Anno XVIII Fascicolo 1“ (1“ trimestre 1899) BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ OEOLOOICA ITAUANA Voi. XVIII. — LS99. ROMA tipografia della r. accademia dei lincei 1899 . . pregano i Soci di prendere vi.‘!Ìone del Regolamento e delle dispo- sizioni stamiiate nella terza e quarta pagina della copertina. BOLLETTINO DELLi SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Volumi finora pubblicati. Voi. I (1882) 2 fase. 260 pag. 4 tavole. 9 II (1883) 3 « 314 Ti 6 » « III (1884) 2 - 188 Ti una tavola. li IV (1885) un voi. 528 Ti 19 tav. 0 3 earte geologiche a colori. n V (1886) 3 fase. 516 Ti 11 » Ti VI (1887) 4 570 Ti 18 ’ e una carta geologica a colon. Ti VII (1888) 3 » 430 Ti 14 n n •n » n Vili (1889) 3 « 600 Ti 3 ^ ” * Ti IX (1890) 3 « 826 Ti 25 « 1 ” Ti X (1891) 5 - 1023 Ti 21 » e 2 carte geologiche a colori. Ti XI (1892) 3 » 702 Ti 11 >- Ti XII (1893) 4 « 892 Ti 7 " Ti XIII (1894) 3 X 317 Ti 5 » Ti XIV (1895) 2 » .324 9 7 » n XV (1896) 5 « 802 Ti 17 " Ti XVI (1897) 2 » 370 Ti 9 " Ti XVII (1898) 3 » CLII-275 pag. e 4 tavole. Per L’acquisto dirigere lettere e vaglia all’ Economo cav. ing. Augusto Statuti, Via Nazionale 114c(pala2zo Capranica-Del Grillo). Roma. a BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. XVllI. — 1899. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1899 SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA. MENTE ET MALLEO fondata in Bologna il 29 settembre 1881. Consiglio direttivo per l’anno 1899. Presidente .... Mario Canatari (Pisa). 1899. Vice-Presidente. Niccolò Pellati (Poma). 1899. Segretario .... Antonio Neviani (Roma). 1897-99. Vice-Segretari Tesoriere. . . . Economo .... Archivista . . . Consiglieri . Commissione per le pubblica- zioni Commissione del bilancio . . . Benedetto Greco (Pisa). 1899. Gioacchino De Angelis d’Ossat (Roma). 1898-99. Tommaso Tittoni (Roma). Augusto Statuti (Roma). Romolo Meli (Roma). Vittorio Novarese (Roma). Giuseppe Bellucci (Perugia) Claudio Sormani (Roma) . . Enrico Clerici (Roma) . . . Ulderigo Botti (Reggio Gal.) I Torquato Taramelli (Pavia) Vittorio Simonelli (Parma) Giuseppe Mercalli (Napoli) Carlo De Stefani (Firenze) Arturo Issel (Genova) . . . Alberto Fucini (Pisa) . . . ‘ Pietro Zezi (Roma) Il Presidente 1897-99. 1898-900. 1899-1901. {prò tempore) Ite \ Il Segretario \ L’ Economo ( L’Archivista ) Mario Cermenati (Roma) Romolo Ragnini (Roma) . Antonio Verri (Roma) . . 1899. Sede della Società: Roma, Via S. Susanna, 1 A, presso il R. Ufficio geologico. l IV E[>ENCO DEI PRESIDENTI. — SOCI PERPETUI Elenco dei Presidenti succedutisi annualmente dalla fondazione della Società in p.i. 1881-82. Giuseppe Meneghini 1883. Giovanni Capellini 1884. Antonio Stoppani 1885. Achille De Zigno 1886. Giovanni Capellini 1887. Igino Cocchi 1888. Giuseppe Scarabelli 1889. Giovanni Capellini 1890. T0RQ.UAT0 Taramelli 1891. Gaetano G. Gemmellaro 1892. Giovanni Omboni 1893 Arturo Issel 1894. Giovanni Capellini 1895. Igino Cocchi 1896. Carlo De Stefani 1897. Dante Pantanelli 1898. Francesco Bassani Elenco dei Soci per Tanno 1899. Soci perpetui. 1. Quintino Sella (morto a Biella il 14 marzo 1884). Fu uno dei tre fondatori della Società, e venne, per il primo, annoverato tra i soci perpetui per deliberazione unanime nell adu- nanza generale tenutasi dalla Società il 14 settembre 1885 in Arezzo. 2. Francesco Molon (morto a Vicenza il i marzo 1885). Fu consigliere della Società, alla quale legava con suo testa- mento la somma di Lire 25,000; venne iscritto fra i soci per- petui per deliberazione unanime nell’ adunanza generale del 14 settembre 1885 in Arezzo. 3. Giuseppe Meneghini (morto a Pisa il 29 gennaio 1889). Per i suoi insigni meriti scientifici venne acclamato socio per- petuo nell’adunanza generale di Savona il 15 settembre 1887 4. Felice Giordano (morto a Vallombrosa il 16 luglio 1892). Fu uno dei tre fondatori della Società, e venne iscritto tra soci perpetui per deliberazione unanime nell’adunanza generali tenutasi a Taormina il 2 ottobre 1891. 5. Giovanni Capellini, senatore del Regno. È uno dei^ tre fondator della Società, e venne iscritto tra i soci perpetui per delibera zione unanime nella adunanza generale tenutasi in Taormina i 2 ottobre 1891. ELENCO DEI SOCI r 1884 C). 1881. 1881. 1881. 1890. 1894. 1881. 1890. 1884. 1881. IO 1881. 1881. 1882. 1895. 1882. 1886. 1882. 17 1894, 1898. 1899. 1891. 1892. 1899. 1886. 1898. Soci a vita. Barbagli cav. Piero. Via de’ Bardi, palazzo Tempi. Firenze. Bombicci prof. comm. Luioi. R. Università. Bologna. Cocchi prof. comm. Igino. Via de’ Pinti 51. Firenze. Delaire ing. chev. Alexis. Boulevard St. Germain 135. Paris. Dell’ Oro comm. Luigi (di Giosuè'). Via Silvio Pellico 12. Milano. Ferraris ing. comm. Erminio, Direttore della miniera di Monteponi. Iglesias. Hughes prof. cav. Thomas Mac Kenny. University. Cam- bridge (Inghilterra). Johnston-Lavis Dr. Henry. Beaulieu (Alpes Maritimes). Francia. Levai ing. David. Rue de Printemps 9. Paris. Mattirolo ing. Ettore. R. Ufficio geologico. Roma. Mayer Eymar prof. Carlo. Scuola politecnica. Zurigo. Niccoli ing. comm. Enrico. 'Vìa dell’Indipendenza 54. Bo- logna. Paulucci marchesa Marianna. Villa Novoli. Firenze. Rosela ing. Emanuele. Via del Fosso i. Livorno. Silvani dott. Enrico. Via Garibaldi 4. Bologna. Stephanescu prof. Gregorio. Universitàt. Bukarest (Rumania). Turche ing. John. Ufficio dell’Acquedotto. Bologna. Soci ordinari. Aichino ing. Giovanni. R. Ufficio geologico. Roma. Airaghi dott. Carlo. Magenta (Ribecco sul Naviglio). Aldinio prof. Pasquale. R. Scuola normale. Lagonegro (Ba- silicata). Amhrosioni sac. dott. Michelangelo. Chignolo d’ Isola (Ber- gamo). Angelelli ing. Ettore. Via Bonella 20. Roma. Anseimo ing. Michele. Capo uff. distretto minerario. Carrara. Antonelli dott. don Giuseppe. Circo Agonale. Palazzo Do- na. Roma. Antonelli-Giordani Giuseppe. Corso 307. Roma. (’) Primo anno di associazione. VI ELENCO DEI SOCI 1896. 1881. 1898. 1890. 1881. 1883. 1883. 1897. 1885. 1896. 1898. 1896. 1892. 1885. 1885. 1897. 1896. 1882. 1893. 1897. 1885. 1884. 1891. 1889. 1897. 1898. 1883. 1881. 1892. 1892. 1883. 1896. 1896. 1896. Arcangeli prof. Giovanni. R. Orto botanico. Pisa. IO Baldacci ing. cav. Luigi. R. Ufficio geologico. Roma. Balestra Andrea. Via Serraglio. Bassano (Veneto). Baratta dott. Mario. Voghera (Pavia). Bassani prof. cav. Francesco. R. Università. Napoli. Bellucci prof. comm. Giuseppe. Università. Perugia. Berti dott. Giovanni. Via S. Stefano 43. Bologna. Bettoni dott. Andrea. Via Arsenale 18. Brescia. Biagi prof. Giuseppe. R. Scuola tecnica. Spezia. Bianchi avv. Giovanni Battista. Lungarno Regio 7. Pisa. Biblioteca civica. Bergamo. 20 Bogino dott. Francesco. Villafranca (Piemonte). Bonarelli prof, conte Guido. Gubbio (Umbria). Bonetti prof, don Filippo. Via Ludo visi 36. Roma. Borgnini ing. comm. Secondo. Direzione generale ferrovie della Rete Adriatica. Firenze. Bortolotti prof. Emma. Via Manin 58. Roma. Bosco cap. dott. Camillo. Tribunale militare. Firenze. Botti avv. comm. Ulderigo. Reggio di Calabria. Botto Micca dott. prof. Luigi. R. Scuola tecnica. Venti- miglia. Brambilla prof, don Giovanni. Parroco di S. Bernardo. Cre- mona, due miglia. Brugnatelli dott. prof. Luigi. R. Università (Museo mine- ralogico). Pavia. 30 Bruno prof. Carlo. R. Istituto tecnico. Mondovi. Bacca prof. Lorenip. R. Università. Catania. Cacciamali prof. Giovanni Battista. R. Liceo. Bresk.ia. Caetani (dei principi) don Gelasio. Palazzo Caetani. Via Botteghe oscure. Roma. Caffi dott. sac. Enrico. Piazza Cavour io. Bergamo. Canavari prof. Mario. R. Museo geologico. Pisa. Capacci ing. cav. Celso. Via Vaifonda 7. Firenze. Cappa ing. Umberto. R. Corpo Miniere. Nebida (Iglesias). Carapeijjx ing. Emerico. R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri. Palermo. Cardinali prof. Eederico. R. Istituto tecnico. Macerata. 40 Carmignani ing. Giovanni. Pisa. Carruccio prof. Antonio. R. Università. Roma. Castoldi ing. Alberto, deputato al Parlamento. Direttore Miniere Montevecchio. Guspini (Sardegna). ELENCO DEI SOCf VII 1882. 1890. 1895. 1896. 1887. 1882. 1882. 1886. 1883. i88é. 1899. 189;. 1895. 1881. 1890. 1895. 1882. 1895. 1885. 1896. 1898. 1894. 1883. 1893. 1891. 1893, 1881. 1895. 1883. 1886. 1881. Cattaneo ing. coram. Roberto. Via Ospedale 51. Torino. Cermenati dott. Mario. Via di Parione 37. Roma. Cerulli Irelli dott. Serafino. Teramo. Cettolini prof. cav. Sante. R. Scuola d’ enologia. Cagliari. Charlon ing. E. Rue Pierre Duprét 25. Marsiglia. Chigi Zondadari march. Bonaventura, senatore del Regno. Siena. Ciofalo prof. Saverio. Termini Imerese (Palermo). 50 Clerici ing. prof. Enrico. Via del Boccaccio 21. Roma. Cocconi prof. comm. Girolamo. R. Università. Bologna. Colale ing. Michele. Via dei Serragli 13. Firenze. Colomba dott. Luigi. R. Museo mineralogico. Palazzo Ca- rignano. Torino. Conedera ing. Raimondo. Massa Marittima (Grosseto). Corsi ing. Arnaldo. Via Vaifonda 34. Firenze. Cortese ing. Emilio. Rio marina (Elba). Corti dott. Benedetto. R. Collegio Rotondi. Gorla Minore (Milano). Crema ing. Camillo. Via Baretti 3. Torino. D Achiardi prof. cav. Antonio. R. Università. Pisa. 60 D Achiardi dott. Giovanni. R. Museo mineralogico. Pisa. D'Ancona prof. cav. Cesare. R. Istituto superiore (Museo geologico). Firenze. D'Ancona dott. Giuseppe. Piazza Savonarola 2. Firenze. Dannenberg dott. Arturo-, prof, au der Kgl. technische Hochschule. Aachen (Prussia renana). De Agostini dott. Giovanni. Via S. Zenobi 51. Firenze. De Amicis prof. Giovanni Augusto. R. Liceo Balbo. Casale (Piemonte). De Alessandri dott. Giulio. Museo civico. Milano. De Angelis d' Ossat dott. Gioacchino. R. Università. Roma. Deecke prof. Wilhelm. Università. Greifswald (Prussia). De Eerrari cav. Paolo Emilio. Ing. capo del distretto mi- nerario. Bologna. 70 De Eranchis dott. Eilippo. Galatina (Lecce)_ De Gregorio Brunaccini dott. march. Antonio. Molo. Palermo. Del Bene ing. Luigi. Miniera di Morgnano e S. Croce. Spoleto. Delgado cav. Joaquim Philippe Nery. Rua do Arco a Je- sus 119. Lisbona. Deli Erba ing. prof. Luigi. Via Trinità maggiore 6. Napoli. 1886. ELENCO DEI SOCI TI lì 1892. 1899. 1881. 1899. 1882. 1895. 1892. 1890. 1881. 1899. 1881. 1883. 1885. 1896. 1896. 1893. 1898. 1896. 1894. 1897. 1888. 1881. 1892. 1890. 1888. 1890. 1898. 1891. 1890. 1882. 1895. 1891. 1896. 1887. De Lorenip prof. Giuseppe. Museo mineralogico della R. Università. Napoli. Del Piai dott. Giorgio. Museo geologico R. Università. Padova. Del Prato dott. Alberto. R. Università. Parma. Del Zanna Pietro. Poggibonsi. Demarchi ing. cav. Lamberto. Via Napoli 65. Roma. 80 De Pian ing. Luigi. Laurium (Grecia). De Pretto dott. Olinto. Schio (Vicenza). Dervieux sac. Ermanno. Piazza Gran Madre di Dio 14. Torino. De Stefani prof. Carlo. Piazza S. Marco 2. Firenze. De Stefano dott. Giuseppe. Via Aschenz. Reggio Calabria. Dewalque prof. off. Gustave. Rue de la Paix 17. Liége. Di Rovasenda cav. Luigi. Sciolze (Torino). Di Stefano dott. cav. Giovanni. R. Ufficio geologico. Roma. Dompè ing. Luigi. Contrada Porti 604. Palazzo Colleoni. Vicenza. Fabani don Carlo. Valle di Morbegno (Sondrio). 90 Fabrini dott. Emilio. Castelfiorentino (Firenze). Fatichi cav. not. Nemcsio. Borgo Albizzi 9» 3° P* Firenze. Fedeli prof. Carlo. R. Università. Pisa. Fino prof. Vincenio. Via Arsenale 33. Torino. Flores prof. Edoardo. R. Scuola normale femm. Bari. Foldi prof. cav. Giuseppe. Corso Amedeo 6. Savona. Fornasini dott. cav. Carlo. Via Lame 24. Bologna. Franchi ing. Secondo. R. Ufficio geologico. Roma. Franco prof. Pasquale. Corso Vittorio Emanuele 138. Napoli. Frumento ing. Giuseppe. Via Genova 6. Savona. 100 Fucini dott. Alberto. R. Museo geologico. Pisa. Galdieri dott. Agostino. Via Stella 94. Napoli. Galli prof. cav. D. Ignafo, direttore dell’ Osservatorio fisico-meteorologico. Velletri. Gavaiieni dott. sac. Bernardino. Celana Bergamasco (Ber- Gemmellaro prof. comm. Gaetano Giorgio. Senatore del Re- gno. R. Università. Palermo. Giacomelli dott. Pietro. S. Giovanni Bianco (Bergamo). Gianotti dott. Giovanni. R. Scuola normale. Pavia. Gioii dott. Gino. Via Rondinelli io. Firenze. Goni ing. Giustiniano^ Cesena. ELENCO DEI SOCI IX 1892. 1885. 1886. 1881. 1881. 1883. 1889. 1884. 1891. 1882. 1896. 1881. 1896. 1895. 1882. 1899. 1895. 1886. 1894. 1896. 1892. 1881. 1881. 1883. 1899. 1890. 1895. 1897. 1899. 1895. 1895. 1895. 1889. 1887. 1890. 1897. Greco dott. Benedetto. R. Museo geologico. Pisa, no Gnalterio dott. march. Carlo. Bagnorea. Gualterio ing. march. Giambattista. Bagnorea. Issel prof. comm. Arturo. Via Gropallo 3. Genova. Jervis prof. cav. Guglielmo. Museo industriale. Torino. Lah sac. prof. Giuseppe. Via del Corallo 12. Roma. Lanino ing. comm. Giuseppe. Via Rizzoli 4. Bologna. Lattes ing. comm. Oreste. Via Nazionale 96. Roma. Lavalle ing. prof. Giuseppe. R. Università. Messina. Levi bar. Adolfo Scander. Piazza d’Azeglio 7. Firenze. Levi dott. Gustavo. Via Ginori 34. Firenze. 120 Lotti ing. Bernardino. R. Ufficio geologico. Roma. Lupi don Alessandro. Via dell’Anima 30. Roma. Liiij dott. march. Gian Francesco. S. Severino .(Marche). Malagoli prof. Mario. R. Ginnasio. S. Remo. Manasse dott. Ernesto. Museo mineralogico, R. Università. Pisa. Marengo ing. Paolo. Direttore miniere Boccheggiano (Gros- seto). Mariani prof. Ernesto. Museo civico. Milano. Marinelli prof. Olinto. R. Istituto tecnico. Ancona. Martone prof. Michele. R. Istituto tecnico. Reggio Calabria. Matteucci prof. Vittorio. Museo geologico della R. Uni- versità. Napoli. 130 Maiiuoli ing. comm. Lucio. Via. S. Susanna 9. Roma. Meli ing. prof. Romolo. Via del Teatro Valle 51. Roma. Mercalli prof. sac. Giuseppe. R. Liceo Vittorio Emanuele. Napoli. Merciai Giuseppe. Via della Faggiola 3. Pisa. Meichinelli dott. Luigi. Vicenza. Meiiena ing. Elvino. Viterbo. Millosevich dott. Federico. R. Università. Roma. Monticolo ing. Attilio. R. Uff. minerario. Carrara. Morandini ing. Bernardino. Massa Marittima (Grosseto). Morena ing. Tobia. Cantiano (Pesaro). 140 Moretti ing. Guido. Brembate di Sotto (Bergamo). Morirli prof. Fausto. Orto botanico, R. Università. Bologna. Moschetti ing. Claudio, Ufficio d’Arte. Saluzzo. Namias dott. Isacco. R. Università (Museo geologico). Mo- dena. Nelli dott. Bindó. Vìa. S. Bartolomeo 17 p. p. Firenze. X ELENCO DEI SOCI 1883. Neviani prof. Antonio. R. Liceo E. Q.. Visconti. Roma. 1881. Nicolis (De) ing. cav. Enrico. Corte Quaranta. Verona. 1888. Novarese ing. Vittorio. R. Ufficio geologico. Roma. 1881. Oinboni prof. comm. Giovanni. R. Università. Padova. 1899. Pampaioni dott. Luigi. Via delle Caldaie 3. Firenze. 1881. 150 Pantaneìli prof. cav. Dante. R. Università. Modena. 1881. Parona prof. Carlo Fahriijo. R. Museo geologico (Palazzo Carignano). Torino. 1892. Patroni dott. Carlo. Via Sacramento a Foria, Palazzo Schisa. Napoli. 1881. Pélagaud doct. Eliseo. 15 Q.uai de l’Archevéché. Lyon. 1881. Pellati ing. comm. Niccolò. Ispettorato delle Miniere. Via S. Susanna 9. Roma. 1899. Pelloux ten. Alberto. Comando corpo d’armata. Roma. 1893. Peola dott. Paolo. R. Liceo. Modica (Siracusa). 1891. Platania-Platania dott. prof. Gaetano. R. Liceo. Aci-Reale. 1899. Pompei ing. Augusto. R. Uff. minerario. Carrara. 1895. Porro ing. Cesare. Piazza Castello 24. Milano. 1898. 160 Portis prof. comm. Alessandro. R. Museo geologico uni- versitario. Roma. 1883. Ragnini dott. Romolo. Capitano medico. Via Venti Settem- bre 5. Roma. 1896. Rasetti prof. dott. Emilio. Istituto agrario Vegni. Barullo (Arezzo). 1896. Ricciardelli dott. Mario. Sansevero (Foggia). 1886. Ricciardi prof. Leonardo. R. Istituto nautico. Catania. 1894. Ridoni ing. Ercole. Miniera di Montecatini in Val di Cecina. 1885. Ristori dott. prof. Giuseppe. R. Museo paleontologico (Piazza S. Marco). Firenze. 1892. Riva dott. Carlo. Corso Magenta 52. Milano. 1883. Riva Palaiii tenente generale Giovanni, comandante la di- visione. Ravenna. 1898. Roccati dott. Alessandro. R. Museo geologico (Palazzo Ca- rignano). Torino. 1890. 170 Roncalli dott. conte Alessandro. Bergamo (alta Città). 1893. Rossi dott. Guido. Via del Colosseo 29. Roma. 1892. Rovereto march. Gaetano. Via Caffaro 25. Genova. 1899. Roux ing. Alberto. R. Se. appi. ing. Castello Valentino. Torino. 1892. Rusconi sac. Giuseppe. Valmadrera (provincia di Como). 1885. Sacco prof. Federico. R. Museo geologico (Palazzo Cari- gnano). Torino.- F.LENCO DEI SOCI XI i88i. 1895. 1898. 1890. 1881. 1898. 1885. 1895. 1881. 1894. 1899. 1883. 1881. 1882. 1883. 1882. 1896. 1882. 1891. 1882. 1898. 1896. 1881. 1891. 1883. 1881. 1881. 1889. 1881. 1898. 1883. 1890. Salmojraghi ing. Francesco. Piazza Castello 17. Milano. Salomon doct. Wilhelm. Landhausstr. 23 b. Heidelberg (Baden). Sameugo avv. Frane. Saverio. Lungro (Cosenza). Scacchi ing. prof. Eugenio. Via Costantinopoli 19. Napoli. 180 Scarahelli Gommi Flamini conte comm. Giuseppe. Senatore del Regno. Imola. Schaffer doct. Frani. Rasumofskygasse n° 7. Vienna III 2 (Austria). Schneider ing. Aroldo. Montecatini in Val di Cecina. Scott Herbert. Usina Wigg. Miguel Burnier. Minas. Brasile. Segrè ing. Claudio. Direzione ferrovie meridionali. An- cona. Sella ing. Erminio. Biella. Serafini ing. cav. Giuseppe. Scheggia (Perugia). Simonelli dott. prof. Vittorio. R. Museo geologico. Parma. Simoni dott. Luigi. Via Cavaliera 9. Bologna. Sormani ing. cav. Claudio. R. Ufficio geologico. Roma. 190 Speranfini prof. Nicola. Arcevia (Ancona). Spella prof. cav. Giorgio. R. Museo mineralogico (Palazzo Carignano). Torino. Spirek ing. Vincenip. Santa Fiora per il Siele (Grosseto). Statuti ing. cav. Augusto. Via Nazionale 114. Roma. Stella ing. Augusto. R. Ufficio geologico. Roma. Strùver prof. comm. Giovanni. R. Università. Roma. Tacconi dott. Emilio. R. Museo geologico, Università. Pavia. Tagiuri Clemente Corrado. Via Roma 34. Livorno. Taramelli prof. cav. Torquato. R. Università. Pavia. Taschero dott. Federico. Mondovi. 200 Teliini dott. prof. Achille. R. Istituto tecnico. Udine. Tenore ing. prof. Gaetano. Via S. Gregorio Armeno 41. Napoli. Tittoni avv. comm. Tommaso. Via Rasella 155. Roma. Tolda dott. Giovanni. Imola. Tommasi proL Annibaie. R. Università. Pavia. Tonini dott. Lorenip. Presso l’agenzia agricola versiliese. Seravezza Querceta. Toso ing. Pietro. Via de’ Serragli 13. Firenze. Trabucco Prof. Giacomo. R. Istituto tecnico Galileo Galilei. Firenze. Tuccimei prof. cav. Giuseppe. Via dei Prefetti 46. Roma. 1882. Xll ELENCO DELLE SOCIETÀ, ISTITUTI, BIBLIOTECHE, ECC. 1896. Ugolini dott. Pietro Riccardo (Casa Castelli). Bagni di S. Giuliano (Pisa). 1893. 210 Ubidii Guido. Piazza d’Azeglio 26. Firenze. 1881. prof. Gustavo. Via della Colonna 9. Firenze. 1882. Verri colonnello cav. Antonio. Via Aureliana 55. Roma. 1898. Viglino ing. Alberto. R. Museo geologico (Palazzo Cari- gnano). Torino. 1893. Vinassa de Regny dott. Paolo Eugenio. Museo geologico, R. Università. Bologna. 1882. Virgilio dott. Francesco. R. Museo di geologia (palazzo Carignano). Torino. 1897. Vitalini prof. Francesco. Piazza della Pilotta i A. Roma. 1883. Zaccagna ing. cav. Domenico. R. Corpo delle Miniere. Carrara. 1881. 218 Zeli ing. cav. Pietro. R. Ufficio geologico. Roma. Elenco delle Società, Istituti, Bblioteche, ecc. che ricevono il BoUetiino in cambio. Italia. Catania. — Accademia {R.) Gioenia di scienie, lettere, tee. Roma. — Accademia {R.) dei Lincei. » — Comitato (R.) geologico. » — Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. » — Società geografica italiana. » — Società Ingegneri ed Architetti. Austria-U n gheria. Royal Institut géologique de Hongrie. Académie des scienees. Maggy arorsggi Karpategyesulet. K. k. geoio gische Reichsanstalt. K. k. Naturhistorisches Hofmuseum. Belgio. Bruxelles. — Société Royale malacologique de Belgique. a _ Société Belge de Géologie, de Paléontologie et d’Hydrologie. Liége — Société géologique de Belgique. Budapest. — Cracovia. — Lòcse. — Wien. — ELENCO DELLE SOCIETÀ, ISTITUTI, BIBLIOTECHE, ECC. XIII Francia. Bordeaux. Caen. Havre. Paris. — Société Linnéenne. — Laboratoire de Géol. de la Faciilté des Sciences. — Société géologique de Normandie. — Société de Spéléologie. » — Société géologique de France. Germania. Berlin. — Deutsche geologische Gesellschaft. » — K. k. geologischen Landesanstalt und Bergahademie. Bonn am Rhein. — Naturhistorischen Ferein d. preuss. Rheinlande iind Westfalens. Freiburg (Baden). — Naturforschende Gesellschaft. Gran Brettagna. Dublino (Irlanda). — Royal Dubìin Society. Edinbourgh. — Geological Society (^Journal and Transactions). London. — Geologica! Society. Portogallo. Lisbona. - — Direction des Travaux géologiques. Rumenia. Bukarest. — Bureau géologique roumain. Russia. Novo-Alexandria (Lublin) . — Annuaire géologicjiie et minéralogique de la Russie. St. Pétersbourg — Coinité géologiqiie. » — Société Impériale minéralogique. » — Société des naturalistes. Svezia e Norvegia. Stockolm. — Geologiska Foreningens i Stockolin Fórhaìilingar Upsala — Université Royale. XIV ELENCO DELLE SOCIETÀ, ISTITUTI, BIBLIOTECHE ECC. Africa. Cape Town. — Geological Commission. Departement of Agricolture Cape of Good Hope. America. Buenos-Ayres (Rep. Argentina). — Instituto geogràfico argentino. La Piata (id.). — Museo de la Piata. Baltimore (Maryland). — Geological Survey. Montevideo (Uraguay). — Museo Nacional de Montevideo. Montréal (Canada). — Contrihutions to Canadian Palaeontology. Para (Brasile). — Museu Paraense de Histoira Naturai et Ethnographia. Rochester (New-York). — Geological Society of America. Wisconsin (U. S. A.). — University of Wisconsin. Washington (U. S. A.). — Geological Society. » » — United States geological Survey. Asia. Calcutta. — Geological Society of India. Australia. Melbourne. » Sydney. — Geological Society of Australasian. — Institut of mining Engineers Eingineers of Australasian. — Geological Survey of New South Wales. EESOCONTO DELL’ADUNANZA INVEKNALE TENUTA DALLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA IN PISA IL 26 FEBBRAJO 1899. Presidenza Canavari. La seduta ha luogo al Museo Geologico della R. Università di Pisa. Sono presenti il presidente Canavari, il vice-presidente Pel- lati, i consiglieri De Stefani e Fucini, i soci Arcangeli, Biagi, Carmignani, D’Achiardi a., D’Achiardi G., Pantanelli, Ri- doni, Stella, Toso, Ugolini, Yinassa De Regny, l’economo Sta- tuti, il segretario Neviani, ed il vice-segretario Greco. Scusano l’ assenza i soci : Baldacci, Bassani, Botti, Bru- GNATELLI, CAPELLINI, CLERICI, COCCHI, DaL PiAZ, De AnGELIS, De Lorenzo, Dervieox, Pornasini, Issel, Lotti, Lupi, Luzj, Meli, Millosevich, Morena, Omboni, Portis, Riva, Sacco, SoRMANi, Taramelli, Verri, Vitalini, Zezi. Il Presidente comunica all’ assemblea come il Consiglio abbia nominato a vice-segretario per il corrente anno, il socio Greco B. in sostituzione del socio Namias I. scaduto col 31 di- cembre scorso. Si dànno per letti i verbali delle sedute tenute in Lagonegro (Boll. voi. XVII, pag. XCY-CXLI) e dell' adunanza straordinaria tenuta in Roma il 27 novembre ’98, (Boll. voi. XVII, pag. CL-CLII), che senza osservazioni vengono approvati all’ unanimità. Il Presidente compie l’ingrato dovere di annunciare la morte di due soci, avvenuta dopo l’ ultima adunanza, e cioè quella del comm. M. S. De Rossi, avvenuta in Rocca di Papa il 23 otto- bre 1898, e quella del conte dott. Gilberto Melzi avvenuta in XVI RESOCONTO dell’adunanza INVERNALE Genova il 10 febbraio 1899; la commemorazione di questi due soci si farà nella adunanza estiva di quest’anno. Il Presidente comunica con dispiacere le dimissioni del socio ing. Sabatini, avvertendo come la Presidenza abbia fatto passi opportuni per ottenere che P egregio ing. desistesse dalla presa determinazione, e come esso abbia creduto opportuno d in- sistervi. L’assemblea ne accetta pertanto le dimissioni. Il Presidente presenta i seguenti nuovi soci, la nomina dei quali viene approvata dall’Assemblea. Anselmo ing. Michele, capo ufficio del distretto minerario di Carrara; proposto dai soci Toso e G. d’Achiardi; Del Zanna Pietro di Poggibonsi; proposto dai soci Fucini e Greco; Fino Carlo di Milano; proposto dai soci Fino Y. e Neviani; Manasse dott. Ernesto, assistente al museo di Mineralogia della R. Università di Pisa; proposto dai soci A. e G. D’Acbiardi; Merciai Giuseppe di Pisa; proposto dai soci Fucini e Greco; Monticolo Attilio, aiutante ing. del R. Ufficio Minerario di Carrara; proposto dai soci Toso e G. D’Achiardi; Pasquali cav. Alfred, Segretario al Daira Sanieh di S. Al- tezza il Kedive, Cairo; proposto dai soci Fucini e Vinassa; Pompei ing. Augusto, dell’ ufficio minerario di Carrara ; pro- posto dai soci Toso e G. d’ Achiardi; Roux ing. Alberto, assistente al gabinetto di geologia della R. Scuola d’ applic. degli ing. di Torino ; proposto dai soci Sacco e Bonarelli; Serafini ing. cav. Giuseppe, di Scheggia (Umbria) ; pro- posto dai soci Morena e Fucini. I nuovi soci : Anseimi, Monticolo, Pompei e Del Zanna pren- dono parte alla adunanza. II Presidente, a tenore dell’ art. 2 del nuovo regolamento, riferisce come sieno pervenute alla Società le seguenti quattro do- mande di cambio : Bulletin of thè Buffalo society of naturai Sciences. The geo- logy of eichteen mile creek; Maryland Geological Survey (Baltimora) ; The Kansas University Quarterly; Transactions of thè Meriden Scientific association. TENUTA DALLA SOC. GEOL. ITAL. IN PISA NEL FEBBRAIO 1899 XVII Il Consiglio, esaminate le pubblicazioni inviate in saggio, attenendosi alle disposizioni stabilite nel regolamento, propone alla Società r accettazione del cambio solamente col « Maryland Geolo- gica! Survey (Baltimora) ». L’ assemblea senza osservazioni approva. Il Segretario presenta gli omaggi pervenuti alla Società dal 1° ottobre 1898 a tutt’oggi; e cioè: Cacciamali G. Battista; Appennino Umbro-Marchigiano e prealpe lom- barda. Brescia 1898. De Pretto Olinto: L'epoca glaciale e la teoria orografica. Torino 1898. De Eiaz a.: Description des ammonites des couches a P eltoceras Trans- versarium (Oxfordien superieur) de Trepet (Isère). Paris 1898. Dervalque G. : Les fossiles du Boìderherg et les fossiles boldériens, Ann' Soc. Geol. de Belg., t. XXV. Meli Eomolo: Ancora poche parole sugli esemplari di Neptunea sinistrorsa. Modena 1898. Millosevich Federico : Zolfo ed altri minerali delle miniere di Malfidano presso Buggerru (Sardegna). Eoraa 1898. Morgan J. Clements : A study of some examples of Bock variation. Chi- cago 1898. Pennisi Mauro : Coscienza e creazione. Acireale 1898. Spirek Vincenzo: L'industria del mercurio in Italia. Eoma 1898. Viglino Alberto; Introduzione allo studio sui ghiacciai delle Alpi Ma- rittime. Torino 1898. Il Presidente informa che il Consiglio si è occupato del coor- dinamento del Regolamento approvato nella precedente assemblea di Lagonegro con lo Statuto primitivo della Società; come pure si è occupato di alcune varianti al Regolamento per il premio Molon; questi due Regolamenti verranno sottoposti alla approva- zione dell’ assemblea nella adunanza estiva di quest’ anno. Il Re- golamento speciale per le pubblicazioni e alcune disposizioni varie, essendo per voto della medesima assemblea rimessi al Consiglio, ed il Consiglio avendoli approvati, avranno immediata applicazione ; questo regolamento e queste disposizioni verranno pubblicate nella copertina del Bollettino ; frattanto rammenta le seguenti due dispo- sizioni. K Art. 17. Regolamento pubblicazioni: Gli estratti che spettano « agli autori avranno frontespizio e copertina stampata se la me- li moria raggiungerà un foglio di stampa, altrimenti avranno coper- li tina semplice. Il XVIII RESOCONTO dell’adunanza INVERNALE » Comma a). Disposizioni varie : Le memorie che ciascun socio « potrà inserire nello stesso volume del Bollettino non dovranno coni- li plessivamente superare i quattro fogli di stampa » . Per il concorso della Società alle spese per le illustrazioni delle memorie, il Consiglio ha approvato la seguente proposta della Presidenza. Sino alla concorrenza della somma di L. 550 stanziata in bi- lancio, la Società rimborserà il 50 “/o della spesa delle tavole, e delle figure intercalate nel testo, riserbandosi di decidere caso per caso, qualora venissero presentate delle carte geologiche. A fine d anno se la somma stanziata non sarà esaurita, la somma residua verrà di- visa fra gli autori proporzionalmente alla spesa da essi sostenuta. Il numero delle tavole sussidiate dalla Società non saranno più di due; quando le tavole mancano, oppure la memoria avrà una sola tavola, il sussidio viene esteso nella stessa proporzione anche alle* figure intercalate sino alla concorrenza del prezzo medio di due tavole. Il Presidente presenta i bilanci consuntivi della Società e deir Amministrazione del premio Molon , già approvati dal Consiglio. Questi bilanci, con tutti i documenti allegati, sono a dispo- sizione dei soci, e verranno consegnati ai Commissari del bilancio che oggi stesso in fine della seduta verranno eletti dall assemblea a termine dell' art. 10 del nuovo Regolamento generale, saranno poi sottoposti alla approvazione dell’ assemblea nell’ adunanza estiva di quest’ anno. I risultati di detti bilanci consuntivi sono i seguenti. Bilancio consuntivo della Società. Entrate dal 1° gennaio al 31 dicembre 1898 L- 4739,02 Spese id. id id ’> 3409,82 Risparmio in ... . L. 1329,20 Somma capitalizzata « 258,55 Residuo L. 1070,65 » 3307,56 Cassa al 1° gennaio 1898 Eccedenza attiva al 1° gennaio 1899 L. 4378,21 TENUTA DALLA SOC. GEOL. ITAL. IN PISA NEL FEBBRAIO 1899 XIX Bilancio consuntivo dell’amministrazione del legato Molon. Totale attivo al 31 dicembre 1898 L, 1765,17 id. passivo id. id n 1372,96 Eccedenza attiva disponibile al 1° gennaio 1899 L. 392,21 Bilancio preventivo della Società. Eairate. Spese. LIRE LIRE 1. Tasse sociali 3200 — 1. Stampa del Bollettino. . 2750 — 2. Interessi legato Molon . . 340 — 2. Contribuzione per tavo- 3. Rendita consolidata . . . 404 — le ecc 550 — 4. Interessi su libretti di ri- 3. Spese del Presidente . . 50 — 4. Spese d’Ufficio del Segre- sparmio 150 — tarlo ed Economo. . . 250 — 5. Vendita bollettini .... 150 — 5. Spese di cancelleria. . . 80 — 6. Tassa di manomorta . . ■27,42 7. Rimborso spese viaggi al Segretario ed Economo 140 - 8. Per un ajuto alT Eco- nomo . . 80 - 9. Per un ajuto straordina- rio al Segretario . . . 50 — 10. Spese diverse 266,58 Totale entrate L. 4244 — Totale spese L. 4244 — Dopo alcune osservazioni del socio D’Achiardi Ant. circa l’op- portunità di presentare i bilanci preventivi nella adunanza estiva ; ed osservazioni dello stesso prof. d’AcHiARoi Ant., e dei soci Pan- TANELLi e De Stefani, circa la spesa per la stampa del Boll, ri- tenuta eccessiva, e con raccomandazione alla Presidenza di procu- rare, col nuovo contratto da stipularsi con una Tipografìa, di ottenere notevoli vantaggi, il sopra riportato bilancio preventivo per il cor- rente anno 1899 viene approvato alla unanimità. XX RESOCONTO dell’adunanza INVERNALE Bilancio preventivo dell’amministrazione del legato Molon. Entrate. Spese. LIRE I LIRE 1. Cassa al 1° gennaio 1899. 392,21 j| Tassa di manomorta 32 — 2. Importo V» rendita. . . G80 — i 3. Interessi Cassa di risparmio 12,50 : Totale spese Ij Avanzo a pareggio 1052,71 Totale entrate L. 1084,71 i] Totale L. 1084,71 Il Il Presidente avverte che in Consiglio si è discussa sulla convenienza di togliere dal bilancio la somma di L. 12,50 li- cavata da interessi sui libretti di risparmio, e come il Consiglio abbia dato incarico alla Presidenza di informarsi da altre Società ed Accademie, che abbiano legati ed obblighi consimili, come usino impiegare quelle somme; se le informazioni assunte fossero con- trarie alla forma presentemente data ai bilanci dell’ Amministra- zione Molon, essi verranno analogamente moditìcati. Con questa intesa il bilancio preventivo dell’ Amministrazione del legato Molon pel 1899 viene dall’assemblea approvato all’unanimità. In correlazione al bilancio preventivo spese per la Società, il Presidente, comunicato all’ Assemblea come il Consiglio abbia ac- colto favorevolmente ima proposta del vice-presidente comm. Pel- lati, circa il concorso della Società all’ Esposizione internazionale di Parigi per il 1900, dà la parola al vice-presidente perchè svolga la sua proposta. Il Vice-Presidente, affermata la convenienza che la Società concorra alla Esposizione internazionale di Parigi per il 1900, nota come sarebbe troppo poca cosa l’intervento colla sola serie dei Bollettini, e quindi convenga trovare il modo di presentare del materiale che serva a far conoscere le rarità geologiche e pa- leontologiche conservate nei Musei pubblici e privati d Italia. Una esposizione di tal genere difficilmente potrebbe essere tentata da un privato o da un direttore di un Museo governativo ; la So- TENUTA. DELLA SOC. GLOL. ITAL. IN PISA NEL FEBBRAIO 1890 XXI cietà Geologica, che raccoglie nel suo seno la massima parte dei direttori dei musei pubblici e privati, e dei cultori della geologia, lo potrà fare; onde ha presentato al Consiglio, ed ora presenta all’ Assemblea questa concreta proposta. La Società Geologica Italiana prenderà parte all’ Esposizione di Parigi, non solo presentando le proprie pubblicazioni, ma anche con lo scopo di mettere in evidenza e far risaltare il valore delle più notevoli fra le ricchezze geologiche e paleontologiche adunate nelle collezioni italiane dello Stato e di privati, ed invogliare, pel bene della scienza, italiani e stranieri a visitarle ed ammirarle. Metodo : Si dovrebbero dare dei cenni storici e descrittivi degli esemplari o delle raccolte che si vogliono illustrare o porre in rilievo ; nonché le indicazioni bibliografiche relative. L’ illustra- zione potrà contenere anche qualche riproduzione fotografica. — Esecutori : I direttori, i conservatori o i possessori delle collezioni dovrebbero incaricarsi della esecuzione della rispettiva parte di lavoro ed il Presidente della Società Geologica, oppure una Commissione eletta dal Consiglio o dalla Società dovrebbe poi riunire i vari lavori parziali, ordinarli e formare il lavoro d’ insieme da presen- tarsi all’ Esposizione. Il Vice-Presidente aggiunge di essere persuaso che il Governo sussidierebbe per la spesa di questo concorso. Dopo osservazioni e considerazioni diverse dei soci Ant. D’Achiardi, De Stefani, Pantanelli, e del Presidente, l’as- semblea approva alTunanimità : 1° la massima di concorrere all’ Esposizione ; 2“ che la proposta Pellati abbia esecuzione soltanto se si avrà un adeguato sussidio dal Governo; 3° che il lavoro di coordinamento sia affidato ad una Commissione ; 4® che la Commissione sia nominata dal Presidente della Società. Comunicazioni scientifiche. Il Segretario legge i seguenti titoli delle memorie e note presentate per la pubblicazione nel Bollettino. 1. Meli R., Sul Pecten Ponzi Meli; nota presentata nello scorso anno. 2. Nelli B., / fossili titanici del M. Judica nella provincia di Catania. XXU RESOCONTO DELL’aDONANZA INVERNALE 3. De Stefani C., Come V età dei graniti si debba determinare con criteri geologici. I graniti di Calabria e dall'Elba. 4. Di Stefano G., Un nuovo lembo conchiglifero di Reggio Calabria. 5. PoRTis A , Avanzi di Tragulidi oligocenici nell' Italia settentrionale. 6. Franco P., Se il cono del Vesuvio esistesse prima del 79. 7. Peola P., Fiorala messiniana di Monte Castello d' Alessandria. 8. ViNASSA De Regny P. E., Studi geologici sulle roccie dell' Appennino Bolognese. — I. Le roccie dei dintorni di Gaggio Montano. 9. De Angelis d’Ossat G., Il genere Heliolites del Devoniano delle Alpi Carniche italiane. 10. Di Stefano G., Appunti sopra alcuni lembi dei terreni post-terziari di Reggio Calabria. 11. Peola P., Flora messiniana di Guarena e dintorni. 12. De Angelis d’Ossat G. e Luzj G. F., Altri fossili dello Schlier delle Marche. 13. Clerici E., Sui recenti scavi per il nuovo ponte di Ripetta in Roma. 14. Dervieux e., Foraminiferi terziari del Piemonte e specialmente sul gen. Polimorphina d’Orb. 15. Nelli B., Il Raibl. dei dintorni di M. ludica (Catania). 16. Pampaloni L., Sopra alcuni tronchi silicizzati dell' Impruneta (prov. di Firenze). 17. Ugolini E., Breve contributo alla conoscenza di molluschi continentali fossili nella Terra Rossa di Agnano nel Monte Pisano. Il socio De Stefani udito che fra le note presentate alla Società ve ne è una del prof. Franco sulla questione della pre- senza del cono vesuviano prima del 79 d. C., fa alcune osserva- zioni in appoggio alla tesi sostenuta dal De Lorenzo. Il socio Greco riassume un suo studio sulla presenza del Dogger inferiore al monte Foraporta presso Lagonegro (questa nota verrà pubblicata nel prossimo fascicolo). Il socio Stella dà una notizia riguardante un Rilievo plastico dell’ anfiteatro Morenico del lago di Garda, da lui geo- logicamente colorito secondo i recenti rilevamenti e dettagli, ed esposto alla Mostra Nazionale di Torino fra il materiale del R. Ufficio Geologico. Questo rilievo fu modellato maestrevolmente nella scala di 1 : 25,000 per le distanze, e di 1 : 10,000 per le altezze, dal sig. Domenico Locchi di Torino, il quale, colla autorizzazione della Direzione del servizio geologico, s’ incarica di fornirne esem- plari a quegli istituti o privati cui interessi la rappresentazione topografica e geologica di questa classica regione. Dovendo questa, insieme colla pianura circostante, esser prossimamente oggetto di NENUTA DALLA SOC. GEOL. ITAL. IN PISA NEL FEBBRAIO 1899 XXIII speciale memoria descrittiva, il consocio si limita a trascrivere il quadro dei terreni rappresentati nel plastico. Quaternario RECENTE {alluvium) Quaternario ANTICO (diluvium) Alluvioni fluviali, torrenziali e palustri; greti di spiaggie. Torbiere coltivate. Dune continentali. Morenico principale (in parte coperto da detriti di dilavamento nelle depressioni). Alluvioni terrazzate, e formazioni fluvio-glaciali intermoreniche. Formazioni della « scarpata di transizione » fra il morenico principale e le esterne alluvioni terrazzate. Morenico e fluvio-glaciale e- sterno (rispetto all’ anfitea- tro principale). Alluvioni soprelevate. Fluvio-glaciale sottostante al morenico principale. Terreni di trasporto più anti- chi, in parto a facies glaciali. (pliocene in parte?). in parte cementati. in gran parte cementati e .... tizzati. Koccie in posto terziarie e secondarie. Il Presidente presenta lettere dei soci Cocchi e Luzj ed un telegramma del Sindaco di Camerino (') circa l’adunanza estiva di quest’ anno. Fa notare quali sieno le possibilità di seguire uno od altro itinerario per le escursioni ecc. Dopo discussione alla quale presero parte alcuni soci, 1’ assemblea approva la proposta fatta dal socio Pantanelli, e cioè di affidare alla Presidenza di stabilire le modalità delle escursioni, il luogo per le adunanze, ed il tempo secondo le consuetudini, rimanendo però fissato che dette adunanze ed escm-sioni si faranno nelle Marche ; delibera uno spe- ciale ringraziamento a quei soci e a quelle autorità che hanno fatto pervenire alla Società le loro premure. {>) Giunse alla Presidenza, in ritardo, anche un telegramma del Sin- daco di Ascoli. XXIV EESOCOr^TO dell’adunanza INVERNAi^E A termini dell' art. 10 del Eegolamento generale si passa alla elezione dei commissari perla revisione del Bilancio. Fungono da scrutatori i soci Del Zanna ed Ugolini. Il Presidente pro- clama il seguente risultato: Votanti 20. — Eletti: Verri (20), Bagnini (11), Cermenati (10); ebbero maggiori voti i soci Aichino e Tdccimei. Il Presidente chiede ai presenti, se al dimani qualche socio intenda fare una od altra delle escursioni indicate nella circolare d’ invito. A proposta del socio Ne vi ani, si delibera di visitare il clas- sico giacimento concbiglifero di Vallebiaja. Il Presidente fa noto come l’ onorevole Sindaco avendo sa- puto della nostra riunione, ha disposto perchè i convenuti possano avere il libero ingresso in tutti i monumenti e musei cittadini. L'assemblea perciò esprime unanimamente i suoi ringraziamenti verso il Sindaco di Pisa; ed eguali ringraziamenti vengono espressi all’ ili. sig. Kettore, il quale permise che V adunanza avesse luogo in questo Museo geologico, dipendenza dell’ Università. Alle ore 17,30 il Presidente scioglie la seduta. Lunedì 27 febbraio. — Escursione a Vallebiaja. Prendono parte alla escursione il Presidente, il Segretario, r Economo ed i soci Del Zanna, Fucini, Greco, Ugolini e Vi- NASSA DE Eegny. Scesi alla stazione di Colle Salvetti, i soci si re- carono direttamente al giacimento classico, ove si fece copiosa rac- colta di fossili, evocando la memoria dei dott. A. Manzoni, che tanto magistralmente illustrò quella località. L’ esame dei fossili, convinse i presenti della contemporaneità di questa formazione con M. Mario, Ficarazzi, S. Maria di Catan- zaro, Galatina in Terra d’Otranto, e tanti altri depositi a Càprina islandica, piccole pi eurotome ecc., e quindi si debba riferire ad epoca più recente dell’ Astiano tipico, sia essa compresa, come vo- gliono alcuni, neH’ultimo limite del pliocene, o, come vogliono altri, sia portata prima nella serie delle formazioni postplioceniche. Il Segretario A. Neviani. EESOCONTO DELL’ADUNANZA ESTIVA TENUTA DALLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA IN Ascoli-Piceno nel settembre 1899. Seduta inaugurale del IO settembre 1899 in Ascoli-Piceno. Alle ore 10.30 in ima sala del palazzo comunale, gentilmente concessa dal Municipio, si inaugurano le adunanze della Società Geologica Italiana. Presidenza Canavari. Sono presenti il presidente Canavari, il vice-presidente Pel- lati, i consiglieri De Stefani, Eucini, Taramelli, i soci Bona- RELLI, BrUGNATELLI, CARDINALI, CoCCHI, De FeRRARI, DeL Zanna, Di Rovasenda, Di Stefano, Merciai, Morena, Parona, Sacco, Tommasi, Verri, Vinassa de Regny, l’economo Statuti ed il vice-segretario De Angelis d’Ossat che funziona da se- gretario. Scusano la loro assenza ed aderiscono al Congresso con lettere e telegrammi i soci: Baldacci, Baratta, Bassani, Biagi, Bom- Bicci, Botti, Cacciamali, Capellini, Cermenati, Cortese, De Lorenzo, De Stefano, Eornasini, Flores, Greco, Issel, Lupi, Mariani, Matteucci, Mazzuoli, Neviani, Pantanelli, Pla- tania, Portis, Riva, Ristori, Rosselli, Scarabelli, Zezi. Alla seduta pubblica assistono il sindaco cav. avv. Cesare Cesari, il sig. Prefetto della provincia, i signori Mascarini, Tranquilli, il sig. Pompeo Moderni invitati dalla Presidenza, e numerosi cittadini. HI fi' fi ' i lì- r III K f: ’f-' I'. j^^yj resoconto dell’adunanza, generale estiva Il Presidente pronunzia il seguente discorso: u Nell’adunanza invernale che ebbe luogo a Pisa il 26 febbraio di quest’anno, i miei colleglli, facendo verso di me, marchigiano, atto di somma cortesia, e per il quale non avrò mai parole ade- guate per esprimer loro la mia gratitudine, deliberarono che la no- stra riunione estiva dovesse aver luogo nelle Marche, lasciandomi arbitro della scelta della città e regione da visitare. La qual cosa però, dico il vero, se da una parte tanto mi rallegrava, mi poneva anche subito in serio imbarazzo perchè e Camerino, dov’ io son nato e cresciuto, centro già delle mie prime escursioni geologiche e città a me oltremodo cara, e la vicina Sanseverino, l’antica Settempeda, tante volte da me visitata, e questa nobilissima città di Ascoli, di cui serbo grati ricordi, avevano, quasi contemporaneamente, espresso il desiderio di ospitarci. u Devo dire candidamente, e spero mi si vorrà perdonare la franchezza, che la scelta di Ascoli, dopo molte perplessità, non dipese solo nell’animo mio, dal così cortese invito che volle indi- rizzarmi il ch."’° avv. Cesari in nome della città che con tanto plauso rappresenta, e dalle premure di un mio dolce ^ amico e collega, prof. Igino Cocchi, che qui ha un antico e carissimo com- pagno di scuola, ma, e sopra tutto, dalla memoria sempre viva nel Mi^seo geologico pisano, e nelle scienze naturali, di un uomo che m Ascoli ebbe i natali e che tanto contribuì per la geologia di queste reo-ioni e di tutto l’Appennino centrale. « Io, marchigiano, pensavo che mentre l’uniformità geologica delle nostre terre lambite dall'Adriatico e intersecate o chiuse dal- r Appennino, rendeva indifferente, o quasi, la preferenza di un posto ad un altro, sentivo però che occasione più propizia della attuale noq sarebbesi a me forse mai più presentata per invitare i colleghi d’Italia a qui riunirsi affine di tributare l’universale omaggio che i geoloo-i sentono verso il naturalista ed il geologo insigne, marchigiano e precisamente ascolano, Antonio Orsini. Non è certo opportuno tessei di lui la biografìa oggi e nella città dov’ egli è così ben conosciuto e dove si è voluto intitolare dal suo nome la R. Scuola pratica di agri- coltura, e dove, infine, nel Museo che da lui trae nome, ha lasciato tracce indistruttibili della sua attività e del suo sapere. Non voglio però esimermi dal ricordare che i lavori geologici pubblicati da Antonio Orsini sono sempre associati ad un altro nome, pur ques o TENUTA. IN ASCOLI-PICENO NEL SETTEMBRE 1899 XXVII marchigiano, a quello di Alessandro Spada di Monte Polesco. Questi due naturalisti procedendo sempre uniti e d’accordo, che le amicizie contratte nella scienza e nella comunanza di studi e di ricerche, son sempre le più salde e le più durature — quando, bene inteso, la bontà deH’animo è pari, se non superiore, all’ ingegno e alla reci- proca stima — furono i primi a gettare le fondamenta sicure per la geologia dell’ Italia centrale, sulle quali dovevano poggiare tutti quanti quelli, italiani e stranieri, che vollero poi innalzare i loro edifizi. Essi fecero innumerevoli peregrinazioni, confortati dal fuoco sacro della scienza, per questi colli pingui di olivi, ricchi di messe e rigogliosi di gelsi, per queste montagne or nude, brulle e selvagge come le Alpi dolomitiche del Tirolo e sulle cui cime fiorisce l’ Edel- weis, simbolo di candidezza delle alture nevose, or ricoperte di prati odorosi dove quieti pascolano gli armenti, qua condotti ad estatare dall’arsa maremma, or ricoperte da secolari faggete gareggianti per bellezza con quelle di Basilicata, dove pur troppo gl’ iddii sacri e tutelari del bosco sempre più devono retrocedere dinnanzi all’ impre- vidente mano devastatrice dell’uomo. K Antonio Orsini, entrato in relazione scientifica con quasi tutti i naturalisti d’ Italia suoi contemporanei e con parecchi stranieri, di tutti divenne ben presto amico amato e ricercato. Raccoglitore abilissimo di piante, d’ insetti, di molluschi viventi e di fossili, arricchì più di un museo e fece conoscere ai dotti le ricchezze naturali non solo della sua terra picena e di tutto l’ Appennino marchigiano, ma pur anco quelle del vicino Abruzzo. « Interessanti, e forse poco note, sono le relazioni ch'egli ebbe con un sommo geologo, divenuto poi professore a Pisa e morto glo- riosamente a Curtatone e Montanara nel 29 maggio 1848, quale capitano di una compagnia di studenti nel leggendario battaglione universitario. « Tali relazioni cominciarono verso il settembre 1833, quando Leopoldo Pilla si recava a visitare e studiare l’Abruzzo teramano. Da un foglio volante, senza indirizzo però e con la data 21 otto- bre 1833, di pugno dell’ Orsini, conservato nella Biblioteca della Università pisana tra i manoscritti pilliani, noi apprendiamo che nei giorni 19 e 20 dello stesso mese di ottobre il Pilla si trovava in Ascoli. pag. XV-359, XII-437, con 10 tavole e 23 figure nel testo. « Proposition sur la météorologie endogène. — Association Franpaise pour l’avancement des Sciences. Congrès d’Alger 1881, séance du 16 avril 1881. Paris, 1881, in-8“, pag. 4. « Intorno all’odierna fase dei terremoti in Italia e segnatamente sul terremoto in Casamicciola del 4 marzo 1881 ». (Boll. Soc. Geogr. It., 1881, n. 5). « Gli odierni studi italiani di Meteorologia Endogena nel suolo bolo- gnese ». (C. A. I., sez. di Bologna. L’Appennino bolognese, descrizioni e iti- nerari, pag. 91-100). Bologna, 1881, in-16°. « Intorno aU’odierna fase dei terremoti in Italia e segnatamente sul territorio di Casamicciola del 4 marzo 1881 ». Conferenza letta nell’adunanza del 3 aprile 1881 della Società Geografica Italiana. (Boll. Soc. Geogr. Ita!., Eoma, 1881, n. 5, in-8°, di pag. 25, con due tavole). « Istruzioni per la meteorologia endogena ». (Istruzioni scientifiche pei viaggiatori, raccolte dal prof. A. Issel. Eoma, 1881, in-8°, pag. 10). « Sismografo a curve continue ». (Eivista scientifico-industriale, anno XIV, n. 7, del 15 aprile. Firenze, 1882, pag. 153-156). « Carta sismica ed endodinamica d’Italia ed Archivio per la storia dei fenomeni endogeni ». Conferenza tenuta alla Società Geografica il giorno 12 febbraio 1882 (Boll, della Soc. Geogr. It. Eoma, febbraio 1882,in-8°, pag. 18). XXXIV RESOCO^TO dell’adunanza GENERALE ESTIVA ricordare due pubblicazioni in proposito riguardanti le Marche, una dal titolo: Collezione d’armi in pietra nel Museo di Ripatran- sone (>), e l’altra: Armi silicee in Oppignano presso Macerata . La versatilità dell’ingegno, l’attività scientifica di Michele Stefano de Rossi, e la stima ond’era circondato, si appalesano dai numerosi incarichi avuti, dalle 267 sue pubblicazioni, dai premi .Sul terremoto di Casamicciola .. Quattro relazioni dell’Osservatom Archivio Centrale Geodinamico presso il R. Comitato S E il Ministro d’Agricoltura, Industria e Commercio. (Gazz. Uff. del Regn d’Italia, 13 agosto, 4 e 5 settembre, 3 dicembre 1883). _ « Intorno ai segni precursori del terremoto di Casamicciola de glio 1883 «. Comunicazione fatta alla Società Geologica Italiana nella sedo de" 5 settembre 1883 in Fabriano. (Boll. Soc. Geol. It., voi. IL Roma, 1883, !Sud?‘sul terremoto di Casamicciola ». (La Rassegna Italiana. Roma, 15 ottobre 1883, pag. 129-143). , , , + «ntres nbéno- « Nouvelles éiudes sur les tremblements de terre et les autres phén mènes véodynamiques «. (Leide, 1883, in-8°). . -i t? /proLmma dell’Osservatorio ed Archivio Geodinamico presso il R. Comitato Geologico d’Italia, con istruzioni per gli d’istrumenti ». (Roma, 1883, in-8», pag. 146, con tav^ e figure nel te ). «Il Geodinamismo». (L’Osserv. geodiu. nel Seminano ^ ’ Discorsi recitati nella solenne inaugurazione del di 16 maizo 1884. Aq , I?arra?cL^gto1Lmicbe del 1885 e studi sulle medesime in Italia ». (4nn. meteor. it.. Anno I. Torino, 1886, pag. 168-182, con tre tavole). « Massimi sismici italiani deU’anno meteorico 1887» . (Ann. meteor. i . Anno III. Torino, 1888, pag. 297-302). „ + •+ « Massimi sismici italiani dell’anno meteorico 1888 ». (Ann. meteor. ., Anno IV. Torino, 1889, pag. 283-305). _ _ „„ip„nnloo-ico « Inaugurazione dell’ Osservatorio meteorico-geodinamico-vulcanolo^ dell’Orfanotrofio di Valle di Pompei il XV maggio MDCCCXC ». Discorso (Valle di Pompei, 1890, in-8“, pag. 4). _ tqqqi „ « Massimi sismici italiani (Complemento dell anno metewico 1888) . (Ann. meteor. it., Anno V. Torino, 1890, pag. 253-262). «Massimi sismici italiani dell’anno meteorico 1889 ». (Ann.meteor.it., Anno VI. Torino, 1891, pag. 192-209) . . •, « I terremoti del 22 gennaio 1892 ». (Bull. Assoc. met., it.. Tonno, aprile 1892, pag. 62). (>) Bull. Vulc. Bai, VI, 1879, pag. 4647. (2) Ibid., VII, 1880, pag. 22-23. TENUTA IN ASCOLI-PICENO NEL SETTEMBRE 1899 XXXV ottenuti per macchine e nuovi apparecchi sismografici da lui ideati, e dalle accademie che lo annoverarono tra i loro soci. « Nato a Roma il 30 ottobre 1834, morì il 23 ottobre 1898 nella sua villa di Rocca di Papa, accanto a quell’ importantissimo osservatorio geodinamico eh’ egli aveva immaginato e diretto con tanto amore. n Che i giovani facciano l’elogio funebre degli adulti o dei vecchi è, direi, nell’ ordine naturale delle cose ; non è certo così quando si dà l’opposto caso. Allora quegli il quale ha l’ufilcio di fare una commemorazione, sia pur brevissima, deve con forza rattenere il dolore che dal cuore gli sta per erompere agli occhi. Come par- larvi dunque della perdita del nostro Gilberto Melzi rapito a noi appena trentenne? E quale avvenire eragli serbato! Nato in quel patriziato milanese che tanti uomini sommi ha dato alle scienze, alle lettere e al patriotismo, ricco di censo, di cuore e d’ ingegno, Gilberto Melzi s’era addottorato in scienze naturali nel 1890 a Pavia, ove uno dei più cari allievi dello Stoppani ed un valente mineralogista, dovevano con amore iniziarlo negli studi geologici e petrografici. Anch’egli sentiva il bisogno di viaggiare, e, più for- tunato di tanti altri, poteva pienamente soddisfare il suo desiderio. Visitò prima 1’ Egitto, poi il Marocco e Ceylan ; fece un rapido viaggio allo Spitzberg ed in Norvegia e poi in Russia e nuovamente a Ceylan ; ma inesorabile morbo già lo minava, e al suo ritorno in patria, appena sbarcato a Genova, il 10 febbraio di quest’ anno, cessava di vivere. Vita sì breve non passò inoperosa per la nostra scienza. Il campo delle sue ricerche fu principalmente quello della . petrografia, associato, ben inteso, con la geologia, dove ha lasciato importanti memorie (1). A titolo di massimo onore per chi muove i (0 1- — “ Di un nuovo giacimento mineralogico interessante sulle sponde del laghetto di Piena ». (Giornale di Mineralogia, Cristallografia e Petro- grafia. Pavia, 1890, voi. I). 2. — « Ricerche microscopiche sulle rocce del versante Valtellinese della Catena Orobica Occidentale ». (Id., voi. 2°, 1891). 3. — « Sunto di alcune osservazioni stratigrafiche e petrografiche sul Versante Valtellinese delle Prealpi Orobiche Occidentali». (Eendic. r. Ist. Lomb. di Se. e lett., voi. 24. Milano, 1891. 4. — « Osservazioni geologiche sulla Valle del Masino » . (Rendic. del r. Ist. Lomb. di Se. e lett, voi. 25. Milano, 1892). XXXVI RESOCO>TO DELL’ADUISAKZA GENERALE ESTIVA primi e sicuri passi nella scienza, ricorderò che i suoi maestri lo riguardarono ben presto quale collega e lo vollero collaboratore nei loro lavori. Io ebbi solo occasione d’avvicinarlo una volta nel fra- stuono di una grande città, a Pietroburgo, ai primi di settembre del 1897, e la sua cara immagine è rimasta nella mia mente come ricordo di soavissimo sogno. « Il culto per la scienza che ci unisce e ci affratella, o colleglli, ci sia di conforto reciproco nel lutto che ci ha circondati, e dal ricordo dell’ attività e del sapere dei cari estinti prendiamo lena per tornare serenamente ai nostri lavori. I quali non sono soltanto scientifici ma anche amministrativi. Parleremo di questi nelle no- stre sedute private, non volendo adesso abusare della pazienza di chi con tanta cortesia ci ospita. Vi dirò solo che il nostro bilancio si trova in buone condizioni e che, cogliendo, un momento oppor- tuno del mercato, abbiamo ripristinato la rendita di L. 100 annua, il cui capitale già esisteva, e in proporzioni assai maggiori, come dal consuntivo dell’anno decorso e che sarete chiamati ad approvare. K L’appoggio pecuniario che ci veniva dal Ministero di Agricol- tura, Industria e Commercio, che ci mancò in questi ultimi anni per ristrettezze di bilancio, non ci verrà neanche nell'anno in corso. Sono in dovere però dirvi che la domanda fu avanzata sin dal gen- naio decorso e vivamente raccomandata; che il nostro vice-presidente, a cui fu trasmessa dal Ministro, per avere il suo autorevole parere, quale Ispettore capo del Corpo reale delle Miniere, dovendosi la somma — nel caso a noi favorevole — prelevarsi dal capitolo relativo al servizio minerario e geologico, non solo lo diede affer- 5. _ «Ricerche geologiche e petrografìche sulla Valle del Masino n. (Giornale di Mineralogia, ecc., 1893, voi 4“). 6. - «Le Perforiti della Catena Orobica Settentrionale». (Rendic. r. Ist. Lomb. di Se. e lett, voi. 28. Milano, 1895). 7. — Artini e Melzi; «Sulla Lherzolite di Balmuccia in Val Sesia». (Rendic r. Acc. dei Lincei, Ser. V, voi. 4°, 2“ sem. Roma, 1895). 8. - « Sopra alcune rocce dell’isola di Ceylan ». (Rendic. r. Ist. Lomb. di Se. e lett., voi. 30. Milano, 1897). 9. _ Artini e Melzi; « Intorno ad un meteorite caduto ad Ergheo, presso Brava, nella penisola dei Somali». (Boll, dell’ Esplor. comm.. Milano, 1898, e Rendic. del r. Ist. Lomb. di Se. e lett. Milano, 1898, voi. 31). TENUTA IN ^SCOLI-PICENO NEL SETTEMBRE 1889 XXXVII mativo, ma unì le sue particolari raccomandazioni perchè la mo- desta richiesta non rimanesse senza effetto. La nostra Società prese parte alle onoranze che Scandiano e Reggio nell’ Emilia tributarono a Lazzaro Spallanzani nel primo centenario dalla sua morte. I soci Capellini e Pantanelli furono i nostri rappresentanti a quella cerimonia. « L’ 11 di giugno decorso nel Camposanto urbano di Pisa fu poi inaugurato il monumento a Giuseppe Meneghini, nostro primo pre- sidente, già maestro venerato e affettuoso di molti di noi, e la Società fu rappresentata, insieme con me, dal vice-presidente inge- gnere Pellati, e dai soci Capellini e Cocchi. « Le cose di grande importanza che dobbiamo discutere sono due, l’approvazione definitiva del nuovo regolamento, per il quale già tanti studi sono stati eseguiti, e l’approvazione del nuovo con- tratto per la stampa del Bollettino. « In riguardo alla nostra partecipazione a quella festa interna- zionale del lavoro che si prepara a Parigi per l’anno prossimo, ben poco posso dirvi, essendo subordinata a varie cose; in ogni modo la geologia italiana sarà certo rappresentata colà dal R. Corpo delle Miniere al quale è affidato il rilievo della carta geologica d Italia, e nel cui seno trovansi tanti cari e provetti colleghi. L ispettore capo di quel servizio è il comm. ing. N. Pellati, il nostro presidente per l’ anno prossimo ; a lui dunque è affidato il compito di presentare a Parigi le ricchezze minerarie e geologiche del nostro paese, e non poteva essere in mani migliori. n Dell’ interesse che il Pellati ha per la Società è dato oggi una nuova prova nel permettere all’ ing. Pompeo Moderni del Corpo delle Miniere, Ufficio geologico, di esserci guida alle escursioni che faremo. Egli ha rilevato la carta geologica di questi dintorni e dalla sua viva voce ci saranno indicati e spiegati i diversi fe- nomeni che andremo ad osservare. “ Alla Montagna dei Fiori sono rappresentati i terreni secondari, e molti fossili Massici là trovati dall’ Orsini, furono illustrati nella classica e ben nota monografia del Meneghini. « Tutta la serie dei terreni propri dell’Appennino centrale avremo poi occasione di esaminare; tra questi terreni sviluppatissimi sono quelli di età terziaria. Molti geologi italiani si occupano appunto adesso nello studio del terziario dell’ Italia centrale e più special- XXXVIII resoconto dell’adunanza generale estiva mente della parte che dall’ Eocene arriva fino al Miocene. Disac- cordi però essi sono per quelle potenti masse di calcari, di arenane e di marne che dall’ Appennino Tosco-romagnolo, dalla Falterona, si estendono a mezzogiorno nell’ Umbria, sino alle Alpi della Luna. Chi vuole ascriverle tutte all’Eocene, chi vi riconosce terreni assai più recenti del Miocene inferiore e del Miocene medio. Naturale continuazione di quei terreni sono questi delle vicinanze di Ascoli, identici a quelli dell’ Urbinate, dell’ Anconitano, del Sansevennate e del Camerinese, e dove raccolgonsi numerosi fossili. ^ « Cominciano ora gli studi particolareggiati di questi fossili, ed avendo oggi la fortuna di veder presenti valenti stratigrafi e pa- leontologi cbe si sono occupati e si occupano tuttora della questione sempre viva e del Terziario in genere, auguriamoci, nell’ esame cbe andremo a fare di tali importanti terreni, di avere nuovi e validi arc^omenti per trovarci d’ accordo. Tutti siamo mossi dallo stesso amore e dallo stesso interesse verso la scienza cbe professiamo. Le dispute cbe sorgono tra noi, sono d’incitamento a nuovi studi e sono da per tutto la face d’ogni umano progresso. Se disparità esistono e continueranno ad esistere su tali ter- reni cosi sviluppati in Italia, e se nell’ uniformità di facies doves- sero rappresentare piani cronologicamente diversi, solo determinabili e riconoscibili dalle faune seppellitevi, avremo agio, in questi din- torni di constatare 1 esattezza nella successione statigrafica delle antiche osservazioni dello Spada e dell’ Orsini, quale ulteriore titolo d’onore verso i due geologi marcbegiani. <4 Colleghi! Nel chiudere questo discorso mi torna alla memoria l’antica leggenda fiorentina, secondo la quale si credeva che la testa di marmo murata sul lato del tempio die guarda Via Cer- retani fosse quella di un prete pietrificato immantinente nel_ di 16 settembre 1327. La leggenda è legata alla città che ci ospita, dove certo dev’essere comunemente nota. L’uomo infatti, popola- rissimo a Firenze, creduto dai malvagi e dagli invidiosi, mago o strettone, e cbe avrebbe operato il prodigio era ascolano, e m quel Giorno veniva condotto fuori Porta alla Croce per essere, come lo fu, bruciato vivo (^). (1) Giuseppe Castelli, La vita e le opere di Cecco d' Ascoli. Bo- logna, 1892. TENUTA IN ASCOLI-PICENO NEL SETTEMBRE 1899 XXXIX K Si chiamò Francesco Stabile, universalmente conosciuto col nome di Cecco d’ Ascoli, fu contemporaneo ed amico di Dante, di Cino da Pistoia e del Petrarca, e per molti anni aveva tenuto alto il nome del suo bel paese co' li dolci colli ììqW alma mater delle scienze, Bologna. Letterato e naturalista sommo per i suoi tempi, non abiurò, non negò, ma pienamente confermò dinuanzi ai giudici quanto aveva detto e scritto. Esempio memorando della tenacità di pensiero di un uomo cbe gli anni aveva reso ancor più tenace, come accade per le pietre di traver- tino in mezzo alle quali era nato. E se Ascoli va nella storia superba per i suoi anticbi figli, noi vediamo che la non interrotta catena degli uomini cari alla patria, alle lettere, alle arti, alle scienze, alle industrie è pure cggi così largamente rappresentata dai Tranquilli, dai Mari, dai Ceci, da Crivellucci, dai Guarnieri, dai Luciani, dai Cantalamessa, dai Sgariglia. « Dichiarando aperto il diciottesimo nostro Convegno, io sento dunque, dell’ospitalità che ci vien data, di essere interprete di tutti i colleghi, presenti di persona o in ispirito, per ringraziare vivamente nel suo egregio sindaco sig. avv. Cesari, e nelle sue autorità tutte amministrative e politiche, questa nobile e fortunata terra « dal Tronto agii bagnata Eicca d’olive e vino e pur di querce ombrata» (1). Il Presidente dà la parola al Sindaco di Ascoli che legge il seguente discorso: tt Accogliete, o illustri scienziati, il saluto grato ed affettuoso della città di Ascoli. “ Le nostre accoglienze modeste, ma improntate a grande (1) “ vom rauschenden Tronto bewàssert, Eiclienbescliattet, und doch reich an Oliven und Wein. Gesamm. IVerke des Grafen Aug. v. Platen. Erster Band, Stuttgart, 1870. — Vedasi la traduz. nella Guida della prov. d’ Ascoli Piceno, pag. 22, Ascoli Piceno, 1889. RESOCONTO dell’adunanza GENERALE ESTIVA cordialità, vi esprimano il sentimento vivo di gratitudine, che noi proviamo per l'onore che voi voleste fare a questa citta, eleggen- dola in quest’ anno a sede dell’ adunanza della Società Geologica italiana. E vi dimostrino ancora che noi abbiamo saputo apprez- zare il vostro pensiero gentile. Venendo qui voi voleste darci un at- testazione, che è per Ascoli un titolo di orgoglio. Voi avete voluto testimoniare che la città nostra è degna di ospitarvi, perchè an- tico e vivo è qui il culto della scienza vostra, e perché possiamo vantare accanto al nome venerato di Antonio Orsini, quello di imo dei discepoli più preclari del vostro grande Maestro il Me- neghini, ed altri illustri cittadini che chiamati dal loro merito e dal loro sapere ai più alti vertici dell’insegnamento nelle Uni- versità del Regno, sono vanto di questa regione e onore d’Italia. » La vostra presenza in questa provincia ci dice ancora che voi la ritenete di alto interesse pei vostri studi. Questa terra, a cui r Apenninno maestoso fa splendida cintura di montagne, de- gradanti in colline varie ed ubertose sin là dove il suo mobil zaffiro Adria distende, si presenta ricca di singolari fenomeni alle vostre ricerche, allo vostre investigazioni. « Di queste ricerche le vostre riunioni annuali della città della penisola sono appunto un mezzo efficacissimo. Poiché in esse voi potete scambiare i vostri concetti, esaminare insieme sul luogo i fatti più notevoli che vi presenta il suolo su cui vi adunate, e discutere degli ardui problemi, che nuove osservazioni, nuove con- getture fanno sorgere. tt Assai meglio di me, che ai vostri studi sono affatto pro- fano, voi sapete o illustri signori, che nessuna contrada, e molto meno un’area limitata, comprende un’epitome compiuta della storia della terra. Ogni regione contiene quasi sempre una serie di do- cumenti staccati, mancanti spesso di continuità e di relazione; e voi con r esame particolare, a cui danno luogo gli annuali vostri convegni, questi elementi raccogliete e ricollegate, per giungere a risultati sempre più sicuri e complessi. B Da tali investigazioni non può non derivare utilità grande non solo agli studi vostri, ma anche all’agricoltura ed alle indù- TENUTA IN ASCOLI-PICENO NEL SETTEMBRE 1899 XI. I strie ; poiché la geologia porta un immenso contributo al progresso di tutte le scienze fisiche ; e dallo sviluppo di esse derivano con- seguenze notevolissime anche per le scienze morali. « Non v’è infatti chi non sappia che gli studi geologici hanno grandissima infiuenza sulla soluzione di quegli altri problemi at- torno a cui da anni e secoli si affatica e si affaticherà per anni e secoli l’umanità. « I pensatori ripetono che invano ci tormentiamo a risolvere il complesso, l’infinito problema di questo misterioso universo. Ad essi rispondono gli scienziati con le loro indagini, con le loro sco- perte, che sono altrettante vittorie. E di queste vittorie, frutto di osservazioni continue, profonde, s’impadronisce lo spirito pratico, e ne crea nuovi strumenti, nuove forze per l’umano progresso. “ E così si procede in questa via diffìcile, ma piena di sod- disfazioni e di trionfi, anelando al supremo eterno vero, che forse un giorno, chi sa quanto lontano, i futuri potranno raggiungere, quando l’ingegno affinato, reso più perfetto e più forte dal sapere, potrà proporsi la soluzione di quei quesiti, che sembrano oggi alla nostra mente persino inconcepibili. “ Ma io debbo frenare l’ala troppo rapida della mia fantasia per dirvi che dal vostro congresso ci ripromettiamo i migliori frutti per voi e per la scienza vostra, e per augurarmi che la presenza vostra possa far sorgere tra i giovani chi voglia consa- crare l’ingegno eletto ed attivo allo studio di quel libro maravi- glioso che la natura ci dispiega dinanzi. « Un insigne uomo di Stato, Quintino Sella, che fu altissimo decoro della vostra scienza disse un giorno rivolgendosi ai suoi colleghi geologi: « Voi studiate, o Signori, la natura insensibile, ma non per questo siete meno sensibili a tutte le affezioni nobili e pure ». « In questi giorni nella città donde partì la scintilla del nostro riscatto si compie una solenne affermazione patriottica, a cui un più gradito dovere di ospitalità non mi ha consentito di assistere personalmente. “ In nome della patria, a cui la scienza deve assicurare il vero risorgimento morale, da questa solenne assemblea tenuta in onor vostro io mando im saluto a Torino, dove più fervido di spe- ranze e di auguri batte oggi il cuore d’Italia ». IV XLU RESOCONTO dell’adunanza. GENERALE ESTIVA Fa seguito il Prefetto, il quale, comunicando un telegramma inviatogli da S. E. il Ministro di Agricoltm-a, Industria e Commer- cio, nel quale S. E. si dice dispiacente di non potere assistere alla adunanza, aggiunge opportune parole augurando un esito felice al- r adunanza. Il Presidente porge vivi ringraziamenti al Sindaco ed al Prefetto per il cortese saluto gentilmente dato alla Società, e propone che sia telegraficamente ringraziato il Ministro di AgricoUura, In- dustria e Commercio ; ciò che viene accettato ad unanimità. Ecco il telegramma: | 1 « S. E. Ministro Agricoltura - Eoma. i u Società geologica italiana riunita Ascoli ringrazia vivamente S. E. Mi- ti nistro interessamento preso suoi lavori dieciottesimo convegno. CxN.vvARi ; Presidente » . ; A termine dell’ art. 2 del vigente Statuto vengono presentati ed approvati per l’ ammissione i nuovi soci: Bianchi prof. Aristide di Chieri, proposto dai Soci Parona e Bonarelli. Capeder prof. Giuseppe di Torino, proposto dai soci Parona e Bonarelli. Checchia Giuseppe di San Severo; proposto dai soci Cana- vari e De Angelis. Dainelli Giotto di Firenze; proposto dai soci Canavari e De Stefani. Filippi doti Domenico di Camerino ; proposto dai soci Cana- vari e Taramelli. Mallet ing. Jacques di St. Etienne; proposto dai soci De Angelis e Neviani.' Maraveuli dott. Giuseppe di Cagli; proposto dai soci Mo- rena e Cardinali. Mariani Mario di Camerino; proposto dai soci Canavari e Vinassa. Martelli dott, Alessandro di Vinci ; proposto dai soci Ca- navari e De Stefani. Eeichenbach ing. Arno di San Valentino (Chieti), proposto dai soci De Angelis e Lupi. TENUTA IN ASCOLI-PICENO NEL SETTEMBRE 1899 XLIU Sequenza Luigi fu Giuseppe di Messina ; proposto dai soci Meli e Neviani. Verge ing. Alexandre di Tocco Casauria; proposto dai soci De Angelis e Lupi. I nuovi soci : Mariani M. e Checchia sono presenti all’ adu- nanza. II Presidente dichiara chiusa la seduta pubblica. Adunanza del IO settembre 1899 in Ascoli-Piceno. Alle ore 15,20, in una sala del Palazzo Comunale la Società Geologica Italiana si raduna in seduta privata. Presidenza: Canavari. Sono presenti i soci: Bonarelli, Brugnatelli, Cardinali, Crecchia, Cocchi, de Angelis d’Ossat, del Zanna, de Stefani, DI Eovasenda, Fucini, Mariani M., Merciai, Morena, Parona, Pellati, Sacco, Statuti, Taramelli, Tommasi, Verri, Vinassa DE Eegny. Si dà comunicazione delle dimissioni del socio de Agostini, che sono accettate. Eiguardo ad alcuni soci morosi se ne sospende la radiazione per tutto l’ anno corrente nella speranza che si met- tano in regola col pagamento delle quote sociali. Il Presidente espone brevemente lo stato delle pubblicazioni. Cambi. — Si sottopongono all’ approvazione dell’ assemblea le seguenti domande di cambio. 1. ° The Journal of thè college of Science. Imperiai Uni- versity of Tòkyo. Japan. 2. ° Toma geological Survey. 3. ° Annales de V Observatoire national d' Athènes. 4. ° Istituto geologico Messicano. Parecchi soci prendono la parola per muovere osservazioni in- torno ai cambi, rammentando la decisione altra volta presa di concederli solo per le pubblicazioni di natura geologica. XLIV RESOCONTO dell’adunanza GENERALE ESTIVA | Si mettono partitamente alla votazione le singole proposte e | solo r ultima viene approvata. ^ Esposizione di Parigi 1900. — I direttori dei Musei italiani non hanno corrisposto all’invito loro fatto e quindi il prof. Capel- lini, presidente delia Commissione, nominata a Pisa, declina 1 in- carico. Si legge la lettera del Capellini. Il socio Pellati, che fa- ceva parte della Commissione porge parecchi schiarimenti intorno \ alla via battuta per raggiungere la meta proposta, anzi afferma che ^ lo stesso Ministro di Agricoltura avrebbe dato forte appoggio alla ; iniziativa della Società. .... Il Pkesidentb e l’ assemblea prendono atto delle dimissioni, manifestando il rincrescimento per la sorte toccata alla proposta formulata a Pisa, compiacendosi però della fondata speranza che fa nutrire il R. Ufficio Geologico, il quale saprà nell’Esposizione rappresentare degnamente la geologia italiana. Regolamento della Società. — Si passa all’ approvazione del Regolamento. 11 Presidente, con brevi parole, ne tesse la stona e ricorda come tutte le singole disposizioni siano già state appio- vate e che il regolamento presente non sia che la riunione di tutte le disposizioni approvate armonicamente riunite. Il Vice-Segretario passa alla lettura dell’intero regolamento. Non trovando alcuno da fare osservazioni, viene messo alla votazione ed approvato all’ unanimità. Il testo del predetto Regolamento viene pubblicato in appen- dice al presente verbale. Il Presidente fa presente all’ assemblea che Yart. 2 comma h) del Regolamento testé approvato, ammette che gli uffici di Tesoriere e di Economo sieno distinti, o riuniti in una sola persona; cbiedequindi all’ Assemblea che deliberi nell’ uno o nell’altro dei suesposti casi. Dopo breve discussione, ed alcune osservazioni del Socio Sta- tuti favorevole alla divisione delle cariche, 1 Assemblea a maggio- ranza approva che temporaneamente esse cariche rimangano distinte. A termine del sucitato art. 2 comma b) del Regolamento gene- rale, essendo la nomina del Tesoriere, dell’ Economo, come quella dell’ Archivista devoluta al Consiglio, questo si ritira per le predette nomine. Rientrato nella sala il Consiglio, il Presidente comunica come TENUTA. IN ASCOLI-PICENO NEL SETTEMBRE 1899 ALT esso Consiglio abbia ad unanimità deliberato di deferire, a norma dell’ art. 2 comma c) del più volte citato Regolamento generale, alla assemblea la nomina dei funzionari a Tesoriere, ad Economo e ad Archivista ; e pone, per prima, a votazione la nomina dell’ Archivista. Risulta eletto ad unanimità (votanti 22) il Socio Neviani. Si passa alla votazione del Tesoriere, col seguente risultato: Votanti 22. Statuti 14, Tittoni 8. Il Socio Statuti non senza far rilevare ai colleghi che qua- lora la Società intendesse poi con una successiva votazione cumu- lare su lui stesso anche le attribuzioni di Economo, la presente no- mina di Tesoriere sarebbe risultata in pieno disaccordo colla pre- cedente deliberazione della Società, di voler cioè temporaneamente tener distinti i due ufhci di Tesoriere e di Economo, dichiara che in ogni modo egli per un riguardo personale di deferenza verso il Socio Comm. Tittoni, che fin qui è stato investito della nomina di Tesoriere, intende rinunciare al conferitogli ufficio. Il Presidente tenuto conto delle osservazioni fatte dal Socio Statuti sulla contradizione che implicherebbe tale nomina di fronte alla deliberazione dapprima presa dall’ Assemblea propone di rinno- vare la votazione per la nomina del Tesoriere. L’ Assemblea accetta la proposta del Presidente, e si passa ad una seconda votazione, col seguente risultato: Votanti 22. Tittoni 7, Schede bianche 15. Non concorrendo la maggioranza dei votanti, è dichiarato tut- tora vacante il posto di Tesoriere. Dopo discussione si delibera di ritornare sulla nomina del Tesoriere in altra seduta. Il Presidente pone a’ votazione la nomina dell’ Economo : Votanti 21; si astiene il Socio Statuti. È eletto il Socio Statuti all’ unanimità. Bilanci. — Il Presidente presenta i bilanci consuntivi della Amministrazione della Società e del Premio Molon per lo scorso anno 1898, comunicando all’Assemblea che essi bilanci furono pre- ventivamente approvati dal Consiglio; e legge la seguente relazione della Commissione di revisione: resoconto dell’adunanza generale estiva SOCIETÀ GEO Resoconto delle Entrati. TENUTA. IN ASCOLI-PICENO NEL SETTEMBRE 1899 XLVII ITALIANA Spese per l’anno 1899. SPESE .Ila Tipografia per stampa Bollettino, Vo- lume XVII (fase. 1-4) . . . . . L. Ula Tipografia per estratti » 1536 365 se per tavole e clichés se del Presidente se d’ ufficio e spedizione Bollettino se di cancelleria e stampe sa di manomorta iborso spese viaggi al Segretario ed Economo . . ipenso ad un amanuense in aiuto al Segretario e al- Economo ipenso al portiere dell’ufficio di residenza. . . . se pel concorso all’ Esposizione Nazionale di Torino se per stampa diplomi se per conto di soci Totale spese . . tate alla Cassa di risparmio la partita num. 2 del- Vttivo più L. 58,55 della partita num. 5. . . . Totale .... nza attiva disponibile al 1® gennaio 1899 . . . Pareggio in . . . 90 10 lT 1902 — jt 368 — 168 40 r> 310 83 J5 90 50 j) 38 84 J! 168 40 n 159 — » 45 — 7) 68 85 jj 90 — » 232 — L. 3641 82 lì 258 55 L. 3900 37 7) 4378 21 L. 8278 58 Il Precidente RIO CANAVARI Il Segretario ANTONIO NEVIANI 0 LVIII RESOCONTO dell’adunanza GENERALE ESTIVA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA AMMINISTRAZIONE DEL LEGATO MOLON BILANCIO GONSUNTIN'O 1898 A-tti vo 1. Cassa al 1° gennaio 1898 L. 1061 08 2. Importo Vs rendita intestata Molon, anno 1898 . ” 680 — 3. Interessi delle somme depositate alla cassa di ri- sparmio postale " 24 09 Totale attivo L. 1765 17 vo 1, Tassa di manomorta L. 32 — 2. Al socio sig, Vinassa, a titolo di premio ...» 446 99 3, » » Greco " * ...” 446 98 4. D )) Peola ” ” ...” 446 99 Totale passivo L. 1372 96 Eccedenza attiva al 1° gennaio 1899 ” 392 21 L. 1765 17 Il Prendente MARIO CANAVARl L'Economo AUGUSTO STATUTI Il Segretario ANTONIO NEVIANI TENUTA. IN ASCOLt-PICENO NEL SETTEMBRE 1899 XLIX « Onorevoli Colleglli, « Ottemperando all’ art. 14 del nuovo Regolamento, approvato nell’ adu- nanza di Lagonegro (9 settembre 1898), vi presentiamo la relazione intorno al Bilancio consuntivo della decorsa annatp,. « Abbiamo attentamente esaminato il Bilancio stesso, quale venne pre- sentato daU’economo signor ing. Augusto Statuti nell’adunanza tenuta in Pisa il 26 febbraio di quest’anno, verificando per ciascun capitolo i documenti re- lativi, e tutto trovammo in perfetta regola. « Confrontando poi le cifre del consuntivo con le corrispondenti del pre- ventivo, ricercammo le ragioni delle differenze in più, che si verificano per alcuni capitoli, e le trovammo giustificate. L’eccedenza pel cap. 3® — del presidente — si spiega colle spese sostenute per agevolazioni procurate ai soci nelle due gite del Vesuvio e della gita alle Pontine, e per l’inscri- zione della Società al Congresso geografico di Firenze. Quella pel cap. 4° — spese del segretario e dell' economo — è giustificata dalle spese postali, nella corrispondenza coi soci e nella spedizione degli Atti della Società. Quella pel cap. 6'^ — tassa di manomorta — dipese dall’ aumento della tassa me- desima; e la maggiore uscita pei viaggi del segretario e dell'economo — cap. 7“ — fu cagionata dalla distanza da Roma dai luoghi ove’ la Società tenne nel 1898 le sue riunioni. La piccola eccedenza infine nel cap. 9“, di- pese da speciali circostanze relative al personale di servizio. « Non si considerano come eccedenze le somme dei capitoli IO® ed 11®, perchè appartengono a spese deliberate dalla Assemblea ( Napoli, 18 feb- braio 1898) senza che se ne fissasse il preventivo. « I risparmi ottenuti nei cap. 5° ed 8° mostrano che l’Amministrazione è stata tenuta con lodevole parsimonia. « Del pari regolare abbiamo trovato il rendiconto della partita speciale relativa al legato Molon ». Vi proponiamo pertanto l’approvazione dei predetti bilanci. Roma, 10 giugno 1899. I Revisori Antonio Verri Romolo Ragnini Mario Cermenati Il socio Statuti fornisce schiarimenti intorno ad alcune spese. Dopo ciò il presidente mette ai voti la proposta della Commissione di revisione, che viene accettata all’ unanimità. 11 socio Verri si astiene avendo fatto parte della Commissione stessa. L RESOCONTO DELL’aDUNAISZA GENERALE ESTIVA Stawpa del Bollettino. — Il Presidente, dopo aver ricordato che scade con questo anno il contratto con la tipogratìa dei Lincei, fa noto all’ assemblea le pratiche fatte presso i vari tipografi ed espone i risultati delle proposte di parecchi stabilimenti. Propone j di nominare una Commissione che studii le varie proposte e rife- risca nella prossima adunanza. Si approva infatti la Commissione composta dai soci: De Stefani, De Angelis d’Ossat e Vinassa ; DE EeGNY. 1 Comunicazioni scienti/iche. — Il socio Cocchi, presentando la j propria pubblicazione ; I denti {zanne) dell Elefante africano ed j il commercio deW avorio, fa importanti considerazioni intorno agli incisivi e molari dei proboscidiani viventi, che formeranno og- getto di una nota speciale. Il socio Taramelli parla Sulle frane di Arsiero ( Vicenza). Questa memoria sarà pubblicata nel Bollettino. Il socio Sacco presenta un suo lavoro: L’ Appennino della Romagna (v. Bollettino). Il Presidente annunzia 1’ arrivo alla Società di una comu- nicazione del socio Giuseppe de Stefano « Rinvenimento di mammiferi fossili nel Quaternario di Morrocu presso Reggio Calabria (v. Appendice). Il Presidente espone all’ assemblea una proposta del socio Baratta, per la inserzione nel Bollettino di un Saggio dei ma- teriali per una storia dei fenomeni sismici avvenuti in Balia, raccolti dal prof. M. S. De Rossi- La proposta viene accettata (v. Bollettino). Si toglie la seduta alle ore 17,30. Adunanza del 13 settembre 1899 in Ascoli. Alle ore 10, nella stessa sala comunale la Società si raduna in seduta privata. TENUTA IN ASCOLI-PICENO NEL SETTEMBRE 1899 LI Presidenza Canavari. Sono presenti i soci: Brugnatelli, Cardinali, Cerulli- Irelli, Checchia, de Angelis d’Ossat, de Ferrari, del Zanna, DE Stefani, di Stefano, di Rovasenda, Fucini, Mariani M., Pellati, Statuti, Taramelli, Tommasi, Verri e Vinassa de Regny. Viene nominato ad unanimità il nuovo socio presente Kurt Hassert (Tubingen) proposto dai soci Canavari e Taramelli. Si nominano scrutatori per la votazione delle cariche i soci: Cerulli-Irelli e del Zanna, i quali cominciano subito lo spo- glio delle schede. Il Presidente domanda all’assemblea se si debbono pubbli- care estratti del nuovo regolamento approvato nell’ ultima adu- nanza. Se ne approva la tiratura in un numero discreto di esem- plari. A nome della Commissione, nominata per riferire sulle pro- poste dei tipografi, parla il relatore Vinassa. Questi fa osservare che delle tre proposte prese in considerazione, quella del Cugiani è la migliore. Ricorda che al contratto da farsi è necessario ag- giungere la stampa gratis delle circolari della Società e possibil- mente aumentare il numero delle tabelle. Si propone infine il seguente ordine del giorno : « L’ assemblea dà mandato di fiducia « alla presidenza di concludere il contratto nel modo più econo- « mico e più vantaggioso in base alle offerte della tipografia Cu- li giani, migliorate sopra le osservazioni fatte nell’ adunanza, per « la durata di 6 anni » . Posto ai voti è approvato all’ unanimità. Nomina del Tesoriere. — Il Presidente chiarisce i termini della quistione che s’agita intorno a questa nomina, concludendo col ritornare alla votazione per la nomina del Tesoriere, come si era stabilito nella precedente adunanza. Votanti 19; il socio Fucini si astiene. Cocchi 10, Tittoni 9. Lii RESOCONTO dell’adunanza GENERALE ESTIVA Prima della proclamazione il vicepresidente Pellati fa rile- vare che il socio Cocchi è inelegihile a Tesoriere, perchè non ha stabile domicilio in Poma, come è indicato tassativamente nell’ art. 7 del Kegolamento generale approvato, propone quindi che sia dichia- rata nulla questa votazione. ^ ^ .... Il Presidente propone la sospensiva ; a lui si associa il vi- cesegratario De Angelis. Il socio Taramelli vorrebbe rinnovata la votazione, ma col concorso di tutti i soci a mezzo di scheda inviata per la posta. Prendono in seguito la parola esprimendo varie opinioni e proposte i soci Brugnatelli, De Angelis, Statuti, Verri, Vi- NASSA ed il Presidente. I soci Taramelli e De Stefani muovono viva istanza al- r ing. Statuti perchè accetti le due cariche desistendo dall’ atto di squisito riguardo verso il comm. Tittoni. II socio Pellati, insistendo nella convenienza di tenere di- stinte le cariche di Tesoriere e di Economo, è d’avviso che i pre- detti uffici potrebbero essere ancora occupati rispettivamente come ora dai soci Tittoni e Statuti. Il Presidente pone ai voti la nullità della nomina del socio Cocchi a Tesoriere. L’Assemblea approva, Il Presidente, in seguito a tale voto, unendosi ai soci Ta- ramelli e De Stefani, invita l’ ing. Statuti, anche a nome di altri soci presenti a voler ritirare la rinuncia emessa per la carica di Te- soriere di cui alla precedente seduta. In seguito a tale invito il socio Statuti pur riconoscendo che le ragioni che indussero a declinare l’ incarico di Tesoriere conferitogli già dall’ Assemblea nella seduta del IO corrente, sus- sistono Lcora nella loro integrità, ciononostante nell’ intendi- mento di por termine ad una discussione che ormai evidentemente non avrebbe potuto condurre ad un risultato pratico nel senso in cui la minoranza aveva sperato, in omaggio al desiderio esplici- tamente esternato dalla maggioranza dei colleghi presenti, dichiara esser disposto ad uniformarsi alla volontà della medesima, rinun- ciando per tal modo ad insistere ulteriormente sulla deliberazione da esso presa di non voler cioè sobbarcarsi all’ ufficio di Tesoriere. Il socio De Stefani propone che visto l’esito delle precedenti TENUTA IN ASCOLI-PICENO NEL SETTEMBRE 1899 LUI votazioni, la Società, ritornando sulla precedente deliberazione, presa riguardo alla divisione delle cariche, si deliberi di tenerle riunite. Il socio Pellati non vede la necessità di contraddire alla deliberazione presa nella seduta precedente, e dichiara opporsi a tale proposta. Il Presidente pone ai voti la proposta De Stefani; dichia- rando di astenersi esso Presidente, ed i soci De Angelis e Cerulii- Irelli. La proposta De Stefani è approvata a grande maggioranza, avendosi solamente quattro voti contrari. Il Presidente pone a partito la nomina per le cariche di Tesoriere ed Economo riunite. Votanti 19; si astiene il socio Statuti. Statuti 17, schede bianche 2. È proclamato Tesoriere-Economo per il triennio 1900-1902 il socio ing. A. Statuti. Il Presidente legge i titoli delle seguenti comunicazioni e memorie presentate per la pubblicazione nel Bollettino : DEL Zanna, I fenomeni carsici nel bacino dell' Elsa (v. Bollettino). Morena, Le formazioni eoceniche e mioceniche fiancheggianti il gruppo del Catria nell’ Appennino centrale (v. Bollettino). Capbder, Sui fenomeni di erosione nei dintorni di Era e Ca- stellamonte (v. Bollettino). Bettoni, Affioramenti « Toarciani « delle Prealpi Bresciane (v. Bollettino). Cacgiamali, Geologia delle colline circostanti a Brescia (v. Ap- pendice). 11 Presidente dà la parola al de Angelis d’Ossat, che parla intorno alle Sorgenti ài petrolio a Tocco da Casauria (Abruzzi) ed alle promettenti di San Valentino (Chieti): rilevandola costi- tuzione geologica della regione e confortando i riferimenti crono- logici con molti fossili del Cretaceo e del Miocene medio, fra cui Y Aturia Aturi. Passa poi a ragionare intorno aH’origine del gia- cimento ed alle sorti che toccheranno alle due miniere (v. Eivista mineraria, n. 16-17, 1899). LIV RESOCONTO dell’adunanza GENERALE ESTIVA L’oratore infine risponde alle osservazioni che gli muove il Taramelli intorno alla determinazione dei Lithothamnium della mi- niera di S. Valentino. Il Presidente annunzia una memoria del socio Bonarelli sul Miocene dell’ Umbria. Chiedono la parola i soci de Angelis e Verri. Il primo avendo preso col Verri conoscenza della parte sostanziale della memoria del Bonarelli, per la squisita gentilezza dell’autore stesso, desidera che l’egregio collega, possedendo come egli assicura una larga messe di fossili delle località contestate, prima di rispondere genericamente, stridii o faccia studiare il pre- j zioso materiale acciò da esso se ne possa inferire l’età dei depositi. j A tale proposito ricorda che oltre ai fossili citati del Miocene ] dell’ Umbria si possono ora aggiungere anche : Sphjrna prisca 1 Agass. Odontaspis cuspidata Agass. Cavolinia Cookei Simonelli. La prima specie anche eocenica, la seconda oligocenica e la terza \ del Miocene di Malta e per la prima volta del Miocene italiano. ^ Il Verri poi osserva che al punto cui oggi si trova la qui- ; stione « se alcune formazioni terziarie dell’ Umbria debbano essere ritenute mioceniche, ovvero eoceniche « è indispensabile stabilire < i fatti che diano modo a risolverla. Desidererebbe perciò che il Bonarelli sostituisse ad alcune affermazioni generiche indicazioni precisate, così tra altro, invece di accennare che in molti luoghi dell’ Umbria si trovano marne a Pteropodi sotto le argille scagliose contenenti ofioliti, ci dicesse in quali luoghi si verifica tale dispo- sizione stratigrafica, con tutti i dati che permettano di ripetere l’osservazione, per le deduzioni che fossero del caso. Il socio DE Stefani è d’accordo col Verri e col de Angelis nel ritenere mioceniche le rocce da loro attribuite nell Umbria, anzi crede che vi si debbano riferire anche moltissime altre che con- tengono nummulitidi come ha già pubblicamente esposto. Il Presidente conferma quanto ha esposto il de Stefani e porta molti fatti a conferma. Similmente fanno il Taramelli ed il Verri. De Angelis ringrazia il de Stefani per il validissimo ap- poggio che riceve il lavoro del Verri e suo dall autorità di tanto geologo, ma non può convenire che le rocce di Castelmadama con Orhitoides papyracea, 0. italica^ 0. Gumbeli e quelle di S. Gre- TENUTA IN ASCOLI-PICENO NEL SETTEMBRE 1899 LV gorio da Sassola con K 'perforata e N. lucasana si debbano ri- portare al Miocene. Il de Stefani parla della geologia della Montagna Reg- giana. ViNASSA fa le seguenti comunicazioni: Un nuovo pozzo ar- tesiano nel comune di Cascina. — I fossili della Tabella ory- ctographica di Ferd. Bassi. — Studi geologici sulle rocce del Bolognese, IL Le rocce della Val di Setta. Il Presidente fa una esposizione sulla storia dello studio dei depositi glaciali nell’ Appennino, adducendo nuove personali osservazioni. Verri: Terre vulcaniche nell’ Umbria. « Accenna ad al- cuni fenomeni di decalcinazione che sta osservando nell’ Umbria, i quali fenomeni si trovano in relazione con trasporti eolici di detriti vulcanici : riservandosi di presentare una nota sull’argomento » , Il Taramelli prende la parola per analogia di fenomeni nella valle padana traendone partito per dimostrare erronei alcuni ap- prezzamenti manifestati dal Sacco nei lavori intorno a quella regione. Pellati si felicita e ringrazia la Società per aver condotto a buon punto la quistione discussa intorno alla miocenicità di molte rocce dell’ Appennino. Propone infine un ringraziamento al Presidente, alla città ospitale ed a tutti coloro che cooperarono al felice esito del nostro convegno. 11 Presidente richiama 1’ attenzione degli studiosi intorno alcuni laghi antichi dell’Italia centrale. Lo scrutinio essendo intanto terminato, il Presidente fa la proclamazione delle cariche. Votanti 95. Schede bianche 1. Vicepreresidente : Parona 88. Segretario: Millosevich 66. Consiglieri: di Rovasenda 61. de Lorenzo 42. Matteucci 39. Meli 38. Mariani 38. Si apre il ballottaggio fra i due ultimi e si ha: Votanti 20. Meli 14. Mariani 6. LYi resoconto dell’adunanza, generale estiva Eletto Meli. A consigliere ebbero anche molti voti altri soci, come Baldacci 32, PoRTis 27. Il Presidente legge il seguente discorso; « Colleghi, a La diciottesima nostra riunione sta per finire. Il concorso numeroso dei soci è prova evidente della simpatia e dell’interesse nostro per queste ospitali regioni. « L’esame fatto lungo il vallone del Salinello e lungo la ro- tabile che conduce ad Acquasanta ha chiaramente dimostrata la successione della serie geologica appenninica dai travertini ai cal- cari massicci del Lias inferiore, o di età, forse, anche piu antica. La tettonica dell’ Appennino, di questa serie di onde parallele al- r Adriatico, nella sua semplicità presenta fenomeni assai impor- tanti che possono darci un’idea della genesi e delle forze che cau- sarono il rilievo dell’ Appennino centrale propriamente detto. ^ tt Dalla parte dell’Adriatico gli strati sono spesso raddrizzati 0 rovesciati, ed il fenomeno, veduto all’ ingresso della ^ forra del Salinello, è ancor più grandioso nel Gran Sasso d’ Italia, mentre poi si estende di qui nei Sibillini ed a settentrione di questi. Di frequente la spinta fu così forte che il rovesciamento si convertì in rottura o faglia con notevoli spostamenti e ciò in conseguenza della differente tenacità delle rocce. I terreni terziari formano sempre oggetto di studio ; la fre- quenza di fossili ben conservati che qui sono stati raccolti e quelli che si troveranno in seguito, daranno gli elementi necessari e suf- ficienti per sciogliere le quistioni cronologiche relative ad essL .4 Nel nostro Bollettino sarà certo pubblicata una relazione completa delle nostre escursioni ; spero che qualche nostro collega idrologo vorrà presentarci anche uno studio sulle sorgenti di Acqua- santa,"’così interessanti sotto l’aspetto terapeutico, scientifico ed artistico. La grotta, donde esce il fiume di acque albule termali, è senza contrasto una delle cose più meravigliose non solo di questa provincia, ma di tutta Italia. a Sono lieto di aver constatato che la nostra Società fa lenti ma continui progressi nel suo stato patrimoniale. — In quest’anno TENUTA IN ASCOLI-PICENO NEL SETTEMBRE 189§ LVII se dovemmo lamentare alcune perdite, come purtroppo spesso av- viene, avemmo anche il piacere di eleggere 20 nuovi soci, nu- mero assai considerevole. Approvammo infine il Regolamento che aveva dato origine a tante discussioni. « Liberata così la Società da un affare che 1’ aveva per un poco distratta dal lavoro scientifico, a questo adesso essa comple- tamente e serenamente ritorna. “ Le nuove elezioni hanno, come dovevano, profondamente modificato il Consiglio direttivo. Porgendo il mio saluto ai nuovi eletti mi rallegro pensando che essi, animati dall’ amore grande che sentono per la Società, si dedicheranno completamente al be- nessere di essa. “ Particolari ringraziamenti noi dobbiamo al nostro futuro Presidente, comm. ing. Pellati, che ci procurò la carta geologica di questi dintorni rilevata dall’aiutante ing. Pompeo Moderni, il quale ci fu guida e compagno carissimo nelle nostre escursioni. L’ ufficio di presidente che i colleghi vollero affidarmi mi dà poi il compito gradito di ringraziare in nome della Società questa bella regione, ricca di tante memorie e che ci ha offerto larga e cordiale ospitalità. “ 11 pregiatissimo signor Sindaco, avv. Cesari, volendo se- guirci nelle escursioni, ha dimostrato che tutta la città di Ascoli era con noi e s’interessava ai nostri lavori. A lui e alla città che può allietarsi di avere un così esperto e geniale rappresentante, noi porgiamo ringraziamenti affettuosi. Non meno affettuosi sono i nostri ringraziamenti pel Sindaco e la città di Acquasanta e per i proprietari delle Terme, signori fratelli Trocchi, la di cui ospi- talità non ha trovato confini. 5°. La prima ansa della strada che dal Ponte dei Chiavernotti sale tortuosamente Ano alle Ripe risultò, per le indagini di alcuni Soci, essere praticata in dette rocce mioceniche a contatto delle quali, e certamente in discordanza colle medesime, si osservano, prosec^iiendo il cammino, le marne dime scagliose, cenerine, dette « Screja « dagli abitanti del luogo, cui si alternano alcuni grossi banchi di calcare impuro, biancastro, straterellato, che ^ Paesani chiamano « Cerrogna », nel quale si rinvennero dal socio dott Li Stefano e da altri, numerose piccole Nummiiliti, nonché frammenti i Pecten, di Cidaris e di Briozoi, per il quale rinvenimento, convalidato dalle asserzioni dello scrivente, che aveva trovato questi medesimi fossili, nella stessa roccia, in altre località poco distanti ( ), si convenne di comune accordo doversi la « Screja e la “ er rogna » riferire all’ Eocene e più precisamente all’ Eocene medio. Il villaggio delle Ripe è fabbricato sopra questo terreno. Dalla chiesa di questo villaggio, dove cessa la ruotabile, la comitiva dei geologi si avventurò coraggiosamente nel malagevo e sentiero che passando per la Grotta di Sant’Angelo rimonta la vai e del Salinello fino a Castel Manfiì (Manfrine nelle Carte), ira la Montagna dei Fiori o Cirella (Girella nelle Carte) e la Montagna di Campii, a costituire le quali si vide ripetuta, su per giu ne e sue solite condizioni, fino al ** Calcare massiccio », la medesima serie mesozoica dell’ Appennino Centrale che alcuni Soci avevano già avuto campo di osservare in altri luoghi, presso Fabriano a Terni e vicino a Gubbio (prov. di Perugia), in occasione delle Adii- P) Nei giorni 7, 8, 9, 10 settembre del corrente anno, il sottoscritto aveva già praticato ripetute eseursioni alla Montagna dei Fiori al duplice intento di ammirarne le naturali bellezze e di esaminarne la costituzione ge logica I risultati di questo esame saranno pubblicati per extensu in a ra circostanza. Si aggiunge intanto, alla presente Relazione, la carta dei dintorni di Civitella del Tronto, rilevata dallo scrivente. In questa carte, i limiti segnati tra il Miocene medio e l’Eocene sono in parte schematici poiché per la ristrettezza del tempo, non è stato possibile, al sottoscritto, ese-uire le indispensabili ricerche paleontologiche atte a determinare il vero andlmento di questi limiti, fra due formazioni che tanto si assomigliano. TENUTA IN ASCOLI-PICENO NEL SETTEMBRE 1899 LXI nanze estiv^e della nostra Società, ivi tenute negli anni 1883, 1886, 1897 (‘). Si hanno dunque rappresentati, nella Montagna dei Fiori (2), come pure nel Monte di Campii, i termini seguenti: 1. il Calcare massiccio * (dal Trias sup. al Sinemuriano inf.), talvolta oolitico, talvolta dolomitico-travertinoide, con nu- merosi fossili {Rhynchonella, Spiri ferina, Pecten, Trochus, Turbo, Cerithium, Cerithinella, Pseudomelania, ecc.), generalmente vi- sibili in sezione e perciò specificamente indeterminabili. Seguono alcuni grossi strati di calcare subcristallino e di cal- care compatto del Sinemuriano sup. 2. Lias medio. — Calcari bianchi stratificati, qua e là macchiati di rosso, e fossiliferi {Hildoceras, Rhacopliyllites, Phyl- loceras, ecc.). 3. K Rosso ammonitico ” (Toaroiano ed Aleniano). Rappre- sentato prevalentemente da calcari marnosi grigiastri con fucoidi (') Consulta in proposito le numerose pubblicazioni dello Spada e del- rOrsini, dello Zittel, del Fritsch, del Mici, dello Scarabelli, del Canavari e di altri, suH’Appennino Centrale, (v. Matteucci E. V., Bibliogr. scientif. delle prov. di Ancona, Pesaro etc. Napoli, 1884; v. Bellucci Gius., Contrib. alla Bibliogr. dell' Um-bria. Perugia, 1897). È necessario aver cognizione esatta di tutte queste pubblicazioni ogni qual volta si abbia intenzione di intraprendere seri studi geologici sui terreni secondari e terziari dell 'Appennino Centrale. Agli insigni geologi Spada e Orsini spetta il merito di aver pubbli- cato le prime notizie sulla costituzione geologica della Montagna dei Fiori, e sulla presenza di terreni giuraliassici in questa località. Anche nelle due carte geologiche d’Italia (scala 1 : 1.000.000) pubblicate per cura del Comitato negli anni 1882, 1889, è indicata la presenza del Giuralias nella Montagna dei Fiori. Gli ingegneri Viola e Moderni, del R. Ufficio geologico, vennero recen- temente incaricati del rilevamento di questa montagna e delle regioni limi- trofe. Essi hanno già reso conto dei primi lavori di campagna eseguiti in quelle località (Boll. Com. geo!., voi. XXIV (1893), p. 221; voi. XXVI (1895), p. 446; voi. XXIX (1898), p. 82). Il sottoscritto si astiene dal discutere sulla esattezza e sulla importanza dei risultati ottenuti finora in codesti lavori, ma non può esimersi dal far osservare che per quanto apparisce dalle Note pubblicate in proposito, gli ingegneri Viola e Moderni hanno interpretato la struttura geologica delle suindicate località alquanto diversamente da quello che è stabilito nella pre- sente Relazione. LXII RESOCONTO DELL'ADUNANZA GENERALE ESTIVA ed Ammoniti. Lo Spada vi raccolse le seguenti forme, descritte quindi ed illustrate nell’opera del Meneghini (’) . lAjtoceras Francisci (Opp.), = Amm. {Lytoc.) Cereris in Mgh. ex 'p., pag. 106, 191- Harpoceras subplanatum (Opp.), = Amm. {Harpoc.) complanatus Brug., in Mgh., pag. 17, U9. Grammoceras fallaciosum Bayle, + tt n a = Amm. {Harpoc.) radians Rein., in Mgh., pag. 34, 203., t. IX, g. - Grammoceras n. f.? =: Amm. {Harpoc.) radians Eein., in Mgh. ex p., pag. 3.5. llildoceras Levisoni (Simps.), , ^ tt « a = Amm. (Harpoc) bifrons in Mgh. ex p., pag. H, 198, t. li, ng. .5. Hiidoceras bifrons (Brug.), tt n 's = Amm. {Harpoc.) bifrons in Mgh. ea; p., pag. 10, 198, t. li, ng. o. LiLlia gr. Mercati (Hauer) _ = Amm. {Harpoc.) comensis Buch, 6* var. in Mgh. ex p., pag. , -- > t. vni, fig. 4. LilLia gr. Mercati (Hauer), . on om = Amm. {Harpoc.) comensis Biich, 9"* var. in Mgh., pag. , » t. Vili, fig. 3. Lillia Baijani (Dum.), = Amm. {Harpoc.) comensis Bnch, F var. in Mgh., pag. 28, 201, t. vi , fig. 2. Lillia erbaensis (Hauer), = Amm. {Harpoc.) comensis Bnch, in Mgh. ex p., pag. 24, 199. Bactylioceras f., r. • ai i =- Amm. {Stephanoc.) (quindi Coeloc.) subarmatum Y. et B., in Mgi. ex p., pag. 69, 197. Erijcitesì f., . , oaq = Amm. {Hammatoc.) Reussi Hauer, 4* var. in Mgh., pag. , Le figure citate in questo elenco si riferiscono appunto ad esemplari raccolti nella Montagna dei Fiori. 4. &iura. — Si hanno, in basso, pochi strati di Calcare bianco che vi rappresentano almeno una parte del Dogger ; seguono quindi, in concordanza, i soliti « Schisti ad Aptici » del Malm infe- riore ; sormontati alla loro volta da alcuni strati calcarei del Ti- tonico. 5. Maiolica » infracretaopa. (') Monogr., 1867-81. Milano. ì TENUTA IN ASCOLI-PICENO NEL SETTEMBRE 1899 LXIII 6. « Schisti a Fucoidi - dell’Albiano (Gault). 7. « Calcare ippuritico ■» del Cenomaniano. 8. « Calcare rosato » del Turoniano e del Senoniano inf. 9. « Scaglia rosata » del Senoniano sup., parte inf. 10. K Scaglia cinerea ■» con Cijlindrites, Spijrophyton, Pyc- nodonta vescicularis Lnak., Amorphospongia focoidea Gldf., etc. 11. « Bisciaro » pr. d. (Calcare albaresiforme, leggermente marnoso, senza vene spatiche); spessore: 3-4 m. Nella località detta » Regione Pianacce " vi si rinvennero, dallo scrivente, belle impronte di Cystoscistites Orsinii Mgh., e numerosi esemplari di una pic- cola Ostrea. Ivi il « Bisciaro » si presenta, per locale eteropia, bianco, schistoide e sonoro. Nella serie degli « Schisti giuresi con Aptici » (4) si hanno intercalati, nella Montagna dei Fiori, alcuni grossi banchi di cal- care bianco compatto. Fra i termini 7 ed 8 si riscontra, in quasi tutto l’Appennino centrale, uno strato di Schisto nero bituminoso con gli Ittioliti di Pietraroja (^) (Turoniano inf.) la cui presenza nella Montagna dei Fiori non fu peranco constatata. Nella regione compresa fra la Valle del T. Castellano, e il colle deirOseno la « Scaglia cinerea » si presenta notevolmente rimaneggiata per erosioni e successivi franamenti. Qua e là vi si vedono impigliati notevoli ammassi e blocchi di rocce indubbia- mente eoceniche. A mezzo km. di distanza dalle' Ripe, nella insenatura che scende dalla Regione i Pianacci al fiume Salinello, fu rilevata la potenza di un deposito breccioso (detrito di falda) che ivi nasconde, per lunghi tratti, le rocce eoceniche al loro contatto con la « Sca- glia cinerea », riferita sinora al Senoniano sup. Quest’ ultima for- mazione si incontra poco prima di giungere alla Grotta di San- t’Angelo. La Grotta di Sant’Angelo è praticata nel « Calcare rosato ” . Interessante apparve la condizione tettonica della serie cre- tacea ai lati del Salinello, sotto la Grotta di Sant’Angelo. Ivi, in basso, presso il letto del fiume, la serie presenta una inclinazione sud-ovest, mentre la inclinazione normale delle rocce stratificate co- (’■) Cassetti M, Boll. Com. geol., voi. XXIV (1893) p. 336 e seg. j resoconto dell'adunanza, generale estiva stituenti la Montagna dei Fiori ed il Monte di Campii è precisa- mente nel senso opposto. Si tratta evidentemente di una piccola piega coricata come è indicata nel profilo che accompagna la Carta geologica unita alla presente Relazione ('). Dopo una breve sosta alla Grotta di Sant’Angelo, la comitiva proseguì il cammino rimontando la valle del Salinello fin quasi alla base del colle sovra cui sorgono le rovine di Castel ManM, al di là delle quali, ovverosia al limite occidentale della elissoide uniclinale mesozoica costituente il gruppo della Montagna dei Fioii si ha contatto, per faglia, della serie eocenica con il » Calcare massiccio ». Quivi, sorpresi da un violento acquazzone i colleghi Geologi si videro costretti a ritornare sui loro passi. Alle Ripe li attendevano le carrozze che li portarono nuovamente in Ascoli li- facendo la strada percorsa nel mattino. II. Escursione da Ascoli ad Acquasanta. (12 settembre 1899). La comitiva dei Geologi partì da Ascoli alle 7 antimeridiane. Subito fuori dalla città, il primo tratto della strada provinciale che porta ad Acquasanta si vide correre sul Quaternario della Valle del Tronto, quasi a ridosso della collina che separa questa valle da quella del Castellano e sulla quale, assieme ad altri casolari, sorgono le rovine della Rocca di Ascoli. Questa collina, fin dove raggiunge la quota di m. 271 è formata dalle marne fossilifere del Miocene medio. Invece il colle di S. Giuseppe, di cui la Rocca (1) In questo profilo si vedono i depositi del Giura in perfetta concor- danza fra di loro, regolarmente sovrapposti alla serie liasica e sottoposti alla serie infracretacea. Talé è la condizione tettonica caratteristica dei terreni giuresi dell’Appennino Centrale e sempre bene evidente là dove questi non abbiano subito disturbi notevoli per faglie o scivolamenti. Il sottoscritto ha già asserito in parecchi lavori che l’Appennino Centrale non presente menome traccio « de la transgressivité du Jurassique supérieur dans les régions me- diterranéennes ». (v. Haug B. S. G. Fr. 3, XXIV, 1897; p. 800). Tale as.ser- zione, della quale lo Haug non sembrerebbe disposto a tener conto, viene oggi confermata anche per la elissoide della Montagna dei Fiori. TENUTA IN ASCOLI PICENO NEL SETTEMBRE 1899 LXV di Ascoli è un semplice prolungamento, è formato dalla alter- nanza delle marne scagliose eoceniche (« Sere j a ») con banchi di I * Cerrogna >» nummulitica. Anche in questa località adunque il 1 « Flysch » eocenico e le Marne mioceniche sono fra loro a contatto j mancando tutta la serie intermedia. Continuando la strada, sempre sul Quaternario, le Marne mio- ceniche si videro passare sulla riva sinistra del Tronto, sormontate dalle Molasse del Miocene superiore costituenti le cime di Monte Kocco, Grimigliano, Poggio Ansò, Monte Mareotto, Tronzano e Colle Carbonara. L’Eocene invece rimane sulla destra del Tronto costi- tuendo la massa del Monte Rosara, presso il cui vertice, ad est e a nord si hanno due depositi molto importanti e fossiliferi di travertino pleistocenico di cui numerosi frammenti sono dispersi lungo il declivo del monte (Q. Alla chiesuola di S. Giovanni (3 miglia da Ascoli), il Mio- cene medio passa di nuovo alla destra del Tronto, attraversando la provinciale, e risale verso Casa Capriglia. Poco prima di giungere al Ponte di Mozzano il paesaggio cambia ad un tratto ; la strada si interna nella potente formazione delle Molasse gessifere mioceniche. La valle del Tronto attraversa per lungo tratto un' ampia sinclinale, costituita da queste Molasse, fino al Ponte d’Arli. Quivi si incontrarono nuovamente le marne ed i calcari dell’ Eocene che sembrerebbero immediatamente a con- tatto con le suddette Molasse. Alla destra del fiume, dove si innalza la Rocca di S. Ca- terina si osservò il potente deposito travertinoso che forma la vetta di codesta elevazione. Subito dopo, da Arli alla Colombara, ai lati del Tronto, si videro spuntare, sotto le rocce eoceniche, la « Scaglia cirenea « e la a Scaglia rosata » del Senoniano. Al 10° miglio da Ascoli, i colleghi Geologi scesero dalle vet- ture per esaminare il paesaggio che prospettava la Provinciale al di là del Tronto. In basso, lungo il letto del fiume, la Scaglia cinerea ripiegata più volte in piccole anticlinali e sinclinali. Sopra (0 I fossili del travertino ascolano sono stati accuratamente studiati dal prof. A. Mascarini che, nella circostanza del congresso, partecipò alle nostre escursioni e ci fu largo di premure e cortesie. Lxvl RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE ESTIVA la Scaccila, le rocce eoceniche pur esse ripiegate e contorte. Sulle cime dei colli (S. Pietro d’Arli, Colle Fosti, Forcella, Folgiano, Venamartello), le Molasse mioceniche. Mancherebbero adunque, in questa località, come ad Arli, oltre il resto della serie intermedia, anche le marne compatte del Miocene medio. Alla Marzuola comincia il deposito quaternario travertinoso-tii- faceo che si continua fino al di là di Acquasanta, sulla destra del Tronto. Giunti in Acquasanta (i) i colleghi Geologi si affrettarono a visitare i Bagni solfurei di proprietà dei fratelli Trocchi, alle sca- turigini di una fra le più notevoli e conosciute sorgenti termali di acque sulfuree che esistano in Italia. Queste acque sgorgano al limite fra il deposito quaternario e la . Scaglia cinerea*, nell’interno di una profonda ed ampia caverna dentro la quale esse sono trattenute artificialmente in forma di piscina. _ , , , Approfittando di un breve istante di riposo lo scrivente trat- tegt^iò nel suo taccuino, il qui unito profilo schematico del Pizzo presso S. Vito, che sorge di fronte ad Acquasanta, sulla sinistra del Tronto, e nel quale si nota la seguente successione dall’ alto in basso: (641“) c) Molasse grigie (gialle superficialmente) del Miocene su- periore. (1) Il ricordo delle accoglienze ricevute dai cittadini di Acquasanta e d d signori fratelli Trocchi, rimarrà indelebile nella memoria di tutti i colleglli Geologi che presero parte alla escursione. TENUTA IN ASCOLI-PICENO NEL SETTEMBRE 1809 LXVU b) Marne compatte del Miocene medio, molto simili a quelle del sottostante Eocene, sul quale riposano con affarente concordanza. a) Eocene medio. — Marne scagliose cenerine (M.) e banchi intercalari (G.) di Calcare nummulitico. Alle ore 5 pomeridiane la comitiva dei Geologi, salutata dalla popolazione di Acquasanta, ritornò ad Ascoli in vettura rifacendo la strada percorsa durante il mattino. Il prof. Parona, il prof. Sacco, e lo scrivente si avviarono in- vece nel senso opposto verso Arquata del Tronto, attraverso una seconda sinclinale delle Molasse mioceniche. Ad Arquata pernot- tarono, e la mattina del giorno appresso ascesero la costa meso- zoica del Vettoretto, passarono la Porca di Presta (dove il prof. Pa- rona fermò l’ attenzione dei suoi compagni di viaggio sopra un lembo di calcare nummulitico (*), che ivi affiora $o])ra la scaglia cinerea e diede agli escursionisti buona messe di fossili), attraver- sarono quindi l’ incantevole piano del Castelluccio (una vera e pro- pria dolina), e scesero finalmente a Norcia donde il mattino seguente ripartirono diretti a Spoleto. A 24 ore di distanza, la prima parte di questo loro itinera- rio veniva percorsa dal prof. Hassert dell’ Università di Tubinga che aveva partecipato alla Riunione della nostra Società e fece quindi la ascensione del Vettore per istudiare i depositi glaciali che ne coronano la vetta intorno al Lago di Pilato. (b Già citato in un antico lavoro dello Spada e dell’Orsini. Guido Bonarelli. LXVIII 1 RESOCONTO dell’adunanza GENERALE ESTIVA Appendice II. COMUNICAZIONI SCIENTIFICHE Aggiunte bibliografiche sulla Baritite e sulla Tluorite della Sardegna. Nell’ultima adunanza generale della Società Geologica Italiana presentai una breve notizia sulla Fluorite cristallizzata della mi- niera di Congiaus presso Iglesias {Sardegna), che venne stampata nel Bollettino della predetta Società, volume XVII, 1898, fase. °, pag. 252-256. n n -d In quella nota si fa incidentalmente parola della Bantite sarda. Alle citazioni bibliografiche, che ho dato su questo mine- rale, devonsi aggiungere i due . seguenti lavori, nei quali trovansi indicate parecchie forme cristalline riscontrate su campioni prove- nienti dalla Sardegna; Negki G. B., Sopra le forme cristalline della Baritina ai Montevecchio {Sardegna) e di Millesimo {Liguria), pubblicato nella Kivista di mineralogia e cristallografia italiana diretta a R Panebianco, voi. XII, 1892, fase. I-III, pag. 4-18. [L’autore indica 24 forme cristalline, riunite in numerose combinazioni e ne figura alcune. Vedi figure 1-5 nella tavola an- nessa alla memoria.] t j ii„ Riva C., Sopra alcuni minerali di Nebida. Negli Atti della R. Accademia dei Lincei, anno 1897, serie V. Rendiconti, Classe di scienze fisiche, mat. e natur., voi. VI, 1° semestre, fase. 12. Seduta del 20 giugno 1897, pag. 421 a 428. Riprodotto nella Ri- vista di mineralogia e cristallografia italiana, già citata, voi. XVili, 1898, fase. III-VI, pag. 54-63 (’). [Vi sono segnate, per la Baritite di Nebida, 8 forme crista - (1) Per un sunto della memoria si può consultare: Bibliografia geoio- g^ca Italiana per Vanno 189 7, stampata nel Bollettino del E. Comitato Geo . logico d’Italia, anno 1899, voi. XXX della Eaccolta, 1° minestre, pag. 89. TENUTA IN ASCOLI-PICENO NEL SETTEMBRE 1899 LXIX line. Vedi pag. 421-422 degli Atti dei Lincei e pag, 55-56 della Eivista, entrambi sopra citati.] Inoltre, sia per la Fluorite, che per la Baritite dei giacimenti sardi, possono citarsi ancora le seguenti pubblicazioni, disposte per ordine di data, nelle quali i predetti minerali trovansi incidental- mente nominati, ma sempre senza indicazione delle loro forme cristalline. Zoppi G., Descrizione geologico-mineraria dell' Iglesiente. Koma, 1888 (già citato nella mia sopra segnata nota sulla Fluorite). [Alla pag. 82, parlando dei filoni metalliferi di Fenugu Sibiri e di Nieddoris nel distretto minerario di Iglesias, dice che nella loro fifanna si incontra la Fluorite e rileva come la Fluorite sia o o accompagnata da minerali, che non si trovano in altri filoni privi di tale matrice, cioè, dall’Argentite, Proustite, Argento corneo. Ar- gento nativo. Alle pag. 79-80, parlasi ancora delle matrici dei filoni sardi, ed alla pag. 89 della ganga di Fluorite nei suddetti filoni e della loro genesi.] Ministero d’ Agricoltura, Industria e Commercio. Corpo K. delle Miniere, Rivista del servizio minerario, 1891. Koma, tip. Bertero, 1893, in-8°. [Alla pag. 304 è stampato che in Sardegna nelle miniere della « United mines Company » , si constatarono giacimenti di Fluorite. Sembra anzi che sieno abbondanti, poiché la Società pre- detta offriva la Fluorite, condotta a Civitavecchia, al prezzo di lire 45 0 50 la tonnellata.] Lovisato D., Sulla Senarmontite di Nieddoris in Sardegna e sui minerali che l’ accompagnano in quella miniera. Atti della K. Accademia dei Lincei. Rendiconti. Classe di se. fis. mat. e nat. Serie V, voi. Ili, 1° semestre 1894, pag. 82-89 [Vi si parla brevemente della Fluorite come ganga dei filoni.] Dannenberg a., Reisenotizen aus Sardinien (Zeitschrift fiir praktische Geologie. Jahrg, 1896, fase- 7, pag. 252-256. Berlin). [Sono nominate incidentalmente le ganghe di Fluorite nel Sar- rabus e dei giacimenti argentiferi di Montenarba e Giovanni Borni (pag. 2*53-254).] Perron C., Circa la scoperta di un minerale in Sardegna. Nella Rassegna Mineraria, voi. II, n. 6. Roma, 1896, pag. 165-166. [Incidentalmente vi è menzionata la Fluorite.] LXX RESOCONTO DELlVdUNANZA GENERALE ESTIVA IssEL A., Compendio di Geologia col concordo dell’ingegnere S. Traverso. Torino, 1896-97, voi. 2. [Nella parte seconda (1897), sono date alcune sezioni dei filoni argentiferi di Monte Narba (fig. 262, alla pag. 185) e di Giovanni Bonn in Sardegna (fig. 263, alla pag. 187), con ganga di Fluorite.] Stockfleth, Das Vorkommen nutzbarer Mineralien in dem siidwestlichen Theile der Insci Sardinien (nei Verhandl. des na- turhistor. Vereins der preuss. Rheinlande, Westfalens, etc.. An- nata 54®', dispensa 1^. Bonn, 1897, pag. 66-77). Ved. pag. /2. [L’A. scrive che la ganga dei filoni metalliferi è, in via se- condaria, Baritina e Fluorite.] Ferraris E., Genesi dei giacimenti metalliferi di Monte- gìoni. Nei Resoconti delle riunioni dellAssoc. mineraria sarda. Anno III, 1898, n. 3, pag. 5-13. Iglesias. [Alla pag. 13 accenna brevemente la genesi della Baritina nei giacimenti minerari sardi, avvertendo che i giacimenti zinci- feri di Monteponi sono accompagnati da Limonite, Quarzo, Argille e Baritina.] ^ Lovisato D., Notizia sopra alcune specie minerali nuove per la Sardegna. Negli Atti della R. Accademia dei Lincei. Ren- diconti, voi. VII, 1° semestre, serie 5^, fase. 8°, seduta del 17 aprile 1898, pag. 246-250. [Alla pag. 247 trovasi stampato che nella miniera di S Ortu Beciu in quel di Donori, si presenta la Galena in noduli, accom- pagnata da Witherite, Polimorfite, Cerussite, ecc., in mezzo a Baritite.] Roma, 26 febbraio 1899. Romolo Meli. Rinvenìniento di inannuifsri fossili nel Qiiiaternario di Morrocu presso Reggio-Calabria. Il signor Giuseppe Moschella, mio amico, facendo delle ricerche paleontologiche nel quaternario di Morrocu da me illustrato in una nota pubblicata nel nostro Bollettino — rinvenne alla base degli ultimi strati alluvionali, alcuni frammenti di mammiferi fossili, fra TENUTA IN ASCOLI-PICENO NEL SETTEMBRE 1899 LSXI i quali, resti di Elephas meridionalis Nesti, consistenti in denti molari. Di questi, uno, donato al comm. D. Botti, ora fa parte della collezione paleontologica dell’ Istituto tecnico di Keggio. Un’ altra scoperta dello stesso genere fu fatta ultimamente nella contrada Corvo, sopra il villaggio di Archi, a nord di Eeggio. Es- sendosi rinvenuti colà negli strati marini quaternari più recenti alcuni avanzi di denti molari di Rhinoceros, il comm. Botti mi mandò sul luogo per viemeglio constatare la scoperta e cercare altri avanzi, qualora vi fossero. Ebbi così agio, con le mie assidue ri- cerche, di arricchire di altri avanzi dello stesso genere quelli avuti, di rinvenirne altri di altri generi di mammiferi; ed in fine, di trovare negli strati più bassi alluvionali quaternari dei resti di Elephas meridionalis, consistenti in frammenti di molari e di difese. Tutto il materiale scientifico accennato sarà quanto prima illu- strato — per quanto le mie modeste forze consentono — in una apposita nota che sarà scritta per il Bollettino della nostra Società ; ma intanto non ho creduto inutile far noto fin d’ ora le due sco- perte, le quali possono giovare agli studiosi delle Scienze Geolo- giche, e, della cui importanta — si sottintende — è ovvio il par- larne qui. Reggio (Cai.), 3 settembre 1899. Dott. Giuseppe De Stefano. Geologia delle oolline circostanti a Brescia. Air K Ateneo di Brescia » lessi il 23 luglio p. p. una Memo- ria dal titolo: Rilievo geologico tra Brescia e M. Maddalena. Ne faccio ora un riassunto, che comunico alla Società Geologica Italiana. La regione impresa ad illustrare si distende a nord e ad est della città, occupando un’ area di circa 30. kmq., ed orograficamente è costituita come segue : Al suo limite orientale abbiamo l’ asse del M. Maddalena, avente la massima altezza di 875 m. e diretto da Lxxil RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE ESTIVA sud-sud-ovest (villaggio di S. Eufemia, 140 m.) a nord-nord-est (passo di S. Vito, 555 m-)- H versante occidentale della Maddalena, più dolce e blando dell’orientale (che precipita a dirupi nella sotto- stante valle di Botticino), manda verso ovest-nord-ovest tre prin- cipali speroni o contrafforti, dei quali i più lunghi sono: il setten- trionale, che finisce al villaggio di Mompiano (190 m.) — ed il meridionale, cbe termina al colle Cidneo entro la città stessa (245 m. quello — 150 m. il piano di questa). A due tipi si riferiscono le roccie costituenti detto territorio, tipi che anche il volgo ha sempre distinti colle due denominazioni di Còrna e di Médolo : il pómo è bianco, d’ apparenza massiccia per quanto in realtà stratificata, ed offre due facies litologiche ben distinte, ma irregolarmente distribuite, cioè la calcareo-com- patta e la dolomitico-cristallina ; il secondo, pure calcareo, spesso marnoso con noduli o straterelli di selce e con stratificazione sempre evidente, presentasi sotto aspetti diversi e per composizione e per compattezza e per colorito. L’ asse della Maddalena è costituita da Còrna associata a Médolo - i tre contrafforti esclusivamente da Médolo. ^ • La Corna è la formazione stratigraficamente piu bassa e m - sarà una potenza di circa 400 m. - Nel Médolo, avente una po- tenza di circa 1000 m., io avrei distinti sei tipi o piani od orizzonti litologici, che si succedono in complesso da est ad ovest, dimodoché ven<^o'no ad essere stratigraficamente più alti i più occidentali. Ho dato a questi tipi, per semplicità d’ esposizione, i nomi locali di : Eafemiano (dal villaggio di S. Eufemia) - Bornatiano (dalla località Bornata) — Fontanelliano (dalla Val Fontanelle) Go - tardiano (dalla chiesetta di S. Gottardo) - Ronchiano {à^^ Ronchi, colline prossime alla città) — e Cidneano (dal colle Cidneo): que- st’ultimo piano è il più recente della serie.^ _ Quando all’ età geologica delle roccie, abbiamo intanto due punti paleontologicamente noti e quindi sicuri di riferimento e moe; r età della Corna {Sinemuriano inferiore), e 1’ età del Médolo Kon- chiano e Cidneano [Charmutiano superiore) \ membri in- termedi non ponno che spettare ugualmente al Sinemuriano od al Charmutiano. Di più: alcune ammoniti esistenti nel nostro Museo e portanti l’ indicazione “ Costalunga » furono giudicate del Char- mutiano inferiore, e la roccia che le contiene corrisponderebbe al TENUTA IN ASCOLI-PICENO NEL SETTEMBRE 1899 LXXIII Médolo Bornatiano e Fontanelliano. Di più ancora : il Médolo Eufe- miano, per quanto manchi una sicura prova paleontologica, è sempre stato ritenuto sincrono della formazione di Saltrio (Brianza) spet- tante al Sinemuriano superiore. Resterebbe il Médolo Gottardiano : se consideriamo che il Médolo Cidneano e Ronchiano corrispondono precisamente alla parte superiore del Charmutiano superiore^ cioè al Domeriano di Bonarelli, potremo riferire detto Médolo Gottar- diano alla parte inferiore dello stesso Charmutiano superiore. Nella lettura fatta all’ * Ateneo di Brescia » segue qui una lunga e minuziosa esposizione della tectonica della regione illu- strata: ne risulta che se la parte settentrionale dell’asse Madda- lena ed il contrafforte di Mompiano offrono una disposizione stra- tigrafica normale e regolare, con pendenza ad ovest-nord-ovest, le altre plaghe della regione offrono tectoniche speciali, mostrandosi come masse indipendenti per opera di fratture con salti {faglie). Nella seconda parte della Memoria è detto delle fasi oroge- netiche della regione e son cercate le cause della sua attuale morfo- logia — tenendo \ proto fenomeni, o fatti di corrugamento che determinarono il rilievo originario, dagli epifenomeni, o fatti d’alte- razione e d’ erosione che modificarono l’ oro-petrografia primitiva. Le ondulazioni ad occidente della Maddalena sono fatti secon- dari dipendenti dall’asse di questa, che è il principale corruga- mento, costituito da un’ anticlinale adagiata ad oriente, spezzata ed opprimente una sottoposta sinclinale, la quale include formazioni giuresi e cretacee ; la forza corrugante agiva dunque nei tempi ter- ziari, e da est per effetto di affondamento di plaghe poste ad oriente. Quanto alle alterazioni litologiche, ci si presenta prima la Còrna dolomitica : pur non escludendo l’ origine primitiva di questa per immediata dolomitizzazione dei sedimenti calcarei ad opera dei sali magnesiaci dell’acqua del mare, io mi domando se nel caso nostro non si possa ammettere la postuma trasformazione ad opera di vapori vulcanici magnesiaci, ciò che sarebbe supponibile dal fatto che solo nella nostra e non nelle vicine regioni la Còrna dolomi- tica prevale sulla calcarea, combinato coll’ altro fatto che solo lungo la valletta di S. Eufemia mostransi ciottoli di scorie peridotiche accennanti a probabili eruzioni laviche durante il corrugamento e la dislocazione della Còrna; (pure terziari e pure peridotici sono i materiali vulcanici del vicino Veronese). VI LXXIV RESOCONTO dell’adunanza GENERALE ESTIVA Fra le altre alterazioni litologiche abbiamo la decolorazione del Médolo, originariamente grigio-bruno, bluastro, ora più spesso chiaro, gialliccio-cereo ; abbiamo il suo fissuramento e sfarinamento, la sua decalcificazione e tripolizzazione ; onde l’ origine del detrito siliceo e del ferretto (terra rossa o gialla), residui sotto i quali è più spesso sepolta la roccia ; abbiamo secrezioni e concentrazioni siderolitiche in arnioni e venuzze ; ecc. (Il ferretto e le secrezioni son propri anche della Còrna). ' Circa le alterazioni morfologiche, prodotte da erosione, dob- biamo attribuire alle medesime tutte le vallette della regione, non- ché i talus e le conoidi, delle quali cose è inutile qui dire par- ticolarmente. Solo mi preme ricordare il talus-conoide della valle di S. Eufemia, formato da compattissima breccia, che è stata da altri erroneamente ritenuta di frizione e coetanea al corrugamento; come pure ricorderò che, essendo dei sei tipi del Médolo più alte- rabile ed erodibile il Fontanelliano, si può ben spiegare la fre- quenza di selle e di ripiani ovunque detto tipo di roccia affiora. Brescia, agosto 1899. G. B. Cacciamali. Un nuovo pozzo artesiano nel Comune di Casoina. Come complemento al mio lavoro sui pozzi artesiani nel co- mune di Cascina, comunico alla Adunanza che un nuovo pozzo ar- tesiano è stato in questi giorni perforato con risultati molto buoni. Il pozzo si trova a nemmeno 500 m. di distanza dal pozzo Silvi del quale parlai sul finire della mia nota sopracitata, ed è ancb’ esso scavato nelle proprietà Silvi, in quella vasta pianura, detta Cori- gliana, che si stende circa tra Fosso Beale e Fosso d Arno. Gii operai perforatori oltrepassarono i 26 m. di profondità, alla quale nel vicino pozzo fu trovata l’ acqua relativamente abbondante, e spintisi pochi metri più in giù, dopo perforato un banco d argilla, a m. 33 trovarono una potente massa d’ acqua, la quale scaturiva dal pozzo con una portata, che mi fu asserito essere di più che 800 litri al minuto primo. La portata attuale misurata da me, approssimativa- mente, nel mese di agosto non oltrepassava però che di poco i 300 litri al minuto, mentre presto divenne di poco superiore a 200. TENUTA IN ASCOLI-PICENO NEL SETTEMBRE 1899 LXXV Giova osservare però che il pozzo era in parte otturato. Insieme all’ acqua usciva sul primo anche una quantità di sabbia gialla, di tipo prettamente pliocenico. Bisogna dunque ammettere per quest’ acqua un’ origine diversa da quella degli altri pozzi artesiani del Comune, la quale o si trova poco sotto ai 30 m. a contatto del calcare infraliassico del M. Pisano, o si rinviene in lame incli- nate al mare, e scorrenti sopra le argille torbose alluvionali della pianura dell’Arno a più di 50 m. Le colline plioceniche a sinistra dell’ Arno spingono le loio propaggini sino a 2 km., e anche meno, dal pozzo in questione: lo sbocco del torrente Crespina, che scende dalle colline suddette, è a poco più di 1 km. di distanza da esso; naturale è quindi che le sabbie gialle plioceniche di quelle colline, non molto elevate e a dolce declivio, si trovino a non grande profondità sotto il piano alluvionale. L’apertura di questo nuovo pozzo ha una grande importanza per le ragioni seguenti: 1°. È dimostrata l’ esistenza di una potente massa d’acqua, saliente di almeno un metro, che in tutta la pianura posta ai piedi delle colline plioceniche si trova alla profondità di circa 35 metri, e forse assai meno. 2°. Data 1’ im'potahilità assoluta di tutte le acque arte- siane del Comune, è probabile che la nuova acqua, di origine di- versa, sia anche di migliore qualità, tanto più che nelle colline le fonti naturali sono di buona qualità. 3°. Data la potabilità della nuova acqua non deve esserne difScile la conduttura, in quanto il terreno si trova già circa 3 metri al disopra del livello generale, e 1’ acqua poi è saliente almeno un metro. Saranno certo però necessari ulteriori studi per vedere i rapporti nei quali stanno queste nuove acque e le piogge, come pure per constatare la portata del nuovo pozzo, al quale naturalmente ne po- trebbero essere sostituiti altri, meglio e più scientificamente costruiti. La portata, sul primo enorme e notevolissima ma prestamente diminuita, a mio parere però dovrà certo andare ancora dimi- nuendo in avvenire, come purtroppo avviene, avverandosi quanto già prevedevo, pei pozzi sino ad oggi perforati in altre parti del Comune. In questo caso poi la diminuzione è più che probabile LXXVI RESOCO^■TO DELL’ADUNANZA GENERALE ESTIVA ìq quantochè il bacino d’ impluvio di questo pozzo è grandemente limitato. Alla diminuzione di portata dei pozzi artesiani in generale si potrebbe credo in gran parte riparare, qualora si regolasse oppor tunamentelo scarico dell’acqua, la quale oggi va disgraziatamente quasi tutta perduta, scorrendo inutile e continua pei canali e pei fossi. P. Yinassa De Regna. Appendice III OMAGGI PERVENUTI ALLA SOCIETÀ DAL Marzo all’Agosto 1899. Bassani Fr., La Ittiofauna del calcare eocenico di Gassino in Piemonte. Con 3 tav. Napoli 1899. — Di una piccola bocca apertasi nel fondo della Solfatura. Napoli. 1899. Colomba L., Su alcuni materiali da costruzione in Leucotefrite del sotto- suolo di Torino. Torino 1899. ■ ■ ■ j- r> Del Prato Al., Petroli ed emanazioni gasose nella provincia di Parma e Piacenza. Bibliografia. Parma, 1899. Forir H., Notices bibliographiques. Liège 1895. _ Sur la sèrie Rhénane des Planchettes de Felenne du Vencmont et de Poudrome. Liège 1896. — Quelques mots sur les Dépots Tertiaires de l'entre-sambre-et-meuse ; Les schistes de Matagne dans la région de Santour-Surice. Liège 1898. — Compie renda de la session extraordinaire de la Soc. Géol. de Belgiqae, tenue à Huy du 2 au 5 octobre 1899. Con tav. Liège 1899. — Compie Renda de la session extraordinaire de la Soc. Géol. de Belgique, tenue à Beauraing et à Gedirme du 17 au 20 septembre 1898. Con nna tav. Liège 1899. i ■ j rm, — et Gosselet J., Sur le prolongement Occidental du bassin da Iheux, Liège 1896. . c< ■ — et M. Lohest, Compie renda de la session extraordinaire de La òociete Géologique de Belgique, tenue dans le vallèe de l'Ourthe entre Esneux et Comblain-au-Port et à Modane, du 3 au 6 septembre 1892, avec une tableau, 1897. Compie Renda de la session extraordinaire de la Soc- Roy. Malac_ de Belgique, tenue à Liège et à Bruxelles du 5 au 8 septembre 1896, avec une table. Bruxelles 1897. Quelques fait géologique intéressants observés récentment. Liège 1899. TENUTA IN ASCOLI-PICENO NEL SETTEMBRE 1899 LXXVII Hogbom a. G., Om de vid Syenitbergaster hundna jeram.almerma i Òstra Ural. Stockholm 1898. — Om Urkalkstenarnas topografi och den glaciala erosionen. Stockholm 1899. Lohest Max, De la structure héligo'idale de certaines Anthracites de Visé, avec une table. Liège 1885- — Sur quelques roches de la zone mètamorphique du Paliseul- Liège 1885. — Quelques conséquences de mouvements de la Terre autour dv Soleil- (Eé- sumé de Conférence). Liège 1886. — De Vdge de certains dépóts de sable et d'argille plastique des environs d'Esneux. Liège 1886. — De Vdge et de l'origine des dépóts d'argille plastique des enoirons d'An- denne. Bruxelles 1887. — Recherches sur les Poissons des terrains Paléozoìques de Belqiques, avec 2 tabi. — Découvert de plus ancien Amphibium connu et de quelques fossiles re- marquables dans le Famennien supérieur de Modano. Liège 1888. — De la découverte d'especes américaines de Poissons fossiles dans le De- vonien supérieur de Belgique. Liège 1889. — De l'origine des Anthracites du calcaire carbonifere de Visé- Liège 1889. — Alluvions anciennes de la Meuse. Liège 1890. — Sur la signification des conglomérats à noyaux schisteux des Psammites du Condroz. Liège 1891. — Visite au Muxé de la Smitsonian Institution à Washington, ecc , ecc. Liège 1892. — Recherches sur les Poissons Paléozoìques — Poissons du Famennien. Liège 1888. — Sur le parallelisme entre le calcaire carbonifere des environs de Bristol et colui de la Belgique, ecc. Liège 1894. — De la présence du calcaire carbonifere inférieur, ecc. Liège 1894. — De l'origine desfailles des terrains secondaires et tertiaires, ecc., Liège 1894. — Des dépóts tertiaires de l'Ardenne et du Condroz. Liège 1896. — De la présence du calcaire à Paléchinides dans le carbonifere du nord de la Franco. Liège 1896. — Noctions sommaires de Géologie à l'usage de l'explorateur au Congo. Bruxelles 1897. — et Braconier Itan, Fxploration du Trou de l'Arbiéme à Couvin. Liège 1888' — et Marcel de Puydt, Fxploration de la Grotte de Spy- Liège 1886. De la présence de Silex taillés dans les alluvions de la Mehaigne. Liège 1885. — et De Eoninck L. G., Notice sur le parallelisme entre le calcaire du N.O. de V Angleterre et colui de Belgique. Bruxelle 1886. — et Velge G., Sur le niveau géologique du calcaire des Ècaussines. Liège 1894. Pagani Umberto, Sopra due nuovi bollitori o salse presso il torrente Sei- lustra. Eoma 1899. LXXVIII RESOCOISTO dell’adunanza. GENERALE ESTIVA SCARABELLI GIUSEPPE, Osservazioui Geologiche e tecniche fatte in Imola in occasione di un pozzo artesiano. Imola 1898" Van de Broeck Ernest, Les discours de M. Ed. Dupont, eco. Appendice IV REGOLAMENTO GENERALE. Art. 1°. Anno sociale. — Ha principio e termine con 1’ anno solare, e gli ufficiali uscenti di carica regoleranno gli affari in corso nel mese di dicembre, consegnando l’ufficio ai nuovi eletti il primo gennaio dell’ anno seguente. Art. 2°. Consiglio direttivo. — A. a) Coadiuva il Presidente nella direzione della Società. b) Nomina 1’ Archivista ed il Tesoriere, le attribuzioni del quale, quando se ne presenti la necessità, potranno in parte essere affidate ad un Economo. Questi ufficiali interverranno alle sedute del Consiglio con voto deliberativo. La loro durata in carica è trien- nale, salvo riconferma. c) La nomina dell’ Archivista, del Tesoriere e dell’ Economo potrà dal Consiglio essere delegata all Assemblea. d) Nomina per un anno, salvo riconferma, due vice-segre- tari, i quali potranno assistere alle adunanze di Consiglio, ma senza voto deliberativo. é) Presenta all’ approvazione della Società i bilanci preven- tivi dell’anno in corso nella seduta invernale; quelli consuntivi dell’ anno precedente nella seduta estiva. /) Propone all’ Assemblea 1’ ammissione dei nuovi soci pre- sentati a termine dell’ art. 2 dello Statuto, non che la radiazione dei soci da due anni morosi. g) Propone all’ Assemblea il cambio delle pubblicazioni so- ciali e stabilisce il prezzo di vendita delle medesime. B. a) Qualunque deliberazione del Consiglio che interessi tutta la Società potrà divenire esecutiva immediatamente; ma dovrà essere presentata alla Società nella prossima adunanza generale. TENUTA IN ASCOLI-PICENO NEL SETTEMBRE 1899 LXXIX b) Nessun contratto però, riguardante l’ amministrazione potrà essere legalmente stipulato dal Consiglio senza 1’ approvazione pre- ventiva dell’ Assembea generale estiva. c) L’ alienazione dei capitali, investiti in consolidato, non avrà luogo senza il consenso dell’ Assemblea. d) Le deliberazioni così del Consiglio, come delle Assem- blee generali, sono valide qualunque sia il numero degli intervenuti ; purché si riferiscano ad oggetti indicati nel relativo ordine del giorno annesso all’avviso di convocazione, salvo il caso accennato all’ art. 14. Art. 3“. Presidente. — Ha la rappresentanza ufficiale della Società. Convoca e presiede le adunanze. Firma le corrispondenze, potendo a tal uopo delegare il Segretario. Sorveglia 1’ andamento degli incassi e delle spese che si eseguiscono per conto sociale. Appone il visto alle prove di stampa prima di licenziarle per la pubblicazione. Art. 4°. Vice-Presidente. — Coadiuva il Presidente in tutti quegli affari che da lui possono essergli affidati ; ne tiene il posto quando questo si sia reso vacante. Art. 5®. Segretario. — Conserva la corrispondenza tenendone protocollo e depositandola anno per anno in Archivio. Per ordine del Presidente dirama gl’ inviti per le adunanze. Tiene il registro dei Soci comunicandone al Tesoriere o all’ Economo ogni variazione. È responsabile dei verbali del Consiglio direttivo e delle assemblee dei Soci. Provvede a che la stampa del Bollettino riesca meno co- stosa. Corrisponde con i Soci ed invigila il buon andamento delle pubblicazioni. Cura la spedizione delle pubblicazioni sociali. È rim- borsato delle sole spese di viaggio al luogo delle adunanze generali. Art. 6°. Vice- Segretari. — Coadiuvano il Presidente ed il Se- gretario in quegli affari che da questi possono essere loro affidati. Art. 7°. Tesoriere. — a) Eisiede in Koma. È depositario del patrimonio sociale ; alla fine di ogni anno ne presenta la situazione particolareggiata. È incaricato delle riscossioni e dei pagamenti per conto della Società. D’ accordo col Presidente e col Segretario, dovrà presentare i bilanci preventivi e consuntivi quindici giorni prima dell’adunanza invernale. b) Qualora contemporaneamente al Tesoriere esista anche r Economo, le loro rispettive attribuzioni saranno determinate da un regolamento interno amministrativo approvato dalla Società. L1XX RESOCONTO DELL’aDUNA.NZA. GENERALE ESTIVA c) Il Tesoriere è rimborsato delle sole spese di viaggio al luogo delle adunanze generali, solo quando non esista 1 ufficio di Economo. Art. 8°. Archivista. — Ha in consegna i libri della Società, le pubblicazioni invendute, le corrispondenze anteriori all anno in corso, purché di affari esauriti, e i documenti affidatigli dalla pre- sidenza, tenendone regolare inventario. Cura la regolarità dei cambi. Art. 9°. Soci. — a) Per i Soci nominati nella seduta inver- nale r iscrizione avrà effetto col primo gennaio dello stesso anno; per quelli nominati nella seduta estiva decorrerà dal primo gen- naio dell’ anno successivo o dello stesso anno a volontà del Socio. b) Air atto d’ iscrizione i nuovi Soci debbono pagare oltre alla tassa d’ ammissione la prima quota annuale e obbligarsi per iscritto di far parte, almeno per tre anni, della Società, decorsi i quali r impegno s’ intenderà rinnovato tacitamente anno per anno. c) La quota annuale, fatta eccezione di quella del primo anno d’ iscrizione, deve pagarsi entro il primo bimestre dell anno cui si riferisce. d) Ogni Socio riceverà un diploma con l’ indicazione della sua iscrizione. e) I Soci hanno diritto di presentare per la stampa Memo- rie e comunicazioni, nella misura consentita dal bilancio sociale? uniformandosi alle prescrizioni del regolamento speciale per le pub- blicazioni. Kiceveranno gratuitamente un certo numero di estratti da determinarsi dal Consiglio. f) Intervengono alle adunanze ordinarie e straordinarie, alle escursioni ecc. e godono di quelle agevolazioni che 1 ufficio di pre- sidenza potrà volta a volta procurare. g) Hanno diritto di voto, che potrà essere esercitato di per- sona 0 per lettera (art. 4 e 13 dello Statuto). h) Possono usufruire della biblioteca sociale tenendo in pre- stito libri ed altre pubblicazioni per un tempo non maggiore di due mesi, purché si assumano per iscritto ogni responsabilità in caso di smarrimento o di deterioramento, e sostengano le spese di spedizione. Corrisponderanno a tal uopo coll’ Archivista. i) Col primo aprile di ciascun anno verrà sospeso, previo avviso del Segretario, l’ invio delle pubblicazioni ai Soci che non avessero ancora versato la quota dell’ anno precedente. TENUTA IN ASCOLI-PICENO NEL SETTEMBRE 1899 LXXXI k) Un Socio che non sia in corrente col pagamento della quota annuale o non abbia altrimenti soddisfatto ad impegni presi colla presidenza, riguardo a spese di pubblicazioni, non avrà diritto di voto nelle assemblee, non potrà presentare lavori per il Bollet- tino e non potrà usufruire della Biblioteca sociale. l) I Soci ordinari che volessero dimettersi dalla Società pre- senteranno per iscritto alla presidenza fé loro dimissioni entro il mese di novembre, altrimenti saranno considerati come Soci anche per r anno successivo. m) Sarà radiato dall’ albo dei Soci, chi da due anni abbia trascurato il pagamento della quota sociale. La radiazione proposta dal Consiglio, per questa o per altre ragioni, dovrà essere appro- vata dall’ assemblea dei Soci. n) I Soci cancellati dai ruoli della Società per dimissioni volontarie, o perchè morosi nei pagamenti, potranno essere riam- messi, purché soddisfino alle disposizioni dell’ art. 2 dello Statuto. La riammissione dei Soci morosi sarà condizionata al pagamento delle quote che fossero rimaste insolute ed alla liquidazione di ogni pendenza che ancora avessero colla Società. o) Le Società e gl’ Istituti pubblici e privati non possono essere ammessi al pagamento per una sol volta di L. 200 in so- stituzione della tassa annuale. Art. 10°. Pubblicazioni. — La Società pubblica le Memorie presentate nelle adunanze o ricevute dalla presidenza, in fascicoli in ottavo, col titolo : Bollettino della Società Geologica Italiana, ad intervalli possibilmente periodici, unitamente all’ elenco dei Soci ai bilanci e ai verbali delle adunanze ordinarie e straordinarie’ Le norme relative alle pubblicazioni sono esposte in apposito rego- lamento. Art. 11°. Cambi ed omaggi. — La Società non accetta cambi con pubblicazioni non attinenti alla Geologia ; non dà in omaggio ad alcuna persona o ad alcuno Istituto pubblico o privato la serie delle proprie pubblicazioni. Potrà il Consiglio volta a volta delibe- rare il dono di un fascicolo o di un volume nel quale sianvi trat- tati argomenti che interessino la persona o l’ Istituto al quale vien fatto r omaggio. Art. 12°. Commissione del bilancio. — Verrà composta di tre Soci nominati anno per anno dall’ assemblea invernale e questi po- LXXXII RESOCONTO dell’adunanza GENERALE ESTIVA tranno essere confermati o sostituiti. Ad essi è ^ devoluto l’esame dei bilanci consuntivi e dovranno presentare all’assemblea oppor- tuna relazione. . . Art. 13°. Commissione per le pubblicazioni. — Sarà costituita dal Presidente, dal Segretario e dal Tesoriere; quest’ultimo sarà sostituito daU’ Economo, nel caso contemplato nel comma b) del- r Art. 2° del Eegolamento generale. È facoltà della presidenza ricor- rere, in caso di bisogno, al giudizio di persone competenti estranee alla detta commissione. Art. 14°. Modificazioni dello Statuto. — Le risposte dei Soci con il voto relativo a proposte di modificazioni dello Statuto, di cui all’ art. 13° dello Statuto in vigore, che non fossero pervenute alla presidenza, e per essa al Segretario, entro 60 giorni dalla data della circolare dell’interpellanza, non saranno tenute a calcolo. Lo scratinio dei voti verrà eseguito non più tardi di giorni 70 dalla data della sopra citata circolare. Le schede saranno conservate in Archivio ed i nomi dei vo- tanti saranno inseriti nel verbale, il quale verrà pubblicato con le risultanze dello scrutinio e distribuito ai Soci dopo ottenuta 1’ ap- provazione governativa, secondo prescrivono i regolamenti sugli Enti morali. Art. 15°. Timbro della Società. — Porterà scritto all intorno « Società Geologica Italiana, — mente et malleo » e nella parte centrale due martelli incrociati. REGOLAMENTO PER LE PUBBLICAZIONI Art. 1°. Nel Bollettino della Società si pubblicano solamente i lavori dei Soci, eccettuati quelli fatti in tutto o in parte colla collaborazione di persone estranee alla Società. ^ Art. 2°. Non si accettano le memorie che siano puri lavori di compilazione, e quelle che abbiano carattere esclusivamente o pre- valentemente polemico. ^ r Art. 3°. Le memorie verranno pubblicate secondo 1 ordine i presentazione. _ ^ _ Art. 4°. Le comunicazioni da stamparsi coi verbali prende- ranno il posto fra le memorie, sempre con l’ordine di presenta- TENUTA IN ASCOLI-PICENO NEL SETTEMBRE 1899 LXXXIII zione, se sorpasseranno il numero di pagine stabilito anno per anno dal Consiglio. Art. 5°. Le memorie presentate un mese dopo l’ adunanza estiva potranno essere inserite nel Bollettino dell’anno successivo. Art. 6°. Una memoria o comunicazione già presentata alla So- cietà e ritirata per modificarla o completarla, perde il suo turno per la stampa qualora non sia rinviata al Segretario entro quin- dici giorni. Art. 1°. I manoscritti dovranno essere in fogli dello stesso formato, scritti da una sola parte, in caratteri intelligibili senza di che la presidenza potrà respingerli. Art. 8°. I lavori incompleti sia nel manoscritto, sia nelle tavole non possono esser presi in considerazione per la stampa. Art. 9.