appartiene realmente all’ A. margaritatus. Eife- ribili indubbiamente a questa specie sono pure gli esemplari del Medolo che si conservano nel Museo di Pisa. Così alla Spezia è bene identificato VA. margaritatus Montf. che si trova anche al Medolo come in tante altre località, essendo specie estesissima. Amaltheus spinatus Brug. (Tav. II, fig. 2) 1792. Ammonites spinata Bruguière. Encycl. mélhod. Tav. I, pag. 40. V) Quenstedt, Ber Pura. Pag. 167, tav. 20, fig. 5. — Bie Ammoniteli des Schwàbischen dura. Pag. 329, tav. 42, fig. 1-5. A. FUCINI 130 1867-81. A. (Amaltheus) spinatus Monographie des fossiles du calcaire rouqe ammonitique. Pag. 66, tav. Xin, fig. 4, 5, {curri, syn). 1867-81. A. (Amaltheus) spinatus Meneghini. Fossiles du Medolo. Pag. 15. ( 1883. Amaltheus spinatus Wright. Lias Ammoròe/i. Part. VI, pag. 402, tav. LV, fig. 1, 2, e tav. LVI, fig. 1-5, {curri, syn.). L’unico esemplare di questa specie che ho in esame, presenta > queste dimensioni : Diametro Altezza dell’ ultimo giro Spessore « " Larghezza dell’omhelico mm. 16 = 1. . , 5^ = 0,34. « 7 =0,44. n 6^ = 0,41. La conchiglia ha lento accrescimento, inquantochè al diametro da essa presentato di 16”“ è fornita già di 5 giri. Questi sono poco inyoluti, più larghi che alti, con la maggior larghezza al primo terzo esterno in corrispondenza dei nodi delle coste ed hanno la larga regione esterna quasi piana e munita di carena nodulosa piuttosto forte, fiancheggiata da due leggeri solchi. Nell’ultimo giro si trovano 13 coste molto distinte, le quali cominciano subito con un rilievo assai notevole lungo il contorno ombelicale, lasciando però, al di sotto e lungo la sutura, una superficie ristretta liscia. Vanno quindi aumentando in rilievo verso la regione esterna, fino a raggiungere i due terzi dell’altezza del giro, dove, rigonfiandosi, producono per ciascuna un grosso tubercolo che si allarga alquanto in senso trasversale alla costa cui è unito. Nella regione esterna fra la carena nodulosa e la serie dei nodi sulle coste od in corri- spondenza di questi si trovano dei rilievi gibbosi non molto forti che per non essere congiunti alla carena stessa determinano ap- punto le depressioni da cui essa è fiancheggiata. Dai nodi poi si partono delle leggere costolette irregolari, molto piegate in avanti, che vanno alla carena, restando indipendenti dai rilievi gibbosi sopra notati. La sezione dei giri poligonale è del tipo di quella rappresen- tata dal Buckman (Q per un individuo di grandezza non troppo diversa da quella offerta dall’esemplare in esame. (1) Buckman S. S., A Monograph on thè inferior Oolite Ammonites. Tav. XLIX, fig. 7. FAUNULA DEL LIAS MEDIO DI SPEZIA 131 La linea lobale presa ad un diametro di 13'""* è molto sem- plice, come può vedersi dalla figura che ne dò assai ingrandita. In essa si nota la poca frastagliatura, l’incisione piccolissima delle selle e la poca altezza di queste, specialmente della prima laterale, in confronto della loro grande larghezza. E nota l’afBnità che passa tra questa specie ed alcune forme deir^. margaritatus Mont., percui io non credo molto giusta la loro separazione generica, proposta ed accettata da alcuni. Colgo l’occasione per render noto come nel Museo di Pisa si conservi un prezioso gruppo di esemplari di questa specie. Esso è quello rappresentato dal Baieri con la figura 6^ della tavola 12®' della sua Oryctografia Norica. lì Amaltheus spinatus Brug. in Italia è con certezza identifi- cato nel Lias medio di Spezia, del Medolo e di altre località della Lombardia ritenute del Lias superiore dal Meneghini e riferite al piano del Medolo dal Bonarelli (^). Gen. Rh.a,cophyllites Zittel. Rhacophylhtes Ubertus Gemm. (Tav. Ili, fig. 2). 1850. Ammonites mimatensis (non d’ Orb.) Savi e Meneghini. Consid. sulla geni. str. d. Toscana. (App. alla Mem. d Murchison. Sulla strutt. geol. d. Alpi, d. Appennini e dei Carpazi. Pag. 392 e 400). 1884. Phylloceras libertum Gemmellaro. Sui fossili degli strati a Te- rehratula Aspasia, ecc. Pag. 4, tav. II, fig. 1-5. 1886. Phy. (Rhacophyllites) liberi um De Stefani. Lias inferiore ad Arieti d. Appenn. Sett. (loc. cit.). Pag. 56 {cum. syn.). 1893. Rhacophyllites libertus Geyer. Die Mittell. Cephalop. d. Schaf- berges (loc. cit.). Pag. 48, tav. VI, fig. 8-12. 1894. Rhacophyllites libertus Greco. Il Lias inferiore nel Circondario di Rossano. Atti della Soc. tose. d. Se. nat. (Memorie), voi. XIII, pag. 166, tav. 7, fig. 7. Kiferisco a questa specie due giovani individui che corrispon- dono perfettamente a quelli piccoli del Medolo riferiti al Phyllo- ceras mimalense del Meneghini (-), con i quali ho potuti paragonarli (‘) Bonarelli, Fossili domeriani della Brianza. Pag. 6. (2) Meneghini, Fossiles du Medolo. Pag. 26, tav. IV, fig. 2. A. FUCINI 132 direttamente. Sono concliigliole depresse, assai involute, che si accrescono non tanto rapidamente, tutte concamerate e con queste dimensioni : Diametro 12 = 1 8=1. Altezza dell’ ultimo giro. . " 5 = 0,42 3^- = 0,44, Spessore ” « . » 4 = 0,33 3 = 0,37. Larghezza dell’ombelico . » 3|- = 0,30 2|- = 0,30, La sezione del giro, di un ovale molto regolare, poco allun- gata, presenta la massima larghezza al primo terzo interno della sua altezza. I fianchi piuttosto piani si deprimono gradatamente verso il mar- gine sifonale presso il quale accentuano la loro curva, dando origine ad una regione esterna arrotondata. Deprimendosi più rapidamente verso l’ombelico, non tanto però da formare una carena circumom- belicale, danno luogo ad una superficie ombelicale strettamente arrotondata. Nessuna ornamentazione esterna si osserva sulla su- perficie all’ infuori di alcune ondulosità radiali, poco profonde, che non hanno caratteri di veri e propri solchi. Un vero e proprio solco peristomatico e che passa anche attraverso alla regione esterna si trova nell’individuo più grande, al primo quinto anteriore del- l’ultimo suo giro conservato. Non molto profondo nè tanto distinto e obliquo in avanti, esso forma sul margine sifonale un’ angolosità rivolta verso la parte anteriore. L’ombelico è di mediocre ampiezza e la conchiglia è assai involuta inquantochè l’ ultimo giro ricopre il precedente della sua metà. La linea lobale composta dal lobo sifonale, da sei lobi e da sei selle è caratterizzata principal- mente dalla grande profondità del primo lobo laterale e di quello sospensivo in confronto a quello sifonale. 11 secondo lobo laterale passa di poco la linea radiale e così il primo lobo accessorio. Questo e gli altri accessori, che tutti insieme formano il lobo sospensivo, sono molto obliqui e si trovano sopra un arco di cerchio che scende assai più del lobo sifonale e quasi quanto il primo laterale. La sutura ombelicale cade sul quarto lobo ac- cessorio. La prima sella laterale, più alta di tutte, è difilla in- sieme a quella esterna; la seconda sella termina trifogliata e le selle accessorie sono tutte monofille. Gli esemplari esaminati, come ho detto, corrispondono in gran FAUNULA DEL LIAS MEDIO DI SPEZIA 133 parte ai giovani individui di Rh. libertus Gemm. del Medolo che vennero studiati dal Meneghini (') e riferiti al Rh. mima- tensis d’Orb. Il giacimento del Medolo, per la facies della fauna e per la speciale fossilizzazione dei resti organici, simile per questo a quello più povero della Spezia, fornisce meglio di qualunque altro dei bei esemplari giovani per i quali si può riconoscere la varia- bilità di questa specie specialmente allo stato giovanile. Infatti se fra i moltissimimi esemplari di quella località esistenti nel Museo geologico di Pisa si può facilmente separare una forma corrispon- dente a quella di Spezia, pur tuttavia vi si riscontrano serie di individui diversi. Così vi sono individui più depressi come più rigonfi, con ombelico più stretto, come con ombelico più ampio, ed in questo caso allora con i giri meno alti, meno depressi e di accrescimento più lento ; vi sono esemplari con la superficie quasi liscia 0 leggermente ondulata, come altri che hanno solchi ben di- stinti, numerosi, fino a nove nell'ultimo giro. La linea lobale in alcuni è perfettamente identica a quella degli esemplari di Spezia; in altri differisce leggermente per la seconda sella laterale, che presentasi difilla anziché trifogliata, ed in questo caso la prima sella accessoria comincia a ramificarsi maggiormente. Tale diffe- renza si rende costante negli individui adulti ove anche la prima sella accessoria si presenta bifogliata. (Vedi la figura data dal Me- neghini). Questa specie fu staccata dal Rh. mimatensis d’ Orb. dal prof. Gemmellaro per caratteri costanti tanto in individui giovani quanto adulti, consistenti in una minor compressione, in una mag- giore convessità e minore altezza dei giri, nonché nella più grande ampiezza dell’ ombelico. A completo sviluppo a queste differenze si aggiungerebbe che il Rh. libertus., al contrario di quello che offre il Rh. mimatensis, avrebbe i solchi peristomatici più profondi nella regione circumombelicale anziché verso T esterno. Per V insuffi- cienza del materiale di Spezia non posso coscienziosamente pronun- ziarmi in merito a tale ultima questione, ma ho avuto campo di riscontrare, nell’osservazione della ricca collezione del Medolo, ge- neralmente giuste le differenze notate dal Gemmellaro per quanto alcuni esemplari sembrino anche contradirlo. (1) Meneghini, Fossiles du Medolo. Pag. 26, tav. IV, fig. 2. 134 A. FUCINI Pertanto paragonate le dimensioni dei miei individui con quelle degli esemplari sui quali fu fondata la specie del Gemmellaro si può rilevare che quelli in confronto di questi hanno spessore ed altezza del giro maggiore ed ombelico conseguentemente meno ampio. Ma tali deboli differenze possono naturalmente dipendere da diverso stadio di sviluppo, come fa rilevare l’osservazione degli esemplari del Medolo. La linea lobale è simile a quella dei Rh. eximius Hauer('), Rh. lariensis Mgh. (^), Rh. Nardii Mgh. (^), Rh. diopsis Gemm. ( )i Rh. planispira Reyn. (in Geyer) (^), Rh. sp. ind. Geyer (®), parte dei quali, insieme al Rh. mimatensis ed al Rh. transilvanicus Hauer (^), vanno compresi nel medesimo gruppo, con la possibilità in alcuni di essere riuniti. Il prof. Gemmellaro, nel separare assai giustamente dal Rh. mimate firn del d’Orb. questa sua specie del bacino mediterraneo, riunisce ad essa il Rh. mimatenùs Hauer (non d’Orb.), seguito in ciò anche dal Geyer. A me sembra piuttosto che la forma illustrata dall’ Hauer corrisponde meglio al Rh. Nardii del Meneghini, il quale anzi così parla dei suoi esemplari di Gerfalco e di Campiglia . 14 parfaitement identiques à ceux de Adneth, mème pour la manque des étranglements dans la partie cloisonnée de la spire. Nous en avons jadis séparé sous le nom de A. Rardii {Nuovi fossili ecc., 1853, p. 27) une forme qui n’en diffère (dal Rh. mimatensis d Orb.) que par les còtes prolongées jusqu’au pourtour ombélical, souvent fasciculées deux à deux et méme en plus grand nombre, et par- la surface du test fìnement striée ». Tali caratteri del Rh. Nardii (») Hauer, Beitràge zur Kenntniss d. Heterophyllen d. Oesterr. Alpen (loc. cit.), pag. 5, tav. Il, fig. 1-4. • • -n on + tvtt (2) Meneghini, Monog. d. foss. du cale. r. ammomhque. Pag. 80, tav. Avu, fig. 1, 2. .... (3) Meneghini, Nuovi fossili toscani (Estr. d. annali d. Università to- scana, T. III. Pag. 27, fig. in Eeynès. Ammoniles du Lias inférieur. Tav. 39, fìc'". 12“16). (4) Gemmellaro, Sui foss. degli str. a Ter. Aspasia, ecc. Pag. 6, tav. II, fig. 6-8; tav. VI, fig. 1, 2. , o ? (3) Geyer, Die mittelliasische Cephalop. -Fauna d. Hinter-Schafberges (loc. cit.). Pag. 47, tav. VII, fig. 2. (8) Geyer, Ibidem. Pag. 49, tav. VI, fig. 13. Hauer, Verhandlungen der k. k. geol. Reichsanst. Pag. 192. FAUNULA DEL LIAS MEDIO DI SPEZIA 135 in parte sono propri anche del Rh. diopsis Gemm. che il De Ste- fani (*) pone sinonimo della specie del Meneghini. Giustamente il Geyer avvicina poi il Rh. Nardii al Rh. tran- silvanicus Hauer al quale però non potrà essere riunito perchè la specie dell’Hauer, come è figurata dall’Herbich (2), in confronto a 1 quella del Meneghini è diversa per la regolarità delle coste, non I tanto fortemente embriciate all’ indietro, meno robuste e senza strie, nè altre piccole coste irregolarmente frapposte. I II De Stefani crede anche che il Rh. mimatensis Mgh. (non I d’Orb.) del Lias superiore della Lombardia sia specie differente da quella in discussione perchè stando alla figura del Meneghini è di- verso per r ultimo giro più convesso e per il margine ombelicale rotondo. Non ho potuto rendermi ragione di tale diversità con l’esame degli originali del Meneghini perchè essi furono restituiti allo Stop- pani già da molto tempo, però non mi sembrano sufficienti le lievi j differenze notate dal De Stefani per separare gli esemplari lombardi dal Rh. libertus Gemm. che anche io ho riconosciuto di una certa variabilità. Così va aggiunta la Spezia alle tante località ove è stato ri- conosciuto il Rh. libertus Gemm., Schafberg, Sicilia, Calabria, Lombardia, Appennino centrale e molti luoghi della Toscana. Gen. fE*li.yllocei:*£ts Suess. Phylloceras Meneghina Gemm. (Tav. II, fig. 5) 1874. Phylloceras Meneghini! Gemmellaro. Sopra alcune faune giuresi e liasiche della Sicilia. Pag. 102, tav. XII. fig. 23. 1867-81. A. (Phylloceras) Hehertinus Meneghini (non 'Reynhs). Fossiles du Medolo. Pag 30, tav. Ili, fig. 6. 1884. Phylloceras Meneghini! Gemmellaro. Sui fossili degli strati a Ter. Aspasia, ecc. Pag. 9, tav. Il, fig. 13-17. 1893. Phylloceras Meneghini! Geyer. Die mittelliasische Cephalopoden- Fauna des Hinter Schafberges (loc. cit.). Pag. 41, tav. V, fig. 4-6. Gli esemplari che riferisco a questa specie corrispondono per- fettamente a quelli del Medolo con i quali li ho confrontati diret- (1) De Stefani, Lias inferiore ad Arieti (loc. cit.). Pag. 54. (®) Herbich, Das Széklerland etc. Mitth. a. d. Jahrh. d. k. ung. geol. Anst. Bd. V, pag. 114, tav. XX, H, fig. 2; tav. XX, I, fig. 1. A. FUCIM 136 tamente e che dal Meneghini vennero riferiti al Ph. Hebertinum Reynès. Dirò più sotto per quali caratteri la specie del Gemmel- laro si distingue da quella di Reynès. Questa specie presenta generalmente piccole dimensioni. 1 più grandi individui sono quelli del Schafberg figurati dal Geyer e che giungono ad un diametro di 65™”. Assai grandi sono pure gli esem- plari siciliani, ma la massima parte di quelli del Medolo non rag- giungono i 20™” di diametro. I tre del Lias medio della Spezia presentano queste dimensioni: Diametro. . . • nim. 18=1 10 =1 6 -1 Altez. dell’ultimo giro ” 10^ = 0,58 6 =0,60 3 j = 0,57 Spessore dell’ultimo giro " 9 =0,50 4|= 0,45 3 =0,50 Larghez. dell’ ombelico » = 9 1 =0,10 i =0,0< Sono conchiglie quasi completamente involute, rigonfie ai fian- chi e largamente arrotondate al margine esterno. La sezione del giro è ovale, piuttosto larga, e con la maggior ampiezza un poco sotto la metà della sua altezza. L’ ombelico è strettissimo, tanto da non lasciare scorgere bene il penultimo giro. Gli individui più piccoli, come osserva il Gemmellaro, hanno i fianchi dei giri al- quanto meno rigonfi. La linea lobale corrisponde perfettamente a quella illustrata splendidamente dal Meneghini per gli individui del Medolo e non diversifica che lievemente da quella descritta dal Gemmellaro. Osservata ad un diametro di 12 mm. risulta composta per ogni lato da nove lobi assai frastagliati, dei quali solo il primo late- rale e gli ultimi accessori sorpassano la profondità del lobo eifo- nale; il secondo lobo laterale raggiunge appena la linea radiale, ed i primi accessori senza arrivare a toccarla non se ne allontanano però di troppo. Il primo lobo laterale ramificatissimo, e poco più ampio di quello sifonale , ha il ramo esterno più sviluppato del- r interno ; il secondo lobo laterale mostra lo speciale carattere, os- servato dal Meneghini, di avere il suo ramo esterno separato dal ramo principale per una grande foglia interna della base della prima sella laterale. Le selle sono tutte molto frastagliate. La prima laterale è più alta di tutte, la seconda lo è quanto quella esterna, le altre via via più basse, si trovano allineate obliqua- FAUNULA DEL LIAS MEDIO DI SPEZIA 137 mente all’ interno. L’esterna, la prima e la seconda laterale termi- nano con due foglie ; la prima accessoria è trifogliata, le altre ac- cessorie sono monofille. Il Gremmellaro fece dapprima questa sua nuova specie sopra pochi esemplari provenienti dal Lias medio di Chiusa-Sclafani in Sicilia e tornò a parlarne nel 1884 avendo avuti altri individui più adulti del Lias medio delle Rocche Rosse presso Galati. Egli giusta- mente la ravvicina al Ph. Hebertinum Reynès (') dal quale soprat- tutto sembra differire per la sezione del giro, la quale invece di essere obovale, cioè con la massima larghezza sopra alla metà della sua altezza, è decisamente ovale e con la maggiore ampiezza sotto la metà dell’ altezza. Perciò resulta diversa anche la forma dei fianchi. La linea lobale presenta pure notevoli differenze consistenti principalmente nella linea che congiunge i vari lobi i quali in- vece di alzarsi dalla linea radiale, procedendo verso l’interno, come nella specie del Reynès, seguono presso a poco la linea radiale la quale è anzi sorpassata in profondità dagli ultimi lobi accessori. Altrettanto dicasi della linea congiungente la parte terminale delle varie selle e che invece di presentare una curva tanto regolare, come apparisce dalla figura datane dal Reynès, non mostra di es- sere diversa da quella offerta dalle altre specie di questo gruppo, costituita cioè da una linea spezzata il cui apice è occupato dalla prima sella laterale assai più alta delle altre, specialmente delle accessorie. Le selle presentano differenze anche se prese in esame separatamente, e per non dilungarmi di troppo noterò che nella specie del Gemmellaro si ha subito l’ obliquità della sella esterna in confronto di quella del Reynès che è diritta. Ho già fatto rilevare l’ indentità della forma di Spezia con quella del Medolo, la quale quindi non va riferita al Ph. Heberti- num Reyn., come credè il Meneghini, ma al Ph. Meneghina Gemm. Il Gemmellaro stesso nella descrizione del suo Ph. Wàhneri (2), molto vicino al Ph. Hebertinum Rey., accenna alla probabilità che il Ph. Hebertinum Meneghini del Medolo non sia 1’ Hebertinum di (1) Reynès, E-%sai de géologie et de paléontologie Aveyronnaise. Pag. 94, tav. II, fig. 3. (*) Gemmellaro, Sai fossili d. strati a Ter. Aspasia, ecc. Pag. 12. A. FUCINI 138 Reynès. Il Geyer (‘) tra i Phylloceras Meneghina del Schafberg figura un esemplare striato longitudinalmente che congiunge questa specie al Ph. Wàhnevi Gemm., il quale tra i suoi caratteri spe- cifici annovera appunto una striatura longitudinale sottilissima. Il Ph. Meneghina Gemm. ha pure per strettissimo parente il Ph. Lipoldi Hauer del Lias inferiore ed in special modo quella forma illustrata dal Geyer (■). Questa specie si trova dunque, sempre nel Lias medio, a Chiusa- Sclafani ed a Galati in Sicilia, forse a Campiglia, a Spezia, al Me- dolo e nel Schafberg. Phylloceras frondosum Eey. (Tav. II, fig. 7). 1861. Ammonites lieterophyllus Hauer (non Sow.). Ueher die Amm. aus dem sog. Medolo, etc. Pag. 405, (pars). 1868. Ammonites frondosus Keynès. Ess. de géol. et de pai. Aveyron. Pag. 98, tav. V, fig. 1. 1867-81. A. (Phylloceras) frondosus Meneghini. Fossiles du Medolo Pag. 31. tav. IV, fig, 1. Anche gli individui che riferisco a questa specie corrispondono perfettamente a quelli del Medolo, che in gran numero si trovano nel Museo di Pisa, e presentano queste dimensioni; Diametro ....... mm. 15 = 1 9=1 Altezza dell’ ultimo giro ... * 8 = 0,53 5^ =0,55 Spessore dell’ ultimo giro ..." 5 = 0,33 3j = 0,37 Larghezza dell’ ombelico ..." 2 = 0,13 1 = 0,11 Assai vicina al Ph. Meneghina Gemm., precedentemente de- scritta, questa specie ne differisce soprattutto per Y appiattimento dei fianchi da cui ne derivano dimensioni proporzionali diverse. La sezione del giro è ovale allungata, quasi ellittica, 1’ ombelico stretto e il dorso strettamente arrotondato. La conchiglia presentasi tutta concamerata e la linea lobale è molto caratteristica. L’ esemplare più grande esaminato, sebbene incompleto, salvo (>) Geyer, Die mittelliasische Cephalopoden des Hinter-Schafberges (loc. cit.), pag. 41, tav. V, fig. 4, 5, 6. (2) Geyer, Ueber die liasischen Cephalopoden des Hierlatz. Ahhandl. d. k. k. geol. Reichsanstalt Bd. XII, pag. 220, tav. I, fig. 13, 14. FA.UNULA DEL L1A.S MEDIO DI SPEZIA 139 che per le minori dimensioni, si può rapportare completamente a quello del Medolo figurato dal Meneghini. Riporto di esso anche l’ intiera linea lobale che ho potuto facil- mente rilevare mercè la buonissima conservazione della conchiglia e la sua favorevole fossilizzazione. Per consimili condizioni di fossilizzazione anche il Meneghini potè figurare l’ intera linea lobale della forma del Medolo. Questa specie oltre che ad Aveyron si trova dunque al Medolo e nel Lias medio di Spezia. Phylloceras Zetes d’Orb. (Tav. II, fig. 6). 1846. Ammonites heter ophyllus amaltliei Quenstedt. Petrefacten- kunde. Pag. 100, tav. 6, fig. 1. 1849. Ammonites Zetes d’ Orbigny. Prodrome. T. I, pag. 247. 1853. Ammonites Zetes Studer. Geologie der Schweiz. Pag. 36. 1867-81. Ammonites Zetes {non) Meneghini. Fossiles du Medolo. Pag. 29. 1883. Phylloceras Zetes Wright. Lias Ammoniten. Pag. 422, tav. LXXVII, fig- 1-3. 1888. Phylloceras Zetes (reow) Canavari. Fauna del lias inferiore di Spezia (Mem. d. E. Comit. geol. voi. Ili, pag. 105, tav. II, fig. 6, 7. 1892. Phylloceras Zetes Futterer. Die Ammoniten des Mittleren Lias von Oestringen (Mitth. d. Grossh. Badisch. geolog. Landesanst. P. 295), {cum syn.). 1895. Phylloceras Zetes Bonarelli. Fossili domeriani della Brianza (Estr. d. Eend. d. R. Ist. Lombardo di se. e lett., voi. XXVIII). Pag. 7. Il mio individuo, per quanto piccolissimo, per la forma dei giri somiglia moltissimo ai grandi esemplari figurati dall’ Hauer (Q e dal Wright e a quello di dimensioni pressoché uguali rappresentato dal Gleyer (Q. Esso presenta le seguenti dimensioni calcolate. Diametro mm. 19 — 1 Altezza dell’ ultimo giro »11 — 0,58 Spessore » » » » 5^ = 0,29 Larghezza dell’ ombelico » ^ = 0,03 (*) (*) Hauer, Cephalopoden aus dem Lias der nordóstlichen Alpen. Tav. XVIII. (2) Geyer, Weber die liasischen Cephalopoden des Hierlatz. Abhand. d. k. k. geol. Reischsanstalt. B. XII. Pag. 222. 11 140 A. FUCINI Questa specie ha i fianchi dei giri di una forma caratteristica. Essi sono molto piani, inclinati verso la regione esterna ove si riu- niscono producendo una regione sifonale arrotondata. In vicinanza deir ombelico sembra che essi si rigonfino ; scendono poi alla su- tura rapidamente, ma gradatamente e senza produrre nessuna an- golosità circumombelicale. L’ ombelico è quasi nullo. La sezione del giro è ovale molto allungata ed ha la maggiore ampiezza fra il primo 4° ed il primo 5° interno della sua altezza. La linea lobale è pure caratteristica per la sua sella decisamente quadrifogliata. I lobi sono tutti tagliati dalla linea radiale, eccettuati gli acces- sori, dei quali però non sono riuscito a distinguere gli ultimi. La linea lobale figurata è rilevata ad un diametro di 11™“ ed ingran- dita 5 volte. È notevole che in un esemplare giovane come quello che ho in esame la linea dei lobi sia tanto complicata e tanto frastagliata da uguagliare quella di esemplari adulti. Ho confrontato il mio esemplare con quello del Medolo rife- rito dal Meneghini a questa specie e mi sono persuaso che fra essi corrono differenze tanto notevoli da giustificare la loro separazione specifica. Infatti gli esemplari del Medolo diversificano dal Ph. Zetes per essere meno compressi, per la forma dei giri, i cui fianchi non sono tanto appianati e declivi verso 1’ esterno e per non presentare quel leggero rigonfiamento nella regione circumombelicale, tanto ca- ratteristico per la specie del d’ Orbigny. Per questi caratteri la se- zione del giro degli esemplari del Medolo è essenzialmente diversa perchè di forma quasi ellittica. A queste diversità di forma se ne aggiungono altre nella linea lobale la quale in quegli esemplari è alquanto meno frastagliata ed ha, cosa importantissima, la prima sella non decisamente qua- drifogliata come tanto manifestamente apparisce anche nei piccoli individui di Ph. Zetes. Grià r Hauer (Q aveva dubitato che la forma del Medolo non si riferisse al Ph. Zetes d’Orb. Anche il Canavari (Q che per pa- ragone ha figurato un esemplare del Medolo ha avuto un dubbio (1) Hauer, Ueher die Ammoniten aus dem sogenannten Medolo etc. (Sitzungsb. d. kais. Akad. d. Wissensch. Bd. XLIV, pag. 405). (2) Canavari, Fauna del Lias inferiore di Spezia. Meni. d. R. Comit. geoL, voi. Ili, pag. 105, tav. II, fig. 6, 7. FAUNULA DEf, LIAS MEDIO DI SPEZIA 141 simile, e gli esemplari del Lias inferiore di Spezia, che ho pure esa- j minati, paragonati da lui alla forma del Medolo, non appartengono dunque alla specie in discorso. Però secondo il Canavari essi cor- rispondono a quelli del Medolo. Io, avuto riguardo alla diversa età ' del deposito del Lias inferiore di Spezia e di quello del Medolo, I sento un po’ di ritegno ad approvare questa corrispondenza per quanto anche io riconosca la grande analogia tra gli esemplari in parola. I II Phijlloceras Zetes d’ Orb. è comune nei depositi del Lias I medio. In Italia si trova in Lombardia ed a Spezia Phylloceras tenuistriatum Mgh. ! (Tav. Ili, fig. 4). ! 1868. Ammonites te n u is tri a tu s Meneghini in G. v. Eath., I mineralogische Fragmente aus Italien (Zeitschrift der Deutschen I geologischen Gesellschaft. Bd. XX, pag. 321). I 1886. Phylloceras tenuistriatum De ^ìei&xà, Lias inferiore ad Arieti \ dell' A'ppennino settentrionale. (Estr. d. Atti (Memorie) della So- , cietà toscana di Scienze naturali, voi. V, pag. 51, tav. Ili, fìg. 7, ' 8, 9), {cum syn.). 1 ?1886. Phylloceras costatoradiatum Stur in Geyer, Ueher die liasi- ’ schen Cephalopoden des Hierlatz. (Ahband. d. k. k. geolog. I Eeichsanst. Bd. XII, pag. 218, tav. I, fig. 10. : 1893. Phylloceras tenuistriatum Geyer, Die mittelliasische Cephalo- poden-Fauna des Hinter-Schafberges in Oberósterreich. Abhand_ d. k. geolog. Eeichsanst. Bd. XV, pag. 43, tav. VI, fig. 1, 2. Conchiglia involuta, discoidale, depressa, composta di giri che ' si accrescono rapidamente. La sezione del giro è pressoché ellittica, molto allungata e con la massima larghezza in corrispondenza del ì primo terzo interno dell’ altezza del giro stesso. I fianchi quasi piani si deprimono piuttosto rapidamente tanto ; verso la sutura dell’ ombelico quanto verso il margine sifonale dando luogo ad una superficie sifonale ed ombelicale arrotondata, i L’ esemplare esaminato presenta le seguenti dimensioni : Diametro rum. 24 — 1 Altezza dell’ ultimo giro » 13|- == 0,56 Larghezza dell’ ultimo giro » 5i = 0,23 Larghezza dell’ombelico « 2^ = 0,10 142 A. FUCINI La spira è molto involuta inquantochè 1’ ultimo giro ricopre il penultimo per più dei quattro quinti della sua altezza. L’ ombe- lico resulta quindi assai stretto. La superficie è ornata da finissime costicine radiali diritte o con leggerissima curva anteriore, le quali si originano sottilmente verso la metà dei fianchi e vanno grada- tamente e leggermente accresendosi verso il margine sifonale ove si riuniscono senza determinare angolosità di sorta. Per tali caratteri la specie in discussione si avvicina al Ph. Partschi Stur ed al Ph. occiduale Can. (*) ed al Ph. Savii De Stef. (^). Difterisce dal primo per diversa forma dei giri, per le ornamentazioni esterne consistenti in costicine semplici e non ag- gruppate i fasci come in quella specie e per la linea lobale che sembra più frastagliata e con il secondo lobo laterale più svilup- pato. Il De Stefani ha trovato che questa specie si avvicina al Ph. occiduale Can. del Lias inferiore di Spezia. Non può però esservi alcuna confusione fra le due specie inquantochè quella del Canavari è decisamente distinta dalla nostra per 1 accrescimento più lento, per essere assai meno depressa, con ombelico più ampio e con sezione dei giri spiccatamente ovale e non tanto allungata e per avere ornamentazioni assai, ma assai più minute. Per simili ragioni il Ph. tenuistriatum differisce dal Ph. Savii De Stef., il quale così rimane assai prossimo al Ph. occiduale Can. Il Ph. costatoradiatmn Stur di Hierlatz figurato e descritto dal Greyer è straordinariamente somigliante alla specie in discus- sione come riconobbe anche il Geyer notando la diffeienza dell om- belico più stretto. Tale differenza non è di grande valore anche perchè in altri esemplari della nostra specie, come pure in quello figurato, essa si mostra assai meno notevole. La forma di Hierlatz, in confronto con T esemplare studiato, presenta altra lieve differenza nella sezione dei giri proporzionatamente assai più larga al primo terzo interno della sua altezza di quello che non sia al primo terzo esterno. Ma anche questa differenza diminuisce con l’osservazione di altri esemplari di Ph. tenuistriatum Mgh., il cui originale è (1) Canavari, Fauna del Lias inferiore di Spezia. Pag. 54, tav. Il, Sg. 13. (Estr. d. Mem. d. R. Comitato geo!., voi. III). (2) De Stefani, Lias inferiore ad Arieti (loc. cit ). Pag. 54, tav. Ili, fig. 10. FAUNULA DEF LIAS MEDIO DI SPEZIA 143 appunto quello figurato dal Reynès (’) e che si conseiTa nel Museo di Pisa. Disgraziatamente non vi è per ora esemplare di questa specie che abbia mostrato chiaramente la linea lobale che avrebbe risolto più facilmente, come osserva il Geyer, il dubbio della ugua- glianza specifica delle due forme. È vero che il De Stefani è riuscito ad osservarla corrodendo alquanto la superficie della con- chiglia, ma la figura che egli ne ha data per quanto in realtà cor- risponda assai bene a quella della forma hierlatziana, non può ser- vire di base per un paragone coscienzioso e sicuro. Nè sarebbe di piccolo argomento in proposito 1’ asserzione di von Sutner, riportata dal De Stefani, che la specie in discorso si trovi ad Hierlatz ; rife- rendosi con ogni verosimiglianza, il giudizio dell’ illustre ammonito- lego di Monaco alla forma illustrata dal Geyer. Una questione analoga, ma anche più importante per noi, per- chè solleverebbe quella della priorità del nome da darsi a questa specie, si ha nella somiglianza o identità che la specie del Me- neghini può presentare con il Ph. Sturii Rey. (^). Questo fu riunito al Ph. Partschi Stur dal Meneghini (^), riabilitato poste- riormente come buona specie dal Geyer (^), fu poi da quest’ultimo geologo (^) riferito definitivamente al Ph. Partschi. Il Reynès propose la sua specie perchè, al confronto con il Ph. Partschi Stur, si pre- senta più compressa e con i lobi claviformi e più frastagliati. La maggiore compressione della conchiglia e 1’ analogia nella forma dei lobi, riferendomi sempre per la nostra specie a quelli figurati dal De Stefani, mi spingerebbero a credere all’ identità delle due forme. Nè si opporrebbero a questa veduta la forma dei giri ed il grado d’ avvolgimento, della Spira del Ph. Sturi Reyn. Ciò che mi la- scia perplesso è la forma delle ornamentazioni che il Reynès non descrive affatto. Stando alla figura del Renyès sembrerebbe che esse si riportassero a quelle della nostra specie e consistessero in costicine semplici senza l’ interposizione di strie fasciformi come avviene Ph. Partschi Stur. La questione dunque sta in ciò: che se la (‘) Eeynès, Monographie des Ammonites. Atlas. Tav. 44, flg. 16. (^) Eeynès, Essai de géologie et de paléontologie Aveyronnaises. Pag. 95, tav. 3. %. 1, a. 1868. (3) Meneghini, Monogr. des foss. du cale, rouge ammonitique. Pag. 85. (fi Geyer, Ueher die liasischen Cephalopoden des Hierlatz ().oc.c\ì.).'PAg. 5. (®) Geyer, Die Mittel. Cephal. d. Schafberges (loc. cit.). Pag. 42. A. FUCINI 144 forma del Reynès oltre alle costicine radiali è fornita anche di strie interposte, essa si avvicina immensamente al Ph. Partschi dal quale riuscirebbe difficile separarla, se invece è priva di quelle strie, na- turalmente si accosta tanto alla specie in discussione da essere quasi autorizzati a ritenerle identiche specificamente. La specie presente è con ogni certezza identificata oltre che a Campiglia e nei dintorni di Spezia, anche nel Lias medio del Schaf- berg; credo anche che alcuni tra gli esemplari del Medolo, dal Mene- ghini riferiti al Ph. Partschi Stur, vadano riportati a questa specie. Phylloceras mioptychum sp. n. (Tav. II, fig. 9). L’unico esemplare che ho in esame è costituito da una con- chiglia discoidale, depressa, molto involuta, strettamente ombelicata e tutta concamerata. Le sue dimensioni sono le seguenti . Diametro Altezza dell’ ultimo giro Spessore dell’ ultimo giro Larghezza dell’ ombelico mm. 15 — 1 « 8 — 0,53 » 4 — 0,26 « 3 — 0,20 I fianchi dei giri sono quasi piani. Essi si abbassano piuttosto rapidamente verso la parte esterna che resulta arrotondata; si de- primono debolmente presso alla regione ombelicale, poi si rialzano leggermente lungo la carena ombelicale che è acutissima e scen- dono quindi nell’ ombelico con una superficie perpendicolare al piano della conchiglia e quasi rientrante. L’ ombelico è strettissimo e ben distinto. La sezione del giro è pressoché ovale, un poco compressa in basso e troncata alla base. La superficie è ornata da sottili strie radiali che si scoprono debolissime verso la regione esterna ove si piegano un poco in avanti. Esse non si mostrano sul mezzo dei fianchi o presso l’ om- belico, dove si hanno invece delle leggere pieghe radiali, molto in- decise, che si sperdono a circa i due terzi interni dell altezza del giro. La linea lobale è piuttosto semplice e caratterizzata dalla pic- colezza della sella esterna trifogliata. La prima e la seconda sella laterale sono difille, le 5 accessorie monofille e gradatamente dimi- nuenti in altezza ed in frastagliatura. Il primo lobo laterale è pro- fondo quasi il doppio di quello sifonale, il secondo laterale passa ap- pena la linea radiale e gli accessori sono sempre meno profondi. Crii FAUNULA. DEL LIAS MEDIO DI SPEZIA 145 ultimi lobi accessori hanno aspetto goniatitico. La carena circumom- belicale cade sulla quarta sella accessoria, la sutura sul sesto lobo accessorio. Questa specie è del tipo del Phylloceras Partschi Stur('), ma non vi può essere riunita per la sua maggior compressione, per ! la sua caratteristica forma dei fianchi e per la netta carena cir- ! cumombelicale che non si trova uguale nella specie dello Stur. Per le stesse ragioni la specie in esame differisce dal Ph. t.eauistriatum Mgh., precedentemente studiato, per quanto esso abbia i fianchi più piani del Ph. Partschi Stur. Tuttavia nella specie del Meneghini manca la debole depressione presso la regione om- belicale e la carena che circonda 1’ ombelico non è tanto acuta come nella specie in esame. La depressione che circonda la regione ombelicale e la netta carena che limita 1' ombelico avvicinano il Ph. mioptychum al Rhacophyllites eximius Hauer (-), ma la linea lobale e l’ insieme degli altri caratteri mi fanno sicuro che le due specie sono affatto diverse. Per le pieghe che si trovano nella parte interna dei fianchi ho dubitato dapprima che l’ esemplare in esame potesse riferirsi al Phylloceras Loscombi Sow., ma ho dovuto lasciare da parte anche questa ipotesi per le grandi differenze delle linee lobati e della forma dei giri, presentate da queste due specie. Phylloceras Capellina sp. n. (Tav. II, fig. 8). Anche questa specie è rappresentata da un solo individuo, tutto concamerato e che presenta queste dimensioni: Diametro mm. 17 — 1 Altezza dell’ ultimo giro « 9 = 0,53 Spessore ^ ^ » 4 = 0,24 Larghezza dell’ombelico « 2 4 = 0,15 La conchiglia è discoidale, molto compressa, e quasi totalmente involuta. I fianchi dei suoi giri sono alquanto rigonfi nella parte (*) Stur, Jahrbuch der k. k. geolog. Reiclisanstalt. Bd. II, Heft III, pag. 26. O Hauer, Beitràge zur Kenntniss der Heterophyllen der ósterreichi- schen Alpen (loc. cit.), pag. 5, tav. II, fig. 1-4. A. FUCINI 146 esterna d’onde scendono in modo assai rapido alla regione ventrale che però resulta arrotondata. Verso l’interno essi si deprimono assai meno rapidamente e la superfìcie del fianco si mostra gradatamente declive verso 1' ombelico. Questo è piccolissimo, poco profondo, ma distinto a cagione della carena circumomb elicale prodotta dal fianco che cade perpendicolarmente sulla sutura. La sezione del giro re- sulta obovale e con la sua maggior larghezza al primo terzo esterno della sua altezza. Gli ornamenti sono quanto mai caratteristici e consistono in costicine radiali irregolari, sottili, taglienti, embriciate in avanti e limitate alla parte esterna del giro. Esse sulla regione sifonale si assottigliano un poco e si riuniscono con un angolo arroton- dato rivolto in avanti. Tali costicine verso la parte interna si raggruppano a fasci di tre e di quattro e producono delle leggere gibbosità caratteristiche limitate e situate al primo terzo esterno dell’ altezza del giro, in corrispondenza del maggiore spessore pre- sentato dal giro stesso. Talvolta una di queste costicine rimane semplice e s’ interpone fra due fascetti ; allora essa svanisce a queir altezza in cui le altre si raggruppano. Dalla gibbosità pro- dotta dalla riunione delle coste hanno origine delle deboli pieghe pressoché indistinte che vanno all’ ombelico con andamento leggei- mente flessuoso. . _ . La linea lobale, troppo mal conservata, non lascia scorgere i suoi minuti caratteri. La sella esterna è certo più bassa della prima laterale che sembra tetrafilla. La seconda laterale sembra difilla ; le accessorie non si scorgono affatto. Il primo lobo laterale è assai profondo. Il raggruppamento delle costicine avvicina il PìujUoceras U- pellinii al Phy. Partschi Stur, ma lo distinguono indubitatamente l’ombelico netto e carenato, la forma molto diversa dei gin e l’irregolarità e 1’ embrici atura delle coste, le quali si raggruppano anche in maniera assai diversa. Dedico questa specie, che credo nuova, al prof. Capellini, che con tanta attività ha illustrato geologicamente i dintorni di Spezia. FAUNULA DEL LIAS MEDIO DI SPEZIA 147 Gen. ILiytoceras Suess. Lijtoceras audax Mgh. j (Tav. Ili, Fig. 6). I 1861. Ammoni tes Phillipsi (non Sow.) Hauer. Ueb. die Amm. aus d. s. Medolo, ecc. Pag. 409, tav. 1, fig. 8, 9, 10 (non 6, 7). 1874. Lytoceras medax (non Seeb.) Meneghini. Nuove specie di Phyl- \ loceras e di Lytoceras del Lias superiore-d' Italia. Atti à. tose. d. Se. nat., voi. I, pag. 108. ] 1867-81. A. (Lytoeeras) audax Meneghini. Fossiles du Medolo. Pag. 38, tav. V, fig. 6. L’ Hauer tra i fossili del Medolo citò il Ly. Phillipsi Sow., distinguendone due forme, una con i fianchi dei giri arrotondati, l’altra a fianchi appiattiti. Il Meneghini studiando dopo i fossili del Medolo separò ambedue quelle forme dal Lyt. Phillipsi Sow. e le distinse anche specificamente fra loro, chiamando la prima Ly. Garclonense (^), diverso dal Ly. Phillipsi Sqw. per la forma dei giri meno appiattiti e specialmente per la linea lobale la cui sella accessoria è regolarmente quadrifogliata ; alla seconda dette il nome di Ly. menda.x che più tardi corresse in Ly. audax. Questa è la specie alla quale si riferiscono tre esemplari del Monte Parodi presso Spezia. Essa per la forma si accosta assai più del Ly. Gardonease al Ly. Phillipsi Sow. del Lias inferiore, per quanto ne sia sempre differente per la forma dei giri, per l’ ac- crescimento più rapido e soprattutto per la conformazione diversa della linea lobale. L’ esemplare che io figuro perchè in buono stato di conserva- zione, sebbene non sia quello di maggiori dimensioni, si rapporta evidentemente alla forma figurata dal Meneghini con i di cui esem- plari originali l’ ho paragonato direttamente. Esso ha le seguenti (‘) Così è nominata tale specie in Nuove specie di Phylloceras e di Lytoceras ecc.-, Ly. Grandonense si legge in Fossiles du Medolo. Credo che si debba accettare però il primo nome che accenna alla provenienza degli esemplari studiati dal Meneghini. A. FUCINI 148 dimensioni e proporzioni che assai bene corrispondono a quelle degli esemplari del Medolo : Diametro 12 ^ = 1 Altezza dell’ ultimo giro ” ^ i = Spessore * ” Larghezza dell’ ombelico ” "1 7 *1’^^ L’ esemplare in discorso è composto di 4 giri tutti concamerati, più alti che larghi, appiattiti sui fianchi, crescenti abbastanza rapi- damente e forniti di tre strangolature radiali le quali presso al mar- gine esterno si approfondiscono alquanto di più, piegandosi legger- mente in dietro. La linea lohale si scopre fino a tutta la prima sella laterale la quale è caratteristicamente assai più alta di quella esterna. Un altro esemplare incompleto alquanto deformato e che cor- risponde meglio alla figura dell Hauer ha un diametro di 17^ e mostra di avere nell’ ultimo giro 4 strozzature della foima in- dicata per l’esemplare precedente. Anche esso è tutto concame- rato e mostra sulla sua superficie, qua e là, alcune lievissime strie. Esso ha minore l’altezza dell’ultimo giro ed un accresci- mento alquanto più lento dell’ esemplare precedente, ed io sono stato in dubbio per questo se doveva riferirlo invece al Ly. aper- tim Geyer (‘) immensamente vicino alla specie in discorso. Un terzo esemplare più piccolo e molto incompleto non for- nisce caratteri degni di nota. Non credo che questa specie fosse stata conosciuta fin qui di altri giacimenti all’ infuori di quello del Medolo. Lytoceras nothwm Mgh. (Tav. Ili, tìg. 3 e 4). 1861. Ammonites fimbriatus (non Sow.) Hauer. Ueber die Amm. au>> dem sog. Medolo. ecc. (Loc. cit.), pag. 406, tav. I, fig. 1, 2. 1874. Lytoceras nothum Meneghini. Nuove specie di Phylloceras e di Lytoceras ecc. (Loc. cit.), pag. 108. 1867-81. A. (Lytoceras) nothum Meneghini. Fossiles du Medolo. Pag. 35, tav. V, fig. L Anche questa specie fu creata dal Meneghini sopra esemplari del Medolo che l’ Hauer aveva riferito al Ly. flmbriatim Sow. Il (1) Geyer, Die mittelliasische Cephalopoden-Fauna etc. (Loc. cit.). Pag. 57, tav. Vili, fig. 3-6. FAUNULA DEL LIAS MEDIO DI SPEZIA 149 Meneghini la dice però intermedia fra quest’ ultimo Lytoceras ed il Ly. cornucopiae Y. B., ayendo del primo una consimile linea lobale e del secondo le proporzioni poco differenti. Cosi dunque la linea lobale, specie per la sella accessoria, la rende differente cer- tamente dal Ly. cornucopiae, mentre la sua differenza con il Ly. fimbriata è dovuta alla diversa forma dei giri, al loro modo di accrescimento ed in sostanza alle diverse proporzioni. Ecco pertanto le dimensioni e le proporzioni presentate dai miei due individui: Diametro Altezza dell’ ultimo giro Spessore * Larghezza dell’ ombelico mm. 11 -^ = 1 , 4 ^ 0,39 « = 0,48 , 4 = 0,34 10 = 1 4 = 0,40 4 i = 0,45 3 i = 0,35 Tali esemplari sono così uguali a quelli del Medolo, con i I quali li ho potuti paragonare direttamente nel Museo di Pisa, che j mi sarei potuto risparmiare la loro figura e descrizione rimandando ; per esse allo studio del Meneghini. Come si vede dalle figure e dalle proporzioni date, il mio esemplare più grande ha un’ al- tezza proporzionale dell’ ultimo giro minore di tutti gli esemplari j del Medolo esaminati dal Meneghini ed un maggiore spessore dello stesso giro. Ciò determina una sezione del giro spiccatamente el- littica in senso trasversale, dando tanta maggiore ragione della I separazione di tale specie dal Ly. fimbriatum Sow. L’ altro esem- plare più piccolo per quanto abbia quei caratteri meno accentuati tuttavia mostra sempre distintamente la ellitticità trasversale della , sezione del giro. Ambedue i miei esemplari sono in modello in- terno, tutti concamerati, e mostrano alla superficie delle frequenti ondulosità radiali, più spiccate verso l’ ombelico che all’ esterno, le quali, come bene osservò il Meneghini, per pochi suoi esemplari, non si devono riguardare come strangolamenti peri stomatici, tanto frequenti in questo genere di Ammoniti, ma come impressioni do- vute all’ allineamento delle estremità delle selle e dei lobi. La linea lobale poi è così uguale a quella data dal Meneghini per gli esemplari originali del Medolo che basta mettere i due disegni a confronto per restarne persuasissimi. Tale fatto, mentre dimostra costanti i caratteri più importanti di questa specie, mostra chiaro sempre più quanto ragionevolmente essa fosse stata distinta dal Ly. ^mbriatum Sow. 150 A.. FUCINI Anche questa specie è propria dei giacimenti del Medolo e della Spezia. Lytoceras sepositum ? Mgh. (Tav. Ili, fig. 5). 1874. Lytoceras sepositum Meneghini. Nuove specie di Phylloceras e di Lytoceras, ecc. (Loc. cit.), pag. 107. 1867-81. A. (Lytoceras) sep o sitns Meneghini. (ies /óssi/es du calcaire rouge ammonitique de Lombardie et de V Apennin Central. Pag. 109, tav. XXII, fig. 3, 4. Diametro miti. 14 =1 13 =1 Altezza dell’ ultimo giro . . ^ 5 — 0.35 4 4 = 0,34 Spessore « n . . » 5 = 0,35 4 4 = 0,34 Larghezza deU’omhelico . . ’ 5 4 = 0,39 5 = 0i38 Dalla specie precedente si distinguono due individui per mag- giore altezza dell’ ultimo giro in proporzione del suo spessore e per diversa forma della linea lohale. Paragonati i miei esemplari con tutti i Lytoceras, e non sono pochi, esistenti nel Museo paleon- tologico della Università di Pisa, i quali in gran parte costituirono il materiale studiato dal Meneghini, non ho trovato da identificarli perfettamente con alcuno. È per questo che li riferisco con dubbio al Ly. sepositum Mgh., perchè a questo, considerato al suo stato giovanile, più che ad ogni altro li ho trovati vicini per la foima, non smentita dalla conformazione della linea lohale. Essendo individui tutti concamerati e quindi mancanti se non altro deU’ultima camera non possono vedersi quei peculiari carat- teri di essa consistenti in costicine irregolari di vario portamento ed in un solo solco peristomatico caratteristico situato presso la bocca. Da ciò il dubbio che tali esemplari possano anche non rife- rirsi alla specie del Meneghini. Essi sono dunque lisci, ad accre- scimento assai lento, avendo quattro giri in soli 14 mm. di dia- metro, ad involuzione pressoché nulla e quindi con ombelico grande. I giri sono quasi rotondi e leggermente quadrangolari nella parte inferiore, accennando così al carattere che dovrebbero avere a sviluppo completo. La linea lohale ha questi principali caratteri, una mediocre frastagliatura ; i lobi tutti poco profondi. Solo il primo lobo laterale con il suo ramo medio e con quello esterno arriva alla linea radiale, il secondo lobo laterale è profondo quasi la metà FAUNULA DEL LIAS MEDIO DI SPEZIA 151 del primo ed il lobo antisifonale in profondità sta fra il primo ed il secondo. Il ramo trasversale del lobo antisifonale è piccolo, ed obliquo. Le selle sono tutte allineate sopra una linea leggermente obliqua daH'esterno all’ interno. La sella accessoria assai larga è suddivisa da un piccolo lobo medio leggermente inclinato aU’esterno. Tale linea lobale non differisce molto da quella del Ly. se- positum data dal Meneghini. La sua minore frastagliatura è pre- sumibile che sia dovuta allo sviluppo minore dell’ individuo dal quale è tolta e così le sue lievi differenze, fra le quali è notevole quella data dalla minore profondità del lobulo che divide la sella accessoria e del ramo trasversale del lobo antisifonale. Gli esemplari esaminati hanno una speciale somiglianza, par- ticolarmente nella conformazione della linea lobale, con quel fram- mento di Lytoceras del Medolo che il Meneghini riferì al suo Ly. Dorcadis (^) del Lias superiore dell’ Appennino centrale. Ma quel frammento ad un' altezza di giro minore ha un solco visibi- lissimo che può farlo ritenere differente dalla specie nostra, per quanto io creda che esso pure non debba riferirsi al Ly. Dorcadis. Già il Meneghini vi riconosceva alcune differenze nella linea lobale, che egli attribuiva all’età od all’ incompleto sviluppo, do- vute in special modo al lobo laterale che raggiunge appena appena la profondità del lobo sifonale ed al lobulo della sella accessoria ed al lobo antisifonale meno ricchi in frastagliatura. Tali caratteri ravvicinano immensamente il frammento del Medolo al Ly. aper- tum Geyer (^) di uguale età geologica. Gen. -A.eg'oeeras (^), Waagen emend. Zittel. Aegoceras ? sp. ind. (Tav. Ili, fig. 9) Conchiglia depressa, composta di quattro giri che si accre- scono poco rapidamente. La sezione del giro alta quanto larga è (1) Meneghini, Monographie des fossiles du calcaire rouge ammoràtique. Pag. 107, tav. XX, fig. 4; tav. XXI, fig. 1. (*) Geyer, Die mittelliasische Cephalopoden dea Hinter-Schafberges (Loc. cit.). Pag. 57, tav. Vili, fig. 3-6. (3) Il prof. Canavari nel suo lavoro Beitràge zur Fauna des unteren Lias von Spezia, descrisse come del Lias inferiore di Spezia un frammento di un 152 A. FL'CIM ovale appiattita, subrotonda. ed ha la maggior larghezza in corri- spondenza alla metà dell altezza del giro stesso. I fianchi appianati si deprimono piuttosto rapidamente verso la sutura dell’ ombelico e verso la regione esterna che resulta ar- rotondata. L’ unico esemplare esaminato presenta queste dimensioni : Diametro =1 Altezza dell' ultimo giro ■ óy = 0,34 Larghezza ' 54 = 0,34 Larghezza dell’ ombelico ■ 5.^ = 0.34 L’ involuzione non è tanto grande inquantochè 1' ultimo giro ricopre il precedente del terzo della sua altezza. Le ornamenta- zioni consistono in coste radiali un poco inclinate in avanti, poco rilevate, larghe quanto gli intervalli, esistenti anche nei primi giri, mancanti o molto indistinte nell’ ultimo quarto dell’ ultimo giro conservato. Tali coste, 18 in un giro, dalla parte interna non aiTÌ- vano fino alla sutura dell’ ombelico, ma si arrestano alquanto so- pra, in modo da lasciare una superficie circumombelicale liscia. Dalla parte esterna, ove esse acquistano un rilievo maggiore, si inter- rompono pure sul primo quarto esterno dell’ altezza del giro senza che di esse rimanga traccia sul dorso che resta perfettamente liscio. Non si ha nessuna traccia di carena nè si scorge in nessuna parte della conchiglia la linea lobale Questa specie di Aegoceras trova delle analogie in alcune forme che si trovano nel Schafberg riferite dal Gever (') all’.de- goceras cafricoriium Schloth. ed all’^. ceiitauruni d Orb. Da am- ammonite che avvicinò all’ Aeg. Regnardi d’Orb. Nella edizione italiana di quel lavoro, pubblicata nel voi. IH delle Memorie del Comitato geologico, egli la escluse dalla fauna illustrata e per le grandi affinità che la specie avrebbe con VAeg. Regnardi d’Orb., che è specie del Lias medio, ammise che quel frammento provenisse dal Lias medio del quale sto illustrando la fauna. Ma la sua fossilizzazione, per quanto molto vicina a quella degli altri fossili, pur tuttavia è leggermente diversa ed io non mi sento autorizzato ad ascriverlo alla fauna in esame. Anche nel Lias medio toscano è frequente la fossilizzazione di tal genere, quindi nulla di improbabile che 1’ esemplare discusso provenga da altro giacimento. (1) Geyer, Die mittelliasische Cephalopoden des Einter-Schafberges. (Loc. cit.) pag. 29 tav. Ili fig. 7-10 e pag. 30, tav. Ili, fig. 11, 12. faunula del lias medio di spezia 153 bedue queste specie il mio Aegoceras è diverso per le coste che non attraversano la regione esterna neppure debolmente e perchè 1 ultima porzione dell ultimo giro sembra liscia e mancante di tali coste. Per questi caratteri 1 esemplare in discorso si avvicina tanto più all’ A. Ber ardi Dumort. (i) del Lias inferiore figurato anche dal Revnès (-), dal quale tuttavia si distingue per una assai mag- gior compressione di tutta la conchiglia. o Più che ad ogni altra specie si avvicinerebbe all’^d. Gervaisi Reyn. (3), il quale ha però l’ombelico più largo e le coste più nu- merose e più distinte. Per tali rassomiglianze non posso escludere che 1’ esemplare in esame appartenga più propriamente al gen. Agassùeras. Gen. Coeloceras (^) Hyatt. Coeloceras cfr. Sellae Gemm. (Tav. m, fig. 7) 1884. Aegoceras Sellae Gemmellaro. Sui fossili degli strati a Tere- bratuta Aspasia, ecc., pag. 15, tav. Ili, %. 1-5. Il fiammento che ho in esame si compone di circa un terzo di giro, non presenta nessuna traccia di linea lobale ed è assai (') Dumortier, Études paléontologiques sur les dépóts jurassiques du Bassin du Rhóne, pag. 118, tav. XXI, fig. 5, 6, 7. (*) Eeynès, Monographie des Ammonites, tav. XLV, fig. 32, 33. (3) Eeynès, Essai de géol. et d. paléont. Avexjronnaises, pao". 105 tav. VI fig. 4. ° ’ P) Fra i fossili di Spezia ho trovato un piccolo ma bellissimo esem- plare di Coeloceras che fin dal 1857 fu chiamato A. Baldassari dal Coc- chi che ne scrisse di sua mano l’etichetta. Sono andato a riscontrare nei manoscritti del Cocchi le note che riguardano questo fossile ed ho trovato che esso sarebbe stato raccolto a Monticello (presso Spezia) dal Marchese Baldassar Castagnola.^ Senonchè la sua fossilizzazione in pirite è alquanto diversa da quella degli altri fossili che vado studiando, ed io rimango in dubbio se debba 0 no ritenerlo veramente della provenienza voluta. E questo tanto più che la specie mi sembra corrispondere perfettamente a quella che il Quenstedt (fliA Ammoniten des Schwàbischen Jura. Pag. 688, tav. 81, fig. 1-9) illustrò col nome di A. conoolutus dilatatus di terreni più recenti del lias medio. Non e quindi improbabile che sia avvenuta una confusione e che l’esemplare in discorso provenga invece dal Wùrtemberg. Non pertanto credo bene darne una descrizione sommaria rimandando per la figura a quelle date dal Quenstedt. A. KLCIM 154 deformato per una compressione subita dai fianchi. La conchiglia ha certamente l’ ombelico largo ed involuzione mediocre, inquanto- chè nel frammento conservato si vede lungo il primo quarto esterno dell’ altezza del giro l’ impronta della sutura lasciata dal giro suc- cessivo mancante. La superficie è caratteristicamente ornata da coste radiali sui fianchi, distinte e rilevate, separate da intervalli assai larghi e ter- minanti con un tubercoletto nettamente acuto situato al primo terzo esterno dell’ altezza del giro. L’ involuzione non arriva a ri- coprire tali tubercoli che si devono esser veduti anche nei giri interni. Sulla regione esterna si hanno altre costicine minute attra- versanti il dorso e delle quali parte, a due a due, fanno capo ai tubercoli dei fianchi e parte, una per volta, s interpongono alle coppie. Però in grossezza non vi è distinzione spiccata tra le coste isolate e quelle accoppiantisi ai nodi. Tale specie si avvicina dunque moltissimo all' SellaeQQmm. al quale non la riferisco assolutamente per il cattivo stato di con- servazione del frammento esaminato. Questo frammento, raccolto dal Cocchi, 1 ho avuto in comu- nicazione dal Museo di Firenze per gentilezza del prof. De Stefani. Conchiglia di lento accrescimento, formata da giri più larghi che alti forniti di solchi peristomatici e di coste. Il ricoprimento dei giri non è molto forte inquantochè l’ ultimo giro non ricopre il penultimo che per un terzo circa della sua altezza. Le coste, 40 nell’ ultimo giro, semplici sui fianchi, sottili, ma nette e rilevate, uguali agli spazi intercostali e distintamente pie- gate in avanti lasciano un tenue spazio liscio lungo la sutura ombelicale. Esse ingrossandosi leggermente verso l’ esterno si cambiano, al primo quarto esterno dell’altezza del giro, in due e talvolta in tre sottilissime ed ottuse costicine regolarmente curve in avanti, che attraversano la regione ventrale. I giri in- terni sono lisci, ma sempre forniti dei solchi peristomatici che salgono a 5 nell’ ultimo giro. Tutta la conchiglia è concamerata. La linea lobale è piut- tosto semplice. Il lobo sifonale, profondo, diviso in due rami brevi, ha le diramazioni trasversali piccolissime ed oblique e non è raggiunto in profon- dità dal P lobo laterale assai stretto, tripartito. Il lobo sospensivo è costi- tuito da altri piccoli lobi inclinati all’esterno, il secondo dei quali cade sulla sutura ombelicale. Il lobo autisifonale è sconosciuto. La sella esterna assai ampia è divisa in due parti subuguali da un lobulo secondario, profondo un terzo della sua altezza; la D laterale è stretta e semplicemente ramificata e la 2=^ debolissimamente bipartita. r FAUNULA DEL LIAS MEDIO DI SPEZIA 155 Gen. A.mpliicei"as. Amphiceras propinquum ? Gemm. (Tay. Ili, fig. 8) 1884. Amphiceras propinquum Gemmellaro. Sui fossili degli strati a Tereb. Aspasia ecc., pag. 31, tav. VI, fig. 10, 14. Con dubbio riferisco ^\V Amphiceras propinquum ima conchi- glia deformata per compressione e che presenta queste dimensioni: Diametro mm. 15 =1 Altezza dell’ ultimo giro , 7 _ q ^0 Spessore « » „ p_p Larghezza dell’ ombelico , 41 q 3Q Facendo astrazione dai caratteri della forma della bocca trovo fra le due forme grande somiglianza negli ornamenti e nel modo di involuzione della spira. Gli ornamenti consistono in leggere pieghe radiali, assai nu- merose, irregolari, indistinte, flessuose, più spiccate nella parte in- terna dei flanchi, sulle quali corrono e si raggruppano delle sotti- lissime strie radiali ugualmente flessuose. L’ involuzione è assai rimarchevole inquantochè l’ultimo giro conservato ricopre il pre- cedente per più di un terzo della sua altezza. L’ ombelico non è tanto profondo e la superflcie circumombelicale resulta strettamente arrotondata. La conchiglia in esame somiglia molto anche sAV Amphiceras Marianii pure del Gemmellaro (^), ma questa specie ha l’ ombe- lico più largo, 1 ultimo giro meno alto e minore involuzione. Gen. Hax*poceras, Waagen. Harpoceras (Arieticeras) Algovianum Opp. (Tav. Ili, fig. 12) 1854. Ammonitesradians amalthei Oppel. Der Mittlere Lias Schwa- bens. pag. 89, tav. Ili, fig. 1. 1862. AramonitesAlgovianus Oppel. Ueber jurassische Cephalopoden. Palaeont. Mittheil. ecc., pag. 139. A) Gemmellaro, Sui fossili degli strati con T. Aspasia ecc., 33, tav. I, fig. 13-17; tav. IV, fig. 34-39; tav. VII, fig. 23. 12 156 A- FUCINI 1893. Harpoceras Algovianuin Geyer. Die mittell. Cephalopoden des Hinter-Schapberges (loc. cit.), pag. 5, tav. I, fig. 7, 8 [cum syn.). 1895. Arieticeras algovianum Bonarelli. Fossili domeriani della Brian- za (loc. cit.), pag. 13. \j' Harpoceras Algovianum Opp. sembra non essere tanto fre- quente nel Lias medio di Spezia ed io vi ho potuto riferire solo tre esemplari. Di questi il più grande, pochissimo ben conservato, potrebbe appartenere anche ad altra specie, per esempio all Hatp. Lotta Gemm.; un secondo esemplare, mancante dei primi giri, si li- ferisce alle forme più comuni avendo ombelico assai largo, coste non molto elevate e piuttosto flessuose; il terzo esemplare è quello del quale presento la flgura e che ha queste dimensioni: Diametro Altezza dell’ ultimo giro Spessore " ” Larghezza dell’ ombelico mm. 24 =1 * 8 = 0,33 , 4i? = 0,19? „ 11 =0,46 È questa una forma vicinissima dXYHarp. Ruthenense Keyn. come venne limitato dal Meneghini (’), il quale da quella specie escluse appunto la forma flgurata dal Reynès stesso che riportò invece dXY Harp. Algovianum Opp. Tenendo conto però delle dimen- sioni relative presentate dal mio individuo credo che esso vada riu- nito piuttosto alla specie dell’ Oppel. Confrontato infatti con gli esem- plari del Medolo, riferiti dal Meneghini zìYHarp. Ruthenense^ e che sono quindi esemplari tipici per questa specie, esso mostra di avere ombelico più ampio, coste meno numerose e meno flessuose. In nessuno degli esemplari da me riferiti alla specie in discorso si scorgono traccio della linea lobale. La specie si trova in moltissimi i depositi del Lias medio. Harpoceras (Arieticeras) Lottii Gemm. 1857. Ammonites obi i que c o st at as Quenstedt. iler /zira, tav. 22, fig. 29 (non 30). 1867-81. Am. Algovianus Meneghini. Monogr. d. cale. r. amm. pag. 40, pars excl. tav. X, fig. 1, 2. 1867-81 A. (Harpoceras) Algovianus Meneghini. Fossiles du Medolo. (Pars). Pag. 8. (q Meneghini. Fossiles du Medolo, pag. 9. FAUNULA DEL LIAS MEDIO DI SPEZIA 257 1889. HildocerasBertrandi Eilian. Mission d'Andalousie. Mém. d. Acad. d. Se. d. rinst. de France. 1893. HildocerasBertrandi Geyer. Diemittell. Cephalopoden des Hinter- Schafberges, Goc. cit.), pag. 7, tav. 1, fig. 9, 10. Se yeiamente dall Harp. Algovianum Opp. devesi separare specificamente una forma a coste più rilevate e meno flessuose, questa deve portare il nome di Barpoceras Lottii datole dal Gem- mellaro precedentemente a quello di Earp. Bertr aridi impostole dal Kilian. E questo perchè non può per essa specie conservarsi il nome di Harp. obliquecostatus come vorrebbe il Quenstedt, poi- ché tal nome fu essegnato dal Zieten ad una specie del Lias infe- riore, evidentemente un Arietites. L’Oppel (>) che rilevò questa circostanza chiamò Harp. retrorsicosta una parte dell’^. ohlique- costatus Quenst. (non Zieten). L’ altra parte venne unita dal Kilian al suo Harp. Bertrandi che io ritengo sinonimo à^WHarp. Lottii. Di questo il Gemmellaro dà la descrizione seguente: « Conchiglia grande, discoidale, compressa ai lati, con ombelico largo e super- ficiale e con carena alquanto robusta ed elevata. I suoi giri sono leggermente convessi a’ fianchi, e scendono nell’ ombelico un po’ rapidamente, senza formarvi un contorno angoloso. Essi sono prov- visti a’ fianchi di coste, quasi diritte, strette, rilevate e numerose, che dal contorno ombelicale si estendono a quello esterno, dove sì dirigono rapidamente in avanti e, assottigliate, passano sulla regione ventrale dileguandovisi. La sezione trasversale dei giri ha una forma ogivale con una leggiera despressione in alto ai due lati della carena ; la incisione inferiore, ove sta il giro precedente, non è mólto profonda! « La sua sella esterna è larga alla base, alta e dentata grosso- lanamente al contorno; essa viene divisa in alto da uno stretto e largo lobo secondario in due parti ineguali, delle quali l’ interna è più alta e grande. Il lobo laterale superiore è più lungo di quello sifonale e finisce con tre lunghe punte. La sella laterale è più bassa e stretta dell esterna. Il lobo laterale inferiore è corto e stretto » . Questa specie somiglia quindi moltissimo ^WHarp. Algovianum Opp. ed infatti dal Gemmellaro venne paragonata ^X^Harp. Ru- thenense Eey. il quale tutto od in parte, almeno l’ esemplare figu- {}) Oppel, Palaeontologische Mittlieilungen, pag. 139. 158 A. FUCINI rato dal Rernès (*), deve appunto riguardarsi come una forma del- YHarp. Algovianum. Il Kilian, il Gever e sembra anche il Bona- relli (-) hanno riunito a questa specie cui danno il nome del Kilian, Harp. Bertrandi, una parte deU7/ar^. Algovianuin (non Oppel) del Meneghini e specialmente gli esemplari da questi figurati nella Monographie du cale, rouge ammonitigue, tav. X, fig. 1, 2, e nei Fomle^ du Medolo. tav. II, fig. 1 (non fig. 9). Sono anche io d’opinione che Xlluvp. Algovianuin del Meneghini, figmato ne primo dei lavori ora citati, vada riunito a questa specie, ma faccio delle riserve sulla medesima riunione proposta per 1 esemplare figu- rato del Medolo. Questo ha coste non tanto rilevate ed abbastanza flessuose per escluderlo da questa specie. Pure è verissimo, come dice il Kilian, che la specie presente si trova al Medolo ed io 1 ho riscontrata nel ricco materiale di quella località, facente parte delle collezioni del museo di Pisa. Questa specie oltre che a Spezia si trova quindi anche al Me- dolo ed in molti giacimenti del Lias medio italiani ed esteri. Harpocerns ( Arieticeras) retrorsicosta. Opp. 1856. Ammonites obliquecostatus Quenstedt. /wra, pag. 173, tav. 22, fig. 30 (non Zieten). 1862. Ammonites retror sicosta Oppel. Palaeont. Mittheilungen, I. 1867-81 Harpoceras retror si c osta Meneghini. A'OssiZes rfw p. , tav. II, fig. 3, 17. . , X. j 1893. Harpoceras retrorsicosta Geyer. Die mittell. Cephal.-Fauna es Hinter-Schafòerges. (Loc.cit.), pag. 10, tav. I, fig. 14-17 {cum syn.). 139. Dopo molti confronti sono venuto nella determinazione di rife- rii-e a questa specie tre piccoli individui che non sono conservati tanto perfettamente come si presentano invece la maggior parte degli esemplari della fauna ora studiata. Essi sono un poco scontorti ed io tralascio di darne le dimensioni comparative, che forse non riu- scirebbero esatte. L’ accrescimento di queste conchiglie è molto lento, poiché a circa 8 millimetri di diametro presentano già cinque gin. (1) Eeynès, Essai de géol. et de paléont. Aveyronnaises, pag. 94, tSiV. II) j j ..1 /ì T? Tcf (2) Bonarellì, Fossili domeriani della Bnanza. (Estr. d. rend. d. K. ist. Lomh., Ser. II, voi. XXVHI), pag. 13. FAUNULA DEL LIAS MEDIO DI SPEZIA 15& Di questi i primi due o tre sono lisci e gli altri ornati, via via più distintamente, da 19 a 22 coste fortemente inclinate all’ indietro ed assai inciu’vate, con 1’ apertura della curva rivolta pure in dietro, e ripiegate in avanti solo nella parte più esterna dei fianchi. Nell’ esemplare che presenta minor numero di coste, queste sono più grossolane che negli altri che ne hanno un numero maggiore. Confrontati i miei esemplari con quelli del Medolo, riferiti dal Meneghini a questa specie, li ho riscontrati identici fra loro quando sieno presi ad un medesimo diametro. Anche al Medolo si trovano esemplari con un numero maggiore e minore di coste. Pure sicura credo la determinazione di un grande esemplare, parte in impronta, parte in frammenti e nemmeno ben conservati, che può avere avuto un diametro anche di 75 mm. VEarp. Fontanellense Gemm. di terreni un poco più alti di quello di Spezia e del Medolo presenta notevoli affinità con la specie in discussione come riconobbe il Gemmellaro stesso. U Harp. retrorsicosia Oppel oltre che nel Lias medio di Spezia e del Medolo si trova in Italia in altre località di Lombardia. Harpoceras (Hildoceras) cfr. Bay ani Dum. 1874. Amm onites Bay ani Dumnrtier. Études paléontologiques sur les dépóts jurassiques du Bassin du Rhóne. P. IV, pag. 69, tav. XVI, fig. 7, 8 e 9. Il Dumortier ha separato dall’ Harp. comense De Buch una parte degli esemplari riferitivi dall’Hauer (’), istituendo la nuova specie Harp. Bayani. A tale specie, accettata daH’Haug, il quale vi riunisce anche alcune forme riferite aìVlIarp. comense dal Me- neghini, io avvicino un esemplare di Spezia senza discutere sulla giustezza della separazione delle due specie. L’individuo che ho in esame ha 1’ ultimo giro schiacciato e deformato, per cui non credo opportuno darne le dimensioni. Il penultimo giro, che è conservato in idrossido di ferro anziché in calcare come l’ ultimo, è assai spesso inquantochè la sua larghezza coiTisponde a qualcosa più dei due terzi della sua altezza. La ca- (L Hauer, Die Cephalopoden- Fauna aus dem Lias nordòstlichen Alpen, pag. 37, tav. XI, fig. 4, 5, 6. A. FUCINI 160 rena sifonale è assai distinta e così i due solchi che la fiancheg- giano. L’ ombelico, piuttosto piccolo, non raggiunge in ampiezza l’altezza dell’ultimo giro. Le coste nel penultimo giro sembrano comparire grossolanamente dal contorno ombelicale senza produrvi alcun rilievo nodifoime; prima di giungere alla metà del fianco si bipartiscono e, piegandosi sempre più in avanti procedendo verso r esterno, arrivano fino alla leggera depressione che segue la carena. Nell’ultimo giro, che può avere avuto un diametro di 27 mm. le coste non hanno origine ad immediato contatto del contorno circumombelicale, ma un poco più al di dentro del fianco. Co- minciano con un rilievo nodiforme e sembra che vadano alla re- gione esterna senza bipartirsi, ma frapponendo una costa secondaria che pare vada svanendo dall’ esterno v erso 1 interno, senza connet- tersi a nessuna delle altre. Nell’ esemplare esaminato non si scorge alcuna traccia di linea lohale. Ilarpoceras (Leiocera&ì) compactile'ì Simps. (Tav. Ili, fig. 10) 1855. Aramonites compactilis Simpson. Fossil. of Yorksh. Lias, pag. 75. 1867-81. A. (Harpoceras) lytensis Meneghini. Aosst7es .1/frfo^o, pag. 13 (non Y. e B). 1884. Harpoceras compactile Rmg. Ammoniles nouvelles ou peu connucs du Lias sup. Bull. d. 1. soc. géol. d. Trance, T. XII, pag. 350, tav. XIV, fig. 1. 1885. Harpoceras comp actile Haug. zu einer Monographie der Ammonitengattung Harpoceras, Jahrbuch f. Min. u. Geol. ecc. Ili Beilage Band, pag. 623. tav. XII, fig. 14. Fra i fossili del Lias medio di Spezia ho trovati alcuni esem- plari piccoli e non completi di un Harpoceras, che io ho creduto dapprima riferibili dXYHarp. lytense T. et B., anche perchè con- frontati con quelli del Medolo riferiti dal Meneghini alla specie dei sig. Young e Bird, vi corrispondono perfettamente. Dietro alle osservazioni fatte dall’ Haug, nei due lavori citati in sinonimia, a proposito delle due specie fra loro vicinissime, Harp. lytense Y e B. e Harp. compactile Simps., sono di opi- nione che la forma di Spezia insieme a quella del Medolo sieno da riferirsi piuttosto alla specie del Simpson che a quella di Young e di Bird. Tuttavia mantengo un poco di dubbio nella determina- FA.UNULA. DEL LIA.S MEDIO DI SPEZIA 161 zione fatta per alcune differenze che ho notato tra i più grandi indivi- dui del Medolo e le forme che dall’Haug vengono riunite col nome di Har'p. compactilis Simps. Tali differenze potrebbero forse rite- nersi anche sufficienti per distinguere specificamente la forma in esame ravvicinandola zlYEarp. elegans Sow. Mentre i giovani individui di Spezia ed alcuni di mediocre grandezza del Medolo hanno la superficie ornata da coste rade, leggere, semplici ed alquanto flessuose, gli esemplari più adulti del Medolo presentano le coste più fitte, per quanto sempre leggere, e spesso bipartite e tripartite irregolarmente tra il terzo interno e quello esterno dell’ altezza del giro. Rilevo che le coste sono molto leggere e che questa bipar- tizione loro è sempre molto indecisa. Anche 1’ ombelico è legger- mente più ampio di quello che viene assegnato alla specie del Simpson. Ma la sezione del giro e la linea lobale vi corrispon- dono in maniera straordinaria. In tutti i modi resta stabilito che la specie che si trova al Medolo fa parte anche della fauna del Lias medio di Spezia. Harpoceras f Grammoceras) fallaciosum Bayle. (Tav. Ili, fig. 11) 1867-81 Ammonites radians Meneghini (non ^eméke). Monographie des foss. d. cale, rouge ammonitique etc., pag. 33, tav. IX, 2-6 (pars). 1878. Grammoceras fallaciosum Bayle. Explication de la carte géo- logique de la France, IV, Tav. LXXVIII, fig. 1, 2. 1878. Grammoceras Eseri Bayle (non Oppel). Ibidem, Tav. LXXVIII, fig. 6. 1885. Harpoceras (Grammoceras) fallaciosum Gemmellaro. Mono- grafia sui fossili del Lias super, delle Provincie di Palermo e di Messina ecc. (Estr. d. Boll. d. soc. d. se. nat. ed econom. di Palermo a. 1885). pag. 5. 1890. Grammoceras fallaciosum Buckman. A Monograph on thè in- ferior oolite Ammonites. Part. IV, pag. 204, tav. XXXIII, fig. 17, 18; tav. XXXIV, fig. 3, 4, 5, 10, 11; tav. XXXV, fig. 4-7; tav. A, fig. 39, 40, {cum syn.). Riferisco a questa specie un individuo con i giri interni con- servati in idrossido di ferro ed avente una porzione dell’ultimo mantenuta in modello dalla roccia calcare. Non tenendo conto di questa piccola porzione dell’ultimo giro che ho però creduto bene 162 A. FLCIM di riportare nella figura, l’ esemplare presenta queste dimensioni computate quindi sul penultimo giro: Diametro nim. 21 =1 Altezza del giro " 8^ = 0,40 Spessore " ' 5 = 23 Larghezza dell’ ombelico " 6 = 28 Questo penultimo giro ha i fianchi leggermente arrotondati, scendenti più rapidamente verso la sutura ombelicale che verso la regione esterna. Questa è munita di alta carena foliacea. I fianchi sono ornati di 37 coste radiali assai sinuose, piuttosto sottili, di- stinte le ime dalle altre. Le coste devono aumentare considere- volmente di numero con l’ accrescimento, inquantochè sembra che nell’ultimo giro esse debbano essere state più di 65 a valutarlo da quelle che si trovano nel frammento conservato appartenente ad esso ultimo giro. I giri sono molto compressi e la sezione del giro strettamente lanceolata. L’ ombelico assai ampio è poco profondo. La linea lobale poco frastagliata e della quale non si vede la parte interna, somiglia a quella di molte altre specie di Ilarpoceras del medesimo tipo. Il primo lobo laterale, non eccessivamente profondo, termina con tre grosse punte ed il secondo tocca appena la linea radiale. La sella esterna, assai larga, è divisa in due parti disuguali da un lobo secondario un poco obliquo verso l’ interno e profondo la metà cii’ca di quello sifonale. La prima sella laterale, alta quanto quella esterna, ha pure un piccolo lobicciattolo secondario che la bipartisce simmetricamente. Questa specie di Harpoceras è stata frequentemente confusa con altre del tipo à.QÌ\' Harp. radiaas Reineke. Il Buckman ha maestrevolmente trattata la questione dei sinonimi e delle affinità. Nel giacimento del Medolo non figura precisamente questa specie, ma vi si trova vicinissimo YHarp. Curionii Mgh., al quale io sono stato in dubbio se doveva riferire 1’ esemplare in esame. Mi sono trattenuto dal farlo perchè la specie del Meneghini ha minor compressione, giri più alti, ombelico più stretto e coste più sottili e più numerose. L’ individuo di Spezia trova anche una certa somiglianza in queir esemplare del Medolo figurato, col nome di Harp. boscense Reyn., dal Meneghini con la fig. 18 della tav. II, e che il Bona- Boll. Soc. Geol. It. Voi. XV. 1896. Tav. 11. FAUNULA DEL LIAS MEDIO D' SPEZIA 163 relli (1) riferirebbe cornacaldense Tauscli. Tuttavia la forma del Medolo è diversa per avere la carena nettamente distinta e fiancheggiata da due solchi e per l’involuzione alquanto maggiore. Per quest ultimo carattere, cui si collegano quelli dell’ om- belico più stretto e di una maggiore altezza di giri, credo anche che essa forma debba distinguersi é.^\Y Earp. cornacaldense Tausch. jSTulladimeno anche io crederei che non vada riferita dtìVEarp. bo- scense Reyn. [8 maggio 1896J. SPIEGAZIONE DELLA TAV. II. Fig. 1,1 a, li Astarte Canavarii Fuc. ingrandita due volte. 2,2a,2c Amaltheus spinatus Brug. in grandezza naturale. 2Ò S,3a 4 A lidLuiait;. Linea letale del medesimo esemplare presa ad un diametro di 18““, ingrandita 5 volte. Amaltheus margaritatus Mont. in grandezza naturale. Linea letale deU’Amaltheus margaritatus Mont. presa sopra altro esemplare ad un diametro di 15““, ingrandita 5 volte. « 5,5ò « 5 a ” 6, 6 5 ” 6 a « 7,7 b ’> 7 a ” 8, 8 a ” 9, 9 5 « 9 a hjlloceras Meneghini! Gemm. in grandezza naturale. Linea letale del medesimo presa ad un diametro di 12““, in- grandita 5 volte. Phylloceras Zetes D’Ort. in grandezza naturale. Linea letale del medesimo presa ad un diametro di 11““, in- grandita 5 volte. Phylloceras frondosum Reyn. in grandezza naturale. Linea letale del medesimo presa ad un diametro calcolato di 14““, ingrandita 6 volte. Phylloceras Capellinii Fuc. in grandezza naturale. Phylloceras myopticum Fuc. in grandezza naturale. Linea letale del medesimo presa ad un diametro di 12““, ingrandita 5 volte. (1) Bonarelli Fossili domeriani della Briansa (loc. cit.), pag. 14. A. FL-CTNI, FAVNULA DEL UAS MEDIO DI SPEZIA SPIEGAZIONE DELLA TAV. III. 1, 1 a 2,2 b 2 a 3, 3 a 3, è 4. 4 a 5.5 J 5 a 6,6b 6 a 7 8 9 10 11,11 a 11 b 12 Phylloceras tenuistriatum Mgh. in grandezza na- turale. Rhacophyllites libertus Gemm. in grandezza na- turale. . . Linea lobale del medesimo presa ad un diametro di 12““, in- grandita 5 volte. Lytoceras nothum Mgh. in grandezza naturale.^^ Linea lobale del medesimo presa ad un diametro di 9““, in- grandita 6 volte. Lytoceras nothum Mgh., altro esemplare in grandezza naturale. Lytoceras sepositum? Mgh. in grandezza naturale. Linea lobale del medesimo presa ad un diametro di 13““, in- grandita 5 volte. Lytoceras audax Mgh. in grandezza naturale. Linea lobale del medesimo presa ad un diametro di 12““ ingrandita 8 volte. Coeloceras cfr. Sellae Gemm. in grandezza naturale. Amphiceras cfr. propinquum Gemm. in grandezza naturale. A e g 0 c e r a s sp. ind. Linea lobale dell’ Harpoceras (Leioceras?) compactile Simps, presa ad un diametro di 12”“, ingrandita 5 volte. Harpoceras (G r a m m o c e r as) fallaciosum Bayle, in grandezza naturale. Linea lobole del medesimo presa ad un diametro di 18““, in- grandita 3 volte. Harpoceras (Arieticeras) Algovianum Oppel. m grandezza naturale. Boll. Soc. Geol. It. Voi. XV. 1896. ài la A. yUCmi E. CRISTOFANI DI8. ROMA FOTOTIPIA DANBSI LE ROCCIE DEL VALLONE DI YALNONTEY IN VAL DI COGNE Nota del dott. Italo Chelussi. Il dott. F. Virgilio pubblicò una nota geologica sul vallone di Valnontey (^) ; per gentile intercessione del chiarissimo prof. Carlo F. Parona potei avere i campioni deUe roccie di quelle località e le relative sezioni sottili; espongo quindi in questa nota i risul- tati dell analisi petrografìca delle medesime. Campione n. 1 località Colle Lauzon a sinistra salendo. — Micascisto granatifero. Roccia grigiastra poco scistosa. In sezione ri- sulta composta principalmente di quarzo, muscovite, clorite, epidoto e subordinatamente da magnetite, rutilo ed apatite. I primi tre non presentano particolarità notevoli ed hanno i caratteri comuni a questi minerali nei micascisti. Il granato roseo può essere o tra- sparente 0 alterato in clorite e può allora contenere granuletti di quarzo e di magnetite. L epidoto è in grossi granuli od in cri- stalli prismatici, allungati, rotti trasversalmente, con pleocroismo sensibile dell incoloro al giallo citrino, con forte rilievo e sagri- natm-a notevole e con vivaci colori di polarizzazione; contiene ta- lora, come inclusione, granuletti di rutilo. Nelle sezioni sottili di questa roccia si notano delle plaghe irregolari giallo-brunastre, non pleocroiche, con inclusioni di granuli di quarzo e di cristalletti d apatite, che potrebbero attribuirsi a biotite in via di progredita alterazione. ^ Camp. n. 2 — loc. Colle Lauzon a destra salendo. — Anfibolite a zoisite. Roccia grigio-verdastra, a grana fina, compatta. È formata precipuamente da esili scagliette di anfibolo verde, pleocroico dal giallo chiaro al verde e al verde mare, talvolta alterato in clorite, con 1 colori di polarizzazione abbastanza vivaci ; qualcuna di queste (') Virgilio P., Il vallone di Valnontey in vai di Cogne. Torino 1890. I. CHELUSSl 166 scagliette si rivela come glaucofane per il pleocroismo variabile dall’ indaco al celeste. A questo attinoto si aggiunge, in quantità minore, un minerale in granuli o in prismi allungati, trasparenti, non pleocroico, con due serie di linee di sfaldatura tra loro nor- mali, delle quali una poco evidente, con estinzione retta e con i colori di polarizzazione grigio-chiari e bleu cupo; caratteri tutti che ricordano la zoisite. Minerali accessori sono il quarzo in rari granuli, il granato in cristalletti rosei poco alterati, il rutilo, parte come incluso nell’ anfibolo, e parte accumulato in masserelle ed allora probabilmente d’ origine secondaria ; v’ è pure la magnetite discretamente abbondante. Camp. n. 2 — loc. Lauzon. — Serpentino. Roccia verde chiara a riflessi sericei, molto scistosa. In sezione sottile è verde pallidis- sima, quasi incolora ed è cosparsa di abbondante magnetite e di qualche scaglietta di ematite. A nicols incrociati presenta colori di polarizzazione in generale molto bassi ; però in alcune plaghe si nota un aggregato di piccole scagliette irregolari a colori molto vivaci nei toni grigio chiaro e celeste cupo. La roccia ha tutta r apparenza di essere un completo prodotto d alterazione di un an- fibolite preesistente. Camp. n. 4 — loc. Presso il Ponte Valenente. — Micascisto. Roccia grigio-ferro a struttura alquanto scistosa. Risulta di q’iarzo crranulare, muscovite, dorile^ magnetite in minutissimi granelli e da frequentissimi prodotti d alterazione. Camp. n. 5 — loc. Estremo del ghiacciaio la Iribolazione. Sezioni a) e b). Micascisto granatifero. Roccia grigia o giallastra a macchie bianche. È foniiata da quarzo granulare in prevaknza, da muscovite, clorite, da poca biotite molto alterata e da lari gra- nuli di granato. Alcune plaghe alterate in sostanza grigia opaca indicherebbero la presenza di un feldspato. Camp. n. 6 — loc. Metà strada aUe Alpi Herbetet. — Schisto passante a quarzite. Roccia grigiastra, scistosa. È formata da granuli di quarzo in generale piccolissimi che presentano una disposizione, abbastanza evidente, in linee parallele fra loro ed alla direzione di scistosità della roccia; contiene pure muscovite e prodotti d’al- tj0rRzionG« Camp. n. 7 — loc. Miniera di Bova. — È un complesso di gra- nuli irregolari di pirite e di magnetite con qualche piccola sca- LE ROCCIE DEL TALLONE D[ TALNONTEY ECO. 167 glietta a colori di polarizzazione vivamente iridati (muscovite?) e con pochissima ematite. Camp. n. 8 — loc. Vallone Fenétre. — Sez. a) e d). Micascisto. Boccia biancastra schistosa, con noduli di quarzo. Risulta da nu- merosi granuli molto piccoli di quarzo, da poco feldspato ortosico, da clorito e da rara muscovite. Camp. n. 9 — loc. Vallone Beva. — Anfibolite a zoisite. È for- mata da scagliette ii-regolari di antibolo verde pleocroico, spesso alterato in clorito, con inclusioni di rutilo, da pochi granuli di quarzo e da zoisite non abbondante. Camp. n. 10 — loc. Presso le miniere di Beva. — Anfibolite. Roccia verde formata da prismi allungati, spesso terminati in punta, di attinoto. Al microscopio si rivela formata da attinoto verde, pleo- croico, in prismi allungatissimi, talora senza decise terminazioni ai due estremi opposti; concresciuto con esso vi si nota pure un altro anfibolo trasparente, non pleocroico, in sezioni prismatiche, con forte rilievo e con vivacissimi colori di polarizzazione da ri- ferire alla tremolite. Qua e là si hanno non frequenti accumula- zioni di granuli di rutilo. Camp. n. 11 — loc. Letto della miniera di Beva. — Oficalce. Roccia schistosa verde chiara. È formata da granuli di calcite e da plaghette di serpentino trasparenti che a nicols incrociati hanno aspetto di un aggregato di piccole scagliette irregolari con i colori di polarizzazione grigio chiari e bluastri. Vi si aggiungono musco- vite, clorite e magnetite in piccole quantità. Camp. n. 12 — loc. Tetto della miniera di Beva. — Anfibolite a zoisite. Roccia verde chiara, fibrosa, composta di anfibolo verde pleocroico, spesso alterato in clorite, da poca tremolite incolora e da colonnette e piccoli prismi incolori, rotti trasversalmente, non pleocroici, con estinzione retta e con i colori di polarizzazione poco vivaci, riferibili perciò alla zoisite. Vi si aggiungonono gra- nuli di quarzo e di calcite e granuletti di rutilo. Camp. n. 13 — loc. Imposta di caccia ai piedi del ghiacciaio Valeille. — Micascisto. Roccia grigio ferro schistosa, compatta. I suoi componenti sono quarzo, hiotite alterata e poca muscovite. Di più vi si trova un minerale in granuli e in prismi irregolari, grigio, opaco per alterazione e per le frequenti fratture, di cui non mi pare facile determinare la natura ; i colori di polarizzazione visi- 1. CHELUSSl 168 bili negli individui più freschi ricorderebbero lontanamente un au- gite incolora (Salite?). Camp. n. 14 — loc. Prima dell’ imposta di caccia e sotto i due campioni precedenti. — Micascisto granati fero. Roccia biancastra compatta con venature grigie. I suoi componenti sono quarto, biotite alterata, muscovite e grossi cristalli di granato torbido per le numerose fratture e per l'alterazione. Camp. n. 15 — loc. Vallone Ferretti. — Sezione a). È una roccia formata da quarzo granulare e da non frequenti cristalletti di pla- gioclasio spesso alterato in sostanza terrosa. Sezione è). E un cal- care formato da granuli di calcite che presentano una o due serie delle linee caratteristiche di sfaldatura ad angolo di 120" e colori di polarizzazione talvolta alquanto iridati. Sezione c). Calcare ana- logo al precedente però molto ricco di prodotti brunastri d’alte- razione. Camp. n. 16 — loc. Vallone Creton sopra Valnontey. — Mica- scisto. Contiene quarzo, biotite verde pleocroica, talora compieta- mente alterata in clorite, mmcovite e qualche granulo di feldspato profondamente alterato con produzione di muscovite secondaria. Camp. n. 17 — loc. A monte di Creton sotto il campione precedente. — Micascisto granatifero. Contiene i soliti componenti cioè quarzo, pochissimo ortose alterato, minutissimi granuli di gra- nato le due miche ed un minerale grigio opaco a forma irrego- lare con indistinti colori di polarizzazione da ritenersi forse come calcite (?). Camp. n. 18 — loc. Vallerosa (Money) a destra del torrente. — Micascisto granatifero. Analogo per composizione mineralogica al precedente, meno il minerale grigio opaco che ho riferito dubita- tamente alla calcite, in più presenta qualche plagioclasio alterato. Camp. n. 19 — loc. Money. — Differisce dalla roccia precedente per la mancanza del feldspato, per 1 abbondanza dei granuli di crranato abbastanza fresco e per la frequenza della clorite e della & magnetite. I campioni rappresentati dalle sezioni n.' 20, 21, 22 e 24 rappresentano tipi poco differenti tra di loro dallo gneiss centrale porfiroide. Sono formate da quarzo granulare, da feldspato alte- ratissimo, da plagioclasio con numerose linee di geminazione, dalla biotite rosso bruna pleocroica, con inclusioni d’ apatite e da poca LE ROCCIE DEL TALLONE DI VALNONTEY ECO. 169 muscovite ; tutti componenti rappresentati da individui abbastanza sviluppati. I campioni n.* 23 e 25 sono invece dei micascisti granatiferi analoghi a quelli precedentemente descritti. [19 giugno 1896] PRASINITI ED ANFIBOLITI SODICHE (>) PROVENIENTI DALLA METAMORFOSI DI ROCCIE DIABASICHE PRESSO PeGLI, nelle ISOLE GiGLIO E GoRGONA ED AL Capo Argentario Nota deir ing. S. Fkanchi. Dimostrata l’origine, per metamorfosi di eufotidi e diabasi, di numerosi tipi di roccie verdi nelle Alpi occidentali (2), mi parve non privo di interesse il ricercare se analoga origine si potesse provare per le roccie similari, ritenute antiche, di altre regioni italiane. La ricerca diede risultati positivi, di cui dirò brevemente nelle pagine che seguono. Pressi di Pegli. Fra le regioni cui ho alluso principalissima è la regione ligure, di cui una vasta zona veniva assimilata alla zona delle pietre verdi delle Alpi nella carta ad un milionesimo pubblicata dal R. Com. Geol. pel 1889. Nelle molte escursioni (^) Nelle roccie comprese sotto questo nome figurano quasi sempre in proporzioni varie due anfiboli : uno sodico avente le tinte di policroismo co- muni alla glaucofane, alla gastaldite, alla crocidolite ed alla riebekite ; l’altro verde più o meno chiaro, che soventi si fonde col primo, e con esso sfuma in un solo elemento cristallino. L’ imperfezione e la picciolezza degli elementi di detti anfiholi rende difBcile la distinzione fra alcuni di essi che è basata sull’angolo dell’estinzione rispetto all’asse del prisma. Inoltre chi scrive ebbe a constatare due anfiboli sodici diversi non solo nella stessa roccia, ma in un unico cristallo ; e questo ultimo fatto è forse più frequente di quanto lo si creda in queste roccie. Per tutte queste ragioni credetti opportuno, dal punto di vista geologico, di adottare il nome comprensivo di anfiboliti ad anfibolo sodico, e più brevemente quello di anfiboliti sodiche. (^) Franchi S., Notizie sopra alcune metamorfosi di eufotidi e diabasi nelle Alpi occidentali (Boll. R. Com. Geol., 1895). S. FRANCHI 170 fatte pel rilevamento geologico della regione nel 1890 e nel 1891, chi scrive ebbe campo di convincersi della giustezza di tale assi- milazione, convinzione che espresse in appendice ad un suo lavoro uel quale mostrava la zona snddetta come faciente parte di un unico massiccio cristalliiio coll’ esteso affioramento di gneiss del Savonese e colle roccie granitiche della valle del Sansohbia (‘). Gli studi petrograhci del sig. Rovereto confermarono pure quelle vedute e giovarono specialmente alla conoscenza della distribuzione ed associazione delle diverse masse rocciose (’). Il Bonney fu il primo a segnalare, in roccie italiane, le im- portanti metamorfosi dei Gastaldit-gabbro di Begli, fenomeni che furono molto tempo dopo dal Rovereto e da chi scrive ricono- sciuti frequenti in numerosi punti della regione ligure. Il Rovereto (1. c., II, p. 88) si occupò di proposito dell’ ori- gine delle anfiboliti liguri, e vi distinse le anfibolia Upiche, le "anfibolia a 2dagioclasio e le anfiboliti a plagioclasio e quarzo grano firicii e le dice: nei più dei casi profondamente modificate « da azioni secondarie, con riproduzioni di miche, di calcite, di epidoto, di clorito, di zoisite, di quarzo Poco dopo soggiunge che “ rappresentando le anfiboliti le bande esterne di contatto (di a masse serpentinose provenienti da magma pirossenico) possono a considerarsi come modificazioni endomorfe della eruzione piros- « sonica Nelle anfiboliti di origine metamorfica sono senza dubbio ad ugual titolo secondari rispetto alla roccia primitiva e gli elementi citati dal Rovereto, eccetto forse in parte la clorito e la calcite e gli altri due costituenti anfibolo e plagioclasio. Quanto poi all’ origine delle anfiboliti per modificazione endo- morfa di masse serpentinose, non credo si possa in alcun modo sostenere eccetto che per certi scisti attinolitici sempre in masse di poca importanza, la cui origine potrebbe essere in molti casi (1) Franchi S-, Nota preliminare sulla formazione gneissica e sulle roccie granitiche del massiccio cristallino (Boll. K. Com. Geol.. 1893) . (2) Rovereto G., La serie degli scisti e delle serpentine antiche in Li- guria (Atti della Società Ligustica di scienze naturab, parte I, anno 1891 e parte II, anno 1893). (3) Franchi S., Nota preliminare ecc. mem. cit. PRASINITI ED ANPIBOLITI SODICHE ECO. 171 secondaria, e di molto posteriore all' eruzione della massa serpen- tinosa. Non parrà adunque superfluo, malgrado la affermazione ardita del Rovereto « che tutte le anflboliti da lui segnalate sono roccie n metamorflche di altre eruttive » il cercare di dimostrare, almeno per qualche punto della Riviera ligure, come le roccie di cui si parla abbiano identica struttura e composizione mineralogica di quelle alpine, e come analoghe siano le roccie originarie ed iden- tico sia pure il processo della loro metamorfosi. Scelsi perciò la località illustrata dal Bonney, dove fln dal 1891 in mezzo alle eu- fotidi avevo raccolti campioni di roccie diabasiche metamorfosate. Una breve gita vi feci nel dicembre scorso per cercarvi altro ma- teriale e rinfrescare le osservazioni prima fattevi. Uà strada littorale all uscita dell abitato di Begli, verso ovest è aperta in trincea in una massa di roccia eufotidica che da un lato scende al mare, dove forma una scogliera nereggiante, e dal- 1 altro presenta una scarpata a picco di una diecina di metri, sulla quale è posta la villa Rapalli. In questa scarpata la roccia, relativamente fresca, mostra due tipi di eufotidi che passano l’ uno all altro per transizioni più o meno rapide; uno scuro violaceo col diallagio quasi completamente trasformato in anflbolo violetto; 1^ altro verdognolo, più chiaro, come le eufotidi cosidette saussuri- tizzate. Un esame più attento mostra poi in diversi punti fra le roccie suddette a grandi elementi, delle parti di una roccia massiccia, scura, violacea, a grana minuta, compatta e tenacissima. Questa ha in alcuni punti dei limiti abbastanza netti colle roccie circostanti con delle apparenze di veri Aloni; in altri punti però essa sfuma coll’ eufotide di cui non sembra cosi che una facies mi- cromera. Nella parte della scarpata più prossima all’abitato, là dove la salita Rapalli si stacca dallo stradale, una roccia mas- siccia ed a grana minuta come la precedente, ma verdognola, pre- sentante solo qua e là dei passaggi a toni violacei, prevale sulle eufotidi, colle quali il limite è qui pure in alcuni punti netto in altri sfumato. Anzi in quella roccia, che già ad occhio nudo ha molto dell’aspetto di certe diabasi, si notano perflno vene della roccia eufotidica a grandi elementi. Si è adunque in presenza del fatto già da me posto in rilievo (1. c., p. 202) della intima asso- ciazione in una massa unica di eufotide e di diabase come se i S. FRANCHI 172 due tipi litologici non fossero che due forme di segregazione di uno stesso magma. Questo fatto venne osservato in molte masse alle falde del M. Bram, del vallone Mulasco e del vallone di Vers nella valle Maira da chi scrive, e dal collega Stella nelle masse del Viso e del Visomozzo. La roccia a grana minuta è massiccia senza ombra di scisto- sità; verso ovest dove è immersa nell’eufotide ha un colore vio- laceo spiccato e mostra ad occhio nudo piccoli clivaggi fibrosi brillanti (clivaggi dell’ anfibolo violetto) e nei punti dove essa è in massa prevalente è verdiccia, con una leggiera punta di violaceo qua e là, nel qual caso appaiono i clivaggi suddetti. In queste varietà più verdi non è raro scoprire clivaggi di piccoli felspati allungati anche ad occhio nudo. Al microscopio queste roccie si mostrano essenzialmente co- stituite da un feltro minuto di elementi anfibolici sfrangiati e sfibrati. Fra gli elementi di esso si ammassano confusamente cri- stalli di epidoto allungati, imperfetti, di dimensioni molto inferiori, e qua e là rari elementi di felspato (albite?) xenomorfo rispetto a tutti gli altri elementi. È inoltre molto variamente abbondante in queste roccie il minerale che trovai in molte roccie alpine iden- tiche a quelle in parola e del quale ho dato alcuni caratteri ot- tici senza poterne stabilire 1 identità (1. c., nota a pag. 190) ( ). (') Questo stesso minerale venne pure riscontrato entro a certe diabasi granulari e porfiriti solo parzialmente metamorfosate, dove si sviluppa in seno ai felspati primitivi nelle sue forme solite. Esso venne pure trovato in letti sottili con calcite entro ad un campione di anfibolite sodica associata con porBriti, raccolto dall’ ing. Stella nell’alto vallone di Chianale. - Da esso fu possibile ottenere numerosissimi cristallini isolati che mi permisero di con- fermare i caratteri già dati, ed aggiungerne altri interessanti. Ecco quali sono i caratteri finora precisati; ortorombico -, mm^ (101) (101) = 113» circa. 1 ac- cie osservate m (101), p (001) sempre esistenti, e (010) frequentissima e tal- volta anche ben sviluppata. I prismetti sono sempre cortissimi, anzi tabulari secondo p. Geminazioni polisintetiche frequentissime secondo le faccie m ; cli- vaggio g. facile; densità da 3 a 3,1; incoloro, limpidissimo. Attaccabile dal- 1’ acido cloridrico a caldo solo dopo calcinazione. Piano degli assi ottici paral- lelo a gì con % bisettrice ottusa normale a p. Angolo assiale molto grande. Indice Wm superiore a quello dei pirosseni e Ug — n^ da, 0,020 a 0,022. Quantunque questo complesso di caratteri non corrisponda, eh’ io sappia, ad alcuna specie mineralogica nota, aspetto per affermare, ove occorra, con un nome la sua individualità, di avere i risultati dei saggi chimici iniziati. PRASfNITI ED ANFIBOLITI SODICHE ECC. 173 Infine un quinto minerale che non manca mai in tutte queste roccie è la titauito sotto la forma di leucoxonc, sparse in masse- relle semiopache, da cui sono tempestati i preparati sottili. L’ anfibolo è per lo meno di due sorta : glauco fané, la quale predomina nelle varietà violacee, e anfibolo verde predominante nella roccia verde-cenerognola. I due anfiboli sono soventi associati ed isoorientati in un medesimo individuo cristallino. Oltre ai precedenti minerali secondari si notano pure in al- cuni casi resti degli elementi primitivi della roccia da cui deri- varono. Così si trovano talvolta tanto nelle varietà verdi che in quelle violacee rari microliti felspatici sottilissimi lunghi da 1 a 2 mm. geminati secondo la legge dell’ albite. Lo scarso numero di elementi non permette di determinarne la natura, ma sembrano intermedi tra oligoclasio ed andesina. Essi sono relativamente freschi e non è forse improbabile che una aci- dità eccezionale superiore a quella del felspato costituente della roccia abbia permessa la loro conservazione. In qualcuno dei campioni della roccia verde che ha maggior- mente 1 aspetto di una diabase afanitica la struttura è identica a quella della roccia violacea, salvo una quasi assoluta prevalenza anfibolo verde; ma nel mezzo dei più grandi elementi di questo minerale sono frequenti piccoli resti informi di augite^ facilmente riconoscibile alla maggior rifrangenza o birifrengenza, ed al mag- gior angolo di estinzione, malgrado il perfetto comune orientamento, per cui nelle sezioni longitudinali al prisma i clinaggi dell’ augite si prolungano ininterrotti nell’ anfibolo derivatone. I resti di augite, i microliti felspatici, l’ aspetto della roccia e la sua intima associazione colle eufotidi, se pur non vogliamo tener conto della identità di struttura microscopica e di composi- zione mineralogica con altre roccie la cui derivazione è ancora più palese, fra quelle alpine studiate o fra quelle del Giglio e di Capo Argentario, che studieremo in seguito, ci dicono chiaramente trat- tarsi di diabasi metamorfosate in anfiboliti sodiche. Pure presso alla salita Rapalli, non saprei se più in rela- zione colle eufotidi che colle diabasi, venne raccolto un campione di roccia a fondo chiaro con macchie scure. Il microscopio mostra il fondo felspatico caratteristico delle prasiniti. Qualche elemento venne determinato per andesina, mentre alcuni altri si riconobbero 174 S. FRANCHI per olbite. La glaucofatie abbondante sfuma all’ intorno in anfi- bolo verde e clorite. L’ anfibolo verde è subordinato i: epidoto in granuli, rari cubetti di perowskite (?) e poco Quarzo sono gli altri elementi. Di autiboliti sodiche simili a quelle di Degli ho trovato cam- pioni associati con eufotidi uralitizzate a glaucofane a Monte Gos presso Cairo Montenotte. Le prasiniti sono frequenti in molti punti della regione in masse di dimensioni considerevoli e vi presentano i caratteri di quelle alpine. Sono tipiche quelle del crinale ad est dell’ imbocco della galleria del Turchino presso Campo Ligure, e quelle ad est di Pero nei dintorni di Varazze. Anche per questa regione è molto probabile che certe inter- calazioni sottilissime e ripetute di prasiniti che si osservano fra le altre roccie in molti punti debbano la loro origine alla meta- morfosi di materiale tufaceo di roccie diabasiche. Una prova che così stiano le cose sono le sfumature che queste roccie presentano con scisti di natura molto diversa, per esempio con calcescisti. Isola del Giglio ('). Molto simili alle roccie di Pegli sono alcune dell’ isola del Giglio. Si trova lo stesso tipo di roccia mas- siccia compatta violacea scura con clivaggi macroscopici di glau- cofane. Solo notansi in più delle aree parallelogrammiche verdi sul fondo violaceo {felspati porfrici epidolizsati). Al microscopio identici caratteri nella massa sì per struttura che per composi- zione. I felspati porfirici sono in parte conservati ma zeppi di mi- nerali secondari, specialmente epidoti. In alcuni punti qualche grande elemento di augite con ac- cenno a struttura ofitica, però senza che sia conservato il felspato (i) Le roccie del Capo Argentario e delle isole del Giglio e di Gorgona di cui sto parlando furono raccolte dall’ingegnere Lotti, che me le diede per istudio nel 1887. Il grande interesse che esse offrivano mi aveva invogliato a completare la serie dei campioni studiandone anche le associazioni sul ter- reno. Essendo finora mancata l’opportunità per far ciò, stante il non facile accesso a quelle due isole, mi accontento di dare ora qualche cenno dei principali tipi di roccie, mostrando come rientrino esattamente nel quadro delle roccie metamorfiche alpine. Di alcune di esse avevo date incidental- mente brevi notizie in lavori precedenti (Boll. R. Com. Geo!., 1894, nota a p. 76, ed id. 1895, nota a p. 196). PRASINITI ED ANFIBOLITI SODICHE ECC. 175 che la compenetrava. In qualche campione furono trovati frequenti resti di augite, ed in tutti molto abbondante il minerale inco- gnito di cui si è parlato, il quale diventa così, vista la sua co- stante presenza, un minerale caratteristico di questo gruppo di roccie metamorfiche. Una di queste roccie del Giglio, leggermente scistosa presenta dei fenomeni di uralitizzazione degni di nota, e che cercherò di mettere in rilievo con uno schizzo di veduta microscopica (fig. 1). Fig. 1. — Lamina sottile vista in del G-iglio, in via di trasformazione. — 85 diametri.) luce naturale di un diabase granulare dell' isola (Riprodotta schematicamente con ingrandimento di h'augite abbondante in frammenti in mezzo ai minerali se- condari si vede trasformarsi in anfiboli di quattro specie: P Un anfibolo violetto chiaro presentante il policroismo della glaucofane ; 2^ Un anfibolo bruno presentante le tinte dell’ orneblenda bruna ; Ug bruno rim bruno poco più chiaro rip quasi incoloro. 176 1 S. FRANCHI 3» Un anfibolo verde chiarissimo quasi incoloro senza po- licroismo sensibile; 4^ Un anfibolo verde smeraldo meno frequente rig verde smeraldo Um verde erba Wp incoloro. Nella figura 1 è rappresentata con ingrandimento di 85 dia- metri una porzione di sezione sottile della roccia ; e si vedono indi- cati i resti di pirosseno 'p, l'anfibolo bruno i, quello violetto 2, quello verde 5, quello incoloro 4, che in luce naturale è diificilmente di- stinguibile dalle aree occupate da dorile c ; questi elementi sono poi circondati da felspato epidotizzato {saussurite) s, poco traspa- rente anche in lamina sottile. Non sono inoltre rare concentrazioni di leucoxene l in parte opache. Gli anfiboli violetto chiaro, verde ed incoloro (in lamina sot- tile) sfumano fra loro in modo insensibile, invece il passaggio da questi a quello bruno è rapido è soventi brusco, quantunque l’orien- j tamento cristallografico non subisca modificazione di sorta dall uno ] agli altri. L’ orientamento dell’ elissoide di elasticità in questi an- fiboli subisce invece variazioni sensibili essendo ìig inclinato da 7° ad 8° per quello violetto e da 15“ a 17“ per gli altri sull’asse del prisma. Le roccie del Giglio da me studiate presentano tutte qual più qual meno resti di elementi primitivi, e fatta astrazione da questi, alcune ricordano perfettamente le anfiboliti sodiche di Begli. Però anche al Giglio esistono anfiboliti sodiche senza resti di elementi diabasici; di queste un campione raccolto dal prof. De Stefani a Pietralta fu studiato dal Chelussi (i), che fattone una diagnosi giusta, la dice poi a torto una microdiorite, non accorgendosi, certo a causa del limitato numero di campioni studiato, che tutti gli elementi ne sono metamorfici. Isola di G-orgona. Le roccie che io ebbi fra le mani di questa isola costituiscono una serie di roccie analoghe, differenti fra loro essenzialmente per la grandezza degli elementi. Così per gradi si passa da una roccia bigio-verdognola a grana minutissima e afanitica ad una roccia avente in massa quasi la stessa tinta. (I) Chelussi I., Di due roccie a qlaucofane dell' isola del (Ren- diconti R. Acc. Lincei, seduta 8 giugno 1895). PRASINITI ED ANFIBOLITI SODICHE ECC. 177 ottenuta però con una chiazzatura (2 mm.) uniforme verde su fondo bigio-Terdognolo chiaro. Per tal modo mentre la prima sembra una diabase afanitica, le altre ricordano certe diabasi granulari a grana media e le ultime delle eufotidi a grana minuta. Al microscopio si mostrano pure molto simili : in ognuna un fondo felspatico a mosaico (albite) come nelle prasiniti, con ele- menti da mm. 0,1 a mm. 0,2; antibolo verde chiarissimo o in grandi elementi (quelli costituenti la macchiatura della roccia) nel qual caso il nucleo interno è occupato da una dorile a biri- frangenza debolissima (pennina) ; od in aghetti a fasci, o intrec- ciati, od a letti con apparenza Guidale nelle roccie un po’ sci- stose. Verso il mezzo degli elementi anfibolici vi sono parti di anfibolo di color violetto leggerissimo che sfumano insensibilmente coir antibolo verde col quale si estinguono contemporaneamente ed hanno comune il segno di allungamento. In qualcuna delle roccie a più minuti elementi abbonda un epidoto con birifrangenza intermedia fra la zoisite e la pistazite, nelle altre si vedono distinte zoisite e pistazite talvolta abbon- danti. Il leucoxene più o meno torbido talvolta in grandi plaghe od in scheletri che sembrano tenere il posto di cristalli pirosse- nici trasformati, è abbondante in tutte queste roccie. Oltre a tutti gli elementi secondari suindicati nelle più mi- nute di queste roccie e, cosa notevole, in qualcuno dei tipi più scistosi, esistono ancora chiari resti di un pirosseno roseo, che appaiono al microscopio come occhi attorno a cui si sviluppano e si inflettono, simulando una struttura Guidale, gli aciculi di anfl- bolo secondario. Si hanno adunque all’ isola di Gorgona delle vere prasiniti, alcune scistose, altre massiccie conservanti ancora 1’ aspetto del- 1 eufotide minuta e delle diabasi da cui derivano. Esse ricordano assai bene anche microscopicamente alcuni tipi di roccie della valle del Chisone aventi uguale origine. Non mancano nemmeno i tipi di prasiniti cloriticìie zonate con listature ricche in epidoto e in calcite, dei quali trovai pure qualche campione nella collezione Lotti, e che sono identiche a quelle tanto comuni nelle Alpi occidentali, in intercalazioni minute nei calcescisti. Capo Argentario. Di questo interessantissimo affioramento S. FRANCHI 178 di scisti cristallini, di roccie diabasiche, non ho potuto esaminai'O che qualche campione. Sono roccie bigio-verdognole alquanto sci- stose, macroscopicamente simili alle più minute di Gorgoiia. Al microscopio si mostrano costituite da un intreccio minuto di mi- croliti allungati e geminati di andesina, lunghi al più mm. 0,5. Gli interstizi sono occupati dai minerali secondari provenienti dal- r augite di cui non v’ è più traccia, e che sono : anfibolo verde e anfibolo violetto {glaucofane) comunque associati in cristalletti aciculari e soventi nel medesimo individuo cristallino con passaggi dall’ uno all’ altro per sfumature. Inoltre abbondante clorite, poco epidoto e frequentissime concentrazioni di leucoxene impuro. E no- tevole la permanenza quasi completa dell andesina che al più è compenetrata da pochi aciculi di attinoto, mentre il pirosseno è totalmente scomparso. In qualche campione i microliti felspatici formano dei settori radiati, costituenti un termine di passaggio dalle porfiriti diaba- siche alle variolitij di cui nella località si trovano pure campioni tipici, con variole da 4 a 5 mm. di grossezza. Havvi pure in quel caso formazione di anfiboli secondari fra cui uno violetto, di un mosaico felspatico che si sostituisce ai microliti primitivi in punti sparsi nella roccia, di epidoto e di leucoxene. Del Capo Argentario sono invece numerosi i campioni di eu- fotidi metamorfosate ; in uno di essi da me lasciato al Collegio di Francia il Lacroix scoprì che 1’ anfibolo violetto anziché glau- cofane era crocidolitei}). Oltre alle eufotidi massiccie vi sono molti tipi di roccie co- stituite da elementi di eufotidi ma di aspetto tufaceo talvolta tra- sformate in scisti essenzialmente cloritici. In queste roccie i fel- spati mostrano traccio di azioni meccaniche potenti, sono contorti, rotti e frantumati. Il felspato fu riconosciuta per labr ador in alcuni casi; in alcuni punti è zeppo di elementi secondari (saussurite) m altri è stato rigenerato, e diede luogo a parti a mosaico albitico colla struttura e composizione delle prasiniti. I diallagi presentano interessanti fenomeni di metamorfosi in diversi anfiboli, fra cui uno bruno, come il pirosseno delle diabasi (1) Lacroix A., Sur les propriétés optiques de la crocidolite et la dif- fusioni de ce minéral (Bull. Soc. Min. Fran9aise, 1890). PRASINITI ED ANFIBOLITI SODICHE ECC. 179 del Giglio. Kiproduco nella fig, 2 una parte di una lamina sottile, che disegnai alla camera lucida, pei maggior evidenza e per ri- sparmio di parole. Fig. 2. — Lamina sottile di uno scisto clorito-diallagico di Capo Argentario, vista in luce naturale. — (Riprodotta schematicamente con ingrandimento di 65 diametri.) La sezione è pressoché normale all’ asse del prisma del dial- lagio cosicché vi si vedono i grossi clivaggi m (110) e quelli più fini h'- (100), nonché una facile divisibilità secondo (010). Nella trasformazione esso si intorbida, quindi all’ interno, secondo le fratture ed in punti speciali qua e là si trasforma nei seguenti minerali : 1 ng bruno scuro tendente al verdastro 1° orneblenda bruna < Um bruno ( Tip bruno chiaro i Ug quasi incoloro 2° crocidoUte < Um violetto carico ( %p azzurro scuro traente all’ indaco 180 S. FRANCHI ^ Ug verde 3“ clorite (pennina) \ n,n verde ( tip giallognolo 4“ epidoto scarso in elementi gi-anulari. I tre primi minerali indicati nella figura il 1® colla lettera o. il 2® in nero (rombi, triangoli e striscio allungate), il 3® colla lettera c, sono orientati sul diallagio per modo che le faccio hK degli anfiboli e quello p delle clorite coincidono con quella A', del diallagio; per tutti e quattro poi è comune il piano di sim- metria gK È notevole il fatto che in ogni singolo punto in cui av- viene la metamorfosi anche nei punti interni al diallagio, si svi- luppano contemporanente quei tre primi minerali come si vede nella figura. Oltre la clorite a debolissima rifrangenza che si sviluppa nell’ interno del diallagio, nella massa della roccia havvi un’ altra clorite alquanto più bùùfrangente associata cogli aghetti di cro- cidolite, aventi nuclei centrali di orneblenda bruna, coll epidoto e col leucoxene. Gli elementi anfibolici sparsi in mezzo alla clorite presentano I nel mezzo un nucleo di orneblenda bruna che sfuma colla cvoci- \ dolite all’ intorno; sembra perciò che quella rappresenti uno stadio ' intermedio di metamorfosi fra il diallagio e quest ultimo anfibolo. L’ apatite non è rara nella roccia, e nella figura ne è rappre- sentato un elemento in mezzo alla orneblenda biuna. Conclusioni. Nelle quattro località indicate, Pegli, isole Giglio e Gorgona e Capo Argentario si sono trovati tipi di roccie me- tamorfiche provenienti dalle roccie diabasiche identici a quelli aventi uguale origine nelle Alpi occidentali, e che si possono di- videre nei due gruppi principali delle prasiniti e delle anfiboliti sodiche. Per di più si sono notate all' isola del Giglio ed a Capo Argentario particolarità interessanti sulla metamorfosi dei piros- seni, che non si erano osservate nelle roccie alpine. Io non intendo dare a questa corrispondenza interessante mag- gior portata di quanto le si possa attribuire, e sovratutto mi guar- derò dal dedurne la contemporaneità delle roccie studiate ora con quelle alpine, giacché è ovvio che, per esempio, delle diabasi di ugual composizione o costituzione mineralogica, quantunque di età PRASINITI ED ANFIBOLITI SODICHE ECC. 181 molto disparata possono dare origine a roccie metamoriìche molto simili, se sottoposte alle stesse azioni metamorfizzanti potenti e capaci di ricostituirle completamente. Ad esempio certe eufotidi eoceniche di Monte Varino presso Castellina Marittima presentano il loro diallagio completamente uralitizzato, ed alcune diabasi por- firoidi dei pressi di Montecatini in Val di Cecina, aventi la stessa età, presentano attorno ai microliti di augite l’ anfibolo uralitico abbondante, come in qualche campione di Capo Argentario; sola- mente in quelle manca 1’ antibolo violetto. Però la corrispondenza cronologica atfermata fra le pietre verdi alpine e quelle liguri in base all’ identità del complesso di roccie e della associazione loro, può trovare nei fatti esposti una nuova conferma. Per l’arcipelago toscano converrà aspettare studi ulteriori, e specialmente uno studio comparativo delle serie di scisti che nelle diverse località racchiudono queste masse di roccie massiccie più 0 meno metamorfosate. All’ isola d’ Elba pare provata 1’ esistenza di serpentine 'predevoniane ('), mentre al Capo Argentario delle ser- pentine, eufotidi e diabasi si può dire al più che sono antepermiane, per quanto ricavo dai rilevamenti dell’ ing. Lotti, [16 giugno 1896] (>) De Stefani C., Gli scisti paleozoici dell'isola d'Elba. (Boll. Soc. Geol. It., 1894). SOPRA DUE NUOVI PTEROPODI DELLE ARGILLE DI SIVIZZANO NEL PARMENSE Nota del dott. Vittorio Simonelli. Dalle mie prime escursioni nei colli parmensi ho riportato, fra l’altro, alcuni stupendi esemplari di pteropodi tecosomi, che oltre a rappresentare un nuovo acquisto per la paleontologia locale, mi sembrano accrescere con due forme non ancora descritte il novero dei molluschi spettanti a quel gruppo. E mentre sottopongo al giu- dizio degli specialisti la illustrazione delle conchiglie in parola, colgo r opportunità per dir brevemente dei terreni dove io le rin- venni e della fauna che le accompagna. Quasi tutti i miei esemplari di pteropodi vengono dalle argille marnose grigio-perla, che formano il dirupato fianco meridionale del colle di Sivizzano, nei pressi di Traversatolo. Intorno alla costi- tuzione geologica di quei dirupi scrisse, parecchi anni or sono, il Cocconi, che ravvisava scoperto in essi « un lembo di marne grigie contenenti fossili miocenici ^ (') ; e insieme ad alcune specie ma- rine, fra cui la caratteristica Ancillaria glandiformis Lk. (^), che accennerebbe chiaramente al tortoniano, vi notava frequentissime al- cune specie “ d’acqua dolce come, ad esempio, la Neritina muti- nensU D’Anc. Più tardi il Pantanelli, dopo aver cercato invano di ritrovare il giacimento dei fossili estramarini citati dal Cocconi, si mostrava inclinato a crederli piuttosto provenienti dal vicino (1) Enumeraz. sistem. dei Molluschi mioc. e plioc. delle provinole di Parma e Piacenza. Mem. dell’ Acc. delle Se. dell’ Ist. di Bologna, ser. 3 , t. Ili, p. 17. 1873. _ . 2- A -Il ■ (2) Debbo notare che non solo io non bo visto traccia di Ancillariae nelle argille di Sivizzano, ma che neppure son riuscito, per quante ricerche abbia fatto, a trovarne esemplari nella raccolta paleontologica del Museo di Parma. V. SIMONELLI, SOPRA DUE NUOVI PTEROPODI ECO. 183 S. Polo sulla destra dell’ Enza ; e si assicurava in pari tempo della mancanza del tortoniano nel colle sivizzanese, trovando quivi il plio- cene direttamente appoggiato sopra il miocene medio od inferiore (•). Conveniva però nel giudizio del Cocconi il De Stefani, che nel suo geniale lavoro sui terreni terziari del bacino del Mediterraneo, ci- tava Sivizzano tra i luoghi che offrono esempi di alternanze del messiniano primo col tortoniano (2) ; mentre il Sacco, nella recente Carta geologica dell’ Appennino dell’ Emilia, accettava 1’ opinione del Pantanelli e coloriva quell' area con la tinta del piacenziano. Non ho saputo, dal canto mio, riscontrare a Sivizzano vere e proprie alternanze di sedimenti marini con sedimenti a fauna sal- mastra, e tanto meno promiscuità di specie marine e non marine in un medesimo strato. Nelle balze poste a sud e a sud-est del villaggio, afBorano argille con fossili esclusivamente marini, e di mare piuttosto profondo, senza intercalazioni di depositi d’ alti-a na- tura. Andando verso nord, veggonsi queste argille immergersi sotto alle sabbie gialle del pliocene e al quaternario. Scendendo invece le balze, ad un livello poco superiore a quello del Eio della Valle si vedon comparire strati di marne argillose, dure, un po’ schistose, della complessiva potenza di 10-15 metri, leggermente inclinati verso nord, e racchiudenti la fauna caratteristica delle formazioni d’ acqua salmastra del miocene superiore. Oltre ad alcune filliti, che con pro- babilità son da riferire al Podogomum Knorri Heer ed a Sa-pin- dus sp., queste marne sottoposte alle argille marine mi hanno dato finora i fossili seguenti : Dremena simplex (Barbot). Adachna sp. aff. Karreri (Puchs). Adachna sp. ind. — Forma probabilmente nuova, che per 1 aspetto generale ricorda il Cardium plicatum var., descritto dal Capellini nella Memoria su Gli strati a Congerie e le marne compatte mioceniche d' Ancona (•’*). P Pantanelli, Monografia degli strati pontici del Mioc. superiore. Mem. dell Acc. di se. lett. ed arti di Modena. Ser. 2% t. IV, p. 18. 1886. (^) De Stefani, Les terrains tertiaires supérieurs du bassin de la Mèdi- terranée. Ann. de la Soc. géol. de Belg., t. XVIII, Mém., 1891, p. 27. Liège, 1893. C) E. Acc. dei Lincei, Mem. della Gl. di Se. fìs. mat. e nat., ser 3“ voi III 1879, pag. 17, tav. I, fig. 15. > • > 184 V. SIMONELU Adaehm semisulcata (Rouss.). Neritodonta mutinensis (D' Anc.). n f var. areolata Pani. Melania tubercalata (Muli.), typ. et ^ar. Melanopsis Matheroni May., typ. et var. Proprio nel fondo della vallecola interposta fra le balze di Si- vizzano e la collina di Torre, vengon di nuovo a comparire le ar- gille con fossili marini, cosicché si potrebbe credere che gli strati a fauna salmastra siano realmente intercalati fra quelle. Ma ho motivo di ritenere che le argille marine inferiori, apparentemente soggiacenti agli strati con Dreissena, Melanopsis etc., altro non sian che la continuazione delle argille marine superiori; e che si trovino condotte nella loro posizione attuale in seguito ad una fa- glia press’ a poco parallela all’ asse della vallecola. Le specie che ho potuto raccogliere sino ad ora nelle argille marine sono le seguenti : Biloculina bulloides d Orb. Milioliiia cuvieriana (d’ Orb.). llaplophragmium agglulinans (d’ Orb.). Bigenerinapennatula{^àis,Q\i.). CLavulina commmis d’ Orb. rudis (Costa). Nodosaria commiinis d’ Orb. B raphanistrum d’Orb. Linguliiia costata d’ Orb. Frondicìilaria alata d’Orb. Margimlina spinulosa (Costa). Vaginuliìia legumen (L.). Cristellaria cassis (Ficht. et Moli.). Cristellaria cultrata (Montf.). r> auris (Sold.). « italica (Defr.). Uoigerina tenuistriata Reuss. Globigerina bulloides d’ Orb. Orbulhia universa d' Orb. Trtmcalulina Dulemplei (d’ 0 rb.). » cfr. Karreri d’Orb. Anomalina ariminensis{àiOv\).). Trochocyathus crassus (Michti). Stephanocyathus elegans Seg. Flabellum sp. ind. Dorocidaris papillata Leske. Schisaster canaliferus Ag. Amussium cristatum (Bronn). 1 duodecimlamellatum (Bronn). Amussium cfr. (Ponzi). Limopsis aurita (Br.). Nudila sulcata Bronn. Malletia Caterina (Appelius). Verticordia argentea (Mariti), t arenosa (Rayn., V. d. H. et Ponzi). Isocardia moltkianoides Bell. Tellina incarnata L. Pholadomya vaticana Ponzi. 185 SOPRA DUE NUOTI PTEROPODI ECC. Corbula gibba Olivi Cuspidaria proboseidea (E. Sism.). Dentalium Bouei Desh. » sexangulum L. ” striatissimum Dod. » laevigatum Ponzi. Siphonodentalium triquetrim (Br.). Pliciscala torulosa (Br.). Turritella subangulata (Br.). » communi Risso. Xenophora iestigera Bronn. Naticina catena (Da Costa). Buiima Scillae (Scacchi). * Bubulata (Don.). Turbonilla lactea (L.). Mathilda fimbriata (Micht.). Cerithium vulgatum Brng. Triforis perversa (L.). Chenopus attinger ianus (Risso). Galeodea echinophora (L.). Ficaia sp. ind. Tritonium apenninicum Sassi. Nassa turbinellus (Br.). * italica May. Columbella thiara (Br.). Fusus longirostris (Br.). Typhis fistulosus (Br.). Murex spinicosta (Bronn). Uromitra nitida Bell. Cancellaria Bonellii Bell. » mitrae formisi^}:.). " lyrata (Br.). ” serrata Bronn. Terebra terebrina Bon. var. Pleurotoma rotata (Br.). » monile (Br.). " contigua (Br.) var. Surcula dimidiata (Br.). Drillia Allionii Bell. Pseudotoma Bonellii Bell. Dolichotoma catapìiracta (Br.). Homotoma anceps (Eichw.). Conus antediluvianus Brusf. Pùngicula auriculata (Mén.). Scaphander lignarius (L.). Clio {Clio) braidensis (Bell.). " » Guidottii n. sp. (•). Cuvierina astesana (Rang). Cavolinia trispinosa (Les.). " Rattonei n. sp. (2). Argonauta sp. ind. Avanzi di crostacei brachiuri ed otoliti di pesci indeterminati. In questa fauna si possono, senza fatica, riconoscere prevalenti 1 caratteri propri alle zone piuttosto profonde del nostro pliocene ; e si potrebbe addirittura dir che si tratta di piacenziano, se la pre- senza, fra r altro, delle Verticordiae, non accennasse a profondità superiori anche a quelle della zona coralligena. Una fauna analoga si ritrova nelle argille che formano la parte più bassa della collina di Torre, di fronte a Sivizzano, mentre più (’) Vedi la descrizione a pag. 186. O Vedi la descrizione a pag. 189. V. SIMONELLI 186 in alto son messe a nudo le marne sabbiose, bianchicce o giallo- gnole, che il Sacco riferisce all’ elveziano. Il pliocene si estende poi verso sud-est, conservando press’ a poco gli stessi caratteri, fino alla Termina; e plioceniche son tanto le argille sabbiose, turchinicce, tagliate dal tronco principale del Rio della Valle, quanto quelle messe allo scoperto alla Fornace, lungo la via Castione-Traversetolo. Nelle colline che fiancheggiano a destra l’ ultimo tratto della Termina di Torre apparisce una massa potente di marne in generale durissime, ruvide al tatto, grigio-scure se spezzate di fresco,^ cene- rine chiare o azzurrognole nelle super fici esposte da lungo all atmo- sfera. Son queste marne distintamente stratificate, e gli strati scendono con debole inclinazione (10°-15°) verso nord o nord-est, come si vede percorrendo la selvaggia vallecola che va dal Monte Moro alla Ter-- mina di Torre ; s’ immergono dunque sotto al pliocene marino di cui parlammo poco innanzi. Sottostanno direttamente alle marne le solite argille scagliose, accompagnate da calcari a fucoidi e da arenarie schistose con geroglifici. — Nella carta già citata del prof. Sacco, l’area occupata dalle marne in parola figura come elveziana: ma i pochi fossili quivi raccolti da me {Aturia Aturi Bast., Solenomya Doderleini May., Axinus simosus Don., Nucula sp.) starebbero piuttosto ad indicare il langhiano, quando, beninteso, al termine langhiano si dia significato puramente batimetrico. Farmi di aver così stabilita sufficientemente la posizione del terreno da cui provengono le belle conchiglie che sono oggetto prin- cipale di questa Nota, e vengo senz altro a descriverle. Clio (Clio) Guidottii n. f. ('). Conchiglia piatta, diritta, triangolare allungata, coi lati sen- sibilmente convessi, divergenti, nell’ insieme, di poco più che 30. Labbra semplici, arcuate in avanti secondo una linea un po sinuosa, che offre un accenno di largo e brevissimo lobo mediano. Carene laterali ottuse, quasi piane, simili a quelle della vivente Cl. An- dreae Boas. Faccia dorsale ornata di una grande costa longitudi- nale mediana e di due coste laterali minori, divise dalla prima mercè solchi stretti e profondi ; la larghezza delle coste laterali equi- (1) Per la sistematica degli Pteropodi seguo Pelseneer, Report on thè Pteropoda collected by H. M. S. Challenger (Eep. on thè scientific Results ot thè Voyage of H. M. S. Challenger, Zoology, voi. XXIII, p. I, 1888). SOPRA DUE NUOVI PTEROPODI ECO. 187 vale a metà circa di quella della costa mediana, che alla sua volta occupa poco meno di un terzo della superficie dell’ intiera faccia. Essa superficie presenta inoltre numerose e regolarissime pieghe trasversali, assai bene scolpite, curve in avanti secondo archi uguali a circa un quarto di cerchio, obliterate in prossimità dei margini laterali, separate da intervalli un po più. larghi delle coste stesse. Fig. 1. — Clio Guidottii Sim. a faccia dorsale, b faccia ventrale, c sezione trasversale (leggermente ingrandita). Contansi da 10 a 11 di queste pieghe sopra un centimetro di lun- ghezza. Nella regione anteriore della conchiglia le pieghe trasverse vanno gradatamente diminuendo di rilievo, e finiscono per svanire ad una certa distanza dall apertura, lasciando la superficie ornata sol- tanto da minute e fittissime strie, che corrono parallele al margine labiale. Le stesse pieghe, ma un po’ meno fortemente arcuate, compa- riscono anche nella faccia opposta, dove però, invece di tre coste longitudinali, se ne trova una sola mediana, alquanto più larga della mediana dorsale e non così nettamente delineata come questa. La conchiglia embrionale non è conservata in alcuno dei nostri esemplari. Dimensioni: lunghezza (approssimativa) . . mm. 36. 31. ” larghezza massima « • • » 15. 14, » altezza « . . » 4 3 14 Jgg V. SIMONELLI Tra le forme viventi, la sola che per la ornamentazione ricordi fino a un certo punto questa grande e bellissima Clio di Sivizzano ò la C. balantium (Rang) dell’Oceano Indiano e dell Atlantico; la quale si allontana però dalla nostra per la curva prouunziatissima della sua parte posteriore, e per le carene laterali incavate • en gouttière ■’('). Tra le forme fossili non è il caso di ricordare la no- tissima C. pedemoatana (May.) e le affini {C. acutissima sp., C. Biltìieri Kittl. sp.) C), che sono sfornite di coste longitudinali. Meglio si presterebbe a qualche confronto la C. deflexa (v. Koenen) del°miocene di Stolpe; nella quale però mancano le pieghe trasversali cosi distinte nella C. Guidoltii, e sono sviluppatissime nella faccia dorsale le coste marginali, che in questa sono appena accennate (^ ). Anche maggiori analogie possono trovarsi con la dal Bellardi col nome di Balantium simosum{ ), dal Fonzi( ) e aai Tiberi (6) identificata poi col Balantium Ricciolii (Calandrelli) ; ma la figura e la descrizione data dal Bellardi per quella sua specie, si riferiscono ad una conchiglia assai più corta e larga die non sia la nostra, a margini diritti e non convessi, e con le rughe trasver- sali concave ai lati e rialzate al margine in modo tutto caratte- ristico. Questo andamento stesso hanno le pieghe trasversali ne Balantium Ricciolii ottimamente figurato dal Ponzi (') : e se anc e non concorressero altre differenze (come la presenza di spine late- rali, i margini diritti, 1’ angolo posteriore assai pm aperto ecc.) ciò basterebbe a distinguer la specie di Monte Vaticano dal a C. Gui- doltih dove le pieghe stesse, andando dalle coste laterali verso i (1) Cfr. Boas, Spolia Atlantica, Bidrag til Pteropoderncs, pag. 203. K3obenha^,tlB86^^^ miocenen Pteropoden von Oesterreich- Ungarn etc. Annalen desk. k. naturhistorischen Hofmuseuras, Bd. I, Heft2, pag. e segg. Wien, 1886.^ Koenen, Die Gastrop. holostomata u. tectibranchiaU, Cephalo- poda u. Pteropoda, des Norddeutschen Miocàn. N. Jahrb. f. Min. etc. Beil.- Bd. II, Stuttgart 1882, p. 351, tav. VB, fig. 9, ab. ^ 1073 (4) 3foll. dei terr. terz. del Piemonte. P. I, p. 32, tav. m, fig. 1 . (5) Fossili del Monte Vaticano. Atti della B. Acc. dei Lincei, ser. , t III, p. 23. Eoma, 1876. ^ r i (6) Cefalopodi, Pteropodi, Eteropodi viv. nel Medit. e foss. nel te . terz. it., Bull, della Soc. Mal. it., voi. VI, 1880, p. 33. (■7) Op. cit., tav. Ili, fig. 5, a-b. SOPRA DUE NUOVI PTEROPODI ECO. 189 margine, coiTono semplicemente oblique dall’ avanti all’ indietro senza farsi concave. Do a questa forma il nome troppo dimenticato di Giambat- tista Guidotti, paleontologo modesto quanto valente, dal quale il Museo di Parma ereditò preziose e ordinatissime raccolte di fossili terziari. Cavolinia Rattonei n. f. \ ista dalla faccia dorsale la conchiglia offre anteriormente e sui lati un contorno poco dissimile da una semiellisse, che si rac- corda nel terzo posteriore coi margini arcuati della punta termi- nale, formando due angoli laterali sensibilmente ottusi. Guardata di profilo, la faccia stessa presenta una elegantissima curva sig- moidea, pel dirigersi che fanno in senso opposto la punta ter- minale, rivolta in su, e la parte an- teriore del labbro, fortemente piegata in basso. Delle coste dorsali son pre- senti la centrale (1 di Boas) e quattro laterali (2 e 3) : accennate appena le due marginali (4). La centrale, svilup- patissima, claviforme, è segnata per lungo da tre linee rilevate, visibili solo con la lente. Le laterali 2, larghe press’ a poco quanto la centrale, hanno il fianco esterno quasi verticale, il dorso pianeg- giante, il fianco interno scendente con dolce declivio nel solco larghissimo che le divide dalla 1 ; sono ornate da pro- fondi solchi trasversali, paralleli alle linee di accrescimento, assai lontani, r uno dall’ altro, non contandosene più di 5 in 5 mm. di lunghezza. Le late- rali 3, immediatamente addossate alle 2, son meno rilevate e più brevi di queste, terminando un po’ prima di giungere al margine ; hanno il fianco esterno falcato, l’ interno quasi rettilineo e son lisce nel dorso. Parallelamente al margine anteriore e a breve distanza da questo, corre un cercine ben rilevato, che si fonde a destra e a sinistra con le coste 2. La superficie presenta inoltre minute PiG. 2. — Cavolinia Rattonei Sim. a faccia dorsale, b profilo (2/1). V. SIMONELLI 190 e fittissime strie d' accrescimento, solo con difficoltà visibili ad oc- chio nudo. La faccia ventrale, assai più tumida della opposta e quasi di un terzo più corta, apparisce subcordiforme, quando si faccia astrazione dagli angoli corrispondenti alle punte laterali. Raggiunge la con- vessità massima verso il quarto anteriore, e poi si curva piuttosto bruscamente in dentro fin presso il margine, che è riflesso. E ornata di pieghettine strettissime, acute, piuttosto distanti l’ una dall’ altra, che nella regione mediana corrono normalmente all’ asse longitudinale della conchiglia, presentando solo una leggera convessità verso la punta terminale, mentre sui lati piegano indieti’O con una curva assai forte, tendendo a disporsi parallelamente al margine. Dimensioni t lunghezza della faccia dorsale. • • mm. 19 « lunghezza della faccia ventrale . . " 14 >) larghezza fra gli angoli laterali . . ’’ 13 5 lunghezza della punta terminale . . ■> 5,6 spessore massimo " Nel complesso dei caratteri la C. Rattonei ha innegabili rap- porti con la C. tridentata (Forskal), specie ora vivente nei mari tropicali e temperati caldi, compreso il Mediterraneo, e citata come fossile in Italia a Castellarquato (Cantraine), nell’ isola d Ischia e uresso Pozzuoli (Scacchi e Philippi) presso Monteleone in Calabria (Pilla in Philippi), a Palermo (Philippi), a Messina (Seguenza). Pur considerandola però come legata filogeneticamente a questa specie attuale, dobbiamo per molti caratteri, riguardarla come forma distinta. Nella tipica C. tridentata, quale ci vien rappresentata dalle insuperabili figure di Boas, la punta terminale oltre ad esser molto più corta che nella G. Rattonei. è diritta, ed ha solo l’estremo apice curvato in alto; la faccia ventrale è proporzionatamente piu rigonfia, mancano sulle coste laterali 2 le rughe trasverse così bene sviluppate in tutti gli esemplari della forma nostra. Si aggiunga inoltre che nella C. tridentata il labbro dorsale si spinge avanti in forma di lobo piuttosto stretto, col margine anteriore leggermente concavo e disposto in modo da far quasi angolo retto coi margini laterali, mentre nella C. Rattonei il margine labiale è abbastanza regolarmente arcuato. Neppur crederei giustificata la riunione della C. Rattonei con SOPRA. DUE NUOVI PTEROPODI ECO. 191 la C. jìeraffinù (Seg.) (i), descritta originariamente dal Seguenza come « Hyalaea tridentata ? ». La G. peraffinis è molto più tumida (lo spessore sta alla lunghezza come 8 : 13), manca delle pieghe caratteristiche sulle coste laterali 2, ha la punta terminale meno rialzata, più corta, più bruscamente allargata in avanti. — La C. gypsorum (Bell.) (-), oltre ad aver diversissima scultura, ha la faccia dorsale proporzionatamente meno allungata e la punta ter- minale non flabelliforme, ma limitata in principio da due linee po- chissimo divergenti, che fanno angolo retto colla parte successiva dei suoi margini. In attestato di rispettosa amicizia dedico la nuova specie al- r egregio rettore dell’ Università di Parma, prof. Giorgio Battone, che più volte ebbi compagno e collaboratore attivissimo nelle mie gite, e che primo raccolse, nel pliocene di Sivizzano, questa ele- gante conchiglia. [22 giugno 1896] (*) Seguenza, Paleont. malac. dei terr. del diftr. di Messina {Ptero- podi ed Eteropodi). Mem. della Soc. It. di Se. Nat., t. II, n. 9, pag. 6, tav. I, fig. 5. Milano, 1869. (*) Bellardi, op. cit., pag. 2-5, tav. III. I MOLLUSCHI DELLE GLAUCONIE BELLUNESI Nota di P. E. Yinassa de Regny. (con due tavole) Sotto questo titolo pubblicai nel 1894 (') un elenco di specie che avevo potuto riconoscere studiando una ricca collezione delle glauconie bellunesi conservata nel Museo di Pisa. Tra esse alcune erano nuove e dovevano essere descritte, altre nierita\ ano un cenno speciale: ed è appunto ciò che mi propongo di fare in questo la- voretto, a complemento di quanto fu detto da altri su tali glauconie. Solo Taramelli (“) e Hoernes (^) si sono occupati un po’ più este- samente di questi sitati, limitandosi il primo a dare un semplice elenco della fauna e il secondo brevi descrizioni delle forme da lui trovate. Ora considerando T importanza che può avere la cono- scenza dei fossili per la geologia della località, credo non aver fatto opera del tutto inutile descrivendo le nuove forme e citando quelle da me rinvenute. Lo stato degli esemplari è sempre molto deficiente, cosicché di somma difficoltà sono le determinazioni, ove non si disponga di numerosi esemplari, perciò si troveranno citati con dubbio molti nomi di specie ; il numero delle specie sicure è però abba- stanza rilevante, e basta per dare un’ idea assai chiara sull’ età di questi strati. Come risulta dall’ elenco seguente si hanno una sessantina di forme, tra le quali 37 determinabili con bastante sicu- rezza; nuove per questi strati se ne hanno 14; delle rimanenti (1) Vedi: Atti Soc. tose, di Se. nat., Proc. verb., voi. IX, pag. 261, Pisa 1894. (2) Taramelli T., Note illustrative alla carta geologica di Belluno, pag. 135 ecc., Pavia, 1883. t i v ;i t (3) Hoernes, Tertiàrschichten in der Gegend von Belluno. Jahrb. des k. k. geol. Reichsanst., 1878, pag. 12 etc. P. E. VINASSA DE REGNY, I MOLLUSCHI ECC. 193 11 sono comuni agli strati oligocenici del Vicentino, le altre sono state ritrovate nei depositi miocenici più recenti, sia del bacino di Vienna, sia dell’Apennino. La maggior parte di esse però non oltrepassano il Miocene medio, cosicché considerando anche la pre- senza di specie prettamente oligoceniche non credo di essere troppo lontano dal vero, ponendo le glauconie bellunesi alla base del miocene. Descrizione delle specie. 1. Pholadomya {Procardia) trigomla Mch. 1861. Pholadomya trigonnla Michelotti. Etudes sur le miocène infé- rieur de V Italie septantrionale, pag. 56, tav. V, fig. 6, 7. Questa specie sembra assai rara: Hoernes e Taramelli però la citano entrambi. Nella nostra collezione si ha un individuo as^ai ben conservato che offre una grande somiglianza colla specie suddetta ; se ne distingue solo per essere un poco più arrotondato, e per gli umboni molto rigonfi, come nella Ph. {Procardia) Ca- navarii Sim. dello Schlier dell’Apennino. Però le brutte figure e la breve descrizione di Michelotti non mi permettono di azzar- dare giudizi, nè di stabilire confronti, liiferisco quindi i nostri due esemplari alla specie di Michelotti, fondandomi anche sulla fede di Hoernes e di Taramelli. 2. Pholadomya cfr. quaesita Mich. Riferisco con dubbio a questa specie, descritta da Michelotti a pag. 54 e figurata nella tav. V, fig, 1 e 2 del lavoro sopra nominato, alcuni modelli, in parte anche con guscio, che per la loro forma generale vi rassomigliano assai. Credo indubbiamente che a questa specie vadano riunite anche la Ph. Delbosii Mich. (pag. 55, tav. V, fig. 3) e la Ph. corbuloides Mich. (pag. 55, tav. V, fig. 4, 5); però non crederei di ammettere, come vuole Hoernes, che tutte e tre queste specie vadano riunite alla prece- dente. Ammessa pure una grande variabilità nella forma esterna delle Pholadomya, pure mi sembra esistere tanta differenza tra questi due gruppi di forme da giustificare una specie diversa. Anche Moesch {Monographie der Pholadomyen, II, pag. 115, ecc.) è di questo parere, poiché riunisce la Ph. trigonula Mich. alla Ph. margaritacea Sow., e le tre specie di Michelotti sopra no- 194 P. E. VIXASSA DE REGXY minate alla Ph. Partschi Goldf., dalle quali però a me sembra più conveniente tenerle distinte. 3, Glycymeris Gastaldii Mich. sp. 1861. Panopea Gastaldii Michelotti. Op. cit., pag. 54, tav. V, fig. 10. Posseggo di questa specie tre esemplari, di cui due benis- simo conservati, e perfettamente rispondenti alla figura di Miche- lotti. Questa specie, insieme alla seguente ed alcune altre è una delle più comuni e caratteristiche di questi strati. 4. Glycymeris declivis Mich. sp. (Tav. IV, fig. 1) 1861. Lntraria declivis Michelotti. Op. cit., pag. 57, tav. VI, fig. 1. n acutangola « Op. cit., pag. 57, tav. VI, fig. 2. >» proxima « Op. cit., pag. 57, tav. XI, fig. 3. La specie va certo riferita al genere Glycymeris^ piuttostochè alle Lutraria-, quanto alla identità delle tre specie proposte da Michelotti credo di esser sicuro. Già Hoernes (op. cit., pag. 14) aveva supposto trattarsi di una specie sola; l’analisi del mio ma- teriale conforta me pure in tale opinione. Il migliore nostro esem- plare, che meglio d’ ogni altro si potrebbe ravvicinare alla fig. 2 della tav. VI, è una grossa conchiglia lunga era. 10 e alta cm. 5. È quindi più grande e più largo dell’esemplare figurato, ma per la forma generale vi corrisponde assai bene. La conchiglia sottile, rigonfia, ampiamente beante sul davanti, è munita di coste con- centriche assai grosse e rade che si seguono a distanze quasi uguali, come si vede nella fig. 1 della tav. VI; tra esse si trovano altre costicine più sottili. Gli umboni sono più sporgenti, e quindi anche per questo carattere il nostro esemplare si avvicina un po più alla fig. 1 della tav. VI del Michelotti. 5. Lutraria sp. ind. Kiferisco a questo genere due modelli interni di individui assai allungati, leggermente depressi, e che non saprei a quale specie poter riferire. Forse di questa forma intendeva parlare Hoernes (op. cit., pag. 15); la sua osservazione, che nessuna delle forme figurate da Michelotti corrisponde a questa, me lo fa credere, dacché anche pei miei due esemplari si addice interamente tale osservazione. I MOLLUSCHI DELLE GLAUCONIE BELLUNESI 195 6, Corbula gibba Lmk. Manca nella nostra coUezione, e me ne duole dacché si tratta di una forma abbastanza importante, e che molto mi avrebbe in- teressato. 