Anno XYI. Fascicolo 1° (1° e 2° trimestre 1897) BOLLETTINO » DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. XVI. — 1897. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1897 Fra poco verrà pnbblicato il 4° fase., XV voi. con l’ indice dell’annata. BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Volumi finora pubblicati. Voi. 1 (1882) - 260 Pag . e 4 tavole. II (1883) 314 T * 6 tavole. * III (1884) 188 71 » una tavola. ?» IV (1885) 528 ri 19 tavole e 3 carte geologiche a colori. ?» V (.1886) 516 71 11 tavole. 71 VI (1887) 570 71 18 tavole e una carta geologica a colori. 7 1 VII (1888) 430 77 ' 14 « 71 71 77 77 71 Vili (1889) 600 71 3 » 77 71 71 71 7t IX (1890) 826 71 25 » 71 77 71 71 71 X (1891) 1023 71 21 » e 2 carte geologiche a colori. 71 XI (1892) 702 71 11 tavole. - 71 XII (1893) 892 71 7 « 71 XIII (1894) 317 r 5 * 71 XIV (1895) 324 ?» 7 « 71 XV (1896). Pubblicati tre fascicoli (pag. 462 e 10 tavole). I volumi I, II e III si vendono al prezzo di L. 15 ciascuno, tutti gli altri a L. 20. Si accorda un ribasso a chi richieda parecchi volumi. Ai librai si accorda uno sconto da convenirsi. Ai soli soci che desiderano ciynpletare la collezione sono accordati i volumi arretrati al prezzo di L. 8 l’uno indistintamente. Per l’acquisto dirigere lettere e vaglia all’ Economo cav. ing. Augusto f Statuti, via dell' Anima 17, Roma. BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. XVI. — 1897. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1897 SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA MENTE ET MALLEO fondata in Bologna il 29 settembre 1881. Ufficio di Presidenza per Tanno 1897. Presidente .... Vice-Presidente. Segretario . . . . Vice-Segretari . Tesoriere Economo Archivista . . . . Consiglieri. . . . Commissione per le pubblica- zioni Commissione del bilancio . . . Dante Pantanelli (Modena). Francesco Bassani (Napoli). Antonio Neviani (Roma). 1897-99. ( Mario Baratta (Roma). 1896-97. ( Isacco Namias (Modena). 1897-98. Tommaso Tittoni (Roma). Augusto Statuti (Roma). Romolo Meli (Roma). I Luigi Baldacci (Roma) . . . Mario Canavari (Pisa) . . . Lucio Mazzuoli (Roma) . . . Federico Sacco (Torino) . . Pietro Toso (Firenze) .... Mario Cermenati (Roma). . Vittorio Novarese (Roma). Giuseppe Bellucci (Perugia) Claudio Sormani (Roma) . . Enrico Clerici (Roma) . . . I II Presidente l II Segretario j II Tesoriere y L’Archivista J Antonio D’Achiardi (Pisa). I Giovanni Di Stefano (Roma). \ Torquato Taramelli (Pavia). ! Romolo Ragnini (Roma). Giovanni Struever (Roma). Pietro Zezi (Roma). ( prò tempore) 1895-97. 1896-98. 1897-99. Sede della Società: Roma, Via S. Susanna, 1 A, presso il R. Ufficio geologico. IV ELENCO DEI PRESIDENTI. — SOCI PERPETUI Elenco dei Presidenti succedutisi annualmente dalla fondazione della Società in poi. 1881-82. Giuseppe Meneghini 1883. Giovanni Capellini 1884. Antonio Stoppani 1885. Achille De Zigno 1886. Giovanni Capellini 1887. Igino Cocchi 1888. Giuseppe Scarabelli 1889. Giovanni Capellini 1890. Torquato Taramelli 1891. Gaetano Giorgio Gemmeli.aro 1892. Giovanni Omboni 1893. Arturo Issel 1894. Giovanni Capellini 1895. Igino Cocchi. 1896. Carlo De Stefani Elenco dei Soci per ranno 1897. Soci perpetui. 4. Quintino Sella (morto a Biella il 44 marzo 4884). Fu uno dei tre fondatori della Società, e venne, per il primo, annoverato tra i soci perpetui per deliberazione unanime nell’Adunanza generale tenutasi dalla Società il 44 settembre 4885 in Arezzo. 2. Francesco Molon (morto a Vicenza il 4 marzo 4885). Fu consigliere della Società, alla quale legava con suo testa- mento la somma di Lire 25,000; venne iscritto fra i soci per- petui per deliberazione unanime nell’Adunanza generale del 44 settembre 4885 in Arezzo. 5. Giuseppe Meneghini (morto a Pisa il 29 gennaio 4889). Per i suoi insigni meriti scientifici venne acclamato socio perpetuo nell’Adunanza generale di Savona il 45 settembre 4887. 4. Giovanni Capellini , senatore del Regno. È uno dei tre fonda- tori della Società, e venne iscritto tra i soci perpetui per deliberazione unanime nella Adunanza generale tenutasi in Taormina il 2 ottobre 4891. 5. Felice Giordano (morto a Vallombrosa il 46 luglio 4892). Fu uno dei tre fondatori della Società e venne iscritto tra i soci perpetui per deliberazione unanime nell’Adunanza generale tenutasi a Taormina il 2 ottobre 1894. ELENCO DEI SOCI V -1884 Q 4884. 4884. 4884. 4884. 4890. 4894. 4884. 4884. 4884. 4884. 4884. 4882. 4882. 4886. 4882. 4894. 4894. 4892. 4886. 4896. 4884. Soci a vita. ). Bargagli cav. Piero. Via de’ Bardi, palazzo Tempi. Firenze. Bombicci prof. comm. Luigi. R. Università. Bologna. Bumiller ing. comm. Ermanno. Via Lorenzo il Ma- gnifico 42. Firenze. Cocchi prof. comm. Igino. Via de’ Pinti 54. Firenze. Delaire ing. cav. Alexis. Boulevard St. Germain 435. Parigi. Deir Oro comm. Luigi (di Giosuè ). Via Silvio Pellico 42. Milano. Ferraris ing. comm. Erminio , Dirett. miniera di Mon- teponi. Iglesias. Hughes prof. cav. Thomas Mac Kenny. Università. Cambridge (Inghilterra). Levai ing. David. Rue de Printemps 9. Paris. 40 Mattirolo ing. Ettore. R. Ufficio geologico. Roma. Mayer Eymar prof. Carlo. Scuola politecnica. Zurigo. Niccoli ing. comm. Enrico. 14. Corpo delle Miniere. Bologna. Paulucci marchesa Marianna. Villa Novoli. Firenze. Silvani dott. Enrico. Via Garibaldi 4. Bologna. Stephanescu prof. Gregorio. Università. Bukarest (Ru- mania). 46 Turche ing. John. Ufficio dell’Acquedotto. Bologna. Soci ordinari. Aichino ing. Giovanni. R. Ufficio geologico. Roma. Ambrosioni dott. Michelangelo. Chignolo d’isola. (Ber- gamo). Angelelli ing. Ettore. Via Madonna de’ Monti 7. Roma. Antonelli dott. don Giuseppe. S. Pantaleo 3. Roma. Arcangeli prof. Giovanni. R. orto botanico. Pisa. Baldacci ing. cav. Luigi. R. Ufficio geologico. Roma. (9 Primo anno di associazione. VI ELENCO DEI SOCI 1890. Baratta dott. Mario. Via Coppelle. Roma. 1882. Bargellini prof. Mariano. (Tinaia) Empoli. 1881. Bassani prof. cav. Francesco. R. Università. Napoli. 1883. 10 Bellucci prof. comm. Giuseppe. Università. Perugia. 1885. Berti dott. Giovanni. Via S. Stefano 43. Bologna. 1897. Bettoni Andrea. Via S. Afra. Brescia. 1885. Biagi dott. Giuseppe. R. Scuola Tecnica. Spezia. 1896. Bianchi avv. Giovanili Battista. Lungarno Regio 7. Pisa. 1896. Bogino dott. Francesco. Villafranca (Piemonte). 1892. Bonarelli dott. Guido. Gubbio (Umbria). 1885. Bonetti prof. Filippo. Via Ludovisi 36. Roma. 1885. Borgnini ing. comm. Secondo. Direzione generale fer- rovie della Rete Adriatica. Firenze. 1897. Bortolotti prof. Emma. Via Manin 58. Roma. 1896. 20 Bosco can. dott. Camillo. Tribunale Militare Firenze. 1882. Botti avv. cav. Ulderigo. Reggio di Calabria. 1893. Botto Micca dott. Luigi. R. Scuola Tecnica. Ventimiglia. 1885. Brugnatelli dott. Luigi. R. Università (Museo minera- logico). Pavia. 1884. Bruno prof. Carlo. R. Istituto tecnico. Mondovì. 1888. Bruno dott. Luigi , Geometra. Ivrea. 1891. Bucca prof. Lorenzo. R. Università. Catania. 1889. Cacciamali prof. Giovanni Battista. R. Liceo. Brescia. 1897. Caetani (dei Principi) don Gelasio. Palazzo Caetani. Via Botteghe oscure. Roma. 1883. Cufici barone Ippolito. Vizzini (Catania). 1883. 50 Canavari prof. Mario. R. Museo geologico. Pisa. 1881. Capacci ing. cav. Celso. Via Vaifonda 7. Firenze. 1892. Cappa ing. Umberto. R. Corpo Miniere. Nebida (Iglesias). 1892. Carapezza ing. Enterico. R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri. Palermo. 1883. Cardinali prof. Federico. R. Istituto tecnico. Macerata. 1896. Carmignani Giovanni, allievo ingegnere. Pisa. 1896. Carniccio prof. Antonio. R. Università. Roma. 1883. Castelli dott. cav. Federico. Villa S. Michele. Via Roma. Porta maremmana. Livorno. 1896. Castoldi ing. comm. Alberto. Deputato al Parlamento. Direttore Miniere Montevecchio. Guspini (Sardegna). 1882. Cattaneo ing. cav. Roberto. Via Ospedale 50. Torino. 1890. 40 Cermenati dott. Mario. Via di Pacione 57. Roma. 1895. Cerulli Irelli dott. Serafino. Teramo. ELENCO DEI SOCI VII 1896. 1887. 1895. 1882. 1882. 1886. 1883. 1886. 1895. 1895. 1881. 1890. 1895. 1882. 1895. 1885. 1896. 1894. 1883. 1893. 1891. 1893. 1881. 1895. 1883. 1886. 1881. 1886. 1892. C ettolini prof, ca x. Scinte. R. Scuola d’enologia. Cagliari. Charlon ing. E. Rue Pierre Duprèt 25. Marsiglia. Chetassi prot. Italo. R. Scuola Normale. Lacedouia (Avellino). Chigi Zondadari march. Bonaventura. Senatore del Regno. Siena. Ciò falò prof. Saverio. Termini Imerese (Palermo). Clerici ing. prof. Enrico. Via Boccaccio 21. Roma. Cocconi prof. comm. Girolamo. R. Università. Bo- logna. Colalè ing. Michele. Scuola mineraria. Agordo. 50 Conedera ing. Raimondo. Massa Marittima (Grosseto). Corsi ing. Arnaldo. Via Vaifonda 34. Firenze. Cortese ing. Emilio. Casteani (Gavorrano). Corti dott. Benedetto. Seminario. Pavia. Crema ing. Camillo. Via Baretti 3. Torino. D’A chi ardi prof. cav. Antonio. R. Università. Pisa. D’Achiardi dott. Giovanni. R. Museo Mineralogico. Pisa. D’Ancona prof. cav. Cesare. R. Istituto superiore (Museo geologico). Firenze. D'Ancona Giuseppe. Lungarno Galileo 12. Pisa. De Agostini dott. Giovanni. Via S. Zenobi 51. Firenze. 60 De Amicis prof. Giovanni Augusto. Via Sacchi 38. Torino. De Alessandri dott. Giulio. Museo civico. Milano. De Angelis D ’ Ossat. dott. Gioacchino. R. Università. Roma. Deecke prof. Wilhelm. Università. Greifswald (Prussia). De Ferrari ing. Paolo Emilio. Contrada S. Marco 667, Palazzo Roi. Vicenza. De Franchis dott. Filippo. Galatina (Lecce). De Gregorio Brunaccini dott, march. Antonio. Molo. Palermo. Del Bene ing. Luigi. Miniera di Morgnano e S. Croce. Spoleto. Delgado cav. Joaquim Philippe Neri/. Rua do Arco a Jesus. Lisbona. Dell’ Erba ing. prof. Luigi. Via Trinità maggiore 6. Na- poli. 70 De Lorenzo dott. Giuseppe. Museo Geologico della R. Università. Napoli. Vili ELENCO DEI SOCI 1881. Del Prato dott. Alberto. R. Università. Parma. 1882. Demarchi ing. cav. Lamberto. Via Napoli 65. Roma. 1895. De Pian ing. Luigi. Laurium (Grecia). 1892. De Pretto dott. Olinto. Schio (Vicenza). 1881. De Rossi prof. comm. Michele Stefano. Piazza d’Ara- coeli 17. Roma. 1890. Dervieux sac. Ermanno. Piazza Gran Madre di Dio 14. Torino. 1881. De Stefani prof. Carlo. Piazza S. Marco 2. Firenze. 1881. Dewalque prof, uffic. Gustavo. Rue de laPaix!7. Liége. 1885. Di Rovasenda cav. Luigi. Sciolze (Torino). 1885. 80 Di Stefano dott. cav. Giovanni. R. Ufficio geologico. Roma. 1896. Dompè ing. Luigi. Via S. Felice 5. Bologna 1896. Fabani don Carlo. Valle di Morbeguo (Sondrio). 1893. • Fabrini dott. Emilio. R. Liceo. Chieti. 1896. Fedeli prof. Carlo R. Università. Pisa. 1894. Fino prof. Vincenzo. Via Arsenale 33. Torino. 1897. Flores prof. Edoardo. R. Scuola normale. Bari. 1888. Foldi prof. cav. Giuseppe. Corso Amedeo 6. Savona. 1881. Fornasini dott. cav. Carlo. Via delle Lame 24. Bologna. 1881. Forsjjth Major dott. Carlo. Firenze. 1892. 90 Franchi ing. Secondo. R. Ufficio geologico. Roma. 1890. Franco prof. Pasquale. Corso Vittorio Emanuele 397. Napoli. 1888. Frumento ing. Giuseppe. Via Genova 6. Savona. 1890. Fucini doti. Alberto. R. Museo geologico. Pisa. 1891. Galli prof. cav. D. Ignazio. Direttore dell’Osservatorio Fisico-Meteorologico. Velletri. 1890. Gavazzeni dott. sac. Bernardino. Celana Bergamasco (Bergamo). 1882. Gemmellaro prof. comm. Gaetano Giorgio. Senatore del Regno. R. Università. Palermo. 1895. Giacomelli dott. Pietro. Bergamo 1891. Gianotti dott. Giovanni. R. Scuola Normale. Venezia. 1896. Gioii Gino. Via Rondi nel li 10. Firenze. 1894. 100 Gioii dott. Giuseppe. S. Frediano a Settimo (Pisa). 1885. Gobboni dott. Omero. Città della Pieve 1887. Gozzi ing. Giustiniano. Cesena. 1892. Greco dott. Benedetto. R. Museo geologico. Pisa. 1885. Gualterio dott. march. Carlo. Bagnorea. ELENCO DEI SOCI IX 4886. -1896. 4892. 1881. 4881. 4890. 440 1885. 1889. 1884. 4894. 4882. 4896. 4884. 4896. 4895. 4882. 420 4895. 4886. 4894. 4891. 4896. 4892. 4884. 4881. 4889. 4885. 450 4890. 4895. 4882. 4895. 4895. 4895. 4889. 4887. Guati erio ing. march. Giambattista. Bagnorea. Incontri march. Gino. Via Giuseppe Giusti 20. Firenze. Inghilleri prof. Giuseppe. Corleone (Palermo). lssel prof. comm. Arturo. Via Gropallo 5. Genova. Jervis prof. cav. Guglielmo. Museo industriale. Torino. Johnston-Lavis dott. Henry. Beaulieu (Alpes Mariti- mes) Francia. Lais prof. Giuseppe. Via del Corallo 42. Roma. Lanino ing. comm. Giuseppe. Via d’Azeglio 58. Bologna. Lattes ing. comm. Oreste. Via Nazionale 96. Roma. Lavalle ing. prof. Giuseppe. R. Università. Messina. Levi bar. Adolfo Scander. Piazza d’Azeglio 7. Firenze. Levi Gustavo. Via Ginori 54. Firenze. IjOtti ing. Bernardino. R. Ufficio geologico. Roma. Lupi don Alessandro. Via dell’Anima 50. Roma. Ijuzj dott. Gian Francesco. Museo di Anatomia com- parata. R. Università. Roma. Malagoli prof. Mario. R. Ginnasio. S. Remo. Marengo ing. Paolo. Direttore miniere Boccheggiano. Mariani prof. Ernesto. Museo Civico. Milano. Marinelli prof. Olinto. R. Istituto Tecnico. Catania. Marinoni prof. can. Luigi. Lovere (Bergamo). Mortone prof. Michele. R. Istituto Tecnico. Reggio Ca- labria. Malieucci dott. Vittorio. Museo geologico della R. Uni- versità. Napoli. Mazzuoli ing. comm. Lucio. Via S. Susanna 9. Roma. Meli ing. prof. Romolo. Via del Teatro Valle 54. Roma. Melzi conte dott. Gilberto. Via Monte Napoleone 56. Milano. Mercalli prof. sac. Giuseppe. R. Liceo Vittorio Ema- nuele. Napoli. Meschinelli dott. Luigi. Vicenza. Mezzena ing. Elvino. Viterbo. Miniera di Libiola (Direzione). Sestri Levante. Morandini ing. Bernardino. Massa Marittima (Gros- seto). Morena ing. Tobia. Cantiano (Ancona). Moretti ing. Guido. Brembate di Sotto (Bergamo). Morini prof. Fausto. R. Università. Messina. Moschetti ing. Claudio. Ufficio d’Arte. Saluzzo. X ELENCO DEI SOCI 4890. 1897. 140 1883. 4883. 4884. 4888. 1884. 4884. 4884. 4892. 1884. 4884. 450 1893. 4891. 4882. 4884. 4895. 4891. 4883. 4896. 4896. 4886. 460 1894. 4885. 4892. 4883. 4890. 4895. 4893. 4894. 4892. 4892. 470 4892. 4885. Namicis doti. Isacco. Pi. Università (Museo di Minera- logia). Modena. Nelli dott. Bindo. Via Robbia 42. Firenze. Neviani prot'. Antonio. R. Liceo E. Q. Visconti. Roma. Niccolini ing. march. Giorgio. Via Scialoja 49. Firenze. Nicoli 5 (De) cav. Enrico. Corte Quaranta. Verona. Novarese ing. Vittorio. R. Ufficio geologico. Roma. Omboni prof. comm. Giovanni. R. Università. Padova. Pantanelli prof. cav. Dante. R. Università. Modena. Parona prof. Carlo Fabrizio. R. Museo geologico (Pa- lazzo Carignano). Torino. Patroni dott. Carlo. Anticaglia 24. Napoli. Pélagaud dott. Eliseo. 45 Quai de l’Archevèché. Lyon. Pellati ing. comm. Niccolò. Pi. Ufficio geologico. Roma. Peola dott. Paolo. Museo Civico Craveri. Bra (Cuneo). Platania-Platania dott. Gaetano. Aci-Reale. Piatti sac prof. Angelo. Desenzano sul Lago (Brescia). Pompucci ing. Bernardino. Pesaro. Porro ing. Cesare. Via Passione 4. Milano. Ragazzi dott. Vincenzo. Via Manzoni 2. Turino. Rcignini dott. Romolo. Capitano medico. Via Venti Set- tembre 5. Roma. Rasetti Emilio. Via della Vigna nuova 30. Firenze. Ricciardelli Mario Via S. Zanobi 64. Firenze. Ricciardi prof. Leonardo. R. Istituto Nautico. Catania. Ridoni mg. Ercole. Miniera di Montecatini in Val di Cecina. Ristori dott. Giuseppe. R. Museo palentologico (Piazza S. Marco). Firenze. Riva dott. Carlo. Corso Magenta 52. Milano. Riva Palazzi maggior generale Giovanni. Comandante la Brigata Basilicata. Corso Milano 29. Novara. Roncalli dott. conte Alessandro . Bergamo (alta Città). Rosselli ing. Emanuele. Via del Fosso 4. Livorno. Rossi dott. Guido. Viale Castro Pretorio 28. Roma. Rovello cav. ing. Alberto. Via Maria Vittoria 52. To- rino. Rovereto march. Gaetano. Via CafTaro 25. Genova. Rusconi sac. Giuseppe. Valmadrera (Prov. di Como). Sabatini ing. Venturino. R. Ufficio geologico. Roma. Sacco prof. Federico. R. Museo geologico (Palazzo Ca- rignano). Torino. ELENCO DEI SOCI XI 4881. Salmojraghi ing. Francesco . Istituto Tecnico superiore. Milano. 4895. Salomon dott. Guglielmo. R. Università. Pavia. 4890. Scacchi ing. prof. Eugenio. Via Costantinopoli 49. Na- poli. 4884. Scarabelli Gommi Flamini conte comm. Giuseppe. Se- natore del Regno. Imola. 4885. Schneider ing. Aroldo. Montecatini in Val di Cecina. 4891. Schopen dott. Luigi. R. Università (Museo geologico). Palermo. 4895. Scott Herbert. Usina Wigg. Miguel Rurnier. Minas. Brasile. 4881. 480 Segrè ing. Claudio. Direzione ferrovie meridionali. Ancona. 4885. Sella ing. Corradino. Deputato al Parlamento. Biella. 4894. Sella ing. Erminio. Biella. 4883. Simonélli dott. Vittorio. R. Museo geologico. Parma. 4884. Simoni dott. Luigi. Via Cavaliera 9. Bologna. 4882. Sormani ing. cav. Claudio. R. Ufficio geologico. Roma. 4883. Speranzini prof. Nicola. Arcevia (Ancona). 4882. Spezia prof. cav. Giorgio. R. Università. Torino. 4896. Spireh ing. Vincenzo. Santa Fiora per il Siele (Gros- seto). 4882. Statuti ing. cav. Augusto. Via dell’Anima 47. Roma. 4891. 490 Stella ing. Augusto. R. Ufficio geologico. Roma. 4882. Struver prof. comm. Giovanni. R. Università. Roma. 4896. Tagiuri Clemente Corrado. Via Roma 34. Livorno. 1881. Taramelli prof. cav. Torquato. R. Università. Pavia. 4894. Taschero dott. Federico. Mondovì. 1883. Tellini dott. Achille. R. Istituto tecnico. Udine. 4881. Tenore ing. prof. Gaetano. Via S. Gregorio Armeno 41. Napoli. 4881. Tittoni avv. comm. Tommaso. Via Rasella 457. Roma. 4889. Toldo dott. Giovanni. Imola. 1884. Tommasi prof. Annibaie. R. Università. Pavia. 4883. 200 Toso iDg. Pietro. Via de’ Serragli 43. Firenze. 4890. Trabucco prof. Giacomo. R. Istituto tecnico Galileo Galilei. Firenze. 1892. Traverso ing. Stefano. Via Caffaro 43. Genova. 4894. Traverso ing. comm. Giovanni Battista. Via Girandi 4. Alba (Piemonte). XII ELENCO DELLE SOCIETÀ, ISTITUTI, BIBLIOTECHE ECC. 1882. Tucnimei prof. cav. Giuseppe. Via dell’Anima 59. Roma. 4896. Ugolini Pietro Riccardo. Via Vittorio Emanuele 7. Pisa. 1893. Uzielli Guido. Piazza d’Azeglio 26. Firenze. 1881. Uzielli prof. Gustavo. Viale Michelangelo 1 bis, Villa Nobili. Firenze. 1883. Valenti prof. Esperio. Imola. 1882. Verri colonnello cav. Antonio. Direzione territoriale del Genio militare. Taranto. 1893. 210 Vinassa de Regny dott. Paolo Eugenio. Museo Geolo- gico, R. Università. Parma. 1882. Virgilio dott. Francesco. R. Museo di geologia (Palazzo Carignano). Torino. 1897. Vitalini prof. Francesco. Via Vittoria 81. Roma. 1883. Zaccagna ing. cav. Domenico. R. Corpo delle Miniere. Carrara. 1881. 214 Zezi ing. cav. Pietro. R. Ufficio geologico. Roma. Elenco delle Società, Istituti, Biblioteche, ecc. che ricevono il Bollettino Biblioteca Biblioteca Biblioteca Biblioteca Biblioteca Biblioteca Biblioteca Biblioteca Biblioteca Biblioteca In omaggio. Comunale. Arezzo. Comunale. Bergamo. Comunale. Catanzaro. Comunale. Rimini. Comunale. Termini-Imerese (Palermo). Comunale. Terni. Comunale. Vicenza. del Club alpino. Savona. della Repubblica. S. Marino. del Ministero di Agricoltura, Ind. e Comm. Roma. ELENCO DELLE SOCIETÀ, ISTITUTI, BIBLIOTECHE ECC. XIII In cambio. Accademia Gioenia di scienze, lettere , ecc. Catania. Accademia (R.) dei Lincei. Roma. Académie des Sciences. Cracovia. Annuaire géologique et minéralogique de la Russie. Novo-Ale- xandria, gouvernement Lublin (Russia). Anales del Museo de la Piata. La Piata (Républica Argentina). Bureau géologique roumain. Bukarest (Rumenia). Comitato (R.) geologico. Roma. Comité géologique. Jnstitut des mines. Sl. Pétersbourg (Russia). Deutsche geologiche Gesellschaft. Berlin. Direction des Travaux géologiques. Lisbona (Portogallo). Geological (thè) Society. London. Geological (thè) Society of America. Rochester (New-York). U. S. America. Geological (thè) Society of India. Calcutta (India). Geological Survey of New South Wales. Sydney (Australia). lnstituto geogràfico argentino. Buenos-Ayres. K. k geologischen Landesanstalt und Bergakademie. Berlin. K. k. geologiche Reichs ansi alt . Wien. K. k. Naturhistorisches Hofmuseum. Geolog. und palaeont. Ab- theilung. Wien. Magyarorsggi Karpategyesulet . Locse (Ungheria). Naturforschende Gesellschaft. Freiburg (Baden). Naturhistorischen Verein d. preuss. Rheinlande und Westfalens. Bonn am Rhein (Germania). Rogai lnstitut géologique de Hongrie. Budapest (Ungheria). Rogai (thè) Dublin Society. Dublino (Irlanda). Società geografica italiana. Pioma. Società Ingegneri ed Architetti. Roma. Socièté Belge de Géologie, de Paléontologie et d'Hydrologie Bru- xelles. Société des naturalistes . Sl. Pétersbourg (Russia). Socièté géologique de Belgique. Liége (Belgio). Société géologique de France. Paris. Société Linnéenne. Bordeaux (Francia). XIV ELENCO DELLE SOCIETÀ, ISTITUTI, BIBLIOTECHE ECC. Société royale malacologique de Belgique. Bruxelles (Belgio). United (thè) States geological Survey . Washington (U. S. America). Università royale. Upsala. University of Visconsin (U. S. America). ADUNANZA GENERALE INVERNALE DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA tenuta in Roma il 7 marzo 1897 La seduta è aperta alle ore 10 nella sala della biblioteca del R. Ufficio Geologico in via S. Susanna. Presidenza Pantanelli. Sono presenti i soci: Aichino, Angelelli, Baldacci, Ba- ratta, Bassani, Capellini, Caruccio, Cermenati, Clerici, De Angelis, De Marchi, De Rossi, Di Stefano, Franchi, Lattes, Lotti, Luzi, Mattirolo, Mazzuoli, Meli, Namias, Novarese, Sabatini, Sormani, Statuti, Stella, Zezi ed il sottoscritto se- gretario. Scusano la loro assenza i soci: Bellucci, Biagi, Bonarelli, Canavari, De Stefani, Omboni, Parona, Pellati, Sacco, Tra- bucco. Il Presidente comunica i ringraziamenti del socio Bassani per la nomina a vice-presidente. Si dà per letto, essendo stato pubblicato, il verbale dell’ adu- nanza generale estiva tenuta in Roma il 25 ottobre 1896, ed il presidente ne chiede V approvazione. Chiede la parola il socio Clerici per la seguente dichia- razione : « È stata mossa 1’ accusa che io, approfittando della qualità di segretario della Società, abbia inserito nel Bollettino delle note e comunicazioni senza ottenerne la necessaria autorizzazione. Per scagionare da questa accusa, non la mia persona, ma l’ ufficio di segretario, ho rimesso al presidente, perchè voglia farlo conservare in archivio, un pacco di bozze di stampa ove tutte le pagine di 2 ADUNANZA GENERALE INVERNALE note, comunicazioni, comprese le mie, resoconti e persino delle copertine portano la firma presidenziale che ne autorizza la stampa » . Il presidente Pantanelli mostrando il suddetto pacco di bozze conferma la verità di quanto disse il socio Clerici ed ag- giunge che anche un’ annotazione aggiunta dal Clerici durante la revisione delle bozze ad una sua nota Sull’ Aciculari a italica porta l’approvazione del presidente. Il socio Clerici si dichiara soddisfatto della dichiarazione del Presidente. Il socio Aichino fa osservare che non è stato letto ed ap- provato il verbale della seduta tenuta lo scorso anno in Sardegna, e chiede notizie sul così detto volume di Sardegna. Questo verbale è in corso di stampa, e verrà quanto prima pubblicato; il socio Clerici, già segretario della Società, dà spie- gazioni in proposito, dicendo che non si farà un volume speciale, ma che la relazione delle adunanze e delle escursioni, e le me- morie che trattano di Geologia e Paleontologia Sarda, verranno pubblicate in modo che faranno tutto un corpo col volume XV, in fine del quale vi sarà l’ indice generale. 11 segretario Neviani conferma quanto disse il socio Clerici. Fanno altre osservazioni i soci Capellini e Stella. Dopo nuove spiegazioni del Presidente si approva il verbale e si passa al- l’ordine del giorno. Il Presidente pronuncia il seguente discorso : « Signori, « Dall’ultima volta che ci siamo trovati insieme in questa stessa sala sotto la presidenza del mio predecessore De Stefani due perdite dolorose ha subito la Società. « Arturo Negri (*), che noi chiamammo nel 1894 a far parte del Consiglio della nostra Società, cessava di vivere in Padova (*) Pubblicazioni di Arturo Negri: 1. Studi sulle Alpi Vicentine. Comunicazione alla Soc. Geol. Ital. Roma 1883 (pag. 223 e 224). 2. Le valli del Lesgra, di Posina, di Laghi e dell'Astico nel Vicentino. Appunti geologici in Boll. R. Comm. Geol. d’Ital. Roma, 1884 (CO pag. in 16° con 1 tav). DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 3 111 dicembre dello scorso anno, quando ancora poteva sorridergli la vita in mezzo ai suoi studi e all’ amata famiglinola. Allievo ca- rissimo del nostro venerato collega Omboni, ne rispecchiò nei pochi e buoni lavori pubblicati la scrupolosa onestà e la meditata pon- derazione. « Le sue pubblicazioni vertono su argomenti di geologia ve- neta, e più specialmente vicentini, nè poco merito fu il suo di potere utilmente osservare dove una pleiade di geologi illustri po- teva sembrare nulla aver lasciato d'inesplorato ai successori. « Lascia quasi compiuta la descrizione geologica della pro- vincia di Vicenza e la carta al 75000 presentata alla nostra So- cietà fin dal 1892, non fu ancora pubblicata per la delicata scru- polosità di lui, che la desiderava tale da togliere in essa ogni e qualunque possibile osservazione che alla più rigorosa esattezza dei rilievi potesse riferirsi. « Detto del collega in lavoro, dell’ uomo dirò che tutti gli vollero bene, nessuno potendo immaginare del medesimo un’ azione, un pensiero men che onesto e leale. « Un’ altra perdita della Società e del Consiglio, del quale faceva parte dal 1895, debbo registrare, quella dell’ Ab. Giuseppe 3. L' anfiteatro morenico dell' Astica e l'epoca glaciale nei Sette Comuni. Note ed appunti in Atti R. Ist. Veneto di se. lett., tomo V, serie 6a. Venezia, 1887 (48 pag. in 16° con 2 tav. e 2 carte). 4. Rapporti della Paleontologia colla Geologia stratigrafica dimostrati con esempi tratti dallo studio della regione Veneta. In Atti Soc. Ven. Trent. di Se. Nat., voi. XII, fase. I. Padova, 1891 (62 pag. in 16°). 5. Sopra alcuni fossili raccolti nei calcari grigi dei Sette Comuni. In Boll. Soc, Geol. Ital., voi. X, fase. II. Roma, 1891 (26 pag. in 16° con 2 tav.). 6. Trionici eocenici ed oligocenici del Veneto. Memoria in Meni. Soc. Ital. delle Se. detta dei XL, voi. Vili, serie 3d, n. 7. Napoli, 1892 (54 pag. in 8° con 5 tav.). 7. Relazione delle escursioni geologiche eseguite dall'll al 15 settembre 1892 dai soci della Società Geologica Italiana convenuti in licenza. In Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XI, fase. III. Roma, 1893 (8 pag. in 16°). 8. Nuove osservazioni sopra i Trionici delle ligniti di Monteviale. Rota. Padova, 1893 (12 pag. in 4° con 2 tav.). 9. Sopra un cranio di cavia scoperto in una caverna quaternaria in pro- vincia di Vicenza. Nota preliminare in Atti R. Ist. Ven. di se. e lett., voi. VI, serie 83 4 5 & 7 8 9, fase. I. Venezia 1894-95 (2 pag. in 16°). 2 4 ADUNANZA GENERALE INVERNALE Mazzetti (*), nostro fin dal tempo della fondazione della Società. Sotto un involucro non raffinato, Mazzetti nascondeva un cuor d’ oro, (') Pubblicazioni dell’Ab. Giuseppe Mazzetti: 1. Cenno intorno ai fossili di Montese. Ann. d. Soc. dei Nat. di Modena, anno VI, pag. 257. Modena 1872. 2. Riflessioni intorno agli oggetti preistorici alla trasformazione della specie e all'origine e antichità dell'uomo. Modena 1878. 3. Catalogo dei fossili miocenici e pliocenici del Modenese e suoi dintorni. Ann. d. Soc. dei Nat. di Modena, anno Vili, serie 2a, pag. 151. Mo- dena 1874. 4. A. Manzoni e G. Mazzetti. Echinodermi nuovi della molassa miocenica di Montese nella provincia di Modena. Atti d. Soc. Tose, di se. nat., voi. Ili, fase. II, pag. 350. Pisa 1878. 5. La molassa marnosa delle montagne modenesi e reggiane e lo Schlier delle colline del Bolognese. Ann. d. Soc. d. Nat. di Modena, anno XIII, disp. 3% serie 2a, pag. 105. Modena 1879. 6. Mazzetti e Manzoni. Le spugne fossili di Montese. Atti d. Soc. Tose. d. Se. Nat., voi. IV, fase. I, pag. 157. 1879. 7. Montese, i suoi terreni geologici, le sue acque minerali e i suoi pro- dotti. Ann. d. Soc. d. Nat. di Modena, anno XV, pag. 43. Modena 1881. 8. Relazione intorno al modo di formazione delle argille scagliose di Mon- tese. Boll. d. Soc. Geol. Ital., voi. I, fase. II, pag. 156. Roma 1883. 9. Echinodermi fossili di Montese. An. d. Soc. d. Nat. di Modena, serie 2a, anno XV. Modena, 1882. 10. Una specie nuova del genere Sp atangus. Atti Soc. Nat. di Modena, Rendiconti delle Adnn., serie 3a, voi. I, pag. 126 con figure. Mo- dena 1883. 11. Toxobrissus variane, nuova specie di Echinoderma fossile. Atti Soc. Nat. di Modena, Rendiconti delle Adun., serie 3a, voi. II. Mo- dena 1886. 12. Sopra un affioramento cretaceo di argille scagliose in S. Martino di Salto, frazione del comune di Montese. Atti d. Soc. dei Nat. di Mo- dena, serie 3a, voi. Vili, anno XXIII, pag. 136. Modena 1889. 13. Sopra la presenza dell' Inocer amo in Montese. Atti Soc. Nat. di Modena, serie 3'*, voi. Vili, anno XXIII, pag. 174. Modena 1889. 14. Osservazioni intorno al carattere cretaceo del terreno delle argille sca- gliose del Modenese e Reggiano. Atti Soc. Nat. di Modena, serie 3R, voi. IX, anno XXIV, fase. I, pag. 48. Modena 1890. 15. Una nuova specie di Br issosp atangus. Atti Soc. Nat. di Modena, serie 3a, voi. X, anno XXV, fase. II, pag. 109. Modena 1892. 16. Mazzetti e Pantanelli. Cenno monografico intorno la fauna fossile di Montese. (Parte I). Atti Soc. dei Nat. di Modena, serie 3a, voi. IV, anno XIX, pag. 58. Modena 1885. 5 DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA un anima fiera, indipendente e suscettibile dei sentimenti più de- licati. Non più giovane si dette agli studi geologici e il suo primo lavoro porta la data del 1872. Si riferisce ai fossili dei dintorni di Montese, sua patria, e 1' ultimo suo lavoro verte pure su la de- finitiva revisione degli echini del Modenese, tra i quali la mas- sima parte appunto proviene dallo stesso territorio di Montese. “ Ebbe il supremo buon senso di circoscrivere i suoi studi in un campo limitato, incoscientemente forse, preferendo di essere il primo in un villaggio piuttostochè secondo in una città: gli echini furono gli esseri che studiò a preferenza, e li studiò bene, tra questi gli echini terziari e i viventi, nello studio dei quali non può dimenticarsi il suo lavoro sulla fauna echinologica del Mar Rosso. « Sacerdote esemplare, ottimo cittadino, libero sempre, anche quando poteva non esserlo senza fastidi, cessò di vivere il 21 di- cembre 1896, in Modena, nel 78° anno della sua età « . Iil. id. (Partd II). Atti Soc. Nat. di Modena, serie 3a, voi. YI, anno XXI, pag. 45. Modena 1 887. 17. Intorno ad alcuni echinidi dei dintorni di Schio. Acc. Pont. Nuovi Lincei, voi. V. Roma 1889. 18. Echini del Mar Rosso dragati nella campagna idrografica della R. Nave Scilla nel 1891-92. Estr. Mem. Acc. Se. Lett. Arti, voi. X, pag. 211-228. 1893. 19. Le pane dell' Appennino Modenese, lettera aperta al popolo pignanese ecc. Atti Soe. Nat. di Modena, serie 3a, voi. XIV, anno XXIX, fase. I, pag. 1. Modena 1896. -20. Per lo scavo di un nuovo pozzo in Modena. Modena, tipi Vincenzi e Nipoti, 1892. 21. Catalogo degli echinidi fossili della collezione Mazzetti esistente nella R. Università di Modena. Modena 1896, stessi tipi. 22. Echinidi fossili del Vicentino o nuovi o poco noti . (Estr. Mem. Acc. Nuovi Lincei, voi. X). Roma 1894. 23. Contribuzione allo studio della Geologia delle montagne Modenesi e Reggiane. Atti Acc. Pont. Nuovi Lincei, anno XXXVIII, tomo XXXV III. Roma 1836. 24. Della stratificazione delle argille scagliose di Montese e dell'analogia che passa fra alcuni lembi di terreno di Costa de' Grassi nel Reg- giano, ed alcuni affioramenti di S. Martino e di Ranocchio nel Modenese. (Estr. dal Bull. Soc. Geol. Ital., voi. II, fase. IL Roma 1883). 6 ADUNANZA. GENERALE INVERNALE Il Segretario legge La Nota delle pubblicazioni giunte in omaggio della Società dopo 1' ultima adunanza. Yinassa de Regny, Echinidi neogenici del museo Parmense. 1896. Id., Prospetto della fauna malacologica di Ronca. 1896. Greco Benedetto, A proposito dell' età dei Calcari marnosi arenacei varico- lori del circondario di Rossano Calabro. 1896. Geologiska Fóreningens i Stockholm FOrhanlingar. 1896. Exposition Internationale de Bruxelles en 1897. 1896. Pennisi Mauro Antonio, Sintesi cosmica. 1896. Portis Alessandro, Ai Colleghi della Società geolocica. 1897. The Proceedings and Transactions of Nova Scotian Institute of Science. Ha- lifax. Nova Scotta. 1896. Vari, In memoria del prof. Arturo Negri. 1897. Salmoiraghi Francesco, Formazioni interglaciali allo sbocco di Val Borlezza nel lago d' Iseo. 1897. Omboni Giovanni, Commemorazione del barone Achille De Zigno. 1897. Cacciamali G. Battista, Cariadeghe altopiano carsico sopra Serie. 1877. Spelunca, Bull, de la Soc. de Speleologie, an. II, n. 8. 1896. Il Presidente informa delle dimissioni del socio Amighetti. Vengono ammessi a far parte della Società i nuovi soci: Bettoni Andrea, a Brescia, proposto dai soci Bonarelli e Fornasini. Bortolotti Emma, a Roma, proposta dai soci Pantanelli e Neviani. Caetani Don Gelasio, a Roma, proposto dai soci Panta- nelli, Neviani e Cermenati. Flores prof. Edoardo, a Bari, proposto dai soci Bassani e Neviani. Nelli Bindo, a Firenze, proposta dai soci Pantanelli e Namias. V italini prof. Francesco, a Roma, proposto dai soci Cana- vari, Fucini e Greco. Il Presidente comunica le dimissioni del socio Tuccimei da membro della Commissione del Bilancio ; in luogo del quale il Consiglio nominò il socio Ragnini. A far parte della Commissione per lo pubblicazioni in luogo del prof. Bassani, ora vice-presidente, il Consiglio nominò il socio Di Stefano. DELLA. SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 7 Il Presidente comunica pure le seguenti decisioni del Con- siglio : “ Panno parte del Consiglio, oltre il Presidente, Vice-Presi- dente, Consiglieri e Segretario, anche il Tesoriere, l’ Economo, l’Ar- chivista, e i due Vice-Segretari ; i due Vice-Segretari hanno però solo voto consultivo » . « Il Consiglio stabilì che il Tesoriere e 1’ Economo durino in carica tre anni; la nomina si farà in occasione dell’ adunanza estiva, e verrà immediatamente comunicata all’ assemblea ». « Conforme a deliberazione presa nella seduta del Consiglio del 30 dicembre 1896, la Presidenza si darà cura di redigere una nuova edizione del regolamento, ove verranno introdotte tutte le modificazioni ed aggiunte fatte nei 15 anni di vita della Società; tale regolamento sarà distribuito ai soci prima della adunanza estiva, nella quale adunanza dovrà venire approvato » . Fra gli articoli da aggiungere al regolamento vi sarà il seguente : « Qualunque deliberazione del Consiglio che interessi la tota- lità dei soci potrà essere immediatamente applicata in via provvi- soria, ma dovrà essere comunicata alla Società nella più vicina adu- nanza generale a quella del Consiglio nel quale è stata presa». Il Presidente riferisce pure che dopo lunghe discussioni, ripe- tute molte volte nel Consiglio direttivo, la Presidenza è venuta nella decisione di proporre ai soci una modificazione all’ articolo 5 del regolamento 'per il premio Molon. La modificazione sarebbe di sostituire alla parola verrà la parola potrà , e cioè venga lasciata facoltà al Consiglio di capitalizzare la somma che per qualsiasi ragione non venisse data in premio, oppure di rinnovare per una sola volta il concorso. Prende la parola il socio Capellini, parlando contro tale pro- posta; parlano pure il socio Baratta e Mazzuoli; risponde il Presidente, e dopo altre osservazioni del socio Capellini si passa alla votazione, per la quale è chiesto 1’ appello nominale. Il Segretario fa l’ appello, e viene proclamato il seguente risultato : Votanti .... 29 Favorevoli. . . 14 Contrari. ... 14 Astenuti ... 1 8 ADUNANZA GENERALE INTERNALE Visto l’ egual numero di voti favorevoli e contrari alla pro- posta, il presidente dichiara sospesa ogni deliberazione. Il Presidente dà comunicazione dei Bilanci, che verranno, come di regola, mandati ai Commissari per il bilancio, e poscia distri- buiti ai soci prima della adunanza estiva, nella quale dovranno essere approvati. Intanto ne legge le seguenti risultanze: Bilancio consuntivo della Società. Totale attivo al 31 dicembre 1896 L. 10729,94 » passivo » » . » , » 8422, 04 Eccedenza attiva disponìbile al 1° gennaio 1897 . » 2307,90 Bilancio consuntivo deiraraministrazione del legato Molon. Totale attivo al 31 dicembre 1896 L. 2230,26 » passivo » » » i> 1832 — Eccedenza attiva disponibile al 1° gennaio 1897 . L. 398,26 Il Presidente presenta pure i bilanci preventivi della So- cietà e del legato Molon. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 9 SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA AMMINISTRAZIONE DEL LEGATO MOLON PREVENTIVO DEL 1897 Attivo. Cassa al 1° gennaio 1897 L. 398 26 Importo di 2/3 di rendita » 680 — Cassa al 1° gennaio 1897 L. 398 26 Importo di 2/3 di rendita » 680 — Attivo L. 1078 26 Ir* fissi V O. Importo di 2/3 della tassa di manomorta . . . L. 32 — Passivo L. 32 — Avanzo presuntivo a pareggio .... •n 1046 26 Passivo L. 1078 26 L' Economo A. Statuti II, Presidente D. PANTANELLI 10 ADUNANZA GENERALE INVERNALE SOCIETÀ GEOLO Preventivo delle entrate e EN TR ATE 1. Tasse sociali e vendita Bollettini L 2. Sussidio del Ministero Agricoltura, Industria e Commercio » ; 3. Interessi legato Molon » , 4. Interessi su rendita al portatore » t 5. Interessi su libretti risparmio » 3000 500 340 472 50 4362 Il Segretario A. Ne vi an i DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 11 .GIGA ITALIANA delle spese per l’anno 1897. SPESE 'Stampa del Bollettino L. 3000 — I (Contribuzioni per tavole » 450 — ' jSpese d’ ufficio " 350 — jSpese di cancelleria » 80 ’ [Tassa di manomorta " 16 | [Rimborso viaggi al Segretario ed Economo » 100 — (.Compenso per un amanuense in aiuto dell’ Economo. ..." 80 (Compenso al portiere ” 50 Pondo di riserva e imprestiti " 236 — ! Preventivo Spese L. L' Economo A. Statuti Il Presidente DANTE PANTANELLI 4362 12 ADUNANZA GKNI'.HAI.K IN VKHNA1.K 11 Presidente couumica alla Società di avere ricevuto varie proposte per la sede della adunanza estiva, da Ascoli, Perugia ed Udine; egli lascia completa libertà all’adunanza di scegliere la sede che più le convenga, non facendo in proposito alcuna proposta. Dopo brevi osservazioni dei soci Clerici, Franchi e Capellini si delibera a grande maggioranza di riunirsi a Perugia. 11 Segretario dà lettura dei titoli delle Memorie pervenute alla società per la pubblicazione nel Bollettino. A. Per il 4° fase, del volume XV. De Angelis e Neviani, Corollari e Briozoi neogenici di Sar- degna, con figure nel testo [24 febbraio 1897]. Capacci C., Studio sulle miniere di Monteponi , Montevec- chio, Malfidano in Sardegna, con 5 tavole [1° marzo 1897]. B. Per il volume XVI. Bogino F., I mammiferi fossili della Torbiera di frana (Piemonte), con 8 tav. | 1 gennaio 1897]. Rovereto G., Sulla stratigrafia della valle del Nera ( Li- guria occidentale) [5 gennaio 1897]. De Angells e Luzi, I fossili dello Scldier di S. Severino (Marche) [7 marzo 1897]. Matteucci R. V., Differenziazioni, modificazioni ed inclusi del porfido granitico dell’ Isola d' Elba (con 2 tavole). Presentata dal socio Bassani [7 marzo 1897]. Flores E., Sul sistema dentario del genere Anthraco- therium Cuv. Presentata dal socio Bassani [7 marzo 1897]. Morena T., Il sinemuriano negli strati a Terebratula Aspa- sia [7 marzo 1897]. Meli R., Sopra alcuni denti di fossili di mammiferi (ungu- lati) rinvenuti nelle ghiaie alluvionali dei dintorni di Roma [7 marzo 1897]. Franchi S., Sopra alcuni nuovi giacimenti di roccia a Law- sonite [7 marzo 1897]. Novarese V., Strati pùntici dei dintorni di Campagnatico e Pag unico, prov. di Grosseto [7 marzo 1897]. Stella A., Sullo sviluppo e indirizzo della Geologia appli- cata in Italia [7 marzo 1897]. della, società geologica italiana 13 Trabucco G., Sulla sinonimia del vocabolo Scaglia (Zittel) [7 marzo 1897]. Rasetti E., Il Monte Fenera di Valsesia, eoo una carta geologica, due tavole, ed una figura nel testo [7 marzo 1897 j. Il Presidente presenta le seguenti comunicazioni pervenute alla presidenza: Parona C. F., Fauna del cretaceo di colle Fagliare presso Aquila (vedi Appendice, Comunicazione prima). Trabucco G., Sul Tongriano di Cassinelle , Alto Monferrato (vedi Appendice, Comunicazione seconda). Il socio Clerici fa sapere che avendo continuato le ricerche nei dintorni d’ Orvieto accennate nella comunicazione che fece alla Società nell’ adunanza di Lucca ( Sopra vn giacimento diatomei- fero presso Orvieto e sui blocchi di argilla marina contenuti nei materiali vulcanici sostenenti questa città) è pervenuto alla sco- perta di altri giacimenti diatomeiferi, dimodoché egli si ritiene in grado di poter dimostrare che il tufo pomiceo orvietano è com- preso fra due formazioni d’ acqua dolce. — Ne farà oggetto di una nota. Il socio Capellini presenta un esemplare di calcare a Gyro- porella affine alla cglindrica del retico del Tino (Spezia) ed un altro saggio di calcare con squame di pesce verosimilmente di Te- Iragonolepis della medesima località. La seduta è levata alle ore 11 Vi- li Segretario dott. Antonio Neviani. APPENDICE AL VERBALE. Comunicazione prima . C. F. Parona, Fauna del cretaceo di Colle Pagliare presso Aquila. Credo opportuno di richiamare 1' attenzione dei colleghi sul calcare bianco subcristallino delle vicinanze di Aquila, il quale in certe località si presenta ricco di fossili ben conservati. L’ anno 14 ADUNANZA GENERALE INVERNALE scorso il prof. I. Chelussi, allora Direttore della Scuola Normale di Aquila, mi spedì gentilmente un saggio della fauna cretacea di Colle Pagliare e successivamente, dietro mia richiesta, mi procurò altro materiale delle stesse località. L’ esame di questa fauna è appena iniziato ; tuttavia essa mi risulta assai interessante per il numero dei pelecipodi, gasteropodi e coralli, che la costituiscono e che in gran parte ritengo nuovi per la scienza, ai quali si accompagnano traccie di briozoi e di spugne e qualche foraminifera ( Orbitolina ). Infatti tinora riconobbi soltanto : Neriia Taramellii Pir., Radio- lite s macrodon Pir., Rhynchonella f. n. (cfr. difformis d’ Orb.), Astrocoenia Koninki M. Edw. et Haime, che pongono in evidenza i rapporti di questa fauna dell’ Appennino con quelle del Col de’ Schiosi nel Veneto, dal Boehm ascritta al Cenomaniano supe- riore. Fra i gasteropodi sonvi forme dei generi Pileolus, Scurria , 7 rochus, Turbo , Delphinula, Neritopsis , Nerinea . Tylostoma, Gerithium ecc., e fra i pelecipodi vi sono forme abbastanza nume- rose, riferibili ai generi Apricardia, Monopleura J Sphaerucaprina ( Sph . cfr. Urlata Futt.), Caprotina ( C . cfr. strix Di Stef., C. ( Sellaea ) Zitteli Di Stef.), Radiolites (Rad. cfr. Fleuriausa d’.Orb..), Opis ecc., di difficile preparazione, com’è noto; ciò che mi consiglia di tenere per ora un prudente riserbo nella determinazione gene- rica e specifica delle forme. Ai molluschi si aggiungono anche pa- recchi coralli in stato di buona conservazione (Stylotrochus , Ca- ryophyliia, Calamophyllia , Astrocoenia ramosa Sow. — Enal- lastraea De From.), Thamnastraea ( Centrastraea ). Spero di procurarmi altro materiale per lo studio di questa fauna e di potere sopra di essa comunicare alla Società notizie più ampie e più precise. Comunicazione seconda. G. Trabucco, Sul Tongriano di Cassinelle (Alto Monferrato). Il prof. Botto Micca in una recente Nota ('), dopo avere insistito sull’ utilità dello studio degli Echinidi per le determinazioni stra- ti Botto-Micca L., Contribuzione allo studio degli Echinidi terziari del Piemonte (Fam. Spatangidi). Boll. d. Soc. geol. italiana, voi. XV, 1896, pag. 341. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 15 tigrafiche (e sta benissimo), attribuisce (pag. 344, 360, 362, 365, 365) all Elveziano di Cassinelle le specie: Schizaster acuminatus Ag., Sgh. Djulfensis Dub., Pericosmus latus Ag., Pericosmus Ed- warsii Ag. et Desor. var. minor. Ora, 1’ importanza del notissimo e tipico bacino Tongriano di Cassinelle, ed, aggiungerò, 1’ amore speciale che mi lega a quella re- gione mi inducono a prendere la parola per rettificare l’ età del terreno da cui si dice provengano le specie innanzi citate, onde il riferimento cronologico fatto dal Botto-Micca non sia causa di confusione e di erronee conclusioni stratigrafiche a proposito di quelle specie di Echinidi. Conosco passo a passo i terreni del comune di Cassinelle e sono in grado di escludere assolutamente la presenza dell’ Elveziano nel territorio di questo comune, che è essenzialmente costituito dall’ in- tiera serie dei terreni del tipico Tongriano e da terreni più antichi. Il terziario medio (Langhiano ed Elveziano) cessa intieramente molto prima di raggiungere il territorio di Cassinelle. Deve, quindi, ritenersi che fosse errata 1’ indicazione della provenienza di questi Echinidi. Insisto in modo speciale su questo fatto, apparentemente poco importante, perchè nessuno ignora come, proprio in questo modo, si andarono man mano accumulando tanti errori e tante confusioni a proposito di importanti fossili Apenninici — errori e confusioni che hanno poi necessitato tante fatiche per essere rettificati e sui quali non sono ancora intieramente finite le discussioni degli studiosi. A questo proposito non credo inutile ripetere ancora una volta che non si possono fondare serie conclusioni stratigrafiche sui fos- sili delle antiche collezioni dei Musei, raccolti soventi da estranei alla scienza e che peccano, in generale, sulla poca precisione della località di provenienza o della posizione. Le specie de’ paleontologi, che ci precedettero, possono servire di valido aiuto, ma solo per rintracciare e determinare più facilmente i fossili raccolti in posto e scevrati dallo stratigrafo. I MAMMIFERI FOSSILI DELLA TORBIERA DI TRANA. Nota del dott. Bogino Francesco. (Tav. I, II, III] Nel nostro Museo di Geologia e Paleontologia evri una ricca collezione di ossa fossili provenienti dalla Torbiera di Trana. Le medesime, essendo in gran parte ben conservate, costituiscono pel paleontologo un materiale interessantissimo e degno di diligente studio, sia perchè appartennero a mammiferi, che ebbero rapporti coll’ uomo preistorico, sia perchè rappresentano specie in parte scom- parse, in parte emigrate o modificate. L’ egregio signor prof. Parona consigliommi di studiare tale collezione, e debbo la mia riconoscenza ai suoi saggi suggerimenti, se, dopo una non breve serie di studi preventivi, riuscii a quelle determinazioni e conclusioni, che compongono il presente breve lavoro. Prima di procedere all’ esame del materiale, giudico cosa op- portuna dire poche parole sulla natura geologica e paietnologica della località, donde esso proviene, fondandomi su quanto io stesso osser- vai, e su quanto espressero in merito Gastaldi, Baretti, Portis, Sacco ecc. (')• Giace la torbiera di Trana a poca distanza da Torino. Chi, partendo da questa città, percorre la strada provinciale Torino-Or- (i) Gastaldi et Ch. Martins, Essai sur Ics terrains superftciels de la vallèe du Po aux environs de 'Turbi, 1850; Gastaldi, Sulla riescavazione dei bacini lacustri per opera degli antichi ghiacciai, 18G5, pag. 14; Portis A.. Il cervo della Torbiera di Trana (Estr. dagli Atti d. li. Accademia delle scienze di Torino, voi. XVIII), 1883; Sacco F., I bacini torbiferi di Trana e di Avigliana (Estr. dal Boll. d. Club alpino italiano, n. 52), 1885; Id., L'anfiteatro morenico di Rivoli (Estr. d. Boll. d. R. Comitato geologico, n. 5 e 6), 1887; Id., Il bacino terziario e quaternario del Piemonte, 1889-90, pag. 611, 633; Baretti, Geologia della provincia di Torino, 1893, pag. 316. 1'. UGGÌ NO, i MAMMIFERI FOSSII.I REDI, A T0R1UEUA DI TRANA 17 bassano-Trana-Giaveno, giunge, oltrepassato il Santuario di Santa Maria di Trana, in una magnifica posizione, donde il suo sguardo può abbracciare tutto d un tratto un vasto bacino sottostante, co- stituito dalle torbiere e dai laghi di Trana e di Avigliana. Il me- desimo è interamente racchiuso fra depositi morenici, eccettuata la parte nordica, dove il bacino si apre nella valle della Dora Riparia. Esso deve la sua attuale configurazione all’antico ghiacciaio detto precisamente della Dora Riparia. Questo ghiacciaio, che raggiunse nella sua massima estensione gli ottanta kilometri, traeva le sue origini dalle alte cime del Monte Tabor, del Moncenisio e del Monginevro. Scendendo lungo la Dora Riparia, esso si spinse fino alla pianura padana. Nella discesa incontrò alla sua destra la stretta Avigliana- Sant' Ambrogio, ed il masso serpentinoso Avigliana-Moncuni. Queste cause fecero sì che il ghiacciaio si dividesse in due rami. L’ uno, il sinistro, di maggior potenza, proseguì la valle sino oltrepassato il Musinè, ed allargossi indi a ventaglio, ricoprendo tutta quella regione, i cui limiti sono oggi segnati da Sangauo, Bruino, Rivalta, Orbassano, Pianezza, Druent, San Gillio, Casellette; l’altro, il destro, assai più piccolo, internossi nella detta stretta Avigliana-Sant’ Am- brogio, occupò tutto il bacino Avigliana-Trana e arrivò fin oltre l’ attuale Santuario di Santa Maria, dove fabbricò la sua morena frontale. Noi non ci occuperemo del sinistro ramo del ghiacciaio, ma soltanto del destro. Questo cominciò a ritirarsi dopo che ebbe formata la morena terminale, e ritirandosi fece delle pause più o meno lunghe, che ebbero per risultato la costruzione di altre quattro morene trasver- sali al bacino, che sono appunto quelle che delimitano i due laghi e le due torbiere attuali. I due laghi occupano la parte centrale del bacino stesso, le torbiere le due estremità. Mentre il ghiac- ciaio non ebbe del tutto sgombrato il bacino, le acque da esso in copia originate, dovettero necessariamente colmare questo, ricoprendo tutte le morene trasverse, e formando un solo lago unico, limitato ai fianchi dalle morene laterali, a sud dall’ estrema morena fron- tale, ed a nord dal ghiacciaio stesso alimentante. Le acque ecce- denti la capacità del bacino si riversavano a sud nella valle del Sangone. 1S K. BOGINO Quando il ghiacciaio, ulteriormente ritiratosi, più non potè servir di diga al gran lago unico, questo riversossi a nord nella Dora Ri- paria. In seguito a questo riversamento, rimasero, ciascuno rac- chiuso fra morene, quattro piccoli laghi, corrispondenti a quattro bacini minori, i quali occupavano le due odierne torbiere ed i due odierni laghi; e ciascuno, erodendo la propria diga, si riversava a nord. I due laghi, corrispondenti alle due odierne torbiere, per essere già di per se stessi poco profondi, e perchè la loro profondità venne anche diminuita dall' accumularsi di detriti, passarono dopo un certo periodo di tempo, in seguito ad una ricca vegetazione palustre, allo stato di torbiere; mentre i due odierni laghi, per essere assai più profondi, si conserveranno tali per molto tempo ancora. La torbiera di Avigliana è delimitata a sud, come sopra è detto, da una morena, quella dei Grignet. Essa si assottigliava, prima che venisse lavorata, poco a poco verso nord , passando insensibil- mente all’ diluvium. La torba di questa regione, che ebbe uno spes- sore relativamente piccolo, venne già scavata completamente da pa- recchi anni, e per quanto mi consta, il numero dei fossili, che in essa si rinvennero, è più che esiguo. Di molto maggiore importanza fu la torbiera di Trana, sia dal lato industriale, che geologico e paleontologico. Essa ebbe un materiale torboso di spessore ragguardevolissimo e pressoché co- stante in tutta la sua superficie. Per lunghi anni fu oggetto di un ricchissimo commercio ; oggi però è quasi esaurita completamente, o per lo meno, quel poco di torba che ancora si estrae non ha più importanza commerciale. Dalla torbiera di Trana provengono precisamente i fossili della nostra col- lezione. A questo punto possiamo farci una domanda: il bacino Avi- gliana-Trana fu esso abitato dall’ uomo nella preistoria ? Così il Portis : « ad ogni modo è certo che quando la torbiera di Trana po- teva ancora chiamarsi lago, essa fu abitata dall’ uomo, il quale o si stabilì sulle sue rive, o men probabilmente, trovò conveniente stabilire in essa le palafitte, che i suoi coetanei fabbricavano nel laghetto, oggi pur torbiera, di Mercurago, e in tanti altri laghi e laghetti del Piemonte e della Lombardia. Che la torbiera, antico lago, di Trana sia stata un’ antica stazione umana, lo provano le I MAMMIFERI FOSSIU DEI. LA TORBIERA DI TRANA 19 armi in bronzo in essa trovate e segnalate dal Gastaldi, l’ una nella Iconografia di alcuni oggetti di remota antichità rinvenuti in Italia (Mem. d. R. Acc. d. Se. di Torino, ser. 2a, tom. XXVI, pag. 21 dell estratto, tav. Vili, fig. 15), e stata trovata dal compianto avv. C. Calandra, 1’ altra nei Frammenti di paleo etnologia italiana (Mem. d. R. Accad. d. Lincei, tom. Ili, ser. 2a, pag. 14 dell’ estratto, tav. XI, fig. 1), e comunicatagli dal sig. cav. Vignola. Non sono che due, ciò è vero, ma se non basteranno a dimostrare che 1’ uomo abbia colà avuto stabile dimora, sono sufficienti però a farci conchiudere che il bacino fu dal nostro progenitore dell’ epoca del bronzo visi- tato con qualche frequenza allo scopo di caccia e di pesca ». Così il Sacco (1): « Si rinvennero nella torba di Trana una daga ed un celt di bronzo, ed inoltre nel deposito marnoso profondo, a quanto mi fu assicurato da alcuni scavatori della torbiera, uno sche- letro intero umano, che andò sgraziatamente perduto del tutto prima che venissi a conoscenza di tale importantissima scoperta ». Le ossa della nostra collezione ci pongono in grado di fare ulteriori considerazioni a proposito della paleoetnologia della Tor- biera di Trana. Esse furono per la maggior parte trovate verso il centro della torbiera e disordinatamente sparse nello strato torboso profondo. Dei crani interi non se ne scopersero, e nemmeno degli scheletri com- pleti. Le ossa ben conservate sono accompagnate da numerosissimi frammenti di altre, e non sono rade quelle su cui si scorgono evi- dentissimi tagli ed incisioni intenzionali, più o meno spiccatamente profondi. Questi fatti, mentre da una parte escludono la possibilità che trattisi di animali caduti accidentalmente nella torbiera, sia che questa si trovasse ancora allo stato di lago, o che si trovasse già allo stato di palude, e macerati in posto, dall’ altra c’ invitano a credere non solo, ma ci fanno ammettere che gli ossami in discorso vennero a trovarsi nei luoghi della scoperta dopo che già erano passati per le mani dell’ uomo. E le mandibole quasi tutte rotte nell’ angolo, e i crani frantu- mati, e le ossa lunghe a midollo spaccate sono altrettanti docu- (*) (*) Sacco F., Anfiteatro morenico di Rivoli (Estr. d. Boll. d. K. Comitato geologico, n. 5 e 6, pag. 36), 1887. 3 20 F. BOGINO menti, che aggiunti a quelli già sopra accennati, bastano a farci ritenere che gli ossami in discorso sono nuli’ altro che avanzi di pasto di un uomo, il quale ne mangiò le carni raschiandole accu- ratamente dall’ osso, su cui rimangono le traccie degli utensili, che a ciò servivano, e ne sottrasse il midollo e le cervella. E quest'uomo, abitò esso diuturnamente il bacino di Trana, o soltanto visitollo a scopo di caccia o di pesca, secondo riferi- rebbe il Portis? Premetto che fra le specie riscontrate nella torbiera, come vedremo, alcune vissero allo stato selvaggio, come il Bos primi- geniuSj il Sics scrofa ferus, il Cervus elaphus , il Cervics Ca- preolus ; altre vissero allo stato domestico, come P Equus caballus, il Bos taurus , il Canis familiaris. E che questi ultimi fossero animali aifatto domestici potei accertarmi studiando ed esaminando diligentemente le superficie delle loro ossa, le tuberosità e le im- pressioni dei vasi e dei muscoli. Ora, se si ammette la presenza di animali domestici nella torbiera di Trana, bisogna pur ammettere che i medesimi fossero allevati in posto, il che implica dimora fissa e stabile da parte dell’ uomo. D’ altronde come si potrebbe spiegare l’ esistenza di così co- piosi avanzi in un luogo simile, se si ammettesse che il medesimo fosse semplicemente visitato ? E il fatto per cui tanti avanzi si trovarono verso il centro della torbiera e non altrove, per me è sufficiente per farmi ritenere che l'uomo abitò sul lago costruendovi le palafitte, quantunque di queste non abbiamo documenti, forse perchè i medesimi, non atti- rando 1’ attenzione degli scavatori della torba, vennero colla torba stessa commerciati oppure bruciati. Una domanda possiamo ancora farci : In quale delle età del quaternario 1’ uomo abitò il lago, oggi torbiera, di Trana ? Così il Sacco ('): « Ma la maggior ricchezza paleoetnolo- gica è presentata dai depositi torbosi, antichi laghetti, che in parte furono occupati da abitazioni lacustri, specialmente durante l’epoca del bronzo; tuttavia diversi resti, ad esempio, cuspidi di freccia, trovate recentemente nella torbiera di Trana, fanno credere che al- (‘) Sacco F., Il bacino terziario e quaternario ecc., 1. c. I MAMMIFERI FOSSILI DELLA TORBIERA DI TRANA 21 P! ” 6,5 Massimo diametro dell’ alveolo del dente canino . . » 3 Lunghezza totale approssimativa della mandibola dal- l’ angolo al bordo degli incisivi « 33 Bastano le dimensioni sopra riferite per giustificare la mia determinazione. La mandibola in discorso poi rassomiglia perfetta- mente a quella disegnata dal Rutimever (1. c.) e non differisce da quella dell’ attuale cinghiale se non per avere delle dimensioni alquanto maggiori, e perchè in essa il mento forma col ramo oriz- zontale un angolo meno ottuso dell’ ordinario, portando il livello degli alveoli incisivi nel piano degli alveoli molari e premolari. Cervus elaphus Linn. Cerf semblable au cerf ordinaire, Cuvier. OssemenCs fossiles, 4e édit.> tom. VI, 1835, pag. 198. Cervus elaphus, Rutimeyer. Die Fauna der Pfahlbauten in der Schweiz, 1861, pag. 56. Cervus elaphus fossili s, E. Cornalia. Mammxpres fossiles de Lombardie (Paléont. Lomb. p. A. Stoppani), 1858-1871, pag. 65, tav. XXII e XXIII. Cervus elaphus, A. Portis. Il cervo della torbiera di Frana. (Estr. d Att. d. R. Acc. d. Se. di Torino, voi. XVIII), 1883. Il prof. Alessandro Portis illustrò una mandibola di Cervus elaphus stata raccolta dall’ avv. Oantamessa nella Torbiera di Trana. Questa mandibola, rappresentata nella tav. Ili, fig. 12, fa ora parte della nostra collezione (n. 1), ed è accompagnata dalle se- guenti ossa: 2, 3. Frammenti di corna. 4. Mandibola, lato destro. Mancano la parte incisiva ed il primo premolare. Appartenne ad un individuo assai vecchio (Tav. Ili, fig. 11). I MAMMIFERI FOSSILI DELLA TORBIERA DI TRANA 27 5, 6. 2° e 3° premolari della mandibola, lato destro, di un giovane individuo lattante. 7, 8. Due M2 della mandibola, lato destro, di individui giovani. 9. Terza vertebra cervicale. 10. Seconda vertebra lombare. 11. Quarta « « 12. Ultima n v 13. Ottava costola sinistra. 14. Decima « » 15. Undicesima costola sinistra. 16. Tredicesima costola sinistra. 17. Frammento di costola sinistra. 18. Scapola destra. (Tav. Ili, fig. 1). 19 e 20. Due scapole sinistre. 21. Frammento di omero destro. 22. Femore sinistro. (Tav. Ili, fig. 13). 23. Tibia destra. Finalmente spettano ad un medesimo individuo le seguenti ossa, contraddistinte colla lettera #. 24#. Estremità articolare inferiore dell’omero destro. 25 a. Radio destro. (Tav. Ili, fig. 7). 26#. Metacarpo destro. 27 #. Estremità articol. inf. dell’omero sinistro. 28#. Metacarpo sinistro. (Tav. Ili, fig. 3). 29#. Lato sinistro del bacino. 30#. Lato destro » » (Tav. Ili, fig. 5). 31#, 32#, 33#. Tibia, astragalo e calcagno dell'arto poste- riore destro. 34#. Estremità articolare inferiore del femore sinistro. 35#, 36#, 37#. Tibia, astragalo e calcagno dell’ arto poste- riore sinistro. 38#. Scafoide e cuneiforme anteriore sinistri. 39#. Metatarso sinistro. 40# e 41#. Prima e seconda falangi esterne del piede sinistro posteriore. 42#. Seconda falange interna del piede sinistro posteriore. Ho confrontato diligentemente gli avanzi sopra numerati con 28 * F. HOGJNO uno scheletro di cervo comune del nostro K. Museo di Anatomia comparata, e non osservai altra differenza all’ infuori di quella che riflette la piccola trabecola ossea ricoprente il foro sopracondiloideo anteriore del metacarpo, ritenuta dal Cornalia (1. c., pag. 71) come caratteristica del cervo fossile, e mancante nel cervo attuale. (Vedi tav. Ili, fìg. 3). Notai inoltre una maggiore grandezza nel cervo della Torbiera di Trana; ma ciò non fa meraviglia, poiché quanti si occuparono di questa specie rilevarono che essa, tanto quella delle alluvioni, quanto quella delle caverne e palafitte, raggiunse dimensioni con- siderevolissime. Del resto i caratteri esposti dal Cornalia (1. c.) a proposito del Cervus elaphus fossilis, concordano perfettamente con quelli che si osservano negli avanzi del Cervus elaphus della torbiera di Trana, il quale, a sua volta, nou differisce punto dal Cervus elaphus delle palafitte svizzere, descritto dal Rutimeyer, salvo quanto riguarda le dimensioni, alquanto minori in quello della torbiera di Trana. Ecco le misure dei principali pezzi scheletrici: Mandibole n. 1 e n. 4. (Tav. Ili, fig. 12 e 11). Nura. 1 Num. 4 Distanza del foro mentoniero dell'angolo della mandibola cm. 26 25,5 Distanza del foro mentoniero dalla punta esterna del condilo ìì 28 28 Distanza del foro mentoniero dal P, . . . . ìì 5,7 6 Lunghezza dello spazio alveolare dei M1 e IJi . ìì 12,6 11,6 Altezza della parte orizzontale sotto M, . . . ìì ìì 4,2 n n n n n P , . ìì 2,7 3 >’ » » » dietro la sinfisi. ìì 1,9 2 Costola n. 13. Lunghezza sulla superficie esterna . . . Distanza rettilinea fra le due estremità . Scapola n. 18. (Tav. Ili, fig. 1). Lunghezza totale » della spina Massimo diametro della cavità glenoidea . Minima larghezza della scapola . . . . cm. 51 » 39 « 24 « 20,5 « 4 « 3 X MAMMIFERI FOSSILI CELLA TORBIERA DI TRANA 29 Radio n. 2 5 a. (Tav. Ili, fig. 7). Lunghezza totale 26,3 Larghezza della superfìcie articol. sup » 4,5 " » ” » infer » 4,4 » trasversale del corpo a metà diafisi ... « 3 Metacarpo n. 28a. (Tav. Ili, fig. 3). Lunghezza totale » 23,6 Larghezza della superficie articol. sup » 3,3 » » » » infer » 3,1 » del solco posteriore » 1,5 Femore n. 22 (tav. Ili, fig. 13). Lunghezza totale » 29 Massima larghezza dell’ estremità superiore .... » 7,4 » » » inferiore nel piano dello spazio popliteo » 6,2 Massima largii, perpendicolarmente allo spazio popliteo. » 7,7 Diametro della testa articolare superiore » 3,1 Larghezza dello spazio rotuleo . » 2,5 Diametro del femore a metà diafisi » 3 Tibia n. 35a. (Tav. Ili, fig. 2). Lunghezza totale » 34,5 Larghezza trasv. della superi, articol. sup » 6 » « dell’ estremità inferiore « 4,2 » della superficie articolante coll’ astragalo. . « 3 » trasversale minima della diafisi « 2,6 Metatarso n. 3 da. (Tav. Ili, fig. 2). Lunghezza totale » 26,6 Larghezza trasv. della superf. articol. sup « 3 n n n d n infer. .... n 3,6 Diametro trasversale a metà diafisi « 2,1 » antero-posteriore a metà diafisi ..... « 2.7 Larghezza del solco posteriore. . . . .... « 1,5 Aggiungerò che il Portis (1. c., pag. 6) considera come acci- dentale e posteriore alla fossilizzazione la rottura e conseguente mancanza della parte espansa postero-inferiore della mandibola da lui descritta. Io ritengo invece come intenzionale e fatta dall’ uomo della torbiera tale rottura, ammettendo quanto espresse il Gastaldi (*) (!) Gastaldi, Nuovi cenni ecc., pag. 38. 30 F. BOGINO a proposito delle popolazioni delle torbiere e delle mariere, le quali, cioè, « rompevano il cranio dei mammiferi per cavarne le cervella; di più non dimenticavano mai di aprire le cavità alveolari delle mandibole per levarne la sostanza polposa » . Cervus capreolus Linn. Chevreuil des tourbières, Cuvier. Recherches sur les ossements fossiles, 4m0 édit. 1835, toni. VI pag. 213. Atlas 1836, toni. II, tav. 167, fig. 18. Cervus capreolus, Riitimeyer. Die Fauna der Pfaklbauten in der Schweiz, 1861, pag. 61. Cervus Capreolus fossilis, E. Cornalia. Mammifòres fossiles de Lom- bardie. (Paléont. Lombarde p. A. Stoppani). 1858-1871, pag. 75. Tav. XXIV. Abbastanza numerosi sono gli avanzi che di questa specie fu- rono raccolti nella torbiera di Trana ; la massima parte di essi già esistevano in Museo, quando intrapresi lo studio della collezione; alcuni, fra cui interessantissimo il cranio figurato nella Tav. Ili, sebbene incompleto, sono dono recente del sig. cav. Ing. Dallosta. Eccone 1’ elenco : Spettano ad un medesimo individuo maschio, assai vecchio, le seguenti ossa: 1. Cranio, di cui sono conservate la parte sfeno-occipito-fron- tale, colle due corna, un frammento di mascellare sinistro supe- riore coi tre denti molari, e la mandibola inferiore, lati sinistro e destro, meno i due primi premolari e la parte incisiva. (Dono Dallosta). (Tav. Ili, fig. 8, 28). 2. Atlante. (Dono Dallosta). (Tav. Ili, fig. 9). 3. Asse. (Tav. Ili, fig. 14). 4. 5. Terza e quarta vertebra cervicale (d. Dallosta). 6. Ultima vertebra cervicale. 7. 8. Sesta e settima vertebra dorsale (d. Dallosta). 9. 10. Prima e seconda vertebra lombare. 11. Quarta » » 12. Sesta « « (d. Dallosta). 13. Frammento della la costola sinistra (d. Dallosta). 14. Omero destro. 15. liadio-cubito destri. (Tav. Ili, fig. 21). 31 I MAMMIFERI FOSSILI DELLA TORBIERA DI TRANA 16. Metacarpo destro. 17. Omero sinistro (d. Dallosta). (Tav. Ili, fig. 20). 18. Radio e olecrano sinistri (d. Dallosta). 19. Metacarpo sinistro. (Tav. Ili, fig. 17). 21. Lato destro del pelvi. (Tav. Ili, fig. 24). 22. Lato sinistro del pelvi. 23. Femore destro. (Tav. III. fig. 18). 24. Tibia destra. (Tav. Ili, fig. 19). 25. Metatarso destro. 26. Femore sinistro. 27. Tibia sinistra. 28. Metatarso sinistro. (Tav. Ili, fig. 16). Spetta ad un secondo individuo : 31. Corno sinistro con parte di frontale. (Tav. Ili, fig. 22). Sono di un terzo individuo: 32 e 33. Metatarsi destro e sinistro, e di un quarto individuo 20. 29, 30. Falangi. Finalmente spettano ad un individuo giovanissimo le seguenti ossa contraddistinte colla lettera b : lb. Terza vertebra lombare. 2 b. Lato sinistro del pelvi. 3 b e 4 b. Tibia e astragalo destri. 5 b, 6b e 7 b. Omero, radio e metacarpo sinistri. I caratteri specifici del capriolo sono benissimo esposti nel lavoro del Cornalia (1. c.) e corrispondono, eccettuato quanto riguarda le corna del cranio n. 1 (tav. Ili, fig. 8), perfettamente a quelli che si osservano nelle ossa del capriolo di Trana; non occorre quindi ch’io li ripeta; mi limiterò a dare le misure dei principali pezzi scheletrici, e ad aggiungere quelle osservazioni, che crederò più opportune. Corna del cranio n. 1 e corno n. 31. (Tav. Ili, fig. 8, 22). Lunghezza totale del corno dalla corona esternamente Diametro trasversale della corona n antero-posteriore » n del corno a 1 cm. sopra la corona . . . Altezza del primo ramo dalla corona esternamente . n » secondo » » », » Lunghezza del primo ramo » » secondo „ N. 1 N. 31 cm. 20 22 11 4 3,3 fi 4 3,8 11 2,3 1,8 n 13 9,5 n 16,5 15,3 n 3,3 4,6 n 0,5 1,8 32 F. BOGINO Mandibola del cranio n. 1. (Tav. Ili, f ìg. 23). Distanza del foro mentoniero dall’angolo della mandibola cm. 13,5 * » » » dalla punta esterna del condilo « 13,8 " » » » dal primo premolare . . . » 2,3 Lunghezza dello spazio alveolare dei M* eP'. . . . « 6,5 Altezza della parte orizzontale sotto il M3 « 2,3 » n n ri « n Pj » 1,7 » » » » dietro la sinfisi ... « 0,9 Atlante n. 2. (Tav. Ili, fig. 9). Massima larghezza cm. 5,6 Lunghezza del corpo « 2,7 Diametro del foro rachideo posteriormente « 1,8 Lunghezza dell’ arco superiore » 2,9 Larghezza della superficie d’ articolazione per l' asse. . « 3,8 » massima della cavità articol. pei condili . . occipitali » 3,6 Aste n. 3. (Tav. Ili, fig. 14). Lunghezza del corpo (compreso il processo odontoide). . cm. 6, Altezza dell’ apofisi spinosa dalla base del foro rachideo. « 3, Larghezza della medesima » 5,5 Omero n. 17. (Tav. Ili, fig. 20). Lunghezza totale cm. 17, Diametro della superficie articolare superiore. ... « 2,8 Larghezza « » » infer » 2,5 Diametro antero-posteriore a metà diafisi » 1,8 « trasversale » « « » 1,5 Radio e cubito n. l'5. (Tav. Ili, fig. 21). Distanza rettilinea fra le due estremità del cubito . . cm. 21,3 Larghezza dell’olecrano sopra la cavità sigmoidea. . . » 2,5 Lunghezza dell’olecrano (dalla superficie articolare del radio) » 4,5 Lunghezza del radio » 17,5 I M AM M IKK HI Fi SS1U DELLA TORBIERA DI TRANA 33 Larghezza della superficie articol. sup. del medesimo. . cm. 2,4 » » » » infer. » » . » 2, » trasversale del radio a metà diafisi. ...» 2, Metacarpo n. 19. (Tav. Ili, fig. 17). Lunghezza totale cm. 16,4 Larghezza della superficie articolare super » 2, » 1 1 » » infer » 2, Femore n. 23. (Tav. Ili, fig. 18). Lunghezza totale cm. 20, Massima larghezza dell’ estremità super » 4,7 Diametro della testa » 1,9 Massima larghezza dell’ estremità inferiore nel piano dello spazio popliteo » 4,3 Id. perpendicolarmente allo spazio popliteo » 5,2 Larghezza dello spazio rotuleo » 1,5 Diametro del femore a metà diafisi » 1,7 Tibia n. 24. (Tav. Ili, fig. 19). Lunghezza totale cm. 25,5 Larghezza trasv. della superf. articolare sup » 4, » » dell’ estremità inferiore » 2,6 Larghezza della superficie articolante coll’astragalo . . » 2, Larghezza trasv. minima della diafisi » 1,5 Metatarso n. 28. (Tav. Ili, fig. 16). Lunghezza totale cm. 20,2 Larghezza trasv. della superf. articol. super » 1,9 » n v ri ri infer » 2,8 Diametro trasversale a metà diafisi » 1,2 » antero-posteriore » » 1,6 Quantunque la forma delle corna possa variare assai anche fra individui della stessa età, tuttavia essa è così caratteristica nei caprioli, che facilissimamente si possono distinguere i medesimi fra tutte le altre specie di cervi. Generalmente però nei caprioli attuali le corone delle corna 34 F. BOGINO giacciono in un piano orizzontale o quasi, e si toccano nella parte interna, schiacciandosi a vicenda alquanto. Al di sopra di esse le corna divergono formando col piano passante per la sutura fron- tale un angolo di circa 30°, e in corrispondenza del primo ramo, collocato per lo più verso la loro metà, si rovesciano all’ indietro per un tratto più o meno lungo, biforcandosi poscia in due rami, dei quali uno, generalmente più breve, si dirige all’ iudietro, l’al- tro prende una posizione più o meno verticale. Queste condizioni di cose, che, come dissi, dal più al meno, si verificano quasi sempre nei caprioli dei nostri tempi, che si os- servano nelle corna della torbiera di Pusiano in Brianza, di cui parla Cornalia (1. c.), e nel nostro corno n. 31, tav. Ili, fig. 22, non si riscontrano invece nelle corna del cranio n. 1, tav. III^ fig. 8, dove si osserva una conformazione tutta speciale. Ivi le corna, grosse più dell'ordinario, con corona giacente in un piano molto inclinato, non contraggono veruna aderenza fra loro, essendo sepa- rate dallo spazio di un centimetro, e si elevano quasi parallele portando il primo ramo molto in alto. Il fatto di corna con co- rone non aderenti fra loro internamente fu osservato anche da Rù- timeyer a proposito di caprioli delle palafitte svizzere ('). Intorno al capriolo della torbiera di Trana aggiungerò soltanto che esso, come quello del Diluvium , e quello delle abitazioni la- custri elvetiche, superò notevolmente in grandezza e il capriolo delle terremare e il capriolo attuale (2) ; inoltre, il fatto di riscon- trare questa specie cervina in una torbiera dell’ età del bronzo, quale è la nostra, è altamente importante, in quanto che essa, se- condo rilevò Rùtimeyer, mentre abbonda nelle vicine palafitte el- vetiche dell’ età della pietra, vi manca assolutamente in quelle dell’ età del bronzo, e non ricompare che tardissimo, cioè verso il seicento dell’ èra volgare (3). (fi Rùtimeyer, Dìe Fauna der Pfahlbauten in cler Schweiz, 1861, pag. 61. (fi Gastaldi, Auovi cenni ecc., pag. 52. (3) Rùtimeyer, 1. c. 35 I MAMMIFERI FOSSILI DELLA TORBIERA DI TRAMA 13<>h primigeniua Bojanus. Bos primigenius, L. H. Bojanus. De Uro nostrate eiusque sceleto com- mentano. Scripsit et Bovis primigenii Sceleto auxit, 1825. Nov. Act. Acad. Nat. Cur. toni. XIII, parte II, 1827, pag .414 e seg., pag 477 tav. XXIV. Bos primigenius, H. v. Meyer. Ueber fossile Reste von Ochsen. Nov. Act. Acad. Nat. Cur. tom. XVII, par. 1, 1835, pag. 144. Boeuf fossile, C’uvier. Recherches sur les ossements fossiles, 4me édit. Paris 1835, tom. VI, pag. 300. Atlas. 1836, tav. 172, fig. 1-4, tav. 173, fig. 3 e 8. Bos primigenius, Biitimeyer. Die Fauna der Pfahlbauten in cler Schweiz, 1861, pag. 70, tav. IH, fig. 3, tav. IV, V. Bos primigenius, Rutimeyer, Versuch einer natiirlichen Geschichte des Rindes. Zweite Abtheilung, 1867, pag. 127, tav. Ili e IV. Il cranio intero conservato nel Museo di Pavia, di cui parla Cornalia (*), e attribuito al Bos primigenius Boj., non può asso- lutamente essere riferito a tale specie; esso è di bisonte, Bison priscus H. v. Meyer; la qual cosa è dimostrata specialmente dalla conformazione delle corna e delle ossa nasali; dalla pronunziatis- sima sporgenza dei bordi delle cavità orbitarie e dalla larghezza della fronte. Il medesimo rassomiglia assai a due bellissimi crani del nostro Museo di Torino, provenienti da Arena Po, circondario di Voghera, i quali furono illustrati dal prof. Borson (-), e sono precisamente di Bison priscus H. v. Meyer. Anche Cuvier (3) ri- corda e disegna il cranio di Bisonte dell’ Università di Pavia. Aggiungerò che Rutimeyer considera come maschi gli indi- vidui bisontini aventi le corna corte e massiccie, come femmine quelli aventi corna lunghe e relativamente sottili. In questo caso i crani del nostro Museo rappresenterebbero un maschio (Borson, fig. 3), ed una femmina (Borson, fig. 4): e quello dell’ Università di Pavia, figurato da Cuvier e da Cornalia, siccome rassomiglia maggiormente a quello della fig. 3 di Borson, quan- tunque abbia le corna relativamente più lunghe, rappresenterebbe precisamente un maschio. 0) Cornalia, Mam. fossiles de Lombardie ecc., pag. 87, tav. XXVIII, fig. 1. (2) Borson, Mémoire sur quelaues ossements fossiles trouvés en Piémont. Turin, 1831, pag. 6, tav. II, fig. 3 e 4. (3) Cuvier, Ossements fossiles, 1835, tom. VI, pag. 285, tav. 172, fig. 5. 4 F. BOGIKO oa Il Bos primigenius è rappresentato nella nostra collezione da numerose ossa, per lo più ben conservate, delle quali alcune poche (come si vede nel seguente elenco) già facevano parte della collezione stessa, le altre invece furono raccolte dai fratelli Leschiera (secondo mi venne assicurato) nello strato profondo della torba, quasi alla base del giacimento e verso il centro della Torbiera, e da essi regalate al Municipio di Torino, che, a sua volta, le depositò nel nostro Museo Geologico. L' estrema concordanza che intercede fra le prime e le se- conde sia nelle proporzioni, che nelle articolazioni e nelle super- ficie di rottura, mi fanno ritenere le medesime come spettanti ad uno stesso individuo. Esse sono : Capo. Nucleo osseo del corno destro (tav. II, fig. 13), e fram- menti del sinistro. Frammenti di cranio. Primo e secondo molari del mascellare, lato destro (del Mu- seo). (Tav. I, fig. 14). Primo e terzo premolari e primo molare del mascellare, lato sinistro (del Museo). Mandibola, lato destro : mancano gli incisivi ed il primo pre- molare. (Tav. I, fig. 2). Mandibola, lato sinistro : mancano gli incisivi, eccettuato il medio, il primo premolare e la branca ascendente (del Museo). Colonna vertebrale. I, II, III, IV, VI, VII vertebre cervi- cali; I-VII, XII e XIII vertebre dorsali (di cui la V e la XIII sono del Museo); I-VI lombari: osso sacro incompleto posterior- mente. (Tav. I, fig. 6, 9, 13). Numerosi frammenti di costole. Cinto toracico ed estremità anteriori. Scapola destra (del Museo) e scapola sinistra. (Tav. I, fig. 3). Omeri destro (Tav. I, fig. 4) e sinistro. Radio-cubito sinistro. (Tav. I, fig. 5). Parte esterna dello zoccolo del piede destro (del Museo). (Tav. I, fig. 7). Prima e seconda falangi esterne del piede sinistro (del Museo). (Tav. I, fig. 10). Cinto pelvico ed estremità posteriori. La pelvi è pressoché completa, benché rotta; però i bordi sono alquanto guasti. La fig. 11, tav. II, ne rappresenta la parte sinistra posteriore. I MAMMIFERI FOSSILI DELLA TORBIERA DI TRANA 37 Femori destro e sinistro. (Tav. I, fig. 11). Tibie destra e sinistra. (Tav. I, fig. 8). Astragalo, scafoide e metatarso destri. (Tav. I, fig. 12). Astragalo e scafoide sinistri (del Museo). Metatarso sinistro. A conferma della mia determinazione specifica e ad utilità di quegli studiosi, che eventualmente potessero avere resti di questa specie, darò le dimensioni delle ossa principali : Corno destro (nucleo). (Tav. II, fig. 13). Distanza rettilinea fra la base e la punta . . cm. 50 Curva esterna » 80 Diametri della base » 12 e 10 Mandibola, lato destro. (Tav. I, fig. 2). Lunghezza della mandibola dall’ angolo all’ orlo degli alveoli incisivi cm. 45-46 Lunghezza della branca ascendente dall’angolo alla punta dell’ apofisi coronoide .... » 22-23 Distanza del primo premolare dall’ orlo degli al- veoli incisivi » 16-16,5 Lunghezza dello spazio alveolare dei M‘ e P* . » 15,5 Spazio occupato dai 3 molari » 10 » » » » premolari » 5,5 Larghezza del terzo molare . . . j. ... » 4,4 » » condilo » 5,5 Altezza della parte orizzontale sotto M3 . . » 6,5 n » n * n P j . . » 5,0 n * * » dietro la sinfisi » 3,8 Atlante. (Tav. I, fig. 13). Massima larghezza Lunghezza del corpo * dell’ arco superiore Diametro del foro rachideo posteriormente . . Diametro massimo della superficie d’ articola- zione per 1' asse Diametro massimo della cavità articolare pei condili occipitali cm. 25 » 5,5 » 5,5 * 6 » 12 . 12 38 F. BOGINO Asse (Tav. I, fìg. 6). Lunghezza del corpo, non compreso il processo odontoide cm. 12 Lunghezza del processo odontoide » 3 Altezza dell’apofisi spinosa dalla base del foro rachideo * 12 Larghezza della medesima sopra la postzigapotìsi . . » 9,5 Diametro della cavità articolare posteriore .... » 5 Altezza dell’ orlo superiore della postzigapofisi sul piano della diapofisi » 5,8 Vertebra •prominente. (Tav. I, fìg. 9). Altezza dell’apofisi spinosa dal piano basale del foro rachideo cm. 18 Lunghezza del corpo nel foro rachideo * 5 Distanza fra i bordi inferiori delle faccie articolari delle prezigapofìsi » 5,5 Distanza fra i bordi superiori delle medesime. ... « 12 Scapola. (Tav. I, fìg. 3). Lunghezza totale » 45 » della spina « 36 Altezza massima della spina » 6 Massima larghezza della scapola » 25 Minima » » » (sotto l’ acromion) . . » 8,5 Massimo diametro della cavità glenoidea » 7,5 Omero. (Tav. I, fìg. 4). Lunghezza totale » 40 Diametro della superficie articol. super * 8 Massimo diametro dell’estremità superiore .... » 14 Larghezza della superficie articol. infer * 10 Minimo diametro della dialisi » 6 Radio e cubito. (Tav. I, fig. 5). Distanza rettilinea fra le due estremità del cubito. . » 45 Larghezza dell’olecrano sopra la cavità sigmoidea . . « 9*5 Lunghezza del medesimo (dalla superficie articolare del radio) *15 I MAMMIFERI FOSSILI DELLA TORBIERA DI TRANA 39 Lunghezza totale del radio cm. 36,5 Larghezza della superficie articolare sup. del medesimo » 10 Larghezza della superficie articol. infer. 9 « del radio a metà diafisi » 6 Femore. (Tav. I, fig. 11). Massima larghezza dell’ estremità superiore .... "16 ” » " inferiore (nel piano dello spazio popliteo) "13 Id. perpendicolarmente al piano dello spazio popliteo. » 16 Diametro della testa articolare superiore » 6 Lunghezza totale del femore "47 Larghezza dello spazio rotuleo " 5 Circonferenza della diafisi sotto il piccolo trocantere . "18,5 Tibia. (Tav. I, fig. 8). Lunghezza totale "43 Larghezza trasv. della superficie articol. sup. ... "13 « " dell’ estremità inferiore » 8,5 " della superficie articolante coll’ astragalo . " 5,5 Altezza della cresta procnemiale sul piano posteriore della tibia * 8 Larghezza trasversale minima della diafisi .... " 6 Astragalo. (Tav. I, fig. 12). Massima lunghezza ” 8,6 « larghezza " 5,7 Scafoide. (Tav. I, fig. 12). Larghezza trasversale della superficie articolare per l'astragalo " 5>7 Larghezza antero-posteriore dell’ osso * 7 " trasversale » ” 7,5 Altezza del medesimo " 5 Metatarso. (Tav. I, fig. 12). Lunghezza "28 Larghezza trasvers. della superficie articol. sup. . • " 6 40 F. BOGINO Larghezza trasvers. della superficie articol. infer. . . cm. 7,2 Diametro trasversale a metà diafisi » 4 » arrtero-posteriore a metà diafisi » 4,2 Bacino (iu parte Tav. Il, fig. 11). Lunghezza totale « 55 » della cresta iliaca ->14 » della sinfisi pubica « 22 Distanza fra le estremità esterne delle creste iliache . » 56 Distanza fra le estremità esterne degli ischi. ... » 38 Lunghezza del foro otturatore » 12 Larghezza » » « » 6,5- Larghezza trasversale della la vertebra sacrale ... » 24 » del suo corpo « 8 Lunghezza » » » * 6.2 Altezza » » » « 3,5 Distanza fra le faccie articolanti coll’ ultima vertebra lombare » 7,5 Distanza fra il centro della cavità cotiloidea e la cresta iliaca » 33 Altezza della cresta sopracotiloidea dal bordo esterno della cavità acetabolare » 9.5 Diametro della cavità cotiloidea » 7 Chi confronti queste dimensioni cou quelle dello scheletro del Bos primigenius del Museo di Jena, illustrato dal Bojanus (opera sopra citata), e con quelle dell’ individuo di Moosseedorf, di cui parla Rutimeyer ('), facilmente rileva come fra le une e le altre minima corra la differenza. Confrontai diligentemente ciascuna delle ossa cogli scheletri di buoi e vacche della li. Scuola Veterinaria, e per la maggior parte di esse, in quanto riguarda la conformazione generale, posso assi- curare di non aver riscontrato, fra il Bos della torbiera in discorso e il moderno nostro, alcuna differenza importante dal lato specifico. Solo osservai che nel primo le singole parti sono molto più mas- sicce, e le tuberosità e le superficie di inserzione dei muscoli si (’) Rutimeyer, Die Fauna der Pfahlbauten etc., pag. 73 e seg. I MAMMIFERI FOSSILI DELLA TORBIERA DI TRANA 41 mostrano assai più pronunziate; le impressioni dei vasi poi sono marcatissime ed evidentissime. Questi caratteri servono a farmi ritenere che l’ animale, del quale parliamo, visse allo stato selvaggio, e costituiscono quindi un buon criterio per condurre alla determinazione della specie, giacché sappiamo che durante tutta l’era quaternaria, visse in Eu- ropa, accanto al Bisonte, un gran bue selvaggio, cioè il Bos pri- migenius. I caratteri però che nel caso nostro servono in modo sicuro alla determinazione specifica risiedono specialmente nelle corna e nella mandibola. Prima di tutto le corna (tav. II, fig. 13) presentano una lun- ghezza tale, quale non si riscontra in nessun bue odierno e quale non raggiunsero le corna dei più grandi bisonti quaternari. Esse sono alquanto schiacciate alla base, hanno cioè due diametri, 1’ uno dell’altro maggiore, e più grande il verticale che l'orizzontale; e studiando il loro modo d’ attacco col cranio, risulta che esse corna dovettero divergere all’ infuori, dirigendosi poscia in avanti e por- tando la punta nello stesso tempo in su ed in dentro. La quale costruzione e disposizione di corna è appunto quella di cui parla Bojanus a pag. 424 del suo lavoro, che si osserva nello scheletro del Museo di Jena, nelle figure 1-4, tav. 172, e fig. 3 e 8, tav. 173 di Cuvier, nelle tav. Ili e IV di Rùtimeyer ('), e che si riferisce precisamente al Bos primigenius Boj., e che non si riscontrò finora in altra specie all’ infuori di questa. Le corna del Bison priscus, le quali più di tutte le altre ras- somigliano a quelle del Bos primigenius J ne differiscono tuttavia per molti caratteri evidentissimi, per cui giudico che si possa sempre, quando si tratti di corna intiere o quasi, distinguere con tali parti l’una specie dall’altra; e in tanto è utile saper fare questa distin- zione, in quanto si sa che le due specie suddette vissero contem- poraneamente e lasciarono i loro avanzi nelle stesse località e negli stessi giacimenti. II corno (nucleo) del bisonte ( Bison priscus) eguaglia, spesso supera alla base il corno del Bos primigenius ; e in corrispondenza di questa anch’ esso si presenta alquanto schiacciato dall’ avanti (E Ktitimeyer, Versuch einer naturlichen Geschichte des Rindes. 42 F. BOGINO all’ indietro ; ma il corno tutto è sempre relativamente breve e mar- catissimamente pedicellato. La sua torsione è minima e la punta si porta bensì lievemente in avanti ed all’ insù, ma non mai al- 1’ indentro. Inoltre nel bisonte la superfìcie del corno, specialmente nella parte posteriore, è solcata da numerosi e profondissimi canali, che talora percorrono tutta la lunghezza del corno stesso. Le corna del Dos primigenius sono sempre straordinariamente lunghe rispetto alla grossezza, e appena lievissimamente pedicellate : la loro torsione è abbastanza considerevole, e la superficie è intac- cata da radissimi solchi poco profondi. I denti mascellari presentano un grande spessore, che accusa una mascella poderosissima. I molari (tav. I, fig. 14) hanno una radice che poco si espande, la corona conserva una forma prisma- tica ; nel Bison priscus la radice si allarga maggiormente, e la corona assume forma più spiccatamente piramidale. La mandibola (tav. I, fig. 2) è di una conformazione tutta spe- ciale, quale non si riscontra nei buoi odierni, e, per l’aspetto generale, ricorda molto quella delle antilopi e dei cervi, del Dos grumiiens e del Dubaliis brachyceros. La parte orizzontale è allungatissima, relativamente corta la branca ascendente, e le due parti formano un angolo assai ottuso. La parte orizzontale poi è sotto il terzo molare poco più alta che sotto il primo premolare, cioè cm. 6,5 : 5,5, come si vede dalle misure, e la parte incisiva, rialzandosi alquanto, raggiunge appena il livello dei denti molari e premolari. Succede affatto l’ opposto nella mandibola dei nostri bovini attuali. Ivi è assai allungata la branca ascendente, relativamente corta la parte orizzontale, e questa tanto ricurvasi all' insù, da por- tare l’orlo degli alveoli incisivi molto aldi sopra del livello sud- detto. Intercede inoltre grande differenza fra V altezza che si veri- fica sotto il terzo molare e quella che si verifica sotto il primo premolare. La nostra mandibola rassomiglia perfettamente a quella del Dos primigenius del Museo di Jena ed a quella figurata dal Rù- timeyer(l), la quale pure è di D . primigenius. Aggiungerò che in 0) Rutimeyer, Die Fauna der Pfahlbauten in der Schiveiz, tav. V, fig. 2. I MAMMIFERI FOSSILI DELLA TORBIERA DI TRAN A 43 essa pronunziatissima è 1 impressione del muscolo massetere, grande il foro mentoniero e molto lunga la sinfisi. L atlante (tav. I, fig. 13) non differisce da quello dell’attuale bue se non per avere dilatate ed allungate più dell'ordinario le apofisi trasverse e larghissimo il foro rachideo. Osservando la su- perficie articolare anteriore, quella cioè che ricopre i condili del- l’occipite, si può giudicare della grandezza dei medesimi, e conse- guentemente delle dimensioni di tutto il capo. Dell asse dirò soltanto che esso mostra sviluppatissimi il pro- cesso odontoide, 1’ apofisi spinosa e l’ apofisi posteriore delcorpo. In questa vertebra le postzigapofisi sono situate molto in alto, e ben delineate si scorgono le impressioni dei vasi. Per l’atlante ed asse, come pure per l’astragalo e scafoide si confrontino le nostre figure (tav. I, fig. 13. 6, 12) con quelle di Riiti- meyer ( Fauna der Pfahlbauten J tav. Ili, fig. 3, tav. IV, fig. 1, 2, 3, 4). La vertebra prominente (tav. I, fig. 9) non presenta nulla di caratteristico ; la sua apofisi spinosa è proporzionalmente breve, il qual fatto esclude a prima vista il sospetto potersi trattare in questa specie di bisonte. La scapola ha una spina molto rialzata, la cui cresta si ro- vescia all’ indietro (tav. I, fig. 3). Nel 1858 si trovò negli scavi del tunnel di Caluso (linea Chi- vasso-Ivrea), alla profondità di 15 metri dalla superficie, e in uno strato di sabbia del Diluvium , un metatarso destro del gen. BosJ il quale venne comunicato dal prof. De Filippi al prof. Gastaldi. Questi, conoscendo quanto difficile cosa sia il determinare le ossa isolate dei ruminanti, si rivolse al Rùtimeyer, che. esaminato l’osso, così si espresse : « Questo metatarso ha proporzioni corrispondenti a quelle del Dos primigenius e maggiori di quelle del Bison: diffe- risce però dai due per lo spigolo prominente e ritorto della faccia anteriore e per la concavità della faccia posteriore. Per la forma sua generale quest’ osso corrisponde all’ omologo del Dos taurus , ma ne differisce essenzialmente per questa particolarità: nell’osso in questione è il labbro esterno della fessura longitudinale, che pre- domina sull’interno; mentre nel Bos taurus ha luogo l’inverso: il labbro interno cioè è più alto dell' esterno. Quest’ osso perciò deve appartenere ad una specie di Bue, che io non conosco » (Q. (’) Gastaldi, Intorno ad alcuni fossili del Piemonte e della Toscana. Mem. d. E. Acc. d. se. di Torino, serie 2% voi. XXIV, pag. 213. 1868. 44 F. BOGlNO Il fossile della Galleria di Caluso, ora conservato nel nostro Museo, ha lunghezza perfettamente uguale a quella del metatarso del B. primigenius di Trana, e se ha dimensioni maggiori di quelle del Bison attuale, sia europaeus che americanus, non si può dire che abbia superato anche quelle del Bison priscus, il quale aveva presso a poco la grandezza dell’ Urus (‘). Io non do nessuna importanza al fatto che in esso, nella fes- sura longitudiuale anteriore, il labbro esterno predomina nella parte superiore sul labbro interno, la qual cosa giudico semplice anoma- lia, tanto più che si verifica anche nel nostro primigenia di Trana, e T osservai in buoi attuali ; ma studiando attentamente il fossile, e facendo i dovuti confronti, rilevai che esso differisce essenzial- mente nella conformazione generale dall’ osso omologo e del Bos primigenius e del Bos taurus. La sua concavità posteriore è larga, poco profonda e con foro strettissimo : la faccia articolare superiore mostra poca differenza di livello fra le diverse faccette articolanti colle ossa tarsiane, per cui le medesime posseggono contorni mal definiti; la diafisi è, nella parte mediana, cilindroide, e la sua faccia posteriore è convessa per tutta la lunghezza. Oltre di ciò 1’ estremità inferiore è relativamente assai allargata (cm. 7,2 sopra i condili). Nel Bos primigenius e nel Bos taurus la concavità posteriore è stretta, assai profonda, con grande foro ; la faccia articolare supe- riore mostra le singole faccette nettamente divise fra loro da solchi ben marcati, e alquanto più alta la faccetta dello scafoide, che quella del cuneiforme anteriore. La diafisi ha forma prismatica anzi- ché cilindroide ; la sua faccia posteriore è piana e 1’ estremità infe- riore è relativamente ristretta (cm. 6,5 sopra i condili nel primi- genius'). Arrogi che il metatarso della galleria di Caluso ha forma più slanciata di quello del Bos primigenius. Ora, quegli stessi caratteri che così recisamente distinguono il metatarso della galleria di Caluso dai metatarsi del Bos primi- genius e del Bos taurus, si veggono spiccatamente rappresentati nell’ osso omonimo del Bisonte americano del Museo di Anatomia comparata di Torino. Considerando pertanto che lo scheletro del Bison americanus è vicinissimo (più che ad ogni altro) a quello (’) Mortillet, Le préhistorique, 1883, pag. 382. I MAMMIFERI FOSSILI DELLA TORBIERA DI TRANA 45 del Bison europaeus (Cuvier), e che entrambi derivano senza dubbio (Claus) dal Bison priscus del Diluvium, panni di essere in diritto di ritenere per ora il matatarso della galleria di Caluso come ap- partenente al Bison priscus H. v. Meyer. 1=5 os taurus Linn. Questa specie è rappresentata nella collezione dalle seguenti ossa : 1. Frammento di cranio corrispondente all'osso temporale. 2. Mandibola, lato sinistro. Ha tutti i denti molari e premo- lari. Manca della parte incisiva. (Tav. II, tìg. 8). 8. Mandibola, lato sinistro. Mancano la parte incisiva, il primo premolare e V apofisi coronoide. Spetta ad un vitello dell’ età di 6-7 mesi. Il 2° e 3° premolari sono denti da latte; il 2° molare spunta appena e l'ultimo molare non appare peranco. (Tav. II, fig. 6). 4. Mandibola, lato sinistro. Mancano la parte incisiva, la branca ascendente ed il terzo molare. I premolari sono denti da latte e 1’ individuo fu un vitello di 7-8 mesi. (Tav. I, fig. 1). 5. Frammento della branca ascendente ed angolo di una man- dibola, lato sinistro. Mostra dei tagli intenzionali destinati a trasformare l'osso in arma od utensile. 6. Frammento anteriore di mandibola, lato sinistro. Di denti vi sono un premolare e tre molari di mascellare, più un premolare e sette molari di mandibola. 7. Atlante. 8. Frammenti di costole. 9. 10. Scapole sinistra e destra. 11. Frammento di omero destro (Tav. II, fig. 1). Ha durezza lapidea ed è importante per la paleoetnologia, giacche fu lavorato dall’ uomo per trasformarlo in arma od utensile. (Confronta Gervais, Zoologie et Paléontologie générales , 1867-1869. Atlas, tav. II e XII). 12. Frammento di radio sinistro. (Tav. II, tìg. 16). 13. Frammento di radio destro con parte di cubito. Anche questo fu lavorato dall’ uomo della torbiera. 14. Frammento di radio sinistro. 15. Radio e cubito sinistri, rotti superiormente ed inferiormente. 46 F. BOGINO Spettano ad un medesimo individuo le seguenti ossa contrad- distinte colla lettera a: 16«. Radio ed olecrano sinistri. Manca gran parte del cubito, il quale non è saldato col radio. Vedi questo nella tav. II, fig. 10. Ila. Ossetto intermedio del carpo destro. 18«. Ossetto radiale del carpo destro. 19 a. Femore sinistro. Manca il grande trocantere. 20 a. Tibia sinistra. 21 a. Astragalo sinistro. 22 a. Scafoide sinistro. 23 a. Seconda falange esterna del piede destro posteriore. 24 a. Parte esterna dello zoccolo del piede destro posteriore. 25 a. Parte interna dello zoccolo del piede destro posteriore. 