° Se le memorie oltrepasseranno il numero dei fogli di stampa stabilito anno per anno dal Consiglio, la spesa eccedente sarà tutta a carico dell’autore, anche per la parte relativa agli estratti concessi gratuitamente dalla Società. Art. 10°. Sono a carico degli autori le spese in più per le pa- gini in corpo 8 e per le tabelle ; così pure le spese straordinarie per correzioni maggiori del consueto, per cambiamenti o rifusione di paragrafi e per composizioni annullate. Art. 11°. Di ciascuna memoria il Segretario spedirà all’au- tore, per la correzione, una prova in colonna che dovrà essergli restituita al più tardi entro 15 giorni, e una seconda in pagina da restituirsi entro 8 giorni. Art. 12°. Se le prove non saranno restituite entro i termini prescritti, il Segretario si incaricherà d’ ufficio della materiale cor- rezione degli errori tipografici, senza assumere alcuna responsabilità pel rimanente. Art. 13.° Il visto per la stampa sarà fatto dal Presidente, o dal Segretario, purché questi ne sia appositamente delegato. Art. 14°. Verrà anno per anno stabilito dal Consiglio, secondo le condizioni del Bilancio, il concorso della Società alle spese per le figure intercalate e per le tavole a corredo delle memorie, escluse quelle relative ai disegni originali. Gl’ impegni presi dovranno re- golarmente risultare dagli atti di ufficio. Art. 15°. Le prove delle illustrazioni, qualunque esse sieno, saranno sottoposte al visto della presidenza prima della loro stampa. UN NUOVO LEMBO CONCHIGLIPEKO DI SEGGIO CALABEIA Nota preventiva del dott. Giuseppe De Stefano. In una gita fatta poco tempo fa con un mio amico a certe sue terre non molto distanti da Seggio, mi fu dato di scoprire una località fossilifera del più alto interesse, che quanto prima illu- strerò con apposito completo lavoro stratigrafico-paleontologico. Sic- come per ciò fare occorrerà alcun tempo, voglio intanto far cono- scere sommariamente la mia scoperta agli studiosi di Geologia. Il luogo fossilifero accennato trovasi in contrada Morrocu, a poco più d’ un’ora di cammino da Seggio, sul lato destro per chi dall’estremità sud della borgata Savagnese sale per il vallone dello stesso nome, la cui origine bisogna cercarla sulle alture poste al sud di Gallina : la formazione di Morrocu in alto della serie è co- stituita da una piccola spianata di alluvione antica ad elementi variabili e di variabile spessore, alla quale sottostà una sabbia fine e compatta in alto, poco compatta o sciolta in basso. Gli strati più bassi dell’ alluvione antica sono ricchi di Helix ; quelli medi sabbiosi compatti sono ricchi in Molluschi e Foraminiferi con qualche resto di Echino, e poveri, da quanto finora ho potuto constatare, 0 forse assolutamente privi, di altri resti organici. In fine, al di sotto di detta sabbia, vi sono degli strati di argilla sabbiosa, d’un colore variabile man mano che si scende giù nella serie, privi assoluta- mente di fossili. Ecco un elenco sommario generico di quanto ho notato finora negli strati alluvionali e sabbiosi accennati : Strati alluvionali — Helix, Bulimus. Strati sabbiosi — Foraminiferi: Rotalia, Polystomella. " " Echinodermi: sjD. " * Gasteropodi: Cerithium, Conus, Trn- chus. Turbo, Vermetus, Fusus, Calypiraea, Scalaria, Natica, Murex, Nassa. 1 G. DE STEFANO 2 Strati sabbiosi — Lamellibranchi: Piana, Ostrea, Pecten, Janira, Anomia, Pectunculus, Astante, Cardium, Venus, Tapes, Tellina, Psam- mohia, Chama, Arca. La fauna fossile notata fa scorgere quanto importante sia il lembo da me scoperto. Da uno sguardo sommario mi son potuto convincere che la formazione sabbiosa di Morrocu in alto è rappresentata da una fauna terrestre, come dimostra le forme degli Helix in gran quan- tità rinvenute, e in basso, esclusivamente d’ima fauna marina, nella quale hanno predominio i Cerithium e le Pinne. I Centhium for- mano dei veri nidi nella roccia e specialmente negli strati medi. Le Pinne poi. in numero grandissimo, di dimensioni variabili, sono incastrate le une alle altre in maniera che riesce difficilissima la loro estrazione. Però l’acqua corrente che nelle forti pioggie invernali precipita dal piccolo piano erodendo la roccia, le denuda facendole rotolar giù per il declivio della collina in frammenti di varia grandezza. Tanto il deposito fossilifero quanto le Pinne da me scoperte a Morrocu, ripeto, portano un nuovo contributo alla crono-geologia calabrese. Mi permetto di chiamare scoperta il rinvenimento di tali strati, che propongo di chiamar d’ora in poi « Strati a Pinne », perchè fino ad oggi da nessun geologo vennero menzionati ed illu- strati, come si può verificare scorrendo le memorie sulla provincia di Reggio Calabria finora pubblicate ; nemmeno dal Seguenza, che credette esser le Pinne rarissime nella detta provincia. Se diamo un’ occhiata al lungo e numeroso elenco di fossili terziari calabresi lasciatoci dall’ illustre prof, dell Università di Messina ('), ci accorgeremo subito che le Pinne in esso notate son quasi tutte mioceniche e spettanti al territorio di Stilo, Ecco ciò che risulta dal riassunto dell’elenco citato : Miocene Piano Aquitaniano, Mayer : Pinne. Piano Langbiano, Pareto: Pinne. Pleistocene o Quaternario Piano Saariano, Mayer: Pinne. (q Seguenza G., Le formazioni terziarie della prov. di Reggio Cai. (Atti E. Acc. Lincei). Roma, 1879. UN NUOVO LEMBO CONCHIGLIFERO D[ REGGIO CALABRIA. 3 Adunque, le Pinne determinate dal Seguenza nella provincia di Reggio Calabria, spettano agli ultimi strati del basso Miocene, ai primi del medio, e al piano Saariano del Pleistocene. In tutte le altre formazioni questo importante genere di Lamellibranchi da lui non fu trovato. Nel piano Aquitaniano troviamo determinate le seguenti spe- cie (') : Pinna infundibulum, Seg. — Rarissima P. denudata, Seg. — Rarissima P. pernula, Cbemnitz. — Rara P. tetragona. Brocchi. — Rara tutte del territorio di Stilo. Nel piano Langhiano troviamo solamente: P. Brocchi, d’ Orb., qualche dubbio e raro frammento rin- venuto a Guardavano (-). P. perniila, Lamarck, rari frammenti ben riconoscibili, che al Seguenza sembrarono non potersi disgiungere dalla specie vivente, trovati a Guardavalle e a Stilo. Nel Pleistocene (piano Saariano) finalmente si trovano determi- nate le seguenti specie (^) : P. nobilis, Linneo. — Rarissima (dintorni di Reggio) P. pernula, Chemn. — Rara (Bovetto e Vito). Nel chiudere questa breve nota, faccio adunque notare che le Pinne nella provincia di Reggio Calabria non sono già dei Lamel- libranchi rari, come finora fu ritenuto ; ma in qualche luogo sono così abbondanti, da poter dare al piano che li contiene il loro nome, come quelle appunto da me scoperte a Morrocu, delle quali quanto prima spero di poter dare un elenco specifico completo. [Reggio Calabria, novembre 1898 - febbraio 1899.] (C Seguenza G., Opera citata, pag. 52. (2) Seguenza G., Opera citata, pag. 61. (3) Seguenza G., Opera citata, pag. 360. AVANZI DI TRAGULIDI OLIGOCENICI NELL’ITALIA SETTENTRIONALE Nota del prof. Alessandro Portis. Il professor P. Bassaai nelle sue Ricerche sui '[)esci fossili di Chiavón (strati di Sotzka, Miocene inferiore) ('), a pag. 10, ci dice: « Le marne di Chiavón fornirono fossili in grandissima co- pia:... due ossa di uccello Il signor conte Piovene mi ha gentilmente comunicato anche .... le due ossa di uccello. Mi au- guro di poter ottenere qualche risultato anche dallo studio di que- sti avanzi che spero di fare tra breve ^ . Invece il prof. Bassani, con atto di squisita cortesia, volle farmi vedere e poi comunicare, perchè le studiassi, queste ossa che ad una prima ispezione mi avevano posto in forte sospetto, sulla loro non pertinenza ad un rappresentante qualunque della classe degli uccelli. Un esame accurato degli avanzi comunicatimi mutò il mio dubbio in certezza. Potei farmi sicuro che le ossa spettavano, an- ziché ad un uccello, ad un mammifero ; e potei stabilirne la fami- glia ed approssimativamente il genere, malgrado che soltanto pai te di un arto venisse rappresentata dalle ossa che avevo davanti. Sopra una lastrella di marna, attualmente di meno di un decimetro quadrato di superfìcie, giacevano due maggiori ossa 0 meglio porzioni loro. Un osso lungo fortemente compresso nel senso^ntero-posteriore (e ridotto perciò in scheggie non troppo nu- merose che dalla faccia anteriore dell’osso si avvicinarono alla parete posteriore ancor nascosta nella roccia, deformandone ed annullandone la cavità midollare) si presenta ancora riconoscibile per circa set- tantacinque millimetri di percorso presentando una dimensione tra- sversale media, così schiacciato com’ è, di cii-ca dieci millimetri. Dall’un capo, verso il mezzo della lastrella, si mostra relativamente (1) Memoria estr. dal voi. Ili, serie 2% n. 6, degli Atti della E. Accad. d. Se. fis. e mat. di Napoli, 4“, 1889 ; di pag. 102 e 18 tav. A. PORTIS, AVANZI DI TRAGULIDI OLIGOCENICI, ECC. 5 conservato ed ingrossato in rispondenza di articolazione ; dall’altra è accidentalnaente rotto e mancante in rispondenza del margine di rottura della piastrella che lo sorregge. Poco si potrebbe dir su di esso se fosse solo. Lo si potrebbe al più constatare per la por- zione essenziale di una tibia, forse sinistra, con capo articolare di- stale, di un esile Kuminante, tibia vista dalla sua faccia anteriore e colla parete anteriore, appunto, schiacciata e sfondata sulla infe- riore ; tibia che doveva misurare in lunghezza assai più dei 75 mil- limetri del frammento rimastoci e che facilmente poteva toccarne il doppio. L estremità distale di questa tibia è quasi a contatto con un altro osso lungo che, quasi trasversalmente al prolungamento della direzione di essa, è adagiato sulla stessa piastrella di marna. Questo secondo osso è in parte assai meglio conservato del primo, non essen- done così completamente sfondate e frantumate le lamine o pareti ; in parte è mancante e rappresentato soltanto da impronta sulla quale in tempi anteriori era stata riappiccicata in non esatta relazione, una ulterior porzione di osso oggi conservata a parte dopo constatata e parzialmente emendata la primitiva inesattezza di restaurazione. L’ impronta considerata come prolungamento e traccia dell’ antica posizione e forma dell’osso ci permette di stabilire che esso osso si distendeva sulla piastrella (nei limiti di forma e di dimensioni in cui la abbiamo davanti) per circa settantanove millimetri ; e che, come il primo \ enne troncato per la mancanza del sostegno. Però con questo di vantaggio su di esso: che la porzione ulteriore, anziché andar in bricciole e disperdersi colla separazione della piastrella dallo strato in cui originariamente estende vasi, se ne staccò in uno o due pezzi più vistosi che a suo tempo vennero raccolti ed, altrettanto che la piastrella, accuratamente conservati e trasmessici riappiccicati in un solo frammento. Questo, ripresentato in continuazione della parte piincipale dell osso rimasta in posto e della porzione rappresentata or sol più da impronta, ci permette di ricostituire idealmente ab- bastanza bene l’intiero osso lungo: con circa millimetri novantanove di lunghezza massima, coi due capi articolari entrambi presenti, ed avente una larghezza da destra a sinistra : di settantasette decimil- limetri nel punto più esile del corpo dell’ osso verso il mezzo di sua lunghezza, di undici millimetri (forse più se fosse stato asso- lutamente intatto) in rispondenza della sua maggior dilatazione al 6 A. PORTIS capo articolare prossimale, e di centoquarantadue decimillimetri di massima larghezza (forse più se le due ti'oclee non fossero state durante il processo di fossilizzazione alquanto lateralmente racco- state) in rispondenza dei capi articolari distali. Le parole con cui termino la constatazione delle dimensioni di quest’osso fanno presumere al lettore trattarsi, come realmente si tratta, di un canone, ed è il posteriore o metatarseo di un mam- mifero vicino 0 compreso fra i ruminanti. Il metatarseo che ab- Nelle marne oligoceniche di Chiavon. biamo davanti, e del quale l’annessa figura ci mostra il capo di- stale veduto in proporzioni quasi naturali davanti (a sinistra), dai lato esterno (in mezzo), e dalla faccia posteriore (a destra), e molto probabilmente un sinistro ; ed è giacente sulla roccia sulla sua faccia anteriore lasciandoci in parte diseernere la faccia posteriore men ricca di dettagli utili per la sistematica. Della faccia anteriore scopronsi e cercai di render maggiormente visibili alcuni dettagli, e sulla parte rappresentata sulla piastrella allo stato di semp ice solco od impronta, e sulla estremità dell’osso oggi materialmente staccata e libera. • u Come metatarseo principale di un ruminante, quest osso risul a orim.nariamente dalla fusione di due metatarsei (III e IV) primi- tivi ; fusione quasi altrettanto completa e spinta quanto nei cervi i odierni; quindi i due elementi non si distinguono sul corpo dell’osso che per un pò di appiattimento d’ avanti in dietro di esso verso la regione distale e per un solco mediano longitudinale che risale da questa regione, sulla faccia anteriore, verso la prossimale mar- cato, a quanto pare, nel caso presente, ed assai profondamente, su tutta la lunghezza dell’ osso. All’ estremità inferiore o distale del canone invece i due metatarsei primitivi che lo costituiscono con- servarono ciascuno la propria individualità e terminano ciascuno AVANZI DI TRAGULIDI OLIGOCENICI, ECC. 7 con una propria superficie o troclea articolare per regger le due dita principali. Anzi, poiché vediamo che l’uno di essi un tan- tino di più si protende in lunghezza dell’altro, e sappiamo che nei Cervidi e Bovidi attuali questo fatto è costante e si verifica in corrispondenza del più esterno fra i due costituenti primitivi del- 1 osso, così noi abbiamo, da ciò, indizii per la determinazione a si- nistra del metatarseo che abbiamo davanti. Però, osservando un istante solo queste troclee articolari, scor- gesi agevolmente come la carena mediana di ciascuna troclea, svi- luppatissima sulla faccia posteriore, si obliteri e si perda rapidis- simamente verso e sulla faccia inferiore, così da non superarne quasi r imo e da non lasciar traccia di sé sulla metà anteriore della stessa faccia inferiore e naturalmente sulla faccia anteriore. Edi è in grazia alla constatazione di questo fatto che noi arriviamo rapida- mente e sicuramente a determinare la pertinenza dei nostri avanzi ad un tipo relativamente antichissimo di Buminanti o di precur- sori di Ruminanti nei quali lo stesso fatto si constata tanto co- stantemente da conferir loro un carattere altrettanto facile e si- curo di riconoscimento del tipo ; una volta che si abbia fra le ossa conservate il metatarseo (ed anche il metacarpeo) principale. Noi siamo indotti a comparare (lasciati per molte ragioni da parte i Tilopodi nei quali riscontriamo lo stesso fatto) il nostro fossile con alcune specie di Tragulidi che incontriamo più completamente e più per noi utilmente conservati nei depositi a fosforiti del Quercy e che là, vennero distribuiti sovratutto fra i generi Gelo- cus, Prodremotherium e Bachitherium. La comparazione dei nostri avanzi colle accurate descrizioni e figure e discussioni delle specie diverse a questi generi appartenenti forniteci: dal Filhol (i), dal Kowalewsky (2), dal Ruetimeyer (^), ci permette di attribuire con (') Filhol H., Recherches sur les phoìphorites du Quercy ; Étude des fossiles qu'on y rencontre et specialement des mammifères ; in Ann. d. Se. Oéol. voi. Vili, 1877. Ed. a parte, volume in 8°. di pag. 561 e 55 tav. Paris, Mus- son ed., 1877. (^) Kowalewsky W., Osteologie des Gelocus Aymardi. In: Palaeontogra- phica, voi. 24 (1876-77). pag. 145-161, taf. 21-22. Cassel, 4° 1877. (3) Ruetimeyer L., Eocaene Sàugethiere aus dem Geliet des Schweize- rischen dura, di pag. 98 e 5 tav., in Nouveaux Mémoires de la Soc. Helvet. des Se. Nat., voi. 19. Ziirich, 4“, 1862. A. PORTIS 8 sufficiente tranquillità i nostri pochi avanzi al, o ben presso al, ge- nere Prodremotherium. Di questo non è oggi ben conosciuta che una specie sola: il Prodremotherium elongatum Filh. una forma elegantissima e slanciatissima, dell’abito esterno di una piccola gaz- zella. Le dimensioni accuratamente date dal Filhol (pag. 462-463), per la tibia e pel metatarseo principale di questa specie, son lie- vemente superiori (sovratutto in lunghezza) a quelle che si possano prendere, ricostituire od arguire sulle corrispondenti ossa che^ab- biamo davanti. Il Prodremotherium inoltre doveva avere il 5“ e forse la parte distale del secondo metatarseo ridotti allo stato di esilissimi filetti ossei addossati ma non saldati alle rispondenti re- gioni del metatarsale principale ; e sulla piastrella marnosa che ab- biamo davanti noi troviamo appunto un esilissimo filetto osseo ap- puntito, guasto e nascosto dalla roccia tanto nella parte assotti- gliata quanto in quella un po più rigonfia, filetto che si può ritenere per la porzione distale del 5° metatarseo spostata, durante la ma- cerazione deir arto, dalla sua relazione col metatarseo principale. Per quanto risulta concordemente dalla bibliografia geologica e paleontologica in proposito, il genere Prodremotherium^ abbondan- tissimo a Bach nel Quercy, sarebbe, assieme al genere vicino Gelocus, strettamente limitato a quei piani che, come quello di Sotzka, men- tre hanno una posizione fissa e ben definita nella scala dei piani, tuttavia possono esser apparentemente meno definiti per la perti- nenza ad una formazione terziaria piuttosto che ad un altra. Così che, mentre i vecchi geologi subalpini attribuirono gli equivalenti del piano di Sotzka o delle fosforiti al Miocene inferiore, molti autori francesi li attribuirono all’ Eocene superiore, mentre i tede- schi eliminarono la inutile questione, collocandoli nella nuova for- mazione da essi creata in quel punto e detta oligocenica. Senza Euetimeyer L., Ueler einìqe Beziehungen zwischen den Sàugethier- stàmmen alter uni neuer Welt; In Ahhandl.d. Schweizer. Palaeont. GeselU voi. 15, pag. 1-63, Taf. 1, Genf. 4®, 1862. Euetimeyer L., Uebersicht der eocànen Fav,na von Egerkingen. in: Ab- handl. d. Schweiz. Palaeont. Ges., voi. 17. Di 24 pag. in 4®. Genf. 1890; in Fer- handl. d. Naturforsch. Ges. m Basel. Bd. 9. Heft 2, di 34 pag. in 8®. Basel, 1890. Euetimeyer L., Die eocaene Sàugethier-ìVelt von Egerkingen. Di 154 pag. in 4° e 8 tav. Ahh. d. Schweiz. Palaeont. Ges voi. 18. Basel, 1891. Euetimeyer L., Die eocaene Sàugethiere von Egerkingen. In : Verhandl. d. Naturforsch. Ges. in Basel Bd. X, H. 1, pag. 101-129, Basel. 8®, 1892. AVANZI DI TRAGULIDI OLIGOCENICI, ECC. 9 insistere più oltre sulla opportunità di questa nuova denominazione che io da tempo ho adottata, torniamo al fatto concreto che in essa stanno compresi per sufficentemente generale accordo e i depositi principali di fosforiti della Francia e i principali depositi a ligniti del Siebenhùrgen (Sotzka) e dell’ Italia settentrionale (Chiavon, Mon- teviale, Zovencedo, Salcedo, Cadibona, per non menzionarne che al- cuni) e della Italia meridionale (Agnana) ; con questa differenza sol- tanto che : mentre fissa verso il margine inferiore della formazione è la posizione delle fosforiti francesi (così che il 4° volume della Palaeozoologia dello Zittel, a pag. 66, le fa persino ripassar, con Egerkingen, nell’Bocene superiore) ; la posizione dei depositi ligniti- feri è invece di preferenza indicata or nell’Oligocene medio (Ton- griano) or nel superiore (Aquitaniano) come per Sotzka. Ma se un tipo particolare di organismi strettamente limitato ad un piano in una località, viene improvvisamente ad esser rinve- nuto in un altra, pare a me possa desso per lo meno fornire un indizio ed un indizio da tenersi da conto per ristudiar accuratamente se le incertezze risultanti dallo studio degli altri organismi scoperti in quest’ ultima e delle sue condizioni tettoniche non possano es- ser, con maggior copia di dati, risolte ; e se non ebber per avven- tiua ragione quei vecchi autori che collocarono Chiavón or nell’ Eo- cene superiore or nell’ Oligocene inferiore (Liguriano). E questo tanto più quando si meditino i fatti seguenti: Nello esame della recente pubblicazione del Sordelli F., Flora fossilis insubrica (‘) ero rimasto colpito da tre piccole figurine, che, rapite fotograficamente, riproduco nella seg. pagina ; figurine che tro- vansi a capo della Tav. 44 (ed in cui è rappresentata l’estremità di- stale di un metacarpeo o metatarseo composto o principale di un piccolo Ruminante), che la tavola stessa ci dice esser stato rinvenuto « nell’ arenaria miocenica di Maccio (Como) » , che la spiegazione della tavola, a pag. 298, ci descrive come « Estremità inferiore del canone anteriore sinistro di un ruminante per statura prossimo alla Gazzella {Gazella dorcas), nell’arenaria grossolano-miocenica, di Maccio, pr. Como. (Coll. Sala) ». (9 Stadi sulla vegetazione di Lombardia durante i tempi geologici-. Mena, in 8°, di 300 pag. e 44 tav., disegnate dallo autore. (Milano, Tip. edit. Cogliati). 10 A. PORTI3 Di questo oggetto parla poi im tantino più distesamente il Sordelli nel testo, a pag. 78, là dove dice: « Anche la Gomfolite 0 conglomerato comense, per la natura stessa della roccia, offre poca speranza di fornirci qualche documento intorno alla vegetazione di quella lontana età. Per altro in alcuni strati arenacei che si scava- rono alcuni anni fa presso Maccio e che le sono intercalati, si rin- venne qualche raro animale. Oltre alcune conchiglie marine eh io vidi di tale provenienza, debbo notare un osso di ruminante, e pre- cisamente l'estremità distale del canone anteriore sinistro di un in- dividuo che doveva avere all’ incirca la statura e fors’anco 1 agilità della Gazzella degli arabi {Gazella dorcas Sp.). Dal fossile non credo possibile dedurre con certezza se trattisi di specie già nota o meno. Ma ritengo sia questo il più antico mammifero trovato finora nei nostri paesi, e perciò ho voliito tenerne nota. (Ne dò la figura alla fine del presente volume). L’esemplare mi fu comunicato dal signor Ferdinando Sala di Olgiate comasco » . Come ho già accennato più sù, la figura è direttamente dise- gnata dal Sordelli stesso, la di cui esattezza nel metter in rilievo i dettagli dell’oggetto riprodotto è nota ; quindi la figura è perfetta- mente attendibile; e ciò conviene mettere in rilievo, poiché, mentre come dice il testo, il Sordelli crede aver davanti un ruminante per statura prossimo alla Gazzella, animale moderno e progredito in ciò, che le due troclee di ciascuno dei suoi canoni sono carenate sia sulla faccia posteriore che inferiore che anteriore ; le figure del Sor- delli ci mostrano chiaramente che si tratta invece di un ruminante 0 precursore poco progredito in quella parte del suo scheletro, poi- ché le stesse troclee si discernono carenate solo sulla faccia poste- riore e sulla inferiore, mentre appaion liscie e come turgide sulla faccia anteriore. (Tanto più persuaderà il confronto diretto della riproduzione del fossile di Maccio con le figure del fossile di Chiavón.) AVANZI DI TRAGULIDI OLIGOCENICr, ECO. 11 È questo il carattere che riscontriamo nei Gelocus, nei Bachi- tlieriim e nei Prodremotheriim-, e quindi, anche solo con questo meschino indizio possiamo esser sicuri di aver davanti un avanzo riferibile ad uno di questi generi. Ma, sulla scorta delle indicazioni del Bordelli, possiamo andare ancora più avanti. Il Bordelli dice trattarsi di un Metacarpeo (canone anteriore sinistro) principale ; e veramente la comparazione delle proporzioni colla parte similare dell’ osso di Chiavón ci mostra come 1’ osso di Maccio fosse alquanto più largo da destra a sinistra e meno forte, d’avanti in dietro di quel di Chiavón ; ciò che porta ad accettare la determinazione di collocazione in scheletro del Bordelli. Ora noi sappiamo : che, nel ge- nere Gelocus, ^mentre il metatarsale III ed il IV si fondono assai presto e completamente in senso distale, in senso prossimale si fon- dono assai tardi ed incompletamente ; e che mentre il metacar- pale III e IV si accostano e si modificano mutuamente sulla faccia di contatto, rimangono contuttociò distinti per tutta la vita dei- fi animale. Lo stesso carattere si riscontra in quelle specie di Bach che dapprima riferite al genere Gelocus dal Filhol, furono dal Filhol stesso più tardi riunite nel genere Bachitherium. Per contro nel genere Prodremotherium la fusione avviene completa così bene Ira metatarseo III e IV, come fra i metacarpei di egual numero ; con questa distinzione (abbastanza frequente in veri ruminanti poste- riori per età geologica): che il risultante canone posteriore è più esile, più sviluppato in altezza e men sviluppato in larghezza, di- stalmente, che non lo sia il risultante canone anteriore. Quindi, se noi, coi caratteri che abbiamo messo in evidenza nel rimasuglio di Maccio, abbiamo, come si riscontra, un accordo soddisfacente nelle dimensioni generali col corrispondente rimasu- glio di Chiavón ; otteniamo ad un tempo due preziosi risultati ; cioè di dover attribuire il primo frammento eziandio al genere Prodre- motherium, e di ottenere, col primo e col secondo associati, la prova che non possiamo sfuggir al genere nominato avendone davanti l'estremità distale tanto del metatarseo che del metacarpeo prin- cipali. Ma otteniamo con ciò fi altro risultato stratigrafico importan- tissimo: quello di poter fissare (grazie ad uno stadio evolutivo di un ordine di mammiferi che in certe sue particolarità percorse molto rapidamente la sua via ad una relativa perfettezza e che A. PORTIS 12 mostrò tale stadio soltanto per una circoscritta frazione di tempi geologici corrispondente a piani essi pur molto ben precisati e co- nosciuti), quello di poter fissare e limitare le controversie tuttora aperte suH’età e sul piano a cui assegnare la « Gomfolite comense e ciò non è poco, se si bada alla apparente meschinità del fossile fattoci conoscere dal Sordelli. Ma ancor non abbiamo finito di trar profitto dalla constata- zione dei Tragulidi oligocenici in Italia. Da lungo tempo il Gastaldi descrisse e figurò (’) come provenienti dalle ligniti di Cadibona avanzi di Tragulidi che attribuì allo allor ritenuto più lato genere Amphi- iragulus sotto all’appellativo specifico di A. comnidiis Aym. Ora precisamente questa specie venne poi spostata dal genere Ainphi- fragulus e messa a capo o meglio a rappresentar come specie unica il genere Gelocus {G. comrnmù o Aymardi Aym sp. o Kow. sp.) e noi abbiamo così conservati nel museo di Torino avanzi di den- tizione provenienti da Cadibona di quello stesso animale che molto contribuì a fissare le ligniti di Ronzon (delle quali è uno dei più im- portanti e classici fossili) nell’ Oligocene medio ; e servì pure a col- legar-e, in assenza degli Antracoteridi che ci rendon cosi buon servizio da Cadibona, nella stessa formazione e nello stesso piano tanti altri sparpagliati depositi a ligniti dell’ Europa meridionale. Per Cadibona adunque, la constatazione di questo tragulide serve, almeno, a confortare, in ausilio agli Antracoterii la collocazione dei depositi che lo contengono nel Tongriano ; e quindi : alcunché più in alto dei depositi a pesci di Chiavón e della Gomfolite comense. Ma lo stesso Gastaldi, che descrisse gli avanzi di Anthraco- therium e mise in evidenza quelli di Gelociis dalle ligniti di Ca- dibona, si valse della cognizione avuta per mezzo di uno scritto del Montagna (”^) (a cui io non ho potuto arrivare) che nel giacimento calabrese a Carbone di Agnana rinvenivansi Trionici e Antraco- terii per affermare che quel carbone era lignite e per sincroniz- (1) Gastaldi B., Cenni sui Vertebrati fossili del Piemonte, (Mem. d. R. Accad. d. Se. d. Torino, Gl. d. Se. Fis. e Mat. Ser. 2, Tomo 19, pag. 19-84, Tav. I-X. Torino, 4°, 18-58), a pag. 39-40, Tav. X. (2) Montagna G., Sulla giacitura del terreno carbonifero di Agnana. Napoli, 18.57. AVANZI DI TRAGULIDt OLIGOCENICI, ECC. 13 zare quelle ligniti con quelle di Cadibona (^). L’ opinione del Ga- staldi prevalse fino ad un certo punto su quella del Montagna; ed infatti trovo tracce della discussione nella memoria del prof. C. De Stefani (-) pag. 101-103 là dove egli combatte l’opinione del Se- guenza sulla pertinenza al Tongriano precisamente dei depositi li- gnitiferi di Agnana. È strano: io fui indotto a cercare questa memoria del De Stefani precisamente perchè il De Stefani vedendo i miei risul- tati dallo studio dei pochi resti di tragulidi italiani, mi riferì verbalmente aver egli dovuto rinvenir e raccogliere dalle ligniti di Agnana avanzi di Gelocus [Amphitragulus] che non sapeva più in qual museo avesse collocato, ma di cui doveva aver parlato nella memoria or or menzionata. Ora, da quanto vengo di dire più sù, ri- sulta che, in base alla constatazione à&W Anthracotherium e del Ge- locus a Cadibona, queste ligniti devon venir ascritte al Tongriano ; e che, in grazia alla constatata presenza Anthracotherium ma- gnum ad Agnana, ed ancor più, se possibile, alla esistenza del Ge- locus nelle ligniti di Agnana affermatami dal De Stefani, io non possa più a meno di ascriver le ligniti eziandio di Agnana al Ton- griano ; e per conseguenza al piano stesso cui le attribuiva il Se- guenza in contradditorio al De Stefani, che le voleva Aquitaniane : E per tal modo devo alla gentilezza del prof. De Stefani le armi di cui mi servo per unirmi a contraddirlo in questa particolare con- clusione. Non debbo tacere come il Costa 0. G. abbia parlato anch’ egli della possibile esistenza del genere Amphitragulus (^) nell’ Italia inferiore. Chi legge l’appendice P della « Paleontologia delle pro- vincie napolitane » , a pag. 33-34, trova un cenno su un canino (ri- prodotto in disegno, tav. II, fig. 15 a, b) proveniente da un ter- (') Gastaldi B., Antracoterio di Agnana, Balenottera di Calunga presso S. Damiano e Mastodonte di Mongrosso. Lettera al Pres. E. Cornalia, voi. V degli atti della Soc. Ital. di Se. Nat., Sed. 22 febbr. 1863. Milano, 4 pag., in 8. G) De Stefani G., Escursione scientifica nella Calabria {1877-78) Jejo, Montalto e Capo Vaticano. Mera. d. Gl. d. Se. fis. raat. e nat. della R. Acc. d. Lincei, voi. 18, 1883-84. Estr. di 290 pag. in 4® con Xiloggr. intercal. (^) Costa 0. G., Paleontologia delle prov. Napolitane. Appendice D Comprendente le classi de' Vertebrati. Atti d. Acc. Pontaniana, voi. 8®, ap- pendice, 1864, pag. 1-128, in 4°, tav. 1-7 in fol. 24 A. PORTIS, AVANZI DI TRAGULIDI OLIGOCENICI, ECC. reno di alluvione in Pizzinni 1. d. Lavinio (ed ora, come accenna l'autore, irremissibilmente perduto), ed appartenente o ad un J/o- schus 0 ad un Amphitragulus Pom. È impossibile, e d’altronde inutile, stabilire se appartenesse a quella sezione del primitivo ge- nere Amphitragulus che più tardi costituì il genere Gelocus, od a quella che restò sola a costituire il gen. Amphitragulus nel senso suo attuale o veramente al genere moderno : Moschus. D altronde, il fatto di averlo rinvenuto in un terreno di alluvione ci fa perder qualunque traccia od attendibilità o certezza di un eventuale primi- tivo giacimento del fossile e quindi ci tronca la via a conclusioni indirette su quello. Aggiungerò soltanto che i dati principali forniti in proposito dal Costa furono per memoria registrati nella recente memoria del Flores (i), a pag. 25 e 46. Abbandonando adunque questo ultimo poco controllabile e poco servibile caso, abbiamo quattro casi di graduata certezza o pro- babilità sul rinvenimento di Tragulidi in Italia: tre quasi accerta- bili nell’ Italia superiore ; uno nell’ Italia inferiore, che ha bisogno del rintracciamento dell’ originale materiale di dato, per passar dalle probabilità attendibili alla certezza assolrrta. Con queste ri- serve tenendolo in linea di conto, avremmo due rinvenimenti del più geotìlo Prodremotherium in depositi marini e due rinvenrmenti del più idr-otìlo Gelocus in depositi palustri, e questa combinazione di fatti non ha bisogno di illustrazioni e di spiegazioni ; avremmo di più: che i depositi a Gelocus vengono ad esser indiziati come superiori ai depositi a Prodremotherium (ed anche questo dopo ciò che ho premesso non ha bisogno che vi aggiunga parole) e mentre i depositi a Prodremotherium rimarrebbero assegnati allo Oligocene inferiore quelli a Gelocus dovrebbero appartenere all’ Oligocene me- dio ; ottenendo subordinatamente questa conseguenza importantissima per l’età, ancor oggi fissata soltanto per approssimazione di un im- portante serie di depositi qual’ è la « Gomfolite o Conglomerato co- mense , che, in grazia di una mediocrissima porzione di un fossile molto significante, può ad un tratto venir determinato e fissato pel piano a cui spetti nella scala dei sistemi e dei piani. [Roma 16 gennaio -22 febbraio 1899], (') Flores E., Catalogo dei Mammiferi fossili dell' Italia meridionale continentale, Estr. di 48 pag. in 4“, ed una tavola, dal voi. 25 degli Atti del- l’Accademia pontaniana di Napoli, 1895. STUDI GEOLOGICI SULLE ROCCIE DELL’ APPENNINO BOLOGNESE Nota del dott. Paolo Eugenio Vinassa de Regny. (Con una tavola). I. Le roccie dei dintorni di Gaggio Montano. Sopra le roccie gabbriche, diabasiche, ofiolitiche ecc. dell’ Ap- pennino bolognese fu ripetutamente scritto da vari autori tra i quali basterà citare tra i primi il Santagata e il Coquand, poi il Bombice!, il Capellini, il De Stefani. Solo di poche però di queste masse rocciose, frequentissime e talvolta anche di grande volume, fu scritto in modo particolare, sottoponendole ad uno studio speciale ed ac- curato. È mia intenzione di studiare partitamente queste roccie dal punto di vista geologico e petrografico, ricercando le condizioni loro di giacitura, la loro natura e le eventuali loro connessioni e rapporti coi terreni circostanti. Tanto nella carta geologica del prof. Capellini del 1881, quanto in quella posteriore del prof. Bombice!, sono segnate numerose masse di queste roccie; da quanto però ho potuto vedere in alcune mie escursioni credo che un tal numero sia molto da aumentarsi. Al termine del lavoro spero di poter dare una nuova carta più esatta della distribuzione di tali masse, e di arrivare a qualche conclu- sione interessante per la geologia dell’ Appennino bolognese. Ho cominciato il mio studio dalle masse gabbriche poste presso al paese di Gaggio Montano, poiché esse hanno certo un grande interesse, e del « Sasso di Gaggio » si è parlato dai vecchi geologi con grande- cura. Il primo che parlò del Sasso di Gaggio, ed insieme di molte altre masse simili del Bolognese, fu il Santagata (^), che nel 1838 (*) (*) Osservazioni geologiche intorno alle roccie serpentinose del Bolognese, Nuovi Annali Se. nat., voi. I, 1, pag. 72. P. E. YINASSA DE REGNY 16 pubblicava il suo lavoro, il quale, data 1 epoca nella quale fu sciitto, rappresenta certo uno dei più importanti contributi alla conoscenza della geologia dell’ Appennino Bolognese. Il Sasso, costituito se- condo r autore di oficalce e di eufotide, presenta « un fatto d' ine- stimabile utilità al geologo, ed è che in mezzo alle dette roccie, sta incastrato un banco di schisti marnoso, che, come gli strati di eufotide e di oficalce, sostiene con loro il peso che gli è di sopra, e sono insieme così bene uniti, combacciati e saldati, che dove si congiungouo, le due materie fanno lega e lo schisto non è palese- mente alterato". Santagata però cita dei luoghi vicini degli strati « che dimostrano aver sofferta l’azione di un fortissimo calore *. Dopo di lui parlò di Gaggio il Coquand('), che diede anche una figura schematica del Sasso e della massa calcarea inclusa nel- r eufotide. Secondo Coquand - . . . l’Euphotide verdàtre, s’est fait jour à travers les bancs de la formation nummulitique, et. au moment de son apparition, a brisé violemment les couches qui resistaient à sa violence. Aussi trove-t-on de nombreux fragments et des portions considérables de bancs calcaires englobés dans la masse éruptive ». Egli accenna pure al metamorfismo subito dai calcari e dal ma- cigno per effetto di queste masse intruse, accompagnate con « vrais conglomérats de friction analogues au Rothtotliegende de 1 Alle- magne, et aux conglomérats des porphyres rouges de 1 Estéiel ». 1 filoncelli di calcopirite, la rubefazione delle argille, la loro me- tamorfosi in diaspro, la dolomitizzazione dei calcari ed il loro trasformarsi in marmi serpentinosi son segno « des altérations éner- giques, que les Roches ont éprouvés vers les suifaces de contact». Il Coquand, come ben si vede, non parlò delle osservazioni di Santagata, che prima di lui aveva osservato e notato l’ importante fatto del calcare marnoso impigliato nella Eufotide. Fu il Bian- coni (2) che parlando di Gaggio ricordò pel primo nuovamente i lavori del Santagata, aggiungendo poi che a Gaggio i serpentini e le eufotidi si trovarono in stato pastoso. (!) Traité de roches. Paris, 1857. Questo trattato, che contiene nume- rose ed importanti osservazioni sulle roccie italiane, non fu mai citato nè nella Bibliographie géologique et paléontologique del 1881, nè in quella del Forna- sini, pubblicata nella Rivista italiana di paleontologia del 1896, fase. \ (2j Catalogo della serie geognostica dei terreni bolognesi. Atti Soc. ital. Se. nat, IV', 1862, pag. 247. STUDI GEOLOGICI SULLE ROGGI E DELL’aPPENNINO BOLOGNESE 17 Per lungo tempo non si parlò più di Gaggio in modo speciale; solo alcune memorie importanti del prof. Capellini comparvero nel 1872 e nel 1881, ma relative però a tutte le masse serpenti- nose del Bolognese in generale. Fu nel 1882 che il prof. Bombice! (*) tornò a parlare di Gaggio, in vari punti del suo lavoro. Così, per es., dice (pag. 104) che a Molino di Gaggio si trovano « dioriti e diabasi portìroidi, veri por- tidi verdi, con profusione di cristalli dei feldispati del tipo preva- lente oligoclasio » . Più avanti poi descrivendo la vallata del Seia (pag. 146) dice che « al Molino di Gaggio si hanno eufotidi par- zialmente ricche di magnetite, dioriti ecc. » . E sempre alla stessa pagina continua: « Nelle serpentine di Gaggio, una bella eufotide avviluppa un blocco di calcare alberese ». Con più esattezza poi lo stesso Bombicci nel suo Corso di Litologia parla di Gaggio, citando come provenienti di là eufotidi ed ipersteniti. Anche il Tarameli! (®) parla di Gaggio considerando tutto il Sasso come una massa di eufotide brecciata, rilegata da sostanza cloritoide. Il calcare circostante, secondo Tarameli!, non avrebbe su- bito alterazione alcuna. Sempre di questa località il Taramelli cita la presenza di serpentina, e di gabbro rosso al Molino. Nel suo importante lavoro SulU rocce eruttive dell’ Eocene superiore nell’ Appennino {^) il De Stefani si occupa pure delle roccie del Bolognese le quali, secondo il suo autorevole parere, devono considerarsi come intercalate e contemporanee ai calcari, e senza traccia alcuna di alterazioni immediate sui sedimenti. Dopo quest’ epoca, salvo le discussioni sulle argille scagliose, T età e le origini delle roccie serpentinose, nuli’ altro fu scritto sul nostro argomento. Il prof. Sacco quando passò per 1’ Appennino bolognese facen- done la carta geologica pubblicata nel 1892, rispetto alle masse serpentinose si limitò a segnare quelle già indicate nella carta del prof. Capellini del 1881, e non aggiunse altro di nuovo, conti- nuando a sostenere al solito la sua idea dell’ età cretacea di tali masse. (*) Montagne e vallate del territorio di Bologna. (*) Osservazioni geologiche fatte nel raccogliere alcuni campioni di serpentini. Boll. Soc. geol. ital., I, 1882, pag. 96. (3) Boll. Soc. geol. ital., voi. Vili, 1889. 2 ly P. E. VINASSA DE REGNY Il paese di Gaggio Montano si tro7a all’ altez/.a di 687 metri sul mare, sulla riva sinistra del torrente Sella. Vi si giunge como- damente in vettura seguendo la nuova via carrozzabile, che partendo da Porretta va all’ osteria Siila, e sale su a sinistra costeggiando quasi sempre il torrente. Ma una via più breve si fa salendo di- Fig. 1. _ Veduta del paese di Gaggio Montano. rettamente presso Porretta il crinale che separa la Valle di Reno dalla Val di Sella. Seguendo questa strada si trovano prima le ar- gille scagliose tipiche, che continuano poi per ampio tratto anche sulla destra del Reno. Salendo ancora si passa, presso la Corvella, ad una grande massa molto estesa, inclinata ad occidente, di un cal- care marnoso con fucoidi, alternato con macigno, simili in tutto e per tutto al calcare ed al macigno da cui sporgono le masse gab- briche di Gaggio. L’ alto del crinale è tutto quanto costituito da questa massa di calcare marnoso e di macigno. Da questo punto si può ammirare, al di là della vallata del Sella, staccandosi dal chiaro del monte una massa scura, alta, come un grosso torrione nero fian- cheggiato dal paese biancheggiante; è il Sasso di Gaggio. Giù in basso nella vallata afiìorano nuovamente le argille scagliose. Da lontano, verso sud-est, sporge il pittoresco Castelluccio, anch’ esso STUDI GEOLOGICI SULLE ROCCIE DELL’aPPENMNO BOLOGNESE 19 costruito sopra una massa gabbrica. Altre masse minori di tali roccie affiorano, sempre in questi strati calcarei, a poca distanza dalla Corvella e nella stessa direzione del Castelluccio, a C. Mi- nella e Pian di Favaie. Scendendo verso il Sella e traversato il torrente, presso il Molino di Gaggio affiorano le oficalci rosse, qua o là si vedono le argille scagliose, poi comincia la potente pila Fig. 2. — Veduta del « Sasso n di Gaggio. degli strati calcareo-marnosi, alternanti col macigno, jprivi del tutto di fossili, inclinati, come gli strati dell’ altra parte del Sella, di circa 35° verso ovest-sud-ovest, sinché non si raggiunge il paese di Gaggio, costruito alla base del Sasso. Appena uscendo dalla strada del paese si comincia a salire pel ripido viottolo che porta all’ alto del Sasso, ov’ è l’orologio. P. E. VINASSA DE REGNY 20 Quivi si comincia dal trovare una roccia verde chiaro, profonda- mente alterata, per lo spessore di pochi decimetri, alla quale segue un filone assai grosso di quarzo bianco, grasso, assai opaco, il quale tiene dentro di sè delle masserelle verdi, molto sgretolabili, di una sostanza serpentinosa. In questo quarzo non mancano traccio di sali di rame, sotto forma di carbonati, tra i quali prevalente è la malachite. Circa 50 cm. al disopra di questa roccia verde e del filoncello di quarzo, seguendo sempre lo stesso viottolo, compa- risce la grande massa del calcare marnoso sollevato circa 50 m. sopra il livello degli strati calcarei in posto. Al disopra del cal- Fig. 3. — Sezione schematica del Sasso di Gaggio, che mostra il blocco di calcare marnoso immerso nella Eufotide. Scala 1 : 2000. care, spezzato in due grandi masse, che ha spessore assai notevole e si estende anche abbastanza in senso orizzontale, segue una vera e propria breccia di eufotide e di calcare. Dei frammenti di calcare grandi talvolta come nocciuole tal’ altra più grandi di un pugno si trovano tramezzo all’ eufotide, la quale pure appare frantumata e ricementata poi successivamente sia da calcare, sia, piuttosto, da un rilegamento cloritico o serpentinico. Sopra a questa eufotide brec- ciata ed assai alterata si trova una vera e propria eufotide non così alterata, la quale corona la vetta del masso, proprio sotto all’orologio. Dalla parte opposta del masso, quella cioè che stra- piomba sulla chiesa, si trova immediatamente sotto all’ eufotide della vetta un piccolo straterello di macigno, sotto al quale viene STUDI GEOLOGICI SULLE ROCCIE DELL’aPPENNIKO BOLOGNESE 21 nuoTamente l'eufotide: segue quindi una massa più o meno alte- rata di norite, in buona parte serpentinizzata, sotto alla quale sta la gran massa di calcare, la quale scende sin quasi al livello della piazza della chiesa in strati quasi raddrizzati. Da questa descri- zione si vede come le roccie gabbriche, eufotidi ed ipersteniti, ab- biano portato in alto una grande massa calcarea, sollevandola però molto di più nella porzione occidentale che non nella porzione orientale. Poiché mentre salendo la pendice occidentale del Sasso, il calcare si trova quasi alla sommità di esso, ricoperto appena per pochi metri dall’ eufotide della cima, nella pendice orientale il calcare si trova 'assai men sollevato, e quasi va a confondersi in basso con tutto il calcare circostante. Durante il sollevamento di questa massa calcare si formarono quei frammenti più o meno grandi, che costituirono quella breccia che, come vedemmo, si trova sopra alla massa calcarea compatta, sollevata, fratturata e quasi raddrizzata. Il Sasso di Gaggio però non è da considerarsi come un masso gabbrico isolato ed unico. A me sembrava strano infatti che sola- mente in quel punto e in un altro a breve distanza, com’è segnato nelle carte, si presentassero le eufotidi, e mi diedi perciò alla ricerca di altre masse, che infatti ebbi la ventura di trovare intorno a Gaggio, le quali tutte, come mi ha dimostrato lo studio litologico, sono intimamente connesse alla massa maggiore, e, come questa, spor- gono dai calcari marnosi e dal macigno alternanti. Ed immediata- mente più a Nord del Sasso, salendo verso il Cimitero del paese, a sinistra della strada, sta una massa, non molto sporgente, ma assai allungata, di una roccia verde, quasi tipica norite serpenti- nizzata. Sempre risalendo il monte, sul terzo torrentello, e presso al punto in cui questi torrentelli traversano la strada, si ha una nuova massa di eufotide. Press’ a poco alla medesima altezza, ma più verso nord-est, stanno altre masse d’ eufotide e di iperstenite, e finalmente ancora più a nord-est si ha una piccola massa di ofi- calce rossa, simile a quella che si trova giù al basso verso il Sella, presso il Molino di Gaggio. Tanto il calcare quanto il macigno posti in prossimità di queste masse che stanno sui torrenti presen- tano fenomeni di metamorfismo. Il macigno ad esempio in alcuni punti ha assunto un bellissimo colore verde chiaro, venato da 22 P- E. VINASSA DE REG^Y bianche listerelle di calcite. Il calcare poi in moltissimi punti si è arricchito in modo enorme di quarzo e ferro. Ma di questo metamorfismo avrò occasione di parlare in se- guito più a lungo. Passo adesso a descrivere le roccie delle diverse masse, comin- ciando naturalmente dalla grande massa che forma il pittoresco Sasso (*). Massa n. I. Eufotide (Tav. I, fig. l)- L’ eufotide è la roccia prevalente nel Sasso ; essa si presenta, per la più alterata, in vari punti, ora ad elementi assai minuti ora ad elementi molto grandi. Da ciò deriva che nella ricerca del suo peso specifico ho trovato differenze assai notevoli, che variano da un minimo di 2,46 ad un massimo di 2,84; un campione assai poco alterato ad elementi non molto grandi e assai regolarmente disposti mi ha dato un P. sp. di 2,79. In generale non occorre la lente per distinguere a prima vista nella maggior parte dei campioni i cristalli di plagioclasio di colore bianco smalto, immersi nella massa verde del pirosseno, sempre assai alterati. I cristalli di plagioclasio arrivano talvolta a misurare sino a 15-20 mm. Adoperando una semplice lente di ingrandimento si scoprono nei cristalli di plagioclasio delle veniizze verdi, che in alcuni punti si allargano a formare come una piccola macchia. In sezioni sottili colla semplice lente compariscono tosto delle pia- ghette nere, opache di minerali di ferro. Al microscopio la roccia risulta olocristallina ipidiomoifa e formata prevalentemente da plagioclasio e da diallagio, accompa- gnati da altri minerali secondari, sia originari, sia di alterazione e ricomposizione. Il plagioclasio tende sempre ad alterarsi in saussurite, come si vede a prima vista per esser questo in molti punti opaco, tor- bido, di color bianco latte tendente al gialliccio. Si presenta in grandi cristalli, raramente però a contorno netto; tanto che tra i numerosi cristalli osservati non ho potuto fare che tre sole misu- (1) Bendo qui le più sentite grazie ai signori profF. D'Achiardi padre e figlio, i quali misero a mia disposizione Tapparecchio fotografico del Museo di Pisa, e mi furon larghi di aiuto e di consiglio. STUDI GEOLOGICI SULLE ROCCIE DELL’aPPENNINO BOLOGNESE 23 razioni di angolo, che possano dare una garanzia sufficiente di esat- tezza, queste sono: 87°36' per l’angolo acuto, e 92®15'-93“7' per l'ottuso. A nicol incrociati alcuni di tali cristalli, come già dissi, mo- strano la polarizzazione di aggregato della Saussurite, a causa della loro alterazione molto avanzata. Altri invece presentano la carat- teristica struttura lamellare polisintetica. È frequentissima la gemi- nazione dell’albite (secondo 001), molto più rara quella del peri- clino (secondo 010). In molti cristalli la misurazione dell’estinzione è assai facile. Ho fatto perciò numerose misurazioni sui geminati con estin- zione simmetrica, ed ho trovato dei valori variabili che non oltre- passano però mai i 31°-32°. Si tratta quindi molto probabilmente di vera e propria labradorite. Ciò è anche confermato dalle poche misure di estinzione che ho potuto fare nei geminati secondo la legge del periclino. Il diallagio allotriomorfo è anch’ esso spessissimo alterato ; ma non mancano però cristalli facilmente riconoscibili per la loro striatura, pel loro rilievo, pei colori di interferenza e per la mi- sura dell’ estinzione che oscilla tra i 35° ed i 42°. Manca qua- lunque segno di pleocroismo; tutte le laminette infatti sono verda- stre, mancando assolutamente quelle brune, le quali presentano sole un pleocroismo assai notevole nei diallagi. Sono questi i due componenti principali dell’ eufotide tipica del Sasso, ai quali si aggiungono in via subordinata alcuni altri. Fra questi principale un pirosseno trimetrico, in origine probabil- mente iperstene., il quale manca del tutto nella eufotide che si trova alla base e presso al calcare marnoso salendo il Sasso dalla parte orientale. Si trova però in assai quantità nella eufotide che corona la vetta del masso. Degli ossidi di ferro si ha la sola magnetite. Debbo esclu- dere la presenza di ilmenile, non avendo mai veduto il contorno lencoxenico caratteristico: la mancanza del titanio è anche con- fermata dall’ analisi chimica. La pirite poi si riscontra per lo più in cristallini ammassati. Lo zircone è rarissimo, ma pure si trova qua e là in minuti cristallini a sezione prismatica con vivacissimi colori d’ interfe- renza. 24 P. E. VINASS.V DE UEGNY Come ho già accennato vi è 1’ alterazione del plagioclasio in saussurite, con epidoto assai chiaramente riconoscibile. Non manca nemmeno silice opalina, costantemente estinta a luce polarizzata. L’ alterazione dei pirosseni è sempre assai più avanzata : essa dà origine a poca sostanza cloritica e prevalentemente a serpen- tino, colla sua struttura tipica quasi lamellare e scagliosa, carat- teristica del serpentino derivato dai pirosseni. Il serpentino si spinge anche nell’ interno delle fratture dei plagioclasi, che, come già accennai, sono spesso attraversati da vene verdi. La calcite, come minerale di ricomposizione, si trova in pia- ghette cristalline, spesso con geminazione polisintetica, raramente m vene che attraversano la roccia. li' eu fetide (Tav. l,fig. 3), che si trova presso al calcare inglobato nel masso, ha struttura brecciata assai manifesta ; l’alterazione del diallagio è molto più avanzata qui che non negli altri campioni, tanto che talvolta si può essere in dubbio se si tratti di diallagio o di un pirosseno trimetrico. Nelle sezioni che interessano tanto una porzione di eufotide quanto una porzione di calcare, 1 eufotide è sempre forte- mente alterata, nel punto di contatto si ha quasi sempre calcite cri- stallina, mentre il rimanente calcare si presenta ricco di sali di ferro, tanto da essere in alcuni punti quasi del tutto opaco. L’ analisi di una eufotide tipica, raccolta presso la sommità del masso, mi ha dato i risultati seguenti; Perdita per riscaldamento 1 ,67 Si O2 48.65 AL O3 16.95 Fe.2 O3 2,49 Pe 0 6,32 Ni 0 traccia Ca 0 11,66 Mg 0 11.53 Na^ 0 1.96 100,23 Norite (Tav. I, fìg. 4). Questa roccia si trova net masso, poco sotto alla vetta, dalla parte orientale, prima di raggiungere il cal- care marnoso inglobato. Essa si presenta come una massa quasi del tutto verde, con rarissimi cristalli di plagioclasio bianchi smalto. Entro alla massa verde chiara si scorgono delle chiazze di un verde più scuro, derivate da alterazioni in serpentino del pirosseno. Alcuni STUDI GEOLOGICI SULLE ROCCIE DELL’aPPENNINO BOLOGNESE 25 punti anzi di questa norite a plagioclasi rarissimi son quasi intera- mente costituiti di serpentino. Per questo colore e per la mancanza, in alcuni punti quasi assoluta, di plagioclasi questa norite si distingue nettamente dalla eufotide, alla quale però passa gradatamente, me- diante l’eufotide con iperstene di cui sopra abbiamo parlato. Il suo peso specifico, nel punto più compatto e meno alterato è circa 3,04 ; in altri punti è minore ; ma non va mai al disotto di 2,92. Al microscopio il plagioclasio si presenta come quello pre- cedentemente studiato, e la misurazione dell’ angolo di estinzione simmetrica conferma il riferimento a labradorite. Il pirosseno trimetrico è spesso molto alterato in serpentino. Non mancano però sezioni ove il pirosseno presenta un notevole pleocroismo, tanto che non esito a riferirlo ad iperstene. Come prodotto di alterazione di questa, poi, si trova spesso basiite., l'uno e r altra sempre provviste di quelle caratteristiche inclusioni ordi- nate in file parallele. L’ alterazione in serpentino a struttura fibroso-scagliosa è quasi sempre assai avanzata, e, come ho detto, in alcuni punti quasi completa. Anche in questa roccia ho ritrovato dei minuti ciistallini di zircone^ ed anzi relativamente assai più numerosi che non nella eufotide precedentemente studiata. Assai frequenti i sali di ferro, di cui principale la magnetite nicheli fera. Anche di questa roccia ho fatto un’ analisi scegliendo un campione quasi esclusivamente costituite da iperstene ed un altro ove r alterazione in serpentino era avanzatissima. Ecco i risultati a cui sono giunto: Perdita per riscaldamento Norite 1,84 Serpentino 6.75 Si 0* 49,42 45,04 Alj O3 3,37 1,64 FOe O3 1,:30 j. 9,37 Pe 0 5,75 Ni 0 0,16 0,21 Ca 0 2,11 1,76 Mg 0 34,97 35,29 C O2 À 0,76 traccio 99,68 100,06 26 P. E. VINASSA DE REG.NY Abbiamo quindi veduto che il Sasso di Gaggio è prevalente- mente costituito da eufotide e da norite. Dobbiamo ricordare anche la presenza già accennata di una grossa vena di quarzo bianco grasso, posta presso la base del masso, che traversa l’eu- fotide assai alterata, e che in alcuni punti presenta l’ aspetto come di una breccia a rilegamento siliceo. È da notare pure 1 esi- stenza di minerali di rame^ tra cui principale la calcopirite, che come in varie altre goccie gabbriche si presenta sotto 1 aspetto di noduli, involti in una sostanza verde scura, con abbondanti vene di calcite. Ne ho raccolto uno io stesso di quasi 600 gr. di peso. Del calcare marnoso immerso nella eufotide avremo occasione di parlare in seguito. Massa n. II. Eufotide con iperstene (Tav. I, fig. 2). Sarei quasi indotto a chiamarla una vera e propria norite, poiché il pirosseno trime- trico è prevalente sul diallagio. A primo aspetto non si distingue dalla eufotide del vicinissimo Sasso, e solo il microscopio ci mostra la presenza prevalente del pirosseno trimetrico. Il plagioclasio è la- bradorite non molto alterata in saussurite. I inro^mii invece sono molto alterati e danno origine a poca sostanza cloritica ed a ser- pentino. Vi sono anche delle plaghette di calcite ciistallina po- lisintetica, di cui alcune immerse nel serpentino. Ho riscontrato anche la presenza di silice opalina e di magnetite. Questa massa, posta presso al Camposanto, è di estensione assai limitata e sembra esser tutta quanta costituita dalla stessa qualità di roccia. Massa n. III. Oficalce grigia. Più a nord del Sasso sopra al paese, si trova, nel così detto masso dei Salaroni, una oficalce di color gri- gio verdastro, nella quale il serpentino viene cementato da una massa di calcare parte in vene cristalline di bianca calcite, parte di colore grigiastro. Talvolta in alcuni punti si trova invece del calcare, un quarzo qua e là rosato, ed allora si passa ad una ofi- silice. Tanto Toficalce quanto 1’ ofisilice mantengono il loro colore STUDI GEOLOGICI SULLE ROCCIE DELL’aPPENNINO BOLOGNESE 27 grigio verdastro, e non ho mai notato un passaggio ad oficalce rossa, come quella comune al molino di Gaggio. Masse n. IV, V. Eijfotide. L’ eufotide che costituisce queste due masse poste sui torrenti a nord del Sasso è quasi del tutto simile a quella che si trova nel Sasso. Il plagioclasio è labradorite con saussuritizzazione molto avanzata. L' epidoto è benissimo distinguibile. Il diallagio pure è alterato assai in sostanza cloritica e ser- pentino. Non mancano nè silice opalina nè ossidi di ferro. Manca in- vece del tutto la calcite, che, come vedemmo, era invece assai fre- quente nelle eufotidi precedentemente studiate. Oficalce verde. In alcuni punti di queste masse presso r eufotide si trova un oficalce verde, solo in alcuni punti mac- chiata un poco di rosso. Masse n. VI, VII. Queste due masse, quasi connesse tra loro, si trovano a poca distanza delle due precedenti presso al terzo torrentello più verso oriente. In esse ho riscontrato la presenza di eufotide e di norite. Eufotide. Molto alterata sia nel plagioclasio quasi del tutto saussuritizzato, sia nel pirosseno, che solo in pochi punti permette la misura dell’ estinzione diversa da 0°. Il serpentino che ne deriva ha la solita struttura fibrosa ca- ratteristica. La silice opalina si riscontra in notevole quantità, come pure i sali di ferro. Norite (Tav. I, fig. 5). Questa roccia ha grandissima somi- glianza con quella del Sasso, poiché anche qui manca quasi del tutto il plagioclasio mentre il pirosseno trimetrico, quasi tutta bastile, costituisce insieme al serpentino scaglioso la quasi totalità della roccia. Ho riscontrato anche in questa dei piccoli cristalli di zir- cone. La magnetite è assai frequente. Manca al solito l’ ilmenite. 28 P. E. VINASSA DE REGNY Massa n. Vili. Questa massa si trova più ad oriente delle precedenti, presso alla C. Grandella, ma più in alto. Essa è costituita esclusivamente da una oficalce rossa, certamente derivata dalla serpentinizzazione delle eufotidi vicine; in essa \\ pirosseno è interamente serpenti- nizzato e arrossato per ematite, e solo il plagioclasio è ancora assai facilmente riconoscibile in alcune plaghette non ancora del tutto alterate, che conservano ancora la loro struttura polisintetica ca- ratteristica. Massa n. IX. Si trova questa massa molto più a sud, verso il Sella, presso al Molino di Gaggio, a distanza assai considerevole dalle restanti. In essa si trovano prevalenti: Ofisilice ed oficalce rosse, per la loro struttura ed ori- gine identiche alla oficalce sopra descritta, tanto da non essere necessario di farne una descrizione dettagliata. Solo vi è da osser- vare che in alcuni punti 1’ ematite non nasconde del tutto il ser- pentino come nella precedente. Tutte queste masse di roccie gabbriche sporgono, come dicemmo, dai calcari marnosi quasi schistosi ed alternanti col macigno, che costituiscono la porzione principale del monte, che molti liferiscono al cretaceo altri all’eocene. Mancandovi fossili è assolutamente impos- sibile dire con esattezza a che periodo siano da ascriversi; per mio conto però, giudicando dalla loro posizione rispetto alle argille sca- gliose e dal loro aspetto generale, propenderei piuttosto a crederli eocenici. Ma come ho detto e come tengo a ripetere, non basta a giu- dicare deir età di un terreno il suo aspetto litologico quando man- chino i fossili, che soli possono darci la sicurezza di un riferimento. Ma, indipendentemente dall’età di questi calcari marnosi, era mia intenzione principale il vedere se elfettivamente, come altri hanno sostenuto, le roccie gabbriche di Gaggio non avessero pro- dotto alcun effetto sui calcari coi quali sono a contatto. Che l’effusione delle roccie gabbriche sia avvenuta posterior- mente alla deposizione del calcare del macigno è per me cosa in- dubitata. STUDI GEOLOGICI SULLE ROCCIE DILL’aPPENNINO BOLOGNESE 29 Si potranno infatti spiegare come breccie quelle piccole por- zioni di calcare impastato con l’eufotide, che si trovano nel centro del masso, ed anzi come già ho accennato anche la struttura del- r eufotide in alcuni punti è brecciata. Ma non può considerarsi come elemento di una breccia quella grande massa di calcare di parecchi metri cubi, immersa nel centro del Sasso. Anzi la brec- cia di calcare e di eufotide, che manca assolutamente nelle por- zioni più esterne e più alte del Sasso, si trova esclusivamente presso alla grande massa del calcare, ed è molto facile spiegarne l’origine- A confermare però l’ idea della posteriorità delle eufotidi serve anche lo studio microscopico e chimico dei calcari e del macigno^ che ho creduto utile fare assai ampio. E prima di tutto ho studiato il calcare marnoso grigio chiaro, quasi scistoso, che si trova a qualche distanza dalle masse gab- briche e quindi inalterato da esse. Al microscopio esso si presenta, come gli altri calcari marnosi. quasi del tutto omogeneo, soltanto vi si notano delle minute mas- sorelle opache di sali di ferro. L’ analisi chimica mi ha dato il seguente risultato : Acqua a 110” . . 2,54 Parte insolubile in HCl diluito. 37,19 F e* O3 . . 8,97 Ca 0 . . 28,78 Mg 0 . . 1,58 CO, . . 24,96 99,02 Ho studiato quindi il calcare che sta insieme all’ eufotide nelle breccie che circondano la massa maggiore di calcare. Al microscopio esso risulta costituito da calcite cristallina, da calcare quasi opaco per sali di feiTO e da qualche cristallino di quarzo : l’ analisi chi- mica mi diede i seguenti risultati: Acqua a 110” . . . 1,07 Parte insolubile HCl . . . . . . 76,19 Fe, O3 . , . 1,97 Ca 0 . . . 9,77 Mg 0 . . . 1,92 CO, . . . 9,75 100,67 30 P. E. TINASSA DE REGNY Ho preso pure in esame il calcare marnoso del grande blocco immerso nell eufotide, e ne ho studiato varie porzioni. Di due esemplari presi sotto all eufotide della cima, nella parte orientale del Sasso, le sezioni mi hanno fatto vedere della calcite cristal- lina, in molti punti a struttura polisintetica, arricchita di quarzo in granuli cristallini assai numerosi, ed in alcuni punti impre- gnata di una sostanza verde di tipo cloritico e serpentinico, di- sposte ora a venature ora in piccole chiazze in mezzo alla calcite cristallina. I soliti corpi opachi accennano poi alla presenza del ferro. L’analisi mi ha' dato i seguenti -risultati : Acqua a 110°. . . • Parte insolubile in HCl . I e2 O3 Ni 0 Ca 0 Mg 0 C 0-2 Un’ altra porzione dello stesso I li . 1,82 2,37 . 86,20 91,80 1,61 0,98 . traccio traccio . 5,03 1,78 . 0,71 0,44 . 4,98 1.87 100,35 99,24 blocco, posta quasi ad imme- colore bruno scuro che mi questo però mancava grande qii an- diate contatto colle eufotidi, ha un fece pensare alla presenza di manganese: del tutto, ed il colore era piuttosto attribuibile alla tità di sali ferrici che conteneva. È importante l’ analisi seguente di questa roccia quasi del tutto priva di calcio a cui si è invece sostituito il magnesio : Acqua a 110“ . . . 1,66 Parte insolubile in HCl . . . . . 92,02 . . . 1,72 Ca 0 . . . traccie Mg 0 . . . 1,77 C O2 . . . 2,26 99,43 Nel residuo di questa analisi si scoprono al solito il quarzo, sostanza verde cloritica e serpentino. Lasciando adesso il masso maggiore, passiamo a studiare il calcare ed il macigno anch’essi alterati, che si trovano tramezzo alle masse gabbriche poste al nord del Sasso, sopra ai torrenti. STUDI GEOI.OGICI SULLE ROCCIE DELl’aPPENNINO BOLOGNESE 31 Qui il macigno di grigio chiaro è divenuto verde. Al microscopio infatti si osserva una grande quantità di sostanza cloritica, e prin- cipalmente di serpentino, sparsa nella pasta fondamentale di questa arenaria, nella quale si trova anche calcite in minute venature. Il calcare ha assunto un colore quasi nero : in esso al micro- scopio si nota, oltre una grande quantità di ossido di ferro, anche del quarzo e della sostanza verde. Vi ho pure riscontrato la pre- senza di siderose cristallino. L’analisi mi ha dato i risultati seguenti: Acqua a 110“ 0,98 Parte insolubile in HCl 56,33 Pe2 O3 16,98 Ni 0 traccie Ca . 0 2,43 Mg 0 7,51 C Oj . . 15,16 99,39 Se ora noi riprendiamo in esame queste sei analisi di calcari, possiamo compilarne uno specchietto in cui sia data la composi- zione centesimale della parte solubile. Indico con 1 il calcare mar- noso inalterato, con 2 il calcare che prende parte alla breccia, con 3 e 4 il calcare a contatto dell’ eufotide, con 5 la massa scura prevalentemente ferrifera e magnesiaca del Sasso e con 6 il cal- care a contatto dell’ eufotide e del macigno alterato sui torrenti. 1 2 3 4 5 6 Parte insolubile 37,19 76,19 86,20 91,80 92,02 56,33 Feg O3 6,69 8,50 13,05 19,33 29,91 40,37 Ca 0 48,55 41,69 40,64 35.11 traccie 5,77 Mg 0 2,64 8,19 5,76 8,67 30,78 17,84 C O2 42,11 41,61 40,55 36,88 39,30 36,02 99,99 99,99 100,00 99,99 99,99 100,00 Da queste analisi risultano tre cose principali: 1® Un aumento nella parte insolubile, costituita principal- mente di quarzo, sostanza verde, ecc. 32 P. E. VI^ASSV DE RKGNY, STUDI GEOLOGICI, F.CC. 2“ Un aumento notevole nel contenuto in ferro, tanto sotto forma di ossidi, quanto sotto quella di carbonato. 3° Un aumento pure molto grande nel contenuto in magnesia, tanto che il calcare appena magnesifero passa ad essere quasi tutto carbonato di magnesio. Altra cosa da notare è la presenza, in alcuni calcari, del nichel, che, come vedemmo, non manca nelle eufotidi. Mi par quindi di non andare errato affermando che si è avuto un vero e proprio metamorfismo nei calcari marnosi e nel macigno. Per r alterazione, principalmente dei pirosseni, si è avuto il ma- gnesio che ha dolomitizzato quasi i calcari. E anche la sostanza verde immersa nei calcari e nel macigno, sia essa cloritica o serpen- tinosa, è certamente derivata dalle eufotidi e dalle noriti. Concludendo dunque, credo che a Gaggio Montano si abbia una massa gabbrica unica, poiché le varie masse sparse attorno al Sasso sono, a mio parere, tutte riunite tra loro ; l’ erosione degli strati calcarei ed arenacei le ha poste qua e là solamente allo scoperto. Tale massa gabbrica fece effusione posteriormente ai calcari ed al macigno, ed anzi, oltre ad aprirsi il varco tra di essi, ne portò in alto una porzione notevole, producendo anche una breccia di frizione calcarea e di eufotide. Tanto il calcare quanto il macigno presentano fenomeni di metamorfismo di contatto rholto spiccati, nuova prova che le masse gabbriche furono posteriori ad esso. Quanto all’età di tali masse questa dipende dalla determina- zione esatta dell’ età della formazione calcareo-arenacea che le contiene. Non credo però si possa ammettere che esse possano aver fatto eruzione in un’ epoca anteriore all’ eocenica. [Bologna, E, Istituto geologico, gennaio-febbraio 1899.] SPIEGAZIÓNE DELLA TAVOLA. Fig. 1. — Eufotide della cima del Sasso. Ingr. 12 diam. Nicol -f Fig. 2. — Eufotide con iperstene e calcite polisintetica della massa il a Nord del Sasso. Ingr. 12 diam. Nicol Fig. 3. — Eufotide con calcite cristallina del Sasso, presso alla massa cal- carea. Ingr. 6 diam. Nicol -[- o t Fig. 4. — Norite con bastile e serpentino presso la vetta del Sasso. Ingr. 12 diam. Nicol t j j i a Fig. 5. — Norite con bastile e serpentino della massa VII a Nord del basso. Ingr. 12 diam. Nicol -[- + (Le fotografìe furono eseguite coll’ apparecchio Koristka appartenente al R. Museo mineralogico di Pisa). . PHOT. JN MUS. PIS. KLIOT. CALZOLARI E KERRAPIO, MILANO. IL GEN. HELIOLITES NEL DEVONIANO DELLE ALPI CARNICHE ITALIANE Nota di G. DE Angelis d’Ossat. Il eh. prof. G. Lindstrom sta preparando, da par suo, una monografìa intorno al gen. Heliolites. Acciò venga considerato in quel magistrale lavoro anche il materiale italiano, per quanto li- mitato, mi decido a pubblicare, prima di dare termine allo studio di tutti i Coralli e Briozoi del Devoniano della Gamia, ciò che riguarda il presente genere. Già in una mia comunicazione preventiva alla nostra Società, citai (’) per il Devoniano a nord di Paularo le quattro specie : Heliolites Barrandei (R. Hornes in mscr.) Pen., Hel. porosus Goldf., Hel. megastoma M’ Coy e YHel. vesiculosus Pen. Un più accurato esame dei materiali e la consultazione di un maggior numero di opere, non che le istruzioni amorevoli e dotte che, a viva voce, ebbi la fortuna di apprendere dallo stesso Lindstrom, mi ha fatto cambiare alquanto le mie determinazioni specifiche. Ciò devesi specialmente al difiìcile riconoscimento che of- frono le due specie: Ilei. Barrandei ed Hel. vesiculosus j essendo state istituite sopra esemplari mal conservati. Per le quali ragioni la maggior parte dei fossili che già riportai aìV Hel. Barrandei li riferisco, senza dubbio alcuno, zìY Hel. porosus. non trovandovi più caratteri tanto diversi da doverli separare. Con ciò però non in- firmo r esistenza ^q\Y Hel. Barrandei Penecke {Fauna palàoz. Ko- Y) G. de Angelis d’Ossat, / Corallari fossili del Carbonifero e del Devoniano della Gamia. Estr. Boll. Soc. geol. ital., voi. XIV (1895), fase. 1. 3 34 G. DE ANGELIS d’OSSAT rall. Ostalp.. pag. 271, tav. XX, fig. 1-8, 1887), ami Pannovero fra i nostri fossili. La constatazione della presente forma non è dato sempre li- conoscere, dacché il carattere distintivo, per la sua delicatezza, il più delle volte manca. Infatti esso è riposto sulla presenza di spine situate nel margine interno dei setti, le quali terminano ingrossate a mo’ di bolle. L’ esemplare che ho riferito all HbI- vbsìcuIosus Penecke (op. cit., pag. 272, tav. XX, fig. 4, 5), per le stesse ragioni, ora esposte, deve entrare a far parte dell’ Hel.^ porosus ; ma tuttavia si distingue per tenui caratteri dalla specie tipica, come or ora diremo. Il Prech {Die Karnisehen Alpen. 1894) menzionava il gen. lleliolites, con una specie non determinata, nel livello superiore del Devoniano inferiore. Nel Mitteldevon poi dei Karawanken trovò \ Hel. Barrandei insieme allo Stringocephalus Burtini, mentie che nello stesso piano all’ Osternigg raccolse fin dal 1885 1 Hel vesi- culosus Pen. i cui esemplari furono giustamente ritenuti ben poco diversi àdilì’Hel Barrandei. Probabilmente anche alcuni fra gli lleliolites del eh. professore di Breslavia debbono entrare a far parte dell’ Hel porosus o della nuova varietà che propongo. Heliolites interstinctus L. sp. Fig. a. 1745. Millepora subrotunda, p oris minirais confertis mao ori- busque crenatis, remotis Linnaeus, Coralità baltica, pag. 30, n. XIII, fig. XXIV. ^ „ ,, ,) Linnaeus, Anioenitates Acaicmìcae, I, voi., pag. 99. 1767. Madrepora interstincta p. p. L„ Systema Naturae, ed. XII, pag. 1276. 1839 Porites pyriformis Lonsdale, in Murchison, «ViL, pag. 686 ,tav. X\I, fig. 2 c-e. Le figure 2 a-b appartengono ad altra specie o varietà. 1851. Hel. megastoma p. p. M. Edw., Polyp. foss. terr. paléozoi- ques. pag. 216. 1852. H e 1. m a c r 0 s t y 1 i s Hall., Pai N. York., voi. II , pag. 135, tav XXXVI A, fig. 2 a. Le altre fig. debbonsi esclu- dere. 35 IL GEN. HELIOLITES NEL DEVONIANO, ECO. 1854. Hel. megastoma p. p. M. Edw. Haime, Brit. foss. Cor., pag. 251, tav. LVIII , fig. 2c-2d ( caeteris exclusis). 1860. » n M. Edw. Haime, Hist. Nat. Cor., voi. Ili, pag. 237. 1862. Porites megastoma M’Coy., SU. foss. of Ireland, pag. 62, tav. IV, fig. 19. 1876. Hel. megastoma Eominger, Qeol. Survey of Michingan, voi. Ili, pt. II, pag. 11, tav I, fig. 3. 1879. » 17 Nicholson, Tabulate Cor., pag. 244, tav. XII, fig. 2-2 a. 1880. 17 17 Nicholson, Etheridge, Silurian foss. of Girvan, III, pag. 241. Corre' una certa diffe- renza fra questa e la forma di Linneo. 1883. Hel. interstinctus Lindstrom, Obersilur. Kor alien von Tshau- Tièn in Richthofen, China, Bd. IV, pag. 54, tav V, fig. 7. 1889. 17 11 Toll, Die palaeozoischen Versteinerungen der Insel Katelnoy, Mém. Ac. Se. de Eus- sie, tom. XXXVII, pag. 47. Senza fi- gura. 1895. 17 17 Wentzel, Zur Kenntniss der Zoantharia tabulata, Denk. Ak. Wissen. in Wien, pag. 506, tav. I, fig. 1-7. 1895. 17 11 LindstrOm, On thè Corallia baltica of Linnaeus, Oeversigt of Kongl. Akad. Eorhan- dingar, pag. 636. In questo ultimo la- voro v’ ha una erudita dissertazione intorno alla presente forma. Il Milne Edwards ed Haime furono i primi a riportare questa forma al gen. HelioUtes, citandone come autore il M’ Coy. Già dal 1846 era redatto il lavoro del M’ Coy, ma non fu stampato che nel 1862. Appunto sotto quest’ultimo anno ho riportato tale lavoro. Riferisco a questa forma alcuni esemplari che si presentano massicci, e che probabilmente erano emisferici, come si può rile- vare dalla direzione dei calici ; ora l’erosione li ha ridotti spianati. I calici sono quasi tutti delle stesse dimensioni, abbastanza rav- vicinati, ma sempre circolari. Si scorgono costantemente 12 setti, poco sviluppati e sottili, uguali fra di loro. La teca calicinale di poco si differenzia in spessore dalle pareti del cenenchima dei canali; ma tuttavia sempre ben distinta. Il diametro dei calici varia da 2 a 3 mm. ma è più di frequente vicino a 2 mm. I calici sono lon- 7: 36 G. DE ANGELIS o’oSSAT tani fra di loro alcune volte 1,5 mm. ed altre 3 mm. e più. Le tavole sono numerose, vicine, ben sviluppate e quasi tutte di- sposte orizzontalmente con rego- larità. Il cenenchima è formato da canali poligonali, alquanto ir- regolari ed ineguali fra di loro, con traverse orizzontali che li tagliano ad angolo retto. Dalle ligure più che dalla descrizione si possono raccogliere tutte le particolarità anatomiche. 11 diametro medio dei canali del cenen- chima è di circa mm. 0.5. Gli esemplari delle Alpi Gamiche evidentemente appartengono ad uno stato evolutivo di quelli che si raccolgono nei terreni silu- riani, dai quali si differenziano specialmente per le maggiori di- mensioni. Le proporzioni infatti dei calici e dei canali sono mag giori ; diversi i calici ed i canali fra di loro, uguali invece i setti, mentre che negli esemplari del Siluriano sono questi ultimi alter- bfM r' r ... ■' C f ■ . lif? •Y e I ■>- < ^ c 0 ~ C" Fig. a. — Hel. interstinctus L. X 4- nativamente uguali. Questa specie, dopo la chiara e dotta illustrazione che ne ha fatto il Lindstròm, facilmente si differenzia dalle altre congeneri : come Ml'Eel. Daintreei Etheridge e Nicholson e dairZTe/. pla- SMopoToides degli stessi autori: a causa delle proporzioni delle diverse parti anatomiche e per lo speciale modo di presentarsi. E sufficiente infatti la semplice comparazione delle figure delle due specie citate {Palcteozoic. Corctls from NoTthen Queensland. Ni- colson and Etheridge jun., pag. 224, 225. tav. XIV [^non XIII]j, fig. 3, 3 a e 2, 2 è in Ann. Mag. 5. ser., voi. IV, London 1879). Non nascondo il dubbio natomi intorno alla giusta posizione ge- nerica MY Hel. plasmoporoides per il suo speciale comportamento che probabilmente fa ascrivere la forma ad altro genere affine. Hel. interstinctus L. var. n. devonica. Fig. h. Alcuni esemplari devono riferirsi a questa specie quantunque presentino qualche differenza anatomica, che certamente non è suf- ficiente per la fondazione di una nuova forma. Sgraziatamente la IL GEN. HELIOLITES NEL DEVONIANO, ECO. 37 Fig. b. — Hel. inter- stinctus, va.r. devo- nica. X 4. cattiva conservazione non ci permette nn’accurato studio, quindi è necessario accontentarsi di ciò che è dato rilevare. Le dimensioni sono minori in tutte le parti anatomiche, come di leggieri si osserva dalla figura eseguita nelle stesse proporzioni dell’antecedente. I calici oscil- lano fra un mm. di diametro ; quello figurato è il più grande trovato nelle sezioni. I calici sono parecchio lontani fra di loro, quasi sempre oltre 3 mm. I canali proporzionalmente più piccoli. Però anche negli esemplari della specie tipica si osservano variazioni che accennano a queste dimensioni, di modo che gradatamente si può passare da quella alla nostra varietà più comune nel Devoniano della Gamia. li' Hel. inter stinctus generalmente è stato rinvenuto fossile nei terreni siluriani, ma il Milne Edwards ed Haime lo riscontrarono pure nel Devoniano di Nehou, del dipartimento della Manche. Per le altre località rimando ai lavori sopra citati. Località: Lodinut a nord di Paularo (Foglio 14 Carta d’Italia, Paluzza 1 ; 50000) sul versante occidentale del M. Lodin. Collezione: Museo Geologico R. Università di Roma e di Pavia; R. Istituto Tecnico di Udine. Heliolites porosus Goldfuss sp. Fig. c. 1826. Astrea porosa Goldfuss, Petref. Germ. I, pag. 64, tav. XXI, fig. 7 a-g. 1834. Heliopora pyriformis Blaiuville {le), , Manuel d'Actinologie, pag. 392. 1834. i> I» Steininger, Mém. Soc. géol. de France, toni. I, pag. 346. 1835. Heliopora interstincta Bronn, Leth. geogn., toni, I, pag. 48, tav. V, fig. 4. 1840. Poritespyriformis Lonsdale, Geol. trans., 2® sér., tom. V, tav. LVIII, fig. 4. 1841. )! )) Philips, PaZaeo.j. /bss., pag. 14, tav. VII, fig. 19. 1845-46. Explanaria interstincta Geiiiitz, Grand der Verst., pag. 568. 1850. Geoporites porosa et Phillipsi d’Orbigny, Prod. de paléont., tom. I, pag. 108. 1851. Heliolites porosus Milne Edwards, Haime, Polyp. foss. terr. paléoz , pag. 218. G. DE ANGELIS D OSSAT 38 1853. Heliolites porosus Milne Edwards, Hainie, /bss. C'or., tom. HI, 1876. « 1878. 1878. » 1883. « pag. 235. Koninck (de), Foss. paléoz. Nouv.-Galles du Sud., pt. I, pag. 81. Etheridge jun., Cat. Australian foss., pag. 37. Quenstedt, Petrefaktenkunde Deutsc. 1® Abth. Bd. 6, pag. 138, tav. CXLYIII, fig. 15-22 * (con dubbio fig. 23-24). Roemer I., Leth. geogn., I Th., pag. 509, tav. XXV I, fig. 2 a, 2b. 1889. Heliolites interstinctus Barrois Ch., Faune du calcaire d'Ebray, pag. 30, tav. Ili, fig. 6. 1896. Hel. porosus Sardeson, Ueber die Beziehungen der fossilen Tabu- laten zu den Alcyonarien, pag. 263. Si potrebbero citare altri autori, ma li ometto non avendo egli presentata figura alcuna, ciò che può far nascere il dubbio che pos- ; sano gli esemplari riferirsi ad altra forma. Tra questi ricordo i seguenti : d’Orbigny, Etheridge, de Fromentel ecc. I frammenti che riporto alla presente specie sono massicci. ^ Dalla direzione radiale dei polipieriti si comprende facilmente che ^ il polipaio doveva essere arrotondato, subgib- boso ed in qualche caso pure cilindrico. L'ero- ^ sione che è stata più attiva in certe direzioni nor- . mali alla lunghezza dei polipieriti ci fa inferire '■ che il polipaio doveva essere formato da strati ^?osM.s X t sovrapposti ben distinti. I calici appena oltre- passano un mm. di diametro ; sono piuttosto vicini fra di loro, intercedendo spesso meno di un mm. ; solo in rari casi v’ ha una distanza maggiore. In genere di canali del ce- nenchima se ne contano tre in un mm. di lunghezza , essi però non sono di uguali proporzioni. Le loro pareti sono molto più sot- tili di quelle della teca del calice. I setti, in numero di dodici, tutti uguali, si avvicinano verso il centro del calice. Senza dilun- garmi, tutti i caratteri specifici si riscontrano nel nostro esemplare per modo che si è sicuri della determinazione di tale forma. La specie è stata trovata, come si può dedurre dalla lunga bibliografia, in molte località del Devoniano e specialmente nel Devoniano medio e nello Stringo cephalenkalk (Roemer F.). Il prof. G. Lindstròm si è compiaciuto osservare gli esemplari e mi ha assicurato non solo della determinazione, con la sua indiscu- IL GEN. HELIOLITES NEL DEVONIANO, ECO. ;9 tibile autorità, ma mi ha confermato la completa somiglianza con gli esemplari tipici di Eifel. L’ esemplare poi che già determinai (loc. cit.) come Hel. vesi- culosus, deve essere ascritto a questa specie quantunque offra ca- ratteri differenziali sufficienti per costituire una varietà ben facil- mente distinguibile, che io denomino in onore del venerando maestro. Hel. porosus Goldfuss. var. n. Lindstròmi. I calici misurano meno di un mm. di diametro sono diversa- mente lontani fra di loro, ma v' intercede sempre una distanza mi- nore di un mm. Dei canali grossolanamente poliedrici se ne contano generalmente tre per ogni mm. di lunghezza. I calici sono disposti radialmente ; per modo che il polipaio doveva essere gibboso. I setti nell’ esemplare, a causa della cattiva conservazione, non si vedono protendere di molto verso l’ interno, essendo probabilmente distrutti ed assorbiti. Le dimensioni minori adunque sono quelle che allontanano specialmente la presente va- rietà dalla specie tipica. Loc. Lodinut, a nord di Paularo. Coll. Museo Geologico della R. Università di Roma e di Pavia; R. Istituto Tecnico di Udine. Heliolites Barrandei (R. Hbrn. in mscr.) Pen. 1884. Heliolites porosa e Hel. cfr. porosa Stadie, SU. Ostalpen m. Be- merkungen Devoti etc., pag. 376. 1887 Hel. Barrandei (F. Horn. tw mscr.) Penecke, Ueber die Fauna und das Alter einiger palàozoisclier Ko- rallriffe der Ostalpen, pag. 271, tav. XX, fig. 1-3. Dai rari resti che si trovano in collezione, ancora con tutti i caratteri specifici, possiamo congetturare che il polipaio era mas- siccio e di uno sviluppo considerevole. 1 calici misurano poco più di un mm. di diametro e sono abbastanza vicini fra di loro, oscil- lando la distanza fra 0,5-1 mm. I canalicoli del cenenchima sono rozzamente poligonali, quantunque il Penecke li dica rotondi ; 40 G. DE ANGELIS d’0SSA.T, IL GEN. HELIOLITES DEL DEVONIANO, ECO. quest’ ultima apparenza può essere causata dal cattivo stato di con- servazione dei fossili. Il diametro dei canali del cenenchima è di 0,3 di mm., e se ne hanno anche 3 fra un calice e l’altro, ge- neralmente però vi è uno o due soli canali. I dodici setti sono ben chiari e raggiungono il centro portando al margine interno forti spine che terminano con ingrossamenti a modo di bolle. Quest’ultimo carattere, più che constatarsi chiaramente, s’ intravede a causa della delicatezza della spine. Le tavole orizzontali sono sottili in relazione della teca e sono lontane fra di loro la metà od un quarto del diametro calicinale; nei canali del cenenchima invece s’ intercalano ogni mm. o mezzo. Questa specie fu trovata dallo Stache nel Devoniano delle Alpi orientali. L’Hòrnes R. la cita, con altri, nel Bronteuskalk e nel calcare a coralli dei diversi piani del Devoniano. Loc. Lodinut, a nord di Paularo. Coll. Museo Geologico della R. Università di Roma e di Pavia. ★ Per ora non discuto particolarmente intorno al valore cronolo- gico delle forme citate del gen. HelioUtes, riserbandomi di farlo quando avrò studiato tutta la fauna corallina devoniana delle Alpi Gamiche italiane. Pertanto viene confermato il mio riferimento al Devoniano del calcare corallino di Lodinut, che altri prima aveva attribuito od al Permo-Carbonifero od al Siluriano. [Roma, 7 febbraio -17 marzo 1899]. SE IL CONO DEL VESUVIO ESISTESSE PRIMA DEL 79 Nota del prof. Pasquale Franco. Poche parole in risposta all’ ultima Nota del dott. De Lorenzo. Il dott. De Lorenzo nella sua ultima Nota in risposta alla mia precedente dal titolo Ancora del Vesuvio ai tempi di Spartaco e di Strabene j scrive « il prof. Franco conclude col dire che a me faceva mestieri di altri argomenti per dare una mentita a Strabene e correggere lui di uno sbaglio. E con ciò egli confonde due cose essenzialmente diverse, vale a dire l’ errore in cui egli è potuto incorrere, e le parole di Strabene che con tale errore non hanno connessione alcuna ». Il dott. De Lorenzo non riferisce il passo della sua Nota nel quale scrissi che dà una mentita a Strabene, e non sono io perciò che faccio la confusione. Il dott. De Lorenzo nella sua Nota scrisse che quel monte che si vede a destra della parte alta del Somma nell’ affresco pompejano non è un monte della catena appenninica situata alle spalle del Som- ma, ma il cono vesuviano che esisteva prima del 79, perchè il colore scuro di questo, qual’ è nell’ affresco pompejano, dipende dall’ essere il cono vesuviano formato da materiale eruttivo giovane e sprov- visto di vegetazione. Strabono invece scrive che il Vesuvio è cinto di bellissimi campi tranne il vertice che è in gran parte piano, i fianchi dunque non erano brulli, nè per questo visti da Napoli po- teano essere di colore più scuro del Somma che si suppone coperto di vegetazione. Strabono dunque scrive che il Vesuvio è coperto da bellissimi campi tranne al vertice. Di Lorenzo asserisce che il cono del Vesuvio si vede più scuro perchè formato da materiale eruttivo giovane e sprovvisto di vegetazione : è egli dunque in accordo con il Geografo greco ? 42 P. FRANCO Ora il dott. De Lorenzo dopo avere riferito il passo di Stra- bono quasi colle stesse parole adoperate da me, soggiunge « Dal quale pasao abbastanza indeterminato e oscuro risulta anzitutto che Strabene distingue nel Vesuvio una parte terminale sterile e di aspetto cinereo delle falde fiorenti di bellissimi campi, come quasi colle stesse parole descrive 1 Etna che pure allora era in attività » e le parole riferite sono « le parti superiori sono nude e cineree e le inferiori, coperte da boschi e da piantagioni sva- riatissime » . Ecco, le parole non sono quasi le stesse; la parte terrninale del Vesuvio è xoQvcpi] che vuol dire vertice, le parti alte dell’ Etna sono rà arco ywgia, le regioni alte; nel Vesuvio i boschi non sono alle falde rà xarco ywgia, come nell’ Etna, ma su tutto il monte [ntQioixovgsvov), tranne il vertice. ^ Come questo passo che riguarda 1’ Etna possa dimostrare 1 esi- stenza del cono vesuviano prima del 79 distinto dal Somma, non si riesce davvero a comprendere. Il dott. De Lorenzo continua; « Questa sommità del Vesuvio, non era piana, ma uno stretto giogo dentato, l’attuale cresta carat- teristica del Somma. Che se invece Franco intende pel vertice di cui parla la parte abbracciata dell’ anfiteatro del Somma, allora egli viene ad attribuire a Strabene una strana nomenclatura facendogli chiamare vertice quel che in realtà è sottostante al vertice veio di parecchie centinaia di metri " . Me lo perdoni il dott. De Lorenzo, ma io qui non posso se- guirlo nella discussione. Nella prima Memoria (1887) ho discusso ampiamente, da pag. 12 a pag. 23 (undici pagine in quarto), questo punto, citando i passi degli autori greci e latini che scrissero del Vesuvio e cercando di eliminare 1’ apparente disaccordo fra loro e coir affresco pompejano. Il dott. De Lorenzo non vi accenna nem- meno, mentre avrebbe dovuto riferire quello che io ho scritto al riguardo prima di dire che attribuisco a Strabono una strana no- menclatura, come io ho riferito quello che ha scritto lui quando ho detto che gli dà una mentita. Il dott. De Lorenzo continua » ma Strabono non parla dell’ an- tica Somma, preistoricamente estinta e già in parte distrutta; ma di un più recente focolare vulcanico di cui gli facevano chiara fede le concavità cavernose (fosse, crateri) ” crateri non credo . pei SE IL CONO DEL VESUVIO ESISTESSE PRIMA DEL 79 43 xoiXàSaq io intenderei caverne, convalli, spelonche, ma non crateri, lo stesso Strabono lo dice poco appresso ... le xoddóag con pietre combuste fanno supporre che esistettero i xQairjQag. « Strabono non parla dell’ antica Somma estinta, ma di un focolare più recente ». Io sono in dubbio se per focolare più re- cente il dott. De Lorenzo intende un focolare nella profondità, uno di quelli che Scrope chiama foci, o una bocca d’ eruzione. Se è così, Strabono non parlando della Somma preistoricamente estinta, do- vrebbe parlare del Vesuvio storicamente eruttivo. Ma noi non ab- biamo eruzioni storiche del Vesuvio prima del 79 : quella detta di Beroso è noto che fu una piacevolezza di Frate Annio da Viterbo. Il dott. De Lorenzo continua: « Di tali concavità cavernose formate di scorie non si potrebbe parlare descrivendo la Somma; perchè questa per la peculiarità e vetustà dei suoi tufi non mostra di tutto ciò traccia alcuna ». Veramente in molte valli del Somma al di sotto del tufo giallo con pisoliti si trovano banchi di pomici e talvolta contengono scorie : dirò anche di più che un giorno esa- minando un vallone del Somma con Guiscardi e col dott. Lavis, questi ci fece osservare una caverna con scorie brune, da far sup- porre una bocca eruttiva alle falde del Somma. Perchè non do- vrebbero esservi pomici e scorie nel piano del cratere che è più prossimo all’asse eruttivo? Il dott. De Lorenzo cita il passo di Dione Cassio, riferito anche da me e discusso nella prima Memoria, ove è scritto che alla sommità del Vesuvio è una concavità a forma di anfiteatro; ma chi non sa che questo storico scrivea quasi un secolo dopo r eruzione del 79 ? Finalmente il dott. De Lorenzo scrive « lo stesso prof. Carlo De Stefani, cui nessuno può negare la competenza nella geologia della nostra penisola, specialmente in fatto di antichi vulcani (e molto meno io mi attenterei di farlo), mi ha più volte ripetuto di essersi anche egli fermamente convinto che il focolare vesu- viano attuale si sia formato prima dell’ era volgare » . Il dott. De Lorenzo esce di certo così dalla questione : non si tratta di sapere quando formassi nella profondità il focolare vulcanico che si manifestò coll’eruzione del 79: si tratta solo di sapere se il monte rappresentato nell’ affresco pompejano a dritta della parte alta del Somma sia il cono del Vesuvio o la punta 44 P. FRANCO, SE IL CONO DEL VESUVIO ESISTESSE PRIMA DEL (9 di un monte della catena appenninica che è alle spalle del Somma. Se anch’ io volessi ricorrere all’ altrui autorità, potrei a pro- posito qui ricordare che il geologo francese de Lapparent in una recente Memoria pubblicata nel bollettino del Club alpino francese sosteneva le mie conclusioni sull’ affresco pompejano, contro quelle espresse dal dott. De Lorenzo. E con questo per parte mia è chiusa qualunque discussione. [Napoli, 17 gennaio -17 marzo 1899]. FLORDLA MESSINIANA DI MONTE CASTELLO D’ ALESSANDRIA Nota del prof. Paolo Peola. Quasi sulla metà del lato SE. del rilievo collinoso che da Torino, passando per Casale e Valenza, si spinge fino alla confluenza del Tanaro col Po, lato fiancheggiato e corroso dalle acque del Tanaro, sorge una collinetta, di forma quasi conica, che porta sul suo pendio orientale il paesetto di Monte Castello d Alessandria. Essa si presenta formata da banchi sabbiosi, grigio-giallognoli, molto sviluppati, e da strati molto inclinati, da parer quasi verticali, in generale, costituiti da una marna bianchissima, molto analoga a quella di Guarene. Fra questi strati si notano sottilissime vene ges- sose, straterelli di marna bianchiccia finamente fogliettata, friabile, e strati di arenaria durissima, fortemente cementata. È in questi strati che nell'aprile ed estate del 1893 ho trovato, insieme a fre- quenti impronte di larve di Libellula Doris, una trentina di esem- plari di finiti, che mi formano l’oggetto di questa Nota. Questa località fu dal Sacco riferita al messiniano (‘), e questa determinazione viene, secondo me, confermata dalla presenza del (1) Sacco, Bacino terziario e quaternario del Piemonte, pag. 260 e Carta geologica. P. PEOLA, FLORULA MESSIMANA, ECO. 45 gesso, di larve di Libellula Doris, dalla natura della flora, e dalla stratigrafia stessa. Seguendo la naturale sezione fatta dalle erosioni del Tanaro, si vede da una parte, verso SO. il tortoniano e poi il tongriano; e verso NE. dall’altra, il piacenziano (*), l’astiano ed il quaternario. Di questo deposito fillitifero diedi un cenno nell’adunanza inver- nale tenuta dalla Società geologica italiana in Oenova il 30 aprile 1893 (2); e delle specie riferibili alle conifere diedi la descrizione nella mia Nota : Le Conifere terziarie del Piemonte (®). 1. Taxodium distichum miocenicum Heer. 1869. Taxodium distichum miocenicum Heer, Mioc. Bai. FI., 18, tav. II, tav III, f. 6, 7. 1893. » » « Peola, Conif. terz. del Pie- monte, p. 53. È un piccolo frammento di ramoscello che porta alcune foglio- line intere o quasi, ed altre frantumate. 2. Sequoia Sternbergii Heer. 1864. Sequoia Sternbergii Heer, Urw. d. Schweiz., p. 310, f. 160-163. 1893. » » Peola, Conif. terz. del Piemonte, p. 31. Alcuni esemplari dati da impronte di frammenti di rami con foglioline consistenti, poste in diverse serie. 3. “Widdringtonia helvetica Heer. 1865. Widdringtonia helvetica Heer, //eZu., I, p. 48, tav. XVI, f. 2-18. 1893. » » Peola. Le Conif. terz. del Piem. p. 34. Un esemplare portante l’ impronta di molti piccoli rametti, sui quali sono evidentissime le delicate foglioline. (b Diedi la descrizione delle filliti. e P elenco dei fossili animali trovati nel piacenziano delle vicinanze di Monte Castello nella mia nota: Florule plio- ceniche del Piemonte. (Rivista ital. di paleont. 1896). (2) P. Peola, Nuovi rinvenimenti di fossili terziari nelle colline di Ales- sandria. Boll. soc. geol. ital., voi. XII, 1893. (3) P. Peola, Le conifere terziarie del Piemonte. Boll. soc. geol. ital., voi. XII, 1893. 46 P. PEOLA 4. Chamaecjrparis europaea (Sap.) Scliim. 1869. Chamaecyparis europaea Schimper, Paleont. Vég. ^, p. 346. 2893_ ,, n Peola, Conif. terz. del Piem., p. 36. Si ha un ramo ed alcuni rametti ben conservati a foglioline strettamente embricate. La sostanza organica si è così bene con- servata che si potè in parte togliere, lasciandone l’ impronta sulla marna. 5. Pinus hepios (Ung.) Heer. 1855. Pinus hepios Heer, FI. tert. Helv. I, p- 57, tav. XXI, f. 7. ,, „ Peola, Conif. terz. del Pierri., p. 11. Impronte di foglie gemine, canaliculate, tenui, la di cui vagina varia da 10 a 20 mm. di larghezza. 6. Pinus palaeostroboides Sis. 1865 Pinus palaeostroboides Sismonda, Maténaux, ecc., p. 405, tav. • Yin, f. 1-2. jg93 „ „ Peola, Conif terz. del Piem., p. 22. L' esemplare raccolto a Monte Castello, non è così ben con- servato come quelli di Guarene che servirono al Sismonda a creare la sua nuova specie ; conserva l’ impronta di solo quattro foglio- line, ed è mancante della guaina. Ciò non pertanto credo di po- terlo riferire a questa specie, perchè la porzione delle foglioline conservate è molto analoga alle foglie di Guarene. 7. Pinus parvincula Sap. 1867. Pinus parvincula Saperla, Le S. E. de la France à l'époque ter- tiaire, Ann. Se. nat., serie 5*^, voi. Vili, p. 51, 1893. tav. Ili, f. 8-10. Peola, Conif. terz. del Piem., p. 27. Ascrivo a questa specie l’impronta di un seme di pino, tro- vando esso il suo riscontro specialmente nella fig. 10 della tavola del Saporta in sinonimia citata, quantunque presenti il nucleo un po’ più piccolo, e r ala un po più dilatata. FLORULA MESSINIANA, ECO. 47 8. Abietites dubius Lesq. 1878. Abietites dubius Lesquereux, Tertiary Flora, p. 81, tav. VII, fig. 19, 24. 1893. n 1) Peola, Conif. terz. del Piem. p. 29. Impronta di un piccolo ramoscello con alcune foglie che trova il suo riscontro nella fig. 20 della tav. VII della Tertiary Flora del Lesquereux. 9. Phragmites oeningensis (Al. Br.) Heer. 1855-59. Phragmites oeningensis Heer, fert. //eZw., p. 64, tav. XXII, fig. 5; tav. XXIV; tav. XXVII, f. 26; tav. XXIX, f. 3c; III, p. 161, tav. CXLVI, f. 18. Oltre agli avanzi di frammenti di foglie caratteristiche di questa specie, ho raccolto nel messiniano di Monte Castello un’im- pronta che mi pare si possa con molta probabilità riferire ad una glumetta di una spighetta di questa specie. La glumetta è lunga 5 mm., larga a mala pena un mm., con un’arista lunga 5 mm. ed alla base una corona di ciglia lunghe quanto la glumetta. Sebbene la glumetta inferiore del gen. Phragmites non sia aristata, ma « prolungata all’ apice in punta aristiforme che poi si attorciglia » (^) pure credo di poter riferire questa impronta ad una glumetta di Phragmites, sia perchè l' attorcigliamento della punta nella fossi- lizzazione simula molto l’ arista, sia perchè molto si confà a questo genere la corona di ciglia, e specialmente perchè questa specie è comune nel messiniano piemontese e nel messiniano stesso di Monte Castello. 10. Sparganium stygium Heer. 1855-59. Sparganium stygium Heer., FI. tert. Helv., I, p. 101, tav. XLV, f. 1-4. Frammento di foglia che per il numero delle nervature longitu- dinali e la forma delle trasversali è riferibile a questa specie. (') Gibelli, Cesati, Passerini, Compendio della Flora italiana, p. 50. 48 P. PEOLA. 11. Carpinus grandis Ung. 1840. Carpinus grandis Unger, Gen. et Spec., p. 408. Frammenti di foglie che per la natura delle nervature e la dentatura del margine sono riferibili a tale specie. 12. Coryks insignis Heer. 1855-59. Corylus insignis Heer, FI- tert. Helv. Il, p. 43, tav. LXXIII, f. 11-17. Frammento di foglia mancante di base, che ha il lembo den- tato, le nervature secondarie ad angolo acuto con il ner\o prima- rio, ramificate esternamente ed arcuate in alto. 18. Alnus nostratum Ung. 1847. Alnus nostratuin Unger, Chloris protogaea,p. 17, tav. XXXI\ , f. 1. Un esemplare, di cui sono alquanto guasti i contorni e 1’ a- pice, che per la forma della base e per la sua fctciss analoga alla ficr. 13 della tav. LXXI dell’ Heer. : FI tert. Helv.. parmi riferi- bile a questa specie. 14. Persea speciosa Heer. 1855-59. Persea speciosa Heer, FI tert. Helv. II, p. 81, tav. XC, f. 11-12; tav. C, f. 18; III, p. 185, tav. CLIII, f. 5. Esemplare dato dalla metà inferiore di una foglia, che per avere le nervature secondarie esili e ad angolo acuto con la pii- maria si può riferire a questa specie. 15. Ailantus dryandroides Heer. 1855-59. Ailantus dryandroides Heer, FI. tert. Helv., Ili, p. 87, taV. CXXVII, f. 31-32; tav. CLIV, f. 35. Ascrivo a questa specie l' impronta di una foglia che, pur non avendo ben distinti i contorni, e mancando della base, molto 49 FLORULA MESStNIANA, ECO. rassomiglia, per la nervatura primaria consistente, per la forma delle nervature secondarie, e per le dimensioni, alla fig. 32 della tav. CXXVII dell’Heer: FI. tert. Helv. 16. Sapindus Hazslinszkyi Ett. 1853. Sapindus Hazslinszkyi Ettingshausen, Foss. FI. v. 2’okai, -p. 32, tav. IV, f. 2. Due esemplari, lunghi cm. 10 e larghi cm. 3,5 alquanto arcuati e a lembo ineguale alla base. 17. Vaccinium reticulatum Al. Br. 1851. Vaccinium reticulatum Al. Br., Sitz. Verzeich, p. 82. Per la forma delle nervature riferisco a questa specie le due foglioline di Monte Castello, quantunque abbiano dimensioni mi- nori di quelle date dal Massalongo e dall’ Heer, essendo esse lunghe mm. 9 e larghe 5. 18. Leucothoe protogaea Sch. 1874. Leucothoe protogaea Schimper, Paleont. Vég. Ili, p. 4. Impronta di una figliolina lunga cm. 3,5, larga mm. 7, acu- minata all’ apice ed alla base, a nervature esilissime. 19. Leucothoe vacciniifolia Ung. 1850. Leucothoe vacciniifolia Unger, FI. foss. v. Sotzka, p. 43 tav. XXIII, f. 10-12. Impronta di una foglia mancante di apice, arrotondata alla base. 20. Apocynophyllum oeningense Heer. 1855-59. Apocynophyllum oeningense Heer, FI. tert. Hèlv. Ili, p. 21- tav. CIV, f. 4. Una foglia alquanto guasta all’apice ed alla base, ma che per la nervatura mediana consistente, per le secondarie tenui, nume- rose, camptodrome, con nervature minori interposte, è riferibile a questa specie. 4 50 P. PEOLA. N. genere e specie Specie vivente corrispondente Habitat odierno del genere 0 specie I-hT. distichum boreale ' — \S. qiqantea California ' ■ -Eeg. trop. i — i(7. sferoidea -+-^P. mitis America Nord Eeg. temp. Eeg. temp. Eeg. temp. Eeg. temp. Conile rae 1 Taxodium distichum mioceni cum Heer 2 Sequoia Sternbergii Heer._ 3 Widdringtoìiia heLveticaiieex. 4 Chamaecyparis europaea Scli. 5 Pinus hepios (Ung.) Heer. 6 » palaeostroboides Sism. 7 I) parvincula Sap. 8 Abietites dubius Lesq. Grami naceae 9 Phragmites oenigensis Al. Br Spargali! a ceae 10 Sparganium Stygium Heer. Cupuliferae 11 Carpinus grandis Ung. 12 Corylus insignis Heer. Betulaceae 13 Alnus nostratum Ung. Lauraceae 14 Persea speciosa Heer. Xantoxylaceae l^Ailantus dryandroides Heer. Sapindaceae 16 Sapindus Harslinzskyi Ett. V acciniaceae 17 Vaccinium reticulatum Heer. Ericaceae 18 Leucothoe protogaea Sch. ig )) vacciniifolia Ung. Apocynaceae 20 Apocynophyllum oeningense j Heer. Delle 20 specie rinvenute a Monte Castello, tre sono eoce- niche, 14 oligoceniche, 18 mioceniche, e 6 plioceniche; m maggio- communis lEeg. temp. I I i — S. natans Beg- temp. j i Eur. Indie orient. i I 1 America boreale \C. rostrata ; America Nord ' lEeg. temp. I 1 I I _ |Eeg. trop. Asia calda, Moluc- che America 'V.uliqinosumEmoYi^, America ! N. Asia N. L. eucalyptoi- Br&sìle des — I Brasile FLORULA MESSlNrANA, ECO. 51 ranza sono mioceniche, anzi cinque di esse appartengono esclusiva- mente al miocene superiore. La florula di Monte Castello ha in comune molte specie con le flore del miocene della Svizzera e con quelle di Oeningen, Guarene e Sinigallia, colle quali tre ultime ha pure in comune labbondanza di larve di Libellula Doris. Abbiamo dunque una florula del miocene superiore, e precisamente del mes- simano. Se badiamo alla distribuzione geograflca delle specie o generi corrispondenti, vediamo che due sono di clima tropicale, 4 di clima subtropicale e 14 di clima temperato. Abbiamo una flora di clima temperato caldo. Vi predominano le conifere con 8 specie di tipo prevalente- mente americano, e le ericacee con due specie pure americane. Vengono poi rappresentanti di graminacee, sparganiacee, di alni che abitano le regioni paludose temperate, e rappresentanti di persee, aitanti, sapindi e Vaccinium, che sono propri . di paesi piuttosto caldi, — All’estremità orientale adunque delle colline Torino-Casale-Valenza sorgevano alla flne del miocene isolotti, nelle cui valli si erano formati piccoli laghetti o bassi pantani dove vegetavano le cannuccie, i sparganii e sulle rive gli ontani. Su essi svolazzavano le libellule. Le riviere, lambite dal mare padano, erano abbellite da widdringtonie, persee, atlanti, sapindi, mentre sulle alture vegetavano i noccioli, i carpini, le sequoie, i pini e gli abeti. [Modica, 30 gennaio- 10 marzo 1899] I FOSSILI TITONICI DEL MONTE JDDICA NELLA PROVINCIA DI CATANIA Nota del dott. Bikdo Nelli. (con una tavola) Al sud di M. Judica, M. Giovanni, M. Turcisi si estende una larga zona di argille, probabilmente mioceniche, fra le quali com- naiono degli afhoramenti calcarei coralligeni, che si presentano ora sotto r aspetto di piccole masse, ora sotto P aspetto d’ mmensi blocchi sempre ricchi di fossili, molti dei quali furono _ raccolti da prof. Olinto Marinelli e regalati al Museo geologico di Firenze, il Marinelli non ha potuto giudicare se queste masse calcaree abbiano fra loro continuità nel sottosuolo, oppure se piuttosto si trovino iso- late in mezzo a quei terreni per una causa qualunque. Queste masse furono trovate dal Marinelli specialmente nella zona compresa tra il Passo Ladrone, la casa Franchetti e la collina Olmo. Presentano molti e differenti coralli, i quali sembrano essere stati ruzzolati perchè trovansi nel calcare sotto forma di ciottoletti. Questo calcare si presenta d’un color grigio chiaro, in alcuni punti quasi bianca- stro come il calcare titonico, rappresentato al N. E. della Sicilia da affioramenti consimili. I coralli che ho potuto osservare sono malamente conservati e per ciò non si può determinarli con scu- rezza ; però sono di molte e svariatissime specie, fra le quali ci è sembrato poter riconoscere un Chaetetes (sp.), una Montlivaltia (sp.), una Spìiaeractinia (sp.) ed una Stylina (sp.) , insieme io vansi dei molluschi pur essi in molta parte ruzzolati. I fossili da noi studiati sono simili ed in parte identici a quelli trovai dal Gemmellaro nel titonico di Sicilia, come risulterà dalla descrizione seguente; quindi sono da riferirsi a questo periodo. Chaetetes (sp.). Montlivaltia (sp.). Stylina (sp.). Sphaeractinia (sp.). B. NELLI, I FOSSILI TITONICI DEL MONTE JUDICA, ECO. 53 Diadema (sp.), Anomia trasverse-striata (n. sp.). Pecten arotopUcus Gemm. et Di Blas. » hinnitiformis » » " acrorysus " n ” subvitreus " » " Marinellii (n. sp.). Cardila (sp.). Ostrea pseudomultiformis (n sp.). Pileolus intercostatus (n. sp.). Nerinea sicula Gemm. » bicostata Geinm. Itieria Staszycii Zeiischner. Ptygmatis Stefanii (n. sp.). Gerithium Pantanellii (n. sp.). Phylloceras (sp.). Sphaeractinia sp. Nelle sezioni trasversali da noi osservate non scorgesi alcuna partizione del tronco. Esternamente la superfìcie del calcare si presenta costituita da lamine concentriche, piuttosto larghe, le quali hanno il maggior diametro al centro e vanno accostandosi lateral- mente in modo da essere concorrenti verso il basso. Nelle sezioni microscopiche si conosce meglio il piccolo spessore delle lamine in confronto alla grandezza degli spazi interlaminari. Il tessuto del nostro coenosteum verosimilmente si presenta d' una struttura molto irregolarmente reticolata con frequenti pilastri di connessione fra le lamine, onde appunto per questi suoi caratteri sembra che si possa ritenere per una Sphaeractinia. Stylina sp. Polipaio massiccio a superfìcie irregolarmente ondulata. Poli- pieriti piuttosto accosti l’ uno all’ altro ; per ciò i calici presentano una certa stipatezza. I setti in numero di 9 a 14 si dividono in tre cicli scompleti. Il primo ciclo è costituito di 6 setti princi- pali più sviluppati degli altri e raggiungono il centro calicinale. B. NELLI 54 dove vedesi la columella. Vengono poi i setti del secondo ciclo che si arrestano quasi alla metà dei primi; quelli del terzo sono quasi rudimentali. Questa Stylina somiglia in parte, per la sua forma esterna e per la speciale struttura dei calici, alla Stylina nicoensis d’Ach.; i calici però sono di minori dimensioni poiché raggiungono appena il diametro di 1 mm. Si accosta in parte alla Stylina anthemoides Menegh. per .il numero dei cicli e per la disposizione dei setti. Chaetetes sp. Questo polipaio presenta una forma globulosa, rotondeggiante, alquanto bislunga (20 mm.). La sua superficie presenta innume- revoli puntini molto fitti dovuti ad angustissimi polipieriti. Montlivaltia sp. Il nostro corallo è mal conservato ; però per la sua forma spe- ciale, cilindrica ed allungata, per avere numerosi sopimenti, dei quali si distinguono quattro ordini, sembra doversi riferire a questo genere. Diadema sp. È rappresentato dal modello interno di alcune placche. La zona ambulacrale è ornata di tubercoli, i quali trovansi disposti in doppia serie, un po’ irregolarmente, al di dentro delle linee dei pori, i quali sono disposti a paia sopra una linea longitudinale, carattere proprio dei Diadematidi. La zona interambulacrale è pa- rimente ornata di tubercoli più grossi di quelli della zona ambu- lacrale, serrati l’ uno accanto all’ altro in doppia serie con qualche piccolo tubercoletto frapposto. Questi tubercoli presentano dei solchi raggianti intorno ad un vertice, rappresentato da un piccolissimo rilievo 0 tubercoletto, e nell’ insieme danno loro un aspetto quasi rosato molto simile a quello dei tubercoli MX Acrocidaris nobilis Helvet. I FOSSILI TITONICI DEL MONTE JUDICA, ECO. 55 Anemia trasverse-striata (n. sp.). (Tay. II [I], fig. lì Lunghezza mm. 7 Larghezza » 5 Una valva di piccole dimensioni, di forma irregolarmente oblunga, quasi rettangolare, debolmente convessa, mostra delle co- stoline concentriche in numero di quattro, la più esterna delle quali forma un leggero risalto, la seconda e la terza sono appena accennate e la quarta più prossima all’ apice lo circonda quasi totalmente. Questa valva presenta inoltre una singolare ornamen- tazione per certe rugosità, le quali percorrono la superficie in senso trasversale obliquamente alla conchiglia e quasi parallele al mar- gine superiore di essa: non sono interamente rettilineari, presen- tandosi alquanto ricurve verso 1’ apice della conchiglia. Queste strie si mostrano chiaramente verso l’ estremità pai- leale, ma appena si distinguono o finiscono per mancare assoluta- mente intorno all’ apice, il quale si mostra liscio. Da un lato della conchiglia presso il margine si scorge un piccolo numero di strie radiali, le quali sembrano intersecare le strie trasversali, ma in direzione piuttosto obliqua. Nell’ insieme queste strie dànno alla conchiglia un aspetto rugoso. La nostra Anomia presenta una certa affinità coir^. Urlata del Brocchi del terziario superiore. Infatti come questa presenta delle costoline concentriche, delle strie lon- gitudinali, le quali nel nostro esemplare sono appena accennate, e delle strie trasversali, le quali nella nostra differiscono però molto da quelle dell’^. Urlala. Pecten arotoplicus Gemm. e Di Biasio. (Tav. Il [I], fig. 14-15) 1874. Gemmellaro e Di Biasio, Pettini del Titonico inferiore del nord di Sicilia. Atti delì’Accademia Gioeiiia di scienze naturali di Catania, serie 3®, tomo IX, tav. II, fig. 6, 7, 8, 9, 10, pag. 104. Lunghezza mm. 8 Larghezza s 7 Questa conchiglia priva del guscio, si presenta ornata da 32 coste eguali, le quali partono tutte direttamente dall’ apice e mo- B. NELLI 56 Strano tracce d’una scanalatura longitudinale mediana. Queste coste son divise da solchi profondi più stretti di essi. D' ambo i lati della regione apicale, a partire dalla sommità sino al margine late- rale, trovasi una larga superficie scavata. Per tali caratteri credo si debba ritenere la nostra specie per Pecten arotojiUcus. A questa unisco un esemplare che presenta circa 34 costoline, serrate, strette verso r apice e alquanto più larghe verso il margine dove sono eguali fra loro. Verso la regione apicale esse sono riunite a fasci, provenienti per dicotomie ; alcune nascono poco lontano dall apice, altre circa alla metà della conchiglia. Sono divise fra loro da solchi poco scavati e molto stretti. Presso le orecchiette, a partire dalla sommità sino al margine laterale, trovasi una larga superficie scavata nella quale si irra- diano in gran numero delle cestelle sottili disposte come nel Pecten cordiformis Gemm., ma il numero delle coste è molto minore e la rigonfiezza della conchiglia è pure assai minore. Questa specie fu trovata dal Gemmellaro a S. Maria di Gesù, Favara e Monte Pellegrino. Pecten hinnitiformis Gemm. e Di Biasio. (Tav. Il [I], fig. 13) 1874. Gemmellaro e Di Biasio, Pettini del Titonico inferiore^ del nord di Sicilia. Atti deirAccademia Gioenia di scienze naturali di Catania, serie 3^ tomo IX, tav. II, fig. 16, 17, 18 e 19, pag. 117. Posseggo r impronta della valva inferiore, la quale è di forma inequilaterale, depressa, quasi piana, provvista di coste raggiate, quasi affatto piane, irregolarmente flessuose ed aventi^ larghezza disuguale. Queste nascono a qualche distanza dall apice e sono dicotome. I solchi che separano le coste sono lineari, irregolar- mente ondulati. Orecchiette poco distinte. Questa specie fu trovata dal Gemmellaro a Billiemi e Valanca. Pecten Marinellii n. sp. (Tav. II [I], fig. 2) Lunghezza e larghezza mur. 7 Posseggo una valva, la quale sembra essere la superiore e si presenta piuttosto rigonfia verso 1’ apice. Da questo si partono 12 I FOSSILI TITONICI DEL MONTE JCDICA, ECC. 57 coste irraggianti semplici, rettilineari, convesse, molto strette verso l’apice, cui convergono, e larghe ai bordi della conchiglia. Le costole sono ornate di strie longitudinali dovute a costo- line che sovente mancano a causa della consunzione ; in una co- stola queste costoline meglio conservate sono in numero di quattro. I solchi sono larghi quasi quanto le coste ; lateralmente sono al- quanto più stretti e presentano le medesime costoline longitudi- nali in numero di 3 o 4. Il nostro esemplare per la sua forma so- miglia in parte il P. Catulloi Gemm. ; dal quale differisce per le sue piccole dimensioni e per il nirmero minore delle coste, le quali presentano un aspetto assai differente. Pecten acrorysus Gemm. e Di Biasio. (Tav. II [I], fig. 16) 1874. Gemmellaro e Di Biasio, Pettini del Pitonico inferiore del nord di Sicilia. Atti deirAccademia Gioenia di scienze naturali di Catania, serie 3^ tomo IX, tav. IV, fig. 10, 11 e 12, jiag. 126. Posseggo r impronta d’ una valva di questa conchiglia. Essa presenta la superficie ricoperta da strie trasversali concentriche più distinte e rilevate presso gli apici, serrate e sottili, fra le quali ve- donsi piccole depressioni e solchetti. Queste strie, che si mostrano ben distinte le une dalle altre nel centro, vanno accostandosi fra loro lateralmente. Nel nostro esemplare vedesi chiaramente l’orec- chietta destra con strie concentriche. La specie fu trovata dal Gem- mellaro a Favara e Monte Pellegrino. Pecten subvitreus Gemm. e Di Biasio. (Tav. II [I], fig. 12) 1874. Gemmellaro e Di Biasio, Pettini del Pitonico inferiore del nord di Sicilia. Atti deirAccademia Gioenia di scienze naturali di Catania, serie 3% tomo IX, tav. Ili, fig. 11 e 12, pag. 122. Lunghezza e larghezza mm. 9 Da queste dimensioni risulta che la nostra valva è larga quanto lunga. Nel nostro esemplare si vede solamente la valva superiore, la quale si presenta liscia, alquanto rigonfia con strie trasversali concentriche, le quali costituiscono dei piccoli cercini d accrescimento, ed in alcuni punti, contro luce si possono anche B. NELLI 58 vedere tracce di strie longitudinali. La specie fu trovata dal Gem- mellaro a Billiemi. Cardita sp. Lunghezza ^ Larghezza * 4 Conchiglia di piccole dimensioni più lunga che larga. Una valva piuttosto inequilaterale con 12 coste, che sembrano con- vergere verso r apice cardinale e divaricano leggermente fra loro verso r estremità paileale, dove si mostrano separate da solchi poco profondi e larghi quasi quanto le coste medesime. L apice cardinale è alquanto rigonfio e assai ricurvo. mm. 23 . 19 Ostrea pseudomultiformis n. sp. (Tav. II [I], fig. 3) Lunghezza Larghezza Una valva che sembra essere l' inferiore della conchiglia pie senta forma piuttosto allungata. La sua superficie esterna è liscia con poche strie ed impressioni concentriche; 1’ interna mostra 1 im- pressione del margine paileale, la quale si rileva da un lato qua.'i a modo di cresta, lasciando lateralmente, lungo il bordo marginale, una lecrcrera cavità. La fossetta del ligamento è distrutta, ma nel- r insieme sembra fosse triangolare. L’ impressione muscolare e quasi centrale, di forma quasi ovale, ravvicinata all’ area ligarnen- tare. Questa valva per la sua forma e per avere, come sembra, un’ area ligamentare trigona si accosta un poco all’ 0. multiforme Koch e Bunker (‘). La valva inferiore differisce però dalla nostra, poiché questa presenta un’ impronta muscolare molto più ravvici- nata all’area ligamentare, per essere più profonda e per mostrare delle pieghe marginali. Pileolus intercostatus n. sp. Altezza . Larghezza (Tav. II [I], fig. 4-7) mm. 8 . . " 10 (1) Thurmann, Lethea Bruntrutana ou études paléontologtques et stra- tigraphiques sur le Jura Bernois. I FOSSILI TlTOiNICI DEL MONTE JUDICA, ECO 59 Conchiglia piccola, conica, rotondata, con apice leggermente eccentrico, che negli individui giovani mostrasi alquanto ricurvo indietro come nel P. granulatili Gemm. (fig. 4). La conchiglia si presenta ornata da 10 a 12 coste radiali granulate specialmente sugl' individui giovani, e fra queste coste si vedono altre costoline più piccole 0 intercoste e quasi sempre una sola. Le coste raggiun- gono r apice, r intercoste invece sono molto brevi e nei giovani esemplari si mostrano specialmente presso il margine esterno. L’ apertura boccale è piuttosto stretta con labbro leggermente sinuoso che in alcuni esemplari mostra quattro denti. Questo Pi- leolus presenta una certa affinità col P. siculus Gemm. per la posizione e forma del suo apice e per la presenza d’ intercoste; ma ne differisce per avere le cestelle maggiori non dentellate e la bocca molto più stretta. È affine anche per i suoi ornamenti al P. granulatus Gemm. dal quale differisce, perchè le coste intermedie sono meno nume- rose e r apertura boccale mostra denti più radi e più grossi. Nerinea bicostata Gemm. 1871. Gemmellaro, Studi paleontologici sulla Fauna del Calcario a Terehra- tula Janitor del Nord di Sicilia. Tav. II, fìg. 22-25, pag. 11. Angolo spirale 4° Lunghezza della conchiglia .... mm. 4 Conchiglia piccola, conica, allungata, non ombellicata, con an- fratti, alti, piuttosto rilevati, l’ultimo dei quali si mostra oscura- mente ornato di due cestelle. I denti non si distinguono bene. Per questi caratteri e per la sua forma sembra che la nostra Nerinea sia da riferirsi alla N. bicostata del Gemm., specie comunissima nel calcario grigio dei dintorni di Carini. Nerinea sicula Gemm. 1865. Nerinea sicula Gemmellaro, Nerinee della Ciaca dei dintorni di Pa- lermo (estratto dal primo volume del giornale di scienze naturali ed eco- nomiche, pag. 26, tav. Ili, fig. 20, 21). Lunghezza della conchiglia . . . mm. 45 Altezza dell’ultimo anfratto ... * 11 60 B. NELLI Larghezza . Rapporto dell’ altezza degli anfratti al metro medio Angolo spirale . 17 loro dia- — ■ Va = 28° Conchiglia molto comune, di forma piuttosto allungata, conica e quindi con giri che vanno diminuendo in larghezza e che si possono ritenere in numero maggiore di otto. I giri sono fortemente scavati nel mezzo e rialzati presso le suture, le quali sembrano accompagnate, 0 meglio nascoste da un cordone assai rilevato formato di 12 tu- bercoli piuttosto grossi. Nel mezzo dei giri è una serie di enea 20 tubercoli, assai più piccoli, disposti in catena. Però ordinaria- mente gli esemplari sono stati talmente ruzzolati che di quei nodi e di ogni ornamento appena si vedono le tracce. La columella è provvista di tre pieghe semplici, una delle quali è situata lungo il labbro esterno, la seconda si mostra piuttosto inclinata sul giio sottostante e l’altra è situata lungo il giro che le sta sopra. Questa Nerinea per la doppia serie dei tubercoli e per la dispo- sizione delle pieghe sembra essere la N- sicula. L’ Herbich descrive una N. sicula {Palàoatologische Studieìi ilher die Kalkklippen des siebenbùrgischen Erzgebirges, pag. 12, tav. VII, fig. 7, 8) la quale però differisce da quella del Gemmel- laro presentando i tubercoli inferiori. La specie è piuttosto comune nei dintorni di Palermo. Itieria Staszycìi Zeuschner sp. 1849. Acteon Staszycii. Geognostisehe Beschreibung des Nerineenkalkes von Inwald und Roczyny. (Naturwissenschaftliche Abhandlungen von Haidinger Bd. IH, Abthlg. I. Pag. 7, taf. XVII, fig. 16-19). 1855. Nerinea Staszycii Peters., Die Nerineen des oberen Jura^ (Sitzungsberichte der k. Akademie der Wissenschaften. Bd. X\ I. Pag. doO, taf. II, 6, 7, 8). . , „ o + , TT 1865. Nerinea socialis Geramellaro, Nermee della Ciaca. Pag. 9, a , , fig. 8-10. 1 1 IATO 1869. Itieria Staszycii Ooster., Corallien de Wimmis. Pag. 4, pi. l,hg. Ib-ia. 1869. Nerinea Staszycii Gemraellaro, Studi paleont. sulla fauna del cat- cario a Terebr aiuta Janitor del Nord di Sicilia. Pag. 16, tav. Ili, fig. 8-10. 1873. Itieria Staszycii Zittel, Die Oasteropoden Pag. 341, tav. 40, fig. 19-27. der Stremberger Schichten. I FOSSILI TITONICI DEL MONTE JUDICA, ECC. 61 1877. Itieria StaszycÀi Herbicli, Geol. Beoh. ini Geb. der Kalkklipen dea siebenhiirg. Erzgebirqes (« Fóldtani Kozlòny », pag. 250). 1878. Itieria Staszycii Pirona, Fauna fossile giurese. Pag. 19, tav. II, fig. 12-18. 1881. Itieria Staszycii Max Schlosser, Die fauna des Kehlheimer Diceras- Kalkes. (Sep. Abdr. aus Palàontograpliica, Bd. XXVIIl, t. V, fig. 7). 1886. Itieria Staszycii Herbicli, Palàontologische studien iiber die Kalkklip- pen des siebenhiirg. Frzgehirges. (pag. 34, tav. II, fig. 3-10). Angolo spirale 14-18” Lunghezza 16-21'"'" Diametro maggiore 8-12 » Questa conchiglia è molto comune. I nostri esemplari hanno la forma d’un bozzolo allungato. Le pieghe sono cinque, tre delle quali situate sulla columella e due sul labbro. Il numero dei giri varia da cinque a otto e vanno gradatamente aumentando in lar- ghezza verso il centro della conchiglia. Essi sono molto corrosi pel rotolamento, cui sono stiati sottoposti prima della fossilizzazione quindi presentano appena una traccia di ornamenti. I nostli esem- plari per la loro forma, pel numero delle pieghe e per la loro po- sizione sulla columella, sono evidentemente una delle tante varietà dell’ Itieria Staszycii. Questa, comune nei terreni titonici, è una delle conchiglie comuni pure in Sicilia nei calcari a Terebratula janitor Pict. 11 Gemmellaro la trovò ad Isnello, Rotula, S. Maria di Gesù, Falde di Monte Pellegrino (dintorni di Palermo), Favara (dintorni di Villabate), Carini e Favarotta. Ptygmatis Stefanii sp. n. (Tav. II [I], fig. 8, 9) Lunghezza mm. 32 Larghezza (diametro maggiore) . . * 12 Conchiglia conico-allungata con strie dovute ad ornamenti stati del tutto smussati a causa del rotolamento. Le pieghe sono in nu- mero di cinque e ripiegate come è carattere delle Ptygmatis ; tre di queste sono situate sulla columella e due sono laterali. I giri si presentano concavi nel mezzo e si rialzano presso le suture mo- strando un risalto assai manifesto. Essi sembrano probabilmente ornati da almeno 4 strie, alquanto rilevate, fra le quali trovasi g2 B. TsELLI, I FOSSILI TITOLICI DEL MONTE JUDICA, ECO. qualche altra stria minore. Il nostro esemplare presenta una certa affinità collo Ptygmatis pseudo-Bruntrutana Gemm., dal quale differisce però per avere una forma assai più affusolata e pei xa sua ornamentazione. Cerithium Pantanellii (n. sp.) (Tav. Il [ij, fig- 10, 11) Altezza dell’ ultimo anfratto. . , • cm. 6 Larghezza dell’ ultimo anfratto. . . ” 10 Il nostro esemplare è fusiforme, con giri regolarmente decre- scenti, ornati di 6 coste molto sporgenti, che li percorrono in senso longitudinale e sono continue da un giro all’ altro. Causa la con- sunzione non si può ben giudicare se la superticie dei gin fosse liscia oppure percorsa da strie trasversali. La columella presenta una piega ben visibile e sul labbro esterno vedesi un piccolo in- grossamento a guisa di piega. Questo Cerithium somiglia al Ce- rithium pentagonum Arch., al Cerithium Heliodore d Orb., ed al Cerithium Suesu Z. È pure molto affine al Cerithium Zeuchaeri Gemm. per la sua forma esterna; però differisce da esso per L numero delle pieghe, poiché nel nostro vedesi una sola piega anzi- ché due come nell’ altro e per essere le sue coste diritte anziché oblique. Phylloceras (sp.). Diametro maggiore 7,5 Diametro medio ” ^ Presenta un anfratto completamente involuto, piuttosto rigonfio, con ombelico strettissimo. Non si vedono ornamenti né lobi, quin i ^ non é possibile una determinazione precisa e nemmeno approssima- , tiva. Per la sua forma si accosta molto al Phylloceras Eochi Geni- ; mell&ro {Studi paleontologici sulla Fauna del Calcare a Tere- ’ bratula Janitor del nord di Sicilia. Parte I, pag. 27, tav. , , fig. 1). I Firenze, 8 gennaio -15 marzo 1899] Boll. Soc. Geollt, Voi. XVIII (1899) Tav.II. ( Molli) Tay.l 13 ! ALTRI FOSSILI DELLO SCHLIER DELLE MARCHE Nota dei soci de Angelis d’Ossat e G. F. Luzj. Due anni or sono pubblicammo nel nostro Bollettino (voi. XVI, 1897, fase. 1), un elenco di fossili dello Schiier di S. Severino (Marche). Ora dobbiamo, in gran parte, alla gentil cortesia del collega prof. Cardinali (R. Istituto tecnico. Macerata) la possibi- lità di aumentare l’elenco, sopra esemplari raccolti principalmente dal nostro comune amico. Le nuove forme, ora determinate, se non permettono di trarre nuove conseguenze, rafforzano ed estendono quelle che già da noi furono esposte (’). Passiamo quindi, senz’altro, alla enumerazione: Aturia Aturi Bast. Parecchi esemplari non interi e mal conser- vati. Nessuno corrisponde alla nuava specie A. Formae Par. (C. F. Parona, Note sui Cefalopodi terziari del Piemonte, Pisa, 1898). Ponte dei Canti ; S. Severino. Galeodea tauropomum Sacc. Moltissimi esemplari ben conser- vati. Cignano e Caselle ; Camerino. Cassidaria (Galeodea) echinophora L. sp. Parecchi esemplari, molto compressi. Ponte dei Canti. Pyrula condida Brongn. Questa specie comune nel Miocene è facilmente riconoscibile per la scultura caratteristica della sua elegante conchiglia. La bibliografia si apprende dal Sacco {I Moli. Piem. e Lig., parte Vili, pag. 23, tav. I, fig. 27 a, b. Ficula). Ponte dei Canti. Tugurium postextensum Sacc. Modelli. Ponte dei Canti. Limea strigilata Brocc. sp. Molti esemplari ben conservati. Specie menzionata nel Plioc. profondo (Brocchi, Pantanelli, (1) Interessante è la scoperta fatta di sincroni terreni dall’ing. L. De Marchi, tanto ralente geologo, quanto modesto. Egli, studiando i giacimenti di idrocarburi dell’Italia media, studio che sembra voglia spandere novella luce sulla geologia dell’Appennino, trovò una ricca fauna presso Tocco Ca- sauria, di cui volle fare ad uno di noi gentile presente. Per ora si può ac- certare che quella formazione non appartiene all’Eocene, ma al Miocene medio, come già aveva sospettato lo stesso De Marchi. In fatti la fauna ha forte analogia con quella dello Schiier italiano e di Ottnang. 64 ALLEI FOSSILI DELLO SCHLIER DELLE MARCHE Foresti) ed in terreni miocenici (Hornes M., Seguenza), Mio- cene di Tagliacozzo (Lupi ms.). Sassuglio ; S. Severino. OsTREA (GtRyphaea) cochlear PoIì. var. navicularis — {0. m- * viciilarh Eroe.). Sassuglio. OsTREA cfr. LANGHIANA Trab. Torrone; Camerino. Borgo Conce; S. Severino. Amussium denudatum Keuss. Cattivi esemplari. Sassuglio. Pecten Malvinae Dub. Sassuglio (*)• Teredo norvegica Spengi. Dintorni di Cingoli. Sassuglio. Pholadomya (Procardia) Canavarii Sim. Sassuglio. Pholadomya vaticana Ponzi (Ponzi, / fossili del M. Vaticano, pag. 17, tav. II fig. 'òa-c. Roma, 1876). Ponte dei Canti. Arca lactea Lk. L Honies M. la cita in terreni sincroni. Ponte dei Canti. Lucina sp. Modello. Ponte dei Canti. Vagineela Calandrelli Michtti. sp. Specie frequente nel Mio- cene medio. Ponte dei Canti. Terebratula Eovasendiana Seg. Simili agli esemplari di Eo- signano, determinati dal Michelotti : in questa località è pur citata dal De Alessandri. Caselle ; Camerino (^). Briozoi, impronte indeterminabili. Borgo le Conce. Hemipneustes italicus Manz. Ponte dei Canti. Isis PELORiTANA Seg. Crediamo sia la prima volta che si trova questa specie nel Miocene dell Italia orientale, menti e è già conosciuta in terreni sincroni di Messina, S. Agata-fossili, S. Michele (Sardegna) ecc. Presso l’abitato di S. Severino. (1) Nel Museo Geol. II. Università, Eoma, si conserva un fossile prove- niente dal M. Corno (Gran Sasso d’Italia). Esso appartiene sicuramente al Pecten Malvinae Dub. e quindi viene a confermare il Miocene in questa re- gione. Le arenarie che includevano il fossile furono già riferite al Miocene (Oligocene superiore) dal Baldacci e Canavari (1884); mentre il Pilla le aveva riportate al Cretaceo ed il Delfico a formazione più antica. (2) Eicordiamo per altre notizie stratigrafiche e paleontologiche: Cana- vari M., Notice sur les terrains tertiaires du bassin de Camerino (Toscane), nel lavoro di P. De Loriol: Description des Échinides des environs de Ca- merino (Toscane), Genève, 1882. Quivi sono citate dieci forme di Echinidi miocenici. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE FASCICOLO. Roncliconti. PAG. Consiglio direttivo per Canno 1899 iii Elenco dei Presidenti succedutisi annualmente dalla fonda- zione della Società in poi ir Elenco dei Soci per Canno 1899 ir Elenco delle Società ecc. che ricevono il Boll, in cambio. . xii Resoconto dell’ adunanza invernale tenuta dalla Società geolo- gica italiana in Pisa il 26 febbraio 1899 xv Memorie. De Stefano G. Un nuovo lembo conchiglifero di Reggio Ca- labria 1 PoRTis A. Avanzi di tragulidi oligocenici nell’Italia settentrio- nale 4 ViNASSA De Regny P. B. Studi geologici sulle roccie dell' Ap- pennino Bolognese [con una tavola (1)] 15 De Angelis d’Ossat G. Il gen. Heliolites nel Devoniano delle Alpi Carniche italiane 33 Franco P. Se il cono del Vesuvio esistesse prima del 79 . . 41 Peola P. Fiorala messiniana di Monte Castello d’ Alessandria. 44 Nelli B. 1 fossili titonici del Monte ludica nella provincia di Catania [con una tavola (2)] 62 De Angelis d’Ossat G. e Luzj G. P. Altri fossili dello Schlier delle Marche 63 REGOLAMENTO PER LE PUBBLICAZIONI Akt. 1. — Nel Bollettino della Società si pubblicano solamente i lavori dei Soci, eccettuati quelli fatti in tutto o in parte colla collaborazione di persone estranee alla Società. Art. 2. — Non si accettano le Memorie che siano puri lavori di compilazione, e quelle che abbiano carattere esclusivamente o prevalentemente polemico. Art. 3. — Le Memorie, previo il parere della Commissione di cui all’art. 15 del Kegolamento generale, verranno pubblicate secondo l’ordine di presentazione. Art. 4. — Le comunicazioni da stamparsi coi verbali prenderanno il posto fra le Memorie, sempre con l’ordine di presentazione, se sorpasseranno il numero di pagine stabilito anno per anno dal Consiglio. Art. 5. — Le Memorie presentate un mese dopo l’adunanza estiva potranno essere inserite nel Bollettino dell’anno successivo. Art. 6. — Una Memoria o comunicazione già presentata alla Società e ritirata per modificarla o completarla, perde il suo turno per la stampa qualora non sia rinviata al Segretario entro quindici giorni. Art. 7. — I manoscritti dovranno essere in fogli dello stesso formato, scritii da una sola parte, in caratteri intelligibili, senza di che la Presidenza potrà respingerli. Art. 8. — I lavori incompleti sia nel manoscritto, sia nelle tavole, non possono esser presi in considerazione per la stampa. Art. 9. — Se le Memorie oltrepasseranno il numero dei fogli di stampa sta- bilito anno per anno dal Consiglio, la spesa eccedente sarà tutta a carico dell’au- tore, anche per la parte relativa agli estratti concessi gratuitamente dalla Società. Art. Kt — Sono a carico degli autori le spese in più per le pagine in rorpo A' e per le tabelle; cosi pure le spese straordinarie per correzioni maggiori del con- sueto, per cambiamenti o rifusione di paragrafi e per composizioni annullate. Art. 11. — Di ciascuna Memoria il Sepretario spedirà all’autore, per la cor- rezione, una prova in colonna che dovrà essergli restituita al più tardi entro quindici giorni, e una seconda in pagina da restituirsi entro otto giorni. Art. 12. — Se le prove non saranno restituite entro i termini prescritti, il Segretario s’ incaricherà d’ufiicio della materiale correzione degli errori tipografici, senza assumere alcuna responsabilità pel rimanente. Art. 13. — Il visto per la stampa sarà fatto dal Presidente, o dal Segretario, purché questi ne sia appositamente delegato. Art. 14. — Verrà anno per anno stabilito dal Consiglio, secondo le condizioni del bilancio, il concorso della Società alle spese per le figure intercalate^ e per le tavole a corredo delle Memorie, escluse quelle relative ai disegni originali. Gli impegni presi dovranno regolarmente risultare dagli atti d’ufficio. Art. 15. — • Le prove delle illustrazioni, qualunque esso si siano, saranno sottoposte al visto della Presidenza prima della loro stampa. Art. 16. — La Presidenza può rifiutare le illustrazioni che siano state fatte eseguire dai Soci senza il suo visto preventivo, che non corrispondano al formato del Bollettino o che per altre ragioni non siano ritenute soddisfacenth Art. 17. — Gli estratti che spettano agli autori avranno fronte-^pizio e coper- tina stampata se la Memoria raggiungerà un foglio di stampa, altrimenti avranno copertina semplice. Art. 18. — Se l’autore intende far stampare degli estratti per proprio conto dovrà indicare per iscritto il numero degli esemplari che desidera. Il prezzo di questi è fissato dal contratto stipulato con la tipografia. L’ importo verrà versato all’ Economo della Società. Art. 19. — Qualsiasi impegno che un Socio abbia preso con la Presidenza in rapporto a spese per la pubblicazione di un proprio lavoro dovrà essere saldato prima della consegna degli estratti. Art. 20. — Gli estratti si spediscono in assegno. Disposizioni varie. a) Le Memorie che ciascun socio potrà inserire nello stesso volume del Bol- lettino non dovranno complessivamente superare i quattro fosrli di stampa. h) Le Comunicazioni da pubblicarsi coi verbali non oltrepasseranno due pagine di stampa ciascuna. c) Agli autori verranno date gratuitamente cinquanta copie di estratti, tanto delle Memorie quanto delle Comunicazioni. d) Il prezzo degli estratti a carico degli autori è per ogni 50 copie di L. 4 al foglio di pagine 16, e di L. 2 per ogni mezzo foglio o frazione di esso. é) Il prezzo di vendita dei Bollettini è stabilito come appresso : Per i volumi I, II, III. XIII e XIV, L, 15 ciascuno, per tutti gli altri L. 20. Ai librai si accorda lo sconto del 20 per cento. A chi acquista direttamente più volumi viene accordato lo sconto del 2-d per cento per 2 a 10 volumi e del 40 per 100 da 11 volumi in poi. Ai soli Soci, che desiderano completare la collezione, sono accordati i volumi al prezzo di L. 6 l’uno indistintamente. f) Non si vendono fascicoli separati. g) Non si fa la consegna dei Bollettini se non dopo il pagamento dell’intera somma dovuta per l’acquisto. Finito di stampare il 15 aprile 1899. Il Bollettino della Società Geologica Italiana si stampa in fasi;ieoli trimestrali. Il Presidente responsabile Mario Casavari. Anno XVIII. Fascicolo 2“ (2“ trimestre 1899) BOLLETTINO DELLA SOCIETi GEOLOtilCA ITALIANA Voi. XVIII. — 1899. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1899 Si pregano i Soci di prendere visione del Regolamento e delle dispo- sizioni stampate nella terza e quarta pagina della copertina. SOCIETÀ OEGLOGICA ITALIANA MENTE ET MALLEO fondata in Bologna il 29 settembre 1881. Consiglio direttivo per l’anno 1899. i ? ] i I Presidente .... Vice-Presidente. Segretario .... Vice-Segretari ■ Tesoriere Economo Archivista. • . • Consiglieri. . . • Commissione per le pubblica- zioni Commissione del bilancio . . . Mario Can avari (Pisa). 1899. Niccolò Pellati (Eoma). 1899. Antonio Neviani (Eoma). 1897-99. Benedetto Greco (Pisa). 1899. Gioacchino De Angeli» d’Ossat (Eoma). 1898-99. Tommaso Tittoni (Poma). Augusto Statuti (Eoma). Eomolo Meli (Eoma). Vittorio Novarese (Eoma). . Giuseppe Bellucci ^Verugia). i Claudio Sormani (Poma) . . Enrico CLEr^ci (P om.i) . . . TJldekigo Botti (Peggio Cai.) Torquato Tarai'elli (Pavia), i 1898-900 Vittorio Simonelli (Panna). Giuseppe Meec'-lli (Napoli) . Carlo De Stefani (iirenze) . Arturo Issel (Genova) . . . . i 1899-1901 Alberto Fucini (Pisa) . . , Pietro Zezi (Eoma) .... Il Presidente Il Segretario L’ Economo L’Ai'chivista {prò tempore) Mario Cermenati (Eoma) Eomolo Eagnini (Eoma) . Antonio Verri (Eoma) . . 1899. Sede della Società: Eoma, Via S. Susanna, l.’A, presso il_E. Ufficio geologico, i' w SULLA PRESENZA DEL DOGGER INFERIORE AL MONTE FORAPORTA PRESSO LAGONEGRO. Nota preventiva del socio B. Greco. Durante F adunanza estiva, tenuta dalla nostra Società geolo- gica italiana nel settembre decorso a Lagonegro, ebbi dall’ ottimo amico dott. De Lorenzo cortesissimo invito di studiare dettagliata- mente la fauna contenuta nei calcari scuri o neri, bituminosi, che in straterelli sottili, sfaldabili, o in strati più grossi compatti, tenaci, sono sviluppati nei dintorni di Lagonegro alla Serra Luceta e Serra Pertusata, alla Regione Nizzullo e al Monte Foraporta. Tali calcari, sovrapposti con trasgressione alla dolomia del Trias superiore, sono stati riferiti dal De Lorenzo, come è noto, al Lias inferiore parte superiore, in alcuni dei numerosi ed impor- tantissimi suoi lavori (^), che tanta luce hanno gettato sulla geo- logia di quella pittoresca ed interessante regione. Accettai allora, con grato animo, il gentile invito del De Lorenzo e sono lieto adesso che mi si presenti T occasione di esternargli pubblicamente i miei più affettuosi ringraziamenti. Sotto la solerte ed espertissima guida del De Lorenzo, feci, in compagnia dei soci intervenuti all’ adunanza, oltre alle diverse interessantissime gite in altre località del Lagonegrese, una escur- sione al Monte Foraporta. Quivi, vedendo quei calcari neri tanto (*) De Lorenzo 6., Sulla geologia dei dintorni di Lagonegro. Nota preliminare. Estr. dai Rend. della R. Acc. dei Lincei. Gl. di Se. fis., mat. e nat., voi. Ili, 1° sein., fase. 6®, pag. 309-11. Roma 1894. — Le Montagne mesozoiche di Lagonegro. Estr. dagli Atti d. R. Acc. di Se. fis. e mat. di Napoli, voi. VI, ser. 2*, n. 15, pag. 58-69. Napoli 1894. — Osservazioni geologiche nell' Appennino della Basilicata meridionale. Estr. dagli Atti d. R. Acc. di Se. fis. e mat. di Napoli, voi. VII, ser. 2^ n. 8, pag. 11, 12. Na- poli 1895. Studi di geologia nell' Appennino meridionale. Estr. d. Atti d. R. Acc. di Se. fis. e mat. di Napoli, voi. Vili, ser. 2^, n. 7, pag. 52-54. Napoli 1896. — Guida geologica dei dintorni di Lagonegro in Basilicata. Boll, della Soc. geol. it, voi. XVII, pag. 181-82. Roma 1898. B. GRECO 66 simili litologicamente ai calcari del Lias inferiore parte supeiiore di Longolmcco e Bocchigliero nel circondario di Rossano e, ricor- | dandomi dei fossili caratteristici del Lias inferiore, citati dal De Lorenzo, non ebbi il minimo dubbio, come mi parve non 1 avessero gli altri geologi intervenuti, che i calcari del Monte Foraporta j appartenessero al Lias inferiore parte superiore. , Il De Lorenzo infatti nei calcari neri in parola del Lagone- ■ grese ha trovato due giacimenti fossiliferi (i) : uno alla regione . Nizzullo, negli straterelli sottilissimi di calcari marnosi giallastri sfaldabili, che passano poi a calcari neri compatti, fortemente bituminosi, giacimento costituito da una congerie di conchiglie di Lamellibranchi, addossate le une sulle altre, come tante foglie. ^ secondo i piani di stratificazione; un altro nella parte più elevata dei calcari neri compatti del Monte Foraporta e rappresentato , prevalentemente da Brachiopodi, ai quali si associano Echinodeimi, , Lamellibranchi e rari Gasteropodi e Cefalopodi. ^ , Della Regione Nizzullo il De Lorenzo cita le seguenti specie : Lima {Radula) Haueri Stol. •n j) suceincta (?) Schloth. , « (Plagiostoma) Choffati (?) Di Stef. j Modiola Gemmellaroi Di Stef. j Arca sp. ind. ■ Myoconcha sp. ind. Lepidotus sp. ind. '| Del Monte Foraporta poi ricorda le seguenti in parte deter- minate dal dott. Geyer: ' I Terehratula punctata Sow. , , var. ovatissima Quenst. „ , » « Andleri Opp. , » basilica Opp. ; x Fòtterlei Bockh j Rhynchonella fascicostata Uhi. « cfr. psicostata Suess var. appianata Zugm. , n curviceps Quenst. sp. i (i) De Lorenzo G., Le montagne mesozoiche di Lagonegro,\. c., pag. ■ 60-63. SULLA PRESENZA DEL DOGGER INFERIORE, ECO. 67 Rhynchonella cfr. Fraasi Opp. » cfr. Cartieri Opp. Rhynchonellina cfr. alpina Par. Pecten {Pseudoamussium) Hehli d'Orb. Semipecten {Hinnites) cfr. velatus Goldf. sp. Pleurotomaria sp. ind. Natica sp. ind. Arietites sp. ind. Phylloceras sp. ind. I Questo insieme di fossili dimostrava che i calcari neri dai quali erano stati cavati, appartenevano al Lias inferiore parte superiore. Il prof. Canavari ed io raccogliemmo al Monte Foraporta ‘ una grande quantità di blocchi di roccia fossilifera, che spedimmo \ a Pisa. Pervenuto il materiale nel Laboratorio del nostro Istituto ; geologico, non appena mi fu possibile incominciai con grande ac- I curatezza l’ isolamento dei fossili, mediante il solito processo della semicalcinazione, ritenendo sempre che quei calcari neri fossero real- ; mente del Lias inferiore parte superiore. Le specie però che successivamente andavo isolando non ri- cordavano i tipi del Lias inferiore e mi facevano pensare invece ad alcune forme del Dogger inferiore di Pietro Malena presso Rossano, che avevo recentemente studiate (Q. Incominciai allora a dubitare un poco del suddetto riferimento cronologico di quei calcari neri del Foraporta; ma siccome il De Loreùzo citava, oltre a specie di Brachiopodi e di Lamellibranchi decisamente Rasici, anche un Arietites sp. ind., genere limitato ai terreni del Lias inferiore, pensai di rivolgermi all’ amico De Lorenzo pregandolo di mandarmi le specie da lui citate. Speravo così di togliermi ogni dubbio sulla età dei detti 'calcari e di avere nello stesso tempo maggior materiale per lo studio, anzi il più. importante, potendo disporre degli esemplari originali sui quali era stata paleontolo- gicamente stabilita l’età dei detti calcari neri. Il De Lorenzo mi rispose gentilmente che gli esemplari ri- chiesti erano stati mandati cinque anni prima al dott. Bittner, il (') Greco B., Fauna della zona con Lioceras opalinum Rein. sp. di Rossano in Calabria. Palaeontographia italica, voi. IV, pag. 93-140. Pisa 1899. 