7, Corbula Taramellii n. f. (Tav. IV, fig. 2^, 2‘'). C. testa minori, elongata, depressa, minute rugosa, carinata, postico mucronata, antico rotundata, umbonibus parumpatentibus, obtusis. Conchiglia piccola, depressa, molto allungata, a superficie adorna di numerose costicine sottili, lineari, regolari. Dagli umboni non molto sporgenti, ottusi partono posteriormente due carene molto spiccate, dietro a cui la conchiglia si incurva, rendendosi quasi pianeggiante. Il margine anteriore è arrotondato, il posteriore è angoloso, in basso mucronato. Per il suo aspetto generale questa specie ha qualche analogia colla C. revoluta del Brocchi : ma da questa si distingue subito per- la forma più allungata e depressa, e per le coste molto più sottili. 8. Pectunculus sp. ind. Modello mal determinabile di un individuo assai rigonfio, ar- rotondato ai lati, quasi dritto al margine ventrale, cosicché la conchiglia ha un aspetto subquadrangolare. Mostra per la sua forma qualche analogia col P. pilosus Lmk. Arca n, f. 1878. Arca sp. ind. Hoernes. Op. cit., pag. 17. Questa forma sembra assai rara ; non ne conosco che un solo individuo, non molto grande, assai allungato, con area poco svi- luppata ; la conchiglia sottile é tutta quanta ricoperta da sottilis- sime e fittissime costicine raggianti, che, spiccatissime presso gli umboni, vanno man mano scemando sui margini, dove sono anche più distanti tra loro, interponendosi un solco non molto profondo, in cui sono molto ben visibili le strie di accrescimento sottili e ondulate. Grosse coste concentriche irregolari si trovano pure di- sposte su tutta la conchiglia. Non saprei a quale forma poterla 196 P. E. VINASSA. DE KEGNY avvicinare, ma disponendo di un solo esemplare mal conservato non mi credo autorizzato a proporre un nuovo nome. Credo che | Hoernes (pag. 17) abbia voluto parlare di questa forma: la de- scrizione risponde assai bene ; solo 1 area nel nostro individuo non ] è molto alta; ciò però potrebbe anche derivare dallo stato di con- servazione del nostro esemplare. 10. Arca sp. ind. Piccolo individuo troppo mal conservato per poter esser de- tei-minato, ma certamente diverso dalla specie precedente. 11. Cyprina cfr. compressa Fuchs. Non posso dare come sicura la determinazione, in quanto che gli esemplari sono troppo mal conservati. Le somiglianze però colla forma oligocenica sono molto spiccate. 12. Cyprina brevis Fuchs. 1870. Cyprina brevis Fuchs. Die Conchylien der vicentin. Tertinrbildun- . gen, pag. 64, tav. XI, fig. 1. ! È un bell’esemplare che credo certo doversi riferire a questa ( specie molto comune nell’oligocene vicentino. Ho pure un altro ; esemplare in modello di una grossa fonua che credo poter rifenre : alle Cyprina senza però poter azzardare alcun ravvicinamento. 13. Isocardia cfr. subtransversa d’ Orb. , i Hoernes nel più volte citato lavoro cita anche questa forma j tra quelle rinvenute nelle glauconie bellunesi. Taramelli però non , ve l’ha riscontrata, ed io pure non ho mai veduto nulla di simile j tra i nostri numerosi esemplari. ■ ] 14. Isocardia (?) glauconitica n. f. ; (Tav. V, fig. r, IS l-*). /. (ì) testa minori, tumida, globosa, cordata, fere laevigata, ' inaequilaterali ; antice roUmdata, postico subangulosa ; umbonibus i crassis, involutis, subexcavatis. _ ; Conchiglia non molto grande, tumida, globosa, a forma di cuore, levigata, assai inequilaterale ; sul davanti arrotondata, sul di dietro quasi angolosa. Crii umboni sono assai sporgenti, molto I MOLLUSCHI DELLE GLAUCONIE BELLUNESI 197 grossi e involuti, assai scavati al di sotto. Sulla parte posteriore si hanno nel modello due forti solchi che partendo daH’umbone vanno a tenninare presso al margine ventrale. La larghezza della conchiglia supera la sua lunghezza. Per la forma questa specie si avvicina un poco alla I. cor Linn.; ma le sue dimensioni, la globosità della conchiglia, gli umboni meno involuti, le depressioni che partono dallumboue come nella /. subtransversa d' Orb. la tengono ben distinta dalla specie di Linneo. È senza dubbio una forma molto caratteristica, e abbastanza fuori del comune, tanto che sono ancora in dubbio sulla sua esatta determinazione generica, scostandosi essa d'assai dalle forme più comuni di Isocardia. Potrebbe per es. anche avvicinarsi per la forma alla forma Lucina colimhella Lmk. (in: Hoernes, Moli. Tert. Beck. von Wien, pag. 231, tav. 33, fig. 5), ma per la’ forma degli umboni ne è nettamente distinta. 15. Cardium anomale Math. 1870. Cardium anojnale Math. Fuchs. Conch. der vicent. Tertiàrbild., pag. 30, tav. VII, fig. 7-10 {cum syn.), ^ L esemplare nostro, confrontato anche con quelli provenienti dalloligocene di Castelgomberto, non mostra diversità notevoli. Questa specie anzi passa quasi invariata dal piano di Sangonini sino agli strati di Belluno, dove però non è molto comune. 16. Cardium fallax Mch. 17. Cardium multicostatum Brcch. Nessuna di queste due forme ho mai riscontrata nelle colle- zioni da me vedute; esse però sono state citate da Hoernes e da Taiamelli, ed è appunto sulla loro fede che riporto queste due specie, come esistenti nelle glauconie di Belluno. 18. Cardium Longhii Vin. (Tav. IV, fig. 3®', 3'’) 1893. Cardium Longhii n. f. Vinassa. I moli, delle glauconie bellunesi. Atti Soc. tose. Se. nat. Proc. Verbali, voi. IX, pag. 261. C. tenta media, elongata, limae formi, obliqua, ventricosa; umbombus parvis, acutis, parum recurvis; costis antice crebris. P. K. VINASSA DE REGNT 198 radia, itibus, aequalibus, rotundatis; postice coslis paté, itibus quo- que transversalibus j radiantibus parum, notati^-, creberritnis, rfiar- gine subevanescentibus. Questa forma, che a me sembra nuova, è rappresentata da un solo esemplare molto bello e benissimo conservato. La conchiglia è allungata, obliqua, globosa ; la convessità massima risponde presso ad una linea che partendo dagli umboni, piccoli e molto acuti, lungo il terzo anteriore delle valve va a terminare al margine. Ne risulta così una divisione nella conchiglia; la parte anteiiore mi- nore quasi piana, con forte inclinazione da questa linea di massimo rigonfiamento scende sino al cardine ; la parte posteriore più grande è assai più ricurva. Sulla parte piana si hanno coste assai fitte, ottuse, che partendo dall’apice e man mano aumentando in larghezza arrivano al margine; nella parte posteriore più ricurva le coste hanno diverso andamento: esse sono trasversali alle prime, equidi- stanti, uguali tra loro, e incontrano le coste raggianti con un an- golo di circa 40°. Altre piccole costoline raggianti si trovano pure in questa porzione, però assai meno spiccate specialmente ai mar- gini ; verso gli umboni invece il reticolato prodotto dall incrocio di tali linee è molto ben visibile. Il gran numero di Cardium terziari, difficilissimi a studiarsi, descritti in numerose e spesso rare pubblicazioni mi ha fatto molto pensare prima di decidermi a considerare come nuova la presente forma ; essa però mi sembra essere assai caratteristica. Ha un poco il tipo del C. Pasiaii Schauroth ( Verzeichiiss, pag. 209, tav. 20, fig. 1-3) dell’oligocene veneto, specie alquanto variabile nella sua forma ; la nostra però se ne distingue per la forma più allungata ed obliqua, per gli umboni molto più piccoli ed acuti, e pel mar- gine cardinale più sottile, a contorno nettamente triangolare. 19. Lucina cfr. borealis Lin. Dispongo di un brutto esemplare, il quale però mostra grandi somiglianze colla fig. 4 della tav. 33 dei Molluschi del bacino di Vienna di M. Hoernes descritta a pag. 229. Cito questa forma con tutte le debite riserve, tanto più che essa non venne finora citata del Bellunese. 199 I MOLLUSCHI DELLE GLAUCONIE BELLUNESI 20. Lueina cfr. subconcentrica d’ Orb. Debbo anche per questa forma ripetere quanto già dissi sopra per la L. horealis Lin. L’ esemplare è troppo mal conservato per darne un giudizio sicuro. 21. Corbis bellunensis Vin. (Tav. IV, fig. 4). 1894. Corbis bellunensis Vinassa. Moli, glauc. bell, pag. 261. C. testa magna, solida, elongata, globosa; umbonibus pa- rum prohemnentibus, obtusis; costis concentricis, linearibus, ob- tusis, ^ aequidistantibus, sulco triplo largiore inter jectis; costis ra- diantibus minoribus in sulcis tantum notatis. Ne posseggo due esemplari, di cui uno sembra provenire dalle glauconie e 1 altro dall^ marne ; non sembra però comune. La conchiglia è grande, globosa, spessa; gli umboni sono poco prominenti, ottusi e non molto ricurvi; la forma è allungata più che in qualunque altra specie del genere. È caratteristica l’orna- mentazione composta di coste concentriche non molto sporgenti, equidistanti, disposte su tutta la superficie; le tagliano alcune coste raggianti, visibili solo nei solchi ed interposte alle coste concen- triche, cosicché la conchiglia risulta adorna di rettangoli più o meno regolari. Hoernes cita frammenti di una grossa Corbis in questi strati ; torse SI tratta di questa stessa forma ora descritta. 22. Venericardia scabricosta Mch. sp. 1870. Cardila scabricosta Mcb. Hoernes. Moli des ferì Beck. voti Wien, pag. 265, tav. 35, fig. 1-6. La foima è qui assai comune ; essa non raggiunge però mai notevoli dimensioni. 23. Venericardia sp. ind. I nostri due esemplari sono troppo mal conservati per darne una determinazione; a giudicarne dalla forma si potrebbero forse avvicinare alla V. Partschi Goldf. descritta da M. Hoernes {Moli, des Teri. Beck. von Wien) a pag. 270 e figurata a tav. 36, fig. 3; se ne distingue però per esser molto meno spiccate le coste concentriche. 200 P. K. VINASSA DE REGNY 24. Venericardia cfr. Jonanneti Bast. sp. (Tav. IV, fig. 5i. 11 nostro esemplare è una conchiglia assai rigonfia, di forma perfettamente identica alla specie miocenica, benché un poco più piccola. La sola differenza che si riscontra nel nostro esemplare consiste nelle coste più strette, più ricurve, e non così caratteri- sticamente schiacciate e quasi nastriformi come sono nella specie comune per lo più nel tortoniano. Certo che non potendo considerare come specie nuova il nostro esemplare si potrebbe ritenere come una varietà della forma dello Schlier, a cui indubbiamente è molto vicina. 25. Cardila Hoernenana Vin. (Tav. IV, fig. 6*, 6’’, 6®). m 1894. Cardila Hoernesiana Vinassa. Moli. d. glauc. bell. i>ag. 262. C. testa minori, temi, elongata, convexiuscula, postice fere mucronata ; umbonibus proheminentibus, recurvis, obtusis ; costis linearibus, aequidistantibus, obtusiusculis, sulco bis majore in- terjectis ; striis concentricis minimis, irregularibus, in interse- elione costidarum minute granulosis, in sulco undulatis, margine undulato. La conchiglia, non molto grande, è assai sottile, ed allungata, e al di dietro si prolunga in una specie di sperone più o meno sviluppato nei vari individui ; essa è rigonfia specialmente agli um- boni prominenti, ricurvi e ottusi. Da questi partono circa 20 coste equidistanti, quasi carenate, separate da un intervallo assai largo, diritte tutte, meno le tre o quattro che vanno a terminare nella parte protratta, le quali hanno un decorso leggermente sigmoidale, più 0 meno spiccato a seconda dell’ età degli individui. Numerose strie concentriche irregolari sono sparse su tutta la conchiglia; esse nella intersezione colle coste raggianti le rendono nodulose, e nell’ interno dei solchi hanno un decorso ondulato. Anche il margine ventrale è ampiamente ondulato. Questa forma molto comune, e forse la più comune, almeno nella nostra collezione, non offre somiglianze molto spiccate con nes- suna delle specie che ho potuto vedere. Solo per la sua forma ge- nerale e per le coste si potrebbe avvicinare a quella varietà del I MOLLUSCHI DELLE GLAUCONIE BELLUNESI 201 Cardium edentiilim Dsh., figurata dall’ illustre prof. Capellini a Tav. II, fig. 3 del suo importante lavoro sugli Strati a congerie e le marne compatte mioceniche dei dintorni di Ancona. La nostra specie però, oltreché essere una vera Cardita, se ne distingue tosto per il suo spessore molto più sviluppato e per il decorso a S delle coste che vi fanno capo. 26. Crassatella cfr. carcarensis Mch. Questa forma viene citata da Hoernes con tutta sicurezza; io però non ne ho che un solo esemplare, il quale vi si possa avvicinare, ed è così mal conservato che non oso certo dare come sicura là sua determinazione. La forma però è senza dubbio assai vicina. 27. Crassatella negleeta Mch. 1861. Crassatella negleeta Michelotti. Mioc. inf, pag. 66, tav. VII, fig. 14. 1861. Crassatella problematica Michelotti. Mioc. inf., pao- 67 tav. VII, fig. 11-12. /US- , 1861. Crassatella pretensa Michelotti. Mioc. inf., pag. 67 tav. VII fig. 18. Credo di non andare errato riunendo tutte in una le tre forme del Michelotti. Fra i nostri numerosi esemplari si riscontrano spiccatissime le varie forme di passaggio dall’ una all’ altra. Infatti ho esemplari in cui il lato posteriore è anche più allungato che non nella C. pre- tensa, altri invece in cui questo è meno allungato: le ornamen- tazioni e la forma generale, come si sa, nelle tre specie non diffe- riscono affatto. Taramelli (op. cit., pag. 137) cita delle glauconie anche la C. ambigua ; Hoernes però non ne parla, e nemmeno io tra i numerosi esemplari da me studiati ho mai trovato un indi- viduo che vi si potesse avvicinare. 28. Dosinia exoleta Lmk. 1870. Dosinia exoleta Lmk. Hoernes Foss. Moli, des Tert. Beck. von Wien, pag. 143, tav. 16, fig. 2 {cum syn.). Ne ho un solo esemplare, il quale però risponde così bene alla specie del bacino di Vienna, che credo esser sicuro della sua determinazione. 202 P. E. V1NA.S5A DE REGNT 29. Venuz mdtilamella Lmk. 1870. Venus raultilamella Lmk. Hoernes. Moli, dea Tert. Beck. von IFien, pag. 130, tav. 15, fig. 2, 3 (cu>n syn.). Non ho tra i miei esemplari nulla che possa farmi ricono- scere con sicurezza questa specie. Mi limito quindi a citarla sulla fede di Taramelli e di Hoernes, i quali dicono entrambi di aver- vela riscontrata. 30. Cytherea dubia Mich. sp. (Tav. IV, fig. 7). 1861. Venus dubia Michelotti. Mioc. inf, pag. 59, tav. 6, fig. 8-9. Questa forma molto bella e caratteristica per il suo contorno arrotondato, è una delle specie più comuni nel Bellunese. 31. Cytherea intermedia Michtt. 1861. Venus intermedia Michelotti. J/toc. in/'., pag. 60, tav. ^ I, fig. 10-11. Questa specie, che si distingue dalla precedente per la sua forma molto più allungata, è pure una delle più comuni in questi strati. (?) 32. Avicula fhalenacea Lmk. 1870. Avicula phalenacea Lmk. Hoernes. Moli, dea Tert. Beck. von Wien, pag. 376, tav. 52, fig. 1-4 (cmwi syn.). Non ho mai veduto esemplari di questa specie nelle glau- conie bellunesi. 33. Perna Soldanii Dsh. 1866. Perna Soldanii Desh. Hoernes. Moli, dea Tert. Beck. von 11 icMi pag. 378, tav. 53, fig. 1 [cum syn.). Un grosso modello mostra chiaramente tutto il margine car- dinale munito di denti, tanto che a parer mio non vi può esser dubbio possibile sulla sua determinazione generica. La forma ge- nerale poi di tutta la conchiglia, benché leggermente deformata, è poi tanto somigliante alla comune P. Soldanii, che credo non an- dare errato riferendo il nostro esemplare a questa specie. È da notarsi inoltre che per la forma generale questa specie ricorda un poco Y Avicula phalenacea Lmk , che gli autori dicono t 9 I MOLLUSCHI DELLE GLAUCONIE BELLUNESI 203 comune in questi strati, e che io non ho mai Teduto. Siccome poi in generale la conservazione degli esemplari lascia molto a desi- dorare, così è necessario fare molta attenzione nella determinazione, specialmente se è la parte cardinale quella peggio conservata. Con ciò non intendo però voler dire che la Ferna Soldanii, che cer- tamente esiste nelle glauconie, sia stata considerata dagli autori come Avicula phalenacea I 34. Pinna Brocchii d’ Orb. 1870. Pinna Brocchii à.' Oxh . Roernes Moli, des Tert. Beck. von ìVien, pag. 372, tàT. 50, fig. 1-2 {cum syn.). Al dire di Foernes e di Taramelli questa forma sarebbe molto comune a Belluno. Debbo avvertire che nelle collezioni nostre anche questa fonna non è affatto rappresentata. 35. Pecten miocenicus Mich. 1861.Pecten miocenicus Michelotti. Mioc. inf., pag. 77, tav. Vili fig. 23, 24. 1861. Pecten deletus Michelotti. Mioc. inf., pag. 77, tav. IX, fig, 1-3. Questa forma è comunissima anche in belli esemplari. Essa è assai variabile, ed ho infatti esemplari più rigonfi, altri più stretti e slanciati; alcuni interamente lisci o quasi, altri in- vece minutamente stridati. Ho avuto la fortuna di poter vedere qui nel nostro Museo un esemplare mandato dallo stesso Miche- lotti col nome di P. miocenicus, ed è innegabile che nelle sue forme estreme esso è distinto dal P. deletus\ ma la variabilità di questa ultima forma è tale da spingermi a proporre la riunione di queste due specie. Ho pirne altre forme di Pecten, che a prima vista sembre- rebbero molto diverse dalla specie suddetta. Una ne conosco che ha tutta la superficie adorna anche di costicine concentriche (vedi tav. I, fig. 8), e che oltre a ciò si distingue per la sua forma più allungata. Quando però essa è in modello, allora si hanno delle cObte nastriformi perfettamente identiche a quelle del P. miocenicus. Un altro grosso esemplare si distingue per avere sulle coste maggiori numerose costoline raggianti, riunite in fasci, e sparse ovunque su tutta la superficie. Le dimensioni di questo esemplare sono assai grandi, e la conchiglia è molto spessa. Ora quando di 15 204 P. E. TINASSA. DE REGN'Y essa conchiglia se ne tolga una piccola quantità, o per rottura o per erosione, la superficie che resta acquista somiglianze molto no- tevoli col P. miocenica ; queste somiglianze poi sono ancora mag- giori quando la conchiglia è ridotta a modello (vedi tav. IV, fig. 9). Così stando le cose non credo esser lecito proporre nuovi nomi, e considerando il poco numero e lo stato degli esemplari non oso venire a risultati, probabilmente erronei, almeno sinché qualche valente cultore di malacologia fossile non ci abbia dato uno studio esatto sugli intricatissimi Pecten fossili, specialmente terziari. 36. Janira arcuata Brcch. sp. 1870. Pecten arcuatus Brcch. Fuchs. Concìi. ier Vicent. Tertiàrlild., pag. 67, tav. 10, fig. 38 [cum syn.). Questa specie, a cui va riferita anche la Janira fallax pro- posta da Michelotti, è assai comune nelle glauconie bellunesi. I nostri esemplari sono perfettamente rispondenti a quelli che si trovano comunemente negli strati dell’ oligocene vicentino. 37. Ostrea cochlear Poli, Var. navieularis Por. 1880. Ostrea cochlear Poli var. navi cularis Foresti. Dell' Ostrea cochlear, etc., Jlem. Accad. Bologna, serie IV, tomo I, pag. 4, tav. I, fig. 6. Forma che sembra assai rara, dacché ne ho un solo esem- plare completo e due frammenti. Kisponde perfettamente alla de- scrizione ed alla figura data dal Foresti di questa varietà, descritta anche da Nyst nel Diestiano del Belgio sotto il nome di 0. Henneyi. 38. Dentalium Catiilloi Vin. (Tav. V, fig. 2^ 2»). 1894. Dentalium Catulloi Vinassa. Moli delle Glauc. bellunesi, pag. 262. D. testa conico-compressa, paullo recurva, subrecta, costis magnis, irregularibus, patentibus ornata, apertura Questa forma si distingue dalle sue congeneri per la con- chiglia quasi diritta, talvolta molto depressa, talaltra un poco più rigonfia, ; essa é ornata da grosse coste longitudinali, regolai- mente disposte, e molto ben visibili. Sembra assai comune in questi strati. Il Meneghini riferì i nostri esemplari al D. grande Dsh. col I MOLLUSCHI DELLE GLAUCONIE BELLUNESI 205 quale hanuo infatti qualche analogia; però maggior somiglianza SI riscontra nel D. baderne Partsch, figurato da M. Hoernes {Moli, tert. Beck. v. Wlen, pag. 652, tav. 50, fig. 80) ; analogie molto spic- cate si hanno pure col D. intermedium R. Hoernes {Schlier v Ott- nang. pag. 364, tav. 10, fig. 16, 17). Nel più volte citato lavoro sul Bellunese di R. Hoernes si parla appunto di una forma di Dentalium, intermedia al D. grande e al D. intermedium \ credo di non an- dare errato supponendo esser questa la forma ora descritta. 39. Trochus cfr. carinatus Bors. Esemplari troppo mal conservati per dare un giudizio sicuro; certo si è che confronti accurati con esemplari della collina di Tonno, mandati al Meneghini dal Michelotti mi spingono a con- sideiaie come molto probabile questa determinazione. 40. Turbo bellunensis Mgh. in sch. (Tav. V, fig. 3», 3b 3cj_ 1894. Turbo bellunensis Mgh. in sch. Vinassa. i/oZZ. p. 262. T. testa maiori, parum involuta, anfractibus quinis, rapide crescentibus, rotundatis; vittis spiralibus crebis, nodulosis ; ul- timo anfracto magno, globoso, nodulis patentibus ornato ; basi fere plana, minute granulosa: apertura obovato-depressa! La conchiglia, assai grande, è composta di 4 o 5 giri rapida- mente crescenti, depressi e molto slargati, adorni da numerose serie spirali di nodi, i quali sono molto spiccati ovunque, ma spe- cialmente sull’ultimo anfratto. Questo forma in basso un angolo assai acuto, quasi a carena; la base pianeggiante è adorna essa pure di strie spirali minutamente granulose, di cui sono più spic- cate quelle più vicine all’ombelico. La bocca è ovale, molto de- pressa e leggermente inclinata. Lo stato degli esemplari non mi permette di entrare in particolari più minuti, nè di istituire con- fronti: certo che per la sua forma poco involuta, e il rapido ac- crescimento dei giri questo Turbo sembra essere molto ben distinto dagli altri sin qui conosciuti. 41. Natica sp. aff. gibberosa Hrtlp. Esemplari troppo mal conservati per permettere un giudizio sicuro. Uno di essi è però molto vicino alla fig. 4, tav. I della 20Q P. E. VINASSA DE REGNY parte IX del lavoro del Sacco, sui Moli, terziari del Piemonte, forma che l’autore considera come varietà della specie tipica di Grateloup. 42. Neverita Josephinia Risso sp. var. belluìwisis n. var. (Tav. V, fig. 4). Varietas callo malori expansOj sinuoso, spira depressa, ul- timo anfractu lente crescente. Sono stato molto perplesso prima di decidere qualcosa rispetto all’unico esemplare della nostra collezione. Esso non poteva certo andar riferito alla tipica N. Josephinia, e d’altra parte non mo- strava caratteri bastanti a considerarlo come specie distinta, data anche la molta variabilità della specie. La iV. Josephinia avrebbe il suo rappresentante anche nell’ oligocene, se vuol considerarsi tale la forma descritta e figurata da Speyer (Oè. Oligocàn Lippe- Detmold, pag. 27, tav. Ili, fig. 2). La forma nostra si avvicina assai più a questa oligocenica, che non a quella pliocenica e vivente. A parità di dimensioni essa ha il callo molto più sviluppato ed espanso sulla base, e l’ultimo giro è assai minore, avendo tutta la spira un accrescimento più lento. Questa varietà potrebbe prendere il posto tra la var. Speyeri Sacco {Moli. terz. Piem. e Lig. Vili, pag. 84) dell oligocene, e le altre varietà più recenti. 43. Xenophora sp. ind. Le Xenophora sono assai comuni in questa località; esse sono però sempre così mal conservate da renderne impossibile la determinazione. Da quanto ho potuto giudicarne credo che potreb- bero distinguersi tre tipi diversi; alcuni individui infatti si avvi- cinano alla X. cumulans Brgrt., altri alla X. Lyelliana Bosq.. altri infine, e sono i più, alla X Deshayesi Mcb. Ma come ho già detto non intendo con ciò di aver determinato quei malcon- servati modelli. 44. Calyptraea cfr. trochiformis Lmk. Piccolo esemplare mal conservato, ma che offre notevoli so- I MOLLUSCHI DELLE GLAUCONIE BELLUNESI 207 miglianze colla C. trochiformis, senza però dare bastante sicurezza alla determinazione (^). 45. Turritella gradata Menke. 1856. Turritella gradata Menke Hoernes. Foss. Moli, des Tert. Beck. von Wien., pag. 420, tav. 43, fig. 3. 46. Turritella cathedrahs Brngrt. 1856. Turritella (Protho) cathedralis Brong. Huernes. Foss. Moli, des Tert. Beck. von Wi^n, pag. 419, tav. 43, fig. 1. Entrambe queste specie sono assai comuni in questi strati, ma sempre mal conseryate. 47. Turritella sp. ind. Altre forme di Turritella si trovano in queste glauconie; però la loro esatta determinazione è impossibile: potrebbero però avvicinarsi alle tre forme seguenti: T. sulcifera Dsh., T. carini- fera Dsh. e T. taurinensis d’ Orb. Ma come ho già detto nessun giudizio siculo può esser dato sopra esemplari così mal conservati. 48. Vermetus cfr. laeois Bell. Non posso esser sicuro della determinazione, ma credo che i nostri due esemplari siano molto vicini a questa forma dell’eocene di Nizza. Meneghini nel suo catalogo anzi li considerò come del tutto rispondenti ad essa. 49. Cypraea sp. ind. Anche le Cypraea sono qui assai numerose; tutte però in modello e molto raramente determinabili. Ve ne hanno alcune globose, molto grandi, probabilmente forme nuove, e altre minori (-) Calyptraea (Trochita) mamilla Mgh. in sch. Con questo nome trovai due esemplari, i quali erano poi descritti dal Meneghini in un suo catalogo manoscritto. La forma era molto strana per una Calyptraea, non avendosi mai traccia di spira, o di ornamenti spirali, tanto che credei bene sottomettere i due esemplari ad un nuovo e rigoroso studio. Molto probabilmente questa creduta conchiglia non è se non un modello in- terno di una vertebra di Squalo, come ho potuto constatare io stesso facendo un modello in gesso della cavità di una vertebra di Carcharodon. 208 P. E. VINASSA DE REGNY e più allungate. Credo che si possano considerare come rappresen- tanti tre gruppi diversi che si potrebbero riferire alla C. infiata Lmk., G. angusta Fuchs, e C. globosa Bors. Ma con questo non intendo dare per sicure tali determinazioni. 50. Chenopus pes-pelecani Linn. 1893. Chenopus pes-pelecani Linn. Sacco. Moli. terr. terz. d. Pierri. e d. Liguria, parte XIV, pag. 28 (cum syn.). Ne ho un solo esemplare, assai ben conservato, e con tutte le digitazioni a posto. Per la forma del labbro esso può avvicinarsi alla fig. 37 della tav. II dell’opera del Sacco, figura che secondo l’autore rappresenta la cosiddetta varietà apicevoluta. 51. Ficaia Giannellii Mgb. in sch. (Tav. V, fig. 5*, 5»), 1894. Ficaia Giannellii Mgh. in sch. Vinassa. Moli. d. glauc. bellun., pag. 262. F. testa tenui, subglobosa, spira brevi, apice obtusiusculo ; anfractibus convexis quinis, rapide creseentibus ; ultimo anfractu magno, globoso, elongaio; vittis spiralibus maioribus duplo distan- tibus quam costis transversalibus; porcis spiralibus striis tribus exornatis; spatiis interpositis regularissime quadratisi inter- sectionibus granulosis; apertura obovato-elongata. Questa bellissima Ficaia si distingue per la regolarità e 1 ele- ganza grandissima della sua ornamentazione. -Si hanno delle grosse vitte spirali spiccatissime, le quali negli anfratti sono poste ad una distanza doppia delle costoline transverse : verso il labbro divergono grandemente : tramezzo a tali vitte poi si trovano altre tre linee spirali di cui la mediana è lievemente più grande; 1 interseca- zione di tali linee forma la superficie minutamente granulosa; gli spazi interposti sono regolarmente quadrati. La bocca ampia assai non offre particolarità. La spira è assai alta. Questa forma appartiene al tipo della F. nexihs. Sol., da cui però si distingue per 1’ ornamentazione. Inoltre la sua spira molto alta la tiene assai ben distinta dalle altre Ficaia. I MOLLUSCHI DELLE GLAUCONIE BELLUNESI 209 Qj coyid'itCL BioD^uij. var. bellunensis n. var. (Tav. V, Fig. -7% 7^). Var. testa ventricosa, spira brevissima, depressa, gradata; anfractibus quaternis convexis, sutura profunde sculpta junctis ; ultimo anfractu magno, globoso; vittis magnis, patentibus, distan- tibus, rninoribus alter nantibus ; porcis stria mediana maiori, lateralibus minoribus praeditis. Labro externo espanso tenui; apertura magna semilunari elongata. Anche questa forma che, pure essendo del tipo della F. con- dita Brongrt., se ne può distinguere assai ben come varietà, è ca- ratterizzata per la sua ornamentazione. Le vitte spirali sono qui molto sporgenti, quasi carenate; alternano regolarmente con esse altre vitte assai minori, grandi quasi quanto le coste trasversali; nei due semisolchi così formati si hanno in ciascuno tre strie, di cui al so- lito la mediana è un pò maggiore; quindi il quadrello formato dalle coste e dalle vitte vien diviso in due quadrati da questa stria mediana, e le due minori laterali dimezzano poi questi quadrati. Il labbro esterno è molto espanso, perciò la bocca risulta gran- dissima. Simile ornamentazione, e anche forma assai vicina, ha la F. ficoides figurata da Sacco {Moli. terr. terz. Piem. e Liq., parte Vili) a tav. I, fig. 34. 53. Ficula condita Brngrt. var. Schaurothi Mgh. in sch. sp. (Tav. V, fig. 6^ 6»), 1865. Pyrula condita (non Brngrt.) Schauroth. Verzeichniss, pag. 236. 1894. Ficula Schaurothi Mgh. in sch. Vinassa. Moli. d. glauc. bell, pag. 262. Var. testa tenui, globoso-ventricosa ; spira brevissima depressa; anfractibus convexissimis sutura prof unda junctis; ultimo glo- boso, magno, perobliquo ; vittis spiralibus elevatis, duplo quam costis transversalibus distantibus ; sulcis striis tribus praeditis, mediana maiori; labro expanso, apertura magna subrotunda. Questa specie rara assai a Sangonini, più comune nel Bel- lunese, fu confusa da Schauroth colla Pyrula condita Brngrt. di Torino. A Sangonini non si trova, a quanto io sappia, la specie di 21Q p. e. vinassa de regny Brongniart; quella che più le si avvicina è questa varietà. La spira eminentemente caratteristica è breve, poco sporgente, a giri fortemente convessi, muniti di una sutura fortemente impressa; 1 ul- timo grande, globoso, è obliquissimo. Le vitte sono spiccatamente elevate, distanti tra loro il doppio delle coste trasverse; il solco è percorso da tre strie spirali, la mediana delle quali è maggiore delle altre due. Ogni quadrello quindi viene diviso in due qua- drati dalla stria mediana, e ciascuno di essi quadrati vien diviso per metà dalle due strie laterali. Alcuni individui si distinguono per avere le strie molto piu spiccate, e tali da raggiungere le dimensioni delle vitte. 54. Cassidaria echinophora Lmk. var. Catulloi Vin. (Tav. Y, Fig. 8", 8^) 1894. C a s s i d a r i a echinophora var. Catulloi glauc. Bellun., pag. 262. Yiuassa. Moli Var. testa globosa, spira hrevU gradata ; anfraclibiis qua- terais subconvexis, striis linearibus, undatis. patentibus praeditis; ultimo anfractu magno, globoso, striato, coronis 6 tuberculorum obtusiuscidis distantibiis exornato; apertura magna globoso-elon- gata, superne anguiosa. _ Questa conchiglia assai piccola, si distingue per la forma g o- bosa la spira assai breve, un po’ depressa ; gli anfratti sono muniti di strie lievemente ondulate; l’ondulazione è più spiccata neiriiltimo anfratto. Esso inoltre è ornato da 6 corone di grossi tubercoL ottusi separati tra loro, ed essi pme striati. La bocca è grande, subcircolare, in alto lievemente angolosa; appartiene senza dubbio al gruppo della C. echinophora da cui si distingue per le dimensioni minori, e per l’ ornamentazione un poco diversa. 55. Fusus cfr. maxillosus Dsh. (Tav. V, Fig. 9). Gli individui sono troppo mal conservati per darne un giu- dizio sicm-o; però due di essi mostrano analogie molto spiccate colla specie della collina di Torino: confronti accurati sopra esem- plari del nostro Museo mandati dal Michelotti confortano sempre più a questo ravvicinamento. I MOLLUSCHI DELLE GLAUCONIE BELLUNESI 211 56. Voluta ‘psaltherium Mgh. in sch. (Tav. V, fig. 10, 11.) 1894. Voluta psaltherium Mgh. in sch. Vinassa. Moli, alane, bell, pag. 262. V. testa elongata; spira conica^ anfractibus senis sutura profunda junctis\ ultimo magno ^ elongato, bis spiram acquante; slriis spiralibus aequidistantibus, patentibus ; costis magnis cre- bris , tuberculis spiniformibus ohtusis, apertura subquadrangulari elongata. Conchiglia assai grande, a spira abbastanza alta, composta di 5 0 6 anfratti riuniti da una sutura molto profonda. L’ultimo anfratto è grande, allungato, ed è adorno da strie spirali molto ben distinte; le coste sono grandi e fìtte, i tubercoli spiniformi sono assai ottusi e distanti. L’apertura è quadrangolare molto allungata. Questa specie è vicina assai alla V. muricina Lmk., ba però le coste molto più fìtte e numerose; le strie spirali ben distinte sono equidistanti come nella V. mutata, e nella V. spinosa. Si distingue però assai bene da tutte queste specie. 57. Voluta apenninica Mch. (Tav. V, fig. 12). 1890. Volutilithes (s. s.) apenninica (Mchlt.) Sacco, .l/o/ò terr. terz. Piena, e Lig., Parte VI, pag. 11, tav. I, fig. 10 {cura syn.). Comune in esemplari assai ben conservati e rispondentissimi alla specie tipica. 58. Voluta cfr. italica Fuebs. Ho soltanto un esemplare il quale non mi permette un giu- dizio abbastanza sicuro, ma che d’ altra parte offre somiglianze no- tevoli con questa forma dell’oligocene veneto. 59. Conus sp. ind. Anche i Conus sono assai comuni nelle glauconie bellunesi ; tutti però sono in tale stato da rendere diffìcilissima se non im- possibile la loro determinazione. Come appartenente a questi strati fu citato il C. deperditus Brngrt., una forma molto dubbia e con- fusa e che non son riuscito a distinguere tra i miei esemplari. 212 P. E. VINASSA. DE REGNY Meneghini, che aveva studiato qualcuno degli esemplari nostri, credè potervi riconoscere il C. diversiformis Dsh. e il C. Brongmardti d’ Orb deir oligocene vicentino : accennò pure ad una forma, forse nuova, molto vicina a quella che Bellardi citò di Nizza col nome rii ofT^riVyìhfì'ìnP^ Questa forma! molto probabilmente, è però diversa dalla spe- cie parigina, alla quale fu dato da Lamark il nome di C. strom- boides; sarebbe quindi più giusto di dare ad essa il nome di C. Bellardianus (vedi Tav. V, Fig. 14). Un’ altra forma fu riferita dal Meneghini al C. planus Schrth. (vedi Tav. V. fig. 13); ma per essa i dubbi sono ancora maggiori in quanto che al pessimo stato di conservazione degli esemplari, conviene ora anche aggiun- gere r infelice figura data dallo Schauroth ( Verseichniss, pag. 229, tav. 25, fig. 1) di questa specie. 60. Bulla sp. ind. È un individuo assai grande, a bocca assai larga, almeno a quanto si può vedere, a spira visibile, di forma ovato-allungata. Lo stato di conservazione dell’ esemplare non mi permette di dare una descrizione più esatta di questa forma, che ho creduto bene di accennare, in quanto che gli individui appartenenti a questo genere sembrano assai rari in questi strati. [23 giugno 1896] SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA IV. 1. Glycymeris declivis Mch., pag. 194. 2a-b Corbula Taramelli Vin. (ingrandita due volte), pag. 19.5 Cardium Longhii Vin., pag. 197. 4. Corbis bellunensis Vin., pag. 199. 0. Venericardia cfr. Jouanneti Basi sp., pag. 200. 6^“'. Cardila Hoernesiana Vin., pag. 200. 7. Cytherea dubia Mcb., pag. 202. 8. Pecten sp. ind., pag. 203. 9. Pecten sp. ind, pag. 204. Boll. della Soc. Geol. Italiana. Voi. X.V Auct.pJwt. Eliot. Calzolari e Ferrano - Milano Boll. della Soc. Geol. Italiana..Vol.XV a ( Auct.plwt. Uliot. Celzclari e Ferrarlo - Milano I MOLLUSCHI DELLE GLAUCONIE BELLUNESI 213 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA V. Isocardia (?) glauconitica Vin., pag. 196. 2 Dentaliuni Catulloi Vin., pag. 204. 3“-<=. Turbo bellunensis Mgb. in sch., pag. 205. \ Neverita Josepbinia Bisso sp. var. bellunensis Vin., pag.206. 5*->>. Ficula Giannellii Mgb. in sch., pag. 208. 6^-b. Ficula condita Bmgrt. var. Schaurothi Mgh. in sch. sn pag. 209. ?a . Ficula condita Brngrt. var. bellunensis Vin., pag. 209. Cassidaria echinophora Lmk. var. Catulloi Vin., pag. 210. 9. Fusus cfr. maxillosus Dsh., pag. 210. 10-11. Voluta psalterium Mgh. in sch., pag. 211. 12. Voluta apenninica Mch., pag. 211. 13. Conus sp. ind., pag. 211. 14. Conus n. f., pag. 212. LA CARTA GEOLOGICA DELLE ALPI APUANE ED I TERRENI CHE LE COSTITUISCONO Nota dell’ino:. D. Z.vccagna (')• Presentando alla Società la Carta Geologica delle Alpi Apuane, esporrò brevemente i criteri con cui essa venne rilevata; quindi descriverò succintamente la costituzione geologica del gruppo mon- tuoso quale esso risulta dalle osservazioni fatte e dai rilevamenti eseguiti. La Carta geologica alla scala di 1 : 25,000 risulta dall insieme di 22 tavolette dell’Istituto Geografico Militare, e comprende la regione fra il Sercbio, il littorale, la Magra ed il suo affluente l’Aulella, che segnano geograficamente, come anche geologicamente, i confini del gnippo apuano. Il rilevamento eseguito dallo scrivente col concorso dell ing. B. Lotti e deH’aiutante P. Fossen, del Corpo R. delle Miniere, fu fatto, in generale, alla stessa scala delle tavolette, cioè al 1 : 25,000. Però per alcune parti della regione centrale compresa fra il M. Sum- bra, M. Grotti, la Pania, Stazzema, Pruno ed Arni, dove cadono i luoghi di M. Rovaio, Alpe S. Antonio, Mosceta, Canale di Deglio, Puntato e Col di Favilla, estremamente complicati per la strati- grafia, come per il numero e lo sminuzzamento delle formazioni, lo scrivente dovette ricorrere ad un rilevamento dettagliatissimo fatto sopra ingrandimenti al 1 ; 10,000 delle tavolette al 1 : 25,000 , rilevamento che venne poi integralmente riportato sulla Carta al 1:25,000 di cui fu parola. (1) Il manoscritto di questa Nota era in pronto fino dal novembre 1895 ; e sebbeue varie cause abbiano fatta ritardare la consegna ed impedito d’ in- serirla prima d’ora, esso non venne alterato, desiderando conservare lo stato delle cose all’ epoca dell’ adunanza sociale a Lucca nel settembre 1895. L’Autore. D. ZACCAGNA, LA CARTA GEOLOGICA DELLE ALPI APUANE ECC. 215 Questa è la Carta che fino dall' iniziarsi degli studi di rile- vamento, atteso r interesse che la regione presenta, sia dal lato geologico che industriale, e per la difificoltà di rappresentare fedel- mente le parti rilevate in una scala minore, fu fissata per la pub- blicazione. Però, sebbene rilevata, e da me accuratamente riveduta in quasi tutta la sua estensione da circa un anno, non si preparò finora che la pubblicazione d’ una Carta ridotta al 1 : 50,000, che è in via di tiratura e della quale si esibiscono le prime copie an- cora incomplete. Questa Carta doveva pure coll’ altra far parte della pubblica- zione della Geologia Apuana, ma allo scopò speciale dello studio tettonico della regione, segnandovi le molte linee di sezione che io scelsi per la sua illustrazione e delle quali presento la prima delle tre tavole che devono accompagnarla. La Carta in discorso, che è in soli quattro fogli, permette infatti di abbracciar meglio a colpo d’ occhio la costituzione geo- logica della regione e lo sviluppo delle formazioni e seguire l’anda- mento delle linee di sezione. Ma, naturalmente, vi si dovettero omettere molte delle divisioni introdotte nella Carta al 1:25,000, che non sarebbe stato possibile rappresentare a causa della minor grandezza della scala, e che d’ altronde tornavano superflue allo scopo per cui questa Carta ridotta venne preparata. Cosi delle 52 divisioni dei terreni adottate per la Carta ridotta al 1 : 25,000, solo la metà figurano in questa al 1 : 50,000. Tornando alla Carta al 1 : 25,000, oltre le divisioni dipendenti dalla grande quantità di formazioni geologiche che la regione com- prende, vi furono introdotte altresì tutte quelle che il suolo pre- senta naturalmente per differenze di forma litologica fra le roccie, pure appartenendo più o meno ad uno stesso livello geologico. Cosicché la Carta, oltre ad essere una vera e propria Carta geo- logica, è anche una Carta litologica; qualità che può tornare di molta utilità pratica in una regione come questa, eminentemente industriale, ricca di marmi di varia natura e di altri prodotti mi- nerarii ; senza contare il vantaggio, anche pel naturalista, di poter avere sott’ occhio, scevro da aggruppamenti convenzionali, quanto in fatto di roccie offre il suolo di questa interessante regione. Lo scrivente fa voti perchè anche questa Carta, la sola che possa dare completa l' idea della geologia apuana, venga fra non D. ZACCAGNA 216 molto pubblicata. La pubblicazione potrebbe esser limitata alla parte centrale, che è quella presentante il maggiore interesse, e che componesi di sole 13 tavolette, per le quali restano a sostenersi le sole spese della tiratura cromolitografìca, potendo essa eseguirsi sulle stesse carte dell’ Istituto Geografico che servirono pel rile- vamento. Egli confida che possa non andar perduto un lavoro det- tagliatissimo, riassumente uno studio coscienzioso, che costò non lieve fatica agli operatori ed una spesa considerevole pel rile- vamento. Una delle ragioni della molteplicità delle divisioni introdotte in questa Carta sta nel fatto che, fin da quando fu iniziato il rilevamento dell’Alpe Apuana, gravi difficoltà si presentarono a causa della complicata orotettonica che tosto si sospettò dal ripe- tersi di varie forme litologiche, spesso disposte in serie uniclinale, talora diretta, talora inversa, e raggiungenti nell’ insieme spessori enormi. E tali difficoltà venivano rese ancora maggiori dal ritorno delle stesse forme litologiche in piani realmente diversi, come dalla estrema scarsezza e spesso dalla completa assenza dei fossili. Onde, per venire a capo dei complicati problemi stratigrafici che ad ogni ^ tratto s’ incontrano da qualunque parte si percorra questa regione, veramente singolare nella sua orotettonica, lo scrivente sUmò ne- cessario rilevare colla più grande diligenza tutte le formazioni lito- logiche che andavano incontrandosi, seguendole in tutto il loro andamento ; salvo poi a raggrupparle secondo vuole la scala adot- tata dai geologi. Per tal modo si pervenne, dopo il lungo e pa- ziente lavoro che richiedeva tale esame, per dir così, anatomico, del gruppo montuoso, a sorprendere i segreti di questa avviluppata matassa di strati; poiché e negli anticlinali e nei sinclinali, molte delle masse in cui le forme litologiche si ripetevano venivano a congiungersi. Così si arrivò a stabilire la successione litologica normale delle montagne costituenti il gruppo apuano; e coll’aiuto dei pochi piani fossiliferi fino allora bene accertati e delle analogie con altre regioni già studiate, se ne dedusse pure una scala geobgma. Col pro- lungarsi del lavoro di rilevamento si venne tuttavia in seguito a scoprire qua e là un certo numero di fossili che, se non abbon- danti, servirono a confermare le divisioni geologiche già da noi adottate in base sopratutto allo studio stratigrafico; e si poterono LA CARTA GEOLOGICA DELLE ALPI APUANE ECC. 217 quindi ordinare anche quelle foruiazioni che, sebbene determinate stratigraficamente di posizione, lasciavano qualche dubbio sulla loro classificazione cronologica. Lasciando per ora in disparte la configurazione tettonica del gruppo apuano, sulla quale mi propongo di ritornare più tardi, veniamo a descrivere brevemente i caratteri dei terreni che lo com- pongono; i quali comprendono la serie che va dal Paleozoico ai terreni recenti. Si comprende come questa scala di terreni, già vasta di per sè, abbia dato luogo alle molte suddivisioni onde ne risultò la numerosa serie della Carta al 1 : 25,000. In questa descrizione adotterò i raggruppamenti dei terreni che più si mostrano naturali nella regione, segnati dalle discon- tinuità dei depositi, quali furono mantenuti anche nella scala della Carta geologica ed in quella delle Sezioni. Paleozoico, Trias e Lias. Permiano. — Il terreno più profondo costituente il nucleo delle formazioni apuane, è un insieme di micascisti a sericite grigi e cerulei, scisti gneissici grigi, verdicci, biancastri : scisti carboniosi, calcescisti grigi e scisti talcoidi anagenitici. Generalmente nella parte più profonda stanno i micascisti, che passano superiormente alla forma gneissica ; ed a questa s’ intercalano nella parte più alta i calcescisti e gli scisti carboniosi. I varii autori che scrissero sull’Alpe Apuana emisero opinioni diverse intorno all età di questi scisti, riferendoli ai terreni cri- stallini azoici od al Siluriano ; e furono da ultimo ricondotti dallo scrivente da questo livello a quello del Permiano. La prima opinione, dovuta al Cocchi, e dai più non accettata, sebbene potesse trovar credito, stando alla forma eminentemente cristallina degli scisti, fu dimostrata insostenibile dopo il rinveni- mento di non dubbi avanzi organici {Orthoceras ed Actinocrinus) fatta nei calcescisti intercalati agli scisti gneissici della località di Puntato, a nord del M. Cerchia (’). Simili fossili furono poi trovati (1) Vedasi Meueghini G., Nuovi fossili delle Alpi Apuane. Proc. verb. Soc. Tose, di Se. Nat., 14 nov. 1880. 218 D. 7.ACCA^^A. in varii altri luoghi, sempre però nella formazione calcare che in lenti si associa alla parte superiore degli scisti. L’esame di questi fossili, che sebbene discretamente conser- vati non trovarono confronto colle specie paleozoiche fin qui stu- diate, indusse il Meneghini a ritenere Siluriana la formazione che li racchiude adottando l’opinione già espressa dal Coquard. lo cre- derei di doverla riferire piuttosto al Permiano, basando la mia opi- nione sulle osservazioni locali e sul confronto con altri luoghi do\e simili roccie si presentano pure alla base del Trias. La ragione che mi indusse dapprima a ritenerli permiani sta nel fatto che sopra la formazione in discorso il Trias viene a pog- giare conservandosi coi suoi banchi calcari e scistosi costantemente parallelo all’andamento degli scisti in questione. E tale paralle- lismo si mantiene per quanto complicati e bizzarri siano i rivol- «rimenti delle stratificazioni, seguendoli nei rovesciamenti, negli Lcartocciamenti e perfino nella ripiegatura delle pieghe, come ac- cade a Navola nella valle del Frigido. Dippiù, le vane forme sotto cui si presentano gli scisti paleozoici serbano fra loro costante- mente quel certo ordine di successione a cui già si è accennato; cioè, la formazione carboniosa colle inserzioni delle lenti di calce- scisto ad Ortìioceras si presenta sempre alla parte superiore della serie, come gli gneiss ed i micascisti mantengono i loro rapporti di posizione, occupando questi ultimi la parte più profonda e a formazione. Il perfetto parallelismo delle due formazioni, la calcare tria- sica e la scistosa paleozoica, risulta quindi della più grande evi- denza. Potrebbero, ora, i rapporti stratigrafici serbarsi inalterafr, se si verificasse fra di esse un distacco così grande di epoca, qual e quello che intercede fra il terreno Siluriano ed il Trias ? Si do- vrebbe vedere, se non una discordanza mai'cata, che riesce talora difficile ad avvertirsi localmente, specie nei contatti tra roccie sci- stose e calcari, almeno delle brusche interruzioni nella continuità della serie sopra indicata; come avviene, ad esempio, nelle grandi Alpi attorno al M. Bianco fra le roccie Arcaiche e quelle della serie stratificata, malgrado che in ogni punto, una sezione trasiei- sale non lasci scorgere che la più perfetta apparente concordanza ( ). (1) Zaccagna D., Riassunto di osservazioni geologiche fatte sul ver- sante Occid. delle Alpi Graie. Boll. E. Coni. GeoL, 1892, p. 322 e seg. LA CARTA GEOLOGICA DELLE ALPI APUANE ECC. 219 Ho perciò sempre inclinato a credere che grande non potesse es- sere il distacco di età fra i due terreni a contatto ; e che con proba- bilità quegli scisti fossiliferi potessero ascriversi all’ epoca permiana. Ora, essendo stato nell’ 83 incaricato dalla Direzione del rile- vamento geologico di una rapida revisione delle Alpi Marittime, fui colpito dal ritrovare colà una serie di terreni avente nel com- plesso grandissima analogia con quella delle Apuane. Sotto ai ter- reni mesozoici, e serbanti pure con essi perfetta concordanza, stanno quegli scisti a facies di micascisti e di gneiss, che si incontrano così caratteristici in Valle del Frigido nelle Alpi Apuane, come nelle valli del Pesio, dell’ Ellero, del Tanaro e delle Bormide nelle Alpi Marittime ; scisti che chiamai besimauditi (^), dalla montagna in cui si presentano eccezionalmente sviluppati e di forme svariate. Essi sono colà sovrapposti a scisti carboniosi, arenarie grigie e pud- dinghe ; roccie abituali dei terreno carbonifero alpino, che fin d’ al- lora ascrissi a questo livello. Più tardi, nell’ 85, potei raccogliervi anche alcune filliti dimostranti che trattavasi appunto di quel ter- reno; le quali inviate dapprima al Museo geologico di Pisa, fu- rono in seguito studiate dal dott. Portis (^). L’ età permiana dei nostri micascisti e scisti gneisformi veniva così dimostrata piena- mente per le Alpi Marittime; ma per l’analogia somma di forma e di successione stratigrafica, non potetti esitare a ritenere per- miani anche gli scisti centrali delle Alpi Apuane. Gli scisti in parola occupano la zona segnata in grigiastro sulle Carte, formanti il nucleo di un grande anticlinale che si sviluppa specialmente nella Valle del Frigido da Casania alla Foce di Vinca e di qui proseguendo nella Valle del Lucido scende fino a Poggio Troncone in Lunigiana. Dalla valle del Frigido espan- dendosi a sud-est penetra nelle valli del Serra e del Vezza per poi raccogliersi in un’ altra zona molto più angusta, formante (’) Sulla geologia delle Alpi Occidentali. Boll. E. Com. Geol., 1887, p. 416. (2) Portis A., Sulla scoperta delle piante fossili carbonifere di Vio- zene nell'alta valle del Tanaro. Boll. Com. Geol., 1887, p. 417. E noto che nella Liguria vennero più tardi raccolte altre piante fossili pubblicate dal dott. S. Squinabol sotto al titolo : Su alcune impronte fossili del carbonifero superiore di Pietratagliata. Giornale Soc. letture e conv. scient. di Genova, 1887. 16 220 D. ZACCAGNA. a sua volta il nucleo di una strettissima piega, che traversa la : valle d’Arni e va prolungandosi fino alla Tambura dove si disperde fra i grezzoni. Affioramenti isolati e limitati di questi scisti si hanno poi a Tievora, a Teverone e nel Rio delle Fredde sulla Turrite Secca, dove sono riportati a giorno dalla capricciosa conformazione stra- tigrafica, che in quei luoghi si mostra eccezionalmente complicata. Trias medio. — Sopra gli scisti di cui fu parola poggia concor- dante la formazione triasica. Essa è formata da una numerosa serie di membri che esamineremo ; ma che geologicamente si raggruppa in due soli piani; quello del Trias medio, ed il Trias superiore. Il Trias inferiore, che nelle grandi Alpi è solitamente costituito da una formazione scistosa e quarzitica, in generale non esiste nelle Apuane. Esso trovasi forse appena rappresentato nella località di Vinca da alcuni banchi di quarziti e puddinghe a grossi elementi quarzosi rotolati affioranti nel letto del Lucido alla base del Poggio Troncone. Anche al Cantone della Macina, sotto ai dirupi calcari formanti il Pizzo d’ Uccello, vedonsi banchi di un' anagenite grosso- lana che sormonta gli scisti gneissici ed i calcescisti permiani. La stessa roccia si ritrova sul lato sud di questa montagna. i compresa fra i banchi di grezzone al vertice d’ una stretta piega; ; dove essa, più facilmente erodibile dei banchi calcari che la incas- sano, dà luogo ad un burrone ripidissimo lungo il quale può acce- dersi alla acutissima vetta. Anche al M. dei Ronchi, nella regione centrale apuana, presso la cima, gli scisti permiani presentano al contatto dei grezzoni una zona di scisti nodulosi a grani grossolani di quarzo ; che possono rappresentare le anageniti del Lucido e del Pizzo d Uccello. Il deposito scistoso e calcare del Permiano terminò adunque qui, come nelle Alpi, colla sedimentazione di materiali d’alluvione, che sono probabilmente gli scarsi rappresentanti del piano del Bunter. Ma per solito questa formazione littoranea, che apparisce • appena nei luoghi citati, e che per la sua esiguità non venne in- dicata sulle Carte, manca nelle Apuane ; e dalla zona degli scisti e calcari ad Orthoceras, accennante a deposito di mare abbastanza profondo, si passa alla forma calcare del Trias medio, nella quale potrebbe forse esser compreso in parte il Trias inferiore. Comunque, gli strati che per le analogie litologiche e pei fos- 221 LA CARTA GEOLOGICA DELLE ALPI APL’ANE ECC. sili credo doversi collocare nel Trias medio, sono calcari per lo più dolomitici biancastri, grigiastri o neri, duri, spesso molto frattu- rati e cadenti in frammenti romboedrici, conosciuti nella regione col nome di grezsoni. Qua^e là presentano traccio di fossili, sebbene laramente determinabili, fra cui piccoli gasteropodi e bivalvi ana- loghi a quelli del calcare del Muschelkalk, nelle Alpi Marittime. Tuttavia fra i pochi che raccolsi si rinvennero alcuni esemplari di Edcrinus liliiformis che servirono a fissarne il piano. Essi proven- g\no dalle balze ovest del Pizzo d Uccello e dalle rupi soprastanti al Passo della Tambura ; questi ultimi discretamente conservati. I calcari in parola sono del resto identici per tutti i carat- teri a quelli che trovansi nelle Alpi Occidentali e Centrali a questo livello; talché chi conosce quei luoghi può constatarne la somi- glianza perfetta ('). I calcari del Mazchelkalk sono segnati sulla carta in colore giallo-bruno. Seguono costantemente T andamento degli scisti, fa- cendo ad essi cornice continua, quasi sempre ergendosi sopra quelli con pareti ripidissime, frastagliate, angolose, come accade nelle grandi Alpi calcari; e concorrono al massimo grado ad imprimere alle Apuane un carattere alpino dei più spiccati. Basta citare le creste del M. Garnerone, del Pizzo d’ Uccello, del M. Tambura, del M. Altissimo, del M. d Antoua, la Valle di Eenara, ecc., note a molti per la loro aspreezza, e formate appunto in massima parte dai grez- zoni del Trias medio, che spesso possono avere sino a 700 m. di spes- sore, come appare dalle Sezioni. Tria$ superiore. — La serie che costituisce il piano del Trias superiore è assai complessa. Si compone di marmi saccaroidi, cal- cari grigi a lastre selciferi, cipollini, arenarie, ardesie, quarziti, ana- geniti, scisti diasprini e scisti sericitici ; roccie che nel loro ordine (U H prof. A. Portis, il quale ha avuta la gentilezza di esaminare vari campioni di questi grezzoni apuani da me raccolti in diversi luoghi, mi rife- risce il risultato delle sue osservazioni. I calcari, dei quali alcuni presentano anche^ ad occhio nudo una struttura granosa particolare, offrono al microscopio m sezione sottile una decisa tessitura colitica, in molta parte occasionata sovra frantumi di scheletro di organismi e talora intere conchiglie di foraminifere. Questo carattere sarebbe molto frequente nei calcari del Muschelkalk della Turingia e comune coi calcari dello stesso livello di Malezet, del Chaberton e dell’Argentera nelle Alpi, pure studiati dal prof. Portis. 222 D. ZACCAGNA di successione si prestano naturalmente ad esser divise in tre zone distinte. . , I marmi bianchi statuari, bardigli e venati, costituiscono la zona più profonda colla quale esordisce la serie. Essi pollano quindi normalmente sopra i grezzoni, coi quali concorrono alla for- mazione delle più scoscese fra le montagne apuane, quali il M. Mag- giore nel Carrarese, la lunga e dirupata cresta che va dalla Jara- bura al Vestito ed al M. Altissimo sulla sinistra del F^^do. il M Tombaccia sopra Corfigliano, il M. Macina alVestremitù della Valle d’Arni, il M. Cerchia ed il M. Alto nella Versilia, assai noti pei precipitosi dirupi da cui sono circondati. Questa forma- zione è potentissima e da uno spessore medio di 200 a 800 metri, può racTgiungere spessori assai più considerevoli come al M. Mag- giore nel Carrarese dove può ritenersi di oltre 1 000 metri. I marmi sono spesso sostituiti da dolomie cristalline bian- castre, simili al marmo normale, ma facilmente da esso discerni- bili perchè prive della pellucidità propria del marmo, ed ai enti invece un particolare splendore perlaceo sulle faccette crista me. e pel diverso modo di comportarsi sotto l’azione degli agenti denu- danti Spesso le masse dolomitiche hanno contorni irregolari, fon- dendosi nella massa dei marmi; ma talora anche si presentano in banchi ben distinti e nettamente separati dai vicini marmorei. Così nella valle del Frigido al Fondono, al Ficaro ed a Renaia, alcuni banchi di marmo pregiatissimo sono coltivati in prossimi e spesso a contatto dei banchi dolomitici. Però questa partico anta della divisione in banchi che appare distintissima nelle dolomie della Valle del Frigido, non si osserva affatto nelle grandi masse marmoree del Carrarese, dove, sebbene esistessero certamente m oricrine i piani di stratificazione, vi furono poscia cancellati da - Fazione del metamorfismo; e solo è possibile intravederli seguitando Fandamento delle grandi macchie che segnano il ver^o della se i- mentazione ('). ri) Per raago-iori notìzie sul giacimento dei marmi delle Alpi Apuane, rimandò a^d nn recenta scritto inserito (pag. 221 a 228) ne la pubbltca. rione del Ministero di Agricoltnra elle ha per titolo t ^ H'i sicurezza delle Miniere e delle cave in Italia. Poma, Tip. iSazion , Boll, del K. Comit. Geol.. 1881, pag. 477, t'»« «e»rs,»e »e«. regione marmifera del Carrarese. LA CARTA GEOLOGICA DELLE ALPI APUANE ECC. 223 Oltre ai marmi che costituiscono la zona immediatamente a contatto dei grezzoni, più bassa, più potente e continua, altre lenti marmoree, talora importantissime ed industrialmente coltivabili, come, ad esempio, quella del M. Betogli a Carrara, trovansi a varii livelli inserite fra le formazioni eteropicbe della zona più alta del Trias. Tanto queste lenti, che la massa marmorea principale, sono segnati sulle Carte e sulle sezioni con un unico colore giallo aran- ciato, risultando chiaramente dalle roccie incassanti la loro posi- zione stratigrafica. Venendo alla questione paleontologica, le traccie di fossili, specialmente di Crinoidi, non sono rarissime nei marmi apuani ; ma si comprende come in calcari così cristallini essi non siano per solito determinabili. I pochi fossili in discreto stato di conservazione che per rara ventura ho potuto raccogliere nel 1884 nei marmi di Poggio Tron- cone nella valle di Vinca, appartenenti alla zona principale, dimo- strerebbero che questa zona più bassa dei marmi deve essere com- presa nella serie del Trias superiore, insieme alle altre lenti mar- moree ed alle roccie scistose e calcari che le racchiudono. Questi fossili, che furono esaminati dal Meneghini (*) e determinati dal prof. Canavari, offrono: Avicula exilis. Turbo solitarius, Gyro- porella triasiaa, oltre a varie specie indeterminabili {-). I marmi sono quasi costantemente ricoperti da una seconda zona di calcari grigi, a lastre, con liste e nodi di selce, la quale segna spesso nettamente sui nudi fianchi delle montagne, colla di- versità della tinta, il limite superiore della massa marmorea. Questa zona è intimamente legata a quella dei marmi, in modo che talora vi si unisce, penetrandovi con appendici cuneifoi’mi, come avviene al M. Sagro. Generalmente però vi è sovrapposta e si presenta nella relazione identica dei calcari schistosi grigi delle Alpi lombarde, rispetto al calcare di Esino. Per le analogie litologiche, come per le relazioni stratigrafiche (') Meneghini G., Fossili triasici delle Alpi Apuane. Proc. Verb. Soc. tose. Se. nat., voi. V, pag. 69. (®) I fossili si conservano al Museo di Pisa. Le specie indeterminabili che li accompagnano appartengono ai generi Chemnitzia, Aulacoceras, Pecten, Psiloceras, Nautilus, ecc. 224 D. ZACCAGNA sarei quindi portato a riferire i calcari a lastre al Raibliano, come i nostri marmi rappresentano forse le dolomie infraraibliane della Lombardia e del Veneto. Tuttavia l’estrema scarsezza dei fossili offerti da questi calcari a lastre, come da tutti gli altri strati del Trias superiore a cui si collegano, non ne permise finora una più sicura classificazione. Alcuni esemplari di piccole Ammoniti limo- nitizzate, a spire liscie ed ornate di coste vi furono raccolti agli Alberghi sulla via del Cai-pano nel Massese ed alla Serenaja in fondo alla Valle di Gramolazzo dallo scrivente, e sulle pendici del M. Fiocca dal Lotti ; tutti però in cattivo stato di conservazione. I calcari a lastre grigi sono spesso sostituiti da cipollini bian- castri 0 verdicci, teneri, sericitici, che li equivalgono, e che, per essere attivamente scavati nella Versilia, sono notissimi nella re- gione col nome di inetra bianca di Volegno ; sebbene siano molto sviluppati anche in Valle di Arni, sul versante Nord del M. Sum- bra, a Vagli, ecc. A Oampocatino, in Valle del Solco d Equi ecc., questi cipdlini sono zonati o picchiettati d' un rosso vinoso, si che potrebbero dare un bel marmo ornamentale. In questa varietà ab- bondano i crinoidi, che non mancano però nei calcari grigi, selci- feri, fra i quali costituiscono veri banchi di un calcare screziato, somigliantissimo alla nota forma del nummulitico apuano. La zona raibliana dei calcari grigi con selce e cipollini è quella che nella Carta presenta una rigatura blu su fondo giallo- gnolo. Forma la parte culminante di alcune fra le vette più im- portanti della catena, fra cui il M. Pisanino. che è la più elevata (1946 m.), il M. Sagro, il M. Cavallo, il M. Sumbra, il M. Fred- , done. Esse sono anche, per solito, le più aguzze, presentando ge neralmente, a causa del forte rialzamento di quei calcari netta- mente stratificati e resistentissimi alla denudazione, una falda formata dalla faccia superiore degli strati e 1’ altra tagliata a picco sulla lunga serie delle testate di quei calcari, che raggiungono potenze di 300 a 400 m. Sui calcari a lastre si stende l’ultima zona del Trias supe- riore, solitamente scistosa e rappresentante la parte piu alta del Keuper. Sono scisti grigi, rossi, violacei, verdastri, talora passanti a diaspri, ai quali si uniscono arenarie (pseudomacigm del Savi) e scisti neri ardesiaci. Questa è la facies che domina nel versante nord e nord-est della regione e nella Versilia superiore. Nella parte la carta geologica delle alpi apuane ecc. 225 meridionale ed occidentale, e segnatamente nelle valli del Carrione, del Frigido, del lascio, nella Versilia inferiore e nel Camajorese, la struttura di questi scisti è più spiccatamente cristallina e for- mata da scisti rasati a sericite, scisti cloritici, scisti con distène, con ottrelite, e con altri minerali fìlladici. A questo livello degli scisti corrispondono le inserzioni delle lenti marmoree di cui già si è parlato, e lenti di cipollini più o meno sericitici e cristallini, che si associano a tutte le varietà di scisti costituenti la zona. Sono però esclusive delle valli occiden- tali sopra mentovate, dove trovansi i sericitescisti più cristallini, le inserzioni di calcescisti a fucsite, di quarziti e di anageniti pro- fondamente metamorfosate, aventi spesso la forma di una puddinga energicamente laminata, i cui noduli quarzosi allungati in forma lenticolare ed avvolti nella sericite, danno allo scisto noduloso l’a- spetto d’una roccia gneissica. È però singolare come sul versante settentrionale, dove la for- ma arenacea del macigno triasico può corrispondere alla quarzitica, non si abbia il rappresentante della forma puddingoide delle ana- geniti ; sebbene qualche banco di puddinga quarzosa grigia trovisi associato alle arenarie del Col di Favilla, sotto al Ginesino. Pro- babilmente ciò proviene soltanto dalla diversità del materiale che concorse alla formazione di queste roccie clastiche, generalmente più grossolano e più quarzoso sul versante meridionale. E ciò è tanto vero, che nella vai d’ Abbia, a nord di Carrara, si ha, per così dire, un miscuglio delle roccie appartenenti ai tipi dei due versanti. Pure esclusivi della regione meridionale sono due tipi di roccie a facies massiccia, che s’ intercalano egualmente agli scisti tria- sici. Una di queste varietà si presenta sul fianco sud-ovest del M. Brugiana presso Bergiola, nel Carrarese, dove affiorano fra gli scisti sericitici diverse piccole masse lenticolari di roccia verde cupo, talora chiazzata di macchie d’un verde più chiaro. La roc- cia, che ha 1 aspetto d’ un porfido, ha per solito struttura massic- cia, ma presentasi talora scistosa, laminata nel senso delle strati- ficazioni. All’esame microscopico essa appare infatti una porfirite ba- sica, molto alterata, coi cristalli di feldspato saussurritizzati e compenetrati di epidoto ; e proviene forse da una diabase profonda- mente trasformata. Questa roccia, inavvertita finora dai precedenti osservatori, si ritrova pure fra gli scisti triasici del promontorio D. ZACCAGNA 226 orientale della Spezia sovra i marmi della Punta Bianca, e nel Vallone della Ferrara. Frammenti della stessa roccia ho osservati fra gli erratici trasportati dal T. Fascio a Montignoso, senza che ,j però abbia potuto rinvenirla in posto, a causa forse della piceo- ; lezza del giacimento. L’ altra varietà di roccia massiccia degna di citazione e pure una roccia porfìroide, già indicata dal Lotti a Forno Volasco. la ,■ quale presentasi altresì in altri punti della stessa regione meridie- | naie presso Sant’Anna in Val di Castello, sulla strada di Farnocchia e nel monte di Stazzenia ; sempre però in piccolissimi affioramenti a contorni indeterminati sporadicamente sparsi fra gli scisti. La roc- cia poi-tiroide è grigiastra, e consta di una massa feldspatica con grani di quarzo e lamine di sericite e pirosseno disseminati nella inasta. Tanto r una che 1’ altra di queste roccie hanno indole erut- tiva; però senza escludere la possibilità di questa origine, la loro limitatissima estensione, il modo di presentarsi e di disperdersi fra gli scisti farebbero dubitare che quelle forme portiroidi siano il prodotto del metamorfismo sopra roccie originariamente stratificate. ; Ritornando ora alla zona scistosa del Trias superiore, essa oc- { cupa una parte importantissima fra le roccie antiche apuane, come j appare dall’ esame della Carta, sulla quale è rappresentata con tinta | aiallo-paglierino. In essa sono confuse tutte le varietà di roccie ' scistose ed arenacee sopra menzionate, che furono invece tenute divise nel rilevamento dettagliato all’ 1 : 25,000. Nel versante sud- j ovest, a partire da Carrara dove questa zona è quasi completa- j mente sostituita da lenti calcari, essa va rapidamente dilatandosi j per raggiungere il suo massimo sviluppo al M. Brugiana, dove a , sua volta sostituisce i calcari raibliani, i marmi ed i grezzoni; sì | che sul Frigido troviamo gli scisti triasici e quelli permiani in ; contatto diretto e passanti gli uni agli altri con perfetta transa- I zione. Ivi gli scisti triasici raggiungono i 3000 m. di spessore; i ma una parte di essi stanno evidentemente a rappresentare gli al- ; tri membri del piano del Trias superiore e del Trias medio, come [ è indicato da una lente di grezzone di esiguo spessore che segna j il limite inferiore delle due zone e da varie lenti di marmi e di ^ cipollino che vi si intercalano, accennando alla continuazione del deposito calcare. Dalla valle del Frigido, la zona scistosa seguita potentissima | la carta geologica delle alpi apuane ecc. 227 al M. Belvedere ed al Bragolito, assottigliandosi poscia nel M. An- chiana sopra Pietrasanta, da dove penetra nella Versilia. Qui essa assunne di nuovo grande potenza in virtù anche dei ripiegamenti che vi hanno luogo e si prolunga poscia in Valle della Turrite Secca, al M. Grotti, a VagU. al Pisanino e nella Valle del Lucido, attorniando il nucleo elissoidale. Retico. Il Retico, che è sviluppatissimo nella regione Apuana ed identico a quello della Spezia, reso notissimo specialmente da- gli studi del Capellini, è pure somigliantissimo a quello delle Alpi Lombarde. Come colà è formato da un potente gruppo di strati calcari e marnosi, che si divide naturalmente in tre zone. La zona inferiore è per solito formata da calcari massicci, grigiastri, brecciformi o cavernosi, colle cellule poliedriche ripiene d una dolomia grigia polverulenta; oppure biancastri, subcristal- lini, qua e là presentanti delle sfumature d’ un rosa-pallido. Questi calcari raggiungono grandi potenze, che possono arrivare a 3 e 400 m. ; e tanto per la loro struttura massiccia, quanto per la cir- costanza che si ti'ovano per lo più imbasati sopra gli scisti tria- sici, il loro contorno è segnato d’ ordinario da ciglioni molto rile- vati, dei quali ci offre un esempio dei più spiccati la cosidetta Torre di Monzone in Valle del Lucido. Spesso le balze sono a va- rie altezze intaccate da grandi caverne o tecchie, come si chiamano nella regione, caratteristiche ; di cui le più notevoli sono quelle che aprendosi verso la base della balza, hanno di solito il suolo scistoso e la volta calcare. Di queste, molte sono assai conosciute, come le Tecchie della valle del Salto a nord di Carrara, la Tec- chia di Tenevano, la Pania Forata nello Stazzemese, la Grotta al- r Onda nel Camajorese, e tante altre. Il calcare non è fossilifero, ma pei caratteri suoi, come per la posizione stratigrafica, corrisponde bene alla Dolomia media dei geologi lombardi, la Hauptdolomit dei tedeschi; ed a tale livello fu già collocato dal Cocchi e dal Capellini, che fanno giustamente incominciare con questa zona calcare la loro serie triasica delle Alpi Apuane e dei monti della Spezia. Le altre due zone superiori del Retico costituiscono, col loro insieme, 1 Infralias propriamente detto. La zona media che sormonta in continuità i calcari dolomitici e cavernosi, è costituita da una serie di strati calcari grigi e scisti marnosi fossiliferi, contenenti D. ZA.CCAGNA 228 VAvicula contorta, caratteristica del piano infraliasico inferiore. Questo fossile fu raccolto in più punti del giro che compiono gb strati infraliasici attorno all' elissoide ; però Ira le località fossili- fere merita di esser qui ricordata e per la varietà e relativa ab- bondanza dei fossili la nota Valle della Tecchia presso Carrara, che oft'erse i primi fossili al Guidoni. Visitata da me a piu ri- prese, fra i molti raccoltivi, citerò: Avicula contorta, Bactryl- limn striolatum, Cardita munita, Plicatula intusstnata Ostrea nodosa. Pinna miliaria, Mytilus rugosus, ecc., che sono fra i piu caratteristici di questo piano. La zona ad Av. contorta può avere complessivamente U»0 a 200 m. di potenza. Al disopra la formazione mfraliasica con- tinua con una considerevole massa di calcari compatti, d’ ordinano poco 0 punto fossiliferi, che staccano notevolmente dai fossiliteri tanto pel colore che per la struttura, essendo sempre cristallini, bianco-grigiastri, rossigni, giallognoli, ed in banchi molto potenti. Con questi banchi, specialmente alla parte inferiore, si alternano strati di un calcare grigio più o meno cupo, a venature giallastre, che costituiscono, quando la vena è intensamente colorata, quella varietà di marmo, detto portoro. E questa la zona del calcare a Mega- lodon Crfmbeli, o del Dachstein, corrispondente alla Dolomia prin- cipale di Lombardia. Il fossile che la caratterizza non fu mai trovato nei monti della Spezia, nè nelle Alpi Apuane propriamente dette. (') settembre 1890 lo scrivente lo raccolse all’Alpe di Corfìno, dove si presenta abbondantissimo nei banchi di calcare grigio (il portoro) intercalato alle dolomie biancastre formanti le balze soprastanti alla sorgente di Frano, sul fianco occidentale di quella pittoresca montagna. ... La zona dolomitica superiore è per solito assai potente e si distingue facilmente da lungi pel colore biancastro, essendo d'or- dinario scarsamente rivestita di vegetazione. Questo carattere e ge- nerale, tanto che si verificano le stesse condizioni dell aridità e m Si cita dal Savi un esemplare di Amm. spiratissimus, raccolto presso Tenerano sul versante nord-ovest delle Panie; specie propria del Lms mferiore. — Vedi Savi P-, Tagli geol. Alp. Apuane, 1833, pag. 36. — Pero Pesame di quel fossile, che si conserva al Museo di Pisa, mi fece avvertito che esso pro- veniva dalle dolomie infraliasiche di quella località. LA CARTA GEOLOGICA DELLE ALPI APUANE ECC. 229 della tinta, sia nelle Alpi Lombarde che nelle Alpi Apuane e di- pendenze, come, ad esempio, nei monti della Spezia. Anche questa zona, formata da calcari per lo più massicci, è spesso contornata da balze che impartono profili arditissimi alle montagne. Caiatteristici profili offrono il hi. della Pizza presso Carrara, il Monte Procinto ed il M. Nona all’ estremità della Valle della Versilia, dove la zona dolomitica superiore si fonde colla infe- riore per la quasi mancanza dei calcari scistosi della zona inter- media fossilifera del retico. Seguendo sulla Carta al 1 : 50,000 l’ andamento dei calcari retici, di cui sono ivi distinti i due piani con tinte violacee, (*) si vede che essi formano un inviluppo quasi continuo attorno al nucleo triasico, specialmente sviluppato nel Camajorese, nelle valli delle tre Turriti, aflinenti di destra del Serchio, e nei monti di CaiTara. Esso è soltanto interrotto dalla parte verso il Tirreno, dove l’elissoide si mostra più scompleto per le erosioni antiche e mo- derne, che agirono più profondamente e ripetutamente su questo lato. Lias. La serie liasica apuana abbraccia i tre piani in cui esso si divide normalmente ed è formata, come la serie retica. di strati esclusivamente calcari con scisti marnosi. Il piano inferiore comprende le due zone dei calcari grigi-cupi ad Angulati e dei calcari rossi ad Arietit6$\ il medio dei calcari selciferi grigi chiari ad Harpoceras\ il superiore dei calcari e scisti marnosi a Posi- dommya Bromi. Questa divisione in tre piani risulta dalla Carta al 1:50,000; ma nelle tavolette al 1:25,000 fu tenuto diviso an- che il calcare grigio del Lias inferiore dal rosso ad Arieti, come è abitudine di tare. I calcari grigi del Lias inferiore sono a strati regolari soli- tamente di piccolo spessore, d’un grigio cupo, divisi in letti sci- stosi giigiastri 0 lionati. Talvolta in questi scisti si rinvengono sparsi dei fossili piritizzati o limonitizzati, come nei monti della Spezia, dove non sono infrequenti. Scarsi assai sono invece quelli offerti sinora da questa forma del Lias inferiore nelle Alpi Apuane, sebbene essa vi sia molto sviluppata. Dei pochi citerò Lytoceras biforme Sow. e Phylloceras Calais Mgh., che raccolsi presso Equi, (1) Nel rilevamento al 1 : 25,000 fu anche separata la zona ad Avicula contorta dalla superiore del Dachstein. 1 2gQ D. ZA.CCAGNA dove ne appare un piccolo lembo staccato, al mulino di Casciana: Aeqoceras aagulalum. Aeg. comptim Sow. e Natica Savii Can. trovate non lungi di là nel M. di Cambra presso Ughancaldo ( I. Alle balze di Deccio in Garfagnana, gli stessi calcari contengono modelli lapidei, di Rhyncho nella sìiblriqueira Can. Terebr alida functata Sow. e Valdheimia lurritense n. sp. Can., raccolte per la prima volta dal Lotti. • i- • Questi strati, come in generale tutti quelli della sene liatica, in ragione della facile tlessibilità dipendente dal loro esiguo spes- . sore, '"sono spesso molto ondulati, ripiegati, arricciati in contorsioni j bizzarre, di cui si vedono esempi nei monti di Pescaglia, lungo ij l’Edron, nelle vicinanze di Vagli-Sotto, presso Minucciano, ed a J Castelpoggio, presso Carrara, come risulta anche dalle sezioni geo- j logiche presentate. . I calcari rossi ad Arietiles hanno quei caratteri particolari che si ripetono quasi dappertutto dove questa zona basica si pre- senta e la rendono facilmente riconoscibile. Sono a pasta ceroide colorata in rosso di varie gradazioni od in giaUognolo: ma piu spesso costituiscono una breccia amandolata a noduli calcari presi in uno scisto marnoso più cupo. Nella pasta contengono frequenti sezioni di criuoidi, e sulle faccie degli strati si rinvengono con mat^gior frequenza che non nel calcare grigio le petritìcazioni. fossili di questa zona sono quindi noti in più località e citati a varii autori. Ecco una lista dei più frequenti, ed in parte da me raccolti: Arielites tardecrescens Hauer (M. di Roggio);^, spira- tissimus Quenst. (M. Corona e Castelpoggio); A. Conybean (Castelpoggio, Falcigoli e Pania di Corftno) ; A. doricus Savi et ^ g . (Pania di Cortine e M. Matanna); Atractites o riho cer opus Ag\. (Castelpoggio). Al Poggio al Crocione, nell’Alpe di Corfino, fra gli strati di questo calcare rosso si ha un grosso banco di lumachella, nella quale, oltre ai modelli lapidei di Arietiti delle consuete forme, trovansi copiosi avanzi di brachiopodi e gasteropodi. ^ Gli strati dei calcari rossi sono talora distinti e facilmente sepai-abib in causa deUo scisto argilloso che vi si frappone; tal- volta invece saldandosi tra loro, danno luogo a banchi di consi- derevole spessore ed offrono marmi d’ ornamento, che potrebbero (1) Proc. verb. Soc. tose., voi. Ili, p. 220. LA CARTA GEOLOGICA DELLE ALPI APUANE ECC. 231 forse alimentare nn’ escavazione proficua. Furono infatti praticate escayazioni sul vertice del M. Matanna, ed a Sassorosso sulla Pa- nia di Corfino, ora abbandonate forse per la difficoltà e la lonta- nanza dei trasporti; ma non mancano i luoghi dove gli affiora- menti di questi calcari si presentano in condizioni più vantaggiose. I calcari rossi non costituiscono una zona molto potente nè continua al dissopra dei grigi-cupi. Sebbene questo sia 1’ ordine più frequente, spesso sono in forma di lenti staccate, che si pre- sentano anche a varii livelli fra i calcari grigi, come al M. Ma- tanna. Su questa vetta le due varietà si alternano più volte e spesso la zonatura rossa non segue 1' andamento delle stratificazioni. Ac- cade lo stesso alla Pania di Corfino, dove in più luoghi il calcare grigio manca affatto alla base della serie, passando direttamente dai calcari infraliasici al calcare rosso ad Arieti; cosa che può osservarsi anche alla Foce tra Massa e Carrara e che tenderebbe a dimostrare F equivalenza di queste due facies del Lias inferiore apuano. Oltre alle due forme indicate, il Lias inferiore si presenta pure nelle Alpi Apuane sotto quella di calcare massiccio finamente cri- stallino bianco o bardigliaceo, che a differenza dei calcari descritti, offre per solito traccio di molluschi spatizzati e di crinoidi. Questo calcare, di origine corallina, costituisce tutta la parte più elevata del gruppo della Pania della Croce, a cui imparte la forma diru- pata che la caratterizza. È una facies del Lias inferiore che si riscontra del resto in molti luoghi aventi attinenza col sistema apuano ; come nei noti calcari a gasteropodi del Monte Pisano, nei calcari massicci grigi del Monsummano, in quelli della Pania di Corfino, dell’Alpe di Mommio ed in altre dipendenze della Catena Metallifera, Lias medio. — Il calcare costituente il Lias medio è pure a strati sottili e regolari come quelli del Lias inferiore, ma di colore più chiaro, dai quali si distingue anche perchè solitamente selcifero. Questo calcare, scarsamente rappresentato nella parte orientale del- r elissoide apuano, dove a volte manca affatto tra il rosso ad Arieti ed il Lias superiore, è invece molto sviluppato nella parte orien- tale, specialmente nei monti di Camajore e di Pescaglia, dove rag- giunge spessori considerevoli. I rarissimi fossili che racchiude sono limonitizzati come nei monti della Spezia, e consistono principal- D. ZACCAGNA 232 mente in Ammoniti del genere degli Harpoceras. Le poche specie finora citate (*) sono provenienti dai monti di Repole, tranne un Harpoceras Ruthenense, trovato dal Lotti appunto a Sassorosso di Pescaglia. A questo posso aggiungere un Harpoceras Algovianum raccolto nel settembre 1890, sul sentiero dalla Foce a Bozzarra alla Fontana, nel lembo isolato di calcari con selce che cogli sci- sti del Lias superiore forma il cosidetto Xaso della Pania ; ed un Aegoceras Regaardi recentemente incontrato poco oltre la Foce a Bucine, salendo verso il Bozzone, dove le lastre del calcare con selce si mostrano scoperte per una considerevole estensione. Del resto, oltre ai caratteri sopra accennati, che fanno facilmente distin- guere il calcare in discorso dagli altri membri del Lias, la sua posizione stratigrafica è bene determinata dal rosso ammonitico che vi è sottoposto e dagli scisti del Lias superiore che lo ricopre. Lias superiore. — L’ ultima zona del Lias, quella degli strati a Posidoìiomya Brouni. consta di strati calcari d un grigio ten- dente al verdognolo, caratteristico, e di scisti marnosi giallastri, verdognoli, rossastri. Di solito questi scisti risultano dalla decom- posizione degli strati calcari, o meglio dalla perdita del calcare, avvenuta per soluzione sopra quegli strati, come può vedersi chia- ramente spaccando le lastre del calcare marnoso. Il processo della decomposizione è posto in evidenza dalle zonature concentriche che partono dallo schisto esterno e terminano ad un nucleo di calcare ancora intatto. Il fossile però non apparisce nel calcare fresco, ma si manifesta spesso in impronta in quantità prodigiosa nella parte ridotta a scisto argilloso. Non sempre però gli scisti a Posidoaomya traggono origine dalla decomposizione dei calcari. Vi hanno scisti fossiliferi argil- losi rossi, evidentemente deposti in quello stato, come alle Pan- teraje ed al Monsummano nell' alta Val di Nievole (-), alla Pania di Corfino, ed a Puglianella presso Roggio ; come si hanno calcari compatti nei quali la Posidonomya apparisce in rilievo, senzachè | vi concorra 1’ alterazione del calcare, come avviene alla Maestà di | (') Meneghini G., Ammoniti del Lias medio. Proc. verb. Soc. tose. Se. Natur., voi. II, pag. 188. (2) Zaccagna D., / terreni della Val di Nievole fra Monsummano e Montecatini. Boll. Comit. Geol., 1882, pag. 239 e 247. LA CARTA GEOLOGICA DELLE ALPI APUANE ECC. 233 Tenerano a nord-ovest delle Apuane, ed alle Piastrelle presso la Grotta del Monsummano. Nella Carta al 1 : 50,000 le tre zone del Lias descritte, cor- rispondono a tre gradazioni di azzurro, di cui quella rappresentante il Lias superiore è coperta d’ una rigatura orizzontale. Risulta dalla Carta come questi terreni si trovino particolarmente sviluppati nella regione orientale della catena e particolarmente a nord-est di Ca- majore, lungo le Tm’riti e sull Edron nell’ Alta Garfagnana. Poscia ritrovansi a lembi staccati hmgo il Tassonaro ed a Tenerano in Lunigiana; infine un lembo abbastanza esteso, segnalato per la prima volta dallo scrivente (0, ricopre l’ Infralias tra il Monte della Pizza e Carrara. Da esso provennero i primi esemplari della P. Bronni incontrati nel gruppo apuano ; fossile che ritrovato dipoi in più luoghi, ci fornì un prezioso orizzonte per l’ ordinamento dei terreni della regione. Titonico e Neocomiano. Le roccie del Lias superiore sono le ultime della serie che trovansi in perfetta concordanza e continuità colle altre più an- tiche. Quelle giurassiche che vi si sovrappongono segnano colle precedenti una marcatissima discontinuità, messa in evidenza non solo da locali discordanze di stratificazione, le quali, se evidenti talora, spesso possono non apparire chiaramente ; ma specialmente dal fatto generale che queste roccie vengono ad appoggiare sal- tuariamente tanto sopra quelle del Lias superiore che sopra qua- lunque degli altri membri della serie fin qui esaminata. Gli strati che sormontano le formazioni liasiche si compon- gono di due potenti serie di strati calcari, separate da una zona scistosa e diasprina, che è con essi intimamente collegata e con- cordante. I calcari inferiori sono a strati piuttosto grossi, di color grigio scuro, a pasta subcristallina, fratturati, con vene spatiche, come in certe varietà di calcari infraliasici, e solitamente accom- pagnati da zonature e da noduli di selce grigia o nerastra. f) Zaccagna D., Osseroazioni stratigrafiche nei dintorni di Castel- poggio. Boll. Coram. GeoL, 1880. 234 D. ZACCAGNA Quelli supenoi'i sono a strati sottili, biancastri, bianco-gial- lognoli. grigio-palombini e talora anche rosei o violacei, a pasta compatta, finissima, concoide nella frattura e pure a noduli di selce grigio-chiara. La zona scistosa interposta è una massa di scisti commisti a straterelli diasprini alternanti, di color rosso vivo, violaceo, bruno, verdiccio, che arriva talora ai 200 m. di spessore. Vi si associano spesso banchi di calcare fortemente colorato in rosso ed in vio- letto 0 variegati, che costituiscono in alcuni punti un bel marmo ornamentale, scavato a Castelpoggio sopra Carrara. Nè i calcari grigi inferiori, nè quelli della zona superiore ai diaspri d’ordinario sono fossiliferi; per cui le sole analogie ^ lito- logiche ed i rapporti di stratificazione avevano dapprima servito di guida allo scrivente per la loro classificazione nella serie cronolo- gica (‘). In seguito però allo studio di alcuni affioramene delle stesse roccie attorniane Tllpe Apuana, che otfersero fossili titoniani nella zona calcareo-diasprina {Aptychus Beyrichi. Api. punctatm. Be- lemnites semisidcatus) e fossili neocomiani nei calcari biancastn e grigiastri soprastanti {Api. angidicostatus. Api. Didayi)', alla scoperta degli stessi fossili nei lembi di Casola ed Uglian- caldo in Lunigiana (2), che appartengono alla parte nord dell e- lissoide, rimase viemmeglio giustificata l’opinione mia intorno a simile formazione, la quale occupa una parte notevolissima nella serie apuana. I diaspri, gli scisti ed i calcari rossi con essi alter- nanti sono quindi indubbiamente i rappresentanti del Titonico. Ne può allontanarsi molto da questo periodo l’età dei calcari gngi selciferi sottostanti che ad essi si collegano, tenuto conto anche del fatto che la formazione calcare e la diasprina sono in certo modo complementari Luna dell’altra; vale a dire, laddove i ca cari raggiungono grande potenza, come nel Camajorese, è relati- vamente esigua la zona diasprina, mentre nel versante occidentale dove sono potenti i diaspri, i calcari della base sono poco o pun o rappresentati. Aggiungasi che ad Ugliano i calcari stessi con fos- sili titonici penetrano in lenti fra gli schisti accompagnanti i diaspri, dimoskando la loro equivalenza cronologica. (1) Zaccagna D., Osserv. strat. nei dint. di Castelpoggio, ecc. (2) Id„ Ptoc. verb. Soc. Tose, ecc., voi. IH, pag. 207 e 215. L j LA CARTA GEOLOGICA DELLE ALPI APUANE ECC. 235 I calcari biancastri, selciferi, superiori alla zona diasprina, : che già gli autori (') per l’ analogia litologica hanno considerati come gli equivalenti del biancone e del calcare majolica delle prealpi, risultano infatti interamente riferibili al Cretaceo inferiore ; poiché i pochi fossili neocomiani furono raccolti nei primi strati calcari che succedono alla zona scistoso-diasprina. Ho quindi ritenuto che questa zona segnasse con sufficiente esattezza il limite fra il Ti- tonico ed il Heocomiano, e l' ho adottato per segnare questa divi- sione nelle Carte geologiche. I due piani sono distinti nella Carta in piccola scala con due gradazioni di verde, riunendo in una sola tinta la zona dei diaspri coi calcari sottostanti; mentre anche la zona diasprina interposta ai calcari è segnata con una terza grada- zione di verde nella Carta al 1 : 25,000. Tornando alla discordanza esistente tra il Lias ed i terreni oia esaminati, risulta da quanto si disse che l’ interruzione di serie comprende almeno tutto il periodo della Oolite, della quale non si hanno affatto rappresentanti nella serie apuana. Durante questo periodo l’Alpe Apuana restò evidentemente emersa in forma di una grande isola, soggetta perciò alla denudazione, che vi solcò profondi valloni, nei quali, in seguito ad un abbassamento, dove- vano poi deporsi gli strati titonici e neocomiani. Di questa erosione pregiurassica fanno fede i varii lembi stac- cati che troviamo sparpagliati tutto attorno al nucleo antico del- l’elissoide, ed i loro rapporti stratigrafici colle roccie sottostanti. Eccone alcuni esempi : Sulla strada tra Massa e Carrara, un lembo di calcari e scisti titonici poggia direttamente sopra l’Infralias. Nella Valle di G-ragnana fra Carrara e Castelpoggio la zona tito- nica è formata di scisti e di diaspri rossi, che in strati continui 01 a sull Infralias, ora sul Lias inferiore, ora sul medio e superiore; modellandosi in tutte le anfrattuosità profonde che r erosione ha prodotto in questi strati prima del deposito titonico. E mentre gli strati titonici sono inclinati fortemente bensì, ma poco disturbati, i liassici ed infraliassici sono impegnati in una forte piega che già descrissi in apposita Nota(^); il che dimostra (1) Savi e Meneghini, Considerazioni sulla geologia toscana, pag. 37. — Murchison E , On thè geological structure of thè Alps, Appennins and Car- pathians. f^) V. Osservazioni, ecc. 17 2o6 D. ZACCAGNA come questi strati fossero già stati sollevati, piegati ed erosi prima che gli strati diasprini del Titonioo si depositassero su di essi. Nella valle di Vinca un lembo isolato di diaspri tilonici poggia addirittura sopra le testate dell' Infralias a meaza costa, presso il paese di Moncone. La valle del Lucido era adunque già profon- Lraente scavata quando la formazione «tonica è venuta a deposi- larvisi; onde lunghissimo dev'essere stato il lasso di tempo du rante il quale rimase soggetta alla denudazione. Gli stessi rapporti si osservano sulla parte nord dell elisso nei pochi lembi «tonici che vi si trovano, come nella parte orientale e meridionale, dove questo terreno col soprastante neoco- miano sono molto sviluppati; e vi si potrebbero moltiplicare gli esempli della trasgressione accennata. Essa risulta chiaramente resto anche dal solo esame delle carte, dalle quali si deduce fa- cilmente come le roccie neocomiane e titoniane servirono di riem- pimento di antiche depressioni, giungendo a coprire direttamente g Listi triasici, sul versante a mare del monte di Pedona, nel C - majorese ; e perfino gli strati paleozoici, come accade presso Tie- vora sulle pendici nord della Pania Secca. . . , Più regolare appare la sovrapposizione delle loccie titonic e e neocomiane ai piani Lassici scendendo da Gallicano verso i Lucchese, dove formano le elevazioni notevoli di Pian di Lago ( o e del Monte Penna (981”) e le montagne incassanti la valle de Serchio fra il Borgo ed il Ponte a Moriano. Qui la zona diasprina non è molto grande, anzi a volte si assottiglia talmente che resta interrotta, disperdendosi fra le masse dei calcari; ma in compenso le due zone calcari vi acquistano la loro massima potenza. La se- parazione di queste zone calcari è tuttavia sempre U colore loro particolare, per l'andamento generale della stiatifi- cazionee pel diverso modo di resistenza agli agenti denudanti , il quale offre il mezzo di seguire anche da lontano il contatto, s. Lato a larghi tratti dalle balze abituali del calcare neocomiane. Fra esse sono notissime quelle di Sassi sulla Tuirite ceca, e l'Eremita di Calomini sulla Turrite di Gallicano, quelle del monte Penna sulla Turrite Cava, ecc. LA CARTA GEOLOGICA DELLE ALPI APUANE ECC. 237 Cretaceo superiore ed Eocene. Il forte hiatus che si osserva fra la formazione liasica ed il Titonico, si ripete fra i due piani estremi del Cretaceo, il Neoco- miano ed il Senoniano, Nella regione apuana manca tutta la serie intermedia di questo lungo periodo, poiché la prima roccia che s’incontra sopra il Neocomiano è rappresentata da quegli scisti marnosi rossi o verdastri che in altri scritti già distinsi col nome di scisti policromi (>), e considerai, benché non fossiliferi, come ap- partenenti al Cretaceo superiore. Questa roccia é conosciutissima in Toscana, perché si mostra costantemente alla base dell’ Eocene in tutto il gruppo delle Alpi Apuane e nelle sue dipendenze im- mediate non solo, ma si ritrova in tutta la Catena metallifera. È formata da uno scisto marnoso o da un calcare scheggioso a seconda della proporzione d’argilla commista; ha colore abitual- mente variabile dal rosso-bruno al verdastro ed al giallognolo e contiene talora noduli diasprini. Spesso nella parte più alta degli scisti policromi stanno intercalati straterelli di calcare bianco-ver- dastro, spalmato di scisto glauconioso, caratteristico di tale for- mazione. 11 calcare associato agli scisti diviene talvolta selcifero, a pasta fina, compatta, oppure screziato. Dove queste intercalazioni acquistano maggiore sviluppo, non di rado sono costituite da banchi di calcare nummulitico, che stanno a guisa di lenti inserite fra gli scisti. Sarebbe quindi forse più razionale collocare gli scisti poli- cromi nella zona del nummulitico ; ma sta il fatto che sebbene essi alternino con questi strati, pure, in generale, pigliano notevole sviluppo soltanto sotto la massa di questi calcari. D’altronde per la loro posizione stratigrafica e per la facies litologica corrispon- dono esattamente alla cosiddetta scaglia del Veneto, considerata fin qui come senoniana, onde ho preferito conservarli nel piano della Creta superiore, allo scopo di evitare le confusioni, sincronizzando per quanto si può, i terreni di due regioni fra loro abbastanza lontane. Per le ragioni accennate, nelle sezioni geologiche appariscono rap- presentati dei banchi nummulitici intermezzati da scisti segnati (1) V. Una escursione, ecc. — / terreno dell'alta Val di Nievole, ecc. D. ZACCAGNA 238 colla tinta del Cretaceo; benché una parte di essi, quelli almeno che si alternano nei loro strati più alti coi calcari nummulitici, debbano necessariamente considerarsi come facienti parte del gruppo eocenico. . . , Gli scisti in parola costituiscono una formazione di roccia de- positatasi sul finire del periodo cretaceo, che fu evidentemente per la reo-ione apuana un periodo di forte sollevamento ed erosione. Questa erosione cretacea e la precedente colitica prepararono cosi il fondo su cui vennero a modellarsi la formazione senoniana e la terziaria; le quali perciò trovansi poggianti direttamente sul cal- care neocomiano nella regione meridionale ed orientale dell Cis- soide, ed avviluppanti i diaspri titanici, le roccie basiche e le infraìiasiche nella parte nord ed ovest, dove le erosioni furono molto più profonde. Il fatto poi che la serie dei terreni in questa metà settentrionale dell elissoide è molto frazionata ed incompleta, starebbe a dimostrare come la tendenza al sollevamento sia stata sempre maggiore su di essa che non sulla metà meridionale. Dopo il sollevamento avvenuto durante 1 epoca colitica, che spocrliò così profondamente delle roccie secondarie quella parte set- tentrionale, l’abbassamento che vi fa seguito fu evidentemente molto più forte sulla estremità opposta ; poiché il deposito titonico, che in quella é quasi, esclusivamente rappresentato da scisti e diaspn, costituenti la zona più alta della formazione, in questa é assai piu potente e di forma calcare. Anche dopo il neocomiano fuvvi mag- gior tendenza al sollevamento nella parte a nord, poiché il Neoco- miano, che certamente vi fu depositato, vi é appena rappresentato da pochi lembi a Linara presso Carrara, a Castelpoggio ed a Ca- scia che sono gli scarsi avanzi di un vasto deposito ora quasi in- teramente asportato ; mentre a sud esso riveste tuttora copiosamente il titonico e le altre formazioni più antiche. In conclusione si può argomentare che le oscillazioni subite dalla reo-ione apuana prima dell’ epoca senoniana non agirono egua - mente sui varii punti dell’ elissoide ; per modo che sulla parte set- tentrionale maggiormente sollevata, tanto nel periodo oolitico che nel cret-aceo, vennero a portarsi ripetutamente gli effetti di una più lunga esposizione agli agenti denudanti. ^ Queste deduzioni darebbero ragione delle circostanze che hanno influito a rendere così diversa la costituzione geologica della metà I.A CARTA GEOLOGICA DELLE ALPI APUANE ECO. 239 , settentrionale dell elissoide apuano da quella della meridionale I che apparisce dall’ esame della Carta geologica, risultante dalla i mancanza e dal frazionamento di molti membri della serie nella parte settentrionale e dal grande sviluppo del Lias, del Titonico e del Neocomiano nella parte orientale di essa. Eocene. — La serie delle roccie eoceniche, formanti cornice quasi continua intorno alle più antiche, interrotta per poco soltanto dal lato sud-ovest dell’elissoide apuano, si compone di calcari screziati e nummulitici e delle altre roccie solite dell’Apennino adiacente, il macigno, i galestri e l’alberese. Questa divisione litologica nel- l'Alpe apuana è pressapoco costante anche nell’ ordine di succes- sione e corrisponde altresì, probabilmente, alla possibile divisione geologica del nostro Eocene così scarso di fossili e così difficile a studiarsi. Essa fu integralmente conservata nelle tavolette del rilevamento al 1:25,000, ma nella Carta al 1:50,000, le due ul- time zone furono fra loro riunite, poiché costituiscono insieme, a quanto sembra, il piano dell’eocene superiore. I calcari nummulitici succedono agli scisti policromi coi quali, come dissi, sono perfettamente concordanti e collegati. Si riducono talora a pochi straterelli di calcari screziati o verdicci che stanno ancora intimamente associati a quegli scisti, alternandosi cogli strati superiori di essi, come accade nella parte occidentale dell’elissoide. Nella parte est invece i calcari nummulitici si sviluppano con- siderevolmente lungo tutta la valle inferiore del Serchio, acqui- standovi spesso tale potenza da costituire intere montagne, come nei dintorni di Eosciandora, a Molazzana, al M. Palodina, e nelle elevazioni ad est di Borgo a Mozzano. Questa grande differenza di sviluppo sta probabilmente in relazione colle fasi del sollevamento apuano, che fu nella parte orientale minore e più lento che non ad occidente, onde potè prolungarvisi maggiormente il deposito calcare. I calcari nummulitici sono, nella loro massa, generalmente divisi in grossi strati a struttura screziata, di color grigio, spesso selciferi. Quelli fossiliferi hanno per lo più la forma di brecciole, composte dei minuzzoli di tutte le roccie più antiche, specialmente titoniche e neocomiane. Le nummuliti, a differenza di quelle del Nummulitico alpino, non sono molto grandi ed appartengono alle specie N. Leymerei, N. Biarritzenm, N. Ramondi, ecc. 240 1 D. ZACCAGNA In alcuni luoghi i calcari nummulitici pigliano forme speciali, che li farebbero confondere con quelli appartenenti ad altri piani geologici, se non soccorresse la stratigrafia o la loro associazione Li calcari delle forme consuete. Talora divengono cinerei o bian- castri, compattissimi e a nodi di selce, affatto simili ai neoco- miani, come al M. di Santa Cristina, ed a Vianova oppure sono a straterelli regolari rossi a pasta ceroide analoghi al calcare rosso ammonitico, come al M. di Roggio, dove pure esiste questo calcare liasico quasi a contatto con essi. fro rii Noterò da ultimo come la Carta Geologica mos r. in re di- verse località, presso Minucciano, a Corligliano e \agli, delle pic- cole masse di calcare nummulitico, allineate secondo 1 à»^mento degli scisti triasici e con essi più volte alternanti. Queste ^ calazioni di calcari a numiiiuUti sono evidentemente inseparabili dagli scisti che li accompagnano e che hanno tutti ' ouelli triasici nei quali cadono le intercalazioni. Le lenti calcari ai vedono anzi incominciare e disperdersi in seno a talché tanto a me che osservai quei calcari alla Costa dei Ce presso’ Ugliancaldo, che al Lotti il quale li trovò a Coragliano, Lcque il sospetto potesse trattarsi di calcari con foraminifere r siche. L’esame fattone dal prof. Canavari sopra esemplari l>«'«ù'»‘‘ dalle due località sembrò accogliere questa " però venne infirmata da uno studio ultenore, poiché le Esulterebbero simili alle specie eoceniche. Ho voluto tuttavia lasciar passare inosservato questo fatto, che in spiegato non è privo d’ interesse. V alternanza evidente di quei calcari cogli scisti triasici, del tipo di quelli che s incontrano in tutto il versante settentrionale, il loro ripetersi in tre uog i a bastanza distanti fra loro, sempre allo stesso livello a dire poco sotto al Eetico ed in concordanza col Trias, la naancanza di clari nummulitici in masse apprezzabili nell Eocene delle u- cinanze, sono altrettante ragioni che lasciano ancora alquanto aperta la discussione su questo argomento. ^ , + • .4 nlhftrpse si Le altre roccie eoceniche, macigno, galestri ed albeiese, Canavari M., Di alcuni tipi di foraminifere appartenenti alla far miglia delle Nummulinidae raccolti nel Trias delle Alpi . puane. Soc. tose., voi. V, p. 184. LA CARTA GEOLOGICA DELLE ALPI APUANE ECC. 241 appoggiano ai calcari nummulitici ; ed in mancanza di questi, di- rettamente agli scisti cretacei, od anche sulle roccie più antiche, per la nota discontinuità di deposito. Generalmente è il macigno, come dicemmo, che trorasi alla parte inferiore, sebbene in alcuni luoghi, come nei monti presso Lucca, troYinsi talvolta dei galestri sottostanti alle arenarie ; fatto che avviene frequentemente in pa- recchi punti dell’Apennino toscano, e già notato dal Savi e da altri autori. Il macigno raggiunge grandi potenze sopratutto nella parte occidentale dell’elissoide, dove si presenta in grandi banchi molto raddrizzati a struttura massiccia, più duro e più grossolano che non verso est, nel bacino del Serchio, dove generalmente i banchi non hanno grande spessore, sono regolarmente stratificati e spesso fissili per i frequenti letti scistosi interposti. La forma littorale del deposito che prevale anche nelle roccie eoceniche del versante ovest appare evidente sul fianco nord del M. Nebbione, dove fra i banchi del macigno si hanno alternanze di un vero conglomerato a cemento arenaceo di grossi ciottoli di roccie arcaiche, quali gneiss, graniti, dioriti ed anfiboliti, superanti spesso un decimetro di diametro. Come questo materiale sia pervenuto qui dalle Alpi e possa aver conser- vato il volume di grossi ciottoli non è facile spiegarsi, se pure esso non provenne da località più prossime dove le elevazioni montuose arcaiche sono ora totalmente distrutte (’). 1 galestri che normalmente sormontano il macigno, serbano i ben noti loro caratteri anche quando vi si trovano sottostanti od intercalati. Sono grigi, nerastri, rosso-bruni e lucenti, giallo-lionati, e ruvidi se micacei od arenacei. Contengono le solite intercalazioni (') Nel 1884 ho segnalato nell’Apennino fivizzanese (V. Processi verb. Soc. tose, di Se. Nat., 2 marzo) un lembo di roccie triasiche sovrastante a certi scisti micacei sul versante meridionale del M. Acuto, presso il passo del Cerreto. Un più accurato studio, in seguito al rilievo di dettaglio fatto nel 1890 di quella località, mi fece avvertito come quel lembo di roccie sci- stose da me credute permiane fosse invece un afBoramento di roccie arcaiche, formato di micascisti, gneiss, anfibolite zonata epidotica e serpentina, del più perfetto tipo alpino. Questo lembo arcaico, per quanto affiori sopra una estensione assai limitata, pure lascia intravedere come l’ossatura dell’Apen- nino in questo luogo sia appunto formata di quelle roccie cristalline dei cui frammenti si compone il macigno che le ricopre. D. ZACCAGNA. 242 di strati di calcari compatti, palombini, spesso rotti e contorti per le deformazioni subite dalla massa scistosa, di arenaria, calcare psammitico con Hyerocjliphicum, di calcari marnosi ad Ilei, la- byrintìiica e con nummuliti dell’Eocene superiore, come alla Liccia presso Sarzana {N. Tchihatcheffl, N. Striala, ecc.) ( ). A questo livello dei galestri corrispondono le inserzioni delle numerose masse otìolitiche che attorniano il gruppo apuano spe- cialmente nella metà settentrionale di esso. Tacendo delle minori ,■ e di quelle che cadono nell’ alta Lunigiana, non comprese nei li- miti della Carta, le più notevoli sono: a Ponzano presso Sarzana. formata di serpentina diallagica con vene di eufotide a smarag- j dite • le masse diabasiche del M. Poro, di Bibola e della Bru- , nella presso Aulla, nella Valle dell’Aulella. Nell’alta Valle del Serchio trovansi quelle notissime di Piazza, di Roccalberti, della | Capriola e di M. Merlo; di cui la più importante, quella di : Piazza, si estende tra Gramolazzo e Camporgiano per circa 8 km.. i sopra una larghezza variabile da 2 a 3 km., ricoprendo un 20 km. : q. di superficie. Alla Sala il Serchio si è aperta attraverso questa massa una profonda, angusta e tortuosa gola, la Stretta trognano, fiancheggiata da ripide pareti e da bizzarri scogli detti i Pitoni. Qui la diabase appare divisa in masse globulari, avvolte in una crosta a pasta variolitica e cloritrosa, dipendenti forse da un processo speciale di ritiro e da successiva trasformazione super- (1) Nummuliti dell’Eocene superiore, quali la N. planulata e la N. striata furono pure raccolte dallo scrivente in una massa lenticolare di galestri ed arenaria calcarifera fra il macigno del monte di Vezzano, al Capito o, in una cava che corrisponderebbe al luogo indicato come un affioramento della pietra forte di Vezzano, ritenuta cretacea, dalla quale sembra provenire il noto lui- rilites Cocchu. La tranquillità locale delle stratificazioni terziarie esclude per. i forti ripiegamenti che dovrebbero accadere perche strati della Creta supe riore venissero ad affiorare fra i banchi del macigno. Del resto le roccie c e appariscono costantemente alla base del macigno nei monti della Spezia, come in altri membri della Catena metallifera, sono gli scisti policromi con calcari screziati, le quali rappresentano piuttosto il Nummulitico che il Cretaceo, ed affiorano anche nelle vicinanze a Trebbiano e ad Arcola ; nè si saprebbe per- chè a Vezzano le roccie sottostanti al macigno dovessero essere tanto diver.^e per età e per forma. Per queste ragioni io ritengo molto dubbia l’età cretacea assegnata alla cosidetta pietraforte di Vezzano. 243 LA CARTA GEOLOGICA DELLE ALPI APUANE ECC. ficiale dei frammenti della roccia eruttiva. Altrove la massa si mo- stra più compatta, chiazzata di verde-cupo e di rosso-bruno, e tra- versata da vene di aragonite. A Canipaia ed alle Verrucolette la massa diabasica è divisa a più livelli da letti e da lenti di gale- stri che seguono 1’ andamento generale delle stratificazioni e segnano in certa guisa le successive colate della roccia eruttiva. In questa stessa massa è inglobata la nota formazione gra- nitica di Camporgiano sulla quale è il campanile del paese. Questo granito è assai decomposto ; quello però che apparisce in altre due masse minori affioranti sopra San Donnino nella stessa diabase è a feldspato roseo, con mica bianca e bruna, ad elementi distribuiti alquanto irregolarmente nella pasta. Un altro piccolo affioramento granitico ho rilevato nella massa diabasica di M. Merlo, presso Sambuca, che presenta pure eufotide, serpentina bastitica e ran- noccbiaia. Tutte queste masse ofìoliticbe sono frequentemente accompa- gnate da ftaniti al contatto coi galestri, ed attorniate dal solito corteggio di breccie serpentinose, sparse negli scisti, talora in masse irregolari, talora in banchi, alla guisa dei tufi rispetto ad altre roccie eruttive. I calcari alberesi, grigi, marnosi in banchi distinti pigliano notevole sviluppo al dissopra di questa zona galestrina racchiu- dente le serpentine, occupando con essa le depressioni sinclinali che stanno fra le Alpi Apuane e l’Apennino, nelle quali formaronsi il letto 1 Aulella ed il Sercbio che le separano geograficamente ed anche geologicamente da esso. Di questi calcari è appunto costituito il monte di Tea, che sta a cavaliere dei due bacini e ne forma lo spartiacque, congiungendo in quest’unico punto i due sistemi mon- tuosi, così differenti nella loro geologica costituzione. Miocene e Pliocene. Coll Eocene termina la serie dei terreni che per la loro esten- sione e per la tettonica strettamente legata a quella delle roccie antiche hanno parte principale nella costituzione geologica del gruppo apuano; poiché col sollevamento post-eocenico, il più potente fra quanti siano intervenuti in questa, come nelle altre regioni mon- tuose dello stesso sistema, il gruppo apuano già aveva evidente- D. ZACCAGNA 244 mente acquistata pressapoco la conagurazione e l’estensione che presenta attualmente. Tuttavia a rendere completa questa rapida jì rassegna dei terreni della regione dovremo accennare anche ai ter- , reni miocenici e pliocenici che incontransi sul contorno dell ehs.oide. I, Miocene. — Il miocene si riduce al noto lembo lignitifero di j Sarzanello, che si estende lungo una stretta zona fra S. Stefano e i Caniparola. segnato nelle Carte colla tinta giallo-camoscio. Com- ponesi di argille e marne sabbiose bluastre con ligniti, terminanti in alto con banchi di conglomerato a ciottoli di serpentina e di macigno, fortemente rialzati ed addossati alT alberese, al pie e delle colline eoceniche. Gli autori non essendo ancora ben d ac- cordo intorno all’ età di questi strati, volendosi da taluno farli ri- salire fino al pliocene, seguirò l’opinione dei più che li attribuisce al miocene superiore, collocandoli allato agli strati del Casino presso Siena. Oltre a numerose filliti, vi furono raccolti : Congeriae sub. Basteroti, Melanojìsis sp. Tapirus sp. ecc. Pliocene. — H Pliocene occupa le depressioni che trovansi al dissopra di Aulla in Lunigiana, nei dintorni di Castelnuovo in Garfagnana, a Barga ed a Monte San Quirico nel Lucchese, e nsulta dai detriti provenienti dai monti soprastanti che vennero accumu- landosi nelle conche lacustri della Val di Magra e del Serchio, le quali come quelle dell’Arno e di altri luoghi dell’Apennino si formarono in seguito al sollevamento posteocenico già in massima parte avvenuto. ■ Il deposito è composto di argille, di sabbie e di ghiaie con ligniti, e contiene in più luoghi i noti avanzi di mammiferi, Ma- stodon Arvernensis. Rhinoceros etruscus. Equus Stenonis, Sus Strozza, ecc., caratteristici anche del pliocene del Val d Arno. Laddove le ghiaie sono composte prevalentemente di cmttoli mar- morei e di altre roccie calcari antiche, sono per lo più ridotte in | saldo conglomerato, come avviene ad Olivola in Lunigiana ed a Castiglione in Garfagnana, dove questo conglomerato arma fino a | circa 550 metri d altezza. j LA GAETA GEOLOGICA DELLE ALPI APUANE ECC. 245 Terreni quaternari. Morene. — L’ esistenza del terreno naorenico fu posta in ri- lievo, come è noto, per la prima volta dallo Stoppani, che ne se- gnalò un lembo da esso veduto ad Arni, nel 1872 (*). In seguito varii autori ne descrissero parecchi lembi, di cui altri ammise, poi contestò la natiu'a glaciale ; ma l’idea dello Stop- pani fu infine generalmente accettata, assegnando anzi ai depositi morenici una estensione che forse in realtà non presentano. Questi residui glaciali ridotti alla loro reale estensione rappresentata sulle Carte, quale risulterebbe dal rilevamento accurato fattone dallo scri- vente, si trovano addossati alle falde montuose, preferibilmente sul versante Nord delle Panie, o nelle regioni esposte a Sud, se molto elevate, come sarebbero quelli che si presentano nella conca d’Arni, ad Arni e Campagrina. Oltre a questi, si hanno residui morenici talvolta assai ben più importanti, quantunque sempre assai ri- stretti se paragonati a quelli enormi delle grandi Alpi, alla Mandria ed alla Costa presso Oramolazzo, al Pianellaccio ed all’Acqua Bianca presso Corfigliano sul versante Nord del Pisanino; a Campocatino ed al Vignale presso Vagli sopra, a ponente del M. Tombaccia; a Puntato ed a Val Terreno, sotto al M. Corchia; a Pianiza presso 1 Alpe di S. Antonio, sotto la Pania Secca ; a Renara sotto al Passo del Vestito. Sarebbe interessante esaminare l’estensione e la forma degli anfiteatri montuosi da cui scendevano i piccoli ghiacciai che det- tero origine a queste loro morene laterali ; ciò che però riescirebbe qui inopportuno. Questi anfiteatri, essendo racchiusi tra vette di calcari marmorei e delle altre roccie che solitamente li accompa- gnano, le morene risultano per lo più formate da ciottoli di marmo, di grezzoni, di calcari raibliani e di frammenti diasprini, spesso ag- glutinati in un cemento fangoso. La posizione, la forma caotica di quei depositi, e le striature dei ciottoli furono i caratteri che determinarono lo Stoppani ad attribuirli al terreno morenico; documenti certo non dubbi della (1) Stoppani A., Sull'esistenza di un antico ghiacciajo nelle Alpi Apuane. Rendiconti R. Ist. Lomb. di Se. e Lett., voi. V, pag. 733, D. ZACCAGNA 246 loro origine. Nelle mie ricerche sul terreno glaciale apuano, ho avuto però la ventura di incontrare altre prove, affermanti in modo, dirò così, più diretto, la passata esistenza dei ghiacciai nella re- gione apuana : le roccie striate. Di queste, una se ne incontra nella Valle di Gramolazzo (alta valle del Serchio) , che è particolar- mente interessante. Essa emerge di poco dal fondo pianeggiante della Valle, sotto all’ Orto di Donna al luogo detto la Sereaaja, come un lungo dorso, risultante dalla piegatura a vòlta acutissima degli strati di calcare raibliano ; cadendo quivi la cerniera eviden- tissima di una delle forti ripiegature secondarie della complicata struttura stratigrafica di questa valle. La vòlta calcare è rivestita in tutta la sua lunghezza dagli scisti verdastri e rossi triasici, che ricoprono normalmente il calcare in questione. Su questo dorso sci- stoso si esercitò la confricazione della massa glaciale, che ne rima&e. per oltre 50 metri di estensione, arrotondato, levigato, scanalato e striato, conservando nettamente le incisioni, sia perchè le acque del torrente, quasi sempre a secco, non giungono a portarvi il detiito, sia perchè gli scisti sono, come spesso accade, alquanto diaspiigni. L’azione glaciale su questa roccia è così evidente, che chi ha veduto le roccie striate delle grandi Alpi non può esitare a scorgere in essa una delle più belle rocìm moiitomiées che possano incontrarsi. Traccio di forti arrotondamenti prodotti dallo scorrimento dei ghiacciai serbano anche i contrafforti della Faeta e della Capra- reccia sotto al Passo di Sella, e più in basso lo sperone del M. Pal- lerina presso Vagli. Quaternario terrazzalo. — Attorno alla massa apuana, sui fianchi dei monti nell' interno delle Valli minori, come nei grandi bacini deH’Aulella e del Serchio, ma sempre in luoghi elevati sul piano dell’ attuale deposito alluvionale e talora a notevoli altezze, si trova abbondantemente sparsa una formazione detritica di ghiaie e di grossi ciottoli, nella quale si scorge talora una confusa stra- tificazione. I ciottoli sono, in generale, prevalentemente di macigno, commisti a pochi calcari dove essi poterono pervenire dalle val- late interne. Nelle sole vallate del Frigido e del Carrione la for- mazione in discorso è quasi esclusivamente composta di ciottoli marmorei o d’altri calcari antichi; epperciò spesso cementata in un conglomerato, di cui molti residui si trovano terrazzati a vane altezze. LA CARTA GEOLOGICA DELLE ALPI APUAKE ECC. 247 La stessa formazione ricopre gli strati miocenici del Sarza- nese, dove fu spesso confusa coi conglomerati della formazione ligni- fera. dai quali non è però difficile distinguerli a causa della incli- nazione piuttosto forte del miocene. Nei dintorni di Aulla, di Pieve Posciana, Castelnuovo e Barga ricopre le argille, le sabbie e le ghiaje attribuibili alla formazione pliocenica, colla quale in certi luoghi, come al M. Alfonso, sembra in continuità di deposito. Ivi il ricoprimento di ciottoli è molto potente innalzandosi per quasi 200 metri sugli strati pliocenici che affiorano alla base, sulla Turrite. In generale però questa conti- nuità non è provata ; anzi per lo più, come può vedersi nelle fre- quenti sbrecciature delle colline del Barghigiano, il Pliocene ap- pare già terrazzato sotto al deposito ciottoloso di cui è parola. Esso si trova poi abbondantemente sparso anche fuori della cerchia apuana, nei monti di Debbia presso Minucciano, dove sale a 900 metri d altezza, e ritrovasi ad altezza anche maggiore sul versante nord dell’ Apennino adiacente, come all’Alpe di S. Pelle- grino ed alla Nuda dell’ Ospedaluccio. Però in questi luoghi la massa del ciottolame è affatto caotica ; e non è da escludersi l’ idea che possa rappresentare dei residui morenici. Se ci mancano le prove dirette per affermarlo, non prestandovisi la natura della roccia che costituisce quelle vette ed i ciottoli a conservare le traccie dell azione glaciale, non vi è ragione per escludere che, tali mo- rene esistendo nelle Apuane, le altre vette non calcari che si tro- varono in condizioni analoghe non abbiano dato origine a simili depositi. I ghiacciai devono anzi aver occupato una estensione assai grande, anche sull’Apennino, come lo dimostrerebbe indirettamente l’osservazione seguente che citerò senza tema di dilungarmi troppo in un argomento di qualche importanza. Fra i ciottoli calcari indub- biamente glaciali del piccolo residuo morenico di Pianiza sopra l’Alpe di S. Antonio, notai non senza meraviglia la presenza di alcuni ciottoli di macigno eocenico e di calcare nummulitico. Si tratta di una località situata a 1000 metri di altezza chiusa a sud da una cresta di monti interamente calcari, e solo aperta a nòrd verso monta- gne offrenti roccie eoceniche nella vetta del M. Volsci, che s’ innalza a 1266 metri. Ma fra questo ed il sito di Pianiza intercede la Valle della Turrite che si sprofonda a 350 metri. Perchè adunque potessero arrivarvi i detriti discendenti da quella montagna, bi- 218 D. ZACCAG.NA socrna immaginare l’intera vallata ricolma da una profondissima ghiacciaia; epperciò tutta l’Alpe Apuana, non escluso il vicino Apennino, tranne i dorsi più elevati, sepolti sotto una estesissima massa di ghiaccio. Io sono del resto proclive a pensare che anche il ciottolame che ricolma le vallate meridionali e sparso in tanta abbondanza sui fianchi montuosi, debba attribuirsi all’ azione di correnti vio- lente, quali sarebbero quelle provenienti dallo sciogliersi repentino dei ghiacci. Farmi possibile che mentre i luoghi più elevali e le val- late rivolte a nord erano ingombri da ghiacciai permanenti, che accumularono i ciottoli col mezzo delle loro morene, quelle ri- volte a sud fossero pure coperte da masse di ghiacci che si scio- alievano nella stagione men rigida, dando luogo a correnti capaci di trascinare in abbondanza i ciottoli più voluminosi, distribuendoli più regolarmente delle morene, sulla pianura. Queste correnti ed i depositi che ne derivarono verrebbero quindi ad essere contem- poranei dei ghiacciai e delle morene, coi quali concorsero a tra- sportare e distribuire, sotto una forma diversa, il detrito proveniente dalle più alte montagne sui fianchi e sulle parti più depresse, nel a stessa epoca glaciale. Comunque sia, varie circostanze attestano la grande antichit dei depositi appartenenti al nostro quaternario terrazzato che deve corrispondere pressapoco al periodo diluviale superiore della pianuia subalpina. Tettonica generale. Non è ani opportuno nè ovvio entrare in una descrizione diSnsa della complicata struttura stratigrafica dell'Alpe Apuana; tane più cbe sarebbe impossibile seguire la descrmone senza lamio della Carta e dei profili geologici illustrativi. Questi, cbe seguono le linee tracciate sulla Carta, sono d'altronde assai numerosi, poiché nell'intento di dare un'idea adeguata della trasformazione tettonica che subiscono le stratificazioni del gruppo mon uoso, o creduto necessario immaginarle tagliate da molte sezioni che l a - traversano sistematicamente, procedendo da nord a sud, nella d zione da est-sud-est ad ovest-nord-ovest, a distanze variabili, sce nei punti più interessanti. LA CARTA GEOLOGICA DELLE ALPI APUAME ECC. 249 La lunghezza complessiva delle XX Sezioni geologiche, che dovranno accompagnare la Carta, raggiunge gli 800 kilometri circa; e malgrado questo grande sviluppo assegnato alla rappresentazione stratigrafica, relativamente alla non grande vastità della regione, perchè possa risultare completa l’ idea della sua orotettonica, farà d' uopo ricorrere al sussidio di altre Sezioni parziali condotte in senso longitudinale, laddove avvengono delle flessioni trasversali assai forti; Sezioni che saranno rappresentate e descritte in altra parte del lavoro illustrativo della regione. Rimandando anche per la descrizione dettagliata delle Sezioni generali alla illustrazione che ne verrà fatta a suo luogo, mi limiterò ad esporre qui i tratti caratteristici della orotettonica della regione. Malgrado i tanti ripiegamenti longitudinali a cui accennai, il com- plesso delle formazioni paleozoiche e secondarie, colle terziarie imme- diatamente addossate, ha forma di un perfetto elissoide; perchè la pendenza delle stratificazioni, verso la periferia, avviene costan- temente in senso radiale. Quindi il gruppo ammette anche una sezione longitudinale generale da nord-nord-ovest a sud-sud-est, che segna sulla Carta la direzione dell’asse maggiore dell'elissoide. Lungo r asse che segue questa direzione 1’ elissoide, considerato fra i li- miti del terziario, può avere un 40 km. di lunghezza e 20 kra. sul minore; ma se si tenesse conto dello sviluppo delle numerose pieghe che hanno luogo in questo senso trasversale, è facile de- durne come la lunghezza delle stratificazioni e l’area coperta dalle roccie antiche doveva essere, in origine, più che doppia, prima cioè che avvenissero le corrugazioni di questi strati. Le pieghe maggiori corrispondono ai due grandi anticlinali ribaltati a nord-est già ricordati, che hanno per nucleo gli scisti gneissici permiani, i quali dal M. Cavallo sopra Serravezza, dove vengono a confondersi, si prolungano verso nord-nord-ovest divari- cando a forma di V e seguendo l’uno, il più ampio, l’alta Valle del Frigido e la Valle di Vinca; l’altro formante una acutissima piega, assai rilevata, che passa per la Valle d’Arni e va a per- dersi nel M. Tambura. Fra gli assi di queste due pieghe principali vengono ad inter- porsi molte altre sinclinali ed anticlinali secondarie strettissime, pure ribaltate a sud-ovest e dirette da nord-nord-ovest a sud-sud-est, che si svolgono nella Valle del Solco d’Equi e nella Valle del 250 D. ZACCAGNA Serchio fra il Pizzo d'Uccello ed il Pisanino, dove la stratigrafia è delle più complicate. _ .ti Mentre poi verso ovest, esternamente cioè all anticlmale del Frigido, non si hanno che pendenze unicUnali, colle formazioni disposte in serie progressiva e, cioè, senza nuovi ripiegamenti, nu- merosissime ed assai varie di forma e di grandezza sono le pieghe che si svolgono all’ esterno della grande piega che chiamerò della Tambura, sul versante est. Esse hanno pure generalmente la direzione nord-nord-ovest a sud-sud-est, con pendenza prevalentemente ad est; ma la regolarità del loro andamento si complica in varie guise per l’intervento di piec^he trasversali, che produssero interruzioni e deformazioni nelle prime, cagionate dai movimenti ripetuti e complessi avvenuti du- rante il sollevamento delle stratificazioni. Senza addentrarci in maggiori dettagli relativi ai ripiegamenti apuani, osserverò tuttavia che fra quelle deformazioni una special- mente è a notarsi che affetta l’intera serie delle pieghe trasversali, dovuta ad uno scorrimento orizzontale relativo, che suppongo avi e nuto fra le due metà sud-est e nord-ovest dell’elissoide ; il quale a prodotto una distorsione generale delle pieghe, spostandole, ne a parte mediana, dalla direzione normale nord-nord-est a sud-sud- ovest, pressapoco secondo nord-sud. Per tale ragione in questa parte mediana la direzione delle linee di sezione, che di regola procede da est-sud-est ad ovest-nord-ovest, s’incurva pressapoco da est ad ovest onde serbarla il meglio possibile normalmente alle stratifi- cazioni. . , , A chi segua il complicato sistema di pieghe rappresentate dalle sezioni, può recar meraviglia che movimenti si energici pos- sano essere avvenuti mediante pieghe arditissime, senza lacerazione decrli strati, cioè senza dar luogo a faglie, le quali si riscontrano non infrequenti nelle roccie antiche delle grandi Alpi. E intatti meravigliosa la conformazione orotettonica di questo gruppo mon- tuoso "che in una estensione relativamente non grande, offre ivi addensati gli esempi più straordinari di complicazioni stratigrafiche che possano incontrarsi, paragonabili, anche per la frequenza, a quelli illustrati dall’ Heim per le Alpi Svizzere. Ma, come fu già detto nel principio di questa breve esposizione, il lavoro di n^- vamento dell’Alpe Apuana, stante la scarsità dei fossili e le ditfi- la carta geologica delle alpi apuane ecc. 251 coltà dipendenti dai ripiegamenti e dal ripetersi delle stesse forme litologiche a più livelli, divenne forzatamente un minuzioso lavoro di dettaglio, il quale menrie ci aiutò a stabilire la serie geolo- gica, ci condusse anche alla perfetta conoscenza dell’andamento delle stratificazioni. Aggiimgi che i fianchi di quelle ripide montagne, spesso affatto nude di vegetazione, sono dei veri tagli naturali sui quali si disegnano nettamente le cerniere degli anticlinali ed i sinclinali, che servirono a raccordare le stratificazioni interrotte dalle valli, od a stabilire il loro ripetersi in causa dei ripiegamenti. Non potrebbe quindi cader dubbio veruno sulla esclusione delle faglie e sull’andamento fiessuoso delle stratificazioni quale viene rappresentato dalle sezioni, il quale fu probabilmente favorito dal cuscino di scisti che vengono ad interporsi fra le masse calcari, distribuiti a varii livelli. Quanto alle forze che hanno corrugato in modo sì energico le formazioni apuane, già dissi che esse si manifestarono a più liprese nei sollevamenti subiti in varie epoche dalle roccie di questa regione. Fra essi il più considerevole, e quello che vi lasciò una impronta maggiormente profonda, fu indubbiamente l’ ultimo, rife- ribile all’ epoca miocenica. La spinta che lo produsse provenne dalla parte del Mediter- raneo, come lo dimostrano le deformazioni che si riscontrano negli strati eocenici lungo la Riviera ligure e nelle colline del Carra- rese, di Massa, dei dintorni di Camajore e di Massarosa, assai più forti di quelle che si osservano sul versante opposto, nella Valle del Serchio. Lungo il Tirreno, gli strati del macigno che si presentano spesso verticali, oppure piegati, contorti, assottigliati per la compressione subita, provano quanto energicamente essi furono spinti contro alle formazioni antiche del gruppo apuano. A questa causa dinamica del sollevamento eocenico è pure, secondo me, da attribuirsi il metamorfismo così spiccato di queste roccie antiche. Anzi, la diversa intensità con cui la sua azione si è manifestata sui due versanti dell elissoide verrebbe in appoggio alla opinione che la spinta abbia proceduto da ovest verso est. ^ Esiste infatti, come si è già avvertito, una marcata differenza nell aspetto degli scisti triasici e dei marmi sui due versanti. Mentre si hanno degli scisti rossi, verdastri, grigi e delle arenarie di apparenza quasi comune nel versante orientale, gli scisti cor- ]8 252 ». JACC»<=.NA, »A CASTA GEO..OO.CA »EU.E ATTI APCAAP, >:“• rispondenti del rersante opposto furono addirittura conTert.ti in rdCeisti nei quali sono abbondantemente diffusi minerali aeoes- Tord Mole elentemente cristallina, quali il distene, la clonte, l'ottrelite, la fucsite; le anageniti vi furono compresse, laminate e ridotte alla forma di scisti sericitici nodulosi, i calcescisU '"'"‘Anche i marmi sono notevolmente diversi secondo la loro pro- venienza- poiché quelli del versante carrarese hanno la struttura francamente sacoaroide e la pellucidità che è a tatti nota, la qua e manca ai marmi a grana fina del versante garfagnmo. I marmi stessi poi offrirebbero un’altra prova che la spinta in questione dovrebbe ritenersi trasmessa per mezzo delle roccie eocLche del versante ovest. Nel Carrarese, dove i marmi sono potentissimi, appartengono, come dissi, a d»e Vinferiore è formato da una lente, che può avere circa 1000 metri dllp^ssore, ed il superiore da altra lente di ««O “^'pX M dall'altra dai calcari raibliani. Ora si osserva che alla parte pi bassa della gran lente, la struttura del marmo e a grana fina, si- mile a quella dei marni del versante orientale, mentre in alto tavL spintamente cristallina e costituisce i noti marmi del tipo di liavaccione. Nella lente superiore essi divengono di palio e tale tendenza si fa tanto più marcata quanto piu d marmo appartiene alla parte alta del giacimento, come a Calocara Que'^trfetto, credo, possa spiegarsi colla lente interiore poggiando sugli scisti permiani ^ ^ grezzoni non potè risentire che incompletamente 1 azione de Linta* mentre in alto il metamorfismo riesci molto piu profond in ragione della maggior vicinanza alle cause che lo determinarono. [3 agosto 1896.] IMPRONTA DELL’ EPOCA GLACIALE ALLO SBOCCO DI VALLE DORA RIPARIA Nota di Enrico Oìivero Tenente Generale. (con due tavole) La topografia della regione delle Alpi Occidentali presenta la particolarità, che al piede della giogaia nella pianui’a Piemontese e Lombarda contiene molti laghi grandi e piccoli, e talune plaghe di terreno glaciale argilloso e di brughiera, mentre così non è al piede della giogaia nell’ opposto versante Francese e Tedesco. Volendo renderci ragione di questa differenza di accidentalità topografiche e geologiche abbiamo a notare anzitutto, che questa imponente massa Alpina, considerata sotto forma grossamente tipica, si presenta come prisma di sezione triangolare piegato ad arco di cerchio, del quale prisma, la parete, che ha piede nella pianura Padana, è più erta che non quella del versante opposto. Questa conformazione doveva avere naturale infiuenza sulle accennate accidentalità del terreno pianeggiante che sta al piede di quella cerchia, perchè la differenza d’ inclinazione dei due ver- santi dovea facilitare più o meno la discesa del materiale detritico, che si staccava dalle roccie per alluvioni, e specialmente per l’azione demolitrice delle masse glaciali nella loro discesa nell’ epoca di quel fenomeno. Si è allo sbocco delle grandi valli nella pianura che poi ve- diamo schierati al piede della falda Italiana e nelle Prealpi i laghi. Al piede della Valle Dora Riparia noi troviamo i due laghi di Avigliana, al piede della Val Dora Baltea i laghetti d’ Ivrea, di Candia, di Viverone; nella Val Strona il lago d'Orta: nella Valle del Ticino il Verbano: nella Val di Olona il lago di Va- rese, nella Val d’ Adda il lago di Como: nella Val dell’ Oglio il E. OLIVERO 254 lago d’Iseo: nella Val Chiese il lago d’Idro: nella Valle del Mincio il lago di Garda, per tacere di altri in consimili condizioni. E vediamo pure in quel lembo i terreni ghiaiosi e brulli, che la mano dell’uomo va oggidì alacremente dissodando e rendendo fertili con canali d’ irrigazione, e che per conseguenza tendono a scomparire, ma che un dì tenevano grandi estensioni: quali sono quelli che si designano col nome di V aude in Piemonte (falde) , come la Vauda di s. Maurizio, de’ Ciriè, di Front tra gli sbocchi delle due Dorè, dominate dai massicci della Levanna (m. 3360) e del Monte Bianco (m. 4795) ; col nome di Baraggie nel Novarese agli sbocchi del massiccio del Monte Rosa (m. 4621) e del Monte Cervino (m. 4557)., col nome di Brughiere in Lombardia, come le Brughiere di Somma, di Gallarate presso la Valle Ticino dominata dal massiccio di Monte Moro (m. 2518); le Brughiere di Monte- chiari, e Castenedolo presso Val Chiese dominata dal massiccio del Monte Tonale. All’ azione della massa glaciale son dovute principalmente le comunicazioni delle cavità formanti la topograha dei versanti mon- tani. Il lavoro dinamico. di pressione e di spinta di quelle masse contro le pareti delle chiusure delle cavità in avalle, vi fecero breccia, e procurarono una rete di comunicazioni continue in tutto il versante costituendo la rete delle valli allacciantesi nel basso delle medesime, nel filone (thalweg), dall eccelse vette al mare. Notando nelle valli montane le stretture che si trovano nel percorso, troppo sovente si attribuisce la rottura in quelle stroz- zature all’azione torrenziale dell’ acqua di tempi remoti, e si sente citare la tradizione che esisteva quivi un lago che pei successivi diluvii e per impetuose innondazioni demolì la roccia, e si aprì quello sfogo nel hassofondo della valle. Nella pluralità dei casi, e trattandosi di rottura in valli di roccie compatta, la spiegazione non può soddisfare. Che prima della rottura in quel bacino esistesse un lago è pienamente da ammettersi, e conforme alla descrizione topografica che ho fatto precedere T acqua derivava da un bacino all altro sot- toposto sorpassando 1’ orlo in avalle. L’ aspetto delle falde montane dovea presentare appunto tale continuità di vasche più o meno colme d’ acqua, ed anche dever- santi. Ma appunto a cagione di tale topografia le masse d acqua IMPRONTA dell’ EPOCA GLACIALE KCC. 255 succedei! tisi in cascate non potevano avere forza impulsiva tale da scuotere pareti solidissime; 1“ perchè l’impeto si rompe nel dever- sare in bacino sottostante; 2“ perchè non urta come massa com- patta: la massa contro un ostacolo anzi si rompe, il suo lavoro si distrugge per la reazione che si produce nella massa istessa in senso inverso alla spinta, col fenomeno noto sotto il nome di urto d’ ariete. L acqua può demolire bensì scavando il terreno Noi vediamo che quando succedono allagamenti di filimi^ o spandimento di acque stagnanti, la causa si deve sempre a fil- trazioni fattesi nelle' pareti delle dighe ; le quali filtrazioni scavano poco per volta, e disuniscono, e scalzano il materiale della paratoia. Laddove è notoria la potenza della forza demolitrice del ghiaccio : 1 , per la forza d espansione che spiega l’ acqua coll’ au- mentare il suo volume da 1 a 1,07, a tale che può fessurare una bomba di ferraccio; 2 perchè la sua massa è plastica ma agisce come una massa solida, che s’ ingrossa accumulandosi nel movimento di discesa della fiumana glaciale. Per lo che è bensì vero che può anche deversare: ma il suo peso comprime la massa contro il fondo e le pareti della cavità ; e mentre l’acqua di scolo del ghiaccio s’ infiltra nelle vene, nelle fessure anche piccole delle roccie, sotto il peso comprimente, l’au- mento di volume dell’ acqua nel ghiacciare agisce come una mina e disgrega le roccie in grossi e minuti frantumi. Occorre che io accenni appena come le vasche dei laghi pre- esistenti all epoca glaciale non corrispondessero perfettamente alle pareti attuali precisamente a cagione dell’ erosione glaciale. Ed a questo proposito io mi sento confortato appunto nella descrizione degli effetti, dell’epoca glaciale alla quale attendo dalle dotte deduzioni che rilevo nella pubblicazione della Storia Geo- logica del Lago di Garda del eh. prof. comm. Taramelli (Rove- reto, Tip. G-rigoletti, 1894). Dall’esposizione dell’accurato studio della geologia della località, egli|è tratto a conchiudere che il Lago di Garda prima dell’ epoca glaciale non esistesse, e 1’ area fosse percorsa da corrente. E indubitato che 1’ azione erosiva del ghiaccio la quale formò E. OLIVERO 256 gli anfiteatri morenici è stata potentissima, e tale da modificare pareti di corsi d’ acqna, formare conche, approfondirle, fino a for- mare le pareti attuali, non escludendo, in tale sistemazione di pareti e di fondi, gli effetti di movimenti ed oscillazioni telluriche. La fiumana glaciale dovea solcare quasi come aratro il fondo inclinato delle conche montane, rompeva le dighe che si opponevano al suo sfogo lungo la valle, aprendo visi un varco, e trascinava con sè materiale grezzo e minuto, che depositavasi ai fianchi e di fronte allo sbocco accumulandosi a colline moreniche laterali e frontali, e veniva cementato dalla marna glaciale di scolo, che definiva dal ghiacciaio. La fanghiglia glaciale maggiormente fiuida continuava nella discesa, e portandosi davanti alle colline moreniche costituiva il terreno glaciale delle pianure. 