2 6(2. Prima falange interna del piede sinistro posteriore. 21a. » « esterna » » « * 28, 29 e 30. Tre metacarpi destri. (Tav. II, fig. 15, 17). 31. Metacarpo sinistro. 32. Frammento di pelvi, parte destra. Cavità cotiloidea ed osso pubico. Mostra dei tagli intenzionali. 33. Frammento di pelvi, parte destra. Cavità cotiloidea, con parte di pube, di ileo e di ischio. 34. Frammento di femore sinistro. Spettano ad un medesimo individuo le seguenti ossa contrad- distinte colla lettera b : 35A Femore destro, mancante dell’estremità articolare inferiore. 36A Tibia destra. (Tav. II, fig. 12). 37 b. Astragalo destro. 38. Estremità articolare inferiore di tibia sinistra. Sono di un medesimo individuo: 39 c. Tibia sinistra. (Tav. II, fig. 14). 40tf, 41 c, 42 c. Astragalo, Scafoide, Calcagno sinistri. 43. Rotola destra esostosata. 44, 45. Calcagni sinistro e destro. 46, 47. Due Metatarsi sinistri. 48. Metatarso destro. (Tav. II, fig. 2). Allo stesso individuo appartengono: 49 cl. Metatarso destro. (Tav. II, fig. 3). 50 cl. Prima falange esterna del piede destro posteriore. I MAMMIFERI FOSSILI DELLA TORBIERA DI TRANA 47 Ohe tutte le ossa sopranumerate appartengono alla specie taurus potei accertarmi confrontandole ad una ad una cogli sche- letri di buoi e vacche esistenti presso la nostra R. Scuola Vete- rinaria; e che abbiano appartenuto ad animali domestici è dimostrato dal fatto che in esse le tuberosità, le impressioni dei vasi e dei muscoli sono relativamente poco pronunziate; ma trattandosi del Bos taurus Linn., non basta la determinazione specifica, è neces- sario stabilire la razza. La divisione in razze dei bovini attuali è fondata meramente sui caratteri esterni ; e tanti e tali sono gli incrociamenti, che av- vengono fra le medesime, che dev’ essere cosa impossibile il de- finirle partendo dai caratteri osteologici. Tutt’ al più si possono verificare differenze osteologiche di qualche importanza nel cranio; ma per riguardo alle altre parti le differenze sono così poche, e di tale natura, da non poter essere considerate nella sistematica. All’ epoca delle palafitte il numero delle razze era inconte- stabilmente minore, poiché la produzione del gran numero di esse è effetto più dell’ opera dell’ uomo, che della natura ; parrebbe quindi scemata la difficoltà di stabilirle ; invece pur troppo ciò non è ; e quando capitano ossa separate provenienti da caverne, da alluvioni o da torbiere, è già abbastanza se si può arrivare a definire la specie. La qual cosa è confermata da Cuvier stesso. Ciò nondimeno, avendo a disposizione buona quantità di ma- teriale, mi sia permessa qualche osservazione in merito. Rutimejrer (') distingue nei buoi europei tre razze; di cui 1°, la razza del Primigenius o del Trochoceros possiede la maggior rassomiglianza coll’ Uro fossile {Dos primigenius Boj.); essa deriva evidentemente da questo, ed era già largamente ripartita durante 1’ età della pietra. 2° La razza del Frontosus è caratterizzata da una fronte ec- cessivamente larga, con ossa nasali e facciali corte e coi nuclei delle corna pedicellati: essa probabilmente si diramò dalla razza Primigenius e si trova per la prima volta nell’ età del bronzo. (!) Rutimeyer, Die Fauna der Pfahlbauten in der Schvjeiz, 1861, pa- gina 130 e seg., pag. 196 e seg. ; Id., Ver sue h einer naturlichen Geschichte des Rindes, 1867, pag. 130 e seg. 48 K. BOGINO 3° La razza del Brachyceros ha i nuclei delle corna assai • corti, arcatissirai e non pedicellati, un cranio diritto e slanciato, un muso fino e corto ed orbite assai sporgenti. Essa abbonda nelle palafitte e deriva verosimilmente da un bue asiatico non ancora conosciuto (]). Riitimeyer fonda la sua divisione esclusivamente, si può dire, sui caratteri osteologici del capo. È interessantissimo ciò che riferisce il Gastaldi (2) a proposito del bue. t In Svizzera sino dall’età della pietra esistevano due razze per volume 1' una all’altra opposte, sì come attualmente la piccola Bretone alla maggiore nostrale; ed ambo viveano insieme nelle medesime località, nè già separate per limiti topografici. E ciò avvenne appunto anche nelle nostre mariere. Comincieremo il ragionamento colla razza minore Riitimeyer la chiama vacca delle torbiere, Torf/cuh. È 1’ animale domestico più antico delle palafitte della Svizzera, poiché, quantunque anche l’altra razza di bue venisse addomesticata ancora nell’età della pietra, pure lo fu dopo di essa. Oltre alla minore altezza e lunghezza del corpo, la distingue- vano singolarmente le estremità sottili e snelle con falangi delicate, che portavano senza dubbio ugne assai piccole ; per la forma delle mandibole e la sottigliezza delle membra avvicinavasi al Zebù, e, come questo, al cervo. Lasciammo già intravedere come fosse affine alla piccola razza bretone degli altipiani della Scozia e di AValles, la quale, all’epoca della invasione romana nella Britannia, vi componeva le mandre di quei popoli guerrieri; i buoi brevicorni della Finlandia le si accostano del pari. Lo stipite selvaggio di queste razze affini, per non dire varietà di una sola razza, sembra essere scomparso prima dell’epoca storica; i suoi avanzi fossili scorgonsi già nel terreno pliocenico moderno o nuovo dell' Inghilterra e della Scandinavia, poi nelle torbiere d’ Irlanda; è il Bos brachyceros,. Il tipo della razza domestica, la vacca delle torbiere, cessò di esistere verso il seicento dell’era nuova, almeno nell’ Elvezia. Riitimeyer dà alla razza 0) Zittel, Traité de Paléontologie, Partie I. Paléozoologie, tom IV, trad. par Charles Barrois, 1894, pag, 482. (*) Gastaldi, Nuovi cenni ecc., 1862, pag. 44. 1 MAMMIFERI FOSSILI DELLA TORBIERA DI TRANA 49 maggiore di bue per stipite selvaggio il Bos primigenius. Parrebbe che tale razza bovina domestica non fosse di statura minore, ove non maggiore, della nostra attuale». Le due razze di Bos taurus , di cui parla il Gastaldi, cor- rispondono adunque rispettivamente alle razze Brachyceros e Pri- migenius di Rùtimeyer. Veniamo ora alle nostre ossa, e consideriamo prima d’ ogni altro la mandibola n. 2 (Tav. II, fig. 8). È di un individuo sul fiore dell’età. Le sue dimensioni sono le seguenti: Lunghezza dello spazio alveolare dei M‘ e P‘ . . . cm. 15 Spazio occupato dai tre molari » 9,7 » » » » premolari « 5,3 Larghezza del terzo molare » 4,1 » » condilo » 4,2 Distanza del foro mentoniero dall’angolo della mandibola. » 34 » » » » dalla punta esterna del condilo. » 37 » » » » dal primo premolare. ... » 7,5 Altezza della parte orizzontale sotto il M3 . . . . » 7,5 » » » » » » Pj .... » 4 » » » » dietro la sinfisi. ...» 3 Questa mandibola ha parecchi caratteri, che la ravvicinano a quella del Bos primigenius , e che io non riscontrai nei bovini nostrali. La parte orizzontale è lunga più dell’ ordinario e pochissimo incurvata ; relativamente breve invece è la branca ascendente, e le due parti formano un angolo ottusissimo. Lungo è lo spazio al- veolare, e pochissimo pronunziata l’ impressione del muscolo mas- setere. In una cosa soltanto principalmente essa differisce dalla man- dibola del Bos primigenius : nel fatto cioè che l’altezza della parte orizzontale sotto il terzo molare supera di gran lunga quella sotto il primo premolare ; e in questo la mandibola in discorso ras- somiglia di più a quella dei buoi attuali in genere. Io la riferirei, pei suesposti caratteri, nonché per la sua grandezza, alla razza Primigenius di Rùtimever. Le due mandibole n. 3 (Tav. II, fig. 6) e n. 4 (Tav. 1, fig. 1) 50 F. BOGINO appartennero a due giovani vitelli, di cui il secondo più adulto che il primo. Ne darò le misure comparative: Num. 3 Num. 4 Lunghezza dello spazio occupato dai tre premolari. cm. 6,2 5,8 Distanza del foro mentoniero dall’angolo della mandibola Yi 25,5 Yi Distanza del foro mentoniero dalla punta esterna del condilo Yi 27 Yi Distanza del foro mentoniero dal primo premolare Y) 5,8 5,1 Altezza della parte orizzontale sotto il M, . . n 5,2 4,4 » » n » n n P, Yi 3,7 3 » » » » dietro la sinfisi . Yì 2,7 2,1 Risulta che la mandibola n. 4, benché più adulta, ha non- dimeno dimensioni assai minori : il suo aspetto generale poi accusa un individuo esile e mingherlino, che non avrebbe, nemmeno collo sviluppo, raggiunto una grandezza mediocre. La mandibola n. 3, più grande e più robusta, rassomiglia assai ad una di vitello attuale di età press’ a poco eguale, che ho sott’ occhio ; solo ne differisce in quanto che presenta relativamente corta la branca ascendente in confronto della parte orizzontale; il qual carattere la ravvicina alla mandibola n. 2 ed a quella del Bos primigenia. Io riferirei perciò la mandibola n. 3 alla razza Primigenius , e quella n. 4 alla razza Brachyceros. È vero che trattandosi di individui così giovani, le determi- nazioni possono parere meno giuste, meno fondate; ma esse sono sostenute dall’ esame delle altre ossa della stessa specie. Fra le medesime osservo esservene di quelle che sono molto gracili e nello stesso tempo molto corte, e delle altre assai più lunghe e massiccie. Per questo fatto ritengo che esse rappresentino due razze di taurus, 1’ una maggiore dell’ altra e corrispondenti precisamente alle due razze di Rutimeyer e di Gastaldi. Darò alcune misure com- parative fra 2 radii, 2 metacarpi, 2 tibie, 2 metatarsi. I MAMMIFERI FOSSILI DELLA TORBIERA DI TRANA 51 | Razza grande Razza piccola Raclii n. 16a (tav. II, fig. 10) e n. 12 (tav. II, fig. 16) Lunghezza totale cm. 32,5 11 Larghezza trasvers. della superficie articol. sup. 11 8 6,5 Minima larghezza trasv. della diafìsi .... 11 4,8 4 Metacarpi n. 28 (tav. II, fig. 17) e n. 30 (tav. II, fig. 15) Larghezza trasv. della superficie articol. sup. . 11 7 5 ” ” » ” » infer. 11 6,7 5,5 » minima della diafìsi 11 3,8 3,2 Lunghezza totale 11 23 21,5 Tibie n. 36b (tav. II, fig. 12) e n. 39c (tav. II, fig. 14). Lunghezza totale 11 39 34,5 Larghezza trasv. della superficie articol. sup. . n 11 8,5 ” n n » articolante col- l’ astragalo ii 5 3,9 Larghezza trasv. minima della dialisi .... n 4,6 3,7 Metatarsi n. 49 d (tav. II, fig. 3) e n. 48 (tav. II, fig. 2). Lunghezza totale il 26,5 23 Larghezza trasv. della superficie articol. sup. . il 4,8 4,6 » » » » » infer. . il 5,9 5 » « minima della dialisi .... il 3,2 2,8 Epperciò riferirei le ossa grandi e massiccie alla razza Pri- migenius , e le ossa piccole e snelle alla razza Brachyceros. Ammetteremo adunque per ora che la torbiera di Trana rac- chiuse le spoglie di un bue selvaggio e di due razze di bue do- mestico. Canis familiaris Linn. 1. Mandibola, lato destro. Mancano i denti incisivi, il canino, il primo premolare e l’ ultimo molare. Gli altri denti sono bianchis- simi. (Tav. II, fig. 7). 2. Tibia sinistra, perfettamente conservata. (Tav. II, fig. 5). K. IÌOGINO .=12 3. Tibia destra. Mancano le due epifisi. Rappresenta un individuo giovanissimo. Lo Zitte! (') ritiene come dubbiosissima la presenza del cane domestico nell’ età paleolitica, come accertata invece la sua pre- senza nell’ età neolitica, specialmente nei kj ókkenmòddings della Danimarca, nelle palafitte della Svizzera e della Germania del Sud, e nelle terremare dell’Alta Italia. Riitimever (2), Gastaldi (3) e Zittel ammettono che in quel- V epoca esistesse esclusivamente una sola razza di cane, cioè il Canis familiari s palustris Rùtim., razza che sarebbe vicinissima al cane da ferma per statura e costituzione scheletrica, mentre invece nell’età del bronzo sarebbe esistita un'altra razza più grande, più robusta, con muso più appuntito, e rassomigliante ai nostri mastini ed ai nostri grandi cani da caccia, cioè il Canis familiaris matris optimae Jeitteles, il quale già fin d’ allora si divideva in parecchie razze ( Canis familiaris intermedia Woldr., Canis fa- miliaris Spallet ti Strobel). Gli avanzi di caue che abbiamo della torbiera di Traila sono troppo poco numerosi perchè si possa trarne giudizio fondato, ma se dovessi guardare alle loro dimensioni, certo li riferirei alla razza Canis familiaris palustris Rùtim., quantunque questa sia ritenuta propria dell'età della pietra, e non all’altra. Mandibola. (Tav. II, fig. 7). Lunghezza dall'angolo al bordo degli incisivi . . . cm. 11,5 « dello spazio alveolare dei M‘ e P' , , . » 6.3 Altezza della mandibola sotto il Pt » 1,6 » » » » il dente ferino ...» 1,7 Tibia. (Tav. II, fig. 5). Lunghezza totale .... cm. 21 Larghezza trasv. della superf. articol. sup » 3.5 » » » » » infer. . . . » 1,7 Lunghezza della cresta procnemiale » 3 0) Zittel, Traiti de Paleontolofjie, tom. IV, 1894, pag. 634. (2) Riitimeyer, Die Fauna der Pfahlbauten, 1861, pag. 116. (3) Gastaldi, Nuovi cenni ecc., pag. 40. I MAMMIFERI FOSSILI DELLA TORBIERA DI TRANA 53 La lunghezza della mandibola del cane delle palafitte sviz- zere, dall’ angolo al margine degli alveoli incisivi, stava fra gli 11 ed i 12 centimetri. Io confrontai e mandibola e tibia con parecchie ossa omologhe di cane attuale, ma non vi riscontrai differenze d’importanza. Confrontate con quelle del lupo, rilevai che mentre in queste sono assai pronunziate le impressioni dei muscoli e dei vasi e le tuberosità, in quelle invece si osserva una superfìcie liscia e lu- cente, accompagnata da spiccata riduzione delie prominenze; cir- costanza questa, che serve, se non ad altro, a giustificare la de- terminazione, che si tratta cioè, nel caso nostro, di Canis familiaris. Torino, Museo Geologico, 1896. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE Tavola I. Fig. 1. 1:5. Bos taurus Linn. n. 4. Mandibola, lato sinistro. 77 2. 1:5. Boa primigenius Boj. Mandibola, lato destro. 37 3. 1:5. 77 33 33 Scapola sinistra. n 4. 1:5. 37 33 33 Omero destro. » 5. 1 : 5. 33 33 33 Radio-cubito sinistri. 77 6. 1:5. 33 33 33 Asse. r> 7. ] : 5. 33 33 33 Parte esterna dello zoccolo destro anter. 73 8. 1 :5. 33 33 33 Tibia sinistra. n 9. 1:5. 33 33 33 Vertebra prominente. 77 10. 1:5. 33 33 33 1 a e 2a falangi ester. piede sinistro anter. 37 11. 1:5. 33 33 33 Femore sinistro. 77 12. 1:5. 33 33 33 Astragalo, scafoide, metatarso destri. 7) 13. 1:5. 33 33 33 Atlante. 77 14. 1:3. 33 33 33 1° e 2° molari del mascellare destro. Tavola II. Fig. 1. 1:3. Dos taurus Linn. n. 11. Frammento di omero sinistro lavorato. 2. 1:5. » » » n. 48. Metatarso destro. 3. 1:5. » » » n. 49 d. » ” 4. 1:5. Sua scrofa ferus Linn. . . . Mandibola, lato destro. 77 54 F. BOGINO, I MAMMIFERI FOSSILI DELLA TORBIERA DI TRANA Fig. 5. 1:3. Canis familiari s Linn. n. 2. Tibia sinistra. 57 6. 1:5. Bos taurus Linn. n. 3. Mandibola, lato sinistro. yy 7. 1:3. Canis familiaris Linn. n. 1. Mandibola, lato destro. 57 8. 1:5. Bos taurus Linn. n. 2. Mandibola, lato sinistro. yy 9. 1:5. Equus caballus Linn. n. 14. Radio destro. 57 IO. 1:5. Bos taurus Linn. n. 16a. Radio sinistro. yy 11. 1:5. Bos primigenius Boj. Parte sinistra posteriore del pelvi. Yì 12. 1:5. Bos taurus Linn. n. 365. Tibia destra. yy 13. 1:5. Bos primigenius Boj. Nucleo osseo del corno destro. n 14. 1:5. Bos taurus Linn. n. 39c. Tibia sinistra. yy 15. 1 : 5. n » n n. 30. Metacarpo destro. yy 16. 1 : 5. » » » n. 12. Frammento di radio sinistro. yy 17. 1:5. » » » n. 28. Metacarpo destro. Tavola III. Fig. 1. 1:5. Cervus elaphus Linn. n. 18. Scapola destra. *7 2. 1:5. » » 57 n. 35 a, 36«, 38«, 3 9 a. Arto post, sinistro. yy 3. 1:5. » » 57 n. 28«. Metacarpo sinistro. yy 4. 1:5. Equus caballus 55 n. 11. Radio sinistro. yy 5. 1 : 5. Cervus elaphus 57 n. 30 a. Lato destro del pelvi. yy 6. 1:5. Equus caballus 55 n. 28. Radio-cubito sinistri. yy 7. 1:5. Cervus elaphus 55 n. 25fl. Radio destro. yy 8. 1 : 3. Cervus capreolus 57 n. 1. Cranio. yy 9. 1:3. » » 57 n. 2. Atlante. yy IO. 1:5. Cervus elaphus 57 n. 33ffl. Calcagno destro. yy 11. 1:5. » » 57 n. 4. Mandibola, lato destro. yy 12. 1:5. » » 57 n. 1 . » » » yy 13. 1:5. » » 57 n. 22. Femore sinistro. yy 14. 1 : 3. Cervus capreolus 55 n. 3. Asse. yy 15. 1:3. Ovis aries ? 57 . . . Metatarso lavorato. yy 16. 1:3. Cervus capreolus 55 n. 28. Metatarso sinistro. yy 17. 1:3. » n 57 n. 19. Metacarpo sinistro. 57 18. 1:3. » » 57 n. 23. Femore destro. 57 19. 1:3. » ” 57 n. 24. Tibia destra. 57 20. 1:3. » ” 57 n. 17. Omero sinistro. 57 21. 1:3. » » 57 n. 15. Radio-cubito destri. 57 22. 1:3. » » 57 n. 31. Corno sinistro. 57 23. 1:3. » » 57 n. 1. Mandibola, lato destro. 57 24. 1:3. » « 55 n. 21. Lato destro del pelvi. Boll, della Soo. Geol. It. Voi. XVI (1897). Tav. 1. Forma fot. Roma Fototipia Danesi Boll, della Sos. Ceol. Il Voi XVI (1897). Tav. II. Forma fot, Roma Fototipia Danesi Roma Fototipia Danesi Forma fot. Boll, della Soe. Geol. It. Voi, XVI (1897). Tav, 111. SULLO SVILUPPO E INDIRIZZO DELLA GEOLOGIA APPLICATA IN ITALIA Nota dell’ing. Augusto Stella. Prima che spiri il secolo che muore, chi si facesse a riandare colla mente il cammino percorso dalle Scienze Geologiche in Italia, troverebbe insieme argomento di orgoglio e argomento di rimpianto. E lo storico (invano cercato dalla nostra società) potrebbe avere un filo, che lo guidi nel labirinto della produzione geologica, spin- gendo P occhio a discernere le fasi successive nella evoluzione della Geologia Italiana. La quale nel secolo nostro appare sospinta con- temporaneamente, e dalla corrente scientifica europea, e dal mo- vimento politico nazionale. Quella aveva preparato, fra la fine del secolo scorso e il principio di questo, il complesso di quelle dot- trine positive, che reggono la moderna geologia ; questo invitava il naturalista allo studio del suolo patrio. E una pleiade di studiosi si accingeva ad illustrare geologi- camente la regione, la provincia, il paese di ciascuno stato dell’ Italia in formazione. È questa la prima fase della geologia nostra, che si può chiamare monografica regionale ; opera di ingegni spesso mirabili, che seppero contemporaneamente studiare della loro re- gione la geologia generale, la stratigrafia, la paleontologia, la pe- trografia, i materiali utili ; dandoci anche saggi di carte geologiche schematiche e approssimative. Questi diversi rami or accennati dell’ albero molteplice, die- dero alla generazione successiva i semi di altrettante discipline separate, alle quali specialmente attesero, con più e meno di pre- ferenza, i naturalisti geologi delle Università, diventate o prossime a diventare, italiane. In queste facevasi tesoro del materiale rac- colto in ciascuna regione per illustrarlo sistematicamente ; e ad accrescere la messe per tali illustrazioni erano prevalentemente di- 56 A. STELLA rette le rapide uscite sul terreno. Fu questa la fase (non ancora chiusa) che chiamerei sistematica speciale ; alla quale ne succede una terza, la fase scientifica generale. Ciascuna branca degli studi geologici, con più o meno fortuna, si individua come scienza speciale, concatenata però al movimenta scientifico generale; che alla paleontologia, alla petrografia, alla geologia generale e cronologica, ed alla geologia applicata ha ormai impresso indirizzo proprio e cosmopolita; mentre il contributo di ciascuna di esse, messo a profitto dello studio sistematico e rego- lare del terreno, costituisce quella che si può chiamare : la geo- logia topografica. Alle prime attendono o dovrebbero attendere di preferenza gli Istituti Universitari ; all'ultima gli Istituti o Uffici appositamente organizzati per il rilevamento geologico. L’ esaminare in quale misura questa terza fase, variamente iniziata, in Italia, si vada esplicando per opera dei nostri Istituti Universitari e dell'Ufficio Geologico, è compito troppo vasto; io mi terrò in più ristretto campo, il campo speciale della Geologia Pra- tica o Applicata. È in essa geologia applicata, che ebbe radici Y albero della geologia moderna da Arduino a Werner, da Brocchi a Beaumont. Eppure chi esamini la bibliografia geologica italiana di questa se- conda metcà del secolo, trova che i nostri geologi forse troppo delle origini si dimenticarono. Mano mano che dalla fase degli studi regionali, si passa a quella delle ricerche specializzate, diven- tano relativamente più radi i naturalisti (intendo competenti), che trattano questioni di geologia applicata; sicché aH’aumento grande, direi quasi stragrande, di scritti sulle altre parti della geologia, corrisponde una diminuzione relativa di quelli, che ai problemi di geologia applicata (e solo a pochi di essi) dedicano le pagine loro. Un qualche compenso a questa trascuranza si trova (almeno per certi argomenti) se dalle pubblicazioni dei geologi di gabinetto, si passa a quelle dei geologi rilevatori e degli ingegneri di mi- niera, il cui intervento fece sì, che spontaneamente si delincasse questa divisione di lavoro nelle ricerche specializzate. Si potrebbe credere, che anche fra le molte altre pubblica- zioni di indole tecnica, cresciute pur in Italia con rapida progres- sione, abbia trovato luogo la trattazione di speciali questioni di geologia pratica, che all' arte dell' ingegnere si collegano stretta- SULLO SVILUPPO E INDIRIZZO DELLA GEOLOGIA ECO. 57 mente. Ma ciò è soltanto per eccezione, e in modo molto subor- dinato, in confronto dell’ immenso lavoro compiuto dall’ ingegneria italiana in quest’ ultimo trentennio. Eppure molti dei suoi problemi avevano nella nostra scienza le loro premesse. Anche tralasciando i lavori minerari propria- mente detti, basta pensare alle costruzioni ferroviarie, ai grandi canali, alle opere portuali, alle sistemazioni idrauliche, alle boni- fiche, ai miglioramenti agrari, alle provviste di acqua potabile, agli ampliamenti di molte città, a parecchie delle opere militari. Ma ha saputo e potuto l’ Ingegneria italiana in cotesta mol- teplice attività trarre lume dalla Geologia ? — Ha saputo e po- tuto la Geologia italiana prestare valido aiuto alla Ingegneria ? — Recriminazioni non giovano se non come sprone al meglio per 1’ av- venire, anche prossimo ; a ciò soltanto mirano queste mie schiette, per quanto non peregrine, considerazioni. Nei molteplici problemi accennati non mancò la cooperazione di Geologi, talora chiamati a dare consiglio; come non mancarono Ingegneri pratici, che seppero attingere da criteri geologici buoni suggerimenti; — ma si può affermare altamente, che è mancata, fra geologia e ingegneria, quella generale corrispondenza, la quale ha fondamento soltanto nella cultura dell’ ingegnere stesso ; quella cultura geologica, che al tecnico può suggerire la soluzione mi- gliore nei singoli problemi della pratica, e insieme gli porge occa- sione di contribuire al progresso scientifico con sempre nuove e pre- cise osservazioni. Questa deficienza di cultura geologica si può dire gravissima per le conseguenze, talora disastrose, troppo spesso con- statate ; come è confessato da competenti ingegnèri in Memorie, in Relazioni, in Congressi. Per vederne la ragione, bisogna ripensare allo stato attuale della Geologia in Italia, giunta soltanto in quest’ ultimo quarto di secolo all’ inizio di quella terza fase di sviluppo, che chiamai « fase scientifica « nella quale tendono a scindersi in altrettante scienze speciali Geologia generale, Paleontologia, Petrografìa, Geologia Topografica, cui si aggiunge, o dovrebbe aggiungersi, la Geologia Applicata. È evidente, che, se della geologia topografica doveva occuparsi di proposito un Ufficio Geologico, e delle altre parti speciali gli Istituti Universitari, alcuni fra questi erano natural- mente chiamati a dare impulso alla Geologia Applicata ; e sono 58 A. STELLA gli Istituti di istruzione tecnica superiore ('), e specialmente le Scuole d’ingegneria. Appunto in e»si Istituti uou mancarono di affermarsi degnamente le altre scienze applicate: Fisica tecnica, Chimica tecnologica, Meccanica applicata, Idraulica pratica. Ma della Geologia Applicata si può dire altrettanto in generale, malgrado qualche sforzo isolato ? A questo punto forse alcuno fra i geologi o gli ingegneri, che mi avessero seguito, scuote il capo scetticamente; qualche geologo sorride alla serietà scientifica di una Geologia che si chiama « pra- tica » ; qualche ingegnere sorride al valore pratico di un ramo di studi che si intitola dalla « Geologia » . Ma oserei affermare, che l’ uno e 1’ altro sorriso dimostrano, come spesso accade, non supe- riorità, ma deficienza di cultura. Si può infatti domandare e al geologo e all’ ingegnere, se non abbia importanza il rilevamento geognostico dettagliato di una regione, ove si coltivino miniere, o si aprano cave ; attraverso cui debba passare una strada, una ferrovia, un canale ; o che debba essere soggetta a bonifica idraulica o agraria : — se non occorrano lo studio preventivo e l’osservazione incessante nei lavori di gallerie, trinciere. fondazioni profonde; la conoscenza non solo di leggi generali, ma di criteri particolari e di esempi pratici, per farsi un’ idea positiva sulla idrologia di una regione, sia nelle costruzioni profonde e sot- terranee, sia nelle opere di drenaggio, sia nella ricerca di acque di sottosuolo e di sorgente; — se non sia necessaria la nozione pre- cisa del modo di comportarsi delle commozioni sismiche; dei fra- namenti, per opporre loro gli sforzi dell'arte — ; la interpretazione scientifica di certe forme e qualità caratteristiche del terreno, per poterle ben valutare e rappresentare nelle levate topografiche, nei rilievi idrografici, e negli studi catastali, militari e marinareschi; la conoscenza positiva delle condizioni geognostico-idrauliche dei nostri bacini fluviali rispetto alla loro sistemazione; delle nostre coste rispetto alle opere di difesa ed ai porti — ; e finalmente se (>) E sono i seguenti: le sei Scuole di Applicazione per gli ingegneri (Torino, Bologna, Padova, Roma, Napoli, Palermo); l’Istituto tecnico supc- riore di Milano; il Museo industriale italiano di Torino; l’Accademia superiore Navale; la Scuola di Applicazione di Artiglieria e Genio, colla Scuola di Guerra, e le Scuole superiori d’ Agricoltura. SULLO SVILUPPO E INDIRIZZO DELLA GEOLOGIA ECO. 59 non sia necessario conoscere adeguatamente i materiali utili alle industrie e alle costruzioni, e i loro giacimenti. È appunto questo complesso di nozioni e di osservazioni che costituisce la Geologia Pratica o Applicata come disciplina sepa- rata; e che esce dal quadro della geologia propriamente detta; ma forma, per così dire, 1’ « ubi consistam « di gran parte della moderna ingegneria. La importanza di essa Geologia Applicata si può dire riconosciuta universalmente ; per essa nell’ ultimo Congresso Geologico Internazionale fu creata speciale Sezione alle discussioni. In Italia la organizzazione stessa dell' Ufficio Geologico aveva avuto a guida il concetto (più o meno attivamente seguito) di una tale importanza della geologia pratica ; concetto cui anche le nostre Scuole d’ Ingegneria nelle graduali modificazioni ai loro ordina- menti, sono andate informandosi in varia, ma troppo scarsa, mi- sura. Misura scarsissima, se si guarda alla molteplicità, dei pro- blemi di geologia pratica, in confronto della parte che essa prende complessivamente nella cultura degli ingegneri italiani. Non è serio il parlare di Geologia Applicata, quando lo scarso tempo ad essa destinato, debba o suddividersi su tutto lo svariato scibile geologico, o restringersi a pochissimi esempi di applicazione ; e quando, anche là, dove si concede minore strettezza di tempo e una certa divisione di lavoro, manca affatto il tirocinio assolu- tamente indispensabile degli Esercizi pratici in gabinetto e in cam- pagna, senza dei quali la geologia può essere buon complemento di cultura generale, ma non preparazione alle battaglie, che l’ in- gegnere deve combattere colla natura. Le moderne esigenze dell’ arte dell’ ingegnere hanno di neces- sità fatto dare alla preparazione nelle scienze Matematiche una importanza, che io non ardirò dire eccessiva, ma alla quale cer- tamente non corrisponde iu misura adeguata la preparazione nelle scienze Naturali, esse pure non meno essenziali alla cultura dell’ in- gegnere, per consenso non solo di naturalisti, ma di matematici insigni. Questo forte predominio di « indirizzo matematico « per- siste pur nella più parte delle scienze applicate, a fronte dell’ « in- dirizzo naturalista » troppo deficiente, per educare quello spirito d’ osservazione, dal quale per tanta parte dipende il risultato del- 1’ opera tecnica, come di ogni opera umana. A sviluppare, affinare e dirigere allo scopo questo spirito d’ os- 60 A. STELLA, SULLO SVILUPPO E INDIRIZZO DELLA GEOLOGIA ECO. servazione giovano appunto le Scienze Naturali, e tra esse le Scienze Geologiche moderne. Alla Geologia Applicata (preceduta da Mine- ralogia e da Geologia Generale) , spetta il compito di metterci a contatto con la maggior parte di quei materiali, che si dovranno usare nelle costruzioni e nelle industrie ; e con quelle naturali con- dizioni del terreno, in mezzo alle quali dovranno svolgere l’opera loro i futuri ingegneri. La Geologia Pratica o Applicata ha già percorso lungo cam- mino; molto si è fatto fuori d’Italia; molto si può (e si è comin- ciato) in Italia, facendo tesoro dei risultati dell’ immenso lavoro compiuto e dalla Geologia e dalla Ingegneria in quest’ ultimo tren- tennio; sicché la geologia pratica non di nome soltanto, ma di fatto può e deve entrare come disciplina fondamentale nella nostra cultura tecnica superiore. Speriamo che di ciò siano convinti coloro che sono chiamati a professarla dalla cattedra. Se essi veramente conoscano delle scienze geologiche moderne i risultati e i metodi, e dei diversi rami della moderna ingegneria i procedimenti e i fini, potranno mi- rare a duplice scopo : lo scopo delle indagini originali, dalle quali ancora attendono soluzione molti problemi di geologia pratica; e lo scopo didattico, non meno alto e importante del primo. A loro P au- gurio, che riescano a inserire saldamente fra Geologia e Ingegneria l’anello di quella catena, che avvince ormai, in tutti i campi del- l’ attività umana, Pratica e Scienza. [31 marzo 1897] I FOSSILI DELLO SCHLIER DI SAN SEVERINO (Marche) Nota dei dott. G. de Angelis d’ Ossat e G. F. Luzj. Non ha guari che imo di noi raccolse in quel di San Severino (Marche), parecchi fossili in una cava di marna grigia indurita, che viene coltivata per la fabbricazione del cemento, nella località detta Ponte dei Canti, a sinistra del fiume Potenza. Anche sulla riva destra di questo corso d' acqua, vicino alla città, sopra di un colle, chiamato Sassuglio, rinvenne fossili della stessa formazione. Il conte F. Parteguelfa, presidente della società della cava del ponte dei Canti ed il dott. D. Pascucci, appassionato culto .-e di cose paletnologiche, ci favorirono in comunicazione diversi fos- sili da loro raccolti nella citata cava, di che porgiamo loro pub- bliche grazie. 11 Canavari nel 1878 {Cenni geologici sul Camerinese e par- ticolarmente su di un lembo titonico nel Monte Sanvicino. Boll. R. Comit. geol.) scriveva: « Gli strati che complessivamente for- mano il bacino terziario camerinese hanno ancora bisogno, per l'e- satta loro determinazione e comparazione con quelli già noti, d’ un accurato studio paleontologico » . Queste parole che riguardano ancora la vicina S. Severino ci hanno fatto reputare non priva d'in- teresse la determinazione dei fossili che fino ad ora abbiamo po- tuto esaminare. Essi infatti sono, quantunque pochi, così caratte- ristici, che ci permettono un sicuro riferimento cronologico. La roccia si presenta in strati che pendono verso il mare con un angolo coll’ orizzonte abbastanza sentito. Le assise di strati se- guono la ben nota successione già riconosciuta dal Canavari nel vicino bacino Camerte; che poi è la medesima che si riscontra lunghesso le falde orientali dell’ Appennino. A Sassuglio la roccia contiene molte concrezioni cilindracee, di vario diametro, talor ra- mificate, che soventi si attribuiscono, a torto, a Fucoidi. Secondo 62 G. DE ANGELIS D’OSSAT E G. F. I.UZJ le nostre ricerche si può prolungare a sud la formazione gessosa, già indicata piu a nord, nella carta geologica d’ Italia (R. Comit. geol. 1881). ('). Tralasciamo i nomi dei geologi che si occuparono delle regioni vicine, ciò che ci riserviamo di fare nel caso che le nostre ricer- che e gli studi più accurati ci fruttassero un maggior numero di specie e più dettagliate nozioni stratigratìche. ★ * * Pertanto ecco le forme che abbiamo potuto riconoscere: Carcharodon megalodon, Agassiz. ( Poiss ., Foss. voi. Ili, pag. 247, tav. XXIX. 1843). Un bellissimo esemplare, con la radice quasi interamente conservata. Il Lawley ed altri lo citano nell’ Eo- cene sino al Pliocene (2). Ponte dei Canti. Sopra i frammenti di roccia soventi si osservano piccolissime squame ctenoidi di pesci, di colore rosso-bruno. A tu ria Attiri, Basterò! (Michelotti, Descr. d. foss. Mioc. de V Ilal. sept.j pag. 349, tav. XV, fig. 4, Cly menici Morrisi). È un piccolo frammento che pur non lascia dubbio sulla determi- nazione di questa caratteristica specie dello Schlier di Bologna (Fuchs, Manzoni, Simonelli), Pergola (Canavari), Piemonte (Mi- chelotti, Bellardi), Sassari (Meneghini). Ponte dei Cauti. Galeodea tauropomum, Sacc. (/ Molluschi ter. terz. Pie- monte Lig. part. VII, pag. 67, tav. II, fig. 24 a, b.). Gli esemplari che rappresentano la specie sono in istato di modello ed hanno subito una forte compressione, maggiore a molti altri fossili, a P) Dagli strati gessosi di Serralta abbiamo potuto avere in gentile comunicazione dal sig. dott. Pascucci, parecchie impronte di foglie, che di- sgraziatamente non sono tanto ben conservate da permetterci una sicura de- terminazione ; alcune di esse appartengono ai generi: Quercus, Acer, Pla- tanus, etc. Biuscirono vane le ricerche fatte nella formazione dei gessi a Cesolo ed a Vaiolo. (2) Inoltre nella collezione Pascucci figurano 26 denti di Selaci, che egli ebbe dagli agricoltori di S. Severino, come punte di frecce preistoriche* Laonde non è possibile rintracciarne la località precisa, però da ciò che ci viene asserito essi provengono soltanto dal territorio di S. Severino e quindi probabilmente dai terreni miocenici. Fra essi abbiamo riconosciuto le seguenti specie : Carcharodon megalodon, Agass. sp. ; C. auriculatus, de Blainv. sp. ; Odontaspis elegans, Agass. sp.; Oxyrhina hastalis, Agass.; Oxyrhina sp. I FOSSILI DELLO SCHLIER DI SAN SEVERINO 63 causa della delicatezza del loro guscio. Tuttavia la determinazione la riteniamo per certa. Si è raccolta a Sciolze e nelle Colline di Torino (Elveziano). Ponte dei Canti. Cassidaria (Galeodea) echinophora, L. sp. Riportiamo a que- sta ben conosciuta specie vivente due grossi esemplari che, quan- tunque compressi, ci mostrano i caratteri esterni e quelli della bocca. Fu trovata in moltissime località mioceniche; comunissimo nello Schlier, Bologna e Marchigiano (Simonelli). Ponte dei Canti. Nelle vicinanze di S. Severino furono raccolti dal prof. Canavari due bei esemplari di questa specie. Tugurium postextensum, Sacc. (Sacco, op. cit., part. XX, pag. 26, tav. Ili, fig. 8, 9 ; tav. IV, fig. 1). Gli individui che rappresentano la forma sono mal conservati ed i più sono modelli. La corrispondenza con gli esemplari tipici del Sacco è certa, men- tre non è altrettanto sicura 1’ istituzione della forma, fatta sopra pessimi avanzi (Sacco). Fu trovata in molte località dell’ Aquita- niano, Langhiano, Elveziano, Tortoniano. V’ hanno inoltre molti modelli indeterminabili che apparten- gono certamente a specie o varietà affini alla citata. Ponte dei Canti. Turbo (Trochus) cfr. fimbriatus, Borson ( Iialien’s Tertiàr- gebilde, pag. 56, n. 293). Un frammento che ci mostra l’ ultima spira veduta dalla parte apicale risponde abbastanza bene a questa forma, specialmente seguendo la descrizione del Michelotti ( Descr . ter. Mioc. It. Sept., pag. 176). L’anfratto ci presenta produzioni spiniformi molto prolungate e 1’ ordine esterno delle granulazioni non disposto a linea spezzata, ma secondante l' andamento del- 1’ anfratto. È forma che dal Miocene passa al Pliocene di molte località italiane. Ponte dei Canti. Ostrea (Gryphaea) cochlear, Poli (Test, utriusq. Sicil., voi. II, p. 19, tav. XXVII, fig. 28). Tanto a Sassuglio, quanto al ponte dei Canti si trova frequentemente questa specie. La maggior parte delle valve sembrano appartenere alla var. navicularis ( 0 . navi- cularis, Br.). Infatti sono molto allungate e convesse. Le orna- mentazioni concentriche sono piuttosto rare : 1’ umbone prominente è ripiegato. Di questa forma parlò a lungo il Foresti (Dell’ Ostrea 64 G. DE ANGELIS d’OSSAT K G. F. I.UZJ cochlear , Poli e di alcune sue varietà. Note sur deux nouvelles variélés de ì'Ostrea cochlear , Poli), ed ultimamente il Pan- tanelli ( Lamellib . Pliocenici). È specie abbondante nel Miocene e nel Pliocene profondo. 11 Simonelli la cataloga nello Schlier di Bologna (op. cit.). 11 prof. Canavari ha raccolto tanto nelle vicinanze di Came- rino, come in quelle di San Severino, esemplari di una piccola Ostrea, che somiglia moltissimo alla 0. langhiana , Trab. Largamente rappresentato è l’Amussium denudatimi, Reuss. (Die foss. Fauna der Steinsalzablagerungen von Wieliczka , tav. VII, fìg. 1, 1867, Pecten ). (Hdrnes K., Die Fauna des Schliers von Ottnang, pag. 383, tav. XIV, fìg. 21, 22, Pecten). Questa spe- cie, secondo il Seguenza, si estinse nel Pliocene antico e secondo Hdrnes jun. rappresenterebbe il Pecten cristatus, Bron. del Plio- cene. Il Simonelli (loc. cit., pag. 23) la cita nello Schlier di Bo- logna ; difatti è specie esclusivamente miocenica e specialmente dello Schlier (Suess.). A Malta è ricordata dal Fuehs. Il Seguenza la trovò nel Tortoniano e nel Zancleano di Calabria. I nostri esemplari sembrano in stato giovanile e quasi sem- pre frammentari. Sassuglio, Ponte dei Canti. Pecten Malvinae, Dub., (Hdrnes, Die foss. Moli., Wien, voi. II, pag. 414, tav. LXIV, fìg. 5). Parecchie impronte, con scarsi avanzi di conchiglia che fortunatamente fanno riconoscere l’ ornamentazione esterna specialmente quella delle coste, le rife- riamo alla presente specie. La forma generale corrisponde e quindi tutte le proporzioni. E forma miocenica di molte località d'Italia continentale ed insulare. Sassuglio, Ponte dei Canti. Terodo norvegica, Spengler ( Schrift . of Naturh. Selskab., voi. II, part. I, pag. 102, tav. II, fìg. 4-6 B). Riportiamo, secondo ciò che fanno anche altri, a questa specie molti tubi calcarei, senza aver potuto osservare la conchiglia. È una determinazione del tutto empirica. È specie che si nomina dal più basso Miocene sino a trovarla vivente nei nostri mari. Il diametro è variabile di molto. Se ne trovano frequentissimi frammenti in tutte e due le località. Pholadomya (Procardia) Canavarii, Simonelli ( Sopra una nuova specie del genere Pholadomya. Bull. Soc. Malac. ital., I FOSSILI DELLO SCHLIER DI SA.N SEVERINO 65 voi. XIII, pag. 17-20, tav. I, fig. 1-7). Il Simonelli descrisse e figurò questa specie nel 1888, sopra esemplari trovati nelle vicine marne argillose mioceniche di Pergola. Lo stesso autore nel la- voro spesso citato sullo Schlier ne riporta altri giacimenti come : Ascoli Piceno, Torino, Zante (Fuchs). Noi trovammo solo due esem- plari che debbono essere ascritti a questa forma ; uno è fortemente compresso, ma con evidentissimi caratteri specifici, come l’ inequi- lateralità, gli umboni elevati, prosogiri e subspirali ; 1’ altro è in istato di modello e ci si presenta, guardato dalla bocca, cuoriforme e con una piccola lunula. La superficie è ornata da larghe pieghe concentriche, le quali verso il margine ventrale si confondono con strie sottili e rilevate. Dagli umboni si partono costicine che irrag- giano e che descrivono una curva rivolta verso la bocca. La forma è l’ultima discendente delle procardie cretacee. Ponte dei Canti. Pholadomya sp. Un esemplare che deve essere riportato a questo genere, avendo subito una fortissima compressione, non ci permette la specificazione. Esso però somiglia molto agli esemplari ed alle figure della Pholadomya Vaticani , Ponzi (/ fossili di Monte Vaticano , pag. 17, tav. II, fig. 3 a, b, c ). Infatti ha superficie esterna ornata di grosse coste concentriche, rotonde, le quali sono attra- versate da 5 o 6 linee raggianti, che s'ingrossano nell’incontro delle coste. Poco o punto si può dire sopra gli umboni, lunula, ecc. Ponte dei Canti. V’ hanno altresì molti modelli indeterminabili di Lamelli- branchi, che appartengono ai gen. : Tellina (cfr, ottnangensis , Hòrn. jun.), Carclium , Nucula , Lucina , ecc. Ponte dei Canti. Interessantissima è la presenza di molte valve di Lepas, che crediamo siano le prime trovate nello Schlier dell’ Italia orientale. Infatti non troviamo mai menzionato tal genere nei lavori che ab- biamo avuto occasione di consultare, come quello del Simonelli. Tale scoperta viene a confermare la frequenza di tali fossili in Italia, mentre sembrano molto rari nelle altre regioni. La specifi- cazione è abbastanza difficile a causa delle cattive figure e del raro materiale ; tuttavia seguendo il De Alessandri ( Contrib. allo 60 G DE ANGKLIS d’OSSAT E G. F. LU7J studio dei Cirripedi fossili d' Italia. Boll. Soc. geol. ital., Roma, (1895) si possono ravvicinare i nostri fossili alla nuova forma L. Rovasendai , De Aless., la quale del resto ha fortissime analogie con la L. Ilillii, Leaeh. Si potrebbero trovare delle piccole varia- zioni da far pensare alla instituzione di una specie nuova, ciò che però non faremo se migliori esemplari non ci permetteranno uno studio più completo, e se non sarà a nostra disposizione almeno un cam- pione delle singole forme citate dal De Alessandri, cioè : L. Hillii, mallandriniana, Rovasendai , anati fera; cui devesi aggiungere la L. signata, Seguenza (/ terr. di Reggio Cai., pag. 293). Le dimensioni sono svariatissime, senza arrivare a quelle as- segnate alla L. Rovasendai. Gli altri caratteri corrispondono per- fettamente, almeno quelli degli scudi e della carena. Disgrazia- tamente l' unico tergo trovato è frammentario e quindi non può essere descritto, ciò che servirebbe a completare la conoscenza della forma avendo trovato il Rovasenda solo lo scudo e la carena nelle marne elveziane, in regione Mortaro presso Sciolze. Ponte dei Canti. Hemipneustes italicus, Manzoni (Manzoni, Gli Echinodermi fossili dello Schlier delle colline di Bologna , pag. 8, tav. I, fig. 3; tav. II, fig. 16, 17; tav. IV, fig. 31, 32). Sei esemplari, quantunque fortemente compressi, pure mostrano i caratteri spe- cifici tanto bene determinati dal Manzoni. Essi sono di varie di- mensioni oscillando sempre fra i massimi ed i minimi riscontrati dall’autore. Due, fra gli altri, mostrano evidentemente la faccia inferiore corrispondente alla fig. 31, 32 (loc. cit.). Lo stesso Man- zoni cita la specie nello Schlier delle colline di Bologna e di An- cona e nelle molasse serpentinose di Montese e nei dintorni di Guglia. Ponte dei Canti, Sassuglio. Sono frequenti i radioli del gen. Cidaris. Flabelhim vaticani Ponzi (Simonelli, op. cit., pag. 32, fig. 3; De Angelis, I Zoantari fossili dei dintorni di Roma , pag. 10, fig. pag. 27). Un grosso frammento ed un giovane individuo rap- presentano indubbiamente questa specie. Ci duole di non avere un esemplare ben conservato per isti- tuire confronti con gl' individui del Monte Vaticano ( Roma) per acquistare la certezza della pertinenza ad una sola specie. I FOSSILI DELLO SCHL1ER DI SAN SEVERINO 67 L 'habitat è finora nelle marne del Vaticano (Roma), Ponti- cello di Savena (Bologna), nel Miocene medio delle colline di Bo- logna, Torre di Traversetolo, Pergola (Simonelli). Fangario in Sar- degna (de Angelis). Montecastello (Osasco) ; Ponte dei Canti, Sas- suglio. Un Flabelhim impaniato nella marna indurita dalla parte del calice, quantunque offra molte somiglianze con una specie dello Schlier di Torino, pure non ci peritiamo di battezzarlo, tanto più perchè pare in istato molto giovanile. Ponte dei Canti. Con una debole lente è facile osservare un gran numero di gusci di Foraminiferi che difficilmente si possono separare dalla roccia. In parecchie sezioni che abbiamo di questa osservate al microscopio si è veduto alcune volte la roccia costituita in pre- valenza dei gusci calcarei abbastanza ben conservati, dei seguenti generi e specie: Orbulina universa, D’Orb. ; Globigerina bulloides, D’Orb. ; G. bulloides var. trilobata, Reuss; Discorbina sp., Cri- stellaria sp., Textularia sp., ecc. ★ I fossili citati sono sufficienti per fare ritenere il sedimento di mare abbastanza profondo, come difatti possono testimoniarlo il gran numero di Foraminiferi, V Aturia Aturi , Y Hemipneustes italicus (discendente di un tipo del Cretaceo superiore), il Flabel- lum Vaticani , ecc. Solo la Lepas sp. appartenendo al Benthos sessile potrebbe far pensare altrimenti ; ma tutti sanno come questi animali fissandosi sopra i legni e le pomici possono trovarsi in tutti i circoli di esistenza del mare. Tutte le forme sono legate da forti analogie con parecchi sedimenti sincroni già dimostrati della zona profonda dal Capellini, Pantanelli, De Stefani, Simonelli, Fuchs e da tanti altri. Che tali strati debbansi ritenere come sincroni è largamente dimostrato da molti fatti. Non v’ ha dubbio che la fau- nula designi il II0 Piano Mediterraneo; infatti, non v’ha specie che non sia comune ai depositi di quest’ epoca. Anzi si può con certezza asseverare che gli strati fossiliferi di San Severino appar- tengono allo Schlier del bolognese e dell’ anconitano, di cui trat- tarono direttamente il Capellini, il Manzoni, il Fuchs, ecc., ed ulti- mamente il Simonelli. Nella enumerazione delle forme abbiamo 6 68 G. DE ANGEl.IS d’OSSaT E G. F. LUZJ, I FOSSILI ECC. appunto ricordato il comune habitat ; del resto basterebbe ricordare YAturia Aturi , Y Amussium denudatum, la Pholadomya Cana- varii, Y Hemipneustes italicus. Riguardo poi alla posizione cronologica dello Schlier italiano noi, seguendo cautamente le conclusioni del Giimbel per lo Schlier dell' alta Austria, come ha già fatto saggiamente il Simonelli, il- luminato dalle nuove vedute sul terziario superiore del De Ste- fani, affermiamo che la nostra fauna si deve ritenere poco più re- cente di quelle che si attribuiscono all’ Elveziano. Se vogliamo poi determinar meglio il posto nella scala stratigrafica dobbiamo riportarci alla parte superiore del Miocene medio ed alla zona batimetrica profonda, chiamata Langhiano. Rimandiamo infine al citato lavoro del Simonelli chi volesse conoscere altri giacimenti che cronologicamente e batimetricamente corrispondono a quelli dello Schlier bolognese, anconitano e delle vicinanze di San Severino. [5 giugno 1897] STRATI PONTICI DEI DINTORNI DI CAMPAGNATICO E PAGANICO (prov. di Grosseto). Nota dell’ ing. V. Novarese. L'Ombrone senese nel suo corso medio fra la stretta dell'Ar- denga, posta a valle della confluenza dell’Arbia, e la gola di Istia, per cui sbocca nella pianura grossetana, attraversa una vasta de- pressione occupata da terreni del terziario recente, ampia conca in cui stanno i paesi di Cinigiano e Paganico, e numerose fattorie, la più importante delle quali è Monte Antico. Le ligniti di Murlo e quelle di Cana poste rispettivamente alle due estremità nord e sud di questo bacino sono note da molto tempo: inoltre Murlo stessa ed il non lontano castello di Santo figurano già come luoghi dove sono stati rinvenuti fossili del piano pontico nella Monografia del prof. Pantanelli del 1886. Tuttavia quando nel 1891 si incominciò il rilevamento di quella parte della provincia di Grosseto non si aveva idea dell’ importanza reale degli affioramenti del piano pontico che occupano effettivamente una buona metà della superficie della conca citata, rimanendo 1’ altra coperta dalle più giovani formazioni del pliocene marino. Una prima notizia di questa maggiore estensione dei terreni miocenici superiori fu data da chi scrive nel 1892 al prof. Panta- nelli, che ne ha fatto oggetto di una comunicazione alla Società to- scana di Scienze naturali. I fossili determinati dal prof. Pantanelli erano stati raccolti nei dintorni immediati di Cinigiano, ed al po- dere di Batignano dipendente dalla fattoria di Monte Antico. I fossili sono i seguenti: Melanopsis Bartolini Gap. « impressa Krauss. « fallax Pant. « praerosa L. Neritodonta Grateloupiana Gap. non Fér. Dreissensia cfr. rostriformi Desh., 70 V. NOVARESE che sono caratteristici del piano pontico e stabiliscono la perfetta corrispondenza dei nostri strati con quelli classici del Casino e della Sterza. Nei dintorni di Cinigiano la serie è formata da alternanze di marne, conglomerati e sabbie con lenti non molto estese di quelle arenarie a cemento calcare molto dure in cui è stata trovata la Testudo Amiatae Pant.. Dalle sabbie provengono le grosse Mela- nopsis, come la impressa e la pr aerosa ; le forme piccole invece dalle marne, in cui si trovano inoltre frammenti di tronchi lignitizzati. Il podere di Batignano è pure molto ricco di fossili salma- stri. A pochi passi a ponente della casa colonica affiora un banco di 25-30 cm. di potenza zeppo di fossili ( Melanopsis , Nerito- donta ecc.). La serie come a Cinigiano consta di conglomerati e marne alternanti: mancano le sabbie; però presenta la particola- rità di terminare superiormente con un calcare marnoso fetido in banchi di qualche metro, che contiene modelli di Iìelix. Questo calcare superiore compare nei pressi di Batignano in molti punti poco discosti l’uno dall’altro: ai poderi Piatina, Vezzo, Gello, ed al poggio La Fonte presso il piccolo cimitero di Monte Antico. Alla base di questa serie compaiono qua e là straterelli di lignite, come ad esempio sulla sinistra del fosso Lanzo poco lungi da Paganico. A Cinigiano, proprio presso il paese, sopra gli strati pontici posa un lembo di sabbie plioceniche con fossili marini. A Bati- gnano il pliocene sta direttamente sul calcare d’ acqua dolce, la cui superficie superiore è bucherellata dai litodomi in più punti ; più o meno frantumati e misti a ghiaie, abbondano i fossili che costituiscono una fauna ricchissima di individui, se non di specie. Il dott. Di Stefano, con cui li abbiamo raccolti, ha determinato i seguenti: Ostrea navicularis Br. Cytherea Brauni Ag. Lucina borealis L. sp. Natica millepunctata Lmk. Terebra acuminata Bors. Turritella triplicata Br. sp. » spirata Br. sp. Cerithium vulgatum Brug. » doliolum Brocchi, sp. STRATI PONTICI DEI DINTORNI DI CAMP AGNATI CO E PAGANICO 71 La formazione salmastra affiora lungo l’orlo di tutto il vasto bacino del medio Ombrone, senza interruzioni notevoli, e non è ricoperta che parzialmente dal pliocene marino rappresentato da marne, sabbie e ghiaie, spesso molto simili se non identiche a quelle del sottostante miocene superiore, e talora fossilifere. La ricchezza maggiore di fossili nel pliocene marino è al Poder Nuovo, Casa Nuova e Quercecchio, poderi tutti adiacenti, posti poco lungi dalle Tavernelle (comune di Montalcino), nei quali il signor Mo- derni dell’ Ufficio Geologico segnalò durante il rilevamento, pel primo, la presenza di grossi esemplari di Clypeaster. Questo fatto indusse chi scrive ed il dott. Di Stefano a visitare insieme la lo- calità, in cui si fece ampia raccolta di fossili. I clypeaster spet- tano, in generale, a specie nuove che saranno presto descritte dal collega dott. Di Stefano. Si nota di passaggio che le località nomi- nate ora, sono prossime ad Argiano, dove il Pantanelli ha accertato la presenza di una formazione pliocenica salmastra. Per la grande analogia litologica, la distinzione sul terreno fra pliocene e miocene superiore verso il mezzo del bacino dove le due formazioni hanno stratificazione orizzontale e mancano i fos- sili è molto difficile; verso gli orli invece è facilitata dall’incli- nazione degli strati miocenici che in parecchi punti è relativa- mente forte e raggiunge i 30° e più, mentre il pliocene è orizzon- tale o quasi. L’inclinazione degli strati pontici è molto ben visi- bile lungo il fosso Lescone (fra Civitella e Monte Antico), dove essi sono rappresentati da conglomerati a grossi elementi che pog- giano direttamente sull’ eocene con masse di serpentina. La potenza totale della formazione salmastra è relativamente forte: in qualche luogo non dev’essere inferiore ai 100 m. : è però, sebbene piuttosto variabile, in media si può ritenere superi i 50 m. almeno. Il bacino terziario recente dell’ Ombrone medio è molto ben circoscritto e nettamente separato da tutti gli altri bacini analoghi prossimi, salvo che da quello Roccastrada-Montemassi a cui si collega mediante una stretta striscia che passa precisamente al paese di Roccastrada, la cui parte nuova è costrutta sopra gli strati a Melanopsis. Nel 1890 vi trovai appunto questi fossili nello scavo che si faceva per costruire una cisterna. Il calcare fetido di acqua dolce con fossili terrestri ( Helix ) si trova pure poco a nord di Roc- 72 . V. NOVARESE, STRATI PONTICI ECC. castrada (Fosso dei Bovi, Teriana, Casa Melosa), ricoperto imme- diatamente anche qui dalle formazioni plioceniche marine fossilifere. E la formazione salmastra si può seguire da Roccastrada verso occidente fin verso Montemassi, e la valle del fosso Follonica; af- fiora visibilmente ed è fossilifera nel letto del fosso Raspolino, presso le miniere di lignite di C. Papi. Anche presso Roccastrada è abbastanza chiara la discordanza fra il miocene superiore ed il pliocene. Del resto, che movimenti piuttosto forti siano avvenuti in tempi geologici molto recenti, oltre che dalle differenze notevoli di livello fra i diversi affioramenti del miocene (Roccastrada fino a 480 m., mentre a Montemassi il mio- cene non giunge a 250 m.), è provato dalle ligniti delFAcqua Nera, certo coeve di quelle di Casteani che in taluni punti sono state raddrizzate e persino rovesciate. Si deve però trattare qui di un fatto locale, connesso probabilmente colle eruzioni trachitiche di Sassoforte e Roccastrada. Nel bacino Cinigiano-Paganico tutto si riduce invece ad una maggiore inclinazione degli strati salmastri in vicinanza dell'orlo occidentale della conca: presso quello orien- tale l’ inclinazione è assai meno sensibile, ma è meglio apparente la trasgressione pliocenica, perchè appunto presso Argiano, le Ta- vernelle e Sant’Angelo, le argille e sabbie marine sono a diretto contatto coll’eocene, e mascherano completamente le formazioni del miocene superiore in corrispondenza della valle dell’ Orcia. Roma, 7 marzo 1897. BIBLIOGRAFIA. 1880. Pantanelli, Gli strati littorali terrestri e salmastri del pliocene infe- riore della Toscana. Proc. verb. Soc. Tose. d. Se. Nat., voi. II (se- duta 9 maggio 1880), pag. 58. 1886. Id., Monografia degli strati pontici del Miocene superiore nell' Italia settentrionale e centrale. Modena 1886. 1892. Id., Testudo Amiatae n. sp. (Atti Soc. Toscana Se. Nat. Memorie, voi. XII). Pisa. 1892. Id., Ulteriori osservazioni sul giacimento della Testudo Amiatae Pant. Atti Soc. Tose. Se. Nat. Proc. verbali, voi. Vili. Pisa (seduta 15 maggio 1892), pag. 90. SOPRA ALCUNI NUOVI GIACIMENTI DI ROCCIE A LAWSONITE Nota dell’ ing. S. Franchi. In una breve notizia, presentata alla Reale Accademia delle Scienze di Torino nella seduta del 27 dicembre ultimo scorso, ho indicati numerosi giacimenti italiani di lawsonite, minerale da poco scoperto in California ('), la cui identità con un minerale inde- terminato, di cui avevo dati molti caratteri (2), e che da qualche anno rinvenivo in roccie alpine, è dimostrata dalle proprietà ot- tiche e cristallografiche, nonché dall’analisi chimica, eseguita dal- l' ing. Mattinilo. Per l’ interesse che presenta il minerale, come si vedrà tanto diffuso, merita una illustrazione completa, che spero poter fare fra non molto. Ho però voluto parlarne in questa riunione tanto per mostrare ai colleghi che vi si interessano, il minerale isolato, le roccie che lo contengono, ed i relativi preparati microscopici, quanto per annunciare la scoperta di nuovi ed interessanti giacimenti del minerale, in regioni, terreni e roccie diverse. (!) F. L. Ransome, On lawsonite, a new rock-forming Minerai from, thè Tiburon Peninsula Maria Co. (Bulletin of thè Department of Geolog. University of California, 1895). — F. L. Ransome und Cli. Palache, Ueber Lawsonit, ein neues gesteinsbildendes Minerai aus Californien. (Zeitsch. fur Krystall. u. Minerai, von P. Groth, B. XXV, 1895). — S. Franchi, Sulla pre- senza del nuovo minerale lawsonite come elemento costituente in alcune roccie italiane. (Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino, seduta 27 dicembre 1896). (2) S. Franchi. Sopra alcune metamorfosi di eufotidi e diabasi nelle Alpi occidentali. (Boll. R. Comit. Geol., 1895, pag. 190). - S. Franchi, Pra- siniti ed anfiboliti sodiche provenienti dalla metamorfosi di roccie diaba- siche, ecc. (Boll. Soc. Geol. Ita!., 1896, pag. 172). 74 S. FRANCHI Nelle notizie cui accennai dianzi ho affermato che il minerale, la cui molecola, //4 Ca Al* Si2 6fi0, e costituita da una molecola di anortite con due di acqua, si sviluppa per metamorfismo coll’ inter- vento dell' acqua, in seno ed a spese dei plagioclasi di roccie di- basiche di varie regioni (Alpi Cozie, Liguria, Arcipelago toscano). Continuando le ricerche era ovvio di cercare il minerale nei fel- spati di altre roccie basiche, e anzitutto delle eufotidi, a tutte le roccie diabasiche mineralogicamente e geologicamente tanto inti- mamente legate. Ho già notato in altro lavoro (‘) come le eufotidi nelle Alpi occidentali presentino sovente i felspati trasformati in abbon- dante zoisite, granato, albite associati con altri minerali in quan- tità subordinata. Ora alcune eufotidi dei pressi di Acceglio (V. Maira), altre dei pressi di Sestri Ponente e di Pontinvrea (que- st’ ultima erratica) in Liguria, ed altre del Capo Argentario mo- strarono più o meno abbondante la lawsonite. Queste ultime sono degne di nota perchè in esse tanto il diallagio quanto il felspato, quantunque in parte trasformati, sono ancora nettamente ricono- scibili. Sono eufotidi a grandi elementi, relativamente povere in diallagio, che si riconosce ad occhio nudo, parzialmente trasformato in gastaldite. e che appare in elementi isolati nella massa verdognola del felspato, che ha 1’ aspetto massiccio delle cosiddette saussuriti. Tralascio di parlare del diallagio e dei minerali derivatine, avendo già trattato altra volta di tali fenomeni in roccie dell’Argentario, e dirò brevemente del felspato. Questo è geminato polisintetica- mente secondo la legge dell’ albite e talora anche del pendino, ed è un’ andesina-labrador. È contorto, fessurato e qua e là fran- tumato. Nelle fessure si sviluppano vene di epidoto con sfeno e albite, la quale poi forma qua e là plaghe •prasinitiehe a mosaico. La lawsonite in elementi più o meno minuti si sviluppa nel bel mezzo delle plaghe felspatiche intatte, ed arriva in alcuni punti ad addensarsi tanto da sostituirsi in buona parte al felspato, che ha così anche microscopicamente l’aspetto di una ordinaria saussu- rite. È a mio avviso assai probabile che molte saussuriti conten- gano la lawsonite. Questa è variamente sviluppata da punto a punto del felspato, ma sempre con tendenza all’ automorflsmo, ca- (’) S. Franchi, Sopra alcune, ecc. SOPRA ALCUNI NUOVI GIACIMENTI DI ROCCIE A LAWSONITE 75 rattere che permette di riconoscerla facilmente, coll’ aiuto dei ca- ratteri ottici e delle geminazioni caratteristiche. Continuando 1’ esame delle roccie diabasiche trovai la lawso- nite nei felspati di belle diabasi ofitiche dei pressi di Elva e del- l’ alta valle di Susa (quest’ ultima segnata nella collezione Gastaldi : erratico sopra les Constants, Savoulx). Contengono pure il minerale in parola certi scisti a gastaldite provenienti dalle metamorfosi di varioliti dei pressi di Acceglio. Così si può affermare che esso ha uno de’ suoi principali giacimenti nei felspati delle roccie dia- basiche più o meno metamorfosate, comprendendo sotto quel nome tutta la serie di roccie tra le enfotidi a grandi elementi e le va- rioliti, roccie d’altronde soventi associate nel terreno. Un campione del contatto di una massa diabasica coi calcescisti sottostanti si mostrò particolarmente ricco in lawsonite, sicché a tale fatto po- trebbe non essere estraneo qualche fenomeno di contatto endomorfo nella roccia primitiva. La lawsonite venne pure trovata entro a roccie diabasiche metamorfosate, ricche in gastaldite, ed identiche a molte di quelle alpine, provenienti dalla Calabria settentrionale. È notorio che colà si presentano abbondanti le diabasi nell’ Eocene superiore (C. Cortese, G. Di Stefano, G. Di Lorenzo). Secondo questi geo- logi le diabasi dei dintorni di Mormanno sarebbero soventi amig- daloidi, ed associate con scisti lucenti vari, soprastanti ai calcari con nummuliti; però i pochi campioni da me esaminati non pre- sentano quella struttura; essi furono staccati dal dott. Di Stefano da grandi massi che sono alla superficie dell’insieme scistoso nel vallone Boraglio ed a Pietra Grossa, tra Mormanno e Laino. Questo giacimento è molto interessante perchè mostra il ripetersi in Ca- labria dei fenomeni di metamorfosi delle diabasi alpine, entro a roccie che potrebbero essere molto più giovani. Un altro gruppo, forse il più interessante, di roccie conte- nenti la lawsonite è fornito da certe roccie porfiritiche che si tro- vano in lenti fra gli scisti del Permo-carbonifero, nel versante destro della valle Maira, nei valloni di Marmora e di Canosio. Sono roccie massiccie verdi o bigio-verdastre, che pel loro stato di metamorfosi avanzata lasciano diffìcilmente determinare la na- tura primitiva. In generale però sono roccie molto ricche in fel- spati basici, e povere in elementi ferromagnesiaci. 70 S. FRACCHI, SOPRA AI.CUM NUOVI GIACIMENTI ECC la alcuni casi esse si trasformano in roccie a fondo di albite e clorite, in tutto analoghe alle prasiniti provenienti dalle dia- basi (’), ma con uno straordinario sviluppo di prismetti automorfi di lawsonite, che ne resta un costituente importante, ed in alcuni punti 1’ elemento essenziale. Di queste sono bellissimi esempi nelle rupi sulle quali è posta la borgata di Soleglio-Bue, nel vallone di Canosio. Colle porfìriti suddette sono associati in qualche punto degli scisti verdi e violacei, lucenti, a gastaldite, che credo siano una forma estrema del loro metamorfismo, e nei quali la lawsonite è uno dei costituenti più importanti. Anche in queste roccie pernio-carbonifere, analoghe d’ altronde alle diabasi, si manifesta la tendenza a prodursi due tipi princi- pali di roccie metamorfiche, le prasinitiche e le anfibolitiche (an- fiboliti sodiche) come ho dimostrato per le diabasi; solo queste sono eccezionalmente ricche in lawsonite, sicché loro convengono assai bene i nomi di prasiniti lawsonitiche, e di anfibolia so- diche lawsonitiche. A questo secondo tipo appartengono delle roccie, una dei pressi di C. Rocciasson (V. Marmora), ed un’altra raccolta in compagnia del collega Stella a nord di Rocca Ferrà, nella zona permo-carbonifera che attraversa le valli Maira e Yaraita. Non è d' uopo eh’ io insista sull’ importanza dei fatti enunciati dal doppio punto di vista mineralogico e geologico; d’altronde su di essi avrò occasione di tornare fra non molto. [10 giugno 1897] (') S. Franchi, Sopra alcune, ecc. SULLA STRATIGRAFIA DELLA VALLE DEL NEVA (Liguria occidentale). Nota di Gaetano Rovereto. Tra i torrenti che hanno contribuito a colmare l’esteso seno pliocenico, ora pianura di Albenga, è principale il Neva, che ha tale nome dalle origini sino a Bastia nel mezzo della pianura, dove, unendosi all’ Arroscia od Arossia, forma il Centa. La sua valle scende perpendicolare ad una serie di strati di complicata tettonica, appar- tenenti precipuamente al permiano ed al trias ; mentre che nel suo importante affluente di destra, il Pennavaira o Leze, l’ incisione val- liva segue presso a poco la direzione di un sinclinale ; ed ivi affiora la parte più profonda delle stratificazioni, rappresentata dalla zona antracitifera del permo-carbonifero. Proseguendo nel rilevamento geologico, che da parecchio tempo ho iniziato, e che in parte ho pubblicato, della Liguria Occiden- tale, mi sono particolarmente occupato dello studio del trias di questa valle, perchè possedevo alcuni dati che potevano fare nascere il dubbio di ritrovarvi una serie triassica fossilifera. Infatti fin dal 1892 il prof. A. Issel segnalava a Balestrino ('), nell’attigua valletta del Varatiglia, il cui studio deve necessariamente colle- garsi a quello del Neva, un calcare con fossili triassici di molto interesse; ed in seguito aveva la bontà di comunicarmi di avere ritrovato altri strati fossiliferi nei dintorni di Zuccarello, e mi sug- geriva di proseguire le ricerche. E queste infatti non riuscirono del tutto infruttuose; perchè ho potuto distinguere nella grande zona segnata nelle carte come trias medio, i vari piani del trias a cominciare dal Buntsandstein sino al ladinico o norico, il retico ed il giurassico. P) Issel A., Liguria geologica e preistorica, voi. I, pag. 385. Genova, 1892. 78 G. ROVERETO Perrno-Carbonifero. a) sona antracitifera. Alla C. Tajeu, sulle falde del Monte Galè, affiora in un anti- clinale radrizzato a 60° e con la direzione N. 60°0, uno strato di scisti ardesiaci antracitiferi, uguali a quei di Mallare, di Osiglia e degli altri giacimenti antracitiferi liguri, già riferiti alla parte superiore del carbonifero. Per le modalità di affioramento, questa zona antracitifera da me scoperta collegasi con i giacimenti del Yermenagna, di Viozene e di Chioraira, dorè gli scisti ardesiaci sono incorniciati, oltreché dal permiano, anche dal trias ; senza che le ondulazioni delle pieghe allontanino da essi queste formazioni superiori triassiche. E la nostra zona collegasi appunto all’ anticlinale di Chioraira, e forma parte degli affioramenti antracitiferi che si partono dal Clapier, sul suo versante tettonico e orografico settentrionale , e si continuano sul versante tettonico meridionale delle Alpi Liguri (’). Quindi il giaci- mento di Monte Galè dimostra, per mezzo del suo anticlinale, la continuità fino al mare, fra Borghetto e Cenale, dell'asse del ver- sante tettonico meridionale; mentre che i giacimenti di Osiglia- Mallare si trovano su di un altro asse, che è quello del versante tettonico settentrionale. I due assi tettonici e stratigrafici in una, longitudinalmente paralleli, ma scontinui, intramezzano 1’ asse geo- grafico, ossia lo spartiacque e 1' asse di sollevamento, il quale viene a corrispondere ad un sinclinale. Tale forma doppia di catena , a ponente trovasi a settentrione della zona del Monte Rosa, a levante è posta invece a mezzogiorno del massiccio ligure ; per modo che, se l’ arco continentale non la troncasse normalmente, si collocherebbe fra il massiccio alpino e il ligure, e dimostrerebbe che quest’ul- timo non è affatto situato sulla zona assiale alpina, come alcuni hanno voluto. Questo complesso montuoso triassico-paleozoico, sim- metrico in sé, ma asimmetrico considerato in rapporto al rimanente della catena (perchè a settentrione è coperto dal miocene, a mezzo- giorno dall’ eocene), situato in linea arcuata fra due massicci, cor- (b Dico Alpi Liguri, come è stato recentemente proposto, i gruppi mon tuosi situati fra la Colla di Tenda e quella di Altare. SULLA STRATIGRAFIA DELLA VALLE DEL NEVA 79 risponde assai bene alla divisione geografica che lo individualizza col nome di Alpi Liguri. In quanto al piano, cui questa zona antracitifera si può rife- rire, i recenti studi sulle flore fossili del Monte Pisano mi sugge- riscono di non pronunciarmi definitivamente. I giacimenti contigui sono stati attribuiti al carbonifero superiore, in seguito a determi- nazioni di poche filliti, fra cui alcune diversamente interpretate. P) zona sericitica. È soprastante quel sistema fillitico senza fossili, tanto svilup- pato nelle Alpi Marittime, nelle Apuane e nelle Lombarde, riferito al permiano, di ragguardevole potenza, di più varietà di roccie sci- stose a sericite. Affiora da anticlinali a battello od in zone allungate dal com- plesso triassico in pieghe d’ ordinario chiuse, ribaltate, interrotte. Le sue varietà rocciose sono seriali nella parte superiore, dove si hanno sovente delle schistiti ardesiache carboniose (Rio d’Auzza, Rocca Grande, Monte Galè) che ricordano quelle del carbonifero, del trias superiore e persino dell’ eocene, e che sono forse del livello degli scisti a Walchia di Frejus. A questo complesso va unito il livello anagenitico, dai più rite- nuto ancora permiano, in sottili strati che sono di fascia inter- rotta agli affioramenti degli scisti, ed osservasi in special modo a Monte della Guardiola, sotto Carpe, a Bergalla, ad Erli, a Ceri- sola e sopra a Nasino e ad Alto. A Rocca Battaglina e nel Rio Levezzo questa anagenite è sostituita da una roccia arenacea, con sparsi grossi frammenti di idromicascisti, che rappresenta con ogni probabilità il Rothliegende di Saint Raphael e di altre località delle Alpi Marittime, L' anagenite contiene frammenti di diaspri e di scisti rossi ftanitici, che osservansi altrove collegati ad essa (Frejus, Rocca- vione, Montenotte) e le sono inferiori. Trias. Trias inferiore o Buntsandstein. Non ho trovato in questa zona quella continuità della fascia del Buntsandstein, come appare dal rilievo dello Zaccagna intorno 80 G. KOVKRKTCl al Muschelkalk delle Alpi Marittime. La roccia che più chiara- mente la rappresenta è la quarzite, bianca, granulosa, eccezional- mente scistosa, d’ ordinario collegata all’ anagenite, affiorante in grosse lenti (Rocca Barbena, Cerisola, Monte Grosso, Rocca Speciosa), o in fascie di strati sottili (Carpe, Pian dei Prati, Castelvecchio), nell’ identico modo con cui gli scisti silicei di Lagonegro stanno intorno all’ Hauptdolomit e al calcare dolomitico a scogliera ('). Dove la quarzite è in proporzioni ridotte è associata a nuovi scisti sericitici, più alterati e meno compatti degli inferiori ; ma che non presentano alcun serio carattere di distinzione e che non si possono quindi segnalare dove manca 1’ anagenite e la quarzite. Trias medio o Muschelkalk. Muschelkalk inferiore e medio. — Sopra ogni livello quar- zitico e fìllitico sta la serie del trias medio, che si inizia con cal- cari modificati da azioni metamorfiche, che talvolta sono endogene, tal’ altra dinamiche. Si hanno infatti dei cipollini con lettini mi- cacei (presso Cisauo, sotto Castelvecchio di Rocca Barbena), o dei marmi bianchi o rosei ceroidi (Cerisola, Pizzo Alzabecchi, sopra Borigalla, sopra S. Pietro di Vignole) compresi in pieghe molto risen- tite. Dovute ad azioni chimiche, tra quarziti e calcari, si osservano a Balestrino e a Yecersi delle lenti gessifere formate a spese dei calcari. Ma tolte queste accidentalità locali, la base del trias medio è la zona dei grezzoni , la quale corrisponde certamente a tutto il Muschelkalk inferiore e con ogni probabilità a parte del medio. Questa zona trovasi specialmente potente nella valle di Toirano, e da Monte Alpe a Monte Galè. Rari vi sono i fossili ; ne cito per ora i seguenti: Encrinus liliiformis Lam. (Goldfuss, Petrefatta, I, pag. 177, tav. IV, Encrinites monili formis: Loriol P., Monographie dee crinoides, pag. 9, 1877, con sinon). Articoli dello stelo isolati, che lasciano scorgere il piccolo foro del canale centrale, e i setti disposti radial- mente attorno al margine; sono convertiti in sostanza calcitica bigia farinosa o bigia spatica. Loc.: Pizzo Alzabecchi, sotto Poggio dell’ Arpe, Madonna della Neve di Zuccarello. (l) De Lorenzo G., Le montagne mesozoiche di Lagonegro. Atti R. Accad. di Napoli, voi. VI, 1894. SULLA STRATIGRAFIA DELLA VALLE DEL NEVA 81 Encrinus sp. variae bidet. Pentacrinus sp. Sezioni di stelo pentagonali a rosetta. Loc.: Nel letto del torrente sotto Zuccarello. Loxonema? acutata Schaur. (Schauroth, Versteinerungen der Trias, tav. Ili, fig. 14, Rissoa acutata). Un frammento con gli anfratti acuti caratteristici. Loc.: Pizzo Alzabecchi. Questi fossili si trovano in calcari dolomitici bigio-azzurrognoli o biancastri, a fratturazione prismatica o romboedrica. Il Muschelkalk medio come ho detto è forse in parte rappresen- tato dagli strati superiori dei grezzoni. Nei grezzoni infatti del- l'isola di Bergeggi ho raccolto col prof. Issel una piccola fauna, la quale, benché erratica, nel complesso corrisponderebbe piuttosto alla zona a Ceratites trinodosus , che a quella a C. binodosus. Encrinus liliiformis Lam. citat. E segnalato nei livelli superiori del Muschelkalk inferiore (nel calcare di Mikultschtitz secondo Eck), comunemente nel Muschelkalk medio, eccezionalmente nel supe- riore, ad Esino e a San Cassiano (Stoppani, Laube). Encrinus granulosus Mtìnst. (Laube, Fauna von St. Cassian, I, pag. 271 tav. Vili, fig. 7-12). Di S. Cassiano. Encrinus? pentactinus Bronn (Schauroth, Reco aro, pag. 501, tav. I, fig. 5 ; id., Versteinerungen, pag. 287, tav. I, fig. 31) Di Recoaro e del Muschelkalk superiore germanico. Dadocrinus gracilis v. Buch (Benecke, Muschelk. Ablag., pag. 31, tav. II, fig. 1 a b). Degli strati a Dad. gracilis di Recoaro, strati inf. del Muschelk. medio dell’Alta Slesia e della Polonia, strati supe- riori del Muschelk. inf. di Sargstedt am Huy (Eck). Per il rife- rimento generico di cpiesta specie vedi Koenen in Nacbr. Ges. fViss., Gottingen, 1895. Spirigera trigonella Schloth. (Tommasi, La fauna del Muschelkalk, pag. 72, tav. I, fig. 5 ab con sinon.). E comune nelle due zone, Spirigera sp. Tomm. (Tommasi, La fauna del Muschelkalk, tav. I, fig. 6 a b pag. 74). Ignoro a quale zona appartenga. Retzia ? indet. (*). Data la località incetta dei fossili, questa lista solo dimostra che se non a Bergeggi, vi hanno almeno in Liguria dei grezzoni (i) Queste specie si raccolgono specialmente sui muri di una costruzione romana che tiene il mezzo dell’ isola, quindi sono di località incerta. Vi sono anche frammenti di calcare con Atractites del Muschelkalk superiore, calcari a crinoidi del giura. 82 G. ROVERETO con fossili dei livelli superiori del Muschelkalk inferiore, e del Muschelkalk medio, e quei stessi fossili da me citati del Pizzo Alzabecchi possono rappresentare in posto tali strati del Muschel- kalk medio. È da notarsi che il Pizzo Alzabecchi trovasi su di un sinclinale che scende da Monte Zerbo e da Rocca Barbena e che si continua per le falde del Monte Ravinet, sotto S. Pietro di Toi- rano, includendo una zona di grezzoni dapprima in lembi staccati, quindi potente lungo il Varatiglia. Questa zona si riduce a pochi strati dove è presente, come a Balestrino, il Muschelkalk superiore, e lascia quindi intravvedere che la facies del suo complesso è estesa ad una serie cronologica di strati comprendente forse anche del Muschelkalk superiore. Con maggiore certezza riferisco al Muschelkalk medio dei calcari scistoidi che trovansi in vari punti dei dintorni di Zuccarello, e che a mezzo le falde del M. Arena contengono la Terebratula vul- garis Schloth. (Tommasi, La fauna del calcare concliigliare , pag. 79, tav. I, fig. 8, con sinon.) la quale abbonda nella parte media del Wellenkalk in Prussia, nel Muschelkalk medio del- l’Alsazia, della Slesia, di Recoaro. Ma più che tale fossile, vale lo stacco di facies che esiste fra questi strati e quegli inferiori, e che si ripete, fuori di questa zona, in altre località liguri. Muschelkalk superiore. — Al sommo della salita che da Carpe, nella valle del Varatiglia, conduce a Balestrino, si osservano dei calcari in strati distinti, bigi, cristallini, a superficie farinosa, con fossili convertiti in calcite bianca, soprastanti a dei grezzoni ri- dotti a pochi strati, in cui ho raccolto il migliore esemplare di Eacriìius. liliiformis. I due livelli sono compresi fra strette pieghe anticlinaliche, di cui l' una scende da M. Guardiola, 1’ altra da Rocca Grande e convergono verso Balestrino. Gli stessi strati si ripetono dietro il forte superiore di Zuccarello, e sono soprastanti ai calcari scistosi del Muschelkalk medio. I fossili di cui sono abbondanti, ma non determinabili che in minima parte, sono pro- valentemente piccoli gasteropodi con facies di mare profondo. A Balestrino vi ho raccolto (Q: (*) (*) Tutti i fossili e le sezioni sottili per lo studio al microscopio, di cui è parola nella presente memoria, si conservano nel Museo Geologico della E. Università di Genova. SULLA STRATIGRAFIA DELLA VALLE DEL NEVA 83 Diplopora annulata Schafh. (Benecke E. W., Umgebungen von Esino, pag. 300, tav. XXIII, fig. 1, a, è; Lepsius R., Das Westliche Sud- 7'irol, pag. 79, tav. II, fig. 6). Della Schlerndolom.it (Lep- sius, Ogilvie, Polifka), del J Vetterst einkalk (Wohrmann), di Esino (Benecke), della dolomia di Clapsavon (Mariani). Diplopora cfr. Benecke i Salom. (Salomon, Marmolata, pag. 129 tav. I, figure 21-27). Del Marmolatakalk ; di Lagonegro (De Lorenzo). Coelostylina crassa Mstr. sp. [Melania] (Kittl E., Die Gastropoden von St. Cassian, pag. 201, tav. XIV, fig. 15-21). Comune a San Cas- siano e alla Marmolata, presente forse anche ad Esino (vedi sin. in Kittl. citato). Coelostylina sp. Per le dimensioni corrisponde alla Coelostylina Stoppani Kittl del San Cassiano; peri caratteri, incompletamente visibili» alla Coelost. irritata Kittl. della Marmolata; non ha rapporto con le forme di Esino. Dispongo di due esemplari, fra cui uno rac- colto dal prof. Issel. Scalaria cfr. ornata Miinst sp. [Turritella] (Kittl, loc. cit., pag. 113, tav. Vili, fig. 38-41). Questa specie, frequentemente citata degli scisti di San Cassiano, è di intricata sinonimia (v. Kittl). Naticella sublineata Miinst. sp. [Natica] (Kittl. loc. cit. pag. 132, tav. X, fig. 41-42). Raccolta dal prof. Issel; è solo nota di San Cassiano. Atractites sp. Da una sezione longitudinale che ha riscontro con le figure date dal Mojsisovics : Ueher das Belemnitiden ecc. per Aul. alveo- lare Quenst. e Aul. Ausseeanum Mojs., che rientrano invece nel genere Atractites. Questo genere è principalmente rappresentato negli scisti di Hallstadt (Hauer) e va dal ladinico al lias. Da questo risultato delle prime ricerche rimane accertato che il calcare di Balestrino è superiore alla zona a Ceratites trino- dosus , e che rientra quindi nel ladinico, o nel norico, o nel Mu- schelkalk superiore che voglia dirsi. Le determinazioni fatte non danno che una pallida idea dell’ abbondanza di vestigia fossili che si osservano in questo calcare; e nel materiale raccolto dal pro- fessor Issel e da me vi hanno almeno ancora una ventina di specie di piccoli gasteropodi, i quali per la loro cattiva conservazione non sono determinabili. Fra queste pare vi siano molte forme che non hanno riscontro con quelle di San Cassiano, di Esino, della Marmolata e quindi probabilmente nuove. Perciò credo meglio per ora non insistere sulla corrispondenza, che dai pochi gasteropodi determinati appa- risce, fra Balestrino la Marmolata e San Cassiano ; e attendere che nuove ricerche arricchiscano questa fauna del più alto livello triassico, sicuramente noto delle Alpi occidentali italiane. 7 84 G. ROVEKETO Nessuna specie di Balestrino si ripete nei giacimenti triassic i dell’Apennino (fatta astrazione della Dipi. Beneckei citata dal De Lorenzo di Lagonegro), nemmeno in quello delle Pietre Nere, de- scritto dal Di Stefano, il quale pur presenta relazioni col San Cas- siano, nè le indeterminate accennano alle specie in essi segnalate. Un altro calcare, da attribuirsi al Muschelkalk superiore, trovasi presso la Cascina Beugi lungo la strada da Zuccarello a Castel- bianco, ed è cristallino, compatto, con letti di mica idrata e con diplopore, fra le quali ho riconosciuto la Diplopora herculea Stopp. sp. C) \_G astro chaena] (Salomon, Marmolata , pag. 127, tav. I, fig. 13, 19. Con sinon.) raccolta dal prof. Issel, nota di Esino (Stoppani), della Marmolata (Salomon), del Wettersteinkalk (Giimbel). A M. Ceresa vi ha una successione di strati la cui posizione è incerta per non avervi ancora raccolto fossili caratteristici. Os- servansi a cominciare dal basso : 100 m. e più di calcare cristallino, bigio, compatto in strati o a lastre, con bivalve ( Cardiaceae ) che ricordano alcune retiche. Dalla località lo dico calcare a bivalve delle Bandie. 300 m. di calcare stratificato a colore più chiaro, con belem- nitidi ( Atractites ?). Lo dico calcare a belemniti delle Bandie. 200 m. di lumachella infraliassica. Alla base pare esservi un calcare ceroide cipollino, apparte- nente al Muschelkalk inferiore, che affiora a Cisano in mezzo alla pianura, ed è poi ricoperto dal quaternario e dal pliocene. Questi strati, che si ripetono nella valle del Pennavaira, oscillano certa- mente fra il Muschelkalk medio e il retico, e formano una pila che inclinata a settentrione in strati diritti, come si osserva dal M. Arena situato dirimpetto, viene troncata presso il rio d’Auzza da una fa- glia, che la colloca di contro agli scisti permiani ed ai grezzoni, inversamente inclinati. Questa faglia potrebbe anche esistere a M. Arena; ma ivi, per il terreno a coltivi, non è riconoscibile. Dal corso di questo paragrafo ognuno avrà compreso che in- clino a ritenere che tutto il complesso calcareo dolomitico inferiore agli strati di Raibl, e superiore agli scisti di Werfen, corrisponda all’ intero Muschelkalk. (*) Nella ganga di riempimento del canale interno di questa diplopora ho trovato radiolarie; riconoscendovi i generi Lithocampe f. ind., Caryosphaera n. sp., e Sphaerozoum. SULI.A STRATIGRAFIA DELLA VALLE DEL NEVA 85 Il Bittner infatti, dividendo nei principali gruppi naturali (Na- tùrliche Ifauptgruppe) il trias alpino, colloca nel Miniere kalkarme Gruppe gli strati di Lunz e di Raibl, e nel Untere Kalkgruppe tutto l’ insieme calcareo inferiore a Raibl, corrispondente al Mu- schelkalk, e racchiudente Wengen, San Cassiano, Buchenstein, Esino, Schiera, i quali a loro volta formano il Ladinische- Gruppe. I cal- cari di Prezzo e di Recoaro, e il sottostante Muschelkalk senza fossili delle Giudicane, costituiscono il Vir gloria- Gruppe (l): I caratteri faunistici non si oppongono decisamente a questo ordinamento ; poiché specie del Muschelkalk alpino e germanico si trovano, secondo le osservazioni del Salomon e d.oì Ritti, alla Mar- molata; ossia, ad esempio, su 117 specie di gasteropodi di questa località 6 sono comuni e 9 affini col Muschelkalk alpino. Questo numero non deve apparire troppo esiguo, data la localizzazione di quella fauna, la quale presenta col San Cassiano, cui più da vicino ha rapporti, appena 26 specie comuni e 38 affini. II Ritti stesso ha dato il seguente ordinamento dei livelli che hanno rapporti col calcare di Balestrino (*) : 1. Oberer Muschelkalk ; 2. Buchensteiner Schichten ; 3. Marmolatakalke ; 4. Wengener Schichten; 5. Raibler Schichten. Ma il Ritti, come il Benecke (3), non considera ancora decisa la questione se gli strati di San Cassiano e della Marmolata deb- bano entrare nel Muschelkalk. f1) Bittner A., Zur neueren Literatur der alpinen Trias. Jahrb. geol. Reichs., pag. 378, 1894. (2) Ritti E., Die triadischen Gastropoden ecc., pag. 84. (3) Benecke E. W., Bemerkungen iiber die GLiederung der oleren al- pinen Trias. Berich. Naturf. Gesell. fase. 3. Freiburg, 1895. Muschelkalk-Gruppe Ladinische-Gruppe Virgloria-Gruppe 86 G. ROVERETO Nel mio caso, poiché la serie triassica ligure forma evideu- temente un gruppo naturale, limitato inferiormente dal Buntsand- stein, superiormente dalla trasgressione retica, accetto l’ ordinamento del Bittner; e considero che rientri nel Muschelkalk il calcare di Balestrino, che ha presentato rapporti di fauna con vari membri del gruppo ladinico. Le osservazioni teoriche e pratiche fatte sul trias della valle del Neva e del Yaratiglia, riassumo nella seguente tabella, la quale, compilata quando la questione triassica viene trattata a nuovo, dovrà, forse fra breve, subire delle modificazioni in ordine ai ragruppamenti stratigrafici (1). Calcare a Diplopora herculea Stopp. di C. Beugi , Calcare a gasteropodi con: Diplopora cfr. Bc- neckei Salom., Dipi, annulata Schafh., Coelo- stylina crassa Munsi, Scalaria cfr. ornata Munsi, Naticella sublineata Munsi. Atra- ctites sp., di Balestrino e di M. Arena. Calcare scistoso delle falde di M. Arena con .p ^ I II. Piano di Virgin-^ Tenebratala vulgaris Schloth. Livelli supe- H gl ria o di Re coaro, riori dei grezzoni della valle del Varatiglia s* | ( Muschel . medio). I con Encrinus liliifonnis Lam., Loxonema ? v acutata Schaur. TTT (Livelli medi e inferiori dei grezzoni con traccie \ III. ( Muschel . xnf.). ....... t di conoidi. Trias ìnf. o Buntsandsteill. Quarziti e scisti sericitici. si O» g 2s I. gruppo Ladinico (Muschel. sup.). (*) Bibliografia del presente paragrafo: Benecke E. W., Ueber einige Muschelkalk- Ablagerungen der Alpen, Geogn.-Paliion. Beitr., voi. II, 1868; id. Ueber die Umgebungen von Esino , Geogn.-Palaont. Beitr., voi. II, 1876; De Lorenzo G., Fossili del trias medio di Lagonegro, Palaeont. Italica, 1896; Di Stefano E., Lo scisto marnoso con Miophoria vestita della punta delle Pietre Nere , Boll. R. Comit. Geol., 1895; Eck H., Bemerkungen ùber einige Encrinus Arten, Zeit. deut, geolog. Gesell., 1888; Giimbel C. W., Die sogennanten Nulliporen, Abhand. ba)Tr. Akad., voi. Il, 1872 ; llittl E., Die Gastropoden der Schichten von St. Cassian, Ann. Naturhist. Hofmus., voi. VI, VII, IX, 1891-94; id., Die triadischen Gastropoden der Marmolata, Jahr. geolog. Reiclis., 1894 ; Koken E., Die Gastropoden der Trias um Ilall- statt, Jahrb. geolog. Reichs., 1896; Issel A., Liguria geologica e preistorica, voi. I, Genova, 1892; Laube, Die Fauna von St. Cassian, Denk. Wiener Akad., 1864-69; Lepsius R., Das westliche Sùd-Tirol, Berlin, 1878; Mariani E., Trias superiore della Camici meridionale, Ann. Istit. Tecnico di Udine, 1893; Mojsi- SULLA STRATIGRAFIA DELLA ArALLE DEL NEVA 87 Iafralias. Sopra il calcare di M. Arena, corrispondente a quello di Ba- lestrino, e sopra il calcare a Belemniti delle Bandie, si osserva una lumachella bigio-azzurrognola, zeppa di avanzi di brachiopodi e di bi- valve (ho osservato due soli piccoli gasteropodi), che credo possa rife- rirsi all’ infralias. A ciò induce, oltreché la posizione stratigrafica, l’a- spetto della roccia, che ricorda la lumachella della zona ad Avicula contorta del dipartimento del Varo, e l’aspetto di alcune forme di Pecten , di Avicula , di Retzia , di Terebratula, fra le quali una ha rapporto con Avicula Sismo ndae Cap., secondo il con- fronto con esemplari tipici (Capellini G., Fossili infraliassici, pag. 66, tav. Y, fìg. 10). Questo calcare infraliassico dal mare, presso Borghetto, unito ad altri calcari compatti azzurrastri, si continua per M. Ceresa, M. Arena, Castelbianco sino al rio di Oresine, e si trova ancora abbondantemente fossilifero sotto Yeravo, e dove la mulattiera di Castelbianco attraversa il rio a levante di Vessallo. Secondo questa zona infraliassica vi ha un sinclinale, a M. Ceresa alterato dalla faglia ricordata, ma nel rimanente am- pio e continuo, lungo la valle del Pennavaira e sino ad Ormea sul Tanaro. Le lumachelle e scisti con Pecten citati dal Franchi di Monte Bossaglia, sopra Entraque, nelle Alpi Marittime e da lui riferiti incidentalmente all’ infralias, corrispondono per facies e posizione alla lumachella della Valle del Neva; e questa mi pare l’unica citazione sicura di infralias fatta prima di me per le Alpi Liguri e Marittime di territorio italiano (*). Credo pure che sia da riferirsi sovics E., Ueber das Belemniteden ecc. Geschlecht Aulacoceras, Jahr. Geol. Keichs., 1871 ; Ogilvie M., The Wengen and St. Cassian strata, Quart. Journ. Geol. Soc., 1893; Polifka, Fauna des Schlerndolomites, Jahr. geolog. Reichs., 1893; Salomon W., Studien iiber die Marmolata, Palaeontograph., 1895 ; Schau- rotli K., Verhàlt. der Gegend von Recoaro, Sitz. Wiss. Akad., Wien, 1855; id. Werstein. d. Trias in Vicentinischen, Sitz. Wiss. Akad, Wien, 1859; Stoppani A., Les pétrifcations d'Ésino, Paléont. Lomb., voi. I, 1858-60; Tom- masi A., La fauna del calcare conchigliare di Lombardia. Pavia, 1894; Wohr- raann S., v. Ueber die untere Grenze des Keupers, Jahrb. geol. Reichs., 1888. (*) Franchi S., Contribuzione allo studio del Titonico ecc. Boll. R. Co- mit. geolog., pag. 69, 1894. 88 G. ROVERETO all’ infralias la lumachella di Cima di Boseglio (Tenda), che il Franchi nota superiore al calcare dolomitico del tipo di Villanova, e inferiore ai calcari giurassici a crinoidi e belemniti (1). Giurassico. Mancano in questa valle quei calcari varicolori, e le altre forme litologiche di aspetto caratteristico, che nelle Alpi Marittime e Li- guri sono da riferirsi al lias; invece, immediatamente superiori alla lumachella, e ai calcari bigi-azzurri compatti che le sono collegati, osservasi a CastelFErmo un calcare dolomitico marmorizzato, in sottili strati, con lenti silicee (2), con vestigia di piccoli crinoidi, che attribuisco al giurassico, ed eguale facies giurassica si ha in tutte queste Alpi, distintavi dal Franchi (1. cit.). Uguali calcari, in una striscia non molto potente, si osservano lungo il Rio Creuso, dopo la piega di calcare dolomitico dei pressi di Alto; stanno quindi tra eocene e trias, e sono chiaramente ri- conoscibili per F aspetto litologico e i piccoli crinoidi, dove V eo- cene passa sulla sinistra del rivo. La stessa striscia si continua sopra Caprauna, e tra questo e Cà del Piano situata a 1500 m. sul mare, si incontrano: 50 m. di questi calcari giurassici con crinoidi; 200 m. di calcari in lastre di orizzonte da stabilirsi ; grezzoni del Muschelkalk. Alle falde di Rocca Speciosa, sulla strada della Madonna del Lago, i calcari marmorei giurassici, probabilmente qui com- presi in una piccola piega che li porta quasi a diretto contatto con le quarziti, mi hanno offerto un fossile molto interessante, una nummulitidae unita in gran copia ai crinoidi. che descriverò quando avrò trovato migliori esemplari. (*) (*) Franchi S., IL giuraliassico e il cretaceo nei dintorni di Tenda ecc. Boll. R. Comit. geolog., pag. 228, 1891. (2) Uguali lenti silicee si osservano nei calcari del trias, e nelle poche ricerche fatte non vi ho finora ritrovato radiolarie; ina solo spicule di spugne indeterminabili. SUI. LA STRATIGRAFIA DELLA VALLE DEL NEVA 8 La località citata di Castell' Ermo lascia scorgere per spaccato naturale una grandissima discordanza fra giura ed eocene; poiché mentre questo è in strati verticali, quello è lievemente inclinato e fa parte del sinclinale, qui nella massima ampiezza, della valle del Pennavaira. La superfìcie giurassica di contatto, che ricorda una faglia, è una ripa del mare cretaceo-eocenico, costituita da strati che prima del sollevamento terziario venivano orizzontali a formare una costa a picco. Da ciò rimane in chiaro, che non ostante tutte le trasgres- sioni che esistono nella serie secondaria, comprese la bathoniana e la cenomaniana generali alla catena terziaria dell’ Eurasia, non si ebbero in quest’ era periodi di corrugamento molto intensivi, e piuttosto che forti dislocazioni, si succedettero delle fasi bradisismi- che, come vuole la teoria dell’ Issel. I bradisismi accompagnarono in queste Alpi ogni terminare e cominciare di età, intercedettero ai grandi periodi orogenici, per i quali la teoria bradisismica non si può applicare, e si esplicarono con pieghe a raggio grandissimo, per modo che gli strati risultarono solo lievemente inclinati. Eocene. Una zona potente di scisti argillosi eocenici viene a pigiarsi, a grandissima discordanza, di contro al complesso secondario ed al permiano, con contorsioni molto accentuate. Le sue trasgressioni sono: col giurassico al Rio Cruso, a Castell’ Ermo e a M. Nero; col trias a Rocca Livernà e ad Alto; col permiano fra Castell’ Ermo e Alto, e dipendono dalla varia altezza cui le pieghe portarono le formazioni, e dalla varia profondità dell’ erosione. Nel dare a questi scisti argillosi un posto nella serie eocenica in rapporto alla cronologia, sono stato molto tempo dubbioso; in- fine mi sono parsi corrispondenti a quelli della Polcevera, dove questa zona eocenica, interrotta dall’ arco del golfo, si riprende ; tanto più che al di là dell’ Arossia sono coperti, come in Polcevera, dai calcari ad Helminthoidea superiori. Ma per chiarire maggior- mente i loro rapporti con il resto della formazione eocenica di queste Alpi e dell’ Appennino, ho compilato, su mie osservazioni, una tabella delle eteropie dell’ eocene ligure, la quale, è mia lusinga, 90 G. ROVERETO varrà a chiarire alquanto la stratigrafia eocenica, ora nuovamente campo di discussioni. NB. — Per le altezze vale la scala dell’ 1 : 50.000. Vai-Nervi a Val-Centa (Neva) Val-Polcevera Val-Trebbia Vai-Magra Calcari Calcari Calcari 3\ Galestri Calcari ) 1 ) Calcari Arenarie *) Scisti argillosi / 3) Arenaria Scisti argillosi (M a c i g n o) e galestri Scisti galestri Nummulitico sup. 4) Galestri Trias medio Arenaria di Pii- ) Giurassico lori con Ino- Calcari con c er am u s. Calcari con Inoceramus l) Galestri. *) Nummulitico inf. 3) Arenaria con fossili secondari rima neggiati. <) Calcare screziato nuramulitico. Si faccia anche oscillare alquanto la varia potenza, d’ ordinario difficilmente calcolabile, delle formazioni di questa tabella, rimar- ranno sempre certe alcune eteropie, che per la prima volta risul- tano. Il Nummulitico superiore nizzardo corrisponde alla parte inferiore degli scisti argillosi del Centa e della Polcevera, ai ga- lestri della Trebbia e alla parte inferiore dell’arenaria macigno della Magra ; e le nummuliti trovate in queste formazioni, o nelle corri- spondenti dell’Apennino Toscano, confermano tali eteropie. 11 calcare screziato nummulitico è alla parte inferiore del nummulitico su- periore nizzardo, se non già corrisponde all' inferiore. Rimane chia- SULLA STRATIGRAFIA DELLA VALLE DEL HE VA 91 rita la posizione dell’arenaria di Sant’Olcese (n.