68 B. GRECO quale li fece esaminare e determinare dal dott. Geyer ; che da allora non erano più ritornati al Museo di Napoli, perchè il Bittner non aveva potuto ritrovarli e probabilmente quindi erano andati dispersi. Desiderando vivamente di potere avere in esame almeno 1' Arie- tites sp. ind., pregai il prof. Canavari di scrivere al dott. Geyer, perchè avesse la bontà di fare attivissime ricerche nel Museo del Comitato geologico di Vienna per vedere se fosse possibile di ri- trovare almeno questo Arietiles. Il dott. Geyer scrisse in risposta che in quel Museo geologico non si trovava alcun fossile del Monte Foraporta e che il dott. Bittner l’aveva assicurato che i detti fossili erano stati integralmente rimandati al De Lorenzo. Questi invece mi assicurò di nuovo che a Napoli quei fossili non erano mai ri- tornati. E così sfortunatamente non ho potuto averli per confronti e per studio. Il De Lorenzo però ebbe la cortesia di mandarmi alcune Waldheimiae isolate e alcuni pezzi di calcare nero fossilifero del Monte Foraporta, aumentando così in qualche modo il mio mate- riale da studio. E di ciò lo ringrazio sentitamente. Intanto io avevo terminato di isolare i fossili raccolti, riu- scendo ad ottenere così una fauna ricca di esemplari, ma costituita di poche specie. Predominano in essa i Brachiopodi ed i Lamel- libranchi, rari sono gli Echinidi ed i Gasteropodi, rarissime poi le Ammoniti. Incominciai quindi la determinazione delle specie, durante la quale sempre più andai convincendomi che i calcari neri in discus- sione non possono essere ascritti al Lias inferiore parte superiore, bensì al Dogger inferiore. Infatti, oltre all’ aver subito notato nel mio materiale (come anche in quello del De Lorenzo), così ricco di Brachiopodi, la mancanza assoluta del genere Spirifèrina, così comune nei terreni del Lias inferiore, non ho trovato alcuna delle specie citate dal De Lorenzo, ma quelle invece che ho potuto determinare sono le seguenti ; Rhynchonella Ximenen Di Stef. * Wàhneri Di Stef. » Maleniana Greco » Ariana ? Greco » Galatensis Di Stef. 66 SULLA PRESENZA DEL DOGGER INFERtORE, ECO. Rhynchonella infirma Eothpl. Waldheimia IppoUtae Di Stef. Lima {Plagiostoma) semicireularis Goldf. Hinnites velatus Goldf. sp. Pecten {Entolium) cingulatus Phill. » {Chlamys) erpus De Greg. Modiola gibbosa Sow. Trigonia aif. costata Lamk. Trochus Vinassai ? Greco Nerita pygmaea Greco Neritopsis Maleniana ? Greco Onustus supraliasinus Vac. Di Ammoniti ne ho trovato due piccolissime e perciò purtroppo indeterminabili con certezza anche genericamente. Sono ambedue carenate, ma, per la forma e l’andamento delle coste, ricordano più gli Harpo'ceras che gli Arietites; uno di essi poi sembra corrispondere ad una specie di Harpoceras s. l del Dogger infe- riore di Pietro Malena, della quale, a causa dell’ imperfetto stato di conservazione, non tenni conto nella descrizione delle specie. Se esaminiamo poi le altre specie sopra riportate, vediamo subito che esse trovano le loro corrispondenti nelle faune del Monte S. Giuliano presso Trapani (i), di S. Vigilio (2), del Monte Grapa (3), di Pietro Malena presso Kossano ('•), o di altre località, ma tutte appartenenti al Dogger inferiore. Si può dire quindi, giudicando dal materiale che ho esaminato, che i calcari neri fossiliferi del Monte Foraporta appartengono al Dogger infe- riore e che la loro fauna presenta strettissimi rapporti di affinità (b Di Stefano G., Ueber die Brachiopoden des Unteroolithes von Monte S. Giuliano bei Trapani {Sicilien). Sep.-Abdr. aus d. Jahrbuch d. k. k. geol. Eeichsanstalt, Bd. 34, H. 4. Wien 1884. (2) Vacek M., Ueber die fauna der Oolithe von Gap S. Vigilio Sep.-Abdr. aus d. Abb nell. d. k. k. geolog. Eeichsanstalt, Bd. XII, n 3 Wien 1886. (2) Botto-Micca L., Fossili degli strati a Lioceras opalinum Eein. e Ludwigia Murchisonae Sow. della Croce di Valpore [Monte Grapa). Boll, d. Soc. geol. it., voi. XII. Eoma 1893. P) Greco B., Fauna della zona con Lioceras opalinum Eein. sp. di Rossano in Calabria, 1. c. 70 B. GRECO. SULLA PRESENZA DEL DOGGER INFERIORE, ECC. specialmente con quella di Pietro Malena, colla quale ha undici specie a comune sopra tredici determinate con certezza. Ora, se i calcari neri del Monte Poraporta, adagiati in di- scordanza sopra le dolomiti bianche del Trias superiore, apparten- gono al Dogger inferiore, ne deriva che mancherebbe in questa località tutta la serie liasica. Riguardo ai calcari della Regione Nizzullo che, come abbiamo veduto, il De Lorenzo riferisce pure al Lias inferiore parte superiore e che contengono una fauna di Lamellibranchi, le cui specie non sono rappresentate al Monte Poraporta, io nulla posso dire in [proposito, non avendo potuto esaminare fossili della suddetta località. Terreni appartenenti al Lias medio ed al Lias superiore non sono conosciuti nelle vicinanze di Lagonegro, secondo ciò che rileva il De Lorenzo. I primi però sarebbero rappresentati nella Basilicata meridionale (*) ; mentre i secondi sono stati trovati dal dott. Di Stefano e dall’ ing. Baldacci nella limitrofa provincia di Salerno al Monte Bulgheria (-), ove essi sono rappresentati da marne giallastre con Hildoceras bifrons Brug. sp. e da calcari con crinoidi, alternanti con esse, costituiti quasi esclusivamente dalla Rhynchonella Clesiana Leps. alla qiiale sembra che siano associate la Rh. Vigilii Leps. ed altre forme non ben determinabili. Debbo infine dichiarare che sono dolentissimo di aver dovuto contraddire le conclusioni alle quali era giunto 1’ amico De Lo- renzo circa i calcari del Monte Poraporta; mi consola però il pensiero che lo faccio esclusivamente nell’interesse della scienza. D’ altra parte poi sono sicuro che il De Lorenzo per il primo ap- prenderà con vivo piacere il ritrovamento di un terreno appar- tenente al Dogger inferiore nella sua diletta Basilicata, ove finora era completamente sconosciuto. Pisa, Istituto geologico, marzo 1899. (q De Lorenzo G., Osservazioni geologiche nelV Appennino della Ba- silicata meridionale, 1. c., pag. 12-15. — Studi di geologia nell' Appennino meridionale, 1. c., pag. 52-54. (2) Di Stefano G., Osservazioni sulla geologia del Monte Bulgheria in provincia di Salerno. Boll. cl. Soc. geol. ital., voi. XIII, pag. 194-197. — De Lorenzo. Osservazioni geologiche nell' Appennino della Basilicata me- ridionale, 1. c., pag. 15. - Studi di geologia nell' Appennino meridionale‘ 1. c., pag. 52. MOLLUSCHI CONTINENTALI FOSSILI NELLA Terra Rossa di Agnano nel Monte Pisano Nota del dott. P. Riccardo Ugolini. Dietro cortese invito dell’ egregio cav. dott. Sigismondo De Bosniaski, mi occupai dello studio di una collezione di molluschi continentali da lui raccolti nella terra rossa quaternaria che riempie le spaccature dei calcari cavernosi infraliasici di Agnano, e da lui stesso favoritimi per la determinazione. Per quanto modesta sia questa raccolta ed esiguo il numero delle forme distinte che vi si annoverano, sono tuttavia in grado di poter presentare F elenco di poche specie, da aggiungersi a quelle già determinate dal prof. De Stefani (^). Non ho creduto quindi del tutto fuori d’ interesse di ripor- tare in questa breve Nota il catalogo ragionato delle specie da me riconosciute, a complemento di quanto già fece, per la mede- sima formazione, il eh. prof. De Stefani molti anni or sono. Eelix cinctella Drap. Helix nemoralis Linn. A questa specie ascrivo anche un certo numero di esemplari, i quali a prima vista sembrerebbero costituire una specie distinta, (') De Stefani, Di alcune conch. terr. foss. n. terra rossa d. pietra cale, di Agnano n. M. Pisano. Atti soc. tose. se. nat. I, pag. 110. 72 P. RICCARDO UGOLIM ma ben osservandoli si riconosce senza fatica che altro non sono che forme ancora giovani della specie succitata; in cui la columella non presenta ancora perfettamente sviluppata la sua callosità, mentre il peristoma non è ancora totalmente ingrossato e reflesso, come si osserva negli individui adulti. Helix plano spira Lmk. Helix obvoluta Miill. Helix aspersa Miill. var. crispata Moq.-Tand. Riferisco a questa specie due esemplari i quali, se pure sono in qualche parte della conchiglia un poco rovinati, lasciano non- dimeno facilmente riconoscere tutta intiera la loro conformazione al punto che si possono con sicurezza ritenere come appartenenti a quella forma già dal Costa ritenuta distinta col nome di H. crispata e dal Moquin-Tandon (’) considerata solo come varietà della specie di Milller. È poco comune allo stato fossile, e tra le viventi in Toscana viene citata soltanto la forma tipica tanto da Issel (-) quanto da Gentiluomo (^). Helix fruticum Miill. A niun' altra specie, all’ infuori di questa, saprei ascrivere un esemplare unico, che per tutti i suoi caratteri corrisponde perfet- tamente alla forma omonima descritta e flgurata da Moquin-Tandon (pag. 196, tav. XVI, flg. 1-4). Rarissima. Helix variabilis Drap. var. bifasciata Moq.-Tand. Helix variabilis var. § Draparnaud. Tabi. Moli., pag. 84. Paris 1801. — — Drap. var. bifasciata, Moq.-Tandon, Hist. nat. d. moli. terr. et f.uv. de la France, pag. 262. Paris, 185.5. È r unico esemplare della collezione che possa riferirsi a questa specie; anzi non temo d'andare errato affermando che questo esemplare, che io stesso ho in parte rovinato per liberarlo dal detrito che ne aderiva alla superfìcie, corrisponde esattamente alla (0 Moquin-Tandon, Hist. nat. des moli. terr. e fluv. de la France. II, pag 175, tav. XIII, fig. 30. Paris, 1855. (®) Issel, Moli, della Prov. di Pisa. Mem. Soc. Ital. di Se. Nat., II, n. 1, pag. 11. Milano, 1866. (■'’) Gentiluomo, Cat. moli. terr. e fluv. della Toscana. Boll. mal. it., I, pag. 5 e 78. Pisa, 1868. MOLLUSCHI CONTINENTALI FOSSILI ECC. 7 var. /? di Draparnaud (i), citata pure da Moquin-Tandon col nome di var. bif asciata', la quale appunto si distingue dal tipo e dalle altre varietà per avere l’ ultimo anfratto reso quasi totalmente oscuro da una larga fascia bruna che lo percorre lungo tutta la parte superiore, e da più fasce dello stesso colore, più o meno confusa- mente riunite, percorrenti lungo tutto il lato inferiore dell’anfratto. Non comparisce questa nella nota del prof. De Stefani, il quale in- vece cita come viventi nel M. Pisano (^), e nella Valle del Serchio superiore (3) tanto la forma tipica quanto la varietà surriferita. Helix lenticula Per. Attribuisco a questa specie una piccolissima conchiglia, la quale se, per la maggior parte dei caratteri, potrebbe venire fa- cilmente ascritta aH’iT. rotundata Muli., si allontana da quella pel numero dei giri della spira, i quali, mentre nella forma di Mùller sono generalmente in numero non inferiore a 7, neH'i7. lenticula sono sempre in numero di 6 al massimo, come si ri- scontra nell’ esemplare che posseggo. Rara. Hyalinia Isseliana Paul. Zonites lucidus, De Stefani. Conch. terr. foss. nella terra rossa d'Agnano. Atti Soc. Tose. Se. Nat. I, fase. 2°, pag. 112. Pisa 1875. È sommamente diffusa nella terra rossa d’Agnano una bella conchiglia che io credo doversi senza dubbio riferire alla specie descritta e figurata dalla marchesa Paulucci (^), oltreché per la depressione notevole della spira, anche per il numero e per la di- sposizione degli anfratti, per la profondità sensibile delle suture, e per non pochi altri caratteri di secondaria importanza. Hyalinia olivetorum Gml. Stenogyra decollata Linn. A giudicarne dal numero esiguo di esemplari che di questa specie posseggo, sembrerebbe piuttosto rara allo stato fossile ; mentre (fi Draparnaud, Hist. moli. tav. V, fig. 12. Paris, 1805. (^) De Stefani, Moli. viv. M. Pisano n. Alpi apuane. ecc.Boll. soc. mal it., IX, pag. 100. Pisa, 1883. (^) De Stefani, Moli. viv. Val di Serchio sup., Boll. soc. mal. it. I, fig. 49. Pisa, 1868. P) Paulucci, Not. mal, sulla fauna terr. e fluv. deW isola di Sardegna. Boll. soc. mal. it. Vili, pag. 23, tav. IX, fig. 13, 13A Pisa, 1882. 74 P. RICCARDO UGOLINI poi vivente la si trova dovunque, ed è citata non solo per il M. Pisano, ma per tutta la Toscana in genere. Buliminus quadridens Miill. Un esemplare unico il quale, è talmente ben conservato, da non lasciare alcun dubbio sulla sua determinazione. Rara allo stato fossile, ma comune allo stato vivente sia in Italia come fuori. Cyclostoma elegans Drap. Pcmatias Gentiluomoi De Stef. Pomatias patulura. De Stefani, Conch. terr. foss. nella terra rossa d'A- gnano. Atti soc. tose. se. nat., I, fase. 2°, pag. 112. Pisa i875. — maculatum. De Stefani, Geol. d. M. Pisano, Mem. K. Comm. Geol.. voi. Ili, part. I, pag. 114. Roma, 1876. — 6 e n ti III 0 m 0 i. De Stefani, « Poraatiasn vìv. n. Alpi A'p. n. M. d. Spe- zia e n. A'p'p. ciré, e foss. n. M. Pisano. Boll. soc. mal. it., V, pag. 105. Pisa, 1879. È la stessa specie, dal prof. De Stefani citata successivamente col nome di P. patvium, e con quello di P. maculatum, e poi descritta nuovamente come nuova. Comune. Pomatias patulum Drap, (non De Stef.). Attribuisco a questa specie diversi esemplari che si allonta- nano dalla precedente oltreché per la forma più svelta e sottile anche per gli anfratti più pianeggianti, per le suture meno pro- fonde e per 1’ apertura boccale meno auricolata e meno espansa ; caratteri che concordano evidentemente con quelli propri alla specie di Draparnaud. Comune. Pupa cinerea Drap. Pupa multidentata Oliv. Riferisco a questa specie un solo individuo che si avvicina moltissimo alla forma descritta e figurata da Moquin-Tandon. Ra- rissima. Claunlia rugosa Drap. var. cruciata Studer. Clausilia alboguttulata Wagner. Si trova piuttosto diffusa nella terra rossa; ed è citata vivente da Issel e da Gentiluomo per la Toscana in genere, ma non par- ticolarmente per il M. Pisano. MOLLUSCHI CONTINENTALI FOSSILI KCC. 75 Clausilia alboguttulata var. punctata Mich. Nonostante che Pfeiifer e vari altri autori tendano a collegare questa conchiglia con la specie C. alboguttulata tipica, tuttavia io credo che debbasi piuttosto separamela e ritenerla invece sol- tanto come una semplice varietà punctata della specie di Wagner. Comunissima. Clausilia lucensis Gent. Clausilia plicatula Drap. Ne ho pochi esemplari, ma in compenso assai bene conservati, sicché si può senza fatica rilevarne i più minuti caratteri, i quali ben si accordano con quelli della specie succitata, descritta e figu- rata da Draparnaud (op. cit., pag. 72, tav. IV, fig. 17, 18). Il prof. De Stefani non la cita tra le specie fossili da lui rico- nosciute nella formazione di Agnano, ma la menziona tra le specie viventi nella valle del Serchio superiore (op. cit., pag. 21), e con lui anche il Gentiluomo per il Lucchese (op. cit., pag. 86). [Pisa, K. Museo Geologico. Febbraio 1899]. FORAMINIFERI TERZIARII DEL PIEMONTE E SPECIALMENTE SUL GEN. POLYMORPHINA d’ ORBIGNY. Nota del Socio Ermanno Dervieux. In continuazione al mio studio sulla fauna a foraminiferi del terziario piemontese, mi si offre l’ occasione di presentare questa breve comunicazione intorno ad alcuni esemplari già determinati come appartenenti al gen. Polymorphina, d’Orbigny. L’ultimo catalogo dei fossili piemontesi, raccolto dal prof. Fe- derico Sacco e pubblicato in parte nel voi. Vili (1889) ed in parte nel voi. IX (1890) del Bollettino di questa nostra Società geologica italiana, contiene sette specie del gen. PolymorpUna. Ma per quante ricerche abbia fatto, esaminando il materiale delle diverse collezioni pubbliche e private, per il momento non ho po- tuto ancora controllare, che solo due delle sette specie registrate nel sopradetto catalogo e queste sono quelle già prima pubblicate dal Fuchs (') e tratte dal materiale della collezione del cav. Luigi Di Rovasenda (Sciolze), che gentilmente mise a mia disposizione. Dall’ esame di questi esemplari posso trarre la presente comunica- zione di non piccolo interesse per la paleontologia di questa regione subalpina, arricchendola di alcune nuove determinazioni specifiche. « Polymorpliina xantea Seg. «. Fuchs (1878, 1. c.) e Sacco (-). Questa è la prima determinazione specifica registrata tra le specie della regione e che attentamente ho ricercato nel catalogo delle specie e dei generi dei foraminiferi del Sherborn (^) e nelle pub- (1) Fuchs Theod., Stud. tert. Ober. hai. (88 Sitz. d. k. Ak. Wien, pag. 54), 1878. (2) Sacco Federico, Catalogo fossili Piemonte. (Boll. Soc! Geol. Italiana, voi. Vili, 1889) n. 525. (3) Sherborn C. D., Index lo thè genera and species Foraminifera, (Smit. Instit., voi. 37, 1896). Washington. E. DERVIEUX, FORAMINIFERI TERZIARII DEL PIEMONTE 77 blicazioni del Seguenza, ma senza che ne potessi trovare le indi- cazioni. Il materiale, che ha dato origine a questa determinazione specifica appartiene alla collezione del cav. Di Kovasenda, consta di quattordici esemplari, che esaminati da me vennero trovati tutti coi caratteri del genere Pleurostomella, Keuss (1859). La maggior parte sono della specie P. rapa Giimbel seguendo quanto pensa il Brady nel suo lavoro sui foraminiferi del Challenger e della sua figura (^), quantunque a me sembri, che la forma figurata dal Giimbel (^) per le proporzioni delle ultime camere colle prime possa differire assai dagli esemplari figurati dal Brady e perfetta- mente simili a quelli in questione del terziario piemontese. Per questo motivo ritengo gli esemplari descritti dal Brady come va- rietà della specie Pleura stornella rapa Giimb., che nomino « recensì , perchè appartenente al terziario superiore ed all’epoca attuale. Gli altri esemplari poi possono essere determinati come Pleu- rostomella alteruans, Schwager (3). “ Polymorphina acuta Orb ». Puchs (1878 1. c.) e Sacco (1889 1. c. n. 526). Molti sono gli esemplari corservati sotto questa determinazione; e se sulle prime a cagione della loro piccolezza e della difficoltà di vedervi la forma e la posizione dell’ apertura sembravano per la maggior parte appartenere effettivamente a questa specie, dovettero poi dopo esatto e minuzioso esame essere deter- minati come del gen. Virgulina d’Orbigny (1826) e con molta pro- babilità alla specie V. Schreibersiana Czjzek (^). Mentre poi alcuni esemplari potrebbero appartenere alla Virgulina longissima (Co- sta), che secondo il Pornasini (^) pare debba considerarsi come specie distinta, e che ritengo come varietà della specie di Czjzek. Intorno poi alla presenza del gen. Polymorphina nel terziario piemontese ho potuto determinare le seguenti specie: (1) Brady. 1884, Reyort Challenger voi. IX, pag. 411, tav. 51, fig. 21. (2) Giimbel, 1868 (1870), Foram. nordalpinen. loc. (Abhandl. k. bayer. Ak. Wiss. voi. X, pag. 630, tav. 1, fìg. 54), Miinchen. V) Schwager. 1886, Novara — Exped. geol. Theil. voi. II, pag. 238, tav. VI, fig. 79, 80. (“*) Czjzek, 1847. Haidinger's Naturw. Abhandl. voi. II, pag. 147, tav. XIII, fig. 18, 21. (^) Pornasini, 1898. Foram. pi. di S. Pietro in Lama presso Lecce. (Mem. R. Accad. Se. dell’Istituto di Bologna, ser. V, voi. VII, pag. 207). 78 E. DERVIEUX, FORAMINIFERI TERZIARII DEL PIEMONTE 1. Polymorphina rctundata (Bornemann) var. fracta (Bornemann). Sono diversi esemplari raccolti nell' Elveziano (Mioc.) dei colli torinesi, che mostrano grande somiglianza con la forma figurata dal Bornemann (1855) designata come P. fracta, (’), che dal Brady (^) è posta nella sinonimia della specie P. rotundata. Non già che la voglia pensare differentemente dal Brady, solo desidero far osservare, che anche qui la distinzione di varietà può in man- canza di descrizione e figura, dare un’ idea più precisa della forma che si vuol descrivere. 2. Polymorphina ovata d’Orb. (•'^) Sono alcuni pochi esemplari rinvenuti nel tortonese e che già vennero pubblicati da me in un catalogo (‘^) di foraminiferi del tortoniano subalpino. Conchiudo col catalogare le specie, che dovrebbero essere ag- giunte nelle indicazioni paleontologiche per la regione piemontese : Pleurostomella rapa Gùmbel var. recens mihi. Elveziano, Sciolse Pleurostomella alternane Schwager » » Virgulina Schreibersiana Czjzek (^) " " Virgulina Schreibersiana var. longissima (Costa) " » Polymorphina rotundata Bornemann var. fracta (Bornemmann) » ” Polymorphina ovata d’Orbigny Tortoniano Stazzano Torino, 22 febbrajo 1899. (b Bornemann, 1855, Zeitsch. d. deutsch. geol. Ges. voi. VII, fog. 346, tav. XVIII, fig. 3 e tav. XVB, fig. 4. (2) Brady, 1884, Challenger, voi. IX, pag. 570. (3) D’Orbigny, 1846, Foram. foss. Vien. pag. 233, tav. XIII, fig. 1, 3. O Dervieux, 1895, Foraminiferi tortoniani del tortonese ital., (Boi. Soc. Geol. It., Voi. XIV, pag. 306), Eoma. (5) Lo stesso Czjzek usa due sistemi di nomenclatura nella stessa specie, poiché nella spiegazione della tav. XIII scrive v. Schreibersii. COME L’ETÀ DEI GRANITI SI DEBBA DETERMINARE (JON CRITERI STRATIGRAEICI Nota del socio Carlo De Stefani. (Tav. Ili, IV) I graniti di Calabria e dell’ Elba. Per determinare l’età dei graniti si vedono usati ordinaria- mente vari criteri, i principali dei quali sono: 1° la sovrapposizione o sottoposizione delle roccie circo- stanti ai graniti; 2“ resistenza di apofisi del granito nelle roccie circostanti; 3° resistenza di metamorfismi nelle roccie contigue al granito ; 4® la presenza o l’assenza di ghiaie di granito nelle roccie contigue ; 5° la posizione del granito indifferentemente sottostante a qualsiasi dei terreni sedimentari più recenti. 1. Il primo criterio, cioè il criterio stratigrafico vero e proprio va adoperato per il granito nello stesso modo che per le altre roccie. Al piede di tutti i massicci montuosi, nella periferia delle masse montuose più rilevate, anche entro limiti ristretti, o, in altre parole, come ho scritto molti anni fa, « in tutti i casi nei quali « si hanno montagne massiccio a pendenze piuttosto forti ; dire- » zione degli strati secondanti la superficie della montagna ; pen- « denza degli strati piuttosto forte; contatto fra due roccie lito- « logicamente eterogenee; in questi casi, generalmente, gli strati » altimetricamente superiori al contatto si rovesciano parzialmente K 0 generalmente sopra gl’inferiori » . Ciò si verifica quasi general- mente secondo gli autori al piede meridionale del Giura, al piede settentrionale delle Alpi, e secondo gli autori e secondo me, al 80 C. DE STEFANI piede meridionale delle Alpi orientali, di gran parte di quelle oc- cidentali, del monte Pisano, in molta parte delle Alpi Apuane ed in una infinità di altri casi. Questo fatto assai noto ha dato luogo e dà luogo ogni anno ad una quantità d'ipotesi, per gran parte fuori di proposito, che qui è inutile accennare, se non per mostrare quanto il fatto sia generale. Certo le circostanze più favorevoli per la verificazione di si- mili fatti si devono avere presso il contatto del granito con altra roccia. Se il granito forma uno scoglio od una montagna massic- cia, con pendenze piuttosto forti, isolata sopra le roccie circostanti, specialmente se schistose; in tal caso queste roccie schistose, per tratti più 0 meno estesi, scenderanno al disotto del granito : ma la loro pendenza, effetto di inversione, starà a provare che il granito è la roccia più antica, piuttosto che la più recente. Il Salomon in un suo dottissimo lavoro, di cui riparlerò più sotto (Q, non tien conto di questo criterio stratigrafico sostanziale e badando solo alle apparenze, trae la conclusione che l’età dei graniti pe- riadriatici sia molto recente, mentre all’ occhio dello stratigrafo, quand’anche si trattasse di tutt’ altra roccia che di granito, appa- rirebbe più verosimile, anche giudicando dal solo lavoro del Sa- lomon, la conclusione contraria. Quando le masse granitiche sono più o meno sconturbate, le circostanze stratigrafiche, in mancanza di fossili che schiariscano la questione, debbono decifrarsi sceverando fra gli strati regolari e quelli invertiti, come si potrebbe fare di qualsiasi altra roccia an- tica, perciò soggetta a sovvertimenti che ne hanno indubbiamente disturbato le circostanze stratigrafiche primitive. 2. L’esistenza di apofisi è pure criterio da usarsi con molto discernimento. La questione delle apofisi, già tanto e tanto discussa con conclusioni disformi, non può qui trattarsi in modo principale. Conviene por mente se le apofisi sieno identiche o no al granito di cui si discute, mentre ordinariamente l’identicità non esiste. Con- viene por mente se le apofisi, oltre che le roccie circostanti, traver- sino anche il granito, nel qual caso esse sono più recenti di questo e di quelle. (1) Salomon W., Ueher Alter Lagerungsform uni Entstehungsari der periadriatischen granitischkòrnigen Massen. Wien, 1897. f : COME l’età dei graniti si debba determinare ecc. 81 Una roccia come il granito, contenente tal quantità di ma- teriali alcalini, è atta più di qualunque altra roccia a dar luogo ad una infinità di soluzioni e di reazioni sotto l’azione di acque a maggiore o minore temperatura e pressione. L’ uscita di acque alcaline e la formazione di segregazioni della stessa natura della roccia, specialmente sotto V influsso di speciali circostanze, se non avesse luogo per eccellenza nei graniti e nei calcari non potrebbe aver luogo in nessun altra roccia. Alle apofisi dei graniti non si può dare una importanza diversa da quella che tutti danno alle vene, ai filari e alle apofisi di calcite che provengono dai calcari. Dando alle apofisi dei graniti una importanza diversa si entra in un campo d ipotesi, le quali possono corrispondere completamente alle idee di uno o di altro scienziato, ma che difficilmente han corrispondenza nel campo dei fatti reali. La interpretazione più verosimile dei fatti fa credere che apofisi nel granito, come nei cal- cari, se ne possano formare in tutte le età, anche attualmente, e che la materia derivata, cioè l’apofisi, sia sempre più recente della materia prima, cioè, nel caso nostro, del granito. La età dell’una non determina l’età dell’altra, 3. Lo stesso dicasi del metamorfismo. L’azione metamorfica dei graniti a contatto colle roccie cir- costanti, nel momento d’una loro supposta eruzione, in una età posteriore alla formazione di quelle stesse roccie, è una ipotesi pura e semplice. Noi non conosciamo roccie vulcaniche moderne le quali ve- nendo a contatto con roccie sedimentarie dien luogo a metamor- fismi consimili a quelli che si verificarono spesso attorno ai gra- niti : chi sostiene che un granito solamente alteri in quei modi le roccie vicine, entra già in un campo di pretta ipotesi non cor- roborata ma contradetta da una serie di fatti attuali che cia- scuno può verificare. Le alterazioni delle roccie a contatto di molti graniti sono sovente, bensì, analoghe alle alterazioni di molte roccie in origine sedimentarie che vediamo proiettate nelle eruzioni esplosive del Vesuvio e di tanti altri vulcani. Si dice perciò che nell’ interno dei focolari vulcanici, a profondità, si manifestino alterazioni si- mili a quelli delle roccie contigue ai graniti e se ne trae criterio di analogia fra roccie vulcaniche e graniti. 6 82 C. DE STEFANI Promettasi che proprio identità assoluta tra i metamoifismi che avvengono nelle due diverse circostanze non vi è ; ceite alte- razioni forse dovute ai gas o ad altre circostanze proprie delle eru- zioni vulcaniche non si verificano presso i graniti. Inoltre parte delle alterazioni che si osservano nei proietti metamorfici vulcanici sono preesistenti alle eruzioni vulcaniche e forse anche dovute a cause diverse da queste. Al Vesuvio, agli Astroni ed in parecchi altri vulcani, i proietti metamorfosati si trovano nei tufi appartenenti alle prime eruzioni esplosive e segna- lanti il primo periodo eruttivo di quelle regioni, precedenti perciò alle eruzioni laviche e scoriacee, per esempio a quelle del Vesuvio » if t e del cratere centrale di Astroni. Concludendo, possiamo affermare che i metamorfismi delle roc- cie contigue ai graniti sono dovuti alla contiguità di questi, pos- siamo ritenere in via d’ipotesi molto verosimile che queste alte- i' razioni sieno originate per via idrotermale e per agenti minerà- ;j lizzatovi che ebbero regolata la loro azione dalla presenza dei già- ij niti. Ma raffermare che le alterazioni avvennero per effetto di una supposta eruzione dei graniti, è una ipotesi la quale, se pure avesse |i qualche indizio a suo favore, ne ha troppi altri in contrario; ^ale I' a dire, come tutte le consimili ipotesi scientifiche, ha tutte le prò- j| habilità contro di sè. 4“ La presenza di ghiaie di granito nelle roccie immediata- mente circostanti prova che il granito preesisteva alle roccie; ma ji la mancanza delle ghiaie non prova affatto che quello mancasse. i Le ghiaie si formano solo in circostanze particolarissime, nel caso ! di terreni emersi in terra ferma e ordinariamente adiacenti al mare. j Se le roccie non sovrincombono direttamente al mare, o non stanno j, a piccolissima profondità sotto di esso, e ben si vede che questi | debbono essere i casi di gran lunga più rari, queste roccie non j danno ghiaie. Sicché un terreno antichissimo o recente può coprire j il granito senza contenere ghiaie di questo. j 5° L’ indifferente sottoposizione poi del granito a tutte le sue- ; cessive roccie della scala sedimentaria proviene unicamente dalla antichità del medesimo ed è comune necessariamente a tutte le roccie antiche come esso o poco meno di esso, le quali dalla loro origine in poi hanno risentito lunghissime vicende e possono tro- varsi in contatto con ogni terreno delle età successive. I COME l’età dei graniti SI DEBBA DETERMINARE ECO. 83 Gl’istessi criteri che sono venuto esaminando e che a molti servono per determinare l’età dei graniti sono fondati sopra una ipotesi molto diffusa, che potrebbe anche essere verosimile, ma che intanto, essendo ben lungi dall’essere provata, non potrebbe essere presa come un fatto fondamentale vero, senza pericolo di cadere in gravi errori. Questa ipotesi è che i graniti sieno Laccoliti, vale a dire roccie plutoniche rimaste nell’ interno del suolo, emerse in età varie, anche recentissime. La prima idea di questi Laccoliti, fu che essi avessero fatto eruzione, espandendosi a guisa di focaccia in mezzo a terreni preesistenti, scegliendo le superfici di separa- zione fra uno strato e 1 altro, e spesso anche fra un piano geolo- gico e 1 altro. L assurdità di questa ipotesi, della quale niun’altra fra le ipotesi geologiche fù maggiormente contraria alle leggi della fisica, portò ad alcune modificazioni, supponendo ad esempio alcuni che i Laccoliti fossero penetrati negli strati anche rompendoli irregolarmente, o che fossero penetrati in cavità preesistenti, o che si trattasse puramente di masse appartenenti a strati alternati e trasformati in granito sul posto, e cosi via. Tutte queste ipotesi, pur evitando alcune delle più patenti assurdità dell’ipotesi pri- mitiva, oltre a cozzare contro difiìcoltà fisiche, hanno il grave di- fetto di essere ipotesi pure e semplici, stabilite per secondare idee di uno 0 di altro scienziato, ed in una quantità di casi fondate sopra interpretazioni errate e non scientifiche dei fatti. Di fronte a tutte queste nuove idee, l’ idea primitiva dei graniti originati per eruzioni plutoniche provenienti da profondità, formanti la parte più profonda e più interna delle masse montuose, producenti la sollevazione di queste, idea che, naturalmente, non accetto, è pure una idea più geniale, meno difforme dai fatti, e perciò, sebbene ora esclusa, avente una percentuale di probabilità maggiore della ipotesi delle Laccoliti e delle ipotesi affini. Senza procedere oltre basti dire che il migliore modo di de- teiminare 1 età del granito è questo : cioè il determinarla come si farebbe di tutt’altra roccia che non fosse il granito. So bene che oltre i graniti, che io ed altri riteniamo antichis- simi, ve ne sono in Italia, per esempio, di eocenici, perchè si trovano in mezzo a strati eocenici; così altrove ne possono essere di ogni altra età; ma 1 età loro recente dovrà determinarsi senza preconcetti nello stesso modo che fu determinata l’età del granito eocenico. 84 C. DE STEFA>I Passiamo ora ad esaminaro a proposito di alcuni lavoii recenti, che hanno attribuito ai nostri graniti età moderna, le tre regioni granitiche della Calabria meridionale, dell’Elba, della Cima d Asta nel Trentino. G-ranito e Diorite quarzifera della Calabria meridionale. Il De Lorenzo, che tanti servigi ha reso e tanti ne renderà alla geologia italiana, in uno scritto recente, ha sostenuto l’età non antica e l'origine eruttiva dei graniti di Calabria ( ). Io pren- derò in esame gli argomenti svolti da lui, considerandoli però come impersonali e come argomenti che, per avventura, chiunque altro avrebbe potuto proporre. Egli afferma che i detti graniti hanno aspetto massiccio, non stratificato, e che se vi è qualche apparenza di stratificazione, que- sta è locale e dovirta ad originaria fluidalità o a dinamometamor- fismo. Forse egli fu suggestionato dall’esame della carta geologica del Cortese (^j, nella qrrale il granito è rappresentato appunto come massiccio, cosa assai comoda per evitare minute osservazioni, ma secondo me non rispondente alla realtà. Come già ho detto altra volta (^), non è sempre facile a prima vista riconoscere 1 anda- mento dei banchi o strati dei graniti o di alcuni calcari, ma i cri- teri per riconoscerli esistono e chi studiò i graniti di Calabria,^ sino al Novarese, riconobbe la disposizione parallela degli elementi mi- cacei e degli altri elementi colorati, tale da dare ad essi il ca- rattere di gneiss, quantunque quel parallelismo sia stato magari spiegato in vari modi, e quantunque quel carattere gneissico, ben palese nelle masse in posto, non sia sempre riconoscibile al semplice esame di pezzetti posti nelle collezioni. Quella disposizione gneis- sica e gli altri caratteri, dirò cosi, stratigrafici, del granito di Ca- labria, non accennano certo menomamente ad una disposizione flui- di) De Lorenzo G., Studi di geologia nell' Appennino settentrionale (Atti R. Acc. di Se. fls. e nat. Voi. Vili, serie T, 2, 7, 1896): (2) Cortese G., Descrizione geologica della Calabria (R. Uff. geol. Me- morie descr. della Carta geol. d'Italia. 1895); Cortese, R. Uff. geol. Carta geologica d'Italia. Fogli 2.33, 241, 242, 245, 246, 247, 263, 264^ (3) De Stefani C., Jejo, Montalto e Capo Vaticano (Atti R. Acc. Lin- cei, 1884). COME l’età dei graniti SI DEBBA DETERMINARE ECC. 85 dale, e per quante irregolarità essi presentino, pure accennano ad un tutto coordinato ed armonico che sarebbe compito di uno stra- tigrafo il distinguere, quand’anche si trattasse di apparenze fallaci. È poi fuori del vero il De Lorenzo, quando ritiene che per dare apparenza gneissica e struttura scistosa, stratiforme, sia ne- cessario che « le miche si fendano in larghi strati membranosi, tra i « quali dovrebbero alternare straterelli sottili di materia feldspatica “ e di quarzo » (p. 14). Ninno chiamerebbe gneiss il granito del- l’Elba e del rimanente della Toscana, visto pure da più d’uno che lo chiamò granito, mentre chiamò gneiss la roccia di Calabria; ninno o pochi chiamerebbero gneiss la roccia di Cima d’Asta, ma chi vide il gneiss ed i graniti delle Alpi Occidentali, di Svezia, di Finlandia e d altrove, non esiterebbe, credo, a chiamare gneiss anche la roccia della Calabria meridionale od almeno a ricono- scere nella massima parte di essa una disposizione regolare a banchi. Però la differenza d’idea sulla stratificazione o meno del gra- nito 0 gneiss calabrese, non La importanza capitale nelle ipotesi che si possono fare sull’origine del granito, che può essere vulca- nico, anche avendo strati appariscenti e coordinati, e se si vuole non ha importanza capitale nemmeno per l’età relativa, che, nell’un caso 0 nell’altro, rimarrebbe sempre la stessa. Vediamo piuttosto i rapporti stratigrafici. Io, e prima di me altri, già abbiamo separato i gneiss o graniti biotitici del Capo Vaticano o Poro, di Cittanova e di Scilla, della regione occiden- tale insomma, da quelli della regione centrale ed orientale. I primi sono gneiss e graniti biotitici dei quali i più somiglianti, fuor di Calabria, non si trovano più nell’ Appennino fino a Savona ; sono identici ai gneiss ed ai graniti centrali delle Alpi occidentali e sono, secondo me, la roccia più antica della regione. Gli altri sono in realtà Dioriti quarzifere riccamente anfìbolicbe, simili o identiche alle Tonanti, e pur serbando chiare disposizioni a banchi, sono più intimamente legati coi Micaschisti e cogli schisti cristallini antichi, e probabilmente appartengono ad età più recente. Il De Lorenzo unisce gli uni e gli altri come graniti più re- centi delle roccie circostanti, ed ecco veramente una differenza es- senziale fra il modo di vedere suo ed il mio. Il De Lorenzo ammette che la serie delle roccie pretriassiche di Calabria sia la seguente cominciando dal basso: 1. Filladi; C. DE STEFA^■I 86 2. Micaschisti; 3. Gneiss; 4. Le masse granitiche in discussione. || Succede il Trias; anzi nella Calabria meridionale succede diretta- mente il Titonico. Anche in siffatte affermazioni, come in quelle pre- cedenti, il De Lorenzo accetta, salvo lievi cambiamenti di nome, le idee rappresentate nella carta pubblicata dal Comitato geologico. Invece la serie delle roccie antiche calabresi ammessa da me, salvo i soliti lievi cambiamenti di nome, è proprio completamente inversa a quella del De Lorenzo essendo che le sue roccie cui ho dato i n. 1, 2, 3, 4, si succedano invece, secondo me^ con ordine com- pletamente invertito, cominciando dal suo n. 4 la più antica. Se la contestazione sull’ età si riducesse ad una sola o a due di quelle roccie, per avventura solo ai graniti, credo che pur nel- r avvenire potrebbero restare varie incertezze e dubbi giavi, ma la inversione completa della serie secondo i due sistemi, mi fa credere che i successivi osservatori spassionati potranno decidere la questione in modo sicuro, secondo un sistema o secondo 1 altro. Secondo il sistema del De Lorenzo che pone i graniti come roccia più recente, le filladi come roccia più antica, si verifiche- , rebbe in Calabria questo fatto, che quanto più una roccia è cri- stallina, quanto più è alterata, quante meno traccio di sedimen- . tazione porta seco, tanto più è recente; quanto meno è alterata, quanto più distintamente stratificata, quanto più chiare contiene traccio di organismi tanto più è antica. Infatti se le filladi di De Lorenzo furono da me poste in età . i meno antica fu non solo per la disposizione stratigrafica ma per ^ la poca alterazione, e per la sovrabbondanza di materia carboniosa | . che ne fa vere grafiti o grafititi, niente dissimili da quelle che si trovano anche nel permiano e nel carbonifero del monte Pisano, in li Toscana. Il Cortese, almeno, sottrae alla zona delle filladi una parte i ; inferiore degli strati meno o punto carboniosi, facendone, insieme j . a qualche altro strato, una zona che ei chiama di gneiss e mica- j scisti fondamentali, da non confondersi con quella zona di anfiboliti e ^ micascisti che io ritengo succedere immediatamente al granito o gneiss \ " fondamentale. D’altra parte il Cortese stesso, per non trovarsi co- j stretto a ringiovanire quelle sue Filladi fondamentali, nega fede j al ritrovamento d’un trilobite devoniano nelle Filladi presso Paz- i zano. Il De Lorenzo invece, molto più avvedutamente, ammette il | ritrovamento di quel trilobite, accetta 1 eventuale attribuzione al ^ I COME l’età dei graniti SI DEBBA DETERMINARE ECC. 87 devoniano di tutte le filladi fondamentali, e le roccie eli’ egli ri- tiene superiori, sino al granito, crede possano distribuirsi ne’vari piani del Carbonifero. Si può osservare che in tutto l’ Appennino toscano, in tutte le Alpi orientali, nell’Arcipelago toscano, in Corsica e in Sardegna, ove sono rappresentati tutti i piani paleozoici, se in questi piani si manifestano de’ gneiss microcristallini ed altri scisti alquanto cristallini, non vi ha traccia di roccie simili a quelle di Calabria che il De Lorenzo attribuisce al paleozoico superiore, le quali in- vece si trovano, senza differenze, nei terreni prepaleozoici delle isole e delle Alpi stesse. Il De Lorenzo, poi, mentre ritiene equivalenti ad una facies di Flysch le filladi, chiama tufi vulcanici gli gneiss, i micaschisti e gli altri schisti cristallini, sovrastanti secondo lui, sottostanti secondo me. L’idea che le filladi equivalgano ad un Flysch, fra parentesi, non mi pare accettabile : le facies di Flysch, checché si dica, sono facies di mare profondo, e nelle medesime non s’incontrano quelle traccie carboniose che sono cosi diffuse nelle Filladi. Quanto al supporre che siano tufi vulcanici i micaschisti e gli schisti cristallini, trattandosi di roccie così antiche, l’ ipotesi può mettersi fra le possibili, con che però si riconosca che quelle roccie hanno risentito, dalla loro formazione in poi, metamorfismi oltremodo intensi, sebbene il De Lorenzo li escluda solo perchè ammettendoli, e ben a ragione lo dice, riuscirebbe n inesplicabile come questo di- « namometamorfismo avrebbe poi lasciato inalterati i soprastanti “ (così egli dice) graniti e le sottostanti (secondo lui) filladi pro- li ducendo solo in essi delle lievi e locali trasformazioni » (p. 38). Certo è che niun tufo vulcanico sicuramente riconoscibile come tale e non alterato ha quei caratteri cristallini degli gneiss e dei mi- caschisti calabresi. Il De Lorenzo, poi, dopo emessa l’idea che questi schisti cristallini sieno tufi vulcanici, sostiene, come dicevo, che la roccia vulcanica madre, cioè il granito, sta sopra, e paragona quelle roccie ai tufi dei Campi Flegrei. Però ne’ Campi Flegrei le roccie vulcaniche accompagnano i tufi, e quando la roccia vulcanica non accompagna i tufi, suol precederli, non tener loro dietro, come sa- rebbe secondo le idee applicate dal De Lorenzo in Calabria. Ma se proprio i graniti calabresi fossero una roccia vulcanica d’età carbonifera, fossero subaerei o sottomarini, si presenterebbero 88 C. DE STEFANI assai diversamente ; cioè con aspetto stratigrafìco e topografico diverso, con numerose e variate alternanze di sedimenti marini coevi, non alterati, cosa che certamente non si verifica. Le roccie eruttive del paleozoico di Sardegna e delle Alpi orientali si pre- sentano ben diversamente dai graniti o Qiiem che siano di Cala- bria. Inoltre, se proprio i graniti fossero una roccia vulcanica car- bonifera, ricoprente antiche roccie calabresi, sarebbe veramente singolare che non fosse rimasta traccia delle altre roccie che a loro volta avrebbero dovuto ricoprirli con strati ed in modi che la stra- tigrafia non ci palesa. Il De Lorenzo afferma che « manca qualsiasi argomento di fatto « che dimostri la sovrapposizione delle masse scistose alle grani- « tiche ” (p. 33), e che è « quasi costante e generale la sottoposi- « zione degli schisti filladici ai micacei e ai gneissici e di tutta « la serie schistosa alle masse granitiche * (p. 35). Questa affermazione mi sembra non esatta. È vero che il De Lorenzo fa già la distinzione « di qualche sottil lembo scistoso posteriore » al granito (p. 38), senza però fer- marsi a discorrere di tale cosa che dovrebbe essere, anche secondo lui COSI importante, lo non parlo che dei gneiss o graniti della Calabria meridionale ; ma intanto per questi il Cortese dà alcuni spaccati, i quali tutti, e sono quelli coi numeri 11, 12, 13, se vogliamo ad onta delle sue affermazioni teoriche (■), mostrano i graniti sotto la sua zona, secondo lui la più antica, delle filladi, cioè sotto le filladi di Pazzano lungo lo Stilaro (fig. 11), cosa che credo possa essere facilmente verificata da tutti, sotto le filladi di Mammola (fig. 12) e sotto le filladi del San Jejunio (fig. 13). Io mi scosto dal Cortese in questo, che attribuisco ai graniti, cioè agli gneisSj una pendenza, coerente, nei casi predetti, a quella delle roccie sovrastanti. Non ripeterò le parole con le quali affermavo nel mio lavoro sulla Calabria, dandone ripetute indicazioni, la sottoposizione del granito o gneiss antico a tutte le altre roccie ; riprodurrò invece vari spaccati fatti da me in quel tempo, i quali, per cagioni di economia, non trovarono posto nella pubblicazione d' allora. P) Descr. geol. della Calahria. 89 COME l’età dei graniti SI DEBBA DETERMINARE ECO. Nello spaccato 1 la Tonalite dei colli di Gasperina sta sotto ai micaschisti, anfiboloscisti, e gneiss granatiferi della Serra. Nella fìg. 2 le Tonaliti dei colli a mezzogiorno di Satriano e Argusto, che mi sembrarono pendere contro il mar Jonio, si di- rigono sotto gli schisti cristallini di Chiarayalle e Monterosso. Per questi due spaccati la distinzione delle roccie fatta dal Cortese con- corda con la mia. Nello spaccato 3, il granito tonalitico di Serra San Brìi 'o e Simbario, con strati pendenti circa ad ovest, sta sotto ai mica- scisti e gneiss granitiferi di Pazzano uniti dal Cortese alla tonalite in un solo colore. Nello spaccato 4, il granito, in molta parte tonalitico, di Serra San Bruno sta a levante sotto le filladi di Pazzano, come anche lo pone il Cortese, a ponente sta sotto agli schisti cristallini dei colli di Caridà uniti dal Cortese al granito. Nello spaccato 5, i gneiss antichi o graniti di Bagnara e Sino- poli, pendenti contro il Tirreno, scendono sotto gli schisti cristal- lini di Monte Scardo ; il Cortese, che secondo me separa inoppor- tunamente cotali roccie da altre affatto identiche, le attribuisce tutte alla sua zona degli gneiss e micascisti fondamentali. I miei spaccati valgono gli altri, e potranno introdurvisi per- fezionamenti e spostamenti, ma rispondono al fatto osservato e riprodotto anche negli spaccati del Cortese, della sottoposizione dei graniti ad ogni altra roccia, e non si comprende come il De Lorenzo abbia affermato che manca qualsiasi argomento di fatto che dimostri quella sottoposizione. II De Lorenzo dice che « le filladi nei valloni di Maida e « di lacurso, i micaschisti, gli gneiss, inclinando in massa e co- « stantemente a sud vanno a mettersi sotto la grande massa « granitica della Serra e della regione 'del Poro » (p. 35). Il De Lorenzo allude alle filladi indicate con quella pendenza, uno dei pochi luoghi a pendenze segnate, nella carta del Cortese, pendenza che, se non m’ inganno, trovasi già accennata da autori antecedenti. Quelle pendenze, invertite o regolari che siano, non alterano la normalità dei rapporti del granito o gneiss antico. Il gneiss antico del Poro e la tonalite della Serra sono lontanissimi dalle filladi dei luoghi che De Lorenzo accenna, le quali filladi, o meglio i cui più antichi e più lontani schisti cristallini, certamente, da 90 C. DE STEFANI una parte si sovrappongono alla Tonalite delle pendici jonie della Serra, come risulta anche dagli spaccati del Cortese, mentre dal- l’altra parte gli schisti cristallini di Monteleone (‘) e del Pizzo si sovrappongono al granito o gneiss antico del Poro. Vi sono è vero, alcune pendenze, e già le notai nei passati lavori, contrarie a quelle indicate fin qui e sulle quali il De Lo- renzo potrebbe fondarsi. Il Suess ritenne in addietro che il granito o gneiss antico dei monti circondanti la Piana, da lui pure ritenuto essere roccia fondamentale più antica di ogni altra, insieme con gli schisti cri- stallini sovrastanti, pendessero a levante, rimanendo così interrotti sul versante Tirreno, e su tale supposizione fondò certe sue teoriche (^). 10 affermai che anzi gli strati, in quella regione, pendono all in- contrario, cioè verso ponente e che il granito dei monti di Citta- nova sta sopra gli schisti cristallini, e questi sopra le filladi carboniose più recenti (^). Presento ora due relativi spaccati (fig. 6, 7). Si noti che le tre altre serie di roccie distinguibili in quella regione, nella carta del Cortese sono tutte unite nella sua serie dei graniti. Ritengo che un poco più a settentrione, verso Laureana, oltre al lembo orientale, compaia anche il lembo occidentale degli schisti cristallini, sovrapposto questo, per conseguenza al rovesciato granito. Siccome poi l’ inversione delle roccie si estende per un certo tratto che non ho determinato, così sospetto che lo spaccato n. 12 del Cortese (L. c.) nel quale, coerentemente agli altri suoi, 11 granito del monte della Limna è figurato sottostante agli schisti (1) In qualcuno de’ suoi lavori il Neviani, parlando dei filoni di Silli- manite negli schisti cristallini delle vicinanze di Monteleone, dice che fu- rono trovati dal prof. Pignatari. In realtà fui io che in una escursione in- sieme fatta indicai al Pignatari resistenza e il nome del minerale. La pro- venienza della Sillimanite con la quale eran fatti gli strumenti preistorici, scoperti poco prima dal Lovisato nella Calabria settentrionale, era fin allora sconosciuta. (2) E. Suess, Die Erdbeben des sùdlicken Italien (K. K. Akad. d. Wis- sensch. Wien 1874), V. tavola. Burgerstein und Noè, Geologiche Beobachtungen im sùdlichenCalabrien (Sitzungsb. d. K. Akad. d. Wiss., Bd. LXXXI, Wien, 1880, V tavola). (3) lejo, Montalto e Capo Val.; p. 285. COME l’età dei graniti SI DEBBA DETERMINARE ECC 91 dei colli di Mammola, possa essere inesatto, e che le pendenze vi debbano essere invertite. Posso aggiungere che nel versante Ionio verso Agnana e Ge- race si manifestano due piccole masse di granito, anzi di gneiss antico, a strati, checché si dica, visibili, pendenti regolarmente a levante insieme con alcuni pochi schisti cristallini sovrastanti, e pendenti perciò al contrario dei graniti di Cittanova, forse anche pendenti al di sopra delle filladi e rovesciati quindi in parte pur essi, ciò che non si può ben precisare essendo nascosto per un certo tratto il sttosuolo intercedente tra filladi e granito. Nell’ in- sieme l’andamento delle stratificazioni di quei luoghi riproduce la figura di una doppia piega (fig. 6, 7), come alcuni direbbero, cioè di due pieghe convesse, contrastanti fra loro, rovesciate l’una contro l’altra e pendenti all’esterno. In qualunque modo s’ intenda la stratigrafia di quelle regioni, bisogna ammettere che l’esistenza di pieghe rovesciate in quei ter- reni antichi sia cosa non ipotetica ma reale. Il De Lorenzo afferma che pei graniti dell’Aspromonte non « è sicuramente dimostrabile una disposizione a pieghe, siano esse “ normali, che rovesciate (p. 35), quantunque poi egli parli di « possenti corrugamenti orogenici a cui le roccie andarono sog- « gotte » (p. 42). Sarebbe veramente ben singolare che data una serie di pendenze supposte regolari in una regione montuosa antica, per quanto semplice, non si trovassero pendenze inverse; e sa- rebbe pur singolare che là dove si ha una lunga e quasi continua inversione di strati eocenici sovrapposti al miocene, come nelle pendici jonie, ivi non si manifestassero pieghe ed inversioni nelle roccie antiche. Quanto più una roccia è antica, tanto più fu sog- getta a ripiegamenti ed a perturbamenti infiniti, ed io sono per- suaso che gli strati più o meno cristallini della Calabria siano compressi e sconturbati assai più che non s’ immagini, quantunque le carte esistenti, le quali non danno nemmeno l’ indizio di una disposizione a banchi o a strati nella maggior parte delle roccie, non siano atte nemmeno a farci venire l’ idea di ciò. La disposizione degli strati che io ho indicata giustifica la mia idea della distribuzione delle roccie antiche della Calabria meridionale e del Messinese in tre grandi pieghe convesse, o mas- sicci, 0 zone, che io chiamai altra volta ellissoidi in senso geologico. C. DE STEFANI 92 s’ intende, non in senso prettamente matematico. Questa idea, natu- ralmente, non può essere approvata dal De Lorenzo, ma infine essa può risultare dal solo esame di una carta geologica, poiché le roccie antiche dei Monti Peloritani sono separate dalle roccie antiche deir Aspromonte mediante terreni pretriassici, più recenti; come le roccie antiche dell’ Aspromonte sono separate da quelle del Poro 0 Capo Vaticano mediante schisti cristallini dei Monti di Jonadi, Filandari e Laureana, ciò che per vero dire non risulta dalla carta del Cortese, il quale li riunisce tutti al granito. Ho detto che l’ istmo di Catanzaro, lo stretto di Messina, la valle del Mesima rispondono a sinclinali ; qualora si credesse che tale parola implicasse una idea di soverchia regolarità, si sosti- tuisca la parola introdotta nella scienza dopo il mio succitato lavoro, di piega cornava. L’esistenza di questa non esclude naturalmente le complicazioni, le inversioni e le compressioni degli strati, nè le alterazioni e corrosioni d’ogni genere sopravvenute in terreni così antichi e dopo la manifestazione dei massicci, o zone o ellissoidi che tuttora si vedono. Esistono poi dei filoni di granito (non di gneh£) i quali tra- versano non solo gli gneiss antichi o granito biotitico, ma anche i micaschisti e gli altri schisti cristallini adiacenti ai gneiss predetti, e talora anche le filladi, e sono perciò sicuramente più recenti di tutte queste roccie. Essi, come già altrove ho detto, diversificano dal granito o gneiss biotitico, oltre che per la grossa cristallizzazione dei componenti, per la Tormalina e per la Mica Lepidolite, atte- stanti reazioni pneumatolitiche od agenti mineralizzatoli sopra le materie previamente costituenti il granito o gneiss. Di questi filoni, che chiama eruttivi, a comprovare l’origine eruttiva del granito o gneiss antico, il De Lorenzo dice che « sono tt anastomizzati in basso e si ramificano verso 1 alto, disposizione « non possibile se le zone schistose rappresentassero i lembi infe- ti riori di pieghe rovesciate, perchè in questo caso le iniezioni ano- n gene rassomiglierebbero a un gruppo di radici " (p. 36). Di questi filoni che sono spesso intrecciati fra loro, ben di rado « ramificati » a uso alberi, e così lunghi da non vedersi il principio e la fine, io non potrei affermare la stessa cosa che af- ferma il De Lorenzo, nè una cosa diversa. Essi partono dal granito e nelle vicinanze del granito ; supposte le circostanze come le pone COME l’età dei graniti SI DEBBA DETERMINARE ECC. 93 il De Lorenzo, e supposto il granito essere la roccia più recente, converrebbe pur supporre che i detti filoni provenienti da profon- dità coi rami in alto e le radici in basso, prevalessero in basso e raramente e sottilmente giungessero in alto, cioè vicino al granito ; sarebbero in altre parole più frequenti lontano che vicino a que- sto ; di ciò non convengo affatto. Inoltre, se si chiama vulcanico il granito, l’ammettere che da questo o in rispondenza a questo si diramino filoncelli o vene, sarà cosa possibile, ma non è cosa che ordinariamente si verifichi nelle infinite correnti di roccie vulcaniche le quali si vedono per ogni dove. Altri, cioè chi vuole il granito plutonico e laccolitico, non già vulcanico, supporrà che i detti filoni granitici sieno diramazioni direttamente provenienti dal nostro granito a profondità, ma chi ammettesse tale supposizione contrasterebbe subito le ipotesi e le idee stratigrafiche del De Lorenzo. A contraddire però anche que- st’ultima supposizione stanno i fatti già da noi esaminati. Secondo me i filoni granitici che traversano e lo gneiss e le altre roccie più recenti sono secrezioni molto recenti, per avventura anche attuali o quasi, avvenute pel verificarsi di speciali circostanze e per via idrica. Obietta il De Lorenzo che se tale fosse l’origine dei filoni, si vedrebbero silicati idrati, carbonati ed altri minerali originati da soluzioni acquose (p. 12). Non fa bisogno osservare che tali fatti si verificherebbero nel caso di azioni idriche superficiali e quasi esterne. Acque interne ad alta temperatura ed a pressione producono altri risultati. Quanto alla possibilità di una origine idrica 0 per agenti mineralizzatoli, o, come altri direbbe, per cause pneu- matolitiche, di ciascuno dei componenti quei filoni, credo che niun litologo 0 mineralogista sarebbe disposto a negarla, nemmeno fra quelli che danno al granito una origine laccolitica. A comprovare l’origine eruttiva del granito o gneiss, il De Lo- renzo cita pure gl’ inclusi, cioè « i frammenti angolosi e appiattiti ) E. V. Matteucci, Le roccie porfiriche dell'isola d'Elba (Boll, della Soc. geol. it., Voi. XVI, 1897, p. 101). 112 C. DE STEFANI 3° Ghiaie di granito non furono indicate finora in alcuno dei terreni dell’ Elba ; però se ne trovano in terreni anteriori ai sedi- menti ed ai porfidi dell’eocene superiore. Trovansi ghiaie quarzose del diametro talora alquanto superiore ad un centimetro, conte- nenti pure qualche feldspato insieme a laminette diffuse, forse anche autigene, di mica, nei terreni devoniani al Malpasso, a Ri- pahianca ed in qualche altro punto nel territorio di Rio. È probabile assai, quantunque non sicurissimo, che tali ghiaie provengano dai graniti, i quali perciò sarebbero stati allo scoperto già nel Devoniano. Chi è pratico dei littorali marini sa che le ghiaie non traversano profondità anche poco ragguardevoli ; perciò, a meno si tratti di una spiaggia bassa, non passano nemmeno a luoghi vici- nissimi. Perciò, come già dissi in principio, la mancanza di ghiaie d’un terreno non implica la mancanza di questo terreno. All’isola d’Elba per esempio, sulla spiaggia delle Ghiaie a Portoferraio, sur una lunghezza di 500 m. si passa dalle pendici di eurite o aplite candidissimo alle pendici del nerissimo diabase; le ghiaie bian- chissime, note a chiunque visita l’Elba, formano la spiaggia delle Ghiaie, spinte dai maestrali ad Est dell’ eurite, ma non passano 50 m. più oltre al di là della punta successiva; qualche rarissima ghiara nera spinta dalle rare traversìe di grecale, forse circa 1’ 1 per 10 mila si trova fra le ghiaie bianche delle Ghiaie ; ma coi ciottoli neri diabasici più a levante si troverà forse 1’ 1 per 20 mila di ciottoli bianchi. Inoltre i graniti, gli gneiss, i micaschisti sfacendosi ed i frammenti loro ruzzolando a lungo in balìa dei fiumi 0 del mare perdono le miche ed i feldspati mentre rimane il solo quarzo. Sulle spiagge settentrionali della Corsica, al piede delle col- line gneissiche, ho veduto per lunghissimo tratto solo ghiaie d’ogni dimensione di puro quarzo provenienti dallo sfacimento del gneiss. Ecco come le ghiaie dei dintorni di Rio, sebbene quasi solo quar- zose possano provenire dallo sfacimento del granito. Però all’Isolotto dei Topi, nelle arenarie quasi certamente eoceniche, sottostanti al calcare nummulitico, si trovano ghiaie di granito ; e ghiaie assai grosse, indubbiamente di granito e di mi- caschisti, insieme con lamine sparse di mica e con frammenti e ghiaiette formate a spese di cristalli d’ortose trovansi nello scoglio della Corbella presso i Gemini, il quale non credo sia formato da conglomerato quaternario, come crede il Lotti, ma di puddinga e I COME l’età dei graniti SI DEBBA DETERMINARE ECC. 113 I di arenaria dell’eocene medio anteriore ai sedimenti ed ai porfidi delleocene superiore, come ritenne il Cocchi. L’essere ivi le ghiaie granitiche abbastanza grosse mostra appunto che i graniti non erano lontani. La mancanza di granito tormalinifero potrebbe mostrare che le azioni pneumatolitiche originanti la tormalina non s’erano I ancora manifestate; certo però i graniti preesistevano anterior- ; mente a tutti i porfidi, a tutte le eruzioni basiche, a tutti i filoni i granitici, a tutti i metamorfismi delle roccie dell’eocene superiore j che si sono manifestati poi. Ciò prova ad esuberanza, una volta di più, 1 indipendenza di quei fenomeni che i geologi attribuivano I un tempo ad una causa unica. I In luoghi assai più lontani trovansi ghiaie granitiche assai grosse I anche nelle arenarie dell’eocene medio di Mosciano presso Firenze i e della Montagna Reggiana, e più piccole assai in tutte le arenarie i appenniniche. I Ed ora passiamo ad un sommario esame d’una ultima regione, I cioè alla Cima d’Asta nel Trentino. , Di questa parlo a titolo di paragone avendovi fatto una sola ! escm-sione nell’agosto 1897, quantunque conosca abbastanza alcune I delle regioni adiacenti. : Lunga serie di geologi ha parlato del granito di Cima d’Asta, ed il Salomon, recentemente, ha rivestito di nuova forma e portati argo- I menti ad appoggiare l’origine eruttiva, laccolitica, non antichissima, [ di quel granito. Il Salomon ed altri aifermano solo che il granito è ! anteriore alla così detta faglia posteocenica della Val Sugana (*). ' Principali argomenti a sostenere siffatta origine di quel gra- I nito furono la mancanza di ghiaie derivanti dal medesimo nei I conglomerati e negli altri terreni vicini. Però recentemente Krafft mostrò che ghiaie di granito si trovano nei prossimi terreni del i Verrucano, che perciò il granito è anteriore al permiano, sebbene ; a sua volta il Salomon abbia messo in dubbio questo fatto. ; Il Salomon ha illustrato i metamorfismi che si manifestano in certi punti di contatto fra il granito e gli schisti vicini, ed i filoni granitici che dal primo si diramano talora nei secondi ; però già nei paragrafi antecedenti abbiamo ridotto quest’ argomento al suo giusto valore. (1) Salomon, 1. c., p. 86 e seg. 8 114 C. DE STEFANI Finalmeiite Targomento principale per sostenere l’età non antica del granito è la sua posizione stratigrafica apparentemente superiore agli scliisti lungo tutto il confine meiidionale della massa primitiva prospiciente la Val Sugana, mentre lungo il confine set- tentrionale il granito si immerge sotto ai medesimi scliisti Ri- tennero altri che la sovrapposizione del granito agli schisti nel lato meridionale fosse soltanto apparente e dovuta ad inversione ed a rovesciamento del primo sui secondi. Per quel poco che ho visto questa è l’opinione mia. Il granito della Cima d’Asta forma una rilevata ed alta cima riunita ad altre meno ripide pendici verso settentrione, scendente invece ripida e quasi improvvisa a mezzogiorno : perciò nell’ in- sieme le circostanze, meglio di qualsiasi altro luogo, portano la necessaria conseguenza di un parziale ribaltamento degli strati più interni e più antichi al di sopra di quelli più recenti, lungo le pendici sugane, come infatti si verifica. Se questo ribaltamento non si verificasse converrebbe ammet- tere che fra la Cima d’Asta e la valle del Brenta fosse un anti- clinale con vicenda perciò di medesime roccie, cosa che non si verifica. Scendendo invece dalla Cima d’Asta alla sinistra del Brenta, poi pure passando sulla destra s’ incontrano scisti più o meno cri- stallini e si passa a terreni sempre più recenti, che ripigliano presto la regolare pendenza sovrastante al granito, finché si giunge al trias, al lias, alla creta, all’eocene del Feltrino e del Vicentino. Si aggiunga che i terreni del versante meridionale di Cima d’Asta sono poi uguali a quelli del versante settentrionale sup- posti sovrastanti al granito. In conclusione dunque il granito di Cima d’Asta forma un massiccio, una ellissoide più o meno irregolare, che è il centro di tutti i terreni successivi. Questi terreni solo apparentemente sot- tostanti al granito in alcuni punti per parziali inversioni sono tutti più recenti del granito stesso e regolarmente si succedono fino ai terreni terziari del Vicentino e fino alle roccie terziarie della Val Sugana, depositate secondo me in un sinclinale in certi tratti, per esempio presso Borgo, profondissimo, nel quale successivamente, fin dal Pliocene le acque si scavarono facile corso ; non già in terreni sprofondati come si ritiene, perchè in tanti e tanti tratti del suo (De Stefani) Tav. I c: Qì E SE Fig. 8 Sotto pogtjio Acco/la su! Bova/ico ■ì i Boll. Soc. Geol.it. Voi. XVIII Tav. lY, (De Stefani) Tav. W o6 ? esmqQ endp oue/j' O BAOuepiJ 1 ri 1 COME L ETÀ DEI GRANITI SI DEBBA DETERMINARE ECC. 115 percoiso gli strati a sinistra dalla Val Sugana sono in diretta con- tinuazione di quelli della sinistra. A non grandi lontananze sono delle roccie veramente eruttive nel permiano di tutto il Tirolo, nel trias dei dintorni di Recoaro ed altiove, ma queste roccie la cui età si può ben determinare si comportano diversamente da quei graniti e dalle altre roccie così dette plutoniche la cui età si pretende determinare con criteri basati puramente sopra ipotesi o sopra supposizioni contrariate dai fatti. Io non ho preso in esame i graniti delle Alpi occidentali che conosco meno, nè quelli di Corsica e di Sardegna che ho visto più volte , ma a questi ultimi almeno applico le deduzioni che ho ricavato dallo studio dei graniti di Calabria, di Sicilia e di To- scana e li ritengo tutti costituenti il terreno più antico della no- stra penisola. Questa è la conclusione che mi pare stratigraficamente più fondata. Non sono entrato ad esaminare se questi graniti possono essere sedimentari, metamorfici, vulcanici, o magari anche pluto- nici, ma antichissimi, perchè con queste ricerche si entrerebbe in un campo d idee, secondo me, veramente ipotetico, e nel quale ora non voglio entrare. UNA NUOVA SPECIE DI RINOCERONTI FOSSILE IN ITALIA? Studio del dott. Alessandro Portis. \ '■f» (,T avola ii i li I Rinoceronti giovane-pliocenici, ‘come pure diluviali, di Eu- j ropa si serrano notoriamente, secondo le conoscenze finora acquisite, a tutte al cosidetto tipo africano, cioè al tipo con affatto atrofizzati \ denti incisivi, i quali — soventi anche affatto abortendo appena • oltrepassano la gengiva: Rh. etruscus Falc., megarhinus Crist., hemi- \ toechusY^la. ( = Merchi Jaeg. = leptorhinus Owen) e tichorhinus Fisch. ( = antiquitatn Blumb.). Con queste concordano anche tutte le altre osservazioni che io potei eseguire nei diversi musei italiani sopra questa parte della mandibola. Solo nel nominato Museo a Roma trovasi, presso una bella metà mandibolare dal quaternario del Valdicbiana di costituzione normale, ancora un' altra abbastanza ben conservata, la quale però mostra uno straordinariamente grande incisivo. Lo spazio tra questo e la sinfisi pare essere stato cosi piccolo, che appena ancor uno dei piccoli incisivi interni deve avervi trovato posto. Per questo straordinario sviluppo degli inci- sivi si stringe quindi questo fossile in rimarchevole guisa ad un gruppo di rinoceronti che noi oggi e già nel terziario (AA. palae- indicus Pale. a. Cauti., platyrhinus Falc. a. Cauti.), secondo le nostre odierne conoscenze vediamo a casa loro soltanto nella re gione indica. « Farmi questo, come accennato, sia un nuovo indizio che 1 oc- cupazione con adattamento dell’ Europa nel pliocene e diluvio sia avvenuta principalissimamente dall’ Oriente ; ed una invasione am- messa dal Sud perde sempre più di verosimiglianza » . Il tratto che precede ho io, quanto più potei letteralmente, tradotto da pag. 81-82 del voi. XXXIX, anno 1889, del Jahrbuch A. PORTIS, UNA NUOVA SPECIE DI RINOCERONTI ECC. 117 der K. K. Geoio gischen Reichsanstalt, dove esso serve di chiusa al lavoro del Weithofer A., Ueber die tertiàren Landsàugethiere Italiem, nach Reisenotizen (pag. 53-82). Ed a questo tratto ac- cenna il Weithofer stesso a pag. 239 (133) del suo susseguente lavoro: Die Fossilen Proboscidien des Arnothales in Toskana allorquando scrive: « che in Europa centrale la fauna di steppa accenni dichiaratissimamente all’Asia è generalmente cognito. La specie significante pel più vecchio quaternario, l’ Elephas antiquus, è il più prossimo parente dell’ indiano Elephas namadicus, altret- tanto come mi riuscì ultimamente di dimostrare l’ avanzo di un unicorne Rhinoceros nella Collezione Universitaria di Roma ". I due passi tradotti dal Weithofer datano, come si vede, dal 1889 e dal 1890, ed io ebbi da quel tempo frequentemente sotto gli occhi il pezzo cui detti passi si riferiscono e che, ad onor del vero, trascurai sempre un po’ troppo in causa di una molto spinta restaurazione che ne alterava notevolmente forma e caratteri ap- parenti e dava 1’ adito alla ipotesi non nascondesse una qualche soperchieria simile a quella di cui trovai e riconobbi casi sul vecchio materiale del Museo Geologico Universitario di Roma. Comunque, io trovai e conservai a lungo in Museo la mezza mandibola in questione : essa stava materialmente, come ben disse il Weithofer, accanto ad altra mezza mandibola rinocerontina pro- veniente dalla Valdichiana (acquistata dal Museo nel dicembre 1886), ma apparteneva alle nostre collezioni da assai più anni e portava incollata sopra alla sua faccia interna (è un ramo destro) un bi- I gliettino con sopravi stampato il n. 19, poi, una di quelle etichette j che il mio predecessore prof. Ponzi fece rinnovare sulla maggior parte dei pezzi vistosi dopo l’alluvione del 1870 e sulla quale sta j manoscritta la seguente indicazione: « Rhinoceros leptorhinus, ; Cuv. — Porzione di mandibola inferiore destra con l’incisivo, I 2° e 3“ premolare, e 1° e 2° molare — Ponzi * . Quando, per quel lavoro che dirò in seguito, dovetti levare questa etichetta vi trovai sotto, totalmente copertone, un altro bigliettino simile a quello di cui ho prima fatto cenno ma recante stampato anziché il n. 19 (*) Beitràge zur Palaeontologie Oesterreichs, Ungarns und des Orients, herausgeg. v. E. v. Muisisovics und M. Neumayr. Band Vili, 1890, 4. Wien. Pag. 101-240 (1-134), Taf. I-XV. 118 A. PORTIS il solo numero 23 nello stesso carattere. Finalmente quest’osso era dal 1895 stato munito di un quarto biglietto, una mia eti- chetta provvisoria redatta nei termini seguenti: « Portis, 5 gen- naio 1895. — Probabilmente è invece il Rh. {Aceratherium) in- cisivum Cuv. sp., Sabbie dell’Orleanese, oppure Y Ac. Simorrense di Simorre, oppure YA. Goldfussi di Eppelsheim ». Con questa provvisoria scritta venivo quindi a disconoscere alquanto la deter- minazione specifica accennata nella etichetta precedente ed accen- navo alla necessità di esaminare un po’ meglio il pezzo e magari di rintracciarne la provenienza da giacimenti assai diversi e magari assai più antichi che non fosse quello cui aveva adombrato, sia pur fuggevolmente, il Weithofer. Ma lo studio che vedevo necessario pel pezzo mi pareva, d’altro lato, assai difficile ed ingrato, poiché 1’ esemplare era in apparenza tanto malamente ristaurato e, per una porzione notevole sopratutto delle sue faccie esterna e superiore, tanto completamente impiastrato da un deposito continuo e potente di colla impastata con sabbia e minuzzoli di paglia; che io arrivai a temere di non riescire ad allontanare porzione sufficiente di questo particolare cemento da poter arrivare al fossile almeno nelle sue parti caratte- ristiche senza vedermelo cadere in frantumi, ed in frantumi tanto discordi fra loro da doverne poi attribuire gli uni ad ippopotamo ed altri a rinoceronte. Considerato infine che meglio valeva anche sacrificare un esemplare imperfetto od artifiziato che persistere in un errore, mi decisi ad affrontare il pericolo di vederlo andare a male ; mi decisi a scrostarlo alquanto attaccandolo dalla ristretta sua faccia supe- riore fra il grosso incisivo che vedevo così malamente riconnesso alle restanti parti ed i molari e di discendere dopo incontrato il bordo alveolare sulla faccia esterna dell’osso eventualmente repe- ribile fino a quando potessi ottenere una idea ed una effettiva sicurezza sulla originale forma del fossile e sui rapporti dell’osso coi diversi denti che vi vedevo sovrapposti. Demolii accuratamente, col solo ago da preparazione, la crosta artificiale, forte in alcuni punti oltre un centimetro e mezzo; e poi: locali grossi grumi di una roccia formatasi durante il processo di fossilizzazione in aderenza al fossile e constante di minuti grani silicei cementati da materiale siliceo limonitico, e riuscii così, pur UNA NUOTA SPECIE DI RINOCERONTI ECC. 119 mantenendo issato sulla estremità della sinfisi quel grosso inci- sivo, che mi pareva tanto strano, a scoprire e mettere in evidenza tutto il margine superiore della mandibola da quel dente al primo molare precedentemente constatabile; e poi a discender dal bordo fino a metà altezza circa della mandibola sulla faccia esterna a contatto con osso in posto ; riuscii a constatare che a questo punto esso aveva, per cause agenti durante la macerazione, subita una profonda lacerazione longitudinale con sfondamento o salto di una regione (la superiore) per rispetto all’ altra, con perdita di scheg- gie pure longitudinali ossee e penetrazione delle concrezioni sili- ceo-limoniticbe nelle cavità interne dell’osso. Raddoppiando di at- tenzione, sbarazzai dal materiale roccioso queste aperture provocate e riuscii così a constatar 1’esistenza ed a penetrare dentro al grosso ed allungato alveolo per un incisivo caniniforme ; ad estrarre od a lasciar, a seconda dell’occasione, scbeggie diversamente significanti del tratto alveolare del dente stesso, a dimostrarne ed a metterne i in evidenza tutta la forma e la estensione, a scoprire ed a render ! visibile nella sua forma naturale un modello di arenaria argillo- limonitica naturalmente originatosi nella cavità polpare del dente jj ancora in relazione con mezza la sua prigione di dentina. E poi, I passando ai molari, riuscii a stabilire la esatta sovrapposizione j del più anteriore di quelli precedentemente constatati sui suoi j alveoli ancora occupati dalle sue radici, ed a stabilire che allo I avanti di esso esisteva ancora un alveolo per un altro piccolo dente i disgraziatamente caduto durante l’infusione nel terreno e non stato ‘ raccolto col fossile principale il qual piccolo dente iniziava dallo j avanti la serie dei denti molari. Qui giunto, considerando che la I maggior parte dei seri caratteri per il riconoscimento del fossile j della natura che avevo davanti mi stavano già davanti agli occhi I e che le fratture naturali e provocate sull’osso andavano man mano ; aumentando a misura che scrostavo e scoprivo sempre più allo I indietro, non volli ulteriormente compromettere la stabilità e la I conservazione di un fossile che la ricerca fatta mi aveva rivelato sempre più interessante e che, se malamente ristaurato così da ren- derlo quasi deforme ed irriconoscibile, non era però stato a scopo di frode sofisticato: mi sono quindi arrestato prima di aver fatto cadere alcun dente od alcuna porzione notevole di osso dalla posi- zione che la natura, i processi di deformazione fattisi sentire du- 120 A. PORTIS rante l’infusione nel terreno e l’incognito raccoglitore e ristaura- tore avevano assegnata. Nel suo stato presente lio io davanti una porzione del ramo destro della mandibola, lungo fra le due perpendicolari oltre 27 centimetri, rotto, natmalmente, in direzione prossimale, ma eziandio mancante di notevole porzione in direzione distale ; cosic- ché molta parte del dente incisivo, che sporge allo avanti ed allo insù per circa altri quindici centimetri (misiu-ati sulla curva esteraa inferiore) malgrado esso sia spuntato all’apice, doveva ancora essere in vita nascosta nello astuccio alveolare osseo. Noi non abbiamo così la possibilità di vedere il bordo alveolare incisivo mediano della mandibola stessa, malgrado che allo indietro sia conservata la sinfisi oltre i limiti spettanti al ramo destro e possiamo, mal- grado una storpiatura sopravvenuta durante la macerazione rico- noscere ad un dipresso la forma e l’ ampiezza (o meglio la ristret- tezza) della gronda mediana o linguale e parte della cavità in cui loggiava il pur potentissimo incisivo esterno sinistro. (E probabile che ira questi due fossero in vita collocati un piccolo incisivo in- terno tubercoliforme per lato, ma ripeto non ho la possibilità di vederne le tracce patenti). Venendo alla serie molare, su 165 mm. di lunghezza di bordo alveolare, noi troviamo, procedendo dallo avanti allo indietro, un piccolo alveolo oggidì quasi totalmente riempito da sostanza spugnosa ossea, lungo da 11 a 12 millimetri, largo posteriormente un quattro millimetri per il preantepenul- timo (o 1° 0 secondo altre notazioni rispettivamente il 4°) dei pre- molari da tempo caduto forse per soffocamento dal sempre cre- scente sviluppo della sottostante cavità alveolare dello incisivo ; poi r antepenultimo premolare lungo d’ avanti indietro 33 mm., largo sul limite anteriore del quarto posteriore mm. 19,5, con la collina 0 lobo anteriore per un simile dente rinocerontino assai notevolmente sviluppata ed arcuata e presentante sulla sua faccia anteriore ed in basso traccia di marca dell’una volta esistito pre- antepenultimo sopra ricordato; poi il penultimo premolare lungo mm. 39 e largo, al limite indicato pel precedente ed a metà svi- luppo attuale in altezza della corona mm. 22,5, con collina o semiluna anteriore quasi altrettanto sviluppata in lunghezza od ampiezza di curva proporzionalmente alla mezzaluna posteriore che nei denti ulteriormente ad enumerarsi; poi l’ultimo (o 4°, o ri- UNA NUOVA SPECIE DI RINOCERONTI ECO. 121 ! spettivamente 1°) premolare, lungo 38 mm., largo mm. 27; poi i l’antepenultimo o primo vero molare lungo 43 mm. e largo mm. 24; all’in dietro del quale il bordo alveolare del ramo è troncato alla I distanza di circa un centimetro lasciando però vedere alquanto della : cavità per la radice anteriore del penultimo vero molare. Così noi abbiamo davanti un residuo di tale specie rinoce- rontina munita alla mandibola di tanti denti da rispondere alla formula : I I.1,C.1,P.4,M.3 Lasciando da parte che coll’espressione di questa formula io cesso di adoperare il linguaggio fin qui ad arte tenuto seguendo Kaup ed i vecchi autori e chiamando, dietro Gaudry, Zittel, Lydek- ker, Osborn, etc., coll’ appellativo di canino quel dente che finora nominai abusivamente incisivo esterno, io debbo far notare che la formula espressa implica per la collocazione della specie, o meglio del fossile che la presenta, in sistema delle relazioni di parentela unicamente ai sottogeneri Dihoplus e Geratorhinus (e, fino ad un I certo punto soltanto, Rhinoceros s. str.), e che per conseguenza noi j veniamo allontanati dalle relazioni di parentela col Rh. leptorhims I (come era stato dapprima determinato) sia nel suo vero atelodino j che nel senso coelodontino. Veniamo invece indiziati a relazioni e parentele col Rh. (Dihoplus) Schlej ermacheri Kaup, col Rh. \ {Dihoplus) palaeindicus Pale. a. Cauti., col Rh. {Rhinoceros) sondaicus {javanus) Desm., col Rh. {Geratorhinus) sumatrensis j Cuv. e, fino ad un certo punto, col Rh. {Rhinoceros) unicornis ‘ Linn.; per non indicare che specie più completamente conosciute e scartando di proposito il Rh. platyrhinus Cauti, e Pale, dell’ India, ! poiché i nuovi materiali fattine conoscere dal Lydekker nella Pa- \ laeontologia indica lo scostano dai sottogeneri Dihoplus e Gera- thorinus per avvicinarlo invece all’ Atelodus e quindi gli tolgono molte delle relazioni attribuitegli dal Weithofer col Rh. palaein- dicus e col sumatrensis. Ora, comparando il nostro fossile con parte simile della man- dibola del Rh. Schlej ermacheri Kaup, per quanto è dato di de- 122 A. PORTIS sumere dalle eccellenti figure del Kaup stesso (^), tav. V e X, noi troviamo come la mandibola del Museo di Koma (a parte i danni prodotti dalla deformazione e dalla difettosa restaurazione grazie alla quale anche il canino assume un andamento più eretto ed i suoi successivi tronconi vennero spostati così da presentare una antinaturale distorsione allo infuori) decresca distalmente assai più lentamente che la mandibola di tav. X, fig. 2, riportata dal Duvernoy come di Rh. sansaniensis Lart. di Sansan (riconosciuto dal Duvernoy stesso come riunibile al Rh. Schlejermacheri) ma concordi con essa nella eguaglianza della lunghezza fra il margine anteriore dello astuccio alveolare pel canino e il limite anteriore dell’ alveolo per il preantepenultimo premolare con quella da questo limite al posteriore per il premolare penultimo. Mentre la comparazione del nostro esemplare colla mandibola di Eppelsheim della tav. V, ci mostra come il decrescimento distale dell' altezza della mandibola è identico fra i due esemplari, che i canini ap- paiono con andamento tanto eretto nello esemplare di Eppel- sheim da far ritenere che la restaurazione del nostro non sia più tanto lontana dal naturale. Ma nella mandibola di Eppelsheim cadde d’ ambo i rami il preantepenultimo premolare ed il vuoto alveolo ne è sol molto superficialmente tracciato (mentre il dente è in posto sulla mandibola di Sansan) e di più l’astuccio alveo- lare pel canino è distalmente assai difettoso e mancante. Con tutto ciò la distanza in linea retta fra l’ attuai limite anteriore dell’ astuccio alveolare del canino ed il margine anteriore del pre- molare preantepenultimo risulta assai maggiore di quella corrente fra questo margine ed il posteriore dell’ alveolo pel premolare pe- nultimo (andrebbe anzi fino a metà lunghezza della collina posteriore del premolare ultimo) così che il muso dello esemplare di Eppels- heim ne risulterebbe notevolmente più lungo. Concorda invece r esemplare nostro con quello di Eppelsheim nella piccolezza argui- bile del premascellare preantepenultimo assai minore del corrispon- dente dente in posto sulla mandibola di Sansan e nello sviluppo in lunghezza, accompagnato da relativa sottigliezza in sezione. (') Kaup J. J., Beitràge zur Nàheren Kenntniss der urweltlichen Sàu- gethiere, Erstes Heft, neue Ausg., in 4° max., S. 1-40, Taf. 1-10, Darm- stadt 1862. UNA NUOVA SPECIE DI RINOCERONTI ECC 123 rimarchevole sui canini che pello esemplare nostro e quello di Eppelsheim appaiono a sezione quasi triangolare mentre per quello di Sansan appaiono di sezione quasi circolare. (L’ Osborn nel suo studio sui rinoceridi fossili americani ci fa conoscere nel Leptaceratherium trigonodum Osb. et Wortm. dell’oligocene ame- ! ideano una specie in cui i denti canini inferiori si presentavano I appunto allungati, sottili, assai ricurvi, quindi tendenti ad as- sumere un andamento eretto ed a sezione triangolare e con sin- fisi mandibolare molto stretta così da lasciar fra canino e canino spazio solo a due piccoli incisivi a mutuo contatto ed a con- tatto esterno cogli stessi canini, fatto questo che viene solo sor- passato dallo Aeeratherium platycephalum dello stesso oligocene per il maggiore ingrossamento dei canini). Il bel cranio di Rh. Schlejermacheri di Pickermi fattoci co- j noscere dal Gaudry (^) se conferma la determinazione fattane su peggiori esemplari dal Eoth e Wagner, non mi serve però disgra- ziatamente nei presenti confronti mancando esso totalmente della mandibola; tuttavia noi ricaviamo dalle descrizioni del Gaudry, I pag. 203-7, che il Rh. Schlejermacheri di Pickermi rassomigliando ' assai al Rh. Schlejermacheri di Sansan nella sottigliezza ed allun- j gamento della regione del muso corrispondente ai nasali ed ai ma- i scellari estremodistali, ne viene di conseguenza che assai allungata ; e protratta e sottile doveva esser la regione della mandibola allo ' avanti dei denti premolari come nella mandibola di Sansan e quindi I come in quella del Museo di Koma. Per ciò che riguarda le analogie di questa mandibola * con ; quella del Rh. palaeindicus, premesso che pei più recenti studi del Lydekker (3) sovra accennati, questo autore, a pag. 47, trasfe- ' (*) Osborn H. .P, The Extinct Rhinoceroses. Mem. of t. Amer. Mus. of. Nat. Hist., Voi. I, pari 3, New York, 4° max., pag. 73-164, with 49 woodeuts, a. PI. XII^-XX, New Yorck, 1898. ’ (2) Gaudry A., Animaux fossiles et Géologie de V Attigue d'après les recherches faites en 1855-.i6 et en Paris, 4°, — Savy édit., pag. 1-474. Atlas PI. 1-76. Paris 1862-67. (®) Lydekker R., Siwalik Rhinocerotidae (Mem. of. thè Geol. Surv. of India — Palaeontologia Indica. — Ser. 1, Indian tertiary and Post tertiary Vertebrata, Voi. 2, part I) 4“ max., pag.' 1-62. with 11 plates, Calcutta 1871; e Catalogne of thè fossil mammalia in thè British Museum of Nat. hist. Part III, Ungulata Perissodactila etc. 8“ London 1886, pag. 90-158. A. PORTIS 124 risce, attribuendoli al palaeindicus^ quegli avanzi che Cautley e Falconer avevano figurati (’) alle tavole 72, fig. 4, e 75, fig. 10 come di Rh. 'platyrhinus, e comparato il nostro esemplare con quelle figure, torna a risultare che i canini del palaeindicus sono più brevi e più tozzi di quelli dell’esemplare del Museo^di Roma; che fra questi canini avevano ampio posto, per non toccarli, i pic- coli incisivi nemmanco a contatto fra loro ; e che la distanza fra il margine anteriore dello astuccio alveolare pel canino ed il mar- gine anteriore peli’ alveolo del piccolo premolare preantepenultimo (qui materialmente presente) è assai minore della distanza fra il margine anteriore accennato ed il margine alveolare posteriore del penultimo premolare, poiché, riportato, non arriva che appena a metà lunghezza di quest’ ultimo alveolo. Quindi nel Rh. palaeindicus un muso più corto e tozzo che nel Rh. Solile j erma cheri e nello individuo cui appartenne il fossile in studio. Il Blainville (2) ci dà, tav. II, della monografia dei Rhino- ceros un disegno ad Qs del cranio e della mandibola del Rh. su- matrensis dalla quale risulta che anche per questa specie abbiamo un muso assai breve e tozzo malgrado che il ramo mandibolare vada sensibilmente (più che nel nostro esemplare) perdendo di altezza verso la regione sinfisiale; risulta che i canini sporgono per una parte coronale breve e tozza ed a sezione poco decisa- mente triangolare ; che il premolare preantepenultimo è caduto assai più giovanilmente che nel nostro esemplare, così che, mal- grado l’esemplare figurato, sebbene adulto, non sia ancor del tutto vecchio ogni traccia del corrispondente alveolo appare cancellata. (È vero pure trattarsi di un individuo femmina). E ciò malgrado la distanza fra il margine anteriore dello astuccio alveolare pel canino ed il margine anteriore dell’alveolo pel premolare antipe- nultimo riesce uguale o poco più, in lunghezza, al bordo alveolare fra il margine or secondo nominato ed il margine posteriore per l’alveolo del premolare penultimo. Gli incisivi poi devono aver avuto assai poco sviluppo e, relativamente ad esso, assai spazio nel bordo alveolare compreso fra i canini. (') Falconer H. a. CmilGjV.T., Fama antiqua sivalensis.l\\nsiiz.ììon5 part Vili; Suidae and Rhinocerontidae PI. 69-80. London, folio, 1847. [^) Blainville, Ostéographie, Alias folio. Paris 1839-64, voi. 3°. UNA NUOVA SPECIE DI RINOCERONTI ECC. 125 “ Il Blainyille nella tavola I della stessa monografia ci dà, ad ij Vii il disegno dello intiero scheletro del Rh. sondaicus {javanus) i e nella accennata tav. II, a sinistra in alto, cranio e mandibola giovani, ed in basso : cranio con mandibola adulto della stessa spe- I: eie (probabilmente individuo maschio) ad Vs- Falconer e Cautley ' (tav. 75 e fig. 8) ci danno un disegno ad V2 del ramo mandibo- ; lare destro del R. sondaicus. Kisulta dallo esame di tutte queste figure che nella specie in questione i denti incisivi acquistano ben poco sviluppo e potrebbero abortire affatto ; che in ogni modo essi, , se presenti, ancorché piccoli, sarebbero ristretti fra i due canini ed I a contatto diretto con essi oltreché mutuo ; che i canini sarebbero ! cilindroidi (con corrosione a scalpello) a sezione trigonoide, assai I lunghi e relativamente sottili, con curvatura assai pronunciata, sì ; da conferir loro tendenza ad andamento eretto nel tratto libero; ; che il premolare preantepenultimo assai piccolo, ma superiore in ^ mole a quello del Rh. palaeindicus persiste fino all" età decisa- mente adulta e lascia dietro di sé un alveolo pari in mole a quello ' riconosciuto nella mandibola del museo di Roma; che la mandi- bola pel tratto reggente molari e premolari si assottiglia assai più lentamente in altezza verso 1’ avanti che nel Rh. sumatrensis e circa tanto quanto nel nostro ramo in studio; che la distanza in Ij linea retta fra margine anteriore dello astuccio alveolare osseo pel j canino e margine anteriore alveolare pel premolare preantepenul- j timo supera in lunghezza quella fra questo ultimo margine alveo- j lare e quello posteriore del premolare penultimo del quale alveolo ! oltrepassa la metà lunghezza (alquanto più quindi che nel Rh. j 'palaeindicus \ che insomma il muso del Rh. sondaicus appare quasi altrettanto allungato, sottile e slanciato che nel Rh. Schle- j jermacheri. ! Ancora il Blainville, tav. II della nominata monografia, a destra in basso, ci dà disegno del cranio con mandibola di Rh. unicornis. Vi troviamo canini sviluppatissimi in grossezza, poco in lunghezza, protesi in avanti e sporgenti in fuori, quindi lascianti nella breve paletta simfisiale largo spazio alveolare per gli inci- sivi, i quali, quando non caduchi in gioventù, hanno largo spazio a svolgersi senza toccarsi mutuamente né toccare i canini ; il ramo mandibolare scema rapidamente in altezza dallo avanti in dietro nel tratto reggente molari e premolari così da render quasi prò- 126 A. PORTIS gressivo il rapido decrescimento che avviene nelle altre specie pel tratto anteriore alla regione premolare. Il premolare preantepen- ultimo cade molto giovanilmente ed il corrispondente alveolo è quasi totalmente obliterato nell’ adulto e nel vecchio. Ciò mal- grado la distanza f.ia il margine anteriore dell'astuccio alveolare osseo pel canino ed il margine anteriore del premolare antepenul- timo riportata da questo margine allo indietro non arriva che al margine posteriore dell’ultimo premolare. Pervenuto finalmente al termine di questa lunga sì ma pur necessaria comparazione di dettaglio, posso dedurre che il ramo man- dibolare destro del Museo di Roma che ci ha tenuto finora occu- pati presenta il massimo di concordanze con quello del Rh. Schle- jermacheri Kaup e che le concordanze vanno progressivamente scemando quando entrano man mano in confronto il Rh. sondaicus il palaeindicus, poi il sumatrensis ed infine Vunicornis cosicché verrei ad ascrivere l’esemplare in questione precisamente alla prima specie nominata, il Rh. Schlejermacheri., pur non contestando le sue relazioni col Rh. sondaicus. Ma il Rh. Schlejermacheri Kaup, sia che si ritrovi ad Ep- pelsheim, sia che si rinvenga a Sansan od a Pickermi od a Samos od a Maragha, può toccare bensì il limite inferiore del Pliocene, ma non penetrare in esso : ed unico isolato fatto di una mandibola, rassomigliante secondo il Gaudry a quella di Rh. Schlejermacheri (fino ad un certo punto, poiché i canini ne paiono più sviluppati in grossezza ed in lunghezza al di fuori dello astuccio alveolare) e rinvenuta in depositi posteriori, é segnalato da M. Pavlow, la ({Vì2l\q ^vioì Etudes sur Vhistoire paléontologique des ongulés ('), parte VI, a pag. 167 ci rende nota 1’esistenza a Parigi, nel gabi- netto del prof. Gaudry, di una mandibola trovata nel quaternario della Vallata di Tuluca al Messico e donata al Museo di Parigi dal Sr. Del Castillo, direttore della Scuola delle Miniere al Mes- sico. Certo una simile affermazione emanata dal Gaudry ha una importanza straordinaria e ci porta a riflettere se non sia da ri- conoscersi nei tipi svariati de’ Rinoceronti una straordinaria fer- mezza e costanza di caratteri, una resistenza enorme alle trasfor- Vedi il N. VI degli Etudes: Les Rhinoceridae de la Russie et le développement des Rhinoceridae en général. Extr. du Bull. d. la Soc. Imper. des Naturalistes de Moscou, N. 2, 1892, in 8°. Pag. 147-231, PI. III-V. UNA NUOVA SPECIE DI RINOCERONTI ECC. 127 mazioni evolutive; grazie alle quali proprietà, forme o specie, una volta prodotte, si mantennero le une accanto alle altre per tempi ! lunghissimi senza confondersi e senza scambiarsi caratteri; così che I noi dobbiamo oggidì, nel Rh. sondaicus, riconoscere il diretto di- scendente dal miocenico Rh. Schlej ermacheri ; così come troviamo nel Rh. Merchi delle alluvioni gelate della Siberia il discendente del Rh. Merchi {Etruriae) del pliocene italiano; e come possiamo scegliere fra i rinoceronti senza incisivi e canini della fauna at- tuale un discendente poco degenere dal vero Rh. leptorhinus del pliocene piacentino e monpellierese. Se questo ritardo nel processo evolutivo a proposito dei tipi rinocerontini è esatto, e se per conseguenza risulta esatta la filo- genia delle specie ricordate, non ci dovrà recar sorpresa se un giorno 0 l’altro venisse a riconoscersi ed a constatarsi materialmente per mezzo di effettivi e constatabili rinvenimenti 1’esistenza nel plio- cene italiano di rappresentanti del Rh. Schlej ermacheri Kaup, o di qualche sua variazione. Quanto sopra è scritto dopo aver constatato che lo stato di conservazione del fossile che è presentemente in studio, che lo stato I di alterazione della sua sostanza ossea rispondono molto bene allo j stato in cui noi troviamo nel pliocene sabbioso italiano tanti altri I avanzi rinocerontini spettanti od al Rh. Merchi (etruscus) od al vero Atelodus leptorhinus Cuv. e dopo aver constatato che la I sabbia gialla che è penetrata ed in parte si è cementata a solida roccia dentro le sue cavità non offre caratteri sufficienti a poter contestare con successo che il fossile provenga da un giacimento italiano sia del pliocene sabbioso cominciando dall’ astigiano del versante adriatico appennino sia del pliocene del versante tirreno con comprensione delle valli deU’Arno, della Chiana e derTevere. Dileguati per mezzo delle demolizioni da principio indicate 1 dubbi che il fossile derivasse la sua origine da una troppo ra- dicale restaurazione o da una raffazzonatura di elementi diversi a scopo di fraudolenta mistificazione, ho pur dovuto ricercare in Museo se qualche documento esistesse intorno allo arrivo a far parte delle nostre collezioni di un oggetto che si rivelava così interessante, ma niente esiste che ci possa illuminare al riguardo. Io ho trascritta 1 etichetta che stava applicata al ramo man- dibolare e che, se è presumibile gli sia stata adattata dopo il 1870 A. POETIS 128 quando ne furono rinnovate tante altre, ninno può con sicurezza affermare sia proprio di quella data e non rimonti ad una data anteriore come lo fa supporre la presenza dei numeretti stampati che erano applicati a lato e sotto l’etichetta principale. Qualunque sia la data in cui venne redatta V etichetta principale, risulta che dessa venne redatta dal Ponzi avendo egli permesso venisse dotata e chiusa col suo nome a mo’ di firma. Per conseguenza risulta che egli, malgrado quel vistoso canino di cui ho tanto parlato, attri- buisse l’esemplare al Rhinoceros Leptorhinus Cuv. come in essa è detto. È vero che in quella etichetta vi è sbaglio nella indivi- dualizzazione dei premolari e molari, ma anche questo ci dimostra come il Ponzi ritenesse fermamente trattarsi del leptorhinus (od anche del Merchi) nel quale, mancando il preantepenultimo pre- molare e contando abusivamente dal seguente, questo viene ad avere la possibilità di esser chiamato primo come rispettivamente di secondo e terzo verrebbero a ricevere l’ indicazione i premolari pe- nultimo ed ultimo. Aggiungasi che il tratto di bordo alveolare tra il da me riconosciuto antepenultimo molare ed il canino era co- perto ed impastato da un alto strato di materiale artificialmente applicato e poi, sotto, da una concrezione sabbiosa limonitica rag- giungente la metà altezza della corona del premolare antepenul- timo; e che il Ponzi potè supporre che in questo lungo tratto in- vece di un diastema si nascondesse invece l’ alveolo per il pre- molare antepenultimo (o primo secondo la sua nomenclatura), donde la trasposizione di un dente nella sua indicazione, d onde la ne- cessità di rettificarla da parte mia con dire che di premolari esi- stono effettivamente tre, mentre del preantepenultimo non ci rimane che il vuoto alveolo e di molari veri non ne esiste che uno, r antepenultimo. Interpretata poi modernamente la dicitura della etichetta ri- mane pendente da essa un’ altra questione sulla località. In simili etichette applicate ad altri pezzi delle nostre collezioni il Ponzi scriveva o faceva scrivere, allorquando i pezzi provenivano per dono 0 per acquisto da località che non fossero i dintorni immediati di Roma, r indicazione appunto di queste località ; e così per molti og- getti, modelli ed originali che siano, del Museo, sappiamo che pro- vengono 0 dal Valdarno o da giacimenti più lontani da Roma. A molti altri pezzi invece che per altra via sappiamo provenire UNA NUOVA SPECIE Di RINOCERONTI ECC. 129 sicuramente da questi dintorni e che ancor sono dotati di etichette : della stessa edizione, tale indicazione fu tralasciata come ovvia, i Dalle quali osservazioni discenderebbe abbastanza naturale la con- * seguenza che il nostro fossile provenisse dai dintorni immediati di ^ Roma e la natura del materiale che scopersi ancora in posto sul j 0 dentro al fossile porterebbe ad arguire che esso provenga dalle j sabbie gialle del sistema Mariano Gianicolese o magari dal suo j prolungamento al Monte delle Piche. j Ed a questo proposito appunto ricorderò : che allorquando fu I aperta nel Monte delle Piche la trincea pella ferrovia di Civita- vecchia, il Ponzi ebbe agio di raccogliere una quantità di ossami di grandi e svariati mammiferi fra i quali appunto i rinocerontini e se io non ritengo più totalmente esatta e conforme al vero la collocazione in sistema dei diversi depositi che ai Monti: delle Piche, di Santa Passera e Verde in tale occasione si rinvennero qual venne dal Ponzi designata ('), non ho però nessuna difficoltà ad accettare ed utilizzare le descrizioni materiali dei singoli depositi rinvenuti e del loro contenuto organico. E risulta appunto dalle descrizioni di pag. 3 e 4 di quel lavoro che molto frequentemente I si trovarono colà delle formazioni incidentali or fangose or limo- I nitiche talora a contatto con maggiori accumulazioni di ossami di grandi mammiferi. Io metto in relazione queste notizie col fatto seguente. Ho trovato nelle nostre collezioni oltre al resto, una mandibola di ri- j noceronte orribilmente schiacciata; si che i due rami di essa son diventati quasi a contatto e paralleli l’ un l’ altro (il ramo destro di essa porta i tre ultimi premolari ed i tre molari tutti assai bene conservati, il ramo sinistro non manca che della corona dell’ante- penultimo premolare) ; essa mandibola è troncata poco avanti dei pre- molari antepenultimi; ed osservando la faccia di rottura dell’ osso, non si scorge in mezzo alla struttura omogeneamente spugnoide dell’ osso traccia alcuna del grande alveolo del canino che in questa regione si dovrebbe trovare se la mandibola stessa appartenesse ad una specie rinocerontina appunto a canini sviluppati. Questa mandibola porta nient’ altro applicato che un cartellino largo meno di un cen- (^) Ponzi Gr. Sui lavori della strada ferrata di Civitavecchia da Roma alla Magliana. Estr., di 6 pag. in 4“ con tavola di sezioni, dagli Atti deH’Accad. dei Nuovi Lincei. Sessione VII del 13 Giugno 1858. 9 130 A. PORTIS timetro quadrato su cui è stampato il numero 8 (della stessa serie di quella di cui abbiamo due numeretti sulla mandibola a canini), mentre accanto ad essa, e portante su un simile cartellino stam- pato il numero 9, noi abbiamo un ramo mandibolare destro tron- cato prossimalmente mostrante tre soli denti che paiono i tre molari veri e troncato allo avanti dello anteriore di essi; mandibola che appare appartenente alla stessa specie di quella col cartellino 8. E l’uno e l’altro di questi fossili sono ancora totalmente ma- scherati per la loro parte ossea dentro un profondo invoglio di roccia concrezionare limonitico-argillosa, dalla quale emergono i soli denti, come dissi assai bene conservati. Non è egli probabile che questi due fossili provengano appunto dai depositi tagliati dalla ferrovia di Civitavecchia e che sempre di poi sieno rimasti nelle nostre collezioni come materiali attendenti una denudazione poco promettente è vero, ma in compenso assai laboriosa e feconda di pericolo per la ulteriore conservazione dei fossili che vi si dove- van sottomettere. Che la mandibola a canini che formò l’oggetto principale della presente nota non provenga eziandio da un letto un po’ più sabbioso della stessa serie di depositi e che tentata per ima forse più promettente preparazione vi abbia subito così mal corrisposto che l’artefice, impressionatone, si sia affrettato, an- ziché a togliere, a riaccumularvi su del materiale pur di conser- varle quella sembianza di forma con cui era venuta a giorno per il fatto dei lavori di scavo? A me pare abbastanza plausibile questa ipotesi; e quindi am- metterò fino a documenti in contrario, che il fossile, di cui princi- palmente ho parlato fin qui, provenga dai depositi pliocenici supe- riori presso a poco del piede del Monte delle Piche ; e che per conseguenza colà s’ incontri il Rh. cf. Schlej ermaclieri Kaup, in compagnia del Rh. Merchi K. et Jaeg. , oltre che degli elefanti, dei cavalli, ippopotami e di qualche carnivoro. Sempre stando all’etichetta principale di cui ho parlato come dettata dal Ponzi, noi vediamo come quésto autore attribuisse lo esemplare che ne era munito al Rhinoceros leptorhinus Cuv. e così rimane spiegato come il Ponzi, nel molto posteriore riassunto delle specie fossili di mammiferi riscontrate nei dintorni di Poma (^), (1) Ponzi G., Le ossa fossili suhapennine dei dintorni di Roma. Estr di pag. 30 in 4", dalle Mem. della CI. di Se. fis., mat. e nat. della K. Acc. d. Lincei Ser. 3^ voi. 2, Seduta del 5 maggio 1878. Poma. Roma Fùtot, Danesi ■ "v.. ■ ■ ^ UNA NUOVA SPECIE DI RINOCERONTI ECC 131 a pag. 23 si esprima così : « Rinoceronti : una sola specie è stata fin qui rinvenuta, e questa è il rinoceronte a narici aperte. - 10. Rhinoceros leptorhìnus Cuv. ; Rh. megarhinus Christ. — Denti sciolti, mascelle e ossa. — Nelle solite breccie alluvionali dei fiumi maggiori. Un poco meno frequente degli elefanti e degli ippopo- tami ». Io bo altrove a lungo spiegato (’) qualmente, con poco peri- colo di andare errati nella determinazione, si possano sommaria-' mente attribuire alla specie Rh. Merchi Kaup et Jaeg. tutti gli avanzi rinocerontini fossili rinvenuti dal pliocene inferiore in su nei dintorni di Roma e quasi tutti simili avanzi rinvenuti in depositi coevi nelle altre parti d’Italia. Ho colà accennato come fino a quel punto non si conoscessero in Italia altre specie di rinoceronti fos- sili, sempre nei detti limiti di relativa antichità di depositi, all’in- fuori delle due, Rh. Merchi, Kaup. et Jaeg., comunissima, e Rh. le- 'ptorhinus Cuv. s. str. rarissima e forse alquanto più antica della prima (vedi pag. 247-48). Qui, a modo di conclusione e raccolta dei risultati del presente studio, posso aggiungere che, in grazia dello avanzo esistente nel Museo di Roma (e del quale dò nella tavola 5^ annessa figure dello stato presente ottenute alla scala di una metà con mezzo fotografico, tanto dalla faccia esterna che dalla superiore) e proveniente con una tal quale probabilità dal piede meridionale del Monte delle Piche, le specie rinocerontine rinvenute nei terreni terziari superiori dell’ Italia vengono a rag- giungere il numero di tre, due rarissime e circoscritte ad aree limitate, del nostro continente (e sono il Rh. le'ptorhinu&, Cuv. per 1 Italia superiore ed il Rh. Schlej ermacheri Kaup, per le vicinanze di Roma) ed una comunissima il Rh. Merchi Kaup. et Jaeg. che si trova in un numero considerevole di località distri- buite su tutto il nostro continente. Che di queste tre specie la incontestabilmente più antica è l’ ultima rinvenuta fra noi in quanto che fuori d Italia non era conosciuta che in terreni concor- demente accettati come miocenici. Roma, 4 aprile 1899. (’) Portis A., Contribuzione alla storia fisica del bacino di Roma e studi ecc. Voi, II, di pag. 513 iu 4°, con 5 tav. Torino Roux e Frassati edit. 1896. — (Da pag. 228 a 253 : Il rinoceronte fossile al Cavaliere). APPUNTI SOPRA ALCUNI LEMBI DEI TERRENI POST-TERZIARI DI REGGIO CALABRIA Nota del dott. Giuseppe De Stefano. Il riavenimento delle sabbie fossilifere di Moitocu, m indusse in questi ultimi mesi a fare una rapida rassegna sulla natura dei terreni che costituiscono i più importanti lembi del post-terziario dei dintorni di Reggio Calabria. L esame fatto, con la speranza che possa tornare utile alla geologia calabrese, espongo qui ap- presso. Il post-terziario reggino (Piano Saariano del Mayer o qua- ternario inferiore secondo molti geologi) è costituito da due for- mazioni distinte per la natura del terreno e per la fauna da esso contenuta : una, marina ; 1’ altra, terrestre. La formazione marina ci vien rappresentata da sabbie, più o meno grossolane quando non siano fossilifere, spesse volte di na- tura feldispatica, nel qual caso formano delle aride e scoscese col- line i cui acclivi presentano dei solchi profondi per 1’ azione delle acque correnti ; o di sabbie calcarifere, a fini elementi, in special modo quando esse contengono resti organici. La formazione terrestre ci vien rappresentata da una specie di fanghiglia di color rosso-bruno, nella quale si trovan mescolati altri elementi, come ciottoli granitici, ghiaia, ecc. ; ed alla quale si è convenuti di dare il nome di “ alluv^ione antica ” . Essa d or- dinario è priva di fossili e sopra sta alle accennate sabbie. Facciamoci ad osservare alcuni lembi delle sabbie fossilifere marine: i più iiuportanti fra essi sono: quello di Gallina, quello del Salvatore di Sant’Agata, poco studiato da quanto a me risulta, quello di Pavigliana, quello di Carrubare, quello di Ravagnese, I APPUNTI SOPRA ALCUNI LEMBI ECO. 133 \ quello di Bovetto e quello di Morrocu, destinato a diventare im- ; portante per 1’ abbondanza delle Pinne che contiene. Il lembo di Gallina, fu studiato dal prof. Seguenza, ed è no- tevole per una fauna fossile ricca di specie nordiche; il che c’in- dica il sincronismo con quello celebre di Carrubare. E intorno ad esso non dico altro. Il lembo del Salvatore di Sant’Agata è formato da un potente strato di sabbie a variabili elementi soprastante ad argille mio- ! Geniche, quest ultime prive di fossili. Esso trovasi ad est di Ca- j taforio e forma le alte colline sabbiose che si estendono a sud- j ovest di Musorrofa. La sua fauna è ricca di forme ; ed in parte si rinviene anche nel pliocene medio e superiore. Un esempio ce lo dànno le seguenti specie, che ivi ho determinate: ;| Brachiopodi: TerehratnUna capat-serpentis, Lin. Terebra- j tuia palla, Phil. I Gasteropodi: Casus suburon,^x\\g. Fusas rostraius, OY\F\. j Murex trunculus, Lin. j Lamellibranchi: Corbula gibba, Olivi. Tellina pulchella, J Lam. Psammobia ferroensis, Chemn. Anomia ephippium, Lin. Anomia striata, Broc. : Queste specie si trovano ancora in altri lembi post-terziari, ' come quelli di Carrubare e di Gallina. I La natura delle anzidette sabbie consta principalmente di silice, abbondante e prevalente, di abbondante calcare e di mu- I scovile, in discreta quantità negli strati più bassi. I granuli di sabbia hanno un volume variabile, ma non sono mai grossi. ' Il lembo del Salvatore può considerarsi come la continuazione di quello della Badìa sopra Gallina; il che si scorge dallo schizzo j qui unito (fig. 1). Difatti, se si dà uno sguardo alla carta topo- grafica dei dintorni di Reggio, si osserva che, i due lembi accen- ; nati son divisi dal torrente di Sant’Agata e si trovano presso a : poco alla stessa altitudine, sovrastando entrambi agli stessi strati di ; argilla. Il che fa concludere essere stato il torrente, forse in epoca I non troppo remota, quello che produsse la loro divisione. E credo do- I versi considerare sincrono ai primi il lembo post-terziario che affiora j ad ovest di Cataforio, sul limite del torrente di Sant’Agata, e che, I scomparendo poi sotto ai depositi alluvionali o terziari, si scorge I in fine al di qua del torrente Calopinace, in contrada Cannavò. 134 G. DE STEFANO Il lembo di Carrubare è formato da una terrazza di alluvione antica lievemente inclinata all’ orizzonte, alla quale sottosta un forte strato di sabbia fossilifera. Questa riposa quasi orizzontal- mente e in discordanza sopra argille mioceniche, le quali hanno una inclinazione di 45°. Da un esame sommario fatto sulla com- posizione deir alluvione antica, questa risulta costituita dagli ele- menti qui appresso notati: 1° di silice, in discreta quantità; 2° di poca caolinite negli strati superficiali; 3° di ciottoli di vario volume; 4° di cemento calcareo, dal quale dipende la compattezza più 0 meno notevole della roccia. Yò/'re/)f^ aii _ Contrsdà Jis C/s ) ; man mano che si scende giù nella serie, essa diventa caratteristica per alcune forme fossili, quali sono, la Cyprina islandica, la Modiola grandis, la Modiola modiolus, ecc., oggi viventi solo nei mari freddi della Svezia e Norvegia. J^/éì/7o -terrazzo cù' ^oTrocu Fig. 2. 1. Alluvione antica. 3. Strati argille-sabbiosi. 2. Sabbie fossilifere a fini elementi. 4. Strati argillosi. Anche il lembo fossilifero post-terziario di Morrocu riposa sulle argille mioceniche. Le argille però di quest’ultimo lembo sono molto sabbiose, e mal si prestano alla ceramica. L’ alluvione antica, soprastante alle sabbie, in complesso è costituita dagli stessi elementi di quella della pianura di Condora; silice abbondante, con caolinite alla superficie, e cemento calcareo ; negli strati più bassi di alcuni punti di essa si osservano dei ciottoli granitici di vario volume, ma non mai di grandi dimensioni. In altri punti, come quelli soprastanti agli strati sabbiosi a Pinne, i letti allu- vionali più bassi si scorgono formati da fini elementi argille-are- nosi di natura calcarea. In essi abbondano le Elici e vi s’ incontra qualche Buiimo: io ho fatto una grande raccolta dei fossili ac- fi) A. Scilla, La vana speculazione disingannata dal senso. Naiioli 1670. 136 li. DE STEFANO cennati; di essi finora fio determinato le seguenti specie: Eelix vermiculata. Muli. Helix ces;pitum, Drap. Eelix conspurcata, Drap, e Bulimus (pupa) Lin. La natura del terreno e la fauna in esso contenuta indicano sicuramente una formazione terrestre. Nel caso da me considerato, essa tra poca estensione e poca potenza: il suo spessore varia presso a poco da uno a due metri; nè credo oltrepassi tale potenza in alcun punto. Le safibie fossilifere di Morrocu sono tutte a fini elementi, e presentano natura ed aspetto calcareo dove le acque piovane e correnti con la loro azione acida non hanno disciolto il calcare che le cementa. Però che esse possono dividersi in due letti di- stinti: quello superiore, in cui la roccia si mostra più o meno compatta; e quello inferiore, nel quale la roccia si mescola gra- dualmente ad argilla, fino a formare dei veri strati argillosi (fig. 2). La composizione delle anzidette sabbie è di silice, ovunque, ri- peto, a fini elementi, di calcare e di muscovite in discreta quan- tità. Esse non si mostrano molto fossilifere, ma in compenso sono caratteristiche per un genere di Lamellibrancbi finora a torto ri- tenuti rari nella provincia di Reggio, e che quivi si trovano in tanta abbondanza da poter dare il loro nome agli strati che li contengono (^). Ciò che si è detto per il lembo fossilifero di Morrocu, si ri- scontra a Bovetto. Anche qui le sabbie post-terziarie riposano, come al Salvatore, a Carrubare ed a Morrocu, sopra letti di ar- gille terziarie ; e come quelli, possono essere divisi in due distinte assise : una superiore, formata esclusivamente di sabbie a fini ele- menti, nei quali si trovano in gran quantità forme del GeritUum vulgalum, Brug. insieme a resti di altri fossili ; l’ altra inferiore, nella quale le sabbie si mescolano alle argille, e diventano sabbie argillose. La stratigrafia dell’ultimo lembo è così: 1 alluvione an- tica si adagia sulle sabbie con una lieve inclinazione da nord-est a sud-ovest, ed insieme a queste ultime riposano in discordanza sulle argille molto inclinate del miocene. Le argille sabbiose di Bovetto come quelle di Morrocu hanno un ^lore variabile man mano che dagli strati più alti si scende (1) G. De Steiano, Un nuovo lew,bo conchiglifero di Peggio Calabria. Nota preventiva. (Boll, della Soc. Geol. Ital.). Eoma 1899. 137 APPUNTI SOPRA ALCUNI LEMBI ECC. agli strati più bassi della serie r d ordinario esso è bruno, ma pre- senta delle variazioni tendenti al grigio od al verdognolo. Da quanto si è fin qui detto risulta che, i lembi post-terziari reggini nei dintorni della città, sono di due ben distinte nature, caratteristiche per la composizione del terreno e della fauna che questo racchiude. La natm-a del loro terreno, la loro grande simi- glianza litologica e stratigrafica, ce li potrebbero far credere in gran parte sincroni, se la loro topografia, e meglio ancora, la loro paleontologia, non fossero una prova sicura del gran tempo tra- scorso tra la formazione di alcuni e quella di altri. È certo però che essi tutti presentano caratteri definiti e lo sviluppo maggiore appunto nei dintorni di Reggio, dove li vediamo affiorare sopra una superficie di parecchi chilometri quadrati ed elevarsi a più di 800 metri di altezza sul livello del mare. Nel resto della provincia essi hanno poco sviluppo e poca potenza. La formazione marina è rappresentata da quei depositi sab- biosi che cominciarono ad emergere dopo quelli pliocenici e questi ultimi accompagnano per buon tratto a considerevole altezza, come, per esempio, a Motta, a Grallina ed a Terreti. Talora il passaggio del pliocene al quaternario inferiore è così lento, graduale ed in- sensibile da far credere a qualche geologo (i) potersi considerare ‘ sincioni i terreni del primo e quelli del secondo: ma osservando (1) P. Mantovani, Alcune osservazioni sui terreni terziari dei dintorni di Reggio Calabria. (Boll, del Keal Comitato geologico Ital n 11 e 121 Roma 1878. , ■ J- Il prof. Mantovani parlando del lembo fossilifero di Archi, così si esprime a pag. 450 della anzidetta Nota: « Tenendo conto del variare della fauna si possono distinguere dal basso all’alto i seguenti piani: «A) Sabbie grigie o giallastre, quasi sciolte e sparse come a Vito di massi granitici incrostati d’ostriche, balani, ecc., abbondantissime di pettini anemie, ostriche, ecc., ’ «B) Sabbie marnose ricche di coralliari, fra cui notevoli per l’abbon- danza le Isis, ecc., ...... « C) Sabbie come sopra con fauna variatissima riferibile al pliocene piu recente. Piano Siciliano del Doderlein. Questo terreno appare meglio viluppato alle Carrubare ed a Ravagnese, delle quali località darò una nota dei fossili che più ne sono caratteristici «. G. DE STEFANO 138 la disposizione topografica di alcuni lembi di quest ultimo ci si convince sempre più che l’ accompagnare essi il pliocene fino a grandi altezze significa che il passaggio dal terziario superiore al quaternario più antico nella Calabria non fu graduale e lento. Le sabbie post-terziarie riposano d' ordinario sulle argille mioceniche e qualche volta, per specificare, su quelle del Langhiano: esse, sovente non contengono alcun resto organico, ma talora sono ricche d’una fauna caratteristica e così varia, da farle diventar celebri nella storia fisica della Calabria. Fossilifere o no, si mostrano svi- luppate in potenza dal Capo dell’ Armi a Scilla, e possono divi- dersi in due categorie a seconda del tempo della loro emersione, che si deduce dalla fauna fossile in esse contenuta: quelle il cui sollevamento avvenne probabilmente nel preglaciale, o meglio, nel glaciale, contengono delle forme, come la Natica montacuti, il Trochus Ottoi, la Cyprina islandica, la Modiola grandis, ecc., le quali tutte oggi sono emigrate nei mari del nord ; le altre, di data posteriore, contengono una fauna in gran parte simile a quella oggi vivente nei nostri mari, con qualche specie propria dei man caldi delle Indie. Fra queste ultime, cito ; il Coms testudinarim, Martini, abitante le isole del Capo Verde, il Triton ficoides, Reeve, proprio del Senegai; la Natica orientalis, Gemmel., del- l’Oceano indiano; la Tornatina Kmckeri, Smith, vivente sulle ' coste dell’Africa occidentale, e la Cwpularia umbellata, Defranc., propria dei mari dell’ Australia. Le specie avanti notate ed altre ancora ci fanno dedurre il tempo dell’emersione delle sabbie che le contengono; esse, cioè, si sollevarono in un periodo di^ tempo la cui temperatura dovette essere abbastanza alta. Il dislivello tra questi ultimi lembi e quelli prima accennati ci rappresenta r equivalente del tempo trascorso tra il sollevamento degli uni e quello degli altri. La formazione terrestre in generale si adagia sulle sabbie post-terziarie. Ovunque essa è formata dagli stessi elementi, va- riabili solo nella quantità; e talora contiene della ghiaia. Tale deposito terrestre copre sotto forma di terrazze le basse, le medie e le alte pianure, fino a più di 800 metri sul livello del mare. L’alluvione antica ha quasi sempre un colore brunastro; e nelle basse pianure dei dintorni di Reggio, come a Condora e a Mo- APPUNTI SOPRA ALCUNI LEMBI ECO. 139 dena si presenta in grandi lembi, i quali qualche volta in alcuni i punti arrivano ad avere una potenza di più di 15 metri. Questi 1 lembi son divisi 1' un dall’ altro da ampie ma poco profonde valli, come quella dello Spirito Santo, tra il terrazzo di Condora e quello di Modena, e talora da vere valli di erosione formatisi in epoca relativamente recente. ■ Nelle medie e nelle alte pianure l’ alluvione antica si pre- senta in lembi staccati, sempre più piccoli man mano che au- menta l’altitudine. Sui monti sottostanti a Cardato (872 metri) e che costituiscono il gruppo dell’ elevazione dei piani di Sant’Agata, 1 alluvione antica si trova a contatto delle filladi e degli schisti. Quivi però i lembi sono piccolissimi, ed il loro spessore massimo non supera che poco più di un metro. Della formazione terrestre alluvionale accennata, solo a Mor- rocu io ho trovato un’ abbondante fauna di Elici, mentre in ogni altro lembo da me osservato essa mi si è mostrata priva di qua- lunque resto organico. ECHINIDI DEL BACINO DELLA BORMIDA (') Nota del dott. Carlo Airaghi. (Tav. VI, VH). Sono gli ecMnidi di Carcare, Dogo, Cassinelle e dintorni che formano l’argomento di questo lavoro. Già il Michelotti e il Desor e recentemente il dott. Botto Micca, si occuparono della fauna echinologica rinvenuta nei depo- • siti di alcune località citate, ma le continuate ricerche misero in - luce diverse forme non ancora conosciute, e numerosissimi esemplari che si prestano ad estendere le nostre cognizioni sopra forme già note , e anche a rettificare per qualcuna di esse il riferimento specifico. Il materiale studiato è costituito da più di 300 esemplari, ed è quello della collezione Michelotti, esistente presso il E. Museo geologico deir Università di Roma, quello della R. Università di Torino, delle collezioni del Conte di Rovasenda e degli eredi Per- ^ rande, nonché alcuni pochi esemplari che si conservano nel gabi- netto di Scienze Naturali del R. Istituto tecnico di Udine, e quelli raccolti, in alcune gite, da me e dal dott. de Alessandri, che ven- nero donati al Museo civico di Milano (2). ! Come è noto a Carcare, Cairo Montenotte, Dego, Squaneto, Millesimo nelle valli della Bormida, a Giusvalla, a Pareto nella vai Valla, a Sassello nella vai dell’ Erro, a Cassinelle nella vai del- l’Orba, nella regione insomma compresa tra la vai della Bormida ; e quella della Stura, il Tongriano è molto sviluppato, e si comporta come un deposito formatosi al piede di una catena montuosa e sollevato di poi con esso senza disturbi stratigrafici profondi, e quindi gli strati di tale piano sono inclinati leggermente a nord 0 a nord-nord-ovest, verso cioè l'ampio golfo padano che nel ter- • (1) Vedi nota preventiva. Echinidi di Carcare, Dego, Cassinelle e din- torni (Atti, Soc. it. se. nat., voi. XXXVIII). -fl (2) Ai chiami prof. Portis, Parona, Tellini, dott. Michele Perrando, Conte j di Eovasenda, che gentilmente m’inviarono gli echinidi delle loro collezioni 1 e al chino prof. Mariani e dott. de Alessandri, pe’ loro aiuti e consigli, i miei J più sentiti ringraziamenti. Ringrazio anche il sig. Grattarola, farmacista di Cassinelle, appassionato raccoglitore di fossili, che gentilmente mi fu guida « in una gita. Credo utile render noto che i signori eredi Perrando desiderano ven- 1 dere la loro collezione che attualmente si trova a Sassello, ricca special- J mente di filliti del bacino di S. Giustina. 1 C. AIRAGHI, ECHIKlDI DEL BACINO DELLA BORMIDA 141 ziario occupava la depressione compresa tra 1’ Appennino setten- : trionale e le Alpi occidentali. Nel suo complesso risulta costituito . da banchi conglomeratici a grossi elementi ciottolosi di natura , serpentinosi o diabasici, e da marne e arenarie in vario modo co- lorate, grigio-brune, giallastre, ricchissime di fossili, tra i quali gli echinidi più caratteristici di questo piano, la Scutella subrotunda, Lam. e la Scutella stnatula Mar. de Ser. Superiormente al Ton- griano si sviluppano de’ grossi banchi d’ arenaria grigio-plumbea, pei alterazione gialliccia caratterizzati Echinolampas plagio- somus^ (Agass.) Cott. che segnano il passaggio all’Aquitaniano, piano che viene regolarmente ricoperto da marne azzurrognole di mare profondo ad Aturia Aturi Bast. del Langhiano, caratterizzato, per gli echinidi, àslV Hemipneustes italicus, Manz. ^ Premessi questi brevi cenni stratigrafici, e detto che gli echi- nidi che formano l’argomento di questo lavoro appartengono a tre piani, al Tongriano, all’Aquitaniano, al Langhiano, prima di pas- sare alla descrizione delle specie, credo conveniente fare quelle considerazioni che ho potuto dedurre dallo studio di esse. La fauna echinologica del Tongriano non manca di echinidi appartenenti alla famiglia dei Clipeastroidei riferibili ai generi Echino cy amus , Clypeaster, Scutella, Amphiope, a quella dei Cas- sidulidei riferibili ai generi Echinolampas, Echinanthus, e in que- sto senso corrisponde essenzialmente ad una fauna di deposito marino litorale, in quanto che non comprende alcuni rappresentanti di specie esclusivamente di mare profondo, poiché anche gli Spatan- goidei, rappresentanti specie che vivono nei mari profondi, come lo Spatangus ornatus, Ag., e il Pericosmus spatangoides, lo Schi- saster ^ corsicus, presentano la caratteristica d’ essere di più pic- cole dimensioni di quelli trovati nella Corsica e nel Vicentino diffe- renza di dimensioni, che, come già venne dimostrato, va attribuita all influenza della stazione batimetrica in cui hanno vissuto le specie. Analizzata poi questa fauna ad echinidi nei suoi singoli mem- bri, pur escludendo le poche specie nuove, il Clypeaster Paro- nai,i\ Pericosmus Paronai, affini l’uno al Clypeaster biarrit- sensis, Cott. di Biarritz, l’altro al Pericosmus Edwartii, Sis. della collina di Torino, e V Amphiope pedemontana, che ricorda Y Am- phiope truncata.^ Agas., tuttora vivente, non può a meno d’appa- rire importantissima e istruttiva, perchè risulta costituita non solo da specie esclusive del Tongriano, ma da specie che vennero anche 142 C. AIRAGHI riscontrate in piani più antichi, come quelli del Numniulitico di Biarritz e della Svizzera, e quelli che aprono la serie strati- grafica dell’Oligocene nel Veronese e nel Vicentino, e da specie comuni a terreni più recenti, come quelli terziari della Corsica, Sardegna, Malta e della Collina di Torino, comprendendo cosi forme dell’eocene insieme a forme del miocene. Di questa fauna infatti 11 specie vennero trovate anche ne- gli strati che aprono la serie stratigrafica dell Oligocene nel Vicen- tino Veronese: ClypeaUer Micìielinii, Lb. » Micìielottii, Agas. placenta, Micht. Ecìiinolampa^ globuliis, Lb. Scutella subrotiinda, Lam. Schùaster ambulacrum, Agas. Schizaster rimosus, Des. » vicinali^, Agas. » Studeri, Agas. Pericosmus spatangoides (Des), De Lor. Euspatangus ornatus, Agas. 5 nel terreno numniulitico di Biarritz (livello superiore): Gidaris aciculavis, d^ Archt. Schizasien vicinalis, Agas. Schùaster ambulacrum, Agas. Euspatangus ornatus, Agas. » rimosus, Agas. 7 nel terreno nummulitico della Svizzera : Echinanthus Oosteri, de Lor. Echinolampias Escheri, Agas. Echinolampas curii somus, Agas. Schùaster rimosus, Agas. » affinis, Agas. Pericosmus spatangoides (Des) » Studeri, Agas. de Lor. 12 nella melassa serpentinosa di Montese e di Salto Montese: Echinolampas afflnis, Agas. Linthia Capetlinii,. de Lor. * similis, Agas. Schùaster vicinalis, Agas. , globulus, Lb. " ambulacrum, Agas. n eurysomus, Agas. ” rimosus, Des. » Escheri, Agas. ” Studeri, Agas. » Studeri, Agas. 3 specie neH’arenarie verdi ad Echinolampas conicus di Belluno Scutella subrotunda, Lam. Schùaster Desori, Wright. Echinolampas affinis, Agas. 8 specie nel terreno miocenico Clypeaster Beaumontii, Sis. » laganoides, Agas. Scutella subrotunda, Lam. Brissus corsicus, Cott. della Corsica; Schùaster Desori, Wright. B corsicus, Agas. B Scillae, Agas. Pericosmus Peroni, Cott. 143 ECHINIDI DEL 5 specie nel terreno miocenico Scutella subrotunda, Lam. Brissus corsicus, Cott. Schùaster Desori. Wrisflit, 4 specie nel terreno miocenico Scutella striatula. Mar. de Ser. Schùaster Desori, Wright. 6 specie nel terreno miocenico Clypeaster Beaumontii, Sis. » laganoides, Agas. Echinolampas Lavrillardii, Aga CINO DELLA BOUMIDA della Sardegna : Schùaster amhulacrum, Agas. " Scillae, Agas. di Malta: Schùaster Scillae, Agas. Euspatangus de KomineMiYdxig\xt della Collina di Torino: Echinolampas similis, Agas. ” afflnis, Agas. 5-. Schùaster Scillae, Agas. ^ Minori confronti invece permette la fauna echinologica aqui- taniana, perchè, se i molti esemplari di Echinolampas plagioso- mus (Agas) Cott., di Spatangus e di Pericosmus a grandi di- mensioni, sono sufficienti per dimostrare che le arenarie entro cui SI trovano, si depositarono in un mare abbastanza profondo, credo che, basandosi solamente sullo studio delle poche specie di cui risulta finora formata, non si abbiano dati sufficienti per stabilire con certezza la posizione stratigrafica dei grandi banchi d’ arenaria del R. Ravanasco e di Visone. Detta fauna infatti risulta costituita da sole 5 specie, delle quali due sono nuove, una comune al ton- griano e all’eocene, le altre a tutto il miocene. Nè maggiori conclusioni permettono i due grandi esemplari di Hemipneustes italicus, Manz. trovati nelle marne langhiane di Val Bogliona, specie riscontrata già nello Schlier delle Colline di Bologna e di Ancona, nella melassa serpentinosa di Montese e melassa marnosa dei dintorni di Cuiglia. Complessivamente le faune di cui ho detto sopra risultano for- mate da 45 specie, delle quali sette sono nuove : Coptosoma Alexandrii Clypeaster Paronai ” Taramellii Amphiope pedemontana Linthia Lorioli Pericosmus Paronai ” Marianii Echinidi del Tongriano. 144 C. AIRAGHI d w o ci fi c b£) «2 bc bx- ci d ^•p g 3 S I o-“ fi S SP3M o -g = ^ § O ^cq' W o o ^ bc o PQ 02 ff fi fi c c = s s s pJfi ^ ;h ^ s» •3^ a; o fi =3 5 c3 ^ c3 02 CO CO 1 I i I C3 c3 CQ C>3 fi fi d d SS 02 CO fi ^ 02 S*fi d C rrl .2 c3 -S c« "S O J-o o oS I d 3 m ±;:r I o a SS I I II II BBS O O Q? ca CO CO o o ?3 fi fi s sss co • CO P p^ p p ^ 3 1 'o ' O 1 1 H N ‘C S-i S. Marti ritz Biarritz •4-2 *c ce •4J ^ p o> P P s ce S S - < j+2 *C p, OJ o I 1 ^ Ci o cé' ci O eòo ce o N e ce :e o S • o M ce « OJ ^ c3 o ^ có m o; o ^ OQ ce ^ o .5 o tuo p o "ce^ £ ^ aj" ^ ^ le ^ ^ bC p; ^ (3^ O 52 *c O 2? P o .| h^ ^ o> O .3 03 m a ce o c ^ ’p 3 a. Oh <}^ ^ <4^ <3J fl ’ ---s O ^ òhS O >-* '♦^ • -fJ ^ P ■ li “fcS co S tuOv! ce ce OO ce H C> ®3 h P ce bo ^ 2 0 ce ce ce ooo ^ ce ce POO ■!> p Q -5 ^ ^.S *0 o M CO ^ “ c» -gj ce pP 02 rS ca- ca O 3 co 5». gì D ei •s Iq^ ^ Ih oq ce bJD pp bx) ce b£) -<3 O* rQ P h ^ P Q> 'T3 I i no “ § «0 *9 ^ ^ ;ì "" p -c? ^ -'Jl IO » SS S5 CO iO co co co 10 Echinidi dell’ Aquitaniano. C. AlRAGHl r- a c« O ta Q. C C« s-s co C5 za s ta 2 u) 1^. ^CO « ^ « cg 5 S c/5 SS o 2 < S c z -< td Q 5 z S Q W o o f= c> O c/3 co co d3 « s ca c« .-rS § S.P5W ce «« c 5 ce ce ce ce tó W W V . ♦ *4 ^ -aH pj cc CC pg si Có ?S co ^ |o:l^ C >u .4-0 SS «ó' « 3 s3 . 4s bD-f^ tu j| & § O - ?ì. e ci. ?à SS , tav: 202, 203. ’ (*) (*) Cotteau, 1891, Pai. Frane. Terr. tert. Eoe. Ech., t. II, pag. 75. 160 C. AlRAGHt Sono alcuni piccoli esemplari come quello trovato a S. Ila- rione. Dimensioni : altezza mm. 21 lunghezza * 33 larghezza " 24 Essi però presentano la parte posteriore alquanto più carenata e rostrata, e le aree interamhulacrali pari posteriori un po’ meno rialzate, mentre invece per la conformazione degli ambulacri cor- rispondono alla descrizione del Laube. Tongriano — Carcare (Università di Torino). Echinolampas similis, Agas. 1847. Echinolampas similis (pars), Agassiz e Desor, Catal. rais. (1- C-h pari. II, pag. 16-5. 1891. n " Cotteau, Pai. Frane. Terr. tert. Eoe. Eeh., t. II, pag. 63, pi. 224, 225, pi. 223, fig. 4, 6. 1876. >» ” Mazzetti, Catal. degli echin. foss. della coll. Mozz. (1. c.), pag. 30. L’ esemplare che riferisco a questa specie è di forma ovoidale, subcircolare, arrotondato nella parte anteriore e leggermente ro- strato posteriormente, colla faccia superiore uniformemente convessa e quella inferiore quasi piana, concava attorno al peristoma. Dimensioni (maximum) : altezza mm. 31 lunghezza " 68 larghezza » 61 Tra le diverse varietà di questa specie distinte dal Cotteau, il mio esemplare sarebbe da riferire alla varietà di grandi dimen- sioni e depressa; però faccio notare che in esso la larghezza dello spazio interporifero è alquanto diversa nei diversi ambulacri ; e cioè, più largo negli ambulacri pari anteriori che non nei posteriori. Non poca fu la confusione che si fece per molto tempo tra questa specie e Y Echin. aflinis, Agas., dal quale si distingue per la faccia superiore più alta, le aree ambulacrali più rigonfie, le zone porifere più larghe, il periprocto maggiormente posto vicino al margine. Tongriano — Millesimo (Università di Torino). ECHIMDI DEL BACINO DELLA BORMIDA 161 Echinolampas Laurillardii^ Agas. (non Laube). Tav. VI, fìg. 7, 8, 9. 1843. Echinolampas L aurillardii, Agassiz e Desor, CataL rais, des Echini. (1. c.), par. II, pag. 165. 1858. » n liQsox, Synopsis des Echin.,^z.g.Zi)l. 1835. » Eiccardii, Desmouliiis, Tabi, syn., pag. 342. Posseggo di questa specie un numero rilevante di esemplari, alcuni dei quali portano il cartellino scritto dal Desor. La loro forma talora è ovale, talora allungata subpentagonale, arrotondata anteriormente e rostrata nella parte posteriore, colla maggior larghezza in corrispondenza all’estremità libera degli am- bulacri pari posteriori. La faccia superiore depressa e uniforme- mente convessa, talora gibbosa sull’ area interambulacrale impari posteriore vicino all’ apice ambulacrale ; quella inferiore molto pro- fonda; i margini tondeggianti, gonfi in corrispondenza alle aree interambulacrali, depressi invece in corrispondenza a quelle am- bulacrali. La sommità ambulacrale subcentrale, spostata molto avanti. Gli ambulacri pari petaloidei, aperti alle loro estremità, stretti, ineguali ; i posteriori più larghi e più lunghi degli anteriori, che sono molto più divergenti di quelli. L’ ambulacro impari anteriore diritto, più corto e più aperto degli altri, zone porifere strette, leggermente depresse, disuguali negli ambulacri pari. Lo spazio in- terporifero rialzato e uniformemente convesso, largo quanto le zone porifere. Peristoma subcentrale spostato avanti, subpentagonale, trasver- sale; periprocto trasversale, subtriangolare inframarginale. Dimensioni ; altezza mm. 32, 28, 26 lunghezza » 69, 57, 60 larghezza « 59, 55, 51 Questa specie si distingue dall’ Echin. Laurillardii, Wright {=Echin. Manzoni, Greg.) (’), per la faccia superiore meno rialzata, meno acuta in corrispondenza all’apice ambulacrale, e per 1' am- bulacro impari anteriore fornito di zone porifere uguali. Si distin- (1) Gregory. On (he mali. foss. echin. (1. c.), pag. 606. 11 162 C. AIRAGHI gue àsiXY Echin. Laurillardii, Lbe. (') per gli ambulacri più stretti, più corti, r apice arabulacrale maggiormente spostato in avanti, e per essere maggiormente rostrato nella parte posteriore, caratteri questi che lo distinguono anche dall’ esemplare figurato dello Scilla (2) e erroneamente riferito dal Laube a questa specie. Tongriano — Dego, Cassinelle (Museo civ. di Milano, Univer- sità di Roma, di Torino, Coll, di Rovasenda, Eredi Ferrando); Car- care (Università di Torino, Coll. Conte di Rovasenda, Eredi Fer- rando); Sassello, Squaneto, Giusvalla, Fareto, Millesimo, Cairo Mon- tenotte (Coll. Eredi Ferrando). Echinolamgìas 'plagiosomus, (Agas.) Coti 1895. E eh ino 1 am pas plagiosomus, Cotteau, Descript, des Echin. mioc. de la Sardaigne (Mém. de la Soc. Géol. de Frauce), pag. 31. (pars), de Alessandri, La pietra da Cant. di Rosignano e di Vignale (1. c.). pag. 75. Agassiz e Desor, Calai, rais. (1. c.), parte II, pag. 168. Cotteau, Descript, de la faune tert. de la Corse (An. de la Soc. d’Agric. et d’Hist. nat. de Lyon), pag. 285. Diversi sono gli esemplari che riferisco a questa specie, ta- luni dei quali sono subcircolari, colla faccia superiore elevata, se- misferica, altri invece colla faccia superiore acuminata come quelli della Melassa di Santa Maria Vigliana (^) e Montese. Essi si distinguono dal Con. conoides, Agas. (^), per la loro faccia superiore meno elevata e più uniformemente convessa e per le loro zone porifere alquanto più strette. Si distinguono poi dal Con. plagiosomus, VoQ.{—Heteroclypeus subpentagonalis, Greg.) (^), specie a cui credo debbansi riferire alcuni esemplari studiati dal (1) Laube, 1871, Die Echin. der ost.-ung. tert. (Ahlan. des K. K. geoL Reichs, B. V.), pag. 66, tab. 18, flg. 1. (2) Scilla, 1847, De corpor. mar. lap., tav. XII, fig. 2. (3) Manzoni, Echin. foss. della Mol. serpent., ' ecc. (1. c.), pag. 187, tav. II, fig. 25. (^) Cotteau, Pai. Frane. Terr. tert. Eoe. Ech., t. II, pag. 200, pi. 252, 256- (3) Gregory, On thè mali. foss. echin. (1. c.), pag. 599. 1897. » » 1847. Conoclypeus » 1877. » » ECHINIDI DEL BACINO DELLA BORMIDA 163 de Alessandri, che li dice simili all’ esemplare figurato dal Laube, per le loro minori dimensioni, e per il loro contorno non subpen- tagonale, ma circolare. Questa specie, riferita dapprima al genere Conoclypeus, venne dal Cotteau ascritta al genere Echinolampas per la struttura di- versa del peristoma e del periprocto. Aquitaniano. — Calcare di Acqui (Università di Torino), Cal- care di Visone, arenaria del R. Ravanasco (Mus. civ. di Milano), Arenaria tra Grognardo e Lupito (Coll. Conte di Rovasenda). Gen. Hemipneixstes, Agas. Hemipneustes italicus, Manz. (Tav. VII, fig. 2). 1 878. Hemipiieustes italicus, Manzoni e Mazzetti, Echin. nuovi della Molassa mioc. di Montese nella prov. di Modena (Atti della Soc. Tose, di 1879. » y> se. nat.j, pag. 352, tav. XIX, fig. 1. Manzoni, Oli Echin. foss. dello Schlier 1880. » della coll, di Bologna (Denksch. des K. K. Akad. der Wiess., B. XXXIX), pag. 156, tav. I, fig. 3; tav. II, fig. 16, 17; tav. IV, fig. 31, 32. Manzoni, Echin. foss. della Mol. serp. 1881. » » e sup. agli echin. dello Schlier della coll, di Bologna (Denksch. des K. K. Akad der Wiess., B. XXXXII), pag. 187, tav. II, fig. 7, 8. Mazzetti, Echin. foss. di Montese (Atti 1885. Y> della Soc. Tose, di se. nat.), pag. 121. Mazzetti e Pantanelli, Cenno mon. in- 1896. W torno alla fauna foss. di Montese (Atti della Soc. Tose, di se. nat."), pag. 85. Mazzetti, Catal. degli echin. foss. della coll. Mazz. (1. c.), pag. 28. E Y Hemipneustes italicus, Manz., una specie di grandi dimen- sioni, colla faccia superiore depressa e leggermente convessa, col- 1 apice ambulacrale molto spostato verso la parte posteriore, cogli ambulacri pari larghi alla loro estremità libera, molto fiessuosi, col solco anteriore pure largo e scavato presso il margine. 164 C. AlRAGHl 11 Manzoni e il Mazzetti, che pei primi constatarono la pre- senza di questo genere nei terreni terziari, fino allora ritenuto come esclusivamente proprio dei terreni cretacei, si meravigliarono come mai si sia riprodotto nella Melassa del miocene superiore delle colline di Modena senza che abbia lasciato traccia di sè nella lunga e potente serie dei depositi fossiliferi dell’ eocene e miocene inferiore, e, nel dubbio, vollero sentire il giudizio di Cot- teau, a cui spedirono i loro esemplari. Riguardo all’ importanza Hemipneustes italicus nei ter- reni miocenici piacemi riportare quanto scrisse il Manzoni : « L’Zfg- mipneustes italicus si distingue a prima vista dalle altre due specie {Hemip. radiatus, Agas., Hemip. africanus Desor.) del cretaceo superiore per essere di forma piuttosto schiacciata e depressa e per avere un guscio sottile, mentre invece i due Hemipneusies della creta hanno una forma alquanto analoga a quella delle Ananchytes e dei Toxaster. Di qui è che X Hemip. italicus si presenta come un tipo specifico a sè, senza alcuna analogia di derivazione dalle specie preesistite, circostanza che rende tanto più sorprendente la sua esistenza nei terreni miocenici d’ Italia f . Langhiaao. — Val Bogliona (Mus. civ. di Milano). Gen. Briissus, Klein. Brissus corsicus., Cott. 1877. Brissus corsicus, Cotteau, Descript, de la fauna tert- de la Corse (1. c.), pag. 331, pi. XVI, fig. 1, 2. 1887. ’i « Parona, App. per la pai. mioc. della Sar- degna (Boll. Soc. geol., voi. IV), pag. 20. — n p e d e m 0 n t a n u s, Michelotti, inaedictis. Benché il Michelotti abbia pel primo distinto questa specie coir aggettivo pedemontanus, pure credo conveniente mantenere il nome dato dal Cotteau, che pel primo la descrisse e la illustrò. L’ esemplare che ad essa riferisco è di dimensioni alquanto minori di quello illustrato dal Cotteau, ma poiché ha una mede- sima fisonomia e i medesimi caratteri, non credo conveniente farne una specie nuova. Come quello del Cotteau ha una forma allungata, arrotondata anteriormente; la faccia superiore gibbosa in avanti e quella infe- ECHINIDI DEL BACINO DELLA BORMIDA 165 riore quasi piana; la sommità apicale eccentrica in avanti, e gli ambulacri pari profondi, stretti, lunghi; gli anteriori molto più divergenti dei posteriori, quasi perpendicolari all’ asse longitudinale. Tongriano. — Dego (Università di Roma). Gen. Brissopsis, Agas. Brissopsis sp. ind. Un cattivo esemplare che non permette alcun riferimento spe- cifico. Aquitaniano. Val Bogliona (Mus. civ. di Milano) Gen. Linthia, Merian. lÀnthia Capellinii, De Lor. 1881. P r e n a s t e r? fallax. Mazzetti, Echin. foss. di Montese (1. c.), pag. 119, tav. I, fig. 5. 1882. Linthia Capellini i. De Loriol, Descript, des echin. des env. de Camerino (Mém. de la Soc. de Phis. et d’ Hist. nat. de Genève), pag. 21, pi. I, fig. 10, 11. Mazzetti e Pantanelli, Cenno mon. intorno alla fauna foss. di Montese (1. c.), pag. 69. Botto Micca, Contrih. allo studio degli echin. foss. terz. del Piemonte (1. c.), pag. 15. Mazzetti, Catal. degli echin. foss. della coll. Mazz. (1. c.), pag. 26. Trovo questa specie rappresentata da un solo esemplare al- quanto mal conservato specialmente nella faccia superiore. Esso è di dimensioni alquanto maggiori di quelli illustrati dal De Eoriol, e maggiormente corrisponde alla figura data dal Mazzetti. Questa specie descritta per la prima volta dal Mazzetti venne riferita al genere Prenaster, ma un anno dopo il De Loriol, studiando gli echinidi di Camerino, la riferì al genere Linthia., e, ritenendola specie nuova, la dedicò al prof. Capellini, nome che più tardi, ri- vendicata però a sè la priorità nella descrizione della specie su- detta, venne accettato anche dal Mazzetti. Tongriano. — Carcare (Università di Torino). 1885. 1896. 1896. 166 C. AIRAGHI Linlhia Lorioli, n. sp. Tav. YII, fig. 3 a, b. Non sempre torna facil cosa distinguere il genere Linthia dal genere Pericosmus^ specialmente quando i fascioli non sono visi- bili ; epperò, nel dubbio, spedii in esame 1’ esemplare che riferisco al genere Linthia al sig. de Loriol, che mi rispose trattarsi ap- punto di questo genere e di una specie nuova. Dimensioni : altezza mm. 34 lunghezza » 61 larghezza » 64 Come dalle dimensioni si vede, è ima forma tanto lunga quanto larga ; è tondeggiante nella parte anteriore, ristretta in quella poste- riore, cuoriforme. La faccia superiore è regolarmente convessa, quella inferiore piana, e quella posteriore troncata pei-pendicolarmente e leggermente scavata. La sommità ambulacrale è pressoché centrale. Gli ambulacri pari lunghi, relativamente molto larghi e profondi. Gli anteriori sono diritti e diretti in avanti, i posteriori sono un po’ più corti e meno divergenti. Zone porifere più larghe che lo spazio inter- porifero; i pori sono oblunghi, specialmente quelli della serie e- sterna. L’ ambulacro impari è collocato in un gran solco, che si fa molto profondo vicino al margine, che viene così molto intaccato. Il peristoma trasversale, labiato, molto eccentrico in avanti ; periprocto subcircolare alla sommità della faccia posteriore. Questa specie si distingue facilmente tra le altre riferite al genere Linthia per la conformazione del solco anteriore, profondo, largo, e per i suoi ambulacri pure larghi e profondi. Tongriano — Carcare (Università di Torino). Gen. ì5»oliiza.ster*5 Agas. Schizaster ambulacrum (Des.), Agas. 1831. Schizaster ambulacrum, Desliayes, Descript, de coquil. caract. des terr., pag. 255, pi. VII, fig. 4. Cotteau, Pai. Frane. Terr. tert. Eoe. Ech; t. I, pag. 320, pi. 95, 96. 1890. ECHINIDI DEL BACINO DELLA BORMIDA 167 1896. Schizaster ambulacrum, Botto Micca, Contrib. allo studio degli echin. terz. del Piemonte (1. c.), pag. 22. I Un esemplare solo che corrisponde esattamente alla descri- I zione del Cotteau. Dimensioni: altezza mm. 39 lunghezza » 60 larghezza » 58 Distinguo questa specie tra le sue congeneri per la forma subcircolare, leggermente esagonale e per la conformazione dei suoi ambulacri stretti, acuminati e profondi. Lo Schis. lucidus, Lbe., col quale talora venne confuso, si distingue dallo Schù. ambulacrum, per la sommità ambulacrale più eccentrica posteriormente, per gli ambulacri molto più brevi e infine per il periprocto molto più piccolo. Tongriano — Carcare (Università di Torino). Schisaster Studeri, Agas. Tav. VII, fig. 4 è, 5 a, h. 1836. Schizaster Studeri, Agassiz, Prod. d' Ufne mon. des rad. (Mém. Soc. des Se. nat. de Neuchàtel), t. I, pag. 185. ” ” GoitessM, Pai. Frane. Terr.tert. Eoe. Ech. ,i.l, 1896. 1896. 1863. 1891. pag. 344, pi. 103, 104, 105. ” ” Botto Micca, Contrib. allo studio degli echin. terz. del Piemonte (1. c.), pag. 21. » diulfensis? Botto Micca, Contrib. allo studio degli echin. terz. del Piem. (1. c.), pag. 23. » africanus, de Loriol, Descript, de deux Echin. nouv. du Num. d' Egypte (Mém. de la Soc. de phys. et d’ Hist. nat. de Genève, voi. XVII), pag. 105, pi. I, fig. 2. ” » Cottean, Pai. Frane. Terr. tert. Eoe. Ech., t. II, pag. 697, pi. 371, fig. 1, 2, pi. 372, fig. 1. Compreso 1’ esemplare che erroneamente venne dal dott. Botto Micca riferito con dubbio allo Schù. diulfensis, Duboi, sono 22 gli esemplari che riferisco allo Schù. Studeri, Agas., tra i quali, se ne trovo di quelli che esattamente corrispondono alle denomi- nazioni date dal Dames e dal Cotteau, ne trovo pure di quelli che 168 C. AIRAGHI presentano dei caratteri alquanto differenti dagli esemplari figurati da detti autori. Le dimensioni di alcuni di essi sono maggiori, la faccia su- periore alquanto più convessa, l’apice ambulacrale meno spostato all’ indietro e il solco anteriore molto più largo e profondo. Le aree ambulacrali sono pure diverse : quelle pari anteriori sono più lunghe e più divergenti e acuminate alle loro estremità e flessuose, quelle posteriori pure più lunghe e flessuose; infine anche le aree inter- ambulacrali presso l’ apice si ripiegano maggiormente e formano una sporgenza globulare alquanto rimarcata. Dimensioni (esemplare più grande) : altezza mm. 41 lunghezza » 70 larghezza » 62 Tali esemplari adunque corrispondono maggiormente a quello illustrato dal Sismonda (*). Bisógna però ricordare come questa specie presenti diverse varietà e ad essa si sieno riferiti esemplari alquanto diversi, talora di dimensioni mediocri e caratterizzati da un solco anteriore stretto e diritto, come quelli del Vicentino de- scritti e illustrati dal Barnes, talora invece di dimensioni grandi e caratterizzati da un solco anteriore largo e profondo e da ambulacri flessuosi e lunghi come quelli illustrati dal Sismonda. Ciò farebbe supporre che allo Schiz. Studeri sieno stati riferiti esemplari ap- partenenti a specie diverse ; ma una tale supposizione credo non abbia più ragione d’ esistere, qualora si consideri che tra forme tanto diverse se ne trovano altre, come sarebbero quelle illustrate dal Cotteau, che possono indicare la stretta connessione che regna tra loro. Tra i miei esemplari ne trovo poi di quelli che pei loro ca- ratteri sarebbero da riferire allo Schiz. africams, de Lor., che ri- tengo una varietà dello Schiz. Studeri. Il Cotteau, pure inclinato a riunire le due specie in una sola, a proposito dello Schiz. africanus, dice che si distingue dallo Schiz. Studeri per la forma più rotonda, per il rostro posteriore (1) Sismonda, 1841, Mem. geo.