11 periodo glaciale aveva poi il suo fine : la crosta glaciale si restrinse e si ritirò alle più alte vette. Si liquefecero le fiumane glaciali producendo potenti alluvioni. Ne provennero le formazioni alluvionali quaternarie, i ciottoli, le arene, i conglomerati, le puddinghe, le arenarie, le crete, le argille, che determinarono un sottosuolo pianeggiante e ondulato appia- nando le gole delle valli, colmando in tutto o in parte bacini, estendendo le pianure, sovrapponendosi sui lidi del mare i cui con- fini maggiormente restrinsero. Su codesto sottosuolo infine si diste- sero i terreni recenti d’ alluvione, che fertilizzano le terre renden- dole atte al soggiorno ed alla vita dell uomo. Richiamata con questi cenni la genesi del nostro suolo, en- triamo nell’ argomento dell’ esame della topografia della pianura Padana al piè delle Alpi Occidentali. Dobbiamo perciò rimontare alla sua topografia nell’ epoca già- È ovvio immaginare le difficoltà e le incertezze che si affac- ciano per ristabilire la topografia di un terreno nell’ epoca glaciale, il che non si può fare che col sussidio di osservazioni e di inda- gini e ricavarsi da indizi che non facilmente si possono incontrare. Si tratta di pervenire a determinare 1’ estensione dell’ ammanto glaciale della regione, e 1’ altimetria di questo, mentre le suc- cessive modificazioni geologiche seppellirono le orme del peno o glaciale. IMPRONTA dell’ EPOCA GLACIALE ECC. 257 Tuttavia per la regione di cui si tratta possono valere le con- siderazioni che passo ad esporre. Ho notato fin da principio che la ripidezza del versante Ita- liano della catena Alpina, maggiore della pendenza del versante opposto, deve essere stata causa di particolari effetti di topografia e di geologia al lembo della pianura Padana. Coir accenno che ho fatto susseguire sull’azione delle masse glaciali viene naturale deduzione che nella sua discesa lungo il versante la crosta glaciale che copriva la giogaia dovesse agire con maggiore violenza nel versante Italiano. Quindi più pronta la rottura dei bacini, maggior potenza nel demolire roccie, maggiore accumulazione del materiale morenico e della fanghiglia glaciale, che veniva trascinata nei bassifondi del mare che flagellava il piè della giogaia. Dovea conseguirne che alte masse glaciali si accatastavano al piè della giogaia: potenti agglomerazioni di massi morenici si formarono agli sbocchi delle valli, e ai piedi dei dossi nelle bassure fra queste, formando estese moreniche colline fiancheggianti e fron- tali: voluminose fiumane di fanghiglia glaciale si estendevano din- nanzi alle colline moreniche cementando i massi e ricoprendo in taluni punti le roccie plioceniche, sotto la spinta e il sollevamento della pressione della massa glaciale. Muna maraviglia quindi che in taluni bacini più profondi nel basso della catena, essendo il mare cacciato fuori di essi (se vi era prima dell escavazione glaciale), dalla fiumana glaciale, da massi e da melma, la massa di ghiaccio restasse forse anche nei primordi della formazione quaternaria, allorché questa coprì con nuovi strati la topografia glaciale. E ninna maraviglia se taluni altipiani e dossi di terra gla- ciale e di fanghiglia non furono coperti dalle formazioni quater- narie, perchè molto elevati. Così per la egual causa per cui noi riconosciamo oggidì che il fondo dei laghi Verbano e di Como è più basso del livello del mare Adriatico, a cui si ridusse il mare del golfo pliocenico Pa- dano, noi vediamo nella pianura affiorare le plaghe glaciali incolte delle Vaude, baraggia, e brughiere. Queste protette dalla loro elevazione contro le espansioni dei E. OLIVERO 258 terreni quaternarii : quei bacini, protetti dalla massa di ghiaccio che li riempiva. Numerosi pure si contano i laghi, sebbene meno estesi, nel- r alto della giogaia, nelle insellature che si denominano colli. L’ alimentazione loro proviene dalle filtrazioni delle circostanti alture, e da sorgenti originate spesso da sovrastanti ghiacciai. Ma quale potè essere 1’ estensione della crosta glaciale nella regione del Po ? Non si può dire in modo assoluto che le colline moreniche frontali formassero il lembo limite dell’ invasione glaciale, perchè possono essere state il fondo di un letto glaciale, la cui massa le copriva, e le estremità di esse potevano essere avanzate al di là, e trovarsi oggidì sepolte nel terreno quatemaiio. Ma abbiamo per contro a considerare, che i terreni glaciali di brughiere, che affiorano ai nostri giorni, e che sono contigli a quelle colline, erano all' estremo lembo dei ghiacciai, perchè non contenevano più massi morenici e precedevano, come ho spiegato, la solcatura del ghiaccio. Cosi possiamo arguire pel tratto di regione, che abbiamo in esame, che la crosta glaciale la coprisse fino all estremità di quei terreni: cioè ne fossero limite le morene e le brughiere odierne. Questi criterii ci porsero indizi per la topografia pianimetrica glaciale: per 1' altimetrica quali ci potranno guidare? Nelle valli, le cui pareti sono formate da falde rocciose dure ed unite, le traccie di limatm-e e di striature che i secoli non val- sero a cancellare valgono a noi di capisaldi per giudicare dell al- tezza a cui si elevava la fiumana glaciale tra le pareti. Ma queste traccie non sono frequenti. Notevoli tuttavia ne osserviamo ad es. nella Valle d’ Aosta tra Monte Girreto e Donnaz. Allo sbocco poi delle valli dove non vi sono più stretture e gole, tali basi d’ osservazione fanno difetto. Tuttavia taluni particolari possono porgere elemento a qualche deduzione. Ed essendomi proposto lo studio della valle della Dora Ei- paria per 1’ applicazione delle idee che venni svolgendo per la cono- scenza della topografia di quella regione nel periodo glaciale, an- netto a questo scritto una carta pianimetrica della medesima, che tutta soggiaceva a crosta glaciale, nella quale carta indico in ab- IMPRONTA dell’ EPOCA GLACIALE ECC. 259 bozzo la zona morenica, e la zona della Vanda laterale, limiti della superficie glaciale. Nello stadio dello sviluppo del fenomeno per questa valle una particolarità topografica ho notato alle falde del Monte Musinè, (Asinaro) la quale mi porge propizio elemento per dedurre appunto l’altimetria approssimativa della crosta glaciale allo sbocco della valle. La Valle Dora Kiparia, il cui corso ha origine dal torrente Ripa al piede del Monte Eoderet, misura circa 90 chilometri da quel colle allo sbocco del torrente nel Po presso Torino. La topografia della valle segna quattro grandi bacini che si succedono, le cui stretture sono: 1“ a Exilles, (fortificata), centro del bacino Oulx; 2° a Susa (un dì fortificata) centro del bacino la Cenisia; 3° a Chiusa, strettura del bacino di Bussoleno, deno- minata Chiusa appunto perchè un dì fortificata a sbarramento della valle: i terreni che difendeva portano ancora la tradizional deno- minazione di prati battaglieri, perchè in quelli fu combattuta la battaglia in cui Carlomagno sconfisse Desiderio Re dei Longobardi e si aprì le porte dell’Italia; 4° infine il bacino di Avigliana, il quale è aperto verso Torino, perchè la formazione quaternaria lo colmò in avalle iniziando la pianura Piemontese. Le vette più elevate che dominano la valle sono: a Nord il nodo della Levanna (m. 3660) ; a Ovest il nodo del Monte Tabor; a Sud il M. Viso (m. 3883). Ma le pareti della valle sono formate dalle propagini di questi grandi nodi: e le vette di queste pareti sono: sulla parete sini- stra: il Monte Abries, il Monte Ginevra, il Monte Ambin (m. 3372) ; il Monte Cenisio (m. 2896), il Rocciamelone (m. 3540) ; il Monte Civrari, il M. Musinè (m. 1151). Sulla parete destra il Monte Bu- doret; il Canale Sestrières; il Monte Ascietta; il Monte Giabergin sopra Avigliana (m. 1177). La fiumana glaciale che percorreva la Val Dora Riparia scendeva dalle vette di queste pareti. Le vette dei nodi laterali più elevate prima nominate alimen- tavano le fiumane glaciali delle altre valli laterali, che digital- mente si dipartivano da quei nodi. La massa glaciale nella sua discesa è soggetta alle leggi mec- caniche delle masse plastiche. Quindi il suo corso è guidato dalle pareti come in un canale E. OLIVERO 260 piegando 1’ andamento del suo corso, cioè il suo Alone, secondo le resistenze che incontra nelle pareti. Abbatte gli ostacoli di chiusura, che gli si parano sul fronte, e smozza quelli che si avanzano, e la stringono sui lati. Si è appunto una notevole smozzatura per tal modo probabil- mente avvenuta, che si presenta alle falde del Monte Musinè presso Camerlette (Vedasi Tav. VI), e su cui chiamo T attenzione. Se si ripristina la falda di quel monte come è indicata con traccia nel disegno, si vede che essa dovea avanzarsi molto nel letto della Dora, e far ostacolo di fronte all’incedere del ghiacciaio, forzandolo a ripiegare a destra contro le alture di Avigliana. Per cui è razionale e coerente alle leggi meccaniche, che la massa glaciale spiegasse quivi, capo della riviera glaciale, una grande potenza di spinta, e che per eftetto della sua azione disgre- gante abbia potuto demolire quella punta di roccia eufotide. Quella prominenza era ben maggiormente voluminosa di quanto possa darci idea il disegno, poiché il piede della falda dovea estendersi nel posto ora occupato dal suolo succeduto quaternario. Ma appunto per tal motivo anche la massa del ghiaccio allora agiva sul fondo terziario della conca. Il fondo non era appianato, e quasi orizzontale quale ci mo- stra oggidì il letto della Dora : l’angolo di discesa del ghiacciaio era ben maggiore dell’ angolo di discesa del torrente attuale, e la massa glaciale dovea premere con potentissima spinta contro la sporgenza di quella falda del monte. La troncatura di questa presenta una ripa dell’ altezza di m. 70 circa sul suolo al piede, e per la lunghezza di un chilometro e mezzo circa tra Camerlette e Casellette. La sua quota al ciglio è m. 945 ; quella della Dora presso quelle località è m. 320. Oltreché dal rilevamento topografico della località, da cui ap- parisce la forma della ripa, nella stagione in cui non verdeggiano le piante di cui la ripa è sparsa, nè gli arbusti della falda del monte soprastante a quella scarpa, chi dalla altura della sponda destra della Dora osserva la località distingue chiara la linea del ciglione della ripa. Per produrre quella troncatura il ghiacciaio dovea premere per tutta l’altezza di quella, poiché prima di demolire la parte in basso n ,„7 vrr/'ionc) Scala di 1 a 75 000 i.VoI.XV (1856) Tsv. m. ▼ l, M.lseran Massa glaciale sulla valle della Dora Riparia Colline morenicne Terreni Vaude I _ , I pranzo %ujl_à di Front Lanslebourt oVaud_a di Cirie'. " diF^i/laurìzio ;ciamelone ©Modane ‘'Àmbin Dora fli/ SUSA FxiUes Pianezza Chiusa M.Aasii TORINO OFenestrelle ® Giaveno o Moncalieri F. Sangone oPiossasco Ginevra nana Carignano F. Giusois BRIANCON Rodoret ® PINEROLO Pancaiieri F. Peli ice Scala di 1 a 300. 000 IMPRONTA dell’epoca GLACIALE ECC. 261 avrebbe demolito la parte più sottile in alto tentando di deversare da quella, piuttosto che demolire l’ ostacolo delle sporgenze nella parte bassa più forte. Cosicché è ammissibile che l’ altezza del ghiaccio quivi rag- giungesse almeno la quota di m. 145 dall attuai ciglio del diru- pamento. Questa circostanza ci porge guida ad arguire che la curva orizzontale della fiumana glaciale in quella località di sbocco corresse a quella quota. Cosicché passasse superiormente ai punti, che nomino colla topografia odierna, come segue ; cioè superiormente ai laghi di Avigliana a m. 53,12 sul maggiore, che ha quota 340,83, e passasse a m. 46,50 sul minore che ha quota 348,50 : passasse superior- mente di m. 15 sul Santuario di Trana (m. 400); a m. 21 sopra la piazza di Trana (m. 384) ; a m. 20 sopra Kosta (m. 405) ; a ra. 91 sopra Pianezza (m. 324) ; a m. 45 sopra Rivoli, piazza del Duomo (m. 370); a m. 95 sopra il letto della Dora presso Camer- lette (m. 370); a m. 37 sopra il lago di Casellette. La quota media approssimativa dei terreni delle Vaude, o ter- reno glaciale che si trova a nord di questo sbocco, che é circa m. 400, conferma che il ghiacciaio della regione di sbocco della Val Dora Riparia potesse avere l’altimetria che son venuto deter- minando coi criterii che ho svolti. Rifiettendo che i terreni morenici per 1’ assettamento del suolo dopo il periodo glaciale si abbassarono forse comprimendosi, possiamo formarci un concetto della linea di confine del ghiacciaio col mare pliocenico nella vallata Padana, nella quale il ghiacciaio si dever- sava con lieve pendenza, quasi quella dell’ attuale corso della Dora. [14 febbraio 1896] SUI POSSILI DEGLI STRATI A TEREBRATULA ASPASIA i DI M. CALVI PRESSO CAMPIGLIA Nota di Gustavo Levi. (con una tavola) I I fossili che io ho intrapreso ad esaminare appartengono al Mu- j seo geologico del R. Istituto degli Studi Superiori di Firenze e costi- j tuiscono la fauna di quel calcare bianco di Campiglia, del quale j il Rath {Die Berge von Campiglia, ecc., traduzione del dott. Lotti, ; nel Boll. d. R. Comit. Geol. It. 1877) cosi parla a pag. 284: j a In certi blocchi staccati di un calcare bianco, che sembrava j aver costituito un banco di poco spessore tra gli strati del calcare | rosso immediatamente sotto il vertice di M. Calvi, il Nardi ed io j trovammo una quantità straordinaria di piccolissime Ammoniti che | il Meneghini inclinava a credere corrispondenti a quelle della fauna j di Hierlatz ' II Meneghini, che per il primo studiò questi fossili, li attribuì j per allora al Lias medio. | Il De-Stefani ( Geologia del Monte Pisano. Memorie del R. Co- j mitato Geol. d’ Italia, voi. Ili, pag. 81) disse questi strati corri- : spondere alla zona ad Angulati dell’Europa centrale. | Il Fucini, che ha studiato questa fauna contemporaneamente | a me, ha recentemente pubblicato una nota {Il Lias Medio dei | monti di Campiglia. Estr. dei proc. verbali della Soc. Tose. Se. j Nat. Adunanza 26 gennaio 1896) nella quale, riportando i fossili j determinati dal Meneghini, osserva la mancanza di Psilonoti, An- j gulati ed Arieti e con essa il fatto che gli esemplari attribuiti , all’ Am. cylindricus, Sow., ed sAI Arn. Guidonii, Sow., non apparten- i gono a tali specie, e notando la grande preponderanza di forme i del Lias medio, tra le quali cita l’.4w. Masseanus d’Orh., riferisce | i fossili esaminati a tale epoca. ■ G. LEVI, SUI FOSSILI DEGLI STRATI ECO. 263 I II mio studio mi ha condotto a tale conclusione non solo, ma ■ mi ha fatto altresì riconoscere la grande analogia della mia fauna II con quella degli strati a Ter. Aspasia della contrada Bocche rosse I presso Galati in Sicilia, studiata dal Gemmellaro \^Sui fossili degli i strati a Terebratuìa Aspasia della contrada Rocche Rosse i presso Galati {prov. di Messina), 1884] (’). La maggior parte, infatti, delle mie specie, sono comuni a I quegli strati. Così le seguenti: j Terebratuìa Aspasia Mgh., Phylloceras Partschi Stur., Ph. i Meneghina Gemm., Rhacophyllites libertum Gemm.^ Lythoceras I fimbriatoides Gemm., Tropidoceras erythraeum Gemm. . Inoltre il mio Aegoceras Gemmellaroi non è altro che l'Ae- goceras submuticum Opp. figurato dal Gemmellaro in detto suo lavoro. Il mio SeguenHceras offre qualche affinità col suo Harpoce- \ ras calliplocum ed il mio Amphyceras è molto prossimo 2AT Ampli. . aegoceroides, figurato e descritto dal Gemmellaro. Ecco pertanto 1’ elenco delle mie specie (2) : quelle segnate con * sono state determinate esattamente dal Fucini. Terebratuìa {Pygope) Aspasia Mgh., varietas confr. Myrto. Avicula inaequivalvis Sow. ' Atractites Nardii mihi j * Phylloceras Partschi Stur. I Phylloceras tenuistriatum Mgh. Phylloceras costato-radiatum Stur. * Phylloceras Meneghina Gemm. j * Rhacophyllites libertum Gemm. ; Lythoceras fimbriatoides Gemm. (1) Dopo la presentazione del mio studio alla riunione di Sardegna, alla I quale assisteva il Fucini ; questi, dopo aver conosciuto le mie idee e le mie determinazioni, ha pubblicato una nota nella quale conferma 0, per meglio dire, ripete le conclusioni mie, senza, però, accennare alla loro preesistenza. (*) Le specie dal Meneghini notate sono le seguenti : i Amnonites muticus d’ Orb., A. Jamesoni Sow., A mimatensis, d’Orb. A. Partschi Stur., A cylindricus Sow., A. Lipoldi Hauer., A. Guidoni Sow., : : A. n. sp., A. margaritatus Montf., Belemnites orthoceropsis Mgh. '1 264 G. LEVI Aeaoceras Gemmellaroi mihi = Aeg. submuticum Gemra. non OPP- ..... Seguenziceras Canavarii mini. Amphyceras Savii mihi. Tropidoceras erythraeura Gemm. Praesphaeroceras Campiliense mihi. I miei fossili costituiscono una compatta lumachella, da cui non si possono estrarre che malamente e quasi esclusivamente me- diante il processo della calcinazione. Due soli dei miei esemplari presentano lobi: L’uno di Phylloceras Partschi Stur., nel quale ho dovuto scoprirli artificialmente collo sfregamento sulla pietra ; sono poco ; interessanti, essendo essi parziali ed essendo già stati bene stu- ■ diati dal Meneghini e da altri. L’altro, invece, di Ph. tenuistria- ; tura Mgh., offre molto interesse, essendo il migliore esemplare di ; questa specie con lobi sinora conosciuto, quantunque dessi lobi j siano pure nel nostro incompleti. i Le mie forme sono tutte di piccole dimensioni; il che mi j induce a credere abitassero una scogliera coralligena. i Questa fauna può considerarsi isopica ed isomesica, da un lato j . con quella del Lias inferiore a Psilonoti, come lo mostra anche j l’affinità genetica Amphyceras con gli Psiloceras, dall altro! lato con quella più recente a Posidomraya alpina : chè, per es., il mio Praesphaeroceras può considerarsi quale precursore delle forme oolitiche : Stephanoceras, Morphoceras e Sphaeroceras. Le altre specie non si oppongono a tali ravvicinamenti. ^ Giova infine notare, che gli strati che racchiudono i fossili! da me studiati, non vanno confusi con quelli del calcare ceroide j a Gasteropodi del Lias inferiore studiato dal Simonelli \_Faunula \ del calcare ceroide di Campiglia Marittima (Lias inferiore).\ Atti Soc. Tose, di Se. Nat., voi. VI, 1884], giacché questi sotto-j stanno al calcare rosso ammonitiferp, mentre i primi vi sono so-j vrapposti. ! SUI FOSSILI degli STRATI A TEREBRATULA ASPASIA ECO. 265 i: IBracb.iopoda-A.r'ticnlata.. Terebratula (Pygope) Aspasia Mgh. Tav. vni, fig. 1-2. Dimensioni : Lunghezza mm. 6,7 mm. 6,5 mm. 6 mm. 5 Larghezza » 7,6 » 7 » 6,7 n 6 Spessore * 4,5 * 4 » 3,3 » 3,3 Posseggo di questa specie 5 esemplari, di cui 4 completi. Ho dato le dimensioni di tutti quelli completi, perchè i rapporti delle loro misure variano da individuo a individuo. Si avvicinano, tra le 6 varietà descritte dal Canavari (7 Brachiopodi degli strati a Ter. Aspasia Mgh. nell’ Appennino centrale. Estr. R. Acc. dei Lincei, 1880, pag. 10), alla varietas Myrto (tav. I, fig, 4 e 7), differen- done solo per le dimensioni alquanto più piccole. Questa specie è molto comune nel Lias italiano : comincia nel Lias inferiore nelle zone ad Angolati della Spezia e ad Arietiti dell’ Appennino centrale, ha il suo massimo sviluppo nel Lias medio, anche nella contrada Rocche Rosse presso Galati in Sicilia ed arriva pure al Lias superiore (presso Taormina in Sicilia ed in Lombardia), F*elecypod.a-A.vicu.liciaee. Avicola inaeqoivalvis Sow, Posseggo di questa specie un solo esemplare di valva destra di assai piccole dimensioni; poco visibile è l’orecchietta, ma la forma e la caratteristica ornamentazione non lasciano dubbii sulla determinazione. Questa specie è stata trovata tra noi nel Lias inferiore di Saltrio, di Taormina, del Monte Pisano e dell’ Appennino setten- trionale, ecc, ; nel Lias medio di Taormina e delle provinole di Palermo, di Trapani e di Messina, Oeplialopoclti. Atractites Nardii mihi. Tav. vni, fig. 11-12. Dimensioni di una loggia Altezza Larghezza del diametro maggiore . , » minore . . • Fragmocono appena depresso. Angolo di divergenza nella re- gione ventro-dorsale di 22®. Logge bassissime più che in ogni altra specie. Il rapporto dell’altezza al diametro maggiore è di circa ‘/s- Questa mia specie si avvicina, più che agli altri, all Atractites Cxuidonii Mgh. per 1' angolo di divergenza e per la bassezza delle logge. Ne differisce però perchè nella nostra questa è anche mag- «■iore e la sezione anziché ovale molto allungata, come nell A. Qui- donii, è quasi rotonda. Posseggo, oltre alcuni incompleti fragmoconi di questa specie, anche un frammento di rostro di forma allungata, con sezione ellit- tica, il quale sembra dovesse essere assai acuminato. Forse questo sarà il rostro del mio A. Nardii, essendo stato trovato assieme con esso e non essendosi trovate altre forme di Atractites. Phylloceras Partsclii Stur Di questa specie posseggo molti esemplari lisci. Di quelli ornati da coste non ne posseggo che un piccol numero ed allo stato di frammento. L’ ornamentazione, però, e la forma della con- chiglia corrispondono esattamente al Ph. Partsclii Stur. In un esemplare, mediante lo sfregamento sulla pietra^ sono riuscito a scoprire il lato destro superiore del 1° lobo laterale ed il lato sinistro superiore del 2° lobo laterale. Confrontando col Ph. Partschi Stur. figurato dal Meneghini {Fossiles du Medolo, PI. IH, fig. 3), riscontrai coincidere perfet- tamente, notando solo un minore frastagliamento, dovuto al minore sviluppo della conchiglia. Il Ph. Partschi, è molto frequente nei terreni Lassici Italiani mm. 2 ^ 10 - 8,.5 SUI FOSSILI DEGLI STRATI A TEREBRATULA ASPASIA ECO. 267 ed ebbe lunga vita cominciando dalla zona ad Angulati del Lias infe- riore e continuando per lo meno fino al Lias superiore. È stato trovato tra noi in Sicilia, in Toscana, alla Spezia ed in Lombardia. Phylloceras tenuistriatum Mgh. Tav. vm, fig. 7. 1853. Ammonites Loscombi (non Sow.) Meneghini. TVmowì fossili della Toscana, pag. 10. 1868. Ammonites tenuistriatus Meneghini in Rath. Die 'Berge von Campiglia ecc., n. 10. 1867-79. Ammonites tenuistriatus Eeynès. Monographie des Ammo- nites, pag. 6, tav. XLIV, fig. 16. 1877. Ammonites tenuistriatus Meneghini in De-Stefani. del M. Pisano, pag. 38. 1886. Phylloceras tenuistriatus De-Stefani. Lias inferiore ad Arieti dell' Ap'pennino settentrionale (Atti Soc. Tose, di Se. Nat. Me- morie, voi. vm, pag. 51, tav. Ili, fig. 7-9). Non starò a descrivere questa specie già esattamente descritta; solo dirò che i miei esemplari corrispondono perfettamente al Ph. tenuistriatum tipico già descritto dal De-Stefani, ben figurato dal Reynès e poi studiato pure dal Canavari a proposito del Ph. occiduale (Canavari, Contribuzione alla fauna del Lias infe- riore della Spezia, 1888, pag. 54, tav. II, fig. 13). Il Geyer, nella sua opera {Die Mittelliassische Cephalopoden des Hinter-Schafberges, 1893), unì al Ph. Partschi Stur. una specie che ne differisce grandemente per avere le coste molto più rilevate e più rade e per la presenza di solchi che mancano nel Ph.^ Partschi, e riferì al P. tenuistriatum Mgh. una specie che non lo è e che si avvicina invece al Ph. Partschi, differendone al- quanto per avere le coste meno rilevate ed i giri più convessi. Però in un’ opera precedente il Geyer stesso ( Ueber die liassische Cephalopoden, ecc. 1886, pag. 4, tav. I, fig. 6-9) aveva descritto e figurato giustamente il Ph. Partschi. Di questa specie, come già dissi, posseggo un discreto esem- plare con linea lobale scoperta naturalmente e con caratteri assai visibili. Poiché le descrizioni dei lobi di questa specie sono inesatte, 19 G. LEVI 268 COSÌ mi accingerò a completarle con un accurato esame del mio fìR0TTÌpl3.rG. Il setto è composto del lobo sifonale, due lobi laterali e vari ausiliari, di cui almeno 3 visibili. Tutti i lobi sono assai ristretti. Il lobo ventrale e la sella sifonale sono poco visibili. Il lobo laterale superiore termina in 3 punte, il lobo laterale inferiore e gli accessori ripetono il primo in proporzioni minori. Le selle laterali e la prima accessoria ter- minano difille. Delle altre accessorie e di quella ventrale non se ne può dir nulla perché poco se ne vede. Le estremità delle selle, ad eccezione di quella ventrale, si trovano su di una linea retta. Una linea radiale, tangente a tutti i lobi, taglia però il lobo latera e suneriore lasciandone fuori parte assai grande. Diversifica così la linea lobale di questa specie da quella del PL occidmle Can., perchè i lobi sono maggiormente ristretti, le selle, compresa la prima laterale, sono difille e perchè una linea radiale tangenziale ai lobi lascia fuori una parte maggiore del lobo superiore. Dal Ph. Partschi Stur. diversifica perchè in questa specie una linea tangenziale ai lobi non taglia o solo un poco il lobo supe- riore, e la prima sella laterale anziché difilla, come nel Ph. tenui- striatum, è trifilla. Il De-Stefani ha già figurato di questa specie lobi molto im- perfetti, lustrando gli esemplari. I lobi figurati combinano coi nostri , però la prima sella laterale vi comparisce trifilla per interpretazione di sezioni, le quali però non sono abbastanza sicure. Phylloceras colato -radiatum Stur. 1886. Phylloceras costato-radiatnm Stur. in Geyer. Ueher die lias- sische Cephalopoden ecc., pag. 218 (6), tav. I, fig. 10. Posseggo di questa specie solo alcuni esemplari incompleti, ma con caratteri cosi visibili da non farmi esitare ad unirla alla specie dello Stur, descritta dal Geyer (op. cit.). Questa specie ha scultura simile a quella del Ph. tenuisLria- tum Mgh., ma ne differisce per la forma assai più globosa della conchiglia e per le coste rilevate e rade. Sinora era stata trovata solo dal Geyer negli strati di Hierlatz (zona ad Arieti, parte sup. del Lias inf.). SUI FOSSILI DEGLI STRATI A TEREBRATULA ASPASIA ECC. 2G9 Phylloceras Meneghina Gemm. 1874. Phylloceras Meneghini! Gemmellaro. Faune giuresi e liassiche di Sicilia, pag. 102, tav. XII, fig. 23. 1884. Phylloceras Meneghini! Gemmellaro. Sui fossili degli strati a Ter. Aspasia della contrada Rocche Rosse presso Salati {pro- vincia di Messina), pag. 8, tav. II, fig. 13-17. 1885. Phylloceras Meneghini! Seguenza. I minerali della provincia di Messina, pag. 50. 1895. Phylloceras Meneghini! Bonarelli. Fossili domeriani della Brianza (Rendiconti del E. Istituto Lombardo di Scienze e let- tere, serie II, voi. XXVIII), pag. 7. Posseggo pochi esemplari di questa specie, ma uno di questi assai ben conservato mostra caratteri identici a quelli della specie del Gemmellaro, per cui non esito a riunirveli. -r- Differisce dal Phylloceras Lipoldi, cui è stato attribuito dal Meneghini, per avere giri assai più rigonfi e rombellico più stretto. Si avvicina pure al Phylloceras ancylonotus De-Stefani, dal quale però si distingue per la maggiore convessità della conchiglia. Posseggo alcuni esemplari che sembrano essere più vicini al Phylloceras convexum De-Stefani che al Ph. Meneghina \ ma il loro imperfetto stato di conservazione mi impedisce di affermarlo con certezza. Rhacophyllites liberium Gemm. Questa specie è caratteristica del Lias medio, quantunque si trovi pure nel Lias superiore del Messinese, nonché nel Lias inferiore di Possano Calabro, nella zona ad Angulati di Gerfalco in Toscana e forse anche nel Lias inferiore di Erto nel Veneto. Ne posseggo solo alcuni esemplari, i quali presentano più ana- logia di tutti con quelli del Gemmellaro della contrada Rocche Rosse presso Galati in provincia di Messina. Posseggo inoltre alcuni frammenti dubbii di Rhaoophyllites, i quali forse potrebbero unirsi al Rhacophyllites Nardii Mgh., ma non posso affermarlo con certezza. 270 G. LEVI Lylhoceras fimhriatoides Gemm. 1884. L5'thoceras fimbriatoides Gemmellaro. Sui fossili degli s'.rati a Terebratula Aspasia della contrada Rocche Rosse presso Salati {provincia di Messina), pag. 13, tav. Ili, fig. 20-23. Posseggo un frammento di giro che corrisponde a questa specie del Gemmellaro più che alle altre hrmQ Lylhoceras. notano benissimo nel mio frammento le coste poco rilevate ed increspate con andatura sigmoidale e negli intervalli altre 4 o 5^ costoline secondarie pure sigmoidali, più sottili che non gli spazi tra esse interposti. Non si scorgono però le strozzature alle quali accenna il Gemmellaro. Aegoceras Gemmellaroi mihi. Tav. Vili, fig. 3-6. 1884 Aegoceras submuticum non Oppel Gemmellaro. Sui fossili degli strati a Terebratula Aspasia della contrada Rocche Rosse presso Salati [prov. di Messina), pag. 19, tav. HI. fig. 6-7. Dimensioni : Diametro Altezza dell' ultimo giro in rapporto al diametro Spessore " ” ” 41 0,25 0,20 Conchiglia compressa. I giri lentamente crescenti sono poco alti, hanno fianchi leggermente convessi e sono pianeggianti o quasi verso Tombellico. Sono ornati da coste (circa 35 neU' ultimo giro, | 31 nel penultimo) grosse, presso a poco, quanto gli intervalli, diritte nei giii interni ed alquanto sigmoidali o leggermente con- vesse verso r apertura negli ultimi giri. Ciascuna di esse, dopo i formato al contorno esterno un grosso tubercolo aculeiforme, si sfiocca in due e talora più costicine secondarie che percorrono, con andamento simile alle primarie, la regione ventrale. In questa regione, negli intervalli di gruppi di costicine partenti da tubercoli, ve ne sono intercalate delle altre più sottili, le quali seguitano pure nella regione dorsale. I tubercoli aculeiformi, per quanto se ne può dedurre, essendo tronchi nell’ultimo giro, dovevano essere lunghi ed acuminati e, specie in questo, disposti un poco obli- quamente all’asse della conchiglia. 271 SUI FOSSILI DEGLI STRATI A TEREBEATULA ASPASIA ECO. La sezione dei giri è quasi rettangolare. Se noi confrontiamo la nostra specie Aegocerm submuti- cum Opp., figurato dal Gemmellaro nella sua pubblicazione: Sui fossili degli strati a Tevebratula Aspasia della contrada Rocche Rosse presso Galati (provincia di Messina), 1884, tav. Ili, fio- notiamo subito come i caratteri dell'esemplare da lui figurato coincidano con quelli della nostra specie. Se non che l'esem- plare del Gemmellaro presenta, come i nostri, differenze notevoli coir Aegoceras submuticum Opp. Se osserviamo infatti \ Aegoceras submuticum tipico, chiamato Ammonites natrix-oblongus dal Quenstedt {Die Ammoniten des Schwàbischen Jura, tav. XXXIII, fig. 7, 8, 9, 19, 23, 28, pag. 262), scorgiamo subito delle notevoli differenze col nostro esemplare e quindi con quello del Gemmellaro. Così la nostra conchiglia è al- quanto più compressa, le coste sono sigmoidali o curve e biforcate, mentre in quella sono diritte ed intere od appena convesse verso 1 interno. Inoltre il nostro Aegoceras presenta, tra le coste primarie, delle altre coste più sottili che seguitano sul dorso, laddove in quello non ne abbiamo traccia e gli aculei nel nostro seguitano palesi anche sul dorso. Confrontiamo dipoi la nostra specie coll’^e^. submuticum del Meneghini {Monographie du calcaire rouge, etc., 1867-71, tav. VI, in appendice, fig. 3). In questo le coste sono intere, con intervalli irregolari, e solo alcune alternativamente sono munite di tubercoli, anzi nellultimo giro sembra ne siano tutte prive; le coste secon- darie sono presso a poco grandi quanto le primarie e bene svilup- pate sul dorso : caratteri tutti che nella nostra specie non si ripetono. Osserviamo finalmente 1’ Aegoceras submuticum del Wright {Monograph on thè Lias Ammonites of thè British Islands, 1878-86, pag. 368, tav. XXVII, fig. 1-2). In questo i giri si accre- scono più rapidamente, sono inoltre grossi presso la regione dorsale e vanno poi restringendosi, mano a mano, verso l’ ombellico, in guisa che la sezione vien quasi ad avere la forma di un trapezio. Il dorso è assai più convesso che non nella nostra specie, le coste meno accentuate nella regione ventrale e più visibili sul dorso. In questa forma, al contrario di quella del Meneghini, i tubercoli sono rego- lari in tutte le coste primarie, ma solo negli ultimi giri, mancan- done completamente i primi. 272 G. LEVI Col nome di Aegoceras mbmuticum si comprende adunque tutta una serie di forme abbastanza diverse tra loro. SeguenziceTas nov. gen. mibi {ÀTieticeras Seguenza). Il Seguenza (/ Minerali della ‘provincia di Messina, parte 1, Rocce Messinesi, 1885, pag. 67. Intorno al Sistema Giurassico dei terreni di Taormina. — Il Naturalista. Siciliano, anno IV, n. 10) fondò il genere Arieticeras per quegli Harpoceratidi che presen- tano carena dorsale accompagnata da due solchi e coste poco fles- suose e che perciò si avvicinano agli Arietites, prendendo egli per tipo r Harpoceras Algovianum Opp. Bisogna però notare che il nome generico Arieticeras fu dal Quenstedt usato come sinonimo di Arietites-, per cui, non ritenendo giusto uno stesso appellativo per due generi diversi, ho dato il nome di Seguenziceras a quello fondato dal Seguenza. Il Geramellaro {Sopra alcuni Harpoceratidi dei dintorni di Taormina, 1885, pag. 9), sostiene che il genere Arieticems fu male proposto perchè il Seguenza lo applicò a forme oggi ritenute abbastanza diverse ; però, come abbiamo già detto, il Seguenza lo propose prendendo come tipo 1’ Harpoceras Algovianum, e 1 avere poi riunito alcune forme diverse da questo non impedisce che questa sezione Arieticeras, indipendentemente dal nome, non sia fatta bene e giustamente formata. Essa d’altronde è diversa dai Grammoce- ras e dagli altri sottogeneri nei quali è stato recentemente sud- diviso il genere Harpoceras. Seguenziceras Canavarii mihi. Tav. vm, fig. 8. Posseggo di questa specie due soli esemplari : Uno di indivi- duo adulto in cui è con caratteri visibili solo una parte dell ul- timo giro, ed un altro, in forma di frammento di giro interno. I caratteri che potei desumere dai miei esemplari sono i se- guenti: Conchiglia discoidale, leggermente compressa^ ai lati, con ombellico largo e con regione ventrale a contorno ogivale, appena carenata nel mezzo. I giri crescono assai lentamente ed abbrac- ciano per quasi metà d’altezza i precedenti. I fianchi sono appena convessi. Le coste sono assai numerose ed equidistanti. Esse par- SUI FOSSILI DEGLI STRATI A TEREBRATULA ASPASIA ECO. 273 tono dal contorno dell’ ombellico, percorrono i fianchi con linea leg- germente sigmoidale e, giunte presso il contorno esterno, si curvano fortemente, arrestandosi ai solchi laterali alla carena. Dette coste sono più grosse nel punto di curvatura che non lo sieno nel resto del loro percorso. Verso 1 ombellico sembra che alcune abbiano tendenza a biforcarsi. La carena è limitata da due solchi stretti assai e profondi. La sezione dei giri è ovale. Questa specie si può dire una forma intermedia tra l’ Harpo- ceras Bertrandi Kilian e l’ Harpoceras calliplocum Gemm. [Gem- mellaro. Sui fossili degli strati a T er ebratul a Aspasia della contrada Rocche Rosse presso Salati (provincia di Messina)^ 1884, pag. 44, tav. VII, fig. 11-18]. Dal primo differisce per avere la carena meno saliente, i solchi meno profondi e le coste alquanto più sigmoidali e con i rami della curva presso i solchi più lunghi. Dal secondo per avere la conchiglia meno compressa, le coste più numerose, più sigmoidali e con angolo di curvatura più lungo. Inoltre nella nostra specie la carena è limitata da due solchi che in quella del Gemmellaro mancano affatto. Amphyceras Savii mihi Tav. Vili, fig. 9. Dimensioni : lametro gg Altezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro. 0,38 Spessore » „ , Q2g Conchiglia discoidale compressa ai fianchi e rigonfia nella regione ventrale. I giri crescono rapidamente e sono più alti che spessi ; la loro maggiore larghezza è presso il contorno ombellicale, donde vanno verso 1’ esterno restringendosi gradatamente. I fianchi sono piani. Le coste, assai numerose e assai grosse, partono dal contorno ombellicale con convessità rivolta all’apertura; giunte presso il terzo esterno si ripiegano con convessità opposta più mar- cata, descrivendo, in tal guisa, una curva sigmoidale. Dette coste, più forti nel primo terzo, svaniscono lentamente, quasi del tutto verso l’ esterno, sfioccandosi in sottilissime costicine che continuano sul dorso. Questo manca di carena e di solchi, ma 274 1 G. LEVI j vi sono palesi le costicine sottili, in numero almeno doppio delle : coste maggiori presso Tombellico, formanti delle anse convesse verso ; l’apertura e più marcate che non lo sieno sui fianchi in contiguità del dorso. In questa specie si notano altresì delle altre costoline, appena visibili, che partendo dall’ ombellico negli intervalli delle coste maggiori percorrono tutta la superficie della conchiglia. La sezione dei giri è un ovale molto ristretto al lato esterno e slargato verso l’interno. Esaminando uno ad imo tutti gli AmiJhyceras descritti dal Gemmellaro, non ne trovai alcuno cui poter riferire esattamente la mia specie. -in n i Il più prossimo è \ Arafhyeera^ aegoceroides Gemm., ma ii mio ne differisce per il numero maggiore delle coste (in esemplari della stessa grandezza, presso a poco, uno spazio di 7 mm. nella i mia specie comprende 4 coste ed in quella del Gemmellaro 3) e , per la presenza delle costoline intermedie che mancano affatto : jioA'Amj). aegoceroides. ;i i i Bisogna però notare che parecchie delle forme descritte a | Gemmellaro sono molto vicine tra loro e potrebbero essere, in parte, j delle semplici varietà, tra le quali potrebbe rientrare anche la mia. , Tropidoceras erythraeum Gemm. Tav. vili, fig. 10 1884. Harpoceras erythraeum Gemmellaro. Sui fossili degli Terehratula Aspasia della contrada Rocche Rosse pr ^ Salati {provincia di Messina), 40, tav. V, fig. 10G6. 1885. Cycloceras erytraeum Seguenza. I minerali della ‘ Messina, parte I: Ze Rocce Messinesi, pag. 67. Intorno al sistema Giurassico dei terreni di Taormina. {Il Naturalista Siciliano, TV 10^ I miei esemplari, quantunque incompleti, corrispondono esat- tamente all’ Harpoceras erythraeum descritto dal Gemmellaro (op. citata). , In un esemplare mio si scorge bene la bocca, la quale, come nel Tropidoceras demonense Gemm., ha i lati muniti di un cer- cine robusto, più falciforme però che non sia in questo, che si pro- lunga in avanti, contornando l’appendice ventrale. 275 SUI FOSSILI DEGLI STRATI A TEREBRATULA ASPASIA ECC. Sinora il Tropidoceras erythraeum^ tra noi, non era stato tro- vato che in Sicilia. Praesphaeroceras nov. gen. mihi. Conchiglia involuta, generalmente rigonfia. Giri più larghi che alti. L’ultimo giro ricopre completamente o quasi gli altri. Fian- chi talora assai rigonfi, per lo più alquanto depressi. Ombellico stretto e talora assai profondo. Coste sottili sdoppiantisi presso l’omhellico in due o più costoline secondarie, molto curve all’ in- nanzi, presentanti talvolta incerti tubercoli al punto di sdoppia- mento. Dorso attraversato dalle coste e privo di carena e di solchi. Bocca restringentesi, con peristoma liscio, a quanto pare senza orecchiette laterali, assai proteso all’ innanzi sul lato ventrale. Questo mio genere presenta molti caratteri, affini ad altri ge- neri già conosciuti, più recenti (Oolitici). Così presenta affinità cogli Sphaeroceras per la globosità della conchiglia, per essere anche questa molto involuta e con ombellico assai stretto, per avere il dorso privo di carena e di solchi, le coste sottili, biforcantisi ed assai cur- vate all innanzi e per la forma dell’apertura. Però i più numerosi esemplari mostrano qualche affinità cogli Stephanoceras, avendo con- chiglia meno involuta, ombellico meno stretto e più superficiale, fian- chi quasi pianeggianti e talora traccio di tubercoli al punto di biforca- zione delle coste. Alcuni esemplari, poi, che presentano degli stroz- zamenti periodici mostrano qualche affinità pure coi Morphoceras. Insomma questa nostra forma ha in sè caratteri di parecchi generi oolitici differenti assai; ma rassomiglia maggiormente agli Sphaeroceras, specie per la gonfiezza della conchiglia e per la forma delle coste, per cui ho chiamato questo genere Praesphaeroceras e lo considero come precursore delle forme più recenti sopra dette. Non sono riuscito a scoprire lobi. Praesphaeroceras Campiliense mihi. Tav. Vin, fig. 13-19. Dimensioni : Esempi, rigonfio Esempi, compresso Diametro mm. 7,3 . . mm. 15,8 Rapporto dello spessore dell’ultimo giro al diametro 1,01 ... . 0.48 276 G. LEVI, SUI FOSSILI DEGLI STRATI ECO. La mia specie offre caratteri molto incostanti. In alcuni esemplari la conchiglia è molto rigonfia, presentando lo spessore dell’ ultimo giro di maggior dimensione del diametro dell’ intera conchiglia (come gli Sphaeroceras) ; in altri invece è lewo-ermente compressa ai fianchi e con ombellico assai largo e super- ficaie. La conchiglia in tutti è molto involuta con giri general- mente più larghi che alti e l’ultimo giro ricopre, interamente o quasi, gli altri. È ornata di coste poco rilevate, numerose e larghe, pressò a poco, quanto gli intervalli, le quali, nella regione ven- trale, in contiguità dell’omhellico od in prossimità di esso, dove la convessità dell’ultimo giro è massima, si sdoppiano in due o piu costoline secondarie che si ripiegano nettamente e fortemente in avanti e continuano pure sul dorso, dove, però, sono assai più de- presse. Il dorso è privo di carena e di solchi. In alcuni esemplari, nei punti dove le coste si sdoppiano, cioè sulla convessità massima della conchiglia, si manifestano traccio di spessimenti come tuber- coli, quali si vedono assai più marcati negli Stephanoceras. ' Alcuni esemplari nell’ ultimo giro presentano degli strozza- menti, indicanti delle successive interruzioni di accrescimento, che ricordano quelli dei Morpìioeeras. La bocca presso il peristoma, si restringe ed è liscia; il peri- , stoma, a quanto pare, senza orecchiette laterali, ha il lato ventrale , liscio proteso in avanti a guisa di tetto, in rapporto coll andamento delle costoline. Carattere comune cogli Sphaeroceras. [15 settembre 1896] SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Vili. Fig. 1-2. Terehratula {Pygope) Aspasia, Mgh. (volte 1 ‘,2). n 3-6. Aegoceras Gemmellaroi, milii (grandezza naturale;, n 7. Phylloceras tenuistriatum, Mgh. (volte 1 'A)- )) 8. Seguenziceras Canavarii, mihi (grandezza naturale). n 9. Amphyceras Savii, mihi (grandezza naturale). n 10. Tropidoceras erythraeum, Gemm. (grandezza naturale). » 11-12. Atractites Nardii, mihi (grandezza naturale). « 13-19. Praesphaeroceras Campiliense, mihi (volte 1 ‘A)- Boll. della Soc. Geol. Italiana. Voi. XV Tav Vili NUOVI AFFIORAMENTI ALENI ANI DELL’ APPENNINO CENTRALE. Nota del dott. Guido Bonarelli. Posteriormente alla pubblicazione del mio lavoro: Osservaz. sul Toarciano e V Aleniano dell Affermino Centrale (') ho eseguito ulteriori ricerche paleontologiche nell’uno e nell’altro di questi due piani, in vari punti della regione, ed ho trovato nuovi afBoramenth aleniani della cui fauna desidero ora dare un brevissimo cenno. Frattanto prima di svolgere tale argomento, richiamerò l’at- tenzione dei coUeghi sopra^ una interessante rettifica fatta recen- temente dal chiar. prof. M, Canavari (2) ad una frase del mio sud- detto lavoro. Io scriveva (^) : « Tra i fossili raccolti dal Canavari nelle marne rosse di M. Gemmo presso Camerino (Marche), trovo citato ('*) un frammento di Ammonite riferibile «all’ Am. (?) Regley H. v. Thioll. » Ma Am. Regleyi sembra sinonimo di Tmetoceras scis- sum Ben. la quale forma, in Italia (^), è caratteristica dell’Unter- erdogger (Aleniano). Ciò mi fa supporre che anche a M. Gemmo la parte superiore delle marne rosse ammonitifere debba riferirsi a questo piano (aleniano) » . Così ora scrive il prof. Canavari : « Basandosi poi (il Bo- narelli) sopra un’Ammonite raccolta a M. Gemmo presso Camerino e riferita già aH’Amm. Regleyi Th. (A. scissus Ben. ?), egli ritiene (‘) Boll. Soc. geol. it., 1893, XII, fase 2“, p. 195. C) Canavari M., Sul preteso Dogger di M. Gemmo presso Came- rino. Atti Soc. Tose. Se. Nat., Proc. Verb., Adun. 21 gennaio 1894, p. 44. U) Bonarelli G., op. cit., p. 226. U) Canavari M., Sopra un lembo di Lias Superiore a M. Gemmo. Atti Soc. Tose. Se. Nat. Proc. Verb. Adun. 9 marzo 1879. C) Aggiungo ora; non solo in Italia, ma in Francia (Haug), in Inghil- terra (Buckman) ecc. 278 G. BONARELLI provata anche colà resistenza del Dogger inferiore. Perchè non 2 nasca confusione, debbo ricordare che quell’ Ammonite fu da me 1 stesso cavata dalla viva roccia calcareo-mamosa rossastra, da cui : estrassi le specie più tipiche del Lias superiore, quali Lillia Mer- cati Hau. sp., nUdoc. bifrons (*) Brug. sp., Phylloc. Boderlei- 1 nianum Cat. sp., Phylloc. Capitanei Cat. sp. etc. Le successive : ricerche potranno forse dar ragione all’egregio Bonarelli, ma egli ; sarà il primo a riconoscere che l’Ammonite citata, nelle condizioni ' in cui fu trovata, non è documento sufficiente per asserire la pre- ; senza del Dogger inferiore al M. Gemmo presso Camerino Mi associo completamente a queste parole del prof. Canavari e molto lo ringrazio di aver rettificato una mia semplice suppo- sizione la quale, davanti ad una prova di fatto così evidente, ri- marrebbe priva di fondamento. Però mi tormenta un grave dubbio e nello stesso tempo sento vivissimo il desiderio che questo dubbio venga chiarito: — L’esemplare d’ Ammonite raccolta nelle marne rosse di M. Gemmo, e « riferita già * dal prof. Canavari dlX Amm. Regleyi {= Amm. scissus Ben.), appartiene veramente a questa forma tipica (0 ad altra forma affine) del gen. Tmetoceras Buckm. ? Ovvero meglio si tratta di una forma tuttaffatto diversa e riferi- bile ad altro genere ben distinto? Una risposta precisa a tali domande è di non lieve impor- tanza, inquantocbè: se l’esemplare in questione è veramente uno Tmetoceras dovremmo riconoscere al prof. Canavari il merito di una importante scoperta paleontologica avendo egli indicato, per la prima volta ch’io mi sappia, una forma di questo genere nei depo- siti del Toarciano inferiore {falciferum — zona) (^) (1) Queste due forme vengono generalmente considerate dagli autori co- me caratteristiche del Toarciano inferiore. (2) L'Amm. Regleyi Thioll., descritto e figurato per la prima volta da Dumortier (1874, Bassin du Rhòne IV“® part., p. 119, PI. XXXI, fig. 8-9), venne indicato da questo autore per la «Zone de YAmm. bifronsri. Faccio subito osservare che il Dumortier chiamava con questo nome tutto intero il Toarciano (compresa la zona a Lytoc. jurense) e con ogni probabilità anche una piccola parte dell’Aleniano inferiore. Infatti certe forme come Haugia malagma (Dum.), Lytoceras rabescens (Dum.), Hammatoceras insigne (Dum. ex p. non Schubl.) etc., vennero in seguito indicate da altri autori (Vacek, etc.) per l’Oolite inferiore (Aleniano). Eicorderò inoltre che alcuni riferimenti cronologici indicati nell’opera di Dumortier per le forme da lui descritte si NUOVI AFFIORAMKNTt ALENCANI DELL’aPPENNINO CENTRALE 279 Se invece questo esemplare non è, come io penso, uno Tme- tocsvùSj sarebbe allora opportuno di verificare a qual genere e for- ma di Ammonite esso debba venir riferito. Intanto mi compiaccio di poter dichiarare che la presenza del Dogger inferiore (aleniano) a M. Gemmo presso Camerino è ornai per me una cosa certa, ben lieto che le previsioni del prof. Cana- vari (*) siansi così verificate. Intendo occuparmi di tutto ciò più ampliamente in un altro lavoro, quando cioè per ulteriori e più ampie ricerche mi sarà dato di fare opera di maggiore dettaglio, limitandomi per il momento a render noto agli studiosi che nel K. Museo geologico di Bologna, provenienti da M. Gemmo presso Camerino, ho trovato un buon esemplare di EvycitBS fcdlax (Ben.) ed un altro di Dimortieria n. f., amendue caratteristici dell’ Aleniano, e che altre Ammoniti pure aleniane della stessa località, ebbi occasione di vederne, s’io ben mi ricordo, nelle col- lezioni del R. Museo geologico e paleontologico di Firenze. Ecco ora l'elenco delle nuove località Aleniane dell’Appenni- no Centrale e dei fossili che in esse furono finora raccolti: Gorga Ce r bara presso Piobbico (versante orientale del M. Nerone). Calcari marnosi rossi e giallastri con Phyl- riconobbero recentemente non esatti, (p. es. Amm. Leonciae Dum. etc). Infine: mi associo alla conclusione dei distinti ammonitologi Haug e Buckman i quali, nelle loro recenti importantissime ricerche paleontologiche sui terreni toar- ciani ed aleniani di Francia ed Inghilterra, indicarono il gen. Tmetoceras come generalmente limitato alle zone inferiori dell’Aleniano. A tal proposito infatti così rispondeva gentilmente l’Haug ad una mia lettera: « Monsieur et cher confrère, “ Dumortier cite 1 Amm. Regleyi Thioll., qui est certainement un Tme- « toceras très voisin du scissum si ce n’est identique, dans le Toarcien (cou- « ches à Amm. bifrons), mais je ne suis pas à mème de vérifier ce gisement. « A la Verpillière (dove è stato raccolto l’esemplare tipico MVAmm. Regleyi) ton a souvent confondu les faunes du Toarcien sup. et de l'Aalénien inf. « Je crois come vous que Tmetoceras est bien caractéristique de l'Aalénien. « Croyez à l’expression etc. “ E. Haug ». (1) Canavari M., 1885, Cenni preliminari alla Memoria del Meneghini: JVuove Amm. dell'App. Centrale, etc. Atti Soc. Tose. Se. Nat., Voi. VI, p. 336; Canavari M., 1894, loc. cit. p. 44. 280 G. BONAREI.LI, NUOVI AFFIORAMENTI ALENIANI ECO. loc. ultramoYitanum Zitt., Tmetoc scissum (Bea.), Ery- cites fallax (Ben.). Val Merigge presso Scheggia (tra M. Moiette e il Ronco Griovanello). Calcari marnosi più o meno compatti, prevalentemente rossi con Phylloc. gardanum Vac., Phyl- loc. ultramontanum Zitt., Grammoceras aalense (Ziet.). ^ M. Ginguno-Rosenga. Calcari marnosi compatti, grigiastri | 0 giallognoli, con Phylloc. chonomphalim Vac., Phylloc. ! idtramontamm Zitt.. _ _ i M. Martino presso F i c a n o (gruppo del Suavicino). Cai- | care compatto rosso o giallastro, con Tmetoc. scissum I (Ben.). M. Penna presso Gualdo Tadino (in località un po al di sopra della Miniera di ferro). Calcari marnosi rossi e giallastri con Enjcites fallax (Ben.). Cesi presso Terni. Calcari marnosi rossi e giallastri con Phìjlloc. ultramontanum Zitt.. I Moretti presso Narni. Calcari marnosi rossi e gial- lastri, talora grigiastro-verdognoli, con Dumortieria Me- neghini Haug, Tmetoc. scissum (Ben.), Enjcites fallax (Ben.). Buona parte di questi fossili fu raccolta da me e si conserva nelle collezioni paleontologiche del R. Museo geologico di Torino. Alcuni esemplari invece si conservano nel R. Museo geologico di Bologna, ed io ringrazio vivamente il chiar. prof. Capellini, che mi permise di studiarli. [20 marzo 1896] AVVERTENZE Per far parte della Società occorre esser presentato da due soci in una Adu- nanza ordinaria, e pagare una tassa d’entrata di L. 5 e una tassa annua di L. 15. La tassa annua può essere sostituita dal pagamento di L. 200 per una sola volta. Ogni socio all’atto dell’ammissione si obbliga di restare nella Società per tre anni, al cessare dei quaU Pimpegno s’intende rinnovato di anno in anno, se non venga denunziato tre mesi prima della scadenza. La tassa sociale annua di L. 15 deve essere pagata entro i due primi mesi dell’ anno. I soci hanno diritto ai Bollettino che si stampa in fascicoli trimestrali. Nel Bollettino si pubblicano le memorie presentate nelle Adunanze, insieme all’elenco dei soci, ai bilanci, ai resoconti delle Adunanze generali e delle escursioni. Le memorie che non vengono presentate in Adunanza generale saranno in- viate alla Presidenza, e per essa al Segretario : col visto del Presidente saranno trasmesse alla stampa secondo l’ ordine di presentazione. Fino a nuova disposizione non si accettano le memorie che per estensione su- perino approssimativamente quattro fogli di stampa e quelle che fossero lavori di compilazione. Le note e comunicazioni da inserirsi nei resoconti delle adunanze non devono superare due pagine. I manoscritti dovranno consistere ih fogli dello stesso formato, scritti da una sola parte, in caratteri^ intelligibili, senza di che la Presidenza potrà respingerli. I lavori scompleti, sia nel manoscritto, sia nelle tavole, non possono essere jffesi in considerazione per la stampa. Una Memoria già presentata alla Società, e ritirata per modificarla o completarla, qualora non sia rinviata alla Segreteria entro 15 giorni, perde il suo turno per la stampa. Gli autori che domandano un sussidio per 1 ’ esecuzione di tavole o illustra- zioni annesse alle loro memorie devono presentare un preventivo della spesa totale sul quale la Presidenza determinerà càso per caso, secondo il bilancio sociale, se debba concedersi il concorso e in quale proporzione. La somma accordata sarà co- municata all’autore, ed ogni spesa maggiore dovrà essere esclusivamente a carico di questo. Per le carte geologiche non si concede alcun sussidio. Le prove delle tavole (anche di quelle che gli autori fanno eseguire a proprie spese) debbono essere sottoposte al visto della Presidenza prima della tiratura. Di ciascuna memoria il Segretario spedirà all’autore, per la correzione, una pova in colonna^ che dovrà essergli restituita al più tardi entro 15 giorni, e una in pagina, da restituirsi entro 8 giorni. Se le prove non saranno restituite nel termine prescritto, il Segretario s’in- càricherà d’ufficio della materiale correzione degli errori tipografici senza assumere edcuna responsabilità. Il Segretario prima di deliberare la stampa delle memorie si assicurerà che le correzioni indicate dagli autori siano state eseguite. Le spese straordinarie cagionate da correzioni maggiori del consueto, da cam- biamenti 0 rifusione di paragrafi, come pure la stampa di tavole sinottiche di formato maggiore del testo saranno addebitate agli autori, ed essi saranno in obbligo di pagarle al Segretario non appena ne abbiano ricevuto il relativo conto col visto del Presidente. Agli autori si dànno 50 copie degli estratti con copertina stampata. Se l’autore intende far tirare estratti per conto proprio, deve indicare per iscritto sulla prima prova corretta della sua memoria il numero degli esemplari che ne desidera. Il prezzo di 50 in 50 copie, con , copertina stampata ecc. sarà di L, 4 ogni foglio di pag. 16, e di L. 2 per ogni mezzo foglio o frazione di mezzo foglio. L’importo di questi estratti sarà indicato dal Segretario sulle bozze impagi- nate. Qualora l’autore non l’abbia pagato anticipatamente al Segretario, gli estratti saranno spediti contro assegno. A qualunque socio, il quale col 1“ aprile dell’anno corrente si trovi ancorate arretrato pel pagamento della tassa sociale dovuta per l’anno precedente, sarà sen- z’altro sospeso l’ invio delle pubblicazioni della Società e il medesimo non potrà prendere parte alle Adunanze. La presentazione delle memorie e la stampa delle medesime non avrà corso se l’autore non avrà pagato la tassa dell’anno ih corso o soddisfatto ogni altro impegno verso la Società. Per il pagamento della tassa d’entrata, della tassa annua e per l’acquisto dei volumi del Bollettino dirigere lettere e vaglia all’Economo cav. ing. Augusto Statuti, via dell’Anima, 17, Eóma. INDICE delle matekie contenute nel presente fascicolo Fucini A. Faumla del Lias medio di Spezia. . . • Pag. 1 Chelussi I. Le roccie del vallone di Valnontey in Val di Cogne " 1 Franchi S. Prasiniti ed Anfiboliti sodiche provenienti dalla metamorfosi di roccie diabasiche presso Peglij nelle isole Giglio e Gorgona ed al Capo Argentario . . . • ” 16 SiMONELLi V. Sopra due nuovi Pteropodi delle argille di Si- 3 18* vizzano nel Parmense ViNASSA DE Regny P. E. 1 molluscU delle Glauconie bellu- ” 19 lunesi ‘ Zaccagna D. La Carta geologica delle Alpi Apuane ed i ter- „ 2 reni che le costituiscono Olivero e. Impronta dell’ epoca glaciale allo sbocco di Valle » 25i Dora Riparia Levi D. Sui fossili degli strati a Ter ebratula Aspasia di M. Calvi presso Campiglia Bonarelli G. Nuovi affioramenti al e ni ani dell' Appennino ...” centrale Finito di stampare il 30 settembre 1896. Anno XV. Fascicolo 3“ (4° trimesti-e 1896) BOLLETTINO DELLA società geologica ITALIANA Voi. XV. — 1896. BOMA TIPOORAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1S96 , Il resoconto dell’ adunanza straordinaria tenuta in Sardegna verrà ^^ampato in apposito fascicolo che conterrà anche l’ indice generale del ^Tolmne XV (1896) e sarà pubblicato fra breve. BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Volumi finora pubblicati. Voi. I (1882) 260 pag. e 4 tavole. J! II (1883) 314 » 6 tavole. H III (1884) 188 w » una tavola. J» IV (1885) 528 « 19 tavole e 3 carte geologiche a colori. Jl V (1886) 516 n 11 tavole. J» VI (1887) 570 ir 18 tavole e una carta geologica a colon. « VII (1888) 430 ir 14 " » » » V w vili (1889) 600 ir 3 ti » » » f ir IX (1890) 826 ir 25 " j. !• " ir n X (1891) 1023 % 21 " e 2 carte geologiche a colori. « XI (1892) 702 ir 11 tavole. ir XII (1893) 892 ir 7 . ir XIII (1894) 317 ir 5 " ir XIV (1895) 324 « 7 » I volumi I, II e III si vendono al prezzo di L. 16 ciascuno, tutti gli altri a L. 20. Si accorda un ribasso a chi richiede parecchi volumi. Ai librai si accorda uno sconto da convenirsi. Ai soli soci che desiderano completare la collezione sono accordati i Tolumi arretrati al prezzo di L. 8 l’uno indistintamente. Per l’acquisto dirigere lettere e vaglia all’Economo cav. ing< Augusto StatutIj via dell’Anima 17 , Roma. ALCUNE NOTIZIE DI GEOLOGIA RIGUARDANTI LA PROVINCIA DI ROMA. Nota del prof. Romolo Meli. In una escursione fatta a Trevignano-Romano, sul ciglio del lago di Bracciano, trovai sotto l’attuale cimitero, che dista circa 300 m. dal paese, a monte della via che da Trevignano conduce a Vicarello, una roccia grigio-giallognola, porosa, a piccole cavità, ruvida al tatto, del tutto simile per forma litologica allo sperone della cinta craterica esterna del gruppo laziale (Villa Lancellotti, Tuscolo, Monte Compatri, S. Silvestro, ecc.). Come nel Lazio, cosi nel cratere di Bracciano, costituisce la parte superiore di una cor- rente di lava leucitica (leucitite) e probabilmente non è che la stessa lava leucitica alterata da vapori clorici. Lo sperone è poi ricoperto in quel punto da una potente serie di strati di lapilli giallognoli, inclinati ed aventi pendenza all’ esterno del bell’ im- buto craterico di Trevignano, dal quale sembrerebbero dover essere stati lanciati. Sotto lo sperone mostrasi una corrente di lava leu- citica, che si continua, sia oltre Trevignano-Romano, sia verso Vi- carello. È interessante questa roccia di sperone, che nel gruppo Sabatino non era stata finora accennata, e che per l’aspetto ma- croscopico trova riscontro nello sperone laziale. Oltrepassato il paese di Trevignano, si presenta subito a nord- est di esso r interno di un’ imbuto craterico del diametro medio di circa 1200 m., molto bene couservato per 5/6 all’ incirca nella sua cinta, nelle sue pendenze interne, assai ripide, mentre nel tratto residuale verso sud è demolito; comunicando da questa parte con il lago di Bracciano, l’ acqua del lago occupa il fondo del cratere. Nei tratto fra Trevignano e la piccola chiesa di s. Bernardino, trovai nei muri a secco, che segnano il confine delle proprietà, nu- merosi blocchi di una lava, a grossi cristalli icositetraedrici |211( 20 282 R. MELI di leucite; le leuciti sono d’aspetto vitreo, del diametro di quasi mm. 20 ; la roccia per forala litologica e per aspetto macroscopico ricorda il leucitofiro hauynico, che trovasi in massi erratici nel Lazio, specialmente al Tavolato sulla via Appia Nuova a 5 km. Sarebbe importante di fare uno studio microscopico, su lamelle sottili sia dello sperone sabatino, sia della lava a grosse leuci i, che in posto deve trovarsi nell' interno del cratere di Trengnano e stabilire un confronto con 1' esame microscopico tra lo sperone e il leucitofiro haiiynico, laziali. In altra escursione, fatta nello stesso gruppo sabatino, ma sulle esterne pendenze meridionali, incontrai presso Formello (cir- condario di Roma), un tufo grigio, leggermente giallognolo, litoi e, di facies simile al peperino laziale con numerosi frammenti arro- tondati (ciottoli) di calcare, interclusivi. I frammenti di calcare compresi nel tufo peperiniforme non presentano, come nel peperino laziale, la struttura cristallina, ma sono d’ordinario ciottolini di calcare compatto. Nel peperino la- ziale gli interclusi calcari hanno forma irregolare er presentano pel- le più struttura distintamente cristallina. I ciottoli nel peperino dei vulcani laziali sono assai rari. Come esempio posso citare sol- tanto che nella collezione geognostica, fatta dal Ponzi, esistente nel Gabinetto di Geologia dell’ Università di Roma, trovasi un cam- pione di peperino laziale, che contiene un bel ciottolo calcareo, a superficie liscia, del diametro maggiore di circa cm.^ 4. Il tufo peperiniforme di Formello, per i ciottoli calcarei, che racchiude, ricorda gli analoghi tufi delle Grottaccie «ni littorale di Foglino presso Nettuno, quello che si cava alla Selva de Muli presso la stazione ferroviaria di Frosinone, nella valle del Sacco, ed un a tro tufo che osservai sotto Prossedi sulla sponda destra dell Amasene, sebbene il tufo di questa ultima località racchiuda una grande quan- tità di frammenti calcari, poco arrotondati e di piccola mo e. Il tufo peperiniforme di origine sabatina è adoperato come pietra I ì n) Per le varie località, ove fu constatato qualche pezzo erratico del leu- i clt.fi, 0 leggasi la nna Memoria: « sili rimetmti recentemente « locnhta ttahme. B . ■ 1 ital., voi. XIV, 1895, fase. 2. Vedasi la nota (3) alla pag. 156 g | ALCUNE NOTIZIE DI GEOLOGIA ECC. 285 da costruzione sul luogo, ed il palazzo baronale di Formelle, che era in proprietà degli Orsini nel 1373, (come da iscrizione in marmo, in caratteri gotici, affissa sul palazzo, a sinistra dell’ ingresso del paese) la chiesa e il campanile eretto sulla prima metà del XY secolo, sono costruiti col suddetto tufo squadi’ato. E, poiché ho incidentalmente parlato del peperino laziale, av- vertirò che, lungo la via Anagnina, nel tratto tra il Casalotto e il castello diroccato di Borghetto, non che poco più oltre verso Grottaferrata, si può avere ancora una nuova prova che il peperino laziale risulti dalla cementazione delle ceneri, pozzolane grigie, ed altri materiali detritici, impastati con acque, che io credo meteo- riche, come sostenni in altra occasione (*). Nelle trincee laterali della strada rotabile predetta si osservano strati di peperino litoide alternare con strati incoerenti di pozzolane grigie, di sabbie vul- caniche e di detriti sciolti, in mezzo ai quali si contengono pezzi di calcare bianco, blocchetti di marna indurita, frammenti di roccie laviche e piccoli ammassi di aggregati minerali. Nel peperino sono racchiusi i medesimi frammenti di calcare e di altre roccie, che si trovano nelle deiezioni mobili, intercalate ai letti di peperino. Poco più innanzi, al cimitero di Grottaferrata, nelle fonda- zioni del muro di cinta, si rinvennero strati di sasso-morto (una varietà alquanto meno litoide di peperino, in strati di piccolo spes- sore) della potenza di circa 0™,20, aventi nella pagina inferiore impronte di vegetali erbacei. Parlando sull origine dei tufi vulcanici della Campagna di Roma, molti anni fa, quando ancora si ritenevano tutti di forma- zione maiina, all infuori del tufo ricomposto, sostenni che in molti casi e specialmente per i depositi tufacei, che riscontransi nelle valli e nelle depressioni appannine, le ceneri, i lapilli e gli altri materiali detritici, lanciati nell’ atmosfera durante le eruzioni dei crateri subaerei, trasportati da venti fossero caduti sui monti ; che in seguito dalle pioggia fossero stati dilavati i dorsi montuosi dai materiali vulcanici cadutivi sopra ; e che questi fossero stati riuniti () Meli E., Sopra i resti di un grande avvoltoio (Oyps') racchiuso nei peperini laziali. Boll. d. Soc. geol. ital. Anno Vili (1889), fase. 3. Ved. pag. 495 e seguenti. — Sui resti fossili di un avvoltoio del genere Oyps rinvenuti nel peperino laziale. Nel Bollettino della Soc. Eomana per gli studi zoologici. Voi. I (1892), fase. I e II. 584 R. MELI èd accumulati nel fondo delle valli, offrendo così talvolta banchi di forte potenza. Come esempi di consimili formazioni tufacee do- vute all’ azione meteorica, citava i tufi e le pozzolane di Sacco Muro, i tufi della stazione dì Vicovaro sulla via Valeria nella valle del- r Aniene, a monte di Tivoli, i tufi con filliti (foglie di Quercus) del piano del Cavaliere nella valle del Turano ('), i materiali vul- canici rinvenuti sul piano delle Cinquemiglia nell' Abbruzzo, ecc. A confermare sempre più 1’ origine anzidetta di cotali tufi, che troviamo spesso a forti elevazioni sul livello del mare, ed ivi for- mare depositi limitati, nellè insenature di monti calcarei, indicherà i tufi dei dintorni di Poli (circondario di Poma) e della valle del- r Amasene presso Prossedi (circondario di Prosinone). Sulla rotabile, che passando sotto villa Catena, conduce a Poli, in prossimità del paese e quasi di fronte ad esso, alla piccola cappella, detta di Marìuccia, trovasi un banco di tufo, più o meno litoide, stratificato, che riposa su detriti e poi sul calcare argillo- so in posto, il quale forma il rilievo dei monti soprastanti a Poli. Il tufo contiene numerose cavità cilindriche del diametro di cm. 8 a 10, ed anche più, le quali rappresentano lo stampo lasciato da tronchi d’ alberi ; le fibre legnose dei tronchi sono nella maggior parte scomparse, ma nel tufo è restato il vuoto del vegetale e po- trebbe benissimo riprodursi la forma del tronco, colando entro i vuoti gesso da presa, come si fa a Pompei per riprodurre le forme dei cadaveri, i cui stampi si rinvengono negli scavi. Sembra che i tronchi d’ albero sieno accatastati gli uni sugli altri e per lo più i vuoti lasciati dai tronchi e grossi rami sono orizzontali. Nel tufo poi ritrovansi anche rami e piccoli tronchi; più di rado foglie di vegetali. Dalla disposizione che presentano le cavità dei tronchi d’ albero, osservate nel tufo presso Poli, sembra potersi conchiudere che le acque meteoriche, dilavando i dorsi dei circo- stanti monti calcari, riunirono in basso e depositarono in quel luogo i detriti vulcanici, piovuti sulle pendenze montuose, trasportando insieme resti di vegetali e tronchi di albero, che accumularono gli (') Meli E., Notizie ed' osservazioni sui resti organici rinvenuti nei tufi leucitici della frov. di Roma. Nel Boll. d. E. Comit. geolog., 1881, n. 9-10. — id.. Ulteriori notizie ed osservazioni sui resti foss. rinvenuti nei tufi, vulcanici della prov. di Roma. Nel Boll. d. E. Com. geolog., 1882, n. 9-10, 11-12. ALCUNE NOTIZIE DI GEOLOGIA ECC. 285- uni sugli altri insieme ai materiali vulcanici, i quali consolidandosi generarono poi i tufi. Alle medesime conclusioni si perviene coll’esame sul luogo dei tufi, esistenti nella vallata dall’ Amasene. Nel fondo della valle, sulla sponda destra del fiume, presso la strada provinciale, che, stac- candosi da quella di Prossedi, traversa l’ Amasene, alla Madonna del Ponte e poi girando sotto il monte di Pisterzo, si dirige verso il paese di Amasene, trovasi un banco di tufo grigio, litoide, pieno zeppo di rametti e piccoli tronchi di vegetali, per lo più convertiti in calcite biancastra e conservanti benissimo la loro interna strut? tura e disposizione delle fibre. Il tufo contiene pezzetti di calcari. Di calcare cretaceo, a rudiste, sono tutti i circostanti monti di Prossedi e Pisterzo (’). Bisogna ben concludere dalla ispezione di questo giacimento tufaceo e dalla sua giacitura, che i materiali pol- verulenti lanciati nelle eruzioni dei prossimi vulcani laziali ed er-, nici, trasportati dai venti, sieno caduti sui monti calcarei del cir- costante bacino dell Amasene, e che dalle acque di pioggia sieno state dilavate le pendenze dei monti, trasportando ed accumulando i materiali vulcanici insieme ai materiali di detrito, nel basso della valle; i quali materiali, poi cementati in seguito, hanno originato quei tufi. Queste stesse idee sulla formazione dei tufi, che ritroviamo nel fondo delle valli appennine e talvolta a forte altezza sul mare (2), esposi fin dal 1881(3), ed il Keller, prima anche di me, le aveva accennate (^). (*) Certi strati di calcare sono pieni di rudiste {Radiolites principalmente e Sphaerulites). Ne ho raccolto campioni sotto Prossedi e sulla spianata del monte, ove sorge l’ abitato di Pisterzo. Per le forme delle rudiste contenutevi quei calcari cretacei dovrebbero riferirsi al piano Turoniano. {^) I tufi con finiti sul piano del Cavaliere nella valle del Turano, pressu Carsoli, trovansi alla quota di 625“ sul mare. Il banco di tufo con tronchi e rami d’alberi presso Poli ha la quota di oltre 320“ sul mare. I cristalletti neri di origine vulcanica (augiti) furono da me raccolti sul piano delle Cinque- miglia, di cui il punto più basso dell’intera spianata trovasi a 1249“ sul mare. 0 Meli E., Notizie ed osservazioni sui resti organici ecc. (Mem. cit.). Ved. note alle pag. 14-15 dell’estratto. Si consultino anche le mie posteriori pubblicazioni sullo stesso argomento (1882, 1884, 1889, 1892, ecc.). (■*) Keller P., Ricerche sull' attrazione delle montagne con applicazioni numeriche. Parte II. Koma, 1873, ved. pag. 31. 286 R. MELI In Roma, nel taglio attraverso i primi rilievi dell’ Oppio, che si sta ora facendo sotto il lato destro della chiesa di s. Francesco di Paola, per proseguire la via dei Serpenti verso il Colosseo, si incontrarono marne giallastre, a stratificazioni orizzontali, le quali si trovano superiori di 2 m. al livello del piano di via Cavour; poi si ebbero sabbie miste talvolta a piccola e minuta ghiaia, ma con detriti di minerali vulcanici. Le sabbie presentano stratificazioni corte, irregolari, embricate e ci accusano perciò un deposito allu- vionale. Da queste sabbie venne estratto un frammento di ossa piatto elefantino, che conservo nel Gabinetto di Geologia del R. Isti- tuto tecnico di Roma (^). Le sabbie verso l’alto si fanno argillose e passano ad una argilla sabbiosa, a livello dell attuale salita di s. Pietro in Vincoli. Su queste roccie si adagia il tufo litoide giallo- lionato, di cui ho veduto testimoni in posto, sia sulla spianata^ che era di fianco alla chiesa di s. Francesco di Paola sotto al fabbricato del convento, spettante già alle Sepolte vive, sia nel taglio fatto verso il Colosseo, a lato della salita di s. Pietro in Vincoli, sia infine sotto il muro del giardino dei monaci armeni, e di faccia alla scuola Vittorino da Feltro. Il tufo giallo-lionato è in questa sezione superiore ai depositi alluvionali della valle del Tevere racchiudenti ossami di mammiferi fossili; mentre, in altre località, per es., alla Sedia del Diavolo sulla via Nomentana, il tufo giallo-lionato, litoide, è sottostante alle alluvioni, che racchiu- dono mammiferi terrestri. Nelle marne giallastre rinvenni pezzetti di molluschi terrestri (Helix) e frammentini di conchiglie d’acqua dolce (bithynia) {}). Finalmente accenno il fatto che alle stazioni ferroviarie Roma- (*) (*) Il frammento presenta nna superficie articolare di forma cilindrica, : a sezione quasi semicircolare, ma incompleta. Quantunque si tratti di una . piccola porzione di osso, pur tuttavia per la forma, che presenta, per la spu gnosità della tessitura interna dell’osso, per la presenza dell’ accennata super- ficie articolare e per le dimensioni offerte da questa, sembrerebbe spettare con tutta probabilità ad un frammento di scapola, od omoplata, elefantina con , porzione inferiore della cavità glenoide. (2) Un’elenco dei molluschi terrestri e d’acqua dolce, rinvenuti in que- ste marne giallognole sotto S. Francesco di Paola, trovasi stampato dal Cle- rici nella sua nota « Fossili dei terreni quaternari alle falde del Gianicolo in Roma n (Boll. d. R. Comitato Geolog. anno 1890, n. 1-2. Ved. 1' ultima , nota a piedi della pag. 36p ALCUNE NOTIZIE DI GEOLOGIA ECO. 287 S. Pietro, S. Onofrio e Storta-Formello (sulla linea da Roma-Traste- vere a Bracciano) ho rinvenuto fra le ghiaie del ballast, usate per i binari nei tratti delle predette stazioni, numerosi ciottoli calcarei perforati da molluschi e spongiarì marini. È veramente notevole la quantità dei ciottoli perforati, che vi ho raccolto. Da informazioni as- sunte ho accertato che quelle ghiaie vennero tolte nel tratto S. Pietro Valle dell Inferno — S. Onofrio, ove si riscontrano in posto ghiaie ri- tenute generalmente marine, senza detriti di materiali vulcanici. La presenza dei ciottoli calcarei bucherati e 1’ aver trovato altre volte nelle predette ghiaie in posto valve logorate di Ostrea, di Anomia, non che esemplari di Balams aderenti a talune di esse, confer- merebbero sempre più che quel ciottolame si sia stratificato sulle acque del mare. [21 novembre 1896]. PIRITE E PIRROTINA RISCONTRATI COME MINERALI ACCESSORII NEL GRANITO TORMALINIPERO DELL’ ISOLA DEL GiGLIO. Nota del prof. Romolo Meli. Sul granito del Giglio feci già una comunicazione alla So- cietà Geologica Italiana nell’ adunanza generale tenutasi in Napoli il giorno 8 febbraio 1891 (>) e pubblicai in seguito una Memoria sullo stesso argomento (2), alla quale rimando chi volesse mag- giori dettagli sulla geologia e bibliografia dell’isola del Giglio, nonché sul granito gigliese. Come è noto, 1 isola suddetta si compone di un ellissoide gra- nitico, col grande asse diretto a N. N.-O., lungo poco più di 8 Km., e col diametro minore di quasi 4 Km. ; inoltre, ad ovest dell’ isola, si ha un’ appendice, denominata il Franco, che forma una specie ^ di promontorio, avente la sua maggiore lunghezza di poco più di 2 Km., diretta parallelamente all’ asse maggiore del- (1) Meli R., Sul granito dell' isola del Giglio. Boll, della Soc. Geol. Ital., voi. X (1891), fase. 1°, pag. 20-24. ^ (*) Meli R., Cenni sul granito del Giglio e bibliografia scientifica (principalmente geologica) relativa a quest' isola. Boll, della Soc. Geol. Ital voi. X (1892), fase. 3°, pag. 383-439. 288 R. MELI l’ellissoide granitico e con una larghezza di circa Km. 1,3. Al Franco si trovano roccie diverse dal granito, cioè, eufotidi, ser- pentine, verrucano e scisti, ritenuti permiani, calcari infraliassici, ecc., sulle quali roccie, in qualche punto, si adagiano piccoli lembi di formazione quaternaria. Il granito del Giglio si compone di quarzo ; di ortoclasio pre- dominante, per lo più di colore bianco, meno frequentemente ros- sastro (0; di plagioclasio (oligoclasio) in piccola quantità, ben ri- conoscibile al microscopio nelle sezioni sottili per le sue lamelle geminate; e di mica nera (biotite); sarebbe quindi da riportarsi ad una grayiitite. Ma, oltre i predetti minerali, trovasi nel granito gigliese un altro componente essenziale, che determinai per finite. minerale pseudomorfo della cordierite e proveniente dalla altera- zione di questa. La presenza di tale minerale, oltre i componenti del granito normale, fu notata già dal Brocchi (1818), che lo riferì alla serpentina, e da Riccioli, Carpi e Ceccarini (1828), i quali fu- rono incerti, se fosse orneblenda, o serpentina. Quando, nel 1891, ebbi ad occuparmi del granito gigliese come materiale da costruzione e da ornamento, studiai questo com- ponente essenziale nei campioni di granito, da me raccolti nella visita fatta alla grandiosa cava « Le Cannelle » allora lavorata dalla ditta Martinori e Della Bitta, e lo determinai per finite ('^). (1) La varietà di granito ad ortoclasio rosso è indicata da Arsenne Thiébaut de Berneaud ( Voyage à V isle d'Elba suivi d' me notice sur les autres isles de la mer thyrrhénienne. Paris, 1808, vedi pag. 197-198). È pure segnata nelle Notizie statistiche sull' industria mineraria in Italia dal 1860 al 1880 (vedi pag. 239), dal Jervis nella sua opera, / tesori sotter- ranei dell'Italia. Parte AI, Geologia economica dell Italia (vedi pag. 3x7), dal Bechi nelle sue Analisi chimiche di alcuni minerali delle isole del mare toscano (vedi Boll, del E. Comitato Geol., anno I (1870), pag. 84), e dal Bombice! nel Corso di mineralogia, (2^ edizione, 1873-75 voi. Il, pag. 714). Salmojragbi invece, nel suo libro r materiali naturali da costruzione. Carat teri litologici, requisiti costruttivi, ecc. — Milano, U. Hoepli, 1892 — cita all’ isola del Giglio, granito bianco, brizzolato, talor .verdognolo, della cava delle Arenelle (ved. pag. 402-403). Nella mia prima visita all’isola del Gi- glio, nel 1890, non incontrai il granito ad ortoclasio rosso ; ma, ritornatovi una seconda volta nell’anno corrente, raccolsi alcuni campioni di questa va- rietà rossastra. (2) Meli R., Cenni sul granito (Mem. cit.). Boll, della Soc. Geol. Ital., voi. X 1891, pag. 391-394. PIRITE E PIRROTINA 289_ Si può quindi concludere che il granito, che forma la massa principale dell ellissoide nell’isola del Giglio, sia una granitile cordieriiica. Come minerale accessorio trovasi poi nel granito del Giglio, la tormalina nera (afrizite). Di preferenza la tormalina si riscontra nelle vene e nei filoni, formati da ortoclasio e poveri di biotite, non che nelle loro cavità e geodi, ove si trovano splendidi cri- stalli di afrizite terminati talvolta alle due estremità. Essendo, nel corrente anno 1896, ritornato neH’.isola cogli allievi ingegneri della R, Scuola d’applicazione di Roma, visitai la cava Bonseri, che trovasi a poca distanza dal Giglio-marina, in prossimità della mulattiera, la quale dal Giglio-marina conduce al Giglio-paese. In questa cava sono piuttosto frequenti le piccole geodi e fenditure, tappezzate di cristalli, nel granito tormalinifero : vi raccolsi buoni campioni di ortoclasio cristallizzato, associato a cri- stalli di quarzo e di afrizite. In uno dei campioni ivi raccolti, notai alcuni cristalletti della lunghezza di mm. 2 a 4, di pirite, cambiata in limonite (limonite pseudomorfa di pirite). I cristalli presentano la forma |100[ dominante, con |111[ e le faccette di un’ emiesacisottaedro a faccie parallele. In altro frammento di geode, insieme ai cristalli di ortoclasio, quarzo ed afrizite, notai alcuni cristalletti di pirrotina. Il mag- giore dei cristalli misura mm. 5, ma è rotto lateralmente; nella, parte residuale del cristallo si notano la base ben sviluppata, alcune faccie prismatiche e due delle faccette spettanti ad un romboedro. Oltre la forma cristallina, il colore bronzino del minerale, il suo splendore metallico sulla rottura fresca, la sua durezza ( Du. = 4 circa), la sua azione magnetica, e le reazioni al cannello, non lasciarono alcun dubbio sulla determinazione di questo minerale. Credo che la pirrotina sia un minerale per la prima volta riscontrato nel granito dell’ isola del Giglio ; quivi, come nelle roccie cristalline della Baviera la pirrotina accompagna la cordierite. Nelle geodi del granito tormalinifero della cava Bonseri, rac- colsi buoni cristalli di ortoclasio latteo, alcuni dei quali, guardati per riflessione sulle faccie del pinacoide jl00| mostrano riflessi li luce perlaceo-argentina, analoghi a quelli presentati da quella i^arietà di ortoclasio (adularia), che è conosciuta col nome di pietra ii luna 0 lunaria {Moonstone ingl. ; Mondstein ted.). Anche guar- 290 R- MELI) PIRITE E PIRROTINA dando sulle faccie del prisma verticale jllOi si ha uno splendore j argentino, ma molto più debole del precedente. Io credo che tali riflessi siano d’origine secondaria, e causati forse da lamellette I. microlitiche disposte tutte parallelamente a loro stesse in deter- ■ minata direzione, contro la quale producesi un fenomeno di rifles- 1 sione luminosa e di assorbimento. _ ' Nel granito della cava « Le Cannelle ». sono rare le geodi e | le fenditure con druse di minerali cristallizzati ; invece, di fre- quente si osservano nel granito macchie nere a contorni ellissoi- ; dali dovute a concentramento di hiotite, talvolta anche di afrizite j e di pini te intorno ad un centro. In questi concentramenti ('), talora , del diametro fino a cm. 12, si nota talvolta la struttura zonata in T modo da ricordare gli sferoidi inclusi nel granito di Fonni e di 1 Ghistorrai in Sardegna, trovati da vom Rath e da Lovisato (2). Sulla spiaggia della cava « Le Cannelle » la quale è costituita ? da arene grossolane con grani di quarzo in prevalenza, lamellette i di hiotite e granelli neri di tormalina, raccolsi pezzi erratici di pomici bianche, sericeo-filamentose, arrotondate per logoraniento, che devono provenire dall’ isole Ponze od anche dall isola di Lipari (ove se ne hanno cave) trasportate per mezzo dei flutti. Difatti, trovai pomici bianche erratiche, trasportate dal mare quando è in bur- rasca e gettate sulla spiaggia, lungo il litlorale romano a Terra- cina. Astura, Foglino, Anzio, Torre Caldara, Torre S. Lorenzo, Fiumicino, ecc., e vidi anche raccoglierle con sacchi sulla spiaggia ; tra Nettuno ed Astura. La presenza della pirrotina e la sua associazione a cristalU di pirite ed a limonite pseudomorfa di pirite, non vennero, per quanto sappia, prima d’ ora riscontrate nel granito gigliese. [21 novembre 1896]. (1) Credo che di questi concentramenti debba parlare il Lotti, quando menziona interclusi nel granito del Giglio (Lotti B., Il Monte Amiata. Boll. E. Comit. Geolog., voi. IX, 1878, p. 372). (2) Lovisato D., Specialità rimarchevoli nella zona granitico-schistosa della Sardegna. Atti d. R. Accad. dei Lincei. Rendiconti, serie IV, voi. I. Adunanza 10 e 12 giugno 1885, pag. 486-487. | NOTIZIE SOPRI ALCUNI RESTI DI MAMMIFERI (ossa e denti isolati) QUATERNARI!, RINVENUTI NEI DINTORNI DI ROMA. Nota del prof. Eomolo Meli. Dalle ghiaie alluvionali (chelleane e moustieriane) con mine- rali e frammenti di roccie vulcaniche, esistenti sulla sponda destra del Tevere presso la via Flaminia al 3° Km., a monte di Roma, nella località di Melafumo, vennero estratti i denti e le ossa iso- late di mammiferi, qui appresso indicate; Due astragali, entrambi destri e perciò spettanti a due indi- vidui, di Bos (cfr. primigenius Boj.). Un astragalo di PJguus (cfr. caballus Linn.). Porzione di cranio di Bos (cfr. primigenius Boj.) con il Con- tale e le due corna, alquanto frammentate verso le loro punte, le quali sono rivolte all interno, ed offrono, prese insieme nella loro posizione naturale, la figura di un’ ellissi. Il cranio, nella parte esistente, presenta le seguenti misure: Lunghezza sviluppata del corno destro, che è il più conservato, misurata nella curva esterna m. 1,00 Lunghezza della freccia nella curva interna del corno predetto, supponendo condotta una corda dalla punta del corno all’attacco basale del medesimo ' -n • Ó,19 Circonferenza sviluppata, e misurata alla base del corno predetto q 45 Id. del corno sinistro « 0,42 Distanza tra le basi dei due corni. ...... 0,27 » tra le punte dei due corni ...... 0,85 Lunghezza del frammento del frontale . . , . » 0,23 Un frammento di canino di Hippopotamus major Cuv. Il dente ha intatta la punta; ma è rotto verso la base. Misura cm. 19 nella K. MELI 292 sviluppata della curva esterna. Dalle dimensioni del dente, dalla sua forma e curvatura, dalla sua sezione trasversale, dalla super- ficie di consumo, che offre l’ estremo del dente nella parte interna, si può facilmente concludere che si tratta di un canino inferiore destro di giovane Hippopotamus. Ne ho fatto confronto con un bel cranio di Hippop. amphibius Linn., esistente nel Museo Zoolo- gico della E. Università di Eoma. Un frammento, della lunghezza di cm. 32, di costola (forse destra) di Hippopotamus major Cuv. Tutti i sopraindicati avanzi scheletrici di mammiferi trovansi oggi conservati nel Gabinetto di Mineralogia e Geologia del R. Isti- tuto Tecnico di Roma. Nei depositi di ghiaie alluvionali, che giacciono sulla stessa fiancata della valle tiberina, poco più innanzi dei precedenti lungo la predetta via Flaminia a Tor di Quinto ('), venne, anni indietro, tro- vato un bellissimo secondo molare vero, o penultimo, superiore destro, (1) Le ghiaie alluvionali di Tor di Quinto sono in continuazione delle ghiaie di Melafumo, citate precedentemente, di quelle di Ponte Molle, e delle altre, che trovansi alla base del monte della Farnesina, a sud-est di esso. Tutte queste ghiaie formano un vasto deposito, sincrono, e che, senza inter- ruzione, si segue sulla fiancata destra dell’antico alveo tiberino, tanto che, in diversi tempi, vennero aperte entro questo esteso giacimento, cave di ghiaie e di sabbie per usi stradali, nelle singole precitate località. In tutto questo enorme accumulo di materiali, fiuitati dalla corrente tiberina, si rinvenpno disseminate ossa isolate e denti staccati di vertebrati, per lo piu mammiferi, il cui ritrovamento ha reso ben noti ai geologi e paleontologi quei banchi alluvionali fin dal principio del secolo. Ne parlarono infatti sulla prima metà del secolo : Fortis (1802), Morozzo (1803), Morichini (1803 e 1805), Cuvier (1812), Brocchi (1814), Pianciani (1836), Ponzi (1846); e, negli ultimi dnquanta anni, successivamente, per ordine di data: Murchison, Lyell, Ceselli, Lartet, Pen- tland, Mortillet, Bleicher, Falconer, De Vemeuil, Gosselet, Nicolucci, Indes, Giordano, Anca, Gervais, Stoppani, Mantovani, Flottes, Negri, Lee, Meli, Cle- rici, Pohlig, ecc. I depositi quaternari di ghiaie sono a Tor di Quinto distintamente ter- razzati, ed il piano del terrazzo si può nettamente distìnguere, se si ^da sull’ opposta sponda del Tevere e si percorra la via Salaria, o, meglio, la linea della ferrovia nel tratto dopo il ponte sull’Aniene fin verso Castel Giubileo. ■ Allora si potrà rimarcare assai bene l’estensione generale di quei depositi e si vedrà il gradino ed il piano del terrazzo, che, guardato dall’anzidetta loca- lità, si profila con spiccata nettezza sul fondo del paesaggio, formato dalle circostanti colline plioceniche del gruppo del Monte Mario. NOTIZIE SOPRA ALCUNt RESTI DI MAMMIFERI 293 àìRhinoceros Merckii Jaeg. e Kaup (— WtrmegWrhinus De Christ., Indes, Ceselli, Gerrais, Ponzi, ecc.), (*) éhe potei ottenere pel Gabinetto sopracitato del R. Istituto Tecnico di Roma. Il dente è fra i più grandi, che di questa specie abbia ve- duto tra quelli che si trovarono fossili'’TQe'lla provincia di Roma. È molto bene conservato ; ha soltanto scagliata e troncata la parte anteriore interna della corona con la corrispondente radice; la tron- catura ha privato il dente di porzione (quasi della metà) della collina anteriore, del cercine anteriore e della corrispondente radice. La troncatura è fresca e probabilmente avvenne quando fu estratto dalle ghiaie. Il dente misura: mm. 77 nella massima sua altezza, fino al punto più elevato della corona, comprendendovi anche l’altezza della radice. » 49 nella massima altezza della córona misurata nella parete esterna. . » 68 nella massima larghezza, antero-posteriore, della corona, misurata come sopra (2). » 64 nel massimo spessore, approssimativamente calcolato, a causa della troncatura della collina anterióre. Anche questo bel dente fu da me acquistato e . trovasi conser- vato nel Gabinetto di Mineralogia e Geologia del R. Istituto Tecnico di Roma (®). (1) Circa al Rh. Merckii, fossile nei terreni quaternari dei dintorni di Eoma e principalmente nelle ghiaie alluvionali delle grandi vallate dell’Aniene e del Tevere, può leggersi quanto ne scrissi nella Memoria « Sopra alcuni resti fossili di mammiferi rinvenuti nella cava della Catena presso Ter- racina » stampata nel Bollett. d. Soc. Gèol. ital., voi. XIII (1894), fase. 2. (Ved. la nota a piedi delle pag. 186-187). ( ) Il prof. Tuccimei nel suo importante lavoro: Alcuni mammiferi fos- sili delle provincie umbra e romana, Eoma, 1891, (stampato nelle Memorie della pont. Accademia de' Nuovi Lincei, voi. VII), dà, per un 2° molare, superiore destro di Rhinoceros dei dintorni di Eoma, una lunghezza antero- postèriore esterna, però misurata alla base dello smalto, di mm. 63,5 e segna mm. 68,6 per analoga misura presa sopra un secondo molare superiore sinistro, •fossile parimenti dei dintorni di Eoma (Ved. Tuccimei, op. cit., tabella :alla pag. 58 dell’ estratto). (®) Eitengo, che il Rhinoceros Merckii discenda dal Rh. etruscus Falc., d’accordo col Sacco, che liguarda quest’ ultima specie come forma progenitrice del y?/?. Merckii [Sacco P , Le Rhinoceros de Dusino (Rh. etruscus Falc. var. àsténsis Sacco). Ved. Arch. d. Mus. d’Hist. nat. Lyon, voi. VI, 1896]. Invece 294 R. MELI A Mostacciano, fuori Porta s. Paolo, sulla via che conduce al ! Malpasso (0 e poi a Castel Porziano, si rinvenne un frammento di ; molare di Elephas antiquus nello strato sottoposto alla corrente di lava leucitica (leucitite). Il frammento mi fu dato in comunicazione dal sig. avv. J. Santos Kodriguez. Dalle sabbie ferruginose quaternarie {lehm\ che formano fa- la signora Paulow farebbe derivare il Rh. etruscus dal megarhinus ed il Rh. Merckii dal leptorhinus. (Ved. Paulow, Sur le Rkinoceridae de la Russie et le developpement des Rhinocer. en géneral). Il Rh. leptorhinus Cuv. (prò parte), come V etruscus Pale., non ha setto nasale, mentre il Rh. tichorhinus Fisch. e Cuv. ha completo il tramezzo osseo nasale. (1) La località del Malpasso è dal lato geologico assai interessante, ; perchè è Punico punto sulla sinistra del Tevere, a valle di Roma, in cui af- fiorino e si mostrino scoperti terreni con fossili marini, non sepolti dalle deiezioni vulcaniche del Lazio. Rimontando infatti le colline, che si trovano ' sulla destra del fosso di Malafede, dall’ osteria del Malpasso, di fronte a Decima, : si incontrano sabbie gialle marine, analoghe a quelle, che si osservano sul- , P opposta sponda del Tevere, a Malagrotta sulla via Aurelia, a Ponte Galera , ed alla Magliana sulla via Portuense e delle quali devono essere la conti- nuazione, a giudicare dalla loro giacitura e dalla facies dei fossili, che rac- chiudono. Ho raccolto nelle sabbie, che mostransi a 600 m. circa di distanza a i monte dalla predetta osteria del Malpasso, numerose valve di Cardium La- ; marchi Reeve, che, come a Malagrotta, a Ponte Galera ed alla Magliana, vi i è molto abbondante. Raccolsi pure valve di Ostrea lamellosa Brocc., Ostrea adriatica Lamk., 0. tyrrhena Issel, Pecten sulcatum Lamk., Placunanomia pectiniformis Phil. e frammenti di Tapes (cfr. T. caudata D’Anc.), le quali ! specie tutte sono anche comuni alle altre località fossilifere della sponda destra i del Tevere sopra indicate. ; Le sabbie gialle in parola sono esattamente segnate sulla Carta topo-^ | grafica dell'Agro Romano con indicazioni geologiche ricavate dai rilevamenti | eseguiti per cura del R. Ufficio geologico, nella scala di 1 : 100,000, la quale , carta è unita al libro del Tommasi-Crudeli C. Il clima di Roma. Conferenze i fatte nella primavera del 1885 inaugurando l' Istituto d'igiene sperimen- ) tale della R. Università di Roma. Roma, Loescher, 1886. Le sabbie marine i fossilifere trovansi esattamente segnate nella; Carta geologica della ^ Cam- . pagna romana e regioni limitrofe in 6 fogli ed una tavola di sezioni nella . scala di 1 a 100.000 rilevata e pubblicata per cura del R. Ufficio geologico. , Roma, 1888. (Ved. la giunzione dei due fogli contigui «Foce del Tevere » e « Roma w presso la numerazione del paralello che passa a 41° 45 di | nostra latitudine, lungo la valle del fosso di Malafede). Le predette sabbie ; NOTIZIE SOPRA ALCUNI RESTI DI MAMMIFERI 295 lane sul mare presso Nettuno, nel tratto oltre s. Rocco verso Fo- glino, fu estratto un molare inferiore di Bo§ (cfr. 'primigenius Boj.), molto consunto sulla superficie triturante. Il predetto dente si rin- venne nelle frane avvenute sulla costa del mare, la quale è in continuo arretramento per l’ azione demolitrice delle. onde, che bat- tono e minano la base della falaise. Nelle consuete estive escursioni, fatte anche in questo anno durante 1 agosto, sul littorale di Foglino, potei assicurarmi pbe fra i due strati di torba, sui quali scrissi recentemente una Nota (^), vi ha altro strato di argilla grigio-nera, nella quale non rinvenni alcun resto di molluschi. Gli strati di torba affiorano, come già dissi nell’ accennata Memoria, lungo la spiaggia, ad ottanta metri circa di distanza, oltrepassati, verso Astura, i pali del ponte fatto in mare pel caricamento del tufo, quando ne era in attività la prossima cava. Ma, altri strati di argille nere, torbose affiorano lungo la spiaggia, prima del ponte in muratura sul fosso di Foglino, precisamente .dopo i tumuleti di Nettuno, in quel punto della sponda, ove venne costruita la polveriera militare. In questa lo- calità le argille torbose racchiudono Cardium Lamarcki Reeve, Hydrobia ventrosa Moni = Paludestrina acuta Drap. {Cyclo- stoma). I Cardium sono assai abbondanti ; dalle due valve ; di tutte grandezze ed età ; il mare, demolendo lo strato di argilla torbosa, getta le valve dei Cardium Lamarcki fossili sulla spiaggia, ed ecco la ragione per cui, lungo quel tratto di costa, trovansi valve gialle vengono pure nominate e riferite al pliocene superiore nei : Brevi cenni relativi alla carta geologica della Campagna romana con le regioni limi- trofe, Eoma, tip. Nazionale di Reggiani e Soci, 1889, in 8°. Difatti, alla pag. 7, al capitolo « pliocene superiore » trovasi stampato : « Sulla sinistra « del Tevere, a valle di Roma, le sabbie non appariscono che in un solo « punto nella valle di Malafede presso Castel di Decima n. Le indicai nelle mie osservazioni « Sulle marne plioceniche rinvenute alla sinistra del Tevere nell' interno di Roma. (Ved. Bollettino d. Soc. Geol. Ital., voi. X, 1891, pag. 29). Più tardi vennero anche citate dal Verri nella sua Memoria: / tufi vulcanici da costruzione della Campagna di Roma. Bollett. d. Soc. Geol. Ital., voi. XI, 1892, fase. 1°, pag. 74. (^) Meli R., Sulla esistenza di strati di torba affioranti entro mare lungo la spiaggia di Foglino \presso Nettuno. Bollett. d. Soc. Geol. ital. voi. XV (1896), fase. 1°, pagg, 15-36. 296 R- MELI, EOTIZIE SOPRA. ALCU.N'I RESTI DI MAMMIFERI fresche di C. Lamarcki (') frammiste a valve fossili. Queste |i argille nere, torbose, con C. Lamarcki, secondo tutte le proba- bilità, sono inferiori e sottogiacenti agli strati di torba ed alle ar- ; i gille senza Cardium. | È poi da questi strati torbacei che debbono provenire due i| altri bei molari fossili, l’ imo inferiore di Equus eaballus Linn. e ! i r altro, parimenti inferiore, di Bos 'primigenia Boj. ; entrambi i | denti .hanno colorazione nera e furono rinvenuti nell anzidetto tratto di spiaggia, gettativi dal mare, frammisti alle valve fossili di Car- ' dium ed ai pezzi di torba. Parimenti da questi strati torbosi prò- | 'viene l' altro molare inferiore di Equus, ben conservato, che men- i zionai nella mia Nota: Sopra alcuni resti di mammiferi fossili nei terreni quaternari della provincia di Roma (^), e che erro- neamente supposi essere stato ricavato dal lehm, invece che dagli strati torbosi. Gli accennati denti di Bos e di Equus vanno ad aumentare lo scarso elenco dei mammiferi fossili finora conosciuti di quella regione {^) ed io li conservo accuratamente nella mia privata col- • i lezione di fossili romani. E, poiché ho ora parlato del littorale di Foglino presso Net- ■ tuno, aggiungerò ancora una notizia su quella spiaggia. Ho potuto i constatare nelle escursioni estive di quest’anno che i tufi gialli , con ciottoli e frammenti calcarei e con molti interclusi vulcanici : (aggregati minerali, lave leuciticbe e leucititi, tufi e peperini) di i provenienza laziale, si estendono entro mare, oltrepassato 1 affiora- | mento delle marne marine con Nassa semistriata (Brocc.), var. in- tegro-striata Coppi (= N. gigantula Bon.), con Syndosmya nitida \ Muli. {Mya), ecc., dopo le Grottaccie, verso Punta Grande. [21 novembre 1896]. I (1) Esemplari freschi di Cardium Lamarcki, a valve in generale non molto robuste, con gli animali vivi, raccolsi nel lago di Fogliano. (2) Comunicazione fatta alla Soc. Geol. ital. nell'Adunanza generale di Palermo del giorno 11 ottobre 1891. Bollett. d. Soc. Geol. ital., voi. X, (1891). Ved. pagg. 1002-1003. (3) Meli R., Notizie su resti di mammiferi fossili rinvenuti recente- mente in località italiane. Bollett. d. Soc. Geologica ital., voi. XIV, 1895, fase. 2°. Ved. specialmente pagg. 156-164. Ved. ancora Bollettino d. Soc. Geol., voi. X, 1891, pagg. 1001-1003 e voi. XIV, 1895, pag. 93. ALCUNE OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE NEI DINTORNI DI POLCENIGO IN FRIULI. Nota del prof. Torquato Taramelli. In ima recente escui-sione nei dintorni di Polcenigo, nel Friuli occidentale, mi accadde di rilevare alcuni particolari, che mi erano sfuggiti allorquando, circa venticinque anni fa, compilava la carta geologica di quella provincia. Li rendo noti ai colleghi, perchè mi sembrano di qualche importanza e perchè, non essendo probabile che io possa assistere al definitivo rilievo geologico da farsi a suo tempo di quell’ estremo della catena alpina, può tornare di qualche vantaggio ogni correzione ed aggiunta, mia o d’ altri, ad un lavoro, il quale, per quanto condotto con amore e con non poche fatiche, non poteva che lasciare molte lacune e comprendere molte ine- sattezze. La massa calcare del M. Cavallo declina assai dolcemente a sud, sopra Sarone, mentre scende precipite verso oriente; però presen- tando un ripiano, il Pian del Cavallo, allineato come la montagna da nord a sud. Da questo ripiano scende verso nord il R. Caltea e verso^ sud il torrente Conazzo ; questo sotto alla chiesetta di S. Temè svolta a levante per terrazzare Tamplissimo suo conoide, su cui posa il paese di Dardago. Forma antemurale alle falde calcari una serie di colli, com- posti da conglomerato miocenico alternato con marne lacustri, lignitifere, che decorre da Maniago a Sarone, a qualche distanza dalle falde medesime ; e lo spazio frapposto è occupato da alluvioni quaternarie, cementate e terrazzate, e da alluvioni e frane recenti, amplissime e spesso affatto nude. La posizione stratigrafica della potentissima massa alluviale miocenica è fortemente disturbata, con una prevalente direzione a nord-est, obliqua all’ andamento dei colli; di guisa che le selle e le depressioni, la più parte corri- 21 T. TARAMELH 298 spendenti alla prevalenza delle marne, vengono a decomporre quella | serie in tanti gruppi di colline, tra i quali sono notevoli quelli i di Budoja, di S. Lucia, Col di Reazza, Col di S. Floriano, Col della | Molletta ed in fine il lungo rilievo del Longone, nessuno dei quali , rilievi supera i duecento metri di altitudine, declinando il piano, ^ che sta ad oriente, da Budoja alle Case di Longone da 60 a 36 m. Anche le alluvioni della adiacente pianura sono terrazzate, sia j dal torrente Conazzo e dalla Livenza, sia dai numerosi rivoletti , causati dal rinascimento delle acque, alla base del grandissimo co- noide alluvionale del fiume Zelline. j Gli strati del conglomerato miocenico sono spesso verticali, , oppure fortemente inclinati a sud-est ; di rado a nord o nord-ovest. Le marne sono giallastre o bianche, di rado azzurrognole: pie- | sentano masse e filarotti di lignite a Budoja e presso Polcenigo , non però depositi coltivabili, nemmeno mediocremente estesi, come j quelli che furono scavati a Peonis, Forgaria, Osoppo e Ragogna, j nella formazione stessa presso alla valle del Tagliamento. j È da notarsi ancora che a Peonis ed a Forgaria la lignite trovasi in marne con fossili marini e devesi quindi a legname fluitato; mentre che ad Osoppo, a Ragogna ed in questa serie di colli di Polcenigo, come pure nella poco lontana località trevigiana di Caneva, mancano a tutta la formazione dei conglomerati mioce- nici i fossili marini ed anche le marne sono lacustri o palustri. | Non mi era mai occorso di trovare fossili nel conglomerato j nè nelle marne e molasse. Nell’ ultima escursione invece, presso I S. Lucia di Budoja, rinvenni delle assai conservate impronte di j vegetali dicotiledoni, che farò determinare e che ad occhio mi ri- l cordano le specie trovate dal Sordelli nelle molasse di San Zenone presso Romano di Bassano. I ciottoli del conglomerato sono quasi sempre improntati. Sono quasi tutti calcari e se ne trovano anche taluni di calcare num- molitico, che probabilmente provengono dal lembo eocenico di Claut, nella valle dello Zelline. Se tale è la provenienza degli accennati ciottoli eocenici, è molto probabile che la via per la quale essi discesero sia appunto il Pian del Cavallo, che poi si continua col- r evidente terrazzo orografico di Longarezze e di Mezzomonte, sopra Coltura. Lo Zelline quindi avrebbe cangiato, come tanti altri corsi ALCUNE OSSERVAZIONI STRATIGBAFICHE ECC. 299 d’acqua sulle nostre Prealpi, il decorso a valle di Barcis dopo il miocene superiore, per quegli stessi spostamenti di massa, che hanno fatto scoscendere e ruppero in vari frammenti fortemente inclinati r antica alluvione miocenica, che si era stesa alle falde orientali della già emersa massa mesozoica del M. Cavallo. Il compianto prof. Pirona, che ebbe tra gli altri meriti scien- tifici pure quello di illustrare la fauna cretacea degli Sciosi, in seguito riveduta da Boem e da Pùtterer, e la interessantissima fauna titoniana a facies corallina della pietra sarasina (brecciola calcareo-cloritica) di Coltura e di Dardago, ha supposto che in cor- rispondenza della valle di S. Tome sia intervenuta una frattura, con scorrimento a levante ; di guisa che da questo lato siano stati portati in basso o rimasti profondi, quegli strati giuresi, che affio- rano colle loro testate dal lato di ovest ; e che vi si vedano soltanto quegli stessi calcari cretacei, che colla potenza di almeno mille metri formano con una morbida vòlta la porzione culminante della montagna del Cavallo (2250 m.). Questa supposizione è molto plau- sibile ; salvo poi a meglio precisare la posizione delle masse calcari, che esaminate con qualche dettaglio presentano delle ragguardevoli curvature secondarie e forse anche delle discordanze, tra la serie giurese e la cretacea. Nella quale ricerca, difficile per 1’ analogia litologica e per la scarsità dei fossili nella maggior potenza di quei calcari, può essere di guida, oltre al suaccennato piano tito- niano a coralli ed a Nerinee {Itieria Morreana etc.); anche un altro importante livello di calcare bituminoso con filliti, che furono giudicate dal De-Zigno come spettanti al cenomaniano e che per- la natura bituminosa richiama il livello dei calcari di Comen, del Carso triestino e monfalconese. Queste filliti cretacee, non frequenti nè ben conservate, si trovano al Paerazzo sopra Longarezze. Una delle più salienti particolarità della regione alle falde orientali del Cavallo si è 1 abbondanza delle acque sorgive, che si ripete anche dal lato occidentale, nel Trevigiano, colle fonti che danno origine al Meschio e che nutrono il Lago Morto. Dal lato friulano però il fenomeno è più appariscente, colle due fonti ab- bondantissime del Livenza, presso la Santissima, e del Gorgazzo di Polcenigo, con altre minori. La fonte di Livenza, a soli 36 m., è perenne, di parecchi metri cubi al secondo; il Gorgazzo soffre delle magre prolungate^ e si esaurisce financo. Pare che questo rap- T. TAKAMELLI 300 presenti lo sfioratore sotterraneo del sistema di vene, che nutre la fonte di Livenza. Accenno alla località per la importanza industriale, che potrebbero assumere queste due fonti, in particolare la prima, perenne ed abbondante, qualora si studiassero e si eseguissero delle opere per ottenere la necessaria caduta ; ripristinando, ad esempio, il laghetto, che sino ad epoca non lontana occupava per la lunghezza di circa cinque chilometri il tratto tra la collina del Longone e la falda calcare a nord di Sarone. Se noi ci facciamo poi a ricercare quali possono essere le ra- gioni orografiche e stratigrafiche di queste bellissime sorgenti, tra le più importanti delle Prealpi, la prima che si presenta alla mente si è la postura loro alla base d un altipiano calcare, sforacchiato in alto da numerosissime doline (dette espressivamente in friulano inglotidors) e che presenta numerose depressioni vallive senza ap- parenti scaricatori. Ma altra ragione, a mio avviso, potrebbe tro- varsi nella justaposizione alle testate degli strati di calcari giuresi di Coltura delle molasse elveziane, che ebbi la fortuna di osservare in quest’ultima gita lungo il Rugo Brosa ed al Col Bartei, a sud-ovest di Budoja. Sottostanno queste molasse alle marne ed ai conglome- rati messiniani, a qualche distanza dalle filliti di S. Lucia. In complesso, almeno sulla sinistra del Rugo Brosa, esse concordano colle roccie soprastanti, piegando con forte inclinazione a sud-est ; mentre che sulla destra del rio medesimo piegano a nord-ovest, non so se per salto o per anteclinale. Comunque sia, la direzione loro le porta direttamente dove sono le due fonti del Gorgazzo e della Livenza, sotto all’ enorme conoide alluvionale di Coltura. Non è quindi affatto fuori di luogo il pensare che questa tappatura con una formazione impermeabile, justaposta alle testate della roccia calcare, contribuisca, non dirò a cagionare, ma a determinare quivi piuttosto che altrove il rinascimento delle acque, che si perdono sull’ altipiano calcare. Converrà noi anche di notare come per lo passato la portata di queste sorgenti dovesse essere enorme, se il loro defiusso ha contribuito a tagliare nei colli terziari tre prin- cipali depressioni, percorse, 1’ una dalla via da Polcenigo a S. Gio- vanni, r altra dal Livenza, dopo la confluenza del Gorgazzo, e la terza dalla strada per Sacile sotto al Longone. Mi si disse che quivi siano stati rinvenuti ossami di elefanti ed anche alcune frecce di selce ; certamente è questo antico bacino ALCUNE OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHK ECO. 301 lacustre una località importante anche per ricerche archeologiche. Ma più importante, a mio avviso, per la ora trascurata condizione idraulica, concorrendo alla possibilità di creare o di utilizzare quivi abbondante forza motrice la robustezza delle rocce, a cui appoggiare dighe od altri manufatti, 1’ abbondanza in sito di ottimi materiali di costruzione, l’ impossibilità di piene torrenziali, trattandosi di acque sorgive, la prossimità di grossi centri di popolazione, infine la salubrità della regione amenissima. Le molasse elveziane contengono numerose bivalvi, briozoi, den- tali, Schùaster cf. Decori, che pur trovasi a Meduno, e copiosa la Isocardia subtransversa, che troyasi_ anche a Val Coalba presso Borgo di Valsugana. È una località importantissima per stabilire i rapporti tra le marne lignitiche messiniane ed i piani più antichi del miocene superiore. Mi sembra che queste marne e molasse abbiano qualche rapporto di somiglianza colle glauconie e colle molasse di Belluno, ed anche colle arenarie di Barcis e di Meduno. Continuerò la rac- colta dei fossili e per quanto mi sarà possibile, il rilievo delle con- dizioni stratigrafiche. Mi limito per ora ad informare i colleghi di questa aggiunta da farsi alle notizie da me per lo passato pub- blicate sulla geologia del Friuli. [2 dicembre 1896] LA NAVE DI CALIGOLA AFFONDATA NEL LAGO DI NEMI E LA GEOLOGIA DEL SUOLO ROMANO. Nota deiring. Enrico Clerici. L’ egregio collega dott. De Angelis, che in una sua conferenza sul suolo romano (') mi ha nientemeno elevato al grado di capitano della schiera che combatte la teoria dell’origine generalmente net- tuniana del suolo stesso, accennando alla controversia presentò anche, come primizia, la conclusione finale di un elaborato del campo avversario che, cioè, chi fa della geologia deve « considerare come marine anche le formazioni avvenute nei laghi di reliquato » e, per estensione del principio, anche quei giacimenti a diatomee d’acqua dolce ed a spongille che io in tanta quantità ho trovato e vado con- tinuamente ritrovando in intima relazione colle formazioni tufacee. Mi sorprende invero che si debba considerare una cosa in modo essenzialmente diverso da ciò che è o fu. ^ _ Siccome penso che la maggior parte dei fenomeni geologici avvenuti nelle passate epoche possano discendere da cause dello stesso ordine di quelle attuali, così non manco^ di rendermi conto 0 di verificare le conseguenze di taluni fenomeni ordinari per fa,rne confronto con ciò che trovo nel suolo di Roma. Mi soffermerò al lago di Nemi che mi permette di oporre qualche obbiezione alla suddetta conclusione. L’illustre prof. Pa- (•) De Angelis d’ Ossat Q., Storia fìsica dell'Agro Conferenza tenuta il 19 maggio 1895 stampata nel Cosmos di Guido Cora, voi. XO, fase. 3. Torino 1896. E. CLERICI, LA NAVE DI CALIGOLA AFFONDATA NEL LAGO DI NEMI ECC. 303 V6si ( ) e dopo di lui il dott. Eizzardi (^) in base a taluni pesci e crostacei in esso viventi ritengono esser quello un lago di reli- quato. E ciò parrebbe accordarsi con quanto sostiene il prof. Portis (=*) per il quale il vulcano laziale fu sottomarino ed il peperino è roccia formatasi sotto le acque del mare e che si alterna con strati di argilla a fossili marini ('*). Ho detto parrebbe perchè, tanto se la cavità nemorense è quella bocca craterica a cui si deve il peperino e che sporgeva dal livello del mare, ammettendo per vere le deduzioni del Portis, quanto se essa è dovuta a sprofondamento susseguito ad una ulteriore emer- sione del sistema vulcanico, può non essere intervenuta alcuna comunicazione fra la cavità e il mare che, secondo il prof. Pavesi, » flagellava ancora i fianchi » del vulcano: ed allora soltanto l’ac- cumularsi delle acque dolci pluviali può avere iniziato il lago ed esso non sarebbe di reliquato. Ma 1 esistenza di una fauna con forme considerate come re- litti di fauna marina (5) in una distesa di acqua dolce porta per necessaria conseguenza che il lago stesso sia di reliquato? (1) Vedasi specialmente la Memoria, che ne riassume e completa altre precedenti, intitolata : Altra serie di ricerche e studi sulla fauna pelagica dei laghi italiani, Atti della Soc. Veneto-trentina di se. nat. residente in Padova, voi. Vm. Padova, 1893. (2) Eizzardi U., Risultati biologici di una esplorazione del lago di Nem. Boll, della Soc. Eomana per gli studi Zoologici, voi. III. Roma 1893. (3) Portis A., Contribuzioni alla storia fisica del bacino di Roma e slvÀii sopra l'estensione da darsi al pliocene superiore. Torino-Roma, 1893. (Vedasi specialmente l’appendice alla parte seconda e la parte terza.) (*) Non si tratta di strati, bensì di frammenti di argilla marina, di for- mazione anteriore alla esplosione vulcanica, espulsi durante l’eruzione insieme a frammenti di calcari secondari ed altro. (5) Il Pavesi (op. cit., pag. 394) fin dal 1879 (Citeriori studi sulla fauna pe agica dei laghi italiani. Rendiconti Istituto Lombardo ser. 2^ voi. XII) avanzò « l’ipotesi che la fauna pelagica lacustre potesse essere una fauna « marma, rimasta imprigionata quando i fiords marini convertironsi in laghi « d’ acqua dolce per la cerchia morenica dei ghiacciai » . Per il lago di Garda non pare ciò possibile, se si accolgono le conclusioni geologiche esposte dal prot. laramelli (Della storia geologica del lago di Garda, con appendice e ibhografia. Atti della I. R. Acc. degli Agiati in Rovereto, anno XI. Rove- 304 E. CLERICI Ammessa l’esistenza anche di un solo ma vero lago di reli- quato, la fauna pelagica non potrà essere in seguito importata (*) in altri laghi non di reliquato nei quali sussistano le condizioni adatte alla vita di quegli esseri? E se la immigrazione passiva o indiretta avviene in modo non dubbio per altre forme d’ acqua dolce, tanto animali che vegetali, qual ragione vorrebbe impedire che lo stesso fatto avvenga per le pelagiche? _ _ ■■ a È ormai divenuto classico V esempio dei laghi vulcanici delle Azorre illustrato dal de Guerne. Per la violenta eruzione avvenuta fra r 8 maggio ed il 29 settembre 1444, nella parte occidentale dell’ isola di San Miguel, dove già esisteva un monte, si produsse la calde ir a di Sete Cidades in fondo alla quale cominciarono ben presto a raccogliersi le acque pluviali e si originarono i due laghetti chiamati Lagoa Grande e Lagoa Azul, profondi l’uno 30 metri, l’altro 22 e posti ambedue alla quota di m. 270 sul livello del mare. Orbene questi due laghi, che non sono di reliquato e contano tanti po- chi anni di vita, contengono quella fauna pelagica in questione ( ). Prima ancora che questo esempio fosse noto, il Credner (^) La teoria del Pavesi fu pure recentemente contrastata nei due seguenti Garbini A., Primi materiali per una monografia limnologica del lago di Qarda. Mem. d. Acc. Agricolt. Arti e Comm. Verona, voi. LXIX. 1893. - De Vescovi P., Notizie sulla formazione di un nuovo lago nella provincia di Roma e considerazioni dal punto di vista della Fauna • della Soc. Eomana per gli Studi Zoologici, voi. V, fase. 1 e 2. Roina 1 . ^ (G Se si tengono presenti i diversi risultati ottenuti dal Pavesi e si confrontano col fatto che in taluni laghi manca la fauna pelagica per quanto talvolta non farebbero difetto le condizioni di estensione e profonditi, si deve concludere che ancora non si conoscono taluni fattori essenziali alla vita di quella fauna e perciò l’asserita assenza di essa, che non si saprebbe spie- gare non è una obbiezione conti’o la teoria dell’ immigrazione indiretta. Del resto’ il Pavesi (op. cit., pag. 401) ammette implicitamente l’immigrazione passiva quando ripete che la Scandinavia è il paese classico della fauna pela- gica e che nel nord s’è avuto il centro nativo o di dispersione delle specie pelagiche lacustri. j tj i ^ if) De Guerne J., Escursions zoologiques dans les iles de Faya e San Miguel fApores). Paris 1888. , . n- n. Mnr,o (3) Credner R., Eie Reliktenseen. Bine physisch-geographische Mono graphie: I Teil, Ueher die Beweise fur den marinen Ursprung der als Re- LA NAVE DI CALIGOLA AFFONDATA NEL NEL LAGO DI NEMI ECO. 306 aveva discusso in modo magistrale, con ricchezza d’esempi e di bibliografia, il criterio cosidetto faunistico concludendo che nessuno degli argomenti finora addotti per dimostrare la anteriore pertinenza al mare degli attuali laghi che si pretendono di reliquato, possiede decisiva importanza e valore di prova ; che gli animali di voluta origine marina anziché relitti di una precedente fauna marina sono piuttosto forme immigrate. Io non voglio e non saprei adeguatamente estendermi in un argomento d’interesse grandissimo, cioè dell’origine delle faune d’acqua dolce che certamente rimonterà alle più antiche epoche non appena su terre emerse si raccolsero acque pluviali in stagni e laghi e si formarono lagune sull’orlo delle parti basse (i), e chiudo la digressione concludendo non essere affatto dimostrato che il lago di Nemi sia di reliquato. E, ritornando al suolo romano, se il suddetto criterio fauni- stico nulla prova in favore dell’origine marina di un lago, mag- giore importanza acquistano invece le deduzioni che possono farsi circa le condizioni geologiche del terreno circostante. Quindi, con- statata 1 alternanza e talora il graduale passaggio fra i tufi vul- canici ed i giacimenti a diatomee e spongille oppure a molluschi continentali, se si vuole supporre che i fossili dei detti giacimenti non siano sufficienti a farci conoscere la natura delle acque che li originarono, dovrebbesi ricorrere ai tufi sottogiacenti per rintrac- ciare 1 origino marina e la successiva trasformazione in laghi di reliquato, la quale trasformazione accompagnata da corrispondente variazione nella fauna e nella flora dovrebbe, almeno in parte, apparire dai fossili. I fossili dei tufi, a cominciare dal granulare che sembra il più antico, sono ossami, spesso elefantini, molluschi terrestri e d acqua dolce, rami e foglie di alberi e d’ arbusti, tal- liktenseen bezeicìineten. Gotha 1887 (Erganzungsheft N. 86 zu Petermanns Mitteilungen). Vedasi anche II Teil, Ueber die Kennzeichen und die Entste- hungsarten der echten Reliktenseen. Gotha 1888. (Ibid. N. 89). (1) Le lagune, talune foci di fiumi ed i mari del genere del Baltico possono costituire la via di passaggio e di graduale adattamento alle acque dolci. In ogni epoca può iniziarsi e svolgersi con varia intensità una serie di trasformazioni ed adattamenti anche indipendentemente da quelli iniziati in epoca precedente. E. CLERICI 306 volta anche piante erbacee; da essi dunque nessuna prova scatu- risce che detti tufi siano di origine sottomarina (^). Ed ora riferendomi al lago di Nemi, quando esso fosse real- mente di reliquato, potrei sempre muovere obbiezione alla conclu- sione accennata in principio. Il chino prof. Barnabei in una dotta ed interessantissima rela- zione letta alla R. Accademia dei Lincei nella seduta del 17 novembre 1895 dimostrò che nel lago di Nemi sta sommersa ed (1) Pel Portis (op. cit.) sono anche argomenti decisivi a favore della origine nettuniana dei tufi e del suolo romano: le rare valve di Cardium contenute nei tufi della via Flaminia, valve che provengono da anterion for- ■ mazioni marine e salmastre ; la notizia riferita dal Brocchi, sulla fede di altrui comunicazioni orali, che nel peperino di Albano si rinvennero conchiglie | marine, notizia che può esser vera avendo io stesso trovato nel peperino di Nemi un pezzo di argilla portante un grosso esemplare di Turritella subangu- j lata Br.; la notizia riferita dal Lapi di crostacei marini rinvenuti al disopra ■ della lava di Velletri; l’altra notizia data dal Cermelli di porporiti diverse i trovate sul Monte Cavo e cioè al punto più elevato del vulcano laziale.^ Questi | due ultimi rinvenimenti trovano il preciso riscontro in quello fatto dal Pianciani | suU’Aventiuo entro Roma e che mi piace di rammentare. Si tratta di « trochus j « mauritianus, murex hrandaris, murex trunculus, spondylus gaederopus e , u delle ostriche. Queste conchiglie « aggiunge il Pianciani [Di alcune ossa ; fossili rinvenute in Roma e nei dintorni e conservate nel museo Kirche- U riano. Giorn. Arcadico, t. LXm) « non sono fossili, nè ivi sono state deposi- , u tate dal mare. Era agevole immaginare che fossero state impiegate ad ornare , « qualche parte inferiore dell’edificio degli antichi romani ». Infatti poco dopo j fu trovata “ una volta ornata di piu file di cardi ». , Fu data anche importanza (Portis, op. cit., pag. 26 in nota) a quelle | che il Brocchi {Dello stato fisico ecc., pag. 177) chiamava « pretese conchi- « glie marine fossili delPincio». Il Brocchi aggiungeva ; «Siccome il luogo « ove dicevasi di avere rinvenuto que’ fossili è prossimo al convento della Tri- u nità de’ Monti non sarebbe improbabile che avessero appartenuto a taluno di « que’ cenobiti dilettante di simili curiosità e che dopo la morte sua fossero « stati gettati come cose disutili ». Fra quei fossili che si conservano nel museo geologico universitario di Roma vi ha un Conus che proviene certamente da località francese come certamente è di età prepliocenica; ed a convalidare j r ipotesi del Brocchi aggiungerò che nelle escavazioni fatte per fondazioni | nel 1885 su quella falda del Pincio non lungi dallo stesso convento si trovò | una grossa ammonite del gruppo dell’ Hildoceras bifrons Brug. (per es. H. Le- | visoni Simps.) di provenienza certamente straniera che si conserva nel museo | dell’istituto di s. Giuseppe. LA NATE DI CALIGOLA AFFONDATA NEL LAGO DI NEMI ECO. 307 in parte affondata nella melma una sontuosa nave lunga ben 68 m. e larga 20, fatta costruire da Caligola (^). Il 25 dicembre successivo ebbi dallo stesso prof. Barnabei, al quale rinnovo sentiti ringraziamenti, una certa quantità del sedi- mento esistente sulla nave, fatto raccogliere appositamente per me dal palombaro. Lasciai seccare il sedimento per poi intraprenderne lo studio. Sopra una parte operai la stacciatura in acqua e la cernita, e su altra parte feci l' ordinario trattamento cogli acidi per eliminare la piccola quantità di calcare e per distruggere le materie organiche e poscia feci le lavature e decantazioni. La parte grossolana contiene, come è facile immaginare, pezzetti di lave, scorie e lapilli, frammenti e cristalli di augite e di leucite vetrosa, laminette e cristalli di mica, molti granuli magnetici ; inoltre pezzetti di mattoni. Di organico trovai molti frammenti di fusticelli legnosi anne- riti, molti frammenti mal conservati di foglie specialmente mono- cotiledoni, alcuni semi fra cui quelli di vite e frutti di Cerato- fhyllum demersum Lin., quindi resti di pesci, cioè vertebrine, molti denti faringei di ciprinidi (2) e caratteristiche spine ventrali di Gasterosteus aculeatits Lin. (’^) che secondo il Pavesi è pure una forma relegata. (1) Barnabei P., Delle scoperte di antichità nel lago di Nemi. Atti d R. Acc. d. Lincei, classe di scienze morali ecc. Notizie degli scavi, ottobre 1895. Durante la revisione delle bozze della presente Nota è stata pubblicata una relazione dell’ ing. V. Malfatti [Nuove ricerche nel lago di Nemi e pro- gramma per mettere in secco le antichità quivi rintracciate. Notizie degli scavi del mese di ottobre 1896) colla quale viene risolto il dubbio che più di una nave giacesse affondata nel lago : vi si rende conto delle ricerche fatte intorno a due navi, oltreché intorno alla conformazione subacquea del lago ed alla sua profondità sulla quale esistevano pareri molto disparati. p) I ciprinidi sono pesci esclusivamente di acqua dolce ed assai diffusi, quindi il loro adattamento rimonta ad epoca molto remota. Invece il genere Gasterosteus conta ancora qualche specie salmastra, P) Eduard v. Martens [Ueher einige Fische und Crustaceen des sùssen Gewàsser Italiens. Archiv fur Naturgeschichte. 23 Jahrg., 1 Band, pag. 165. Berlin 1857), che per primo si occupò della fauna dei laghi di Alhano e di Nemi, chiamò lo spinarello Gasterosteus leiurus Cuv. et Val. var. Questo nome viene ora applicato ad una delle tante varietà del G. aculeatus Lin. 308 E. CLERICI La parte sottile del sedimento è prevalentemente costituita da | diatomee (') e vi sono frequenti le spicule scheletriche e della , gemmala di due potamospongie, cioè Spongilla lacustris ed E'phy- | dalia fluviatilis (^). _ i Io credo che sia lecita la comparazione di questo sedimento ^ con quei giacimenti più o meno ricchi di diatomee e di spongille che ho trovato nella provincia di Roma (*). Vi si può rimarcare la presenza o 1’ assenza, la frequenza o la scarsità di una specie piuttosto che di un’ altra, ma il carattere generale è lo stesso. Prima di concludere apro ancora una parentesi. E noto che un | Vedasi Moreau E., Ilistoire naturelle des poissom de la France, tome III, p 163 Paris 1881 ; vedasi anche Locard A., La péche et les poissons des eaux douces, Paris 1891, ove alle pag. 25-31 sono riportate parecchie figure. (1) L’elenco delle specie sarà pubblicato in altro periodico. (2) Vedasi Clerici E., Sulle spugne fossili del suolo di Roma (Pota- mospongie), Boll. d. Soc. geol. ital. voi. XIII, 1894. (3) Affinchè le mie conclusioni non vengano intese in un senso troppo generale mi riferisco pel dettaglio ad alcuni dei miei precedenti lavori : Notizie intorno ai tufi vulcanici della via Flaminia dalla valle del Vescovo a Prima Porta. Rend. d. R. Acc. d. Lincei. Roma 1894. - Consi- derazioni sui tufi vulcanici a nord di Roma fra il fosso della Crescenza e quello della Torraccia. Id. 1894. - Sulla origine dei tufi vulcanici a nord di Roma. Id. 1894. — Ancora sulla origine e sull'età dei tufi vul- canici al nord di Roma. Id. 1894. - Sopra un giacimento di diatomee al Monte del Finocchio o della Creta presso Tor di Valle. Boll. d. Soc. geol. it Roma 1894. — Per la storia del sistema vulcanico Vulsinio. Rend. d. R. Acc. d. Lincei. Roma 1895. _ „ .x , E torno a ripetere altresì che dirigendosi dai coni vulcanici verso 1 attuale mare è dato di constatare in alcuni luoghi, che là i primi prodotti vulcanici caddero o furono trascinati in mare, come ne sono trascinati attualmente in mare senza che vulcani agiscano nella regione, come ve ne cadrebbero se i nostri vulcani si riattivassero. - Nel territorio adiacente alla via Aurelia ho avuto la fortuna di trovare, per primo, roccie tripolacee e tufacee con diatomee di acque salate {Chaeto- ceros, Hyalodiscus, Amphitetras ecc.): ma vi è altresì evidente il passag^o dalle acque salse alle dolci. Quando cessano le specie d’ acque salse e conB- nuano indefinitamente diatomee, molluschi e vertebrati continentali non vedo obbligo nè opportunità di continuare a considerare la formazione come manna. Dei numerosi giacimenti diatomeiferi da me scoperti a Malagrotta, Boccea, La Bottaccia, Castel di Guido, Quartaccio le Pulcelle, Leprignana, Torrimpietra ecc. parlerò in una prossima occasione. I LA NAVE DI CALKtOLA AFFONDATA NEL LAGO DI NEMI ECO. 309 fosso discendente dal Monte Calvarone, ad est di Nemi, corrode anche uno strato, sottoposto al peperino e poco coerente, di lapilli e proietti, contenente, dove più dove meno frequenti, certi blocchi o frammenti di argilla a fossili marini. L’ argilla, spesso inalterata, ne viene stemperata e le ben conservate foraminifere che in abbondanza con- tiene dopo un brevissimo percorso sono gettate nel lago, insieme alle ben più resistenti spicule di spugne marine, se vi sono. Supponendo ora che il lago, naturalmente od artificialmente fosse disseccato o ricolmato, un osservatore messo in grado di stu- diare il sedimento vi troverà le diatomee, le spongille ed i resti di pesci come è occorso a me ed eventualmente anche qualche fora- minifera e spicula di spugna marina. Chiamato a giudicare dell’ origine del sedimento non esiterei a dichiararlo d’ acqua dolce come ho fatto per gli analoghi giaci- menti diatomeiferi dei dintorni di Roma. Ora io domando : Sarebbe permesso di dire che il sedimento depostosi sulla nave di Caligola, nel corso di diciotto secoli, da acque mantenutesi nel frattempo costantemente dolci e senza comu- nicazione col mare, sarebbe logico, ripeto, di dire che quel sedi- mento è di origine marina, o meglio che i geologi devono consi- derarlo come tale? La stessa domanda potrei fare per il materiale che costitui- sce il fondo del lago d’ acqua dolce di Gabi o Castiglione, alla base del sistema laziale verso nord, il quale venne prosciugato, non sono molti anni, dal principe Francesco Borghese. Anche questo materiale contiene le più volte citate diato- mee (^) e spicule di spongille. [25 novembre 1896] (1) Sopra 56 specie di diatomee ve ne sono 34 esclusivamente d’ acqua dolce, 19 che stanno tanto nelle acque dolci che nelle salmastre e 3 che si trovano tanto nelle acque dolci che nelle salmastre e nelle marine. Per l’e- lenco delle specie vedasi: Lanzi M., Le diatomee fossili di Gabi. (Atti Acc. poni d. nuovi Lincei, anno XXXIX, 1886). SULLA GEOLOGIA DELLA CALABRIA SETTENTRIONALE Nota deiring. Emilio Cortese. Alla R. Accademia dei Lincei fu presentata, dal corrispon- ■ dente prof. E. Bassani, una nota preliminare dei sigg. E Bòse e G. De Lorenzo, sulla geologia della Calabria meridionale. In essa nota è fortemente criticato un mio lavoro sulla geo- logia di quella regione {Descrizione geologica della Calabria: Memorie Descrittive della Carta Geologica d Italia. Voi. IX, R. Ufficio Geologico). Più che criticato, quel mio lavoro, di esso vien detto, almeno per la geologia, che esso è un cumulo di errori, e, tanto peggio, ; che una medesima roccia fu da me determinata in modo diverso ^ da una località all'altra, descrivendo persino dei calcari basici I neri, come calcari marmorei triasici, bianchi. ’ Avendo da molti anni abbandonato i lavori geologici, mi sen- ■ tirei alieno dal discutere di geologia, se le critiche contenute m ' quella nota non mi ci forzassero. Non potrei lasciare gli altri geo- logi sotto r impressione che io abbia così male e così ciecamente I percorso quelle regioni, e che dopo 15 anni di^ lavoro geologko, j abbia potuto ancora determinare come scisti triasici, degli scisti ^ eocenici (*)• . (1) Questa nota er.i in via di pubblicazione, quando mi giunse l’estratto I di un lavoro dei sigg. Bose e De Lorenzo, pubblicato nel Jabrbuch der K. K. | geol. Reicbsanstalt di Vienna, voi. XLVI, 1896, fase. 2. Questo lavoretto, la cui seconda parte si intitola dalla geologia della Calabria nord-occidentale, . più che un lavoro di geologia, è una critica a fondo del mio lavoro sulla i Calabria. Poche o punto prove paleontologiche sono addotte, per dimostrare , che le mie determinazioni sono false, ed esatte quelle dei due autori. Le poche . sezioni, ricche di faglie, non mi sembrano dimostrare ^an^ che. A forza di. fao-lie tutto si può dimostrare, ma bisogna essere ben sicuri della esistenza I dicesse. Siccome io non ho veduto tutte queste faglie, e non ho l’abilità di! vedere così bene la geologia di una regione, in cinque o sei escursioni, di- E. CORTESE, SULLA GEOLOGIA DELLA CALABRIA SETTENTRIONALE 311 La regione in discussione è certamente delle più aspre, diffi- cile a percorrersi, per mancanza di strade, di abitati confortevoli, per asperità di monti e di vallate. Bicordo avervi fatto, sempre a piedi, perchè in pochi luoghi si può inerpicarsi coi muli, delle lunghissime escursioni, e ripe- tute. Questo non hanno fatto certamente i due geologi citati, ma può essere che quà e là, in piccoli lembi, trascurati o non veduti da me appunto perchè di troppo facile accesso, essi abbiano tro- vato qualche lembo di calcari sovrastanti (liasici) caduto fra i cal- cari triasici. È certo che quei signori non hanno veduto bene i marmi di Lungro e quelli del Passo dello Scalone, perchè non li avrebbero paragonati ai calcari subcristallini, bianchi, del Cozzo Pellegrino, della Mula, ecc. ecc. I calcari scuri che essi indicano sempre come probabilmente liasici, e che dicono contenere megalodonti, io li ho uniti alla do- lomia principale, e fra questa determinazione e quella della loro probabile liasicità non mi pare corra un abisso, meno che in una cosa sola, nell’asserzione che questi calcari neri sono identici a quelli di Longobucco. II lias di Longobucco fu da me insistentemente segnalato fin dal 1882, al prof. Gemmellaro, poi al Canavari, indi al Di Stefano; era per me un vecchio amico, già veduto in Sicilia, e non avrei mancalo di riconoscerlo a Lungro ed a Saracena. Anche io, nella mia Memoria, faccio larga parte alla proba- bile età di scisti e calcari. Da pag. 90 a pag. 92, descrivendo i calcari marmorei, i marmi, i calcari siliciferi, gli scisti lucenti, dichiaro sempre che la analogia litologica (e la posizione strati- grafica) mi consigliano a riferirli al trias medio, parte superiore, perchè nelle Alpi Apuane identiche roccie vi sono state sicura- mente riferite. Nel calcare marmoreo non ho trovato fossili. Ve ne hanno trovati chiaro che non mi sento di fare una discussione sulla carta. La farei volen- tieri sui luoghi, e avendo in mano delle carte in scala grande (al 50000) per- chè non mi si venisse a dire, come in quel lavoro hanno detto quei signori riferendosi alla cartina al 500000, che ho preso per trias medio « dei conglo- merati post-pliocenici » ! Ogni altra discussione sarebbe sterile, ed io mi fermo qui. E. CORTESE 312 i sigg. Bose 6 Bg LorGnzo ? Sg si, g sg sono liasici, essi hanno ragiono, g la analogia litologica mi ha indotto in orroro. Rimarrà a spiogarG corno quollc enormi masse sieno andate a cacciarsi in fondo a vallate asprissime, i cui fianchi sarebbero costituiti da cal- cari più antichi. Tutto sarebbe spiegato colle faglie, innumerevoli secondo quei geologi, e il mio errore in gran parte dipende, dicono, dal non aver tenuto conto delle fratture. Confesso che non avrei mai creduto di esser incolpato di ciò, io che ho una fama ben diversa, fra i geo- logi, in fatto di faglie e fratture. Dunque, per i calcari, riduciamo le cose alla più semplice espressione. I miei calcari marmorei bianchi, sono calcari neri, caduti fra delle spaccature di calcari e dolomie del trias superiore, e invece di essere del trias medio, sono Basici. Per la dolomia principale, cui ho dato tutta l’ importanza che ha e che è grandissima, non è grande la discrepanza coi sigg. Bòse e De Lorenzo. Essi ne separano una parte, che è a megalodonti, come il resto, per metterla nel lias, ma ciò con dei probabilmente facilmente confutabili. L’ importanza della mia e della loro dolomia principale è dunque di poco diversa, meno che forse, per la denominazione te- desca di Hauptdolomit da essi adottata, e che io ho sfuggita, perchè scriveva in italiano. Ma veniamo alla critica più grave. Io ho preso per scisti triasici degli scisti eocenici o miocenici. Non solo ciò ho fatto per i dintorni di Lungro, di Mormanno, ecc. ecc., ma ho chiamato antiche le roccie eruttive basiche che vi stanno racchiuse! Ecco asserzioni non esatte e senza scopo. Sopra Lungro (v. fig. 22, pag. 291) sono segnati gli scisti eocenici (eO sopra ai calcari triasici; nel testo, pag. 293, è detto che vi è un lembo di marne salifere, sopra Lungro, staccato e portato su quando la faglia ha violentemente sollevato ecc. ecc. Diranno i contradittori : ma nella fig. 9, pag. 93, avete messo degli scisti triasici sopra Lungro, non del Flysch (*), e nella Sez. 2^ (*) Questa denominazione ibrida e inopportuna, per noi italiani, non è mai usata da me. SULLA GEOLOGIA DELLA CALABRIA SETTENTRIONALE 313 non lo inarcate. Sicuro! La prima è una sezione dimostrativa, la seconda non passa attraverso quei pochi lembi di scisti terziari che i sigg. Bose e De Lorenzo hanno resi sincroni cogli scisti lu- centi, sericitici, di S. Donato e Acquaformosa. Nella cartina al 500000 che accompagna la Memoria, è se- gnato r eocene, a Mormanno, Papasidero, ecc. ecc. Meglio si ve- drebbe tutto il Flysch che ho rilevato, nelle carte al 50000 depositate al E. Ufficio Geologico, e in quelle al 100000 che si pub- blicheranno ; ma lo si arguisce dalle descrizioni contenute nel testo. Ma i due critici hanno preferito biasimare l’ opera mia senza guardarla tanto pel sottile. Non mi è bastato indicare le roccie a tipo diabasico, nei quadretti dei colori dell’ eocene, nella carta e nelle sezioni ; non mi è bastato dire che quelle roccie sono eoceniche secondo me; non è bastato mettermi quasi in guerra col Bucca, che vuole arcaiche quelle roc- cie! No: i miei demolitori mi hanno accusato di averle determi- nate come antiche e di aver messo come triasici gli scisti di S. Do- nato che, secondo essi, sono eocenici! Le roccie diabasiche io le ho messe eoceniche; gli scisti lu- centi che sono a Mormanno, a Lungro e S. Donato, e, in forza di faglie, vicini a quelli lucenti antichi, li ho messi eocenici. Gli scisti lucenti di S. Donato, che ho perforato con pozzi e gallerie, come ho detto nella Memoria, hanno una posizione stra- tigrafica determinata, e sicura appunto in seguito a quei lavori. Il Viola ha determinato come arcaico un lembo di scisti lu- centi presso S. Severino Lucano, e la cartina che accompagna la mia Memoria, e che è un foglio della cartina geologica generale dell’ Italia, porta quel lembo segnato Se (scisti cristallini). Ma ciò riguarda il Viola; io ho fatto la descrizione geologica della Cala- bria, e fin dalla prima pagina ho stabilito i confini di quella re- gione e dei terreni che imprendeva a descrivere. Se a queste asserzioni lanciate per criticare il mio lavoro, si aggiungono quelle : che io ho descritto per calcari bianchi dei cal- cari neri, e viceversa, non so davvero cosa rimanga di esatto nella Nota preliminare dei sigg. Bose e De Lorenzo. [26 iiovembTe 1896] 22 GASTEROPODI GIURASSICI DEI DINTORNI DI AQUILA Nota del dott. Gustavo Levi. (con una tavola) Il materiale da me studiato fu inviato al Museo Geologico del R. Istituto degli Studi Superiori di Firenze dal prof. Chelussi della Scuola normale maschile di Aquila, e parzialmente anche dal prof. Taramelli, ed è stato raccolto quasi esclusivamente a Rocca di Cambio, ma in parte anche nelle località di S. Martino e di Lu- coli, tutte al sud di Aquila. Il calcare, che racchiude i miei fossili, è di un colore bianco ceroide e costituisce una compattissima lumachella, nella quale si trovano cementati esemplari completi e frammenti. Molte delle conchiglie sono perforate da Clionae. I fossili abbondantissimi in questo calcare sono quasi com- ■ lietamente spatizzati, quindi mi è riuscito di somma difficoltà le- strameli, giacché ai colpi dello scalpello si spezzayano insieme alla roccia e colla calcinazione diventavano più fragili della roc- cia stessa. n 4.- • Pure, usando grandi precauzioni e con colpi assestati giusta- mente, sono riuscito ad estrarne dei buonissimi esemplari. Gli strati di questo calcare furono sinora ritenuti cretacei come vedesi nella Carta Geologica d’Italia al 1000000 pubblicata m Roma dal R. Ufficio Geologico nel 1889. Io, invece, studiandoli sono venuto alla conclusione che debbano ritenersi giurassici ed ; appartenere al Titonico. se non, forse, ad età un poco piu antica, , come i calcari ad Elliisactinia della cui massa probabilmente fanno , Tra le mie specie vanno annoverate due Amberleyae, genere^ non più recente del giurassico. La Nerinea nodosa Voltz, è stata: G LEVI, GASTEROPODI GIURASSICI DEI DINTORNI DI AQUILA 315 trovata in quasi tutti i piani del Giura superiore, ma non mai nella creta. La mia Ptijgmatis è molto prossima alla Phjgmatis Bruntru- tana Thur, ed il mio Cerithiim Canavarii è molto vicino al G. dictyotum Zitt. : ambedue sono specie giurassiche. La Lucina substriata, Eoemer, pure, è specie giurassica. Ecco pertanto la nota delle mie specie: Amberleya costata mihi. Amberleya echinata mihi. Hemiacirsa aprutina mihi. Chemnitzia ? sp. Nerinea sp. Nerinea nodosa Voltz. Nerinea laevogira mihi. Nerinea Chelussii mihi. Ptygmatis Baldaccii mihi. Itieria Pillae mihi. Cerithium Canavarii mihi. Lucina substriata Eoemer. ^mberleytx costata mihi. (^) Tav. IX, fig. J-4. Dimensioni : Angolo spirale 25°-28° Angolo suturale 87° Altezza degli anfratti in rapporto al loro diametro medio . . Y13 Lunghezza di un individuo adulto mm. 40 circa Larghezza dell’ultimo anfratto » 19 « Conchiglia conica, torriculata, poco allungata. La spira cresce regolarmente formando un angolo di 25° -28°. Gii anfratti, assai numerosi (circa 9), sono divisi da suture profonde. Ciascuno di essi è attraversato da circa 12 pieghe un poco convesse verso l’aper- (9 Molto ho esitato sul genere al quale dovessi riferire questa mia specie e la successiva. La forma esteriore le avvicina a qualche specie del gen. Cerithium, ma la mancanza assoluta di canali mi fecero escludere che potesse trattarsi di Cerithidae. Maggiore affinità, invece, presentano col gen. Amberleya, per la grandezza dell’ ultimo giro e l’ angolosità posteriore della bocca ; però la bocca è generalmente più grande nelle Amberleyae. Giova notare che alcuni riuniscono il genere Amberleya al genere Eu- nema, altri invece li considerano separatamente ; a buon conto le mie due specie vanno strettamento riunite al genere Amberleya. G. LEVI 316 tura ed obliquamente disposte all’ asse della conchiglia. Queste pie- ghe, poco visibili nella parte mediana, vanno ingrossandosi nell’ av- vicinarsi alle suture, presso le quali terminano con assai grossi tubercoli. I giri sono inoltre ornati di strie spirali non sempre vi- sibili essendo esse finissime. Presentano altresì delle strie di ac- crescimento incurvate, con convessità a sinistra, le quali ci danno, in tal modo, indizio che il labbro sinistro doveva essere bene in- curvato ed espanso. L’ ultimo anfratto è appena convesso alla base ed esternamente un poco angoloso. La bocca è rotonda o subqua- drangolare, un poco acuta posteidormente, piccola, situata in basso ed apparentemente sprovvista di canale; il labbro columellare è coperto di una callosità sottile ma abbastanza ampia. Amberleya ecliinata mihi. Tav. IX, fig. 6-10. Dimensioni ; Angolo spirale .30-35 Angolo suturale _ Altezza degli anfratti in rapporto al loro diametro medio Lunghezza di un individuo adulto Larghezza dell’ ultimo anfratto mm. 35 circa 15 " Conchiglia conica, torriculata, alquanto allungata. La spira crescendo regolarmente forma un angolo di 30°-35°. Gli anfiatti (circa 8) sono molto convessi e separati da suture profonde. Cia- scuno di essi è ornato al terzo medio da due giri di tubercoli nu- merosi, acuminati, simmetricamente disposti e riuniti trasversaL mente e longitudinalmente. Quando gli anfratti sono molto rilevati, si notano altre serie di tubercoli, identici a quelli descritti, in prossimità delle suture. Nell’ ultimo anfratto le serie di tubercoli sono fitte e numerose. Anche in questa specie, come nell altra, le strie d’accrescimento, essendo incurvate con convessità a sinistra ci fanno arguire che il labbro sinistro doveva essere incurvato ed espanso. L’ultimo anfratto è appena convesso alla base ed ester- namente un poco angoloso. La bocca è rotonda o subquadrangolare, un poco acuta posteriormente ed apparentemente sprovvista di canale. GASTEROPODI GIURASSICI DEI DINTORNI DI AQUILA 317 Genus. Hemiacirsa De Boiiry. Il De Boury {Révision cles Scaliclae miocène^ et iMocènes, d Itcdie. Bull, della Soc. Malac. Ital., voi. XI Y, 1889), osservando che alcune Scalarle terziarie si distaccavano da quelle per il loro aspetto simile a quello dei Loxonema, le separò da quelle, e, prendendo a tipo la ScdlcLvia lanceolatct Brocchi, le comprese col nome di Hemiacirsa. Ora, avendo potuto in uno dei miei esemplari osservare 1’ apice e notando essere la spira in esso pure destrorsa, come nel resto della conchiglia, per cui non può essere un Loxonema, così per la grande analogia colla H. lanceolata Br. e colle altre Hemia- cirsae terziarie ho reputato dovere comprendere la mia specie in tale sottogenere. ~ Hemiacirsa aprutiaa mihi. Tav. IX, fig. 11-12. Dimensioni. Angolo spirale yo-lS" Angolo suturale 0,50° Lunghezza di un individuo mm. 20 circa Larghezza dello stesso » 35 » Conchiglia imperforata, torritelliforme, allungata. La spira re- golarmente crescente forma un angolo di 7°-13°. Ha vertice acuto ed è composta di 11-13 anfratti lentamente crescenti, spesso con- vessi, separati da suture superficiali. Gli anfratti sono attraversati da coste longitudinali, bene rilevate, in gran parte continue da un giro a un altro, leggermente oblique e qualche volta un poco in- curvate. Si notano inoltre, a volte, sugli anfratti delle finissime strie spirali. L ultimo giro è non molto grande. L’ apertura boc- cale è piccola, ovale-arrotondata. Chemnitzia Tra gli altri fossili trovai un unico frammento, appartenente probabilmente al gruppo delle Ghemnitsiae, il quale, per 1’ orna- G. LEVI 318 mentazione e gli altri caratteri visibili, notai avere molta analoga . con i Loxonma, per es. col Loxonema formosum. De Komnck (De ; Koninck, Fame du calcaire carhonifère de la Belgique IS . partie, pi. 6, fig. 32), avendo anfratti numerosi alquanto con- ^ vessi, traversati da costicine assai rilevate, numerose, alquanto oblique e sigmoidali, separate da suture profonde. Però, il nostro esemplare essendo incompleto, mancando 1’ apice e la bocca, non : potrei affermare con certezza trattarsi di un sottogenere piut- tosto cbe di un altro ; per cui mi sono limitato a riferirlo al gruppo delle Chemnitziae. iVerinea sp. Dimensioni : Angolo spirale . Angolo suturale. 