° 3) e delle altre con fossili secondari rimaneggiati. I galestri di Val di Magra, inferiori allo screziato nummulitico, non quelli alternanti, sono da collocarsi probabilmente nel cretaceo, e corrispondono alla parte inferiore delle argille scagliose, che nelle valli del Modenese e del Bolognese sono eteropiche in parte col macigno tanto sviluppato nella Val di Magra. Per dedurre infine dalla tabella i ragruppamenti cronologici, sono ancora necessarie due considerazioni. Non avendosi nell’Apennino una facies di mare sottile, la quale possa dirsi contemporanea al periodo di sollevamento dell’ eocene superiore, non può attribuirsi a tale intero periodo la zona dei calcari che è sedimento di mare profondo. Però essendo essa co- stantemente superiore alla zona o agli equivalenti nummulitici, è da riferirsi alla parte inferiore dell’ eocene superiore. Nella parte superiore invece sono da collocarsi le serpentine e le altre roccie concomitanti della fase eruttiva eocenica che, secondo uno dei più dimostrati enunciati della scuola di Suess, deve essere unita al periodo di sollevamento. Mi pare errore il dire che vi hanno fra noi serpentine eoceniche di più età, perchè di diversi livelli sono le roccie che le racchiudono ; essendo ben naturale che roccie eruttive, come le serpentine, giungano a livelli diversissimi, e diverse sieno le roccie che interessano con i loro fenomeni di contatto. Completo quindi la tabella delle eteropie con i seguenti ra- gruppamenti cronologici : I. Serpentina, diabase, eufotide, granito e mineralizza- zione di arenarie, galestri e calcari (Valle del Chia- ravagna e Liguria orientale). II. Calcari ad Helminthoidea e arenarie con fossili cre- tacei rimaneggiati ; galestri della Nervia; parte su- periore degli scisti argillosi del Centa, della Polce- vera; galestri superiori e parte superiore del macigno della Magra. (I. Nummulitico superiore del Nizzardo ; parte inf. dei galestri della Polcevera e del Centa, galestri della focene medio . . ' Trebbia; parte inferiore del macigno della Magra. I IL Nummulitico inferiore del Nizzardo, screziato num- \ mulitico della Magra. Eocene inferiore — (Mancante in Liguria ?) Eocene superiore [20 giugno 1897J SUL SISTEMA DENTARIO DEL GENERE A NTHRA CO TI! ERI UM Cuv. Nota di Eduardo Flores. De Bayle ('), in seguito agli studi suoi e di De BlainYille su molti avanzi di Anthracotherium magnum Cuv., stabilì per questo genere di mammiferi la seguente formola dentaria 3 14 3 ine. - , can. - , pm. - , m. Tale formola fu accettata dal maggior numero dei naturalisti, ma il Gastaldi (2), poco tempo dopo, scoprì una mandibola di An- tracoterio che invece di sei incisivi ne aveva quattro. Tale scoperta 10 spinse a supporre che gli Antracoterii con V età perdessero due incisivi, almeno nella mandibola, e propriamente gl’ incisivi esterni. L’ Hoernes (3), accettando questa ipotesi, propose due forinole den- tarie, una per i giovani 1’ altra per i vecchi Antracoterii : 3 14 3 ine. - , can. - , pm. -, m. - per i giovani e per i vecchi : 2 14 3 ine. -, can. y, pm. - , m. Queste formole furono accettate, ed il Gastaldi, il Riitimeyer ed 11 Kovalevsky le adottarono nei loro lavori sul genere Antracoterio- Ma ora tutto è mutato. Trascurando una delle leggi più im- portanti della odontologia dei mammiferi, cioè la costanza della formola dentaria in tutte le specie appartenenti allo stesso genere, si sono create molte specie nuove di Anthracotherium , aventi quasi (1) De Bayle E , Notice sur le sgstème déntaire del' Anthracotherium magnwn Cuv. (Bull. Soc. géol. de France, 2ème serie, voi. XII, 1854-55). (2) Gastaldi B., Lettera sul sistema dentario del genere Antkraco- therium (Bull. Soc. géol. de France. 2òme serie, voi. XIV. 1856-57) (3) Hoernes li., Anthracotherium magnum Cuv. aus den Kohlena- blagerungen von Trifali (Jahrbuch d. k. le. geol. Reichs. Wien, 1876, p. 215). E. FLORES, SUL SISTEMA DENTARIO ECO. 93 ognuna una formola dentaria diversa (l). Il De Zigno nel 1888 de- scrive una nuova specie di Antracoterio, di cui non può precisare il numero degli incisivi nella mandibola, con due canini, quattro premolari e quattro molari. Questa specie non solo fa eccezione alla legge sovraccennata, ma è ancora più strana. Nei mammiferi placentari difiodonti (2) la dentatura permanente tipica non pos- siede che tre incisivi, un canino, quattro premolari e tre molari per ciascun lato. Da questo tipo derivano le differenze che carat- terizzano i diversi generi, ma giammai questo numero fondamen- tale per le varie forme di denti è oltrepassato, se non in casi estre- mamente rari e quasi sempre anormali. Il Teller(3) nel fare la relazione della Memoria del De Zigno at- tribuì questo fatto singolare ad un errore cagionato dalla cattiva re- staurazione del pezzo. Il Gaudry (''), invece, ammise una falsa inter- pretazione dei vari denti, da parte del De Zigno, e ritenendo come 3° incisivo il dente che il De Zigno avea creduto canino, e come canino il 1° premolare, ecc., eliminò 1’ inconveniente del 4° molare, ammettendo per i caratteri dei molari, tra questa specie e gli an- tracoterì quella relazione che passa tra i tapiri e rinoceronti ed il genere Lophiodon , tra il Palaeotherium ed il Paloplotherium. Pel De Zigno era un carattere distintivo anche la posizione quasi verticale degli incisivi, ma egli stesso poi dichiara, che questi denti e la parte anteriore della mandibola furono ricostruite da colui che raccolse il fossile, quindi non bisogna dar peso a questo carattere. A vero dire, nè 1' ipotesi del Teller, nè quella del Gaudry mi pare che spieghino sufficientemente questo singolare fossile. E tanto meno mi pare che sia da ritenere per vera la creazione di una nuova specie. Lo stesso De Zigno ammette che questo fossile si avvicina più che ad ogni altro all’ Anthracotherium magnum Cuv. ed a \Y Anthracothe- riurn Illyricum Teller, quindi io sono indotto a ritenere che possa trattarsi di un fatto anormale, di un caso teratologico nel sistema dentario di un individuo appartenente alla specie tanto comune nei giacimenti lignitiferi dell’ oligocene italiano, all’ Anthracotherium (ù De Zigno A., Antracoterio di Monteviale (Meni. R. Ist.Veneto, voi. XXIII, 1888. Venezia). (2) Zittel K. A., Traité de paleontologie, trad. par Cli. Barrois, 1894. (3) Teller E., in Verhandl. d. k. k. geol. Reichs. Wien, 1889, p. 265. (b Gaudry A., Bull, de la Soc. géol. de France. 3 s.. t. XVIII, 1890. Paris. 94 E. KLORES magnum Cuv. Difatti, se veramente si trattasse di un fatto nor- male, per quel carattere di un molare in più si dovrebbe creare un nuovo genere e non una nuova specie. Una piccola differenza nel sistema dentario, a stretto rigore, se interessa il numero dei denti, mi pare che sia molto più che una semplice differenza spe- cifica. E così fece il Pomel ('), che studiando alcune ossa e denti di un ruminante del tutto simile al genere Moschus , ma che se ne allontanava per un molare in più nella mandibola, costituì il 0, 1, 3, 3 nuovo genere Amphitragulus , che ha la forinola dentaria mentre il genere Moschus ha 0, 1, 3, 3 3, 1, 3, 3 * 3, 1, 4, 3 ’ Ma non fu solo De Zigno, che creò specie nuove di Anthra- cotherium trascurando la invariabilità della forinola dentaria. Dietro il suo esempio nel 1891 lo Squinabol nel descrivere i numerosi e bellissimi avanzi di Anthracotherium delle ligniti di Cadibona (2), conservati nel Club alpino di Savona, nel Museo geo- logico di Genova, e nei musei civici di queste due città, vide in essi quattro nuove specie di Antracoterio. Cioè : Anthracotherium, lìgusticum , con quattro incisivi, quattro pre- molari, serie dentaria non continua, prominenze mandibolari coniche, poco sviluppate, poste molto in basso, nessun orlo mandibolare. A. Gastalclii , con quattro incisivi, quattro premolari, serie den- taria a grandi intervalli, prominenze mandibolari grandi, orlo man- dibolare sviluppato. A. Kovalevs/cyij con quattro incisivi, quattro premolari, serie dentaria a piccoli intervalli, prominenze mandibolari mancanti, nes- sun orlo mandibolare. A. Zignoi con quattro incisivi, tre premolari inferiori, pro- minenze mandibolari appena accennate, nessun orlo esterno, serie dentaria non continua. Lo Squinabol non ammette la caduta dei due incisivi negli individui adulti, e riferisce all’ Anthracotherium magnum Cuv. (') Pomel, Notice géologique sur la région du terrain tertiaire lacustre traversèe par le chemin de fer des mines de Bert ( Allier ) (Bull, de la Soc. géol. de France. Paris, 2èine sèrie, tom. IH, p. 369). (2) Squinabol S., Rivista dei grossi Antracoterì di Cadibona (Bull. Soc. geol. ital. Roma, voi IX, fase. 13°, 1891). si;l sistema dentario kcc. 95 tutti gli avanzi di Cadibona con sei incisivi, distribuendo quelli con quattro incisivi tra le sue nuove specie, le quali, se ben si os- serva, presentano un carattere comune che le distingue dalla specie a sei incisivi, cioè hanno la serie dentaria non continua. La ragione che lo spinge a non ammettere la caduta degli inci- sivi è che non sempre tra il 2° incisivo ed il canino egli trova uno spazio capace di contenere 1’ incisivo caduto. Ma considerando che nelle mascelle a quattro incisivi la serie dentaria non è continua come in quelle a sei, potremo trovare una spiegazione di tal fatto. Non mi pare strana 1’ ipotesi, che caduti i due incisivi essendo i vuoti rimasti nella parte anteriore della bocca caratteri negativi per la prensione degli elementi, i canini ed i premolari si sieno un poco spostati, in seguito alla obliterazione degli alveoli rimasti vuoti, e sieno venuti ad occupare lo spazio lasciato dai denti ca- duti. E che la non continuità della serie dentaria dipenda da uno spostamento dei denti mi pare che sia provato anche dal fatto che gli spazi interdentarì interessano solamente la regione dei canini e dei premolari, mai quella dei molari. Queste ragioni mi indu- cono ad ammettere fermamente la caduta dei due incisivi. Ed inoltre, anche il carattere principale dell’ Anthr. Zignoi , cioè la mancanza di un premolare (il secondo), mi pare poco atten- dibile. Lo Squinabol nel descrivere questo fossile esclude potersi trattare di un caso teratologico, poiché in tal caso o vi dovrebbe essere 1’ alveolo, o, ammessa pure la completa obliterazione di esso, lo spazio in lunghezza corrispondente. Mancando questi due carat- teri, non può trattarsi di un caso teratologico, ma bisogna ritenere 1’ assenza di questo premolare come carattere specifico. Ma io credo che ciò non basti per creare una nuova specie e che invece sia av- venuta la caduta del dente, seguita dalla obliterazione dell’ alveolo. E che manchi lo spazio in lunghezza non si può dire. Lo Squi- nabol dice che lo spazio compreso tra il margine anteriore del ca- nino ed il margine posteriore dell’ ultimo premolare nell’ Anthra- cotherium Kovalevskiji è di 129 min., e quello corrispondente dell’ A. maguum è di 110: ora, non possiamo ammettere che nel- Y A. Zignoi sia di 125 mm., comprendendo in questo spazio non tre, ma quattro premolari come nelle altre specie ? Altri caratteri ai quali lo Squinabol dà un certo valore sono le varie forme e le dimensioni delle prominenze e degli orli man- dibolari, e le minime differenze nelle dimensioni dei denti. 06 E. FLORES, SUL SISTEMA. DENTARIO ECC. Ma tutto ciò mi pare che non debba essere considerato, c spe- cialmente ciò che egli dice intorno alle sporgenze mandibolari. Difatti, come egli stesso attesta, il Filbol (*) parlando dell’ AL alsa- ticum dice che la mandibola presenta una sporgenza considerevole eguale a quella dell’ A. magnum. Ecco, dunque, che questa sporgenza perde il suo carattere specifico, poiché la troviamo identica in due specie diverse. Concludendo, io son d’ avviso che. essendo i caratteri della nuova specie del De Zigno e di quelle dello Squinabol assai discu- tibili, sia meglio ritornare alle vecchie ma ben fondate idee del Gastaldi e dell’ Hòernes ed ammettere che gli Antracoterì fossero stati soggetti con l’ età alla perdita di due incisivi, e che quindi si possano riferire tutti questi avanzi provenienti da Cadibona e quelli di Monteviale alla specie tipica del Cuvier, tanto diffusa nelle ligniti oligoceniche dell’ Italia. 0, se le differenze nelle dimen- sioni dei denti e nelle sporgenze ed orli mandibolari tra le specie dello Squinabol, possano parere a qualcuno abbastanza notevoli, credo sia meglio costituire varietà della specie del Cuvier, piuttosto che specie nuove: « giacché col primo metodo si raggruppano forme * simili intorno ad un tipo sicuro ammesso e conosciuto da tutti, « mentre col secondo metodo, oltre a prodursi notevole confusione, « si può facilmente incorrere nell’ errore di dare nomi specifici diversi « a forme dissimili solo per semplici differenze di età, o indivi- « duali o sessuali (2). Il grande numero di varietà di una data « specie ci proverà soltanto il suo grande polimorfismo, che d’ al- « tronde sappiamo essere notevolissimo specialmente nei vertebrati « superiori » , ma non ci produrrà quella confusione che costitui- rebbe un gran numero di specie fondate su pochi caratteri. Bari, R. Scuola normale femminile, marzo 1897. (1) Filhol R., Vert. des phos. de Quercy (An. Se. géol. Vili, 1878). (2) Sacco F., Sopra un cranio di Tursiops Cortesii Desili, var., astensis Sacco (Atti R. Acc. Se. Torino, voi. XXVI, 1891, p. 11). [20 giugno 1897 | LE ROCCE PORFIRICHE DELL’ISOLA D’ELBA Nota del prof. E. V. Matteucci. (Tav. IV, V) Differenziazioni, modificazioni ed inclusi del Porfido granitico. In altro mio stadio (•) mi occupai essenzialmente del porfido granitico che, sotto forma di iniezioni, si presenta intercalato con gli orizzonti superiori della formazione eocenica nella parte media dell’ Isola d’ Elba. Accennai allora all’intenzione che aveva di occuparmi in se- guito di altri particolari d’ indole geognostica riferentisi a questo tanto discusso porfido granitico; e, fra le altre cose, mi proposi di studiare i suoi inclusi. Già l’ ing. Lotti (£) parlò delle masse angolose od elissoidali contenute nell’ ammasso granitico del Monte Capanne e nel porfido del centro dell'Elba. Ed ultimamente il prof. De Stefani (3) scrisse di un qualche frammento di roccia estranea che trovammo insieme negli scogli di porfido del golfo della Biodola. Io, poi, ne estrassi diversi altri, e ne espongo ora i caratteri litologici. E, siccome le masserelle che si rinvengono incastonate in questa roccia non (!) E. V. Matteucci, Le rocce porfiriche dell'Isola d'Elba. Porfido granitico. Atti della Società toscana di se. nat., voi. XVI, Pisa, 1894. (2) B. Lotti, Descrizione geologica dell'Isola d'Elba. Memorie descrit- tive della carta geologica d’Italia, voi. II. Eoma, 1886. (3) C. De Stefani, Il così detto Porfido quarzifero dell'Isola d'Elba. Atti della Soc. tose, di se. nat. Proc. verbali, voi. IX. Pisa, 1894. 98 R. V. MATTEUCCI sono tutte veri inclusi, così ritengo opportuno di parlare qui bre- vemente delle une e delle altre (*). Queste massiccinole che, pel tono della loro colorazione e per la maggiore resistenza che spesso oppongono alla degradazione, già in situ si lasciano riconoscere per un qualche cosa di diverso dal magma del porfido granitico, sono sparse ovunque in questa roccia dell’ Isola d’ Elba, ma sono tutt’ altro che abbondanti. Per la genetica loro, così come per la loro natura litologica, esse si possono dividere in tre categorie nettissimamente distinte, e cioè : I. Differenziazioni a) strutturali » b) magmatiche. II. Modificazioni pneumatolitiche. III. Inclusi. I. Differenziazioni (2). Le differenziazioni si trovano dovunque sparse nel porfido gra- (!) Sento l’obbligo di esprimere la mia più viva gratitudine verso il chiarissimo prof. P. Groth ed il dott. E. Weinschenk presso i quali ho trovato tanta cortesia ed aiuto per le mie ricerche petrografiche eseguite all’Uni- versità di Monaco di Baviera. (2) Queste che io chiamo differenziazioni sono quelle « associazioni minerali cristalline che presentano colla roccia vulcanica includente una più o meno grande analogia di composizione mineralogica e di origine » alle quali A. Lacroix dà l’appellativo di enclaves homoeogènes (A. Lacroix, Les enclaves des roches volcaniques, Macon, 1893, pag. 8). Egli osserva però giustamente (id. id. pag. 1 1) che « beaucoup entre les enclaves homoeogònes ne représentent pas la forme grenue de la roche enclavante, mais doivent ótre considérées comme ayant été produites par liquation d’un magma initial plus basique (oppure più acido) que la roche englobante (nodules à olivine des basaltes) » (oppure noduli di quarzo delle trachiti ecc.) « ou par ségré- gation en profondeur d’un certain nombre seulement des éléments de cette dernière (nodules à hornblende et augite des basaltes «(oppure noduli quar- zoso-ortosici delle rocce di trabocco più acide). Da qui si vede che le mie differenziazioni si accostano di più al senso dato dal Lacroix al termine sé- grégation che io però applico di preferenza a designare i più grandi elementi minerali che si estrinsecano da un magma fuso e che appartengono il più delle volte ad una prima consolidazione e ad una cristallizzazione intratel- lurica ( Einsprenglinge degli autori tedeschi). Geologicamente parlando, le no- stre differenziazioni, al pari degli enclaves homoeoglnes di Lacroix, « sont en rapports étroits avec la roche volcaniquc englobante « A. Lacroix, id. pag. 553). LE ROCCE PORFIRICHE DELL’ ISOLA D’ELBA 99 nitico. L'ing. Lotti (') ne nota la frequenza sulla sinistra della valle delle Tre Acque. Io ne ho trovate al Poggio S. Martino, al Monte Barbatoio, a Ripa Nera presso Campo, sotto la Costa di Segagnana, presso Portoferraio, a Marciana Marina, ecc. In una parola, se ne rinvengono un poco dappertutto, dove un qualche lembo di porfido granitico rimane allo scoperto. Esse sono estrinsecazioni locali avvenute in seno al magma che diede luogo al porfido granitico, e, mineralogicamente consi- derate, hanno press’ a poco la stessa costituzione del porfido, da cui diversificano però chiaramente sotto il punto di vista della struttura. Alcune di esse poi sono, chimicamente, assai diverse dal porfido. Ed ho creduto perciò utile designare queste ultime come differenziazioni magmatiche e le prime come strutturali, quantunque nelle magmatiche pure la struttura sia diversa. Io considero le differenziazioni strutturali come dipendenti es- senzialmente dalle cosidette e non ancora bene spiegate diverse condizioni di rapprendimene di uno stesso magma ; e quelle mag- matiche come altrettante concentrazioni di un magma alquanto più basico (2) e più acido (3) di quello del porfido che le circonda. Ed è chiaro che queste ultime debbano offrire anche caratteri (x) Lotti B, 1. c., pag. 157. (2) Le differenziazioni, la cui composizione chimica è più basica di quella del porfido, appartengono evidentemente alle concretionàre Schlieren o primàre Ausscheidungschlieren degli autori tedeschi, e delle quali così ci parla lo Zirkel : « Konnen in der noch plastischen Hauptmasse, oline dass darin anfàngliche Mischungsungleicheiten vorausgesetzt zu werden brauchen, ortlich Anhaufungen und zusammenballungen von fruhzeitig ausgescliiedenen, zum Bestande des Gesteins gehorigen Gemengtheilen entstehen, welclie z. B. nach aller Erfahrung in einem Meselsàurereichen Magma vorwiegend basi- scher Natur sein werden ». Tali differenziazioni sono più povere in SiO* e più ricche in Fe, Ca e Mg, che la rimanente roccia. (F. Zirkel, Lehrbuch der Petrographie. Leipzig, 1893, voi. I, pag. 788). (3) Tali differenziazioni, in complesso, più acide del rimanente magma, molto opportunamente furono dette dallo Zirkel hysterogenetische Schlieren u deren aus dem Magma selbst heraus erfolgende Entstehung an die letzten Phasen seiner Verfestigung geknùpft ist. Hat sich aus einem Magma die Hauptmasse der Gemengtheile in der Weise ausgeschieden, dass ihre Summe basischer ist, als die Gesammtzusammensetzung des Magmas, so muss der letzte zur Krystallisation noch fàhige Best acider sein ». (F. Zirkel, 1. c., pag. 791). 8 100 R. V. MATTEUCCI strutturali diversi, inquautochè la differenza delle condizioni di rapprendimene deve accrescersi coll' aumentare della disuguaglianza nella composizione chimica (1). Appartengano queste differenziazioni alla prima od alla seconda divisione: esse hanno sempre una forma sferoidale, la quale deve certamente essere dovuta ad attrazioni speciali a cui, in questi ristretti spazi, fu soggetto il magma, siasi esso rappreso prima o dopo del magma circostante. E questo della forma è uno dei caratteri per cui le differenziazioni si distinguono macroscopicamente, ed anche sul posto, dalle modificazioni pneu- matolitiche e dagli inclusi. La struttura del porfido granitico dell’ isola d’ Elba è, come resi noto (2), olocristallino-porfìrica, data da più o meno grandi segregazioni quarzose, feldispatiche e micacee disseminate in una massa fondamentale mìcro- o criptocristallina (fìg. V, metà a sini- stra, e fìg. VI ; tav. IV). E dissi come le molteplici nuances pre- sentate da questa roccia siano offerte dalla dimensione degli elementi porfìrici che, o grandissimi, o relativamente piccoli, non mancano mai. I cristalli di quarzo di prima consolidazione sono in generale più o meno corrosi e riassorbiti dalla massa fondamentale (fìg. VI. tav. IV). Per contro, la struttura delle differenziazioni, pure essendo olocristallina, oscilla dalla granitica alla microgranitica ed alla mi- crogranito-porfìrica (fìg. I, II, III, IV e V, metà a destra; tav. IV); e la zona di separazione della roccia incassante è data da un pas- saggio irregolare e netto, ed è resa ben evidente se osservata a nicols incrociati (fìg. V, tav. IV). P) Io credo di poter estendere a tutti i magma — di qualunque com- posizione essi possano essere, epperciò anche a quel magma che diede luogo al porfido granitico dell’Elba — la seguente riflessione di A. Lacroix: « Les reproductions syntliétiques de MM. Eouqué et Michel Lévy ont montré qu’un méme magma basique fondu, soumis à des conditions différentes de refroidissement, donnait des roches de structure differente. L’étude des enclaves homoeogènes permet de rechercher sous quelle forme une roche voi. canique donnée aurait pu cristalliser si, au lieu de s’épancher en masses microlithiques, elle s’était consolidée dans les profondeurs. Elle permet aitisi d’etablir les relations existant entro les roches microlithiques et les roches grenues de composition correspondante (enclaves de sydnite néphélinique dans les phonolites, etc.) ». A. Lacroix, Les enclaves, ecc., pag. 11. (•) R. Y. Matteucci, 1. c . pag. 77 e seg. LE ROCCE PORFIRICHE DELL’ rSOLA D’ELBA 101 a) Differenziazioni strutturali. Granito (fig. II, tav. IV). — Le massiccinole di granito sono rarissime, ed hanno una struttura olocristallino-panidiomorfa la più caratteristica. Dalla proporzione dell’elemento basico, l’acidità risulta uguale a quella del porfido involgente. Il quarzo, mai in segregazioni porfiriche, ma in granuli allotriomorfi in cui non si nota mai nessuna traccia di corrosione dipendente da riassorbimento. I feldispati sono ortoclase e pochi plagioclasi — albite e labrador — tutti allo- triomorfi. L’ ortoclase è più o meno cambiato in muscovite e sostanza caolinica. Negli altri feldispati si trova anche la calcite come prodotto di decomposizione. La biotite è pure allotriomorfa, fresca e lucente, e forma qui a preferenza lunghe tavolette. L’ apa- tite vi è molto abbondante. Microgranito (fig. Ili, tav. IV). — Le masserelle di micro- granito sono meno scarse di quelle granitiche, dalle quali non dif- feriscono nella costituzione mineralogica, nè nella composizione chi- mica. Anche la loro struttura è caratteristicamente granitica, ma la grana è molto più fine. Esse sono alquanto alterate come il porfido incassante. I feldispati quasi tutti torbidi, la biotite cloritizzata ; per cui si presentano, in complesso, di un colore grigio-verdastro chiaro, e che, a prima vista, si sbaglierebbero quasi con dei blocchi di arenaria. Microgranito porfirico (fig. IV, tav. IV).. — Le massic- cinole di microgranito porfirico differiscono dalle precedenti per contenere nella massa microgranitica alcune segregazioni feldispa- tiche, o quarzose, o entrambe (!). Del resto, i loro elementi minerali sono gli stessi, e la struttura è pure la stessa, granitica. Senonchè qui, ad attestarci ulteriormente le diverse condizioni di consolida- ci A questo tipo vanno riferite, per la loro grande rassomiglianza strut- turale e per la loro uguale giacitura, le differenziazioni che si incontrano nelle sanidiniti dell’ Isola di Procida e che il Lacroix chiama « microsanidi- nites » (1. c., pag. 380 e 618), quelle raccolte dallo stesso Lacroix nei tufi basaltici del Chuquet Genestoux (1. c., pag. 359) e le krabliti provenienti dal monte Krahla a 12 kin. dal lago Myvatn nell’Islanda settentrionale. Brdon. Notes pour servir à Vétude de la géologie de l\ Islande. (Paris, Lahure, 1884). BiickstrOm (in Geol. Foren. i. Stockholm Forhandl., 1890). A. Lacroix, Les enclaves ecc., pag. 387. 102 K. V. M.VTTEUCCI mento sono gli individui quarzosi pressoché tutti in accrescimento pegmatitico. b) Differenziazioni magmatiche. Essendo ormai provato che la consolidazione di un magma dipende direttamente dalla sua natura chimica ed essendo altret- tanto stabilito che la struttura di una roccia è intimamente col- legata con le speciali condizioni di rapprendimento delle masse fuse, ritengo che ogni differenziazione magmatica appartenga ad un momento di consolidazione diverso da quello in cui si rapprese il magma — per così dire omogeneo — che le inviluppa. Così, avve- nuta una specie di selezione nel senso del magma fluido, in modo che in alcuni punti si aduna una maggiore quantità di acido si- licico, ed in altri vanno ad accumularsi proporzioni maggiori di molecole basiche, si avrà nel primo caso una differenziazione più acida che tarderà a consolidarsi e nel secondo caso una più ba- sica che si rapprende prima del magma circondante (!). In relazione con quest’ ordine di idee posso citare un fatto degno d' un certo interesse e che parla in favore dell’ eterocronismo nella consolidazione di queste piccole masse : L’ estrazione delle massiccinole acide dalla roccia incassante è facilissima; con un colpo o due di martello vien raggiunto subito lo scopo. Estrarre invece le masse basiche è cosa assai più difficile, e voglio aggiungere che talune di esse ultime, nonostante la mole del martello e la vigorìa dei colpi, mi oppose una straordinaria resistenza. Ora, io ritengo che la minore o maggiore tenacità con cui queste masse sono te- nute strette dalla roccia incassante debba attribuirsi appunto al- pi E qui debbo confessare che le mie osservazioni non si trovano d’ac- cordo coll’idea espressa dal Lacroix, e cioè che: « quand une cristallisation produite aux dépens d’un magma ne comprend qu’une partie des éléments qu’il est susceptible de fournir, le produit cristallin ainsi formé est constitué par les minéranx les plus basiques parmi ceux qui appartiennent à la roche grenue correspondante, ou qui pourraient se produire en égard à la compo- sition chiunque de celui-ci ». E quindi, secondo il mio modesto avviso, non è sempre possibile di prevedere a priori « de quelle nature seront les diverses enclaves homoeogènes d’une roche volcanique donnée, et inversement dans certains cas, de remonter de ces enclaves à la roche volcanique englobante ». (A. Lacroix, Les enclaves ecc., pag. 615 e 616). LE ROCCE PORFIRICHE DELL’ ISOLA D’ELBA 103 l’ intervallo fra i rispettivi momenti di loro consolidazione. Infatti, mi sembra assai semplice il pensare che cosa debba avvenire nel rapprendimento di una porzione di magma atta a consolidarsi in momenti differenti dal resto. Se la parte includente si rapprende prima, quella interclusa diminuisce di volume più tardi, e quindi nella zona di contatto si deve avere un involucro meno denso e, quasi direi, più rarefatto. Se la parte includente si rapprende più tardi, essa eserciterà una pressione sulla massa interclusa preceden- temente solidificata, pressione che non può più diminuire, e quindi nella zona di contatto si deve avere un involucro più denso e più tenace. Microgranito (tav. IV, fìg. V, metà a destra). — Fra le differenziazioni magmatiche, rinvenni nel porfido granitico dell’ Isola d’ Elba due tipi diversi: l’uno più basico, e l’altro più acido che il porfido incassante. Al primo tipo appartiene un microgranito che si discosta da quelli sopra descritti per la maggior proporzione in minerale basico, biotite. Aplite porfirica (fìg. I, tav. IV). — Al secondo tipo spetta una roccia biancastra a struttura olocristallina microgranitica, qua e là miarolitica (!), costituita da quarzo feldispato, ortose e pochi plagioclasi, in cui la biotite è scarsissima, e il quarzo è in grande abbondanza, non solo, ma vi si trova anche in grandi segregazioni che impartiscono alla roccia una sensibile porfiricità. Essa è dunque un’ aplite porfirica. Quanto abbiamo esposto sui diversi tipi di differenziazioni mostra che, qualunque sia la loro natura, più acida cioè o più ba- sica di quella della roccia involgente, appartengano esse all’ una o all’ altra delle due categorie in cui artificialmente le abbiamo divise — delle strutturali o delle magmatiche — fra le differen- ziazioni ed il tipico porfido granitico esistono dei rapporti intimi ; rapporti che ci inducono a discutere brevemente il modo di forma- zione di queste differenziazioni. (*) (*) La struttura miarolitica fu notata anche dal Lacroix nelle differen- ziazioni, da lui dette « enclaves homoeogènes » (A. Lacroix, Les enclaves etc. pag. 617 e altrove). 104 r. v. matteucci Esaminando sezioni sottili, in corrispondenza della parete di separazione di queste masserelle subsferiche dal porfido involgente, notai che quella parete è irregolare e netta (fig. V, tav. IV). L' ir- regolarità è data da sporgenze e rientranze che si avvertono nella loro superficie convessa, e che corrispondono rispettivamente a rien- tranze e sporgenze sulla superficie concava della roccia incassante. Tali scabrosità sono otferte dagli individui minerali variamento orientati che ne costituiscono anche 1’ involucro. La nettezza è data dal fatto che la tessitura propria di una differenziazione cessa in una zona-limite fissa, oltre la quale la struttura è completamente cam- biata. La massa fondamentale micro- e criptocristallina del porfido granitico non comparisce mai nelle differenziazioni ; e gli elementi di queste non si rinvengono mai, nè per dimensione, nè per reci- proco assettamento strutturale, al di là della loro zona-limite (1). Ho accennato poco sopra al concetto che mi sono formato circa la solidificazione del magma che originò queste differenziazioni. La loro composizione chimica, come ho detto, mi si palesò sempre alquanto diversa da quella del porfido granitico ; esse sono, ora alquanto più basiche, ora alquanto più acide di quello. È noto che le cosidette rocce acide sono meno fusibili di quelle basiche; ed in relazione a tale differenza di fusibilità, è altresì noto che, fondendo separatamente una roccia acida (per esempio, un granito od una trachite quarzifera) ed una basica (come un diabase o un basalte), per ridurle entrambe allo stesso grado di fluidità de- vesi portare la roccia acida ad una temperatura notevolmente più elevata: come, per contro, ad una medesima temperatura atta a man- tenerle entrambe fuse, il grado di fluidità della roccia basica sarà evidentemente maggiore di quello della roccia acida. Queste leggi che si avvertono facilmente ponendo a confronto termini litologici estremi come quelli rispondenti alla massima acidità ed alla mas- sima basicità, debbono indubitatamente verificarsi anche per tutti gli altri termini di acidità o basicità intermedie. Precisamente come (Q Dunque noi abbiamo qui a che fare con dei tipi di differenziazioni pei quali non si può rigorosamente ripetere quanto lo Zirkel dice degli Schlieren: u Mit dem Namen Schlieren bezeichnet man die Erscheinung, dass in einer gròsseren Eruptivmasse untergeordnete Partieen vorkommen, welche minera- logisch oder structurell betrachtlich von der Hauptmasse abweichen, aber mit ilir durch Uebergànge verbunden sind » (F. Zirkel, 1. c., pag. 787). LE ROCCE COREI RI CHE DELL’ISOLA D’ELBA 105 non si trovano in natura neppure due frammenti della stessa roccia che abbiano una composizione chimica complessiva perfettamente uguale, così, a mio avviso, anche la loro fusibilità cambia col me- nomo cambiare della loro composizione. E non credo di allontanarmi dalla realtà se da tali considerazioni deduco che non solo la mag- giore o minore proporzione di un dato minerale, ma la proporzione relativa di tutti gli elementi di una roccia, nonché anche le lievi differenze sempre avvertite nella composizione chimica dei singoli minerali (nessuno dei quali fino ad ora si è trovato corrispondere ad una forinola rigorosamente definita e fissa), debbono influire sulla temperatura di fusione e su quella di solidificazione di una roccia. E ne consegue che in uno stesso bacino magmatico, in un medesimo condotto vulcanico, in uno stesso massivo di effusione, infinitamente variabili debbono essere le condizioni di rapprendimento a cui sog- giace un magma ; e, appena sensibili nuance s litologiche e chimiche debbono influire sulla cristallogenesi. Donde derivano, talvolta, limi- tati, limitatissimi ambienti, localizzati qua e là nell’ ammasso roc- cioso, dove il magma deve rapprendersi in modo affatto diverso da come si rapprende tipicamente nell’ intero ammasso. La legge enunciata dal Rosenbusch (1), che in tutte le rocce eruttive la consolidazione dei diversi minerali si succede secondo 1’ ordine di loro basicità, trova nel rapprendimento di queste diffe- renziazioni la più valida conferma. IL Modificazioni pneumatolitiche. L’ azione pneumatolitica che genera gli svariatissimi depositi di minerali metallici e rari, si svolge posteriormente ad ogni periodo eruttivo, con maggiore o minore intensità e producendo ora profondi cambiamenti nella roccia appartenente alla propria fase od indif- ferentemente nelle roccie cristalline o sedimentarie di contatto, ora la deposizione di masse metalliche talora colossali, ora quasi insensibile produzione di nuovi minerali, che nulla hanno che fare con i costituenti della roccia nella quale vanno a trovar posto. Il come e il perchè si trovino sempre localizzate e divise fra loro (') H. Rosenbusch, Ueber das Wesen der kòrnigen und porphyrischen Structur bei Massengesteinen. Neues Jahrb. f. Min. Geol. und Pai. Jahrg. 1882, II. Bd. 106 R. V. MATTEUCCI queste conseguenze delle azioni post-vulcaniche non sono ancora esattamente conosciuti. Il processo pneumatolitico (’) collegato col porfido granitico del- 1’ Elba si svolse assai blandamente, e furono i gas fino-borici i soli agenti mineralizzatori. E la loro penetrazione attraverso la roccia già consolidata, ed il fatto per cui, anziché esercitare un’ azione continuata su date zone, agirono preferibilmente qua e là eser- citando la loro influenza su punti affatto separati e fra i quali non si trova la benché minima traccia del loro passaggio, tutto ciò è inesplicabile. Parlando dei minerali neogenici del porfido granitico dei- fi Isola d' Elba (2), dissi che la tormalina in cristalli ora isolati, ora aggruppati in fasci paralleli, rarissimamente in aggregati ra- diali, si trova indifferentemente sparsa nella massa fondamentale e come interposizione nei cristalli di feldispato e di quarzo. Par- lando della costanza della tormalina in questo porfido (3), dissi come mi sembrava da rigettarsi la classificazione proposta dal Nessig (4) il quale divise questa roccia in due categorie, tormalinica e non tormalinica; e dissi che era da rigettarsi perchè la tormalina vi si trova sempre sparsa. In generale, la distribuzione della tormalina nel porfido gra- nitico è in fascetti o piccole agglomerazioni, ma da queste si passa ad una distribuzione in spazii ristretti dove la tormalina si costituisce in vene e zone più ricche che talvolta sembrano dovute a lievi fratture, e si arriva a masserelle dove essa sovrabbonda tanto sulla massa della roccia che queste ne sembrano quasi essen- zialmente costituite. Queste masserelle sarebbero da considerarsi come il grado più inoltrato della tormalinizzazione. Esse, più che altro, si trovano localizzate alla Costa di Segagnana ed alla Punta della Biodola, Questi nuclei hanno una forma globulosa molto irregolare e (’) Bunsen R. Ueber die Processe der vulkanischen Gestein Bildungen Islands. Poggendorf's Annalen, Bd. LXXXIII, 1851 ; e Neues Jahrbuch fur Min. Geognosie, Geologie und Petrefakten-Kunde. Jalirg. 1851. (2) R. V. Matteucci, 1. c., pag. 89. (3) Id. id., pag. 74. (4) R. W. Nessig, Die jiingeren Eruptivgesteine des mittleren Elba. Zeitschr. d. d. geol. Gesell. voi. XXXV, 1883. LE ROCCE PORF[RICHE DELL'ISOLA D’ELBA 107 più o meno bernoccoluta, e, in generale, cespuglieti e cristalli iso- lati di tormalina si trovano in abbondanza nella vicina zona di porfido granitico. Essi consistono in tormalina bleu scura che cir- conda ed amalgama tenacemente granuli di quarzo (fig. VII, tav. Y). Rarissima è la tormalina bruna. Il feldispato primitivo della roccia vi manca completamente. Strano è il caso che vi si trovi tutt' al più cambiato completamente in sostanza caolinica e muscovitica. Se vi si avverte qua e là una parte della bruna biotite e appartenente alla roccia, essa si presenta in condizioni perfettamente identiche a quelle in cui si mostra nel porfido granitico, senonchè qui non è cloritizzata come lo è per lo più nel porfido. La tormalina vi è irregolarmente orientata, ma dove, in qualche ristretto spazio, potè cristallizzare con maggiore agio, ivi se ne riconosce 1’ ordine fibroso-raggiato. Assai raro vi si trova qualche cristallo di granato almandino. Queste masserelle, costituite, in fondo, da granuli di quarzo e da tormalina, non possono essere mai confuse con frammenti di arenarie quarzose su cui abbiano agito le azioni pneumatolitiche. E tale dubbio viene recisamente eliminato dai fatti seguenti: 1° Da queste massicciuole si passa, per una serie di più piccole agglomerazioni tormaliniche, a cristalli isolati di tormalina. Essendo questi ultimi chiaramente neogenici, non si può ammettere per le dette massicciuole una diversa origine. 2° I granuli di quarzo sono assai spesso uniti fra loro dalle proprie rispettive pareti che esattamente combaciano, formando un mosaico, senza che nessun’ altra sostanza nè tormalinica nè di altra natura li cementi insieme. Cosa che sarebbe incomprensibile se si trattasse di frammenti di arenarie metamorfosati prima o dopo d’ es- sere stati impigliati dal magma. 3° Le inclusioni di moltissimi granuli di quarzo sono di- sposte abbastanza regolarmente o nella loro regione centrale o in zone parallele alla loro superficie. La qual cosa prova ad evidenza che il quarzo è neogenico. Se questi granuli appartenessero ad are- narie, non presenterebbero certo una regolare distribuzione delle inclusioni. 4° La penetrazione di cristalli di tormalina attraverso il quarzo è una ulteriore prova luminosa che il quarzo stesso, al pari della tormalina, è neogenico ; e che quindi queste masse non 108 r. v. matteucci hanno nulla a che fare con degli inclusi nè con la consolidazione del porfido granitico. All’ Isola d' Elba esiste un’ altra roccia, intimamente colle- gata col porfido granitico, e nella quale il processo di pneumato- lisi apportò simili modificazioni, ma assai più regolari e caratte- ristiche. Questa roccia è un’ aplite porfirica, di cui ho già pronto lo studio che pubblicherò quanto prima. III. Inclusi (’). Fra le masse che ho impreso a descrivere, i veri inclusi sono i più rari. La maggior parte di essi proviene dalle Lamaie del Golfo della Biodola; però ne ho trovati anche a Scoglieri e, a sud dell’ Isola, sotto la Costa di Segagnana e a Ripa Nera presso Campo (2). La forma si mantiene sempre quella caratteristica di pia- strelle più o meno schiacciate. Essi sono tutti frammenti di rocce gneissiche che però spettano a tre tipi nettamente distinti, e cioè Gneiss micaceo » anfìbolico » sillimanitico (>) Tutti i nostri inclusi appartengono a quella categoria « formata da rocce senza rapporto di composizione mineralogica nè d’origine con la roccia vulcanica includente » che giustissimamente A. Lacroix chiama enclaves énal- logènes (A. Lacroix, Les enclaves etc., pag. 8), e che anche secondo Lacroix, geologicamente considerati, « sont constituées par des fragments de roches quelconque, arrachées aux cheminées souterraines par le magma volcanique au moment de sa venue au jour » (A. Lacroix, Les enclaves, etc., pag. 553). Questi inclusi corrispondono dunque perfettamente anche agli Einschlusse freundartiger Gesteine dei geologi tedeschi. (2) Il Lotti ( Descrizione geologica dell'Isola d'Elba, p. 157) notò sulla sinistra della Valle delle Tre Acque « la frequenza di inclusioni elis- soidali di microgranito micaceo » e « frammenti arrotondati di una roccia micacea apparentemente scistosa ». Le prime corrispondono evidentemente alle differenziazioni di cui mi sono già occupato, ma i secondi non semhrauo essere perfettamente la stessa cosa dei miei inclusi, giacché questi ultimi, sia per la struttura chiaramente schistosa, sia per la costituzione mineralo- gica, sono da attribuirsi indubbiamente ad una formazione gneissica. I fram- menti di cui ci parla il Lotti dovrebbero quindi essere differenziazioni del magma che hanno assunto anche una struttura diversa. LE ROCCE PORFIRICHE DELL’ ISOLA. D’ELBA 109 Gneiss micaceo (tìg. Vili, tav. Y). — Di inclusi riferibili a questa roccia ne ho trovato uno solo incastonato nel porfido grani- tico presso Scoglieri. Già macroscopicamente esso mostra la più ca- ratteristica struttura gneissica. La grana ne è fine. Gruppi torma- linici bleu-scuri abbondano nella zona esterna di questo incluso. Al microscopio, come tutti gli gneiss, presenta anche più evidente la tipica struttura schistosa, specie nella sezione perpendicolare alla maggiore dimensione, ed è offerta dalla disposizione della biotite rispetto agli altri costituenti. Il quarzo è in granuli, o isolati in mezzo a cristalli di mica o, più spesso, ammucchiati insieme e costituenti zone che alter- nano con altrettante zone micacee. Esso contiene numerose inclusioni di una sostanza carboniosa sotto forma di piccolissimi granelli bruno-neri maggiormente ammassati nella parte centrale dove costi- tuiscono specie di nubecole. Altre inclusioni sono di zircone. I feldispati sono ortose ed oligoclase. Essi si presentano in cristalli mal definiti, sono piuttosto rari, e contengono entrambi, come il quarzo, inclusioni di sostanza carboniosa, sebbene in minor quantità. La mica è biotite in gran parte cloritizzata e con inclusioni di minerali titaniferi, a forte rifrangenza e contornati da zone pleocroitiche. Magnetite, in cubetti, piuttosto rara. Granato, almandino, debolmente roseo. La tormalina in piccoli cristalli bleu scurissimi aggruppati senza regola appariscente e immedesimati con granuli di quarzo limpidissimo. Riguardo alla sua genesi si affaccerebbe la quistione se sia esso minerale appartenente allo gneiss oppure dipendente da processo pneumatolitico. Però questa seconda ipotesi è assai più probabile della prima, inquantochè questo minerale si presenta in questo incluso con uguale habitus che nel porfido ad immediato contatto ; e, trovandosi solo nella zona più esterna dell’ incluso, la sua distribuzione non partecipa affatto alla struttura gneissica di questo. Gneiss anfirolico. — Fra i veri e propri inclusi ne va anno- verato uno della grossezza e forma di una noce che trovai alle Lamaie del Golfo della Biodola e che è da riferirsi a gneiss anfi- bolico. È una massa compatta che non si fende con facilità, di un 110 H. V. MATTEUCCI colore verde bruno, apparentemente omogenea ad occhio nudo, e risolventesi al microscopio in un fitto miscuglio di granuli finis- simi verdi ed incolori. Qui è la struttura gneissica resa evidente dal fatto che, in senso striato, ora predominano i granuli verdi, ora quelli incolori. I tre minerali costituenti sono orneblenda, quarzo e almandino. Già, al primo colpo d’ occhio, i granuli colorati sono da attri- buirsi tutti allo stesso minerale. Il sistema dei piani di sfaldatura che si tagliano secondo un angolo più o meno prossimo ai 120° non lascia alcun dubbio sulla determinazione di questo minerale per orneblenda ; mentre non vi si osserva nessuna sezione che ci ram- menti una approssimazione alla sfaldatura dei pirosseni. liarissi- mamente però in cristalli ben definiti, 1’ orneblenda è spesso in accrescimento contemporaneo con quarzo. II quarzo contiene molte inclusioni indeterminabili e molte cavità in cui non si osserva mai peraltro una libella. Se con vero- simiglianza possa ritenersi sfuggito il liquido originariamente con- tenutovi, per dato e fatto dell’ azione del calore esercitata dalla massa incandescente che involse l’ incluso, non so. Il granato è in piccolissimi granuli. Feldspati, sono per escluderli recisamente. Titanite e zircone, troppo indefiniti, assai dubbi. Molta magne- tite accompagna, come sempre, l'anfibolo, in globuli o in cristalletti. Questo incluso è contornato da una zona quarzoso-biotitica. 11 contatto fra l’ incluso e questa zona è nettamente distinto, mentre fra essa ed il porfido si osserva un passaggio graduale. Quindi tale zona devesi considerare come una differenziazione magma- tica basica del porfido granitico includente. Questa masserella anfibolica non può essere considerata come una differenziazione magmatica basica, perchè l’anfibolo non è mi- nerale neppure accessorio del porfido granitico. Nelle tante sezioni tagliate da campioni di porfido da me raccolti in diversissime lo- calità, non mi fu dato mai di imbattermi in un cristallo di anti- bolo. L’ unico minerale basico costituente del porfido granitico del- l’ Isola d’ Elba è la biotite più o meno cambiata in clorite ; e, fino ad oggi, solo il Bucca (') trovò un antibolo bruno fortemente (') L. Bucca, L'età del granito di Monte Capanne, pag. 14. LE ROCCE PORFIRICHE DELL’ISOLA d’eLBA 111 pleocroitico e piccoli aggregati aciculari di un colore verde bluastro — riferiti dall’ ing. Mattirolo ad un pirosseno — in certi cam- pioni, credo erratici, provenienti dai dintorni di Marciana Marina. Gneiss sillimanitico (fig. IX, tav. V). — Gli inclusi di gneiss sillimanitico, o fibrolitico che chiamar si voglia, sono i più abbon- danti. Io ne ho trovati a Ripa Nera presso Campo, sotto la Costa di Segagnana e, per la maggior parte alle Lamaie del Golfo della Brio- dola. Sia per la struttura, sia per i costituenti minerali, questi inclusi appartengono indubbiamente tutti ad una medesima roccia ; non te- nendo quindi conto di alcune troppo lievi loro differenze, intendo di descriverli brevemente in complesso. La struttura è gneissica della più tipica, e finamente granu- lare ma ben visibile macroscopicamente. L’ unico elemento però rico- noscibile ad occhio nudo è il granato. I costituenti principali di questa roccia sono sillimanite, bio- tite, cordierite ed oligoclase. Però il plagioclase vi è talvolta così raro che potrebbe considerarsi come minerale accessorio. Lo stesso si dica della cordierite che in uno di questi inclusi manca anzi addirittura. Non per questo però la roccia cessa d’ essere oligo- clasico-cordieritica. Costituenti secondari sono quarzo, ortoclase, granato, spinello, magnetite, pirite, apatite, zircone (anatasio, rutilo, clorite, epidoto, calcite), sostanza organica e tormalina neogenica. Gli elementi che cedono alla roccia la sua tipica struttura gneissica sono la biotite e la sillimanite, e vi partecipano spesso anche zone di cordierite granulare. La biotite, considerata la struttura schistosa della roccia, è regolarmente sparsa ; ora forma infatti qua e là fasci zonari, ora in singole tavolette allungate e mescolate a granuli di cordierite e feldispato, ora in listerelle affastellate e intrecciantisi fra loro, e in- torno alle accumulazioni di sillimanite, e sempre con un ordine schistoso estremamente tipico. Per la massima parte è inalterata, ed allora è di un colore bruno, e fortemente pleocroitica. Ma ve n’ ha di quella in parte alterata in clorite, calcite, epidoto, ma- gnetite, anatasio, e rutilo. Numerosissimi cristalli di sillimanite che ci rendono quasi avvertiti della presenza anche della cordierite di cui è, si può dire, compagna inseparabile specialmente nei gneiss, si trovano per lo 112 R. V. MATTKUCCl più in cespuglieti o in fasci allungati che partecipano all’ anda- mento schistoso della biotite. La fibrolite (fig. XI, tav. V) è in lunghi e sottili cristalletti prismatici, terminati per lo più da acu- minate piramidi, spesso piegati senza essere però curvati, incolori e a forte doppia rifrangenza. Essa però, oltreché in disposizione, quasi direi, fluidale, forma spesso delle concentrazioni o accumu- lazioni veramente tipiche (tig. X, tav. V). Sono queste delle riu- nioni di innumerevoli cristallini affastellati e addossati gli uni agli altri senza ordine appariscente e formanti specie di gomitoli che non contengono altro minerale che la fibrolite, intrecciatesi a mo’ di feltro. Questi piccoli gomitoli sono talora isolati in mezzo al com- plesso degli altri minerali enumerati, tal’ altra invece sono fra loro, a due, a tre ecc., collegati per mezzo degli stessi cristalli silli- manitici, e allora le riunioni che così ne risultano partecipano sempre alla schistosità della roccia. Cordierite ed oligoclase come in quasi tutti i gneiss. L' ortoclase è raro. I feldispati e la cordierite contengono molte inclusioni di silli- manite irregolarmente orientate. Albite e ortoclase si presentano spesso in accrescimento mi- croperlitico. II granato è almandino. Nella roccia, ad occhio nudo, si pre- senta di un colore rosa piuttosto intenso, ma nelle sezioni sottili è incoloro. È screpolato; contiene inclusioni di sillimanite nella zona più esterna e qualche cubetto di pirite ossidata in parte. Lo spinello, in granuli verdi-scuri, è pleonasto, ed è relativa- mente abbondante. Apatite e zircone, qua e là, rari. Sostanza organica in fine granulazioni incluse nel quarzo e nei feldispati, non solo, ma anche in nubecole sparpagliate nel feltro sillimanitico. Per riepilogare e per concludere ho da aggiungere ancora le poche linee che seguono. I quattro caratteri salienti che differenziano gli inclusi pro- priamente detti sono: 1° Che i loro minerali caratteristici, silli- manite, cordierite, orneblenda, pleonasto e sostanza organica, non si LE ROCCE POREIKICHE DELL’ ISOLA. d’ELBA 113 trovano mai neppure come costituenti secondari od accessori nel porfido granitico, mentre i minerali costituenti le differenziazioni* siano esse magmatiche o strutturali, sono proprio e solamente quelli del porfido includente. 2° Che tutte le massiccinole da me rite- nute e descritte per veri inclusi hanno una struttura decisamente gneissica; struttura che non si nota mai nelle altre masse che ri- tengo indubbiamente per differenziazioni strutturali o magmatiche della massa porfìrica. 3° Che le inclusioni hanno un contorno netto e definito al massimo grado; i loro minerali propri non passano al difuori della periferia dell’ incluso per diminuire a poco a poco nella roccia incassante, come è il caso generale delle differenzia- zioni dei magma. 4° Che tutti questi inclusi indistintamente, come ho notato per lo gneiss micaceo, sono contornati da cristalli iso- lati od accumulati di tormalina. Questo strano carattere, oltreché distintivo degli inclusi, — giacché una tale zona non si trova mai intorno alle differenziazioni magmatiche o strutturali, — ci dà un nuovo criterio onde avvalorare il concetto genetico della tormalina in queste rocce, come minerale dipendente da pneumatolisi ('). Tutti i minerali costituenti gli inclusi sono perfettamente inalterati e nessuno di essi mostra la minima traccia di un cambia- mento, sia pure incipiente, attribuibile all’ azione del magma invol- gente. Nè azioni meccaniche nè chimiche hanno su di essi esercitato la più piccola influenza; quindi resta assolutamente escluso ogni segno di corrosione operato dal magma ed ogni indizio di fusione. E rimane anche una volta di più dimostrato che non sempre i pic- coli inclusi ricchi di mica presentano — come vorrebbe il Roth (2) — parti fuse o profondamente alterate. Voglio anzi qui notare che, nonostante il piccolo volume di questi inclusi, anche le azioni meteoriche pare si associno nel voler risparmiare queste massiccinole, giacché perfino la biotite, che nella roccia incassante è quasi totalmente decomposta, è freschissima (■) R. V. Matteucci, 1. c., pag. 90. (2) « In den durch Eruptivgesteine eingeschlossenen, kleineren, glimmer- haltigen Brochen der krystallinischen Schiefer und der Granite ist meist der Biotit geschmolzen, der Feldspath getriibt, hochstens gefrittet, der Quarz rissig geworden oder gesprungen » (J. Roth, Allgemeine und chemische Geo' logie. Berlin 1890, III Bd., pag. 44). 114 r. v. matteucci negli inclusi. È degno anche di nota che la sostanza carboniosa negli gneiss è rimasta. Del resto, la mancanza di alterazioni in questi inclusi non può indurci a supporre che il magma includente non fosse ad alta temperatura nè che queste masserelle vi siano rimaste per poco tempo impigliate, giacché il porfido granitico per espandersi lun- ghesso le stratificazioni eoceniche e costituirvi le sue penetrazioni dovette avere una temperatura altissima e — desumendolo dalla mancanza quasi assoluta di struttura fluidale — dovette anche mantenersi nelle profondità per un certo tempo in uno stato fluido e più o meno incandescente. Alla domanda : se esista e quale possa essere la relazione fra la posizione topografica e la condizione geologica degli ammassi di porfido granitico che contengono gli inclusi, non saprei dare oggi una persuadente risposta, e rinunzio quindi assai volentieri anche ad una discussione i cui termini sono invero ancora troppo mal definiti. Non voglio neppure annettere una speciale impor- tanza ai luoghi dove questi inclusi furono da me trovati perchè non posso recisamente escludere che se ne possano rinvenire anche al di fuori di una certa zona, alla quale peraltro voglio accennare; e cioè, collegando insieme i punti dove io li ho trovati, si ottiene una linea meridiana che è in perfetto parallelismo con quella da me altra volta citata (*) come linea alla quale corrisponde la più avanzata cristallizzazione intratellurica del porfido granitico. Anche non volendo porre fuori di probabilità il ritrovamento di inclusi in altri luoghi lontani dalla linea meridiana Capo d’En- fola-Costa di Segagnana, constato solamente il fatto che fino ad ora ciò non si avverò. Nè si può ammettere che nei più lontani banchi, nelle più inoltrate diramazioni del magma porfirico pos- sano essere stati gli inclusi assorbiti dalla massa fusa involgente, giacché se questa avesse dovuto esercitare la sua azione di assor- bimento chimico sugli inclusi, è fuori di dubbio che lo avrebbe fatto tanto più energicamente nella detta linea, dove, per la mag- giore potenza della massa, dovette protrarsi più a lungo lo stato (fi È questa la zona meridiana passante per Punta di Sansone, Punta dell’Acquaviva, Secione delle Cime, Villa Napoleone, Monte Barbatoia, Ripa Nera, Capo Fonza (R. V. Matteucci, 1. c., pag. 71, nota). LE ROCCE PORFIRICHE DELL’ISOLA. D’ELBA 115 di fusione, ed avrebbe dovuto spiegarsi tanto più intensa l’ in- fluenza fisico-chimica del magma sulle masse ad esso estranee. Per le precedenti considerazioni io sono portato quindi ad ammettere che il magma porfirico, uua volta strappati dalle for- mazioni abissali i frammenti di gneiss da me studiati, li abbia coinvolti, ma non trasportati a distanza; per modo tale che essi, previo sollevamento del complesso eruttivo-sedimentario del centro dell’ Elba, e consecutiva abrasione, vengono a trovarsi allo scoperto dove io li raccolsi. Non mi sembra quindi troppo azzardata 1’ opinione per cui, lungo la linea meridiana passante pel crinale topografico della parte media dell’ Isola d' Elba, verrebbe a localizzarsi la corrispon- denza di una fenditura profonda da cui potrebbe ammettersi sorto il magma acido consolidatosi fra le stratificazioni eoceniche, sotto forte pressione, e nella forma geologica che si osserva al giorno d’ oggi, di porfido granitico. Se si confrontano gli inclusi del porfido granitico dell’Elba con quelli di rocce petrografìcamente assai simili che compaiono poco lontano, nel continente, troviamo qua e là una qualche ana- logia, per quanto mai completa nè costante. Le località dove magma più o meno acidi giungono alla superficie sono Campiglia Marit- tima, Boccastrada e Monte Amiata, tutte in Toscana; e non è im- probabile che tali magma siano provenuti in diverse epoche da un medesimo bacino profondo. Campiglia Marittima. — Delle trachiti quarzifere cordie- ritiche di S. Vincenzo, presso Campiglia Marittima, e dei loro inclusi, si sono occupati già G. v. Kath (*), A. D’ Achiardi (2), B. Lotti (3) ed A. Lacroix (,1). Vi furono notati aggregati cristal- lini di cordierite ed aggregati di granato, d’ augite, e di feldispati sodio-calcici, con quarzo abbondante e cordierite in cristalli di- stinti, nonché sillimanite e spinello verde. Il Lacroix tende a con- p) G. v. Rath, Geognostisch-mineralogische Fragmente aus Italien. II Theil. (Zeitschr. d. d. g. Gesellschaft, Bd. XX, 1868). (2) A. D’Achiardi, Della trachite e del porfido quarziferi di Donora- tico presso Castagneto. (Atti d. Soc. tose, di se. nat., voi. VII. Pisa, 1885). (3) B. Lotti, Correlazione di giacitura fra il porfido quarzifero e la trachite quarzifera nei dintorni di Campiglia Marittima e di Castagneto. (Atti d. Soc. tose, di se. nat., voi. VII, 1885). (4) A. Lacroix, Les enclaves, ecc., pag. 214. 9 116 R V. MATTEUnCt siderare tutti questi minerali come resti di inclusi incompletamente riassorbiti, avendo egli osservato un frammento di ortose in via di riassorbimento in un campione da lui stesso raccolto (,). Roccastrada. — In precedenti Memorie (2) ebbi ad occu- parmi di alcune piccole masse subrotonde che trovai incluse nelle nevaditi dei dintorni di Roccastrada; e già fin d’ allora, conside- rata la loro diversa natura, e il loro diverso modo di presentarsi, dissi come esse non potevano ripetere una origine comune. Esclusi che si trattasse di bombe perchè non ne presentavano la struttura e perchè non mi sembravano compatibili col carattere di quelle eruzioni nevaditiche; esclusi che potessero essere riguardati come frammenti staccati da preesistenti rocce e travolti dalla corrente lavica o strappati nelle profondità e portati all’ esterno dal magma fluente. Espressi invece l’opinione che due di essi (biotite e quarzo immersi in una massa terrosa caolinica; nevadite eminentemente biotitica) non potessero essere che nidi od accumulazioni di bio- tite, e quindi da considerarsi come differenziazioni basiche della nevadite ; ed altri due (antiboli e pirosseni e quarzo a tessitura olocristallino-micrograniticà in una massa fondamentale microfel- sitica; biotite, ematite, ilmenite, magnetite, ecc.) avessero una comune origine coi massi cristallini rigettati che in così gran copia rinvengonsi nei tufi incoerenti del Monte Somma e cui il Mie- risch (3) riferisce alla classe dei blocchi ad elementi neogenici e, più precisamente, al gruppo dei monolitici. Monte Amiata. — Anche nelle trachiti del- Monte Amiata si trovano impigliati degli inclusi e sono stati avvertiti dal Lotti (4), dal Williams (5), dal De Stefani (f;), e studiati anche dal (') A. Lacroix, Les enclaves, ecc., pag. 215. (2) E. Y. Matteucci, La regione trachitica di Roccastrada (Maremma Toscana). Boll. d. R. Com. geol. ital., 1890; id., Note geologiche e studio chimico-petrografico sulla regione trachitica di Roccastrada in provincia di Grosseto. Boll. d. Soc. geol. it., voi. X, 1892. (3) B. Mierisch, Die Auswurfsblocke des Monte Somma. Tschermak’s minerai, u. petrogr. Mittheilungen. Bd. Vili, 1887. (4) B. Lotti, Il Monte Amiata. Boll. d. R. Com. geol. it., 1878. (5) F. Williams, Ueber dem Monte Amiata und scine Gesteine. Neues Jalirbuch f. Mineralogie, Geol. u. Pai. Beilageband V, 1887. (8) C. De Stefani, I vulcani spenti dell' Apennino settentrionale. Boll, d. Soc. geol. ital., voi. X, 1891. LE ROCCE PORFIR1CHE DELL’ISOLA d’ELBA. 117 Locroix('). Secondo quest'ultimo, gli inclusi del massivo del Monte Amiata sono degli schisti quarzosi che ora non rinchiudono più che dei piccolissimi frammenti di quarzo intatto contornati da vetro, dove si osservano granuli e microliti augitiche in aggregati globulari; ■ora contengono quarzo in maggiori proporzioni, inviluppato da mica e pirosseno recenti e da molta grafite; ora sono privi di mica e grafite, e formati di straterelli alternanti di quarzo e cordierite che contengono inclusioni di sillimanite e rutilo; ora sono feldi- spatici e ricchi in grafite, e contengono cordierite, sillimanite, an- dalusite, distene e granato. Rocce paragonabili a queste ultime (A. Lacroix, 1. c., pag. 216) si incontrano, in simili condizioni, uel Plateau Central della Francia. Riferendoci alla splendida opera del Lacroix, assai spesso ci- tata, troviamo la descrizione di inclusi di altre regioni, che ci offrono non trascurabili analogie con quelle da me riportate per gli nclusi del porfido granitico dell’ Elba. E tali analogie non debbono passarsi sotto silenzio. Egli descrive : a) un gneiss a cordierite in- cluso nella trachite del Capucin (Mont-Dore) nel Plateau Central della Francia, $) uno schisto a cordierite ed andalusite incluso nell’ andesite del Rengersfeld (2) nell’ Eifel (Prussia Renana), y) uno schisto ad andalusite e sillimanite incluso pure nell’ andesite del Rengersfeld, e fi) un gneiss a cordierite , corindone e sillimanite incluso nella trachite del Capucin. Riassumendo in poche parole quanto il Lacroix riferisce su questi quattro generi di inclusi, trasparisce chiaro che essi vanno riferiti a rocce assai simili e che si avvicinano grandemente al gneiss sillimanitico-cordieritico che costituisce la maggior parte degli inclusi del nostro porfido grani- tico. Infatti, egli li descrive come essenzialmente formati di cor- dierite, andalusite, sillimanite, 'corindone, granato almandino, apatite, ortose, oligoclase, quarzo e spinello (3). Senonchè la distinzione che i suoi inclusi gli permettono di stabilire fra minerali primari (o veri costituenti primitivi) e minerali di formazione recente (ossia do- C) A. Lacroix, Les enclaves ecc. pag. 167 e 215. (2) Yogelsang K., Beitràge zar Kenntniss der Trachyt. und Basaltg esterne der hohen Eifel. Zeitschr. d. d. g. Gesellschaft, XLII Bd., 1890, pag. 25. (3) Lacroix A., Les enclaves etc., pag. 180 e 204, tav. IV, fig. 4, 5, 10 e 11. 118 R. V. MATTEUCCI vuti ad una trasformazione operata dal magma vulcanico), non è possibile intravederla negli inclusi del porfido granitico dell' Elba. E, fatta astrazione dalla tormalina che talvolta si affaccia anche negli inclusi, precisamente come si trova sempre sparsa in tutta la massa del porfido granitico, non si può citare nessun fatto in appoggio ad una speciale azione di elementi volatili sugli inclusi. E perciò non è qui il caso di ripetere col Lacroix che gli agenti mineralizzatoli gasosi imprigionati nelle lave incandescenti debbono impregnare gli inclusi ed agire sopra di loro, tanto più che il calore specifico delle rocce più acide è elevato e che queste si raf- freddano lentamente ('). Io posso affermare che gli inclusi da me studiati non portano nessuna traccia di modificazioni subite pel contatto con la roccia incassante. Io sono però perfettamente d’ accordo col Lacroix nel- 1’ ammettere che gli inclusi in generale presentino dei gradi molto differenti di trasformazione e che, mentre alcuni vi rimangono in- tatti, altri possono essere completamente modificati. Ciò dipendendo evidentemente, più che dalla loro costituzione mineralogica, dalla differenza che passa fra la composizione chimica complessiva delle rocce incluse e quella dei magma includenti. Io ammetto altresì che gli inclusi, non provenendo tutti dallo stesso punto del camino vulcanico, debbono essere strappati e coinvolti dal magma fluido in condizioni differenti, epperciò diversa deve essere 1’ intensità delle loro modificazioni. Pur accettando i 5 assiomi stabiliti dal Lacroix (1. c. pag. 561), che cioè le modificazioni subite da un incluso dipendono: 1° Dalla sua composizione mineralogica qualitativa e quantitativa ; 2° Dalla temperatura massima alla quale esso è stato portato ; 3° Dalla fusibilità più o meno grande dei suoi elementi costitutivi ; 4° Dal suo volume; 5° Dalla velocità del suo raffreddamento, debbo notare che se queste condizioni sono indispensabili e si avvertono nella modificazione degli inclusi, non sempre questi ne rimangono influenzati. Così, nel caso nostro, abbiamo: 1° Che la costituzione mineralogica qualitativa e quanti- tativa dei nostri inclusi è sufficientemente diversa da quella della roccia incassante. Essi sono sempre più ricchi in minerali basici. (•) A. Lacroix, 1. c., pag. 596. LE ROCCE PORFIRICHE DELL’ISOLA. D’ELBA 1R> 2° Che la temperatura dovette essere molto elevata, altri- menti, giusta il principio che rocce acide — per raggiungere quel grado di fluidità sufficiente alla loro intrusione od effusione — deb- bano possedere una temperatura assai più elevata di quella che sarebbe bastante a porre in simili condizioni un magma basico, il porfido granitico non avrebbe potuto espandersi lungo le strati- ficazioni eoceniche. 3° La fusibilità degli elementi costitutivi, quali la mica c 1’ antibolo, avrebbe dovuto prestarsi a profonde modificazioni. Ciò che non avvenne. 4° Anche il volume, sempre assai piccolo, degli inclusi avrebbe dovuto facilitare l’ influenza su di essi del magma invol- gente. 5° Il raffreddamento degli inclusi, dipendendo da quello della roccia includente, deve essersi effettuato con grande lentezza. Oltreché pel noto principio che rocce acide sono cattive conduttrici del calorico e si raffreddano più lentamente che le rocce basiche, il nostro porfido granitico dovette anche — indipendentemente da ciò — raffreddarsi lentamente per la sua forma geologica e per la profondità da cui avvennero le sue espansioni. Esso infatti ha una struttura olocristallino-porfirica, e la sua massa fondamentale non contiene affatto parti vetrose ('). Prendendo ad esame il numero stragrande di fatti riportati con tanta cura dal Lacroix, si resta veramente colpiti — come egli ben dice — dalla frequenza, fra gli inclusi della maggior parte delle regioni vulcaniche, di un certo numero di rocce sovente poco abbondanti od anche del tutto mancanti in posto nelle regioni considerate. Fra queste rocce si possono citare ad esempio quelle che contengono in abbondanza cordierite, sillimanite, zircone etc. In diversi casi alcuni autori hanno creduto di poter ammettere che qualcheduno di questi minerali potesse essere dovuto all’ azione del magma vulcanico sulle rocce da esso impigliate. Ma già il Lacroix mostrò Y identità di rocce cordieritiche, incluse nei basalti, nelle trachiti e nelle andesiti, con vere e proprie granuliti, gneiss (L Matteucci R. V., Le rocce porfìriche dell' Isola d' Elba. Porfido granitico. Atti della Soc. Toscana di Scienze Naturali. Memorie, voi. XP • Pisa, 1894. 120 B. V. MATTEUCCI e schisti cordieritici antichi. Ed in ciascun caso, come egli dice, « des moditìcations souvent intenses peuvent ètre constatées dans ces roches; moditìcations dues à l’ action du magma volcanique, mais n’ ayant en rien produit les minéraux spéciaux cordiérite et silicates d' alumine « . (A. Lacroix, Les enclaves etc., pag. 555). Fra gli inclusi presi in considerazione dal Lacroix non vi sono che quelli appartenenti a gneiss cordieritici e sillimanitici che trovano i loro corrispondenti fra i nostri inclusi. Ma ciò che si è detto per quelle rocce si può ripetere per gli gneiss anfìbolici e micacei che pure furono impigliati dal porfido granitico dell’ Isola d’ Elba. Tutte queste rocce furono strappate al substratum dei terreni an- tichi che si trovava a formare la volta del bacino magmatico nell’ epoca in cui quel magma incandescente, dotato della sua energia espansiva, si protendeva lungo le stratificazioni dell’ eocene superiore. Per quanto a me consta, nè le formazioni gneissico-schistose della Corsica e della Sardegna, nè quelle più prossime dell’ Isola Gorgona e, nel continente, del Monte Argentario, nè quelle della stessa Isola d’ Elba, presentano gneiss paragonabili a quelli da cui furono strappati i nostri inclusi. Gneiss sillimanitico-cordieritici che potrebbero avere con essi una certa parentela sono quelli della Ca- labria, già descritti dal Lovisato ('), dal I)e Stefani (2), dal Bucca (3) e dal Busatti (4). Gneiss a sillimanite e cordierite, perfettamente uguali ai testé descritti sono quelli di Zwiesel presso Bodeumais nel Bayerischer Wald. Museo geologico della R. Università di Napoli. p) Lovisato D. Cenni geognostici e geologici sulla Calabria settentrio- nale. Boll. d. R. Coni. geol. Ital., 1878; — id. Sulle chinzigiti della Calabria. Atti d. R. Accad. dei Lincei. 1878-79, ser. 3. Memorie, voi. III. (2) De Stefani C., Escursione scientifica nella Calabria 1877-1878 * Atti d. R. Accad. dei Lincei, 1883-84, ser. 3. Memorie, voi. XVIII. (3) Bucca L., Sopra alcune rocce della serie cristallina di Calabria . Boll. d. R. Com. geol. Ital. 1884. (4) Busatti L., Alcune rocce delle pendici nord-occidentali della Sila [Calabria). Rivista di Mineralogia e cristallografia. Voi. XIII, Padova, 1893 Boli. d. Soe. Geol. li. Voi. XVI ( 1897 ). Tav. IV. Fig. fi. Fig. I. Fig. V- Fig. VI. C. Riva Fot. Roma Fototipia Danesi . - .irà V . Boll. d. Soe. Geol. It. Voi. XVI ( 1897 ).' Tav. V. Fig. VII. Fig. Vili. Fig. X. Fig. XI. Riva Fot. Roma Fototipia Danosi I,E ROCCE P0RK1RICHE DELL’ISOLA D’ELBA 121 SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE. Tavola IV. Fig. » r) » » I. Differenziazione magmatica acida (Aplite porfirica). Quasi esclusi- vamente quarzo e feldispati più o meno caolinizzati. Le segregazioni porfiriche non sono visibili nel preparato. IL Differenziazione strutturale. (Granito). III. Differenziazione strutturale. (Microgranito). IV. Differenziazione strutturale. (Microgranito porfirico) con quarzo peg- ni atiti co. V. Contatto del porfido granitico (metà a sinistra) con differenziazione magmatica basica. Microgranito (metà a destra). VI. Porfido granitico normale e tipico. Tavola V. Fig. V) 55 55 55 VII. Vili. IX. X. Modificazione pneumatolica (tormalina e quarzo). Gneiss micaceo. Gneiss sillimanitico. Gneiss sillimanitico con una accumulazione di sillimanite (nella regione centrale della figura). Gneiss sillimanitico. (Con più forte ingrandimento). [24 giugno, 1897], XI. RICERCHE SUr TERRENI DEL BACINO DI GALATINA (provincia di terra d’ otranto) Nota del dott. Filippo de Franchis. (Tav. VI) Scopo del presente scritto è la ricerca e possibile determina- zione dell’ « Età geologica dei terreni del Bacino di Galatina « e di altri a questi vicini, in provincia di Terra d' Otranto. Terreno Cretaceo. — Il Bacino è circondato esternamente da terreni cretacei, costituiti da un calcare compatto, detto volgar- mente « Pietra Viva » , o « Màrmola » ; esso, in vicinanza dei ter- reni più recenti, disposti internamente, si eleva a mo’ di collinetta. Questo calcare si vede a Nola, frazione di Galatina, a sud-ovest; procede verso ovest di Galatina, passando per la località Basilico, ove è attraversato dalla strada comunale Galatina-Galatone ; con- tinua estesamente a nord-ovest, per le località Trappeto Calò, trap. Vidano, masseria Muntisani, trap. lo Pindaro, mass. Collemeto, ecc., sempre a nord-ovest. La collinetta è interrotta nel tratto fra le masserie Muntisani e Libertini, in vicinanza della quale ricompare ; volge a nord, passando a sud della mass. Torrepinta e Anchianà; discende obliquamente da nord-ovest verso sud-est, passando per le località: mass. Li Monaci, Matelica, Scaledde, S. Giuseppe, 10 Scarfo, la Crutta, lo Benefìzio, li Chiani, Majorano. Piccinna, da ove, cioè a sud-ovest, procede verso Corigliano d’ Otranto. Sicché 11 cerchio resta incompleto dalla parte sud-est a sud-ovest, se non si voglia completarlo alquanto, procedendo verso Scorrano e Mon- ticello, ove ricompare la stessa roccia, e, per poco tratto, a nord-ovest. Questo calcare tutto bucherellato, ha colore ordinariamente bianco, bianco-sporco; raramente vi sono delle venature turchine; più di rado dei colori rosei, come si osserva limitatamente nella località lo Basilico. Esso è duro, compattissimo, con suono, talvolta, F. DE FKANCHIS, RICERCHE SUI TERRENI DEL BACINO DI GALATINA 123 a timbro quasi metallico, e con frattura spesso concoide, ciò che si osserva sovente nella roccia a color bianco, e senza fossili. A volte il calcare degli strati più profondi può assoggettarsi a un discreto pulimento; anzi, siccome è usato in tutto il Leccese, per lastricar le strade, ne nasce che, col tempo, si liscia tanto, da rendere pe- ricoloso il camminarvi su in tempi piovosi. Viene adoperata anco nell’ edilizia, poco però, per la sua durezza, e per questo, antica- mente, veniva anco adoprato per le macine dei mulini, e, oggi- giorno, per le cosidette pietre dei frantoj. Ma l’ uso più impor- tante è per la calce viva, e, per quello che io so, viene usato, a questo scopo, particolarmente il calcare di Taurisano. Un altro uso non meno importante è quello per le massicciate delle strade ro- tabili e ferrate. I fossili, che in esso ho trovato e che saranno descritti in breve sono i seguenti : Cerithium iyciense, m., C. apulurn , m., C. mesapium , m., Nerinea , sp., Anomia hydruntina , m., Federi Di-Stefanoij m., Cardium Costae, m., Diceras sp. ? Requienia italica, m., Toucasia , m., Monopleura paucicostata , m., M. nea- politana , m., M. multicostata, m., Hippurites bicostulatum , m., Radiolites incurvum , m., Corbula elegantula, m. Dal loro studio che pubblico in altro lavoro, sono arrivato alla conclusione, che non si può precisare con assoluta esattezza 1’ età geologica dei piani della roccia in cui essi si ritrovano, sia perchè appartengono a specie nuove, sia perchè non sono molto perfetti ; quindi bisogna contentarsi di dire se tali terreni sono del cretaceo inferiore, o superiore. Le grandi famiglie delle Chamacee possono solo designare le divisioni più generali di una formazione cretacea, e cioè : le Toucasie il cretaceo inferiore, ossia il neoco- miano e 1’ urgoniano, le Caprinide il medio, le Ippuriti e le Ra- dioliti il superiore: le Monopleure , più comuni nella creta infe- riore, cioè nel valenginiano e nell’ urgoniano, arrivano anche alla creta superiore, come risulta dal lavoro del Futterer (l), e le Requienie, comuni pur nella creta inferiore (neocomiano e urgo- niano) , arrivano anche alla media. Si aggiunga che i Diceras si ritengono ora esclusivi del giura superiore : più volte furono indi- (i) Futterer, Die oberen kreidebildungen der Umgebung des Lago di Sta Croce inden Uenetràner Alpen. 1892. 124 F. DE FRANCHIS cati anche nella creta, ma più esatti studi hanno mostrato che si trattava invece di generi diversi, per lo più nuovi, come Toucasia , Apricardia, ecc. Dallo studio dei fossili da me esaminati si vede come nella località Pedegrosso, si trovano assieme Diceras ? e Toucasie , non vi si osservano altre forme. Sicché si può assegnare le dette forme alle zone più basse del cretaceo, quasi a contatto con le forma- zioni giurassiche. Monopleure , Requienie e Toucasie si trovano insieme nelle località: Pedegrosso, la Scisciola, lo Schito, lo Be- nefìcio, lo Basilico, lo Vita, trappeto Calò, perciò la loro simultanea presenza fa ammettere in quei luoghi il cretaceo inferiore, valen- giniano e urgoniano. Finalmente le Ippuriti e le Radioliti che si trovono nelle località Specchia de lo Murga fan credere vi sia un’ altra sezione del cretaceo, cioè della Creta superiore. Sicché, concludendo, si può dire che nelle località da me esa- minate, si notano 3 sezioni del cretaceo, cioè: 1° Cretaceo inferiore: valenginiano e forse anche purbe- chiano, strati a Diceras . in prossimità delle formazioni giurassiche, nelle località Pedegrosso e Colabaldi, com. di Galatina. 2° Cretaceo inferiore: urgoniano, o valenginiano con molta probabilità, strati a Requienia, Toucasie e Monopleure J nelle loca- lità masseria li Pappi, lo Benefìcio, la Scisciola, lo Schito, lo Vita ecc. 3° Cretaceo superiore, con Hippurites e Radiolites, in lo- calità Specchia de lo Murga. Tali mie conclusioni confermano in massima le deduzioni del dott. Di Stefano (!). Terreno Miocenico. — Più internamente si osserva, in limi- tate proporzioni, un altro terreno (calcarea tenera di Lecce, di 0. G. Costa) , detto volgarmente « Pietra Leccese » o « Leccisu » . Esso lo si nota in un piccolo affioramento a nord di Galatina, per pochi metri quadrati, nella località mass, li Monaci. Di qua scendendo verso il detto paese, in direzione sud-est, lo si vede comparire nella località mass. Murrona, da ove continua, verso est, come una striscia di terreno, allargandosi e restringendosi sino a pochi metri di lar- (*) (*) Di Stefano, Sulla presenza dell' Urgoniano in Puglia-, in Boll. Soc. geol. ital., 1892, voi. XI, pagg. 677-682. RICERCHE SUI TERRENI DEL BACINO DI GALATINA 125 ghezza passando per le località: mass. S. Giuseppe, lo Scarto, la Crutta, lo Benefizio (ove si è ad est Galatina), Maddunnina. Da questo punto si estende da una parte verso Soleto, sino ad oltrepassare di poco la mass. Barrina, e dall’ altra, passando per la mass. Angelini, si fa vedere in discreta estensione intorno alla mass. Piccinna sulla strada comunale Galatina Corigliano-d' Otranto in discreta estensione. Di nuovo a sud ricompare, sulla strada ro- tabile Galatina-Sogliano-Cavour, a cominciare dalla località mass. Li Tre Pigni, sino al paesello Sogliano C., per circa 2 kilometri, nella direzione nord a sud. Finalmente affiora a sud-ovest in torno a Noha, da ove si prolunga a sud sulla strada rotatabile Noha-Collepasso, per poco più di un kilometro e alquanto verso ovest sulla strada Noha-Aradeo. E in ultimo si fa scorgere in limi- tatissima estensione vicino alla mass. Calabaldi, sempre a sud-ovest di Galàtina. Manca, per quello che mi consta, ad ovest del Ba- cino ('). Questa roccia presenta una struttura granellosa, poco com- patta, da lasciarsi intaccare spessissimo con l’ unghia. Il suo co- lore tende al gialletto; ha la proprietà di resistere alquanto al fuoco, per cui è usata nelle lastre da forni e da cucine, per for- nelli e bracieri. A questo scopo si adopera la roccia di speciali località; così quella della Maddunnina che è maggiormente refrat- taria, ed è detta appunto « pietra da forno ». — Essa, però, è usata principalmente nell’ edilizia (adoprasi nelle facciate delle case, per i balconi, per i davanzali delle finestre, per gli stipiti, per statue, bassorilievi, ponti, per grandi vasi da pigiar l’ uva, o conservar l’olio (2) ecc.); assoggettandosi facilmente al lavoro dello scalpello, non però a lavori troppo fini. Disgraziatamente non re- siste alle vicissitudini atmosferiche, specie nelle parti basse delle costruzioni, anco sieno interne, ma umide : così lentamente si sgre- tola, diventa bucherellata e si riduce in polvere dopo un tempo più o meno lungo. Secondo le località, la roccia è più o meno dura : così quella della Maddunnina è più refrattaria, ma meno resi- stente alle intemperie, quella di Lecce è più durevole, e quella T1) Il cerchio sarebbe meno incompleto se si volesse considerare la com- parsa della pietra leccese a sud-est, intorno a Maglie. (2) Si estraggono vasche monolitiche della capacità di anco 6 me. (Sal- mojraghi ing. Francesco, Materiali naturali da costruzione, 1892, p. 427). 126 F. DE FRANCHIS di Cursi, presso Maglie, offre tutte le gradazioni, presentandosi co- munemente più dura elio quella di Lecce. La stessa contiene vari fossili ; ed è stata, in questi ultimi anni, studiata da 0. Gr. Costa, dal prof. Capellini (!) , dal dottor Ri- stori (2) , il quale vi ha riscontrato il Neptunus granulata^, M. Edw., e dal De Lorenzo (3); i quali ultimi ascrivono la stessa forma- zione al Miocene medio, specialmente al Langhiano. La sua potenza sorpassa facilmente i 20-25 m. Tufo. — Anco più internamente si osserva in estesa superficie un terreno calcare, detto volgarmente « Tufo » il quale, dalla parte nord-ovest, si estende moltissimo ; dalla parte est e sud, si mostra poco (appena mezzo chilometro) dal paese, mancando affatto solo dalla parte ovest per un piccolo tratto, e formando così un cerchio quasi completo. Tale terreno è composto di sabbioni calcarei, poco bene cementati fra loro, ordinariamente quindi poroso al massimo grado e permeabile immensamente ; talvolta il cemento calcareo è abbondante, e si ha così una roccia tenace, detta volgarmente « Carparo * che non si lascia lavorare che con estrema difficoltà. 11 Tufo ha un’ importante e unica applicazione, cioè nell’ edi- lizia, e, per questo scopo, presenta differenti qualità nel ramo industriale, così quello di Galatina è ottimo per muratura, essendo ricco di cavità dovute a fossili, le quali riempite dalla calcina, rendono più solida la costruzione; quello di Cutrofiano essendo poco pesante è usato principalmente per le volte, ma essendo meno coerente, serve poco bene per muratura. Esso è ricco, anzi ricchissimo di fossili; questi però sono ri- dotti in massima parte a modelli interni o ad impronte esterne; spesso di una precisione singolare. Le conchiglie che vi si osser- vano più facilmente integre sono di Ostrea lamellosa, Pecten Ales- siij P. Jacobaeus, P. opercularis ; rare quelle di P. variuSj Pinna nobilis, Mytilus galloprovincialis, Pectunculus bimacu- latus , Cyprina idandica , Saxicava arctica, ecc. (*) Capellini G., Della pietra leccese e di ale. suoi foss. Estr. dalla serie 3\ tomo IX, d. Memor. Acc. Se. Istit. Bologna; letta n. Sess. d. 21 marzo, 1878. (2) Ristori G., Ale. Crostar, d. Mioc. Med. ital. Estr. dagli Atti d. Soc. Tose. Se. Natur., voi. IX, fase. 1°. (3) De Lorenzo G., La fauna Bentho-Nehtonica della Pietra Leccese, 1893. Estr R. Acc. Line., voi. II, 1° sem. ser. 5a. fa^c. 3. 4. RICERCHE SUI TERRENI DEL BACINO DI GALATINA 127 Non potrei determinare esattamente la sua potenza, ma questa raggiunge e sorpassa facilmente i 10-15 m. Della sua età geologica dirò or ora. Argille. — Procedendo sempre più internamente si trova una lente argillosa, su cui è situato il paese di Galatina. L’argilla si estende obliquamente da nord-ovest a sud-est per 2 kilometri, e per 1 kilom. da sud-ovest a nord-est: essa è costituita da differenti strati. — Cominciando dal basso, sul tufo poggiano sedimenti marnosi, sabbiosi e argillosi, di cui alcuni sol- tanto contengono fossili. Tali depositi sono volgarmente detti « Rena de mare » e vengono messi allo scoperto, solo nello scavo dei pozzi per trovar 1’ acqua del sottosuolo. Da questo si argomenta come, almeno nelle località da me esaminate, sia difficile, anzi impos- sibile raccogliere fossili alla superficie del terreno. Queste sabbie marnose fossilifere, alla profondità di 5-10-15 e più m., sono alte da mezzo a 1 m., e poggiano ordinariamente su strati impermea- bili tanto, che, in condizioni normali, trovato un primo strato fos- silifero, si è quasi sicuri di aver 1’ acqua. Qui è da notare che, se spesso i fossili appartengono a un solo strato sabbioso, qualche volta sono di due o più strati, e non si saprebbe dire a qual piano essi appartengano se non ci si volesse prendere la cura di assistere allo scavo del pozzo ; fortuna per altro, che tutto questo non gioverebbe molto, essendo, da una parte gli strati molto vicini gli uni agli altri, e dall’ altra i fossili iden- tici in tutto, come si è potuto provare in località Chiusa Ravenna, com. di Cutrofiano. Da ciò nasce come la ricerca di tali fossili si deve molto al caso e alla gentilezza degli operai cavatori e dei signori dei poderi. Lo strato fossilifero poi, a volte, è addirittura sabbioso, come ho potuto osservare in località Colamaria, com. di Cutrofiano, tanto da potere scambiare uno di tali sedimenti, di- sgregato nell’ acqua, con la sabbia marina attuale, se non si vo- lesse tener conto del suo colore grigio. A volte è marnoso addi- rittura, come a Cutrofiano (paese). Che tali strati stieno sul Tufo è provato dal fatto che in Comune di Galatina, vicino alla stazione ferroviaria, fu scavato un pozzo, secondo quello che mi fu riferito, per più di 50 m., tanto che si trovò il piano tufaceo ; V acqua naturalmente, non si ebbe mai, perchè, rotto lo strato impermeabile, essa v eniva assor- 128 F. DE FRANCHIS bita dal tufo: mentre, a profondità molto minore, la si sarebbe avuta abbondantissima, come in tutta la zona argillosa a G alatina, e in tutte le località che ho visitato. Riguardo all’ acqua del sottosuolo dirò che essa, in Galatina, è abbastanza copiosa, molto più dalla parte est, specie in contrada « le Anime * : anzi siccome il suolo del paese e lo strato imper- meabile sono fortemente inclinati da ovest ad est, ne nasce che spesso l’acqua, nelle parti basse, cioè ad est, è a livello della superficie del terreno, fino a raggiungere un livello superiore, sì da venir fuori da sè dai pozzi, o da altri punti, e inondare le cantine e le case. Sui depositi fossiliferi si succedono, molto abbondantemente, delle argille turchine giallastre, scure, mescolate sempre a un po’ di sabbia. Le argille turchine raggiungono le potenze più alte, sino a 4-5 m. e son prive di fossili, eccezion fatta di qualche Nucula , Corbula gibba , Chenopus (un solo esemplare), Turrilella (in frammenti). Le argille giallastre, prive di fossili, raggiungono una po- tenza non molto considerevole e sono adoprate nella fabbricazione del vasellame: molte di tali fabbriche sono nel paese di Cutrofìano. Le argille scure, sono aneli’ esse discretamente potenti, rag- giungendo una altezza di anco 2 m. e mezzo e si trovano a volte alla superficie del terreno. Esse sono prive di fossili e vengono adoperate nella fabbricazione degli utensili da cucina : molte fab- briche di questo genere sono anco nel paese di Cutrofìano. Le argille turchine e le giallastre, sono dette volgarmente « Crite » le scure invece « Terra pignatara « (cioè terra da pignatte). Piromafo. — Sulle argille scure vi è uno strato costituito da sabbia giallastra affatto incoerente, a grana alquanto sottile, detta volgarmente « Critazzo » o « Pilumafo » (Piromafo De Giorgi). In questo ho trovato solo il P. opercularis in molta abbondanza, unica specie che ho visto alla superficie del terreno, come in lo- calità Colamaria, coni, di Cutrofìano (*). In queste sabbie gialle, 0 Questo strato raggiunge una discreta altezza, a volte anco 2 m. e mezzo, ed è tenuto dai pratici in buon conto, sostenendo essi che la vite, spe- cialmente, vegeta molto meglio in terreni soprastanti al Piromafo, perchè que- RICERCHE SUI TERRENI DEL BACINO DI GALAT1NA 129 in località Colamaria, ho rinvenuto delle septarie, concrezioni cal- caree, molto abbondanti, di color giallastro, cilindriche, con due infossamenti nel centro, dalle due parti estreme; rugose lateral- mente, raggiungenti in lunghezza e diametro rispettivamente mm. 50 e mm. 10. Ye ne sono di quelle che raggiungono dimensioni molto minori cioè mm. 10 e mm. 51/*. Le sezioni non fanno vedere al microscopio nulla di speciale. Spesso avviene trovare intercalati tra gli strati che ho esa- minato sin’ ora, al disopra del « Tufo » degli altri detti volgar- mente “ Pelruddaro » i quali constano di pietruzze, o concrezioni calcaree irregolarmente frammischiate a del terriccio: tali strati sono permeabili, e si trovano quasi sempre al disotto dell’ argilla scura, più vicino alla sabbia argillosa. Panchina. — Più superficialmente si ritrova uno strato detto volgarmente « Chiancareddo « di svariatissime configura- zioni e che avrebbe molta analogia con la panchina del Livor- nese. Esso consta di un calcare frammentizio, grossolano, risul- tante da frammenti di gusci conchigliari tenacemente cementati ; la roccia è interrotta più qua e più là da trabecole e piccole caverne, riempite dal terriccio soprastante, o dall’ argilla scura : si lascia a volte scassare con poca difficoltà, a volte bisogna ricorrere alle mine per rompere qualche blocco, il quale non si frange ai colpi del martello. Presenta strati orizzontali, irregolari, più o meno spessi costituiti da lastre grandi, a volte anco un metro quadro, e spesse un 30-40 centimetri; da qui, forse, il nome di Chiancarédda, quasi piccola Chianca (= lastra). — La Panchina, a volte, è adoperata per massicciata nelle strate rotabili, essendo molto tenace; ma il suo uso non è molto esteso. Una tale panchina può incontrarsi anco due volte nello scavo dei pozzi, ciò è raro e se questo accade, il 2° strato è molto di- stante dal primo e distante dalla sabbia fossilifera. Questo strato è ricco di fossili, non facilmente determinabili, anzi, in massima parte indecifrabili: vi ho potuto osservare in località Contatore sto non risentirebbe affatto, o pochissimo, l’alta temperatura estiva. Forse eia questa credenza, che può corrispondere al fatto vero, sarà nata la parola greca: da tivq fuoco e guerra, quasi che tale terreno faccia guerra al fuoco, al calore. 130 F. DE FRANCHIS 1’ 0. lamellosa (abbondante), il P. Jacobaeus, il P. opercularis, il C. oblongum ; i generi Pectuncuìus, Nassa , Turritella , Denta- lium ed altri. La panchina raggiunge una potenza di mezzo a 1 metro. Talora vi si riscontra un’ altra specie di panchina, priva af- fatto di fossili, in contatto col piromàfo che raggiunge uno spessore molto limitato, appena qualche 20 o 30 centimetri ed è sempre a lastrine piccole orizzontali, distanti fra loro, e frammischiate alla sabbia giallastra. Terra Vegetale. — Sopra a tutti gli strati anzi ricordati è la terra vegetale, che raggiunge potenze di 50 centimetri a un metro e più, e che s’ origina spessissimo dal disfacimento o rime- scolamento artificiale dell’ argilla scura. Il terreno argilloso si presta benissimo agli usi agricoli, e tutte le piante, sia di alto fusto, sia erbacee, vi prosperano benissimo: 1’ ulivo, il fico, la vite, i fichi d’ india, i gelsi, la palma, vi pro- sperano ottimamente; e gli ortaggi in genere, e il tabacco vi tro- vano il terreno adatto, specie per 1’ abbondanza dell’ acqua che in alcune località è inesauribile e che artificialmente è distribuita alle varie piante che ne abbisognano. Non occorre dire che gli strati enumerati non si incontrano sempre in tutte le località; a volte sul calcare compatto riposa la terra vegetale ; a volte manca la panchina, spesso la pietra leccese. A questo modo la descrizione, teoricamente completa, che ho fatto, si può applicare con leggere sottrazioni a tutti i punti da me studiati. Così in Comune di Galatina, nelle località La Luce, i Bianchini, manca evidentemente la panchina ; nell’ altra, i Cap- puccini, mancano tutti gli strati della sabbia fossilifera in su. — In Comune di Cutrofiano, in due località vicinissime, quali la Ci- sterna e il Contatore, in questa si trova la panchina, in quella no : e così dicasi di altri luoghi. Sicché, geologicamente parlando, i terreni si succedono nel- 1’ ordine che segue, ricostruendo la loro serie completa e partendo dalla parte più bassa: 1°. Calcare compatto (Pietra viva o Màrmola). 2°. Pietra Leccese. 3°. Sabbioni calcarei (Tufo, Càrparo). 4°. Sabbie Argillose (Rena de mare). RICERCHE SUI TERRENI DEI, BACINO DI GALATINA 131 5°. Argille turchine, giallastre, scure, mescolate più o meno a sabbia (Crite, e Terra pignatara) ; 6°. Banco di sabbia gialla (Piromàfo) ; 7°. Panchina (Chiancarédda). 8°. Terra vegetale. In sito poi, ho trovato il tufo nelle località: Cappuccini, da cui ho estratto la maggior parte dei fossili di questo terreno; e Chiusa Stef. Mongiò com. di Galatina; Velardi com. di Galatina e Aradeo; lo Scotola, li Chiani, com. di Sogliano-Cavour ; le Ta- gliate (o i Curmuni), com. di Cutrofiano; S. Lazzaro, com. di Gal- lipoli. Ho trovato la sabbia fossilifera , nelle località: la Luce, i Bianchini, lo Basilico, e in un’ altra di cui ignoro la denominazione, com. di Galatina; Cutrofiano (paese). Contatore, lo Cisterna, Chiusa Ravenna e Colamaria, com. di Cutrofiano ; finalmente, la panchina, nelle località Contatore, Colamaria e in altre, com. di Cutrofiano. Farò ancora un’ osservazione sullo scolo delle acque piovane nelle regioni da me esaminate, specie nel Bacino di Galatina. Se si tirano due linee perpendicolari fra loro, passanti pel paese si osserva su quella ovest-est, un punto più alto, ad ovest, in località lo Basilico, ove si è incontrato il calcare ; tutto a un tratto si cala in località La Luce, ove si trova la zona argillosa; al livello di quest’ ultima località trovasi piccola parte del suolo di Galatina, il quale anch' esso è fortemente inclinato da ovest ad est per gran tratto della sua estensione. Procedendo verso est sulla strada comunale Galatina-Soleto il suolo scende leggermente, e leggermente risale, sicché in vicinanza della masseria li Pappi, a circa 200 metri dal paese, si è a un livello quasi poco più alto che il punto più basso di Galatina, e, procedendo per poco altro, vi è la località mass, la Scisciula sul calcare ove si ha un livello più alto che quello della zona argillosa. Sulla linea poi nord-sud, si osserva: quasi a duecento metri dal paese a nord in località l’Ara de lo Piruzzo, un livello più alto, si passa per Galatina e si riesce dalla parte sud sulla strada per Sogliano-Cavour, notando una lieve pendenza da questa parte, ma a due kilometri di distanza, siamo, in località mass, li Tre Pigni, a un livello più alto che intorno al caseggiato del paese. Sicché nei punti più alti ad ovest e ad est si ha il calcare compatto, a nord si ha il Tufo, al sud si ha la Pietra Leccese. 