-zool. sugli echin. foss. del coni, di Nizza, pag. 32, pi. II, fig. 4. ECHINIDI DEL BACINO DELLA BORMIDA ] 69 più largo e prominente, per le aree ambulacrali pari più flessuose e quelle interambulacrali più sporgenti e più carenate, ma, poiché trovo esemplari caratterizzati dagli ambulacri pari molto flessuosi e dalle aree interambulacrali molto sporgenti e carenate senza es- sere cai atteri zzati anche dalla forma tondeggiante e viceversa, e poiché il rostro posteriore varia nella sua larghezza e prominenza, non in relazione agli altri caratteri, mi credo autorizzato a riu- nire le due specie in una sola. Tongriano Cassinelle (Mus. civ. di Milano, Università di Torino), Carcare (Università di Torino), Dego (Università di Koma), Urognardo (Coll. Conte di Rovasenda). Schùaster vicinalis, Agas. 1847. Schizaster vicinalis, Agassiz e Desor, Catal. rais. (1. c.), partili, pag. 21. ” Cotteau, Pai. Frane. Terr. tert. Eoe. Beh., t. I., pag. 328, pi. 98, 99. ” ” Botto Micca, Contrib. allo studio degli eehin. tert del Piemonte (1. c.), pag. 21. L’ esemplare che riferisco a questa specie presenta dei carat- teri alquanto diversi da quelli illustrati dal Laube, dal Barnes e dal Cotteau e da quelli che si trovano nel Museo civico di Milano provenienti dal Vicentino. Esso é alquanto più sottile ; la faccia superiore é maggior- mente inclinata all avanti, gli ambulacri pari anteriori sono più ricurvi e stretti e quelli posteriori più stretti e più lunghi ; l’am- bulacro impari anteriore é molto più largo e meno profondo. Dimensioni: altezza mm. 16 lunghezza » 40 larghezza » 35 Questo esemplare si distingue dallo Schiz. Scillae per le sue minori dimensioni, per la forma più larga, dilatata, meno allun- gata, per gli ambulacri pari posteriori più corti e gli anteriori meno flessuosi e più stretti. Tongriano — Carcare (Università di Torino). 170 C. AIRAGHI Schizaster rimoms, Des. 1847. Schizaster rimosus Agassiz e Desor, Calai, rais. (1. c.), part. IH, pag.22. 1890. » » Cotteau, Pai. Frane. Terr. tert. Eoe. Eeh., tav. I, pag. 335, pi. 100, 101. 1896. » » Botto Micca, Contrib. allo studio degli eehin. terz. del Piemonte (1. c.), pag. 54. Anche a questa specie riferisco esemplari che presentano dei caratteri diversi da quelli studiati dal Lanbe, Dames, Cotteau. Essi sono caratterizzati da una forma suhtriangolare, coll’apice ambnlacrale subcentrale, spostato all’ indietro, col solco anteriore diritto, largo, profondo, cogli ambulacri pari anteriori larghi e molto divergenti, e i posteriori ravvicinati tra loro e molto brevi. Il dott. Botto Micca però, che potè confrontare gli esemplari che ho in esame, col modello t. 51 del Desor, li trovò concor- danti. Io poi li confrontai con un grande esemplare del Museo civico di Milano, determinato dal Prof. Taramelli e li trovai aventi una medesima fisonomia. Per la loro forma subtriangolare i detti esemplari presentano molte affinità collo Scliiz. vicinali^, da cui differiscono per la conformazione del solco anteriore molto più stretto e delle aree ambulacrali pari posteriori alquanto sviluppate. Tongriano — Carcare (Università di Torino). Schizaster Besori, Wright. 1855. Schizaster Deso ri VTright, On foss. Ecliin. from thè Island of Malta (The ann. andMag. of nat. hist.), pag. 264 pi. VI, fig. 3. 1892. » » Gregory, /bs. ecAiw., (I.C.), pag. 617. 1896. n « Botto Micca, Contrib. allo studio degli echin. terz. del Piemonte (1. c.), pag. 23. 1896. » pyriformis Botto Micca, Contrib. allo studio degli echin. terz. del Piemonte, (1. c.), pag. 20, tav. 10, fig. 11. 12. Tra i numerosi esemplari trovati a Carcare, Cassinelle e a Dego ne trovo alcuni che non corrispondono esattamente alla descrizione del Wright che pel primo fece conoscere questa specie studiando gli echinidi di Malta. ECHINIDI DEL BACINO DELLA BORMIDA 171 Alcuni hanno una forma più larga e più rotondeggiante an- teriormente, e il solco anteriore più largo e gli ambulacri pari un po’ più lunghi e maggiormente flessuosi. Questa specie si presenta talora coU’ambulacro impari ante- riore molto stretto e diritto, come negli esemplari di Malta e di Cereglio (Q, talora coU’ambulacro impari anteriore largo come in al- cuni de’ miei esemplari e in quelli trovati a Montese (^), a Fonta- naccio (3), presentando così molta affinità collo Schù. Laubei, Hor. (‘‘) e collo Schiz. Parkimoni, Defr. dai quali però si distinguono sem- pre per la loro forma rostrata posteriormente, per la declività del corpo, per l’eccentricità dell’apice ambulacrale e l’andamento e mi- sura degli ambulacri pari. Tòngriano — Carcare (Università di Torino), Cassinelle (Mus. civ. di Milano), Dego (Università di Eoma, E. Ist. Tee. di Udine), Grognardo (Coll. Conte di Eovasenda). Schimster corsicus, Agas. 1847. Schizaster corsicus Agassiz e Desor, Catal. rais. (1. c.), part. Ili, pag. 21. ^877. n Coìteau, Descript, de la fauna tert. de la Corse, (1. c ) pag. 290. ” ” Botto Micca, Contrib. allo studio degli echin. terz. del Piemonte (1. c.), pag. 16. In generale i diversi esemplari che ho in esame sono di di- mensioni alquanto minori di quelli trovati in Corsica, non solo, ma la loro forma è maggiormente arrotondata, e i loro ambulacri sono più lunghi e flessuosi specialmente gli anteriori ; la confor- mazione però della loro faccia superiore molto alta, e di quella posteriore tronca quasi verticalmente, non mi fa dubitare punto del loro riferimento specifico. Tongriano — Carcare (Università di Torino), Cassinelle (Mus. civ. di Milano, ? Università di Torino). (>) Manzoni, 1880, EcUn. foss. della Mol. serp. ecc. (1. c.), pag. 189, tav. Ili, fig. 29, 30. (2) Mazzetti, 1881, Echin. fos. di Montese, (1. c.), pag. 116, tav. Ili, fig. 4. (3) Parona, 1887, App. per la pai. mioc. della Sardegna (1. c.), pag. 20. (■*) Hornes, 1875, Die Fauna des Sch. v. Ottang (Jahr. k. k. geol. Reich. Vien), pag. 387; tav. XV, fig. 1. 172 C. AIRAGHI Schizaster sp. ind. 1896. Schizaster Karreri Botto Micca. Contrib. allo studio degli echin. terz. del Piemonte (1. c.), pag. 21. Sono esemplari troppo mal conservati che non permettono alcun riferimento specifico. Tongriano — Carcare (Università di Torino). Schizaster Scillae, (Leske) Agas. 1881. Schizaster Scillae Cotteau, Descript, des Echin. tert. de la Bel- gique (Mém. Ac. roy. Brux.), pag. 69, pi. VI, fig. 3. J892 n » Gregory, On thè Malt. foss. echin. (1. c.), pag. 617. 1896. » n de Loriol, Echin. tert. du Portugal (1. c.), pag. 43; pi. XVI, fig. 1 1896. V r> var. pliocenica. Botto Micca, Contrib. allo stu- dio degli echin. terz. del Piemonte (1. c.), pag. 1897. j? Vi de Alessandri, La pietra da Cant. di Rosignano e di Vignale (1. c.), pag. 71. 1897. » ri Airaghi, Echin. del plioc. lomb. (Atti Soc. It. di St. nat.), pag. 18. 1861. 5? Bellardii Michelotti, Etud. sur le mioc. inf. de Vita- He sept. (1. c.), pag. 22. Questa specie tanto comune nei terreni terziari medi e supe- riori, non sembra tale nel Tongriano della Val della Bormida di Spigno, conoscendone due soli esemplari, che corrispondono abba- stanza bene alle descrizioni date dal Sismonda, Cotteau, de Loriol. Riferisco a questa specie anche l’esemplare che il Micb eletti riferì allo Schiz. Bellardii, poiché diversifica dal vero Schiz. Scillae, solamente per le sue minori dimensioni. Facendo poi notare come lo Schiz. Bellardii, sia una specie molto rara, e che fin’ ora non si conoscono di essa che due soli esemplari trovati sulla collina di Torino, insieme allo Schiz. Scillae, Agas., dal quale si vorrebbe distinguere per le sue minori dimen- sioni, e per la carena dell’area intrambulacrale posteriore meno pro- nunciata, non sono lontano dal credere che gli esemplari fin’ ora ECHINIDI DEL BACINO DELLA BORMIDA 173 riferiti allo Schiz. Bellardii non siano altro che individui giovani dello Schiz. Scillae. Tongriano — Dogo, Squaneto (Università di Roma). ' Gen. E*ei'icosinu.s, Agas. Pericosmus spatangoides, (Des.) de Lor. Tav. VII, fig. 6, a, b, c. 1875. Pericosmus spatangoides de Loriol, Descript, des Echin, fos. de « » la Suisse (1. c.), pag. 112, pi. XIX, XX, fig. 1. 1890. » I, Cotteau, Pai. Frane. Terr. tert. Eoe. Ech., t. I, pag. 440. 1896. ji ij Botto Micca, Contrib. allo studio degli echin. terz. del Piemonte (1. c.), pag. 25. 1853. Hemiaster spatangoides Desor, Arch. des Se. phys. et nat. de Genere, tav. XXIV, pag. 143. Oltre all’esemplare alquanto mal conservato ch’ebbe in esame il Dott. Botto Micca, riferisco a questa specie anche un esemplare della collezione Michelotti trovato a Dego e diversi altri prove- nienti dalle arenarie aquitaniane lungo il R. Ravanasco presso Acqui. Su di essi non è possibile vedere i fascioli, carattere generico di grande importanza, ma, tenendo conto della descrizione data dal de Loriol, non dubito punto a riferirli al genere Pericosmus. Faccio notare però che, mentre gli esemplari di Carcare e Dego sono di piccole dimensioni, quelli del R. Ravanasco sono molto più grandi, e ciò io credo che sia in relazione alle diverse condizioni batimetriche del mare in cui vissero. Tongriano — Carcare (Università di Torino), Dego (Univer- sità di Roma). Aquitaniano — R. Ravanasco (Mus. civ. di Milano). Pericosmus aequalis, Desor. 1858. Pericosmus aequalis 1861. n „ Desor, Syn. des Echin. foss., pag. 397. Michelotti, Etud. sur le mioc. inf. de V Ital. sept. (1. c.), pag. 22; tav. 1, fig. 21, 22. Mazzetti, Catalogo degli echin. fos. ecc. (1. c.), pag. 20. 1896. 174 C AIRAGHI 11 solo e mal conservato esemplare determinato dal Desor e dal Michelotti. Tongriano — Dego (Università di Roma). Pericosmus Paronai, n. sp. Tav. VI, fig. 10, a, b, 1896. Pericosiaus Edwarsii v. minor. Botta Micca, Contrib. allo studio degli echin. terz. del Piemonte (1. c.J, pag. 27. Per le sue piccole dimensioni il Dott. Botto Micca riferì l’esemplare, che ho in esame, al Pericosmus Edwarsii Agas., fa- cendo la varietà minor, ma poiché presenta diversi altri caratteri, che lo distinguono da tale specie, ho creduto bene di farne una specie nuova. Ha una forma piuttosto allungata, tondeggiante anteriormente e leggermente ristretta nella parte posteriore. La faccia superiore è alta e quasi regolarmente inclinata sui margini, quella inferiore piana, la posteriore subtriangolare e diritta. La sommità ambulacrale è quasi centrale ; gli ambulacri pari sono brevi, stretti, poco profondi e molto più divergenti che non i posteriori. Le zone porifere sono relativamente larghe e lo spazio interporifero stretto. L’ ambulacro impari è collocato in un solco che da piccolo e poco profondo alla sommità ambulacrale va fa- cendosi sempre più largo verso il margine che viene molto intaccato. Il periprocto è subcircolare e posto nella parte superiore della faccia posteriore. Dimensioni: altezza mm. ? lunghezza » 35 larghezza * 31 Il Pericosmus Paronai si distingue dal Pericosmus Edwarsii, Agas., per la sua forma più allungata e più stretta, per i suoi ambulacri pari più stretti e più brevi. Tongriano — Cassinelle (Università di Torino). Pericosmus Peroni, Cott. 1877. Pericosmus Peroni Coiiem, Descript, de la fauna des terr. tert. de la Corse (1. c.), pag. 320, pi. XIV, fig. 3-4. ECHINIDI DEL BACINO DELLA BORMIDA 175 1896. Pericomus Peroni, Botto Micca, Contrib. allo studio degli echin. terz. del Piemonte (1. c ), pag. 26. L’esemplare proveniente da Carcare è di dimensioni minori di quello trovato a Santa Manza in Corsica, che è il tipo della specie di cui Cotteau dà la descrizione. Dimensioni : altezza mm. 30 lunghezza » 48 larghezza » 51 Il Pericosmus Peroni, Cott., si distingue assai facilmente tra i congeneri, per avere la sommità apicale molto spostata all’avanti e la faccia posteriore troncata quasi verticalmente. Tongriano — Carcare (Università di Torino). Pericosmus Marianii, n. sp. Tav. VII, fig. 7, a, h, c, d, Forma quasi larga tanto quanto lunga, tondeggiante anterior- mente, ristretta, quasi acuta posteriormente. La faccia superiore è poco rigonfia e regolarmente convessa, quella inferiore quasi piana e fornita di due grosse protuberanze in vicinanza alla faccia po- steriore che è subtriangolare, concava nel mezzo e inclinata verso quella inferiore. La sommità ambulacrale è centrale. Gli ambulacri pari sono lunghi, molto larghi e poco profondi specialmente alle loro estremità libere; gli anteriori sono più di- ritti, più lunghi e più divergenti che i posteriori. Le zone porifere sono larghe quanto lo spazio interporifero. L’ambulacro impari è collocato in un solco alquanto profondo e molto largo specialmente vicino al margine. Il peristoma è trasversale, labiato, molto eccen- trico in avanti ; il periprocto grande, subcircolare, occupa quasi tutta la faccia posteriore. Dimensioni : altezza mm. 32 lunghezza » 64 larghezza » 64 Le protuberanze di cui questa specie è fornita sulla faccia inferiore fanno ricordare il Pericosmus Montevialensis, Dames, dal quale si distinguerà però sempre per aver gli ambulacri pari 176 C. AIRAGHI meno divergenti, la faccia superiore meno alta e maggiormente convessa, e infine il periprocto molto più grande. Aquitaniano — K. Kavanasco (Mus. civ. di Milano). Gen. Eu.spatang'u.s, Klein. Euspatangus ornatus, (Des.) Agas. 1826. Euspatangus ornatus Goldfuss , Petref. Musei universit. reg. borus. hon., 1. 1, pag. 152, pi. XLVII, fig. 2. 1890. » n Goìie&Vi, Pai. Frane. Terr. tert. Eoe. Echin., t. I, pag 45, pi. 6, 7, 8, 9. 1896. » » Botto Micca, Contrib. allo studio degli eehin. terz. del Piemonte (1. c.), pag. 30. Sono due esemplari di cui uno corrisponde esattamente alla descrizione del Cotteau, 1’ altro invece ne differisce per avere la sommità ambulacrale un po’ più spostata all’ indietro e il solco anteriore più profondo specialmente al margine. h' Euspatangus ornatus., (Def.) Agas. si distingue facilmente pe’ suoi grossi turbercoli e numerosi, delimitati dal fasciole peri- petalo, per gli ambulacri larghi e flessuosi. Tongriano — Carcare (Università di Torino), Giusvalla (Mus. civ. di Milano). Euspatangus cfr. de Koninckii, Wright. Tav. VI, fig. 11-12. 1896. Euspatangus navicella Botto Micca, Contrib. allo studio degli eehin. terz. del Piemonte (1. c.) pag. 29. 1896. Maretia grignonensis Botto Micca, Contrib. allo studio degli eehin. terz. del Piemonte (1. c.), pag. 30. In generale sono esemplari troppo male conservati, e quindi riesce troppo difiìcile una sicura determinazione specifica. Gli esem- plari meglio conservati sono quelli di cui ne do le fotografie, i quali, se per la carena nell’area interambulacrale posteriore e per la disposizione e numero dei tubercoli sulla faccia superiore cor- rispondono alla descrizione data dal Wright per \ Euspatangus de Koninckii (‘), ne diversificano poi per la diversa conformazione (^) Wright, 1855, Foss. Eehinod. Malta (1. c.), pag. 178; 1864, Malt. eehin. (The quater. jur. of thè geol. soc.), pag. 487, pi. XXII, fig. 5. ECHtNIDI DEL BACINO DELLA BORMIDA 177 degli ambulacri e in special modo quelli pari anteriori, molto più lunghi e flessuosi, come si veriflca nQÌ\' Euspatangus Hoffmanni, Grold., dal quale però si distinguono per il minor sviluppo dei tu- bercoli. Tongriano — Cassinelle, Molare (Coll. Conte di Eovasenda), Carcare, Sassello (Università di Torino), Giusvalla (Mus. civ. di Milano), Dego (Università di Roma). Gen. Spatangxis, Klein. Spatangus oorsicus^ Des. 1847. Spatangus corsicus Agassiz e Desor, Catal. rais. (1. c.), partili, pag. 7. !) » de Loriol , Echin. tert. du Portugal (1. c.) pag. 47, tav. 2, fig. 4. 1896. » » de Alessandri, La Pietra da Cani, di Rosignano e di Vignale (1. c.), pag. 69. È questa una delle specie più facilmente riconoscibili e che si riscontra quasi dovunque con esemplari ben conservati. È una specie affine allo Spai. Delfinus, dal quale si distin- gue per la forma, la sommità apicale più eccentrica, e i tubercoli più radi e meno sviluppati. Aquitaniano — R. Ravanasco (Mus. civ. di Milano). Dal Museo civico di Milano, 1899. Spiegazione della tavola VI (I). Località. Collezione Coptosoma Alexan- drii, n. sp. Acqui Mus. civ. di Milano. Clypeaster Paronai, n. sp. Carcare Università di Torino. Clypeaster Taramel- lii, n. sp. Cairo Montenotte Mus. civ. di Milano. 12 CoUezioDe 178 C. AIRAGHI 4, a, b. Amphiope pedemon- Località Dego CollezioDe Mus. civ. di Milano. 5. tana, n. sp. Scutella striatola, Dego Università di Roma. 6. Mar. de Ser. Echinolampas glo- Carcare Università di Torino. 7, hulus, Laube. a, b, c. Echinolampas Lau- Cassinelle Università di Torino. 8, rillardii, Agas. a, b. Echinolampas Lau- Cassinelle Mus. civ. di Milano. 9, rillardii, Agas. a, b, c. Echinolampas Lau- Dego Università di Roma. 10, rillardii, Agas. a, b. Pericosmus Paronai, Cassinelle Università di Torino. 11, u. sp. a, b. Euspatangus cfr. de Sassello Università di Torino. 12, Koninckii, Wright. a, b. Euspatangus cfr. de Giusvalla Mus. civ. di Milano. Koninckii, Wright. Spiegazione della tavola VII (II). 1, a, h. Clypeaster pentago- nalis, Micht. 2, Hemipneustes ita- licus, Manz. 3, a, h. LinthiaLorioli, n. sp. 4, a, b. Schizaster Studeri, Agas. 5, a. b. Schizaster Studeri, Agas. 6, a, b. Pericosmus spatan- goides (Des.), de Loriol. 7, a b, c, d. Pericosmus Marianii, n sp. Località Collezione Cassinelle Conte di Rovasenda. Val Bogliona Mus. civ. di Milano. Carcare Carcare Università di Università di Torino. Torino. Cassinelle Mus. civ. di Milano. R. Ravanasco Mus. civ. di Milano. R. Ravanasco Mus. civ. di Milano. §oc. Voi, XVIII (1899), tav. VI (I). ELIOT. CALZOLARI & FERRARlO. MILANO cBoff. §oc. t’., Voi. XVIII (1899), tav, VII (11) ELIOT. CALZOLARI & FERRARlO. MILANO CENNI SULLA GEOLOGIA DI TARANTO Nota di A. Verri e G. De Angelis D’Ossat. Nei due anni di residenza in Taranto, quale direttore del Genio militare, i molti lavori di costruzioni terrestri e marittime, sopra- tutto quelli della presa d' acqua per l’ Arsenale, m’ obbligarono a studiare attentamente il terreno. Quantunque, capita la litologia e la stratigrafia, nulla importasse allo scopo che aveva, decidere il piano geologico delle formazioni coll’ esame dei fossili, per l’ abi- tudine che si contrae in ricerche simili, raramente ritornava dalle escursioni senza riportarne qualcuno. Così, al momento della par- tenza, mi trovai avere un discreto numero di fossili; i quali non costituivano una collezione nel senso proprio della parola, ma ave- vano riferimento preciso alle diverse formazioni. Stabilito in Roma, pel principio di non tenere inutilmente presso me materiali scien- tifici, detti i fossili al Museo geologico dell’Università, ed il dott. de Angelis trovandoli di qualche interesse per una pubblica- zione, m’ invitò a collaborarvi cogli appunti presi sul luogo. Perciò ho riepilogati quegli appunti, curando di esporre le cose in modo, che il lettore m’ intenda col solo aiuto della carta topografica. In questi cenni desidererei sopratutto, che risaltasse quale fon-^ damento dia nell’ esame del paese la sua struttura geologica : per intendere le forme del terreno in ogni loro manifestazione; per comprendere e dirigere lo sviluppo della vita organica ; per risol- vere problemi attenenti all'ingegneria, alla giurisprudenza, all’igiene. E questo meno per quel che dirò circa i soggetti secondari all’ obiet- tivo dello scritto, quanto per le considerazioni che possa suggerire a chi si proponga taluno di quei soggetti a tema di studio. 180 A.. VERRI E G- DE ANGELIS d’ OSSAT PARTE I. Una linea unita di alture boscose — una lunga pendice ve- stita di olivi — una costa bassa, grigia, intramezzata dalle pa- lazzine della città, dai bastioni rotondi del castello aragonese. A sinistra Mottola, colle case bianche sulla cima d’ un poggio, rompe alcun poco 1’ uniformità dell orizzonte — a destra la col- lina di san Giorgio, isola di roccia nuda perduta tra gli uliveti, coronata dalle case bianche di Roccaforzata, declinando dolcemente verso settentrione, lascia vedere nello sfondo in lontananza le case bianche e le alture di Grottaglie — Appiè dei colli di san Giorgio cave di tufo somigliano a distanza ruderi di città morta Mas- serie, villaggi, paesi segnano macchie e linee bianche tra il verde cenerognolo delle piante. La sensazione di monotonia, che pure non manca di grazia, accompagna in questo paesaggio anche guardando la rada : colle lingue sottili di terra che la abbracciano, colle due isolette appena a fior d’ acqua che la chiudono. Ma da questa parte scintillano, blandite dolcemente dall’ aura, le acque del mare grande ; nel fondo del seno Erculeo, il sole cala dietro le montagne della Basilicata tra nubi di porpora. Vicino a Taranto lenti i declivi, minimi gli accidenti del ter- reno; nella vegetazione prevalente il colore freddo dell’olivo, nelle fabbriche il bianco ; terre bianchiccie, sulle quali affiorano croste aride di tufo; non siepi fiorite di biancospino, di caprifoglio, di rose campestri ; dapertutto muriccioli a secco di tufo attorno ai campi, lungo le strade. Allontanandosi, 1’ occhio si ricrea sulla fiora delle lande sassose. Margherite con grandi corolle d’ oro, anemoni, ciclamini, timo cedrato, acanti e sciite dalle foglie larghe che spi- rano freschezza; frutici di ginepro, corbezzolo, rosmarino, mirto, lentischio; alberi ed arbusti di pino marittimo, elee, carrubio. Artisticamente belle sono le gravine : gole profonde persino cento metri, scavate dai torrenti sugli altipiani ; con pareti bianche e grigie dirupate, vegetazione calda di colorito tra gli anfratti delle rocce. Quelle rupi costrutte di masse scorse le une sulle altre; CENNI SULLA GEOLOGIA DI TARANTO 181' di banchi contorti, spezzati dalle pressioni che li hanno portati in alto, dicono gli avvenimenti, per i quali, nel volgere dei secoli, fu modellata la topografìa di una regione, che pare alla superficie di struttura tanto semplice ed uniforme. La sezione disegnata sulla strada, che da Locorotondo, per Martina Franca, conduce a Taranto, m’ ha date queste linee nella disposizione degli strati del calcare mesozoico. Da Locorotondo a Martina declività leggerissima verso Martina; a sud di Martina la declività aumenta, ed è massima nella scesa dal monte Tele- grafo alla masseria Crimini. Alla masseria Crimini il calcare va sotto sedimentazioni più recenti, e così sì ritrova sul letto del torrente della regione Por- cile. Esce all’ aperto con inclinazione opposta presso la masseria del monte Calvello; da questo punto gli strati cambiano nuova- mente inclinazione, e scendono verso Taranto, perdendosi sotto le sedimentazioni meno antiche a poca distanza dalle ripe del mare piccolo. Anzi nei torrentelli presso il casale san Pietro si ritrovano inclinati in questo modo a pochi passi dalla spiaggia. La trivel- lazione nell’ Arsenale incontrò quei calcari a metri 68 sotto il li- vello marino. Dalla sezione risulta pertanto una grande anticlinale nella massa principale, ed una seconda anticlinale più ristretta verso Taranto, separata dalla prima per una sinclinale. Fatta caulinare la sezione sulla direttrice della balza, la quale limita il rilievo montuoso principale, e sulla direttrice tracciata dai punti: Castel- laneta, Mottola, monte della Ginestra sopra Massafra, masserìa Lamastuola, Belmonte, Monte Gravina, segnali trigonometrici delle regioni Jedda e Serro, san Giorgio, Roccaforzata, monte san Cri- spieri, monte Magalastra, ci disegna le linee principali della oro- grafia locale in relazione alla struttura fisica. Al nord un grande altipiano calcareo elevato tra 300 e 500 metri ; appresso una sin- clinale di larghezza varia, la quale col riempimento posteriore co- stituisce un secondo altipiano. Il ramo dell’ anticlinale secondaria, che limita questo altipiano e scende verso la marina traccia il contorno delle alture sul territorio basso, coperto dai sedimenti più recenti, tra le alture ed il litorale. Al sud delle colline di Massafra il territorio basso è costituito da un piano leggermente ed 182 A. VEKKI E G. DE ANGELIS d’ OSSAT uniformemente inclinato dal monte al mare ; nella contrada com- presa tra il mare e le rimanenti alture è disposto secondo una super- ficie leggermente ondulata, ed è troncato bruscamente tutto in giro, emergendo con coste alte 10 a 30 metri, poco più poco meno, sopra gli spazi acquosi. Non dapertutto la pendice esterna delle alture è composta da sole rocce mesozoiche. Anzi per lo più sono addossati a queste i tufi inferiori della formazione più recente, specialmente nel tratto tra Castellaneta e la gravina Gennarini, nelle colline tra san Giorgio e san Crispieri. Dove la formazione mesozoica è più scoperta, come sulla pendice a nord del mare piccolo, sopra ai calcari stanno come delle chiazze dei tufi inferiori dei sedimenti recenti, la più estesa delle quali si ha nei dintorni di Statte. Nel ramo sud dell’ anticlin ale secondaria frequenti balze con testate tronche accennano a fratture con scorrimenti ; ma spesso m’ è nato il dubbio che siano da attribuire ai contorcimenti, che avvengono nel ramo d’ una anticlinale allorché è sollecitato per pressioni da sopra, ed alla spezzatura ed abrasione della parte che compiva la curva : causa di quelle pressioni può essere la prossima depressione marina. Nel tratto corrispondente alle regioni Jedda e Serro si vedono gli strati troncati dalla parte della sinclinale ; a distanza di circa due chilometri afiBora nella sinclinale una ellissoide di calcare, pa- rallela all’ anticlinale, nella quale le testate sono tronche verso ovest. L’ ellissoide si estende dalla diramazione della strada di Grottaglie per Monteiasi sino al di là di questo paese. Pare che in quel tratto r anticlinale sia spaccata ; lo spazio intermedio è riempito dai sedi- menti più recenti. L’ altimetria dell’ anticlinale secondaria diminuisce nel piega- mento a sud-est; questa anticlinale presenta varie ondulazioni con insellature, alcune delle quali costituiscono vere interruzioni nella catena. Le più notevoli sono nel tratto piegato a sud-est, e spe- cialmente quelle verso l’origine del mare piccolo ed a Lizzano. La sinclinale interposta tra le due anticlinali si allarga con- siderevolmente nel tronco piegato a sud-est, tra Crispiano e Sava, ed in quel tratto si nota come un grande acconcamento. In parte la figura acconcata dipende dalla erosione prodotta dalle acque affluenti verso l’ interruzione della catena alla origine del mare pie- CENNI SULLA GEOLOGIA DI TARANTO 183 colo; ma in parte è dovuta al grande insellamento della ossatura mesozoica tra i monti della Gravina e di Roccaforzata, che è stato la causa determinante dello stabilirsi di quel bacino imbri- fero, e della conseguente apertura del suo sbocco verso il mare piccolo. La carta d’ Italia pubblicata dal R. Comitato geologico indica la presenza di calcari giuresi in qualche luogo della grande ellis- soide mesozoica Salentina, pur segnando nella massima parte la formazione cretacea. La formazione è costituita dai calcari a ru- diste, che, nell’ Apennino, incominciano sulle montagne dell’ Abruzzo Aquilano, e si estendono verso il mezzogiorno della penisola. Nella carta stessa, e nelle opere del De Giorgi sono indicati dei lembi di calcare eocenico all’ estremità dell’ ellissoide verso Brindisi, e nel territorio di Lecce. Vi sono pure segnati dei lembi di formazioni mioceniche. Quei lembi cenozoici fanno concludere che un tempo ne fu coperto anche il cretaceo del Tarantino; ma tre circostanze inducono a ritenere, che il cretaceo di questa re- gione costituiva delle terre, allorquando tutta o almeno la maggior parte ritornò sotto le acque. Difatti le sedimentazioni marine ul- time posano esclusivamente sui calcari cretacei; questi calcari a contatto delle sedimentazioni ultime sono dapertutto forati dai lito- fagi; la zona inferiore dei sedimenti ultimi è composta da banchi di ciottolame, proveniente esclusivamente dai rottami dei calcari cretacei, e tra i ciottoli ce ne sono forati dai litofagi. Nelle formazioni addossate ai calcari mesozoici, le quali 1’ esame dei fossili riferisce al plio-pleistocene, si distinguono litologicamente vari piani. Sopra ai banchi di gbiaje e ciottoli — indicanti il tra- sporto dei materiali operato dalle acque correnti, e la loro depo- sizione su un bacino acquoso che ne terminava il corso, ed anche r azione meccanica delle onde su coste scogliose — stanno alcune sabbie color ruggine, eppoi viene un sabbione giallognolo composto di conchiglie marine e loro tritume, nel quale seguitano pure a trovarsi alcuni frammenti del calcare cretaceo. Questo sabbione rap- presenta una sedimentazione in vicinanza di spiagge, avvenuta dentro acque poco profonde, perchè il moto ondoso potesse ridurre in tritume i gusci dei molluschi. In confronto col primo momento si vede che l’ invasione del mare sulla terra s’ è estesa, perchè più non arrivano nella sezione che si osserva le grosse materie alluvio- 184 A. VERRI E G. DE ANGELIS d’ OSSAT nali, nè il flutto batte più scogliere calcaree. I paesani cMamano quel sabbione leggermente cementato tufo zuppigno. Il tufo zuppigno, coi banchi di ciottolame, che in alcuni luoghi ad esso sottostanno, posa in genere direttamente sopra agli strati del calcare mesozoico. Ma, nel bacino detto di Triglie al nord di Statte, sotto lo zuppigno sta una sedimentazione di marne bianche, cineree, rossicce; ricca di Potamidi, Neritine ed altri molluschi salmastri. Questo sedimento, che mostra la costituzione d’ uno stagno litoraneo nei primi tempi della depressione, è coperto da un banco di Ostriche, e sopra viene la formazione normale dello zuppigno. Il proseguire della depressione è mostrato dal sovrapporsi allo zuppigno argille turchine. La potenza dello zuppigno è varia da luogo a luogo : nella zona tra Mottola e Massafra pare raggiunga anche 60 ed 80 metri, in altre si riduce tra 10 e 20 metri. La potenza delle argille dalla trivellazione eseguita nell’ Arsenale fu trovata di 73 metri : misura che presso a poco si riscontra ad est di Montemesola. Anche la potenza delle argille varia da luogo a luogo. In parte la diversità può dipendere da circostanze della sedimentazione; ma sopratutto mi pare che derivi dal modo, come si è adattata quella roccia plastica nei movimenti del terreno. Difatti mentre, sulle pendici sud deir anticlinale secondaria, è rimasto elevato il tufo zuppigno ade- rente al calcare cretaceo, l’ argilla è scesa verso le zone depresse ; e per causa di tali scorrimenti a volta posa anche direttamente sul calcare. Il banco argilloso, che all’Arsenale ha potenza di 73 metri, sulla ripa opposta del mare piccolo, a distanza di circa 3 chilometri è grosso appena una decina di metri. Alla Salina grande ho veduto abbondanti cristalli di gesso nelle argille pleistoceniche. Le argille man mano in alto si arricchiscono di particelle sabbiose, prendono colore giallognolo, e sulle ripe dell’ Arsenale sopra queste sta un banco di piccoli Mitili, di Cardium edule. Sopra viene un banco grosso più d’ un metro di cespi di Glado- cora caespiiosa D’ Orb. Coprono il banco corallino argille e sabbie rossicce con Cardium edule L. , piccoli Coni, ed altri depositi dei quali dirò appresso. La zona con Cladocora è estesa per tutta la contrada, e con essa termina l’ uniformità della formazione marina. Dove costituisce CENNI SULLA GEOLOGIA DI TARANTO 185 banchi corallini ; dove banchi d’ un calcare cavernoso ; dove sabbie sciolte zeppe di molluschi della zona coralligena, dove un conglo- merato sovente durissimo di conchiglie e sabbie, che nel paese è chiamato mazzaro. Valve di G. Lamarcki sempre si trovano sparse tra la fauna della zona coralligena. Anche le due isolette san Pietro e san Paolo - le Cheradi dei Greci - sono composte di argilla coperta dal mazzaro. Sin dalle prime osservazioni mi colpì la somiglianza colle for- mazioni di Città della Pieve nella Valdichiana, rispetto alla distri- buzione delle faune salmastra e corallina. Anche a Città della Pieve si ha un banco di Cladocora caespitosa, ricco di molluschi della zona coralligena, interposto tra sedimenti contenenti il C. Lamarki ed altri molluschi salmastri. Dai risultati di questo studio conclu- derei altresì che la zona superiore della Valdichiana, riferita si- nora al pliocene superiore, debba venire al pleistocene, e con essa la zona superiore dei terreni vallivi delle conche Umbre. Alle formazioni descritte, che mostrano il risollevarsi del fondo marino, seguono nel territorio di Taranto altre di qualità diversa da luogo a luogo, le quali fanno conoscere le trasformazioni gra- duali del passaggio dal fondo marino alla terra emersa. Nelle contrade a sud-est di Taranto, tra il mare piccolo, le colline calcaree di Roccaforzata e la spiaggia del mare largo, abbondano banchi di sabbie bianche e color ruggine mescolate e consolidate, composte da tritume di conchiglie, le quali includono pure talvolta colonie di molluschi marini, conchiglie erratiche ter- restri. Altri banchi somiglianti, ma con elementi più minuti e gra- nellosi, senza conchiglie marine, con qualche guscio di molluschi terrestri sparso nella massa, si hanno nella contrada a nord-est di Taranto, presso la strada di Massafra. Tali formazioni, distinte nel paese col nome di tufo carparo^ mi pare rappresentino montoni costrutti dal movimento delle onde. La potenza del carparo varia da un metro a circa 10 metri; per causa degli scorrimenti avve- nuti sotto al mare mentre il terreno si sollevava, a volte troviamo il carparo depositato direttamente sopra al calcare. Terre argillose rosse e verdastre con nuclei marnolitici; falde d’una roccia tufacea bianca o violetta, composta da tenui parti- celle, segnano lagune rimaste chiuse da cordoni litorali, durante la cui costruzione avveniva eziandio un sollevamento del fondo 186 A.. VERRI E G. DE ANGELIS d’ OSSAT marino. Vi abbondano il C. edule, piccoli Coni ed altri molluschi palustri, e terrestri. Al nord del mare piccolo, tra le sue ripe e la pendice for- mata da rocce calcaree, si hanno alcuni banchi di rottami calcarei. Ad ovest della punta Rondinella, nella contrada limitata dalla spiaggia ed il piede della balza di Montello, delle colline di Mas- safra, Mottola, Palagianello, stanno sabbie rossicce e bigie, banchi di ghiaje composte da detrito di calcari bianchi cretacei e poli- cromi eocenici, di serpentine, quarziti, graniti ed altre rocce cri- stalline. Inclusi nelle ghiaje sono frammenti di Cladocora, gusci di C. Lamarcki. di Pettuncoli, Pettini, Coni, Ostriche, Natiche, Cerizi, Turbini, Veneri, ed altri molluschi rigettati sulla spiaggia dal moto ondoso. Le brecce poligeniche sulla punta Tonno, presso la stazione ferroviaria di Taranto, si vedono immediatamente sopra al tufo carparo; al piede delle colline di Palagianello le ho tro- vate direttamente sopra ai calcari cretacei; poco sopra ai calcari cretacei stanno anche presso le sorgenti del Tara : invece sulle ripe dell’ Enna presso Palagiano le ghiaje posano sul carparo, e là si vedono pure sopra le ghiaje sedimenti sabbiosi ed argillosi con molluschi marini. Combinando queste osservazioni coll’ altra che la pendice delle colline di Palagianello, Mottola, Massafra presenta testate tronche nei banchi del tufo zuppigno, parrebbe che sulla linea, la quale segna il piede delle colline suddette, sia avvenuta una rottura, e che nel sollevamento del territorio le formazioni del pleistocene inferiore siano scorse verso la depressione marina, prima che avvenisse il trasporto delle ghiaje poligeniche su quella con- trada. Queste ghiaje si estendono sino a circa 10 chilometri dalla spiaggia attuale, e si elevano sotto Palagianello sino a metri 70 circa sul livello del mare. I calcari eocenici e le rocce ofiolitiche oggi stanno in posto nella Basilicata, i graniti nella Calabria ; i detriti di tali rocce sono rotolati al mare dai fiumi Sinni e Grati, le cui foci distano dalla formazione di cui si tratta più di 50 e 90 chilometri. Per circostanze tali, il problema delle ghiaje poligeniche nel piano di Massafra mi sembra uno dei più diffìcili a risolvere nella geologia del Tarantino. Ne sarebbe relativamente facile la spiegazione, se nel bacino del Bradano fossero conglomerati poligenici, come quelli che ho trovati presso Campobasso, e sul monte Deruta nell’ Umbria. CENNI SULLA GEOLOGIA DI TARANTO 187 Esperienze sui calcari cretacei m’ hanno mostrato in essi potere grande di assorbimento delle acque ; ma, più che gl’ interstizi mo- lecolari, la fratturazione estrema cui sono ridotti i calcari, per le pieghe, i contorcimenti degli strati, rende queste masse permeabili al più alto grado. Le acque piovane cadute su quelle superfìcie sono copiosamente e profondamente assorbite ; la disgregazione mec- canica, il dissolvimento chimico, che opera l’acqua circolante tra le cavità, fìniscono per scavare nella massa calcarea le ampie ca- verne, le cui sezioni si vedono frequentemente nelle pareti delle gravine. Il tufo zuppigno, attesa la struttura piena di interstizi, è pure una roccia molto assorbente. 11 mazzaro, il carparo, somi- glianti per struttura al tufo zuppigno, partecipano delle sue pro- prietà di assorbimento. Avviene perciò che le acque, cadute sulle superfìcie dove è scoperto il calcare cretaceo, scompajono per le tante fratture, e vanno a costituire sotterra una rete di rigagnoli che si raccolgono nelle caverne. Quando il tufo zuppigno, come è il caso più frequente, è addossato direttamente agli strati del calcare, le acque filtrate da questo tufo scendono alla massa cal- carea, e circolano nelle cavità di essa ; invece nel bacino di Triglie a nord di Statte, dove al tufo zuppigno sono sottoposte le marne dello stagno, col quale là incominciò l’ interrimento del bacino, le acque sono trattenute da quel piano impermeabile. Le acque assor- bite dal mazzaro e dal carparo sono trattenute dalle argille sot- tostanti, e costituiscono una falda idrica, dalla quale sono alimen- tate varie sorgenti. La grande estensione delle superfìcie calcaree negli altipiani dell’ossatura salentina, il considerevole assorbimento delle acque piovane che avviene in quelle rocce, la facilità che hanno le acque assorbite a scendere nelle masse sollevate, sono le cause, per le quali, allorché le condizioni locali le costringono a scaturire, la erogazione si manifesta con sorgenti molto copiose. Le sorgenti di questa specie oggi pullulano sul letto marino, o compajono lungo i litorali; probabilmente le moltissime caverne, che si vedono nelle ripe delle gravine, segnano vari piani della circolazione sotterranea delle acque, coincidenti col sollevamento graduale del terreno. Man mano che il terreno si elevava, le acque poterono scendere sempre più nelL interno delle masse calcaree. Anche nelle cave del tufo zuppigno appiè della collina di 188 A. VERRI E G. DE ANGRLIS d’ OSSAT san Giorgio ho vedute caverne, la cui origine mi sembra debba riferirsi a circolazione delle acque nell’ interno delle masse calcaree, prima che la collina raggiungesse 1’ elevazione attuale. Effetti di questa circolazione sotterranea sono gli sprofondamenti imbutiformi e conchiformi, che abbondano nel territorio. Si vede apertamente scaturire tra i calcari cretacei la sorgente Riso presso le origini del mar piccolo; le trivellazioni eseguite sulle sorgenti del Galeso hanno dimostrato il surgimento delle sue acque da fenditure dei calcari. La trivella incontrò i calcari ad 11 metri sotto il piano di campagna, il quale là ba quota 2 circa. Le acque nel surgere hanno scavato un imbuto detto lauso, voce che nel dialetto significa cratere. Il lauso una volta doveva essere più esteso, perchè la trivella in alcuni dei fori eseguiti mostrò una formazione palustre recente con ciottoletti di calcare, mazzaro, carparo. Le acque del Cervaro si vedono surgere da sotto le ar- gille. Le trivellazioni fatte alle sorgenti del Tara, spinte sino ad 8 metri, non incontrarono il calcare; ma questa roccia fu incon- trata appena a 5 metri sotto il piano di campagna, nelle altre trivellazioni poco a monte a quelle sorgenti. La somiglianza di situazione, di composizione chimica, ed il grado di temperatura delle acque fa giudicare che le fonti di Maruggio, la fonte del Cervaro, le sorgenti del fiumi Tara e Lato tra Taranto e Meta- ponto, la polla sottomarina detta Anello di san Cataldo nella rada di Taranto,le molte polle sottomarine dette diri nel mare piccolo, provengano tutte dalla circolazione sotterranea delle acque tra gli strati dei calcari cretacei. Gli appunti presi mi lasciano qualche incertezza se abbiano la medesima origine le acque del ruscello di Torre Mancini, del Patimisco, del Lenna. La temperatura di quelle del Patimisco farebbe supporle derivate da una falda idrica sottostante alla campagna bassa di Palagiano ; ma V estensione del bacino imbrifero, che dovrebbe alimentare tutta la copia delle acque sorgive erogate da quei corsi, non mi pare proporzionata al loro volume. Anche le polle sottomarine formano imbuti profondi 10 a 20 metri, ed in alcuna la colonna d’ acqua dolce si eleva tra le acque salse sino a 36 metri, producendo un movimento visibile sulla superficie del mare. Le misure, che presi sulle sorgenti del Galeso, m’ hanno dato che dispensa oltre 24000 metri cubi al giorno; per quella del Cer- CENNI SULLA GEOLOGIA DI TARANTO 189 varo trovai più di 11000 metri cubi: assai superiore è la portata del Lato e del Tara — il fiume sacro di Taranto Greca. Le acque erogate dalle sorgenti anzidette contengono abbon- danza di sali magnesiaci ed altri, sottratti alle rocce tra le quali circolano. L’ analisi vi rivela anche un eccesso di cloruri, forse dovuti ad infiltrazioni e consequente mescolanza dell’ acqua marina, considerata l’ubicazione delle sorgenti, vicinissime alla spiaggia, e scaturenti dalle masse calcaree a qualche profondità sotto il li- vello del mare, tra terre di sedimento recente. Le acque assorbite dai tufi superiori, e trattenute dalle ar- gille pleistoceniche, costituiscono una falda idrica, ossia una zona nella quale l’ acqua resta imprigionata tra i piccoli interstizi della roccia. La falda è più alta o più bassa secondo che maggiore o minore è 1’ alimentazione che riceve, e quindi oscilla colle condi- zioni pluviometriche; acquista anche elevazione maggiore o minore secondo che ne è più o meno facile l’ erogazione. Un altra circo- stanza concoiTe a far variare da luogo a luogo 1 altezza_della falda, e cioè i corrugamenti del sottosuolo. Nei movimenti geologici del territorio le argille hanno sofferte diverse inflessioni, ed hanno finito per formare sotterra dei rilievi convessi e delle pieghe concave : r acqua incanalata in queste pieghe costituisce sorgenti dove le incisioni delle gravine, la depressione litoranea hanno interrotta la continuità della formazione. Effetti delle sorgenti sono lo scalza- mento dei banchi tufacei superiori, ed i franamenti di questi banchi, spesso per estensione considerevole. L’ ellissoide mesozoica delle Murge è separata dalle forma- zioni antiche dell’ Apennino per una larga zona, nella quale la Carta geologica d’ Italia segna sedimentazione pliocenica, che gli studi ulteriori riferiscono almeno in parte al mare pleistocenico, e quindi contemporanea della formazione Tarantina. Da ciò si de- duce, che alla fine di quel periodo marino 1’ ellissoide costituiva un isola, la quale non poteva avere fiumi che portassero acque perenni, poiché l’ ampiezza dell’ isola e la natura del terreno esclu- dono correnti perenni all’ aperto. Intanto alla fine del pleistocene ci troviamo in presenza di abbondante fauna salmastra. Unica spie- gazione del fatto mi sembrano i corsi sotterranei, i quali incana- lati nelle caverne, le cui sezioni si vedono nelle pareti delle gra- 190 A. VERRI E G. DE ANGELIS d’ OSSAT vine, avrebbero portata al mare l’ acqua dolce raccolta nel grande serbatojo delle masse calcaree. La circolazione sotterranea delle acque correnti ; l’ azione mec- canica delle acque marine, disgreghi le ripe nella zona soggetta al così detto hagna-asciuga delle maree, ovvero le attacchi collo scalzamento per il flagello delle onde, danno i materiali occorrenti agli ultimi ritocchi sulla topografia tarantina. Il mare piccolo è costituito da due bacini di figura arroton- data, divisi dalla penisola di Buffoluto che protende dalla costa nord, alla quale fa riscontro la punta del Pizzone sporgente dalla costa sud. E separato dalla rada, detta anche mare grande, dalla penisola sulla quale è costrutta Taranto vecchia. La profondità del primo bacino è 12 metri, quella del secondo 8 a 9 metri. Il canale na- turale di comunicazione colla rada è profondo 2 metri o poco più. Il letto dei bacini è composto da melme alte una decina di metri, quello del canale di comunicazione colla rada da argille pleisto- ceniche e tufo (?); i bacini adunque hanno profilo conchiforme. Le coste sono composte da argille coperte da banco di tufo con testata tronca. A poca distanza dal mare nel primo bacino stanno le fonti del Galeso, ed in continuazione di queste surgono varie polle sot- tomarine. Nel secondo bacino a poca distanza dal mare stanno le fonti del Cervaro, ed egualmente nella loro continuazione sur- gono varie polle sottomarine. Causa prima delle due depressioni porrei perciò gli avvallamenti prodotti dalla circolazione sotterranea tra i calcari cretacei delle acque surgenti da quelle polle. A questa ipotesi si può opporre la difficoltà che, sotto al mare, le acque sotterranee scavassero nelle masse calcaree caverne di tanta am- piezza, da determinare sprofondamenti così vasti. Ma non c è bi- sogno di spingere l’ ipotesi sino ad immaginare che gli sprofonda- menti siano estesi alle masse calcaree; bastano gli effetti delle acque surgenti da quelle masse sul materiale pleistocenico sovrap- posto. La trivellazione eseguita nell’ Arsenale incontrò sopra al cal- care appena una falda di tufo zuppigno, e questo si comprende, osservando che in massima le grandi masse di quel tufo nei pie- gamenti del terreno sono rimaste più sollevate, e le argille sono scorse nelle parti depresse. Sicché le acque sorgive si trovavano a contatto o quasi delle argille. È facile immaginare cosa deva CENNI SULLA GEOLOGIA DI TARANTO 191 succedere premendo una colonna acquosa dal basso in alto contro una roccia, che a contatto dell’acqua si rammollisce, e discioglie in particelle minime. Alcune sorgenti del bacino idrico superiore, costituito dai tufi e dalle argille, scaturiscono in diversi punti attorno al mare pic- colo; dapertutto dove scaturiscono queste sorgenti si hanno sco- scendimenti più 0 meno estesi nel banco dei tufi, per il rammol- limento e lo scalzamento delle argille imbasanti. Aggiunti gli scavi degli emissari dei laghetti formati dalle sorgenti, gli ef- fetti meccanici delle maree e del moto ondoso, si ha quanto basta per comprendere l’ allargamento dei due bacini, le aperture di comunicazione tra loro e colla rada. In proseguimento della pe- nisola di Buffoluto, una secca con fondo argilloso fa vedere il tratto più recente della porzione demolita nell’ istmo, che in origine se- parava i due bacini. La figura conchiforme, la poca profondità del canale di comunicazione colla rada, spiegano l’interrimento mel- moso, pel quale il mare piccolo tende a trasformarsi in spazio palustre : trasformazione oggi ritardata dall’ apertura del canale ma- rittimo profondo 12 metri, sicché le correnti di marea hanno modo di portare fuori una parte del materiale, che i torrenti versano ad interrare il mare interno. Il potente banco delle melme, che ne costituisce il letto, inghiotte i massi che scoscendono nella demolizione delle coste. In modo analogo spiegherei la formazione della rada, il cui litorale è in condizioni identiche ; nella quale pure si ha una polla sottomarina; nella quale la degradazione delle coste è assai più attiva che nel mare interno, perchè il flagello delle onde vi è assai più intenso; nella quale le correnti marine concorrono alla esca- vazione del fondo. Visibilissimo è lo sfasciamento continuo delle ripe nei punti più battuti dai marosi. La demolizione che avviene sulla costa dell’ isola san Pietro, ed escendo dalla rada sulla costa della Torre dell’ Ovo, mostrano quanto sia potente l’ azione delle onde nello sfasciare quelle formazioni. Alla Torre dell’ Ovo lo scal- zamento è spinto sin sotto la torre, la quale, se non provvedono, un giorno rovinerà nel mare, come sono rovesciati i massi stac- cati dal banco sul quale è fondata. Le ripe della terraferma co- perte tutte da tufi, e la formazione delle isole farebbero conclu- dere, che il fondo della rada fosse pur esso composto di tufo ; perchè 192 A. VERRI E G. DE ANGELIS d’ OSSAT ua tempo la crosta tufacea deye avere coperto quello spazio, e dovrebbe costituire il feudo del mare, a meno di essere sepolta sotto fanghi recenti, se la depressione fosse avvenuta dirò così in un colpo, 0 fosse dovuta a mancata emersione. Invece nei lavori subacquei osservai che il letto del mare nella rada è composto dalle argille pleistoceniche, le quali sulla terraferma e sulle isole sono sottoposte ai tufi; che di tufi vi si trovano solo frammenti saltuari. Questo è effetto degli scoscendimenti successivi, prodotti dalle forze agenti man mano a staccare il materiale tufaceo. Crederei che almeno tutte le secche, le quali occupano una metà dello specchio d’ acqua della rada, siano spiegabili col lavoro di tali forze. Le mareggiate che sconvolgono i bassi fondi, 1 eterno va e vieni delle onde sulle spiaggie completano l’ opera di disgre- gamento del materiale, e la dispersione del suo detrito ; nonché lo scavo dei bassi fondi, tendendo a stabilire un piano inclinato tra il letto della rada e quello del mare largo. Altre depressioni conchiformi sono dentro terra; al nord di Taranto le paludi del Loggione e di san Brunone; al sud-est le Saline piccola e grande, la palude Erbarea, il bacino della Baronia, la palude Rotonda, la palude Mascia, ecc. La conca di san Brunone mi sembra determinata dal semplice scorrimento della massa plastica delle argille verso la depressione marina, e dal rigonfiamento che di solito avviene sugli orli delle depressioni nelle masse che vi scivolano. Ma non è da escludere che anche per gli acconcamenti del Foggione e di san Brunone concorrano le cause, che esporrò parlando delle Saline. Le conche chiamate impropriamente Salina piccola e grande hanno emissari artificiali; l’emissario della Salina grande porta in magra circa 600 metri cubi d’ acqua al giorno. Credo che l’origine delle due conche siano avvallamenti della stessa natura di quelli dei bacini del mare piccolo, benché non ci sia manifestazione di acque surgenti dalle masse calcaree. Riferisco alla causa stessa pure la palude Brbarea, e la palude Rotonda, detta anche di san Crispieri, che si trovano nelle condizioni medesime delle Saline : e la spiegazione mi sembra facile. Difatti prima che avvenisse, coir avvallamento del mar piccolo e della rada, la copiosa eroga- zione di tutte le acque sotterranee che si ha attualmente, il corso di quelle acque può aver proseguito in parte a valle tra le fendi- CENNI SULLA GEOLOGIA DI TARANTO 193 ture dei calcari. La supposizione che, per queste fenditure, ci fos- sero altri punti di contatto tra le acque e le argille mi pare del tutto probabile : così le acque avrebbero lavorato a rammollire e disciogliere le argille in più luoghi, producendo diversi avvalla- menti nel piano della campagna. La disposizione generale degli strati fa indurre che la potenza delle argille sia minore nel luogo del mare piccolo, che non procedendo verso il mare largo ; l’ indu- zione è confermata dalle trivellazioni fatte alle fonti del Galeso sull’ orlo nord del mar piccolo, e sull’ orlo sud nell’ Arsenale, essen- dosi nella prima incontrato il calcare a 9 metri, nella seconda a 68 sotto al livello del mare. Era naturale perciò che l’apertura di sbocco delle acque avvenisse prima sullo spazio del mar piccolo, ed è naturale che dopo ciò ne fossero troncati i corsi sotterranei a valle. Mancata quindi la causa producente alcuni avvallamenti, questi si arrestarono, ed abortirono di conseguenza gl’ imbuti av- viati alle Saline e nelle altre conche dentro terra. La ristrettezza del bacino imbrifero, e la debole quantità delle acque sorgive te- nuto conto di quel che in proposito dirò appresso, sono le cause per le quali le conche delle Saline sono rimaste chiuse, e non sono state colmate. Le sezioni degli scavi per la presa d’ acqua dell’ Arsenale, le sezioni delle ripe nella valletta tra il ponticello di san Cataldo ed il mare piccolo, mi mostrarono nel sottosuolo della Baronia una conca analoga a quella delle Saline, ma rimasta colmata at- tesa la sua posizione appiè delle colline. La colmata si compone di terre sabbiose ed argillose rossicce e nerastre, di argille verdo- gnole con nuclei marnolitici. Sotto queste argille sta un banco di sabbie ricco di C. edule, di Neriiine, di Planorbis, e di altri mol- luschi tuttora viventi nella palude prossima verso il mare piccolo, di ossa di mammiferi. Sotto questo banco viene il mazzaro eppoi le argille pleistoceniche. La conca della Baronia, situata alla estre- mità d’un bacino imbrifero esteso circa 70 milioni di metri qua- drati, una volta dovè essere anche la vasca di raccolta all’ aperto del bacino ; dopo la colmata lo è nella idrografia sotterranea della falda idrica tra le argille ed il mazzaro. Le acque in essa confiuenti hanno tagliata la diga tufacea che separava la conca dal mare, ed aperto l’ emissario, nel quale oggi corre il rigagnolo collettore con portata giornaliera in magra di circa 2600 metri cubi. Prima che 13 194 A. VERRI E G. DE ANGELIS d’ OSSAT fosse aperto l’ emissario sotterraneo della Salina grande dovevano pure confluire nella conca della Baronia i 500 metri cubi d acqua, che scaturiscono vicino all’ imbocco di questo canale. A proposito della conca della Baronia, e di quella stessa della Salina grande, richiamo 1’ attenzione sulle caverne notate nello zup- pigno delle vicine cave sotto san Giorgio. La troncatura dei banchi di mazzaro e carparo sull’ orlo delle depressioni le mostra avvenute quando il territorio era del tutto emerso. Nello scavo per la vasca di raccolta dell’acquedotto os- servai che il C. edule accompagna la fauna di palude sino a quota 8, e questo può far supporre, che l’avvallarsi della conca della Baronia sia avvenuto prima che fosse compiuto il solleva- mento del territorio ; ma è più probabile che la zona con G. edule si formasse nel primo periodo del sollevamento, e sia stata poi depressa coi banchi marini sottostanti. Dal capo san Vito verso Maruggio la spiaggia è ingombra per qualche centinaio di metri dalle dune, con linee di montic- cioli alti vari metri composti di sabbie mobili oppure leggermente cementate gusci di molluschi terrestri sono inclusi nelle sabbie, che somigliano, eccetto il grado di cementazione, ai carpari al nord di Taranto. Dalla punta Rondinella verso nord-ovest le copiose sor- genti del Tara, del Patimisco, del Benna, del Lato, intercettate dalle arene di spiaggia impaludano : dove Metaponto, a simbolo di fertilità, improntava la moneta colla spiga, si distende la ma- remma desolata dalla malaria. Col protendere dell' interrimento impaludano le acque sorgive attorno al mare piccolo, riducendosi pantani putridi le fonti limpide del Riso, del Cervaro, del Galeso, ne’ cui giardini Virgilio ricorda aver veduto il vecchio Coricio a primavera cogliere le rose, nell’ in- verno mietere i giacinti. I Consoli di Roma lasciarono ai Tarantini solamente gli Bei irati : ma era tanta la bellezza del luogo che, duecento anni dopo il saccheggio, Orazio scriveva sorridergli quest’ angolo del golfo più che ogni altro sulla terra. Distrutti i boschi sacri, trascurato per secoli di regolare il lavoro della natura, la forza delle cose portò lo squallore dove più fulgida splendeva la civiltà della Ma- gna Grecia. CENNI SULLA GEOLOGIA DI TARANTO 195 NOTE DI GEOLOGIA APPLICATA. I. H calcare cretaceo a volte ha struttura finamente compatta, con colore carnicino o bigio-chiaro, durezza ordinaria; a volte ha colore grigio-acciajo con struttura marmorea: di questa varietà, che è durissima, ne ho veduto specialmente a san Marzano; ne poggi sopra Massafra ne ho veduto somi- gliante del tutto al calcare majolica neocomiano. Il tipo più comune è bianco con struttura granulare, e questo in genere è tenero, a volte tenerissimo. Il calcare più adoperato nelle costruzioni è quello tenero a struttura granu- lare, il cui peso varia tra 2000 e 2500 chilogrammi per metro cubo. Dà pietre per conci e lastre, è adatto a lavori d’ ornato.. Il limite di resistenza alla compressione, o carico di rottura, si trovò di chil. 115 al cent. q. L’analisi chimica fatta dal prof. Trottarelli mi segnalò nei componenti: Silice 0,32 Allumina ad ossido ferrico 0,60 Carbonato calcico 94,70 Carbonato magnesiaco 0,38 Cloruro di sodio 0,05 Nelle regioni calcaree la mancanza dell’ acqua ha originate le costru- zioni dei trulli. Il trullo è una fabbrica con pietre a secco, nella quale la camera di sezione rettangolare è coperta da volta formata di lastre in piano digradanti, sicché all’esterno prende la figura del cono. L’altipiano di Martina sparso di queste fabbriche ora isolate, ora aggruppate in modo, che si vedono sulle case campestri innalzati persino dieci e dodici coni, presenta un paesaggio bizzarro. Il tufo zuppigno è adoperato come materiale da fabbrica in conci di diverse dimensioni; è adatto in modo speciale, attesa la leggerezza, per co- struire volte. Il peso varia da 1300 a 1500 chil. per metro cubo. 11 limite di resistenza alla compressione si trovò di circa 16 chil. per cent. q. Nelle co- struzioni ha il difetto d’essere attaccato facilmente dalla salsedine dell’aria marina sulle pareti verticali, e di lasciar passare l’umidità tra gli abbon- danti interstizi inerenti alla sua struttura. Sulle facce disposte orizzontalmente si nota, coll’influenza dell’umidità, la formazione d’una pellicola di fino car- bonato calcare, che rende la roccia meno permeabile; a lungo andare vi si forma una falderella zonata di durezza tale, che prende l’ apparenza del cal- care compatto. L’ analisi chimica del Trottarelli mi segnalò nei componenti : Silice 4,94 Allumina ed ossido ferrico 7,96 Carbonato calcico 82,47 Carbonato magnesiaco 0,36 Cloruro di sodio 0,58 196 A.. VERBI E G. DE ANGELIS d’ OSSAT In alcuni luoglii alla base del tufo zuppigno si ha una varietà la cu- struttura presenta elementi più minuti. Questa varietà è conosciuta a Ta- ranto col nome di pietra di Nassisi, dal nome della masseria vicina alle cave. Struttura eguale ho veduta nelle cave presso Montejasi e nelle gravine di Massafra ; litologicamente somiglia alla pietra leccese. Il mazzaro è adoperato nelle costruzioni con pietre informi; per du- rezza e resistenza alla compressione supera il calcare, col vantaggio di ade- renza maggiore alle malte, per le scabrosità nelle faccie di rottura. Il peso del mazzaro è circa 2400 chil. per metro cubo. Il tufo carparo è adoperato in costruzione come lo zuppigno, ma di preferenza nelle parti soggette a sforzi maggiori di compressione, essendo il suo limite di rottura chil. 29 circa. È soggetto anche questo a degradazioni per la salsedine dell’aria; si preferisce quello in posto presso la strada di Massafra a nord di Taranto. Il peso varia tra chil. 1600 e 1700 al metro cubo. Nelle argille interposte tra il mazzaro e lo zuppigno, l'analisi chimica segnalò : Silice Argille turchine Alluminio ed ossido ferrico. » » Carbonato calcico .... ” ” Carbonato magnesiaco . . n » Cloruro di sodio .... » ” È notevole l’abbondanza del carbonato magnesiaco e del cloruro di sodio. Perciò le argille, nel passare dallo stato umido al secco si coprono di efflorescenze saline, dalla quale circostanza è venuto il nome di Saline a due depressioni conchiformi; perciò talvolta le acque dei pozzi, se molto affon- dati nelle argille, acquistano sapore salmastro. Stante la grande compattezza, le argille danno un piano solido per fondare fabbriche; ma bisogna che le condutture ed i vasi delle materie liquide siano a tenuta perfetta; qualunque sperdimento, col rammollire parzialmente la roccia, cagiona cedimenti e screpolature nei muri. 53,17 Argille giallastre 51,76 8,31 n » 12,42 30,21 Yi » 30,70 2,07 Yt 7) 0,91 2,27 » 77 2,20 II. La mancanza di grandi masse refrigeranti, che condensino la copia dei vapori portati dai venti meridionali, la impetuosità dei venti che li traspor- tano, rendono rare le pioggie nel basso Tarantino. Perchè i vapori precipi- tino in pioggia bisogna o che un soffio freddo di levante intersechi la cor- rente meridionale, oppure che i venti freddi di tramontana ricaccino indietro quei vapori. Così per giorni e giorni corrono pel cielo nubi dense e nere, senza che cada un goccia d’acqua; a scrosci di pioggia succede rapidamente il sereno, con venti gagliardi. Dalle osservazioni pluviometriche della Capi- taneria di Porto trassi le altezze medie in millimetri delle pioggie annuali : CENNI SULLA GEOLOGIA DI TARANTO 197 1882 — 1883 — 1884 1885 1886 — 1887 1888 - 498.2 1889 — 443,5 255.5 646 330.5 369 512,8 589,3 1890 — 1891 — 647,7 386 1892 - 428 1893 — 1894 - 1895 - 1896 — 605 635 322 450 1897 — 432,5 epperò in 16 anni la media di 0,490, con massima di circa 0,648, e minima di circa 0,256. A Taranto le giornate di calma sono rare, si può dire che il vento regna in permanenza, e spesso soffia con intensità considerevole : beneficio grande pel paese contro raddensarsi dei miasmi, che generano le molte ed estese zone infette dei ristagni palustri. Dalle osservazioni anemometriche della Capitaneria di Porto trassi questi dati del triennio 1894-95-96. Una volta velocità di metri 22,36 per minuto secondo; 8 volte velocità tra 14 e 18 metri; 163 volte velocità tra 14 e 4 metri. Pertanto in media 57 giorni dell’ anno venti con velocità da 4 metri in su. Eelativamente ai quadranti le velocità massime furono : Nord (Tramontana) 7,58 N.N.E 5,58 N. E. (Greco) 5,19 E.N.E. 10,31 Est (Levante) , . . . . 6,15 E.S.E 22,36 S.E. (Scirocco) 16,86 S.S.E 15,28 Sud (Mezzogiorno 17,92 S.S.O. . 11,22 S.O (Libeccio) 10,30 O. S.O, 14,09 Ovest (Ponente) 10,14 O.N.0 16,78 N.O. (Maestro) 10,36 N.N.0 9,11 Nonostante tanta scarsità di pioggia, e così attiva ventilazione, che, unita al sole assai cocente, deve produrre un grado ben elevato di evapora- zione, il volume delle acque sorgive nel territorio Tarantino supera quello di paesi, nei quali le pioggie sono senza paragone più abbondanti. Per le sorgenti che scaturiscono dai calcari il fatto è spiegabile colla grande am- piezza della superficie coperta da questi calcari, nella quale mancano acque sorgive, col grande assorbimento d’acque che avviene nella formazione. E pro- babile che gran parte delle acque assorbite dalle Murge venga a scaturire sulla spiaggia e sul golfo di Taranto. La temperatura di queste sorgenti è di 19 a 20 gradi centigradi. 198 A. VERRI E G. DE ANGELIS d’ OSSAT Per le acque della falda idrica contenuta tra le argille ed i tufi, nel calcolo delle perdite bisogna aggiungere che dai molti pozzi scavati nella campagna s’attinge con norie per l’irrigazione; percui vengono aumentate le perdite per evaporazione, col riportare le acque sotterranee nel soprassuolo- Spiegano il volume delle acque sorgive il potere grande di assorbimento dei tufi; la figura topografica con grandi estensioni pianeggianti; la estesa cul- tura, che, rompendo il soprassuolo, favorisce l’assorbimento. L’acqua che cade non ha scolo ; perciò, ad eccezione della quantità rapita dalla evapora- zione, r acqua è tutta assorbita. Di questa porzione è presa dalla vegetazione, il resto viene alle sorgenti. Siccome le emissioni per sorgive sono poche, scarseggiando incisioni di torrenti spinte sino al piano impermeabile, e la circolazione sotterranea delle acque è lenta, avvenendo tra gl’interstizi dei tufi, la dispensa deve riescire molto regolata. La temperatura delle sorgenti è circa 17 gradi centigradi. La profondità della falda idrica sotto il piano della campagna a sud-est di Taranto, nelle molte misure prese, mi risultò tra 2 e 9 metri. Le circostanze locali sarebbero molto adatte per la ricerca dei rapporti tra la quantità d’ acqua piovuta e quella assorbita : i dati di cui dispongo mi concedono soltanto di dedurre, che le portate delle sorgenti in magra rappresentano il 4 per cento dell’acqua piovuta sul bacino, che le alimenta- I Greci, eppoi i Eomani attivarono l’ effiusso delle acque sotterranee del bacino verso la spiaggia di Saturo, con cunicoli scavati nel mezzo del bacino, e così alimentarono un acquedotto per Taranto. In origine su quel luogo la falda idrica doveva rigurgitare all’esterno, generando acquitrini, perchè co- stretta da corrugamenti delle argille tra Leporano e la spiaggia. I cunicoli agirono come un drenaggio, ed effetto finale fu il diminuire la potenzialità tenitrice del bacino, accelerando il deflusso delle acque sotterranee. L’esame dei lavori mostra che sul principio la falda idrica era molto elevata, ed i cunicoli allora furono scavati entro i tufi superiori; man mano che calava la falda i cunicoli furono approfondati, sino a toccare il piano delle argille : in qualche punto si vedono persino due ordini di cunicoli uno superiore, l’altro inferiore. L’ emungimento impoverì talmente il bacino, che l’ acquedotto fu abbandonato. Le sorgenti del bacino oggi dispensano in magra giornalmente appena un migliajo di metri cubi ; quantità, che non credo avrebbe indotto gli antichi alle costruzioni fatte per condurle a Taranto. Col sistema stesso furono allacciate dai Eomani per usi locali le acque del bacino di Triglie. Nei tempi Bizantini quella presa fu modificata e condotta a Taranto: perfezionate le condutture ed aumentati i cunicoli alimenta l’acque- dotto cittadino, che dispensa circa 1200 metri cubi al giorno. Anche là si ve- dono in qualche tratto due ordini di cunicoli ; dei quali i superiori sono asciutti, e probabilmente sono ridotti così per abbassamento della falda idrica. È pericoloso tale sistema di allacciamento, specialmente nei bacini poco estesi, e dove le pioggie sono scarse. Bisogna contentarsi di allacciare le vene presso le scaturigini naturali, se si vuole produzione durevole. Operando diversamente viene il giorno, nel quale la dispensa dell’ acquedotto diminuisce, e può essere impossibile il rimedio. Con questi criteri, insieme all’ingegnere CENNI SULLA GEOLOGIA DI TARANTO 199 Egidio Salvi ed al dott. Guglielmo Baldari, si riferì al Municipio sulle condizioni del territorio riguardo alla circolazione delle acque sotterranee, e sui modi adatti per condurle a Taranto {Relazione stampata a Taranto nel gennaio 1898). Qui è il caso di osservare un fenomeno curioso. Dopo tanti anni che in tutte le scuole s’insegna geologia; con i progressi di questo ramo scien- tifico, e nonostante l’utile che arreca nelle applicazioni, sono tanto poco diffuse le conoscenze geologiche, persino presso coloro che in un modo o nell’altro sarebbero chiamati ad applicarle nella pratica, da non avere quasi nemmeno l’idea dei vantaggi, che se ne possono ritrarre. Allorché si tratta di fare una presa d’acqua, si reputa in genere inutile interpellare il Geologo: basta che il Chimico analizzi l’acqua, basta che l’Ingegnere studi il progetto per condottarla. Nessuna importanza allo studio del bacino, ai criteri razio- nali della presa. Conseguenze logiche non rare abbassamenti di falda idrica, sperdimenti ed inquinamenti di acque, che a volte sono irrimediabili, o per lo meno obbligano a nuove e grosse spese. Ho dovuto in qualche caso con- statare che quando pure il Geologo è invitato, le sue conclusioni nemmeno sono lette da chi ha l’incarico di progettare ed eseguire i lavori. A . . . . . per rendere piana la città nuova tagliarono di vari metri il banco del tufo, avvicinando la falda idrica al soprassuolo, nè so che negli Uffici tecnici e sanitari si levasse una voce di protesta ; e dire che il padrone della casa dove abitai, tra gli altri pregi della fabbrica, mi rilevava con compiacenza essere rese le latrine inodore, mediante lo sperdimento degli escrementi liqui- di nelle acque del sottosuolo: ponga in colonna chi sa i due fatti, e tiri la somma. Ma se ho citato un caso circa Terrore di versare i liquidi dei pozzi neri nel sottosuolo, non è per farne oggetto di meraviglia speciale. È poco diffuso il sistema dei pozzetti di assorbimento negli orinatoi e nei lavatoi ? Quante chiaviche degli scoli urbani hanno le superficie bagnate costruite con tenuta a stagno ? Nella scelta dei luoghi per cimiteri, per opifici i cui resi- dui di lavoro sono inquinanti, quante volte si pensa se si collocano sopra le falde idriche, la cui acqua alle scaturigini è adoperata per uso potabile ? Del resto il sistema di versare i liquidi delle fogne nel sottosuolo è portato, tra altri, anche in alcuni trattati di costruzione, ed incontra sempre favore nei paesi dove i concimi non sono pregiati, sicché le spese di spurgo riescono del tutto passive. Ricordo che a . . . . dovei intervenire espressamente, affine di vietare che si aprissero nei pozzi neri delle caserme emissari ai liquidi, i quali avevano progettato di smaltire nel tufo soprastante alle argille, epperciò nella falda idrica cui attinge la città per usi potabili. Si capisce dalla somma di tante trascuratezze il perchè le malattie infettive si estendano in misura ognor più inquietante; il peggioramento si aggraverà sempre più, mantenendo la trascuraggine abituale, col progredire continuo dell’ inquinamento nel sotto- suolo dei centri abitati. In un villaggio dell’ Appennino Umbro scaturiscono due fonti: una a nord, l’altra a sud del caseggiato. Chi adopera acqua della fonte a nord è colpito inevitabilmente dal tifo. Chiamato ad esaminare la situazione, trovai che la medesima vena alimenta le due fonti: in quella a 200 A. VERRI E G. DE ANGELIS d’ OSSAT sud scaturisce pura come scende dalla montagna ; poi, per arrivare all’ altra fonte, deve scorrere entro terreno che assorbe succhi delle stalle non pavi- mentate, liquidi immondi versati sulle strade non selciate, sostanze dei mucchi di letame disciolte dalle pioggie. Anni indietro un Sanitario provinciale mi pregò di scrivergli qualche cosa sulle condizioni del terreno locale e sulla circolazione delle acque sotterranee, da inserire nella sua Relazione. Studiai con molta attenzione il soggetto, curai di trattarlo in modo che potesse essere capito facilmente : poi seppi che quella parte era stata fatta sopprimere per risparmiare nelle spese di stampa; ma credo piuttosto perchè si estendeva a considerazioni di tale natura. Difatti, prima che fosse decretata la soppres- sione, fui richiesto di limitare le notizie alle indicazioni se i paesi stanno sul pliocene, sul giura, sul lias ecc. : notizie che per le applicazioni pratiche sa- rebbero state utili assai ! Se l’ Ingegneria, se la Medicina in questo soggetto sono deficienti di cognizioni, nella Giurisprudenza se ne sentono delle stupefa- centi. I criteri fisici per definire le quistioni legali sono nientemeno quelli enunciati, più di venti secoli fa, da T. Lucrezio Caro nel libro VI. De rerum natura. La terra è di sostanza porosa, epper ciò vi penetra V acqua salsa del mare; l'umore compartito largamente a tutti i sotterranei chiostri, lascia quivi il salso veleno, e ancor di nuovo sorge raddolcito in più luoghi. Fin qui Lucrezio : vengono poi i Dottori in legge ad insegnarci che queste sono le vere e proprie sorgenti, le quali chiamano vene idriche originarie. Per la struttura del terreno V acqua delle vene idriche originarie non sempre viene subito alla superficie ; in genere spaglia nel sottosuolo, per scaturire qua e là nel bacino da quelle alimentato. Le vere e proprie sorgenti, come 10 indica la filologia, si riconoscono dal salire dell' acqua ;tutte le altre sca- turigini, le quali provengono da vene discendenti, non sono vere e proprie sorgenti. Conseguentemente soltanto il possessore del terreno, sotto al quale sta la vena idrica originaria, ha il diritto di proprietà sull' acqua di tutto 11 bacino, dove tale vena spaglia, e di tagliare il corso alle acque che scaturiscono nei terreni inferiori-, perchè i possessori di questi non hanno diritto di proprietà sulle acque che dispensano quelle scaturigini. Il diritto compete loro sol quando abbiano titoli d'acquisto, ovvero per prescrizione in seguito a lavori visibili e permanenti fatti per allacciare le scaturigini alla vena idrica originaria : la quale soggiungo io sarebbe più esatto chia- mare immaginaria. Così, sciogliendo nella vena idrica originaria l’articolo 578 del Codice civile, aggiunta una particella degli articoli 540, 541, e mescolato bene, si ottiene la mirabile decisione giuristica : che uno può vendere alle- gramente l’acqua che scaturisce nel terreno del vicino, se questi non è stato accorto di fare in tempo opere visibili e permanenti sottoterra, dove passa la vena nei fondi altrui. Eppure persone di alta competenza giuridica, in una circostanza, mi assicuravano che sono le dottrine prevalenti in materia, e che per provvedere bisognerebbe riformare il Codice. Come scrissi negli studi preliminari sulla condotta di acqua per Città della Pieve, non è sbagliato il Codice, bensì l’errore sta nei commenti dei giurisperiti. In un paese come il Tarantino, nel quale le pioggie sono ben scarse; CENNI SULLA GEOLOGIA DI TARANTO 201 le cause di evaporazione sono tanto intense; per distesa di chilometri e chi- lometri la falda idrica è profonda qualche centinajo di metri, nè si trova una sorgente — come avviene negli spazi coperti dal calcare cretaceo — la vegetazione ha vigoria più che ordinaria. Il fatto è spiegato dal gran potere che hanno i tufi ed i calcari con struttura granulare d’inzupparsi delle acque piovane, e dal circolare lento della porzione di queste acque che è penetrata tra gl’interstizi delle rocce: percui il terreno mantiene gli umori necessari al nutrimento delle piante. A. Verri. PARTE li. Taranto è città ben conosciuta dai paleontologi per la ric- chezza dei fossili che fornisce la roccia localmente chiamata Mdz- zaro\ la cui fauna fu illustrata dal Kobelt (’), con esemplari rac- colti da se stesso. Ora i dintorni di Taranto hanno dato alle intelligenti e solerti ricerche del Colonello A. Verri anche un’altra fauna, esumata da strati più profondi, cioè dallo Zuppigno. È vero che gli esemplari non sono ben conservati, anzi si presen- tano, meno che in rare eccezioni, allo stato di modello; pure sono sicuramente determinabili. Sono così riuscito a specificare una fau- nula abbastanza caratteristica la quale permette di essere sincro- nizzata con altre già conosciute dell’ Italia meridionale e media. Riuscirei prolisso se mi accingessi a ricordare i lavori geo-pa- leontologici che illustrano le vicinanze di Taranto, mi limiterò a ricordare quelli del Philipp!, del Seguenza, del Fuchs (^), del Kobelt e del De Griorgi, come quelli che forniscono maggior copia di co- noscenze. Tutti questi autori però si occuparono della nostra regione prima che le nuove idee venissero a portare, specialmente per opera del classico lavoro del De Stefani, un nuovo apprezzamento cronologico ai terreni del Terziario superiore del Mediterraneo. Laonde più che prendere le mosse dagli autori ora citati, sarà necessario muovere da quelli che ultimamente si occuparono di terreni sincroni nell’Italia meridionale. Solo traendo tesoro dallo studio di questi ultimi sarà possibile precisare il valore cronolo- gico della nuova fauna raccolta dal Verri, ed ora conservata nel R. Istituto di Geologia dell’ Università di Roma. (') Kobelt W., der von mir heiTarent gesammelten fossilen Gonchylien. lahrhucher der Deutschenmalakozoologischen GeselUchaft.l,\%14:. (2) Fuchs Th. Die Tartiaerbildungen von Tarant. k. Akad. der IVis- sensch. 1S74. — Geologische Studien in den Tertiarhildungen Sud-Italiens. Ibidem. 1872. 202 A. VERRI E G. DE ANGELIS d’ OSSAT Non è cosa facile acquistare un concetto chiaro e determinato del valore cronologico che si deve attribuire agli strati tarantini, giacché ancora non vi ha un perfetto accordo nel riferimento degli strati sincroni dell’Italia meridionale nella scala stratigrafica. Fra coloro che, con maggior copia di argomenti, s’ interessa- rono delle formazioni del terziario superiore dell’ Italia inferiore, debbono essere specialmente ricordati il Seguenza, il De Stefani, il Neviani, il De Giorgi, il Di Stefano, il Viola, il Cortese, il De Lorenzo ed il De Franchis ecc. Anche parecchi stranieri si occu- parono della questione e tra questi vanno menzionati: il Mayer E., ed il Neumayr ecc. Per il nostro studio però i lavori che più ci toccano da vicino sono quelli del Fuchs, del Kobelt, del Di Ste- fano e Viola, del De Lorenzo e del De Franchis. Il Di Stefano con Viola (*), nell’ interessante studio intorno al Materino (M. E.), presso Matera ed in altre località riscontra- rono una ben determinata successione di strati, cui, in base a dati paleontologici ed a considerazioni di ordine generale, attribuirono un preciso valore cronologico. Il De Lorenzo (-), raccogliendo in sintesi i dati altrui e quelli desunti dalle proprie osservazioni, riassume in tre soli livelli i terreni sincroni della valle del Bradano. Il De Franchis (^), nei due lavori intorno al bacino di Galatina, rilevò parecchie sezioni dalle quali si ricava un’ analoga successione, illustrata specialmente con un accurato studio paleontologico. Finalmente il Verri, tanto nel suo lavoro : Le acque in quel di Taranto, 1898, quanto nel presente, riporta una successione di strati omotaiiali, la quale si allontana di poco da quella che già vi aveva riconosciuto il Fuchs. Invece di riferire singolarmente le dette successioni di strati, penso che riesca più chiaro che le trascriva in un quadro, tentando di sincronizzarle. Ciò faciliterà di molto e renderà più legittime le conclusioni che si cercherà di inferire. (1) Di Stefano G. e Viola C. L'età dei tufi, calcarei di Matera e di Gravina e il sotto piano « Materino « M, E. Boll. E. Com. Geol. 1892. (2) De Lorenzo G. Studi di Geologia nell' Appennino meridionale. Att. R. Acc. Se. fis. mat. di Napoli, 1896. (2) De Franchis F. Descrizione comparativa dei molluschi postplioce- nici del bacino di Galatina. Bull. Soc. Malac. ital. Voi. XIX, 1894. — Ri- cerche sui terreni del bacino d.i Galatina. Boll. Soc. geol. ital., voi. XVI, 1897. CENNI SULLA GEOLOGIA DI TARANTO 203 o § M «3 GÈ '?S Xì b£) <3 H o o o o p:^ Q o ij < > o fi ^ s o o « £>D « Co a> ■* o .r-. H bCCQ c3 . •73 ^ ca fi H bJD o c3 P> O <3 O M bD bo fi pq o Ec; o < H H PP O PP co ^ 5. "I fit^ H ^ b;} fi PQ Ph fi 02 o PL, c3 Pq O Ph Z » o o n Ph 204 A.. VERRI E G. DE ANGELIS d’ OSSAT Il parallelismo, ora proposto, non lo ritengo come rigorosa- mente giusto, dacché non è dato poter facilmente sincronizzare te- nendo conto del materiale sedimentario, quando questo si è formato in acque basse e nella spiaggia. In queste zone batimetriche i cambiamenti fisici sono frequentissimi e quindi manca 1‘ uniformità del sedimento anche in regioni ristrettissime. Per siffatte ragioni mi sono specialmente attenuto ai risultati dello studio della fauna, quantunque anche questo non possa darci un criterio scientificamente esatto, giacché il circolo di esistenza delle due plaghe dette é anche bionomicamente il più variabile che noi possiamo trovare nel dominio del mare. Le difficoltà poi sono enormemente aumentate dal diverso con- cetto cronologico che noi possiamo formarci del Post-pliocene su- periore in confronto dell’ inferiore. Invero mentre il primo é pa- leontologicamente ben determinato, il secondo al contrario é mal definito ed é racchiuso fra confini non ben delimitati. Prima di intraprendere la discussione intorno alle ragioni che mi hanno indotto agli apprezzamenti cronologici, credo sia necessa- rio che riporti l’elenco delle forme che ho potuto determinare. 1. Nel calcare a hriozoi già il Fuchs cita le seguenti forme: Pecten Jacobaeus, P. variai, P. oiìercularu, P. septemradiatus, Gardium, Pectunculus, Thracia, Cassidaria echinophora, Cassis texta, Terebratula ampulla. Questo calcare, senza dubbio, corri- sponde a quello che il Verri chiama, con nome locale, zuppigno. Nel riferire le specie ho tenuto conto delle forme ora viventi nel Mediterraneo e di quelle che si ritengono da tutti per estinte. Per utile confronto ho segnalato quelle che sono comuni ai giacimenti di Monte Mario (Roma) e Vallebiaja (Pisa), oppure con le località di Monte Pellegrino e Ficarazzi (Sicilia). Come é saputo le faune di queste località sono ben conosciute ed hanno un ben determinato posto nella cronologia. Nell’ultima colonna finalmente, quando é stato possibile, ho indicato in metri le profondità marine in cui furono pescate le diverse forme, attingendo specialmente dalle in- dicazioni del Walther. CENNI SULLA GEOLOGIA DI TAKANTO 205 N. SPECIE Viventi nel Mediterraneo Estinte Vallebiaja M. Mario n M. Pellegrino Ficarazzi Profondità in cui vivono in metri 1 Schizoporella unicorni^ John, Neviani) -H H- X 2 Terebratula ampulla Eroe. X 3 Ostrea lamellosa Eroe. -t- Acque basse 4 Pecten varius Lin. H- H- 1-100 5 n opercularis Lin. -f- H- 1-374 6 » Jacobaeus Lin. H- 18-91 7 Mytilus galloprovincialis Lk. H- 1-91 8 Pectunculus pilosus Lin. -f- 1-82 9 Cardium aculeatum Lin. H- -4- 18-91 10 a oblongum Chemn. 36-54 11 H norvegicum Splender. 14-91 12 Oyprina islandica Lin. -4- 1-182 13 Cytherea chione Lin. ^ 9-73 14 Artemis lincia Pulteney. ? 1-109 15 n exoleta Lin. H- -H- -H 1-91 16 Solen vagina Lin. -t- 3-18 17 Panopaea glycimeris Eor. ? H- X 18 Thracia ventricosa Philip. -+- -4- -4- ' X 19 Lutraria elliptica Lk. -4- H- H- 1-40 20 Pholadomya alpina Math. var. appula de Frane. -H X 21 Clavagella hacillum Eroe. -4- Gen. 5-36 22 Gastrana fragilis Lin. -t- Acque basse A questa fauna si possono aggiungere specie indeterminabili del gen. Serpula, Balams eco. 2. Sopra le argille, sulle ripe dell’Arsenale, giace un banco di tritumi di conchiglie ; quasi esclusivamente composto delle sole valve delle tre seguenti specie: Mytilus minimum, Poli, Cardium edule L., Syndosmya alba Wood. 3. Nel Massaro e nelle sabbie equivalenti fu trovata la se- guente fauna: Cladocora caespitosa E. H. Ostrea lamellosa Eroe. Sphaerechinus granularis Lk. sp. Lima infiala Chemn. {Fide di Stefano). Spondylus gaederopus Lin. Ditrupa cornea Lin. Pecten Jacolaeus Lin. 206 A. VERRI E G. DE ANGELIS d’ OSSAT Pecten varius Lin. Cìamys glabra Chemn. I) pusio Lin. Pinna cfr. squamosa Lk. Arca barbata Lin. n Noae Lin. Pectunculus bimaculatus Poli, n pilosus Lin. Nucula nucleus Lin. Cardium aculeatum Lin. » exiguum Gmelin. n Lamarcki Pieeve. n norvegicum Spengler, n oblongum Chemn. n mucronatum Poli, n Deshayesi Payradeau. Chama gryphoides Lin. Cytherea muUilamella Lk. n chiane Lin. 1) rudis Poli. Artemis lincia Pulteney. Venus gallina Lin. n verrucosa Lin. Gastrana fragilis Lin. Solecurtus coarctatus Gmelin. Corbula gibba Olivi. Lucina borealis Lin. )) leucoma Turton. Tellina serrata Renieri. )) pulchella Lk. sp. Conus mediterraneus Brug. » virginalis Eroe. Nassa ungulata Eroe. 1) limata Chemn. » reticulata Lin. Cancellaria cancellata Lin. Murex trunculus Lin. Triton nodiferus Lk. Euthria cornea Lin. Chenopus pespelicani Lin. Strombus sp. Cerithium vulgatum Brug. Bittium reticulatum da Costa. Vermetus subcancellatus Biv. Turritella communis Risso, n tricarinata Eroe. » turhona Monterosato. Capulus ungaricus Lin. Calyptraea chinensis Lin. Il n var. pseudo- br occhia de Franchis. Natica epiglottina Lk. Naticina catena da Costa. Turbo rugosus Lin. Trochus sp. Gibbuta magus Lin. Dentalium alternans B. D, D. n novemeostatum Lk. Il vulgare da Costa. Bos. sp. Denti ed astragalo. Il Massaro inoltre mostra molti residui di molluschi indeter- minabili, fra cui alcuni ancora portano la naturale colorazione. Sono pure frequenti le sezioni di Briozoi. Ai microscopio si rico- noscono non poche valve di Ostracodi dei gen. Cypris e Candona, frequenti spicule di spugne Tetractinellidae e foraminiferi, fra i quali abbondante mi è sembrata la Discorbina rugosa d’ Orb. I fossili di Taranto che sono citati dallo Scacchi, dal Phi- lipp! {Euurfi. noi. Sicil.\ dal Seguenza {^Studl stratigrafici sulla fornasionc pliocenica detV Ital. rnerid. ed in altri lavori), dal Ko- belt (loc. cit.), dal Fuchs e da coloro che incidentalmente si occupa- rono della geologia di Taranto, provengono quasi esclusivamente da questo membro geologico. CENNI SULLA. GEOLOGIA DI TARANTO 207 4. Dal Carparo si ebbero pochi fossili e mal conservati ; in- teri posso citare la Stenogyra decollata L. ed una specie del gen. Helix, raccolti nella balza sotto la Baronia. Dagli altri campioni invece, ho potuto osservare frammenti dei gen. Cardium, Tellina, Nassa^ Cerithium, Cancellaria, Trochus ecc. Inoltre ho trovato alghe marine calcaree : alcuni esemplari di queste offrono una gran- dissima rassomiglianza con il Lithothamnium (Melobesia) liche- nóìdes Decs. tuttora vivente nei nostri mari. Il Carparo fa certamente parte del livello superiore fissato dal Fucbs, cioè al « Calcare spugnoso a Nullipore 5. Nella formazione di laguna, già segnalata dal Fuchs, e contemporanea al Carparo, ho potuto determinare : Gastrochaena dubia Pennant, Helix sp., Conus mediterraneus Brug., Cerithium vulgatum Brug., Bittium reticulatum da Costa, Cardium edule Lin. È facile rilevare dalla lettura dei lavori citati che il de Lo- renzo ha accettato completamente tutti gli apprezzamenti cronolo- gici del di Stefano e Viola. Quindi se non ci fosse il de Franchis, che dissente alquanto dai precedenti autori, il mio compito sarebbe molto facile, non dovendo che sincronizzare la fauna dello Zuppi- gno a quelle già conosciute, attribuendole il valor cronologico as- segnato a quest’ ultime. Il de Franchis, volendo forse troppo fe- delmente seguire ciò che giustamente disse il de Stefani parlando sinteticamente di tutto il bacino mediterraneo, riporta nel post-plio- cene inferiore la fauna di Galatina, di Matera ed altre sincrone, mentre che il di Stefano e Viola vogliono quelle faune contempo- ranee, ma plioceniche. Chi procura di ponderare, per proprio conto, gli argomenti che si adducono da una parte e dall’ altra, non può negare loro un certo valore; per modo che rimane sul bel principio molto esi- tante. Anzi alla mente ricorrono molte altre ragioni le quali potreb- bero rendere più seducente or l’uno or l’altro riferimento. Anch’io credo, col di Stefano e Viola, che è impossibile « poter dividere con una linea netta i depositi pliocenici dai quaternari a causa dei passaggi graduali » ; tuttavia mi sembra che la fauna profonda di Matera e di Galatina offra un evidentissimo carattere faunistico di minor giovinezza del tipico post-pliocene inf. Premetto che un semplice confronto basta per renderci sicuri 208 A. VERRI E G. DE ANGELIS D OSSAT che la faunula dello Zuppigno tarantino è identica a quella del tufo calcareo sabbioso di Matera e del tufo di Galatina; laonde la prima con queste deve avere comune 1’ età. Non conosco de visu i giacimenti in parola, ma tenendo il dovuto conto del valore delle ricche faune, diligentemente studiate dai diversi autori, credo di non essere andato lungi dal vero nel sincronismo proposto. In quanto alla fauna dello Zupfigno, attribuisco un grande valore al rinvenimento della Pholadomya alpiina var. appaia, e della Clavagella hacillum che sono forme estinte. Con ciò non ho inteso disconoscere il significato che si può desumere dal com- plesso della piccola fauna nostra, che permette, senza esitanza d’ inferirne la pertinenza al Pliocene; quantunque esso si debba ritenere come il più giovine. Anzi oserei affermare che indica il passaggio tra il Pliocene ed il Post-pliocene, con carattere però più pliocenico che quaternario. A confermare quanto si dice basta esaminare la tabella a pag. 205 dove i fossili tarantini sono posti a confronto con località la cui cronologia rimane ben determinata, anche se si prolungherà la vuota discussione di nomenclatura stratigrafica. Conviene però osservare che la ristretta fauna dello Zuppigno non offre finora tante specie plioceniche come quella di Matera. Se al De Franchis fosse stato possibile, ciò che sortirono il di Stefano ed il Viola, dividere il più profondo elemento litologico in due livelli con il criterio paleontologico, forse anche a lui non sa- rebbero sfuggiti i caratteri di maggiore antichità, quantunque sa- gacemente già ne abbia alcuno in t ravveduto. In fatti egli ricorda parecchie forme estinte, come : Pecien Alessii, Modiolaria sericea, Arcopagia corbis, Pholadonuja alpina, Clavagella hacillum e Terebratida Scillae. Per mio conto concedo il maggior valore al Pecien Alessii ed alla Pholadomya, e specialmente al primo, perchè da tutti ritenuto come buona specie del Pliocene. Nell’elenco delle forme determinate, proveniente dallo Zuppigno tarentino, se manca il P. Alessii, non difettano specie, come di leggieri si rileva, per sincronizzare la nostra faunula con quella a P. Alessii: laonde tutti gli argomenti, tanto favorevoli che cou- trarii, sono comuni alle faune ora citate. Riguardo alla T. Scillae, osservo che è spesso impossibile tenerla separata dalla T. am- pulla. CENNL SULLA GEOLOGIA DI TARANTO 209 Lo Zu'p'pigno adunque per i suoi caratteri paleontologici degli strati più profondi deve ascriversi al vero Pliocene e ritenersi con- temporaneo alle sabbie ed argille sabbiose di Asti, del Parmi- giano, del Bolognese ecc. La fauna però degli strati superiori, con la Cyprina islandica, rende questi sincroni al Monte Mario ed a Vallebiaja più decisamente che non al M. Pellegrino ed a Ficarazzi. Quanto poi al Massaro, non credo che si possa sollevare questione alcuna, dacché la fauna già nota massime per i fossili rac- colti e studiati dal Kobelt, ha ora già un posto ben determinato. Essa dal di Stefano e, negli ultimi lavori con esitazione, dal Neu- mayr è stata riferita al Quaternario marino insieme ai depositi di Corinto (Kalamaki) ; paragonandoli a quelli di Palermo, della To- scana e di Rodi. L’ elenco che ora ho presentato non fa altro che confermare già quanto asserì il di Stefano, e tutti gli altri che più 0 meno direttamente si occuparono di quel ricco e conosciuto giacimento. La formazione di laguna già menzionata dal Fuchs (1874), giace in forma di lente in una posizione statigrafica, secondo le idee del Verri, non molto diversa da quella che ci descrive il Fuchs stesso. Non v’ ha dubbio che appartenga al Post-pliocene giovine (Pliocene, Fuchs) essendo contemporanea, come asserisce il Verri, alla forma- zione del Carparo. Il Fuchs segnala, oltre ai fossili da noi citati, specie dei generi : Planorbis, Limnaea, Bithyniaj Littorinella. Il Carparo finalmente segue in tempi più vicini a noi la formazione marina, mentre si deponevano gli strati superiori di Pa- lermo, di Sciacca, di Calabria ecc. Il complesso delle faune degli strati tarantini in istudio pre- cisano chiaramente i loro rispettivi circoli di esistenza; per modo che da esse solo si potrebbero inferire le condizioni fisiche che go- vernarono la sovrapposizione degli strati. Il materiale sedimentario poi con la sua svariata natura ci aiuta a concretarne i fatti. Dapprima si trovano i ciottoli svelti dal lido roccioso dall’ in- furiare delle onde. Il materiale accatastato disordinatamente ed i fori di litodomi ne dimostrano 1’ origine. Poi un mare aperto, ma basso, alberga una vita rigogliosa di Molluschi e di Briozoi, ciò accenna ad uno spostamento positivo di piccolo valore, come può desumersi dalla zona batimetrica che determina la fauna. L’abbassa- mento in seguito si accentua vieppiù come lo dimostra il materiale 14 210 A. VERRI E G. DE ANGELIS d’ OSSAT sedimentario più sottile, cioè le argille marnose. Queste, sollevando il fondo marino e non lontane dalla spiaggia, cominciano a mi- schiare i loro tenui elementi con le sabbie, divenendo argille sab- biose. L’ accrescimento del materiale si fa rapido ; il mare s’ in- terra. Qualche piccolo banco accumulato dal moto delle acque co- mincia a sporgere il capo fuori dello specchio marino, aiutato dallo spostamento negativo incipiente. Intanto la Cladocora caespitosa^ che vive nel limite fra 1’ alta e bassa marea, c’ indica una chiara linea batimetrica. I banchi aumentano, si riuniscono. 11 vento co- mincia a spiegare la sua potente azione nella formazione dei cor- doni litorali ; uno dei quali recinge una laguna o lago di reliquato, che diviene 1’ abitazione di una fauna anfibia. È 1’ alobios che si mischia col geobios e col limnobio^. Finalmente la terra si riscatta dal dominio del mare per il forte movimento negativo, che perdura ancora. 1 corsi d’ acqua continentale, divenuti rubesti, portano i lar- ghi contributi di ghiaie poligeniche, strappate da regioni che non è facile stabilire, come già ben disse il Verri, che per primo vi menziona, per quanto sappia, la presenza di rocce ora, in posto, molto lontane. D’ altra parte è impossibile ritenere che i magri fiumi, che ora percorrono quelle brevi valli, abbiano potuto far parte di corsi tanto lunghi da raggiungere i bacini in cui afiiorano quelle rocce. È risaputo che simili depositi ghiaiosi si trovano anche in altre regioni del bacino mediterraneo ed anche sopra piccole isole, che non potevano certo essere percorse da lunghi e copiosi corsi d’ acqua capaci di accatastare tanto materiale. Questo fatto viene generalmente spiegato ammettendo che recenti sprofondamenti ab- biano affogato parte delle regioni sopra cui serpeggiavano i grandi fiumi. Chissà che i conglomerati di Taranto non abbiano a ripe- tere una analoga origine? Quanto ora ho esposto, intorno agli spostamenti positivi e ne- gativi della regione di Taranto, corrisponde perfettamente al com- plesso delle osservazioni dei geologi che si occuparono dell’ Italia meridionale, e specialmente a ciò che scrisse il de Lorenzo nel suo ultimo lavoro intorno all’ Appennino meridionale, ed a quello che, nel presente lavoro, espone il Verri. G. DE Angelis d'Ossat. IL KAIBL DEI DINTOKNI DI MONTE JUDICA. Memoria del dott. Bindo Nelli (Tav. Vni). Non lungi da Catenanova, dal monte Judica, nei terreni dei monti Scalpello e S. Nicoletta il prof. Olinto Marinelli ha raccolto i fossili da me descritti. Questi rappresentati da Lamellibranchi, Brachiopodi, Gasteropodi e da qualche raro Cefalopode trovansi in calcari compatti grigio chiari stratificati, a noduli di selce, che si alternano con calcari scuri, quasi neri brecciformi, alquanto spatici, duri e tenaci. I Lamellibranchi sono rappresentati nel calcare chiaro da diverse specie di Halobie, le quali si mostrano anche alla su- perficie di certi straterelli di calcite fibrosa, che a prima vista si prenderebbe per aragonite, la quale trovasi intercalata fra i calcari a noduli di selce. Questi noduli di selce, come ho potuto osservare in una sezione al microscopio, contengono gran numero di Radio- larie. I calcari scuri contengono alcune specie di Coenothyru, \ Avi- cula Gea D’ Orb., la Cassianella gryphaeata Munsi, la Cassianella decussata Mtinst., la Leda percaudata Gumb. o Bionda Gemm. la Myophoria vestita Alb., la Myophoria Goldfussi Alb., la Lu- cina gornensis Par., un Trigonodus e qualche Trachyceras. Era i pochi Cefalopodi che trovansi in questi terreni ho notato un Trachyceras affine Par., il quale corrisponde perfettamente al- \ Ammonites plicatus Cale., che fu trovato nei monti di Catenanova, e dal Calcara descritto in un suo lavoro Sui molluschi della Sici- lia (*). In questo scritto del Calcara ho notato pure un Ammonites Scordiae, indicato nei monti di Catenanova, nel calcare seconda- rio, e questo, a parer mio, altro non è che il Trachyceras Aon. (*) 1845. Calcara, Cenno sui molluschi viventi e fossili della Sicilia. 212 NELLI BINDO Il prof. Gemmellaro poi in un suo lavoro: Sopra taluni or- ganici fossili del turoniano e nurnmulitico di ludica (*) riferisce al turoniano alcuni fossili trovati nel calcare marnoso dei monti Torcisi e Judica, e fra questi ho notato il Mytilus Bionda, che corrisponde alla Leda percaudata Giimbel. La nostra fauna è analoga a quella descritta dal Parona del Raibliano (2) di Lombardia e presenta anche molti punti di con- tatto con quella dello scisto marnoso con Myophoria vestita della punta delle Pietre Nere in provincia di Foggia, descritta dal Di- Stefano (^). Dalle precedenti osservazioni sono indotto a ritenere che questi terreni, che si trovano nella medesima zona di quelli dei monti Judica, Torcisi e Catenanova, appartengono al Trias e precisamente al Raibliano ed alla zona del Tr. Aon. Trachyceras plicatum Cale. (Tav. vili pi], fig. 23). 1840. Ammonites plicatus, Monografia dei yen. Claus. e Buiimo col- l'aggiunta di alcune nuove specie di conchiglie siciliane, pag. 54. 1845. Ammonites plicatus Calcara, Cenno sui molluschi viventi e fossili della Sicilia, pag. 43, tav. IV, fig. 26. 1889. Trachyceras affine Parona, Studio monografico della fauna Raib- liana di Lombardia, pag. 60, tav. I, fig. 2, 3. Conchiglia di forma discoidale, molto involuta, con bocca alta, ornata di costicine in numero di circa quaranta, le quali vanno con andamento sigmoidale dall’ ombelico al dorso e sono biforcate sul lato esterno. Il dorso è segnato da un solco longitudinale. L’om- belico è molto stretto. I lobi e le selle si mostrano evidentemente così che si può distinguere un lobo sifonale e due laterali più pic- coli con accenno di frastagliature (tig. 24). (*) Gaetano G. Gemmellaro, Sopra taluni organici fossili del turoniano e nurnmulitico di Judica, Atti d. Acc. Gioenia, serie 2^, voi. XV. Catania, 1860, pag. 269 e seg. (P Studio monografico della fauna raibliana di Lombardia, del dott. C. F. Parona, 1889. P) I. G. Di-Stefano, Lo scisto marnoso con Myophoria vestita della Punta delle Pietre Nere in provincia di Foggia (Bollettino del R. Co- mitato geologico d’Italia, 1895). IL RAIBL DEI DINTORNI DI MONTE JUDICA 213 Diametro mm. 17; altezza dell’ ultimo giro mm. 8; larghezza deir ombelico mm. 3. Questo Trachijceras fu trovato in Acquate, territorio di Lecco (Collez. Stoppani). Il Calcara in un suo scritto poco conosciuto, da 'me sopra rammentato, parla di questo Ammonite^ jdicatus, che, avendo pa- ragonato col Trachyceras affine del Parona, mi pare gli corri- sponda perfettamente sia nella forma come nella disposizione e andamento delle costicine; per ciò sono indotto a credere che i due nomi siano sinonimi. In questo medesimo scritto il predetto autore parla anche di un Ammonite^ Scordiae (') che fu trovato insieme all’ altro nel calcario secondario di Catenanova e che a me sembra debba corrispondere al Trachyceras Aon (Miinster) (^). Trachyceras ferefurcatum (n. sp.). (Tav. vili [II], fig. 22). Conchiglia discoidale, piuttosto involuta, ornata di^ costicine, le quali all’ esterno sono in numero di circa trenta con tracce di noduli, dicotome, alternate con altre semplici. Queste costicine percorrono la conchiglia dall’ ombelico al dorso, segnato da un solco, presso il quale vedonsi le tracce dei noduli. Diametro mm. 10 ; larghezza dell’ ombelico mm. 3 ; altezza del- r ultimo giro mm. 4 circa. Il nostro Trachyceras per la sua forma e per il carattere dico- tomico delle sue coste si accosta molto al Tr. furcatum (Mojs.), (Op. cit., tav. XXIV, f. 13), dal quale differisce però per avere r ultimo giro assai più stretto e per presentare le costicine un anda- mento più diritto dall’ ombelico al dorso mentre le costicine del- r altro presentano un andamento piuttosto sigmoidale. Avicula G-ea d’Orb. (Tav. vili. [II], fig. 18). 1841. Avicula ceratophaga Miinster (nec Schlotheim) , Beitràge zur Petre- factenkunde : Beschreibung und Ahhildung der in den Kalkmergelschich- ten von St. Cassian gefundenen Versteinerungen, pag. 77, tav. VII, fig. 14- (1) Cale., op. cit. pag. 44, tav. IV, fig. 27. , (2) Moisisovics, 1882. Ceph. der Medit. Triaspr., pag. 129, tav. XXI f. 1-35, 37, 38. 214 NELLI BINDO 1841. Avicula antiqua Munster, (nec Miinster in Goldfuss), Ibid., pag. 77, tav. Vn, fig. 15. 1850. Avicula Gea D’Orbigny, Prodrome de Paléontologie stratigrafique, I, pag. 201, n. 529. 1866. Avicula Gea Laute, Die Fauna der Schichten von St. Cassian (Denkrschr. d. k Akad. d. Wiss., XXV, pag. 50, tav. Vili, fig. 9). 1888. Avicula Gea Ciimbel, Grundzuge der Geologie, pag. 701, fig. 15. 1889. Avicula Gea Parona, Studio monografico della fauna Raibliana di Lombardia, pag. 93, tav. Vili, fig. 7. 1889. Avicula Gea v. Wohrmann, Die Fauna der sogenannten Cardila und Raibler Schichten in den Nordtiroler und Bayerischen Alpen (Jahrb. d. k. k. geol. R. A., XXXIX, pag. 20, tav. Vili, fig. 1). 1895. Avicula Gea G. Di Stefano, Lo marnoso con u Myophoria vestita n della Punta delle Pietre Nere in provincia di Foggia, pag. 19, tav. I,fig. 1-9. Dal Bollettino del R. Comitato geologico d’ Italia. Il nostro esemplare presenta discrete dimensioni, avendo la distanza fra le due orecchiette di mm. 12 ed una lunghezza tras- versale di mm. 6. La nostra valva è oblunga, molto inequilaterale, leggermente rigonfia e liscia. L’orecchietta anteriore convessa, appuntita e assai breve è separata dal rimanente della conchiglia da una notevole depressione. L’ orecchietta posteriore molto espansa, aliforme, de- pressa presenta l’ apice acuto a guisa di rostro. Questa specie fu trovata in Valseriana a Gomo (Vailetta del Regno) e sul Monte Fora (Collez. Varisco, Taramelli, Stoppani), nella Punta delle Pietre Nere in provincia di Poggia e a S. Cassiano. Negli strati a Cardita, del Rips (Haller Anger). Nel Raibliano della strada di Palsarego presso Cortina di Ampezzo. Cassianella &r7pliaeata Miinst. (Tav. Vm [II], fig. 14, 15). 1838. Avicula griphaeata Miinst. Goldfuss, Petr. Germ-, II, pag, 127, tav. 116, fig. 10. 1841. Avicula gryphaeata Miinst., Beitr., IV, pag. 75, tav. VII, fig. 7. 1843. 0 s tr ea a V i c u lar i s Bronni, Klipstiin, Alpen, pag. 246 e 247, tav. XV. fig. 30 e 31. 1849. Avicula gryphaeata D’Orbigny, Prodrome, I, pag. 200. 1852. Avicula gryphaeata Giebel, Deutschl. Petrefac., pag. 368. 215 IL RA.IBL DEI DINTORNI DI MONTE JUDICA 1866. Cassianella gryphaeata Laube, Fauna St. Cassian., pag, 47, tav. XVII, fig. 1. 1887. Cassianella gryphaeata Parona, Fauna Faihliana di Lotn^ bardia, pag. 96, tav. Vili, fig. 6. Questa conchiglia è molto comune. Essa è inequivalve, rom- boidale con apice fortemente ricurvo. In alcuni dei nostri esem- plari vedesi l’orecchietta anteriore, la quale è triangolare ed è separata dal resto della valva per mezzo d’ un largo solco. L’ orec- chietta posteriore in alcuni esemplari mostrasi in parte ed è mal conservata ma dall’ insieme sembra esser molto breve. La linea cardinale è lunga e diritta ; la superficie è ornata di numerose strie d’ accrescimento ondulate, quasi parallele fra loro al centro e sa- lienti verso r apice lateralmente. I più grandi esemplari misurano da 10 a 13 mm. di lunghezza. La Cassianella gryphaeata del Laube ha strie trasversali meno marcate di quella del Parona per quanto le corrisponda perfettamente nella forma. Questa specie fu trovata in Acquate, territorio di Lecco (Collez. Stoppani), e a S. Cassiano. Cassianella decussata Mùnst. (Tav. vili [II], fig. 21). 1841. Avicula decussata Miinster, Beitr. z. Petref, IV, pag. 76, tav. VII, fig. 10. 1866. Cassianella decussata Laube, Die Fauna d. Sch. v. St, Cassian, pag. 47, tav. XVII, fig. 2. 1889. Cassianella decussata Parona, Studio mon. della fauna raib- liana di Lombardia, pag. 95, tav. Vili, fig. 5. Abbiamo un frammento della valva sinistra di questa conchi- glia, nel quale vedonsi sette coste rotondeggianti, decorrenti dal- r apice, alquanto ricurve verso l’ indietro e tutte intersecate da fini e rilevate linee di accrescimento. Il nostro frammento misura 13 mm. di lunghezza e quasi al- trettanti di larghezza e per ciò la conchiglia alla quale apparteneva doveva presentare dimensioni molto maggiori di quella descritta dal Parona. Però dall’ insieme, considerando il numero delle coste il loro andamento, la loro forma e la loro marcata striatura, sono por- tato a credere che questo frammento, per quanto di grandi dimen- sioni, dovesse appartenere alla valva sinistra della Cass. decussata. 216 ^ELLI BINDO Posidonomya (sp. ind.). Di questa abbiamo un frammento, che, avendolo confrontato colla Posidonomya Wangensis del Parona {Fauna Raibliana di Lombardia), mi sembra le corrisponda; non oso però affermarlo, trattandosi d’ un frammento troppo piccolo. Halobia lucana De Lorenzo. 1882. Halobia lucana De Lorenzo, Sul trias dei dintorni di Lagonegro in Basilicata, pag. 15, fig. 7. 1896. » « ” Paleontographia italica, tav. XVII (III), fig. 4-6. Conchiglia molto inequilaterale, alta press’ a poco quanto lunga, col lato anteriore un po’ meno sviluppato del posteriore e legger- mente rigonfia. La linea cardinale lunga e quasi diritta è di poco oltrepassata dall’ apice piuttosto acuto intorno al quale si vedono delle fine strie concentriche. A poco più d’ un millimetro di distanza dall’apice s’ irradiano delle finissime coste, le quali, verso la metà della conchiglia si suddividono in due o in tre. I solchi radiali debolissimi finiscono per scomparire presso il margine cardinale lasciando un’ area liscia perfettamente libera di coste. La superfi- cie della conchiglia, è inoltre ornata da rughe concentriche non molto forti fra le quali colla lente d’ ingrandimento si distingue anche qualche stria d’ accrescimento. In uno de’ miei esemplari, per quanto in modo non molto chiaro, ho potuto osservare l’ orecchietta, la quale, come una piegatura assai marcata, mostrasi sul margine car- dinale anteriore della conchiglia. Questa conchiglia è molto comune in questi terreni. Halobia sioula Demm. 1882. Halobia sicula Gemmellaro, Sul trias della regione occidentale della Sicilia (pag. 464, tav. IV, fig. 2, 3. Atti della R. Accademia dei Lincei, serie 8*, voi. XII). 1892. » » De Lorenzo, Sul trias dei dintorni di Lagonegro in Basilicata, pag. 14 fig. 6. IL RAIBL DEI DINTORNI DI MONTE JUDICA 217 1897. Halobia sicula De Lorenzo, Fossili del trias medio di Lagone- gro. Paleontographia italica.,yo\. II, pag. 135, t. XVII (III), fig. 8 e 10. Questa conchiglia è molto comune e forma nel calcare veri conglomerati. Essa è quasi piana, lunga dai 6 ai 18 mm., larga dai 7 ai 20 mm., leggermente convessa nella regione apicale, col lato anteriore un poco più corto del posteriore e di forma simile a quella d’ un ven- taglio. L’ orecchietta leggermente convessa è separata dal rimanente della conchiglia da un’ insenatura poco profonda ; 1’ apice acuto e poco arcuato è ornato di finissime strie concentriche. Sotto questo irradiano delle coste piuttosto larghe, basse, piane e divise da stretti solchi, le quali si suddividono in due coste secondarie, e talvolta presso la regione paileale una o tutte e due portano un leggerissimo solco che le bipartisce ; però nella maggior parte dei nostri esemplari si nota una sola divisione delle coste mentre l’ altra riscontrasi in pochi ed in taluni è appena accennata. La superficie della conchiglia apparisce percorsa da strie con- centriche le quali sono così fini che non si distinguono che colla lente d’ ingrandimento. La parte interna delle valve di questa specie mostra l’ impressione dei solchi e delle strie concentriche. La Ha- lobia sicula Gemm. è la specie più comune di tutte quelle finora trovate nel trias della parte occidentale della Sicilia, nei calcari a noduli di selce; ma trovasi anche in Basilicata, nei dintorni di Lagonegro, nei banchi e nei calcari a noduli di selce del monte Sirino e del monte Papa, fino alle più alte vette, ed anche in quelli del monte Gurmara, del Milègo, di Gianni Griecu, Samuele ecc. Leda Biondii Gemm. (Tav. vili [II], fig. 16, 17). 1859. Leda alpina (non D’Orb.) Winkler, Die Schichten der Avicula con- torta inner und ausser der Alpen, pag. 15, tav. 1, fig. 8. 1860. Mytilus Biondii Gemmellaro, Sopra taluni organici fossili del turoniano e nummulitico di ludica. Atti dell’ Accademia Gioenia di Scienze naturali di Catania, serie 2^, voi. XV, tav. 1, fig. 1. 1861. Leda complanata Stoppani, Paléontologie lombarde. Monogra- phie des fossiles de l'Azzarola ecc., pag. 62, tav. 8, fig. 1, 2. 1861. Leda percaudata Giimbel, Geognostische Beschreibung des baye- rischen Alpengebirges und seines Vorlandes, pag. 407. 1861. Leda alpina Giimbel, Ibid., pag. 407. 218 NELLI BINDO 1863. Leda claviformis Stopparli, Paléontologie lombarde. Monogra- phie des fossiles des groupes des lumachelles et des schistes noirs mar- neux ecc., pag. 132, tav. 30, fig. 30 e 31. 1866. Leda claviformis Capellini, Fossili infraliasici dei dintorni del golfo della Spezia (Mem. dell’ Acc. delle Se. dell’ Istit. di Bologna, ser. 2^ voi. V, pag. 62, tav. VI, fig. 20 e 21). 1895. Leda percandata G. Di Stefano, Lo scisto marnoso con u.Myo- phoria vestita^ della Punta delle Pietre Nere in provincia di Foggia. Eegio Comitato geologico d’ Italia. Questa conchiglia è molto comune. Essa è di forma allungata, inequilaterale, alquanto rigonfia al lato anteriore e ristretta al lato posteriore dove termina in un rostro non molto acuto, lungo e poco rigonfio, il quale in alcune si mostra separato dal rimanente della valva da una leggerissima depressione. La superficie della conchiglia mostra delle strie longitudinali fini, fitte e alquanto rilevate, le quali la percorrono parallelamente al margine paelleale assai ricurvo nella sua parte anteriore. Il cardine presenta ima doppia serie di denti transversi che caratte- rizzano le Lede. Questa specie mostra valve di differenti dimensioni, aventi una lunghezza variabile da 6 a 12 mm. 11 Mytilus Bionda fu trovato dal Gemmeilaro nel calcare marnoso di Judica ed il suo nome, essendo il più antico, deve cer- tamente prevalere sugli altri. Fu trovata in provincia di Foggia (Punta delle Pietre Nere), in Normandia, nel dura e nel Nord dell’ Allemagna. Myophoria vestita Alberti. (Tav. VIII[U] fig. 12). 1864. Myophoria vestita v. Alberti, Ueberhlick uber die Trias mit Berùcksichtigung in den Alpen, pag. 113, tav. Ili, fig. 6. 1866. Myophoria inaequicostata Laube, Die Fauna der Schichten von St. Cassian (Denkschriften der k. Akademie der Wissenschaften. Mathem. Natur. XXV, pag. 57, t. XVIII, f. 3). 1888. Myophoria vestita Gumbel, Grundz der Geol, pag. 691, fig. 1 1889. Miophoria vestita Kilian, Mission d'Andalousie, //: Etude pa- léontologiques sur les terrains secondaires et tertiaires, de V Andalousie (Mém. de TAcad. d. Se. de l’Institut de France, XXX, pag. 603). 1895. Myophoria vestita LG. Di Stefano, Lo scisto marnoso con liMyopboria vestita n, della Punta delle Pietre Nere in provin- cia di Foggia (Bollettino del R. Comitato geologico d’Italia). IL RAIBL DEI DINTORNI DI MONTE JUDICA 219 Abbiamo il modello interno di questa conchiglia la quale si presenta piuttosto rigonfia, un poco obliqua ed ornata di 9 o 10 costole radiali, forti, arrotondite e separate da spazi più larghi della loro grossezza. Queste costole, come i solchi che le dividono, non sono attraversate da strie di accrescimento poiché il nostro esem- plare è un modello interno e ci manca il guscio della conchiglia sul quale si vedono queste strie. La penultima costola, più grossa delle altre, è un poco più obliqua ed accenna appunto alla forma- zione d’ una carena obliqua, come vedesi nella M.vestita dell’Alberti. L’ultima costola è appena tracciata e quasi si confonde nel piano della carena. Lunghezza della conchiglia mm. 9; larghezza mm. 10. Questa specie si presenta negli strati di Gasingen (Argovia). corrispondenti a quelli di Lehrberg presso Anspach, e quindi appar- tenenti alla parte media del Keuper medio estralpino. Essa trovasi anche nella parte superiore degli strati di Raibl ( Torer Schichten), in quelli di Heilingenkreuz e nei calcari di Opponitz. La M. vestita è stata trovata anche "nell’ Andalusia nella parte superiore di quel Trias. Dal Di-Stefano fu trovata nella Punta delle Pietre Nere in provincia di Foggia. Myophoria &oldfussi Alberti. (Tav.vmpi] fig. 13) 1826. Lyrodon Goldfussi Goldf., Petr. germ. II, pag. 199, t. 136, f. 3. 1864. Myophoria Goldfussi Alberti, Ueberblick ùber die Trias mit Berùcksicktigung ihres Vorkommens in den Alpen, pag. 112, t. II, f. 4. Questa conchiglia è poco comune. Essa è di forma anterior- mente ovale, posteriormente rettangolare e come troncata, assai rigonfia al cardine e leggermente carenata al lato posteriore. La sua superficie è ornata di costoline radiali angolose in nu- mero di 20, striate trasversalmente e divise le une dalle altre da solchi piuttosto larghi e profondi, i quali pure presentano delle strie trasversali. La carena è breve, e, per quanto sopra di essa nel nostro esem- plare manchi il guscio, sembra liscia con accenno di una costolina presso il margine. Lunghezza mm. 10; larghezza mm. 8. 220 NELLI BINDO Località: Hagenbach, Zimmern, Rottenmunster, Bùhlingen, Schacht am Stallberge, Sulz, Alstadt-Rottweil,ViHingendoi;f, Gòlsdorf, Asperg, Cannstatt. Lucina &ornensis Par. 1889. Parona, Studio monografico della Fauna Raihliana di Lombardia, pag. 139, tav. XIII, fig. 2. Posseggo una valva di questa conchiglia. Essa si presenta di forma subcircolare, molto convessa, più larga che alta, con apice prominente molto incurvato. Non ho potuto osservare la parte in- terna di questa valva poiché il mio unico esemplare è infìsso nella roccia, dalla quale non è possibile liberarlo. Nell’ insieme però, giudicandolo dalla sua forma, dalla sua marcata convessità e dal- r incurvamento dell’ apice, ritengo debba trattarsi della valva sinistra della Lucina Qornenm indicata dal Parona in Valseriana. La sua superficie esterna è molto erosa e presenta tracce di linee d’ accre- scimento. Lunghezza mm. 23; altezza mm. 12. Trigonodus Judicensis (n. sp.). (Tav. Yin [II], fig. 19, 20). Conchiglia inequilaterale, trasversalmente allungata, anterior- mente più alta che nella parte posteriore, con margini arrotondati. Apice poco sviluppato ed incurvato, da questo si diparte una carena corta e poco marcata che si dirige verso 1 estremità posteriore ; nel resto la conchiglia si presenta regolarmente convessa; margine cardinale esteso e quasi rettilineo. La superficie della conchiglia è ornata da strie d’ accrescimento concentriche, le quali verso il mar- gine della conchiglia sono piuttosto grosse e costituiscono delle vere e proprie pieghe o costoline che percorrono la conchiglia paralle- lamente al margine paileale. Il nostro esemplare rappresentato da un modello interno, mostra assai oscuramente il cardine nel quale non ho potuto osservare tracce di denti. Nella sua parte anteriore presso il cardine, sotto l’ apice che si ripiega all’ indietro, vedesi 221 IL KA.IBL DEI DINTORNI DI MONTE JUDICA. una piccola fossetta poco profonda e di forma pressoché trian- golare. Nella parte posteriore della conchiglia si riscontra una leggera insenatura che va dall’ apice all estremità palleale. La nostia valva presenta una forma molto simile a quella del Trigonodus Balsamoi (Parona, 1889, op. cit., pag. 125, tav. IX, fìg. 11-15), ma si distin- gue da questo per essere molto meno carenata, poiché la carena nel nostro esemplare é appena accennata, per avere una forma meno allungata ed un apice più arcuato e meno alto. Altezza mm. 18 ; larghezza mm. 25. Coenothyris &emmellaroi (n. sp.). (Tav. vili [II], fìg. 1, 2, 3). Dimensioni: lunghezza della conchiglia mm. 15-19; larghezza mm. 13-17 ; spessore mm. 8-10. Conchiglia di forma ovato pentagona, un poco più lunga che larga, piuttosto depressa ai margini, liscia con tracce di strie d’ac- crescimento. La conchiglia é ornata di strie longitudinali le quali sono appena accennate e si distinguono solo colla lente. La valva ventrale é leggermente rigonfia presso il deltidio ; il setto ventrale è ben distinto ed arriva quasi ad un terzo della conchiglia. Dal lato frontale di questa si vedono due pieghe poco marcate, quasi indistinte. Connessura delle valve retta sui lati e pochissimo si- nuosa alla parte latero-frontale e alla frontale. Apice poco ricurvo con due carene laterali piuttosto ottuse. Deltidio quasi indistinto con forame stretto. Questa specie é assai comune in questi terreni. Essa rassomiglia, a prima vista, per la sua forma la Terehfatula ladina (Bitta.) (Q dalla quale differisce però per il deltidio quasi indistinto e per le pieghe del lato frontale. Nelle sezioni longitudinali di questa conchiglia, la quale nei miei esemplari é rappresentata dai modelli interni calcarei vedonsi, per quanto malamente, le tracce dei due supporti brachiali i quali per esser molto corti, non giungendo alla metà della conchiglia, mi fanno ritenere che debba trattarsi di Coenothyris. (1) 1890. A. Bittner, Brachiopoden der Alpinen Trias. 222 NELLI BINDO Coenoth3nis Calcarae (n. sp.) (Tav. vili [II] fig. 4, 5, 6, 7). Dimensioni; lunghezza della conchiglia mm. 20; larghezza mm. 16; spessore mm. 12. Conchiglia di forma ovale, poco più lunga che larga, molto rigonfia, liscia con tracce di strie longitudinali e di strie d’ accre- scimento poco marcate, le quali si distinguono specialmente ai lati di essa. La valva ventrale è molto rigonfia presso il deltidio, sotto il quale si distingue assai bene un setto ventrale, che raggiunge quasi la metà della conchiglia. Poco al disotto della metà della valva ventrale si partono due pieghe assai rilevate, arrotondite, e separate dal lato frontale da un seno piuttosto profondo. La valva dorsale convessa, liscia, mostra due solchi larghi e profondi, contrapposti alle pieghe della valva ventrale e che vanno paralleli fra loro, quasi dal centro della valva fino alla sua estremità. Connessura delle valve retta sui lati, sinuosa alla parte latero- frontale e alla frontale, dove questa sinuosità è marcatissima. Apice alto, molto ricurvo con due carene laterali molto ottuse. Deltidio quasi indistinto con forame stretto. Tracce di supporti brachiali corti. Specie piuttosto comune. Coenothyris siculus (n. sp.). (Tav. vili [II] fig. 8, 9, 10, 11). Dimensioni : lunghezza della conchiglia mm. 20 ; larghezza mm. 15; spessore mm. 11. Conchiglia di forma ovale, piuttosto rigonfia sotto il deltidio, compressa lateralmente e alla regione frontale, liscia con tracce di strie longitudinali e di strie d’ accrescimento di cui talune più marcate. La valva ventrale presenta sotto il deltidio un setto ventrale che raggiunge quasi un terzo della conchiglia. Questa valva è più rigonfia dell’ opposta, convessa nella regione apicale ed un poco depressa nella parte mediana verso il lato frontale dove presenta IL RAIBL DEI DINTORNI DI MONTE JUDICA 223 una leggera insenatura. La valva dorsale fortemente ricurva al- r apice, liscia, presenta due piccoli solchi alla regione frontale po- chissimo marcati. Connessura delle valve retta sui lati, leggermente sinuosa alla parte latero-frontale e alla frontale. Carene laterali ottuse. Deltidio quasi indistinto con forame stretto. Tracce di sup- porti brachiali corti. Specie piuttosto comune in questi terreni. Queste tre nuove specie sono fra loro molto affini, come ri- sulta dalla descrizione che ne ho fatta, non differendo che per le pieghe del lato ventrale più o meno accentuate e per i solchi del lato dorsale più o meno larghi e più o meno profondi, come pure per la forma un po’ diversa, quindi potrebbero essere varietà d’una stessa specie. Boll Soc.Geol.lt. Voi XYIII n899)Tav.VlII 1 2 3 ^ ( Nelli) Tav II REGOLAHIENTO PER LE PUBBLICAZIONI Abt 1. — Nel Bollettino della Società si pubblicano solamente i lavori dei Soci, eccettuati quelli fatti in tutto o in parte colla collaborazione di persone estranee alla Società. , ... -i : 2. Non si accettano le Memorie che siano puri lavori di compilazione, e a nelle che abbiano carattere esclusivamente o prevalentemente polemico. Le Memorie, previo il parere della Commissione di cui ali art. lo del Reo-olamento generale, verranno pubblicate secondo Tordine di presentanone. Art. 4. — Le comunicazioni da stamparsi coi verbali prenderanno il posto ira le Memorie, sempre con Tordine di presentazione, se sorpasseranno il numero di nasine stabilito anno per anno dal Gons;ulio. , . ,. , Art. 5. Le Memorie presentale un mese dopo 1 adunanza estiva potranno essere inserite nel Bollettino deU’anno snccessivo. , ,, r, • 4.' _ Una Memoria o comunicazione già presentata alia Società e ritirata per modificarla o completarla, perde il suo turno per la stampa qualora non sia rinviata al Segretario entro quindici giorni. 7_ — I manoscritti dovranno essere in fogli dello stesso foimato, scritti da una sola parte, in caratteri intelligibili, senza di che la Presidenza potrà aIt.^^8. — I lavori incompleti sia nel manoscritto, sia nelle tavole, non possono esser presi in considerazione per la stampa. ^ t j- x A.RT. 9. — Se le Memorie oltrepasse» anno il numero dei logli di stampa sta- bilito anno per anno dal Consiglio, la spesa eccedente sarà tutta a carico dell au- tore. anche per la parte relativa agli estratti concessi gratuitamente dalla bocieta. Art. io. — Sono a carico degli autori le spese in più per le pagine in corpo 8 e per le tabelle; cosi pure le spese stTa.»idinarie per correzioni maggiori del con- sueto, per cambiamenti o rifusione di paragrafi e per composizioni annullate. Art. 11. — Di ciascuna Memoxia il SeLxctaiio spedirà all autore, per la cor- rezione, una prova hi colonna che dovrà essevgli^ re.«tituita al più tm’di entro quindici ffiorni, ’e una seconda in pagina da resG.iuirsi eniro otto giorni. _ Art. 12. — Se le prove non saia ''io lestituite entro i termini prescritti, il Segretario s’ incaricherà d’ufiìcio della materiale correzione degli errori tipografici, senza assumere alcuna responsabilità pel rimanente. Abt. 13. — H visto per la stampa sarà fatto dal Presidente, o dal Segretario, purché quesbi ne sia appositamente delegato. v • • Art. 14. Verrà anno per anno stabilito dal Consiglio, secondo le condizioni del bilancio, il concorso della Società alle spese i)er le figure intercalate^ e P^r tavole a corredo delle Memorie, escluse quelle relative ai disegni originali. Wi imp-.’ni presi dovranno regolarmente risultare dagli atti. d ufficio. ART. 15. — Le prove delle illustrazioni, qualunque esse si siano, saranno sottoposte al visto della Presidenza prima della loro stampa. 4bt 16 — La Presidenza può rifiutare le illustrazioni che siano state ratte eseo'uire dai Soci senza il suo visto preventivo, che non corrispondano al formato del°Bollettino o che per altre ragioni non siano ritenute soddisfacenti. Art. 17. — Gli estratti che spettano agli autori avranno frontespizio^ e coper- tina stampata se la Memoria raggiungerà un foglio di stampa, altrimenti avranno copertina semplice. , , ,x. • x Art. 18. — Se l’autore intende far stampare degli estratti per proprio conto dovrà indicare per iscritto il numero degli esemplari che desidera. Il prezzo di questi è fissato dal contratto stipulato con la tipografia. L’ importo verrà versato all’Economo della Società. . i -n Abt. 19. — Qualsiasi impegno che un Socio abbia preso con la 1 residenza in rapporto a spese per la pubblicazione di un proprio lavoro dovrà essere saldato prima della consegna degli estratti. Art. 20. — Gli estratti si spediscono in assegno. Disposizioni varie. a) Le Memorie che ciascun socio potrà inserire nello stesso volume del Bol- lettino non dovranno complessivamente superare i quattro fogli di stampa. h) Le Comunicazioni da pubblicarsi coi verbali non oltrepasseranno due pagine di stampa ciascuna. c) Agli autori verranno date gratuitamente cinquanta copie di estratti, tanto delle Memorie quanto delle CoTminicazioiii. d) Il prezzo degli estratti a carico derli è r ug.-ù 50 copie di L. 4 al foglio di pagire 16, e di L. 2 per irni rriczzo " o fxv /ione di esso. e) Il prezzo di vendila dei Bolleti'u' ■' V: ' j coue ingresso: Per i volumi I, II, III. XIII e Xi V^, I;. '5 ciascuno, nc tutti gli altri L. 20. Ai librai si aocovd ’, sconto >'el “’O jier cento. A chi acquista dircÌLamente |di; volnui! ’ e accordato lo «conto del 25 per cento per 2 a 10 vo ami e del 10 |.er 100 da 11 volumi in poi. Ai soli Soci, che dcs’derano cempietare la collezione, sono accordati i volumi al prezzo di L. 6 l’uno indislintainente. f) Non si vendono fascicoli separati. g) Non si fa la consegna dei Bollettini se non dopo il pagamento dell’intera somma dovuta per l’acquisto. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE FASCICOLO. 3Ie morie. PAG. Greco B. Sulla presenza del Dogger inferiore al monte Fora- porta presso Lagonegro (Nola pn-ri u 'oa) 65 Ugolini P. R. Molluschi conlinenlali fossili nella Terra Rossa di Agnano nel monte Pisano 71 Dervieux e. Foraminif eri terziarii del Piemonte e special- mente sul gen. Polymorphina B’ Orhigmj .... 76 De Stefani C. Come V età dei graniti si debba determinare con criteri stratigrafiei (tav. Ili, IV) ....... 79 PoRTis A. Una nuova specie di Rinoceronti fossile in Italia f (tav. V) . . . 116 De Stefano G. Appunti sopra alcuni lembi dei terreni post- terziari di Reggio Calabria 132 Airaghi C. Echinidi del bacino della Bormida (tav. VI, VII) 140 Verri A. e De Angelis d’Ossat G. Cenni sulla geologia di Taranto 179 Nelli B. Il Raibl dei dintorni di Monte ludica (tav. Vili). 211 Finito di stampare il 18 agosto 1899. Il Bollettino della Società Geologica Italiana si stampa in fascicoli trimestrali. Il Presidente respoìisabile Mario Canavaei. Anno XYIII. Fascicolo 3“ (8® e 4° trimestre 1899) BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOOICA ITALIANA Voi. XVIII. — 1899. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1899 SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA MENTE ET MALLEO fondata in Bologna il 2& settembre 1881. Consiglio direttivo per l’anno ISOO. Presidente Niccolò Pellati (Roma). 1900. Vice-Presidente . . . Carlo Fabrizio Parona (Torino). 1900. Segretario Antonio Neviani (Roma). 1900 (incaricato) (i). Vice-Segretari. • • ^ Tesoriere-Economo . Augusto Statuti (Roma). 1900-1902. Archivista Antonio Neviani (Roma). 1900-1902. Ulderigo Botti (Reggio Cai.' Torquato Taramelli (Pavia) Vittorio Simonelli (Parma) .Giuseppe Mercalli (Napoli) Carlo De Stefani (Firenze) Arturo Issel (Genova) . . . Alberto Fucini (Pisa) . . . Pietro Zezi (Roma) Luigi di Rovasenda (Sciolze) Giuseppe de Lorenzo (Napoli) Vittorio Matteucci (Napoli) Romolo Meli (Roma) .... Il Presidente \ ConiraMoiieperle II Segretario ( pubblicazioni . ) L’ Economo i ( L’Archivista / Commissione del bi- ( lancio ) (') Per voto del Consiglio direttivo, causa la rinuncia del dott. F. Millo- SEvicH eletto nell’adunanza del settembre 1899. Consiglieri 1898-900. 1899-901. 1900-902. Sede della Società; Roma, Via S. Susanna, 1 A, presso il R. U£5cio geologico. FLORA MESSINIANA DI GUARENE E DINTORNI Nota del prof. Paolo Peola. Fra le regioni del terziario piemontese che più attirarono l'attenzione dei geologi, e per la copia delle filliti e per la loro importanza, certo vi è da annoverare la plaga messiniana compresa tra Guarene e La Morra in quel di Alba. Già rAllioni(‘) nel 1757 e lo Zampieri (2) nel 1762 accen- narono a gherigli di noci fossili provenienti da La Morra, che al- lora facevano il giro dei musei, e nel 1822 il Brongniart {^) de- scrisse e figurò tali gherigli, fondando la specie luglans nux-iaii- rinensis. Nel 1857 il Gastaldi (^) in un elenco di filliti piemon- tesi, studiategli dall’ Heer, dava pure la determinazione di 5 specie di Guarene e nel 1859 l’ Heer stesso (^) scriveva che la fiora di Guarene, come quella di Stradella, offriva molta analogia con la fiora della molassa superiore della Svizzera, specialmente con quella di Oeningen, colla quale aveva pure in comune 1’ abbondanza di im- pronte di larve di Libellula doris ed impronte di pesci. Notava pm-e che la maggior parte delle specie non sono caratteristiche (1) Aliioni C., Oryctographiae pedemontanae specimen ecchibens corpora fossilia terrae adventitia. Parisiis, 1757. (*) Zampieri, Produzioni naturali che si ritrovano nel museo Ginanni in Ravenna. Lucca, 1762. (3) Brongniart A., Sur la classification et la distribution dece végétaux fossiles en général (Mem. Museum d’hist. nat. de Paris, tom. Vili). Pa- ris, 1822. (^) Gastaldi B., Cenni sui vertebrati fossili del Piemonte (Mem. Acc. Se. di Torino, 1857). (^) Heer 0., Ueber das klima un die vegetations verhàltnisse des ter- tiàrlandes. 1859. 226 P. PEOLa. della melassa superiore essendo o comune a tutte le flore, o co- mune a molte età, e che alcune sono caratteristiche del miocene superiore dell’Italia. Nello stesso anno 1859 il Sismonda(') dava coir elenco delle filliti dei terreni terziari del Piemonte, anche l’elenco delle fllliti di Guarene; ma la vera illustrazione non si ebbe che nel 1865 per opera del Sismonda stesso, sul suo studio: Matériaux poiir servir à la faléortiologie du ierrain tertiare du Plémoni (-). Anche per il Sismonda la flora di Guarene, Piobesi, La Morra, con quella di Stradella, formava la flora del miocene superiore piemontese. Egli vi notava la scarsità di rappresentanti di crittogame, conifere e monocotiledoni, la frequenza invece delle dicotiledoni e specialmente dei generi Qmrcus, Fagus, TJlmus, Ficus, Rhamnus. Nota poi per Guarene la frequenza di larve di Libellula doris e scheletri di pesci dei generi Lebias e Cobites. Dopo la pubblicazione del suo classico lavoro il Sismonda continuò ancora la raccolta delle fllliti di Guarene ; ed i dintorni ed in special modo i gessi di S. Vittoria furono pure oggetto di ricerche da parte dei fratelli Craveri e da me stesso. Il Craveri diede una determinazione provvisoria alla sua raccolta ed il Sacco nel 1886 (^) pubblicò 1’ elenco delle filliti del messiniano piemontese, comprendendo le specie determinate dal Sismonda e dal Craveri, e finalmente lo scrivente (^) nel 1895 dava la descri- zione delle filliti fino allora raccolte a S. Vittoria e La Morra. Nonostante questi studi posteriori al Sismonda, molte filliti delle località in parola rimanevano ancora non studiate nel museo geologico di Torino; e determinate, ne vennero ad accrescere no- tevolmente il numero delle specie. Una aggiunta alla flora di Gua- rene studiata dal Sismonda era necessaria. Ma invece di limitarmi alle semplici aggiunte ho creduto conveniente unire alle nuove specie trovate le già studiate dal Sismonda, sia per avere la monografia completa delle filliti del (') Sismonda E., Prodrome d'une flore tertiaire du Piémonte (Mem. K. Acc. se. di Torino, 1859). (2) Sismonda E., Matériaux pour servir à la paléontologie du terrain tértiaire du Piémont (Mem. R. Acc. se. di Torino, serie II, tom. XXII, 1855). (3) Sacco F., Il piano messiniano in Piemonte (Boll. Soc. geol. ital , voi. V). Roma, 1866. (■*) Peola P., Flora fossile hraidese. Bra, 1895. FLORA MESSrNIANA DI GUARENE E DINTORNI 227 messiniano di Guarene e dintorni, sia per poter pubblicare anche questa parte della flora terziaria piemontese in modo uniforme alle altre che già ho reso di pubblica ragione, ed a quelle che tengo pronte per le stampe, seguendo un mio piano prestabilito di dare lo studio della flora terziaria del Piemonte in tante note quante sono le località flllitifere più ricche e caratteristiche. In questa mia nota adunque dò lo studio delle fllliti provenienti dalla plaga messiniana che ha per centro la città di Alba e che comprende i territori di Guarene, Piobesi, Castagnito, Monticello, S. Vittoria e La Morra, plaga che ora è data da due regioni distinte sepa- rate del Tanaro (La Morra a destra e gli altri paesi a sinistra) ma che anticamente, prima che il Tanaro si fosse aperto il varco tra le colline dell’Astigiano, doveva formare un sol tutto, una ca- tena ininterrotta. Questa zona è molto ricca di depositi gessosi, e diverse cave sono tuttora lavorate. Molti esemplari sono su marna straterellata bianco-giallognola, marna che contiene pure molte larve di Libel- lula doris, ed impronte di pesci: altri sono su marna bleuastra, molto dura con cristallini di gesso. Giova qui notare che molti esemplari non portano indicazione alcuna di provenienza, ma dalla natura della roccia è lecito cre- dere vengano da alcune di queste località ed' io li ho riferiti a Guarene, come il centro di questa zona più noto ai geologi (*). Fungi. 1. Schlerotites fmtuUfer (Heer) Mescli. 1855-59. Schlerotium Pustuliferum (2). Heer, FI. tert. Helv., I, pag. 21, tav. II. Impronta di un fungillo arrotondato, rialzato, molto analogo al disegno datoci daH’Heer. (1) Se nelle osservazioni che seguono ogni specie non è indicata la lo- calità, s’intende che l’esemplare proviene da Guarene. (2) Per brevità mi sono limitato nella sinonimia a citare il lavoro in cui venne per la prima volta descritta la specie. Per le specie già note dal Sismonda ho dato semplicemente le indicazioni che riguardano il maggior lavoro del Sismonda: Matériaux ecc., ed ho omesso le indicazioni posteriori al detto studio, dovendosi sempre ripetere: Sacco, Piano messiniano; Cata- logo paleontologico ; Meschinelli-Squinahol : FI. tert. ital. 228 P. PEOLA. Equiseteae. 2. Equisetum sp. Sism. 1865. Equisetum sp. Sismonda, Matériaux ecc., pag. 14, tav. I, fig. 8. È r esemplare illustrato dal Sismonda, ed è dato dalla sola impronta di due tubercoli ellittici. Farmi che il Sismonda siasi bene apposto nel classificare questo esemplare nel gen. Equisetum, ma credo non vi siano elementi sufficienti per istituire una specie distinta. Pecopteridace.ae. 3. Goniopteris qmlchella Heer. 1855-59. Goniopteris pulchella. Heer, FI. tert. Melo., I, pag. 33, tav. IX, fig. 2. 1865. Aspidium pulchellum. Sismonda, Matériaux ecc., pag. 11, tav. I, fig. 5. Si conserva solo il frammento di foglia illustrato dal Sismonda. Coniferae. 4. Podocarqms eocenica Ung. 1851. Podocarpus eocenica, \jngex, FI. foss. v. Sotzka, pag. 28, tav. II, fig. 11, 16. 1893. » » Peola, Conifere tert. del Piem., pag. 37. Gli esemplari piemontesi, essendo lunghi da 40 a 55 mm. e larghi 2 mm., hanno dimensioni minori di quelli illustrati dall’Heer: FI. tert. Helv., I, pag. 53, tav. XX, fig. 3 ; ma per la consistenza del nervo mediano, per la presenza del breve picciolo e per la consistenza della foglia stessa, mi paiono riferibili più a questo genere che al gen. Pinus od Ahies. Guarene, S. Vittoria. 5, Taxodium distichim miocenicum Heer. 1869. Toxodium disticlium miocenicum. Heer, d/ioc. èflL i^/., pag. 18, tav. II, III, fig. 6, 8. Sono frammenti di ramoscelli con foglie molto simili all’ at- tuale Taxodium disticlium Eich. FLORA MESSIMANA DI GUARENE E DINTORNI 229 6. Glyptostrobus europaeus v. Ungevi Heer. 1859. Glyptostrobus europaeus v. Unger!. Heer, FI. tert. 7/e/y., Ili, pag. 159, tab. CXLVl, fig, 13-14. Si ha r impronta di alcuni ramoscelli sopra un pezzo di are- naria colto tra Guarene e Castagnito. 7. Sequoia Langsdor/ìi (Brong) Heer. 1855. Sequoia Langsdorfii Heer, FI. tert. Helv. I, pag. 54, tav. XX, fig. 2, tav. XXI, fig. 4. Si hanno tre esemplari perfettamente analogi a quelli dise- gnati dall’ Heer, alle figure in sinonimia citate. 8. Sequoia Sternbergii (Goep) Heer. 1864. Sequoia Sternbergii Heer, Urw. d. Schweiz. pag, 31G, fig. 160-163. Diverse impronte di ramoscelli colle tipiche foglie di questa specie. Pare che questa specie fosse abbastanza comune, essendo- sene trovati molti esemplari. Guarene — S. Vittoria. 9. Thuya Qoepperti Sism. 1865. Thuya Goepperti Si.snionda, Matériaux ecc., pag. 15, tav. IV, fig. 14, 15. Air esemplare illustrato dal Sismonda devesi aggiungere un esemplare da me stesso rinvenuto nei gessi di S. Vittoria sur una marna bleuastra. Non mi pare che questa specie sia da riferirsi alla Callitris Brongniarti come vorrebbe lo Schimper, poiché pre- senta le foglie squamiformi, imbricate, ed una facies propria delle Tuie. L’ aver trovato questa specie anche nei gessi di S. Vittoria che sono sincroni a quelli di Guarene ed a pochi chilometri di distanza, mi fa ritenere che questa specie fosse abbastanza diffusa in dette località. 10. luniperus ambigua v. §. minima (Sap.) Schim. 1869. luniperus ambigua v. jS. minima, Schimper, Paleont. vég. II, pag. 349. Piccolissimo frammento di un ramo con due piccoli rametti sui quali si vedono le foglie scagliose densamente imbricate. 230 P. PEOLA 11. Pinus hepios (Unger) Heer. 1855. Pinus hepios Heer. FI. tert. Helv. I, pag. 57, tav. XXI, fig. 7. Questa specie è abbastanza comune nel messiniano piemon- tese (Guarene, s. Vittoria, La Morra) ed è rappresentata da forme tipiche a foglie gemine canalicolate, con una vagina variante da IO a 20 mm. di lunghezza. 12. Pinus Phy liberti Sap. 1873. Pinus Phyliberti Saperla, Le S. E. de la France à l'epoque ter- tiaire. Ann. Se. nat. serie 5* tomo XVII pag. 20, tav. VII, fig. 8, 10. Alcuni esemplari dati da foglioline esili, di cui si conserva la vagina e frammenti di foglioline. — S. Vittoria. 13. Pinus palaeostrohoides Sism. 1865. Pinus palaoestroboides Sismonda, Matériaux ecc., pag. 405, tav. Vm, fig. 1, 2. Questa specie è abbastanza distinguibile dal P. palaeosirobus da cui la distaccò il Sismonda per le foglie più lunghe ed esili, per la nervatura mediana molto più marcata, e per le tre picco- lissime nervature per parte. Le cinque foglioline sono alla loro base raccolte da un’ unica guaina stretta e striata trasversalmente. 14. Pinus sp. ind. Sismonda. 1865. Pinus ... sp. ind. Sismonda, Matériaux ecc., pag. 409, tav. IV, fig. 9. Cito questa squama indeterminata sulla fede del Sismonda che ne parlò e la disegnò in amendue i suoi lavori di paleofitologia, quantunque non Labbia più potuto trovare nel Museo di Torino. 15. Pinus. sp. ind. Sismonda. 1865. Pinus. . . sp. ind. Sismonda, Matériaux ecc., pag. 409, tav. V, fig. 7. 8. Squama larga 20 mm. a contorno circolare, e pare piuttosto una grande squama di Abies. FLORA MESSmiANA DI GUARENE B DtNTORNr 231 GNETACEAE. 16. Ephedra SoWnana (Ung.) Schim. 1872. Ephedra Sotzkiana Schimper, Paleont- veg. II, pag. 362. Un esemplare che presenta in modo evidente le strie longi- tudinali e le cicatrici delle foglie disposte a spirale. graminaceae. 17. Phragmites oeningensis Al. Br. 1855-59. Phragmites oeningensis Heer, FI. tert. Helv. I, pag. 64, tav. XXII, fig. 5; tav. XXIV; tav. XXVn, fig. 26; tar. XXIX, fig. 30 ; II, pag. 161, tav. CXLVI, fig. 18. 1865. » n Sismonda, Matériaux, pag. 410, tav. V, fig. 9, 10; tav. VI, fig. 1-7 ; tav. Vili, fig. 6-7. Si conservano solo gli esemplari disegnati dal Sismonda in Matériaux, tav. V, fig. 9 e 10, e tav. VI, fig. 1, 2. rappresen- tanti le prime figure una scaglia di rizoma, e le seconde una por- zione di foglia e di culmo. CYPERACBAE. 18. Cyperacites macrophyllus Sism. 1865. Cyperites macrophyllus Sismonda, Matériaux, pag. 25, tav. VIP %. 7, 8. Pare che sia questa finora una specie propria del Piemonte. L’ e- semplare di La Morra, sul quale il Sismonda fondò la sua specie è dato dalla’ porzione apicale di una grande foglia larga non meno di 26 mm. a nervatura mediana carenata, a nervature laterali nu- merose, fini, divisa in otto serie da pieghettature longitudinali. L’ esemplare di Guarene rappresenta pure la porzione apicale di una foglia lunga 13 cm., larga 16 mm. molto analoga a quella di La Morra. 232 P. PEOLA 19. Cyperacites margarum Heer. 1855-59. Cyperacites margarum Heer, FI. tert. Helv.ta.'f. XXIX, i5g. 2. L’ esemplare, che ho riferito a questa specie è dato dall’ im- pronta di cinque frammenti di foglie larghe circa 4 mm., con la nervatura mediana non tanto carenata, ma più sentita delle altre e con numerose nervature secondarie. CUPULIFERAE. 20. Carpinus grandis Ung. 1840. Carpinus grandis Unger, Gen. et spec. pag. 408. Sono quattro esemplari, dei quali uno è a base alquanto ar- rotondata, e ad apice acuminato, riferibile alla suddivisione C fatta dall’ Heer, e gli altri sono più o meno ben conservati e rife- ribili alla specie tipica. 21. Corylus gigas Sism. 1865. Corylus gigas E. Sismonda, Matériaux ecc., pag. 40, tav. XIV, fig. 2. Non si ha che l’ esemplare di La Morra designato dal Si- monda, ed è così malconcio che difficilmente si può giudicare se sia 0 non riferibile al Corylus Heeri Sis. Nel dubbio conservo ancora la determinazione del Sismonda. 22. Corylus Heerii Sism. 1865. Corylus Heerii Sismonda, Matériaux eco., pag. 40, tav. XIV, fig. 2. Si hanno solo gli esemplari già conosciuti dal Sismonda e dati da foglie larghe, arrotondate, troncate alla sommità, con il lembo a denti smussati. 23. Fagus ambigua Mas. 1853. Fagus ambigua Massalongo, Descriz. piante foss. ital., pag. 4, tav. 1, fig. 5. Impronta di una foglia abbastanza ben conservata a base ar- rotondata ed a margine ondulato. FLORA MESSINIANA DI GUARENE E DINTORKI 233 24. Fagus dentata Ung. 1854. Fagns dentata Unger, Foss. fi. v. Gleichenberg, pag. 19, tav. XI, fig. li. Riferisco a questa specie due foglie intrecciate fra loro, delle quali una lascia scorgere la forma della base, e l’ altra quella del- 1 apice. Il margine della foglia è dentato, la base quasi arroton- data, r apice acuminato, i nervi secondari in numero di 15, alterni, paralleli, e quindi mi pare si possano riferire al F. dentata Ung. piuttosto che al F. Deucalionis Ung. od alla F. palaeosyivatica Paolucci per il margine dentato, per non esser nè ovate, nè elli- ticbe, e perchè hanno un numero di nervature secondarie maggiore di quello indicato nelle diagnosi di amendue le suddette specie. 25. Fagus Deucalionis Ung. 1847. Fagus Deucalionis Ung., Ghloris protogaea, tav. XXVI, fig. 1-6. ” Sismonda, MaUriaux, pag. 4 7, tav. XII, fig. 3. ” ” Peola, FI. foss. braidese, pag. 26, 100. Quosta è una delle specie più dilfuse nel messiniano piemon- tese, si trova in gran numero nelle principali località: Guarene, Castagnito, S. Vittoria, La Morra. Pare che questa specie non sia ancora tanto ben delineata, ma secondo me si distinguerebbe dalle altre specie di Fagus per la sua forma ovale allargata, quasi cir- colare, per la base integra e per il numero dei nervi secondari non superiori ai 12. 26. Fagus sylvatica L. 1764. Fagus s y 1 v a t i c a Linné, Spec. plant. n. 14, 16. Nelle escursioni fatte ai gessi di S. Vittoria trovai un esem- plare rappresentante buona parte di una foglia che mi pare rife- ribile a questa specie specialmente per i nervi rivolti in alto verso il margine. Non pare quindi improbabile che questa specie fosse già rappresentata nel miocene. 