8- 8P Nerinea conica, torriculata, assai allungata. La spira cresce regolarmente formando un angolo di circa 8». Gli anfratti stretti, pieni, si sollevano posteriormente con un cingolo granuloso e sono ornati di altri tre cingoli nella parte mediana. Possedendo di questa specie un unico esemplare inseparabile dalla roccia mi è stato impossibile vedere le pieghe della bocca. Questa mia specie offre qualche affinità per 1 ornamentazione colla iV. Loryana Gemm., ma ne differisce per il numero dei cin- goli granulosi (4 nella nostra, 5 in quella del Gemmellaio), pei la strettezza maggiore degli anfratti e per la forma piu allungata della conchiglia. IVerinea nodosa Voltz. Tav. IX, fig. 15, 19 (e). 1836. Ne.inea »»d„,a T.lri, UeU. d« foni. Ge.o Nerinex Ne.es; Jahrbuch fiir Mineralogie, pag. 342. ! „ „ Bromi, Uebersichtder bis jetztbekannten Nerinea-. Arten, N. Jalirb. fiir Miner., pag. 561. ,852. . Caljps. D’ Ovbig.y, PaUon,clo,ie tomo II, pag. 136; tav. LOLAAìv, n^. GASTEROPODI GIURASSICI DEI DINTORNI DI AQUILA 319 1864. Nerinea nodosa Montagna, Generazione della terra, 302, tav.XLIX, fig. 10. 1878. i> Il Pirona, Sulla fauna giurese di Monte Cavallo, pag. 26, tav. IV, fig. 2-4. 1889. Il » Loriol, Elude sur les mollusques des couches coral- ligènes inférieures du dura Bernois (Mé- moires de la Soc. Pai. Suisse, pag. 32. tav. IV, fig. 5-11. Dimensioni (’): Angolo spirale 16° Angolo suturale 83° Altezza degli anfratti in rapporto al loro diametro medio . V2 Conchiglia torriculata, un poco allungata, con apice acuto. La spira cresce regolarmente formando un angolo di circa 16°. I giri stretti, assai numerosi, sono depressi ed alquanto concavi nella parte mediana e fortemente rilevati lungo la sutura posteriore, dove si manifesta un giro di tubercoli (circa 14) grossi ed assai prominenti. Pure presso la sutura anteriore gli anfratti sono al- quanto rilevati, ma senza presentare tubercoli; nel mezzo si nota un cordone granuloso poco saliente. Presentano inoltre delle strie di accrescimento finissime. La bocca presenta 5 pieghe: 3 columellari bene marcate, due labiali, di cui la posteriore meno sviluppata di quella anteriore ed a forma di uncino. Questi i caratteri che potei desumere dai miei pochi esemplari. Essi coincidono con quelli descritti dal Loriol (op. cit.) in tutto, fuorché nella forma delle pieghe. Il disegno delle pieghe nella nostra specie si avvicina, più che ad altri, a quello datoci dal Voltz, quantunque la piega labiale anteriore della nostra sia assai più sviluppata che nella sua. Bisogna notare, come giustamente osserva il Loriol, che il D’Orbigny, trovando una Nerinea molto consimile alla N. nodosa Voltz, la determinò con questo nome {Pai. Frang., Terr. Jurass., tomo II, pag. 254, fig. 3-5) ; laddove creò una specie nuova : N. Calypso (op. cit., tomo II, pag. 136, tav. CCLXXIV, fig. 4-6) di un’ altra, la quale era, invece, da unirsi alla N. nodosa Voltz. Del resto minime sono le differenze, tanto che lo Zittel non (q Queste misure sono approssimative, trattandosi di esemplari incom- pleti e non isolabili dalla roccia. 320 G. LEVI ne vede che ima ed il Biivignier ammette che, potendosi trovare . cotesta Nerinea in piani di differenti età (Oifordiano e CoraUiano). può aver subito delle successive modificazioni. A buon conto la nostra somiglia strettamente alla .V. Calypso D' Orb. per la forma non piipoide della conchiglia, per la strettezza defili anfratti ed il numero assai grande di tubercoli. O IVerinea laevogira mihi. Tav. IX, fig. 16-18. Dimensioni ; Angolo spirale Angolo suturale ^ ^ Altezza degli anfratti in rapporto al loro diametro medio Vs Conchiglia torriculata, allungata, non omhellicata, sinistrorsa. La spira cresce regolarmente, formando un angolo di 12°-lo . Gli anfratti sono stretti, assai lisci, fortemente rilevati in prossimità : della sutura (specialmente presso quella posteriore), ed un appena ^ visibile rilievo offrono pure nella parte mediana. La bocca presenta 5 pieghe: 2 labiali, 3 columellari. Delle labiali quella posteriore è poco prominente; delle columellari quella , posteriore è prominente e falciforme; le altre due sono piccole, ! delle quali quella anteriore più sviluppata. Sinora non era stata trovata che una sola specie di Nerinea colla spira volta a sinistra: la Nerinea sinistrorsa Gemm. (Gemmellaro, j Studi paleontologici sulla fauna del calcare a Terebratula Ja- ^ nitor del Nord di Sicilia, 1870, pag. 38, tav. V, fig. 19-21), trovata dal Gemmellaro nel Neocomiano di Capaci. Il Baldacci : nella sua: Descrisione geologica dell’ Isola di Sicilia, 1886, in: ^ « Memorie descrittive geologiche della Carta Italiana » crede invece | che il terreno di questa località appartenga all’ Urgoniano. Ma ; la nostra specie differisce assai da quella del Gemmellaro per gli ; ornamenti della conchiglia, giacché quest’ ultima ha anfratti piani, ; con una serie di tubercoli al terzo anteriore, laddove la nostra e , rilevata verso le suture e non presenta tubercoli. Inoltre gli angoli spirale e suturale della nostra specie sono maggiori di quelli del-, r altra ed il rapporto degli anfratti al diametro è minore. Si av-| vicina invece per il disegno delle pieghe. GASTEROPODI GIURASSICI DEI DINTORNI DI AQUILA 321 L’ Herbich nei « Palàontologhche StucUen iiber die Kalklijpperi des Siebenburgischen Ersgehirges ” dice di avere trovato una Nerinea destrorsa che, avendo la spira volta a destra, per questo solo differiva dalla N. sinistrorsa Gemm. A me pare, che la N. destrorsa Herb. si accosti più alla nostra specie che a quella del Gemmellaro, giacché la descrizione, che 1’ Herbich fa degli orna- menti della sua specie corrisponde a quella della nostra. IVerinea Ch.elu.ssii mihi. Tav. IX, fig. 19 {b), 20-24. Dimensioni : Angolo spirale variabile Angolo suturale 75°-80“ Altezza degli anfratti in rapporto al diametro medio . “ Conchiglia torriculata, poco allungata, sinistrorsa. Spira leg- germente pupoide composta di giri stretti numerosi (circa 15), quasi pianeggianti nella parte mediana e fortemente rilevati verso la sutura posteriore, dove si nota un giro di grossi tubercoli. An- cora presso la sutura anteriore gli anfratti sono alquanto rilevati, ma meno fortemente e senza presentare tubercoli: nel mezzo pre- sentano un cordone granuloso assai appariscente. La bocca presenta 5 pieghe: 3 columellari bene marcate, 2 labiali, di cui l’anteriore più sviluppata. Presenta qualche affinità colla N. sinistrorsa Gemm. per il modo di svolgersi della spira e per il disegno delle pieghe, ma ne differisce per tutti gli altri caratteri. Somiglia iuvece strettamente alla N. nodosa Voltz, differendo da questa solo per la direzione della spira ed il cordone granu- loso meno marcato. Si potrebbe, perciò, supporre che la Nerinea Chelussii e la N. nodosa non costituissero che una sola specie dimorfa : però, non possedendo dati sufficienti per poterlo affermare con certezza, ho creduto conveniente creare una specie nuova. 322 G. LEVI IPtygixiatis Tialdaccii aiihi. Tav. IX, fig. 25-26. Dimensioni : Angolo spirale Angolo suturale Altezza dev'li anfratti in rapporto al diametro medio 18‘'-23“ 80® circa j Vs Conchiglia torriculata, allungata, alquanto pupoide. Gli an- ^ fratti, assai numerosi (circa 12), sono depressi, quasi concavi presso la sutura anteriore e nella parte mediana e fortemente rilevati presso la sutura posteriore, dove si manifestano con un giio di . grossi nodi. Le pieghe della bocca sono 5 : 2 labiali, di cui la > posteriore piccola e semplice e l’ anteriore trifida, ad uncino e prò- | fonda, e 3 columellari, di cui la posteriore più sviluppata e quella i di mezzo trifida. I Per la forma delle pieghe, la mia Ptijgmatis corrisponde alla j Ptygmatis Brmtruiana Thur. (Thurmann, Lethea Brantrulana, j pag. 94, pi. VII, fig- 39) ; ma la scultura degli anfratti è ben diversa. Itieria F*illae mihi. Tav. IX, fig. 5. ; Dimensioni : Lunghezza totale della conchiglia 42 Diametro maggiore ’’ Lunghezza dell’ultimo anfratto " 35^ Angolo spirale all’ origine 32 Conchiglia ovale, allungata, non ombellicata. Ha circa 6 an- fratti lunghi, lisci, r ultimo dei quali ricopre quasi completamente gli altri, °occupan do circa i «A della lunghezza dell’ intera con- chiglia. Bocca allungata e stretta, più larga in avanti che in dietro. Pre'senta 4 pieghe; 3 columellari piccole ma bene distinte, 1 la- biale situata in dietro, ampia, ma poco rilevata. | Per la forma esteriore si avvicina molto alla Itieria ovalU Gemm. (Gemmellaro, Monografia del genere Itieria Math., 1863, | I GASTEROPODI GIURASSICI DEI DINTORNI DI AQUILA 323 pag. 7, taT. 1, fig. 1), ma se ne distingue, giacché la mia non è omhellicata, ha 3 pieghe columellari anziché 2 come quella del Gemmellaro, ed inoltre la mia é rigonfia più anteriormente che posteriormente, laddove 1’/. ovalis lo é più in dietro che in avanti. Canavai'ii mihi. Tav. IX, fig. 13-14. Dimensioni ; Angolo spirale 15<’-20® Angolo suturale 78" Altezza degli anfratti in rapporto al loro dia- metro medio 0,50-0,60 Lunghezza di un individuo adulto mm. 85 circa Larghezza massima « 18 » Conchiglia torriculata, molto allungata. Spira crescente rego- larmente, formando un angolo di 15®-20". Gli anfratti sono lisci, convessi, separati da profonde suture. Bocca allungata, fusiforme, con canale piuttosto corto, un poco ripiegato. L’ ultimo giro é assai grande. Questo Ceriihium presenta molta afiìnità col C. dictyotum Ziti (Zittel, Die Gasteropodeìi der Stramberger- Schiehten, 1873, pag. 383, tav. XLIV, fig. 6, in Palàontologischen Mittheilungen). Le dimensioni, infatti, e la forma della conchiglia di questo cor- rispondono a quelle del mio, distinguendosene solo per l’ ornamen- tazione degli anfratti, ma poiché la superficie del mio Cerithium é molto consumata, potrebbe darsi che in origine ambedue aves- sero la medesima scultura, per cui non sarebbero che una sola specie. Lucina substriata Koemer. 1836. Lucina substriata. Hoe-m&i, Petref. der Norddeutschen Oolith-Geb., pag. 118, tav. 7, fig. 18-19. 1887. » )) T)e\ioy:ìol,Etudes surlesmollusques des couches coralligènes de Valfin {dura), pagina 252, tav. XXYII, fig. 10. Posseggo di questa specie alcuni esemplari, ninno dei quali completamente separabile dalla roccia. La forma e la struttura 324 G. LEVI, GASTEROPODI GIURASSICI DEI DINTORNI DI AQUILA della conchiglia non mi fanno, nondimeno, esitare sulla determi- nazione della specie, giacché coincidono con quelle della Lucina substriata Roemer, descritta e figurata recentemente dal De Loriol (op. cit.). Caratteristica di questa specie è 1’ avere coste lamelli- formi concentriche, sulle quali sono visibili delle strie finissime trasversali. Questa specie è stata trovata nel Coralliano di Yalfin e nel Giura superiore di Boulogne-sur-mer e dell’Hannover. [9 dicembre 1896] SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA IX Eig. 1-4. Amberleya costata mihi (grandezza naturale), n 5. Itieria Pillae milii (grandezza naturale). » 6-10. Amberleya echinata mihi (grandezza naturale), n 11-12. Hemiacirsa aprutina mihi (grandezza naturale) » 13-14. Cerithium Canavarii mihi (grandezza naturale). » 15. Neriìiea nodosa Voltz (grandezza naturale). )i 16. Nerinea laevogira mihi (sezione ingrandita volte 1 ' a). n 17-18. » ” (grandezza naturale), n 19. (a) Nerinea nodosa Voltz, [b] Nerinea Chelussii mihi (gran- dezza naturale). n 20-23. Nerinea Chelussii mihi (grandezza naturale). » 24. Nerinea Chelussii mihi (sezione ingrandita volte 1 ‘/O. « 25-26. Ptygmatis Baldaccii mihi (volte 1 ’ 2). Eliot. Calzolari e Kerrario • Milano ■ir . r • i ’r [ ì- I 5 ì: l } h r i: ' à APPUNTI SOPKA LA FAUNA E L’ETÀ DEI TERRENI DI VIGOLENO (Proy. di Piacenza). Nota del dott. Vittorio Simonelli. Intorno all’ età dei terreni di Vigoleno, così spesso battuti da cercatori di fossili e da geologi, si avrebbe ragione di credere chiusa da un pezzo ogni discussione. Invece è tutt’ altro. Se per lungo tempo fu accettato senza contrasto il parere del Doderlein, che nel colle fra lo Stirone e l’Ongina vedeva un lembo di miocene superiore, corrispondente agli strati famosi di S. Agata e di Montegibbio, in questi ultimi anni la quistione è stata rimessa sul tappeto, e ha dato luogo a giudizi completamente antagonistici. Da una parte il prof. Sacco (^), del quale nessuno può discuter la competenza in fatto di geologia del terziario, esclude recisamente il tortoniano, l’elveziano e il langhiano dal novero dei terreni di Vigoleno. Direttamente sopra il cretaceo o sul parisiano stanno, se- condo lui « banchi sabbiosi ed arenacei, grigio-giallastri, con fossili marini : sabbie, arenarie e marne grigio-giallastre con zone o lenti ghiaiose, ciottolose o brecciose, nonché con qualche lente di gesso » da riferire al messiniano. Succede il piacenziano, rappresentato da marne sabbiose, arenarie, calcari a Lithothawinium ecc., con fossili che « per quanto abbiano una facies complessivamente pliocenica, presentano tuttavia alcune forme che son piuttosto comuni nel tor- toniano ». Verrebbe per ultimo l’astiano, con gli strati e i banchi delle solite sabbie ed arenarie giallastre, talora fossilifere. È da (|) Le zone terziarie di Vernasca e Vigoleno nel Piacentino. Studio geologico. Atti della E. Acc. delle Se. di Torino, voi. XXVII, 1892. 326 V. SIMONELLI avvertire che alcuni anni prima il prof. Taramelli (') aveva per ragioni stratigrafiche considerate le marne a Pleur otoma di Vigo- leno come il proseguimento esatto delle marne plioceniche di Lu- | gagnano, e i sovrapposti calcari a litotamni come equivalenti ai | calcari arenacei di M. Giogo e di Castellarquato e alle arenarie superiori di Tabiano ; e che anche il prof. Trabucco, nella Cro- j nologia dei terreni della provincia di 'Piacenza (^), aveva af- I fermato doversi le marne di Vigoleno riguardare come indubbia- j mente plioceniche. ! Dall’altro canto per il De Stefani le marne azzurre di Vi- i golene son da mantenere nel tortoniano : esse alternano col così | detto messiniano primo, come quelle di Montegibbio e di S. Agata {}). j Ed anche il prof. Pantanelli, che in più di una occasione aveva ; per r innanzi sostenuta la mancanza del miocene nel colle di Vi- goleno, è indotto da nuove osservazioni a mutar d’ avviso. Rinviene negli strati marnosi al confine delle arenarie, in prossimità del castello, alcune specie di non dubbio significato, come Pleurotoma gradata Defr., P. vigolenensis May., P. Sotteri Micht., Natica redempta Micht., e conclude che gli strati medesimi (già riferiti dal Sacco al piacenziano) spettano invece al miocene medio (^). Desideroso di raccogliere nuovi elementi di giudizio, due volte ho visitato il colle di Vigoleno in quest anno; prima dinante una gita d’ istruzione fatta con 1’ allegra brigata dei miei scolari della Università di Parma, e poi, con più quiete, insieme all’ ing. R. Pel- legrini ed al sig. G. B. Burgazzi, entrambi cultori appassionati dei no°stri studi. E tanto copioso ed istruttivo fu il materiale riunito in quelle escursioni, che, nell’ interesse della geologia locale, ho creduto dover mio tenerne parola. Argille scagliose. — I terreni neogenici di Vigoleno pog- giano, com’è noto, direttamente sulle argille scagliose, messe a nudo per larga estensione tutt’ intorno al colle, meno che a nord, verso (1) Sunto di alcune osservazioni stratigrafiche nell' Ap'pennino piacen- tino. Boll. d. R. Comm. Geol. d’Italia, voi. XIV, p. 304. Roma, 1883. (2) Piacenza. 1890, p. 35. | (3) De Stefani C., Terr. tert. sup. du bassin de la Médit. Ann. de la \ Soc. géol. Belg., t. XVIII, Mém. 1891, p. 27. Liége, 1893. ^ , (4) Pantanelli D., Miocene di Vigoleno e Vernasca. Atti della Soc. dei j Nat. di Modena, ser. III, voi. XIII. Modena, 1894. r APPUNTI SOPRA LA FAUNA E L'etÀ DEI TERRENI DI VIGOLENO 327 r Ongina. Dei caratteri di queste argille niente ho da dire, perchè son quelli eh’ esse presentano dovunque nella regione : le tinte solite, i soliti inclusi, il solito aspetto desolato. Circa l’ età loro, l’ opinione del Sacco, che le ritiene cretacee, parmi accettabilissima ; in suo favore sta il fatto che presso Vernasca, nel luogo detto Poggioli Bossi, dove si ha la diretta continuazione delle argille scagliose di Vigoleno, si rinvennero in copia e si rinvengon tuttora denti di pesci sicuramente cretacei. Ne descrisse e figurò qualcuno il Cortesi nei Saggi geologici (i), e parecchi ne possiede il Museo geologico di Parma, raccolti dal Cortesi stesso e dal Griiidotti. I più (quasi una cinquantina) son di Ptychodus'. altri di uno Scapanorhynchus, somi- gliantissimo allo S. rhaphiodon (Ag.) del cretaceo superiore del- l’Europa settentrionale e dell’ India: altri del Corax falcatiti Ag., eh’ è pure specie turoniana e cenomaniana. Sabbie argillose e molasse grigio-azzurrognole inferiori. — Le ripe selvagge tra cui si approfonda il Rio dei Fornasari son costituite nella loro parte inferiore da una potente serie di strati sabbioso-argillosi, con intercalazioni di letti e di banchi di vera melassa, per solito grigio-azzurrognola, qualche volta traente al giallastro. Gli strati medesimi son profondamente incisi, più ad est, dal Rio S. Martino, e si ritrovano, girato il colle, lungo la via che sale al paese di Vigoleno, coperti sempre dai calcari, dalle arenarie e dalle sabbie gialle di cui si dovrà parlare più tardi. Al Rio dei Fornasari lo spessore visibile della serie sabbioso-ar- gillosa e molassica può valutarsi, ad occhio, di circa un centinaio di metri; gli strati s’inclinano di 8-10® verso nord-est, in con- cordanza perfetta con le arenarie, le sabbie e i calcari grossolani superiori. Da queste sabbie argillose azzurre e dalle interposte molasse ho tratto i fossili seguenti: Miliolina oblonga (Mtg.) » cfr. seminulum (L.) Rotalia Beccarii (L.) Nonionina communis d’Orb. Perite^ incrustans (Defr.) Siderastraea crenulata (Gdf.) Ostrea gingensis Schloth. Ammia radiata Br. (0 Cortesi G., Saggi geologici degli Stati di Parma e Piacenza, p. 119, tav. IV, fig. 8 e 9. Piacenza, 1819. 328 V. SI MONELLI Pecten vigolenensis n. f. (fìg. 1). — È questa, sicuramente, la forma che dal Gocconi (^) venne indicata sotto il nome di Neithea Fig. 1. — Pecten vigole'tiensis Sim. (gr. nat.). I (h Enumeraz. sistem. dei moli. mioc. e plioc. di Parma e Piacenza, p. 339. Bologna, 1873. APHUXTI SOPRA LA FAUNA E L’etÀ DEI TERRENI DI VIGOLENO 329 Rollei Hòrn. sp. {Pecten), e che più tardi fu dal Pantanelli (•) ri- ferita al Pecien flabeUiformis Br. Essa in realtà si approssima nello aspetto generale al P. Rollei od al P. acluncus Eichw., ma per di- versi caratteri, e in special modo per quelli dell’ ornamentazione, dev’ esser tenuta distinta da entrambi. Agli esemplari numerosi da me raccolti, e a quelli che già si trovavano nel Museo di Parma converrebbe, trascurando le differenze individuali, la seguente dia- gnosi : Conchiglia suborbicolare, alquanto allungata trasversalmente e più 0 meno obliqua. Valva destra convessa, ornata di strie concen- triche finissime e di 16-18 coste raggianti non molto rilevate, a dorso quasi piano, segnate per lungo da uno o più leggerissimi sol- chi, un po’ più larghe degli intervalli frapposti; umbone adunco e sporgente oltre la linea cardinale. Valva sinistra concava nella re- gione umbonale, pianeggiante verso il margine e alquanto convessa nella zona intermedia, fornita di 11-12 raggi a dorso tondeggiante pei primi due terzi e spianato nell’ultimo, percorsi da 3 o 4 leg- gerissime costicine longitudinali, più stretti degli spazi intercostali, che alla lor volta recano da una a tre sottili costicine raggianti. Superfìcie munita di fittissime strie concentriche assai regolari. Orec- chiette subeguali, ornate di strie concentriche e di 4-5 raggi ben distinti. Margine cardinale diritto, uguale a metà circa del dia- metro antero-posteriore. Diametro antero-post. mm. 70 a 74 ; diam. umboventrale mm. 62 a 67 ; spessore mm. 23 ; ang. ap. 95°-100®. Dal P. Rollei degli Hórner- Schichten, qual’ è figurato e de- scritto dall Hoernes, il nostro P. vigolenensis differisce per l’ angolo apicale meno aperto, per le coste della valva destra meno larghe e meno prominenti, per la presenza di costicine longitudinali sui raggi della valva sinistra e negl’ intervalli che le separano, por le orecchiette fornite di raggi, per la linea cardinale meno estesa. L ornamentazione della valva sinistra ricorda piuttosto quella del P. acluncus, e più la ricorderebbe se fossero liscio, anziché solcate radialmente, le zone variciformi anteriore e posteriore ; del resto il P. adimcus ha spazi intercostali addirittura minimi nella valva destra, ed ha le orecchiette sprovviste di raggi. Orecchiette raggiate (b Lamellibr anelli pUocenki, Bull. Soc. Malac. Ital., voi. XYII, pae. 91, Pisa, 1892. 23 330 V. SIMONELLI trovansi nel P. Bunkeri Mayer (*), ma qui la forma è meno di- ! stintamenie obliqua, l’angolo apicale è più aperto, le coste della valva destra son meno numerose e più rotondate che nel vigole- i nensis. Il P. Josslingi Smith (-) agevolmente si distingue dal nostro per la prevalenza del diametro umbo-ventrale sull’ antero- posteriore, per l’umbone destro assai più grosso e sporgente oltre ' la linea cardinale: il Kochi Locard (^) per l’aspetto peculiaris- simo delle strie concentriche ; W P. subbenedictus per ' la linea cardinale assai più lunga, le orecchiette non raggiate e più disuguali, le coste della valva convessa più larghe: il P.-paii- lenm Font. (^) infine, per 1’ umbone meno sviluppato, le orecchiette semplicemente striate, 1’ obliquità minore del contorno, e l’ assenza di costicine sui raggi e negli spazi intercostali della valva sinistra. Modiola sp. aff. intermedia Fo- resti Pinna tetragona Br. Pectunculus glijcimeris (L.) Ghana gryphoides L. Lucina columbella Lam. » Sismondai Desh. Cardium oblongim Chmn. " hians Br. fl sp. ind. (Modelli in- terni). Tapes vetulus Bast. Venus impressa M. de Serr. Cijtherea multilamella Lam. Thracia sp. ind. Teredo cfr. norvegica Spengi. Bentalium entalis L. Trochus patulus Br. Natica redempta Micht. " millepunctata Lam. ^ Josephinia (Risso). Cerithium europaeum May. Nassa coarclata Eichw. (®) textilis Bell., var. bivari- cosa Sacc. (= var. A. Bell.) (1) Die Tertiàr-Fauna der Azoren und Madeira, p. 43, Taf. V, fig. 29. ' Ziirich, 1864. ! (2) On thè Age of thè Tertiary Beds of thè Tagus, Quart. Journ. of i thè Geol. Soc., voi. Ili, 1847, p. 419, PI. XVI, figg. 10, 11, 12. , (3) Description de la Faune des terr. tert. moijens de la Corse, p. 149, ; PI. n, figg. 1-5. Paris 1877. i {■*) Études stratigr. et paléontologiques pour servir à l'hist. de la pe- i riode tertiaire dans le bassin du Rhóne. III. — Le Bassin de Vaucluse, p. 83, ‘ PI. II, fig. 1. Lyon, 1878. (3) Op. cit., p. 84, PI. II, fig. 2. (6) Differisce dalla forma tipica illustrata dal Bellardi {Moli. terz. Piem. I e Lig., P. Ili, p. 27, t. I, fig. 23) per le dimensioni maggiori e per la lun- i I APPUNTI SOPRA LA FAUNA E l’etÀ DEI TERRENI DI VIGOLENO 331 Nassa solidula Bell. " gigantula (Boa) Cylle/iina aacillariaeformis (Grat.) Columbella inedita Bell. Ocinebra inflexa (Dod.) Cancellaria uniangulata Desh. Cancellaria Dodedeini May. » 'piscatoria (L.) var. Terebra f ascala (Br.) Drillia pustulata (Bf.) ” exculpta (May.) Clavatula vigolenensis (May.). ” Carionii (Micht.). ” turgidula Bell. (*) Clavatula margaritifera (Jan). » consularis (May.) Clavatula modesta n. f. (fig. 2). — È da considerare come assai prossima alla Cl. pretiosa Bell. (^). Da questa però differisce, oltre che nelle dimensioni di gran lunga mi- nori, per aver più rigonfi i margini anteriori e posteriori degli anfratti, e per offrir quindi, nel profilo degli anfratti stessi, una pronunziata con- cavità submediana : per la presenza di un cin- golo spirale semplice, abbastanza chiaramente scolpito, nella depressione che corrisponde al- r intaglio : e infine per aver 1’ ultimo giro al- quanto angoloso nel ventre e ornato nella por- zione anteriore da costicine spirali larghette, pochissimo rilevate. Lungh. mm. 16 (circa). Largh. mm. 6. 2 Nelle balze a nord-ovest del podere detto Clavatula modesta Sim. il Poggiolo, a poca distanza dalla via che porta da Bacedasco a Vigoleno, sotto i banchi di cal- care a Lithothamnium appariscono sabbie argillose grigiastre, che litologicamente mal si distinguerebbero da quelle del Rio For- nasari^ e del Rio S. Martino. La fauna loro ha però caratteri sensibilmente diversi. In special modo è notevole qui F assoluta mancanza delle nasse e dei pleurotomidi, dei Peciunculus, dei ghezza della spira, che supera anche quella della var. A. Bell. (= var. ven- tricosa Sacco). C) L’unico esemplare raccolto differisce dal tipo per le dimensioni mi- nori (lungh. mm. 13, largh. mm. 5,5) e per la forma generale più svelta, meno ventricosa. (2) Bellardi,' Op. cit., P. II, p. 185, tav. VI, fìg. 9. V. SIMONELI.I 332 Pectea, delle grandi ostriche; le tre sole specie di gasteropodi co- muni anche alle sabbie e alle molasse del Rio Fornasari {Natica TedcMpta Micht., Ccrithiu'in ctiTopacum May., GoLumbella inedita Bell.), sono rappresentate da individui addirittura rachitici. Di piccola statura sono anche, in generale, le forme che ho trovato esclusivamente in queste sabbie argillose del Poggiolo, e cioè: Cladocora depauperata Reuss., Cidaris sp. (radioli), Hinnites cri- i spus Bronn, Plicatula Mantella Micht., Corbula gibba Turbo | rugosus L., Gibbula sp., Alvania Venus D Orb., Fossarus costatus (Br.), Pollia plicata (Br.) var. A. Bell. (= var. plioparva Sacc.), ! Uromitra decipiens Bell., Pollicipies (?) sp. ind. ('), e chele di | crostacei indeterminabili. Indipendentemente da questa e da altre consimili modificazioni che la fauna subisce da un punto a un altro, e che posson dipen- dere da piccole differenze nelle condizioni batimetriche e nella natura del fondo, gli strati di cui finora si tenne parola debbono, in complesso, considerarsi come deposti ad una profondità molto limitata, certo non superiore a quella della così detta zona a nul- lipore 0 coralline. Basta a dimostrarlo la frequenza dei corallarì composti, come Porites, Siderastraea, Plesiastraea, senza parlar dei molluschi, che portano alla stessa conclusione. Quanto all’ età geologica di queste sabbie argillose e molasse inferiori, panni assai più giusto riferirle al miocene medio che al pliocene. Mancano, è vero, certe forme che siamo abituati a trovare quasi costantemente nei depositi del miocene medio più vicini al nostro per facies, e parecchi dei fossili che ho citati son comuni anche al pliocene. Ma resta sempre un numero considerevole di specie che, per quanto mi è noto, fuori del miocene medio non si trovano mai, come . Ostrea gingensis Schloth., Natica redempta Micht., Nassa coar- ctata Eichw., N. textilis Bell., Cyllenina ancillariaeformis (Grat.), Columbella inedita Bell., Ocinebra infiexa (Dod.), Uromitra de- cipiens Bell., Cancellarla Doderleini May., Drillia exculpta May., Clavatula vigolenensis (May,), C. Gurionn (Micht.), C. margariti- fera (Jan.), G. consularis (May.). (1) Carene, che se in realtà sono di un Pollicipes, differiscono da quelle delle specie congeneri a me note per la presenza di un intaglio piuttosto pro- fondo nel margine basale. I r APPUNTI SOPRA LA FAUNA E L’etÀ DEI TERRENI DI VIGOLENO 833 Strati a Potainides bidisjunctus Sacc. — Che le sabbie argillose e le molasse inferiori siansi effettivamente deposte a profondità molto limitata, viene anche dimostrato dall’ essere in- tercalata fra quelle una formazione d’ estuario. Pochi passi a valle dal punto in cui si unisce col Rio dei Fornasari il brevissimo tronco scendente dal podere omonimo, è messo allo scoperto per un’ altezza di circa due metri, nella sponda sinistra del torrente, uno strato di marna sabbiosa azzurrognola, con piccole lenti lignitiche, in perfetta concordanza con le sabbie argillose sopra e sottogiacenti ; nel quale strato, insieme a numerosi ostracodi che per ora non ho avuto modo di determinare, e a frantumi di bivalvi marine che per gli ornamenti ricordano le Arcopagia, si raccolgono in abbon- danza i fossili seguenti: Dreissena elavaeformiss Krauss. Cardium sp. Potamides bidisjunctus Sacco (= Gerithiopsis mamillata Doderlein, teste Sacco). È il fossile più comune e caratteristico di questo strato. Accanto alla forma tipica noto esemplari a triplice cin- golo, che corrisponderebbero alla var. coUigens del Sacco (’). Potafnides bicinctus (Br.). — Non è improbabile che a questa specie debbano riferirsi le citazioni di Cerithium pictum Bast., che frequentemente ricorrono a proposito di Vigoleno. I pochi esem- plari da me raccolti concordano abbastanza bene col tipo figu- rato dal Brocchi. Cerithium cfr. turonicum May. Paludina Schwartsi Frld. Hydrobia cfr. ventrosa Mont. GyUeniiia ancillariaeformis (Grat.). Un altro lembo salmastro deve certamente affiorare sulla sinistra del piccolo rio che passa ad est del casale dei Becchi, perchè lungo la strada che scende dai Gorghera, a forse 200 metri dall’ Ongina, trovai sparsi numerosissimi esemplari di Potamides bidisjunctus, Cyllenina ancillariaeformis (Grat.), Nassa tumida Eichw., frantumi di Cardium e di altre bivalvi, che venivano cer- (0 Moli. terz. Pierri, e Lig., P. XVII, pag. 59, Tav. Ili, fìg. 51 bis. To- rino, 1895. V. SIMONELLI 334 tamente di poco lontano. Per quanto cercassi non riuscii però ad incontrare di questi fossili in posto. Arenarie calcarifere e calcari grossolani con lenti sabbioso-argillose, snperiori. — Nella parte più elevata del colle, tra i Pelorsi a nord-est e i Varani a sud-ovest, dominano le arenarie calcarifere, le sabbie gialle talora quasi sciolte, i calcari grossolani di tinta giallognola, che il prof. Sacco ha riferiti in parte al piacenziano, in parte all’astiano. Questi strati superiori, che hanno complessivamente una potenza di oltre 150 metri, pendono nel più dei casi verso nord-est di 10“ al massimo, come le sottoposte sabbie argillose e molasse azzurrognole. L aspetto loro concorda, innega- bilmente, con quello delle formazioni sublitorali del pliocene, ma per poco che si badi ai fossili, abbondanti soprattutto là dove le sabbie sono rimaste incoerenti, ci si convince che, al pari degli strati inferiori, non è possibile staccarli dal miocene medio. Nella località già esplorata dal prof. Pantanelli ('), cioè subito fuori di Vigoleno, lungo la mulattiera che conduce ai Varani, af- fiora un lembo poco esteso di marne sabbiose grigiastre, che for- mano come una lente sottile in mezzo alle arenarie calcaiifeie ed ai calcari grossolani gialli. Che la fauna di questo lembo marnoso ben poco si differenzia da quella già vista nel Rio dei Fornasari e nel Rio S. Martino, è dimostrato dal seguente elenco: Rotalia Beccarii (L.) Poly stornella crispa (L.) Hinnites pusio (Sow.) Modiola sp. Nucida nucleus (L.) Cardimi cfr. macronatmn (fram- menti) Venus impressa M. de Serr. Corbula gibba Olivi Natica redempta Micht. » millejmnctata Lk. » Josephinia Risso Alvania Venus (D’ Orb.) Eulimella subalpina Sacc. Odontostornia conoidea (Br.) Cerithiella exasperala (Dod.) Aporrhais sp. (frammenti) Nassa coarctata Eichw. )i solidula Bell. Ocinebra injlexa (Dod.) Drillia pustulata (Br.) Clavatula Pellegrina n. f. * margariiifera (Jan.) » Curionii (Micht.) Raphitoma brachystoma (Phil.) » submarginata (Bon.) Cylichna subconulus (D'Orb.) (') Mioc. di Vigoleno e Vernasca, p. 19. APPUNTI SOPRA LA FAUNA E L’ETÀ DEI TERRENI DI VIGOLENO 335 La Glavatula Pellegrina n. f. (fìg. 3) ha i seguenti caratteri : ! Conchiglia fusiforme, crescente sotto un angolo spirale di circa 45°, I formata di 9-10 anfratti, 1’ ultimo dei quali supera in altezza l’ ia- I sieme dei precedenti. 1 primi quattro giri dopo gli embrionali sono debolmente scavati nel mezzo ed hanno i margini appena ingros- 1 sati ; ma nei giri successivi il margine posteriore si fa così promi- ' nente, che la spira diviene scalariforme. A partire dalla zona che corrisponde all’ intaglio, l’ultimo anfratto va lentamente assottiglian - j dosi fino ad una ottusa carena anteriore, oltre la quale si ristringe assai più rapidamente, per finire in una coda piuttosto lunga e ro- busta. Nei primi anfratti gli ornamenti si limitano ad una serie di Fig. .3. — Clavatula Pellegrinii Sim. j nodi contigua alla sutura anteriore, mentre nei successivi anche il ' margine posteriore è nodoso e due o tre costicine o spirali corrono I fra la sutura anteriore e il cingolo semplice, stretto, ma ben rilevato, i che trovasi in continuazione dell’ intaglio. Il penultimo giro ha 13 I nodi un po allungati, pliciformi, obliqui, nella serie anteriore, eli : soltanto nella posteriore ; l’ultimo poi reca, oltre ai nodi posteriori, 15 grosse pieghe oblique, che dalla zona dell’ intaglio vanno fino alla base della coda, e che divengono nodose in corrispondenza della carena anteriore. Numerose costicine spirali passano sopra le pieghe e nei frapposti intervalli; una, più grossa delle altre e leggermente no- dulosa, occupa giusto il mezzo fra la carena e la zona dell’ intaglio ; V. simonelli 336 altre costicine granulose, assai nettamente scolpite, spesso alternanti di rilievo, ornano tutta la parte anteriore di quest’ ultimo giro. L’ apertura è assai stretta e allungata; la columella quasi diritta. | Limgh. mm. 22-28, largh. mm. 9-11. j Per la forma dell’ ultimo giro, che incomincia ad assottigliarsi j subito dopo il margine posteriore, potrebbe questa Clavatula essere j ravvicinata alla Cl. Agassizii Bell. {Moli. terz. Pieni, e Lig.. \ P. II, pag. 166, tav. V, tìg. 60, 1877); se non che nella specie | del Bellardi gli anfratti sono subcarenati posteriormente, non hanno ' coste spirali fra la zona dell intaglio e la sutura (o la carena) an- teriore, e mancano di nodi nel margine anteriore. j Talune fra le specie più caratteristiche citate nell’elenco prece- j dente ritrovansi anche negli sti-ati sovrapposti alla lente sahbioso- argillosa. Nelle arenarie calcarifere più o meno grossolane, fortemente cementate, che stanno in contatto immediato con essa, gli avanzi decifrabili sono per verità piuttosto rari, e con sicurezza io non vi ho potuto riconoscere altro che Porites incrustans Defr., Ostrea cuculpjitcì Born, Pecteii vigolenensis Sim., Gavdiwni oblonguni Chmn., Tapes vetulus Bast. Ma tra queste arenarie e quelle, pur fortemente cementate, che costituiscono la vetta del poggio ad ovest di Vigoleno, se ne incontrano certe più friabili, che fanno passag- gio a sabbie quasi sciolte, ove ho raccolto in abbondanza Natica JosegAiinia Risso, Nassa solidula Bell., Deillia pustiilata (Br.), Claoatula vigolenensis (May.), Cl. Curionii Micht. ; rinvenni in- sieme a queste conchiglie una Sepia, affine alla S. sepuUa Micht. del miocene medio torinese. Noto che in questa località medesima sono intercalati fra i banchi arenacei letti sottili di un’ arenaria a lastre, grigio-giallognola, ricca di mica, con numerose impronte di foglie di dicotiledoni. Nel rimanente della zona calcareo-arenacea superiore la fauna mantiene sempre lo stesso carattere. I calcari a Lithothannium tagliati dalla strada fra Vigoleno e il cimitero, insieme a modelli specificamente indeterminabili di Cardimi, Pectunculus, Lucina etc. offrono impronte di un’ Arca somigliantissima all’ A. Fiditeli Desh. (già citata, del resto, dal Cocconi (^) come fossile a Vigoleno) e di i (^) Enum. sist. dei Moli. mioc. e plioc. di Parma e Piacenza, p. 324. Bologna 1873. APPUNTI SOPRA LA FAUNA E l’eTÀ DEI TERRENI DI VIGOLENO 337 ima Gardita a larghe coste depresse, che con probabilità deve rife- rirsi alla C. Jouanneti Bast. Le sovrapposte arenarie, che spingoiisi fino alla sommità del poggio a nord-ovest di Vigoleno (m. 442), contengono belli esemplari di Siderastraea cremlata (Gdf.), nume- rosissime Drillia pustulata (Br.), Clavatula Gurionii (Micht.), G. consularis (May.), Natica redempta Micht. Circa un chilometro più a nord-est, verso il podere dei Bach etti, nelle sabbie gialle quasi sciolte, oltre alle specie nominate ho raccolto anche le seguenti ; Porites incrustans (Defr.) Twrritella tricarinata (Br.) Siliquaria anguina (L.) Mathilda Brocehii Semp. Nassa magnicallosa Bell. “ solidula Bell. Nassa coarctata Bell. » sp. ind. Golumhella inedita Bell. Ocmebra inftexa (Dod.) Drillia exculpta (May.) Glavatula mar g ariti fera (Jan.) La specie di Nassa che ho qui lasciata indeterminata è pros- sima alla N. reticulata L., dalla quale si distingue per la forma generale meno allungata, le coste più rade nell’ ultimo anfratto e più numerose nei precedenti, i solchi spirali più angusti e nume- rosi, il labbro sinistro meno esteso e meno ingrossato nella regione ombelicale, il labbro posteriore dell’ intaglio più breve e il solco che lo accompagna assai meno largo e profondo. Non può riferirsi alla var. pliocrassa Sacco (= var. A. Bell.) pez’chè la lunghezza della spira supera quella dell’ ultimo giro. Lungh. mm. 17,6 largh. mm. 10. Sabbie giallastre fossilifere, identiche a queste dei Eachetti, estendonsi anche verso le case degli Orsi, nell’ area cioè dove la cartina del Sacco indicherebbe il messiniano ; e anche qui son co- muni le solite nasse e i plemutomidi tante volte citati. Dell’altro lembo messiniano indicato dal Sacco all’ovest di Vigoleno, fra i casali dei Becchi, dei Bandiera e dei Magrini, e nel quale si anniderebbero le amigdale di gesso (che pel Taramelli e pel Trabucco stanno invece entro le argille scagliose) non posso oggi parlare con sufficiente cognizione. — Posso dir solo che im- mediatamente sopra 1 amigdala selenitica dei Magrini trovansi ar- gille marnose, giallicce, miste a finissima sabbia micacea, con fru- stoli carboniosi, entro le quali non seppi rinvenire alcuna traccia di fossili riconoscibili; e che al pari di ciò che si osserva nelle 338 V. SIMONELI.I gessaie mioceniche di M. Donato presso Bologna, le spaccature ver- i ticali da cui son divisi i blocchi di selenite son ripiene d’un’ar- ■ gilla grigio-perlacea, quasi fogliettata, coi piani di fissibilità disposti j parallelamente alle pareti delle spaccature. Marne verdognole indurite, a foraminiferi, e cal- i cari a radiolari. — Se le formazioni sublitorali di cui parlammo i finora si posson riguardare come rappresentanti la facies elveziana del miocene medio, non mancano a Vigoleno i depositi coevi delle zone più profonde. Sono con probabilità da citare fra questi certe marne argillose indurite, verdolino-cbiare o perlacee, che affiorano alla base dei dirupi calcareo-arenacei nel versante sud della collina, tra il castello di Vigoleno e il casale del Gruppo, e che si protendono anche un po ad ovest, verso i Magrini. Per 1 aspetto, ed anche pei foraminiferi che se ne ottengono mediante il lavaggio, queste , marne si accostano assai più a quelle langhiane o tortoniane che ' alle plioceniche ; ma finora non sono stato capace di rinvenire in esse traccia alcuna di molluschi. Spuntano sotto a marne consimili, pochi passi a nord del Gruppo, strati di calcare silicifero bianchiccio, facile a fendersi in lastre, che da lungi può scambiarsi con i calcari argillosi schistosi ' dell’ eocene. Ma è assai più leggiero, più ruvido al tatto, e negli i acidi fa viva effervescenza solo in principio ; al microscopio si pre- | senta come un feltro di spicule di spongiarì, fra le quali stanno ; numerosi radiolari e foraminiferi (specialmente globigerine), questi ultimi con le logge riempite di silice. Verosimilmente corrisponde , ai calcari a radiolari del miocene medio che il prof. Pantanelli I scopriva fin dal 1882 nell’ Appennino modenese (’). Argille turchine plioceniche. — Il pliocene prende parte sicuramente alla costituzione del colle di Vigoleno, ma in misura assai più limitata e con caratteri ben più uniformi che non ; sian quelli assegnatigli nella cartina del Sacco. Al pliocene infatti ■ io riferirei soltanto quei lembi discontinui di argille marnose, tur- J chine o cenerognole, con fauna di mare piuttosto profondo, che cin- ! gouo al piede la potente serie di strati sabbioso-argillosi, di arenarie ! l>) Pantanelli D., Fauna miocenica a Radiolarie dell' Appennino set- tentrionale. Montegibio e Baiso. Boll, della Soc. Geol. Ital. voi. I, fase. 2<>, pag. 142. Roma, 1883. APPUNTI SOPRA LA FAUNA E l’etÀ DEI TERKENI DI VIGCLENO 339 e di calcari, ond è formata la porzione centrale e culminante del rilievo. È legittimo supporre che da queste argille provenga una parte dei fossili che si trovan citati dal Doderlein e dal Cocconi come raccolti nel miocene superiore di Vigoleno ; e ciò forse ha contribuito a far nascere dubbi ed equivoci sopra l’età e sulla facies dei depositi realmente miocenici. Nel versante nord-ovest del colle, a destra del Rio S. Martino, ho visto le argille turchine, solcate da profondi burroni, salir dal- rOngina fino ad una linea che va press^ a poco da Casa Bullone ai Peloisi, mantenendosi a circa 270 metri sul livello del mare. I fos- sili son qui piuttosto numerosi, e in pochissimo tempo mi fu dato raccoglierne un gruppo abbastanza caratteristico. Cito fra gli altri : Noclosaria raphanistrum (L.) Gristellaria cultrata (Montf.) Trochocyathus aff. mitratus (Gdf.) Fla.bellum sp. Amussium duodecimlamellatum (Bronn.) Verticordia argentea (Mariti) Dentalium entalis L. » sexangulare L. var. Siphonodentalium triquetrum (Br.) Solarium moniliferum Bronn. Turritella subangulata (Br.) Xenophora testigera Bronn. Naticina catena (Da Costa.) Galeodea ecìiinophora (L.) Ficaia sp. Nassa italica (May.) " turbinelliis (Br.) Columbella thiara (Br.) Uromitra recticostata Bell. Cancellaria mitraeformis (Br.) Pleurotoma rotata (Br.) » turricula (Br.) Surcula dimidiata (Br.) Drillia Allionii Bell. Pseudotoma Bonellii Bell. Dolichotoma cataphracta (Br.) Fra il Rio S. Martino ed il Rio dei Fornasari le argille tur- chine si arrestano anche più in basso, per ceder luogo alle sabbie argillose e alle molasse mioceniche. La somiglianza di colore fa sì che da lungi non si avverta il passaggio dall’ uno all’altro ter- reno; ma il contrasto delle faune non potrebbe essere più spic- cato. Ostriche gigantesche, pettini, pleurotome a solidissimo guscio, corallari composti abbondano nelle sabbie argillose: nelle argille tm-chine invece si raccolgon soltanto i delicatissimi gusci degli Amussium (A. Defilippii Stopp, sp.) e di qualche pteropode {Ca- volinia trispinosa Les. sp., Cuvierina sp.). 340 V. SIMONELLI, APPUNTI SOPRA LA FAUNA E l’ETÀ ECO. Più ad ovest, verso la mulattiera che sale ai Magrini rim- | petto al M. Oliveto, le argille plioceniche traversan pure l’ Ongina, ; e salgono tino a poche diecine di metri sul livello del torrente, . venendo a contatto di arenarie calcarifere giallicce, che formano strati notevolmente inclinati verso nord-est. Qui pure son comu- i nissimi nelle argille i corallarì semplici {^Trochocycitus),(^^ in- ; sieme a Schizaster camliferus Ag., Colimbella thiara (Br.). Verticordia argentea (Marit.) ecc., danno al deposito 1 impronta del tipico piacenziano. Per conchiudere, riassumerei nel modo seguente la costituzione geologica del Colle di Vigoleno: Pliocene. — Argille turchine a verticordie e pteropodi. ^ ? Miocene superiore. — Argille sabbiose con lenti selenitiche dei Ma- grini e dei Bandiera. ' i Facies Facies Facies langhiana i messinicina elvcziana o tortoniana Parte Arenarie calcari fere, | SUPERIORE calcari grossolani, cale. | a Litkothamnium, con : lenti sabbioso-argillose i e letti ghiaiosi, a Na- ‘ tica redempta, Ocine- bra inflexa, Clavatula •. marg ariti fera ecc. j 1 Parte Strati a Po- Sabbie argillose e mo- Marne indurite a I INFERIORE tamides hi- lasse ad Ostrea gin- foraminiferi.Cal- j disjunctus , gensis, Pecten vigole- cari biancastri a ; Dreissena nensis, Natica redem- radiolari e spi- | ecc. pta, Clavatulae ecc. cule di spugne, j Cretaceo. — Argille scagliose. ' I I [18 dicembre 1896J 1 Miocene MEDIO CONTKIBUZIONE ALLO STUDIO DEOLI ECHINIDI TERZIARII DEL PIEMONTE (famiglia Spatangidi). Nota del prof. Luigi Botto-Micca. INTEODUZIONE Mentre gli EcMnidi fossili di altri paesi e di altre regioni italiane furono ampiamente descritti ed illustrati con importanti monografie e con lunghi e pazienti studi, gli Echinidi del Piemonte dopo la Monografia del Sismonda, che risale al 1841, non furono più oggetto di studio particolare, sebbene molte ragioni consiglias- sero la revisione delle forme descritte, e l’aggiunta delle nuove trovate. Infatti, numerose altre località fossilifere, non conosciute dal Sismonda, vennero scoperte ; così quella importantissima di Monte Capriolo presso Era, ove assieme a numerosi resti di filliti, si rin- vennero moltissimi echinidi, di cui una parte è conservata al R.Museo di Torino, 1 altra al Museo Craveri di Bra. Detta località sebbene ci conservi solo più il modello interno, poiché il guscio ne è quasi sempre guasto, pure fra il grande numero di esemplari non molto schiacciati nè deformati ha sempre qualche individuo determinabile con sufficiente sicurezza. Un altra località pure molto importante pel grande numero di tali echinodermi fossili che vi si scoprirono è quella di Carcare. Fra gli altri giacimenti fossiliferi, ricorderò quelli di Rivarone Tanaro (Alessandria), di Ceva, di Clavesana (Mondovì), di Cassi- nelle ecc. Ma anche località già note al Sismonda fornirono nuovo ma- teriale degno di studio, ed è facile comprendere come parecchi anni di ricerche continuate nell’ Astigiana e nei Colli Torinesi abbiano 342 L. BOTTO-M ICCA fruttato una raccolta copiosa ed interessante ; la maggior parte della quale io ho potuto osservare al R. Museo di Torino. Ed è questa raccolta che in ispecial modo fu argomento del mio lavoro. Debbo quindi sentiti ringraziamenti al chino prof. C. F. Parona, direttore di quel R. Museo, che mi permise tale osservazione, e che insieme al prof. Sacco mi fu largo di aiuti. Molti possessori di private raccolte me ne diedero visione. Cosi, grazie al cav. Rovasenda. ho potuto fare oggettto de’ miei studi la sua raccolta importantissima di Echinidi trovati nei Colli Torinesi. Ebbi pure la fortuna di poter osservare la raccolta conservata al Museo Craveri di Era gentilmente inviatami dal prof. Manzone. Inoltre dal prof. Peola ho ricevuto in comunicazione i fossili da lui stesso raccolti nelle vicinanze di Alessandria e Rivarone. Non mi mancarono aiuti d’ altra natura ; aiuti indispensabili alla determinazione di fossili tanto studiati altrove. Cosi ho potuto confrontare la classica collezione di modelli in gesso del Desor, tanto utile perchè conserva nel miglior modo possibile le forme descritte da quell’ autore. Ho avuto nelle mani anche molti di quegli esemplari che servirono al Cotteau per le sue figure e che si conservano al Museo di Torino. Mi fu anche possibile confron- tare i miei fossili con quelli della collezione generale del Museo Torinese, ricca di esemplari di numerose località. Prima eh’ io dia ragione del metodo tenuto per la descrizione e bibliografia delle forme descritte, mi sia permesso citare qui le idee di alcuni geologi e paleontologi a proposito della utilità dello studio di questi fossili per le determinazioni stratigrafiche. Félix Bernard (*) dice : « L’ evoluzione delle diverse forme di Echinodermi si fece sempre rapidamente ed è raro che una stessa specie si ri- scontri in più formazioni geologiche successive: d’altra parte la ripartizione geografica è estesissima e le stesse specie si riscontrano sempre allo stesso orizzonte. Gli Echinidi possono quindi rendere dei grandi servigi per la determinazione degli strati, almeno nei periodi secondari e terziari » . .Taramelli (^) così si esprime: “ Collo sviluppo e collo spegnersi (1) Beraard F., Eléments de Paléontologie. Paris, 1895, pag. 308. (2) Taramelli T., Echinidi cretacei e terziari del Friuli. Atti del R. Isti- tuto Veneto, t. XIV, serie 3®, p. 2140. T CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DEGLI ECHIMDI TERZIARII ECC. 343 di alcuni generi di questa classe vengono segnate le più grandiose e le più certe divisioni delle epoche geologiche. Perciò quesdi avanzi non solo presentano il generale interesse che invita all' analisi delle faune presenti e passate, ma riescono al geologo opportunissimi al- lorquando trovandosi in terreni poco noti, va raccogliendo gli sparsi elementi paleontologici, che possono essergli di guida nel riferire questi terreni a località già studiate ed a qualche ben definito orizzonte » . Lo Zittel (') ha queste parole Gli Echinidi eocenici sono affatto differenti dai miocenici. Desor, Cotteau, De Loriol ammet- tono che di rado una specie sia comune a più piani. Hanno vita corta le specie e raramente sono legate da forme intermedie". Inoltre gli Echinidi hanno grande importanza per la conoscenza del clima di epoche geologiche passate. Rimando chi avesse vaghezza di sapere quanto fu scritto su ciò allo Heer(2). Sai ebbe stato mio intendimento presentare una rassegna com- pleta di tutte le specie di Echinidi terziari, ma cause indipendenti dalla mia volontà mi obbligano per ora a portarne alla luce solo una parte, cioè quanto ho ricavato dallo studio di quella famiglia di Echinidi irregolari, che il De Loriol chiamò 3^ famiglia degli ate- lostomi (senza lanterna), cioè: Spatangidi. Sono caratteri loro : la forma a cuore, la simmetria bilaterale, il peristoma fortemente spostato in avanti, trasverso, bilabiato, o pentagonale ; ambulacri ineguali in forma di foglie (petali) ; appa- recchio apicale compatto; ano sopramarginale; tubercoli di varie grandezze. Di questa famiglia ho avuto a distinguere circa n. 50 specie, in n. 9 generi nel seguente modo: Bvissopsis n. 11, Linthia n. 3, Schizaster n. 16, Pericosmus n. 4, Macropneustes n. 1, Hypsospatangus n. 1, Euspodangus n. 5, Maretia n. 1, Spa- tangus n. 10. La distribuzione di queste specie ne’ vari terreni è quale ri- sulta dal seguente quadro: (0 Zittel C., Traité de Paléontologie. Trad. di A. Dolio, p. 553. (2) Heer 0., Recherches sur le climat et la végétation du pays tertiaire pag. 206. ^ ^ !.. UOTTO-MICCA Terreno LocaliU 1. BrisiOpsis Genei E. Sism. . . Elveziaiio Pecette 2. « n. V. pliocenica* . ■ Piacenziano Bra, M. Castello, Mon- dovi » n. V. cevensis* . . Langhiano Ce va 4. n intermedius E. S. . Elveziano e Colli Torinesi Piacenziano Bia 0. n Pecckiolii Des.* . . Piacenziano Jlonte Capriolo 6. ” latissimus n. s. * . . Piacenziano Monte Capriolo 7. n ovatus E. S. . . . Elveziano e Colli Torinesi « Piacenziano Bra. M. Castello 8. ” Borsonii E. S. * . . Piacenziano Bra 9. n Cr averii n. sjj. * . . Piacenziano Bra 10. n sp. * Miocene Ceva 11. sp.* Piacenziano M. Capriolo 12. Linthia Peolae n. sp. * . . . Pliocene .\lessandria 13. « cevense n. sp. * . . . Pliocene Ceva 14. n Capellina Loriol * . . Tongriano Carcare 15. Schhaster corsicus ■ • • Tongriano Carcare 16. » Scillae Ag Elveziano Colli Torinesi 17. « ajf. Scillae n. sp. * . Elvez. .\stiano Baldissero, .\sti, Castel- nuovo 18. ” major Des Elveziano e Baldissero Tor. Astiano Bra e Castelnuovo 19. » Lauhei HOrn. * . ■ Langhiano Villa Michelotti 20. n Sellar dii Ag. . . . Miocene Colli Torinesi 21. Daylei Cott. . . . Miocene Colli Torinesi 22. » pyriformis n. sp.* . Tongriano Carcare 23. « vicinalis Ag. . . , Tongriano Carcare 24. » Karreri Laube * . . Tongriano Carcare 25. » Studeri Ag. . . . . Tongriano Elv. Carcare, Pian dei Bo- schi 26. » acuminatus Ag. * . . Elveziano Cassinelle 27. ambulacrum Ag. * . Tongriano Carcare 28. Desor a Wright . . Tongriano Carcare 29. » Djulfensis Dub.*. . Elveziano Cassinelle 30. rimosus Des. * . . Tongriano Carcare 31. » Braidensis n. sp. * . . Piacenziano Bra 32. Pericosmus spatangoides Lor. * . Tongriano Carcare CO co latus Ag. . . . . Elveziano Cassinelle 34. Peroni Cott. * . . . Tongriano Carcare 35. ’> Edwarsii Des. . . . Elveziano Colli Torinesi 36. Macropneustes Desor ii Mér. * . Elveziano Colli Torinesi 37. Hypsospatangus Marmorae Des. * Elveziano Colli Torinesi 38. Euspatangus navicella Ag. * . . Miocene (?) Sassello 39. « lateralis Ag. * . . Elveziano Colli Torinesi TERZIARI! ECC. 345 CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DEGLI ECHINIDI 40. Euspatangus elongatus A?. . 41. » minimus E. S. . 42. n omatus Ag. * . 43. Maretia grignonensis Desm. * 44. Spatangus corsicus Des. . . 45. n Pareti Ag. * . . 46. n chitonosus Sis. 47. n aff. Pareti n. sp. * 48. rt Manzonei n. sp. * 49. n sp.* 50. r> Rissai Des. . . . 51. rt Philippii Des. 52. n Desmaresti M. 53. 7Ì asterias Ag. . . Terreno Località . Elreziano Colli Torinesi ElTCziano Colli Torinesi Tongriano Care are Tongriano Care are Astiano Asti Miocene Clavesana Elveziano Colli Torinesi Miocene Ceva, Clavesana Astiano Asti Elveziano Colli Torinesi Astiano Asti Astiano Asti Astiano Asti Astiano Asti In questo elenco ho segnato con asterisco le specie già note, ma non citate ancora pel Piemonte, o nuove, o citate per altri terreni. Quanto alle specie già note ho aggiunto qualche carattere speciale a’ miei esemplari, riferendomi pel resto alle descrizioni ci- tate. Noterò come di molte forme citate dalla Paleontologie Fran- gaise non ho creduto di dover ripetere la sinonimia completa, pa- rendomi sulfìciente la citazione della suddetta opera. Sarebbe stata mia intenzione presentare anche uno sguardo generale sulle relazioni e rapporti fra i generi e le specie ed i vari terreni, in cui esse si trovano; mi riservo però di farlo quando avrò compiuto 1 intero studio sugli Echinodermi. Gen. Brissopsis Ag. Brissopsis Genei E. Sismonda. SchizasterGeneiE. Sismonda, Monografia degli Echinidi fossili del Pie- monte, p. 124, tav. I, fig. 4-5. Toxobrissus Genei E. Sismonda. Desor, Synopsis des Echinides fos- siles, p. 400. Brissopsis Genei E. Sismonda. Rórnes, Die Fossilien des Seeiqel Ofner- Mergels, p. 385. ' Questa forma ascritta dal Sismonda, che primo la descrisse, al genere Schùaster , fu dal ^Desor attribuita al genere Toxobris- sus, ma r Hornes nel sopracitato lavoro dimostrò chiaramente che essa appartiene al genere Brissopsis. Ammette però egli come sia ne- cessaria una revisione generale delle forme ascritte ai due generi 24 346 L. HOTrO-MICCA revisioQG possibile solo allora che si potesse disporre di tutti gli esemplari tipici. Il De Loriol ed il Cotteau(‘) riuniscono i due generi. Pare, come vuole il De Loriol, un Ciclaster, ma ne differisce bene per r ambulacro anteriore. F u trovata dal Sismonda solo nel Pliocene dei Colli Torinesi, perchè il Desor la cita per Castelnuovo (Terziario medio), mentre è località dove tal terreno non si manifesta. Varietà pliocenica (Tav. X, fig. 2). lo però tra i fossili di Monte Capriolo, presso Bra, trovai forme molto vicine alla specie del Sismonda e da cui non si possono sepa- rare che come varietà, ed altre che differiscono non poco. Dubitai lungamente se non convenisse farne una specie separata, però os- servando che nel gran numero di esemplari non ve ne sono due affatto identici (sebbene tutti provenienti da Monte Capriolo), credo sia meglio notare come varietà pliocenica quella distinta dai petali posteriori più vicini, pur tenendo a mente che nei modelli interni succede sempre questo fatto, e dai petali più stretti. Un esemplare di grandi dimensioni e con forma che ricorda gli Schùasler ma con ambulacri da Brissopsis ho potuto osser- vare proveniente da Monte Castello (Alessandria); un altro dal pliocene di Mondovì (presso la cappella). Varietà cevensis. Fra i fossili langhiaui provenienti da Ceva devo citare una bella forma di Brissopsis di dimensioni alquanto maggiori del Br. Geaei del Sismonda, ma che gli sta vicino per la torma e disposizione della stella ambulacrale. È forma piuttosto rigonfia, colla superficie superiore molto globosa, formante attorno alla stella degli ambulacri depressioni particolari analoghe a quelle del Pen- coìrnus latus. L’ambulacro anteriore, stretto e lungo, presenta i pori coniugati separati da linee trasversali molto marcate. Gli ambulacri pari sono proporzionalmente più grandi che nel Br. Genei, i posteriori più arricciati. (1) Cotteau in Locard, Fauna de la Corse, p. 305. CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DEGLI ECHINIDI TERZIARIl ECC. 347 Brissopsis iniermedius E. Sismonda. Schizaster intermedius E. Sismonda. Monografia degli Ech sili del Piemonte, pag. 28, tav. 2, fig. 4. Brissopsis intermedius E. Sism. Desor, Synopsis, pag. 380. inidi fos- A 11 che scoprì e descrisse questa specie nel miocene e la Collina di Tonno, sebbene lascrivesse al genere Schùaster faceva però notare come probabilmente si dovesse farne un genere a parte. Il Desor la pose ì Brissopsis nella Sympsis] l’aveva pero posta fra i Toxobrissus nel Catalogne raisonné. Eitenczo esatto il modo di vedere della Sympsis confortato anche dal pL rere dell’ Hornes. ^ Fra i fossili pliocenici di Monte che, sebbene mal conservato, credo specie. Capriolo trovo un esemplare, si possa riferire a questa Brissopsis Pecchiolii Desor. Brissopsis Pecchiolii Desor in sched. Desor, 1875, Le paysage morainique, pag. 40 ” » Desor - C. Mayer, 1876, Bull. Soc. Géolog. de France, 3® serie, tom. IV^, pag. 216. Desor — P. De Borio], cfas OMrsiMs tiaires de la Suisse, pag. 37, fol. XXII, fig. 7. Riferisco a questa specie un esemplare ben conservato ed un altro piuttosto pasto, provenienti dal Piacenziano di Monte Ca- piolo; oltre all’ avere l’ambulacro alquanto più lungo della forma ipica e CIÒ forse in causa dello schiacciamento, noto che, ne’ miei esemplari, le aree interambulacrali si piegano attorno agli ambu- lacri formando una depressione particolare che corre tiitt’ attorno Brissopsis latissimus n. sp. Tav. X, fig. 1. Specie di grandi dimensioni, ovato-obliinga, leggermente sinuata in avanti, non acuminata all’ indietro, aree interambulacrali piut- tosto rigonfie e sporgenti: lo spessore massimo della forma è ad m terzo della lunghezza totale verso il margine posteriore. La taccia speriore è regolarmente convessa, l’inferiore presenta una carena che parte dalla bocca e va presso l’ area dove si apre l’ ano. L. BOTTf>MICCA 348 L’apice degli ambulacri è subcentrale, alquanto spostato aU’iii- dietro. Il solco anteriore, profondo, mediocremente lai-go, presenta, pori molto piccoli, separati (nel modello interno) da rigonfiamenti lineari molto ben marcati. Le aree ambulacrali pari petaloidee, sono rispetto agli altri Drissopsis piuttosto larghe e in forma di mezza- luna: poco escavate e quasi eguali le anteriori alle posteriori: queste perb sono alquanto più brevi. Le zone porifere sono larghe e le due file di pori molto distanti fra di loro: i pori della serie esterna sono minori di quelli della serie interna, le zone interpo- rifere larghe. Nella faccia inferiore è notevole lo sviluppo della fasciola subanale, la bocca è ovale, larga, labiata. L apparato api- cale presenta quattro piccoli pori, due anteriori più piccoli, e due grandi e distanti i posteriori. La piastra madreporica interposta fra i fori posteriori è alquanto spostata all' indietro. La fasciola peripetala è poco distinta Lunghezza 67 mm., larghezza ■)! mm. Il Brissopsis LaUssimm sarà sempre riconoscibile dalla lun- ghezza dei petali posteriori che quasi raggiunge quella degli anteriori, e la divergenza dei petali posteriori eguale a quella degli anteriori, che è molto grande, in modo che formano un X. Questi caratteri lo fanno distinguere a prima vista anche dai fìr. cì'cscenticus Wright e Bv. elegans Ag.. che sono fra le \arii* forme conosciute quelle che le stanno più vicino. Dal Br. Si- smoiidae differisce per avere i petali meno piriformi e meno ampi e r ambulacro anteriore privo di pori ; i petali sono poi anche meno divergenti : il Br. Slsmondae poi è più acuminato posteriormente, più cordiforme allo innanzi. Località: Piacenziano di Monte Capriolo presso Bra. Brissopsis ovatus E. Sism. emend. B. M. Tav. X, fig. 10. Schizaster ovatus E. Sismonda, .É’cà. Boss, del Piemonte, 28, ìz.\. 2. fig. 2. Brissopsis ovatus E. Sismonda, Desor, Synopsis, pag. 380. Desor nota come già il Sismonda avesse avvertita 1 anomalia che il solco anteriore sparisce prima di arrivare all’ orlo: fatto per cui il Desor fece passare questa specie dal genere Schizaster a quello di Brissopsis ; ciò è completamente esatto, poiché, come nota COKTEIBUZIONE ALLO STUDIO DEGLI ECHINIDI TEEZIARII ECO. 349 il Cotteau(J), il genere Brissopsis è caratterizzato dall’avere i suoi ambulacri più o meno 1 aspetto di una croce : ora questo ca- rattere è evidente in questa specie. Essa poi va distinta dalle altre perchè gli ambulacri pari anteriori sono alquanto ricurvi. Noto poi che la ricostruzione della forma fatta dal Sismonda non è esatta come vedesi dalla mia figura: su di ciò parmi non \i sia dubbio perchè oltre all’esemplare in frammento del Si- smonda io ne possiedo altri completi provenienti da Monte Ca- priolo presso Bra. Credo anche inesatta la determinazione del piano fatta da Desor, che scrive: Castelnuovo (Miocene), poiché colà non affiora che il pliocene. Un buon esemplare lo trovai pime fra i fossili di Monte Castello (Alessandria). Brissopsis Borsonii E. Sism. Schizaster Borsonii E. Sism., Monografia degli Ech. foss. del Pie- monte, pag. 23, t. 1. fig. 8-12. Brissopsis Borsonii Sism. Desor, Synopsis, pag. 373. ” ” Meneghini, Paléont. de la Sardaigne, pag. 534. Questa specie fu citata da Sismonda per Castiglione, ma si trova pure al Monte Capriolo presso Bra, località non ancora esplo- rata dal Sismonda, in compagnia di molti altri Brissopsis e Schi- zaster. Desor 1 ascrive al miocene, ma è forma pliocenica. Noto che la specie a Monte Capriolo ha gli ambulacri posteriori molto più avvicinati. Essa però non fu trovata fin’ ora completamente conservata, ma sempre allo stato di modello interno, il quale ri- produce bensì i caratteri del guscio, ma non ne ha la perfezione ; alcuni esemplari presentano le placche ornate in modo particolare ; linee equidistanti e concentriche riproducono sempre più in pic- colo il contorno della placca, e lasciano credere che il guscio fosse inciso pure così. Brissopsis Craverii n. sp. Tav. X, fig. 5. Specie di dimensioni medie, larga come lunga, a contorno esa- gonale, poco incavata all’ avanti, acuminata all’ indietro ; faccia su- (') Cotteau, Faune tertiaire de la Corse, pag. 305. 350 L. BOTTO-M ICCA periore rigonfia attraversata da leggiere fasciole che vanno dal- r apice agli angoli dell’ orlo ; lo spessore maggiore è presso 1’ apice posteriore: la faccia inferiore è piana all’orlo, ma la parte com- presa nell’ interno della fasciola subanale che è molto ampia, è subcarinata in forma di tetto che va dalla bocca fino alla parete anale. Sommità apicale subcentrale, ma alquanto spostata all’ in- dietro. Solco anteriore piuttosto largo e leggermente ristretto verso r orlo. L’ area ambulacrale impari è diritta, lunga, differente dalle altre per i pori piccoli, separati (nel modello interno) da piccole costole lineari. Aree ambulacrali pari profonde, eguali, non molto divergenti, le posteriori alquanto più corte delle anteriori. I pori di entrambe molto grandi, le aree interporifere larghe e diritte : la divergenza dei petali posteriori è minore di quella degli anteriori. La sommità api- cale è formata da 4 pori grandi molto vicini fra loro. La traccia della piastra madreporica è leggiera, spostata all’ indietro e non fra i pori posteriori. Bocca ellittica labiata. Largh. = lungh. = 48 min. Fra le forme analoghe citerò il ]ìi\ Borso/iii Sismonda e il Br. elegaas D’Arch. Dal primo distinguasi facilmente per le di- mensioni maggiori, la forma più circolare, e per la molto minore grandezza della stella ambulacrale in rapporto alle dimensioni della forma. Dal secondo perchè i petali posteriori non sono acumi- nati, ma arrotondati, e la forma è angolosa, mentre il Br. elegaiu è ovato. Questa forma presenta molto spesso la caratteristica or- namentazione per cui le placche si vedono disegnate da linee con- centriche parallele al contorno delle placche stesse. Varietà major. Fra gli esemplari che credo debbansi riferire a questa specie ne noto alcuni che hanno gli ambulacri molto grandi e brevi, colle due serie mediane di pori molto vicine, e quindi distanti dalle esterne che sono sull’orlo dei petali stessi. Località: Monte Capriolo (Bra). Brissopsis sp. Kicorda il Br. Sismondae Ag. di Corsica, che esiste al Mu- seo di Torino, ma ne differisce oltrecchè per le dimensioni molto CONTRIBUZIONE ALI.O STUDIO DEGLI ECHINIDI TERZIARII ECC. 351 maggiori in questa mia, per i seguenti caratteri: 1° l’ ambulacro anteriore è nel Br. Sismoadae molto più stretto che nella mia : I 2° i petali del Sismondae avvicinandosi all’ apertura acquifera si I restringono sensibilmente, mentre nella mia continuano ampi, onde i primi sono piriformi, gli altri ovati; inoltre i petali del primo |i sono proporzionatamente meno ampi e più profondi, jj È una specie di grandi dimensioni, maggiori di tutte le co- I nosciute, compresa la Sismondae ; la lunghezza è eguale alla lar- jj ghezza, che è di 65 ram., con contorno cordiforme alquanto acuminato I all’ indietro. j Località : Ceva (Miocene). I Brissopsis sp. I È una specie di piccole dimensioni che a prima vista po- trebbesi confondere col Br. Borsonii, ma anche un esame super- ficiale ce ne prova le differenze, quali: 1" la forma generale cor- diforme nella mia specie, mentre è ettagona nel Br. Borsonii, tanto che la )naggiore larghezza della mia forma trovasi in corrispondenza della base degli ambulacri pari anteriori ; 2° gli ambulacri poste- I riori molto più avvicinati, più stretti e meno profondi. I Riguardo allo spessore noterò che esso è massimo nella parte I posteriore mentre viene diminuendo nella anteriore, ricordando molto ^ bene la forma del Br. Gemi, forma però miocenica. La parte in- I feriore piegata leggermente a tetto presenta una notevole fasciola 3 subanale, ampia, regolare : la bocca è ovale, labiata. Le placche j sono ornate in modo notevole con linee concentriche e parallele • all’orlo della placca. ! Ricorda il Br. Borsonii Sism. ; ma ne differisce pei soprano- [ tati caratteri. I Località: Monte Capriolo presso Bra (Pliocene), j Toxobrissus Michelotti Desor. 11 Desor cita questa forma (’) per Carcare, ma non ne dà una sufficiente descrizione; esso è certamente un Brissopsis. poiché i due generi furono riuniti dal De Loriol e Cotteau. (’) Desor, Synopsis, p. 400. 352 I.. BOTTO-M ICCA Brissopsis elega/is Ag. Rimando per la bibliografia di questa specie ai lavori del Cotteau. Credo di poter citare questa forma fra i fossili di Cera (Miocene). Brissopsis Sismondae Ag. Per la bibliografia rimando alla Sympsis di Desor. Esisteva un unico esemplare, proprietà del Museo di Torino, ma il Fontannes ne trovò altri due. Gen. Liiitliiiv Mérian. Linthia Peolae n. sp. Tav. X, fi". 1. 4 Specie di dimensioni grandissime, superiore a tutte quelle J finora conosciute; non c’è che il che la sorpassi. Distinguesi da qualsiasi altra specie: 1“ per la sua forma ovata 4 e rigonfia coll’apice molto alto, in modo che \*iene ad avere aspetto l* piramidale ; contorno ovale, cuoriforme all' avanti, acuminato al- ' r indietro ; 2® per gli ambulacri pari posteriori, stretti, lunghi come gli anteriori. f L’ ambulacro impari anteriore è largo e poco profondo : ha pori fini, appaiati : distanti molto le paia successive che sono poi anche ^ separate, nel modello, da rialzi lineari. Le aree ambulacrali pari t sono strette, molto profonde e lunghe: hanno le 4 serie di pori , equidistanti fra loro, cosicché è molto stretto lo spazio interporifero. : Tanto gli anteriori che i posteriori sono molto divergenti. La som- ' mità ambulacrale, spostata in avanti, ha ben distinti i 4 pori ge- nitali vicini, molto i due anteriori, i due posteriori separati dal poro della piastra madreporica. L’ ano, marginale, si apre sotto un j prolungamento delle placche superiori in un’ area piana ed ampia. ■ La pagina inferiore è piana, formata da placche grandi ricoperte da grossi tubercoli molto vicini fra loro. Località: Monte Castello (Alessandria). Pliocene. j CO.NTRIBl'ZIONE ALLO STUDIO DEGLI ECHIMDI TERZIARII ECO. 353 Linthia cevense n. sp. Tav. X, fìg. 8. Fra i numerosi esemplari di questa specie si ha solo rara- mente la fortuna di trovarne qualcuno ben conservato. È una specie di grandi dimensioni, a contorno circolare al- I avanti ed all’ indietro: faccia superiore uniformemente e medio- cremente convessa, però negli esemplari meno schiacciati si ha un leggero incurvamento a tetto dall’ apice ambulacrale all’ orlo poste- riore; la faccia inferiore convessa è molto rigonfia, specialmente entro alla fasciola subanale. La sommità apicale è quasi centrale. II solco anteriore, largo e poco profondo, cessa quasi, prima di ar- rivare all orlo, i pori sono piccoli, distanti molto e separati da tramezzi rilevati (nel modello interno) e lineari. Gli ambulacri pari anteriori sono ampi e profondi, molto divergenti, e terminano ro- tondeggianti: i posteriori molto meno divergenti degli anteriori, sono poi anche più brevi e terminano in modo eguale. I pori degli ambulacri pari sono grandi ed avvicinati fra loro ; gli spazi interporiferi sono grandi e lunghi, leggermente flessuosi come gli ambulacri. Nulla si può dire di sicuro sui tubercoli. II peristoma è trasverso e labiato, coperto da un labbro acuto, ed è molto vicino all orlo. L apparato apicale è ampio ; i pori apicali sono molto vicini, gli anteriori specialmente; i posteriori lasciano fra loro lo spazio della piastra madreporica, che è alquanto indietro. Fasciola peripetala non visibile ; la fasciola latero-suba- nale ampia e ben segnata. Lungh. 75 mm., largh. 70 mm. La forma e disposizione degli ambulacri che sopra ho notato distinguono questa specie da tutte le altre fin’ ora conosciute. Noto che alcuni individui hanno l’apice molto spostato in avanti. Località: Ceva (Pliocene). Linthia Capellina P. De Loriol. Linthia Capellinii De Loriol. Mémoires de la Société de Physique et d' motorie nat de .Genève. T. XXVIII, n. 3, 1882. — Description des Echinides des environs de Camerino. Eimando alla descrizione dataci dal De Loriol; noto soltanto ne’ miei esemplari che la faccia inferiore è molto più tubercola- 1,. BOTTO-MICCA 354 rizzata e che i tubercoli sono semisferici, crenulati e piuttosto grandi. L’ esemplare mio è forse proporzionalmente alquanto più largo nella linea che passa per la bocca, del resto corrisponde bene alla figura e alla descrizione del De Loriol. 11 Mazzetti (') rivendica a sè la priorità nella descrizione e figura della specie suddetta sotto il nome di Prc'iicLSter^ fallux ^lazz. ma accetta il nome. L. Capel- lina De Loriol, cosicché io questo nome do ai miei esemplari. Località : Carcare (Tongriano). Gen. i zrisitoi- Ag. Schi:asler corsicus Ag. Ritengo la bibliografia dataci dal Cotteau nella Paléont. Fran- caise (2). Riferisco a questa specie, quale fu figurata dal Cotteau nel suddetto lavoro, un esemplare di Schùa^ter che corrisponde alla descrizione dataci dal Cotteau : solo ne ditferisce per la mag- giore larghezza dell'ambulacro impari anteriore. Località: Carcare (Tongriano). Schi:aster Scillae (Leske) Ag. Anche per questa forma rimando alla sinonimia datane dal Cotteau. Yar. pliocenica. Il Sismonda aveva citato questa specie per il miocene dei Colli Torinesi, ma poi riconobbe di essere stato tratto in errore da un esemplare mal conservato di Sch. major. Il Desor cita questa specie per il pliocene piemontese, e sulla fede di lui la si ritenne comune nell’Astigiana; i miei numerosi esemplari, che ricordano lo Sch. Scillae, sono appunto tutti plio- cenici, ma differiscono non poco sì dal modello in gesso P. 86 di Desor, sì dallo Sch. eitrynotus che servì di modello al Sismonda. Tali differenze sono : lo spessore maggiore nella parte anteriore degli esemplari pliocenici, la loro forma meno acuta posterior- (*) Mazzetti G. e Pantanelli D., Cenno monografico intorno alla fauna fossile di Montese. P. 1®, pag. 14. (*) Cotteau, Paléontologie Francane, p. 333. l CONTRIBUZIONE AI.I.0 STUDIO DEGLI ECHIMDI TERZIARII ECC. 355 mente, la carena meno pronunciata, gli ambulacri pari posteriori meno acuti. Concludendo, salvo errore, il vero Sch. Scillae non c’ è nel pliocene piemontese, se devesi ritenere come forma caratteristica il modello P. 86 e lo Sch. eurynotus di Sismonda: fin’ ora però era citato pel pliocene dell'Astigiana; nello stesso modo che si citava pel miocene ed eocene (v. Cotteau, p. 295, che però ritiene Asti sia miocene). Questa forma quindi deve ritenersi almeno come una varietà della specie tipica. Kitengo invece che ci sia il vero Sch. Scillae nel miocene. Credo anche inutile il ritornare sulle differenze fra questa specie e lo Sch. canali feriis., poiché esse furono già da più autori espresse. Il Dames (Q riferisce con dubbio a questa specie uno Schùaster raccolto negli» strati a scutella «di Santa Trinità (Bassano), e ricorda che il P. De Loriol (-) citò dubbiamente questa specie come pre- sente nel miocene Svizzero: dice poi discutibile il fatto che esso sia caratteristico del miocene come vuole il Cotteau (=*), che lo cita fra i fossili della Sardegna. Schizaster aff. Scillae n. sp. Stetti a lungo dubbioso se convenisse introdurre una nuova ’ specie nel gruppo già così complicato degli Schizaster sul tipo dello Scillae, major, Laubei ecc., ma la forma di questi miei esemplari differente tutt’ affatto da quelli, ed alcuni caratteri dei petali mi persuasero della utilità di staccare da essi questa nuova specie. Le dimensioni di essa sono minori di quelle raggiunte dallo Sch. Scillae v. pliocenica. La forma è ovata, poco incavata al da- vanti e con piccola carena allo indietro ; lo spessore massimo è nella . parte posteriore, ma anche al davanti è grande e qui si ha un no- tevole rigonfiamento, ciò che non si verifica nello Scillae, che è molto sottile allo innanzi; l’ambulacro anteriore più stretto, più diritto, meno profondo ; i pori posteriori rotondi e non acuminati. (1) Dames, Die Echiniden der Vicentinischen und Veron. Tertiàr-Abla- . (jeruncjen p. 64. (2) De Loriol P Description des ErMnides tertiaires de la Suisse, p. 111. I (®) Cotteau, Description des Echinid. mioc. de la Sardaigne, p. 42. 356 I„ BOTTO-M ICC A Schisaster major Desor. Hemiaster major Desor, Calai, rais. p. 125. Schizaster canaliferns E. Sism , Ech. foss. Piem. p. 18. n major Desor, Synopsis, p. 390. Era stato citato dal Sismonda col nome di Sch. canaliferus per r Astigiana e i Colli Torinesi ; cosi lo citò pure Desor col nome Sch. major: non fu poi più citato da altri. Mentre non ho trovato il vero Sch. Scillae credo invece che si trovi in Piemonte lo Sch. major (= canaliferus Ag.): anzi al- cuni esemplari del Monte Capriolo corrispondono molto bene alle figure di Agassiz {Prodrome d' une monographie ecc.). È una forma molto variabile per le dimensioni. Alcuni esemplari conservano molto bene l’ ornamentazione. Noto che confrontando i numerosi esemplari colle figure di Agassiz si trova a prima vista una certa difierenza nella forma degli ambulacri pari, che nelle dette figure comin- ciano presso le piastre madreporiche molto sottili, ma questa dif- ferenza non ha alcun valore sistematico; ciò è provato dal fatto che gli esemplari che conservano il guscio hanno questo principio filiforme degli ambulacri, mentre i modelli interni mancano di questo carattere. La specie tipica ho pure riscontrato in esemplari provenienti dal Piacenziano di Grugnasco (Val Sesia). Località: Baldissero Torinese (Elveziano). Asti-Bra-Castelnuovo (Astiano e Piacenziano). Schizaster Laubei Hòrnes. Schizaster Laubei HOrnes, Die Fauna des SchUers von Oltnang. Jahr- buch IV, 25 Band. 1875. Fra i fossili langhiani della collina di Torino (\ illa Merletti) trovai numerose impronte di Schizaster, molto guaste, e la maggior parte affatto indeterminabili, poiché quasi sempre schiacciate, e coi loro radioli vicini. Un esemplare meglio conservato degli altri credo di poterlo ascrivere allo Sch. Laubei trovato dall Hornes nello SchUers di Ottnang: nè si potrebbe, per la maggiore grandezza dei petali posteriori e anche per 1 ampiezza e poca curvatura degli anteriori riferire allo Sch. Scillae. Noto poi ancora che il Bittner fa uno Sch. Laubei-, così il CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DEGLI ECHINIDI TERZIARII ECC. 357 Cotteau cita nella Paléontol. francaise uno Sch. Laiibei Bittner ; al quale non so se sia stato mutato il nome, essendo posteriore. Schùaster Bellardii Agassiz. Schizaster Bellardii Ag. Desor, Synopsis, p. 391. L’ esemplare che servì all’ Agassiz per la nuova specie ed al Desor pel modello T. 39 trovasi al Museo di Torino. Credo non superfluo il darne maggiori ragguagli: Specie media uvulare, cordiforme all’ avanti, acuminata all’ in- dietro ; petalo anteriore impari, largo, profondo, con spazio interpo- rifero ampio ed i pori sulle pareti laterali ; i petali pari anteriori sono poco profondi, lunghi; i posteriori, rotondeggianti, appuntiti nella parte superiore. La fasciola peripetala è stretta, angolosa. Le dimensioni sono : lungh. — largh. — 40 mm. (passando per l’ apice) ; lo spessore = 37 ram. Un altro esemplare pure proveniente dalla Collina di Torino ha dimensioni maggiori ; è tronco all’ indietro e senza carena. I petali posteriori sono alquanto più lunghi e quelli anteriori più allontanati dall’ambulacro impari, che è più stretto e diritto che nell’ esemplare tipo. Schizaster Baylei Cott. Schizaster Baylei Cotteau, Faune de la Corse, pag. 303, pi. XIII, fig. 3-5. ” » Cotteau-Mazzetti, Fauna di Montese, pag. 3. ” ” Cotteau-Mazzetti e Pantanelli, Cenno monografico in- torno alla fauna fossile di Montese, pag. 27. " r Cotteau-C. F. Paroua, Appunti per la paleontologia del miocene di Sardegna, pag. 21. È, come dice il Cotteau, una specie di piccole dimensioni, subcircolare, cordiforme allo avanti, alquanto acuminata allo in- dietro, larga come lunga, molto spessa, e presenta nella parte po- steriore uno sprone carenato. In questo punto si ha il massimo spessore. La faccia inferiore è arrotondata e molto convessa ed un poco avanti alla bocca. Borse gli ambulacri posteriori sono più vicini che nella specie tipo; ma il fatto potrebbe essere prodotto dallo schiacciamento; gli anteriori sono poi meno curvi. Località: Colli Torinesi (Miocene). 358 I,. HOTTO-MICCA Scìlisaster pjriformis n. sp. Tav. X, fig. 11 e 12. È una specie di dimensioni medie (lungh. 50 mm.. largh. 47 mm-, spess. 34 mm.); cordiforme, molto allungata all’apice e quasi piriforme e deltoidea, perchè la maggiore larghezza è spo- stata molto verso la parte anteriore della forma stessa, cioè quasi all’ apice degli ambulacri anteriori ; da quel punto va regolarmente restringendosi tino all’ apice che è molto acuminato. Perfettamente ^ cordiforme all’ avanti, ha l’ orlo un poco intaccato dall insenatura | deir ambulacro anteriore ; 1' area interambulacrale posteriore è sub- i carinata e si prolunga in forma di rostro. La faccia superiore è poco convessa e lo spessore massimo della forma si ha sotto al rostro in corrispondenza dell' ano ; lo spessore viene poi rapidamente diminuendo in modo che la faccia superiore resta molto inclinata all’ avanti : la faccia inferiore è piana ai lati della fasciola sub- anale, poco convessa nell’ interno di essa. La sommità apicale è spostata all’ indietro molto e quindi molto lontana dall orlo. Il solco anteriore molto largo si restringe solo alquanto verso l’orlo anteriore. L’area ambulacrale impari larga, piana, diritta, molto diversa dalle altre, formata da pori piccolissimi posti sulle pareti dell’ ambulacro ; le varie serie sono separate da linee trasversali ben marcate (nel modello interno). Gli ambulacri pari anteriori larghi, divergenti, curvi alquanto all'apice e alla base, i posteriori ampi, rotondi, acuminati all’ indietro. Le aree ambulacrali sono molto larghe, e le serie di pori molto distanti fra loro, onde lo spazio interporifero è largo come le zone ponfere. Le aree interambulacrali anteriori sono strette, lunghe e pie- gate a tetto, le laterali ampie e poco inciuTate, l’area interam- bulacrale impari subcarenata, I tubercoli sono più grandi di quelli delle altre specie e leg- germente crenulati e scrobiculati. Peristoma ovale labiato, vicino all’Olio anteriore. Ano ovale aprentesi presso la sommità della fascia posteriore, sotto il rostro formato dal prolungamento del- r area interambulacrale impari. Ricorda lo Scìi. KarreH Laube ma ne differisce per le sopra citate caratteristiche di forma e per la disposizione degli ambulacri. Località: Carcare (Tongriano). CONTRIBDZIONE ALLO STUDIO DEGLI ECHINIDI TERZIARII ECO. 359 Schùaster vicitialis Ag. Rimando per la lunga ed intricata bibliografia di questa forma alla Pai. frang. a pag. 328, poiché ben a ragione, secondo me, il Cotteau vi unì lo Sch. subincurvatus Ag. che Desor univa allo Stu- deri. L’ esemplare che riferisco a questa specie è più piccolo e molto più sottile che r esemplare X 93 del Desor; inoltre gli ambulacri pari anteriori sono alquanto più ricurvi e stretti, i posteriori più stretti e lunghi. L’ ambulacro anteriore è poco scavato e profondo, non a canale, ma ad angolo ottuso. Delle differenze di questa specie dallo Sch. rimosus trattò molto bene il Dames (*). Località; Carcare (Tongriano). Schisaster Karreri Laube. Schizaster Karreri Laube, Die Echinoiden der òsterr.-ung. oheren Ter- tiàr-Ablagerungen, pag. 70, tav. X7I, fig. 6, 1871. Possiedo tre esemplari di Schisaster che corrispondono molto bene alla specie del Laube. Sono però alquanto più brevi ; inoltre r ambulacro anteriore impari presenta due serie ben distinte di fori coniugati. Le serie invece di fori degli ambulacri pari ante- riori e posteriori sono visibilmente quattro. Loc. Carcare (Tongriano). Schizaster Studeri Agassiz. Schizaster Studeri Agassiz, Prodrome d'une monograpliie des radiaires. Mém. Soc. Se. Nat. de Neuchàtel, t. I, pag. 185, 183fi Spatangus Studeri Desmoulins, Elude sur les Echin., pag. 412, 1837. Schizaster Studeri Agassiz, Calai. Sysl. Etyp. Echinod. Mas. Neoc., pag. 3. » >» Agassiz-Sismonda, Mem geozool. sugli Echinod. fos- sili di Nizza, pag. 32, p. II, fig. 4. » » Agassiz-Desor, CafaZ. rais, (fes A’c/iràoii. pag. 121, 1847. ” « Agassiz-Bronn, Index faléont., t. I, pag. 1121, 1848. >’ >1 Agassiz-Bellardi, Catalog. rais, des foss. numm. du comté de Nice, pag. 67. Mém. Soc. Géol. de Franco, 3'* serie, t. 17, 1851. » " Agassiz-Desor, Synopsis des Echinod. foss., . (') Dames, Die Echiniden der Vicentinischen und Veronesischen Ter- tiàr-Ablagerungen, pag. 63. 360 •- botto-m iccA Scliizaster Studeri A£rassiz-T>ujardin et Hupé, Hitt. nat. de$ Zooph. Echinod., pafr- C03, 18G2. „ n Aga»KÌz-LTube. Ein Beitrag zur KentUnitt der Echinod. der Vicentinischen Tertiir-Gebiete, pap. 30, 1868. „ n Apassiz-Taramelli, AIruni echinidi eocenici d. Ittna, pap. 43. Istituto Veneto di Se., Lett. ed Arti, 1873-74. ^ n n Die Erhinid. der Vicent. und Veron. i Tertiàr-Ablag., pap. 60, pi. IX, fip. 3, 1877. ( „ -7 Apassiz-Bittner, Beitrag zur Kenntniss àltertt. Echi- noidenfauna der Sùd-Alpen, pap. 23. „ 77 Apa.ssiz-Cotteau, Paléontologie Frane-, pap. 345, pi, , 103-4-5. I Riferisco a questa specie esemplari alquanto ditTereuti dal modello S. 6. Le dimensioni sono maggiori, la forma è alquanto più convessa, V apice è meno spostato all’ indietro : di più 1 am- bulacro impari anteriore è più largo ; gli ambulacri pari anteriori sono pure più lunghi e più divergenti, i posteriori più lunghi di quelli del modello, e proporzionatamente più stretti ; corrispondono meglio quindi alle figure dateci dal Sismonda che non a quelle dateci dal Cotteau. Nella » Collezione Rovasenda - ho potuto osservare esemplari di Schisaster corrispondenti abbastanza bene alle figure del Cotteau, specialmente per la strettezza dell’ ambulacro pari anteriore. Fra i fossili di Carcare trovai due esemplari di dimensioni alquanto minori dei precedenti e differenti anche pei seguenti altri caratteri particolari : 1’ ambulacro anteriore alquanto più largo, la forma delle aree interambulacrali che pressa all’ apice si ripiegano formando una sporgenza globulare. Loc. : Carcare (Tongriano), Pian dei Boschi (Elveziano). Schisaster acuminatili (Goldf.) Agassiz. Rimando per la sinonimia e descrizione al Cotteau ('). | Località: Cassinelle (Elveziano). Schùaster ambulacrum (Deshayes) Agassiz. Così pure per questa specie, rimando alla sinonimia e descri- zione del Cotteau (2). Non posso però fare a meno di notare che il (1) Cotteau, Paléontologie francaise, p. 312, pi. 33, fig. 4-6. (2) Cotteau, Paléontologie francane, p. 323. CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DEGLI ECHINIDI TERZIAKII ECC. 361 Tero Sch. ambulacrim Deshaves è molto diverso per contorno ge- nerale e anche per forma di ambulacri dallo Sch. CLTiibulcLcruin quale 10 figura il Cotteau : i miei esemplari corrispondono meglio a queste ultime figure, e specialmente a quelle della PI. 96. Credo esatta Y identificazione dallo stesso Cotteau fatta dello Sch. lucidus Laube (in Barnes) collo Sch. anibulacrum. Questa specie forse per la forma sua rotondeggiante, conservasi abbastanza bene ; è una specie di taglia piuttosto grande, come notò 11 Cotteau, piuttosto circolare, colla faccia superiore rigonfia, col- I apice ambulacrale nel punto medio, che è anche il punto più elevato. Lungb. 60 mm., largb. 58 mm., spessore 39 mm. Località: Carcare (Tongriano). Schùaster Besorii Wrigbt. Schizaster Lesorii Wright-Menegliini, PaUontologie de la Sardaigne, p. 614. ” Wright-Michelotti, Elude sur le Mioc. inf, p. 22. ■’ « Wright-Cotteau, Descr. des Ech. Ieri, de la Corse, p. 299. ” ” Wright-Manzoni, Echinodermi fossili della Molassa ” ” serpentinosa e supp. agli Echinidi dello Schlier delle colline di Bologna (Denkschriften der Wie- ner Akad.), p. 7, t. Ili, fig. 29-30. tt n Wright-Manzoni e Pantanelli, Cenno monografico sulla fauna fossile di Montese, p. 27. ” » Wright-C. F. Parona, Appunti per la paleont. mio- cenica di Sardegna, p. 20. Il prof. Taramelli cita questa specie come trovata a Carcare ('). II Mazzetti dà la fotografia di uno Sch. Besorii ; il mio esemplare ha dimensioni alquanto maggiori; più rotondo all’ avanti ed acuminato all’ indietro. Loc. Carcare. Schizaster Bjulfensisì Dubois. Per la sinonimia e descrizione rimando a quella datane dal Cotteau (2). Egli accetta per questa specie il modo di vedere di P. DeLoriol, il quale non ammise l’unione di questa forma collo Y) Taramelli, Echinodermi del Friuli. (^) Cotteau, PaUontologie frangane, p. 364. 25 362 L. BOTTO-MICCA Seh. Studeri; unione sostenuta dall’Agassiz e dal Desor; a mio parere, sono esse due specie distinte; io le riferisco un esemplare che mi pare stia molto vicino al modello P. 91. Loc. Cassinelle (Elveziano). Schisaster rimosus Desor. Anche per questa specie rimando alla sinonimia e descrizione del Cotteau {Paléont. fran^., pag. 395). Ad essa riferisco alcuni esemplari provenienti da Carcare. Due di essi brevi, subtriangolari, concordano molto bene col modello t. LI di Desor. Un altro di dimensioni maggiori è alquanto più lungo e con apice molto sporgente sull’ area anale. Loc. Carcare (Tongriano). Schisaster braidensis n. sp. Tav. X, fig. 3 e 0. Potrebbe a primo aspetto affacciarsi il dubbio che questa forma non sia altro che lo Sch. major o varietà allo stato giovanile; ma esso scompare affatto ove si paragoni questa forma con i veri in- dividui dello Sch. major allo stato giovanile. L’ ambulacro impari di questi ultimi è proporzionatamente tanto più grande che non si può a meno di riconoscere l’impossibilità di unire le due specie. È specie di piccole dimensioni, a forma ovato-cordata ; cordi- forme allo avanti, è poco intaccata dall’ ambulacro anteriore, alquanto acuminata allo indietro. La faccia superiore è poco convessa e uni- formemente ripiegata all’ orlo, mentre nel centro è piana o quasi. Lo spessore della forma è quasi uniforme, ma maggiore nell’ area posteriore impari che ha forma di tetto. La faccia inferiore è piana all’ orlo, ma rigonfia nell’ area interna della fasciola subanale. L' apice ambulacrale è quasi centrale, poco spostato all’ indietro. L’ ambu- lacro anteriore è stretto, diiitto, lungo ; ha pori numerosi, piccoli, separati da tratti longitudinali molto marcati. Gli ambulacri an- teriori pari sono brevissimi, diritti, piriformi ; i posteriori, piccolis- simi, rotondi, poco divergenti : le serie di fori sono quasi equidistanti con spazio interporifero eguale, e talora minore alla distanza di due serie contigue. Un buon esemplare lo trovai fra i fossili di Monte Castello (Alessandria) ; numerosi trovansi a Monte Capriolo (Bra). CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DEGLI ECHINIDI TERZIARII ECC. 363 Gen. IPei'icosmixs Agassiz. Pericosmus spatangoides (Des.) P. De Loriol. Hemiaster spatangoides Desor, Archives des Sciences phys. et nat. de Genive. T. XXIV, p. 143. Linthia spatangoides Desor, Act. Soc. helv. Se. nat, Sessione. Porrentruy, p. 279. Periaster spatangoides Desor, Synopsis des Echinod. foss. ” ” Dujardin et Hupe', Suite à Buffon : Echinoder- mes, p. 598. Macropneustes pulvinatus Laube, Echinod. der Vicent. etc., p. 34. Pericosmus spatangoides P. De Loriol, Coup d'oeil d'ensemble sur la faune échin. de la Suisse, p. 8 [Archiv. de la Bibl. Un. Févr. 1875], ” ” P. De Loriol, Descript, des Echin. tert. de la Suisse, p. 112, pi. XIX-XX, fig. 1. ” ” P. De Loriol-Dames, Die Echiniden der Vi- cent. und Veron. Tertiàr-Ablager., p. 64. ” ” P- Loriol-Bittner, Beitrag zur Kenntn. àlterst. Echinoidenfauna der Sud-Alpen, p. 66, pi. IX, fig. 93. ” ” P- De Loriol-Cotteau, PflfóowL /ra«p., p. 440. Ho accettato la sinonimia del P. De Loriol anche per quanto riguarda il Macropneuster pulvinatus Laube, non potendo giudi- care sulla identità da lui ammessa; noto però che essa non è ac- cettata dal Cotteau. A questa specie del Desor e quale fu modi- ficata dal P. De Loriol io ascrivo un esemplare proveniente da Carcare, sebbene però non sia completamente sicuro sulla sua po- sizione generica, mancando la fasciola marginale, tanto più che questa specie ha molta somiglianza colla Linthia subglobosa Lk. Ad ogni modo però tenendo conto delle descrizioni dateci dal P. De Lo- riol delle due specie credo sia meglio determinata riferendola al Pericosmus spatangoides. Sebbene non ben conservato pel guscio, il mio esemplare può dirsi tale rispetto agli ambulacri e alla forma generale, la quale è eordiforme, incavata allo avanti, acuminata allo indietro. La faccia superiore è quasi regolarmente convessa, ma l’area impari poste- riore è piegata a tetto. La sommità ambulacrale è quasi centrale. 364 L. BOTTO-M ICC A L' ambulacro impari anteriore è ampio, profondo, ma con pori poco marcati ; esso è molto breve e cessa prima di arrivare all orlo. Gli ambulacri pari sono profondi, uniformemente concavi, coi pori posti sull' orlo, e con largo spazio interporifero : gli anteriori sono molto divergenti, i posteriori lo sono molto meno e più brevi. Lungh. e largb. 54 mm., spessore 29 mm. Loc. Carcare (Tongriano). Pericosmus Lalus Agassiz. Micraster latus Agassiz, Calai, syst. Etyp. foss. Ech. Musei Neoc.,p.2, Schizaster Grateloupii Sismonda, Monogr. Ech. fossili del Piemonte, p. 27, pi. 2, fig. 1 e 2. Hemiaster Grateloupii Desor, Catalogne raisonné des Echin., p. I2-5, pi. XVI, fig. 1 e 2. n latus Sismonda, Synopsis, p. 8. Micraster latus Broun, Index paleont., p. 724. Schizaster Grateloupii Bronn, Id., p. 1120. Hemiaster latus Bequien, Calai, des Coq. de Vile de Corse, p. 96. n n D’Orbigny, Prodromo de paléont. slral., t. Ili, p. 139, II. 2615. n Grateloupii D'Orbigny, n. 2615, id. Pericosmus latus Agassiz-Wright, On foss. Echinod. from thè Isl. of Malta, p. 45. n 11 Agassiz-Desor, Synopsis des Echinid. foss., p. 396. n 11 Agassiz-Pictet, Traité de paléont., t. Ili, p. 138. n n Agassiz-Dujardin et Hupé, Hist. nal. des Zooph. Ech., p. 559. n n Agassiz-Wright, On thè foss. Echin. of Malta. Quarterly Journal of Geol. Soc., t. XX, p. 487. n u A.gassiz-Locard, Faune des Terrains tert. de la Corse. Bull. Soc. géol. de Trance, 3* serie, 1. 1, p. 238. Nulla aggiungerò a quanto si conosce sopra questa specie ben rappresentata dai modelli di Desor. Loc. Cassinelle (Elveziano). Pericosmus Peroni Cotteau. Pericosmus Peroni Cotteau, Description de la Faune des terrains tertiai- res moyens de la Corse, p. 341, pi. XIV, fig. 3 e 4. Ho trovato un solo esemplare di questa specie dal Cotteau magistralmente descritta: esso ha le dimensioni alquanto minori di quello figurato dal Cotteau, ma corrisponde molto bene per la CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DEGLI ECHINIDI TERZIARII ECC. 365 forma. È una specie di dimensioni medie più larga che lunga, rigon- fia, inclinata all avanti, con area piana, declive alla parte poste- riore. Pel resto rimando a quella descrizione. Loc. Carcare (Tongriano). Perico&mts Edwarsii Agass. e Desor. Pericosmus Edwarsii Agass. e Desor, Catal. rais., p. 126. Micraster Edwarsii Agass., Catal. Syst.. p. 2. Schizaster Agassizii E. Sismonda, Eckàn. foss. Pierri. Pericosmus Edwarsii Desor, Sympsis, p. 396. È una specie molto comune nell’ Elveziano della Collina di Torino ed è quasi sempre ben conservata a causa del grande spes- sore del guscio. Nota il P. De Loriol che non si conosce la fasciola di questo PericosMus e che quindi è dubbio se debba ascriversi a questa specie. Sebbene io abbia potuto osservare un grande nu- mero di esemplari di questa specie così comune, pure non posso con sicurezza alfermare la direzione e la forma della linea sud- detta. Nella Collina di Torino si trovano anche numerosi indi- vidui di dimensioni molto maggiori di quelle date dal Desor. Var. minor. ì ra i fossili di CasSiUelle ne noto alcuni che appartengono a questa specie, ma, avendo forma più lunga, meno rigonfia, a petali più brevi che la tipica, la distinguo come varietà. Pericosmus aequalis Des. Il Desor (^) cita com e trovata a Dego questa sua nuova specie, fondata sopra un solo esemplare ; non ne dà però nè la figura, nè il modello, nè la descrizione. Gen. Macropneiistes Ag. Maeropneustes Lesorii Mérian in Desor. Eupatagus Desorii Mérian in Desor, Act. Soc. Helv.des Se. «ai.,38“^Sess. Porrentruy, p. 272. (^) Desor, Synopsis, p. 395. L. BOTTO-MICCA 366 Jlacropneustes Desorii Mérian in Desor, Syfiopsis dss hch. foss., p. 412. 5? n Mérian in Desor-Dujardin et Hupé, 5ui / La parte inferiore di tali calcari mostra pure dei Megalodus. dei quali taluni di grandi dimensioni, e delle sezioni di bmchio- podi- però non si riesce a determinare nessun elemento. Questi strati più bassi si separano bene dalla Dolomia principale là dove questa non è stratificata alla parte superiore; ma dove lo e, come alla base della Serra delle Capanne e anche sulla via che dalla Valle Cupa presso Castrovillari sale al Pollino, non è facile deci- dere se i primi strati dolomitici e calcarei appartengano al Trias superiore o al Lias. La difficoltà di chiarire se certe dolomie ap- parten) Tra gli esempi più belli di tufi marini stratificati orizzontalmente e con grande regolarità vanno citati alcuni tufi di Procida, situati dalla parte che rasenta il piroscafo andando da Napoli a Ponza. S’intende facilmente come le ceneri e i frammenti di ogni dimensione che cadono continuamente durante un’eruzione, e che sulle terre emerse danno una stratificazione più grossolana, ad elementi confusi, nelle acque, sovratutto se molto profonde, mentre i più grossi cadono presto sul fondo, le ceneri invece restano lungamente sospese nell’acqua (molto più che nell’aria). Queste ceneri, dopo ogni eruzione, devono col loro deposito produrre strati di grande regolarità e sovratutto ad elementi molto piccoli e molto uniformi. In- somma si effettua quella separazione meccanica che è generalmente meno ese- guita nell’aria. In questa, certe volte, può esservi separazione accurata, ma è sovratutto dovuta alle diverse dimensioni dei prodotti di proiezione, nei tempi successivi dell’ eruzione. SULLA GEOLOGIA. DELL’iSOLA DI PONZA 403 Io dissi invece che i tufi stratificati, che in quest’isola sono gene- ralmenk alla parte superiore del deposito tufaceo, davano una prova deU’ azione del mare, ma la davano perchè in certi punti i loro strati, rigorosamente orizzontali, riposavano sopra un terrazzamento ugual- mente orizzontale, che aveva tagliato il tufo sottostante e la rio- lite inclusa. Era dunque la precisione del terrazzamento alla base del tufo stratificato, e non la stratificazione di esso, l’ argomento da me addotto. Ho già detto che la poca estensione dell’ isola non permetteva una grande azione delle acque correnti, sicché senza invocare 1 azione del mare que’ terrazzamenti non si spiegano. Ma appunto perchè tale argomento non era completamente sicuro ne addussi degli altri. Così parlai del rotolamento di molti ele- menti tra quelli racchiusi nella intera massa del tufo, fatto questo che anche Schneider ha osseiTato, e che (al pari dei conglomerati intercalati che hanno la stessa origine) con le brevi acque cor- renti di questo piccolissimo territorio non possono spiegarsi. Aggiunsi una terza ragione, che avvalorava tutte le altre, i fossili di Croce. E dissi che poteva ritenersi una conferma della mia ipotesi la na- tura vetrosa, fessurata e sopratutto fragilissima degli elementi del tufo, a cui un ralfreddamento in acqua, perchè più rapido, aveva potuto più facilmente dare quelle proprietà. Per la fragilità sovra- tutto, ricordo fino a che punto estremo essa sia spinta nelle lagrime di Venezia, ottenute solidificandone il vetro fuso appunto nell’ acqua, sicché le molecole nella rapidità dell’ immobilizzazione relativa as- sumono un equilibrio instabile tale da ridursi in polvere all’urto più leggiero. Si vede dunque che nemmeno qui il sig. Schneider mi ha citato esattamente. 3. Roccie di Ponza. Nella mia più volte citata Memoria ho distinto a Ponza le roc- cie seguenti, che enumero col loro ordine di formazione: 5° andesite 4" tufo rosso 3“ tufi stratificati 2° riolite 1° tufo di vetro riolitico. 404 SABATINI Ma in seguito ad una recente visita fatta da me a quest isola, | e purtroppo durata solo quattro giorni, mi son convinto che occor- reva modificare alquanto questa classificazione, e che sovratutto il , tufo stratificato doveva sopprimersi per rientrare in parte nel tufo , riolitico, e in parte costituire un altro tufo color tabacco, che ho | già accennato avanti e di cui parlerò in seguito. . Debbo premettere che la classificazione dei tufi si basa sopra uno di questi criteri : ; 1) Natura della massa se, inclusi a parte, si mostra uniforme; 2) Inclusi contenutivi, e la determinazione di ognuna delle due parti si fa col microscopio 1 0 con la chimica, e meglio con entrambi. Primo criterio. — Natura della massa. Volendo applicare il primo criterio al tufo grigio di Ponza, comincio coll' osservare che esso è spesso stratificato, certe volte finamente e spiccatamente, e certe altre in banchi più grossi e meno appariscenti ; in certi siti con inclinazione fino a 25“ ed in altri orizzontalmente ('). Perlo più le parti meglio stratificate, cioè a strati più sottili, e che sono le più vicine alla giacitura orizzontale, si trovano a Monte Guardia e dintorni, in alto. Il colore del tufo, stratificato o no, è d' ordinano grigio-chiaro, ma molte volte, sebbene io lo abbia indicato col nome di questo colore, si presenta invece colorato in giallo. Il sig. Schnei- der è di parere diverso, ed attribuisce il color giallo al suo tufo tra- chitico, che corrisponde generalmente al tufo stratificato della mia prima Memoria {^). Tra^ tufi più antichi e i più recenti, cioè po- steriori al terrazzamento dei primi, non c' è dunque altra differenza che quella di una stratificazione più regolare, che accompagna sempre . i secondi, ma non sempre si trova nei primi, nei quali anzi il più sovente sparisce del tutto. Il colore e la natura delle masse dei due tufi sono però gli stessi. Doelter perciò si appose al vero ritenendoli costituiti dallo stesso materiale, solo non fu giusta la denominazione di trachitici che egli dette a questi tufi, pei chè n- spetto alla massa sono invece tutti riolitici (3). Il Doelter li di- (1) Sulla fig. 3 si Tede che il sulla parte sud della manna di Gian- cossa, è stratificato in grossi banchi su tutta l’altezza dolla costa. (2) V. Schneider, loc. cit., p. 65. (3) Anche Doelter chiama trachite ciò che io chiamo andes'te Fq., ML. SULLA GEOLOGIA DELL’ISOLA DI PONZA 405 stingne, chiamendo breccia trdchiiica il tufo anteriore al ten-az- zamento e tufo trachitico stratificato quello che è posteriore. Secondo criterio. — Natura degli inclusi. Se invece che aUa massa , ci rapportiamo agl’ inclusi , troveremo che questi sono di riolite in tutta l’ isola meno che a Monte Guardia e din- torni, ove apparisce l’andesite; anzi nelle parti più elevate del tufo grigio di M. Guardia gl inclusi andesitici diventano predominanti e in certi punti la riolite sparisce quasi. Si vede che sotto la Guardia, in profondità, hanno dovuto formarsi delle roccie andesitiche, prima che 1 andesite ora visibile coprisse le formazioni riolitiche. Non ho elementi sufficienti sulla spiegazione di questo fatto e mi limito ad accennarlo. Intanto, da quanto precede, risulta che a Ponza la distinzione del tufo grigio, rispetto agl’inclusi, non è precisa essendovi tra le due categorie che potrebbero farsene tutte le gra- dazioni, e che una divisione approssimata non corrisponderebbe per niente alla distinzione fatta da Schneider rispetto alla stratificazione. Ma vi è un altra ragione per cui a questi tufi grigi io non trovo applicabile il secondo criterio. Trattandosi difatti di materiali co- stituiti principalmente da una massa uniforme, è questa, e non gl’ inclusi, che deve servire alla classificazione, anche perchè la massa rappresenta con grande probabilità il magma fuso del mo- mento dell’ eruzione, mentre gl’ inclusi di natura diversa dalla massa indicano le roccie solide strappate dalle esplosioni, e quindi costi- tuiscono un carattere accidentale, per quanto utilissimo alla storia delle precedenti eruzioni. ^ Senza insistere su queste distinzioni basate sul criterio degl’ in- « elusi, e da me scartate, le riepilogo qui, dicendo che i tufi grigi di Ponza sono : tufi andesitici nella parte alta di M. Guardia, tufi andesitici e riolitici nella parte bassa e nei dintorni di M. Guardia, tufi riolitici nel resto dell’isola. Quanto alla determinazione effettiva dei diversi elementi, il microscopio è sufficiente, a condizione che non si tratti di elementi vetrosi, come è il caso per la massa di questi tufi, o di elementi troppo alterati. E, se si ricorre alla chimica, troveremo solo tre analisi su’ tufi ponzesi. Due furono fatte dal mio collega sig. Aichino, dietro mia V. SABATINI 406 preghiera, la terza è di Rammelsberg e fu fatta per invito di Roth. , Delle due analisi dell’ ing. Aicliino. anzi, una è fatta sul mate- riale della Punta dell’ Incenso, che essendo molto alterato e ridotto a caolino, non può servire alla classificazione. Resta quindi la se- conda analisi dell’ Aichino, eseguita sul tufo non stratificato di Cala d’inferno, dopo tolti gl’inclusi, che del resto, essendo qui ; della stessa natura della massa, non avrebbero danneggiato le con- clusioni; e resta l’analisi fatta per conto di Roth. Anche a pro- posito di questa il sig. Schneider trova modo di attaccanui, e il . curioso è che io e lui citiamo le parole testuali di Roth per ti- rarne conseguenze opposte 1 Dice Roth (e tal quale lo cita Schneider) ; che furono analizzati i tufi bianchi, poco coerenti e ricchi di po- mici che trovami sotto la trachite del piano della Guardia^ Sono dunque bianchi e quindi non sono gialli, come i tufi tra- chitici di Schneider; non sono stratificali, come questi, perche, se ( lo fossero stati, Roth con la sua precisione lo avrebbe detto ; e final- , mente sono tufi sotto la trachite del piano della Guardia " i senz’ altro. Come fa Schneider a vedervi i suoi tufi trachitici è cosa j che non intendo, e intendo anche meno il riconoscere in questi tufi I sotto il piano della Guardia proprio quelli della Punta del Fai- | cone. A me pare dunque che, da quanto con molta esattezza dice } Roth, egli prese del tufo riolitico, di quello che è grigio-chiaro o 1 hianc’asU-o che dir si voglia. Ma mentre Aichino ebbe a Cala d In- | ferno 71,41 % silice; Roth, e per lui Rammelsberg, trovò 6o,02. j E poiché la massa dei due tufi, stratificato e non stratificato, a Doelter e a me è parsa la stessa, era lecito questo dubbio : o che ci sia stata confusione con altro tufo, per esempio con quello gial- liccio proveniente anche da Monte Guardia (e non ^ da altra loca- I lità ’’ come mi fa dire Schneider), e allora 1 esattezza di Roth verrebbe meno nella sua descrizione; ovvero, caso assai più pro- babile, nell’ analisi di Rammelsberg non si badò a separare gl in- clusi, che a M. Guardia sono più basici che a Cala d’ Inferno. Roth’ non dice come fu fatta la presa d’ assaggio, e quindi il dubbio è permesso come dissi a pag. 20 della mia Memoria. Si vede perciò l’ insufficienza di questa analisi, per la deter- minazione del tufo trachitico di Schneider. Io capisco che quel 65°/o di silice basterebbe al mio contradittore per ritenere questo tufo piu basico dell’ altro ; non volendo io per un solo istante ammettere che SULLA GEOLOGIA DELL’ISOLA DI PONZA 407 egli si sia basato sulle pomici in esso contenute, perchè il tempo di ritenere queste forme bollose come varietà di trachite parmi sia passato. E vero che separando nel mio primo lavoro il tufo grigio stratificato da quello non stratificato, e unendolo al tufo superfi- ciale color tabacco, più volte ora citato, io, esaminando quest’ ul- timo, emisi r opinione di riattaccarlo alle eruzioni andesitiche. Ma avendo pochi elementi pel giudizio non detti alcun nome specifico a questi materiali, chiamandoli semplicemente « tufi stratificati » (^). Noterò, prima di lasciare il discorso del tufo grigio, che a Bagnovecchio esso è stratificato su tutta l’ altezza, e i vari banchi si distinguono per la grossezza e il numero degl’ inclusi. Tra questi ho raccolto un frammento di riolite rossa. Il tufo rosso nella mia Carta fu segnato a parte. Esso po- trebbe ora considerarsi come una modificazione del tufo riolitico, avvenuta a contatto con l’andesite che l’ ha ricoperto. Si tratta di un fenomeno di cottura o di perossidazione, dovuto all’ alta tem- peiatura con la quale la lava ha agito sul tufo. Tale fenomeno è assai comune, e Doelter non poteva non conoscerlo. Se egli ha ritenuto il tufo rosso di M. Guardia come un prodotto di disfaci- mento della riolite, e quindi ad essa posteriore, avrà avuto qual- che motivo che non ha pensato a spiegare uelle sue due Memorie sul gruppo delle Pontine. Nè la cosa deve meravigliare, poiché vi sono tufi arrossati indipendentemente dal colore delle lave. Sotto Vallerano, nel Viterbese, per esempio, c’ è uno strato di tufo rosso sotto il tufo litoide con pomici nere (2), Il tufo rosso della Guardia è finamente terroso, più o meno coerente, d un bel rosso-aranciato e privo di quegl’ inclusi che sono ^ (^) Lo Schneider dice che è d’ accordo con me nel ritenere stratificato e quindi trachitico il tufo dell’Incenso. Io lo segnai invece ossia tufo rio- htico decomposto dalle fumarole, e non U o tufo stratificato. Cosi il solo punto ove il mio contradittore è d’accordo con me è uno di quelli in cui mi ha inteso a rovescio ! (*) Nell ultima escursione fatta dalla Società geologica italiana in Sar- degna, lungo la ferrovia da Monteponi a Portovesme, trovammo un tufo ar- rossato, sul quale si discusse alquanto con i professori De Stefani e Lovisato e il collega Bertolio; ma non potemmo venire ad una conclusione sicura sull’ ori- gine dell’ arrossamento. Kimando per questo caso alla mia relazione sopra 'ina parte dell’escursione suddetta. V. SABATINI 408 tanto frequenti nel tufo riolitico. Tale ultima osservazione, non che la finezza della grana, percui questo tufo sotto la pressione delle dita si riduce in polvere impalpabile, mi fanno pensare che esso, con più probabilità che al tufo riolitico, sia da attribuire a ceneri posteriori a quest’ ultimo, ed anteriori all’ andesite, che le ha rico- perte e cotte. Perciò sarà bene continuare a tenere l’anzidetta for- mazione distinta dalle altre. La sua potenza arriva ad otto o dieci metri. Schneider crede che il tufo rosso si trovi dovunque sotto 1 an- desite. La cosa è vera con certe restrizioni. Il vero tufo rosso, come è stato definito or ora, non si trova che dove Doelter l’ ha segnato, cioè a sud e ad ovest di M. Guardia. A sud apparisce sull’ ultimo mezzo chilometro del sentiero da Ponza al faro prin- cipale, prima che incominci il zig-zag del sentiero medesimo. E riap- pare ad ovest per breve tratto, non molto lontano dall estremità meridionale. In altri tre punti si vede una striscia rossa sotto 1' an- desite ; ma per due di essi, a nord di M. Guardia e ad est, non molto lontano dalla penisola del porto, non si tratta di vero tufo rosso, ma di una breccia di frammenti d’ andesite, misti a tufo ros- sastro. Il terzo punto, ad ovest della Guardia, presso Ghiaia di Luna, è inaccessibile, e, visto dal mare o dal ciglio sud dell’ ap- picco della Ghiaia, non può dirsi se trattisi di questa breccia o del semplice tufo rosso. La detta breccia è dovuta a proiezioni di pezzi di andesite e di ceneri. L’ arrossamento di queste ultime ha la stessa causa di quelle del tufo terroso. Questa formazione non trovasi solo a Ponza, ma anche sotto lave di altri siti. Gosì un esempio molto bello si vede sulla rotabile da Viterbo a Soriano. A Ponza questa striscia rossa, interrotta, fa il giro di M. Guardia, è ad un’altezza variabile tra 120 e 150™, ed è un elemento pre- zioso perchè permette di veder bene il limite dell’ andesite. Il tufo riolitico difatti, sui fianchi ad est e ad ovest di M. Guardia, è per gran tratto coperto da frammenti dell’ andesite, che sta al disopra del tufo stesso, e quindi il limite resta indeciso ove la striscia rossa s’interrompe (’). (1) Le due frane dell’ andesite formano dei piani inclinati fino al mare. Quello di est, che guarda il continente, dicesi scarrupata di terra ; quello SULLA GEOLOGIA DELL’ISOLA DI PONZA 409 Un materiale da aggiungere a quelli dell’ isola è il conglo- merato di piccoli elementi riolitici e andesitici rotolati. Esso segna delle soste nell’ azione eruttiva, così che il mare poteva liberamente lavorare gli elementi del fondo. La piccola scala della Carta non permette la rappresentazione di questo materiale. Doelter aveva distinto anche un tufo arenaceo e lo aveva se- gnato presso il Guarniero, tra questo monte e Ghiaia di Luna, e presso r appicco che sovrasta la Punta Bianca. Trattasi di quel tufo gialliccio della mia prima Memoria, e di cui detti una succinta analisi microscopica, notandovi delle relazioni coll’andesite (*). Se- gnalai questo tufo oltre che al Guarniero anche tra la città di Ponza e M. Guardia e lo inclusi nel tufo stratificato {tf). Ora che il tufo stratificato, che è grigio-chiaro e qualche volta anche gialliccio, è stato riunito al tufo riolitico della prima classificazione, il tufo del Guarniero deve prendere un posto a parte. Io ho già accen- nato a questa formazione nelle pagine precedenti. Meglio che gial- liccio il suo colore è tabacco. Doelter dunque vide questo tufo solo presso il Guarniero. Non ho potuto capire se Schneider non l’ ha visto, 0 se lo ha incluso nel suo tufo trachitico. Io noto che è molto sparso nell isola. Difatti si trova ad ovest di Conti, al secoiido go- mito della strada tra Conti e Forni, sul declivio tra Forni e la riva a nord di questo villaggio, presso il ciglio dell’ appicco di Cala d’ Inferno, ecc. In certi punti questo tufo terroso è pieno di fram- menti angolosi ; esso pare privo di resti fossili e si adagia a man- tello sulle formazioni riolitiche. Nei punti ove l’ osservai non ebbi a notare stratificazione. Questa formazione è senza dubbio terrestre contenendo avanzi di erbe terrestri e di frustoli legnosi, e credo debba collegarsi alle eruzioni andesitiche. Perciò non ha che vedere co’ tufi grigi sotto- stanti, stratificati o no, e che sono d’ origine marina (^). Finalmente tra le roccie frammentarie bisogna mettere una ad ovest, rivolto al mare libero, dicesi scampata di mare. Scampare viene da rupe, e significa rupe demolita, franata. È l’ equivalente della sciara sici- liana. Schneider scrive erroneamente scaruppata. ti) Entrambi contengono l’olivina. (-) Schneider, come ho già detto, unisce a questa formazione anche il tufo dell’Incenso. V. nota a pag. 407. 28 V. SABATIM 410 breccia di frammenti più o meno angolosi, di 1 a 3“ di spessore, e che spesso copre il fondo e i fianchi delle valli. Pare im detrito dovuto all' erosione delle altre roccie sulle circostanti colline. Sull’ andesite bisognerà fermarsi alquanto. Del cratere che la emise non c’ è più traccia ; l’ isola è stata in buona parte distrutta, e quindi una discussione sul punto di emissione difficilmente potrà dare un risultato sicuro. Mentre 1’ andesite di Monte Guardia ha la base tra 120 e 150™ sul mare, a sud di questo monte trovasi una specie di sperone di lava, che s’ immerge nelle onde. È un blocco alto, stretto ed allungato, e forma la Punta della Guardia. Doelter r assomigliò ad un dicco, forse a causa della sua forma. Io stesso credetti sulle prime che fosse un filone. Ulteriori osservazioni mi hanno indotto a mutare il mio primo modo di vedere sulla forma- mazione della Punta. Comincio col dame qui la sezione. Fig. 9. — Punta della Guardia (lettere solite. — b breccia di frammenti di lava). Come si vede, alla Punta della Guardia si trova la stessa successione che su M. Guardia, cioè . 3) andesite, 2) breccia andesitica (però non arrossata), 1) tufo riolitico. Però i piani di separazione, che alla Guardia sono quasi oriz- zontali, alla Punta hanno una fortissima inclinazione. Questa roccia presenta, come già dissi, una bellissima struttura colonnare. A M. Guardia le colonne sono verticali; alla Punta invece mo- strano quella che chiamai struttura a ventaglio. Difatti le cobnne, nella parte più prossima a M. Guardia, sono verticali in alto, incur- vate verso r isola in basso. Allontanandoci dal M. Guardia le co- lonne in alto cominciano ad inclinarsi, in basso s’inciu’vano più SULLA GEOLOGIA DELl’iSOLA DI PONZA 411 fortemente Terso l’isola. Finalmente all’estremo della Punta sono poco inclinate all'orizzonte e quindi quasi perpendicolari ai piani di separazione della roccia, della breccia e del tufo. Inoltre tutta la massa della lava mostra numerosissime diaclasi in tutti i sensi, ciò che ne rende anche più agevole lo sfasciamento. E di- fatti dalla parte di ponente, ove il vento è più forte, una profonda intaccatura verticale, una specie di corridoio a fondo chiuso, si è prodotto per tutta 1’ altezza del masso, che in questo sito è di oltre 80 . La Punta è così quasi divisa in due parti, ancora tenute in- sieme da uno stretto muro sulla parete orientale, e sul quale passa la stradella che va al faro. Di lassù questa stretta e profonda insenatura appare bella e selvaggia. Il mare vi s’infrange dentro rumoreggiando, e continuando l’ opera di demolisione per colonne, aiutata dalle diaclasi trasversali. Schneider crede che tutta la Punta sia un pezzo della cover- tura di M. Guardia precipitata in mare (i). In appoggio di questa idea indica il tufo riolitico ancora attaccato all’andesite. Ora il masso della Punta ha 300™ di lunghezza, 70 di lar- ghezza media, e 100 d’ altezza, anche in media. Forma quindi un volume di circa 2000000™% pari a quello d’un cubo di 130™ di lato. E questo enorme blocco, già tutto fessurato a causa dei fenomeni di contrazione per raffreddamento del liquido originario, sarebbe pre- cipitato dall’altezza di 150™ senza sfasciarsi ! È vero che lo Schnei- der nota una certa dislocazione nella massa ; ma essa si trova pure a M.^ Guardia, onde dovrebbe essere anteriore al cataclisma e con- tribuire a renderne più assurda l’attendibilità. L’enorme forza viva sviluppata dalla caduta non doveva dall urto essere trasformata in un enorme lavoro distruttore ? E tale lavoro doveva produrre sol- tanto un po’ di dislocazione nelle colonne, rispettando 1’ unità della massa ? L ipotesi mi pare tanto assurda da dover essere subito re- spinta. Chi poi osservi bene la posizione delle colonne si persuaderà che, malgrado quel pezzo di tufo attaccato, che farebbe supporre al- meno una rotazione intorno ad un asse est-ovest, viceversa tutta la (E Se il sig. Schneider ha guardato soltanto la direzione delle colonne che SI vedono all’ estremo sud si spiega come abbia visto una rotazione nella posizione originaria di tutto il masso della Punta e quindi come abbia avuto un argomento per convincersi nel suo errore. 412 V. SABATINI massa pare caduta nella stessa posizione che aveva quando era in alto. Difatti le colonne che variano di direzione da un estremo all’ altro della Punta, lo fanno gradatamente, ma quelle che sono prossime al Monte della Guardia hanno la stessa direzione verticale di quelle dello stesso M. Guardia, onde si dovrebbe concludere che la caduta del masso non solo ne ha rispettata la coesione, ma anche l’ oiien- tazione. Dall’ osservazione che le colonne si possono ritenere perpen- dicolari al probabile profilo dell’ antico suolo, prima che l’ ande- site della Punta vi scorresse sopra, io credo potersi dedurre che probabilmente questa lava rappresenti una colata venuta da Monte Guardia. Il suolo doveva essere inclinato al mare ed incurvato verso di esso, e la divisione colonnare si doveva quindi produrre diver- gente per rimanere sempre perpendicolare alla superficie della co- lata 0 del suolo sottostante. In seguito la parte tra il monte e la Punta fu erosa. E se la superficie di contatto tra la lava e il suolo apparirà troppo ripida potrebbe anche ricercarsi se quel solo pezzo che porta attaccato il tufo e la breccia è effettivamente unito alla parte rimanente, o piuttosto non vi si sia appoggiato, dopo essere esso soltanto caduto dall’alto. Ma contro l’ipotesi di Schneider sta un terzo argomento. Se egli si fosse servito del microscopio, avrebbe visto un fatto già da me enunciato e del quale non ha tenuto nessun conto. Le ande- siti del monte Guardia e della Punta non sono la stessa cosa. Le prime contengono nel primo tempo grandi e numerose sanidine : i felspati triclinici assenti o scarsi ; le seconde, viceversa, hanno fel- spati di dimensioni assai minori e che inoltre sono triclinici. La sa- nidina vi è assente o almeno scarsa. È vero che io enunciai tale fatto dubitativamente perchè basato su poche sezioni, ma il sig. Schneider prima di proporre la sua ipotesi, doveva verificarlo. Numerose ana- lisi da me eseguite in seguito tolgono ogni dubbio. Così si avva- lora r idea d’ un’ eruzione speciale che ha potuto indebolire la parte compresa tra le due masse e facilitarne la demolizione. La roccia dei Calzoni del Muto e della Botte è della stessa natura di quella di M. Guardia. Onde l’ idea che si tratti di fram- menti della stessa colata non è da rigettarsi. Ai Calzoni, tra le divisioni della lava, prodotte dalle diaclasi, predomina quella detta tabulare., come vedesi benissimo a sud di SULLA GEOLOGIA DELL’ISOLA DI PONZA 413 (ju6sti scogli. Ma, nel resto, una gran parte delle tavole è divisa in colonne , e queste in molti punti son divise in spezzoni più o meno arrotondati [sferoidi). L’ esistenza degli sferoidi, che Schneider ritiene essere le teste delle colonne, è invece provata indiscutibil- mente da’ fatti seguenti : 1 I nuclei intatti di molti sferoidi, di cui è rotto l’ involucro esterno, aderiscono semplicemente per un peduncolo alla massa cir- costante, ma nel resto sono interamente tondeggianti. 2° L involucro esterno, e le varie sfoglie interne, se ve ne SODO, hanno del pari forme più o meno sferiche. 3" Ove le anfrattuosita della roccia mostrano due pareti vicine ad angolo, sopra entrambe si ha la divisione a sfoglie. Se in questi punti non si trattasse di struttura sferoidale, ma delle teste di colonne, queste non potrebbero apparire sopra due pareti adiacenti e ad angolo. Del resto ne scogli tra’ due Calzoni la divisione sferoidale è così protratta che si vede una vera accumulazione di palle di lava. Bellissimo è l’ effetto che in certi punti dei Calzoni del Muto piesentano le teste delle colonne e gli sferoidi, ed io non saprei paragonarli che a fasci di tubi di ferro arrugginito fabbricati, insieme, a distanza di otto o dieci centimetri l’ uno dall' altro, mediante un cemento bianchiccio che riempie gli stessi tubi e dentro i quali spesso se ne sono fabbricati altri ancora, concentrici co’ primi. Il cemento è stato scavato dall’ erosione e gli estremi dei tubi sporgono in fuori. Le loro sezioni rette sono quadrate, ad angoli arrotondati : i lati dei tubi esterni sono di circa 60®“. Eiepilogando, le roccie di Ponza possono classificarsi nel modo seguente, per ordine di età : 6) breccia detritica superficiale 5) andesiti e tufi relativi (andesitici ?) ; 4) tufo rosso e breccia rossastra (andesitica) 3) panchina di S. Croce 2) riolite 1) tufo di vetro riolitico e conglomerati marini intercalativi. Il sig. Schneider suppone che le prime eruzioni di Ponza siano avvenute attraverso alle fenditure di un’ antica zolla continentale, forse di -poco sommersa, senza addurne alcuna prova. 414 V. SABATINI, SULLA GEOLOGIA DELL ISOLA DI PONZA Nel finire questo articolo io devo anche una volta rendere omaggio alla bella opera, in cui Doelter tracciò con mano maestra le grandi linee della geologia delle isole Pontine. Poco potetti aggiungervi io, nei pochi giorni che vi dedicai, molto resta ancora da fare. L’ isola di Ponza, la più importante del gruppo, per esten- sione e per geologia, già celebre nei canti di Omero, appartiene a quella incantevole collana di gemme che sono le isole vulcaniche per la nostra Italia, ed è degna di fare riscontro al bellissimo panorama offerto dalla costa che da monte Circello. per Terracina, si spinge verso Gaeta. Questa Circide antica è stata sempre rite- nuta come una delle terre classiche del vulcanismo, dopo essere stata una delle terre classiche della poesia. E mentre fu visitata da tutti i geologi stranieri che vennero da noi. invece i geologi italiani la conoscono appena di nome, sebbene trovisi a poche ore da Napoli. La presente discussione non sarà sciupata se arriverà a spingere i naturalisti del mio paese a completare lo studio che vi ha dato origine. Essi vedranno che Ponza, se per le sue bel- lezze naturali potè dare stanza a Circe (Q ed incantare gl’incauti visitatori che vi mettevano il piede ; per la sua geologia eserciterà sempre lo stesso fascino che a Dolomieu dettò un opera superioie ai suoi tempi, e a Poulett Scrope quelle splendide sezioni che, dopo tre quarti di secolo, non han perduto nulla del loro valore. []29 dicembre 1896] (I) Cfr. Trigoli C. G., Monografia per le isole del gruppo Ponziano, Napoli 1855. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUI MONTI DEL FURLO PRESSO FOSSOMBRONE (prov. di Pesaro-Urbino). Nota del dott. Guido Bonarelli. Presento un abbozzo di Carta geologica dei monti del Furio, che ho rilevato durante lo scorso mese d’agosto. Presento inoltre gran parte del materiale litologico e paleontologico che da parec- chio tempo, ma specialmente nelle escursioni di quest’ anno, sono venuto raccogliendo in questi monti del Furio; materiale'che andrà a far parte delle collezioni del R. Ufficio del Comitato geologico. Mi permetto ora di esporre brevemente le osservazioni più impor- tanti di stratigrafia e di tettonica, che ho avuto campo di fare in questi monti del Furio. Accennerò prima di tutto alla probabile esistenza del Trias medio nella serie dell’ Appennino centrale e più precisamente nei monti del Furio. Dai lavori pubblicati finora intorno alla costituzione geologica dell’ Appennino centrale e che dobbiamo alle penne insigni dello Zittel, del Fritsch, del Canavari e di altri, risulterebbe che la roccia più antica, che la base visibile della serie stratigrafica costituente questo complesso montagnoso, sia il cosidetto « Calcare massiccio » od « Hòhlenkalk » , la quale formazione, che lo Zittel riferiva per intero al Lias inferiore, venne in seguito ripartita in tre porzioni distinte e riferita in parte al Trias superiore, in parte all’ Infralias ed in parte soltanto al Lias inferiore. Noto per incidenza che i fos- sili raccolti dal prof. Canavari, al Suavicino, nella parte più bassa di questo calcare massiccio, e per i quali 1’ egregio professore potè stabilire l’ età triassica di questa porzione, vennero, se non m’ in- ganno per le determinazioni dell’ illustre Meneghini, riferiti a Gy- roporella triaùm Schaur. e Cylindrella silesiaca Gùmb., i quali fossili sono generalmente indicati dagli autori come caratteristici G. BONARELLI 416 « del Muschelkalk di Recoaro ecc. ^ . Ora, chi dice Muschelkalk dice. come tutti sanno, Trias medio. Io pertanto, già da parecchio tempo, avevo avuto occasione di osservare che nella classica Gola del Furio, scavata dal fiume Can- digliano tra il Monte Pietralata ed il Monte Paganuccio, al di sotto del Calcare massiccio, sulla sponda sinistra del fiume e proprio lungo l’antica Via Flaminia, affiora, per breve tratto, un complesso di strati calcareo-ceruleo-chiari, completamente ridotti in grossi frantumi poliedrici per leptopiesoclasi. Questo complesso di strati attirò ben presto la mia attenzione, per modo che dopo avervi rac- colto alcuni campioni di roccia che mi sembrarono fossiliferi, ter- minai col ritenere che sottostando essi strati al Calcare massiccio ed essendo, la parte più bassa del Calcare massiccio, stata riferita al Trias superiore, per la presenza di fossili i quali accennerebbero già, di per se stessi, ad una età anche più antica, debbano adunque questi calcari ceruleo-chiari venir riferiti per lo meno al Trias medio, lo non dispero che l’ esame microscopico dei campioni di roccia da me raccolti in questa formazione, nonché ulteriori e più fortunate ricerche da eseguirsi sul posto, possano bene confermare questo mio sospetto e dargli valore di abbastanza interessante scoperta. Passando ora a parlare brevemente del calcare massiccio im- mediatamente sovrastante, io mi limiterò per il momento a fai co- noscere. in riassunto, i risultati di alcune mie particolari riceiche e considerazioni intorno a questo importantissimo membro della serie mesozoica dell’ Appennino centrale, che nei monti del Furio raggiunge uno spessore di 400 e più m., formando quelle imponenti e ripide balze le quali fiancheggiano d ambo i lati la Via Flami- nia dentro la Gola del Furio. Alcune di queste balze si presentano in forma di ampie pareti verticali, quasi liscie e prive di vegeta- zione, talché agevolmente vi si scorgono numerosissime rettilinee di frattura le quali tagliano, in senso più o meno verticale la massa rocciosa, assumendo talora significato di vere e proprie faglie, spe- cialmente'quando interessano anche gli altri membri liassico-giuresi- cretacei, che sovrastanno al Calcare massiccio. In base alla constatazione di fatti, alcuni dei quali già osser- vati e pubblicati da altri, mi é sembrato in certo qual modo che parecchi fenomeni stratigrafici-orotetto'nici (litoclasi e faglie, di- scordanze e trasgressioni), caratteristici dell Appennino centrale. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUI AJONTI DEL FURLO ECC. 417 trovino un ampia e logica spiegazione quando si riferiscano alla notevole rigidità che questa imponente massa compatta del Calcare massiccio dovette opporre alle azioni orogeniche subite dalla in- tera serie mesozoica, nel tempo in cui, dopo emersa dal Mediter- raneo, assunse gradatamente aspetto continentale, ossia durante il periodo del suo assestamento orografico. Le litoclasi e le faglie ci attestano che questa massa com- patta, dopo avere opposto una valida resistenza contro quelle forze che tendevano a ripiegerla in sinclinali ed anticlinali più o meno acute e numerose, dovette alfine cedere qua e là, in qualche modo, alla insistente intensità di queste azioni orogeniche di corruga- mento e non potendo ripiegarsi si spezzò. Frangar non fiectar ; questa fu la divisa del Calcare massiccio, e parecchie faglie sol- cano infatti l’ Appennino centrale nel senso stesso delle sue sincli- nali ed anticlinali, ossia da NNW a SSE. Per queste faglie il Calcare massiccio, conservando generalmente una inclinazione de- bolissima, talora anzi orizzontale, viene portato all' altezza di anche 1400 e più m. sopra il livello del mare a contatto di formazioni assai più recenti e molto inclinate. Al Furio per verità, dove pa- recchie faglie hanno tagliato le formazioni mesozoiche, esse peraltro non hanno prodotto nè spostamenti molto notevoli, nè contatti di formazioni molto eterocrone, poiché lungo queste faglie non ho mai riscontrato un dislivello paraclasico, tra i lembi di ciascuna forma- zione, superiore ai 50 m. Anche delle apparenti discordanze e lacune riscontrate in molti punti deir Appennino centrale e cosi pure nei monti del Furio, tra Lias medio e Dogger, tra Dogger e Titanico, per le quali discor- danze e lacune sembrò ad alcuno che nella serie mesozoica del- 1 Appennino centrale mancassero, per non avvenuta deposizione, i rappresentanti di alcuni piani del Giura medio ed inferiore (alcuni autori le riferirono aduna emersione postliasica), anche di queste apparenti discordanze e lacune va ritrovata, come ho già detto, la causa, nella rigidità del Calcare massiccio e nella sua tendenza a spezzarsi piuttosto che a piegarsi. Ossia : come per la rigidità del Calcare massiccio, di fronte alle forze orogeniche, si sono verificati degli spostamenti in forma di salti e fratture (paraclasi, diaclasi) nel senso più o meno verticale alla stratificazione della intera serie appenninica, così, per la medesima causa, possono essersi ve- G. BONAREU.I 1 418 rifìcati degli spostamenti in forma di pseudo-trasgressioni, ovve- rosia di scivolamenti, nel senso stesso della stratificazione. E, in altre parole : Oltre ai contatti per testata di strati tra formazioni di età diversa, dovuti alle faglie per litoclasi coetanea alla ^ oro- genesi dell’Appennino centrale, si hanno pure, in questa regione, dei contatti per superficie di strati, tra formazioni pure di età di- versa (con assenza di formazioni intermedie), dovuti a scivolamenti i delle formazioni stratificate più recenti sopra le masse più antiche, j secondo un piano di scorrimento il quale per lo più corrisponde I 0 al rosso ammoaitico del Lias superiore, ovvero agli Aply- chenschiefer del Giura medio, ossia alle due sole formazioni che, a differenza di tutte le altre, giuresi e liasiche, dell' Appennino i centrale, possiedono, direi quasi, una certa plasticità in rapporto con la loro natura litologica. Io credo peraltro che i soli fatti della notevole rigidità del Calcare massiccio, e della pur notevole « plasticità , delle Marne ammonitifere e degli Afly chenschiefer, non bastino di per sè stessi a spiegare sufficientemente questi fenomeni delle apparenti tra- sgressioni e lacime, dovute a scorrimento, .così comuni in tutto l^^ppennino centrale. Mi sembra anzi, che sia necessario, a tale scopo, di tener molto calcolo di un altro indispensabile coefficiente, intendo parlare della notevole flessibilità delle formazioni strati- ficate che nell' Appennino centrale rappresentano i vari membri della Creta e del Giura-lias posteriori al Sinemuriano. per vero mi sembra notevole la circostanza che le roccie stratiflcate si comportano, rispetto alle forze orogeniche, assai diversamente dalle roccie massiccio, chè, mentre queste si spezzano (diaclasi, faglie), quelle invece molto facilmente si piegano (antielinali, sin- clinali). . . . Così, dove le paraclasi operatesi attraverso il Calcare massiccio non riuscirono ad interessare le formazioni stratificate sovraincom- benti, 0 meglio ancora non ebbero diretta continuazione attraverso queste formazioni, quivi allora, durante i fenomeni orogenetici, mentre i due lembi massicci di ciascuna paraclase subivano movi- menti diversi, ed uno di essi veniva portato più in alto dell' altro, e così originavasi il « salto -- della faglia, questo lembo emergente di Calcare massiccio agiva dal basso in alto contro la serie stra- tificata sovrastante e questa si apriva per fratture o lacerazioni le 419 OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUI MONTI DEL FURLO ECC. quali, non coincidendo, come si è detto, colle linee di faglia pra- ticate nel Calcare massiccio rendevano necessario lo scorrimento di essa serie stratificata sopra la massa sottostante secondo un piano rappresentato generalmente o dal rosso ammonitico^ o dagli Aptyehenschiefer. Ben si comprende ora come Tiina o l’ altra ”di queste formazioni, a seconda che il fenomeno di scorrimento avve- niva nei suoi strati, lisciata, compressa, laminata, abbia dovuto diminuire il suo spessore e talora anche scomparire del tutto, per modo che attualmente si vedono, a seconda dei casi, Lias medio e Dogger, ovvero Dogger e Titonico, sovrapposti l’uno all’altro con apparente concordanza, mentre tra di loro mancano i rappre- sentanti di età intermedia. Le ricerche di fossili nel Calcare massiccio del Furio riusci- rono, da parte mia, completamente infruttuose. Kaccolsi, erratico, un frammento calcareo con Diotis Janus (Mgh.) fossile che, per- le recenti ricerche del dott. A. Fucini sarebbe comune tanto al Lias inferiore che al medio. Il Lias medio del Furio si presenta assai interessante, così per la sua notevole potenza (70 m. circa; poche altre località del- l’Appennino centrale presentano un Lias medio così potente), come per la relativa abbondanza di petrefatti che vi si possono racco- gliere. A costituire questo piano, concorrono, nei monti del Furio, vari tipi di roccia. Nella sua parte inferiore abbiamo una succes- sione di strati di « Marmarone " ( Grinoidenkalk) e di « Corniola » bianca compatta con Brachiopodi. Nella sua parte superiore ab- biamo una serie di «strati di corniola nodulosa, ceruleo-biancastra, con esili iuterstraterelli marnosi, contenente una fauna identica a quella del Domeriano lombardo. Mi limito per il momento a questi brevissimi cenni, riservandomi a tempo opportuno di parlare diffusa- mente, col conforto di dettagliati studi paleontologici, specialmente desunti dall’ esame dei Cefalopodi, intorno alla necessaria suddivi- sione del « Charmoutiano » appenninico in due distinti sottopiani. Kiguardo al Lias superiore-Toarciano, un fatto ben impor- tante desidero ora far rilevare, ed è la notevole eteropia struttu- rale e di colorazione dei pochi strati marnoso-calcarei che lo rap- presentano, talora rossi, tal altra invece giallastri, spesso anche bian- castri, e più 0 meno compatti. 420 G. BONARELU Il Lias siiperiore-Aleniano {Dogger inferiore auct.) si pre- | senta anch’esso in condizioni notevolmente eteropiche, a seconda : delle località, essendo talora costituito da calcari marnosi rossi e , giallastri molto simili a quelli del Toarciano sottostante, talora , invece essendo formati da calcari chiari roseo-cerulei (Corniola su- | periore), molto compatti, identici a quelli della seguente sene del- , Y Oolite la quale, nei monti del Furio, ha una potenza relativa- mente notevole, ma è poverissima di fossili. , Gli strati più recenti di questa serie colitica sono quasi bianchi. Io li ritengo riferibili al Calloviano avendoli trovati litologicamente identici al” campione di Reineckeia Revili Par. et Bonar. (carat- teristica appunto del Calloviano), raccolto alcuni anni or sono in questi monti del Furio e che ora si conserva nel R. Museo geo- logico di Bologna (’) Seguono gli Aptijchenschiefer del Giura medio, la cui presenza, nei monti del Furio, viene oggi per la prima volta indicata, mentre per il passato si usava affermare dagli autori, che vi mancasse del tutto. Vero è che non la si riscontra dovunque ; anzi, abbiamo so- vente il Dogger e il “ Titonico - a contatto immediato. Questo stato di cose lo riferisco, come ho già detto, a pseudo-trasgressione do- vuta a scorrimento. , Il Calcare marmoreo, titonico (Zitt.) » si presenta nel 1 ui o assai interessante essendoché nei suoi strati inferiori rinvenni al- cuni fossili caratteristici del Kimmeridgiano {acanthicum -tom) (Q; mentre nei suoi strati superiori vidi abbondare i fossili peculiari del Titonico. Superiormente al Titonico segue la serie infracretacea rappre- sentata dalla « Maiolica - , che ritengo sincrona di quelle formazioni calcareo subcoralligene, dell’ Appennino meridionale, per indicare (') Bonarelli G., Sulla pres. del Callov. nell' App. centr.; Rivista ital. di Pai.; fascic. di aprile 1896, voi. II. (■^) Il prof. M. Canavari al quale è dovuto il merito di aver indicato, per la prima volta, la presenza del Kimmeridgiano nell’ Appennino centrale, ha riscontrato questo piano nella località di Monte Serra (vicinanze di Camerino- Marche) Io ne ho potuto stabilire la presenza anche al Monte- Cucco, presso la cima, avendo raccolto, in questa località, parecchi fossili caratteristici. E così credo che ricerche ulteriori stabiliranno la presenza di questo piano in tutto quanto P Appennino centrale. 