10 132 K. DE KKANCHIS Stando così le cose le acque piovane del paese e terreni cir- costanti dovrebbero stagnare ; invece si versano nelle cosidette Vore , che sono delle buche, grotte, caverne, scavate dall’acqua, allo stesso modo come le si osservano nel Carso, sulle coste orientali dell' A- driatico e in tutte le Puglie sino al Gargano. Ecco come sono sta- biliti naturalmente, intorno a Galatina l' effluvio, o la scomparsa di esse acque. Ad ovest si versano nella Vora del Macello in con- trada la Luce praticata nel calcare; a nord ovest esse vi versano nella Vora de lo Forcédda, anch’ essa praticata ai piedi di una collina calcarea: a nord le acque si allontanano lentamente dal paese per mezzo di canali artificiali, sorpassando il punto più ele- vato, l’ Ara de lo Piruzzo, per perdersi poi nel tufo, in contrada li Canali di s. Giuseppe : ad est, anco, si perdono nel tufo ; ma a livello della masseria la Scisciula si trova un’altra Vora, detta de lo Barrina, praticata nel calcare; a sud-est vi ha la Vora di s. Anna. Così è provveduto allo scolo delle acque, cadute sul terreno argilloso, mentre s’ infiltrano immediatamente nel tufo quelle che cadono in questa roccia. Ho dato altrove una descrizione particolareggiata dei fossili di questi terreni dal tufo in poi ('). Ne ripeterò ora 1’ elenco indi- cando se provengono dal tufo, dalle argille o dalla panchina ed aggiungerò l’ indicazione dei Briozoi che furono studiati dal prof. Ne- viani (2). Io ho attribuito questi terreni al postpliocene. Cominciamo ad esaminare i fossili del tufo. Briozoi. Cribrilina intricata, Seg., sp. — Tufo Microporella violacea , John., sp. — Argille. Schizoporella linearis , Hass., sp. S. unicornis, John., sp. — T. A. Lepralia pertusa, Esp. — T. Smittia reticulata, Bk., sp. — A. Mucronella variolosa , John. , sp. — A. Cellepora tubigera? Bk. — A. C. globulari, Bron. — A. (') F. De Franchis, Descrizione comparativa dei Molluschi post-plioce- nici del bacino di Galatina (Boll. Soc. Malacologica italiana, voi. XIX, Pisa 1895. (*) Neviani A., Briozoi neozoici di alcune località d' Italia, parte I (Boll. d. Soc. Romana per gli studi zoologici, voi. IV, Roma 1895). RICERCHE SUI TERRENI DEL Brachiopodi. Tenebratala Scillae, Seguenza. — T. Lamellibranchi. Ostrea cochlear, Poli. — T. A. O. lamellosa, Brocchi. — T. Pan- china. Anomia ephippium, Linneo. — A. Pecten varius, Linneo. — T. P. pusio, Linneo. — T. A. P. opercularis, Linneo. — T. A. P. P. pes-felis, Linneo. — T. P. septemradiatus, Miiller. — T. P. inflexus, Poli. — T. A. P. Jacobaeus, Linneo. — T. A. P. P. Alessii, Philippi. — T. Pinna nobilis, Linneo. — T. P., sp. — A. Mytilus gallopr ovine ialis, Lamarck. T. Modiolaria sericea , Bronn. — A. Arca tetragona, Poli. — T. A. diluvii, Lamarck. — A. Pectunculus bimaculatus, Poli. — T. A. P., sp. - T. Nucula piacentina, Lamarck. — A. N. nucleus, Linneo. — A. Leda commutata, Philippi. — A. Candita aculeata, Poli. — A. C., sp. - T. Astante fusca, Poli. — A. Erycina pusilla, Philippi. — A. Cardium acaleatum, Linneo. — T. C. echinatum, Linneo. — T. A. C. mucronatum, Poli. — A. C. exiguum, Gmelin. — A. C. oblongum, Chemnitz. — T. A. P. C. norvegicum, Spengler. — T. Chama gryplioides, Linneo. — T. Cyprina islandica, Linneo. — T. A. Isocardia cor., Linneo. — A. BACINO DI GALATINA 133 Cytherea multilamella , Lamarck. - A. C. rudis, Poli. — A. C chione, Linneo. — T. Artemis linda, Pulteney. — A. A. exoleta, Linneo. — A. A., sp. — T. Venus casina, Linneo. — A. V. ovata, Pennant. — T. A. Lucinopsis andata, Philippi. — A. Tapes lacteus, Weinkauff. — T. A. Solenocurtus coarctatus , Gmelin. — A. S. strigilatus, Philippi. — A. Solen vagina, Linneo. — T. Mactra triangula, Renieri — A. Mya truncata, Linneo. — A. Corbula gibba, Olivi. — A. Panopaea Faujasii, Sowerby. — T. Saxicava arctica, Linneo. — T. A. Lucina borealis, Linneo. — T. A. L. Sismondai, Deshayes. — A. L. spinifera, Montagli. — A. Tellina planata, Linneo. — T. T. serrata, Renieri. — A. T. elliptica, Brocchi. — A. T. obliqua, Sowerby. — A. Arcopagia corbis, D’Orbigny. — T. Thracia ventricosa, Philippi. — T. A. Pholadomya alpina, Mat., var. ap- paia n. — T. Clavagella bacillum, Brocchi. -+- T. Gasteropodi. Actaeon tornatilis, Linneo. — A. Fusus rostratus, Olivi. — A. F., var. cindus Bell, e Michtt. — A. Nassa limata, Chemnitz. — T. A. Trophon muricatus, Montagli. — A. Murex Brocchii, Monterosato. — A. Triton nodiferus, Lamarck. — T. Cassis saburon, Bruguière. — T. Cassidaria echinophora, Linneo. - A. 134 F. DE FRANCHIS C. echinophora L., var. obsoleta B., D. D. — A. C, var. subnodulosa, B.. D., D. — A. Trivia europaea, Montagu. — A. Strombus sp. — T. Chenopus pes-pelicani, Linneo. — A. Cerithium vulgatum, Bruguière — A. Vermetus arenarius, Linneo. — T. Turritella communis, Risso. — A. T. tricarinata, Brocchi. — A. T. subangulata, Brocchi. — A. T. incrassata, Sowerby. — A. T. Sancirvi, n. — A. T. turbona, Monterosato. — A. T. lyciensis, n. — A. Turritella sp. — T. Capulus ungaricus, Linneo. — A. Caliptraea chinensis, Linneo. — A. C. , var. pseudobrocchia, n. — A. Xenophora trinacria, Fischer. — A. Natica millepunctata, Lamarck. — T. A., N. fusca, De Blainville. — A. Turbo rugosus, Linneo. — A. Trochus zizyphinus, Linneo. — A. Gibbuta magus, Linneo. — A. G., var. major. Réquieu. — A. « SCAFOPODI. Dentalium valgane, Da Costa. — A. D. alternans, B., D., D — A. D. novemcostatum, Lamarck. — A. D. Philippii, Monterosato. — A. Questa roccia è stata ultimamente, nel 1892, attribuita al pliocene superiore dai dott. Di Stefano e Viola ('), i quali affer- mano essere la sua fauna per nulla differente da quella che vi ri- scontra ad Asti, nel Parmigiano, ecc., i cui terreni sono comune- mente aggiudicati al pliocene recente. E avanti il prof. De Giorgi, nel 1876 (-), attribuiva lo stesso terreno al pliocene antico, al ti- pico pliocene. Io non avrei avuto validi argomenti per oppormi a queste de- duzioni, massime a quelle del Di Stefano e del Viola, se, con accurate osservazioni paleontologiche, non avessi verificato nuovi fatti importanti, e fra i primi quello di rinvenire una specie artica, la Cyprina islandica , Linn., nella roccia in discorso. Ciò che per me è di somma importanza, giacché seguendo i fatti, molte volte enunciati dal prof. De Stefani, i terreni ove trovasi la C. islandica , debbono riferirsi al postpliocene (3), e, ad ogni modo, a terreni più C) Di Stefano e Viola, L'età dei tufi calcarei di Matera e di Gra- vina ecc. (Estr. dal Boll. R. Com. geol. d’ Ital , 1892, voi. XVIII). (2) De Giorgi, Note geologiche della provincia di Lecce. (3) De Stefani, Della nomenclatura geologica ecc. Lettera prima (Eslr. dal voi. I, sez. VI, degli Atti del R. Ist. veneto di Se , Lett. e Arti), Venezia, 1883; Escursione scientifica nella Calabria (1877-78). R. Accad. Lincei, anno CCLXXI, 1883-84, Roma, 1884; Les terrains tertiaires supérieurs du Bassin de la Mediterranée, 1893 (Estr. d. Annales della Soc. ge'ol. d. Belgiq., t. XVIII, Mémoir., 1891). RICERCHE SUI TERRENI DEL BACINO DI GALATINA 135 recenti di quelli dell'Astigiano, del tipico pliocene. Infatti questa specie non è ancora stata trovata in depositi più antichi. Il Di Stefano e il Viola non credono attribuire grande im- portanza a questa e ad altre specie nordiche che si trovassero nei terreni del bacino mediterraneo, per assegnare questi al periodo postpliocenico, sebbene, alla nota 2, p. 26, del loro lavoro : L'età dei tufi calcarei ecc., accennino al desiderio « che successive ri- cerche facciano trovare tali specie anche a Matera e a Gravina « . D altra parte, mi permetterei credere che una qualche importanza essi annettano anche a questa Cyprina , come si rileva da quello che si legge nel lavoro del dott. Di Stefano, Sul pliocene e sul postpliocene di Sciacca (') da p. 34 a p. 44. Ecco poi altri fatti osservati: in 40 specie di molluschi da me trovate nel tufo, 30 corrispondono con quelle di M. Mario e Vallebiaja; si ha così una corrispondenza del 75 %. Inoltre nelle stesse 40 specie, quelle estinte sono solamente 6, cioè il 15 %. Anco questo è un dato non dispregevole, giacché, nel pliocene tipico, una tale proporzione oscilla tra il 50 e il 25 %, come i dottori Di Stefano e Viola ammettono; essa si avvicina moltissimo, se non è quasi identica, a quella della porzione più antica del postpliocene di Sciacca, che è del 15,80 °/0, e a quella di Rodi, che è del 21 %, o meglio del 17 %, come il dott. Di Stefano afferma (2). Di più la presenza, oltre che della C. islandica , dell ' Ostrea cochlear, della Nassa limata , della Panopaea Faujasii , che non si allontanano gran fatto dalle forme viventi, avvicinandosi più a queste che alle forme plioceniche, e 1’ essere tale strato immedia- tamente sottoposto alle argille, che senza dubbio appartengono al postpliocene superiore, e le quali hanno una proporzione di specie estinte (14,30 %) quasi uguale a quella della zona in parola, mi fa credere che non devono essersi depositati i tufi molto tempo avanti che le medesime argille. Infine, sebbene vi abbia trovato 7 specie estinte, cioè il Pecten Alessii , la Modiolaria sericea, l’ Arcopagia corbis , la Pholadomya , la Clavagella bacillum , la Terebr aiuta Scillae, lo Strombus sp., (•) Estr. d. Boll. R. Comit. geol. d’Ital., 1889, voi. XX, nn. 3-4. (2) Di Stefano, Sul plioc. e sul postpl. ecc. p. 42. 13G F. DE FRANCHIS pure quattro di queste specie, cioè la Modiolaria, X Arcopagia, la Pholadomia e la Ciao ag ella , si trovano anche nei terreni di Monte Mario e di Vallebiaja, e lo Strombus arriva anche a terreni più recenti, e la T. Scillae, sebbene venga dal pliocene, tuttavia è tenuta dal Seguenza per una specie caratteristica del suo pliocene recente, o postpliocene inferiore. Sicché concludendo, io assegno il tufo delle località da me esplorate al postpliocene inferiore: 1° perchè contiene la C. islan- dica Linn.; 2° perchè le specie eh’ esso mi ha fornito hanno una corrispondenza del 75 °/o con quelle di M. Mario e Vallebiaja; 3° perchè la proporzione delle specie estinte è solo del 15 %: 4° perchè sta immediatamente sotto alle argille che, senza dubbio, appartengono al postpliocene superiore ; 5° perchè le proporzioni delle specie estinte nel tufo e nelle argille non sono molto diffe- renti; 6° perchè quasi tutte le specie estinte, trovate nel tufo, si trovano anco nei depositi di M. Mario e Vallebiaja, o in terreni più recenti. Lo strato soprastante è costituito dalle argille sabbiose, o sabbie argillose fossilifere , che furono già dal prof. De Giorgi, nel 1876 ('), attribuite al pliocene recente; dai dottori Di Stefano e Viola nel 1892 (2), furono distinte in in due zone, di cui 1’ inferiore com- parata agli strati di M. Mario e Vallebiaja e l'altra riferita al postpliocene superiore. lo non ho potuto distinguere nei miei depositi argillosi due zone, avendo rintracciati i fossili solamente in uno strato di sabbia intercalato fra le argille turchine, alte appena 1 m. È così che considero come costituenti un solo piano tali miei depositi argillosi. Questi contengono in gran quantità la C. islaadica in tutte le lo- calità, e, oltre la Cyprina, contengono la Mya truncata , Linn. ; la T. obliqua , Sow., specie dai mari artici, dove già vivevano du- rante il pliocene, venute nel bacino mediterraneo quasi al terminare dell’ epoca glaciale, come il prof. De Stefani sostiene (3). Queste due ultime specie le ho ritrovate esclusivamente in località poco distanti, Contatore e Chiusa Ravenna. (’) De Giorgi, Note geolog. ecc. (2) Di Stefano e Viola, L'età dei tufi calcar, ecc. (3) De Stefani, Escurs. scientif. ecc., p. 247. RICERCHE SUI TERRENI DI E BACINO D( GALATIN A 137 Di queste due specie estinte nel Mediterraneo, la Mya trun- caia è tuttora vivente nei mari artici, la Tellina è scomparsa del tutto. Tutt’ e due, poi, si trovano nei terreni pliocenici dell' Inghil- terra e del Belgio ; la Mya nel crag inglese di Ramsholt, di Sutton, di Chillesford ecc. (E. Wood), negli strati della Clyde a Brackle- sham (Dixon), nello scaldisiano rosso belga di Wvneghem e nel grigio di Anversa (Nyst) ; la Tellina nel crag inglese di Sudbourn, di Sulton, di March, di Chillesford e negli strati glaciali di Kelsea Hill, e nello scaldisiano giallo di Borgerhont (Nyst). A queste tre specie importantissime, altre si potrebbero ag- giungere : il Trophon muricatum Mtg., non trovato fossile in Italia, sin’ ora, che nel postpliocene, mentre lo stesso trovasi fossile nel crag inglese e nello scaldisiano belga; la Turritella incrassala Sow., trovata anco in Italia nei terreni postpliocenici, mentre la stessa è fossile nel crag inglese e nello scaldisiano belga; il Dentalium aovemcostatum Lmk., scomparso dal Mediterraneo, è identico a quello vivente oggigiorno nell’ Atlantico. Paragonando, poi, le specie trovate nelle mie argille, si trova che di 70, 56 corrispondono con quelle di M. Pellegrino e Fica- razzi, dunque nella proporzione rilevantissima dell’ 80 %. Se, d’ altra parte, vi si aggiungono altre 6 corrispondenze tra le specie da me studiate e quelle rinvenute nel postpliocene superiore dal prof. De Stefani a Reggio Calabria, la proporzione sale all’ 88,60 °/0. Le specie estinte sono solo 8 di 70, avendo così una proporzione del 14, 30 °/0. Certo tale proporzione non è piccola, ed è al- quanto più grande che quella data dal Di Stefano e dal Viola per la parte superiore delle argille di Matera e di Gravina, che è del 7,50 %, e di quella dei tufi calcarei di Sciacca, 5,88 % ('). Ma essa è sempre molto distante da quella del pliocene tipico, 50,25 °/0, come avanti si è accennato, secondo gli stessi Di Ste- fano e Viola. Ma soprattutto, nelle argille vi sono specie con caratteri che si avvicinano molto di più a quei delle viventi nel Mediterraneo, che a quei delle plioceniche. Così dietro miei studi comparativi, ho visto che l’ Ostrea cochlear Poli, per avere dimensioni e spes- sore minori, per la forma del rostro, per la fossetta ligamentosa (>) Di Stefano, Sul plioc. e sul postpl. di Sciacca, p. 42. 1.38 F. DE FRANCHIS verticale, è più vicina alla vivente che alla pliocenica 0. navicu- laris Brocchi; che l'Arca diluvii Lmk., è quella stessa vivente; che la Cardita aculeata Poli, sebbene derivi dalla pliocenica C. ru- dista Lmk., pure è molto più prossima alla vivente che alla detta nudista per le sue dimensioni minori, per esser meuo rotondeggiante, per avere un numero maggiore di aculei sulle costole, ecc. ; che la Cyprìna islandica Linn. delle sabbie di M. Mario è quasi identica alla vivente, e che quella di Palermo, di Livorno e di Lecce è tanto simile da scambiarla con la specie attuale; che X ho cardia cor. Linn., per le sue forme più delicate, per le linee meno pro- nunziate, per gli angoli poco sentiti è più distante dalla pliocenica che dalla vivente; che la Mya truncata L. è identica all’attuale nordica; che la Nassa limata Chemn. si allontana dalla pliocenica N prysmatica Brocchi, per molti caratteri che qui non istò a ripetere ; che il Trophon muricatum Mtg. è trovato solo nel post- pliocene italiano; che il Murex Brocchii Mtg. per le dimensioni minori, per 1' angolo spirale maggiore, per il maggior numero di costole, per le prominenze acuminate mancanti, sostituite da tu- bercoli poco rilevati è molto distante dal pliocenico M. craticulatus ; che la Xenophora Irinacria Fischer, si differenzia dalla pliocenica X. commutata Fischer, per i cordoni alla base non così evidenti come in questa, per cui le granulazioni sono poco rilevate e poco numerose nella postpliocenica, e si differenzia, nello stesso tempo dalla X. mediterranea Tiberi, vivente; che il Dentalium novem- costatum Lmk. è più vicino alla forma atlantica vivente; che, in fine, il postpliocenico D. Philippii Mtg. differisce dal pliocenico D. delessertianum Chenu. Finalmente vi ho trovato, è vero, 10 specie estinte sulle 70 (il 14,30 %), cioè la Modiolaria sericea , la Nucula piacentina , la Lucina Sismondai , la Tellina elliptica, la T. obliqua , la Tur- ritella subangulata , la Xenophora trinacria. il Dentalium Phi- lippii, ciò che mi sta a dire che tali depositi argillosi non sono, recenti, ma cinque delle stesse, la Modiolaria , la Nucula , la Tel- lina, la Xenophora, il Dentalium , vale a dire più della metà si travano anco nei depositi di M. Pellegrino e Ficarazzi. Tutto questo contribuisce a far ritenere la fauna delle sabbie argillose molto più vicina alla vivente che alla pliocenica, e quindi devo assegnare i sedimenti argillosi al postplioceue superiore. RICERCHE SUI TERRENI DEL BACINO DI GALATINA 139 L’ ultimo strato fossilifero, la panchina , che ho studiato solo alla località Contatore, com. di Cutrofiano, ma che è molto esteso nella provincia di Terra d’Otranto, è ricco di fossili; pure questi sono, come dissi avanti, poco diagnosticabili. I pochi che ho potuto decifrare, quali l’ Ostrea lamellosa, il Pecten Jacobaeus J il P. oper- cularis, il Cardium oblongum, e qualche altro, trovandosi tutti, senza eccezione, viventi nel Mediterraneo ed essendo tale terreno soprapposto alle argille, non potrei, per ora, attribuirle che ad un’epoca recentissima. Concludendo, i terreni da me esplorati appartengono al post- pliocene e all’epoca recente e sono così distribuiti: 1°. Tufi calcarei ricchi di fossili, con C. islandica Linn., appartengono al postpliocene antico. 2°. Argille sabbiose, o sabbie argillose, ricche anch’ esse di fossili, con C. islandica , e altre specie artiche (M. truncata Linn., T. obliqua Sow.) scomparse dal Mediterraneo al finire del periodo glaciale, appartengono al postpliocene recente. 3°. Calcare grossolano, tenacemente cementato, panchina (Chiancarédda), con fauna del tutto vivente nel Mediterraneo, ap- partiene all’ epoca recente (*). [24 giugno 1897] (J) Il mio lavoro pubblicato nel Bollettino della Soc. malacologica è stato onorato di alcune osservazioni critiche per le quali ho l’ obbligo di manifestare i miei ringraziamenti e che essendo state fatte da illustri persone ho l’obbligo di accennare. Una recensione pubblicata (nel Bollettino del R. Comitato geologico, f. Ili, voi. VII, 1896, p. 27) mi attribuisce ad errore l’avere unito i tufi di Matera e di Gravina a quelli di Galatina. Io però mi sono fondato sugli studi del dott. Di Stefano, le cui determinazioni certo esattissime, portano alle conclusioni mie. Il prof. Meli (*) non conviene del paragone che ho fatto dei terreni del Monte Mario con quelli inferiori di Galatina che ho attribuito al Post-pliocene inferiore. Nel fare questa equiparazione mi sono fondato non solo sulla proporzione delle specie vi- venti o estinte, ciò che potrebbe avere poca importanza, bensì sulla identità paleontologica delle specie direttamente osservate nella ricca collezione di fos- sili del Monte Mario esistente nel Museo di Firenze, alcuni dei quali fossili (’) Ancora due parole sull' età delle salhie classiche del Monte Mari). Boll. Soc. Geol. ital_ voi. XIV, 1895, p. 128. 140 F. DE FRANCHIS, RICERCHE SUI TERRENI DEL BACINO DI GALA TINA ho pure figurati. Mi sono poi anche fondato sugli studi degli altri fossili pubblicati da autori, i quali concludono tutti che questi sono più recenti del cosi detto Astiano, Pliocene superiore (G. Ristori, I Crostacei fossili di Monte Mario. Atti Soc. Tose, scienze nat. voi. XI, Pisa, 1891, pagg. 19, 25, 26; id , Due parole di risposta ad alcune osservazioni fatte dal dott. A. Tellini al mio lavoro « / Crostacei fossili di Monte Mario «. Proc. verb. Soc. Tos. Se. nat. Ad 15 novembre 1891 ; G. De Angelis, Zoantari fossili dei dintorni di Roma. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XII, fase. 1°, Roma, 1893; A. Neviani, Briozoi fossili della Farnesina e Monte Mario presso Roma. Paleontographia Italica, Pisa, 1895). Lo studio poi dei Mammiferi secondo coloro che se ne sono occupati non contraddice le conclusioni desunte dagli altri fossili. BOLL. SOC. GEOL.IT. (VOL.XVI 1897) TAV. VI O co n 0) QJ D CD "O ~a o r\j c_n o o o Ó CARTA GEOLOGICA DEL BACINO DI GALATINA (1:50.000) , tjJIorrrtw /(tróéfiìsfy t/ajHuo\ V * l, u • tfer . ws. jalat'rot £S.Anm 'Mmy'.’fa, v//vw^y Xrjjic/ut . r< • Attiso ' Al J/ICfl/Yf Ist0geog°mil?(riproduz? riservi) r spiegazione Cretaceo infreUrgoniano [calcare) ;l;ii:.:iM| Miocene medio =Langhiano (pietra leccese) F. de Franchis rilevo i dati geologici. dei colori e dei Postpliocene superiore (argille) Recente ( panchina ) Postpliocene inferiore (tufo) X Località ' fossilifere Linea degli spaccati IL MONTE FENERA DI VALSESIA Studio geo-paleontologico di G. Emilio Rasetti (Con una carta geologica a colori. Tav. VII) Il professore B. Gastaldi, nei suoi Studi geologici sulle Alpi occidentali ('), alla pag. 12, dice: « Il Fonerà è senza dubbio il più bel monte delle nostre prealpi, vuoi per la sua forma e le sue simpatiche tinte, vuoi per la sua posizione che occupa sul- 1’ estremo limite della Valsesia, vuoi per la notevole sua altitu- dine (1870 metri), vuoi inrìne per la qualità e quantità di pietra da calce, da taglio, ecc., che si estrae dai suoi fianchi. Per noi d’ altronde è unico nel suo genere, come quelio che ha dato i soli ammoniti che finora siensi trovati nel Piemonte. Ho già citata una nota recentemente pubblicata dal prof. Calderini sulla geognosia e geologia di questo monte ; esso tuttavia meriterebbe di essere ancora meglio studiato dal lato geologico e paleontologico » . Queste parole del chiarissimo professore mi hanno invogliato di accingermi allo studio della geologia di questa interessante montagna, convinto, col prof. A. Portis (2), che « la scienza abbia al momento appunto bisogno di studi monografici, anche troppo minuziosi su località limitatissime e particolarmente interessanti, sui quali basarsi, per estendersi con successive osservazioni su d’aree più vaste e meno complicate». Tale è pure l’opinione dello Struver, che scrive: « La geologia è bensì la storia della terra; ma questa è la meta finale, ideale della scienza, alla quale forse non arriveremo mai, ma alla quale dobbiamo cercare di avvici- narci il più possibile. Ed il miglior modo di ottenere questo P) Gastaldi B, Studi geologici sulle Alpi occidentali. Mem. R. Comit. geol. ital. Firenze, 1871, voi. I, pag. 12. (2) Portis A., Sulla vera posizione del calcare di Gassino , nella col- lina di Torino. Boll. d. R. Comit. geol. d’Italia, 1886, pag. 211. 142 E. RASETTI scopo, sembra essere quello, di moltiplicare gli studi di dettaglio metodo lungo e faticoso, ma assai più utile al vero pro- gresso della scienza »('). E prima di tutto mi si permetta di porgere qui i più sen- titi ringraziamenti ai signori professori P. Calderini e G. Tra- bucco, ed al dott. G. Francioni, che molto gentilmente misero a mia disposizione materiale di studio e mi furono larghi di indi- cazioni e di consigli. Ho unito alla presente memoria una cartina geognostico-geo- logica, in scala di 1 a 25000, nella quale, per la delimitazione del terziario, mi sono molto valso del bel lavoro sul Pliocene della regione (2), pubblicato dal prof. F. Sacco. Autori che trattarono della geologia del Fenera. Primo a parlare della geologia della nostra montagna fu il Sismonda (3), nell’occasione in cui ebbe a visitare la Yalsesia per la formazione della Carta geologica di Savoia, Piemonte e Liguria, da lui pubblicata nel 1862. Però F indole stessa del suo lavoro non gli permise di scendere a particolari, dimodoché, del nostro monte, non ebbe agio che di notare brevemente i porfidi della base e la formazione dolomitica principale. Ma ciò che non fu possibile al Sismonda, fu fatto assai par- ticolareggiatamente da Lorenzo Pareto, che descrive (4) i porfidi quarziferi della base, lg arenarie porfiriche ed i conglomerati che giacciono sopra, ed in particolar modo, quello all' imbocco della via per Ara, che dice ricordare quello di S. Martino, presso Lu- gano, ai piedi del monte S. Salvatore. Nota anche i calcari neri bituminosi del Pissone, che sottostanno alla dolomia, al di sopra P) Struever G., Contribuzione allo studio dei graniti della Bassa Vai- sesia. Atti d. R. Accad. d. Lincei. Roma, 1890, pag. 446. (*) Sacco F., Il Pliocene entro-alpino di Valsesia. Boll. d. R. Comit. geol. d’Italia. Roma, 1888, voi. XIX. (3) Sismonda A., Osservazioni mineralogiche e geologiche per servire alla formazione della Carta geologica del Piemonte. Atti dell’Accad. d. To- rino, ser. II, tom. II (4) Pareto L., Sur les terrains du pied des Alpes, dans les environs du Lac Majeur et du Lac Lugano. Bull, d 1. Soc. gdol. d. Trance, Paris, pag. 62. Il, MONTE TENERA DI VALSESI A 143 della quale osserva alcuni strati arenacei, che dice potersi rap- portare a qualcuna delle suddivisioni del Trias. Viene poi ai cal- cari nerastri, talora silicei, nei quali dice aver rinvenuto un am- monite molto prossimo all’ A. serpentinus , peroni ritiene questa formazione indubbiamente ]iasica, ed 'infine alla parte culminante della montagna, sui quali scisti nota delle impressioni che ritiene attribuibili a nemertiliti. Quanto alla dolomia, egli crede poterla riferire allo zechslein; e fa osservare come la serie dei terreni costituenti il Tenera, sia grandemente rappresentata nelle vicinanze di Lugano e di Como, nella Valsassina e nella vallata di Bergamo; dimodoché può ri- tenersi con molta probabilità, che quasi tutta la serie delle for- mazioni secondarie, inferiori alla maiolica, che sono state indi- cate nei dintorni del lago di Como, si prolunghino, restringendosi, fino alla Yalsesia inferiore. Di tale bella Memoria del Pareto, dette un sunto lo Stop- pani ('), da cui riporto testualmente: « Lo spaccato del monte S. Bernardo della Colma — il Fenera — tra la Sesia e la Val- duggia (-), si presta, a mio giudizio, egregiamente pel confronto dei nostri terreni con quelli della destra dei lago Maggiore. Gli è un complesso di strati sollevati dai porfidi, cui, se io volessi tradurre nel linguaggio da me adottato, direi: il conglomerato della base, e gli scisti verdi e rossi che gli incombono, rappresentano indub- biamente il verrucano e il servino: la dolomia sopra gli scisti, equivale alla dolomia inferiore triasica, e sopporta dei calcari grigi che dovrebbero considerarsi equivalenti ai marmi di Varenua. So- vrapposte a dette calcaree scorgonsi arenarie bianche e rossastre da ascriversi al gruppo di Gorno e Dossena: l'enorme massa cal- carea, che a tutto sovrasta, con fossili indeterminati, benché dal Pareto ritenuta come giurese, potrebbe, in tutto o in parte, con- siderarsi corrispondente della dolomia media , che comprende i pe- trefatti di Esino ». Dimodoché, secondo lo Stoppani, il monte Fenera verrebbe costituito, dall’alto al basso, come segue: (1) Stoppani A., Sulla Memoria di Lorenzo Pareto : Sui terreni al pie' delle Alpi, ecc. Atti d. Soc. geol. Milano, 1859, voi. I. pag. 332. (2) Leggasi: fra la Sesia e lo Strona: Yaldnggia è nome di valle e bor- gata, non di torrente o fiume. 141 G. E. RASETTI 1. Dolomia media, sincrona coi petrefatti di Esino, con fos- sili indeterminati. 2. Arenarie bianche e rossastre, del gruppo di Gorno e Dossena. 3. Calcari grigi, equivalenti ai marmi di Varenna. 4. Dolomia inferiore, triasica. 5. Scisti verdi e rossi, e conglomerati porflrici. Mercè gli studi del Calderini ('), veniamo a più spirabil aere. Nel suo accurato lavoro egli ci fa conoscere ogni singola forma- zione del nostro monte. Descrive la salita dalla parte di Colma, notando lo gneiss che s' incontra all' imbocco della via presso la strada carrozzabile di Valduggia, ed il micascisto che vien dopo. Enumera quindi le diverse varietà di porfidi e conglomerati porfi- rici, che formano la base del monte, le varie forme litologiche della dolomia centrale, i calcari rosei, variegati, colle arenarie che seguono, ed infine i calcari neri ad ammoniti e fucoidi. Nota pure il calcare nero bituminoso del Fissone, intermedio fra i conglome- rati porfirici e la dolomia. Di fossili egli raccolse, nel calcare marnoso della sommità, varie impronte di ammoniti: una di esse, determinata dal prof. Balsamo-Crivelli, è da riportarsi all’^4. serpentinus. Quanto poi all’ età delle varie formazioni, 1’ egregio professore crede poter ascrivere il conglomerato porfìrico della base, al punto di transizione dei terreni paleozoici ai terreni mesozoici; i porfidi quarziferi ed euritici, secondo il parere del Collegno, al periodo del sollevamento renano. Gli enormi ammassi di dolomia, costi- tuenti la parte centrale, al Trias inferiore, medio e superiore; i calcari neri ammonitiferi al periodo liasico. Tre anni dopo il Gastaldi pubblicava i risultati delle sue osservazioni sulle Alpi d’ occidente nelle quali dà pure una succinta descrizione del monte Fenera. Egli dice essere questo costituito di rocce sedimentarie, le quali basano sull’ espandimento porfìrico : fu ad opera finita che, Q) Calderini P., La geognosia e la geologia del monte Fenera allo sbocco di Valsesia. Atti d. Soc. ital. d. Se. nat., voi. XI, pag. 528. Mi- lano, 1868. (2) Gastaldi B., Studi geologici sulle Alpi occidentali. Meni. d. R. Comit. geol. d’Italia, voi. I. Firenze, 1871. II. MONTE TENERA DI VAI.SESIA 145 e porfido e Fenera, vennero sollevati. Cita quindi le diverse for- mazioni, e conclude: « Alla Colma si vede una stretta striscia di porfido segnare la base del Fenera, separandola dalle estese falde di micascisto, che, da questa parte, gli servono di controscarpa. E facile indicare quale sia 1’ ordine di successione delle diverse rocce. Il porfido, alla Colma, contiene, ingloba frammenti e de- triti di micascisto; gli strati inferiori del monte Fenera racchiu- dono, alla volta loro, frammenti e detriti di porfido; dunque il micascisto è la roccia più antica e gli strati del monte Fenera sono, per contro, i più recenti, stando fra i due il porfido ». Nell’adunanza del 24 agosto 1873 della sezione Yalsesiana del Club Alpino Italiano, il socio sig. Carlo Neri presentava una sua Nota('), nella quale fa una nuova revisione delle rocce del monte Fenera. Rileva un denudamento lungo il torrentello che scende nella Strona dalla valletta di Crabia, il quale mostra che un conglomerato porfìrico separa talora il porfido dal sottostante micascisto, e dice di aver rinvenuto il calcare bituminoso del Pis- sone, anche a nord del monte e nei denudamenti lungo il tor- rente Magiaga. Considerando che gli strati sedimentari del Fenera non ol- trepassano una potenza di 1000 metri, e che la sovrapposizione dei suoi strati è avvenuta senza interruzione, almeno fin dopo le arenarie rosse superiori, ritiene che tale spessore sia troppo esiguo per potersi comprendere, come vorrebbe il Calderini, tutte le epoche, dal Permiano al Giura, e. conclude, che, se dagli ammoniti rinve- nuti si devono credere liasici i calcari neri, la dolomia verrà a rappresentare il Trias superiore ( Hauptdolomite ), e quindi i porfidi e conglomerati della base, non già il Permiano, ma sibbene il Trias inferiore. L’ ing. Emilio Spreafìco, studiando i dintorni di Como e di Lugano, fu condotto ad estendere i suoi studi nelle vicinanze del lago d’ Orta e nella Yalsesia inferiore (-). Il 20 aprile 1870 egli (*) (*) Neri C., Sulla costituzione geologica del monte Fenera. Boll. d. Club Alp. ital., n. 22, voi. Vili, pag. 72. Torino, 1874. (2) Spreafìco E., Osservazioni geologiche nei dintorni del lago d' Orta e nella Valle Sesia (Mem. postuma). Atti d. Soc. ital. d. Se. nat. Milano, 1880. — Parona C. F., Valsesia e lago d' Orta. Atti d. Soc. ital. d. Se. nat. (con tavole). Milano, 1886. 116 C. K. RASETTI saliva il Fenera per la solita via di Colma, e ne discendeva verso sud-est, oltrepassaudo il torrente Magiaga : ripiegava quindi su Ara, e, per la via provinciale, giungeva a Borgosesia. Poco o nulla di nuovo egli ci dice intorno al nostro monte, sennonché egli è il primo a notare, nella dolomia, la presenza di Giroporelle. Infine anche il prof. Parona fu invogliato ad estendere gli studi nei bacini Cusiano e del Sesia, dall' interesse destatogli da poche escursioni nei dintorni del lago d' Orta, e dalla scoperta di una ricca fauna nel calcare di Gozzano. E nello studiare la Vai- sesia gli occorse pure di visitare il Fenera. Nel Cap. Ili0, sui « Terreni arcaici e paleozoici », e nel 1V° « Terreni mesozoici » , si trovano abbastanza estesamente descritte le varie formazioni onde il nostro monte si compone. Quanto alla loro età, egli attribuisce i calcari ammonitici al Lias superiore, le arenarie rosse al Lias inferiore : la dolomia dice spettare evi- dentemente alla stessa formazione di Lombardia, colla quale è, in certo qual modo, collegata coi giacimenti di Invorio, Angera ed Arona. Sarebbe cioè rappresentante dei calcari norici, del piano di Wengen, e fors’ anche del Trias superiore e dell’ Infralias. Il cal- care nero del Pissone, per la posizione sua, rappresenterebbe quindi il Trias medio, i conglomerati porfirici il Trias inferiore, i porfidi la fine dell’ èra paleozoica, passante alla mesozoica. Il bel lavoro è corredato di una cartina geologica, però in scala troppo piccola — la 250000 — come egli stesso osserva, per potervi comprendere tutti i particolari. Nondimeno essa ci for- nisce un’ idea assai esatta della natura geologica della regione pros- sima al Fenera e della relazione esistente fra questo e le Alpi. Descrizione. Il Monte Fenera, che prende nome da un paesello situato sulle sue pendici verso ovest, giace alla confluenza dello Strona col Sesia, a sud-est di Borgosesia. Esso si innalza, non già a 1371 metri, come si trova in quasi tutte le pubblicazioni che lo riguar- dano, bensì le sue due vette toccano gli 899 ed 894 metri, come si rileva anche dalla Carta dello Stato Maggiore Italiano, in scala di 1 a 50000, pubblicata nel 1884. r TAV. VII. Riproduzione riservata. Scala nel rapporto di 1 a 25.000. (L'equidistanza delle curve è di metri IL MONTE FENERA DT VALSESI A. 147 Dalla parte di nord, e più ancora di nord-ovest, esso monte si mostra orrido e dirupato, ricco di guglie sporgenti, quasi privo di vegetazione; da sud-est invece esso si estende con assai dolce declivio, diguisachè le sue pendici sono rivestite di boschi e vi- gneti. Sulla più bassa delle sue sommità è eretta una cappella dedicata a S. Bernardo, col qual nome è pure spesso designata la nostra montagna. Da levante il colle della Colma, sul quale giace l’ameno paesello omonimo, riunisce il Fenera alla catena montuosa separante il bacino della Sesia da quello Cusiano. Esso monte consta interamente di formazioni sedimentarie e poggia sopra la vasta formazione porfirica, che si estende in una larga zona dal Luganese al Biellese. Esso ha vicinissimi i graniti e le granititi di Alzo, e più ancora la grande formazione di mi- cascisto gneissico, già studiato da vari autori col nome di « schi- sto sericitico » . Di queste formazioni credo opportuno brevemente occuparmi, prima di passare all’ esame dei singoli terreni onde il Fenera si compone. Granito. — La massa granitica forma il gruppo dei monti compreso fra la Valduggia, la valle di Civiasco e quella del Pel- lino. Ad ovest, passa pure alla destra della Sesia per formare la base del Monte Tovo; mentre ad est scompare sotto le acque del lago d' Orta, per ricomparire ad Omegna ed a Quarna. Sebbene non manchino veri e propri graniti, i nostri massicci lungo il Sesia, come pure quelli di Cellio, di Alzo, di Montorfano e di Baveno, sono prevalentemente granitili ; e, come il granito passa insensibilmente a varietà di tessitura differente, così vi ha passaggio insensibile dalla granitite al granito. Questi graniti furono oggetto di studio da parte di molti geo- logi e mineralogisti. Rimandando il lettore alla ricca bibliografia inserita dal Parona nel suo lavoro sulla regione (’), o, meglio, agli studi recenti del prof. Struever (2), diremo solo che, in generale, essi graniti sono composti di quarzo, ortoclasio, oligoclasio e bio- (L Parona C. F., Valsesia e Lago d'Orta. Atti d. Soc. ital. d. Se. nat. (con tavole), Milano, 1886. (2) Struever G., Cenni sui graniti massicci delle Alpi Piemontesi, ecc., 1877. — Struever G., Contribuzioni allo studio dei graniti della bassa Vai- sesia. Atti d. R. Accad. d. Lincei. Roma, 1890, 11 148 G. E. RASETTI lite, con predominio dei due primi. L' ortoclasio, per lo più bian- castro o grigio, talora rossastro (Baveno, M. Camosino, Bugnate), si presenta generalmente in granuli irregolari ; il quarzo è vitreo e giallastro; T oligoclasio, in grani più minuti ed assai più scarso, sembra talora mancare affatto. La mica è per lo più magnesiaca (biotite), di color nero, talvolta verdastra o bruna : come accessori vi si notano spesso granato e tormalina. Spesso, come notò lo Strùver, il granito offre, in una super- ficie minima, molte differenze di struttura. Così egli descrisse una piccola cava abbandonata, sopra la mulattiera al sud di Agnona, nella quale il granito, messo a nudo, contiene del granato rosso in granuli fino a mezzo centimetro di diametro, e non di rado anche pirite in nuclei fino ad un centimetro di spessore. La uniformità della grana è soventi interrotta per accumulazioni locali di mica e per l’ ingrossarsi degli individui di ortoclasio fino a 5 o 6 centi- metri di diametro. La grana è pure variabilissima per le dimen- sioni degli individui cristallini che la costituiscono: le varietà a grana fina e finissima, meno pregiate, si rinvengono, per lo più, laddove il granito è prossimo agli strati gneissici (monte della Guardia, verso la strada da Gozzano a Pogno). Spesso è attraver- sato da innumerevoli vene, più o meno grosse, da frazioni di cen- timetro a più di un metro di potenza, le quali però sono di origine endogena, poiché, composte degli stessi elementi del granito che le include, eccetto la mica, passano gradatamente e svaniscono in esso in tutte le direzioni. Nella parte superficiale la massa granitica assume talora la tessitura porfirica. Tale tessitura si nota particolarmente laddove il granito viene a diretto contatto col porfido: così fra la bocchetta di Crevacuore e la C. Bellaria, che riposa sulla dolomia triasica, si trova una roccia, che il prof. A. Cossa determinò come granito porfirico, alterato per infiltrazioni di calcare. La massa fondamen- tale è grigiastra, microcristallina, formata da cristallini di quarzo, antibolo, feldspato e biotite, attraversata da minutissime vene di calcite, e contiene inclusi cristalli macroscopici di quarzo, feldspato monoclino e triclino, e mica bruna. Talora, per la struttura emi- nentemente porfirica di questi graniti non riesce sempre facile deli- mitarne i confini colla formazione porfirica vera e propria. Un fatto degno della massima considerazione è la facilità IL MONTE TENERA DI VALSESIA 149 grande colla quale il granito assume l’ aspetto delle rocce cristal- line con lui confinanti; così esso passa spesso (Gastaldi, Baretti, Parona, ecc.), oltre che alla forma porfirica su descritta, al mica- scisto, alla diorite, al micascisto gneissico, ecc., e più spesso ancora ad una struttura tale che lo farebbe prendere per vero e proprio gneiss. Sporgenti dai pendìi erbosi e spesso sulle ristrette cime dei monti granitici, si rinvengono grandi massi arrotondati, bellissimi esempi di basaltizzazione globulare (‘). Tali moli arrotondate, che, a prima vista, potrebbero prendersi per massi erratici, non sono invece che 1’ effetto degli agenti esterni, come giustamente osser- varono Baretti e Sacco (2). Del resto la roccia granitica è superficialmente in preda ad una potente distruzione, talché il granito sano, di cava, è general- mente coperto da una teca di materiale cariato, alterato profonda- mente. Gli agenti esterni producono dapprima nella roccia feno- meni di disaggregazione (3), derivandone depositi incoerenti : il feldispato, alterandosi, passa a mica, che abbonda in tali depositi, e successivamente in caolino. In tale caolinizzazione il feldspato, si trasforma in silicato di allumina, che viene asportato dalle acque, le quali abbandonano così un deposito sempre più quarzoso. Il granito si riduce in sfacelo assai più prontamente, anche senza manifestare questa alterazione, riducendosi in detriti ammuc- chiantisi nei pendìi sottostanti alle vette scoscese : la via comu- nale da Breja a Roccapietra attraversa una grande massa di tali detriti. Micascisto. — Sopra al granito si ha una formazione scistosa, che incomincia ad un miglio ad occidente di Yalduggia, e si dirige, allargandosi, verso nord-est, formando il versante meridionale ed orientale del lago d’ Orta, nonché gran parte del Motterone, ove la sua potenza non è molto superiore a 700 od 800 metri (4). Osser- vati questi scisti nella salita dalla strada provinciale alla Colma 0) Stoppani A., Corso di geologia, 1873, voi. III. cap. 24, p. 578. (2) Baretti M. e Sacco F., Il Margozzolo. Studio geologico, con due carte geologiche e spaccati. Boll. d. Club. Alp. ital., voi. XVIII (N. 51), p. 80. (3) Delesse, Sur la transfurmation du granit en arène et en kaolin. Bull. d. 1. Soc. géol. d. France, 1853. (*) Baretti M. e Sacco F. op. cit., p. 90. 150 G E. RASETTI di Valduggia, essi si presentano diretti presso a poco parallela- mente allo Strona; la loro pendenza verso sud-est è variabilissima, ma quasi sempre superiore ai 45°, avvicinandosi molto talora alla verticale. La roccia è disposta in straterelli sottili, spesso fortemente piegati e contorti, che sembrano formare una vasta sinclinale. So- venti si mostrano reticolati ed attraversati da vene numerose di quarzo bianco, che misurano fino ad un decimetro di potenza. Questa formazione fu denominata dai geologi, che studiarono la regione, micascisto sericitico ; però 1’ Artini, che ebbe occasione di studiare petrograficamente i campioni raccolti dal prof. Parona, scrive (')« che 1’ esame microscopico prova trattarsi di un vero gneiss, nel qiiale manca assolutamente la sericite » . Egli trovò che i suoi componenti sono quarzo granulare, abbondantissimo, formante anche da solo straterelli e lenticelle sottili, con numerosissime inclusioni liquide ; ortoclasio, piuttosto scarso, fresco, colla struttura carat- teristica del microclino ; plagioclasio, più abbondante, meno fresco, e colorato di rossiccio; biotite, talora fresca e molto pleocroica, talora completamente cloritizzata; rnuscovite, freschissima, abbon- dante quanto la biotite, in belle lamine incolore, con frequenti in- clusioni di zircone; apatite, in prismetti o granuli arrotondati; zircone, in cristallini di grossezza relativamente notevole, e gra- nato, reseo, accessorio, in granuli irregolari. Tale roccia è dunque uno gneiss a due miche, che nella parte superiore passa ad un micascisto a granato e staurolite, molto interessante. Sempre dallo studio che ne fece il signor Artini, sap- piamo che questo si compone principalmente di rnuscovite, fresca ed incolora, con inclusioni di zircone ; biotite , rossastra, pleocroica, talora cloritizzata; quarzo, in noduli e lenticelle sparse irregolar- mente; granato , roseo pallido, in grossi rombododecaedri, pochis- simo alterato, con numerosissime inclusioni, fra cui frequenti aghetti di rutilo ; staurolite , pure in grossi cristalli idiomorfi, fresca, pleo- croica, con inclusioni di biotite, magnetite e quarzo. Verificata 1' assenza della sericite, sarebbe dunque, a mio pa- pi Artini E., Sopra alcune rocce dei dintorni del lago d' Orta. Giorn. d. Min., Crist. e Petr. Milano, 1892, p. 243. IL MONTE FENERA DI VALSESIA 151 rere, da preferirsi per queste rocce l'antico nome del Gerlach (') di Micascisto di Oria , qualora, coi signori Baretti, Sacco ed Ar- tini, non si creda più opportuno riunirle assolutamente alla forma- zione del gneiss-Strona, al quale presentano graduali ed insensibili passaggi, quando, come ad es. fra Pescone e Pettenasco, non ne siano separate dalla descritta formazione granitica. Quanto all’ età di questo micascisto gneissico di Orta, il Ger- lach crede molto probabile che esso derivi dalle più antiche for- mazioni sedimentarie. 11 Pareto (2) lo ritiene anteriore al Permiano, e fors’ anche al Carbonifero; lo Stoppani ed il Calderini lo riferi- scono al servino; il Gastaldi (3) lo riunisce alla zona dei micascisti gneissici recenti , comprendente le 'pietre verdi che egli ritiene presiluriane : l’ ing. Perazzi lo riferì al [Siluriano, mentre lo Sprea- lico scrive trattarsi del solito Thonglimmerschiefer permiano. Il quale riferimento al Permiano, come il più probabile, è anche con- fermato dagli studi recenti del Taramelli e del Parona. Porfido. — Sopra il descritto micascisto gneissico, si riversò , l’ espandimento porfirico, il quale, indubbiamente è di assai più recente. Già il Pareto, scriveva (4) : « quant à la relation du porphyre rouge avec le schiste micacé, il est évident que le schiste est an- térieur au porphyre; car, en beaucoup d’endroits, on voit ce dernier pénétrer au milieu du sciste, le traverser et se déverser meme au- dessus de lui » . Anche il Gastaldi, osservando come la formazione porfirica includa spesso frammenti di micascisto, dedusse che questo doveva necessariamente essere più antico. Di più, osservò il Neri, « essi scisti erano già sollevati, raddrizzati, profondamente erosi, prima che ai loro fianchi e sulle loro testate s’ appoggiasse il porfido ». Lo Spreafico ebbe pure occasione di osservare come frequen- temente dicchi e filoni di porfido iniettino lo schisto, e così pure il Gerlach ; ma, mentre quest’ ultimo pare credesse alla contempo- raneità di emersione dei porfidi e dei graniti, lo Spreafico ne mette in evidenza l’età relativa, dove scrive: « Il micascisto che involge (!) Gerlach H., Die Penninischen Alpen (Beitrage zur geologie d. Schweiz). Nouv. Mém. d. 1. Soc. helv. d. Se. nat. 1869, con carta geologica; pag. 85. (2) Pareto L., op. cit., pag. 50. (3) Gastaldi, Studi geologici sulle Alpi Occidentali. Firenze, 1871. (4) Pareto L., op. cit., pag. 92. 152 G. E. RASETTI questi porfidi (di Buccione) e che è ricoperto dalla grande massa della roccia stessa di Arona, si congiunge al micascisto di Pogno e di Yalduggia, il quale, come vedemmo, è superiore al granito di Bugnate » . Questi porfidi, che sono collegati coi giacimenti del Biellese, di Gozzano, di Anghera e del Luganese, i quali corrono da sud- ovest a nord-est, e che formano la base del nostro monte Penerà, giacciono dunque, in discordanza, sul micascisto gneissico o sul gra- nito avanti descritto: al granito, quelli ad occidente del Fenera, che formano le alture più meridionali del Biellese ; al micascisto, quelli al nord ed a levante, che si estendono, senza interruzione, fino ai paeselli di Gargallo e Vergano. Essi appaiono ora massicci, ora stratificati in banchi di variabilissimo spessore e presentano un numero grandissimo di varietà per colore, tessitura e composizione. Quanto al colore, esso va dal rosso mattone, chiaro e sbiadito, al rosso vivo, al rosso cupo ed anche passa talora ad una eurite mas- siccia, che il Calderini paragona a certi melafiri del Biellese. Il monte Aronne, sopra Aranco, e le colline ad ovest di Bor- nate e di Serravalle, sono formate esclusivamente di porfido, il quale, nella prima di esse località, presenta delle inclusioni di ba- ritina, rosea e compatta, la quale si rinviene pure in frammenti e massi, abbastanza numerosi, nella frana che si stende sulla falda di esso monte Aronne. Nei monti a nord-est di Grignasco, i porfidi bruni, meno acidi dei porfidi rossi, molto spesso attraversano un porfido verdastro, il quale, per alterazione, diviene bianchissimo: fatto che, fra le molte località, può osservarsi nelle colline a nord di Grignasco, nei din- torni del Poggio del Sasso Bianco e presso la C. del Sasso Bianco, i quali nomi hanno verosimilmente avuto origine, dal rin- venirsi ivi la suddetta varietà di porfido. Tale porfido verdastro, fu pure osservato dal Parona, lungo la strada della Traversagna, dal Santuario del Crocifisso di Boca al Torchio. All’ osservazione microscopica egli lo dice costituito da un miscuglio intimo di orto- clasio, plagioclasio in prevalenza, quarzo e biotite, con inclusioni di feldspato , alquanto alterato, e granuli e prismi di un minerale nero, opaco, con riflessi metallici, dubbiamente riferibile a ma- gnetite. In ogni modo, questo porfido verdastro corrisponde perfet- tamente a quello verde-cupo dell’ Agogna. IL MONTE E E N Kit A 1)1 VALSESIA. 153 Alcuni esemplari di porfidi, raccolti in Valsesia dal Parona, furono di recente studiati petrograficamente dal Chelussi (’). Se- condo osservazioni di quest' ultimo, il porfido quarzifero, che si trova a contatto colla formazione granitica, ad ovest di Borgosesia, è di color grigio-ferro, a pasta finamente granulare, formata da nume- rosi granuli, di media grandezza, di quarzo ialino e di fel dispato bianco, nella quale si notano pochi interclusi porfirici di quarzo e di feldspato. La roccia è poi solcata in tutte le direzioni da nume- rose screpolature, le cui superimi sono ricoperte da una tinta rosso- giallastra, dovuta ad ossidi idrati di ferro. La sua composizione è identica a quella dei porfidi quarziferi tipici : infatti al microscopio si osservano, il quarzo , m granuli irregolari, con numerose inclu- sioni fluide e talora di biotite ; plagio ciazio, molto acido, in cri- stalli piuttosto grandi ed ortose, in cristallini, meno abbondante, alterati in caolino terroso e muscovite (?). Vi si notano pure bio- lite, bruna, pleocroica, e, come accessori 1’ apatite. La pasta fon- damentale ha una struttura olocristallina, formata da quarzo, ortoclasio , plagioclasio e biolite , ad elementi molto sviluppati, per la qual cosa questo porfido sarebbe da collocarsi fra i micro- graniti. Un secondo esemplare, studiato dal Chelussi, proviene dal porfido quarzifero del Monte Penerà, prossimo dunque al precedente, di color rossastro chiaro, con macchiette e granuli di feldispato : ha frattura scagliosa, con screpolature a superficie brunastra. « Al microscopio — egli dice — si rivela formato da una pasta fonda- mentale cristallina, ma ad elementi molto minuti di quarzo e di feldispato, entro alla quale sono immersi rari granuli di feldispato e numerose e minute scagliette nere, opache, di magnetite. Il feld- spato pare essere tutto plagioclasio , di natura molto acida ; è fresco ed in parte alterato, e geminato sempre secondo la legge dell’ ai- tate. Quarzo e biotite sembrano mancare del tutto, tanto come interclusi, quanto come costituenti la massa fondamentale ». Entro questo porfido del monte Fenera, si rinviene una roccia felsitica, di colore rosso-bruno uniforme, con qualche rara macchia di feldspato: al microscopio- risulta formata da una massa fonda- pi Chelussi I., Alcuni porfidi di Borgosesia, Studio micropetrografìco (con una tavola in fototipia). Giorn. d. Min., Crist. e Petr. Milano, 1892, pag. 149. 154 G. E. RASETTI mentale totalmente felsitica, nella quale sono immersi rari granuli di feldispato e in numerose screpolature si osservano quarzo gra- nulare ed ossidi di ferro. Un altro campione, raccolto alla sinistra della Sesia, presso Ara, appartiene ad un porfido quarzifero rosso-bruno, con nume- rosissimi granuli bianco-giallastri di feldispato, e più rari di quarzo ialino: al microscopio si manifesta formato da quarzo , irregolare, a contorni arrotondati, ortoclasio , molto alterato in sostanza ter- rosa e calcite , e granuli neri, opachi, forse riferibili a magnetite. Notevole assai è il cambiamento die avviene nella struttura della pasta fondamentale, che è olocristallina a grossi elementi nel porfido a contatto col granito; sempre cristallina, ma ad ele- menti molto più piccoli, in quello alla base del monte Penerà, fino a divenire in gran parte, od anche totalmente felsitica. Quanto all’ età di questi porfidi, il Calderini, secondo il pa- rere del Collegno, li attribuirebbe al periodo del sollevamento renano; il Neri al Trias inferiore. Il Parona li ascrisse alla fine dell’ èra Paleozoica passante alla Mesozoica ; la quale età, egli dice, « concorda coi risultati degli ultimi studi sui porfidi luganesi, le cui eruzioni incominciarono nel Carbonifero superiore ed ebbero il massimo sviluppo nel Permiano » . Brecce, Conglomerati ed Arenarie porfiriche. — Alla base del monte Fenera prevalgono però al porfido le brecce ed i conglomerati porfìrici, sovrapposti al porfido, ma talora alternanti ed anche sottoposti. Così nello spaccato naturale, osservato dal Neri lungo il torrentello che scende dalla valletta di Crabia in Val- duggia, il porfido compatto è separato dal micascisto da uno strato di conglomerato di poco spessore. « La breccia è costituita da frammenti angolosi di porfido quarzifero, accompagnati da scaglie frequentissime ed anche da grossi blocchi di micascisto, generalmente inalterato, da frantumi di petroselce rossa e di un porfido rosso-scuro, scarsamente quar- zifero e con cristalli di feldispato rosso, identici a quelli del por- fido predominante. Questi elementi sono cementati da altro porfido, da sostanza argillosa, infiltrata da calcare bianco o nero, che si raccoglie in qualche punto in vene e concentrazioni a struttura spatica, e da sostanza verde, molle, di aspetto cereo, che riveste i II. MONTE KENERA DI VALSESIA 155 pezzi di schisto, oppure si raccoglie in grumi, osservata dal Mer- calli anche nei conglomerati di lavorio superiore » ('). Nei pressi del ponte S. Quirico, Ara e Grignasco, esse brecce, tagliate dalla galleria della strada ferrata, sono assai potenti, e può dirsi che quasi esclusivamente su di esse, si appoggino gli strati sedimentari del Fenera, dalla parte di mezzogiorno e di sud-est. Sopra i porfidi e le brecce porfiriche, il Pareto scoprì per il primo delle arenarie porfiriche ad elementi più o meno minuti, o di diverso colorito. Già il Sismonda aveva fatto notare un conglomerato che giace all’ imbocco della via che, dalla strada provinciale, conduce al paese di Ara. È un conglomerato rosso-bruno, da quegli chiamato « banco di tritumi », formato da pezzettini di quarzo, di mica- scisto inalterato, di porfidi diversi, di una sostanza verde cloritosa, e spesso da una materia nera, dal Pareto attribuita a melafro , e dal Calderini ritenuta invece quale amfibolo orniblenda. Trattando questo conglomerato con un acido energico, si vede in qualche punto sviluppare una debolissima effervescenza, indizio di carbonati calcari. Ad est di Ara, nella valle aperta dal torrente Magiaga, giace sul porfido un conglomerato molto simile al precedente, e ciò su ambedue le coste fiancheggianti il torrente: nel fianco settentrio- nale del monte, potei pure osservare dei conglomerati, i quali, nella loro parte superiore, passano ad un’ arenaria formata da minuti frammenti di porfido. Quanto all’ età di esse brecce e conglomerati, lo Stoppani le ascriverebbe al verrucano e servino; il Calderini, al punto di tran- sizione fra i terreni Paleozoici ed i terreni Mesozoici', il Neri, al Trias inferiore. Pure il Parona scrive, che « la perfetta corri- spondenza fra la natura petrografica e la posizione stratigrafica di queste rocce, con quella delle arenarie e conglomerati del bacino Ticinese, che a volta separano i porfidi dai calcari triasici, per- mette di considerarle come coeve a queste, spettanti cioè al Trias inferiore ». E questo riferimento al principio del Trias è certamente il più probabile per la maggior parte di esse brecce e conglomerati. Ma il mostrarsi, alcuni di questi, inferiormente al porfido, chia- rì Parona, 1. c., pag. 83. 156 G. K. KASKTTI ramente significa che vi furono più eruzioni porfiriche ed a molta distanza fra di loro ; e che, se non voglionsi riferire i più recenti espandimenti di porfido, pur’ essi al Trias inferiore, bisogna neces- sariamente ammettere che questi ultimi conglomerati siano da ri- ferirsi al Permiano. Nella Carta unita al presente lavoro, non sono tracciati i confini fra i porfidi, le brecce ed i conglomerati porfirici; limiti, che, come facilmente si comprende, sono difficilissimi e spesso im- possibili a delinearsi esattamente. Calcare bituminoso. — Sopra il descritto conglomerato di Ara, e precisamente nella località del Pissone, presso il ponte S. Quirico, si trovano alcuni banchi di un calcare noro, bituminoso, fissile, dolomitico, che talora si separa facilmente in lamine sottili, a supertìci levigate e splendenti, alla guisa delle argille scagliose. Tale calcare, che lo Spreafico non cita affatto, e che il Cal- dei-ini, e successivamente il Parona, notano come esclusivo del- 1’ accennata località del Pissone, non mi fu possibile, per quanto diligentemente ne facessi ricerca, rinvenirlo altrove. Io reputo quindi che esso sia veramente una formazione locale, checché ne dica il Neri, che scrive di averlo rinvenuto anche a nord del monte, sempre colla medesima direzione e pendenza e nei denu- damenti lungo il torrente Magiaga , ad est di Ara. In quest’ ultima località è anzi manifestissima la diretta e perfetta sovrapposizione della dolomia al conglomerato porfirico. In questo calcaro, che io trovai avere la direzione 0,10° N., e 1’ inclinazione di circa 15“ N., è aperta una grande cava per estrarne pietrisco destinato alla manutenzione delle strade. Ivi si può ben esaminare la sua struttura: per quanto diligentemente investigassi, non potei rinvenire traccia di organismi. Ricerche microscopiche su numerose sezioni riuscirono pure infruttuose. Al- l’analisi chimica, da me eseguita, risultò costituito come segue: co2 . • ••••• .... 37,9880 Silice e argilla . . . .... 12,1000 Fe203 e A1203 . . . .... 1,9753 CaO . • ••••• .... 28,2255 MgO. • • • • • • .... 15,3612 Materie org., H20, ecc. .... 4,3500 100,0000 IL MONTE FENEKA DI VALSESIA 157 Impossibile è determinare 1’ età precisa da assegnarsi a questo calcare nero bituminoso, fino a che, ricerche più fortunate, non diano alla luce fossili, sui quali sicuramente basare le nostre con- getture. Per intanto, la sua posizione intermedia fra i conglomerati porfirici del Trias inferiore e la dolomia permette di considerarlo come rappresentante del Trias medio. Intercalati irregolarmente in questo calcare, che pare corri- spondere al calcare nero di Varenna, si notano straterelli di un tufo verdastro untuoso al tatto, che facilmente forma pasta coll’ acqua, osservato pure dal Neri, che lo attribuì a ceneri vulcaniche. Nella sua parte superiore esso passa gradatamente ad un cal- care giallastro, argilloso, il quale sottosta direttamente alla grande deposizione dolomitica. Dolomia. — La dolomia forma oltre un terzo della montagna, avendo una potenza di più che 300 metri : i suoi strati inclinano prevalentemente verso sud-est, e si possono distinguere in parecchie varietà litologiche. Nella parte inferiore, che giace sul porfido, sulle brecce, sui conglomerati ed arenarie porfiriche, o sul calcare nero bituminoso, od anche, come al colle di Colma, direttamente sul micascisto, essa dolomia è spesso variegata di rosso ed include frammenti e cristallini di porfido: più su essa diviene omogenea, di un colore grigio-cenere, massiccia, finamente cristallina, a frat- tura concoide. Ad una certa altezza essa è fortemente colorita in giallo sporco da ossidi idrati di ferro: questa dolomia ferrigna non ha però grande potenza ed alterna con altra più chiara. Qualche banco di essa è talmente compatto, omogeneo, che potrebbe dare lastre di una discreta pietra litografica, ove, come avvertì il Neri, non fosse frequentemente attraversata in tutti i sensi da vene e filoncelli di spato calcare, il che determina molte false spezzature. Essa è leg- germente giallastra, ed ha frattura fortemente concoide. Nella sua parte più alta tale dolomia è spesso come cariata, presentando delle piccole geodi rivestite di cristallini incolori, spesso giallastri, talora anche di un bel colorito roseo. Essi cristalli al- lungati, a disposizione raggiata, si riscontrano non di rado a riem- pire le spaccature della roccia, raggiungendo spesso notevoli di- mensioni. Ed infine, nel più elevato orizzonte assume una tinta rosea, uniforme, il che ci dà indizio che presto arriveremo ai sue- 158 G. E. RASETTI cessivi calcari variegati. Una osservazione sui banchi di questa dolomia, poco sotto alla Cappella di s. Quirico, mi dette: D.ne E. 50° S.; I.ne 20° E. In alcuni luoghi, come al colle di Colma, essa dolomia si presenta più o meno finamente brecciata: ivi tali breccie hanno una grande potenza, e sono sormontate da una dolomia stratificata, a strati di uno o due decimetri di spessore. Da una osservazione, in tale località, ebbi : D.ne N. S. ; I.ne 20° 0. L’ analisi chimica, eseguita sopra un campione di tale dolomia stratificata, mi dette il seguente risultato: CO, Silice ed argilla . Fé» 03 ) Al 2 03 ) Ca 0. . . . , Mg 0 ... . Sostanza org., ecc 47,0000 0,4255 0,2341 30,2332 21,7072 0,4000 100.0000 La grande formazione dolomitica non costituisce solamente il monte Fonerà; ma, verso sud-sud-est, scende molto in basso, for- mando il letto del torrente Magiaga, e passa alla sinistra di esso^ istallandosi sul fianco orientale della collina di Ara e su quello nord-ovest delle colline separanti Ara da Grignasco. In queste ul- time località, tale dolomia riposa, come dicemmo, sul porfido, dal quale è separata da un conglomerato porfirico affatto simile a quello dell' ovest di Ara, e del quale già parlammo. E misurata colla bussola, dette: D.ne E. 30° S.; I.ne 22° E., per quella fra il paese di Ara ed il torrente; D.ne E. 56° S., I.ne 32° E., per quella, al- quanto più ad est, sulle colline di Grignasco. Questa deposizione dolomitica, sulla quale ci tratterremo un po' più lungamente, doveva, in antico, avere una estensione di gran lunga maggiore, formando un deposito potente, dipoi eroso ed abraso dall’azione meteorica. E ad attestare tale antica maggiore estensione rimangono qua e là avanzi, più 0 meno limitati, di essa dolomia. Così presso alla cosidetta Bocchetta di Crevacuore, nel ver- II- MONTE FKNKRA DI VAI-SESIA 159 sauté della Sesia, si rinviene un lembo (') di dolomia, che, per quanto al Parona fu riferito, contiene della galena: in essa è aperta una grande cava di pietrisco. Riposa sul porfido ad est; ad ovest sul granito porfirico alterato, che già descrivemmo: è fina- mente brecciata, ed affatto simile a quella del colle di Colma. Questo lembo dalla strada comunale si 'eleva fino alla sommità della col- lina, alla C. Bellaria, e si abbassa alquanto nell’ opposto versante del Rio Venenza. Una osservazione, al sud di detta C. Bellaria, mi dette: D.ne N. 45° E.; I.ne 45° N. Un altro lembo isolato, ristrettissimo questo, un semplice masso, lungo non più di cinque o sei metri, si osserva a metà dell’ascesa della collina situata a nord-est di Grignasco : il suo colore biancastro spicca talmente sul rosso-cupo del porfido, sul quale giace, che è benissimo visibile da lontano, come, ad es. dalla stazione della strada ferrata. Altri avanzi furono citati dal Gastaldi: uno, nella valle della Sessera, alla sinistra del torrente, nel territorio di Crevacuore, è un lembo piuttosto considerevole, giacente direttamente sul porfido, di roccia frammentaria, a tinta grigia, rossigna o chiazzata di rosso, priva di fossili ; 1’ altro è un piccolo deposito, presso Guardabusone, lungo il rio Venenza, pure direttamente appoggiato al porfido. I suoi strati sono verticali, e diretti secondo N. 45" E., cioè nella stessa direzione della dolomia, da me misurata, presso la suddetta C. Bellaria. Infine il Parona osserva che avanzano lembi dolomitici anche presso Maggiora, « i cui giacimenti si stendono in stretta zona da S. Giacomo, fino alla confluenza dei due rami del torrente Sizzone, addentrandosi alquanto anche nelle due vallette. Gli strati incli- nano prevalentemente a nord-est, e le cave, che dànno materiale a numerose fornaci per calce, e che forniscono tanto pietrisco alle strade della provincia di Novara, sono aperte nel piano d' inclina- zione che asseconda il versante della valle: le testate sono infrante e ricoperte da deposito morenico ; dovunque abbonda la terra rossa » . Anche attualmente si può osservare la poca resistenza di questa roccia agli agenti esterni, osservando il fianco settentrionale del (x) Il Parona, scrive che ivi se ne ritrovano due lembi, e così disegna nella sua carta. Per quanto attentamente ne facessi ricerca, non mi fu dato rinvenirne che uno solo, come ho disegnato. 160 G. E. RASETTI Fenera, o, meglio ancora, la parte di nord-ovest. Quivi il pendio si presenta scosceso, aspro e dirupato, talora tagliato a picco, tal’ altra frastagliato da guglie e monoliti più o meno sporgenti, di un nerastro azzurrognolo. Da questa parte anzi, l’ azione chimica e meccanica dell' acqua, ha, lungo i secoli, scavate alcune grandi caverne. Il Sottile, nel suo « Quadro della Valsesia » dice: « La mon- tagna di Fenera presso Borgosesia, è pur degna di esser veduta per le sue grotte, da cui pendono per ogni parte delle stalattiti, e che richiamano alla memoria quelle che scavò un tempo, vicino a Tebe ed a Memfi, l’orgoglio e la superstizione. Sia che queste caverne siano l’ opera degli avidi Romani, oppure un parto dei riti religiosi degli antichi abitanti del paese, oppure anche debbano la loro origine allo scolo insensibile delle acque superiori, tutto vi pare sorprendente, tutto vi porta 1’ impronta degli sforzi dell’uomo e delle lunghe grandiose opere della natura ». Ma sarà meglio riportare la bella descrizione che ne dà il eh. prof. Corrado Parona ('). « Dalla colma — egli scrive — dopo un’ora circa di faticoso cammino sul difficile sentiero, si arriva alla prima grotta, la più interessante. Essa è assai profonda, e si con- tinua con un pozzo, di cui è ignota la profondità, che deve essere rilevantissima, se si deve giudicare dal lungo spazio di tempo che corre fra il getto di una pietra ed il cupo rumore che indica il termine della sua caduta. Nella porzione accessibile è larga poche braccia, qua e là molto bassa e si dirama in brevi braccia. La volta e il fondo presentansi coperti da un deposito d’ incrostazione non molto potente ». « In corrispondenza di questa grotta, per quanto mi sembra, non si rimarcano forti dislocazioni nella formazione dolomitica, alle quali si possa attribuire la formazione sua ». « Per cui, pensando al modo di origine che le si potrebbe assegnare, sorriderebbe l’ idea della formazione per erosione di ac- que circolanti, determinatasi, a seconda di lievi disturbi nella stratificazione, durante le vicende geologiche. Questa idea sarebbe confortata dal fatto della abbondanza di ossido di ferro che arrossa (l) Parona C., Di due crostacei cavernicoli ( Nip hargus puteanus Koch e Titanetes Feneriensis, n. sp.) delle grotte di Monte- Fenera in Valsesia. Atti d. Soc. ital. d. Se. nat., voi. XXIII. Milano, 1880. IL MONTE FEJiEKA DI \ALSESIA 161 la fanghiglia, la quale tappezza tutte le pareti e le fessure della caverna; rimasuglio della massa calcare, che, secondo tale ipotesi, avrebbe occupato lo spazio ora sostituito dalla caverna e sarebbe stata asportata per azione meccanico-chimica, delle acque circolanti, alle quali 1’ ossido di ferro avrebbe resistito, per le sue proprietà chimiche e più pel suo peso specifico, più che non la parete cal- care. Ad un’epoca di continuo allargamento della grotta per azione delle acque, ne sarebbe successa un’ altra di parziale riempimento, rappresentato dalla crosta stalattitica ; epoca, da quanto pare, non molto lunga, giacché il deposito non è molto potente; la quale, alla sua volta, sarebbe stata susseguita da una terza, l’ attuale, nella quale questo fenomeno è sospeso, o, per lo meno, quasi in- sensibile ». Scendendo alquanto in basso, si trova un’ altra grotta, molto più ampia, a due grandissime aperture, dimodoché l’ interno ne è perfettamente illuminato; e presso di essa un’altra, pure a gran- dissima apertura, che si può percorrere per una cinquantina di passi, dopo che termina restringendosi fortemente. In quest’ ultima grotta il cav. Ab. Antonio Carestia, esimio botanico di Riva-Valdobbia, fece degli scavi per incarico del Club Alpino, sezione di Varallo. In questi scavi, che presto vennero abbandonati per deficienza di mezzi, si scoprì un magnifico dente di orso, che si conserva ora nel Museo di Varallo. E grandemente a deplorarsi che, nonostante gli sforzi fatti dall’egregio dott. Francioni, di Grignasco, non si sia voluto im- pedire che i profani saccheggiassero e spogliassero queste grotte, in ogni loro angolo, di tutti i bizzarri adornamenti, che, con tanta eleganza di forme, ne vestivano la volta e le pareti. La grotta più elevata, nella quale si entra per uno stretto buco, e che più delle altre tiene celate le sue ricchezze, si è mantenuta per lungo tempo quasi intatta. Però 1’ ingordo scalpello del profano è arrivato fin là, e, mentre io la visitavo, alcuni operai stavano appunto de- vastandola, per fregiare una fontana, nel giardino di non so qual signore ! Dalla parte sud-sud-est della montagna, presso Ara, sono altre grotte, pel paleontologo ancora più interessanti. In vicinanza della fornace per calce, detta di Ara, si vedono le tracce di una profonda caverna, che, dal piano della cava, discendeva fino al 162 G. E. RASETTI letto del torrente. Ora essa è otturata dagli sterri della fornace, e ciò è a deplorarsi, in quanto essa racchiudeva una breccia ossifera potente e degna di studio, come si può giudicare dalla collezione di frammenti di ossami fatta dal sullodato dott. Francioni, il quale, per quanto le sue occupazioni gli hanno permesso, si è dedicato con grande amore alla scienza geologica. Egli gentilmente volle confidare a me la sua raccolta per lo studio : ond’ è che io ho potuto sicuramente determinare frammenti delle specie seguenti : Ursus spelaeus Blum., Rhinoceros Hemitoeclius Falc., Megaceros hibemicus Ovv., Cervus ?, Bos primigenia ? coi quali si rinvennero pure alcuni nicchi di Limacidee. Da essi fossili, risulta evidente essere tale breccia ossifera, non già di formazione pliocenica, come la ritenne il Parona, ma bensì quaternaria. In questa località sono di grande importanza fisica e geologica i particolari dell’ erosione acquea : il torrente Magiaga si è scavato nella dolomia un letto molto profondo, ed ha pure formato un pon- ticello naturale. Qui gli strati sono sovente ricoperti e nascosti da un rivestimento stalattitico alabastrino. Quanto ai fossili che la dolomia presenta, diremo come, benché nelle superimi di recente frattura appaia una roccia affatto sacca- roide, senza traccia di organismi, nelle superimi invece da lungo tempo esposte all’ azione meteorica , pel diverso grado di credibi- lità del calcare, si possa vedere essere essa quasi esclusivamente formata dall’agglomerazione di alghe marine calcari, di Giropo- relle ( Diploporae ). Ad eccezione di queste alghe, per quanto atten- tamente investigassi, non ho potuto rinvenirvi altre tracce orga- niche, nè macroscopiche, nè microscopiche ; e le innumerevoli con- chiglie che la fantasia del Neri dice avervi rinvenute, non possono essere altro che le suddette Giroporelle, da lui, come da altri, erroneamente ritenute per Gastrochene. Sopra alla dolomia si rinvengono dei calcari variegati, chiaz- zati di bianco e di rosso a diverse gradazioni, che talora assumono 1’ aspetto di un bel marmo. Così presso la Cappelleria di s. Qui- rico, dove essi sono lisciati dalle acque del ruscello, ed al sud-est del Fenera, pure nel letto di alcuni torrentelli. Però questi calcari variegati, pur’ essi assolutamente privi di fossili, non sempre sono presenti : più spesso, alla formazione dolomitica, sovrastano imme- diatamente le arenarie rosse. IL MONTE FENERA DI VALSESIA 163 Arenarie. — Sono queste arenarie di un bel color rosso, o rosso violaceo, a fini elementi, talora finissimi, alterate nella loro parte superficiale, dove assumono un colore brunastro, e molto resi- stenti alla frattura. Ad esse segue un’ arenaria grossolana, di color rosso mattone, formato da granelli di quarzo non molto aderenti, che, laddove è alterata assume un aspetto spugnoso, e che, essendo alquando refrattaria, è usata come materiale da costruzione, per rivestire le interne pareti delle fornaci. Ben mi faceva notare il (Jalderini, come, queste arenarie alterate, per la loro grande poro- sità, potrebbero benissimo servire come mezzo filtrante. Il Pareto, il Calderini ed il Neri, citano queste arenarie rosse come successive alla dolomia, senza precisarne la località, all’ in- fuori di quella presso la Cappella di s. Quirico. Il Gastaldi, nel suo lavoro già citato, dice di aver percorso per tutti i versi la montagna ; ma descrive la salita dalla solita parte di S. Quirico, e la discesa verso Colma. Infine il Parona, scrive, che esse arenarie si trovano nel versante occidentale del monte, lungo la strada che conduce alla cava di arenaria presso la cappelletta di s. Qui- rico. E, più sotto, parlando dei calcari Basici che vengon dopo aggiunge, che questi strati — i calcari neri — nelle altre parti della montagna, poggiano direttamente sulla dolomia. Così, nella cartina geologica, annessa al suo lavoro, segna tali arenarie solo nella località suindicata, e così pure, nella sezione che egli dà del nostro monte, fa apparire i calcari neri Basici, come immediata- mente superiori alla formazione dolomitica. Già lo Spreafico, nella sua Memoria, più volte citata dallo stesso Parona, aveva notato, che una formazione arenaria rossa, da esso dubbiamente considerata come analoga al Servino, formava gran parte della parete alla sinistra del torrente Magiaga, e la notava pure alla destra del torrente, a nord di Ara, trovandola, però, in non ben chiari rapporti colla dolomia. Ora, avendo io avuto agio di osservare attentamente e da ogni lato il Fenera, ho potuto notare, che da qualunque parte si voglia ascendere il monte, i calcari Basici sono sempre separati dalla dolomia, o dai calcari variegati, laddove essi sono presenti, per mezzo di quelle arenarie rosse, delle quali, se mancano talora gli strati a fini elementi, sono sempre rappresentati quelli ad elementi grossolani, color rosso mattone. E persino nel lato sud-est del monte, 12 164 G. E RASETTI dove per 1' abbassamento grande che hanno subito i calcari selciosi, sono questi talora venuti a contatto colla dolomia, tali arenarie rosse, anche quelle a sottili elementi, ed i sottostanti calcari va- riegati, esistono e sono messi a nudo nel letto dei ruscelli scen- denti dal Fenera. Un ammasso assai potente di arenaria rossa grossolana, si trova poi alla sinistra della Magiaga, ad ovest di Bertasacco: do- vunque si nota 1’ assoluta mancanza di fossili. Esse arenarie rosse formano dunque un deposito continuo, supe- riore alla formazione dolomitica : nella nota località della Cappella di s. Quirico, nel qual luogo, meglio che altrove, si prestano al- 1’ osservazione, ho riscontrata esatta la misura che ne fece il chia- rissimo prof. Gastaldi, secondo la quale si avrebbe: D.ne N. 35° E.; I.ne 6° E. Spesso 1' inclinazione è però un poco maggiore. Continuando nella salita, Y arenaria rossa, passa ad un' altra arenaria calcare, nella quale è aperta un’ ampia cava di estrazione : però la pietra da taglio che se ne ottiene, di colore grigiastro, non è molto resistente agli agenti esterni. Numerose sezioni delle su descritte arenarie rosse, mi fecero apprendere, come, quelle a grana più sottile (Cappella s. Quirico), contengono « abbondantissime spicole di spongiari « , però frantumate e ridotte in stato tale, da impedirne qualsiasi determinazione. A contatto di un acido, esse arenarie, destano una vivace effer- vescenza : F analisi chimica da me eseguita, su essa arenaria rossa a spongiari, mi dette i risultati seguenti: Co* 15,5556 Silice e argilla 61,2503 Fe2o3 e AI2O3 ....... 1,d50ì CaO 20,1000 MgO 0,4631 Mat. org., ecc 1,0809 100,0000 Dell’età di esse, solo si occupò il Parona, il quale le dice, per facies litologico e posizione stratigrafica, corrispondere perfet- tamente alla formazione di "Figgili e di Saltrio, ascrivendole quindi al Lias inferiore. IL MONTE PENERÀ. DI VALSESIA 165 Calcari neri. — Dopo brevi strati di un calcare selcioso, che appare però assai sviluppato verso il sud-sud-est del monte, si arriva ad una arenaria giallastra grossolana, seguita immediatamente dai calcari neri, che terminano la montagna. Ben dice il Calderini, che « questa formazione calcarea nerastra si avanza da principio a grossi strati, i quali poscia rimpiccioliscono a poco a poco, sino a far passaggio agli schisti neri, con cui terminano le ultime e più elevate cime del Monte s. Bernardo ». Gli strati sedimentari del Fenera hanno subito un tale abbas- samento verso sud-sud-est (vedi sezione II, annessa alla Carta geo- logica), che, nel eroso Magiaga, ad ovest Bertasacco, tali calcari neri sono venuti in diretto contatto coll’ espandimento porfirico ; e ciò per una paraclasi, che ho raffigurata in sezione. Tale linea di faglia sembra diretta all’ incirca da nord a sud, dimodoché, a sud di Bertasacco, viene a passare per la sommità di un monte, del quale sulle Carte dello Stato Maggiore Italiano non è il nome, ma che è contraddistinto dalla quota altimetrica 551. Lo Spreafìco aveva pure avvertito come questo monte, che verso est si mostra com- pletamente porfirico, è invece, dall’ opposto versante, verso la Ma- giaga, costituito da roccia dolomitica e da calcari selciosi. Nelle due formazioni, del gres giallastro e dei calcari neri, il Pareto e successivamente il Calderini, rinvennero pei primi degli ammoniti. Gli ammoniti raccolti dal prof. Calderini, furono inviati per lo studio all’ illustre Meneghini, che scrive (0 : « Nous croyons enfin devoir citer, corame appartenant à cette espèce — A. Algovia- nus Opp. — la plupart des Ammonites recueillis par M.r le prof. Cal- derini dans les schistes calcaires noires et dans le grès argilleux noiràtre de la Fenera. Des 35 échantillons, dont se compose cette collection, 29 appartiennent, selon nous, a VA. Algovianus, 4 à l'A. radiane, un seul, et mème douteusement, à F A. serpentinus, et un, bien surement, à l’^4. (Amallheus) margaritatus » . Tali ammoniti, che non sono se non impronte deformate e male determinabili, si rinvengono non difficilmente presso l’ Alpe di Fenera , dove una misura su quei calcari mi dette : D.ne N. 35° E.; I.ne 22° E. Gli strati fossiliferi affiorano allo stesso livello an- (!) Meneghini I., Monographie des fossiles appartenant au calcaire rouge ammonitique de Lombardie. Paleontologie Lombarde, 4® sdr , 1, 2, p. 43. Milan, 1867. 166 G. E. RASETTI che ad ovest del monte, ove trovai gli stessi ammoniti, e dove ebbi, D.ne N. 23° E., I.ne 20° E. Cogli ammoniti si rinvengono spesso pezzettini di lignite, ed altre tracce di materie vegetali. Il grès giallastro ammonitico è costituito unicamente da spi- cule di spugne silicee ( Hesactinellidae ), discernibili anche ad oc- chio nudo, e cementate da sostanza pure silicea; cogli acidi ener- gici non manifesta alcuna, benché debole, effervescenza. Tali spon- giari furono pure avvertiti dal Parona, che non potè isolarli e quindi studiarli e determinarli specificamente. Da numerose sezioni microscopiche ho potuto osservare come anche i calcari neri sovrastanti, sono, quasi unicamente, costituiti da esse spicule di spugne, però non visibili che al microscopio. Tutti i tentativi da me fatti per isolarle, sia meccanicamente dal- T arenaria giallastra, sia con acidi allungatissimi dai calcari neri, sono riusciti vani: percui ne è riescita impossibile anche la sola determinazione generica. Senonchè, moltissime di esse spicule risul- tano formate da materia calcare, e dovrebbero, io penso, ritenersi Tetractinellidae ; altre, semplici ed allungatissime, Monactinel- lidae , (vedi fig. I). La roccia si mostra di un colore nerastro, attraversata spesso da venuzze e concentrazioni biancastre : è molto dura e tenace : la polvere è grigio cenere, con minutissimi punti neri: cogli acidi fa effervescenza vivissima. Un campione, raccolto all’Alpe di Fenera, è stato, da me, analizzato chimicamente. In acido cloridrico, con- centrato e bollente, lascia il 63, 7767 % di materie indisciolte. Operata la disgregazione della parte insoluta, mescolata la di lei soluzione colla primitiva, separato il ferro dall’ alluminio colla soda, pesati come sesquiossidi, e riportati il primo, col calcolo, a pro- tossido, mi risultò : co2 . .. . 14,6445 Si 0* 57,3737 Fe 0 ■ . - . 1,8206 Al2 O3 3,3252 CaO 19,9900 Mg 0 1,8367 Mat. organica, ecc 1,0093 100,0000 II. MONTE FENERA DI VAI.SESIA 167 Questi calcari selciosi ad ammoniti e .spongiari, assumono, nella loro parte più elevata, una forma scistosa: è una roccia di- videntesi facilissimamente in lastre larghe e sottili, a superfìcie molto scabrosa, e nella quale non si rinvengono più impronte di ammoniti. Al microscopio si rivela costituita quasi unicamente da spicule di spongiari, ed all’ analisi chimica non differisce sensibil- mente dalla roccia sottostante. Però entro i suoi strati abbondano Fio. I. — Calcare nero araraonitico, voduto al microscopio. Ingr. 70 d. delle linee nastriformi, più nere della roccia stessa, probabilmente da attribuirsi a fucoidi, ed altre, rilevate come i gusci degli am- moniti, a nemertiliti. Essa roccia si altera facilmente, producendo, a causa dell’ abbondanza del ferro, un detrito di color giallo intenso. La formazione ad ammoniti fu dal Pareto ritenuta come in- dubbiamente liasica ; dallo Stoppani, invece, appartenente alla do- lomia media (!), sincrona coi petrefatti di Esino. Il Calderini la considerò giurese , identica alla pietra di Salti-io ; lo Spreatìco, ge- nericamente liasica ; il Neri ed il Parona Lias superiore. 168 G. E. RASETTI Ora, dagli ammoniti rinvenuti in essa formazione (’), e de- terminati dal Meneghini, determinazione certamente non dubbia, può desumersi essere i calcari suddetti, riferibili piuttosto al Lias medio , Lias medio però molto alto, non certo sincrono con quella di Gozzano, che è invece un Lias medio molto basso. Il riferimento al Lias medio concorda coi risultati degli ul- timi studi del Bonarelli (2), secondo i quali l’ Ilarpoceras Algo- vianum Opp., la specie maggiormente diffusa sul nostro monte, e l’ Amaltheus margaritatus Montf., sarebbero due specie caratteri- stiche del Charmoutiano (Mayer-Eymar, 1864) superiore. Nelle vicinanze del Monte Fenera, non mancano le deposizioni terziarie e quaternarie. Il terziario, già creduto miocenico (Pareto), fu posteriormente riferito al Pliocene, ed accuratamente studiato dai signori Parona e Sacco : poco potrei quindi aggiungere di nuovo, per cui preferisco rimandare il lettore ai loro lavori, già citati. Solo ricorderò di aver già fatto notare, come alcuni conglomerati e brecce ossifere, situate sulle pendici stesse del Fenera, special- mente a nord di Ara, non debbansi, come altri fece (3), conside- - -.7 v 7 rare plioceniche: ma bensì quaternarie , come chiaramente addi- mostrano i fossili rinvenuti. Nonostante i lunghi e pazienti studi, dei quali il Fenera è stato oggetto, la cronologia dei suoi terreni non può ancora con- siderarsi come assolutamente definitiva. Noi diamo quindi, nella carta geognostico-geologica che segue, il riferimento che abbiamo creduto più probabile, in attesa che ricerche meglio condotte e più fortunate, diano una maggior sicurezza ed una maggior messe di criteri paleontologici. (’) ffarpoceras Algovianum Opp., IL raclians Iìei n . , II. serpentinum Rein., Amaltheus margaritatus Montf. (2) Bonarelli G., Contribuzione alla conoscenza del Giura-lias lombardo- Atti d. Accad. d. Torino, voi. XXX, 1895. — Id., Fossili domeriani della Brianza. Rendic. Istit. Lombardo, serie 2a, voi. XXVIII, 1895. (3) Parona C., op. cit., p. 97. II. MONTE FENEKA DI VALSESIA 169 Descrizione dei fossili. r*ii inoceros liom itoceli rxs Falc. Sin. Rh. leptorhinus (Owen, prò parte — non Cuv.), Rh. Merckii Jàger et Kaup. 1868. Rhinoceros hemitoechus. Falconer, Palaeontological Memoirs, ecc., voi. H, pag. 809. London. Località. Nella breccia ossifera quaternaria di Ara (dott. Fran- cioni), in discreto stato di conservazione. Mandibola (parte anteriore e branca destra, con due molari, adulto). Molare sinistro. Essi misurano: diam. mass, antero-posteriore dell’ ultimo molare destro, mm. 57 » » laterale » » » » 37 » » antero-posteriore » » « » 57 » » laterale » » » » 37 alt. mass, dell’osso, perpendicolarmente all’ultimo molare. » 105 spessore massimo della mandibola » 62 Questo Rh. hemitoechus fu dal Falconer considerato come specie affatto distinta dal Rh. etruscus ; mentre il Brandt (') ri- tiene formi con questa un’unica specie, che abitava gran parte dell’ Europa. Il Rh. etruscus sarebbe, secondo lui, una razza me- ridionale abitante il sud-est dell’ Europa. Di poi il Portis (2), basandosi sulle risultanze dello studio dei resti craniali di Taubach, dice doversi considerare il Rh. Merckii (= Rh. hemitoechus ) ed il Rh. etruscus, quale due fra le molteplici forme di una sola specie, la quale chiama col nome collettivo di « Rinoceronti hemithoechi » , da contrapporsi all’altra divisione dei « Rinoceronti ticorini ». In oggi però si ritiene generalmente che le due suddette siano specie affatto distinte, anche pel fatto incontestabile della maggior antichità del Rh. etruscus. Esso è infatti una specie esclusiva- p) Brandt, Versuch einer Monographie der Tichorhinen Nashornes. Mem. dell’Accad. ecc., di S. Pietroburgo, VII serie, n. 4. (2) Portis A., Ueber die Osteologie von Rhinoceros Merckii, Jag., etc. 170 E. G. RASETTI mente pliocenica, mentre il Rh. hemitoechus si rinviene anche in località quaternarie ('). Tale rinoceronte, rinvenuto nella grotta di Ara, è anche di notevole importanza pel fatto che, per quanto mi consta, è il primo rinvenuto in Piemonte. TUrsiis apelaeus Blum. Sin. V rsus fornicatus magnus. Schmerling, Ours des cavernes Cuv. 1830. [/rsus spelaeus. Blum., Specim. Archaelog. tellur. Località. I: Nella breccia ossifera di Ara (Francioni): Cranio (parte superiore-posteriore). Femore sinistro (parte inferiore): questo è assai ben conservato, e misura: < diametro massimo dell’ epifisi inferiore mm. 95 « » della parte media * 40 » minimo » » » 29 Femore destro (terzo medio). Femore destro (metà infe- riore). Radio destro (parte media). Mandibola (parte posteriore della branca sinistra). Costa (frammento). Tibia (parte inferiore, giovane). II. Nella grotta maggiore, a nord-ovest del Fenera (Carestia): Dente (canino inferiore) (Fig. II). Esso misura : lunghezza mm. 105 diametro massimo antero-posteriore . » 33 » » laterale .... « 27 Nella medesima grotta (Rasetti): Femore sinistro (parte media). Femore destro (parte superiore e media). Costa (fram- Fig. II. — 1/3 del vero, mento). (l) Acconci L., Di una caverna fossilifera scoperta a Cucigliana. Atti d. Soc. tose. d. Se. nat., voi. V, fase. 1°. IL MONTF. FENERA DI VALSESIA 171 L orso quaternario offre, come notarono il Dawkins ed il San- ford ('), una serie graduata di variazioni di mole, dipendenti principalmente dal clima, dall'alimento, e forse ancor più dall’età e dal sesso. Fondandosi su queste differenze, peraltro poco notevoli, molti paleontologi avevano fatto un numero non indifferente di nuove specie, le quali sono poi andate scomparendo, per ritornare a due tipi fondamentali, l’ Ursus spelaeus Blum. e l’ U. arctos, specie dal De Blainville considerati come gli estremi delle variazioni degli individui di un’ unica specie. 1 signori Dawkins e Sanford, pure costatando la grande affinità fra le due forme, opinano trat- tarsi di due specie distinte. 11 Forsith Major (2) ritiene che le specie post-terziare di orso in Italia siano soltanto riferibili all’ U. spelaeus , all’ U. arctos , e forse, ad un’ altra specie, di minori dimensioni, che chiama U. me- diterraneus n. sp. Becentemente l’ Issel, nel suo bel lavoro sulla Liguria (3), descrive una nuova specie, propria, a quanto pare, delle caverne delle Fate e Livrea, nel genovesato, che denomina U. ligusticus n. sp. Esso non può essere la forma feminea dell’ U. spelaeus , in quanto non si rinviene affatto nelle tante caverne dell’ Europa meridionale, dove quest’ultimo è assai comune: confrontato col- 17/. ferox delle Montagne Rocciose, trovò esserne assolutamente distinto. L’ U. ligusticus dell’ Issel si distingue dal comune orso delle caverne, per essere più piccolo e soprattutto per la minore corpo- ratura, pel muso più allungato, e per le estremità comparativa- mente più lunghe e più snelle. Da ciò, e dalla poca robustezza e semplicità dei denti, è probabile che esso avesse abitudini più rampicanti delle altre varietà, e che fosse di preferenza frugivoro. Dalle misure che abbiamo date, del dente rinvenuto nelle grotte del Fenera, appare la straordinaria robustezza della specie (!) Dawkins and Sanford, Pleistocene Mammalia. Palaeontographical Society, voi. Vili, parte I. Introduction. (2) Forsith Major C. I., Remar ques sur quelques mammifères post- tertiaires, ecc. Atti d. Soc. ital. d. Se. nat., voi. XV. (3) Issel A., Liguria geologica e preistorica. Genova, 1892, voi. II, pag. 276. 172 G- E. RASETTI cui ha appartenuto, che è quindi indubbiamente da riferirsi alla specie più potente, al vero orso delle caverne, Ursus spelaeus Blum. Felis catus. Località. Nella grotta del pozzo, a nord-ovest del Fenera (Pa- rona), probabilmente avanzi di pasti di piccole fiere, che devono aver abitata quella caverna. Cranio (volta del). Osso frontale. Mascellare superiore (frammento). Mascellare superiore (idem). Osso temporale (idem). Mandibola inferiore sinistra. Mandibola inferiore destra (frammento). Mascella inferiore (incompleta). Ozili is vixlpes*. Località. Come sopra (Parona): Mascella inferiore sinistra. Atlante. Epistrofeo. Ia VERTEBRA DORSALE. IIa DORSALE. ULTIME TRE VERTEBRE DORSALI. Vertebre caudali. IVa e XIa Costa di destra. IIIa Costa di sinistra. Scapola destra (porzione). Omero sinistro. Ulna sinistra (porzione). Radio destro. Ulna (parte inferiore). Me- tacarpi (due). Tibia sinistra. Due metatarsi. Equa» sp. Località. Come sopra : Omero sinistro (parte inferiore). Omero destro (idem). Megaceros hibernicus Ow. Sin. Cervus euruceros Aldrovandi, C. platiceros altissimus Moligneux, C. gi- ganteus Blum., Goldfuss, Gerf à bois gigantesques Cuv., C. mega- cews Hort , C. hibernus Desm., C. megaloceros Fisch. 1843. Megaceros hibernicus Own; Report of British Association, p. 337; British fossil Marn. and Birds; London, 1846, p. 444, fig. 182-192. Località. Breccia ossifera di Ara (Francioni): Molare superiore destro. IL MONTE FENEIIA DI YALSESIA. 173 Cervus sp. Località. I. Breccia di Ara (Francioni) : Vertebra cervicale. II. Nella grotta del pozzo (Parona): Canone anteriore (di daino?). Metatarsi. Ovis sp. Località. Grotta del pozzo (Parona) : Mascella inferiore destra. Idem (due frammenti). Denti molari. Scapola destra. Idem (frammento). Scapola sinistra (framm.). Radio destro. Ulma destra. Canone anteriore de- stro. Canone (porzione). Femore destro (parte superiore). Fe- more destro (idem). Tibia sinistra. Ossa del tarso. Seconde FALANGI dell’ ARTO ANTERIORE DESTRO. Capra sp. Località. Come sopra: Ulna destra. Femore sinistro (parte inferiore). Tibia de- stra. Tibia sinistra. Canone posteriore (porzione inf.). Kos sp. Località. I. Come sopra: Canone anteriore sinistro (vitello). Vertebre caudali (N. 5). IL Nella breccia ossifera di Ara (Francioni) : Tibia destra (B. primi genius? parte inferiore: l’epifisi non è ancora saldata alla diafisi). Harpoceras (Arieticeras) algovi;iuum Oppel sp. Sin. Ammonites nitescens Young and Bird, Simpson, A. radians amalthei Oppel, A. normanianus Oppel (non d’ Orb.), A. falcifer Quenstedt, A. radians Hauer (ex parte, non Rein.), A. algovianus Oppel, Reynès, Zietei, Harpoceras nitescens Wright. 174 G. E. RASETTI 1876. Harpoceras algovianum. Tate and Blake, Yorkshire Lias, p. 302, pi. Vili, fig. 1. 1885. Arieticeras algovianum, Seguenza, I minerali della Provincia di Mes- sina; parte 1, Rocce messinesi, p. 67 ; Intorno al sistema giurassico dei terreni di Taormina. — Il naturalista siciliano, anno IV, n. 10. 1896. Seguenziceras algovianum, Levi G., Sui fossili degli strati a Tere- bratula Aspasia, Boll. d. Soc. Geol. Ital., voi. XV, fase. 2. Località. Nel calcare nero, scistoso, del Lias medio : presso l’Alpe di Fenera, dove è assai frequente; ed anche ad ovest del monte, allo stesso livello. Sempre in forma di impronte deformate, spesso difficilmente determinabili. Uno dei campioni raccolti dal prof. Calderini, esaminato dal Meneghini, « mesure — egli scri- ve — 75mm de diamètre; le moule intérieur est suffisamment conser- ve, et laisse mème apercevoir les découpures caractéristiques des cloisons dans la première moitié du dernier tour, la dernière en fig. iii. _ i/3 dei vero. étant dépourvue. Les cOtes sont sigmo'ides, très saillantes, surtout à la fléxion extérieure et séparées,, par des espaces du doublé plus larges. La quille est saillante et fraquée par deux sillons ». Harpocei’as ratlians Reinecke sp. Sin. Nautilus radians Rein ., Ammonites radians Schloth., De Haen, Zieten, A. lineatus Zieten, A. stria- tulus Zieten. 1878. Harpoceras radians. Wright; Monograph. on thè Lias Amm. of thè British Islands, p. 449, pi. LXIV, fig. 1-7; pi. LXXIV, fig. 1-2; pi. LXXXI, fig. 4, 5, 6. Località. Col precedente, pure in impronte più o meno ben conservate, ma assai meno co- Fig. IV. — 1/3 del vero. IlllinO. IL MONTE FKNERA DI VALSESIA 175 Harpoceras serpentiimm Reinecke sp. Sin. Argonauta serpentini is Rein., A. Caecilia Rein., A. capellinus Schloth., A. Strangevcaysi So- werby, A. falcifer Sow., A. Mulgravius Young and Bird, Planites serpentinus De Haan, ecc- 1875. Harpoceras serpentinum, Neumayr, Zeitschr. Deutscli. geol. Gesellsch., Bd. XXVIII, p. 909. Località. Coi precedenti. Sono dubbiamente da riferirsi a questa specie, secondo il Meneghini. Fi0 v' ~ 1/3 del 'er0' due esemplari rinvenuti, uno dal Pareto, l’altro dal Calderini. Amaltheus margaritatus Montf. Sin. Gornu Ammonis cristatum Bahuin, Chrysammonites foliaceus Aldrov., Ammonis corna striatum striis rarioribus Langius, Corna Ammonis Seba, Ammonites acutus Sowerby (1813), Haan (1825), Nautilus Rotula Rein., Amm. Stokesi Sow.,H. amaltheus Schloth. (1820), Haan, De Buch, Roemer, Bronn., Quenst., A. amaltheus gibbosus Schloth., A. Clevelandieus Young and Bird, Phillips, A. paradoxus Zieten, A. mar- garitatus Schloth., d’Orb., Koechl. 