27. Castanea Kubinyi Kow. 1851. Castanea Kubinyi Kow., Jabrb. d. geol. Reicksantst. II, 2 pag. 178. Nel Museo geologico di Torino si conserva la porzione infe- lioie di una grande foglia a base attenuata, a bordi ineguali con 234 P. PEOLA grandi denti, a nervatura mediana consistente, con numerose ner- vature secondarie parallele, quasi opposte. Porta il seguente bi- glietto del Sismonda « Fagus Gussonii Mass. Probabilmente diverso dal Fagus già disegnato al n. 85 e detto Fagus castaneifolia, forse anche questo va figurato, confrontare i due esemplari e vedere se i denti sono diversi ». A me pare che più che al Fagus Gussonii si confaccia alla Castanea Kubimji Kow. e per la base attenuata, ineguale, e per il gran numero di nervi secondari. Ha dimensioni però maggiori di quelle date dal Sismonda, essendo la foglia larga circa 8 cm. e lunga forse oltre i 15 cm. 28. Caslanea recognita Sch. 1865. Fagus castaneifolia Sismonda, Matériaux ecc., pag. 47, tav. XIII, fig. 2, 3 ; tav. XIV, fig. 1 ; tav. XV, fig. 3. 1873. Castanea recognita Peola, FI. foss. braidese pag. 100. Di Guarene oltre agli esemplari illustrati dal Sismonda si hanno altri frammenti apicali di foglie. Su due pezzi di marna provenienti da La Morra si osservano pure frammenti di foglie che per le nervature sono riferibili a questa specie. 29. Castanea Ungeri Heer. 1859. Castanea Ungeri Heer, Foss. FI. of North-Greenl. (philos. Trans. Act.), pag. 470, tav. XLVI, fig. 8. Un esemplare dato dalla porzione basilare di una foglia, a base attenuata, molto analoga alla fig. 13 della tav. II del Ca- vava : FI. foss. di Mongardino. 30. Quercus argute serrata Heer. 1855-59. Quercus argute serrata Heer, FI. tert. Helv. II, pag. 49‘ tav. LXXVII, fig. 4-5. 1865. » » » Sismonda, Matériaux ecc., pag. 42, tav. XXII, fig. 3. Non si conosce che il solo esemplare illustrato dal Sismonda, dato da un frammento di foglia mancante della base e dell’ apice, n lembo finamente seghettato, ed a nervature secondarie poco sentite. FLORA MESSINIANA DI GUARENE E DINTORNI 235 31. Quercus Brongniarti Sism. 1865. Quercus Brongniarti Sismonda, Matériaux, pag. 45. tav. XIV, fig. 5. All esemplare di La Morra illustrato dal Sismonda devesi ag- giungere la porzione inferiore di una foglia con picciolo e tre ner- vature. Da una parte le nervature sono ad angolo acuto, dall’ altra meno, tanto che una pare quasi ad angolo retto. Trovandosi sopra una roccia selenitosa che pare proveniente da La Morra dove fu trovata la Quercus, Brongniarti Sism. parmi essere sul vero attri- buendo anche questo esemplare alla stessa specie. La facies e la ner- vatura analoghe ai Quercus pare confermino questa specie nel genere Quercus anziché nel genere Fagus, come vorrebbe lo Schimper. 32. Quercus Carueliana Cav. 1886. Quercus Carueliana Cavara, FI. foss. di Mongard.ino, pag. 27, tav. II, fig. 11. Un esemplare guasto all’apice ed alquanto alla base, e che in qualche frammento del bordo rimasto intatto lascia intravedere delle intaccature tondeggianti dove vanno a terminare i nervi se- condari che sono numerosi, paralleli, e quelli superiori ad angolo più acuto degli inferiori. 33. Quercus chlorophylla Ung. 1847. Quercus chlorophylla Unger, Chloris protogaea, pag.lll,tav. XXXI fig. 1. ^865. » n Sismonda, Matériaux ecc., pag. 41. Air impronta di Piobesi accennata dal Sismonda devesi ag- ^ o giungere l’ impronta di massima parte di una foglia ovale, arro- tondata all’ apice, lunga circa 5 cm. e larga mm. 27, con un pic- ciolo consistente, proveniente dalle marne di Guarene, ed un’ im- pronta di un lembo di foglia su una roccia gessosa che pare pure proveniente da Guarene. 34. Quercus Drymeia Ung. 1847. Quercus Drymeia Ung., Chloris protogaea, pag. 113; tav. XXXI, fig. 1-4. 1865. n n Sismonda, Matériaux ecc., pag. 46; tav. XVII, fig. 1. Si ha il solo esemplare illustrato dal Sismonda. 236 P. PEOLA 35. Qmrcus elaena Ung. 1847. Quercus elaena Unger, Chloris protogaea, pag. 112; tav. XXXI, fig. 4. Impronta di una foglia lunga circa 6 cm. larga 2 cm. ovale, ellittica, con il nervo primario consistente, ed i secondari esilis- simi ad angolo abbastanza aperto. 36. Quercus Heerii (Al. Br.). Heer. 1855-59. Quercus Heerii Heer. FI. tert. Helv. II, pag. 77; tav. LXXIV, fig. 8-10. Esemplare dato dall' impronta di una foglia contorta e guasta all’ apice ; pare però più arrotondata che acuminata. Per la sua forma non tanto lanceolata, ma ellittica parmi, più che alla Quercus nereifolia, doversi ascrivere alla Q. Heerii. Contiene l’ impronta di un Schlerotium pustuLiferum. 37. Quercus myrtilloides Ung. 1852. Quercus myrtilloides Unger., Iconog., pag. 38;tav. XVH, fig. 17. 20, 1865. n n Sismonda, Matériaux ecc., pag. 42, tav. IX, fig. 4. Non si ha che 1’ esemplare illustrato dal Sismonda. 38. Quercus nereifolia Al. Br. 1840. Quercus nereifolia. Al. Br. in Unger, Gen. et spec., pag. 403, 1865. n V Sismonda, pag. 45, tav. XV, fig. 1, 2, Air esemplare illustrato dal Sismonda devesi aggiungere un frammento di foglia coll’ apice e base guasta, colla nervatura pri- maria consistente, le secondarie ad angolo aperto ed arcuate, e con il bordo integro. 39. Quercus pseudocastanea Goep. 1852. Quercus pseudocastanea Goeppert, Beitr. z. tert. FI. Schlesiens. pag. 18; tav. Vn, fig. 1, 2. 1865. » » Sismonda, Matériaux ecc., pag. 45; tav. XV, fig. 1-2. Agli esemplari di Piobesi illustrati dal Sismonda devonsi ag- giungere due esemplari di Guarene, dei quali uno è dato da una FLORA MESSIMANA DI GUARENE E DINTORNI 237 foglia alquanto grande all’apice ed alla base, ma che per la sua nerbatura e per la dentatura del bordo è affatto analoga alla fi- gura del Sismonda; l’altro è dato dalla parte apicale di una fo- glia con la dentatura speciale di questa specie. 40. Quercus scillma Gaud. 1859. Quercus Scillana Gaudin, Contrib. II, pag. 42; tav. Ili, fig. 1 1-13; tay. IV, fig. 13-15; tav. VI, fig. 3, 4. Due esemplari provenienti da Guarene sono ben conservati, lunghi cm. 5, e larghi 2,5, alquanto arrotondati alla base, con 8 nervi secondari ad angolo acuto, alterni; grossolanamente den- tati verso r apice. Un altro esemplare sur un masso di gesso e raccolto a La Morra, è lungo cm. 3,5 e largo 1,5, e pare pure riferibile a questa specie. 41. Quercus iindulata Goep. 1855. Quercus undulata Goeppert, Tert. FI. v. Schonratz, pag. 15; tav. VII, fig. 1, 2. 1865. » » Sismonda, Matériaux, pag. 44; tav. XVI, fig. 4. Non si conserva che l’ esemplare illustrato dal Sismonda. lUGLANDACEAE. 42. luglans nux taurinensis Brong. 1882. luglans nux taurinensis Brongniart, i/m. d' hist. Vili, pag 323, tav. XVIII, fig. 6. 1865. « « n Sismonda, Matériaux eco., pag. 65; tav. XXXI, fig. 11-13. Sono i famosi gherigli di noce che trovansi abbastanza fre- quenti a La Morra, e che tanto attirarono l’ attenzione dei primi paleontologi. 43. Pterocarya Massalongi Gaud. 1858. Pterocarya Massalongi Gaudin. Fb foss. de la /"oscarafl, pag. 40; tav. VII, fig. 1-6; tav. IX, fig. 2. 1865. » )) Sismonda, Matériaux, pag. 66; tav, XII, fig. 6. Oltre all’ esemplare illustrato dal Sismooda se ne conoscono altri tre. Uno di essi, mancante solo della base, è lungo più di 238 P. PEOLA 11 cm. e largo 3,5, è acuminato all' apice e dentato ai mar- gini. Un' altro è su marna azzurrognola con cristallini di gesso, è mancante dell’ apice e della base, con i contorni guasti, ma però per la nervatura mediana consistente e per i nervi secondari ad angolo aperto ed arcuati al bordo è riferibile a questa specie. Il terzo esemplare porta l’ impronta di una foglia lunga cm. 16, larga cm. 4, la quale per la sua nervatura mediana abbastanza consistente e per i numerosi nervi secondari quasi opposti e paralleli, e per la forma ellittica allungata, si può facilmente scambiare per una foglia di Castanea. Ma 1’ essere essa sessile, avere una forma acu- minato-aiTotondata all’apice ed alla base, e più che tutto per le nervature secondarie arcuate all’ apice, ed anastomizzantesi con le altre nervature, e finalmente per essere finamente seghettate si può ascrivere alla Pterocarya Massalongi Gaud. 44, Engelhardtia Brongniarti Sap. 1865. Engelhardtia Brongniarti Saporta, Etud. II, pag. 343; tav. XII, Si conserva, proveniente da La Morra, un lobo dell’ ala con un frammento di drupa analoga all’ esemplare del langhiano di Torino illustrato dal Sismonda. MYRICACEAE. 45. Mgrica Merlai Sism. 1865. Myrica Merloi Sismonda, Matériaux eco., pag. 36; tav. IV, fig. 8, 9. Non si conosce che 1’ esemplare illustrato dal Sismonda dato da una foglia lunga mm. 39, e larga mm. 17, attenuata alla base, arrotondata all’apice ed a bordo dentato. BETULACEAE. 46. Alnus Kefersteiai Ung. 1847. Alnus Kefersteini Unger, Chloris protogaea, pag. 17; tav. XXXIII, fig. 1-4. 1865. » 5) Sismonda. Matériaux, pag. 36, tav. XIV, fig. 3; tav. XII, fig. 46. Non si hanno che gli esemplari già conosciuti dal Sismonda. FLORA MESSIKIANA DI GUARENE E DINTORNI 239 47. Alnus nostratum Ung. 1847. Alnus nostratum Ung., Chloris frotogaea, pag. 17; tav. XXXIV fig. 1. 1865. » )i Sismonda, Matériaux ecc., pag. 37; tav. XI fig. 2, 3. Oltre gli esemplari illustrati dal Sismonda, ed alcuni fram- menti di foglie su marna azzurra selenitosa, si possiede un esem- plare su marna biancastra pm’e di Guarene con un’ impronta di foglia alquanto guasta alla base ed all’ apice, di forma ovale, con 9 nervature secondarie alterne, ad angolo acuto, con i bordi del lembo che paiono finamente seghettati. SALICACEAE. 48. Salix denticulata Heer. 1855-59. Salix denticulata Heer, FI. tert. ZTe/y. Il, pag. 30; tav. LX Vili, fig. 1, 4; III, pag. 174; tav. OLII, fig. 1. 1865. » )) Sismonda, Matériaux ecc., pag. 34; tav. XXIII, fig. 6. Non si conosce che l’esemplare già illustrato dal Sismonda, dato da diversi frammenti di foglie impresse sopra un piccolo masso di marna. 49. Salix media Heer. 1855-59. Salix media Heer, FI. tert. Helv. II, pag. 32; tav. LXVIII, fig. 14-19; III, pag. 175. Impronta di piccola fogliolina che, quantunque non abbia la proporzione voluta dalla diagnosi tra la lunghezza e la larghezza della foglia, pime ho creduto riferirla a questa specie per la base arrotondata e l’ apice acuminato. 50. Salix tenera Al. Br. 1845. Salix tenera Al. Br. in Leonh. u. Bronn. Neues Jahrb. Impronta di una fogliolina su marna di S. Vittoria lunga 25 mm. e larga 0 mm. che mi pare riferibile a questa specie per essere acuminata all’apice ed alla base, ed avere i nervi secon- dari poco consistenti. 240 P. PEOLA ' 51. Salix varians Goep. 1855. Salix varians Goeppert, Foss. FI- v. Schonnitz, pag. 26; tav. XX, fig. 1, 2. Un’ esemplare di foglia mancante dell' apice, a base acuminata, a margine dentato, a nervatura mediana consistente. Non porta in- dicazione della località dove fu rinvenuto, e mi pare che con mi- nore probabilità degli altri si possa ritenere di Guarene. 52. Populus balsamoides Goep. 1855. Populus balsamoides Goeppert, Foss. FI. v. Schonnitz, pag. 23; tav. XV, fig. 5, 6. 1865. ” » Sismonda, Matériaux, pag. 31 ; tav. XVI, fig. 3. Non si conoscono che gli esemplari di Guarene e Piobesi il- lustrati dal Sismonda. 53. Populus De Visiani Sacco. 1865. Phyllites De Visiani Sismonda, Matériaux ecc., pag. 68, tav. XXX, fig. 6. 1886. Populus De Visiani Sacco, Piano messin. I, pag. II, pag. 28. Questa impronta che porta la metà di una foglia quasi reni- forme, a lembo dentato con denti uguali arrotondati, con tre ner- vature principali, delle quali le due laterali sono ramificate ester- namente, e le inferiori di queste nervature secondarie sono ancora alla loro volta ramificate esternamente, non fu dal Sismonda de- terminata, ma riferita al comodo genere Phyllites. Il Sacco per primo dubitò che fosse riferibile al gen. Populus, e poi nel suo catalogo continuò a ritenerla nel gen. Phyllites. I Signori Meschi- nelli e Squinabol nella loro Flora tertiaria italica accettano la prima determinazione del Sacco. Io fui molto titubante nel clas- sificare questa fillite ma le foglie viventi che mi presentarono più analogia con essa furono quelle del gen. Populus, e quindi anch’ io sarei propenso a riferirla a questo genere. FLORA MESSINIANA DI GUARENE E DINTORNI 241 URTICACEAE. 54. Pianera Ungeri Etting. 1853. Pianera Ungeri Etting, Foss. FI v.Winn., pag. 14, tav. II, fig. 5-18. 1865. » Il Sisinonda, Matériaux, pag. 48, tav. XVIII, fig. 2, 4. Di Guarene non si hanno che gli esemplari già illustrati dal Sismonda. A S. Vittoria ho raccolto un esemplare che porta l’ im- pronta di una foglia lunga cm. 4, larga cm. 3, acuminata all’ apice, arrotondato-acuminata alla base, dentata, con 8 nervi per parte, dei quali i due inferiori sono ramificati esternamente. 55. Ulmus Bramii Heer. 1855-59. Ulmus Braunii Heer, FI tert. Helv. II, pag. 59; tav. LXXIX, fig. 11-21. 1S65. Il » Sismonda, Matériaux ecc., pag. 47; tav. XIX, fig. 4. Non si ha che il solo esemplare illustrato dal Sismonda. 56. Ulmus Bronnii Ung. 1847. Ulmus Bronnii Unger, Chloris protogaea, pag. 100; tav. XXVI, fig. 1. 1865. Il li Sismonda, Matériaux ecc., pag. 48; tav. XVII, fig. 7. Non si ha che l’ impronta illustrata dal Sismonda, data da una samara arrotondata, con nervilli irradianti dal centro. 57. Ulmus guerci folla Ung. 1847. Ulmus quercifolia Unger, Chloris protogaea, pag. 86; tav. XXV, fig. 5. Impronta di una foglia acuminata alla base, arrotondata al- r apice, con nervature secondarie ad angolo acuto con la primaria, e parallele fra loro. Non appare evidente la dentellatura del mar- gine, essendo esso guasto, ma più che a qualche specie del gen. Fagus o Quereus parmi riferibile a questa specie di Ulmus per- la facies, per la forma della base ed il numero dei nervi secon- dari. E di dimensioni maggiori (cm. 7,5 di lunghezza per cm. 4 di larghezza), ma simile alla fig. 20 della tav. Vili, del Eistoi-i : Contrib. alla fi. foss. del Valdarno sup. 242 P. PEOLA. 58. Ficus panduraeformis Sism. 1865- Ficus panduraeformis Sismonda, Matériaux ecc. pag. 48; tav. XVII, fig. 4. Non si conosce che il tipico esemplare illustrato dal Sismonda. 59. Ficus tiliaefolia Heer. 1855-59 Ficus tiliaefolia Heer, FI tert. Helv. II, pag. 68; tav. LXXXIII, fig. 3-12; tav. LXXXIV, fig. 1-6 ; tav. LXXXV, fig. 14. jg05_ „ n Sismonda, Matériaux ecc. pag. 48, tav. XVII, fig. 5. Si ha la sola fogliolina illustrata dal Sismonda. 60. Laurus princeps. Heer. 1855-59. Laurus princeps, Heer, FI. tert. Helv. II, pag. 77; tav. LXXXIX, fig. 16, 17; tav. XC, fig. 17; tav. XCVH, fig. 1, 1305 „ j, Sismonda, Matériaux, pag. 50; tav. XVH, fig. 10, 11. Si ha il solo esemplare reso noto dal Sismonda. 61. Laurus primigenia Ung. 1850. Laurus primigenia. Ung., Foss. FI. v. Sotzka, pag. 38, tav. XIX, fig. 1-4. Un esemplare sopra una marna bleuastra molto dura e che pare proveniente da Monticello d Alba, portante 1 impronta di una foglia allungata, ellittica, con il nervo primario molto marcato e i secondari rari, tenui, arcuati all apice con una fitta rete di nervature terziarie. 62. Laurus tristaniaefolia Web. 1852. Laurus tristaniaefolia. Weber, Palaeontog., II, pug. 182. Tanto r esemplare proveniente da La Morra come uno di Gua- rene portano l’ impronta della metà inferiore della foglia a base attenuata ed a nervatura mediana consistente, con un lungo pie ciolo. Un altro esemplare di Guarene porta la porzione inferiore di una foglia a base attenuato-arrotondata, a nervatura mediana consistente e le nervature secondarie tenui, ad angolo aperto con la FLORA MESSINIANA DI GUARENE E DINTORNI 243 primaria, arcuate verso il margine. Sebbene non abbia la base tanto acuminata, pure per la consistenza della nervatura mediana e per la forma delle secondarie, e per la facies mi pare riferibile a questa specie. 63. Persea Bramii Heer. 1855. Persea Era unii. Heer, Fi tert, Helv., II, pag. 80, tav. LXXXIX, fig. 9-10; III, pag. 185, tav. CLIII. Impronta di una foglia arrotondata all’ apice, guasta a la base, con i nervi secondari ad angolo acuto ed arcuati in alto, prove- niente da S. Vittoria. 64. Sassafras Ferrettianum Mass. 1858. Sassafras Ferrettianum. Massalongo, Synop. FI. foss. Senog., pag. 63. ^865. » n Sismonda, Matériaux eco., pag. 51, tav. XXI, fig. 4. Non si ha che il frammento di foglia studiato dal Sismonda. 65. Sassafras sp. Sism. 1865. Sassafras sp. Sismonda, Matériaux ecc., pag. 51, tav. XIX, fig. 6. È un frammento di foglia mancante dell’ apice e della base ; a mala pena può venir determinato genericamente. 66. Benzoin attenuatum Heer. 1855-59. Benzoin attenuatum. Heer, FI, tert. Helv., II, pag. 82, tav. XC fig. 10; III, pag. 185. ’ 1865. n n Sismonda, Matériaux ecc., pag. 31, ta- vola XXVII, fig. 1. Un esemplare di foglia mancante dell’apice, a base ristretta con piccolo picciolo, proveniente da Castagnito. 67. Ginnamomum polimorphum Heer. 1855-59. Ginnamomum polimorphum. Heer, tert. Helv. ,11, pag. 88, tav. xeni, fig. 25, 28; ta- vola XCIV, fig. 1, 26, >! Sismonda, Matériaux ecc., pa- gina 52, tav. XXIV, fig. 1-4 ; tav. XXV, fig. 4. 1865. 244 P. PF.OLA Al bel esemplare illustrato dal Sismonda si deve aggiun- gere r impronta di una piccola fogliolina che pare piuttosto el- littica. 68. Cimamomum Scheuchzeri Heer. 1855-59. Cinnamomum Scheuhzeri. Heer, FI, tert. Helv-, II, pag. 35, tav. XCI, fig. 4-22 ; tav. XCII, tav. xeni, fig. 1-5. Un esemplare di foglia alquanto ellittica. 69. Apollonias canariensis Nees. Apollonias canariensis. Nees, Sut laur., pag. 96. Tre impronte provenienti da S. Vittoria che dal Craveri, e quindi dal Sacco, furono riferite al Laurus Guiscardi, che ora viene ritenuto sinonimo dell’ .4. canariensis Nees. 70. Oreodaphne Heerii Gaud. 1858. Oreodaphne Heerii. Gaudin , Feuil. foss. de la Toscana, pag. 35, tav. X, fig. 4-9 ; tav. XI. fig. 1-7. 1865. n » Sismonda, Matériaux ecc., pag. 51, tav. XIX, fig. 2 ; tav. XXII, fig. 1-2 ; tav, XXIII, fig. 1-3. Oltre i bellissimi esemplari disegnati dal Sismonda e prove- nienti da Guarene, abbiamo un frammento di foglia, pure di Gua- rene, mancante della base, acuminata all’ apice, a nervi alquanto arcuati in alto, con le ghiandole alle ascelle; ed un esemplare su marna azzurra, proveniente dai gessi di S. Vittoria, con l’ im- pronta di una grande foglia monca all' estremità e della lunghezza di cm. 5,5, con una ghiandola ed una nervatura soprabasilare. 71. Daphnogene Gastaldi Sism. 1865. Daphnogene Gastaldi. Sismonda, Matériaux ecc., pag. 53, ta- vola XVII, fig. 2. Non si conosce che 1’ esemplare illustrato dal Sismonda dato dall’ impronta di una foglia lanceolata, allungato-arrotondata al- r apice con il lembo disuguale alla base, e nervature secondarie inferiori quasi parallele al bordo del lembo e le superiori appena notate. KLOKA MESSINIANA DI GUARENE E DINTORNI 245 Adrantiaceae. 72. Hesperldophyllum senogalliense Mass. 1858. Hesperidophyllum senogalliense. Mas salongo, Amo/), /bss. Senog., pag. 37. Due esemplari di La Morra che rappresentano la metà infe- riore della foglia con il suo picciolo, di cui sono evidenti la stroz- zatura e le piccole ali. Hanno pure dimensioni alquanto maggiori di quelle date dal Massalongo. Anacardiaceae. 73. Rhus Heufleri Heer. 1855-59. Ehus Heufleri. Heer, FI. tert. Hdv., pag. 85, tav. CXXVII, fig. 3, 6. Fogliolina terminale cuneiforme, arrotondata all’apice, ed at- torcigliata alquanto verso la base. 74. Rhus prisca Ettingh. 1852. Rhus prisca. Ettinghsausen, Tert. FI. v. Haering., pag. 79; ta- vola XXVI, fig. 13-23. Fogliolina lunga 17 mm., larga 5 mm., con il margine se- ghettato, e di forma ovato-oblunga. Aceraceae. 75. Acer Sismondae Gaud. 1858. Acer Sismondae. Gaudin, Feuil. foss. de la Toscane, pag. 39, ta- vola XIII, fig. 4. È un’ impronta la quale, più che ad ogni altra specie, mi pare riferibile dlY Acer Sismondae per il suo bordo ondulato, per i due lobi laterali brevi e per il sistema di nervatura, quantunque abbia una forma non ovale, ma piuttosto rettangolare, essendo lunga cm. 5,5 e larga cm. 6,5. 246 P. peola. 76. Acer trilobatum Al. Br. 1845. Acer trilobatum. Al. Br., Neu. Jahrb.tV. Broun, u. Leonh., pag. 172. 1865. n. " Sismonda, Matériaux ecc., pag. 99, tar. XX, fig. 2 ; tav. XXIII, fig. 2. Si ha il solo esemplare di Piobesi già reso noto dal Sismonda. S.t,PINDACEAE. 77. Sapindiis falcifolius Al. Br. 1851. Sapindus falcifolius. Al. Br., Stizenb. Verz., pag. 87. 1865. » ” Sismonda, Matériaux ecc. pag. 60, ta- vola XXIX, fig. 1-2. Di Guarene, alla porzione apicale di una foglia già illustrata dal Sismonda, devesi aggiungere un’ altra impronta pure dell’ apice di una foglia a nervature secondarie ben conservate. Di La Morra si ha un’ impronta di foglia che passava per l’ impronta di una fruttificazione di Tilia. Ma la mancanza dell’ impronta dell’ at- tacco del picciolo che porta il frutto, 1’ essere acuminata alla base, r avere una forma lanceolata, acuminata, integra, e pare anche ineguale alla base, mi fecero ritenere questa impronta come un Sapindus falcifolius. 78. Sapindus Hazslinszkyi Ettingh. 1853. Sapindus Hazslinszkyi. Ettingshausen, Fozs. FI. v. Tokai., pag. 33, tav. IV, fig. 2. 1865. » « Sismonda, Matériaux ecc., pag. 60, tav. XXIX, fig. 3. Non si hanno che gli esemplari illustrati dal Sismonda. Erytroxylaceae. 79. Erytroxylum laurinum Mass. 1858. Erytroxylum laurinum. Massalongo, Synop. FI. foss. Senog., pag. 101. Quattro esemplari di foglie ellittiche, con 1’ apice accuminato in alcuni, arrotondato in altri. S. Vittoria. FLORA MESSINIANA DI GUARENE E DINTORNI 247 Celastraceae. 80. Celastrus Heerii Sism. 1865. Celastrus Heerii. Sismoiida, Matériaux ecc., pag. 61, tav. XIX, fig. 5. Non si hanno che i soli esemplari illustrati dal Sismonda. 81. Celastrus TJngeri Sism. 1865. Celastrus Unger i. Sismonda, Matériaux ecc., pag. 62, tav. XXVIII fig. 7. Anche di questa specie non si conosce che 1’ esemplare illu- strato dal Sismonda. Rhamnaceae. 82. Berehemia muUinervis Heer. 1855-59. Berehemia multinervis. Heer, FI. tert. Helv., pag. 77, tav. CXXIII, fig. 9-18. 1865. » 0 Sismonda, J/aidriawa; ecc., pag. 64, tav. XXIX, fig. 8. Oltre gli esemplari già resi noti dal Sismonda non se ne posseggono altri. 83. Rhamnus acuminatifolius 0. Web. 1852. Ehamnus acuminatifolius. 0. Weber, Palaeont., II, pag. 206, tav. XXII, fig. 13. 1865. » ’> Sismonda, Matériaux ecc., pa- gina 63, tav. XI, fig. 1 ; ta- vola XII, fig. 5. Si hanno i soli esemplari illustrati dal Sismonda. 84. Rhamnus Dechenii 0. Web. 1852. Rhamnus Dechenii. 0. Weber, Palaeont., II, pag. 204, ta- vola XXIII, fig. 2. 1865. » ” Sismonda, Matériaux ecc., pag. 63, tav. XII, figi 4 a ; tav. XV, fig. 6; tav. XXX, fig. 2. Agli esemplari illustrati dal Sismonda devesi aggiungerne un altro rappresentante una foglia lungamente acuminata. 248 P. PKOLA 85. Rhamnus Heerii Ettingh. 1865. Rhamnus Eridani. Sismonda, Matériaux ecc., pag. 63, tav. XIII, fig. 5 ; tav. XIV, fig. 4; tav. XXII, fig. 4, 5. 1866. » Heerii. Etting., Foss. FI. v. Bilin , III, pag. 43, tav. IV, fig. 29 ; tav. LI, fig. 2. A quelli già noti dal Sismonda devesi aggiungere un esem- plare di foglia mancante dell’ apice, larga 30 mm. 86. Rhamnus inaequalis Heer. 1855-59. Rhamnus inaequalis. Heer, FI. lert. Helv., Ili, pag. 80, tav. CXXV, fig. 8-12. Impronta della porzione inferiore di una foglia munita di pic- ciolo. Pare sia stata crenulata, e 1’ avere essa dei due lembi uno largo 1 cm. e l’altro 9 mm. mi fa credere essere nel vero attribuen- dola a tale specie. La forma della foglia pare essere stata ellittica. 87. Rhamnus Rossmassleri Ung. 1840. Rhamnus Rossmassleri. Unger, Gen et spec., pag. 464. 1865. !! n Sismonda, Matériaux ecc., pag. 63, tav. XV, fig. 7. Agli esemplari di Guarene e Piobesi già noti, devesi aggiun- gere r impronta di una foglia peduncolata, arrotondata, acuminata, da me rinvenuta nei gessi di S. Vittoria. Hamamelidaceae. 88. Liquidamhar europaeum Al. Br. 1836. Liquidamhar e u r o p e u m. Al. Br. in Buckl., Geol., I, pag. 115. 1865. n » Sismonda, Matériaux ecc., pag. 30, tav. IX, fig. 7. Oltre gli esemplari già illustrati dal Sismonda ed un piccolo frammento di foglia, si conserva pure un esemplare di foglia che per la forma della nervatura va riferito più al gen. Liquidambar che ai gen. Acer o Platanus. Il bordo pare leggermente seghet- tato. Vi si notano tre nervi principali, e dal lato inferiore dei due nervi laterali si staccano, poco distanti dalla inserzione di questi. FLORA MESSINIANA DI GUARENE E DINTORNI 249 due nervature che si rivolgono in basso e danno alla nervatura un accenno a diventar quinquilobata. PLATANACEAE. 89. Platanus depertita Sord. 1873. Platanus depertita Sordelli, Avanz. veg. delle argil. plioc. lomh. (Atti soc. ital. Se. nat.), pag. 879, tav. V, fìg. 16-17. 1865. » aceroides Sismonda, Matériaux ecc., pag. 49; tav. XX, fig. 3, 4; tav. XXI, fig. 2, 3. Si conservano (’) diverse impronte di foglie più o meno in- complete; in generale rappresentanti foglie piccoline in confronto delle altre della stessa specie trovate nelle località piemontesi, ed aventi^ il lobo mediano molto più sviluppato dei laterali. COMBRETACEAE. 90. Terminalia radabojensis Ung. 1847. Terminalia radabojensis Unger, Chloris protogaea, pag. 142 tav. XLVIII, fig. 2. 1865. n n Sismonda, J/a^e'riaMa;, pag. 58; tav. XXVI, fig. 6. Si ha il solo esemplare illustrato dal Sismonda. MYRTACEAE. 91. Eucaliptus oceanica Ung. 1850. Eucaliptus oceanica Unger, Flfoss. v. pag. 52; tav. XXXXI, fig. 1-1.3. Due frammenti di La Morra rappresentanti la porzione me- diana di una foglia. (') Del messiniano piemontese si ha pure una bella e completa impronta proveniente dai gessi di Moncalvo, nel Monferrato, la quale, tolto le dimen- sioni maggiori, ha una facies analoga a quelle di Guarene. 250 P. PEOLA 92. Eugenia aizoon. Ung. 1850. Eugenia aizoon Unger, FI. foss. t. Sotzka, pag. 182; tav, LVI, fig. 1, 2 1865. „ n Sismonda, eco., pag. 58; tav.XXVI, fig. 4. Air esemplare alquanto guasto illustrato dal Sismonda devesi aggiungere l' impronta di una foglia ovale, alquanto acuminata al- r apice, lunga cm. 4,5 e larga 22 mm. tymelaeaceae. 93. Pimelea crassìpes Heer. 1855-59. Pimelea crassipes Heer, FI. tert. Helv., pag. 94; tav. XC VII, fig. 12-14. Piccola fogliolina alquanto ellittica, lunga cm. 2, larga 6 mm. con un picciolo alquanto grosso e nervature abbastanza evidenti. PAPILIONACEAE. 94. Colutea Salteri Heer. 1855-59. Colutea Salteri Heer, FI tert. Helv. Ili, pag. 101; tav. CXXXn, fig. 47-57. 1865. » ” Sismonda, Matériaux eco., pag. 07; tav. XXX, fig. 8. Si ha solo la fogliolina studiata dal Sismonda. 95. Dalbergia bella Geer. 1855-59. Dalbergia bella Heer, Fi tert. Helv. Ili, pag. 104; tav. CXXXHI, fig. 14-19. 1865. » » Sismonda, Matériaux ecc., pag. 67 ; tav. XXX, fig. 9. Anche di questa specie non si conserva che 1’ esemplare illu- strato dal Sismonda. CAESALPINIACEAE. 96. Gleditschia Wesselii 0. Web. 1859. Gleditschia Wesselii 0. Weber, N. Betr. zar niederrhein. Braun. Kohlenf. Palaeont. IV, pag. 162; tav. XXIX, fig. 10-12. Sismonda, Matériaux ecc., pag. 66, tav. V, fig. 11. 1865. FLORA. MESSIMANA DI GUARENE E DINTORNI 251 È un' impronta che non so con quanta probabilità si sia po- tuto riferire al legume di questa specie. La conservo in omaggio al Sismonda ed all’ Heer che la studiarono. 97. Caesalpinìa falconeri Heer. 1855-59. Caesalpinìa falconeri Heer, FI. tert. Helv., Ili, pag. 110; tav. CXXXVII, fìg. 1-10. 1865. » » Sismonda, Matériaux, pag. 66; tav. XXX, fig. 5. Non si ha che il bell’ esemplare già studiato dal Sismonda, 98. Cassia ambigua Ung. 1840. Cassia ambigua Unger, Gen. et species, pag. 492. Due foglioline lunghe mm. 25, larghe mm. 10, con la ner- vatm-a primaria non tanto consistente e le secondarie sottili arcuate. Sono ellittiche, alquanto acuminate all’apice ed alla base. 99. Cassia hyperborea Ung. 1850. Cassia hyperborea Unger, FI. fo^s. v. Sotzka, pag. 58; tav. XLIII, fig. 2. Una fogliolina lunga cm, 6, larga 2, acuminata all’ apice, ar- rotondata alla base, con la nervatura mediana consistente e le se- condarie numerose ad angolo quasi retto con la primaria. Un’ altra invece è lunga circa cm. 4, larga 10 mm. ; ed una terza è man- cante dell’ apice ed a nervature secondarie abbastanza impresse. 100. Cassia phaseolites Ung. , 1850. Cassia phaseolites Unger, FI. foss. v. Sotzka, 58; tav. LIY, fig. 1, 5; tav. XLY, fig. 1-9. 1865. » n Sismonda, Matériaux, pag. 67; tav. XXX, fig. 4. All’esemplare di Guarene illustrato dal Sismonda, e che mi pare veramente riferibile a questa specie, devesi unire altre cin- que foglioline pure di Guarene, di varia grandezza. Un’ altro esem- plare su marna biancastra di La Morra porta l’ impronta di una foglia munita di un picciolo ricurvo, lunga cm. 7,5 circa e larga 26 mm. 252 P. PEOLA 101. Cascia tenella Heer. 1855-59. Cassia tenella Heer, FI. tert. Helv. Ili, pag. 121; tav, CXXXVIII. fig. 37-39. Piccola fogliolina lunga 10 uom., larga 2 mm. munita di un pedicello arcuato. Pare che molto si confaccia colla Cassia tenella e per la facies e per le dimensioni. Nelle figure dell' Heer solo alcune foglioline sono picciolate. 102. Podogoìiium obtusifolium Heer. 1855-59. Podogonium obtusifolium Heer, FI. tert. Helv. pag. 110, tav. CXXXIV, fig. 30-34. Piccola fogliolina mancante della base, con nervatura prima- ria consistente e numerose secondarie finissime. È analoga alla fig. 30 della tav. CXXXIV dell’ Heer, FI. Ieri. Helv. VACC1NIACE.A.E. 103. Vacciniim acherontichum Ung. 1850. Vaccinium acherontichum Unger, FI. foss. v. Sotzka, pag. 43; tav. XXIV, fig. 1, 3, 4, 6. 1865. » r Sismonda, Matériaux, pag. 55. Si ha il solo esemplare illustrato dal Sismonda dato da una piccola fogliettina ovale, alquanto acuminata all’ apice. 104. Vaccinimi reticulatum Al. Br. 1851. Vaccinium reticulatum Ai. Br., Zite. Verzeich, pag. 82. Di Guarene,si ha una fogliolina lunga 23 mm. larga 10 mm. arrotondata all’ apice, curvata alla base, molto somigliante ai di- segni dell’ Heer. Di S. Vittoria si ha una fogliolina attenuata alla base, attenuato-aiTotondata all’apice, lunga 12 mm., larga mm. 4. Quantunque abbia dimensioni minori di quelle date dagli autori pure per la facies e per la forma pare riferibile a questa specie. ERICACEAE. 105. Leuchothoe oenothrorum Sacc. 1886. Leucothoe oenothrorum Sacco, Piano messin. I, pag. 15; II, pag. 28. Due esemplari di foglie ottusette all’ apice ed alla base. FLORA MESSIMANA DI GUARENE E DINTORNI 253 106. Leucothoe vaccinii folta Ung. 1850. Leucothoe vacciniifoli a Unger, FI. foss. v. Sotzìia, pag. 43; tav. XXIII, fig. 10-12. Un esemplare di foglia alquanto acuminata all’apice. S. Vittoria. ABEN.\CEAE. 107. Diospyros brachisepala Al. Br. 1845. Diospyros brachisepala Al. Br., Neu.Jah.f. Min. geol, pag. 170. 1865. n )) Sismonda, pag. 55 ; tav.XVI, fig. 5. All esemplare disegnato dal Sismonda devesi aggiungere l’ im- pronta di un solo lembo della parte inferiore di una foglia. Delle 107 specie che ora si hanno di Gruarene e dintorni ben 47 non furono conosciute dal Sismonda, e per le altre 60 di al- cune si rinvennero altri esemplari, di altre se ne trovarono esem- plari in altre località circostanti a Guarene. Confrontando poi questa flora con le altre fossili si vede che 13 specie sono proprie di questa plaga, e cioè: 1. Equisetum sp., 2. Thuja Goepperti Sism., 3. Pinus sp., 4. Pinus sp., 5. CoryUs gigas Sism., 6. Co- rylus Heerii Sism., 7. Quercus Brongniarti Sism., 8. Myrica Merlai Sism., 9. Populus De Visiani Sacco, 10. Sassafras sp., 11. Daphnogene Gastaldi Sism., 12. Celastrus Ungevi Sism., 13. Celastrus Heerii Sism. Delle altre 94 furono già rinvenute neH’eocene 8 specie, delle quali una sola è propria deU’eocene di Aix, 64 sono dell’ oligocene, delle quali 6 gli sono proprie, 80 sono del miocene delle quali 20 sono esclusive ; ed infine 32 specie furono già rinvenute nel pliocene, delle quali 2 sole sono esclu- sive ed una è quaternaria. Il maggior numero delle specie sono adunque mioceniche; e le 20 assolutamente mioceniche sarebbero: 1. Schlerotites pustulifer Mesch., di Oeningen e Parschlug. 2. Goniopteris pulchella Sch., di Erez e Lausanne. 3. Glyptostrobus europeus v. Ungevi Heer, di Casino. 4. Fagus dentata Ung., di Gleichemberg e M. Bamboli. 5. Quercus Heerii Al. Br., di Oeningen. 6. luglans nux taurinensis Brong., di Valdarno. 7. Salix tenera Al. Br., di Oeningen, Eriz, Lode. 254 P. PEOLA 8. Persea Braunii Heer, di Oeningen e Lode. 9. Benzoin attenuatum Heer, di Oeningen, Lode e Rivaz. 10. HesperidofhylLum senogalliense Mass., di Sinigallia. 11. Rhus Heufieri Heer, di Oeningen e Lode. 12. Sapindus Hasslinzkyi Ett., di Tokai e Sinigallia. 13. Erytroxilum laiirinum Mass., di Sinigallia. 14. Pimelea crassipes Heer, di Oeningen e Rixhofort. 15. Colutea Salteri Heer, di Oeningen. 16. Dalbergia bella Heer, di Oeningen e Lode. 17. Caesalpinia Falconeri Heer, di Oeningen. 18. Cassia tenella Heer, di Oeningen. 19. Podogonium obtusifolium Heer, di Oeningen. 20. Leucothoe oenothrorum Sacc., Bilin e Sinigallia. Si ha adunque una flora miocenica e del tipo di quella di Oeningen, Rivaz, Lode, ecc., cioè del miocene superiore della Sviz- zera, colla quale ha pure in comune abbondanza di larve di Libel- lula Doris. Riguardo al clima abbiamo che 40 specie sono rappresentate in paesi di clima tropicale o subtropicale; 82 in paesi di clima temperato; 42 sono specie americane, 22 europee, 12 asiatiche, 4 australiane ed 1 africana. Una flora adunque di clima tempe- rato caldo americano. Vi incominciò però a svilupparsi una flora di tipo europeo, e vi compare per la prima volta una pianta no- strale, la Fagus sylvatica. Il Sismonda vi lamentava la scarsità di Crittogame, Conifere, e Monocotiledoni, noi invece vediamo come le Conifere vi fossero degnamente rappresentate da 12 specie appartenenti a 7 generi diversi, mentre le crittogame e le monocotiledoni continuano ad essere molto scarse. Vi primeggiano ancora le cupulifere con 22 specie di faggi, castagne e quercie, cui si aggiungono i Corylus\ le Lauracee si mantengono numerose (12 specie), vengono poi le Caesalpiniaceae con 7 specie, le Salicaceae., le Urticaceaey le Rhamnaceae con 6 specie, le Betulaceae, Anacardiaceae, Acera- ceae, Sapindaceae, Celastraceae, Mirtaeeae, Papilionaceae, Vacci- niaceae.! Ericaceae con 2 specie ognuna, ed infine si hanno rap- presentanti di funghi, equiseti, felci, gnetacee, graminacee, Miri- caceae, Aurantiaceae, Erytroxilaceae., Hamamelidaceae, Platana- ceae, Combretaceae., Thymelaeaceae ed Ebenaeeae. FLORA MESSIMANA DI GUARENE E DINTORNI 255 Questa flora, pur presentando un gran numero di piante plio- ceniche, ed anche una specie quaternaria, mantiene ancora un gran numero di piante proprie dell’ eocene, dell’ oligocene e del miocene e quindi si potrebbe concludere che il messiniano, mentre rappre- senta un periodo di transizione fra il miocene ed il pliocene, pure è da ascriversi piuttosto a quello che a questo. GLI STRATI A PINNE DI MORROCU Nuovo LEMBO POST-PLIOCENICO DI REGGIO CALABRIA. Nota del dott. Giuseppe De Stefano. I. Introduzione. Sulla flne dello scorso anno 1898 mandai per il Bollettino della Società Geologica Italiana una mia Nota preventiva sopra un nuovo lembo conchiglifero di Reggio Cai. (Q, promettendo di fare in seguito intorno ad esso un apposito completo lavoro stra- tigrafico-paleontologico. Al nuovo lembo si credette opportuno allora di dare il nome di « Strati a Pinne » , per l’ abbondanza di que- sto genere di Lamellibranchi che si rinvenne nelle sue sabbie marine. Incoraggiato per ciò nella idea avanti espressa dal chiarissimo comm. Ulderigo Botti — che mi fu sempre largo di aiuto e di consigli — e dal prof. La Valle dell’ Università di Messina — il cui museo geologico mi offrì e mi offre larga ospitalità —, co- minciai subito lo studio sulla formazione da me scoperta, le cui ricerche ed osservazioni costituiscono il contenuto della presente (b G. De Stefano, Un nuovo lembo conchiglifero di Reggio Calabria^ Nota preventiva (Boll, della Soc. Geol. Ital.), 1899. 256 GIUSEPPE DE STEFANO monografia. In questa però non credo di aver registrato tutta la fauna fossile di Morrocu, poiché accurate e posteriori indagini potrebbero arricchirla ancora di nuove specie. Come sarà dimostrato in seguito, sia per la sua stratigrafia, sia per la sua paleontologia, il lembo fossilifero di Morrocu spetta al quaternario — ed al quaternario più recente. E poiché fra tutti coloro i quali si occuparono del post-pliocene della prov. di Reg- gio, nessuno fa menzione degli « strati a Pinne ”, é ovvio che essi prima di ora non furono mai osservati, e quindi studiati. Per ciò basta vedere tutti quei lavori geologici scritti nella seconda metà di questo secolo ed anche prima, a cominciare, per esempio, dal noto libro di Agostino Scilla (*), per finire a quello del- V ing. E. Cortese (2), i quali trattano più o meno diffusamente del post-pliocene Reggino. Di tali lavori, qui non si può fare nem- meno una rapida rassegna del loro contenuto, perché il modesto còmpito e la brevità della presente memoria noi consentono. E benché sicuri che il contenuto dei lavori del Von Rath, del Fuchs, del Seguenza, del Botti, del Mantovani, del De Stefani, del Cor- tese etc., sia conosciuto da tutti coloro i quali, coltivando le scienze geologiche, leggeranno queste pagine, pure non si può fare a meno di notar quanto segue. Oltre che da nessuno dei lavori accennati risulta che il lembo di Morrocu sia stato finora conosciuto, si osserva in essi ancora che, il genere Pinna, ritenuto raro dall’ illustre prof. Seguenza, trovato raramente quasi sempre in terreni miocenici e verso il lato occidentale della provincia — nei dintorni di Guardavalle e di Stilo — , nella nuova località si presenta comune ed abbondante. Onde si crede di aver ben proposto il nome di k Strati a Pinne ” alle sabbie fossilifere di Morrocu, per distinguerle da quelle post- plioceniche di Gallina, di Ravagnese e di Bovetto, i quali di tal genere di Lamellibranchi, finora si sono mostrati, o privi assolu- tamente, 0, qualcuno, con qualche raro resto. Ancora, la formazione terrestre di Reggio Calabria, costituita principalmente da quel deposito di color bruno e soprastante d’ or- dinario alle sabbie post-terziarie, che i geologi si son convenuti di (b La vana speculazione disingannata dal senso. (2) Descrizione Geologica della Calabria; Eoma 1895. GLI STRATI A PINNE DI MORROCU 257 chiamare col nome di « Alluvione antica », dalle opere su accen- nate, appare priva di fossili ; mentre così non è a Morrocu. Il Se- guenza, il De Stefani, che pure ebbero agio di studiare tutta la formazione terrestre della provincia, non rinvennero alcun resto organico della fauna contemporanea nell’alluvione antica; mentre a Morrocu, sopra le sabbie fossilifere, si trova un’ abbondante fauna terrestre in Elici con qualche raro resto di Buiimo. Tutti questi fatti fanno comprendere di leggieri che il lembo ultimamente scoperto è alquanto importante ; e quindi, oltre il pre- sente studio, dà adito ad ulteriori studi e considerazioni. Per quel che precede, la presente monografìa sarà divisa in due parti distinte : in una si cercherà di parlare delle sabbie ma- rine, nell’ altra, della formazione terrestre : in entrambe si metterà in rilievo, sia la natura del terreno, sia la fauna fossile caratte- ristica, confrontando quest’ ultima con quella dei lembi sincroni più vicini, come quelli di Bevette e di Ravagnese. IL Stratigrafia e natura del terreno. Il lembo fossilifero di Morrocu è posto tra quelli — ormai così noti — di Ravagnese, di Gallina e di Bevette. Esso forma una specie di piano-terrazzo al di sopra della formazione di Ra- vagnese, e sotto sta a quelle di Gallina e di Bevette, la prima posta a nord-est, la seconda a sud-est ; ed a queste ultime è legato per la natura chimica e l’ aspetto fisico del terreno, nonché per la sua fauna fossile. Incominciamo a descrivere brevemente e nella miglior maniera possibile i luoghi accennati. Lungo la strada rotabile che da Reggio — per il villaggio Sbarre — conduce alla fiumara di Valanidi, al di là della bor- gata di Ravagnese si scorge il torrente omonimo, che l’ attraversa, giungendo al mare, molto tratto più giù, dopo diversi chilometri di corso, dalle alture poste a sud-ovest di Gallina. Il suo alveo, strettissimo e tortuoso nella parte più alta e diruta, si allarga man mano che si avvicina alla riva del mare, fino ad aver quivi l’a- spetto d’una vera e grossa fiumara. Salendo pel vallone di Ravagnese, dopo qualche migliaio di metri, sulla sua sponda destra, s’ incominciano ad osservare le col- 17 GIUSEPPE DE STEFA.no 258 linette a terrazze degli ultimi depositi post-pliocenici e recenti, succedentisi l’ una all’ altra in forma di gradinata e in dolce pen- dio, fino a una mediocre altezza. Quivi si elevano delle alte col- line che vanno a formare la spianata del villaggio di Gallina — la parte ovest di essa. Sul lato sinistro (sponda) si vedono le prime collinette di Mor- rocu, che nella loro parte più alta — dopo aver formato un piano- terrazzo di discreta dimensione a confronto di quelli adiacenti — costituiscono le colline a sud-ovest di Gallina, il cui insieme forma una contrada, chiamata dai villici del luogo di « San Brancati * . Essa può considerarsi come una continuazione di quella di Gallina, avendo la stessa direzione nord-est, sud-ovest di quella ; e vien li- mitata dalla fiumara Armo. Così, il corso più alto e la sorgente del torrentucolo accen- nato, restano incassati nella valle stretta e profonda formata dalle elevazioni di Gallina e di San Brancati. L alveo di esso come già si è detto — va restringendosi notevolmente a un tratto, dai due terzi del suo corso alla sorgente; ed in tal tratto ha una direzione approssimata da ovest verso est. Non molto giù dalla sua sorgente stanno le sabbie a Pinne di Morrocu, Esaminata la piccola contrada per ciò che essa mostra dal letto del vallone in su, risulta costituita da argille, da sabbie e da alluvione antica. Gli strati argillosi più bassi hanno un color brunastro, e quelle limitanti con 1’ alveo del vallone, vengono erose dalle acque correnti, specialmente nelle forti, violenti e brevi piog- gie invernali; sì che in frantumi si scorgono per qualche tratto lungo esso. Man mano che si sale nella serie, le anzidette argille diventano abbastanza sabbiose, e assumono un colore più chiaro ed alquanto tendente al verdastro. In alto si alternano con una sabbia a fini elementi, e diventano strati gradualmente sabbiosi, gradual- mente compatti, fino ad avere in alcuni punti l’ aspetto — ma il solo aspetto — calcarifero. Gli strati sabbiosi del lato sud-ovest di Morrocu d’ordinario sono a fini elementi di quarzo con cemento feldspatico, e conten- gono qualche rarissimo resto di fossile (^Cdvdiwn e Venus), quelli invece posti a nord-est sono discretamente ricchi di fossili e con- tengono le Pinne, che li caratterizzano, in gran quantità, e disposte GLI STRATI A PINNE DI MORROCU 259 nel terreno in modo che la loro intera estrazione riesce — starei quasi per dire — impossibile. La grandezza di queste Pinne è variabile : ho potuto constatare che qualcuna giunge a più di mezzo metro di lunghezza : esse vengono messe continuamente a nudo per l’azione erosiva delle acque correnti sulla roccia, le quali acque scendono giù dal soprastante piano nei tempi di piova torrenziale, trascinando i resti fossili per il declivio della collina giù fino alle sottostanti argille, e, qualche volta, fino all’ alveo del vallone. Negli strati sabbiosi medi descritti, dalle osservazioni finora fatte, ho trovato una fauna di Lamellibranchi, certamente, se non ricca di specie, molto interessante. Oltre le Pinne, abbondano le Anemie -, son frequenti molte specie di Cardium, di Pectunculus, di Ostrea, di Lucina, di Yenm, di Cytherea, di Macina ecc. Fra i Gasteropodi, abbondano i Cerithiim, i quali formano dei veri focolari fossiliferi in seno alla roccia. Non mancano degli esemplari del genere Conus, Trochus, Nassa, Murex, Natica, Fu- sus, Calyptraea, ecc. Sulle anzidette sabbie fossilifere si adagia l’ alluvione an- tica, d’una meschina potenza, verso la parte più alta della spia- nata ; ma che giunge fino a sei metri di spessore nella più bassa. Qualche strato di tale formazione contiene un’ abbondante fauna in Elici. Si nota, in fine, che tutti gli strati fossiliferi di Morrocu si presentano lievemente inclinati all’ orizzonte, e giacciono in di- scordanza sopra argille molto inclinate, nelle quali a me non è stato dato di rinvenire alcuna traccia di resti organici fossili. Di modo che, riepilogando quanto si è fin qui detto, la serie di Morrocu è formata dai seguenti strati, partendo nell’ enumera- zione dall’ alto di essa: 1° alluvione antica priva di fossili; 2° strati alluvionali ad Elici ; 3° sabbie poco compatte o sciolte calcarifere con Pinne, Cerithium vulgaium ed altri Molluschi, nonché al- cune specie di Foraminiferi ; 4° argille sabbiose; 5“ argille pure. I primi tre strati son da ascriversi al quaternario; gli ul- timi due son decisamente miocenici. Si vedrà in seguito perchè ciò ; intanto quel che si è scritto più avanti, può riassumersi cos'i nel seguente specchietto: 260 GIUSEPPE DE STEFANO Strati di Morrocu. Quaternario Formazione terrestre a) Strati alluvionali superiori, privi di resti organici fossili. b) Alluvione antica ad Helix. Strati inferiori. ,, . y «) Sabbie sciolte o poco compatte cal- ^^rmvina^ | carifere a Pinne e con abbondanti / resti di altri fossili. [ a) Argille sabbiose. Miocene < ( b) Argille pure. Esaminiamo brevemente la natura e la disposizione delle rocce notate. Formazione terrestre. a) Alluvione antica 'priva di fessili. Questo terreno è costituito da una specie di fanghiglia di co- lor rosso, tendente più o meno al bruno, nella quale si trovano disciolte sostanze organiche e vi è mescolata una discreta quantità di ghiaia. Gli elementi costitutivi sono compatti, salvo che, nella parte più bassa, in alcuni punti, e precisamente dove presenta maggior potenza, in essi si trovano intercalati dei ciottoli di vario volume, ma giammai molto grossi. Questi ultimi sono per lo più di natura granitica. In tutta la massa alluvionale si osserva una discreta quantità di caolinite, la quale si accentua di più alla su- perfìcie. Adunque, lo strato superficiale del piano-terrazzo di Mor- rocu ricorda per la natura e per 1’ aspetto il Loess dell’ Europa centrale ed il Lehm delle pianure russe. b) Sabbie alluvionali feldspatiche compatte ad Helix. Queste sabbie sottostanno nella serie a quelle avanti descritte ; dimostrano la loro origine decisivamente terrestre per la fauna che contengono, e seguono in concordanza il letto lievemente inclinato delle prime: presentano, nel punto dove affiorano, un tenue spes- GLI STRATI A PINNE DI iMORROCU 261 sore. La geofauna fossile in esse racchiusa è ricca di forme, ma povera di specie : abbondano le Helix, e s’ incontra qualche raro resto di Bulimus. Gli strati alluvionali sabbiosi in discorso sono costituiti da quarzo abbondante, con feldspato in quantità note- v(de e qualche traccia di mica bianca. Trattato un campione con gli acidi, non si ha effervescenza; perciò è da escludersi in essi la natura calcarea, sebbene 1’ aspetto in generale li faccia pa- rer tali. Formazione marina. a) Sabbie poco compatte o sciolte calcarifere a Pinne. Esse seguono la stessa direzione ed inclinazione degli strati avanti descritti, ed hanno la seguente natura: Trattate con l’ acido cloridrico producono molta effervescenza. Son formate essenzialmente di silice, di calcare ; e contengono mu- scovite. I fossili caratteristici di tali strati sono le Pinne, che nella loro giacitura si mostran quasi incastrate le une alle altre. Argille mioceniche GIALLO-AZZURRE IN ALTO, BRUNE IN BASSO. Queste argille, prive di fossili per quanto a me risulta, stanno sotto gli strati osservati. Esse presentano vario aspetto man mano che dall’ alto della serie si scende al basso ; poiché, tanto chimica- mente, quanto fisicamente, si osserva una graduale variazione. Quindi la composizione che di esse si dà, è una media approssimativa. Contengono: Acqua dal 9 al 12 ®/o circa, molta silice, cao- linite quasi nella stessa proporzione, una discreta quantità di mu- scovite, ed, a giudicare dal loro colore, qualche traccia di ema- tite in alcuni letti, mentre in altri, qualche traccia di ferro, poiché qualche campione esposto al fuoco dopo poco tempo arrossa al- quanto. Tali sabbie inoltre sono inattaccabili dagli acidi cloridrico, solforico e nitrico. L’ acido solforico ne discioglie in pochissima quantità. Si accenna incidentalmente che esse si prestano pochissimo alla lavorazione ceramica, a causa dell’ abbondante sabbia che contengono. 262 GIUSEPPE DE STEFANO III. Paleontologia. Crii strati di Morrocu presentano una fauna fossile che può dividersi in due categorie, a seconda del terreno nel quale si rin- viene e della intima sua stessa natura: quella degli strati allu- vionali più bassi è di origine terrestre e contiene solo degli Elici con qualche raro resto di Buiimo; quella degli strati sabbiosi a Pinne — comprendente principalmente Molluschi con qualche raro resto di Echino di Briozoi e di Foraminiferi — è di origine ma- rina. Crii Echini da me raccolti sono rappresentati da tre piccoli esemplari, dei quali ancora non si è determinato nè la specie, nè il genere ; cosi dicasi anche di qualche resto di Briozoi, mal con- servato, e perciò irriconoscibile. Tra i Foraminiferi si son deter- minati finora i due soli generi D’Orb.e Polystomella D’Orb. Adunque, nelle pagine seguenti si troverà registrata la sola fauna malacologica di Morrocu. Per ragioni di stratigrafia e di cronologia, facili a pensarsi, prima sarà notata 1’ alofauna delle sabbie a Pinne, e quindi la geofauna degli strati alluvionali. Nella determinazione delle sin- gole specie, nei limiti del possibile, si è badato di tener conto della sinonimia ; e si è anche pensato di mettere a raffronto quelle di Morrocu con le altre rinvenute nei diversi lembi post-pliocenici più noti dei dintorni di Reggio. E ciò per farsi un giusto concetto della distribuzione di esse in questi ultimi. Indicando quindi successivamente con le iniziali B, C, G, R, V, le località fossilifere di Bovetto, Carrubare, Gallina, Ravagnese, Vito, con una crocetta le specie estinte, col simbolo M quelle viventi nel Mediterraneo, e col simbolo N quelle dei mari del Nord, ecco l’elenco dei fossili di Morrocu: l.° A.lofauna. Molluschi — Gasteropodi. 1. Murex trunculus Linn. — B., C., R., V. — M., N. 2. M. erinaceus Linn. — B., R., V. — M. 3. Fasus roslratus 0\v^\ = strigo sus — Bononiensis Fo- resti. — C., R., V. — M. GLI STRATI A PINNE DI MORROCD 263 4. Buccinum undatum (?) Linn. — C., G. — N. 5. Nassa costulata Een. — K. — M. 6. N. dertonensis Bell. — E. — M. 7. N incrassata Muli. = Buccinum (?) Strom = B. asjperulum Brug. = B. ascanias Phil. — B., C., V. — M., N. 8. N. limata Chemm. = Buccinum prismaticum Phil. — C., E., V. — M. 9. N. mutabilis Linn. = Buccinum mutabile Phil. — B., C., E., V. — M. 10. N. variabilis Phil. — B., C. — M. 11. N. reticulata Linn. — Buccinum reticulatum Phil. — B., G., V. — M,, N. 12. N musiva Broc. = B. musivum Phil. — C., E. ^ 13. N. pygmaea Lam. — B., C., G. — M., N. 14. Cyclops neriteus Linn. = B. neriteum Phil. — B., C., E. — M. 15. Conus Mercati Brug. — M. ~ 16. G. spirala Brug. 17. Natica catena D’Est. — E. — M., N. 18. N. Guillemini Payr. — C., G., V. — M. 19. N. helicinai^) Broc. — ■' C., G. — M. 20. N. millepunctata Lam., varietà maculata Desayes = N. hae- braca Appelius. — B., C., G., E., V. — M. 21. N. haebraea Martyn. — B., V. — M. 22. N. intermedia Phil. = Marochiensis Phil. — B., C., V. — M., N. 23. N. macilenta Phil. — B., C., V. — M. 24. N. orientalis Gmel. — B., E., V. — Oggi si trova vivente solo nei mari delle Indie. 25. N. porcellana (?) D’Orb. — B., E., V. — Vive nelle Isole Canarie. 26. Neverita Josephinia Eisso = Natica Josephinia Eisso. — B. , C., E., V. — M. 27. Cerithium vulgatum Brug. — B., C., G., E. — M. 28. Bittium pygmaeum Phil. = Cerithiolum pygmaeum Phil. = Cerithiopsis tuhercularis (Murex), Montg. — B., C., E. — M., N. 29. B. scabrum Olivi = C. scabrum Olivi = C. lima Phil. = C. reticulatum Allery. — B., C., E., V. — M., N. GIUSEPPE DE STEFANO 264 30. Turritella communis Risso = T. terebra Phil. B., C., G.. R., V. — M., N. 31. T. triplicata (Turbo), Br. — B., C., G., V. — M. 32. Vermetus o Serpula (?) 33. Scalaria communis Lam. — B., C., V. M., N. 34. Se. solata Tib. — B., V. — M. 35. Turbo peloritanus Cant. = filosus Phil. — C., G. — Vive nell’ Atlantico, 36. T. rugosus Linn. = Trochus rugosus Pbil. — B., C., V., G., R. — M. 37. Trochus striatus Linn. — B., C., G., V. — Vive nel Me- diterraneo e nell’ Atlantico. 38. Tr. conulus Linn. — B., C., R., V. — M. 39. Tr. ziziphinus Linn. = conulus Allery. — B., C., V. M., N. 40. Tr. Gualterianus Phil. laevigatus Phil. — B., C., V. — M. 41. Gibbula maga Linn. — B., C. — M. 42. Fissurella gibba Phil. — C., R. — M. 43. F. costarla Bast. — B., C., V. 44. Calyptraea chinensis [Patella] Linn. — C., R., V. M. N. SCAFOPODI. 45. Dentaliurn Bonei Desh. — M. 46. D. elephantinurn Linn. — C., G. — Mediterraneo e Oceano Indiano. 47. D. volgare Da Costa ^ entalis Phil. = tarentinum Lam. — M., N. 48. B. (lentalis Linn. — B., C., R., V. — M. Lamellibranchi. 49. Ostrea lamellosa Brocc. — B., C. 50. 0. stentina Payr. 51. 0. edulis Linn. — B., R., V. — M., N. 52. 0. cochlear Poli — B., C., G., R., V. — M. 53. Anomia elegans Phil. — M, 54. A. ephippium Linn. — B., C., R., V. — M., N, GLI STRATI A PINNE DI MORROCU 265 55. A. orbiculata Broc. — M. 56. A. imtelliformis Linn. = pectiniformis Phil. — C., G., V. — M., N. 57. A. pUcata {Ostrea) Broc. = 0. pUcatula Linn. — C. — M. 58. A. Urlata Broc. — C., G., R. 59. Peclen Jacoboem Linn. = Vola Jacoboea — B., C., G. R. — M. 60. P. opercularis Linn. — B., C., G. — M. 61. P. flabelUformis Broc. — C., G. — M., N. 62. Spondylus gaederopus Linn. = varietà S. aculeatus Phil. — C., B. — M. 63. Pinna tetragona Brocchi. 64. Arca Noae Linn. — B., C., G., R., V. — M. 65. A. navicularis Briig. — B., C. — M., N 66. A. diluvii (ì) Lam. — C., B. — M. 67. Pectmculus glicimeris (Arca) Linn. — B., C., R. — M., N. 68. P. violacescens Lam. = insubricus Appelius. — B., C., R., V. — M.. 69. P. pilosusC?) (Arca) Linn. — B., C., R., G., V. — M., N. 70. P. bimaculatus Poli. — C., R., V. — M. 71. Chama gryphoides Linn. — B., C., R., G., V. — M. 72. Cardium edule Linn. — C., G., R. — M., N. 73. C. erinaceum Brug. — B., R., V. — M. 74. C. minimum Phil. — B., C., R. — M., N. 75. C. papillosum Brug. — B., C., R., V. — M., N. 76. C. tuberculatum Linn. — B., C., G., R., V. — M., N. 77. C. echinatum (?) Linn. — B., C., R., G., V. — M., N. 78. C. aculeatum Linn. — B., V. — M., N. 79. C. oblongum Chemn. = sulcatum Phil. — B., C., R. — M. 80. Lucina commutata Phil. = Loripes divaricata Linn. ( Tel- lina). — B., C. — M., N. 81. L. digitalis Lam. — M. 82. L. divaricata Linn. 83. L. yecten Lam. e non — reticulata Voli (Tellina). — R. — M. 84. L. borealis (?) Linn. ( Venus) — radula Phil. — B., C., R., V. — M. 85. L. spinifera (?) Montagù ( Venus) = hiatelloides Bast. — B., C., R., V. — M., N. GIUSEPPE DE STEFANO 266 86. Loripes lacteus Linn. ( Tellina) = fragilis Phil. — B., C., G., R., V. — M. 87. Venus casina Lina. = discina Phil. =: varietà Cygnus A.ra- das e Benoit. — B., C., R., V. — M. N. 88. V. imbricata Sow. — R. 89. V. fasciata Da Costa ( Pectunculus) = Brogniarti Phil. — B. , C., R. — M. N. 90. V. ovata Pennant = radiata Phil. — B., C., R., V. — M., N. 91. V. rugosa Gra. — C., G. 92. V. senilis Brocc. — R- ^ 93. V. verrucosa Linn. — B., C., R., G., V. — M., IS. 94. V. effossa Bivona. — B., C., G., V. — M. 95. V. Gallina Linn. — B., R., V. — M. 96. Cytherea Chione Linn. (Venus). — B., C., G., R., V. — M., N. 97. Cut. rudis Poli = C. veneliana, C. rudis Phil. — B., C., R. — M. 98. Dosinia Basteroti Ag. — M. 99. D. exoleta Linn. — B., C., R., V. — M. 100. B. lupinus Poli. — B., R. — M. 101. Tapes vetulus Bast. — C., R. 102. Mactra lactea Poli = varietà della M. stidtorum Linn. — C. , R. — M., N. 103. M. stultorum Linn. = varietà della M. intermedia Aradas. M., N. 104. M. subtruncata Da Costa {Trigonella) 105. M. triangula Phil. — B., R. — M. N. 106. Tellina donacina Linn. — B., C., R. — M. N. 107. T. compressalf) Broc. = strigilata Phil. = striatala Cale. B., R. — M. 108. Psammobia ferroensis Turt. e non Chemn. B., C., G., R., V. — M., N. 109. Solecurtus strigilatus (?) Linn. — B., C., R. M. 110. Corbula gibba Olivi {Tellina) ~ C. nucleus Phil. B. C., R. — M., N. 111. C. Mediterranea 0. G. Costa. — B., C. — M. GLI STRATI A PINNE DI MORROCU 267 2.° Greoftiixna. Molluschi — Gasteropodi. 1. Jlelix vermiciilata Miill. — Comunissima. 2. H. cespitum Drap. — Rara. 3. H. conspurcata Drap. — Rara. 4. H. striala Drap. = fasciolata Poiret. — Rara. 5. H. variahilis Drap. — Rarissima. 6. Bulimus pupa Lino. — Rarissima. IV. Le sabbie marine. Delle cento e più specie determinate dell’alofauna fossile di Morrocu, solamente qualcuna oggi non vive più; mentre tutte le altre sono viventi, pochissime delle regioni più calde dell’Africa 0 dell’Asia, ed il complesso del Mediterraneo — in gran parte della regione temperata di questo. Tutte esse, adunque, indicano chiaramente essere post-plioce- nico il lembo che le contiene; dove noi per post-pliocene vogliamo dire sinonimo di quaternario, di piano Sahariano, etc., come usual- mente si sogliono chiamare in Italia i terreni interposti fra quelli pliocenici e quelli recenti. Ed in ciò seguiamo il concetto di quei geologi che, come il Lyell, il Mayer-Eymar, l’ Issel, il Neiimayr, il Fischer, il Seguenza, il De Stefani, e molti altri ancora, con- trariamente alle idee espresse dallo Stoppani, considerano il qua- ternario come un sistema e non come un gruppo, per le grandi simiglianze litologiche, stratigraliche e paleontologiche che esso ha con l’antecedente era. E per l’estrema Calabria — come dimostrarono, il Seguenza prima, ed il De Stefani poi — il quaternario deve considerarsi come un sistema o piano, i cui terreni col pliocene più alto si accordano per un graduale passaggio, si che dal pliocene più alto al pleistocene più basso lieve è la differenza stratigrafica e pa- leontologica, e tanto lieve, che i due piani non presentano alcun limite netto di separazione, e talora possono essere confusi. 268 GIUSEPPE DE STEFANO S0 si pensa poi che i caratteri paleontologici fra alcuni lembi del pliocene più alto ed altri del pleistocene più basso, qui, nei dintorni di Reggio, come, ad esempio, tra il lembo di Gallina e quello di Carrubare, sono così comuni, hanno tali rapporti di simi- glianza, da far credere a qualche studioso della geologia calabrese ('), terziaria la località di Carrubare e coetanea a quella di Gallina che il Seguenza incluse nel Piano Astiano, sempre più facilmente si comprende che i depositi pleistocenici dell’ ultima Calabria deb- bono essere considerati dipendenti dal terziario, e foi manti il si- stema post-pliocenico 0 quaternario. Ammesso ciò, da un esame sommario fatto all’ alo fauna fossile di Morrocu, si notano alcune specie che, per la loro abbondanza, caratterizzano tale lembo, e ce lo fanno subito dichiarare post- terziario, anche a prescindere dal complesso di essa. In essa vi sono alcune specie, oggi viventi nei nostri mari, le quali pei la loro abbondanza — starei quasi per dire, dopo le Pinne,, in- formano le sabbie studiate; tali sono il Cerithiim vulgatwm, il Pectunculus violacescens, il Lonipes lacteus, etc. ; forme tutte proprie oggi del Mediterraneo. E non solo la fauna fossile, ma anche la stratigrafia indica essere post-terziario il lembo di Morrocu. Per consenso di tutti i geologi che studiarono finora la sene dei terreni pliocenici e pleistocenici della Calabria, oggi si ritiene che essi riposano sempre in discordanza sopra argille mioceniche ; tali debbon quindi considerarsi gli strati argillo-sabbiosi di Mor- rocu, sottostanti alle sabbie fossilifere. Le argille mioceniche di Morrocu, come quelle di Carrubare, di Bovetto, di Ravagnese, etc., sono in perfetta discordanza con le soprastanti sabbie fossilifere; e siccome si presentano prive di resti organici fossili, per meglio determinare la loro età, mi rapporto a ciò che hanno detto il Se- guenza, il Von Rath, il De Stefani, il Mantovani a proposito di quelle avanti accennate, di Carrubare, di Bovetto, di Ravagnese, etc. Le argille mioceniche sottostanti alle sabbie fossilifere di tutte queste località, con direzione nord-est, sud-ovest, inclinano fortemente a nord-ovest; il che indica l’accennata discordanza con (■) P. Mantovani, Alcune osservazioni sui terreni terziari dei dintorni di Reggio Gal Boll. d. R. Com. G. Ital., 1878. GLI STRATI A PINNE DI MORROCU 269 le soprastanti sabbie. 11 Mantovani dice, in proposito: « Trat- tasi adunque, io credo, di roccia miocenica, di cui attesa la quasi assoluta mancanza di fossili riesce assai difficile di poter preci- sare il posto. Alle Carrubare però rinvenni ('), oltre ad esilissimi straterelli di lignite, qualche raro corallario appena riconoscibile, e qua e là gran copia di pteropodi, fra i quali parmi ravvisare la Vaginella depressa Dand. ; onde v’ ha ogni motivo per credere che anche qui, come a Vito, s’abbia un terreno riferibile al piano Langhiano ». Anche il Von Ratb ritiene mioceniche — e precisamente del Langhiano — le argille sottostanti alle sabbie fossilifere di Car- rubare. Il Seguenza (-) afferma con buone ragioni che il pliocene su- periore dell’ Italia meridionale riposa sempre sulle argille o sulle marne argillose del miocene, dove l’A. citato include nel pliocene superiore i lembi fossiliferi di Carrubare e di Bovetto, che più tardi, dopo altri studi (^), ritiene decisamente post-terziari, inclu- dendoli nel Piano Sahariano del Mayer. Osserva, però, che il limite superiore della formazione pliocenica non è netto e preciso, come quello inferiore. Dice : « non riesce così facile poi di segnare il limite tra il pliocene ed il quaternario, dappoiché per transi- zioni graduali insensibili si passa ai depositi recentissimi da quelli evidentemente pliocenici ” . (‘^). Il prof. Carlo De Stefani (^) dice : « Il terreno post-pliocenico è per lo più alquanto discordante, come il pliocene, sui terreni anteriori » , E più oltre, a pag. 242 della stessa memoria, aggiunge : « Riepilogando, come il solito, quel che si è detto, vediamo il post- pliocene, per quanto si manifesta alla superficie intorno all’ Aspro- monte, formato esclusivamente da sabbie e da conglomerati con (’) Pag. 453 della Nota avanti citata. (-) Studi stratigrafici sulla formazione pliocenica dell'Italia meridio- nale. Boll. d. R. Com. Geol. Ital., anno 1873 e seguenti. (3) Le formazioni terziarie della prov. di Reggio Cai. Atti R. Acc. Lincei, 1879. (‘‘) Studi stratigrafici citati, (Boll, del 1873, pag. 217. (^) Escursione scientifica nella Calabria, Jejo, Montalto e Capo Vati- cano. Atti d. R- Acc. Lincei, 1882, pag. 203. GIUSEPPE DE STEFANO ‘270 fauna littorale che posano per lo più discordanti sui terreni an- teriori Da quanto si è detto, a noi sembra completa la dimostrazione fatta per fissare il vero orizzonte stratigrafico del lembo fossilifero di Morrocu. Esso è da ascriversi ai terreni emersi posteriormente a quelli pliocenici, poiché la sua alofauna fossile è da ascriversi quasi tutta al 'plancton littorale vivente, eccetto rarissime ecce- zioni; e le argille ad esso sottostanti sono sicuramente mioceniche. Cerchiamo ora di fare qualche considerazione. Dalle ricerche da me finora fatte sull' alofauna fossile di Mor- rocu confrontata con la vivente, risulta quanto segue: 1° qualche rarissima specie oggi estinta; 2° tutte le rimanenti viventi, fra le quali qualcuna nei mari freddi, e qualche altra nei mari caldi. Le specie estinte sono, ad esempio, la Nassa 'musiva- Eroe., la Pinna tetragona Eroe., e la Venus senilis Eroe. Le specie ora emigrate in altre regioni sono; la Natica orien- talis Gmel., che si rinviene nei mari caldi delle Indie; la Natica porcellana D’Orb., la quale oggi vive lungo le coste delle isole Canarie, ed il Buccinurn unclatum Lin., oggi proprio dei mari settentrionali. La conclusione che si può ricavare dai fatti notati è facile ad immaginarsi, poiché nel lembo fossilifero quaternario di Mor- rocu non si é determinata che qualche rara specie e con dubbio — Buccinurn undatim — oggi abitante solo dei mari del Nord, mentre per la maggior parte i resti fossili son da ascriversi a specie oggi residenti nel Mediterraneo e nell Adriatico, con qual- cuna dei mari caldi; esso dovette emergere certamente dopo il così detto periodo glaciale, quando la temperatura del .mare post- pliocenico circostante alla Calabria era già diventata abbastanza elevata (presso a poco simile all’ attuale), ed il nostro clima era discretamente mite. Ma dalle ricerche finora fatte a Morrocu risulta una fauna malacologica, la quale confrontata con quella di Carrubare, di Gallina e di Bovetto, si mostra abbastanza povera in specie. E benché il modesto còmpito della presente memoria sia stato quello d’ illustrare nella miglior maniera possibile il lembo scoperto, pm’e, essa resterebbe incompleta, se la fauna fossile di quest’ ul- GLI STRATI A PINNE DI MORROCU 271 timo non venisse almeno paragonata a quella degli altri lembi simili dei dintorni di Keggio. Fra essi scelgo solo le località di Gallina, di Carrubare e di Bovetto, come quelle più ricche e me- glio studiate. Per ciò mi son valso dei lavori degli illustri geo- logi Seguenza e De Stefani. Fra le 895 specie di Gallina descritte dal Seguenza, 426 sono di Gasteropodi e 206 di Lamellibranchi : nel lembo di Carrubare si son determinate numerosissime specie, in parte prima dal Phi- lipp!, ed in seguito, in parte dal Seguenza, ed in ultimo dal Man- zoni, dal Mantovani e dal De Stefani. Scorrendo gli elenchi la- sciatici da tali geologi, per ciò che riguarda il tipo Molluschi, si scorge un notevole predominio dei Gasteropodi sui Lamellibranchi, anche per Carrubare, così come si è visto poco avanti per la lo- calità di Gallina. A Bovetto si son determinate 416 specie, di cui 128 son di Gasteropodi e 107 son di Lamellibranchi: ed infine dall’elenco del De Stefani (^), tolto per intero dal libro del Seguenza (^) sui fossili determinati a Ravagnese, sopra 76 specie di Molluschi, 34 sono di Gasteropodi, 3 di Scafopodi e 43 di Lamellibranchi. Ora, nelle sabbie marine di Morrocu non si determinarono fino ad ora che cento e ventuna specie di Molluschi, delle quali quarantasei son di Gasteropodi, quattro di Scafopodi e sessantuna di Lamellibranchi; è evidente quindi il contrasto tra la fauna fossile di Carrubare e di Gallina, con predominio di Gasteropodi, e quella di Bovetto, di Ravagnese e di Morrocu, con predominio di Lamellibranchi. Ed il contrasto fra quest’ ultimo lembo e gli altri si rende ancora più notevole, se si osserva il complesso dei suoi fossili, nei quali predominano le piccole forme, come, ad esem- pio, il Bittium pygmaeum PhiL, il B. scabrum Olivi, tra i Ga- steropodi, ed il Loripes lacteus Linn., tra i Lamellibranchi ; men- tre nelle alofaune fossili di Carrubare e di Gallina hanno predo- minio le grandi forme, come le Lutrarie {L. elUptica L.), i Pettini {P. Jacoboeus L.), le Anomie, le Modiole {M. grandis PhiL, M. Modiolus L.), le Cyprine {C. islandica Lm.), gli Strombus {S. pugilis L.), i Triton {T. mediterraneus^ L.), etc. (') Opera citata, pag. 214 e seguenti. (2) Le formazioni terziarie, etc. 272 GIUSEPPE DE STEFANO Inoltre una gran quantità di generi rinvenuti a Gallina, a Carrubare ed a Bovetto, molti anche oggi comunissimi e ricchi di svariate specie, a Morrocu non si sono ancora incontrati. Tal lembo pleistocenico presenta una grande affinità faunistica — come forse si è già detto — con quello di Kavagnese. Tale affinità si scorge, più che dall' elenco delle 76 specie di Molluschi lasciatoci dal prof. Seguenza, dalle determinazioni fatte dal Botti, la cui raccolta fa ora bella mostra di sè nel Ga- binetto di Storia Naturale dell’Istituto Tecnico di Reggio Calabria. Un confronto tra la fauna fossile di Ravagnese, determinata dal Botti, e quella da me determinata a Morrocu, fa scorgere la grande simiglianza fra i due lembi, posti a pochi chilometri di distanza l’uno dall’altro. Trascrivo qui di seguito per intero 1’ elenco dei Molluschi gentilmente favoritomi dal Botti, sicuro, con ciò, di far cosa grata ai cultori di Geologia, e cosa utile per la paleontologia. Molluschi fossili di R.a.vagnese determinati dal Botti Molluschi. Cancellaria cancellata L. Murex trunculus Lin. " brandaris Lin. ” vaginatus Jan. ” Edioardsii Payr. Strombus coronatus Defr. varietà De Greg. For. » mediterraneus Duclos. Fusus lignarius Lk. » rostratus Olivi. » var. Bononiensis For. * var. sp. » pulcliellus Plut. " sp. Pollia D’Orbigny Payr. » var. sp. Pseudomurex MeyendorftQi^o,. Pisania sp. Bivona. Euthria cornea L. !i sp. Triton nodiferum Lk. " affine Desh. » cutaceus L. » sp. Buccinum Humphreysianum var. ventricosa Bennet. Latirus Lawleyanus D’Anc. » gibbulus Gm. Nassa mutabilis Linn. f serrata Br. » dertonensis Bell, var. D. Bell. GLI STRATI A PINNE DI MORROCU 273 Nassa incrassata Milli. » 'prismatica Br. » costulata Ben. " var. Cuvieri Payr. " limata Olivi. n 'musiva Br. Cyclonassa 'neritea L. Ringicula auriculata Morand. Purpura felsina Por. hemasto'ma L. " praecedens (ì) Bell. » retusa(ì) Mich. Cassis saburon Lk. " var. granulosa Brug. » sulcosa Brug. Columbella rustica Lam. » scripta (Mitrella) L. » subulata Br. » erythrostoma Ben. » semicaudata Bon. » turgidula Br. Coralliophila granifera Mieli. Conus mediterraneus Brug. » var. franciscanus Phil. » Rheginus Seg. » multilineatus Pecch. » sp. Drillia incrassata Duj. » consanguinea Seg. Mangelia linearis Montg. Bela bucciniformis Bell. Clathurella emarginata Donov. Raphitoma sp. aif. alla R. be- liformis Pali. Mitra ebenus Lk. » scrobiculata Br. ” var. A, Bell. » striatala Br. Mitra sp. atf. alla M. aperta Bell. » plicatula Br. " sp. ? Trivia europaea Montg. Natica millepunctata Lam. •n macilenta Ph. ” sp. {operculo). » Guillemini Payr. » catena D’Ext. » Dillwynii Payr. Neverita Josephinia Bisso. Cerithium vulgatum Brug. B varietà spinosa. » var. tuberculata. K var. plicata. K var. minuta Ph. » var. gracilis. Bittium reticulatu'm Da Costa. Chenopus pes-pelecani Linn. Turritella communis Bisso. » triplicata Br. » tricarinata Br. » tornata Btx. Vermetus sp. Adans. Solarium pseudoperspectivum Bronn. Rissoa cimex Ptx. Turbo rugosus Lin. Trochus striatus Lin. Gibbula magus L. varia L. ” ardens v. Salis. » var. depressa. Zi&yphinus striatus L. » Gualterianus Ph. » exasperatus Penn. Clanculus corallinus Montf. 18 274 GIUSEPPE Haliotis tuberculata L. Fissurella graeca Lk. K italica Defr. n gibha Phil. " nubecula Linn. Emarginula conica Schum. Calyptraea Chinensis Lin. » muricata Bast. Ca'pulus hungaricus Lin. Patella aspera L. " coerulea L. ferruginea Gem. » scutellaris Blainv. (?) Dentalium elepìiantinum L. » var. novemcostatum Lk. » dentale L. » volgare Da Costa. Ostrea cristata Lam. » sp. » edulis Lin. " var. cingolata Nyst. ■X Raincourti Desh. » lamellosa Broc. " longirostris (?) Lk. » cochlear Poli. Anemia ephippium L. e diverse varietà. » striata Sow. Pecten flabelli formis Br. " hyalinus Ph. Chlamys varia L. » multistriata Poli. ■X fexoosa Poli. " opercularis L. Philippii Kecluz. Vola Jacoboea L. X var. striatissima Por. » var. simplex Seg. DE STEFANO Vola maxima L. n var bipartita Por. Lima squamosa Lk. Spondylus gaederopus L. " aculeata Chemn. » crassicosta Lk. Pinna' pernula Chenn. X tetragona Broc. » sp. Mytilus edulis L. Modiola sp. Lk. Lithodomus lithophagus L. Arca diluvii Lk. Noae L. » Breislacki Bast. X lactea L. Pectunculus pilosus Lk. X glycimeris Lk. ” violacescens Lk. ” lineatus Phil. » pulvinatus Lk. Nucula nucleus L. solcata Bronn. X aff. alla Solcata Bronn s nitida (?) Sow. Leda pella L. Chama gryphoides L. Cardium echinatum L. » var. Deshayesi Payr. » tuberculatum L. » oblongum Gm. X norvegicum Spleng. X erinaceum Brug. 51 hyans Br. X minimum Phil. 55 papillosum Poli. 55 exiguum Gm. 55 nodosum Pnrt. GLI STRATI A PINNE DI MORROCU 275 Cardium edule L. » paucicostatum Sow. Lucina borealis L. " transversa Bronn. » joecten Lk. » divaricala L. * spinifera Montag. Loripes lacteus L. » sp. Diplodonta apicalis Ph. » rotundala Mont. Scacchia sp. Ph. Circe minima Mont. Astante incrassata Br. » fusca Poli. Woodia digitarla L. Venus verrucosa L. " Phitippii May. " casina L. » var. turgida Sow. » fasciata Da Costa. » gattina L. » var. senilis Br. » ovata Pennant. ” multilametla Lk. Gytherea Chione L. » rudis Poli. Bosinia lupinus Poli. » exoleta L. Lucinopsis nudata Penn. Tapes edulis Chemn. ” geographicus L. Mactra subtruncata Da Costa. Lutraria elUptica Lam. Tellina incarnata L. » muricata Br. » donacina L. Psammobia costatata Turi !> ferroensis Turt. Syndosmia castanea Montg. Donax trunculus L. ” sp. » semistriatus Poli. Soten vagina L. » ensis L. Solecurtus antiquatus Pult. " strigilatus L. » candidus Een. Corbula gibba Olivi. " striata Walcker. Neaera cuspidata 01. » costellata Desh. Gastrocìiaena dubia Penn. Saxicava sp. Clavagella cristata Lk. Pholas dactylus L. Tornatella tornatilis L. Cylicìina convoluta Br. Patto un raffronto fra Pelenco citato con quello dei fossili di Morrocu, risulta: 1° La fauna dei due lembi è quasi identica: in ognuno di essi si son determinate presso a poco le stesse specie. 2'’ La fauna fossile dei due lembi non contiene (almeno da quel che finora si sa) alcuna di quelle forme che si rinvengono spesso negli strati di Glallina e di Carrubare, quali, ad esempio, il Solen siliqua^ la Candita crassicosta, etc. ; le quali pure, ra- ramente, s’incontrano a Bovetto. 276 GIUSEPPE DE STEFA^O Allora si deduce facilmente che i due lembi di Kavagnese e di Morrocu, oltre ad essere sincroni, quasi certamente emersero entrambi dopo quello di Bovetto, e sono molto posteriori a quelli di Gallina e di Carrubare. V, Il genere Pinna. Dopo di aver parlato in tesi generale dell’alofauna fossile di Morrocu, non si può fare a meno di dir qualcosa sopra quel ge- nere di Lamellibrancbi, quali sono le Pinne, per l’abbondanza del quale si è proposto di chiamare le sabbie del nuovo lembo qua- ternario « Strato a Pinne ». Dalle ricerche paleontologiche fatte finora nella provincia di Reggio, le Pinne appaiono come uno dei generi di Lamelli- branchi molto rari. Di fatti le ricerche del Seguenza — che fu- ron certamente le più estese di quante sino ad oggi siano state fatte — ci dimostrano che nell’ Eocene non si rinviene alcuna traccia di Pinne. Nella formazione miocenica, il Piano Aquita- niano del Mayer, contiene rari resti. Essi si trovano nel lato orien- tale della provincia, però che secondo le osservazioni del Seguenza, tutte le specie indicate nell’elenco a tal piano riferentisi (^), e’ non portanti alcuna speciale indicazione, spettano al territorio di Stilo. Le specie determinate nel piano accennato, sono: P. infundibulum Seg. — Questa specie, creata dal Seguenza, misura 69 mm. di lunghezza per 70 di larghezza, e sembra ra- rissima. P. denudata Seg. — Specie rara, che il Seguenza dice, per la sua forma, rassomigliare ad un grande Mytilus, ed avere inoltre punti di contatto con la P. Brocchii D'Orb., per l’assoluta man- canza di costule. P. per nula Chemnitz = P. maravignae Philippi. Il Se- guenza rapporta a questa specie vivente « una pinna molto co- mune nelle roccie aquitaniane del territorio di Stilo ». Però con dubbio. P. tetragona Broc. — Rarissima, al punto che il Seguenza ne trovò un solo esemplare. (0 Op. cit., pag. 49. r GLI STRA.TI A PINNE DI MORROCU 277 Nella molasse del Piano Langhiano di Stilo, fra i fossili rac- colti in cattivissimo stato di conservazione, il Seguenza determinò la P. Brocchii (?) D’Orb., qualche rarissimo e dubbio frammento, e la P. pernula Lamarck; alcuni rari frammenti ben riconoscibili, che gli sembrarono non potersi disgiungere dalla specie vivente. Nelle rimanenti formazioni terziarie, da quanto a me risulta, il genere Pinna non fu fino ad oggi rinvenuto. Lo troviamo, invece, nel post-pliocene; e precisamente negli strati che affiorano a poca distanza da Reggio. Nella zona inferiore del piano Sahariano del Mayer (secondo la divisione del Seguenza), nei dintorni di Reggio, fu determinata la P. nobilis L., rarissima; e nella zona superiore, a Bovetto, la P. pernula Chemn., rara; ed a Ravagnese, dal Botti, la P. per- nula, rarissima, e la P. ietragona Br., rarissima. Anche il Mantovani (*) nel suo elenco dei fossili caratteri- stici di Carrubare mette la P. nobilis L. ; sicché è da ritenersi, per quanto le mie ricerche e quelle del Botti nulla abbiano trovato e la sopra detta località sia stata molto sfruttata, che la P. nobi- lis L., determinata dal Seguenza nei dintorni di Reggio, debba rap- portarsi alle Carrubare. Fin qui, quello che si sapeva dai lembi conosciuti. Ora, quello nuovo di Morrocu intanto ci fa noto che le Pinne contenute nelle sue sabbie sono in tale abbondanza da farci modifi- care il concetto di rarità che di esse si aveva, o che per lo meno, ebbe il Seguenza; e d’altro canto, ci presenta una specie di Pinna, che finora fu solamente determinata nella formazione miocenica, ritenendo alquanto dubbia quella del Botti per la località di Ravagnese. Di più : la P. tetragona Broc., che il Seguenza ed il Botti ri- tennero giustamente rarissima, non avendone trovato che un solo esemplare presso Guardavalle, il primo, ed un altro a Ravagnese, il secondo, a Morrocu è abbondante. Di questo lamellibranche ho raccolto una cesta di frammenti di varie dimensioni, che ho fatto vedere al Botti. Fra essi, molti sono indeterminabili, perchè frantumabili facil- mente nell’atto della loro estrazione, vuoi per la natura della con- chiglia, vuoi per la natura del terreno: i frammenti determinabili (') Nota cit. 278 GIUSEPPE DE STEFANO spettai! tutti alla specie messa in elenco ; si riconoscono facilmente pei seguenti caratteri ; forma piramidale a sezione romboidale. La loro grandezza è variabile; non si è potuto con precisione misu- rare alcun individuo, poiché nessuno si è potuto estrarre per in- tero: a priori, però, si calcola che qualcuno supera il mezzo me- tro di lunghezza. Ma quel che più importa notare è, che questa specie, estinta, si trova frequente in un lembo del post-pliocene più recente e vi- cino ad altri sincroni, che non contengono alcun resto di essa! La quistione del fenomeno si riduce forse a cause paleo-die- tologiche, e bisogna cercarla nella forma del luogo marino entro cui trovaronsi quei molluschi alla fine dell’ epoca post-pliocenica. VI. La formazione terrestre. Se si scorrono le memorie geologiche riguardanti 1’ estrema Calabria occidentale per ciò che trattano del post-pliocene di ori- gine terrestre, si nota in esse che nell’ anzidetta formazione finora non si era rinvenuta alcuna traccia di fauna fossile, e che solo negli strati superficiali si è potuto rinvenire qualche avanzo della primitiva industria umana. Così appare dalle opere del Seguenza, del De Stefani, del Fuchs, del Von Rath, del Cortese e di altri, che, per la tenuità del pre- sente lavoro, non si possono citare. Il Seguenza, opera citata, dopo averci parlato estesamente dell’ alluvione antica e dopo averci detto essere essa di origine ter- restre, esaminandola in quasi tutti i lembi nei quali essa affiora lungo il perimetro della provincia, così conclude: » A me non ha « offerto alcun residuo organico, verun resto della fauna fossile n contemporanea ». Il De Stefani, dopo averci assicurato che 1’ alluvione antica è di origine fluviale, così si esprime: « Entro Talluvione (op. citata « pag. 256) finora non si sono trovati fossili, e solo superficial- tf mente si trovano a volte traccie dell’ industria umana » . Dal suesposto appare evidente che, tra gli altri, i due illu- stri geologi credettero l’ alluvione antica d’ origine terrestre, solo per la natura chimica e 1’ aspetto fisico del suo terreno ; ma non GLI STRATI A PINNE DI MORKOCU 279 ebbero alcun dato paleontologico per Tiemeglio provare le loro as- serzioni. Eppure, tanto il Seguenza quanto il De Stefani, furono forse i due soli geologi che studiarono a lungo ed ebbero agio di os- servare particolarmente, in tutta la provincia, la formazione in discorso ! L’ opinione fin qui prevalsa, che, cioè, l’ alluvione antica di Reggio Gal. sia priva di fossili, deve essere modificata dopo il rinvenimento del lembo di Morrocu. La formazione terrestre allu- vionale di Reggio Cai., per quanto io mi sappia, d’ordinario è priva di fossili; ma qualche volta può contenere resti organici si- mili ai viventi, ed in tal quantità, da caratterizzare gli strati che li contengono. A Morrocu, gli strati alluvionali più bassi hanno una ricca fauna in Helix e qualche raro resto di Bulimus. È vero che finora delle prime, relativamente all’ abbondanza delle loro forme, non si determinarono che poche specie; ma esse sono già sufficienti per caratterizzare la località. Tali specie sono: Helix vermiculata MiilL, comunissima. » cunspurcata Drap., rara. » Urlata Drap. = fasciolata Poiret, rarissima. » variabilis Drap., rarissima. Di esse si può fare una grande raccolta in una sola escursione : la maggior parte degli individui si rinvengono ben conservati, e qualcuno conserva il colore naturale delle strie, allo stato vivente ; ma parecchi, sebbene pieni di sabbia alluvionale, sia per la fragi- lità della conchiglia, sia per la pressione esercitata dal terreno sopra di esse, nell’ estrarli, si frantumano facilmente, in special modo quando appartengono agli strati più interni ; e perciò spesso sono indeterminabili. A dire il vero, fino ad oggi io non ho trovato alcun altro lembo terrestre alluvionale fossilifero nei dintorni di Reggio ; ma il comm. Botti, in una passeggiata pel piano-terrazzo alluvionale di Condora, lungo la via che dal camposanto della città conduce al così detto Eremo, ricorda di aver trovato nell’ alluvione antica due forme di Helix ; ed il prof. Carbone-Grio mi assicurò di aver trovato qualche resto fossile di quei Gasteropodi terrestri sulle 280 GIUSEPPE DE STEFANO colline che fiancheggiano la strada rotabile da Reggio a Mosorrofa, un po’ al di sopra di San Sperato. Ma ciò merita conferma. Dal suesposto si deduce che, con reiterate ricerche, non sarà difficile rinvenire altri lembi fossiliferi terrestri come quello di Morrocu, nei dintorni di Reggio. Non credo però che essi possano essere molto sviluppati. Da quasi un anno osservo e studio la for- mazione terrestre che si estende da Scilla a Capo dell’ Armi, ma in essa non ho trovato esempio di fauna fossile, eccetto che a Mor- rocu. Nel nostro caso — da quanto a me risulta — la formazione, ha poca estensione e poca potenza : il suo spessore varia presso a poco da uno a due metri, nè, credo, oltrepassi tale potenza in alcun punto. Ma, per quanto piccolo il lembo fossilifero di Morrocu possa essere — insistendo ancora su quanto si è detto — è del più alto in- teresse per la geologia calabrese ; giacché, con la sua scoperta, non solo si rinvengono resti organici là dove finora non si erano mai trovati, ma grande utilità ne trae la Paleontologia e la Paleogeo- grafia, le quali vengono così ad arricchirsi di nuovi preziosi do- cumenti ! In base a questi nuovi documenti, i geologi hanno trovato, da una parte, i dati paleontologici per meglio definire 1’ alluvione antica di origine terrestre, e, dall’ altra, gli esseri che meglio pos- sono far dedurre le condizioni climatiche degli ultimi periodi del- r epoca pleistocenica calabrese. I LAGHI DI S. ANTONIO IN PROVINCIA DI SIENA Nota del dott. Pietro Del-Zanna. A nord del Monte Maggio, la cima più alta (671 m.) e più settentrionale della Montagnola senese, si stende l’altipiano di S. Antonio che forma lo spartiacque fra 1’ Elsa e la Staggia : esso presenta una depressione che incominciando sopra la strada Fon- tana-Belvedere si allunga per oltre 4 chilom. da nord-ovest a sud- est con una larghezza media di 1500 m., scendendo in direzione opposta a quella dei fiumi che fiancheggiano l' altipiano. A metà circa della maggior dimensione si trovano quattro grandi e pro- fonde cavità circolari, due delle quali sono tuttora riempite d’ acqua e costituiscono il Lago Scuro e il Lago Chiaro; una terza, l’Au- sciana, è ridotta ad un piccolo spazio ricoperto da folta vegeta- zione palustre e intersecato da gorelli artificiali che ne riuniscono gli scoli in un fosso emissario; l’ultima è già da qualche tempo prosciugata del tutto; rimane però evidentissima la conca dove si raccoglievano le acque dell’Auscello. Singolari tradizioni esistono intorno a questi laghi. Secondo una leggenda che si trova riportata in un libro di antiche cro- nache, conservato nella Pieve di Staggia, S. Ambrogio recandosi a Roma si fermò ad una locanda, presso la vecchia strada ma- remmana (‘), per passarvi la notte. Nella sera, mentre prendeva ristoro dalle fatiche del viaggio, s’ intrattenne a parlare familiar- mente col proprietario dell’ albergo, e questi discorrendo di sè disse, caso più unico che raro, di essere felice, senza desideri, e che nessuna disgrazia aveva mai turbata la sua serena contentezza. A tali parole il vescovo milanese ordinò a quelli che l’ accompagna- li Questa strada, ora ridotta quasi impraticabile, si staccava a Maltra- verso dalla Poggibonsi-Colle e per Fontana saliva sull’altipiano. 282 p. del-za?;na. vano di prepararsi a partire subito poiché un’ immensa sciagura minacciava quella casa. Infatti il sant’uomo col suo seguito si era di poco allontanato, che la casa sprofondò col terreno adiacente, e nella voragine si raccolsero le acque formando un lago. Altri autori riportano leggende alquanto diverse, e Leandro Alberti nella sua Descrittione di tutta Italia (^) scrive : B Presso r Abbadia, onorevole contrada posta traili termini di Fiorenza e di Siena, sono dui laghi l’ uno dall’ altro discosto al tirare d’ una saetta. In uno di quelli vedesi 1’ acqua chiara ma non se ritrova fondo (come dicono gli habitatori del paese), nel- l’altro (alquanto più picciolo), appare l’acqua tanto nera che pare da reguagliare all’ inchiostro, al cui fondo non si può attingere (^). E questa acqua è totalmente di natura contraria all’ altre acque, imperoche essendogli gelato dentro il legno incontinente scende al profondo, e più non si vede. Et quivi pesce non si ritrova. Ella è Volgata fama appresso gli habitatori del paese che passando quindi S. Gerbone Vescovo di Massa e quivi fermandosi a riposare (ove è il primo lago) ove era una taverna, e intendendo la vitiosa vita dell’ hosto, che teneva, e sforzandosi di ridiudo a penitenza de suoi peccati, e giudicando di non poterlo convertirlo, partendosi la ma- tina seguente li prononciasse, che in breve lui insieme colla ta- verna profondarebbe nell’abisso, et che partito il santo Vescovo incontinente aprendosi la terra fosse inghiottito coll’ edificio e che poi vi remanesse detto lago. Dell’ altro lago dicono, che habitando in questo luogo un scolorato sodomita e essendo vivuto in tanta sceleragine alquanto tempo, non lo volendo più soportare Iddio, fece aprire la terra, e lo fece profondare con tutta la fameglia, rimanendovi questo lago pieno d’ acqua negrissima, e di contraria natura dell’ altra acqua, quanto era la sua habitatione » . Anche oggi i contadini del vicinato parlano di boati e di rumori sotterranei che si sentirebbero da un pozzo prossimo al lago più grande, e vige in alcuni lo strano pregiudizio che verso (L Bologna 1550. Tedi anche Cosmografia e Geografia di Paolo Me- rula, 1605. (2) Tradizioni di laghi senza fondo si riscontrano di frequente e in sin- goiar modo nelle montagne, dove la popolazione ha una maggiore tendenza all’orrido e al fantastico. (V. Carlo De-Stefani, / laghi dell' Appennino set- tentrionale. Torino, 1884). I LAGHI DI S. AKTOMO IN PROVINCIA DI SIENA 283 il centro dello specchio acqueo esista un vortice, un mulinello, che renderebbe molto pericoloso 1’ accostarvisi ('). Invece l’acqua è evidentemente tranquilla; pesci si trovano in entrambi i laghi; ed il più piccolo ha in certe ore una colo- razione più cupa deir ordinario solo perchè esso trovasi circondato e quasi chiuso dal bosco. Quanto alla profondità, per il lago più grande la si riteneva finora di 96 braccia fiorentine, pari a m. 55,68, e molti affermano che tale era stata riconosciuta 20 o 30 anni fa.; per il più pic- colo non si era mai misurata : si supponeva però da tutti che fosse straordinaria. Il 22 luglio u. s., avendo a mia disposizione una barca (2), io potei con numerosi scandagli determinarla esat- tamente in tutti e due i laghi e dimostrare esagerati i concetti che si avevano in proposito. Nello Scuro toccai il più alto fondo a m. 7 i, e a 14 nel Chiaro, dove poco diverse potevano essere le condizioni batometriche qualche diecina d’ anni addietro, perchè r interramento è lentissimo come meglio spiegherò in seguito. Del resto anche ridotta a queste più modeste proporzioni, la profondità rimane considerevole in rapporto alla superficie degli specchi acquei: tale da giustificare per essi il nome alquanto pomposo di laghi, e fare escludere che si tratti di bacini palustri, come viene pure confermato dalla ripidità delle gronde, fortissima specialmente nel Chiaro dove a soli 1 o 2 metri dalla riva si ha già un’ altezza d’ acqua notevole. Il fondo di questo è in gran parte pianeggiante colle maggiori depressioni al centro e a sud; a nord-est si ha un dolce pendio corrispondentemente al luogo dove in passato metteva un rigagnolo il quale solo nelle grandi pioggie portava poca acqua e poca terra: rigagnolo che fu in se- guito rivolto all’Ausciana. Lo Scuro ha un fondo regolarmente in- clinato verso il centro con una leggera depressione nella parte settentrionale. Per quello che riguarda i rumori sotterranei cui accennavo più sopra, pure ammettendo esagerati i racconti della gente del (1) Anche questo pregiudizio trovasi in altri luoghi, e lo Spallanzani, p. es., lo cita a proposito del laghetto Calamene sul monte Ventasse. Nuova raccolta di opuscoli scientifici e filologici. Tomo IX, Venezia, Occhi, 1762. (2) Favoritami gentilmente dal sig. Alberto Maccari di Siena. 284 P. DEL ZAN>‘A luogo, può darsi che abbiano una base di verità : infatti questi laghi, come accennano anche le leggende surriferite, debbono ri- tenersi originati da sprofondamenti i quali si produssero nel tra- vertino puiverulento e nel tufo calcarizzato, di cui si costituisce tutta la zona adiacente, per il franare di volte e cavità sotter- ranee. Un simile processo continua forse tuttora, e le acque del lago Chiaro infiltrandosi e corrodendo ai lati possono determinare dei movimenti o lenti o subitanei nel suolo : così la chiesa di S. Antonio al Bosco, situata in immediata vicinanza del detto lago, aveva sofferto enormemente per molteplici e larghi crepacci apertisi nelle sue pareti, e siccome in ultimo minacciava rovina, fu abbattuta e ricostruita nel 1898 un po’ più lontano. Ugual sorte toccherà forse in seguito all’ antico chiostro e alle case vi- cino ad esso aggruppate. Il Lotti (*) e lo Spataro (-) dànno un diametro di 20 m. al lago Scuro e di 60 m. al Chiaro per lo specchio acqueo; alle due cavità crateriformi poi attribuiscono un’uguale larghezza di oltre 100 m. Invece da misurazioni che insieme all’ ing. Pampaloui io presi con mezzi diretti e col sistema delle tangenti, risultò che il lao-o Scuro ha forma ovale col diametro massimo di 80 m. e il minimo di 65; l’altro è quasi circolare con diametri che oscil- lano fra i 110 e i 120 m. Calcolando sulla larghezza media di 115 m. si avrebbe per questo un perimetro approssimativo di 361 m. e una superfìcie di 10350 m.q. ; per il primo le misure sarebbero rispettivamente di 227 m. e 4082 m. q. Tali cifre da me determinate in febbraio (1899), non subi- scono grandi variazioni fra i periodi di magra e di piena poiché, dato il ripido pendio delle sponde, abbassandosi o inalzandosi di livello le acque si ritirano e si espandono poco in senso orizzon- tale, come io stesso potei verificare in altre gite fatte ai laghi in epoche e stagioni diverse. Riguardo poi alle cavità di depressione, quella dello Scuro è regolarissima e supera in media di Ve i diametri presi al pelo dell’acqua, sopraelevandosi coi suoi orli su questa di 5-6 m. Il (■) B. Lotti, Nuove osservazioni sulla geologia della Montagnola se- nese. Boll, del Com. Geol. 1888. (2) Ing. D. Spataro, Igiene delle abitazioni. Milano, 1891. I LAGHI DI S. ANTONIO IN PROVINCIA DI SIENA 285 Chiaro invece presenta bensì a sud una costa imbutifoione, ma è svasato dalla parte opposta e non si posson quindi determinare le dimensioni del cratere. Anche le misure rilevate dalle carte al 50 e 25 mila dell’Istituto geografico militare non sono esatte, e da esse neppure risulta evidente la varia estensione dei due specchi d’acqua. La loro altimetria si può giudicare da dette carte di circa 226 m. sul mare; non è però uguale per entrambi, e l’ing. Pampaioni con livellazioni appositamente eseguite riconobbe che il lago Chiaro ha la superficie 3,40 m. più bassa dello Scuro: resta quindi esclusa l’ esistenza di una comunicazione sotterranea diretta, pur rimanendo possibile l’infiltramento di acque che dall’ ultimo si muovano verso l’altro. È cosa molto singolare che le quattro depressioni lacustri siano disposte con una certa simmetria: infatti il Chiaro e 1’ Au- sciana misurati dai loro centri distano di circa 230 m., il lago Scuro di 450 dal primo e 1’ Auscello di altrettanto dal secondo. Inoltre esse si trovano sopra una medesima linea leggermente curva colla convessità rivolta a valle, e ciò indurebbe a ritenere che la loro origine sia dovuta ad una sola frattura piuttosto che a spro- fondamenti parziali; ma d’altra parte questa linea costituisce un rilievo attraverso 1’ avvallamento di tutto l’altipiano, e i crateri si sollevano sulla campagna circostante di cui non possono in con- seguenza raccogliere le acque superficiali: ed invero, il bacino imbrifero dello Scuro si riduce alla semplice cavità lacuale, e il Chiaro ne ha uno asciutto di poco superiore alla sua grandezza: alquanto più vasti sono quelli dell’ Ausciana e dell’ Auscello, ma sempre poco ampi e per giunta costituiti per intero di terreno per- meabilissimo. Tutte le acque del soprasuolo nell’altipiano vengono riunite dal fosso del Castelluccio che passa fra i due laghi tut- tora esistenti e nel quale più in basso entrano gli scoli degli al- tri due colmati. Mancando ogni osservazione pluviometrica e idrometrica (■) come pure ogni criterio sicuro sopra l’intensità dell’evaporazione, (^) Per cura della Società italiana di Meteorologia di Moncalieri, si erano ini- ziate nel novembre 1892 regolari osservazioni pluviometriche a Colle, Casole e al Petraio, oltreché alla vicina Siena e ad Empoli, per modo che avremmo 286 P. DEL-ZANNA resta impossibile lo stabilire se le precipitazioni atmosferiche siano sufficienti ad alimentare i laghi o se alla loro esistenza contribui- scano sorgenti e infiltrazioni subalvee. In addietro si davano, per l’evaporazione delle acque chiuse, cifre altissime in confronto delle pioggie ; il Brisse, p. es. , da 20 anni di osservazioni giunse ad ammettere per il lago Fucino una evaporazione annua di 1850 mm. con una pioggia media di 763 mm. (^) e molti altri presero a base delle loro ricerche questi dati che acquistavano valore per il lungo periodo di esperienze ; ma pur non considerando le speciali condizioni di altitudine ecc. in cui si trovava il Fucino, si è riconosciuto più tardi che negli evaporimetri sono molteplici le cause d’errore (come la piccola superfìcie e il riscaldamento di tutta la massa liquida), qualora se ne vogliano applicare i risultati a ciò che avviene in un ba- cino dove solo gli strati superiori delle acque sono direttamente influenzati dalla temperatura esterna. Oggi infatti che tali studi vengono compiuti con metodi più razionali e positivi, non si am- mettono sproporzioni tanto forti, ed il Perrone (^), fra gli altri, con calcoli assai esatti, stabilisce per il Trasimeno un’evaporazione di 1300 mm. con 937 di pioggia. Pei laghi più piccoli e profondi la differenza s’attenua Ano ad invertirsi, ed in quelli di Nemi, di Albano e Vico si avrebbe un’ evaporazione minore della pioggia cadutavi, almeno secondo le cifre del detto autore. A conclusioni analoghe giunse l’ingegnere Luini nel suo studio sul lago di Brac- ciano (^). Ora è evidente che nei nostri laghi, assai profondi e incas- sati, si hanno condizioni piuttosto sfavorevoli all’ evaporazione, e potuto in seguito conoscere la media delle pioggie in tutta la Val d’Elsa; ma la morte improvvisa dell’ illustre P. Denza, anima e mente direttiva di quel sodalizio scientifico, avvenuta pochi mesi dopo, produsse lo scioglimento della società la quale poi è vissuta nominalmente fino agli ultimi giorni in cui accenna a risorgere, ma forse non con un programma così vasto come l’antico. (1) A. Brisse e L. De Eotron, Il frosciugamento del lago Fucino. Roma 1876. (2) Carta idrografica d'Italia - Tevere. Pubblicazione del Ministero di A. I. e C. Roma, 1898. (3) Vedi tale studio nel medesimo volume. I LAGHI DI S. ANTONIO IN PROVINCIA DI SIENA 287 quindi può darsi che le pioggie siano sufficienti a compensare tale perdita e anche la non trascurabile quantità che ne vien tolta per usi agricoli ; peraltro tutti i pratici del luogo affermano che le variazioni nel livello dei laghi non sono in rapporto diretto colle pioggie, e la grande permeabilità del suolo nell’altipiano rende probabile il rifornimento di acqua a tali bacini per infiltrazione. Anzi il fatto che nel lago Chiaro trovasi una ristretta zona dove la temperatura è molto diversa da quella dei punti prossimi, in- duce a supporre quivi 1’ esistenza di una vena d’ acqua piuttosto voluminosa. Delle varie sorgenti che sgorgano tutto intorno all’altipiano, le più notevoli sono : quelle ad ovest che presso S, Giorgio ven- gono raccolte nell’ acquedotto di Colle bassa ; le altre di Fontana, usate presso Staggia, con una portata media di 3 litri al 1" (i); ed in ultimo si hanno le polle assai abbondanti che escono lungo il fosso del Castelluccio presso il Palazzo alle Frigge, quasi all’estremo limite inferiore della depressione generale. Nella « Relazione tecnica sui progetti di conduttura d’ acqua potabile a Siena » (2) queste sorgenti vengono indicate come acque del lago di S. Antonio perchè ritenute come costituenti 1’ emissario sotterraneo del lago stesso. L’ ing. Ciani (^) ne misurò la portata al Molino Bianco (Castiglioncello), eh’ esse alimentano prima di gettarsi nella Staggia, mediante lo stramazzo che serve da sfio- ratore alla gora. È vero che a Castiglioncello giungono anche le acque del fosso del Castelluccio, del fosso dell’ Abbadia e del borro di Castagneto, ma queste si riducono a nulla nei periodi di sic- cità, e poiché la misura del Ciani è data come minima (13 litri al 1"), possiamo ritenere che intorno a tale cifra oscilli la portata delle sorgenti del Palazzo alle Frigge. Da tutto quanto precede sarebbe lecito argomentare che una parte delle acque infiltrate nella zona superiore ai laghi giunga ad essi e specialmente al Chiaro situato nella posizione più cen- trale e più bassa del bacino, e che questa lenta corrente sotter- (') Determinazione dell’ ing. Pampaioni. (^) Relatori ; Ettore Paladini, Giacinto Turazza e Giovanni Cuppari. {^) V. la Relazione suddetta. 288 P. DEL-ZA.NNA, I LAGHI DI S. ANTONIO IN PROV. DI SIENA ranea continui nella zona inferiore sino a restringersi e sgorgare presso le Frigge. Di ciò fanno fede il pozzo già ricordato di S. An- tonio e quello della Casa Nuova in cui il livello dell' acqua varia insieme colle oscillazioni della superficie lacuale. E certo, il tufo calcareo permeabile deve avere un notevole spessore senza inter- posizione di marne o argille, perchè queste, p. es., si vedono af- fiorare solo molto in basso lungo il botro del Castagneto, e nella necropoli etrusca del Casone, che si trova nella parte più orientale dell’ altipiano ad una quota altimetrica uguale press a poco a quella dei laghi, si scoprirono due pozzi, uno profondo 16 m. e l’altro 21, tutti scavati nella sabbia gialla, e dove per conseguenza non si trova neppure una stilla d’ acqua (^). Appendice — A sud-est dell’ altipiano di S. Antonio trovasi un’ importante formazione quaternaria. Il nome stesso dell’ Abbadia che più propriamente si chiama « Badia all’ Isola n o « dell Isola ^ , indica come questo vecchio convento-castello si trovasse circondato da campagne palustri che poi furono colmate in parte per opera delle acque selvaggie scorrenti dalla montagna, e bonificate per successive escavaziòni e regolarizzazioni del fosso emissario del padule di Canneto; il qual fosso rimane anche oggi ed immette nella Staggia. Poggibonsi, 26 luglio 1889. (b Oltre all’ ing. Giov. Pampaioni che mi coadiuvò validamente nelle mie ricerche e al sig. Alberto Maccari già ricordato, debbo pure ringraziare i sigg. fratelli Vanni, Giuseppe Delle Case e Carlo Bonelli-^ anni, i i^uali tutti contribuirono in vario modo a facilitarmi lo studio di questi luoghi. SOPEA ALCUNI FOSSILI DELLO SCHLIER DEL MONTE CEDRONE (UMBRIA) Nota del Socio R. Ugolini. Riordinandosi nel Museo geologico dell'Università di Pisa le collezioni di fossili deH'Appennino Centrale, rinvenni una piccola raccolta prevalentemente costituita di pettini ed echini, caratteri- stici tutti del Miocene medio e provenienti dal Monte Cedrone, in prossimità di Città di Castello nell’ Umbria. Già dal 1898 aveva l’ing. Lotti (•) affermato, non so poi con quanto criterio paleontologico e solo basandosi su dati puramente stratigrafìci, che la formazione marnoso-arenacea con Pteropodi e Pettini, assai estesamente sviluppata nel Monte Cedrone, ed in qualche luogo sottoposta alle argille scagliose con ofioliti dell’ Eo- cene superiore ed agli strati con Orbitoidi e Nummuliti dello stesso periodo, doveva con certezza venire riportata all’ epoca eoce- nica; ma, per quanto non poco mi avesse sorpreso la presenza di fossili indubbiamente miocenici in terreni che il Lotti aveva stu- diati e con la massima sicurezza riferiti all’ Eocene, tuttavia, dopo uno studio accurato e minuzioso dei pettini e dei pochi echini avuti in esame, dovetti mio malgrado persuadermi che quei fossili piuttostochè all’ Eocene dovevano appartenere ad altra epoca a quella posteriore e coincidere perfettamente con la fauna dello Schlier Appenninico. Fu allora che mi ricordai di quanto il Verri (2), già dal 1878, e, ^ dopo di lui, il De Stefani (3) ed il De Angelis ('‘) avevano rife- (') B. Lotti, Studi sull' Eocene dell' Appennino toscano. Boll. R. Coni, geol. it,, XXIX. Roma, 1898. (^) A. Verri, Avvenimenti nell'interno del bacino del Tevere antico. Atti Soc. Se. nat. di Milano, XXI. Milano, 1878. (■'*) C. De Stefani, Il Tortoniano nell' Alta valle del Tevere. Atti Soc. tose. Se. nat. Proc. verb., II. Pisa, 1880. {*) A. Verri e G. De Angelis D’ Ossat, Contributo allo studio del Mio- cene nell' Umbria. Atti R. Acc. Line. Rend. Ser. 5% voi. Vili. Roma, 1899. 19 R. UGOLIM 290 rito intorno alla geologia dell’ Umbria settentrionale ; e, desiderando ancb’ io di portare il mio debole contributo, ora che l’occasione mi favoriva, alla conoscenza della geologia umbra, a complemento di quanto già fecero i su ricordati autori, volli pubblicare questa Nota, nella speranza che 1’ esatta determinazione dei fossili in essa descritti potesse l'ecare a maggior convincimento di tutti 1 esistenza ormai indiscutibile di strati miocenici nella costituzione geologica del Monte Cedrone. Fu il Foresti (') quegli che per la prima volta riconobbe specie decisamente mioceniche in rrn frammento di roccia marina del Monte Cedrone, da lui stesso ascritto alla formazione lignitifera; e dopo il Foresti, e nel medesinro anno, fu dal De Stefani (-) rico- noscirrto che altre specie della collezione Beliucci, raccolte nei din- torni del monte suddetto, dovevano riferirsi al Miocene, ma più precisamente al Tortoniano, pirrttostocbè al Sarmatiano, come aveva creduto il Foresti. Soltanto di recente avendo l’ ing. Lotti osservato, durante il rilievo della carta geologica dell’ Umbria, che in più Irroghi, ma particolarmente fra Monterchi e Città di Castello, sotto monte Cedrone, e più in là nella Val di Sieve, la formazione mar- noso-arenacea con pteropodi e pettini scompariva sotto le argille scagliose con otroliti e sotto le arenarie con Orbitoidi e Nummrr- liti, ne concluse che la suddetta formazione dovesse, come le sovra- stanti, ritenersi indubbiamente eocenica. Ma r inesattezza di rrna tale conclusione, non ancor bene defi- nita da principio, apparve in segrrito ancor più luminosa dacché gli strrdì recenti del Verri e del De Angelis ('*) hanno dimostrato con sempre più evidente sicurezza che i fossili rinvenrrti e la roccia sedimentaria che li racchiude appartengono indiscutibilmente a qrrella zona del miocene che corrisponde allo Schlier. È chiaro infatti che se la formazione marnoso-arenacea è real- mente, come testifica anche lo stesso ing. Lotti, in qualche luogo sottoposta agli strati con orhitoidi e nummuliti ed alle argille scagliose, è pur vero che essa non solo si presenta con gli stessi caratteri litologici tipicamente miocenici della roccia sovrapposta a (') L. Foresti in Verri, op. cit. (2) C. De Stefani, op. cit. (3) B. Lotti, op. cit. (■*) A. Verri e 6. De Angelis d’ Ossat, op. cit. SOPRA ALCUNI FOSSILI DELLO SCHLIER, ECC. ‘291 quegli strati, ma, come in quella, anche in questa cercherebbesi invano la minima traccia di nummuliti, a vie meglio dimostrare r inesattezza di quanto il Lotti aveva detto in proposito. Ciò condusse il Verri (') a ritenere, ed altri successivamente a confermarlo, che il fatto del trovarsi inclusi tra formazioni deci- samente mioceniche strati di ben provata eocenicità, non potesse spiegarsi meglio che con l’ ammettere un rovesciamento degli strati già sovrapposti a quelli con nummuliti. E per quanto dicano il chiamo ing. Lotti, e con lui il prof. Bonarelli (-), nulla io credo valga meglio degli stessi fossili a comprovare la verità di quanto il Verri e il De Angelis hanno giustamente sostenuto ed io stesso sono condotto a confermare. La modesta collezione di fossili in esame si compone delle seguenti specie: Cenefora cfr. globularis Bronn. Comclypus plagiosomm Agassiz. Echinolampas angulatus Merian. Echinantus camerinensis P. de Loriol. Chlamys {Aequipecten) scabreUa Lamarck. ” {Macrochlamys) latissima Brocchi. » » Tournali Marcel de Serres. Pecten {FLabellifecten) Besseri Andrzejoscki. » Bendanti Basterot, var. rarilamellosa Ugolini. e fu acquistata dal chmo prof. Mario Canavari che tanto gentil- mente volle favorirmela in istudio. Essa fu inviata, sino dal 1893, a questo Museo geologico di Pisa, dal sig. prof. Giuseppe Raschi di Spello (Umbria) e fu da lui stesso raccolta al Monte Cedrone. È adunque solo per render conto dell’ esatta loro determinazione e quindi anche dell’ età a cui esse realmente appartengono, che ho voluto riportare qui sotto 1’ elenco ragionato e descrittivo di quelle specie. (’) A. Verri, Ceani sulle formazioni dell' Umbria settentrionale. Boll Soc. geol. it., XVI. Roma, 1897. (*) G. Bonarelli in C. P. Parona, Nozioni di Geologia dinamica storica e agraria. Torino, 1898. 292 R. UGOLINI ECHINODEEMATA Classe. Echinoidea Seeigel, Igelstrahler. Ordine. Irregulares Desor. Famiglia. CONOCLIPEIDAE Zittel. Genere. Conoel^piis Agassiz. ConocLypus 'plagiosomus Agass. 1858. Conoclypus Lucae Desor. Synopsis des Echmides fossiles, iràg.‘ó22. „ plagiosomus Laube (cum syn.). Die Echinoiden der Oesterreichisch-Ungarischen oberen Tertiaerablage- rungen. Heransgegeben voti der k. k. geolog. Reichs- anstalt. Bd. Y, pag. 67, tav. XIX, fig. 3. 1880. Conoclypeus plagiosomus Manzoni. Echinodermi fossili della me- lassa serpentinosa e supplemento agli echinodermi dello Schlier delle colline di Bologna. Besond. Ab- gedr. aus dem Bd. XLII der denksch. der Malli. Nat. Classe der kaiserlichen der ■\Yiessenschaften, pag. 5, tav. II, fìg. 23. È una delie pochissime specie di questo genere che si trovano nei o-iacimenti miocenici e si riconosce facilmente perla forma carat- teristica e per le sue notevoli dimensioni. La citarono il Laube per i terreni terziari superiori dell’ Austria-Ungheria, ed il Manzoni per la melassa serpentinosa miocenica delle colline di Bologna. Le ascrivo un solo esemplare, ma bellissimo, e conservato perfettamente in tutte le sue parti ; mancano le tracce dell’ apertura perisloma- tica nascosta completamente della roccia ; ed appena appena si scorge una piccola porzione del periprocto ; il massimo diametro di base non supera la lunghezza di cm. 13 e l’altezza equivale a cm. 7.5 circa. Echinolampas angulatus Mer. 1882. Echinolampas angulatus P. de Loriol. (com. syn.). Description des Échinides des environs de Camerino. Genève, pag. 13, PI. II e III, fig. 1 e 2. Di questa specie cosi largamente diffusa in quasi tutti i depo- siti miocenici ad echinodermi, posseggo un solo esemplare, ma è SUPRA. ALCUKl FOSSILI DELLO SCHLIER, ECO. 291- cosi bene conservato da non lasciare però alcun dubbio sulla sua determinazione. Echinanthus Camerinensis P. de Lor. 1882. Echinanthus Camerinensis P. De Loriol. Description des Ecìii- nides des environs de Camerino. Genève, pag. 20, PI. I, fig. 9. Dalla più volte ricordata formazione marnoso-arenacea del Monte Cedrone proviene anche un piccolo esemplare di echinide che, per la mancanza di una buona porzione della superficie inferiore, e quindi del peristoma e del periprocto, non mi fu possibile da principio stabilire se avesse dovuto riunirsi alle forme del gen. Echinanthus 0 più propriamente a quelli del gen. Pygorhynchus ; ma dopo averlo studiato con maggior cura e dopo essermi persuaso che alcuni dei caratteri propri a quest’ ultimo mancavano al mio esemplare, ho dovuto concluderne che con maggior sicurezza andava ascritto ad una delle specie del gen. Echinanthus e più precisamente alla specie Camerinensis raccolta del Canavari nella melassa miocenica di Camerino e descritta e figurata dal De Loriol, nella memoria già citata in sinonimia. MOLLUSCOIDEA Classe. Bryozoa Moosthierchen. — Ordine. Chbilostomata Busk. Famiglia. CELLEPORIDAE Busk. Genere. Cellej>oi*£i Fabricius. Cellepora cfr. globularis Broun. 1877. Celleporar i a glohularis Manzoni. I Briozoi fossili del Miocene d'Austria Ungheria; II. Besond. Ahgedr. aus dem Bd. XXXVII dei- denksch. der Meth. Nat. Classe der kaiserlichen d. Wiessenschaften, pag. 3, tav. Ili, fig. 2. Nella fede del Canavari che le determinò in schedis credo dover riferire a questa specie due porzioni di una colonia di briozoi che si assomigliano notevolmente alla Celleporaria glohularis figu- rata assai bene dal Manzoni. 294 R. UGOLINI È specie miocenica e trovasi comunissima in diversi giaci- menti a briozoi di quell’ epoca. MOLLUSCA Classe. Lamellibranchi.vta Muscheln. Ordine. Anysomyaria Neumayr. Famiglia. PECTINIDAE Lamarck. Genere. Chlanciys Bolten. Chlamys {Aeqai])ecten) scabrella Lmk. 1899. Chlamys (Aequipecten) scabrella Ugolini. Sopra alcuni Pettinidi delle Arenarie mioceniche del circondario di Rossano in Calabria. Atti Soc. tose. Se. nat. XVII, pag, 106. Pisa. 1899. n >1 Ugolini. Monografia dei Pettinidi miocenici del- V Italia Centrale. Boll. Soc. Mal. it., XX, pag. 7, Pisa. Gli esemplari di questa specie di Pecten, come quelli delle specie susseguenti, furon già descritti nella mia Monografia dei Pettinidi miocenici dell’ Italia Centrale ed a quella rimando per mao'o’iori schiarimenti, riserbandomi solo di fare qualche breve osservazione ove ne sia il caso. È specie diffusissima al Monte Cedrone, come lo è in gene- rale in quasi tutte le nostre formazioni mioceniche e ne ho sot- f occhio 16 esemplari, di tutte le dimensioni ed in ottimo stato di conservazione. Chlamys {Macro chlamys) latissima Brocc. 1899. Chlamys (M a c r o c h 1 a ra y s) latissima Ugolini. Monografia dei Pettinidi miocenici dell' Italia Centrale. Boll. Soc. Mal. ita!., XX, pag. 8. Pisa. Appartengono a questa bella specie un esemplare di valva si- nistra, di dimensioni assai sviluppate, e facilmente riconoscibile per la presenza caratteristica dei grossi nodi da cui sono tornite le coste. Riferisco pure alla specie di Brocchi due piccole valve destre SOPRA ALCUNI FOSSILI DELLO SCHLIER, ECO. 295 che presentano qualche somiglianza con quelle del Pecten Holgeri Michtt., ma che debbono più propriamente riunirsi con la Ch. la- tissima. Cìilamys {Macrochlamys) Tournali M. de Serr. 1899. C h 1 a ITI y s (Macrochlamys) Tournali Ugolini. Monografia dei Pettinai miocenici dell' Italia Centrale. Boll. Soc. Mal. ital., XX, pag. 8. Pisa. È questa una delle poche specie che nè il Foresti, nè il De Angelis rinvennero negli strati del Monte Cedrone. Le attribuisco due esemplari di valva sinistra di differenti dimensioni e sulla cui esatta determinazione non può nascere alcun dubbio sia per l’aspetto generale di ciascuna valva, sia per la conformazione delle coste, sia infine per la caratteristica depressione dell’apice umbonale. Sembra piuttosto diffusa nella formazione miocenica del Monte Ce- drone, come lo è pure in quasi tutti i nostri giacimenti di quel- r epoca. Pecten {Flabellipecten) Besseri Andrzw. 1899. Pecten Besseri Ugolini. Sopra alcuni Pettini delle arenarie mio- ceniche del circondario di Rossano in Calabria. Atti Soc. tose. Se. nat., XVffI, pag. 109. Pisa. 1899. (Flabellipecten) Besseri Ugolini. Monografia dei Pettini mio- cenici dell' Italia Centrale. Boll. Soc. Mal. ital., XX, pag. 14. Pisa. Vanno riferiti al P. Besseri due esemplari, uno conservato con ambedue le valve, ma privo delle orecchiette, l’ altro rappresentato dalla sola valva destra ma in migliore stato di conservazione. Am- bedue corrispondono poi perfettamente con la specie tipica caratte- ristica dei terreni terziari superiori e sopratutto del Miocene medio. Pecten Bendanti Bast. var. rarilamellosa Ugol. 1899 Pecten Bendanti Bast. var. rarilamellosa Ugolini. Mono- grafia dei Petlinidi miocenici dell' Italia Centrale. Boll. Soc. Mal. ital., XX, pag. 15. Pisa. Su questo esemplare di valva sinistra, conservato assai bene, istituii una varietà nuova del P. Bendanti, in cui le strie trasver- - 296 R. UGOLINI, SOPRA ALCU>'I FOSSILI DELLO SCHLIER, KCC. sali concentriche sono assai più lontane l’ una dall' altra di quello che non si riscontri nella specie tipica, ed inoltre assai più solle- vate a guisa di lamelle. Come chiaramente si può vedere, alcune di queste poche specie sono affatto nuove per questi strati, giacché ove se ne tolgano 1’ Echi- ìiolampas angulatus fra gli echinidi, e fra i pettinidi : la Ch. sca- brella, la Ch. latissima, ed il P. Besseri; tutti gli altri non erano stati ancora riconosciuti da alcuno. Oltredichè mi sembra d altra parte anche evidentemente dimostrato che non abbia più ragione d' essere ormai qualunque dubbio sulla presenza del Miocene medio al Monte Cedrone. R. Istituto deir Università di Pisa, agosto 1899. DI ALCUNI SCOSCENDIMENTI NEL VICENTINO Nota del prof. T. Taramelli. Ogni geologo, 'il quale abbia tentato di rilevare sopra una carta topografica in scala sufficiente alcun tratto di paese collinesco 0 montuoso, si sarà certamente accorto come sia spesso difficile il delimitare le aree dove debbasi segnare la roccia in posto, sotto al suolo vegetale, con relativo ammanto di vegetazione spontanea 0 coltivata, distinguendole dalle altre aree da segnarsi invece colle tinte 0 coi tratteggi delle morene, del detrito di falda, degli sco- scendimenti e dei conoidi terrazzati', distinzioni sempre importanti e che, per così dire, garantiscono della esattezza del rilievo. Non è soltanto questione di percorrenza; ma conviene mettere in pra- tica quel criterio, che è affinato dal lungo esercizio sul terreno e che insegna sino a qual punto il dettaglio possa e debba essere graficamente rappresentato. Si tratta di una infinità di particolari, che poi conviene coordinare cronologicamente, per tesserne quella parte di geologia, che si potrebbe chiamare continentale e che pur troppo non è sempre abbastanza considerata. Ho notato con vivo compiacimento come il nostro Ufiìcio geo- logico, in particolare in questi ultimi anni, abbia esattamente praticate queste distinzioni nel cospicuo materiale, in massima parte inedito, di cui esso va arricchendo la geologia italiana ; e lo studio dei terreni alluvionali e morenici dell’ alta Italia, di cui si occupa in particolare l’ ingegnere geologo A. Stella, è stata una buona occasione per coordinare riguardo a questa regione tale serie di osservazioni, con maggior profitto di quanto possa trarsi da carte d’insieme che in una sola tinta spesso confondono cose che già si erano in precedenti pubblicazioni accuratamente distinte. E noto come queste distinzioni richieggauo tempo e fatica ; ma hi- 298 T. TARAMELU sogna pur convenire che sono necessarie ed importanti. Epperò io mi sono sempre ingegnato, nella ristrettissima cerchia delle mie forze, di richiamare l’attenzione dei colleghi su questi fenomeni geologicamente recenti dovunque mi venne fatto di osservarli, acciò non ne sia tralasciata la rappresentazione quella volta che si potrà finalmente compire il tanto vagheggiato rilievo della carta geologica italiana. Lavoro colossale, che ad alcuni può pa- rere la tela di Penelope, ma che in realtà è una delle più nobili e più difficili imprese, che possa proporsi il nostro paese nel campo scientifico e la base necessaria per la conoscenza del suolo agrario. Quanto agli scoscendimenti, dei quali mi limito a trattare in queste poche pagine, non occorrerà che io dimostri l’ importanza del loro esatto rilievo. È troppo noto che la massima parte delle frane e dei movimenti di terreno in sfacelo che vanno funestando questo nostro suolo in tanti siti, sono parziali rimaneggiamenti di grandi masse, scoscese in tempi preistorici; tantoché si rimane assai spesso sorpresi al vedere come le popolazioni non abbiano preve- nuto così gravi disgrazie con più prudente distribuzione degli abitati. Egli è che si tratta spesso di terreni feraci, al pari dei terreni esposti all’ esplosioni ed alle correnti di lava dei vulcani ; oltre che conviene altresì considerare che, se 1’ umanità fosse stata troppo guardinga nell’ evitare tutti i pericoli che gli elementi congiurano a preparare contro di essa, sarebbe avvenuto qualcosa di simile a quanto seguirebbe ad una vasta applicazione delle idee di Malthus ed a quanto accadrebbe ad una persona troppo occupata della propria salute. D’altra parte devesi convenire che sarà molto utile il co- noscere queste aree, che su antichi scoscendimenti sono predisposte a presentarne di nuovi, per mettere in pratica quei mezzi, che la scienza suggerisce allo scopo di prevenire e di limitare simili di- sastri, sia con opportuni imboschimenti, sia con accurate deviazioni di acque, sia con drenaggi e difese saggiamente ideate. In un breve scritto del 1881, mi sono occupato di alcuni scoscendimenti nelle Alpi meridionali, accettando, per quei casi in cui mi parve applicabile, l’opinione enunciata dall’egregio si- gnor Ispettore L. Mazzuoli a proposito delle note frane del Peron. allo sbocco del Cordevole nel Vallone di Belluno; le quali frane avrebbero incominciato a scoscendere quando il ghiacciaio agordino DI ALCUNI SCOSCENDIMENTI NEL VICENTINO 299 non era ancora del tutto scomparso; di guisa che quelle più an- tiche frane furono dal ghiacciaio distribuite sopra una lunghezza di almeno sei chilometri, quale esse non avrebbero di certo abbrac- ciato per solo impeto della caduta. Le ancora più note Marocche nella valle del Sarca, sopra Arco, mi parvero allora da potersi spiegare colla stessa ipotesi e non ho ancora mutato parere. In seguito, spiegai allo stesso modo le frane che stanno a valle del La < fJ/ùt àiU.ymetJffJ'JJ' T. TARAMET.I.I 3Q2 T. TARAMET.I.I titudine di 7U0'“ il versante settentrionale del Priaforà (1658). del M. Bozzone (1279), Brezzo Cavole (1135), M. Erole (1023). M. Carole (1060), M. Summano (1299) e Costone di Bocchette (1023-820). È probabile che il nome di Ferale (pietrame), dato alla lo- calità presso alla cartiera, dipenda dall aspetto di rovina già antico in quella regione. Non trovai però memoria in paese di scoscendimenti storici e la massa anticamente franata è così con- solidata che all’ origine di essa, verso monte, venne su grossissimi massi impostata la spalla destra del manufatto per la presa d’ acqua, che anima gli opifici di Arsiero ; impianto però che può giudicarsi non del tutto sicuro. La morena, ammantata da sfasciume dolomitico, continua più a sud verso Velo, ricoprendo le marne variegate, la dolomia ca- riata, talune quarziti e le estese porfiriti, che poi si ripetono quasi identiche in Valle Posina, nei Pretti, nella Valle del Leogia e nei pressi di Recoaro. La massa degli scoscendimenti antichi, coperta da fitto bosco, con massi e grandiosi dirupi sporgenti, a superficie ondulata, si accompagna per circa sei chilometri alle falde delle luontagne, le quali formano una cresta dolomitica delle più artistiche che possano ammirarsi in quell’ amenissimo paese. Segue in alto il detrito di falda, in più modesti e più regolari pendii formati spesso da giustaposte conoidi ; più in su, si erge la nuda roccia sino alle sopra indicate altezze. Il Monte Summano è allo stesso luodo recinto di frane anche alle falde di ponente e di levante sin quasi alla pianura, come ha già notato il compianto nostro socio Arturo Negri. Non ho ancora potuto verificare se la ingente massa del M. Curogno (562) a ponente di Meda, costituita alla superficie da de- trito calcare, faccia parte di questa stessa zona di antichi scoscen- dimenti, sostenuti dalla morena destra dell antico ghiacciaio del- l’Astico ; oppure se piuttosto non sia morenico o di roccia in posto in alcuna sua parte. Vidi il melafiro affiorate ampiamente presso la Crosapa, a Cà Crestana e Cà Masi, nonché a monte di Lago, sotto alla frana dolomitica, in più siti e per vasti tratti. Sulla destra del M. Albo, a sud di S. Giorgio, affiora poi un letto po- tente di marna lacustre, probabilmente dovuta a temporaneo alla- gamento posglaciale del piano a monte dell anfiteatro morenico. DI ALCUNI SCOSCENDIMENTI NEL VICENTINO 303 che si svolge da Meda a Cogollo e che fu descritto assai minuta- mente dal sullodato dott. Negri. Due anni fà si pose in movimento un tratto di suolo franoso sopra a Velo; nelle ultime escursioni dello scorso agosto, io vidi un laghetto allora formatosi, con alcune piante in esso sommerse ed intrecciate coi loro rami; per molti ettari la regione ha tuttora r aspetto di fresca rovina, in particolare presso Cà Santina, Cà Na- rotti e sotto Costa Levrara. Guai se il disboschimento funestasse anche quelle pendici, oppure si rinnovassero quei brividi sismici, che sono certamente accaduti al chiudersi dell’ ultimo periodo gla- ciale e che assai più veementi e con più profonda efficacia oro- genetica ebbero luogo dopo una delle precedenti glaciazioni ! Questa regione del Vicentino nei tempi storici è stata delle provincie ve- nete la meno tormentata da terremoti, sebbene i dettagli della tectonica dimostrino quanto essa sia stata scompaginata e quasi triturata dai più antichi movimenti di massa, incominciati col sol- levamento posteocenico- Per quanto io sappia, questi vasti scoscendimenti posglaciali non furono da altri menzionati; come non trovo fatto cenno di queir evidentissima frana, segnata però sulla carta topografica, sulla destra dell’ Astice di fronte a Casotto, là dove il fiume serve tut- tora di umiliante confine al Regno d’ Italia. Questa frana è scesa dal M. Gina (1075'") sino all’alveo (416 a Fucine), che tutto ingombrò, producendo un temporaneo allagamento ed un conseguente interrimento a monte, che fu poi terrazzato. Sulla carta topogra- fica la località è indicata col nome di Marogna ed alla sinistra è segnato un vallone delle Fosse, che del pari è stato tempora- neamente sbarrato dalla enorme massa scoscesa, che consta quasi del tutto di calcari giuresi e di dolomie liasiche. Altro ancora più vasto scoscendimento preistorico è quello di Laghi, in valle della Zara, confiuente del Posina. Esso causò ap- punto i due laghi comunicanti, allo stesso livello di 584 i quali dànno nome al soprastante paesello (567 '"). Questo immane sfa- sciume di calcari e di dolomie discese dal M. Majo (1500'") e ingombrò altresì presso il suo sbocco la valle di Majentale. Non ho potuto osservare nei suoi particolari l’ interessante fenomeno, ma lo giudico degno di entrare in un lavoro monografico che ab- bracciasse le principali località alpine con estesi scoscendimenti. 304 T. TARAMEI.LI considerandoli nelle loro fasi di formazione, nei loro rapporti cro- nologici, nelle loro cagioni prossime e remote, nonché nell' inlliienza da essi esercitata sulle condizioni idrografiche e topografiche locali. Sarebbe un lavoro piuttosto da geografo che da geologo; ma ri- tengo cosa desiderabilissima che i cultori di una di queste disci- pline, la geologia e la geografia, si facciano sempre più versati in entrambe, tanto da poter trattare con competenza di simili argo- menti, che formano quasi il ponte tra questi due ordini di studi cotanto affini. Anche in Italia si è fatto un grande progresso nello studio della plastica del terreno, a merito particolare dei topo- grafi e di alcuni egregi ufficiali superiori del nostro esercito; gli alpinisti avrebbero potuto portare maggior tributo a questo ordine di osservazioni di quanto hanno fatto, ma non mancano buoni la- vori di morfologia geografica per le singole regioni alpine. A me pare però che converrebbe raggruppare alcune osservazioni piuttosto per fenomeni che per regioni, anche allo scopo che l' osservatore acquisti sempre maggiore perizia: essendoché anche i più semplici fatti di morfologia terrestre dipendono da cagioni molteplici e complicate. Questo studio della plastica del terreno, così nelle regioni al- pestri come nelle altre a tipo appenninico, può condurre ad uti- lissime distinzioni, da combinarsi con quelle sopra ricordate, onde spiegare e coordinare quei particolari, che in realtà hanno grande importanza per le costruzioni, per la strategia e per la storia. Da esso, quando sia esteso al rilievo dei lembi di antiche alluvioni preglaciali e interglaciali, dipende quell’ altra importante ricerca delle mutazioni intervenute nel decorso delle correnti, la quale ha portato così ammirabili risultati in molte regioni alpine, come si può rilevare da una assai interessante pubblicazione riassuntiva del sig. Lubbock di recente tradotta nella nòstra lingua. Del quale argomento mi sono del pari occupato percorrendo i dintorni di Arsiero, ed ho osservato come, oltre ai lembi di alluvione inter- glaciale accuratamente descritti dal Negri lungo il corso dell’ Astice e alla base del ben conservato anfiteatro Meda-Cogollo, altri ne esistano, più vasti e non meno importanti. Molti di questi lembi di alluvioni diluviali, anterioii tutti a mio avviso all’ ultima glaciazione, sono allineati lungo le valli del- l’Astico, del Posina, del Rio Freddo e della Val d’Assa, in corri- F DI ALCUNI SCOSCENDIMENTI NEL VICENTINO 305 spondenza ai confluenti, come residui di antichi talus profonda- mente terrazzati. Sono assai distinti quelli di Pedemonte, Casotto, S. Pietro fl’Astico, Pedescala, Arsiero per l’Astico; di Peralto pel Posina, di Ponghi, Martini, Evangelisti, Bugni per Eio Freddo, di Koana per Val d’Assa. Il lembo di Peralto rappresenta l’ antico decorso del Posina, prima che in epoca preglaciale fosse incisa la bella gola detta la Strenta ; e quell’ antico lembo che sopporta la mo- rena di S. Rocco, a ponente di Arsiero (470 ™) rappresenta del pari r alluvione dello stesso flume alla sua confluenza nell’Astico, prima della incisione della gola ora percorsa dalla strada nuova per Val Posina. È poi molto esteso e meraviglioso pel suo svi- luppo, in apparenza sproporzionato al piccolo torrentello a cui cor- risponde, quel tavolato di conglomerato diluviale, che si innalza con forte pendio sopra Cogollo ed è percorso dalle risvolte della strada postale pei Sette-Comuni sino alla Barricata. Analoghe co- noidi, diluviali e forse anche plioceniche, assai profondamente ter- razzate, osservai anni sono nel Friuli, in particolare sul versante orientale del M. Cavallo, sopra Budoja, Polcenigo e Sarone. Ap- partengono a quello stesso periodo, al quale si può riferire il con- glomerato di Montehelluna e del Montello, a proposito delle quali località io non concordo completamente colle idee dell’amico pro- fessore F. Sacco, il quale riferisce a due epoche distinte il con- glomerato e la terra rossa che lo ricopre. Questa non è altro che il prodotto, a luoghi rimaneggiato dalle acque pluviali, della de- composizione del conglomerato diluviale per opera degli agenti atmo- sferici. A me paro che questi rilevanti tratti di alluvioni cemen- tate possano riferirsi al Deckenschotter dei geologi e geografi tedeschi, ed al ceppo più antico, che affiora lungo i fiumi lom- bardi, a valle dei rispettivi laghi. Ma riconosco la necessità di andare molto guardinghi nel sincronizzare questi conglomerati in una regione calcare, dove anche le alluvioni evidentemente pos- glaciali sono a volta cementate, almeno nelle porzioni più vicine alla superficie, con saldezza non minore che nel vero ceppo lom- bardo. Sibbene, volta per volta, conviene esaminare anzitutto se nel conglomerato esistano o meno elementi erratici, che accusino una precedente glaciazione ; in seguito, la natura e 1’ abbondanza del cemento, che di solito nelle alluvioni e nelle frane del diluviale 20 T. TARAMELLI 306 antico (per altri pliocenico) investe ed abbraccia i ciottoli e si man- tiene tenacissimo anche quando questi sono esportati per soluzione 0 ridotti ad un residuo farinoso od argilloso. Nei lembi di Peralto, Arsiero, Pedescala, Roana, ed in altri conglomerati osservati in frammenti, tra il ciottolame dell alta morena di Tonezza (1010 sulla destra dell’ Astice, a circa 700 metri sull’alveo attuale del fiume, notai sempre ciottoli di porfidi quarziferi e di gneiss del Tirolo; quindi si tratta di conglomerati interglaciali; non ne trovai nel lembo di conglomerato sopra Cogollo, ma non escludo che una ricerca più attenta possa anche quivi rinvenirne. Ho ricordato la bella strada nuova per Val di Posina. da Ar- siero, poiché vorrei che per di là passassero numerosi i miei col- leghi ed i giovani geologi. Presso alla presa del sopra ricordato acquedotto si osserva lungo la via una parete di nuda roccia do- lomitica, per l’altezza di circa 7 metri, verticale, con degli stu- pendi liscioni per scorrimento; sono questi orizzontati e perciò di- mostrano dei movimenti di massa per spinte laterali. Poco oltre si osserva in due sezioni successive un filone di basalto amigdaloide decomposto e zonato, quasi laminato, io ritengo, per opera delle stesse pressioni ; essendo con ogni probabilità 1 infezione del filon- cello basaltico precedente alla frattura coi liscioni. Questa è di- retta a N 35° Ov. verticale; quello inclina di 80" ad ovest ed è diretto a N 17° Ov. ed è largo circa 0™, 70. È noto che filoni ba- saltici si trovano abbastanza frequenti in tutta la regione veneta, dal Garda alle vicinanze di Feltre; oltre ai già noti, ne osservai di recente uno nell’ alta valle del Rio Freddo sotto a Valle di Tonezza ed altro alla discesa da Tonezza a Forni, dove una scor- ciatoja raggiunge la strada postale e sopra un masso è segnata in rosso la cifra 1746 (altit. circa 675'"). A proposito dei quali in- dizi di fratturazione, non è inutile il notare come quelle stesse masse di calcari mesozoici nei dintorni di Arsiero, oltre all essere traversate da filoni basaltini, poi da piani di frattura evidentissimi, collegati forse con quel mirabile salto presso a Polèo e col noto ribaltamento delle serie presso S. Orso, si presentano nella por- zione superficiale, in prossimità alle ricoprenti masse di detrito più 0 meno cementato, come fracassate e triturate così da rassomi- gliare a vere brécce anche quando l’ occhio può ancora accompa- gnare r unità di massa dello stato originario. Spesso avviene che DI ALCUNI SCOSCENDIMENTI NEL VICENTINO 307 questo tritume sia punto o poco cementato ; anzi ne sieno i fram- menti alla superficie lisci e quasi erosi per soluzione. Un caso consimile fu osservato molti anni sono dall’ ingegnere Claudio Segrè nella costruzione della linea da Terni ad Aquila e più volte anche da me, cosi nelle Alpi come nelle regioni calcari della Basilicata e della provincia di Avellino. In uno sprone del M. Sommano, sopra Bocchette, dovendosi costrurre un vasto bacino in muratura per una riserva d’ acqua ad uso dei non lontani opifici di filatura e di tessitura, occorse denudare un forte spessore di questo brec- ciame rimasto in posto, prima di trovare la roccia sana, o dirò meglio, infranta ma cementata. Nello sfacelo superficiale alquanto rimaneggiato di questa lo- calità, presso alla fabbrica di birra Zanella, e quindi alquanto più a valle dell’ anfiteatro morenico Meda-Cogollo, ho osservato dei massi di porfido quarzifero e di granito del Tirolo, profondamente decomposti, i quali, a mio avviso, sono tra le poche tracce di gla- ciazione precedente a quella attestata dal detto anfiteatro, dove i medesimi elementi erratici sono assai freschi, come nelle alte ma tuttavia ad esso contemporanee morene di Tonezza e dei Sette-Co- muni. Epperò siamo ancora ben lontani da una sufficiente cono- scenza del complesso fenomeno glaciale in questa al pari che nelle altre regioni dell’ alta Italia. Da molti’, forse da troppi anni, tengo addietro meglio che posso a quanto si pubblica in Italia e fuori sull’argomento; coopero io pure, inquanto posso, alla raccolta ed al coordinamento dei dati, stimolando all’ opera anche gli altri ; ma per non volersi pubblicare dei lavori affrettati e di poco van- taggio, si è accumulato un materiale assai abbondante e si è sempre resa più difficile la pubblicazione e la stessa compilazione delle occor- renti illustrazioni grafiche. Forse fu giudicato effetto d’ indolenza quanto era causato dal sempre più chiaro apprezzamento delle difficoltà presentate dall’ argomento, che nelle istituzioni di altri paesi occupa speciali sezioni dei geologi rilevatori e che è della massima importanza per lo studio del terreno coltivabile nelle re- gioni per natura e per arte le più feraci del nostro paese. Penso però che in ogni caso questo materiale, raccolto per la massima parte nel R. Ufficio geologico, non andrà certamente perduto ; come sono convinto che molti potranno cooperare ad accrescerlo, tenendo calcolo altresì dei fenomeni posglaciali e preistorici, i quali sono 308 T. TAKAMELLI, DI ALCUNI SCOSCENDIMENTI, ECC. di grandissima importanza anche dal lato antropologico ed archeo- logico. Prima di chiudere questi pochi cenni sugli scoscendimenti an- tichi e moderni nel Vicentino, ai quali io spero che altri vorrà far seguire molte più ampie e numerose notizie, ricorderò come in molte località di quella provincia, dove considerevoli vette a breve distanza dal piano e dal mare toccano il probabile livello delle nevi perpetue nell’ ultima glaciazione, si vedono dei pianori di de- trito, appiccicati a varia altezza sulle falde e sempre più o meno lontani dalle rocce, dalle quali sono ad evidenza discesi i mate- riali di quel detrito, di solito calcare. In molte località delle adia- cenze di Recoaro, di Pongara, dell’ alta valle del Leogra, nei Pretti, sul versante sud del Monte Summano, questi ripiani sono così estesi ed evidenti da comparire manifesti anche dalla distanza anormale delle curve di livello della carta topografica. La media altitudine di questi ripiani si mantiene presso agli 800 quello di Staro scende assai più basso (630 '"). Sono assai estesi quelli di Alba e Della Vecchia (830 e 700) sul versante meridionale della catena dal Priaforà al Monte Summano. Mi sono domandato se queste masse di detrito, più o meno lontane dalle rupi dalle quali esse evidentemente provengono, non possano rappresentare delle frane scivolate sopra delle scomparse vedrette o nevati, poi livellate dalla erosione meteorica. Il fenomeno si riscontra anche nell’ Appennino settentrionale e mi pare che presenti qualche interesse a comple- mento delle notizie, oramai abbondanti, sopra i più ampi depositi glaciali e diluviali. Cuasso, agosto 1899. SUI FENOMENI DI EROSIONE NEI DINTORNI DI BrA. E DI CaSTELLAMONTE (PiEMONTe). Nota del dott. G. Capeder. (Con una tavola). Le colline braidesi furono già oggetto di studio da parte del prof. Sacco che vi riscontrò abbondantemente sviluppata buona serie di terreni terziari e quaternari, quali : il Tortoniano, il Messiniano, il Piacenziano, l’Astiano, il Fossaniano, il Villafranchiano, il Saha- riano e il Terrazziano (’). Di questa lunga serie di terreni il più sviluppato è certamente l’Astiano colla sua solita facies di sabbie giallastre poco fossilifere, passanti nella parte inferiore alle argille azzurre Piacenziane che formano per così dire il substratum degli altri depositi e nella parte superiore al cosidetto Fossaniano, che si contraddistingue per gli elementi più grossolani : veri banchi ghiaioso-ciottolosi che di- notano il passaggio gradualissimo dal regime marino dell’ Astiano, a quello continentale del Fossaniano ('^). Percorrendo detta regione io ebbi campo di osservare come queste sabbie giallastre siano essenzialmente costituite da granuli quarzosi e serpentinosi agglomerati per semplice adesione, sì che se presentano una certa resistenza a secco, si disaggregano pron- tamente e si riducono ad una sabbia sciolta quando si pongono nell’acqua. Nulla di strano quindi se nella regione in discorso la degradazione meteorica abbia agito intensamente e si ritrovino quegl’ imponenti fenomeni di erosione che caratterizzano i terreni sciolti e poco cementati. (q P. Sacco, / colli Braidesi. Annali d. R. Acc. d’Agricoltura di To- rino, voi. XXXI, 12 Aprile 1888. (2) F. Sacco, loc. cit., pag. 15. 310 G. CAPEDEH, SUI FENOMENI DI EROSIONE, ECC- Simili fenomeni di erosione attirarono la mia attenzione, e sic- come credo possa esservi qualche interesse l’ illustrare con qualche esempio la genesi di alcuni, non completamente studiati, così esporrò qualche idea sul procedere dell’erosione per l'isolamento di lamine e piramidi di erosione e sulla conseguente formazione di profonde valli. Nel Braidese, l’Astiano occupa una larga zona che si stende fra Bra e Sommariva Perno ma che continua poi oltre per Canale, Asti, Bocca d’Arazzo, Castagnole, Castelnuovo, formando ampie colline leggermente ondulate e spesso pianeggianti. I caratteri fisici di questo terreno variano pochissimo da luogo a luogo e si può affermare che caratteristica sua facies siano appunto i burroni e le valli profondissime a pareti verticali che solcano quelle colline, dovute ai grandiosi fenomeni di erosione suaccennati. Entro a queste valli si osservano numerose piramidi, alcune delle quali quasi raggiungono l’ altezza delle pareti. Ma ciò che maggiormente mi colpì fu l’osservare che nessuna piramide pre- sentava nella sua parte superiore il caratteristico masso protettore, che anzi essendo la massa stessa costituita da una sabbia fina, non è neppur possibile il supporne 1’ esistenza. Ad un diverso modo di agire dal comune dell’ erosione pluviale, bisognerà quindi rife- rire la formazione di queste piramidi, poiché in questo caso non è ammissibile la solita ipotesi che danno di tal fenomeno la mag- gior parte degli autori (’); che cioè dette piramidi, « non possano nascere che in un deposito di una certa potenza d’ origine clastica, per es. di ciottoli o ghiaie o materie terrose, sparso alla superficie e nell’ interno di massi più voluminosi e ciò perchè le pioggie esercitino la loro azione erosiva in ogni punto, fuorché nell area sottostante ai massi, dalla cui azione protettrice vengono a poco a poco determinate ed isolate le piramidi » C^). (1) Francesco Salmoiraghi, Le piramidi di erosione e i terreni glaciali di Zone. Boll. Soc. Geol. It., voi. IV, 1885; De Lapparent, Traité de Géo- logie, 1893; Id., Legon de GéograpUe physique. Paris, Masson, 1898; Issel, Compendio di Geologia. Torino 1896; Neumayers, Storia della Terra, dorino. Un. Tip. Ed. 1896; Christian Kittler, Ueher die geograpUsche Verhreitung und Natur der Erdpyramiden Brugel. Aushach 1897 ; Stanislas Meunier, La Géologie Esopérimentale. Paris, F. Alian 1899. (-) F. Salmoiraghi, Ibid., pag. 10. SUI FENOMENI DI EROSIONE, ECO. / Qui si osserva invece, che queste possono benissimo nascere in depositi di costituzione uniforme, non costituiti da ciottoli o ghiaie 0 materie terrose, sparsi alla superficie e nell’ interno di massi più voluminosi che proteggano il terreno sottostante dal- l’azione delle pioggie. Avendo inoltre saputo dal prof. Parona che nei pressi di Ca- stellamonte esistevano pure di simili piramidi, mi vi recai, onde osservare la regione in complesso e la probabile genesi di queste. Benché non si tratti qui di terreni terziari, ma alluvio-glaciali, e benché non abbiano i medesimi caratteri fisici, pure potei persua- dermi che queste piramidi, ben visibili specialmente nella regione Boschi presso il Castellacelo, come pure lungo la strada che da Castellamonte conduce alla fraz. Pilla presso C. Brunero e fra C. Brunero e C. Banasso, presentano il medesimo aspetto, e perciò i fenomeni che le hanno formate hanno agito analogamente a quelle di Bra, come si può scorgere dalle unite fotografie. Ed ora passiamo ad indagare come possa avere agito 1 erosione: Se si osservano le pareti dei burroni (fig. 1, 2), si vede che sono percorse da un’ infinità di solchi, paralleli, verticali e che in corri- spondenza di detti solchi non si osservano piramidi, mentre queste sono numerose ed allineate sulle sporgenze interposte fra un solco e l’altro. Questa osservazione dà tosto la chiave della spiegazione, poiché guardando attentamente si osserva come in alcuni punti, in luogo delle piramidi, vi siano delle creste o cortine esilissime, che partendo dalla parete si avanzano nella valle e come le piramidi derivino dalla ulteriore erosione di queste. Una tale configurazione fa subito comprendere come in tempo di forti pioggie l’ acqua si raccoglierà di preferenza in rigagnoletti lungo i solchi esistenti, ini- ziati da una precedente erosione, quivi 1’ eserciti potentissima spe- cialmente sul fondo e più energica là dove la parete si protende a picco. Lo scorrimento che si effettua in tal modo, sempre lungo le stesse linee nelle fosse che perciò rapidamente approfondiscono per la facile disgregahilità della roccia, dà luogo alla formazione di nuove lamine ed ingrandisce le già esistenti; lamine, che si potrebbero appellare « lamine di erosione » le quali saranno di- sposte parallelamente fra loro, dando alla regione uno strano ca- rattere, poiché alcune sono veramente magnifiche per la loro am- piezza ed il loro piccolo spessore (fig. 1, 2). 