421 OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUI MONTI DEL FURLO ECC. le quali si fece uso generalmente degli autori della parola « Urgo- niano » (')• Alla Majolica infracretacea segue, concordante, tutta la serie cretacea che si presenta nel Furio, così come generalmente si pre- senta in tutto il resto dell’ Appennino centrale : (1) « Urgoniano » deriva da Orgon (Vaucluse), dove si vede affiorare una importante formazione calcarea, a fcLciss coralligena, chiamata dagli autori « Calcaire blanc à Caprotines » per l’ abbondanza di questi fossili. La parola « Urgoniano » ba valore diverso a seconda che la si consideri nel suo significato etimologico, come si è fatto da molti autori, ovvero che le si attribuisca il suo primitivo signiflcato assegnatole da d’Orbigny, nel 1850 {Prod.), quando questo autore la usò per la prima volta. In quest’ultimo caso essa voleva significare un piano del periodo infracretaceo, tra il Neocomiano e 1 Aptiano, caratterizzato (nelle sue faune a tij)o nektonico) dalla presenza dm Desmoceras gr. difficile d’ Orb., nonché da numerosi Costodiscus, Sile- Hites etc. Per questo stesso piano il Coquand proponeva, più tardi, il nome barremiano indicandone, come tipo, i calcari marnosi di Barréme (Basses Alpes) con Desmoc. difficile, Costodiscus recticostatus d’Orb. etc. Il d’Orbigny per altro considerava appunto, come tipo del suo Urgoniano, i calcari a Caprotinae di Orgon, i quali per le recenti ricerche del Kilian, del Sayn e di molti altri, sono da riferirsi in parte all’ Aptiano inferiore ed in parte soltanto al « Barremiano « superiore. Si riconobbe inoltre che le numerose formazioni calcaree a Capro- tinae, Toucasiae, Monopleurae, così di Francia come d’altri paesi, riferite già all’ it Urgoniano » e perciò ritenute sincrone al Calcare, omotipico, di Orgon, rappresentano invece una facies coralligena suscettibile di riprodursi, a diversi livelli, nei vari piani dell Infracretaceo, per modo, che il conservare la denomi- nazione Urgoniano nella cronologia sistematica del Mesozoico « ne peut produire !]ue de la confusion n (de Lapp.). Così, per indicare le formazioni intermedie fra il Neocomiano e 1’ Aptiano si adopera oggi, di preferenza, la parola « Barre- miano « (Coq.), riservando opportunamente alla parola Urgoniano il signifi- cato di « facies ». Ora, le formazioni cosidette urgoniane dell’ Appennino meridionale, pre- sentandosi caratterizzate da elementi fauno-benthonici a tipo sub-coralligeno, per l’abbondanza delle Caprotinae, nonché Toucasiae etc. sono bensT ur- goniane per la loro facies, ma cronologicamente parlando debbono chiamarsi infracretaceo, rimanendo pur tuttora irresoluto il problema se esse rappresentino un solo piano di questo periodo infracretaceo, ovvero meglio se lo costituiscano, quasi per intero, la quale ultima solu- zione sarebbe validamente appoggiata dal fatto che ai « calcari urgo- niani» dell’Appennin o meridionale seguono concordanti, per graduali passaggi, i calcari cenomonia.ni e turoniani del pe- riodo cretaceo propriamente detto. 422 G- BONARELLI, OSSERTAZIONI GEOLOGICHE ECC. 6) Scaglia cinerea {Damami) con Spyrophyton etc.; [50 m.]. 5) Scaglia rosata {Ssnoìiiaiio) con AìiamhitBS ecc. (*),[100 in.]- 4) Calcare rosato {Turoniam-ìnedio superiore)', [200 m. circa]. 3) Scisto nero-bituminoso ( Turoniano inferiore) con ittioliti ; [0.50 m.]. 2) Calcare bianco [ippuritico Can.] {Cenomaniano) [70 m. circa]. 1) Scisti varicolori a Fucoidi {Albianoi)', [25 m. circa]. E sopra la Scaglia cinerea riposano con perfetta concordanza le formazioni eoceniche, rappresentate inferiormente dal cosidetto « bisciaro » (Calcare marnoso albaresiforme senza vene spaticbe), superiormente da marne compatte intercalate ad arenarie grigie più 0 meno psammitiche e prive affatto di resti organici ». [24 dicembre 1890] (') Il Trabucco nella sua Memoria preliminare: Sulla porzione ed età delle argille galestrine e scagliose del Flysch e delle serpentine terziarie dell Ap- pennino settentrionale (Firenze, luglio 1896, pag. 9) cosi scrive riguardo alla Scaglia-. « evidentemente, come osserva De Stefani (Escurs.scientif. nella « Calabria. Mem. d. E. Acc. dei Lincei, ser. 3‘, voi. XVIII, pag. 119), le due u denominazioni di argille galestrine o galestri e di argille scagliose (usate u nella Toscana e nell’ Emilia) e quella di Scaglia dello Zittel sono m realtà u affatto sinonime, perchè rispondenti alla più assoluta identità litologica ». In questo periodo potrebbe sembrare a taluno che il Trabucco attribuisca al prof. De Stefani la responsabilità di un errore, essendo ornai ben noto a tutti i geologi del mondo che le argille sono argille e che la Scaglia (Zitt.) è un calcare più o meno marnoso, il quale, molto probabilmente, era, in origine, un fango a Globigerinae. Il prof. De Stefani ha scritto, bensì, che galestri ed argille scagliose sono sinonimi, ma non ha mai pensato di unire la Scaglia (Zitt.) alla sinonimia di queste argille. APPUNTI PRELIMINARI SULLA GEOLOGIA DELLA VALLE DELL’ANIENE. Comunicazione del dott. Gioacchino De Angelis d’ Ossat. Il 10 agosto, dell estate testé decorsa, in una escursione, col neo-socio A. Lupi, alle miniere d asfalto di Filettino, trovai nella roccia, impregnata d asfalto, molti mollusclii fossili e LithothcmniuTn. Tornato a Roma ed esaminato il materiale, mi convinsi che la roccia era una vera e propria dolomite e che i fossili dovevano riferirsi ad un epoca anteriore all Eocene ; epoca a cui general- mente si riportano quegli strati. Infatti, all’ Eocene sono attribuiti nella bella carta geologica d’Italia al 1000000, edita nel 1889 dal R. Comitato geologico e nei lavori dell’ egregio ing. Viola che cita 1 asfalto a « Filettino sempre in condizioni uguali, cioè impregnante i terreni dell’ Eocene » {La Valle del Sacco 'ed il giaci'nento d Asfalto di Castro dei Votsci in "provincia di Roma. Boll. Com. geol. 1895, fase. 1). Credetti quindi necessario ritornare sul posto, per fare più larga messe di fossili che disgraziatamente si trovano sempre in pessimo stato di conservazione; ciò che feci il 17 e 18 settembre, ora passato. In questo frattempo od anteriormente, certo però indipenden- temente dalle mie ricerche, l’ ing. Viola, instancabile osservatore, trovò gli stessi fossili che sono abbondantissimi in quella regione e', con i mezzi maggiori di cui fortunatamente dispone, mi dicono che abbia fatto una ricca raccolta. L esame rivolto sopra i miei campioni, quantunque finora non m abbia permesso una sicura determinazione, mi ha tuttavia fatto acquistare la convinzione che sono più antichi certamente dell’ Eo- cene e che probabilmente caratterizzano uno dei piani del sistema Cretaceo. Il solo studio di tutto il materiale sarà quello che conva- liderà e preciserà meglio il cronologico riferimento. 42 i G. DE A^GEL1S d’OSSAT i Anche il Viola credo che ora ritenga quegli strati molto più antichi del Terziario. Nella mia raccolta figurano : Molti esemplari di LithothamniiiM ; Parecchi esemplari di una specie costata di Plicatula, che è , molto vicina alla P. spinosa Matl. ; Molti individui del genere Modiola. Certamente vi sono due specie, una delle quali pare molto affine alla M. alpina Zit., e 1 al- tra alla M. angustissima Reuss. Frequenti sono le Avicule tanto per individui, come per di- verse specie. Per ora posso segnalare la grande analogia che corre fra una di esse e Y Avicula caudigera Zit. V’ hanno altri esemplari di cui con qualche esitazione, si può riportare il solo riferimento generico; essi appartengono ai generi Corhis. Cardiim, Arca ecc. I gasteropodi sono assolutamente inde- terminabili. La presenza di questa fauna di chiara facies mesozoica rav- vicina i nostri strati con quelli di Gosau, la cui fauna fu mae- strevolmente studiata dallo Zittel. È necessario però ricorrere ad altri confronti, perchè nel citato lavoro sono studiate insieme faune di diversi livelli del Cretaceo. Per ora credo che non sia priva d' interesse Y assicurazione che gli strati fossiliferi di Filet- tino e di altri luoghi della Valle dell’ Aniene debbano ritenersi anteriori all’ Eocene. La stratigrafia non si oppone a tale importante , conclusione, che anzi offre validi argomenti in conferma. Tenendo poi ^ conto delle condizioni tettoniche degli strati e della grande potenza che essi presentano, specialmente nel M. Cotento a nord di Filettino, non recherebbe maraviglia che negli strati cronologicamente più an- tichi si rinvenissero fossili di epoca ancora anteriore al Cretaceo. , E poiché parlo della Valle dell’ Aniene credo che non riuscirà discaro alla Società, che accenni brevemente ad alcuni fatti che ho rilevato nelle mie molteplici escursioni. Già da parecchio tempo mi era nato il sospetto della presenza del Miocene nella Valle delF Aniene, dell' alto Turano, del Salto e del Sacco. Parecchie località fossilifere, che fortunatamente ho tro- vato, con faune abbastanza ricche di Molluschi, Briozoi, Coralli, ' Echinodermi e Pesci, hanno finalmente confermato le mie previsioni. : Il Miocene è molto sviluppato ed è rappresentato da diverse zone ^ batimetriche, come Elveziano, Langhiano. i APPUNTI PRELIMINARI SULLA GEOLOGIA DELLA VALLE DELL’anIENE 425 Le faune raccolte sono strettamente legate per analogia a quelle del Miocene di Sardegna, dell’ Appennino modenese, di Calabria e di Sicilia. Una specialmente che ho scoperto presso Affile è molto somigliante a quella del Miocene medio di Calabria ; ritenendo come spettante al Miocene superiore la zona gesso-solfìfera. Grandi sono pure i rapporti che corrono tra la fauna d’ Affile e quella dei calcari di Leitha. Anche nell alta valle del Salto, presso Tagliacozzo, rinvenni una fauna, cui aveva alluso il Yerri {^Alcune note sui terreni ter- ziari e ciuaternari del bacino del Tevere, Atti d. Soc. Ital. di Se. Nat. Milano 1879-80), che è certamente miocenica. Essa è così caratteristicamente rappresentata da permettere un sicuro riferi- mento batimetrico. E poiché tali fossili furono pure trovati alla base del Macigno od arenaria, che è molto sviluppato nella valle del- l'Aniene, anche questo viene finalmente ad occupare un posto più determinato di prima nella serie cronologica. Ancora al Miocene debbono certamente essere riferitele argille di Mandela, che mi trassero in inganno nel riportare, con quelle, al Pliocene profondo, le argille trovate nell’ alta valle dell’Aniene {Giacimenti elevati di Pliocene nella valle dell' Aniene. Rend. R. Accad. dei Lincei, 1893). I Molluschi ed i Cirripedi che esse contengono, i Briozoi che si trovano nei calcari arenacei e la stra- tigrafia confermano pienamente il riferimento al Miocene di questa zona, costante fra le arenarie ed i sottostanti calcari. Così al Miocene vanno riferiti molti strati che si riportavano al Pliocene, all’ Eocene ed al Cretaceo. L’ Eocene, a sua volta, acquista sviluppo dove non si conosceva e ne perde altrove. Di non minore importanza è la costatazione della perfetta con- cordanza che si riscontra fra il Cretaceo e P Eocene. È questo un fatto non isolato nell’ Italia media, anzi è più frequente di quanto generalmente si crede. 11 Monte Affilano ce ne offre uno dei più splendidi esempi. Molte Rudiste furono raccolte da molto tempo nel Cretaceo di Monte Affilano, dei piani di Arcinarzo ecc. e parecchie furono riferite al gen. Hippurites. Avendo potuto osservare quelle che si conservano nel Museo geologico della R. Università di Roma, nel Museo del R. Liceo E. Q. Visconti, nella collezione del Seminario di Subiaco, sono in grado di potere affermare che neppure un esem- 29 1 426 G. DE ANGELIS d’OSSAT, APPUNTI PRELIMINARI SULLA GEOL. ECC. piare deve essere riferito a quel genere; mentre appartengono ai generi: Plagioptychus, Caprina, Sphaerulites ecc. Solo sotto .Tenne trovai un frammento di una indeterminabile specie di vera Hip- purites, che credo sia l’unica finora rinvenuta in quelle contrade. A 'modelli delle cavità interne di Sphaerulites debbono essere riportati quegli esemplari che portano nelle collezioni la detei mi- nazione: Ichthyosarcolithes iriangidaris d'Orb. Mi propongo, con apposita Memoria, di dimostrare quanto ho avuto r onore di esporre all Adunanza. [29 novembre 1896] SUI DINTORNI DI S. FAUSTINO NELL'UMBRIA Comunicazione dell’ inj;. Enrico Clerici. Nella scorsa estate, con una escursione di una dozzina di giorni, ho continuato lo studio del sistema vulcanico Vulsinio perlustrando il settore nord e quello nord-ovest, e cioè i territori di Castelgiorgio, S. Lorenzo nuovo, Grotte di Castro, Acquapendente, Proceno, Onano. Latera. Valentano, Ischia, Farnese, Capo di Monte, le isole Bisen- tina e Martana, e, facendo ritorno, mi sono anche recato da Orvieto ai territori di Morrano, S. Faustino e Frattaguida che sono al di là del Chiana. L’ estensione è piuttosto ampia rispetto al tempo impiegato, ma il mio scopo era quello di constatare le relazioni esistenti fra i terreni pliocenici marini e le formazioni vulcaniche e di cercare fra queste de’ giacimenti diatomeiferi. come infatti ne ho trovati nei territori di Acquapendente e di Proceno de quali parlerò ad altra occasione. . r. - + Ora voglio riassumere brevemente la parte di escursione latta nei dintorni di S. Faustino. Passato il ponte dell’ Adunata sul Paglia e dirigendosi per la R. Pian della Valle, s’ incontrano subito le sabbie gialle del plio- cène tipico che, nella regione ad est di Orvieto, hanno una grande estensione. Dapertutto son ricche di fossili de’ quali parlarono già 427 E. CLERICI, SUI DINTORNI DI S. FAUSTINO NELL’UMBRIA molti anni fa il Procaccini-Ricci ed il Pianciani (i). Nelle colle- zioni è rappresentata specialmente la località di S. Giorgio a tre km. dal ponte suddetto. Presso Morrano ed a S. Faustino escono al difuori dalle sabbie del pliocene l’arenaria eocenica, il calcare a piccole nummuliti e l’alberese. Questi terreni sono più spesso ricoperti dalle sabbie gialle e, più raramente, da qualche banco di grossa ghiaia. Nei dintorni di S. Faustino è ben visibile la sovrapposi- zione del pliocene sugli strati inclinati dell’ eocene : dapprima vi sono sabbie grossolane povere di fossili che contengono ciottoli e grossi frammenti delle vicine roccie eoceniche ; più lungi dal con- tatto le sabbie sono ad elementi più minuti, talvolta un po’ argil- lose, e gremite di fossili. Esse raggiungono e superano anche la quota di 500 m. sul mare. Fra le specie raccolte durante una breve sosta ricordo le se- guenti : Caryophyllia clavus Scacchi. Flabellum avicula Mchti Balanus concavus Bronn ” spongicola Bronn Micropora impressa Moli. Cvpularia umbellata Defr. ” Reussiana Manz. » canariensis Busk Schizoporella coronopus Wood » unicornis Johnst Ostrea lamellosa Br. Pecten latissimus Br. « Alessii Phil. « varius Lin. ” scabrellus Lamk. Vola Jacobaea Lin. Spondylus crassicosta Lamk. Ammalocardia diluvii Lamk. Soldania mytiloides Br. Pectunculus pilosus Lin. var. odonta Br. Nucula piacentina Lamk. Cardium hians Br. ” multicostatum Br. Isocardia cor Lin. Cardila pectinata Br. w rliomboidea Br. Venus plicata Gmel. » excentrica Ag. « multilamella Lamk. ” islandicoides Lamk. Strombus coronatus Lin. Murex torularius Lamk. » rudis Bors. » craticulatus Br. Ranella nodosa Sism. Triton Doderleini D’Anc. ” tortuosum Sism. Euthria cornea Lin. Fusus rostratus Olivi » clavatus Br. poly- Cancellaria varicosa Br. « cancellata Lin. T crebra fuscata Br. C) Procaccini-Eicci V., Viaggi ai vulcani spenti d' Italia nello stato romano verso il Mediterraneo. Viaggio secondo, tomo I, pag. 130 e seg. Fi- renze 1821; Pianciani 6. B., Lettera prima, nei Viaggi ecc., id., pag. 139-158. 4-28 Terehra Basteroti Nyst •) acuminata Bors. Nassa prismatica Br. n clathrata Lin. Conus pyrula Br. n pelaqicus Br. n Mercatii Br. n Aldovrandii Br. I) virginalis Br. n Noe Br. n deperditus Br. Pleurotoma turricula Br. Drillia Brocchii Bon. Clavatula romana Defr. » interrupta Br. Dolichotoma cataphracta Br. E. CLERICI Mitra scrobiculata Br. fusiformis Br. Natica tigrina Defr. Niso terebellum Chemn. Cerithium vulgatum Brug n varicosum Br. n crenatum Br. Chenopus Uttingerianus Risso. V pespelecani Lin. Turritella tornata Br. n vermicularis Br. Vermetus arenarius Lin. n intortus Lamk. Siliquaria anguina Laink. Scalaria pumicea Br. Xenophora commutata Fisch. Questo elenco non 'contiene che una piccolissima parte dei fossili che vi si potrebbero raccogliere; nondimeno la presenza di talune specie mostra che queste sabbie littorali differiscono alquanto da quelle del Monte Mario, la frequenza poi dei coni, delle tere- bre, dei grossi pleurotomidi, delle cancellarle, confenna che queste sabbie appartengono all’ Astiano tipico. Proseguendo verso nord s’incontrano scisti varicolori, cioè l’osso- violacei, talvolta verdastri, molto raddrizzati e profondamente incisi dal fosso dell’ Elmo, e cessano quasi improvvisamente le sabbie plioceniche. Le colline intorno S. Faustino, sono comprese fra le quote di 500 e 620 m., e i rilievi di roccie prepliocenicbe sembrano for- mare la separazione fra i terreni marini suddetti ed i continentali, pur pliocenici, che s’ incontrano dopo breve tratto, ancora più a nord. Questi terreni continentali sono costituiti da sabbie argillose giallastre che non presentano fossili, almeno osservandole in fretta, talvolta da ghiaie e più profondamente da argille bigie, talvolta nerastre con letti carboniosi e molluschi continentali. ^ Di tali argille carboniose se ne trova per esempio all attra- versare il fosso Migliava, a livello dell’acqua. I molluschi sono Carijcìiium, Planorbis, Succinea cfr. oblonga. Eelix, Hyalinia, ab- bondanti, ma in pessimo stato di conservazione talché raro è il caso di poterli isolare e studiare. Bene isolabili sono invece le abbondanti pietruzze di piccoli Umax. SUI DINTORNI DI S. FAUSTINO NELL’UMBRIA 429 A 7 km. da S. Faustino, e perciò a 17 km, da Orvieto, vi è la località di Frattaguida ove il suolo è disseminato di ossa ed ove uno scavo sistematico credo che vi sarebbe assai proficuo. Io vi ho raccolto ossa, pezzi di corna e grande numero di denti ; molto ho lasciato sul posto perchè non volevo sopraccaricarmi e perchè le ossa lunghe sono in gran parte frantumate a causa dei lavori di aratura. La specie più abbondante è quella usualmente chiamata Equus Ste/ioms ; poi tre specie di cervi, denti di un ruminante di mag- giori dimensioni come Bos^ resti probabili di Antilope^ denti di carnivori forse Gank. Il Verri nel visitare questa interessante loca- lità vi trovò anche resti di Machaerodus meganthereon (^). Le formazioni vulcaniche sono pochissimo rappresentate, in piccoli lembi ed in piccolo spessore, oltre Morrano e presso S. Fau- stino; più lontano, verso l’ interno dell’ Umbria, non ne ho vedute. Sono tufi d’ aspetto granulare e terroso in generale a piccoli ele- menti nettamente stratificati ; ma giacciono sulle sabbie plioceniche colla più evidente discordanza. Ritengo che anche qui il suolo plio- cenico fosse già in denudazione quando si formarono i tufi e bellis- simo esempio, che avrei voluto fotografare, ne mostra una valletta profondamente scavata da un fossatello, che sulle carte ha appunto questo nome, a meno d’un km. da S. Faustino. E prima di terminare debbo un ringraziamento all’ egregio can. V, Valentini, proprietario di S. Faustino, che molto gentilmente volle accompagnarmi ed essermi di guida nella piacevole escursione e debbo anche tributargli lode per avere iniziato nella sua casa in Orvieto una collezione dei fossili di S. Faustino, di Frattaguida e dintorni che conta già esemplari pregevoli; de’ quali, a comple- mento di quanto ho detto di sopra, ricordo resti di Elephas (^), Rhinoceros cfr. etruscus, ed una bellissima scapola di cetaceo tro- vata nelle sabbie di S. Faustino. [28 dicembre 1896]. ( ) Verri A., Azione delle forze nell' assetto delle valli con appendice sulla distribuzione dei fossili nella Valdichiana e nell'Umbria interna set- lentrionale, Boll. d. Soc. Geol. It., voi. V, pag. 452. U) La località di S. Faustino, per il rinvenimento di resti elefantini, fu già citata dal Brocchi nella Gonchiologia fossile subappennina. ADUNANZA GENERALE ESTIVA della SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA TENUTA IN ROMA IL 25 OTTOBRE 1896. La seduta è aperta ad ore 10.30', nella sala della biblioteca del R. Ufficio Geologico. Presidenza De Stefani. Sono presenti i soci: Aichino, Bald.acci, Bonarelli. Car- ruggio, Chigi-Zondadari, Cortese, De Angelus d’ Ossat, Di Stefano, Lotti, M.ittirolo, Meli, Morena, Neviani, Parona, Pellati, Sabatini, Sormani, Statuti, Taramelli, Zezi ed il segretario Clerigi. Scusano la loro assenza i soci: Bassani, Caggiamali, Cio- FALO, Di Rovasenda, L.attes, Omboni, Sg.ara belli, Tommasi. Non essendovi osservazioni, il resoconto della seduta precedente, già stampato nel Bollettino, è approvato. Il Presidente De Stefani pronuncia il seguente discorso: u Nostro primo doloroso debito è rendere omaggio a quelli fra i nostri soci, i ([uali ci hanno abbandonato per sempre dall’ ultima adunanza generale estiva in sino ad oggi, e furon questi Giulio Andrea Pirona, Giovanni Giorgio Bornemann, Enrico Olivero. « Il comm. Giulio Andrea Pirona, la mattina del 28 dicembre 1895, per tempissimo, come ogni sabato, si recava alla sezione di Udine sua patria e sua residenza, onde recarsi a Venezia pei assistere alla seduta dell’ Istituto Veneto. Colto da improvviso malore cadde nel fosso che fiancheggia il viale e vi fu scoperto cadavere poche ore dopo, sull’ albeggiare. Egli era nato nel no- vembre 1822. Fu rivestito di parecchie cariche pubbliche nella nativa città e nella provincia : già professore di stona naturale nel ADUNANZA GENERALE ESTIVA DELLA SOC. GEOL. ITAL. 431 Liceo, era ultimamente conservatore del civico Museo. Fu uno dei fondatori, poi consigliere della nostra Società, e presidente del R. Istituto Veneto. La sua modestia e 1’ affezione al nativo luoato Molon - Resoconto dell* economo. 11 benemerito socio fu comm. ing. Francesco Molon di \icenza con suo testamento segreto depositato in atti del Notaio Rossi in Vicenza li 14 gennaio 1885 lasciò alla nostra Società Geologica, alla quale Esso appartenne e fu anche Consigliere, la vistosa somma di L. 25000 a titolo di legato, destinando la rendita del detto capitale per una terza parte a sussidio delle spese di pubblicazione delle memorie scientifiche che saranno stampate nel Bollettino della Società Geologica, e per le altre due terze parti per istituire concorsi a premi sopra temi di Geologia e Paleontologia e come meglio é dichiarato ed espresso nel suddetto testamento aperto e pubblicato in atti del Notaio Rossi li 2 dicembre 1885. Ivi stesso il Testatore dispose altresì che ^ potranno anch es- u sere premiate adequatamente traduzioni di opere eccellenti nella i; materia di scienze naturali dal tedesco e dall inglese La nostra Società Geologica, riconosciuta già in ente giuridico con Regio Decreto 17 ottobre 1885, venuta a cognizione del sud- detto testamento si recò a premura di chiedere al Governo del Re la facoltà di accettare il legato lasciatole dal Molon, cui venne infatti autorizzata con Regio Decreto 14 gennaio 1886. A seguito di tale autorizzazione la sig.^ Camilla De Muri vedova del prelodato sig. Molon, in adempimento delle disposizioni testamentarie del suo defunto marito, consegnò alla nostra Società, e per essa al suo Presidente ‘pro tempore prof. Capellini, L. 1275 di rendita italiana al portatore, quale rendita, acquistata al prezzo del listino di borsa allora corrente di L. 97,85, importò una spesa di L. 24951,75 come risulta dall' istrumento di consegua del sud- DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 443 detto legato stipulato in Vicenza per atti Bossi li 28 aprile 1886; e contemporaneamente la signora De Muri consegnò brevi mam la differenza, ossia la somma di L. 48,25, a complemento e saldo della somma dovuta in L. 25 mila. La suddetta rendita al portatore, di annue lorde L. 1275 a cura del sullodato Presidente venne quindi immediatamente tra- mutata in un certificato nominale di pari valore intestato alla So- cietà Geologica Italiana per il legato Molon, quale certificato fu consegnato al tesoriere della nostra Società on, comm. Tommaso Tittoni, che ne è tuttora depositario (^). Dopo ciò fu anzitutto pensiero della Società di redigere un apposito regolamento speciale per stabilire le norme pel concorso triennale e pel conferimento del premio che dal nome dell’ illustre socio benefattore venne stabilito dovesse intitolarsi « Premio Molon Tale regolamento venne approvato nella 5^ adunanza estiva della Società tenuta in Terni nell’ottobre 1886 (2). In conformità di questo regolamento, nella suddetta adunanza generale di Terni fu bandito, li 27 ottobre 1886, il primo concor- so col premio di L. 1800 sul tema « Storia dei progressi della Geologia in Italia negli ultimi 25 anni 1860-1885 «. Il termine per la presentazione delle memorie fu stabilito al 31 marzo 1889 (3). ^ Nessun lavoro essendo stato presentato alla Società, a termini dell Art 5 del Regolamento suaccennato, la somma stanziata pel premio in L. 1800 venne regolarmente capitalizzata in rendita da impiegarsi per le, pubblicazioni scientifiche della Società (4). Il secondo concorso fu bandito in Catanzaro nella adunanza esti- va del settembre 1889 sul medesimo tema di cui sopra, e parimen- ti col premio di L. 1800. Il tempo utile fu assegnato a tutto marzo 1892 (5). Un solo lavoro fu presentato alla Società, ma questo, come venne annunziato nella adunanza estiva tenuta in Vicenza nel 1892, non fu riconosciuto meritevole di premio dalla Commissione esami- natrice, e conseguentemente anche il suddetto premio di L. 1800 (') Vedasi Bollettino della Soc. Geol. Ital., voi. V. C) Vedasi Bollettino, voi. V, p. 474; voi. VI, pa^. (3) Vedasi Bollettino, voi. V, pag. 494. C) Vedasi Bollettino, voi. Vili, pag. 29. C) Vedasi Bollettino, voi. Vili, pag. 570. pag. 465 a 468. 12. 444 ADUNANZA GENERALE ESTIVA venne capitalizzato in aumento del fondo speciale, la cui rendita sarà impiegata per le pubblicazioni della Società ('). Il terzo concorso fu bandito in Ivrea nella adunanza esti\a del settembre 1894 sul tema « Storia dei progressi della geologia stratigrafica del Paleozoico e Mesozoico in Italia, facente seguito all’opera del D’Arcbiac (Histoire des progrès de la Geologie) ed estesa fino a tutto il 1890. Il premio fu stabilito in L. 1800 ed il tempo utile per la presentazione delle memorie a tutto marzo 1896 (*). L’Amministrazione delle rendite provenienti dal surripetuto legato Molon fu regolarmente tenuta dalla nostra Società Geologica, come risulta dal rendiconto che segue, il quale comprende l’epoca dalla tradizione del legato 1886 a tutto dicembre 1895. rVttiVO 1 — 1886. Importo del legato lasciato alla So- cietà Geologica Italiana dal bene- meiito Socio Francesco Molon . . L. 25000 — 2 — » Interesse del legato del 1° seme- stre 1886 (*) n 553 35 3 — ’ Interesse del legato del 2° seme- stre 1886 jt 553 35 4 — 1887. Interesse del legato per l’Anno 1887 ji 1111 70 5 — 1888. 9 * 1888 n 1106 70 6 — 1889. 9 9 . 1889 jf 1106 70 7 — 1890. 9 r- - 1890 jt 1106 70 8 — 1891. 9 r, . 1891 7! 1106 70 9 — 1892. 9 « ^ 1892 fl 1106 70 10 _ 1893. 9 * . - 1893 7! 1106 70 11 _ 1894. 9 , - 1894 3 1063 35 12 — 1895. 9 » " 1895 3 1020 — Totale L. 35941 95 (1) Vedasi Bollettino, voi. IX. pag. 672. (2) Vedasi Bollettino, voi. XII, pag. 517. (■3’) Richiami al Bollettino della Soc. Geol. It. per le varie ) partite del- r attivo : n. 2, voi. VII, p. 14. — 3, voi. XV , p. 4. 4, voi. VII, p. 216. - 5, voi. Vili, p. 572. — 6, voi. IX, p. 754. — 7, voi. XII, p. 98. — 8, voi. XII, p’, 100. — 9, voi. XII, p. 524. — 10, voi. XIH, p. 156. — II, voi. XIV. p. 300. — 12, Bilancio consuntivo 1895. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 445 piassi vo 1 — 1886. Somma sborsata pel rinvestimento in annue L. 1275 di rendita consoli- data Italiana 5 °/o al lordo, inte- stata al legato Molon, corrispondente al capitale nominale di L. 25500 2 — 3 Pagate dalla Società per tassa suc- cessione del legato (Ved. Bollet- tino, voi. VII, p. 14). L. 3000 — 3 — 3 Pagate dalla Società per spese di riscossione del legato. (Ved. Bolletti- no, voi. VII, p. 14). 3 209 55 L. 3209 55 Eitenuto però che a sensi e per gli effetti di quanto fu amichevolmente convenuto nell' istromento di conse- gna del legato, la Società si sa- rebbe rimborsata di dette spese, qualunque ne fosse stato l'ammon- tare, devolvendo a suo favore gl’ in- teressi del legato medesimo di cui alle partite nn. 2, 6 ed 8 dell’at- tivo, così le spese di cui trattasi si espongono nella somma corrispon- dente all’ ammontare complessivo delle tre partite suddette e cioè . 3 4 — 1886. Tassa di manomorta e sopratassa inscritta nel bilancio sociale an- no 1886 (Ved. Bollettino, voi. VII, pag. 14) 5 — 1887. Tassa come sopra 1887 (Ved. Boll. voi. VII, p. 256) 3 I. 24951 75 2766 75 105 60 55 44 A riportarsi L. 27879 54 446 ADUNANZA GENERALE ESTIVA Ri^jorto L. 27879 54 6 — 1888. Tassa come sopra 1888 (Ved. voi. Vili, pag. 573) ’ 55 44 7 — 1889. Tassa come sopra 1889 (Ved. voi. IX, pag. 755) ” 29 04 8 — 1890. Tassa come sopra 1890 (Ved. voi. XII, pag. 99) ” 26 40 9 — 1891. Tassa come sopra 1891 (Ved. voi. XII. pag. 101) " 52 8i» 10 — 1892. Tassa come sopra 1892 (Ved. voi. XII, pag. 525) " 56 29 11 — 1893. Tassa come sopra 1893 (Ved. voi. XI II, pag. 156) ’ 55 44 12 — 1894. Tassa come sopra 1894 (Ved. voi. XIV, pag. 301) " 55 44 13 — 1895. Tassa come sopra 1895 (Ved. Bilancio consuntivo 1895) ’ 74 40 14 — " Importo di ‘/a rendita netta del legato di cui alle partite segna- te in attivo sotto i nn. 3, 4, 5, 7, 9, 10, 11, 12 che a termini delle tavole testamentarie Molon resta devoluto in favore della Società per la pubblicazione degli Atti e cioè: Va (8175,20 — 566,29) . 2536 20 15 — » Importo del premio non conferito nel 1° concorso triennale Molon bandito a Terni il 27 ottobre 1886 che, a forma dell’Art. 5 del Regolamento pel conferimento del premio medesi- mo, va devoluto a favore della So- cietà (') " 1800 — A riportarsi L. 32620 99 (’) La somma di L. 1800 fu rinvestita in rendita al portatore a favore della Società conforme prescrive il succitato Kegolamento, e fa parte della partita di DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 447 32620 99 Riporto L. 16 — 1895. Importo del premio non conferito nel 2° concorso triennale Molon bandito a Catanzaro il 26 settembre 1889 che rimane del pari devoluto a fa- vore della Società (') 1800 Saldo debitore al 31 dicembre, in contanti cassa 1520 96 Totale L. 35941 95 Roma 8 febbraio 1896. l’economo DELLA SOCIETÀ AUGUSTO STATUTI Visto il Presidente CARLO DE STEFANI L. 265 di rendita che figura tra i fondi patrimoniali della Società (Bilancio consuntivo, anno 1889 ; vedasi volume IX, pag. 754. (0 La partita di L. 150 di rendita al portatore che figura parimenti fra i capitali patrimoniali della Società fu già detto (Bilancio consuntivo 1892; voi. XII, pag. 524 — Bilancio preventivo 1893 ; voi. XII, pav. 104 — Bi- lancio consuntivo 1893; voi. XIII, pag. 156) che venne acquistata per la quota di L. 460, colla somma versata dagli ultimi tre soci a vita e perpetui anteriori di data al 1894 e per la quota di L. 2213,40 (meno L. 43,45 frazione in- convertibile) colla somma rappresentante i V3 della rendita triennale del le- gato Molon. Se non che non essendo stato conferito neppure il premio del 2° concorso Molon in L. 1300, che per conseguenza restò devoluto a favore della Società, a scanso di equivoci e per regolarità di scrittura deve ora rettificarsi il sue- nunciato accreditamento con lo stabilire che la sopra ripetuta partita di rendita di L. 150 per la quota di L. 25 rappresenti bensì come sopra il rinvestimento delle somme versate dagli ultimi tre soci a vita, e per la residuale quota di L. 125 in parte, e cioè per L. 100, rappresenti capitalizzato il premio Molon di L. 1800 non conferito nel 2° concorso, e per le residue L. 25 derivi dagli introiti ordinari propri della Società. I 448 adunanza generale estiva Bilancio G 1 2 3 4 5 6 7 i 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 ^ T T I O Quote di N. 1 Socio per l’anno 1893 I-'- » 28 Soci ” 1894 ” n 161 Soci n 1895 ” n 9 Soci ” 1896 ” In conto quota dell’ anno 1896 ” Quota di N. 1 Socio a vita ” Tasse d’ammissione di N. 15 nuovi Soci ” Vendita di Bollettini ‘ iòne i ” Sussidio del Ministero di Agricoltura e Commercio, anno 1895, al netto ' è ' ' ” Interesse del 2° semestre 1886 del legato Molon (che non tu por- tato nei precedenti bilanci per semplice inavvertenza) netto. » Interesse dell’ intero anno 1895 della rendita consolidata (1° ac- quisto) netto ;. • • • ; ;„o' ‘ Interesse dell’ intero anno 1895 della rendita consolidata (2 ac- quisto) netto ioo’ ‘ ” Interesse del 2" semestre 1895 della rendita consolidata (o ac- quisto) netto ” Interesse dell’intero anno 1895 del legato Molon. . - . ■_ • ” Interessi sul conto corrente alla Banca d’ Italia, esercizio 189o . « Partita di spesa duplicata per equivoco nei Bilanci 1892 e 1893. » Resultanza attiva del Bilancio 1894. ' ” . ^ Rimborso spese estratti per conto degli Autori . ” Partite di giro ^ pj,^^oj.go spese correzioni straordinarie come sopra » Totale attivo Si deduce il passivo in Eccedenza attiva al 1° gennaio 1896 Deve però prelevarsi la somma di cui la Società è debitrice verso l’Amministrazione del legato Molon, come allo stralcio a tutto dicembre 1895 15, 420 24151 135 1 10 2001 75, 227 462 I 006 i 212 120 30 1020 5 21 1961 30 5 7919 5035 2883 152C Eccedenza attiva disponibile al 1° gennaio 1896. L. 136i XMl DELLA. SOCIETÀ GEOLCGICA ITALIANA 449 intivo 1895 IP ^ S S Z "V" o Alla tipografia per stampa del Bollettino. Volume XII, 1893, fascicolo 4° a saldo Ì fascicolo 1° . . fascicolo 2° . fascicolo 3° . . V olume XIV, 1895, fascicolo 1° . . . Alla tipografia per stampa estratti. ! fascicolo 1° fascicolo 2® Volume XIV, 1895, fasicolo 1® . : Contribuzione nella spesa tavole ed illustrazioni (Voi. XIII, fasci- colo. 2^, due incisioni) ‘Spese d’ufficio, spedizione del Bollettino ] ' Osg'stti di cancelleria (compresa la stampa delle carte di rico- noscimento) (Tassa di manomorta (2° sem. 1894 ed intero anno 1895) ! .’ ' Compenso annuo 1894 al Portiere di S. Susanna I Rimborso spesa di viaggio del Segretario alle adunanze inver- nale ed estiva Totale L. ! aomrna della (juale il Consiglio (17 febbraio 1896) approvò 1 impiego per l’acquisto di rendita consolidata al portatore di annue L. 75 lorde corrispondenti ad un capitale nomi- nale di L. 1500 (nella (jual somma è compresa la somma versata da un Socio a vita di cui alla partita n. 6 del^A^^- tivo) meno L. 39, frazione inconvertibile . . . . . Alla tipografia per stampa estratti per conto Aut ^ fascicolo 1° . . Volume XIII, 1894 ' fascicolo 2® . ( fascicolo 3° . . Partite di giro ( Volume XIV, 1895, fascicolo 1® . . . /Alla tipografia per corr. straord. per conto Autor Volume Xin, 1894 j g ; • Totale passivo L. L'Economo AUGUSTO STATUTI 1000 267 482 392 419 2560 60 156 70 84 370 25 25 12 28 2 5 35 TiT Per la Commisione del Bilancio Pietro Zezi. Giovanni Striiver. 2560 25 370 6 325 95 65 45 74 40 50 — 86 15 3538 20 ! 1407 70 50 — 40 5035 1 90 Numero d’ordine 450 ADUNANZA GENERALE ESTIVA I Situazione patrimoiu TITOLI 1 ' Legato Molon rinvestito in Rendita Italiana nominativa . . . 2 Cartelle di Consolidato al portatore (1“ acquisto) 3 Cartelle di Consolidato al portatore (2° acquisto) 4 Cartelle di Consolidato al portatore (3° acquisto) a h c d Rendita intestata ^lolon inalienabile — Spettanza Am- ministrazione Molon annue lord^* Rendita al portatore (1° acquisto) — Spettanza Società; proveniente dal 1° premio Molon non conferito — inalienabile — annue . . . . • ■ • proveniente da quote versate dai Soci a vita inalienabile — annue Rendita al portatore (2" acquisto) — Spettanza Società; proo'eniente dal 2“ jiremio Molon non conferito — inalienabile — annue proveniente da quote versate dai Soci a vita e per- petui — inalienabile — annue . . . . . proveniente dagli introiti ordinari della Società — libera — annue Rendita al portatore (3'’ acquisto) — Spettanza Società proveniente dal rinvestimento di una quota ver- sata da un Socio a vita — inalienabile . . proveniente dagli introiti ordinari della Società — libera — annue Totale come di contro L. 1275 1 95 — i 170 — 265 - i 100 — 25 — 25 — ; 150 • 10 — 65 /O 1765 I N. B. Prezzo della rendita es-cuponata al 31 dicembre 1895 ; L. 90.p ■ Per le prime L. 40 di rendita acquistate dal Segretario Pantanelli, si è n| nuto che fosse la somma di L. 728.20 j DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA IIALIAiNA 451 [e al 1° g'ennaio 1896. RENDITA annua lorda Lire annua netta Lire CAPITALE effettivo impiegato per r acquisto Lire nominale Lire reale al listino diBorsai 31 dicembre 189^ Lire % 1275 ^ 265 ; 150 i 75 1765 I — 1020 212 120 60 1412 — 24951 4021 2629 1407 75 95 95 70 33011 35 25500 5300 3000 1500 35300 riassunto delle diverse partite di Rendita consolidata secondo la provenienza. 23052 4791 2712 1356 20 31911 20 L I^ndita annua lorda intestata, Legato Molon . II. Kendita annua lorda al portatore, proveniente dalle quòte ITT ® perpetui (inalienabile! III. Kendita annua lorda al portatore, proveniente dal fondo TV Molon non conferiti (inalienabile). , V. Kendita annua lorda al portatore, proveniente dagli in- troiti ordinari della Società (libera) . . . . . Totale L. 1275 — » 205 — » 195 — « 90 — 1765 — D ECONOMO A. STATUTI IL PRESIDENTE CARLO DE STEFANI 452 ADUNANZA. GENERALE ESTIVA Il Presidente aveva pregato la Commissione del Bilancio di presentare una breve relazione. I due commissari Zezi e Strùver hanno approvato il bilancio consuntivo 1895. Il commissaiio Tuccimei invece con lettera del 23 ottobre 1896 scrive : « nel verificare le singole note di spese ho trovato in quella del Segretario una partita di L. 19,85 indi- cata come spesa di vetture, mulo, ecc., nelle escursioni fatte ad occasione del convegno di Lucca. Siccome per deliberazione con- sigliare al Segretario non vennero finora accordate che le spese di viaggio fino al luogo dove si tiene 1’ adunanza e siccome tutti i precedenti stanno finora per questa interpretazione, così ho rite- nuto che quella partita oltrepassasse la facoltà concessa dal rego- lamento vigente " , e perciò, vista la necessità nella quale la So- cietà si trova di fare economie, egli ha dovuto separarsi dai colleghi della Commissione ed ha preferito lasciare che deliberi l’Assemblea. II Consiglio ritenne che la deliberazione presa dalla Società nel 1885 circa il rimborso delle spese di viaggio al Segretario, la quale d'altronde non precisa il grado di comodità con cui può essere effettuato il viaggio, si potesse interpretare, almeno pel pas- sato, in senso estensivo. Il Presidente dice che sarà forse il caso di detenuinaie me- glio la cosa per l’avvenire. Nel caso attuale il Segretario nel presentare la nota annuale delle spese ha tenuto separate quelle di ferrovia da quelle di vet- tura od altro mezzo di trasporto, quindi nella somma di L. 19,85 vi è anche compreso il rimborso di vetture per recarsi al luogo ove si tenne adunanza e questo rimborso si notò essere stato ac- cordato in vari casi anche per il passato. Perciò il Consiglio ap- provò il suddetto bilancio, già approvato dalla maggioranza dei commissari. 11 Segretario osserva che, per esempio, nel bilancio 1891 figurano oltre L. 26 occorse per mezzi di trasporto come vettura e barca e furono in detto anno rimborsate anche spese fatte durante le escursioni, ciò che almeno in parte si verifica per altii bilanci. L’Assemblea approva senza ulteriori osservazioni il Bilancio, nonché il resoconto dell amministrazione del legato Molon. Il Presidente ricorda che il 15 luglio decorso tu diramata DELLA. SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 453 una circolare relativa al concorso per il premio Molon, il quale viene ora solennemente bandito : “ È aperto il quarto concorso al Premio Molon, amministrato dalla Società Geologica Italiana, sul seguente tema e con le se- guenti condizioni. Illustrazione di una Fauna o di una Flora poco o mal note di giacimento italiano, con lo scopo di portar luce sopra fatti geo- logici nuovi, mal conosciuti o controversi, accompagnata da dedu- zioni geologiche : oppure illustrazione di un gruppo speciale di resti organici poco conosciuti di giacimento italiano. « Le memorie accompagnate da tavole con disegni dei fossili illustrati, dovranno essere scritte in lingua italiana, ma potranno portare le diagnosi specifiche anche in latino. Potranno essere ma- noscritte 0 in bozze di stampa, non pubblicate avanti la chiusura del Concorso. Non si terrà conto dei lavori presentati ad altri con- corsi analoghi. « Le memorie dovranno essere trasmesse alla Segreteria della Società Geologica Italiana (Via S. Susanna n. 1 A) non più tardi del ài marzo 1898. Esse dovranno essere contrassegnate da un motto da ripetersi sopra una scheda suggellata che conterrà il nome dell’ autore. « La somma assegnata pel premio è di Lire italiane 1340,96 pagabili dopo il 1° luglio dello stesso anno ». Il 31 marzo decorso scadette il termine del concorso precedente senza che alcuno si presentasse. Il Consiglio studiò il modo di ban- dire coi denari rimasti un nuovo concorso geologico invece di ca- pitalizzarli e ritenne che per far ciò convenisse modificare il Rego- lamento Molon. Sono perciò due le questioni: 1° se debba modifi- carsi il Regolamento; 2“ se, conseguentemente, debba proporsi un concorso nuovo. Il Consiglio decise di rimettersi in proposito alla Società, onde apre la discussione sul primo di questi argomenti. Il socio Pellati osserva che il primo regolamento essendo stato fatto d accordo con gli eredi converrebbe seguitar d’ accordo con questi. Bisognerebbe poi sentire il comm. Capellini che tanto si è occupato della questione e che fu il proponitore del Regola- mento; chiede perciò che ad una prossima speciale adunanza del Consiglio sia invitato il collega Capellini per trattare dell’ argo- mento. Attesa poi l’ importanza della questione propone che sul ca- 454 ADUNANZA GENERALE ESTIVA pit3.1izzai'6 0 no i dona/ri dol proinio non confoiito sicno, qualora si decida di modificare il Regolamento vigente, interrogati, mediante circolare, tutti i soci e che si raccolga il voto magari anche nel- r adunanza invernale. Il socio Cortese ritiene che convenga capitalizzare i denari del premio non dato. Il Presidente osserva che 1 art. 8 del Regolamento consente al Consiglio la facoltà di modificar questo quando creda. Non ha diffi- coltà di accettare le proposte del collega Pellati. Si propone perciò d’ invitare il comm. Capellini ad assistere ad un Consiglio nel quale si tratti del Regolamento, e di sottoporre, per circolare, al voto dei soci in occasione della riunione invernale, la questione se possa modificarsi o no il Regolamento per modo da concedere la proroga e la rinnovazione dei concorsi invece di capitalizzare i premi, e se debba bandirsi un nuovo concorso in luogo di quello scaduto nel 1896. La proposta è approvata ad unanimità. L’ economo Statuti domanda se per eftetto di questa delibe- razione sospensiva deve essere sospeso anche l’ investimento in ren- dita della somma corrispondente al premio non conferito. Si delibera di sospendere V investimento fino a decisione della questione precedente. Dovendosi ora procedere allo spoglio delle schede per la no- mina del vice-presidente, del segretario e di quattro consiglieri, in sostituzione di quelli scadenti per turno, il Presidente nomina scru- tatori i soci Aichino e Sorniani. Compiuto il lavoro.il Presidente proclama l’ esito della vo- tazione : Votanti 59. Vice-presidente per l’anno 1897, eletto: B.assani prof. Fran- cesco, con voti 50. Segretario pel triennio 1897-98-99, eletto: Neviani prof. An- tonio con voti 49. Consiglieri pel triennio 1897-98-99, eletti : Bellucci prof. Giuseppe con voti 31 Clerici ing. Enrico * * 19 Novarese ing. Vittorio * *38 Sormani ing. Claudio - ■ 39 DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 455 Altri voti furono dati sui seguenti nomi: a vice-Presidente : PantanelliS voti; segretario: Clerici 6 voti; consiglieri: Cocchi 10 voti, Bonarelli 6 voti. Il Segretario legge il titolo delle memorie, note e carte geo- logiche le quali furono presentate per la stampa nel Bollettìno : stampa che per alcune ha già avuto luogo. Chelussi I , Contribusioni petrografie he [23 febbraio 1896]. Zaccagna D., La carta geologica delle Alpi Apuane ed i ter- reni che le costituiscono [13 marzo 1896]. Fucini A., Faunula del Lias medio di Spezia, con due tav [17 marzo 1896]. Levi G., Sui fossili degli strati a Terebratula Aspasia di M. Calvi presso Campiglia, con una tav. [8 aprile 1896]. Simonelli V., Sopra due nuovi pteropodi delle argille di Sivizzano nel Parmense [20 aprile 1896]. Chelussi I., Le roccie del vallone di Valnontey in Val di Cogne [28 aprile 1896]. Meli E., Alcune notizie di geologia riguardanti la provincia di Roma [6 settembre 1896]. Meli 'S.., Pirite e Pirrotina riscontrati come minerali acces- sorii del granito tormalini fero nell’ isola del Giglio [5 sett. 1896]. Cortese E., Sulla geologia della Calabria settentrionale [22 set- tembre 1896]. ^ Simonelli V., Appunti sopra la fauna e l’età dei terreni di Vigoleno {prov. di Piacenza) [25 settembre 1896]. Botto-Micca L., Contribuzione allo studio degli echinidi ter- ziari del Piemonte {fam. Spatangidi), con una tav. [10 ott. 1896]. Vinassa de Regnv P. E., Carta geologica di Firenze [25 ot- tobre 1896]. ^ Meli E., Notizie sopra alcuni resti di mammiferi quater- nari rinvenuti nei dintorni di Roma [25 ottobre 1896]. Levi G.. Gasteropodi titonici dei dintorni di Aquila con ima tav. [25 ottobre 1896]. Il socio Taramelli espone: Alcune osservazioni stratigra- fche nei dintorni di Polcenigo vi Friuli, e presenta il relativo manoscritto perchè venga stampato nel Bollettino. 456 ADUNANZA GK.NERALE ESTIVA Il socio De Angelis fa ima comunicazione intitolata: Appunti \ pTelimincLTi sulla Qeolo(jia, della Valle dell Anieiie (’). 1 Il socio Bonarelli fa una comunicazione intitolata: Osser- , vasioni geologiche sui monti del Furio presso Fossombrone. da j stamparsi per disteso in apposita Nota (-). ; Il socio Sabatin^i riassume le conclusioni di una sua Nota | Sulla geologia dell’ isola di Ponsa, della quale presenterà fra giorni il relativo manoscritto (^). ^ Il socio Meli presenta un bel molare vero (penultimo supe- ; riore destro) di Rhinoceros Merchi Jaeg. e Kaup. rinvenuto nel- r antica cava di ghiaie alluvionali con detriti di minerali e rocce vulcaniche (chelleane e moustieriane), che trovasi sulla sponda destra del Tevere a Tor di Quinto, poco oltre il 4° km. della via riaminia. Di questo molare sono date le misure nella sua Nota: Notizie sopra alcuni resti di mammiferi (ossa e denti isolati) quaternari rinvenuti nei dintorni di Roma, comunicata in questa adunanza. Egli soggiunge di riguardare il Rh. Merchi Jaeg. e Kaup megarhinus Indes, Ceselli, Gervais, Ponzi, ecc.), come forma discendente dal Rh. etruscus Falc., che perciò considera come forma più antica e progenitrice del Rh. Merhi Jaeg. e Kaup. Lo stesso Socio accenna alla esistenza di quella preziosa va- rietà di opale, che è usata in gioielleria col nome di opale nobile, nelle roccie trachitiche di Allumiere (circondario di Civitavecchia). Il prof. Meli deve la notizia del ritrovamento di tale importante minerale, che sarebbe nuovo per la provincia di Roma e per l’ Italia, a S. E. il Cardinale Teodolfo Mertel (Q, il quale gli mostrò un (1) Manoscritto consegnato il 30 ottobre 1896. (2) Manoscritto consegnato il 29 novembre 1896. (3) Manoscritto consegnato il 10 novembre 1896. (i) Il cardinale Mertel scrisse un’importante opuscolo, col titolo Cerai istorici sulle miniere delle Allumiere. Civitavecchia, A. Sbrambi, 1835, in 8“ di pag. 20, nel quale si contengono molte interessanti notizie sulle cave e miniere di Tolta, sulle loro concessioni e sul loro esercizio. della società geologica italiana 457 esemplare dell’ accennata gemma, con belle iridescenze, lavorata, pulimentata e incastonata in un’ anello, assicurandogli di averla avuta, grezza ed aderente alla roccia trachitica da un operaio di Allumiere, che, a sua volta, dichiarò d’ averla scavata egli stesso nelle trachiti di questa località. Come è noto, 1 opale nobile trovasi in piccoli nidi ed in vene nella cavità^ o fissure dei terreni vulcanici, di preferenza nelle roccie trachitiche (tufi trachitici, trachiti, lipariti, ecc). Quindi non sarebbe fuori di posto la suddetta varietà di opale nelle roccie trachitiche dei monti di Allumiere e Tolfa. Il prof. Meli ritiene pertanto possibile l’ esistenza dell'opale preziosa nei monti Tolfetani e non esita ad ammettere come vera la notizia del suo ritrovamento. Crede inoltre che da una esplo- razione scientifica del gruppo Tolfetano, ed in specie della sua regione metallifera, verrebbe fuori una quantità di minerali, impor- tanti nelle industrie, o nuovi per la località. Lo deduce dalle con- statazioni, eseguite negli ultimi anni, di minerali da aggiungersi all elenco di quelli già conosciuti nella regione anzidetta; cioè, nella scoperta del realgar e dell’ orpimento fatta dall’ on. Tittoni nel 1877 nei monti di Santa Severa; nel ritrovamento del cinabro in un fosso sotto il convento di Cibona e dell’ argirosio sulle pendenze del monte detto della Tolfaccia, vicino alle cave di Pianceraso, en- trambi segnalati dal prof. Ponzi in una sua comunicazione del 1883 alla R. Accademia dei Lincei; e nell’ aver raccolto egli stesso, il Meli, buoni campioni di baritina cristallizzata nelle geodi di al- lumile nella cava della Provvidenza presso Allumiere nel 1893 in una escursione eseguitavi insieme agli allievi ingegneri della R. Scuola di applicazione di Roma. Il socio Clerici comunica il rinvenimento della Cyclotella PantaneUiana Castr. nelle argille plioceniche sovrapposte alle note ligniti della miniera Castelnuovo presso S. Giovanni Valdarno e così abbondante che le preparazioni contengono soltanto qualche altra diatomea o spicula di Spongilla, e fa un paragone fra dette argille e quelle di Spoleto in cui rinvennesi la stessa specie, e promette una breve Nota illustrativa. Il socio Clerici fa una comunicazione riassuntiva Sui din- torni di S. Faustino nell’ Umbria, riportata nel Bollettino. 31 458 adunanza GKNERAI.E ESTIVA Il socio Clerici svolge pure alcune considerazioni intitolate: La Nave di Caligola affondata nel lago di Nemi e la Geologia del suolo Romano (’) che vengono riportate per disteso in appo- sita Nota. Conformemente al desiderio manifestato da alcuni soci si de- libera che nell’ esciu'sione da farsi l’ indomani, invece del 5 ulcano Laziale, si abbia a visitare qualche località importante della re- gione prossima al lago di Bracciano. A questo scopo il socio Sab.vtini espone brevemente il pro- gramma di una gita a Manziana. La seduta è tolta ad ore 12,30. Il Segretario Enrico Clerici. liESOCONTO SOMMARIO dell’ escursione fatta il 26 OTTOBRE 1896 NEI DINTORNI DI MANZIANA Col primo treno della mattina la comitiva composta dei soci De Angelis. De Stefani, Neviani, Pantanelli, Parona, RossellL Sa- batini, Spirek, Taramelli e Clerici partì alla volta di Bracciano. Dopo la stazione di S. Pietro la linea attraversa, su due grandi viadotti, le valli del Gelsomino e dell’ Inferno separate dal rilievo del Colle Vaticano, e nelle quali in ogni tempo furono aperte nu- merose cave di argilla e stabilite fornaci per la cottura dei latenzi. Quindi è che in queste due valli specialmente sono visibili delle grandiose sezioni artificiali, le quali costantemente mostrano ar 426 k • X; 430 ' 458 / Finito di stampare il 31 dicembre 1896. B. — Nell’ elenco dei soci pubblicato nel 1° fascicolo fu dimenticato 1 ing. Paolo- Marengo direttore delle miniere di Boccheggiano. Tsi stampa in fascicoli trimestrali. BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Volumi finora pubblicati. Voi. 1 - II « III . IV . V . VI (1882) (1883) (1884) (1885) (1886) (1887) VII (1888) Vili (1889) IX (1890) X (1891) XI (1892) XII (1893) XIII (1894) XIV (1895) XV (1896). 260 pag. 4 tavole. 314 » 6 tavole. 188 * una tavola. 528 ” 19 tavole e 3 carte geologiche a colori. 516 " 11 tavole. 570 « 18 tavole e una carta geologica a colori. 430 ’ 14 " « " 600 ” 3 " * ’ " 826 " 25 ” - » » • 1023 * 21 " e 2 carte geologiche a colon. 702 •’ 11 tavole. 892 * 7 317 II 5 » 324 * 7 " Pubblicati quattro fascicoli (pag. 598 e 14 tavole). I volumi I. II e III si vendono al prezzo di L. 16 ciascuno, tutti gli altri a L. 20. , ■ i • Si accorda un ribasso a chi richiede parecchi volumi. Ai librai si accorda uno sconto da convenirsi. Ai soli soci che desiderano completare la collezione sono accordati i TOlnmi airetrati al prezio di L. 8 l'uno indistintamente. Per PaciuMo dirigere lettere e vaglia alfSeonomo cav. ing. Aaamn StatutIj via dell’ Animcb 17^ Romci. RESOCONTO DELL’ADUNANZA STRAORDINARIA TENUTA DALLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA IN SARDEGNA NELL’APRILE 1896 Seduta inaugurale del giorno 8 aprile in Cagliari, La seduta di inaugurazione è aperta ad ore 10 nell’Aula Magna della R. Università. Presidenza De Stefani Sono presenti i soci Ambrosioni, Cattaneo, Cerulli-Irelli, Conedera, Corsi, D' Achiardi G., De Angeijs d’ Ossat, Di Stefano, Pucini, Gioli, Meli, Mezzena, Missaghi, Moretti, Ristori, Riva, Rosselli, Sabatini, Stella, Tagiuri, Taramelli, Toso ed il Segretario Clerici. Assistono alla seduta il Rettore della R. Università, il Pre- fetto, il Sindaco, il Presidente della deputazione provinciale, il Co- mandante militare dell’ Isola, altre autorità civili e militari, l’ ing. Bertolio, incaricato di rappresentare l’ Associazione mineraria sarda, e moltissimi invitati e signore. Il Segretario legge la seguente lettera del Ministro della Pubblica Istruzione, diretta al Presidente della Società Geologica Italiana : Ringrazio sentitamente la S. V. Ch.ma dell’ invito fattomi di intervenire all inaugurazione del Congresso Geologico annuale che la Società geologica italiana, da lei degnamente presieduta, terrà in Cagliari il dì 8 aprile. Mi rincresce che le occupazioni del mio ufBcio non mi permettano di allontanarmi in questo momento da Roma; ma volendo in qualche modo cor- 32 ^0^ resocokto dell’adunanza straordinaria rispondere al gentile invito ho dato incarico al sig. Rettore della R. Università di Cagliari di rappresentarmi all’inaugurazione del Congresso geologico. Gradisca i sensi della mia considerazione. Roma, 2 aprile 1896 Il Ministro E. Giantl'rco Indi legge la seguente lettera del Ministro di Agricoltura, In- dustria e Commercio, pm-e diretta alla Presidenza. Roma, 1 aprile 1896 x La ringrazio dell’ invito che cortesemente Ella mi ha fatto, di interve- nire alla inaugurazione del Congresso Geologico annuale che sara tenuto in Cadiari e mi dispiace che le cure dell’ ufficio non mi permettano di intervemm. Voglia essere interprete della mia riconoscenza presso tutti i membn della benemerita Società da lei degnamente presieduta, alla quale saro leto di potere dimostrare quanto mi stiano a cuore i nobili scopi che essa si propone. Devotissimo Il Presidente dà la parola al prof. Fenoglio rettore della R. Università, che dice : « Era vivo desiderio delle LL. EE. il mini- stro della Pubblica Istruzione e dell’Agricoltura e Commercio di trovarsi a Cagliari per questa solenne occasione e onorare la nostra Città scelta a sede di questo importante Congresso. Le molteplici occupazioni dell’alto ufficio non permisero loro di allontanarsi da Roma. . K S. E. il ministro della Istruzione Pubblica diede a me il gra- dito incarico di rappresentarlo e così invece della potente ed effi- cace sua parola si eleva modestissima la mia voce. . Porgo a nome di S. E. i più vivi auguri per il felice esito di questo Congresso ed un saluto affettuoso a quanti vi prendono parte o vi si interessano. Eguale saluto porgo al corpo accademico, lieto che questo nostro recinto consacrato alla scienza sia stato scelto per r inaugurazione del Congresso. . Benvenuti siano dunque gU studiosi che rispondendo volonte- rosi all’ appello di esimi scienziati qui accorsero anche da lontane regioni. . , • . La Sardegna è appunto una delle regioni che ai geologi offre più vasto campo di proficue ricerche, sia per la sua ricchezza mi- TENUTA DALLA SOC. GEOL. ITAL. IN SVKDEGNA NELL’APRILE 1896 465 neralogica, sia per alcune sue particolarità geologiche e che anche in tempi non lontani fu fatta oggetto di studi profondi. “ Ricorderò il Lamarmora, il Sella ed il Giordano che trovarono degno di loro e dell’eletta loro mente dedicare alla nostra isola gran parte della loro attività e dei loro studi ed i cui nomi la Sardegna volle eternare in un ricordo marmoreo. Essi diedero un impulso poderoso agli studi geologici di questa nostra regione, im- pulso che non fu certo infecondo di resultati, perchè aprì le vie a valenti successori. “ Compite ora voi, egregi Signori, l’assuntovi impegno: noi con piacere abbiamo salutato la vostra venuta, plaudiremo pure ai vo- stri sforzi ed alla buona riuscita di esso. “ Valga quindi questo Congresso a ravvicinare ed a rinforzare quel vincolo di fraternità che già unisce gli studiosi di tutti i paesi » . 11 Presidente quindi dà la parola al comm. Baoc.vredda Sindaco della città, che parla a nome del Municipio. Egli rivolge un deferente saluto a quelli che Cagliari ospita fra le sue mura. La città, egli dice, non può non notare con com- piacenza la scelta fatta designandola ad accogliere così cortesi e valorosi scienziati. Se avverrà che gli studi di essi trovino qui largo campo di osservazioni, vorrà dire che quegli studi torneranno di vantaggio alla scienza non solo, ma saranno di prestigio a questa terra così poco ricordata. Si augura che questa prima loro venuta sia pro- messa di un lontano e non meno gradito ritorno. Il Presidente De Stefani prende da ultimo la parola: « E questa la prima volta che un ragguardevole numero di scien- ziati di tutte le regioni d’ Italia si danno convegno in questa so- rella primogenita, donde non sono ancora due secoli spiccò il volo queir aquila reale che ci doveva portare ad unità. « Forse per tale causa una riunione di scienziati puramente dediti al lavoro e allo studio, consapevoli dell’ importanza della scienza eh essi coltivano, ma modesti per sò , è stata accolta con insigne benevolenza e si volle aprirla con solenne modo in questa giovane, ma già tanto illustre sede di studi. « L affetto, la simpatia dei cultori delle scienze geologiche per ^0g RESOCO^TO DELi/aDINANZA STRAORDINARIA la Sardegna non datano da oggi. Sarebbe contrario al vero affer- mare che i geologi siano stati i soli amici dell’ isola: certo furono sempre i più fidi e i più sinceri, e fra quelli che piu fecero per questa terra così ricca di tesori inerenti al suolo, agricoli e minerari. u V’ ha mutua simpatia fra i geologi e la Sardegna, poiché qui in modo incomparabile risiedono i tre fondamenti obiettivi della ergologia : sublimità, verità, purezza della natura in ciascuno dei suoi elementi, nell’ aere, nel mare, nel suolo, nei suoi spenti vulcani. « Da Lamarmora che impresse il suo nome nella storia scien- tifica dell’ isola e primo ne chiarì la Geologia, a Quintino Sella, a Felice Giordano che dotò Cagliari di bene adatto acquedotto, ad un preclaro geologo ed esploratore di tutto il suolo sardo, or docente in questo Ateneo, venuto dalla più lontana terra dove palpita vivis- simo il sentimento italiano, una pleiade di geologi italiani e stra- nieri è qui venuta ad onta della distanza e dei disagi, od ha altri- menti studiato questa classica terra. « Val^rano, oltre quelli ricordati, i nomi di Alford, Beaumont, Beaurepaire, Bornemann, Bronn, Breithaupt. Brongniart. Collomb, Delesse, Doelter, Espine, Fabre, Forsyth Major. Fouquet. Fournet, Grand’Eurv, Grevius, Hensel, Hessenberg, Hoffmann, Jacob, Karsten, Kùster, Laspevres, Lepsius, Leseure, Richard, vom Rath, De Vargyas fra gli stranièri ; di Meneghini, maestro a tutti noi, fra gl italiani. u Fra i presenti, molti, con più competenza della mia, potreb- bero fare una sommaria esposizione della geologia sarda ; perciò non non mi addosserò un compito insieme malagevole ed indebito. u Limerà serie di questioni scientifiche vi si parerà innanzi e fra queste :°i rapporti della Sardegna con le due penisole italica ed iberica; 1’ età e la stratigrafia dei graniti così estesi; i rapporti stratigrafici del calcare metallifero ; la esistenza e la situazione delle serpentine antiche ; 1’ età permiana o carbonifera dei depositi antra- citiferi; resistenza e l’estensione dei vari piani del Trias; 1 ordi- namento analitico degli altri terreni secondari più recenti ; 1 età e la natura delle eruzioni vulcaniche terziarie ; la mancanza del Plio- cene ; r esistenza di antichi ghiacciai. a Osservando i terreni dell’ isola e studiando da pan vostri le suddette ed altre questioni, oltre imparare molti fatti nuovi, ve- drete qui, forse più presto che altrove, come la geologia sia scienza solo quando parta da profonda ed esatta osservazione, come i pochi TENUTA DALLA SOC. GEOL. ITAL. IN SARDEGNA NELL’APRILE 1896 4 67 concetti supposti fondamentali, appresi nelle scuole non bastino a formare un geologo, come, sotto l’ apparente uniformità di leggi veramente universali, ogni paese si manifesti allo sguardo del geo- logo in modi ed in forme differenti, come perciò le generalizza- zioni sollecite siano sempre errate. Qui più che altrove osserverete quanto lo studio scientifico e l’ osservazione teoretica sieno guide indispensabili nella comune pratica dei terreni e delle miniere, ed avrete ulteiiori prove del come le scienze in genere e la nostra in ispecie costituiscano veramente la ricchezza degli stati. “ Ma oltre a tutto ciò, voi che unanimi sceglieste questo luogo di riunione, voi tornerete alle case vostre con qualche concetto di- verso, con nuove cognizioni, con idee sempre più eccellenti sul bel paese che vi ospita, imparerete ad amarlo sempre più, ed i vincoli che legano la Sardegna alle regioni sorelle saranno vieppiù stretti da voi, destinati a seguitare le tradizioni dei Lamarraora, dei Sella, dei Giordano. « Ai giovani specialmente mi dirigo, speranze nostre, a quanti mi circondano, di questo Ateneo e della nostra Società ; voi lavo- rerete per voi e pel vostro paese in condizioni migliori delle nostre ; voi lavorerete più e meglio di noi. Non vi sgomentino le contra- rietà, se ne avrete. Infelici, cred’ io, sono quegl’ individui, come quei popoli, che mai in vita loro ebbero a vincere contrasti ed osta- coli. poiché la vita è una guerra. “ Ogni uomo è soldato non solo nei campi di battaglia, ma nella scienza, nelle più comuni circostanze della vita. Ognuno di voi, gio- vani geologi, come soldato compia consapevole di sé il suo dovere ; quel dovere che in ogni vicenda è il più modesto ed il più sem- plice, ma pure il più glorioso degli eroismi » . Alle ore 11 la seduta inaugurale è chiusa e la Società si ra- duna in seduta privata. Il Segretario presenta lettere e telegrammi dei soci i quali scu- sano la loro assenza, cioè dei soci Bassani, Bornemann, Botti, Brugnatelli, Capellini, Castelli, Cocchi, Cortese, De Fer- rari, Forn ASINI, Incontri, Issel, Marinelli, Omboni, Panta- nelli, Parona, Pellati, Sacco, Segrè, Trabucco, Traverso. Si scusano il Direttore generale dell’ Agricoltura e l' on. F. Pais. 468 RESOCONTO dell’adunanza STRAORDINARIA Sono presentati i nuovi soci : Arcangeli prof. Giovanni Direttore del R. Orto botanico a Pisa. proposto dai soci De Stefani e Pantanelli : Bianchi Giov.vnni Battista, a Pisa, proposto dai soci G. D'A- CHiARDi e De Stefani ; Carmignani Giovanni, a Pisa, proposto dai soci Can avari e G. D’Achiardi ; C.vRRUCCio prof. Antonio, a Roma, proposto dai soci -Meli e Cle- rici ; Cettolini prof. Sante Direttore della scuola di \ iticoltura a Cagliari, proposto dai soci Clerici e De Stefani : D’Ancona Giuseppe, a Pisa, proposto dai soci Canavari e G- D’Achiardi ; Spireh ing. Vincenzo Direttore della Miniera del Siele. a Santa I Fiora, proposto dai soci Rosselli e De Stefani ; , Ugolini Pietro Riccardo, a Pisa, proposto dai soci Canavari i e G. D’Achiardi. ^ Le proposte sono approvate. j T nuovi soci Bianchi, Carmignani. Carniccio, Cettolini, D' An- j cona, Spireh ed Ugolini prendono posto al congresso. | La seduta è tolta ad ore 11.30'. | j Fatte reciproche presentazioni e scambiati saluti coi profes- ■ deir Università si procede alla visita delle collezioni mineralogiche e geologiche della R. Università, dirette dal prof. Domenico Lo- ^ visato. Di esse riportiamo i seguenti cenni fornitici dai soci Tara- | MELLi e D’Achiardi ; [ Taramelli. — Descrizione sommaria delle principali raccolte | del Museo di Mineralogia e particolarmente di quello di Geo- I logia, della R- Unive'rsità di Cagliari. j « Il naturalista che visita la Sardegna reputa certamente a for- j tuna il trovare nell’ Università di Cagliari delle collezioni assai 1 ricche e bene ordinate, le quali gli sono di guida e di eccitamento. Esse sono dovute, quasi del tutto, per quanto riguarda la Minera- logia e la Geologia, ai due instancabili esploratori che ebbe la Sardegna, il Lamarmora e il Lovisato. j TENUTA DALLA SOC. GEOL. ITAL. IN SARDEGNA NELL’APRILE 1896 469 » Se affatto imitile sarebbe il ricordare i meriti del primo, già noti e celebrati a ragione, non è oltre al giusto il mettere in evi- denza la appassionata attività, lo spirito di sacrificio e la perseve- ranza costante, di cui diede prova il prof. Lovisato nei tre lustri passati in Sardegna, quivi fermandosi quasi sempre anche nelle vacanze autunnali. « Il Museo di Mineralogia risulta di tre sale non molto ampie, ma ben illuminate e quando siano terminati i mobili, sufficiente- mente capaci per una collezione di carattere strettamente locale. La prima sala è destinata ai minerali ed alla collezione Lamar- mora, la quale, non ancora del tutto esposta, è indicata dal ritratto del venerato suo autore, posto di fronte alla porta d' ingresso, con a lato la carta geologica olografa ed uno dei martelli del grande geologo piemontese. Ai lati si svolgono le raccolte di minerali, ordi- nate secondo Tultima classificazione del Dana. Gli esemplari più distinti, come le fosgeniti e le cerussiti di Monteponi e di Monte- vecchio, le anglesili verdi di Montevecchio, di Malacalzetta e di Gennamare, la caiedonite di Malacalzetta, la fluorina di Pediattu, i quarzi morioni di Caprera ed i quarzi distorti di S. Leone Capo- terra, sono raccolti in una vetrina di mezzo ; alcuni di questi sono invero magnifici. Evvi anche una raccolta di minerali ordinati se- condo i sistemi di cristalli ed altra per la dimostrazione dei carat- teri fisici. « Negli scaffali laterali si stanno anche ordinando varie colle- zioni di rocce, compresavi una del Gottardo, illustrata dallo Stapff. In due vetrine a parte sono le brecce ossifere, raccolte dal Lamar- mora al Capo Bonaria. « Nella seconda sala, che non si era potuto ancora compieta- mente arredare di scaffali, in una bacheca a due piani nel mezzo, stanno diverse collezioni, che saranno più ampiamente distribuite in seguito ; è notevolissimo il cranio di Tomistoma calaritanus^ illustrato dal Capellini, circondato da una serie di vertebre, di placche dermiche e d’ altri frammenti dello stesso individuo, che nel 1868 fu scoperto minandosi un grosso masso di calcare elve- ziano nella piazza d armi di Cagliari. Questo è un campione unico di un valore eccezionale. Attorno sonvi disposti i denti di altri individui di questa e di altre specie, raccolti dal Lovisato in varie località mioceniche dell’ isola, nonché grossi pezzi di calcari zeppi resoconto dell’adunanza straordinaria di resti di vertebrati, che fomii-anno certamente, in seguito a pa- ziente preparazione, altre novità per la paleontologia Salda. « Nel piano inferiore della stessa bacheca, si ammirano varie | tartarughe colossali, di cui alcune col cranio. » In questa medesima stanza, in una fila di scaffali in alto, è disposta la collezione di echinidi miocenici sardi, recentemente illustrata dal Cotteau e dal Lovisato ; sono più di mille campioni, per la maggior parte ben conservati, che rappresentano nel miglior modo le molte specie di quella fauna, delle quali sono nuove ven- titré e parecchie altre sono inedite. Sotto, sta la ricca collezione del Langhiano di Fangario, nella quale spiccano specialmente le seppie, i pesci fossili, e belle filliti. Nello scaffale di fronte era provvisoriamente disposta la bella collezione di crostacei di vari piani miocenici, studiata parzialmente dal Ristori e dal Milne Ed- wards. Nello stesso scaffale, stava una ricchissima collezione di brecce ossifere di varie località dell’isola, in particolare della Grotta di Monte Oro, presso Sassari. Nella stessa stanza, meritevoli di più ampia collocazione, sonvi delle raccolte pregevolissime di mammi- feri dei Pampas, raccolte in parte dallo stesso Lovisato, in parte i regalate dall’ufficiale di marina Raffaele Settembrini. « Nella terza sala le collezioni erano in uno stato di incipiente i ordinamento, stante che soltanto pochi giorni prima del congresso , si era potuto ottenere che quell’ambiente fosse annesso al museo; , perciò le ricche collezioni paleontologiche e litologiche non poterono i essere tutte esaminate. Non pertanto, si rilevò la ricchezza straor- | dinaria di esemplari delle collezioni ittiologiche del miocene ; dei ; vegetali fossili, specialmente conifere, dello stesso terreno; oltre ad i un’ altra raccolta dei cefalopodi terziari. Una ricca collezione di , rocce è destinata ad una completa monografia di Caprera, località . particolarmente cara al Lovisato, che militò con Garibaldi ed al I quale toccò la fortuna di essere famigliare del grande generale negli ultimi anni della sua vita. Spiccano gli sferoidi famosi di Ghistorrai j aia illustrati dal Lovisato, le collezioni di rocce vulcaniche di tutti ] i distretti vulcanici dell’ isola, ed i fossili secondari della Nurra e i dei dintorni di Nurri, località che i congressisti con grande desiderio j si disponevano a visitare. Tra le raccolte di fossili mezozoici ricoi- deremo quella del trias medio del monte di S. Giusta, la collezione aiurese della Gardelliana, e varie rocce fossilifere di Beivi, Tonnara, & TENUTA DALLA SOC. GEOL. ITAL. IN SARDEGNA NELL’APRILE 1896 471 MontenuoTo e Capo della Caccia; quest ultima località ha fornito al prof. Lovisato le uniche ammoniti sino ad ora trovate in Sardegna. I terreni cretacei sono rappresentati da una località nella Mala- (lioscitt, da altra all isola di S. Antioco, da vari monticoli nella Nurra ed in particolare dal Capo della Caccia, dove si trovano delle gigantesche ippuriti ; una di queste misura oltre 75 cent, di lun- ghezza, ha il guscio in parte perfettamente conservato e fu raccolta dal Lovisato alla Maladioscia. Tra le rocce fossilifere dell’eocene, osservammo i campioni di quelle che ci attendevano nel bacino lignitifero di Gronnesa, e quei ciottoli nummulitici che sono compresi nei conglomerati bormidiani sulla sponda destra del Flumendosa. II miocene poi con tutti i suoi piani è larghissimamente rappre- sentato, e queste collezioni porsero materiale ai notissimi studi del Parona, del Mariani, del Bassani, del Eistori e di altri, ai quali il Lovisato fu largo di comunicazioni e di notizie. “ Le collezioni di fossili paleozoici non ci parvero offrire un particolare interesse, in confronto a quelle che poi visitammo alla scuola mineraria di Iglesias ; però sono ricche e faranno bella mo- stra quando siano ordinate e disposte in uno spazio sufficiente. “ Il visitatore di queste molte e ricche collezioni non può a meno di augurarsi che il pregio di esse sia convenientemente ap- prezzato dalle autorità locali, universitarie e cittadine, affinchè al completamento ed all ordinamento di questo preziosissimo materiale scientifico, dovuto alla attività di un naturalista altrettanto intelli- gente che instancabile, non manchino i mezzi indispensabili » . Gr. D’Achiardi. — Museo di Mineralogia della R. Università di Cagliari. « Il Museo di Mineralogia è riunito a quello di Geologia, e fino a pochi giorni prima del nostro congresso in Sardegna, le splen- dide collezioni mineralogiche e geologiche erano ammassate in una sola stanza. Ora il suo direttore, il prof. Lovisato, ottenuti nuovi locali, sta riordinando il copioso materiale con vantaggio grandis- simo del visitatore e dello studioso, che potranno meglio da qui innanzi godere le bellezze di tutto ciò che di importante comprende. « La collezione mineralogica è disposta secondo Tultima classi- ficazione del Dana, ed è ricchissima specialmente di minerali e 472 RESOCO.NTO DEI.I.'ADINANZA STRAORDINARIA rocce della Sardegna in gran parte raccolti e studiati dall’egregio prof. Lovisato. « A principiare dai corpi semplici, la collezione contiene superbi esemplari cristallini di zolfo nelle galene di Monteponi e Monte vecchio; l’arsenico testaceo di Giovanni Bonn, di Montenarba e Bruncu Amibiu (Sarrabus) ; l’antimonio in lenti di Su Leonargiu (San Vito, Sarrabus); molti esemplari di argento ftliforme, dendri- tico, lamellare delle miniere del Sarrabus, e va ricordato l’argenk* granuloso finamente disseminato nella calcite a formare il minerale che i minatori distinguono col nomedi caffè-latte. Rammenterò ancora il rame di Gennamari. di Pantana raminosa in quel di Gadoni e nel vulcanico antico di Ittiri. » Tra i solfuri, antimoniuri, arseniuri, solforali ecc., le belle stibinedi Su Suergiu (Villasalto nel Gerrei), le molibdeniti di Ospe. fra Oliena e Orgosolo, e di molte altre località dell’isola; i superbi cristalli di argirose del Sarrabus e della miniera ora esaurita di Correba ; gli infiniti campioni di galena, fra cui i grossi cristalli, che una volta solevano rinvenirsi a Montevecchio. E cosi vanno pur ricordate le blende cristalline e amorfe, le milleriti di Nieddoris e di S’Arcilloni con argento nativo e solforato, e di Alghero nel vulca- nico antico ; i cristalli di breithauptite, i campioni di arile del Sarrabus e di Nieddoris ; i cristalli di pirite di Narbolia (nel cir- condario di Oristano) ; la smaltina, la gersdorlfite e rullmanuRe di Nieddoris, della quale si hanno anche splendidi esemplari cnstal- lizzati di Masaloni e Montenarba ; le arsenicopiriti compatte amorfe di varie località sarde, e graziosi esemplari di pirargirite e stefa- nite cristalline delle varie miniere del Sarrabus. li Fra i cloruri, è bellissimo un campione di cherargirite di Bruncu Arrubiu ; fra fluoruri sono numerosissime le fluorine, delle quali mi piace ricordare un esemplare proveniente pure da Bruncu Arrubiu con |100{, 'llo;, ìlll( e un altro ottaedrico della miniera ormai abbandonata di Pediattu. . Fra i quarzi vanno citati quelli col romboedro acutissimo delle miniere di magnetite di San Leone (Capoterra) e i quarzi neri di Caprera, Maddalena, del Limbara e in generale di tutta la zona granulitica. Di Masullas, della Speranza d’ Alghero ecc. si hanno agate e calcedoni ; dell’ isola di San Pietro i diaspri. Edegni ^ nota i cristalli 1111$' di senarmontite, e quelli di valentinite di TENUTA DALLA SOC. GEOL. ITAL. IN SARDEGNA NELL’aPRILE 1896 473 Nieddoris; la magnetite compatta, la pirolusite e la limonite di ta della Sarde^^na, come pure il psilomelano di Bosa e di Capo Giordano. “ Tra i carbonati citerò tra gli altri le stupende calciti del Sar- rabus , le cerusse dell Iglesiente, sia pei bellissimi cristalli gemi- nati di Monteponi e che i cavatori distinguono col nome di dente di porco, sia per gli aggruppamenti di cristalli aghiformi che pro- vengono dal filone di Montevecchio, e fra questi rammenterò un superbo campione di più chilogrammi di peso, fiorito alla sua super- ficie da innumerevoli cristalli aghiformi in mille guise fra loro uniti e intrecciati. E di Monteponi si ammirano splendidi cristalli di fos- genite, fra i quali alcuni molto interessanti che mostrano l’altera- zione di questo carbonato-cloruro di piombo in cerussa. Il carbonato di bario (witherite) è rappresentato da bei campioni provenienti da S Orti! Becciu (Donori). Innumerevoli i campioni di minerali va- riicolori calaminari (smithsonite, idrozincite, calamina, ecc.). “ Tra i feldispati ricorderò l’andesina deH’Arcuentu e di molti tufi vulcanici dell isola, 1 anortose di Porto Sento. Numerosi i pirosseni di molti basalti e di alcune rocce porfiritiche del Sarra- bus, gli anfiboli delle trachiti-andesiti di Siliqua ecc. ; i granati di Monte Santo di Pula, Caprera, ecc. ; gli zirconi della granulite di Ghistorrai presso Ponni, la quale località va famosa per le sue gi-anuliti a sferoidi di cui il museo possiede splendidi campioni; le chiastoliti di Caprera, Maddalena, del Sarrabus ; gli epidoti delle rocce cristalline e fra gli altri citerò quelli di Su Poru ; le preh- niti di Capo Carbonara, Tempio, Fonni ; le tormaline del granito di Caprera. Tra le zeoliti sarde si hanno begli esemplari di heulan- dite, armotoma, stilbite, laumontite, cabasia, analcime, natrolite, ecc. Vi ha la turingite di Caprera, e di molte rocce granitoidi sarde. “ Citerò i campioni di piromorfite di Ingurtosu e del Sarrabus ; quelli innumerevoli di baritina; i superbi cristalli di anglesite, in- colori di Monteponi, verdi di Montevecchio ; alcune leadhilliti di Malacalzetta, dalla quale miniera proviene anche l’unico campione di caledonite che fu trovato pochi anni fa dal prof. Lovisato ; la linarite di Ingurtosu e dell’ Iglesiente ; il gesso di varie località dell’ isola e specialmente della Nurra. “ I carboni fossili sono in ultimo rappresentati da molti esem- plari di antracite provenienti da San Sebastiano, da Seni, Perdas 474 RESOCONTO dell’adunanza straordinaria de Fogu, e per un maggior numero ancora di ligniti di varia età e giacimenti, fra le quali mi piace ricordare quelle provenienti da Bacu Abis. « Non ho tenuto parola dei minerali di altre località che pur si trovano in questo museo, perchè la sua vera ricchezza è costi- tuita da quelli sardi, e solo mi dispiace che questa mia relazione non sia riescila completa come avrei desiderato. n L’ importanza della collezione dei minerali della Sardegna è accresciuta grandemente per aver questi servito in gran parte a numerosi studi speciali del prof. Lovisato : onde la deticenza di questa mia relazione, può facilmente essere compensata dalla let- tura delle importanti memorie di sì valoroso scienziato . Seduta pomeridiana del di -S aprile. Presidenza De Stefani. La Seduta è aperta ad ore 14. Sono presenti i soci : Ambrosoni. Bianchi, Carmignani, Carroccio, Cattaneo, Cerulli-Irelli, Cettolini, Conedera, Corsi, D’ Achiardi G., D’ Ancona G., De Angelis d’ Ossat, Di Stefano, Fucini, Gioli, Meli, Mezzena, Missaghi, Moretti, Ristori, Riva, Rosselli, Sabatini, Spireh, Stella, Tagiuri, Taramelli, Toso, Ugolini e il Segretario Clerici. Il Presidente saluta il collega Missaghi prof, di Chimica nella R. Università di Cagliari, uno dei più antichi consoci. Dopo ciò ricorda che il municipio di Cagliari ha destinato Palloggio a tutti i soci durante la loro permanenza all’Albergo la Scala di Ferro ; che le ferrovie secondarie sarde hanno concesso, per tutte le loro linee, il ribasso del 50 per cento ed hanno dato altresì il permesso di visitare le trincee. Annunzia inoltre che il Club Alpino Sardo e la Società Filar- monica Casuro e il Circolo De Candia hanno messo le loro sale a disposizione dei soci. Il Segretario presenta varie copie delle seguenti pubblica- TENUTA DALLA SOC. GEOL. ITAL. IN SARDEGNA NELL’aPRILE 1896 475 zioni mandate in omaggio dai rispettivi Autori perchè siano distri- buite fra i soci : Botti TJ., Versione dal Tedesco. Due Viaggi in Sardegna del prof. G. von Rath. Cagliari, 1886. Cugia Pasquale, Nuovo Itinerario dell’ Iso’a di Sardegna. 2 voi. in 8° con carta. Ravenna, 1892. Si deliberano ringraziamenti a tutti. Il sig. Caredda da Seui telegrafa che sarebbe molto gradita una visita dei Geologi in quel Comune. Tale visita non essendo possibile, attesa la ristrettezza del tempo, si delibera di ringraziarlo a nome della Società. Il Segretario presenta le seguenti Memorie che sono perve- nute alla Presidenza per essere pubblicate nel Bollettino: Fucini A. Ammoniti della Spezia, con una tavola. Zaccagna D., La Carta geologica delle Alpi Apuane ed i terreni che le costituiscono. De Franchie F., Ricerche sull’età geologica dei Terreni del Bacino di Salatina (prov. di lerra d’ Otranto), con una carta geo- logica e spaccati. Levi G., Sui fossili degli strati a Terebratula (Pygope) Aspasia di Campiglia, con una tavola. Il socio Sabatini fa una comunicazione sopra i Vulcani laziali e loro lave. Il socio Stella fa la seguente comunicazione : Sulla Idro- grafia sotterranea della pianura del Po. “ Allo studio geologico della pianura del Po, cui attende da tempo 1 Ufficio Geologico, si coordina lo studio della sua idrografia sotterranea. I bisogni della pratica e non pochi studi geologici locali hanno già fornito elementi alla conoscenza di essa; e coor- dinando questi con molti nuovi dati sistematicamente estesi a tutta la regione, si riesce a farsi un’ idea abbastanza adeguata della idrografia sotterranea di questo grande bacino, certo più complessa ma non meno armonica della sua idrografia superficiale. « Io mi permetto di richiamare l’attenzione soltanto su qualche 476 RESOCONTO dell’adunanza straordinaria risultato generale, che cambia radicalmente il concetto solito, troppo sempliticativo e cosi spesso ripetuto, secondo cui si considerano le cosi dette « falde acquifere " sotterranee come falde di contatto fra le diverse formazioni di trasporto, cioè fra alluvialc e diluviale, 0 fra glaciale e preglaciale, od anche fra quaternario e pliocene. « Migliaia di perforazioni sparse per il gran bacino dell’Alta Italia esteso di circa 500 km, lungo 1’ asse maggiore, e di circa 100 lungo r asse medio minore, ne hanno esplorato la enorme massa di terreni di trasporto, scendendo in essa da pochi metri tino a più centinaia di metri di profondità ; e ce la dimostrano tutta quanta inzuppata di acqua. Se per un momento supponessimo questo ma- teriale di riempimento essere omogeneo e uniformemente permeabile, la grande massa d’acqua, che lo imbeve, verrebbe a terminarsi in alto secondo una superficie irregolare più o meno discordante dalla superficie topografica, e che rappresenterebbe lo stato di equilibrio mobile fra alimentazione ed erogazione per ogni parte del bacino. L’alimentazione è data dall'acqua meteorica infiltrantesi, aumen- tata delle infiltrazioni estranee (acqua di fiume, irrigazioni ecc.); la erogazione è data dai disperdimenti naturali profondi e super- ficiali, aumentati da quelli artificiali (fontanili, pozzi, ecc.) sicché per la irregolarità colla quale è distribuita 1 alimentazione e 1 ero- gazione, anche se tutto il bacino fosse riempito di un materiale permeabile uniforme, quella massa d acqua si troverebbe presso a poco nelle condizioni di un gran lago a superficie ondulata e a cor- renti intestine e superficiali. » Ma il materiale di riempimento non è uniforme, esso è real- mente variabile da punto a punto, il che complica la condizione di equilibrio di quella gran massa d’ acqua, ma nello stesso tempo determina nei suoi movimenti intestini un coordinamento, e nella massa in moto quasi uno smembramento, che permette di parlare in qualche modo di idrografia sotterranea analoga alla idrografia superficiale, certo più complessa di questa, ma anche più unitaria. « Giacché lo studio geognostico del bacino sia in superficie che in profondità, dimostra, che tale variazione nei suoi materiali av- viene in tre sensi principali, e cioè: longitudinalmente al corso dei fiumi da monte a valle ; trasversalmente al corso stesso, dalle due parti dell’ asta del fiume ; e verticalmente dalla superficie in profondità. TENUTA DALLA SOC. GEOL. ITAL. IN SARDEGNA NELL’APRILE 1896 477 « Alla variazione trasversale corrisponde prevalentemente lo in- dividuarsi di zone longitudinali collaterali più e meno acquifere nel senso dei fiumi stessi ; alla variazione longitudinale devesi 1 afiBorare delle masse acquee lungo certe zone trasversali, cioè il noto fenomeno dei fontanili naturali, che con più o meno di in- tensità è fenomeno generale alla pianura subalpina e subapennina ; finalmente alle variazioni verticali devesi il fatto della separazione locale di diversi livelli acquiferi sovrapposti, con livelli piezome- trici specifici diversi, fino a dare le acque salienti, fenomeno esso pure molto più generale di quanto si creda nella nostra pianura dell'Alta Italia. “ Non è qui il luogo di sviluppare questi diversi punti accen- nati; mi basti avere richiamato su ciò l’attenzione dei collegbi geologi, di cui parecchi hanno già portato il loro valido contributo all’ argomento » . Il socio Clerici fa la seguente comunicazione sul Rinveninento di Diatomee nei dintorni di Montalto. « Benché io abbia appena iniziata l’esplorazione del settore oc- cidentale del sistema vulcanico Vulsinio, partendo dal littorale, sono in grado di annunziare altri rinvenimenti di roccie diatomeifere in relazione colle formazioni vulcaniche nei dintorni di Chiarone e di Montalto di Castro. « Dalla stazione ferroviaria di Montalto al paese, il terreno più profondo è una sabbia gialliccia, leggermente argillosa, contenente buoni esemplari di Scrobicularia plana da Costa, alla quale fa seguito una sabbia marmosa di colore gialliccio chiaro a grossi esemplali di Cardium Lamarcki^QQ^Q (C. edule Axxct., C. rusticum Defr.), la quale sostiene de’ tufi terrosi e granulosi, nel loro insieme bene stoatificati ed alternati con straterelli più chiari, talvolta quasi bianchi, marnoso-tripolacei, con abbondanti tracciedi vegetali. “ Gli strati a Cardium Lamarcki, con aspetto decisamente mar- moso-trìpolaceo e con maggior potenza, sono comodamente accessi- bili per qualche chilometro Jungo le trincee ferroviarie da Chiarone verso Montalto. Oltre a Cardium Lamarcki, che vi è particolar- mente abbondante, contengono Tapes caudata D’Anc., Myrtea lactea Lin., Mytilus crispus Canti’., ed una straordinaria quantità di ostra- codi e di foraminifere. 478 RESOCONTO dell’adunanza straordinaria li In queste marne tripolacee sono pure contenuti minerali vul- canici ben conservati in piccoli cristalli, abbondanti diatomee e qualche spicula di spugna di quel tipo detto tyloslyl da Schulze e Lendenfeld {Ueber die Bezeichmng der Spotigiemiadeln). « Le preparazioni fatte con tali marne presentano un aspetto ben diverso da quelle ottenute con i materiali da me annunziati in altre occasioni, e soltanto notasi una certa somiglianza colla parte più bassa degli strati che sono presso la via Aurelia da Bottaccia a Maccarese, i quali contengono materiali vulcanici, Cardium e dia- tomee d’ acque salmastre. « Il particolare interesse degli strati tripolacei da Chiarone a Montalto sta nella mancanza, almeno negli strati più bassi, delle specie di diatomee tipiche delle acque dolci e per contrario 1 ab- bondanza di quelle di acque salate come, per citarne alcune : Navicuìa lyra Ehr. » didyma Ehr. n forcipata Grev. » humerosa Bréb. Pleurosigma strigilis W. Sm. n balticum. W. Sin. Achnanthes brevipes Ag. Cocconeis scutellum Ehr. Epitkemia musculus Kiitz. Synedra fulgens W. Sm. n undulata Greg. Grammatophora marina Grun. Rliabdonema adriaticum Kiitz. Nitzschia punctata Grun. Nitzschia circumsuta Grun. Campylodiscus clypeus Ehr. n echineis Ehr. (= C- cribrosus W. Sm.). Melosira Borrerì Grev. n silicata Kutz (= Orthosi- ra marina W. Sm.) Cyclotella operculata Kiitz. var. ine- soleia Grun. Triceratium punctatum Br. Amphitetras antediluvianum Ehr. Actinocyclus crassus W. Sra. {Eupo- discus) Coscinodiscus radiatus Ehr. « Gli strati superiori accennano ad una variazione dell ambiente nel quale si deposero, notandovisi la scomparsa di parecchie delle specie caratteristiche degli strati inferiori e 1 apparizione di qualche esemplare delle specie di lidhitdt indiffeiente. « La avvenuta variazione è più accentuata a Montalto ove i soprastanti tufi non contengono più i suddetti molluschi salmastri ed ove gli strati biancastri intercalati con essi tufi non contengono alcuna delle suddette specie di diatomee delle acque salse, ma quasi esclusivamente Synedra come S. ulna Ehr., S. ampìhirhynchus Ehr., S. subaequalis Grun., con qualche Gymbella, Pinnularia, eec. TENUTA DALLA SOC. GEOL. ITAL. IN SARDEGNA NELL’APRILE 1896 479 “ Quando avrò terminato la ricerca di altri giacimenti (Q, prov- vederò alla enumerazione dettagliata delle specie, per ora voglio insistere sul perfetto accordo, del resto prevedibile, fra le conclu- sioni che si traggano dai molluschi e quelle che si traggono dalle diatomee circa le condizioni dellambiente in cui si deposero : in- sisto pure nuovamente sull’ importanza che acquistano sempre più i giacimenti diatomeiferi nella geologia della provincia Eomana, e, riferendomi al sistema vulcanico Yulsinio, torno ad insistere sulla differenza che esiste fra questi giacimenti dell’ estremo lembo del settore occidentale e quelli che ho trovato nei settori orientale e settentrionale » . Dopo di che a ore 15 la seduta è sciolta. Ad ore 15, 30' i soci, sotto la guida del prof. D. Lovisato, si recano a Bonaria e a Capo s. Elia a visitare i terreni Mioce- nici nei quali si raccolsero parecchi fossili. Presso S. Bartolomeo si raccolsero pure molluschi quaternari. Infine si salì sul Monte S. Elia, alto circa 140 m., per godere della splendida veduta di Cagliari collo stagno a ponente e con quello di Molentargius e 1 altro di Quarto colle saline a levante, e più lontano i paesi di Pini, Quartuccio, Quarto e Selargius. Escursione a Nurri, — 9 e IO aprile 1896 Presero parte i soci ; Ambrosioni, Bianchi, Carmignani, Carruccio, Cerulli-Irelli, Clerici, Corsi, D’Ancona, De An- GELis d’ Ossat, De Stefani, Di Stefano, Fucini, Gioli, Meli, Moretti, Kistori, Eiva, Sabatini, Stella, Tagiuri, Taramelli, Ugolini e Jervis giunto a Nurri. Intervennero anche il prof. Fraas di Stuttgard e l’ ing. Bertolio invitati, nonché il prof. Lovisato. La partenza da Cagliari ebbe luogo alle 6.40' in una vettura di prima e seconda classe messa a disposizione dall’ Amministra- zione delle ferrovie secondarie Sarde. Dopo avere traversato per lunghissimo tratto i terreni mioce- (0 Alle località finora annunziate devo aggiungerne altre trovate nel- r Orvietano ed anche nei dintorni di Roma (Due Ponti, Malpasso, Castel di Decima, Castel Porziano, Trafusa, Trigona, ecc.). 33 ^gQ resoconto dell’adunanza straordinaria nrci ed in qualche punto il terreno paleozoico, alle 11.42' si giu^ase a Nurri. Fummo ricevuti alla stazione dal facente funzione di Sin- daco sig. Schinardi, dalle autorità a cui si era unito 1’ ex-Sindaco avv. Luigi Dessi, e dagli alunni delle Scuole. Nel pomeriggio, sotto la guida del prof. Lovisato, si visitò la regione basaltica del Monte Pitziolo sovrastrante al paese. Presso la sommità del Monte Pitziolo furono trovate abbon- danti tracce di una stazione preistorica scoperta anni sono -lai prof. Lovisato e si raccolsero anche delle belle ed intere cuspidi di ossidiana. , i • Nel discendere verso il Flumendosa incontrammo le Dolomie dei Tacchi o Totieri ritenute da alcuni triassiche, da altri giuresi. Giunti agli strati inferiori, quando si cominciavano a raccogliere Nerincae, Aviculae ed abbondanti quantità di altri fossili fummo sorpresi da dirotta pioggia e dovemmo precipitosamente ritornare al paese. Nel ritorno, negli strati più alti delle Dolomie trovammo quelle vermicolazionida alcuni illustratori della Sardegna chiama e Rhizocorallium jenense. Al di sopra si incontrarono alcuni strati miocenici, poi nuovamente basalti. Appena giunti il cav. Dessi ci assegnò stanza presso le prin- cipali famiglie del paese, le quali cortesemente ci ospitarono. Per irentile disposizione della Società delle ferrovie secondane erano pure stati portati a Nurri e messi nella Stazione alcuni letti a disposizione dei soci. La mattina del 10 ad ore 6, si fece una rapida escursione verso la ferrovia e al di là del cimitero di Nurri. Sotto i basalti per alto tratto si osservarono marne e conglomerati del miocene medio, e si raccolsero echini, molluschi, denti di pesci ed altri fossili. Indi succedono le dolomie gim-assicbe o triassiche già ossei-vate il criorno avanti, molto ricche di fossili, ed inferiormente arenane con impronte vegetali ritenute da alcuni permiane da altri triassiche. Alle ore 12.50' si partì da Nimi colla ferrovia e si giunse a Cagliari ad ore 18 circa. ^ Alle 20 ebbe luogo nel teatro civico un banchetto ofterto dalia Provincia e dal Comune, al quale intervennero, oltre ai congres- sisti, le autorità civili e militari. TENUTA DALLA SOC. GEOL. ITAL. IN SARDEGNA NELL’APRILE 1896 481 11 socio Corsi dà il seguente Cenno sui minerali del Basalte di Nurri ; « Nella gita al paese di Nurri e dintorni, fatta allo scopo di visitare i terreni vulcanici e i calcari triassici fossiliferi ecc., rovi- stando tra 1 pezzi del basalte, proveniente dal soprastante vulcano estinto detto Pitziolo, rinvenni nei vacui della roccia un minerale che a prima vista si rivelò per cabotile. È un minerale non accen- nato per questo giacimento, il quale presenta altresì altri minerali cioè analcime, albite, calcite ed ialite più o meno resa albescente per alterazione. « La cabasite si presenta nettamente cristallizzata, in cristalli trasparenti, lucentissimi, con facce del romboedro apparente forte- mente striate parallelamente ai lati, con individui che si compe- netrano a vicenda, oppur si mettono in posizione di geminazione, con piano di geminazione ordinario. I cristalli sono in media da 2 a 3 mm. di dimensione maggiore. Fu provata la dm-ezza che risultò da 4 a 4,5. Al cannello si ha fusione con formazione di uno smalto bolloso. L angolo del romboedro misurato risultò di 85° circa. « Non \ ha dubbio trattarsi di cabasite che prende specialmente origine in giacimenti di tale natura. “ Il basalte ha una tinta scuro-verdastra che assomiglia ad una diorite ; e adoperato in paese per costruzione e proviene dal vulcano estinto soprastante al paese di Nurri detto Pitziolo, che cambia specialmente sulla cima natura e struttura assumendo un colore rosso e diventando spugnoso, come avviene di frequente in giaci- menti consimili ». Escursione ad Iglesias. — Il aprile 1896. Ad ore 6 i soci partirono da Cagliari per ferrovia ed alle 8.5' giunsero ad Iglesias. Trovarono alla stazione il Sindaco cav. Perpi- gnano parecchi Consiglieri Comunali, l’ ing. Anseimo capo del Di- stretto minerario e direttore della scuola mineraria con tutti i professori e gli allievi della Scuola dei capi minatori e capi offi- cine, il cav. Asproni presidente della Associazione mineraria sarda, tutte le autorità del paese, una quantità di ingegneri di miniere e la rappresentanza della Società operaia. Ai Soci furono assegnati gli alloggi e varie società minerarie ^g2 resoconto deli/adunanza straordinaria vollero cortesemente ospitarne alcuni; dopo di che alle ore 9 ci recammo a visitare la scuola mineraria; e le belle collezioni che essa possiede. Il socio G. Di Stefano fornisce le seguenti notizie sulla scuola mineraria d’ Iglesias : . t i ^ li La Scuola dei capi-minatori e capi-officina d Iglesias fu fon- data con decreto reale del 10 settembre 1871, sulla proposta fatta dalla Commissione d’ inchiesta nel 1869 (relatore Quintino Sella). Essa ha lo scopo di fornire il personale tecnico subalterno delle miniere, il quale prima era interamente preso dalle Scuole mine- rarie inglesi e francesi. Ora tutti i capitains inglesi e i capi-mi- natori francesi della Scuola di Alais sono stati sostituiti col per- sonale italiano proveniente dalla nostra Scuola d Iglesias, dal van- taggio che questo si contenta di uno stipendio molto minore e in estate non abbandona le miniere per timore della malana, come faceva invece quello straniero. . Alla spesa necessaria per la Scuola concorrono annualmente il Governo per L. 6000, la Provincia di Cagliari per L. 3500, il Municipio d' Iglesias per L. 3500 e la Camera di Commercio di Cagliari per L. 2000. La Scuola ha un direttore, che è 1 ingegnere capo del distretto minerario, e un personale insegnante scelto fra gl’ ingegneri delle miniere dello stesso distretto e i professori della Scuola tecnica. Dipiù ha un Consiglio di perfezionamento, composto da quattro delegati, uno del Governo, uno della Provincia, uno del Comune d’ Iglesias, e uno dalla Camera di Commercio di Cagliari. Presentemente compongono tale Consiglio : 1 mg. Giorgio Asproni per la Provincia, presidente ; l’ ing. Michele Anseimo pel Governo ; il sig. Pietro Fontana pel Comune, e il sig. Nicodemo Pellas per la Camera di Commercio. Il Consiglio di perfezionamento approva i programmi dei corsi, gli orari, il regolamento discip i- nare, nomina le Commissioni esaminatrici, stabilisce la misura deUe tasse d’ iscrizione, degli assegni per le collezioni e i laboratori, ecc. « La Scuola ha una Biblioteca, un laboratorio di fisica, un altro di chimica, strumenti di topografia, modelli e disegni di mac- chine, di armature di pozzi e gallerie, di metodi di coltivazione, ecc. ; possiede importanti collezioni di fossili e di minerali della Sarde- gna e di altre regioni. TENUTA DALLA SOC. GEOL. ITAL. IN SARDEGNA NELL’APRILE 1896 483 “ L’ edificio della Scuola è fornito dal Municipio d’ Iglesias. “ La Scuola lia dato ottimi risultati ,■ i giovani ricevono il titolo di capi-minatori e periti-minerari. Essi trovano d’ impiegarsi nelle miniere, negli ufBci del Genio civile e in quelli del Catasto. Presentemente la Scuola è frequentata da circa 15 allievi. “ L insegnamento ha tre anni di corso. S’ insegnano, secondo gli anni, matematiche elementari, elementi di fisica, di chimica generale, analitica e docimastica, topografia, meccanica elementare applicata ai lavori delle miniere e alla metallurgia, costruzione industriale, lingua italiana e francese, disegno e coltivazione delle miniere. « Direttore è attualmente l’ ing. Michele Anseimo, capo del distretto minerario ; esso v insegna anche coltivazione delle miniere, mineralogia e costruzioni. L’ ing. delle miniere G. Merlo insegna meccanica applicata, preparazione meccanica e topografia. L’ ing. delle miniere L. Testa insegna chimica generale, analitica e doci- mastica, metallurgia. Il prof. F. A. Menniti disegno e geometria descrittiva. L’ ing. E. Perpignano (non delle miniere) algebra, geo- metria, fisica, meccanica elementare. Il dott. Alberto Vanni lingua italiana e geografia. Il prof. L. Delma ti lingua francese. « Nel 1“ anno di corso gli allievi per quattro volte, per la la durata di circa 10 giorni ogni volta, sono mandati nelle miniere a lavorare da minatori e imboscatori ; nel 2° anno continuano negli esercizi pratici di minatore ; nel 3° eseguono rilievi topografici delle miniere. « La Scuola possiede un bello album di disegni eseguiti dagli allievi, il quale, mandato all’ Esposizione universale di Parigi nel 1872, ricevette un diploma di medaglia d’ oro. “ I giovani, per essere ammessi alla Scuola, devono dare gli esami di ammissione colle norme che reggono quelli per gl’ Istituti tecnici ; devono inoltre essere di costituzione robusta. « Le materie d’ insegnamento secondo gli anni di corso, sono così disposte : «7° Amo. — Matematiche elementari — Elementi di fisica e di chimica — Disegno geometrico — Lingua italiana — Geo- grafia. “ 2° Anno. — Mineralogia — Geografia — Docimastica — Coltivazione delle miniere — Topografia superficiale e sotterranea — ^g4 resoconto dell'adunanza straordinaria Meccanica e Cinematica - Disegno - Lingua italiana - Lingua « 5° Anno. — Meccanica applicata ai lavori delle miniere e alla metallurgia - Metallurgia — Costnizione industriale - Lingua italiana e Lingua francese — Geografia-’. Il socio D’Achiardi ha redatto i seguenti cenni sul Museo mineralogico d Iglesias . « Presso la Scuola mineraria d’ Iglesias si trova uu ricco museo mineralogico, importante specialmente per la raccolta ricchissima dei minerali della Sardegna. « Nel lungo cortile, appena entrati, sono una collezione da studio comprendente le specie più importanti di svariate località d’ Eu- ropa e altronde, e tre raccolte parziali di minerali di zolfo della Sicilia, e piombo-argentiferi di Freiherg e Pribram. » In apposita sala si hanno i minerali della Sardegna raggrup- pati per miniere, e queste alla lor volta per circondari; e in uno scaffale a parte i campioni inviati in questi ultimi tempi al distretto minerario per ottenere le concessioni di nuove miniere. « La raccolta ricchissima comprende esemplari e collezioni pai- ziali. che costituirebbero la ricchezza di qualunque museo. Così la collezione di anglesiti, cerusse e fosgeniti di Montepoui, donata dall’ ing E. Ferraris direttore di questa miniera ; bellissimi spe- cialmente e molto rari i cristalli di fosgenite, che per la loro gros- sezza e splendida cristallizzazione costituiscono una vera rarità. . E altra collezione importantissima è quella dei mmerali del Sarrabus, la regione che ha dato, specialmente nei tempi addietro, tanti e belli e rari minerali d’argento, collezione donata alla scuola dall’ ing. G. B. Traverso, l’ indefesso raccoglitore e intelligente sco- pritore e ordinatore di minerali sardi. Cosi gli esemplari di argento nativo di S’Arcilloni donati dall’ ing. Carlo Floris, e pure di S Ar- cilloni splendidissimo un campione con argento nativo e un grosso cristallo cubico di argirose, quale in Sardegna credo non fu trovato r eguale. E di questa stessa località , come specie rare, la brei hauptite e l’ ullmannite. , « Bellissimi i cristallini di chermesite di Genna Flumini e la millerite di Fenugu Sibiri, miniera ora chiusa e che per l’ addietro ha dato bellissimi minerali di nichelio, cobalto, molibdeno ecc. qua i TENUTA DALLA SOC. GEOL. ITAL. IN S.\RDEGNA NELL’APRILE 1896 485 la nichelina, la cobaltina, la molibdenite, ecc., rappresentati tutti nella collezione della Scuola mineraria da molteplici esemplari. Di Bacus su Leonaxu un bel campione di antimonio nativo, di Su Suergiu la valentinite. « Del filone di Montevecchio si hanno splendide cristallizzazioni di anglesiti con colorazione verde simile agli smeraldi, una spe- cialità di questo filone, il quale ha fornito pm'e bellissimi campioni di cerussa aciculare : sono tanti e tanti esili cristallini, general- mente bianchi, riuniti in fasci, in ciuffi in mille guise intrecciati fra loro. E spesso più e più di questi fasci si vedono impiantati sovra lo stesso pezzo di roccia, dandole aspetto vaghissimo. Dna vera rarità i cristalli di leadhillite di Malacalzetta, e pure bel- lissimi quelli di San Giovanni. “ Le calamine (smithsonite e calamina) sono rappresentate da diecine e diecine di esemplari, dei quali alcuni importantissimi per le cristallizzazioni che presentano, altri per la loro mole e varia- bilità di colore. Così della miniera di Sa Duchessa si hanno grossi blocchi di calamine a colorazioni gialle, verdi, cilestri, opale- scenti ecc., il più delle volte varicolori con tinte a tuoni sfumanti e zonalmente disposte. E di calamine si hanno ancora bellissime pseudomorfosi da scalenoediù di calcite : il carbonato di calce più solubile è stato sostituito da quello di zinco (smithsonite), che ha conservata la forma cristallina del primo. E come esempio di pseudo- morfosi 0 meglio di perigenesi la miniera di Cruciueu ha fornito un campione bellissimo composto di vari scalenoedri assai grossi di calcite, i quali sono stati ricoperti da una crosta silicea di cristal- lini minutissimi di quarzo; per azioni successive il carbonato di calce è stato portato via dalle acque e dei cristalli scalenoedrici è restato solamente il modello esterno quarzoso. « Ricca la collezione di minerali di manganese, dei diaspri, delle ocre di Capo Becco e Capo Rosso. Così pure quella di fiuorine cri- stallizzate di vario colore, che provengono specialmente da Santa Lucia e Perda S Oliu, e pure di Santa Lucia bella la baritina color giallo-miele. “ Cristalli di Pirite di Sa Zepperà assai grossi, non certo da rivaleggiare con quelli dell’ Elba e più ancora di Traversella, ma certo i migliori che sieno stati fino ad ora trovati in Sardegna. “ Le tormaline sono rappresentate da grossi cristalli neri del 486 RESOCONTO dell’adunanza STRAORDINARIA granito di Caprera, rotti ad una estremità e all'altra terminati con faccette poco nitide. ^ i • i « La ricchezza del museo mineralogico d’ Iglesias lascia solo nell’animo del visitatore il desiderio, che ampliandosi ognora piu. ne vada insieme crescendo l’utilità pratica. Al che gioverebbe molto se insieme ai minerali di ciascun giacimento si avessero anche ordi- natamente disposti i campioni di tutte le rocce che li accompagnano nei vari piani di lavorazione, in modo da potersi fare un idea esatU di tutte le condizioni sotterranee di ciascuna miniera anche per ciò che riguarda il legame fra le varie parti di una formazione me- tallifera. . ^ La collezione riesce interessantissima, e va data ampia lode agli ingegneri del R. Corpo delle Miniere, che fino ad ora se ne sono occupati impiegandovi quel poco di tempo che le molteplici occupazioni lasciano loro libero. Adunanza nella sala della Scuola mineraria. Alle ore 11 ci si riunì in adunanza solenne in una sala della Scuola Mineraria. La sala era addobbata con molto buon gusto e in armonia col carattere della solennità: su una parete al di sopra del banco della presidenza, era stato disposto un trofeo di bandiere nazio- nali e utensili da minatori, nel cui mezzo campeggiavano i motti Mente et Malico della nostra Società e Glv.ck Auf dei minatori. Intervennero i soci Ambrosioni, Bianchi, Cappa, Capacci, Carmignani, Cattaneo, Cerulli-Irelli, Clerici, Conedera, D’Achiardi G., D’ Ancona, De Angelis d’ Ossat, De Stefani, Di Stefano, Ferraris, Fucini, Gioli, Jervis, Meli, Mezzena, Moretti, Ristori, Riva, Rosselli, Sabatini, Spireh, Stella, Tagiuri, Taramelli, Traverso G. B., Ugolini, e gli invitati dott. E. Fraas, dott. A. Dautzenberg, docente alla Scuola supe- riore tecnica di Aachen e l’ ing. B. Ovsianikoff addetto al Mini- stero deir istruzione pubblica di Pietroburgo. Erano pure presenti i Soci della Associazione mineraria sarda col presidente cav. ing. Asproni; gl’ingegneri del R. Corpo delle Miniere ed i rap- presentanti delle varie miniere; il Sindaco cav. Perpignano, altie TENUTA DALLA SOC. GEOL. ITAL. IN SARDEGNA NELL’APRILE 1896 487 autorità civili e militari, i soci della Società dei Licenziati dalla Scuola Mineraria e professori ed allievi della scuola stessa. Il Presidente De Stefani cede la Presidenza all’ ing. Asproni Presidente dell’Associazione mineraria e si apre la seduta. Il cav. Asproni porge ai Congressisti un cordiale saluto, compia- cendosi della loro gita. Ricordate le vicende patrie fomite ai progressi scientifici ed industriali, accennò alla importanza della storia geo- logica dell’ Isola e alla necessità di promuovere sempre più le in- dustrie minerarie e di impedire che vadano disperse tante ricchezze che il suolo sardo racchiude. Assicurò i Congressisti della memore riconoscenza dei sardi per l’ opera loro, dicendosi certo che essi, tornando ai loro paesi, non seguiranno l’ esempio di quelli che dopo aver percorso con celerità 1 Isola, considerandola come terra stra- niera, non acquistando la conoscenza delle sue condizioni, dei suoi bisogni, non ebbero pei sardi parole ed opere amiche. Il Sindaco cav. Perpignano porse ai congressisti il saluto della cittadinanza iglesiente, augurando loro felice risultato nelle loro escursioni e ricerche. Il prof. De Stefani soggiunge che qui noi ci troviamo in famiglia, perciò questa è la sede più adatta alle nostre riunioni. Rammenta quindi con eificaci parole il Giordano ed il Sella; que- st’ultimo fondatore della Scuola Geologica e della Scuola Mineraria, di cui ricordò con soddisfazione gli ottimi frutti. Concluse salutando con affetto 1 Associazione Mineraria ed il Comune d’ Iglesias. A nome della classe operaia e della gioventù studiosa parlò il cav. Fontana. Quindi il socio Ferraris espose il programma d’escursione aUa miniera di Monteponi, dando schiarimenti circa le condizioni geo- logiche della miniera stessa. De Stefani propone di fare telegrammi di omaggio al Mi- nistero d’Agricoltm-a, Industria e Commercio, al senatore Capellini più volte presidente della nostra Società e al socio comm. Pellati ing. capo del Corpo delle miniere. Il comm. Cattaneo alla sua volta propone di fare un telegramma alla vedova del Sella fondatore della Società Geologica e delle Scuole Minerarie. Le proposte sono approvate ad unanimità. La seduta è sciolta ad ore 12, 30'. r I 488 RESOCONTO dei.l’adunanza straordinaria Alle ore 14 si compì la visita alle miniere di Monteponi sotto la guida del comm. Cattaneo e dell’ ing. Ferraris direttori delle medesime, visita veramente ricca di interesse, nella quale i con- gressisti oltre che raccogliere preziosi esemplari di fosgenite, angle- site, cerussite, ecc., poterono ammirare la grandiosità degli impianti, la intelligente applicazione di tutti i più recenti ritrovati della scienza e dell’ industria. La visita si protrasse per parecchie ore dopo di che, nel pa- lazzo dell’ Amministrazione ai visitatori fu otferta una bicchierata. Escursione a Gonnesa, a Bacu-Abis ed a Porto Vesme. — 12 aprile 1896. Alle ore 5,30 i Soci partirono da Iglesias, ed alle 6 guidati dai colleghi comm. Ferraris e Cattaneo mossero dalla stazione fer- roviaria di Monteponi, tutta imbandierata, con treno speciale messo cortesemente a loro disposizione dall’ amministrazione delle miniere. A Gonnesa si fermarono ad esaminare gli schisti siluriani ricchi di Briozoi, Brachiopodi e Crinoidi che trovansi lungo la trincea della ferrovia, quindi proseguirono pedestremente per Bacu-Abis. Negli scassi dietro Gonnesa si raccolsero una quantità di Brachiopodi ed altri fossili siluriani, e più oltre si osservò poi la panchina di Moli- menta nella quale in addietro furono trovati i resti di un elefante i Quindi deviando per Bacu-Abis si giunse ai terreni calcarei sal- mastri sovrastanti alla formazione lignitifera ed appartenenti come questa all’ eocene medio. Quivi pure si raccolsero una quantità di i bei fossili dei generi Cyrena, Melania, Potamides^ ecc. Alla miniera ci attendeva il proprietario cav. ing. Anseimo j Roux e il vice-direttore ing. Sotgia. Il cav. Roux fu guida cortese ; con tutti facendo visitare la miniera in tutte le sue parti e facendo | assistere allo scoppio di una quantità di mine. Furono osservate le altezze degli strati lignitiferi nei diversi j piani della miniera, i loro molteplici ripiegamenti e le diverse fa- | glie. Facendo un paragone fra lo stato attuale della regione e | quello in cui trovavasi prima che il prelodato ingegnere iniziasse i le sue ricerche non si può che augurare all’ Italia molti uomini | consimili per ingegno ed attività. j TENUTA DALLA SOC. GEOl,. ITAL. IN S.\RDEGNA NELL’APRILE 1896 489 Dopo aver visitata minutamente la miniera, i soci si raccol- sero nei locali della nuova laveria in via di costruzione ove era stata imbandita una lauta colazione per cura delle Direzioni delle miniere di Monteponi e di Bacu-Abis. I Congressisti poi si recarono a Culmine dove ripreso il con- voglio partirono per Porto-Vesme. Al separarsi dall’ ing. Eoux, fu fatta a questo una calda ovazione. Lungo la via per Porto-Vesme furono traversati prima terreni eocenici, quindi per brevissimo tratto un’arenaria rossa con vermi- colazioni in strati poco incliuati separata dall’eocene mediante una faglia. Circa l’età di essa vi fu molta disparità di giudizi, perchè alcuni la ritennero quaternaria, altri eocenica, altri ancora col prof. Lovisato convennero che fosse la solita arenaria Triassica o Permiana. Dopo si traversarono i banchi di Andesite ed i Soci si fermarono in più punti a far raccolte di detta roccia con inclusioni di pomice, di Retinite ed altro. II Socio Sabatini riferisce quanto segue sulle roccie vulca- niche osservate durante 1’ escursione : “ Il si?’ Presidente della nostra Società avendomi incaricato di dire qualche parola sulle roccie vulcaniche osservate dalla Società stessa durante la sua escursione in Sardegna , io debbo anzitutto dichiarare che dovrò limitarmi a qualche vaga indicazione. La Sardegna era sconosciuta a me come a quasi tutti i miei colleghi, e la nostra escursione troppo rapida, più che di vedere, ci permise appena d intravedere la grande bellezza delle sue formazioni. L’amico dott. Riva ha redatta una bella nota sulle roccie granitiche e me- tamorfiche di Nuoro e della valle del Tirso, ma dopo aver fatto delle escursioni per conto proprio. A ChUirani profittando dei dieci minuti di fermata, che do- vevano veramente servire all’operazione più importante della cole- zione, portammo via da un muro di cinta della stazione alcuni pezzi di un basalte labradorico grigio^ un po’ chiaro per alte- razione. Esso conteneva piccole e numerose olivine, pochi felspati di qualche decimo di "’/m (rarissimi quelli fino ad un cm.) e ab- bondanti microliti con forti estinzioni oblique. Anche di pirossene vi erano microliti e cristalli del primo tempo di piccole dimensioni. 490 RESOCONTO DELL’aDLNANZA STRAORDINARIA A Borori dmante un’ altra fermata di quattro minuti del treno assaltammo il solito muro, portandone via dei pezzi di un altro ba- salte labradorico scuro, con numerose olivine visibili ad occhio nudo. Questo minerale difatti si mostra abbondante al microscopio, ed è circondato da grossi ed ugualmente abbondanti microliti di la- brador. Vi è pure molto pirossene alterato in un prodotto bruno. Tra Monteponi e Portovesme appariscono le rioliti, con belle sezioni. Una di esse, che qui riporto, dovuta al collega ing. Ber- tolio, mostra al disopra un forte banco di riolite, il quale pog^a i sopra un banco che pare di tufo e che forse è la stessa riolite j alterata. Alla base si vede uno strato di prodotti arrossati. : <4 Nella riolite superiore la struttura fluidale è apertamente j dimostrata dal parallelismo di piccole cavità molto allungate e di j — 3. Retinite nera (30 cm.)- - poco al disopra della ferrovia. 1. Eiolite rossastra. — 2. Eiolite compatta rossa passante inferiormente a retinite (20 cm.). ,. — 4. Riolite alterata o tufo bianco (80 era.). — 5. Tufo arrossato in allo. 1 TENUTA DALLA SOC. GEOL. tTAL. IN SARDEGNA NELL’APRILE 1896 491 listarelle o nucleoli alhmgatissimi di una sostanza bianchiccia e spugnosa. Tutto il resto della massa, negl’ interyalli tra le cavità, i nucleoli e le listarelle suddette, mostra una pasta compatta, rosso- violacea, su cui biillano dei piccolissimi felspati. Nella roccia in grande poi si vede che i nucleoli precedenti prendono molte volte un grande sviluppo, apparendo come grosse pomici incluse ed allungate, sempre secondo la direzione della flui- dalità, che è quasi orizzontale. Esse raggiungono alcuni decimetri col maggior diametro. Questi nuclei spiccano, colla loro tinta chiara, sul fondo rossastro dell’ insieme della roccia. n Malgrado l’ idea espressa da qualcuno dei miei colleghi, io credo che trattisi di pseudo-inclusioni, e più esplicitamente del solito fenomeno che presentano molte lave, emesse allo stato d’ un insieme di parti con diverso grado di fluidità e quindi con diverso grado di penetrabilità rispetto ai gas che erano imprigionati nella lava stessa. Così a Basiluzzo, nelle isole Eolie, le rioliti con alternanze di straterelli, di qualche ®/m, di vetro scuro e di so- stanza pomicea bianchiccia, costituiscono tutte le apparenze d’ una vera stratiflcazione, da ingannarcisi a pochi metri di distanza. Al- trove come in moltissimi punti delle leucititi laziali, lo stesso fenomeno produce, dentro la massa della lava grigio-scura e com- patta, dei nuclei, di tutte le dimensioni, di una sostanza porosa verdastra o giallastra, e in cui anzi la composizione mineralogica è modificata dagli stessi gas che hanno agito su queste parti. “ Nella riolite tra Monteponi e Portovesme si ha un passaggio tra le due manifestazioni precedenti. Le parti bollose, cioè, svi- luppatesi nella massa sono allungate, e disposte su linee parallele, con tendenza alla produzione d’una pseudo-stratiflcazione, che del resto è raggiunta nella roccia in piccolo con le listarelle che spesso ne attraversano tutta la massa. « Il microscopio mostra una roccia molto alterata. Strisele ros- sastre isotrope vi ripetono il fenomeno della fluidalità, già osser- vato ad occhio nudo, in grande. Queste strisele contornano de’ cristalli di felspato, di cui il maggior numero sono tri clinici. Nella zona di simmetria le poche misure di estinzione che ho fatto mi han dato fino e 2 X 12. « Nei punti ove le strisele non esistono o sono più trasparenti si vede come una granulazione di minerali bianchi. Se una parte r 492 RESOCONTO uell’adlnanza straordinaria può attribuirsi a felspati disfatti, è probabile che il resto sia do- vuto a quarzo. Si aggiunga qualche macchia giallo-nerastra, pro- veniente da alterazione di qualche minerale ferruginoso non rico- noscibile, almeno nei campioni raccolti da me, e qualche rarissimo sferolite negativo con debole birifrangenza, nelle parti più chiare del magma. « Come si vede c'è alquanta differenza con le rioliti di S. Pietro, così hene studiate dall’ ing. Bertolio. Egli di fatti indica colà il felspato triclinico come eccezionale, mentre qui invece predomina. « La roccia intercalata tra questa riolite e il tufo arrossato di sotto, è molto alterata e pare un tufo anch’essa. Però la colorazione uniforme dell’ insieme, simile a quella della lava superiore, e i pezzi meno alterati, che sono somigliantissimi a quella, fanno pen- sare che trattisi della stessa riolite molto alterata, anziché di un vero tufo. Come spiegare del resto il tufo cotto inferiore, se, invece di lava, poggiasse su di esso un altro tufo che 1 avesse separato dal contatto della lava superiore? Qualcuno osservò che il tufo inferiore non era arrossato per cottura, ma per lenta ossidazione. La cosa può essere e perciò sarebbe stato interessante un migliore esame. t Air amico sig. Bertolio, che già ha cominciato ad occuparsi con grande amore delle lave sarde, io giro 1 importante quistione. i « Finalmente al vulcano di Nurri potemmo eseguire un’ escur- sione a piedi e quindi con piena libertà. Ma una dirotta pioggia anche qui ci obbligò a passare rapidamente. « Il monte di Nurri mostra in alto gli avanzi d’ un cratere poco ^ riconoscibile. Molte colate si vedono sui suoi fianchi e qualcuna si ■ spinge abbastanza lontano, come quella su cui è edificato la citta- ^ dina dello stesso nome. Da un lato ci si mostrò un’antica buca, | ricolmata da tempo, ad evitare che le pecore vi cadessero dentro. A qualcuno questa buca sembrò un cratere laterale. Io non trovai , nulla che convalidasse tale ipotesi. Studiai un pezzetto di lava, , strappato da me, proprio da un afiioramento vicino a quella buca. ! « Trattasi di un basalto nerastro, tendente un po’ al verdo- | gnolo, molto compatto e senza cristalli visibili. i « È questo un tipo poco frequente perchè nel primo tempo ( contiene solo olivina. Questo minerale è attaccabile dall’ acido do- | TENUTA DALLA SOC. GEOL. ITAL. IN SARDEGNA NELl’apRILE 1896 4 93 ridrico a dolce temperatura in una ventina di minuti ; ha il piano degli assi ottici di traverso; è intatta, meno presso le fenditure, ove è trasformata in prodotti verdi ; si presenta in cristalli un po’ largamente disseminati e che raggiungono al più 6-7 decimi di mm. « Nel secondo tempo si trovano pirossene, felspato e magnetite. Il primo in cristallini allungati e piccolissimi. Il secondo è spesso in microliti a forti estinzioni massime. La terza è in sezioni qua- drate, ottogonali, ecc. e sparisce in gran parte dopo mezz’ora d'at- tacco con r acido cloridrico a dolce temperatura « . Adananza a Porto Vesme. A Porto- Vesme la Società di Monteponi aveva preparato un lauto rinfresco, dopo del quale ad ore 16, sotto la Presidenza del prof. De Stefani fu tenuta una breve seduta. Il socio Capacci propone che la Società si faccia promotrice di una pubblicazione speciale non esclusivamente geologica sull’ i- sola di Sardegna. Cattaneo, Corsi ed altri sostengono questa proposta dicendo che sarebbe facile trovare concorso pecuniario. Taramelli, Clerici, Sabatini e Stella, ritengono che la Società non possa occuparsi che di cose attinenti alla geologia ed il fare altrimenti sarebbe incontrare soverchia responsabilità. Taramelli e Stella propongono di dare uno sviluppo mag- giore alla consueta relazione. De Stefani, Clerici, Sabatini, propongono di pubblicare la relazione dell’escursione in Sardegna in un fascicolo separato ma facente parte del Bollettino aggiungendo l’illustrazione di fossili, di terreni e di miniere dell’isola. Stella si preoccupa della spesa che s’ incontrerà nel fare una tale pubblicazione. Messa ai voti, la proposta di pubblicare un volume speciale con illustrazioni anche non geologiche accoglie solo sei voti favo- revoli. È approvata invece la proposta di pubblicare il fascicolo con illustrazioni geologiche, paleontologiche e minerarie. Si stabilisce poi di provvedere alla maggiore spesa previe 494 RESOCONTO dell’adunanza straordinaria contribuzioni straordinarie dei soci raccolte mediante sottoscri- zione ('). Dopo di che la seduta è sciolta ed i convenuti si recano a visitare il Porto. Al tramonto si era di ritorno ad Iglesias. Alle 20 ebbe luogo al Municipio uno splendido ricevimento in onore dei Congressisti. 1 membri della Giunta riceverono gli invitati. . . Il Sindaco cav. Perpignano, disse parole di ringraziamento e di augurio, a cui rispose il Presidente De Stefani, che lesse pure i telegrammi di risposta del Ministro Guicciardini, del comm. Pel- lati e del senatore Capellini. Parlarono pure il prof. Magri ed il cav. Fontana di Iglesias. Il cordiale ricevimento si protrasse animatissimo tino a tarda ora. Escursione a Montevecchio. — lo aprile 1896 La mattina del 13 ad ore 6,25 i Congressisti partirono dalla ^ stazione di Iglesias diretti a Montevecchio transitando per la sta- ; zione di Decimomannu. Giunti a S. Gavino presero posto su un | treno * speciale messo a loro disposizione dalla Società delle mi- | niere di Montevecchio. Ragiziunta la stazione di Guspini cominciò la salita fra le roccie basaltiche fino a Sciria ove i Congressisti furono gentilmente | accolti dal sig. comm. Castoldi direttore generale della miniera, da altri ingegneri e dal sig. Sanna dii-ettore della vicina miniera di | Ingurtosu. ... . , j Giunti alle miniere i congressisti si divisero in due squadre, una in compagnia deH’ing. Piga e di altri ingegneri scese in mi- niera per il Pozzo maestro e di là nelle .gallerie di Levante ad ammirare le ricche e vaste coltivazioni ; l’ altra insieme al comm. (!) La somma raccolta è di L. 414 così ripartita: Cattaneo IO®, De Ste- fani 100, Largagli 50, Carmignani 20, Corsi 20, Eosselli 20, ’ ZZ: Ambr.sl.ni 5. Bi«-.l.i 5, B.tti 5, Cansvari 5, Chelnssl 5, D’Ach.ard. Ant.5, D’Achiardi Giov. 5, D’Ancona 5, Fucini 5, Gioii 5 Gkco o, Gua fiero G. B. 5, Missaghi 5, Moretti 5, Niccoli 5, Ristori 5, Salmojragbi 5, i a- brini 3. TENUTA DALLA SOC. GEOL. ITAL. IN SARDEGNA NELL’.APRILE 1896 495 Castoldi e al prof. Lovisato proseguì per Genna Serapis a visitare gli uffici e le ricche collezioni di minerali. Di là riuniti nuovamente, dopo il ritorno dell’ altra squadra passarono negli appartamenti privati del comm. Castoldi ove tro- varono imbandita una ricca tavola. Al levare delle mense il comm. Castoldi salutò i Congressisti ringraziandoli dell’ onore fatto alla Società ed augurandosi che della loro visita restassero traccio utili e durature. Rammentò l’opera di Lamarmora, di Sella e di Giordano e di altri che con fecondo lavoro illustrarono l’ isola e finì col clas- sico motto : « Gluck Auf » . Prese quindi la parola il prof. De Stefani ringraziando. Stante la brevità del tempo i Soci dovettero affrettarsi per recarsi alla stazione ferroviaria a fine diraggiungere a S. Gavino il treno per Cagliari. Seduta di chiusura in Cagliari. La seduta è aperta alle 18,30 in una sala dell’ Università. Sono presenti i soci Ambrosioni, Bianchi, Carmignani, Car- ruggio, Cerulli-Irelli, Corsi, D’Achiardi, De Angelis D’ Os- SAT, D’Ancona, Gioli, Ristori, Tagiuri. Toso e il segretario Clerici. Il presidente De Stefani comunica che vari soci si sono im- pegnati di redigere alcuni articoli geologici e paleontologici sulla Sardegna. Il socio comm. Cattaneo annunzia il dono di un libro im- portante e voluminoso : Gli statuti minerari di Villa di Chiesa, pubblicati dal Baudi di Vesme. Si propongono e si votano speciali ringraziamenti. Il socio De Angelis ringrazia il Presidente, il Segretario Clerici e il Vice-segretario Ristori per avere stabilita e regolata l’escursione in Sardegna. Il socio Meli propone che la Società ringrazi in special modo il prof. D. Lovisato e l’ ing. Anseimo per le cure che si dettero onde tutto procedesse regolarmente e per gli schiarimenti dati a tutti i Soci durante 1’ escursioni. 34 496 RESOCONTO dell’adunanza straord. tenuta d. soc. geol. ecc. Propone inoltre che la Presidenza rendendosi interprete dei sentimenti di tutti i Soci inviasse lettere di ringraziamento al Rettore dell’ Università per avere messo con tanta cortesia a di- sposizione della Società i locali universitari e per le gentili ac- cocTlienze di ogni maniera; al sindaco di Cagliari, al presidente della Deputazione provinciale, ai presidenti dei vari circoli, a a stampa cittadina; al sindaco, alla presidenza deU’ Associazione mi- neraria, alla Società dei Licenziati della scuola mineraria, ed ai vari circoli d’ Iglesias ; al sindaco e al sig. Dessy di Nuiti; ai di- rettori delle varie miniere visitate e singolarmente ai coilegni Cattaneo e Ferraris di Monteponi, al cav. Roux direttore ) Eistori G., Crostacei del Miocene medio Italiano. Atti della Soc. Se. nat., voi. IX. (2) Ristori G., Crostacei del Miocene medio Italiano. Id. CROSTACEI NEOGENICI DI SARDEGNA ECC. 513 migliare alla C. antiqua Otto. Tutte queste analogie perdono del loro valore di fronte ad alcuni caratteri distintivi, che evidenti ap- paiono nella mia nuova specie e che risultano dalla seguente som- maria descrizione: Propodite stretta, alquanto convessa e liscia, carpopodite no- tevolmente ridotta nella lunghezza con superfìcie assai convessa da potersi paragonare a quella di un Pagurus. Il bordo inferiore di questa carpopodite è adorno di una sottile costola con seghettature appena visibili. Il dito fìsso è corto e piuttosto robusto, il mobile ha pure press’ a poco gli identici caratteri ; ma ambedue sono sprov- visti del dente centrale. Località. — Calcare compatto di Sant’ Avendrace (Cagliari). Oallianassa Desmarestiana M. Edw. Un altro esemplare di carpopodite raccolto dal prof. De Ste- fani a Macomadas, circondario di Bosa (Sardegna), in marne cal- caree, con Neptunus granulatus M. Edw. d’ età e di natura iden- tica a quelle dei dintorni di Cagliari. [24 febbraio 1897] LE ANDESITI AUGITICO-OLIVINICHE DI TORRALBA (Sardegna) Nota del dott. Giovanm I)’ Achiakoi. Mi occupo in questa breve nota di alcune rocce d apparenza basaltica, provenienti dai dintorni della stazione ferroviaria di Tori-alba in Sardegna, e che io debbo alla gentilezza del cbians- simo professore De Stefani, il quale mi incaricò del loro studio dopo il nostro ritorno dall’isola. Vari scrittori han fatto menzione o si sono occupati in modo particolare di rocce basaltiche sarde, e fra gli altri mi piace ci- tare il Lamarmora (^), vom Rath (-), Doelter (3), Lacroix (^), ecc., ma nessuno fra questi di quelle di Torralba. Il De Stefani nella sua memoria sui terreni cenozoici della Sardegna (^) dice che i basalti di Torralba appartengono alla for- mazione basaltica del centro e del settentrione dell’ isola, che tanto a Oschiri come a Torralba mostra inclusioni di granito biotitico (granulite) grosse anche più di un decimetro, le quali in certi tratti prevalgono anche sulla massa basaltica. In questi ultimi tempi l’ ingegnere S. Bertolio (6) occupandosi dei terreni vulcanici della Sardegna, descrisse, fra gli altri, alcum (n Vovaqe en Sardaigne. Torino, 1857. ^ (2) Ueber seine Reisen auf der Insel Sardinien. (Sitz. med. Ges. fur Nat. u. Heil. in Bonn, 1883, 128). . tt- j (3) Die Producte des Vulcans Monte Ferru. (Denk. d. K. Ak. d. Wiss Wien, 1878). (4) Les enclaves des roches volcamques. Macon, ibOrf. (5) Cenni preliminari sui terreni cenozoici della Sardegna. (Acc. Line. Rend. Voi. VII. Fase. 10; 17 maggio 1891, pag. 466). (3) Contribuzione allo studio dei terreni vulcanici della Sardegna. (Boll. E. Com. Geol. dTt. Voi. VE, 3^ ser., 2« trim. 1896, pag. 196). G. d’achiardi, le andesiti augitico-oliviniche di torralba 515 basalti andesitici di Torralba, i quali, dice presentarsi bollosi, di color nero o rossastro e mostrar solo con la lente rare faccette di olivina, generalmente informi e alterate, e rari cristalli grandi di feldispato. Di seconda generazione osservò microliti feldispatici, ordina- riamente piccoli, plaghette rare di augite, olivina decomposta, spe- cialmente nei piccoli cristalli, che sono trasformati in sostanza gialla. Il magma dice essere nei campioni a grandi microliti, quasi opaco, in altri vetroso e ricchissimo di plaghette di feldispati, clo- rito, augite e magnetite. Esame macroscopico. — La roccia mostra una tessitura uni- forme nella massa fondamentale, con rari cristalli porfiricamente disseminati e inclusioni di massarelle cristalline, che sembrano resti di rocce preesistenti. Il colore è grigio, di vario tono, ed è dovuto alla massa fon- damentale che per la quasi totalità la costituisce. Negli esemplari con aspetto di maggior freschezza la tinta è più chiara, grigio- cenere ; negli altri grigia più o meno fosca, con tendenza al grigio- verdastro 0 al grigio-rossastro. Il peso specilìco ho riscontrato essere nei primi di circa 2, 7-2,8; nei secondi 3 o poco superiore, in relazione questa differenza in più con la maggior quantità di olivina, alterata o no in ossido ferrico, che i secondi contengono. Quindi si avrebbero pesi spe- cifici compresi fra quelli delle andesiti non quarzifere (2,6-2,8) e dei basalti normali (2,8-3,l). Tutti i campioni della roccia da me esaminati presentano ca- vità di forma diversa, per il solito più o meno rotondeggianti, con prevalente allungamento in una direzione, o di forma irregolare, veri pori o pertugi per 1 uscita dei gas, come si sogliono riscon- trare nelle lave. Raro è che queste cavità sieno ripiene di minerali secondari ben distinti; il più spesso invece presentano le pareti ricoperte da una velatura cristallina, la quale però manca o è ridotta al minimo negli esemplari di maggior freschezza e colore grigio, mentre è più o meno appariscente negli altri, con varia colorazione grigio-verdastra o grigio-rossastra, secondo anche che il colore grigio 516 G. d’aCHIARDI della massa fondamentale, in ambedue i casi più fosco del prece- dente, volga un po’ al verdastro o al rossastro. 1 minerali porfiricamente disseminati sogliono essere di pic- cole dimensioni, tanto che occorre spesso la lente per distinguerli. Sono di varia specie; vi si riconoscono un feldispato di aspetto vetroso, un minerale giallastro e altri verdognoli, spesso ricoperti questo e quello da un intonaco rosso-bruno, sebbene gli ultimi ne manchino più facilmente. Oltre a ciò qua e là si osservano dei nidi cristallini formati di un feldispato ordinariamente vetroso, con cristalletti verde-neri piccolissimi di un minerale che parrebbe orneblenda od augite e che se non fosse la mancanza di laminosità potrebbe prendersi anche per nera biotite. In qualche caso questi nidi appaiono invece formati di un minerale verde-giallastro, di notevole durezza, riconosciuto all’ ana- lisi chimica per olivina, insieme ad un altro verde d’apparenza pirossenica. Verosimilmente questi nidi o noduli anziché a segre- gazione del magma pare debbano attribuirsi a resti di rocce preesi- stenti alla colata basaltica. Esame microscopico. — Al microscopio la roccia si rivela costituita da una massa fondamentale, in gran prevalenza, nella quale appaiono disseminati cristalli o frammenti o resti di cristalli, di anteriore generazione, rari, ordinariamente piccoli e con evidenti deformazioni fisico-chimiche. Massa fondamentale. — La massa fondamentale al micro- scopio si risolve in un serrato feltro di microliti di varia sorta e più particolarmente di plagioclasio, pirosseno, olivina e magnetite, avvolti da scarsa base vetrosa, la quale in taluni esemplari sembra quasi mancare, mentre in altri è manifestissima, specialmente nelle sezioni più sottili e verso il margine loro, ove la sottigliezza è anche maggiore. Questi minerali sembrano essersi segregati nel periodo effusivo del magma nell’ordine seguente: magnetite, oli- vina, pii-osseno, feldispato, e di esser rimasti involti dalla scarsa base vetrosa ultimo effetto del completo irrigidimento^ del magma. Plagioclasio. — Sono particolarmente i microliti feldispatici che danno aUa massa fondamentale la struttura di feltro o pilo- tassitica, che insieme ad altri caratteri ravvicina queste rocce alle Tav.XII tl della Soc. Gè ol. Italiana VolYJJ (1886) LE ANDESITI AUGITICO-OLI VINICHE DI TORRALBA 517 andesiti. Sono microliti listiformi a contorno spesso non ben defi- nito, taluni anche leggermente incurvati, che quantunque in mille guise intrecciati fra loro, pure nei singoli individui e negli aggrup- pamenti loro sembrano anche mostrare una tendenza a disposizione fluidale. In generale sono piccolissimi, oscillandone ordinariamente le dimensioni fra gli estremi seguenti: lunghezza mm. 0,08 a 0,26 larghezza , 0,03 a 0,06 ; scarsi quelli di maggiori o minori dimensioni. Raramente semplici, sono per lo più geminati secondo la legge dell’ albite e non pochi anche con evidenti segni di struttura polisintetica per ripetuta gemina- zione. Tutti presentano notevole allungamento secondo (001): (010). Hanno aspetto viti’eo, si estinguono ad angolo vario, ordinariamente piccolo, non superiore a 5°. A nicol incrociati presentano bassi co- lori d’ interferenza. Io credo non si tratti di labradorite, ma di un feldispato più vicino all oligoclasio o all’ andesina, nel qual caso si avrebbe altro e più importante carattere per comprendere queste rocce fra le andesiti, dalle quali le allontana solo la copia dell’ olivina. Tale diagnosi del feldispato concorda con quella dell’ ingegnere Bertolio (mem. cit.), che disse queste rocce basalti andesitici. A differenza dei cristalli porfirici questi microliti non presen- tano segni nè di chimiche nè di meccaniche deformazioni. Fra i vari microliti listiformi incolori e trasparenti se ne ve- dono alcuni più corti e più larghi, rettangolari, che si estinguono a 0° con i lati della sezione. Non mostrano segni di geminazione, hanno bassi colori d’interferenza, talvolta solo poco più elevati dei precedenti, grigio-giallognoli, e farebbero sospettare la presenza della nefelina. La mancanza però di sezioni esagonali e la estin- zione talvolta non perfettamente a 0° in altri consimili ne lasciano incerta la determinazione e verosimilmente spettano essi pure allo stesso feldispato. Pirosseno. — Si presenta in innumerevoli grani e piccolis- simi cristallini bacillari molto più piccoli di quelli feldispatici, misurandosi a pochi centesimi e talvolta anche a millesimi di millimetro. Neppur con forte ingrandimento si giunge a rilevarne l’abito cristallino, benché in alcuni maggiori, quali ho potuto ve- 518 G. d’aCH[ARDI dere sporgenti in una delle cavità della roccia, hanno l'aspetto di prisma allungato terminato da piani con inclinazione non molto forte, probabilmente dalle facce )1H|- Questi cristallini maggiori hanno pur sempre dimensioni piccolissime che si aggirano fra i li- miti seguenti: lunghezza 0,030 0,350 larghezza " 0,003 0,009 e presentano nel loro interno microliti di gran lunga più piccoli e inclusioni vetrose con pori a gas. Abitualmente semplici, solo in qualche rarissimo caso si presentano geminati in croce per pene- trazione, e verosimilmente per il piano |101(, come quelli de- scritti da Vrba e Zepharovich per i basalti boemici (')• I grani sono pure piccolissimi, e tanto essi che i cristallini bacillari hanno un colore verdolino pallidissimo, o appaiono del tatto scoloriti come in alcune sezioni sottilissime. Hanno notevole rilievo, estinzione obliqua con l’ allungamento dei prismi e corrispondente all' asse delle vibrazioni di minore velocità, determinato con la la- mina di gesso a rosso di primo ordine, forti colori di interferenza, onde non esito a riferirli al pirosseno che con siffatti caratteri è detto far parte della massa fondamentale dei basalti e delle an- desiti. Questi microliti bacillari e granuli pirossenici non abbon- dano egualmente, nè sono visibili in tutte le sezioni. Essi si os- servano tanto più facilmente quanto la roccia ha aspetto di mag- gior freschezza. Olivina. — Anch’ essa al pari del pirosseno fa parte della massa fondamentale in granuli e cristalli di dimensioni però al- quanto maggiori dei microliti di pirosseno. Le sezioni dei cristalli appaiono ordinariamente in foggia di rombi o di rettangoli ed ec- cezionalmente di esagoni, con apparenze quindi di minerale tri- metrico, del quale hanno anche le proprietà ottiche. Misurate alcune sezioni trovai : sezioni rombiche : macrodiagonale. . • • 0^1 — microdiagonale . . . • ” 0,08 0,15 (i) N. Jahrb. fiìr Min. etc. Stuttgart, 1875, pag. 59. LE ANDESITI AUGITICO-OLIVINICHE DI TORRALBA 519 sezioni rettangolari: lato maggiore . . . . mm. 0,12 — 0,16 ” minore , 0,08 — 0,10. Oltre a queste forme rombiche, rettangolari ed esagonali si osservano, benché non di frequente, forme incomplete, scheletriche, aborti di cristallizzazione, quali furono già descritte per vari basalti. Gli angoli acuti delle sezioni rombiche e terminali, che vi corrispondono nelle esagonali, non hanno sempre lo stesso valore, sia per la diversa obliquità del taglio di fronte a certe zone di facce, sia forse anche perchè i lati di quelle sezioni sono la proie- zione di facce diverse. I valori trovati spesso molto vicini a 77° e 80° fan credere alla presenza delle facce di |101| e |201| date da Eosenbusch (>) (|011| e |210( di Michel Lévj(-)) e nelle sezioni che danno va- lori minori di questi l’estinzione obliqua fa subito riconoscere l’obliquità del taglio. Cristalli e granuli senza dubbio appartenenti alla stessa so- stanza si presentano però da esemplare ad esemplare di roccia con notevole differenza nella copia loro e nelle proprietà diverse, spe- cialmente nel colore. Negli esemplari di roccia con aspetto più fresco e color gri- gio-cenere appaiono quasi scoloriti, o per lo meno quasi sempre con nucleo scolorito e perifericamente soltanto macchiati in giallo- verdastro, più raramente in giallo-rossastro. Non mancano però nemmeno in queste sezioni grani o cristalli con nucleo rosso. Le porzioni scolorite presentano rilievo, sagrinatura, colori d’interfe- renza propri dell’olivina. Nelle sezioni invece delle rocce con aspetto più fosco, grigio- cenere tendente al verdastro o al rossastro, il colore rendendosi sempre più intenso in ragione di quello apparente ad occhio della massa fondamentale, diventando questi cristalli microlitici e gra- nuli totalmente o in parte giallo-verdastri, giallo-rossastri o com- pletamente rossi, con 1 intensità della tinta diminuiscono rilievi e colori d’ interferenza fino a sparire affatto quest’ ultimi nelle sezioni (!) Mikroscopische PhysiograpUe, ecc. Bd. I. Stuttgart, 1892. (^) A. Michel Lévy et Alf. Lacroix, Les minéraux des roches. Paris, 1888. 