1808. Amaltheus margaritatus. Montford, Conchylio- logie Systématique, t. I, p. 90, fig. XXIII. Località. Coi precedenti, presso l’ Alpe di Fenera: però è moltoraro. Un solo esemplare rin- venuto dal prof. Calderini. [24 giugno 1897] SULLA SINONIMIA DEL VOCABOLO SCAGLIA (Zittel) Nota del prof. Giacomo Trabucco. In una recente Nota del dott. G. Bonarelli si legge ('): « Il « Trabucco nella sua Memoria preliminare : Sulla posizione ed età « delle argille galestrine e scagliose del Flysch e delle serpentine « terziarie dell ’ Appennino settentrionale , così scrive riguardo alla « scaglia evidentemente, come osserva De Stefani ( Escursioni « scientifiche nella Calabria , Mem. d. K. Accad. dei Lincei, ser. 3a, « voi. XVIII, p. 19) le due denominazioni di argille galestrine « o galestri e di argille scagliose (usate nella Toscana e nel- « T Emilia) e quella di Scaglia dello Zittel sono in realtà affatto « sinonime, perchè rispondenti alla più assoluta identità litologica. « In questo periodo potrebbe sembrare a taluno che il Tra- « bucco attribuisca al prof. De Stefani la responsabilità di un errore, « essendo ormai ben noto a tutti i geologi del mondo che le argille « sono argille e che la scaglia (Zitt.) è un calcare più o meno « marnoso, il quale, molto probabilmente, era in origine un fango « a Globigerinae. Il prof. De Stefani ha scritto, bensì, che galestri « ed argille scagliose sono sinonimi, ma non ha mai pensato di « UNIRE LA SCAGLIA (Zittel) ALLA SINONIMIA DI QUESTE ARGILLE * . In sostanza il Bonarelli mi accusa di avere attribuito al De Stefani (che non vi avrebbe mai pensato) 1’ errore (secondo lui) dell’ unione della scaglia (Zittel) alla sinonimia dei galestri e delle argille scagliose , essendo ormai noto (egli soggiunge) a tutti i geo- logi del mondo che le argille sono argille e che la scaglia (Zittel) è un calcare più o meno marnoso. (’) Bonarelli G., Osservazioni geologiche sui monti del Furio presso Fos- samhrone. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XV, 1896, p. 422. G. TRABUCCO, SULLA SINONIMIA DEL VOCABOLO SCAGLIA 177 Vediamo dunque se è vero che il prof. De Stefani non abbia mai pensato di unire la scaglia (Zittel) alla sinonimia delle ar- gille galestrine e scagliose e poi se realmente questa scaglia (Zittel) non debba assimilarsi alle predette rocce argillose. Il prof. C. De Stefani scrive (') : » Gli scisti sono di quelli « soliti, che in Toscana si distinguono, anche in vernacolo, col nome di « Galestro o di argille galestrine, nell’ Emilia col nome di Argille “ scagliose ed altrove col nome di Scaglia. Tutti questi nomi, abba- ti stanza espressivi di per sè, sono sinonimi fra loro, denotando una « roccia non compatta, che facilmente si rompe e si divide in minute « scaglie ; tutti perciò potrebbero essere adottati, ma però la diversità « della denominazione data ad una roccia unica e sola , secondo i vari « luoghi in cui essa si trova, produce molte confusioni ed errori, facendo « credere che, coni’ è differente il nome, così sia differente 1’ oggetto « cui esso si riferisce. Perciò mi sembra opportuno che i geologi con- « vengano in un appellativo unico : quanto a me preferisco il nome di « Galestro o di Argille galestrine , perchè più antico e da più antico « tempo adottato nella scienza, avendolo anche adoperato il Targioni « e perchè il popolo Toscano T adopera nell’ indicare date rocce « argillose e schistose. La denominazione di Argille scagliose non « la preferisco perchè, sebbene alluda alla stessa qualità della « roccia, pure è assai recente, essendo stata introdotta dal Bianconi * nel 1840. Quando dunque io parlerò delle argille galestrine o « dei galestri , intenderò anche riferirmi alle argille scagliose * dell’ Emilia ed alla scaglia dell’ Appennino centrale: della « scaglia delle Alpi non parlo, perchè non la conosco di veduta, « sebbene, per la descrizione che se ne dà e per essere ritenuta « uguale alla scaglia dell’ Appennino centrale, sembri non molto « differente nell’aspetto litologico, come vedremo non esserlo, pro- u babilmente, nemmeno nell’ epoca, dalle altre rocce dell’ Appennino, « ora indicate ». E lo stesso autore aggiunge più sotto (2) : « Le argille galestrine poi si estendono molto nell’ Appennino « centrale e meridionale, formandone le parti più interne e compa- ri De Stefani C., Geologia del monte Pipano. Mem. del Com. Geol. d’Italia, voi. Ili, parte 1", p. 94. (*) De Stefani C., op. cit. , p 95. 178 G. TRABUCCO “ rendo nelle cupule e negli anticlinali scoperti e snudati ; vi sono « conosciute col nome di argille scagliose , applicato loro dal Bian- “ coni, dallo Scarabelli e da altri, e con quello di scaglia che da “ loro lo Zittel e non vi mancano dei fossili assai importanti, i « quali devono essere riveduti e ristudiati » . Rimane ora da stabilire se la scaglia (Zittel) debba realmente assimilarsi alle argille galestrine e scagliose , essendo ovvio che la discussione deve ridursi a vedere se le rocce, indicate dallo Zittel nell’ Appennino centrale col nome di scaglia , corrispondano ai galestri , senza occuparsi qui del significato generale del voca- bolo scaglia , come è usato nel Veneto e nelle Alpi, e che tutti 1 geologi, me compreso, conoscevano certo prima del Bonarelli. Vediamolo. Zittel scrive ('): c. SCAGLIA (Senoniano) « In quanto a quello che ho già detto della scaglia , non ho « che poche parole da aggiungervi. La metà più bassa si distingue « per il colore rosso mattone molto intenso ed è molto ricca di “ selce rossa, che si presenta in strati riuniti oppure in forma di « lenti nei calcari. Nelle parti superiori il colore si schiarisce e diventa rossastro, verdognolo, bigio o con colori alternanti; la « selce diventa più rara o completamente si perde, gli strati di- « vengono sempre più sottili e terrosi, tutti rotti e screpolati. « Predomina qui esclusivamente il colore verde-bigio o cenerognolo « e la scaglia assume pian piano il carattere del sopra giacente « macigno terziario , dal quale è impossibile fare assoluta distin- « zione ». Lo Zittel, quindi, applicò per la prima volta il nome di scaglia a rocce dell’ Appennino centrale. Ma confuse i calcari siliciferi cre- tacei sottostanti, che somigliano un poco alla scaglia veneta . colle rocce soprastanti che fanno graduale passaggio al macigno. Queste sono veri galestri eocenici , identici a quelli del rimanente Ap- (') Zittel K. A., Geologische Beobachtungen aus deli Central- Agemine»,, Murielle», 1869, p. 68. SULLA SINONIMIA DEL VOCABOLO SCAGLIA 179 pennino settentrionale e meridionale. Perciò il nome di scaglia (Zittel) è veramente in parte sinonimo delle argille galestrine e scagliose. Aggiungerò ancora che la descrizione dello Zittel, avanti ri- portata, non è altro che la riproduzione della seguente, che si legge nell’ importante Nota, da lui citata, dei signori Spada ed Orsini : « La grande masse cretacee dont il vient d’ètre question est « suivie d'une autre serie de roches très variées qui se superposent à « cette masse dhine manière constante, et forment ainsi notre terrain « crétacé supérieur jusqu'au calcaire àNummulites, un peu au-dessous “ duquel on voit paraìtre pour la première fois les débris organiques « de quelques espèces tertiaires. Partout oh de grandes fissures « ouvrent l’accès aus investigations géologiques, lorsqu’on examine “ la sèrie des diffèrentes roches crétacées supérieures, rarement on « trouve cette sèrie complète, tantòt une roche tantòt l’ autre y a manque; quelquefois méme une roche qui, àtei endroit, est d’une a forte épaisseur, s’amincit e s’etface presque entièrement, et cela a souvent à une petite distance. Cependant, en prenant pour type a les séries qui sont complètes et bien développées, comme serait « celle, par exemple, qui est adossée à la chaìne du Catria, après « des observations longues et répétées, nous sommes parvenus à iì établir l’ordre suivant de la sèrie ascendante. a Un calcaire tendre, à cassare irrégulière et terreuse , d’un u. rougeàlre foncé à V èxtérieur , et d’un foli rose à l'intérieur , « va graduellement se confondre , par ime suite de changements « UthologiqueSj avec une grande masse de schistes marneux d’un a rouge de briglie, et très semblables aux marnes rouges du lias a supérieur. Ces schistes marneux rouges , en s’èlevant deviennent a bigarrés , verts, gris et rouges, etpuis ils se color ent totalment a en grisàtre, en verdàtre, et ils conservent cette nuance jusqu’au a contact du calcaire nummulitique. En outre, des couches de a calcaire tendre et argileux (l’albérèse des Toscans), dont la cou- a leur, communément jaunàtre, est quelquefois brunàtre et presque a noire, paraissent frèquemment, mais non pas constamment, parmi a les schistes grisàtres et verdàtres qui se trouvent au-dessus des a rouges. Ce couches calcaires se développent méme d’une manière a remarquable sur quelques points de nos Apennins, mais jamais 13 180 G. TRABUCCO « autant qu’en Toscane, où nous les avons vues composer à elles « seules des montagnes entières. Dans cette parfcie des Apennins « que nous avons entrepris de decrire, ces couches ont peu d'épais- « seur ordinairement, et alternent alors avec les schistes, mais il « arrivo souvent aussi qu’on n’apei^oit pas uue seule conche de ce « calcaire alberése dans toute la serie des schistes. Et ici ne finit « pas la description compliquée de ce depót de la craie supérieure. « Il est un autre calcaire très important qui s'interpose localment « aux schistes cretacés : c’est celui que les Toscans designent sous « le nom de pietra-forte. Ce calcaire est noiràtre, psammitique et - très dur. Son aspecte lithologique, qui n’appartient qu’à lui, le « tit jadis confondre avec le macigno. Cette couche paraìt irrégu- - lièrement dans quelques parties de la Toscane, et nous ne l’avons * vue q’une seule fois chez nous à Acqua-Santa près Ascoli. « Une autre grande serie de roches, la plupart arénacées et « argileuses, se trouve deposée, en montant, en parfaite concordance « avec toute la formation cretacee, a. la base de cette serie de « roches on remarque le calcaire Nummulitique avec ses nombreux « foraminifères. Nous avons déjà dit que les premiers fossiles d'espèces « évidemment tertiaires ont été trouvés par nous entro les schistes « argileux placés immediatément au-dessous du calcaire nummu- « litique, lesquels, étant intimement liés aux schistes. crétacés et « ne se distinguant de ceux-ci que par les fossiles qu’ils ren- « ferment, forment le passage entre la craie supérieure et le terrain « éocène (’) » . E più sotto : « En suivant la description de notre terrain éocène, dans « l’ordre ascendant, nous ferons remarquer que l'on voit le plus « souvent, au-dessus du calcaire nummulitique, des schistes mar- « neux minéralogiquement semblables aux schistes crétacés qui sont « au-dessous. Des couches calcaires, très semblables par la texture « et l’aspect à celles de l’albérèse, alternent avec ces schistes. C'est « pourquoi le savant géologue, M. Paul Savi, leur a donné depuis « longtemps le nom d 'alberése supérieur, distinguant ainsi deux (*) (*) Spada ed Orsini, Quelques observations géologiqucs sur les Apennins de V Italie centrale, Bull. d. la Soc. Géol. de France, 2° sòr., tom. XII, 2a part. pag. 1209. SULLA SINONIMIA DEL VOCABOLO SCAGLIA 181 « depóts calcaires prosque lithologiqueraent identiques, mais qui « sont rangés cependant, l’un au-dessous, l’autre au-dessus dii cal- “ cairn nummulitique : le premier est crétacé, le second éocène. “ Le macigno occupe de grands espaces dans l’Italie centrale. Nous * 1 avons vous former presque intièrement les Apennins de Bologne “ 6t de la Toscane, et ensuite se ranger sur les flanc de la chaìne “ apennine jusque dans les Abruzzes (Q ». Bei tempi quelli per la stratigrafia dell’ Appennino ! Ma allora si camminava molto e si scriveva poco, proprio l’opposto di quello che si fa, in generale, adesso. Allora una schiera di illustri geologi fondò la nostra stratigrafia; ora, soventi, si confonde quello che essi avevano già benissimo scevrato e stabilito. Dall’ aurea Memoria, ora citata, che non ha perduto di im- portanza dopo 42 anni e che io non esito a collocare fra le più importanti sulla stratigrafia dell’ Appennino, si apprendono molte cose e cioè : a) Che gli eminenti geologi Spada ed Orsini già avevano stabilito le grandi linee della vera stratigrafia dei terreni del flysch dell' Appennino centrale, ossia dei terreni che vanno dalla creta superiore a tutto Yeocene, paragonandoli giustamente coi coevi della Toscana, del Bolognese ecc. ; fatta eccezione della posizione del macigno , che sta sopra e non sotto al calcare nummulitico (gra- nitello ), subendo in questa parte, come ho già fatto notare altrove (2) l’ influenza delle conclusioni errate dell’ illustre Murchison. b ) Che le rocce schistose, intercalate coi calcari e colle arenarie (pietra forte, psammite , macigno ) del flysch e che costi- tuiscono la creta superiore e la parte inferiore dell’eocene dell’ Ap- pennino sono schisti argillosi ossia veri e proprii galestri. c) Finalmente che la costituzione e stratigrafia del flysch dell’ Appennino centrale sono perfettamente identiche, come era prevedibile, a quelle del rimanente dell’ Appennino. Quanto ho sopra esposto è convalidato dalle osservazioni di un altro eminente geologo. (’) Spada ed Orsini, op. cit., pag. 1211-12. (2) Trabucco G., Sulla posizione ed età delle argille galestrine e sca. gliose del flysch e delle serpentine terziarie dell' Appennino settentrionale (Mem. prelim.), Firenze, 1° luglio 1896, p. 12. 182 G. TRABUCCO, SULLA SINONIMIA DEL VOCABOLO SCAGLIA Infatti lo Scarabelli (') scrive: « Stratificazioni identiche ar- « gillose si vedono anche sotto Sartiano presso Mercatino sul Ma- « recchia e sono ivi superiormente a calcari fucitici e vi ricordano, « come negli altri luoghi, oltre agli scisti veri galestrini, anche « quelli paonazzi e verdi cretacei dell’ Urbinate, i quali, come « dicono lo Spada e 1’ Orsini (2), fanno seguito al calcare carnicino « ed in altri luoghi sono sottoposti al calcare nummulitico. « Un calcaire tendre, à cassure irrégulière et terreuse, d'un « rougeàtre foncé à l’extérieur, va graduellement se confondre, par « une suite de changements lithologiqu.es avec me grande masse « de schistes marneux d’un rouge de brique, et très semblables « aux marnes rouges du lias supérieur. Les schistes marneux rouges, « en s’élevant, deviennent bigarrés , verls, gris et rouges et puis « ils se colorent totalment en grisàtre et ils conservent cette « nuance jusqu’au contact du calcaire nummulitique. — E qui ognun « vede come queste parole siano eloquentissime sotto l’ aspetto « geologico, giacché, rappresentandoci ad evidenza la litologia e « stratigrafia delle masse cretacee superiori dell’ Urbinate e delle « Marche, avvalorano eziandio il mio concetto circa 1’ età ed ori- li gine delle argille scagliose , le quali da noi stanno veramente « a rappresentare gli schisti galestrini » . Si può quindi essere certi che la disposizione dell’ intiera serie cretacea superiore dell’ Appennino centrale (già così esattamente sta- bilita dai signori Spada ed Orsini) non tarderà ad essere confermata da altri studiosi. f) Scarabelli Gommi Flamini G., Descriz. delia carta geol. del ver- sante setterur. dell' Appennino, ecc. Forlì, 1880, p. 22. (2) Spada ed Orsini, op. cit., p. 1209. IL S1NEMURIAN0 NEGLI STRATI A TEREBRATULA ASPASIA MENEGHINI. Nota dell’ing. Tobia Morena. Nello spazio degli ultimi tre anni ho avuto la opportunità di fare minuziose osservazioni sulla zona inferiore degli strati a Tere- bratula Aspasia Mgh., giovandomi principalmente dello straordi- nario sviluppo dato all’ esercizio della cava di Pontalto, nel clas- sico passo delle Foci, che s’ apre, da Cantiano a Cagli, attraverso alla lunga elissoide Catria-Monte Nerone. La raccolta dei fossili fu diligentemente ordinata secondo un concetto sistematico, al duplice intento, di riconoscere il vero limite tra Lias medio ed inferiore, e di osservare possibilmente le mi- nime variazioni alle quali le forme andarono soggette nel tempo. E così la sezione della cava fu divisa in piccoli gruppi di strati in ordine discendente, secondo V ordine progressivo dato ai lavori, traendo profitto della presenza degli strati del marmatone ( Crinoidenkalk ) i quali si alternano a brevi altezze con gli strati della corniola (calcare compatto, a frattura concoide, selcifero e fer- ruginoso), sono di un numero determinato, di varia potenza, e si distinguono individualmente anche per certe differenze litologiche. Ne segue che gli esemplari di ogni specie sono classificati nella mia collezione secondo l’assoluta posizione verticale che essi occupavano nello spazio, e che la loro precisa provenienza si può riscontrare in ogni tempo, o col sussidio dei rilievi, od anche con la semplice numerazione degli strati a crinoidi. I risultati di questa analisi spinta sino alle minime partico- larità si prestano ancora a delle considerazioni attorno alle condi- zioni di vita di certe specie, la cui presenza saltuaria è legata al- l’ alternativo mutamento della natura del materiale. 184 T. MORENA Tutto il giacimento esplorato, che ha una potenza di m. 30, si mantiene a facies di brachiopodi, i quali negli strati più pro- fondi presentano, in genere, un meschino sviluppo, e superiormente assumono, colla età, dimensioni sinora non osservate. Il dominio spetta a quattro delle specie illustrate dallo Zittel, Tenebratala cerasulum , Rhynchonella retr orticaia, Rkyn.pisoides , Rhyn. Mariottiif ), forme che talvolta accantonate contribuiscono alla roccia il carattere di una vera lumachella. Gli echinodermi sono principalmente rappresentati dalla classe dei crinoidi, i quali si trovano nel marmarone in quantità così enorme d’ individui, che gli articoli spatizzati dei loro peduncoli costituiscono quasi per intero quella roccia. Tutti gli altri tipi animali vi sono relativamente rari, anche per numero d’ individui, quando si osservi che la mia raccolta de- riva da attive ricerche durante il movimento di circa centomila metri cubi di materiale. Indagini che avevano preceduto l'apertura della cava di Pon- talto mi facevano già supporre che, nel nostro Apennino, il Lias inferiore non si chiudesse col calcare massiccio, ma che il vero limite se ne dovesse piuttosto ricercare per mezzo agli strati a Terebratula Aspasia. Queste mie previsioni ebbero una prima conferma coll’ appa- rire di alcune forme di brachiopodi che si presentavano con carat- tere piuttosto antico, e con affinità alla fauna di Hierlatz. Poi seguì la scoperta di generi e specie nuovissime per 1’ Apen- nino, fra cui notevoli diverse ammoniti spiccatamente caratteristiche del Sinemuriano superiore, ed una del Sinemuriano inferiore. Le ammonidee proprie del Charmoutiano fecero la loro prima comparsa negli strati supremi della corniola , dopo perdute le ultime traccio del calcare a crinoidi. Notevole è il fatto che alcuni dei brachiopodi, sinora citati, solamente nel Charmoutiano, si trovino accompagnare le specie proprie del Sinemuriano, ma ciò nuli’ altro prova che la grande persi- stenza di quelle forme, e quindi il debole valore cronologico che spesso rappresentano i brachiopodi. (l) Geologiche Beobachtungen aus den Central-Apenninen. Miinchen 1869, pag. 37. 40. 41. IL SINEMURIANO NEGLI STRATI ECC. 185 E pertanto può asserirsi sin da ora che il problema principale abbia avuto la sua piena soluzione, perchè 1’ ordinamento dato alla raccolta mi mette in grado di fissare il limite cercato, ed anche di assegnare il punto di passaggio tra le due zone del Sinemuriano, e perchè il nuovo riferimento è pure favorito dalla presenza di un vero rappresentante litologico. Elementi questi che abbastanza in- teressano per la cronologia stratigrafica della serie mesozoica costi- tuente 1’ Appennino centrale. Dobbiamo piuttosto concludere che il Sinemuriano superiore di questa parte dell’Appennino centrale, per la frequenza dei bra- chiopodi, s’avvicina a quello di Sicilia, in confronto al Sinemu- riano di Spezia, delle Alpi Apuane e di altre località d’ Italia. La sintesi di queste pazienti ricerche, ed il dettagliato studio stratigrafico sarà presentato ad escavazioni compiute, unitamente alla illustrazione delle nuove specie, se non mi verrà meno 1’ am- bito favore di dotti colleghi i quali mi furono ben larghi dell’ opera loro nella determinazione della fauna. Ed intanto mi limito a comunicare un primo elenco della mia collezione : Cephalopoda. » cfr. semistriatus (D’Orb.) Alractit.es orthoceropsi.s (Mgh.) Nautilus araris (Dum.) Discoceras cfr. Arnouldi (Dum.) Asteroceras stellare (Sow.) Arnioceras geometricum (Opp.) Oxynoticeras aballoense (D’Orb.) Schlolheima boucaultiana (D’Orb.) Arietites \lyra (Hyatt.)] » Semilaeve (V. Han.) » ceratitoide (Quenst.) Lytoceras hierlatzicum Gey.) » f. (cfr. Cicloc. subarieti- forme, Futter). Ectocentrites Morenai n. f. (Bonar. ms.) Gasteropoda. Scuzziopsis altissima (Gemm.) Chemnitzia [ Zygopleura ] sp. ind. Scaevola cfr. liotiopsis (Gemm.) Pelecypoda. » sp. ind. Plagiostoma gigantea (Sow.) in Par. Ostrea cfr. irregularis (Mlinst.) Pecten sp. ind. Avicula ( Oxitoma. ) sinemuriensis » punctata (Sow.) in Par. Pecten hehli (D’Orb.) (D’Orb). Cardinia sp. 186 T. MORENA, IL SINEMURIANO NEGLI STRATI ECC. Brachiopoda. Terebratula cerasulum (Zitt.) » cfr. rudis (Gemili.) » cfr. Taramellii (Gemm.) » catriana n. f. (Can. ms.) * spkenoidalis (Mgh.) » cfr. juvavica (Geyer) « punctata (Sow.) » ( Pygope ) Aspasia (Mgh.) » ( Pygope ) rheurnatica (Can.) Waldheimia ? Bonarellii n. sp. (Can. ms.) Waldheimia ( Zeilleria ) Piazzii (Gem.) » venusta (Uhi.) n mutabihs (Opp.) in Zuc. » Morenai n. sp. (Can. ms.) » cfr. Encjelardti (Opp. in Gemm. » n. f. (Can. ms.) » sp. ind. Spiriferina anyulata (Opp.) n rostrata (Schloth) n cantianensis (Can.) Rhynchonella Mariottii (Zitt.) n pisoides (Zitt.) » retroplicata (Zitt.) » Paolii (Can.) » Paolii (Can.) var. depressa » variabilis (Schl.) otto forme distinte » cfr. Briseis (Gemm.) » cfr. Cianii (Fuc.) » pacatissima (Quenst. v. Geyer » Zitteli (Gemm.) » cfr./V«ffsi(App.) in Can. non Zitt. ti pedini formis (Can.) n Sordellii (Par.) Echinoidea. Cydaris rhopalophora (Zitt.) Gydaris filogranoides (Mgh.) (>). n cfr. laevis (Can.) Piademopsis ? sp. (■) Forma rimasta inedita, e che è descritta in un autografo del Mene- ghini che io conservo. [24 giugno 1897 J SOPRA ALCUNI DENTI FOSSILI DI MAMMIFERI (UNGULATI) RINVENUTI NELLE GHIAIE ALLUVIONALI DEI DINTORNI DI ROMA Nota del prof. Romolo Meli Presento alla Società Geologica italiana (adunanza 7 marzo 1897 in Roma) un bel molare di Elephas (Euelephas) antiquus Falc., tro- vato nelle ghiaie d’alluvione, frammiste a materiali vulcanici, della valle dell’Aniene, le quali giacciono sopra il banco di tufo litoide, che si escava alla Sedia del Diavolo presso la via Nomentana, al 3° km. da Roma. Questo deposito di ghiaie, riguardato come chelleano e mou- stieriano, è ben conosciuto per i numerosi resti di mammiferi fossil (ossa e denti isolati, più o meno consunti per la fluitazione), che vi si estrassero specialmente nell’ ultimo quarto di secolo. Ebbi occa- sione di parlarne più volte nei miei precedenti scritti (Q. Il dente fu ritrovato alla quota di circa 36m sul livello del mare. È un ultimo vero molare, superiore, sinistro, molto bene con- servato anche nelle piccole diramazioni della radice. È uno dei mi- gliori molari superiori, isolati, che io abbia veduto tra i molti denti elefantini raccolti nella nostra provincia. Misura: una lunghezza di nani. 210, valutata sulla superficie triturante. La lunghezza massima del molare, misurata dalla la lamina consumata al tallone poste- riore del dente, ma in una direzione obliqua rispetto alla superficie (9 Meli R., Ulteriori notizie ed osservazioni sui resti fossili rinvenuti nei tufi vulcanici della provincia di Roma. Nel Boll. d. R. Corait. Geolog., 1882, li. 9-12; vedi pag. 367 e tav. Ili; Meli R , Sopra alcune ossa fossili rinvenute nelle ghiaie alluvionali presso la via Nomentana al 3° chilom. da Roma. Nel Boll. d. R. Comit. Geolog., 1886, n. 7-8; Meli R., Sopra una zanna a doppia curvatura rinvenuta nelle ghiaie d' alluvione dell' Aniene alla Bat- teria Nomentana presso Roma. Boll. d. Soc. Geolog. it. voi. XIII, 1894, fase. 1", pag. 12 a 15. Cfr. ancora : Clerici E., Sopra alcune formazioni quaternarie dei dintorni di Roma. Nel Boll. d. R. Com. Geo!., 1885, nn . 11-12 (ved. pag. 378). 188 K. MELI triturante, sarebbe di mm. 270. Ha una larghezza massima di mm. 77, presa nel 6° mammellone consumato, contando dalla parte anteriore del dente, ed una altezza massima di mm. 200, nel 12mo mammellone, non consumato. Presenta 15 lamine, o mammelloni, oltre il tallone posteriore. Le prime 11 lamine sono, successiva- mente, sempre meno consumate ; ma la la lamina, o mammellone, è parzialmente scomparso. La strettezza del molare in paragone della sua larghezza e del suo spessore ; la grande altezza delle lamine ; il numero di esse, non lasciano dubbio che si tratti di un vero molare superiore di E. an- tiquus , che è la specie più frequentemente riscontrata nei terreni quaternari dei dintorni di Roma. Peraltro, se il complesso degli accennati caratteri conviene con quelli dati dal Falconer (1868), Lortet e Chantre (1873-75), Leith Adams (1877-81), Pohlig (1884, 1888), Weithofer (1890, 1893), Tuccimei(1891), Gaudry (1894), ecc., come distintivi per i molari di E. antiquus, pur tuttavia le se- zioni, risultanti dal logoramento di ciascuna lamina, dette dal Weithofer dischi ( Mar/cen ted. ; discs of icear ingl.), presentano alcune particolarità, che, unitamente alla distanza fra loro, allo spessore delle tavole di cemento e di dentina, farebbero ravvicinare il suddetto molare all' E. primigenius Blum. Difatti i dischi non avrebbero una tìgura romboidale, lo che è uno dei caratteri distintivi indicati dal Falconer per 1’ E. an- tiquus ('), ma tenderebbero ad essere quasi rettangolari, carattere segnato dal Cuvier per i molari dell' E. primigenius « lamellis molarium tenuibus, rectis » (2). Offrirebbe quindi una forma di passaggio dell’ E. antiquus verso F E. primigenius ed è appunto per questo motivo che ho voluto mostrarlo nella predetta adunanza generale della Società Geologica italiana (3). (*) (*) Falconer H., Palaeontolog. memoirs and notes. Voi. II, 1868, pag. 176. (2) Cuvier G., Mém. de VInstitut. l.rU Classe, Tom. II, 1806. (3) Pohlig descrisse VElephas trogontherii, fondandolo sopra molari rin- venuti nel quaternario europeo. La specie è intermedia zoologicamente e geo- logicamente, tra VE. primigenius e VE. meridionalis. Inoltre, queste due ultime specie sono direttamente collegate, per la craniologia e per la dentizione dall’ E. trogontherii. I molari dell’A trogontherii s’avvicinano a quelli dell’A. antiquus per il numero delle lamine, ma ne differiscono per la forma della SOPRA ALCUNI DENTI FOSSILI ECC. 189 Il suddetto molare fu da me acquistato per la mia collezione di fossili dei dintorni di Roma. Ho pure comperato per la mia raccolta un bel premolare superiore sinistro di Equus cabalius Linn. ritrovato nelle ghiaie alluvionali della valle del Tevere, a Melafumo sulla via Flaminia, poco oltre il 3° km. da Roma. Queste ghiaie contengono materiali vulcanici e sono sincrone alle altre, sopramenzionate, della Sedia del Diavolo. Il dente è completo e spetta ad un individuo ben adulto, giacché è assai consumato sulla faccia triturante. Presento finalmente un altro dente, rinvenuto in alcune esca- vazioni, eseguite, tempo indietro, alla Magliana sulla via Portuense. È un ultimo molare inferiore destro di Hippopotamus ( Tetrapro- tocLon) major Cuv. (*), specie, che da alcuni paleontologi è oggi corona (Pohlig H., On thè pliocene of Maragha, Persia and its resemblance to thè Pikermi in Greece; on fossil elephant remains of Caucasia and Persia; and on thè results of a monograph of thè fossil elephanls of Ger- many and Italy. Nel Quarterly Journal of Ihe Geolog. Soc., May 1886. Ved. pag. 181, n. 6. Ved. ancora: Sopra una monografìa degli elefanti, fossili della Germania e dell'Italia. Nel Boll. d. Soc. geol. ital., voi. V, 1886, fase. 3°, pag. 414, n. 6. 0) Come è noto, Cuvier (Annal. Mus., tom. V, pag. 99, tav. IX e X; e Recherches sur les ossements fossiles, 4.m0 édit., v<4. II), fece del grande ippopotamo fossile una specie distinta dall’ attuale, vivente nel Nilo, e la chiamò IL major (= IL. maximus Fisch = IL magnus Costa). Con tale nome e come specie distinta dall’//, amphibius fu citata da molti autori. Tra questi ricordo solamente : Croizet et Jobert, Recherches sur les ^ ossem. foss. du départem. du Pvy-de-Dome, pag. 142-143. IL G. Bronn's Lethaea geognostica (3a edizione aumentata da H. G. Broun e F. Roemer) 1853-56. Ved. voi. Ili, pag. 887-888, ove trovasi una lunga bibliografia su questa specie, alla quale rimando il lettore. Dawkins Boyd W., and Sanford Ayshford W., The British pleistocene mammalia (Palaeont. Society), parte I (1864), Introduction, pag. XXVIII; parte III (1869), pag. 157. Macchia C., Resti fossili d' ippopotamo trovati presso Ortona. Chicli, 1876, in 8° con 5 tavole. Estr. dal Bollettino del Club Alpino Italiano, voi. X, n. 26, 1876, 2° trimestre, pag. 138-144. Le tav. tro valisi soltanto nell’estratto. Pomel. A., Ossem. d'élèph. et d'hippopot. découv. dans une station pré- hist. de la piaine d'Eghis près d'Oran (Bull, de la Soc. Géol. de Franco, 3 m0 serie, tom. VII). Quenstedt Fr. Aug , Ilandbuch der Petrefaktenkunde <,3a edizione), 1885 pag. 83-84. Neumayr M., Erdgeschichte (la edizione), 1887, voi. II, pag. 457, 552, ecc. 190 ’r. meli riguardata come una varietà dell’ H. amphibius Linn. e perciò deter- minata col nome di Hippopotamus amphibius Linn., var. major Cuv. ('). Il dente mi fu gentilmente dato in comunicazione dal nostro Socio prof. A. Carniccio, il quale lo ebbe da un operaio, e nell’ anno decorso, 1896, ne fece argomento di una interessante Nota da lui letta alla Società Romana per gli studi zoologici, di cui è Presi- dente (-). Essendosi in un recente libro manifestata 1’ erronea opi- nione, che questo dente di ippopotamo non sia fossile, contraria- mente a quanto giudicarono finora tutti i zoologi e paleontologi, che lo esaminarono (3), io prego i Colleghi qui presenti e segnatamente * (*) Omboni G., Denti d' ippopotamo da aggiungersi alla fauna foss. del Veneto. Nelle Memorie del E. Ist. Veneto di se., lett. ed arti, voi. XXI, 1880. Flores E., Catalogo dei mammiferi foss. dell'Italia merid. continen- tale. Atti Accad. Pontaniana, voi. XXV, 1895. Vedasi ancora per la specie vivente: Schmidt 0., Les mammifércs et leurs ancétres géologiques. Paris, 1887, pag. 117-119. (fi Capellini G., Breccia ossifera della caverna di Santa Teresa nel lato orientale del golfo di Spezia. Bologna, 1879 (Eslr. d. serie 3a, tom. X, delle Meni, dell’ Accad. d. Se. dell’ Ist. di Bologna, 1879. Ved. pag. 229). — Ziltel K., Ilandbuch d. Palaeont., I. Abtheil. Palaeozoologie. Voi. IV (1893). Vedasi pag. 347. — Boyd Dawkins W. e Ayshford Sandford W., fin dal 1866, scrivevano : « The difference between tlie dentiti n of Ilipp. major, as coni- li pared with thè closely allied species IL amphibius Linn., is very stnall » (The British pleist. Mammalia. Part. I. Introduction, pag. XXVIII. Nella Palaeontographical Society, voi. XVIII, 1864). — Gaudry, Blainville, ecc. (*) Boll. d. Soc. Eomana per gli studi zoologici, anno IV, 1895, voi. IV, n. Ili e IV. Ved. Resoconto della seduta 12 giugno 1895, alla pag. 214. (3) Possedendo nella mia privata biblioteca soltanto il I volume del la- voro in parola, edito nel 1893, gentilmente presentatomi da un amico, ho dovuto rivolgermi alla cortesia del eh. prof. Carruccio, per avere la trascri- zione del brano relativo al molare d’ippopotamo della Magliana. L'autore, nel volume II (1896) alla pag. 39, in una nota aggiunta du- rante la stampa, scrive: « Il prof. Carruccio in questa primavera 1895 mi « mostrò un grosso ultimo molare d’ippopotamo, fornitogli da un contadino che « asserì averlo egli stesso, parecchi anni sono, scavato alla Magliana. Non posso « però tacere i dubbi che esternai al collega, a proposito della fossilità del- « l’oggetto in questione; dubbi cosi forti allora come adesso; dubbi basati « sull’aspetto del dente, che io non esiterei come non esitai allora, a ritenere « come provenienti da un animale vissuto in epoca storica. Questo dente fu « presentato in una adunanza di giugno 1895 alla Società Romana per gli studi « zoologici e provocò osservazioni del prof. Meli sulle quali non posso dare SOPRA ALCUNI DENTI FOSSILI ECO. 191 coloro, che si fossero occupati di denti fossili, di volerlo attenta- mente osservare e di decidere se si tratti, o no, di un dente fossile. Per me, io credo che non sia possibile di dubitare minima- mente che il dente presentatovi sia fossile. La facies del dente, il suo colore nero, intenso nelle radici ed in gran parte della co- rona, le rotture ed il logoramento del dente nelle radici, il forte peso specifico presentato dal dente, la durezza, che ha la dentina, i resti di roccia aderenti nelle cavità delle radici e lo stato ma- nifesto di fossilizzazione del dente dimostrano all’ evidenza che si ha che fare con un molare fossile, riferibile all'//, major Cuv., o, se si vuole, all ' H. amphibius Linn., var. major Cuv. (1). * (*) “ alcuna contezza nou essendo ancora (dicembre 1895) state fatte pubbliche » . Devo poi dichiarare che nella accennata seduta della Società Romana io presi la parola, non già per muovere dubbi o per fare osservazioni sulla fossilità del dente, ma soltanto per fornire notizie sulla geologia dei terreni circostanti alla stazione ferroviaria della Magliana e per esprimere la mia opinione, che cioè, il dente dovesse essere stato rinvenuto, invece che nelle ghiaie villa- franchiane senza detriti di minerali e roccie vulcaniche, piuttosto in quelle alluvionali frammiste a materiali vulcanici, le quali sono sulla destra del Tevere, al monte delle Piche. Io non misi mai in dubbio la fossilità di quel dente. (*) Un molare di ippopotamo, fossile forse di qualche località del Ve- ronese, è grossolanamente figurato alla pag. 122 (figura in alto, a sinistra) delle Note ovvero Memorie del Museo del conte Lodovico Moscardo. Pa- dova, Paolo Frambotto, 1656, in 4° (altra edizione con aggiunta della 2a parte, Verona, Andrea Rossi, 1672) ed è posto innanzi al capitolo LXVH, che tratta dei giganti. Quantunque sia rudemente disegnato, pur tuttavia nella figura citata è riconoscibile un ultimo molare di ippopotamo, assai logorato sulla faccia triturante, essendo scomparse le sommità delle colline o mam- melloni del dente, e non vedendosene che i dischi di consumo basali. Non sembrami che tale figura sia stata fiuora citata. Dell’ ippopotamo si parla brevemente alla pag. 244. Nella stessa opera, alla pag. 144, sono pure figurate due ascie di pietra levigate, date come pietre da saetta, secondo la credenza di quel tempo. Le due ascie erano in pietra « di color verde oscuro, che nel nero ver- “•deggia, e la parte più larga è acuta e quasi tagliente, e durissima, e fa « gran copia di fuoco se col ferro vien percossa » (pag. 146). Da queste parole del Moscardo si può dedurre che le indicate accette dovevano essere di Giadeite, o sostanze analoghe ( Nefrite , Cloromelanite, Saussurite, od anche Afanite, ecc.). Tre cuspidi di freeie con una bella punta di lancia in pietra focaia, ri- feribili all’età della pietra neolitica, trovansi pure figurate alla pag. 148, e descritte come pietre ceraunie. Finalmente alla pag. 305 sono dati due Paalstab in bronzo. 192 'R. meli Tale specie fu poi ripetute volte trovata allo stato fossile nei dintorni di Roma e sua provincia. « Difatti Cuvier, Pianciani, Ponzi, Ceselli ('), Rusconi, Pent- land, De Blainville, Indes, Bleicher, Gervais, Yiale-Prelà, vom Rath, Mantovani, Terrigi, Clerici, De Rossi, Tuccimei, ecc. tutti fanno parola di resti fossili d’ ippopotamo nella nostra provincia. Anche io ne citai in parecchie mie Memorie, come provenienti da varie località romane [ghiaie della sponda sinistra dell’ Aniene alla Bat- teria Nomentana (1886), breccia ossifera della cava della Catena presso Terracina (1895), ghiaie sulla riva destra del Tevere a Me- lafumo presso Ponte Molle (1896), ecc.]. Entro la città stessa di Roma rinvenni un bel molare di H. major , infisso in un pezzo di osso mascellare, nelle marne turchiniccie d’acqua dolce, incontrate a 5 metri sotto il piano stradale, presso la chiesa di s. Silvestro, quando si eseguivano gli scavi per la fogna lungo la via del Qui- rinale vicino all’ incontro di questa colla via Nazionale, verso il piazzale di via Magnanapoli. Altri resti di ippopotamo (frammenti di molare ed ossa diverse) furono pure estratti dalle manie d’ acqua dolce del Quirinale, incontrate nelle fondazioni del Palazzo della Banca Nazionale (2). Per il copioso materiale in ossa e denti fossili dei dintorni di Roma, che ho avuto occasione di vedere, di acquistare, o di studiare in questi ultimi venti anni, parmi che i denti di ippopo- tamo, quantunque non rari, sieno pure alquanto meno frequenti (*) (*) Ceselli segnerebbe nelle ghiaie d'alluvione quaternarie del Tevere e dell' Aniene tre specie di ippopotami (H. major, medius e minutus). [Cfr. Ce- selli L., Stromenti in silice della prima epoca della pietra della Campagna Romana. Lettera. Roma, 1866, in 8° con tav. Ved. pag. 7. Vedasi ancora: Correspondance de Rome, 4 mai 1867]. Il Ceselli, oltre le tre specie sopra segnate, fece anche un’altra nuova specie di Hippopotanus dactyliotus (Cor- rispondenza scientifica in Roma, voi. Vili, n. 13, settembre 1872, pag. 113-115). Ma, le determinazioni del Ceselli, come già fu osservato da altri (Clerici E., Sopra alcune specie di felini della caverna al monte delle Gioie. Boll. R. Com. geol., n. 5-6, 1888, pag. 21 ; Clerici E., Sul Cast or fiber, sull'Ele- phas meridionalis e sul periodo glaciale nei dintorni di Roma. Boll, d. Soc. geol. ital., voi. X. 1891, fase. 3°, alla pag. 8) sono poco attendibili ed hanno bisogno di revisione. (2) Il molare ed i resti d’ippopotamo rinvenuti nelle marne del Quiri- nale, furono allora da me procurati al Gabinetto di Geologia della R. Uni- versità di Roma. SOPRA. ALCUNI DENTI FOSSILI ECC. 193 dei denti di rinoceronte. Difatti, nel Gabinetto di Geologia del R. Istituto Tecnico di Roma, sono consertati una venticinquina di molari di rinoceronte, più o meno frammentari, più o meno logo- rati, tutti delle ghiaie dei dintorni di Roma, ma non vi si trovano che due soli canini, entrambi inferiori destri, con un frammento di costola, di ippopotamo. Così, anche nel Gabinetto di Geologia applicata della R. Scuola degli Ingegneri di Roma e nella mia privata collezione di fossili, trovansi parecchi molari di rinoceronte, provenienti dai dintorni di Roma, ma sono scarsi quelli di ippo- potamo. Peraltro, nel Museo di Geologia dell’ Università si am- mirano parecchie zanne, alcuni molari e premolari ed ossa diverse di ippopotamo dei dintorni di Roma, nonché le ossa mascellari e mandibolari con la serie di denti in sita spettanti ad un ippo- potamo, rinvenuto sotto il paese di Vallinfreda nel bacino del Tu- rano, sul confine orientale della provincia di Roma, il quale esem- plare è ricordato più volte anche dal Ponzi ('). La località della Magliana è inoltre ben cognita ai paleon- tologi per i resti fossili di mammiferi e specialmente per gli inte- ressanti molari di elefante, che vi si rinvennero. Falconer fin dal 1859 esaminò un « superbo esemplare » di mandibola, nei suoi rami destro e sinistro, di Elephas antiquus , ivi scoperto nel taglio della ferrovia da Roma a Civitavecchia (2). Di questo esemplare fa pure menzione Leith-Adams nella sua monografia degli elefanti fossili inglesi (3). Alla Magliana, ed a Campo di Merlo, che è nei pressi della Magliana, si rinvennero pure i due molari di Elephas meridio- nalis Nesti, citati dal Weithofer (1890, 1893), e descritti dal Tuc- cimei (1891). Però questi due molari provengono dalle ghiaie senza materiali vulcanici. Invece dalle ghiaie con minerali e roccie vul- caniche, che sono nella trincea ferroviaria del monte delle Piche, io ed il prof. Clerici raccogliemmo, in una peregrinazione fattavi nel 1891, parecchie ossa e denti di Rhinoceros, Ilyaena, non che I1) Ponzi G., Le ossa fossili sub apennine dei dintorni di Roma. Atti d. R Accad. dei Lincei, serie 3a. Mena. d. Classe di se. fis. mat. enat., voi. II, (ved. pag. 23 dell’ estr.). (2) Falconer H., Palaeontolog. m.em. (op. cit.), Voi. II, pag. 185. (3) Leith Adams A., Monogr. on thè brit. foss. elefants. Part I. ( Den - tition and osteol. of Elephas antiquus ) , pag. 41-42. 194 R. MELI, SOPRA ALCUNI DENTI FOSSILI ECC. porzione di cranio di Lepus. Così ancora, da consimili ghiaie con materiali vulcanici proviene uno dei due canini, entrambi inferiori destri d’ ippopotamo, che ho detto trovarsi nel Gabinetto di Geo- logia del R. Istituto Tecnico. Questo dente fu raccolto dall’ ing. Frane. Degli Abbati, molti anni indietro, presso Macca rese, in una collina, la quale venne spianata, per usarne le ghiaie nel servizio ferro- viario, come mi narrò il suddetto ingegnere. Anche Pentland (') parla di ossa elefantine scavate alla Ma- gliana. Messa così fuori di questione la fossilità del molare d’ ip- popotamo — e ciò per la sua facies , per l’ innegabile stato di fos- silizzazione, riconosciuto dall’ unanime e competente parere di tutti coloro che interpellai in proposito (2) — tenuto conto che, la specie si rinviene fossile, e non raramente, nei dintorni di Roma, e che infine la località della Magliana è già nota per i resti di mam- miferi fossili ritrovativi: io ritengo che il dente in parola possa provenire dai terreni d’ alluvione, riscontrati nella trincea del monte delle Piche, presso la stazione ferroviaria della Magliana, sulla quale sezione il Ponzi pubblicò già una sua Nota fin dal 1858 (3). Il fatto poi che, circa il 1890, si dovette tagliare ed am- pliare la predetta trincea per il collocamento del doppio binario della ferrovia, verrebbe a confermare sempre più che il molare dell' ippopotamo siasi trovato negli strati alluvionali del Monte delle Piche. [30 giugno 1897] (*) (*) Pcntland J. B., On tlie geologi / of thè country ahout Rome in Handbook of Rome, 1859. Alla pag. 6 (estr.) citatisi resti fossili d’elefante, trovati nel taglio ferroviario al Monte delle Piche, presso la Magliana. (2) Il molare fu sottoposto al giudizio dei professori: Bassanì, Capellini, Corruccio, Clerici, Di Stefano, Neviani, Pantanelli, Tuccimei e Vinciguerra, i quali tutti riconobbero trattarsi di un dente fossile. (3) Ponzi G., Sui lavori della strada ferrata di Civitavecchia da Ro ma alla Magliana. Negli Atti dell’Accad. pont. de’ Nuovi Lincei, sessione VII, 13 giugno 1858. Anche vom Rath dà notizie, evidentemente tolte dal Ponzi, del Monte delle Piche e della Magliana (Rath (vom) G, Geognost.-mineral. Fragmente aus Italien, I parte. Nei Zeitschrift. d. deutsch. geolog. Gesellsch., voi. XVIII, Berlin, 1866, pag. 495-496). AVVERTENZE Per far parte della Società occorre esser presentato da due soci in una Adu- nanza ordinaria, e pagare una tassa d’entrata di L. 5 e una tassa annua di L. 15. La tassa annua può essere sostituita dal pagamento di L. 200 per una sola volta. Ogni socio all’atto dell’ammissione si obbliga di restare nella Società per tre anni, al cessare dei quali l’impegno s’ intende rinnovato di anno in anno, se non venga denunziato tre mesi prima della scadenza. La tassa sociale annua di L. 15 deve essere pagata éntro i due primi mesi dell’ anno. I soci hanno diritto al Bollettino che si stampa in fascicoli trimestrali. Nel Bollettino si pubblicano le memorie presentate nelle Adunanze, insieme all’elenco ■dei soci, ai bilanci, ai resoconti delle Adunanze generali e delle escursioni. Le memorie che non vengono presentate in Adunanza generale saranno in- viate alla Presidenza, e per essa al Segretario : col visto del Presidente saranno trasmesse alla stampa secondo l’ordine di presentazione. Fino a nuova disposizione non si accettano le memorie che per estensione su- perino approssimativamente quattro fogli di stampa e quelle che fossero lavori di compilazione. Le note e comunicazioni da inserirsi nei resoconti delle adunanze non devono superare due pagine. I manoscritti dovranno consistere in fogli dello stesso formato, scritti da una sola parte, in caratteri intelligibili, senza di che la Presidenza potrà respingerli. I lavori scompleti, sia nel manoscritto, sia nelle tavole, non- possono essere presi in considerazione per la stampa. Una Memoria già presentata alla Società, e ritirata per modificarla o completarla, qualora non sia rinviata alla Segreteria entro 15 giorni, perde il suo turno per la stampa. Gli autori che domandano un sussidio per l 'esecuzione di carte geologiche, tavole o illustrazioni annesse alle loro memorie devono presentare un preventivo •della spesa totale sul quale la Presidenza determinerà caso per caso, secondo il bilancio sociale, se debba concedersi il concorso e in quale proporzione. La somma accordata sarà comunicata all’ autore, ed ogni spesa maggiore dovrà essere esclusi- vamente a carico di questo. Le prove delle tavole (anche di quelle che gli autori fanno eseguire a proprie -spese) debbono essere sottoposte al visto della Presidenza prima della tiratura. Di ciascuna memoria il Segretario spedirà all’autore, per la correzione, una prova in colonna, che dovrà essergli restituita al più tardi entro 15 giorni, e una in pagina, da restituirsi entro 8 giorni. Se le prove non saranno restituite nel termine prescritto, il Segretario s’in- •cariclierà d’ufficio della materiale correzione degli errori tipografici senza assumere alcuna responsabilità. Il Segretario prima di deliberare la stampa delle memorie si assicurerà che le correzioni indicate dagli autori siano state eseguite. Le spese straordinarie cagionate da correzioni maggiori del consueto, da cam- biamenti o rifusione di paragrafi, come pure la stampa di tavole sinottiche di formato maggiore del testo saranno addebitate agli autori* ed essi saranno in obbligo di pagarle al Segretario non appena ne abbiano ricevuto il relativo conto col visto del Presidente. Agli autori si dànno 50 copie degli estratti. Se l’autore intende far tirare estratti per conto proprio, deve indicare per iscritto sulla prima prova corretta della sua memoria il numero degli esemplari che ne desidera. Il prezzo di 50 in 50 copie, con copertina stampata ecc. sarà di L. 4 ogni foglio di pag. 16, e di L. 2 per ogni mezzo foglio o frazione di mezzo foglio. L’importo di questi estratti sarà indicato dal Segretario sulle bozze impagi- nate che l’autore pagherà all’Economo, prima che gli sieno spediti. A qualunque socio, il quale col 1° aprile dell’anno corrente si trovi ancora in arretrato pel pagamento della tassa sociale dovuta per l’anno precedente, sarà sen- z’altro sospeso l’ invio delle pubblicazioni della Società. La presentazione delle memorie e la stampa delle medesime non avrà corso se l’autore non avrà pagato la tassa dell’anno in corso o soddisfatto ogni altro impegno verso la Società. Per il pagamento della tassa d’entrata, della tassa annua e per l’acquisto dei volumi del Bollettino dirigere lettere e vaglia all'Economo cav. ing. Augusto Statuti, via dell’Anima, 17, Roma. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE 'NEL PRESENTE FASCICOLO Ufficio di Presidenza per Vanno 1897 Pag. iii Elenco dei Presidenti succedutisi annualmente dalla fondazionè della Società in poi ” tv- Elenco dei Soci per Vanno 1897 . * ivi Adunanza generale invernale della Società Geologica Italiana tenuta in Roma il 7 marzo 1897 » 1 Bogino F. I mammiferi fossili della torbiera di Trana (ta- vola I, II, III) 16 Stella A. Sullo sviluppo e indirizzo della Geologia applicata in Italia 55 De Angelus d' Ossat G. e Luzj G. F. I fossili dello Schlier di San Severino ( Marche ) ...» 61 Novarese V. Strati politici dei dintorni di Campagnatico e Paganico ( prov . di Grosseto) » 69 Franchi S. Sopra alcuni nuovi giacimenti di roccie a Lawso- nite » 73 Rovereto G. Sulla stratigrafia della Valle del Neva ( Liguria occidentale) » 77 Flores E. Sul sistema dentario del genere Anthr acothe- rium Cuv » 92 Matteucci R. V. Le rocce por finche dell’ isola d’ Elba (ta- vola IV, V) » 97 De Franchis F. Ricerche sui terreni del bacino di Galatina {prov. di Terra d’ Otranto) (t.av. VI) » 122 Rasetti G. E. Il monte Penerà di Valsesia. Studio geo-pa- leontologico (tav. VII) » 141 Trabucco G. Sulla sinonimia del vocabolo Scaglia {Zitte!) » 176 Morena T. Il Smemuriano negli strati a Terebratula Aspasia Meneghini 183 Meli R. Sopra alcuni denti fossili di mammiferi ( ungulati ) rinvenuti nelle ghiaie alluvionali dei dintorni di Roma. 187 Finito di stampare il 6 luglio 1897. Si prega no i soci, che non lo avessero fatto tuttora, di porsi al cor rente col pagamento delle quote. Il Bollettino (idi a Società Geologica Italiana ai stampa iu fascicoli trimestrali. Il Presidente responsàbile Dantjs Pantani;!. li. Anno XYI. Fascicolo 2° (2° e 3° trimestre 1897) BOLLETTINO DELLA ITALIANA Voi. XVI. — 1897. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1898 BOLLETTINO DELLA. SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Volumi finora pubblicati. / Voi. I (1882) 2 fase. 260 pag. 4 tavole. fi II (1883) 3 r—i CO R n 6 fi III (1884) 2 » 188 n una tavola. n IV (1885) un voi. 528 jì 19 tav. e 3 carte geologiche a colori. n V (1886)3 fase. 516 n 11 V a VI (1887) 4 « 570 w 18 li e una carta geologica a colori. n VII (1888) 3. » 430 TI 14 fi n fi fi fi n Vili (1889) 3 » 600 fi 3 fi fi n n fi n IX (1890) 3 « 826 n 25 fi fi fi fi fi r> X (1891) 5 » 1023 n 21 n e 2 carte geologiche a colori. n XI (1892) 3 « 702 n II fi n XII (1893) 4 » 892 T 7 n » XIII (1894) 3 « 317 '* r o * n XIV (1895) 2 » 324 fi 7 a n XV (1896) 5 « 802 fi 17 n I volumi I, II e III si vendono al prezzo -di L. 15 ciascuno, tutti gli altri a L. 20. Si accorda un ribasso a chi richiede parecchi volumi. Ai librai si accorda uno sconto da convenirsi. Ai soli soci che desiderano completare la collezione sono accordati i volumi arretrati al prezzo di L. 8 l’uuo indistintamente. Per L’acquisto dirigere lettere e vaglia all’ Economo cav. ing. Augusto Statuti j Via Nazionale 114 (palazzo Oapranica-Del Grillo). Roma. CENNI SULLE FORMAZIONI DELL’UMBRIA SETTENTRIONALE (>). Nota del Socio A. Verri. La sezione geologica qui unita che dal Trasimeno, passando per i monti mesozoici di Perugia, si dirige ai monti di Gubbio, mostra la vallata del Tevere compresa tra due catene formate da mezze anticlinali, colle faccie troncate volte dalla parte della valle. I secoli non hanno cancellate ancora, sulle pendici dei monti peru- gini, le tracce dello sfregamento delle masse allorché si costituì la grande depressione tiberina. Dai monti perugini andando al Trasimeno, eccetto poco mio- cene presso il monte mesozoico, si cammina sulle formazioni del- T eocene inferiore e medio. Invece andando verso Gubbio si cam- mina su formazioni mioceniche, da sotto le quali affiora T eocene superiore nella catena, che divide la conca di Gubbio dalla valle del Tevere. Nella valle del Tevere alla formazione miocenica si addossa il pliocene, ed i sedimenti di questo periodo si ritrovano nella conca di Gubbio. Nella faccia tronca dell’ anticlinale, che costruisce i monti addossati a Gubbio, la formazione mesozoica presenta la serie dai calcari rosati della creta ai calcari con fauna del periodo titonico. Invece nei monti perugini quella faccia presenta la serie dei cal- cari rosati della creta al trias superiore. Poste tra le ellissoidi della Toscana e la catena Apenninica, le ellissoidi Malbe, Tezio, Acuto, che spuntano tra le formazioni ter- (Q Questa Nota è stata presentata dopo che nell’ adunanza invernale venne prescelta Perugia a sede dell’adunanza estiva. (Nota del segr.). 14 196 ,A. VERRI ziarie dei moliti perugini, hanno comuni i tipi delle rocce coi due sistemi mesozoici. Masse potenti di calcari scuri con fauna del trias supe- riore e del lias inferiore, alter- nati con scisti di color bigio scuro, formano il nucleo del monte Malbe. In questo monte, nel punto segnato sulla carta topografica Forai di gesso, si trova compreso nella formazione suindicata gesso con struttura saccaroide. Sopra ai calcari scuri ven- gono alcuni strati di calcari bianchi ceroidi, simili a quelli che costituiscono le grandi mas- se del lias inferiore nell'Apen- nino centrale. La serie liasica seguita con calcari bigi di struttura granu- losa, che appartengono per dispo- sizione stratigrafica al lias me- dio, ma nei quali non ho tro- vato fossili; cogli scisti rossi e verdicci ricchi di ammonitidi del lias superiore. Sopra al lias superiore si hanno calcari e scisti selciosi, nei quali nemmeno ho trovato fossili ; ma identici a quelli con fauna giurese dell’Apennino. La creta è rappresentata al basso da calcari bigi che corri- sponderebbero al neocomiano ; da scisti policromi; e sopra da calcari rosati. I quali calcari, a CENNI SULLE FORMAZIONI DELL’UMBRIA SETTENTRIONALE 19? differenza degli apenninici, hanno proprietà di potere essere lavo- rati per uso di costruzione ed anche per marmi ordinari. Nell' Apennino le formazioni mesozoiche invece litologicamente mostrano questi tipi. Calcari bianchi ceroidi ricchi di fossili, rappresentano il trias superiore ed il lias inferiore, e verso 1’ Umbria meridionale il trias è rappresentato da calcari dolomitici e da dolomiti; calcari carni- cini e bigi ricchi di fossili rappresentano il lias medio; scisti rossi e verdicci ricchi di ammonitidi il lias superiore. Senza che la formazione cambi tipo d’ un salto, ma con sfu- matura graduata, dagli scisti del lias superiore si passa a calcari macchiati di rosso e verdiccio, pieni di nodosità che pure si tro- vano negli scisti liasici; da quei calcari a scisti selciosi rossi e verdi, che passano a scisti selciosi giallicci, eppoi a calcari gial- licci scistosi. Tutte le zone sono ricche di fossili, e lo studio della fauna ha fatto riferire il complesso della formazione al titonico; donde il problema sulla mancanza dei periodi giuresi intermedi. Dai calcari scistosi giallicci si passa al calcare bianco neo- comiano : da questo ad un calcare con fucoidi pure ricco di fos- sili; poi viene una fascia di scisti policromi. Sopra agli scisti cal- cari rosati, eppoi altri scisti rossi e verdicci, i quali hanno la carat- teristica dei calcari rosati di mostrare la loro struttura sparsa di puntini scuri. Le formazioni terziarie dell’ Umbria litologicamente mostrano nel complesso questi caratteri. Eocene inferiore. — Gli scisti soprastanti ai calcari rosati perdono la punteggiatura caratteristica e passano a scisti zonati di roseo e bigio. Man mano gli scisti rossi si perdono, e si viene ad una massa di scisti bigi, di banchi di rocce marnose con colore grigio chiaro, le quali 1’ azione meteorica decompone in scheggie. Sopra sta una zona di scisti rossi. La formazione dell’ eocene inferiore si estende molto ad ovest delle ellissoidi mesozoiche perugine ; qua e là affiora anche al piede degli altri monti mesozoici dell’ Umbria, perdendosi subito sotto altre formazioni. 198 .A. VERRI Eocene medio. — Sopra la zona caratteristica degli scisti rossi, la quale forse termina l’ eocene inferiore, incominciano ad interporsi tra gli scisti bigi falde arenacee. Succedono alternanze di banchi di scisti bigi e banchi di arenarie; zone con calcari e scisti policromi. Banchi di orbitoidi e di nummuliti intercalano in questo piano della formazione. L’ eocene medio è molto esteso ad ovest dei monti perugini sino alla Yaldichiana. Nella conca umbra ho trovato calcari bianchi con nummuliti solamente sulla pendice ovest del Sasso di Pale, allo sbocco della Yaltopina nella valle di Foligno. Eocene superiore. — L’ eocene superiore è composto da scisti e calcari policromi ricchi di piriti, e tra i quali sono comprese lenti ofiolitiche. Questa formazione è scoperta in più luoghi della catena di sinistra della valle del Tevere, dalla Yaltopina sino a Candeggio, verso Città di Castello. Affioramenti piccoli di eocene superiore si hanno presso Perugia nelle collinette di Prepo e Montemorcino vecchio ; nella valletta tra le colline di Prepo e di Perugia, presso la galleria di San Vetturino; attorno monte Pacciauo. In nessuno degli affioramenti del territorio di Perugia ho veduto in posto rocce ofiolitiche ; ma queste devono trovarsi a contatto del pliocene, perchè nelle masse di ciottolame ne ho trovati diverse volte i fram- menti, ed anche si vede un grosso blocco ofiolitico poco sopra al ponte Yalleceppi tra blocchi di arenaria. Miocene. — I terreni terziari dentro la conca umbra sono composti prevalentemente da banchi di scisti con colore bigio chiaro intramezzati da banchi di calcari arenacei, di arenarie, di brec- ciole, le quali rocce sono caratterizzate dall’ esservi sparse lamelle verdi. Tra gli scisti stanno falde zeppe di pteropodi ; i banchi delle arenarie e dei calcari arenacei sono impasti di sabbie e conchiglie - queste per lo più in frammenti - nelle quali prevale il genere pecten. È notevole che per lo più i banchi fossiliferi principali si trovano a contatto immediato coll’ eocene superiore, e talvolta i banchi sono formati da brecce con frammenti di ofioliti e di cal- cari dell’ eocene superiore. Nei monti di Deruta e Bevagna, che separano la valle del Tevere dalla conca di Foligno, posa sopra la formazione degli scisti con pteropodi una massa di ciottolame contenente calcari CENNI SULLE FORMAZIONI DELL’UMBRIA SETTENTRIONALE 199 scuri, graniti, porfidi, ecc. Salendo in questa formazione alternano banchi di ciottolame e banchi di arenarie. Sulla pendice del monte verso Deruta si hanno banchi di roccia calcarea e di brecce, cogli elementi del ciottolame della massa precedente e di calcari eocenici. Questi banchi contengono una fauna di aspetto più giovane delle altre, nella quale abbondaci genere peclunculus , e la quale credo che rappresenti 1’ ultimo periodo ma- rino della conca umbra. Pliocene. — I sedimenti pliocenici, che nella contigua Val di- chiana sono di natura marina, nella conca umbra sono composti da terreni litologicamente analoghi, ma contenenti fauna terrestre, d' acqua dolce, e qualche specie di acqua salmastra. In basso ar- gille; in alto sabbie gialle per lo più ricche di concrezioni cal- caree, banchi di ciottolame. Nel ciottolame dei banchi pliocenici del territorio perugino, agli elementi della formazione miocenica si mescolano calcari mar- nosi dell' eocene superiore, frammenti di otioliti, calcari nummu- litici. Mancano, per quanto ho potuto vedere, elementi di rocce mesozoiche, e parrebbe che queste non fossero ancora scoperte in quel periodo. Ho trovato un banco di ciottolame, contenente ele- menti terziari misti a mesozoici di tutti i piani, a sinistra della vailetta che divide la collina di Perugia da quella di Prepo, presso al cavalcavia della strada di Prepo ; ma, non rilegandosi ad altri della formazione pliocenica, giudicai quel banco un residuo di co- noide alluvionale posteriore. Confrontato il ciottolame pliocenico del Perugino con quello della Valuerina, nel quale esclusivamente si hanno elementi me- sozoici, benché anche nel bacino della -Nera si conservino tuttora in posto lembi di formazioni terziarie, appare la. differenza di tempo, in cui avvennero i sollevamenti dei sistemi montuosi del- l’Umbria. I depositi pliocenici descritti formano per la parte maggiore la collina di Perugia, e si estendono in modo vario sulle colline tiancheggianti la valle del Tevere; chiudono la conca di Foligno nella trincea attraversata dalla ferrovia; formano alcune colline lateralmente e nel fondo di questa conca; riempiono, almeno in parte, la conca di Gubbio. In questa conca (località segnata sulla carta Galvano) poco 200 A. VERRI, CENNI SULLE FORMAZIONI ECC. distante dalla stazione ferroviaria di Branca, si sono scavate li- gniti. Ricordo che tra i fossili di quel banco raccolsi le specie : Dreissena plebe j a Dubois Sphaerium priscum Eich. • Valvata piscinalis Muli. 11 quaternario antico è rappresentato specialmente dalla for- mazione dei travertini, che dal piede del monte Malbe si estende ad ovest di Perugia. Nella valletta di S. Maria di Cenerente si hanno depositi di una terra lina color cenere (donde il nome della contrada), la cui analisi fatta anni indietro dal prof. Trottarelli dette : Silice 0,94 Allumina 4,56 Fosfato tricalcico 0,17 Carbonato di magnesio ....... 8,98 Carbonato di calcio 82,17 a cosa è da attribuire la formazione di questa terra ? Li presso stanno grandi cave di gesso con struttura sacca- roide, eguale al gesso che si trova dentro la formazione dei cal- cari scuri del monte Malbe, ed i gessi di Cenerente sono pure a contatto di quei calcari. La formazione gessosa è inerente alla for- mazione triasica, ovvero è un prodotto di metamorfismo avvenuto durante il sollevamento ? Nell’ altipiano di Gualdo Tadino il quaternario è rappresen- tato da ammassi di sfasciume di scaglie mesozoiche; probabil- mente conseguenza dello sfregamento tra le formazioni nel solle- varsi dell’ Apennino. SOPRA ALCUNI FOSSILI RACCOLTI NEI COLLI FI ANCHEGGIANTI IL FIUME SaNTERNO NELLE VICINANZE d’ IMOLA Nota di Giuseppe Scarabelli Gommi Flamini e Lodovico Foresti. (Tav. Vili, IX) I. Stratigrafia. Quando nell’ anno 1854 io pubblicava la carta geologica della provincia di Ravenna unendovi pure un elenco sommario dei fos- sili del nostro pliocene (*) finivo coll’ osservare, che fra quei fos- sili si comprendevano tanto vere specie plioceniche quanto altre riguardate da taluni come mioceniche; talché nasceva in me il dubbio, si dovesse ancora attendere lungo tempo, prima di avere un catalogo esatto delle specie caratteristiche delle singole formazioni. Così fu adunque nello intento di affrettare se possibile la so- luzione di tali dubbiezze, se, d’ allora in poi, ripetendo ricerche di fossili ed osservazioni geologiche sull' Apenuino, poterono suc- cedersi alcune mie pubblicazioni. Una di queste, sulla Flora fos- sile e Geologia stratigrafica del Senigalliese (2) ; un’ altra, sui Gessi di una parte del versante nord-est dell’ Ape nnino (3) ; una terza infine, la Descrizione della carta geologica del versante settentrionale dell’ Apennino dal Montone alla Foglia (4). Colla prima, si illustravano le filliti delle gessaie sinigal- liesi, enumerandone pure gli altri fossili, fra cui i pesci, dimo- (>) Vedi Annali delle scienze naturali di Bologna, 1854. (2) Massalongo e Scarabelli. Imola, 1859. (3) Lettera di Scarabelli al prof. Domenico Santagata. Imola, tipografia Galeati. 1864. (4) Monografia statistica economica e amministrativa della provincia di Forlì. Scarabelli, Geologia, Forlì, 1880. 202 G. SCARABELLI GOMMI FLAMINI E L. FORESTI strando che quelle masse sottostanti al pliocene, dovevano riferirsi al miocene superiore, quantunque il Massalongo le ponesse nel pliocene inferiore. Colla seconda, si dimostrava 1' unità di forma- zione e di orizzonte degli strati gessosi da Ancona a Bologna, esponendo e chiarendo in pari tempo i motivi di errore pei quali, in passato, si potè credere il gesso sottostare ad argille scagliose. Finalmente colla terza (per quanto solo può interessare la presente Memoria) si precisarono le estensioni e gli andamenti delle stra- tificazioni gessose-soltìfere di Romagna, dimostrandole costituite in grandi e piccole lenti, pure talora mancanti, e disposte in discor- danza sui contorni esterni delle masse cretacee ed eoceniche, già sollevate in precedenza. Così, venne allora provata la sottogiacenza ai gessi di schisti argillosi contenenti pesci a Fonnignano e Mon- tevecchio; e la sostituzione di questi schisti ai gessi, a Mondaino e sue adiacenze ('). Infine, si constatava a Casanova Calisesi presso Sogliano, ed anche altrove, la sovrapposizione al gesso di un con- glomerato con sabbie ed argille associate a ligniti con fossili pre- pliocenici (2), cosicché con la scorta in parte del Pareto (:<), e di altre mie osservazioni, credei bene riunire queste alternanze di masse marine, di acqua dolce e salmastra, in un piano solo, cioè nel tortoniano, situato questo inferiormente al pliocene antico (pia- centino), e sopra le sabbie e molasse a Lucina pomum Desm. (lan- ghiano) miocene medio (4). P) In prova di questo fatto ho il piacere di aggiungere come due anni sono, visitando una cava di gesso a S. Angelo presso Sinigallia, avessi la buona ventura di osservare e raccogliere in posto schisti fogliacei bianchi con ittioliti eguali a quelli di Mondaino. In essi il collega Clerici vi osservava Diatomee marine come negli schisti di Mondaino. (2) Monografia succitata (Scarabelli, pag. 84 e seg.). E qui è bene os- servare, come in molti luoghi di questo versante di Apennino, le sabbie ed argille sovrastanti ai gessi, siano prive di fossili e di un aspetto tale, da sem- brare a prima giunta plioceniche; senonchè, sta in fatto, che solo al di sopra di esse riposano i veri depositi pliocenici conchigliferi. (3) Bull, de la Soc. géol. de France, 2me sèrie, voi. XXII, pag. 247. (4) Nel 7 settembre 1888 la Società geologica italiana visitando le vi- cinanze di Sogliano riconosceva per tortoniani i fossili di Casanova Calisesi sovrastanti ai gessi, ma in alcuni congressisti rimaneva il dubbio che ivi esi- stesse un rovesciamento stratigrafico. Ciò nonostante io persisto ancora nella mia opinione, cioè che non vi esista assolutamente alcun rovesciamento; il SOI'RA ALCUNI FOSSILI ECC. 203 Ora questa classificazione, che dirò complessiva, viene spe- cialmente suggerita dalla stessa forma lentoide delle dette alter- nanze, talora mancanti, ed anche Ira loro con variabili mutui rap- porti stratigrafici; le quali, a volerle pure ordinare secondo i luoghi, renderebbero sempre del tutto locale e non regionale quell’ ordi- namento geologico che per esse s’ intendesse stabilire. E qui anche la paleontologia non panni essere contraria alle mie conclusioni. Infatti in Ancona, al di sopra degli strati gessosi a filliti, si rin- venne oltre alle Congerie e piccoli Cardi , anche la Melanopsis Bonellii Sisrm, quella stessa citata da Manzoni, associata alle li- gniti di Sogliano, e raccolta pure da me a Rivola sul Senio negli strati superiori di quei gessi. Un piano pure a Congerie e Cardi lo scopersi mesi sono alle falde del monte della Galuppa, oltre Castrocaro, in valle del Montone, inferiormente al pliocene antico, senza che ivi si mostrino strati di gesso (tav. Vili fig. 1). E 1 ' An- cillaria glandi formis Lam., esistente pure sopra ai gessi di So- gliano insieme alla Cardila Jouanneti Bast., la rivediamo ugual- mente continuare, ma sotto altra forma, nelle argille piacentine sovrastanti ai gessi dell’ Imolese, e ciò sebbene si voglia da ta- luni che questo genere non salga nel pliocene. Questi fossili vengono adunque a provare luminosamente, che tanto in paleontologia, quanto in stratigrafia, i fossili e gli ele- menti costituenti gli strati terrestri, sempre si presentano circo- scritti entro spazi lenticolari più o meno estesi e, per così dire, sfumati, forse anche in dipendenza di diverse condizioni batime- triche ma pure contemporanee. Sono quindi d’ avviso, convenire sempre meglio diminuire, anziché moltiplicare le divisioni geolo- giche. Ora per compendiare queste considerazioni, e riepilogare gra- ficamente le mie osservazioni antiche e recenti sull’Apennino, pensai non essere fuori luogo offrire ora nella tav. Vili (fig. 1) la sintesi stratigrafica delle diverse masse costituenti il paese fra Ancona e l’ Idice, e così dare ai colleghi nuova occasione di ve- rificare in luogo, e rettificare se del caso, i miei rilievi; secondo che però potrà anche essere verificato dai geologi operatori del R. Comitato geologico, purché non siano vinti da una troppo viva immaginazione o da idee preconcette. 204 G SCAKABELL1 GOMMI FLAMINI E L. FORESTI i quali, le argille scagliose, da noi, costituiscono sempre il sub- stratum di tutte le altre formazioni più giovani. Sono cretacee, e però come tali, trovavansi già sollevate colle masse eoceniche prima del depositarsi delle mioceniche. In tal modo riesce anche molto più semplice e spedita la distinzione cronologica dei nostri terreni con fossili o senza; nè a spiegare certe sovrapposizioni od intrusioni di argille scagliose sopra roccie o entro roccie mio- ceniche o plioceniche, farebbe più d’ uopo ricorrere a trabocchi dal basso in alto di dette argille scagliose ; bastando invece 1J am- mettere in queste grandi scorrimenti , frane ed abrasioni dal- l’alto in basso , sopra strati sottostanti altimetricamente. Un fatto di questo genere lo si vedrà pure avvenuto anche da noi in certi colli dell’ Imolese, e che corrisponde perfettamente ad altro simile verificatosi a Sogliano. La fig. 1 della tav. Vili, quantunque schematica e riassun- tiva, reca però sufficienti indicazioni delle località ed itinerari degni di essere visitati, e spero lo saranno certamente, massime da tutti coloro che non si appagano di osservazioni troppo locali e fra loro distanti, o della semplice raccolta ed illustrazione di pochi fossili, non sorrette da estesi e comparativi riferimenti stra- tigrafie i. ★ ¥ ¥ Le specie fossili di cui più iunauzi dirà il Foresti, fanno parte di quelle già da tempo spettanti al museo d’ Imola, e che lun- gamente rimasero presso il mio povero amico il prof. Meneghini, il quale occupatissimo, e di mal ferma salute, finì col ritornarle al museo, consigliando però di affidarne ad altri lo studio, pur te- nendo in qualche conto talune sue osservazioni. Di qui l’ origine di questo piccolo lavoro, il quale, dato pure possa render noto qualche fatto nuovo di argomento paleontologico, dovrà pur sempre attribuirsi a quel caro collega. Dette specie provengono in parte dai colli alla sinistra del fiume Santerno, di fronte a Tossignano (13 chilometri da Imola), ed in parte anche da quelli di destra sopra Codrignano, quasi di faccia a Casalfiumanese (10 chilometri da Imola). Distanze di luogo alquanto diverse, ma di ben poca importanza geologica, giacché la direzione delle formazioni stratificate da cui derivano O SOPRA ALCUNI POSSILI ECO. 205 i tossili, mostra che queste sono in una medesima linea, e pres- soché continuazione dei medesimi strati. Io stesso raccolsi quei tossili anche in unione di vari amici, ma è da deplorare che per la quasi assoluta impraticabilità dei luoghi, tutti a balze (calanchi) scoscesi e smottati, non fosse quasi mai possibile rendersi un conto esatto della giacitura precisa di ciascuno di essi. Ciò non ostante è necessario toccare della natura geologica di quelle eminenze, di cui i veri profili sono espressi nelle sezioni fig. 2 e 3 della ta- vola Vili. ★ * * Il bacino idrografico del rio Mescola (fig. 2) viene costituito al sud dalla cresta acuta dei gessi, la quale partendo da Rivola sul fiume Senio, passa per Tossignano sul Santerno in direzione sud 50 est, nord 50 ovest, e segue poi in direzione est e ovest fino a Sassatello ; dal che ben si vede, come nel punto di cambia- mento di dette direzioni, siasi successivamente formata la valle del Santerno. La cresta dei gessi al sud vi forma successivamente le alture di Casa del gesso (quotata 339ra), Uccelliera (313m) e Penzola (366m): all'ovest stanno invece quelle ciottolose e sabbiose del Monte dell’ Acqua Salata (487m), Monte Verro (423m) e Monte Maggiore (448m), luoghi di dove partono i più alti affluenti del rio Mescola. Finalmente al nord fanno cinta al bacino, le ripe verticali di Croara (39 lm), Casa Sabbione (237m) e di Vanedola (278m). Così, dallo sbocco del rio Mescola fino alla sua origine, vi sono circa quattro chilometri, ed il suo intero bacino è di circa otto chilometri quadrati. Triste veramente e desolante nel suo aspetto generale : privo nella massima parte di vegetazione arborea, e sol- tanto qua e là verdeggiante in certe stagioni, o per campicelli a cereali e foraggi, o per qualche mal riescito tentativo di vigneto ; del resto, nelle zone specialmente prospicienti al sud, nudi ca- lanchi in corrispondenza delle testate stratigrafiche di quei terreni, mentre nelle zone prospicienti al nord, le pendenze sono minori e pressoché in relazione con quelle degli strati. Ma di quali materiali rocciosi si compongono essi quei colli ? Solo quattro o cinque grossi strati di gesso selenitico, con inter- 200 G. SCARABELLI GOMMI FLAMINI E L. FORESTI posizioni sottili di marne tillitiche ed ittiolitiche, bastano a formare la nuda cresta del monte verso il Santerno, affiorando essi preci- samente dal suolo al ponte di Tossignano (fig. 2). Gl’ inferiori sono di una potenza di circa 11 metri, la quale è decrescente nei superiori, e questi contengono poi cristalli selenitici più piccoli, sparsi in un calcare marnoso biancastro, alquanto concrezionato, detto in luogo travertino. Molti anni sono questa roccia era di un certo spessore, e in molti punti priva affatto di cristalli di gesso, ma ora ne restano appena le vestigia, perchè asportata quasi affatto da quei terrazzani per usi diversi. Tanto i gessi quanto il calcare travertino, sono inclinati al nord di circa 40 gradi, e ritengo probabile che nel travertino si potes- sero rinvenire Congerie poiché in museo si hanno numerosi esemplari della Melanopsis Boneili Sism. provenienti, come dissi, dai gessi di Rivola, ai quali pure si associa un calcare a Paludine, ed anche una selce molare coi medesimi fossili e cristalli di gesso. Inferiormente ai gessi e pure in passato, si notavauo a monte del ponte di Tossignano, marne schistose con Balani e vestigia di pesci; ma ora estesi vigneti nascondono affatto tali stratificazioni; ond’ è che per rivederle, occorre passare alla destra del Santerno ed inoltrarsi nel rio detto d' Inferno, dove possono raccogliersi belle ittioliti, il Pecten radians Nist.,- e foraminifere. Superiormente al calcare travertinoso succedono marne ed ar- gille cenerine, le quali prive quasi affatto di fossili sulla destra del rio Mescola, ne abbondano invece a sinistra, massime al disotto di Yanedola e Croara. Ivi le stratificazioni di tali masse sono assai poco visibili, poiché le argille imbevute d' acqua, facilmente sci- volano in basso, e coll’ asciugarsi dove s’arrestano, si raggrumano per modo, che non mi fu possibile ancora misurarne la vera in- clinazione, e quindi verificarne i rapporti stratigratìci coi gessi sottostanti. Nonpertanto sta il fatto, che risalendo il rio Mescola fino al fosso detto dell' Olio, si riscontrano gli strati brecciosi di cui ora diremo, con un’ inclinazione assai minore di quella dei gessi. Difatti salendo a mezza costa nelle ripe sotto Vanedola (fig. 2a {a) si trovano le testate di uno strato poco inclinato di forse tre metri di potenza, costituito da un conglomerato calcare a ciottoli ovoi- dali o tondeggianti, di cui la parte in certo modo cementante, consta di una brecciola sabbiosa verdognola per elementi serpen- SOVRA ALCUNI FOSSILI ECC. 207 tinosi ; la quale poi più avanti, cioè nel rio del Masolino, passa ad un tufo calcare giallastro concrezionato, o sabbioso, con fram- menti di Pettini e di altri bivalvi. I ciottoli del conglomerato da piccoli che erano nel fosso dell’ Olio, aumentano di volume rimontando il rio Mescola, tanto che sotto al monte dell’ Acqua salata, raggiungono persino il dia- metro di 40 centimetri. In generale sono essi di calcare alberese, forati talvolta da litofagi, o contenenti fucoidi : alcuni però ve ne sono di pietraforte, di gabbro rosso e variolite, e non mancano iufine quelli di calcare fetido e di roccie microfossilifere. Cosi, tutto questo conglomerato fluvio marino di sole roccie apenniniche, e precisamente di quelle cretacee ed eoceniche che s’ incontrano verso i Casoni di Romagna, S. Zenobio e Monte Beni, si mostra originato dagli elementi stessi rocciosi di quelle alture ; discesi per azione dei torrenti nel mare che si stendeva al nord dei gessi; le interruzioni dei quali, fra Penzola, Pieve di (lesso e Sassatello, permisero appunto il passaggio ai detti torrenti. Perciò il conglo- merato di Mescola ebbe un’ origine del tutto analoga a quella del conglomerato di Sogliano ('), colla sola differenza che il nostro si formò sopra una potente pila di marne cenerine conchiglifere, mentre quello di Sogliano si formò immediatamente al disopra degli strati del gesso, ma entrambi derivanti da montagne vicine preesistenti. Ma è poi assai probabile, che a questi fatti concorressero pure movimenti di suolo e grandi frane nelle argille scagliose, capaci a cambiare d’ un tratto la natura delle alluvioni che scendevano in mare. Aggiungerò qui di volo, a proposito del conglomerato Me- scola, come la grande abbondanza de’ suoi grossi ciottoli calcari formi, sto per dire, la sola ricchezza dei braccianti di Tossignano, tutto il giorno impegnati a farne faticosa raccolta, per trasportarli in pianura, dove sono ricercatissimi. Al di sopra del conglomerato fino alla cresta dei colli al nord del rio Mescola, si alternano marne sabbiose e vere sabbie in sot- tili stratificazioni, nelle quali non potrei accertare la presenza di fossili causa la lóro altezza ed inaccessibilità ; laonde, per ora al- meno, trovo opportuno riunirle insieme al conglomerato e marne (*) (*) Monografia succitata, pag. 75. 208 G. SCARABELLI GOMMI FLAMINI E L. FORESTI cenerine sottostanti in un solo piano, e precisamente nel piacentino, sebbene nelle marne cenerine si conservi ancora la presenza di talune specie tortoniane; ma potrebbe anche darsi, che queste ul- time specie provenissero, a nostra insaputa, dagli strati argillosi più prossimi al gesso. Nè potrei fare risalire all' astiano le stratificazioni del con- glomerato e sabbia sovrastanti, giacché queste immergono nel sot- tosuolo assai lontane ancora dalle vere sabbie gialle astiane, le quali riposano sopra le marne cenerine solamente nel colle di Cà de Sarti (329 m.), presso Torano. cioè alla distanza di sei chilo- metri dal rio Mescola; distanza invero notevole, e che potrebbe fare attribuire alle marne una potenza eccessiva; ma d’altra parte conviene osservare che queste, avvicinandosi alla pianura, diminui- scono gradatamente di pendenza, tanto che le vere sabbie gialle sovrastanti, hanno solo la pendenza di tre o quattro gradi. Che se la paleontologia non si accontentasse ancora delle sopradette con- clusioni, ciò vorrebbe dire, a mio avviso, che non si è per anco giunti a precisare litologicamente e paleontologicamente le differenze essenziali fra i due piani del pliocene. Rispetto poi alla zona dei gessi e schisti ittiolitici sottostanti, la riconosco sempre quale un seguito di quella che da Ancona pel- le Romagne giunge a Bologna, e perciò persisto a considerarla tortoniana, appoggiandomi anche al parere del Fuchs, espresso fino dal 1875 nel Bollettino del R. Comitato Geologico (pag. 253) quando ebbe occasione di parlare dei terreni e fossili di Sogliano. Del pari, nella fig. 1 della tav. Vili conservo nel miocene inferiore (bormidiano) il calcare a polipai di S. Marino, S. Leo, Pen- nabilli ecc., mentre contenendosi in esso anche delle vere Nummu- liti, non parmi sia il caso doverlo portare più in alto nella scala delle formazioni geologiche, come ora vorrebbero alcuni. La Sezione trasversale del Rio Gambalaro (fig. 3) segua il profilo di altri colli argillosi ben poco più ridenti di quelli del rio Mescola, giacché se ne togli la parte volta al nord, discretamente coltivata, tutta l’altra al sud non offre che una sequela continua di dirupi o calanchi, quasi tutti inaccessibili e nudi. SOPRA ALCUNI FOSSILI ECO. 209 Il corso del rio è circa di tre chilometri, ed il suo bacino idrografico è di circa tre chilometri quadrati. Al sud ha per limite i colli di Cà Tozzola (141 m.) e di Cascinello (291 m.). Al nord, invece, ha quelli di monte Cuccolo (218 m.), Tombarelle (259 m.), Casetto (214 m.) e Canovetta (255 m.), presso il quale si eleva il culmine del bacino (293 m.). Le stratificazioni di questa piccola vallata possono considerarsi, come si disse, quale seguito laterale di quelle di Mescola ed in- fatti sono formate dalle stesse marne turchine argillose conchiglifere, nelle quali però vennero pure raccolti taluni grossi tronchi di legno fossile. Al qual proposito mi permetto di ricordare un aneddoto assai curioso, di cui io stesso fui testimone nella mia giovinezza. Un operaio di casa raccoglieva un giorno nei dirupi delle Tombarelle un tronco di albero leggermente alterato dalla fossiliz- zazione, nero al pari dell’ ebano, ma pur tuttavia lavorabile. Un servo di mia famiglia pensò tosto utilizzare la scoperta, e, fatte allestire dal falegname una cinquantina e più di eleganti mazze da passeggio, le pose in vendita nella città d' Imola. Ben presto guadagnò qualche denaro: ma la polizia pontificia ostinandosi nel voler vedere in quei bastoncini segni politici convenzionali, ruppe i bastoncini in mano a chi li usava, e così cessava ben presto quell’ innocente commercio. Ora la memoria di quel legno fossile persiste solo in museo, nei pochi saggi che ne furono conservati. Le marne argillose della vallata del Gamballaro si presentano, nei loro strati inferiori, di un colore cenerino più cupo che nei superiori ; e ciò perchè in questi ultimi abbondano maggiormente gli elementi sabbiosi, mentre poi vi mancauo affatto le traccie del conglomerato del rio di Mescola: il che prova, che le grandi correnti d’ acqua, scendenti dall’ Apennino, nel mare del pliocene inferiore, non giungevano dove trovasi adesso il rio Gamballaro. Quindi la serie intera argillosa di tal rio è da riferirsi anch’ essa, come T altra del rio Mescola, al piacentino, mentre anche sulla destra del Santerno l’astiano appare solamente a Giandolino (288 m.), circa a cinque chilometri dal rio Gamballaro. Laonde la potenza intera del piacentino, nella vallata del San- terno, può calcolarsi, senza tema di errore, di non meno di 400 metri. 210 G. SCARABEI. I.I GOMMI FLAMINI E L. FORESTI ¥■ * Basteranno, spero, questi pochi cenni geologici a far compren- dere .ai Colleghi quali siano i miei concetti sull' ordine stratigrafico delle nostre masse plioceniche e mioceniche; ordine, che pure mi lusingo abbia da rimanere inalterato, quantunque possano variare le divisioni e denominazioni geologiche di dette masse, ben con- vinto, d' altronde, che tanto in geologia, quanto nelle altre scienze, gli avvenimenti successivi per sè e pei loro rispettivi risultati, non hanno mai fra loro netti contini, come non ne avranno mai i colori dello spettro solare. G. SCARABELLI. li. Paleontologia. 11 senatore Scarabelli volle gentilmente che osservassi alcuni resti di Molluschi fossili, fra i molti da lui raccolti in due o tre località interessanti della regione imolese, e che da antica data trovavansi depositati nella bella ed interessante collezione del Museo civico della città d’ Imola. Accettai di buon grado l’ incarico, per- suaso di trovare qualche nuova osservazione a fare sopra questi resti organici, onde accrescere il patrimonio scientifico della Conchio- logia fossile terziaria italiana. Pregai però l’ amico Scarabelli, quale profondo conoscitore di quelle località e che per bene le aveva ripetutamente studiate, volesse contribuire colle sue osservazioni geologiche e stratigrafiche a rendere più interessante la breve nota che oggi viene pubblicata. In questa parte a me affidata, io non mi occupo che delle sole osservazioni paleontologiche, mercè le quali pel complesso dei Molluschi fossili avuti ad esaminare, mi sembra che questa fauna debba ascriversi al pliocene e più particolarmente al pliocene in. feriore, sebbene v' abbiano alcuni individui con uu facies decisa- mente miocenico : e di ciò si troverà la spiegazione nella parte stratigrafica dettata dall’ illustre collega. SOPRA ALCUNI FOSSILI ECO. 211 Il defunto prof. Meneghini, presso cui. come accenna lo Sca- rabelli, rimasero molto tempo i Molluschi di cui terrò oggi parola, credette poter distinguere fra essi diverse specie nuove. Per quel rispetto dovuto alla memoria dell’ illustre geologo e paleontologo, dove, secondo il mio modo di vedere, mi è sembrato di conoscere giuste e precise le sue determinazioni, mi son fatto un dovere di mantenere il nome specifico da lui adottato, considerando però il fossile, a seconda del caso, o come specie nuova, o come semplice varietà di specie già conosciuta. In ogni modo, dalla mia breve enumerazione, riescirà ben ma- nifesto l’ interesse di questa fauna, e non v’ ha che ad augurarsi che qualche giovane studioso possa raccogliere, nelle località che accenneremo, maggior copia di resti fossili, onde accrescere, oltre il numero dei generi e delle specie, anche alcune particolarità ed os- servazioni che certamente ne deriveranno e che non v’ ha dubbio dovranno riescire di grande vantaggio alla paleontologia italiana, e più particolarmente poi alla paleontologia della provincia bolognese. Ed io sarò pago, se queste poche osservazioni avranno il potere di dare impulso al buon volere di qualche giovine energico e laborioso. Classe PELE C l P ODI. Famiglia GLYCYMERJDAE. Genere Saxicava Fleurian le Bellevue. Saxicava arciica (L.). Sono due esemplari, uno completo, V altro rappresentato da una valva sola. Il primo per bene corrisponde per la forma alla figura che ne danno gli autori dei Molluschi del Roussillon (!) ; mostra la sua parte anteriore troncata, la carena o angolosità obliqua delle valve è più tondeggiante e meno prominente nella valva sinistra che nella destra, nella quale è decisamente acuta ; le strie trasver- sali passando sulla carena, nella valva destra accennano a qualche piccola squametta o protuberanza, mentre resta perfettamente liscia nella valva sinistra ; posteriormente F esemplare si mostra acuto. (x) Bucquoy, Dautzenberg, Dollfuss, Les Moli. mar. d. Roussillon, vo- lume II, pag. 589, tav. 86, fig. 4. •212 G. SCARABELLl GOMMI FLAMINI E L. FORESTI La valva isolata invece, mostra la sua parte posteriore molto corta, leggiermente curva, e per tal modo somiglia alla fìg. 5 dei soprac- cennati conchiologi (’), mentre la troncatura anteriore è ben decisa; in questa valva l’ angolosità obliqua, sotto forma di carena, è acuta, sottile e con due piccolissimi tubercoletti spinosi. Dalle differenze di forma e di ornamentazione ora accennate, resta ben chiaro quanto sia il polimortìsmo di questa specie. Croara. Famiglia PSAMMOBIDAE. Genere Psainmobia Lamarck. Psammobia ferroensis (Chemn.). Sono poche valve isolate. Nella valva destra, raccolta nel Rio Mescola si osserva alla regione posteriore una costicina più grossa delle altre che si innalza presso l’angolosità della valva, e tre altre filiformi verso il margine dorsale; in questo esemplare le linee concentriche sono ben visibili a due terzi della conchiglia, mentre il terzo anteriore apparisce liscio. Nella valva sinistra della stessa località le linee concentriche sono poco accennate eccetto che nella regione anteriore, e nell’area posteriore mostra essa pure una co- sticina più grossa e fra essa e 1’ angolosità altre due filiformi. Un terzo esemplare raccolto a Croara si presenta colla regione poste- riore più stretta e più allungata di quello che ordinariamente si osserva in questa specie; un piccolo rialzo a foggia di piega, poco prominente e che scendendo verso il margine si sdoppia, si trova più vicino al margine cardinale che all’angolosità, posizione inversa a quella che si osserva nella maggioranza degli esemplari e nella var. uniradiata Br. Le linee di accrescimento sono sottilissime e poco accennate, e la valva un poco più gonfia; per la sua forma alquanto trasversale somiglierebbe alla var. elongata Jeffr. figurata dai già accennati conchiologi francesi (2). Tutti e tre questi esemplari mantengono ancora le traccie della colorazione, rappresentata da 5 o 6 zone concentriche di color ce- nere, sopra un fondo bianco. Le differenze ora notate in questi po- (l) Bucquoy, Dautzenberg, Dollfuss, Op. cit., pag. 596, tav. 86, fig. 5. (*) Idem, pag. 478, tav. 70, fig. 10-16. SOPRA ALCUNI FOSSILI ECC. 213 diissimi esemplari servono a dimostrare come anche questa specie possa variare nella sua forma e nella sua ornamentazione, ciò che viene a confermare quanto avevo accennato nel mio ultimo lavoro (') e per conseguenza mi sembra essere più logico il considerare le modificazioni più accentuate, come semplici varietà della forma ti- pica, piuttosto che specie a sè. Rio Mescola. Croara. Famiglia YENERIDAE. Genere Meretrix Lamarck. Meretrix multilamellci Lk. Poche valve di esemplari giovanissimi, di pochi millimetri di diametro, che per la forma loro, e per la forma e la disposizione delle lamelle concentriche non lasciano dubbio sulla determinazione specifica. Rio Gamballaro. Genere Veiius Linneo. Sotto-genere Anaitis Romer. Venus ( Anaitis ) fasciata Da Costa, var. Scalaris Bronn. È una sola valva di un esemplare di piccole dimensioni. Pre- senta i caratteri propri della varietà, vale a dire numero minore di coste che tendono a diventare spinose all’estremità posteriore, e nello stesso tempo mostra i caratteri della specie tipo, cioè forma subtriangolare, il lato anteriore più corto del posteriore, le coste grossolane concentriche, angolose superiormente e leggiermente in- cavate; ha molta somiglianza colla var. tìrongniarti Payr. dalla quale differisce principalmente per il minor numero delle coste. Questa piccola valva, perfettamente corrisponde colle figure dei conchiologi francesi (2), cogli esemplari dei mari italiani, e cogli esemplari fossili del Bolognese. Rio Gamballaro. (1) Foresti, Enum. Bradi, e Moli, plioc. dintor. Bologna. Boll. Soc. mal. ital. voi. XVIII, pag. 246-249. (2) Bucq., Dautz., Dollf., Op. cit., p. 387. tav. 59, fig. 10, 11. 214 G. SCARABELLI GOMMI FLAMINI E L. FORESTI Famiglia CHAMIDAE. Genere Cliama (Linneo) Bruguière. Chama gryphoides L. Due valve inferiori, coll’ impronta d’ attacco ben visibile ; gli esemplari sono stati rotolati e lasciano solo vedere le lamelle con- centriche, ma nessuna squama spinosa. Rio Mescola. var. magna For. Sono due valve inferiori, molto grosse e più grandi degli esem- plari comuni ; 1’ apice è alquanto sviluppato e ravvolto ; tutta la conchiglia si presenta, in proporzioni minori, colla forma degli esemplari del bacino di Vienna, disegnati dairHbrnes ('), i quali secondo il Weinkaff e il Fontannes, starebbero a rappresentare un’ altra specie. Gli esemplari dell’ Imolese essendo stati rotolati e perforati da litofagi non lasciano ben distinguere l’ ornamenta- zione. Tenuto calcolo delle dimensioni, della forte grossezza del guscio, del grande sviluppo dell’ umbone e della cerniera, non che delle giuste osservazioni dei sopra citati conchiologi, considero per ora questi esemplari come una varietà della specie di Linneo. Rio Mescola. Chama dissimilis ? Phil. Per la forma loro e per le dimensioni, meglio somigliano a questa specie che alla Ch. gryphoides L.; sono due valve superiori, robuste, subquadrate e con traccia della depressione longitudinale alla regione posteriore; rotolate anch’ esse, come gli esemplari della specie antecedente e con una quantità di fori su tutta la loro su- perficie esterna, hanno perduto la caratteristica dell’ ornamentazione. Imolese? HOrnes M. Foss. Moli. Tert. Beck Wien., voi. II, tav. XXXI. SOPRA ALCUNI fossili ecc. 215 Famiglia NUCULIDAE. Genere Leda Schumacher. Sotto-genere Jupiteria Bellardi. Leda (Jupiteria) fissistriata Mengh. ms. Tav. IX, fìg. 1. Ha moltissima somiglianza per la forma e le dimensioni colla L. concava Bronn., descritta e figurata dal Bellardi (!); ma ne diversifica per l’ ornamentazione. Non sono costicine sottili, re- golari, subuniformi, separate da stretti solchi, quelle che si osser- vano alla superficie delle valve, ma invece strie non molto regolari e finissime nel centro della valva ; verso la parte anteriore si con- fondono con delle costicine che si presentano sotto forma di pieghe o rugosità irregolari, e verso la parte posteriore, la quale è pro- minente ed ottusa, compariscono di nuovo le stesse costicine, ma un poco più regolari, e bene si osservano sulla carena che è an- ch’ essa prominente ed ottusa. La regione umbonale il più delle volte è perfettamente liscia, come liscia si presenta la lunula che è alquanto larga e piuttosto profonda. Tanto le strie, quanto le rugosità non si confondono nel vero senso della parola, perchè le strie terminano quasi tutte ad un tratto, mentre alcune delle ru- gosità si sdoppiano prolungandosi ed intercalandosi colle strie; queste costicine poi divengono sottilissime raggiungendo il margine ante- riore. Le denticolazioni e la forma dalla cerniera non che le im- pronte muscolari per nulla differiscono della specie del Bronn. Questa specie come la susseguente non sono mai state nè descritte, nè figurate ; ho mantenùto il nome datogli dal Meneghini, per rispetto all’ illustre geologo e paleontologo, nome da lui ma- noscritto ed unito agli esemplari che ebbe or son molti anni ad osservare. Sono valve separate, le cui dimensioni sono le seguenti : Dia- (!) Bellardi, Monogr. Nucul. terr. terz. Piemonte e Liguria, pag. 21, fig. 14. 