312 G. CAPEDER Continuando però l’ erosione, questa potrà pure esercitarsi e ope- rerà di fatto non solo sul fondo dei rigagnoli, ma pure sulle pa- reti laterali delle lamine, il che avrà per effetto di assottigliarle sempre più finche si taglieranno in vari punti non rimanendone che dei frammenti sporgenti, isolati, che avranno la forma e sa- ranno senz’ altro vere piramidi di erosione (fig. 3). Ma intanto con- tinuando il fenomeno sulle pareti verticali, si isoleranno successiva- mente altre lamine ed altre piramidi, mentre la maggior parte delle vecchie andranno rapidamente degradando fino alla loro completa distruzione. In ultima analisi si formerà una valle profondissima che con- tinuamente s’ allungherà per l’ erosione rapidissima sulla fronte, facilitata e dalla verticalità di tali pareti dalle quali paiono avan- zarsi continuamente le piramidi, e dalla poca resistenza del ma- teriale specialmente quando è umido, come potei verificare speri- mentalmente. Risulta quindi evidente, che prima condizione neces- saria ed indispensabile alla formazione delle piramidi di erosione nei terreni a struttura uniforme, sia la formazione e l’ isolamento di lamine, che per successiva degradazione meteorica potranno dar luogo ad una o più serie di piramidi: dal che ne deriva come conseguenza necessaria l’ ordinamento di queste seconde linee che corrispondono all’ andamento delle lamine che le hanno formate. Ecco adunque qual differenza di generi passa fra la forma- zione delle piramidi nei terreni morenici od a struttura grossolana e nei terreni a struttura uniforme: nei primi, come si è già pre- cedentemente visto, le piramidi si formano direttamente e non hanno alcuna regolarità nella loro distribuzione, presentano sempre un ciottolo nella parte superiore ed hanno forma conica rotondeg- giante 0 per meglio dire assumono una configurazione esterna la cui sezione ha la forma della proiezione del corpo protettore: nei secondi invece, le piramidi non hanno mai nella parte superiore ciottoli protettori, sono ordinate secondo determinate direzioni, quelle delle lamine da cui derivano, inoltre diffìcilmente hanno forma conica rotondeggiante ma piuttosto sono lateralmente appiattite e tutte nella stessa direzione; ciò che sta ad indicare indiscutibil- mente la loro origine non diretta ma secondaria, derivata da una ulteriore erosione delle lamine. SUI FENOMENI DI EROSIONE, ECO. 313 Tali fenomeni si verificheranno dappertutto ove esistano ter- reni facilmente sgretolabili sotto l’ azione della pioggia, ma tenaci e non franabili quando sono secchi affinché possano sopportare pa- reti verticali ed anche strapiombanti senza cadere, come mi risulta oltre che per le località sopra citate, pure per le marne scialbe mioceniche dell’ Appennino; ma se questi terreni pm- essendo ad elementi sabbiosi non sono sgretolabili o non hanno la compat- tezza necessaria, l’ acqua o scorre sovr’ essi senza dar luogo ai ri- gagnoli necessari per la formazione delle lamine e successive pira- midi, oppure avvengono continue frane che impediscono l’ isolarsi delle medesime. Questo fatto si scorge assai bene nella regione in discorso, poiché se si osservano attentamente le piramidi di ero- sione si vede che queste hanno la base in corrispondenza del piano di separazione fra le sabbie gialle astiane e le sottostanti argille azzurre piacenziane assai meno erodibili per la loro plasticità ed impermeabilità ; fatto importante che dimostra la grande infiuenza che ha sull’ erosione, non solo la compattezza della roccia, ma sì pure la finezza degli elementi di cui é costituita. Fig. 3. Mi é stato possibile il verificare sperimentalmente tali asser- zioni valendomi di sabbia finissima cementata con un po’ di calce od anche di calce pura; sostanze quanto mai sgretolabili special- mente se di recente preparate sotto l’ azione dell’ acqua corrente. Disposi verticalmente una parete di tali materie, parete che tiene l’ufficio delle pareti verticali sabbiose naturali, e fatto quindi arrivare dolcemente dell’ acqua corrente, questa esercitò la sua azione unicamente ed in varia guisa lungo i numerosi solchi che subito si formarono, dandomi in breve la riproduzione artificiale delle lamine e piramidi di erosione in discorso. Dall’ anzidetto risulta quindi, che si potranno avere valli pro- fondissime e piramidi, anche in terreni non morenici od a strut- tura grossolana, pur che esistano sabbie ad elementi fini ed uni- formi facilmente asportabili dall’ acqua ma resistenti e compatte a secco perché allora il terreno difficilmente franerà, e 1’ acqua, per la verticalità delle pareti vi scorre senza penetrarli gran che ad inumidire gli strati sottostanti e produrne lo sfasciamento. Né voglio chiudere questo breve cenno senza richiamare l’ at- tenzione sull’ area enorme di regione tolta alla coltivazione dalla 314 G. CAPEDER, sur FENOMENI DI EROSIONE, ECO. rapida erosione che potrebbe forse arrestarsi, data la forma spe- ciale del terreno a pareti verticali, non già con una più accurata coltivazione di piante arboree, che queste nella maggior parte dei luoghi già esistono, nè valgono ad arrestarne il processo; anzi esse stesse sono travolte nel burrone, ed è frequentissimo il trovarne di recenti cadute ; ma con una ben ordinata sistemazione delle acque raccolte in speciali fossi e guidate per modo da non potere eser- citare la loro forza distruttiva. Mi è sommamente grato di esprimere qui i miei ringrazia- menti al prof. Parona, al quale debbo tutta la mia riconoscenza pei suoi consigli relativi a questo studio. Dal Museo Geologico della E. Università di Torino. Agosto 1899. Boll. Soc. Geol. It, Voi- XVill (1899) (G. Capeder) Tav. IX. nocelle ai àojjranino, presso mermore fora) Il Castellacelo reg. Boschi, presso Castellanionte. Lamine di erosione in formazione Naii'esilissime cortine di mezzo cominciano ad isolarsi le piramidi. Piramidi di erosione nel rio della Crosa, presso Po-capaglia (Bra). Le due piramidi di mezzo formavano una sola lamina; esse rendono ben visibile il passaggio dal terreno astiano di cui sono costituite, al piacenziano su cui poggiano pel diverso modo di comportarsi dell’erosione. Le tre figurine presso le piramidi danno un’idea deli’aitezza di queste. fUOT CALZOLARI a FERRARIO. MILANO I FENOMENI CARSICI NEL BACINO DELL’ELSA. Nota preventiva del Socio Pietro Del Zanna. L’Elsa nasce, com’è noto, nella Montagnola senese presso Molli, ed uno spartiacque appena visibile la divide nel primo tratto dalla Rosìa affluente dell’Ombrone. Per 20 km. circa (’) scorre fra terreni Rasici, cretacei e terziari, dove sono colline di eufotide (Mensano, Querceto, Collalto), ecc., con un suolo mediocremente accidentato e raccogliendo gli scoli superficiali di un bacino non molto vasto. Presso S. Marziale, circa 4 km. sopra Colle, vi si gettano le acque abbondantissime delle sorgenti di Onci, e da questo punto incomincia Y Elsa viva, così detta in opposizione al corso superiore cbe per il suo poco volume viene chiamato Elsa novta. 11 fiume così arricchito di acque si getta da una rapida in parte artificiale e in parte naturale e da una cascata (Diborrato) che formano un salto complessivo di 20 m.; quindi corre in un letto molto profondo attraverso una piccola pianura che termina a cuneo presso Colle, donde continua chiuso quasi dovunque fra col- line -che sovrastano ripide al fiume, finché giunto sotto Poggibonsi e ricevute le acque della Staggia e dei Foci, suoi massimi affluenti che scendono l’uno dal Chianti e l’altro dai poggi di S. Gimignano, prosegue quasi in linea retta da sud-est a nord-ovest fino al suo sbocco. nell’Arno, irrigando una pianura assai ampia ed uniforme, fiancheggiata tutta da alture plioceniche. Le Sorgenti dell’Elsa, col qual nome vengono comunemente designate quelle di Onci, sgorgano nel botro degli Strulli poco sopra il molino Le Vene: in una superficie di pochi metri qua- drati si trovano tre o quattro polle principali che escono con forza da vari punti attraverso il terreno pliocenico, presso il piede della (1) L’Elsa, considerata in tutta la sua lunghezza, presenta uno sviluppo di 62 km. (Da misurazioni eseguite col curvimetro sulle carte dell’Itistuto geografico militare^ P. DEL-ZANNA 316 grande formazione travertinosa dell’altipiano di Quartaia, e poi si hanno innumerevoli venoline le quali si fanno strada tra la fina sabbia che sopra di esse s’ agita e turbina. L’acqua ha una tem- peratura di 22° centigr., e le piccole polle vicine delle Caldane fra S. Marziale e S. Griulia la presentano di 23°. Ciò induce a ritenere molto profondo il bacino alimentatore. 11 Lotti, nel suo studio sopra queste sorgenti ('), ammette la esistenza di una grande sinclinale fra i Poggi di S. Gimignano e la Montagnola senese, dove le acque restino immagazzinate e cir- colino abbondantemente nel calcare cavernoso retico, chiuso in basso dalle arenarie quarzitiche e dagli scisti micacei del verrucano che si vedono affiorare nel Monte Vasone, a Scorgiano, a Maggiano, e dagli scisti ardesiaci e dai marmi (Pietralata, Marmoraia, ecc.) , ed in alto dalle argille plioceniche pure impermeabili: calcare cavernoso che costituisce da un lato il Monte Maggio (671 m.) e dall’altro il Poggio del Comune (624 m.), insieme a colline minori. Lo stesso autore osserva giustamente che questo bacino da cui sono alimentate le sorgenti di Onci, sarebbe incompleto da nord ad est, ma che un fenomeno qualunque come una paraclasi o la terminazione in cuneo del calcare acquifero, può impedire da questa parte la dispersione delle acque ; ed io non credo assurdo il ritenere che a tale ufficio adempia un nucleo di calcare secondario che affiora nell’alveo della Staggia, poco sopra il paese omonimo. La portata complessiva delle sorgenti fu misurata varie volte, e per ultimo dagli ingegneri del Corpo delle miniere incaricati di compilare la carta idrografica della Toscana (bacino dell Arno). Essi la determinarono coi galleggianti collocati presso al luogo di scaturigine, e col mulinello al ponte della strada rotabile . e se- condo i dati forniti all’ Ispettorato di Roma si sarebbe riconosciuto un minimo di m. c. 1.071 e un massimo di 1.700, con una media quindi di circa 1400 litri al 1'" : una quantità invero rispettabile ma non eccessiva se si pensa che i distretti del calcare cavernoso costituiscono una superficie permeabilissima (^). (1) Lotti B., Il regime sotterraneo delle sorgenti dell'Elsa, Boll. Com. geoL, Ser. Ili, voi. IV, 1893. (2) Le cifre suesposte mi furono con squisita cortesia comunicate dal comm. ing. Niccolò Pellati, ispettore capo del Corpo delle miniere, al quale porgo i più vivi ringraziamenti. 317 I FENOMENI CARSICI NEL BACINO DELL’ELSA Il Kepetti, nel Dizionario storico, fisico geografico della Toscana, all’articolo Colle, dice: «La ricchezza della sorgente deir Elsa dà motivo di credere eh’ essa tragga uno de’ maggiori suoi alimenti da una sotterranea vena la di cui origine trovasi sotto una buca assorbente posta nell’altipiano di Quartata. B una cavità della periferia di cinque braccia o poco più, dagli indigeni detta Ingolla, per la ragione che in breve ora ingoia e assorbe tutte le acque che vi concorrono dalle limitrofe campagne sopra l’esten- sione di un miglio quadrato di superficie (Q » . Il Capellini (-) la paragona alle Sprugole della Spezia ; ed il Lotti (^) riporta 1’ opi- nione dei due precedenti autori, notando però che l’ acqua del- r Ingolla è poca cosa. In realtà questo pozzo assorbente che si trova in un’ isola di calcare cavernoso presso al suo confine col travertino di Quartaia, è stato regolarizzato dalla mano dell’uomo, e con un diametro di circa 4 metri, ne misura forse 8 di profon- dità, non più 15 o 16 quanti pare ne abbia riscontrati il Lotti; le acque che vi concorrono sono in misura trascurabile, anzi si ri- ducono a zero nelle stagioni asciutte, e scolano da una superfìcie pianeggiante a fondo calcareo ricoperto in gran parte da una fan- ghiglia argillo-marnosa postpliocenica. Il Monte Maggio poi offre uno de’ più belli esempi di fenomeni carsici nell’ Italia centrale, ed è davvero strano che fra tanti geologi i quali hanno studiato la Montagnola senese, ninno vi abbia posto la debita attenzione; solo il Campani (^) vi accenna colle parole seguenti : « Le montuosità di Monte Maggio e colline vicine risultano da un’ imponente formazione di calcare cavernoso sprovvisto di fossili e che in pochi luoghi presenta indizi di stratifìcazione. No- tabili sono le accidentalità che questo calcare presenta nella sua formazione: ora ha in sè estese grotte che ordinariamente dànno (1) È superfluo rilevare la contraddizione in cui cadde il Eepetti, poiché non è punto ammissibile che gli scoli superficiali di un miglio quadrato pos- sano costituire uno dei maggiori contributi per sorgenti ricche come quelle di Onci. (2) Capellini G., Sulla Geologia dei dintorni di Colle d' Elsa. Pisa, 1858. (3) Loc. cit. (*) Campani Giovanni, Sulla costituziona geologica della Prov. di Siena, 1862. P. DEL-ZANNA 318 ricetto e passaggio a delle acque; altrove offre regolarissime de- pressioni alla superficie, e assai notevole è quella in forma di cono rovescio clie si vede presso Fungaia, detta la Valle Rotonda ; non di rado pure è interciso da grandi spaccature in cui vanno ad inabissarsi le acque che scorrono alla di lui superficie ». Non si poteva dir meglio con sì brevi parole; l’argomento però è abbastanza interessante da meritare che ci se ne occupi con una maggiore larghezza, e poiché io ho fatte diverse gite a Monte Maggio, intendo di esporre qui i risultati delle mie inve- stigazioni. Delle numerose grotte visitai minutamente la Buca a Frati e la Buca all’Istrice. La prima, che è senza dubbio una delle più vaste fra quelle accessibili, è così chiamata per esservi all im- bocco scolpita rozzamente una faccia che non si sa perchè debba appartenere a un frate. Mi fu compagno nella sua esplorazione ring. Agostino Orzali, e coll’aiuto di corde e lanterne potemmo esaminarla in ogni parte. Dopo un piccolo vestibolo scoperto in- comincia la grotta con una larghezza di 5 m. circa ed un altezza di 3 0 4, ma subito queste dimensioni si amplificano e il suolo scende irregolarmente in ripido pendio, mentre la volta si abbassa con un'ampia curva; poi il vano si estende a destra, e nella parte più bassa si hanno meandri e ramificazioni a diversi piani. A si- nistra si trova fin da principio un cunicolo che mette ad un piccolo pozzo verticale e profondo, e scendendo ancora si trovano altre fessure e anfrattuosità. Devo notare che la forma della caverna è slata in alcuni punti alterata perchè anni sono ne asportarono grandi quantità di calcite che vi si trova in ammassi enormi e costituisce tutte le pareti della grotta e offre, specialmente nei meandri inferiori non guastati dalla mano dell'uomo, magnifiche stalactiti, stalagmiti, colonne, stipiti, panneggiamenti, ecc. La tem- peratura media della caverna è di 15°, l’aria è impregnata di umidità per i continui e numerosi stillicidi, e guardando verso la luce ci si trova avvolti dalla nebbia. Questa buca è situata fra il botro del Castagneto e il fosso dell’ Abbadia, sotto la casa Giubileo, a circa 430 m. d’altezza nel lato nord-nord-ovest del monte ; quella à.Q\\' Istrice si trova a nord- est presso il Gallinaio e fu da me visitata insieme all’ing. Gio- vanni Pampaioni e a due contadini i quali ci aiutarono valida- 319 I FENOMENI CARSICI NEL BACINO DELL’ELSA mente nella pericolosa discesa. Fatti rimuovere alcuni massi che otturavano la già stretta apertura, penetrammo a stento nella grotta, e dopo aver percorso un tratto di pochi metri coll’ inclinazione di 50 0 60 gradi, si pervenne ad un punto in cui aprivasi sotto di noi una grande spaccatura verticale. Per procedere oltre ci fu mestieri sostenerci completamente a delle funi fissate in alto e solo per poco potemmo valerci di una scaletta a pinoli appoggian- dola alle sporgenze delle pareti. Nel fondo si aprono due gallerie, una pianeggiante che si restringe sempre più, 1 altra con forte pendenza conserva quasi per tutto le stesse dimensioni e termina a cui di sacco ad una profondità di circa 20 m. dairimhoccatura della caverna. Anche qui si ha un abbondante stillicidio dalla volta, ma con scarse incrostazioni calcaree ; notevole poi una massa di pietre accumulatevi coll’ andar dei secoli dai passanti che le gettano dall’esterno per sentirle rotolare e cadere. Per comodo di coloro cui potesse interessare, do qui il nome e l’ubicazione approssimativa di altre grotte da me conosciute: Buca al Cane, fra Strove e Scorgiano. Chiostraccio, sopra il Petraio (^). Buca al Marino, verso Monteriggioni. Buca alla Querce, prossima al Gallinaio. Buche di Poggio ad Fumo, tra il Gallinaio e il borro Pon- tarosso. Buche de" Campi di Brea, tra Fioreta, C. Nuova e il Ca- stellare. Buca dell’Ulivo, a nord-est delle Vallecchie. Buca a’ Cinghiali nel versante sud. Buca al Vento, sulla cima del monte. È probabile che ve ne sia un num'ero molto rnaggiore, il rintracciarle però diventa un’ impresa ardua non tanto per l’esten- sione di Monte Maggio (oltre 30 km.q. di superficie), quanto per la folta boscaglia che lo ricopre in massima parte e perchè gli abitanti hanno pratica solo di limitate zone intorno alle proprie case; inoltre molte buche sono state coperte o chiuse affatto per impedire agli animali domestici di cadervi. Ad ogni modo, avendone vedute (1) In questa buca si ha la deplorevole abitudine di gettare animali morti per risparmiarne il seppellimento. 320 P. DEL-ZANNA una diecina, ci si può formare in proposito un concetto assai esatto : si tratta in generale di spaccature, di pozzi verticali che si aprono all’ improvviso alla superfìcie, di piccoli pertugi che comunicano con grandi cavità interne, di grotte e crepacci con forme irrego- larissime e di difficile accesso. Del resto, anche di quelle acces- sibili non si può quasi mai precisare l’estensione perchè i meandri e le cavità si restringono in alcuni punti per modo da impedire il passaggio, mentre poi si allargano forse e continuano per lunghi tratti. La natura cavernosa di Monte Maggio viene dimostrata non solo dalle molte grotte, ma più ancora dalla permeabilità straor- dinaria di tutto il suolo. Vi sono doline regolari con diametri di 50-100 metri dal cui fondo spesso pianeggiante l’acqua scompare senza trovare alcun pertugio speciale, e questo è appunto il caso della Valle Rotonda citata dal Campani, che ha nell’interno un campo coltivato a cereali e gli orli ricoperti dal bosco ; altre de- pressioni più vaste si trovano in vari luoghi e se rimangono allagate per una pioggia abbondante, si prosciugano dopo in pochi minuti, come accade pure nell’ampio anfiteatro che si apre a nord di Ebbio, svasato dalla parte di tramontana, ma privo affatto di scolo su- perficiale. Non si trova in tutto il monte una sola sorgente, e in ultimo i borri non portano acqua che mentre piove a dirotto: io stesso fui colto presso Campo Meli da un furioso temporale che durò una mezz’ora, e subito dopo, continuando la mia gita, non m’imbattei nel benché minimo rigagnolo. La buca che si trova alla sommità del monte (671 m.) merita una speciale menzione. Si tratta di una feritoia lunga 50 cm. e larga 20 che mette ad un pozzo verticale o quasi. Volli misurarne la profondità, ma il peso non oltrepassò i 25 m. ; invece gettandovi un sasso libero lo si sente scendere per parecchi secondi battendo nelle pareti del pozzo, poi cessa ogni rumore e non è dato inten- dere se il grave abbia toccato il fondo o se piuttosto il suono non possa giungere fino a noi. Comunque è senza dubbio una gola molto profonda che scende forse anche qualche centinaio di metri e comunica con grandi cavità, come possiamo desumerlo dal fenomeno seguente. All’apertura superiore esiste una forte corrente d’aria che al momento della mia visita (^) penetrava nell’ interno rendendosi (q Fatta insieme airinj. Orzali. 321 [ FENOMENI CARSICI NEL BACINO DELL’ELSA molto sensibile anche alla mano; per ossa le toglie e il turno stesso di un sigaro andavan giù colla velocità di una pietra abban- donata nel vuoto. Era ferma convinzione della guida che ci accom- pagnava che il vento uscisse dalla buca, e già per l’ innanzi altre persone mi avevano atfermato la stessa cosa, quindi fui non poco sorpreso di trovare il fatto opposto. Assunte notizie più precise potei capire che l’uscita dell’aria si verifica d’ inverno, e allora il caso contrario da noi verificato in estate (3 agosto 1899) e in ore meridiane, mi conferma nell’ idea che questa corrente sia de- terminata dalla diversa temperatura dell’aria esterna e di quella racchiusa nella cavità del monte. Infatti, se la prima ha una temperatura più alta della se- conda, la grotta agisce da refrigerante e una corrente calda vi scende per riuscire poi raffreddata da sfiatatoi più bassi, si deve cioè verificare quanto accade nelle ore meridiane estive in tutte le grandi cattedrali dove entra aria calda dalle finestre alte e riesce un po’ più fredda dalle porte. D inverno invece la grotta richiama aria esterna dal basso e la rimanda fuori dall’alto come avviene nelle stanze provviste di stufe o caloriferi, ecc. Per con- seguenza, nella Buca al Vento la corrente non è mai costante nè per intensità nè per direzione, e forse nelle stagioni intermedie vi sono periodi di calma assoluta o quasi. Se il mio ragionamento era giusto, dovevano trovarsi nella montagna aperture più basse in cui la direzione del vento fosse contraria a quella della buca alta, ciò che appunto si verifica p. es. nella Buca alla Querce e, credo, nella Buca al Marino, ^ ma in modo più singolare nella buca inferiore di Poggio al Fumo. È una feritoia triangolare che apparisce come una fessura della roccia con lieve inclinazione; trovasi circa Y4 di chilometro a sud del Gallinaio, ad un’ altezza approssimativa di 340 m. Avendola visitata nelle ore meridiane, vi trovai una corrente d aria che usciva, altrettanto forte quanto quella che pochi giorni prima, in analoghe condizioni di temperatura, avevo verificata alla cima del monte. Tornatovi una seconda volta in sul levare del sole, la corrente d’aria mi parve assai più debole, come avevo previsto che fosse ; ne misurai la temperatura e, contrariamente a quanto mi aspet- tavo, la rinvenni identica a quella esterna (19°, 9). Poco più a sud e più in alto di questa buca trovasi uno 21 322 P. DEL-ZAKNA spazio di pochi metri quadrati tutto disseminato di frammenti pietrosi e adiacente ad un muro di roccia screpolato: mettendovi piede ci sentiamo avviluppati da un'atmosfera singolarmente calda ed umida: il suolo è ricoperto di muschi, di capelvenere e di ciclamini le cui foglie son sempre stillanti gocce d’acqua; il ter- mometro posto nelle fessure della roccia e fra i sassi mi segnò 27°, 2 mentre la temperatura deH’ambiente giungeva a soli 20^ D'inverno questi vapori uscenti dalle roccie si condensano in una fitta nebbia che si vede anche a distanza sovrastare la collina, cui venne per questo dato il nome di Poggio oÀ Fumo. Vapori escono pure dalla buca inferiore, ma in più piccola quantità. Non tento nemmeno di spiegare il fenomeno, poiché mi manca una serie continua di esatte osservazioni per appoggiare le ipotesi più 0 meno attendibili che potrei emettere su tale proposito ; farò soltanto notare che la vicinanza di questa stufa naturale è pro- babilmente causa di alterazione nella temperatura dell’ aria che esce dalla buca inferiore, nel qual caso la verificazione termome- trica di cui parlavo non distruggerebbe 1’ esattezza dei principi esposti. Anche i poggi di S. Gimignano presentano fenomeni carsici interessanti. Così Monte Pillori ha molte cavità crateriformi regolari simili a quelle di Monte Maggio, ma non come in quest’ ultimo sparse qua e là, sibbene riunite l una accanto all’altra per modo da dare specialmente alla porzione nord-ovest dell’altura l’aspetto di un enorme alveare; si tratta, insomma, di un vero paesaggio carsico. Tali doline profonde fin 20 e 30 m. hanno generalmente in basso una buca, un crepaccio dove s’ingorgano le acque piovane; in qualche caso tutto il fondo è assorbente per la natura cavernosa della massa fondamentale. In alto però abbonda il gesso il quale forse deve l’origine ad un’ alterazione della roccia primitiva prodotta da emanazioni solforose, di cui in tal caso non sarebbero che un piccolo residuo quelle che esistono tuttora fra Brentine e Monte Miccini i. Nel dorso meridionale di quest’ultimo poggio, 1200 m. circa a sud della torre omonima, presso un torrentello tributario del Botro di Conio che poi immette nei Foci, si hanno esalazioni solfidriche ben pronunciate da fessure diverse e dal fondo di tre doline alquanto più piccole di quelle di Monte Pillori. Il Di 328 I FEMOMEM CARSICI NEL BACINO DELL’eLSA Poggio (‘) diede una descrizione assai esatta e particolareggiata del fenomeno, dei rumori sotterranei da cui è accompagnato, ecc., ma sembrami ch’egli abbia alquanto errato nello stabilire l’ubi- cazione di queste aperture del terreno, ed ho voluto perciò esporre le indicazioni verificate personalmente, affinchè resti più facile il rintracciarle. Il calcare infraliasico del Poggio del Comune, assai compatto, non offre cavernosità notevoli ad eccezione di una grotta chiamata La Tana, prossima alla casa Castagneto; ma qui pure si ripete la mancanza di acque sorgive e resistenza di burroni o gole pro- fonde quasi sempre asciutte. A mezzogiorno poi le solcature che s’ inabissano fra pareti ripide e quasi verticali, come intorno alle rovine di Castel Vecchio, dànno al paese un aspetto orrido e gran- dioso; ma ciò che più colpisce in quei dintorni è un minuscolo ma bellissimo canon che si trova lungo il botro a' Buchi presso il podere Pugiano. Questa forra stupenda ha uno sviluppo di circa 220 m. e si dirige in complesso da sud-ovest a nord-est, quantunque presenti numerose curve e svolti ; le pareti, irregolarissime, raggiungono al- tezze di 10 e 12 m., e distano variamente fra loro scostandosi talvolta come a formare una cisterna, avvicinandosi tal' altra fino a ritoccarsi in alto. Anche il fondo è molto irregolare, con de- pressioni dove si accumulano i materiali detritici, e passi scavati nella roccia attraverso i quali un uomo a malapena può inoltrarsi ; in due punti si hanno dislivelli considerevoli (oltre 2 m.) dovuti a strozzature dei fianchi, contro le quali i massi trasportati dalle piene si sono fermati creando degli sbarramenti. Il Botro a’ Buchi, tolto il caso di forti pioggie, è sempre praticabile, e specie in estate è asciuttissimo come lo sono tutti i torrenti della zona circostante, la quale pure essendo ricoperta di folti boschi non dà luogo ad alcuna scaturigine o stillicidio ap- punto perchè, data la sua natura cavernosa, manda le acque in essa filtrate a più remoti destini. (b Sulle esalazioni solfidriche di Monte Miccioli. Proc. verb Soc. Tose, di Se. Nat. voi. V, 1886. OSSEKVAZIONI SUL PECTEN {macrochlamys) PONZII meli E CONFRONTI CON ALCUNE FORME DI PECTINTDI NEOGENTCI AFFINI CHE VI SI COLLEGANO Nota del Socio Romolo Meli. Anni indietro, cioè nel 1880, indicai ('), e nel 1881 descrissi, col nome di Pecten Ponsii (-), una grande e bella forma di Pecti- nide fossile, spettante al genere Chlamjs di Bolten (^), sottog. (1) Meli E., Sui dintorni di Civitavecchia. Note geologiche. Atti della R Accad. dei Lincei. Serie 3^. MeiRorie della Classe di scienze fis. matein. e naturali, voi. V, (1879-80), seduta 1 febbraio 1880; (ved. pag. 127 delle Me- morie, ovvero pag. 5 dell’ estratto). (2) Meli E , Sopra una nuova forma di Pecten dei depositi pliocenici di Civitavecchia. Roma, L. Cecchini, 1881, in 4“ di pag. 8, con una grande tavola ripiegata. Una breve notizia bibliografica della predetta mia pubblicazione trovasi nel Journal de Conchyliologie. sèrie, tom. XXI, 1881, fase. n. 3, pag. 262. Il cenno bibliografico fu scritto da H. Grosse. Su questa specie, il prof. D. Pantanelli nel suo lavoro; Larnellibranchi pliocenici. Enumerazione e sinonimia delle specie dell Italia superiore e centrale (Bullett. della Soc. Malacologica ital., voi. XVII, 1892, pag. 89-90), scriveva : « Chlamys Ponzii MeU [Pecten). Bella e distinta specie prossima alla Chi. latissima Brocc. ». (•^) Il genere Chlamys fu introdotto da Bolten nel 1798 (Chenu, Manuel de conchyl. voi. II, pag. 183; Fischer P., Manuel de Conchyliol. et de Paléont. conchyl. pag. 943) nella famiglia Pectinidae-, comprende quelle forme di 325 K. MELI, OSSERVAZIONI SUL RECTEN RONZÌI MacrochloMijs di Sacco (0. che ritenni nuova e che credetti essere stata ritrovata nel pliocene inferiore a grossi Clypeaster ed a Pe- cten {Macrochlamys) latissimus Brocc. {Ostrea), affiorante sul bordo del mare, a Nord di Civitavecchia, presso la fornace sulla via Cor- netana, a sinistra, ed a circa 3 km. dalla città. Della predetta specie descrissi e figurai 1’ esemplare esistente nel Gabinetto di Geologia della R. Università di Roma, al quale pervenne insieme alla collezione di fossili, in massima parte mol- luschi, acquistata, verso il 1873, dal colonnello Calandrelli (-). Pecten, che hanno conchiglia « leggermente inequivalve, subcircolare, con « orecchia anteriore un poco più grande, superficie a strie, o coste raggianti. u. Coste rugose o striate trasversalmente». Il seno bissale è marcato neU’orec- chietta anteriore della valva destra. Le forme del genere vivono nei mari attuali e si trovano fossili dopo il trias. Come tipo citansi; il P. bifrons Lam. (vivente nell’ Australia), il P. asper Lam. del cretaceo (ved. Zittel K., Hand- buch d. Palaeont., voi. Il, Palaeozoologie, 1885, pag. 29). Il genere Chlamys non è segnato da S. P. Woodward nel suo Manuel de Conchylioloyie tfad. par A. Himbert, Paris, 1870, in 8®. Non è anche segnato dal Quenstedt nella ultima edizione (3*^) del suo Handbuch der Petrefaktenkunde. Tubingen, 1885, in 8°. (1) Il sottogenere Macro chlamys fu stabilito da Sacco più recentemente, a spese del genere Chlamys. Difatti, il prof. F. Sacco lo propose nel 1897 [I moli, dei terr. terziari del Piemonte e della Liguria. Parte XXIV. Nel Bollettino dei Musei di Zoologia ed Anatomia comparata della R. Univer- sità di Torino, voi. XII, n. 298, giugno 1897, pag. 101. Ved. ancora; Sacco F., Parte XXIV (Pectinidae), 1897, pag. 32. — Sacco F., Novità malacologiche. Nella Rivista italiana di paleontologia, fase. V-VI, 1897, pag. 16). « Rac- « chiude le forme gigantesche a grosse coste radiali, poco numerose, separate u. da larghi spazi intercostali con coste semplici nella valva destra e invece « spesso nodose nella parte superiore della valva sinistra ; con orecchiette poco « diverse fra di loro e seno bissale appena accennato». Tipo di questo sotto- genere è il Pecten latissimus Brocc. (Ostrea), con la quale forma il P. Ponzii Ila grandissima affinità. (2) La collezione Calandrelli era quasi esclusivamente composta di mol- luschi terziari e di questi la massima parte proveniva dal pliocene di varie località italiane. Dal prof. G. Ponzi, allora Direttore del Gabinetto di Geologia nell’Uni- versità romana, ebbi nel 1876, l’incarico di studiare e di determinare i so- liradetti fossili, unendoli agli altri, già esistentivi, per cominciare a costituire il nucleo della raccolta paleontologica di quel Gabinetto. Essa venne disposta negli scaffali per ordine cronologico, cioè, a seconda dei vari piani universalmente 326 R. MELI Circa poi alla località, dalla quale proveniva l'esemplare de- scritto, devo avvertire che, non avendolo scavato con le mie mani in posto, detti quella, che era scritta sul cartellino del Calandrelli, ac- compagnante il fossile in questione. L etichetta originale diceva . « Fornace sulla via Cornetana presso Civitavecchia . E, poiché nelle vacanze estive del 1879, io aveva perlustrato i dintorni di Civitavecchia ed aveva scoperto presso la fornace sulla via Cornetana, a circa 3 km. dalla città, un interessante affiora- mento di pliocene inferiore, il quale racchiude anche il Pecten {Macrochlamys) latissimus (Brocc.), cosi credetti, senza altro, che il Pecten del Calandrelli provenisse da quel giacimento. Se non chè, essendomi recato l’anno scorso, 1897, al Congresso Geologico Internazionale, tenuto a Pietroburgo, ebbi occasione nel mio v'iaggio di visitare le collezioni paleontologiche di parecchi Musei stranieri e di prendere alcune note sul Pecten da me pubblicato nel 1881, constatandone la sua indubbia presenza nei bacini miocenici di Vienna e dell’ Ungheria e venendo alla conclusione di riguar- darlo quale forma progenitrice del P. latissimus (Brocchi). ammessi ed accettati; i fossili di uno stesso piano vennero poi raggruppati per località, formando così tante raccoltine speciali, disposte con ordine zoologico. Da questa collezione generale vennero esclusi i fossili dei dintorni di Roma, per i quali si intendeva di fare una raccolta isolata da esporsi in apposita sala. 'Cale razionale sistema ho veduto seguito nei Musei geo-paleontologici delle varie università italiane, e nei musei esteri, che ho visitato. Tra questi ultimi, ricordo quelli di Vienna (nel Naturhistorisch. Museum, e nel k. k. geolog. Reichsanstalt, visitati successivamente negli anni 1885, 92 e 97); Praga, Ber- lino e Monaco (nel 1885Ì; Parigi (nel 1888 e nel 1892); Londra ed Ipswich (nel 1888); Buda-Pesth, Varsavia, S. Petershurg e Mosca (nel 1897). In tal modo furono collocate nel Gabinetto Geologico dell’ Università di Roma le raccolte terziarie dei fossili (per lo più invertebrati ed in massima parte conchiglie) di Soissons, Rilly, dintorni di Parigi, bacino di Londra; Kresseu- berg; bacino di Vienna, faluns di Bordeaux e Turena; Tortona nel Piemonte, Romagne e Monte Gibio nel Modenese. A queste raccoltine seguivano quelle dei fossili pliocenici di Valle Andona e dell’ Astigiano, del Bolognese, del Modenese, del Parmense e Piacentino, del Sene^, di Chianciano, e colline Pisane, di Città della Pieve, dell’ Orvietano, ecc. Tutte queste locali raccolte, più 0 meno ricche di specie, si ricavarono in parte dalla collezione Calandrelli, unendovi gli esemplari già posseduti dal Gabinetto, non che gli ulteriori acquisti 0 doni fatti in seguito. OSSERVAZIONI SUL HECTEN RONZÌI 327 Queste mie osservazioni furono già esposte in una breve comu- nicazione verbale, fatta alla Società Geologica Italiana nella adu- nanza generale estiva del 1897, e più precisamente nella Seduta pubblica tenutasi in Gubbio il giorno 20 settembre 1897 ('). La specie da me descritta col nome di Pecten Ponsii, come fossile del pliocene inferiore di Civitavecchia, sulla fede dell’ eti- chetta, che accompagnava V esemplare della collezione Calandrelli, esiste certamente nel bacino miocenico di Vienna, e nel miocene di Ungheria. Ho veduto esemplari, assolutamente uguali al P. Pondi, per facies, ornamentazione, grandezza, e rapporti tra le dimensioni dei vari diametri della conchiglia, nelle collezioni paleontologiche di Vienna e nel Museo Geologico Magiaro di Buda-Pesth. Ne osservai esemplari nell’ imp. Istituto geologico di Vienna, (geolog. Beich- sanstalt), i quali provenivano da Ipoty Shag in Ungheria e da Plam- berg (Sausat), mentre gli altri, esposti all’ Hofnaturhistor. Museum di Vienna ed al Museo Geologico di Buda-Pesth, erano stati rac- colti nei cosidetti calcari di Leytha. Tutti i predetti esemplari con- venivano talmente bene nei loro minimi dettagli col P. Pondi da farmi nascere forte il dubbio che anche 1’ esemplare, da me de- scritto, potesse essere del calcare di Leytha. Nell’ Hof-Museum, tanto il P. Ponza, quanto le forme, che passano al P. latissimus (Brocc.), sono classificate col nome di P. laticosiatiis Desh. (Q, (’) Bollettino della Società Geologica Italiana, voi. XYl (1897), fase. 2®, ved. Kesoconto della Seduta pubblica del 20 settembre 1897, in Gubbio (alla pag. 265). (-) Ecco una nota, tolta in gran parte dall’ Hornes, degli autori, che usarono il nome di P. laticostatus, impostogli da Lamarck. 1819 Pecten laticostatus Lamarck, Hist. nat. d. anim,. s. vertébr., voi. M, 1, pag. 179, n. 4. 1825 )) )i Defrance, Dictionn. d'Hist. Natur, voi. XXX\ III, pag. 256. 1825 » « Studer, Beitràge zu einer Monogr. der Molasse, pag. 393. 1829 n n De Serres Marcel, Oéogn. d. terr. du midi de la France, pag. 130. 1832 I’ » Deshayes, Expédit. scientifiq. de Morée, tom. Ili, pag. 115, n. 92. 1832 » Deshayes, llist. natur. des Vers. Encyclopédie mé- thod., voi. Ili, pag. 728, n. 33. 328 R. MELI denominazione, che dall’Hornes (') è segnata tra i sinonimi del P. latissimus. Nella collezione dell' Istituto Geologico di Vienna portavano questa ultima denominazione. 1833 Pecten laticostatus Deshayes, A'p'pendix to thè Lyell's principles of geo- logy, voi. Ili, pag. 14. 1833 n n Deshayes, Liste d. coq. foss. des terr. tertiair. d. Autr. (Sull, de la Soc. géol. de Fraiice, tom. III. pag. 129). Deshayes in Lamarck, Flist. des anim. sans vertébr., 2”® édit., tom. VII, pag. 156. De la Sèdie H. T., Manuel géologique. Seconde édi- tion puhliée à Londres en 1832. Traduction fran- V’aise revue et puhliée par A.-J.-M. Srochant de Villiers, pag. 174, colonna a destra di chi legge. Hauer v. J., Verz. foss. Thierr. in Tert. Beck. von IVien (Leonhard und Sronn,/aiiri. pag. 424, n. 247). Grateloup, Cat. zool. des anim. du bassin de la Oironde, pag. 58, n. 586. Matheron, Cat. d. corps org. foss. du départ. des Bouches-du-Rhùne, pag. 187. Sronn, Index palaeontologicus von GOppert und von Meyer — A. Nomendator palaeontologicus, i>ag. 926. [Si rimanda al P. latissimus.'] Horiies, Verz. in. Czjzck's Erlàut. zur geogn. Karte von ÌVien, pag. 28, n. 502. D’ Orbigny A., Prodrorne de Paléont., tom. III. 27 étage subappennin. n. 403 (come sinonimo del P. latissimus. 1870 n latissimus HSrnes M., Die foss. Mollusk. des Tertiaer-beckens von ÌVien, voi. II, pag. 395-397 (partini). In Italia non trovo usato il nome Lamarckiano ; ma, invece fu costan- temente adoperata, per la grande forma pliocenica, la denominazione del Srocchi. Visitando, nel settembre 1888, il Museo di Mineralogia di Parigi al .lardins des plantes, vi osservai un esemplare di P. latissimus, fossile del pliocene Astigiano, che portava la etichetta di « Pecten platypleucos Lani. Val. ». (*) Hiirnes M., Die fossilen Mollusken des Tertiaer-beck. von ÌVien, voi. II, 1870, pag. 397. — Hornes scrive che il P. latissimus e forme vicine si trovano nel bacino di Vienna, segnatamente nei cosidetti strati del calcare di Leytha. 1836 » » 1 837 » » 1837 » » 1838 » 1842 » 1848 » 1848 » 1852 » OSSERVAZIONI SUI, FECTEN RONZÌI 329 Peraltro, sotto il nome di P. latissimus nel bacino di Vienna furono confuse due forme di Pecten ben distinte. In altre parole, nel bacino di Vienna si ritrovano le stesse due forme indicate dal Fontannes per il bacino francese del Rodano, cioè, il P. restitu- tensis Font, ed il P. latissimus (Brocc.), alla prima delle quali, come varietà, si rannoda il nostro P. Ponzii. Fontannes nel 1884 distinse la forma miocenica del Pecten latissimus, trovata a Saint-Restitut nel bacino del Rodano, e la chiamò P. restitutensis (>). Questa specie, che egli riattacca al P. latissimus come varietà, differisce dal tipo per una mole nota- bilmente meno grande, (il maggiore esemplare riscontrato misura mm. 143, sopra mm. 160). Il contorno del P. restitutensis è più 0 meno obliquo, carattere che va a perdersi, secondo Fontannes, nelle forme plioceniche. Le orecchiette sono in proporzione più sviluppate nel P. restitutensis, ove raggiungono i 55 centesimi del diametro antero-posteriore ; ciò costituisce per Fontannes un altro carattere distintivo tra le forme mioceniche e plioceniche dei Pecten. Inoltre, le costule, che coprono le coste radiali e gli interstizi, sono comuni nel latissimus adulto, rare invece e obliterate nel resti- tutensis. Tutti i sopraccennati caratteri, si riscontrano nel P. Ponsii, salvo r ultimo delle costicine, che sono ben marcate nel nostro esemplare e in parecchi del bacino viennese ed ungherese. Però, riguardo a queste costicine, che si osservano sui raggi e negli interstizi di taluni esemplari di P. latissimus, rimando il lettore a quanto scrissi alla pag. 6 della citata mia memoria « Sopra una nuova forma di Pecten, ecc. ». Negli esemplari italiani della pre- detta specie, che ho veduto, si mostrano sempre obliterate e mai così pronunciate, come sulla superficie esterna delle valve del P. Ponsii. Il P. Ponsii, come il P. restitutensis, ha minor taglia del P. latissimus (Vedasi la tavola, accompagnante la mia memoria (1) Fontannes, Les mollusques 'pliocene^ de la vallte du Rhóne et de Roussillon, tora. II, pag. 186. — Fontannes, Sur une des causes de la varia- tion dans le temps des faunes malacologiques à propos de la fdiation des Pecten restitutensis et latissimus. Comunicazione fatta alla Soc. Geo- log. di Francia, nell’Adunanza 3 marzo 1884, stampata nel Bullet. de la Soc. géolog. 3.'’ sèrie, tom. XII (1883-84), pag. 357-364 e tav. XVI, fig. 1 e 2. 330 R. MEI.[ del 1881, ove è lìgurato in grandezza di poco inferiore alla natu- rale) ; ha pure coste più convesse ed in minor numero (da 7 ad 8), mentre nel P. latissimus le coste spianate variano da 8 a 10 (Hdrnes) ('). Presenta nodosità apiciali, pisiformi, sulla valva su- periore, 0 sinistra. — Sembra, come il resiitutensis, una specie calcicola. È interessante riportare qui quanto scriveva il Fuchs al Fon- tannes sulle forme di Pecten, rannodantesi col latissimus del bacino di Vienna (2). Egli dice che nel bacino di Vienna si trovano due tipi distinti, che non saprebbero confondersi sotto una stessa deno- minazione specifica. Un gran numero di esemplari del calcare di Leytba sono sì stretti, così gonfi e sì obliqui, che a prima vista è difficile ammettere che si possano riunire al P. latissimus plioce- nico, il quale è sempre più piatto, più equilaterale, e più rotondo. Gli esemplari miocenici offrono inoltre per la massima parte un guscio più spesso, nodosità apiciali più accentuate ed una mole più piccola. Riconosce poi, che nel miocene di Vienna si ha il P. resti- tutensis al lato del vero latissimus. Il P. latissimus tipo si riscontrerebbe nelle sabbie del bacino viennese, mentre il P. restitutensis si rinverrebbe nei calcari e sa- rebbe una specie calcicola. Ciò indicherebbe due zone, ben diverse per qualità e profondità del fondo marino, nelle quali vivevano le pre- dette specie nel bacino di Vienna. Le modificazioni presentate dei gusci della conchiglia in entrambe le specie potrebbero ripetersi dalle diverse e variate condizioni fisiche dell' ambiente, in mezzo al quale si svilupparono. Il P. Ponsii, per il complesso dei suoi caratteri (dimensioni, forma, grandezza delle orecchiette, robustezza del guscio, numero delle coste, e loro convessità, e sopratutto per le forti e marcate nodosità pisiformi sull’umbone della valva superiore), è da riportarsi al P. restitutensis Font. Ma, ne differisce per avere sui raggi e negli interstizi di essi, le costicine ben marcate, carattere, che, secondo Fontannes, è comune nel latissimus. mentre manca nel P. restitu- ii) Brocchi perù ne indica 5 a 6, molto depresse e distanti, senza con- tare i primordi di altri raggi più sottili. (Brocchi G. B., Conch. foss. subap- penn. 1814, voi. II, pag. 581). (^) Fontannes, Bull, cit., pag. 360-361. OSSERVAZIONI SUL FECTEN PONZI! :33l tenùs. Sarebbe quindi una forma intermedia tra i due tipi, cioè, tra il restitutensis ed il laiissimus. Questa forma di passaggio è da considerarsi come discendente dal P. restitutensis^ del quale potrebbe formare una bella varietà, qualora non si volesse mantenere la primitiva mia denominazione pel riguardo che il nome di Pecten Ponzii fu precedentemente imposto dal prof. G. G. Gemmellaro ad una forma del lias di Si- cilia ('). Il P. restitutensis è una forma, che sembra decisamente mio- cenica ; ad esso si collega il P. Ponsii, che per la sua facies ge- nerale sarebbe anche un tipo di Pecten miocenico. Nessuna delle figure date nelle tav. LVI e LVII dell’ Hbrnes {Die foss. Moli., op. cit., voi. II) conviene colla nostra specie per- fettamente. Il P. Ponza s’avvicina assai con le var. del P. nodosiformis De Serres, [De Serres M., Géognosie des terr. tertiaires (op. cit.), pag. 130], figurate dal Pusch nella Polens Palaeontologie oder Ah- bildung und Beschreibung der ecc. Petrefakten aus den Gebirgs- formation in Polen, Volhynien und den Karpathen, ecc. Stuttgart, 1837, pag. 42, n. 6, tav. V, fig. 9, Pecten nodosiformis, deno- minazione, che Bronn segna tra i sinonimi del P. latissimus. Come ho già detto di sopra, il P. Ponzii, per il suo aspetto, sembra una forma miocenica. Questa considerazione mi fa ancora dubitare che l’ esemplare del Museo Geologico dell’ Università di Roma possa essere stato trovato nel giacimento pliocenico dei dintorni di Civitavecchia. A ciò si aggiunga che la roccia del P. Ponzii sembra essere un cal- care bianchiccio grossolano, mentre quella dei dintorni di Civita- vecchia. è un calcare sabbioso con ìAthotìiamniiim, di colore gial- lognolo. (') Gemmellaro G. G., Sopra i fossili della zona con T er ebr atula aspasi a Mng. della provincia di Palermo e di Trapani. Palermo, 1874, in 4°. Ved. pag. 87, tav. XII, fig. 5 {Pecten Ponzii). — L’ora citata memoria è la 3^ di quelle, che trovansi stampate nell’opera del Gemmellaro: Alcune faune giuresi e liasiche della Sicilia — Studi paleontologici — Palermo, 1872-82. Il Pecten Ponzii Gemm. proviene dal calcare marnoso a Ter ebr atula aspasia Menegh. dei dintorni di Chiusa-Sclafani e Giuliana in provincia di Palermo. 832 R. MELI In ogni modo, se è esatta la località scritta sul cartellino del fossile, è da supporsi che qualche altro esemplare potrà in ulteriori ricerche rinvenirvisi. Ciò allora dimostrerà, senz’ altro, la esattezza della località indicata dal Calandrelli e farà svanire ogni dubbio sulla provenienza dell’ esemplare da me pubblicato. Io non ho mancato di ritornare, due altre volte, a raccogliere fossili nel pliocene, affiorante sul bordo del mare a 8 km. circa a N. di Civitavecchia, ma, non ho potuto ritrovare alcun altro cam- pione, nè alcun frammento, che accennasse al P. Ponzii. Come già indicai nel 1880 (^), il pliocene che affiora sul mare alla Fornace presso la via Cornetana al 3° km. da Civitavecchia, è formato da una roccia sabbiosa, a cemento calcare, con FÀtho- thamnium, bianco-giallognola, facile a lavorarsi coll’ascia, analoga, per forma litologica, a quella, che sul littorale romano è chiamata volgarmente Macco, e che si mostra tra Anzio e Nettuno, a Palo presso la stazione ferroviaria, ed a Corneto-Tarquinia, ai IMontarozzi. Dò l’elenco dei fossili, che ho estratti finora dall’ anzidetta località, rettificando alcune determinazioni stampate nella mia me- moria del 1880, più volte menzionata. Lithothamnium (cfr. 'pliocemcum Giimb.). Rotalia Beccarì Linn. (Nautilus). ’’ » var. infiala Seguen. (Terrigi G. Fauna vatic. a foramiìiif. delle sabbie gialle ecc. 1880, pag. 88-89, tav. IV, fig. 67). Vioa Nardina Michlin. (numerose perforazioni). Clyiìeaster iMocenicus Seguen. (-). Schizaster canaliferus Deslong. Doricidaris papillata Leske {Cidaris) = Cidaris hy stria; Lamk. = Cidaris Miinsteri Meli (1880), (non Sism.) Porzione inferiore di radiolo con piastrina. Membranipora reticulum Lin. ( Millepora). " irregularis d’ Orb. (0 Meli R., Sui dintorni di Civitavecchia, memor. cit., pag. -5 del- r estratto. (-) Clypeaster 'pliocenicus Seg. = C. altus Seg. (non Lamk.). Seguenza tì. , Le formazioni terziarie nella provincia di Reggio {Calabria) — Negli Atti della R. Accad. dei Lincei, 1879-80. Serie 3®', Memorie della Classe di Se. tis. mat. e natur., voi- VI, pag. 215, tav. XV, fig. 27, 27o, 27;,. 0 SERV AZIONI SUI, FECTEN PONZI I 333 Micropora [^Rosseliana] Rosselii Aud. {Flustra). " \_Cal}iensia\ impressa Moli {Eschara). Cribrilina radiata Moli {Eschara). Microporella \^Feaestridina~\ ciliata Lin. {Cellepora). ” ■n V var. Morrisiana Biisk {Lepralia). » {_CaUoporina~\ decorata Reuss {Cellepora). Schisoporella sp. Osthirnosia coronopus S. Wood {Cellepora). Tubulipora \_Stomatoj)ord\ major John. {Alecto). Cellepora tubigera Busk('). Terebratula ampulla Brocc. {Anomiaj. Anomia ephippium Limi. Ostrea plicatula Gmel. » cochlear Poli. » cuculiata Born. •’ Boblayi Desh. ” sp. ? Grande valva inferiore, misurante una lunghezza di mm. 224, una larghezza di mm. 135, ed uno spessore di mm. 74. La super- ficie esterna della valva è bucherata da fori di grandezza diversa; i maggiori vi furono operati da molluschi litofagi, ed i minori da spongiarì. Le ripiegature, od ondulazioni delle lamelle sulla super- ficie esterna della valva sembrano essere appena accennate ; ma, la valva superficialmente è assai corrosa e deteriorata dai fori dei litofagi. Il contorno della valva ricorda lontanamente quello di un’el- lissi, molto allungata secondo il suo diametro maggiore, che corri- sponderebbe alla lunghezza della conchiglia. Non conviene con al- (') Le sopra indicate specie di Briozoi furono determinate gentilmente dal prof. A. Neviani, e si trovano stampate nella nota, pubblicata da lui in questi giorni, col titolo ; Briozoi delle formazioni plioceniche e post-pliocen. di Palo, Anzio e Nettuno, inserita nel Bollettino della Società Geologica Italiana, voi. XVII, 1898. fase. 4, pag. 232. Ved. anche ; Neviani A., Briozoi Neogenici di alcune località d'Italia, parte V, cap. XVI; Briozoi del pliocene inferiore di Civitavecchia, nel Bol- lettino della Società romana per gli studi zoologici, voi. V^II, 1898, fase. TTT-TV, pag. 109. 334 R. MELt cuna delle grandi Ostree, figurate dall’ Hornes nella sua opera, già citata: Die foss. Mollusken ecc. voi. II {Bivalven). Differisce dal- r Ostrea crassicostata Sow. (Hornes, op. cit.. voi, II, pag. 441. spec. 3, tav. LXVIII, fig. 4a^è; tav. LXIX) per la facies, per la forma delle valve e per la mancanza delle grandi coste, che si veggono nella valva inferiore dell’ 0. crassicostata. Neppure con- viene coir 0. gigensis Schlot. (Hornes, voi. II, pag. 452, sp. 8. tav. LXXVI-LXXX) per la forma, che è in questa specie molto più allungata, quantunque la superficie della valva inferiore sia esternamente ornata di lamelle concentriche, come nella valva di Civitavecchia. Inoltre nell’ 0. gigensis le lamelle della valva infe- riore sono anche interrottamente ondulato-subpiegate. Neppur lon- tanamente ricorda 1’ 0. crassissima Lam. (Hornes, op. cit., voi. II, pag. 455, sp. 9, tav. LXXI-LXXXIV), perchè questa ha le valve assai allungate; il particolare aspetto dell’area cardinale dell’O. crassissima si riscontra, in proporzioni però ridotte, nella valva in questione, la quale non presenta forti ripiegature nelle lamelle sulla superficie della valva, che è peraltro assai mal conservata esternamente. Nè conviene con alcuna delle specie figurate nell'opera del Sacco: 1 molluschi dei terreni terziarii del Piemonte e della Liguria. Parte XXIII, 1897, Pelecypoija {Ostreidae, Anomiidae e Dirnijidae). Una qualche rassomiglianza per l'ispessimento del bordo ante- riore, e per l’area ligamentare, si ha fra la valva in parola e le Ostree elveziane, figurate da W. Kilian nella Mission d’And.a- LOUSiE, II : Études jpaléontologiques sur les terrains second. et tertiaires de V Andalousie , Paris, 1889 (Mémoir. présentés par div. savants à l’ Academ. d. Sciences de l’ Institut de France, Tom. XXX), specialmente coll’O. Maresi Mun. - Ch. — 0. Bar- roisi Kil. = 0. Welschi Kil. (Ved. mem. cit.. pag. 712-713, tav. XXXIV fig. 2, XXXVI fig. 2, e fig. 3 alla pag. 712 e pag. 751). Ma, ne differisce per la maggiore grandezza, per il maggiore svi- luppo dell’ area cardinale e per il forte ispessimento della con- chiglia nella parte esterna corrispondente all’ apice. Come grandezza, ed un poco per il contorno, ricorderebbe 1’ 0. praegrandis Phil. (Philippi A. R., Enumerano moli. Siciliae, voi. II, 1844. pag. 64, sp. 4, tab. XVlI), la cui superficie esterna è liscia e solamente OSSERVAZIONI SUL PECTEN PONZII 335 presenta strie d’ accrescimento. Per F ornamentazione converrebbe invece con F Osirea gigantea Pilla (*). Ma, questa ultima specie ha le valve a contorno quasi circolare, mentre la specie di Civi- tavecchia è assai più allungata ed ha un’area cardinale sviluppa- tissima. Ostrea sp. Valve inferiori di una specie di non grande mole; minore per dimensioni dell’ 0. cocìilear, alla quale si somiglia alquanto, ma che presenta lamelle, ricordanti quella varietà di Ostrea LameLlosa Brocc., figurata dal Cocconi nella tav. X, fig. 15, della Eaumeraz. sistemai, dei moli. mioc. e plioc. delle prov. di Parma e Pia- cenza (Bologna, 1873, pag. 355, n. 11, szx. plano-lamellosa Mayer). Però, è di forma e di dimensioni tutt’ affatto differente. Non so a quale specie conosciuta riportarla. Spondylus crassicosta Lamk. — Hinnites sp. ? Frammenti di valva, piuttosto sottile, che, per grandezza ed ornamentazione della superficie esterna della conchiglia, ricorde- rebbe F H. Ercolanianus Cocc. (“) ; ma, che non posso identicare per lo stato incompleto della valva e per le ristrette dimensioni dei frammenti. Pecten opercularis Linn. {Ostrea). Una valva di mediocre grandezza. Pecten scahrellus Lamk. Parecchie valve isolate di giovani individui, il maggiore dei quali raggiunge la grandezza della figura data dal Brocchi {Condì, foss. subapen. 1814, voi. Il, pag. 575, n. 21 e pag.671, tav. XVI, fig. 16). Pecten pes-felis Linn. {Ostrea). » varius Linn. {Ostrea). Macrochlamys latissima Brocc. {Ostrea). Vola Jacobaea Linn. {Ostrea). (L Pilla L., Trattato di Geologia. Pisa, Vannucchi, 1847-51, in 8“. Ved. Parte II, nota alle pag. 183-184 e fig. 137 «è alla pag. 183. (-) Cocconi G., Enum. sistem., op. cit., pag. 342, n. 3, tav. X, fig. 6-7. Sacco F., / moli. d. terr. terz. del Piemonte e della Liguria. Parte XXIV. Pectinidae, 1897, pag. 12, tav. Ili, fig. 1, e var. fig. 2-5. Jaiiira flabelliformis Brocc. {Ostrea). Neithea sp.? Parecchi frammenti di valve inferiori, fortemente arcuate e convesse. La specie è minore e molto più convessa della V. Jaco- haea Linn. S’ avvicina, per grandezza e facies, al P. aduneus Eichw. ('), ma ne differisce per la forma delle costole rilevate e per la maggiore distanza e profondità degli interstizi. Non so a quale specie cognita riferirla (-). PLeuronectia cristata Brocc. {Pecten). ScadoTia {Gir sotr ertici) lamellosa Brocc. {Turbo). [Brocchi G.. Conch. foss. suba'p.. 1814. voi. II, pag. 379, n. 26, tav. VII, fig. 2. — De Boury E., Pévision des Se ali da e miocènes et pliocènes de T Italie. Nel Bullett. della Soc. Malacolog. ital., voi. XI V. 1890, pag. 199]. Frammento, presentante l'ultimo giro completo, dal quale si (0 Hornes M., Die foss. MoUusk. d. l'ert.-Beck. von ll'ien., voi. II, pag. 401, sp. 6, tav. LIX, fig. 7, 8, 9. Il Pecten aduneus, che finora era considerato come forma esclusivamente miocenica {hisher nur in Miocaen qefunden. Fuchs), fu rinvenuto recente- mente nella panchina pliocenica di Livorno. Ved. Ugolini E. P., Sulla pre- senza del Pecten aduneus Eichw. 'nella panchina pliocenica dei monti Livornesi. Bullettino d. Soc. Malacologica Itah, voi. XX, pag. 147-149. L’ Oppenheim riferisce il giacimento, ove fu rinvenuto il P. aduneus, al Mio-pliocene (nella parte, cioè, superiore del Messiniano). Ved. Oppenheim P., Sul Pecten aduneus Eichwald nel Neogene di Toscana, nella Eivista Ital. di Paleontologia, anno V, fase. Ili, 30 settembre 1899, pag. 85-8 . (2) Un importante lavoro sopra alcuni Pecten viventi nei mari europei è stato testé pubblicato dal chiarissimo marchese di Monterosato (Monterosato A. T., Révision de quelques Pecten des mers d' Europe. Paris, 1899, in-8'’, di pag. 12. Estr. d. Journal de Conchyliol., Année 1899, n. 3). Vi si trovano indicate e figurate parecchie specie. — Parlando del Pecten maximus, dice che « manque à Pétat fossile dans le pliocène récent d’Italie et de Sicile « (pag. 5 dell’ estr.). Ma, io debbo avvertire che ho rinvenuto tre esemplari, frammentati, indubbiamente riferibili a questa specie, nelle sabbie con Donax tru'nculus Linn. di Acquatraversa (gruppo del Monte Mario, presso Koma), che conservo nella mia collezione di fossili marini dei dintorni di Eoma. Del resto, la specie fu citata, come rarissima dal Conti (Il Monte Mario e i suoi fossili subappennini, D ediz. 1864, pag. 24; 2'’ ediz. 1870, pag. 31) e dallo Zuccari (Coll. Rigacci, Catal. dei fossili dei dintorni di Roma. Roma, 1882, pag. 13, n. 286). Ne ho fatto confronto con esemplari, provenienti dall’Atlan- tico, che ho nella mia collezione di conchiglie viventi. OSSERVAZIONI SUL PECTEN PONZIl 337 può ricavare che l’ esemplare aveva dimensioni anche maggiori di quello tìgurato dal Brocchi (tav. sopra citata) e delle figure di questa specie, date dall’ Hòrnes {_Die fos8. Moli. (op. cit.), tav. 46, tìg. 1 a, 1 b~\. Il frammento, per ornamentazione e grandezza, conviene con gli esemplari, che ho nella mia collezione, provenienti dai terreni pliocenici del Piacentino e del Parmense. Turritella sp. ? Modello interno. Alcune specie del presente elenco sono indeterminate, perchè ne possiedo soltanto frammenti, od esemplari incompleti. Del resto, mi sono valso solo del materiale preso nello scorso anno 1897, mentre, fin dal 1880, ho regalato al Gabinetto di Geologia della R. Università di Roma, le roccie e i fossili, da me ed a mie spese raccolti nel 1879, i quali mi servirono per la lista riportata nel lavoro « Sui dintorni di Civitavecchia » sopracitato. E notevole la presenza del Clypeaster pliocenicus Seguenza. Io r aveva, nell’ elenco dato nel 1880, dubitativamente riferito al Clyp. intermedius Desmoul. È una forma affine al Cl. allus. Lamk. (n. Phil.), rinvenuto nel miocene di Baselice (Benevento) e di Monteleone (Calabria) dal Seguenza e generalmente considerato come caratteristico del miocene (*). È però vero che lo stesso Seguenza precedentemente, (0 Seguenza G., Le formaz. terz. di Reggio {Calabria). Atti d. R. Acc. dei Lincei. Memor. d. classe di se. fis., mat. e nat. Ser. Ili, voi. VI, 1880, pag. 87. Il Clyp. altus Leske {Echinantus)si rinvenne, come ho detto sopra, nel miocene della Calabria, specialmente del Monteleonese ; ne vidi esemplari nel Gabinetto di Storia Naturale del R. Liceo di Catanzaro, mostratimi dal prof. Ne- viani, nel 1888, quando si tenne in quella città l’Adunanza della Società Geo- logica Italiana, alla quale intervenni. Pliilippi cita il Clyp. altus Lamk. (emendatus) nei dintorni di Catan- zaro e nell’Asia Minore (Philippi A. R., Ueher Clypeaster altus, Cl. turritus, Cl. Scillae nella Palaeontographica, voi. I, fascio. 6°, 1851, pag. 323, tav. XXXIX, fig. 1-3). Delle arenarie a Clypeaster della Calabria meridionale parlarono, tra gli altri, Seguenza, Rambotti, De Stefani C., Lovisato, Pepe, Neviani, Cor- tese, ecc. Neviani ritiene tali arenarie, elveziane. {Cenni sulla costituzione geologica del littorale Jonico da Cariati a Monoster ace — Memoria postuma 22 K. MELI 338 ossia nel 1869, ammetteva che la suddetta specie {Clup. aUua) esistesse nel pliocene della Calabria ('). Secondo il prof. Simonelli (-j il vero Ciijp. altus Lmk. si rinverrebbe nel pliocene, e difatti lo segna nei calcari pliocenici del golfo della Botte nell’isola di Pianosa, ed in parecchie loca- lità della Toscana, cioè, nei dintorni di Siena. Montalcino. S. Qui- rico d’ Orcia, Bossi e Sterza. Il Simonelli propende a riunire il Clyp- aegijptiacus Wright. dell' ing. V. Rainbotti con osservazioni e note di A. Neviani. Nel Boll. d. Soc. Geolog. Italiana, Anno VII, 1888, fase. 3°, ved. pag. 361 e seg.). Il Clypeaster altus fu rinvenuto nel miocene medio (Elveziano) di Ba- selice in provincia di Benevento (Seguenza e Capecelatro in Patroni. Boll. d. Soc. Geol. Ital., anno XI, 1892, pag. 677). È citato a Capri, Corsica, Malta, Bordeaux, Dax, Orano nell’Algeria. Creta, ed in altre località, indicate dal Mayer-Eymar nella sua Revision d. Formenreihe des Clyp. altus, 1897 (Mem. cit.), non che in Sardegna dal Cotteau {Descript, des Echinides recueillis par M. Lovisato dans le rnioc. de la Sardaigne, nelle Mém. de la Soc. Géol. de France. Pai. V, fase. II, 1895, pag. 23). È pure citato dal Loriol nel Portogallo (Loriol P. de, De- script. des Èchinod. tertiair. du Portugal, accompagnée d'un tableau stra- tigr. par J. C. Berkeley Cotter, nelle Mém. d. Direction d. trav. géolog. d. Portugal, 1896, pag. 24 e seg., tav. X) e da Pomel nell’Algeria (Pomel A., Paléont. d. VAlgérie. Èchinod., pag. 261, tav. B, XLI. Fu anche rinvenuto nell’ Elveziano di Villanueva presso Siviglia in Spagna (Kilian W., Mission d’Andalousie, II: Études paléontol. (mem. cit.), 1889. pag. 718, n. 49). È citato nell’Asia Minore (Tchihatcheff P. de, Msie J/meizre. Descript, physiq. de cette contrée. Paléontologie par D'Archiac, P. Fischer et E. De Verneuil. Paris, 1866, tav. VII, fig. 1“ ). (B Seguenza G., Intorno la posizione stratigrafica del Clyp. altus. Negli Atti della Soc. Ital. di Se. naturali, voi. XII, 1869, pag. 657. (‘^) Simonelli V., Terreni e fossili dell'isola di Pianosa nel mar Tirreno. Roma, Tip. Nazionale, 1889, in 8°, con 5 tav. Estr. dal Bollett. d. E. Comi- tato Geolog. d’Italia. Anno 1889, n. 7-8. Ved. pag. 25 dell’ estr. — Il Simo- nelli rinvenne il Clypeaster altus ed il P. latissimus in una roccia consimile al nostro Macco per la sua forma litologica, a giudicarne dalla descrizione, che egli ne dà, e che egli chiama calcare a Lithotharnmium. Questa roccia, oltre il Clypeaster ed il P. latissimus, contiene lo Spondylus crassicosta e, tra gli echinodermi: Spatangus purpureus (Miilh), Dorocidaris papillata (Leske), Echinocyamus pusillus (MiìlL), Psammechinus Spadae (Desor.), ecc. Tutte queste ultime specie di echinodermi si rinvengono \\A Macco d’ Anzio, nel quale però manca il Pecten latissimus, che ritrovai invece nel Macco di Palo e di Corneto-Tarquinia. OSSERVAZIONI SUL PECTEN PONZII 339 abbondante nelle sabbie plioceniche della valle del Nilo ('), al Clijp. pliocenicus. Del resto, il Fuchs (-) ed il Beyrich (^) ave- vano già indicato la probabile identità di queste due forme; re- centemente Fourtau ritenne pure che la specie del Segnenza debba identificarsi col Clyp. aegyptiacus ('*). Maj''er-Eymar invece pone il Clijp. aegyptiacus Wrigt = altus (Typus) e lo colloca nell’ El- veziano (^). Un Clypeaster pliocenico {G. Guidottii) è citato, con qualche dubbio, a Castellarquato dal Vinassa de Kegny (6); ma, è ben diverso da quello di Civitavecchia, sia per le minori dimensioni, che per la forma e la sua facies. Il Clyp. pliocenicus raggiunge dimensioni gigantesche, aven- done Seguenza ritrovato esemplari della lunghezza di 2 decimetri. L’ esemplare frammentario, da me estratto dalle indicate roccie sul bordo del littorale di Civitavecchia, misura circa cm. 16 in lunghezza. 11 Seguenza dice che tale specie di Clypeaster è « proprio carat- teristica del piano inferiore del pliocene . Lo rinvenne infatti, in terreni riferibili ai suo piano Zancleano, a Terreti e Nasiti presso (C Fourtau R., Les sables pliocènes des environs des Pyramides de Ghized. Bulletin de l’Institut Égyptien, serie, n. 9, Janvier-mars 1898, n. 1, pag. 35-37. (2) Zittel K., Beitràge zur Geol. und Palaeontologie der Lybischen Wuste, nella Palaeontographica, voi. XXX, 1883, parte IP. Vedasi: Fuclis T., Beitràge zur Kenntniss der Miocaenfauna Aegyptens und der Libyschen Wuste. Cassel, 1883. Ved. Appendice (Nachtrag), pag. 66. (3) Beyrich E., Ueber geognost. Beobachtungen G. Schweinfurtìi’s in der Wùste zioischen Cairo und Suez, nei Sitzungsbericht. der k. Akad. der Wissenschaft. zu Berlin, 1882, parte IP, pag. 172. (D Fourtau R., Révision des échinides foss. de l'Égypte (Mémoires pré- sente s à rinstitut Égyptien, toni. Ili, fase. Vili, 1899, pag. 721-723). É l’unica specie di questo genere, che siasi rinvenuta nelle sabbie plioceniche egiziane (Fourtau, mem. cit., pag. 723 e 727). La specie, oltre che in Egitto, si rinvenne in Tunisia. Fourtau R., Sur l. sables à Clypeastres d. envir. d. Pyram. de Ghized, nel Bull. d. 1. Soc. géol. d. Franco, 3“® sèrie, tom. XXVI, 1898, p. 39-43. Révision der Formenreihe des Clypeaster altus (Vierteljahrsschrift der Naturforschenden Gesell. in Ziirich. Jahrg. XLII, 1897). (®) Vinassa de Regny P. E., Echinidi neogenici del Museo Parmense. Atti della Socetà Toscana di Se. naturali residente in Pisa, Memorie, 1897, tom. XV, pag. 139-155. Ved. pag. 150, ovvero pag. 14-15 delPestr., e fìg. 2a-c {Clypeaster Guidottii). 340 R. MELI Reggio-Calabria ed a Testa del Prato presso la stessa città. Fu anche rinvenuto nel pliocene di Altavilla (Calcara, Aradas, Se- guenza) ('), ed a S. Miniato in Toscana. Il dott. G. Di Stefano mi mostrò grandi esemplari di Clype- mter, trovati nelle sabbie plioceniche dei dintorni di Monte Murlo (Senese) (-). Ricordo, da ultimo, che molti Clypeaster furono rinvenuti nel pliocene di Borzoli nel circondario di Genova in Liguria (3), e, come in precedenza indicò il Simonelli, nel pliocene delle Ta- vernelle, nel comune di Montalcino, circondario di Siena (^). Il complesso delle specie, segnate nella precedente nota di fossili, indica un vero pliocene. Neviani (op. cit., Boll. d. Soc. Romana per gli studi zool., voi. VII, 1898, pag. 109), dice che per la faunula dei Briozoi corrisponde assai bene a quella ben nota di Castrocaro (^) e ri- porta il giacimento al pliocene inferiore. (1) Seguenza G., Studii stratigrafici sulla formazione plioc. dell' Italia meridionale, Boll. d. R. Corait. Geolog. d’Italia, Anno IV, 187.S, n. 1-2. ^ ed. pag. 43 e nota l a piedi della pagina. (2) I Clypeaster sono conservati al R. Comitato geologico. — Insieme a diverse specie di Clypeaster furono trovati nello stesso strato: Pecten la- tissimus (Brocc.), Pectunculus polyodonta (Brocc.), ecc. La località, ove furono rinvenuti questi fossili pliocenici, trovasi nella tavoletta topografica di Monte Murlo (Siena); è presso Cinigiano, e chiamasi i( Casa Nuova «. Una grande valva, destra, di P. latissimus (Brocc.), tipico, proveniente dalla predetta località, misura una lunghezza di mm. 285, ed una larghezza di mm. 272. Tra le coste presenta i solchi raggianti; le coste sono evane- scenti verso la periferia a circa un terzo della lunghezza dal bordo della valva. Il seno bissale è assai marcato. (3) Razzore A., Il pliocene di Sestri Ponente, San Giovanni Battista e Borzoli. Atti della Soc. Ligustica di Se. naturali, anno IH, 1892, fase. IV. Novarese V., Strati pontici dei dintorni di Campagnatico e Pa- ganico {prov. di Grosseto), nel Bollett. d. Soc. Geol. Ital., voi. XVI, 1897, 'fase. 1°; ved. pag. 71. (5) Su Castrocaro e la sua fauna fossile si può consultare: Foresti L., Cenni geologici e paleontologici sul plioc. antico di Castrocaro (Memorie d. Accad. delle Scienze dell’ Istituto di Bologna, Serie ITI, tom. FI, 1876). — Manzoni A., I Briozoi del pliocene antico di Castrocaro, 1875. — Neviani A., Seconda contribuzione alla conoscenza dei Briozoi fossili italiani. La col- lezione dei Briozoi pliocenici di Castrocaro, illustrata dal Dottor Angelo Manzoni, 1893. OSSERVAZIONI SUL PECTEN PONZII 341 In Italia, il P. restitiUensis fu fino ad oggi rinvenuto, almeno per quanto io conosco, nel miocene di due località insulari, cioè; nelle argille mioceniche dell’ isola di Pianosa in Toscana dal Simo- nelli, il quale riporta a questa specie una forma di Macrochlamys munita di nodosità apiciali sulla valva superiore, o sinistra (’), e nel calcare tufaceo (pietra cantone) di S- Michele in Sardegna, la quale roccia è riferita dal Parona al miocene medio (Elveziano) (®). Inoltre, Sacco (parte XXIV, Pectinidae, pag. 33, tav. X, fig. 7-10), descrive una varietà del P. latissimus {nbx. praeccdens)., ritrovata nell’ Elveziano dei colli di Torino, Albugnano e Rosignano, che dubbiosamente riporta ad una varietà del P. restitutensis Fontan. Parimenti in Italia, il P. latissimus è citato, come raro in pochi luoghi del miocene, specialmente del miocene medio e supe- riore; ma, è indicato frequentemente nei terreni pliocenici. Nel MIOCENE d’ Italia la Macrochlamys latissima (Brocc.) venne constatata nelle seguenti località. Nella 1® zona del miocene (miocene inferiore) lungo la valle Amendolea e nel calcare con sabbia quarzosa del Capo delle Armi nel Messinese (Seguenza 1873) (^). Fuchs (^) la cita, come rinvenuta dal Manzoni, negli strati del Monte Titano (Repubblica di San Marino), i quali sono sin- croni a quelli di Schio ed agli inferiori di Malta (®). Però, il Man- zoni non la segna nel suo lavoro: E Monte Titano, i suoi fossili (') Simonelli V., Tirreni e foss. dell'isola di Pianosa, inem. cit., veri, pag. 42 dell’ estratto. O Parona C. P., Appunti per la paleontol. miocenica della Sardegna. Nel Boll. d. Soc. Geol. It, voi. VI, 1887, fase. 2'’. Ved. pag. 298, 311-312. (®) Seguenza 6., Brevissimi cenni intorno la serie terziaria della pro- vincia di Messina. Nel Bollettino d. R. Comitato Geolog. d’ Italia, Anno 1873, n. 9-10, Ved. pag. 262. P) Fuchs Th., Die Gliederung der Tertiàrhild. am Nordahìiange d. Apenn. von Ancona bis Bologna. Estr. dal voi. LXX dei Sitzb. der. k. k. Akademie d. Wissenschaft. 2® parte, fase, febbraio 1875. Vedi pag. 6 del- l’estratto. (^) Gli strati di Schio, a Scutella subrotunda, sono generalmente riferiti al Miocene medio (Elveziano) ; però, secondo alcuni geologi, sarebbero più antichi e dovrebbero riportarsi al Langhiano. Per la posizione di tali strati può leggersi la discussione, avuta nella Adunanza della Società Geologica ita- liana il 13 settembre 1892 a Schio, che è stampata sommariamente nel Boll, della Soc. Geologica ital., anno XI, 1892, fase. 3°, pag. 682-683. 342 K. MEI.I la sua età ed il suo modo di origine, stampato nel Boll. d. K. Comitato geolog. d’ Italia, anno IV, 1872. Soltanto Manzoni (1. c., pag. 77) fa parola di ;; due grandi forme di Pecten, a coste mas- « sime, potentemente robuste e nodose, l’ uno dei quali rammenta “ le Tridacne delle scogliere madreporiche e l' altro i Pecten a « guscio solidissimo, a coste geniculate e nodose delle odierne re- gioni tropicali « . Probabilmente, ima di queste due specie inde- terminate dal Manzoni, sarà da riportarsi al latissimus. È vero, per altro, che Puchs (mem. cit., pag. 6) scrive: che questa, insieme ad altra specie di Pecten, si trovò, dal Manzoni, dopo la pubbli- cazione del suo lavoro sul Monte Titano e perciò non potè esservi citata. Ma, il Manzoni indica il P. latissimus negli strati del Monte Titano nella traduzione del lavoro, sopra citato, del Fucbs, stampata nel Bollettino del R. Comitato Geologico d’ Italia (ved. voi. VI, 1875, pag. 249). Lo stesso Fuchs cita il P. latissimus nelle roccie del Monte Titano “ nella sua nota * : Ueber die mio- càaen Pecten-Arten aus den nòrdlichen Apenninen in der Sam- mlung des Herrn D^. A. Manzoni, edita nei Verhandlungen der k. k. Geólog. Reichsanstalt, 1881, pag. 319 e parla di tale specie verso il fine della nota, cioè alla pag. 322. Nel miocene medio delle colline di Torino, alla villa Sclopis (Michelotti 1847, col nome di P. simplex) ('); Sacco segna due (1) Michelotti G., Description des foss. des terrains miocènes de Vltal. septentr., Haarlem, 1847, in 4°. Vedasi pag. 86, spec. n. 2, tav. Ili, fig. 4, 4', sotto il nome di Pecten simplex. Il Pecten simplex Michtti, fossile del miocene medio della collina di Torino, alla villa Sclopis, è una forma ài Macrochlamys strettamente dipen- dente dal P. latissimus, del quale sembrami una varietà minor, essendo, come ne scrive Michelotti, « plus petite que le P. latissimus». 1 raggi non sono poi solcati longitudinalmente e neppure gli interstizi. Il P. simplex è anche descritto da Michelotti nel suo lavoro: Brevi cenni d. alcuni resti delle classi Brachiopodi ed Acefali trovati fossili in Italia, stampato negli Annali delle scienze del Regno Lombardo-Veneto, tomo IX, 1839 (ved. pag. 129, spec. n. .5). Lo indica fossile del colle di Torino. Circa le differenze col P. latissimus scrive: «IIP. latissimus di Brocchi, o « laticostatus di Lamarck, possiede un numero maggiore di raggi longitudi- « nali, con solchi longitudinali, che mancano nella mia specie, la quale tut- ti tavia è molto più piccola del P. latissimus ». OSSERVAZIONI SUL PECTEN PONZI! 343 varietà della M. latissima^ la var. gibhoplana (parte XXIV, pag. do, tav. X, tìg. 6) rinvenuta nell' Blveziano, ad Ottiglio nel Canalese (e nel pliocene Astiano) e la var. praecedens (parte XXIV, pag. 33, tav. X, fig. 7, 8, 9, 10) già menzionata, dell’ Elveziano dei' colli di Torino. Albugnano e Rosignano. Con dubbio considera questa ultima forma, come una varietà spettante al P. restilutensis Fontan. Fu anche rinvenuta la M. latissima in una melassa marnosa, grigia, di Pienza nel circondario di Montepulciano (Siena), che, secondo Fuchs, sarebbe di facies miocenica ('); nel miocene, medio di Monte Cedrone presso Città di Castello nell' Umbria (Ugolini I raggi nel P. simplex sarebbero solamente otto. Dopo il P. simplex, Michelotti descrive alla specie n. 6 un’ altra forma col nome di P. vesicularis, fossile dell’ Astigiano, la quale è pure riportata oggi al latissimus. Dice, che per le nodosità s’ avvicina al nodosus Lk., ma, che le orecchiette nel nodosus sono ineguali; gli intervalli tra i raggi sono muniti di solchi, mentre nel vesicularis si hanno 5 raggi (radiis tumidis, no- doso-vesicularibus). Sismonda nella: « Synopsis method. anim. invertehr. Pedemont. fohilium. Editio altera, accuratior et aucta. 1847 « conserva il P. simplex del miocene torinese come forma distinta dal P. latissimus, mentre segna tra i sinonimi di questa ultima specie il P. laticostatus Lam. ed il P. vescicularis Michtti, del pliocene dei Colli astensi (Ved. Synopsis, pag. 13). Locard riporta pure tra i sinonimi del P. latissimus il P. vesicularis Michtti. (Locard A., Description de la Faune d. terrains tertiaires moyens et supérieurs de la Corse. Lyon, 1877, pag. 139). Anche Pantanelli riferisce al P. latissimus il P. vescicularis di Miche- lotti {Lamellihr anelli pliocenici (mem. cit.). Ved. Bollett. d. Soc. Malacci, ital., voi. XVII, 1892, pag. 102). Così pure il Sacco (op. cit.. Parte XXIV, Pectinidae, 1897, pag. 33), riunisce il P. vescicularis Michtti al latissimus. Per non moltiplicare soverchiamente le citazioni in questa enumerazione di località, ho segnato il titolo dell’opera soltanto la prima volta, che viene nominato P autore. Se questo è in appresso ripetuto più volte, seguito da uno stesso anno di stampa, la citazione si riferisce sempre alla medesima opera precedentemente menzionata ed alla pagina di essa già citata. (') Fuchs Theodor, Studien uoer die Gliederung der jungeren Tertiàr- hildungen Ober-Italiens (nel voi. LXXVII d. Sitzungsber. der k. Akad. d. Wissenschaft, Wien, I* parte, fase, di maggio dell’annata 1878) ved. pag. 28 dell’ estr 344 R. MELI 1899)0; Città di Castello, tra la vecchia Dogana e Monte Santa Maria Tiberina, nelTUmbria (Verri e De Angelis 1899) (-); nell’El- veziano di Vena di Mezzo presso Monteleone in Calabria (De Stefani (9 Ugolini E., Monografia di Pettinidi miocenici dell'Italia centrale, nel Ballettino della Soc. Malacologica ita!., voi. XX, pag. 192-193, e n. 12 del quadro riassuntivo delle specie, alla pag. 197. (*) Verri A. e De Angelis d’ Ossat G., Contributo allo studio del mio- cene nell' Umbria. Atti della E. Accad. dei Lincei. Serie V, Eendiconti. Classe di Se. fis., mat. e natur. Seduta del 3 giugno 1899, voi. Vili, fase. 11, 1° se- mestre, pag. 549. Ma, De Alessandri ritiene che il P. simplex Michtti. costituisca una specie diversa dal P. latissimus, e lo riferisce al P. Holgeri Geinitz. non potendo accettare il nome imposto dal Michelotti nel 1839, perchè, preceden- temente, il Phillips {Illustr. of thè geology of Yorkshire, London, voi. XI, pag. 212, tav. 6, fig. 27) aveva descritto un P. simplex. Ved. De Alessandri G., La pietra da Cantoni di Rosignano e di Vignale [Basso Monferrato). Studi stratigrafici e paleontologici, nelle Memorie del Museo Civico di Storia Naturale di Milano e Soc. Dal. di Se. Natur. Tomo VI (11° della Nuova Serie) Fase. 1°, 1897 (pag. 57 dell’estr.). Th. Fuchs nella sua nota: Ueber die von G. Michelotti aus den Ser- pentinsander von Turin beschriebenen Pectenarten, che trovasi inserita nei Verhandlungen der k.k. Geologischen Reichsanstalt, 1881, pag. 316-318, giu- dica il P. simplex Michtti un giovane P. latissimus (Ist ein jiinger P. latis- simus, pag. 317. n. 8- Ved. anche pag. 318, n. 6). Uguale opinione emette nell’altra memoria Ueber die miocènen Pecten-Arten a. d. nordl. Apenn. in der Sanimi, d. II. D. A. Manzoni (mem. cit.), che trovasi stampata a seguito della memoria precedente nei predetti Verhandlungen (pag. 318-322). Leg- gasi la fine della memoria (pag. 322), ove parla del P. latissimus. Una forma assai vicina al latissimus ed al P. simplex è quella descritta dal Dunker col nome di Pecten crassicostatus, rinvenuta nella mollassa mar- nosa, grigia, di Niedrstotzingen presso Gunzburg in Baviera, vicino ad Ulm nel Wilrtemberg. Ved.: Dunker Wilh., Ueber die in der Molasse bei Gunzburg unfern Ulm vorkommenden Conchylien und Pflanzenreste, nella Palaeo.nto- GRAPHiCA, voi. I, fas. 4, 1 848, pag 164 n. 14 e 165, tav. XXII fig. 2-3. Quen- stedt, parlando di questa specie, la dice, anche esso, assai somigliante al latis- simus, ma minore di dimensioni, giungente soltanto alla metà di quelle del latissimus, col seno bissale più profondamente 'scavato. (Quenstedt Fr. X., Ilandb. d. Petrefactenkunde (op. cit.), 1885, pag. 773). Un’altra forma simile al P. latissimus, ma minore di questo, è accen- nata da Fuchs nel calcare a Nullipora di Gassino. Fuchs scrive di averlo anche veduto, nel Museo di Torino, proveniente da Acqui, nella provincia di Alessandria, parimenti in un calcare a Nullipora. Fuchs Th., Studien ùber die Gliederung der gung. Tert. (mem. cit.), 1878, pag. 45. OSSERVAZIONI SUL PECTEN RONZÌI 345 1883) (') ; alla Rocchetta di Briatico in Calabria (De Stefani 1883) (-) ; in Sardegna, cioè, nel calcare compatto d’isili, che Pa- rona sospetta potersi forse riferire all’Aquitaniano, piuttosto che al- l’Elveziano (3) ; nelle arenarie sincrone di Fontanazzo (Meneghini 1857 (^), e Parona 1887) (^); e nel calcare compatto (pietra forte) di S. Bartolomeo, riferito all’elveziano (Lovisato in Parona 1887) (6) ; a Bonaria presso Cagliari, e nella marna verde di Cenone (Mene- ghini 1857). Nel miocene superiore di S. Agata-fossili nel Tortonese (Do- derlein 1862 (^); Ciimhel 1888 (§), Sacco 1897 (’^)), di Monte Cihio nel Modenese (Doderlein 1862, Coppi 1869, 1874, 1881 (’^), Ciimbel 1888, Sacco 1897) rarissimo; di Castellina Marittima (*) De Stefani C., Escursione scientifica nella Calabria [\Sn-lQ) ■. Jejo, Montalto e Capo Vaticano. Atti d. R. Accad. dei Lincei. Mem. d. Classe di Se. fìs. mat. e nat. Serie IIP, voi. XVIII, 1883. Ved. pag. 144. Il De Stefani riferisce il giacimento di Vena di Mezzo al miocene (Tortoniano). Nel Gabinetto di Storia Naturale del R. Liceo Ennio Quirino Visconti di Roma trovasi un grande e bell’esemplare di M. latissima, bivalve, prove- niente dalla medesima località di V'ena di Mezzo, con una valva sinistra. Questa valva ha i nodi appena accennati sull’ umbone, ma presenta molti raggi (un- dici, senza tener conto dei laterali appena abbozzati) assai stretti, tanto che a prima vista, per la sua facies, si potrebbe quasi stimare una valva supe- riore di P. solarium, la quale forma si ritrova nel medesimo giacimento, avendone veduto due valve superiori, conservate nel suddetto Gabinetto. (2) De Stefani C., Esc. scientif. nella Calabria (Mem. cit.), pag. 146. (3) Parona C. F., Appunti per la paleontologia miocenica della Sar- degna. Nel Bollett. d. Soc. Geol. Ital., voi. VI, 1887, fase. 3“, pag. 290. (•*) Meneghini J.. Paléontol. de la Sardaigne, pag. 463, 507 e 593. (S) Parona C. F., Appunti (mem. cit.), pag. 291-292, 312. C) Parona C. F., (mem. cit.), pag. 300 e 312. C’) Doderlein P., Cenni geologici intorno la giacitura dei terreni mio- cenici dell' Italia centrale. Atti del X° Congresso degli Scienz. Ital. tenuto in Siena nel settembre del 1862. (Ved. pag. 97 degli Atti, e pag. 15 dell’estr.). (8) Giimbel W. K., Grundzuge der Geologie, Kassel, 1888, pag. 949. (®) Sacco F., I molluschi d. terr. terz. del Piemonte e della Liguria, Parte XXIV (Pectinidae), Torino, 1897, pag. 33. (*®) Coppi F., Catalog. dei foss. mioc. e plioc. del Modenese. Modena, 1869, in 8°, pag. 49, n. 573. Id Catalogo dei foss. mio-plioc. Modenesi della Collezione Coppi. Mo- dena, 1874, in 4°, n. 782. Id. Paleontologia Modenese o Guida al paleontologo con nuove specie. Modena, 1881, in 8“, pag. 95, n. 960. 34G R. MELI (Patroni 1893); e di Benestare (Reggio-Calabria), ove pure la specie è rarissima (Seguenza 1880) (’); nelle arenarie di Briatico Vecchio, Conidoni e Vena di Sopra, riferite alla zona inferiore del piano Tortoniano (Cortese 1895) (-). Fu anche rinvenuta nelle arenarie del miocene medio di Ba- selice (prov. di Benevento), nella località Uomo morto (Patroni 1892, 1893) (3). e nel miocene medio di Lettomanopello nel- l’Abruzzo (De Angelis 1899). Una varietà è segnata nel miocene superiore del Piemonte dal Sacco c'), che poi è nel posteriore suo lavoro (parte XXIV. 1897, Pectinidae, pag. 33) segnata tra i sinonimi del P. latissima. La specie fu anche rinvenuta nel miocene di Malta (Wright 1855 (®), Puchs 1874) C’), e nel miocene della Corsica a Saint- Florent (Locard 1877) ('), le quali località, sebbene politicamente non spettino oggi al regno d’Italia, pur tuttavia geograficamente vi appartengono, e perciò come luoghi italiani vengono qui men- zionati. (9 Seguenza G., Le formaz. terz. nella prov. di Reggio {Calabria). Atti della K. Accad. dei Lincei. Mem. d. Classe di Se. fis., mat. e natnr. Serie III, voi. VI (op. cit.), pag. 122. (®) Cortese E., Descrizione geologica della Calabria, Roma, 1895, in S”. pag. 139-140, 142. ! (3) Patroni C., Intorno all'età degli strati a lamelUbranchi e ad echi- \ nidi di Baselice in provincia di Benevento. Nel Bollett. della Soc. Geolog. Ital. Anno XI, 1892, fase. 3“, pag. 675-677. Patroni C., Fossili miocenici di Baselice in provincia di Benevento. Atti della R. Accad. delle Scienze fis. e mat. di Napoli., voi. V, serie 2", n. 12, 1893. (Ved. pag. 2, 3 ed 8 dell’estratto). Un’esemplare di questa specie, secondo quanto ne dice il dott. Patroni (Ved. p. 8 dell’estr.) presentò ristrette dimensioni, valve notevolmente con- vesse, e nodi molto sviluppati, i quali caratteri tutti indicherebbero una forma ‘ di passaggio tra la Jf. latissima e la lil. Ponzii. (^) Sacco F., Cat. paleont. del bacino terz. del Piemonte. Nel Boll. d. | Soc. Geol. Ital. Anno IX, 1890, fase. 2°, pag. 304, n. 4858. (S) Wright, On fossil Echinoderm. from Malta. Negli Annals and Ma- j gaz. of Nat. history, 1855, pag. 274. (®) Fuchs T., L'età degli strati terziari di Malta. Nei Rendiconti della | Imp. Accad. delle Scienze, voi. LXX, parte P, Vienna, giugno 1874. Ved. la j traduzione fatta da F. L. Appelius, stampata nel Bollettino del R. Comitato Geolog. d’Italia, voi. V, 1874, pag. 380. j (1) Locard, Description de la faune d. terr. tert. moyens de la Corse. 1877, mem. cit. pag. 139-140. OSSERVAZIONI SUL PECTEN PONZII ;-i47 Prescindendo dal Segiienza, che, unico, segnerebbe la Ma- crochl. latissima nell' aquitaniano ('), sembra che tale specie, al- meno in Italia, non vada più in là dell' elveziano (-). Anche Gùmbel, scrive che negli strati profondi (elveziani) del bacino di Vienna compare il Pecten latissimus e lo segna tra le forme caratteristiche del miocene medio Ma la sua più grande diffusione è nel pliocene, ove si estingue, non essendosi finora ritrovata la specie nel vero quaternario, nè vi- vendo ora nei mari attuali. Issel la indica tra i fossili più carat- teristici del Piacenziano marino Difatti nel pliocene italiano è assai più comune che non negli strati del precedente miocene, e la sua presenza venne constatata in molte località d’ Italia, tra le quali enumero le seguenti, indi- candole con ordine geografico dal N. al S. Fu citata: nel Piemonte [Allioni 1780 circa (^), Borson (0 Seguenza G., Brevissimi cenni intorno la serie terziaria della pro- vincia di Messina. Nel Bollettino del E. Comitato Geol. d’Italia, Anno 1873, n. 9-10. Ved. pag. 262. (2) Parona segna la M. latissima nel novero di quelle specie, che non erano state finallora trovate in strati più antichi dell’ Elveziano (Parona C. F., Appunti (mem. cit.) Bollett. 1887, pag. 290). Patroni parimenti scriveva, nel 1892, che non era stata mai trovata in giacimenti più antichi dell’elveziano (Patroni C., Intorno 'all'età d. strati a lamellibranchi (mem. cit.). Nel Boll. d. Soc. Geol. Ita!., 1892, pag. 676). (3) Gùmbel VV. K., Grundzuge der Geologie (op. cit.) ; pagg. 935, e 949. ifin dentieferen Lagen (Helvetien) kommen vor: P. latissimus ecc.». Ved. pag. 949. Gùmbel parla anche di questa specie nel bacino francese del Rodano (pag. 941), e nel calcare di Leitha, o in quello a Nullipora del bacino di Vienna (pag. 947). (“') Issel A., Compendio d. Geologia. Parte II, 1897, pag. 475. (5) L’ Allioni stampò nel 1757 il suo saggio di orittognosia sul Pie- monte: Allioni C., Oryctographiae pedemontanae specimen exhibens corpora fossilia terrae adventitia, Parisiis, 1757, in 8° picc. Ma, in questo lavoro non ho trovato alcun che da potersi riferire al P. la- tissimus. Indica, è vero, alla pag. 35, n. 7, un grosso Pecten fossile della Valle Andona, del quale trovò un esemplare che aveva otto pollici parigini di larghezza e sette di lunghezza, ma, dalla descrizione delle valve e dalla cita- zione della figura del Gualtieri (Index Test, conchyl., 1742, tah 98. A) evi- dentemente si rileva trattarsi della Vola Jacobaea Linn. (Ostrea), specie fre- quente nel ifiiocene dell’ Astigiano, nel pliocene e post-pliocene di tutta Italia,- e, come è notissimo, vivente nel Mediterraneo. 848 R. MELI 1823 ('), Nyst 1843 (-), Sacco 1889 (»). 1897]; ad Asti (Nyst 1843) {* *); a Valle Andona, [Brocchi 1814 (^), Hòrnes 1870 (^’), Fuchs 1878. Meli 1881 (■)]; a Castelnuovo e Baldichieri d' Asti (Hornes 1870). In Liguria; a Borzoli (Della Campana 1890 (*^) ), Albenga, K. Torsero, Borghetto Santo Spirito, Bordighera (Sacco 1897). Nel Parmense e nel Piacentino (Sacco 1897); di preferenza nelle sabbie gialle del Eiorzo. ed a Diolo (Cocconi 1873) ("). L’ Anioni pubblicò un’aggiunta a quel lavoro, che deve essere stampata circa il 1780, ed appunto in questo libro, citato dal Borson, menziona il P. latissimus. Nel 1785 r Anioni mandò in luce a Torino la sua Flora Pedemontana. Augustae Taurinorum, 178-5-88, 3 volumi in foi., enei 1788 stampi i T dice alla Flora pedemontana, parimenti a Torino, in fol., mentre, fin dal 1755 aveva dato alle stampe un saggio della Flora piemontese [Rariorum Pede- montii stirpium specimen). (1) Borson St., Continuazione del saggio di Crittografia Piemontese, 1823, pag. 155, n. 27. — Borson avverte che i nodi, accennati dalTAllioni (Ad oryctographiam Pedemont. auctarium, pag. 164, n. l)non si trovano in tutti gli esemplari di Pecten latissimus (Borson, op. cit., pag. 156). p) Nyst P. M. Description d. coquill. et des polyp. fossiles des terr. tertiair. de la Belgique, 1843, pag. 290, n. 240. Ha una buona bibliografia. j — Nyst dice che « les intervalles des còtes son un peu plus larges que le j “ les còtes rayonnantes. On y voit quelques sillons longitudinaux fort obscurs. j a — L’espèce acquiert plus de 2 décimètres de diamètre ”. (3) Sacco F., Catalogo paleontol. del bacino terz. del Piemonte. Boll, d. Soc. Geol. ital. Anno Vili, 1889. fase. 3°, pag. 332, n. 1280. t-*) Nyst P. M., Description (op. cit.), pag. 290. (=) Brocchi G. B., Conch. foss. suhop., 1814 (op. cit.), voi. II, pag. 581, n. 30. i (C) Hornes M., Die foss. Moli. (op. cit.), voi. II, pag. -397. j C‘) Meli, R., Sopra una nuova forma di Pecten, (op. cit.), pag. 4, j tabella. , (*) Della Campana C., Cenni paleontologici sul plioc. antico di Sor- I zoli, 1890, pag. 31 dell’estr. n. 154 (negli Atti d. Soc. Ligustica di Se. natur. ! e geografi, voi. I, n. 2, giugno 1890, pag. 158, n. 154). j (®) Cocconi G., Enumer. sistern. (op. cit.), pag. 333. Cocconi, tra i sino- j nimi del P. latissimus, segna il P. laticostatus Lamk. ed il P. vescicularis j Michtti. j Il P. latissimus fu anche indicato tra i fossili di Castellarquato ; ma, ^ Namias pone questa specie tra quelle non esistenti nella collezione di Castel- , larquato, che trovasi nel Museo universitario di Modena. (Namias I., Colle- , OSSERVAZIONI SUL PECTEN PONZII 349 Nel Modenese (Coppi 1874) ('); a Fossetta, ove è rarissimo (Coppi, 1869) (-); nel plioc. sup. di S. Valentino (Coppil881) (®). A Castrocaro nel Bolognese (Manzoni e Foresti 1875, Scarabelli 1880). A Meldola, A Capocolle o Monte Spaccato nella provincia di Forlì (Scarabelli 1880). In Toscana; nell’ isola di Pianosa (Meneghini 1857); al golfo della Botte, nell’isola di Pianosa (Simonelli 1889) ('*); a S. Quirico (Hornes 1870); a Legoli in Val d’ Era nel Pisano (Meli 1881); a Palaia e Laiatico, parimenti in Val d’ Era (Ugolini 1898) (®) ; a Parlaselo presso Lari (De Stefani in D’Achiardi 1874 (®)); nelle Crete Senesi (Brocchi 1814, Borson 1823) ; nei dintorni di Siena (Meneghini 1857, Pantanelli 1875, 1877, 1884 ('), Hornes 1870, De Stefani 1888 (®)); nelle sabbie gialle dei dintorni di Monte Mnrlo nel Senese insieme al Gl, cfr. plioceriicus Seg. Nell’ Umbria, a Chiusi (Meli 1881); nelle sabbie plioceniche zinne di molluschi pliocenici di Castellar quoto esistenti nel Museo di Mi- neralogia e Geologia della R. Università di Modena. Modena, 1898. Estr. d. Atti della Soc. dei Naturalisti di Modena, serie 3^ voi. XV, anno XXX, ved. pag. 211 dell’ estr.). (0 Coppi F., Cat. dei foss. mio-plioc. 1874 (mem. cit.), ved. n. 782. (2) Coppi F., Cat. dei foss. mioc. e plioc. del Modenese 1869 (mem. cit.), pag. 49, n. 573. (3) Coppi F., Paleont. Moden. (mem. cit.,) 1881, pag. 95, n. 960. (D Simonelli V., Terr. e foss. dell' isola di Pianosa (mem. cit.) 1889, pag. 25 dell’ estratto. (5) Ugolini E. P., Contribuzione allo studio del pliocene di una parte del bacino dell' Era. Nota preventiva. Boll, della Soc. Geol. Ital., voi. XVII, (1898), fase. 1, pag. 86. (®) D’Achiardi A., Sulle calcarie lenticolare e grossolana di Toscana. Nel Bollett. d. R. Comitato Geologico d’Italia, voi. V, 1874, pag. 364 e 365. C) Pantanelli D., Dei terreni terziari intorno a Siena, — Memoria — Siena 1877, in 4°, ved. pag. 10( La specie è citata nelle sabbie plioc. dei dintorni di Siena, ove però è assai rara. — Pantanelli D., R. Accademia dei Fisiocritici, Direzione del Museo di Mineralogia e geologia. Rapporto annuale 1875, pag. 8. Però la specie è segnata di incerta provenienza. — Pantanelli D., Note di Malacol. plioc. I. Aggiunte e correzioni al catalogo dei moli, plioc. dei dintorni di Siena, pubblicato da De Stefani e Pantanelli nel Bull. d. Soc. Malacol. Ital. voi. IV, 1878-80. Nel Bull. d. Soc. Malacol. it. voi. X, 1884, ved. pag. 9 dell’estratto. (*) De Stefani C., Iconografia dei nuovi molluschi pliocen. d'intorno Siena, nel Bullett. della Soc. Malacolog. Ital. voi. XIII, 1888, pag., 186. 350 R. MELI dell’altipiano di Città della Pieve (Verri 1877) (*). in contrada Marazzano nella predetta regione di Città della Pieve (Verri 1877. 1886) (-); nella valle superiore del Paglia e Cetona S. Pietro (Verri 1889) (^); ad Orvieto (Meli 1881). Nella provincia di Poma; nel Macco di Corneto-Tarquinia (Ponzi 1866 (^), 1875 (^), Meli 1881 (®); a tre km. a N. di Civitavecchia (Meli 1880 ('), 1881); al km. 46 da Roma nella piccola trincea della ferrovia presso la stazione di Palo (Meli 1880. 1881) (®). (’j Verri A., Alcune linee [sulla Val di Chiana e luoghi adiacenti nella storia della terra, Pavia, 1877, in 8°, ved. pag. 95. (2) Verri A., Azione delle forze nell'assetto delle valli con appendice sulla distribuzione dei fossili nella Val di Chiana e nell' Umbria interna settentrionale. Nel Boll. d. Soc. Geol. ital., voi. V, 1886, fase. 3“, ved. Apj- pendice, pag. 441. Specie citata come rara. If) Verri A., Note a scritti sul pliocene Umbro-Sabino e sul vulca- nismo tirreno (Boll. d. Soc. Geol. Ital., Anno Vili, 1889, fase. 3°, pag. 429). C*) Ponzi G., Quadro geologico dell' Italia centrale. — Negli Atti del- l’Accademia pont. de’ Nuovi Lincei, tomo XIX, Sessione III, 4 febbraio 1866. Ved. nel Quadro al n. 16 nel pliocene di Corneto. (^) Ponzi G., Cronaca subappennina o abbozzo di un quadro generale del periodo glaciale. Atti dell’ XI Congresso degli Scienziati Italiani tenutosi in Koma nell’ ottobre 1873. Ved. pag. 17 dell’ estr. n. 12, tra i fossili del Macco di Corneto. (®) Meli, R., Sopra una nuova forma di Pecten (mem. cit.) pag. 5. sul fine della nota. (■) Meli R.. Sui dintorni di Civitavecchia (mem. cit.), pag. 5 (estr.). (*) La Macrochl. latissima fu citata anche del Monte Mario dal Lamarck {Hist. nat. d. an. s. vert. 1^ ediz. voi. VI, 1819, parte I, pag. 179, n. 4, e 2^ edizione voi. VII, 1836, pag. 156, n. 4), dal Bronn {Ital. Tertidr-Gebilde, 1831, pag. 117, n. 669), dall’ Hornes (op. cit., voi. II, pag. 397), dal Lo- card {Description de la faune d. terr. tert. moy., 1877, op. cit. pag. 134), dal Patroni {Foss. mioc. di Baselice, mem. cit., 1893, pag. 8), ecc. Però fino ad oggi tale specie non fu rinvenuta realmente in quella località. Leggasi su questo argomento quanto scrissi nella nota a piedi della pag. 5 della mia memoria sul Pecten Ponzii, 1881. Da quell’epoca fino al presente, non ostante le continue esplorazioni fatte da me e da altri nei varii strati e nelle diverse località fossilifere del gruppo collinesco del M. Mario, mai si inco..trò la sud- detta specie. Anche Pantanelli {Lamellibr. pliocenici, mem. cit., Bollett. d. Soc. àla- lacol. ital., voi. XVII, 1892, pag. 89) avverte che la specie non fu segnalata nel pliocene dei dintorni di Roma. OSSERVAZIONI SUL PECTEN PONZI I 351 In Basilicata; nei così detti tufi calcarei della Murgia di Matera. Nelle Puglie nei tufi calcarei sabbiosi, che sono sotto il cimitero di Gravina nelle Puglie (Di Stefano G. 1892) (^). In Calabria ; nel pliocene inferiore da Monosterace a Stilo, nei piani della Melia sopra Scilla (Seguenza 1880, Neviani 1889) (-); nelle vicinanze di Argirio o dell’Assaro (Philippi 1844 (^); a Terreti e Nasiti, a Testa del Prato presso Reggio-Calabria (Se- guenza 1872, 1877, 1880 ('*), Di Stefano G. in Cortese 1895) (®). In Sicilia (Philippi, fide Hbrnes, 1870) ; ad Altavilla in pro- vincia di Palermo (Calcara 1845, Seguenza 1873), ed a Sciacca (Di Stefano 1889 (®), Patroni 1893). Fuori d’ Italia la specie fu rinvenuta in numerose località, molte delle quali sono riportate dall’ Hbrnes nella sua opera più volte citata. (Ved. voi. II, pag. 396 per le località del bacino Viennese, e pag. 397 per le altre località, che ne sono fuori). Altre località straniere sono citate dal Locard {Descript, de la faune d. terr. tert. moy. et siip. de la Corse, 1877, pag. 140). Accennerò soltanto, per la distribuzione geografica della specie, che, oltre al bacino di Vieona, si rinvenne in parecchie località dell’ Ungheria e della Slesia superiore, a Croia a N-0. di Durazzo nell'Albania (Hbrnes), nel Crag di Anversa, nelle sabbie rosse di (*) Di Stefano G. e Viola C., U età dei tufi calcarei di Matera e di Gravina e il sottopiano « Materino >’ M. E. Nel Bollett. d. R. Comit. Geol., anno 1892, n. 2. Ved. pag- 11 e 16. — Di Stefano cita frammenti della specie, di cui è parola. (2) Neviani A., Contribuz. alla geologia del Catanzarese. Boll. d. Soc. Geol. Ital., anno Vili, 1889, fase. 1°, pag. 141. (3) Philippi A. R., Enum. mollusc. Siciliae, \o\. II, 1844, pag. 58-59. O Seguenza G., Studt stratigraf. sulla formaz. plioc. dell' Italia me- ridionale. Boll. d. R. Comit. Geol. d’Italia, anno IV, 1873, n. 1-2, pag. 43, II. 5-6, pag. 134. — Seguenza G., Brevissimi cenni intorno le formazioni terziarie della provincia di Reggio-Calabria. Messina, Tip. Bevacqua-Salice, 1877, in 8° pag. 25. Vi è citato il P. latissimus nel pliocene inferiore (Zan- cleano di Seguenza). Cosi pure nell’altro lavoro del Seguenza, già citato : For- maz. terziarie di Reggio. Ved. pag. 188. (®) Cortese E., Descriz. geol. della Calabria (op. cit.), pag. 171. (®) Di Stefano G., Osservazioni stratigraf. sul pliocene ed il postplio- cene di Sciacca, nel Bollett. d. R. Comitato Geolog., anno 1889. n. 3-4. Ved. pag. 9 dell’estr. 852 K. MELI 1 Calloo e di Stuyvenberg (Nyst) ('j, in Francia, nell’ Aquitauia (Patroni), nella Provenza, a S. Paul Trois Chateaux (Fiichs 1881) (-). a Perpignan, Saucats, ecc., (Grateloup, De Serres M.. Matheron), nel bacino di Yisan (Fontannes) (^), in Svizzera (Brongniart. De la Dèche (“•), Mayer), in Polonia presso Skotniki e ’Widuchowa, non lungi da Busko e presso Kików vicino a Stobnica nel Woiwo- dato (Cracovia), non che a Korytnice presso Sobhów (Pusch), nel- r Andalusia in Spagna nella località Le Palo* (Kilian) (^), nel Portogallo (Meli), nella Morea (Deshayes), nell' isola di Creta (Baulin), nelle Azzorre, Madera e Porto Santo (Mayer), a Nemroimi in Cilicia, nell’Asia Minore (Texier), a Gheneffe nell’Egitto (Fuchs) ('’)■ Finalmente, secondo Mayer- Eymar ('), la M. latissima si sa- (b Nyst P.H., Descnption de coquill. et des polyp. foss., 1843 (op. cit.), alla pag. 290 indica la specie come rarissima nel Crag di Anversa, e la segna ancora nella lista di fossili del sistema Campiniano nella sabbia rossa delle località sopraindicate. Ved. pag. 641, n. 105. Il P. latissimus non fu raccolto nel pliocene Scaldisiano del Belgio. Difatti, non è menzionato nell’opera del Nyst; Conchyliol. des terrains tertiaires de la Belgique. Première partie (Terrain Pliocène Scaldisien). Bruxelles, 1878-81, in fol. p'orma il voi. Ili degli Annales du Musée Boy. d’Hist. naturelle de Belgique]. (2) Fuchs Th., Uh. d. mioc. Pecten-Arten (mem. cit.) pag. 322. (3) Fontannes F., Les terrains tertiaires supérieurs du Haut Comtat- VenoÀssin Saint-Paul-Trois-Chateaux, Bolline, Visan, negli Annales de la Socie'té d’Agri culture, hist. natur. et arts utiles de Lyon, IV® sèrie, tom. IX, 1876, pag. 593, 596, 623, 624, 646, 654. Fontannes M. F., Les terr. tertiair. du bassin de Visan. Annales de la Soc. d’Agricult., hist. nat. et arts utiles de Lyon, V® serie, tom. I, 1878. Ved. pag. 48. (^) De la Dèche H. T., Manuel géologique lop. cit), edizione 1837, pag. 186, segna il P. latissimus nella parte superiore delle mollasse svizzere. (5) Kilian W., Mission d'Andalousie, 1889 (mem. cit), pag. 729, n. 88. (®) Fuchs Th., Beitr. zur Kenntn. d. Micaenfauna Aegyptens und der libyschen IVuste (Palaeontographica, voi. XXX, parte IP, parte Paleontolo- logica), pag. 33, n. 66, e pag. 57. Fuchs cita il P. latissimus nel miocene di Ghenelfe presso Suez. (") Mayer-Eymar K., Systematisckes Verzeichniss der Fauna des unteren Saharianum [marines Quartaer) d.er Umgegend von Kairo nebst Beschreib. d. neuen Arten nella Palaeontographica, voi. XXX. Stuttgart, 1898.Ved. pag. 65. Ved. anche: Issel A., Morfologia e genesi del Mar Rosso. Saggio di Paleogepgrafia. Negli Atti del III Congresso geografico ital., Firenze, 12-17 aprile OSSERVAZIONI SUL PECTEN PONZI! 353 rebbe trovata nel quaternario antico (piano Siciliano di alcuni, Sa- hariano inferiore di altri) dei dintorni del Cairo (Egitto), esatta- mente a Wadi-el-Melahab. La M. latissima è figurata nel Musaeum Metallicum di Ulisse Aldrovandi (’), come già fu indicato dal Brocchi {Conch. foss. sub- apenn., 1814, voi. II, pag. 581 n. 30 e pag. 582), e più recentemente da Foresti (Foresti L., Sopra alcuni fossili illustrali e descritti nel Musaeum metallicum di Ulisse Aldrovandi, stampato nel Boll, della Soc. Geolog. ital., anno Vi, 1887, fase. 2°. Ved. pag. 109). Una figura, non citata dagli autori, è quella, che trovasi nel Trattato di Geologia di Leopoldo Pilla (op. cit.). Ved. parte 2*^, 1851, pag. 183, fig. 139 (P. latissimus). La specie è indicata nelle for- mazioni plioceniche italiane, allora chiamate subappennine, e se- gnata più comune nelle sabbie gialle (pag. 184). Kiassumendo, la Macrochlamys Ponzii sarebbe una forma intermedia tra la M. restitutensis e la M. latissima. Come per la M. restitutensis (lo scriveva Fontannes), così per la M. Ponzii può ripetersi che corrisponde ad una fase ben determinata nella storia del gruppo della Macrochlamys latissima. La M. restitutensis sembrerebbe la forma più antica e pro- genitrice delle altre due. [Roma, presentata neiragosto 1898; riveduta nelle bozze nel de- cembre 1899.] della Memoria di Mayer-Eymar e trovansi citate alcune specie di molluschi, tra cui il P. latissimus (Ved. pag. 16-17 dell’estratto). (9 Aldrovandi U., Musaeum metallicum in libros UH distributum, etc. Bononiae, typ. Joann. Bapt. Ferronii, 1648, in fol. Ved. pag. 832, X Tabella cum Hippoctenite. In una delle due figure, che si riferiscono al P. latis- simus, e precisamente nella figura inferiore, sono accennate le nodosità apiciali. 23 L'APPENNINO SETTENTRIONALE Parte IV. L’ Appennino della Romagna. Studio ^eolosjico sommario di Fedkrico Sacco. Il presente studio costituisce la parte quarta di quel lavoro ge- nerale sull’ Appennino settentrionale di cui apparvero le tre prime parti rispettivamente nei Voi. X (1891), XI (1892) e XIV (1895) del Bollettino della nostra Società geologica. In questa parte IV, che costituisce il cenno illustrativo della Carta geologica della Romagna alla scala di 1 a 100.000 ora pub- blicata (^), per le note condizioni economiche della Società dovetti limitarmi alla descrizione sommaria delle formazioni geologiche e dei fenomeni osservativi, tralasciando gran parte delle minute osser- vazioni, nonché elenco di fossili, bibliografia, sezioni geologiche, ecc. L’Appennino romagnolo è certamente la parte dell’ Appennino settentrionale che fu meno percorsa e meno studiata dai Geologi per modo che la sua bibliografia geologica è relativamente povera ; solo vi notiamo come più importanti i lavori pubblicati attraverso a mezzo secolo dallo Scarabelli, specialmente la sua Monografia della Prov. di Forlì (Geologia) 1880, coll’annessa Carta geologica. Al nobile Veterano della Geologia romagnola invio da queste pagine un riverente saluto, ringraziandolo dell’ amicizia di cui volle onorarmi. Giura-Lias. Le formazioni giura-liassicbe non appaiono neH’Appennino romagnolo propriamente detto, ma siccome affiorano presso il mar- (1) Carta geologica dell' Appennino della scala di 1 a 100,000, in due grandi fogli (dimens. m. 1 X 1>30) a 16 colori. Torino, settembre 1899. — Libreria Clausen, Torino. — Lire 6. F. SACCO, l’aPPENNINO SETTENTRIONALE 355 gine sud-est della carta geologica pubblicata con questo nome e siccome sono molto interessanti sotto vari rapporti, credo oppor- tuno darne almeno un cenno. Il Giura-Lias affiora nella splendida profonda forra rocciosa di Candigliano, al così detto passo del Furio, in varie squarcia- ture naturali del gruppo del Monte Nerone specialmente lungo il Bosso ed il Burano, ma più ampiamente nella parte alta del gruppo del Monte Catria. Noto come riguardo a questi terreni, dopo le prime osserva- zioni geologiche fatte (1845-1855) da Spada Lavini ed Orsini, siano comparse le famose Geologische Beobachtungen aus den Central Appenninen (1869) dello Zittel, che delineò con sicura mano scientifica la geologia e la paleontologia di questi terreni appenninici. Ora il Bonarelli ed il Morena attendono con amore allo studio stratigrafico e paleontologico dei terreni in questione ed è sperabile che dopo i lavori analitici parziali si compia una Mo- nografia generale che riuscirebbe di sommo interesse. L' importanza di questi terreni secondari è poi accresciuta, direi, dal fatto che in molte regioni, come appunto nelle incisioni del Candigliano, del Bosso e del Burano (Le Foci), si può esaminare con tutta comodità, quasi sfogliando le pagine di un libro, la suc- cessione degli strati costituenti il Giura-Lias e spesso raccogliervi abbondanti fossili. La serie in questione così si presenta nel complesso: Calcari spesso diaprigni, grigi o rossigni o verdognoli e schisti con Aptici, Perisfincti, Belemniti, ecc. (scbisti ad Aptici). (Potenza di 40-50 m.). Talora Calcari biancastri stratificati lastroidi. Calcari e Marne rossicce ammonitifere (Rosso ammo- nitico) (potente 50 m. circa). Calcari a Crinoidi (Marmarone) e Tere- bratule {T. Aspasia ecc.) e calcari compatti selciferi (Pietra corniola) (escavati in molti punti per mate- riale da costruzione). Calcare massiccio, compatto, spesso con faglie e litoclasi. Potenza di ol- tre 500 m. G-hra Lias 356 F. SACCO Alla base di questa serie alcuni accennano ad affioramenti di calcari triasici oppure attribuiscono al Trias superiore il calcare massiccio fondamentale suaccennato, ciò che non credo provato, almeno nelle regioni da me esaminate. Ricordo qui come in un recente lavoro « Sull’ esistenza di un massiccio di roceie cristalline nel Bacino dell’ Adriatico. 1896 " i sigg. ing. S. Traverso ed E. Nicoli riferiscano al Trias inferiore certi banchi della costiera di Gabicce presso Pesaro, banchi che credo invece siano semplicemente del Messimano. Cretaceo. Il Cretaceo tipico non affiora nelFAppennino romagnolo e solo viene a svilupparsi assai ampiamente attorno agli affioramenti giura- liassici indicati nel capitolo precedente; ma se, seguendo il modo di interpretazione che vado propugnando da un decennio, si attribui- scono all’età cretacea le speciali formazioni delle Argille scagliose, allora il Cretaceo appare assai sviluppato anche nella Romagna. Nel mio studio geologico mi sono appositamente spinto al- quanto più ad est della vera regione romagnola appunto per ve- dere se per caso avessi potuto trovare un passaggio tra la forma- zione delle Argille scagliose ed il tipico Cretaceo ; confesso che ciò non potei direttamente osservare, ma però ebbi a notare: 1° che gli affioramenti più orientali di Argille scagliose dell’ Appennino ro- magnolo trovansi ad un dipresso sul prolungamento degli allinea- menti più occidentali del Cretaceo tipico, direi normale, dell’Ap- pennino centrale; 2° che questa facies normale dal Cretaceo, se molto diversa da quella delle Argille scagliose, è pure altrettanto distinta da quella formazione che affiora in diversi punti (Monte Ripaldi, ecc.) presso Firenze e che per la sua ricchezza in fossili caratteristici dovette già da tempo essere collocata nel Cretaceo; viceversa evvi una grande, talora grandissima, somiglianza tra la formazione delle Argille scagliose e quella, ormai da tutti ammessa come cretacea, del Fiorentino : 3° la serie cretacea tipica dell’ Appen- nino centrale termina in alto con Calcari più o meno scagliosi e schisti rosei o rossigni, tinta che, solo più vinata, generalmente osser- vasi pure nella parte superiore della formazione delle Argille sca- L’aPPENMNO SETTE^iTRIO^■ALE 357 gliose. Inoltre in detta serie tipica tra il Cretaceo e l’ Infracretaceo si osservano quasi sempre alcune decine di metri di schisti varicolori, grigio-verdastri, rossigni o brunicci (con numerose Fucoidi), i quali potrebbero quasi rappresentare la facies delle Argille scagliose. Fram- mezzo a detta serie normale del Cretaceo appenninico, questi schisti varicolori talora raggiungono anche notevole spessore, come per esem- pio sulla sinistra del R. delle Secche presso Secchiano ; 4° se si con- tinua ad ammettere, come è ora generalmente accettato, che le Argille scagliose siano riferibili all’ Eocene, ne deriva la strana contrad- dizione che, mentre nell’ Appennino centrale le ondulazioni strati- grafiche lasciano ampiamente emergere in anticlinali, spesso assai dolci, il Cretaceo, invece quasi di tratto ad ovest delle Marche, in tutto l’Appennino settentrionale, malgrado i fortissimi e ripetuti ar- ricciamenti dell’ Eocene quasi più non verrebbero ad affiorare i terreni cretacei (contrasto che appare per esempio assai bene anche dando un semplice sguardo alle Carte geologiche d’ Italia), contrad- dizione che anche a priori sembra poco ammissibile ; 5° nel ri- levamento geologico della Romagna ebbi sempre a constatare l’affio- ramento delle tipiche Argille scagliose, che credo cretacee, là dove dallo Scarabelli e da altri sono state rinvenute Ammoniti, Inoce- rami, Bennettitee, ecc. In conclusione lo studio geologico della Romagna mi convinse sempre più nell’ idea, che solitario vado da dieci anni propugnando, dell’ età cretacea delle tipiche Argille scagliose, pur ammettendo che consimili terreni appaiono talora nell’Eocene, specialmente inferiore, tanto che talvolta risultano incertezze di interpretazione che sono lungi dal dissimulare. Io quindi ammetterei che nelle regioni in discorso il Cretaceo si presenta con due facies assai distinte; cioè nell’ Appennino mar- chigiano, ed in generale in quello centrale, esso ha la facies nor- male. direi, essenzialmente calcarea, per modo quindi da originare rilievi gibbosi più o meno elevati; invece nell’Appennino roma- gnolo, ed in quello settentrionale in genere, il Cretaceo si presen- terebbe, a mio parere, con facies essenzialmente argillosa (le cosidette Argille scagliose) originando naturalmente depressioni orografiche più o meno spiccate. Se tale mio modo di vedere fosse giusto le differenze soprac- cennate si ridurrebbero in fondo essenzialmente ad originali diffe- 358 K. SACCO renze di condizioni (batimetriche ed altre) esistenti durante la depo- sizione dei terreni cretacei tra la regione appenninica centrale e quella settentrionale; tale idea sarebbe inoltre corroborata dal fatto che tra le due regioni appenniniche in questione sonvi anche diffe- renze notevolissime sia nella facies dei terreni eocenici, sia nella distribuzione dei terreni oligocenici e miocenici come vedremo in seguito. Riguardo al Cretaceo a facies normale sono a ripetersi le considerazioni generali dette nel capitolo del Giura-Lias ; limitomi perciò qui ad accennare come la serie cretacea sia nel complesso così . costituita ; I Marne e Calcari scagliosi grigio-bian- i castri e rosei (talvolta con lenti ros- signe silicee) con Ananchites ovata, Belemnitella mucronata, (serie po- tente) {Scaglia rosea). Strati cal- carei rosei {Calcare rosato usato Cretaceo come materiale da costruzione). Talora qualche straterello di schisti bruni bituminosi {Piroschisti) con denti di Ptychodus. Strati calcarei biancastri, compatti (serie potente, spesso escavata per materiale da costruzione). Schisti argillosi varicolori (grigio- verdastri, rossigni, brimastri) a Fu- coidi (10-50 m. circa). Calcari grigio-bianchi, \ compatti, spesso a 1 Maiolica dei frattura poliedrica, [ Lombardi, con Aptici, Belem- 1 Biancone niti, ecc. {Calcare \ dei Veneti rupestre). I Sopra la Scaglia rosea si estende una serie di strati mar- noso-calcari, grigiastri (a Fucoidi, Zooj)hycos. ecc.), la cosidetta Infra- cretaceo 200-400 e più metri di spessore 300-500 m. circa di spessore. l’appenmino settentrionale 359 Scaglia cinerea che alcuni, come il Bonarelli, inclinerebbero a porre ancora nel Cretaceo superiore {Damano), mentre io credo debba già riferirsi all’ Eocene, tanto più che nella zona di ripe- tute alternanze di scaglia rosea e cinerea furono già riscontrate- Nummuliti in alcuni punti dell’ Appennino centrale. Questa formazione cretacea si sviluppa amplissima nel grande gruppo del Monte Catria, con pieghe parallele, che appaiono come isolate nell’ Eocene, ad ovest nei monti di Grubbio e ad est in quelli di Sassoferrato, di Arcevia, ecc. Splendido è lo sviluppo del Cretaceo nell’ imponente gruppo del Monte Nerone (continuazione occidentale di quello del Catria) che, specialmente se visto dal lato settentrio- nale, appare, se è permesso il paragone, come la parte superiore di una gigantesca cipolla aperta, le cui foglie esterne sono rappresentate dai calcari rosati, quelle interne dai calcari bianchi neocomiani, tutti regolarmente straterellati. Il gruppo del Nerone presenta lateralmente verso nord una importante anticlinale costituente i monti di Piobbico (nel cui nucleo, sotto le Balze della Penna, appare il Giura-Lias) e proten- dasi verso nord-ovest, cioè verso S. Angelo in Vado nelle cui vi- cinanze possiamo osservare interessantissimi rapporti e passaggi tra il Cretaceo e l’ Eocene (vedi il capitolo dell’ Eocene). Ad Acqualagna vediamo un altro esteso affioramento cretaceo qua e là con curiosi arricciamenti locali. Un importante elissoide cretaceo sviluppasi attorno all’ affio- ramento giura-liassico del Passo del Furio spingendosi a sud-est sino a Torricella (dove la distinzione del Cretaceo dall’ Eocene riesce talora incerta in causa delle solite alternanze di strati cal- careo-marnosi grigi e rosei), mentre a nord-ovest arrestasi appa- rentemente molto presto, quantunque 1’ esteso sviluppo della zona eocenica di Monte d’Oro segnali assai più prolungata sotterranea- mente r estensione di detta zona cretacea. Infine nella Carta geologica che presento vediamo completa r elissoide cretacea dei monti della Cesana o di Fossombrone, con anticlinale per lo più poco accentuata; anzi nei monti della Ce- sana, dove predomina la gamba settentrionale, gli strati (costi- tuiti specialmente di calcari marnosi grigio-rosei) sono spesso quasi orizzontali od appena leggermente inclinati a nord circa. Questi affioramenti cretacei sono riconoscibili orograficamente 360 K SACCO anche da lungi per la caratteristica facies di dorsi rotondeggianti che richiamano alla mente lo scudo di gigantesche Testuggini emergenti dalle vaste zone grigie dell’ Eocene. I calcari del Cre- taceo, specialmente gli strati rosati inferiori, sono largamente usati come materiale da costruzione e veggonsene all’ uopo diverse cave presso Fossombrone ove è maggiore la comodità di trasporto. Prolungando idealmente verso est-nord-est 1’ asse dell’ elis- soide cretaceo di Fossombrone giungiamo ai più occidentali affio- ramenti di Argille scagliose, cioè a quelli di Auditore in Val Foglia; ma riguardo alle Argille scagliose credo opportuno farne r esame da ovest a est come in tutti i lavori precedenti e come farò pure per gli altri terreni. Fra il Bolognese e l’ Imolese, nelle colline a sud di Ozzauo. trovasi un’ immensa, caratteristica regione di tipiche Argille sca- gliose che costituiscono quasi un’ ampia ed irregolare zona corri- spondente ad un dipresso alla Valle del Sillaro, ma estendentesi ancora a sud sino a Firenzuola ed al Bacino del Mugello ; vi sono frequentemente disseminati lenti od anche semplici grugni olìolitici ; in cento punti le Argille scagliose vi si presentano colle loro tinte svariate, spesso rossigne, più di frequente brunastre (ti- piche per esempio le erosioni a guglie varicolori {Calanchi) che veggonsi ad est di Frassineto dove furono già raccolti resti di Ino- ceramo), formando colla loro facile erosione un caratteristico paesag- srio arido, desolato, franoso riconoscibile orograficamente anche solo all’ esame di una buona carta topografica. Vi abbondano i Calcari alberesi utilizzati in vari punti come ottimo materiale da calce ; qua e là sonvi zone petroleifere come presso S. Clemente, presso Cà Domenicali, a Ripiano ecc. Non manca un piccolo vulcanello di fango, quello che trovasi un chilometro circa a sud della Par- rocchia di Sassuno. Ricordiamo infine che è in Val Sillaro che vennero già rac- colti diversi Inocerami e che nelle colline di Argille scagliose tra r Tdice ed il Sillaro si rinvennero, talora in posto, resti di Cycadeoidea già segnalate da tempo dal Capellini. Nell’ alta Val Santerno, nella zona di Argille scagliose di Fi- w. ** / I, APPENNINO SETTENTRIONALE 361 renzuola si raccolsero due denti del caratteristico Ptijchodus ]ìo- lygiriis Ag. che pure un geologo volle riferire al Miocene! È assai strana questa grande zona (Ozzano-Firenzuola) di Ar- gille scagliose che ha una direzione ortogonale all’ andamento ge- nerale dell’Appennino e delle formazioni geologiche che lo costi- tuiscono ; essa ebbe una notevole importanza, come vedremo, sulla distribuzione dei terreni miocenici subappennini. Notiamo però come da detta grande zona dipartano pure strette zonule di Argille scagliose che presentano la direzione solita sino a raggiungere la valle del Santerno (dove furono già raccolti resti di Cycadeoidea), ed è probabile che se non fossero tanto sviluppati e potenti i terreni tongriani e nessiniani vedremmo assai più estese nell’ Appennino romagnolo le zone di Argille scagliose che credo esistano estesissime sotto di essi. Infatti già tra Val Savio e Valle Uso sotto il gran velo messiniano appaiono qua e là, presso Sogliano (dove alcuni accennano al rinvenimento di Inocerami), tra Monte G-elli e Savignano, in vai Panantello (dove si raccolsero già molti Inocerami), presso S. Giovanni in Galilea ecc., strette zone ed anche solo piccoli e spesso diffìcilmente osservabili affioramenti di Argille scagliose che talora spingono a giorno i Calcari eocenici di modo che per molti punti di questa regione occorrerebbero rilevamenti geologici alla scala di 1:10,000 almeno. Nell’amplissima Valle della Marecehia vediamo ripetersi ad un dipresso il fenomeno sovraccennato per la Valle del Sillaro: cioè un immenso sviluppo di Argille scagliose formanti una grand zona che nel complesso è ortogonale all’ andamento dell’ Appennino e taglia quindi ortogonalmente la direzione dei terreni miocenici subappennini ; solo che in questo caso la formazione in esame ri- mane in parte mascherata da grandi placche eoceniche, nonché da zone oligoceniche e mioplioceniche ; inoltre vi mancano quasi le formazioni olìolitiche, di cui troviamo solo la piccolissima lente, in parte diabasica ed in parte serpentinosa, di Poggiale presso Sec- chiano, oltre al grugno di ofìolite diallagica segnato dallo Scarabelli in Val Senatello; frequenti sono le zonule rosso-vinate o rosso-san- guigne ; sempre spiccato, sebbene non tanto esteso, è il caratteristico paesaggio desolato, a frane, arido, ecc. Infine ricordiamo quale fatto assai importante come sia appunto in queste Argille scagliose di 362 K. SACCO Val Marecchia che furono già rinvenuti diversi resti di Ammoniti, specialmente Acanthoceras (come presso Mercatino, nel gruppo del Monte S. Paolo, tra S. Marino e S. Leo, presso Ripa Canea, ecc.), e di Inocerami (come uno a Cà di Panico presso Ripa Canea, tre in arenarie presso Perticara, due su Calcari alla Serra di Perticara, cinque o sei nel fosso di Gaggio o Valle di Panantello ecc.), nonché frequenti concentrazioni manganesifere o di limonite manganesifera {Aszarolia perforata di Scarabelli). pseudocoproliti, ecc.. oltre ai soliti nuclei di Barite, di Aragonite, cristalli di Pirite, ecc. Per quanto strettamente collegata a detta zona di Val Ma- recchia possiamo distinguere ad est una zona di Argille scagliose, parallela alla prima, che si estende da S. Marino per Val Maz- zocco sino a Carpegna. anzi direi, sopportando, il Monte Carpegna ed il Sasso di Simone, sino a Badia Tedalda. Tale notevole svi- luppo verso sud-ovest della sovracceuuata zona delle Argille sca- gliose deir Appennino romagnolo mi induce a credere che la bella zona di Argille scagliose che sostiene la gran placca tongriana del Monte Fumaiuolo possa rappresentare eziandio un prolungamento della consimile zona di Val Marecchia (come anche F accennereb- bero i piccoli affioramenti di Pereto (S. Agata)), pur collegandosi nel senso nord-ovest-sud-est cogli affioramenti di S. Sofia, Bagno e di Badia Tedalda. Accenno, perchè parmi assai interessante, il fatto che in Val Senatello, quasi sotto Senatello, appaiono al fondo della valle spe- ciali schisti rossigni, fortemente contorti, alternati con strati cal- carei che paionmi costituire passaggio dall’ Eocene al Cretaceo. Ad est di S. Marino le Argille scagliose appaiono ancora assai estese in Val Conca, poi riduconsi solo più a piccoli affioramenti in Val Foglia sembrando tendere, per la direzione loro, verso l elis- soide del Cretaceo tipico di Fossombrone. Nella parte meridionale o toscana dell’ Appennino tosco-roma- gnolo ritroviamo più o meno sviluppata la formazione delle Argille scagliose. Ricordiamo come specialmente interessante : l.° la zona che affiora al fondo del T. Vicano sotto Pelago perchè essa già fornì diversi Inocerami e qualche Ammonite ed altri fossili cretacei come Cliona cretacea, Portlok. CI. hastata De Stef., Ostrea Cocchii De l’ai'pennino settentrionale 363 Stef. affine alla cretacea 0. acutirostris Nills. e aderente a valve di Inocerami, Pennatulites, Paleosceptron ecc., ecc. 2.° la zona di Mei osa pressò Fagiano, di cui vidi Ammoniti, Inocerami e splendide Nemertiliti nella collezione Strozzi a Montefiesole. In tale ricca col- lezione notai una cinquantina di Inocerami ed una ventina di Am- moniti raccolte nei diversi affioramenti cretacei dei dintorni di Pontassieve, affioramenti che generalmente si sogliono confondere coll’Eocene! Notisi inoltre che nel Museo di Firenze esiste una consimile raccolta, fors’ anche più ricca, e di eguale origine. Così pure importante è la zona di Rignano suH’Arno che per r abbondanza di strati della cosidetta Pietraforte, la quale ricorda quella famosa di Monte Ripaldi presso Firenze, viene anche escavata per vari usi e presentò pure non pochi fossili tipici del Cretaceo (Inocerami, Turriliti, Ammoniti, Cycadeoidee ecc. ecc.); detta zona si collega in modo evidente colla prossima zona di Argille scagliose, fatto che parmi molto degno di nota perchè sempre più conferma r età cretacea di queste ultime formazioni. Nelle zone meno elevate dei monti della Consuma riappaiono qua e là le Argille scagliose con calcari alberesi e strati arenacei, ma spesso, specialmente nella prossima Val d’Arno, tra Tartiglia, Borgo alla Collina ecc., esse collegansi con zone più riccamente calca- rifere che debbonsi già attribuire all’ Eocene, mostrandoci così un passaggio abbastanza graduale tra il Cretaceo e l’ Eocene, tanto che non di rado si rimane incerti nella loro delimitazione. ' In Casentino, nella parte bassa della valle dell’Arno attorno a Poppi, vediamo riapparire la zona delle Argille scagliose con calcari Alberesi e con alternanze ripetute di strati arenaceo-calcarei, la cosidetta Pietraforte (coi soliti geroglifici frequentissimi) che viene qua e là escavata come presso Firenze; il tutto è fortemente e variamente contorto, come si può in molti punti osservare special- mente nei tagli delle trincee della ferrovia tra Valle Archiano ed il Ponte di Poppi. Fin dalla primavera del 1895 avevo osservato e segnato sulle mie tavolette di rilevamento questo interessante ed abbastanza va- sto affioramento cretaceo affatto simile a quello di Rignano. In seguito il Lotti esaminando questa formazione ebbe la for- tuna di raccogliervi alcuni Inocerami ; ma, come egli espose in un suo recente lavoro {Inocerami nell’ Eocene del Casentino — B. C. 364 F. SACCO G. I. ] 896), il Lotti volle dedurne una mescolanza di fossili cretacei con fossili eocenici, attribuendo il tutto all’ Eocene. Sembrami invece naturalissimo il fatto sovraccennato, considerando che nella parte bassa della Val d’Arno attorno a Poppi esiste (come un grande an- ticlinale e non già a sinclinale come suppone e figura il Lotti) un ampio affioramento di Cretaceo con Inocerami, attorniato dalla so- vrastante formazione eocenica, essenzialmente arenacea ma, verso la base, con frequenti zone calcaree spesso nummulitifere, come nei colli di Strada, Larniano, Villa Uzzano, Lierna, Pratale, ecc. Cioè qui, in modo ancora più chiaro e convincente che negli altri punti (S. Agata sopra Scai-peria, Barigazzo ecc.) segnalati dal Lotti per sostenere la tesi della mescolanza di Inocerami coi fossili eocenici, appare evidente invece che il Cretaceo con Inoce- cerami è ben distinguibile dall’ Eocene con Nummuliti, Bivalvi ecc. Contuttociò è innegabile che fra questi due terreni esistono zone di schisti argillosi con calcari, che, in mancanza di fossili, riesce talora incerto se debbansi collocare nell’ Eocene oppure nel Cretaceo. Verso est rivediamo attorno a Chiusi le tipiche argille sca- gliose varicolori, spesso rossigne, che sopportano la grande zona eocenica di Vezzano e quella oligocenica del Monte Penna (La Verna), presentando in tal modo varie analogie spiccatissime colla zona di Argille scagliose che accennammo sopportare la grandiosa placca oligocenica del Monte Fumajolo. Infine, tralasciando di accennare affioramenti minori, ricor- diamo come importantissima la grandiosa formazione degli schisti bruni di Pieve S. Stefano, interessante anche per racchiudere nu- merose lenti ofiolitiche di cui alcune enormi, come quelle del Pog- gio delle Calbane, del Monte Petroso, Monte Murlo, ma special- mente i caratteristici aridi Monti Kognosi che spingonsi sin presso Anghiari. Eocene. La formazione eocenica, immensamente sviluppata, è molto variabile sia nella sua serie di sviluppo verticale, sia per muta- zioni di facies di uno stesso orizzonte a seconda le regioni. In complesso però parmi si possano distinguere nell’Eocene dell’ Appennino in esame due facies principali, una marnoso-arenacea l’appennino settentrionale 365 corrispondente complessivamente al Macigno, ed una marnoso-cal- carea, cioè Calcari a Pucoidi, la Pietra Colombina e forme lito- logiche ad essa collegantisi. In generale quest’ ultima rappresenta la parte inferiore del- r Eocene, ma talvolta essa diventa tanto potente che sembra quasi sostituire in gran parte la facies arenacea, specialmente verso la periferia dell’ Appennino e particolarmente dal lato padano; d’altra parte sovente tra gli strati arenacei alternansi banchi marnoso- calcarei, anche nella porzione superiore della serie, per cui una netta distinzione stratigralìca, cronologica, sembra non possa farsi sempre tra dette due facies. Noto qui come lo Scarabelli nel suo grande lavoro geologico sul Forlivese (1880) abbia inglobato nel Cretaceo estesissime zone calcaree e marnoso-arenacee che appartengono invece certamente al- r Eocene. La tettonica dell’ Eocene si presenta talora per regioni amplis- sime colla massima regolarità e lievi pendenze, come per esempio tra il Falterona ed il Fumajolo, talvolta invece mostra arricciature e sollevamenti accentuatissimi sia locali che per vaste estensioni. La parte inferiore dell’ Eocene sovente presenta difficoltà di distinzione e quindi di delimitazione dal Cretaceo. Infatti là dove la serie è più completa appaiono in questa zona di passaggio schisti marnoso-argillosi brunastri ed anche rossicci, alternati con strati calcarei, con una facies complessiva tale che, in mancanza di fos- sili, ci lascia incerti se dobbiamo attribuirli al Cretaceo superiore oppure al Suessoniano ; ed è notevole che tale zona incertae sedis la riscontriamo sia quando nell’ Eocene predomina la facies arenaria, sia quando vi predomina quella calcarea. Il Parisiano rappresenta assolutamente la massima parte dell’Eocene appenninico, tanto che è quasi esclusivamente ad esso che attribuisco le formazioni eoceniche. L’ Eocene superiore o Bartoniano invece lo crederei ridottis- simo nelle regioni in esame, ridotto cioè a qualche sottile e poco estesa zona marnosa che appare sotto a certe grandi placche di Tongriano. Però tali suddivisioni ci lasciano ancora dubbi in causa della scarsità dei fossili, ed anche questi pochi spesso non molto carat- teristici. 366 F. SACCO Sotto il punto di vista paleontologico l’Eocene dell’ Appennino romagnolo è assai povero; non già che realmente manchi di tos- sili, ma questi, quantunque sparsi quasi ovunque, sono cos'i mal conservati che riescono difficilmente determinahili. L’orizzonte più interessante è quello inferiore, prevalentemente calcareo, oppure arenaceo-calcareo, giacché è quello che non di rado racchiude Num- muliti Urlata, N. Ramondi, ecc.) ed Orbitoidi {0. Gicra- beli, ecc.). Anche nelle zone marnose, friabili, o marnoso-calcaree o cal- careo-arenacee che spesso appaiono nella parte medio-inferiore o inferiore della serie arenacea incontriamo letti, o veri nidi di fos- { sili, specialmente Bivalvi {Lucina. Loripes, Tapes, Cypricardia. ,■ Pecten, Spondylus. Solenomya. Teredo, CMrea, ecc.), qualche j Univalve {Scalaria, Cassidaria, Ficsus, ecc.). Cefalopodi {Aiuria). i Pteropodi {Balantium. Vaginella, ecc.), Briozoi {Cellepora), Echi- | nidi {Echinolampas. ecc.), Foraminiferi (specialmente Rotalidi). Litotamni, ecc. ecc., oltre a numerosissimi Zoophycos su certi strati marnosi o marnoso-arenacei, frequenti Paleodictyon e con- simili impronte sugli strati arenacei. È certo che tale fauna ha talora molti caratteri di affinità con quella miocenica, ma, dato l’ infelice stato di conservazione di detti fossili credo più prudente arrestarci generalmente per ora alla loro determinazione generica, nè quindi credo dover accettare r opinione prevalente ora che trattisi di fossili, e quindi di terreni miocenici. Invece sino a prove paleontologiche più sicure colloco queste formazioni a Bivalvi, come spesso sono indicate, nell’ Eocene. A mio parere lo studio di questa interessantissima fauna è assolu- , tamente da rifarsi colla scorta di libri e di materiale di confronto, | non solo del nostro tanto ricco Miocene italiano ma di tutti i | piani, anche i più antichi, del Terziario con facies analoga a j quella dell’ Appennino settentrionale. Per ulteriori considerazioni su j questo riguardo rimando alla mia speciale Nota » Sull’età di alcnni ] terreni tersiarii dell’ Appennino — A. R. A. Se. Torino, 1899 * . j I Zona prevalentemente marnoso-calcarea. — Trattasi di Calcari | marnosi grigio-giallastri, compatti, alternati con marne grigiastre, j il tutto in generale nettamente stratificato e talora di grande spes- j sore, come vediamo per esempio nel gruppo del Monte Carpegna, j l’ APPENNINO SETTENTRIONALE 367 dove, se non trattasi di piega coricata, si avrebbe uno spessore di oltre 600 metri ; d’ altronde ciò non reca meraviglia conside- rando che consimile formazione calcarea nell’ Appennino liguro- piacentino presenta estensione e potenza ben maggiore. In generale le zone calcaree in questione appaiono sopra ed attorno alle zone di argille scagliose, ciò che ci indicherebbe, sia che esistono rapporti abbastanza stretti tra queste due formazioni, sia che la zona calcarea è complessivamente più vecchia di quella arenacea. Noto però che talora tali zone calcaree alternansi colle arenarie e talvolta appaiono anche sopra a quelle arenacee come si è visto per esempio tra la Valle del Setta e quella dell’ Idice. Talora può trattarsi di pieghe rovesciate ma credo che in generale esistono realmente tali alternanze e vari modi di sovrapposizione. Quanto a fossili ricordiamo come più importanti le Nummu- liti che vi vennero qua e là riscontrate, ma piuttosto raramente, e per lo più verso la base della formazione ; numerose invece le Fucoidi, gli Zoopìiycus ( Taonwrus, Sphyrophyton), le svariate Con- driti ed i curiosi Gleichenopjhycos ’gramlosus Massai. {Zosterites pelagica Mgh., Fusus bigranosus di altri autori) che si dubita rappresentino la fruttificazione delle Condriti. Questi Calcari compatti grigio-giallastri o biancastri o azzur- rognoli sono sovente indicati col nome volgare di Pietra Colombina. La grande zona di Argille scagliose di Ozzano-Firenzuola sop- porta numerose placche calcaree che ci rappresentano evidentemente il residuo di una estesa zona calcarea ridotta allo stato attuale da complicati fenomeni di stiramento, ripiegamento, lacerazione e da successive erosioni. Nell’ Appennino romagnolo ad est di Val Sillaro non troviamo più le zone calcaree sino in Val Marecchia; ma nel contiguo Ap- pennino toscano le vediamo comparire ampiamente in diversi punti, come di solito in rapporto alle zone delle argille scagliose, per lo più nella parte bassa e centrale dei bacini orografici, così nel grande bacino di Firenze (vedi Carta geologica della Toscana) con conti- nuazione sino a monte di Incisa Valdarno; presso Pratovecchio; tra Bibbiena e S. Marna; nell’alta Valle del Tevere tra Chiusi, Pieve S. Stefano e S. Sepolcro. Tali zone calcaree sono talora nummulitifere specialmente verso la base, ove talvolta esse di- ventano marnose, come per esempio al Passo di Val Maggio dove !■'. SACCO 368 olà si raccolsero interessanti resti di Nummnliti, Orbitoidi ed Al- veoline. Noto qui, e debbo indicarlo in linea generale, che nella Carta geologica segnai solo le principali zone calcaree tralasciando spesso le minori e specialmente quelle zonule che (sovente alternate con schisti argillosi) sembrano costituire spesso la base della serie arenacea, passano inferiormente alle argille scagliose del Cretaceo, ed hanno grande importanza per presentarsi talora nummulitifere. come per esempio nel bacino di Poppi largamente inteso. Nell’ Appennino romagnolo tra Val Savio e Val Marecchia. frammezzo alle formazioni del Messiiiiciiio vediamo apparire come isolette, in causa della loro maggiore durezza e resistenza, alcnne interessanti placche calcaree tra Sogliano al Rubicone e Savignano di Rigo, placche spinte certamente così in alto da pieghe della zona delle argille scagliose quivi apparenti qua e là per breve tratto, rma generalmente mascherate dai terreni messiniani. Trattasi di Calcari grigiastri o bianco-grigi assai compatti, talvolta selciosi (ora in strati quasi verticali come presso Strigara. ora quasi orizzontali come al Monte Spelano) usati quindi come ottimo pietrisco, ma molto variabili come vediamo per esempio al Monte Spelano dove si passa rapidamente, in complesso d’alto in basso, da schisti calcari grigi a calcari marnosi grigio-biancastri e quindi a schisti marnosi ed arenacei; cioè in breve zona ve- diamo qui le tre principali facies dell’ Eocene appenninico. La loro importanza consiste sia nel rappresentarci tipici lembi eocenici che cogli strati marnoso-calcarei grigio-biancastri parmi ricordino quelle speciali facies del Calcare eocenico che vedremo svilupparsi tanto nelle Marche dove è appellato bisciaro (ma pur talvolta presentandosi come Calcari alberesi), sia nel fatto che tali affiora- menti ci segnano il prolungarsi verso ovest delle soggiacenti di- gitazioni cretacee rispettivamente della bassa Val Marecchia, di Secchiano e di Perticara; tali prolungamenti sono appena visibili qua e là per breve tratto perchè generalmente mascherati dalla potentis- sima formazione messiniana attraverso cui spuntano solo tratto tiatto le roccie più resistenti, come è appunto il caso per gli isolotti calcarei in questione, come pure per minori spuntoni di Calcali nummulitici (secondo il De-Stefani anche con Assilina exponens^ che riscontransi tra le Argille scagliose ed il Messiniano in ^ al l’appennino settentrionale 369 Panantello a sud-ovest di Perticava, presso Cà di Vico a sud-est di S. Agata (dove la serie si completa col sovrastante Macigno di Monte S. Benedetto), ecc. In questi Calcari, talora selciferi, di Monte Spelano, Monte Creili, il Meneghini ebbe già a determinare : Orbitoides papyracea, 0. Stella, 0. nummulitica, Nummuliles Leymerici, Alveolina sp. ecc. Nella grande Valle della Marecchia ampiamente apparendo la zona delle Argille scagliose, pure amplissimo è come al solito lo sviluppo della sovrastante formazione calcarea in esame fra cui predominano le grandi masse di Monte Grimano (dove osservansi brecciole nummuliticbe) e del Carpegna (la cosidetta Isola di Car- ^egna dello Scarabelli, il quale le dà forse troppa importanza). Talora verso la base della serie calcarea appaiono strati mar- noso-calcari rosei, come per esempio 1 chilom. a nord di Monte S. Marco, che parrebbero indicarci che quivi ci troviamo nella parte inferiore dell’Eocene. Tale immensa, frastagliata zona calcarea di Val Marecchia si continua a sud-ovest per Maria Tebalda sino a congiungersi, malgrado qualche interruzione, colle grandi zone consimili sopramen- zionate, del Casentino, colla curiosa appendice laterale di Monte Leggio-Senatello, ecc., attorno all’ affioramento cretaceo dell’ alta Val Senatello. Le placche calcaree giacenti sparse sulla zona delle Argille scagliose si riconoscono facilmente in generale non solo per la loro tinta più chiara, per mancanza di frane, ecc., ma anche all’ esame di una carta topografica, giacché rappresentano le regioni più abitate in causa della natura e stabilità del terreno. Ora si vanno anche costruendo edifizi sulle Argille scagliose, ma l’aridità e gli smottamenti del terreno, le screpolature dei muri, lo sposta- mento delle strade di accesso, ecc., provano quanta maggior dose di osservazione usassero in generale i nostri antenati nello scegliersi i siti di abitazione e di fabbricazione. Si è notato trattando del Cretaceo come ad est di Val Ma- recchia e del Foglia varii notevolmente la facies di. detto terreno; una mutazione pure notevolissima si compie eziandio per l’ Eocene ; infatti ai Calcari compatti grigio-giallastri (la Pietra Colombina tanto sviluppata nell’ Appennino settentrionale e toscano) con tet- tonica molto conturbata e quindi con andamento irregolarissimo, si 24 F. SACCO 370 sostituiscono noli' Urbinate, nel Marchigiano, ecc., speciali Calcari marnosi biancastri o azzurrigni [Bisciaro), talora alberesiformi, talvolta con nuclei o lenti silicee, spesso con patina giallo-bruna limonitica, con facile e caratteristica frattura piismatica, non di rado fucitiferi e per lo più zeppi di Globigerine ed altri Foraminiferi. La tettonica ne è abbastanza regolare; trattasi cioè di diverse cu- pole ed elissoidi allungate, fra di loro subparallele, sotto (e quindi nel centro) delle quali appare, non più la formazione delle argille scagliose, ma il tipico Cretaceo normale a calcari rosati, bianca- stri, ecc. Per quanto non ancora ben spiegabile panni di grande interesse la constatazione di questo rapido mutamento di facies delle formazioni cretaceo-eoceniche ad oriente della Val Marecchia. Ripeto qui che mentre io credo dehbasi attribuire all Eocene la speciale formazione marnoso-calcarea del Bisciaro, la sua facies litologica e paleontologica talora accennerebbero invece piuttosto al Miocene, piano a cui fu da molti attribuito. La mia opinione basa, per la regione in esame, specialmente sui seguenti fatti: 1° per quanto questo terreno a primo tratto ricordi alcune forma- zioni mioceniche, elveziane e specialmente langhiane, tuttavia è molto più calcareo e più compatto, tanto che viene largamente escavato come pietrisco; 2° sotto di esso non appare mai altro terreno che il Cretaceo; 3° presso Urbino il prof. Mici ebbe già a riscontrare in detta formazione alcune Nummuliti determinate come N. flanulata\ vi sono pure frequenti le cosidette Eucoidi tanto comuni nell' Eocene ; 4° attorno all’ affioramento cretaceo di Eossombrone (come negli altri vicini di Piobbico, di Acqualagna, del Eurlo, di Arcevia, ecc.) vediamo in mille punti detta zona calcarea passare gradatamente e con numerose alternanze agli schisti ed ai Calcari rosati del Cretaceo superiore ; 5° poco a valle di S. An- gelo in Vado possiamo constatare direttamente e chiarissimamente che questa zona calcareo-marnosa del Bisciaro soggiace all'enorme pila della potentissima formazione marnoso-arenacea del Macigno , anzi di questa regione che credo sia fra le più interessanti ed istrut- tive riguardo a varie questioni cronologiche e stratigrafiche dell Eo- cene appenninico credo opportuno riportare la serie di passaggio tra Eocene e Cretaceo, quale si osserva per esempio lungo la strada di S. Angelo, S. Eusebio, Ca Scaviato, Monte Proverso : l’appennino settentrionale 371 Il strati e banchi arenacei alternati con marne grigie, (zona, potente molte centinaia di metri, del tipico Macigno dell’ Appennino tosco-romagnolo). Marne grigie alternate con straterelli arenacei, (po- tente zona dei dintorni di S. Angelo in Vado). Marne grigie friabili interrotte solo da pochi stra- terelli arenacei, (zona di S. Eusebio, potente una cinquantina di metri). Marne grigie friabili intercalate da qualche strato Eocene marnoso-calcareo. (zona di circa 30 m. di spessore). Marne calcaree, grigio-biancastre, dure, compatte ; rottura in poliedri. {Bisciaro tipico) (potenza di un centinaio di metri). Marne grigie friabili, (circa 10 metri). Marne grigio-calcaree, con vene spatiche irregolari, sovente con Zoophycos. (spessore di circa 40 m.). Strati calcareo-marnosi grigio-biancastri o legger- mente rosei, con frequenti Zoophycos. (spessore di una cinquantina di metri). Cretaceo. — Strati di Calcare rosato e soggiacente serie del Cretaceo normale dell’ Appennino centrale. Qui adunque parmi si abbia la prova patente, irrefragabile, che il Bisciaro non solo è eocenico, ma probabilmente rappresenta il Parisiano inferiore., corrisponde cioè al solito orizzonte cal- careo nummulitifero, il Calcare screziato dei Toscani, il Niceano di Pareto, ecc., almeno nella regione esaminata, perchè altrove sembra che si estenda a buona parte del Parisiano. Nella citata serie, che credo sia una delle più regolari, complete ed evidenti nella re- gione appenninica in esame, riguardo il passaggio dall’Eocene al Cretaceo, troviamo pur sempre incertezza nella delimitazione dei due orizzonti, appunto per l’alternarsi di zone marnose biancastre con zone marnose calcaree rosee, che in parte sono probabilmente suessoniane, mentre quelle inferiori già costituiscono il Cretaceo superiore. Isolate, direi indipendenti, sono le strette ed allungate elis- soidi eoceniche di Gemmano, Montefiorito, Mondaino, ecc., e di Monte F. SACCO 372 Corbolo, Monte Bartolo, Bargni (a banchi fortemente drizzati, spesso verticali- o leggermente rovesciati), le quali corrispondono eviden- temente all’ asse di una accentuatissima anticlinale ; un’ altra an- ticlinale, parallela a quest’ ultima, deve esistere presso il littorale pesarese, ma meno energica per cui vi affiorano solo i terreni mes- siniani rimanendo sepolti quelli eocenici. Bella la fascia di Disciaro che attornia il Cretaceo di Fos- sombrone colle due digitazioni che abbracciano Urbino. Consimile è la zona eocenica che attornia l’importante elissoide giura-cretaceo del Furio e che si spinge molto a nord-ovest col- l’elevata e biancheggiante zona semiellittica di Monte Spadara, Monte d’Oro, zona largamente escavata per pietrisco, causa la re- lativa lontananza delle zone calcaree del Cretaceo. Nella parte sud-est di detta elissoide mesozoica del Furio le incertezze che in- contriamo presso Torricella nel distinguere i supremi banchi cre- tacei da quelli basali della formazione in esame (ambidue poco inclinati, perfettamente concordanti tettonicamente fra di loro e con numerose alternanze litologiche) paionmi altre buone prove per collocare nell’Eocene inferiore detta formazione marnoso-calcarea. Si è già sopra accennato alla zona di Bisciaro e dei terreni eocenici inferiori concomitanti che avviluppando la grande elissoide di Piobbico vengono a terminare in Val Metauro presso S. An- gelo in Vado. Mi rimane a notare il fatto interessante che mentre a nord-est della grande emersione mesozoica di Piobbico, Monte Nerone, Monte Catria, Monte Cucco, Monti di Fabriano, (lualdo, Nocera Umbra, Spoleto, Norcia, ecc., P Eocene presenta generalmente la facies mar- uoso-calcarea {Bisciaro in largo senso) sino alle sue ultime propag- gini visibili verso l’Adriatico, come ad Ancona, invece a sud-ovest di detta elevata barra calcarea mesozoica la formazione eocenica presenta predominante la facies marnoso-calcarea {Macigno in largo senso) salvo qualche zonula calcarea che compare specialmente verso la base, spesso a guisa di interrotta zona fondamentale di tale serie arenacea. Dal sovraccennato si potrebbe forse dedurre che le zone eo- ceniche a nord-est della linea Pennabilli, S. Angelo in Vado, Fa- briano, ecc., sono in complesso un po’ più antiche di quelle che estendonsi a sud-ovest di tale linea ; ma più probabilmente trat- l’appennino settentrionale 373 tasi di differenze litologiche in rapporto con differenze di ambiente e quindi di modalità di sedimentazione esistenti in regioni diverse, anche nello stesso periodo geologico. Con altra fisionomia litologica e tettonica vediamo ripetersi in queste regioni dell’ Appennino centrale il fatto osservato tanto sovente ma con maggiore irregolarità (in causa della stratigrafia piu disturbata) nell’ Appennino settentrionale, cioè che nelle regioni di affioramento del Cretaceo (qui tipico, calcareo e non già colla facies di Argille scagliose come nell’ Appennino settentrionale) pre- dominano nell’ Eocene i Calcari (probabilmente dell’ Eocene medio- inferiore), mentre all’ infuori delle regioni cretacee predominano le zone arenacee (presumibilmente dell’ Eocene medio-superiore). Zona prevalentemente marnoso-arenacea. — L’Eocene a facies arenacea rappresenta la formazione più estesa e potente nell’ Ap- pennino tosco-romagnolo di cui costituisce la parte centrale e più elevata, ' raggiungendo a Monte Palterona l’altezza di 1654 m. Complessivamente si può appellare questa zona, zona del Macigno, ma col vero Macigno (costituito di banchi arenacei) si alternano più 0 meno potenti strati marnosi che talvolta per estensioni im- mense sostituiscono quasi completamente le arenarie, ridotte invece a semplici straterelli alternati colle marne. Cioè abbiamo zone essenzialmente arenacee e zone essenzialmente marnose che credo rappresentino fisonomie locali di uno stesso piano eocenico, il piano del Macigno, e che quindi sulla carta geologica indicai con una sola tinta. Però si nota che verso la base di detta grande formazione marnoso-arenacea, là dove essa si presenta completa, sovente appare una speciale zona di marne grigiastre, più o meno friabili, talora rosee e con chiazze rossigne che credo rappresentino 1’ Eocene in- feriore; tale speciale zona marnosa inferiore è anche interessante poiché non di rado fossilifera e parrebbe potersi riferire al solito piano niceano. Altre volte invece alla base della potente formazione arenacea compare una zona di argille brunastre alternate con strati calcarei, spesso nummulitiferi (come per esempio attorno a Poppi nel Ca- sentino) che paiono passare gradualmente al sottostante Cretaceo; tali zonule argilloso-calcaree (non sempre facilmente distinguibili dalle soggiacenti zone argillose del Cretaceo) nella Carta geologica 374 F. SACCO vennero generalmente unite in una stessa tinta colla zona del Ma- cigno di cui formano la parte fondamentale ; e lo stesso dicasi per alcuni strati marnoso-calcarei che compaiono in diversi punti della serie arenacea senza costituirvi vere zone importanti. Ad ogni modo è certo che se la distinzione tra le zone arenacee e girelle calcaree dell' Eocene riesce abbastanza facile e natuiale in linea generale, talora invece presenta incertezze nei casi speciali. Alcuni banchi arenacei presentano gli elementi che li costi- tuiscono così grandi che anche ad occhio nudo si riconoscono come frammenti rotolati di Quarzite, Micaschisto, Gneiss, Serpentina, ecc., fatto interessante assai e che dovrebbe esser scopo di studi lito- logici speciali, i guai! servirebbero ad illuminarci sulla natura dei rilievi rocciosi dalla cui abrasione derivarono le sabbie che, ora cementate, formano l’immensa e potentissima serie del Macigno. Facciamo un rapido esame della formazione del Macigno, come di solito da ovest ad est, dapprima nella regione assiale dell’ Ap- pennino, poi nella grande zona fiorentino-aretino-perugina, ecc. Nella parte settentrionale della grande zona cretacea di Oz- zano-Firenzuola esistono solo piccole placche di Macigno, ma verso sud ne compaiono zone assai importanti, finché nell’ alta Val San- terno con immenso sviluppo e potenza esso costituisce guasi intiera- mente la parte periferica del tipico bacino di Firenzuola. In guesto bacino si vede che sovente alla base della pila arenacea appare una zonula di marne grigiastre friabili. Il punto dove con maggior comodità ed evidenza si può osservare detto fatto trovasi un chilo- metro circa ad est di Firenzuola, sotto S. Pietro ; guivi si constata la seguente serie: j Strati e banchi arenacei con vene epatiche {Macigno, j largamente escavato per materiale da costruzione i anche in lastre) divisi da straterelli marnosi. (Serie \ potentissima, con pendenza relativamente dolce verso j est circa). 