520 G. d’aCHIARDI completamente rosse. È perciò che tali sezioni richiamano alla | mente quelle simili di ematite, cui a prima vista si è inclinati a riferire sì fatta sostanza. i La direzione di estinzione rimane immutata. Dal graduato passaggio dall’ una all’ altra apparenza anche nello stesso cristallo, ; dalla corrispondenza delle forme e di alcuni caratteri si ha incon- trastabile conferma che si tratti sempre della medesima sostanza, cioè d’ olivina in diversi stadi di alterazione, fino forse a completa pseudomorfosi in ematite, se pure non sia sempre la stessa sostanza olivinica semplicemente arrossata per parziale alterazione. L’ alterazione avviene principalmente dall’ esterno all interno, come lo provano i numerosi granuli a nucleo olivinico inalterato, fatto già riscontrato dal ^lercalli per alcune andesiti oliviniche di Radicofani (*); ma in molti casi sembra essere pur proceduta dal- l’interno, come fanno credere tutti quei granuli e cristalli che mostrano un nucleo fortemente colorato in rosso con contorno piu chiaro, a meno che non si voglia ciò attribuire, sebbene non sembri probabile, a diversa originaria costituzione zonale con diversa pro- porzione in ferro. In alcuni casi si ha fra il nucleo rosso e la zona periferica giallo-verde una zona intermedia limpida, scolorita. Questi stessi nuclei sono ricordati da Trippke per i basalti di Proskau in Slesia (^), e lo furono anche da Boss per quelli della Siria (^). Zirkel poi (^) dice che questo cambiamento in un composto di ferro bruno-rossastro è molto frequente e spesse volte i piccoli grani sono del tutto divenuti rossi, mentre nei grossi individui porfirici la colorazione è solo limitata al contorno. Inoltre non è raro il caso di cristalli d’ olivina che presentano fratture in varie direzioni, le quali hanno acquistato un colore giallo-verdastro o rossastro per alterazione. Al colore giallo o rosso in qualche raro caso si unisce un principio di fibrosità parallelamente ai piani di separazione, carat- (1) Le lave di Radicofani. (Atti d. Soc. It. di Se. Nat. Voi. XXX, fase. 4”, pag. 368. Milano, 1888). (2) Beitràge zur Kenntniss schlesischen Basalte und ihrer Mineralien. (Zeit. d. geol. Gesellsch., 1878, pag. 145). . „ . , (3) Die basaltischen Laven und Tuffe der Provmz Hauran und vom Dtret-el-Tulùl in Syrien. (Tscliermak’s Mitth. Bd. MI. Mien, 1886, pag. (4) Lehrbuch der Petrographie. Leipzig, 1893-94. LE ANDESITI AUGITICOOLI VIMCHE DI TORRALBA 521 tere pur questo dell’ olivina, come lo è pur l’altro di essere la macrodiagonale delle sezioni rombo date da ]101| e da i021{(i), asse delle vibrazioni di minima velocità ottica, onde nelle sezioni rettangolari che sono normali a queste corre neU’allungamento loro l’asse delle vibrazioni di maggiore velocità, sia essa di media o di massima, secondo il taglio. Questi granuli e cristalli divinici sono disseminati nella massa fondamentale, ma non è raro trovarli accumulati attorno o presso ai grossi cristalli porfirici che sembrano aver contribuito disfacen- dosi al loro formarsi. Leucite? In una sola sezione ho riscontrato un minerale a contorno ottagonale incompleto (tav. XIV, fig. 6) per ricoprimento, ad angoli presso a poco fra loro eguali, mancante di colore, con debolissima potenza birefrattiva e completamente estinto fra i ni- col incrociati. Ha nel suo interno molte inclusioni, specialmente ve- trose, e a nessun’ altra specie so ravvicinarlo meglio che alla leu- cite. A luce convergente non mostra figura d’interferenza, ma dà segno di ineguale ritorno di luce, quasi come per anomalia ottica, quale appunto si ha nella leucite. Il grano, sebbene di assai grande dimensione, pur lo ritengo per la nitidezza del suo contorno come prodotto di segregazione del magma. Magnetite. A parte i rari cristalletti che si trovano in- clusi in altri porfirici e di natura differente, io ritengo che la ma- gnetite, la quale quasi in foggia di limatura di ferro si trova dis- seminata in tutta la massa fondamentale, spetti a questa come i minerali precedentemente ricordati. Nè ad occhio nudo, nè con la lente si scorge; a luce trasmessa si vedono al microscopio punti, macchiette e striscie scure che sembrano opache. A luce rifiessa il vivo splendore metallico grigio- azzurro la fa subito distinguere da tutto il resto. Con forte ingrandimento appare in foggia di forme abortite, irregolari, spesso con apparenza dendritica, nè sempre è facile nè sicuro il distinguerla dalla magnetite di prima genera- ' zione, più rara, nettamente cristallizzata in ottaedri, ma al pari di questa senza deformazioni nè chimiche, nè fisiche, poiché contro queste difesa per trovarsi inclusa in altri minerali. Base vetrosa. Tutti i microliti della massa fondamentale. (’) Rosenbusch, op. cit. 522 G- d’achiardi e segnatamente i listiformi feldispatici, sono involti in una base vetrosa, scarsissima in alcuni esemplari, assai evidente in altri, non mai però molto abbondante. In generale scarseggia ove più fitti e serrati sono i microliti feldispatici, che o stanno a contatto fra loro, o sono separati soltanto da un sottile velo vetroso. Inver- samente ove sono più scarsi. È assai difficile il constatarne la completa estinzione per il sovrapporsi dei microliti nella grossezza della sezione, onde piuttosto che nitide estinzioni si hanno ondeg- gianti e non facilmente determinabili. Sul margine delle sezioni, ove la sottigliezza è maggiore, già dissi come sia facile accertarsi di questa base vetrosa facUmente riconoscibile anche per i numerosi poricini a gas, longuliti, bolle sferoidali, e altri attributi del vetro vulcanico. In generale quasi sco- lorita sembra talora dotata di un colore brunastro che tende a sparite nelle sezioni sottili. Sono però rimasto incerto se quel colore sia in ogni caso proprio del vetro e non invece dovuto al produi &i di mate°ria leucoienica a spese della magnetite che dovrebbe in tal caso essere titanifera. Però debbo osservare che non ho mai osser- vato la magnetite di queste rocce con prodotto leucoxenico. Questa base vetrosa con i suoi longuliti, pori, bolle, ecc., ol- treché nei minerali porfirici, nei quali è penetrata per rotture ecc., si trova inclusa anche nei microliti della massa fondamentale, se- gnatamente nei feldispatici. Cavità. — Frequenti sono le cavità nella massa fondamen- tale (tav. XIII, fig. 2, 3, 4, 6 ; tav. XIII, fig. 1, 4, 6), apparenti nelle figure 0 in nero o in bianco, secondo che le sezioni relative furono fotografate a luce polarizzata o no. Esse sono in generale pori a gas, ma in qualche caso anche (tav. XIII, fig. 4, 6 ; tav. XIV, fig. 4) dovute alla scomparsa di un minerale porfirico incluso e andato via nel far la sezione. Cristalli di prima generazione. — Si trovano nella massa fondamentale, come minerali di prima generazione, se non anche in parte, e credo la maggiore, residui del disfacimento di altre rocce, plagioclasio, augite, olivina, anfibolo, apatite, magnetite. I cristalli porfiricamente disseminati sono in generale scarsi e assai \ piccoli, però grandi in confronto ai microliti sopra descritti. Plagioclasio. — L’originario contorno dei cristalli ad abito j tabulare è quasi sempre più o meno alterato per corrosione o assorbì- i LE AMDESITI AUGITICO-OLIVINICHE DI TORRALBA 523 rQGnto magmatico. Non di rado è anche cancellato affatto essendo ridotti in massarelle con aspetto di vetro smerigliato (tav. XIII, fig. 1), e nelle quali è pure scomparsa ogni traccia della struttura poli- sintetica. Si notano differenze notevoli da cristallo a cristallo nello stesso esemplare e si hanno tutti i passaggi, da sezioni corrose so- lamente ai margini (tav. XIII, fig. 3-5; tav. XIV, fig. 6), ad altre ridotte completamente nello stato sopra indicato; differenze che possono essere relative tanto al diverso stadio della corrosione, in ragione forse della grossezza dei cristalli, quanto alla profondità del tagUo nei cristalli stessi. Quest’apparenza è quella che si ha quando si attacchi un cristallo con un solvente, in cui si immerga o con cui si bagni, sia questo anche una sostanza fusa, l’ attacco facendosi più attivo nei piani di minore coesione cristallogenica. Nè è dovuta nel caso nostro ad alterazione, ma ad un riassorbimento del magma, come prova anche lo stato di freschezza delle porzioni interne, dove si osservano le lamelle di geminazione (tav. XIII, fig. 2-5). Lo stesso vale per gli altri minerali porfirici che presentano lo stesso aspetto. E a notarsi in queste massarelle con apparenza di vetro smeri- gliato un cercine più chiaro e più limpido (tav. XIII, fig. I ; tav. XIV, fig. 6). Non credo che vada attribuito a struttura zonata di varia materia feldispatica, ma ritengo piuttosto sia riferibile a sostanza feldispatica di più recente origine e depostasi come pellicola di accrescimento sui resti degli originari cristalli feldispatici di cui ha assunto anche l’ orientamento ottico. Nelle sezioni ove appare la struttura polisintetica è facile constatare la geminazione dell albite e in qualche rarissimo caso una struttura zonale per unione di più varietà di feldi spati. Questo fatto, che è abituale nelle andesiti, si presenta come eccezione in queste rocce di Torralba. Però anche quando manca la struttura zonale può osservarsi che alcune lamelle (nel caso della fig- 3, tav. XIII, le più larghe) presentano colori d’ interferenza un po più alti (grigio-giallognoli) ed angoli di estinzione mag- giori delle altre, onde può dedursene 1’ associazione di più specie di feldispato. In alcuni bei cristalli limpidi, a struttura polisintetica con legge dell albite, e nei quali si ha estinzione simmetrica ai due 524 G- d’achiardi lati delle linee di geminazione, ho trovato un angolo di estinzione di circa 29“; in altri angoli ancora grandi, onde probabilmente non si può escludere la presenza di un feldispato più basico della comune labradorite, anche se questo rimanga il feldispato preva- lente, così come altre sezioni per 1’ estinzione loro sembrano ac- cennare a feldispato più acido (tav. XIII, fig. 4). In alcuni cristalli si ha insieme una doppia geminazione se- condo le leggi dell' albite e del periclino (tav. XIII, tìg. 2). Colore nullo ; aspetto vitreo, fresco. Bassi colori d’ interferenza. Inclusioni rare, qualche microlito prismatico di apatite, o quadra- tico di magnetite, o granulare di olivina; più frequenti le parti- celle vetrose e altre sostanze della massa fondamentale, 1 olivina microlitica compresa, penetratevi con essa. Rispetto ai rapporti genetici con altri minerali porfirici no- terò il fatto di alcuni cristalli di plagioclasio inviluppanti altri di pirosseno (tav. XIII. fig. 5), onde si avrebbe argomento, almeno in questo caso, in favore della non molto grande basicità del pla- gioclasio. Pirosseno. — Le sezioni del pirosseno porfirico presentano anche esse (tav. XIII, fig. 5 e 6) la stessa corrosione del feldispato e se ne hanno anche talune, verosimilmente periferiche, che tali si mostrano in tutta la loro estensione. Non per tanto gli effetti del riassorbimento magmatico sembrano essere stati minori per il pirosseno che per il plagioclasio, avendosi non di rado sezioni lim- pide, senza aspetto di corrosione, e talune anche che conservano il loro contorno specifico di cristalli idiomorfi (tav. XIII, fig. 4). In genei'ale le sezioni pirossenicbe presentano più traccio di rotture che di corrosione, però queste non mancano, talvolta anzi sono abbastanza profonde e ban generato carie e cavità compene- trate dal magma che vi si è anche consolidato con tutti i mine- rali della massa fondamentale (tav. XIII, fig. 6). Nelle sezioni o porzioni di sezioni intatte, limpide, si osser- vano le solcature proprie della specie parallele (tav. XIII, fig. 5) o incrociantisi secondo il piano del taglio, e coi relativi caratteri, quelle più comuni spettanti a )110| e le altre più rare, ma assai facili a riscontrarsi nei cristalli gemelli, parallele ai pinacoidi, spe- cialmente a |100|, che è piano di geminazione. Talune sezioni, le quali conservano ancora il loro contorno. LE ANDESITI AUGITICOOLIVIMCHE DI TORRALBA 525 fan comprendere facilmente l’abito degli originari cristalli. Nei ^^^oo^ori non è raro constatare la proiezione delle facce appar- tenenti a Ilio}, |100|, jOlO}, e più raramente anche alla base (tav. XIII, fig. 6), e l' angolo misurato di circa 106° segna l’ incontro di essa con l’ ortopinacoide. Michel Lévy dà per quest’angolo il valore di 106",!', altri di 106“,2' ; in ogni modo sempre vicinis- simo a quello trovato da me. Nelle sezioni ottagonali, che danno la proiezione di facce |110}, )100[ e |010}, se siavi un principio di corrosione non è sempre facile constatare con sicm-ezza, per l’incerta misura degli angoli, quali sieno le posizioni dell’ orto, quali del clinopinacoide. Non per tanto in talune la misura è abbastanza approssimativa da poter giudicare se dell uno o dell altro, e la determinazione dell’ asse delle vibrazioni di maggiore velocità ottica, che in queste sezioni corrisponde al piano di simmetria ci serve poi d’ aiuto negli altri casi nei quali le misure goniometriche ci lasciano nell’ incertezza. Per alcuni cristalli minori, che restano interamente compresi nella grossezza della sezione della roccia, si travedono anche le facce nella loro naturale inclinazione, e da tutto l’ insieme si può dedurre esser presenti in questi cristalli porfirici le forme )110|, )100^ |010|, che sono le abituali dell’augite basaltica e andesitica. Un gran numero di questi cristalli sono costantemente gemi- nati, taluni anche poligemini, generalmente per giusta posizione (tav. XIV, fig. 1), eccezionalmente per compenetrazione (tav. XIV fig. 3). L’ abituale piano di geminazione sembra essere l’ ortopinacoide, ma in taluni poligemini i due gruppi, così geminati, sembrano unirsi per il clinopinacoide jOlO} o per altro piano non facilmente determinabile. In uno di questi poligemini due individui contemporaneamente estinguentisi sono separati da una lamella emitropa con segno di rifrazione opposto, poiché corre presso a poco nel suo allungamento l’asse delle vibrazioni di minore velocità, mentre nelle due parti, fra cui è interpolata, corre quello di maggiore (tav. XIV, fig. 2)'. Tale interpolazione è assai frequente, e fu anche effigiata da Cohen nel suo atlante microfotografico (‘). (1) Sammlung von Mikrophotographien ecc. Stuttgart, 1881 • tav XXIX fig. 3. 526 1 G. d’aCHIARDI Una sola volta ho riscontrato un gruppo di geminazione per compenetrazione (tav. XIV, fig. 3), che riproduce precisamente il caso effigiato dal Rosenbusch per la limburgite di Sasbach (Kaisershul) e da lui definito come compenetrazione a gomitolo {knàulartiger Durchwachsungen) (^). È piano di geminazione una faccia di Colore giallo-verdognolo, pallido nelle sezioni sottili, quindi meno intenso che nelle comuni augiti basaltiche, e più somigliante a quello delle augiti andesitiche. Notevole rilievo e grosse solcature lamellari, specialmente nelle sezioni con effetti di riassorbimento, più raramente sottili fenditure. Colori d’ interferenza alti, con pre- valenza di giallo e di rosso, talvolta anche di verde. Estinzione a grande angolo con l' asse verticale, di poco inferiore ai 4o“, onde non sempre riesce possibile la determinazione del segno degli assi delle coordinate ottiche; in parecchi casi ho riscontrato valori di 40®, 42® e più. carattere anche questo distintivo dell augite rispetto ad altre varietà di pirosseno, cui potrebbe ravvicinarsi per il colme. Nella direzione di estinzione che fa quest’ angolo con 1 asse verticale corre l’ asse delle vibrazioni di minore velocità, altro ca- rattere d’accordo con quelli dell’ augite. Inclusioni di magnetite non frequenti e solo riscontrate nei grandi cristalli deformati, circa ai rapporti dei quali con il pla- gioclasio già dissi parlando di questo e sono essi in relazione anche all’ idiomorfismo dei suoi cristalli. Talvolta sul margine delle se- zioni si osserva un principio di contorno rosso, che però manca ordinariamente, mentre vedremo essere abituale all’olivina e al- r anfibolo. Questi cristalli di augite non sono abbondanti, ma se ne scorgono sempre alcuni in ogni sezione. Non credo però che questi pirosseni, tutti poiffirici, debbano sempre riferirsi allo stesso periodo di generazione. I maggiori, più rilevati, con tracce più o meno notevoli di chimiche e meccaniche deformazioni (tav. XIII, fig. 6 , tav. XIV, fig. 1). talvolta anche associati a cristalli di plagioclasio (tav. XIII, fig. 5), credo che debbano considerarsi come anteriori alla costituzione del magma, come residui delle rocce che contribuirono alla formazione di questo. Gli altri invece più piccoli, ordinaria- mente con sagoma ottagonale per la proiezione dei piani di JllO', (1) Op. cit., voi. I, pag. 513, tav. XVIII, fig. 5. LE ANDESITI ATJGITICOOLI7INICHE DI TORRALBA 527 |100;, ;010;, semplici 0 geminati che sieno non di rado anche per compenetrazione, sempre però con nitido contorno idiomorfo, privi di ogni deformazione, credo che al pari dell’ olivina rombica, rettango- lare ed esagonale, e della leucite, descritte trattando della massa fondamentale, spettino invece al successivo periodo lavico e debbano consideiarsi come prodotto di segregazione del magma vulcanico. A diffeienza però dei microliti feldispatici e pirossenici della massa fondamentale che spettano all’ ultima fase di consolidamento del magma, questi cristalli maggiori poi-firici idiomorfì spetterebbero alle prime fasi di fluidità del magma stesso, a spese del quale e nel quale gli uni e gli altri si sarebbero generati; onde rispetto a quelli possono considerarsi anche essi come minerali di anteriore genera- zione. Altrimenti non si spiegherebbe come appunto questi cristalli che sono i minori avessero risentito meno gli effetti del riassorbimento magmatico, mentre se della stessa generazione dei maggiori avreb- bero dovuto conservare anche meno di questi il loro originario contorno cristallino. Olivina. — I grossi cristalli d’ olivina sembrano più rari di quelli di pirosseno, e si hanno anche sezioni di rocce nelle quali non sono riuscito a trovarne ; ed è in quelle nelle quali si incon- trano a preferenza le sezioni di antibolo, che in qualche caso si può anche rimanere incerti se non vadano esse stesse riferite piuttosto all’olivina. Gli individui tipici di questa specie si presentano in sezioni, le quali tutte dimostrano prolungato e forte riassorbimento magma- tico, onde ne è grandemente alterata l’ originaria forma ; non di rado sono anche ridotti ad un semplice grano inviluppato dai pro- dotti della loro corrosione, se pure non sia sparito anche quel- r unico resto. In talune sezioni si possono misurare anche angoli che si potrebbero ritenere per quelli delle facce di |101| dai loro va- lori vicini a 103°, ma data la forte corrosione di tutti i cristalli ritengo piuttosto che nel loro stato di deformazione poco assegna- mento possa farsi alla loro determinazione sopra incerte misure di angoli. ^ Singolare è però come tutte queste sezioni, indubbiamente oliviniche, si presentino appuntite o rotondeggianti ad una estre- mità, e pianeggianti all’altra, con apparenza quasi di bauletto 36 528 G- d’achiardi ■ (tav. XIV, fìg. 4), onde parrebbe ci rappresentassero frammenti di I cristalli rotti trasversalmente, o cristalli originariamente emimorfi if nei quali, frammenti o cristalli, la corrosione o riassorbimento avrebbe secondato la disuguale costituzione loro. ’i Queste sezioni si mostrano attraversate da fenditure spesso curvilinee, irregolari nell’ andamento e solo in qualche caso parai- lele fra loro, accennando per ciò a piani di più facile separazione. Sul loro contorno presentano costantemente un orlicelo giallo-ros- i» sastro, apparente nero nella figura (tav. XIV, fig. 4), una vera colo- i razione della sostanza olivinica modificata, più raramente formato jj da piccoli granuli e lamelle dello stesso colore, a differenza di 1 altre sezioni da me riferite all’ anfibolo, che hanno il contorno || sempre formato in quest’ ultimo modo per grani e lamelle giallo- j rossastre, e probabilmente, almeno in parte, della stessa costitu- j zione, ma effetto, anziché di semplice alterazione, di nuova gene- j razione. Quest’ orlicelo giallo-verdastro, o giallo-rossastro, fa anche maggiormente risaltare il limpido grano interno inalterato, cui j può bene applicarsi 1’ usato nome di occhio olivinico. A parte 1’ orlicelo più o meno esteso e una leggera velatura o-iallognola, che si vede lungo le fenditure, nel resto questi grani olivinici hanno aspetto di sostanza fresca, senza colore, forte ri- I lievo, marcata sagriuatura, altissimi colori d' interferenza azzurro- i paonazzi, inclusioni di cristallini di magnetite, caratteri tutti de - , l’olivina, la cui riduzione in ossido ferrico fu, come già dissi, i altre volte notata nelle olivine basaltiche e andesitiche. | Io ritengo che si abbia a che fare con una varietà assai fer- rifera di olivina simile a quella della limburgite di Sasbach, che i presenta (almeno nelle sezioni da me esaminate) lo stesso orlicelo, forse di una varietà affine all’ ialosiderite, se non deUa stessa lalo- siderite. Questa alterazione in ossido ferrico, onde il colore rossa- stro, è comune per le olivine delle andesiti augitiche, e oltre quelle citate dal Kosenbusch (Q rammenterò più particolarmente le an- desiti oliviniche di Radicofaui, descritte dal Mercalli (mem. cit.) , più rara è nei basalti, per i quali già citai gli esempi. A questa ricchezza in ferro fa anche credere il colore delle j (I) Op. cit., voi. II, pag. 875. LE ANDESITI AUGETIC0-0LI7INICHE DI TORRALBA 529 piccole dinne della massa fondamentale e la larga disseminazione in questa della magnetite. A.nfiholo. Più particolarmente negli esemplari in cui man- chino 0 scarseggino i grossi cristalli di olivina (e ciò in relazione a quanto dirò poi dei noduli inclusi di altre roccie preesistenti), si hanno cristalli di un minerale giallastro, pleocroico, con toni di giallo-verdolino nel senso del loro allungamento, giallo- verdastro bruno trasversalmente. Il loro contorno è in gran parte cancellato per assorbimento magmatico, che ha prodotto un orliccio di grani e lamelle giallo-rosse, accumulati torno torno alla sostanza rimasta inalterata (tav. XIY, fig. 5). Questi grani e lamelle evidentemente prodotti dal disfacimento dell’anfibolo originario hanno lo stesso aspetto dei microliti olivinici della massa fondamentale, e sono verosimilmente essi pure olivinici, se non in parte, anche pirosse- nici, arrossati per la messa in libertà di Pe2 O3. Non è certo il comune contorno opacitico delle orneblende andesitiche, quale ho anch’io, per esempio, descritto di Sultan-Tchair, nell’Asia Mi- nore (^). È un prodotto diverso a cui assomiglia grandemente la sostanza olivinica alterata della massa fondamentale. La corrosione talvolta è cosi avanzata che la parte intatta è ridotta a un grano molto minore del contorno, e talvolta anche dell originario cristallo non resta che un mucchio di grani giallo- rossastri bruni entro una sagoma mal definita dell’ originario cri- stallo, nelle cui insenature, prodotte dalla corrosione, si è spesso insinuato il magma, del quale sono evidentissime le tracce nelle porzioni della massa fondamentale che vi appare inclusa. Le linee di sfaldatura caratteristiche dell’ anfibolo non sono molto evidenti, anzi in parecchi cristalli sono sostituite da altre flessuose che richiamano alla mente quelle dell’olivina, cui pure fanno pensare altre fenditure normali all’ allungamento, quantunque anche in alcune orneblende di altre rocce siano stati constatati piani di separazione basale. Anche il notevole rilievo di alcune di queste sezioni, e gli alti colori d’ interferenza in qualche più raro caso, fanno nascere il dubbio che alcuni di questi grani debbano attribuirsi ad olivina più colorita dell’ordinaria per alterazione e debolmente pleocroica. Ma il più forte pleocroismo in altri consi- (1) Proc. verb. d. Soc. Tose, di Se. Nat. Pisa, 1“ luglio 1894. mili, il contorno diversamente costituito, benché dello stesso tono, i colori d’ interferenza ordinariamente assai più deboli anche di quelli di pirosseno, la mancanza di sagrinatura, V estinzione vicinissima a 0° come nelle orneblende basaltiche, e la corrispondenza nella dire- zione dell’asse verticale con l’asse delle vibrazioni di minima velo- cità ottica, tutto mi fa ritenere che si tratti effettivamente di una varietà di antibolo vicina all’ orneblenda, sebbene per il suo colore e il piccolissimo assorbimento sia alquanto differente dalla comune orneblenda basaltica. Nella sua presenza, come nel suo aspetto, si ha dunque un altro legame con le andesiti. In quanto alla geminazione, essa è rarissima; ma ho nscon- trato un gruppo cristallino simile a quello effigiato da Rosenbusch per r antibolo di una roccia oligoclasica, cioè di una diorite, del Minnesota (St. Un. dAm.)(’)- . Dovendo quindi decidermi o per 1’ antibolo o per una varietà di olivina assai diversa dall’ altra, di cui avrebbe la stessa gene- razione credo non andare errato riferendo questi cristalli all anh- bolo Non possono riferirsi a pirosseno trimetrico pleocroico per l’estinzione vicinissima si. ma non mai a 0<> osservata in un buon numero di sezioni. Boss (mem. cit.) ricorda in alcuni basalti orneblende con un contorno di ignoti cristalletti prismatici di color giallo a giallo- rosso, decomponibili in acido cloridrico, simili a quelli che si tro- vano intorno a questi cristalli nelle rocce qui descritte di Torralba. Va anche notato che nei basalti della Siria, descritti da Boss, insieme a queste orneblende con orlicelo giallo-rossastro, si hanno le piccole olivine rosse della massa fondamentato, onde anche ne - l’analogia si ha conforto alla fatta determinazione. . . I cristalli d’antibolo da me esaminati presentano inclusioni di magoetite, vetro, ecc., come tutti gli altri porflricameute d,s- seminati nella roccia. , Apatite — In piccoli cristalletti bacillari, con piani di se- parazione basali, iuelusì nei cristalli di prima generazione. Diffl- Cile è il constatarne la presenza; però ne ho^ osservato uno netta- mente incluso in un grosso cristallo di plagioclasio. Nella massa fondamentale osservansi numerosi questi micro- (I) Op. cit., voi. I, tav. XX, fig. 2. LE *LNDESITI AUGtTICOOLIVl NICHE DI TORRALBA 531 liti bacillari senza colore o leggermente verdognoli, ma non è facile distinguerli dai microliti pirossenici, anche quando si estin- guono parallelamente all’allungamento loro. Magnetite. — Appartengono alla magnetite di prima gene- razione le sezioni quadratiche, le quali sia isolate, sia anche fra loro aggruppate, si osservano abitualmente incluse nei vari cristalli porfirici ospiti e non effetto di segregazione del magma. In taluni di questi cristallini, osservando a luce riflessa, si giunge anche a riconoscere la forma ottaedrica. Minerali secondari. — Nelle rocce con aspetto di maggior freschezza le cavità vescicolari, prodotte dallo sviluppo dei gas durante l’effusione e l’irrigidimento della lava, non appaiono ri- vestite di minerali secondari. Questi trovansi invece negli esem- plari con evidenti segni di alterazione sofferta; taluni sembrano di natura zeolit ca, ma è difficile riferirli a specie determinata. Nidi o noduli cristallini. — Oltre ai cristalli porflrica- mente disseminati, quasi sempre isolati, solo per eccezione com- peneti-antisi, come per i pochi esempi citati di pirosseno e di fel- dispato, si hanno anche nidi (o inclusioni che si vogliano chia- mare) di diversa costituzione, e che già dissi essere di due sorta, e cioè formati prevalentemente gli uni di un feldispato vetroso e di un mineiale nero, costituenti insieme una massa minutamente granulare, quasi granitica ; gli altri da un’ olivina verde-giallastra e da un pirosseno verdastro. Difficilissimo è il fare sezioni di questi nidi che si sgreto- lano e vanno in bricioli nell’ assottigliarli ; non per tanto per quel poco che ne rimase sul margine delle sezioni della roccia inclu- dente, e per lo studio fatto dei minerali componenti, assottigliati separatamente, dopo averli bene inviluppati di balsamo, sono riu- scito alla meglio a determinare i caratteri dei principali fra questi. Nidi feldispatiei. — Il minerale feldispatico dei nidi o in- clusi della prima sorta mostra ordinariamente struttura polisinte- tica, come nei plagioclasi, e fra questi per gli angoli grandi di estin- zione si ravvicina specialmente alla labradorite, e forse in qualche caso anche all anortite. Sembrano aversi indizi anche di ortoclasio, e tanto questo che il plagioclasio hanno aspetto vetroso. Il minerale nero che l’ accompagna non sembra appartenere ad un’ unica specie. Predomina una sostanza, più o meno traspa- G. d’aCHIARDI 532 rente in sezioni sottili, con notevole assorbimento e ancor più no- tevole pleocroismo. Di essa, le sezioni che mostrano stnature pa- rallele per piani di separazione o sfaldatura, come nell anfibolo 0 nel pirosseno, appaiono giallo-brune, quando le stnature stieno normali al piano di vibrazione del nicol polarizzatore, verdastre, un po’ più fortemente assorbenti, se parallele. L’ estinzione si fa a » o. « 6. Tavola XIII. Feldispato corroso con orliccio feldispatico trasparente. Ingr. diam. 32. Plagioclasio con doppia geminazione (legge dell’albite e del pe- riclino). A destra in basso poro a gas ; a sinistra residuo ferru- ginoso di anfibolo(?). Ingr. diam. 17. Plagioclasio a struttura listata per specie feldispatiche differenti fra loro associate. Ingr. diam. 17. In basso plagioclasio a piccolo angolo di estinzione, indi cavità dovuta a massa cristallina scomparsa. Superiormente a sinistra sezione ettagona poco appariscente di pirosseno idiomorfo Ingr diam. 17. Associazione di plagioclasio con pirosseno. Ingr. diam. 32. Pirosseno corroso e compenetrato dal magma. A destra cavità come in fig. 4. Ingr. diam. 17. Tavola XIV. Fig. 1. — Pirosseno geminato perifericamente corroso. A sinistra e in basso pori a gas. Ingr. diam. 17. ” 2. — Poligemino di pirosseno nel mezzo della figura. Ingr. diam. 32. ” 3. — Gemello di pirosseno per compenetrazione. Ingr. diam. 32. » 4. — Cristallo di olivina perifericamente alterato. Cavità in alto come in fig. 4 di tav. XIII . Ingr diam. 32. ” 5. — Cristallo di anfibolo con orliccio di prodotti olivinico-pirossenici della sua alterazione: essi pure sono alterati. Ingr. diam. 32. » 6. — Grano incompletamente ottagono di leucite (?) a sinistra in basso. A destra plagioclasio perifericamente corroso. In alto verso il centro poro a gas. Ingr. diam. 17. STUDIO PETROGRAFICO SOPRA ALCUNE ROCCE GRANITICHE E METAMORFICHE DEI DINTORNI DI NUORO E DELLA VALLE DEL TIRSO IN SARDEGNA Nota del dott. Carlo Riva. Una gita compiuta nei dintorni di Nuoro in unione al prof. | Torquato Taramelli durante il Congresso della Società Geolo^ca j Italiana in Sardegna, mi diede occasione di esaminare la formazione | cTi-anitica di quella regione, e di constatare la natura delle rocce a contatto col granito. Esse hanno composizione e struttura tipiche per rocce di contatto, e sono notelvolmente diverse dalle corri- : spondenti a qualche distanza dal granito. • I In questa nota sono brevemente descritte le granititi di | Nuoro e della Valle del Tirso, alcuni Hornfels e Hornfels sci- j stosi ; è inoltre fatto cenno alle rocce in filoni, che ovunque e nu- ; morose attraversano il granito, sperando che mi si presenterà presto | occasione di uno studio particolareggiato dell’ importante regione j sarda e di potere constatare la potenza e la natura della zona | delle rocce metamorfiche che circondano il granito. j Granitite anfibolica. — Nuoro. Questa roccia, che è sovente I impiegata come materiale da costruzione a Nuoro, è a grana gros- ^ solana, e vi si distinguono, a prima vista, due feldispati; 1 uno 1 in grossi individui che, talvolta, oltrepassano il centimetro nella . direzione di massimo allungamento, colorati in roseo, e per lo piu I geminati secondo la legge di Carlshad, e altri cristalli, più piccoli, | bianco-lattei; tra questi feldispati s’ interpone il quarzo, e inoltre , la roccia è assai ricca in mica nera, e, con una certa frequenza, vi , si notano prismi di anfibolo. Ad un esame accurato si osservano | I C. RITA, STUDIO PETROGRAFICO 539 prismi di alcuni millimetri di lunghezza con lucentezza semime- tallica, un po’ resinosa, e che il microscopio svela essere ortite. I componenti essenziali della granitite di Nuoro sono : quarzo, hiotite, microclino, un feldispato della serie andesina-labradorite ; accessori: orneblenda, ortite, titanite, apatite, zircone, pirite. Approfittando della grana grossolana della roccia, ho potuto facilmente applicare la separazione meccanica dei diversi compo- nenti. Previa eliminazione della maggior parte degli elementi co- lorati, per mezzo di un elettromagnete, separai, colla soluzione di Thoulet, i minerali incolori a seconda del loro peso specifico. Feldispati. — Per la determinazione dei feldispati mi valsi, di preferenza, della misura di estinzione in lamine di sfaldatura secondo (001) e (010), e controllai i risultati ottenuti col me- todo del Becke (rifrazione a contatto col quarzo), e colle misure dell’ estinzione in lamelle di geminazione secondo la legge del- r albite nella zona normale a (010), e in cristalli contemporanea- mente geminati secondo le leggi di Carlsbad e dell’ albite (Micbel- Lévy, Étude sur la détermination des feldspaths, I). I feldispati della granitite di Nuoro hanno un peso specifico che varia da 2,56 a 2,7. I grossi cristalli rosei, che caratteriz- zano la roccia, sono di microclino; il loro peso specifico è 2,57. Questi grossi cristalli, oltre alle sfaldature secondo (001) e (010), ne presentano una nettissima secondo un pinacoide della zona COlO], e la media di nuinerose misure col goniometro tra questo pina- coide di simbolo |hol| e (001) (i rifiessi delle due facce sono assai brutti) è di 73® 23'. Credo quindi che si tratti della sfal- datura Murchisonitica, secondo la pinacoide (701). L’ angolo che questa faccia fa con (001) è: (701) : (001) = 73® 13'. Questa sfaldatura nei cristalli esaminati è generalmente più netta di quella secondo (010). Parallelamente a questa pinacoide, si ha costantemente un accrescimento micropertitico con albite. Lamelle secondo (010) mostrano due sistemi di sfaldatura che si tagliano con un angolo di 73° circa. Parallelamente alla sfalda- tura secondo (701), sono allineate le laminette di albite che fa- cilmente si distinguono per la rifrazione maggiore di quella del microclino. Nelle lamine secondo (001) si osserva pure una doppia sfaldatura, ma, nell’ un caso e nell’ altro, oltre alle laminette di albite parallele a (701), si osserva un altro sistema di lamelle 540 C. RIVA che forma con tale sfaldatura un angolo di pochi gradi. Questo secondo sistema di lamelle d’ alhite non è però così nettamente distinto come il primo, e non è possibile una misura sufficiente- mente esatta per stabilire a quale faccia questo secondo accresci- mento sia parallelo; certo si tratta di un pinacoide JhklJ, di sim- bolo assai vicino a |701'. Nei cristalli di microclino lamine di sfaldatura secondo (001) si estinguono a 15° riferite allo spigolo (001) : (010); lamine se- condo (010) estinguono, come nell’ ortose, a circa 4-5°, e, a luce convergente, mostrano 1’ escita inclinata di una bisettrice. La strut- tura tipica del microclino {Crittentruclur) non è sempre presente: vi sono plaghe che, pur presentando l' estinzione caratteristica del microclino, non mostrano geminazione, e altre che in parte sono geminate, in parte non lo sono. Anche taluni tra i cristalli non rosei sono di microclino, il quale si separa dalla soluzione di Thoulet tra il peso specifico 2,55 e 2,588. La porzione che si separa a 2,588, avendo un peso piuttosto alto per microclino, sottoposta ad una prova microchi- mica palesa la presenza del sodio, e in abbondanza; mentre la porzione più leggera è ricca in potassio, e molto scarsa di sodio. Il microclino forma i cristalli più grossi della roccia ; al mi- croscopio talvolta si osserva che è allotriomorfo, anche rispetto al quarzo, che non di rado vi è incluso. Generalmente il microclino è assai fresco, e solo in qualche punto lievemente alterato in caolino. Tra il peso specifico 2,64 e 2,7, si separano i feldispati a geminazione polisintetica secondo la legge dell alhite. Nella por- zione più pesante si ha predominio di feldispati a struttura zonale. Mentre la parte centrale di tali cristalli, in lamine di^ sfaldatura secondo (010), mostra Y escita di un asse ottico, che rimane però sempre al bordo del campo, le zone esterne non lasciano scorgere r escita dell’ asse ottico nel campo del microscopio, anzi, talvoUa, in esse esce, un po’ inclinata, una bisettrice. In questi ultimi casi, l’estinzione riferita allo spigolo (001) (010) è quasi parallela 0 di pochi gradi. Dove, invece, si osserva un asse ottico 1 estin- zione raggiunge i 12°. In lamine secondo (001) 1 estinzione, rife- rita alle tracce della geminazione delL alhite, raggiunge sovente i 10-11°. La quantità relativa di questo feldispato basico è scarsa; la maggior parte del plagioclasio si separa a 2,64-2,65, e mostra STUDIO PETROGRAFICO ECO. 541 i seguenti caratteri: Da lamine di sfaldatura secondo (010) esce una bisettrice più o meno inclinata, talvolta quasi normale; la estinzione, tanto in lamine di sfaldatura secondo (010), quanto in quelle secondo (001) è di pochi gradi (2-6°). La rifrazione -7- confrontati tali plagioclasi col quarzo secondo il metodo del Becke-Salomon — corrisponde a quella di termini deir oligoclasio basico e dell' andesina. In geminati secondo Carlsbad e r albite si misurano le estinzioni : ab c — 5 — 5 V2 — 6 — 2 —3 —4 de f + 12+12 V, + 13 + 12 + 13 + 14 Ne deriva che la maggior parte dei plagioclasi appartiene a termini dell’ andesina, e, per taluni cristalli, all’ oligoclasio basico. Negli individui a struttura zonale la parte centrale raggiunge i termini basici della labradorite. Sono individui a contorni in parte idiomorfi in parte allotriomorfi ; generalmente freschi, e solo al- cuni, specialmente al centro, alterati in caolino ed in muscovite. Quarzo. — Torma plaghe allotriomorfe tra gli altri compo- nenti ; la sua solidificazione deve essere incominciata quando quella del feldispato non era giunto alla fine : da che 1’ essere incluso nel microclino. L’ estinzione ondulata à palese e alcune plaghe mo- strano una finissima striatura che ha 1’ apparenza di una gemina- zione {Zwillingslamellirung). Numerose nel quarzo le inclusioni a bolla mobile ordinate secondo piani, e di finissimi aghetti dei quali non è possibile determinare il carattere ottico : probabilmente di rutilo. Le inclusioni di apatite sono pure frequenti. Biotite. In numerose tavole esagonali di colore nerastro ; fortemente pleocroica dal bruno nerastro al giallo legno, 0, come in alcuni individui che presentano un principio di alterazione, dal bruno verdastro al giallo. Jj’ angolo degli assi ottici è assai pic- colo, così che a luce convergente la figura assiale si direbbe di un corpo uniassico. Per alterazione il colore dal bruno passa al verde, il pleocroismo scompare risultandone un minerale dai ca- ratteri della clorite; accompagnano questa trasformazione epidoto, e talvolta titanite, e un minerale amorfo, che non mi riuscì di isolare; probabilmente opale. 542 C. RIVA U anfibolo non è frequente; è da riferirsi alla comune or- neblenda e si presenta in cristalli prismatici, idiomortì, sovente geminati secondo (100). È intensamente colorato in verde, a — giallo verdognolo pallido ; (j _ Q — verde bruno giallognolo intenso, talvolta con ten- denza al verde bluastro. L’ estinzione, misurata in lamelle di sfaldatura, è di 14 . V orlile è piuttosto diffusa; in ogni sezione sottile si osser- vano diversi cristalli talvolta lunghi più millimetri. Sono^ allun- gati secondo 1’ asse b ; il piano degli assi ottici è nel piano di simmetria, rifrazione forte, birifrazione debole. Colore bruno intenso, fortemente pleocroica b > a. È evidente la struttura zonale, ca- ratteristica di questo minerale. (Vedi figura.) La granitile anfibolica di Bargos (Adamellite), nella Valle del Tirso, è a grana assai più minuta di quella di Nuoro, ma accanto alla biotite, la quantità di anfibolo è considerevolmente aumentata. 543 STUDIO PETROGRAFICO ECC. Come generalmente avviene nelle granititi anfiboliche e nei gra- niti anfibolici, aumentando la quantità dell’ anfibolo, 1’ ortoclasio e il quarzo si fanno più scarsi, e aumenta il plagioclasio. Nella roccia di Bm-gos il feldispato predominante è un plagioclasio della serie dell an desina, e la roccia è termine di passaggio tra le gra- nitiche e le dioritiche, e corrisponde alle Monzoniti quarzose acide che il Brbgger ha proposto di chiamare Adamelliti (Brogger, Die ErupHonfolge der tnadischen Erupiivg esterne bei Predaszo in Sùdtyrol, pag. 58). L’ ortose della granitite di Burgos presenta una sfaldatura secondo una faccia (hol) come abbiamo osservato nel microclino della granitite di Nuoro. Questo minerale è invece scarso e pre- senta la struttura e 1 aspetto caratteristici, già descritti nella roccia di Nuoro. Il plagioclasio, in numerosi individui a contorni in parte idiomorfì, è geminato secondo le consuete leggi dell’ albite e di Carlsbad; talvolta si unisce la legge del periclino, e alcuni gemi- nati sono secondo la legge di Baveno. L estinzione, negli individui geminati, secondo la legge dell’albite, nella zona normale a (010) non supera, nella zona media, i 22°. Anche la rifrazione, confron- tata con quella del quarzo, riferisce il plagioclasio all’andesina. Nei cristalli a struttura zonale, che pm’ sono frequenti, le zone esterne raggiungono i termini dell oligoclasio, mentre le interne sono da riferirsi alla labradorite. Doppi geminati danno le estinzioni seguenti : (Non potendo usare il tavolino Klein pongo b — — ^ • ^ ~l~ f \ e~ — ) Periferia . . Centro . . . Periferia . . Zona media Centro . . . Periferia . . Zona media Centro . . . a h C 6 — 8 - 10 15 — 16 — 17 2 -t- 3 Va -F- 5 8 9 10 18 18 Va 19 3 — 5 — 7 9 - 11 Va - 14 — - — 19 de f -4- 12 ^ 14 Va -+- 17 -- 22 24 -+-26 — 2 - 2 Va — 3 — 7 - 7 Va — 8 21 21 Va 22 -H- 11 12 Va -H 14 -+- 20 -+- 20 -t- 21 -+- 28 -1- 29 -+- 30 La biotite ha gli stessi caratteri di quella della granitite di Nuoro, ma in minor quantità e in tavolette esagonali più piccole. 37 C. RIVA 544 I numerosi cristalli prismatici di anfibolo sono per lo più gemi- nati — sovente anche polisinteticamente — secondo (lOO). Pleo- croismo: a = giallo verdognolo pallido; b = c - verde o verde- bruno talvolta con tendenza al bluastro. Sezioni secondo (010) estinguono a 17°; nelle lamine di sfaldatura 1’ estinzione avviene I a 13-14°. Le reazioni microchimiche svelano: Mg, Fe, Ca, Al e I piccole quantità di K. È sovente associato alla biotite contenuta | anche quale inclusione ; pure inclusi nell’ antibolo prisraetti di apa- 1 tite e di zircone. La titanite, l’apatite, la tormalina e l’ortite sono , in questa roccia accessori e in scarsi cristalli. j Filoni attraverso il granito si osservano assai di frequente percorrendo la regione granitica tra Nuoro e Madonna di Gonan. Constano di rocce grigio-brune o bruno-nerastre, per lo più a grana 1 fina, talvolta con grossi cristalli feldispatici sparsi porfiricamente. ’ Non potendo dare per ora una descrizione particolareggiata ' di queste roccie degne davvero di studio, mi limito qui ad ac- cennare che si tratta generalmente, nei campioni da me raccolti, di rocce a labradorite e augite, di struttura assai simile alla di- basica, nelle quali l’augite si trasforma in uralite. Il plagioclasio è in liste, e l’ augite presenta per lo più 1 abito dell augite di- basica. Tra i minerali accessori : la biotite, 1’ ilmenite e 1 apatite. Alcune di queste rocce trovano riscontro in quelle che, in filoni, attraversano le filladi nei dintorni di Edolo in Val Camonica, al- r Aprica e al Dosso Toricla, e stanno, per la loro composizione e struttura, vicine ai Proterobasi, come, credo, si avvicinino ai tipi chiamati dal Lossen Hysterobasi. Presso la stazione ferroviaria di Bono nella Valle del Tirso, si trovano grossi blocchi di un Hornftls ad andalusite; roccia compatta bruno-nerastra; sulla superficie^ alterata si disegnano nettamente numerosi e piccoli cristalli prismatici di andalusite, che formano un intreccio in rilievo sporgente dal rimanente della roccia. . . La composizione mineralogica di questa roccia quasi comple- tamente ricristallizzata è la seguente: andalusite, biotite, cor- STUDIO PETROGRAFICO ECO. 545 diente, quarzo, tra i componenti essenziali. Accessori: feldispato, zircone, apatite, tormalina, ossidi di ferro, grafite. L andalmite è il minerale più abbondante in cristalli pri- smatici per lo più isolati, idiomorfi, ma a contorni dentellati. La loro media lunghezza è di mm. 0,5-1, raramente sorpassano mm. 1,5. Pleocroismo debole : c = roseo ; n = b = incoloro. Il pleocroismo’si fa assai più evidente riscaldando la sezione. Numerosissimi sono i granuletti di quarzo inclusi nella andalusite, sì che questa pare crivellata. Sono piccoli granuli a debole rifrazione, uniassici positivi, a contorni sinuosi, che raramente passano mm. 0,03 di diametro ; ma generalmente sono ancora più piccoli, ma disposti senz’ ordine nell andalusite. La biotite, in minute squamette ed in massecole sferomali, e la grafite in fina polvere, stanno abbondantemente incluse nell andalusite. Le estremità dei prismi del minerale sono per lo più assai finamente dentellate. La Hotite in sezioni prismatiche e basali (prismi mm 0 1- 0,4 media) è frapposta tra i cristalli di andalusite; è rosso-bruna fortemente pleocroica al giallo pallido. V angolo degli assi ottici è assai piccolo. Ad essa è talvolta associata la muscovite in corti prismetti. La cordieriie in plaghe allotriomorfe tra i cristalli di anda- lusite. Si distingue pei caratteristici geminati, sovente a compene- trazione, nelle sezioni basali le diverse parti estinguono a 60° tra loro e da queste esce una bisettrice; nelle sezioni prismatiche, dove 1 estinzione nei diversi individui avviene contemporaneamente, ve- diamo frequenti le aureole pleocroiche attorno ai cristalli di zircone inclusi. Il carattere ottico è negativo. Tra le inclusioni, oltre al zircone, sono numerose quelle di biotite e di grafite. Nell’ isolazione colla soluzione di Thoulet la cordierite si dimostra un poco più pesante del quarzo, il che si spiega colle numerose inclusioni di biotite, inclusioni che impediscono determinazioni microchimiche Il quarso è in granuli numerosi che di preferenza colla bio- tite occupano spazi tra i cristalli di andalusite, là dove manca la cordierite. 11 diametro medio di questi granuli è di mm. 0,05 0,2 E povero di inclusioni; per lo più i granuli sono a contorni rettilinei e si uniscono tra loro dando 1’ aspetto di una struttura pavimentata. Il feldspato è in poca quantità, di preferenza in quelle C. R1^A 546 parti della roccia dove scarseggia 1’ andalusite. Le plaghette sono allungate e strette (mm. 0,05-U,l), comprese tra gli altn compo- nenti Non è geminato; la rifrazione è nettamente minore di quella del balsamo; dove si osserva una sfaldatura esce, poco inclinata, una bisettrice, e V estinzione, riferita alla sfaldatura, e di pochi crradi (5-6°). In questo feldispato si osservano regolari lamelle di un altro feldispato a rifrazione e birifrazione più forte: queste lamelle formano colle tracce di sfaldatura del primo fe dispato - nelle sezioni probabilmente secondo (OlO) — un angolo di . Credo si tratti di accrescimento micropertitico di ortose ed albite. Nella cordierite sopratutto sono frequenti prismetti finissimi, a forte rifrazione e birifrazione, nei quali l’ allungamento e ire- zione di minore elasticità ottica, di sillimanite. Esaminando il re- siduo, dopo aver trattata la roccia polverizzata con acido fluoridrico, s’osservano numerosi tali prismetti a carattere ottico positivo. In questa porzione inattaccata dall’ acido fluoridrico si notano anche, oltre allo zircone, minuti cristalli di tormalina nettamente termi- nati dal romboedro, come pure si può avere la conferma che le inclusioni nere opache, pulverulente, tanto frequenti nell andalusite e nella cordierite, sono di grafite. Appena a ponente della vetta del Monte di Madonna di Go- nari, le rocce scistose sono dirette a N. 70°.O, con una inclinazione di circa 60-70° a nord-nord-est, e assai vicino al contatto col Biddascema, la massa granitica è pure ricoperta dagli scisti quar- zosi iniettati di vene granitiche non più grosse di venti centime- tri, ed il granito della massa presso il contatto assume nuovamente la struttura micromera e diviene durissimo. Attraversano il granito vari filoni di quarzo con dimensioni variabili da quelle di semplici vene fino a 7 o 8 metri di potenza e dal granito passano colla stessa struttura negli scisti sovrastanti. I grossi filoni di quarzo sono da riguardarsi come veri filoni me- talliferi, sebbene in generale offrano l’ impronta della sterilità, poiché contengono limonite e rare mosche di calcopirite e galena. Uno di questi, presso la dispensa di Biddascema, è composto di quarzo granulare, includente quà e là, disseminati o concentrati in nidi, alcuni cristallini di feldspato, e talvolta qualche tratto del filone, pur restando nettamente incassato nel granito, diviene ma- nifestamente granitico e presenta grossi cristalli di galena. Feno- meni analoghi si ripetono più in alto sopra al Campanile di Sega Zigori. Nessuna netta distinzione pertanto, sia in riguardo alla strut- tura, sia in riguardo alla giacitura, può farsi fra questi filoni di quarzo, che attraversano al tempo stesso il granito e gli scisti, ed i veri e propri filoni metalliferi di cui andiamo a far cenno. I giacimenti metalliferi del territorio di Villacidro, forse piu interessanti dal lato scientifico che dal lato industriale, furono fino a poco tempo addietro nella maggior parte sconosciuti e ciò princi- palmente a causa delle folte foreste secolari che cuoprivano la regione : i essi vennero alla luce infatti dopoché dal proprietario fu intrapreso \ il taglio di quei boschi. Pure l’ ing. Baldracco (') ricorda tra Gon- i nos e Yillacidro, nella vallicella Libanus in Aletzi, masse di ferro idrato fra gli scisti, e presso ViUacidro, al Convento dei Cappuc- : ( 0 Baldracco G., Cenni sulla costituz. metall. della Sardegna. Torino 1854. OSSEKVAZIONI GEOLOGICHE E MINERARIE ECC. 551 cini, un filone pure di ferro idrato nel granito e rari altri in pros- simità ; a S. Sissinio o S’ Enna de Gutturu de Siliqua un filone negli scisti composto di scisto quarzoso-micaceo con ferro ossidato, nel quale son traccie di piombo e solfo ; a Coloru un filone di ba- rite solfata; all’Acqua Cotta o Argentiera, sulla distesa di 500 metri, un potente filone di galena argentifera. Il Sella (i) cita pei dintorni di Yillacidro un filone nel Canali Serci, a matrice di quarzo con blenda, siderite e pirite. Il Jervis (^) nota presso Gon- nos Fanadiga una miniera di nichelio e cobalto in un filone- strato di oltre un metro di spessore; presso Eio Mesa un filone di ga- lena e di arseniosolfuro di nichelio e cobalto, e presso Aletzi un filone di galena argentifera. I filoni metalliferi della valle d’ Aletzi sono intieramente in- cassati Degli scisti quarzitici. Ordinariamente tagliano la stratifi- cazione, qualche volta la seguono e divengono filoni-strati. È però degno di nota il passaggio di questi filoni, siano concordanti, siano discordanti dalla stratificazione, a lenti isolate anche piccolissime. La forma lenticolare di alcuni filoni fu in qualche caso constatata ancora coi lavori sotterranei di ricerca. Uno di questi filoni, avente la dilezione N 60° 0 e 1 inclinazione verso sud-ovest, raggiunge oltre un metro di potenza e racchiude minerali di cobalto che nella parte superficiale ferruginosa del filone stesso manifestansi sotto forma di eritrina in gruppetti fibroso-radiati. Vari filoni paralleli, con direzione est-ovest ed inclinazione verso sud, compariscono poco lungi nel Monte Menas. Essi hanno uno spessore variabile da 15 a 50 centimetri, sono racchiusi quasi esclusivamente negli scisti quarzosi superiori a quelli ardesiaci macchiati e contengono pirite e arseniopirite a grana minuta, commista a cristallini di galena in matrice quarzosa. In prossimità dei filoni gli scisti incassanti presentano vene di pirite. Un altro filone di quarzo con lamelle di galena, avente 40 centimetri di spessore, corre normalmente agli altri, cioè in direzione meridiana. Poco sopra alla strada, presso la dispensa d Aletzi, incontrasi un grosso filone-strato di quarzo con limonite cellulare (volgarmente brucioné) che assottigliasi grado a grado e termina prima di giungere alla strada. A breve distanza, (*) Sella Q., Sulle condizioni dell' industria mineraria in Sardegna, 1871. (*) Jervis G., Tesori sotterranei d'Italia. Torino 1881. B. BOTTI 552 incassato fra scisti silicei durissimi, osservasi un altro filone a ma- trice di quarzo, calcite e siderite, in cui stanno racchiusi globuli di grossezza variabile di pirite rossa nichelifera, (*) traccie di mi- nerali di cobalto, pirite arsenicale, blenda e galena. La sua dire- zione è est-ovest e l’ inclinazione fortissima verso sud; ad una certa profondità spariscono i minerali accennati ed il filone, diminuendo anche di spessore, contiene soltanto carbonato di ferro. In luogo detto il Falco, sempre nella valle d’ Aletzi, si osservano altri fi- loni di quarzo con traccie di galena. Uno di questi, assai grosso, contiene quasi esclusivamente pirite di ferro. Sulla pendice nord- ovest del monte che divide la valle d’ Aletzi da quella di Colina, un crostone di quarzo con limonile e grossi cristalli lamellari di galena, avente uno spessore di m. 2,5U, staccasi rilevato sulle roc- cie incassanti ed esteudesi molto tanto verso est. quanto verso ovest, mantenendosi quasi verticale. Sempre nella valle d' Aletzi, sulla sinistra, presso Casa di Sopra, comparisce un giacimento di pirro- tina a guisa d’ esteso banco di notevole spessore tra gli scisti ; non può dirsi un filone, ed infatti la sua direzione nord-sud non concorda con quella generale dei filoni circostanti. Nell’alto della valle di Cosina, che scende a Villacidro ed e contigua a quella d’ Aletzi, vari affioramenti di filoni quarzosi raa- nifestansi alla superficie per mezzo d un cappello dì La valle di Narti, che succede verso sud a quella di Cosma, è pur essa percorsa da numerosi filoni, alcuni dei quali di spessore considerevole. Sono essi costantemente paralleli fra loro; diretti da est ad ovest, come quelli d' Aletzi, e di analoga composizione mi- neralogica. Alcuni, per quanto vedesi alla superficie, attraversano solo gli scisti silurici; altri gli scisti ed il granito insieme. Vari filoni, generalmente di notevole spessore, attraversano il irranito di Biddascema. Uno di essi, il più grosso, percorre il fondo della valle ed è formato di quarzo granulare con limonite e qual- che mosca di calcopirite e galena. Risalendo la valle, prima di giungere al Campanile di Sega Zigori, incontrasi un filone quar- zoso,'’regolarmente listato di quarzo e limonite, che corre da nord- ovest a sud-est, con inclinazione forte verso sud-ovest. E incassato . in parte nel granito, in parte negli scisti sovrastanti. Ancora piu (') Arseniuro di nichelio o niccolite. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE E MINERARIE 553 in alto, al di là del Campanile, un altro filone analogo al pre- cedente e come quello incassato in parte nel granito, in parte ne- gli scisti, offerse nella sua parte superficiale soltanto traccio di calcopirite. Da quanto fu esposto risulta manifesta un’ intima relazione genetica fra le roccie granitiche e porfiiiche ed i filoni metalliferi dei dintorni di Villacidro. Infatti oltreché la direzione e la incli- nazione dei filoni metalliferi concorda in generale con quella dei filoni eruttivi, si osserva che il contatto fra questi ultimi e le roc- cie incassanti è spesso mineralizzato; che un passaggio graduato esiste fra le vene di quarzo del granito e i filoni metalliferi che attraversano questo e gli scisti; finalmente che la matrice quar- zosa di alcuni filoni metalliferi incassati nel granito partecipa della natura granitica per essere granulare e cosparsa di minuti cristalli feldspatici. Questa intima connessione fra roccie eruttive e giacimenti me- talliferi è tutt’ altro che un fenomeno nuovo e limitato a questa plaga della Sardegna; esso è invece un fatto generale ed univer- salmente riconosciuto, che non abbisogna di ulteriore dimostrazione. Per quel che riguarda la Sardegna e specialmente il territorio d’ I- glesias tale stretta attinenza dei minerali metallici coi filoni di granito, di eurite e di porfido fu esplicitamente riconosciuta anche dal Zoppi (‘). È piuttosto sulla vera essenza di questo legame che può ancora discutersi, ed è appunto come contributo a tale inve- stigazione che ho creduto non inutile di esporre queste mie poche osservazioni. I fenomeni di alterazione indotti dal granito negli scisti silu- rici e la modificazione nella struttura del granito stesso presso il contatto, provano ad evidenza che non solamente la roccia eruttiva dei filoni, ma anche la massa granitica di Villacidro (che difficil- mente potrà tenersi distinta da tutto il resto del massiccio gra- nitico sardo-corso) è da riferirsi ad un periodo geologico posteriore al Silurico. [26 febbraio 1897] (1) Zoppi G., Descr. geol. min. dell' Iglesiente (Mem. descr. della Carta geol. d’Italia, IV, 1888). BREVI NOTIZIE E RELAZIONE DI UNA GITA | ALLE MINIERE ARGENTIFERE DEL SARRABUS j / \ Nota MV ing. Arnaldo Corsi. ; ' / I ' i ) La Regione del Sarrabus a sud-est dell’ Isola di Sardegna com- i prende i tre Comuni di San Vito, Muravera e \ illaputzu nel territorio dei quali esistono varie miniere argentilere in attiva coltivazione, in j ricerca e abbandonate. Il giacimento argentifero ha però una «sten- i sione molto al di là di questi Comuni, poiché si può considerare | limitato nel modo che appresso. Ad est dal mare. Ad ovest in dire- zione est-ovest fino al Campidano di Cagliari, approssimati\ amente ijr colla linea nord-sud detenuinata dai villaggi di Soleminis, Sicci, San Pantaleo ecc. A sud dalla linea di contatto tra le rocce gra- nitiche e il terreno siluriano che è la sede principale dei giaci- ;i menti metalliferi. Al nord più diflìcilmente riesce stabilire il li- i mite, poiché le rocce siluriane metallifere si estendono fin verso it l’Ogliastra e fino alla base del Gennargentu, e si ha motivo di ò credere non ancora bene esplorata la parte nord come finora lo fu il in modo migliore quella sud. 11 Fiume Flumendosa attraversa la j Regione gettandosi in mare ad est. La Regione del Sarrabus e quella dell’ Iglesiente si possono dire collocate simmetricamente rispetto alla città di Cagliari ed ; al suo Campidano costituendo i due territori metalliferi della Sar- ' degna, ai quali può aggiungersene un terzo, di molta minore im- t portanza e situato al nord, cioè la regione della Nm-ra. nella quale , pure presentasi il terreno siluriano metallifero. i La Regione metallifera del Sarrabus consta di rocce sedimen- i tarie e di rocce eruttive. Tra le prime si presentano quasi esclu- i (1) Gita facoltativa eseguita dai soci Corsi e Amtrosoni. | j A. CORSI, BREVI NOTIZIE E RELAZIONE DI UNA GITA ECO. 555 sivamente quelle del terreno siluriano, riferito da altri ad un oriz- zonte più antico, r uroniano od uronico, e in parte ad orizzonti intermedi fra i due. Tale terreno è costituito, prevalentemente, da scisti, da quarziti e da calcare. Crii scisti possono essere argillosi (filladici) , talcosi, amfibolici, cloritici, quarzosi, micacei. Le quar- ziti sono in banchi potenti intercalate cogli scisti e di natura al- quanto complessa. Si possono ritenere una formazione sedimentare contemporanea agli scisti silurici. Un banco, che come vedremo è in dipendenza di filoni metalliferi, attraversa tutta la regione da est a ovest. I calcari sono in ammassi di estensione molto limi- tata, e solo al nord della regione si sviluppano alquanto come nei dintorni di Villasalto. Le rocce eruttive, granitiche e porfiriche, hanno esercitato una potente azione meccanica e di metamorfismo sulle rocce precedenti. Le più antiche di esse (le rocce granitiche) limitano a sud la for- mazione siluriana, colla loro massa potente che va fino al mare e che si distingue in elevazione specialmente col gruppo di mon- tagne detto dei Sette Fratelli. Superiormente emergono in masse isolate alternandosi cogli scisti siluriani. Alle roccie granitiche seguono per ordine di emersione le gra- nuliti, le micro granuliti (che attraversano entrambe il granito) , i porfidi (che possono dividersi in porfidi petrosiliciosi (*) e por- fidi a quarzo globulare) , le porfiriti (che possono essere andesi- tiche, augitiehe e amfiboliche). Ciascuna di queste rocce, mentre attraversa il siluriano indi- stintamente, attraversa altresì le rocce ad essa affini ma più an- tiche, in numerose dicche che hanno una direzione quasi costante (*) Porfidi petrosiliciosi secondo i francesi oppure porfidi quarziferi, o porfidi felsitici secondo i tedeschi. Tale roccia è molto sviluppata in dicche nello scisto silurico principalmente lungo la zona argentifera ed a nord di essa. Un bell’ esempio, fra i tanti, lo abbiamo percorrendo da Muravera i terreni che circondano le miniere di Baccu Arrodàs, Perd’ Arba, Monte Narba, Giuanni Bonn ecc., ove in alcuni punti i porfidi interrompono le quarziti. Questi por- fidi sono costituiti di una pasta feldspatica con cristalli di feldspato e molto quarzo, a volte a grana fina, a volte a grossi elementi, alle quali sostanze possono unirsi prodotti di decomposizione di altri minerali. Oltre la struttura variabile, variabilissimo è il colore che riscontrasi talvolta biancastro, talvolta ed in generale verdastro, tal’ altra rosso ed anche giallastro. A. CORSI 556 nord-sud, e più specialmente i porùdi microgranulitici e le ;wr- firili 0 porfidi diahaùci. Tali dicche più resistenti rendono le masse montagnose granitiche molto accidentate e con sporgenze [ variatissime. Le porfiriti (') specialmente offrono un bellissimo . esempio di numerose dicche sottili filoniformi che col loro colore li verde-cupo formano contrasto ben marcato colla roccia granitica o porfirica bianco-rossastra che attraversano. Tutta la zona precedente, nella quale le rocce eruttive e le ■» rocce sedimentarie si compenetrano o si alternano, è alla sua volta < attraversata da numerosi filoni metalliferi, di costituzione e natum i assai varia, con direzione prevalente ora nord-sud oia est-ovest. I Tali filoni in generale regolari nella loro struttura e direzione pos- < sono dividersi in filoni Uerili, galeniferi o argciitiferi. ' I filoni est-ovest sono quelli che finora hanno dato più ricco i prodotto in argento, poiché almeno fino ad una certa profondità ,1 costituiscono talvolta un vero giacimento argentifero coi vari mine- rali di argento. . Tra questi filoni emerge il gran filone argentifero o fascio di filoni del Sarrabus, il quale incomincia ad ovest presso il paese ; di Soleminis e arriva al mare ad est sotto il paese di Muravera. . Tale filone, conosciuto ed esplorato su una lunghezza di 3 / chilometri, i rasenta il grosso banco di quarzite che va da est ad ovest quasi j parallelamente al contatto sud tra il granito e lo scisto. È costi- ; tuito da tre vene parallele più o meno distanti (vena nord, vena sud ! e vena intermedia), due delle quali talvolta si riuniscono. I filoni ) nord-sud sono invece numerosissimi ed assai potenti ma in generale I sterili 0 con galena povera in argento. i La ganga di questi filoni può essere quarzosa, baritica, cal- , citica, dolomitica, fluoritica oppure scistosa, con talco o steatite. ; Il minerale di argento forma a volte con tali ganghe dei miscugli i così minuti ed omogenei, difiùcilissimi a riconoscersi e facili a scam- '■ hi arsi con rocce sterili. Assume in tal caso un colore bruno più I (’) Costituite da una pasta feldspatica verdastra più o meno ferrugi- j nosa con cristalli di amfibolo e pirosseno augite. I porfidi microgranulitici l sono costituiti da una pasta ortoclasica compatta, disseminata di piccoli cri- i stalli di quarzo o feldspato, o con grossi cristalli feldspatici o globuli di j quarzo. j BREVI NOTIZIE E RELAZIONE DI UNA GITA ECO. 557 0 meno chiaro ed è detto caffè e latte dai minatori. Tale miscuglio è chiaro se tì è molto argento nativo, scuro se v’ è molto solfuro di argento. I minerali dei filoni del Sarrahus sono i seguenti : Argento nativo, lamellare, filiforme, polverulento. Argentite cristallizsata o filiforme (pseudomorfica) e la- mellare. Stefanite, Pirargirite, cristallizzate, o in lamine, o in tenui rivestimenti nelle ganghe, ovvero disseminate nella galena. Cherargirite in masse brune od in rivestimenti nelle ganghe agli affioramenti. Pirite in cristalli, rara. Marcassite ora in cristalli, ora mammellonare. Galena raramente cristallizzata, spesso corrosa. Povera e ricca in argento. ULlmannite (Galena antimonio-nichelifera) in bei cristalli cubici emiedrici. Le facce del cubo sono fortemente striate per la oscillante comparsa del piritoedro. Presentano la cristallizzazione emiedrica a facce parallele a differenza p. es. della ullmannite di LòUing in Carinzia che è emiedrica a facce inclinate. Breithauptite (Ni Sb.) in granuli cristallini, ovvero in cri- stallini nella calcite con ullmannite. Blenda, raramente cristallizzata, talvolta ricca in argento. Piromorfite, giallo-verde, mammellonare ed in cristalli ta- bulari. Wulfenite in piccoli cristalli giallo arancio agli affiora- menti. Molibdenite lamellare nel filone nord-sud di Acqua Rabbia a Villaputzu, che ha dato in passato minerali argentiferi. Arsenico nativo, mammellonare. Altri minerali metallici in quantità e qualità subordinata sono la Pirrotina, il Mupickel la Tetraedrite, la Nichelina, la Calco- pirite, la Cobaltina, \ Er Urina, la Cerussite ecc. Baritina lamellare o compatta, raramente in cristalli. Pre- domina specialmente come ganga agli affioramenti. Fluorite in cristalli cubici, bianca o verdastra. Prevale come ganga specialmente nelle zone ricche. Calcite. È il minerale che ha offerto splendide e variate A. CORSI 558 cristallizzazioni da rivaleggiare colle più belle di giacimenti con- simili. I cristalli sono prevalentemente ad abito prismatico, tal- volta aciculari, colla base e con numerose faccette subordinate rom- , boedriche e scalenoedriche. Talvolta completamente ialini, tal altra parzialmente lattei. Vi sono pure belli aggruppamenti di cristalli i tabulari, talvolta in lamine esagonali madi-eperlacee. Dolomite ferrifera gialla in romboedri piccolissimi sulla calcite. Armotomo in cristalli ialini incolori a macie. LaumOfiile in piccoli cristalli prismatici. Andalusite in masse di cristalli bianchi tibroso-radiati, di aspetto simile alla varietà, elbana. WoLlastonite bianca o giallastra in cristalli lamellari o i bacillari, in fasci radiati, nel calcare o nelle quarziti. Minerali di antimonio. Nei giacimenti antimoniferi quali quelli di Villasalto o di Su Leonargiù presso S. Vito. Oltre \'An- timonile si è trovata la Valentinite in piccoli cristalli giallo-cupo i in druse nel minerale precedente compatto. Come pure la Kerme- site in fiocchetti di cristalli aciculari e Y antimonio nativo. Tra i minerali degli scisti ebbi in dono dall ing. G. B. Tra- verso uno scisto nero grafitoide contenente numerosi cristallini di i chiastolite biancastri. Lo sviluppo della coltivazione dei giacimenti argentiferi del Sarrabus, benché fossero conosciuti e coltivati in qualche parte anche [ nei tempi passati (*) è di data abbastanza recente. Quintino Sella, al quale tanto deve lo sviluppo minerario sardo, scriveva nel 1871, i nella sua Relazione sulla industria mineraria della Sardegna alla | Camera dei deputati che « il Filone di Monte Narba nel Sarrabus aveva dato campioni di galena ricchissima in argento ed oltre a ciò ' qualche esemplare di argento nativo filamentoso " . Da quell’ anno in poi la miniera di M. Narba ed altre presero un prodigioso sviluppo. , Sotto r abile direzione dell’ ing. G. B. Traverso la Società Ano- > nima delle miniere di Lanusei (-) estese il suo campo di ricerca I I (1) Gli antichi Romani e Pisani non esplorarono questi giacimenti : mentre esplorarono quelli dell’Iglesiente. (2) La Società genovese Lanusei occupa nelle concessioni e campi di I ricerca più della metà della zona argentifera del Sarrabus. Si costituì nel 1869 | BREVI NOTIZIE E RELAZIONE DI UNA GITA ECO. 559 e di coltivazione oltre che a Monte NarbUj a Giovanni Bonn, Pevd Avba e Bacii Annodas (che del resto hanno presentato finora le parti più ricche del giacimento) a terreni adiacenti o posti ad una certa distanza, come Masaloni^ Pisigoni, Tuviois, ecc. Com era naturale dopo l’ esito delle prime fortunose ricerche altre Società tentarono, con più o meno felice esito, 1’ esplorazione dei filoni, e tra queste la Società Tacconis- Sarrabus^ la Società di Rin OLlastu costituitasi a Parigi nel 1888, la Società di Mon- teponi ecc. Le miniere della Società francese di Eiu Ollastu {S. Arcilloni I e IL Tacconis (i) , Niccola Seccia Serra S' Iliici {cresta . del leccio) ecc. poste nel centro del giacimento, stanno in mezzo a quelle appartenenti alla Società Lanusei. Benché attivamente ed estesamente esplorate sono sempre in principio di attivazione, ed hanno presentato in alcune parti eccezionale ricchezza , nonché molto interesse mineralogico. Come abbiam detto la costituzione dei filoni del Sarrabus é variabilissima. Talora le parti ricche di essi si presentano in co- lonne ed offrono un esempio splendido per uniformità di mine- ralizzazione, talvolta si presentano invece in ammassi, ossia lenti variabili per entità e ricchezza ed in generale assai più ricche delle colonne, tal’ altra i filoni si riducono a semplici fili. Ciascuna lente ha poi qualche cosa di speciale che fa distinguere un giaci- mento dall’altro. La ricerca dei filoni é quindi favorita dal caso poiché non c’é legge di mineralizzazione e le ganghe variano da un posto ad un altro, tanto in superficie quanto in profondità. Queste grandi differenze si spiegano colle molte cause che agiiono in varie epoche e differentemente, colle numerose spacca- per la esplorazione e coltivazione delle miniere dell’ Ogliastra, ed assunta la coltivazione delle miniere del Sarrabus, dopo aver impiegato inutilmente la maggior parte del suo capitale sociale nelle iirime miniere, ebbe la fortuna m poco tempo di rimettersi in buone condizioni finanziarie, e rimborsare dopo qualche anno il capitale versato agli azionisti. (b^ Tacconis esplorata dalla Società di questo nome, formò oggetto di nuove ricerche per parte della Società francese che ne ebbe la dichiarazione di scoperta e la concessione in quest’anno. 38 A. COKSI SfìO ture che si formarono e riformarono in varie direzioni e in vaii tempi, colle varie rocce che in esse si iniettarono, o colle \arie sostanze che per via idrica in quelle si depositarono subendo suc- cessivamente qualche trasfomi azione, motivo per cui il lavoro di mineralizzazione fu intermittente e variato e dipese in alcuni punti da varie e variate circostanze. Così per es. agli affioramenti no- tiamo prevalere i cloruri, i carbonati, i solfati, mentre in profon- dità prevalgono i solfuri metallici, cosa del resto notoria per molti giacimenti argentiferi. Così ad es. mentre a S. Arcilloni prevale la calcite, il quarzo e la dolomite, a Monte Narba abbonda super- ficialmente baritina e fluorite ed in profondità quarzo e calcare. Comparativamente ai giacimenti dell' Iglesiente quelli del Sar- labus offrono filoni discordanti colla stratificazione simili a quelli che predominano nella Regione Fluminese e .irborese, cioè al nord della Regione metallifera dell' Iglesiente. Sono cioè filoni di spac- catura che potrebbero sotto qualche aspetto riguardarsi come la continuazione di quelli dell’ Iglesiente. interrotti soltanto dalla vasta pianura o Campidano di Cagliari. Che, se non vogliono ri- guardarsi effettivamente come un prolungamento, sono una ripeti- zione di simili giacimenti, poiché eguali in parte sono i terreni sui quali si sono originati, identiche in parte sono le cause che gli hanno prodotti. Difatti esaminando il percorso del gran filone del Sarrabus, che si parte dal mare presso Muravera e con direzione est-ovest va a terminare con dolce curva tra i due villaggi di Soleminis e Sicci prospicienti sul Campidano di Cagliari, vediamo che continuando tale linea questa verrebbe a seguire quella che con- giunge Domm iiovas con Iglesias, cioè quasi l’asse minore del grandioso giacimento metallifero dell’ Iglesiente che contiene i suoi depositi quasi esclusivamente nel calcare metallifero e che offre, ora giacimenti a colonne, ora di contatto, ora depositi calaminari. Questi giacimenti sono diversi affatto da quelli del Sarrabus e ri- sultarono probabilmente differenti per le speciali condizioni del terreno nel quale prevaleva una ingente massa calcarea, forse di origine atollica, che fa corona al terreno cambriano; masse rocciose ambedue mancanti nel Sarrabus. Invece al nord, nel Fluminese e nell’ Arborese, si presentarono condizioni geologiche più prossime a quelle del Sarrabus, e all’ intorno della massa granitica, nel gra- nito stesso e negli scisti, si formarono i numerosi filoni galeniferi BREVI NOTIZIE E RELAZIONE DI UNA GITA ECO. 561 di spaccatura, tra i quali predomina quello quarzoso-galenifero delle miniere di Montevecchio, che in alcuni punti ha lo spessore di 40 e più metri, e che continua nelle miniere di Piccalina, Ingurtusu, Gennamari ecc. Il filone di Montevecchio si distingne per la sua potenza, mentre quello del Sarrabus per la sua lunghezza (37 kil.). e per la sua ricchezza superficiale di minerali argentiferi. Fatta cosi una breve premessa sulla costituzione geologica del Sarrabus, necessaria per dare una idea generale della regione che molto parzialmente e rapidamente abbiamo visitata, termineremo con una breve descrizione della gita. Abbiamo percorso all’ andata la bella ma tortuosa e solitaria strada nazionale che da Cagliari va al Sarrabus e che prosegue poi per 1 Ogliastra. Fino a Muravera essa ha un percorso di chilom. 64, e giornalmente vi è un servizio di diligenza. Si attraversa prima il Campidano di Cagliari passando per il grosso villaggio di Quarta S. Elena e dopo alquanto cammino si incontra un terreno alluvio- nale con grossi blocchi di trasporto di granito e porfido, oltre il quale trovansi le rocce in posto alcune delle quali molto alterate. Di qui oltre la sti-ada percorre il giacimento di rocce granitiche, che come abbiam detto sta a sud del giacimento metallifero, e il nucleo del quale in elevazione è la montagna dei Sette Fra- telli. Dopo una breve sosta presso la bella villa Pintor Melh, si- tuata presso il paese di S. Gregorio, ricco nei dintorni di frutteti, abbandonata la valle percorsa dal Torrente S. Andrea che si getta nel golfo di Quartu, ci siamo internati, dopo superato un culmine, nel versante opposto che guarda Y oriente percorso dal Pio de Cam- 'pionu, che poi avvicinandosi al mare prende il nome di Più sa Pie- cocca, avendo alla destra la montagna granitica dei Sette Fratelli. E questa la parte più alpestre del nostro percorso, disgraziatamente spogliata per buona parte delle sue antiche foreste e simile alla parte nord-est dell’isola, la Gallura. Le rocce granitiche offrono ora vette frastagliate, ora stupende guglie seghettate, ora scoscendimenti della roccia frammentata. Avemmo luogo di vedere lungo il percorso interessanti intrusioni di granuliti, microgranuliti e porfiriti. Le microgranuliti hanno tal- volta la grana così minuta che presentano l’ aspetto di eurite. Le porfiriti specialmente si fanno notare più facilmente pel loro co- 562 A. CORSI I lore verde-cupo e si presentano in numerosi strati sottili e i*aral- leli (direzione nord-sud) vicinissimi gli uni agli altii (’). Alla Cantoniera di Cannas facemmo breve fermata per la re- fezione. Abbandonate dopo un lungo percorso con bello svolgimento • stradale le rocce granitiche percorremmo un terreno alluvionale, avendo a sinistra una catena di elevazioni nelle quali esistono le concessioni minerarie di Masaloni, Monte Narba, ecc., ed alla destra il Piano di Villa Maggiore, regione paludosa e malsana. Girando attorno al Monte Nieddu (nero) avendo alla destra il mare, percorremmo una fertile pianura ed arrivammo al paese di Muravera. In faccia ad esso, dalla parte del mare, s’ innalza Monte Corallo, presso la foce del Flumendosa, ove esiste la miniera di galena di Gibbas, ora abbandonata. Al nord di ^luravera scorgiamo poco distante il paese di Villaputzu, a nord-ovest il paese di S. Vito, verso il quale ci dirigemmo senza toccarlo, deviando a sinistra per una bellissima strada in salita, che penetrando in una vallata ci condusse in breve tempo alla miniera di Monte Narba. Le ore pomeridiane furono impiegato specialmente nella visita degli edilìzi di lavorazione per la cernita e il lavaggio dei mine- rali galeniferi ed argentiferi, alle quali operazioni sono adibite molte ragazze dei vicini villaggi coi loro costumi caratteristici. Non starò qui a descrivere le varie operazioni ed apparati che occorrono per la classitìcazione del minerale dopo che esso è stato sottoposto alla frantumazione. Nò parlerò della cernita a mano, nè della classificazione per volume (tromel) o per densità (crivelli). . , A differenza dei trattamenti per le galene o minerali analoghi siamo in presenza, col materiale del Sarrabus. di minerali che anche poveri possono contenere nella ganga un discreto tenore in argento, e quindi la loro cernita deve essere fatta molto accuia- (') Il Vom Rath presso il Capo Carbonara, al sud cioè di questo gia- cimento granitico, ha contati l’un dopo l’altro, e vicinissimi, fino a 50 filoni di porfirite o diorite. Perè anche nella parte superiore del giacimento grani- tico, cioè presso il contatto di esso cogli scisti silurici e in continuazione fino ai filoni argentiferi, si hanno pure belli e numerosi esempi di questi filoni. Così ad es. intorno al paese di Burcei si hanno numerosi filoni di por- fidi diabasici e di porfidi microgranulitici. , I BREVI ^0TIZ1E E RELAZIONE DI UNA GITA ECO. 563 tamente per non incorrere in perdite notevoli. Abbiamo ganghe di pesi specilici differenti, poiché da 2,3 per lo scisto si passa a 4,6 per la baiitina. L’ argento poi, che raramente si tz’ova isolato, il più di sovente allo stato nativo e solfurato, in lamine o filiforme, è associato colla fluorite (p. s. =3,1) o collo scisto o col calcare (p. s. = 2,7). La mattina susseguente fu occupata nell’ esame dei minerali nel gabinetto del direttore. Già alla scuola mineraria di Iglesias avevamo avizto occasione di ammirare splendidi campioni di mi- nerali argentiferi ed altri pure bellissimi ne esaminammo qui. La collezione più bella però, raccolta con cura dall’ing. G. B. Tra- verso, forma adesso una delle parti più preziose del museo mine- ralogico di Genova. Il direttore pose a nostra disposizione molti campioni delle varie specie minerali siu’ricordate, tra le quali splen- didi campioni di calcite, ulmannite, fluorite, argento nativo, armo- tomo, ecc., quasi eh’ ei non avesse creduto sufiìcienti tutte le fa- cilitaziolii, notizie e gentilezze prodigateci. Dopodiché passammo alla visita delle miniere adiacenti di Monte Narba e Giovanni Bonn, guidati dall’ ing. Rosso e dal suo aiutante Vinelli ai quali rendiamo qui sentiti ringraziamenti. Siamo entrati in miniera dal livello 10°, che apresi sul piaz- zale di Monte Narba, ed é l’ultimo livello che ha sbocco alla su- perficie mediante un pozzo situato a qualche centinaio di metri dall imbocco. Siamo discesi all’ 11° livello, sottostante di metri 30 al 10° per altre successive discese effettuate per mezzo di pozzi 0 scale, ed abbiamo potuto visitare i cantieri di coltivazione al 12“ livello attualmente in lavorazione. Il filone ha uno spessore variabile da 0,80 ad 1"“,50, con inclinazione predominante di 70“ verso nord. Il giacimento é costituito a Monte Narba da due vene principali, di quella Sud o Canale Figu, e di quella intermedia. A Giovanni Bonn presentasi nettamente costituito da tre vene che vennero tutte dal più al meno esplorate, cioè la vena sud, la vena intermedia e la vena delle quarziti o vena nord. Anche qui, come a Monte Narba le colonne di minerale più potenti, più ricche e più costanti si ebbero nella vena intermedia. Notammo alcune faglie, la maggiore delle quali presso il con- fine di G. Bonu e Monte Narba sposta verso sud il filone dalla parte ovest di più che 60'", ed é riempita prevalentemente di A. C0K81 5G4 scisto argilloso. In alcuni punti abbiamo osservato bellissime se- zioni di lilone listato con ganghe di baritina, tluorina, calcite e quarzo. . Notevole il fatto che attraverso i tiloni di portante il filone argentifero si riscontra generalmente sterile. ^ A differenza di molte miniere dell’ Iglesiente, ove i calcari così detti metalliferi sono permeabili all’ acqua, nelle miniere del Sarrabus vi è lo scisto, che essendo impermeabile, non fornisce che poca acqua, la quale tiltra soltanto presso le discontinuità, specialmente delle faglie e dei riempimenti. La nostra discesa ebbe luogo tino a 3UU"*, dei quali lóO sotto il livello del mare. Le miniere ebbero il loro maggiore rendimento dopo il 187'J andando progressivamente sviluppandosi tin verso il 1 8 JO ( ), dal quale periodo incominciarono a declinare, ed ora si trovano in uno stato di notevole prostrazione. Infatti pur troppo collo scen- dere in profondità i minerali di argento tendono a diminuire per la loro ricchezza, come è avvenuto nella maggior parte delle Miiiniere di argento, che aperte per minerali di argento alla superrtcie, termi- narono in profondità per non dar altro che galena, blenda o pirite. Ciò che dà forse speranza di ritrovare minerale migliore in profondità è cfie esso non ha cambiato natura a differenza di gia- cimenti consimili. Ad ogni modo la estesa coltivazione superficiale di altre concessioni può compensare la deficienza in profondità di altre, anche se questa non dovesse essere transitoria. Nelle ore pomeridiane, continuando il tempo a non essere troppo favorevole, visitammo altri fabbricati annessi alle miniere, come l’ospedale, la farmacia, i forni, il locale di vendita del pane, ecc., ma non fu possibile spingerci nei dintorni per e.sami- nare le rocce in posto, e visitare altresì i paesi e le campagne, circostanti. Anzi il tempo continuando pessimo, rinunziammo alla gita che dovevamo fare la mattina susseguente, a cavallo, per aspri sentieri da Monte Narba alle miniere della Società di Riu Ollastu, per visitare le quali avevamo ricevuto gentilissimo invito dal di- rettore di dette miniere. (M La produzione dovuta alle miniere di Monte Xarba, Giovanni Bonn e Bacu Arrodas fu nella campagna del 1870-71 di U tonnellate di minerale , di argento, e salì alla cifra di ben 2000 tonnellate, con un valore di oltre 2 milioni di lire, nella campagna 1887-88. 565 BREVI NOTIZIE E RELAZIONE DI UNA GITA ECO. La impressione ricevuta nella visita delle miniere del Sar- rabus.fii ottima per l’importanza del giacimento, per rimpianto, per la beue ordinata distribuzione degli edilizi, e per 1’ accoglienza spontanea e gentile ricevuta dalla famiglia del Direttore e dai suoi dipendenti. È da augurarsi che i proprietari, ricordando le vicende ora tristi, ora fortunose della miniera, non debbano scoraggiarsi per un periodo poco lusinghiero qual’ è 1’ attuale, fidando in un avve- nire più prospero e nella molteplice estensione delle coltivazioni, alcune delle quali potranno compensare ad usura i sacrifizi che momentaneamente forse possono incontrarsi in alcune località di esplorazione più avanzata. La descrizione che abbiamo fatta è stata rapida come fu ra- pida la nostra gita. Sufficiente forse per dare una idea generale del giacimento. Chi vorrà apprendere molto e molto di più sulla regione del Sarrabus sotto l’ aspetto geologico, mineralogico ed industriale, consulterà le pubblicazioni sottoindicate (alle quali an- che noi abbiamo attinto notizie), che contengono estese descrizioni, dati, analisi e rappresentazioni grafiche del giacimento argentifero. [17 marzo 1897] BIBLIOGRAFIA DELLE MINIERE DEL SARRABUS Ing. Stefano Traverso, Note sulla geologia e sui giacimenti argenti- feri del Sarrahus. Torino, P. Casanova ed., 1890. Con 17 tavole e una carta geologico-mineraria. Ing. C. De Castro, Descrizione geologico-mineraria della zona argen- tifera del Sarrabus. Con 6 tavole annesse al testo e una carta geologico- mineraria. R. Ufficio geologico, Roma, 1890. Ing. G. B. Traverso, Di alcune specie minerali rinvenute nel giaci- mento a minerali d'argento del Sarrabus. Genova, 1881. Prof. G. vom Rath, Due viaggi in Sardegna. Versione dal tedesco di U. Botti. Cagliari, 1886. Klein e Yannosch, Analisi e descrizione della Ulmannite del Sarrabus. N. Jahrb f. M., 1883, I, P. 180. Richard A., Minéraux de la mine de Sarrabus. Bull. d. 1. Soc. min. d. France, voi. II, n. 6. Paris 1879. Varie memorie mineralogiche di Artini (sulle Stefaniti), Klein, Mier, Mattirolo (sulla Breithauptite), Bombice! (Stefanite, Calcite, ecc. Contribu- zioni di mineralogia italiana). BREVE RELAZIONE DI UNA ESCURSIONE A MONTE S. PIETRO (iglesiente) Nota «lei Socio G. oe Angelis d’Ossat. ' i Appena si chiuse 1’ Adunanza straodinaria della nostra Società » a Cagliari, l’ing. E. Clerici ed io, allettati dal desiderio di rive- |« dere l’ importante regione dell’ Iglesiente, ci portammo ad Iglesias. f Precipuo nostro scopo eia quello di conoscere la formazione cambriana e di raccogliervi possibilmente qualche residuo fossile. Si stabili di ascendere Monte S. Pietro e poi, per il Gutturu Sorgiu, scendere nella , interessante miniera di Nebida. Infatti, la mattina seguente, di buo- nissima ora, si partì, quantunque il tempo non sembrasse secondarci. Si prese la via che conduce a Monteponi ed a Gonnesa. Ben d presto si lasciò la strada carrozzabile per volgere a destra nella { direzione della miniera di Cungiaus; nella biforcazione si osseiva- rono gli schisti violacei, molto accartocciati, generalmente attribuiti al Siluriano. Da questo punto sino alle pendici di Monte S. Pietro i s' incontrò solamente il calcare metallifero, che di tanto in tanto !i dava luogo a varietà petrografiche, divenendo talor grigio-azzurro e !i compatto ed attraversato da venuzze di calcite ; più di una volta si |i martellò sulla baritina, intercalata nella formazione in piccole lenti. | La pendenza inclinava quasi costantemente verso E, con un angolo j abbastanza sentito coll’orizzonte. [ Da sotto Monte S. Pietro sino alle origini del Gutturu Sorgiu ii si calpestarono le alternanze di rocce riferite al Cambriano a causa j dei fossili interessantissimi determinati specialmente dal Meneghini | e dal Bornemann. Le ricerche nostre ripetute sulle località segnalate I come fossilifere nel lavoro dello Zoppi {Descrisione geolog ica-mi- neraria deW Iglesiente (Sardegna). Roma, 1888) riuscirono tutte a vuoto. La formazione ci si mostrò costituita primieramente dalle arenarie fossilifere, nelle quali sono intercalati calcari, talvolta ro- sati, e poi da arenarie ritenute non fossilifere, con lenti calcaree. Quantunque il tempo dalle minacce fosse passato ai fatti più ter- I G. DE ANGELIS d’oSSAT, BREVE RELAZIONE ECO. 567 ribilmente perversi, da farci assistere al curioso fenomeno della pioggia che veniva ad investii-ci dal basso, nella direzione del fondo della valle, — tanto era impetuoso il vento che soffiava dal mare buiTascoso — ; tuttavia le nostre ricerche quivi furono più accurate e coronate da insperato successo. Infatti sotto a Ponte Pubuxina, uno strato di arenaria giallastra ci si mostrò ricca di impronte interne di Trilobiti e d' impronte bellissime di gigantesche alghe. La roccia fu studiata petrograficamente dal prof. Bucca (Zoppi loc. cit., pag. 145). Disgraziatamente le prime sono in così cattivo stato di con- servazione da non permettermi un sicuro riferimento, tenendo però conto dei caratteri che è possibile rilevare, sembra che le maggiori attinenze siano col gen. Qiovddnclld Bornem. (Jdi& V<^vst6Ìn6Tiiyi- gan des Cdmbrischen Schichlemijstems der Insel Sdrdinien. Halle, 1891, pag. 52). Anzi, col confronto delle figure e delle descrizioni, un pigidio abbastanza ben conservato sembra che voglia richiamare la specie G. Meneghina Bornem. (loc. cit., pag. 55, tav. 41, fig. 1-3, 9-10, 12-14, 16, 18-22, 36). Infatti, corrispondono bene le dimensioni, la prominenza dell’asse ben limitato dai solchi dorsali, il numero e le proporzioni delle coste laterali ecc. Un pessimo modello di cefalo-torace sembra che somigli molto a quelli che vedo figurati per le specie di questo genere e specialmente per quella ora citata. Le impronte interne riferite generalmente alle alghe gigan- tesche si presentano come tanti cilindri molto schiacciati ; sopra una delle supeilicie non sempre si mostra un solco ben chiaro, che spesso sembra mancare. La superficie inferiore è meno curva, come ho potuto osservare da parecchie sezioni trasversali. Quantunque sia difficile il poter giudicare del loro posto nel regno biologico, tut- tavolta seguendo il Delgado {Études sitr les Bilobites de Id bdse du système Silurique du Portugdi), ed il Bornemann, le riferisco alle alghe. I nostri fossili somigliano molto alle descrizioni di quelli esemplari che il Meneghini , con un nome complessivo, chiamò. Bilobites sdvdod {(y. Meneghini, Bilobiti Cdvnbridne in ìidvdegnd, 1885); ma che poi giustamente dal Bornemann (op. cit., pag. 11) forono riferite al gen. Gruzidnd. Anche il Meneghini aveva di già affrontato la quistione fin dal 1883 (Zie Ctuzidne o Bilo- biti dei terreni Cdmbridni in Sdrdegnd). Per quanto ci è dato sapere sembra che la località fossili- fera sia nuova ed essa ha un qualche interesse dacché si trove- 5(38 G- ge angelis d’ossat rebbe nell' arenaria generalmente ritenuta sterile. In tal modo queste arenarie formerebbero tutto un complesso indivisibile sotto il punto di vista paleontologico, in quanto che gli stessi fossili furono di già trovati presso il culmine di Monte S. Pietro, come ci dicono il Meneghini, il Bornemann e lo Zoppi. Nella località fossilifera gli strati pendono verso E. Proseguendo la via si rientrò nel dominio della formazione del calcare me”tallifero, interrotto da un'isoletta di rocce siluriane, sino allo sbocco della pittoresca valle dove sono piantati gli editici della grandiosa miniera di Nebida. Ivi facemmo molte osservazioni di cui, con più competenza, dirà certamente qualche altro collega ( ). La' spiaggia ed il fondo della via che mena a Fontanamare appar- tiene al Siluriano. Qua e là ci fu dato vedere un calcare interca- lato nella formazione schistosa, il quale resistendo maggiormente alle forze degradatrici ed all' impeto delle onde, costituisce pa- recchi isolotti oscuri che arditi si sollevano fra lo spumeggiante mare. Sopra uno di questi, non ancora completamente isolato dal mare, a dispetto dell' uggioso Giove Pluvio e dello scatenato Eolo, protetti da un rudere, potemmo smiltire la più che frugale cola- zione alle 2 poni. Un altro scopo secondario ci aveva animati nella gita, la vi- sita cioè dell’ altipiano di Campo Mà, dove V ha una formazione attribuita al Triassico e che nell’ adunanza ci era sembrato ascol- tare, doversi riferire al Quaternario! Prima però di giungervi po- temmo constatare a diverse riprese le Grauwakes, constituite da frammenti di schisti, con particelle quarzose e feldespatiche, riunite non sempre ugualmente da un cemento siliceo-argilloso. È il terzo elemento, secondo lo Zoppi (pag. 44) della formazione schistosa. Quando si fu presso la località chiamata il Morto, si risalì lo splen- dido altipiano che si scorge da lungi per la roccia chiara e nettamente stratificata (Zoppi, loc. cit. tav. VII). Lo Zoppi nel suo lavoro lascia la parola al Bornemann per la descrizione del Triassico e noi faremo altrettanto (Bornemann, R. Com. geol. n. 7, 8, 1881). Le nostre osservazioni collimano esattamente con quelle dello Zoppi (loc. cit., pag. 70, 71); come la serie dal basso all’alto, cioè: conglomerato, (>) Riva, C., Sopra alcuni minerali di Nebida. Rend. R. Accad. Lincei, voi. VI, 1° sem., ser. 5^ fase. 12. Roma 1897. 569 BRE7E RELAZIONE DI UNA ESCURSIONE A MONTE S. PIETRO calcare fossile, calcare grigio compatto, e calcare biancastro. In que- st ultimo fu impossibile trovare le tracce di fossili, neppure qualche impronta che ricordasse il problematico Rhizocovalliurii jenense. Le sezioni microscopiche che vi ho praticato non rivelano nulla degno di menzione. Tuttavia non è permesso nutrire neanche il più lontano dubbio intorno all’ erroneo riferimento al Quaternario, chè la formazione, per il carattere litologico, pare voglia essere meso- zoica. Non essendo stati quivi mai trovati residui fossili concludenti, non riferiremo certamente col Bornemann e col Zoppi al Triassico e propriamente al Buntsandstein superiore o Roth od al Mulschel- kalk inferiore o Wellenkalk l'altipiano di Campo Ma. Prima di arrivare a Fontanamare si rinvenne realmente una formazione continentale che deve attribuirsi al Quaternario. È una breccia costituita da materiali cambrici, silurici e prevalentemente triassici (?) e riuniti da un cemento terroso rosso. Essa è piena di conchiglie continentali, come: Helixs^., S lem gyr a decollata, Clau- silia sp, etc. A Fontanamare v’ ha una panchina costituita da sabbie cemen- tate, fortemente inclinata verso mare ed abbastanza potente. Essa si eleva oltre 20 m. sul livello del mare attuale. Quindi si attraversò la formazione eocenica, lambendo la miniera, ora non sfruttata di lignite di Fontanamare, per giungere finalmente sopra gli schisti siluriani, che ci accompagnarono sino alla stazione di Gronnesa. Ivi, mentre si aspettava il treno, facemmo raccolta di molti fossili silu- riani, dei quali parlerà chi dovrà redigere la relazione dell’escursione fatta da tutta l’adunanza: Iglesias-Porto Vesme. Lungo la strada ferrata procurammo di sorprendere la rela- zione fra le rocce del Siluriano ed il calcare metallifero. Quest’ul- timo è ornai celebre per il gran numero di discussioni cui ha dato luogo fra i più illustri geologi e certamente ancora sarà origine di molte altre disparate opinioni ('). Io pure voglio procurare di por- tare il tenue contributo per la soluzione dell’ arduo problema, se, mio malgrado, non mi avverrà di accrescere la confusione. Con le molteplici osservazioni sopra il luogo e con lo studio accu- rato di quanto fu già scritto sull’ argomento, sono pervenuto alla (•) Gambera V., Relazione sulla scoperta di fossili nell' Iglesiente. — Tettonica dei terreni dell' Iglesiente. — Sulla scoperta di nuove zone del carbonifero e sulla stratigrafia dell' Iglesiente. Cagliari, 1897. 570 G. DK ANGELIS l/OSSAT, BREVE REl.AZIONE RCC. persuasiono che le diverse teorie portate finora avanti per ispie^are il fatto non corrispondono alla verità, perchè non si è dato il giusto valore al tempo necessario per la formazione di una ugual potenza di materiale schistoso, di arenaria e di calcare. Sono tre materiali sedimentari di facies diversa che esigono un tempo ben differente nella loro deposizione. In genere si deve ammettere che le arenarie si formano in minor tempo dei calcari e questi in molto minoie degli schisti. Non è però raro il caso in cui i calcari possansi formare con la stessa celerità, se non maggiore, delle arenarie. Posto ciò. rite- nendo, come è opinione generale, gli schisti per la maggior parte superiori (Siluriano) alla formazione prevalentemente arenacea e calcarea del Cambrio; a me sembra che la minor parte di essi, cioè r inferiore sia una formazione eteropica, ma contemporanea del Cam- brio. Laonde gli .schisti stessi non interrottamente si seguirebbero dal Cambrio al Siluriano. Secondo me i calcari metalliferi sarebbero compresi come una grossa lente negli schisti superiori. Non in- tendo con questo di fissare l’età della formazione metallifera nel Siluriano, ciò che del resto non escludo. La chiave, a parer mio. risiede nello studio paleontologico degli strati schistosi e nel loro relativo rapporto con il calcare metallifero, il quale potrebbe anche formare più di una lente ed a diversi livelli. Sta però il fatto, abba- stanza concludente, dell' abbassamento del livello d acqua in tutte le miniere vicine ad Iglesias nell’ apertura della galleria di scolo della miniera di Monteponi. La mia ipotesi quantunque sia ben lontana da quella dello Zoppi, pure è quella che più vi si avvicina ('). Era calata la notte quando si giunse alla Stazione di Monte- poni; non ci rimaneva che portarci all’ albergo, ristorarci e. con la soddisfazione di una interessante esciu'sione compiuta, resa più dolce dalla vittoria sopra gli iniqui fenomeni atmosferici, addormentai ci. [10 agosto 1896] (i) Questa quistione trova riscontro con quanto ebbi ad osservare diret- tamente sulle Alpi Gamiche. Quivi negli schisti che sembravano sincroni si trovavano in un luogo i Graptoliti (Siluriano), in un altro piante fossili del Carbonifero. Un calcare che aveva relazione con loro s’ebbe i più strani riferimenti. Finalmente si potè assodare, con i fossili, che il calcare appar- teneva al Devoniano, e che il calcare a guisa di grandissima lente era im- pigliato negli strati schistosi e di questi ne aveva assecondati i capricciosi mo- vimenti. Probabilmente anche qui vi debbono essere schisti contemporanei al Devoniano ; ma ancora non si poterono riconoscere sicuramente. COEALLARII E BEIOZOI NEOGENICI DI SARDEGNA Nota di G. De Angelis d’ Ossat e di A. Neviani. I. CORALLARII (i). I coralli terziari!, raccolti nella Sardegna, formarono oggetto di studio al prof. Meneghini nel magistrale lavoro paleontologico intorno ai fossili di quest’isola {Paléontologie de Vile de Sar- daigne, Turin, 1857). Quivi trovasi citata nel calcare compatto di Monreale, conosciuto sotto il nome di Pietra forte di Bonaria del neogene (pag. 515), la Cladocora sp. ind. ; nel calcare di Pini il Flahellum avicula Michtti. ; F. Michelini E, H. ; F. Ba- steroti E. H.; F. mbturbinatum E. H. ; Trochosmiliaì ìnA.; Ceratotrochus duodecim-costatus Goldf. ; Astraea ellisiana De Frane. (Fontanaccio); Astraea acropora Michtti. (Fontanaccio); So- lenastraea turonensis Michelin, (Fontanaccio); Parastraea, sp. ind. (Osilo, pag. 616-622); finalmente nel pleistocene di Is Mesas ed Alghero viene nominata la Cladocora caespilosa L. Nel 1878 il Mariani E. ed il Parona C. F. nel loro lavoro intorno ai Fossili tortoniani di Capo S. Marco in Sardegna menzionano le due specie : Trochocyathus undulatus E. H., Ce- ratotrochus duodecim-costatus Goldf. Quest’ ultima forma era già stata riconosciuta dal Meneghini nella stessa località (Marna bleu). Viene accresciuto il numero delle specie da C. F. Parona nel suo bel lavoro Appunti per la paleontologia miocenica della Sardegna, uscito nello stesso 1887 nel Bollettino della nostra (*) (*) Del dott. De Angelis d’ Oss^t. 572 G. DE ANGELIS d’ OSSAT ED A. .NEVIAM Società. Ivi a pag. 289 e seg. vengono citate le seguenti specie, raccolte a Fontanazzo: fìalamphyllia MeneghUii E. Sisnui. Heliastraea Defmiicei E. H. j ^ ellisiana Defranc. ! Solenastraea turonensis Mieli, sp. Rhifidogyra Michelottii (Mengh.) D'Ach. ; Lophohelia Defrancei E. H. Stylophora micropora Michtti. Ceratotrochus Jecussatus Michtti. ' Trochocyalhus crassus E. H. -t elegans Michtti. Ceratotrochus duodecim-costatus Goldf. * Conotrochus tipus Seg. j Finalmente nell'elveziano di S. Michele, presse Cagliari, viene i nominata solo X Isis melitensis Goldf. ! Il Locard nella descrizione della fauna terziaria di Corsica {Deseription de la faune des terrains mo gens de la Corse, 1877) determinò parecchie forme di coralli, che non possiamo non ri- cordare per la grandissima attinenza che lega il miocene Sardo a quello Corso. Ecco l’elenco (pag. 218-224): Trochocyalhus sp. ind. Cladocora manipulala Mich. Solenastraea Peroni Locard (n. sp. ). Heliastraea Rochettii Michelin. ■> Defrancei E. H. -> Ellisi Defrance. Dendrophyllia digitalis Blainv. A questo punto erano le conoscenze della tauna coralligena terziaria della Sardegna, quando ci venne data la possibilità di studiare il materiale raccolto ultimamente dal prof. D. Lovisato, e che ci fu inviato per studio con squisita gentilezza dal medesimo professore, pensiero per il quale esprimiamo qui pubblicamente la nostra doverosa riconoscenza. Disgraziatamente lo stato di conser- J vazione è pessimo per la profonda spatizzazione sotferta dagli ' esemplari, che ha obliterato i caratteri anatomici, rendendocene CORALLARII E BRIOZOI NEOGENICI DI SARDEGNA 573 spesse volte impossibile la determinazione. Il loro aspetto somiglia moltissimo a quello dei coralli sincronici dell’isola di Malta e del distretto di Barcellona (Spagna). Noi finora vi abbiamo riconosciuto le seguenti forme. ANTHOZOA. Alcyonaria. Gen. Isiis Lami. (1816). Isis peloritana Seg. 18G3. Seguenza, Disquis. paleont., pag. 16, tav. I, fìg. 1 a-e. Parecchi articoli calcarei, slanciati, striati longitudinalmente, di forma quasi cilindrica, spesso ricurvi, con estremità angolose, dilatate, piane od alquanto convesse, li riferiamo alla presente specie. Sono molte le difiìcoltà che s’ incontrano da chi vuole spe- cificare in questo genere, ma nel nostro caso siamo favoriti dalla presenza della base del polipajo. Questa si dilata molto, esten- dendosi in prolungamenti radiciformi, larghi, lamellosi, divisi in lacinie ed ornati da solchi e da strie longitudinali. È questo il precipuo carattere per cui si distingue 1’/. peloritana dall’/, me- lUensis Goldf. {Petref. Germ., tom. I, pag. 20, tav. VII, fig. 17). Infatti quest’ ultima forma ha bensì una base dilatata ed incro- stante, ma mai laciniata in espansioni radiciformi, come si può rilevare dalla figura dello Scilla, che pel primo parlò della specie, sotto il nome di Corallium articulaium (Scilla, De corporibus ma- rinis lapidesceniibus, pag. 63, tav, XXI, fig. 1). La presente forma ha grandi afiìnità con la vivente Mopsea gracilis Lami. {Isis). In un altro lavoro (/ Corallarii dei terreni terz. ital. seti., pag. 12) già fu osservato come talvolta gli articoli calcarei di que- sta specie ci possano presentare dei prolungamenti spinosi ; carat- tere non sufficiente per istabilire una nuova forma. Il Seguenza cita la specie nel miocene più elevato di Mes- sina. Nel tortoniano di S. Agata-fossili (De Angelis). S. Michele (Cagliari). [Coll. Lovisato, nn. 16, 52, 55]. 574 r,. DE ANGELIS d' OSSAT ED A. NEVIAM Isia meìitensis Goldf. La sinonimia in Seguenza (oi>. cit., pag. 14j. Questa specie fu citata dal Parona C. F. (op. cit., pag. 801) nel miocene di S. Michele (Cagliari). Uno o due articoli, quan- tunque non molto sviluppati, pure mostrano i caratteri specifici. È noto che la forma può presentare grandissime modificazioni, donde l’ incertezza che circonda le determinazioni. Il carattere più specifico per noi è l’ estremità dell’ articolo, che si presenta in forma conica ed acuta. Articoli di questa specie furono raccolti nel miocene di To- rino, Stazzano, Cassinelle, Calabria. Messina e dintorni, Lipari, Malta, ecc. S. Michele (Cagliari). [Coll. Lovisato, n. 58]. Zoanth.vkia. Gen. I3encli'oi>liylli;i De Hlainv. (1880). La distinzione delle specie di questo genere è riposta nella disposizione dei rami ; laonde è cosa oltre ogni credere difficile la determinazione quando non si abbiano esemplari ben conservati [Descrij). de Los Antosoos fos. pliocea. de Cataluàa. pag. <>, De Angelis). Deìidro'phyUia amica Michtti. f 1«28. Michelotti, Spec. zooph. dii, pag. 85, tav. Ili, fifg. 5 {Caryophplha). * 1842. Michelin, Icori, zooph., pag. 52, tav. X, tig. 9 (D. cornigera). 1 1848. Milne Edwards et J. Haime, Ann. des iìc. wàt., Monogr. Eupnammides, pag. 101, tav. I, fig. 9 {Polipajo giovine). 1871. Sismonda E., Mai. paléont., pag. .32, tav. IX. fig. 15-16. ^ Un cattivo esemplare lo riportiamo a questa specie, che si distingue facilmente dalla vivente D. ramea, per la minore rego- ’ larità dell’ inserzione degli individui sopra i rami. Per la qual cosa j quando si hanno solo brevi tronchi riesce impossibile la specifica- | zione. Il nostro esemplare però è abbastanza grande e ci mostra I un ramo con l’ inserzione di molti individui, cilindrici, allungati, disposti irregolarmente, con mutue aderenze. Da un lato si scor- gono le coste distintissime, sottili e serrate. I calici subellittici. CORALLARII E BRIOZOI NEOGEMCI DI SARDEGNA 575 eoo un rapporto degli assi molto vicino a 100:120. La columella ben sviluppata. Crii altri caratteri che si possono osservare corri- spondono abbastanza a quelli che si assegnano alla specie. Anche le dimensioni non se ne allontanano. Fossile nel miocene di Torino e di Touraine ; pliocene di Zi- noia, Siena, Chianciano, Papiol (Spagna), Cannes (Francia). Fontanazzo. [Coll. Lovisato, n. 89]. Cren. SolenEistrfxea E. H. (1848). Solenastraea iuronensis Michl. 1840-47. Michelin, Icori, zooph., pag. 312, tay. LXXV, fig. 1-2 (Astraea). 1857. Milne Edwards ed J. Haime, Hist. nat. Corali, voi. II, pag. 498. 1857. Meneghini, op. cit, pag. 620. 1887. C. F. Parona, op. cit., pag. 302. Con questo nome il Meneghini e'posteriormente il Parona de- signarono parecchi esemplari provenienti da Fontanaccio. Invero il bell’ esemplare che possiamo ora studiare ci porge tutti i caratteri attribuiti alla specie, con qualche lieve modificazione che potrebbe far sorgeie qualche sospetto sulla buona determinazione. Certa- mente gli esemplari studiati dai predetti professori non dovevano essere molto lontani dalla forma tipica, non avendo fatto cenno intorno a queste particolarità. Il Locard (op. cit.. pag. 219, tav. VII, fig. 5-7) descrive una nuova Solenastraea Peroni, forma molto affine alla S. Iuronensis. 1 caratteri esposti dal Locard per differenziare le due forme non li crediamo sufficienti, perchè basati sopra caratteri anatomici non importanti. Infatti, essi sono riposti in una piccola differenza del diametro calicinale, nella regolarità e reciproca vicinanza dei ca- lici; caratteri che possono variare anche più fortemente nello stesso esemplare di un qualsiasi polipajo. Non avendo noi rivolta la nostra attenzione sopra esemplari provenienti dalla Corsica, non siamo in grado di poter non ritenere per buona la nuova forma del Locard. Anzi siamo propensi ad ascrivere gli esemplari di Sardegna e di Corsica, se uguali, ad una varietà della S. Iuronensis, cui natural- mente SI dovrebbe dare il nome di var. Peroni Locard. Infatti le differenze che abbiamo potuto rilevare dal confronto dei fossili Corso- Sardi con quelli del miocene di Torino, possono, per chi vuole, dare sufficiente motivo alla creazione di una buona varietà. 576 G. DE ANGELIS d’OSSAT ED A. NEVIAM Possile nel miocene di Torino, Touraine. Fontanazzo e Piano di Plananzia [Coll. Lovisato, n. 73, 89]. Gen. Cva.thon\oi*i>lia Reuss (1869) = AgatMphyllia Reuss. 11 Reis {Die Korallen der Reiter- Schichten, pag. 147) di- mostra, contrariamente alle opinioni del D'Achiardi, la giusta esi- stenza di questo genere, nonché la seguente importantissima si- nonimia. Cyathomorpha rocchettina Michelin. 1840-47 Michelin, Icon. zooph., pag. 58, tav. VII, fig. 2 {Astraea). ,856 Catullo. Dei Urr. ui. Yen., pag. 57, tav. XII, fig. 185.7 Milne Edwards ed J. Haime, Hist. nat. Cor., vd. II, pag. 462 [He liastraea). ^ , 1868 D'Achiardi, Stuà. cornp., pag. 14, tav. I, fig. 12-13 [IhUaztraea). im. Heuss, PaUont. Stud. IL pag- 33, tav. X'XII, fig. 1 (//d. pag. 32, 33, tav. XXII, fig. 2, 3.{C. greoarid)-, tav. XXII, fig. 4 (C. conglobata). Un grosso frammento, molto mal conservato, lo riferiamo, con qualche esitazione, a questa specie. All'esemplare corrispondono e le descrizioni e gli ottimi resti di questa torma della collezione, llichelotti (Gabinetto R. Università di Roma), per quanto si può osservare. La specie viene menzionata fossile nei colli di Tonno, a Dego, a Crosara, a Salcedo ed a Bordeaux. Perdas de Foga ; da Mandas a Serri. [Coll. Lovisato, nn. 3U. 31, 77, 83]. Gen. HeUii«trn.ea E. H. (1857). Heliastraea Defrancei E. H. Già citata nella Sardegna dal Meneghini a Fontanaccio (Pa-^ léont. Sard., pag. 620) e dal Parona (op. cit., pag. 302). Nella Corsica fu trovata dal Locard (op. cit., pag. 228). Noi vi riferiamo un esemplare proveniente dal Piano^di Pia-, nanzia ed un altro da Fontanazzo. [Coll. Lovisato, nn. (2, 89]. 577 CORALLARII E BRIOZOI NEOGENICl DI SARDEGNA Heliastraea ellisiana Defrance. Viene citata dal Parona nella stessa località (loc. cit., pag. 302). Fontanazzo. [Coll. Lovisato, nn. 88, 89]. Gen. Claclocora Ehrebg. {Lithodendron p. p. Goldf). Cladoeora caespitosa E. H. Per la sinonimia vedasi ililne Edwards ed J. Haime {Hist. nat. Corali, tom II pag. 594, 1857). ’ In altro lavoro (/ soantarii fossili dei dintorni di Roma, pag. 17) riunimmo alla presente forma la C. Reussi {Poi. foss., pag. 150). Ora ci nacque il sospetto che gli esemplari che si rac- colgono nel miocene debbano essere allontanati dalla specie tuttora vivente nelle nostre spiaggie. A questo proposito andiamo raccogliendo un largo materiale, acciò lo studio riesca il meno imperfetto che sia possibile. Intanto riportiamo a questa specie un polipajo con molti polipieriti, che rivestono una superficie curva; essi disgrazia- tamente sono molto spatizzati e quindi con molti caratteri man- canti. In un altro lavoro si dimostrò la convenienza di attribuire la specie al Milne Edwards ed Haime, piuttosto che a Linneo {Co- rali ters. Rai. s^^L,pag. 74). E forma, presa nel senso complessivo, che trovasi fossile in molte ^ località mioceniche, plioceniche e quaternarie. Vive nelle spiaggie della penisola e della Sardegna (Meneghini). Capo S. Elia (Cagliari). [Coll. Lovisato, nn. 11, 29. 65, 73], Gen. Lithoplayiixa E. H. (1857). Due nuclei molto mal conservati crediamo, doversi riferire certamente a questo genere e con qualche probabilità alla specie: Lithophyllia Basterotii E. H. Infatti il polipierite è subcilindrico ed allungato. Gli ordini primari con setti molto sviluppati, mentre gli altri hanno lamelle sottili. La columella è costituita dall’ incontro delle lamine che la rendono ben sviluppata, spugnosa e densa. Non si possono osser- vare altri caratteri. La specie fu istituita sopra individui del miocene di Dax. I 57g G. 1>K ANGELIS u’ OSSAT ED A. NEVIAM In Italia è conosciuta nell' elveziano dei colli di Torino (E. Si- smonda. De Angelis). La forma per quanto sappiamo non venne mai figurata: nè possiamo rappresentare i due nuclei malconci. Piano di Plananzia. Capo S. Elia. [Coll. Lovisato, nn. 12, 26, 71, 73], Gen. >loiitUvn.ixltiii Lami. (1821). Uonlliv aulita cfr. coronula Michtti. Il presente genere, ricco di forme ed antico, tro\asi rappre- sentato anco nel miocene di Sardegna. Disgraziatamente due esem- plari provenienti dalle marne argillose di Biugia Fusgesi (Cagliari), sono così in cattivo stato di conservazione, da non pennettere una determinazione specifica sicura. I caratteri generici però si scor- gono quasi tutti, come: gli individui semplici, liberi e con teca rudimentale. Non siamo riusciti a scorgere la columella. Le tra- verse endotecali abbondano. 1 due individui in istudio sembrano avvicinarsi molto alla M. coronula Michtti. {Fungia) (Sismonda E., Mal. paléont., pag. 83, tav. VII, fig. 2) dei colli di Torino. Questa specie in parte appartiene alla Turbinolia MicheloUii Mi- chelin {Icon. 200ph., pag. 34, 1841). Biugia Fusgesi (Cagliari). [Coll. Lovisato, n. 66]. Gen. Schweigger p. p. (1819). Stylophora micropora Michtti. (?) 1871. Sismonda E., Mot. paléont., paff. 313. tav. Ili, fi". 3. La presente forma fu riconosciuta dal Parona (op. cit., pag. 303). Da parte nostra ricordiamo le gravi difficoltà, che s’ incontrano nella specificazione in questo genere {Corali, terz. Hai. seti., pag. 82. — / Goral, foss. terr. terz. Col. Udine, pag. 13, De Angelis). Tali dubbi divengono maggiori quando ci si trova in presenza di un esemplare tanto mal conservato da non farci rico- noscere neppure i caratteri generici. Laonde annoveriamo con molto dubbio la presenza di questa forma nel miocene di Sardegna. Fontanazzo. [Coll. Lovisato, n. 84]. CORALLARII E BKIOZOI NEOGENICI DI SARDEGNA 579 Gen. FJabelliira Lesson (emend. Duncan, 1885) (i). Flabellum extensiim Michl. 1841. Michelin, Icori, zooph., pag, 46, tav. IX, fig. 14 {F. extensum). 1848. Milne Edwards ed J. Haime, Monogr. Tarbinolides, Ann. Se. nat., 3 ser., tora. IX, pag. 262 [F. distinctum). 1873. Duncan, Madrep. of thè Porcupine. Transactions of thè zool. Soc voi. Vili, pag. 322. tav. XXXIX, fig. 1-13. È questa la sinonimia che propone e discute il Simonelli ( Gli Antosoi pliocenici del Ponticello di Savena presso Bologna Pai. itaU voi. I, pag. 153, tav. Vili, fig. 6). A questa forma riportiamo un ben conservato esemplare, quantunque si allontani alquanto dai caratteri attribuiti alla specie. La grandissima va- riabilità della forma ci consiglia tale riferimento. L habitat di questa specie tuttora vivente nel mare del Giap- pone, nel mar Bosso, nell’Atlantico, e lungo le coste della Spagna : 304-994 fathorns. Fossile nell’ elveziano e tortoniano dell’ Alta Italia; nel pliocene di Sicilia; miocene di Malaga (Duncan); plio- cene, Ampurdan di Catalogna (De Angelis) ; neogene di Giava (Martin), miocene Australia meridionale (Duncan). Fontanazzo. [Coll. Lovisato, n. 89]. •k Riassumendo, nel miocene sardo possiamo annoverare le se- guenti forme: Isis mehtensis Goldf. Balanophyllia Meneghina E. » 'peloritana Seg. Sismd. Dendrophyllia amica Michtti. Solenastraea turonensis Mich. (0 Interessante, dal punto di vista corologico e cronologico, è la con- statazione fatta da uno di noi nel Gabinetto di Geologia della R. Università di Cagliari, della presenza del Flabellum Vaticani Ponzi; e forse anche del Trochocyathus {Stephanocyathus) umbrella Ponzi. Gli esemplari pro- vengono dalle argille sabbiose di Fangario, i cui fossili furono studiati dal Gennari, Bassani, Canavari, Fornasini, Ristori, Lovisato, Parona. Secondo il Lovisato {Nuovi resti di coccodrilliano foss. nel miocene di Numi, 1892) appartiene la formazione al langhiano. Non conosciamo i rapporti con le argille ad Amussium (Pecten) denudatum di Fangario, che il Parona (loc. cit., pag. 294), seguendo il Bassani ed il Lovisato, ascrive all’ elveziano. 580 G. DE ANGKLIS D’oSSAT ED A. .NEVIAM Cyathomorpha rocchettina Mi- chl. lleliaslraea ellisiana De Frauc. » Defrancei E. H. Rhipidogyro, Michelottii Me- negh. Cladocora caespitosa E. H. Lithoi)hyllia Basterotii E. H. Montlivaullia cfr. coro nula Mich. Lophohelia Defrancei E. H. Stylophora micropora Michtti. Ceratotrochus duodeci in-cosla- tiis Goldf. IL BHIOZOI ('). La bibliografia riguardante i Briozoi è, per quanto ci consta, molto breve. Nel celebre lavoro del De Laraarmora (2) il Meneghini citò le seguenti specie: Eschcira sp. ind. dal calcare di Bona\ ia. Cellepora sp. ind. c. s. o n 4. j Cellepora anguiosa Rss., Fontana del Fico; Nurago di Sa Patada. Cellepora rarepunctata Rss., Fontana del Fico. Celleporaria palmata Michel., Martis. Membranipora hexagonalis n. sp., Fontana del Fico; dichiarata dal Meneghini affine alla M. supergiana e M. subreticulun d’Orb., non è figurata. Enlalopora cervicornis Michl., Capo S. Marco. Reteporina biaperta Michl. {Eschara biaperta). Pini. Discoporella umbellata Defr. {Cupularia), Pirri. (1) Del Dott. Neviani. . (2) La Marmora Alberto, Voyage en Sardaigne ecc., 1857: Trois. panie, pag. 515 e seg. Conotrochus decussatus Mich. * tijjus Seg. Trochocyathus crassus E. H. ' elegans Mich. • ( Stephanocya- tus ) umbrella Ponzi. Flabellum extensum ilich. • avicula Michtti. « Michelini E. H. ' Basterotii E. H. « subturbinatum'^.^- . Vaticani Ponzi. CORALLARU E BRIOZOI NEOGEMCI DI SARDEGNA 58] Eschara reteporaeformis Michl. {Adeone, Eschara), Porto Torres. Retepora echinulata Blainv., Porto Torres. Reptomuiticava spongiosa Phil. [Ceriopora), Capo della Testa. Unicavea mediterranea {Lichenopora) Michl., Fontanaccio. Escharina cyclostoma Moli. {Flmtra, Reptoporellina), Grès qua- ternario di La Testa. Trenta anni dopo solamente si fa parola di qualche Briozoo Sardo nelle pubblicazioni dei prof. Mariani e Parona. In un lavoro di questi due geologi (*) sono citate: Lepralia pertusa Johns., del tortoniano di Capo S. Marco. Eschara cervicornis Mich., c. s. e successivamente, ma con eguale data (2), il prof. Parona ricorda : Hornera frondiculata Lmx., dall’arenaria di Fontanazzo. Unicavea mediterranea Michl., sp. (Mgh.), c. s. Finalmente uno di noi (3) ebbe occasione di far cenno della Batopora rosula Kss. ( Cellepora), come comune nelle formazioni mioceniche. Alle specie sopra citate non faremo osservazioni di sorta. Dato il sistema di studio ora in uso per tal genere di animali non è sempre facile asserire a quale specie si possa riferire quella citata da un autore; faremo solamente osservare come ben poche sieno esse forme, specialmente se si tien conto che alcune di esse sono affatto insussistenti. Nel materiale inviatoci per istudio dal prof. Lovisato, i Briozoi sono abbondantissimi, ma disgraziatamente in cattivo stato di con- servazione, talché non ci è stato possibile determinarne molti ; siamo persuasi che attente ricerche nelle roccie mioceniche di S. Michele, e specialmente di Donigalla, faranno accrescere moltissimo il nu- mero delle specie sarde. Ed ora ecco senz’altro le forme di cui si tratta. {*) E. Mariani e C. F. Parona, Fossili tortoniani di Capo S. Marco in Sardegna. Atti Soc. Ital. Se. Nat. Voi. XXX (1887), pag. 57. (’j Parona C. F., Appunti per la Paleontologia miocenica della Sar- degna. Boll. Soc. Geol. It. Voi. VI (1887), pag. 292 e 307. (3) Neviani A., Briozoi neozoici di alcune località d'Italia. Parte se- conda. Boll. Soc. Eom. per gli studi zoologici, voi. IV (1895), pag. 239. 582 G. DE ANGF.LIS d'OSSAT ED A. NEVIAM Bi'io35c>i elici loslonii. | FLustra sp. in*i- | L’ esemplare impegnato nell’ arenaria di Ittiri, per quanto spe- | dfieamente indeterminabile, si deve considerare come una rarità , paleontologica. È una beUissima colonia foliacea, dicotoma, ed am- piamente ramosa ; di natura membranacea, ha potuto impregnarsi di I calcare in modo da resistere alla fossilizzazione. Disgraziatamente | le due superaci zoeciali sono talmente impegnate contro la roccia che | non ci è stato possibile vedere dettagli caratteristici delle frontali, ! anche in quelle piccolissime aree ove con grande pazienza si è potuto i togliere l’arenaria granello per granello. Nel rompere qua e là r esemplare di roccia è avvenuto di separare le fronde in due la- mine lungo la superficie di contatto delle due serie zoeciali; e .su questa superficie si vedono i limiti quasi rettangolari degli zoeci 1 disposti in file longitudinali, ed irregolarmente alternantisi con le rj file contigue. Per la forma del contorno dei zoeci. per la loro dispo- \ sizione nella colonia, e per la forma della colonia stessa ricordano la Flustra securifroìis Pallas. comune nel Mediterraneo ed altrove, :j e non mai trovata fossile. [^Coll. Lovisato, n. 35]. j| Membratiiporo, ì'cliculiiM Lin. {^MillcpoT'à)^ 1768. | l’er la sinonimia vedi Jelly, Synon. Catalogue, pap. 162; Neviani, Livorno. pag. 18. Specie molto polimorfa comune in varie località ; alcuni fram- menti laminacei, con zoeci sulle due parti, appartengono agli strati 2 e 14 delle roccie sotto il calcare di San Michele; altri alle . arenarie di Donigalla; alcuni frustoli eretti sono dei calcari ar- |; gillosi tendenti al grès di Sa Scala o Scala Chilivoi (Orosei). [Coll. , Lovisato, nn. 358, 30]. .4.1 i.- . i La M. reticulum è specie comune nel Mediterraneo, Atlantico: ^ ed è fossile dal Cretaceo; in Italia si è rinvenuta fossile in quasi tutti i giacimenti ove sono stati studiati dei Briozoi. Ony choc ella anguiosa Rss. {Cellepora), 1847. Per la sinonimia vedi Jelly, Syn. Catalogue (Merabranipora), pag- H2: Waters, North-Ital. Bryozoa, 1“ parte, pag. 9 ; Neviani, Spilmga CORALLARII E BRIOZOI NEOGENICI DI SARDEGNA 583 Questa specie ancora vivente nel Mediterraneo e nell’Atlan- tico, è fossile dal cretaceo, comunissima in alcuni giacimenti; sembra laia in Sardegna. Ne rinvenimmo un solo frammento di una colonia pticomerica sulle roccie di Is Mizzonis (Piazza d’ Armi di Cagliari). [^Coll. Lovisato, n. 24J. Micropor a \^Calpensia] impressa Moli. {Eschara), 1803. Per la sinonimia vedi Jelly, Syn. Catalogne, pag. 177; Neviani, Farnesina. pag. 98 (22). Osservammo colonie incrostanti sopra un’ Ostrea del calcare argilloso della cava Carboni al monte della Pace (Cagliari). [Coll. Lovisato, n. 54]. Vivente nel Mediterraneo, nell’Atlantico medio e boreale; fos- sile dall’ eocene. In Italia è comune in vari giacimenti, ove alle volte assume forme celleporoidi pticomeriche molto voluminose Melicerita Johnsoni Busk {Nellia), 1866. Per la discussione di questa specie vedi Neviani, Farnesina, pag. 100 (24); id., Spilinga, pag. 18. Vivente nel Mediterraneo e nell’Atlantico, si trova fossile in- sieme colla M. fistidosa Lin., colla quale venne sempre confusa dagli autori. Della Sardegna conosciamo solo pochi frammenti di gracili internodi, provenienti dai calcari argillosi tendenti al grès di Sa Scala e Scala Cbilivoi (Orosei). [Coll. Lovisato, n. 3]. Hippoporina perfMsa Esper {Cellepora), 1791. Lepralia pertusa Busk, B. M. C., 2^ parte, pag. 80, t. LXXVIII, fig. 1 e 3 (non 2). ” « Hincks, B. M. P., pag. 305, t. XLIII, fig. 4-5. Una piccola colonia con bellissimi zoeci nel calcare argilloso di San Michele (Cagliari). [Coll. Lovisato, n. 20]. Specie spesso confusa colla Schisoporella {Lepralia) sangui- nea Nor. ; è vivente nel Mediterraneo, ed è diffusa negli oceani specialmente boreali (Smitt) ; fossile è stata trovata nelle forma- zioni mioplioceniche d Australia (Waters); in Italia viene citata dal Seguenza in Calabria, da noi nelle Puglie ed a Livorno. 584 G. DE ANGELIS d’oSSAT ED A. NEVCANI Hippojpovinci imbellis Bk. {^lleìnescliaTo.), 18o9. Hemeschara Hippoporina imbellis Bk., Crag. Poi, pag. 78, t. IV, fig. (1; t. X, fig. 7. imbellis Nev., Spilinga, pag. 29, fig. 12 (nel testo). Un piccolo frammento di colonia laminacea dendi'omenca, con piccoli zoeci regolarmente disposti a quinconce, dalle arenarie a sud di Sa Lisporra, sotto il conglomerato vulcanico degli scogli neri ad occidente di S. Antonio di Santadi (Capo Frasca). Un altra colonia laminacea dendromerica è impegnata in una arenaria ric- chissima di briozoari celleporoidi di Donigalla. [Coll. Lovisato, nn. 30 e 76]. _ . + Specie del Mediterraneo e dell’Atlantico ; sinora non tiova a fossile più giù del pliocene. In Italia si è rinvenuta in Calabria nelle formazioni plioceniche e postplioceniche (Segnenza, Neviani). Hippoporina tessulata Rss. (Eschara), 1847. Esch.r. tessuUto P.ss., Fo,. Poi IH»., paS- ’l. *■ "f, f , „ „ Mnz., Br. Au.-Vngh., 2* parte, pag. 16 (64), t. X, fiùf. 33. Poche colonie che incrostano altri briozoari solenomerici, in- determinabili, provenienti dalle arenane di Donigalla. [Coll. Lo- visato, n. 30]. . j tt r, • Oltre ai vari giacimenti miocenici di Austria ed Ungheria, non sappiamo che questa specie sia stata citata da altri che dal Seguenza nell’ elveziano di Monteleone (Seguenza, Form. Terz. Reggio, pag. 84, n. 165). Stichoporina simplex Kosch. 1885 (’). Koschinsky, Bryoz. Bayerns, pag. 64, t. VI, fig. 4-7. Waters, North-Ral Br., pag. 31, t. IV, Afi- 16-18. Kirkpatrick, Hydroida and Polyzoa Torres Stravts, pag. 623, t. X\n, fig. 4. Una sola colonia cupuliforme incompleta ; sulla superficie zoe- ciale evvi aderente molta sabbia che non si è potuta staccare, ma (1) Per osservazioni sul genere, e sul numero delle specie di esso ge- nere conosciute, vedi Neviani, Nuova specie fossile di Stichoporina. Riv. ital. di Paleontologia, pag. 427 (1895). CORALLARtl E BRIOZOI NEOGENICI DI SARDEGNA 585 alcuni zoeci liberi ci rendono certi della determinazione. L’esem- plare proviene dalle marne sabbiose scure di Cadreas sopra Bo- norru. [Coll. Lovisato, n. 2]. Non ci consta che questa specie sia stata trovata fossile altrove che a Gotzreuth {Kosch.), ed a Brendola e Ronzo (Wat.). È vivente’ al Capo di Buona Speranza, a Malacca, e a Murray Island (Kirk- patrick). Stichof orina exeelsa Kosch. {Eionidella) 1885. Fig. 1. Kionidella exeelsa Kosch., Bryoz. Bayerns, pag. 68, t. YII, fig. 512 Federa exeelsa Wat, North.-ltal. Bryoz., pag. 29, t. IV, fig. 6. Rare colonie del calcare argilloso di San Michele (Cagliari), delle quali una molto ben conservata [Collez. Lovisato, n. 57, e lett. f , tubetti %a e 9J ; questo bell’ esemplare, lungo circa 3 mm., è molto si7uile a quelli illustrati dal Kosch. e raccolti nel terziario inferiore di Gdtzreuth in Baviera; si allontana invece dalla forma degli esemplari studiati da Waters del bartoniano di Bocca di Sciesa, Brentonico, Spiassi e Malo nel Veneto. La colonia da noi studiata non è solenomerica come quella di Baviera ma semplice- mente stipitata. I zoeci sono di varia grandezza, ed i più piccoli sono situati all apice della colonia. Gli avicellari non sono costanti- giacché ora mancano, ora ve ne è uno solo a destra od a sinistra del zoecio, ora sonvene due; in ogni caso, essi sono abbastanza rilevati, ed alquanto indipendenti dai zoeci, non essendo assoluta- mente coricati sopra la loro frontale ; inoltre l’ opesia è presso a poco ellittica, con briglia quasi nel mezzo, o appuntita indentro, con briglia nel suo terzo inferiore. (*). 0) Nella Revue critique de Paléozoologie, diretta da M. Cossmann, n. 2, pag. 76, è presa in esame la mia nota sui Briozoi eocenici del calcare mm- 586 G. DE A^GKUS d’ OSSAT ED A. NEVIAM Myriosoum trmcatum Pali. {Millepora), 1766. Per la sinonimia, vedi .lelly, Cat. Synon., pag. 199. Questa specie così comune nei nostri mari, e fossile in molti jriacimenti italiani e stranieri, sembra scarsa in Sardegna. Gli esemplari osservati provengono tutti dal calcare argilloso del !Monte San Michele, e dal Monte della Pace (Cagliari), ora in piccoli frammenti, ora in grandi colonie ramificate, che però sono poco conservate per profonda alterazione della massa. [Coll. Lovisato. nn. 2, 14, 59, 64]. Orbitulipora exce, lirica Seguenza (1879) var. flabellala Nev. Orb. excentrica .Seg., Form. terz. Reggio, pag. 130, t. XII. fig. 22, 22-c Così descrive il Seguenza la specie tipica : ^ Le belle e grandi colonie di questa distinta specie, che giungono sino al diametro di sette millimetri, sono di forma molto compressa ed appianata, con un contorno pressoché reniforme, nella parte incavata del quale sta il centro e l’origine della colonia. Le cellule molto numerose sono disposte concentricamente attorno il punto d origine della colonia, e formano inoltre come delle serie sopra linee rette o poco curve dal margine inferiore al superiore ; inoltre esse ingrandiscono pro- gressivamente dal centro ai margini, conservando sempre una forma mulitico di Mosciano presso Firenze ; ivi trovo il seguente periodo : « L'es- pUe la plus intéressante est la Conescharellina eocaena qui est peut-étre le Kionidella excelsa de M. Koschinsky, esp?ce de V Eocine de Baviere, décrite dans un travati qui parait avoir échappé d .)/. Nevtani, comme aussi bixn des espèces du bassin de Paris, décrites par Milne-Edwards, Michehn, De- france, etc. ” Prima di tutto faccio osservare che nessuno dei lavori dei sopra- citati autori è sfuggito alla mia investigazione ; e che non solo li ho nella mia privata biblioteca, ma che ho avuto più volte occasione di citarli nei miei precedenti lavori. Quanto poi al riferimento dell’ esemplare di Mosciano alla Kionidella excelsa Kosch., rifiuto assolutamente 1’ avviso del mio recen- sore. Ancorché l’esemplare da me studiato fosse logoro, troveremmo sempre molte differenze, delle quali cito solo le seguenti. Gli orifici della Con. eo- caena sono sempre perfettamente circolari; nella Kion. «aicelsfl sarebbero ellittici; i forellini fra i vari zoeci nel mio esemplare sono piccoli e nume- rosi, ed’ irregolarmente disposti ; nella Kion. excelsa sarebbero pochi, uno o due’ per zoecio e relativamente molto più grandi, e di posizione determinata: finalmente dirò che la colonia da me studiata era al centro impervia, mentre quelle dell’eocene di Baviera sono attraversate da un canale. CORALLARII E BRIOZOI ^EOGE^•ICI DI SARDEGNA 587 globosa 0 globoso-OYata, coll’ apertura circolare. Talune fra esse, irregolarmente distribuite nella colonia, o formanti delle serie anco irregolari, e più ordinariamente in vicinanza dei margini, divengono prolifere, ed allora acquistano una grandezza più che doppia, una forma ovata, che nella parte inferiore è gibbosa, e nella superiore si apre la bocca pressoché semicircolare ; la superficie di tali cellule è rugosa Dalle formazioni ritenute tortoniane di Benestare. Questa descrizione, salvo leggiere variazioni, si attaglia bene agli esemplari da noi studiati e provenienti dalle marne sabbiose di Cadreas sopra Bonorru [Coll. Lovisato, n. 2J. Gli zoeci sterili hanno difatti forma globoide con orificio circolare; quelli fertili, con ooecio nella parte inferiore (per cui appartengono ai monoder- raata suhovicellata del Jullien) sono più grandi, a perimetro sub- ellittico, orificio semicircolare, e frontale leggermente rigonfia, separata dalle parti laterali da una ondulazione marcata. Sovente tale frontale è rotta, ed allora si ha 1 apparenza di una opesi a grande, coarctata, che ricorda la forma dell orificio frequente nelle Stichoporine. Le colonie però non sono mai cosi grandi come quelle di Calabria, ma molto più piccole, giacché la maggiore non ha che 3 mm. di larghezza ; né mai sono reniformi, ma costantemente flabellate. Escludiamo poi che si tratti di colonie giovani, perché la presenza degli zoeci fertili ci dice che esse sono adulte. Per la presenza costante della forma flabellata, fondiamo la nuova varietà; alla quale non si deve dare però altro valore di quello di una speciale forma di colonia dovuta certo a condi- zioni speciali di ambiente. Schizoporella monilifera M. Edw. {Eschara), 1836. E se bara monilifera M. Edw., Sur les Eschares, pag. 27, t. IX, fìg. 1. Rarissima nelle arenarie di Donigalla, dove osservammo una sola colonia solenomerica. [Coll. Lovisato, n. 30]. Questa specie non si conosce vivente. Fossile é stata trovata in Spagna (De Ang.), in Austria ed Ungh. (Mnz.), in Inghilterra (Bk.), a Rodi (Mnz., Perg.): in Italia é comune in Calabria (Seg., Nev.), a Palo (Terr.), a Modena (Nam.), nel Bolognese ed a Livorno (Nev.). 588 G. t»E ANGELlS d’ OSSAT ED A. .NEVIAM Schisopoì'ella liiiearis Hass. {Lepralia), 1842. Schizoporella linearis Neviani, Farnesina, pa l’ ordine di presentazione. ' Fino a nuova disposizione non si accettano le memorie ché per estensione su- perino approssimativamente quattro fogli di stampa e quelle che fossero lavori di compilazione. Le note e comunicazioni da inserirsi nei resoconti delle adunanze non devono superare due pagine. I manoscritti dovranno consistere in fogli dello stesso formato, scritti da una «ola parte, in caratteri intelligibili, senza di che la Presidenza potrà respingerli. I lavori scompleti, sia nel mmoscritto, sia nelle tavole, non possono essere presi in considerazione per la stampa. Una Memoria già presentata alla Società, e ritirata per modificarla o completarla, qualora non sia rinviata alla Segreteria entro 15 giorni, perde il suo turno per la stampa. Gli autori che domandano un sussidio per 1 ’ esecuzione di carte geologiche, tavole o illustrazioni annesse alle loro ibemorie devono presentare, un preventivo ^lla spesa totale sul quale la Presidenza determinerà caso per caso, secondo il :bilancio sociale, se debba concedersi il concorso e in quale proporzione. La somma accordata sarà comunicata all’autore, ed ogni spesa maggiore dovrà essere esclusi- vamente a carico di questo. Le prove delle tavole (anche di quelle che gli autori fanno eseguire a proprie spese) debbono essere sottoposte al visto della Presidenza prima della tiratura. ; Di ciascuna memoria -il Segretario spedirà all’autore, per la correzione, una prova in colonna, che dovrà essergli restituita al più tardi entro 15 giorni, è una ih pagina, da restituirsi entro 8 giorni. Se le prove non saranno restituite nel termine prescritto, il Segretario s’in- ,'carióherà d’ufficio della materiale correzione degli errori tipografici senza assumere alcuna respgnsàbilità. Il Se^etario prima di deliberare la stampa delle memorie si assicurerà che le correzioni indicate dagli autori siano state eseguite. Le spese straordinarie cagionate da correzioni maggiori del consueto, da' cam- biamenti 0 rifusione di paragrafi, come pui'e la stampa di tavole sinottiche di formato maggiore del tasto saranno addebitate agli autori, ed essi saranno in obbligo di pagarle al Segretario non appena ne abbiano ricévuto il relativo conto col, visto del Presidente. Agli autori si danno 50 copie degli estratti. Se l’autore intende far tirare estratti per conto proprio, deve indicare per iscritto sulla prima prova corretta della sua memoria il numero degli esemplari che ne desidera. Il prezzò di 50 in 50 Copie, con copertina stampata eco. sarà di L. 4 .égni ffiglio di pag. 16, e di L. 2 per ogni mezzo foglio o frazione di mezzo foglio. L’importo di questi estratti sarà indicato dal Segretario sulle bozze impagi- nate che l’autore pagherà all’Economo, prima che gli sieno spediti. A qualunque socio, il quale col l'’ aprile dell’anno corrente si trovi ancora in arretrato pel pagamento della tassa sociale dovuta per Tanno precedente, sarà sen- z’altro sospeso l’invio dello pubblicazioni dèlia Società. .La presentazione delle, memorie, q. Ig stampa delle medesime non avrà corso se Tàutore non avrà pagato la tassa dell’anno in corso o soddisfatto ogni altro, -impegno ^verso la Società. , - , . , Per il pagamento della tassa d’entrata, della tassa annua e per l’acquisto dei volumi del Bollettino dirigere. , lettere e vaglia alTEconomo cav. ing. Augusto Statuti, via delTAnim'a, 17, E.oma. . SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA MENTE ET MALLEO fondata in Bologna il 29 settembre 1881. Consiglio (lirottivo per l’aiino 189#. Presidente I^ante Pantanblu (Modena). Vice-Presidente. Fkancesoo Bassam (Napoli). Segretario .... -Antonio Neviani (Romai. 1897-99. ^ Mario Baratta (Uonia). 1S96-97. Vice-Segretari • ^ Namias (Modena). H97-9s Tesoriere Tommaso Tittom (Roma). Economo . Archivista Consiglieri . Augusto .Statuti (Roma). Romolo IìIeli (R'.ma). Luigi Baldacci (Roma) . Mario Canavari (Pi'a} . 1 Lucio ÀIazzuoli (Roma) . I Federico Sacco (T< rino) Pietro Toso (Firenz'O . . àIario Cermenati (Roma) Vittorio Nov.arese (Roma Giuseppe Bellucci (Peragi Cl.audio Sormani (Roma) \ Enrico Clerici (Roma) . 1895-97. ' 1896-98. 1897-99. Il Presidente \ Il Segretario tempore) Commissione per \ Il Tesoriere ^ le pubblica- L’Archivista J5ÌOHÌ j Antonio D’ Aghi ardi (Pisa). / Giovanni Di Stefano (Roma). Torquato Taramelli (Pavia). r Romolo Ragnini (Roma). Commissione del \ q^ov-anni Strueter (Roma), bilancio • • • ( Pietro Zezi (Roma). ede della Società ; Rom.a, Via .s. Susanna. 1 A, presso il R. Uf&cio geologici STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI, MONTEVECCHIO E MALEIDANO IN SARDEGNA Nota deiring. Celso Capacci. (con tre tavole) INTEODUZIOXE La Sardegna interessa ed attrae chiunque si rechi a visitarla : e lo scrivente subì esso pure il fascino che esercita questa isola straordinaria. Le sue vicende storiche, i monumenti degli antichi popoli che vi dominarono, le sue ricchezze naturali agricole e minerarie, i costumi degli abitanti cosi diversi e così pittoreschi, le condi- zioni speciali economiche in cui trovasi attualmente questa terra, eccitano in alto grado l’interesse ed il cuore dello studioso. Lo storico, r economista, il naturalista e l’ industriale trovano in Sardegna largo campo ai loro studi. Le sue vicende storiche furono narrate dal Fara, Manno. Martini, Siotto-Pintor, De La Marmora, Yalérv, Bandi di Vesme, Pais E. ecc. L’ importantissimo materiale archeologico, antropologico, pa- leoetnologico ed etnografico eh’ essa contiene, fu illustrato dallo Spano, Pais, De La Marmora, Gouin, Vivanet, Crespi, Maltzan. Mantegazza, Lovisato, Tamponi ecc. Sulle condizioni dell’agricoltura scrissero il Gemelli, Salaris, Marzorati, Gioii ed altri; ed alla grave situazione economica in cui trovasi da vario tempo molti si interessarono, ed anche recen- temente il Deputato Pais, De Stefani, Orano ecc. La sua costituzione geologica, i suoi fossili ed i suoi minerali furono studiati dal De La Marmora, Meneghini, Bornemann, vom Rath, Sella, Zoppi, Lovisato, De Castro, Traverso ecc. Le sue ricchezze minerarie infine ci furono rivelate dagli scritti del Baldracco, Sella, Marchese, Mameli, De Launay ecc. 41 <■. < ArA<:ci tìOO In così vasto campo di studi, se larga messe laccolseio gli autori ora citati, certamente ancora grande è quella riserbata tut- ; tavia, soprattutto nel campo geologico, a nuove e più accurate inda- ] gini. Lo provano i pregevoli scritti che di tratto in tratto vedon'"» j la luce. . 1 Portato dai miei studi prediletti ad occuparmi più special- ! mente dei giacimenti minerari; in una prima visita all isola mi ; .ledicai allo stadio della geologia e delle miniere dell’ Iglesiente. I Fra le tante miniere interessantissime, tre richiamarono in parti- colar modo la mia attenzione, e sono quelle di iNIonteponi. Mon- j tevecchio e Malfidano. _ , Quantunque di esse sia stato più volte sciitto, tuttavia gli J studi più completi che ora si hanno sui loro giacimenti e gli ini- j pianti grandiosi e perfezionati in esse fatti in questi ultimi tempi. j rendono ragione del cenno descrittivo contenuto nel presente scritto. j Alla descrizione di queste miniere è connesso necessariamente lo studio dei terreni nei quali esse trovansi racchiuse e ne è quindi • derivato un cenno geologico sulla regione dell’ Iglesiente. Nel riandare le antiche vicende di quelle miniere fui tratto a studiarne la storia, collegata con quella dell’isola, e quindi ri- tenni utile far precedere un cenno storico riassuntivo sugli antichi abitatori della Sardegna e sui primordi dell’escavazione dei metalli. Infine avendo avuto occasione di consultare la maggior parte delle pubblicazioni riguardanti l’ isola, ho creduto opportuno di compilare una Bibliografia, geologica, paleontologica mineralogica e mineraria della Sardegna, poiché la Bibliocjrayhie géologiqne et Yìaléontologique de l’Iialie, pubblicata nel 1881, è divenuta ormai insufficiente. v. Ne segue che il presente scritto verrà diviso nelle sette pai ti seguenti : Riassunto storico dell' industria mineraria. Cenno di statistica mineraria. Cenno geologico dell’ Iglesiente. i\Iiniera di Monteponi. Miniera di Montevecchio. Miniera di Malfidano. Bibliografia geologica, paleontologica, mineralogica, e mineraria. STUDIO SULLE Ml.NIEKE DI JIONTEPOM ECO. 60] Capitolo I. Riassunto storico tlell’iiidnstiia mineraria. Studiando attentamente gli antichissimi monumenti della Sar- ■ egna possiamo giungere a farci una idea abbastanza esatta delle primitive traccie dell' esistenza dell' uomo nell' isola e del ferro, i monumenti megamici che ovunque trovansi sparsi nolo,gìrsardT™r " Sidla presenza dell' nomo fossile in Sardegna si hanno prove non dubbie Issel (t) e di parere che quelli antichi aborigeni ab- c“°° °t dei rulcfni plio- cenici e quaternari del Logoduro e del Ciserri. Comunque è certo che Vmmo delle camme visse nell'isola la quale presenta frequenti anfrattuosita natmali. do»/2r Pli-ieC) ‘specus em,u prò -ie caverne >nia Avvenire di Savdc- liV. ’ì l archeologico sardo, Cagliari; id. Scoperte archeoloqiche ÌZ7oZf vT'- dell’Istituto di corrispondeiix ar- industriale’ lovZr nell’Annuario scientifico R 4cc d'LTnclT^ T77’ sarda, Rend. d. Rend d P A cc 1 T ’ una pagina di preistoria sarda, da pre^storia sarda, Rend. d. R. Acc. d. Lincei, 1889; mT^naZl ma pagina di preistoria sarda. Bull, di Paletn. ital., 1892. - Notìzie deali scavi di antichità, comnmc^te alla R. Accademia dei Lincei. Roma - pfe- bXTtairnI'"°’ Hoepli, 188.5. Bullettino di Paletno- (2) Issel Arturo, L'uomo preistorico in Italia nell’opera del Lubboc ■ T tempi preistorici. Torino, Unione tip. editrice. ‘ (®) Plinii Secundi, Naturalis Historia, lib. VII. C. CAPACCI 6('2 Alle caverne tennero ben presto dietro le o^otle poiché non appena i trogloditi si furono provvisti di armi ed utensili di pietra, pensarono a riprodurre nelle rocbie quelli antri e quelli incavi, che prima avevano trovati preparati dalla natura. Ed in principio cogli arnesi di pietra, poi forse con quelli metallici, si misero a scavare le grotte, delle quali troviamo in tutta r isola una grande varietà come dimensioni e come fattura a seconda della resistenza della roccia in cui venivano forate. Cosi quelle scavate nel calcare terziario di Cagliari, nel tufo di Sassari e nell' altipiano di Bonorva sono di assai vaste dimensioni, mentre quelle scavate nella trachite di S. Antioco sono più ristrette e piccolissime inline quelle scavate nel granito. Di tali grotte e caverne della Sardegna si hanno memorie e citazioni nelle opere di antichissimi scrittori. Tornerà qui in acconcio l'osservare, come questa antichis>ima abitudine di abitare grotte e caverne si protrasse preàso gli abo- rigeni per lungo volger di tempo, tantoché se ne trovano ancora le notizie nei tempi storici. Cosi ad esempio all'epoca della dominazione Cartaginese, se- condo quanto scrive Diodoro Siculo (>), le popolazioni indigene, che egli chiamava lolei. intolleranti del giogo straniero si rifugiarono sulle montagne, ove scavarono delle grotte, vivendo la vita pasto- rale. E quantunque i Cartaginesi cercassero di conquistarli, pure le difficoltà dei luoghi ed i laberiuti delle loro dimore sotterranee li difendevano dagli oppressori. Anche all' epoca romana ugual fatto si riprodusse, secondo ci narra Strabone (-); il quale nella sua Geografia descrivendo la Sardegna c’ insegna che vi si trovavano quattro schiatte di monta- nari, cioè i Tarati, i Sassinati, i Balari e gli Aconiti, i quali tutti abitavano grotte vivendo di pastorizia e di rapina, tantoché i pre- tori (romani) con difficoltà potevano dominarli. Ciò prova come le grotte le quali in prima servirono di abi- tazione ai trogloditi, nel seguito servirono di rifugio a quei tìeri popoli autoctoni intolleranti del giogo straniero. (1) Diodoro Siculo, lib. ^ (45 anni a. G. C.). (2) Strabone, Geografia, lib. V (19 anni a. G. C.). STUDIO SULLE MIMERE DI MONTEPOM ECO. <303 Più tardi infine molte di queste grotte servirono come tombe, quali sono quelle di Cagliari, S. Antioco e varie altre. Le grotte di Monreale di Bonaria presso Cagliari sono scavate nel tufo calcareo terziario. Presso a queste grotte in alcuni crepacci del calcare grossolano trovasi la ben nota breccia ossifera esaminata dallo Studiati ( i) che vi trovò ossa di sorci, porci e cervi. La breccia ossifera della grotta di Monte Oro presso Sas- sari. racchiude parimente resti di animali analoghi ai precedenti. Quantunque in queste breccie ossifere non sieno state trovate ossa umane, tuttavia i resti di fiere e di animali domestici sono prove irrefutabili della presenza dell’ uomo che quelli animali cacciava onde cibarsi delle carni e adoprare le ossa come utensili e come armi. La grotta di Gema Liias presso Iglesias è contenuta in un crepaccio del calcare e vi furono rinvenute delle tombe con sche- letri, fittili, treccie di ossidiana ed una zanna di porco. La grotta di S Orrori fu visitata e studiata dal Gouin (-) e gli ossami rinvenutici furono determinati da Issel (3) che vi trovò resti di uomo, di carnivori e ruminanti. La grotta di San Bartolommeo e quella di Sant’ Elia presso Cagliari furono studiate dall Orsoni (■*) che vi scoprì due piani ben distinti. In quello inferiore trovò ossa umane e di bove con oggetti di ossidiana e frammenti di collana fatta con denti di carnivoro e conchiglie. Nel piano superiore invece trovò pure ossa umane ma unite vi erano un pugnale ed un accetta di bronzo. Ne dedusse quindi che questa caverna aveva prima ospitato abitatori dell’epoca della pietra e poscia di quella del bronzo. Altre e molte grotte furono studiate dallo stesso Orsoni, dal (*) Studiati, Descriptiun de la hrèche usseuse de Monreale de Bonaria f res de Cagliari nel « Voyage en Sardaigne » di A. De La Marmora. (2) Goum Léon, Sur la grotte sepulcrale néolithique dite de S' Orreri Bull, di Paletn. Italiana, 1884. (0 Issel Arturo, Esame sommario di avanzi d'uomo e di animali rac- colti nella grotta degli Orreri in Sardegna. Bull, di Paletn. Italiana, 1884. 0) Orsoni, Recherches préhistoriques dans les environs de Cagliari. -Hat. pouf servir à l'hist. prim. de l'homme. Paris, 1880; Ricerche paleoetno- logicke nei dintorni di Cagliari, Bull, di Paletn. ital., 1879. G04 C. CAPACrC Melori. dal Mantovani (') e dal Lovisato (’). il quale in varie di esst- « riscontrò il tipo siculo. A queste antiche grotte, che dipoi ebbero una diversa desti- || nazione, sono piu’e «la riferirsi le - l)onios de sos Janas •' (case delle ij streghe) scavate nel calcare e nella trachite dei dintorni di Houorva |l studiate dal De La Marraora (^), e nel cui territorio fu trovata una j grande e bella accetta di basalto appartenente senza dubbio all’ epoca li neolitica. Sono ben note del pari le - iJomos de Jaaas dei din- !■ tarni di Ploaghe visitate e studiate «lallo Spano (••). Le .stazioni neolitiche e paleolitiche sono numerosissime in Sar- . degna. TI De La ^larmora (-^) cita molte località ove furono ritro- !; vate treccie e lancie di ossidiana come a Monte Linas. Xarcau. Genuargentu. Acri, Rasu, Limbara a l\Iarinella. a Capotigari ed Ij all' Isola Sant’ Antioco. L’ Orsoni (^*) cita le stazioni neolitiche di 'J Monte Urpiuo. Monte della Pace e Villa Arcais. Il Mantovani (• ) I descrive la stazione paleolitica di Osilo, ove furono trovate treccie, j| lancie e coltelli di ossidiana, selce, diaspro, calcedonio. ■ i Oo'setti litici infine furono trovati in molte località citate dallo ! Spano (**). dal Chierici (®) e dal Lovisato | Narra il Cugia (”) che l’ ing. Duveau presso Grugua scoprì una | vera e propria stazione paleolitica, comprendente gran quantità di j frammenti di oggetti di ossidiana (roccia non esistente nella loca- | lità) come pezzi di coltelli e di treccie senza peduncolo, nonché j frammenti di terre cotte molto rojzze. 1 (1) Mantovani Pio, Grotte sepolcrali dell'età della pietra in Sardegna. j (2) Lovisato Domenico, Una pagina di preistoria sarda, op. cit. (2 De La Marmora k., Voyage en Sardaigne, Turin, Bocca, 1838. ' (•*) Spano Giovanni, Scoperte di archeologia fattesi in Sardegna nellHTÒ. j (5) De La Marmora A., Voyage en Sardaigne. ! (6) Orsoni Francesco, Ricerche paletnologiche nei dintorni di Cagliari. i Bull, di Paletn. ital.. 1879. | (■) ìlantovani Pio. Una stazione delVetà della pietra in Sardegna. Bull- | di Paletn. ital., 187.5. t («) Spano Giovanni, Scoperte archeologiche fattesi in Sardegna nel IH 7 fi. j (2) Chierici, Speciali forme dell'ascia di pietra levigata in Italia, Bull. | di Paletn. ital., 1881. (>o) Lovisato D., Una pagina di preistoria sarda. CO Cuffia Pasquale, Nuovo itinerario dell' Isola di Sardegna. Ravenna- Lavagna. 1892. STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEI’OM ECO. 605 In vicinanza furono poi trovate scorie e traccie di fonderia con due palle di Oligisto che servivano evidentemente come martelli. Ed altri martelli, ma però fatti di gi’anito, fimono pure ritrovati a Planudentis ed a Monteponi. Anche a Planedda in una fossa o scavo antico furono trovati Oogetti litici, come pietre foggiate ad accetta ed altre pietre rotonde simili alle cosiddette fusaiole. Il Bandi (’) chiama le prime cunei e le seconde dischi di pietra da applicarsi al canapo da cavalcare, e riferisce l’uso di questi oggetti all’epoca pisana, cioè dopo il 1200. Senza entrare in dettagli, osserverò che sembra assai strano rife- rire 1 uso di questi oggetti litici ad epoche nelle qnali erano ben noti i metalli, soprattutto in Sardegna, ove i Penici ne introdussero l'uso dodici secoli prima dell’ èra volgare. Dopo le grotte, la terza epoca degli antichissimi monumenti sardi ci \ iene rappresentata dai Menhirs o pietre dritte che tro- \ansi sparse in varie parti dell’ isola, come ad esempio la Perda h'.iga di Mamojada, le Perdas Fiitas di Ponni e tante altre. Ad una quarta epoca appartengono i Dolmeìi o sepolture dei giganti fra le quali va ricordata \ altare di logiUa presso Grani. sa perda de s altare presso Borore, le sepoliuras des sos gigantes di Goronna presso Paulilatino e varie altre. Dai monumenti megalitici si passa ad altri ove comincia a dimostrarsi una vera arte costruttiva e queste sono \ pozzi-sepjolcri. A tali costruzioni, assai rare in Sardegna, sembra doversi riferire il ben noto Pozzo di S. Caterina presso Paulilatino descritto dallo Spano (-). Infine i Nuraghi sono i monumenti dell’ alta antichità sarda, che per la loro specialità, la costruzione, la possibile destinazione ed il grande numero, più hanno affaticato la mente degli studiosi. Circa l’epoca della loro costruzione o meglio su quali popoli li abbiamo eretti, vertono le più gravi dispute. La maggior parte degli studiosi attribuisce questi meravigliosi monumenti ai Penici. Il Micali (=^) è d’ opinione che sieno stati costruiti dai Car- (’) Baudi di \ esine Carlo, Della industria delle winiere nel territorio di Villa di Chiesa. Torino, Bocca, 1870. (-) Spano Giovanni, Bollettino Archeologico Sardo, anno 1857. G) Micali, . 6'tor’ia degli antichi popoli d'Italia. Firenze, 1852. C. CAPACCI 606 taginesi; il Miinaut (') li attribuisce ai Greci; l' Inghirami (-) agli Etruschi; il Martini (^) agli Egizi; il Fara {*) ed il Madao ( ) ri- tengono fosse ad essi dato il nome da Xorace condottiero degli Iberi. Quindi molti vollero vedervi la mano delle varie colonie che si sovrapposero nell' isola. Il Manno (^*) e poi il Maltzan (’) osservando giudiziosamente come nessuno dei popoli che invasero la Sardegna costruisse nella patria d’ origine monumenti simili ai Nuraghi, e tenendo presente il loro grande numero (oltre -iOuO) sparsi in tutta 1 isola, mentre le colonie si tennero sopratutto alle spiagge, sono di parere che (piesti monumenti sieno stati costruiti dai popoli autoctoni dell isola. Anche il Pais E. è d’opinione che sieno stati costruiti dagli aborigeni. L’aver i Nuraghi una qualche somiglianza coi ra/ayoAs delle Haleari e coi Sesi della Pantelleria non è prova sutliceute per ri- tenerli di origine fenicia, mentre nella terra di Tiro e Sidone mai si riscontrarono avanzi di costruzioni analoghe a queste. Quanto alla destinazione dei Nuraghi, si hanno pure le più disparate opinioni. L’ Abate Arri (^) opinò che fossero destinati al culto del tuoco. desumendo questo suo parere dal fatto che in lingua fenicia significa fuoco e Ilag sacrifizio o Santuario. Lo Stefanini (*'*) pensa che sieno trofei di guerrieri. 11 Nurra ('") ritiene che sieno torri destinate ad annunciare 1 avvicinarsi dei Corsari. L’ Augius (") opina che fossero destinati a santiuiri pubblici. Ma la maggior parte degli studiosi come De Castro (1) Mimaut, La Sanlaigne ancienne et moderne. Paris, Blaise, 1S2.5. (2) Inghirami, Annali dell’Istituto Archeologico. Roma, 1832. O Martini, Nuove pergarnene cV Arborea. Cagliari, 1850. (•*) Fara, De Rebus Sardois. (5) Madao, Dissertazione delle sarde antichità. Cagliari, 1792. (•>) ilanno Giuseppe, Storia di Sardegna. Milano, \ isai, lto5. (■) Maltzan (Von) H., Reise auf der Insci Sardinien. Leipzig-D\rk, 1869. (8) Arri, Memoria sopra i Nuraghi. Atti d. Acc. R. di Torino, 1834. (®) Stephanini, De veteribus Sardiniae laudibus. Cagliari, 1»75. ('®) Nurra Gian Paolo, Opere. (1*) Augius, Bibliografia Sarda. Cagliari. 1839. (1-) De Castro Francesco, Manoscritto. STLDIO SULLE MINIERE DI MONTEPOM ECC. 607 Vidale (‘), Mimaut (-}, Pevron (3), Petit Radei (^), Manno (S), Martini (‘>), Bresciani (■), Valéry («), ed anche il De La Mar- mora (9), è d opinione che i Nuraghi sieno monumenti sepolcrali. Lo Spano (’**) ed il Maltzan (") sono di parere che questi ca- ratteristici monumenti seiTissero di abitazione e di rifugio ai po- poli autoctoni dell isola. Ed a questo proposito il Maltzan, dando alle parole Nur-Hag una interpretazione molto diversa da quella dell’ Arri, opina che mentre Nur significa casa, Hag o Chag sigui- hca rotonda e quindi il senso della parola sia ^ casa rotonda, •< che corrisponde alla forma dei Nuraghi. Il Pais (>-), studiando attentamente la posizione e la costru- zione dei Nuraghi, osserva come se ne riscontrino varii aventi diverse destinazioni. Così mentre alcuni sono veri e proprii monumenti se- polcrali, altri sono santuarii (come accenna ad essere quello ove fiu’ono ritrovati i bronzi di Abini), altri sembrano aver costituito il centro religioso della famiglia, ed infine altri per la loro posi- zione (come ad esempio quelli posti sul crine dell altipiano o Giara di Gestori) servirono evidentemente a scopo di vere e proprie fortezze. Ricorderemo che in così gran numero di Nuraghi (oltre 4000) soltanto in pochissimi furono trovate ossa umane e idoli e sta- tuette fenicie, in alcuni fu trovato del grano e delle piccole macine. I principali e meglio conservati Nuraghi sono oggi: quello denominato Santa Barbera o Sabina presso Maconer: quello Ma- drone presso Silamus; quello di Sant Antine, e Oes presso To- 0) Violale, Annales Sardiniae. (^) Mimaut, La Sardaigne ancienne et moderne. Paris, 1723. (3) Peyron, Eapporto alla E. Acc. ololle Se. Torino. 182-5. (^j Petit Eadel, Notice sur les Nurhags de la Sardaigne. Paris, 1826. (=) Manno, Storia di Sardegna. Milano, Visai, 182-3. (®) Martini, Nuove pergamene d' Arborea. Cagliari, 1850. (^) Bresciani Antonio, Dei costumi dell'isola di Sardegna. Naiioli, Gian- nini, 1861. (*) Valéry, Voyage en Corse et en Sardaigne. Paris, Bourgeois, 1833. (®) De La Marmora Albert, \oyage en Sardaigne. Paris, Bertrand, 1833. ('“) Spano Giovanni, Memoria sopra i Nuraghi di Sardegna. Cagliari, Stamperia Arcivescovile, 1867. (“) Maltzan (von) H., Reise auf der Insel Sardinien. Leipzig-Dyk, 1869. (‘2) Pais Ettore, La Sardegna prima del dominio romano. Atti della E. Acc. dei Lincei, 1880-81. C. CATACOI 608 ralba; quello detto LmQih presso Husachi : quello detto Ha domo de s’ Orcu presso Domusnoras. quello yieddu ]»resso Ploaghe. quello Carina presso Hauladu e vari altri. Accennerò sommariamente come i Nuraghi sieno grandiose torri di forma tronco-conica fatte con blocchi enormi