216 G. SCARABELLI GOMMI FLAMINI E L. FORESTI metro antero-posteriore 8 1/ì millim; Diametro umbo-ventrale (5 raillim. ; Spessore 2 millim. Rio Gamballaro. Sotto-genere Junonia Seguenza. Leda ( Junonia ) sinuata Menegh. ms. Tav. IX, fig. 2. È una piccolissima conchiglia che per la forma sta fra la L. gibba Seg. (*) e la L. acuminata Jeffr. (2); diversifica dalla prima per mostrarsi molto meno gibbosa, più corta e col lato an- teriore meno rotondo; dall'altra per avere la porzione anteriore un poco più corta e il lato posteriore meno acuminato e meno lungo. La maggior parte degli individui sono lisci, mostrando solamente qualche linea di accrescimento; hanno le valve rigonfie, anteriormente rotondate, posteriormente sinuose ed acuminate; la carena è ben sporgente ed ottusa, la regione della limola non con- cava e liscia, gli umboni prominenti e ricurvi, il guscio grosso. Internamente è liscia, colle denticolazioni robuste uguali a quelle della specie di Jeffreys. V’ hanno alcuni esemplari che si mostrano concentricamente striati e sotto questo rapporto somiglierebbero alla L. seminuium del Seguenza (:!), ma ne diversificano un poco per la forma, la quale è anteriormente più corta e più rotondata, o presentano ancora l’ umbone più acuto. Questi esemplari si potrebbero considerare come una varietà, distinguendoli col nome di var. striata. Dimensioni di un individuo completo : Diametro antero-poste- riore 3 ‘/a millim. ; diametro umbo-ventrale 2 l/t millim. ; spessore 2 millim. Rio Gamballaro. f1) Seguenza, Nucul. terz. prov. merid. d' Italia. Estratt. Meni. R. Ac- cademia Lincei, pag. 15, tav. Ili, fig. 13. (*) IL, id., fig. 15. (3) Id. id., pag. 16, tav. Ili, fig. 14. SOPRA AI.CUNl POSSILI ECO. 217 Famiglia ARCIDAE. Genere Liniopsis Sasso. Limopsis aurita (Br.). Differiscono appena dalla forma comune per presentarsi un poco meno ovali, col diametro umbo-ventrale proporzionatamente più corto, e un pochino più rotondato il margine anteriore. Croara. Famiglia PECTINIDAE. Genere Clilainys Bolten. Chlamys glaber (L.). var. silicata (Born). E un bellissimo esemplare di grandi dimensioni, rappresentato da una sola valva che mostra tutti i caratteri assegnatigli dal Born e che bene corrisponde anche alla descrizione ed alle figure date dagli autori dei Molluschi del Roussillon (1). Guccianello. Famiglia SPONDYLIDAE. Genere Spondylus (Bang) Linneo. Spondylus gaederopus L. È una valva sinistra, la quale sebbene sia stata rotolata, pure presenta ben distinte sulla sua superficie esterna le numerose coste raggianti e le 10 o 12 più grosse, e sopra tutte le traccie delle squame imbricate. Imolese. (!) Bucq., Dautz., Dollf., Op. cit. pag. 88, tav. 20, fig. 1, 2. 218 G. SCARA BELLI GOMMI FLAMINI E L. FORESTI Famiglia AN0M1IDÀE. Genere Anomia Linneo. Anomia ephippium L. var. radiata Br. È una delle variazioni più comuni che si verificano in questa specie ; 1’ esemplare presenta però alcune modificazioni che la ren- dono alquanto interessante. La valva è convessa, mostra delle coste longitudinali radiate, sottili, quasi ugualmente distanziate fra loro e un poco ondulate verso 1’ apice ; numerosi funicoli filiformi, spesso interrotti e che si scorgono solamente coll’ aiuto della lente, accom- pagnano le coste, ma scendono un poco obliquamente e in alcuni punti passano sopra le coste stesse; delle increspature numerosis- sime, ben visibili negli interstizi, ornano trasversalmente tutta quanta la superficie della conchiglia. È di guscio sottile e internamente mostra le tre impronte caratteristiche. Per questa particolare orna- mentazione a primo aspetto avrebbe una certa somiglianza colla A. pellis-serpentis del Brocchi (’). Rio Gamballaro. Genere Placunanomia Broderip. PLamnanomia Scarabellii Doderl. L' esemplare che ho sott’ occhio mentre per i caratteri generali corrisponde colla descrizione data dal Simonelli (2), differisce poi in alcuni punti colla figura, specialmente per V ornamentazione e le impronte muscolari. Quest’ esemplare è più gibboso ; le coste raggianti dall’ apice alla periferia più numerose e più sottili ; le impronte muscolari non confluenti, ma separate 1’ una dall’ altra e disposte un poco più obliquamente. L’ impronta del muscolo bis- sale è ellittica, con costicine rilevate raggianti da un punto sub- centrale e non prominente ; quella dell’ aduttore delle valve è quasi rotonda. L’ esemplare è lo stesso descritto ed illustrato dal Simo- (1) Brocchi, Conch. foss. subapp. voi. If, pag. 464, tav. X, fìg. 11. (2) Simonelli, Placunan. plioc. ital. Boll. Soc. mal. ital., voi. XIV, pa- gina 23, tav. I, fìg. 7. SOPRA ALCUNI FOSSILI ECC. 219 nelli, per cui le differenze ora accennate derivano solamente dalla poca esattezza del disegnatore, mentre la descrizione dell’autore è perfettamente esatta. Croara. Famiglia OSTRE1DAE. Genere Ostrea Linneo. Ostrea cuculiata Boni, var. Forskahlii ? L. L’ esemplare non è completo e non è rappresentato che da poco più della porzione degli apici ; tuttavolta crederei poterlo ri- ferire a questa specie; ma per la forma poi che sembra dovesse essere stata ristretta ed allungata, come pure per presentare alquanto allungato anche il becco, meglio alla varietà che alla forma tipo mi sembra assomigli. Le coste sono grossolane e rilevate, e per il guscio molto grosso 1’ individuo accenna ad avere avuto proporzioni piuttosto grandi ; i due risalti che fiancheggiano la fossa legamen- tare non sono molto convessi, nè prominenti. Croara. Classe GASTEROPODI. Famiglia TROCHIDAE. Genere Troclius Linneo. Trochus distinctus Seg. L’ esemplare è sciupato, mancante della maggior parte del guscio, ma non lascia alcun dubbio sulla determinazione specifica. Presenta la sua forma conica elevata, gli anfratti appianati, la base convessa, la bocca quadrangolare, più larga che alta ; ben si scor- gono i due ordini di tubercoletti che trovansi sopra e sotto le su- ture, le quali sono proporzionatamente larghe e profonde; i funi- coletti obliqui che uniscono F ordine dei tubercoletti superiori cogli inferiori non sono molto distinti, perchè manca il guscio, ma la traccia di essi si osserva nello strato madreperlaceo sottoposto; 220 G. SCARABELLI GOMMI FLAMINI E L. FORESTI prominenti invece e ben visibili sono i tre funiculi granulosi che ornano la base. Rio Gamballaro. Famiglia PYRAMIDELLIDAE. Genere Eulimella Forbes. Eulimella Scillae (Scacc.). Gli esemplari per bene corrispondono alle descrizioni ed alle figure dello Scacchi (') e del Sacco (2); fra le molte varietà che il Sacco ha potuto distinguere in questa specie, i due esemplari del- l’ Imolese avrebbero, per la sola forma, somiglianza colla var. an- teconica (3), ma in essi non si osservano i solchi spirali nella su- perficie interna del labbro. Croara. Genere Turbonilla Leach in Risso. Turbonilla Lanciae (Libas.). var. scarabelliana (Cocc.). Io credo debbansi questi esemplari riferire alla specie del Cocconi (4), colla quale bene corrispondono tanto per la forma ge- nerale, quanto per gli altri caratteri, ma siccome le differenze che si osservano fra la specie del Libassi e quella del Cocconi non sono tali da autorizzare o considerare le due forme come due specie differenti, così ho creduto col Sacco di unire come varietà la specie del Cocconi alla T. Lanciae. La forma dell’ apertura meglio as- somiglia a quella delle figure del Sacco (5) che all’ altra dell?, figura del Cocconi, la quale io credo o essere una deformità, o una mala interpretazione del disegnatore. Rispetto alla forma tipica f1) Scacchi, Notiz. Conch. e Zool. foss. di Gravina in Puglia, pag. 11, tav. II, fig. 2. (2) Sacco, Moli. terr. terz. Piemonte, parte XI. Estratt. Meni. r. Acc. Torino, ser. 2a, voi. XLII, pag. 5, tav. Ili, fig. 1. (3) Id. id., fig. 2. (4) Cocconi, Enum. sistem. Moli. mioc. e plioc. Parma e Piacenza. Estr. Mem. Acc. Se. Istit., ser. 3\ voi. Ili, pag. 137, tav. Ili, fig. 24-25. (5) Sacco, Op. cit , part. XII, pag. 8, tav. II, fig. 139. SOPRA ALCUNI FOSSILI ECC. 221 presenta le coste longitudinali un pochino più grosse, e sull’ ultimo anfratto e sugli anfratti mediani è benissimo manifesto il modo col quale si dispongono, piegandosi a sinistra per unirsi alla costa vicina ; questa disposizione particolare non è bene espressa nè nelle figure del Sacco, nè in quelle del Cocconi. Croara. Famiglia CERITHIIDAE. Genere Ceritliium Adanson. Cerithium vulgatum Brug. var. tuberculata Phil. L’ esemplare è rotolato per cui gran parte dell’ ornamentazione non è ben distinta, tuttavolta per il numero e la disposizione dei tubercoli nel centro degli anfratti, per le granulosità presso la sutura e per altri caratteri credo si debba riferire a questa varietà, tanto più che confrontato con esemplari viventi e specialmente con quelli che presentano una forma un poco più raccorciata, benissimo vi corrisponde. L’ esemplare in discorso mostra alla metà dell’ ul- timo anfratto una rottura saldata, mercè la quale essendo il labbro esterno alquanto ingrossato e spinto più in fuori, 1’ apertura prende un aspetto tutto particolare. Rio Mescola. var. incerta Foresti. Tav. IX, fig. 8. Per la forma somiglia al C. gallicum May. ('), ma è un po’ più grande e con differenza nell’ ornamentazione, mentre per questa sta fra la var. repanda (2) e la var. seminuda (3) del C. vulgatum. Certamente appartiene al gruppo della specie del Bruguière; non ha la forma allungata o turrita e la spira acuta come la var. se- (’) Mayer, Descript. Coquill. foss. terr. tert. sup. Journ. Conchyl. 8 ser., voi. XVin, pag. 174, tav. IV, fig. 2. (2) Monterosato, Enum. e Sinon. Conch. mediterr. Estratt. Gior. Se. nat. ed econom. Palermo, pag. 37, 38; Bucq., Dautz., Dollf., Op. cit., voi. I, pa- gina 201, tav. 22, fig. 14. (3) Bucq., Dautz., Dollf., Op. cit., voi. I, pag. 201, tav. 22, fig. II, 12. 222 G. SCARABELLI GOMMI FLAMINI E L. FORESTI minuda ; gli anfratti sono del pari convessi e le granulazioni spi- nose al centro degli anfratti si mostrano piuttosto rotondate e non allungate e sotto forma di coste leggiermente sporgenti; anche in questo esemplare si notano le varici; le granulazioni sono ben distinte presso le suture, come pure i funicoli alla "parte inferiore ed alla base dell' ultimo anfratto ; l’ apertura è rotta ma sembra dovesse essere eguale a quella che generalmente si osserva nella forma tipica. Quanto alla var. veranda Monter, facendo astrazione dalla forma che è più tozza, bene vi corrispondono, per l’ orna- mentazione i primi e gli anfratti mediani, il penultimo e 1’ ultimo invece mQstrano i tubercoli più piccoli e più numerosi, e sotto forma di granulazioni. Rio Mescola. Cerithium doliolum Br. È un solo individuo abbastanza ben conservato, tranne nel- 1’ apertura che è rotta; è di forma più stretta di quella accennata nella figura del Brocchi (*) ma perfettamente corrisponde alla de- scrizione. Rio Gamballaro. Famiglia STROMBIDAE. Genere Strombus Linneo. Strombus coronatus Defr. Sono tutti esemplari giovanissimi; misurano 20 millim. di lunghezza e 10 di larghezza. Sebbene di così giovane sviluppo, mostrano pure alcune differenze fra loro, le quali se proporziona- tamente si mantenessero nel crescere, dovrebbero dar luogo a delle varietà molto spiccate. Alcuni presentano una spira più lunga e un angolo spirale più stretto, in altri invece Y angolo spirale è più largo e la spira più corta ; i tubercoli superiori, generalmente pic- coli e piuttosto depressi, in alcuni individui si mostrano in numero molto scarso, relativamente ad altri; e mentre nei primi appari- scono un poco più grandi e più prominenti, negli altri sono molto più piccoli ed appena accennati. Come fa osservare il Sacco nel (') Brocchi, Conch. foss. subapp., voi. II, pag. 442, tav. IX, fig. 10. SOPRA ALCUNI FOSSILI ECC. 223 suo pregiato lavoro (') in questi individui giovanissimi le strie trasversali sono spiccatissime e spesseggiano le pseudo-varici; le figure che esso riproduce, per la forma generale corrispondono per- fettamente cogli esemplari dell’ Imolese, come pure per le coste longitudinali degli anfratti superiori, nei quali però non si scorge quella specie di granulazione alla base di ciascuno di essi, come viene accennato nelle suindicate figure. Croara. Famiglia CYPRAEIDAE. Genere Cypraea Linneo. Cypraea labrosa Bonelli. Secondo il Sacco, questa specie indicata dal Bonelli nel suo catalogo manoscritto 1827 dovrebbe riferirsi alla C. inflata indi- cata dal Brocchi (2) ; in ogni modo gli esemplari dell’ Imolese per bene corrispondono alla descrizione che ne dà il Brocchi, e per la forma e le dimensioni alla var. parvoastensis del Sacco (3), mo- strandosi solamente un poco meno gonfia. Il labbro esterno è in- grossato, come si esprime il Brocchi, da un risalto prominente, il quale circonda ancora le due escavazioni dell’ apertura ; dal lato interno questo labbro presenta delle denticolazioni robuste ed eguali fra loro ; sul labbro columellare invece le denticolazioni sono meno grosse, meno prominenti e non eguali; piccolissime nel centro ed alle volte obliterate, grosse alla parte anteriore ove l’ ultimo dente è più grosso e prominente e trovasi diviso dagli altri da uno spazio abbastanza largo. L’apertura piuttosto larga posteriormente si re- stringe verso il centro allargandosi poi di molto all’ estremità an- teriore. Croara e Gamballaro. (’) Sacco, Op. cit., part. XIY, pag. 7, tav. I, fig. 20. (2) Brocchi, Op. cit., voi. II, pag. 285. (3) Sacco, Op. cit., part. XV, pag. 42, tav. Ili, fig. 23. 224 G. SCARABELLl GOMMI FLAMINI E L. FORESTI Famiglia MURICIDAE. Genere Troplion Montfort. Troplion vaginatus (De Crist. e Jan). Pochissimi esemplari di piccole dimensioni e non completi. Rio Gamballaro. Famiglia NASSIDAE. Genere Nassa Lamarck. Nassa antiqua ?? Boll. L’ esemplare non è completo, manca di buona parte dell’ ultimo anfratto, tuttavolta per i caratteri che presenta meglio a questa specie che ad altre assomiglia. Esso come la figura data dal Bei- lardi (*) è di forma piuttosto ventricosa a spira larga e con l’ultimo anfratto molto gonfio; le coste longitudinali sono grosse e sull’ ul- timo anfratto tendono a farsi sinuose ; i solchi trasversali sono profondi, da 5 a 6 negli anfratti mediani, da 15 a 16 nell’ ultimo; non posso dir nulla nè dell’ apertura nè del labbro esterno, perchè come ho detto queste parti mancano. Quest’ individuo non si può identificare colla N. reticulata , nè per la forma generale, nè per il numero delle coste e delle strie; avrebbe ancora qualche somiglianza colla mia N. bononiensis (2), ma nell’ esemplare dell’ Imolese molto maggiore è il numero delle coste, che sono un poco oblique, e molto minore il numero dei solchi trasversali. Rio Mescola. Nassa co ar data Eichw. Per le dimensioni, per la forma generale e per tutti gli altri caratteri, perfettamente corrisponde alla descrizione ed alle figure (') Bellarcli, Moli. terr. terz. Piemonte e Liguria. Parte III, pag. 46, tav. Ili, fìg. 5. (2) Foresti, Contrib. Conchiol. terz. ital. Ili, Estratt. Meni. Acc. Se. Istit. Bologna, ser. 4“, voi. V, pag. 12, tav. I, fìg. 7. SOl'RA ALCUNI FOSSILI KCC. 225 del Bellardi (') non tanto alla figura dell' Eichwald (2) ; le sole piccole differenze che vi noto sono, di avere la spira un poco più lunga, la columella un poco più incavata, la callosità non molto grossa e che si stende nell’ ultimo anfratto formando una linea curva regolare senza nessuna sinuosità. Secondo i sopracitati autori questa specie sarebbe miocenica; è interessante il notare che diversi altri molluschi citati in questa breve nota, sebbene dalla maggior parte degli autori siano consi- derati appartenere al tortoniano, pure sono stati raccolti in queste località dell’ Imolese riconosciute come plioceniche. Croara. Nassa musiva (Br.). Esemplari che tranne della forma generale, che è un poco meno allungata, per tutto il rimanente tanto colla descrizione e colla figura date dal Brocchi (3) quanto colle figure e colla precisa e dettagliata descrizione del Bellardi (4) benissimo corrispondono. Croara. Nassa imolensis Foresti. Tav. IX, fig. 4. Conchiglia sub-turricolata, globosa; anfratti in numero di 7, i primi lisci e convessi, gli altri con un' angolosità ben marcata al terzo posteriore. La loro porzione presso la sutura, la quale è sottile e poco profonda, si mostra depressa e sub-piana, l’ altra porzione, ossia 1’ anteriore è appena appena convessa ; l’ ultimo an- fratto più grande degli altri e più convesso inferiormente, misura un po’ meno della metà della lunghezza della conchiglia. Da 16 a 18 coste longitudinali, strette, prominenti, divise fra loro da spazi più larghi scendono parallele alF asse ; tre funicoli, per grossezza e per forma simili alle costicine longitudinali attraversano la con- chiglia sui primi anfratti, quattro nel penultimo ugualmente di- (*) Bellardi, Op. cit., part. Ili, pag. 27, tav I. fig. 23. (2) Eichwald, Lethaea Rossicci., voi. Ili, pag. 171, tav. VII, fig. 7. (3) Brocchi, Op. cit., voi. II, pag. 340, tav. V, fig. 1. {■*) Bellardi. Op. cit., part. Ili, pag. 49, tav. Ili, fig. 8. 226 G. SCARABELLI GOMMI FLAMINI E L. FORESTI stanziati fra loro, e 10 nell’ultimo, dei quali i primi quattro po- steriori sono ad ugual distanza, gli altri sei, che si osservano fino alla base, più ravvicinati e più sottili. Sulla porzione posteriore questi funicoli non si osservano. Dall’ intersecazione dei funicoli colle coste, nasce un tubercoletto rotondato, prominente, ciò che pro- duce una ornamentazione elegantissima su tutta la conchiglia. L'aper- tura è interamente mancante: la columella è incavata nel centro. Presenta alcuni caratteri che collimano colla Nassa verru- cosa (Br.) descritta e figurata dal Bellardi ('), ma la nostra specie ne diversifica anzitutto per le dimensioni, e per mostrare gli an- fratti meno convessi, molto depressi superiormente e con un’ an- golosità ben marcata; le coste longitud.nali sono in numero mag- giore e più larghi sono gli interstizi che le separano. Per la forma e 1’ ornamentazione" avrebbe qualche somiglianza anche colla N. sub- quadrangularis Michelotti (-) e vi corrisponderebbe ancora per le dimensioni, ma questa specie ha gli anfratti molto convessi, man- canti della depressione superiore e dell’ angolosità, più numerose le coste longitudinali ed i funicoli trasversali. Finalmente per le dimensioni e l’ ornamentazione ha pure rapporto colla N. crisma Bell. (3), ma le suture canalicolate di questa e la sua forma ge- nerale più turrita, colla spira più acuta, subito la distinguono. Dimensioni: Diametro longitudinale 15 millim. ; diametro tras- versale 9 millim. Croara. Famiglia BUCCINI DAE. Genere Cyllene Gray. Sotto-genere Cyllenina Bellardi. Cyllene ( Cyllenina ) Scarabellii Foresti Tav. IX, fig. 5 a. Conchiglia di forma allungata, spira acuta, anfratti leggier- mente convessi, e un poco depressi presso la sutura ; 1’ ultimo un poco più lungo della metà della lunghezza totale della conchiglia; (’) Bellardi, Op. cit., part. Ili, pag. 115, tav. VII, fìg. 17. (2) Michelotti, Foss. mioc. Ital. sept., pag. 211 ; Bellardi, Op. cit., part. III, pag. 127, tav. Vili, fig. 10. (3) Bellardi, op. cit., parte III, pag. 128, tav. Vili, fig. 13. SOPRA ALCUNI FOSSILI ECC. 227 suture sottili, profonde, ondulate. Gli anfratti embrionali lisci, i mediani presentano da 8 a 9 coste più strette degli interstizii e che terminano, generalmente, alla depressione superiore, sulla quale in alcuni esemplari vi lasciano traccia. Sull’ ultimo anfratto queste coste spariscono e solo vi si osservano traccie della loro termina- zione sotto forma di piccole nodosità. Tre o quattro strie trasver- sali, occupano la parte posteriore degli anfratti, ma sull’ ultimo sono appena accennate, come del pari 4 o 5 solchi appena accen- nati trovansi alla base. Numerose e sottili le linee di accrescimento, le quali si fanno grossolane e irregolari presso 1' apertura ; questa è ovale, posteriormente acuta, anteriormente molto larga ; la smar- ginatura è ampia e profonda ; non molto estesa e non molto grossa la callosità ; la columella incavata. Il labbro esterno sottile, tagliente; una serie di piccole denticolazioni si osservano nell’interno, non presso il margine, ma più in dentro. La C. Paulucciana D’Anc. descritta ed illustrata dal Bei- lardi (*) sarebbe quella forma che colla nostra specie avrebbe mag- giori rapporti ; ma essa è più turriculata, l’ ultimo anfratto più ristretto, 1’ apertura più allungata, il labbro esterno meno arcuato, più forte la callosità. La var. G. del Bellardi, vi avrebbe forse, anche maggiori rapporti, perchè essa ha la spira più aperta, e sull’ ultimo anfratto le coste si trasmutano in nodosità. Anche col Buccinami Deshayesi May. (2) avrebbe qualche somiglianza, special- mente per presentare una forma allungata, gli anfratti poco con- vessi e leggermente angolosi, alcune strie trasversali presso la sutura ed alla base dell’ ultimo anfratto, il labbro esterno sottile e den- tellato internamente; ma ne diversifica poi per essere di forma ristretta, per la serie delle piccole granulazioni presso la sutura ed infine per le dimensioni che sono minori. V’ ha poi anche da tener calcolo che secondo il Bellardi, la specie del Mayer raccolta nell’ Astigiano non sarebbe altro che la C. 'paulucciana del D’Ancona. L’ esemplare dell’ Imolese misura 20 millim. di diametro lon- gitudinale, e 9 millim. di diametro trasversale. Croara e Rio Mescola. (J) Bellardi, Op. cit., part. Ili, pag. 164, tav. X, fig. 19. (2) Mayer, Descrip. coquil. foss. terr. tert. sup. Journ. Conchyl., 8a ser., voi. X, pag. 270. 16 228 G. SCAKABELLI GOMMI FLAMINI E L. FORESTI var. ecostata Foresti. Tav. IX, fig. 5b. Ha la forma generale della specie tipo, ma le coste longitu- dinali non si vedono, e solo si osservano i punti dove esse termi- navano con una specie di piccole nodosità, e perciò l'angolosità degli anfratti si fa più manifesta; ha dimensioni maggiori e la depressione posteriore è meglio apparente. Sugli anfratti mediani bene si distinguono le strie trasversali. Uguale alla forma tipica è 1’ apertura, la columella, la smarginatura, la callosità ; in uno degli esemplari riferiti a questa varietà, le denticolazioni del labbro esterno sono benissimo distinte e si presentano numerose, di forma allungata, robuste, non molto prominenti, e gradatamente si im- piccoliscono e si restringono scendendo verso la smarginatura. Il più grande di questi esemplari ha un diametro longitudi- nale di 25 millim. e un diametro trasversale di 11 1/ì millim. Croara e Rio Mescola. Genere Euthria Gray. Euthria cornea (L.). Sono esemplari giovanissimi, ma che credo debbansi riferire a questa specie ; confrontati con esemplari adulti, corrispondono perfet- tamente per il numero, e la forma delle coste longitudinali e delle strie trasversali con quelle che si osservano nei primi tre o quattro anfratti ; uguale la forma della apertura e della coda ecc. ; mostrano solamente le strie trasversali più grossolane e la coda un pochino più corta. Rio Mescola. Euthria adunca (Bronn.). var. gamb aliar ensis Foresti. Tav. IX, fig. 6. Mentre per moltissimi caratteri riproduce la specie tipo, per alcuni altri un poco vi si allontana. Presenta una forma meno al- lungata, 1’ angolo spirale più aperto, maggiore la depressione po- SOPRA ALCUNI FOSSILI ECC. 229 steriore negli anfratti, il labbro esterno più arcuato, l’apertura ovale anch’ essa ma meno allungata. Uguale il numero delle coste lon- gitudinali le quali si presentano un poco oblique, i funicoli tra- sversali sono numerosi e fra loro ve ne ha sempre uno più sottile ; il labbro esterno molto ingrossato esternamente, presenta internamente delle denticolazioni robuste ed allungate ; il labbro columellare porta delle rugosità su tutta la sua lunghezza ; la coda non molto lunga piegata a destra. Dimensioni : Diametro longitudinale da 27 a 28 millim. ; dia- metro trasversale 12 millim. Rio Gamballaro. Famiglia FASCIOLARIDAE. Genere Latirus Montfort. Latirus scarabellianus Foresti. Tav. IX, fig. 7. È una conchiglia fusiforme turrita, a spira abbastanza lunga ed acuta; gli anfratti in numero di otto, non compresi gli embrio- nali sono convessi, separati da una . sutura sottile, ondulata, ben distinta; l’ultimo compresso inferiormente e un poco più gonfio degli altri è anche un poco più lungo della metà della conchiglia. Otto coste longitudinali piuttosto grosse, ottuse, prominenti, separate fra loro da interstizi molto più stretti ornano tutti gli anfratti, tranne degli embrionali che sono perfettamente lisci; sono quasi rette e si succedono da un anfratto all’ altro quasi regolarmente, percui osservando la conchiglia dall’ apice presenta una forma ot- tagona abbastanza regolare. Dei funicoli disuguali per grossezza cingono trasversalmente la conchiglia e passando sopra le coste si presentano ondulati; i più grossi che sono in numero di tre nei primi anfratti, di quattro o cinque nei mediani e di quindici a sedici nell’ ultimo, trovansi ugualmente distanziati e nei loro in- tervalli si contano da due a tre funicoletti filiformi di cui il me- diano è alcune volte più grosso; nella porzione superiore di cia- scun’ anfratto si notano sempre due o tre funicoletti un poco più grossi di quelli filiformi; numerosissime e sottili strie di accresci- mento solcano longitudinalmente tutta la conchiglia per cui appare alquanto scabra. L’ apertura è ovale, canalicolata posteriormente ; 230 G. SCARAHKLLt GOMMI FLAMINI E L- FORESTI anteriormente si prolunga in un canaletto stretto e un poco curvo; il labbro esterno è arcuato, leggiermente ingrossato internamente e denticolato; le denticolazioni sono sotto forma di costicine sottili allungate e disposte a due a due. La columella è vestita di una lamina sottile ; superiormente presenta un tubercolo trasversalmente allungato, un poco sotto della metà due piccole pieghe orizzontali e ben distinte ed alcune altre più in basso appena accennate ed oblique. Presenta molta somiglianza, per la forma generale col L. unì- filosus Bell. (*), ma ne diversifica per il numero delle coste, per le dimensioni, per la coda più lunga e maggiormente contorta e per non presentare traccia di ombelico. Dimensioni: Diametro longitudinale 39 millim.; diametro tras- versale 10 millim. Croara. Famiglia OLIVI DA E. Genere Ancillaria Lamarck. , Ancillaria patula Dod. var. subovata Foresti. Tav. IX, fi g. 8. Presenta moltissimi dei caratteri attribuiti a questa specie: tale la forma dell’ ultimo anfratto, dell’ apertura, l’ obliquità dei solchi anteriori, il poco incavo della columella, ecc., ma presenta poi alcune differenze, e cioè 1’ apice più acuto, le dimensioni mi- nori, un poco più gonfia nel centro, per cui la sua forma generale sarebbe ovale, somigliante a quella della A. anomala ; si è per queste modificazioni che ho creduto distinguerla come varietà. Il Doderlein (2) e il Bellardi (:i) la citano del miocene superiore. Dimensioni : Diametro longitudinale da 1 8 a 20 millim. ; dia- metro trasversale da 8 a 9 millim. Rio Mescola. (') Bellardi, Op. cit., part. IV, pag. 45, tav. II, fig. 23. (2) Doderlein, Cernì, geol. inter. giacit. terr. tnioc. sup. Ital. centr. Estratt. Alt. X, Congr. Se. Ital., pag. 25. (3) Bellardi, Op. cit., part. Ili, pag. 224, tav. XII, fig. 43. SOPHA ALCUNI POSSILI ECC. 231 Famiglia CANCELLA. RIDAE. Genere Cancellarla Lamarck. Cancellarla Iurta Br. var. obsoleta Brugo. Per alcuni caratteri avrebbe qualche somiglianza colla var. midticostata del Bellardi ('), descritta ed illustrata dal Sacco (2) ed alla quale, secondo il Sacco sarebbe identificabile la C. obsoleta del Brugnone, ma la spira è meno allungata; le coste longitudinali mentre sono ben distinte negli anfratti mediani, nei quali però variano per numero e per prominenza, nell’ ultimo per la loro mul- tiplicità si atteggiano in modo da simulare tante linee di accre- scimento, molto ingrossate, e disugualmente ravvicinate e sotto questo rapporto presenterebbe qualche somiglianza coll’ altra var. del Sacco, indicata col nome suboblitecostata (3) ; anche i funicoli trasversali sono più numerosi, più ravvicinati, disuguali nella gros- sezza, presentandone generalmente uno più grosso un poco al disopra della metà dell’ultimo anfratto; un funicoletto filiforme sempre si osserva intercalato fra loro, e le coste alla loro estremità superiore bon sono spinose; nessun tubercolo spinoso si osserva nell’interse- cazione delle coste coi funicoli, ma solo una piccola protuberanza trasversale nodulosa. La scanellatura non è molto larga, ma ab- nastanza profonda. La forma della bocca, della columella, e della piega columellare, non presenta nulla di diverso dalla forma tipica. L' orlo che limita la regione ombelicale è molto sviluppato, meno rugoso ed ha origine un poco più in alto. A primo aspetto, come giustamente osserva il Sacco (4) sembra costituire una specie a sè. Le differenze notate fra gli esemplari dell’ Imolese e le var. so- pracitate, mi fanno ritenere doversi questi piuttosto riferire alla (’) Bellardi, Descript. Cariceli, foss. ecc. Meni. Acc. Se. Torino, ser. 2a, voi. Ili, pag. 244, tav. II, fig. 12, 14. (2) Sacco, Cernì, geol. inter. giacit. terr. mioc. sup. Ital. centr. part. XVI, pag. 29, tav- II, fig. 28. (3) Op. cit., part. XVI, pag. 30, tav. II, fig. 30. (4) Sacco, Op. cit-, part. XVI, pag. 29. 232 G. SCARABELI.I GOMMI FLAMINI E L. FORESTI specie descritta dall’ abate siciliano, colla quale tanto per la forma quanto per 1’ ornamentazione perfettamente somigliano (*). Credo pure col Sacco che al gruppo della C. hirto. si debba unire anche la specie del Crosse (2) e cioè la C. Brocchii le cui figure riportate dal D’Ancona (3) specialmente per la forma e l’or- namentazione degli anfratti mediani, bene corrispondono a questa forma del Brugnone; la quale poi si mostra differente, per essere meno globosa, e per il numero stragrande delle coste longitudinali, le quali sono ancora meno accentuate. Croara. Famiglia CONIDAE. Genere Conus Linneo. Conus pyrula Br. var. coepolinus Menegh. Tav. IX, fig 9. Presenta la forma della specie del Brocchi (4), e meglio so- miglia alla figura data da questo autore che a quelle rappresentate dal Sacco (5), ma però colla spira un poco meno acuta ; sonvi be- nissimo indicate alla base le 6 o 7 strie incavate e distanti, e così pure le traccie di alcune linee serpeggianti e rossiccie. Gli anfratti sono superiormente declivi, leggiermente convessi alla parte anteriore e con tre o quattro strie ben marcate presso la sutura, la quale si presenta un poco irregolare, ben distinta, ma non ca- naliculata. L’ ultimo anfratto mostra, appena distinguibili da otto a nove fascie trasversali di color cinerino, quasi uguali ed ugual- mente distanziati fra loro. L’apertura è incompleta. Io credo doverlo riferire alla specie del Brocchi, considerandolo come varietà per le strie ben marcate alla parte posteriore degli anfratti e per le fascie colorate trasversali; ed a questa varietà (D Brugnone, Conch. plioc. vicinanz. Caltanisetta, pag. 103, tav. I, fig. 2. (2) Crosse, Étud. s. le gen. Cancell. Journ. Conchyl., 3 ser. voi. I, pa- gina 248, n. 12. tav. XIII, fig. 16, 17. (3) D’Ancona, Malac. plioc. ital. Meni. r. Coni, geol., voi. I, pag. 104, (4) Brocchi, Op. cit., voi. II, pag. 288, tav. II, fig. 8. (5) Sacco, Op. cit., part. XIII, tav. IX, fig. 4-12. SOPRA. ALCUNI FOSSILI ECC. 238 lascio il nome datogli dal Meneghini, scritto sul cartellino che 1' accompagnava. L’ illustre geologo e paleontologo di Pisa, colla precisione del suo occhio osservatore, ben si era accorto, come per alcuni carat- teri questo esemplare si allontanasse dalle specie più comuni che si riscontrano nel nostro pliocene e perciò 1’ aveva considerato come una specie nuova, ma per le ragioni sopraccennate io credo esser meglio ascriverlo ad una varietà della specie del Brocchi. Croara. Conus striatulus Br. var. lineolata Cocc. Perfettamente corrisponde alle figure del Cocconi (!). Credo col Sacco che si debba considerare come una varietà della specie del Brocchi (2), ben sapendo quanto questa specie sia variabile per la forma, e più specialmente poi per 1’ ornamentazione; le lineette trasversali prominenti non sono sempre eguali nè per numero, nè per prominenza, poiché ora sono poche e distanziate come nella figura del Brocchi, ora numerose e ravvicinate come in quella del Cocconi. Croara. Conus pelagicus Br. var. Scarabellii Menegh. Tav. IX, fìg. 10. Presenta una forma che si avvicina di molto a quella della figura del Brocchi (3) ; ed anche il genere di ornamentazione ne è molto somigliante; pure vi si notano alcuni caratteri che lo fanno distinguere. Esso è meno gonfio, la spira meno acuta, gli anfratti più pianeggianti. Le lineette trasversali sono in numero molto mag- giore ed alla base formano da sei solchi obliqui, distanziati e pro- fondi ; sulle lineette trasversali si notano le interruzioni della co- (’) Op. cit., pag. 152, tav. IV, fig. 4-6. (2) Brocchi, Op. cit., voi. II, pag. 294, tav. Ili, fig. 4. (3) Id. Id., pag. 289, tav. II, fig. 9. 234 G. SCARA BELLI GOMMI FLAMINI E L. FORESTI lorazione. Per la forma somiglierebbe alla figura della var. depres- soconica del Sacco ('). Per le differenze sopranotate lo considero come una varietà della specie del Brocchi, lasciandogli il nome impostogli dal Me- neghini. Croara. Genere Genotia H. et Àdams. Sotto-genere Pseudotoma Bellardi. Genotia ( Pseudotoma ) brevis Bell. Mentre per la maggior parte dei caratteri corrisponde perfet- tamente colla descrizione e colla figura del Bellardi (2), tuttavolta in alcuni individui si notano delle piccole differenze tanto nella forma generale della conchiglia, quanto nell’ ornamentazione. Ge- neralmente gli esemplari dell’ Imolese hanno una forma più slan- ciata, V ultimo anfratto meno gonfio, l’ angolo spirale più acuto : gli anfratti nella loro parte posteriore non sono sempre obliqui, subplani , ma invece sono spesso subconcavi, subcanaliculati ; e questa disposizione è bene espressa in quegli esemplari nei quali le costicine longitudinali terminano posteriormente con un piccolo tubercoletto, mercè dei quali presso la sutura si fa manifesto una specie d’ orlo sporgente e granuloso. Mentre le costicine longitudi- nali sono sempre bifide nella porzione posteriore degli anfratti, non sempre sono subspinose sulla carena che ne forma l’ angolosità po- steriore; le strie trasversali sono ora più ora meno numerose, e così pure ora più ora meno profonde ; quasi sempre l’ ultima po- steriore, cioè quella presso 1’ angolosità, è più marcata delle altre. Rio Gamballaro. Genotia ( Pseudotoma ) Bonellii Bell. Pochi sono gli esemplari che si possono riferire alla forma tipica, secondo il Bellardi (3), non tanto per la forma della con- (*) (*) Sacco, Op. cit., parte XIII, pag. 93, tav. IX, fig. 26. (2) Bellardi, Moli. terr. ter z. Piemont. e-Lig ., part. 2a, Meni. Acc. Se- Torino, ser. 2a, voi. XXIX, pag. 222, tav. VII, fig. 15. (3) Id. id., pag. 218, tav. VII, fi g. 13. SOPRA ALCUNI FOSSILI ECC. 235 chiglia, quanto per l’ ornamentazione ; la maggior parte apparten- gono alla var. B., per il numero dei funicoli trasversali sull’ ultimo anfratto e parte alla var. E. per il funicolo filiforme interposto fra i funicoli maggiori. Faccio però osservare che questi funicoli fili- formi in alcuni esemplari si osservano solamente fra 1 primi fu- nicoli posteriori, essendone gli altri privi, come nella forma tipica; ed in altri, invece di uno solo se ne contano anche due. Il punto d' intersecazione fra le coste longitudinali e i funicoli trasversali ora è ottuso ora spinoso ; le linee di accrescimento spesso sono nu- merose e grossolane percui la conchiglia osservata colla lente si presenta alquanto rugosa. Rio Gambaliaro. Genotia ( Pseudologia ) croarensis Foresti. Tav. IX, fig. 11. Conchiglia ovata fusiforme, spira mediocre, angolo spirale ot- tuso, composta di circa otto anfratti, di cui 1’ ultimo un poco più lungo della metà della conchiglia, convessi anteriormente, leggier- mente concavi alla parte posteriore, nel mezzo angolosi; anterior- mente striati; le strie sono ben distinte ed uguali sugli anfratti mediani ove se ne contano da tre a quattro ; sull’ ultimo queste strie si comportano in modo da dar luogo ad una serie di funico- letti di cui alcuni più grossi degli altri, ma ugualmente distanziati e regolarmente intercalati da un funicoletto filiforme ; la parte po- steriore degli anfratti appare liscia, ma colla lente vi si scorgono anche in essa delle sottilissime e poco apparenti strie trasversali, mentre bene espresse sono le sottili linee di accrescimento colla loro curva indicante la posizione dell’ intaglio. Sugli esemplari ben conservati si contano da circa 15 coste longitudinali, oblique, pro- porzionatamente grosse, le quali noa sono molto prominenti e ter- minano all’ angolosità con una specie di nodoli ottusi ; sull’ ultimo anfratto si presentano anche curve, diminuendo di prominenza e di grossezza scendendo verso l’estremità; la base spesso ne è affatto priva; la coda non è molto lunga. Le piccole e numerose strie di accrescimento formano presso la sutura posteriore un cingolo ele- gantemente e regolarmente granuloso; l’apertura è subovale, ter- minata anteriormente da un canale breve e stretto ; la columella diritta, leggermente contorta alla base ; il labbro esterno semplice. 236 G. SCARABELLI GOMMI FLAMINI E L. FORESTI Varia in questa conchiglia oltre la forma generale, che alle volte si presenta un poco più lunga, anche l’ ornamentazione ; v! hanno esemplari nei quali 1’ angolosità degli anfratti è priva di tubercoli, lasciando sull’ ultimo scorgere appena traccia della terminazione delle coste longitudinali ; non in tutti si osserva il cingolo granuloso presso la sutura, e spesso le granulazioni sono di forma allungata, mostrando per ciò la loro origine dalle linee di accrescimento, che in questo caso si mostrano sotto forma di sottilissime increspature. Gli esemplari che si mostrano coll’ angolosità senza tubercoli e senza il cingolo granuloso, specialmente sugli ultimi anfratti, es- sendone generalmente i primi sempre provisti, si potrebbero con- siderare come una varietà. Non faccio nessun confronto perchè non la saprei con quale altra specie assomigliare, tanto per la forma, quanto per l’ ornamentazione e le dimensioni. Di nessuna altra località italiana, conosco esem- plari simili. Gli esemplari dell’ Imolese misurano 28 millim. di diametro longitudinale e 11 millim. di diametro trasversale. Croara. Genere Clavatula Lamarck. Clavatula rugata Bell. L’ unico esemplare che ho in esame per la forma generale, per le dimensioni ed anche in gran parte per l’ ornamentazione, somiglia moltissimo alla figura data dal Bellardi ('); diversifica un poco dalla descrizione e forse meglio si adatterebbe alla var. A. (2), nella quale sono minori le costici ne trasversali, e granulose le intersecazioni colle coste longitudinali, varietà che il Sacco ha chiamata granu- losocostata (3). L’ esemplare è di forma subturrita, la spira non molto lunga e non molto acuta, i solchi, le strie, i funicoli tra- sversali sono più grossolani di quelli indicati dal Bellardi e spe- cialmente sull’ ultimo anfratto, che per le molteplici costicine lon- gitudinali sembra ornato da tanti cingoli granulosi ; il cingolo che (’) Bellardi, Moli. terr. terz. Piemonte e Liguria. Part. II, Meni. Acc. Se. Torino, ser. 2\ voi. XXIX, pag. 155, tav. V, fìg. 10. («) Id., id. (3) Sacco, Cat. paleont. bac. terz. Piemonte. Boll. Soc. geol. ital. voi. IX, pag. 273. SOPRA. ALCUNI FOSSILI ECC. 237 sta subito sotto al largo margine che si trova presso la sutura po- steriore è perfettamente granuloso, come pure tutti granulosi si presentano i primi anfratti. Mostrerebbe ancora qualche carattere riferibile alla C. rustica (Br.) e perciò segnerebbe come un pas- saggio dalla specie del Brocchi a quella del Bellardi. Anche questa specie, come alcune altre delle località accen- nate in questo lavoro, secondo il Bellardi non si troverebbe che nel miocene superiore ; se ciò è vero per il Piemonte, come è pro- vato anche da citazioni del Sacco, non così si verifica in altre lo- calità; nelle mie collezioni ne tengo alcuni esemplari del pliocene Toscano ed ora possiamo indicare anche questo dell’ Imolese. Le dimensioni dell’ esemplare in discorso sono le seguenti : Diametro longitudinale 22 millim.; diametro trasversale 9 millim. Rio Gamballaro. Genere Drillia Gray Drillia Scarabellii Foresti. Tav. IX, fig. 12. Conchiglia subfusiforme, spira non molto lunga e non molto acuta; anfratti leggiermente convessi e posteriormente canalicolati; il canaletto è piccolo, non molto largo, non molto profondo e lascia ben vedere la curvatura delle linee segnanti l' intaglio ; l’ ultimo anfratto un poco meno lungo della metà della conchiglia, depresso anteriormente. Sutura abbastanza profonda, marginata, con un orlo grosso, sporgente e leggermente ondulato. Dei funicoli trasversali, uguali ed ugualmente distanziati, attraversano la conchiglia ; se ne contano due o tre nei primi anfratti e nei mediani, sette od otto nell’ ultimo e scendendo verso la coda lo spazio che li divide si fa grandemente più largo. Da dieci a dodici sono le coste longi- tudinali, piuttosto grosse e un poco oblique ; scendendo aumentano di numero e scemano di dimensioni, percui sull’ ultimo anfratto vengono quasi ad uguagliare per grossezza i funicoli trasversali. Nell’ intersecazione delle coste longitudinali coi funicoli trasversali si forma una piccola nodosità, ben spiccata specialmente sul primo funicolo trasversale posteriore degli anfratti mediani ; e mentre nei primi non si osservano che le coste longitudinali, tagliate non molto profondamente da tre o quattro strie, sull’ ultimo invece le protu- 238 G. SCAR ABKLLI GOMMI FLAMINI E L. FORESTI beranze si mostrano piccolissime, rotondate non molto prominenti, ma ben distinte. L' orlo grosso che si osserva presso la sutura è ondulato, con traccio di nodosità, liscio, lasciando vedere solamente le sottilissime e numerosissime linee di accrescimento. La bocca è stretta ed allungata, il labbro columellare, posteriormente calloso, la columella subretta, un poco ingrossata nella porzione mediana ; la coda breve, larga, subombelicata. Dimensioni: diametro longitudinale 26 millim.; diametro tras- versale 9 millim. Per la forma generale presenterebbe molta somiglianza colla jD. Gestirli (Desm.) come pure per alcuni altri caratteri; e ciò secondo è accennato nella descrizione e nella figura che ne dà il Bellardi (1), ma 1’ ornamentazione ne è diversa; inoltre l’orlo gros- solano presso la sutura, il numero delle coste, e la forma dell’ aper- tura e della coda la fanno subito distinguere. Non conoscendo nes- suna specie colla quale identificarla, l’ho considerata come specie nuova, dedicandola all’ ottimo amico e distinto geologo, il senatore Scarabelli. Croara. Drillia Brocchii (Bon.). var. minor. Foresti. Tav. IX, fi g. 13. È un piccolo esemplare che riproduce perfettamente tutti quanti i caratteri assegnati alla specie tipo, tranne delle dimensioni e della forma dell’ orlo presso la sutura. È di forma turrita, di spira lunga; gli anfratti sono quasi piani alla parte posteriore, leggier- mente canalicolati e marginati ; il canaletto proporzionatamente largo è poco profondo, ed occupa quasi la porzione mediana degli anfratti, però un poco più vicino alla sutura posteriore; le suture sottili, ma ben distinte, e l’ orlo anteriore che le accompagna non molto grosso, nè molto prominente ; presenta come la specie tipo delle strie trasversali, minute, ondulate nella parte anteriore degli anfratti, lasciando liscia la parte posteriore ; così pure mostra lo stesso numero e la stessa forma di coste longitudinali, e finalmente (’) Bellardi, Op. cit., parte II, pag. 104, tav. Ili, fig. 30. SOPRA ALCUNI FOSSILI ECC. 239 nessuna differenza, tranne sempre delle dimensioni, nella forma dell’ apertura, delle labbra, della columella. Per la forma e le dimensioni, molto somiglia alla D. fratercula Bell. (’), ma il numero delle coste, la loro sporgenza su tutti gli anfratti, e le strie trasversali più grandi e più impresse, la fanno distinguere ; inoltre questa specie del Bellardi non è stata raccolta, secondo 1’ autore, che nel solo miocene medio. Anche la D. terebra (Bast.) (2) presenterebbe molta somiglianza coll’ esemplare in esame, per le dimensioni e la forma, ma il margine suturale grosso, pro- minente, irregolarmente nodoso, il maggior numero delle coste lon- gitudinali che terminano con una specie di nodosità presso la sutura e che si prolungano anche lungo la coda, ne fanno subito palese la differenza. Anche questa specie del Basterot, il Bellardi (3) la dice rarissima e raccolta solamente nel miocene medio. L'esemplare dell’ Imolese misura 22 millim. di diametro lon- gitudinale e 9 millim. di diametro trasversale. Oroara. Genere Mangilia Risso. Sotto-genere Raphitoma Bellardi. Mangilia ( Raphitoma ) harpula (Br.). Esemplare non perfetto, ma che non lascia alcun dubbio sulla determinazione specifica. Rio Mescola. Sotto-genere Homotoma Bellardi. Mangilia ( Homotoma ) textilis (Br.). È uno di quegli esemplari che per 1’ ornamentazione si allon- tana un poco da quella che si riscontra nella maggior parte degli individui e che perciò potrebbe stare a rappresentare una varietà. Le coste longitudinali sono più grosse e più numerose, i solchi trasversali più larghi e più profondi, percui nella loro intersecazione sembra si formino delle piccole nodosità. Quanto alla forma gene- ri Bellardi, Op. cit., parte II, pag. 109, lav. Ili, fig. 35. (2) Basterot, Mera. Bord., pag. 66, tav. Ili, fig. 20. (a) Bellardi, Op. cit., pag. 107, tav. Ili, fig. 33. 240 G. SCARABELLI GOMMI FLAMINI E L. FORESTI rale della conchiglia, facendo astrazione dalla deformità dei primi anfratti subita da questo individuo, quanto al numero ed alla forma degli anfratti, al canaletto posteriore colle sue strie longitudinali ricurve, all’apertura, alla columella ecc., per nulla differisce da tutti gli altri esemplari che si raccolgono nel pliocene italiano. Rio Gamballaro. Famiglia RINGICULIDAE. Genere Ringicula Deshayes. Ringicula Buccinea ? (Br.). Sono due esemplari giovanissimi che io crederei poter riferire a questa specie ; non sono del tutto completi, ma per la forma so- miglierebbero alla tìg. 3, tav. V del Seguenza ('), che rappresenta appunto un individuo giovane di questa specie del Brocchi ; ma gli esemplari dell' Imolese sono anche meno sviluppati. Hanno dimen- sioni molto più piccole : il guscio è sottilissimo, il labbro esterno, forse perchè rotto, non presenta nessun rigonfiamento, appena appena accennata una piccolissima piega columellare, nessuna traccia di callosità. Dimensioni: Diametro longitudinale 3 mill. ; diametro trasver- sale 2 V* millim. Rio Gamballaro. Famiglia AURICULIDAE. Genere Leucoma Gray. Leucoma alexiaeformis Foresti. Tav. IX, fig. 14. È una piccolissima conchiglia che per la forma meglio somi- glia al genere Alexia , ma che per tutti gli altri caratteri corri-: sponde perfettamente al genere Leucoma. È imperforata, a guscio piuttosto sottile, di forma ovale oblunga, a spira acuta, coll’ aper- tura ovale-allungata, con una sola piega al labbro columellare e col peristoma semplice e senza denti. Io credo doverla riferire al genere (’) Seguenza, Ringic. ital., Mem. R. Accademia Lincei, ser. 3*. voi. IX. (Estratti), pag. 20, lav. I, fig. 3. Boll della Soc. Geol.It.VoI. XVI (1897) Tav.VHL %1. Diaframma riassuntivo delle principati Formazioni Mioceni che e Plioceniche esistenti Fra il Meta uro eFIdice in discordanza coli'Eocerie e coi CreFaceo, e netia posizione iq cui dovevano irovarsi prima dei loro ultimi solleva men li . %2. | .Celle avita.uec 1:25000 Vanedola S.óoO. Ponte èe~lC*H*e, n caso al portiere dell’ ufficio di residenza — anni 1895 1896 » a ;so al tesoriere per custodia Titoli » is 3 allamminist. Molon (stralcio a tutto decembre 1896) » i} a Molon a Vicenza * jper conto di soci n Totale spese . . L. Acquisto di rendita » Totale . . . . L. Avanzo a pareggio » Pareggio in . . . L. 2939 322 351 85 16 100 66 1520 142 218 60 90 73 50 40 96 75 90 5764 74 1916 7680 2307 9988 74 90 64 Il Presidente JMte PANTANELLI Il Segretario ANTONIO NEVIANI Num. d‘ ordine 258 RESOCONTO DELL’ADUNANZA ESTIVA SOCIETÀ GEO 1 Situazione patrin*jo 1. 2. 3. 4. Capitali inalienabili. Importo del legato Molon in Rendita Italiana nominale , int « Società Geologica Italiana « Capitali a disposizione. Importo dei premi Molon non conferiti, rinvestito in Rendita j liana nominale , intestata « Società Geologica Italiana * Importo delle quote versate dai Soci a vita e perpetui, rinve in Rendita Italiana al Portatore Importo dei sopravanzi verificatisi nelV amministrazione ord della Società, rinvestito in Rendita Italiana al Portato Cassa al 1° gennaio 1897 Bollettino ufficiale della Borsa di Roma. Al 31 decembre 1896, L. 97,375. Ih TENUTA DALLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA IN PERUGIA 259 H 'V ITALIANA Va 1° gennaio 189/. 31 ITA ANNUA ^ Cent. netta Lire Cent. CAPITALE nominale Lire Cent. effettivo impiega- to per l’acquisto Lire Cent. reale al listino di Borsa 31 die. 96 Lire Cent. "‘a U: lì 0 4 9 6 1020 — 25500 — 24951 75 24830 625 236 — 5900 — 4875 54 5745 125 164 — 4100 — 3544 11 3992 375 72 — 1800 — 1555 95 1772 750 1492 37300 34927 35 36340 875 2307 90 Totale L. 38647 875 Il Presidente a. LE PANT ANELLI Il Tesoriere TOMMASO TITTONI 1S 260 RESOCONTO DELL’ADUNANZA ESTIVA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA AMMINISTRAZIONE DEL LEGATO MOLON BILANCIO CONSUNTIVO 1896 V ttivo 1. Cassa al 1° gennaio 1896 L. 1520 96 2. Importo 2/3 rendita intestata Molon, anno 1896 . « 680 — 3. Interessi anno 1896 delle somme depositate alla cassa di risparmio postale » 29 30 Totale attivo L. 2230 26 Si deduce il passivo in .... « 1832 — Eccedenza attiva al 1° gennaio 1897 L. 398 26 Passivo 1. Importo del premio scaduto nel 1896 e non con- ferito per mancanza di concorrenti. Passato all’ amministrazione della Società Geologica. . L. 1800 — 2. Importo z/3 della tassa di manomorta (anno 1896) gravante il legato Molon » 32 — Totale passivo L. 1832 — Il Prendente DANTE PANTANELLI L'Economo AUGUSTO STATUTI Il Segretario ANTONIO NEVIANI TENUTA DALLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA IN PERUGIA 2G1 Il Presidente ricorda come unitamente alla circolare di in- vito per le adunanze di Perugia, venne diramato ai soci un foglio ove vennero riassunte tutte le modificazioni portate allo Statuto ed al Regolamento negli anni precedenti. Il Consiglio nella sua seduta di ieri si preoccupò se non fosse il caso di portare a detto Statuto e Regolamento altre modificazioni che meglio collegassero fra loro le varie disposizioni, e più corrispondessero ai bisogni della Società. Propone quindi a nome del Consiglio la sospensiva, rimanendo intanto esecutorie le deliberazioni prese in diversi tempi dalla Società e dal Consiglio in quanto non sieno in aperta con- traddizione tra loro. Senza discussione l’assemblea approva la sospensiva. Il Presidente propone che venga nominata una Commis- sione di cinque membri acciò studi e riferisca per la prossima assemblea dei soci, la riforma dello Statuto e del Regolamento, basandosi sulle deliberazioni precedentemente prese dai Consigli e proponendo quelle nuove variazioni che saranno del caso. La di- scussione relativa si farà, conforme lo Statuto, nella prossima adu- nanza estiva. A proposta del socio Meli 1’ assemblea incarica il Presidente di nominare detta Commissione. Il Presidente accetta. Il Presidente fa notare che una deliberazione presa dall’ as- semblea il 12 febbraio 1888 in Imola, ha dato luogo ad inter- pretazioni controverse. « I Soci che d’ ora innanzi saranno nuovamente ammessi, « avranno facoltà per un triennio di optare per divenire Soci a u vita, nel qual caso le quote versate andranno in diminuzione « delle 200 lire stabilite » . Ora alcuni soci ordinari sono passati soci a vita anche dopo qualche anno dalla nomina pur pagando per intero la quota di 200 lire; altri in seguito alla suaccennata deliberazione, chiesero di essere esonerati dal pagamento di lire 45, equivalenti alla quota di tre anni, ancorché ne fossero passati più che tre dal giorno della nomina. 262 RESOCONTO DELL’ADUNANZA ESTIVA Il Presidente opina che questa interpretazione si possa ac- cettare, e chiede il parere dell’ assemblea ; parlano favorevolmente i soci Botti, Clerici, Bonarelli; contro l’economo Statuti, i soci Cardinali, Meli e Mazzuoli. L’assemblea delibera di sospendere ogni decisione, rimettendone l’ interpretazione alla Com- missione per la revisione dello Statuto e del Regolamento. Il Presidente propone che per accordo preso con il socio prof. Bellucci, il mattino di giovedì 23, in luogo della escursione a monte Malbe, come era stato preventivamente progettato, si vada a visitare i lavori dell’ emissario del Trasimeno, dopo di che si farebbe una gita sul lago per mezzo di piroscafi gentilmente offerti dal senatore marchese Guglielmi, toccando Castiglione del Lago, Isola Maggiore e Tuoro. L’ assemblea approva la variazione di programma. La seduta è tolta alle ore 12. Alle ore 3 pomeridiane, i soci si recano a casa del socio prof. Bellucci a visitare le splendide raccolte di oggetti litici, quella veramente meravigliosa ed interessantissima degli oggetti che in qualità di amuleti vengono conservati presso i contadini, specialmente Umbri, come preservatola dal fulmine, dalle malattie, dal mal’ occhio, jettatura ecc. Si ammirò pure la ricca collezione, in gran parte di vertebrati, con denti di Elephas, di Mastodon , di Rhinoceros ecc. dei dintorni di Perugia. I Soci si portarono poi al nuovo Istituto agrario, ove ammirarono le collezioni mineralogiche, geologiche e paleontologiche che nello scorso anno furono in gran parte ordinate dal nostro socio ing. Clerici, e che ora verranno definitivamente assestate dal socio dott. Bonarelli. 20 settembre. Gita a Gobbio per Umbertide. La mattina del venti settembre, presenti i soci Pantanelli presidente, Bellucci, Bettoni, Bonetti, Botti, Cacciamali, Cardinali, Clerici, De Angelis, Lupi, Meli, Morena, Namias, Parona, Statuti, ed il segretario Neviani (il socio Bonarelli ci aveva preceduti sino dalla sera innanzi), si partì per Umbertide col mezzo di un grande omnibus alle 6 precise. TENUTA DALLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA IN PERUGIA 263 Il tratto da Umbertide a Gubbio si percorse colla ferrovia a scartamento ridotto, che da Arezzo porta a Fossato. A Gubbio fummo ricevuti dal sindaco cav. Stirati Gabriele, dalla Giunta municipale, da un comitato di cittadini, dall’ on. Fazi, deputato del Collegio, e da numerosa popolazione. Il socio Bona- Relli pensò subito alla distribuzione degli alloggi, che con squisita cortesia ci vennero offerti dai cittadini Eugubini. Alle 12 in casa del sindaco cav. Stirati, a cura del Municipio venne offerta una lauta colazione. Si visitò quindi la città, così ricca di monumenti artistici e di tanti ricordi storici. A casa del dottor Bonarelli si. ammirò la collezione di roccie e fossili dei dintorni di Gubbio, che il nostro collega va riunendo ad illustrazione di quella interessante contrada, e che andrà poi ad arricchire le collezioni del Comitato geologico. Nella medesima sala avemmo anche occasione di vedere una bella collezione di minerali, messa insieme dal sig. Elisei Ales- sandro, e che aveva esposto per l’occasione. Adunanza nella sala del Consiglio comunale. Alle ore 16, nella sala del Consiglio comunale di Gubbio, cor- tesemente concessa, il presidente prof. Pantanelli apre la seduta privata. Sono presenti tutti i soci che presero parte alla gita. Il Presidente dà lettura di una lettera firmata da 14 soci, con la quale si richiede che venga modificato nel seguente modo F articolo 5° del Regolamento al premio Molon. « Qualora entro il termine fissato non venissero presentati la- * vori pel concorso, e nel caso che nessuna delle Memorie presen- ti tate fosse stata riconosciuta meritevole del premio, si riaprirà il « concorso con altro tema bandito seguendo le norme stabilite dal- li 1’ art. 2, e questo allo scopo di erogare sempre la somma stabi- li lita pel premio, secondo V espressa volontà del testatore » . Il Presidente riassume lo stato della questione, dice che es- sendosene trattato lungamente in Consiglio negli anni precedenti, venne finalmente portata la proposta di modificazione all’ assemblea del 7 marzo 1897 in Roma; la discussione fu lunga, e venuti ai voti si constatò che il numero dei favorevoli era eguale a quello 264 RESOCONTO DELL’ADUNANZA ESTIVA dei contrari (v. Boll. voi. XVI, pag. 7), rimanendo per ciò sospesa ogni deliberazione. Oggi è dovere della Presidenza ripresentare le fatte proposte all’ assemblea. Informa che il Consiglio discusse lungamente la for- inola proposta dai 14 soci, e qui sopra riportata, come il Consiglio approvando in massima la modificazione, non abbia creduto di ac- cettare la seconda parte che rimaneva indeterminata, dando adito, nel numero delle probabilità, al caso che contemporaneamente si avessero aperti tre, quattro o più concorsi. Propone per ciò che V ar- ticolo 5° del premio Molon venga modificato nel seguente modo : « Qualora entro il termine fissato non venissero presentati la- ti vori per il concorso, o nel caso che nessuna delle Memorie pre- ti sentate fosse stata riconosciuta meritevole di premio, si riaprirà « il concorso con un nuovo tema, seguendo le norme stabilite dal- « 1’ art. 2 ; verificandosi anche la seconda volta il non conferimento « del premio, la somma stanziata a questo scopo verrà capitaliz- “ zata per la formazione di un fondo speciale, la cui rendita sarà « annualmente impiegata per le pubblicazioni scientifiche della « Società » . 11 Presidente apre la discussione. Il socio Meli chiede se sia legale il trattare di una modifica- zione ad un regolamento, in numero così esiguo. Il Presidente fa osservare che le adunanze della Società geo- logica italiana sono sempre valide, qualunque sia il numero degli intervenuti. Chiedono la parola, facendo alcune osservazioni, i soci Clerici, Cardinali, Botti e Parona. Il Presidente pone ai voti la massima, se cioè si debba mo- dificare 1’ articolo 5° del regolamento Molon, nel senso che, non conferito una prima volta il premio, si debba riaprire subito un se- condo concorso. La massima viene approvata alla unanimità, ed il socio Car- dinali propone, e l’assemblea approva, si aggiunga che la riaper- tura del concorso si faccia nel più breve termine possibile. Il Presidente pone ai voti la seconda parte dell' articolo, se cioè si debba, dopo il secondo concorso, capitalizzare il premio non conferito a favore delle pubblicazioni della Società. È approvata a grande maggioranza. TENUTA DALLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA IN PERUGIA 265 Rimane così definitivamente stabilito che 1’ art. 5° del regola- mento per il premio Molon venga in tal modo enunciato. Regolamento per il premio Molon. Art. 5°. « Qualora entro il termine fissato non venissero presentati la- « vori pel concorso, o nel caso che nessuna delle Memorie presen- « tate fosse stata riconosciuta meritevole di premio, si riaprirà, nel « più breve termine possibile, il concorso con un nuovo tema, se- « guendo le norme stabilite dall’ art. 2°. Verificandosi anche la se- ti conda volta il non conferimento del premio, la somma stanziata « a questo scopo verrà capitalizzata per la formazione di un fondo « speciale, la cui rendita sarà annualmente impiegata per le pub- « blicazioni scientifiche della Società ». Alle ore 17 il Presidente dichiara chiusa la seduta privata, e si apre la seduta pubblica. Entrano nella sala il Sindaco, alcuni notabili della città, molte signore, signorine, e signori di Gubbio. Il Presidente dà successivamente la parola a vari soci per le loro comunicazioni: Il socio Meli parla sopra i rapporti fra 1 ' Elephas primige- nia della Siberia, e gli elefanti fossili italiani. Idem: rettifica sul Pecten Ponzi Meli. Il socio De Angelis D’Ossat, sui rapporti delle dentature dell’ Elephas primigenius e dell’ El. Trogonlherii. Parlano in proposito anche i soci Meli e Clerici. Il socio Clerici sviluppa le due comunicazioni sulla geologia dei Monti Parioli, ed intorno i terreni di Decima. Il socio Bonarelli, anche a nome del socio Bettoni, presenta una carta geologica dei dintorni di Brescia e ne riassume le linee principali. Lo stesso dottor Bonarelli dà una breve relazione dei ter- reni che si osserveranno nella gita che si farà domani alla Scheggia in valle d’ Urbia. A proposta del socio Bellucci viene spedito il seguente tele- 266 RESOCONTO DELL’ADUNANZA ESTIVA gramma alla deputazione di Storia patria, che tiene in Spoleto il suo congresso. « Presidente deputazione storia patria — Spoleto. « Società geologica italiana riunita Gubbio saluta voi continuatori nel u tempo della sua opera. « Pantanelli ». Alle ore 1 7 la seduta è sciolta. Dopo la seduta i soci visitarono il palazzo comunale, ove si conservano le famose tavole Eugubine, e ricco per una splendida pinacoteca, e molti altri oggetti di arte medioevale. Alle ore 7 presero parte ad un pranzo offerto da un gruppo di cittadini ; alle ore 8 l/t molti dei soci si recarono al teatro ad assistere ad un trattenimento musicale, gentilmente ospitati nel palco del municipio, e di vari signori del luogo. 21 settembre. Gita a Scheggia e Valle d’ Urbia. Il socio dottor Bonarelli che fu la nostra guida nella escur- sione di questa giornata ci ha favorito i seguenti appunti: « Partiti da Gubbio alle ore 6 a. e diretti, per la Scheggia, a Val d’ Urbia, i Congressisti ànno avuto campo di esaminare passo passo una delle migliori e più complete sezioni geologiche natu- rali fra le tante che intersecano 1’ Appennino centrale nel senso ortogonale alla direzione delle sue pieghe. « Lungo la valle Camignana, partendo da Gubbio si à la se- guente successione di formazioni : « 1. Schisti ad aptici selciosi, verdi e rossi del giura medio, dalla porta di S. Croce fino al 1° mulino. * 2. Maiolica inferiore del Giura super, presso il 1° mulino. « 3. Maiolica infracretacea dal 1° al 2° mulino. « 4. Scisti argilloso-scistosi vari-colori (a Fucoidi), del Gault. « 5. Calcare bianco stratificato cenomaniano dal 2° al 3° mulino. « 6. Scisto nero bituminoso del Turoniano inf. con denti di Ptychodus ed altri resti ittiolitici. « 7. Calcare rosato Turoniano superiore dal 3° mulino fin verso il Bottaccione. TENUTA DALLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA IN PERUGIA 267 “ 8. Scaglia rosata con fossili del Senoniano inferiore ai lati del Bottaccione. “ 9- Scaglia cinerea con numerosi fossili ( Inoceramus , Gryphaea vescicularis , etc. caratteristici del Senoniano superiore. » A questo punto della escursione il Bonarelli dopo aver fatto osservare la perfetta concordanza, fra loro, delle varie formazioni mesozoiche tino a quel punto incontrate, fa pure osservare la per- fetta concordanza della scaglia cinerea con le roccie eoceniche che la sovrastano, mediante un termine di passaggio rappresentato dal “ Bisciaro » (Calcare marnoso albaresiforme erroneamente consi- derato come vero albarese da Spada e Orsini). Sussiste inoltre affinchè si osservi la natura marnosa della Scaglia cinerea e ricorda come la applicazione del nome « Scaglia » a questi depositi del- l' Appennino centrale debbasi appunto allo Zittel, avendo questo autore riconosciuta la perfetta identità litologica e cronologica di dette formazioni con quelle che nelle prealpi venete vengono ap- punto chiamate col nome di Scaglia e che niente anno a che fare con le « argille scagliose * eoceniche. “10. Flysch eocenico prevalentemente marnoso dal Bot- taccione fino alla Scheggia. * Dalla Scheggia verso Val d’ Urbia lungo la Valle del Sen- tino i Congressisti anno veduto nuovamente, in senso inverso, la serie mesozoica già riscontrata nella vai Camignana, fino alle cosi- dette Balze delle Salare sotto al Monte Porcello dove più in basso degli Schisti ad aptici del Giura medio si ànno le seguenti for- mazioni : « f. Calcari bianchi dell' Oolite. “ e. Calcari marnosi rossi dell’Aaleniano (fossiliferi). « d. Marne rosse ammonitifere del Toarciano superiore (fossilifere). u c. Marne grigie del Toarciano inferiore (fossilifere). « b. Calcari compatti stratificati del Lias medio. u Questi calcari del Lias medio costituiscono il nucleo della elissoide anticlinale di Monte Forcello. Procedendo da questo punto verso Val d’ Urbia si à nuovamente in senso ascendente tutta la serie mesozoica fino alla Maiolica, contro la quale, per faglia e scivolamento, si appoggiano i vari membri della Creta superiore. 268 RESOCONTO DELL’ADUNANZA ESTIVA « Le case di Val d’ Urbia riposano sopra gli scisti varicolori del Gault. «Al di là di Val d’ Urbia ergesi l’erto gibbo del Catria (Balza del corno) dove, per faglia, si à il contatto del calcare massiccio Sinemuriano, costituente la balza, coi membri più recenti del Giura e con la Maiolica infracretacea » . Come note di cronaca aggiungeremo come l’ escursione non riuscisse così profittevole, come sarebbe certamente stata, se il tempo non avesse continuamente minacciato a risolversi in un tempo- rale che, in mezzo alle valli e lontano dagli abitati, sarebbe stata quanto mai disastrosa. Pur tuttavia fiduciosi arrivammo alle 8 del mattino a Scheggia, ove fummo ricevuti dal sindaco del luogo, dai consiglieri comunali, e da vari signori, fra i quali notammo il sig. cav. Serafini Guglielmo. Mentre si era fermi a Scheggia, e ci veniva servito un rin- fresco offerto dal municipio, giunse la posta, che ci recò lettere e telegrammi. Il Presidente legge i seguenti: Telegramma di S. E. il Ministro della P. I : « Prof. Cuturi, Rettore Università libera — Perugia. « Piacciale porgere mio saluto convenuti cotesto congresso col mag- « gioro augurio che suoi lavori conferiscano progresso studi geologici. « Il Ministro « Gianturco ». Lettera di S. E. il Ministro di A. I. e C. « 111. sig. prof. Dante Pantanelli, presidente della società geologica. « Per occupazioni del mio ufficio non mi è dato di assistere alla inaugu- « razione delle sedute che la Società geologica italiana terrà in Perugia pros- « simamente. « Mentre dunque non posso, con mio vivo rincrescimento, accettare il « cortese invito che la S. Y. 111., degno rappresentante della Società, mi ha « diretto, faccio vivi auguri che le discussioni e le escursioni che si faranno «dall’eletta schiera di scienziati, che della Società stessa fan parte, tornino, « come sempre, utili al progresso della geologia italiana. « Il Ministro « Guicciardini ». 269 TENUTA DALLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA IN PERUGIA Telegramma della deputazione di Storia patria per 1’ Umbria. “ Prof. Pantanelli — Gubbio. “ A voi che interpretando palinsesti geologici, insegnate a noi il me- « todo scientifico nell’esame dei monumenti scritti, ricambio di saluti e auguri. “ Per la deputazione “ Fumi ». Questo telegramma doveva essere ricevuto la sera innanzi. Il socio senatore Scarabelli scrive chiedendo se fra i soci siavi alcuno « che avendo avuto occasione di raccogliere qualcuno “ di quei singolari rilievi retiformi ad aree esagonali detti Paleo- “ diclhyon , possa assicurare positivamente che si trovavano sulle “ superfìci superiori od inferiori degli strati. Chi scrive (aggiun- “ geva il senatore Scarabelli) poco tempo fa, ne osservava di- « versi, tutti rilevati sulla superficie inferiore di un grosso strato “ di molassa del miocene medio, in valle del Senio » . Fu comunicato ai soci presenti tale quesito. In una delle sale del municipio il socio ing. Morena aveva esposto i principali fra i fossili che servirono di base alla Nota che fu già pubblicata nel nostro Bollettino (voi. XYI, pag. 183-186), intitolata: Il sinemuricuio negli strati a Terebratula Aspasia, più alcune specie delle molte nuove dallo stesso ing. Morena sco- perte nell’ oolite inferiore del Furio, e diversi importantissimi esem- plari del miocene e dell’ eocene del subapennino Cantianese e Ca- gliese; fra questi ultimi eravi una nuova specie di Pholaclomya. I soci ammirarono quelle collezioni, che oltre ad avere importanza per i terreni e località che illustravano, erano anche esteticamente belle per la quantità di fossili, e per la loro conservazione : e con ragione se ne rallegrarono col dotto ed instancabile studioso. Si proseguì quindi per valle d’ Urbia, facendo gran parte della strada a piedi, ammirando la stupenda sezione geologica, e racco- gliendo una quantità di fossili specialmente negli strati ad Aptici del giura medio, nell’Aaleniano, e nel Toarciano, che formano una serie riccamente fossilifera. Giungemmo a poca distanza dal Catria nelle ore 10 ’/2 ; qui ci fermammo a fare colazione, e gustammo una abbondante refezione, che offertaci da un comitato di signori Eugu- bini, era stata portata con noi dalla ospitale città ; come ciò non bastasse anche il cav. Serafini volle farci assaggiare alcuni pro- dotti dei suoi terreni. 270 RESOCONTO DELL'ADUNANZA ESTIVA Perdurando l’ incertezza del tempo non ci fu possibile conti- nuare la via che era stata stabilita, e si dovè tornare. Ci fermammo di nuovo qualche minuto a Scheggia, ed alle 14 3/4, poco dopo cioè che si era fatto sentire il forte terremoto che si estese per quasi tutta l’ Italia centrale ('), e da noi non avvertito, rientrammo in Gubbio, carichi di roccie e di fossili. Rimanemmo nella simpatica città ancora poco tempo, ed alle ore 18,35, salutati alla stazione dal sindaco e da molti cittadini, partimmo per Umbertide, ove si pernottò. Il socio ing. Morena, che ebbe tanta parte nella buona riuscita della gita di questo giorno, non potè seguirci, per ragioni di ufficio, e da Scheggia si portò direttamente a Cantiano, sua normale residenza. 22 settembre. Ritorno a Perugia. Secondo il programma preventivamente stabilito, la Società si doveva recare da Umbertide direttamente ad Assisi, per visitare la pittoresca e storica città, e spingersi sino al Subasio. Ma il tempo che già nel giorno precedente ci aveva più volte minacciato, non accennava a volgere al bello, onde il Presidente decise che si ritor- nasse a Perugia, ove si giunse difatti alle 10, mentre il cielo si era quasi improvvisamente rasserenato. Nel pomeriggio i soci ebbero modo di visitare la pinacoteca, i musei e monumenti della città ; quelli che non si trovarono in Pe- rugia nella domenica scorsa, andarono ad ammirare le splendide collezioni del prof. Bellucci, e quelle della Scuola agraria. Alle ore 16 prendemmo parte ad un pranzo, all’ Albergo della Posta, che venne offerto dal sindaco di Perugia, unitamente ai pro- fessori dell' Università, al presidente della deputazione provinciale ed al presidente della fondazione per 1’ istruzione agraria. 23 settembre. Gita al Trasimeno. Secondo il convenuto, invece della escursione al Monte Malbe, ha luogo la gita al Trasimeno. Sono presenti i soci: Pantanelli presidente, Bellucci, Bettoni, Bonarelli, Bo- netti, Botti, Cacciamali, Cardinali, Clerici, De Angelis, (!) Il socio dott. Baratta ci ha inviato di questo terremoto una rela- zione, che pubblichiamo in appendice al verbale. TENUTA DALLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA IN PERUGIA 271 De Marchi, De Stefani, Levi, Lupi, Mazzuoli, Meli, Namias, Nevia.ni, Parona e Statuti. Vi prendono parte il prefetto della provincia, 1’ onor. Pompilj, vari soci del Club alpino, ed alcune signore e signorine. Alla stazione di Magione fummo ricevuti dal sindaco signor Pentini, il quale col signor ing. Menciìini, direttore dei lavori del nuovo emissario, ci accompagnarono offrendoci continue spiegazioni. A destra dell’ imbocco del nuovo emissario evvi un lembo cre- taceo che forma il Colle di S. Savino ; sopra di esso venne servita una colazione campestre offerta dal Club alpino di Perugia, della quale è anima il nostro socio e consigliere prof. Bellucci. Dallo stesso prof. Bellucci vennero distribuiti ai presenti due opuscoli: 1° Contributo alla bibliografia dell’ Umbria — Geologia e Scienze affini. 2° Per la solennità inaugurale dei lavori del Lago Trasimeno. Il marchese senatore Giacinto Guglielmi aveva posto a nostra disposizione due piroscafi: su di essi, e specialmente sul maggiore {Umbria), ci imbarcammo; poco dopo salpati il Presidente aprì a bordo 1’ adunanza di chiusura, per la quale non si erano riser- bate che le elezioni sociali. Elezioni sociali a bordo dell’ « Umbria » sul lago Trasimeno. In una delle salette a bordo del piroscafo « Umbria, » di pro- prietà del senatore Guglielmi, si compie lo scrutinio dei voti pel- le cariche sociali della Società geologica italiana per l’anno 1897. Il Presidente cniama a scrutatori i soci Bettoni e Bona- relli ; coadiuvano il segretario Ne vi ani ed il vice segretario Namias. Dopo un’ ora circa il presidente fa la seguente proclamazione : Votanti 85. Sono eletti: a vicepresidente Canavari prof. Mario con 66 voti ; a consiglieri per il triennio 1898-1900: Botti cav. Ulderigo con ... 74 voti Taramelli prof. Torquato con . 74 « Simonelli prof. Vittorio con. . 69 » Mercalli prof. Giuseppe con. . 59 » 272 RESOCONTO DELL'ADUNANZA ESTIVA a consigliere per l’anno 1898, in sostituzione del defunto socio con- sigliere D. Giuseppe Mazzetti, Ferraris ing. Erminio con 23 voti. Ottennero poi altri voti, a vicepresidente: Pellati 15 voti; Parona 2 voti; a consigliere: Verri 19 voti; De Stefani 14 voti; Matteucci 12 voti; Bucca 6 voti; Trabucco 5 voti. Il presidente dichiara chiusa la parte ufficiale del Congresso. Approdati alle 11 l/2 a Castiglion del Lago si visitò il pa- lazzo dei Duca della Cornia ove ora ha sede il municipio, e l’an- nesso castello con una magnifica torre triangolare che domina il Trasimeno; quindi si andò all’ Asilo infantile attuale, ed in ultimo si vide pure il nuovo Asilo in costruzione. Dopo le 14 si rimontò sui piroscafi ed accompagnati da vari signori, che si vollero unire a noi, salpammo per Isola Maggiore, ove fummo ricevuti dal sena- tore marchese Guglielmi in persona. Nelle poche ore che avemmo la ventura di fermarci nell’ isola, si visitò la borgata, e lo splendido castello Isabella, ove con cortesie e gentilezze infinite fummo ospitati. Intanto alcuni dei nostri colleghi, i soci Bettoni, Cacciamali, Levi, Lupi, Namias e Parona, dovendo partire per l’ Alta Italia vennero alle ore 17 */4 accompagnati con un piccolo vaporino alla stazione di Tuoro. Alla stessa stazione più tardi (ore 19) si dires- sero gli altri soci accompagnati da tutta la famiglia del senatore Guglielmi donde si partì bene augurando alla regione che per varii giorni ci aveva cotanto amabilmente ospitati. Il segretario Antonio Neviani. Appendice «al verbale. I. Clerici Enrico. — Progetto di Carta dei giacimenti diato- meiferi dei dintorni di Roma. Presento una carta dei giacimenti diatomeiferi dei dintorni di Roma, cioè una carta topografica al 100000, sulla quale, me- diante circoletti colorati, sono indicati i giacimenti diatomeiferi a me noti. Vi sono circoletti nell’ interno della città ed altri sparsi TENUTA DALLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA IN PERUGIA 273 tutto all’ intorno tino alla notevole distanza di più che 20 km. da essa. Malgrado che siano numerosi, già una cinquantina, la carta non è ancora ultimata, perchè in certe direzioni non ho com- piuto escursioni con questo scopo determinato, ma lo sarà fra breve per quanto non abbia fretta, facendo geologia non per necessità di posizione ma per diletto e sportivamente. Ho indicato sulla carta le località precise ove si trovano vere farine fossili oppure materiali prevalentemente costituiti da dia- tomee. Quando il lavoro sarà ultimato vedrò se converrà indicare, per la speciale ubicazione e per i rapporti con altre roccie, anche quelle località in cui esistono materiali contenenti diatomee ma che a rigore non potrebbero dirsi veri giacimenti diatomeiferi. Si potrà in tal caso adottare un colore diverso; così pure mi pro- pongo di indicare con uno stesso segno od uno stesso colore i ma- teriali che corrispondono ad un determinato livello geologico, cioè ad un determinato gradino della scala o successione delle varie roccie. La carta sarà accompagnata da un indice progressivo delle località con qualche speciale annotazione, per esempio sugli altri fossili che eventualmente vi si rinvengono. Non ho ben deciso se, per rendere meglio conto dell’ impor- tanza delle località, sia vantaggioso dare alla carta una coloritura che distingua semplicemente il pliocene dal quaternario o piut- tosto le formazioni marine da quelle non marine, oppure se ri- mandare direttamente al confronto colla carta geologico-geognostica pubblicata nella stessa scala dal R. Ufficio Geologico ('). Su ciò mi sarà assai gradito il consiglio dei colleghi. Per ora sono in grado di dimostrare che tutti i giacimenti registrati nella carta si formarono posteriormente al giacimento fossilifero classico del Monte Mario e che perciò rientrano tutti nel quaternario (2). (U Carta geologica della Campagna Romana e regioni limitrofe; in sei fogli ed una tav. di sezioni. Roma, Virano, 1888-89. (2) Secondo una nota a pie’ delle pag. 190 e 191 del secondo voi. delle Contribuzioni alla storia fisica del bacino di Roma ecc., parrebbe che io avessi accennato o descritto qualche formazione tripolacea o diatomeifera « precedente allo inizio delle sabbie grigie e poi gialle a fossili abbondanti marini della formazione mariana». Però sta in fatto che io finora non l’ho nè descritta, nè trovata. 274 RESOCONTO DELL’ADUNANZA ESTIVA Credo che ima tale carta renderà persuasi circa l’ origine del suolo romano meglio di qualunque lunga descrizione. -II. Clerici Enrico. — Sopra i terreni di Decima presso Roma . (Comunicazione preliminare). Avendo continuato le mie ricerche di dettaglio al sud di Roma fino al mare, in prosecuzione di quelle fatte nella regione che de- scrissi nella mia nota intitolata: Sopra un giacimento di dia- tomee al Monte del Finocchio o della creta presso Tor di Valle (Boll. d. Soc. Geol. It., voi. XII), sono in grado di estendere per altra notevole parte di territorio alcune conclusioni emesse in detta nota. Queste conclusioni riguardano specialmente la successione delle roccie vulcaniche. Così il prodotto più antico è il tufo granulare o meglio il complesso a strati di tufo granulare con interposti strati a pallottole tufacee pisolitiche, il quale, con separazione net- tissima, giace su sabbie argillose a Cardimi Damar chi ricoprenti ghiaie. Oltre al Cardium queste sabbie contengono poche altre specie, sopratutto ostriche, e 1’ esistenza di questi fossili è nota da tempo essendo menzionati nelle pubblicazioni del Ponzi, del R. Ufficio Geologico, del colonnello Verri e del prof. Meli. La pozzolana rossa tipica è di formazione posteriore al tufo granulare ed in parecchie località la si vede ricoperta da quel materiale caratteristico che io chiamai conglomerato giallo. L’ ordinario tufo litoide e la pozzolana nera ebbero origine ancora più tardi. Questi tipi ben distinti di roccie vulcaniche sono alternati o ricoperti da materiali di affinamento, spesso diatomeiferi, o da vere farine fossili come quelle che ho scoperte alla scesa del Malpasso, a Castel Porziano, verso Trafusa, verso Trigona, ecc., oppure a volte da marne ricche di molluschi, come tìythinia tentaculata, Valvata piscinalis , Planorbis , Hydrobia, ecc., che vennero già ac- cennate dal Verri. Il tufo granulare abbonda, al solito, di cavità dovute a resti vegetali. Meno frequentemente vi si trovano buone impronte di TENUTA DALLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA IN PERUGIA 275 foglie di Laurus nobilis , Hedera helix , Ulmus campestris, Ru- s cus aculeatus, Taxus baccata. Questo tufo adunque cogli stessi caratteri e colle stesse foglie lo si ritrova in Roma e d’ attorno e 1’ ho anzi materialmente se- guito per lunghissimi tratti : da Castel Romano, poco a sud di De- cima, alla valle del fosso di Greppe, fra Mentana e Montecelio, ove ho raccolto le stesse specie, corrono in linea retta circa 30 km. Un altro particolare degno di menzione è la presenza nelle ghiaie suddette, di qualche ciottolo ben arrotondato come gli altri ciottoli calcarei, costituito da materiale lavico con cristalli macro- scopici di sanidino, tale da richiamare alla mente le analoghe lave della regione Viterbese. Con questo accenno di somiglianza non intendo occuparmi della provenienza di tali ciottoli; ma è certo che se le ghiaie proven- gono dalla Tirrenide , come taluno sostiene, i ciottoli lavici po- tranno avere la stessa provenienza. III. Baratta Mario. — Sul terremoto di Sinigallia del 21 settem- bre 1897. Fra i terremoti avvenuti in Italia nel 1897, il più esteso fu certamente quello che nel pomeriggio del 21 settembre venne ad urtare 1’ Italia centrale, specialmente le Marche, e che si propagò nell’ Umbria, nella Romagna, in parte degli Abruzzi e del litorale della Venezia; quantunque, a quanto mi consta, non abbia prodotto che danni di lieve momento, tuttavia, avendo potuto raccogliere numerose notizie, non credo inutile l’esporle in questa relazione (*). Verso le ore 14 (t. m. E. c.) del 21 settembre una scossa for- tissima fu intesa in Sinigallia : quivi, come tutti affermano, fu pre- dominantemente ondulatoria: però, secondo alcuni, cominciò con una ondulazione e solo sul fine fu inteso qualche urto verticale; secondo altri invece il movimento ebbe da prima una fase di sussulto, se- (’) Mi sento in dovere di ringraziare i sigg. prof. 0. Marinelli, A. Ten- neroni, A. Neviani, C. Melzi, G. Vicentini, ed i sigg. dott. F. Zanasi, D. A. Ma- riani e ten. di vascello G. Roncagli per le notizie gentilmente comunicatemi. 19 276 RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE ESTIVA guìta poscia da due energiche ondulazioni, a brevissima distanza l’una dall’altra ed aventi ambedue direzione E-W, dedotta non solo dalla impressione personale, ma anche dalla caduta di vari oggetti. Circa la durata della commozione, le varie relazioni che io pos- seggo non si accordano troppo, come del resto suole sempre acca- dere : chi la valutò di 5-6s, chi di 20-25s ; forse i primi si acco- stano maggiormente al vero. Da gran tempo un terremoto di tale intensità non era stato inteso in Sinigallia: oltre al panico gran- dissimo che ha fatto nascere, possiamo dire che non vi fu fabbricato, il quale non sia stato in modo più o meno sensibile lesionato: cad- dero infatti molti comignoli, molte tegole ed alcuni soffitti ; si ebbero travature spostate, un gran numero di lesioni e di scrostature nei muri e nelle volte. Nella chiesa di S. Martino precipitò una por- zione di campanile, a Porta Lambertina un ornato di pietra di oltre 100 kg. di peso, a Porta Mazzini la torricella dell’ orologio, in piazza del Duca un cornicione di 8 metri di lunghezza ; inoltre una casa fu quasi rovinata ed altre due ebbero bisogno di imme- diate riparazioni per evitare possibili pericoli. Nei paesi circonvicini la scossa non solo fu sentita meno in- tensamente, ma produsse minori danni e minor spavento. Da Ancona ho potuto raccogliere molte notizie che riassumo : la scossa quivi cominciò con un breve sussulto cui seguì un istante di pausa e poi una ondulazione di crescente intensità : secondo le migliori informazioni sarebbe durata circa 5-6s, ed avrebbe avuto per direzione predominante la N-S. Il panico prodotto fu grande: suonarono le campane, caddero alcuni camini, si aprì qualche lesione in certe case vetuste. Fu sentita meno fortemente al M. Conero, ove il capo posto del semaforo la stimò ond. di 4S circa ; al prof. Ni- colucci — che si trovava in una casa sul versante sud di detto monte, a m. 300 circa di altezza e presso a poco a 13 km. da Ancona — il movimento del suolo parve solo ond. della durata di 4-6s con una brevissima pausa, seguita poi da 3-4 ondulazioni E-W, più intense della prima fase : mentre alcuni mi scrivono che in Aucona alla scossa fu concomitante un rombo, il prof. Nicolucci, che era allora in perfetta quiete, non percepì alcun rumore sotterraneo: il che confermano pure parecchie altre relazioni ricevute. Secondo il prof. Papi, a Moiro d’Alba — fra Iesi e Sinigal- lia — si sentirono tre scosse ond. susseguentisi a brevissimi inter- TENUTA DALLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA IN PERUGIA 277 valli, precedute da rombi, che produssero suono dei campanelli, caduta di qualche fumaiolo e screpolature in alcuni muri. — Uguali effetti dinamici causò a Mondolfo ed a Fano : nella prima località si intese un forte rombo e contemporaneamente un intenso movi- mento suss.-ond. ; nell’ altra invece la scossa fu solo ondulatoria. Cadde pure qualche comignolo in Urbino (ond. NE-SW, di 4S) e lievi screpolature si determinarono in poche case di Rimini (ond. di 8S). Fu universalmente sentita in modo forte a Falconara (ond. E-W di 4S circa) a Serra de’ Conti (ond.-suss. preceduta da rombo), a Iesi, a Maiolati (ond. 6S) e ad Osimo (ond.-suss. E-W) ; uguale intensità ebbe pure a Recanati, a Porto Civitanova ed a Fermo, ove fu ond. duplice con le due fasi a breve intervallo : pure ond. ma molto più energica fu intesa a Camerino, avendo ivi determi- nata anche la caduta di qualche fumaiolo. Dalla parte di settentrione si propagò intensamente a S. Ma- rino, a Pesaro (ond. E-W a 2 riprese precedute da rombo) ed a S. Arcangelo di Romagna (suss.-ond. di 4S) : verso occidente a Cagli e Fabriano fu pure intensa ed ondulatoria : a Gubbio fece suonare i campanelli e spostare quadri : energica fu anche a Perugia (ond. NW-SE), a Spina (SW-NE di 8S), a Lisciano Nicone, a Tuoro ed in altri paesi del Trasimeno : a Città di Castello il panico fu gran- dissimo, ed oltre a suono di campanelli si ebbe qualche tocco dalla campana del pubblico orologio. In tutte le località accennate non si dovettero lamentare danni di sorta. Allo infuori di questa area il terremoto con forma ond. fu sentito meno violentemente : per esempio a Spoleto fu molto lungo e fece suonare anche dei cam- panelli nei piani più elevati, mentre però poche persone in moto si accorsero della commozione : ad Arezzo la popolazione ne rimase un po’ impressionata ; cosi pure dicasi di Siena e di Faenza, ove fu duplice; giunse abbastanza sensibile a Padova ed a Venezia; fu leggiero a Bologna (NW-SE di 4-5s) e più ancora a Firenze (NNE-SSW di 4S) ; inoltre fu avvertito pure da qualche persona in Roma ed a Rocca di Papa. L'ottimo microsismografo (con il pendolo lungo m. 1,50), in- ventato dal prof. G. Vicentini, direttore dell’ Istituto Fisico della università di Padova, ha dato in occasione del nostro terremoto un 278 RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE ESTIVA un bel diagramma, intorno al quale il prof. Vicentini stesso mi ha comunicate le seguenti notizie : 1 4h 0m 2S forti vibrazioni hanno fatto oscillare il pendolo per modo da dare traccio di 5 mm. secondo ambedue le comp.li oriz- zontali (N-S, E-W) : dopo 10s di tali vibrazioni ed oscillazioni, si sono formate oscillazioni pendolari amplissime, cioè con traccie di 80 mm. secondo la comp. N-S e di 100 secondo la E-W. La parte molto sensibile del diagramma dura per circa 15m. — Il microsi- smografo a componente verticale indicò a 14h0mlls il principio di oscillazioni, che, dopo alcuni secondi, assunsero la massima am- piezza (nel tracciato) di circa 90 mm. con vari periodi di mas- simo (1). L’apparecchio Vicentini collocato a Lubiana dal prof. A. Belar ha cominciato ad agire a 14h 0m 3S con vibrazioni minime che hanno posto il pendolo in lievissima oscillazione: a 14h lm e 14h 2m se le comp. E-W e N-S le traccie sono rispettivamente di 40 e di 25 mm. : quivi il movimento sensibile all’apparecchio è perdurato fino a 1 4h 8m. Questa scossa fu inoltre registrata dagli apparecchi sismici di Roma e di Rocca di Papa ed, a quanto mi consta, non fu seguita da repliche. Dalle notizie raccolte e sommariamente esposte, risulta che il terremoto del 21 settembre fu breve, predominantemente ond. a due riprese avvenute a breve intervallo l’ima dall’altra, e tali da simulare due scosse ; che la località più intensamente colpita fu Sinigallia e quindi la costa adriatica da Ancona a Fano. Per la forma speciale che ha avuto la scossa e per 1’ anda- mento generale del fenomeno, sono propenso ad ammettere che il centro di scuotimento si trovi a mare nei pressi di Sinigallia. Da questo centro onde sismiche abbastanza intense si irraggiarono nelle Marche ed in parte dell’ Umbria, affievolendosi dopo fino a rendersi sensibili, entro i limiti circa indicati. I caratteri del parossismo del 21 settembre u. s. sono del tutto simili a quelli dei terremoti addatici, che, salvo qualche eccezione — fra cui potrei citare gli scuotimenti provenienti dal centro anconitano — hanno la caratteristica di produrre piccoli danni e (’) Il prof. Vicentini mi scrive che anche per il microsismografo a com- ponenti orizzontali l’ora è esattissima, per l’altro l’errore è di circa 58. TENUTA DALLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA IN PERUGIA 279 di propagarsi più o meno sensibilmente su una zona assai vasta, le cui isosisme risultano aperte a mare. Ricorderò fra i terremoti che con il recente presentano maggior rassomiglianza, quello del 1838, il quale, quantunque solo sismologicamente fortissimo a Pesaro, Car- toceto, Sinigallia e Fano, fu avvertito a Venezia, a Scutari ed anche a Vienna. Il terremoto del 1875 ebbe il suo centro in mare, ma più a nord fra Cesenatico, Cervia e Rimini : quello del 1672 un po' a mezzodì di Rimini, e così pure quello del 1786. Altre scosse irrag- giarono dal mare dirimpetto a Pesaro ed a Fano, altre poi da punti più meridionali del litorale Marchigiano, Teramano, Chietino e dalla costa settentrionale del promontorio Garganico, mentre 1’ altra di tale penisola, da Vieste a Manfredonia, presenta una sismicità di carattere diverso, vale a dire, terremoti frequenti, anche disastrosi, ma molto localizzati. Questa speciale distribuzione dei fenomeni sismici, ci mostra che lungo la costa adriatica esiste un grande asse sismico, che venne e viene tuttora ripetutamente urtato, dando luogo a speciali terremoti corocentrici : quest’ asse, come spero in altro lavoro di dimostrare, ha direzione parallela alla costa, ed è a questa molto vicino. Voghera, dicembre 1897. CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO PALEONTOLOGICO DELL’ALTA VALLE DELL’ ANIENE. Nota del Socio Gioacchino de Angelis d’Ossat. Con insperato successo, studiando geologicamente V alta valle dell’Aniene mi occorse trovare un abbondante materiale paleontolo- gico, come ebbi già l’onore di comunicare alla nostra società (1). In quella occasione promisi di documentare con i fossili quanto aveva asserito: eccomi a mantenere la promessa. I risultati dello studio geologico e geografico sono stati pubbli- cati nelle Memorie di un’altra società, molto affine alla nostra (2). Se le difficoltà finanziarie non si fossero opposte, il lavoro sarebbe stato unico ; ma in tal modo non venne punto lesa l’ unità di concetto. Quantunque il lavoro sia tutt’ altro che completo, tuttavia mi lusingo che riesca interessante, perchè, fatta eccezione di qualche fossile del Cretaceo, le altre formazioni erano ritenute come sterili. Le località fossilifere non sono completamente sfruttate, avendo io raccolto quanto è dato a chi è costretto a percorrere la regione con una certa velocità, a causa dei meschini mezzi. II Miocene specialmente si è mostrato ricchissimo per forme svariate e caratteristiche. Spesso infatti ci è dato non solo assicu- rare il riferimento al sistema, ma ancora alla zona batimetrica di formazione. I fossili sono stati divisi secondo la loro età relativa e poi suddivisi per località; quelli che non ho potuto determinare, con l1) De Angelis G., Appunti preliminari sulla geologia della valle del- V Aniene. Roma, 1896. (2) De Angelis d’Ossat G., L' alta valle dell' Aniene P. I. Studio geo- logico-geografico. Memorie Soc. geogr. ital. — Anno 1897, voi. VII. Roma. 281 G. DE ANGEUS D’OSSAT, CONTRIBUZIONE ECO. qualche sicurezza, non figurano nel presente scritto. In tal modo spero che apparisca chiaramente dimostrato il riferimento cronolo- gico dei terreni che diedero avanzi fossili. Triassico. Già due volte, in brevissimo intervallo di tempo ('), ho avuto occasione di parlare della fauna trovata nelle dolomiti bituminose di Filettino. Essa, quantunque finora scarsamente rappresentata, pure a causa della forte analogia che offre con quelle della dolomia principale ( Hauptdolomit ) dell’ Appennino meridionale, credo mi permetta affermare il sincronismo degli strati. Oltre alla somiglianza litologica e dei fossili posso addurre, a conferma di quanto asserisco, l'analogo rapporto stratigrafico con il Cretaceo sovrastante. Con ciò non voglio escludere la possibile presenza di altri sistemi, come del Liassico, la cui presenza fondatamente sospettai in un’ultima e fugace escursione a Filettino. Ciò mi ha fatto nascere il dubbio sul riferimento cronologico attribuito a rocce di simile natura litologica nelle vicine catene montuose. Le dolomiti, anche in quei monti, dovranno probabil- mente passare dal Cretaceo al Triassico, ciò che spero poter presto confermare con i fossili caratteristici. Cretaceo. Cava di Monte Affilano. Una località fossilifera, già da molto tempo conosciuta, è la cava del così detto Travertino di Monte Affilano, presso Subiaco. Ivi furono raccolti molti esemplari di Rudiste che si vedono in parecchi Musei italiani. Il Clerici (2) riporta alcune determinazioni approssimative e provvisorie. In questo giacimento non ho potuto mai riscontrare la presenza del gen. Hippurite$\ ma molte forme dei generi affini al gen. Sphaerulites. Solo molto probabile mi è sembrata la determinazione del Plagioptychus Aguilloni d’ Orb., (') Loc. cit., pag. 15. (2) Clerici E., La pietra di Subiaco in provincia di Roma e suo con- fronto col Travertino. Boll. R. Comit. geol. ital., n. 1, 2. Roma, 1890. 