0C6ne \ grigiastre con zonule rossigne o rosso-vinate, I con vene spatiche irregolari e con interstraterelli I calcarei ; inclinazione verso 1’ est ad un dipresso, 1 ma talora fortemente disturbata (spessore di circa \ 30 m.). l’appennino settentrionale 375 ^ ScMsti argillosi, calcarei ed arenacei bruni, qua e là Cretaceo < rossicci, fortemente contorti, superficialmente fran- ( tumati (con resti di Plychodus). Ad est del bacino di Firenzuola la formazione arenacea si sviluppa con una potenza ed una estensione veramente straordi- naria e con una inclinazione, per lo più non molto forte, verso sud-ovest in generale. Con ciò non è punto a credersi che la tet- tonica sia semplice e regolare potendosi anche interpretare in parte come pieghe a C coricate; d’altronde verso il margine settentrio- nale della grande zona arenacea in esame i suoi strati sono spesso fortemente sollevati, contorti, e persino rovesciati, probabilmente anche in causa di soggiacenti arricciature delle argille scagliose in continuazione della striscia digitiforroe di Visignano, Casoana, ecc. Anche verso sud osservansi consimili arricciature e solleva- menti in rapporto pure con anticlinali cretacee, di cui una (proba- bile continuazione della digitazione di Moscheta) vediamo riaffio- rare nelle zone marnoso-argillose brunastre dell’ alta Val Lamone a sud del Monte La Faggetta. D’ altronde consimili affioramenti cretacei, che ci spiegano le forti arricciature dell’ Eocene, sono frequenti verso il Mugello a cominciare dalla grande zona di Argille scagliose ofiolitifere del- r alta Val Sorcella (Montecarelli -Bagnatolo), attraverso la zonula di Casale (nord di S. Agata) dove già si riscontrarono Inocerami, sino a Bossolo (nord-est di Vicchio) dove attorno agli argillo- schisti bruni del Molino di Botena sviluppansi in modo caratteri- stico gli schisti rossigni (donde il nome della regione) che forse rappresentano il Suessoniano. In tale interessante regione di Bossolo vediamo la seguente serie stratigrafìca : Zona marnoso-arenacea {Macigno) (potentissima). Schisti marnosi grigi alternati con straterelli arenacei. Marne calcaree grigio-biancastre (zona delle Balze). Marne grigie e rossigne. Cretaceo? — Schisti argillosi brunastri. La potente zona delle marne grigiastre riappare poi più volte estesamente verso est, così da Corella a Sambavello, Casale, Ca- Eocene F. SACCO 376 stagno, eco.; essa è, a parer mio, molto interessante, sia perchè credo rappresenti l’ Eocene inferiore e quindi ci segnala le anti- clinali anche là dove non giunge ad affiorare il Cretaceo, sia perchè è la zona dove più frequentemente si trovano fossili, ciò che sempre più mi rafferma nel ritenerla paralizzabile al piano niceano del Pareto (che è il piano fossilifero per eccellenza dell' Eocene infe- riore alpino) quantunque gli autori, dietro l’ esame dei fossili, 1 ab- biamo generalmente attribuita al Miocene superiore ! Ricordiamo infatti che nelle regioni in esame alcuni fossili, però generalmente poco determinabili (Pteropodi, varie Bivalvi fra cui frequenti Lucine, piccole Ostriche, ecc.) incontraronsi per le accu- rate ricerche di vari geologi, fra cui specialmente il Lotti ; così presso Madonna dei Tre Fiumi, al Monte Gattaia e presso Gat- taia, nella Galleria degli Allocchi, a Vitigliano, presso il podere Filetta (località a nord di Ticchio sopra Majoli da molto tempo segnalata per racchiudere numerosi resti di Globigerine, Lucine, Tapes, Teredini, ecc.), a Pretognano, a Londa, a S. Benedetto in Alpe, al Monte Cavalmagra presso Salecchio (dove, sul margine settentrionale della zona eocenica, si raccolsero numerose Lu- cine) ecc; ma in generale tali incontri di fossili sono dovuti spe- cialmente a diligenti ricerche locali, giacché se i fossili sono in questi terreni quasi sempre rari e mal conservati, però traccie se ne incon- trano spesso sia nelle arenarie sia specialmente in quelle zonule marnoso-calcaree che si intercalano qua e là nella serie arenacea. L’incontro dei fossili riesce più frequente, come si è già detto, nelle zone marnose grigie o grigie rosee dell’ Eocene medio-inferiore, come è il caso per la famosa località a Lucina Dicomani (con Cuvierie, Fusidi, Cassidarie, Pettini, Tape^, Lucine, Loripes, Echinodermi, Globigerine, ecc.) di Sambavello-Corella presso i poderi Caselline e Ricolli nel territorio di S. Godenzo, località esplorata già cin- quant’ anni fa dal sig. Vivai di Dicomano e dal Marchese Strozzi. Analoga è la zona a Bivalvi di Casale, R. Pianacela, continuazione di quella di Sambavello, ecc.; quest’ ultima zona di marne grigie di Casale-Castagno, ecc., che io interpreto come una zona di affio- ramento di Eocene medio-inferiore, ci indica un’anticlinale e quindi ci spiega la grande elevazione (1654 m. s. 1. m.) a cui è spinta la sovrastante serie arenacea nel gruppo del Monte Falterona. Come accennai sopra, gli studi fatti sopra i resti fossili di questo l’appennino settentrionale 377 orizzonte portarono generalmente gli autori a farlo ritenere come miocenico, anzi per lo più come del Miocene superiore, Torioniano 0 Sarmatiano ! ! Assai frequenti sono gli Zoophycos sugli strati marnosi e non rari i Paleodictyon su quelli arenacei. È importante notare come, oltre a resti di Molluschi, si rinvengano pure talora Nummuliti come presso Dicomano e spe- cialmente nella solita zona inferiore, che appellerei niceana col Pareto, delle marne grigie o rosee, come per esempio presso Sam- havello, presso C. Le Trappole ed il Carnaio tra il Bidente ed il Savio (dove appunto da S. Sofia a S. Piero in Bagno riaffiora largamente la formazione marnosa inferiore, qua e là fossilifera, a Lucina^ ecc., come presso Rovereti di Val di Pondo, ecc.), a Pratale, a Lierna, a Moggiona (dove è ampiamente sviluppata la solita formazione degli schisti marnoso-calcarei a Zoophycos), ecc. Molto interessante per 1’ Eocene inferiore è la zona che pos- siamo appellare di Badia a Prataglia ; quivi infatti vediamo affio- rare fra il Macigno una caratteristica zonula di schisti rossigni, talora nummulitiferi, inclinati a sud-ovest, che verso nord-ovest potei seguire sin oltre il Passo dei Eangacci, mentre verso sud-est si estende sino alla zona di argille scagliose variegate di Corezzo che forse sono già in parte riferibili al Cretaceo superiore. Però tale fatto di schisti rossigni alla base della serie arenacea eoce- è frequente nell’ Appennino settentrionale; sovente, come appunto quelli di Badia Prataglia, paionmi attribuibili al Suessoniano. È notevole che mentre la grande zona marnoso-arenacea che si sviluppa da Badia Prataglia sino al bacino di Poppi presentasi fortemente e variamente disturbata e contorta in modo da indicarci diverse pieghe nella serie eocenica, invece a nord di Badia Pra- taglia la formazione marnoso-arenacea (talora con Nummuliti e Paleodictyon come al Passo dei Mandinoli) presenta, salvo varia- zioni locali, una inclinazione abbastanza dolce ed uniforme verso sud-ovest, ciò che spiegherei con una grandiosa sinclinale coricata a nord-est, tra la zona, dirò suessoniana, di Badia e quella ni- ceana e cretacea di S. Sofia-S. Piero in Bagno, ecc. Tale fenomeno stratigrafico credo si estenda anche molto verso ovest dove osser- vasi consimile tettonica. Detta ipotesi di rovesciamento mi viene anche rafforzata dal fatto che in vari punti a nord-nord-est di F. SACCO 378 Badia osservai che le solite impronte in rilievo degli strati are- nacei trovansi sulla faccia inferiore di detti strati, mentre che, considerando il modo di formazione di tali rilievi, credo che origi- nalmente essi si trovassero sulla faccia superiore degli strati i quali quindi avrebbero subito un forte sollevamento e susseguente rove- sciamento. La grande formazione eocenica in esame che verso ovest era costituita io gran parte di arenarie presentando così la tipica facies del Macigno, verso est invece tende poco a poco ad assumere in prevalenza una costituzione marnosa con interstraterelli arenacei. Tale natura prevalentemente marnosa unita alla stratigrafia dolce e complessivamente regolare dà al paesaggio, arido, grigio-chiaro, a piramidi di erosione, ecc., una fisonomia speciale, monotona, triste, franosa direi, assai caratteristica, quale possiamo osservare nella vasta regione che si stende a nord-est del gruppo del Monte FalLerona, Poggio allo Spillo, e si sviluppa poi amplissimamente nei monti di Verghereto, nell’alta Val Marecchia e nell alta Val Tevere. In tale zona i centri d’abitazione sono relativamente scarsi e poco importanti. In alcune zone di questa estesa formazione di schisti preva- lentemente marnosi, grigiastri, che per appoggiarsi a prossimi affio- ramenti di argille scagliose si possono riferire all Eocene medio- inferiore incontransi come di solito resti di Bivalvi (specialmente piccole Ostriche), Zoophycos, ecc., come per esempio attorno al Ca- stello di Ruoti, nell’alta Valle Colledestro, ecc.; invece nelle in- terstratificate zonule arenacee veggonsi svariate impronte, fra cui Paleodictyon, come osservai sopra Mogginano. Ad est di Badia Tedalda la zona marnoso-arenacea in esame si continua con immenso sviluppo e con una certa uniformità, con tettonica apparentemente poco disturbata prevalendo la pendenza dolce, cioè di 10°-20°, verso sud-ovest circa ; però talora esistono forti sollevamenti ed arricciamenti, quali per esempio possonsi splen- didamente osservare nei rilievi tra Val Vertola e Valle Afra ad est di San Sepolcro, indicandoci che la tettonica è piuttosto complicata e che probabilmente la regolarità complessiva sovraccennata ma- schera grandiose pieghe coricate. Il Lotti che percorse accuratamente queste regioni verso Val l’appennino settentrionale 379 Tevere vi raccolse qua e là fossili, Nummuliti, Briozoi, Bivalvi (Ostriche, Pettini, ecc.), specialmente come di solito nelle o presso le zone marnose che alternano o soggiacciono alla serie arenacea, così nel Poggio del Castellino (est di Baldignano), al Monte Prati Alti, sopra Montagna, ad est di S. Giustino, a Montione, a Passe- rina; quindi è chiaro che detti fossili si incontrano frequenti in tutta la zona eocenica in esame, specialmente nella sua parte in- feriore marnosa, purché si facciano minute ricerche in proposito. Trattando della zona calcarea dell’Eocene si è già segnalata r interessante serie che osservasi presso S. Angelo in Vado dove la potentissima pila della zona marnoso-arenacea {Macigno) si chiude in basso con una caratteristica zona di marne grigie che senza salti o hyatus appoggiansi sui calcari marnoso-biancastri {Bisciaro) i quali inferiormente offrono bellissime graduate tran- sizioni al Cretaceo ; ciò pare confermarci anche stratigrafìcamente r età eocenica di detta zona arenacea. D’ altronde un’ altra importante prova di tale età eocenica parmi possa aversi nel fatto della irregolare, discordante sovrap- posizione dei lembi tongriani calcarei di Monte Pietralta sulla solita zona marnoso-arenacea tra il Sasso Simone e Bel forte al- risauro. Tra la Valle del Tevere e gli elevati gruppi del Nerone e del Catria la formazione eocenica in esame presenta un enorme svi- luppo dovuto però in parte a pieghe ripetute, tra loro subparallele, talora tanto regolari da costituire dorsali nettissime come quelle di Serra Maggio tra i rilievi cretacei di Gubbio e di Nerone- Catria, nella quale zona si possono appunto rilevare due nettis- sime sinclinali divise da una stretta e drizzata anticlinale che per la sua natura prevalentemente marnosa corrisponde alle depressioni di Fosso Valdile, Fosso della Gangana, alta Val Burano, ecc. Passiamo ora a dare qualche cenno sulla formazione marnoso- arenacea eocenica della regione fiorentino-aretino-perugina. Il fianco meridionale del bacino del Mugello è costituito in massima parte dalla formazione marnoso-arenacea dell’Eocene; ta- lora prevale la tipica facies del Macigno, con banchi talvolta di arenarie ad elementi cristallini grossolani e con fisonomia tale che dapprima dubitai trattarsi in parte di lembi oligocenici, come a 380 F. SACCO S. Quirico, S. Martino a Scopeto, ecc. ; talvolta invece, ed anche estesamente, sviluppasi la facies marnosa, grigiastra, schistosa, più 0 meno calcarea. Speciali zone marnose grigio-rosee-verdastre ap- paiono alla base della serie arenacea, così tra Fonte Assenzio, Ga- liga, Montebonello, ecc., indicandoci quivi, a mio parere, una stretta anticlinale da cui infatti affiorano qua e là le argille scagliose. Dopo r interruzione, direi, calcarea del bacino di Firenze, ve- diamo riapparire la formazione arenacea nel gruppo di Monte Murlo, costituire i Monti del Chianti (largamente intesi) e poi estendersi amplissimamente tra TOmbrone, il bacino pliocenico di Val d’Arno e la Val di Chiana; vi prevalgono i banchi di Macigno, ma vi appaiono anche banchi e strati calcarei o marnoso-calcarei. Analoga è la costituzione geologica del grande ed elevato gruppo dei Monti di Pratomagno i quali sono essenzialmente di Macigno, quindi non so perchè essi siano stati completamente segnati come cretacei nella Carta geologica d’ Italia del 1889 dove invece vennero inglobati coll’ Eocene gli innumerevoli affioramenti cretacei dell’ Appennino settentrionale. Gli strati presentano generalmente una pendenza poco accentuata verso il nord-est; ma quivi, come si è già accennato anche altrove, è probabile che il motivo tettonico principale sia rappresentato da una grandiosa sinclinale coricata verso sud-ovest, come ce lo indicano sia la grande elevazione del rilievo (che si spinge al Segnale di Pratomagno quasi a 1600 m.), sia alcune zone argilloso-calcaree grigio-bruniccie (probabilmente di Eocene inferiore) che vediamo affiorare qua e là alle falde sud-ovest di detto rilievo ; d’ altronde diverse pieghe positive e ne- gative sono evidenti nella regione montaosa in esame come lo pro- vano gli affioramenti di argille scagliose della Consuma ed altre marnoso-calcaree (forse dell’Eocene basale passante al Cretaceo) quali osservansi per esempio in Val Lavanzone a monte di Falla. Lenti nummulitifere ed a Briozoi si osservano nei dintorni di Capolona, ma probabilmente esse non sono rare tra le zone cal- caree che talora si alternano colle arenarie ; infatti sulla sinistra di Val d’Arno a sud di Bucine si raccolsero, in condizioni simili, Nummuliti, Zoogohijcos e Fucoidi diverse nel Calcare che affiora presso Castiglione Alberti. Ad est dell’ Arno il Macigno costituisce 1’ elevato gruppo del- l’Alpe di Catenaia e poi con potenza ed estensione grandissima. l’appennino settentrionale 381 nonché con facies compatta, caratteristica, la grande zona montuosa deH’Aretino, di Cortona e gran parte del Perugino, tra Val di Chiana e Val del Tevere. L’ inclinazione stratigrafica prevalente è verso sud-ovest, in generale abbastanza dolce, cioè di 10-20°, ma spesso con forti sollevamenti, contorsioni locali, ecc., ciò che ci prova trattarsi di diverse pieghe subparallele, alcune probabilmente coricate. Tra la potente serie dei compatti banchi arenacei (frequen- temente usati come ottimo materiale da costruzione o da pavimen- tazione quando non sono alterati) compaiono speciali zonale di schisti grigio-rossigni con strati calcarei (utilizzati per calce e pietrisco) come vediamo per esempio tra l’alta Val Nestore, Castel Giraldi, Valeccbio, Scaniza, Val Montanare, C. Tiravento, Val S. Martino, ecc., al Pian di Marte ed altrove. Queste zone caratteristiche sono inte- ressanti perchè credo accennino all’Eocene inferiore ed i loro calcari appaiono qua e là nummulitiferi. Tali zone rossigne talora stanno alla base della serie arecea per modo che parrebbero potersi conside- rare come smssoniane \ talora invece sotto di esse compaiono zone certamente ancora eoceniche ; così per esempio se ci portiamo verso il rilievo cretaceo da Monte Acuto, vediamo che la zona arenacea in esame gli si poggia sopra assai regolarmente, ma coll’intermezzo di schisti rossigni (come osservasi per esempio molto bene tra Monte Filoncio ed il Castello diruto di Monestevole) e di schisti marnoso-calcarei ; cioè vediamo qui la seguente serie molto istrut- tiva: [ Zona arenacea {Macigno) (straordinariamente potente). Eocene marnosi grigio-rossigno-verdastri (2-4 metri). j Schisti marnosi, grigi (poca potenza). \ Calcari marnosi, schisti grigio-biancastri (poca potenza). Cretaceo. — Calcari grigio-rosei a Zoophycos. Naturalmente non devesi confondere tale zona rossigna, che spesso si osserva verso la base dell’Eocene, con le Argille scagliose, tant’è che altrove osservansi queste affiorare sotto a tale zona rossigna, come ad esempio in una consimile serie che si è indicata apparire presso Eossoio nel Mugello. Anche questa vastissima zona eocenica compresa tra Val di Chiana e Val del Tevere presenta qua e là non pochi fossili, in F. SACCO 382 parte segnalati recentemente dal Lotti ; ricordiamo per esempio le zone marnoso-arenacee a Bivalvi, Orbitoidi e Nummuliti di Scille, di Gello, di Libbiano, di Tortigliano, di Monterchi, di Lippiano, di Cagnano, di Pieve di Eigutino, ecc. Da molto tempo famosa, e meritatamente, è la zona fossili- fera (a Cidariti, Ecbinidi, Cellepore, Re tepore. Ostriche, Spondili, Pettini, Scalarie, Balanidi, ecc.) di Monte S. Maria Tiberina, Ci- ciliane, Tocerano, Verciano, ecc., ad ovest di Città di Castello, a dire il vero la facies complessiva della fauna (che quivi si può raccogliere talora abbondante ed in esemplari liberi frammezzo a banchi arenacei disaggregati) è tale che ricorda quella miocenica e quindi farebbe supporre la presenza di una zona miocenica, o meglio oligocenica, impigliata fra l’Eocene; ma osservando sia l’alternanza di tali strati arenacei con strati marnoso-calcarei a facies eocenica, sia la presenza di Orbitoidi e Nummuliti in pros- simi strati calcareo-arenacei sopra Valle Petrina e presso il Molino (quota m. 297) di Val Aggia, sembra più logico attribuire il tutto all’ Eocene, almeno in attesa di più profondi studi paleontologici. D’altronde altre località con fossili consimili, pseudomioce- nici, incontransi pure nel Perugino presso Prepo, ecc., in terieni che paionmi dell’ Eocene inferiore. Consultisi in proposito la^ mia recente Nota « Sdl'eta di alcuni terreni ter ziarii dell’ Appennino ^ , Atti R. Acc. Se. Torino. 1899. Bartoniano. — Siccome tra l’ Eocene e 1 Oligocene esiste generalmente una notevole discordanza, la quale coiiisponde ap- punto principalmente a notevoli movimenti verificatisi durante 1 Eo- cene superiore, così il terreno corrispondente a quest’ultimo pe- riodo eocenico per lo più manca, anche perchè esso in generale è poco potente e per la natura sua marnosa fu facilmente abraso. Marne grigie, friabili, affini a quelle del Bartoniano, tanto che in Val Mugello ho creduto dapprima attribuirne una zona a detto periodo, si incontrano frequentemente nelle regioni eoceniche, ma, come si è detto sopra, esse paiono riferibili piuttosto al-l’Eo- cene medio-inferiore. Si possono forse riferire al Bartoniano le marne grigio-ver- diccie che appaiono alla base orientale della gran placca tongriana della Verna in Casentino; così pure forse parte della zona mar- l’appennino settentrionale 383 nosa su cui basa, verso sud-ovest, la grandiosa zona iongriana di Monte Fumajolo ; ma, ripeto, in generale il Bartoniano credo che manchi nell’ Appennino tosco-romagnolo. Oligocene. Sul versante settentrionale dell’ Appennino romagnolo la forma- zione oligocenica, rappresentata essenzialmente dal Tongriano, è, interrottamente però, assai sviluppata. La grandiosa emersione cretacea di Ozzano-Firenzuola, che divide, direi, geologicamente l’Emilia dalla Komagna, interrompe pure nettamente la zona tongriana. Ad Est di tale importante zona cretacea le emersioni di Ar- gille scagliose quasi scompaiono dalle regioni subappennine e quindi quivi le formazioni si poterono generalmente disporre meno distur- bate e svilupparsi molto più ampiamente che altrove. È perciò che vediamo la zona oligocenica assumere uno svi- luppo, una potenza ed una regolarità che manca invece quasi sem- pre nelle altre regioni dell’ Appennino settentrionale. Però trattan- dosi di formazioni a strati marnosi ed arenacei alternati analoghi a quelli del vicino Eocene, ed essendo i resti fossili scarsi, mal con- servati e poco caratteristici, ne deriva che riesce spesso difficile la distinzione tra l’ Eocene e 1’ Oligocene ; anzi a dire il vero, dopo averli a primo tratto confusi assieme come un tutto eocenico, è solo in seguito che parvemi potersi fare l’indicata distinzione che sarebbe bene fosse corroborata da dati paleontologici, ciò che finora non riuscii a stabilire; solo è a notarsi come lo Scarabelli abbia già riscontrato nelle arenarie a monte di Casola Valsenio e presso Marradi qualche dente di Pesce identico a quelli del Calcare di S. Marino, che io ritengo tongriano, per cui quel pochissimo di dati paleontologici finora posseduti confermerebbe il mio modo di vedere. In generale la formazione tongriana, in paragone di quella eocenica vicina, presenta le sue arenarie meno compatte, meno tenaci (per cui esse sono meno frequentemente usate come mate- riale da costruzione che è più facilmente alterabile, ed i banchi sui fianchi delle vallate presentano le testate più erose e rotondeg- gianti) ; nella parte superiore della serie predominano talvolta spe- 384 F. SACCO ciali straterelli arenacei grigio-giallo-brunastri, spesso a superficie ondulata a scodelle, con frequenti quanto svariate impronte fra cui numerosi i Paleodictyon, le Tajìlirlielminthopsis, ecc. che sono in- vece meno frequenti nell'Eocene. Anche gli strati marnosi che tanto frequentemente si alternano nel Toagriano con quelli arenacei sono meno compatti che quelli eocenici ; anzi nella parte superiore pas- sano spesso a marne sabbiose grigio-bleuastre ; talora si incontrano enormi banchi arenacei compresi e quindi sporgenti fra le marne grigie friabili; scarseggiano le vene epatiche che tanto sovente attraversano irregolarmente certi banchi eocenici indicandoci an- tiche screpolature risaldate. Se poi si osservano in complesso le colline oligoceniche si vede che, in rapporto appunto colla loro costituzione litologica, esse sono non soltanto meno elevate di quelle eoceniche, ma a fianchi più erosi e più rotondeggianti (quindi più abitate), con tinta generale più chiara e con frequenti grandiosi burroni le cui sezioni naturali grigiastre mostrano che gli strati hanno una pendenza spesso dolce e più frequentemente volta verso la pianura padana ; mentre invece le colline eoceniche, oltre ad essere più elevate, di tinta grigio-giallastra o grigio-scura, sono più riccamente boschive, a fianchi più ripidi, meno abitate, a forma sovente subpiramidata in causa dei piani inclinati formati dalla pendenza dei compatti strati arenacei che costituiscono pendii uniformi per zone vastissime. Inoltre nella parte superiore della serie oligocenica compa- iono talora tra i banchi arenacei speciali zone marnose grigio- violacescenti che non trovansi nell' Eocene. Nella zona di separazione, non sempre facile a riconoscersi, tra r Eocene e l’ Oligocene, si osservano sovente discordanze stra- tigrafiche dovute al fatto che la sovrapposizione di questo a quello è quasi sempre molto irregolare; anzi che verso ovest vediamo le due zone separate da una stretta zona di argille scagliose. Tra Belmonte, Palazzolo, Marradi, ecc. si vede che nella zona di contatto tra i due terreni in questione, mentre generalmente i banchi eocenici sono fortemente sollevati ed anche contorti, ro- vesciati (indicandoci una soggiacente anticlinale cretacea molto accentuata), invece quelli oligocenici sovrapposti hanno inclina- zione assai dolce, talora mostrandosi quasi orizzontali; tale feno- meno tettonico può per esempio osservarsi comodamente ed assai L APPENNINO SETTENTRIONALE 385 bene in Val Lamone subito a monte di Marradi, paese che giace appunto sui banchi arenacei suborizzontali del Tongriano sotto cui, al Cimitero, compaiono gli strati verticali del Parisiano ; quivi la discordanza stratigrafica appare evidentissima. Ma verso est tali differenze stratigrafiche si fanno assai meno accentuate, talora quasi scompaiono ed allora la distinzione in esame riesce più difficile. La tettonica della zona oligocenica è molto varia ; in generale predomina un’inclinazione dolce (5°-10°-15°) verso nord-nord-est, ma spesso pur conservandosi dolce, essa diventa contraria a quella sovraindicata ; inoltre è notevole che nella parte media e talora anche affatto settentrionale della zona tongriana^ analogamente a quanto osservammo nella parte settentrionale della prossima zona eocenica, la tettonica è spesso localmente molto conturbata, pre- sentando zone di arricciamento, di forte sollevamento e talora anche di rovesciamento. Tipici arricciamenti vediamo in Val Senio a monte di Eivac- ciolo, in Val Sintria a sud di Valdifusa, al Castellacelo sopra Fornazzano, al Monte Acuto a sud di Modigliana, sulla sinistra del Bidente poco a Valle di Civitella, ecc., ecc., dimostrandoci essi che la disposizione suborizzontale della zona oligocenica è spesso solo apparente, o, per meglio dire, corrisponde talora in realtà a disturbi stratigrafici generali molto notevoli; ciò ci fa supporre che probabilmente esistono, a più o meno grande profondità, forti corru- gamenti di argille scagliose, che però rimangono nascoste dalle formazioni oligo-mioceniche fin quasi alla Valle della Marecchia. Verso est la formazione oligocenica si va restringendo e con- temporaneamente i suoi strati si vanno raddrizzando ed anche ro- vesciando, come vediamo per esempio in Val Savio tra Sarsine e Valbiano, in Val Kiomaggio, in Val Marecchiola, ecc. finché essa viene a scomparire a sud-ovest di S. Agata Feltria, in causa della discordante sovrapposizione della estesa formazione messiniana. Il grandioso affioramento cretaceo di Val Marecchia non solo tronca la zona tongriana analogamente a quello di Ozzano-Firen- zuola, ma sembra abbia costituito sin dal periodo oligocenico un rilievo, un ostacolo tale da chiudere il seno tongriano che ad ovest si avanzava notevolmente entro l’ attuale regione appenninica. Infatti ad est della Marecchia non troviamo più la continua- 25 386 F. SACCO zione della grande zona iongriana della Romagna, per modo che nell’ Appennino delle Marche la formazione tongriana non verrebbe più ad affiorare. Viceversa in questa estrema insenatm-a oligocenica di Val Marecchia i depositi marini del Tongriam invece della solita uni- forme facies littoranea, marnoso-sabbiosa, assunsero una speciale facies zoogenica, quindi calcarea o calcareo-areuacea ; è infatti al Tongriam con facies zoogenica od a scogliera madreporica come alcuni vollero indicarla (ricca in resti di Celenterati, Ecbinidi, Brio- zoi. Molluschi, denti di Pesci, ecc.) che attribuisco quella interes- sante serie di lembi arenaceo-caicarei che per la loro posizione e compattezza costituirono rilievi spiccatissimi, e danno a diverse zone della Val Marecchia una fisionomia caratteristica, a guglie, rilievi ruiniformi, picchi isolati, pareti rocciose strapiombanti, strettoie di vallate ecc.; paesaggio artistico e tanto più spiccato perchè tali lembi tongriani posano in gran parte direttamente sulle Argille scagliose del Cretaceo che per la natura loro originano un paesaggio completamente diverso da quello dianzi descritto ; tra i due terreni esiste spesso un velo acqueo e quindi una collana di sorgenti più 0 meno importanti alla periferia delle zone oligoceniche. Dai tempi più antichi queste placche tongriane attirarono naturalmente l’ attenzione dell’ uomo il quale vi costrusse centri di abitazione (S. Marino, Pennabilli, ecc.) o solo validi punti di difesa (Castello di S. Leo, ecc.) o edifizì religiosi; spesso assieme si riunirono i tre scopi, fra i quali fu certamente primo e più im- portante quello della difesa specialmente nel periodo medioevale; ora invece prevalendo la tendenza della vita commerciale tali ri- lievi rocciosi sono in parte abbandonati dall’uomo oppure i centri attivi d’ abitazione dalla parte elevata si trasportarono alle falde di detti rilievi, come vediamo per esempio nel Borgo di S. Marino. La formazione in esame è ora prevalentemente calcarea, tanto da potersi usare come pietra da calce, ora invece prevalentemente arenacea, con tutti i possibili passaggi fra i due casi; talvolta colle arenarie si intercalano letti conglomeratici ad elementi improntati (specialmente calcarei nonché arenacei, diasprigni, serpentinosi, ecc.) come per esempio nella zona di Talamello ; le zone arenacee quando assai compatte vengono escavate per ricavarne materiale da costru- zione simile al Macigno eocenico. l’appennino settentrionale 387 La tinta della roccia varia dal grigio al biancastro od anche al giallastro, secondo la costituzione ed il grado di alterazione. I fossili si mostrano talora tanto abbondanti da costituire parte integrante della roccia calcarea. Essi sono specialmente Pro- tozoi, piccole Nummuliti, Polipai {Ceratotrochus, ecc.). Echinodermi {GidariSj Clypeaster , EchinolampaSj Schizaster, Hemiaster, ecc.), Briozoi {Cellefora, Ezchara, Radiopora, ecc.), Molluscoidi {Tere- bratula,Rhynchonella), Balanidi, Molluschi (Pettini, Ostriche, Cardii, Natiche, Coni, Pleurotome, Cassidi), numerosi denti di Pesce [Car- charodon, Oxyrhina, Lamna, Sphaerodus, Olodus, Sargus, Um- hrina, ecc.). I fossili invece scarseggiano nelle zone arenacee ; per lo più sono mal conservati e difficili ad estrarsi completi. Questi fossili vennero già studiati da parecchi paleontologi (specialmente dal Manzoni nel suo lavoro : li Monte Titano) dei quali autori molti, come ilManzoni (1880), il De Stefani (1880), il Euchs (1881, Ueb. Mioc. Pecten, ecc.), il Simonelli (1883), e recentemente il De Angelis (1896), conchiusero sull’età miocenica della formazione in esame. Credo invece si tratti di vero Tongriano, che d’altronde ve- diamo presentare una facies consimile in consimili posizioni nella regione appenninica, così per esempio nella famosa Pietra di Bisman- tova sul margine meridionale del seno tongriano dell’Emilia. Anche la presenza di qualche piccola Numraulite riscontrata in alcuni punti di questa formazione sta contro detta interpretazione, direi, mioce- nica del Calcare di S. Marino, ecc. D’altra parte, non credo si debba attribuire questa formazione all’ Eocene, come potrebbe dubitarsi dietro il recente lavoro del Lotti {Studi sull’ Eocene dell’ Appen- nino toscano, 1898) che colloca nell’Eocene la pietra di Bisman- tova; infatti, se generalmente i lembi calcareo-arenacei in esame, che per brevità si potrebbero indicare come Pietra di S. Marino, posano sulle argille scagliose che attribuisco al Cretaceo, in alcuni punti si vedono nettamente interposti tra detti due terreni gli strati del tipico Eocene, così di fronte a Mercatino sotto la Bocca di Majoletto. Inoltre altrove questi lembi calcarei veggonsi netta- mente sovrapposti alle zone eoceniche, sia marnoso-calcaree (come a Petrella Guidi, a Pereto, a Bocca Pratiffa, a Pennabilli, a M. Cas- sinone, ecc.), sia marnoso-arenacee come sulla cresta di Monte Pe- tratta tra Sasso Simone e Beiforte all’ Isauro. 388 F. SACCO Quanto alla tettonica di questi lembi tongriani essa si pre- senta generalmente poco disturbata ; abbiamio bensì delle inclinazioni varie ma esse nel complesso si possono ridurre a dolci sinclinali, come a S. Marino, al Monte della Perticara, ecc.; frequenti pure sono i lembi a strati quasi orizzontali, veri tavolati di cui è tipo quello del Sasso Simone. Da tali disposizioni stratigraficbe, nonché dalla distribuzione geografica dei lembi tongriani in esame, risulta chiaro che essi formarono in origine nell’attuale area della Val Mareccbia un’estesissima zona che in seguito, per i potenti corru- gamenti delle soggiacenti argille scagliose, fu stirata, lacerata, smembrata, quindi per erosione in gran parte abrasa e ridotta così ai lembi attuali rappresentanti o le placche rimaste più grandi, o quelle costituite di materiale arenaceo-calcareo più compatto, più resistente all’erosione. Altro fatto interessante è che siccome alcuni di questi lembi tongriani penetrano molto nella regione appenninica, presentano talora elevazioni notevoli, cioè di oltre 1000, 1200 m., finché al Monte Pumajolo toccano i 1408 metri s. 1. m., elevazione massima che io abbia finora constatato nell’Oligocene in Italia e che si spiega colla posizione affatto entroappenninica della placca longriana in questione. Come di solito, alle falde delle placche arenacee di Tongriano. troviamo sorgenti acquee che costituiscono altra attrattiva perchè anche oggi si formino centri di abitazione attorno a dette placche. Non credo il caso di fare qui un esame dei singoli lembi ton- griani, per quanto tutti interessantissimi per posizione, forma, spesso per ricchezza di fossili, ecc., oltre che dal lato storico. Il più spiccato e famoso è quello di S. Marino, colla caratte- ristica muraglia naturale prodotta dalla testata dei suoi banchi rivolta verso nord-est, ma formante nell’assieme quasi una sinclinale sub- ellittica. Kicordiamo anche la placca rupestre di Scorticata; la zona allungata, molto calcarea, di S. Giovanni in Galilea che ci segna l’andamento della soggiacente ruga cretacea; la curiosa zona semianulare di S. Leo, Tausano, C. Fontello, Castello di Secchiano, zona ad anfiteatro nel cui interno giace, come in un bacino, una ampia formazione messiniana’, l’estesa zona, essenzialmente are- nacea, di Perticara, Talamello, Maj eletto. Importante molto è la elevatissima placca arenacea di Monte Pumajolo, la quale, come l’appennino settentrionale 389 di solito in consimili formazioni, funzionando a guisa di immensa spugna, origina poi, a contatto o quasi colle soggiacenti argille sca- gliose, le Sorgenti o Vene del Tevere, le Vene del Senatello, ecc. ; i suoi banchi arenaceo-calcari formanti nel complesso una leggiera conca, sono spesso zeppi in fossili [Litotamni, Foraminiferi (fra cui piccole Nummuliti ed Orbitoidi), Echinodermi, Briozoi, Mollu- schi, ecc.] che si possono anche raccogliere sciolti là dove la roccia si presenta un po’ disaggregata alla superfìcie, come per esempio presso le Balze ; talvolta in questa roccia si osservano anche im- pronte varie, generalmente indicate come Fucoidi. Quasi come una continuazione della zona tongriana del Monte Fumajolo incontriamo ancora più a sud la grande placca calcareo- arenacea, il crudo sasso come l’appella Dante, del Monte Penna 0 della Verna, inclinata prevalentemente a sud, raggiungendo coi suoi banchi superiori settentrionali i 1283 m. e costituendo così un rilievo, coperto da secolari foreste di Abeti e di Faggi, da cui si gode uno dei più belli ed estesi panorami dell’ Appennino ; cenni geologici ne vennero già dati dal Soldani sin dal 1780 e poscia sfug- gevolmente da altri ; i fossili (specialmente Foraminiferi, Echinidi, Briozoi, Pettini, Ostriche, denti di Squalidi, ecc.) vi si raccolgono abbastanza abbondanti in alcuni punti e furono già oggetto di uno speciale studio {Il Monte della Verna ed i suoi fossili, B. S. Gf. L, II, 1883) da parte del Simonelli, che riferì il tutto (come anche i contemporanei terreni di S. Marino, ecc.) al Torto- niano ! Tale risultato però non mi muove dall’opinione trattarsi in- vece di formazione tongriana, solo mi fa pensare sia all’importanza molto relativa degli studi paleontologici quando si hanno fossili non molto bene conservati, sia al fatto che nell’ Appennino le for- mazioni eoceniche ed oligoceniche sembrano presentare spesso una facies paleontologica pseudomiocenica. Pure importantissima è la famosa placca, a banchi special- mente calcarei, dei Sassi di Simone che appaiono di lontano da quasi tutta la Eomagna, colla loro caratteristica tozza forma a tavolato giacente solitario sulle argille scagliose; questo immenso tavolato è costituito da banchi quasi orizzontali che ci provano come la formazione in esame sia stata portata sino alla sua attuale notevole altitudine (1221 m.) dal potente corrugamento del soggia- cente cretaceo, senza dover prender parte diretta a tale corrugamento. 390 F. SACCO Nel gruppo montuoso dei Sassi di Simone si nota, più die non altrove, il fatto di una dispersione notevole, estesissima, di frammenti calcareo-arenacei, grigio-biancastri, quasi sempre ricca- mente fossiliferi, di questo terreno tongriam ; una parte di questi frammenti di varia forma e grossezza sono dovuti evidentemente alla semplice abrasione della gigantesca placca del Sasso di Simone ; altri invece hanno posizione e dimensioni tali che paiono piuttosto interpretabili come gli ultimi sparsi residui di placche più estese quivi preesistenti, ciò che d’ altronde è più che naturale accor- dandosi colle idee espresse in principio di questo capitolo sulla originale estensione della zona tongriana in queste regioni. Questo parmi il caso per i resti pseudociottolosi che veggonsi sparsi sul rilievo quotato 867 m., ad ovest della Serra di Yalpiano (donde la successiva dispersione dei blocchi calcarei che incontransi nella regione di Cicognaia sulla destra della Marecchia) ; così pure per vari resti calcarei che giacciono dispersi in diversi punti sulla cresta che dal Sasso Simone va al Monte Cassinelle, nonché tra quest'ultimo e Carpegna. Pure interessantissimi sono gli innumere- voli frammenti di Calcare iongriano sparsi sulla dorsale che da Croce del Peschio va a Beiforte sull’ Isauro, costituendo essi tal- volta dei piccoli tavolati (come quello di Monte Pietralta) ed ori- ginando col loro rotolamento in basso i dispersi blocchi calcarei (indicati volgarmente come travertino) che vediamo tanto abbon- danti sulla sinistra di Val Foglia a valle di Sestine sino a Bei- forte, nonché in Val Kimaggio, ecc., sparsi irregolarmente sulla zona marnoso-arenacea (volgarmente genga) dell'Eocene. Non é sempre facile e sicuro distinguere i blocchi residui in posto da quelli che già furono spostati dalla loro posizione originale, ma osservando il fenomeno nel suo complesso noi assistiamo vera- mente, in questi casi, alla lenta abrasione e quindi alla prossima scomparsa di zone tongriane originalmente assai estese. Il paesaggio di queste regioni a lembi tongriani sparsi é molto curioso, pseudomorenico, tanto più che detti residui calcarei in causa dell’ azione atmosferica a cui sono esposti da diverse epoche geologiche, sono rotondeggianti, corrosi, e perfino talora tra- forati, cariati, ecc. , È poi notevole come la serie dei lembi tongriani di Penna- billi, Sassi Simone, Beiforte, colla sua direzione complessiva cor- l’appennino settentrionale 391 risponda appunto alla direzione generale della grande formazione arenacea tongriana della Eomagna occidentale provandoci sempre più che, malgrado le notevoli differenze litologiche, trattasi di una sola formazione geologica. Non sarebbe impossibile che si dovessero attribuire all’Oli- gocene altri lembi arenacei sparsi fra l’ Eocene dell’ Appennino tosco-marcbigiano-umbro, ecc., lembi i quali racchiudono fossili che dai Paleontologi sono attribuiti al Miocene, ma fino a che non si abbiano prove più convincenti, non credo potere per ora accettare tali idee. Miocene. Nell’ Appennino dell’Emilia il Miocene è sviluppatissimo, spe- cialmente coir orizzonte elveziano^ pur non mancandovi zonule lan- ghiane\ ma questa grande zona miocenica giungendo alla tipica zona cretacea di Ozzano-Firenzuola, vi si infrange, direi, quasi come contro un ostacolo, si disperde tra Ozzano e la Valle del Sillaro in cento frammenti o lembi più o meno estesi, e quindi, per quanto mi risulta, non si sviluppa ulteriormente verso est nell’ Appennino romagnolo. Cioè vediamo qui ripetersi nella zona miocenica che viene ad urtare contro la zona cretacea di Ozzano-Firenzuola, quanto, con posizione ed effetti consimili, si è visto verificarsi nella zona oligocenica della Komagna quando essa va ad urtare contro la zona cretacea di Val Marecchia. Si tratta evidentemente di uno stesso fenomeno che corrisponde ad un’unica legge tettonica, e quindi di distribuzione geografica, delle formazioni terziarie. Nelle colline di Ozzano vediamo la continuazione della stretta zona elveziana settentrionale del Bolognese (Madonna di S. Luca, Monte Calvo, ecc.), mentre in Val Sillaro troviamo gli sparsi lembi residui della grande zona elveziana entro-appennina di Marzabotto, Lojano, ecc.; è probabile che altri lembi elveziani esistano ancora ad est di Val Sillaro, ma sono mascherati dai terreni terziari più recenti. I lembi elveziani visibili che costituiscono colline biancastre, a ripidi pendii, presentano varie disposizioni stratigrafiche, però in generale, almeno quelli più grandi, paiono corrispondere a leg- giere sinclinali, a bacini o conche, come quelli di Borsano, Mon- 392 F. SACCO tecalderaro, di Vedriano, di Monte Grande, Frassinetto, ecc. È evi- dente che questi lembi rappresentano i residui di una grande zona elveziana sviluppantesi originalmente tra Ozzano e Val Sillaro, smembrata in seguito dalle ripiegature formatesi nelle sottostanti Argille scagliose, nonché dalle erosioni d’origine atmosferica ; è pro- babile che le più vaste placche sovraccennate corrispondano ad aree di deposito più potente in origine, nonché a zone inglobanti qualche banco più cementato e quindi più resistente. Litologicamente detti lembi sono costituiti in massima parte da marne grigiastre più o meno arenacee; talora verso la loro base compaiono spiccate zone di compatti strati marnoso-calcarei, grigio- biancastri che possono forse __ attribuirsi al Langhiaao, come segnai sulla Carta geologica; altrove, come per esempio in Val Farneto, a La Casona, a Cà Salara, ecc., compaiono speciali marne friabili grigio-verdastre che potrebbero essere ac[uitaniane, ma in mancanza sia di fossili, sia di dati stratigrafici credo più opportuno riunirle provvisoriamente coll’ Elveziano. Nell’ Appennino romagnolo da Val Sillaro a Val Savio, tra le arenarie tongriane e la tipica zona dei Gessi, come pure più ad est da Macerata Feltria ad Urbino, ecc. si sviluppa una speciale zona marnoso-arenacea con scarsi fossili, solo qua e lù con banchi di Lucina pomum, che potrebbe attribuirsi al Miocene, come fece per esempio lo Scarabelli che le collocò nel Serravallia)io-Langìiiano\ per ora non posseggo ancora dati positivi tali da farmi abbracciare tale interpretazione e vedendo lo stretto collegamento della zona in questione con quella gessifera preferisco provvisoriamente inter- pretarla come Mio-pliocene inferiore. Quanto al Miocene che, su dati paleontologici, da molti, anche recentissimamente, si indica largamente sviluppato nell Appennino marchigiano ed umbro, dico il vero che, secondo quanto ho osser- vato finora, non sono inclinato ad ammetterlo, come già accennai sopra più volte. Mio-pliocene. Il Mio-pliocene, corrispondente al Messiniano, ha nella Roma- gna un immenso ed importantissimo sviluppo. Noto però subito come nella parte inferiore di questa grande formazione appaia sovente l’appennino settentrionale 393 una zona di marne grigie che per la loro natura e posizione stra- tigrafica, nonché per alcuni fossili che esse racchiudono (così presso Sogliano al Rubicone dove furono studiate dal Manzoni), sembrano attribuibili al Tortoniano. Ma nel rilievo sommario da me fatto tale distinzione mi risultò spesso cosi incerta ed arbitraria che, dopo aver cercato di segnarla nelle Tavolette di campagna, ho creduto opportuno di tralasciarla nella Carta geologica al 100.000 per cui il Mio-pliocene vi è segnato in senso un po’ largo, cioè compren- dendovi certe zone inferiori marnose che sono forse in parte tor- toniane. D’ altronde ricordo che anche altrove, così nel Livornese, osservai marne con fossili in parte tortoniani (così coll’ Ostrea crassissima che riscontrasi pure a Sogliano) in zone inglobanti lenti di Gesso, per cui le collocai anche allora complessivamente nel Messiniano] noto poi ancora come nelle tipiche marne pia- cenziane, sia della Romagna che di altre località, siansi trovati fos- sili a tipo tortoniano, come alcune Ancillarie, Clavatule, Drillie, ecc. fatto che mi fortifica nell’opinione che, a maggior ragione, anche la fauna marina messiniana possa talora presentare l’accennata facies tortoniana, trattandosi d’ altronde di piani geologici contigui e pas- santi gradualmente uno all’ altro. Ciò non toglie però che certe zone marnose grigie che appaiono alla base della potente e com- plessa formazione messiniana della Romagna possano realmente at- tribuirsi al Tortoniano. La tipica zona messiniana riccamente gessifera del Bolognese giungendo contro la famosa zona cretacea di Ozzano-Firenzuola ne viene fortemente disturbata e ridotta, come quella miocenica, in lembi sparsi, fra cui è specialmente notevole quello marnoso-sabbioso (con diverse lenti gessose) di Val Quaderna. Ad est di detta zona cretacea troviamo bensì di nuovo la for- mazione messiniana ma notevolmente spostata a sud-est, con ben diversa fisonomia, tettonica, costituzione, ecc. Risulta quindi sempre più spiccata l’importanza della zona cretacea Ozzano-Firenzuola che ha interessato in varie e profonde maniere tutta la serie ter- ziaria. Infatti mentre nella regione bolognese il Messiniano si trova nella regione subappennina, ad est della zona cretacea di Ozzano esso si trova di tratto portato molti chilometri a sud entro la regione appennina, e continua in tale posizione attraverso gran parte della F. SACCO 394 Komagna; ciò è probabilmente in rapporto al fatto cbe nel Bolo- gnese, come del resto nell' Emilia in generale, i corrugamenti del Cretaceo si spingono sino alla regione subappennina, mentre invece nella Romagna tali corrugamenti debbono essere meno accentuati nella regione subappennina per modo da non venire quivi ad affio- rare ed essere così completamente coperti dai terreni terziari. Importantissima pure è la variazione che la formazione mes- siìiiana subisce nella sua costituzione litologica e nella sua tet- tonica. Debbo però a questo punto far osservare che mentre tra Val Marecchia e Val Montone 1 amplissima formazione 7fi6ssÌTiio,ìi(i e ben riconoscibile per la frequente presenza di lenti gessose e sol- fifere, invece a cominciare da Val Montone sino a Val Sillaro, ab- biamo bensì per lungo tratto una splendida, potente, regolaiàssima zona gessosa (Brisighella, Cà Sassatelli), ma sotto di essa si sviluppa una potente serie di marne, sabbie ed arenarie grigie o giallastre che paionmi potersi ancora attribuire al 3Iessiniano ma che, per non avervi finora potuto rinvenire fossili caratteristici, mi lasciano qualche dubbio che possansi attribuire al Miocene ; ciò tanto più perchè ne riesce spesso difficile la distinzione dal soggiacente Oligo- cene in modo da far dubitare esista un passaggio abbastanza gra- duale fra queste successive formazioni ; 1’ avere incontrato impronte di Paleodictyon sopra alcuni strati arenacei della zona in que- stione, così al Monte Valle a sud di Fognano, mi aveva aumentato tale dubbio. Già il Pareto e poscia lo Scarabelli osservarono questa deso- lante, direi, transizione graduale di marne ed arenarie sabbiose mille volte alternate tra loro dall’ Eocene dell’Alto Appennino sino alla caratteristica zona gessosa. D’altra parte se esistesse realmente questo passaggio, come a primo tratto sembra, non saprei come e dove delimitare i vari orizzonti del Miocene; ed anche volendosi attribuire la zona mar- noso-arenacea in questione solamente all’ Elveziam, poiché ricorda alcune zone elveziane dell’ Appennino, riescirebbe sempre incertis- sima la sua delimitazione specialmente verso il basso. Quindi, in attesa della scoperta di dati paleontologici che delucidino la que- stione, credo più opportuno riferire detta zona al Mio-pliocene, tanto più che essa collegasi assai bene, sia in alto colla tipica serie l’appennino settentrionale 395 gessifera, sia lateralmente colle zone gesso-solfifere della Komagua centrale ed include inoltre parecchie sorgenti salate che in gene- rale abbondano specialmente nelle formazioni messiniane. Eicordo qui come nelle marne soggiacenti alla zona gessosa di Tossignano lo Scarabelli abbia incontrato banchi con Hyalea gijpsorum, Balantium, Dentaliim, Cassidarie, Bivalvi (specialmente Lucine), Ittioliti, Pilliti, ecc-, a facies, complessiva che parmi mes- siniana ; consimili banchi a grosse Lucine, Cassidarie, ecc. com- paiono sotto la zona gessosa di Brisighella, di Monte Mauro, ecc. Il Gioii nel suo studio sulla Lucina pomum indica questo fossile a Monte Falcone ed in Val Sintria presso Brisighella. Si segnalarono pure qua e là dallo Scarabelli, nella sovraccen- nata formazione di incerta interpretazione, resti di iMcina appen- ninica, per cui egli attribuì detta formazione al Serravalliano- Langhiano ; ma il valore stratigrafico di tale fossile credo sia re- lativamente piccolo giacché, per esempio, lo Scarabelli cita pure detta Lucina a Martigliano (a sud del Carpegna) ed a Dicomano, dove credo trattisi di terreno eocenico ; d’ altronde lenti a grosse Lucina pomum (forma che, nello stato in cui si trovano tutti questi fossili, non credo distinguibile dalla L. appenninica) si osservano talora in banchi calcarei intimamente collegati a quelli gessosi (Tossignano, Brisighella, ecc.) quindi certamente messiniani, come ebbe già a provare il Manzoni sin dal 1876 nella sua Nota: Della posizione strat. del Calcare a Lucina pomum, B. C. G. I, voi. VII. Quanto alla tipica zona superiore, gessosa, essa si presenta ben distinta formando per molti chilometri una specie di grandioso muro naturale, caratteristico, imponente, costituito da una serie di banchi di gesso (5-10 sino a 20) dolcemente inclinati a nord di 5°-10° sino 45°, in modo da formare alla loro testata pareti ab- rupte verso sud, ed invece colla loro parte dorsale rilievi acciden- tati, con frequenti imbuti e soliti fenomeni accessori delle regioni gessose. Quivi coi banchi gessosi si alternano straterelli marnosi spesso fillitiferi ed ittiolitiferi, o zonule calcaree con fossili di tipo salmastro, lenti di Calcedonia, ecc. Sin dalla metà di questo secolo lo Scarabelli ha descritto e delineato questa zona (la Vena del Gesso, come si appella volgar- mente) d’altronde così facile a distinguersi anche al tavolo sopra una buona carta topografica, quindi credo inutile trattarne partico- F. SACCO 396 larmente. Eicordo però come nella zona che racchiude i banchi gessiferi si incontrino anche lenti di Salgemma e vari resti di Pa- ludina, di Melanopsis (abbondantissima per esempio nel Gesso amorfo di Rivola), di Lebias crassicaitda (come a Formignano e Montevecchio), ecc., nonché Filliti come in Val Sgarba presso Tos- signano ; incontransi inoltre nella parte alta della serie resti di Cardium e di Dreissensia, cioè il piano a Congerie, segnalato anche recentemente dal Toldo. Fra le marne sabbiose soggiacenti agli imponenti banchi ges- sosi di Brisighella il Manzoni raccolse resti di Pettini e di Ptero- podi ; nei banchi calcarei che qua e là affiorano alla base di detta zona gessosa si trovano talora accumuli, veri nidi, di Lucine grandi e piccole, resti di Ostriche, di Modiole, ecc. assieme a Globigerine, Orbuline, ecc. fatto interessante anche perchè ci indica la natura marina o lagunare dell’ ambiente in cui si depositarono tali terreni. Detta grande zona gessosa è inglobata in marne argillose grigie che, verso il basso si alternano dapprima con straterelli marnoso-arenacei, poi con strati arenacei ed infine più in basso ancora con veri banchi sabbioso-arenacei grigio-giallastri, talora potentissimi, che presentano accentramenti irregolari che per ero- sione formano pareti a mamelons, ecc. È notevole come questi ban- chi arenacei non siano continui ma formino talora semplici lenti fra le marne, come si può per esempio vedere nettamente nei gran- diosi tagli naturali sulla sinistra del Santerno a sud del Monte Penzola e sulla sinistra della Valletta del Rio del Prato. Altra particolarità tettonica è il ripetersi di trasgressioni a più livelli, specialmente per grossi banchi arenacei che si avanzano trasgressivamente sopra serie regolari di strati, i quali sono tal- volta alquanto erosi nella parte superiore, come per esempio sotto C. Monte Chiavi. È probabile che esista pure generalmente una qualche trasgressione fra i banchi basali del Mio-pliocene e la sog- giacente formazione oligocenica, come sembrerebbe il caso per la trasgressione che si può osservare molto nettamente nel grandioso taglio della sinistra del Santerno presso Fontana Elice, poco a monte del Ponticello mobile. Qua e là esistono sorgenti solfuree come nella Valletta del Rio Bagno sopra Fognano, presso Dovadola, ecc. ; talvolta invece sonvi sorgenti salate. l’appennino settentrionale 397 Dal Sillaro al Montone, ma anche più ad est, ho trovato sempre difficoltà nel distinguere nettamente la formazione che at- tribuisco al Mio-pliocene da quelle che riferisco all’Oligocene, ciò che mi faceva dubitare che non esistesse fra i due terreni quella lacuna che per ora ammetto ; però considerando in complesso, dal- l’alto ed un po’ da lontano, le due formazioni, si vede che quella miopliocenica presenta in generale una forma orografica speciale, cioè colline grigio-giallastre (più chiare e meno erte di quelle tongriane) foggiate a terrazze, direi quasi ad altipiani, leggermente in- clinati per lo più verso nord-nord-est ma eziandio in vario senso, anche inverso al primo, in causa dell’analoga pendenza dei banchi arenacei; questi banchi coi loro gruppi più compatti formano di- verse gradinate, 4-5 principali, che dànno al paesaggio collinoso una fisonomia speciale quale d’altronde rivediamo non di rado nelle ti- piche regioni messiniane, gessoso-solfifere, della Romagna centrale. Naturalmente tale disposizione orografica a terrazze, unita alla natura sabbioso-marnosa del terreno e alla relativa poca elevazione dei colli, all’ampiezza pure relativa delle vallate principali, ai pendii non molto erti, alla viabilità abbastanza comoda ed alla loro vici- nanza alla pianura padana, fanno sì che dette colline, anche dal lato dell’agricoltura, si presentino con un carattere di molto più in- tensa coltivazione, spesso viticola e talora anche pratense, che non le vicine regioni oligoceniche. Altro caratteristico fenomeno orografico (connesso d’altronde a quello sovraccennato) che osservasi nella formazione in esame, è il fatto che spesso nella parte alta delle colline, oppure lungo il margine libero delle indicate terrazze, certe pile di banchi raarnoso-arenacei poco inclinati dànno origine per semplice ero- sione ad uno speciale paesaggio, direi, rovinoso, cioè a curiose pi- ramidi, monoliti 0 torrioni, sparsi od allineati (talora quasi fog- giati a cortine), veri testimoni della antica maggiore estensione di detti banchi e che ci fanno assistere quasi ad uno speciale modo di erosione dei terreni; il fenomeno d’altronde, come è noto, si ripete in varie regioni della terra, specialmente là dove sonvi serie arenacee (di qualunque età) in posizione suborizzontale e larga- mente soggette agli agenti atmosferici. Concludendo, nella regione appenninica in questione parmi si possano distinguere le seguenti serie: 398 F. SACCO Piacenziano. Messiniano — Marne argillose grigio-bleuastre. / Zona marnosa o maruoso-sabbiosa inglobante I grandi banchi o lenti gessose. Marne argillose grigie con qualche straterello arenaceo. Alternanza di strati marnosi grigi e di strate- relli con svariate impronte (serie potente). Marne più o meno sabbiose, strati arenacei e banchi sabbiosi grigio-giallastri (serie po- tente). Grandi banchi arenaceo-sabbiosi, grigio-giallo- gnoli, con nuclei di accentramento irregolar- 1 mente sparsi. ( Strati e banchi arenacei, compatti tanto da venir Tongriano \ utilizzati talora come pietra da costruzione, ( alternati con marne grigie o grigio-bleuastre. È curioso che mentre la formazione messiniana in esame nelle sue assise inferiori ha generalmente i suoi strati inclinati solo di 5° a 20°, nella sua parte superiore che racchiude o immediatamente soggiace alle lenti gessifere, gli strati (generalmente sabbiosi grigio- giallastri) spesso assumono inclinazioni di 40°, 50° e talora anzi divengono persino verticali od anche leggermente rovesciati, come per esempio vediamo assai bene già nella zona marnosa, 'pseudo-langhicinci talvolta soggiacente alla Vena del Gesso di Rocchetta-Sasso, ma specialmente tra Brisighella, Monte Bicocca, La Soglia, C. Matterella, C. Fondo, Seregiole, Le Capanne, S. Antonio, C. Campolo, ecc., nel- r isolato affioramento messiniano di Monte della Birra (probabile continuazione dell’ allineamento sovraccennato di banchi fortemente drizzati), tra Devia e Bocca d’Elmici, ecc., ecc. È a notarsi però che un consimile fenomeno abbiamo già osservato verificarsi, anche estesamente, pure appunto nella parte superiore o settentrionale sia della zona eocenica sia di quella oligocenica della Romagna, mentre a sud anche dette zone presentano generalmente inclinazioni assai dolci. Gli strati messiniani quasi mai presentano quelli arricciamenti, quelle forti contorsioni che appaiono tanto frequenti nell Oligocene. l’appennino settentrionale 399 Ad est di Val Montone la formazione messiniana comincia ad inglobare frequenti zone o lenti ciottolose, talora tanto potenti e compatte da formare spiccati rilievi, come ad esempio quello su cui giace Predappio; si sviluppano estesissimamente le zone marnoso-argillose, grigiastre o grigio-violacescenti ; compaiono lenti gessoso-solfìfere sia fra le marne, sia collegate invece alle arenarie e perfino ai conglomerati, come presso Predappio; qua e là osser- vansi marne con Hyalea gypsorum^ cioè la formazione messiniana assume la sua facies caratteristica. Vi predominano le dolci inclinazioni in vario senso, formando così conche stratigrafiche ed originando il caratteristico paesaggio a colline terrazzate con più ordini di pianori e di gradinate che si sviluppano per vari chilometri lungo i fianchi collinosi; anche le Carte topografiche segnano talora le principali fra queste speciali gradinate, come in Regione Dogherìa, a nord di Cusercoli, a Giag- giolo, ecc. Ho detto sopra come nella grande zona messiniana in esame predominino le dolci inclinazioni stratigrafiche ; però tratto tratto gli strati presentansi anche fortemente sollevati così presso S. Cas- siano in Val Rabbi, ma specialmente lungo il margine meridionale della zona in esame, dove essa s’appoggia contro la formazione oligo- cenica, come per esempio nei banchi arenaceo-sabbiosi giallastri e nei sovrastanti schisti marnoso-gessosi fogliettati di Rivoschio, Li- naro, ed in modo abbastanza costante lungo rallineamento di Monte- Tessello, Formignano, S. Lucia di Rovorsano, Montecodruzzo, ecc. Tali fenomeni stratigrafici ci indicano come la formazione messiniana della Romagna centrale sia tettonicamente foggiata a due 0 più sinclinali principali, allineate in complesso come di solito, parallelamente all’ asse appenninico ; queste sinclinali for- mano delle vere conche allungate, a dolce pendenza; ma le anti- clinali invece spesso presentansi fortemente compresse e quindi a strati contorti, sollevati e talora perfino rovesciati. Interessante poi è l’osservare come dette zone di forte solle- vamento, corrispondenti spesso ad anticlinali, siano allineate in modo che il loro prolungamento verso est va ad incontrare ad un di presso le digitazioni più occidentali del Cretaceo di Val Marecchia; così la sovraccennata zona fortemente sollevata di Tassello, Montecodruzzo credo vada a corrispondere colla zona ere- F. SACCO 400 tacea di Scorticata, S. Giovanni in Galilea, Sogliano ; la zona me%- siniana fortemente conturbata di Taibo può essere in relazione col prolungamento occidentale della digitazione, direi, cretacea di Sec- chiano, MontetifB. In tal modo parmi che si spiega assai bene il grande svi- luppo della zona messiniana cesenatese che giunge sino alla pianura, respingendo a nord la formazione pliocenica ; cioè tale notevole esten- sione eccentrica sarebbe in rapporto con sotterranei corrugamenti cretacei, prolungamenti occidentali delle zone cretacee di Val Marecchia, specialmente di quelle laterali di S. Marino- Sogliano. Le lenti ciottolose si incontrano qua e là un po’ irregolarmente, ora potenti e cementate in conglomerato, come a Predappio, ora invece cogli elementi sparsi fra le marne sabbiose; quasi sempre sono collegate a strati o banchi arenacei giallastri ; i loro ciottoli sono spesso caratterizzati da una patina lucente, una specie di vernice naturale, che li ricopre in gran parte. Fra le zone ciottolose più importanti ricordiamo quelle di Predappio, di Busca (S. Fiordi- nano), di G. Monteveccbio, del Ponte della Buca, di Cusercoli, di Torre S. Paolo, Yoltre, del Segnale di C. Corbara, di Baccialino in Val Savio, ecc. ; tali depositi grossolani sono interessanti perchè ci segnalano locali fluitazioni torrenziali ; i ciottoli sono spesso im- prontati, talora rotti e ricementati. Nella formazione in esame incontransi non di rado straterelli bituminosi come per esempio a Sud di Tassello, sorgenti minerali, specialmente sulfuree, e lenti gessose o gessoso-solflfere od anche solflfere, il tutto corrispondente cioè nel complesso alla tipica fa- cies del Messiniano italiano. Sulla Carta geologica non ho segnato le zone solflfere perchè in gran parte segnalate già da miniere di Zolfo che sono quasi tutte indicate sulle recenti tavolette topograflche; è certo però che molte altre si scopriranno, ed alcune già riconosciute ma non col- tivate verranno col tempo utilizzate. Quanto alle lenti gessose, oltre a quelle che constatai de visu, indicai pure molte di quelle segnate dallo Scarabelli nella sua Carta geologica del 1880, eccetto là dove ebbi a constatare che realmente non esistevano ; quindi è certo, che dietro speciali rilievi più dettagliati alcune di tali indi- cazioni di zone gessose dovranno essere abolite o spostate. D'altronde è a ritenersi che con minute ricerche si potranno indicare molte l’appenniko settentrionale 401 altre lenti gessifere, oltre a quelle da me segnate, come d’altronde già indica l’elenco che ne troviamo dato nel lavoro: I Tesori sot- terranei dell’Italia dello Jervis, solo che parecchie di tali lenti sono ora esaurite o nascoste e quindi di difficile segnalazione precisa. Coi banchi {seghe o segoni) di Gesso e colle zone solfìfere spesso si accompagnano zonule calcaree {Cagnino o Marmo pazm dei Ca- vatori), comprese od alternate colle marne {Ghiolo) e più raramente con speciali straterelli o schisti biancastri fogli ettati, talora ittioli- tiferi 0 fillitiferi o diatomiferi. Ricordo infine la presenza talvolta di straterelli lignitici di poca importanza, come per esempio presso Sogliano al Rubicone, un chilometro ad est di Diolaguardia (Cesenate), ecc. Presso le lenti lignitiche di Sogliano si raccolsero resti di Melanopsidi, Ce- rizidi, Potamidi, Melarne, Dreissensie, ecc., che ci indicano Torigine salmastra del deposito ; vi si associano pure sabbie e conglomerati ad elementi improntati, taluni di Calcare tongriano ; ma i dintorni di Sogliano e delle colline a sud sino a S. Agata richiedono studi speciali su carte in grande scala per ben delimitare il Pliocene dal Mio-pliocene, per segnare gli affioramenti eocenici e cretacei e per illustrarne le varie importantissime forme e flore fossili; già ne trattarono l’abate Fortis da oltre un secolo, poi il Brocchi, il Pa- reto, più volte lo Scarabelli, il Manzoni, il Capellini, il Fuchs, ecc. notevole che nelle zone lignitifere o nelle vicinanze, sia nel So- glianese che verso Monte Gelli, oltre alla fauna malacologica so- praindicata, si raccolsero anche resti di Lontre, di Tartarughe, ecc. La frequenza di zone arenacee origina spesso sorgenti assai preziose in queste colline che sono in generale piuttosto aride. Riassumendo, possiamo dunque dire che la grande formazione messiniana della Romagna cesenatese è costituita di arenarie, sabbio e marne con lenti ciottolose, lignitiche e gessoso-solfifere ; il suo immenso sviluppo superficiale (dovuto probabilmente a sotterranee pieghe dei terreni cretacei, pieghe che derivano dal prolungamento verso ovest delle zone cretacee della bassa Val Marecchia), malgrado numerose variazioni stratigraflche locali o secondarie, corrisponde essenzialmente ad una grande sinclinale entroappenninica, di cui abbiamo la gamba meridionale, spesso fortemenle sollevata, nella linea che appellerò Rivoschio-Ciola ; la regione di conca o bacino allungato da ovest-nord-ovest ad est-sud-est nell’ immensa plaga di 26 F. SACCO 402 Giaggiolo, Piavola, Monto Giusto, eco. ; la gamba settentrionale, pure spesso fortemente sollevata, nella linea di Tessello-Formignano- Monte Codruzzo. Quest’ ultima gamba sembra che si sviluppi molto nelle colline cesenatesi dove, malgrado locali ondulazioni, discordanze e forti raddrizzamenti di strati, predomina la pendenza verso sud- ovest, facendoci così supporre la presenza di una anticlinale, in gran parte mascherata dalle alluvioni della pianura, lungo le falde subapennine del Cesenatese. Nel complesso, la costituzione geologica della formazione mio- pliocenica in esame, sembra potersi così riassumere : Pìacenziano. — Marne grigie. Marne sabbiose grigie. Marne, sabbie ed arenarie grigiastre o giallastre con piccole lenti gessifere, lenti ciottolose, ecc. (spesso Colline terrazzate). Marne argillose grigio-violacescenti, spesso con zone solfiifere (Colline franose, a grandi bur- roni). Marne e sabbie con frequenti ed importanti lenti gessifere o gessoso-solfifere. Potente serie di strati e di banchi marnosi, sab- biosi ed arenacei, grigiastri o giallastri. Tongriano. — Marne sabbioso-arenacee e straterelli arenacei grigiastri. (Oppure verso nord direttamente le Argille scagliose del Cretaceo). Non credo opportuno discendere a maggiori particolari, sia perchè essi trovansi in altri lavori speciali (a cominciare dal San- t’Agata sino al Niccoli, ecc.), sia perchè ciò sarebbe fuori dell’indole di questo studio geologico sommario. Interessanti notizie su queste importanti regioni solfifere e gessifere della Romagna si trovano riunite nei Tesori sotterranei dell' Italia, dello Jervis. Nella grande Vallata della Marecchia la formazione messiniana è in gran parte smembrata in causa dell’ irregolare affioramento del Cretaceo; i vari lembi sono di natura litologica spesso differen- Messiniano. L’APPENNI^O SETTENTRIONALE 403 tissima anche a poca distanza, spesso quasi appiccicati a formazioni antiche svariate, con disposizioni stratigrafiche pure molto varie e sovente assai curiose. Nella parte occidentale predominano le marne, più 0 meno sabbiose, talora alternate con grosse lenti o banchi arenacei giallastri, numerose e talora, verso il Savio, anche gran- diose lenti gessifere o gesso-solfifere in molti punti utilizzate; prevalgono le pendenze dolci ed in tal modo la formazione messiniana ricopre per aree estesissime e trasgressivamente a guisa di grande velo i vari terreni più antichi che ne spuntano qua e là. È notevole il bel seno tranquillo di S. Agata Feltria, Sapigno, Sarsina, il cui margine settentrionale deve essere costituito sotterraneamente dal prolun- gamento della zona cretacea di Perticara. Nelle marne che appaiono subito a nord-est di Sarsina abbondano i fossili di cui sarebbe in- teressante uno studio speciale ; sono specialmente Bivalvi di tipica facies messiniana e che sono quindi diversi da quelli a facies tor- toniana che si raccolgono presso Sogliano al Eubicone. E notevole come la formazione messiniana in questione rag- giunga in alcuni punti quasi gli 800 m. s. 1. m., come presso S. Agata Feltria, cioè, come di solito, là dove essa si addentra maggior- mente nell’ Appennino. Nella parte assiale di Val Marecchia il Messiniana è ridotto a veri lembi sparsi, talora racchiusi entro bacini o circhi tongriani come a S. Marino ed a Secchiano-Legnagnone. In certi seni speciali incontransi lenti lignitiche, come tra Rocca Pratiffi e S. Agata, presso Ugrigno, in Val Riomaggio a nord-ovest di S. Leo, ecc. ; qua e là si possono raccogliere numerosi fossili così presso Ugrigno (dove abbondano Coni, Pleurotomidi, Natiche, Nassidi, Cardite, Veneri, Arche, ecc., a facies in parte tortoniana e in parte pliocenica), presso Pietra Acuta (dove nelle sabbie fiancheggianti la strada presso la Marecchia si raccolgono Cardite, Veneri, Nassidi, ecc., pure a facies in parte miocenica), ecc., ecc. Frequenti sono i banchi arenaceo-sabbiosi giallastri che talora nelle parti alte formano le solite monoliti di erosione, come per esempio a sud-est di S. Agata. Non rare appaiono le lenti conglomeratiche come presso Sec- chiano, tra Cà di Siano e Fonte Fottogno, nelle Colline di Cassano - Case di Rontagnano (dove abbondano i fossili marini, come Briozoi, F. SACCO 404 Nasse, Luciae, ecc„ nella zona di passaggio tra i conglomerati e le sotto- stanti marne grigie), nonché a S. Marino, specialmente sotto al Cimitero. Sono pure frequenti le lenti gessifere, qua e là anche solfifere. Ad est di Val Marecchia la formazione messiniana in causa delle varie sinclinali in cui è compresa, oppure delle anticlinali che essa costituisce, si può distinguere complessivamente in tre principali zone di sviluppo, che appellerei rispettivamente entroap- penninica, media e littoranea. 1° La zona entroappenninica si presenta dapprima, cioè dal Ma- ceratese all’Urbinate, amplissima, potente ed apparentemente molto complicata ; in realtà consta essenzialmente dei soliti suoi elementi litologici, cioè : arenarie e sabbie grigie-giallastre, marne, lenti ges- sifere°o gesso solfifere ; l’apparente complicazione dipende semplice- mente dS fatto che in causa dei prolungamenti occidentali delle anticlinali eoceniche di Monte Spadara, Monte d Oro e di Urbino, le formazioni tncssinidne sovrastanti furono pure obbligate ad inflet- tersi in anticlinali ed in sinclinali, per modo che lo stesso orizzonte, colla stessa costituzione litologica compare più di una volta nella regione in esame. La serie messiniana si può, riassumendola, indicare ad un di presso in questo modo : Piacenziano. — Marne argillose grigie (verso nord-est. Auditore, Schieti, ecc.). Marne grigie. Strati 0 lenti ciottolose (nella parte più entroap- penninica della zona). Marne grigie friabili (regioni depresse a bur- roni franosi) con lenti gessifere o gesso-sol- fifere, ligniti, sorgenti sulfuree e salate, ecc. Marne ed arenarie sabbiose grigiastre, talora in straterelli fogliettati. Spesso un grosso banco, od una serie di banchi, di arenarie grigio-gialle (tipo quello su cui siede Urbania). Strati arenacei e sabbioso-marnosi grigio-gial- lastri. Messiniàno \ l’appen’nino settentrionale 405 / Marne grigie friabili con pochi interstraterelli Parisiano ! arenacei (solo sul margine sud-ovest). r Marne calcaree grigio-biancastre {Bisciaro). Però talora il Messiniano basa direttamente e discordante- mente sulle argille scagliose del Cretaceo, come verso Conca e ad ovest di Auditore. La serie inferiore, marnoso-arenacea (strati arenacei^ ecc.), che si sviluppa ampiamente dal Maceratese all’Urbinate, ricorda molto quella che neU’Appennino romagnolo si estende (tra Val Sillaro e Val Savio) fra la zona gessosa e quella oligocenica; qui, come là, detta serie potrebbe interpretarsi come miocenica, ma anche qui parmi più logico attribuirla alla parte inferiore del Messiniano in attesa di sicuri dati paleontologici che risolvano la questione. Il prof. Mici indica il rinvenimento di Lucina afioen- ninica Dod. nell’Urbinate, ma, sembra, nella parte superiore della serie indicata, ciò che sempre più mi conferma il dubbio che tali resti di Lucina, già indicati in terreni consimili nella Komagna, appartengano ancora al Messiniano ; altrove però, come si disse in precedenti Capitoli, sonvi banchi di Lucine riferibili all' Eocene ; cioè a mio parere l’ importanza di certi fossili comuni in molti ter- reni è assai relativa, tanto più quando, come è qui il caso, trattasi di esemplari mal conservati. Tettonicamente si può distinguere in questa vasta zona mes- siniana : 1° Una bellissima sinclinale, affatto entroappenninica, che dall’alta Val d’Apsa di Macerata si estende sino a Farneta sulla destra del Metauro. Nella gamba sud-ovest di questa sinclinale, la zona arenacea inferiore appare specialmente a cominciare da Lu- nano, acquistando la sua massima potenza in Val Metauro a monte ed a valle di Urbania, con strati spesso fortemente sollevati ed anche rovesciati; il rovesciamento è ancor più frequente nella corrispondente serie arenacea della gamba nord-est. In questa inte- ressante sinclinale sono sviluppatissime le marne grigie friabili che originano un paesaggio franoso, arido, affatto caratteristico; tipi- che, di rado interrotte, vi si sviluppano le zone gessifere, special- mente quella potente della gamba sud-ovest (allineamento di Veglio), meno importante quella, più gracile in generale, della gamba nord- F. SACCO 406 ovest (allineamento di S. Maria, Cà Monte, ecc.)- Nell interno della sinclinale, quasi solo dal lato sud-ovest, come è naturale, osservansi le curiose lenti ciottolose o conglomeratiche di Pietrarubbia-Lu- pajolo, ecc., che là dove sono molto compatte formano, come a Pietrarubbia, caratteristici rilievi ruiniformi. 2° Una stretta accentuatissima anticlinale (prolungamento di quella eocenica di Monte Spadara, Monte d Oro) che si estende da Monte d’Oro sin oltre Macerata Feltria; essa è costituita es- senzialmente dalla serie marnoso-arenacea inferiore in strati forte- mente sollevati e spesso anche rovesciati ; essa mentre a sud-ovest viene coperta dalla zona sovraccennata, a nord-est si pigia invece contro l’anticlinale di Urbino-Sassocorvaro. 3° Una seconda anticlinale, Urbino, S. Apollinare, Sassocor- varo (corrispondente al prolungamento dell’ anticlinale eocenica di di Urbino) anch’essa costituita assialmente in modo essenziale di strati marnoso-arenacei fortemente sollevati, talvolta rovesciati. Queste due anticlinali messiniane, abbastanza ben distinte natural- mente nell’Urbinate da una sinclinale intermedia (Mazzaferro, Ma- ciolla, ecc.), verso nord-ovest si vanno riunendo in modo che nel Maceratese sembrano costituirne una sola. La seconda anticlinale ora in esame, se verso sud-ovest presenta la sua gamba affatto in- completa pel fatto sovraccennato, invece verso nord-est ha la gamba completamente sviluppata, estesa, con strati marnoso-sabbiosi, qua e là solfiferi, grigio-giallastri, inclinati poco fortemente a nord- nord-est. Chi volesse comodamente in un sol giorno esaminare l’ in- tiera sovraccennata serie messiaiana colle sue ripetute pieghe, lo potrebbe fare percorrendo la strada carrozzabile da S. Angelo in Vado ad Urbania, Urbino, Castelboccione. La città di Urbino giace per la metà sud-ovest sulle marne calcaree {^Bìscìolto) dell’Eocene in banchi quasi verticali, e pei la sua metà nord-est sull’arenarie e sulle marne sabbiose, variamente sollevate ed inclinate, del Messiniano ; quest ultima formazione quivi si insinua curiosamente a foggia di breve seno tra le pieghe dell’Eocene, rappresentando così in piccolo l’ansa messiniana, assai più grande, di S. Angelo in Ajola e quella amplissima di Earneta in Val Metauro. Il fenomeno, con vario grado e sviluppo, è sempre lo stesso; l’addentrarsi M Messiniano nelle sinuosità dell’Eocene, l’appennino SETTENTRIONAI-E 407 più 0 meno a seconda di dette sinuosità, corrispondenti tettonica- mente a sinclinali. È interessante osservare che mentre l’estesa formazione messi- niana esaminata termina a foggia di insenature in Val Metauro, se ne seguiamo la linea di sviluppo nord-ovest-sud-est, la vediamo riapparire con analoga costituzione (arenacea, marnosa e gessifera) là dove si accentuano e si allargano alquanto le sinclinali eoceniche 0 cretaceo-eoceniche. Troviamo infatti l’ irregolare ellissoide messi- niana di Fenigli, Montevecchio che presenta anche banchi arenacei ed arenaceo-conglomeratici così compatti da spingersi a Monte Terrine sin oltre i 700 m. s. 1. m., da essere utilizzati come ma- teriale da costruzione e da venir attribuiti recentemente da Bo- narelli e Morena al Tongriano. Poi incontriamo le zone messiniane di Pergola, Cà Bernardi (famosa per le sue importanti lenti solfifere), di Fabriano, di Matetica, ecc. ; formando così una interessante serie di bacini elissoidali giacenti nelle maggiori sinclinali dell’Eocene. 2° La zona messiniana che indicai col nome di media (v. pag. 404) si collega ad ovest con quella entroappenninica per mezzo della formazione prevalentemente marnoso-gessifera (con poche lenti arenacee) di Faettano, Gesso, Sasso Feltrio, Onferno ; si indivi- dualizza nelle Colline di Montescudo dove si presenta con una facies essenzialmente sabbioso-arenacea in strati e banchi fortemente sol- levati, talora anche affatto verticali come a Monte Colombo, a Taverna, Marazzano, ecc. Tale fenomeno corrisponde ad una stretta anticlinale, prolungamento occidentale di quella eocenica di Mon- tefiorito. Con tale facies litologica, essenzialmente arenaceo-sabbiosa, però con alternanza di marne che talora formano anche zone assai estese, specialmente verso la base, la formazione messiniana co- stituisce fascia attorno all’elissoide eocenica di Montefiorito, e poi attorno a quella di Monte Corbordolo-Bargni. Gli strati pendono di 20°-30° in generale, ma presso la zona eocenica sono spesso drizzati alla verticale od anche leggermente rovesciati; consimili drizzamenti si osservano però talora anche a notevole distanza dall’Eocene, così tra Montebaroccio e Cartoceto, ecc. Certi straterelli marnoso-arenacei inglobano fossili diversi, così resti 408 F. SACCO di Pesce, Diatomee marine, ecc., ecc., come nel famoso giacimento ittiolitifero di Mondaino. Relativamente rare e poco importanti sono le lenti gesso-solfìfere o solo solfifere. In Val Metauro, per rabbassarsi dell’anticlinale eocenica di Bargni, la formazione messiniana che l’attomia viene a chiudersi e anch’essa accasciandosi costituisce un’ amplissima zona a dolce anticlinale che va a scomparire verso Corinaldo sotto il grande manto pliocenico. Il Messiniano nell’ ampia zona in questione è rappresentato da strati marnoso-sabbiosi poco inclinati ; anzi nella parte alta vi predominano le marne, in modo che riesce spesso difficile e talvolta arbitraria la distinzione del Messiniano dal Piacenziano. Invece la zona messiniana che va ad appoggiarsi contro l'an- ticlinale cretaceo-eocenica di Fossombrone-Pergola-Acervia, ecc., si presenta più caratteristica per lo sviluppo delle arenarie e delle sab- bie grigio-giallastre, per la presenza di lenti gessose, di lenti solfl- fere, ecc.; in questa zona si distinguono generalmente: 1° Una parte inferiore grigio-marnosa a colline basse e burroni franosi per modo che parrebbe riferibile al Tortoniano ma che per mancanza di fossili caratteristici e per la presenza di lenti sol&fere, sorgenti solfaree e salate, ecc., includo per ora nel Messsiniano basale ; 2° una parte superiore essenzialmente sabbioso-arenacea, gialla- stra. talora con lenti ciottolose, costituente nel complesso regioni elevate e spesso spiccate gradinate sulla soggiacente formazione marnosa. Fra gli strati sabbiosi e sabbioso-ciottolosi s' incontrano talora zone fossilifere, come per esempio a sud di Montecarotto sotto S. Maria del Monte, dove abbondano i resti di Ostriche, Pettini, Corbuie, ecc.; il fatto è interessante perchè ci indica l’origine marina littoranea della parte superiore della formazione messiniana in esame. Nel complesso la zona in questione presenta una tettonica regolare, con dolce pendenza verso nord-est, sdoppiandosi però di nuovo più a sud-est in causa dell’ affioramento dell’elissoide cretaceo- eocenica dei Monti di Cingoli. 3° Accenniamo infine alla zona messiniana littoranea (vedi pag. 404) interessante anche perchè ci indica una anticlinale corri- spondente per lungo tratto alla linea di littorale Rimini-Pesaro-Fano, l’appennino settentrionale 409 anticlinale la cui gamba settentrionale è generalmente sotto mare. Questa formazione è rappresentata dalla solita serie prevalentemente sabbioso-arenacea, grigio-giallastra, in strati e banchi di varia po- tenza, talora con caratteristici accentramenti {mamelons) arenacei, intercalata con strati o zonule poco potenti, raramente gessifere, qua e là con ligniti e marne argillose a Cardii e Dreissene, come quelle segnalate nel 1880 dal Cardinali sotto il Poggio Imperiale presso mare ad ovest di Pesaro. Alcuni banchi arenacei, grigi o rossicci, assumono tale compattezza da potersi usare come mate- riale da lastricato, materiale che presso la spiaggia di Cattolica, si ricerca anche sottomare a poca profondità, portandolo a riva su zattere speciali. Notisi che questa formazione fu dal Traverso e dal Niccoli, in una recente pubblicazione « SulV esisienm di un massiccio di rocce cristalline nel Bacino dell’ Adriatico , 1896 » riferita al Trias inferiore! La collina di Gabicce, Pesaro ci rappresenta veramente la gamba meridionale di una anticlinale messiniana, giacché i suoi strati pendono di 40°-50° (talora però essi sono anche verticali o rove- sciati, come per esempio tra S. Cristoforo e Castel di Mezzo)' verso sud-ovest ed anche sotto mare i più resistenti banchi arenacei segnano tale inclinazione. In continuazione di detta collina mes- siniana quella che si estende da Pesaro a Fano presenta pendenze più dolci, nella sua parte, direi, continentale, solo mostra ondulazioni e forti rialzamenti locali. È interessante che in alcuni punti, come per esempio presso le Case della Fossa, allo sbocco del Fosso S. lore nel mare, gli strati sabbiosi inglobano numerosi ciottoli di Granito, Porfido, Micaschi- sto, Gneiss, ecc. (fatto che è probabilmente in rapporto con altri consimili e sempre molto suggestivi che osservansi in alcuni punti delle colline marchigiane), nonché forse colla sabbia terebrante che depositasi tuttora qua e là lungo il littorale di Eimini, Ancona. Lenti ciottolose consimili osservansi pure presso Novilara, presso S. Co- stanzo ed in generale sporadicamente fra le sabbie delle colline da Pesaro al Senigallese; d’altronde si é visto nel Messiniano entro- appenninico della Romagna quanto frequenti e talora anche potenti siano le zone ciottolose fra i cui elementi, prevalentemente appen- ninici, trovansi talora anche ciottoli di Gneiss, di Michaschisto e di Granito. Tali ciottoli dei Colli pesaresi vennero già segnalati sin 410 F. SACCO dal principio del secolo, ma senza distinzione di orizzonte geolo- gico, da parecchi autori, come accennerò parlando di quelli racchiusi nel Piace tiziano. Detti ciottoli sono per lo più disposti in letti o lenti fra gli strati sabbiosi, rappresentandoci forse locali depositi littoranei ; gli elementi sono assai variamente commisti, sia per volume, sia per natura litologica; per lo più piccoli, talora anche di oltre 15 cent, di diametro; abbondano specialmente i Calcari, poi i Porfidi, quindi i Graniti, le Sieniti, ecc., il tutto sempre profondamente alterato. Il Cardinali nei suoi Cenai geologici sui dintorni di Pesaro, 1880, indica in detti conglomerati delle colline pesaresi, da Novilara al littorale, i seguenti elementi ciottolosi : Calcari di varia natura, spesso racchiudenti Foraminiferi fra cui talora Nummuliti ed Orbitoidi; Dolomie; Quarzi; Diaspri ros- signi; Granito, spesso protoginico o sienitico; Porfidi rossastri, generalmente quarziferi ; Sieniti ; Ortofiri ; Dioriti, spesso porfiroidi ; Gneiss; Granuliti; Arenarie, ecc. È importantissimo il fatto che i materiali cristallini hanno la maggior analogia con quelli costituenti parte delle Alpi tirolesi. Dopo un breve sprofondamento in Val Metam’o, vediamo riap- parire la formazione messiniana in irregolare anticlinale nelle colline di S. Costanzo, Mondolfo, Scapezzano, ecc. ; sono le solite sabbie e marne grigio-giallastre, con varia pendenza, dolce nelle colline di S. Costanzo-Mondolfo, più forte in quelle di Scapezzano ; nelle colline di S. Angelo presso Sinigallia compaiono pure varie lenti gessifere, le cui cave condussero alla scoperta di una ricchis- sima flora (famosa da tempo per gli studi del Massalongo) colla quale si accompagnano, in schisti fogliacei biancastri, numerosi Ittioliti, Diatomee marine, ecc. Più ad est riappare la formazione messiniana nell’Anconitano, con zone marnoso-arenacee, qua e là gessifere, e spesso ricca in fossili illustrati in gran parte dal Capellini. Pliocene. La formazione pliocenica, sviluppatissima nelle Romagne, ci presenta le solite facies tipiche, con poche eccezioni locali ; predo- l’appennino settentrionale 411 mina il Piacenziano ; molto ridotto, almeno apparentemente, X A- stiano ; limitato alla regione appenninica interna tosco-marchi- giana il Villafranchiano. Piacenziano. Nell’ Appennino bolognese il Piacenziano si può suddividere abbastanza bene in una zona extrappenninica marnoso- sabbiosa, ed anche conglomeratica verso la base, talora sabbiosa e quindi pseudoastiana verso l’alto in certe regioni marginali, ed in una zona subappenninica tipicamente marnosa; tale suddivisione è originata da una emersione subappenninica di argille scagliose del Cretaceo dal Sillaro al Panaro. La famosa zona cretacea di Firenzuola, Ozzano che abbiamo visto scindere tutte le formazioni terziarie costituendo bellissima linea geologica di separazione tra l’Appennino emiliano e quello roma- gnolo. taglia pure nettamente la grande zona piacenziana ; questa da duplice che prima era, come si è detto poco fa, diventa unica, subappennina, ma vastissima, tipicamente marnoso-argillosa, gri- giastra, per modo da originare un esteso paesaggio caratteristico pel suo aspetto brullo, grigiastro, a burroni franosi {calanchi) con- tinuamente in via di erosione, di trasformazioni. I fossili vi sono spesso abbondantissimi. Verso la base compaiono talora lenti ciot- tolose pseudomessiniane, come nel Bolognese, ma affatto raramente, così presso C. Varrano (dove gli elementi ciottolosi sono grandi), allo sbocco di Val Colombarina nel Sillaro, ecc. In quest’ ultima regione vediamo la seguente serie: l Marne argillose bleuastre (serie potente). , j Banchi sabbioso-arenacei grigio-giallastri. Piacenziano , Ciottoli (calcarei ed arenacei) im- [ prontati, frammisti a sabbie giallastre. Cretaceo. — Argille scagliose. Lo stesso fenomeno, ad un di presso, riscontriamo nel Piacen- ziano inferiore di Val Mescola (nord-ovest di Tossignano) ove non sono rari gli strati ciottolosi ad elementi talora grossissimi, preva- lentemente di Calcare alberese (e perciò ricercati come Calcare da Calce), spesso traforati dai Litodomi, assieme ad altri di Are- narie, di roccie gabbroidi, ecc. 412 F. SACCO Invece nella parte alta le marne piacenziane colle solite alternanze sabbiose passano rapidamente ^\Y Astiano. Quasi sempre gli strati sono suborizzontali, con leggerissima pendenza a nord-nord-est circa. Ad est di Brisigbella, nella parte inferiore, ma non basale, della serie piacenziana, compare uno speciale orizzonte formato di uno 0 parecchi banchi arenacei o arenaceo-calcari grigio-giallastri, per lo più ricchissimi in fossili di littorale (Ostriche, Pettini, Briozoi, ecc.) ; tale caratteristica zona che si inizia ad ovest con piccole lenti calcaree presso C. Sassetto, per la sua naturale com- patezza e resistenza all’erosione (tanto più in rapporto alle marne argillose fra cui è inglobato), costituisce attraverso le colline pi.a- cenziane una spiccatissima gradinata, una specie di cornice continua che segue l’andamento orografico della regione, formando natural- mente sul dorso delle colline speciali rilievi come quelli di Torre di Ceparano, Monte Castellacelo, Monte Cerreto, Monte La Cà sopra Castrocaro, Rocca delle Caminate, Monte Pallareto, Monte Casale, Bertinoro, Monte dei Cappuccini, ecc. Si utilizza anche come materiale da costruzione abbastanza buono sotto il nomedi Spugnone o Travertino. La speciale costituzione litologica, la ricchezza in fossili di questo orizzonte e la particolare orografìa che esso origina, lo ren- dono assai interessante anche perchè ci segnano, direi, un momento di vita littoranea frammezzo a quella solita di mare tranquillo e profondo del Piacenziano; trattasi però di un fenomeno non gene- rale, tant’ è che nelle regioni ultimamente indicate, detta forma- zione arenaceo-calcarea è assai disuguale da punto a punto e spesso quasi obliterata. Veggasi in proposito il lavoro speciale pubblicato da Foresti e Manzoni sotto il nome di Cenni geoL. e paleo nt. sid\ Pliocene antico di Castrocaro, 1875. Talora le più meridionali propaggini del Piacenziano diven- tano molto sabbiose ed assumono una speciale forma a gradinate 0 terrazze, come vediamo per esempio nelle colline di Longiano, S. Paola, S. Martino di Bagnolo, ecc., e quivi spesso verificansi frane per stacco delle pareti libere di dette terrazze. Là dove il Messiniano superiore è marnoso-sabbioso non è sempre facile delimitarlo nettamente dal Piacenziano inferiore ; in l’appennino settentrionale 413 generale però le colline sono più rotondeggianti, più erte, di tinta grigio-giallastra. Ad est delle colline messiniane di Cesena il Piacenziano si avanza tosto notevolmente a sud con marne sabbiose grigie, non di rado fossilifere, in serie di banchi suborizzontali che colle loro testate formano spesso caratteristiche gradinate lungo il pendio delle colline ; così per esempio nel gruppo dei Monti delle Forche a sud di Montenovo. Nella parte inferiore di questa grande zona ^iacenziam, com- paiono strati sabbioso-arenacei giallastri e perfino lenti ciottolose, come nelle colline di Sogliano, ma quivi non è sempre facile distinguere tali formazioni da quelle consimili del contiguo Mes- siniano. Nelle colline riminesi-pesaresi, ecc. il Piacenziano immensa- mente sviluppato, col solito paesaggio uniformemente ondulato, presenta la sua tipica facies marnoso-argillosa, con strati appena appena inclinati a nord-est, foggiati a dolcissima conca allungata tra le anticlinali messiniane^ oppure a lievissima anticlinale sopra le anticlinali del Messiniano. Rare sono le zone sabbiose; raris- simi, ma non meno importanti, gli incontri di ciottoli, di roccie cristalline (Graniti, Sieniti, Dioriti, Gneiss, Micaschisti, Serpen- tine, Quarziti, Porfidi, Calcari cristallini. Dolomiti, ecc.) come presso Tomba di Pesaro dove furono segnalate molto bene fin dal 1834 dal Procaccini, poi nel 1842 dal conte G. Mamiani, quindi da vari altri e dove esse costituiscono una kmte assai estesa, tanto estesa anzi che venne largamente utilizzata per inghiaia- mento delle strade; incontri simili verificansi (ma generalmente isolati e rappresentati solo da qualche ciottolo) qua e là nel Plio- cene del Pesarese, dell’Anconitano, del Piceno, ecc. Veramente furono primi il Brignole e il Bodei che nei loro Cenni sulle pro- duzioni naturali del dipartimento del Metauro, 1813, segnalarono ciottoli di Granito, ma erratici, nel letto del Metauro; poco dopo il Brocchi (1817) parla di ciottoli granitici trovati a S. Costanzo; anzi il Bellenghi avendo trovato ciottoli simili attorno al Patria (però in terreni prepliocenici), concludeva che detto monte avesse base granitica! Particolarmente interessante è la zona piacenziana entroap- 414 F. SACCO penninica, foggiata a sinclinale irregolarmente snliellissoidale, di Tavoleto-Isola del Piano; essa nella sua parte occidentale forma un vero altipiano o vasto tavolato assai spiccato ; il suo margine verso ovest (tra Pian di Castello ed Auditore) si presenta costi- tuito di strati marnosi, sabbiosi ed arenacei alternati, per cui il Piacemiano è quivi spìnto (al Monte S. Giovanni) alla notevole altezza di 631 m. s. 1. m. In tale regione, riccamente fossilifera, tra Ripa Massana ed Auditore, gli strati sabbioso-arenacei inglobano pure frequenti letti o lenti ciottoloso-conglomeraticbe ; d’ altronde tutto ciò corrisponde ai soliti fatti che presentano così sovente le lO'HQ piacenziane entroappenninicbe, come si vede tanto ampiamente e tipicamente nel Bolognese. A sud dell’ Appennino tosco-romagnolo il Piacenziano, talora con facies di deposito marino poco profondo in causa della sua speciale ubicazione, si avanza notevolmente in Val di Chiana sin nell’Aretino, ma in regione troppo lontana da quella in esame per trattarne in questo lavoro. Astiano. Il Pliocene superiore marino conserva sempre la sua solita tipica facies di sabbie giallastre, talora giallo-rossigne o gial- lo-grigiastre, più 0 meno compatte, qua e là ricche in fossili di lit- torale (Ostriche, Pettini, ecc.) come per esempio nei dintorni di C. Spazzaforno a sud di Castel Bolognese ; oltre ai fossili marini si raccolsero pure in alcuni punti specialmente dell’ Imolese, resti di Elephas meridionalis, di Rhinoceros etruscus, di Hyppoiiotamus, di Cervidi e Pavidi, nonché numerose Filliti. È interessante osser- vare come la zona astiana non sembri aver subito l’azione per- turbatrice, direi, della zona cretacea di Ozzano-Pirenzuola, giacché nelle colline di Ozzano la fascia subalpina diQÌV Astiano continua a svilupparsi imperturbata quantunque sotto di essa appaiono qua e là le argille scagliose come presso S. Andrea, dove dette argille sono coperte dalle sabbie gialle ad Ostriche aventi la solita regolare dolce inclinazione a nord-nord-est; oltre alle sabbie gialle talora com- paiono verso la base diQ\V Astiano lenti ciottolose come al Monte Bello, Monte Catone (ovest di Imola) ed in altre consimili zone astiane. L’ inclinazione degli strati é generalmente dolce e diretta verso la pianura ; il passaggio inferiormente al Piacenziano si compie colle solite alternanze marnose e sabbiose grigie, senza hyatus ma ab- l’appennino settentrionale 415 bastanza rapidamente per modo che la zona astiana forma quasi sempre verso monte una specie di cornice o cappello sopra la for- mazione piacenziana terminando generalmente a sud sull’alto delle colline con spiccati rilievi su cui giacciono castelli od altri centri d’abitazione un po' notevoli. Fra i due orizzonti esiste talora un velo acqueo, più o meno importante. Ma ad est di Yal Montone la zona astiana rapidamente si arretra verso la pianura e presto scompare sotto le alluvioni qua- ternarie in causa del grande avanzarsi, verso nord, delle formazioni messiniane nel Cesenatese; esistono quivi bensì zone sabbioso- arenacee giallastre, che ricordano^ l’ astiana^ così a Capocolle, ma trattasi forse di quella speciale facies del Piacensiano, che indicai essere tanto sviluppata nelle prossime colline di Bertinoro. Invece a Savignano ed a S. Angelo di Komagna le ultime propaggini collinose sembrano potersi attribuire k\V Astiano inferiore. Ma particolarmente istruttive sono le colline riminesi, special- mente quella di S. Fortunato-Le Grazie; quivi infatti, sopra alla potente e vastissima zona marnoso-argillosa del Piacensiano vediamo appoggiarsi, con dolcissima pendenza a nord circa, una serie di strati e di banchi sabbioso-arenacei grigio-giallastri, qua e là fossi- liferi, certamente attribuibili sìiY Astiano ; da questo punto sin oltre Ancona, in causa delle anticlinali littoranee di Rimini-Ancona, V Astiano non è più visibile, giace sepolto sotto mare. Villafranchiano. Durante il Pliocene siccome le depressioni en- troappenniniche costituirono centri di deposizione fluviolacustre, così tali depositi vediamo ora che occupano la parte inferiore dei bacini orograflci ; questi nella parte meridionale della regione appenninica in esame, sono: il Bacino di Mugello, la Yal d’Arno, il Casentino, la Yalle del Tevere ed il Bacino gubbiese; in generale questi depo- siti villa franchiani presentano una consimile costituzione e fisiono- mia che là dove la serie è completa si può così riassumere : Sahariano. — Loess giallo-rossastro con o senza straterelli ciot- tolosi alla base. 1 Sabbie e marne grigio-giallastre più volte alter- ■Yillafran- ] nate con banchi ciottolosi {Sansino), qua e là chiano \ ceppoidi, che predominano verso l’alto. r Marne argillose grigiastre talora lignitifere. 416 F. SACCO Rio-uardo al Bacino del Mugello e di Val d’Arno rimando a quanto esposi nella parte III (Toscana) e particolarmente ai lavori speciali di De Stefani e Ristori, senza voler neppur qui enumerare la pleiade di Paleontologi che da un secolo hanno studiato e fatto conoscere la splendida flora e fauna del Pliocene Valdarnese. È certamente molto desiderabile una completa Monografia paleontolo- gica di questo Bacino continentale pliocenico che credo sia il più bello, il più tipico e il più riccamente fossilifero che esista in Europa. Quanto al bacino pliocenico di Bibbiena-Pratovecchio nel Ca- sentino, esso è ridotto a pochi lembi residui, come quello costituito dalle marne lignitifere sopra Badia, oppure è mascherato in mas- sima parte da terreni diluviali come tra Poppi e Bibbiena sulla sinistra del bacino in esame. Invece in Valle del Tevere, per quanto la grandiosa corrente di questo fiume abbia, durante il quaternario, in gran parte incisa, erosa ed abrasa la potente formazione villa f raiichiaiia che sulla fine dell’èra terziaria doveva occupare nelle regioni in esame quasi tutto il bacino tiberino sino a S. Sepolcro, tuttavia il Villafr an- chiano è ancora molto esteso e potente, talora oltre 100 metri, limitato però essenzialmente ai lati della Valle, specialmente là dove presentansi ause od altre cause protettive. Gli elementi gros- solani sono per lo più rotondeggianti, ciottolosi, talvolta invece presentansi ancora angolosi in modo da indicarci di aver subito un trasporto assai breve, come per esempio, in alcuni punti del Vil- lafranchiano di Anghieri. Verso la parte inferiore, specialmente a valle di Città di Castello, si sviluppano molto le zone marnoso- argillose grigiastre, interessanti anche per racchiudere non rari fossili continentali {Zoaites^ Hijaliiiia^ Unio, eco.). Gli strati villafr anchiaiii pendono, più o meno fortemente, in generale verso l’asse della Vallata Tiberina; si osservano anche non di rado pendenze molto forti, specialmente sul lato destro della Valle da Città di Castello ad Umbertide; ciò può dipendere in parte da reali sollevamenti avvenuti dopo il Terziario, ma in parte eziandio della nota stratificazione a delta che si dovette quivi verificare sin daU’origine del deposito. La formazione villafranchiana si innalza talora di oltre 150-200 metri sul fondo della Valle tiberina, come vediamo per r l’appennino settentrionale 417 esempio nella splendida zona, essenzialmente ciottolosa, su cui giace Perugia. Quanto alla zona viUafranchiana del Bacino gubbiese, essa è in massima parte mascherata dai terreni diluviali ed allu- viali; si può osservare però direttamente assai bene nei dintorni del Palazzo Gaivana, dove vediamo esser costituita in questo modo : Terriccio alluvionale. Sabbie marnoso-terrose giallastre con qualche ciottolo. Banchi ciottolosi. Marne argillose grigio-verdastre o grigio-bleu- astre, lignitifere, con Dreissena, Sphaerium.^ Valvata ecc. Quaternario. Poche parole dirò sui terreni quaternari che non presentano fenomeni speciali. Sahariano. — Diluvium — Lungo il margine settentrionale del- l’Appennino romagnolo esiste un’irregolare fascia di depositi diluviali, continuazione di quelli analoghi del subappennino emiliano. Tali depositi mostrano generalmente poco spessore costituendo quasi solo un velo di Loess giallo-rossiccio sulle sabbie à.Q\Y Astiano ; però spesso inglobano ghiaie ed elementi poco rotolati, quasi discoi- dali in molte zone; tale formazione ghiaiosa diventa più importante verso la pianura dove forse assume una certa potenza sotto i terreni alluviali. Nel Cesenatese, e più a sud-est, le formazioni diluviali man- cano quasi completamente per lo stesso motivo per cui vi mancano i terreni astiarli coi quali esse sono tanto spesso collegate. Però sui fianchi delle più grandi vallate appenniniche sboccanti a nord, veggonsi talora, a 50 e più metri di elevazione sul bassopiano della valle, speciali depositi terroso-ciottolosi costituenti regioni pianeggianti o di poco inclinate verso l’asse della vallata ; trattasi di alluvioni quaternarie, fra cui talune delle più alte credo possansi attribuire al Diluvium del Sahariano; tale è l’età che attribuisco Alluvium. — Villafran- j chiane. i 27 418 F. SACCO per esempio ai depositi di ghiaie (ad elementi discoidali) e di Loess, potente anche 2-4 m., che osservansi sulla sinistra della gran Valle del Metauro. A sud dell’ Appennino tosco-romagnolo ritroviamo il Diluvium abbastanza esteso, mai però potente, sopra le formazioni villafran- chiane precedentemente accennate ; predomina il Loess ma non sono anche rare le zone ghiaiose od anche ciottolose spesso ad elementi poco rotolati. Talora gli elementi ciottolosi sono tipicamente fer- rettizzati, cioè profondamente alterati, come in alcuni punti di Val Mugello. Nel bacino pliocenico di Val d’Arno il DiLuvium è ridotto e°ssenzialmente ad un velo di Loess (ed a qualche zona ciotto- losa a grossi elementi commisti a sabbia teiTosa, giallo-rossiccia) presso le falde montuose del bacino, perchè nella sua parte cen- trale la sottile cuticola che potè venir depositata fu facilmente abrasa sul principio del Terrazziano. In alcune regioni però, ad esempio tra S. Giustino e Vitereta, il Loess è compatto e potente anche 4-5 metri, spesso anche inglo- bando straterelli ghiaiosi. Ricordo pure i lembi di Loess con ciottoli che riscontransi in Valle Ambra, sovente giacenti sopra a piccole zone viLLafrancìiiane, ciottolose o marnoso-sabbiose. È poi interessante il Quaternario di Val Chiana per gli im- portanti resti di Elefanti, Bovidi, ecc. che racchiude, solo che non sempre si possono distinguere quelli sahariani da quelli terraz- ziani per mancanza di dati precisi sul loro rinvenimento. Il DiLuvium del Casentino è afiSne a quello del Mugello ; nella Valle Tiberina esso manca generalmente oppm-e è ridotto a sottili lembi di Loess rossiccio là dove l’erosione del sottostante vilLafì an-^ chiano ne rispettò i depositi supremi che formano ora quasi degli altipiani, come per esempio presso Anghiari. In alcune grotte, per esempio in quella di Monte Cucco nelle Marche, si raccolsero resti di Cemdi, di Felini e di Orsi (Z7rsws speLaeus ed U. priscus); resti di Ursus speLaeus vennero anche segnalati recentemente dal Ristori nel Quaternario di Ponte alla Nave nell’Aretino. Morenico. — Veri, tipici depositi morenici non ebbi a consta- tare nell’ Appennino tosco-romagnolo; però in alcuni punti osservai che alle falde di rilievi assai accentuati esistono massi di Macigno irrego- l’ APPENNINO SETTENTRIONALE 419 larmente sparsi che potrebbero essere stati trasportati e deposti da qualche piccolo ghiacciaio durante il Sahariano. Ricordo per esempio in Val Savio la regione di Pian del Lago presso S. Piero in Bagno e quella di C. Prato Piano a sud di Selvapiana; qualche cosa di consimile vediamo nei dintorni di Altero per ciottoloni di arenarie calcaree di Tongriano discese certamente dal Monte Fumajolo; ma potrebbe trattarsi anche solo di depositi franoso-alluvionali, per cui occorreranno ulteriori speciali studi per sciogliere la questione. Terrazziano. — Sotto il punto di vista della Geologia pura i depositi terrazziani hanno poca importanza; constano essenzialmente di alluvioni più o meno potenti, coperte quasi sempre da [un sottile ma prezioso velo di loe$$ impuro. Nelle regioni dove, come in Val Metauro, gli elementi alluvionali derivano dalla distruzione di rilievi in gran parte di calcari stratificati, poco lontani, le alluvioni assu- mono una speciale fisonomia per essere costituite di irregolari ciottoli subdiscoidali disposti in potente serie, di colore complessivamente biancastro, come si può osservare nelle profonde sezioni che abbon- dano sui fianchi degli alvei dei torrenti. Nella Carta geologica indicai solo le alluvioni terrazziane più estese, giacché in realtà anche i fianchi montuosi spesso presentano localmente cuticole alluviali importantissime per 1’ agricoltura, ma che non sono altro che il deposito proveniente dall’abrasione della parte alta dei rilievi montuosi stessi. Alle falde dei rilievi calcarei del Secondario si è generalmente depositato un caratteristico hrecciume che spesso, risaldato, costi- tuisce una specie di roccia rigenerata che sotto il nome volgare di Renavo è talora utilizzata come Pietra da costruzione. Riguardo ai recenti depositi di spiaggia, ricordo come molto interessante la famosa sabbia rossiccia, cosidetta Rena lebrante dal Passeri, del litorale pesarese (tra Ancona e Rimini), fine sabbia rossigna durissima e quindi usata come smeriglio (special- mente per segare marmi e smerigliare vetri). Questa sabbia, segna- lata dal G. Passeri, oltre ad un secolo fa, è costituita di granellini di Spinello, Corindone, Topazio, Granato, Quarzo, Magnetite, Pi- rosseno. Mica, Anfibolo, Clorite, ecc., materiali tutti che derivano dalla distruzione di roccie cristalline, specialmente di tipo granitico. 420 F SACCO, l’ APPENNINO SETTENTRIONALE Quanto alle reliquie delluomo preistorico in Romagna con- sultinsi specialmente i lavori pubblicati in proposito dallo Scara- \\ belli, dal Tonini, dal Monti, l’ illustrazione della Raccolta paletno- j logica del dott. G. Renzi {Boll. Paletn., 1884), ecc. Oltre agli oggetti preistorici (selci lavorate a martelli, treccie ; numerosi og- | getti di bronzo, come lancie, armille, fibule, ascie, ecc.) raccolti | nel quaternario sia di collina sia di pianima, interessanti resti si | estrassero pure da alcune caverne delle zone gessose (così dalla Caverna di Re Tiberio presso Rivola), ma specialmente delle zone ; calcaree, fra cui particolarmente importante quella di Frasassi nel | Marchigiano, nonché la stazione dell’ età della Pietra scopeita j presso Nidastore (Arcevia). L’ELEPHAS MERIDIONALIS ED IL RHINOCEROS MERKT NEL QUATERNARIO CALABRESE. Nota del dott. Giuseppe De Stefano. Al nord di Reggio, ed al di là del torrente Torbido, che sbocca sul littorale dello stretto, proprio allo estremo limite set- tentrionale della spiaggia di Pentimele, giace il villaggio di Archi. La contrada che, con tal nome, occupa una superficie di pochi chilometri quadrati, è coltivata ad aranceti lungo la spiaggia, a vigne, gelsi e fichi sulle adiacenti colline: pianeggiante o lieve- mente ondulata in dolce pendio fino a quasi due chilometri dal littorale, essa, un poco più in su del borgo, presenta una serie di colline, le quali stanno a ridosso di alcuni monti poco elevati che poi vanno a formare quelli abbastanza alti di S. Nicola (565 m.) e Chiarello (716 m.); quest’ultimo abbastanza noto per lo studio intorno ad esso fattovi da vari geologi, e lungo le cui falde tro- vasi il corso più alto del Torbido. Il villaggio Archi, costruito lungo la strada rotabile che dal capoluogo della provincia conduce alla città di Palmi, verso la estremità nord è attraversato da un vallone, che sbocca proprio di fianco alla chiesa parrocchiale: tale vallone ha un corso di pochi chilometri; scende giù dalle soprastanti colline, e da quei villici vien chiamato col nome di Corvo. Lo stesso nome, mi si è detto, hanno le terre giacenti sulle due sponde deh suo corso. Da qualche anno, circa un chilometro più in su del vil- laggio, nelle colline che stanno sulla sponda sinistra del vallone (lato destro di chi l’ascende) s’incominciò a fare uno sterramento dei terreni recenti e quaternari, incolti e non coltivabili per la loro natura, per mettere a nudo alcune sottostanti argille, la cui estrazione serve come materia prima alla fabbricazione dei mate- riali laterizi. Or non è molto, nei lavori di tale sterramento furono G. DE STEFANO 422 rinvenuti alcuni denti fossili di grossi mammiferi, i quali denti, portati all’egregio sig. comm. U. Botti, furon da questi identificati, con molta probabilità, per denti molari di Rhinoceros Merckii Jag. ; e quindi a me donati per meglio studiarli ed illustrarli, e cercare nel posto ove essi erano stati rinvenuti, se altri avanzi vi fossero, per vieppiù arricchire la collezione avuta. A tal uopo, e per osservare i terreni nei quali erano stati trovati i resti fossili accennati, feci una prima escursione, alla quale ne seguirono altre, ogni volta raccogliendo nuovo materiale, il quale ora in parte figura fra i fossili della collezione dell Isti- tuto tecnico di Reggio. L’esame dell’anzidetta località prima d ogni altro mi fa notai e che essa non potè mai essere osservata fino ad ora, come quella che restava coperta dalle alluvioni e dalle sabbie torrentizie re- centi; per ciò tutte le formazioni di Corvo ed i fossili in esse notati, possono considerarsi come una scoperta, la quale porta così il suo modesto, ma pregevole contributo, alla geologia calabrese. T. — La natura del terreno nel quale furono rinvenuti i resti fossili dei mammiferi. I terreni della contrada Corvo presi in esame ed in parte messi a nudo dal recente terremoto, sono di due ben distinte na- ture. In alto della serie si osserva la solita alluvione rosso-bruna, comune in tutta la parte occidentale della provincia, alla quale sotto sta una specie di terriccio ocraceo, di color rossastro, anche esso indubbiamente di origine terrestre, come a suo tempo sarà dimostrato. La parte media della serie è occupata da strati di sabbia più o meno fossilifera, alternanti con strati privi di fossili ; ed infine, nella sua parte più bassa, si nota un potente deposito di argille azzurrognole, le quali contengono uno strato di grossi corallarì, che rappresentano una novità per le argille terziarie calabresi, e definiscono bene il piano al quale esse debbono essere ascritte. L’alluvione antica ha uno spessore che oscilla dai due ai sette metri, ed occupa le cime di tutte le circostanti colline , forma le solite spianate (piani-terrazzi) più o meno vaste a se- l’eLEPHAS MERIDIONALIS, ECC. 423 conda dell’ altitudine e delle piccole vallate di erosione formate dai piccoli corsi d’acqua nelle stagioni invernali. Il piano-terrazzo della località presa in esame, nei suoi strati più bassi, presenta una variazione, sia nella natura chimica, sia nell’aspetto fisico. L’alluvione antica degli strati più alti è costi- tuita principalmente di caolinite, di silice, di cemento feldspatico 0 calcareo, di sostanze organiche decomposte, di ciottoli granitici, intercalati in più o meno abbondanza fra gli anzidetti elementi, e di tracce di pomice decomposta, in alcuni strati. Gli strati medi e quelli più bassi della serie, subiscono un graduale mutamento nel colore, il quale, rosso nei primi, diventa alquanto giallognolo, e nella compattezza, in quanto che facilmente si sfarinano. Essi si possono chiamare dei veri terricci alluvionali, formati da sabbie rosse alluvionali e senza alcuna massa caotica. Un’ analisi sommaria da me fatta su diversi campioni presi in diversi punti della roccia, per ciò che riguarda la loro compo- sizione, fa scorgere che son costituiti principalmente di: Silice, prevalente. Muscovite, abbondante. Piccole traccie di Caolinite. Con r HCl non dànno alcuna reazione. È da escludersi in essi la presenza del Calcare. Queste sabbie alluvionali di color rosso-chiaro ed in qualche punto giallognole, hanno una potenza, variabile dai due ai cinque, e, forse, fino ai sette metri di spessore. Negli strati medi di tale deposito furono da me rinvenuti vari resti di ossami indeterminabili, spettanti a mammiferi, e spar- pagliati nel terreno in associazione di frammenti di denti e di difese di Elephas. Il passaggio della formazione terrestre a quella marina, nella contrada Corvo, come in altri punti dei dintorni di Reggio, si ma- nifesta con uno strato di ghiaia dello spessore di poco più di un metro, alla quale sottosta una sabbia, di color bianco-brunastro ed a variabili elementi. La fauna fossile in essa contenuta, non è ricca nè di forme, nè di specie. Fra i molluschi ho notato le seguenti: Cerithium vulgatum Brug. Due esemplari. — V. M. N. (Q. (1) I simboli V., M., N., indicano che la specie è vivente, nel Medi- terraneo, nei mari del Nord, od in entrambi nello stesso tempo. 424 G. DE STEFANO Nassa mutabilis Br. Due individui mal conservati. — T. M. Cytherea Chiane Lam. Comunissima specie della quale si sono raccolti diversi belli e grandi esemplari. — V. M. N. Cardium erinaceum Brug. Rarissimo. — V. M. N. Venus c asina Linn. Un esemplare mal conservato e col con- torno un po’ rotto. — V. M. N. Arca Noae Linn. Due individui ben conservati. — V. M. Dosinia Basteroti Ag. Specie frequente. — Y. M. Spondijlus gaederopus Linn. Due belli e grandi esemplari ben conservati. — V. M. Pecten Jacobaeus Linn. Specie rara. — Y. M. Anemia jìlicata Bromi. — Y. M. A. ephippiurn Linn. Rara. — Y. M. N. Loripes lacteus Linn. Specie comunissima ; è la più abbon- dante del deposito. — Y. M. Tapes vetuLusi^) Basterot. Un frammento che si attribuisce con dubbio a tale specie. — Y. M. Benché la fauna fossile determinata non sia tale in ricchezza e numero di specie da poter riferire con precisione, pigliando questa per base, sulla età del deposito marino, pure, quasi con certezza, esso si ritiene quaternario. È vero che la presenza di alcune specie e gli individui rac- colti dello Spondylus gaederopus^ hanno una forma piuttosto di specie pliocenica, per la statura e grossezza della conchiglia, per la diversità delle squame, rispetto a quella degli attuali mari; ma badando al complesso della fauna la quale ci rappresenta tutte forme viventi, al colore delle sabbie, bianco-brunastro, il deposito bisogna riferirlo al quaternario, ripeto, anzi che al pliocene superiore del Seguenza (Piano Siciliano del Doderlein) od al post-pliocene del Cor- tese, nel senso, cioè a dire, di periodo di transizione, tra il pliocene ed il quaternario vero e proprio (H. Tutto ciò viene ancora compro- vato dai seguenti altri fatti : le sabbie della contrada Corvo, come quelle degli altri lembi quaternari dei dintorni di Reggio, formano dei banchi con vera stratificazione. Questi banchi hanno una dire- zione costante da nord-est a sud-ovest, ed inclinati nel senso del (1) E. Cortese, Descrizione geologica della GoXahria. Eoma, 1894, pag. 175. I 425 l’elephas meridionalis, eco. lido, indicano una formazione littoranea e di data molto posteriore alle sottostanti argille; le quali, sono discordanti con essi. Nelle sabbie marine quaternarie, negli strati medi e più alti, oltre ai denti sciolti di Rliinoceros Merkii^ furono da me rinve- nuti altri resti di mammiferi, per la maggior parte indeterminabili. IL — I resti f jssili dei mammiferi. Essi, riepilogando quanto fin qui si è detto, furono rinvenuti negli strati più bassi alluvionali, al limite superiore delle sabbie marine e negli strati medi di queste ultime. La maggior parte sono indeterminabili per il cattivo stato di conservazione o perchè frantumati all’atto della estrazione. I resti determinabili appartengono agli ordini Cetacea ed Ungulata; e vanno elencati come qui appresso : Ordine. Cetacea. Diversi frammenti di vertebre, quasi tutti indeterminabili: una di esse è una grossa vertebra caudale che misura 20 cm. di lunghezza per 13 di larghezza massima per ognuna delle basi. jii alquanto smussata dal lato di una delle apofisi transverse, en- trambe rotte : anche le apofisi spinose sono completamente distrutte. Ordine TJn «pillata. Sottord. Perissodactyla. Fam. Rhinoceridae. Rhinoceros Merini Jaeg. (= Rh. Ie20torhinus Ow. non Cuv., Rh. Aymardi Pomel, Rii. hemitoechus Pale. (2). (1) Nella classificazione sistematica delle specie determinate si è seguita quella del prof. K. A. Zittel: Traité de Paléontologie. Trad. par Charles Barrois, tome IV, Vertebrata {Mammalia), 1894. P) Hugh. Falcone!', On thè European Pliocene and Postpliocene species of thè genres Rhinoceros. V&\3.eonio\ogìc,A Mera, edited by Ch.Murchison, 1868; Alessandro Portis, Osteologie von Rhinoceros Merhii. Palaeontograpbia, 1878, voi. XXV. 426 G. DE STEFANO Tali resti consistono in nove denti molari, ben conservati, sei dei quali furono rinvenuti sciolti, e tre a posto 1 un dietro 1 altro : si raccolsero negli strati più alti delle sabbie marine insieme ad altri frammenti indeterminabili di ossa costali, ecc. L’ultimo molare superiore destro fu trovato infisso in un pezzo di mascellare lungo cm. 15. La corona del dente alquanto allun- gata presenta due ben distinte colline ; la parte anteriore temina ad un livello superiore di quella posteriore, la quale ultima è obliqua in direzione antero-posteriore. L’ultimo molare superiore sinistro ba le radici rotte, la corona allungata come quella del suo corrispondente destro ; ma la superficie triturante è mal conservata. Il primo molare superiore destro ed il suo corrispondente sinistro hanno le radici posteriori completamente rotte ; delle ante- riori, quello sinistro ne presenta un frammento. La corona di^ en- trarrìbi è alquanto lunga e larga ; si notano due colline ben distinte- in fine vi sono due molari la cui corona allungata, e poco larga nella parte posteriore, presenta le stesse dimensioni ; i^ tu- bercoli esterni anteriori di entrambi sono identici; cosi dicasi dei posteriori. La superficie triturante è alquanto inclinata dalla parte posteriore verso l’anteriore e le colline distinte son consumate un poco. Tali caratteri li farebbero considerare come corrispondenti. I tre molari rinvenuti uniti, hanno i seguenti caratteri: gli ultimi due hanno le radici alquanto conservate : uno fra essi, l’ul- timo, presenta una corona allungata nella parte posteriore, ed una superficie triturante più larga di quella degli altri due. Il secondo ha il tubercolo esterno anteriore abbastanza spesso e la piega accessoria omonima poco sviluppata. Superficie triturante quasi piana, e colline ben distinte e disuguali. II Rhinoceros Merckii fu trovato altra volta in un giaci- mento di sabbia micacea post-pliocenica a Capo Stilo (’) in Ca- labria. (1) E. Flores, Catalogo dei mammiferi fossili dell' Italia meridionale continentale. Memoria presentata all’ Accademia Pontaniana, Napoli 1895, pag. 18. l’elephas meridionalis, ecc. 427 Sottord. Proboscidaea. Fam. Elephantidae. Elephas (Loxoàorì) meridionalis Nesti. Diversi frammenti di lame di molari. Un frammento di molare formato da tre lame. Sembra un molare vero, superiore, sinistro, ma nello stato così incompleto in cui si trova, non è possibile accertare il suo rango nella formula dentaria e darne esatta de- scrizione e plausibile giudizio. Soltanto la specie può ritenersi esser quella dell’ Elephas meridionalis Nesti, sotto-genere Loxodon di Falconer a giudicarne dalla spessezza delle lamine di smalto {adamante crasso), irrego- larmente increspato che differenzia questa specie da quelle del- VE. primigenius e dell’.S’. antiquus e dalla mancanza della figura romboidale nei dischi di logoramento, quale suol riscontrarsi nel- Y E. africanus. Due frammenti di difese: il primo, a sezione ovale, misura cm. 22 Y2 di lunghezza per 11 di diametro massimo nella parte più grossa; cm. 10,2 nell’altra. L’altro frammento appartiene ad un apice. Ancb’esso a sezione ovale nella base, la quale misura 47 mm. di diametro massimo? misura 95 mm. in lunghezza. È alquanto curvo, ed in grossezza va diminuendo con rapidità verso l’apice. Per tali caratteri i due frammenti si riferiscono alla specie su indicata. Qui cade acconcio il dire che, il sig. Giuseppe Moschella, tempo fa, raccogliendo fossili negli strati post-pliocenici di Morrocu, a quanto egli afferma, rinvenne alle basi dell’ alluvione antica qua- ternaria di quella località, alcuni resti di Elephas. Essi consistono in tre frammenti di molari ed alcuni pezzi di difese. Dei resti molari oggi non se ne ha che uno, donato all’egrègio sig. comm. U. Botti, e conservato nella collezione paleontologica dell’Istituto tecnico ; gli altri due andarono dispersi. Il frammento che ci rimane è tale però da potere inferire quasi con certezza. G. DE STEFANO 428 per lo spessore dello smalto, per le colline alquanto aggrinzate lungo il loro contorno, per le larghe lame a forma di losanga, che esso spetta all’ E. meridionali. Frammenti di specie indeterminabili. Essi consistono in diversi ossicini, fra i quali a me sembra di aver riconosciuto qualche frammento di costola, ed alcune piccole vertebre frantumate. Tutti questi resti, insieme ad un frammento di osso lungo, che a prima vista, per la sua conformazione, si attribuisce ad un omero, si trovarono sparpagliati nei letti più alti delle sabbie marine, e distanti dagli avanzi fossili già descritti. IH. — Considerazioni. Non son passati più di quattro anni da che il sig. Marcellino Borile (') rendeva noto al mondo scientifico la presenza dell’.É’. me- ridionali Nesti, nei depositi quaternari di Geusac-La-Pallue (Cha- rente) in Francia, insieme a resti dell industria umana; cioè a dire, venne a dimostrare la resistenza dell’F. meridionali e del- l’uomo nei primitivi tempi quaternari. Ed ancora non è molto tempo trascorso da che il sig. D'Ault du Mesnil (-), facendo alcune ricerche negli strati più bassi allu- vionali quaternari presso Abbeville, rinvenne in essi resti di E. meridionali, la cui comunicazione scientifica venne fatta in Italia da E. Regàlia, in una Nota che ha per titolo . Sull antichità dell’uomo, nel 1898 (^). Le novità accennate e comunicateci dal vicino paese, per quanto io mi sappia, non credo che abbiano avuto fino a questi ultimi giorni alcun riscontro in Italia, quindi gli ossami da me (1) Revue d'Anthropologie et d' Ethnographie, 1895, tome IV, n. 5, pag. 497. (2) D’Ault du Mesnil, Note sur le terrain quatermire des environs d'Abbeville (Rev. meus. de l’Ec. d’Authrop., 15 sept. 1896). (3) Archivio per V Antropologia e l'Etnologia (Voi. XXVIII, fase. Ili, 1899, pag. 492 e seg.). l’elephas meridionalis, eco. 429 recentemente rinvenuti alle basi delle alluvioni antiche quater- narie della provincia di Eeggio, hanno grande importanza, non solo locale, come quelli che c’ indicano resti di Elephas meridio- nalis in Calabria, là dove mai finora si eran trovati; ma confer- mano ancora una volta con le scoperte scientifiche francesi, la presenza di tale specie, per quanto eccezionalmente, nei terreni quaternari. Neiritalia meridionale, anzi, per meglio dire, nella penisola calabrese, poche scoperte paleontologiche si son fatte, fra le quali sieno da notarsi resti di Rhinoceros e di Elephas, insieme associati. Se si scorrono le memorie paleontologiche o geologiche che trattino anche di paleontologia, riguardanti le scoperte fatte nella Calabria intorno ai Vertebrati, durante lo scorcio di questo secolo, nella seconda metà del quale gli studi tanto si accentuarono, non si trovano traccio di E. meridionalis, e quelli di Rhinoceros veni- vano notati per la prima volta pochi anni fa dal Flores, il quale, come si è già detto, illustrò una porzione di mandibola sinistra, lunga 240 mm., con i tre molari, Tnltimo premolare e parte del penultimo ; il quale pezzo di mandibola, trovato a Capo Stilo, ora si trova nel Museo geologico dell’ Università di Napoli (^). Quanto si è avanti affermato, appare dalle opere, seguendo l’ordine cronologico, dei signori P. de Tchihatcheff, A. Philippi ed A. Scacchi, 0. G. Costa, B. Gastaldi, G. Montagna, P. Gervais, G. von Kath, E. Suess, Th. Fuchs, G. Capellini, N. Montagna, D. Lovisato, G. Seguenza, C. De Stefani, A. Neviani, E. Cortese. Tutto quello che si rinvenne fino ad oggi nella provincia di Reggio per ciò che riguarda i mammiferi terrestri, è riassunto nel seguente specchietto: Mammiferi pachidermi rinvenuti nella serie dei terreni terziari e quaternari calabresi. Miocene, Piano Tongriano Dumont: Anthracoterium ma- gnum Cuv. duaternario, Piano SaarianoMayer : Elephas armeniacus Fal- coner; Rhinoceros Merchi Jàg. (b Memoria citata, pag. 18. 430 G. DE STEFANO I resti ?LQ\YAnthr. magnum, rinvenuti nelle arenarie a strati di combustibile di Agnana per la prima volta dal prof. B. Ga- staldi, furon poi figurati dal Montagna, il quale illustrò in alcune tavole alcuni denti molari della sopra detta località: in ultimo, anche il prof. G. Seguenza, potè osservare due denti della stessa specie, ben conservati, un canino ed un incisivo, donatigli dall in- gegnere Rota. VElephas armeniacus trovato nelle sabbie quaternarie, nelle vicinanze di Terreti sopra la città di Reggio, dall’ ing. G. Costan- tino, venne poi determinato dal Seguenza. Ma qui è giuMo far notare le osservazioni del Boyd Daukins. il quale dice che 1 E. a.r- meniacus deve essere considerato come una varietà dell E. pn- migenius Falc., o, meglio, come sinonimo di tale specie (’)• Quindi, come giustamente osservò il Flores, \ E. armeniacus del Seguenza deve ritenersi come E. primigenius (^) È ovvio il dii-e che la scarsezza dei resti fossili di mammiferi rinvenuti fino ad oggi in Calabria, non ci permette di fare delle considerazioni in proposito, sia per la climatologia dei tempi, sia dal lato paleo-dietologico. I resti di ELephas meridionalis e di Rhinoceros Merchi, insieme associati, rinvenuti negli stessi strati quaternari, c indicano già qual- cosa d'interessante, quando si pensa che il Rh. Merchi insieme all an- ticiuitatis, non sono solo del pliocene superiore dell Italia, ma vissero ancora nel preglaciale ed i loro resti rinvenuti nei teneni spettanti all’epoca diluviale, indicano la loro presenza anche m tali tempi e su vaste estensioni; mentre, d’altro canto, l Elephas antiquus fu la sola specie del genere che si ritenne contemporanea e della stessa regione al Rh. Merchi. Lo Zittel, dice in proposito (3) che si sono trovati dei numerosi resti di Rh. Merchi, sovente in compagnia ^Elephas antiquus, specialmente nel sud dell’Inghil- terra, nella vallata del Reno, in Francia, in Spagna, e nell’ aRa Italia. Ma non accenna ad associazione di resti di Rh. Merchi e (1) Boyd Dautins, On thè range of Mamma th in space and time (Quart. Journ. Geol. Soc. London, 1878, voi. 35, pag. 145). (2) E. Flores, Memoria citata pag. 32. (2) K. A. Zittel, Traité de paleontologie, traduit par le doct. Charles Barrois [Tome IV, Vertebrata, pag. 297). I l’elephas meridionalis, ecc. 431 di E. meridionalis, rinvenuti, sia in terreni terziari, sia in terreni quaternari. Nè a me è stato dato leggere altrove una simile co- municazione scientifica. Il fatto, adunque, che qui in Calabria si nota per la prima volta, non è solo una novità riguardata dal solo lato soggettivo, cioè a dire, preso per se stesso ; ma ci fa giungere logicamente alla conclusione che V Elephas antiquus, il meridionalis ed \\Rh. Merchi sono contemporanei degli stessi tempi quaternari. Per comprendere meglio l’importanza del fatto, si fa notare che YElephas meridionalis viene considerato come proprio dei depositi di età intermedia, specialmente del pliocene superiore'; mentre la specie caratteristica del quaternario inferiore, e come tale ritenuta da tutti i geologi, ci viene rappresentata àdlY antiquus. Lasciando stare da parte la quistione che la contemporaneità dell’ -5’. meridionalis e dell’uomo, desunta dagli avanzi del primo e dall’ industria del secondo, rinvenuti insieme negli stessi depositi quaternari francesi, invecchia di molto quest’ultimo e prova che la sua comparsa è stata anteriore a tutti i fenomeni glaciali (que- stione estranea allo scopo di questo lavoro) ; con le scoperte francesi e con l’ultima fatta in questa estrema Calabria, viene messo in chiaro però questo fatto, che, Y Elephas antiquus, il meridionalis ed il primigenius, vissero nella stessa epoca, che del secondo si hanno vestigia fin nel quaternario, e che talora i loro ossami si trovano associati alle basi delle alluvioni. Dal lato paleografico si fa notare che, con il rinvenimento della contrada Corvo, l’area nella quale visse Y E. meridionalis in Italia, dal Weithofer (*) limitata fino a Roccasecca, e dal Flores estesa fino a Chiaromonte, in uno dei paesi più meridionali della Basilicata (‘^), ora bisogna estenderla fino a questa estrema Calabria. Keggio di Cai., settembre del 1899. (1) A. Weithofer, Proboscidiani fossili di Valdarno. Firenze, 1893. (2) E. Flores, Metn. cit., pag. 30. SAGGIO DEI MATERIALI PER UNA STORIA DEI FENOMENI SISMICI AVVENUTI IN ITALIA RACCOLTI DAL PROF. MICHELE STEFANO De RoSSI scelti ordinati e pubblicati da M. Baratta. Il defunto nostro socio, il prof. M. S. De Rossi, non’ ha solo estrinsecato la sua grande attività scientifica con un numero rile- vantissimo di lavori originali rifiettenti la preistoria, la geologia e la geodinamica, con l’organizzazione degli studi sismici in Italia, con la pubblicazione della pregiata serie dei volumi del Bollettino del Vulcanismo Italiano ('), ma egli per lunghi anni attese ancora a raccogliere notizie sui fenomeni della dinamica terrestre, ed in specie quelli riguardanti le manifestazioni sismiche e vulcaniche avvenute nei tempi passati. E ciò perchè la formazione di una statistica, resa il più completa possibile, viene a costituire la base naturale ed indispensabile del novello ramo delle geologiche disci- pline, delle quali il De Rossi è stato in Italia il vero fondatore. Tutto il materiale radunato dall’estinto nostro socio consiste in molti' volumi contenenti parecchie migliaia di schede cronolo- gicamente ordinate. Ora la famiglia De Rossi, comprendendo che sì immane lavoro, che la morte aveva troncato, non doveva asso- lutamente andare perduto per gli studiosi, con gentile pensiero ri- mise a me l’ intero schedario, afiidandomi l’ incarico di studiare (') Vedi a proposito del prof. M. S. De Bossi le poche pagine di cora- meinorazione da me pubblicate nel Bollettino della Società Geografica Italiana (die. 1898 pag. 576); intorno ai meriti scientifici del chiaro estinto ho parlato diffusamente nel II volume della mia Stoviu dsHci Sismolo^id in corso di stampa. SAGGIO DEI MATERIALI PER UNA STORIA DEI FENOMENI SISMICI, ECO. 433 il modo per renderlo accessibile a coloro che si occupano delle nostre ricerche. In tale schedario sono trascritte in primo luogo le numero- sissime notizie dei cataloghi parziali ed annuali del Perrey e quelle dello Schmid! per l’oriente: inoltre le notizie che si trovano nei cataloghi regionali italiani del Guarini, del Serpieri, del Fulcis, del Goiran ... ; vi sono pure inglobati i materiali estratti da vecchi giornali politici dal conte Malvasia e molti altri tolti da cronache, storie, registri, ovvero raccolti dalla viva voce dallo stesso profes- sore De Bossi. Le schede di quest’ ultima classe riflettenti gli anni anteriori al 1873 sono ancora inedite: quelle invece a tale data posteriori furono per intero od in transunto utilizzate nella pubblicazione del Bollettino del Vulcanismo. Dobbiamo qui tener presente che la pubblicazione delle no- tizie sui terremoti e sulle eruzioni avvenute fuori d’ Italia non po- trebbe riuscire utile, perchè con il risveglio degli studi sismici verificatosi in quest’ ultimi anni, essendo aumentati presso ogni nazione i cultori della nuova scienza, si sono andate già in parte ricolmando — mercè le ricerche dei vari scienziati — le molte lacune che presentano i cataloghi generali : perciò, sotto questo rispetto, il notiziario De Bossi sarebbe riuscito di molto incom- pleto. Di ciò saranno persuasi tutti quelli che, come me, si sono occupati della formazione di cataloghi anche parziali, giacché si può dire che ogni giorno vengono in luce nuovi documenti intorno a fenomeni anche di grande intensità rimasti ignoti, malgrado riguardino il nostro paese el epoche non molto lontane dalla presente. Lo spoglio del De Bossi, inoltrati gli studi e raccolti tutti i lavori riferentisi ai terremoti del mondo intero, potrà a suo tempo riuscire di ottima guida per la pubblicazione di un grande catalogo internazionale, del quale vado caldeggiando la formazione. La stampa di una cronistoria racchiudente le notizie dei ter- remoti italiani, dalle più deboli scosse a quelle fatalmente distrug- gitrici, mi sembra per ora cosa intempestiva per le ragioni che andrò adducendo. Le notizie raccolte dal Bonito, dal Secinara, dal Perrey, dal Gemmellaro, dal Guarini,: dal Serpieri, dal Goiran furono già tutte, con molte altre nuove, conglobate nel grande ca- talogo del Mercalli uscito oltre 15 anni dopo che il De Bossi 28 434 M. BARATTA aveva cominciato il suo: le notizie del Malvasia qui sopra ricor- date furono dallo stesso prof. De Rossi pubblicate a paide come omac^gio alla memoria dell’estinto suo amico. In vista di ciò, mi è sembrato cosa, come ho detto, ancora inopportuna il procedere ad una ristampa, tanto più che le monografie sismiche regionali in quest’ ultimi anni pubblicate per opera del Mercalli, del Gio- vannozzi, del Tommasi, del Piovene, del Goiran e mia ed i laii miei cataloghi, hanno messo in evidenza quanto vi sia ancora^ da fare pure restringendo il campo di indagine a determinati periodi di tempo, a speciali regioni ed anco ai soli maggioii^ scuotimenti. D’altra parte però, dato il genere dei nostri studi, per i qua i è necessario il disporre del più ricco materiale che sia possibile, non stimando conveniente il tener più a lungo medita la par e raccolta direttamente dal prof. De Rossi, mi sono accinto alla fatica di passare ad una ad una le schede, di confrontare ciascuna notizia in esse contenuta con quelle delle statistiche possedute per scegliere quelle non ancora figuranti nelle opere già pubblicate e ben conosciute a tutti quelli che si occupano di sismologia, oppure provenienti da fonti diverse dalle note. ^ - Questo saggio, quantunque non voluminoso, forma di per se stesso un eccellente materiale da studio : ed io ho pensato di chie- derne la inserzione nel nostro Bollettino, primieramente perche con ciò la nostra società — della quale il prof. M. S. De Rossi e stato socio fin dal primo anno della sua esistenza — renderà un ultimo tributo di omaggio alla sua memoria, e poi perche, come ha sempre insistito lo stesso De Rossi, le discussioni riguardanti i terremoti devono essere condotte con criteri essenzialmente geologici. 1 lavori di statistica dei fenomeni hanno tutti il difetto ine- rente alle opere di tale genere, di essere, cioè, sempre incompleti: quindi ogni notizia nuova offerta agli studiosi è destinata ad ap- portare nuova luce, mutando magari radicalmente le conclusioni defili studi sintentici precedentemente fatti. Con questo solo saggio molte lacune vengono riempite; esso costituisce il prodromo di un grande catalogo riguardante i terremoti italiani che, facendo _ seguito a quelli del Perrey, conterrà in extemo tutte le notizie in tran- sunto pubblicate nel Bollettino del Vulcanismo, con le molte altre rimaste inedite e con quelle venute in luce dopo la morte de - r Autore. Un lavoro di tale genere, scriveva egli, non si compisce SAGGIO DEI MATERIALI PER UNA STORIA DEI FENOMENI SISMICI, ECO. 435 da chi lo comincia, e non si deve temere, ma godere, di lasciare ai posteri una pianta ancora da coltivare e da far fruttificare. Se la fatalità ha impedito al prof. De Rossi di continuare l’opera da lui con tanta larghezza di vedute iniziata e di discutere il ma- teriale con fatica e con personali sacrifici adunato, le pubblicazioni che ho in animo di fare serviranno vie meglio ad indicare quale sia il vero posto che spetta al De Rossi nella nuova scienza da lui fatta sorgere in Italia e per la quale egli ha spiegato grande ingegno ed attività straordinaria. Voghera, ottobre 1899. Mario Baratta. iV. B. — Per evitare un soverchio ingombro di citazioni si avverte che furono tutte abbreviate, oppure indicate dalle seguenti sigle : C. — Il Crostolo, Anno I, pag. . . . L. — Notizie estratte dal prof. Lorenzoni dai registri dell’ Osservatorio di Padova. E. — Notizie estratte dal prof. Eagoiia dai registri dell’Osservatorio di Pa- lermo. S. — Notizie estratte dal can. Sassi da cronache e da ms. cesenati. Le ore quando mancano dell’ indicazione ant. o pom. oppure a. 0 p. (antimeridiane o pomeridiane) si intendono contate con il quadrante italiano ; Mn. = mezzanotte ; Mg. = mezzodì ; t. v. 1. = tempo vero locale. 522-23. Ravenna? Terremoti frequenti. (Bull. Arch. Crisi 1867, pag. 18). 672. Pistoia. Orribili terremoti. (M. Salvi, St. di Pistoia). 837. Ivi. Nell’ entrare dell’ autunno « orribili » terremoti (id). 847. Sassinoro. Terremoto che fece cadere la chiesa (Perrella). — Alvito. Secondo la cronica Atinese la città di S. Urbano, sita nel luogo detto Colle la Civita, verso il secolo X, fu distrutta ed adeguata al suolo parte da barbari e parte dal terremoto : i superstiti abitanti la riedificarono sul dorso del Monte Oli- veto, ove ora si trova Alvito. M. BARATTA 436 1003. Pistoia. Per due giorni e due notti spaventevoli terremoti. (Salvi, op. cit.). 1020. Roma? Nell’anno a causa di un terremoto il Papa (Cal- listo II) fece impiccare un ebreo (Gregorovius, IV, pag. 475). 1096. Roma. Al 22 gennaio ten-emoto. {Catal. dei Papi di Cencio Camerario in « Pertz, Archiv. " VII. 76). 1132. Pistoia. Nell’ autunno per due notti ed un giorno, varie scosse (Salvi, op. cit.). 