  • i fecero nascere la seconda Era di prosperità. I Genovesi si stabilirono nella parte nordica dell' isola mentre i Pisani si impossessarono di quella meridionale, e \i tondarono un governo regolare sotto il dominio di Ugolino di Donoratico. E incerta l' epoca della fondazione della Citta, che sembra in origine fosse una colonia cristiana e che dal gran numero di chiese che racchiudeva, o meglio dalla chiesa che ne formò il primo nucleo, si chiamò di Chiesa, da cui 1 attuale Iglesias. Certamente esisteva poco dopo il Mille ed appartenne a vi- cenda agli imperatori Federico I e II, ai Pisani ed alla celebre Eleonora d’ Arborea. La dominazione tedesca dell isola cominciata nel 1 16ò con Federigo I. il quale dette all’ isola il grado di Regno, cessò col di lui figlio naturale Enzo, che cadde nel 1249. Ugolino di Donoratico (7 1288), Signore della Sesta parte del Regno di Kallari, come dice l' iscrizione della chiesa di Santa Chiara in Iglesias, Commissario della Repubblica Pisana, possedeva il Ca- stello di Salvaterra, anticamente chiamato il Mons Reqalis, il quale domina la città di Iglesias. Egli possedeva pure il castello di Acqua Fredda {Castrum aquae frigidae) presso Siliqua e 1’ altro di Gioisa Guardia presso \ illa- massargia, ambedue nella pianura del Cixerri. La dominazione pisana dm'ata circa un secolo (1250-1320) aprì una nuova Era di civiltà e di floridezza. (1) Pais Ettore, nella Silloge epigrafica Olbiense. Sassari, Dessi, 1895. STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECC. 621 Le arti pure fiorirono sotto il dominio dei Gherardesca, dei \ isconti, dei Malaspina, e furono viste sorgere in ogni parte del- 1 isola quelle graziose chiese e quei grandiosi conventi, i quali ri- cordano all’ osservatore le linee purissime dei monumenti pisani che furono presi a modello (^). Anche le miniere risorsero insieme al benessere generale. Nella iscrizione della chiesa di Santa Chiara dell’ anno 1285, surriferita, la città vien chiamata Argentariae Villae Ecclesiae, prova evidente che fino da quell’ epoca essa era rinomata per 1' ar- gento che produceva. Zurita nella Storia del XIV secolo ci fa sapere che nel 1303 1 aimata pisana era carica di argento sardo e che questo veniva ricavato con poca spesa presso la Città dei Greci (Iglesias). Durante l’ epoca pisana Iglesias batteva moneta di argento, e nonostante che da oltre un secolo fosse cessata la dominazione degli imperatori, pure queste monete avevano sul recto un aquila colla scritta Federicas Imperator e sul verso il motto Facta in Villa Fcclesiae prò Comuni Pisano. Da un documento della Repubblica pisana del 1320 si rileva che veniva fatta ui’gente richiesta di grano e biada per gli abi- tanti di Villa Fcclesiae, giacché ne difettavano, essendo essi più dedicati alla escavazione delle miniere che alla cultura del suolo. Il ricordo dei Pisani non manca neppure in alcune miniere, giacché, ad esempio, alla Miniera db San Giovanni di Gonnesa esiste una grotta che ha tuttora per tradizione il nome di Grotta dei pisani e poco distante da Iglesias trovasi la miniera chiamata Campa Pisana. Monumento perenne a gloria dell' epoca pisana sono i regola- menti 0 statuti per la escavazione delle miniere conosciute col come di Breve di Villa di Chiesa, illustrato dal dotto conte Carlo Bandi di Vesme (^). Questo Breve che insieme alle leggi di Massa Marittima co- stituisce i più antichi regolamenti delle Miniere, contiene una gran quantità di voci e modi di dire tedeschi, il che fa supporre che non solamente i pisani risentissero tuttora V influenza del do- (1) Scano Dionigi, Una pagina d'arte pisana in Sardegna, nella Vita Italiana, Roma, 1896. G) Bandi di Vesme Carlo, Codice diplomatico di Villa Chiesa in Sar- degna. Torino, Stamperia reale, 1877. C. CAPACCI 622 minio tedesco, come lo proverebbe il fatto della moneta ora citata, j ma di più avessero fatto venire dalla Germania operai e maestri delle miniere, i Delle escavazioni fatte dai Pisani si hanno dettagliate notizie jj nel Breve ora citato. Il pozzo scavato nella massa del filone, secondo | la sua inclinazione, chiamavasi fossa, mentre bolliui chiamavansi le gallerie a piccolo pendio. Dei pozzi o fosse alcuni raggiun.sero la profondità di 200 m. Il minerale scavato chiamavasi rnodle. Il lavoro di escavazione variava a seconda della roccia, e così il mo/ile tenero si lavora a ferro, il monte sodo yi lavora a Jnoco. 11 lavoro a fuoco si faceva colla bolQa (onde la bolgia di Dante). Dopo affocata la roccia per disgregarla vi si gettava sopra acqua e aceto. L’aereazione dei lavori si diceva dar vento alle fosse, e 1 esau- rimento delle acque si faceva collo seionfare o sciuttare la fossa. Presso Iglesias esistevano due fonderie chiamate ìhionguadayno e Leone, ove si avevano varie specie di forni, fra i quali il forno a mantice, da cui il nome di forno a manica {fowr d manche). Non si ha certa contezza se le miniere prosperassero sotto i giudicati 0 governi nazionali. Sembra però indubitato che la grande giudichessa Eleonora d' Arborea (1383-1403), famosa pei le sue imprese guerresche e per le sue leggi dette Carta de Ioga (1395) non debba aver trascurato l' escavazione dei metalli nel suo regno. Certamente Eleonora aveva zecca in Oristano come si rileva dal poema del Falliti, e l’argento per batter moneta proveniva senza dubbio dalle vicine miniere dell’ Iglesiente. Essa ebbe pure in possesso per qualche tempo Villa di Chiesa, per la cui conquista combattè il di lei marito Brancaleone Doiia, ma nella pace del 1388 essa cedè agli Aragonesi il Castello di Salvaterra, detto anche Mons Regalis, forse a ricordo della auto- rità regia. Gli Aragonesi congiunti agli Arboresi ai danni dei Pisani li vinsero e si impadronirono di Iglesias nel gennaio 1324. Così cominciò il dominio aragonese dell isola che durò per ben quattro secoli (1320-1720), dominio il quale, se ebbe una ap- parenza di fasto e di pompa ridusse però 1 isola in misero stato, | tantoché nel 1720 essa contava soltanto 300,000 anime. I 623 STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECO. Le roiniere continuarono ad essere scavate da alcuni pisani, poi dagli Spagnoli. Appena occupata la regione, Re Alfonso di Aragona riconobbe ed approvò con sua Carta del 1337 il Breve di Villa di Chiesa dei pisani estendendolo a tutto il paese da lui dominato. Più tardi vinti e dispersi gli Arboresi che pur li aveva aiu- tati alla conquista dell isola, Alfonso d’ Aragona riconosciuta la bontà della Costituzione emanata da Eleonora di Arborea estese la Carta de Ioga a tutto il regno. Dui ante la dominazione Spagnola le miniere furono date in concessione a privati dietro un correspettivo da pagare all’erario. Molte furono le concessioni accordate dal Re ma in generale non ebbero prospera vita. Le più importanti furono le ultime, cioè quelle date a Martino Squirro (1614), a Giacomo Squirro (1628), a Michele Olives (1707), durante le quali furono scavate attivamente le miniere di Montevecchio e Monteponi. Il decadimento che le miniere sarde soffrirono fino dal prin- cipio della dominazione Aragonese fu dovuto, non soltanto ai me- todi di governo dei Viceré e Governatori ma benanche ad alcuni fatti importanti che influirono grandemente sulla industria delle miniere. Difatti se da una parte V invenzione della polvere da mina (1346) rese più facile ed economico lo abbattimento delle roccie, dall’ altra la scoperta dell' America (1492) e la scoperta della via delle Indie (1474) aprirono la via alle grandi miniere del Chili, del Perù e del Messico e ai grandi commerci indiani, e le miniere del bacino del Mediterraneo tanto in Grecia, che in Spagna, che in Italia, che in Sardegna, decaddero rapidamente. Per la Convenzione di Londra (3 agosto 1718) Vittorio Ame- deo li di Savoia cedeva la Sicilia all’ Imperatore Filippo V, asse- gnatagli col trattato di Utrecht, e ne riceveva in compenso la Sar- degna con titolo reale. Così la Sardegna venne riunita alla Patria Comune nel 1720 per non più separarsene. Durante il dominio sabaudo (1720-1848) continuò il regime delle concessioni delle miniere accordate a privati. La più nota fra queste si è quella del 1746 data per 30 anni a Brander e Mandell. 624 C. CAPACCI Sotto la direzione del Mandell le miniere ebbero un' epoca di vera floridezza, giacché egli lavorò con grande attività specialmente in quelle di Montevecchio e Monteponi e costruì la fonderia
  • ), dallo Zoppi 0, daH’Anselmo (3) e dal Pais (4), nè è qui il caso di ritornarvi sopra. Diremo soltanto che le miniere tro- vansi ora per la massima parte a disagio. Alcune privilegiate che hanno tuttora giacimenti molto ricchi e trasporti molto facili continuano una vita prospera, mentre molte altre che non hanno così favorevoli condizioni, quantunque abbiano aumentato considerevolmente la produzione, si sono ridotte ad avere ben magri benefìci ; ed altre infine lavorano a perdita pur di man- tenere aperte le miniere in attesa di un avvenire migliore. Il deputato Pais, autore dell Inchiesta sulle condizioni econo- miche della Sardegna, ha studiato con molto acume e competenza anche le attuali condizioni della industria mineraria; ed a miglio- rarne le sorti propugna alcuni provvedimenti già proposti dalla Ca- rnei a di commercio di Cagliari e che in riassunto sono i seguenti. Prima dell’applicazione della tassa di ricchezza mobile le miniere pagavano al Governo un tributo corrispondente al 5 % sul reddito netto. Applicata nel 1864 la tassa di ricchezza mobile, la misura di questo tributo venne completamente alterata, ed applicata con criteri assolutamente fiscali venne a gravare fortemente l’industria anche nei periodi come il presente, ove per la massima parte delle miniere l’esercizio è passivo. Quindi si propone di applicare la suddetta tassa proporzionale al reddito netto delle miniere. Si propone inoltre di assimilare al punto di vista fiscale i fabbricati necessari all’ industria mineraria, a quelli addetti all’ in- dustria agricola, di alleggerire i dazi al confine per le materie prime necessarie all industria, di proteggere i metalli e minerali sardi, di allacciare la ferrovia di Monteponi alla stazione di Iglesias onde facilitare alle miniere il consumo delle ligniti del bacino di Gonnesa, ed infine di ridurre le tariffe ferroviarie. (1) Sella Q., op. cit. (^) Zoppi, Sulle condizioni econoniche delle wÀniere di Surdegno,. Ri- vista del servizio minerario nel 1883. Firenze, Barbèra, 1885. (^) Anseimo M., nelle Riviste del servizio minerario negli anni 1894-1895. Roma, Bertero, 1894. (■*) Pais E., Relazione dell' inchiesta sulle condizioni economiche e della sicurezza pubblica in Sardegna. Roma, Camera dei Dep., 1896. 630 C. CAPACCI Questi desiderati dei sardi, assolutamente necessari a mante- I nere in vita l'industria mineraria che tanti interessi rappresenta ed a tanta popolazione dà vita, sembrano del tutto equi ed è da augurarsi che possano venire realizzati in un prossimo sollecito .♦ avvenire. | Nei prospetti seguenti vengono raccolti i dati complessivi re- | lativi alle miniere della Sardegna. , Nel primo si troveranno le cifre corrispondenti al valore della | produzione ed al numero degli operai dal 1848 al 1895. Nel secondo vien dato il dettaglio della produzione nel 1895. ^ Nel terzo sono riuniti i prezzi medi dei minerali e dei me- ’ talli dal 1850 al 1895. PROSPETTO delle miniere della Sardefjiia. AX.NI X V M E K 0 delle VALORE NCMERO Concessioni Permessi di ricerca del prodotto totale di operai 1848 4 148.203 616 1860 — — 2,761.6.39 3,238 1870 300 13.461.780 9.171 1880 50 250 15.385.958 8.977 1890 66 — 20.567.000 10.301 1895 66 — 11.890.000 9.521 PROSPETTO della j)rodu:io,ie delle Miniere in Sardegna nell’anno 1895. NUMERO P R 0 D U Z I 0 N E NUMERO NATURA DEI PRODOTTI di miniere attive Quantità tonn. Valore nnitario L. it. Valore totale L. it. dei lavoranti Minerali di piombo . Id. zinco . . .1 1 i 30.303 53 ’ / 103,719 133,43 65,75 4.043.2.34; 6.821.9941 8.375 Id. argento . . 7 870 737,20 641.366 700 Id. antimonio . 2 2.087 77,18 161.070 173 Id. manganese. 3 769 50,25 38.640 46 Combustibili fossili . 1 14.472 12,69 183.646 227 Totali generali 66 — — 11.890.000 9.521 l t » STLDIO SULLE MI^vIERE DI MONTEPOM ECC. 631 PEOSPETTO del preszo dei Minerali e Metalli in Sardegna. A X X I PIOILBO AKGEXTO 0 ZINCO metallo quintale minerale metallo p. 1 K. minerale metallo quintale 1 minerale 1850 44.00 1860 57.00 — 222.50 — 51.00 1870 47.00 — 221.00 — 49.00 1880 40.00 — 191.00 — 46.50 1890 198.94 174.13 983.79 58.-54 114.49 1891 27.46 171.57 155.86 1029.46 56.50 112.60 1892 24.00 140.65 139.49 953.05 46.28 84.75 1893 22.96 128-96 113.04 768.11 40.87 76.47 1894 (Dicembre) . 23.17 — 98.83 — 35.37 1895 (id.) 27.29 111.74 — 36.15 75 — Capitolo III. Cenno geologico dell’ Iglesiente. Illustri geologi studiarono la costituzione dell’ Isola ed in special modo quella dell' Iglesiente, ove trovasi riunita una lunga serie di terreni antichi, alcuni dei quali fossiliferi, altri mancanti di fossili e circa l’epoca dei quali evvi tuttora disparere fra gli scienziati. La regione quindi desta massimo interesse non soltanto al punto di vista delle grandi e ricche miniere che possiede, ma anche sotto l’ aspetto essenzialmente geologico. È del resto indispensabile avere un’ idea chiara e precisa della costituzione geologica di una regione, se bene voglionsi studiare i giacimenti minerari eh’ essa racchiude. Questa è la ragione del breve cenno geologico che daremo, rinviando il lettore per ogni più ampio studio alle classiche opere del De La Marmora, Meneghini, Bornemann, Lovisato, vom Eath, De Stefani, Baldracco, Sella, Marchese, Zoppi ecc. ecc., citate nella Bibliografia allegata a questo scritto. 43 632 C. CAPACCI La regione sud-ovest dell' Isola di Sardegna, quasi totalmente separata dal rimanente dell' Isola dalla grande linea di frattura cui corrisponde il Campidano che si stende da Cagliari ad Oristano, presenta un grande interesse geologico. Questa regione, e più specialmente l’ Iglesiente, sono state par- ticolarmente studiate dagli ingegneri del It. Corpo delle Miniere, e fra questi il Testare, lo Zoppi, il Lambert e il De Ferrari, i quali rilevarono la bella carta geologica annessa alla Descrizione geologica mineraria dell’ Iglesiente, pubblicata dall ing. Zoppi. La regione considerata nel suo insieme ci presenta essenzial- mente le formazioni seguenti : I graniti affiorano nell’ Altipiano di Arbus-Villacidro al Capo Spartivento ed al Monte Arquata con alcune isole intermediarie. II Cambriano forma tre isole ben distinte, una a nord d’ Iglesias, r altra a Canalgrande, la terza a Monte Oi. Il Siluriano occupa gran parte dello spazio interposto fra le dette formazioni addossandosi all una ed all altra. Il Triassico occupa due zone ben distinte, una nell’ altipiano di Campomia e l’altra nei Narroci. 11 Terziario si estende a sud d’ Iglesias. Il Quaternario occupa il Campidano di Cagliari-Oristano, e la pianura di Palmas. Finalmente le trachiti, i tuli trachitici ed i basalti costitui- scono le isole di S. Pietro e S. Antioco, il Capo Aitano, P Ar- caeuto, il Capo della Frasca, il Capo di Pula, ed i coni trachitici del Cixerri e del Logoduro. Non sarà fuor di luogo dare qualche cenno di dettaglio sulle formazioni ora indicate, giacché su alcune di esse vertono tuttora fra i geologi importanti questioni. Schisti cristallini. Quantunque queste roccie non si presentino nell’ Iglesiente, tuttavia conviene citarle poiché costituiscono, insieme al granito, 1 os satura dell’ Isola. Gli schisti cristallini si presentano specialmente al nord-est deir Isola e nella sua parte centrale ove formano gran parte del mas- siccio del Gennargentu. STUDÌO SULLE MIMERE DI MOKTEPOXI ECO. 633 Si protendono poi nell' Ogliastra ove racchiudono i filoni di piombo argentifero, di rame e feiTO dei dintorni di Lanusei. Formasioiie granitica. Mentre la parte settentrionale dell’ Isola ofli-e una estesa for- mazione di graniti che fan seguito a quelli della Corsica, invece neUa parte meridionale, essi cedono il posto alle formazioni sedi- mentarie posteriori e soltanto appariscono in alcune limitate isole, testimoni che l’ ossatura granitica dell’ Isola si stende pure nel mezzogiorno di essa. Così mentre al nord i graniti costituiscono 1’ enorme massic- cio che partendo da Capo della Testa passa al Limbara (1953) giunge al culmine del Gennargentu (1793) e si protende poi nel- 1 Ogliastra. circondato dagli schisti cristallini arcaici ; invece nel- r Iglesiente vediamo soltanto emergere l’ Altipiano di Arbus-Villa- cidro, le isole granitiche di Capo Pecora e di Oridda, nel Sulcis SI presenta T esteso lembo granitico che dal Monte Arquata e Capoterra si stende al Capo Spartivento ed al Monte Lapano, ed infine nel Sarrabus ricompare la massa granitica che dal Monte dei Sette Fratelli (921) si stende fino al Capo Carbonara. I graniU dell' Iglesiente furono oggetto di particolare studio a causa dell interesse speciale che presenta la regione. altipiano granitico di Arbus è quasi tutto circondato da schisti antichi. Sul contonio settentrionale e occidentale vi si appoggiano gli schisti di Montevecchio e Gennamari, mentre al sud è circondato dagli schisti del Monte Linas (1237). II Sella (') è di parere che i graniti di Sardegna sieno an- tichi e formino l’ ossatura dell’ Isola. Lo Zoppi (^) ritiene i graniti essere antichi e di formazione metamorfica. Egli osserva poi molto giustamente che gli elementi delle quarziti cambriane provengono dai graniti evidentemente preesistenti. f ) Sella Quintino, Sulle condizioni delV industria mineraria in Sar- degna. Eoma, Camera deputati, 1871. (2) Zoppi G., Descrizione geologico-mineraria dell' Iglesiente. Roma, Tip. Nazionale, 1888. 634 C. CAPACCI Il De Stefani (*) ritiene pure che il granito formi 1 ossatura j, principale dell’ Isola e debba ascriversi al laurenziano. ; Il Lovisato (-) invece è di parere che 1’ ossatui-a dell isola sia \. costituita dagli gneiss e schisti antichi e che i graniti sieno emersi j, fra il siluriano ed il carbonifero. r Il Traverso (®) è dello stesso parere poiché ritiene essere i |j graniti di eruzione post-siluriana. p Il De La Marmora (■*) impressionato delle azioni di metamor- Ir fismo prodotte dai graniti su alcune rocce adiacenti, come gli schisti i‘ ed i calcari, è di parere che il sollevamento dei graniti sia poste- | riore all’ epoca carbonifera. ^ , Egli ritiene poi che tutti i graniti sieno da riferirsi alla stessa ; epoca geologica e che le ditferenze fra i vari tipi di questa roccia ,/ sieno semplici accidentalità. Il 11 Lepsius (®) mentre ammette che sienvi masse granitiche | antiche fondamentali dell’ isola inferiori alle formazioni arcaiche I e siluriane, però tenendo presenti i tiloni di granito penetranti entro gli schisti, le inclusioni di questi entro i graniti e le azioni w di metamorfismo esercitate da questi su quelli giunge alla conclu- j sione che i graniti filoniani (Arbus, Capo Carbonara) sieno di for- j inazione posteriore. j Lo Zoppi (®) concorda pure questa opinione per quel che ri- | guarda i graniti filoniani. j 11 Bornemann è di parere che i graniti di Arbus sieno dell’ epoca siluriana. (>) De Stefani Carlo, Cenni ■preliminari sui terreni cristallini e paleo- • zoici della Sardegna. Roma, Rendiconti R. .\ccad. Lincei. 1891. (2) Lovisato Domenico, Cenni geologici sulla Sardegna. Cagliari, lip. del Commercio, 1888. (3) Traverso Stefano, Note sulla tettonica del Siluriano m Sardegna. Atti, Soc. Ligustica di Se. Nat. Genova. 1893. (*) De La Jlarmora .\lberto. Voyage en Sardaigne. 3“® partie, Géologie. Munclien, Deutsche Rundschau fiir Geographie und Statistik. 1880. (5) Lepsius, Ueber die Geologie und der Bergbau der Insel Sardimen. (c) Zoppi G., Descrizione geologico-mineraria dell' Iglesiente. Roma, Tip. 'Nazionale, 1888. (') Bornemann J. G„ Sur la classi fication des formations strati fiées an- cie'nnes de Vile de Sardaigne. Bologne, 1881. ] STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONC ECO. 635 11 dott. Bucca (') considerando gli effetti di metamorasmo in- dotti dai graniti sulle roccie sii urlane, è di parere che essi sieno posteriori a questa epoca geologica. Il Lotti nel suo studio sui graniti di Yillacidro (2), osservando 1 alterazione prodotta da queste roccie sugli schisti silurici del con- tatto, e le profonde modiacazioni che il granito stesso subisce nel contatto medesimo ; conclude che queste roccie, e per analogia tutti i graniti dell Iglesiente, sono da riferirsi ad un’epoca posteriore a quella sihrrica. Questi graniti si presentano in masse prevalentemente rosse, racchiudenti talvolta delle masse bianche. II granito rosso è minutameate cristallino, formato da quarzo e mica biotite. La sua colorazione proviene da un pigmento di os- sido di ferro. Il granito bianco è pure a grana fine e composto degli stessi elementi. Celebri sono le cave di graniti sardi tanto al nord al Capo Testa (Cava di Capriuolo) come al sud al Capo Carbonara. Le prime furono scavate dai Romani e poi dai Pisani. Una paiticolarità degna di nota di queste rocce granitiche, è la cosiddetta Pietra hallerma di Nuoro. Nei graniti trovansi sovente delle inclusioni, e rinomato è il granito a sferoidi di Ghistorrai studiato dal Lovisato (3). Infine il granito si presenta talvolta in veri e propri filoni entro lo schisto quali sono quelli trovati e studiati alla miniera di Crabu- lazzu, presso al contatto occidentale della massa granitica di Arbus. Questa massa filoniforme ha metamorfosato lo schisto al con- tatto, rendendolo cristallino, e racchiude poi delle inclusioni di roccia schistosa, essa pure profondamente metamorfosata. A questi graniti filoniformi sono pure da riferire delle nume- rose dighe 0 filoni di diorite, eurite e porfido che nella regione che studiamo solcano tanto i graniti che gli schisti. (L Bucca L., Studi petrografici su alcune rocce dell' Iglesiente, neH’opera dello Zoppi. (2) Lotti Bernardino, Osservazioni geologico-minerarie sui dintorni di Villacidro in Sardegna, Boll. d. Soc. Geol. Ital., 1896. U) Lovisato D., Sul granito a sferoidi di Ghistorrai presso Fonni in Sardegna, Rend. R. Accad. Lincei, 1886. 636 C. CAPACCI Concludendo, sembra doversi distinguere più formazioni gra- nitiche e mentre il granito roseo in grandi masse che evidente- mente costituisce l’ossatura dell’ Isola intiera è senza dubbio an- tichissimo e certamente precambriano, invece quello bianco parrebbe doversi ascrivere al postsiluriano, giacché trovasi in dighe per entro agli schisti siluriani, mentre infine il granito filoniforme parrebbe essere terziario come è quello studiato dal Lotti all Isola d Liba. Infine osserveremo che nella regione che ci occupa potenti filoni di spaccatura a ganga quarzosa seguono parallelamente al contatto fra schisti e granito, mentre altri traversano le due rocce normalmente al loro contatto e dessi costituiscono il ricco campo di filoni di piombo argentiferi che attornia l’altipiano granitico di Arbus. Formazioae degli schisti aatichi (arcaici). Gli schisti argillosi e quarziferi di Montevecchio Gennamari privi di fossili, che si addossano sul contorno settentrionale ed occi- dentale dell’ altipiano granitico di Arbus. sono da vari geologi posti nel terreno siluriano insieme a quelli fossiliferi di Domusnovas, Gonnesa e del Fluminese. Cosi pensò il De La Marmora, così ritiene lo Zoppi nella sua opera sull’ Iglesiente. Ma altri geologi, fra i quali il Bornemann (‘) ed il Lovisato (D, i quali così a fondo hanno studiato questa regione, tenendo conto della mancanza assoluta di fossili, in questi schisti, della loro facies totalmente diversa da quella degli schisti fossiliferi appartenenti al silmiano medio succitati, e riflettendo poi che questi schisti riposano direttamente sui graniti antichi senza che il cambriano apparisca in benché minima parte in quella regione fra il granito e lo schisto medesimo, sono arrivati nella persuasione che questi schisti sono antichissimi, arcaici e probabilmente uroniani. In essi sono contenuti i famosi filoni di spaccatura di Mon- tevecchio Gennamari, a riempimento di quarzo con minerali di piombo argentifero ecc. (1) Bornemann J. G., Sur la classi fication des formations stratifiées anciennes de V Ile de Sardaigne. Congrès Géologique internationalde Bologne, Bologne, 1881. (2) Lovisato D., loc. cit. STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECO. 637 Essi sono pure traversati dai filoni porfirici ed eiiritici. Tutti questi filoni tanto metallici che rocciosi traversano gli schisti ed i sottostanti graniti. Formazione Cambriana. Nell' opera del De La Marmora (1857) e nella Paleontologia del Meneghini che l’ accompagna, questa formazione non viene disgiunta dal siluriano. Vari anni appresso (1886-88) il Bornemann (i) ed il Mene- ghini (-) tenendo presenti alcuni fossili caratteristici del cambriano, come i Lingula e 1 Hyolithes ed altri, crearono T orizzonte cam- ano della Sardegna i cui fossili descrissero nelle loro classiche opere. La formazione cambriana presenta nell’ Iglesiente tre zone ormai classiche, quali sono : il gran nucleo centrale posto fra Iglesias e Antas ; 1 isola cambriana di Canalgrande, ed un lembo posto a sud d Iglesias da Pontaperda a Gronnesa e conosciuto col nome di Monte Oi. La prima zona si stende a destra e sinistra della strada che va da Iglesias a Piuminimaggiore. Comprende i monti di San Pietro (658), Monte Scrocca (692) Punta Perdiassa (725) e Cuccuru-Contu (805). e le valli di Ca- nonica, il Eio Coluru, il Kio Ollastii e gli altri minori. L isola cambriana di Canalgraude è traversata dal Grutturu Sartu e dal Canalgrande e costituisce il famoso monte fossilifero di Punta-sa-Gloria e la ben nota Grotta di Canalgrande. Questi terreni sono costituiti da alternanze di arenarie fossi- lifere, quarziti, calcari fossiliferi ed arenarie gialle non fossilifere con qualche banco di calcare subordinato. Celebri sono le Graziane e Bilohiti di San Pietro, i Trilobiti {Paradoccides, MetadoxideSj Olenopsis^ Ciordanella ecc. ecc.) e gli (') Bornemann J. G., Die Verstemerungen des Cambrischen Schichtcu- systems der Insel Sardinien. Deutsche Akademie der Naturforscher, 1886 nnd 1891. O Meneghini G., Paleontologia dell' Iglesiente in Sardegna; Fauna Cambriana ; Trilobiti. Firenze, per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia. Barbèra, Memorie 1888. c. CAPACCI 638 Archaeocyalhus e CoscUocyalhm coatenute negli schisti, nelle are- nane e nei calcari di Punta-sa-Gloria e Canalgi’ande, ed infine i Cyathophillum racchiusi nei calcari subordinati superiori del Cuc- curu-Contu. In questa formazione sono contenuti dei giacimenti raineiari importanti, quali sono le lenti calaminari di Canalgrande. Ld è qui il luogo di osservare come il fatto che la formazione calaminare ha invaso soltanto il cambriano ed il calcare metallifero e una prova che queste formazioni sono contigue fra loro. Nel mat^ffio 1896 una scoperta importantissima venne a get- tare nuova luce sulla geologia dell’ Iglesiente. L’ ing. Vittorio Gambera (') scopri un orizzonte di fossili cam- bi iani negli schisti violacei che si riscontrano sulla strada da Igle- sias a Cabitza, ritenuti fino allora per siluriani. Questi fossili, determinati dal dott. Giovanni Di btefano, resul- tarono essere i seguenti : Conocephalites. Sp. Paradoxides. Sp. Olenopsis Boriiemanni Menegh. Sp. Oleaus Zoppa Menegh. Sp. var. eloayata. Oleiwpsis Zoppa Menegh. Sp. {emendata Horn). Tali fossili sono appunto quelli che servirono al Meneghini ed al Bomemanu a stabilire 1’ orizzonte cambriano di Canalgrande e di Iglesias. Questa scoperta, congiunta all'altra di un orizzonte carbonifero nella valle d’ Iglesias, ha rimesso in discussione tutta la geologia dei terreni antichi dell’ Iglesiente, Formazione siluriana. Circa questa formazione discordi sono i pareri dei geologi e non ancora ben determinati sono i suoi membri. Vediamo di dare un cenno delle principali opinioni oggi note. Le tre masse cambriane ora studiate sono circondate tutto (1) (Gambera Vittorio, Relazione sulla scoperta di fossili nell' Iglesiente (Sardegna). Iglesias, Tip. Iglesiense, 1897. STUDIO SULLE MIMEKE DI MONTEPOM ECC. 639 attorno da una potente formazione calcarea che per la ricchezza dei giacimenti minerari contenuti viene chiamata calcare metallifero e questo a sua volta è circondato quasi ovunque da schisti siluriani. La formazione di questi schisti presenta tutte le varietà. Da una roccia filladica verdastra cristallina, si passa ad uno schisto argilloso micaceo, talvolta quarzoso, tal’ altra calcareo, spesso linamente fogliettato e di colore variabilissimo, verdastro, rossastro, grigio, cinereo ecc. ecc. Questi schisti furono trovati fossiliferi in varie località del Fluminese ed a Planudentis. a Masua, a Gonnesa, Domusiiovas ecc. Il Barrande, il celebre illustratore dei terreni siluriani della Boemia, visitò la Sardegna nel 1844 e scoprì i fossili siluriani nella località di Fontanamare all’ imbocco del fiume di Flumini. Classici sono gli studi del Meneghini (') su questi fossili, dei quali i più caratteristici sono il Dalmatites Lariar morale ^ il Tri- nucleus ortiatus, 4 Orthis magna, le Conularie, la Stromatoioora laminosa, ecc., che permettono di riferire gli schisti al siluriano medio. Frammezzati a questi schisti trovansi delle Grauwacke, delle Anageniti quarzose, delle quarziti e dei calcari subordinati. Su queste varie rocce del siluriano dell’ Iglesiente ricorderemo i pregevoli studi chimici e petrografici del Cossa e Mattirolo (Q. Nella parte superiore della formazione trovasi poi il calcare nero di Xea S. Antonio nel Fluminese il quale contiene Orthoceras e Graptoliti. La grande formazione del calcare metallifero è invece priva di fossili, e per quante ricerche sieno state fatte non è stato pos- sibile finora di determinarne direttamente la posizione geologica. Sulla posizione relativa di questi terreni esistono gravi dispareri fra i geologi. La diversa e talora opposta tettonica e ordine di sovrapposi- (’) Meneghini G„ Paléontologie de V Ile de Sardaigne, nell’Opera del De La Marmora; id Nuovi fossili siluriard di Sardegna. Eoma, E. Accad. dei Lincei, 1880 ; id. Nuovi trilobiti di Sardegna. Atti della Soc. Tose, di Se. Nat., Pisa, Nistri. 1881 ; id. Ulteriori notizie sui trilobiti di Sardegna. .Gli d. Soc. Toscana di Se. Nat. Pisa Nistri, 1881. p) Cossa A. e Mattirolo E., Analisi di rocce dell' Iglesiente. Boll, del E. Comit. Geol., 1881. C. CAI’.VCCl 640 zione cho essi presentano nelle varie parti del teriitorio e 1 assoluta mancanza di fossili nel calcare metallifero hanno dato luogo a varie opinioni circa la loro età e la loro posizione. Troppo lungo sarebbe trattare qui tale questione, ne daremo soltanto un cenno che serva a chiarire alcuni fatti importanti pei lo studio delle miniere di cui parleremo in appresso. Circa la tettonica, ossia l’ ordine di sovrapposizione di questi terreni, si osservano principalmente i fatti seguenti. Alla miniera di Nebida sul contorno occidentale del nucleo cambriano : alla Miniera di Reigraxius Marganai ad oriente ; e lungo la valle Mamenga a tramontana, si vede il cambriano adagiarsi sul calcare metallifero ed a questo sottostare lo schisto siluriano in concordanza di stratificazione. Invece alla Miniera di San Benedetto sotto il Monte Perdiassa ad est; alla miniera di Monte Canali Sotto la Punta-sa-Muci a al nord ; ed all’ ovest fra Puuta-sa-fUoria e Monte Sporra. ve- desi chiaramente che il cambriano penetra al disotto del calcate metallifero. Infine sul contorno meridionale del nucleo cambriano, presso Nebidedda, il contatto fra cambriano e calcare metallifero è ver- ticale. e nello stesso modo trovasi disposto il contatto fra calcare e schisto a Monteponi ed a San Giorgio, ove però gli strati sono in discordanza di strati tìcazioue. Osservazione capitale è quella che al contatto del cambriano trovasi sempre il calcare metallifero e non lo schisto ; ed il fatto che a Cala Domestica osservasi un graduale passaggio dal cam- briano al calcare. Quanto alla posizione relativa fra calcare e schisto, devesi osservare che nella massima parte dei casi ed anche dove lo schisto è certamente fossilifero come a Planudentis, Gonnesa, Domusnovas e ad Acquaresi e Nebida. esso mostrasi inferiore al calcare me- tallifero. Se dalle osservazioni superficiali si passa a quelle interne che i grandiosi lavori delle miniere ci hanno permesso di fare, si trova che da essi risulta all’ evidenza che il calcare metallifero è sotto- stante allo schisto siluriano. E un fatto che un territorio dove vedonsi ovunque gli strati di calcare in grandi masse e di schisti raddrizzati alla verticale. STUDIO SULLE HI-KIERE DI MONTEPONI ECO. 641 e la formazione cambriana portata in alto, deve essere stato sot- toposto ad enormi azioni dinamiche nelle quali le varie forze com- ponenti. come la spinta, la pressione, la gravità, lo scivolamento e la resistenza assoluta e relativa delle varie rocce fra loro ecc.. debbono aver prodotto degli sconvolgimenti e rovesciamenti tali da renderne complicatissima la tettonica. Il Della Marmora (’) nella sua classica opera non tratta in modo speciale la questione della tettonica e dell’ età relativa degli schisti e del calcare metallifero perchè a quell’ epoca non era stato scoperto il cambriano, e tutta la massa dei terreni cambriano e siluriano era riferita al siluriano. Quanto poi alla posizione del calcare metallifero, Egli osserva che in alcuni punti è intercalato agli schisti, in altri è sottostante, ma chiaramente poi si esprime che le calcaire en grosses masses est toujours siiperposé cui schiste. 11 Meneghini (-) nei suoi classici studi sul siluriano dell’ Igle- siente non è alfatto esplicito relativamente alla questione del cal- care metallifero. Dalla lettura dei suoi scritti e dalle citazioni che egli fa delle osservazioni dello Zoppi parrebbe inclinare all’ opinione di questo, ma però in definitivo riserva ogni giudizio in attesa che la paleon- tologia conduca alla soluzione del problema stratigrafico. L’ing. Zoppi (3) nella sua opera sull’ Iglesiente tenendo pre- sente la posizione relativa del calcare metallifero e dello schisto, soprattutto nelle località ove questo è fossilifero (Domusnovas, Gon- nesa, Planudentis, Acquaresi), osservaudo come in un gran numero di casi il calcare sovrasta allo schisto in concordanza di stratifi- cazione ne conclude che il calcare metallifero è indubbiamente di formazione più recente dello schisto siluriano, ma inferiore però alle filladi di Malacalzetta. Per spiegare poi le anomalie della tettonica di questi terreni fra loro e col cambriano, egli ritiene che il calcare siasi formato a guisa di atollo, tutto attorno al preesistente nucleo cambriano, (*) (*) De La Marmora A., Voyage en Sardaigne. 3® partie, Géologie. (^) Meneghini G., Posizioni relative dei vasi piani siluriani dell' Ig le- siente in Sardegna. Atti d. Soc. Tose, di Se. Nat, Pisa, 1881. (3) Zoppi, Descrizione geologico-mineraria dell' Iglesiente in Sardegna. Roma, 1888. C. CA1'AC<'I 642 il quale andava gradatamente abbassandosi mentre il calcare si depositava. Con questo modo di formazione e con una serie di spostamenti e di faglie, Egli viene a spiegare la svariata tettonica dell' Igle- siente. L'ing. Mazzetti (*) che studiò pure attentamente la tettonica di questa regione, osserva che nove volte su dieci lo schisto si pre- senta sottostante al calcare metallifero lungo i veri contatti, cioè quelli passanti fra i banchi delle due formazioni aventi la stessa direzione che è la nord-sud; mentre il calcare sottostà agli schisti lungo i piani di posa separanti i banchi delle roccie che vengono a cozzare testata contro testata. Così egli osserva che i lavori di Monteponi, S. Giovanni, S. Gio- vanneddu, Malacalzetta ecc. provano che i calcari sottostanno agli schisti, mentre i lavori di Planudentis, Pira Roma, Enna Murta Nebida ecc. dimostrano che il calcare è superiore agli schisti. Egli poi emette infine l' opinione che la grande formazione designata col nome di schisti silurici non sia punto di una sola età e che lo stesso si verifichi pei calcari che vengono complessi- vamente confusi sotto la generica denominazione di calcare me- tallifero. L’ing. Marchese M. (-) combatte in modo assoluto le idee dello Zoppi e fondandosi sui lavori di varie miniere sostiene che il calcare metallifero è intercalato fra cambriano e schisti silu- riani con concordanza di stratificazione. Egli osserva primieramente che quando siamo in un territorio ove gli strati sono fortemente raddrizzati e verticali, non occorre più alcuno sforzo per supporli rovesciati, ed è a questo fenomeno che sono dovuti quelli affioramenti nei quali il calcare apparisce superiore allo schisto. Il cedimento degli schisti così meno resistenti dei calcari, ha facilitato il rovesciamento di questi all’ epoca del sollevamento del cambriano. (1) Mazzetti Lodovico, Sulla tettonica del calcare metallifero nell' Igle- siente. Boll. d. E. Comit. Geol. It. Roma, 1890. (2) Marchese Maurizio, Osservazioni alla descrizione geologico-rnine- raria dell' Iglesiente. Annali degli ing. e arch. It. Roma, Centenari, 1889. STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPOM ECC 6J3 A Masiia. Malacalzetta, S. GioTanni i lavori di miniera hanno provato all evidenza che il calcare è sottostante agli schisti. La galleria di scolo di Monteponi ha riscontrato per lungo tratto il calcare essere inferiore allo schisto. L’ occupare il calcare le creste dei monti proviene dal fatto che essendo calcare e schisti raddrizzati alla verticale, le azioni di erosione e di denudazione hanno maggiormente distrutto la roccia più tenera che è lo schisto, formando in questa le valli. Le valli di Acquaresi e Monteponi negli schisti sono valli di sinclinali. Egli osserva giustamente come il fatto che il calcare metal- lifero trovasi sempre al contatto fra cambriano e schisto è la prova evidente che questa è la sua vera posizione di sedimento o di ori- gine poiché è chiaro che in un rovesciamento di strati il termine intermedio rimarrà sempre tale comunque sieno capovolti gli strati. Egli osserva inoltre che la sezione di Reigraxius-Marganai prova all evidenza, prima di tutto, che il calcare è intermedio fra cambiiano e schisto siluriano, secondo che questi tre terreni sono in concordanza di stratificazione, il che escluderebbe l’ ipotesi della formazione atollica del calcare. Con semplicissime sezioni schematiche spiega infine chiara- mente tutti i fatti della tettonica dell’ Iglesiente. Il Bornemann (') nella sua Memoria presentata al Congresso geologico internazionale di Bologna nel 1881 espresse il parere che il calcare metallifero fosse posteriore al siluriano inferiore di Canalgrande, ma la cui posizione cronologica fosse tuttora da deter- minare. Di poi nella prefazione alla seconda parte della paleontologia del cambriano (^), pubblicata nel 1891, cioè dieci anni più tardi, avendo avuto agio di meglio studiare questi terreni, è molto più esplicito e relativamente al calcare metallifero ritiene che la sua formazione debba dividersi in vari piani, dei quali mentre i primi sono da ascriversi al cambriano superiore, la massa principale debba (1) Bornemann J. G., Sur la classification des formations stratifiées anciennes de Vile de Sardaigne. Congrès Géol. Internat. de Bologne. Bolo- gna, 1881. (2) Bornemann J. G., op. cit. C. CAPACCI 644 però riferirsi alla formazione silurica. mentre poi alla parte supe- riore dei schisti del siluriano medio, si trovano intercalati dei banchi calcarei fossiliferi come quelli di Cea S. Antonio a Orthoceras. Il prof. De Stefani (') è d'opinione che il calcare metallifero debba ascriversi al cambriano superiore o alla parte più antica del siluriano inferiore, e quindi intercalato fra il cambriano e s;li schisti fossiliferi indubbiamente siluriani. Per spiegare il fatto dell’ apparente anomalia che questi ter- reni presentano lungo alcune parti del contorno dell’isola cam- briana di San Pietro, ove il calcare vedesi penetrare sotto al cam- briano e lo schisto siluriano fossilifero sotto al calcare, egli ritiene sieno avvenuti dei rovesciamenti parziali. Egli asserisce poi aver trovato fossili determinabili nel cal- care inetallifero in varie località dell’ Iglesiente e che questi fos- sili debbano ascriversi agli Archaeocyalhm ed ai Coseinocyathus. Con questi fossili rimarrebbe definitivamente determinata la posizione del calcare metallifero nel piano superiore del cambriano. Attendiamo con grande interesse che nuovi fossili e perfetta- mente determinabili servano di guida, come diceva il Meneghini, alla soluzione del problema stratigrafico. L’ing. S. Traverso (') è pure di opinione che il calcare me- tallifero debba ascriversi al livello inferiore del siluriano, e quindi sia intercalato fra il cambriano e gli schisti fossiliferi del silu- riano medio. _ . . Egli osserva essere di non lieve importanza il fatto che i gia- cimenti calaminari trovansi soltanto nella formazione cambriana e nel calcare metallifero che subito le tiene dietro, combatte 1' opi- nione dello Zoppi cii-ca la formazione atollica del calcare metal- lifero, e sostiene che quantunque all’ esterno i fenomeni meccanici delle dislocazioni e l’ azione della erosione presentino delle anomalie, tuttavia i lavori interni delle miniere fanno vedere che il calcale metallifero si interna sotto gli schisti, mentre poggia sempre di- rettamente concordante col cambriano. Eo-li sostiene che la sezione di Reigravius-Marganai ove ve- (1) De Stefani C., op. cit. (2) Traverso Stefano, .Yote sulla tettonica del Siluriano in Sardegna. Atti Soc. Ligustica Se. Nat., Genova, 1893. STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPOM ECO. 6^5 desi il calcare soggiacere al cambriano è dovuta ad im semplice fatto di rovesciamento molto facile a spiegarsi in regioni ove gli strati sono raddrizzati alla verticale, e delle due roccie in contatto, calcare e schisto, quest ultima a causa della sua plasticità si presta a complicate dislocazioni. Ritiene essere la valle di Monteponi una valle di sinclinale, nonostante che la direzione degli schisti sembri essere normale al contatto delle roccie, il che può essere effetto di altra azione dina- mica anteriore. L’ ing. Lambert ('), riguardo alle varie roccie ed alla loro cro- nologia geologica, emette il seguente parere : L arenaria cambriana riposa quasi ovunque sul calcare metal- lifero. Ritiene esser questo calcare di formazione anteriore alle are- narie cambriane, altrimenti occorrerebbe supporre troppi rovescia- menti onde spiegare la priorità di fronte al calcare. Dei calcari esistono nell Iglesiente le due varietà seguenti : Calcare di montagna^ bianco bleu. Calcare melallifero, dolomia gialla rossastra. I giacimenti minerari si trovano di preferenza sul contatto dei due calcari. Quello metallifero (dolomite) è più permeabile, e quindi più ricco di giacimenti minerari. Quello di montagna avrebbe funzionato come da parete impermeabile. I giacimenti nel calcare di montagna debbono considerarsi come fessure, ed hanno una minore estensione in profondità. L alternarsi dei due calcari (bleu e giallo), se in molti casi è dovuto a sinclinali ed anticlinali, in altri dipende da sollevamento con fratture e rigetti i quali hanno addossato i vari elementi fra loro. Rispetto agli schisti, il Lambert osserva come ve ne sieno di varie specie e di varie epoche, cioè debbasi distinguere quello cam- briano, quello precedente al calcare di montagna, quello compreso fra i due calcari, ed infine quello silurico. La scoperta di fossili cambriani negli schisti fra Iglesias e Cabitza, ritenuti finora per siluriani, viene a rendere più chiara e semplice la spiegazione di queste formazioni geologiche mentre (*) (*) Bollettino della Associazione Mineraria Sarda, 1896. C4C C. CAPACCI scema l’ importanza della discussione sulla tettonica e sulla posi- zione relativa degli schisti e del calcare. Difatto ponendo mente alla continuità delle formazioni cam- briana e siluriana, sembra risultare chiaramente che tanto degli schisti come dei calcari si hanno vari membri alternanti nei vari piani di esse. E cosi nel modo stesso che si hanno gli schisti an- tichi di Montevecchio, quelli cambriani di Cabitza. quelli del si- luriano medio di Gonnesa. Domusnovas e del Fluminese ed intine quelli del siluriano superiore di Malacalzetta. d altra parte si hanno calcari nel cambriano, il calcare metallifero fra questo ed il siluriano inferiore, i calcari subordinati agli schisti siluriani ed infine il calcare fossilifero di Xea St. Antonio del siluriano su- periore. . . Tal modo di considerare queste formazioni, mentre risponde ai portati della paleontologia, semplifica certamente tutte le que- stioni di posizione relativa dei terreni e permette di renderci ra- gione con facilità della complicata tettonica dell' Iglesiente. La formazione siluriana di Sardegna è quella che racchiude le più grandi ricchezze minerarie dell Isola. Golfi il calcare metallifero contiene i giacimenti in colonne a filoni e di contatto di Galena argentifera, come, ad esempio, a Mon- teponi. San Giovanni. Nebida. Malacalzetta. Marganai, ecc. ecc.. ed i Giacimenti calaminari sparsi ovunque nell’ Iglesiente. come, ad esempio, a Congiaus. Agruxao. Malfidano. Planudentis. Sa Du- chessa ecc. ecc. ... x- j- r . Gli schisti siluriani cristallini racchiudono i giacimenti di t erro di San Leone e Capoterra e di tante altre località, quelli di Anti- monio di Su Sergiu presso Villa Salto e quelli di Rame di Tolen- tino presso Tertenia e di Barisonis (Narcao) presso Iglesias. Nel siluriano trovansi pure contenuti gl’importanti filoni ai- gentiferi del Sarrabus, studiati dal Traverso (G e dal De Castro {-). È qui il luogo di ricordare come nel calcare metallifero tio- vinsi delle grotte o caverne importanti quali sono la famosa Grotta (1) Traverso S., Note sulla geologia e sui giacimenti argentiferi del Sarrabus. Torino, Casanova, 1890. (2) De Castro C., Descrizione geologico-mineraria della zona argenti- fera del Sarrabus. Roma, Tip. Nazionale, 1890. STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECO. 6-17 di Donmsnovas lunga 750“ l'occhio di Malfidano, la grotta interna di Malfidano ecc. ecc. Formazione Devoniana. Il Bornemann (^) ascrire al devoniano gli schisti gialli micacei ed i calcari schistosi dei pressi di Xea St. Antonio nel Fluminese, ove trovò numerosi fossili caratteristici, come : Tentaculites acuarius, Eichter, Tentaculiies elegans., Barrande, Stijliola Laevis, Eichter, La repentina morte (5 luglio 1896) del dotto paleontologo tede- sco, cui la geologia sarda deve i classici studi sul cambriano e sul trias, ha privato la scienza dello studio definitivo sul devoniano di questa regione. Il Lovisato (-) ha studiato il devoniano nella regione del Berrei a nord del Sarrabus presso la ben nota miniera di Anti- monio di Su Sergiu vicino a Yillasalto. Quivi al disopra degli schisti grafitici contenenti la Stibina interstratificata, appariscono altri schisti racchiudenti dei calcari bluastri ricchi in vene di calcite bianca e che finiscono in alto con calcari quasi lamellari. In questi ultimi calcari il Lovisato ha trovato dei Clymenia e Groniatites, caratteristici del devoniano superiore. Formazione carbonifera. Il Bambera (3) ha pure scoperto recentemente un orizzonte carbonifero importantissimo nella valle di Monteponi. (') Vedi Zoppi, Descrizione geologico-mineraria dell' Iglesiente. G) Lovisato D., Il Devoniano nel Gerrei {Sardegna). Eend. K. Acc. Lincei. Eoma, 1894. (3) Gambera littorio, Relazione sulla scoperta di fossili nell' Iglesiente {Sardegna). Iglesias, Tip. Iglesiense, 1897. 44 0. CAPACCI fi48 Nella regione ) Toso P., Notizie sui combustibili fossili italiani. Eivista, Ber- toro, 1891; Jervis, G., / tesori sotterranei d'Italia. Torino, Loescher, 1881. (2) Lovisato D., Nota sopra il Permiano e il Triassico della Furra in Sardegna. Boll. d. E. Com. GeoL, 1884. , ^ r , j- (3) Bornemann J. G., Sul Trias nella parte meridionale dell Isola eh Sardegna. Boll, del E. Comit. Geol. Eonia, 1881. (-i) Meneghini G., Trias in Sardegna. Atti d. Soc. Tose, di Se. Aat Pisa, Nistri, 1880. 649 STUDIO SULLE MINIERE DI MON'TEPONI ECO. In questo terreno non sono stati trovati peranco giacimenti minerari propriamente detti. Viene soltanto utilizzato il calcare come pietra da calce. Questa formazione è pure riconosciuta in altre parti dell' Isola ed il Lovisato la riconobbe, fra le altre, nel Monte Santa Giusta nel Niura, e nei dintorni di Nurri (Q. Formazione Giurassica. Di piccola importanza è questa formazione per la ragione che ci interessa. Il Sella (“) ed il Lovisato (^) citano i calcari giuresi del Sar- eidano disposti ad altipiani o terrazze chiamati Tacchi. In quei calcari saccaroidi del Sarcidano il Lovisato trovò il Peeten Giganteus (Goldf.) ed alla base del Monte Timilone nella Murra trovò pure dei peeten e degli echini fra i quali un Epi- gasler caratteristico del Giurese. Questi teireni sono costituiti in generale da alternanze di cal- cari ammonitiferi, calcari magnesiaci e conglomerati quarzosi, i quali talvolta racchiudono dei banchi di lignite assai compatta. Formazione liassica. Fino ad ora non fu riconosciuta nella regione dell’ Iglesiente. Il Lovisato (^) la riscontrò al Monte Timilone nella Murra ove nei banchi calcarei trovansi le Ammoniti ricordate pure dal Canavari : la riscontrò anche presso Murri, ad Alghero, nel Sarcidano ed in altre località dell’ isola. Formazione cretacea. 11 cretaceo sembra non essere molto sviluppato in Sardegna. Calcari ippuritici e dolomitici affiorano in un ristretto lembo (') Tommasi Annibaie, Nuovi fossili triassici di Sardegna, Boll. d. Soc. Geol. Ital., 1896. Sella Q., op. cit. if) Lovisato D., Nuovi lembi mesozoici in Sardegna. Rend. d. R. Acc. dei Lincei. Roma, 1896. G) Lovisato D., loc. cit. 650 nell- Isola di S. Antioco, ed il Sella (') e il Lovisato (^) ciUno le zone cretacee della Nurra, di Orosei, del Monte Albo e dei ine^si di Terranova. , , . • i c 11 Traverso {^) ha studiato nella regione del Oerrei nel bai- rabus. il calcare fossilifero di Is Cantonis ricco di Jìxogyrae che lo hanno fatto riferire al cenomaniano. Il Capo della Caccia presso Alghero è formato da un calcare ad ippuriti. il quale racchiude nel suo seno la famosa Grotta di Nettuno. Formazione terziaria. L’ eocene occupa una estesa zona a sud-est di Iglesias nei ter- ritori di Dorausnovas, Siliqua e Yillamassargia e si protende poi a sud-ovest nel cosiddetto bacino di Gonnesa. Altri lembi eocenici vedonsi presso Fontanamare ed anche sotto la Miniera di Monteponi. Questo orizzonte è costituito alla base dal nummulitico e poi da alternanze di calcari, arenarie, schisti e argille tramezzate con ligniti. ^. . . Interessante è detta formazione per gli importanti giacimenti licraitiferi che contiene (Q. Tali sono quelli di Fontanamare. ora in* crran parte scavati, ma più specialmente quelli appartenenti a bacino di Gonnesa e che racchiudono le miniere di Baccii Abis. er- ras-de-Collu. Terra Segada, Is Nuraghis. Caput Acquas. Il concriungimento della ferrovia di Monteponi alle Ferrovie Reali a Ic^fesias aumenterà molto V importanza di queste miniere. Un altro lembo di eocene trovasi pure a Montevecchio in ci- calato fra il contatto degli schisti antichi e della sovraincombente formazione trachitico-basaltica dell’ Arcuento. Lo si ritrova pine presso Guspini ove- può vedersi il Monte Cepperà la cui base e formata da banchi calcarei, mentre la cima e costituita da una co- fi) Sella Q.. loc. cit. (2) Lovisato D., loc. cit. (3) Traverso S , Calcare fossilifero nel Gerrei {Sardegna). Torino, Ca- sanova,^189L ^ ^ Anione tipo -editrice 1890; Toso P., .Votisie sui combustibili fossili italiani. Roma, Bertero, 1.91. STUDIO SULLE MIMERE DI MONTEPOM ECC. 651 lata basaltica a prismi verticali. Lo si vede ricomparire al Fon- tanaccio all’ovest. Il terziario di Sardegna è oggetto di studi speciali per parte del prof. Lovisato. Il miocene di Fangario presso Cagliari fu studiato dal Lovi- sato (’), che vi determinò la Squilla miocenica. Numerosi fossili di questa e di altre località, furono determinati dal Capellini, Bassani, Canavari, Parona, Ristori, Fornasini, De Angelis, Gennari, Mariani, Neviani (-). L'ittiofauna miocenica Sarda è stata pure recentemente con- siderevolmente arricchita dal Lovisato (®). Formazione trachitica e basaltica. Nella zona che ci interessa abbiamo da studiare importanti eruzioni e colate trachitiche e basaltiche, le quali si distinguono in due epoche o zone ben distinte. Le trachiti, lave e basalti cosiddette antiche che sembrano doversi attribuire all’ epoca miocenica costituiscono le isole di Sant’ Antonio e di San Pietro, il massiccio dell’ Arcuento e quello del Monte Ferru. Queste roccie interessantissime studiate dal Bertolio e dal D’Achiardi (^) sono costituite da trachiti feldispatiche e anfìboliche, da doleriti e da tufi trachitici, da daciti, retiniti e rioliti. Esse racchiudono spesso alcune varietà vitree come l’ ossi- diana, la perlite, e nei tufi si riscontrano talvolta filoni ed ar- nioni di quarzo, diaspro e calcedonia accompagnata talvolta da zooliti. E in questi stessi tufi che sono racchiusi alcuni filoncelli di Pirolusite presso Carloforte (Capo Becco e Capo Rosso) ed altri presso Portoscuso. I basalti colla loro struttura prismatica accompagnano ovunque (*) Lovisato D., Avanzi di Squilla nel Miocene medio di Sardegna. Rend. d. R. Acc. d. Lincei. Roma, 1894. (2) Vedi la Bibliografia allegata a questo scritto. (^) Id., Notizie sopra la ittiofauna Sarda. Rend. d. R. Acc. d. Lincei. Roma, 1896. (■*) Vedi la Bibliografia allegata a questo scritto. 652 C. CAPACCI le trachiti e specialmente sono visibili all' A.rcuento ove formano dei muraglioni sporgenti dai fianchi del monte. Le trachiti recenti, più specialmente anfiboliche, sembrano in- vece doversi riferire al pliocene e nella regione che ci interessa formano alcuni coni isolati nella pianura del Cixerri, quali ad esempio i colli dell’ Acqua Fredda e di Gioiosa Guardia sulla cui sommità vedonsi tuttora le vestigia dei famosi castelli appartenuti a Ugolino della Gherardesca, i colli di Siliqua e quelli di Olloliri e Serrenti situati dalla parte opposta del Campidano di Cagliari. Ho voluto citare questa regione del Serrenti, perchè quivi nella località denominata Sa Roia de S’ Alumina trovasi nella trachite un giacimento di Allumiti analogo a quello della Tolfa. E da ricordarsi infine che in alcune località si osservano dei o-iacimenti di caolino prodotti dalla alterazione di queste roccie analogamente a ciò che avviene all’ Elba ed in Calabria pei graniti. Nel prospetto seguente si riproducono schematicamente le indi- cazioni delle principali formazioni geologiche della Sardegna e dei minerali utili in esse contenuti. Formazione Terreno Roccia Localilà ! Minerali utili RECENTE . . Quaternario \ Campidano di ) Casrliari — — Pliocene . . 1 Trachite anfi- ^ bolica ^ Acqua fredda Gioiosa Guardia Villa Massar^ia Siliqua — TERZIARIO. . Miocene . . Trachite feldi- ^ spatica Basalto Tufo trachiticoj Portoscuso St. Antioco Arcuento Monte Ferru S. Pietro Carloforte Pirolusite(Capo Rosso C. Becco) Eocene . . . , Argilla-Schisto- Arenaria, Cal- care Baccu Abis 1 Terras-de-Collu Caput-Acquas 1 Is Nuraghis , Fontanamare ^ Lignite CRETACEO . . — Calcare ippuri- tico St Antioco — STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECO. 653 GIURASSICO TRIAS . . Oolite . i Calcare dolomi- 1 Tacchi di Sada- ' tico e coDglo- ; li e del Sar- 'i merati quar- j cidano I Calcare, arena- i Xarroci < rie rosse-con- ] Campomà ; glomerati ( ^ Lignite ( l Calcare fossili- 1 fero superiore. . j Filladi fossili- f ftre Cea St Antonio Malacalzetta Pietra da calce SILURIANO. . , medio. inferiore ; Scliisti silicei e l Fluminese \ argillosi fos- ' Masua siliferi ‘ Domusnovas I Calcari inter- j Gonne^a f calati ' CAMBRIANO URONIANO LAURENZIANO superiore. inferiore Calcare metal- lifero I Magnetite San Leone ■Nichelio -Rame, ' Magnetite, Ga- ( lena,Calamina Cuccuro Contu I Calcare a Cya- thophillura Schisti e arena- 1 Monte Oi rie-Cruziane- ^ San Pietro- j Bilohiti -Tri- Canalgrande / lobiti I Punta sa Gloria [ Montevecchio Gennamari Calamina Stibina Schisti silicei antichi Granito antico Schisti cristal- lini Arbus-Villa Ci- dro Capo Sparti- vento Filoni di spac- catura con Ga- lena, Pirite e Siderite a gan- ga di quarzo Filoni di porfido e di eurite C54 C. CAPACCI CAPITOLO IV. Mìnierji di ^loiiteponi. A tre chilometri a ponente della città di Iglesias, lungo la strada che conduce a Gonnesa, trovasi la celebre ininieia di ^lon- teponi che produce Galena argentifera e Calamina. Molto è già stato scritto su questa miniera, ma i nuovi e gran- diosi impianti in essa recentemente fatti danno ragione del perchè si trovi oggi conveniente darne qui un cenno riassuntivo. Cenno storico. — Non ripeterò certamente qui la storia di questa Miniera già scritta da altri, mi limiterò soltanto a richia- mare alcuni fatti principali. Concordano gli scrittori Baldracco. Sella, Jervis, De Launai, Strattbrello ('), nel ritenere che i primi lavori di escavazione dei minerali di piombo di Monteponi risalgono ai tempi del dominio Cartaginese e che poi fossero continuati sotto i domini dei Ro- mani e dei Pisani. Questi antichi lavori ebbero certamente una rileiante impoi- tauza. In essi furono ritrovati vari oggetti interessanti 1 archeologia mineraria, quali dei martelli costituiti da un pezzo rotondo di pietra dura crvanitica da ritenersi certamente molto antichi: dei liuiii di terracotta probabilmente dell’ epoca romana. Gli antichi scavarono, secondo il loro costume, una gran quan- tità di pozzi dei quali alcuni raggiunsero la profondità di 150 ni. (Gouin)ed altri fino quella di 234 m. (De Belly). Essi non venivano fermati che dal difetto d aria e dal so- praggiungere delle acque. Dell’epoca pisana furono trovati a Monteponi vari utensili come picconi, marre, cunei, pale, lumi di terracotta da sevo e da olio ed orcioli da contenere il sevo, tutti descritti dal Baudi di Vesme (2). Nel testamento del barone di San Miniato, morto nel 1324, si trova citato per la prima volta il Monte Paone. (1) Vedi la Bibliografia allegata a iiuesto scritto. (2) Baudi di Vesme Carlo, Dell' industria delle miniere nel territorio di Villa Chiesa. Torino, Bocca, 1870. STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECC. 655 Durante il dominio spagnolo al principio del 17° secolo (anni 16)20-1630) appare in alcuni pubblici documenti il nome di questa miniera che veniva allora denominata Monte ponis e Montebonis. In un atto del 16 luglio 1639 si concede a Giuliano Pisano di scavare una miniera di galatua in Monte ponis. Altre simili concessioni si hanno nel 1640 e nel 1649. Xel secolo seguente riunita la Sardegna al Piemonte (1720) tu ripi’esa 1 escavazione della miniera. Vi lavorò dapprima il con- cessionario Maudell a mezzo di un suo dipendente Pietro Diana (1744), quindi dal 1759 in ])oi vi lavorò il De Belly, altro con- cessionario generale di tutte le miniere di Sardegna. Alla fine del secolo il turbine della rivoluzione abbatte pure 1 industria mineraria Sarda, e la miniera nel 1799 rese alla R. Azienda soltanto 2309 lire. Al principio del secolo attuale (1806) fu ripresa la escava- zione dal Concessionario Vargas ; la regina Maria Teresa recatasi in Sardegna visitò la miniera penetrando nelle gallerie. Poi decaddero completamente i lavori (1809). Nel 1832 i lavori vennero ripresi per conto del Governo sotto 1 abile direzione dell’ Ing. Francesco Mameli, ed il De La Mar- mora scrive che nel 1838 vi erano impiegati 80 operai e che era la sola miniera aperta in Sardegna. Il lavoro non era allora molto attivo ed il beneficio ben pic- colo (circa 20.000 lire annue) cosicché più tardi il Governo decise di affittare la Miniera. Nel 1850 essa fu data in affitto per 30 anni ad una società genovese col capitale di 60.0,000 lire dietro il correspettivo di un Canone annuo di 32,000 lire. Con R. Decreto 26 agosto 1850 fu delimitata la sua area di 400 ettari, formata da un rettangolo avente i lati lunghi 2 chilo- metri. Questa Società sotto P abile direzione dell’ Ing. Giulio Keller e sotto la presidenza dell’ illustre senatore conte Carlo Baudi di 4 esme dette subito un grande impulso ai lavori e raggiunse una considerevole produzione a larghi benefici. Durante il periodo di questo affitto fu scoperto e messo in col- tivazione il grandioso giacimento di Calamina di Monteponi. Decadute ed impoverite le miniere zincifere del nord di Eu- <556 C. C.M'ACCI ropa, e diminuiti con^ideievolmente i noli dcd Mediterraneo, le j calamine sarde cominciarono ad avere un valore commerciale. j Nel 1866 essendo direttore della miniera 1 ing. Adolfo Pel- i Wrini, fu intrapresa su vasta scala la escavazioue della calamina ji di“ Congiaus, come può vedersi dal prospetto della produzione che trovasi in appresso. li Durante questo periodo la miniera raggiunse uno stato di vera j floridezza. h Giulio Keller fu il primo a dare un serio impulso alla mi- | niera dandone il piano della escavazione. Venne dipoi 1' ing. Pel- j legrini, cui nel 1875 successe l' ing. Erminio Ferraris. Per dare un’ idea della floridezza della società diremo che le azioni di lire 500 salirono al valore di 4500 lire ognuna, cioè 0 volte il valore primitivo, ciò che decise a suddividerle con U. De- creto del 25 febbraio 1877. Società proprietaria. — Allo scadere dell' attuto, il K. Go- verno con decreto del 2 maggio 1880 vendeva detinitivamente la Miniera alla società aftittuaria, dietro il corrispettivo di 1,115.000 j lire coir obbligo di eseguire la galleria di scolo della quale parie- j remo in appresso. La società della Miniera di Monteponi è anonima, col capi- tale di 4,800,000 lire. Se brillante è slata la vita della miniera durante il periodo dell’ affìtto, non meno importante è stata ed è tuttavia la sua vita dacché è in proprietà assoluta della Società. E se durante il periodo dell’ affitto furono fatti gli impianti del Pozzo Vittorio Emanuele, e del Pozzo Sella, durante 1 attuale periodo altri lavori di ben maggiore importanza furono eseguiti, quali sono la Galleria di scolo Umberto, la laveria delle Calamine, quella Vittorio e quella Mameli e la fonderia del piombo e dello zinco. Su questi impianti, che segnano il massimo progresso dell arte mineraria e metallurgica avremo occasione di intrattenerci più avanti. La società della Miniera di Monteponi. possiede anche le mi- niere di San Giorgio. Campo Pisano, Punta mezzodì pure di piombo e zinco, la miniera di Fontana Perda di ferro, ed infine^ due mi- niere di Lignite che sono quelle di Terras-de-Collii e Culmine. Nel prospetto seguente sono riuniti i dati relativi a queste j concessioni. ' Concessioni di Miniere possedute dalla Società di Monte] C. CAPACCI 658 La Società possiede inoltre grandi estensioni di terreni in cor- rispondenza delle Concessioni minerarie. È proprietaria infine della ferrovia ^lonteponi Poi to^ esine che serve a riunire la miniera al mare ed alle due miniere di lignite. Cenno rjeolooico. — Dopo la scoperta (') degli schisti cam- briani presso Oabitza e dell' orizzonte carbonifero in vicinanza della miniera di S. Giorgio, la geologia della valle di Monteponi ci si presenta in modo assai diverso da quello figurato nella Carta geo- logica dell' Iglesiente. Nella parte centrale della valle si stende a destra e sinistra lo schisto siluriano che ne occupa il fondo e risale sulle pendici fino ad una certa altezza. Poi sulle colline a destra e sinistra appa- riscono le testate del calcare metallifero come a Congiaus. Monte- poni, Monte Agru-vau e Monte Scorra sulla pendice destra del torrente, e Cabitza. S. Giorgio. S. Giovannino e S. Giovanni sulla pendice sinistra. Infine le creste delle colline tanto a destra che a sinistra della valle, sono occupate dalle testate del terreno cam- briano come a Monte San Pietro a nord ed a Cabitza e San Gior- gio al sud. I piani di contatto fra le tre serie di terreni sono pressoché verticali, ciò che è stato riconosciuto anche a mezzo dei lavori in- terni delle miniere. Un fatto molto importante è stato osservato dopo perforata la galleria di scolo di Monteponi, ed è che questa galleria la quale penetra negli schisti siluriani e raggiunge il calcare metallifero presso al contatto delle miniere di Monte Agruxau e di Monte- poni, ha fatto sentir la sua iutluenza non soltanto sulle miniere poste lungo la zona del calcare metallifero a nord ma ha fatto abbassare il livello delle acque anche alla miniera di S. Giorgio, che trovasi nell’ opposta pendice della valle a sud. Questo fatto si spiega facilmente supponendo che il drenaggio delle acque sia stato operato da una specie di sifone prodotto dal congiimgimento dei due lembi di calcare metallifero al disotto degli schisti che occupano il fondo della valle. Per tal guisa la valle di Monteponi sarebbe una valle di ripie- (1) Gambera Vittorio, Relazione sulla scoperta di fossili nell' Iglesiente. Iglesias, Tip. Iglesieuse, 1897. STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONT ECO. 659 gamento e presenterebbe una vasta sinclinale formata dai calcari e schisti cambriani, nel cui grembo si trovano le formazioni siluriano e carbonifere. L’essere le varie roccie in discordanza di stratificazione, non non può infirmare il concetto generale della tettonica, oriacchè di strati sono stati profondamente sconvolti e raddrizzati all'epoca del sollevamento. Terreno cambriano. — Il terreno cambriano di Monte San Pietro è uno dei terreni più classici e tipici dell’Iglesiente. Nella parte più bassa si trovano delle arenarie gialle non fos- silifere, mentre nella parte superiore affiorano delle alternanze di are- narie e calcari fossiliferi, nelle quali rocce specialmente furono ritro- vati i fossili caratteristici studiati dal Meneghini e dal Bòrnemann. Sulla punta San Pietro è facile trovare bilobiti e trilobiti. In questo monte trovansi alcuni calcari cristallini intercalati, che hanno 1 aspetto di veri e propri marmi bianco rossicci venati. A questa formazione debbono pure riferirsi gli schisti violacei di Cabitza nei quali il Gambera trovò i fossili cambriani, ed altre zone di schisti varicolori, i quali hanno con essi stretta analogia. È opinione pure del Gambera che vi si debba riferire la for- mazione del Calcare metallifero che egli ritiene inferiore all’oriz- zonte cambriano di Monte San Pietro (’). Formazione del calcare metallifero. — È in generale ritenuto esser privo di fossili, ma, come già si disse, il De Stefani afferma avervi trovato resti di fossili cambriani, e d’altra parte dietro uno studio accurato della tettonica e dei terreni di contatto indubbia- mente cambriani, il Gambera ed il Ferraris li ascrivono al cambriano. L ing. Ferraris (-) ha compiuto recentemente interessantissimi studi sulle varie roccie della valle di Monteponi. Egli distingue il calcare di montagna di colore azzurro, che è un vero e proprio calcare, dal cosiddetto calcare metallifero infe- riore chè una vera e propria dolomia di vario colore giallastro, grigio, rossastro ed anche nero. (’) Gambera Vittorio, Tettonica dei terreni dell' Iglesiente. Cagliari, Tipolit. commerciale, 1897 ; id. Sulla scoperta di nuove zone del Carbonifero e sulla stratigrafia dell' Iglesiente. (2) Bollettino dell’Associazione mineraria Sarda, anni 1896-97. 660 C. CAI'ACCI Le analisi seguenti servono a caratterizzare esattamente le due roccie. Elementi Calcare azzurro Dolomia del Kibaaso Nicolay MgO ,CO 1,009 42,9.39 Ca 0 , CO^ 98,017 52,125 Fe* 0' Mn* 0^ 0,.50O 3,800 Si 0^“ -t- silicati 0.130 0,250 99,625 99,114 Densità 2,72 2,82 La dolomia nera deve il suo colore ad una sostanza costituita essenzialmente da solfuro di terrò, carbonio amorto e (juarzo, con- tenuta nella proporzione dell' 1 %. Il calcare azzurro è compatto a frattura concoide avente una facies analoga al calcare alberese eocenico, è assai siliceo e pre- senta noduli e vene di spato calcare e baritina. La dolomia ha l'aspetto come di roccia marcita e disintegrata ed ha la facies speciale delle roccie metainorfizzate. Lssa è la sede principale dei giacimenti piombiferi e calaminari. Schisti siluriani. — Gli schisti siluriani della valle di Mon- teponi sono costituiti essenzialmente da alternanze di schisti tilla- dici e calceschisti. Gli schisti fìlladici sono finamente fogliettati, argentei, a lamine levigate di colore talvolta verdastro, tal’altra rossastro. Cambiano spesso di natui'a arricchendosi talora di mica e diventando quindi micacei, tal’ altra per 1’ abbondanza del quarzo diventando quarzosi ora passando a schisti molto argillosi, ora arricchendosi di calce per diventare dei veri e propri calceschisti. Dei banchi di calcari subordinati alternano talvolta cogli schisti. Nella valle di Gonnesa presso la località di San Severino sotto la miniera di Monteponi furono trovati dei fossili riconosciuti dal Meneghini come siluriani, identici a quelli di Domusnovas e del Fluminese. STUDIO SULLK MINIERE DI MONTEPONI ECC. 661 Come interessante raffronto riproduciamo qui due delle analisi pubblicate dal Ferraris sugli schisti fossiliferi cambriani e siluriani della valle di Monteponi. Elementi Schisto cambriano fossilifero (Cabitza) Schisto siluriano fossilifero (;se la Piromorfìte ed il cloruro di sodio, che certamente trovavasi nelle acque percorrenti la massa, dette il cloruro di piombo, il quale me- scolato 0 combinato al carbonato produsse la Fosgenite. Quello che avvenne per la Galena, si produsse pure per la Blenda e la Pirite, e quindi si ebbero le Smitsoniti, le Calamine. ed i sali di ferro i quali furono più facilmente ridotti e dettero luogo alle ocre e limoniti cbe accompagnano il giacimento. Giacimoiito calami tiare. — -A nord di Monteponi nella lo- calità denominata Congiaus e nella stessa direzione delle colonne piombifere, gli stessi banchi dolomitici che quelle racchiudono, oonteno’ouo invece incluse nella loro massa alcune potenti lenti O I calaminari. Questa formazione calaminare trovasi a circa 2n0"' a nord di quella piombifera ed a 50"’ circa a levante di questa, dimodoché i è del tutto indipendente. La zona occupata da tali lenti non oltrepassa 100'" in lunghezza secondo la direzione. La più importante di queste lenti ha uno spes- ; sore di circa 40"’. , Le lenti ora riconosciute si vanno rapidamente assottigliando, dimodoché sembra che in profondità il giacimento calaminare cessi ; assai prima che quello piombifero. , Le lenti calaminari sono costituite quasi totalmente da Smit- i miite (carbonato di zinco) e da piccole quantità di Calamina (sili- ; cato di zinco). Il minerale chiamasi comunemente Calamina. | Non tutta la lente è formata da calamina compatta, ma questa | I STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECO. 667 si presenta piuttosto sotto forma di impregnazione e sostituzione della dolomite, svelando così la sna genesi. Di fatto dove questa è più cavernosa, fragile, frantumata quasi direi, marcita o consunta, quivi trovasi la calamina, la quale a sna volta si presenta sotto gli aspetti i più svariati. La troviamo sia compatta con struttura cristallina o subcri- stallina, sia in forma di incrostazioni zonate a corsi di vario co- lore, sia compatta e bianca come neve, sia come una specie di melma rassodata, nella quale trovansi dei foli rotondi che potrebbero attribuirsi a nidi di insetti, sia infine in forma di incrostazioni che mantengono tuttora lo scheletro di calcare, dando luogo alla cosid- detta calamina cellulare. Uniti alla calamina si trovano pure altri minerali, ma in pic- cole proporzioni. Tali sono la Galena che in alcune parti delle lenti calaminari viene ad impegnare la massa, formando allora i cosiddetti minerali misti, la Limonile che viene a formare le ca- lamine ferrifere anch' esse oggetto di trattamento speciale nelle officine di preparaziane meccanica. Genesi del giacimento (^). — Rispetto alla genesi dei giaci- menti calaminari, molte cose potrebbero ripetersi di quelle già dette per quelli di piombo, in special modo su quel che riguarda la corrosione della roccia calcare, la formazione dei vuoti e la sua dolomitizzazione. La roccia incassante calcarea ha in questo caso avuto un’ azione preponderante e decisiva sulla formazione delle Calamine. Il solfuro zincifero (blenda) ossidandosi nelle parti più su- perficiali del giacimento maggiormente esposto alle acque ed agli agenti atmosferici formò il solfato di zinco solubilissimo il quale in presenza di un’ azione carbonizzatrice preponderante proveniente dal calcare depose il carbonato di zinco formandosi d’ altra parte solfato di calce che dipoi fu asportato dalle acque. Questa è la ragione per cui troviamo spesso la calamina come sostituita al calcare molecola a molecola non solamente, ma tro- viamo sovente dei pezzi di minerale che mantengono nel loro in- terno come un’ ossatura di calcare. (^) D’Achiardi A., op. cit. ; Zoppi G., op. cit. ; Laur, Les calamines. Bull. d. la Soc. de l’Ind. Min. de St-Étienne, 1876. 668 C. CAPACCI La silice dei silicati alcalini, sempre presente nelle acque sot- terranee, depose anche del silicato di zinco, e la rarità di questo è ancora una prova della azione preponderante dei carbonati. Essendo il giacimento di Congiaus superticiale e .quindi com- pletamente sottoposto alle azioni ossidanti, si spiega facilmente perchè la sua ossidazione fu completa e perchè non si trovino le blende nelle parti più profonde. Questo fatto potrebbe far supporre che il giacimento fosse di formazione secondaria. In altri giacimenti che raggiunsero profondità maggiori asso- lute rispetto alla orografia attuale, e relative rispetto al livello idrostatico delle correnti (Malfidano), si è raggiunto il livello delle blende e dei solfuri misti. Impianti della miniera. I lavori antichi della miniera sono veramente grandiosi ed è possibile tuttora visitare alcune delle enormi caverne le quali fu- rono ripiene di galena. Per lunghi anni i lavori di scavo furono condotti a mezzo di gallerie sboccanti al giorno sui fianchi della collina di Monteponi (quota SSO™). Queste fui'ono le gallerie San Vittorio, Despine, San Reale e Delaunay colle quali si scavarono le famose colonne di Santa Bar- bera, Keller, Carlo Alberto, Stallattiti, Monsignore, Largo, Posto Ricco, Delaunay, Confessore, Fessura, Parlamento. Laraarmora. ecc.. Esse raggiunsero il numero di 57 colonne tutte coltivabili. Più tardi vennero perforate le gallerie Nicolay, Villamarina e San Severino sempre sboccanti al giorno, 1 ultima delle quali fu compiuta nel 1864. Nel 1863 cominciò la escavazione profonda a mezzo del pozzo maestro di estrazione e di piani o gallerie di livello. Posso Vittorio Emanuele. — Questo pozzo maestro comin- ciato a forare nel 1863 ha il suo occhio alla quota di 206“, allo stesso livello della galleria Nicolay. La sua sezione è divisa in tre scompartimenti, dei quali uno serve alle gabbie di estrazione, uno alle pompe ed il terzo alle scale. La macchina di estrazione ha un sol cilindro e mette in mo- vimento due tambm-i per i canapi a nastro delle gabbie. La mac- STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECO. 669 china ha la forza di 40 cavalli vapore e fu fornita dalla Sociéié de la Mense. Le gabbie sono in ferro e munite di paracadute. La pompa è del vecchio sistema a jeu d’ orgue, impiantata direttamente sul pozzo, ed ha la forza di 130 cavalli vapore. Essa è capace di innalzare 1500 litri d’ acqua al minuto primo. Quantunque oggi esista la grande galleria di scolo e quindi r ufficio della pompa sia reso inutile per mantenere asciutta la miniera, tuttavia il suo impiego è prezioso nella stagione estiva per sollevare a giorno 1’ acqua occorrente ai bisogni delle laverie. Il pozzo traversò i livelli delle gallerie di scolo Villamarina e San Severino e fu forato dapprima soltanto fino alla quota di TO'", ove si trovò il livello costante delle acque. Compiuta la galleria di scolo Umberto nel 1887, e abbassate le acque al mare, il pozzo venne subito approfondato tìno alla quota di 2ir" sotto l'occhio e quindi 5"" al disotto del livello del mare. In quest’ultimo tratto, che serve a mantenere asciutto anche il livello al mare, esiste il serbatoio deU’acqua ove ora pesca la pompa. I livelli creati nel pozzo per la escavazione della miniera, sono quelli chiamati Vesme, Cavour, Arato, Sella, Intermedio e Mare. La galleria di scolo Umberto quando fosse prolungata fino al pozzo, vi giungerebbe alla quota di Id"". Questo pozzo maestro oltreché servire all’ estrazione dai vari livelli, serve anche come pozzo di servizio fra alcuni cantieri e opifici esterni. Così, ad esempio, serve a rilegare fra loro la La- veria Calamine e la Fonderia (206'") poste a livello dell’orifizio, con la laveria Mameli situata al livello della galleria Vesme (113'",80). I cantieri di escavazione della galena sono oggi concentrati sopratutto ai piani inferiori, giacché le ricche colonne furono già vuotate a quelli superiori. II lavoro di scavo é semplicissimo. Le colonne raggiimte o di- rettamente colle galerie di carreggio o mediante delle piccole traverse, vengono prese fra un piano e 1’ altro a mezzo di gradini rovesci. Mano a mano che il gradino si innalza, si lascia una tramoggia per discendere il minerale alla sottostante galleria di carreggio. Quando le pareti dello scavo sono molto resistenti, come spesso avviene, e che mancano i materiali di riempimento, si lasciano delle caverne o vuoti, alcuni dei quali sono veramente grandiosi. i 070 0. CAPACCI Posso Sella. — Trovate col pozzo maestro le acque alla quota di 70'" non fu possibile di abbassarle colla pompa in esso esistente. Ma le escavazioni si approfondivano continuamente, già si era giunti al livello Cavour (8ó'“) e la Soluzione del problema dello esaurimento si imponeva assolutamente. Piuttostocliè forare una grande galleria di scolo si pensò di creare un colossale impianto per V esaurimento delle acque me- diante pompe. Così nacque il pozzo Sella che fu cominciato a forare nel lSrima San Reale e Delaunay . 226.39 — LI. id. ^ del 1870 Niccolav e San Carlo . 205.97 — Id. id. Pozzo Sella 213.00 — Quota dell’ occliio. Puzzo Vittorio Emanuele 206 00 — Quota dell' occhio. Galleria Villamarina 171.07 - Sbocca al giorno. LI. S. Severino 142.00 500” Sbocca al giorno. M Vesme . ■ ■ 113.80 — Antica galleria di scolo. LI. Cavour . . ' 85.00 — ■ Id. Arato . • ' 64.81 1 — * — Id. Sella . . . 1 45.00 \ — — Id. Intermedio . 1 25.00 — Id. Mare . • • ' 14.00 - — Galleria di scolo Umberto, 14.00 l 4800“ Quota nel pozzo \ ittono L. Lo sviluppo totale dei lavori supera i 70 chilometri di gallerie, Cantiere di Calamine a Congiaus. — Riconosciute le Cala- mine a nord di Monteponi, si pensò di scavaide a cielo scoperto e così nacque il grandioso cantiere di Congiaus e Gennigica aperto sulla vetta della collina di Monteponi a 330™ sul mare. Le lenti calaminarie sono quivi così frastagliate e commiste al calcare che ne risultò la convenienza di abbattere tutta la roccia ed asportarla, gettando lo sterile al rihuto, cernendo a mano le Ca- lamine ricche e passando poi la massa del minerale alla Laveria Calamine di cui parleremo in appresso. Lo scavo ha la forma di un enorme imbuto colle pareti a gradini onde frazionare il lavoro di abbattimento e renderlo più rapido e sicuro. STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONT ECO. 673 L’ abbattimento si fa per la massima parte col piccone ; quando la roccia è dura si dà qualche colpo di polvere, raramente s’ im- piega la dinamite. La roccia abbattuta cade sul gradino sottostante. Lo sterile vien portato al rifiuto mediante apposite vie di carreggio. Il minerale ricco viene cernito a mano ed accumulato in masse di forma rettangolare facili a misurarsi ed a dedurne il peso. Tutta la massa del minerale povero viene portata al fondo dello scavo e quivi radunata in ampie tramoggie dove al disotto si viene a prenderla con appositi vagoncini che conducono il ma- teriale alla Laveria Calamine. Questo cantiere produce 50.000“^ di materiale ricco all’ anno. Preparazione meccanica dei minerali. I materiali che provengono dai cantieri di Congiaus, Monteponi e San Marco, sono i seguenti: a) Calamine ricche in roccia da mandarsi direttamente al commercio ; è) Terre calaminari da trattare nelle laverie ; (?) Galene da cernita onde ricavarne direttamente la galena mercantile ; d) Terre piombifere da lavare; A questi scopi servono gli stabilimenti seguenti : Laveria Calamine, Preparazione magnetica, Laveria Vittorio, Laveria Mameli, Forni per la calcinazione della calamina. Di queste le prime due servono al trattamento delle calamine, la terza al trattamento delle terre piombifere e la quarta alla pre- parazione dei materiali misti calaminari. Daremo un cenno sommario di ognuna. Laveria delle Calamine. — In questo stabilimento si trattano le terre calaminari provenienti dal cantiere Congiaus. Non è qui il luogo di fare una descrizione dettagliata di questo stabilimento. 674 C. CAPACCI Dirò soltanto che esso è imo dei migliori del genere e costruito con tutti i perfezionamenti i più recenti dell'arte. Studiato in ogni suo dettaglio dal Direttore della Miniera Com- mendatore Ing. Erminio Ferraris (') e costruito in un solo anno di tempo, dal 1886 al 1887. presenta ciò che di meglio e di piu cor- rispondente allo scopo si possa ideare. Tutto lo stabilimento e gli apparecchi in esso contenuti sono metallici e costruiti in officine italiane, dimodoché anche al punto di vista della industria nazionale rappresenta un vero progresso. Il fabbricato è addossato al monte, il quale ha un ripido pendio, e ciò permette la discesa automatica dei materiali. È noto come il principio su cui si fonda la preparazione mec- canica dei minerali consiste in un alternarsi di operazioni di spez- zatura dei pezzi misti, classificazione per grossezza e concentrazione ed arricchimento per densità. Per i materiali minuti poi giova adottare la classificazione per quantivalenza utilizzando la caduta nell’ acqua e 1 arricchimento per densità. Questi principi così semplici dànno origine ad operazioni com- plesse quando si abbiano da separare minerali misti formati da un intimo miscuglio di elementi aventi fra loro piccole dift'eienze di densità. _ r • • Nel caso che ci occupa sono riunite insieme tutte le condizioni le più difficili. • T V Difatti il materiale da lavoro è costituito da un miscuglio di calamina, galena e blenda con ganga di calcare, dolomite, barite, quarzo, argilla e limonite. Se la separazione della galena è assai facile a causa del suo rile- vante peso specifico (7.20), invece risulta molto difficile e delicata la separazione della calamina (densità 4.20) dal calcare (D. = 2.80), dalla argilla (D = 2..50) e dalla limonite (D. ^ 5.50). In questo caso dunque le operazioni sono molto delicate e difficili. L’Ing. Ferraris ci dà nei suoi scritti la dimostrazione dei principi sui quali deve fondarsi una buona preparazione meccanica dei minerali misti e mi piace di riportarli qui per esteso. (i) Ferraris E., La Laveria Calamine della Miniera di Monteponi Ann. d. Soc. d. Ing. e Arch. It. Roma, Centenari, 1889. STCDIO SL'LLK MINIERE DI MONTEPONI EC \ 675 1° t La velocità di caduta di un corpo nell’acqua ha un t limite dipendente dal suo peso specifico e dalla sua sezione, al t quale limite essa si avvicina assintoticamente ; 2” s La velocità assintotica di caduta di due corpi è uguale, u quando i loro diametri stanno fra loro in ragione inversa della t difterenza fra i loro pesi specifico e quello dell’ acqua ; 3® « Di due grani equivalenti che cadono contemporanea- « mente nell’ acqua, il più denso e più piccolo si approssima più i. presto dell’altro alla velocità assintotica e quindi lo precede nella K caduta » . Sieno d e d' i diametri di due grani, y e y' i rispettivi pesi specifici ; affinchè si realizzi la relazione di quantivalenza di ca- duta dei due grani nell’acqua (densità =:: 1) deve aversi la re- lazione % — = — 1) e prendendo un grano di galena avente — 1 mill. ^ = 7.50 se vuoisi trovare quale diametro deve avere il grano di calcare quantivalente la cui densità è d' = 2.5 avremo 1(7.5-1) 2.5—1 4.33"’™. Non è qui il caso di entrare nella descrizione della laveria, ricorderemo soltanto quali sono le principali operazioni che vi si compiono. Il trattamento si divide in tre grandi sezioni. a) Le roccie al disopra di 10" trattenute da apposite grate poste al principio della laveria e destinate alla cernita a mano: b) Le ghiaie da 30 a 100 mill. destinate pure alla cernita a mano. c) Le ghiaie da 8 a 30 mill. destinate alla classificazione coi trommels e quindi all’ arricchimento. d) Le sabbie al disotto di 8 mill. che sono pure classificate ed arricchite separatamente. Al principio della laveria trovansi i vagli a scossa che clas- sificano le ghiaie da 30 a 100 mill. 676 CAPACCI Al seguito vengono i piani di cernita onde separare subito i minerali commerciali, lo sterile ed il misto, che frantumato entra nel trattamento ulteriore. Per le ghiaie da 8 a 80 mill. vi è una serie di vagli cilin- drici (trommels) cui fa seguito una serie di crivelli ordinari e fil- tranti, per la concentrazione dei prodotti. Le sabbie al disotto di 8 mill. vengono prima classificate con un ingegnoso apparecchio inventato dall ing. Ferraris e chiamato idrovaglio cui fanno seguito le opportune batterie di crivelli fil- tranti per la concentrazione dei prodotti. L’ idrovaglio classifica i grani per quantivalenza, mentre il crivello filtrante separa il grano più grosso e meno denso da quello più fino e più denso, perchè nel colpo ascendente dell’ acqua, il primo avendo più massa e minor densità viene incalzato più presto del grano metallico più piccolo che si concentra sul letto filtrante. Questo idrovaglio merita un cenno di descrizione ('). Si fonda sul principio della caduta dei corpi entro una cor- rente ascensionale e rappresenta un rilevante perfezionamento sugli Spitzkasten perchè è meno ingombrante e continuo. Si compone di una tubazione avente un moderato pendio, nella quale circola la corrente di acqua traente seco le sabbie, di modo che già iu questo tubo si effettua una prima classificazione per quantivalenza, prodotta dal cammino della sabbia trascinata dalla corrente di acqua. , u Di tratto in tratto alla tubazione è applicata una bocchetta di presa a corrente ascensionale nella quale si produce la caduta dei corpi per equivalenza secondo il principio espresso più sopia e che sottrae alla corrente del tubo i materiali i quali hanno già subito in esso una prima classificazione per equivalenza. Con questo apparecchio si raccolgono quindi in ogni sezione del tubo i materiali già classificati con doppia operazione. L’ idrovaglio combinato con crivelli filtranti di costruzione perfezionata ha permesso di classificare perfettamente e concentrare le terre calaminari onde estrarne la calamina mercantile. (1) Greo-orj T. Apparai von E. Ferraris zum sortiren der Schlamm- truben bei Aufbereitungsanstalten. Zeitch.fiir. Berg-. Hiitten- un.l Salinenwesen- Berlin, Ernst, Voi. XXXIV. STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECO. 677 L’ idrovaglio Fen-aris costituisce senza dubbio uno dei più ri- levanti perfezionamenti introdotti recentemente nell’arte di lavare i minerali metallici. Un altro apparecchio assai ingegnoso voglio citare, ed è una disposizione dell' eccentrico del pistone dei crivelli che permette di variarne la corsa. L’ eccentrico è folle sull’ albero, ma accanto ad esso è calettata sull albero stesso una piastra, la quale ha una serie di fori periferici ; altrettanti fori ha l’ eccentrico e mediante una chiavetta che passa dall’ uno all’ altra si ottiene la corsa desiderata. Il motore è a vapore, della forza di ] 00 cavalli vapore, del- r officina Tosi di Legnano. Lo stabilimento è illuminato di notte da 60 lampade ad in- candescenza e da 6 ad arco. I prodotti della laveria sono i seguenti: a) Calamina al 35 % di zinco da calcinarsi e mettersi in commercio ; b) Carbonato di piombo in slicco al 40 % di piombo e 300 gr. di argento per tonnellata che si passa alla fonderia ; c) Galena al 70 °/o di piombo e 2000 gr. di argento per tonnellata che si vende al commercio ; d) Slicchi di zinco ferruginosi con 26 % , ossido di zinco e 40 °/o di ossido di ferro che si passano alla laveria magnetica; e) Rifiuti sabbiosi col 13 “/o di zinco accumulati sul piaz- zale per r avvenire. f) Rifiuti argillosi coll’ 8.5 °/o di zinco vengono gettati. Preparazione magnetica. — 11 prodotto d della laveria Calamine, cioè lo slicco zincifero ferruginoso a 26 ®/o di zinco e 40 °/o di ossido di ferro costituisce il materiale da trattarsi in questo stabilimento. La proporzione del ferro e la piccolissima differenza di peso specifico fra la calamina e l’ ocra rendeva inattivi tutti gli appa- recchi di classificazione e di arricchimento finora conosciuti. L ing. Ferraris (') pensò di ricorrere alla preparazione ma- gnetica ed ha raggiunto completamente lo scopo. 0) Ferraris E., La Laveria magnetica della Miniera di Monteponi. Ann. d. Soc. d. Ing. e Arch. It. Roma, Centenari, 1892. Mazzetti L., Ruota magnetica elettrica dell' Lng. E. Ferraris. Rivista del Servizio Minerario nel 1890. Firenze, Barbèra, 1892. G78 C. CAPACCI Il minerale ferroso ziucifero viene prima calcinato in forni rotativi inclinati tipo Osland. allo scopo di disidratare l’ ocra e farla passare allo stato di ossido magnetico Fe^ Il corpo cilindrico di ferro ha un diametro di m. 1 .30 ed una lunghezza di lU m. 11 rivestimento interno di mattoni refrattari riduce il diametro a 1 metro. , . i La pendenza sufficiente alla discesa automatica del minerale è del H”/o- Il messo in rotazione mediante apposito ingranaggio che gl’ imprime 16 giri all ora, ed è sorretto da appo- site ruote. .11-;*.. Il focolare è una specie di gassogeno ove si brucia la lignit di Baccii Abis. Le fiamme uscendo dal focolare fisso penetrano nei corpo cilindrico producendovi una lunga fiamma e scaldando il mi- nerale a circa 100U°. ed escono in alto da questo per passare al camino. . , ,, In alto è disposta una tramoggia mantenuta sempre piena, dalla quale il materiale scende di per sé nel corpo cilindrico del forno. Ogni forno passa 12 tonnellate di materiale in 24 ore e con- suina 2 tonnellate di lignite. 11 materiale calcinato, e reso per tal guisa magnetico, viene prima classificato per grossezza in apposita serie di vagli ; poi cia- scheduna sorte passa alle ruote magnetiche che separano 1 ossido magnetico dalla calaraina e dal calcare. Senza entrare a descrivere queste ruote, diremo che sono specie di tamburi portanti una serie di raggi di ferro armati a bobina. , , , La disposizione dei fili e del commutatore e tale che nel mo- vimento rotatorio del tamburo, in una zona le bobine sono attive ed attraggono il ferro, e nell’ altra diametralmente opposta lo re- spingono. Queste due zone sono separate da altrettante zone neutre. Mettendo in azione il tamburo e facendovi cadere il materiale calcinato, nella zona attiva il ferro magnetico viene attratto e la calamina cade sola, mentre dall’ altra parte il ferro è respinto e Cà(ÌG solo» Lo stabilimento contiene 4 ruote magnetiche che fanno 12 a 20 giri al minuto; la conente elettrica è di 6 ampère e 30 Volt fornita da apposita dinamo. STCDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECG. 679 Anche questo apparecchio inventato dell' ing. Ferraris rappre- senta uno dei migliori perfezionamenti introdotti nella preparazione meccanica dei minerali e costituisce la completa risoluzione di un problema difficilissimo. Ben presto verrà attivato un nuovo impianto di 12 cernitrici magnetiche costruite a Monteponi. Laveria Vittorio. — È destinata specialmente alla concentra- zione delle terre piombifere. È preceduta da un capannone ove si fa la cernita a mano delle galene ricche argentifere. E sui banchi dei cernitori che si vedono apparire quei pezzi con geodi contenenti superbi cristalli di cerussite, anglesite e fosgenite. La laveria è fatta sul tipo delle altre, di costruzione re- cente, metallica, con apparecchi perfezionati tutti metallici e colla solita disposizione a cascata onde evitare i ritorni e trasporti di materie. I prodotti di questa laveria sono i seguenti : a) Galena ricca al 67-63 % di piombo e 470 grammi di argento pel commercio. b) Slicchi di piombo destinati alla fonderia ; c) Calamina in slicco pel commercio ; d) Minerali misti che passano alla laveria Mameli. Laveria Mameli. — L’ antica laveria Pilla e Sacchi, oggi completamente trasformata, porta il nome dell’ ing. Francesco Ma- meli, così benemerito dell’ industria mineraria della sua isola nativa. Questa importante laveria, di costruzione recentissima e per- fezionata, è specialmente destinata al trattamento dei minerali mi- sti e più difficili da separare ed arricchire. I materiali ad essa condotti sono i seguenti: a) Minerali del cantiere S. Marco che in generale sono terre zinco-piombifere : h) Materiali misti provenienti dalla laveria Vittorio. c) Materiali misti in roccia provenienti dai cantieri di Con- giaus e Monteponi. Al solito una descrizione dettagliata di questo stabilimento uscirebbe dai limiti di questo scritto e quindi mi limiterò a citare soltanto alcuni degli apparecchi più perfezionati in esso contenuti. II principio su cui si fonda il trattamento è sempre quello 46 c. CAPACCI 680 della classificazione per grossezza e della concentrazione per effetto della densità. Al principio i minerali in roccia vengono frantumati con tri- taratore a mascelle e quindi classificati, e poi alle varie sorte si applica molto giudiziosamente la cernita a mano, onde sottrarre immediatamente al lavoro gran parte di sterile. Quando la concentrazione non è più efficace occorre procedere ad una nuova triturazione la quale deve essere fatta coi cilindri onde ottenere un materiale molto minuto. Questo è di mrovo classificato coi trommels. coi cassoni e cogli idrovagli, e poi concentrato coi crivelli filtranti. k causa della natura mista dei minerali è necessario spin- gere il lavoro all’estremo limite e quindi si hanno dei fanghi fi- nissimi zinco-piombiferi, sui quali i crivelli non hanno più azione e ben poca ne avrebbero pure i cassoni e le tavole giranti o fisse. Per il trattamento di questi tini misti l’ ing. Ferraris ha in- ventato un ajJìiarecchio a tele coìitinue o tavole a nastro (•) (Ric- merherde), il quale rappresenta un vero perfezionamento in confronto delle tavole Fine Vauning Machine, Brunton, Linkenbach e Bilharz. Si compone esso essenzialmente di una tela di gomma senza line alta 70 centimetri e che gira fra due rulli posti alla distanza di 4™ e che imprimono alla tela una velocità di 6'" al minuto primo. Per mantenersi in piano, la tela è sorretta da appositi rulli : ed ha poi una piccola inclinazione, tale da permettere di tratteneie sul suo pendio i fanghi minerali lasciando scorrere l’acqua. Essa è dunque come una tavola inclinata senza fine allo scopo di trasportare i diversi materiali in varie sezioni del suo percorso. Al disopra della tavola trovasi un partitore a casse pirami- dali, tipo S'pitskasten, il quale serve a classificare i fanghi destinati alle tavole successive. L’ acqua torbida proveniente dal partitore vien data nell an- golo superiore della tela e mentre essa scola lungo il pendio della tavola, si stende su di questa un velo di fanghi metallici classifi- (1) Ferraris E., Feinkorn uad Schlammaufbereitunc/. Oesten-. Zeitscli. fur. Ber^-und Hiittenweseu. Wien, Gottheil, 1894. Anseimo M., Tavola a cigna di E. Ferraris. Pdvista Mineraria del 1^94, Roma, 189-5. STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECC. 68 1 cati per densità; cioè la galena in alto, la calamina in basso mentre la terra viene asportata dall’ acqua. Siccome però il lavoro non è perfetto, ed un poco di galena rimane commista alla calamina, ed un po’ di calamina alla terra, ne segue che sulla tela si vedono estendersi quattro zone ben di- stinte di materiali che sono le seguenti: a) la galena in alto; i) miscuglio di galena e calamina; c) calamina; d) calamina terrosa in basso. Per raccogliere separatamente ognuno di questi materiali la tavola è divisa in 4 sezioni, ad ognuna delle quali corrisponde un piccolo getto di acqua in alto ed una tramoggia in basso per rac- cogliere il materiale. Il primo getto serve a cacciare la galena che è in alto, il secondo il sottoprodotto galena zincifera, il terzo la calamina, il quarto la calamina terrosa. Si hanno quindi come resultato due materiali perfetti e due sottoprodotti da ripassare. Regolando convenientemente la velocità e inclinazione della tela, la forza e portata del getto di torbido, la forza, portata e inclinazione dei piccoli getti lavatori, si gmnge ad avere con que- sta tela un lavoro addirittura perfetto ed automatico. Una simile tela può passare 40 litri di torbida al minuto con un consumo di 60 litri di acqua e basta un ragazzo a sorvegliarla. In una giornata può trattare 3 tonnellate di fanghi. In questa laveria sonvi altri apparecchi perfezionati da citare, quali i vagli sospesi a scossa laterale per la classificazione del grosso, i distributori automatici di materia applicata alle tramog- gie dei trommels, gli eccentrici differenziali applicati ai crivelli a scosse ed altri molti interessanti dettagli. Giustizia vuole che si citi anche l’officina meccanica Doglio di Cagliari, dove tutti questi apparecchi sono stati costruiti con una cura ed una perfezione tale da renderli veramente un modello del genere. I prodotti della laveria Mameli sono i seguenti : a) Galena ricca per il commercio; è) Galena di 2 qualità per la fonderia; 682 C. CAPACCI c) Calamiaa ricca per il commercio : d) Calaraina ferrifera che viene passata alla preparazione magnetica. Calcinazione delle calamine. La calamina quale vien prodotta dalla miniera è un miscuglio di Smitsonite vera e propria e Calamina. cioè di carbonato e silicato di zinco. . Calcinando il minerale si scaccia l'acido carbonico e 1 acqua di cristallizzazione che rappresentano circa ‘/. del peso delle ca- lamine greggio, e quindi si arricchisce in proporzione il tenore in zinco dfesse onde renderle commerciabili. Cosi una calamina greggia avente il tenore di 84 a 80" „ di zinco, dopo la calcinazione giungerà ad avere un tenore di circa 45_46»/o, tenore richiesto perchè il minerale sia commerciahilv. La calcinazione richiede una temperatura di 1000 . A seconda del materiale da sottoporre alla calcinazione si ado- prano dei forni a tino, dei forni rotativi 0 dei riverberi. Forni a tino. — Sono impiegati pei minerali in roccia ed in pezzi di grossezza superiore a 80 mm. In essi il combustibile viene mescolato al minerale nella proporzione del óVo- Adoprando carbone inglese a lOVo (li cenere questa resta nel minerale cal- cinato e ne aumenta la proporzione dello sterile di 0,62o per cento. Per i minerali ricchi ciò non reca grave inconveniente e d’ altra parte questo sistema di calcinazione è il p;ù economico. In altre miniere si adopra come combustibile la carbonella la quale dovrebbe avere un piccolissimo tenore di cenere e com evitare l'inconveniente sopra citato ; ma anche questa a causa dei trasporti e delle manipolazioni giunge sempre ad avere un tenore assai elevato di cenere. ^ _ • v Uno stesso massiccio di muratura contiene 5 forni a tino di forma a cono rovesciato, il cui diametro iuferiore e 2"' quello su- periore 2"',60 e l’altezza totale 8-", dei quali di tino vero e proprio. _ All’orifizio inferiore si trovano delle barre di ferro, muovendo le quali cade la calamina calcinata, e cos'i la carica discende nel tino e quindi si colma dall’ alto con un nuovo strato di calamina greg- gia e carbone. o STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECO. 683 La calamina soggiorna nel forno 3 giorni ed ogni giorno si ricavano da nn forno 10 tonnellate di calamina calcinata. Forni rotativi Oxland. — Servono per minerali in grani fini, slicchi ecc., che non potrebbero esser passati nei forni a tino perchè si intasserebbero, ed hanno poi il pregio di non mescolare le ceneri del combustibile al minerale e sono poi automatici e continui. Inventati da Oxland, hanno ricevuto in Sardegna vari per- fezionamenti nella loro costruzione e nel focolare che è una specie di gassogeno. Ne abbiamo già parlato descrivendo la preparazione magnetica della calamina. È una batteria di 3 forni cilindrici lunghi 10™, aventi un dia- metro esterno di 1“, 30 e quello interno di 1,00. L’inclinazione del tamburo è del 0®/o e fa 76 giri all’ora. Il consumo di combustibile è di 2 tonnellate di lignite al giorno e per forno e la produzione è di 12 tonnellate al giorno. Forno gemello a riverbero a suola inclinata. — L’ ing. Fer- raris (') ha costruito pure una batteria di due forni gemelli a suola inclinata, situati al disotto della laveria Mameli. La suola ha una inclinazione assai vicina al piano di scor- rimento naturale dello slicco calcinato dimodoché il lavoro ma- nuale è ridotto al minimo. In alto il minerale cade da una tra- moggia nel forno e quivi è steso dall’ operaio con apposita paletta. Lungo la parete esterna di ogni forno esistono delle porticine dalle quali l’operaio sorveglia l’andamento del lavoro e con appo- sito ferro rimuove la superfìcie della calamina facendo scorrere in basso quella già calcinata. Questa, giunta al piede della suola, cade in apposito pozzetto da cui è estratta. Un solo gassogeno serve ai due forni, ed un solo cammino ne opera il tiraggio. Ogni forno contiene una carica di circa 10 tonnellate; la ca- lamina rimane nel forno 24 ore e se ne estrae circa 10 tonnellate al giorno. (0 Ferraris E., La laveria calamine della miniera di Monteponi, Ann. d. Soc. d. Ing. e. Arch. It. Roma, 1889. 684 C. CAPACCI 11 combustibile impiegato è la lignite di Baccu Abis e se ne consuma il 20 7o della calamiua cruda passata al forno. Facendo un parallelo fra il forno Oxland ed il forno a river- bero a suola inclinata se ne ricava facilmente che dove 1 impianto della forza motrice sia poco costoso (come a Monteponi ad esempio) il primo è più vantaggioso del secondo. Fonderia di Piombo e Argento. Il rapido aumentare della produzione dei minerali misti e la conseguenziale diminuzione nella produzione di galene ricche e pure, ha creato a Monteponi la convenienza di costruire una fonderia che possa trattare tutti quei minerali scadenti e prodotti di laveria che male sarebbero apprezzati dal Commercio. La presenza di una fonderia di ghisa e bronzo e di una offi- cina meccanica assai importante, la vicinanza delle eccellenti ligniti di Baccu Abis, ogni sorta di facilitazioni che fornisce un impianto industriale della importanza di Monteponi, hanno cooperato effica- cemente allo scopo, permettendo di costruire sul posto tutti gli apparecchi e facendo venire di lontano soltanto i mattoni refrat- tari, il ferro in verghe, la ghisa in pani, ed il coke per i forni a vento. Al disopra del palazzo di Bellavista e subito al disotto del pozzo Vittorio Emanuele è stata costruita questa fonderia, di cui diremo sommariamente qualche parola. Trattandosi di un miscuglio di minerali solforosi ed ossidati è stata adottata la formula di trattamento per agglomerazione al forno a riverbero e fusione al forno a tino, la quale si compone delle operazioni seguenti : a) agglomerazione al forno a riverbero ; b) fusione per reazione al forno a vento; c) liquazione del piombo d’opera al forno a riverbero; cl) disargentazione del piombo collo zinco; e) raffinazione del piombo povero e sua colatura in pani mercantili ; /) distillazione della lega ternaria per ricavarne lo zinco; g) coppellazione dell’ argento ; h) raffinazione dell’argento. STUDIO SULLE MINIERE DI MO.NTEPOM ECO. 685 I minerali trattati nel 1895-1896 sono galene povere e miste che non si potrebbero vendere con utile. Esse contengono: L’ agglomerazione si fa in due forni a riverbero, dei quali 1’ uno ba la suola lunga 16 m. e 1’ altro l’ ba lunga 20 m.; la larghezza è di 3.50. Come è ben noto lo scopo è di disolforare il minerale e di frit- tarlo. La massa fusa sotto l’altare del forno viene estratta dalla porticina laterale e lasciata colare sulE impiantito ove forma la cosid- detta focaccia che è un miscuglio di ossidi con piccolissime quan- tità di solfati e solfuri. Di fatto essa contiene soltanto 1 V2 Vo di solfo. Ogni forno tratta 9-10 tonnellate di minerale in 24 ore, con- sumando 3 tonnellate di lignite ed impiegando 5 giornate di operai. La fusione al forno a vento ha luogo in un forno di tipo mo- dernissimo americano analogo al forno Racbette. La sezione è rettangolare di 0,80 1,80 con 5'",30 di al- tezza. Vi sono 8 ugelli spartiti 4 per parte. Il crogiuolo è chiuso ed il piombo esce continuamente all’ a- perto in una piccola vaschetta laterale per mezzo di un sifone comunicante col crogiuolo interno, L’ aumentare continuamente del piombo d’ opera sul crogiuolo e la pressione delle scorie serve a far traboccare il piombo nella vaschetta. Le scorie escono pure a flusso continuo da un oriflzio prati- cato sul lato corto del forno. Cadono direttamente in vasi di ghisa di forma conica, ed appena pieni vengono portati all’ esterno mediante apposito carrello che li sospende su due sporgenze che i detti vasi hanno presso l’orlo. Il letto di fusione del forno vien formato col minerale agglo- merato ridotto in pozzi, colle scorie dello stesso forno e con cal- care dolomitico. Vi si aggiunge pure una certa quantità di minerale ferrifero proveniente dal cappellaccio dei filoni e scavato sul culmine di Monteponi. Piombo . . Zinco . . Argento . . . . 35 ®/o . . 20 . . 200 gr. p. tonnell. C. CAPACCI t)86 Le proporzioni di questi materiali sono naturalmente calcolate in modo da ottenere da una parte la precipitazione completa del piombo e dall' altra una scoria fusibile. In questa si cerca di far passare io zinco. Il combustibile impiegato è il coke inglese che si carica dal- r alto in strati alternanti col letto di fusione. L aria .soffiata dagli ugelli ha la pressione di 20 mill. di Hg. Il forno passa 40-50 toun. di letto di fusione per 24 ore produ- cendo da 3 a 5 tonn. di piombo d'opera e consumando 120 Kg. di coke per 1 toun. di letto di fusione. Le reazioni che avvengono nel tino sono assai complesse. Lo zolfo è in gran parte espulso e la calce ed il ferro precipitano il piombo dalle sue combinazioni collo solfo e colla silice : gli ossidi vengono ridotti nella zona di riducente, dimodoché il piombo me- tallico cola nel crogiuolo e gli altri elementi danno luogo a sili- cati polibasici di calce, magnesia, zinco e ferro che costituiscono una scoria ben fusibile. Oltre il forno americano esistono nella fonderia due forni ro- tondi a tino, aventi un diametro interno di 1,10 a 5,30 di altezza. Il vento occorrente ai forni viene fornito da due ventilatori Enke. Di notte la fonderia è illuminata a luce elettrica. Forno di liciitaiione. — Il piombo d’ opera contiene spesso quantità non trascurabili di rame, zinco e antimonio. Per liberarlo da questi metalli lo si fonde in un forno a ri- verbero di ossidazione e di liquazione, dove questi metalli estranei, meno fusibili, si ossidano, si liquefano, vengono a galleggiare sul bagno metallico e sono poi estratti con appositi rastrelli. Il combustibile impiegato in questo forno è la lignite di Baceu Abis. Il riverbero ha le dimensioni di 7™ per 4“ ed ha 4 porte su ciascuno dei lati. Form di riduzione. — È un riverbero che serve a ridurre e rivivificare le scorie del forno di riduzione, le schiume della disar- gentazione ed i litargiri ricchi della coppellazione. Disargentazione 'per mezzo dello zinco. — L impianto con- siste in due caldaie fra le quali si trova una padella per la liqua- zione della lega ricca zincifera. Ogni caldaia ha la capacità di 12 tonn. di piombo. STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPOjSI ECO. 687 Il piombo d’ opera è fuso in una caldaia ; poi yì si aggiunge lo zinco a tre riprese ed in quantità proporzionale al contenuto d’ argento. Quando la lega ternaria ricca di zinco, piombo e argento co- mincia a formarsi ed a galleggiare sul bagno, la si raccoglie con un ramaiolo e si deposita nella padella di liquazione. In generale la schiumatura ha luogo dopo 5 ore. In questa padella, opportunamente scaldata, la lega si ra- sciuga completamente lasciando scolare il piombo povero che viene rimesso nella caldaia insieme col resto. Con tale pratica disposizione si ottiene una lega ternaria molto ricca e d’ altra parte si ha il massimo di piombo povero. Rafp^mzione del -piombo. — Il piombo resta nella caldaia inquinato da un po’ di zinco e lo si purifica facendovi gorgogliare una corrente di vapore acqueo soprariscaldato il quale ossida lo zinco e lascia il piombo completamente puro. L’ ossido di zinco accumulatosi sul bagno metallico viene asportato ed il piombo puro e povero viene colato nei pani desti- nati al commercio. Una caldaia posta di fianco serve a produrre il vapore sopra- riscaldato occorrente a questa operazione. Un’ operazione completa in ogni caldaia dura 18 ore. Dalla caldaia si cola direttamente il piombo con un canale mo- bile entro le forme disposte a raggiera. I pani hanno il peso di 50 kg. Il piombo mercantile di Monteponi è di ottima qualità ; esso contiene 99,99 «/o di piombo e 1 millesimo di metalli estranei. La sua composizione è la seguente: Piombo di Monteponi (1895) Piombo ....... 99.99077 Ferro 0.00317 Zinco 0.00326 Argento 0.00040 U- 0.00080 Rame 0,00170^0.00020 Antimonio 0.00070 Arsenico traccio Bismuto 0.00000 100.00000 688 C. CAPACCI Distillasioiie della lega ternaria ricca. — La lega ternaria di zinco, piombo e argento viene sbarazzata dello zinco mediante una semplice distillazione in un crogiuolo di piombaggine. Nel crogiuolo si caricano 200 kg. di lega mescolata con car- bone di legno triturato onde mantenere un' atmosfera riducente. La distillazione si compie in 8 ore. Lo zinco volatilizza e si condensa subito allo stato di me- tallo, che così ricuperato serve di nuovo per la disargentazione. Resta nel crogiuolo una lega ricca di piombo e argento. Co'piìellazione dell'argento. — La lega ricca di piombo e ar- gento viene coppellata in una coppella di tipo inglese. L’ argento di coppella è poi fuso e purificato in un crogiuolo e colato in verghe. Il combustibile impiegato nella fonderia è il coke per i forni a tino e la lignite di Baccu Abis pei forni a riverbero e per le caldaie di disargentazione. Questa fonderia per quanto piccola, riunisce ogni moderno perfezionamento dell' arte metalliirgica la quale oggi non segue più regole empiriche ma si attiene rigorosamente alle leggi della chimica e della mecccanica. Fonderia dello zinco. — Sono già in via di costruzione gli impianti dei forni per lo zinco. La presenza del minerale e del combustibile assicurano 1' av- venire di questa industria la quale è protetta dal risparmio delle spese di trasporto delle calamine dalla Sardegna ad Anversa e dal trasporto del metallo dal Belgio o dall’ Austria in Italia, ed inoltre dal dazio di introduzione dello zinco in Italia, che è di lire ital. 4 per quintale. Queste condizioni favorevoli permetteranno il trattamento delle calamine povere non atte al commercio e sulle quali la prepara- zione meccanica non può economicamente esercitare un’ ulteriore azione. L’ impianto delle Miniere di Monteponi è infine corredato di una importante fonderia di ghisa avente un cubilotto tipo Herberz, di una fonderia di bronzo e ottone e di una importante officina meccanica. Con questi due stabilimenti non solamente si fanno tutte le riparazioni ordinarie alle macchine ed ai meccanismi delle laverie. STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECO. 689 ma si fanno anche tutti i pezzi di fusione occorrenti per i forni della fonderia ecc. ecc. Un vasto magazzino con ogni sorta di approvvigionamenti completa il corredo di questa importante miniera. Statistica della produzione. La produzione annua, attuale, regolare della Miniera è la se- guente : Calamina in roccia . » di laveria . Galena mercantile " per la fonderia 3000 tonnellate 9000 3000 3000 Totale 18.000 Prodotti della fonderia. La fonderia del piombo tratta le 3000 tonn. di minerali sud- detti e se ne ricavano i metalli seguenti : Piombo mercantile 1000 tonn. Argento 1000 kg. Nel prospetto seguente viene riportata anno per anno la pro- duzione della Miniera in minerali di piombo e calamina. 690 C. CAPACCI Prcdusione della Miniera di Monteponi. A .V X I Galena e 1 Carbonato di Pb tonn. ' Calamina V N \ 1 tonn. Galena e Carbonato di Pb tono. Calamina tonn. 18.5m-.51 108 — 1873-71 8660 7635 18.51-.52 , 1215 — : 187 1-75 9154 5710 18.52-53 791 — 1875-76 7876 5M5.5 18.53-.54 1155 — 1 8 ( 6- < 7 81.54 3532 I85I-.5.5 718 — 1877-78 8671 262" l8.55-.56 1056 — 1878-79 9318 2815 18.56-57 2203 - 1879-SO 10041 6101 1 857-58 3254 - 1880-81 11343 261 1 1.858-.59 3325 - 1881-82 12248 8258 18.59-60 5496 — 1882-83 11680 10"61 1860-61 7544 — 1883-84 9576 13715 1861-62 5584 — 188Ì-S5 7122 14122 1862-63 5956 — 188.5-86 7003 12303 1863-64 5037 — 1886-87 6219 9501 1861-65 5279 — 1887-88 4775 11614 1865-66 5376 — 1888-89 4595 16399 1866-67 9017 — 1889-90 5738 1.3244 1867-68 11894 1.3865 1890-91 4245 12418 1868-69 10411 18496 1 189192 4750 12362 1869-70 10709 15324 ’ 1892-93 3925 12468 1870-71 9221 12860 ì 1893-94 3120 13233 1871-72 10650 14138 i 1894-95 2974 12857 1872-73 9764 9295 'i 1895-96 3204 11993 Analisi dei minerali. Dei minerali di Monteponi si posseggono varie analisi fatte a varie epoche e che riporteremo tutte onde dare una idea esatta e completa della composizione dei minerali in vari tempi. La prima analisi fatta dal prof. Michelotti è del 1850 circa, cioè dire al principio dello affitto della Miniera. STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONl ECO. 691 Mostra un minerale carbonato non ricco e sopratutto molto silicioso. Questo fatto dipende dalla mancanza di una laveria atta a separare la parte siliciosa : cosa strana, perchè la roccia incassante del minerale è calcarea. Un' osservazione importante riguardo a questa cerussite si è quella che nè il prof. Michelotti nè il Mameli, che pime la saggiò, vi trovarono argento, il che starebbe a provare che nella ossida- zione del solfuro di piombo (galena) e sua carbonatizzazione per effetto della preponderante azione dell’ acido carbonico, l’ argento fu asportato dalle acque idrotermali, nelle quali tutte queste com- plesse azioni e reazioni avevano luogo. Le altre analisi mostrano quali sono i prodotti ottenuti dalle laverie nel 1881. Sarebbe molto interessante che venissero eseguite delle nuove analisi, ora che sono impiantate le nuove e perfezionate laverie Calamine, Vittorio e Mameli. In ultimo diamo i tenori dei minerali oggi prodotti. Minerali di Monleponi. Analisi del jjrof. Michelotti (Anno 1854). {Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, Voi. 30). Protossido di piombo . . . . 58,92 Silice Acido carbonico 11,25 Calce 0,75 Ferro ossidato 0,17 Umidità . 3,00 99,15 Il Mameli dice non avervi trovato argento. 692 C. CAPACCI 1 Montepo/iL — Galena di 2^ qualità (Stollberg). Piombo . . . 88,80 Zinco .... 4,89 Rame .... 0,04 Ferro .... 3,11 Antimonio . . traccie Solfo .... 0.28 Calcio . . . 1,20 Silice .... 2,90 Acido solforico 8,18 Acido carbonico 14,85 Perdita . . . Totale 99,32 Argento 270 gr. per tonn. Analisi della galena di Monteponi (Mascazzini, 1881). 1 Prima qualità j Galena SeconAa qualiU Galena eCtrussite Terza qualiU Galena povera calcarea Silice e silicati insolubili . . \ tr. 2.460 0,.52'> Solfato di Barite 0.380 0.600 — Alluminio 0,012 0.065 — Solfuro di piombo 89.708 43.053 21.747 Id. di rame 0.040 0.072 - Id. di argento 0.02.5 0.039 0.00574 Id. di zinco 0.510 0.405 4.320 Id. di ferro 0.252 3.539 — Id. di antimonio 0.320 0.604 0.175 Solfato di piombo 4.300 7.100 1.200 Ossido di piombo 2.605 24.873 4.370 Id. ferroso — — 0.238 Id. ferrico 0,058 0.545 0..330 Id. di zinco 0.037 5.475 1.370 Calce e manganese 0.612 1 .570 35.550 Magnesia 1 0.025 0.072 0.1.50 Acido carbonico 1.076 9.542 29.647 Umidità a -i- 120 1 0.040 0.535 0.370 Totale . . 100.000 99.999 99.992.74 STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECO. 693 Analisi dei Minerali di Monteponi (Mascazzini, 1881). Carbonato di piombo zinoifero Carbonato di piombo zincifero ferruginoso I Minerale mi- 1 sto di piombo e j zinco Solfuro di Piombo 10.889 5.731 11.948 n Zinco 2.610 2.422 — n Antimonio .... 0.095 0.027 0.015 n Piarne tr 0.056 0.026 ” Argento . . . . . 0.017.24 0.020.69 0.008.04 Ossido di Piombo 46.510 28.990 12.250 n Zinco 2.093 0.348 23.500 n F erro 10.860 36.860 6.960 Solfato di Piombo 3.450 2.700 6.850 n Barite 0.280 2.020 — Calce e Manganese 5.000 1.2.50 2.250 Acido carbonico 13.915 6.475 16.979 Magnesia . . . .' tr tr 0.075 Allumina 0.290 1.300 Silice 1 200 2.540 1.800 Umidità 3.073 10.265 15.821 Totale . . . 99.992.24 99.994.69 99.782.04 Calamine di Monteponi. Analisi riportale dal Sella (Valentino. Torino, 1867). Primo Campione Secondo Campione Carbonato di zinco 77.32 41.99 Idrosilicato di zinco 2.02 3.56 Carbonato di piombo 0.85 4.67 Galena argentifera 1.20 7.46 Ossido ferrico 6.18 8.94 Calcare dolomitico 7.05 13.59 Argilla 4,23 16.58 Umidità a h- 120' 1.02 2.10 Perdite 0.97 1.11 Totale . . . 100.00 100.00 Zinco metallo 40.02 21.08 694 C. CAPACCI Tetiori medi dei i^rodrAli (Anno 1806). Galena mercantile di 1^ qualità : Piombo 83 Vo Argento 200 gr. a tonn. Galena mercantile di 2^ qualità ; Piombo 67 '‘/o Argento d70 gr. a tonn. Galena per la fonderia : Piombo do ®/'o .Argento 270 gr. a tonn. Calami na mercantile in roccia : Zinco d7.