282 G. DE ANGELIS D’OSSAT che veniva prima riferito al gen. Caprina. (Zittel-Gosau, pag. 78, tav. XXYI, fìg. 8-10, tav. XXVII, fìg. 1-8; D' Orbigny, Palèont. franQ. voi. IV, pag. 184, tav. DXXXVIII, fìg. 1-6). Tuttavia, anche questa forma ci presenta particolarità anatomiche speciali. Riuscirà certamente utilissimo un lavoro monografico intorno ai fos- sili di questa località ; per ora cito le seguenti forme : Terebratula cfr. carnea Sow. 1860. D’ Orbigny, Paléont. frane. Terr. crét., tom. IV, pag. 103, tav. DXI1I, fìg. 5-8. In quest’opera è citata la lunga sinonimia della specie del Senoniano. Ho raccolto la sola valva superiore. Il pessimo stato di con- servazione e la mancanza dell’ altra valva mi consigliano a dare per incerta la determinazione, quantunque sia persuaso della forte affinità. Corrispondono a meraviglia la forma generale, le linee di ac- crescimento, la curvatura, l’ ambone ricurvo, il piccolo foro ed il deltidio. Il fossile sembra abbia sofferto ingenti pressioni. Nel nostro esemplare si scorgono due inflessioni con una piega nel bel mezzo. Questo carattere parrebbe allontanare il fossile da questa forma per avvicinarlo alla T. semiglobosa Sow. (D’ Orb., op. cit., pag. 105. tav. CDXIV, fig. 1-4); ma se ne distingue per essere meno inflessa e per 1’ ambone più arcuato. Del resto anche la T. semiglobosa è dello stesso piano, con la vicinissima T. obesa Sow. (D’Orb., op. cit., pag. 101, tav. DXIII. fig. 1-4). Credo che il nostro esemplare potrebbe costituire una forma nuova, che riunirebbe, per caratteri anatomici, la T. carnea e la T. semiglobosa, mostrando particolarità dell’ una e dell’altra. In Trancia è stata trovata in molte località del Senoniano. — Nella collezione del Museo geol. univers. di Roma v’ ha un esemplare che porta il nome di Nucula. Esso appartiene certamente al gen. Terebratula , presentandoci le valve dissimetriche, con rum- bone provvisto di foro ed un distinto deltidio. Con una lente si riconosce anche la speciale struttura della conchiglia dei Bra- chiopodi. Lo stato di conservazione è così cattivo da non permettere CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO PALEONTOLOGICO ECC. 283 una determinazione più che generica. Certamente però spetta ad una forma diversa da quella ora citata. Monopleura (Matheron, 1842) sp. Un fossile da me trovato nella Cava del Monte Affilano, credo che debba essere riferito a questo genere piuttosto raro. In Italia infatti menziona specie di questo genere il Di Stefano in un lavoro sul Cretaceo di Sicilia, ed ultimamente il Boehm ed il Marinelli 0. nel cretaceo friulano ('). Il fossile può appartenere ad una specie con conchiglia liscia. Per quanto abbia rovistato libri non sono riuscito ad intravedere neppure un legame con altre congeneri conosciute, ciò che mi fa sorgere il sospetto che s’ abbia a fare con una forma nuova. La posizione generica è fondata sopra i caratteri esterni, non potendosi esaminare gl’ interni, perchè le valve sono intimamente congiunte. Non seziono l’esemplare perchè unico, quantunque solo in tal modo si possa raggiungere la certezza della determinazione generica. Le conchiglie non sono equivalvi, ma ornate di strie sottili e longitu- dinali; la valva libera (sinistra) è piccola, operculiforme, con coste che si dipartono dal cardine. Sopra di essa scorrono ondulazioni longitudinali, nonché trasversali. La valva fìssa (destra) è conico- schiacciata. Il ligamento non si scorge chiaramente, perchè la con- chiglia ha sofferto una potente pressione. Probabilmente del guscio è rimasto il solo strato interno striato, mentre che l’esterno, che poteva anco essere ornato, è mancante. Il D’ Orbigny ( Paléont . frang. Terr. Crét ., tom. IV, 1860, pag. 236) riunisce il presente genere a quello di Caprotina , de- scrivendo sette forme del Neocomiano, Urgoniano e Cenomaniano. Ora però tutti ritengono ben distinto il gen. Monopleura , tra i quali il Fischer ( Manuel de Conchtj ., pag. 1052), che ne fa una famiglia a parte ( Monopleuridae e Caprinidae). Anche lo Zitte! tiene separati i due generi fra di loro ( Palaeosoologie , voi. II, pag. 75). (i) Boehm G., Beitrag zur Gliederung der Kreide in den Venetianer Alpen. Berlin, 1897; Marinelli 0., La serie cretacea nei dintorni di Tarcento in Friuli. Venezia, 1897. 284 G. DE ANGELIS D’OSSAT — Nel Museo geologico universitario e nel Gabinetto di storia naturale del Regio Liceo E. Q. Visconti si trovano certi falsi fossili che portano i nomi di Caprinella Caprinula , Ichtyosar- colithes triangularis D’ Orb., e di Aulacoceras. Io stesso ne ho raccolto un bel pezzo nella stessa cava. Ho potuto rivolgere il mio studio anche sopra uno splendido esemplare proveniente da Vitulano (Napoletano). Attraverso parecchi segmenti ho praticato sezioni e levigature, senza mai scorgere nulla che somigliasse, pur lontana- mente, alla struttura del gen. Ichtyosarcolithes, come si può vedere anche nel trattato dello Zittel (voi. II, pag. 79, tìg. 115, a, b ); nè nulla che facesse supporre il sifone e la configurazione generale del gen. Aulacoceras (op. voi. cit., pag. 495, fig. 675). Sono d'av- viso che simili falsi fossili si debbano riferire a nuclei interni delle cavità di Sphaerulites. Infatti in una sezione, attraverso un seg- mento, ho trovato un frammento a struttura cellulosa, identica a quella che si ascrive al gen. Syhaerulites. Lithoclomus avellana d’ Orb. 1860. d’ Orbigny, Paléont. franQ. Terr. Crét., tom. Ili, pag. 291, tav. CCCXL1V, fig. 13-15. Nel Museo geologico di Roma esisteva un fossile col nome di Modiola , che riferisco, senza dubbio alcuno, a questa specie. La descrizione e le figure rispondono esattamente, come pure le di- mensioni ed il loro reciproco rapporto. Le valve sono molto con- vesse, quasi ugualmente arrotondate alle due estremità. Sopra di esse si scorgono le linee di accrescimento con lo stesso andamento che nelle figure citate. La sua forma ovale quasi perfetta, diffe- renzia questa forma da tutte le altre congeneri. Questa specie fu pure raccolta da Renaux nel calcare a Ca- protina ammonta , cioè nel livello inferiore del Neocomiano, ad Orgon (Vaucluse). Dimensioni : Lunghezza massima min. 21 Spessore massimo delle due valve chiuse .... « 14,5 Larghezza massima di una valva « 14 Nella Cava d'Affile. CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO PALEONTOLOGICO ECC. 285 Inocerarnus cfr. latus Mantel. 1822. Mante 11, Geol. of Sussex, pag. 216, tav. XXVII, %. 10. 1828. Sowerby, Min. conch., t. VI, pag. 159, tav. DLXXXII. 1836. Goldfuss, Petref. Germ., n. 21, pag. 113, tav. CX, fig. 6 a. (/. cordi- formis). 1836. Goldfuss, Petref. Germ., n. 30, pag. 117, tav. CXII, fìg. 5. 1841. Roemer, Nord. Kreid., tav. Vili, pag. 62, fig. 11. (7. tennis). 1860. D’ Orbigny, Paléont. frang. Terr. Crét., tom. Ili, pag. 513, tav. CDVIII, fig. 1-2. Dopo la consultazione di tutte le opere citate ed il para- gone istituito con le relative figure, posso assicurare che se non devesi certamente attribuire a questa forma il pessimo esemplare che si conservava nel Museo predetto, per lo meno è ad essa molto vicina. Già dal Meli era stato determinato come Inoceramus, e come tale lo ha citato il Clerici (1. cit. ). Si avvicina questa specie all’ I. cuneiformi d’ Orb. ; con gli esemplari della quale ho potuto stabilire utili confronti. Solo le di- mensioni sono alquanto maggiori a quelle della presente forma che del resto le somiglia e nella sagoma e nelle ornamentazioni. È specie frequente in molte località del Turoniano della Francia. (D’ Orbigny). Dimensioni : Larghezza massima della conchiglia mm. 73 Lunghezza » » » « 70 Il dubbio della determinazione è nato dal pessimo stato di conservazione del fossile della Cava di M. Affilano. — Nello stesso materiale trovasi un’impressione di conchiglia, abbastanza chiara, ma solo di una parte di valva. Non credo di andare molto lungi dal vero se asserisco che appartiene al ge- nere Cardium. La direzione delle coste, la loro ornamentazione, come ho potuto rilevare con contro-impronte in gesso, mi confer- mano il mio riferimento. Per tutti i caratteri che si possono scor- gere, la specie potrebbe appartenere od al C. productum Sow. od al G. Moutonianum d’ Orb., che sono ambedue del Turoniano di Francia. (D’ Orbigny, Paléont. frane-. Terr. Crei., voi. Ili, pag. 31, tav. CCXLVII ; pag. 34, tav. CCXLVIII). 286 G. DE A1SGELIS D’OSSAT — Nei calcari, sottoposti alla pietra di Subiaco , della cava del M. Affilano, che localmente prendono il nome di saponaria , trovai una infinità di fossili ; ma così malconci e calcificati, da non per- mettere determinazione alcuna. Ulteriori ricerche certamente frut- teranno una larga messe paleontologica, che riuscirà utile alla conoscenza del Cretaceo italiano ed ai possibili paragoni coi terreni sincroni del bacino di Parigi e di Londra, tanto profondamente noti. Dintorni di Jenne. Oltre alle solite Sphaerulites, abbondanti in tutto il Cretaceo della nostra regione, potei trovare sotto il paese di Jenne un cattivo esemplare di Echino ed uno peggiore di Nerinea. Fortunatamente il primo potei, con moltissima probabilità, determinare come Anan- chytes ovata Leske sp. ; mentre che per il secondo non sono riu- scito che ad accertarne il tipo cretaceo, per le analogie fortissime che offre con le Nerinee di questo sistema. Ananchytes cfr. ovata Leske sp. Rimando per la storia, per la sinonimia e per il valore cro- nologico di questa specie al d’ Orbigny ( Paiéont . frang. Terr. Grét ., tom. VI, pag. 62, tavv. DCCCIV, DCCCY, DCCCVI e DCCCVIII. fig. 1-3), che la nomina: Ecliinocorys vitlgaris Breynius. Riporto a questo tipo un echinoide, trovato lungo la via che conduce da Subiaco a Jenne, poco prima di arrivare all' Inferniglio. Disgraziatamente ora 1’ esemplare è mancante più di quanto ebbi ad osservare appena raccolto. Egli è per questo che ora 1’ esemplare non prova la determinazione data. Tuttavia si presenta con rapporti di altezza abbastanza forti; rotondeggiante in avanti, un poco acu- minato all’ indietro. Superiormente con regolare convessità; pia- neggiante la superficie inferiore ; anzi un poco concava, ma rilevata sui bordi e nel mezzo : la parte più escavata è intorno alla bocca. Sono visibili le zone ambulacrali, tutte uguali fra di loro, con zone porifere uguali e con pori parimenti uguali. Le particolarità delle placche genitali ed occellari le ho in parte osservate nel frammento che ora non esiste. Qua e là 1’ erosione ha risparmiato qualche tu- bercolo che trovasi intercalato da granuli, che sembrano uguali fra di loro. 287 CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO PALEONTOLOGICO ECC. I sopra menzionati caratteri mi fanno ritenere per abbastanza approssimata la determinazione di questa specie che trovasi nel 22° Piano del d' Orbigny, di cui è caratteristica. Fu raccolta P Auanchytes ovata in moltissime località del bacino Anglo-parigino della Creta bianca ; nel bacino dei Pirenei, del Mediterraneo. In Italia nel Vicentino. In Russia, Svezia e Nor- vegia, nell’ Africa del Nord. Tutti i giacimenti spettano al Seno- uiano od al Turoniano superiore. I tedeschi citano la specie nel loro Quadersandstein. Nerinea , sp. Un pessimo esemplare deve essere certamente ascritto al pre- sente genere. La conchiglia è di tipo cilindraceo, a spesse spire, con incurvatura nel bel mezzo. La bocca è molto complicata e non si scorge chiaramente, perchè nel prepararla colla levigazione si è dovuto oltrepassare il piano mediano. Ogni tentativo di specificazione riu- scirebbe vano; si può però assicurare che è di tipo cretaceo, come mi sono potuto convincere con V esame di molti lavori e col con- fronto di parecchi esemplari. Le maggiori somiglianze le ho riscon- trate con quelle specie che il d’ Orbigny ha trovato nel Cretaceo ( Paléont . frang. Terr. Crét ., t. II, pag. 72), con quelle di Gosau (Zittel, op. cit.) e finalmente con le Nerinee descritte dal Pirona; ( Nuovi fossili del terreno Cretaceo del Friuli, Venezia, 1884) e dal Boehm ( Beitrag sur Gliederung der Kreide in dea Venetia- ner Alpen. Berlin, 1897). Hippuriles, sp. A mezza via circa Subiaco-Inferniglio (Jenne), trovai un fram- mento che certamente devesi ascrivere al gen. Hippurites. E 1’ unico residuo che io conosca di questo genere trovato nella nostra valle ; quantunque sia stato spesse volte menzionato, ma sempre a torto. Infatti non ho rinvenuto fossili di questo genere nelle Collezioni del Museo geologico universitario, del R. Liceo E. Q. Visconti (Roma) e del Seminario di Subiaco. Fortunatamente il frammento ci fa ricono- scere l’ ornamentazione esterna, che somiglia di molto a quella dell’ Hi. organisans Desmoulins, sp. (d’ Orbigny, Paléont. frang ., 288 G. DE ANGELIS d’OSSAT tom. IV, pag. 173, tav. CXXXIII, fig. 1-7). È una specie ben conosciuta anche nel Cretaceo dell' Italia settentrionale (Catullo, Taramelli, Pirona). L’ Ili. organisans, con la Hi. cornuvaccinum Bromi., appartiene al calcare Turoniano superiore e propriamente al sotto-piano Angoumien dei francesi (1). Eocene. Presso la stazione di Mandela il dott. Teliini estrasse una placca di Diodonte, che formò oggetto di studio al prof. Portis (Di alcuni gimnodonti fossili italiani , 1889). Solo questo è il fossile conosciuto in questo sistema, e disgraziatamente ben poco è dato aggiungere, dacché le numerose impronte di Pecten che si riscontrano nelle roccie, non permettono determinazione specifica, essendo sempre rotte e mal conservate. Se nella valle alta dell’Aniene, propriamente detta, sono scarsi gli avanzi fossili, non è così lungo la valle del Licenza e nei dintorni di Orvinio. Ivi il Teliini con lo scrivente raccolsero molti fossili, non ancora determinati. Anche il Meli cita residui fossili in queste regioni eoceniche. \_Sulla 'presenza dell’ Iberus (subsecc. Marella) signatus Fér. (H elico g ena) nei monti Er- nici e nei dintorni di Terracina. Siena, 1894]. Dintorni di Castelmadama. Presso Castelmadama, dal versante dell’Aniene, trovasi un cal- care ricchissimo di Nummulitidi, fra le quali ho potuto determinare : 0) Non so dove il Mantovani ( Descr . geol. Camp, rom., pag. 30) abbia trovato il Micraster cor-anguinum, Agass., la Belemnitella mucronata, d’ Orb., e l’ Ancyloceras gigas, d’Orb., citandole complessivamente per i Monti Sim- bruini, Lepini ecc. Sai'ebbe stato di grande interesse conoscere la località di forme cosi caratteristiche, che designano abbastanza nettamente piani de- terminati, che per noi sarebbero riusciti preziosi. Vane furono le mie ricerche nella collezione del Mantovani (R. Liceo E. Q Visconti. Roma), che dal Ne- viani, con intelletto ed amore, è stata rimessa in ordine dal deplorevole dis- ordine in cui giaceva. CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO PALEONTOLOGICO KCC. 289 Orbitoides Gumbeli Seg. 1880. Seguenza, Le formazioni terziarie della 'provincia di Reggio (Cai - bria), pag. 45, tav. IV, fig. 9 a-c. Corrispondono tutti i caratteri; le dimensioni non sono delle più vistose, raggiungendo di frequente 6-8 mm. di diametro; vi sono però frammenti che dovevano far parte di individui più grandi. Il Seguenza ( Terz. Calab.) raccolse la specie ad Antonimina (Ca- labria) nel Tongriano ; ecc. Orbitoides ( Discocyclina Gtimb.) papyracea Boubé. Questa forma, con le solite compagne, indicano il Bartoniano ed il Parisiano; come asserisce il Teliini. Majella (Telimi, Le Nummulitidi della Majella , Isole Tre- miti, e promontorio Garganico, 1890, pag. 60 ; Le Nummuliti della Majella , 1891, pagina 7) ; Dintorni di Taormina (Teliini, Relaz. escurs. Soc. geol. , 1892, pag. 9) ; Isole Tremiti (Teliini, Oss. geol. sulle isole Tremiti e Pianosa , 1890, pag. 28). Orbitoides stellata d’ Arch. Il Rovasenda cita questa forma a Gassino (/ foss. di Gassino , 1893, pag. 1). — Le stesse specie vennero raccolte dal Telimi nello sbocco, a sinistra, della valle del Licenza; alle falde del colle su cui riposa Mandela. L’ assieme di questa faunula e la vicinanza delle roccie vicine del Bartoniano, ci fanno riferire gli strati o allo stesso Bar- toniano od al Parisiano. Molte Nummulitidi si raccolgono presso Orvinio e sopra il paese di S. Gregorio da Sassola (Tivoli). In quest' ultima località predomina la Nummulites perforata d’ Orb., con una compagna, che probabilmente è la N. Imcasana de Frane. Secondo le idee del Teliini (op. cit.), questa coppia accennerebbe al Parisiano inferiore. Non trovai sino ad ora Nummulitidi determinabili in altre località, quantunque già altri assicuri di averne trovate; come Mm- G. DE ANGELIS D’OSSAT 290 chison, Seghetti ecc. Nel Palombino del Monte Affilano ( L’alto. \ valle dell’ Amene, pag. 20) rinvenni abbondatissima un' orbitoide che probabilmente è Y 0. dilatata , comune nell- Eocene appeunino. Miocene. Trascrivo l’elenco generale dei fossili animali che ho trovato in questo sistema e che mi permisero una determinazione. Meno la Cleodora e T Orbulina universa, rinvenute presso Subiaco, le altre specie sono tutte nuove per la valle dell’ Aniene e del Salto. Protozoi. Haplopìiragmium globigerini forme Parker et Jones. Globigerina bulloides d’ Orb. » » var. trilobata Heuss. » bilobata d’ Orb. » helicina d’ Orb. » conglobata Bradv. » digitata Brady. Orbulina universa d’ Orb. » porosa Terquem. Discorbina globularis d' Orb. » turbo d’ Orb. » arcuata Heuss. Truncatulina humilis Brady. Pulvinulina Soldani d’ Orb. » canariensis d’ Orb. Rotalia Beccarii Lin. Amphistegina rugosa d’Orb. ecc. ecc. Celenterati. Heliastraea ellisiana de Frane. Balanophyllia praelonga Michtti. Trochocyathus crassus Michtti. Flabellum acutum E. H. Flabellum sp. CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO PALEONTOLOGICO ECC. 29 i Echinodermi. Spatangus ausiriacus Laube. Pericosmus latus Herklot. Cidaris cfr. papillata Leske. Echinolampas Mazzetta sp. n. Scutella sp. Molluscoidi. Scrupocellaria elliptica Reuss. Melicerita fèstulosa Lin. " Johnsoni Busk. Onychocella anguiosa Reuss. Cribrilina radiata Moli. sp. ( Eschara ). Scliizoporella polyomma Reuss. Smittia exarata Reuss. Eschara porosa M. Edw. Crisia Hòrnesi Reuss. Idmonea disticha Goldf. Hornera striata M. Edw. Heteropora stipitata Reuss. Molluschi. (Lamellibranchi). Malletia Caterini Appelius. Teredo norvegica Spengler. Pecten karalitanus Meneg. * aduncus Eickw. « Malvinae Dub. » spinulosus Mlinst. Ostrea digitalina Dub. » lamellosa Brocchi. » langhiana ? Trabucco. Venus deleta Micbtti. Cytherea erycina Lin. Cardium sp. n. (Gasteropodi). Ficaia condita Brong. 20 292 G. DE ANGELIS d’OSSAT (Pteropodi ecc.). Balantium pedemontanum May. Garinaria Hugardi Bell. Vaginella depressa Daud. Cuvieria intermedia Bell. Cleodora pyramidata Lin. Artropodi (Cirripedi). Lepas mallandriniana Seg. Territorio di Sam.buci. Nel territorio di Sambuci, al Quarto di Giovauzano, negli strati calcarei e calcareo-arenacei, ricchi di cilindri riferiti, a torto, a fucoidi, furono trovati i seguenti Echinodermi: Spatangus austriacus Laube. 1878. Manzoni, Echinod. foss. d. Schlier delle colline di Bologna, pag. 12, tav. II. fig. 10-15; tav. Ili, fig. 19-22; tav. IV, fig. 40, 41. 1885. Mazzetti e Pantanelli, Cenno monografico int. alla fauna fossile di Montese, I, pag. 11. I tre esemplari, di cui uno in pessimo stato di conservazione, fanno riconoscere tutti i caratteri specifici descritti dal Laube, (. Echinoiden der òsterreick-ungarischen oberen Tertiàrablage- rungen , pag. 73, tav. XIX, fig. 2, 2a). Perfetta è la corrispon- denza alle figure citate del Manzoni. Il guscio è solido, abbastan- za spesso, spatizzato. Fasciolo subanale ben distinto, ornato di granulazioni miliari ; non se ne conoscono le spine. Somiglia mol- tissimo allo S. purpureus, vivente, ed allo S. Terroni Cotteau, del Miocene di Corsica. Le dimensioni sono fra le medie secondo i dati del Manzoni : Y altezza però è quasi massima, raggiungendo i mm. 30. Diametro longitudinale mm. 93. » trasversale mm. 88. Le misure si riferiscono all’ esemplare meglio conservato e che non sembra aver subito schiacciamenti di sorta. CONTRIBUZIONE ALIO STUDIO PALEONTOLOGICO ECC. 293 Si trova nei depositi di spiaggia e di mare profondo del Mio- cene medio, come a Bologna (Schlier), Montese, Fontanazzo, Cor- sica (C. F. Parona. Appunti per la paleontologia della Sardegna, Boll. Soc. geol. ital., voi. VI, 1887). È specie caratteristica dello Schlier (II0 Pian. Med.). Quarto di Giovanzano (Sambuci). Pericosmus latus Herklot. 1880. Manzoni, Echinodermi fossili della molassa serpentinosa e supplemento agli Echinodermi dello Schlier delle colline di Bologna, pag. 5, tav. II, fig. 16, 17. Corrisponde esattamente ai caratteri descritti dal Manzoni. Ultimamente ho potuto esaminare due altri esemplari (uno con metà guscio e l’ altro molto avariato) che con molta probabilità si devono unire a quello che abbiamo ascritto alla presente forma. E specie finora esclusivamente miocenica. E stata trovata in giacimenti del Miocene medio di Torino, di Bologna, dell’ Isola di Corsica e di S. Marino. Echinolampas Mazzetta n. sp. Specie di medie proporzioni, di poco allungata, arrotondata nella parte anteriore, ed alquanto ristretta nella posteriore, appena accennata la forma a rostro. La faccia superiore è alta e parecchio introflessa nella regione anteriore. La faccia inferiore è subconcava, ma molto obliterata; in essa però si distinguono le granulazioni miliari. Nulla si può dire del peristoma e del periprocto. Le aree ambulacrali petaloidi, ben sviluppate ; non si può scorgere, con cer- tezza se terminano aperte; sono depresse; con pori disuguali, gl’ in- terni rotondi, allungati gli esterni. Una zona porifera manca. Non si scorgono chiaramente i rapporti fra i diversi fori e della rela- tiva lunghezza delle zone ambulacrali ; per le quali ragioni è im- possibile precisare il numero delle coppie dei fori dei quali sono arrivato a contarne 34-38. Questi però si rendono più vicini acco- standosi verso il peristoma. Le zone interambulacrali sono gonfie. I tubercoli sono quasi tutti obliterati, ma dove si scorgono sono ab- 294 G. DE ANGKLIS D’OSSAT bondanti. uguali; divengono più piccoli e più frequenti verso il pe- ristoma. Si scorgono pure le granulazioni intermedie, line ed abbon- Echinotampas Mazzetta n. sp. Grandezza naturale. danti. La sommità ambulacrale è alquanto eccentrica verso Lavanti. Guscio solido, abbastanza spesso, profondamente spatizzato. Dimensioni : Altezza massima mm. 34 Lunghezza massima faccia inferiore » 78 Larghezza » » « » 67 La presente formasi tiene facilmente distinta dall’ Echinolampas hemisphaericus Lk, nonché dall’ E. depressa Gray. (Agassiz A., Revision of thè Echin ., pag. 335 e 551, pi. XVI), (Manzoni, suppl. cit„ pag. 4, tav. I, fig. 4-15); similmente da tutte le altre forme finora conosciute nel Miocene e nell' Eocene, come ho potuto ac- certarmi con la consultazione della classica opera del Cotteau: Pa- léont. franQ., tomo II (Eoe.), pag. 5 e segg. Stabilisco quindi questa nuova forma dedicandola, con rispetto e riconoscenza, al Mazzetti, rapito all’ affetto ed alla stima della CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO PALEONTOLOGICO ECC. 295 famiglia geologica italiana, che con lui ha perduto il più profondo conoscitore di Echinodermi fossili terziari italiani. Scutella sp. Presso la località citata in quel di Sambuci, erratico, trovai un Echino molto malconcio. Esso certamente appartiene a questo genere, ma nulla si può dire della sua posizione specifica. I legami più intimi li ho trovati con le forme del genere rinvenute nel Mio- cene Torinese, Sammarinese, Bolognese, Calabrese e Sardo. In molte sezioni microscopiche praticate attraverso la roccia attaccata al fossile mi ha mostrato infinite sezioni di Foraminiferi dei generi : G-lobigerina, Orbulìna, Robulina , Textularia ecc. ; mai però forme del gen. Nummulites. Vicinanze di Pisoniano. Sotto il celebre santuario della Mentorella, in quel di Pi- soniano, negli strati calcarei-argillosi rinvenni un bellissimo esemplare della seguente specie : Heliastraea dlisiana de Frane. 1840-47. Michelin, Icon. zooph., pag. 60. tav. XI, fig. 8. (A-straea astroites). 1857. Meneghini, Puléont. de la Sardaigne, pag. 620. ( Astraea acrocoro). 1861. Michelotti, Étud. Mioc. inf, pag. 46. 1876. Locarci, Desc. de la faune d. terr. tert. de la Corse, pag. 228. Syu., vedasi M. Edwards, Hist Corali., tomo II, pag. 467. Polipajo massiccio, polipieriti poco divergenti, allungati e ser- ' rati. I calici sono vicini, alquanto ineguali, circolari e poco defor- mati. Le coste però sono ben distinte, sottili e vicine, alternati- vamente più grosse e più tenui. La colnmella è poco sviluppata. I setti molti, sottili, ineguali e larghi. Nella superficie, ottenuta per levigazione, le teche si mostrano indipendenti. Le traverse esotecali eccessivamente serrate, lontane appena di un quarto di millimetro; esse sono ramificate e dolcemente inclinate. Le super- ficie dei setti sono fortemente granulate. Le traverse endotecali sono molto inclinate, subvescicolari ed appena lontane di mezzo millimetro. 296 G. DE ANGELIS D OSSAT Dall’ esemplare, quantunque non sia in ottimo stato, pure con le sezioni praticate e dalle rotture naturali, si possono raccogliere tutti i caratteri della specie. In una cavità del polipaio è annidato un frammento di Balanus. Nella nostra regione deve essere molto rara, non avendone trovato, nelle molteplici escursioni, che un solo esemplare. La specie è citata spesso per confermare la miocenicità degli strati che la contengono. Del resto dal Tongriano arriva al Tortoniano : Stazzano. S. Agata-fossili, Colli di Torino, Dego, Fontanazzo (Sardegna), Bo- nifacio (Corsica), Calabria, Dax, Creta, ecc. Dintorni di Mandela. Presso il paese di Mandela, nella località Frattocchie, negli strati di argilla indurita rinvenni una discreta fauna, abbastanza caratteristica. Laonde senza dubbio questi strati passano dal Plio- cene, cui erano stati riferiti, al Miocene. Similmente furono trovati fossili, nelle stesse argille, lungo la via del Pozzo e proprio dove questa riceve la via del Colle. Anche al Colle Cappellino, nel podere comunale coltivato da Alessandro Attili, si rinvenne una bellissima fauna di Briozoi, della quale con il validissimo aiuto del prof. Neviani, che ringrazio dal cuore, riuscii a determinare qualche forma. I fossili delle due prime località sono sotto il paragrafo (A) e sotto (B) quelli della terza. (A). Balantium pedemontamm Mayer ( Cleodora ). 1872. Bellardi, [Molluschi dei terr.terz. del Piemonte e della Liguria, pag. 31 tav. Ili, fig. 10a, b, c. Questa specie è rappresentata da un unico esemplare, in pes- simo stato di conservazione. L’ impronta però è così ben chiara e netta da non dar luogo a dubbi nella specificazione. 11 Michelotti riferisce per errore, come giustamente asserisce il Bellardi, il B. pedemontamm alla Cleodora Riccioli Calend. ; specie ben di- stinta e diversa dai fossili del Miocene medio del Piemonte. (Mi- chelotti, Boss. Mioc ., pag. 147, 1847). Il Bellardi, con ragione, 297 CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO PALEONTOLOGICO ECC. 1 assegna a questo genere, mentre il Maver l’ ascrisse al gen. Cleodora (Journ. conch., voi. XVI, pag. 104, tav. II, fi g. 2). Miocene medio. Colli Torinesi, Pino-Torinese, Termofourà, Valle dei Salici (Bell.). Miocene superiore. Serravalle Scrivia, Acqui (Mayer). Frattocchie (Mandela). Carinaria Hugardi Bell. 1872. Bellardi, op. cit., pag. 37, tav. Ili, fig. 22. La presente specie fatta di pubblica ragione nel 1847 (Bei- lardi in Sismonda), fu ritenuta per buona dal d’ Orbigny ( Prodr ., voi. Ili, pag. 96) e dal Pictet ( Trait. de Paléont ., 2a ed., voi. Ili, pag. 815; tav. LXX, fig. 12). L’esemplare che vi si riferisce non è intero, tuttavia presenta quanto è necessario per determinarlo specificamente e per rilevarne le differenze dalla congenere C. Paretoi Mayer {Journ. conch., voi. XII, tav. II, fig. 4) del Mio- cene superiore. L’ esemplare delle Frattocchie (Mandela) differisce da quello che fu trovato nelle argille vaticane (Roma) e che spetta a questo genere. Miocene medio. Rio della Batteria (Bellardi). Vaginella depressa Daud. 1800. Daud, Bull. Soc. Phil., n. 43, pag. 1. 1825. Basterot, Mera. Bori., pag. 19, tav. IV, fig. 16. 1851. HOrnes, Moli. foss. Wien., voi. I, pag. 663, tav. L, fig. 42. 1872. Bellardi, Moli. terr. terziar. Piemont. e Lig., pag. 34 (con sinonimia) Riferisco a questa forma parecchie impronte e residui di con- chiglia, che per le dimensioni, per la forma e per la delicatezza del guscio ottimamente concordano con essa. Infatti il guscio è sottile, elongato, ventricoso, depresso, nella parte inferiore ristretto ed appuntito e porta due carene lateralmente. Si restringe nella parte superiore. La depressione e le carene F allontanano facil- mente dalla Vaginella Calandrella Michtti. {Foss. Mioc., pag. 147; Bellardi, op. cit., pag. 35, tav. Ili, fig. 17), e dalla V. testudinaria Michtti. (Bellardi, op. cit., pag. cit., tav. Ili, fig. 18). Anche 298 G. DE ANGELIS D’OSSAT le dimensioni la differenziano di parecchio. Dall’ impressione più netta e dai resti meglio conservati, ricavo le seguenti dimensioni : Lunghezza media min. 8. Larghezza media « 2. Non posso però celare, nei nostri esemplari, la presenza di qualche carattere che non sarebbe della presente specie, con cui del resto ha le maggiori affinità. Miocene medio. Colli Torinesi, Rio della Batteria, Villa For- zano, Baldissero nelle sabbie serpentinose (Bellardi). Reggio Calabria (Seguenza, La form. ters.prov. Reggio , 1880, pag. 60, Langhiano); Varano (Mariani, Im molassa miocenica di Varano , 1882, pag. 20) ; Castelsardo (C. F. Parona, op. cit., pag. 355). È questa una forma tuttora vivente nel nostro Mediterraneo e che comparve nel Lan- ghiano. Frattocchie, Via Pozzo (Mandela). Teredo norvegica Spengler. ? 1847. Michelotti, Descr. d. foss. mioc. de V It. sept., pag. 131. 1870. Hornes, Die foss. Moli. IVien., pag. 8, tav. I, fìg. 6. 1887. Mariani, Descr iz. terz mioc. ecc., pag. 37. È una determinazione alquanto dubbia, perchè non sono riuscito a vedere le valve della conchiglia. Si trovano tubi a guscio sottile, ripieni di sostanza marnosa, irregolarmente cilindrici, schiacciati, talvolta un poco curvati. Somigliano anche per le di- mensioni, che talora sono un poco minori a quelle delle figure citate. Nutro però il dubbio per alcuni cilindretti, cui non aderisce il tubo calcareo; perchè potrebbero essere riempimenti di cavità lasciati vuoti dal passaggio di altri animali. Qualche esemplare si potrebbe chiamare T. appenninica , tanto frequente nel Miocene italiano. È una specie citata in quasi tutte le faune mioceniche: Vienna. Sardegna, Bolognese ecc. Frattocchie, Via Pozzo (Mandela). CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO PALEONTOLOGICO ECC. 299 Malletia cfr. Caterini Appelius. 1871. Appelius, Catal. conchigl. foss. Livorno , pag. 105, tav. VI, fig. 1 a, b {Leda). 1872. Ponzi, Foss. bae. roman. — Fauna M. Vaticano, pag. 3 ( Solenella transversa). 1875. Bellardi, Monog. nucul. foss. Piemonte e Lig., pag. 26, fìg. 23 a, b. r [M. transversa) 1877. Seguenza, Fucili, terz. provin. merid., pag. 23. Riferisco, con qualche dubbio, alla presente forma tre impronte, le quali appartengono certamente al presente genere e che si acco- stano, per i caratteri che ci mostrano, a questa specie. Non manca nei nostri esemplari qualche tenue differenza che li allontana dal dato riferimento ed anche dalla M. Bellardii Seg. (op. cit., pag. 23, tav. Ili, lig. 11, Ila). Infatti dell’ultima è più lunga ed ha diversa l’ inflessione del lato boccale ed anale. Molto invece somiglia agli esemplari del Vaticano (Roma) che il Ponzi, chiamò: Solenella transversa ; ma questi relativamente sono più corti. Anche con gl’ individui del Piemonte troviamo forti analogie. Non posso dire altro se non trovo migliori esemplari. È forma trovata nel Pliocene tanto Piacentino che Astiano: M. Vaticano, Livorno, Genova, Castelnuovo d’ Asti, Calatabiano ecc. ecc. Frattocchie, Via Pozzo (Mandela). Lepas mallandriniana Seg. 1876. Seguenza, Ricerch. Cirrip. terziar. prov. Messina, pag. 1, tav. VI, fig 1. Sono molto rari i fossili di questo genere nei terreni terziari italiani. Il Seguenza occupandosene istituì due forme, quella citata e la L. signata , riconoscendo nel suo Zancleano (Scoppo) la L. Hillii Leach, ( Tuckey’s Congo Expedit., pag. 413, 1818 [Penta- lasmis]). Ultimamente il de Alessandri ( Contrib . allo studio dei Cirripedì foss. d’ Hai., pag. 22) annovera le sole quattro forme : L. Hillii, mallandriniana, Rovasendai n. sp., anatifera. I molti esemplari che ebbi la ventura di raccogliere, si dif- ferenziano abbastanza facilmente dalla L. Hillii, per le minori 300 G. DE ANGELIS D OSSAT dimensioni e per la mancanza di linee radianti. Grandi invece sono i legami che avvicinano i nostri fossili alla L. mallandri- niana. Infatti le dimensioni corrispondono esattamente. Le valve sono sottili e levigate. Lo scudo, che quasi solo si mostra nei nostri esemplari, è triangolare con 1’ apice molto acuto, liscio alla super- ficie esterna ; solo nel margine tergo-laterale si vedono linee di accrescimento. Le linee radianti mancano assolutamente. Verso la parte inferiore, cioè nel margine basale, ci si presenta convesso; specialmente verso l’umbone; la valva è depressa od appianata nella regione superiore, cioè verso il margine tergale. Il margine tergo-laterale è superiormente retto o poco incavato per divenire inferiormente molto ricurvo. Il margine basale quasi retto. Il ri- lievo che dall’ umbone si porta all’ apice è ben distinto. La specie fu istituita sopra un solo scudo, che aveva le stesse dimensioni degli scudi trovati a Mandela. Lunghezza dello scudo min. 6-10. Larghezza » » » 5-6,5. Disgraziatamente i fossili non sono ben conservati e poche sono le valve intere ; tuttavia è la specie più abbondante e quindi, a ragione si possono chiamare argille a Cirripedi. Tortoniano : Bisato, Marina di Casteana (Seguenza). Frattocchie, Via Pozzo (Mandela). — Ho lavato molto materiale argilloso e ne ho ottenuto una quantità immensa di Foraminiferi, molto svariati. Predominano i generi : Globigerina , Orbulina J Textularia, Polystomella e tanti altri. Mi parve il materiale tanto interessante, che pensai di man- darne parte al Fornasini, acciò, con la sua abilità, ne redigesse un elenco più completo che avesse potuto. Fra i gusci di Foraminiferi vidi parecchi radioli, piccolissimi, di Echini. (B). Scruno cellari a elliplica Reuss. 1847. Reuss, Die fossilen Polyp. Wiener Tertiàrbeckens, pag. 56, tav. IX, fig. 7, 8 ( Bactridium ). 1869. Reuss, Aelt. tertiàr. Alpen, II, pag. 48, tav. XXIX, fig. 3. 1880. Hincks, Brit. mar. polyz., pag. 46, tav. VI, fig. 5, 6. Sinonimia, vedi Neviani ( Briozoi Livorno, pag. 110). CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO PALEONTOLOGICO ECC. 301 Questa specie è rappresentata da pochi zoeci mal conservati, ma riconoscibili. Fossile dal Cretaceo: vive nell’Atlantico in acque poco profonde. Il Neviani ( Brioz . postpl. del sott. suol, di Li- vorno, pag. 110) differenzia molto chiaramente la presente specie dalla S. scruposa L. Fossile in Italia. Post-plioc. di Livorno, Spilinga (Neviani); Pliocene; Palo (Terrigi) ; Castrocaro, Castell’ Arquato (Manzoni); Plioc. e Miocene di Reggio Calab. (Seguenza); Oligocene, Val di Lonte (Reuss) ; Miocene d' Austria ed Ungheria (Reuss). Onychocella anguiosa Reuss. 1860. Reuss, Pài Stud. Crosara, pag. 253, 262, 291; tav. XXIX, fig. 9, 10 ( Membranipora ). 1875. Manzoni, I Briozoi plioc. ant. di Castrocaro, pag. 8, tav. I, fig. 11 (idem). 1891. Waters, North-Ital. Bryoz., I parte, pag. 9, tav. I, fig. 20 (con si- nonimia). 1895. Neviani, Brioz. foss. Farnesina, pag. 21, tav. I, fig. 6. L’ esemplare è con portamento di Vincularia , come quello trovato dal Neviani a Mosciano [Brioz. eoe. Mosciano , pag. 6). Se- condo il Waters (op. pag. cit.) il nostro esemplare trovandosi in quello stato peculiare si dovrebbe avvicinare alla Eschara exca- vata, Reuss. [Foss. Polyp. Wien. Tertiàr., pag. 72, tav. Vili, fig. 36), che considera come varietà della presente specie. Vive nel Mediterraneo (Manzoni); Mari, Madera (Busk), Flo- rida (Smitt) prof. m. 75. Fossile: Post-plioc. Spilinga (Neviani): Pliocene, Farnesina (Neviani), Castrocaro, Castell’ Arquato, Pisano (Manzoni) ; Miocene, Colline di Torino, Modena, Dego, Crosara ; Austr.-Ungher. (Manzoni); Eocene, Mosciano (Neviani). Melicerita fistulosa Lin. 1895. Neviani, Brioz. foss. Farnesina, pag. 23, tav. I, fig. 12. Nel Waters [Bryoz. S. W. Victoria , pag. 319, tav. XIV, fig. 1, 2, 10, 11) si trova la lunga sinonimia. Spetta il merito all’ Hincks di aver chiaramente distinto questa specie dalla conge- nere M. Johnsoni. In Italia era citata con nomi diversissimi. 302 G. DE ANGELIS D’OSSAT Vive nel Mediterraneo ed è diffusa negli altri oceani, alla profondità di m. 5-200. Possile nel Post-pliocene : Livorno, Rodi, Spilinga; Pliocene: Farnesina, Castrocaro, Emilia, Calabria; Mio- cene: Calabria, Austria-Ungheria. È fossile pure nell’Eocene. Melicerita Johnsoni Busk. 1895. De Angelis, Brioz. Catalana, pag. 8, tav. B. fig. 2-5. 1895. Neviani, Brioz. foss. Farnesina, pag. 24, tav. I, fig. 15-17. Nell’ opera dell' Hincks ( Brit . Mar. Polyz ., pag. 112, tav. XIII, fig. 9-12) si trova la lunga sinonimia. Non era stata mai trovata nel Miocene. Ultimamente il Neviani ( Briozoi neogenici di Sar- degna, pag. 15) la cita nel Grès di Sa Scala e Scala Chilivoi (Orosei). Vive nel Mediterraneo, Atlantico. Fossile nel Post-plioc. di Livorno; Pliocene. Pisa, Acquatraversa, Valle dell’ Inferno, Farne- sina (Roma). Scliizogtorella polyornma Reuss. 1817. Reuss, Die foss. Polyp. Wiener Terti'àr., pag. 71, tav. Vili, fig. 33 ( Eschara ). 1877. Manzoni, Brioz. foss. Aust.-Ung., pag. 15, tav. Vili, fig. 27; tav. IX fig. 28 {Eschara). Un piccolo polizoario deve essere ascritto a questa specie. Esso presenta circa 10 zoeci, abbastanza ben conservati. È una specie trovata dal Reuss nei calcari di Leitha e dal Manzoni in molte località del Miocene di Austria ed Ungheria. Smittia exarata Reuss. 1847. Reuss, Foss. Polyp. IVien. Tert , pag. 61, tav. VII, fig. 32. {Cellaria). 1869. Reuss , Bryoz. Von Crosara, pag. 276, tav. XXXV, fig. 1. {Vincularuù. 1891. Waters, North-ftalian Bryoz. pag. 22, tav. Ili, fig. 6. Un piccolo polizoario incrostante appartiene sicuramente alla presente forma. Sgraziatamente, a causa della non ottima conser- vazione, non posso stabilire a quale dei sottogeneri stabiliti dal Neviani (Brioz. foss. Farnes, 1895) debba ascriversi la nostra Smit- CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO PALEONTOLOGICO ECC. 303 tia. Tale rinvenimento è di qualche interesse per il ben conosciuto valore cronologico delle località che finora diedero avanzi di questo elegante Briozoo. Il Reuss ed il Waters la rinvennero a Val di Lolite, e quest’ ultimo anche a Montecchio maggiore, e Brendola ed a Ferrara di Monte Baldo. Heteropora stipitata Reuss. 1847. Reuss, Die foss. Polyp. Wiener Tertiàr., pag. 35, tav. V, fig. 19. 1877. Manzoni, Brioz. foss. Aust. Ungh., pag. 12, tav. XII, fig. 39 ( Eschara ). Un piccolo frammentino, isolato, come gli altri, dall’ erosione, ci fa riconoscere abbastanza bene i caratteri specifici. La presente forma trovasi citata solo nel Miocene di Austria ed Ungheria dal Reuss e dal Manzoni. Crisia Hòrnesi Reuss. 1847. Reuss, (op. cit.), pag. 54, tav. VII, fig. 21. 1891. Neviani, Brioz. Livorno, pag. 35, tav. IV, fig. 13. Nell’ ultimo lavoro citato è riportata intera la sinonimia ed una dettagliata discussione intorno alla specie, specialmente riguardo alla C. denticulata. La specie è rappresentata da un discreto frustolo. Fossile nel Post-plioc., Livorno; Pliocene: Palo, Castrocaro, Calabria ; Miocene : Calabria (Seguenza, in tutti i piani) ; anche nel Cretaceo. Fuori d'Italia, nell’Oligocene di Soellingen (Reuss); nel Miocene di Austria ed Ungheria (Reuss, Manzoni), nel Crag d’ In- ghilterra (Busk). nomerà striata M. Edw. 1877. Manzoni, Brioz. foss. Mioc. Aust. Ungh., pag. 8, tav. VII, fig. 24. Quivi è riportata la citazione dell’ opera del M. Edwards (Ann. llist. nat. 2® sér., tom. IX, pag. 213, tav. XI, fig. 1), e del Busk ( Crag Polyz ., pag. 103, tav. XV, fig. 3; tav. XVI, fig. 5). Vi riferisco urto splendido esemplare. 304 G. DE ANGELIS D’OSSAT Fossile nel Miocene di Porzteick (Màhren). Il Seguenza ha raccolto la presente specie nel Zancleano, nell’ Astiano e nel Qua- ternario di Calabria. Idmonea distic ha Goldf. 1826. Goldfuss, Petr. Germ , pag. 29, 30, tav. IX, fig. 15 ( Retepora ). 1840-47. Michelin, Icon. zooph., pag. 204, tav. LII, fig. 18 f Petepora). 1847. Reuss, Foss. Polyp. Wiener Tertiàr., pag. 45, tav. VI, fig. 29-31. 1877. Manzoni, Brioz. foss. Aust-Ungh. pag. 5, tav. Ili, fig. 12, 23. Il Reuss la cita in molte località; nei calcari di Leitha, nel bacino di Vienna ecc. Il Manzoni nell’ Aust-Ungb. Il Seguenza la menziona, con dubbio, nel Tortoniano calabro. È specie altresì fossile nel Cretaceo di Maèstricht e di Danimarca. — Il gen. Idmonea è rappresentato da un’altra forma; ed il genere Retepora , da un piccolo e mal conservato avanzo. Eschara porosa M. Edw. 1836. M. Edwards, Ann. Hist. nat., Sér. VI, pag. 13, tav. XII, fig. 7. 1859. Busk, Crag Polyz., pag. 66, tav. XI, fig. 4. 1877. Manzoni, Brioz. foss. Mioc. Aust.-Ungh., pag. 16. tav. II, fig. 34. Fossile nel Miocene di Austria ed Ungheria (Manzoni). I fossili citati (A) e ( B ), e la stratigrafia, accennano a due tempi successivi, pure sempre del Miocene medio o meglio appar- tenenti al 2° Piano Mediterraneo {pars, Suess ). È vero che la fauna dei Briozoi è poco concludente, perchè molte forme sono ancora viventi, oppure fossili sin dal Cretaceo; ma vi sono sempre due specie che pare vogliano indicare la facies tortoniana, essendo solo state trovate nel calcare di Leitha, e cioè: Schizoporella polyomma, Heteropora stipitata. Quanto poi ai fossili delle argille di Mandela basta ricordare il Balantium pedemontanum , la Carinaria Hugardi e la Lepas mallandr intana, per essere sicuri del riferimento cronologico da noi fatto. Subiaco. Nulla debbo aggiungere alla località fossilifera nel sobborgo San Martino (Subiaco), non avendovi fatto ulteriormente al 1893 CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO PALEONTOLOGICO ECC. 305 altri rinvenimenti. Ricordo soltanto come questa località e le altre citate nella nota (') debbono essere riportate al Miocene ed alla parte media, come già feci (2). Dintorni di A/file. Ad Affile, nella vigna Ciuffa, sotto il Camposanto, ho tro- vato un calcare quasi esclusivamente costituito da conchiglie ma- rine, non ben conservate. Ecco le forme che potei riconoscere. Flabellum sp. ind. Una sezione di un corallario deve certamente riportarsi a questo genere; riuscirebbe certamente erroneo qualsiasi riferimento specifico. Cribrilina radiata Moli. sp. ( Eschara ). • L' intricata sinonimia di questa forma si può raccogliere spe- cialmente dai lavori dell’Hincks, Pergens, Jelly, Neviani ecc. L’e- semplare non si scorge chiaramente perchè ricoperto da un tenue velo calcareo. È una forma tuttora vivente nell’ Atlantico e nel Mediterraneo : fu trovata fossile nell’ Astiano di Barcellona (de Angelis), nel Miocene di molte località italiane e straniere. Le più antiche formazioni che la contengono spettano al Cretaceo. Pecten cfr. karalitanus Meneg. 1857. Meneghini, Voyage en Sardaigne, Paléont., voi. II, pag. 383, tav. H, fig. 12. 1877. Locarci, Descript, foss. tert. Corse, pag. 129. 1887. Parona C. F., op. cit., pag. 315. Riferisco un modello della valva inferiore (destra) di un gigan- tesco pettine alla presente forma per i caratteri che è dato osser- vare. Certamente il Pecten deve essere ascritto al gruppo del Pecten 'plano-sulcatus , P. solarium J P. Passeri , P. Burdigalensis J P. ka- O De Angelis G., Giacimenti elevati di Pliocene nella Valle dell' Aniene. Roma 1893. (2) De Angelis G., Appunti preliminari sulla geologia della valle del- V Aniene. Roma 1896. 806 G. DE ANGELIS D'OSSAT ralitanus , di cui probabilmente il tipo è il P. plano-sulcatus , men- tre gli altri si debbono considerare come varietà di quest’ ultimo. (Locard, op. cit., pag. 131). È inutile che descriva i pochi carat- teri che vi ho riscontrato, perchè dal modello non potremo ritrarne la certezza; tuttavia cito la corrispondenza del numero delle coste, dell’ angolo apicale, del rigonfiamento, del rapporto delle dimen- sioni ecc. ecc. Il Locard (op. pag. cit.) muove il dubbio se questa specie meneghiniana debba entrare nella sinonimia del P. plano-sulcatus , Matheron. (Matheron, Cai. des foss. Bouches-du-Rhóne, pag. 188, tav. XXXI, tìg. 415 — 1847; Fischer et Tournouer. Invert. du moni Léberon, pag. 115, tav. XIX, fig. 21, 22 = 1873). Egli pare molto inclinato a tale ravvicinamento. Il Parona (op. cit. pag. 129), mentre contrassegna la specie del Meneghini con un punto interro- gativo, si limita ad accennare al dubbio del Locard. Per quanto ho potuto osservare dalle figure dei vari Pettini del gruppo, in confronto col nostro esemplare, sembrami che ’si possa tenere separata. Il Meneghini già la differenziò ottimamente dal Pecten solarium. In ogni modo il nostro fossile somiglia mol- tissimo al P. karalitanus , il quale se pure si deve considerare come sinonimo del P. plano-sulcatus , non viene ad alterare il no- stro riferimento cronologico. È interessante questo rinvenimento per la distribuzione topo- grafica di questa forma o del P. plano-sulcatus. Ho altresì trovato un’ altra impronta che mi sembra la valva superiore (sinistra) della stessa specie, ma non posso assicurarlo. La forma è stata trovata fossile nel Miocene Sardo a Nurri, a Fontanazzo ed a Fontanaccio. Pecten cfr. aduncus Eickw. Con molto dubbio riporto a questa specie molti modelli in- terni di un Pecten } che somiglia molto alle descrizioni e figure che si danno della forma. Corrisponde specialmente alle descrizioni del Meneghini e del Locard, che danno per il P. benedictus, Lk. (Locard, op. cit., pag. 138; Meneghini, op. cit. pag. 313, tav. G, fig. 22 b, Janira ) che si deve considerare come sinonimo del P. aduncus. CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO PALEONTOLOGICO ECC. 307 Questa specie oltre che nel Miocene Sardo e Corso, si trova anche in quello di Vienna (Hornes, op. cit., pag. 401, voi. II, tav. LIX, iig. 7, 8, 9). Il Seguenza ìa raccolse a Messina ( Brev . cenn. terr. terz. Messina 3 pag. 264) ; il Fuchs a Malta ( L’età de- gli strati terz. di Malta , pag. 377). Il Fontannes la cita nell’ El- veziano {Terr. tert. Ilaut Comtat , Vanaissin, pag. 624); il Fuchs nel Miocene di Egitto {Best... Mioc. Aegypten , pag. 36). Il Mariani e Parona a S. Marco in Sardegna, il Pantanelli e Mazzetti a Montese ecc. ecc. Pecten sp. ind. V’ ha un altro frammento di modello interno, che appartiene ad altra forma ; non posso però darne neppure un riferimento qual- siasi, oltre al generico. Ostrea lamellosa Brocchi. 1870. Hornes, op. cit., voi. II, pag. 447, tav. LXXI, fìg. 1-4; tav. LXXII, fig. 1-2. Noli’ opera citata si può vedere la lunga sinonimia, mentre che nel Pantanelli possiamo farci un’ idea chiara sull’ estensione della specie e per i caratteri e per la cronologia {Lamell. plioc., pag. 62). Essa è rimasta quasi immutata dall’ Eocene sino ai no- stri tempi. La valva superiore che vi riferisco è molto grande ed abba- stanza spessa. Lunghezza mm. 115, largh. mm. 95; spessore mas- simo mm. 20. Pessimo stato di conservazione. E stata pure citata in molte località mioceniche italiane e straniere. Ostrea digitalina Dub. 1870. Hornes, op. cit., voi IT, pag. 447, tav. LXXIII, fìg. 1-9. 1876. Locarci, Descript, foss. Corse, pag. 127. ( 0 . frondosa). 1880. Seguenza, Le forni, terz. Reggio-Cal., pag. 122. 1881. Coppi, Paleont. moden., pag. 95. 1883. Fuchs, Beitr. z. Kennt. der Mioeanfauna Aegyptens. Wurste, pag. 20. 1887. Mariani, Descr. dei ter. Mi.oc. fra la Scrivia e la Staffora, pag. 26. 1891. Parona, App. paleont. Sardegna, pag. 308. 21 308 G. DE ANGELIS d’OSSAT Tre valve rispondono perfettamente e per forma e per dimen- sioni alle figure dell’ Hòrnes, e specialmente alle fig. 7 e 8 ; tuttavia i nostri esemplari sono un pochino più piccoli. È forma citata in molte località mioceniche del bacino del Mediterraneo. In Italia è frequente nel Miocene come si può ri- levare dalle opere citate. Teredo norvegica Spleng. Tubi calcarei, di piccole dimensioni, contorti. È la solita de- terminazione empirica non avendo mai osservato le valve. È fre- quente anche nel Miocene. Venus cfr. deleta Michtti. 1861. Michelotti, Étud. Mioc. inf., pag. 61, tav. VI, fig. 16, 17. Riferisco, con qualche esitazione, a questa forma un esemplare, in pessimo stato di conservazione, perchè corrisponde esattamente alle figure citate. Il Michelotti la trovò nel Miocene di Dego. Cytherea erycina Linn. 1857. Meneghini, op. cit., pag. 562. ( C . erycinoides). 1870. HOrnes, Die foss. Moli. Wien., voi. II, pag. 154, tav. XIX, fig. 1, 2. (Sinonimia). 1876. Locarci, Descript Corse, pag. 189. 1876. Fontannes, Les terr. tert. du Ilaut Comtat Venaissin ecc., pag. 630. Gli esemplari che riporto a questa specie sono generalmente nu- clei interni, ma che spesso mostrano anche parte dell’ ornamentazione esterna. Le dimensioni sono varie, ma sempre minori della fig. la, 1 b dell’ Hòrnes. Questa specie è molto abbondante nel nostro gia- cimento e con i Pettini costituisce quasi la totalità del calcare. Porse vi potrà figurare qualche altra forma affine ; ma certamente le più appartengono a questa forma, come mi sono potuto convin- cere col largo paragone fatto con valve provenienti da molte lo- calità italiane e straniere, che, per brevità, non trascrivo. 11 Parona (op. cit.) la cita in molte località del Miocene sardo ; nel corso la ricorda il Locard. Il Seguenza la menziona nel Lan- CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO PALEONTOLOGICO ECC. 309 ghiano, Aquitaniano e Tortoniano di Calabria {Form. terz. Reggio- Calcib., pag. 52, 40, 119); il Coppi nel Tortoniano modenese (op. eit., pag. 109); il Calici in Sicilia nel Langhiano ed Elveziano {La form. miocenica Licopodia , pag. 14); il Pantanelli e Maz- zetti a Montese (op. cit., pag. 34). Cardium, n. sp. Tre gigantesche valve che appartengono a questo genere non so a quale specie si debbano riferire. Per quanto abbia procurato di cercare altra specie che loro somigliasse, non ci sono riuscito. Le tre valve sono rappresentate in parte da modelli interni, che pure lasciano trasparire quanto è necessario dell’ornamentazione esterna. Per la forma generale si avvicina di molto al C. sulcatum Lk., tanto frequente nel Pliocene italiano. Secondo il Pantanelli {La- mellib. plioc ., pag. 179) questa ultima forma dovrebbe entrare nel C. oblongum Ckemnitz, che appartiene al gruppo del C. norvegi- cum. Checché ne sia di ciò, il nostro è di proporzioni sempre di mollo più grandi, più convesso e più ricco di coste. L’esemplare più piccolo, che è il più corto, potrebbe ricordare per le sue par- ticolarità il C. discrepans Bast. (Hòrnes, Moli. Wien ., pag. 174, tav. XXIV, fig. 1-5); ma se ne allontana per essere più allungato e più inequilatere. Molto maggiore è certamente il numero delle coste. Vi sono ancora altri caratteri che valgono a differenziare la nostra nuova specie dalle altre che più le assomigliano. Dimensioni. Lunghezza massima mm. 130 Larghezza » B 100 Spessore » » 43 Mi auguro di trovare altri esemplari meglio conservati per poterne dare una esatta descrizione. Modiola , sp. ind. Riporto a questo genere un modello interno di una valva che mi sembra appartenervi. È una forma molto affine alla M. margi- nata,, Eickw. (Hòrnes, op. cit., pag. 350, tav. XLV, fig. 6a,b), 310 G. DE ANGELIS d’oSSAT ma di dimensioni più piccole. Infatti è lunga mm. 20 e larga mm. 11; l’altezza della valva è di mm. 7. Ficaia condita Brong. sp. 1823. Brongniart, Mém. Vicent., pag. 75, tav. VI, fig. 4a, b. ( Pyrula ). 1847. Michelotti, Descript, d. foss. Mioc , pag. 267. (Pyrula). 1856. Hornes, op. cit., voi. I, pag. 270, tav. XXVIII, fig. 4-6. (Pyrula). 1876. Locard, op. cit., pag. 15. 1880. Seguenza, Le form. terz. Reggio Cai., pag. 51. 1883. De Gregorio, Sul Miocene di Nicosia, pag. 20. 1887. Mariani, op. cit., pag. 39. 1887. Pantanelli e Mazzetti, op. cit. pag. 22. 1887. Parona C. F., op. cit., pag. 346. 1891. Sacco, I Moli. terr. terz. Piemont. Lig., pag. 23, tav. I, fig. 27 a, b. La presente specie è rappresentata da parecchi individui, di diverse dimensioni, sempre però allo stato di modello interno ; un solo esemplare fortunatamente fa scorgere una piccola superficie dell’ ornamentazione esterna, che è caratteristica per la forma. Se si volesse seguire il Sacco potremmo riferirne gl’ individui a più di due specie o varietà. Le dimensioni diverse possono essere causate dalla diversa età, tanto più che non si discostano di molto dalle proporzioni delle figure dell’ Hornes e dello stesso Sacco. La forma trovasi nei tre livelli del Miocene del bacino del Mediterraneo e specialmente nel Tongriano. (Oligocene: Carcare, Dego, Mioglia, Cassinelle) e nell’ Elveziano (Colli di Torino, San Raffaele, Sciolze ecc). Dai lavori citati si conoscono le altre loca- lità. Ultimamente il Simonelli la ritrovò a Castelnuovo nei Monti ( Fossili tortoniani di Castelnuovo ne Menti , 1896). Delle varietà del Sacco, una sola è citata nel Tortoniano, e cioè : F. condita , var. proreticulata Sacc. (op. cit., pag. 26, tav. I, fig. 31). Dintorni di Tagliacozzo. Per ben intendere le faune della valle dell’ Aniene è ne- cessario che descriva una fauna miocenica, da me raccolta presso Tagliacozzo, vicino all’ultimo casello ferroviario ed a mezza via fra Tagliacozzo e S. Marie. CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO PALEONTOLOGICO ECO. 311 Balanophyllia praelonga Michtti. 1838. Miclielotti, Spec. zooph dii, pag. 67. 1840-47. Michelin, Icori, zooph., pag. 96, tav. Vili, fig. 15. ( Turbinoli a cy- lindricà). Riporto a questa specie un nucleo interno di un individuo molto mal conservato, ma che mostra parecchi caratteri specifici. Non nascondo però la somiglianza di questa forma con la B. Me- neghina E. Sismonda. ( Mat . palèo ut ., pag. 289, tav. I, fig. 8). È forma comune nelle colline di Torino, Crosara, Dego ecc. Fossile dall’Eocene medio sino all’Elveziano nell’Italia set- tentrionale; nel Tongriano e Langhiano di Calabria (Seguenza); nel Piacentino di Catalogna (de Angelis) : abbonda però nel Miocene. Trochocyathus crassus Michtti. 1838. Miclielotti, Spec. 'zooph. dii., pag. 69, tav. Ili, fig. 1. ( Turò inoli a plicata). 1840-47. Michelin, Icori, zooph., pag. 40, tav. IX, fig. 2 (esclus. 2a). (Tur- hinolia). 1872. Reuss, Die foss. Korallen d' oest-Ung. Miocàns., pag. 215, tav. II, fig. 15- Un modello di questa specie si riconosce sopratutto per la forma generale e per le dimensioni. Esso non deve riferirsi alla vicina forma T. mitratus Goldf. ( Petr . germ ., pag. 52, tav. XV, fig. 5) per essere di forma molto più tozza, per portare i tramezzi più sottili e serrati, per il pedicillo meno ricurvo. È fossile molto frequente nel Tortoniano, ma anche nell’ El- veziano e Langhiano: Stazzano, S. Agata-fossili, Monte Gibio, Fon- tanazzo (Sardegna). Flabellum acuturn E. H. 848. Milne Edwards et J. Haime, Ann. des se. nat., ser. 3a, t. IX, pag. 267, tav- Vili, fig. 6. Un piccolo esemplare lo riferisco a questa specie, perchè so- miglia moltissimo a quelli di S. Agata-fossili, che prendono questo 312 G. DE ANGELIS d’oSSAT nome. Verso il pedicillo è ricurvo e porta le creste. Sulle due faccie ci presenta due coste più sporgenti delle altre. L’angolo formato dalle creste laterali è molto vicino a 60°. I due assi del ca- lice sembra che siano contenuti nello stesso piano. È forma del Tortoniano e Piacentino: S. Agata-fossili e Zinola. — Nella stessa roccia ho osservato due negative di coralli di difficilissima determinazione pure generica ; probabilmente appar- tengono al gen. Flcibellum od altro affine. Cidaris cfr. papillata Leske. ( Dorocidaris ). Un radiolo deformato pare appartenga a questa forma, che è ancora vivente nei nostri mari : ma fossile anche nel Miocene me- dio, specialmente dell'alta Italia e del Bolognese: come riporta il Manzoni (Gli Echin. fos. Schlier. Col. Bologna , pag. 5). Pecten Malvinae Dub. 1870. Hornes, Die foss. Moli. Wien., voi. II, pag. 414, tav. LXIV, fig. 5. 1883. Fuchs, i Beitr. z. Kenn. d. Miocànf. Aaegyptens, pag. 23, 41. È questa la forma più comune nel giacimento di Tagliacozzo. Non è molto conservata, anzi se ne vedono quasi sole impronte; spesso però si possono osservare frammenti di conchiglie, le quali presentano le caratteristiche ornamentazioni. Il numero delle coste allontana questa forma dal P. opercularis L. (26-28). Gli esem- plari che ho avanti di me somigliano molto più a quelli del Miocene di Vienna per il numero delle coste (30), che a quelli di Sardegna (Parona, op. cit., pag. 310). È forma miocenica, citata in moltissime località. Pecten cfr. spinulosus Mùnst. 1870. Hornes, Foss. Moli. Wien., voi. II, pag. 421, tav. LXVI, fig. 3. Un frammento di conchiglia ed una più larga impronta in- terna mi permettono di citare, con molto dubbio, la presente specie. Ciò che si osserva, ravvicina di molto l’esemplare a quello del CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO PALEONTOLOGICO ECC. 313 Miocene di Vienna. In Sardegna fu trovato nel Miocene di Fan- gario, Castelsardo, S. Michele. Pecten sp. Vi sono molte impressioni di un’ altra forma di questo genere, ma è impossibile determinarla. Ostrea sp. Parecchie valve di Ostrica, non molto conservate, non si pos- sono specificare. Potrebbero forse essere riferite, con grave esita- zione, all’ Ostrea ( Placunct ) langhiana , Trab. (Trabucco, Il Lan- ghiano della provincia di Firenze pag. 7, fig. 5) ; tuttavia non oso affermarlo a causa della cattiva figura che rappresenta la forma tipica. Se lo fosse, secondo lo stesso autore (1. cit., pag. 7, nota), designerebbe le assise tanto inferiori che superiori del Langbiano. Ostrea sp. Un altro frammento sembrami, che, con molto dubbio, possa riportarsi alla 0. ( Gryphaea ) cochlear Poli, e specialmente alla varietà miocenica. (Foresti, Dell ’ 0. cochlear Poli e di alcune varietà , 1880; Note sur deux nouvelles variétés. . . . , 1882; Pan- tanelli, Lamellibranchi pliocenici , 1893). Ter e do sp. Parecchi tubi calcarei, cilindrici, irregolari. Determinazione senza aver veduto le valve. Bostricophyton Pantanellii Squin. 1890. Squinabol, Alghe e pseudoalghe foss. ital, parte Ia, pag. 40, tav. VII fig. 5. 1891. Id., Contrib. fior. foss. terr. terz.- Alghe, pag. XVI, tav. C, fig. 3. L’ esemplare che riferisco a questa specie, ha i ramuli disposti a fiocco, ed alcune volte occupa una superficie abbastanza larga. 314 G. DE ANGEL1S D’OSSAT Esso somiglia ai tipici dell’Oligocene di S. Martino in Vallata o della valle di Tresinaro (provin. Keggio-Emilia). Altri esemplari di questa forma provengono dal promontorio di Portofino, immediata- mente sotto il conglomerato tongriano. I numerosi rami si dividono dicotomicamente. Qualche lieve differenza si potrebbe rilevare sopra i nostri esemplari, in confronto dei tipici. Chondrites a finis Sternb. Nel lavoro dello Squinabol del 1891 (pag. XVI, tav. A, fig. 1) si trova una lunga sinonimia di questa forma. Il piccolo esemplare che possiedo corrisponde esattamente e per la forma e per le di- mensioni a quello figurato. È una specie molto diffusa nel Ligu- riano (S. Stefano d’ Aveto, Taggia, Madonna del Monte, Lagaccio, M. Cheto, M. Fasce, M. Bastia, Portofino, ecc.), dove la citano il Simonelli, de Stefani, Savi e Meneghini, Pentland, de Gregorio ecc. Gli esemplari sono molto frequenti, ed occupano larghe superficie, ma è difficile il poterli raccogliere. Non nascondo la grande affinità che corre fra l’esemplare di Tagliacozzo e la Cli. dolio hophyllus, Squin. (Squinabol., op. cit., pag. XI, tav. B). Camerata Nuova. Non lascio la valle del Turano per dar conto di un dente di pesce trovato nel calcare presso Camerata Nuova, il quale fa na- scere il sospetto che parte di quel calcare possa appartenere al Miocene ; ma che riferisco ancora all’ Eocene. Oxyrhina hastalis Agassiz. 1881. Lawley, Studi comp., pag. 93. La copiosa bibliografia si trova nel lavoro del De Alessandri ( Contrib . Pesci ters. Piemont. Lig., pag. 13, tav. I, fig. 9, 9a); ivi oltre alle figure sono citati i sinonimi della specie che, per merito del Lawley, acquistò chiari e netti confini. Il nostro esemplare corrisponde perfettamente, per tutti i carat- CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO PALEONTOLOGICO ECC. 315 teri specifici, a quelli miocenici del Piemonte e della Liguria. Fra i sinonimi, per intendere 1’ habitat , è necessario che ricordi : 0. xi- pliodon , 0. plicatihs , 0. isoscela , 0. complanata , 0. Agassizii , 0. quadrans. Fossile nell’Eocene: Alabama e Carolina meridionale. Fossile nell’ Oligocene: Acqui, Beiforte, Mombasiglio, S. Giu' stina. Fossile nel Miocene: Torino, Albugnano, Pavarolo, Sciolze, Baldissero, Casalborgone, Vignale, Alba, Clavesana, Mondo vi, Staz. zano, Calcare di Malta, M. Titano, Fangario, Fontanazzo ecc. Fossile nel Pliocene: Astigiano, Moncalvo, Savona, Siena, Volterra. La presente forma si estinse sul finire del Pliocene. È ab. bondante nel Miocene italiano, come si può rilevare anche dal magistrale lavoro del Bassani ( Contrib . Paleont. Sar degna- Ittio- liti miocenici , pag. 31, tav. I, fig. 3; tav. IT, fig. 1. 2 b). — Dicono che in quelle vicinanze siano frequenti i denti di Pesci: ma io rinvenni il presente ed un altro là dove fu trovato l’Elefante di Riofreddo descritto dal Portis ( Contr . bac. di Roma , voi. II, pag. 221), che andò in frantumi, ma che doveva appartenere a questa forma od alla affine 0. Desori Agassiz. 11 Mantovani (op- cit., pag. 31) riferendo questo calcare all’Eocene, scrive: « presso « il paese di Camerata, posto in riva al torrente Foggio, il terreno “ eocenico è rappresentato da un calcare bianco, a struttura granosa, “ ripieno di una quantità enorme di pesci placoidi » . Postpliocene. Passiamo agli avanzi fossili di Mammiferi, che provengono dai conglomerati di Subiaco: Elephas sp. Nel 1832 si rinvennero nell’interno della città di Subiaco alcuni frammenti di difesa ed altre ossa spettanti a questo genere. Così è annunziato il fatto dal Ponzi : « Al finire del passato aprile di que- « sfanno 1862 nella città di Subiaco, sulla strada dei Cappuccini, « nel rimuovere le sabbie e le ghiaje plioceniche, che un proprie- 316 G. DE ANGEUS D’OSSAT « tario faceva per certe sue costruzioni, è stata rinvenuta una di- « fesa e varie ossa di un elefante. Fig. 3, D. » ('). In un lavoro posteriore del Ponzi uscito nel 1875 (2) si leggono queste parole: “ Elephas . . . ? Difese rinvenute nelle sabbie gialle di Subiaco ». Il Seghetti (3) parla di denti di Elephas meridionalis ?, mentre che nello stesso anno in un altro suo lavoro (4) scrive: « dove il « eh. pr. Ponzi ebbe la fortuna di raccogliere stupende reliquie di E. antiquus ? ». Il Ponzi poi nel 1878 (5) dice di non permettere determinazione alcuna le ossa rinvenute nel monte di Subiaco. Finalmente il Portis (op. cit., pag. 230, voi. II), crede che le ossa di cui parla il Seghetti, siano le stesse citate dal Ponzi; ciò che ora mi viene coniermato da una gentilissima lettera scrittami dal Seghetti. Per quanto abbia procurato di vedere le ossa di cui si parla, non sono riuscito a saperne nulla. Trovo solamente notizie che poco si corrispondono fra di loro, sia intorno all' entità dei resti, come alla determinazione. Infatti non si sa se fosse una difesa ed ossa, o più difese, o denti mascellari. Il Ponzi le crede indeterminabili ed il Seghetti le riferisce all’ Elephas antiquus ? ed all' E. meridionalis. Dai dati che abbiamo esposti possiamo ricavare 1’ assicurazione del rinvenimento di ossa fossili elefantine nel conglomerato di Su- biaco. Aggiungerò poi che, tenuto conto di ciò che si rinviene in terreni sincroni, probabilmente doveva essere 1’ E. ( Euelephas ) an- tiquus, Falc. Bos taurus primigenius Boj. Questa specie è citata in entrambi i lavori del Seghetti come rinvenuta nei conglomerati di Subiaco, come riporta il Portis (op. cit., voi. II, pag. 230). Non ho rintracciato questi avanzi e non so dove essi siano conservati; quindi nomino la specie sull' auto- rità del Seghetti. (!) Ponzi G., Dell' Attiene e dei suoi relitti, pag. 30. (*) Ponzi G., Cronaca subappennina od Abbozz. . . pag. 27. (3) Seghetti I)., Uno sguardo geologico al Sublacense, 1876. (4) Seghetti D., Un cervo fossile nel Quaternario di Subiaco. (5) Ponzi G., Le ossa fossili subappennine dei. dintorni di Roma, pag. 22. CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO PALEONTOLOGICO ECC. 317 Rhinoceros ( Coelodonto ) Merchi Kaup et Jag. È merito del prof. Portis (op. cit., voi. II, pag. 230) l'aver fatto conoscere la presenza di questo Rinoceronte nel conglomerato di Subiaco, con un avanzo fossile che da molto tempo si conser- vava nel Museo Geologico universitario di Roma. La vera località di provenienza è Morra Casca, vicino alla chiesa di S. Maria della Valle, entro 1 abitato. Il migliore avanzo è il ramo mandibolare destro, quantunque in pessimo stato di conservazione ed incluso tuttora nel travertino. Le corone dentali meglio conservate, sono dell’ antipenultimo e penultimo molare inferiore. Nell’ op. cit. ven- gono riportate tutte le misure che si sono potute prendere. Sotto questa specie come viene largamente dimostrato dallo stesso Portis, si raggruppano giustamente, tutte le diverse deno- minazioni che correvano per gli avanzi della provincia di Roma. La presenza di questa specie, abbastanza caratteristica, serve a riunire la fauna mammalogica sublacense a quelle che frequente- mente si rinvengono presso Roma. Cervus {dama) euryceros Aldrov. Rimando alla nota che scrisse appositamente il Seghetti intorno al rinvenimento di questa specie, chi ne volesse conoscere le par- ticolarità tutte {Un cervo fossile nel Quaternario di Subiaco). Gli avanzi si trovarono nella vigna Pietrucci ; essi sono : un pezzo di mascellare con due denti, l’ osso frontale con la base del corno, due mezze costole, la scapola, una vertebra e buona parte del grosso corno. Tutto ciò si conserva ora nel Museo della R. Uni- versità di Roma fatta eccezione di un dente e della base del corno con parte dell’osso frontale. Secondo il Seghetti i resti dovevansi attri- buire al C. giganteus, varietà del C. elaphus. Il Ponzi {Le ossa foss. subap. . . ., pag. 27) riporta questi resti al C. megaceros Cuv., cioè: «uno scheletro le cui ossa non logorate dall’attrito di trasporto « formano un gruppo. Rinvenuto nei travertini dell’Aniene presso « Subiaco e donato a questo R. gabinetto universitario. Si distingue « chiaramente dalle sue corna sebbene frazionate. Della grandezza 318 G. DE ANGELIS D’OSSAT, CONTRIBUZIONE ECO. * di un bue. Anche questo è un animale terziario estinto nei tempi « post-glaciali ». Finalmente il Portis (op. cit., voi. II, pag. 98) riporta gli avanzi scoperti dal Seghetti alla presente specie, che ha come sino- nimo il C. megaceros Hart. Infatti, confrontando i residui fossili con le figure e le descrizioni che si danno di questa forma, si vedono corrispondere esattamente, specialmente con quelle del la- voro del Cornalia, ( Mam . foss.Lomb., pag. 54 e seg., tav. XVIII- XX). Tra gli altri sinonimi della presente forma dobbiamo anno- verare: C. giganteus Blum., C. irlandicus Blum., C. hiber/iicus Desm., C. platycerus Moling., Megaceros hibernicus Owen. Museo Geologico E. Università. Roma, 1897. [22 gennaio] VARIAZIONI SUL LIVELLO DELLE ACQUE SOTTERRANEE DI MODENA Nota del socio Pantanelli Dante. Avendo da vari anni intrapreso lo studio delle acque sotter- ranee di Modena, credo ora di dare per sommi capi alcune delle deduzioni più importanti alle quali sarei giunto, riserbando ad altra pubblicazione le tavole dei numeri ottenuti e tutte quelle osserva- zioni secondarie che mi è accaduto di fare in tre anni di osserva- zioni diurne e durante le quali una delle maggiori difficoltà è stata la scelta degli istrumenti di osservazione. In altri miei lavori (Q sul suolo di Modena, ho annunciato che i veli acquiferi del suolo modenese, tutti compresi nei terreni qua- ternari e recenti, sono tre ; un primo strato superficiale variabilis- simo, contenuto nello strato detritico superficiale, compreso tra due metri e sette dalla superficie; uno alla profondità di circa 21 metro, ed è quello che fornisce 1’ acqua potabile di Modena, rappresen- tato da uno strato di ghiaie compreso tra strati d' argilla com- patta, dello spessore variabile da quattro a dodici metri e che a volte sembra sdoppiarsi in due distinti strati ; un ultimo strato di ghiaie inzuppato d’ acqua trovasi alla profondità variabile da set- tanta a novanta metri ; oltre questa profondità non sono state spinte le perforazioni ed è probabile che al di sotto comincino gli strati pliocenici; nulla però su ciò vi è di sicuro. Dell’ ultimo velo acquifero, e del quale si hanno solo tre pozzi, non potrei dare altra notizia oltre a quella che 1’ acqua di esso è E) Pantanelli, Le acque sotterranee della provincia modenese. Atti So- cietà naturalisti di Modena, serie III, voi. VII, 1888. Pantanelli. I terreni quaternari e recenti dell' Emilia. Memorie dell’Ac- cademia di scienze, lettere ed arti di Modena, serie II, voi. IX, 1893. 320 D. PANTANKI.LI saliente a notevole altezza dal suolo, quattro metri e 0,35 per il pozzo Sacerdoti, è ricca di acido carbonico e lascia un residuo so- lido un po’ superiore a quello dell’acqua del secondo strato. Le mie ricerche sono state limitate al secondo e al primo, e per questi ho fatto costruire due pozzi speciali, dai quali nessuno sottrae acqua, con tubi di acciaio avvitati e masticati nelle giun- tare per il secondo, cioè per quello che attingendo 1* acqua a metri ventuno dal suolo, la lascia salire sino ad una profondità di circa ottanta cm. dalla superficie; chiamerò in seguito questo, secondo l’ uso modenese, pozzo vivo, riservando il nome di pozzo superfi- ciale a quello che attinge l’acqua nello strato detritico variabile da cinque a sette metri, e che forma il suolo immediato della città. È da sapersi che la città di Modena è attraversata da vari colatori delle campagne a monte della medesima e da due canali antichissimi per uso macinatorio e da qualche secolo per irriga- zione, dedotti da Secchia e da Panaro; questi si riuniscono in un solo canale che costituisce il naviglio per il quale si ha la co- municazione acquea con la bassa valle del Po. La città di Mo- dena, una volta nel secolo XVI E mirabilmente e razionalmente fognata, manda in questi canali tutti i residui che le acque pos- sono asportare ; solo che, le fogne non essendo state mai curate nè mantenute, il tempo e forse anche successivi lavori inconsulti, hanno ridotto i diversi canali longitudinali di raccolta e i tra- sversali di conduzione, allo stato di gabbie, per modo che qua- lunque più piccola alfiuenza d’acqua dall’ esterno, o per pioggia, o per piene dei canali irrigatori e colatori, e qualunque sottrazione o per siccità o per secche dei canali per gli annuali restauri o per la settimanale apertura del naviglio alla chiusa dei molini nuovi a due chilometri a valle della città, si traduce in alza- menti o abbassamenti repentini e passeggeri nel livello di queste acque, che possono oscillare da un metro a tre metri nel loro li- vello superiore dalla superficie media del suolo; così ad es. apren- dosi dal sabato sera al lunedì mattina i portoni di chiusa dei mo- lini nuovi, per attivare 1’ efflusso delle acque di scolo cittadine, le mie osservazioni mi danno sempre, per questi due giorni, una no- tevole depressione sul livello delle acque superficiali, come pure questo livello accompagna con le sue variazioni, le indicazioni del VARIAZIONI SUO LIVELLO DELLE ACQUE SOTTERRANEE ECC. 321 pluviometro dell’osservatorio geofisico dell’Università; come es. citerò una osservazione particolare: il 19 giugno scorso in un vio- lento temporale furono misurati dalle 18 alle 21, al pluviometro dell’osservatorio, 24 millimetri d’acqua; nello stesso periodo il pozzo superficiale risalì da 1,53 a 1,21 dal livello del suolo; di osservazioni consimili ne posseggo moltissime che riservo come ho detto ad altra pubblicazione più estesa. Il pozzo vivo è pure variabile, e le sue variazioni dipendono da cause diverse, nè tutte sono in grado ancora di assegnare; im- portante tra queste è la condizione dei pozzi vicini; avvenendo spesso che se per misura sanitaria o per altre cause venga rapi- damente asciugato un pozzo qualsiasi, il livello del mio pozzo se ne risente notevolmente, anche se le distanze non sono piccole; così quando fu vuotato con una pompa a vapore il pozzo del cor- tile della pretura distante circa 300 metri da quello dell’ Univer- sità, gli apparecchi manometrici del pozzo vivo accusarono una depressione qualche minuto circa dopo che la pompa lontana aveva cominciato la sua azione, e quando ultimamente nel locale stesso dell’ Università fu tentato di prosciugare un pozzo vivo, non riu- scendo che a far deprimere il suo livello di sette metri, il pozzo vivo destinato alle mie osservazioni, distante dal primo di circa dodici metri, si depresse di circa tre metri, la depressione comin- ciando pochi secondi dopo 1’ azione delle pompe. Una grande influenza sul livello superiore delle acque che sorgono dallo strato di ghiaie a venti, metri dal suolo è esercitata dalle condizioni delle acque superficiali e il livello suddetto segue ridotto quello di queste; così nello stesso giorno più sopra citato, cioè il 19 giugno, mentre il livello delle acque superficiali saliva in tre ore da 1,53 ad 1,21, quello del pozzo vivo saliva da 0,95 a 0,87. Questa relazione è costante ed è per ora ciò che di più no- tevole ho ottenuto nelle mie ricerche. Le osservazioni sono state saltuariamente e in via d’ appros- simazione fatte in altri pozzi, onde escludere che il fenomeno fosse dovuto ad una condizione particolare dei pozzi esaminati; e in ogni caso sono giunto alla stessa conseguenza, cioè, che qualunque causa deprimente il livello delle acque superficiali, si ripercuote nello stesso senso nelle acque profonde, le oscillazioni delle quali du- rante 1’ anno raggiungono 1’ escursione di circa venti centimetri. 322 D. PANTANELLI In generale la variazione di livello delle acque profonde segue in tempo, assai da vicino quella delle acque superficiali, ritorna invece all'altezza primitiva prima delle seconde ; così nella varia- zione dirò così domenicale, per 1’ apertura settimanale del naviglio, la massima depressione delle acque profonde avviene nella dome- nica mattina, mentre le acque superficiali seguitano a deprimersi sino al lunedì, cioè quando vengono nuovamente intercette; dopo una pioggia, anche non molto abbondante, la depressione susse- guente si manifesta nelle acque profonde prima che nelle super- ficiali. Le osservazioni sono state condotte con la misura diretta gior- naliera per ambi i pozzi, la tenue dotazione del gabinetto non avendomi permesso l' impianto di registratori, e per il pozzo vivo da manometri a vasellina, nei quali con una disposizione speciale intercetto i possibili sviluppi di gas dalle acque; non ho ricono- sciuto ancora nessuna relazione tra il livello dell’ acqua e la pres- sione barometrica, ossia se questa relazione esiste è mascherata dalle altre cause più sopra citate. Però, fin da quando conducevo le esperienze in un pozzo del- l’Università dove si attingeva l’acqua per uso dello stabilimento, ho potuto riscontrare che i manometri erano sensibilissimi alle brusche variazioni di pressione, specialmente nei forti colpi di vento, e un manometro ad olio di vasellina opportunamente di- sposto, può servire benissimo nei pozzi modenesi, come probabil- mente in qualunque altro pozzo che attinga la sua acqua nella profondità del suolo, per ripetere le osservazioni fatte da Mar- tini (*) al puteometro di Pavia, quelle di Vallot (2) al Monte Bianco con lo statometro, e quelle del variometro di Toepler(3). È dunque da tenersi in conto nelle ragioni che fanno risalire l’acqua dagli strati profondi alla superficie, della pressione degli strati superficiali e che il carico dell’ acqua di profondità dipende (!) Martini, Sulle rapide variazioni di pressione durante le bufere. Rendiconti dell’istituto lombardo di scienze e lettere, serie II, voi. XXX, fase. X, 1897. (2) Vallot, Annales de l'observatoire métcorologique du Mont-Blanc. I, 1893. (3) Toepler, Ueber Beobachtungen von IVindtcogen. Annalen der Pliysik und Chemie. N. F., voi. LVII, 1896. VARIAZIONI NEL LIVELLO DELLE ACQUE SOTTERRANEE ECO. 323 non solo dall’ altezza d’ origine dell' acqua stessa, ma anche dalla pressione degli strati sovrapposti, potendo quest’ ultima essere va- riabile in condizione d' imbibimento particolare. Non ripeto la de- scrizione del sottosuolo che nel caso particolare di Modena, esclude in modo assoluto qualunque comunicazione diretta tra i due veli acquiferi, basta a ciò 1’ osservazione che il velo superiore si man- tiene sempre ad un’ altezza, che può variare da 30 a 80 centimetri, costantemente più bassa di quella che raggiungono le acque in- feriori. Un’ ultima osservazione. Ho avvertito in principio di questa nota, che le acque salienti dal velo acquifero di 80 metri in media di profondità si elevano fino a notevole altezza dal suolo. Per ra- gioni stratigrafiche che possono trovarsi abbondantemente svilup- pate in un mio precedente lavoro (]) è sicuro che tanto le acque profonde come quelle dello strato primo di ghiaie a 20 metri circa, hanno una unica origine, cioè dove i due fiumi Panaro e Secchia, per il caso di Modena probabilmente la sola Secchia, sfiorano le cinghie del calcare miocenico a Yignola o a monte di Sassuolo. Per spiegare quindi il maggior carico di queste acque non si può invocare una altezza di origine diversa, nè è ammissibile che pre- cisamente quelle più profonde scorrenti in ghiaie come le più alte, incontrino un attrito minore ; le osservazioni precedenti pongono la risoluzione di questa apparente anomalia sotto una diversa luce: le acque del secondo strato, di quello a 80 metri, risalgono più alte di quelle dello strato a 20 metri, perchè premute da una massa di materiali cedevoli assai maggiore di quella che incombe sul primo strato. 0) Pantanelli, I terreni quaternari e recenti dell' Emilia. [22 gennaio 1898] 22 SULLA PROBABILE MANCANZA IN ITALIA DELL’ A’A EPHA S PRIMIGEN1US BLUM. Nota del Socio G. de Angelis d’Ossat. Molte volte, in Italia, si annoverò fra le specie fossili il Rhi- noceros tichorhinus, Fisch., ed altrettante ne fu giustamente negata la presenza. Però nel Museo civico di Milano v’ ha un teschio, scoperto ed illustrato dal Cortese (’), proveniente da Monte Zago, che parve doversi riferire a questa specie. È molto tempo dacché niuno ha rivolto la propria attenzione intorno a questo importan- tissimo fossile, che meriterebbe invero uno studio accurato. Se pure si dovesse riportare al Rii. tichorhinus questo unico esemplare, ciò che seguendo il Falconer è impossibile, si potrebbe tuttavia affermare che il Rh. tichorhinus non abbia mai valicato le Alpi, giacché un solo individuo non è sufficiente per dimostrare la pre- senza naturale della specie in un luogo, dove casualmente può esservi giunto un nomade individuo (2). Parecchi descrissero avanzi italiani di Cervus taranclus Lin. ; fra i quali ricordo il Ponzi (3). Nullameno, a giusta ragione, si può asserire che questa specie, tuttora vivente nelle regioni polari dell’ emisfero settentrionale e vivente ancora in Scozia nel XII se- colo ed in Germania ai tempi di Giulio Cesare, non fu mai rin- venuta in Italia. Fu trovata fossile però nel Pleistocene e nel Pa- leolitico di molte località al di là delle Alpi. f1) Cortese G., Sugli scheletri d'un rinoceronte africano ecc., Mi- lano, 1808. (2) Erroneamente fu pure citata questa specie nei dintorni di Roma. Vedansi i lavori del Ceselli, del Boyd-Dawkins, del Falconer e del Lartet ecc. (3) De Rossi M. S. e Ponzi G., Rapporto sugli studi e sulle scoperte paleoetnologiche nel bacino della campagna romana. Con appendice osteolo- gica, Roma, 1867, pag. 65. SULLA PROBABILE MANCANZA ECC. 325 La stessa sorte delle due precedenti forme credo che sia toccata al Mammouth, tipo siberico, chiamato Elephas primìgenius, Blum. Nell anno decorso studiando alcuni denti di elefanti fossili, provenienti dalla Valle padana, così soggiungevo in nota: « Tutti “ i denti che, nei diversi musei da me visitati, compresi quelli “ di Roma, sono determinati come E. primìgenius Blum., non “Corrispondono esattamente a quelli tipici della «specie. Infatti non si riscontra negli esemplari italiani la “ forte flessuosità delle lamine, il carattere di laticoronato e densila- “ mellato, 1’ estrema piccolezza dell’ indice dentale e la sottigliezza “ distintiva dello smalto. Ha confermato questo mio giudizio l’osser- “ vazione rivolta sopra un bel modello di un molare, superiore, destro “ di E. primìgenius , Blum. ; trovato nel letto della Seille a Rate- « nelle (Francia) e sopra le ottime figure di L. Adams, del De- “ péret e di molti altri. Con la mia determinazione intendo di “ riavvicinare i fossili della valle padana a quelli che in Italia “ si battezzano per VE. primìgenius , Blum » (*). Non mi apponevo male, come vedremo. Molti denti elefantini fossili italiani non possono certamente essere riferiti nè all’ A1, an- tiquus , Falc., e molto meno all’ A1, meridionalis , Nesti; presen- tando tutti i caratteri anatomici molto differenti dai denti delle nominate specie. Laonde, per esclusione, si era condotti al riferi- mento dell’ A1, primigenius , quantunque mancassero quasi tutte le caratteristiche. Ora avendo potuto esaminare moltissimi denti tipici dell’ E. primigenius tanto nei musei di Mosca e Pietroburgo, come in quelli di Vienna, sono riuscito ad accertarmi della sostanziale dif- ferenza fra quelli tipici ed i nostri creduti denti di E. primige- nius. Per modo che, senza dubbio alcuno, ritengo che se non tutti, almeno la maggior parte dei denti italiani riferiti al Mammouth, debbano invece essere ascritti ad altra specie. Non oso, per ora affermare che in Italia non sia stato mai rinvenuto fossile Y E. primigenius , non avendo ancora visitato tutti i musei italiani; tuttavia non posso nascondere la mia poco autorevole opinione in- torno l’assoluta mancanza. (■) De Angelis G., Sopra alcuni mammiferi fossili della valle del Po. Rend. R. Ist. Lomb., voi. XXIX, ser. II, 1896. 326 G. DE ANGELIS D’ OSSAT Mentre era intento a tale lavoro di distruzione, naturalmente mi correva il pensiero a quella forma, cui dovessero riportarsi quei denti italiani, che non potevano entrare a far parte nè dell’ ^ antiquus , nè dell’.#, meridionalis. Nel Museo geologico ed in quello zoologico della Università di Mosca, sono conservati moltissimi denti fossili che somigliano, in tutti i più minuti particolari, ai nostri e portano generalmente la scritta: E. primigenius trogon- therii, Pohlig. Con tale nome infatti ha pure determinato la signora Maria Paulovv (*) i bellissimi avanzi scoperti nell’ estate 1896 presso Jaroslawl. Ciò naturalmente mi ha condotto allo studio dell'#’. trogontheriì , Pohlig. (2) ; alla quale specie penso debbano essere riportati i nostri denti finora attribuiti all’#, primigenius. 11 Lvdekker (3) vorrebbe riunire questa specie del Pohlig con VE. antiquus del Falconer; ma tale avviso non è generalmente accettato, dacché vi hanno veri caratteri anatomici che distinguono queste due forme. Naturalmente vi corrono delle attinenze, ma sempre minori di quelle che legano 1’#. trogontherii all’ #. primi- genius, con il quale, a maggior ragione, dovrebbe essere riunito. Infatti la maggior parte dei paleontologi, compreso lo Zittel (4), vogliono VE. trogontherii , come una razza più antica del Mam- mouth, ed infatti mentre quello si rinviene fossile nel Diluvium antico coll’ #. antiquus , questo è più recente. Laonde credo sarebbe più corretto chiamare 1’#. primigenius , razza dell’#, tro- gontherii, forma ben distinta ed antenata del Mammouth. Invero il Gaudry (5) ed il Portis (6) ne fissano tale discendenza; quest’ul- timo in fatto scrive: « #. Trogontherii Pohl. scindibile in #. {pri- (1) Paulow M., Sur un Mammouth trouvé en 1896 près de La ville de Jaroslawl. Animar, géol. de la Russie, tom. II, fase. 3°, Varsovie, 1897. (2) Pohlig H., Dentition und Kranologie des Elephas antiquus. Halle, 1888. Nov. act. Ksl. Leop. Carol. Deutsch. Akad. des Naturforscher. Band LIII, n. 1. (3) Lydekker R., Catalogue of fossil mammalia in thè British Mu- seum. Parte IV, London, 1886. (‘) Zittel C., Traité de Paleontologie. Palaeozoolg. Tom. IV, Paris, 1894. (5) Gaudry A., L'Elefant de Durfort. Bull. d. 1. Soc, d’Et. d. So. nat. d. Nimes, 1894. (tì) Portis A., Contribuzioni alla storia fìsica del bacino di Roma. "Voi. I e II, Torino, 1893, 1896. Anomalie dell'atlante di un elefante fossile dei dintorni di Roma. Bologna, 1896. SULLA PROBABILE MANCANZA ECC. 327 “ migenius ) Trogontherii ed in #. (: meridionali s) Trogontherii, “ come collegante anche cronologicamente VE. primigenia all’#. “ meridionali s ed avente la stessa formola, delle lamine dentali, “ dell’#, antiquus » (voi. II, pag. 264). Per le quali ragioni non adoprerei la denominazione usata dalla Paulow e da altri: E. primi- genius trogontherii Pohl. ; ma piuttosto 1’ altra : #. meridionali trogontherii ; se non ci si vuole attenere al miglior partito quale è quello di tenere distinta la forma a sè. Appena avrò esaminato tutto il materiale italiano mi occu- però delle specie del gen. Elephas , che si rinvengono fossili in Italia, procurando, se sarà possibile, di dare le diagnosi complete delle forme stesse, nonché le figure delle diverse serie di denti, per sta- bilire quell’ ordine già da tempo invocato. Con ciò non intendo disconoscere l’alto valore delle conclusioni del Portis (loc. cit., voi. II, pag. 272), il quale vorrebbe riunire tutti gli avanzi elefantini sotto un solo tipo, che giustamente si dovrebbe chiamare, per priorità, #. meridionalis , Nesti. Tale opinione non solo mi sembra giusta; ma ancora molto razionale e conforme alle nuove vedute che dànno vita alla paleontologia. Lo stesso Portis però non manca di ricor- dare come si possano distinguere sotto specie, razze e varietà nel gruppo che egli, sinteticamente ragionando, è giunto ad edificare. Infatti egli scrive (loc. cit. voi. II, pag. 270): « A pag. 9 (voi. I) « io proponevo di riunire in una sola ed unica specie tutto il ma- « feriale dei nostri punti fossiliferi, che era stato dapprima distri- ti buito fra 1’#. meridionalis Nesti e 1’#. antiquus Pale., in una « specie che avrebbe vissuto assai a lungo e sopra vasta area di « territorio e che avrebbe potuto scindersi in più razze naturali i sia contemporanee, sia successive, sia locali e geografiche, cor- ti rispondenti a quei tipi od a quelle forme che ora vengono chia- « mate con nomi specifici diversi ». Ed a pag. 272 del voi. II: « Una sola specie cui per diritto di proprietà spetti il nome di « #. meridionalis , Nesti .... che ebbe una lunga durata di vita « che . . . potè divenire . . . polimorfa, e quindi dar luogo a razze « naturali, che noi ritenemmo dapprima per specie distinte . . . » . Finalmente (loc. voi. cit. pag. 273) : « Io ho proposto a suo tempo « un' idea molto semplice quella di ritenere in genere T ha- « bitus meridionalis come il più vecchio, ed a questo succedere « 1’ habitus antiquus , cui in generale succederebbero, V habitus 328 G. DE ANGELIS D’ OSSAT « ; grimigenius , 1’ habitus africanus ed aggiungo 1’ habitus in- « dicus » . Adunque è chiaro che quantunque il Portis ritenga fossile in Italia solo 1 E. meridioualis , pure ne ammette le diverse razze, che naturalmente fluiscono l’una nell’altra attraverso i tempi. Quindi, seguendo i nuovi metodi di nomenclatura, credo che si possa chiamare gruppo X E. meridioualis Nesti, scindibile in altre specie, varietà e razze diverse. Per ora dell’ 7?. meridioualis Nesti (Gruppo), considero le se- guenti specie : E. antiquus Falc., E. trogontherii Polii., E. pri- migenius Blum.; di queste darò i caratteri precipui dei denti, che meglio servono alla distinzione. E. meridionalis. — Bassicoronato — Laticoronato — Pachi- ganale — Parsilamellato — Tapinodisco — Breve — Indice den- tale (misurato col sistema Pohlig) massimo, circa cm. 2 (*). D.1 D.2 D.3 M.1 M.2 M.3 3 5-6 7-8 8-9 8-11 10-14 3 5-6 7-8 8^9 9-11 11-14 E. antiquus. — Alticoronato — Angusticoronato — Pachi- ganale — Loxodiscodonte — Con crispazione — Indice dentale maggiore (2). 3 5-7 8-11 9-12 12-13 15-20 3 6-8 9-11 10-12 12-13 16-21 E. trogontherii (3). — Alticoronato — Laticoronato — Pachi- 0) L 'E. meridionalis fu finora trovato fossile nel giovine Pliocene e (se- condo alcuni! anche nel più antico Pleistocene (Forest-bed di Cromer, Nor* folk). In Italia visse col Mastodon arvernensis e coll’A. antiquus. (2) L 'E. antiquus, fossile nel giovanissimo Pliocene dell’ Italia, Inghil- terra e Francia, raggiunse il massimo sviluppo nel Pleistocene e nel Dilu- vio preglaciale ed interglaciale di moltissime località. (3) Chi bramasse conoscere la descrizione sommaria che il Pohlig fa della presente specie, può leggere quanto scrive a pag. 208 dell’op. cit., cioè: « in àlterem Plistocan Deutschlands, hochst wahrscheinlich auch Englands, « Frankreichs, Spaniens und Italiens, und in dortigem Jungplicàn, findet sich u eine Molarenform, welche das Mittelglied bildet zwischen derjenigen des « E. meridionalis und der des E. primigenia, und auf Grund der costanten U Abweichungen von beiden Arten, sowie der Bedeutung ihres geologischen « Vorkommens als selbststàndige Form von de Bang einer natùrlichen Rasse « betrachtet werden muss, mit E. antiquus aber nichts gemeinschaftlich liat, « als die mittleren Durchschnittshetrage der Lamellenformel «. SULLA PROBABILE MANCANZA ECC. 829 ganale. Questa specie ha i denti della forma e con i caratteri dell’.#, meridionali s, ed il numero delle lamelle uguale all’#. antiquus. Indice dentale grande ('). E. primigenius. — Alticoronato — Laticoronato — Endio- ganale — Polidiscodonte — Densilamellato — Flessuosità nelle lamine — Indice dentale minimo (2). 4 6-9 9-12 9-15 14-16 18-27 4 6-9 9-12 9-15 14-16 18-27 Non sono certamente il primo che ascrivo fra gli elefanti fossili Haliani 1’#. trogontherii , giacché lo stesso Pohlig lo cita in Italia. A questa specie infatti attribuisce alcuni molari trovati nelle ghiaje di Ponte Molle e Monte Sacro (Roma); similmente ricorda la forma a Dusino (Museo di Torino), a Quarata (Museo Bologna), al Ponte di Presa. Gli altri autori che menzionarono VE. trogontherii , lo fecero generalmente per indicare un sinonimo dell’#, antiquus. Non v’ha dubbio alcuno che 1’#. trogontherii abbia vissuto insieme coll’#, antiquus, e con 1’#. primigenius in Russia, ed al- trove, sempre però al di là delle Alpi. Quest’ ultimo visse certa- mente con l’ uomo, come è già noto. Ora poi è stato anche più chiaramente dimostrato dal rinvenimento di avanzi dell’uomo (selci lavorate e carboni) misti con residui del Mammouth presso Kiew (3). Non fu coetaneo dell’uomo 1’#. trogontherii , il quale viene sempre rinvenuto nel Diluvium antico o Postpliocene inferiore. Certamente tale innovazione genererà, sul bel principio, pa- recchio disordine, sino a quando cioè non sarà eseguita una revi- sione di tutto il materiale fossile italiano. Da questo necessario lavoro ne scaturirà alla geologia nostra un supremo vantaggio, perchè le forme elefantine diventeranno più caratteristiche, veri Leitfossilien (Walter) (4), riuscendo più precisamente determinate e cronologicamente e corologicamente. Intanto possiamo considerare ringiovaniti quei pochi depositi che contenendo avanzi di #. tro- C) Fu rinvenuto finora nel Diluvium preglaciale. (2) L# primigeniis è specie del Diluvio preglaciale e postglaciale del- 1’ emisfero settentrionale. (3) Questi materiali si ammiravano nell’ esposizione del Congresso geo- logico internazionale di Pietroburgo 1897. (4) Walther J., Ueber die Lebensiceise fossiler Meeresthiere. Zeitschrift Deut. geol. Gesell. 2. Heft. 1897, Berlin. 