ó "/o Calamina mercantile in slicco lavato : Zinco 48 Vo Vendita di minerali. I minerali di piombo e di zinco si vendono ai fonditori con delle forinole le quali tenendo conto del tenore dei metalli utili e del loro prezzo sul mercato, defalcano a favore del compratore una certa proporzione di unità di tenore che stieno a rappresentare le perdite del trattamento, e più le spese di fusione e di trasporto alle fonderie. Per i prezzi dei metalli si prendono quelli del mercato di Londra. Queste formule di vendita dei minerali hanno subito delle variazioni dipendenti dal deprezzamento dei metalli e dalle eco- nomie introdotte nel trattamento metallurgico, delle quali è inte- ressante dare un cenno. Nel 1870 i minerali di piombo di tenore medio si vendevano ad Anversa colla formula seguente la quale tien conto del solo piombo: Y = Yh T — 7 SF 100 STUDIO SULLE MINIERE DI MON’TEPONI ECO. G95 ove: V = valore del quintale di minerale a Carloforte Yb = prezzo del piombo a quintale sul mercato di Londra T = tenore del minerale determinato per via umida 7 =calo sul tenore a compenso della perdita del trattamento SF = spesa di fusione. Altra formula in uso era quella detta di Stollberg. la quale pure per il solo piombo e per quintale era la seguente: V = 0,8325 10 P X T — SP ove le lettere hanno la stessa significazione che nella precedente e dove la frazione 0,8325 rappresenta il calo sul tenore. Nel 1880 i minerali di piombo argentifero si vendevano colla formula seguente, nella quale il primo membro dà il valore del piombo ed il secondo quello dell' argento : Valore del piombo. \ alore dell argento. SF j-f- X ) ' (• 100 se ove : V = valore del minerale per quintale a Carloforte Vb = valore del Piombo sul mercato di Londra per quintale T = tenore percentuale di piombo nel minerale SF = spese di fusione t = tenore dell’ argento, cioè grammi di argento contenuti per ton- nellata di minerale Kg = valore di 1 gr. di argento sul mercato di Londra se = spese di coppellazione. Come si vede il termine del valore dell’ argento si compone di due parti, di cui la prima serve a dare il valore totale del me- tallo e la seconda. sottrae le spese di coppellazione in funzione del piombo da coppellare. In questi ultimi anni si è riconosciuto che la detrazione di 7 unità sul tenore è troppo forte, e per alcune miniere che hanno minerali ricchi e puri si accetta di dedurre il 7 % sul tenore del piombo contenuto. 47 696 C. CAPACCI In questo caso la formula diviene Dall’ esame delle formule suesposte emergono alcune conside- razioni importanti. Prima di tutto per quel che riguarda il calo sul tenore osser- veremo che colle formule del 1870 si defalcava effettivamente una percentuale enorme, la quale per minerali al 6U Vo piombo rag- wiim^eva circa il 12®/o sul tenore; cosa che certamente non si realizza in pratica. Il fonditore era allora troppo favorito: difatti nel 1880 ve- diamo che il calo sul tenore vien ridotto all’ 8 ®/o ; ed oggi questo calo è ridotto ancora al 7 ®/,„ e così le condizioni sono sensibil- mente migliorate per il produttore mentre si mantengono tuttora eccellenti per il fonditore il quale non ha certamente una tale per- dita nel trattamento anche tenendo calcolo dei metalli eterogenei contenuti nel minerale. Quanto alla spesa di fusione si è pure avuto un miglioramento e da 60 lire a tonnellata che si conteggiano nella formula prima del 1880, siamo ora discesi a 50 lire. Per quel che riguarda infine le spese di coppellazione diremo che mentre nel 1870 esse venivano computate a circa 60 lire per ogni tonnellata di piombo contenuto, oggi le vediamo ridotte a non più che 40 lire, e ciò a causa dei perfezionamenti introdotti nella disargentaiione del piombo. Supponendo ora un minerale avente piombo 70 ®/o argento 500 gr. per tonn. ed essendo i prezzi del mercato di Londra Pb = 270 fr. per tonn. = 112 fr. il kg. colla penultima formula si avrebbe 144,90 oro per tonnellata di minerale reso a Carloforte, e coll’ ultima si ha 155,77. STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECO. 697 Per quel che riguarda la rendita delle calamine rinviamo a ciò che verrà detto parlando della Miniera di Malfidano. Ferrovia da Monteponi a Portovesme. Questa ferrovia serve a mettere direttamente la Miniera in comunicazione col mare al porto-canale di Portovesme presso Porto- senso. La ferrovia ha una lunghezza totale di 21 chilometri e lo scartamento di 1™ da asse ad asse e quindi 0",96 fra i labbri in- terni delle rotaie. Il tratto di Gronnesa, Baccu Abis, Portovesme lungo 16 chilo- metri, fu costniito nel 1870. Il tratto Gonnesa-San Giovanni-Mon- teponi, lungo .5 chilometri, fu costruito nel 1875. Il costo totale di questa ferrovia fu di 2,100,000. In alcuni tratti la ferrovia ha la pendenza del 25 Voo e vi sono in alcuni punti delle curve aventi soltanto lOO'" di raggio. Il materiale mobile della ferrovia è il seguente: 2 locomotive pesanti a carico .... 17 tonn. 1 locomotiva » .... 21 « 54 vagoni merci a cassone della portata di 6 » S vagoni viaggiatori. La ferrovia serve al trasporto dei minerali e del piombo dalla miniera a Portovesme, ed a portare alla Miniera gli approvvigio- namenti che vengono dal mare e la lignite della Miniera di Baccu Abis. Servirà nell’avvenire a portare alla Miniera la lignite delle due miniere eh’ essa possiede presso Baccu Abis, cioè Terras de Collii e Culmine. La ferrovia ha tre stazioni che sono quelle della Miniera chia- mata Monteponi-Scalo, posta alla quota di 108"^ sul mare; quella del paese di Gonnesa alla quota di 18™ e quella di Portovesme alla quota di 4™, 70. Ha poi dei binari di caricamento alla Miniera di lignite di Baccu Abis ed alla Miniera di piombo argentifero di San Giovanni. La costruzione della ferrovia diede occasione ad eseguire varie opere di bonificamento che occorre citare. C. CAPACCI 6!>8 Il luogo dove ora sorge la Stazione della miniera era prima rinomato per essere infestato dalle febbri malariche, adesso drenato e rimboscato è un luogo sanissimo. Tutta la valle fu regolarizzata dando regolare sfogo alle acque, e rimboscando dovunque fu possibile. La località chiamata Valle di Morimenta posta presso la mi- niera di Raccu Abis porta scritto nel nome come fosse tristamente celebre per le sue micidiali febbri. Oggi un ben inteso sistema di colmate e fossi di scolo, congiunti col rimboscamento ha reso quella zona salubre. In breve verrà prolungata la Ferrovia Reale a scartamento oidi- nario dalla stazione di Iglesias a quella di Monteponi. Quantunque la distanza in linea retta fra le due stazioni sia di d chilometri soltanto, tuttavia siccome la quota della Stazione di Monteponi è di Ki8™ e quella di Iglesias di ITO'”.!)»! ne segue che j)er vincere questo salto di 08"*. occorrerà dare alla linea uno sviluppo di almeno 5 chilometri per ottenere una pendenza minima del 16 per mille. Questo congiungimento non è soltanto d interesse speciale di alcune miniere prossime alla ferrovia, ma riveste il caiatteie di interesse generale perchè permetterà alla lignite del bacino di (xoii- nesa di penetrare in tutta 1’ isola e vincere la concorrenza del «car- bone fossile inglese. Piano inclinato sussidiario della ferrovia. La Stazione di Monteponi si trova alla quota di 108'" e 1 oc- chio del pozzo Vittorio Emanuele alla quota di 206”, al cui livello si trovano le laverie Calamine e Vittorio e la fonderia, cui occorre far pervenire la lignite di Baccu-Abis ed il coke proveniente dal mare. Si pensò di vincere questo dislivello di circa 100"* con un gian piano inclinato capace di far salire i vagoni carichi dalla stazione al livello del pozzo. Questo piano inclinato è a due vie aventi lo scartamento di 0,96 e poste alla distanza di 5” T una dall’ altra. Il pendio essendo forte, i binari sono muniti di carrello por- tante, il quale serve anche di bilancia idraulica potendo contenere 6"*^ di acqua. STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECO. 699 Il carrello che trovasi in alto si riempie e poi scendendo fa sa- lire snir altro binario il carrello vuoto d’ acqua ma portante nn va- gone carico di combustibile. La manovra viene regolata con apposito freno. Giunto il vagone in alto trova nn binario che lo conduce al piazzale della Miniera. Porto-canale Vesme. Presso la località di Portoscnso, ove esiste una antica torre del tempo dei Pisani, fu creato nn porto-canale cui fu dato il nome dal Conte Carlo Bandi di Vesme, benemerito ex-presidente della Società. Il mare penetra in una insenatura fatta a guisa di canale, lungo 200™, largo 8™. A destra e sinistra di questo vi sono due banchine provviste di binario che si riunisce alla ferrovia di Monte- poni e che servono a caricare direttamente sui vagoni i materiali giunti per mare ; poi a destra e sinistra percorrono due lunghi fab- bricati che sono i depositi dei minerali, capaci di contenere 10000 tonnellate di minerale. Per scaricare direttamente entro questi magazzini il minerale proveniente dalla miniera, esistono in alto, esternamente ai ridetti magazzini, dne binari posti a livello della Stazione di Porto Vesme che è alla quota di 4™ ,70. In questa guisa i minerali vengono scaricati all’altezza del tetto dei magazzini, e questi possono essere così riempiti automa- ticamente. La Stazione di Porto Vesme trovasi a livello dei binari di sca- ricamento in alto. Da essa poi partono dei binari in discesa che vanno al livello delle banchine a ricongiungersi ai binari di cari- camento posti 4™ più basso. Questo impianto di porto-canale realizza la massima economia nelle manovre di carico e scarico. Nel porto-canale vengono a caricarsi, direttamente alla ban- china, dei piccoli battelli della portata di 8-10 tonnellate, i quali portano i minerali a Carloforte ove approdano i grossi vapori i quali trasportano la calamina ad Anversa e la galena ed il piombo me- tallico a Pertusola nel Golfo della Spezia. 700 C. CAl-ACCI Il porto-canale è stato completato con un molo che si pro- tende in mare e sul quale trovasi una banchina ove approda il piccolo vapore postale di Carloforte. Lungo la ferrovia di Monteponi è stata raccolta una vena di acqua potabile, che opportunamente incanalata fu condotta alla sta- zione di Porto Yesme ed a certi depositi di ferro posti sul molo. Questa conduttura, non solamente rese possibile l’ abitare a Porto Yesme ma è pure di grande utilità anche alla città di Car- loforte per i bisogni della quale in estate vengono a prendere l’acqua potabile al molo di Porto Yesme. Una completa rete telegratica riunisce le stazioni di Porto- vesme, Gonnesa e Monteponi. Gli effetti economici della ferrovia e del porto-canale sono stati importantissimi per la Miniera di l\Ionteponi. Nel 1870 il costo del trasporto del minerale dalla miniera a Carloforte era di circa 20 lire a tonnellata, adesso è ridotto a b lire per tonnellata. Operai. Il personale operai di questa miniera, che ha una così lunga vita, ed una così completa organizzazione, è dei più stabili. Si compone per la massima parte di Sardi o di continentali che si sono definitivamente stabiliti a Monteponi o ad Iglesias creandosi una famiglia colà. Piccola è la proporzione degli operai continentali che vanno a lavorare in Sardegna soltanto nell’ inverno, cioè dal dicembre al 24 giugno, giorno di S. Giovanni. Il lavoro delle miniere e dei vari stabilimenti e laverie, così stabile e regolare, ha avuto per effetto di formare una popolazione di operai fissi. Inoltre gli stabilimenti di Prevenzione, di Carità e di Associa- zioni fondati dalla Società a favore degli operai, hanno creato un ambiente di sicurezza e di benessere, che permette alla Ammini- strazione di procurarsi un personale scelto. Circa r operaio sardo fm-ono espresse soventi molte false opi- nioni. Esso è meno loquace ed allegro del toscano o del genovese, è invece più raccolto, taciturno, severo, spesso improntato ad un aria STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECC. 701 di tristezza impressagli e dall' atavismo e dalle sofferenze che il clima micidiale di quei paesi imprime in ogni individuo. Ma r operaio sardo è forte laborioso; onesto, di buoni costumi, di carattere leale e poi resistente al lavoro, e quando arriva 1’ estate ed i con- tinentali ritornano al mite clima ed alle dolci case dei paesi na- tivi, il sardo resta solo ad affrontare il lavoro sotto un clima torrido e malarico. Gli operai addetti alla miniera di Monteponi sono i seguenti : Minatori N. 500 , Cernita delle galene Ji 15 I Calamine 200 Laverie > . 1 Vittorio n 55 ’ Mameli n 75 Fonderia •n 60 Calcinazione delle calamine n ■ 20 Officina e servizio meccanico n 70 Ferrovia e piano inclinato n 100 Carrettieri, e servizio manutenzione e costruzioni •f) 05 Totale N. 1190 Impiegati, guardie e servizio sanitario. . . N. 60 Totale generale N. 1250 Istituzioni e Stabilimenti a favore degli operai. Ho già detto che gli operai delle miniere sono assistiti e tu- telati in modo veramente paterno dalla Società, la quale non ba- dando a spesa, ha voluto creare un insieme completo di stabilimenti a loro favore. Non potendo entrare a parlarne in dettaglio ci con- tenteremo di citarli. Ospedale. — Contiene 24 letti ed è provvisto di una farma- cia completa. Vi è addetto il personale seguente : 1 medico ; 1 far- macista; 4 suore; 1 prete. La cura ed i medicamenti sono completamente gratuiti. All ospedale è annessa una comoda e graziosa cappella, il bagno ed un giardinetto. Case operaie. — Quantunque la maggior parte degli operai risieda ad Iglesias, tuttavia per coloro che preferiscono stare alla C. CAPACCI 702 Miniera, la Società ha costruito un quartiere operaio poco al disotto del palazzo di Bellavista. Queste case comode e decenti vengono affittate agli operai a prezzi modicissimi. Società cooperativa di Iglesias. — È una importante Società fra i minatori ed impiegati delle miniere, che tiene un magazzino a [glesias dove risiedono la maggior parte di essi, ed un altro ne ha alla Miniera di Mouteponi. I soci si provvedono ai magazzini di ogni sorta di oggetti di consumo. Questi vengono acquistati dal Consiglio di amministrazione, e sono sempre di ottima qualità. Vengono poi rivenduti al prezio di costo aumentato di una piccola quota di margine per coprire le spese di amministrazione. L’azione di questa Società non è soltanto benefica pei soci, giacché fornisce loro i generi di prima necessità al minimo prezzo possibile ; ma è stata pure morale nell’ ordine generale, poiché ha obbligato i fornitori e i bottegai di Iglesias a ribassare i loro prezzi in conformità di quelli praticati dalla Società cooperativa. Oltrecché di consumo, la Società é anche di soccorso alle fa- mio-lie in caso di malattia o di morte, al quale filantropico scopo assegna gran parte dei propri benefici. II capitale della Società é stato provvisto colle quote doi soci (li Kf lire. Gli utili del bilancio della Società vengono divisi in parti uguali: una metà va in aumento del fondo sociale e pei soccorsi di cui si é detto più sopra; e l’altrà metà va a costituire la Cassa per la vecchiaia, di cui diremo in appresso. Il modo di funzionare di questa Società cooperativa dovrebbe esser preso a modello da altre di simil genere. Cassa per la vecchiaia. — La metà degli utili del bilancio della Società cooperativa, passa a costituire il fondo di questa Cassa, cui contribuisce largamente anche la Società di Monteponi. Scopo della Società é di accordare ad operai vecchi un soc- corso per una volta, od anche in casi speciali pensioni temporanee e vitalizie. Cacine economiche. — Sotto gli auspici della Società di Monte- poui e della Società cooperativa di Iglesias, sono state impiantate alla Miniera le Cucine economiche che forniscono agli operai un vitto igienico e poco costoso al puro prezzo di costo. STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPOM ECC. 703 Con soli 10 cantesimi un operaio riceve nn buona minestra in bi’odo e 250 grammi di carne lessata. Le cucine forniscono in media 300 minestre al giorno. Un insieme così completo di stabilimenti ed istituzioni, dimo- stra quale cura veramente paterna abbia la Società dei propri operai e come per essi non risparmi nè spese nò cure. Per questo intendimento umanitario e sociale vanno tributate le massime lodi al Presidente della Società comm. Roberto Cat- taneo ed al Direttore comm. ing. Erminio Ferraris. Palazzo di Bellavista. È impossibile lasciare Montepoui senza dire qualche parola del grandioso palazzo di Bellavista ove risiede la Direzione della Miniera. E davvero il nome corrisponde pienamente al vasto ed attraente panorama che si gode da questo palazzo. Tutta r alta valle di Gonnesa si stende davanti gli occhi. A est si scorge V altipiano di Iglesias, lo spartiacqua fra il bacino Domusnovas e quello di Gonnesa. A sud in faccia vedonsi i monti di San Gorgio e di San Gio- vanni colle miniere di San Giovanni e San Giovannino, San Giorgio e Cabitza; a ovest vedonsi i monti di Agriisan ed a nord infine si dominano tutti gli impianti della Miniera ed il Monteponi cui in lontananza sovrasta il monte S. Pietro colle sue roccie cambriane. Nel palazzo sonvi gli uffici di Direzione ed i sontuosi quar- tieri di abitazione per il Presidente della Società e per il Direttore. E qui che godei la più cortese e splendida ospitalità, della quale sono memore e grato al comm. Roberto Cattaneo, ed al comm. ing. Erminio Ferraris. Una linea telegrafica riunisce la Miniera ad Iglesias. Tutti gli impianti della Miniera ed il palazzo di Bellavista sono illuminati a luce elettrica. Si hanno in totale: ^ lampade ad incandescenza N. 200 lampade ad arco » 4 Nella storia di Monteponi ritornano alla memoria gli ingegni elettissimi che consacrarono la loro vita al suo sviluppo e quelli che r aiutarono dei loro consigli. 704 C. CAPACCI Citeremo quindi i nomi di De Belly, Delaunay, Despine, Ma- meli, Keller, Pellegrini, Alberto De La Marmora. Gouin, Sella, Giordano, Eugenio Marchese, Carlo Baudi di Vesme. Di quest’ultimo saggio amministratore si vollero ricordare le benemerenze colla seguente lapide infissa nel palazzo di Bella\ista. A MEMORIA El) ONORE DEL CONTE CARLO BALDI DI \ L S M E SENATORE DEE REGNO MEMBRO DI PIÙ ACCADEMIE SCIENTIFICHE DELLA SOCIETÀ DI MONTE PO NI PER ANNI XIV OPEROSISSIMO PRESIDENTE ARDITO PROMOTORE SAPIENTE ILLUSTRATORE dell’industria mine R a R I A IN SARDEGNA PER ANIMO INGEGNO MENTE ERUDIZIONE CHIARISSIMO I SUOI COLLEGHI DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE DELIBERARONO ADd’i X MARZO MDCCCLXXVII Il Bandi di Vesme oltreché essere uno dei più arditi ed effi- caci propugnatori dello sviluppo industriale di Monteponi fu uno studioso delle antichità minerarie della Sardegna ed a Lui si deve r opera classica intitolata Breve di Villo, di Chiesa e del Codice^ dijìlomatico nelle quali sono illustrate le antiche leggi minerarie dell’ isola, sono studiati attentamente gli antichi lavori ed oggetti rin- venuti nell’ isola, ed è ricostruita la storia antica delle sue fiorenti miniere. I STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPOM ECO. 705 Miniere di lignite. La Miniera di Monteponi fa un considerevole consumo di com- bustibili : attualmente essa brucia annualmente : I^ignite 10000 tonn. Cardiff 500 Coke 1000 « Totale 11,500 tonn. L avvenire poi si presenta con un aumento considerevole di consumo di combustibile per lo sviluppo ognor crescente della fon- deria e per il nuovo impianto dei forni da zinco. L’aumento dei minerali misti zinco-piombiferi dovuto all’ ap- profondimento delle miniere ha per effetto immediato : da una parte la necessità di ampliare gli opifìci della preparazione meccanica dei minerali, che richiedono macchine motrici potenti e quindi largo consumo di combustibile, e dall’altra un aumento considerevole dei prodotti secondari delle laverie poco ricchi e sempre un poco misti e quindi diffìcilmente vendibili all’ estero. La proporzione di questi prodotti secondari crescendo continuamente crea la neces- sità di fonderli sul posto e quindi ne nasce il consumo di combu- stibile per fonderli. La Società di Monteponi antiveggendo l’ avvenire si è già ac- caparrate due miniere di lignite nel territorio di Gronnesa, e sono quelle di Culmine e Terras-de-Collu. Queste miniere sono rilegate a Monteponi a mezzo della fer- fovia della Miniera e quindi le spese di trasporto sono ridotte al minimo possibile. Il giacimento lignitifero è nell’ eocene, intercalato fra marne e calcare alternanti. Per avere un’ idea del giacimento ricorderemo quali furono i terreni attraversati col Pozzo Gastaldi forato sulla collina del Nu- raghi di Sa Soracca. Dapprima fu traversato un certo spessore di quaternario, poi al disotto fu trovata una nappa trachitica, al disotto della quale fu traversato l’ eocene costituito da alternanze di calcari, arenarie ed argilla con intercalati alcuni banchi di lignite. 700 C. CAPACCI L’ eocene poggia poi direttamente sul siliuiano. Dallo studio dell’ ing. Mazzetti (>) rileviamo le notizie seguenti relative a queste miniere. La sezione del giacimento di Terras-de-Collu La Marmora è la seguente: secondo il L>e Eoccie Ligniti ' in 0.10 2.70 _ 0.90 :i.20 Lignite buona (2“ strato) 0.05 Calcare idraulico 2.00 Lignite buona (2® strato) — 0.65 .5.20 Liirnite schistosa (il" strato) — 0.:15 I.IO 0.25 Areille e calcari :1.60 — Calcare conchiglifero 2,25 1.00 Lignite (4° strato) — 0.25 La lignite è nera picea di buona qualità e brucia su griglia come il litantrace inglese. i + • Alcuni saggi sulla sua composizione immediata hanno dato i risultati seguenti: Secondo strato Terzo strato Quarto strato Materie volatili 28.40 34.00 31.20 Carbonio fisso 64.30 58.80 62.60 7.30 10.20 6.20 Totale . . • 100.00 100.00 100.00 Potere colorifico — Calorie . 4850 4500 4100 (1) Mazzetti F. Combustibili fossili di Sardegna. Eivista del servizi'^ minerario nel 1890. Firenze, Barbèra, 1892. STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECO. T07 Si previene che le materie volatili sono state ottenute scal- dando la lignite al calore rosso-scuro e che il carbonio fisso è de- terminato per differenza. La Miniera di Culmine o I§ Nuraghis trovasi in prossimità della precedente e contiene essa pure un certo numero di banchi lignitiferi dei quali il primo sembra corrispondere al secondo di Terras-de-Collu. ► Alcuni saggi fatti sulla lignite di questa miniera hanno dato i risultati seguenti: Primo e secondo strato Terzo e quarto strato Umidità 9.10 7.90 Materie volatili . 24.10 28.20 Carbonio fisso . . 53.13 40.90 Solfo (allo stato di FeS-) 4,074 4.400 Ceneri 9,60 18.60 Totale . . . 100.00 100.00 La composizione elementare di questa lignite è data dal pro- spetto seguente: Primo e secondo Terzo e quarto strato strato Carbonio 56.091 55.558 Idrogeno 5.044 4 306 Ossigeno e azoto 25,600 16.915 Ceneri 13.253 23.221 Totale . . . 99.988 100.000 Potere calorifico (calorie) . 5289 5276 708 C. CAPACCI Come termine di confronto riporteremo 1’ analisi ed i dati rela- tivi alla lignite della Miniera di Baccu Abis che è attualmente quella in regolare ed importante produzione. Lignite umida ^ Lignite essicata 6.63 — d3.32 46.40 41.96 10.87 1 ! 11.64 Totali . . . t 100.00 100.00 Solfo totale 7.275 7.792 Id. incombustibile 0.527 0.564 Id. combustibile 6.74K 7.228 Potere calorifico — 5.690 Acqua vaporizzata per 1 K" 6!‘622 — Densità 1.344 ‘ — La produzione di questa miniera è ora di circa 14,000 tonu. all' anno. Capitolo V. ^liniere di Moiitevecchio. Dalla stazione di San Gavino, sulla Ferrovia Oiistano-Cagliari, muove la Ferrovia privata delle Miniere di Montevecchio. Questa traversa il Campidano e tocca Guspini, da dove volge a destra per risalire la valle del Rio di Piccalina e giungere a Genna Sciria ove trovasi la Stazione delle Miniere. Risalendo la valle ci si presentano davanti agli occhi i gran- diosi impianti delle Miniere di Montevecchio e Piccalina. Esse possono annoverarsi fra le più ricche miniere di piombo argentifero d'Europa e quindi non sarà discaro al lettore entrale in qualche dettaglio della loro descrizione. STUDIO SULLE MINIERE DI MON'TEPONl ECO. 709 Cenno storico. Antichi lavori di scavo esistono nelle colline di Montevecchio e sono la prova che i primitivi popoli dell’ isola attratti certamente dalle grandiose testate dei filoni che ovunque emergono sui fianchi dei monti ricercarono se esse erano feraci di metalli. Nella località di Piccalina a oriente di Montevecchio, fu tro- vata una necropoli dell’ epoca Romana contenente anfore da olio e da vino e lampade di terra cotta di fattura assai rozza. In alcuni antichi valori della Miniera di Piccalina furono tro- vati vari oggetti attinenti alla escavazione di minerali, di epoca assai remota e di grande interesse. L oggetto più importante è un corpo di pompa fatto comple- tamente di piombo, e colle sedi delle valvole di bronzo, contenente tuttora nell’ interno il pistone di legno. Un altra di queste pompe fu pure rinvenuta nella stessa Mi- niera ed attualmente trovasi a Parigi. Vi furono pure trovati vari canali fatti di lastra di piombo, ed alcuni recipienti metallici ed anfore di rame ricoperte di piombo, le quali evidentemente dovevano servire a mantenere incorrotta l’acqua. Per avere un documento certo dell’ escavazione di queste mi- niere, occorre giungere all’ultimo secolo della dominazione Ara- gonese sull’ isola. Un pregane del Procuratore Generale del Re di Aragona in data 14 dicembre 1628 concede facoltà esclusiva a Giacomo Squirro di scavare le miniere del Regno e segnatamente quella di galansa (come allora chiamavasi la galena) di Iglesias e Arbus. E evidente che nella designazione di miniere di Arbus si com- prende il fascio dei grandi filoni che da Montevecchio si stendono fino a Gennamari. Da un documento del 2 maggio 1629 risulta che il contributo da pagarsi al Regio Patrimonio, doveva essere il 5 per cento della galanza scavata nelle miniere di Arbus. Un altro documento del 16 marzo 1707 ordina che nessuno impedisca a Don Antonio Michele Olives di scavare galanza nelle montagne di Arbus in forza della concessione accordatagli dal Sovrano. C. CAPACCI 7 in Passata la Sardegna sotto il dominio Saliaudo (8 agosto 1 < 20) nel 18 agosto 1720 fu accordata la concessione generale delle Miniere a” Don Pietro Nieddo e Stefano Durante e si ha notizia che durante questa concessione, che aveva la durata di venti anni. fossero attivate le miniere di Arbus. Cosi giungiamo al 1741, epoca in cui le miniere dell' isola furono concesse per 30 anni al Brander e C. Durante questo periodo, sotto la direzione di Gustavo Mandell furono intraprese escavazioni importanti sul filone di Montevecchio. La galanza ricca veniva spedita a Genova e Livorno, mentre quella povera, che non poteva sostenere le spese di trasporto, veniva fusa nella fonderia di Villacidro costruita appositamente dal Man- dell sul torreute Eleni. lilorto il Mandell nel 17.ì9 la Società fu disciolta e le mi- niere continuarono ad essere scavate per conto del Patrimonio Regio e vi venne preposto il De Belly. Questi lasciò una descrizione completa dei lavori esistenti alla liliuiera di Montevecchio nell'anno D5GO. riportata dal Baldiacco coi relativi piani. L' escavazione della miniera procede assai regolarmente nel ventennio 1762-1782 sotto la direzione del De Belly. 11 tilone fu scavato attivamente ed i minerali venivano fusi a ^ illacidro. Dipoi sopraggiiinse un' epoca di decadimento della miniera, la quale insieme colle altre risenti grandemente della grave pertur- bazione arrecata ad ogni industria dalla grande rivoluzione del se- colo scorso e dagli avvenimenti del principio del secolo aUuale. Il conte Yargas investito con decreto del 20 aprile 1806 della concessione delle Miniere dell' Isola non curò Montevecchio volgendo le sue cure soprattutto a Monteponi. Colla venuta di Francesco Mameli in Sardegna (1832) le sorti della Miniera di Montevecchio non migliorarono, giacché a quel- 1' epoca l’attenzione del Governo era tutta rivolta a Monteponi. L’Editto del 1836 col quale si facilitavano le ricerche di miniere, fece nascere un certo risveglio nei ricercatori. Finalmente alcuni arditi isolani, fra cui devonsi notare il sa- cerdote Pischedda, Giovanni Antonio Sanna ed altri, ripresero con energia i lavori sul filone di Montevecchio insistendo per averne la concessione. STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECC. 71 I Giunti alfine al 1848 ed estesa alla Sardegna la legge mine- raria piemontese del 30 giugno 1840, volendo il Governo dare agli isolani una prova del suo incoraggiamento alla industria delle Mi- niere, concesse a Giovanni Antonio Sanna di Sassari tre concessioni contigue di 400 ettari ognuna, costituite ognuna da un quadrato avente 2 chilometri di lato e comprendenti una gran parte dei gran- diosi filoni di Montevecchio. Così, con esempio non mai più seguito, fu concessa ad una sola persona un’ area di 1200 ettari che si stende per ben 6 chi- lometri in direzione sopra un fascio di filoni ricchissimi. La Società delle Miniere di Montevecchio fondata dal Sanua, è in accomandita per azioni ed aveva in origine un capitale di 600,000 lire, diviso in 1200 azioni di 500 lire e più 800 azioni di godimento al predetto sig. Sauna. Oggi la Società ha un capitale di 1 milione. Negli anni 1874 e 1876 furono accordati alla Società francese La nouvelle Arborèse le due concessioni di Genna Sciria e Pic- calina contigue a quelle di Montevecchio dalla parte di levante. La Società fece degli impianti grandiosi a Piccalina special- mente e lavorò con grande attività. Ma essendo venuti a mancare i due principali azionisti, nè avendo voluto i Tribunali concedere per parte dei minorenni ulte- riori anticipazioni di capitali, nel 1885 la Società fu posta in liquidazione e le miniere messe ripetutamente all’ asta non trova- rono compratori. Rimaste infine aggiudicate al sig. Henfrey che rappresentava un credito rilevante, furono dipoi nel 1887 acquistate dalla Società di Montevecchio. Per tal guisa questa Società è giunta a possedere un insieme di concessioni aventi un’ area di circa 2000 ettari e che si sten- dono per circa 9 chilometri in direzione lungo i ricchi filoni di Montevecchio. Nel prospetto seguente sono riuniti i dati relativi a queste concessioni. 48 Totale. . . lOf.O STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECC. . 713 La Società possiede quasi tutti i terreni compresi nei limiti delle sue concessioni e vi mantiene delle belle foreste. Presso alle varie miniere poi vi sono dei tratti di terreno messi a cultura per la quale la Società ha impiantato una speciale azienda agricola. Vi si producono cereali e buon vino. Cenno geologico (•). La regione circonvicina alla Miniera è costituita da una massa grandiosa di scbisti (siluriani per alcuni, arcaici per altri) i quali al sud si appoggiano sull’ altipiano granitico di Arbus (quota 400™ e 600™) mentre a nord penetrano sotto le breccie di calcare ter- ziario e sotto la massa doleritica e basaltica costituente il gruppo montuoso che ha per suo punto culminante la superba montagna dell' Areuenio (Colle del vento) alto m. 827, chiamato dai naviganti il Pollice di Oristano. Questo monte studiato dal De La Marmora, dal Vom Rath e dal Lovisato è costituito per la massima parte da dolerite, tufi tra- chitici e da basalto. Esso termina in una specie di piramide accessibile soltanto da una parte, e sulla sua cima si vedono tuttora le vestigia del famoso castello di Erculentu che faceva parte del Regno di Arborea, e che Barisene donò alla Repubblica di Genova con atto del 16 settembre 1164. Nella massa doleritica e trachitica che scende sulla pendice sinistra della valle di Sciria vedonsi nettamente emergere dal suolo a guisa di costoloni o muraglioni diretti NS delle dighe di basalto. La sezione geologica da Arbus all’Arcuento della tavola XVI serve a dare una idea generale del giacimento. La massa di scbisti antichi scende ad oriente nella valle di Sciria verso Guspini, mentre si stende ad occidente per lungo tratto fino a penetrare sotto il quaternario che occupa la spiaggia occi- dentale dell’ isola. (’) Baldracco G.. op. cit. ; Gouin L., op. cit. ; Marchese E., o]). cit. ; Sella Q., op. cit.; Jervis G, op. cit.; Zoppi G., op. cit.; Fuchs e De Lar.- nay, op. cit. 714 C. CAPACCI Secondo lo Zoppi nel movimento di sollevamento di questi terreni la massa granitica dell’Arbus si sollevò compatta, mentre la massa schistosa più pastosa si adagiò sul contatto del granito a guisa di mantello. Queste potenti azioni di dislocazione e di innalzamento provo- carono nella massa schistosa delle spaccature più o meno importanti atte a ricevere dei filoni i quali appunto, considerati in grande, hanno la loro direzione parallela alla linea di contatto fra il granito e lo schisto. In queste dislocazioni si formarono naturalmente anche delle spaccature normali, le quali poi costituirono i filoni incrociatori i quali penetrano anche nella massa granitica di Arhus. Il piano di contatto fra il granitico e lo schisto è inclinato a 45® ; la inclinazione dello schisto è assai piccola ed in alcuni punti vien quasi orizzontale : la spaccatura che contiene il filone e quasi verticale o inclina nello stesso senso del contatto fra schisti e graniti. Infine si ha una terza categoria di filoni costituiti da dighe porfiriche ed euritiche le quali formano in generale un sistema di filoni normali al filone principale di spaccatura e sono preesistenti. Non sarà fuor di luogo dare un cenno di queste roccie studiate dal Bucca, Cossa e Mattirolo (’). Il granito dell’altipiano di Arhus è in generale un granito roseo carneo costituito da ortose. poco quarzo e poca biotite. Il quarzo si palesa come macchie di tinta più scura, la mica è in lamelle splendenti. Spesso vi si trovano cavità tappezzate da bei cristalli di quarzo e feldispato. La colorazione rosea finamente disseminata è dovuta ad ossido di ferro. Il feldispato è spesso caolinizzato. Oltre il granito rosso, si rinvengono zone importanti di granito bianco, le quali si presentano talora sotto forma di grosse masse come sopra al villaggio di Arbus, tal altra sotto forma di filoni come al monte Crabulazzu. Il granito bianco di Arbus è a grana fina composto di feldispato ortoclasio e plagioclasio, quarzo e mica biotite. (’) Vedi la Bibliografìa allegata a questo scritto. STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECO. 715 Esso è adoprato come pietra da costruzione e ornamentazione. Quanto alla loro età, lo Zoppi ritiene che il granito rosso sia da riferirsi al precambriano e quello bianco al postsilmiano. Difatto mentre il granito rosso è certamente più antico delle arenarie cambriane che ne racchiudono gli elementi, invece quello bianco non solamente traversa gli scbisti rendendoli al contatto cristallini e cornei per metamorfismo, ma anche talvolta ne rac- chiude delle masse profondamente metamorfosate, prova evidente della preesistenza degli scbisti. Nel cenno geologico è stata ricordata l’opinione del Lotti, che riferisce tutti questi graniti al postsiluriano. Lo schisto presenta caratteri normali di roccia finamente fo- gliettata di colore nerastro e bigio verdastro. Esso trovasi alterato più o micio profondamente sul contatto dei filoni che lo traversano ; e mentre questa alterazione non è rile- vante a contatto dei filoni quarzosi, invece è assai manifesta al contatto dei filoni emàtici e porfirici. Una caratteristica degli scbisti di Monteveccbio è che in essi non furono fino ad ora ritrovati i fossili caratteristici degli scbisti cambriani o silmàani. Per questa assenza di fossili e per una evidente differenza litolo- gica fra gli scbisti senza fossili di Montevecchio. Ingurtosu, Gennamari e quelli siluriani del Fluminese o cambriani di Cabitza, vari geologi sono di opinione che i primi debbansi riferire ai terreni arcaici. I filoìli e dighe euritiche e 'porfiriche presentano talvolta roccie di aspetto e natura differenti. Alcuni filoni sono costituiti da una massa biancastra finamente granulare formata da feldispato racchiudente delle concentrazioni di quarzo cristallizzato e quindi da definirsi come vera e propria eurite, in altri invece la roccia pre- senta i caratteri di vero por fido e di vera diabase. La traehite e il basalto hanno i loro caratteri normali. Al Monte ^Cepperà presso Guspini vedesi la base del monte costituita da calcare terziario mentre il cono superiore è formato da basalto a prismi verticali. Air Arcuento il basalto si presenta in dighe e filoni a prismi orizzontali contenute entro la massa trachitica. Dalla massa trachitica sporgono le dighe di dolerite e fel- site rammentate più sopra. 716 C. CAPACCI Fascio di filoni di Montevecchio. Il visitatore che percorra le colline di Montevecchio, è colpito dalla presenza di sporgenze rocciose a guisa di muraglioni. che vedonsi allineati sopra un percorso di vari chilometri. Queste roccie hanno talvolta uno spessore di 20 a at»™ ed una altezza di 5 a 10™. Esse sono costituite da roccia quarzosa differentis- sima dalla roccia costituente la collina, la quale è schistosa ; e quindi r osservatore si accorge subito esser queste le testate di filoni co- lossali. La tavola XVI presenta la pianta del fascio di filoni di Mon- tevecchio. Il giacimento minerario è costituito da un sistema di filoni di spaccatura entro gli schisti siluriani i quali filoni sono discor- danti dalla stratificazione di questi. I filoni si distinguono in filoae priiicipole, ' secondario, fdoncello\ la loro direzione generale è XE.-SO ; l’inclinazione è a N. di 65° a 70°. I filoni sono costituiti da una massa di quarzo bianco com- patto avente una potenza media di 20™ che talvolta giunge a 30™. Entro di esso le concentrazioni metalliche si presentano in lenti allungate secondo la direzione. Nella potenza del filone si riscontrano talvolta 2 o 3 lenti metallifere. I filoni sono paralleli alla linea di contatto fra gli schisti e i graniti, ed è al sollevamento di questi che sembra doversi attri- buire r origine di questi filoni. Perpendicolarmente alla direzione dei filoni, vi è un filone incrociatore che scende dall’Altipiano di Arbus e che è minera- lizzato soprattutto nelle sue parti più superficiali. All incrocio di STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECO. 717 questo filone con quello principale, sembra doversi attribuire lo arriccbimento di una regione di filone nelle prima concessione. Pai'allelamente al filone di Arbus si trovano vari filoni bari- tici sterili. Nella stessa direzione si riscontrano parecchie dighe euritiche e porfiriche incrocianti il filone, le quali producono una strozzatura all’incontro del filone principale, tantoché devesi de- durre che queste dighe euritiche sieno preesistenti ai filoni me- talliferi. La mineralizzazione delle lenti è regolare ed uniforme, con preponderanza di G-alena argentifera, cui è spesso associata la Blenda. Questa, forma talvolta delle rilevanti concentrazioni, tali da presentare la convenienza di coltivazioni speciali. Vi sono poi altri minerali associati, come la Pirite, la Cal- copirite, la Cerussite, Y Anglesite, la Calamina, la Siderite, la Stibina, la Limonite, la Calcite, la Barite, il Quarzo e lo Solfo : raramente poi è stato trovato l’ Argento nativo e la Fosgenite sco- perta dal Lovisato (’). Come prodotto di ossidazione recente vi si trova la Goslarite, la Malachite e Y Azzurrite. È nel cappello di ferro del filone e nelle cavernosità della massa quarzosa ocracea, che si trovano le famose Cerussiti e An- glesiti verdi smeraldo di Montevecchio, uniche al mondo. Per lungo tempo fu ritenuto che la loro colorazione fosse do- vuta al rame, ma però recenti ricerche hanno dimostrato essere questa dovuta a piccolissima quantità di sale di Uranio. La galena è sempre argentifera ma la proporzione dell’ argento varia nei diversi filoni e nelle diverse parti di uno stesso filone ed anche nelle varie zone di una stessa lente. In generale la ricchezza in argento è massima verso levante (Piccalina) e va decrescendo verso ponente (concessione Casargiù). La ricchezza poi riprende di nuovo nella concessione di Ingurtosu. Nella concessione Piccalina la media di argento contenuto nel minerale è di 1 Kg. per tonnellata di Galena. (fi Lovisato D., Contributo alla Mineralogia Sarda. Eend. d. E, Acc. d. Lincei. Eoma, 1886. 718 C. CAPACCI Nella concessione di Montevecchio la ricchezza di argento varia da 600 a 800 gr. per tonnellata di minerale prodotto. Però in alcuni punti di questo filone si riscontra la ricchezza di Kg. 1.250 di argento per tonnellata di minerale. Nella 2^ e 3^ concessione di Montevecchio 1’ argento va con- tinuamente scemando, fino a ridursi a 300 e 200 gr. per tonnellata. Tenore di argento dei Minerali. Concessione Filone Quant'U di argento per tonnellate di minerale prodotto grammi Piccalina Filone secondari^ . . 1000 T* Concess. iMontevecchio. Filone jirincipale. . . 600 a 800 ' 2’' iJ. Sa Telia . . id. . . 400 a 500 3®’ id. Casargiu . . id. . . . 200 a 300 Concess. Ingurtuso . . . Filone Cervo . . . . 600 a 800 Nella miniera Piccalina e nel filone S. Antonio della conces- sione di Crabulazzu sono state verificate le leggi dette di Moissenet sulla ricchezza dei filoni. Nella seconda concessione, ai livelli Sunna e Stromboli, fu tro- vato l'argento nativo. In vari punti del filone ma specialmente al letto ed al tetto del filone secondario nella 3“^ concessione si trovano delle Calamine, le quali presentano una considerevole estensione a vari livelli della miniera. Queste calamine sono carbonato di zinco ottenuto evidentemente dalla decomposizione delle blende poiché di queste non trovasi traccia là dove esistono le calamine. Nella 1=^ concessione i lavori di escavazione sono concentrati nel filone principale, il quale finisce poco prima di raggiungere il confine colla 2^ concessione. Si ritiene che si tratti di un rigetto o di una apofisi del filone, il cui ramo principale sembra trovarsi ad una certa distanza in alcuni affioramenti quarzosi di un filone riconosciuto più a sud, e nel quale si sono intrapresi dei lavori per la risoluzione di questo problema. STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECO. 719 Xella concessione Piccalina si coltiva il filone secondario così pure sulla concessione Sa Telia e Casargiu. Il terzo filone, detto filoncello, non è oggetto di importanti lavori di scavo, perchè la mineralizzazione vi fu riscontrata assai scarsa. La caratteristica del filone principale è di avere la ganga quarzoso-compatta durissima, mentre nel filone secondario predo- mina il quarzo friabile. Nel filoncello poi il quarzo è pure compatto, ma vi si unisce molta pirite. Questi caratteri ben chiari e distinti congiunti a quelli della posizione e della potenza, servono perfettamente a distinguere i tre filoni. Il filone principale trovasi al sud del campo di filoni e, come si è già detto, è compreso soprattutto nei limiti della conces- sione. Il filone secondario sta in mezzo e si stende nelle quattro concessioni. Il filoncello infine è al Nord e si stende parimente nel campo delle quattro concessioni. Lavori di impianto delle miniere. I primi lavori delle miniere di Montevecchio, al principio della concessione, furono soprattutto concentrati nel cantiere denominato Casargiù^ posto all’ estremo limite occidentale delle concessioni, a contatto della miniera di Ingurtosu. Ciò avvenne perchè quivi gli affioramenti del filone si pre- sentavano più ricchi e più facili ad essere attaccati. Poi venne l’importante cantiere detto del Rio Mannu pros- simo al precedente. Poi i cantieri delle felle poste presso al confine della 2^ con- cessione Sa Telia colla concessione Casargnì: e nella P conces- sione furono attivati i cantieri di Atzuni, Scala, Colombi, Santa Barbara, Sant’ Antonio e Anglosarda nella regione Sa Fraiga^ i cui nomi sono ormai famosi nella storia di Montevecchio. Queste prime gallerie sboccavano tutte a giorno sulle pendici del monte, poiché l’orografia della località si prestava mirabilmente C. CAPACCI 720 ad attaccare in più punti i filoni con gallerie di carreggio.clie servivano contemporaneamente di scolo alle acque. Allo sbocco di molte di queste gallerie e precis.ìinente a quelle più importanti (Gasargiù. Rio Mimmi. Atzuni, Sant Antonio. Anglo- sarda) furono creati dei piazzali ove si faceva la cernita dei mine- rali ed in alcuni di essi furono pure impiantate delle piccole laverie, costituite essenzialmente da frantumatoi. cassoni e crivelli sardi. Coir approfondirsi dei lavori non fu più possibile usufruire le gallerie di carreggio sboccanti al giorno e fu necessario impiantare in ognuna delle concessioni una sede di estrazione costituita da un pozzo di estrazione per i minerali, per la discesa degli uomini e per 1’ eduzione delle acque e creare una serie di livelli comuni- canti col pozzo, e che costituiscono gli odierni cantieri di esca- vazione. Come si è già accennato più sopra, nel 1887 la Società di- venne proprietaria delle concessioni di Piccalina e Genna Sciria. nella prima delle quali molti lavori ed uu completo impianto di un pozzo di estrazione era già stato fatto dalla precedente Società, La nouvelle Arborèse. Queste sono le condizioni attuali delle miniere di Monte- vecchio .le quali per i loro impianti e per il loro macchinario, pos- sono rivaleggiare colle migliori miniere oggi in esercizio. Per dare un cenno degli impianti oggi esistenti in ognuna delle concessioni, non seguiremo l' ordine storico dei lavori, ma sibbcne seguiremo 1’ ordine naturale di chi giunge a visitare Mou- tevecchio, cioè cominceremo dalla parte orientale delle miniere procedendo poi verso occidente. Principieremo quindi da Piccalina per poi passare a Monte- vecchio, quindi a Sa Telia ed infine a Casargiù. Militerà PiccaLina. — Nei dieci anni in cui questa miniera rimase nelle mani della prima Società concessionaria Lo, nouvelle Arborèse, questa vi fece impianti grandiosi attratta dalla impor- tanza dei filoni che traversano questa concessione, che sono il fi- lone secondario ed il filoncello, i quali quivi sono ricchissimi di argento, tantoché i minerali estratti raggiungono un tenore in ar- gento di 1000 gr. per tonnellata di minerale. Quivi trovasi uno dei più belli e completi impianti di estra- zione che possa vantare una miniera metallica. STUDIO SULLE MINIERE DI MONTKPONI ECO. 721 Questo pozzo maestro, chiamato Sa/i Griovaniii^ lia il suo occhio alla quota di 230“ sul mare ed è profondo circa 200"'. La sezione è rettangolare colla luce libera di 5^ X 2,50 ed è in parte rivestito di muratura. La macchina di estrazione è costituita da un bellissimo mo- tore a vapore a due cilindri orizzontali accoppiati, i quali azionano r albero motore su cui è montato il volano e due grandi puleggie di ferro destinate a ricevere il canapo a nastro. La forza della macchina è di 120 cavalli vapore. Le caldaie sono del tipo Galloway. Il combustibile adoprato è il litantrace inglese proveniente da Cagliari. L' acqua che si raccoglie nel deposito in fondo al pozzo, viene estratta a mezzo di una pompa ad azione diretta, servita da due caldaie Belleville, capace di estrarre 450™® di acqua in 24 ore. La miniera possiede 6 livelli o gallerie di carreggio comuni- canti col pozzo; le loro quote sono inserite nel prospetto seguente: Livelli del Pozzo S. Giovanni della Miniera Piccalina. LIVELLO Livello sotto 1’ orifìzio Quota sui mare Osservazioni Orifizio del pozzo . . . m 0,00 m 229,86 1° livello 30,75 199,11. — 2° id 62,00 167,86 — O CO 96,00 133,86 — 4° id. ..... 136,00 . 93,86 — 5" id 175,00 54,86 — 6“ id 200,00 — — Fondo del pozzo .... 210,00 — Cisterna dell’ acqua. Sul piazzale della miniera trovasi una piccola laveria la quale verrà ben presto demolita allo scopo di concentrare il lavaggio dei minerali di questa miniera nel grande opificio Principe Tommaso di cui parleremo in appresso. Il minerale prodotto da questa miniera è una galena ricca a ganga di quarzo, mista talvolta ad assai blenda e non poca cal- copirite. 722 C. CAl'ACCI È bea nota la rilevante ricchezza in argento della galena prodotta da questo minerale. Il tenore del prezioso metallo rag- giunge spesso la proporzione di 100') gr. per tonnellata di mi- nerale. Prima concessioae - Montececchio - . — I primi lavori di questa miniera erano costituiti da gallerie di carreggio sboccanti al giorno e rinomate sono quelle di Scala, Colombi^ Sa/ita Barbata, San- t’AiUoiiio, Aiif/losarda ed altre. Esse sono tuttora mantenute in buono stato giacché le prin- cipali fra esse e soprattutto le ultime serviranno all'estrazione di parte del tìloue ancora intatto. Nel prospetto seguente sono riuniti i dati principali relati\i a queste gallerie che vengono disposte nell' ordine di progressione in cui si trovano andando da oriente a ponente. Gallerie della Coticemone Montevecchio. NOME del cantiere o galleria Quote sul mare Sviluppo di galleria a questo livello Ouenaiioni .\nglosanla . . . m 2.50.70 m. 1. — Sant' Antonio • . 274.12 — Ha rimbocco al piazzale S. A Santa Barbara . . 303.30 — tonio. Colombi .... 3*52.90 — — Ribasso Scala . . 397.9.5 — — Scala 40*3. 15 — La più alta galleria di Monteveccl Baracche .... 377.37 ■ — — ^ladama .... 349.90 -- — Montevecchio. . . 334.50 — _ Atzuni 289.33 — — Vittorio Emanuele . 302.59 1 Ma coll’ approfondirsi dei lavori, fu creato il pozzo maestro chiamato Sani Antonio, il quale ha il suo orifizio sul piazzale omo- nimo presso l’antica laveria del Rio. L’occhio del pozzo trovasi alla quota di 272"’, 84 sul mare. La sezione è ellittica coi due assi di 5™ e 3“. . STCDIO SULLE MINIERE DI MONTEPOM ECO. 1-26 I Questo pozzo devesi ora approfondire di 60™ in modo da giun- j gere alla profondità di 180™ sotto l'oritìzio. I Nel prospetto seguente sono riuniti i dati numerici relativi ai suoi livelli. ! i Livelli del pozzo Sant’ Antonio. Nome del livello Profondità sotto Torifizio Quote sul mare OsservasioM m m ' Orifizio del pozzo. . . . 0.00 272.84 — Galleria Anglo-Sarda . . 21.B.5 2.51.49 — Livello — Ignazia . 69.00 203 84 — Livello — Enedina . . . 119.00 163.84 — Livello 140,00 — ■ — Livello 180.00 — — Fondo del pozzo .... 190.00 — Cisterna La macchina di estrazione è una motrice di 30 cavalli-vapore di forza, a un sol cilindro con volante e puleggie per ricevere i canapi a nastro. Il freno è a vapore . Le gabbie del po-zo sono di ferro e munite di paracadute. L’eduzione delle acque si fa con una pompa a vapore, capace di inalzare 20“^ all’ora. 1 lavori interni di questa prima concessione sono tutti com- presi nel grande filone principale di Montevecchio e sono vera- mente grandiosi. Si compongono essenzialmente di comode gallerie di carreggio armate di ferrovie, le quali seguono il filone talvolta al muro talvolta al tetto a seconda della posizione delle lenti metallifere. Eaggiunte queste vi si pratica il lavoro di abbatti- mento per gradini rovesci ed anche diritti a seconda dei casi, por- tando il minerale alle gallerie di carreggio mediante apposite tra- moggie cui vengono a caricarsi direttamente i vagoncini di mi- niera, che poi spinti sulla via di carreggio, giungono al pozzo maestro e quivi introdotti nelle gabbie vengono estratti al giorno e vanno a scaricarsi direttamente alla cernita a mano od alla laveria. Le escavazioni interne raggiungono talvolta a Montevecchio una grandiosità raramente altrove veduta, allorché le lenti metal- 724 C. CAPACCI lifere hanno una grandezza rilevante, cioè presentano uno sviluppo considerevole in altezza, in lunghezza e secondo la potenza. Date le condizioni favorevoli dell’ ossatura del filone tutto di (quarzo che si sostiene da sè, ne segue che alle escavazioni si può «lare una ampiezza corrispondente a quella della lente mineralizzata, e cosi ne nascono delle camere o caverne grandissime. All’epoca della mia gita fu visitato l'importantissimo can- tiere di escavazione denominato gradino n. 8 Ignazia, il quale par- tendo dal 1° livello Ignazia sale fino alla galleria superiore An- glosarda. Quivi si potè ammirare una escavazione grandiosa di bellis- sima e compatta galena. Lo scavo presentava l’ aspetto di una enorme grotta sinuosa, e avente ad ogni tratto cavernosità e sporgenze, il cui sviluppo in lunghezza potevasi calcolare di circa lOO” e quello in altezza di circa 60'". Il lavoro di escavazione viene dato agli operai a cottimo, contemperato però da alcune condizioni speciali. In ogni cantiere di scavo il lavoro di abbattimento viene dato dalla Direzione della minierà ad alcuni cottimisti a cottimo ad un prezzo determinato per unità di lavoro (metro quadrato o metro lineare a seconda dei casi) e che varia col variare della roccia. Ogni settimana si fanno i conti e si rivedono i prezzi onde proporzionarli al genere del lavoro e permettere agli operai un giusto guadagno. I detti impresari o cottimisti sono di fiducia della Ammini- strazione e responsabili verso di essa Per comporre la propria compagnia essi ricevono dalla Amministrazione un certo numeio di operai giornalieri in quel numero che viene ritenuto necessaiio. e questi giornalieri hanno una giornata fissa stabilita dalla Am- ministrazione. Siccome il prezzo di questa giornata fissa dei giornalieri viene per primo prelevato nei conti del cottimo, ne avviene che i cotti- misti nei lavori magri vengono a percepire talvolta un minor com- penso dei giornalieri, mentre nei lavori grassi lo hanno superiore. È appunto per rimediare a tali inconvenienti, che si fa la revisione settimanale dei prezzi. II lavoro di miniera è diviso per ogni 24 ore, in tre posti o STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPOM ECO. 725 sciolte di 8 ore ognuna e quindi ogni compagnia è divisa in 3 gruppi i quali mantengono il lavoro continuo. Il minerale estratto dalla miniera subisce oggi le operazioni seguenti : a) la spezzatura e cernita a mano onde separare subito il minerale ricco mercantile; h) la galena con poca ganga di quarzo vien passata ai co- siddetti crivelli sardi i quali danno con poco lavoro un prodotto mercantile ricco; c) i minerali misti passano alla laveria per il trattamento meccanico che separa la ganga quarzosa e la galena dalla blenda e dalla calcopirite. Sul piazzale Sant’Antonio esiste tuttora 1’ antica laveria del Rio, nella quale sonvi dei trituratori, alcuni cassoni ed una bat- teria di crivelli sardi pei minerali ricchi e puri. In breve questa laveria verrà pure abolita onde concentrare tatto il lavaggio nel grande stabilimento Principe Tommaso. Seconda concessione « Sa Telia « . — Le antiche gallerie di questa concessione sboccavano esse pure a giorno : fra esse sono da ricordare il gruppo delle Telle ed il cantiere Azuni. Nel prospetto seguente sono riuniti i dati ad esse relativi, e vengono citate per ordine progressivo da levante a ponente. Gallerie della Concessione « Sa Telia ». NOME del cantiere o galleria Quota sul mare Sviluppo di gallerie Osservazioni Stromboli . . . . . . m 236.15 m. 1. Manim 268.64 — — Ribasso Sauna 231.79 — St. Elìsio 296.81 — ' Zerbini 321.63 — — Telia N. 1 275.29 — — Telia N. 2 273.99 — — Telia N. .3 261.85 — — Telia N. 4 231 85 — — C. CAPACCI 72i; Quivi pure col progredire dei lavori si dovè impiantare un pozzo di estrazione cui fu dato il nome di Sanaa in onore del fondatore della miniera. L' occhio del pozzo trovasi alla quota di 2tV2"’ sul mare, ed è posto sull’ antico piazzale Azuni. La sua profondità è di 124” ; la sezione è foraiata da 4 archi di circolo ed ha gli assi di 4,50 e 2,30. La macchina di estrazione ha la forza di 20 ca\alli-\apore. è a due cilindri e porta due rocchetti a funi piatte di aloe. L' acqua viene estratta a mezzo di una pompa mossa mediante rinvio a testa di cavallo. I lavori interni hanno due livelli comunicanti col pozzo. 1 dati numerici ad essi relativi sono i seguenti : Livelli del Sanna. Nome dei livelli Profondità sotto l'orifizio Qoote sul mare Osterraiion! Orifizio del pozzo . . • in 0.00 202.51 — Galleria Ribasso Somma . 31.38 231.13 — Livello San Giorgio . . 84.00 178.55 - Livello Migone . ... 124.00 158.55 Una particolarità del minerale prodotto da questa minici a c di essere assai antimonifero, liicorderemo che ai livelli Sanna e Stromboli fu trovato TArgento nativo. Sul piazzale sottostante al Ribasso Sanna fu impiantata una laveria meccanica, che ebbe il nome di Laveria Sanna. Questa la- veria venne rinnovata nel 18(39 ed a causa delle vicende delle liti che allora gravavano le miniere, fu chiamata Laveria Eleoaora d’ Arborea. Dipoi venne di nuovo rinnovata e perfezionata e finite le liti riebbe il suo primitivo nome di Laveria Sanna. Terza concessione “ Casargia . — Quivi pure le antiche gal- lerie sboccavano a giorno. Abbiamo già detto che i primi lavori all’inizio delle conces- sioni (1848) furono attaccati nella località Casargiu presso al con- STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPOM ECO. 727 fine colla contigua miniera di Ingurtosn perchè quivi gli attacchi sul filone si presentarono più facili e proficui. Altro cantiere rinomato fu quello del Kio Mannu il quale possiede la più bassa galleria che sbocchi al giorno a Montevecchio. Nel seguente prospetto sono riuniti i dati numerici relativi alle principali fra queste gallerie, scrivendoli nel loro ordine pro- gressivo da levante a ponente. Gallerie della Concessione Casargiu ” . NOME dei Cantieri e Gallerie Quota sul mare Sviluppo di gallerie a ■ questo livello Osservaiiotvi Telia N. 0 m 231.85 TU, 1. San Giorgio 178.55 — — Eietto 182.85 — — Eioraannu 165.60 — — La Fortuna 204.10 — — Casargiu 224.35 — — La necessità di approfondire i lavori fece creare qui pure mi saggio di estrazione per pozzi e gallerie. Il pozzo chiamato Amsicora ha 1’ occhio alla quota di 258"’ sul mare ed è profondo IIS"*. La sua sezione è formata da 4 archi di circolo, come il pozzo Sanna, cioè ha gli assi di 4'",50 e 2'", 30. L’ eduzione delle acque vien fatta per mezzo di una pompa capace di estrarre 70'"^ di acqua per ogni ora. 19 728 C. CAPACCI Due livelli soltanto sono attualmente aperti nel pozzo ed i dati relativi sono i seguenti: Livelli del Pozzo Amsicora. NOME del Cantiere e livello Profonditi sotto 1' orifizio Qaota sai mare Osserrasioni Occhio del pozzo . . . m 0.00 m 258.39 — Galleria Amsicora . . . 33.28 22.5.11 — Galleria S. Giorgio . . . 80.83 1 77.50 — Livello Inoria 112.83 145.50 Al principio dei lavori furono impiantate delle piccole laverie ai cantieri Casargiu e Rio Mannu. poi queste disparvero collo sce- mare deir importanza di quei cantieri e recentemente fu impian- tata la grande laveria Lamarmora sul torrente Rio Mannu, assai distante dal pozzo Amsicora, ma ivi costruita allo scopo di utiliz- zare le acque del torrente e pure quelle del grande serbatoio del Rio Mannu posto a monte. I lavori di queste quattro concessioni costituiscono uno dei centri minerari più grandiosi e perfetti che sia dato ammirare tra le miniere metalliche. Per darne una idea riassuntiva diremo che le gallerie oggi aperte nelle varie miniere, hanno uno sviluppo di oltre 50 chilo- metri e sono in gran parte armate di ferrovie. Quanto ai pozzi per darne un’ idea complessiva abbiamo liu- nito nel prospetto seguente i dati ad essi relativi. PROSPETTO dei 'pozzi delle Mitiiere di Monleoecchio. STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECC. 729 780 C. CAPACCI Preparazione meccanica dei minerali. Abbiamo già visto come fin dai primi tempi delle escavazioui di Moutevecchio furono impiantati degli opifici meccanici per arric- chire i minerali, ai cantieri Casargiu, Kio Mannu, Azuni. Hio. A questo proposito giova notare come la prima la>eria mec- canica della Sardegna fosse quella detta del Rio nella pi ima con- cessione, impiantata fino dal 1853. Abbiamo pure visto come la laveria Eleonora d Arhor-a esistente nella 2=» concessione fosse ampliata e perfezionata fino dal 1869. Più tardi fu impiantata la laveria Principe Tommaso \:s. quale venne inaugurata nell' occasione della visita che questo Prin- cipe fece alla miniera nel 1877. Essa trovasi nella P concessione un poco al di sotto del pozzo Sant Antonio. Attualmente si sta trasformando e rimodernando completa- mente questa laveria, introducendovi gli apparecchi per^zionati moderni, e non appena questo lavoro sia ultimato spariranno i vecchi opifici del Rio e di Piccalina ed il lavaggio dei minerali provenienti dai pozzi Piccalina e Sant’Antonio, previa separazione del minerale ricco commerciale cernito a mano sui rispetti\i piaz- zali, verrà tutto concentrato nella laveria Principe Tommaso. Quindi le miniere di Montevecchio possiedono ora 3 grandi opifici di preparazione meccanica, che sono quelli Principe Tom- maso nella 1^ concessione. Sauna nella '2^ e Lamarmora nella Laoeria Principe Tommaso. — Nel centro della parte poste- riore trovasi una bella motrice a vapore orizzontale a due cilindri. della forza di 120 cavalli-vapore. L’ insieme di capannoni che stanno davanti sono divisi in due sezioni a destra e a sinistra del motore. Nella sezione di destra sono disposte in alto 3 coppie di ci- lindri acciaccatori cui faranno seguito i trommels classificatori, le batterie di vagli ordinari e filtranti e di idrovagli Ferraris. Nella sezione di sinistra trovasi una batteria di 30 freccio di bocardi, cui terranno dietro opportuni crivelli, idrovagli, tavole gi- ranti e tavole a nastro sistema Ferraris. STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPOM ECO. 731 Laveria Sanna. — Quest’opifìcio, che già chiamaTasi Eleonora d’Arborea è posto nel fondo della valle al disotto del Kihasso Sanna. Un bacino o lago artificiale raccoglie le acque del Rio Mon- teveccbio e di tutte le gallerie superiori al Ribasso Sanna e serve a fornire l’ acqua per la laveria. Laveria Lamarmora. — Questo stabilimento è posto sul tor- rente Rio Mannu onde profittare delle acque di questo per il lavaggio. Di piu sul confine della 2^ e 3* concessione fu sbarrata la valle onde creare un grandioso lago artificiale della capacità di 3500U metri cubi, le cui acque servono ad alimentare la laveria. Acqua per gli opifìci. In generale il paese è scarseggiante d’ acqua non possedendo corsi naturali importanti e ciò reca un grave inconveniente per le tante caldaie addette ai vari motori, soprattutto poi per le laverie che ne consumano una grande quantità. Di queste alcune ne ri- chiedono 120“’^ all’ora. È stato quindi necessario prima di tutto raccogliere tutte le acque superficiali, poi rintracciarne nell’ interno ed infine decantare e chiarire quelle che hanno già servito per adoperarle di nuovo. Dovunque è stato possibile e conveniente, sono state fatte delle chiuse nelle valli e creati dei laghi artificiali o bacini per racco- gliere le acque piovane. Ricorderemo quello che alimenta la laveria Sanna, e quello grandioso del Riu Mannu, che serve alla laveria Lamarmora. Nell’interno si ricercarono le acque, che certamente debbono scorrere sul contatto fra schisti e graniti al sud. Nella 2* concessione fu spinta una galleria traversa al sud a questo scopo, ma non raggiunse il contatto perchè a 700"^ di avan- zamento si poterono raccogliere di acqua all’ora, sufiìcienti per la laveria Sanna. Nella 3® concessione fu pure spinta una traversa al sud, la quale dopo 200“ di percorso potè raccogliere 8“^ di acqua all’ ora e non fu spinta oltre, e quindi neppure questa raggiunse il contatto. Infine le acque che hanno servito ai crivelli vengono decan- tate in appositi bacini e poi rialzate con pompe ritornano agli ap- parecchi delle laverie. 732 C. CAI’ACCI Forza motrice. La forza motrice per i vari motori dei pozzi maestri e delle laverie viene ottenuta con caldaie riscaldate a litantrace inglese proveniente da Cagliari e portato alla miniera pei ferrovia. Di questo litantrace si consumano .ìUOU tonnellate all anno. Quando sarà congiunta la ferrovia di Monteponi a Iglesias vi potrebbe esser forse convenienza ad adoperare a Montevecchio la lignite di Baccu Abis. Però questa dovrebbe sempre sopportare due trasbordi ferroviari. D'altra parte il basso prezzo del litantrace inglese fa una seria concorrenza ai combustibili nazionali. La regione circostante è poco boscosa e quindi non vi ha legna a sufficienza da adoperare come combustibile. Statistica della produzione. Il minerale estratto dalla miniera vien passato prima alla cernita a mano onde separarne subito il minerale ricco commercia- bile. Ogni rimanente vien passato alle laverie i cui prodotti sono degli slicchi pure commerciabili. I prodotti della miniera sono dunque delle galene in pezzi ed in slicchi. La produzione totale dei minerali dal 184-0 alla campagna ultimata col 30 giugno 1895 tu di quintali 2.912.677,35 kgr. variando da pochi quintali al principio della concessione tino ad un massimo di 120.000 quintali all'anno. Nell’ ultimo decennio la produzione normale fu di 100.000 quintali all’ anno. Nel prospetto che segue vien data la produzione dettagliata anno per anno. II ricavo 0 per meglio dire l'importo della produzione sud- detta dal 1849 al 30 giugno 1895 fu di lire 73.286.685,78; le spese ammontarono a lire 57.862.932,56 e quindi il benefizio netto complessivo fu di lire 17.743.252,23*^. I minerali che prima si vendevano in Inghilterra, si spediscono ora invece tutti alla grande fonderia di Pertusola nel golfo della Spezia. Oltre la galena la miniera produce pm-e circa 1000 quintali al- r anno di blenda avente un tenore in zinco del 49 % ed un tenore di argento di 140 grammi per tonnellata, tenore che non vien pagato. ! SLUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECC. 733 Prodiaiom dei minerali di 'piombo. Ànni di esercizio Galena prodotta Quintali Tenor per 1 Piombo kg- 3 medio 00 kg. Argento Prezzi medi del j del i , , Minerale ! Piombo 1 >, per i per | 'Argento quintale j quintale 1849 178,30 65,50 66,6 20,23 45,53 i 1 219,07 50 1266,49 r J5 n » 51 1204,96 n n n » V 52 2272,44 n n n JJ » 53 2106,96 72,000 49,9 29,40 39,25 210,00 54 7829 21 66,800 50,2 31,28 34,17 » 55 6311,84 70,059 56,6 34.30 52,27 56 10855,51 75,937 84,7 37,82 55,58 57 14989,45 72,316 78,6 38,59 53,94 n 58 26034,29 73,262 74,6 27,46 52,67 11 59 32217,01 74,061 80,6 27,86 49,36 n 60 34578,30 73,862 74,1 36,10 50,00 ìì 61 32048,25 71,279 61,1 28,98 50,00 n 62 28447,26 70,380 53,6 25,01 48,94 n al 30 giugno 1863 14320,41 72,253 o 00 28,39 48,90 7J 1863-64 44373,95 69,500 64,3 22,11 49,93 » 64-65 43238,79 74,577 69,1 33,25 50,00 V 65-66 45506,08 74,353 66,5 35,53 50,00 1) 66-67 48163,14 76,500 73,0 32,37 46,70 71 67-68 53201,28 77,500 100,0 40,28 45,60 77 68-69 61106,00 78,950 115,0 42,12 44,33 77 69-70 56092,61 77,880 98,6 29,23 44,50 77 70-71 54320,77 75,069 78,8 34,50 45,19 77 71-72 53621,80 68,079 74,5 32,66 45,10 77 72-73 56128,76 71,500 58,0 39,06 52,83 77 73-74 60341,18 73,780 65,0 40,68 53,69 77 74-75 45340,72 74,450 71,8 42,21 51,73 77 75-76 62740,48 72,770 65,3 34,83 52,06 77 76-77 75606,40 73,400 68,5 38,91 50,68 199,05 4:34- C. CAPACCI 1 Anni eli esercizio 1 Galena prodotta (jainUli Tenore medio per 100 kg. P»oml>o Argento kc. PrezM medi del Minerale per qointale del piombo per quintale del- 1' Arfrento per kg. 1877-78 1 79307.44 72,950 08.0 34.03 1 14.85 190,17 78-79 10^*420,93 72,550 G*',0 25,57 35,85 184,35 79-80 98482,52 72,500 02,0 27.52 38,00 190,15 80-81 90523,02 72,275 08,0 25,13 30,44 190,37 81-82 100482,29 72,755 03,0 21,32 34,80 180,03 82-83 113923,00 70,158 55,0 20,03 33,28 187.27 83-84 117129,47 74,730 49,3 17,17 29.88 184,78 84-85 114785,01 09,100 49,3 14,40 27,34 182,72 85-80 121044,93 09,031 49,9 20,09 29.93 173,90 8»3-87 111470,94 70,097 : 56,7 19.56 31.20 103,59 87-88 110257,03 70,751 59,0 21,75 32,97 159,17 88-89 110000,00 74,180* 59,4 21 ,22 31,79 154,90 89-90 119340,22 75,188 61,0 21,56 31,56 1 00,05 90-91 120000,00 74.848 59,4 ! 21,89 , 31,57 173,43 91-92 121510,82 73.734 55,9 ' 17,46 27,62 155,32 92-93 ' 99453,18 72,012 57,4 t 14,75 24,222 ■ 137,822 93-94 I 95000,00 70,162 61,7 i 13,05 23,277 111,470 94-95 lOOOOO.OO 7 1 ,500 57,0 i 14,40 1 24,448 100,240 95-90 90000,00 70,847 55,1 1 15,03 ! 27,187 i 112,*'.43 Produzione della Blenda. Anni di esercizio Quantità prodotta quintali Tenore di zinco per 100 Kg. Prezzo dello zinco per quintale L. it. 1892-93 4268.47 50.00 43.12 93-94 4964.74 48.05 41.57 94-95 7382.73 40.00 36.40 95-96 10887.57 47.54 •37.10 STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPO.M ECO. 7 35 Analisi dei minerali. Non si possiede una analisi completa dei minerali di Mon- te vecchio. Come osservazione generale diremo che la galena di questa miniera essendo a ganga di quarzo viene ritenuta assai dura a fondere. I minerali provenienti dai cantieri delle gallerie Ielle presso ai confini della 2^ e 3^ concessione sono assai antimoniferi. Nel prospetto seguente sono riuniti i tenori medi dei mine- rali di Montevecchio in piombo e argento. PROSPETTO dei tenori dei Minerali di Montevecchio. Minieia Tenore in piombo Tenore in ar- gento per tonn.di mi- nerali Osservasioni Vo gr- Piccalina 73 1000 — l per cento \ massimo 78.950 P Conces. Jlontevecchio 72 700 Pb ! i 1 r. ' minimo 66.800 2“ Concess. Sa Telia . 72 . 400 — , per tonn. di minerali 3^ Concess. Casargiu . 73.50 300 V massimo 1150 gr. Ag ' l 1 minimo 493 gr. Vendita dei minerali. Abbiamo già detto che la miniera di Montevecchio vende i suoi minerali alla fonderia di Pertusola. La formula colla quale si vendono questi minerali è analoga a quella indicata per la miniera di Monteponi. 736 C. CAPACCI Impianti esterni. Una cosi ricca e meravigliosa miniera possiede degli impianti esterni e dei fabbricati grandiosi, dei quali conviene dare un cenno generale. Sulla collina di Montevecchio a mezzogiorno del colle Genna Serapis trovansi i resti dell’antica casa della miniera chiamata Sa domu de is oreris (la casa degli orati) costruita nel 184 <-48 quando l’ abate Pischedda e quindi il Sanna fecero i primi lavori alle miniere. In questa casa ora scoperta ed abbandonata si teneva il mi- nerale e serviva pure da ufficio, come ce lo indica il nome. Confrontando gli avanzi di questa casa cogli impianti odierni di Genna Serapis, si ha il quadro del progresso e della ricchezza attuale della miniera. Il colle di Gennaserapis trovasi quasi al centro della T con- cessione alla quota di sul mare. Il suo nome che significa porta di Serap/de o di Giove o del cielo, è antichissimo e forse allude o alla posizione e forma del colle incassato poiché quando vi si arriva pare come la porta del cielo che si apra dinanzi a ponente ; oppure si riferisce a qualche tempio romano dedicato a Serapide giacché, nelle vicinanze furono trovati alcuni resti dell’ epoca romana. In questa località benissimo scelta per la sua posizione al centro della miniera e per 1’ aria buona che vi si respira sono riu- niti i fabbricati della miniera. Palazzo di Gennaserapiis. — Un vasto palazzo costruito nel 1877 contiene al pianterreno gli uffici e la Chiesa, ed ai piani su- periori l’abitazione del Direttore. Questo palazzo, innalzato sulle fondamenta gettate da Giov. Ant. Sanna per costruirvi una grandiosa chiesa, si vede da grande lontananza e domina tutta la miniera. A oriente l’occhio si stende sul Campidano di Cagliari ed a ponente si gode la vista del Mediterraneo : a nord la montagna delVArcuento attrae il naturalista per la sua costituzione geologica, ed a sud il panorama delle groppe delle colline da cui si ergono tratto tratto le testate dei filoni avvertono l’ osservatore che siamo nel campo di grandiosi giacimenti metalliferi. STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPOM ECO. 787 Un grande atrio a ponente serve di ingresso agli uffici e nel centro della parete interna di esso vedesi un busto in marmo di Giovanni Antonio Sanna creatore di questa miniera. Il busto, assai pregevole, è opera di Temistocle Guerrazzi, fra- tello del letterato Francesco Domenico Guerrazzi. Al di sotto del busto si legge la seguente iscrizione, dettata da Salvatore Angelo De Castro : A PERENNE RICORDO DI GIOVANNI ANTONIO SANNA di sassari CHE FORTE d' ingegno E DI PROPOSITI FONDÒ L’ industria MINER.4RIA DI MONTEYECCHIO APRENDO GALLERIE COSTRUENDO CASE, OPIFICI, ACQUEDOTTI, OSPEDALI STRADE ORDINARIE E VIE FERRATE MOLTIPLICANDO IL LAVORO E LA VITA IN QUESTE VALLI POCANZI DESERTE l' assemblea degli azionisti 1876 Giovanni Antonio Sanna nacque a Sassari il 29 agosto 1819 e morì a Koma il 9 febbraio 1875. Egli fu il creatore della società di Montevecchio, ne ottenne la concessione nel 1848 e ne sviluppò con grande cura ed amore le sue immense ricchezze. Le vicende della miniera di Montevecchio sono a molti ben note. Sorta con prosperi auspici, sviluppò progressivamente i suoi lavori con crescente fortuna, quantunque una grave lite abbia pe- sato per vari anni sul suo esercizio. Vari furono gli ingegneri che cooperarono allo sviluppo ed agli impianti di queste miniere, e giova notare Giorgio Asproni, Lo- renzo Chiostri, Eugenio Marchese, Maurizio Marchese, Giulio Axerio ed altri. C. CAI' ACCI T:}8 L' attuale direttore generale delle miniere è da oltre 2U anni il comm. ing. Alberto Castoldi, deputato al Parlamento, cui debbo la mia riconoscenza per ogni maniera di accoglienze ricevute. Davanti al palazzo di Gennaserapis si stende un ampio piaz- zale ove sono riunite le case di abitazione degli impiegati, l’ospe- dale. i magazzini, le scuderie, tutte costruzioni grandiose e rispon- denti alla importanza della miniera. Impianti ed Istituzioni a favore degli operai. La Società delle miniere di Montevecchio ebbe sempre a cuore il benessere degli operai, e vi provvede mantenendo medici, far- macia, ospedale, e dando sussidi e soccorsi. l mali che più specialmente travagliano gli operai in Sar- degna, sono le febbri malariche, e le ferite che possono avvenire per accidenti od infortuni di miniera. Per i malati che vogliono curarsi a casa propria, la Società mantiene tre medici, nei paesi vicini d' onde vengono gli operai, cioè a Guspini. Arbus e Gonnosfanadiga. e di più fornisce gratui- tamente i medicamenti dalla farmacia di Gennaserapis. Vi è inoltre una cassa di soccorso che distribuisce sussidi temporanei ai malati e permanenti ai minatori vecchi div enuti inabili al lavoro ed alle vedove. Pei malati che non hanno casa e soprattutto pei feriti serve l’ ospedale di Gennaserapis. Ospedale. — Quantunque non sia qui il caso di entrare in dettagliate descrizioni, tuttavia non voglio tacere dell’ ospedale, che trovasi a nord del piazzale di Genna Serapis. In esso riscontrasi una particolarità degna di nota. Un corridoio centrale parallelo alla facciata divide le camere da letto in due ranghi, uno sul davanti, 1’ altro sul di dietro. I malati meno gravi stanno sul davanti, quelli più gravi o quelli soggetti ad operazioni chirurgiche sul di dietro. La posizione dei letti è corrispondente e simmetrica nelle ca- mere anteriori e posteriori ed i letti sono montati su piccoli hi. nari i quali traversano il corridoio. Nella parete di questo sono pla- tinate opportunamente delle aperture atte ad estrarre il letto dalla STLDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECO. 739 camera per farlo passare nel corridoio. Con questa disposizione è facile far passare un malato da una camera anteriore ad ima po- steriore, ed in caso di morte si estrae il letto dalla camera senza troppo disturbare gli altri malati. L’ospedale contiene 30 letti con relativo medico, infermieri, farmacia e farmacista, tutto a spese della Società. Serbatoio di acqua potabile. In addietro 1' acqua potabile mancava a Gennaserapis a causa della sua elevata posizione. Il Sanna pensò a condottare una piccola sorgente dei dintorni ed a condurla in un vasto serbatoio della capacità di dOOO"*^. È costruito tutto di pieti’a a pilastri ed archi e ricoperto di solida tettoia. L’ acqua vi si mantiene purissima e fresca. Da esso parte una conduttura che distribuisce 1’ acqua al palazzo di Gennaserapis. alle case di abitazione degli impiegati ed a tutti gli altri fabbricati. Ricorderemo infine che annessa alla laveria Principe Tommaso esiste una fonderia di ghisa e bronzo ed una ofiìcina meccanica per le riparazioni. Presso ogni cantiere poi trovasi una piccola ofiìcina di ag- giustaggio per le riparazioni ordinarie, per le quali non conviene ricorrere alla ofiìcina suddetta. Ferrovia della miniera. La miniera è congiunta alla stazione di San Gavino sulle Fer- rovie Reali-Sarde (Terranova-Cagliari) con una ferrovia privata di proprietà della Società lunga 18 chilometri ed avente lo scarta- mento di 1™ . La stazione di partenza trovasi a Sciria, al centro della con- cessione omonima, ove sono i piazzali, le rimesse per le locomo- tive, ecc. A San Gavino pure trovasi una stazione testa di linea, ed a Guspini vi è una stazione con fermata per la comodità del paese. 740 CAPACCI Lungo la ferrovia esistono 7 case cantoniere doppie. La linea corre in piano da San Gavino a Guspini: da questo punto a Sciria sale sempre con pendenza assai forte, la quale presso la miniera raggiunge il 80 e più. Il materiale mobile si compone di: 3 locomotive della forza di 'Ih cavalli-vapore; 30 vagoni merci ; 3 vetture viaggiatori; 1 bagagliaio. Con questa ferrovia si trasporta il minerale in sacchette alla stazione di Saii Gavino ove viene trasbordato sui vagoni delle Fer- rovie Reali Sarde che lo portano a Cagliari. Da qui lo si porta per mare a Pertusola con vapori di pro- prietà di questa fonderia. La ferrovia serve poi a condurre alla miniera il carbon fossile da Cagliari, i legnami occorrenti alle armature, il ferro e tutte le altre provviste di magazzino. Il costo di questa ferrovia fu di l,ótM.»,U(JO lire. Fu inaugurata nell’anno 1876. L'utile che la miniera ne ha ricavato è considerevolissimo. Nel 187U il traspoilo del minerale da Montevecchio a Cagliari costava circa 40 lire per tonnellata, -\desso questo costo è ridotto a 10 lire per tonnellata, reso a bordo. Strade rotabili. Telegrafo, Telefono. Oltre la ferrovia, una buona strada rotabile parte da Guspini, sale alla miniera congiungendo i vari pozzi alla Direzione e si prolunga poi fino alla miniera di Ingurtosu. Questa strada lunga 26 chilometri costò 150,000 lire. Per questa strada si accede ai pozzi della 2“ e 3"^ conces- sione ed alle relative laverie, e se ne asportano i prodotti, i quali vengono tutti concentrati sul piazzale della ferrovia a Sciria. Una linea telegrafica privata congiunge la stazione di San Gavino con quella di Sciria e colla Direzione a Gennaserapis. Fra questa ed i vari cantieri esiste il telefono per le comu- nicazioni continue. Una linea telefonica congiunge la Direzione col paese di Guspini : ed infine una linea telefonica, lunga circa STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONT ECC. 741 10 chilometri, riunisce il palazzo di Gennaserapis col castello delia miniera di Ingm'tosu. Operai. Gli operai impiegati in queste miniere nel 1807 erano circa 1100; dieci anni dopo, nel 1877, salirono a 1500; nel 1890, poi, a causa del prezzo elevato dei metalli raggiunsero la cifra di 2000. Dopo quest’epoca a causa della crisi generale dei metalli i lavori vennero in parte ridetti, ed oggi il numero di operai è ri- tornato a quello che era trenta anni addietro, cioè oscilla fra 1200 e 1300. Di questi circa 350 sono minatori. Sui piazzali e nelle laverie vengono impiegate anche le donne dei vicini paesi di Arhus e Guspini. La vicinanza di questi paesi fa sì che questa miniera ha un largo contingente di operai sardi, ciò che permette di tenere i la- vori aperti durante tutto l’ anno. Nonostante, anche i continentali accorrono periodicamente ogni anno a lavorare alla miniera durante la stagione invernale, e sono in generale eccellenti minatori. Essi vengono dal- continente in ottobre ed abbandonano la miniera in giugno o maggio, a seconda dei lavori in corso. Per la massima parte sono toscani, lombardi, veneti, piemon- tesi e genovesi. Gli operai continentali sono ricoverati in appositi fabbricati. Parecchi Sardi invece preferiscono ancora oggi le loro anti- igieniche capanne dette stazzi^ fatte coi muri di pietra e fango e coperte con frasche. 742 C. CAPACCI Capitolo VI. Miiìiei't* ili Maltiilaiio. Gemo storico. — Il territorio del Salto Gessa e di Grngua raccliiiide prove non dubbie di antichissime escavazioni minerarie. Nella prefazione di questo scritto abbiamo già accennato alle scoperte fatte in questa regione, ci limiteremo quindi ora soltanto a ricordarle. Nel territorio di Grugua 1' ing. Duveau (') scopri gli avanzi di una stazione paleoUtica. consistente in pezzi di coltelli, punte di freccie ed altri oggetti di ossidiana (roccia non esistente nella località) e frammenti di terre colte assai rozze. A Planedda (^) furono ritrovati nel fondo di una fossa vari cunei 0 accette di calcare duro e dischi di pietra forati, analoghi alle fusaiole. A Planudentis 1’ ing. Marchese trovò martelli di granito, e non lontano furono rinvenuti altri nuclei di ferro oligisto. che senivano pure a quello scopo. . Dell’epoca romana si hanno molti e molti ritrovamenti, che ci dimostrano come allora questa regione fosse ferace di metalli. Nel territorio di Grugua l’ ing. Perrin C) scoprì vane tombe romane, di cui una era coperta da un’embrice che porta la marca ¥lC{uUna) ^^C{lcsti). . Presso Planudentis in un antico pozzo (D furono ritrovate tre lucerne in terra cotta del tempo degli Antonini. Pare ormai certo, dagli studi del De La Marmora e dello Spano, che presso la località di Antas e precisamente nella località detta 3Iaireddt( esìstesse 1’ antica città di Metalla, come lo pro- (i) Cuffia P., iXuovo itinerario dell' isola di Sardegna. Ravenna. La\a- vaffna, 1892. ■ j- " (2) Baudi di Vesme C., Della industria delle mxn'.ere nel territorio di Villa di Chiesa. Torino, Bocca, 1870. (3) Spano G., Scoperte fattesi in Sardegna nel 186 fi. {*) Spano G., Scoperte fattesi in Sardegna nel 1807. STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONT ECC. 7-13 vano i resti di costruzioni antichissime, gli avanzi di un tempio del- l’epoca romana, una statuetta di Cerere ritrovatavi ; e per corrispon- dere questo luogo alle distanze indicate nell’ itinerario di Antonino dalle due città ora bene identificate di Neapolis e Sulcis. Air epoca pisana parimente queste miniere erano attive giacche 10 Spano ci fa sapere che nello stesso pozzo suindicato furono ri- trovate due lucerne invetriate di manifattura sarda, da riferirsi al tempo della dominazione pisana e forse anche spagnola. Similmente sembra doversi riferire a tale epoca i forni da tor- refare la galena, trovati a Guttiiru Pala. Dipoi ci manca certa contezza di queste miniere, che non ve- diamo citate nelle concessioni dell’ epoca spagnola e sabauda. Ciò devesi principalmente al fatto che a quell’ epoche la re- gione era rivestita da un fitto manto di annosi boschi, che ne ren- devano difiicilissima 1’ esplorazione. Le comunicazioni erano oltremodo difficili: i minerali di piombo erano ben rari in quella contrada e quanto alla Calamina, cui questa regione deve la sua floridezza, era ben lungi dall’ essere scoperta. In epoche più vicine a noi furono fatti vari lavori di esca- vazione, i quali però si ritiene fossero più specialmente diretti alla ricerca di minerali di piombo argentifero. Verso il 1860 una Società denominata La Fortuna aprì dei lavori assai importanti nella valle di Malfidano e Planusartu allo scopo di ricercarvi minerali di piombo. Trovarono invece dei minerali misti costituiti da un’ intima miscela di carbonato di piombo e carbonato e silicato di zinco dei quali molto difficile era la separazione ed impossibile la vendita, dimodoché i fatti non corrisposero al nome che la Società si era imposto e ben presto essa dovè cessare le sue ricerche. Un avvenimento che certamente giovò e facilitò la ricerca dei minerali calaminari di questa regione, fu la distruzione delle superbe foreste che rivestivano questi territori. Alla vendita dei beni ademprivili di Sardegna tenne dietro 11 diboscamento non seguito dal rimboscamento e molto meno dalla cultura razionale del suolo. Anzi al diboscamento ha tenuto dietro la pastorizia che im- pedisce r una e l’ altra cosa : il clima è cambiato, i monti sono 50 C. CAPACCI 7tt denudati, la ricchezza forestale è scomparsa, e soltanto rimane qualche raro lembo di bosco. Il De La Marmora ed il Sella colpiscono con parole di fuoco i devastatori delle grandi ricchezze boschive della Sardegna. Essi chiamano il conte Beltrami Attila delle foreste di Sar- degna. Difatto egli dopo avere rovinato completamente la magnifica valle di Oridda volse anche la sua opera devastatrice al Salto Gessa. E cosi queste belle montagne perduta la loro antica chioma selvosa, furono dipoi ben presto denudate dalle acque e mostia- rono allora agli avidi ricercatori le ricchezze minerarie contenute nelle loro viscere. Questo fu il tempo della febbre della Calamina che invase r isola e italiani e stranieri si dettero attivamente a ricercarla. La regione di Malfidano fu particolarmente studiata e per- corsa dall’ing. Eyqueni. il quale fra la fine del 1865 ed il prin- cipio del 1866 acquistò le migliori concessioni di ricerca di questo territorio e fondò poi la Soeiété Anonyme des Mines de Malfidaìio, società francese col capitale di 12.500.00u fr. Concessioni. — Il prospetto seguente, ove sono raccolti i dati relativi alle miniere possedute da questa Società ser\ e a darci una idea esatta della loro importanza. Essa possiede circa 3000 ettari di concessioni che si dividono in due gruppi. Il gruppo di Buggerru comprendente le Miniere di Malfidano, Planusartu, Planudentis ecc. contiene le miniere di Calamina. Il gruppo di Iglesias comprendente le Miniere di Cabitza e Monte Scorra, Baueddu ecc., racchiude le miniere di piombo ar- gentifero. La Società possiede poi la maggior parte della superficie del suolo compresa nelle proprie concessioni. PROSPETTO delle Concessioni di Malfidano. 746 C. CAPACCI Cenilo geologico (')• — La vasta rei^one di Maltidaao e Pla- nusartu è tutta contenuta nel calcare metallifero. Soltanto nei monti di Nanni Frau. Planudentis e di Pira Roma a Oriente si trovano frammezzate delle bande di schisti siluriani. Il paese è formato da monti di una certa altezza (P. Nanni Frau .582'", Monte Anna 552, P. Caiatas 447, Punta Malfidano .388. Malfidaneddu 530) costituiti da calcare bianco e ceruleo e dolo- mite, completamente denudato, a pendici ripidissime frammezzate da valli profonde. La valle di Malfidano risalendo verso Caitas diventa un vero e proprio canale aspro e selvaggio quasi impraticabile, ma che il visitatore di queste contrade percorre certamente per ammirarvi r Occhio di Malfidano. Questo è il nome che vien dato localmente ad un pertucrio che trafora una delle vette del Canale suddetto e per la sua forma e la sua posizione è tale da sembrare un occhio che guardi nella valle. L’occhio di Malfidano. il crepaccio interno della Miniera di Malfidano, la grotta di Domusnovas, tutte contenute nel calcare metallifero, sono una prova della cavernosità e permeabilità di queste roccie. ^ • r L’altra valle di Gutturu Cardaxius passa alla battona di Salto Gessa traversa le miniere di Pira Roma e Enna Murta e si congiunge poi al Gutturu Sartu che si getta nel mare alla Cala domestica. . Fra le valli di Buggerru e del Gutturu Sartu. si stende 1 alti- piano di Piami Sarti! a ciroa 120'" sul mare, nel quale si trovano contenuti dei ricchi giacimenti calaminari. La formazione dei calcari è priva di fossili e si presenta divida nei suoi piani di calcare bianco e celeste e di dolomite gialla me- tallifera. Gli schisti siluriani di Planudentis sono invece una delle lo- calità classiche fossilifere. Vi si trovano gli Orthis, gli Schypliocrinus e i Cargocrinus identici a quelli di Domusnovas e Gonnesa. ('.) Sella Q., op. cit.; Jends G., op^ cit. ; Roissard de Bellet, op. cit. Zoppi G„ op. cit; Fuchs e De Launay. op. cit. I STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECO. 747 Ad oriente ed a mezzogiorno la massa calcarea è limitata dalla formazione cambriana. Ad est il calcare metallifero sembra penetrare sotto la formazione cambriana di Monte Scrocca. Al sud poi la valle del Gutturu Cardasius segna per lungo tratto il contatto colla massa cambriana di Punta Acqua Segreta, faciente parte della massa cambriana di Punta Sa lìloria così ri- nomata pei fossili cambriani ivi ritrovati. Chi percorra questo territorio dal Salto Gessa per Planudentis 0 Malfidano e ritorni per Planusartu ed il Gutturu Sartu, traversa tutti i terreni sopraindicati. La massa del calcare metallifero nel territorio di Malfìdano- Planusartu, presenta una sella o groppa diretta presso a poco nord-sud secondo l’ ultimo tratto della valle di Buggerru, coi banchi calcarei ricascanti dall' una e dall’ altra parte dell’ anticli- nale, dimodoché a Malfidano i banchi inclinano a est, mentre a Planu Sartu inclinano a ovest. La tavola XVII mostra chiaramente la tettonica del calcare metallifero in questa regione, e la posizione dei giacimenti calami- nari a Malfidano ed a Planu Sartu. Miniera di Malfidano ('). Questa grande miniera comincia presso al mare nella insena- tm'a di Buggerru e comprende le due pendici della valle di Mal- fidano e del canale omonimo, racchiudendo vari cantieri molto im- portanti che sono i seguenti : a) Malfidano; b) Monte Rexio ; c) Planedda; d) Caìtas; e) Genna Arenas. Giacimento. — Il calcare metallifero si presenta quivi in banchi molto raddrizzati aventi le seguenti caratteristiche generali : direzione N — 40° — 0 inclinazione media 60° . N. f‘) Société Anonyme des mines de Malfidano, Description des princi- pales mines et des procédés d’exploitation. Paris, Chaix, 1878. 748 C. CAPACCI Il calcare è turchino compatto, però molto rotto e Irastagliato in vicinanza del giacimento. Questo occupa una zona intercalata fra i banchi del calcare turchino, ed è costituito da una massa di dolomite gialla frattu- rata. corrosa, cavernosa, quasi marcita, nella quale sono contenute delle lenti di calamina. La zona mineralizzata ha uno spessore di circa lUO'" ed è riconosciuta in direzione per oltre lOOO". La tavola XVI 1 presenta le sezioni orizzontale e verticale del cfiacimento calaminare di Maltìdano e di Caitas. separati dal Canale di Maltìdano. Le lenti calaminari tanto a Maltìdano che a Caitas hanno sovente un grande sviluppo. La dimensione maggiore è quella secondo la profondità, poi ' viene quella in direzione ed in Hne quella .secondo lo spessore. Alcune di queste lenti hanno uno spessore di 20"' e sono state ^ riconosciute su di un’ altezza di oltre lUO'". Talora due lenti si riuniscono fra loro ed allora il giacimento calaminare prende un importante sviluppo in direzione che oltrepassa i 100"’. Questo cenno serve a dare una idea della importanza colos- sale del giacimento. Una faglia piena di breccia rossa traversa il giacimento con un taglio netto. Essa è posteriore e non contiene allatto calamina. Le lenti calaminari contengono minerali di varia natura. La Calamina si presenta entro le lenti sotto forme, aspetto e colori i più svariati. Il carbonato di zinco forma la quasi totalità del riempimento e si presenta sotto forma di croste, concrezioni, noduli, vene, sta- lattiti; di colore talvolta rossastro, tal’ altra verdognolo, bianco, grigio e nerastro. j Fra queste masse concrezionale e noduli trovasi talora un riem- pimento di una materia disaggregata, come terra, che è carbonato di zinco polverulento ricchissimo, colorato spesso in violaceo dal j manganese o in bruno rossastro dal ferro. ! Tal’ altra invece le masse calaminari sono rilegate e cementate ^ da una materia argillosa rossastra o bruno-giallastra ferruginosa I e zincifera. j j I 1 I STUDIO SULLE MINIERE DI MOM'EPONI ECO. '749 Il carbonato di Zinco o Srailsoniie è accompagnato da una piccola proporzione di silicato o Ccdamina, la quale si presenta talvolta in bellissimi cristalli (Monte Eexio. Planedda). Il carbonato di piombo o Cerussa accompagna di sovente la Calamina, sotto forma di impregnazioni di un colore nero azzur- rognolo. La G-aÀena accompagna spesso questi giacimenti calaminari dando luogo a dei minerali misti i quali hanno un tenore medio di 33 Vo di zinco e 25 % di "piombo. La Bleìida è pure mescolata talvolta alla calamina, soprat- tutto nelle parti più profonde del giacimento. Essa si presenta sotto forma di masse d' aspetto lapideo e di colore azzurrognolo. L’ Anglesite si trova talvolta in cristalli entro la galena. Nel cantiere di Planedda il Baudry trovò della calamina che conteneva fino al 2 "/o di Cadmio. Unita alla Blenda ed alla Galena trovasi sempre la Pirite. Altro solfuro, ma però molto raro è il Cinabro j che trovasi nella Calamina bianca di Malfidano. Come prodotto dell’ossidazione dei solfuri e della reazione dei solfati sul calcare è notevole il Gesso in bei cristalli, che trovasi unito alla Galena e Blenda di Malfidano, ed il Solfo pure in cristalli. Dei fosfati devesi infine citare il Mimetese trovato pure a Malfidano. Nota poi a tutti è la Calamina in grossi scalenoedri pseudo- moi-fica della Calcite, che si trova pure nella miniera di Nebida. Il cantiere di Malfidano produce più specialmente calamine in roccia e minerali misti per il lavaggio. Il cantiere di Caitas produce più specialmente calamine in roccia bellissime di colore giallognolo e terre calami nari. Il cantiere di Planedda produce una forte proporzione di terre calaminari di colore bruno. Il cantiere di Monte Rexio è conosciuto per le bellissime calamine bianche che produce. Infine il cantiere di Genna Arenas produce calamine in roccia di colore gialliccio analogo a quello della dolomia.' In vicinanza delle lenti calaminari, il calcare metallifero è profondamente alterato come marcito e dolomitizzato. Questo fatto è comune a tutti i giacimenti metalliferi contenuti in questa roccia. 750 C. CAPACCI È poi da osservare che il giacimento presenta delle varia- zioni in profondità. Difatto mentre le lenti superficiali contengono più specialmente e quasi esclusivamente calamina pura e bellis- sima (vedi Caitas) quelle inferiori di Malfidano cominciano a mo- strare la presenza dei solfimi, blenda e galena, assai intimamente mescolati fra loro. Ciò è tanto vero che mentre nei primi anni bastava un sem- plice sfangamento della calamina. oggi invece si richiedono delle laverie complesse, nelle quali si accentua ogni giorno più il la- vaggio dei minerali misti. Ge/iesi del giacimeiito. — Dopo quanto si è detto parlando della Miniera di Monteponi poco più resterebbe da dire circa la genesi dei giacimenti calaminari. Senonchè queste miniere di .Malfidano offrendoci chiaramente la spiegazione della loro origine, converrà spendervi attorno qualche parola. Senza entrare a discutere gli studi precedenti del Laur ('), Delanque (-), Daubrée (^) , Zoppi (^), Dieulafait (^), De Launay D' Achiardi (0 eco. ecc. osserveremo come dall’ esame dei fatti resulti all' evidenza che il calcare metallifero fu dapprima per- corso da correnti di acque acide (CO®) sotto pressione, le quali percorrendo le vie di facile percorso, quali appunto i piani di stra- tificazione, lo disciolsero e lo asportarono allo stato di bicarbonato, lasciando dei grandi vacui, i quali per la forza delle cose hanno la forma lenticolare e sono generalmente disposti secondo i piani di sedimentazione. Sulla cavernosità e sulle azioni dissolventi che hanno corroso e creato tanti vacui nel calcare metallifero, si hanno prove evi- (>) Lauv, Les calamines. Bull, de la Soc. de l’Ind. Min. St-Etienne, 18iG. (2) Delanque, Géogénie des minerais de zinc, plomb, fer et mangan?se en gites irréguliers. Annales des mines, 1850. (3) Daubrée A., Les eaux souterraines aux époques anciennes. Paris, Dunod, 1887. D) Zoppi G., Descrizione geologico-mineraria dell' Iglesiente. Roma, Tip. Nazionale, 1888. (5) Dieulafait, Origine des minerais de fer, manganese et zinc autour du plateau centrai. («) Fuchs e De Launay, Traité des gites minéraux et métallifìres. Paris, Baudry, 1893. (3) D’Achiardi A., / metalli, loro minerali e miniere. Milano, Hoepli, 1883. STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECO. 751 (lentissime nell’ Occhio di Malfidano, nella caverne interne di i\Ial- fidano e Gennarenas, ed in quelle analoghe di Monteponi. L’essere queste caverne non riempite di minerale, mentre le altre vicine sono ripiene di galena (Monteponi) e di calamina (Mal- fidano) , è la prova evidente che l’ azione dissolvente dei calcari è anteriore ed affatto indipendente dall’ azione mineralizzatrice. Alle correnti acide successero in seguito delle sorgenti idro- termali magnesiache e ferrifere, le quali sia che prendessero la magnesia dal mare o la prendessero insieme col ferro dalle anti- chissime roccie preesistenti, invasero e penetrarono ovunque nella zona calcarea, ove le precedenti azioni telluriche già si erano fatte sentire, attaccando fortemente il calcare e trasformandolo in dolo- mite, arrossando e colorando la roccia tutto , all’ intorno. Così questa potente azione metamorfica alterò profondamente il calcare metallifero, ed al solito le caverne tuttora vuote provano come r azione di metamorfismo del calcare sia precedente ed indi- pendente dal riempimento metallifero. Finalmente sopraggiunsero le sorgenti idrotermali calde e sot- toposte a forti pressioni, le quali traevano seco i solfuri metallici. Esse penetrarono nei vacui preesistenti eccettochè in alcuni dei quali trovarono chiusa la via per qualche accidentale ingombro. Soggiornando in questi meati, sia per effetto di cristallizza- zione 0 di raffreddamento o di diminuita pressione o di prolun- gato soggiorno, si depositarono la blenda mista a galena, a pirite e ad altri solfuri. Lo studio dei giacimenti di Raibl (^) in Carinzia, del Lau- rium (-) in Grecia e della Nouvelle Montagne (^) a Engis presso Liegi in Belgio, concordano con questi fatti osservati in Sardegna. In una epoca successiva ji giacimenti di solfuri metallici, sot- toposti agli agenti atmosferici ed alle azioni di sorgenti idroter- mali esterne ed interne, si ossidarono, e questa ossidazione fu na- turalmente più efficace e completa presso la superficie e andò mano a mano gradatamente diminuendo nell’interno. I solfuri passarono f^) Posepny F., Die Elei und Galmei Erzlagerstàtten von Raibl. Jahrb. d. k. k. Geol. R. A. Wien, 1873. \^) Huet A., Mémoires sur le Laurium. Soc. d. Ing. Civils. Paris, 1886. F) Capacci C., Studio manoscritto. 752 C. CAl'ACCI allo stato di solfati, onde l’Anglesite. la Goslarite e la serie dei solfati ferrici, i quali dipoi per doppia decomposizione sotto 1 influenza pre- dominante e catalittica del calcare, si trasformarono in carbonati onde la Calamina. la Cerussite, la Mesitina e gli altri minerali carbonati. Il solfato calcareo, mano a Jiiano che si produceva, veniva asportato dalle acque, salvo il Gesso cristallizzato citato più sopra, e l'Anglesite lasciò traccia di sé negli splendidi cristalli. Di questa solfatizzazione dei solfuri metallici e della poste- riore doppia reazione dei solfati col carbonato calcareo, si hanno prove evidenti. Il Hertolio (') cita le acque del Rio Pabillonis. le quali dopo aver lisciviato le discariche di Montevecchio ricche di Blenda, con- tengono del solfato di Zinco. L'ossidazione delle Piriti è fenomeno comune a molte miniere metalliche solforate. Quanto poi alla doppia decomposizione fra i solfati ed il car- bonato calcareo ce ne danno una prova convincente i campioni di Blenda passante a Smitsonite proveniente dalla miniera di S. Gio- vanni ; il Gesso in cristalli proveniente «la Maltidano ; 1 esperienza citata dal Bertolio (-) che un pezzo di marmo di Carrara posto in una soluzione di solfato di zinco si trasforma superficialmente in carbonato di zinco ; gli scalenoedri di Calamina pseudomorfici della Calcite di Maltidano e Xebida. ed i cristalli tubulari di Cerussite pseudomorfici della Baritina trovati a Plauusartu. La serie poi dei prodotti intermediari solfocarbonati. quali la Caledonite. Leadhillite. Lanarkite, Linarite. completa il quadro di queste interessanti reazioni. La Silice, che sempre accompagna i calcari, trasformò la Smit- sonite in Calamina. e le Apatiti che pure sono associate a quelle roccie produssero per doppia decomposizione la Piromorfite ed il Mimetese. Una parte di questi sali fu infine sottoposta ad un'azione di riduzione, forse per eftetto di materie organiche, e si ebbe la for- mazione degli ossidi, quali la Zincite trovata a Planedda, il Minio e le Ocre, mentre d'altra parte lo Solfo libero cristallizzò. (>) Bertolio, Bollettino dell’Associazione mineraria Sarda. Iglesias, 1896. (-) Bertolio, loc. cit. STL'DIO SULLE MINIERE D! MONTEPOM ECO. 753 Come residuo dell'alterazione dei calcari rimasero intine le pol- tiglie linissime argillose che spesso accompagnano le Calamine. In profondità 1’ azione ossidante fu minore, tantoché vediamo ovunque comparire i solfuri di zinco e di piombo. Difatto mentre dai cantieri superiori di Malfìdano e Caitas si hanno calamine pure, in quelli inferiori le si trovano frammiste a blenda e ga- lena. Questo fatto viene mostrato chiaramente dalle analisi delle calamine di Planu-Sartu riportate più avanti. Dall' esame di questi fatti sembrano emergere principalmente le conclusioni seguenti. Primieramente il giacimento metallifero è posteriore alla for- mazione del calcare cosiddetto metallifero. Mentre la formazione calcarea era tuttora in posto, le correnti di acque acide corrosero i calcari producendo i vacui lenticolari disposti sopratutto lungo i piani di stratificazione. Dipoi sopraggiunsero le correnti idi-otermali che depositarono i metalli nei vacui preesistenti, e ciò spiega la forma lenticolare dei giacimenti calaminari e la loro disposizione secondo la stra- tificazione. Più tardi avvennero le azioni di sollevamento, probabilmente postcarbonifere, le quali raddrizzarono gli strati, dando all’ Iglesiente la sua tettonica attuale. Infine ebbero luogo le erosioni e le azioni di denudazione e terrazzamento superficiali, che misero allo scoperto le lenti ca- laminari. Dall’ esame dei fatti risulta quindi che i giacimenti calami- nari non sono fatti a cuneo, ma sivvero sono disposti a lenti, come lo provano evidentemente le sezioni di Malfidano e Caitas. Esse quindi non sono soltanto superficiali e niente si oppone alla loro continuazione in profondità. È solamente da supporre che nelle parti più profonde il gia- cimento cambi natura ed alle calamine vadano gradatamente sosti- tuendosi i solfuri metallici misti. Da questa conclusione, totalmente contraria alla preoccupa- zione che alcuni hanno sulla cessazione dei giacimenti calaminari in profondità, dobbiamo ricavare un lieto auspicio per le miniere contenute nel calcare metallifero. Lavori della Miniera. Nel cantiere di Maltidano è stata praticata una colos^ale esca- vazione a cielo scoperto che ha cainhiato totalmente 1 orografia della valle. Questa escavazione si fa a grandi tagli, utilizzando quanto più si può le fratture delle roccie onde economizzare gli esplodenti. Lo scavo a terrazze si arresta a circa 80"* sul livello del mare. X\ disotto sono praticati dei cantieri sotterranei che corrispondono ai livelli seguenti : Galleria Leonardo . . Quota sul mare 1® Livello 2® id 3® id Galleria di scolo ... Il servizio di questi cantieri vieu fatto a mezzo del pozzo Santa Barbara avente una macchina di estrazione della forza di 25 cavalli-vapore. Galleria di scolo. — Per asciugare questi cantieri fu per- forata recentemente (cominciata nel 1879 e finita nel 1880) una galleria di scolo chiamata Ludea. Essa parte dalla quota di 4,00"’ sul mare dalla spiaggia di Buggerru sotto i forni di calcinazione della Laveria di Malfidano, è lunga circa 1300"’ ed ha una pendenza media del 2 */« ° oo- Nello scavo di questa galleria furono impiegate le perforatrici Frau90is Dubois onde accelerarne il compimento e così liberare i cantieri dalle acque. Però quantunque giunta sotto i giacimenti calaminaii, questa galleria non ne scolava le acque, perchè essendo essa in direzione normale ai banchi calcarei, le acque non li traversavano a causa degli strati di schisti e argilla intercalati fra essi. Per dare sfogo alle acque si dovettero fare le opportune comu- nicazioni. Al cantiere di Caitas i lavori sono per massima parte sot- terranei. I livelli attualmente in escavazione sono i seguenti: 84"‘,48 75"’.79 57"’,79 34'".79 6"’.90 STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECO. 755 Galleria superiore Quota 390 Ribasso 345 Galleria S. Giovanni 325 Galleria Matilde ’ 248 Galleria N. 13 ^ 150 Quivi si hanno attualmente in escavazione delle bellissime lenti calaminari. TI lavoro di abbattimento si fa per tagli trasversali entro la lente e per riempimento. Con questo sistema si può estrarre total- mente la materia utile della lente. I vari livelli delle gallerie comunicano fra loro mediante poz- zetti forati entro le lenti calaminari, i quali servono a riconoscere la importanza della lente fra un livello e Taltro ed inoltre servono nella escavazione come pozzetti di aeraggio e di servizio per le ripiene. Dalla galleria di carreggio inferiore si penetra nella lente cala- minare presso al pozzetto delle ripiene e si prende nel giacimento un taglio trasversale alto 2"’, largo 2"’ e lungo quanto è lo spes- sore della lente. Mano a mano che si eseguisce il taglio si ricevono al piede del pozzetto i materiali di ripiena gettativi dalla galleria di car- reggio del livello superiore e si fa il riempimento del taglio. Fatto questo primo taglio, si continua a levare la lente cala- minare con altri tagli successivi e contigui e la si riempie com- pletamente. Scavato il primo taglio alto 2"* si sale sulle ripiene e si prende un nuovo taglio di 2™ e cosi di seguito. Mano a mano che ci si inalza con questi tagli di 2 in 2 metri al disopra della galleria di carreggio, si crea nelle ripiene un poz- zetto fatto in pietra a secco oppure con telai di legno contigui a seconda del materiale di cui si dispone, il quale pozzetto serve all' aereaggio, alla circolazione degli uomini ed alla discesa del minerale dal cantiere di abbattaggio alla galleria di carreggio. Dimodoché quando il lavoro di scavo di una lente trovasi ad un certo punto intermedio fra due livelli di carreggio, lo vediamo costituito nel modo seguente: II cantiere di abbattaggio è formato da tagli trasversali e successivi i quali sono sulle ripiene e vanno innalzandosi. C. OAI'ACCI 75fi Il pozzo delle ripiene viene dal livello superiore ed il poz- zetto 0 camino del minerale scende al livello inferiore. Ed avviene che ad ogni nuovo gradino il pozzo delle ripiene si scorcia dal piede di 2 metri mentre quello del minerale cresce di 2 metri. Questo metodo di coltivazione cosi pratico, sicuro, economico e che permette di estrarre tutta la materia utile, permette anche di aprire in un giacimento un gran numero di cantieri di abhat- taggio e quindi di raggiungere una produzione rilevante. Di più, la disposizione dei cantieri interni ed esterni è tale che gli uni possono esser riuniti agli altri in modo da utilizzare nei primi, come ripiene, gli sterili provenienti dai secondi, eviden- temente con notevole economia. Tale sistema di escavazione vedesi applicato su vasta scala a Gaitas. Ferrovie di servizio. — I minerali prodotti alle miniere, sia che scendano da Gaitas a mezzo di piani inclinati, sia che vengano innalzati dai cantieri inferiori di Malfidano. a mezzo del pozzo di Santa Barbara, si riuniscono tutti sul grande piazzale di Malhdano posto alla quota di HO"' sul mare. Quivi sono impiantate le ferrovie di servizio della miniera. Una completa rete ferroviaria si stende sui due fianchi della valle con binari aventi lo scartamento di 0"’,80. Un cavalcavia sulla strada di Flumini serve a mettere in comu- nicazione i binari del piazzale di Malhdano che trovasi sulla parte destra, con quelli detti di Buggerru che trovansi sul banco sinistro della valle. I trasporti si fanno con treni di vagoncini a cassa di ferro della capacità di di metro cubo, trainati da piccole locomotive a vapore. Queste ferrovie servono a trasportai’e i materiali ricchi ai forni di calcinazione, quelli misti alle laverie, e gli sterili alla grande discarica al mare, distante circa 1500’" dal piazzale. Dai forni di calcinazione partono poi altre ferrovie che tras- portano le Galamine calcinate ai magazzini esistenti sul molo di Buggerru. ove approdano le barche che li trasportano a Garloforte. Queste ferrovie di servizio hanno uno sviluppo totale di circa 7 chilometri. H STUDIO SULLE MIMERE DI MONTEPOM ECC. 757 11 numero di vagoni che vi è adibito è di 280, il loro peso morto è di 500 kg. e la portata di 1200 kg. 11 numero delle locomotive è di 3, del peso di 5 tonn. a carico. 11 movimento che si fa su di esse raggiunge la cifra di 600 tonn. al giorno. Miniera di Planu-Sartu. Senza entrare nella descrizione di questo giacimento e di questa miniera, ricorderemo che 1’ altipiano di Planu Sartu trovasi alla quota di 100 a 120 metri sul mare. 11 giacimento calaminare è stato esplorato con un pozzo pro- fondo 102“ e che arriva al livello del mare. 11 pozzo ha 6 piani 0 livelli. 11 giacimento si sviluppa sopra una lunghezza in direzione di circa 500“. e sopra una larghezza di 40 a 50“. La sua direzione è N — 25,30 — E, la sua pendenza è 60'^ a ovest. Anche qui si hanno lenti calaminari intercalate fra i banchi calcarei. Esse sono molto regolari e costanti, tantoché hanno ri- cevuto il nome di filoni-strati. Lo spessore delle lenti è variabile : in generale oscilla da 1“,50 a 5“, in alcuni rigonfiamenti raggiunge 20“. Al livello del mare fu constatato in una lente lo spessore di 7“,60. Prodotti greggi delle Miniere. — Analisi. Da quanto abbiamo esposto risulta che i prodotti tali quali vengono dalle miniere sono i seguenti : a) calamina in roccia'ricca di P qualità; b) calamina in roccia di 2®' ; c) terre calaminari ricche ; d) calumine povere da lavare miste a calcare; e) minerali misti di zinco e piombo, da lavare; f) sterile da gettare. 75S C. CAPACCI I primi due, a & b, vanno ai forni di calcinazione onde scac- ciarne r acido carbonico e quindi aumentarne il tenore di zinco. I prodotti c, d, e formano il materiale che va alle laverie. La proporzione fra le terre e le roccie varia dal 22 al 40 “/o di quelle rispetto a queste. Per fare meglio conoscere la natura di questi materiali ripor- teremo qui le analisi pubblicate dal Sella e dalla Società di Mal- fidano. La pubblicazione di queste analisi non è certamente senza importanza, giacché lo studioso potrà in esse fare i raffronti sulla diversità dei minerali prodotti dalle stesse miniere a circa 10 anni di distanza. Minerale di Malfidano. Analisi eseguite alla Scuola di Applicasione degl' Ingegneri a Torino (1870). 1 CtUmint Minerile inUto riccà e pur* zinco piombifero. Carbonato ili zinco 95.1S.5 04.920 id. di piombo 0.172 3.571 Solfuro di zinco 0..508 1.404 id. di ])iombo tr. 18.197 Ossido ferrico 0.351 1.130 Carbonato di calce 0.723 .3.491 id. di magnesia ) Silice 1.518 3.973 Allumina 0.710 2.827 Acqua a 120 0..305 0.147 Perdite 0.255 0.280 Totali . . . 100.000 100.000 < t 3 #• ì { ! I ! STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONT ECO. 759 Analisi dei Minerali di Mal fidano fatte da Eaictefeille di Parigi (1870). Calamina carbonata cruda 1 I i ' Il III 1 IT Perdita per calcinaziore (CO- -j- H-0) . . . 30.00 28.10 30.50 31.00 Silice 10.00 12.20 5.00 7.00 Piombo 2.00 2.00 , 2.70 1.80 Ossido di ferro 1.60 6.00 4.10 3.50 Carbonato di calce 3.00 2.40 2.50 2.50 Zinco 42.40 39.20 44.00 43.20 Ossisfeno 10.60 9.80 11.00 10.80 Totali . .. . 99.60 99.70 99.80 99.80 Calamina piombifera cruda ' 1 1 I i II i i ■ III IV Perdita per calcinazione (CO^ + H^O) . . . 25.80 26..50 28.40 27.00 Silice 8.00 6.00 5.60 5.20 Piombo 15.00 17.00 Ossido di ferro 4.00 ' 3.00 2.20 2.60 Carbonato di calce 2.50 2.80 1.50 1.60 Zinco 36.40 ' 37.20 36.40 35.60 Ossigeno 9.10 9..30 9.10 8.90 Ossido di rame — 0.50 — — Totali . . . 98.80 j 98.70 98.30 97.90 .51 760 C. CAPACCI Aliatisi dei Minerali di Mal/ìdano fatte da Haute f etile di Parigi (1870). CaUmina silicata cruda Perdite per calcinazione (CO* -f* 1 12.00 12.00 ll.<*0 s-ilice 19.50; 19.50 20.50 20.00 Piombo 1-80 ! 2.00 2.0o , 2.80 Ossido di ferro 8-00 1 8 30 8.80 8.0o Carbonato di calce 1.50 2.00 2.00 1.00 45.60 1 44.80 43,60 45.60 Ossigeno.’ .’ H-IO H-20 10.90 11.40 Totali . . . 99-80 ' 99.80 99.80 99.8'i I Terre Calaminari erode 1 1 Il 1 1 ni IV Perdita per calcinazione (CO* + • • • 23.50 22.90 23.00 23.00 Silice 13.00 15.00 13.90 15.00 1.00 3.00 2.50 2.80 Ossido di ferro 9.30 6.80 7.20 7.00 1 3.60 2.80 5.00 39.20 38.00 39.60 37.60 9.80 9.50 9.90 9.40 Ossido di Manganese 1.00 1.00 1.00 — Totali . . . I 99.80 99.80 99.80 99.80 Analisi dei Minerali in Roccia delle Miniere di Malfidano {anno 1878). STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECC. 761 \ i Totali . . . 99.90 99.80 99.95 99.90 99.90 99.90 762 Q. CAPACCI Aaalisi delle Terre calaminari. (Anno 1878). Acido carbonico e Acqua Zinco metallo Ossigeno Piombo metallo Ossido di ferro-.\llumina-Manganese . Calce-Magnesia Cadmio-Rame .Silice Totali PluieddA Pluia-Sartu 20.00 29.35 40.00 40.GI 0.93 10.1 1 2 77 3.50 .7.00 S.65 Ó.OO 1.7.7 2.50 tr 15.00 5.95 100.20 1 99.95 Analisi delle Calamine di Plana- Sarta. (Scuola d’ Applicazione degli Ingegneri di Torino (Sella). 1 Calamina ! Calamina i della superficie in profondità i Carbonato di zinco 90.945 66,330 1.029 4,768 — 2.125 0,285 2.973 0..307 3.699 3.075 5.646 Id. di magnesia 1.118 3 284 Silice 1.225 6.492 0.790 4.789 0.928 2.377 0.928 0.642 Totale . . . 100.630 103.125 47.27 33.75 STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONT ECO. 763 I I mitierali misti zinco-piombiferi hanno la composizione l- media seguente : J Zinco 34,50 % I Piombo 20,50 i Argento 150 gr. per tonnel- ' lata di minerale. I Le calamine povere calcarifere ed argillose hanno un tenore ' in zinco del 16 % circa. i Laboratorio chimico. — Quivi si fanno tutti i saggi occor- renti per le miniere, per gli stabilimenti di preparazione meccanica dei minerali, pei forni di torrefazione, e per le consegne dei mine- I rali venduti alla Società della Aieille Montagne » del Belgio. I I saggi vengono fatti a scopo industriale coi più recenti procedi- menti, in alcuni dei quali il direttore del laboratorio, dott. Alfredo Lotti ('), ha introdotto notevoli miglioramenti. I Preparazione meccanica dei minerali. j La società possiede due grandi laverie, una moderna perfe- I zionata detta di Malfidano, l’ altra più antica detta di Buggerru, recentemente riordinata. Possiede poi varie batterie di forni di calcinazione per la ca- lamina in roccia, per le terre calaminari e per la calamina pro- veniente dalle laverie. Si è già detto che nel cantiere della miniera viene separata la calamina in roccia ricca : ogni altro materiale viene gettato su griglie inclinate formate da bandoni di ferro aventi fori di 30 mill. di diametro. Il materiale che passa, cioè quello inferiore a 30 mill., va direttamente alla laveria. Il materiale superiore a 30 mill. viene cernito a mano e produce tre qualità : a) Calamina in roccia ricca ; b) Materiali misti per la laveria; c) Sterile. (') Lotti Alfredo, Sul dosaggio dello solfo in 'presenza di sali di pio'mbo. Rassegna mineraria. Roma, agosto 1897. 764 <;. CAPACCI Laveria di Mal fidano. — Costruita nel 1888 sul progetto deU’ing. Luigi Sanna e messa in lavoro nel 1890 ('). Le ferrovie di servizio portano direttamente i materiali a questa laveria scaricandoli in un piazzale posto al disopra di essa e da dove si prendono le materie mediante pozzetti o fornelli che sboccano al livello dei primi apparecchi. In questo piazzale intermedio si hanno due discariche speciali, una per le roccie e 1 altra per le terre. Cosi pure la laveria è divisa in due sezioni distinte, una delle roccie e l’altra delle terre, giacché per le prime è necessario cominciare l' operazione con una triturazione, mentre per le se conde occorre dar principio con uno sfangamento a causa dell ai- gilla che contengono. Tanto per gli uni come per gli altri materiali il processo della classiticazione e conseguenziale arricchimento si fonda sul princi- pio della classificazione per volume e quantivalenza. ed arricchi- mento per densità. La classificazione per volume vien latta fino ad un certo limite (3 mill.'l mediante trommels a tela perforata. Applicando i principi stabiliti da Ferraris, dei quali si è parlato in occasione delle Laverie di .Monteponi, l’ ing. Sanna ha studiato attentamente e praticamente i principi cui ci si deve at- tenere per stabilire -caso per caso la scala dei fori delle varie se- zioni dei trommels. La progressione geometrica che deve regolare questa scala deve avere per ragione il rapporto D — 1 d—\ ove D e sono i pesi specifici dei due fi-a i componenti da sepa- rare che presentano fra loro il minimo scarto di densità. Quanto alle densità, è evidente che non si debbono prendere quelle dei minerali puri (Calamina, Galena, Calcare), giacché é im- possibile separare i vari elementi allo stato di purezza, ma occorre determinare con saggi preventivi pratici quale é il tenore massimo (1) Sanna Luigi, La preparazione meccanica e la calcinazione dei mi- nerali a Buggerru. Cagliari, Tip. Commerciale, 1895. I STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPOM ECO. 76-5 di metalli utili che si può sopportare nello sterile, al disotto del quale limite il lavoro non è più economicamente utile. Dall’altra parte si determina qual è il tenore minimo di me- tallo che si può accettare nel prodotto commerciale, giacché una concentrazione ulteriore produrrebbe, è vero, un prodotto commer- ciale più ricco, ma d’altra parte aumenterebbe considerevolmente il tenore degli sterili e quindi le perdite. Prendendo le densità dello sterile e prodotto commerciale così stabilite si ha colla formula suindicata la ragione della pro- gressione cercata. Con questi principi il Sanna è giunto a stabilire la impor- tante regola seguente che trascriviamo dalla sua Memoria : Quando si volesse stabilire la scala di perforazione delle tele « dei classificatori, conveniente ad una laveria destinata alla uti- lizzazione di uno o più dei componenti di un dato materiale - mineralizzato, si dovrebbe prima con opportuni esperimenti fis- 14 sare la ricchezza minima tollerabile nei prodotti da separare e « determinarne il peso specifico medio. Calcolare il valore della 14 formula ^ ^ prendendo per D e i valori corrispondenti ai - due prodotti da separare per i quali D e cJ è minimo ; e tenere 14 questo valore come lùnite minimo della ragione della progres- 14 sione geometrica che determina la scala di perforazione ». Pei grani fini (al disotto di 3 mill.) la classificazione per vo- lume non è più utile e si applica quella per equivalenza a mezzo degli idrovagli Ferraris già descritti. La separazione per densità avviene a mezzo dei crivelli con- tinui e filtranti dei quali i primi sono destinati ai grani più grossi (fino a 4 mill.) ed i secondi per quelli inferiori. Per la triturazione delle roccie si hanno i trituratori a ma- scelle, per i materiali più minuti i cilindri acciaccatori. Pei fini vi sono i cassoni a punta. La cernita viene applicata dopo la triturazione del grosso. La sezione delle terre si compone delle operazioni ed appa- recchi seguenti: a) cassa di spappolamento ; V) sfangatore seguito da una lamiera forata a buchi di 30 mill.; 76G C. CAPACCI c) due tavole di cernita fisse; d) un trommel a tre tele separatore; e) cinque tromraels a una tela classificatori ; f) tre crivelli a uno scompartimento; g) sei crivelli a due scompartimenti: h) i materiali inferiori a 8 mill. passano ad una serie di sei idrovagli che alimentano altrettanti crivelli a tre scompar- timenti. La sezione delle roceie comprende le seguenti operazioni ed apparecchi : a) frantoio a mascelle ; b) una coppia di cilindri trituratori ; c) un trommel a tre tele; d) cinque trommel a una tela; e) due crivelli ad un compartimento; f) cinque crivelli a due compartimenti; g) un crivello a tre compartimenti; h) i materiali di 2 mill. passano ad una serie di idrovagli che alimentano quattro crivelli a tre scompartimenti. I materiali misti di ripasso ottenuti come prodotti intermedi nei crivelli, passano a dei trattamenti speciali nelle cosiddette la- verie sussidiarie, che si compongono dei seguenti apparecchi: a) cilindri trituratori; b) trommels a due tele di 3 e ó mill. ; c) crivello ad un compartimento pei materiali >• 5 mill. ; d) due crivelli a due scompartimenti pei materiali >3 < 3 9 O 3 CO tS '5 s Media annuale totale Dal 1881 al 1890 .... Dal 1891 al 1895 .... 19000 16000 5800 6000 7000 8000 2000 18000 1500 400 35300 48400 Analisi dei prodotti oommeroiali. Siccome fortunatamente si posseggono delle analisi di calamine calcinate fatte a tre epoche diverse, e distanti fra loro, cioè nel 1870, 1878 e 1895, ho preferito riportarle integralmente perchè sarà inte- ressante vedere la composizione dei minerali venduti da Malfidano a queste tre epoche e le differenze di composizione che esistono fra loro. Quanto al tenore in zinco si vede subito come sia andato gradatamente diminuendo; difatti abbiamo Anni Tenore in zinco - % 1870 58,40 1878 54,40 1895 45,20 Ciò proviene principalmente dal fatto che nei primi anni si spedi- vano soltanto le calamine ricche, ed i giacimenti alla superficie davano prodotti migliori. Coir andar del tempo i giacimenti sono diventati più poveri in profondità ed i minerali son diventati più misti, il che spiega il gi'aduale impoverimento del prodotto finale. Quanto poi al piombo si vede come dal 70 al 78 la propor- zione sia andata raddoppiando a causa della imperfezione di mezzi di preparazione dei minerali, mentre non appena è stata impian- tata a Malfidano una laveria moderna perfezionata, il tenore in C. CAI’AC.I 778 piombo del minerale di zinco è considerevolmente diminuito nono- stante che sia aumentata la proporzione dei minerali misti, ricchi di piombo. Analisi della calamina calcinata. — Haute feuille di (187u|. — I U ' HI j IV Penlita per calcinazione 4.40 4.00 4.30 :;.5o Silice 12.50 11.00 10.00 12 /. tl Re dì Sardegna. Torino, 1835. Bassani F., Contributo alla paleontologia della Sardegna. Ittioliti miocenici. Mem. (1. Acc. d. Se. di Napoli. Napoli, 1891. Bandi di Vesme C., Codice diplomatico di Villa Chiesa m Sardegna, fo- rino, Stamperia Beale, 1877. Parte I. Notizie storiche su Villa Chiesa. r II. Della industria delle Argentiere nel territorio di Villa di Chiesa (IglesiasJ in Sardegna, nei primi tempi della dominazione aragonese. n III. Breve di Villa di Chiesa di Sigerro approvato con carta deh rinfante Don Alfonso d'Aragona degli 8 triugno 15‘2<. Id., Dell' industria delle Miniere nel territorio di Villa di Chiesa in Sar- degna nei primi tempi della dominazione aragonese. Torino, Stamp. Beale, 1870. Beaumont (Elie de) J. 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Oioi/amii 325'DdI 0‘a//eria- /fe/ìr/etie Ga//eria jHa/ile/c 248 Malfidan o (la/lerìo N^?/3 1 5o — Cr£f//ePia c/e//^'omòo , II?. Oa/leria scolo < ■ Spiegazione dei segni c m Calcare mefalli^epo cd Dolornite, cal Masse calaniiaari SEZIONE ORIZZONTALE cm SEZIONE ORIZZONTALE SEZIONE ORIZZONTALE alla quota di SItlper Malfidano alla quota d! 2011 per Caitas. iSexione jfeo/oj/ca ^ra Pfanu Sarta e iMfa^icfano Scafa fft / a STUDIO SULLE MINIERE DI MONTEPONI ECO- 795 Thyndall, The island of Sardinia. 3 voi. London, 1849. Vargas Bedemar (De), Note sur les rnines de Sardaigne. Journ. d. Phys. etc., voi. LXYII. Paris, 1808. Journ. of Nat. Phil. etc., voi. XXVII. London, 1810. Yirlet d’Aoust, Les filons et leur ròte dans le métamor'phisme. Bull, de la Soc. Géol. de France. Paris. Zoccheddu, Catalogo delle principali roccie e dei minerali della Sardegna esistenti nella Collezione del Museo della R. Università di Cagliari. 1878. Zoppi G., Descrizione geologico-mineraria dell' Iglesiente. 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Ufficio di Presidenza pel 1896 • ^^8 Elenco dei Presidenti succedutisi annualmente dalla fondazione della Società in poi " Elenco dei Soci perpetui " Elenco dei Soci pel 1896 ” Elenco delle Accademie, Società, Istituti, Biblioteche, ecc. che ri- cevono il Bollettino in cambio o in omaggio ” Resoconto dell’ adunanza generale invernale della Società Geolo- gica Italiana, tenuta in Roma il 16 febbraio 1896. Nuovi soci ” Pubblicazioni giunte in dono ” Deliberazioni del Consiglio ’’ Bilancio preventivo dell’anno 1896 ” Lapide alla memoria di Francesco Molon ” Memorie e note presentate per la stampa nel Bollettino . ” Comunicazioni scientifiche. Franchi S. — Prasiniti ed anfiholiti sodiche prove- nienti dalla metamorfosi di roccie diabasiche presso Begli, alle isole Giglio e Gorgona ed al Capo Ar- gentario ” Cerulli Irelli S. — Molluschi fossili del Pliocene nella provincia di Teramo ” Meli R. — Presentazione di un atlante di Elephas, e di denti di R bino cero s Merchi rinvenuti presso Roma ” Clerici E. — Alcune notizie di geologia romana . . " Meli R. — Sulla esistenza di strati di torba affioranti entro mare, lungo la spiaggia di Foglino presso Nettuno nella provincia di Roma ” Virgilio F. — Sulla origine della collina di Torino ... " Sabatini V. — Sull'origine del felspato nelle leucititi laziali » III IV ivi V XII 1 2 3 5 6 7 8 9 11 12 15 36 70 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XV 797 Meli E. — Molluschi fossili recentemente estratti dal giaci- mento classico del Monte Mario presso Roma Pag. 74 Chelussi I. — Contribuzioni petrografiche ” 85 Greco B. — Il lias superiore nel circondario di Rossano Ca- labro (Tav. Ij ” 92 Fascicolo II (settembre 1896). Fucini A. — Faunula del Lias medio di Spezia (Tav. II, III). Pag. 123 Chelussi I. — Le roccie del vallone di Valnonteg in Val di Cogne ” 185 Franchi S. — Prasiniti ed Anfiboliti sodiche provenienti dalla metamorfosi di roccie diabasiche presso Pegli, nelle isole Giglio e Gorgona ed al Capo Argentario ” 169 SiMONELLi V. — Sopra due nuovi Pteropodi delle argille di Sivizzano nel Parmense ^ 182 ViNASSA DR Eegny P. E. — / molluschi delle Glauconie bel- lunesi (Tav. IV, V) n 192 Zaccagna D. — La carta geologica delle Alpi Apuane ed i terreni che le costituiscono » 214 Olivero e. — Impronta dell'epoca glaciale allo sbocco di Valle Dora Riparia (Tav. VI, VII) n 253 Levi G. — Sui fossili degli strati a T er ebr atula Aspasia di M. Calvi presso Carnpiglia (Tav. Vili) d 262 Bonarelli G. — Nuovi affioramenti aleniani dell' Appennino centrale » 277 Fascicolo III (dicembre 1896). Meli E. — Alcune notizie di geologia riguardanti la provincia di Roma Pag. 281 Meli E. — Pirite e Pirrotina riscontrati come minerali ac- cessori nel granito tormalinifero dell' isola del Giglio . . » 287 Meli E. — Notizie sopra alcuni resti di mammiferi [ossa e denti isolati) quaternari, rinvenuti nei dintorni di Roma » 291 Taramelli T. — Alcune osservazioni stratigrafiche nei din- torni di Polcenigo in Friuli » 297 Clerici E. — La nave di Caligola affondata nel lago di Nemi e la geologia del suolo romano . ... » 302 Cortese E. — Sulla geologia della Calabria settentrionale . » 310 Levi G. — Gasteropodi giurassici dei dintorni di Aquila (Tav. IX) n 314 Simonelli V. — Appunti sopra la fauna e V età dei terreni di Vigoleno {prov. di Piacenza) » 325 Botto-Micca L. — Contribuzioni allo studio degli Echinidi terziari del Piemonte (famiglia Spatangidi) (Tav. X) . . . « 341 INDICE DELLE MATERIE 798 Di Stefano G. — Per la geologia della Calabria settentrionale Pag. Sabatini V. — Sulla geologia dell'isola di Ponza ('). ... ” Bonarelli G. — Osservazioni geologiche sui monti del Furio presso Fossombrone {prov. di Pesaro- Urbino) " De Angelis d’Ossat G. — Appunti preliminari sulla geologia della valle dell' Aniene ” Clerici E. — Sui dintorni di S. Faustino nell' Umbria ... ” Resoconto dell’adunanza generale estiva della Società (Jeologica Italiana, tenuta in Roma il 25 ottobre 1896 " Discorso del ]>residente De Stefani " Nomina di nuovi soci " Pubblicazioni giunte in dono alla Società ” Resoconto dell’amministrazione del legato Molon ... " Bilancio consuntivo del 1895 • . . . . ” Situazione patrimoniale al 1° gennaio 1896 ” Operato della Commissione del bilancio ” Bandita del quarto concorso al Premio Molon .... ” Sul regolamento per il Premio Molon ” Elezione del Vioepresidente, del Segretario e di quattro Consiglieri ” Jlemorie, Note e Carte geologiche presentate per la stampa nel Bollettino " Meli R. — Presentazione di molare di Rhinoceros Merchi " Meli R. — Dell'esistenza dell'opale nobile nelle roccie tra- chitiche della Tolfa ” Resoconto sommario dell’escursione fatta il 26 ottobre 1896 nei dintorni di Manziana ” 375 364 315 423 426 430 430 439 440 442 448 450 452 453 453 454 455 4.56 456 458 Fascicolo IV (agosto 1897). Resoconto dell’adunanza straordinaria, tenuta dalla Società Geolo- gica Italiana in Sardegna nell’aprile 1896 Seduta inaugurale del giorno 8 aprile in Cagliari . . . Lettera del Ministro della Pubblica Istruzione . . . Lettera del Ministro di Agricoltura, Industria e Com- mercio Pag. 463 n 463 n 463 n 464 (1) errata-corrige. Pag. 400 riga 16 : sulle quali . . . leggi » 407 J) 2 : di trachite . - . n « 407 n 24: colore .... n n 409 n 24 : pare privo di resti fossili .... 7} n 409 n 36 : a questa forma- zione n « 412 T) 1 6 : e il suolo . . • n sulla quale di sola trachite calore è privo di resti fossili marini al tufo stratificato e il suolo, nel solo punto ora visibile. CONTENUTE NEL VOLUME XV 799 Discorso del prof. Fenoglio rettore della E. Università di Cagliari Discorso del comm. B.^.cc.\REDD.v sindaco di Cagliari Discorso del presidente De Stefani Seduta privata della Società Taramelli T. — Descrizione sommaria delle principali raccolte del Museo di Mineralogìa e particolarmente di quello di Geologia, della R. Università di Cagliari D’Achiardi G. — Museo di Mineralogia della R. Uni- versità di Cagliari Seduta pomeridiana del di 8 aprile Stella A. — Sulla idrografia sotterranea della pianura del Po Clerici E. — Rinvenimento di Diatomee nei dintorni di Montalto Escursione a Xurri — 9 e 10 aprile 1896 Corsi A. — Cenno sui minerali del Basalte di Nurri Escursione ad Iglesias — 11 aprile 1896 Di Stefano G. — Notizie sulla scuola mineraria d' Iglesias D’Achiardi G. — Cenni sul Museo mineralogico d' Igle- sias Adunanza nella sala della Scuola mineraria Escursione a Gonnesa, a Baccu-Abis ed a Porto Vesme — 12 aprile 1896 Sabatini V. — Sulle roccie vulcaniche di alcune loca- lità sarde Adunanza a Porto Vesme Distinta delle contribuzioni dei soci per pubblicazioni spe- ciali sulla Sardegna (‘) Tommasi a. — Nuovi fossili triassici di Sardegna (tavola XI) Kistori G. — Crostacei neogenici di Sardegna e di alcune altre località italiane (tavola XII) D’Achiardi G. — Le Andesiti augitico-oliviniche di Torralba Sardegna (tavola XIII, XIV) Eiva C. — Studio petrografico sopra alcune rocce granitiche e metamorfiche dei dintorni di Nuoro e della valle del Tirso in Sardegna Lotti G. — Osservazioni geologiche e minerarie sui dintorni di Villacidro in Sardegna Corsi A. — Brevi notizie e relazione di una gita alle miniere argentifere del Sarrabus De Angelis d’ Ossat G. — Breve relazione di una escursione a monte S. Pietro [Iglesiente) De Angelis d’ Ossat G. e Neviani A. — Corallari e Briozoi neogenici di Sardegna Pag. 464 n " 465 » 465 » 467 .. 468 n 471 n 474 668 » 668 r, 669 n 670 CONTENUTE NEL VOLUME XV Gap. rv. — Cantiere di Calamine a Congiaus Pag. Preparazione meccanica dei minerali .... ” Laveria delle Calamine » Preparazione magnetica n Laveria Vittorio ” Laveria Mameli » Calcinazione delle Calamine » Forni a tino ” Forni rotativi Oxland » Forno gemello Ferraris ...... >» Fonderia di piombo e argento » Statistica della produzione « Analisi dei minerali ” Vendita dei minerali « Ferrovia Monteponi-Portovesme ” Piano inclinato sussidiario della ferrovia ... n Portocanale Vesme >» Operai n Istituzioni e Stabilimenti a favore degli operai . ” Palazzo di Bellavista n Miniere di Lignite n Cap. V. — Miniere di Montevecchio n Cenno storico n Cenno geologico n Fascio di filoni » Lavori di impianto delle Miniere n Miniera Piccalina n Miniera Montevecchio » Miniera Sa Telia » Miniera Casargiu » Preparazione meccanica dei minerali .... » Laveria Principe Tommaso » Acqua per gli opifici n Forza motrice » Statistica della produzione n Analisi dei minerali » Impianti esterni n Palazzo di Gennaserapis » Impianti ed Istituzioni a favore degli operai . . » Serbatoio di acqua potabile » Strade rotabili — telegrafo — telefono ... » Operai ■ » Cap. VI. — Miniere di Malfidano » Cenno storico n Cenno geologico a 801 672 673 673 677 679 679 682 682 683 683 684 689 690 694 697 698 699 700 701 703 705 708 709 713 716 719 720 722 725 726 730 730 731 732 732 735 736 736 738 739 740 741 742 742 746 802 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XV Cap. vi. — Miniera di Malfidano Genesi del giacimento Lavori della miniera Galleria di scolo Ferrovie di servizio Miniera di Planu Sarta Prodotti greggi delle Miniere Preparazione meccanica dei minerali Laveria di Malfidano Laveria di Buggerra Calcinazione delle Calamine Forni a tino Forni Oiland Forni a riverbero Parallelo fra i forni da calcinare le calamine . Statistica della produzione Analisi dei prodotti commerciali Imbarco e spedizione delle calamine Vendita delle calamine Operai e Istituzioni a loro favore Paese di Bnggerru Bibliografia geologica, paleontologica, mineralogica e mineraria Indice delle tavole Pag. n n •> ?» n ?» n T» n •» n n T» •» 7f n •> 747 750 754 754 756 757 757 763 764 767 768 769 770 771 772 776 777 779 780 781 782 783 795 AVVERTENZE Per far parte della Società occorre esser presentato da due soci in una Adu- nanza ordinaria, e pagare una tassa d’entrata di L. 5 , e una tassa annua di L. 15. La tassa annua può essere sostituita daP pagamento di L. 200 per una sola volta. Ogni socio all’atto dell’ammissione si obbliga di restare nella Società per tre anni, ab cessare dei quali l’impegno s’ intende rinnovato di anno in anno, se non venga denunziato tre mesi prima della scadenza. La tassa sociale annua di L. 15 deve essere pagata entro i due primi mesi dell’ anno. I soci hanno diritto al Bollettino che si stampa in fascicoli trimestrali. Nel Bollettino si pubblicano le memorie presentate nelle Adunanze, insieme àll’ elenco dei soci, ai bilanci, ai resoconti delle Adunanze generali e delle escursioni. Le memorie che non. vengono presentate in Adunanza' generale saranno in- viate alla Presidenza, e per essa al Segretario : col visto del Presidente saranno trasmesse alla stampa secondo l’ordine di presentazione. Fino a nuova disposizione non si accettano le memorie che per estensione su- perino approssimativamente quattro fogli di stampa e quelle che fossero lavori di compilazione. Le note e e municazioni da inserirsi nei resoconti delle adunanze non devono superare due pagine. I manoscritti dovranno consistere in fogli dello stesso formato, scritti da una sola parte, in caratteri intelligibili, senza di che la Presidenza potrà respingerli. I lavori scompleti, sia nel manoscritto, sia nelle tavole, non possono essere presi in considerazione per la stampa. Una Memoria già presentata alla Società, e ritirata per modificarli o completarla, qualora non sia rinviata alla Segreteria entro 15 giorni, perde il suo turno per la stampa. Gli autori che domandano un sussidio per l 'esecuzione di carte geologiche, tavole 0 illustrazioni annesse alle loro memorie devono presentare un preventivo della spesa totale sul quale la Presidenza determinerà caso per caso, secondo il bilancio sociale, se debba concedersi il concorso e in quale proporzione. La somma accordata sarà comunicata all’ autore, ed ogni spesa maggiore dovrà essere esclusi- vamente a carico di questo. Le prove delle tavole (anche di quelle che gli autori fanno eseguire a proprie spese) debbono essere sottoposte al visto della Presidenza prima della tiratura. Di ciascuna memoria il Segretario spèdirà albautorc, per la correzione, una prova in colonna, che dovrà essergli restituita al più tardi entro 15 giorni, e una in pagina, da restituirsi entro 8 giorni. Se le prove non_saranno restituite nel termine prescritto, il Segretario s’in- oaricherà d’ufficio della materiale correzione degli errori tipografici senza assumere alcuna responsabilità. Il Segretario prima di deliberare la stampa delle niemorie si assicurerà che le correzioni indicate dagli autori siano state eseguite. Le spese straordinarie cagionate da correzioni maggiori del consueto, da cam- biamenti 0 rifusione di paragrafi, come pure la starnpa di tavole sinottiche di formato maggiore del testo saranno addebitate agli autori, ed essi saranno in obbligo di pagarle all’ Economo non appena ne abbiano ricevuto il relativo conto col visto del Presidente. Agli autori si danno 50 copie degli estratti. Se l’autore intende far tirare estratti per conto proprio, , deve indicare per iscritto sulla prima prova corretta della, sua memoria il numero degli esemplari che ne desidera. Il prezzo di 50 in 50 copie, con copertina stampata ecc. sarà di L. 4 ogni foglio di pag. 16, e di L. 2 per ogni mezzo foglio o frazione di mezzo foglio. L’importo di questi estratti sarà indicato dal Segretario sulle bozze impagir nate, che l’autore pagherà all’Economo, prima che gli sieno spediti. A qualunque socio, il quale col 1“ aprile- deU’anno corrente si trovi ancora in arretrato pel pagamento della tassa sociale dovuta per Panno precedente, sarà, pre- avviso del Segretario, sospeso l’invio delle pubblicazioni della Società, , La presentazione delle memorie e la stampa delle medesime non avrà corso se l’autore non avrà pagato la tassa deU’anno in corso o soddisfatto ogni altro impegno verso la Società. Per il pagamento della tassa d’entrata, della tassa annua e per l’acquisto dei volumi del Bollettino dirigere lettere e. vaglia aU’Economo cav. ing. Augusto Statuti, Via NaMOnale 114 (palazzo Capranica-Del Grillo). Éomà. BOLLETTINO DELLA. SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Volumi finora pubblicati. Voi. 1 (1882) 260 pag. 4 tavole. fi II (1883) 314 fi 6 f» III (1884) 188 fi una tavola. fi IV (188.5) 528 19 tavole e 3 carte geologiche a colori. « V (1886) 516 n 11 fi VI (1887) 570 IS - e ima carta geologica a colori f! VII (1888) 430 14 , , , f» vili (1889) 600 n 3 - ’ • H IX (1890) 826 fi 25 • - • » fi X (1891) 1023 « 21 e 2 carte geologiche a colori. fi XI (1892) 702 11 » XII (1893) 892 f» 7 ' II XIII (1894) 317 5 " fi XIV (1895) 324 fi 7 ■ fi XV (1896) 802 n 17 * Per l’acquisto dirigere lettere e vaglia all’ Eco uomo cav. ing. Ai'gvsto Statuti^ Via Nazionale lìAfpalasso Capranica- Del Grillo). Roma. Finito di stampare il 30 novembre 1897. Si pregano i soci» che non lo avessero fatto tuttora, di porsi al cor- g rente col pagamento delle quote. K Bollettino ddU^Socktà Geolosica Italiana in fascicoli trimestrali. ^ Ji Presidente responsaì-ile Paste Past.^neeli. l*'