330 G. DE ANGELIS D’ OSSAT, SULLA PROBABILE MANCANZA ECC. gontherii erano stati, a torto, riferiti airi?, meridionali s. Simil- mente divengono più vecchie le località dove erano stati esumati resti di E. tro gontherii, attribuiti all’i?. primigenius e che per tale determinazione erano state cronologicamente giudicate più gio- vini del Diluvium antico o Postpliocene inferiore. Per ora non possiamo affermare nulla intorno all’ abbondanza del secondo rispetto al primo. Ciò che però noi possiamo sicura- mente ritenere si è che V E. antiquus nella campagna romana, specialmente nelle ghiaje sopra i tufi, predomina sull’ A1. trogon- therii il quale vi si trova subordinatamente; e, che Y E. primige- nius non si spinse mai sino alle vicinanze di Roma, come sull' au- torità altrui, asserisce anche lo Zittel, non avendo il Mammouth quasi sicuramente mai valicato le Alpi. [22 gennaio 1898] SUI TERREMOTI PISANO-LIVORNESI DEL 1S96-97 Nota del dott. Mario Baratta. Dopo il grande terremoto Fiorentino del 18 maggio 1895 nella intera Toscana fu sentita una numerosa serie di scosse fortunata- mente leggere, ma pur tuttavia interessanti per la sismologia : in questa breve Nota presenterò alcune considerazioni sui fenomeni endogeni che nel 1896-97 avvennero nella regione pisano-livornese. Verso le ore 7,43 del 29 novembre fu sentita con grande panico, specialmente nei quartieri popolari di Livorno, una forte scossa ond. NE-SW di 4S: il movimento sismico si propagò quindi abbastanza sensibilmente su una zona ristretta che possiamo deli- mitare abbastanza bene con una linea che racchiuda oltre i din- torni di tale città, Orciano, Lorenzana e Rossignano: quivi la com- mozione del suolo fu sentita da quasi tutte le persone sia in quiete, sia in moto, avendo fatto tremolare dei piccoli oggetti, le porte, le vetriate, ecc. Oltre a questa area il terremoto fu lieve, giacché a Vico Pisano, a Cascina, a Pontedera, a Lari, a Fauglia, a Pec- cioli ed a Capannoli fu inteso da poche persone allo stato di quiete. Passò inosservato a Pisa e nei circostanti paesi di Calci, Buti, Bientina, Castelfranco di Sotto, Montajone, Monte Catini e Val di Cecina: fu però registrato dagli strumenti sismici Cecchi e Guz- zanti a Fucecchio e da due avvisatori, uno meccanico e V altro elettrico, all’ osservatorio Ximeniano di Firenze. Verso le ore 9,28 della stessa giornata un’ altra scossa più breve e meno sensibile della precedente fu sentita non solo a Livorno, ove fece aumentare il panico, ma anche ad Orciano, Lo- renzana e Lari : e fu anche questa registrata dagli apparecchi si- smici di Fucecchio e di Firenze. Dopo circa un mese di quiete (25 dicembre), un nuovo ter- remoto più intenso degli altri due, colpiva la regione in discorso: 332 M. BARATTA con la scorta dei dati raccolti cercherò di stabilire 1' area sua di maggior azione. A Lari fece screpolare qualche muro, a Lorenzana cadere dei calcinacci, ad Orciano danneggiare il cornicione di una casa colonica, a Capannoli aprire piccole fenditure nelle case: uguali effetti produsse pure a Ponsacco. In tutte le località precedentemente nominate il movimento sismico, preceduto da cupo rombo sotterraneo, fu sussultorio-ondu- latorio, della durata di 3-4s circa: destò panico nella popolazione che fu allarmata non tanto per i piccoli danni inferti agli editici quanto per lo scuotimento dei mobili e per il tintinnio dei vetri e dei campanelli. Questa zona — area mesosismica — ha forma elittica il cui asse maggiore, in senso SW-NE, misura poco più di 30 Km. L’ area ove il terremoto fu forte, senza cioè produrre il mi- nimo danno, ma solo suono di campanelli, movimento di oggetti, ecc. racchiude Vico Pisano, Pontedera, Cascina, Colle Salvetti e Fauglia : ha forma quasi circolare col diametro di circa Km. 35 : rispetto alla precedente dobbiamo notare che trovasi maggiormente svilup- pata dalla parte di NW. — Anche quivi il movimento, preceduto da rombo, cominciò con un sussulto per terminare con una ondu- lazione abbastanza breve. A Livorno, a Calci, a Buti, a Bientina, a Peccioli, a Chiane ed a Laiatico fu avvertita da molte persone allo stato di quiete per tremolio di soli piccoli oggetti una scossa in generale ond. e di breve durata (2-3s): in qualche località fu notato in precedenza il rombo. La scossa fu infine lieve a Camaiore, a Villa Basilica, a Lucca, a Pisa, a Fucecchio, a S. Miniato, a Guardistallo, a Po- marance, a Castelnuovo Val di Cecina ad a Montieri, ove prevalse la forma ondulatoria ed eccezionalmente fu inteso il rombo. Questo terremoto passò poi inosservato alle persone a Serra- vezza, a Borgo, a Mozzano, a Vinci, a Chiusdino, a Monticchio. a Massa, a Campiglia, a Sassetto ed a Castagneto: fu segnalata a Firenze (Osserv. Ximeniano) dal più sensibile avvisatore mecca- nico Cecchi e da un apparecchio a registrazione continua, che in- dicarono per principio lh 33m.5 (=t 30s). L’ area scossa da questo terremoto è piriforme con la parte SUI TERREMOTI PISANO-LIVORNESI DEL 1896-97 meno espansa rivolta verso il volterrano ed il massetano e con 1 altra verso il lucchese: in corrispondenza di Rossignano e di Camaiore è aperta a mare : la sua massima lunghezza, da Ca- maiore a Montieri, misura Km. 115 circa. Dopo questa commozione in qualche località fu notata una replica : a Monticiano (Senese) 4h 49m una lieve Chiusdino id. 5h circa una sensibile Massa M. 5h 30m una lieve. Siena 5h 36m scossa microsismica Pomarance (Volterrano) 5h 45m una sensibile Malgrado la discordanza dei dati orari, spiegabile conside- rando che la nuova scossa è avvenuta nel tempo in cui la mag- gior parte delle persone non era ancor desta, io sono proclive ad ammettere che tutte le notizie surriferite riguardino un unico fenomeno verificatosi verso le 5h 36m, come fu registrato dall’ ot- timo microsismografo Vicentini a Siena: avrebbe questo interes- sato parte del volterrano, del massetano e della limitrofa regione senese. Da ciò possiamo concludere : d) che la prima scossa (29 XI 96) ha avuto il suo centro nel livornese, e si è propagata su un'area ristrettissima ; .b) che la seconda (25 XII 96 [lh 33m]) fu di origine pisana e si estese su una zona molto più grande della precedente : c) che la terza (29 XII 96 [5h 36m]), quantunque non bene indivi- duata, fu prodotta dall'attività di un centro volterrano : questa poi non si è fatta sentire nei limitrofi paesi del pisano. Premesso ciò, consideriamo brevemente i fenomeni accaduti in Toscana nel 1846: dall’ 11 agosto dello stesso anno furono notate varie manifestazioni certamente di origine endogena nel livornese (rombi, repentini innalzamenti del mare ....): nel giorno 14 si ebbe la scossa disastrosa seguita da intenso periodo sismico. La zona dei maggiori danni del parossismo ricordato ha forma elittica con 1’ asse maggiore, disposto nel senso della vicina costa che corre da Luciana a Casale Val Cecina: Livorno, Pisa, il vol- terrano e l’altra parte della Valle Cecina sono da questa escluse. Ora, mentre repliche più o meno intense si avvicendavano nei centri pisani e livornesi, il 25 novembre dello stesso anno un 334 M. BARATTA terremoto rovinoso urtava la Valle di Cecina : in tale occasione la pianura di Pisa e la parte settentrionale della Val di Fine rimanevano nella più assoluta quiete. Questi fenomeni si identificano nel loro complesso perfetta- mente con quelli in piccola scala avvenuti nel 1896: così la esi- stenza dei tre centri di scuotimento, già individuati in altro mio lavoro, riesce nuovamente provata dalle scosse succedute nel no- vembre e dicembre del passato anno, cioè: la scossa delle 7h 43ni (29 XI 96) corrisponde ai fenomeni endogeni notati nel livornese dall’ 11 al 14 agosto 1846; quella delle lh 33m (25 XII 96) al grande parossismo del 14 agosto: la scossa del mattino del giorno 29 dicembre a quella succeduta il 25 novembre 1846. Dopo i terremoti del novembre-dicembre 1896 il suolo pisano- livornese stette in grande calma, interrotta solo da due lievissime scosse intese a Livorno a 19h 48m del 12 gennaio 1897 ed a 5h del dì susseguente : nel luglio di quest' anno nuovi terremoti urta- rono la provincia di Pisa: in una mia gita ivi fatta ho potuto raccogliere varie notizie che dal lato sismologico credo molto in- teressanti. Dapprima esporrò la serie delle scosse e quindi alcune considerazioni. 27 Luglio 1897 — lh Lucca, lieve scossa. 10h 2m Pontedera, fortissima scossa ond.-suss. di 5S cor in- tenso rombo, panico generale, popolazione all’aperto: uguale intensità e forma ebbe pure Ponsacco. — La Rotta, forte ond.-suss. di 5S con intenso rombo, panico. — Santa Marca in Monte, sensibilissima ond. 5S, impressione. — Perignano, forte, grande spavento. — Lari, assai sen- sibile ond. NE-SW di 4S con rombo. — Asciano sensi- bile. — Pisa, scossa intesa da pochi. — Lucca e Li- vorno, scossa lieve. — Firenze, scossa indicata dai soli strumenti. 10h 50m Ponsacco, La Rotta, Lari, scossa più leggera della precedente. 1 1 h 25m Ponsacco, una scossa. 13h50m, 17h Ivi, due altre. 19h Ivi e La Rotta, una scossa ed altre nella giornata, fra cui una a 22h. 28 - 22h 50ra Ponsacco, violenta scossa ond. susseguita da replica: a Pontedera fu forte, ed a Lari e Cascina abbastanza sensibile. — Nella notte 28-29 due lievi a Vico Pisano. 29 — lh 50m, 3h e 9h Pontedera, tre scosse. SUI TERREMOTI PISANO-LIVORNESI DEL 1896-97 335 29 Luglio 1897. 16h 55m circa Ivi, forte scossa suss., fu pure forte a Ponsacco, ove nella giornata ne furono intese altre. 29-30 — Ponsacco, nella notte due scosse leggerissime. 4- 5 agosto Pontedera, nella notte due altre. 5- 6 — Ivi, nella notte altre due. I danni, quantunque di pochissima importanza, furono causati unicamente dalla scossa maggiore, quella avvenuta a 10h 2m del 27 luglio. Fece questa in Ponsacco cadere una grondaia già in cattivo stato, precipitare parecchi fumaioli, già in parte diruti, aprire delle fenditure nell’ abside della chiesa principale; cinque o sei case furono in questa occasione danneggiate per lesioni nuove o riapertura ed ingrandimento di altre precedenti. A Pontedera i guasti agli edifici furono ancora minori tranne che nella caserma dei carabinieri. Tutte queste scosse furono localizzate al basso bacino dei- fi Era e limitate quasi esclusivamente ai soli abitati di Pontedera e di Ponsacco ad eccezione della più violenta che si propagò, come ho detto, fino a Lucca, Pisa, Livorno ed Asciano; le repli- che non furono nemmeno indicate dagli apparecchi sismici di Fi- renze e di Fucecchio. Questo piccolo periodo sismico ci mostra la esistenza di un centro di scuotimenti sfuggito alle mie precedenti indagini che avevano già fatto conoscere quanto complessa sia la distribuzione dei detti centri nella Toscana ('). Vogherà, novembre 1897. [Gennaio 1898.] (’) Nel settembre 1896 un’altra scossa colpi la Toscana ad ore 4h llm 12* le poche notizie raccolte non mi permettono di poter stabilire la sua prove- nienza. Dirò che fu molto forte a Fucecchio, ove fu ond. di 5S seguita a breve distanza da altra ond. di eguale intensità ma di maggiore durata con dire- zione NE-SW ; ivi fece risvegliare le persone e produsse qualche cretto nei fabbricati ; a Lucca fu molto forte ond.-suss. preceduta da rombo, ed incusse grande spavento, ma non apportò alcun danno: fu sensibilissima ond. SE-NW di 2S 1 '2 a Firenze ed anche a Pisa, e fu lieve a Viareggio. COMPLEMENTO DI OSSERVAZIONI SUI MONTI PARIOLI PRESSO ROMA Nota dell’ing. Enrico Clerici. Nei dintorni immediati di Roma, anzi entro la attuale cinta daziaria, verso nord, vi è una serie di colline chiamate Monti Pa- rioli : dal lato volto verso la via Flaminia e verso il Tevere, cioè ad ovest ed a nord, si presentano scoscese o addirittura a picco, specialmente a causa di tagli che in varie epoche vi furono pra- ticati; dal lato opposto, cioè verso est e sud, si fondono insieme e. per la villa Borghese e per le alture della via Salaria, si connettono al Monte Pincio di cui sono la continuazione all’ esterno della città. Per la loro costituzione geologica, queste colline hanno richia- mato da molto tempo e ripetutamente V attenzione dei naturalisti, ed anche recentemente fornirono argomento di disputa e di inter- pretazioni assai discordi. Colla presente Nota, e a complemento di quanto già ne scrissi in altre occasioni, intendo di riferire il risultato di alcune mie osserva- zioni di dettaglio facendole precedere da qualche notizia bibliografica sui primi che si occuparono di queste colline nel secolo scorso. Tommaso Gabrini (') in una lettera da Roma, in data 12 aprile 1760 (2) , dice di aver scoperto nella località nominata Y Arco Oscuro « una antichissima selva impietrita » che si estende fino al Tevere presso 1’ Acqua Acetosa. « Fra questi arbori, che sensibilmente si vedono radicati nel piano, ed alzati a perpendicolo verso l’orizonte U) Nato in Roma il 15 ottobre 1726, morto il 16 novembre 1808. Per altre notizie vedasi Cancellieri F., Elogio del P. Tommaso Maria Gabrini C. R. M. inserito nel diario del Cracas di Roma ai n. 98 e 99 del 1808. (2) Nuove memorie per servire all' istoria letteraria. Tomo terzo, Sil- vestro Marsini, Venezia 1760, pag. 332-334. La lettera non è firmata, ma dal- l’indice a pag. 477 si apprende essere di Gabrini Tommaso. E. CLERICI, COMPLEMENTO DI OSSERVAZIONI, ECC. 337 vidi tramezzati in varia positura legni parimenti petrefatti di varia lunghezza e grossezza, che dalla varietà delle foglie si conoscono essere di spezie diversa : e questo attraversamento di legni for- mava come un argine, che sosteneva la creta e la terra, la quale era tramezzata nell’ ammirabile selva « . Circa al tempo ed al modo di un tale impietrimento egli scrisse « pensai da prima di ricorrere al Diluvio universale ; ma poi mi è sembrato più naturale e più semplice il ricorso a qualche particolare alluvione Perlochè mi sembra cosa naturale, che in qualche straordinaria alluvione, entrando le acque limac- ciose nella suddetta selva ed ivi facendosi deposizione del limo e delle altre materie che in somiglianti casi seco portano li fiumi, rimanesse interrata la selva, ed in tal guisa si impietrisse ». Il Gabrini, che nel gennaio 1753 aveva recitato all’ Accademia di Pesaro una dissertazione sopra l’ origine de’ monti (!) ed il 4 maggio dello stesso anno una seconda dissertazione di com- plemento alla prima ed intitolata Della successiva produzione de Monti (2), trasse argomento dalla pretesa selva impietrita, sco- perta all’ Arco Oscuro, per rafforzare le tesi svolte in quest’ ultima dissertazione. Infatti egli inserì, con insignificanti variazioni di orto- grafia, di punteggiatura e di qualche parola, la lettera sopracitata del 1760 in questa seconda dissertazione che poi, con variata intro- duzione, recitò nuovamente con lo stesso titolo in Roma all’ Ar- cadia ove egli aveva nome Nautilo Lemnio (3). (1) Era già stata stampata in latino in un opuscolo in 4° di 16 pag. : De origine Montium Philosophica Disquisitio prima, Autore P. Thoma Ga- brini Clericorum Reg. Minorum Philosophiae, ac Grecae linguae Lectore etc. ex Typ. Gavellia. Pisauri 1752. (2) Nuova raccolta d'opuscoli scientifici e filologici (del Calogerà) Tomo secondo. Venezia, Simone Occhi, 1756, pag. 295-319. (3) Della successiva produzione de' Monti. Dissertazione accademica recitata da Nautilo Lemnio P. A. accademico di Roveredo e degli Aborigeni. Roma. Lazzarini, 1779. in 4° di 18 pag. Nel tomo XXIV (colon. 40) delle Novelle letterarie pubblicate in Fi- renze nel 1763 trovasi la citazione di una anteriore edizione, eie non lio po- tuto consultare, il cui titolo sarebbe: Della successiva produzione de' Monti, dissertazione accademica recitata in Arcadia il dì 26 Febbraio 1761 da Nau- tilio Lemnio P. A. Accademico di Roveredo. In Roma nella stamperia de’ Rossi in 4° di pag. 19. E. CLERICI 338 Queste dissertazioni levarono rumore (') e furono riportate in sunto più o meno esteso da parecchi periodici dell’ epoca (2). A questo proposito mi piace ricordare l’ Antologia Romaua che nel num. XXIII del dicembre 1779 contiene, probabilmente re- datto su appunti forniti dallo stesso Gabrini, un ampliato ragguaglio ma soltanto della parte di dissertazione che si riferisce alla selva, il quale termina dicendo « che la presente petrificazione deve asso- lutamente considerarsi indipendente da questa fisica universal ca- gione ; e ciò perchè si conosce essere i sopra descritti luoghi altret- tanti prodotti delle alluvioni del vicino Tevere, a motivo, che tra i suoi strati non esiste alcuna traccia di marina produzione, sì per la qualità del fondo, sì ancora per la totale mancanza di quei cro- stacei, che formano sempre la meno equivoca prova dei reliquati marini. D’ altronde alla parte opposta del Tevere esiste un ben alto colle chiamato Monte Mario , dove, e per la qualità del fondo, e per la indicibile frequenza dei marini crostacei petrificati, si leg- gono da chicchesiasi le sicure tracce dell’ essere stato prodotto lo stesso colle del mare, e non così gli altri, che dirimpetto ad esso si trovano nella opposta riva del Tevere, e che ci hanno dato luogo di ragionare nel presente articolo » (3). L'abate Mazéas quasi contemporaneamente al Gabrini s’ in- G) Vedasi : Lettera d’ un Cittadino Romano al P. Tommaso Gabrini, de’Cher. Reg. Min., Lettore di Filosofia, e lingua Greca, intorno alla di lui Dissertazione I, sopra l’origine de’ Monti. (Memorie per servire all’istoria let- teraria, Tomo primo, parte III, art. XII, pag. 55-61, Venezia, Pietro Valva- sense, 1753). (2) Efemeridi letterarie di Roma , Tomo ottavo, n. XLIII, li 23 otto- bre 1779, pag. 337-339. Roma, Giovanni Zempel, 1779. Novelle letterarie pubblicate in Firenze, tomo XVI, n. 30 del 19 set- tembre 1755, colonne 611, 612; tomo XXIV, n. 3 del 21 gennaio 1763, co- lonne 40, 41, 42; n. 4 del 28 gennaio 1763, colonne 52, 53, 54. Nel n. 43, del 24 ottobre 1760, colonne 686, 687 del tomo XXI dello stesso periodico, si dà notizia che nel Magazzino Universale della Natura, dell' Arti e delle Scienze, Parte decima con rami, Lipsia appresso Gleditsch 1759, in 8° grande, trovasi anche: Tommaso Gabrini, Trattato della costante e perpetua produ- zione delle montagne. (3) Questo articolo, che occupa le pag. 180 a 183 del Tomo sesto del- l’Antologia Romana, ha per titolo: Descrizione di una singolare petrifìca- zione lungo la riva del Tevere presso il luogo detto l'arco oscuro, del P. Gabrini, come rilevasi alla pag. 423 dello stesso Tomo. COMPLEMENTO DI OSSERVAZIONI, ECC. 339 tratteneva sulla stessa località che descrisse col seguente brano (') : “ Quinze jours avant mon départ de Rome, je découvris ime car- rière de bois fossile aux environs de cette ville ; elle se trouve sur les bords du Tibre, à un demi-mille au-delà de la porte du Peuple, dans 1' endroit appelé Papa- giulo » (sic); « elle forme ime suite de collines en face de Monte-mario , située de l’autre coté du fleuve, et ces collines sont composées d’un amas considérable de bois, ainsi que Monte-mario J l'est de coquilles. Panni ces mor- ceaux de bois entassés les uns sur les autres d’ime manière irré- gulière, les uns sont simplement sous la forme d’une terre durcie, et ce sont ceni qui se trouvent dans un terrain léger, sec et qui ne paroìt nullement propre à la nourriture des végétaux : les autres sont pétrifìés et ont la couleur, le brillant et la dureté de l’espèce de rèsine cuite, connue dans nos boutiques sous le noni de colo- phane : ces bois pétrifìés se trouvent dans un terrain de mérne espèce que le précédent, mais plus humide; les uns et les autres sont parfaitement bien conservés ». Qualche anno dopo apparvero le lettere che il Ferber, celebre naturalista svedese, scrisse d’ Italia al von Bora. Nella quattordi- cesima lettera, datata da Roma il 10 aprile 1772, vi è altresì una descrizione delle colline intorno ad Acqua xAcetosa che, per il particolare interesse, riporto per disteso qui appresso in una mia tra- duzione fatta sull’ edizione tedesca originale, che è piuttosto rara (1 2), e la cui consultazione debbo alla cortesia del chino prof. Meli. (1) Mazéas (l’abbé), Observations sur la mine d'alun de la Tolfa, dans le voisinage de Rome, et sur celle de Polinier en Bretagne. Mémoires de mathématique et de physique présente's à l’Académie Royale des Sciences, par divers Savans, et lus dans ses Assemblées. Tome Cinquième, Paris 1768, pag. 388. (2) Herrn Johann Ferbers Briefe aus Wàlschland ùber natùrliche Merkwurdigkeiten dieses Lands an den Herausgeber dersellen Ignaz Edlen von Born. Prag, Wolfgang Gerle, 1773, pag. 232-235. Ve ne ha una edizione francese intitolata : Lettres sur la Minéralogìe et sur divers autres objets de Vhistoire naturelle de l' Italie, Ecrites par Mr. Ferber à Mr. le Chev. de Born. Ouvrage traduit de l’Allemand, enrichi de notes et d’ observations faites sur les lieux par Mr. le B. de Dietrich. Strasbourg, Bauer et Treuttel, 1776. L’edizione inglese è : Travels through Italy in thè Years 1771 and 1772 described in a series ofletters to Baron Born on thè Naturai History particularly thè Mountains and Volcanos of 23 E. CLERICI « In gran parte il suolo dei dintorni di Roma è della stessa natura (vera cenere vulcanica di colore spesso giallo-bruno, con pomici, piccoli pezzi di lava, e piccoli cristalli granatiformi, fari- nosi o disfatti di sciorlo) , soltanto si trovano in alcuni luoghi col- line, le quali sono calcaree, e sono composte di pietra calcarea bianca e porosa e di terra marnosa, di color bianco, grigio o giallo, con spesso dentrogiacenti gusci di conchiglie. Si incontrano queste colline, se si va fuori della Porta del Popolo dalla villa di Papa Giulio tino all' Acqua Acetosa, e alla parte dirimpetto, alla collina del Va- ticano di cui il Monte Mario è una continuazione. Io non ho avuto occasione di osservare tutte le espansioni e prosecuzioni di queste colline calcaree in altre parti di Roma; ma si rivede assai bene la menzionata continuazione delle stesse alla Trinità de’ Monti e alla prossima Villa Medici. È presumibile che alcuni dei noti sette Colli, sui quali è edificata la città di Roma, sieno calcarei. Io voglio descrivere quelli che ho veduto. Prima della Porta del Popolo presso Papa Giulio le colline si compongono di una terra calcarea bigio-giall astra sciolta, con molte dentrogiacenti osteocolle calcaree giallo-brune, le quali ebbero origine da radici di piante e steli. Intorno all’ Acqua Acetosa questa terra calcarea è indu- rita e ne risulta un tufo calcareo di natura pietrosa. Il Monte Mario si compone di una terra calcarea grigio-giallastra, che è mescolata con alquanta argilla e perciò di natura marnosa. Quivi si vede a giorno un forte letto di grossi gusci di ostriche, e sopra di esso una quantità di più piccole bivalvi, univalvi, balani, e gusci d’ echini, sciolti e sparsi nella suddetta terra. Sopra tutto ciò giace sabbia marina sciolta rosso-bruna. Si ha la migliore occasione per verificare facilmente tal cosa, se da Roma si salisce a piedi per la strada maestra alla villa Meliini e villa Madama situate sul Monte Mario; poiché questa strada è in parte profondamente tagliata nel menzionato monte. Probabilmente a maggiore profon- that country by John James Ferber. — Translated from thè german v:ith explanatory notes and a preface on thè present state and future improve- ment of Mineralogy by R. E. Raspe. London, L. Davis, 1776. Un sunto delle osservazioni di Ferber trovasi nell’ art. XV, Delle varie materie onde è composto il suolo di Roma e delle vicine Città, inserito nel tomo I della Raccolta di storia naturale, Roma, Pagliarini, 1784. COMPLEMENTO DI OSSERVAZIONI, ECC. 341 dita nel M. Mario si troveranno parecchi strati di gusci di con- chiglie. “ Da questa descrizione del Monte Mario e delle rimanenti citate colline della stessa natura è da concludere indubitatamente, che esse immediatamente dal mare devono essere state altra volta deposte e che le osteocolle reperibili in alcune di esse siano state formate poi dalle acque infiltratevi » . Occorre frattanto osservare che nelle colline costituenti i Monti Parioli non esiste la selva impietrita del Gabrini, nè il giacimento di legno fossile del Mazéas, nè i tronchi di cui parlano altri autori posteriori. Si tratta soltanto di concrezioni e incrostazioni calcaree a volte pisolitiche e inframezzate alla sabbia, più spesso maggior- mente estese e formatesi addosso a foglie d’alberi, a fusticelli, a piante palustri, a conferve, ed a caracee, a volte mammellonate con molti strati concentrici, grossolanamente alabastrini e perciò imitanti la sezione trasversa di tronchi d’albero, a volte tanto com- patte e copiose da costituire un banco di travertino. Il Lapi Q) scrisse soltanto: « Quel tufo calcareo chiamato dagli Scalpellini alabastro di Ponte Molle, di cui specialmente se ne vede un filone molto esteso nelle grotte del cemeterio di S. Valentino un miglio distante dalla Porta del Popolo presso la Via Flaminia, e l’Osteocolla che pure abbonda in quella vicinanza, altro non sono che acqua impietrita ». Il Cermelli (-) menziona pure tale alabastro di Ponte Molle e ci fa sapere che « Di Osteoeolla è per la massima parte com- posto il piccolo poggio di villa Colonna poco distante dalla porta Flaminia detta comunemente porta del Popolo. Sotto forme diffe- rentissime mostrasi a colui che la osserva. Poiché ora un fascio di cannelline, quando radici di grosse piante, talora diversi segmenti di tronco grandissimo, spesse volte cilindri qua legati insieme a (;) Del Selce romano ragionamento mineralogico presentato alla santità di nostro signore Pio papa sesto da Giovanni Girolamo Lapi. Roma, Salomoni, 1784, pag. 14. (2) Cermelli P. M., Carte corografiche e memorie riguardanti le pietre, le miniere, e i fossili per servire alla Storia Naturale delle provincie del Patrimonio, Sabina, Lazio, Marittima, Campagna, e dell'Agro Romano, Napoli, Vincenzo Flauto, 1782, pag. 36 e 37. 342 E. CLERICI guisa di zampogna, e là isolati tra la medesima ammiransi con piacere » (!). Allo stesso riguardo il Petrilli nella descrizione del museo mineralogico (2) dice: «che se oltre alla calce sciolte le acque contengono polveri, sabbie e terre soltanto divise, osteocolle tali saranno terrose e sabbiose, come quelle di cui è ripiena la parte del Pincio, che rimane alla dritta di chi da Porta del Popolo cam- mina verso Ponte Molle ». Il Ferber, come si è visto precedentemente, riteneva che queste osteocolle avessero preso origine da radici di piante e steli; ma, mentre aveva esattamente osservato ancora in formazione in più luoghi, e giustamente descritto, osteocolle, tartari e travertini, le diceva prodotte dall’azione posteriore di acqua d’infiltrazione. Tale opinione, certamente errata, fu probabile conseguenza dell’avere egli supposto che le colline di Papa Giulio e di Acqua Acetosa fossero state deposte dal mare come il Monte Mario. Non può per altro negarsi che nella descrizione data dal Ferber appare manifesta la differenza di costituzione fra quelle colline ed il Monte Mario, e mentre pel M. Mario si dicono abbondanti le conchiglie ed altri fossili marini, per le colline di Acqua Acetosa non si parla che di osteocolle senza alcuna particolare menzione pei fossili marini. La distinzione e la differenza fra la natura di queste col- line e dell'opposto Monte Mario è più esattamente definita, come si è già visto, nell’articolo inserito nell’Antologia Romana a proposito della dissertazione del Gabrini. Tale differenza è ancor più efficacemente dimostrata nelle Carte corografiche del Cermelli ed annessa Memoria ove sono accura- tamente descritte e roccie e fossili tanto del M. Mario che delle colline a fianco della via Flaminia. E mi piace anche rimarcare che il Cermelli ha fatto menzione non soltanto delle conchiglie reperibili nelle sabbie del M. Mario, ma anche delle foraminifere di dette sabbie, il che dimostra l’accuratezza delle sue osservazioni. (*) (*) Il poggio di Villa Colonna corrisponde alla collina a sinistra della strada che dalla Via Flaminia conduce all’Arco Oscuro. (2) Fetrini G. V., Gabinetto mineralogico del collegio Nazareno de- scritto secondo i caratteri esterni e distribuito a norma de' principi costi- tutivi, tomo I, pag. 135, Roma, Razzarmi, 1791. COMPLEMENTO DI OSSERVAZIONI, ECC. 343 Però non risulta in alcuna parte dell’opera che egli abbia trovato fossili marini nelle colline dell'Acqua Acetosa. Tale indagine risulta negativa anche per gli scritti di tutti gli autori posteriori, talché senza volerlo è occorso a me d’essere il primo a raccogliere fossili marini macroscopici tanto nei Monti Parioli che nell’ interno di Roma alla sinistra del Tevere. Per i Monti Parioli, ove questi fossili non sono nella origi- naria giacitura, poco m’ importa di siffatta priorità che del resto si è anche cercato di contestarmi. Mi preoccupo invece, dell’asse- rita origine marina di terreni alla sinistra del Tevere nelle vi- cinanze di Roma, delle asserzioni del genere di quella del Rapi alla quale, in seguito ad accurate ricerche sul posto, mi trovo costretto a negare ogni attendibilità. Il Lapi adunque in un passo del suo ragionamento sul Selce romano (') dice che: « nella Cava di Capo di Bove, e in alcune altre cave, i filoni del sasso (il selce romano) sono vicini alla super- ficie della terra, ne vi sono al di sopra altri strati di lava terrea, come pure al disotto non vi sono strati di pozzolana. Non veden- dosi circondato il nostro sasso, che da una specie di terra arenosa giallastra, e solamente al di sopra vi si truova qualche poco di pozzolana. La base infine di quella Collina è una deposizione marit- tima, come dimostrano i testacei, che nei luoghi circonvicini sogliono ritrovarsi, sopra la quale sono disposte le materie vulcaniche ». Circa l’ inesistenza di fossili marini nei pressi di Capo di Bove ho a mio vantaggio la preziosa testimonianza del prof. Porti s (2) il quale si era imposta la missione di trovarvi delle foraminifere, o dei corpicciuoli che potessero sembrar tali, e che infine ha dovuto spiegarne la totale assenza supponendo che acque acidule filtranti tra le pozzolane le abbiano disciolte tutte. Nè credo che possa darsi maggior peso all’asserzione del Lapi pel fatto che realmente argille marine a foraminifere furono constatate, un secolo dopo, al pozzo del torte Appia mediante trivellazione alla profondità di circa 80 metri (3). (1) Op. cit., pag. 19. (2) Portis A., Contribuzioni alla storia fisica del bacino di Roma e studii sopra V estensione da darsi al 'pliocene superiore, Torino-Roma, 1893, voi. I. pag. 279; vedasi pure pag. 244. (3) Il Brocchi a pag. 178 della Memoria: Dello stato fisico del suolo E. CLERICI 344 Per non prolungare oltremodo questa digressione tralascio di menzionare altri autori meno antichi e ripeto che sempre meglio venne fatta rilevare la differenza di costituzione fra il Monte Mario e le colline dei Parioli e che queste nell’opinione generale si rite- nevano di origine continentale, cioè non marina, e che tale origine di Roma ecc., fa sapere « che fra le rovine de’ vetusti edilìzi Romani s’incon- trano talvolta conchiglie che a prima giunta pajono fossili avendo perduto la lucentezza dello smalto e i colori » le quali invece servirono ad adornare fon- tane ed edifici. Egli aggiunge anche che « grandi individui di Murex trun- culus furono trovati pochi anni fa negli scavi di Tormarrancio ». Questa località dista appena un paio di chilometri da Capo di Bove, e ritengo che rinveni- menti analoghi abbiano provocato l’asserzione sopra riferita del Lapi. Analoga asserzione, alla quale dal Brocchi e da altri si è data maggiore importanza, è quella del Cermelli delle porporiti diverse scavate sul Monte Cavo e che non avevano « alcun segno d’ impietrimento » ma che invece trova per- fetto riscontro tanto nel Murex trunculus di Tormarrancio, quanto nel Trochus mauritanius (sic) e Murex ramosus di Frascati, quanto nella Tubipora organum del Pincio citati col giusto significato dal Brocchi (pag. 178 e 179); quanto nei trochus mauritianus, murex brandaris, murex trunculus, spondylus gaede- ropus e delle ostriche e dei cardi delPAventino, pure col loro giusto significato, citati dal Pianciani {Di alcune ossa fossili rinvenute in Roma e nei din- torni e conservate nel museo Kircheriano. Giorn. Arcadico, tomo LXYII). Ad un’altra notizia riferita dal Lapi si è data particolare importanza come comprovante l’origine sottomarina dei tufi e dei vulcani laziali; ma siccome i tufo-nettunisti l’hanno riportata per metà io voglio trascriverla per intero. Nell’opuscolo intitolato: Lezione accademica intorno l'origine de' due laghi Albano e Nemorense presentata alla santità di nostro signore Pio papa sesto da Giovanni Girolamo Lapi. Roma, Antonio Fulgoni, 1781, a pag. 23, è detto « Nemmeno il sapersi, che dentro la città stessa di Velletri (che pure è fondata su di antichissime lave) e nella sua campagna sopra una lava d’ indole metallica o ferrigna vedesi esteso uno strato di materia non vetrificata, insieme colla quale sono mescolati dei crostacei marini deve farvene maraviglia. Men- trechè posso dirvi che le materie'gettate dai Vulcani non sempre tutte furono cotte dal fuoco, ma insieme colle abbrustolite, e ridotte in vetro, venne alle volte lanciata da quegli immensi abbissi della terra cruda sparsa di marine produzioni depostevi dalle acque nelle primiere alterazioni del nostro globo ». Se qui si tratta di uno strato contenente pezzi di terra cruda sparsa di marine produzioni, vi si ripete quanto si osserva ad Albano, a Genzano, a Marino, a Nemi, a Orvieto, e valgono le conclusioni da me esposte in altre occasioni. Se non si tratta di frammenti o proietti di roccie fossilifere, quei tali crostacei marini possono essere dello stesso valore delle conchiglie sopra enumerate. Posto infine che si tratti di veri fossili inclusi nel sedimento ori- 345 COMPLEMENTO DI OSSERVAZIONI, ECO. continentale era almeno ammessa per la formazione concrezionarea e travertinosa. Da questo parere si scosta il prof. Portis (’), inquantochè egli ritiene che quel calcare, da tutti reputato per travertino, si sia depo- sitato “ in un'ansa marina ». L'abituale prolissità di questo autore, aggravata da una certa indeterminatezza, non mi permette di ripor- tare testualmente la dettagliata descrizione che egli dette dei Parioli, nò quanto altro si riferisce alla origine marina del travertino (2). ginario, si presentano due casi: o sono fossili marini, ed i tufo-nettunisti avrebbero dovuto ripetere l’indagine sul posto fino a conferma assoluta; oppure non sono marini, come la natura dei luoghi renderebbe probabile, ed allora si tratta di un equivoco paragonabile a quello, non egualmente scusabile, che è consacrato in una relazione ufficiale, ove si asserisce al disopra del tufo esistere un’argilla con abbondanti conchiglie d’ un genere marino, mentre in realtà si tratta di una delle più belle formazioni d’acqua dolce, con molluschi e diatomee, come risulterà da una Memoria vivamente attesa, che un nostro Collega ha già in pronto per la stampa. L’osservazione surriferita del Lapi fu aggiunta nella ristampa perchè manca nella anteriore edizione intitolata: Lezione di Gio : Girolamo Lapi intorno l'origine de' due laghi Albano e Nemorense, letta il di 3 di Settembre dell’anno 1758 nell’Adunanza dell’Accademia Quirina negli orti dell’ Eminen- tissimo e Reverendissimo signor Cardinale Neri Corsini. (Giornale de’Letterati per gli anni 1758 e 1759. Roma, fratelli Pagliarini, 1760). ('•) Portis A., Contribuzioni alla storia fisica del bacino di Roma e studii sopra l'estensione da darsi al pliocene superiore , voi. II, Torino, 1896, pag. 90. (2) Non deve far meraviglia se dagli scritti di qualche autore risulta l’esistenza di travertini indubbiamente di origine marina, o travertini con fos- sili di specie marine ; infatti il nome di travertino fu spesso applicato a roccie di ben diversa natura e cito soltanto, a titolo di esempio, il calcare a belemniti. e il calcare a rudiste che nelle applicazioni pratiche possono sostituire il vero travertino. Il travertino è il Lapis tiburtinus degli antichi, della pianura sotto Tivoli, e quel nome è riservato a tutte le roccie che sono della stessa qualità e della stessa origine (ancora attualmente constatabile) del travertino tibur- tino. Il nome di Panchina è riservato ad una roccia che talvolta somiglia al travertino pel modo di formazione in strati crostosi; ma che contiene con- chiglie marine e loro tritumi, e che è di origine littorale. Il de la Condamine ( Extràit d'un Journal de voyage en Italie, Hist. de l’Acad. r. des Sciences, année mdcclvii, Paris 1762, pag. 380) dice che il tra- vertino ( Lapis tiburtinus) è di natura vulcanica in causa d’un equivoco non facilmente spiegabile perchè subito dopo parla del peperino mentre poche pa- gine prima (p. 356, nota b ) scriveva: « Le pied dit à'Ebutius n’est pas sculpté E. CLERICI 34G Riassumerò brevemente quanto riguarda la collina di Villa Glori e quella presso s. Agostino che formano il principale oggetto della presente Nota. Nel taglio alto circa trenta metri fatto nel fianco della collina di Villa Glori, volto verso il Tevere, il Portis ha esaminato oltre al calcare travertinoide, un’alternauza di regolari strati sabbioso- argillosi o decisamente argillosi con strati meno regolari a struttura argillosa e composti di materiali vulcanici alterati ; e per mezzo del microscopio ha constatato che di quelli strati più elevati, tanto il meno elevato quanto quello che sostiene l’ ultimo strato di tufo granulare a frequenti « fusti dicotiledonei profondamente alterati * , contengono abbondanti spicule di Tetractinellidi e sono privi di foraminifere. Egli dice (') : « Una sezione altissima perfettamente corrispon- dente a questa è stata aperta eziandio ed è tuttora visibile lungo il piede esposto a nord-est dei Parioli, onde far posto al viale (che mena a Porta Salara) in vicinanza di S. Agostino. Credo inutile riportarla in dettaglio non emergendone particolari fatti nuovi, e non facendo essa che confermare che la costituzione geologica di questo brano dei Parioli è esattamente conforme a quella di cui ora tratto e che ho scelta come tipo « . La fig. 1 mostra la scarpata della collina di Villa Glori, la quale, da quando è stato eseguito il grande viale, si mantiene quasi nuda di vegetazione e perciò assai adatta per osservarvi le roccie costituenti la collina. La direzione di questa sezione è quasi esattamente ovest-est. Dista circa 400 metri dall'altro grande taglio fatto nella stessa collina per l’estrazione dei massi di travertino destinati ai lavori lungo la riva del Tevere. Il n. 1 è rappresen- sur le marbré, mais sur une pierre nommée 'peperino, plus poreuse et beau- coup moins fine que le marbré»). Il cippo al quale qui si allude trovasi nel Museo Capitolino ed è fatto di buon travertino. Fourgeroux de Bondaroy parlando dei tartari e travertini dice (Mé- moire sur les solfatares des environs de Rome. Hist. de l’Acad. d. se., iném. de mathém. et de phys., ecc., année mdcclxx. Pars 1773, pag. 3, nota b) : « Ces pierres se calcinent et se réduisent en cliaux; cependant quelques Au- teurs l'ont regardé cornine une lave ou un produit de volcan. Je ne crois pas la pierre formée par le volcan, mais il me paroìt seulement qu’elle contieni des parties de volcan». G) Portis, op. cit., voi. I, pag. 91 in nota. C3 COMPLEMENTO DI OSSERVAZIONI, ECC. 347 tato da sabbia più o meno argillosa di colore gialliccio chiaro che saltuariamente contiene qualche strate- rello grossolanamente sabbioso ad ele- menti sciolti ed in prevalenza formato da frammenti e cristalli di augite ed altri materiali vulcanici, oppure straterelli di ghiaietta ad elementi silicei e calcarei di piccolo volume, oppure di calcare pol- verulento o di sottili concrezioni ed in- crostazioni calcaree. Qualche volta i ma- teriali vulcanici sono tanto abbondanti che costituiscono straterelli d'aspetto tu- faceo come quello indicato col n. 1 bis. Le concrezioni calcaree formano pure qua e là delle liste tenaci ed estese che si riconoscono essersi formate in gran parte addosso a conferve ed a care. Su queste sabbie giace, con sepa- razione netta, un grosso strato, n. 2, di tufo granulale tipico che contiene oltre a cavità dovute a vegetali indetermina- bili, qualche fillite di pianta dicotile- done ( Buxus sempervirens Lin.), ed alla superficie di contatto colla sottoposta sabbia frequenti impronte di Car ex pen- duta Huds., pianta monocotiledone fre- quente nei luoghi acquitrinosi. Alla parte superiore questo tufo, per grande assottigliamento degli ele- menti costitutivi trasformasi in un ma- teriale tufaceo-tripolaceo, friabile, omo- geneo color cinereo-tortora, indicato col n. 3, cui fa seguito altro tufo granulare, n. 4, variabile in colore e grossezza degli elementi, con straterelli più o meno ir- regolari e lapillosi, che assottigliandosi superiormente fa passaggio ad argilla. La sabbia ed il residuo delle sottili concrezioni trattate con un 348 E. CLERICI acido, osservati al microscopio, mostrano frequenti frammenti di spicule silicee di spugne, alcuni rappresentanti estremità termi- nali, altri la parte mediana della spicula; alcuni si riconoscono appartenere a spicule di tipo lineare, altri a spicule ternate; alcuni frammenti terminali sono acuminati, altri ottusamente arrotondati altri infine muniti di una testa sferoidale. Vi sono pure frequenti altri corpuscoli rotondeggianti come quelli delle Geodie e tipi ana- loghi. Trascurando alcuni frammenti sui quali nulla si potrebbe dire di ben fondato, non può esservi dubbio che questi fram- menti di spicule e questi corpuscoli hanno appartenuto a spugne marine. Il materiale dello strato n. 3 non fa alcuna effervescenza cogli acidi : osservato al microscopio mostra frequenti spicule intere che ho facilmente riconosciuto per essere di Ephydatia fluviatilis. Ed a conferma aggiungo che vi sono pure molto abbondanti gli eleganti amfìdischi che caratterizzano questa specie, i quali, onde esser facil- mente veduti, richiedono un ingrandimento un poco maggiore che non per le spicule ed a tale scopo è preferibile di non servirsi di preparati estemporanei ma di preparati definitivi. Frammezzo alla grande quantità di materiale estraneo si scorge anche qualche diatomea delle specie appresso indicate. L’ altra sezione sulla quale richiamo V attenzione è quella stessa accennata dal Portis, dovuta al taglio fatto nella collina presso s. Agostino, incontro alla collina di Villa Glori, per la co- struzione del viale suddetto ove questo procede in discesa ed in curva semicircolare. Nella fig. 2 ne è rappresentata una parte, precisamente là ove il viale, localmente diretto a nord, ripiega verso ovest. Dista circa 300 passi dalla sezione precedentemente descritta. Il n. 1 indica la stessa sabbia gialliccia esistente alla base della collina di Villa Glori e delle altre vicine ed in essa ho tro- vato un frammento di corno di Cervus (cfr. C. eiaphus Lin.). Alla parte superiore terminale e per poco spessore diviene decisamente argilla verdognola eventualmente con spicule intere di potamo- spongia e qualche diatomea (n. 2). Al di sopra giace, con separazione nettissima, il banco u. 3 di tufo granulare qui piuttosto compatto, quasi di consistenza litoide che è la continuazione di quello di Villa Glori. A questo fa se- COMPLEMENTO DI OSSERVAZIONI, ECO. 340 guito un complesso di strati (n. 4) più o meno regolari di altro tufo granulare meno compatto, quasi lapilloso, talvolta poco coe- rente, che corrisponde ai n. 3 e 4 della fig. 1, e che passa ad argilla giallastio-chiara, biancastra se asciutta (n. 5) , che sopporta un tufo bruno terroso (n. 6). L’argilla ha potenza di due a tre metri e presentasi d’ aspetto assai variabile, ora verdognola e plastica, ora quasi fogliettata e scheggiosa, ora tripolacea e ruvida al tatto e di color chiaro. È ricca- mente diatomeifera specialmente nella parte mediana. Oltre alle diatomee contiene anche molte spiente nonché amfidischi di Epliy- clatia fluviatili^ ('). Segue ora 1’ elenco delle diatomee riscontratevi : Amphora ovalis Ktz. var. pediculus (Van Heurck, Sy- nopsis des Diatomées de Belgique , Anverse 1880, tav. I, fig. 6, 7) Cymbella cistula Hempr. ( Cocconema ) (Van Heurck, Syno- psis, tav. II. fig. 12) Stauro neis phoenicenteron Ehr. ( Navicula ) (Van Heurck, Synopsis , tav. IV, fig. 2) Mastogloia Dansei Thw. (V. Heurck Syn., tav. IV, fig. 19) Navicula viridis Ktz. (V. Heurck, Synopsis , tav. V, fig. 5) » major Ktz. (V. Heurck, Synopsis , tav. V, fig. 3, 4) » oblonga Ktz. (V. Heurck. Syn., tav. VII, fig. 1) (0 Clerici E., Sulle spugne fossili del suolo di Roma ( Potamospongie ). Boll. cl. Soc. Geol. Italiana, voi. XIII. Roma 1894, pag. 28. E. CLERICI 350 Navicula radiosa Ktz. var. acuta (V. Heurck, Synopsis , tav. VII, tìg. 19. « sculpta Ehr. (V. Heurck, Syn., tav. XII, fig. 1) « limosa Ktz. (V. Heurck, Syn., tav. XII, fig. 18) « cuspidata Ktz. (V. Heurck, Syn., tav. XII, fig. 4) « bacilli forrms Grun. (V. Heurck, Syn., tav. XIII, fig. 11) ” Lundslroerni Cleve var. lattale (vedasi in se- guito fig. 3) Rhoicosphaenia curvata Grun. (V. Heurck, Syn., tav. XXVI, fig- 1, 2, 3) Gomphonema capitatum Ehr. (V. H. Syn., tav. XXIII, fig. 7) i constrictàm Ehr. var. subcapitata (V. H. Syn., tav. XXIII, fig. 5) * subclavalum Grun. var. (V. H. Syn., tav. XXIV, tìg- 1) » acuminatimi Ehr. (V. H. Syn., tav. XXIII. fig. 16) » acuminatum var. laticeps (V. H. Synopsis, tav. XXIII, fig. 17) » affine Ktz. (V. H. Syn., tav. XXIV, fig. 8, 9) Cocco neis place ntula Ehr. (V.H. Syn., tav. XXX, fig. 26,27) Epithemia turgida Ktz. (V. H. Syn., tav. XXXI, fig. 1, 2) » turgida var. vertagus Grun. (V. H. Synopsis , tav. XXXI, fig. 7) « turgida var. granulata Ktz. (V. H. Synopsis , tav. XXXI, fig. 5, 6) * Westermanni Ktz. (V. H. Syn., tav. XXXI, fig. 8) » gibba Ktz. (V. H. Syn., tav. XXXII, tìg. 1,2) » zebra Ktz. var. proboscidea Grun. (V. H. Syn., tav. XXXI, tìg. 10) Eunotia gracilis Ehr. ( Himantidinm ) (V. H. Syn., tav. XXXIII, fig. 1, 2) Synedra capitata Ehr. (V. H. Syn., tav. XXXVIII, fig. 1) « lo ligissima W. Sm. (V. H. Syn., tav. XXXVIII, fig. 3) » ulna Nitzsch ( Bacillaria ) (V. H. Syn., tav. XXXVIII, fig. 7) 351 COMPLEMENTO Dt OSSERVAZIONI, ECC. Fragilaria mutabili s W. Sm. ( Odontidium) (V. H. Syn., tav. XLV, fig. 12) Cymatopleura solea Bréb. ( Surirella ) (V. H. Syn., tav. LY, fig. 5) Nitsschia tryblionella Hantzsh (V. H. Syn., tav. XLVII, fig. 9, 10) » Brebissoni W. Sm. (V. H. Syn., tav. XLIY. fig. 4, 5) Surirella ovalis Bréb. (V. H. Syn., tav. LXX1II, fig. 2) Melosira crenulata Ehr. ( Gallionella ) (Y. H. Syn., tav. LXXXVIII, fig. 4, 9, 13, 14) (i) Cyclotella Kuetzingiana Thw. (V. H. Syn., tav. XCIV, fig. 1) Le sabbie gialliccie, le concrezioni ed incrostazioni calcaree ed il travertino, così intimamente connessi, mostrano che nell’ am- biente ove si formava il travertino giungevano copiose le sabbie, le ghiaiette ed i materiali vulcanici : anzi il travertino del grosso banco coltivato alla collina di Villa Glori è appunto di colore giallo e reso impuro dalla sabbia e dai materiali vulcanici e loro prodotti d’ alterazione. Erano acque marine, oppure salmastre, oppure dolci quelle nelle quali si formava e si deponeva questo travertino ? L' esame dei fossili contenutivi fornirà i dati necessari per la risposta. Parecchi anni fa io feci una apposita ricerca (2) e riconobbi le seguenti specie : Nel travertino : Carecc pendala Huds. (= C. maxima) Fagus sylvalica Lin. Corylus avellana Lin. Quercus ilex Lin. Quercus robur Lin. Ulmus campestris Lin. Ficus carica Lin. (filliti e carpoliti) Hedera helix Lin. i1) Assai variabile tanto nelle dimensioni assolute che nei loro rap- porti. Sono presenti perciò parecchie varietà, come : ambigua, tennis, italica e laevis. (2) Clerici E., Sopra alcune formazioni quaternarie dei dintorni di Roma. Boll. d. R. Comitato Geol., anno 1895, n. 11, 12. 352 E. CLERICI Nelle sabbie : Cervus elaphus Lin. (ossami) Bos primigenius Boj. (ossami) Hippopotamus major Cuv. (=//. amphibius) (denti) Per il travertino sono da aggiungersi altre specie citate dal dott. Antonelli (') oltre alcune delle precedenti, e cioè: Alnus incada De Cand. Rhamnus alaternus Lin. Salix cinerea Lin. Laurus nobilis Lin. Cercis siliquastrum Lin. In seguito ad ulteriori ricerche ho raccolto qualche altro cam- pione con impronte di Aldus glutinosa Lin. Salix 2 sp. Populus alba Lin. Rubus sp. Infine v’è da aggiungere qualche esemplare di Helix , di TJnio e di Anodonta recentemente trovati nella parte più bassa della cava(2). Verso il termine superiore della formazione travertinosa il caso volle che nella primavera del 1896 vi si trovassero resti di Cygnus. Fin qui dunque tutti fossili continentali, ma che possono es- sere stati scaricati in mare e poscia sepolti entro sedimentazioni littorali e di spiaggia. Quindi per un eccesso di prudenza si può lasciare in sospeso il giudizio definitivo. Ora bisogna ricordare un esemplare di Arcopagia corbis e due o tre di Peclunculus insubricus che io donai al Museo Geo- logico Universitario di Roma, se non erro, nel 1888. Incontro alla collina di Villa Glori, all’ altra riva del Tevere, vi è la continuazione della formazione travertinosa. Insieme a qual- che impronta di foglie vi rinvenni: (0 Antonelli G., Contributo alla flora fossile del suolo di Roma. Boll, della Soc. Geol. Ital., voi. VII, 1888, pag. 303, 307 e 308. (2) Nel fianco settentrionale della Collina di Villa Glori vedesi il tra- vertino sovrapposto a tufo grigio, la cui superficie terminale o di contatto col travertino è assai irregolare per energica erosione precedente la deposi- zione del travertino. Nel tufo grigio ho trovato una fillite di Populus alba Lin. COMPLEMENTO DI OSSERVAZIONI, ECO 353 Zonites compressus Ziegl. var. italica Helix obvoluta Muli. Helix nemoralis Lin. Campylaea planospira Lamk. Cyclostoma elegans Muli. Unto cfr. Romanus Rag. Ed in un punto ove la roccia era piuttosto una marna argil- losa, numerosi esemplari di Bythinia tentaculata Lin. e Pisi- dium amnicum Miill. In fine qua e là, insieme a pezzi di ghiaia silicei e calcarei, raccolsi qualche modello di Cardium Ramar chi Reeve (— C. edule nel mio primo elenco), Turritella comunis e Turritella tornata. Fin dal 1885, epoca in cui feci tale' rinvenimento, ritenni che questi molluschi non fossero vissuti in posto, ma provenissero da anteriori formazioni, come dovevano esser stati trasportati fin là i ciottoli di calcari, di selce e di arenarie racchiusi nel travertino insieme a quei molluschi. Ammesso che i pochi esemplari di fossili marini che ora ho ricordato siano di trasporto, mi si domanderà : e le abbondanti spi- ovile marine contenute nelle sabbie e nelle concrezioni non sono più che sufficienti per far concludere per la deposizione in acque marine di tali sabbie, concrezioni e travertini ? Ho già detto che queste spicule marine sono in frammenti a differenza delle spicule e degli amfidischi di potamospongie esistenti negli strati n. 3 fig. 1 e n. 5 tìg. 2 che sono interi. L’ aspetto generale delle prime spicule è pure differente da quello delle altre : queste sono ben conservate, le prime inveee sono come corrose e logorate. E la stessa differenza di aspetto appare manifesta se le si paragonano a quelle contenute in saggi di fondo marino o in pre- parazioni di materiali a spongoliti. Quindi io concludo che anche questi frammenti di spicule ma- rine provengono, come i granuli di sabbia, da anteriori formazioni. Mi si richiederà un qualsiasi esempio su cui meglio appoggiare tale conclusione. Io ne citerò o meglio ne ricorderò uno che chiunque può controllare colla più grande facilità e che, se non bastasse a far adottare la mia conclusione, dovrebbe, nella peggiore ipotesi, far mettere da parte le dette spicule marine come argomento di dubbio o di nessun valore in questo caso speciale. 354 E. CLERICI Le sabbie che il Tevere trascina giornalmente (1), che ha deposto e che depone lungo le rive, che depone nelle campagne quando le allaga colle sue piene, le si raccolgano al Ponte Gari- baldi, ove hanno messo in secco un braccio del fiume, oppure all’Albero Bello, al Ponte Molle o in tanti altri luoghi, contengono altrettanto abbondanti frammenti di spicule degli stessi tipi marini, che, senza alcuna preparazione del materiale, possono agevolmente vedersi col microscopio. Eguale risultato ho ottenuto colle sabbie deposte dall'Aniene sotto il Ponte Mammolo e col residuo che si ha trattando con un acido le sottili incrostazioni ed i granuli pisolitici raccolti alle cascate di Tivoli. Si tenga anche presente che queste sabbie del Tevere e del- l’Aniene abbondano di numerose specie di foraminifere e che nelle sabbie sotto il Ponte Garibaldi raccolsi molti esemplari di fossili marini ivi deposti da una delle ultime piene. Le concrezioni ed incrostazioni calcaree, assolutamente iden- tiche a quelle in formazione al lago dei Tartari, alle acque Albule, e in tanti altri luoghi analoghi, già da sole, basterebbero, secondo me. ad escludere l’ambiente marino poiché infatti, eh’ io mi sappia, nessuno ne ha veduto formarsene o ne ha raccolte in mare. Per la loro conservazione e sopratutto per l’estensione dei gruppi, e si pensi anche al banco di travertino, è pure da escludersi, per non cadere nell’assurdo, qualunque possibilità di trasporto dal luogo di formazione al mare. Esclusa l’origine marina delle sabbie a tartari e travertini, una analoga discussione si presenta pel sovrapposto tufo granulare. Non è possibile di parlare del suolo di Roma senza doversi intrattenere sulla dibattutissima questione dell’origine dei tufi. Non ne starò a rifar la storia che esposi in sunto in mie precedenti note e comunicazioni; aggiungerò piuttosto qualche altra consi- derazione. In tutti i Paridi nelle sabbie a tartari e travertini si trovano (‘) Un giorno che il Tevere era un po’ più torbido ed elevato che d’ordi- nario calai dal mezzo del ponte di Ripetta una bottiglia da un litro colla quale attinsi l’acqua superficiale. Il deposito finamente sabbioso-argilloso, che raccolto sopra un filtro ed asciugato pesava 3 grammi, conteneva, osservato al microscopio, frammenti delle suddette spicule. COMPLEMENTO DI OSSERVAZIONI, ECO. 355 a più riprese intercalate delle fasce o accumoli di materiale vul- canico tali da costituire dei veri tufi. Per questa interessantissima circostanza il von Buch, circa novantanni fa, affermava esser questa una delle località più rimarchevoli dei dintorni di Roma. Per questi tufi osservati ai Parioli ed al Pincio lo stesso Brocchi (*) escludeva l’origine marina, però li riteneva tufi ricom- posti, cioè derivanti dal trasporto e da susseguente cementazione dei materiali tolti per corrosione ai tufi originali pei quali soste- neva senza eccezione l’origine marina. Il Brocchi cadde adunque in contraddizione quando affermò che il tufo terroso ed il tufo gra- nulare, riposanti, presso l'Arco Oscuro, sulla sabbia a c-oncre- zioui travertinose, da lui dichiarata fluviale, sono stati depositati dalle acque fluviali ; mentre poi l’ identico tufo granulare (che in seguito si è constatato giacere pure su sabbia a concrezioni tra- vertinose) è sottoposto al tufo litoide sull’ Esquilino presso s. Fran- cesco di Paola, e dovrebbe essere, al pari di questo, di origine marina (2). Basta, seguendo passo passo lo strato di tufo granulare, fare il giro delle ultime colline dei Parioli, quindi del M. Antenne, e della collina di Ponte Salario, oppure girare le propaggini orientali del Pincio e discendere verso s. Agnese e alla Sedia del Diavolo per trovare che questo tufo granulare, asserito ricomposto e fluviale, è di anteriore formazione e sottoposto al tufo litoide ordinario che si voleva originale e marino. Il de la Condamine (3) che fu tra i primi a parlare della natura delle colline dei dintorni di Roma scrisse che esse sono composte « de divers lits de pierres calcinées, de cendres pures, de scories, de gravier, de matières semblables au màche-fer, à la terre cuite, à la lave proprement dite ; enfìn toutes pareilles à celles dont est compose le sol de Portici, et à celles qui sont sorties des (*) Brocchi G., Dello stato fisico del suolo di Roma. Memoria 'per ser- vire d' illustrazione alla carta geognostica di questa città, Milano, De Bomanis 1820, pag. 119, 121, 124, 125. (2) Dello stato fisico ecc., op. cit., pag. 139-141. (3) De la Condamine, Extrait d'un Journal de voyage en Italie. Histoire de l’Académie royale des Sciences. Année mdcclvii. Avec les Mémoires de Ma- thématique, et de Physique, pour la me me anne'e, tirés des registres de cette Académie. Paris 1762, pag. 376 e 377. 24 356 E. CLERICI flancs dii Vésuve , sous tant de formes différents. On distingue à l’oeil toutes ces diverses substances: on reconnoìt les cendres à la couleur et méme au gout. Il n'est pas possible à quiconque exa- mine avec attention les productions du Vésuve de ne pas reconnoìtre une parfaite ressemblance entr’elles et celles qu’on rencontre à ckaque pas sur son chemin en allant de Naples à Rome , de Rome à Viterbe , de Rome à Lorette , etc. ». Però circa al modo di formazione dei tufi non scende ad alcun dettaglio, soltanto parlando delle materie che hanno seppellito Erco- lano dice: « La matière qui remplit l’intérieur de la ville, uà jamais été ni fondue ni liquide; c’est un amas immense de cen- dres, de terre, de gravier, de sable, de charbon, de pierres pouces et d’autres matières lancées par la bouche du volcan lors de son explosion, retombées et amoncelées dans tous les environs à la ronde. Elles ont d'abord enséveli tous les édifìces: Ce mélange lié par l'infìltration des eaux s’est condensò avec le temps, et a fait un tuf plus o moins dur, mais toftjours aisé à creuser. Tel est aussi le terrain des hauteurs qui dominent Naples au nord et à l'ouest ». Molti altri scrittori si sono, come de la Condamine, limitati a rimarcare la somiglianza fra la regione e i prodotti del Vesuvio e la Campagna Romana. In una Memoria sul basalto del Desma- rest si trova il passo seguente ('): « Dans plusieurs cantons de la (*) (*) Desmarest, Mémoire sur le basalte, troisième partie, Où l'on tratte du Basalte des Anciens; et où l'on expose VHistoire Naturelle des différentes espèces de pierres auxquelles on a donné, en différens temps, le nom de Basalte. Histoire de l’Acadéraie royale des Sciences. Année mdcclxxiii. Avec les Mémoires de Mathématique et de Physique, pour la mème annèe, tires des registres de cette Académie, Paris 1777, pag. 647. Alla pag. 668 si trova la seguente narrazione specialmente importante per la conclusione. « J’ai visite », dice Desmarest « dans ces mèmes vues, les collines de tuf des environs de Pouzzoles, de Baye et de Calvi, et j’y ai retrouvé le principe calcaire sous toutes sortes de formes: d’abord en morceaux de pierres à cliaux, dispersés au milieu de certaines couches; ensuite en points blancs bruts: enfili en points cristallins spatliiques. Ces derniers paroissent dépose's par les eaux, qui, en filtrant à travers les bancs de tuf, se sont chargées du principe cal- caire très-divisé; c’est la suite de ce travail de l’eau qui a visiblement contribué à donner une certaine liaison et une certaine consistente aux matiè- res disparates dont le tuf est compose ; car, outre les terres cuites qui en forment la base et les points blancs ou gris dont j’ai pàrlé, on y voit ras- COMPLEMENTO DI OSSERVAZIONI, ECO. 357 Limagne d’Auvergne, aux environs de Vicence, de Rome et de Naples, j ai rencontré des couches horizontales formées sous la mer, principalement avec des matières volcanisées pulvérnlentes » . Questa è la più antica affermazione che io conosca circa l’ori- gine marina delle roccie tufacee romane. È quel germe che, svilup- patosi dapprima stentatamente, fiorì rigoglioso colla teoria dal Brocchi magistralmente formulata e corroborata da argomenti per molto tempo ritenuti convincenti: teoria che, assimilata dal Ponzi, divenne dogma e che ora, decrepita e cadente da tutte le parti, si pretende, con parvenza di rigore scientifico, di puntellarla con ipotesi sopra ipotesi e con esagerazioni, contraddizioni e nuovi errori. Chiudendo la digressione e ritornando al tufo granulare ed a quelli straterelli tufacei intercalati alle sabbie ad incrostazioni, non posso fare a meno di accennare alla spiegazione data dal von Buch per la concomitmza o meglio alternanza di tufi e travertini, spie- gazione ottima pel suo tempo ed in massima esatta anche a circa un secolo di distanza. Non posso anche trattenermi dal riportare, come feci altra volta, due brani (Q che non voglio neppure sciupare con una traduzione, contentandomi di sottolineare alcune parole (2). semblés du schorl, du mica et des points quartzeux. Cette composition du tuf, jointe à sa disposition par couches horizontales assez suivies, m’ a fait penser qu’ il avoit e'té formé sous la mer, et que le melange du principe cal- caire étoit principalement dii aux débris des corps marins ». Tolgo dalla pag. 663 e seg. e riporto a titolo di curiosità il seguente brano, al quale fanno riscontro, a 120 anni di distanza, certe abberrazioni dei tufo-nettunisti. « La quantité de morceaux de pierres calcaires assez gros, renfermés dans les laves de Monte-Cavo et de Marino, Peffervescence fort vive que fait le tuf ou péperine de Marino avec les acides, effervescence qui parolfc principalement attachée à un certain nombre de points blancs, prouvent, ce semble, que des couches calcaires ont recouvert autrefois le sommet de Monte-Cavo, et que c’ est à l’existence de ces anciennes couches et à la cal- cination des pierres qui les formoient, qu’ on doit rapporter la présence des points blancs et gris dans les laves, et la distribution du principe calcaire au milieu de la masse totale des péperines ». (B Von Buch L., Geognostische Beobachtungen auf Reisen durch Deutsch- land und Italien, II Band, Berlin Haude und Spener, 1809. (2) Si tenga presente, come risulta anche da vocabolari dell’epoca, che Landsee significa lago-, che die See (geu. fem.) significa mare, e che der See (gen masch.) è invece lago, e che infine, quando si vuole evitare l’equivoco possibile e tener le due cose distinte, si contrappone, come appunto fece il von Buch, der See, lago, a das Meer, mare. 358 E. CLERICI (Pag. 20): « Der Damm, den auf diese Art der Janiculus vor der Apenninenrehie bildete, musste notlnvendig das Gevàsser zwi- schen Rom und Tivoli vor den unruhigen Bewegungen des gros- sen Meeres schùtzen, und auf diese Art es gleichsam zu einem Landsee umscliaffen. der nielli mehr sur Ernàhrung von Seege- schdpfen tauglich var. Jeder Schritt in der Romischen Ebene offenbart die Spuren, welche dieser grosse Landsee zuriickliess, und in ihm suche ich vorzuglich die Bildung des Travertino und des, unter so mannigfaltigen Formen erscheinenden, Tuffs ». (Pag- 44) : « Es ist wahrscheinlich, dass dieser Hiigel » (Monte Mario) « lange als Insel im See hervorstand, der einst die Romische Ebene bedeckte. Gleichzeitig fiihrten dann die Strome die abgerissenen Tlieile von den Hbhen des Apennins und des Monte Cavo durch den See bis zur Reilie des Monte Mario herab, und hier, durch den Wiederstand zur gròsseren Ruhe genothigt, setzten sie sie zu neuen, regenerirten Gebirgsarten ab, und je nachdem aiissere Umstande die Richtung dieser Strome mehr von Frascati der Tivoli her sollicitiren. bildete sich bald eine Tuffschicht, bald eine Travertinobedeckung » . Secondo quel primo brano adunque il von Buch cerca od attri- buisce la formazione del travertino e del tufo in un grande lago, o bacino acqueo circondato da terra, il quale non era più adatto al sostentamento di creature marine. Questo è il punto di partenza delle mie ricerche, assai fortu- nate mi si permetta il dirlo, dei giacimenti diatomeiferi che vanno continuamente aumentando di numero e di estensione. Quindi è che se quelle acque non erano adatte al sostentamento di creature marine lo erano invece per le Bylhinia , Valvata J Planorbis, Limnea ecc., per le potamospongie, per le diatomee d’acqua dolce. Il Ponzi (Q teneva in poco conto gli esempi dal Brocchi raci- molati di fossili marini contenuti nei tufi, ed affermava che questi fossili * vennero ivi condotti dalle piene dei fiumi scaricantesi nel gran golfo » . Egli spiega, anzi dimostra conseguenza necessaria, la mancanza di fossili marini propri dei tufi collo stato agitato e tempestoso del mare e ripete ciò a più riprese. (*) Ponzi G., I tufi vulcanici della Tuscia Romana, loro origine, diffu- sione ed età. Meni. R. Acc. d. Lincei, Gl. se. fis. mat. e nat., ser. 3, voi. IX, Roma, 1881. COMPLEMENTO DI OSSERVAZIONI, ECC. 359 Le diatomee accumulate talvolta in modo da costituire delle vere farine fossili pure, dimostrano invece uno stato d’acque assai tranquillo. Il .Rusconi ('), che tanto bene fece a non seguire il consiglio del Ponzi di « desistere dalla pubblicazione » della Memoria sulla origine atmosferica dei tufi, aveva dapprima immaginato che i tufi si « fossero deposti e stratificati orizzontalmente in un vasto lago » ; ma abbandonando l’ipotesi, scrisse poi nel suo diario « Se io dico che i tufi vulcanici non sono sottomarini, perchè non contengono avanzi del mare, sono certo che mi risponderanno, che ne meno saranno lacustri perchè privi di fossili di acqua dolce « . Ora questa obbiezione più non reggerebbe, contro tanti fossili d'acqua dolce trovati nei tufi e fra i tufi, fossili che, tenendo conto delle diatomee, divengono innumerevoli. Alla formazione del tufo granulare anzidetto dei Parioli può aver contribuito tanto la pioggia di meteriali lapillosi, quanto il trasporto di questi materiali per via acquea, dappoiché tra i pezzi di lave, scorie ed altro, vi sono qua e là de’ piccoli pezzi ghiaiosi tanto di calcare, che di piromaca. Intervenuta una tregua nell’emis- sione di così abbondante quantità di lapilli e ceneri, le acque lasciarono deporre, in quelle località che meglio erano adatte, i materiali sottilissimi come quelli dello strato n. 3, fìg. 1. In altri punti la sedimentazione riprendeva l’aspetto ordinario e quindi entro stratificazioni più o meno regolari, più o meno ricche di materiali di natura vulcanica, si possono riconstatare anche i fossili microsco- pici (foraminifere e frammenti di spicule) ivi giunti per opera di trasporto. In uno studio di maggiore dettaglio la presenza di tali fossili potrà essere utilizzata per riconoscere la probabile provenienza delle correnti fluviali e l’estensione delle distese lacustri o palustri (2). (L Rusconi C., L'origine atmosferica dei tufi della Campagna Romana , Corrispondenza scientifica di Roma per l’avanzamento delle Scienze, anno XVII. Roma, 1865, pag. 4 estr. (2) Si vuole da taluno che il materiale sabbioso e ghiaioso dei depositi marini dei dintorni di Roma sia stato fornito dalla Tirrenide che durante il pliocene fu una terra emersa che si andava abbassando. Una volta accertato che i fossili suddetti appartennero ad anteriori for- mazioni, se è possibile di dimostrare che alcuni di essi sono certamente del 860 E. CLERICI Per dimostrare la deposizione in acque dolci dello strato n. 2 della fìg. 1 ritengo specialmente adatte le impronte di Carex penduta alla superfìcie di contatto di esso tufo colle sottogiacenti sabbie tartarose. e le spicule ed amiìdischi di Ephydatia / ìuviatilis e le poche diatomee del materiale d'affinamento, n. 3 fìg. 1. Se le foglie pliocene tipico, ne verrà di conseguenza che non può averli forniti la Tirrenide perchè per ipotesi mancante di sedimenti marini pliocenici. Come si vede da questo accenno, anche la Tirrenide è un’altra importante questione incidentale nella discussione della geologia romana. Io non voglio per ora deliberatamente discuterla perchè prematura e neppure indagare se questa è o non è la stessa Tirrenide seducentemente proposta dal Forsyth-Major. Constato però che, dalla prima volta che la Tirrenide fu tirata in ballo pei rapporti col suolo di Roma, si è giunti ad affermare che di essa faceva parte una catena di cui restano vestigia lungo il littorale, catena ammessa prece- dentemente da me e da molti altri prima di me : e che parti ancora esistenti di essa Tirrenide sono ( Contribuzioni , voi. II, pag. 295) il Circeo, il mas- siccio montuoso che separa la depressione Pontina dalla Valle Latina, il massiccio sublacense o separante la Valle Latina dalla depressione Fucino- Valle del Salto-Rieti-Terni. Il Portis considera ( Contribuzioni , voi. II, pag. 194 e segg.) tre aree: 1. l’appennina, 2. la vulcanica e 3. la tirrenica, e sei fasi. Nella prima fase l’area appennina è profondamente sommersa e ricoperta di pliocene in forma- zione: l’area vulcanica è quasi completamente sommersa e costituisce la zona littoranea; l’area tirrenica è emersa. Nella seconda fase esordiscono i vulcani, dapprima sottomarini, poi ben presto colla bocca subaerea. Sul pliocene tipico si formano tufi subacquei — la tirrenide comincia ad abbassarsi, l’area vulcanica sta sommersa, la tirrenica sta sommersa ma è in via di emergere. Nella terza fase, area appennina emersa, area vulcanica emersa, area tirrena che continua ad abbassarsi — tufi sotto- marini ed altri sedimenti marini in denudazione : formazione su di essi e sulla Tirrenide di tufi subaerei. Nella quarta fase, area appennina emersa, area vulca- nica parzialmente reinvasa dal mare: formazione di tufi subaerei sopra tufi sot- tomarini, e di tufi sottomarini su altri subaerei : Tirrenide definitivamente sommersa. Nella quinta fase: Tirrenide profondamente sommersa, area vulcanica bassa, incerta, o littorale con prodotti vulcanici parte subacquei parte subaerei, area appennina fortemente sollevata. La sesta fase infine segna il limite fra pliocene e quaternario, con nuovo abbassamento dell’area tirrenica, della vul- canica e con vulcani ancora in attività. È quasi superfluo di aggiungere che tutto ciò tanto può riferirsi all’Ita- lia centrale quanto a qualunque altra parte del mondo. Ad ogni modo per fissare qualche punto fondamentale per una eventuale discussione, risulta che dalla quarta fase la Tirrenide .sarebbe scomparsa mentre poi si ritengono 36 i COMPLEMENTO DI OSSERVAZIONI, ECC. della palustre pianta C ar e x p enclitici possono per galleggiamento una volta recise prestarsi ad un lungo trasporto anche entro mare, eguale supposizione diviene assai meno probabile per le spicule ed amfi- dischi. E questa ipotesi non spiegherebbe poi l'assenza dei frammenti di spicule marine e la presenza esclusiva invece delle potamospongie. È stato bensì obbiettato che le formazioni estuariali, comprendenti i relitti organici continentali portati in mare, ad esclusione dei marini, sono formate in mare e quindi marine ('). Ora se l’assenza dei fossili marini si vuol spiegare non più col mare agitato ed inquinato come fecero altri tufo-nettunisti, ma coll’esistenza di un estuario alla collina di Villa Glori, la stessa conclusione bisogna adottare per tante altre località che si trovano nelle identiche con- dizioni: la Campagna Romana (si pensi anche al sistema Vulsinio ove ho trovato tanti giacimenti diatomeiferi) verrebbe a trasformarsi in un enorme estuario, o in una gigantesca serie di estuari. Se si ammette come formazione estuariale lo strato d'affina- mento del tufo granulare, pure di formazione estuariale sarà il tufo granulare intimamente connesso a quello e quindi, con molta pro- babilità, dovrebbe essere estuariale anche la immediatamente sotto- relitti di questa il Circeo, il massiccio montuoso fra le Paludi Pontine e la valle Latina, ed il massiccio Sublacense. Osservo che il massiccio Sublacense si trova fra il sistema vulcanico Laziale e gli Appennini, mentre in confor- mità delle premesse dovrebbe trovarsi appunto separato da questi per mezzo del vulcano Laziale. Nella prima e seconda fase si formarono tufi subaerei nella Tirreni de, quindi i tufi che fossero reperibili (e ve ne sono giacimenti importanti) in quei due massicci montuosi dovrebbero essere incontestabilmente continentali, perchè se anche sull’orlo della Tirrenide si formarono tufi submarini e subsal- mastri, questi per sprofondamento devono essere scomparsi da un pezzo. Nella prima fase non vi erano vulcani, quindi i sedimenti pliocenici profondi dell’area appennina e quelli littorali dell’area intermedia non dovreb- bero contenere minerali nè prodotti vulcanici; ma siccome il Portis ha asserito che ne contengono, bisogna rintracciarne la provenienza da altri vulcani distinti da quelli della regione. Senza cercarne molto lontano, a titolo d’ipotesi qualsiasi, questi minerali vulcanici non potrebbero derivare da un sistema vulcanico esistito sulla Tir- renide o sull’orlo di essa e completamente sprofondato insieme ad essa? E alcuni dei più antichi tufi non potrebbero essere stati originati da tal sistema vulcanico? (') Portis, op. cit., voi. II, pag. 343. 362 E. CLERICI posta sabbia ad incrostazioni. È ovvio allora che in questa sabbia vi siano compresi quei fossili marini che le acque correnti hanno tolto ai terreni già emersi ed appartenenti al bacino idrografico di dette correnti — della qualcosa esempi se ne hanno ogni giorno — ma ne consegue che detti fossili non appartengono al mare nel quale si vuol generata la estuariale sedimentazione e così per altra via si viene a dimostrare che specialmente quei frammenti di spi- cule marine sono inadatti a dimostrare la natura marina delle sabbie a incrostazioni che li contengono. Quando poi si prende in esame lo strato o serie di straterelli argilloso-tripolacei (n. 5, fig. 2), è tale l'abbondanza delle diatomee, in certi punti da sole costituenti la roccia, che V idea di un trasporto dal continente in mare ed omogeneo deposito in questo senza più traccia d’altro organismo marino deve essere assolutamente scartata. Il carattere di quella fiorala è ben manifesto. Assenza com- pleta di tutte quelle vistose forme, sia pur littorali, che abbondano in ogni raccolta marina o d’acque salmastre. E di tali raccolte ne posseggo buon numero di svariatissima provenienza per fare i neces- sari confronti. Trattasi di un insieme di forme d’acqua dolce, che, per l’ab- bondanza delle Epithemia e scarsezza di Cyclolella, caratterizzano una distesa tranquilla di acque poco profonde. Per essere maggiormente esatto devo soffermarmi sopra una specie di Navicula che ad un primo esame si potrebbe ravvici- nare alla Navicula crucicula Donk. così come è figurata dal Yau Heurck ( Synopsis , tav. X, fig. 15), indicata dagli autori come rara nelle acque salmastre. Però gli autori non sono affatto d’accordo nè nella diagnosi, nè nell' iconografia di tale specie che viene anche unificata colla Slauroneis crucicula di W. Smith. Anche la specie di cui si tratta, osservata a piccolo ingrandimento, mostra talvolta un apparente stauro , dovuto a ciò che un certo numero delle strie centrali sono più grosse e più distanti che le altre. Differisce però certamente dalla N. crucicula pel fatto che ad essa non è applica- bile l’ importante carattere diagnostico di questa specie, cioè : « striis raphem fere attingentibus, duabus propre nodulum cen- tralem panilo abbreviata et validioribus » (Q. (') De Toni J. B., Sylloge Algarum omnium hucusque cognitarum, voi. II. Bacillarieae, pag. 115. Patavii, typis Seminarii, 1891. COMPLEMENTO DI OSSERVAZIONI, ECC. 363 Nel gruppo delle navicule decipienti vi è una specie ancor più somigliante, la Navicala Lundstroemi Cleve, conosciuta però soltanto per le regioni nordiche. Dalla descrizione datane dal Cleve nel 1880 (') risulta che le strie si mantengono debolmente radiali Uno alle estremità, mentre nella figura dello stesso autore le strie, in vicinanza delle estremità, divengono normali alla linea mediana e poscia invertono la loro inclinazione. Quindi la specie dei monti Parioli si accorda meglio colla figura di Cleve, benché differisca per la forma meno rostrata e meno troncata, forma che però è alquanto variabile e di aspetto apparentemente mutevole a seconda delle condizioni di luce e di ingrandimento sotto le quali la si osserva. Nella recente opera del Cleve: Synopsis of thè Naviculoid Diatoms ('-) è data la seguente diagnosi (3): « V. linear-lanceolate, with subro- strate, broad ends, L. 0,034 to 0,051; B. 0,11 to 0,013 mm. Mediani line with thè terminal fissures in thè sanie direction. Àxial area nar- row, slightly dilatated around thè centrai no- dule. Striae 16 (middle) to 20 (ends) in 0,01 mm., radiate throughout, fìnely punctate, in thè middle of equal lenght. — Brackish water. » . Alla forma dei monti Parioli può in massima convenire tale diagnosi tenendo presenti però le osservazioni soprariferite e le altre seguenti. Le strie centrali, più grosse, più spaziate e più fa- cilmente risolvibili sono circa 12-14 per parte: le altre strie sono molto più difficilmente risolvibili in punti ed a circa un sesto della lunghezza della valva, a partire dalle estremità, cambiano mani- festamente di direzione. La valva è alquanto convessa specialmente verso le estremità, ed a ciò si deve principalmente la mutevolezza di aspetto. Dimensioni medie: lungh. 63 ,u, largh. 14 ,u. Fig. 3. Navicula Lundstroemi Cleve, var. latiale. 1000: 1 C) Cleve P. T. und Grunow A , Beitràge sur Kenntniss der Arctischen Diatomeen (Kongl. Stvenska Vetenskaps-Akad. Handlingar, B. 17, n. 2, pag. 36, tav. II, fig. 39. Stockholm 1880). (2) Kongl. Svenska Vetenskaps-Akademien, Handlingar, B. 26, n. 2, B. 27, n. 3, Stockholm 1894-95, parte I, pag. 140. (3) Vedasi anche De Toni J. B., Sylloge op. cit. , voi. II. pag. 124. E. CLERICI 364 La fìg. 3 è la riproduzione fotozincografica alla metà di un disegno che ne ho fatto direttamente con obbiettivo ad immer- sione e camera lucida ad ingrandimento lineare di 2000 volte, lasciando le strie non risolute. Non essendo in grado (*) di dimostrare la assoluta identità colla Navicala Lundstroemi, contradistinguo la forma dei monti Paridi, che è reperibile anche in altri giacimenti romani, col nome di Navicula Lundstroemi Cleve, var. lattale. Come si vede si tratta di una piccola e difficile specie poco ben conosciuta, la quale oltre che nelle acque salmastre potrebbe vivere od aver vissuto in acque dolci. In ogni caso è ]' insieme delle forme che deve far giudicare dell'ambiente nel quale si originò il deposito ed una raccolta che, per esempio, contenesse tutte specie di habitat indifferente sarebbe da giudicarsi d’acqua dolce piuttosto che marina. Non appena intervengono acque salse l’aspetto cambia e nella raccolta subentrano specie assolutamente caratteristiche. Ma v’ ha di più, nel giacimento dei Parioli oltre che mancano specie assolutamente marine, ve ne sono parecchie esclusivamente d’acqua dolce. Oltre che l’origine marina, è da escludere anche l’ ipotesi di uno stagno in facile comunicazione col mare perchè in tal caso si dovrebbe avere miscela di specie d’acque salse con altre indiffe- renti e con quelle d’acqua dolce come precisamente avviene nello stagno di Ostia, ove le specie esclusivamente marine o salmastre e marine ammontano al 36 per cento. Al disopra del descritto giacimento diatomeifero vi è del tufo terroso cui fan seguito altri tufi granulosi, argillosi e terrosi per una potenza non minore di venti metri come può anche osservarsi risalendo il viale verso la via Salaria e Nomentana. L’affinamento del tufo granulare ed il passaggio a materiali tripolacei diatomeiferi 1’ ho già più volte constatato, per esempio, alla Sedia del Diavolo, distante tre scarsi chilometri dai Parioli, e nella regione da me descritta nella Nota sul Monte del Finocchio, e nell’altra accennata colla comunicazione sui dintorni di Decima (2). (x) Devo esternare la mia riconoscenza ai prof. Lanzi e Bonetti per la liberale consultazione di molteplici opere e visione di preparazioni diatomo- logiche. (2) Boll, della Soc. Geol. Italiana, voi. XII, pag. 759 a 821 ; voi. XV, pag. 12 ; voi. XVI, pag. 274. COMPLEMENTO DI OSSERVAZIONI, ECC. 3Ò5 In tal modo viene tratteggiata una bene estesa regione non più soggetta al mare ed in cui le acque dolci hanno una parte importante. Il tufo granulare cogli affinamenti diatomeiferi precede 1’emissione delle pozzolane rosse e nere, del tufo litoide ordinario, del tufo pomiceo e di tanti altri tufi terrosi e granulosi. Ed anche fra questi altri tufi ho più volte rinvenuto materiali diatomeiferi, quindi può dirsi che anche la leggenda secondo la quale i nostri vulcani furono sottomarini ha fatto il suo tempo (’). La disputa sulla geologia romana si accentua ora in una questione incidentale alla quale però deve darsi la massima impor- tanza e che io qui accenno semplicemente. Le mie ricerche di dettaglio a base di lunghe e ripetute escur- sioni intorno a Roma ed ai lembi estremi della provincia, mi per- mettono di asserire che è possibile di stabilire un ordine cronologico nella successione delle varie pozzolane e dei vari tufi che sotto tanti aspetti ci si presentano. Mi guardo bene dal fare generaliz- zazioni che potrebbero essere o premature o poco giustificate; ma già per una grande parte del territorio intorno a Roma esiste una serie ben definita talché ogni confusione, ogni incertezza dovrebbe essere eliminata. Nel campo avversario, mentre si procede con pari dettaglio, si stabilisce una categoria di cosiddette « formazioni iu asolo » (2) assai infelice come nomenclatura e che in fondo riguarda le interca- lazioni e gli accumuli lentiformi; ma si dà al fenomeno una tale estensione ed una tale generalizzazione che argille, sabbie, ghiaie, marne, macco, tufi, pozzolane, peperino, farine fossili, travertino, torbe, poco importa se con fossili marini o con fossili continentali, sono un’ unica formazione, una specie di roccia unica a facies or più or meno variabile : deplorevole confusione senza la quale però i1) IlPortis, come gli altri tufo-nettunisti, ha pure asserito, senza giungere ad alcuna dimostrazione, che i nostri vulcani furono sottomarini: anzi quella spiegazione secondo la quale le abbondanti impronte di graminacee alla parte inferiore del peperino laziale sarebbero dovute al trasporto per galleggiamento dal continente (Tirrenide) ed al loro accumulamento intorno al vulcano e quindi alla loro discesa in fondo al mare per effetto dei materiali eruttati che vi caddero sopra (op. cit. voi. II, pag. 186-87) è qualche cosa, a mio parere, che va più in là dell’assurdo. (2) Op. cit., voi. II, pag. 88 a 94, specialmente, e 340 a 344. 366 E. CLERICI non è possibile sostenere che tutto il complesso è marino e plio- cenico. Lasciando per ora tale questione io sono portato a conclu- dere che le sabbie a incrostazioni e i susseguenti tufi delle colline di Villa Glori e di s. Agostino, asseriti dal Portis, come tipica- mente marini, non lo sono, e che sono invece continentali. Tal denominazione complessiva, ed oppositiva a marina, io assegnai ai depositi fluviali, fluvio-lacustri, lacustri, palustri, eolici e de’ tufi caduti all' asciutto. È ben vero che la scuola tufo-nettunistica ammette l’ esistenza di bacini con faune e flore continentali, o per usare l'esatta frase « con sembianze sempre più continentali » ma ci ammonisce che « chi fa della geologia » (*) deve <* considerarli quali formati nel più vasto dominio del mare di cui sono momentanei (!) incidenti marginali » e non si deve « per nulla fuorviare a chiamarli altri- menti che depositi marini ». A questa « conclusione finale » non posso aderire finché al- l'espressione « che la nostra formazione tufacea è in generale ma- rina e pliocenica » non si tolga almeno il « generalmente » o non la si modifichi in modo da far intendere che quel mare, invece che d'acqua salata, era piuttosto un mare d’acqua dolce. Che cosa dovrei dire della proposta di passare tutte le for- mazioni tufacee e quaternarie romane al pliocene? ad un pliocene che, secondo chi (2) fa la proposta, potrebbe chiamarsi Astiano oppure Siciliano avvertendo che « il siciliano è astiano, è la parte supe- riore dell’astiano, è una fase locale dell’ astiano »? So bene che più volte si è proposto di comprendere nel ter- ziario anche il cosiddetto quaternario ed alcune ragioni potrebbero essere buone ; ma non per questo i terreni detti quaternari divengono più antichi di quelli finora ritenuti per pliocenici ; chè sempre sta- rebbero in coda all'astiano superiore. È sola questione di nome (3). (') Op. cit.. voi. II, pag. 343. (2) Op. cit.. voi. II, pag. 344. (3) La fine del pliocene si vorrebbe far coincidere, se ho ben capito, colla scomparsa degli elefanti dall’Italia. Questa scomparsa e perciò questo limite in Italia coincideranno con quanto è adottato o da adottarsi in altre parti d’Europa? E perchè scegliere gli elefanti piuttosto che altri tipi? Una delle ragioni che sembra indurre a trasportare il quaternario romano COMPLEMENTO DI OSSERVAZIONI, ECC, 367 « Riesce difficile certamente di poter dividere con una linea netta i depositi pliocenici dai quaternari (Q, come del resto avviene per tanti altri terreni, perchè dal vero Pliocene, al Quaternario e al Recente ci sono passaggi graduali, e per questo si potrà disputare a lungo se le sabbie gialle di Monte Mario, le argille sabbiose di Vallebiaia e le sabbie di Gallina (Calabria), si debbano ritenere come plioceniche o come appartenenti alla porzione più bassa del Post-pliocene marino ; tuttavia nessuno potrà negare a questi depo- siti un maggior carattere di gioventù rispetto a quello delle sabbie plioceniche tipiche. In essi non si riscontra un carattere pliocenico spiccato, nè la presenza nelle ghiaie del Monte Mario superiori alle sabbie classiche fossilifere di una specie certo abbondante nel Pliocene ( Elephas meridioualis), ma che passa in istrati assai più elevati di quelli del Monte Mario, e le relazioni in questi depositi anche con i più antichi Crags inglesi, sono argomenti sufficienti a mostrarne il netto carattere pliocenico. Questi strati rappresentano piuttosto dei gradini elevatissimi del Pliocene e quasi di passaggio al Quaternario, e quindi non del tutto a torto potrebbero aggregarsi alla parte più bassa del Post-pliocene ». Invece di stare a discutere intorno all'adozione o meno di un nome sul significato del quale forse non esiste accordo, mi sembra che sia assai meglio stabilire qual posto occupino le formazioni tufacee rispetto ad altre sedimentarie di più certo riconoscimento ed apprezzamento. Questa ricerca ha il vantaggio che può farsi indipendente- mente da qualunque ipotesi sulla genesi dei tufi ed indipenden- temente dai centri vulcanici siano essi subaerei o subacquei. Dalle mie osservazioni mi risulta che nell' Orvietano, come nel Viterbese, nella Sabina, nella regione Cornicolana i tufi sono sovrap- posti alle argille ed alle sabbie fossilifere universalmente accettate nel pliocene starebbe in ciò che la lista dei fossili rinvenuti (e supposto che siano ben determinati! comprende specie plioceniche o che hanno avuto origine od antenati nel pliocene. Ma la stessa cosa può affermarsi anche per la fauna e flora attuale, come per quelle di ogni epoca rispetto alla precedente. Il pretendere assoluta diversità sarebbe rinnegare le dottrine evoluzioniste. f1) Di Stefano G. e Viola C., L'età dei tufi calcarei di Matera e di Gravina e il sottopiano « Materino » M-E., Boll, del R. Comitato Geolog., Roma, 1892, anno xxm, pag. 144. 368 E. CLERICI COMPLEMENTO DI OSSERVAZIONI , ECC. come marine, le quali, nell’ Orvietano specialmente, contengono fos- sili tipicamente astiani. Sul gruppo del Monte Mario i tufi sono posteriori al giaci- mento classico , che manca di quei tipi tanto vistosi dell’astiano e che perciò ritiensi un poco più giovane: sono anche posteriori alle sabbie povere che sul M. Mario ricoprono il giacimento classico e dalle propaggini di questo si estendono verso il littorale. Non conosco nessun esempio di sostituzione laterale graduale di detta formazione argilloso-sabbiosa marina a quella tufacea ; ma dapertutto assoluta indipendenza fra le due formazioni. Assodato ciò ed esclusa ogni causa di ambiguità od equivoco, quando sarà dimostrata l’ utilità d’ incorporare in tesi generale il quaternario al pliocene, si vedrà se i tufi e sabbie tartarose con- siderate possono ascriversi al pliocene : per ora devono restare nel quaternario. [28 gennaio 1898] INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XVI. Fascicolo I (luglio 1897). Ufficio di Presidenza pel 1896 Pag. ni Elenco dei Presidenti succedutisi annualmente dalla fondazione della Società in poi v iv Elenco dei Soci d ivi Elenco dei cambi » xii Adunanza generale tenuta in Roma il 7 marzo 1897 1 Discorso del presidente Pantanelli n 2 Pubblicazioni giunte in dono » 6 Nuovi soci n ivi Deliberazioni del Consiglio •> 7 Bilancio preventivo dell’anno 1897 « 10 Memorie e note presentate per la stampa nel Bollettino . » 12 Appendice al verbale. Parona C. F. — Fauna del cretaceo di Colle Pagliare presso Aquila :> 13 Trabucco G. — Sul Tongriano di Cassinelle (Alto Monferrato) » 14 Bogino F. — / mammiferi fossili della torbiera di Trana Tav. I, II, III) ;> 16 Stella A. — Sullo sviluppo e indirizzo della geologia applicata in Italia » 55 De Angelis d’Ossat G. e Luzj G. F. — I fossili dello Schlier di San Severino (Marche) » 61 Novarese V. — Strati pontici dei dintorni di Campagnatico e Paganico (prov. di Grosseto) ^ 69 Franchi S. — Sopra alcuni nuovi giacimenti di roccie a Lavc- sonite * 73 Rovereto G. — Sulla stratigrafia della valle del Neva (Liguria occidentale) 77 Flores E. — Sul sistema dentario del genere Ant braco the- rium Cuv » 92 INDICE 370 Matteucci R. V. — Le roccie porfiriche dell'isola d' Elba (Ta- vole IV, V) Pag. 07 De Franchis F. — Ricerche sui terreni del bacino di Galatina (Provincia di Terra d’ Otranto) » 122 Rasetti E. — Il monte Fenera di Valsesia (Con una carta geo- logica a colori. Tav. VII) » 141 Trabucco G. — Sulla sinonimia del vocabolo Scaglia (Zittel) » 176 Meli R. — Sopra alcuni denti fossili di mammiferi ( ungulati ) rinvenuti nelle ghiaie alluvionali dei dintorni di Roma . » 187 Fascicolo II (gennaio 1898). Verri A — Cenni sulla formazione dell' Umbria settentrionale » 195 Scarabelli Gommi Flamini G. e Foresti L. — Sopra alcuni fossili raccolti nei colli fiancheggianti il fiume Santerno nelle vicinanze d' Imola Tav. Vili, IX) » 201 Adunanza generale tenuta in Perugia il 19 settembre 1897 . . » 212 Discorso del Sindaco di Perugia » ivi Discorso del presidente Pantanelli » 248 Discorso del prof. Cotturi rettore della Univ. di Perugia » 249 Nomina di nuovi soci » 250 Pubblicazioni giunte in dono » ivi Memorie presentate per la stampa nel Bollettino ... » 251 Resoconto delle Entrate e delle Spese per l’anno 1896 . » 256 Situazione patrimoniale al 1° gennaio 1897 » 259 Resoconto dell’amministrazione del legato Molon ... » 260 Gita a Gubbio per Umbertide » 262 Sul regolamento per il Premio Molon » 265 Gita a Scheggia e Valle d’Urbia; relaz. del Socio Bonarelli » 266 Gita al Trasimeno ed Elezioni sociali >> 270 Appendice al verbale. Clerici E. — Progetto di Corta dei giacimenti diato- meiferi dei dintorni di Roma » 272 Clerici E. — Sopra i terreni di Decima presso Roma » 274 Baratta M. — Sul terremoto di Sinigallia del 21 set- tembre 180 7 » 275 De Angelis d’Ossat G. — Contribuzione allo studio paleonto- logico dell'alta valle dell'Aniene » 280 Pantanelli D. — Variazioni sul livello delle acque sotterranee di Modena » 319 De Angelis d’Ossat G. — Sulla probabile mancanza in Italia dell' Elephas primig enius tìlum » 324 Clerici E. — Complemento di osservazione nei monti Parioli presso Roma » 336 AVVERTENZE Per far parte della Società occorre esser presentato da due soci in una Adu- nanza ordinaria, e pagare una tassa d’entrata di L. 5 e una tassa annua di L. 15. La tassa annua può essere sostituita dal pagamento di L. 200 per una sola volta. Ogni socio all’atto dell’ammissione si obbliga di restare nella Società per tre anni, al cessare dei quali l’impegno s’ intende rinnovato di anno, in anno, se non venga denunziato tre mesi prima della scadenza. La tassa sociale annua di L. 15 deve essere pagata entro i due primi mesi dell’ anno. I soci hanno diritto al Bollettino che si stampa in fascicoli trimestrali. Nel Bollettino si pubblicano le memorie presentate nelle Adunanze, insieme all’elenco dei soci, ai bilanci, ai resoconti delle Adunanze generali e delle escursioni. Le memorie che non vengono presentate in Adunanza generale saranno in- viate alla Presidenza, e per essa al Segretario : col visto del Presidente saranno trasmesse alla stampa secondo l’ordine di presentazione. Fino a nuova disposizione non si accettano le memorie che per estensione su- perino approssimativamente quattro fogli di stampa e quelle che fossero lavori di compilazione. Le note e comunicazioni da inserirsi nei resoconti delle adunanze non devono superare due pagine. I manoscritti dovranno consistere in fogli dello stesso formato, scritti da una sola parte, in caratteri intelligibili, senza di che la Presidenza potrà respingerli. I lavori scompleti, sia nel manoscritto, sia nelle tavole, non possono essere presi in considerazione per la stampa. Una Memoria già presentata alla Società, e ritirata per modificarla o completarla, qualora non sia rinviata alla Segreteria entro 15 giorni, perde il suo turno per la stampa. Gli autori che domandano un sussidio per l 'esecuzione di carte geologiche, tavole o illustrazioni annesse alle loro memorie devono presentare un preventivo della spesa totale sul quale la Presidenza determinerà caso per. caso, secondo il bilancio sociale, se debba concedersi il concorso e in quale proporzione. La somma accordata sarà comunicata- all’autore, ed ogni spesa maggiore dovrà essere esclusi- vamente a carico di questo. Le prove delle tavole (anche di quelle che gli autori fanno eseguire a proprie 6pese) debbono essere sottoposte al visto della Presidenza prima della tiratura. Di ciascuna memoria il Segretario spedirà all’autore, per la correzione, una prova in colonna, che dovrà essergli restituita al più tardi entro 15 giorni, e una in pagina, da restituirsi entro 8 giorni. Se le prove non saranno restituite nel termine prescritto, il Segretario s’in- cariclierà d’ufficio della materiale correzione degli errori tipografici senza1 assumere alcuna responsabilità. Il Segretario prima di deliberare la stampa delle memorie si assicurerà che le correzioni indicate dagli autori siano state eseguite. Le spese straordinarie cagionate da correzioni maggiori del consueto, da cam- biamenti o rifusione di paragrafi, come pure la stampa di tavole sinottiche di formato maggiore del testo saranno addebitate agli autori, ed essi saranno in obbligo di pagarle all’ Economo non appena ne abbiano ricevuto il relativo conto col visto del Presidente. Agli autori si dànno 50 copie degli estratti. Se l’autore intende far tirare estratti per conto proprio, deve indicare per iscritto sulla prima prova corretta della sua memoria il numero degli esemplari che ne desidera. Il prezzo di 50 in 50 copie, con copertina stampata ecc. sarà di L. 4 ogni foglio di pag. 16, e di L. 2 per ogni mezzo foglio o frazione di mezzo foglio. L’importo di questi estratti sarà indicato dal Segretario sulle bozze impagi- nate, che l’autore pagherà all’Economo, prima che gli sieno spediti. A qualunque socio, il quale col 1° aprile dell’anno corrente si trovi ancora in arretrato pel pagamento della tassa sociale- dovuta per l’anno precedente, sarà, pre- avviso del Segretario; sospeso 1’ in,vio delle pubblicazioni della Società. La presentazione delle memorie e la stampa delle medesime non avrà corso se l’autore non avrà pagato la tassa dell’anno in corso o soddisfatto ogni altro impegno verso la Società. Per il pagamento della tassa d’entrata, della tassa annua e per l’acquisto dei volumi del Bollettino dirigere lettere e vaglia all’Economo cav. ing. Augusto Statuti, Via Nazionale 114 (palazzo Capranica-Del Grillo). Roma. CONCORSO AL PREMIO MOLON Si avvertono i Soci che il concorso al premio Molon scade il 51 marzo 1898. (Vedi Bollett. Voi. XV, pag. 453.) Finito di stampare il 31 gennaio 1898. Si pregano i soci, che non lo avessero fatto tuttora, di porsi al cor- rente col pagamento delle quote. f _ ji' \4 , ■ ‘-b - ■ ‘ Il bollettino della Società Geologica Italiana si stampa in fascicoli trimestrali. Il Presidente responsai/ile Dante Vantanti. r.i.