1197. Ivi. Nell’autunno qualche scossa che causò più panico che danno (id.). [1222]. Custoza. Nel vecchio campanile un’iscrizione del secolo XIV ricorda tre date di terremoti ; la seconda dice » MCCXXIII [1222] Terremota Reggio Emilia. Nell’ anno terremoti grandissimi, ad ogni me- nomo strepito le persone per tema di esso, correvano chi qua chi là, come fuori di se stesse : in Reggio avvenne che men- tre circa l’ora VI del dì di Natale, il vescovo predicava, ognuno abbandonò la chiesa (C. 84). 1238. Pistoia. Scossa di terremoto non di grande importanza (Salvi, op. cit.). 1247. Reggio E. Terremoto (C. 84). 1249. Ivi. Nel settembre per terremoto crollarono molte case (C.84). 1285. Ferrara. Terremoto assai « robusto » (Sardo, 189). 1293. Napoli. 11 Salazaro {Breoi consid. sugli affreschi del Monast. di D. Regina del XIII secolo, pag. 4) ricorda un terribile terremoto, per il quale venne abbattuta la maggior parte del suddetto monastero e della chiesa. 1299. Subiaco. Terremoto rovinoso. {Tabulae Ann. Cron. Subì.). 1308. Gennaio 25. Rimini. Grande terremoto. (Cod. Vat. 9, 375). 1319. Monte Cassino. Terremoto che quasi distrusse la Badia. (Ranni, S. Elia sul Rapido, pag. 11 [3]). 1328. Cascia. Terremoto disastroso (comun. ms. Franceschini). 1348. Gennaio 25. Reggio. Spaventoso terremoto (C. 84). Custoza. Nell’ iscrizione già ricordata all anno 1222 si legge pure “ MCCCXRVIII terremoti » (ms. Da Schio). 1349. Severus Minervius nella srra Historia (Cod. Bibl. Morbio fol. 77) ricorda che nella regione di S. Benedetto molti edi- fici rimasero pel terremoto distrutti. SAGGIO DEI MATERIALI PER UNA STORIA DEI FENOMENI SISMICI, ECO. 437 1349. Kodi, Vico Gargano, Vieste. Terremoto con tante vittime (Boll, mens. di Moncalieri, marzo 1888). — Il terremoto del 9 settembre, tranne S. Vittore, Fratte (ora Ausidonia) ed alcune case di S. Germano inabissò tutte le terre della Badia di Monte Cassino, e questa con esse. A 100 ascesero le vittime. Di alcune terre è rimasto solo il nome (cioè Teramo, Piumacola, S. Stefano, Mortala, S. Pietro a Monastero, le Giunture ed i villaggi di S. Pietro e di S. Paolo della Foresta); altre invece risorsero, tra le quali S. Elia. (Danni, S. Elia sul Rapido, pag. 36). — Il Padre B. Tavolieri, nelle sue memorie storiche di Atina dice che nel 1350 [1349] fu adeguato al suolo il castello di Alvito, come si legge pure in una pietra posta sopra la porta maggiore di detto castello rifatto nel 1350 : “ Dum tremor in terris fuit, et generale periculum per varias regni partes, haec moenia prorsus sunt aequata solo, dederunt annosa [sic) ruinam . . . » . — Ascoli, Aquila. Grande terremoto : la campana della piazza di Sopra diede dei tocchi e così pure altre : precipitarono molte fabbriche e città fra cui Aquila, che pianse delle vittime, {Cronaca Ascolana dal 1345 al 1565.m%. della Biblioteca comunic. Gabrieli). La stessa notizia dà il Cronicon Ascu- lanum (Cod. Vat. 7934 fol. 5 verso) che dice il terremoto avvenuto « paulo ante horam mediae tertiae « . [Queste notizie quantunque riportate al 1352, settembre 9, si riferiscono al 1349]. 1367. S. Elia Piumerapido. Terremoto che distrusse la chiesa esi- stente presso il molino poco lungi dalla fontana del paese. (Arch. Cass. fase. 12, n. Ili cit. da Danni, S. Elia sul Rapido, pag. 121, doc. A). 1399. Luglio. Pistoia. Terremoto fortissimo (not. ms. comun. Dr. Chiapponi). 1401. Modena, Castelvetro. Terremoto. (Valdrighi, Sched. Mei., pag. 16). 1403. Koma. Terremoto grande. (Marmocchi, Geogr. Univers., Ili, pag. 422). 1420. Aprile 2. Urbino. Forte terremoto della durata di un « pater . (Cod. Vat. 7943 fol. 49). M. BARATTA 1448. Aprile 26. Città di Castello. Terremoto con morte di molti. Molte case cadute. (Cod. Vat. 7943 fol. 71). 1456. Dicembre 6 [5^ Roma. Ad 11^ terremoto sì forte cbe la campana di S. Silvestro diede tre tocchi. (Cron- di Paulo Dello Maestro in « Il Buonarotti » 1875, pag. 114). 1461. Novembre 27. Roma. A 3*^ di notte terremoto: la campana di S. Marcello diede tre tocchi e poi dopo una breve pausa altri quattro (idem, pag. 117). — Ascoli, Aquila. Grandi scosse, con rovina di molte case e chiese. {^Chron. Ascul. fol. 20 verso j^Cod. Yat. z'934]). 1465. Aprile 15. Reggio Emilia. A 20*' circa, terremoto cbe fece suonar le campane e cader molti comignoli (C. 84). 1480. Ascoli. Terremoto grande ed intenso durato per un’ora: danni notevoli al territorio di Spinetoli, di Monte S. Polo e parti- colarmente in quello di Monteprandone, ove fece cadere un pezzo di muraglia verso la marina. (Cbron. Ascol. 1345- 65cit.). 1485. Reggio E. Gran terremoto (C. 84). 1501. Ivi. Nell’ anno terremoto violento con rovina di varie case (id). — Aquila. Terremoto forte. (Boll. Oss. Moncalieri, marzo 1887). 1505. Reggio E. Porte terremoto: causò molte « miserie La gente dormiva sotto tende (C. 84). 1511. Cervia. Il Diario di Paride de Grassis, sotto Giulio II, (Cod. Yat. 5944, fol. 285) ha la seguente annotazione : Anno 1511, die Annuntiationis B. M. Y. profectus est Pontifex ad Cerviam ubi fuit terraemotus et Pontifes ex palatio prosi- liens venit semicinctus in plateam timens lapsum palatii... ” . Yenezia- Grande terremoto: caddero statue e merli dal palazzo e dalla chiesa di S. Marco, suonarono le campane, si fecero degli spacchi nei muri « e 1’ acqua dei canali della città tremò forte, in alto levandosi » . Caddero molti comignoli ed alcune case. Il terremoto non durò molto. Con eguali circostanze fu sentito a Padova, a Treviso, ad Udine ecc. (P. Bembo, Ist. Venez., trad. ital., Yenezia 1747, lib. XI, pagg. 578-79). 1512-13. Friuli. Yarie scosse. (Scturolo, Cose di Cividale Q Fistu- sario, Ossevv. cult. int. alla Città di Udine ecc.). 1522. Ottobre 4. Reggio E. Circa le 7'^ della notte terremoto for- tissimo : replica non così forte a 15'^ del giorno (C. 84). SAGGIO DEI MATERIALI PER UNA STORIA DEI FENOMENI SISMICI, ECO. 439 1524. Keggio E. Poco dopo 1’ elezione di Ettore Sacrati al governo di Reggio, fierissimo terremoto (C. 84). 1526. Pistoia. Terremoto grandissimo. (Salvi, op. cit.). 1536. Agosto 17. Pistoia. 5-6*" ant. forte scossa di un « credo nessun danno {Cron. mss. ). 1537. Novembre. Savona. Terremoto grandissimo. (Cron. Verzel- lino: comunicazione Pittaluga). — Novembre 8. Pistoia. 12*" circa scossa di terremoto; nelle 24*" altre due più lievi (Cron. ms.). 1538. Marzo 5. Pistoia. 1*" ant. scossa assai forte (id). 1540. Ottobre 23. Savona. 1*" notte, due terribili scosse; panico. {Cron. Verzellino, cit.). 1542. Griugno 13. Pistoia. 6*"30""" [ital.] scossa di un « credo j-; fu leggiera (Cron. ms.). — 18. Ivi. 8*" lieve scossa (id.). — 20. Ivi. 18*" altra scossa (id.). — Agosto 13. Ivi. 18*"30""" lieve scossa (id.)- — 26. Ivi. Due scosse: la l®' « discreta n l’altra mediocre (id.). 1544. Febbraio 27. Ivi. 11*"30"", lieve scossa (id.). 1545. Dicembre. Ivi. Nel mese varie (id.). 1546. Aprile. Aquila. Terremoto. (Boll. Osserv. di Moncalieri, giugno 1888, pag. 93). 1547. Febbraio 10. Reggio E. Violento terremoto. Caduta di molti camini; si screpolò la torre del Duomo. Fino al 7 marzo re- pliche quotidiane (C. 84). — Marzo 24. Ivi. Altre scosse (id.). — Luglio 31. Savona. Grandissimo terremoto della durata di due dir di credo {Cron. Verzellino cit.). 1548. Maggio 24. Reggio E. Gran terremoto (C. 84). 1549. Maggio 3. Savona. 13*" circa, due violenti scosse che fecero cadere alquanti camini {Cron. Verzellino cit.). — Dicembre 27. Reggio E. 12'" terremoto (C. 84). 1552. Ottobre 9. Ivi. 7*" sera, fiera scossa; varie repliche nel giorno seguente (C. 84). 1558. Ottobre 14. Ivi. Terremoto (C. 84). 1566. Maggio 21. Ivi. Terremoto (C. 84). 1570. Novembre 17. Ivi. Scossa non lieve (C. 84). 1571. Dicembre 26. Ivi. Terremoto (C. 84). 440 M. BARATTA. 1582. Aprile 15. Velletri. 1584. Settembre 10. Rimini. 2** notte, forte ma breve scossa: S. Piero in Bagno ne fu rovinato, molti morti. [Senza indi- cazione di fonte]. 1593. Maggio 9. Pistoia, l?*" scossa di terremoto. (Salvi, Storia cit.). Maggio 11. Ivi. 5*^ ant., scossa più forte della precedente: grande spavento (id.). 1594. Settembre 19. Ivi. Scossa cbe incusse grande panico (id.). 1597. Novembre 16. Casentino. Il Commento alla Divina Com- media di Fraticelli (Barbèra 1860) reca la seguente nota: n Si fa memoria cbe l’ anno 1597, a dì 16 di novembre el terremoto a molte chase in Romena [Casentino] et altrove fece gran danno. Lo Spedale di S. Maria Madd. Penitente [Arezzo] verso Fonte Branda, che è il suo vestibulo, et cbasa de lo spedalingo rovinò, et la Chiesa s’ aprì, ecc. " . 1607. Dicembre 31. Reggio E. Nella notte dell’ ultimo dì del- r anno orribile e violenta scossa che fece traballare gli edifìci e suonar le campane (C. 84). 1608. Gennaio 6. Ivi. Nella notte dell’Epifania, a O'' circa, ter- remoto grandissimo cbe fece rovinare molti camini. (Cron. Reggiense di A. anom. : comunicaz. prof. Ragona). 1609. Siena. Terremoto cbe « fece gran danno in campagna, dove particolarmente guastò quel bel luogo di S. Vivaldo ....". (Lumbroso, Not. sulla vita di Cassiano Dal Pozzo, pag. 62). — Savona. Nello stesso giorno in cui perì di morte violenta Enrico IV, terremoto che però non causò lesioni (not. ms. Arch. Com.). 1646. Castellamare di Stabia. Non risentì alcun danno per il ter- remoto che in tale anno scosse il regno di Napoli. Aprile 28. Aquila. Forte terremoto con scosse perdurate per 3 mesi. La popolazione fu costretta ad abitare fuori delle case: caddero molti fumaioli, gli sporti dei cornicioni ed i merli delle torri furono sbalzati nelle vie. Fu visto tre volte aprirsi e chiudersi 1’ arco della basilica di S. Marco. (Boll* Oss. di Moncalieri, luglio 1888, pag. 110). — Novembre 18. Pistoia. 13^ notevole scossa: panico grandissimo (Salvi, op. cit.). 1647. Agosto 9. Ivi. 12^ gagliardo terremoto: grandissimo spa- vento di tutte le persone (Cron. ms.). SAGfilO DEI MATERIALI PER UNA STORIA DEI FENOMENI SISMICI, ECO. 441 1647. Settembre 2. Roma. 4^ ital., scossa ond. di un credo, nessun danno ma grande panico (Lumbroso, Not. sulla vita di Cas- siano dal Pozzo, pag. 62). 1648. Gennaio 13. Pistoia. 1^30'" notte, spaventevole scossa (Salvi, op. cit.). — Ottobre 24. Ivi. Porte scossa (Cron. ms.). 1650. Dicembre 10. Ivi. Terremoto (id.). 1653. Agosto 15. Cesena. Terremoto che fece cadere la cappella di S. Maria del Monte (S.). [Questa notizia fu erroneamente at- tribuita al 1654]. 1654. Luglio 24. Alatri. Scosse (L. de Pesinis, Del poni, di Sisto P ecc., pag. 377. Alatri, 1884). 1657. Vico Garganico. Frequenti scosse: gli abitanti dormivano in baracche (Boll. Osserv. meteor. di Moncalieri, marzo 1888). 1661. Marzo 22. Firenze. Il prof. Ragona {Nota ad una cron. di Fiumalbo, pag. 4) cita un opuscolo di F. Meucci intitolato: Le prime osserv. meteor. Studi sul clima di Firenze nella seconda metà del sec. XVII, il quale fa menzione di un ter- remoto avvenuto in Firenze ad 1“^ pom. — Cesena. Terremoto che pare sia stato più intenso di quello del 1653 (S). 1671. Maggio [?]. Reggio E. 14^ circa del mattino. Tre scosse: molte chiese danneggiate : cadde per metà la facciata di S. Girolamo Z.: furono rovinati molti comignoli (C. 84). 1672. Giugno 13. Cesena. Nella notte grande terremoto (S). 1673. Gennaio 19. Ivi. Nella notte forte terremoto (S). 1688. Aprile 30. Savona. A mezzodì terremoto che spaventò i cit- tadini (ms. Arch. com.). — Maggio 27. Cesena. All’Avemaria forte scossa con cupo rim- bombo: crollarono tutte le case (S). [1694]. Massa Lubrense. Il Maldacea {St. di Massa Lubrense, pag. 107, Napoli 1840) scrive che circa il 1695 o 1696 un terremoto fece rovinare il palazzo vescovile che cadde dalla parte della strada: dopo circa 16 mesi altro che fece rovinare la parte già accomodata. [Questa notizia si riferisce certa- mente al gran terremoto dell’ 8 settembre 1694]. 1695. Febbraio 25. Reggio E. 7^ Terremoto con replica più forte nella mattina. Nessun danno (C. 84). M. BARATTA 442 1695. Luglio 3. Roma. Il Pontefice non potè recarsi in S. Maria Magg. per il giubileo a causa del terremoto e delle grandi pioggia. (Campello, Diario del Pont, di Innocenzo XIP Roma 1889, pag. 201). Luglio 10. Roma. 11 Papa si recò in detta chiesa onde pre- gare Iddio per far sospendere i terremoti che continuavano ad udirsi (id.). 1696? Massa Lubrense. Vedi 1694. 1699. Alife. Nell’anno terremoto che fracassò una custodia d ar- gento nella quale si aveva in animo di porre il corpo di S. Sisto. Fu sentito anche in Alatri. (De Persiis, Del Pont, di Sisto /, pag. 411). 1702. Ottobre 18. Cascia. Nell’ autunno reiterate scosse; nel giorno 18 ottobre una gagliarda che recò seria apprensione negli abitanti. Nel novembre continuarono i terremoti per i quali cadde qualche edificio e si produssero vari danni (not. ms. comunicata dal sig. Pranceschini). 1703. Narni. Epigrafe su un busto d’argento a S. Giovenale: « S. Juvenali letc.j Narnia Universa] A terraemotu preservatili An. Dni. MDCCIII « (not. ms. Eroli). Amelia. Iscrizione allusiva ai terremoti di questo anno, posta sulla porta principale della città, stata riedificata; « Civitas Mariae Vii'ginis; in nomine Jesul a terraemotu liberata] A. D. MDCCIII « (not. ms. Eroli). — Frascati. Fu atterrito da ripetute e violenti scosse {St.. della mirac. Imag. di Maria SS. delle SS. PP., pag- 20). Velletri. Scosse violenti. (Palmieri, Topogr. stat. dello SI Pontificio. Parte III, pag. 13). — Gennaio 14. Cascia. 7^72 Scossa violenta E-W che di- strusse la parte superiore della città (not. ms. Pranceschini). Gennaio 16. Norcia. 2'^ notte. Terremoto {Corr. scient. Roma, giugno 1861). Febbraio 25. Norcia. Mn., lieve scossa quindi replica violenta di vM Ave non inferiore per intensità a quella del 2 febbraio. Atterrò alcune muraglie; 4^ replica; prima delle 5^ altia breve ma gagliarda ; a 6^ altra ; a 9^ due lievi ; per tutta la notte continue trepidazioni (Chracas, pag. 172). — Aprile 8. Roma. 12^ circa di mattino, lieve scossa (id. pag. 214). SAGGIO DEI MATERIALI PER UNA STORIA DEI FENOMENI SISMICI, ECC. 443 1703. Maggio 24. Ivi, 3*^ V4 notte, una scossa (id. pag. 218), 1705. Gennaio 20. Ivi. 4^ notte, una lieve (Baglivi). 1714. Narni. L’Eroli {Misceli, stor. Narnense, voi. I, pag. 495, nota) ricorda un terremoto che produsse grandi danni e pa- nico forte. Rovinò in tale occasione il convento di S. Dome- nico. Danni anche in altri luoghi. [Il De Rossi lo dice ac- caduto nel luglio]. — Settembre 12. Bologna e dintorni. Scossa senza danni (ms. Ghiselli). 1724. Maggio 18. Reggio E. Nella notte due forti scosse (C. 84). — Giugno 7, Pistoia. 2’^ 45™ pom., forte scossa (Cron. ms.). 1727. Maggio 16. Reggio E. Ripetute scosse: nessun danno (C. 84). — Marzo 9. Pistoia. 18*G5™, forte scossa: grande panico, ma nessun danno (Cron. ms.). 1730. Cascia. Nell’anno scosse più 0 meno intense (com. ms. Eranceschini). — Agosto 14. Roccamonfìna. 14^, una lieve. (Perrotta St. di Roc- camonfina, Napoli 1874). 1732. Novembre 28. Castellamare di S. ; poco prima del levar del sole tre forti scosse: nessun danno. (V. De Ruggiero, Ist. della Imag. di S. M. di Poszano, pag. 158). 1733. Giugno 4. Reggio E. Replicate scosse: 1’ ultima assai ga- gliarda: nessun danno (C. 84). 1735. Settembre 18. Cesena. 11'^, grande scossa ed altra simile 30™ dopo (S.). 1736 (?) Visso. Prima di giungere a Visse trovasi il Ponte di Pietra, diroccato da un terremoto come rilevasi dalla seguente iscrizione: « D.O.M. ] Pontem hunc | impetu vehementis terrae- motus I penitus eversimi | pecunia eximia liberalitate elargita [ in pristinum usum restituit | forma elegantiori | Clemens Papa XII I Anno Dni 1736 ». [Con ogni probabilità tale no- tizia si riferisce ai terremoti del 1703 od a quelli del 1730]. 1738. Novembre 5. Reggio E. varie scosse, l’ultima delle quali gagliarda; panico, ma nessun danno (C. 84). 1740. Pistoia. Nell’anno varie scosse assai sensibili (Cr. ms.). — Marzo 6. Reggio E. Nella notte tre scosse che incussero pa- nico (C. 84). 1741. Aprile 24. Cesena. Due forti scosse, nessun danno. Risenti- 444 M. BARATTA rono graveinGiite Sinigallia, RBcanati, Gubio, Urbino g Fa- briano (S.)- 1743. Pistoia. In principio d’anno frequenti e forti scosse (Cr. ms.). Marzo? Palermo, Mn. circa, prima scossa ond. che fece risve- gliare il P. Beccarla {Dell' Elett. atmosf., p. 672); fu seguita da due riprese, delle quali la seconda assai forte. 1745 [1743]. Febbraio 20. Gallipoli. Nelle ore pom. terremoto; grande spavento ma nessun danno (not. ms. Mazzarella). Pistoia. In principio d’ anno frequenti e forti scosse (cron. ms.). 1759. Alile. Soggiacque a terribile terremoto. (Palmieri, Topogr. stai, dello si. Pont., pag. 185). — Novembre. Cesena. In una notte due forti scosse; fuga dalle case (S). 1760. Dicembre. 20 Vesuvio. Una scossa (De Bottis). 21. Ivi. 2*^74, notte, una scossa (id.). 23 Ivi 9^' [4 scossa fortissima; panico, fuga dalle casei 9»V,-17'' (S'-'A-S" »•)• 5 debolissime 19‘ ‘A (12^30™ P-), una assai forte, ma senza danni; (1 30 p.) una veemente (id.). 26. Napoli. Varie scosse; a Torre del Greco fuga dalle case; parecchie forti fino a 3*^ di notte (id.). _ 27. Vesuvio. 9^ {2^ 'A a.), alcune scosse (id.). 1761. Gennaio 2. Vesuvio. 3'' notte, accentuatisi i fenomeni erut- tivi si ebbero terremoti molto violenti (id.). — 3. Ivi. 8" Va circa (UV4 a.), 5 scosse gagliarde; panico, furono assai sensibili anche a Napoli (id.). 4 Ivi. Scosse frequenti ma lievi (id.). 5 Ivi, A Mn. due assai gagliarde (id.). — Marzo 21. Ivi. Ripigliando vigore V eruzione si ebbe un terremoto che fece lesionare qualche edificio di Bosco tre case (idem). 1763. Marzo 14. Ariccia. Due scosse state quivi più sensibili che altrove (ms. Lucidi, citati da Bassanelli). — Aprile 26. Marino, Frascati. Tre scosse molto sensibili (id.). 1767. Cascia. Nell’anno scosse più 0 meno violenti (com. ms. r £L n c 6 s c 11 1 n 1 ) • — Febbraio 7. Savona. ital. circa, scossa^ lieve; 11^ una molto forte di 5’"» {sic) che fece fuggire tutti. Nei dì succes- sivi altre. (Not. ms. comun. Pittaluga). SAGGIO DEI MATERIALI PER UNA STORIA DEI FENOMENI SISMICI, ECO. 445 1767. Marzo 15. Ivi. Fu sentita un’ ultima scossa (id.). 1768. Ottobre. Cesena. 6'" notte (19-20) scossa gagliarda di 6™ {sic) seguita da altra più lieve : 7^ replica. La gente uscì dalle case. Detto terremoto fu sentito fino a Eoma (S). — 28. Eoma. Scossa assai lieve (S). 1773. Febbraio 18. Ariccia. Il già citato Bassanelli (pag. 41) ri- ferisce, togliendo dai mss. Lucidi, che dal 18 febbraio al 15 ottobre si ebbero varie scosse : con un massimo assai forte al 22 giugno: negli otto mesi furono contati 19 scuotimenti. — Nella Storia della S. Immag. di Maria SS. delle SS. PP.. già ricordata, trovasi accennato un ricorso fatto dagli abitanti di Frascati per ottenere la liberazione dal fiagello « che nel cupo della notte del venerdì ... con ripetute scosse, ruppe il sonno e minacciò la morte. Per più di 15 giorni il suolo traballò ed ondeggiò in modo spaventoso ...» — Maggio 23. Cesena. Alcune scosse (S). ' 1777. Maggio 8. Pistoia- 9’"45"* a., lieve scossa (not. ms.). 1779. Gennaio 26. Ivi. 10^ p., lieve scossa (id.). — Dicembre 24. Ivi. 5’^56™ p., scossa molto forte : panico gene- rale (id.). — 31. Ivi. 4’^25™ (ant,?), una lievissima (id.). 1781. Marzo 13. Ivi. 9*'20"’ a. forte scossa; 1P"20™ p. altra più lieve (id.). — Aprile 4. Ivi. lO'^lO™ p., una forte di 4®. — Cesena. 3^ ital. notte, una gagliarda con forte rombo (S). — Giugno 3. Ivi. 11^ a., due forti (S). — 12. Ivi. 22^, una forte (S). — Luglio 10. Trieste. 3^16“ p., due lievi. {Arch. Triest. I, 1829 pag. 18). — 17. Ivi. 10^20™ a. due lievi (id.). 1782. Agosto 29. Trieste. 10^37'^ a. una leggiera (id.). 1783. Frascati. Nella relazione della visita pastorale dell’anno 1784 si ricorda il terremoto ivi avvenuto nell’anno precedente. 1785. Ottobre 2-3. Eoma. Nella notte scossa forte che mise la città in grande timore. (Mem. stor. mss. dell’ Ab, D. Miche- langelo Del Medico). 1786. Aprile 2. Trieste. 8’^38™ p., quattro lievi. {Arch. Triest. loc. cit.). M. BARATTA 446 1786. 11. Ivi. 9‘^24™ a., due forti (id.). — Dicembre 25. Cesena. Nella notte fierissima scossa che causò grande apprensione : replica meno intensa (S). Trieste. 2^8'" a., una lieve. {Arch. Triest. loc. cit). 1787. Gennaio 22. Cesena. Mn. forte: replica nella notte del 31 (S). — Novembre 9. Pistoia. Una scossa (not. ms.). - 1789. Agosto 16. Ivi. 3^45"^ a., una scossa (id.). 1790. Maggio 20. Ivi. 9^43 p., scossa ond. W-E (id.). 1791. Febbraio 18. Ivi. 5-6^ a., lieve avv. da molti (id.). — Agosto 13. Ivi. 3H5™ p., una lieve (id.). Dicembre P. Ivi. 7‘'45'" a., due brevi e lievi: nella notte altre 4, ed una dopo le 3*^ p., (id.). 4, Ivi. 7'' a., circa, una ond. : 9‘'15"' a., una avvertita da al- cuni (id.). 1792. Aprile 3. Palermo. 4''30™ p., due scosse di 4^ (R). — Giugno. Savona. Nel mese terremoto (?) — Luglio 9. Pistoia. 12’" a. circa, due scosse di cui una assai ga- gliarda (not. ms.). 1793. Agosto 2. Ivi. l‘'55™ p., una ond. S-N (id.). 21. Cesena. 3’" notte, una forte preceduta da intenso rombo: pa- nico (S). 1794. Marzo 7. Palermo. 7’' a., scossa (R). — Agosto 12. Ivi. 0^30"" p., quattro scosse di 2" (R) — Settembre 3. Ivi. 6'" p., una scossa (R). 1798. Marzo 7. Padova. 9’"25"" p., scossa leggiera (L). — Luglio 13. Ivi. 12*" p., una più forte (L). 16. Ivi 2‘"8“ (ant.?), leggera suss.-ond. N-S. (L). — 17. Marostica. 3’" p., lieve scossa (L). 1799. Febbraio 7. Padova. 5’" a., una lieve (L). — Maggio 29. Ivi. 8’"V2P- una lieve (L). — Luglio 23. Ivi. 10’" p.. altra lieve (L). — Agosto 18. Palermo. l'"30"" a., quattro scosse (R). — Settembre 29-Ottobre 10. Ariccia. Molte, scosse; in un sol giorno 3 e qualche altra anche dopo l’ ultima data (Bassanelli op. cit. pag. 41). Novembre 27. Padova. 3’"’/2 3-., una lieve (L). 1800. Giugno 23. Palermo. 0’"20™ p., una E-W di 3® circa (R). Dicembre 29. Velletri. Spaventevole terremoto: nell’anno 16 SAGGIO DEI MATERIALI PER UNA STORIA DEI FENOMENI SISMICI, ECC. 447 scosse (Palmieri, op. cifc., voi. Ili, pag. 13); a Eoma fu in- tesa solo la prima scossa; a Terracina nessuna (not. mss.). 1800. Malcesine. Circa i primi anni del secolo XIX, frequenti terremoti per i quali si aperse nella piazza una larga fendi- tura, che poi, in seguito a scossa fortissima si chiuse (not. ms. Turazza). 1801. Gennaio. Velletri. Varie scosse fino al 15 maggio (not. ms.). — Marzo 19. Padova. Verso la Mn. (18-19) tre scosse in IO"" (L). — 24. Ivi. 0^25™ V2 P-> scossa non lieve di 4® circa (L). — Dicembre 19. Ivi. lieve (L). 1802. Gennaio 4. Trieste. 4^ a., una lieve: a 7*" a. una forte (Ar eh. Triest. I, pag. 18). — Maggio 12. Padova. 10^40"^ a., terremoto non leggero SW-NE di 5-6® (L). Savona. 10’"V2 a., scossa sentita in città ed a Legino (not. ms. De Monti). — Giugno 24. Trieste. 3*" a., tre leggere (op. cit.). — Ottobre 15. Padova. 5^72 una lieve (L). 1804. Luglio 24. Ivi. Il*' p., scossa assai forte N-S di 4-5® (L). 1805. Marino. Nell’anno terremoto assai intenso che fece cadere alcune fiaccole dalla facciata della cattedrale (not. ms.). — Febbraio 21. Modena. Il*' p., scossa ond., breve ma piuttosto gagliarda (Eagona, Nota sulla cr. di Fiumalbo p. 4) ; Pa- dova. 11^ p., una alquanto intensa ond. W-E. (L). — Giugno 2. Padova. Una lieve (L). — Luglio 19. Cesena. Una forte preceduta da rombo: panico ge- nerale (S). — 26. Trieste. 9^15™ a., una lieve. {Arch. Triest. loc. cit.) 1806. Febbraio 12. Reggio E. 3^74 a. scossa fortissima (C. 84); Padova. 3^ 7s u., una assai sensibile suss. (L). — Reggio E. 3’^ V4 a-, altra meno forte e replica poi a 7^7^ u. Nella gior- nata 4 più lievi e nei successivi 40 giorni 20 repliche (C. 84). — 26. Padova. 3’^ 72 a., una leggera ed altra simile a 5^ ant. del 28 (L). — Marzo 19. Cesena. Poco prima di Mg. una assai sensibile (S). — Aprile 26 [?]. Ariccia. 13’^ 74 fortissima scossa ed a 14^' una lieve. Caddero interamente il tetto della chiesa di S. Nicola ed alcuni comignoli : varie screpolature in diverse case deboli. A Galloro la chiesa soffrì qualche lieve danno e così a Nemi 448 M. BARATTA il palazzo Braschi; a Yelletri furono maggiori. (Lettera ms. di G. B. Mancini, Ministro in Ariccia del pr. Chigi) .[Queste notizie contengono un evidente errore di trascrizione e si ri- feriscono al 26 agosto]. 1806. Maggio 5. Padova. 5‘'V4P-, una lieve (L). Luglio 26. Sora. Forte scossa (not. orale). [Questa notizia con probabilità si riferisce invece all’agosto 26]. — Montefortino. Terremoto che pose in sgomento gli abitanti ; in paese nessun danno: cadde però la volta della cappella e precipitò il tetto (De Angelis, Not- stov . dolio, InnuQ. di Maria SS. delle Grazie, pag. 32). — Agosto 26. Rocca di Papa. 8^ ant. Fortissime scosse, che dan- neggiarono 1 abitato distruggendo quasi un quartiere verso l’alto, ossia la così detta Fortezza: fu rovinata anche la cat- tedrale (not. orale). A Frascati, la scossa fu ond. con rombo : nella parte bassa della città caddero dei comignoli: nella piazza precipitò il candelabro sinistro della facciata del Gesù: caddero nelle ville dei vasi e delle palle ornamentali: mol- tissime lesioni (Seghetti, Tozcolo e Frascati, pag. 359). Novembre 10. Padova. Poco dopo la Mn. (9-10) lievissima scossa a 2 riprese (L). 1807. Febbraio 6. Ivi. 10^* V2 pom. Scossa srrss. (L). 1808. Settembre 29. Ivi. Molti dicono di aver circa la Mn. in- tesa una scossa ed altra ad 8^ circa del 30 (L). 1809. Monte Compatri. Nell’ inverno, durante un mese circa, fre- quenti scosse che causarono molti danni, avendo fatto cadere tutti i camini e screpolare quasi tutte le case. In generale si intesero 2-3 scosse per ogni 24\ accompagnate da fre- quenti muggiti sotterranei : furono si localizzate da essere ap- pena avvertite a Monte Porzio (not. orale). — ? Reggio E. O'" 15™ ant. Forte scossa (C. 84). — Novembre 21. Padova. 0^ '/z ant. Forte scossa di 1™ circa (L). 1810. Ariccia. Nell’anno terremoto assai violento con danni a case ed a templi (not. orale). A Roma alcune scosse incussero ti- more (Moroni, Diz. erud., pag. 138). — Febbraio 17. Pàdova. 11*^ ant. Terremoto (L). Luglio 6. Ivi. 11^20™ pom. Terremoto assai sensibile di 4" circa (L). SAGGIO DEI MATERIALI PER UNA STORIA DEI FENOMENI SISMICI, ECC. 449 1810. Settembre 8. Pistoia. 8-9^ ant. Due forti (not. ms.). — Novembre 23. Trieste. 7^ 17"' ant. Una lieve {Ardi, triest. I, 18). — Dicembre 25. Pistoia, l’' 45"" ant. Una scossa (not. ms.) ; Pa- dova 1^ 45"" ant. circa, torta scossa di 1""; Trieste U47 ant., una lieve {Arch. triest., loc. cit.); Reggio E. U" 45 ant., fortissima scossa, qualche fenditura e caduta di comignoli (C. 84). 1811. (29 maggio?). Roma. In una notte d’estate ad alta notte, forte scossa per la quale molti uscirono all’aperto. Varie re- pliche : il relatore vide sulla piazza del Gesù, ove si era ri- coverato, aprirsi e racchiudersi istantaneamente la terra (not. orale). Al 29 maggio, a 2*" ^4 *1^ notte varie scosse di 2" (Ms. Cancellieri, F/femenologio, God. Vat. 9705). — Luglio 15. Padova. 1U55"" pom. Scossa intensa (L). — Reggio E. 6^ ant. [?]. Una alquanto forte che fece cadere molti comignoli ed aprire lievi lesioni nelle case (C. 84). — Dicembre 23. Padova. 10*" pom. Una lieve (L). — 25. Trieste. 5*" pom. Una lieve (ArcA triest. 1, 18). 1812. [marzo] 28. Cesena. 14*". Forte scossa (S). — Giugno 12. Trieste. 8*" 51"" ant. Una lieve (op. cit.). — Ottobre 25. Ivi. 7*" 56"" ant. Una lieve (id.). 1813. Agosto 7. Ivi. 0*"44"" ant. Scossa lieve (id.). — Settembre 21. Cesena. 8*" V4 ant. Forte e prolungata scossa; paura nella popolazione; di tratto in tratto repliche più lievi (S). — Ottobre 17. Ivi. 11*"45‘"" pom. Una assai forte, seguita 1*" dopo da replica ; panico grandissimo : molti abbandonarono le case (S). 1814. Aprile 3. Pistoia. Ripetute scosse (not. ms.). — Ottobre 13. Cesena. Nella notte molte scosse: panico generale: repliche nei giorni 15, 24-25 (S). — Dicembre 7. Ivi. Nella notte tre forti, grande panico (S). 1815. Agosto 1. Pistoia. Una scossa (not. ms.). — 12. Ivi. Ripetute scosse; qualche danno (id.). 1816. Giugno 4. Ivi. Nella giornata varie scosse (id.). 1818. Febbraio 13. Cesena. Nella notte una forte ed altra quasi egualmente intensa nella notte seguente (S). — Dicembre 9. Padova. 8*" pom. Forte scossa (L). 450 RI. BARATTA 1819. Maggio 26. Corneto. e*" ital. Scossa che causò la rovina totale della cupola della chiesa ed altri danni alle case ed agli edifici sacri, resi inservibili al culto (Diario di Roma, n. 44, 1819). — Maggio 28. Termini (Massa Lubrense). 3*^ ital. Grande fragore a guisa di tempesta, essendo il tempo bello; 15"’ dopo scossa di terremoto. — Agosto 10. Trieste. 2^ 41™ ani Scossa lieve. (Arch. triest. I, 18). — 19. Padova. 3’’ ant. Una scossa (L). 1821. Dicembre 25. Liguria, Savona. Nella notte tremendo ma- remoto ; r acqua si inoltrò per molte miglia entro terra presso Savona e tutta la contrada fu colpita da rovina (not. Ferrando). 1822. Agosto 28. Padova. 10’’ ant. circa. Lieve ond. (L). 1823. Marzo 5. Corleone. Fortissima scossa che fece cadere qualche fumaiolo e tettoia (not. ms. Crescimanno). 1825. Settembre 24. Trieste. 5’’ 16™ ani Lieve (Arch. triest. I, 28). — Dicembre 8. Padova. ant. circa. Lieve S-W (L). 1828. Ottobre 5. Cesena. Una scossa (not. ms.). 8. Ivi. O’’ pom. Una forte: 1U30™ pom. una fortissima se- guita 5-6™ dopo da replica più intensa e lunp: lU’45™ pom. replica e varie altre fino a fi’’ ant. del 9 (id.). — 9. Ivi. 11’’ ani Una scossa (id.). — 10. Ivi. 3’’ ant. Una sensibile (id.). — 11. Ivi. 3’’ ant. circa. Tre scosse a breve intervallo, general- mente avvertite: 11’’ ani altra: 1’’ pom. una sensibile: 1’’ 30™ pom. altra (id.). — 12. Ivi. Varie scosse e tre nel giorno 13 (id.). — 14. Ivi. Varie lievi e tre nella notte del 15 e varie nella notte 15-16 (id.). — 16. Ivi. Qualche scossa durante il giorno: 8’’ ’G pom. una forte: replica a Mn. (id.). — 20. Ivi. Mg. scossa, 1’’ pom. una sensibile (id.). — 23. Ivi. 1’’ ant. Una mediocre (id.). — 24. Ivi. Nella notte precedente una scossa (id.). — Novembre 28. Ivi. 5’’ ant. Una sensibile (id.). — 30. Ivi. II’’ pom. Scossa (id.). — Dicembre 28. Ivi. Nel mattino una mediocre (id.). SAGGIO DEI MATERIALI PER UNA STORIA DEI FENOMENI SISMICI, ECO. 451 1829. Gennaio 5. Cesena. 0^ ant. circa. Una sensibile (id.). 1831. Marzo 11-13. Reggio E. Una scossa per giorno (C. 84). — Luglio 13. Ivi. 10^ Va a., una scossa; altra lieve ond. a 4'^ a. (?) del dì dopo (C. 84). — Settembre 11. Ivi. 7*^ p. circa, violentissima scossa di 7®. Grande panico, molti danni. Così pure dicasi di Bagnolo e Castelnuovo di Sotto (C. 84). 1832. Castel Gandolfo. Nell’ inverno parecchie scosse (not. orale) e nell’anno a Palazzola (Cast. Gandolfo) una forte (id.). — Gennaio 10. Piumalbo. Terremoto ed alla sera dell’ 11 altro. (Ragona, Nota ad una cr. di Fiumalbo pag, 6). — Marzo 10. Padova. 8*^ a. circa, lieve scossa (L). — 11. Ivi. 7^45"’ a., una con replica a 9*^ circa (L). — 13. Reggio E. 3^10™ a., breve ma forte scossa (C. 84). — Pa- dova 4^27“4®, 9 a., quattro scosse, la 2=^ di 5® ond. E-W (L); Reggio E. 4^25™ a. forte suss. ond. db 11® con rombo, pre- ceduto da lampo: panico enorme, danni immensi (C. 84). — 14. Reggio E. 4^^ a. circa, una scossa: fino al 27 altre 27 re- pliche (id.) ('). — Aprile 19 e 24. Ivi. Lievi repliche (id.). — Giugno 6. Ivi. 3^^ p., due lievi ond.: a 4*^45™ (ant. o pom.?) dell’ 11 altra lieve; a 7^*30"^ a. del 14 una; a 4‘"58™ e 9''30"' a. del 1.5 due altre (C. 84). — Settembre 1®. Una forte nella montagna reggiana ; a a. del 29 a Reggio una forte con panico (C. 84). 1833. Cascia. Nell’anno, parecchie scosse più o meno forti (not. ms. Franceschini). — Marzo 24. Reggio E. 9’G0‘” p., scossa lieve con forte rombo: panico in città: fu seguita da replica più intensa di 4®, e quindi da una terza avvertita da pochi (C. 84). — Aprile 2. Ivi. 0^45™ p., lieve suss. con forte rombo (C. 84). (*) Mentre Reggio era scossa da forti terremoti, la salsa di Querzola fu visitata dal prof. G. Chierici che la trovò « con più bocche (grandi e pic- cole) aperte ed eruttanti gaz infiammabili e fredda melma n. Rocbi giorni prima, cioè tosto dopo le scosse, era anche più agitata, e i getti della melma erano usciti con forti rombi e saliti a notevole altezza. Avendo quei paesani collocate fascine accese dove l’eruzione era maggiore, il gaz si infiammò e durò per qualche tempo una vera colonna di fuoco (lettera Chierici 10 V. 1885). 452 M. BARATTA. 1833. Aprile 4. Padova. 3^ a., una scossa (L). Luglio 3-4. Peggio E. A Mn. una lieve e quindi altra più in- tensa suss.-ond. (C. 84). — Agosto 28. Ivi. 11''28"’ a., una scossa (C. 89). 1834. Castel Gandolfo. Nell’anno alcune lievi (not. ms.). — Gennaio 13. Reggio E. 6^ p., lieve (C. 90). — Febbraio 14. Reggio E. 2^V4P-, una scossa (C. 90). — Luglio 4. Ivi. l*' a. circa, scossa (id.); — Padova 2^ a. una lieve (L). — Ottobre 4. Padova. 8’" p., una scossa (L). 1835. Marzo 2. Cesena. Nella sera forte e lunga scossa (S). — Agosto 14-15. Roma. A Mn., forte scossa dapprima suss. : le mura delle case oscillavano come nave (not. orale). 1836. Giugno 12. Padova. 3‘'30™ [ani], tre scosse ond. N-S (L). — Luglio 15. Ivi. 0Hl™44® p., una leggera (L). — 20. Ivi. Mg.-l*^V2 P-1 una leggera ond. di 5®; altra lieve a 10'"15™ p. : nella notte 20-21 una leggera ed altra a 3** p. (L). — Settembre 26. Ivi. 7^'48™ p. scossa (L). 1837. Gennaio 1°. Cesena. 2’M5‘" ant., scossa intesa da tutti (S). — 14. Palermo. 10^45™ pom.. una NW-SE (R). — Aprile 11. Reggio E. 5’’45"'“ ant., scossa che fece dare alcuni tocchi alla campana dell’orologio della piazza (C. 90) ; Fiumalbo. .5^50"* ant. lieve suss. (Ragona, Note ad una cr. ecc., pag. 6). — Ottobre 15. Palermo. 7'^45‘" pom., scossa N-S (R). 1838. Castel Gandolfo. Nell’anno spesse ma lievi scosse state forse più frequenti a Nemi (not. ms.) — Febbraio 22. Palermo. 6”30'" ant., scossa N-S (R). — Marzo 7. Ivi. Nella notte una S-N (R). — Giugno 23. Cesena. 10^’ pom., una sensibile (S). — Novembre 11. Palermo. 2'^30'" ant., una NE-SW (R). 1839. Castel Gandolfo. Come nell’anno precedente. — Marzo 12. Palermo. 10’’ pom., tre scosse ond.-suss. ENE-WSW: fecero fermare i pendoli dell’osservatorio (R). — Aprile 14. Ancona. 8” ant., una lieve ed altra a 6” pom. del 21 (Lazzini). 1840. Gennaio 31. Padova. 8’’ 8"’ p. (t. v.), lievi scosse: la 1^ suss., quindi una pausa di 2®, poi una ond. di 2 battute S-N (L) : Reggio E. Nella sera una avvertita da pochi (C. 90). SAGGIO DEI MATERIALI PER UNA STORIA DEI FENOMENI SISMICI, ECC. 453 1841. Aprile 14. Cesena. 4'^V4 scossa assai sensibile (S). — Ottobre 4. Palermo. 4H5'" ant., scossa SSW-NNE (R). — Novembre 10. Ivi. lu’’38"' ant., due NE-SW di 4® (R). 1843. Giugno 13. Ivi. l’“50™ poni., due E-W (R). — Settembre 28. Ivi 10’'3'" pom., cinque di 3® (R). — Ottobre 25. Fiumalbo. Una scossa (Ragona, op. cit., pag. 6); Pistoia. 4*’30® ani, una forte suss.-ond. di 8-10®: panico grande: replica meno intensa poco dopo ed altra a breve in- tervallo (not. ms.). — 26. Fiumalbo. 3'U5™ pom., scossa (1. cii); Pistoia. 3’'30™ pom., scossa (1. cit.). 1845. Aprile 3. Padova. 5^30™ ant., scossa di 5® circa (L) ; Reg- gio E. 5’'27™ ant. una sensibile ond. (C. 90). — Giugno 12. Modena. UM6"’ ant., due suss. a lievi intervalli (Ragona). — Settembre 14. Fiumalbo. 1P'30*^ p., scossa assai sensibile (Ra- gona, Not. cron. ecc., pag. 6); Reggio E. lU' pom., scossa (C. 90). ^ — Novembre 30. Palermo. 1U‘ p., quattro scosse NE-SW (R). 1846. Corleone. Nell’anno scossa forte che fece cadere qualche calcinaccio (not. Crescimanno). — Marzo 30. Reggio E. 6*^74 ant., lieve scossa (C. 90). — Maggio 6. Palermo. 7‘’30"^ pom., scossa E-W (R). — Ottobre 30. Ivi. 6’^39™ ant., una ond. SSE-NNW di 5® (R). — Dicembre 29. Fiumalbo. 1*" ant., scossa suss. (Ragona, 1. c.). 1847. Marzo 13. Palermo. 10’'2™ ant., una leggerissima SW-NE (R). — Agosto 1°. Reggio E. 5'" pom., una ed altra a 2’' ant. del 2 (C. 90). — Settembre 16. Fiumalbo. 6’' ant., scossa (Ragona, loc. cit.). — Novembre 7. Reggio E. Nella notte scossa (C. 90). — 8. Pistoia. 3*‘14™ ant., forte scossa ond. di 10® (not. ms.); a Fiumalbo terremoto. — Dicembre 8. Fiumalbo. 3’G5™ ant., scossa abbastanza forte. — 25. Aquila. Forte scossa nella giornata (not. ms.). 1848. Gennaio 7. Palermo. 4-6’" (ant.?), scossa NE-SW, altra ENE-WSW di 6-7® a 0M6™ pom. dell’ 11 (R). — Febbraio 1°. Fiumalbo. 3’’30® ant., lieve: due repliche nella giornata (Ragona, loc. cit.). M. BARATTA. 454 Giugno 2. Cesena. Una sensibilissima: a Mn. replica (S). — Luglio? Castel Gandolfo. 2^ pom. circa, scossa sentita anche a Roma (not. orale). — Settembre 10. Cesena. Una scossa ed altra nell’ 11 (S). — Ottobre. ? Aquila. Una forte {Boli. Oss. Mone. 1888. p. 93). — Dicembre 25. Ivi. Una molto forte (not. orale). 1849. Frascati. Il Seghetti {Tascolo etc. pag. 363) ricorda che durante gli anni 1849-52 si ebbe un periodo di scosse inso- litamente frequenti, talché, egli bambino, venne spesso da sua madre tolto dal letto mentre suonavano per il terremoto i campanelli, si muovevano i mobili e cadevano dei calcinacci. Castel Gandolfo. Durante l’anno parecchie scosse e vari rombi senza sensibile movimento di suolo (not. ms.). — Giugno 14. Cesena. 2‘'14® (ani o pom.?), una forte (S). — Luglio 3. Palermo. U15™ e 4'’30™ ani, due N-S (R). 1851. Maggio 28. Cesena. Nella sera una scossa (S); Pistoia 9^* pom., una lieve ond. (not. ms.). — Luglio 23. Ivi. 4'' pom., altra (S). — 30. Palermo. 8^45"' pom., una suss. di M (R). Novembre. Feltre. Per buona parte del mese terremoti (not. ms.). 1852. Febbraio 16. Palermo. O'M?"' ant., scossa N-S di 3® (R). — Agosto 3. Cesena. Di sera una scossa; a 10*" ani del 4 altra e replica a 9'" p. del 6 : popolazione un po allarmata (S). — Settembre 28. Reggio E. 7'"V2 ani, una lieve (C. 90). — Ottobre 28. Palermo. 1’" ant., scosse S-N (R). — Dicembre 21. Cesena. U ant. una scossa (S). 1853. Giugno 8. Cesena. 1*‘15"" ant., una forte (S); Pistoia, 2’"40"" ant., una ond. W-E (noi ms.). 22. Cesena. 0'"20™ a., una violenta, preceduta da forte rombo (S). Novembre 22, 24-27. Ivi. varie ond., assai lunghe e sensibili; a 5*"45™ pom. del 28 nuova scossa: popolazione allarmata perchè durante una settimana la terra stette in continuo mo- vimento (S). Dicembre 1°. Ivi. una scossa ad altre nel 3, 4, 11 e 21 (S). 1854. Marzo 26. Palermo. 4*"6™ ani scossa ond-suss. E-W di 8": fece fermare i pendoli dell’Osservatorio (R). Aprile 16. Cesena. Nel gioroo una assai sensibile seguita dopo non molto da altra e verso sera da una terza (S). SAGGIO DEI MATERIALI PER UNA STORIA DEI FENOMENI SISMICI, ECC. 455 1854. Giugno 16. Pistoia. 2^25'^ pom, leggera scossa (not. ms.). — Agosto 28. Cesena. 6^45™ ant. circa, scossa ond. assai sen- sibile (S). — Settembre 10. Ivi. Nella notte una seguita da due repliche ed a 8*^15“ (ant. o poni.?) del 15 da altra scossa (S). 1855. Castel Gandolfo. In un giorno di festa, verso le 10'^ ant. tre scosse a breve intervallo (not. ms.). — Luglio 6. Cesena. Nel mattino una scossa (S). — Ottobre 8. Ivi. Scossa forte: in 11*^ sette scuotimenti: le case ondulavano come navi (S). — Dicembre 12. Ivi. Una scossa (S). 1856. Colli Albani. Nell’ anno alcune scosse (not. ms.). — Febbraio 17. Reggio E. Nel mattino una breve e lieve (C. 90). — Maggio 23. Pistoia. 0^20™ ant, una forte ond. (not. ms.). — Agosto 31. Cesena. Una scossa (S). 1857. Gennaio 31. Padova 0^17“ ant. scossa S-N di P,5 (L). — Febbraio 1°. Reggio E. 7^ pom, lieve scossa (C. 90-91). — id. 2. Ivi. 1*^ ant, scossa assai più forte della prece- dente: crollarono alcuni comignoli (id.), [La data di queste due notizie di Reggio è errata: la P si riferisce al 31 gen- naio e la 2^ al 1° febbraio: con ogni probabilità è pure errata quella di Padova che riguarderebbe il terremoto delle 0^15™ ant. del 1° febbraio, anziché del 31 gennaio]. — 20. Cesena. Una lieve (S). — Marzo 7. Padova 3^ V2 ant. forte scossa (L). — Luglio 11. Ivi. 9^30™ [pom.] circa, una scossa (L). — Agosto 16. Reggio E. 0’'30™ pom, una brevissima suss. (C. 91). 1858. Gennaio 18. Cesena. 10^ pom, forte scossa (S). — Febbraio 2, Roma. 3^^ ant, tre scosse ond.: la P sensibilis- sima NNW ; la 2®' e la 3®' leggerissime (not. ms.). — Agosto 18. Cesena. Una scossa (S). — Dicembre 14. Sora. 10^ 30™ pom. circa, una sensibile ond. E-W (not. orale). 1859. Marzo 20. Cesena. Nella notte 4 scosse ed altre 2 nel giorno 21 ; panico generale (S). — Giugno 26. Ivi. 10^30™ pom, scossa: panico generale (S). — Agosto 22. Cascia. Scossa fortissima, caduta di qualche fab- bricato : abitanti all’ aperto (lett. Franceschini). M. BARATTA 456 1859. Frascati. Scossa molto sensibile (Seghetti, Tuscolo, ecc., pag. 363). — Dicembre 19. Cesena. 4^ ant, una sensibilissima. 1860. Luglio 18 [o 17]. Reggio E. 2^*30™ pom. circa, due scosse sensibilissime (C. 91). — 19. Padova. 4*^ 42"" pom. (t.v.), due scosse ond. (L). 1861. Forlimpopoli. Terremoto gagliardissimo che pare abbia avuto il suo centro d’azione da Forlì a Ravenna (?) — Matrgio 9. Viterbo. 3^^ ant. circa, scossa abbastanza forte (Mea- dichini). 11. Perugia. l^'SO"’ ant., ond. brevissima; 10‘‘55'" pom., altra eguale (not. ms. Osserv.). — 13. Ivi. 0^20'" pom., scossa ond. di 3® non tanto forte (id.). — Giugno 2. Cesena. Due scosse (S). — Luglio 19. Viterbo. Poco dopo le 0*' ant. una meno sensibile della precedente [9 maggio] (IMendichini). — Ottobre 16 Cesena. Verso sera, fortissima scossa di 10": qual- che danno a tutte le fabbriche (S). — Padova. 4^47“ pom., scossa ond. NNE-SSW di 6-7" (L). [A questo terremoto con probabilità appartiene pure la precedente notizia di For- limpopoli]. — Cesena. 11^ pom., replica (S). 17. Ivi. 4^45™ ant., una scossa; altra nel giorno 20 (S). — Dicembre 8. Ivi. Una scossa (S). 12. Monte Porzio. 7^ ant., triplice scossa di 12" più forte di quella del 19 gennaio 1873 (not. ms.). A Frascati fu forte: alla Ruffinella fece suonare i campanelli (id.). 1862. Viterbo. Nell’ anno, di mattina, una scossa (Mendichini). — Dicembre 20. Cesena. Una scossa (S). 1863. Marzo 12 e 17. Melfi. Due scosse. {Am. Soc. Met. I, 200). — Aprile 24. Cesena. Nella giornata due scosse (S). — Luglio 26. Ivi. Una forte ond. (S). — Agosto 7. Ivi. Una scossa (S). 1864. Febbraio 7. Pistoia. 8*^ pom., una leggera (not. ms.) 8. Ivi. b^'SO™ pom., scossa più forte della precedente (id.). — 10. Ivi. pom., una lieve (id.). — 21. Fiumalbo. Alcune lievi, fra cui una circa le 5** ant. ed altra 15™ dopo. {Ann. Soc. Met. 1877, pag. 77). — Marzo 15. Pistoia. 2*^50™ ant., una lunga ond. (not. ms.). SAGGIO DEI MATERIALI PER UNA STORIA DEI FENOMENI SISMICI, ECC. 457 1863. Dicembre 11.6^" 30™ pom., forte ond. ed altra forte a 5'’ pom. del 12: in questi due giorni varie ond. (idem). 1865. Gennaio 22-23. Locorotondo. Nella notte una lieve (not. ms. Campanella). — 30. Etna. 0’^ e 4‘‘ 30™ pom. due scosse : verso sera altra con tremito; 10^30™ pom., una più forte con tremito fino a 4^' ant. del 31, {Incoraggiamento, II, 1871, 34). — Luglio 18-19. Ivi. Nella notte, molte scosse suss. ond. agita- rono un’area limitata sul versante occidentale del M. Lungo (id. pag. 49). — Agosto 19. Ivi. Continue scosse, specie verso P, in cui se ne ebbe una forte nella direzione della frattura nel Pondo Mac- chia; IO*' pom. una sensibile e per parecchi altri giorni varie lievi (id. pag. 50). 1866. Febbraio 1°. Campello. Prima di una serie di scosse che si fecero sentire anche per tutto il marzo seguente in numero di 100-200 per ogni giorno. Le più forti accaddero al 1° e 15 febbraio: qualche lesione nei fabbricati più deboli. Si produsse una fenditura, lunga circa 6 miglia, sul fianco del monte circostante (not. ms.). — 25. Padova, fi-fi*' */2 pom., tre lievi a 5™ d’ intervallo (L). — Aprile 1°. Cesena. Una scossa (S). — Maggio 7. Melfi. 2*' (ant. o pom.?), scossa ed altra al 13. {Ann. Soc. Met. I, 203). 1867. Giugno 23. Castel Gandolfo. 1*' e 2*'30™ ant. circa, scosse fortissime ond. con intensa detonazione: in Albano, Ariccia, il terremoto fu suss. e sì violento che tutti fuggirono da casa (not. ms.). Secondo Suppl. aH’Encicl. popol. (Voi. IV, 265) a 0*'55™ ant. sarebbero accadute tre scosse di 2® ciascuna. A Palazzola suonò la campana della posteria. — Settembre 15-16. Frascati. Nella notte una avvertita da pochi (id.). — Dicembre 30-31. Cesena. A Mn. del 30 ed all’alba del 31 scosse generalmente avvertite (S). 1868. Maggio 12. Bologna 1*' 40™ ant. Una suss. ond. W-E di 2®. (Osserv.). — 19. Cesena. Varie scosse: una lieve nel 25 ed altra a 2*' ant. circa del 31 (S). M. BARATTA 45'8 1868. Giugno 13. Palazzuolo (presso Albano Laziale). 3" di notte. Terremoto non avvertito al pianterreno, si bene da tutti nei superiori: fece suonare due volte le campane della posteria (noi ms.). — 17. Castel Gandolfo. Una lieve (id.). — Agosto 2. Cesena. Nella notte scossa (S). 1869. Marzo 29. Castel Gandolfo. 1U30'" pom. Scossa ond. (not. ms.). — 30. Ivi. 2*‘ ant. Altra ond. (id.). — Maggio 30. Cesena. 0" 30™ ani Una forte (S). — Giugno 25. Bologna. 2^ 58™ 35" pom. (t. m. R.) preceduta da rombo, scossa molto forte ond. NNB e lievemente suss. della durata di 10": costernazione generale {Osservatorio). Cesena 3^ pom. circa, scossa forte : suono di molti campanelli (S). Pistoia. 3’' pom. Forte ond. (not. ms.). — Luglio 14. Bologna. 5’^ 50™ ant. Leggera suss. di 3" (Osserv.). Pistoia. 5’^ 30™ ant. Una leggiera (noi ms.). Dai giornali si apprende che fu molto più forte a Porretta e ad Ancona []?]. — 24. Genzano. 2'' 30™ (ani?). Forte scossa con replica cii'ca 10™ dopo: suono di campanelli, fuga dalle case: uguale in- tensità pare abbia avuto ad Ariccia: detto terremoto passò inosservato a Bocca di Papa (not. ms.). — Agosto 9. Bologna. 6'' pom. Sensibile ond. SW di 4® (Osserv.). A Pistoia lieve (not. ms.). — Settembre 24. Pistoia. 9’^ 45™ (ant. ?). Una lieve (id.). — Ottobre 13 [?]. Fiumalbo. Mediocre ond. N-S (Ann. Soc. Mat. 1877, pag. 52). [Dubito che questa scossa si riferisca al 13 dicembre]. — Dicembre 13. Reggio E. 4’’ ant. Una forte ond. (C. 91). Bo- logna 3^ 50™ ant. una forte ond. N-S di 5" (Osserv.). 1870. Malcesine, Cassone. I fenomeni sismici del 1870 presenta- rono gli stessi caratteri di quelli del 1876: come allora Cas- sone sembra essere stata il centro. I fenomeni del 1870 però si intesero entro ad una zona molto minore (Favaro). — Gennaio 7. Rocca di Papa. 11’^ V2 pom. Scossa assai sensibile. fu sensibilissima a Monte Cave e sopratutto a Velletri e nella macchia tra questa città e la Rocca: a Frascati fu più forte che a Rocca di Papa: 2-3’' dopo replica (not. ms.). SAGGIO DEI MATERIALI PER UNA STORIA DEI FENOMENI SISMICI, ECC. 459 1870. Gennaio 24. Tolmezzo. 12 scosse lievi di 2® ciascuna in 24''; grandi rombi (id.). — Ottobre 30. Bologna. 7'' 33“ pom. (tm.E). Scossa ond. E-W di 3® (Osserv.). Siena, 7^^ 29“ pom. lieve e breve scossa seguita 10“ dopo da altra meno sensibile (Osserv.). Faenza, 7^^ 30“ pom., fortissima (ms. Brunelli). Pistoia, 7^“ 30“ pom. una ond. seguita poco dopo da altra più lieve (not. ms.). Padova, 7'' 30“ p. due lievi ad l** d’ intervallo (L). Cesena, 7" 30“ p. scossa: panico grandissimo (S). — Faenza. S'' pom. Scossa meno forte della precedente (id.). Per Padova vedi la precedente notizia. — 31. Cesena. Nella notte diverse scosse (S) : Padova, l'' ant. una scossa (L). — Novembre 2-16. Cesena. Varie scosse con rombo: 16-17, venti scosse: 20-30, altre frequenti: Mg. del 21 scossa forte, grande panico (S). — Dicembre. Faenza. Nel mese scosso lievi (Brunelli). Cesena, tutti giomi terremoti (S). 1871. Gennaio. Cesena. In questo mese e fino al 23 marzo scosse frequentissime (S). — 22. Bologna. 4'' pom. Una lieve ond. (Osserv.). Firenze. 10'' 30“ pom. Una lieve. — Giugno 2. Cesena. 8'' 15“ ant. Una forte preceduta da fortiss. rombo (S). — 13. Yarallo Sesia. iP pom. Una lieve {Gazi. Uff. Roma. 20, VI). — 16. Gargano (Monte). Una forte {Voce della Verità. 1® VII). — Mondo vi. 2-2'' 28“ ant. Tre scosse: la prima alquanto forte, le altre più deboli, ond. NNW (id.). — Luglio 14. Urbino. 6'' 7“ pom. Scossa ond. SE-NW. Camerino. 6'' 20“ pom. una ond. E-SE (Giornali). — 26. Finale Emilia. Fortissime e ripetute scosse fra cui una a 4'' pom. Non fu sentito mai un terremoto si intenso. Grande panico {Il Panaro. 27, VII). — 29. Montescudaio. 9'' 35“ pom. circa. Violenta scossa che fece rovinare la volta della chiesa: parecchie case atterrate: di 170 edifici 40 furono resi affatto inabitabili, gli altri dan- neggiati. Dicesi che quivi il terremoto sia stato più violento M. BARATTA, SAGGIO DEI MATERIALI, ECO. di quello del 1846. A Guardistallo molte case totalmente ro- vinate; 50 fra morti e feriti: pare la località più colpita. A Bibbona e Casale danni in minore proporzione. Firenze, 43m pom. (tm. 1.) scossa ond. S-W abbastanza forte. Siena, gh 44m p_ ;[igy0 QQ(j_ 4-5s_ Pu avvertita anche a Livorno, a Portoferraio ed a Pisa. Bologna, O'' 45"’ 34® pom. scossa ab- bastanza gagliarda {L’ Italici Nuova, 2, Vili, e La Provincia di Pisa, 2, Vili, 1871). Agosto 11. Cesena. Diverse scosse (S). Settembre 10. Castelbuono. Dna sensibile ond., più sentita nella campagna ; a Portella delle Celle (località posta al sud di C. nelle Madonie) precipitarono delle pietre e le scosse si ripeterono fino al 12. Dicembre 31. Pistoia. 2^’ ant. Una scossa con replica a Mg. APPIOEAMENTI « TOARCIANT » DELLE PREALPI BRESCIANE. Nota del doti A. Bettoni. Quando,! paleontologi convennero di riferire al lias medio, per i suoi caratteri ben definiti, la fauna del « Medolo » dome- riano che il Meneghini (^) aveva illustrato riferendola al lias superiore, credettero alcuni di poter asserire che, per tal modo, veniva a mancare nella provincia bresciana il rappresentante del piano più recente della serie Basica. Fu il Ragazzoni a iniziare le ricerche sul vero Toarciano nelle nostre Prealpi, e in seguito anche il Bittner (^) cercò di con- statarne la presenza, senza però andare più in là di quanto aveva potuto stabilire il primo, giacché entrambi riuscirono soltanto a riconoscere in Val di Navezze, a nord di Grussago e precisamente nella località detta Cascina Caricatore, la presenza di alcuni strati di « breccie calcareo-silicee » a brachiopodi e crinoidi le quali in realtà si presentano, secondo il mio modo di vedere, intercalate ai calcari marnosi del Medolo domeriano, ma che i suddetti autori riferivano al lias superiore. Di più, nei calcari marnosi sovrastanti a dette breccie si rinvennero ammoniti che il Ragazzoni (^) dichiara di B forme diverse da quelle del Medolo » (s. str.) e il Bittner (recens. op. cit.) «affini zìYAmm. bifrons^i. Quanto all’asserzione del Ragazzoni, credo opportuno notare che non fu corredata da alcuna determinazione generica e specifica (1) Meneghini J., Foss. du Medolo. App. à la Monogr. d. foss. du cale. Toug. amm. de Lomb. et de l'Ap. centr., 1883. (2) Bittner A., Sulle formazioni mesozoiche più recenti delle Alpi bre- sciane (Jahrb d. K. K. geolog. Eeichs. Bd. XXXIII, Wien, 1883), recens. in Boll. E. Com. geol. it., voi. XIV, Eoma, 1883. C) Eagazzoni G., Catalogo della raccolta che accompagna il profilo geogn. delle Alpi nella Lomb. orient., pag. 32, n, 428. Apollonio, Brescia, 1893. A BETTONI 462 di forme fossili. Inoltre le cognizioni paleontologiche del Ragazzoni, in fatto di fauna domeriana, subordinate a quanto in proposito aveva pubblicato il Meneghini, erano necessariamente ristrette; poiché il Meneghini, nel suo lavoro, descrive un numero assai li- mitato di fossili provenienti dal nostro Medolo domeriano e, dirò anzi, dalla sola localilà di Monte Domare. Ragione per cui facil- mente comprendesi come le forme riscontrate dal Ragazzoni a Gus- sago (alcune delle quali veramente diverse, anzi paleontologica- mente nuove), fossero da lui riferite a un piano cronologicamente diverso e superiore al Domeriano. Invece, è senza dubbio alcuno che io posso già fin d'ora asserire, riservandomi di dimostrarlo in un pros- simo studio, che esse appartengono a gruppi di Hildoceri e Falciferi, già noti rispettivamente per il Domeriano tipico di altre località. Per la quale considerazione cade anche 1’ affermazione del Bittner sulla pretesa affinità generica di quelle forme; dichiara- zione che l’egregio autore appoggia col citare la presenza di Posi- donomie che definisce con l’epiteto di « piccole » senza passare ad una specifica determinazione di esse. Ora, per quanto io abbia cercato, non mi fu possibile rinvenire le Posidonomie nel piano ad ammoniti; ed avrei certo finito col ritenermi in errore se ad un certo momento non fosse pervenuto a mia conoscenza quanto R Ragazzoni (ch’era sempre compagno al Bittner nelle sue escursioni) afferma in proposito. Egli (loc. cit), dice di fatti che il piano a Posidonomia si trova » sopra ancora, lungo la strada per Bidone » , ossia superiormente al « Medolo domeriano». Non credo pertanto fuori di luogo l’accennare al profilo della successione stratigrafica delle roccie di Val Navezze, giacché sem- brami che, fino ad ora, non sia stato fedelmente rilevato né, a mio giudizio, giustamente interpretato. La serie Basica di Val Navezze appare disposta ad anticlinale il cui nucleo é costituito da : a) Calcare grigio cereo quasi affatto marnoso in potenti strati di un metro e più di spessore. Una vasta cava apertavi mette alla luce numerosi fossili (^) che attestano la presenza del charmoutiano inferiore. Seguono : (i)Re.90ceras(Lipar.), (Sow.), ArietitesrapidecrescensYz.r. Aego- ' cerai, cfr. capricornu in Par., ecc. AFFIORAMENTI « TOARCIANI », ECO. 463 b) Calcari grigi con letti e argnoni di selce con rari fossili e mal conservati (Domeriano). Vi si rinvengono: Phylloceras hebertinum (Eeyn.) » Calais Mgli. Harpoceras radians (in Mgh.). Ly tacer as, nothum Mgh. c) Breccia calcarea silicea compatta ad elementi minuti (5 metri), con Waldemia, Terebratula e Rhynchonella ; d) Breccia silicea ad elementi minuti (3 metri) con Crinoidi e Cidariti. Sulla superficie di tali breccia ho potuto osservare abbastanza ben conservate piccole ammoniti limonitizzate (8-10 mm. di dia- metro) appartenenti a forme, se non tipiche, certo comuni del Domeriano, come : Phylloceras hebertinum (Eeyn.) Lytoceras nothum Mgh. Harpoceras f. (gr. radians in Mgh.). e) Calcare marnoso giallastro in decomposizione colle ammo- niti discusse; /) Calcari biancastri marnosi alternantisi in alto con scisti verdognoli a frattura poliedrica con Posidonomya f. ; g) Scisti ad aptici. In tal modo riferendo io le Posidonomie ad un piano tutto affatto distinto da quello ad ammoniti, verrei a separare petrogro- graficamente e paleontologicamente due orizzonti che il Bittner identifica tra di loro. Se si pensa quindi che le breccie non portano con sè nessun dato, pur secondario, sufficiente per poterle riferire al lias supe- riore; che anzi, danno, quantunque scarsi, alcuni elementi assai comuni nell’ orizzonte domeriano ; che esse mostrano una facies simile a quella dei calcari brecciati a brachiopodi e crinoidi che si riscontrano nei calcari grigi domeriani del Veneto; che nella nostra provincia il vero lias superiore si presenta sempre coi caratteri propri e indiscutibili del Toarciano, credo di non essere lontano dal vero asserendo che nella Val Navezze, il lias superiore, nella forma citata e sostenuta dai nominati autori, assolutamente manca. 464 A. BETTONI Il Ragazzoni (') poi, sulla premessa del lias superiore a Ca- scina Caricatore, sostiene la presenza di tal piano ad Adro, Carcina Bovezzo, Concesio; nelle quali località si osservano breccie ed arenarie di varia potenza e struttura. Anche il prof. Cacciamali si occupò della serie Basica di V al Navezze. Egli, seguendo le idee dei citati autori, riferisce 1 insieme delle breccie a brachiopodi e crinoidi al piano di S. Vigilio, mentre poi crede di dover riferire alla Bronni-zon^., cronologicamente più antica, i calcari marnosi ad ammoniti che loro sovrastanno. Molvina (Serie). — Forma il colle di displuvio dei torrentelli che scendono da una parte a Gazzolo (presso Botticino sera) e dall’altra a Nuvolera. La serie visibile presenta in basso i calcari bianchi massicci della corna (lias inferiore) su cui riposano i cal- cari selciosi del Medolo domeriano. Più sopra il lias superiore occupa le due cime del colle, ed è in potenza il deposito più importante della provincia, raggiungendo lo spessore di 35 metri. È costituito in basso da marne scistose friabili rosso-vinate che si mostrano intercalate a calcari marnosi stratificati grigio-chiari, nodulosi, con frattura normale al piano di stratificazione. In alto questi completano da soli la serie, assumendo qua e là una tinta verdognola con punteggiature e screziature bleuastre. Nessun fossile mi fu dato rinvenire nelle marne rosso-vinate e ciò, probabilmente, per il loro grado avanzato di disgregazione. I calcari sovraincom- benti hanno dato invece con una certa abbondanza. Hildoceras bifrons (Brug) Phylloceras Nilssoni (Heb.) Pohj'plectus discoides (Ziet) Coeloceras crassum (Phill) Grammoeeras fallacìosum Bayle. Non credo fuori di luogo notare che in questo deposito non mi fu possibile rinvenire traccia alcuna di Posidonomya Bronnij così comune negli altri depositi toarciani. Cappuccini di Eezzatc. — In questa località il lias superiore, conosciuto anche dal Ragazzoni, è costituito da un calcare bian- (i) In Cacciamali G. B., Appennino umbro-marchigiano, e prealpe lom- barda. Estr. Comm. Ateneo di Brescia, pag. 7, 1898. AFFIORAMENTI “ TOARCIANI, ECO » 465 chiccio molto marnoso (5 metri) riposante su strati di calcare gialliccio noduloso del Domeriano. Vi si rinvengono: Posidonomya Bronni Quenst. Phylloceras Nilsoni (Heb.) » doderleinianum (Cat.) Lytoceras dorcadis Mgh. Hildoceras bifrons Brug. K Levisoni Simps. Polyplectus discoides Ziet. Coeloceras crassum J. et B. n f. Collina mucronata d’Orb. Apiychus f. Monte Covolo. — Il prof. Ragazzoni ha illustrato questa loca- lità con un profilo accessorio a quello geognostico delle Alpi bre- sciane. Io ho potuto riscontrare il lias superiore nelle due località accennate dall’autore pel Medolo. In quegli strati, in condizioni litologiche quasi identiche a quelle riscontrate nei calcari grigi di Molvina, ho rinvenuto: Hildoceras bifrons Brug. » Levisoni Simps. Coeloceras crassum J. et B. L’autore accenna nel profilo alla presenza del Medolo nella località di Prandaglio in diretta connessione col sistema geologico di M. Covolo. Ma nulla posso dire in proposito, non avendovi potuto estendere le mie ricerche. Urago. — Il lias superiore si presenta ai piedi del colle che prospetta da sera questo gruppo di case. È un lembo assai ristretto e molto esile, sulla cui posizione stratigrafica non sento di espri- mere il mio giudizio, non risultando la roccia in posto, come si può dedurre facilmente e dalla posizione del Medolo domeriano che, a pochi metri, risulturebbe stratigraficamente superiore, e da evidenti segni di sconvolgimento che si deducono dal modo di giacitura della roccia che si presenta litologicamente identica a quella dei Cappuccini di Rezzato. 30 466 A. BETTONI, AFFIORAMENTI « TO ARCI ANI ”, ECC. Io vi rinvenni: Hildoceras bifrons Brug. (comune) Polyplectus diseoides Simps. Coeloceras crassum J. et B. Am. (Poecilomorphus) subcarinatus J. etB. Posidonomya Bromi Quenst. Marne gialle tripoliformi sovrastanti ai calcari del Medolo domeriano, costituiscono un insieme eh’ io credo di dover riferire al lias superiore, quantunque, all’ infuori della Posido- nomya Bronnh che vi è abbondante, manchino le forme tipiche così comuni agli altri affioramenti. Adro. — Nel Museo della Società Ragazzoni, impietriti in un « Medolo » marnoso gialliccio (litologicamente identico al^ solito tt Medolo » domeriano), rinvenni due esemplari di Ammoniti che il Bonarelli ha creduto riferire a queste due specie: Dumortieria f. Lillia comensis v. Buch. Brescia, settembre 1899. APPENDICE AL CATALOGO DEI MOLLUSCHI FOSSILI PLIOCENICI DEL Bacino dell’Era. Nota di R. Ugolini. L’anno scorso pubblicai nel Bollettino della nostra Società (i) un elenco di molluschi fossili pliocenici del bacino dell’Era, rac- colti prevalentemente nelle colline circostanti ai paesi di Palaia e di Laiatico. Debbo ora ad un’altra e più abbondante raccolta, frutto di nuove escursioni, la possibilità di accrescere quell’ ‘elenco mediante l’aggiunta di poche specie che non aveva ancora rinve- nuto; e ne approfitto per trarre alcune brevi conclusioni intorno alla fauna pliocenica della Val d’ Era, ed ai rapporti di essa con la fauna di altri giacimenti classici, al solo scopo di poter in tal guisa arrivare all’ apprezzamento cronologico di quei terreni. Ecco frattanto l’ elenco delle nuove specie riconosciute : , Terebratula ampulla Brocc. Comune, in belli esemplari, nelle sabbie di Laiatico; più rara in quelle di Alica e di Partine. Conus antediluvianus Brug. Un solo esemplare ben conser- vato nelle sabbie a Laiatico. C. canaliculatus Brocc. (non Chmnt). — (Brocchi, Condì, foss. sub. II, pag. 636, tav. XV, fig. 28, 1814. — Cocconi, In. sisi. moli. mioc. e fi. Parma è Piacenza, pag. 154, 1873. — Ugolini, G. Caroli^ op. cit.). Riferisco a questa specie una quan- tità notevole di esemplari che erroneamente avevo già riferito al C. Caroli Fuc. Anzi, per quanto io non conosca gli esemplari su cui il Fucini istituì la sua specie, risulta luminosamente dalle figure che accompagnano questa, che il C. Caroli presenta affinità (^) R. Ugolini, Contribuzione allo studio del pliocene di una parte del bacino dell'Era. Boll. Soc. geol. it., XVII, fase. 1-2, Roma, 1898. R. UGOLINI 46S più notevoli con il C. canaliculatus che non con le altre specie dal Fucini ricordate. A giudicarne dalle poche citazioni che ne hanno fatto i diversi illustratori di terreni pliocenici, il C. canaliculatus sembrerebbe assai raro, ma non è improbabile che molte altre specie riferite sotto i diversi nomi di forme molto affini, debbano piuttosto a questa riunirsi: tanto più poi che la specie di Brocchi è anche molto variabile, sia per l’ altezza e la forma più o meno scalariforme della spira, sia per la gonfiezza dell’ ultimo anfratto. Diffusissimo nelle sabbie a Partine, più raro a Villa Saletta. C. 'ponderosus Brocc. Raro a Laiatico nelle sabbie. Pleurotomia lurricula Brocc. Dalle sabbie di Laiatico pro- viene un esemplare unico di una specie che rassomiglia perfetta- mente a quella di Brocchi tanto per il numero dei cingoli, quanto per la presenza di quella leggera crenulatura caratteristica della carena degli anfratti superiori. Surcula dimidiata Brocc. Specie piuttosto comune nelle sabbie di Laiatico. Genota Bonnanni Bell. L’esemplare unico che riferisco con una certa sicurezza a questa specie è rappresentato dall’ultimo anfratto, mancando tutto il rimanente della spira, e fu raccolto nelle sabbie, a Laiatico. Nassa reticulata Linn. Nella Nota, a cui questa fa seguito, ricordai un esemplare della specie in esame, che, per essere per alcuni caratteri leggermente diverso dal tipo, ho descritto e figu- rato in altro mio lavoro ('), come una varietà nuova di esso: non mi era però accaduto mai di rinvenire uno solo almeno degli esem- plari di questa specie. Senoncbè, dopo insistenti ricerche, rinvenni nelle sabbie di Laiatico una Nassa che indubbiamente va riferita alla specie sopracitata, e come tale la presento in questo nuovo elenco. Nassa serrata Brocc. Corrisponde perfettamente a questa spe- cie un solo esemplare raccolto nelle sabbie a Laiatico. Columbella scripta Linn. È l’ unica specie del genere che io abbia rinvenuto nel bacino dell’Era; e questa è anche poco co- mune nelle sabbie di Laiatico, dove fu raccolta. P) R. Ugolini, Molluschi nuovi o poco noti del Pliocene della Val d' Era. Rivista Italiana di Paleontologia, voi. V, Bol-gna 1899. APPENDICE AL CATALOGO DEI MOLLUSCHI FOSSILI PLIOCENICI, ECC. 469 Murex pseudo-brandaris D’Anc. Cito sotto questo nome un esemplare corrispondente in tutto e perfettamente alla specie fossile che il D’Ancona, per separarlo dal vivente brandaris Linn., da cui effettivamente si distingue, descrisse col nome di pseudobrandaris. Murex pecchiolams D’Anc, Un solo esemplare a Laiatico, nelle sabbie. Triton afflne Desb. Raro a Laiatico nelle Sabbie. Cerithiolum spina Partsch. Frequentissimo' a Palaia ed a Laiatico. Vermetus arenarius Linn. Raro a Laiatico. Turritella tornala Brocc. Riferisco a questa specie numerosi e belli esemplari provenienti, parte dalle sabbie e parte dalle ar- gille di Laiatico. Trochus striaius Linn. Comunissimo nelle sabbie a Partine, Villa Saletta, Laiatico, e nelle argille di Poggio a’ Grilli e di Gbizzano. Trochus miliaris Brocc. Raro a Laiatico. Arca Syracusensis May. Le ascrivo un bell’ esemplare di Arca che a nessun’ altra specie più che a questa evidentemente si assomiglia. Laiatico, sabbie. Malletia Caterina App. {Leda Caterina : Appelius, Cat. conch. foss. Livor. Boll. Mal. It., Ili, pag. 279, tav. VII, fig. 1, Pisa 1870. — Malletia transversa'. Bellardi, Nucul. terz. pag. 25, fig. 23 a, b, c, Torino 1875. — Solenella transversa'. Ponzi, Foss. M. Vat., Roma 1876. — Malletia Calermi Pantanelli Lam. plioc. Boll. Soc. Mal. It. XVII, pag. 148, Pisa 1892). Esemplare di una giovane Malletia rappresentato dalla sola valva destra. Cardium papillosum Poli. Non raro nelle sabbie ad Alica, Partine e Laiatico. Dosinia lupinus Poli. Un esemplare unico e mal conservato, raccolto nelle sabbie di Villa Saletta. Dosinia cfr. concentrica Ag. Attribuisco a questa specie i frammenti della valva sinistra di una Dosinia che maggiormente ad essa si avvicina. Proviene dalle sabbie di Partine dove pare molto rara, non essendomi stato possibile di trovarvene altri esem- plari migliori. Solen vagina Linn. Comune e quasi sempre in frammenti nelle sabbie di Alica e Partine e nelle argille di Gbizzano. . k 470 R- UGOLINI, APPENDICE AL CATALOGO DEI MOLLUSCHI FOSSILI, ECC. ^Aggiungendo le poche specie sopra citate a quelle già elen- cate nel precedente catalogo (*) per il Pliocene del bacino del- r Era, si hanno in tutto 175 specie, dall’ esame comparativo delle quali con la fauna di altri depositi cronologicamente ben noti, risulta che 55 (= 31,42 Vo) si trovano anche a Monte Pellegrino e Ficarazzi; 59 (= 33,7lVo) a Monte Mario; 79 (= 45,14 “/o) nell’Astigiano; e 113 (= 64,57 Vo) nel Piacentino e nel Parmense. Ciò adunque mi condusse a ritenere che non soltanto i fossili del bacino dell’Era sono più antichi di quelli di Monte Mario e di Monte Pellegrino e Ficarazzi, ma che anche vissero per la maggior parte nella zona più profonda del mare pliocenico, sicché per la corrispondenza cronologica e batimetrica si avvicinano note- volmente a quelli del Piacentino. A comprovare inoltre maggiormente quanto risulta dalle^ con- siderazioni su riferite intorno alla vera età delle colline dell’ Era, contribuiscono sufficientemente altri dati, tra cui: il fatto che un numero notevole di queste specie risale fino alle zone superiori del Miocene; e l’altro, che sopra 175 ben 109 di esse, vale a dire il 62 Vo circa, non esistono affatto più. E siccome nel^ Pliocene tipico la percentuale delle forme estinte può arrivare sino ad un 50 °/o, cifra evidentemente inferiore a quella da noi riconosciuta, è chiaro che le formazioni circostanti al bacino dell’Era debbano indubbiamente ricondursi alle zone più antiche del nostro Pliocene. Pisa, E. Istituto Geologico della R. Università. Ottobre 1899. (0 R. Ugolini, Op. cit. LE FORMAZIONI EOCENICHE E MIOCENICHE PIANCHEGGIANTI IL GRUPPO DEL CaTRIA nell’ Appennino Centrale. Comunicazione dell’ing. T. Morena. Seguendo alcuni lavori di trincea nelle marne scagliose della collina di Montedoro, in vicinanza dell’abitato di Cantiano, versante occidentale del Catria, raccolsi una faunula che ha singolari corri- spondenze paleontologiche con quelle scoperte nello Schlier di S. Se- verino nella Marca (De Angelis e Luzi) e ad oriente del Catria, Pergola (Canavari) e Corbascione, nel territorio di Cagli (Morena). Alcuni di questi fossili io ebbi già l’onore di esporre durante il Congresso geologico di Perugia. Lo studio del materiale raccolto non lasciando più dubbio sulla età dei giacimenti da me esplorati, ho reputato opportuno giovarmi di questo prezioso dato cronologico per riconoscere l’età di tutte le altre formazioni comprese tra la scaglia della creta superiore ed il tipico Messiniam, che, in questa regione appen- ninica, costituiscono principalmente la serie terziaria delle catene fìancheggianti il gruppo del Catria. Presento ora il risultato delle mie ricerche, il quale, appunto pel carattere di novità che riveste, invoglierà i cultori della geo- logia dell’ Appennino Centrale a continuare, con miglior agio e competenza, l’ importante studio di queste formazioni, e riconoscere entro quali limiti di sviluppo superficiale possano essere applicate le mie vedute. 472 T. MORENA Eocene. Il Bisciaro. — Così chiamano nella Marca, non diversamente che neirUmbria, tutta quella formazione prevalentemente calcarea, interpolata da marne grigie e scistose, e che si appoggia sulla scaglia cinerea della creta superiore. È costituita in basso da strati di una roccia calcareo-selciosa, di un colore bruno più o meno intenso, con fucoidi e frequenti chiazze limonitiche, attraversata in ogni senso da vene di calcite spatica, assai geliva, e che sotto il martello si risolve in numerosi frammenti prismatici a spigoli vivi e taglienti. Talvolta questa roccia assume una struttura cripto-cristallina, e diviene assai dm’a e resistente, ma intrattabile a qualunque genere di lavoro. Il gruppo degli strati superiori passa ad un calcare progres- sivamente argilloso, di colore bianco sporco o cinereo, frammentario, con fucoidi, cristallini di pirite e marcasita, vene e noduli di bruna piromaca, e frequenti macchie rugginose. Per il loro stato di frammentazione gli ultimi straterelli, dove la roccia diviene alquanto tenera ed arenacea, hanno 1 aspetto di un logoro pavimento a ciottoli. È in questi strati supremi che spesso s’ incontra una interca- lazione di terra giallastra, con concrezioni limonitiche, avente lo spessore di circa 15 centimetri. La potenza dei singoli strati, in genere, è decrescente dal basso all’alto nei limiti dai 25 ai 10 centimetri, quella delle marne interpolanti è variabilissima in senso inverso, e può discendere da cinquanta centimetri sino a pochi millimetri. Tutta questa formazione, che per la sua facies litologica offre un orizzonte caratteristico, tanto a destra che a sinistra della catena del Catria, forma la cornice dei rilievi cretacei, e trovasi talvolta in piccoli lembi staccati nell’ imo delle vallate mesozoiche, ultimo testimonio dei grandiosi processi di denudamento. Presentasi spesso sotto i più capricciosi arricciamenti e con- torsioni. Essa è in concordanza colla serie cretacea, ed ha una potenza che, contro le zone mesozoiche, varia dai 5 ai 10 metri, e può LE FORMAZIONI EOCENICHE E MIOCENICHE, ECC. 473 raggiungere i 100 e più metri nei colli subappennini, come a Monte Polo e Brembolona presso Urbino, ed a Fonte daW Olmo nel territorio di Cagli. Sviluppatissima si riscontra nell’alta valle del Metauro, dove le sue stratificazioni dislocate sino alla verticale dànno luogo alle imponenti cadute di quel fiume. Il posto cronologico che occupa il Bisciaro fu in parte deter- minato dal Mici (^), il quale, dalla presenza della Nummulites planulata e di varie altre specie di nummuliti raccolte nella zona superiore, disse, in genere, trattarsi di un piano eocenico, pur du- bitando che la zona inferiore non dovesse riferirsi alla creta. Altri, dopo lui, non vi ha portato il contributo di nuovi studi positivi, in mancanza dei quali dobbiamo dire: 1° che la zona superiore del Bisciaro (calcare marnoso), ove il Mici scoperse la Nummulites planulata caratteristica A.^eocene superiore., è da riferirsi a questo sotto-piano; 2° che la zona inferiore (calcare selcioso) è da riguardarsi come il rappresentante non fossilifero ^^eocene inferiore e medio. In mancanza di fossili caratteristici, quest’ultimo riferimento è accettabile, a preferenza di un riferimento alla creta, perchè stabilito per mezzo di piani vicini ben determinati, la scaglia cinerea della creta superiore, e Veocene superiore a Nummulites planulata, perchè la successione si presenta continua e concordante, mentre si ha un deciso mutamento litologico in confronto della sottostante formazione. Dichiaro che le mie ricerche per altre decisive prove paleon- tologiche sono riuscite infruttuose. Io non vi ho scoperto che una grande Pleurotomaria, la quale, a giudizio dell’egregio prof. Sacco, non concorda con alcuna forma conosciuta. Questo tipo di grosse pleurotomarie, avendo incominciato a svi- lupparsi nel cretaceo e persistito durante tutto il terziario, nulla può aggiungere alle attuali conoscenze cronologiche attorno 2I Bisciaro. L’esemplare vi fu raccolto negli straterelli superiori, presso la collina di Montedoro, ed è deformato trasversalmente per com- pressione. (’) I terreni dell' Urbinate, Urbino, 1875, pagg. 35 e 36. 474 T. MORENA Comunico la diagnosi che ne ha dato lo stesso prof. Sacco ; Pleurotomaria Morenae (Sacco) ms. Testa magna, conico scalarata, ampie umhilicata. Anfractus sublaeves, subrotundati, tantum in regione media compressi, fascia fissurae in regione media super sita. Suturae sat visibiles. Basis sublaevis, tantum, striolis jìexuosis radiatim ornata. Apertura compressa subovata. Altezza mm. 45; larghezza mm. 85. Pleurotomaria Morena (Sacc.) ms. Miocene medio. Le marne scagliose con lamine interpolanti di calcite apa- tica. — Sul Bisciaro si adagia un giacimento caratteristico la cui età fu altrove determinata, omettendosi le importanti deduzioni che interessano la cronologia di tutta la serie ascendente sino al tipico Messiniano. È una marna scistosa, intercalata da lamine di calcite spatica ridotte in minuti frammenti, per effetto delle energie orogenetiche cui andò soggetta l’intiera massa. In ogni caso tali lamine accennano a regolari stratificazioni marnose, il cui spessore non è mai inferiore ai 50 centimetri. Questa marna è piuttosto tenera, grigia all’ esterno, e di un verde intenso nelle superficie di frattura recente. Ha spesso una struttura globulare, e, per questo, è dotata, in genere, di una scistosità caratteristica, come a gusci concen- LE FORMAZIONI EOCENICHE E MIOCENICHE, ECO. 475 trici che, ad ogni piccolo colpo, si staccano attorno ad un nucleo interno, quando la massa abbia subito un discreto grado di esic- camento. Tanto ad est che ad ovest del gruppo del Catria questa for- mazione si presenta sempre con identici caratteri litologici che ben la distinguono dai sedimenti arenacei ad essa sovrapposti, siano o no alternanti con marne scagliose. La sua potenza raggiunge in media i 50 metri. A Spedai etto Vecchio, in vicinanza di Fabriano, ed a Cor- bascione, presso Cagli, se ne trae ottimo materiale per cemento idraulico. Avendovi raccolto in più occasioni, come già ho accennato, parecchi fossili, ne comunico ora l’elenco, assieme alle conclusioni cui sarei giunto in ordine alla età di questo importantissimo gia- cimento. Carcharodon meg alodon (Agassiz). Un bellissimo e grande esemplare con la radice conservata. Altezza dalla punta alla ra- dice mm. 90 ; larghezza al colletto mm. 85. Contrada Farneta in territorio di Acqualagna. Un esemplare più piccolo con la radice pure conservata. Cor- bascione. Un esemplare mancante della radice. Località Scelle, in ter- ritorio di Cantiano. Al uri a A turi (Basterot). Resti non rari, ma imperfetta- mente conservati. Montedoro. Galea de a. Diverse impronte del gruppo della tanto variabile G. echinophora (L.). Montedoro. Cirsostrema Doderleini (Pant) (^). Quattro esemplari provenienti dalle colline di Montedoro, Palazzotto, Serretelle e bassa valle di Palcano, sempre nel territorio Cantianese. Il confronto fatto con gli esemplari tipici favoritimi gentil- mente dal prof. Pantanelli, nulla lascia a dubitare sulla esatta determinazione di questa specie. È anche da rimarcarsi che, al pari dei tipi Modenesi, i miei esemplari sono conservati col guscio integro, mentre gli altri molluschi sono tutti allo stato di modello interno. Questa forma è diffusa nel Tortoniano (degli autori) della {') Fauna fossile di Montese. Parte II, pag. 29, tav. II, fig. 476 T. MORENA regione Modenese, ed è stata trovata dal prof. Sacco nèW Elveziano di Torino. È opportuno che io osservi come sia stata da me scopeita nella zona più profonda del 'giacimento, e cioè molto in vicinanza del Bkciaro. Tugurium. Abbondantissimi esemplari, in istato di modello interno, del T. extensum, {^2lQ,c.) e del T. postextensum (Sacc.) Montedoro. Pinna subpectinata{mc\iQ\). Diversi esemplari non sempre ben conservati, che appartengono indubbiamente a questo gruppo. Montedoro. Ter ed 0 norvegica (Spengler). Seguo la comune determina- zione empirica per indicare dei tubi cilindrici di calcite aventi la lunghezza di mm. 40 o 50, ed il diametro da 1 a 5. Quando sono ben conservati è da notarsi nelle loro estremità un lieve rigonfiamento, per cui essi terminano quasi a foima di clava. Sono raramente vuoti, quasi sempre riempiti da calcare amoifo. Non mi è mai riuscito di riconoscervi traccia delle esilissime con- chiglie. Nella collina di Montedoro questa forma trovasi accantonata, e costituisce da sola uno strato intercalante dello spessore di 10 centimetri. Pholadomya {Procardia) C anav arii {^\m.). Nume- rosi esemplari, alcuni dei quali ben conservati, provenienti da Cor- bascione e da Montedoro, e che rispondono per tutti i loro carat- teri. alla forma studiata dal Simonelli. Avendo visitato la grande trincea della nuova strada d accesso alla città di Pergola, versante est del gruppo del Catria, ho dovuto riconoscere che il giacimento d’origine degli esemplari tipici del Canavari si ricollega perfettamente, per i suoi caratteri litologici, e per la sua successione alle marne argillose di Corbascione e Spedaletto Vecchio giacenti nello stesso versante, non meno che a quelle di Montedoro e di altre località che fiancheggiano il gruppo del Catria dal versante opposto. Pholadomy a cfr. Margaritacea (Sow.) Montedoro e Corbascione. Dispongo di due soli esemplari non ben conservati, da riferirsi dubitativamente a questa specie. N acuì a cfr. May eri (Hornes). Un esemplare. Montedoro. LE FORMAZIONI EOCENICHE K MIOCENICHE, ECC. 477 Tellina sp.? Montedoro. Numerosissime forme assai piccole, sempre conservate nel solo nucleo interno, e perciò indeterminabili specificamente. Maretia sp.? L’esemplare è deformato ed allo stato di mo- dello interno, non è quindi determinabile con sicurezza nella sua specie, per quanto sembri avvicinarsi alla M. Pareti (Manz.) Hemiaster sp.? Un esemplare malconcio, per essere passato in fornace, e sulla cui specie nulla può dirsi con certezza. Da diverse sezioni sottili ottenute sulle marne di Montedoro ho potuto riconoscere che esse sono popolate da numerose globigerine. Debbo poi incidentalmente annunciare che nelle marne di Spedaletto Vecchio (Fabriano), oltre ad una abbondante fauna che si riallaccia a quelle di Montedoro e Corbascione, sono stati rac- colti belli frammenti di micaschisto, che io stesso ho potuto stac- care dalla roccia includente. Questa scoperta a me pare che sia destinata a risolvere, almeno in parte, l’arduo problema sulla genesi delle roccie antiche, le quali spesso si trovano erratili nel cuore dell' Appennino centrale, pro- blema che da circa un secolo affatica la niente dei geologi. La citazione dei fossili da me raccolti induce a concludere che i giacimenti marnosi di Montedoro e di Corbascione come si ricollegano allo ScMier di Pergola (Canavari) e di S. Severino (De Angelis e Luzi), così sono coevi dello Seìilier Bolognese (Si- monelli) e di altre località d’ Italia. Questo sedimento di mare profondo rappresenta nella nostra regione la facies marnosa, la facies Langhiana del Miocene medio, e costituisce un orizzonte singolare ed autonomo per la continuità dei suoi principali caratteri. Le arenarie. — Stabilita così la miocenicità delle marne scagliose, che in questa parte dell’ Appennino centrale si appoggiano sul Bisciaro, si rende manifesta la necessità di rivedere la cro- nologia della pila arenacea la quale intercede fra dette marne ed il Messiniano e che, secondo le attuali ammissioni cronologiche, viene riferita Eocene. Osservo subito che il nostro Schlier si manifesta denudato sopra aree più o meno vaste da ambo i fianchi del gruppo del 478 T. MORENA Catria, e cosi trovasi in lembi staccati, al pari del Bisciaro, nel fondo delle valli cretacee. In questo stato di denudazione si presentano le colline di Montedoro, Palazzetto e Serretelle, le quali, presso Cantiano, for- mano un gruppo isolato, nell’imo della sinclinale tra il versante ovest del Catria ed il prolungamento cretaceo del parallelo Monte Petria. Per riconoscere la successione della serie, ho seguito la for- mazione marnosa sin dove ha principio un mutamento nella natura del materiale sedimentario. Addito a chi vorrà, in seguito, occuparsi dello studio di queste formazioni le seguenti località : ad est del Catria i colli di S. Savino, di Monte Vecchio, Monte Torrino e Monte Aiate; ad ovest il valico di Monte Martino nella via Flaminia tra Cantiano e Scheggia, da qui proseguendo per Col del Buffalo sino alle alture di Monte Picognola, e specialmente la gola del Certano in quel di Cagli. È pure da raccomandarsi la istruttiva sezione da Scheggia a Gubbio, per la via provinciale, ove la formazione marnosa affiora in vicinanza di Scheggia e, dopo due ampie sinclinali di tutte le sovrastanti assise arenacee, riappare, poco prima del Botaccione, in corrispondenza della località Fornacette. Unisco una sezione geologica attraverso la catena del Catria- M. Nerone la quale, estendendosi ad ovest sino all’Umbria interna settentrionale, meglio addimostra la successione della serie che io ho preso in esame. Ad ovest del Catria, dalle marne scagliose si ha un graduale passaggio verso il sovrastante macigno (’-) per mezzo di una for- mazione che è costituita da lastre di una arenaria a grana fina, minutamente micacea e di colore giallastro, le quali si avvicendano con strati di marna. Dette lastre presentano nella loro frattura un nucleo bruno assai duro, e nelle superficie esterne le ben note forme fossili pro- blematiche. Portano continuamente delle impronte eguali a quelle che lasciano le onde deboli sopra sponde limacciose. Le lastre stesse hanno, in genere, la grossezza da 2 a 20 cm. (1) Nomino il macigno nel senso esclusivamente litologico. LE FORMAZIONI EOCENICHE E MIOCENICHE 479 Nei casi ben rari in cui assumono un forte spessore, la roccia di- viene assai tenera, ed è utilizzata per le sue qualità, sino ad un certo punto, refrattarie. La potenza di questo giacimento è di circa m. 200. Sempre ad ovest del Catria, sulla descritta formazione, si adagia il nostro tipico macigno, che è un’arenaria, spesso a banchi di notevole potenza, di colore grigio, più o meno carico, ad elementi quarzosi piuttosto fini, rilegati sempre da cemento argilloso. Non mancano i casi in cui ai granuli di quarzo si associano pagliette finissime di mica, diminuendo notevolmente il grado di durezza della roccia. Questo macigno è assai poroso e permeabile, d’onde la sua notevole gelività, ed è dotato di facile sfaldatura nel senso paral- lelo ai piani di stratificazione. Presenta anch’esso le solite impronte e rare fucoidi. La sua potenza ascende mediamente a m. 400. Sul macigno torna a sovrapporsi una massa di arenaria mi- cacea con i caratteri già descritti pel giacimento ad esso sotto- stante, e dotata dello spessore di circa m. 200. Vi differisce soltanto per lo spessore più forte degli strati, e per la presenza di pochi banchi d’un calcare leggermente argilloso, di pasta finissima, piuttosto tenero, e di un colore azzurro assai chiaro. Così va chiudendosi ad ovest del Catria la serie arenacea, la cui potenza complessiva ascende a circa m. 800. Per quanto attive sieno state le mie ricerche, sinora vi ho scoperto, unico fossile, Y Ostrea {Gryphea), che è da paragonarsi alla 0. coclear (Poli) var. navicularis. Casale (Cantiano). Catena di Serra Maggio. Air infuori della suddetta forma, delle fucoidi, impronte pro- blematiche e traccie del moto ondoso del mare, tutta questa impo- nente formazione, per la povertà dei fossili, può riguardarsi come un deserto. Ad oriente del Catria l’arenaria tipica è da osservarsi a Monte Vecchio, Monte Torrino e Monte Aiate nei territori di Frontone e Pergola. 480 T. MORENA ■K Sezione geologica attraverso la catena Catria-M. N LE FORMAZIONI EOCENICHE E MIOCENICHE, ECC. 481 In confronto della descritta serie giacente nel versante opposto sono da rilevarsi i seguenti caratteri: Air arenaria micacea a lastre alternanti con marne scagliose, la quale forma l’ imbasamento del macigno, ed alla sovrastante arenaria micacea con banchi di calcare argilloso, si sostituisce un’arenaria, inferiormente a granuli quarzosi e calcarei, superior- mente micacei, sempre a cemento argilloso. Il macigno interposto risulta di materiali prevalentemente quarzosi e calcarei a granuli grossolani e cemento calcareo. Nella sua massa sono incluse ghiaie e grossi ciottoli di roccie mesozoiche, o di altro tipo di roccia di genesi oscura, e raramente qualche frustolo carbonizzato. Esso co- stituisce dei banchi più o meno potenti, ed in forma generalmente lenticolare, giacché lo spessore varia notevolmente a brevissime distanze, e molti strati terminano ad unghia. Ai medesimi talvolta s’ intercalano delle ghiare o conglomerati, e, più frequentemente, strati argillosi o sabbiosi abbastanza incoerenti. Nei piani di stratificazione si ripetono le solite impronte più 0 meno accentuate. Le mie diligenti ricerche, durante due anni di escavazione nel macigno di Monte Aiate e Monte Vecchio, non riuscirono alla scoperta di fossili caratteristici. Detto giacimento ha una potenza inferiore a quello coevo del versante occidentale del Catria, e raggiunge appena i m. 300. Ovunque le descritte masse arenacee si presentano in discor- danza più 0 meno evidente col Bisciaro, e quindi colla creta. Questa discordanza si vede accentuarsi in corrispondenza della indi- cata località Eornacette, presso Gubbio, dove il Bisciarp è rad- drizzato assieme alla serie cretacea, mentre gli strati del macigno si presentano sotto una debole inclinazione. Dalle indicazioni superiormente date, appare manifesto che le masse arenacee fiancheggianti il gruppo del Catria sono depositi di mare poco profondo, talvolta soggetti a correnti continentali, cui senz’altro è dovuta la fluitazione dei materiali ghiaiosi e ciottolosi inclusi od alternanti nel macigno di Monte Vecchio e Monte Aiate. Quest’ ultima circostanza induceva me ed il prof. Bonarelli (') (1) G. Bonarelli e T. Morena, Sulla condizione delle cave di Pontalto, del Furio e di Montevecchio, Cagli, 1898, pag. 24. 31 T. MORENA. 482 a fai'6 un priuio passo, riferendo 1 arenaria di Monte\ ecchio al pe- riodo oligocenico. È qui opportuno di licordare che il conte Alessandio Spada, il quale illustrò il taglio dell’ Appennino da Arezzo a Fano (i) ascrisse al Miocene tutto il sedimento di arenarea micacea che si adagia sul macigno. Ora avendo avvertito che, come ad est di Monte Vecchio fra la Casa Nuova e la Chiesa, alle ultime assise arenacee, fa seguito il tipico Messiniano con tripoli, gesso e solfo, così nell alta ^ alle del Geriano, ovest del gruppo del Catria, e precisamente ^ nella località Cai Baldini — Umbria interna settentrionale — si pre- senta una lente selenitica, ove si estraggono hellissimi cristalli, a me pare che disponiamo di due termini cronologici ben definiti per concludere sulla età delle nostre arenarie; inferiormente le marne scagliose del Langhiano, superiormente il tipico Messiniano^ fra i quali confini la serie arenacea rappresenta la facies littoranea del Miocene medio, occupando così il posto Elv errano. Conclusione. Dalle osservazioni fatte, si può desumere che nella scala di questi terreni terziari esiste un notevole hiatus, mancando affatto il rappresentante del Miocene inferiore. Per i geologi che proseguono a considerare il nostro macigno come membro ìÌìq\Y Eocene, la lacuna assume proporzioni più vaste, per l’assenza del Miocene inferiore, e delle assise inferiori medie del Miocene rrtedio. Lo che è evidente. Pertanto, in base alle esposte osservazioni, concludo che la costituzione geologica delle catene terziarie fiancheggianti il gruppo del Catria così deve essere riassunta: Eocene. Inferiore-medio — Bisciaro inferiore. Calcare selcioso non fossilifero. (1) A. Spada, Nota alle considerazioni sulla Geologia stratigrafca della Toscana, di Savi e Meneghini, pag. 448. LE FORMAZIONI EOCENICHE E MIOCENICHE, ECC. 483 Superiore — Bisciaro mferiore. Calcare marnoso con Num- mulites planulata. Miocene medio. Facies langhiana. Marne scagliose interpolate da lamine di calcite epatica, a globigerine, Aturia Aturi, __ Cirsostrema Doder- leini, ecc. Facies elveziana. Arenarie micacee, quarzose, e quarzoso-cal- caree, talvolta con inclusioni ed intercalazioni di ghiaie e ciottoli. Facies messiniana. Scisti con filliti ed ittioliti, tripoli con diatomee, gessi, solfo e strati a Congerie. Ed ora mi sia permesso di esprimere la mia gratitudine vi- vissima agli illustri colleglli i quali mi coadiuvarono in ogni ma- niera nella determinazione dei fossili, poiché, senza i mezzi indi- spensabili di confronto e di studio, io nulla avrei potuto in questo remoto angolo dell’ Appennino. ALCUNE FORMAZIONI TERZIARIE FOSSILIFERE DELL’ UMBRIA Nota del Socio Guido Bonarelli I sigg. A. Verri e 0. De Angelis d’ Ossat (i) considerano come sincroni, e del tutto corrispondenti, tre tipi assai diversi di roccie terziarie fossilifere dell Umbria settentrionale. Essi sono : a) marne dure grigie a Pteropodi ( Cavoliniae, Clio, Carinariae, Vagineliae ecc. ) di S. Maria Tiberina presso Città di Castello, del Fosso Piazzo di Volpe a nord di Perugia, del molino delTAttone ad ovest di Bevagna, del Fosso di S. Caterina presso Cesi, e (aggiungo io) di moltissime altre località che mi fu dato di riscontrare recentemente nei dintorni di Gubbio, di Um- bertide e di Città di Castello ; b) i calcari marnosi compatti, raramente arenacei, tm’chi- nicci 0 giallicci (per alterazione superficiale), delle Busche presso Gualdo Tadino, della Casa S. Lorenzo a 2 km. E. di Deruta, e (ac^aiungo io) di Col d’ Orto presso la Pieve di Compresselo (Co- rnee di Gualdo T.) e di Casa Castalda a S. E. del villaggio; _ con Lucinae, Modiolae, Liitrariae, Tellinae, Cassidariae ecc. ; costituenti un^OrizzonteaLucine"; c) i calcari arenacei od arenarie calcari fere con brecciole poligeniche e con ciottoli inclusi di roccie verdi, di calcari albe- resi e di diaspri manganesiferi. Di queste arenarie si hanno im- (1) Contributo allo studio del Miocene nell' Umbria, d. R. Acca.!, dei Lincei, classe di Se. fis., mat. e nat., serie -5% voi. Vili, fase. 2°, P sera., seduta del 3 giugno 1899, Roma. ALCUNE FORMAZIONI TERZIARIE FOSSILIFERE DELL’UMBRIA 485 portanti affioramenti a Colle Raso ( nella salita da Borgo S. Se- polcro a Trabaria), a S. Maria Tiberina presso Città di Castello, a S. Paterniano presso Umbertide, a Castiglione Aldobrandi verso il Monte delle Portole e (aggiungo io, come certe) in parecchie altre località dei dintorni di Gubbio (Schifanoia, Cimitero di Monte Analdo, Casa di Monte Salatolo, Rio Maragatta verso le Lame, Carestello, Pagine di Salia ecc. ), come pure a Tocerano, presso Umbertide, ecc. Vi si trovano in abbondanza Briozoi, Ostriche e Pettini, costituendo ciò che altra volta ho chiamato « Orizzonte a Pecten * (^). I sigg. Verri e De Angelis hanno mescolato i fossili di queste distinte formazioni e ce li presentano ora come un tutto omotipico e sincrono decisamente miocenico. Viceversa poi possiamo dire che non uno dei fossili caratte- ristici finora riscontrati nell’ una o nell’ altra delle suddette for- mazioni, fu riscontrato nelle altre ; — che nelle marne dure a Pteropodi mancano i Pettini e le Ostriche, mancano le Lucine e le Modiole; — che nei calcari dell’orizzonte a Lucina mancano i Ptero- podi delle marne dure, mancano i Pettini e le Ostriche; — che infine, nei calcari arenacei dell’ orizzonte a Pecten, mancano i Pteropodi delle marne dure, mancano le Lucine, le Tel- line ecc. dei calcari compatti, marnosi, di Deruta ecc. Per queste considerazioni, anche ammesso che non lo siano (1) Denominazione questa che, è d’ uopo confessarlo, si presenta ad avere un gravissimo inconveniente ; poiché, per le recenti ricerche del sottoscritto, si hanno nella serie dell’Eocene medio, dell’Umhria settentrionale, alcuni strati di arenaria a cemento calcareo, di colore giallo o grigio minutamente pic- chiettato di verde (glauconia ?), con numerosi fossili, in prevalenza riferibili al gen. Pecten. Questa arenaria calcarea però ditferisce dal calcare arenaceo del vero « Orizzonte a Pecten « fer avere una attitudme decisamente schi- stoclasica presentandosi in forma di strati di medio spessore (30 a 60 cent.) e non in forma di banchi potenti o di ammassi. In essa inoltre i fossili si riscontrano ridotti in frantumi e raramente ben conservati, talora così ab- bondanti da trasformare la roccia in una vera lumachella arenacea. È opinione dello scrivente che alcuni autori, specialmente quelli che riferirono all’Eocene il vero « Orizzonte a Pecten » abbiano confuso gli af- fioramenti tipici di questo orizzonte con la arenaria ora descritta, la di cui spettanza all’Eocene è sempre evidente in ogni suo affioramento. G. BONARELLI 4S6 per età, certamente le suddette formazioni sono diverse per fa- cies » . E in altre parole : secondo il parere del sottoscritto, senza an- dare a cercare nè il “ Leithakalk » nè gli “ strati di Grund ", A) devonsi i nostri affioramenti a Lucina considerare omo- topici e contemporanei del » Macigno » Porrettano nel Bolognese e di altre formazioni calcareo-arenacee dell’ Appennino settentrio- nale e toscano (tutte caratterizzate dalle solite Lucine, Lutrarie ecc.) che alcuni autori vogliono mioceniche, altri oligoceniche, ed altri (Lotti ecc.) (') eoceniche 5 senza tener conto che in altii tempi vennero riferite al Cretaceo, B) devonsi le arenarie calcarifere a Pecten dell Umbria interna settentrionale (-) ritenere identiche e sincrone alle roccie calcareo-arenacee con Briozoi, Ostriche, Pettini e denti di Squalo, della Verna nel Casentino, della Pietra di Bismantova neU’Emi- lia ecc. ecc., che quasi sempre riposano in discordanza sopra ter- reni principalmente eocenici ed intorno alla cui età regna, tra i geologi, il medesimo non esemplare disaccordo già indicato per l'orizzonte a T^ucinae (®). C) devesi per le “ marne dure " tenere maggior conto della circostanza che i Pteropodi, per consenso generale dei Paleonto- logi, non bastano a determinare da soli la precisa età d un ter- reno, sia perchè si presentano ad avere specificamente una distri- buzione verticale alquanto ampia, sia perchè fanghi a Pteropodi possono essersi benissimo depositati in tutti i periodi del Terziario, come tuttora avviene ogni qual volta si abbiano adatti ambienti nei bassifondi oceanici. (1) Consulta in proposito le estese biografie raccolte nei lavori del prol. F. Sacco (sull’Appennino settentrionale; nel Boll. d. Soc. geol. it., volumi delle annate 1892, 93, 96) e dell’ Ing. B. Lotti (sull’Eocene dell’App. settentr. e toscano, nel Boll, del E. Com. geol. it., volumi delle annate 1895, 96, 98). Si tratta, in complesso, d’una cinquantina di pubblicazioni. (2) Alcuni strati di arenaria calcarifera, avente ‘perù una attitudine deci- samente schistoclasica, si trovano, ripeto, intercalati ad altre roccie stratificate dell’ Eocene medio e contengono numerosi frammenti di Pecten etc. Se ne osservano alcuni lembi nelle vicinanze di Gubbio ed altrove, ma e per età e per fauna non hanno niente a che fare con l’orizzonte a Pecten di cui ora devo occuparmi. Si consultino le succitate biografie. ALCUNE FORMAZIONI TERZIARIE FOSSILIFERE DELL UMBRIA 487 II. Sono ben noti allo scrivente, per averli reiteratamente visitati, la maggior parte dei giacimenti fossiliferi indicati nel la- voro dei sigg. Verei e De Angelis. Secondo il parere del sot- toscritto tutti questi giacimenti si trovano in condizioni tettoniche al tutto particolari ed erroneamente interpretate finora. a) Gli affioramenti a Pecten ed a Lucina hanno sempre l’aspetto di lembi isolati, di formazioni sporadiche, in forma di blocco 0 di ammasso o di scoglio di variabile dimensione, in discordanza più 0 meno evidente sopra i terreni stratificati dell Eocene medio e dell’ Eocene sup., talvolta anzi adagiati e più o meno incastrati nei sedimenti argilloso-marnosi di questo periodo. Tale, ad es. è la condizione tettonica del masso a Pecten nella strada maestra di Schifanoia, il quale sembra incastrato nelle marne dell’ Eocene medio, mentre due altri blocchi di identico calcare arenaceo, con i medesimi fossili, sono, più in alto, presso C. Ba- gnolo, quasi immersi nelle argille scagliose dell’Eocene sup. (parte inf.). E tutto ciò si spiega considerando il peso notevole degli am- massi e la grande plasticità dei sottostanti depositi argillosi. L’affioramento a Lucina delle Busche, presso Gualdo Tadino ('), è letteralmente un masso del diametro di 4 m. circa che non ha alcun rapporto colle roccie circostanti, e posa, perfettamente isolato, sulle verdi zolle d’ un piccolo prato, in una amena vailetta attra- versata da un corso d’ acqua insignificante e quasi asciutto nella maggior parte dell’anno. li Presso Tocerano [Comune di Umbertide] . . . osservai una coperta di 4 o 5 m., di spessore, di un calcare [arenaceo] che si potrebbe credere posteriore e indipendente dal terreno mar- noso-arenaceo [eocenico] circostante (-) [il Lotti per altro non esita a ritenere che esso sia una porzione « scoperta di uno dei tanti strati calcarei a Glauconia che appariscono quà e là intercalati alle marne e alle arenarie eoceniche in quei dintorni »]. “In quel calcare, oltre la Glauconia, si osservano i soliti briozoi e ciualche nwmmulite (^) », nonché Ostriche e Pettini. Gli affioramenti della Collina di Prepo, presso Perugia, sono (h Lotti, Barigazzo; Boll. Com. geol it., 1895, p. 437. 0) Lotti, Eoe. dell'App. Toscano; Boll. Com. geol. it., 1898, p. 43. (3) Lotti, 1898, op. cit. G. BONARELLI 4 £8 anche più istruttivi : i fossili vi si trovano isolati, nel terreno al- lotigeno superficiale, e raramente si riscontrano dei frammenti della roccia fossillifera che abbiano un diam. superiore ai 50 cm. b) Alla lor volta, le Marne a Pteropodi delle località già indicate si trovano, il più delle volte, immediatamente, o quasi, al disotto delle « argille scagliose ^ e sovente compaiono, per de- nudazione, in mezzo a queste. Talora per altro sembrano avere intimo rapporto con le roccie posteriori alle « argille scagliose III. Sono descritti, nel lavoro dei sigg. Verri e De Angelis, due profili geologici (di Schifanoia e di Carestello-Val Rasina), d’ uno dei quali è dato anche un disegno, della cui esattezza si terrà parola in altra circostanza. Ora è soltanto da notare che mentre i suddetti Autori descrivono questi profili onde determinare le con- dizioni tipiche di giacimenti fossiliferi ritenuti miocenici, d’altra parte i fossili raccolti nelle località attraversate dai profili suddetti, soltanto con dubbio e riserva vengono riferiti al periodo miocenico, e non sono specificatamente menzionati nell’elenco paleontologico, assieme a quelli delle altre località. IV. I fossili indicati nella lista dei sigg. Verri e De Angelis e che più specialmente, secondo i suddetti autori, apparirebbero « caratteristici " del Miocene, sono : 1°. Il Bathijsiiìhon taurin'ensis Sacc. — filiformis Sars in Andr. (;= Rìiizocrinusì Santagatai Mgh. 1875; = Pavonaria miocenica Micht in sch.; = Pavonaria Portisi De Ang. 1894 (’), che non sarebbe un fossile soltanto miocenico, poiché « moltissimi esemplari e ben conservati « di questa « specie », vennero raccolti « nel calcare compatto riferito all 'Eocene inf., sopra S. Gregorio da Sassola (Tivoli) » (^). Egli è per questa ragione che il De An- gelis, avendolo preso per una Pavonaria (seguendo un errore del Michelotti), non lo chiamò Pavonaria miocenica come appunto (9 Capellini G., Rhizocrinm Santagatai e Bathysiphon fiUformis-, Rendic. E. Acc. Lincei, classe di se. fìs. mat. e nat. ; serie 5^ voi. Ili, se- duta del 4 marzo 1894, p. 211. (2) De Angelis G. Corali, terr. terz, It. seti., Mera. E. Acc. Lincei, serie 5^, voi. P, 1894, p. 175. ALCUNE FORMAZIONI TERZIARIE FOSSILIFERE DELL’UMBRIA 489 era stato chiamato da questo autore. In ogni caso il prof. Sacco affermerebbe che al Bathysiphon taurinensis non puossi attribuire un grande valore cronologico. 2°. I Pteropodi di quelle marne dure che secondo il parere dello scrivente debbonsi, in molti casi, ritenere, fino a prova con- traria, più antiche della zona con “ argille scagliose », d accordo in ciò con quanto l’ing. Lotti aveva già verificato in proposito (^). 3°. Le grosse Lucine del gruppo Loripes {pomum. Duj., Dicomani Mgh.) che il Lotti avrebbe trovato in terreni eocenici dell’Emilia e della Toscana, e che il Rovereto (^) indicò recente- mente tra i fossili del Tongriano ligure. Le medesime Lucine si incontrano assai sovente in un deposito calcareo grossolano gial- lastro che in molti punti del Versante adriatico dell’ Appennino si vede sottostare immediatamente alla zona gessoso-solfifera. Sacco lo riferisce al Messiniano inf. ; De Stefani al Tortoniano ; dunque niente « Grand » e niente « Leithakalk » . 4°. Il Pecten Besseri Andr. ed il Pecten solarium Lk., che in seguito alla recente pubblicazione del prof. Sacco (^), non si sa più precisamente che cosa sieno. Probabilmente i sigg. Verri e De Angelis intendevano riferirsi alle figure dell’ Hòrnes che non sembrano essere di esemplari tipici. 5°. h’ Ostrea langhiana di Trabucco. Le sovraesposte considerazioni, per le quali è messa in chiaro la discordia che regna tuttora fra gli studiosi del Terziario Ap- penninico sopra un così importante argomento e la insufficienza degli argomenti addotti dai sigg. Verri e De Angelis a sostegno della loro tesi, portano a nuovamente concludere che « neirUmbria settentrionale non si ha peranco sicuro indizio di terreni riferibili al Terziario medio (miocene) » (^). (') Studi sull'Eocene dell'Appenn. Tose.; Boll. E. Com. geo!., 1898, Eoma. (*) Note preventive sui pelecipodi del Tongriano ligure. Atti società ligure di se. nat., voi. Vili, 1897-98. {^) Molluschi dei terr. terz. del Piem, e della Lig. Parte XXIV, Torino, Clausen, 1897. P) Bonarelli G., Cenni geol- agrari sull' Umbria. Estratto dalla Nuova Encicl. agraria ital., Torino, Unione, 1898, p. 5. 490 G. BONARELLI, ALCUNE FORMAZIONI TERZIARIE FOSSILIFERE, ECC. Non si esclude peraltro la possibilità che i giacimenti del- l’Orizzonte a Lucina, da poco tempo noti a chi scrive, possano, in seguito ad ulteriori e più fortunate indagini paleontologiche, ritenersi miocenici, mentre si esclude la possibilità di un simile riferimento per le marne dure a Pteropodi di alcune, se non di tutte, le località indicate al 1° paragrafo della nota presente. Quanto ai giacimenti dell’Orizzonte a Pecten (nummulitiferi, secondo il Lotti), dovrassi addimostrare che non sieno piuttosto oligocenici come ritennero il Tarameli! ed altri (^) e come finora si è ritenuto dal sottoscritto (2). Agosto 1899. (1) V. Lotti B., Eoe- dell'App- Tose.; Boll. Com. geol. it., 1898, p. 43. (2) Il territorio di Gìihbio. Eoraa, 1891, p. 31- (In corso di pubblica- zione una ‘P ristampa riveduta e corretta). L BONARELLI G.-CARTAGEOLOG1CAdeuaMONTAGNAdei FIORI (prov.oiteramo) Boll. Soc.(n’ Scalilo Kouta» • Scalila Clama • Ulc«a< «oparlor» Traccrliao Rlclilataalc» .DclrIU di falda» l.it •S’ofiixxtìli/i . Tar I FOSSILI DELLA « TABELLA ORYCTOORAPHICA » DI FERDINANDO BASSI CONSERVATA NEL R. ISTITUTO GEOLOGICO DI BOLOGNA Nota del Socio P. E. Vinassa de PiEgmy Della “ Tabella oryctographica » composta nel 1757 da Fer- dinando Bassi hanno parlato pel primo il prof. Capellini (^) che la ritrovò e la dispose nella sala storica dedicata al sommo na- turalista bolognese Ulisse Aldrovandi, quindi il dott. Fornasini nel compilare le due guide (^) alle collezioni del Museo geolo- gico bolognese. Dei fossili in essa disposti parlò da prima lo stesso Bassi (®), illustrandone alcuni. Le foraminifere poi, alcune delle quali se- zionate, diedero materiale ad un importante studio del dott. For- nasini (4), mentre i briozoi furono diligentemente illustrati dal prof. Neviani (5). I fossili illustrati però non sono che una piccola parte di quelli contenuti nella Tabella, ove abbondano gasteropodi, lamel- libranchi, vermi ecc. Di questi solo alcuni molluschi portavano (1) Capellini G., Geologia e paleontologia del Bolognese. 1862. (2) Portis A. et Fornasini C., Institut de géologie et de paléontologie de Bologne. Guide aux Collections. 1881. — Capellini G. e Fornasini C., Guida del R. Istituto geologico di Bologna. 1888. (3) Bassi F., De quibusdam exiguis madreporis agri hononiensis. Bon. Se. Inst. Acad. Comm., voi. IV, 1757. P) Fornasini C., I forammiferi della Tabella Oryctographica. Boll. Soc. geol. ital.. Ili, 1884. In questo interessante lavoro è data anche una ac- curatissima bibliografia ed una storia esatta della collezione corredate da in- teressanti raffronti con le indicazioni degli antichi autori, predecessori del Bassi. p) Neviani A., Di alcuni briozoi pliocenici del Rio Landa illustrati da Ferdinando Bassi nel 1757. Boll. Soc. geol. ital., XII, 1893. 492 P. E. VINASSA DE REGNY una indicazione dubbia o appena generica. Kiordinando quest’anno una parte del materiale del Museo geologico ho avuto occasione di occuparmi anche delle antiche collezioni della Sala Aldovrandi di questo Istituto, e come spero di far presto conoscere alcuni fossili dei Musei diluviani del Monti, così non mi sembra inutile di riprendere qui in esame tutti i fossili della « Tabella orjxtographica ■’ , corredando ciascuna indicazione data dal Bassi della determinazione il più possibile esatta secondo le nostre attuali conoscenze. La « Tabella oryctografica » è accompagnata da una spiega- zione autografa del Bassi corredata dei numeri corrispondenti agli esemplari attaccati sulla Tabella. Su questa sta un cartellino colla scritta : Tabella oryctographica Sedimenti marini fossili 8 ex Agri Bononiensi Nella spiegazione si trova in alto l’indicazione Oryctographia Sedimenti Marini Fossilis ex Agro Bononiensi. Le indicazioni dei vari fossili sono divise in gruppi diversi a seconda del tipo cui i detti fossili appartenevano secondo le idee dell’epoca, e per la maggior parte sono corredate dalla bibliografia. Ecco qui r elenco delle 103 forme, di cui però sventuratamente 7 andarono perdute. Ho mantenuto in tutto e per tutto la ortografia, il modo di interpunzione e le abbreviazioni dell’originale. Ad Ictijologiam spectantia. 1: Lapilli 0 Asellorum Piscium oceani Otoliti diversi. 11 esemplari, capitibus. Gesn: de Fig: Lap: 162: quorum primus sua Epipbysis instruitur. 2: Lapis Piscis Dentalis. Aldrov: Mus: Otoliti diversi. 4 esemplari. Metta: 796: 3; Palatura osseum minimum. Spad: Manca. Cat: 45: 4: Piscium dentes. Trai; des Petri: Otoliti diversi. 4 esemplari. Tab- 59: N°: 435: 5: Alcyoni ossicula. Frustali calcarei, forse radioli di Spa- tangidi. 7 esemplari. a I FOSSILI DELLA. « TABELLA ORYCTOGRAPHICA » EOO. 49: Ad Crustacea. 6: Cancrorum pedes: Sach: Tab: 8: F: 7: Cancrorum Chelae. Alb: Eit: Oryc: Fig; 6: 8: Echinites speties minima. Zanicli: Nat: Gazo: 14: N°: 33: 9: Echinorum ossicula falciformia. Elei: Disp: Nat: Echi: 124: Tab: 18: g: k: 10: Echinorum minima ossicula. Elei: Disp: Nat: Echi: Tab: 18: h: 11: Mamillae Echinometrae. Scih Van: spec: Tab: 23: Fig; 3: 12: Aciculae Echini variegati. Elei: Disp: Nat: Echi; Tah: 18: N°: 10: 11: 12: 13: Sudes Echinorum. Elei: Disp; Nat: Echi: 142: Tab: 19: L. M. Dei 10 esemplari il 1°, il 9° e il 10° sono avanzi di Crostacei indeter- minabili, gli altri sono Dentalium triquetrum Brcch. Chele di Crostacei indeterminabili. 8 esemplari. Echinocyamus pusillus. Due pezzi dell’apparato masticatore di un Echinide. Due frammentini di Ditrupa (?). Cidaris sp. Due tubercoli delle plac- chette. Cidaris limaria Bronn. Cidaris sp. 2 aculei. Cidaris limaria Brn. Esempi. 1° a 4°, 6° a 9°. — Cidaris signata Sism. Esemplare 5°. Ad Testacea univalvia non turbinata monotalamia. 14: Patella vertice perforato. Allio: Oryc: 30: N°: 2: 15: Dentales, seu Antales minimi gla- bri. Jan; Pia; de Con: 25: Tab: 2: fig: 2: 16: Dentales fossiles minores. Scheu; Pise: Que: Tab: 5: 17: Dentales laeves. Scil: Van: spe: Tab: 15: 18: Dentales striis crassioribus prae- ditis. Mont: Com: Ins: Scien. Bon; To« 2: par- 2: Fig: 9. 19; Dentales subtilissime striati. Mont: Com: Ins; Scien: Bon: To: 2: par: 2: Fig: 6: Fissurella italica Defr. Il più grande esemplare tra tutti i minutissimi fossili della Tabella. Ditrupa incurva Ben. 2 esemplari. Ditrupa incurva Ben. 5 esemplari. Ditrupa incurva Ben. 4 esemplari. Dentalium sexangulum L. 6 esempi. Dentalium fossile L. 4 esemplari. 494 P. E. TINASSA DE REGNY 20: Tubuli marini regulariter intorti, qui Alcyonium petrosum. Mere: Mettal: 110: 21: Tubuli marini irregulariter intorti vermmulares minimi compressi yo- lutarum comissuris Porcellanae ri- mam referentes. Gval: Ind: Tab: 10: S. 22: Tubuli cilindrici laevissimi recta fere estensi. Allio:Oryc: 50: N°: 10: 23: Nux marina minor umbilicata ore aliquantulum patulo. Gval: Ind: Tab: ] 2: G. 24: Porcellana toracica. Gvalt. Ind: Tab: 14: 1: Vermetus intortus Lmk. 6 piccoli esemplari. Miliolina Ferussaci? d’Orb. [Forna- sini]. Manca. Manca. Miliolina seminulum L. [Fornasini]. Ad Polythalamia. 25: Numulariae minimae. Spad: Cat: 50:, quarum prima internam ho- stendit structuram. 26: Nautilus minimus serra distinctus. Gualt: Ind: Tab: 19: D., in quo- rum primo intima patet structura ex 134: Thalamis constans. 27: Nautilus minimus costa acutissima marginata etc: Gualt: Ind: Tab: 19: A., in quorum primo intima patet structura ex 150: Thalamis constans. 28: Nautilus, qui Cochlea. Eumph: Thes: Tab: 60; E., in quorum pri- mo intima patet structura ex 14: Thalamis constans 29: Nautilus valde depressus umbilico carens, et plerumque marginatum. Jan: Pia: de Conc: Tab: 1: Fig: 4: in quorum primo intima patet stru- ctura ex 18; Thalamis constans. 30: Nautilus umbilico prominente, et plerumque marginatum. Jan: Pia: de Conc: Tab: 1: Fig: 3: in quo- rum primo intima patet structura ex 24: Thalamis constans. 31: Cornu Ammonis minimum. Com; Orbitoiies papyracea Boub. Amphistegina hauerina? d’Orb. QFor- nasini]. Polystomella crispa L. 4 esemplari. []Foniasini|]. Polystomella crispa L. sp. 7 esempi. [Fornasini]. Cristellaria cultrala Monti sp. 4 es. [Fornasini]. Cristellaria cassis F. et M. 6 esempi. [Fornasini]. Cristellaria calcar L. 4 esemplari. Cristellaria cultrata Monti 1 esempi. [Focnasini]. Rotalia Beccarii L. 12 esemplari. I FOSSILI DELLA il TABELLA ORYCTOGRAPHICA 495 Ins: Scie: Bon: To: 1: 66:, in quo- rum primo intima patet structura ex 36 Thalamis constans. 32: Orthoceras minimum Thalamis ci- lindricis lentissime decrescens si- phonem Axi concentricum. Gvalt: Ind: Tab: 19: E. S. 33: Orthoceras minimum siphunculo axem transeunte lente decrescens. Ovai: In: Tab: 19: H. 34: Orthoceras quod cornu Ammonis erectum laevissimum siliquam Ea- diculae perfectissime refereus. Jan: Pia: de Conc: 14: Tab: 1: Fig: 5: 35: Orthoceras minimum siphunculo ad peripheriam posilo. Gvalt: Ind: Tab: 19: P. Q. 36: Orthoceras siphunculo Axem tran- seunte subito decrescens. Gvalt: Ind: Tab: 19: L. M. Polystomella crispa L. 1 esemplare. [^Fornasini]. Dentalina anulata Eeuss. 2 esempi. [[Fornasini]. Dentalina anulata Eeuss. 2 esempi. [[FornasiniJ. Manca. Nodosaria raphanistrum L. 1 esempi. Marginulina costata Batsch. 7 esempi. [^Fornasini], Nodosaria raphanus L. 1 es. Nodosaria raphanistrum, L. 4 esempi. Marginulina costata Batsch. 1 esempi. I^Fornasini^. Ad Univaltìia turbinata. 37: Cochlea conoidea, quae strombites. Merca: Mettal: 303: 38: Cochlea cassidiformis umhilicata laevis. Gval: Ind: Tab: 39: F. 39: Bucinum quod Bucinites. List: de Co: Ang: 213: Tab: 7: N“: 15: 40: Bucinum parvum rostratum cana- liculatum et rugosum. Gvalt: Ind: Tab: 44: F. 41: Bucinum majus canaliculatum ro- stratum ore simplici rugoso. Allio: Oryc: 62: N°: 6: 42: Bucinum majus canaliculatum ro- stratum ore labioso crassum striis, et plicaturis sive costulis eminen- tibus rugosum etc. Allio: Oryc: 62: N°: 1: 43: Bucinum majus canaliculatum et sulcatum striatum costulis aequa- liter divisum. Allio: Ory: 63: 44: Bucinum parvum sulcatum cana- Gonus antediluvianus Brug. Ringicula buccinea Brcch. Nassa semistriata Brcch. 8 esemplari. Nassa costulata Brcch. 8 esemplari. Columbella nassoides Bell. 2 esempi. Murcx imbricatus Brcch. 2 esempi. Nassa costulata Brcch. Un esemplare adulto e tre giovani. Nassa prismatica Brcch. 496 P. E. VINASSA DE REGNY liculatum et costulatum. Gvalt: Ind: Tab: 44: E. 45: Strombus caniluculo [sic) omnium longissimo, qui Fusus. Eumph: Tbes: Tab: 29: F. 46: Strombus sulcatus ore labioso mu- crone gradatim acuminato et pa- pillis oblongis signato. Gvalt: Ind: Tab: 54: D. 47: Strombus integer ore fimbriato laevis, qui Avris Midae. Ptumph: Tbes: Tab: 33: HH. 48: Strombus, qui Cornet de Mer. Trait: des Petri: Tab: 34: 222: 49: Strombus canaliculatus, et rugosus Scil: Van: Spe: Tab: 19. 50: Strombus rostratus rugosus. Trait; des Petri: Tab: Tab; 34: N”: 225: 51: Turbo integer vulgaris maximus densissime striatus. Allio; Oryc: 66: 5: 52: Turbo integer fimbriatus stiùatus striis veluti funiculis in acquali distantia dispositis, et super unius- cuisque volutae planum extanti- bus. Allio; Oryc; 68: ]SI°: 5: 53: Turbo apertus laevis. Allio: Oryc: 66: 7: 54: Turbo integer vulgaris minutissime striatus costa acuta eminente He- licis ferreae instar per medium amfractuum circumdatus. Allio; Oryc: 61: N“: 12: 55: Turbo apertus sulcatus in margine spirarum papilli.s aequidistantibus exasperatus. Allio; Ory: 66: 56: Turbo qui Terebellum. Eumph: Tbes: Tab: 50: S. 57: Turbo qui Strombites. List: de Conch: Angl: 216; Tab: 7: Fig: 12: Murex squamulatus Brcch. 5 esempi. Pleurotoma obtusangula Brcch. 1 es. Raphitoma attenuata Mtg. var. tenui- costa Brng. 1 esemplare. Raphitom clathrataSerr.? 2 esempi Tornatellaea lornatilis L. Pleurotoma turricula Brcch. Drillia sigmoidea Brnn. 8 esemplari. Pleurotoma cancellina Brcch. 8 es. Turritella tricarinata Brcch. 18 es. Scalarla lamellosa Brcch. 4 esempi. Turbonilla subumbilicata Grat sp. Turritella subangulata Brcch. var. spirata Brcch. 11 esemplari. Pleurotoma dimidiata Brcch. 4 es. Eulima subulata Don. sp. il primo es. Odontostomia plicata Mnt. gli altri 4. Il 1° e il 4“ esemplare sembrano ap- partenere alla Turbonilla costel- lata Grat. — Il 2° esemplare è una Chemnitzia, ma troppo mal conservata per darne una esatta determinazione. — 11 3“ e il 5'’ esemplare appartengono a l'urbo- nilla gracilis Brcch. I FOSSILI DELLA. « TABELLA ORYCTOGRAPHICA » ECO. 497 -58: Trochus qui Bucinitos. List: de Condì: Augi: 214: Tab: 7: fig: 11: •59: Trodius qui Codilitae. Baje: Oryc: Nor: 69: Tab: 3: Fig: 29: BO: Turbo laevis dictus. Mont: Cora: Ins: Scien: Bono: To: 2: par: 2: Fig: 4; 61: Cocblea marina depressa, quae Cochlitae. Baje: Oryc: Nor: 69: Tab: 3: Fig: 24: 62: Cocblea marina depressa laevis. Gvalt: Ind: Tab: 65: G. 63: Nerita. Eurapb: Tbes; Tab: 60: G. 64: Cocblea marina umbilicata laevis. Allio; Oryc: 59: N°: 4: 65: Cocblea lidium lapidera simulans. Kirk: Mus: N°: 164: 66: Cocblea marina umbilicata. Eumph: Tiies: Tab: 60: G 67: Nerita laevis. Mont: Com: Ins: Scien: Bono; To: 2: par: 2: 295: Fig: 3: 68: Cocblea marina umbilicata quae Lumacba- Scil: Van: Spec: Tab: 16: 69: Operculum testaceum ex una parte rectum ex altera subrotundum etc. Allio: Ory: 78: 70: Operculum quodCbelidonius. Mere. Mettal: 183: 71: Operculum, quod Umbilicus ma- rinus granulatus. Eumpb: Tbes: Tab: 20: D. Xenophora crispa Bon, Frammento indeterminabile. Pyramidellaplicosa'Bmmi. 17 esempi. Flelix sp. Frammento di una Helix proveniente certamente dall’ero- sione di strati recentissimi. Rotalia orbicularis d’ Orb. 2 esempi. [Fornasini]. Frammento indeterminabile. Natica millepunctata L. 11 individui giovanissimi. Natica Joiephinia Bisso. 10 individui giovanissimi. Natica cfr. millepunctata. 3 individui troppo piccoli per potersi ban de- terminare. Natica helicina Brccb. 2 esemplari assai ben rispondenti. Natica Josephinia Bisso. 13 individui giovanissimi. Quattro opercoli di Natica. Sei opercoli di Ciclostoma. Anche que- sti provenienti da strati recenti, come T Helix N° 61. Frammenti di Otoliti (?) Ad Bivalvia. Tl'. Cbama aequilatera laevis, quae Testala. Baje: Oryc: Nor: 75: Tab: 4: Fig: 10: 73: Cbama aequilatera striis transver- salibus donata, quae Cochlitae. Baje: Oryc: Tab: 4: Fig: 1: 74: Cbama valvis aequalibus inaequi- latera, quae Conchites. List: de Conch: Ang: Tab: 8: fig: 34. Corbula gibba Olivi. 5 esemplari pic- coli. Corbula gibba Olivi. 6 esemplari con forte striatura. Corbula gibba Olivi. 6 esemplari. 32 498 P. E- TINASSA. DE REGNY 7o; Telina, quae Testala ad mitulos Tel ad Pholades spectans. Baje: Oryc: Nor; Tab: 4: Fig: 4: 76: Telina aequilatera triangularis gib- bosa. Gvalt: Ind: Tab: 11: Q. 77: (Questo numero esiste nella T a- bella ed è accompagnato da un fossile : manca però nella spiega- zione). 78: Concha aequilatera, quae Conchi- tae. Baje: Oryc: Nor: 75: Tab: 4: Fig: 9: 79: Concha romboidalis. Trait. des Pe- tri: Tab: 24: N“: 146: 80: Concha inaequilatera striis folia- ceis eminentibus cristata. Gvalt: Ind: Tab: 88: D. 81: Terebratulae valva superior. Gvalt: Ind: Tab: 96: 82: Concola minima semen Milii per- fectissime referens. Jan: Pia: de Conc: 23: Tab: 3: fig: 2: 83: Pectunculus. Trai: des Petri: Tab: 29: N°: 176: 84: Conchites Ammonii valvae supe- riores. Baje: Oryc: Nor: 78: Tab: 5: Fig: 19. Leda minuta Brcch. Venus ? Esemplare mal conservato e mal determinabile. Limopsis anomala Math. 6 esemplari. Pectunculus pilosus Lin. Limopsis aurita Brcch. Manca. Venus multilamella Lam. Venus plicata Gmel. Un giovane in- dividuo. Ostrea sp. ind. Biloculina ringens {?)Foxn. 3 esempi. Frammento indeterminabile. Ostrea cfr. edulis L. 5 giovani indi- vidui mal determinabili. Ad Zoophyta. 85: Millepora poris contiguis subrotun- dis Diaphragmitibus transversa- libus. Allio: Oryc: 15: 86: Madrepora quae Caryophyllusmaxi- mus fossilis ex Agro Bono: Scheu: Que: Tab: 5: 87: 88: Madrepora orbicularis asteri- formis eleganter cancellata. Nob: Com: Ins: Scien: Bono: To: 4: pag: 50: Fig: 1: A. B. C. D. 89: Madrepora orbicularis leviter ra- diata etc. Nob: Com: Ins: Scien: Bono: To: 4: 50: Fig: 2: A. B. C. 90: Madrepora complanata Escarae fra- gmentum referens. Nob: Com: Ins: Scie: Bo: To: 4: Fig: 4: Cellepora sp. ind. [Neviani]. Ceratotrochus sp. Troppo mal conser- vato per darne una determinazione. Cupularia umbellata Defr. [C. inter- media Micht.) [Neviani]. Cupularia canariensis Bk. [Neviani]. Memhranipora reticulum Linn. [Ne- viani]. I FOSSILI DELLA « TABELLA ORYCTOGRAPHICA » ECO. 499 91: Madrepora teres Litophyti frustum referens. Nob: Com: Ins: Scie: Bono; To: 4: 57: Fig: 5: 92. Madrepora crebris cellulis alter- natim dispositis praedita. Nob: Com: Inst: Scie: Bo: To; 4: Pig: 6: Escharoides monilifera M. Edw. ; En- talophora proboscidea M. Edw. ; Porina borealis Bk. [Neviani], Porina (Escliara) columnaris Manz. [Neviani]. Nunc describenda. 93: Dentalis laevissimus incurvus la- tiorem versus extremitatem anu- lari intumescentia praeditus. 94: Dentalis laevissimus incurvus la- tiorem versus extremitatem bis anulari intumescentia praeditus. 96: Nautilus minimus umbilicatus co- sta acutissima marginata profunde ac uteque serrata. 97: Aramonia minima in Trochi for- mam convoluta. 98; Orthoceras rectum exque conti- nuatis costulis, et sulcis praeditum vix lente decrescens. 99: Bucinum parvum curvirostrum co- stulatum, et insignite!' muricatum oblique. 100 101 102 103 Alias forte exponenda. Ditrupa incurva Een. 6 esemplari. Ditrupa incurva Ben. 7 esemplari. Gristellaria calcar L. 3 esemplari. [^Fornasini]. PulvinuLina Scbreibersi d’ Orb. 4 es. [[Fornasini]]. Eodosaria raphanistrum Lin. 7 es. [Fornasini]. Manca. Manca. Fondicularia complanata Defr. 3 es. Miliolina seminulum Lin. 6 es. Orbitoides stellata d’Arch. [Fornasini]. forme indicate dal Bassi si dispon- Kiassumendo quindi, le gono nel modo seguente: Biloculina ringens Lam. Miliolina seminulum L. M. Eerussaci'i d’Orb. Nodosaria raphanus L. N. raphanistrum L. Dentalina elegans d’Orb. D. anulata Reuss. Erondicularia complanata Defr. Marginulina costata Batsch. Gristellaria cultrata Mtf. sp. Gr. cassis F. et M. Gr. calcar L. Pectunculus pilosus L. Venus multilamella Lam. V. plicata Gmel. V. (?) sp. Eissurella italica Defr. Scalaria lamellosa Brccli. Turritella tricarinata Brcch. T. subangulata var. spirata Brcch. Vermetus intortus Lmk. Xenophora crispa Bon. Natica millepunctata L. I FOSSILI DELLA “ TABELLA ORYCTOGR. >i ECO. 500 P. E. VINASSA DE REGNY, Pulvinulina Schreibersi d’Orb. Rotalia Beccarli L. R. orbicularis d’Orb. Poly stornella crisma L. Amphistegina hauerina? d’Orb. Orbitoides papyracea Boub. Or. stellata d’Arch. Ceratotrochus sp. Cidaris sp. C. limaria Brnn. C. signata Sism. E ‘hinocgamus pusillus Spatangide ? Membranipora reticulum Lin. sp. Escharoides monilifera M. Edw. sp. Porina borealis Bk. sp. P. columnaris Manz. sp. Cupularia umbellata Defr. C- canariensis Bk. Cellepora sp. Entalophora proboscidea M. Edw. sp. Ditrupa incurva Ben. Ostrea eduìis L. 0. sp. Corbula gilba Olivi Leda minuta Brccli. Limopsis aurita Brcch. L. anomala Math. N. Josephinia Bisso N. helicina Brcch. Eulima subulata Don. Odontostomia plicata Mnt. Pyramidella plicosa Bromi Chemnitzia sp. Turbonilla suhumbilicata Grat. sp. T. costellata Grat. T. gracilis Brcch. Nassa sernistriata Brcch. iV. coslulata Brcch. N. prismatica Brcch. Columbella nassoid.es Bell. Murex squamulatus Brcch. M. imbricatus Brcch, Pleurotoma obtusangula Brcch. P. turricula Brcch. P. cane eliina Brcch. P. dimidiata Brcch. Rapkitoma attenuata Mtg. var. tenui- costa Brug. R. clathrata Serr. (?) Drillia sigmoidea Brnn. Conus antediluvianus Brug. Tornatellaea tornatilis L. Ringicula buccinea Brcch. Dentalium sexangulum L D. fossile L. D. triquetrum Brcch. Crustacea (chele e zampe) Pisces (otoliti). Come risulta dall’ elenco soprariportato si vede che erano assai numerose le forme raccolte dal Bassi ; anzi alcune forme di mi- nuti molluschi non furono per anco citate del Bolognese; altre poi sono forme assai rare nella regione, tanto che danno fondata spe- ranza di rinvenire nuove località fossilifere importanti per la geo- logia del terziario bolognese. Bologna, B. Istituto geologico diretto dal Sen. G. Capellini. Ottobre 1899. SUI RECENTI SCAVI PER IL NUOVO PONTE SUL TEVERE A RIPETTA IN ROMA Comunicazione cTeH’ing. Ejjrico Clerici Essendo incominciati i lavori per la costruzione del ponte in muratura sul Tevere a Ripetfca, che, ultimato, sostituirà quello in ferro costruttovi nel 1878, , ottenni dalla cortese direzione di poter seguire l’ andamento delle escavazioni per le quattro pile, che ven- nero elfettuate col noto sistema dei cassoni ad aria compressa ('). Queste escavazioni avevano per me un interesse particolare, perchè, oltre alla possibilità di fornirmi dati a conferma o comple- mento delle notizie geologiche pubblicate dal prof. Meli nel 1880 (^) per le fondazioni del ponte in ferro, posto pochi metri a monte del nuovo, mi avrebbero messo in grado di rintracciare quel ma- teriale torboso, che, avuto in piccolo saggio dal prof. Meli, mi servì pel mio studio intitolato : IlLustr azione della Flora rinvenuta nelle fondazioni del j:)onte in ferro sul Tevere a Ripetta (^) ; e quindi, operando sopra una maggiore quantità di materiale, v’era probabi- lità di accrescere l’elenco delle specie di piante racchiusevi o con- fermare con migliori esemplari quelle già riconosciutevi. Il suolo venne esplorato mediante sei trivellazioni: una pra- ticata al centro di ciascuna delle pile di destra e due sull’asse di ciascuna delle pile di sinistra. Dal prospetto, gentilmente co- (>) Ringrazio vivamente i chiar.“i ing. Capriati e ing. Fontana, nonché i signori Castellarini e Buratti per essersi interessati delle mie ricerche ed avermele agevolate. (2) Meli E., Sulla natura geologica dei terreni incontrati nelle fonda- zioni tubolari del nuovo ponte di ferro costruito sul Tevere a Ripetta e sulVUnio sinuatus Lamk. rinvenutovi. Mem. R. Acc. Lincei, classe di se. fis. mat. e nat. serie 3b voi. Vili. (®) Boll. Soc. Geol. It., voi. XI, 1883. 502 E. CLERICI municatomi, di questi sondaggi, rilevai che in corrispondenza della prima pila di destra non era stato incontrato alcun materiale tor- boso ; che nella seconda pila destra s’ incontrò sabbia torbosa per la potenza di m. 0,40 fra le quote — 10,82 e — 11,22; che in una delle trivellazioni fatte per la seconda pila sinistra si trova- rono m. 0,40 di argilla torbosa fra le quote — 17,22 e — 17,62; e che, finalmente, nella prima pila sinistra una trivellazione dette m. 4 di argilla torbosa fra le quote — 10,22 e — 14,22; e l’altra m. 2.90 pure di argilla torbosa fra le quote — 11,82 e — 14,72. La notevole differenza fra queste quote e quella di — 6,50 alla quale si rinvenne nel 1878 il materiale torboso da me illu- strato, mi fecero dubitare che non si trattasse di uno .stesso ma- teriale e supporre piuttosto che, dato lo scopo degli assaggi, lo strato torboso fosse passato inosservato oppure, che per una cagione qualsiasi, nel luogo degli assaggi, fosse mancante. Nella escavazione della prima pila di sinistra, che fu anche la prima ad esser fondata, non rinvenni alcun materiale torboso paragonabile a quello ricercato, benché in qualche punto la sabbia, ove era sottile od argillosa, contenesse in quantità minuti residui vegetali. Or dunque nel fondare la pila suddetta s’ incontrarono sabbie più 0 meno grossolane, che alla profondità di circa 18 metri dalla banchina (la quale trovasi a 6,78) cessano bruscamente, ed ivi incomincia una argilla bigia lignitifera che esalava in modo assai marcato l’odore caratteristico delle ligniti xiloidi. Essendo disceso nel cassone, ho potuto agevolmente esaminare il contatto fra la sabbia e l’ argilla e notare che la superficie ter- minale di questa s’ inclina simultaneamente verso valle e verso il filone del fiume. La sabbia alla detta profondità è alquanto grossolana e priva di quei resti di manufatti, come cocci, oggetti metallici, ecc., rinvenuti a minore profondità. La parte sottile della sabbia è costituita da granellini quar- zosi, da piromache varicolori, frammenti e cristalli di augite, di leucite vetrosa ben conservata, laminette di mica, magnetite, pez- zetti di sanidino : vi ho veduto anche qualche cristallo di melanite e di granato giallo. La parte grossolana è formata da ciottoletti di calcari, di pi- SUI RECENTI SCAVI PER IL NUOVO PONTE SUL TEVERE A RIPETTA, ECC. 503 romache, di roccie vulcaniche (lave, scorie, tufi), di pomici bianche, di pomici nere con cristalli di sanidino, di grumi e pezzi tubu- losi di incrostazioni calcaree. In questa sabbia sono relativamente frequenti i fossili, dei quali ho raccolto buon numero sul posto, essendo appositamente disceso nel cassone. Taluni di tali fossili, quelli appartenenti a specie marine, sono per lo più fortemente logorati e spesso ridotti a mozziconi, mentre gli altri, di specie continentali, malgrado la sottigliezza del guscio sono meglio conservati e non di rado hanno il lembo intatto. Le piccole valve di Unio però appaiono meno ben conservate perchè ridotte fragili e facilmente sfaldabili in lamine madreperlacee. Fra le specie marine prevalgono, Turritella subangulata Brocc., Gerithium vulgatum Brug., Potamides tricinctum Brocc. : vi ho rinvenuto anche : Nassa semistriata Brocc., N. cfr. italica May., Murex cfr. rudis Bors., Typhis fistulosus Brocc., Turritella tri- carinata Brocc., T. tornata Brocc., Vermetus intortus Lamie., Melanopsis nodosa Fér., Dentalium, Ostrea, Vola Jacohaea Lin., Arca diluvii Lamie., Pectunculus insubricus Brocc. (e in flatus), P. violacescens Lamk., Nucula sulcata Bronn, Candita cfr. pec- tinata Brocc., Cardium Lamarcki Reeve (= rusticum^ crassum, edule Auct.), Ghana grijphoides Lin., Venus ovata Penn., F. cfr. islandicoides Agass., Trigonella subtruncata Da Costa, Corbula gibba Olivi, Cladocora caespitosa Lin., Caryophyllia clavus Scacc. I fossili continentali sono: Limax sp., Hyalinia sp., Helix nemoralis Lin., Clausilia sp., Cionella acicula Muli., Lirrmaea stagnalis Lin., L. palustris Muli., Cyclostoma elegans, Muli., By- thinia tentaculata Lin., Valvata piscinalis Muli., Neritina flu- viatilis Lin., Unio romanus Big. La sottostante argilla bigia, è nettamente stratificata, contiene numerosi fusticelli, rami e tronchi d’ albero talvolta di grandi di- mensioni ; molte foglie ora sparse, ora in sottili fastelli, delle quali sto provando di ottenere preparazioni che mi permettano poi di farne delle fisiotipie. A differenza del materiale che mi servì per la illustrazione già citata, le filliti appartengono quasi esclusivamente al genere Salix. Vi si riscontrano per altro numerosi strobili di Alnus, al- quanti semi e pianticelle di muschi, presso a poco delle stesse 504 E. CLERICI specie già rinvenute nel materiale raccolto nel 1878, della cui de- terminazione si sta ora occupando il dott. Brizi. Queste argille, che sono state escavate per circa cinque metri, contengono numerosi molluschi specialmente d’ acqua dolce, ottima- mente conservati, cioè : Limnaea stagnalis Lin., L. palustris Milli., L. truncatula Milli., Valvaia jnscinalis V. cristata Milli., BytÀinia tentaculata Lin., 5. Bomieri Charp., Planorbis umhi- licatus Milli., PI. comjdanatus Lin. (= PI. fontanus Leigh.), Pupa antivertigo Drap., Velletia lacustris Lin., Pisidium sp. Xon vi ho trovato alcun mollusco marino. Intorno alla quota di — 14, tanto i molluschi che i resti ve- getali cominciano ad essere meno frequenti e questi ultimi, poco al disotto, cessano affatto. L’argilla si mantiene di colore bigio azzurrognolo, ma presenta grumi e nuclei marnolitici. I pochi fos- sili che contiene sono esclusivamente: Cyclostoma elegaus Milli., CaTychiuni minimum Milli., Planorbis sp. e qualche raro Pisidium. Lo scavo ebbe termine alla quota — 16,49 cioè alla profon- dità di m. 22,27 dal pelo di magra che è a -j- 5,78. Le altre pile sono state fondate a minore profondità come risulta dal seguente specchietto (Q. Pile di sinistra. Pile di destra. I. IL IL I. Quota più bassa del fondo del fiume 4-1,18 -1-3,69 -{-4,-1 -{-4.52 Quota del piano di fondazione — 16,49 — 15,28 — 13,12 — 7,70 Quota più bassa raggiunta dalla trivella — 17,10 — 25,72 14,02 12,72 Poiché r argilla lignitifera, per posizione, per facies, per con- tenuto di fossili e loro relativa frequenza, differisce dal materiale torboso che speravo di ritrovare, raddoppiai di attenzione nel se- guire le escavazioni per le altre pile. Ma la ricerca restò infrut- tuosa per la prima pila destra, poiché non vi s incontrarono che sabbie sciolte di variabile grossezza e qualche volta un po’ argil- (1) Tutte le quote si riferiscono allo 0 dell’ idrometro di Lipetta che sta m. 0,971 sul mare. La base della l'' pila sinistra e D destra misura m. 6,50 per m. 29,22; quella della 2^ sinistra e 2^ destra m. 6,00 per m. 28,72. La loro area è, in in cifra tonda, rispettivamente mq. 180 e mq. 164. SUI RECENTI SCAVI PER IL NUOVO PONTE SUL TEVERE A RIPETTA, ECC. 505 lose. Vi raccolsi molluschi marini e continentali come nella prima pila sinistra. Alla quota di circa — 4,20, la sabbia era grossolana, quasi ciottolosa, e vi raccolsi, oltre ai soliti fossili, dei cocci nera- stri, logorati, nella cui pasta abbondano cristalli di augite e che ricordano le ceramiche laziali. Questo letto ghiaioso, di rocce prevalentemente vulcaniche, riposa su sabbia giallognola sottile pure essa a materiali vulcanici, che continuò per tutto il rimanente dello scavo. I fossili marini in questa sabbia erano poco frequenti ed in generale di piccole dimen- sioni; abbondanti invece vi erano Bythinia tentaculata Lin., Val- vata piscinalis Muli, e Neritina fluviatilis Lin. Vi abbondavano pure resti vegetali consistenti in fusticelli e frammenti legnosi quasi disfatti, frutti di Fagus sylvatica Lin., cupole di Quercus, semi di Vitis vinifera Lin., e di qualche altra pianta. Le ricerche fatte durante l’escavazione per la seconda pila destra furono assai proficue, poiché oltre ad una abbondante rac- colta di molluschi a tutte le profondità, rinvenni finalmente, quasi esattamente alla quota — 6, il desiderato materiale torboso, la cui potenza valutai a m. 0,50. Esso è nettamente stratificato e com- preso fra un po’ di sabbia grigia, ancor essa alquanto ricca di resi- dui vegetali. Le foglie di Fagus sylvatica Lin. formano la parte principale della torba, unitamente a quelle, un poco meno frequenti, di Po- pulus alba Lin. e di Acer campestre Lin. Anche i muschi vi abbondano in grossi cespugli, specialmente di Nekera crispa Hedwig. Di molluschi non vi ho rinvenuto che un solo esemplare di An- cylus cfr. costulatus Kuster. Nella sabbia grossolana, fra le quote — 2,40 e — 3,98, rin- venni frequenti cocci fra i quali quelli nerastri di tipo laziale, come già avevo osservato per la prima pila destra, insieme a Stenogyra decollata Lin., Vnio sinuatus Lamk. ecc., Conus sp., Surcula dimidiata Brocc., Murex erinaceus Lin., M. brandaris Lin., M. cfr. craticulatus Brocc., Nassa reticulata Lin., N. integro- striata Coppi, Natica tigrina Defr., Bittium reticulatum Da Costa, Dentalium laevigatum Ponzi, D. cfr. elephantinum Lin., Pectunculus insubricus Brocc. (grandi valve), Pecten varius Linn., Cellepora sp., ecc. ecc., ed un dente fossile di piccolo ruminante. Al disotto del banco torboso, fino al rimanente dello scavo, si 506 E. CLERICI trovarono sabbie giallognole con frammenti legnosi disfatti, frutti di Fagus sijlvatica, Corylus avellana, Quercus, semi di Vitis vinifera; Hyalinia fulva Miill., Helix rotundata Miill.., H. ob- voluta Miill., H. nemoralis Lin. (00300 e 12355), Pupa hiplicata Micb., P. antivertigo Drap., Limnaea stagnalis Lin., Planorbis umbilicatus Miill,, Cyclostoma elegans Miill., Bythinia tentaculata Lin., Valvata piscinalis Miill., Neritina fluviatilis Lin. (e var.), Pisidium amnicum Miill,, Unio romanus Kig. ; pochi molluschi marini delle specie già citate oltre Ditrupa, Fissurella, Solarium Uramineum Gmel., Columbellaj Arca lactea Lin., Pecten opercu- laris Lin. L’ escavazione della seconda pila sinistra, che fu l’ ultima ad essere fondata, non dette luogo a particolari osservazioni. Degna per altro di menzione è la straordinaria quantità di rottami e di scarico, anche di grosse dimensioni, che non cominciarono a dimi- nuire che alla profondità di circa 6 m. dal fondo del fiume. Erano massi, frammenti e scaglie di tufi d’ ogni genere, di peperino, di travertino, di marmo statuario e di marmi policromi lavorati ; due grossi pezzi di colonne scanalate, un pezzo di cornicione con bel fregio a conchiglie, altro pezzo con capitello; intonaci a vivi co- lori; pezzi di grosse anfore e cocci d’ogni specie; qualche vetro. Frammezzo vi erano anche teschi, mandibole ed ossa di animali domestici (0, valve di Unio sinuatus Lamk., con traccia del le- gamento, Neritina fluviatili^, Pectunculus, Mitra cfr. fusifonnis Brocc. (un es. a — 0,13) ecc. Un barcone capovolto, incontrato a quota -l- 1,73, fu di mo- mentaneo ostacolo alla discesa del cassone e dovette essere demolito. Vi si rinvenne anche una sabbia grigia, più o meno argillosa, a foglie e muschi corrispondente alla torba della seconda pila destra. Le sabbie fino alla fondazione fornirono, con varia frequenza, i molluschi marini e continentali più volte citati, frutti di Fagus sylvatica, Corylus avellana e Quercus. Alla quota — 9,98 rac- colsi una valva di Corbicula ftuminalis Miill. Poiché in una delle trivellazioni fatte in corrispondenza di questa pila si era raggiunta la quota di — 25,72, m. 10,44 più (1) Si rinvennero anche teschi umani di cui ricuperai un pezzo. SUI RECENTI SCAVI PER IL NUOVO PONTE SUL TEVERE A RIPETTA, ECC. 507 profonda del piano di fondazione, non ho mancato di esaminare i saggi provenienti da questo intervallo. Alla quota — 17,92 ter- mina una sabbia grossolana a materiali vulcanici e molluschi ma- rini e continentali analoga alle altre escavate. Seguono poi m. 3,30 di argilla bigia; m. 1,00 di sabbia grigia; m. 2,00 di sabbia fina argillosa e finalmente m. 1,50 di argilla bigia un po’ sabbiosa. Fatti gli opportuni confronti e le dovute indagini microsco- piche, ritengo che neppure a così notevole profondità siano state raggiunte le argille plioceniche vaticane, le quali, come è ormai noto, esistono anche alla sinistra del Tevere, alle falde del Pincio presso la piazza di Spagna (^). Ora esporrò alcune conclusioni dedotte dalle osservazioni che ho compendiosamente riassunto. Per i fossili marini contenuti in tutte le sabbie, non ho che da ripetere la conclusione già adottata dal prof. Meli, cioè che essi provengono da anteriori formazioni marine, conclusione che ho so- stenuto replicatamente in altri scritti allo scopo di rendere asso- lutamente inammissibile l’ipotesi che i detti fossili abbiano vissuto sul posto e che le dette sabbie siansi deposte in acque salate Ho cercato di rendermi conto, nel modo il più esatto possi- bile, della distribuzione dei fossili di specie marine secondo la pro- fondità. Le bivalvi sono sempre a valve isolate. Le grosse specie, segnatamente delle bivalvi, stanno di regola dove le sabbie sono grossolane o ciottolose, indipendentemente dal loro livello. Nelle sabbie sottili sono più frequenti le piccole specie, i frammenti logorati ed i mozziconcini di univalvi. Le specie continentali, ad eccezione dell’ Unio sinuatus che per solito sta nelle sabbie grossolane ed abbonda negli strati supe- riori, stanno xm po’ da pertutto; ma, per essere di piccole dimen- (b Clerici E., Sulle argille plioceniche alla sinistra del Tevere nel- V interno di Roma. Boll. Soc. geol. It., voi. X, 1891. — Notizie intorno alla natura del suolo di Roma. Eend. E. Acc. Lincei, cl., se. fis., mat. e nat., voi. II, 1893. (2) Ho pure più volte rammentato che nelle odierne sabbie del Tevere si possono raccogliere numerosi fossili marini provenienti da anteriori forma- zioni plioceniche; aggiungo che recentemente ho fatto analoga raccolta nelle sabbie dell’ Arno, che entro Pisa vengono, quando siano lasciate in secco, estratte ed utilizzate per la preparazione delle malte. 508 E. CLERICI sioni, 0 leggiere, prevalgono nelle sabbie sottili e sono abbondan- tissime nelle sabbie giallognole più profonde delle pile di destra e nella seconda di sinistra. Per l’ aspetto si possono suddividere in due gruppi, fresche le ime; subfossili o fossili le altre. Nelle sabbie profonde sono soltanto di queste ultime. — Delle conchiglie marine che non fossero fossili bo veduto soltanto qualche esemplare di OUrea edulis Lin., Spondylus gaederojms Lin., Donax trunculus Lin., nei primi strati ove abbondavano gli scarichi. Una differente distribuzione delle specie marine a seconda della profondità, non credo che potrebbe esser ammessa, trascurando naturalmente qualche rara specie trovata in unico esemplare durante tutte le escavazioni : infatti Cardium Lamarckij Pectunculiis insu- bricus, Cerithium vulgatum, Potamides tricinctum, Turritella su- hangulata, per non nominare che le più ovvie, furono trovate conti- nuamente tanto sul fondo del fiume insieme agli scarichi odierni, quanto alla profondità di 10 m. dal pelo di magra insieme ai cocci di tipo laziale, quanto negli strati più profondi. I molluschi marini, al pari di quelli continentali, contengono nelle loro cavità la stessa sabbia che li include. Però, se questo è il caso più frequente, non mancano esemplari di fossili marini ai quali aderisce ancora parte della roccia che li includeva origi- nariamente. Così un esemplare di Chama gryphoides contiene una sabbia quarzosa giallognola tenacemente conglutinata da cemento calcareo. Un esemplare spatizzato di Pectunculus violacescens (= Arca Piomulea Brocc.) è tutto incrostato di sabbia, come se ne trovano a S. Onofrio. Alcuni esemplari di Aaomia, Pecien, Ostrea portano un po’ di sabbia grigia conglutinata e gremita di altri piccoli fossili come quella della Farnesina, per indicare un esempio qualunque. Le sabbie grossolane, anche quelle rinvenute alle maggiori pro- fondità, contengono ciottoli di tufi d’ogni specie, dall’ ordinario litoide, a quello pomiceo tipo Punta de’ Nasoni, a quello giallo tipo via Flaminia, a quello pur giallognolo a pisoliti reperibile, per nomi- nare una qualsiasi località, nella regione tra Veio e la via Fla- minia: perciò queste sabbie sono senza alcun dubbio posteriori all’ epoca di formazione di quei differenti tufi, sia che gli originari giacimenti stiano vicini, sia che trovinsi lontani. La posizione stratigrafica dei detti tufi è ormai stabilita ed SUI RECENTI SCAVI PER IL NUOVO PONTE SUL TEVERE A RIPETTA, ECC. 509 ovunque, nella campagna Eomana, si vada a studiarla, si consta- terà essersi essi formati posteriormente ai terreni tipicamente pliocenici, sui quali in più luoghi stanno a diretto contatto. Dunque le sabbie incontrate nelle fondazioni sono posteriori certamente al pliocene tipico. Nè del resto queste sabbie, facendo pure astrazione dai fossili, potrebbero confondersi con quelle del pliocene, bastando a distinguerle anche una superficiale conoscenza delle specie mineralogiche contenutevi. Queste conclusioni vengono anche rafforzate dal rinvenimento dell’ argilla lignitifera della quale ho parlato a proposito della prima pila sinistra. Che questa argilla lignitifera a molluschi continentali sia una formazione d’ acqua dolce e postpliocenica mi sembra più che evi- dente, e per dilungarmici aspetto che siano mosse obbiezioni. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XVIII Rendiconti. PAG. Consiglio direttivo per l’anno 1899 iii Elenco dei Presidenti succedutisi annualmente dalla fondazione della Società in poi iv Elenco dei soci per l’anno 1899 iv Elenco delle Società, ecc., che ricevono il Boll, in cambio ... xii Eesoconto dell’adunanza invernale tenuta dalla Società geologica in Pisa il 26 febbraio 1899 xv Soci defunti Nuovi soci XVI Omaggi pervenuti alla Società xvii Bilancio consuntivo della Società xvm Bilancio consuntivo dell’amministrazione del legato Molon. xix Bilancio preventivo della Società xix Bilancio preventivo dell’amministrazione del legato Molon. xx Comunicazioni scientifiche xxi Eesoconto dell’adunanza estiva tenuta dalla Società geologica italiana in Ascoli-Piceno nel settembre 1899 xxv Discorso del Presidente M. Canavari xxvi Discorso del Sindaco di Ascoli-Piceno xxxix Telegramma a S. E. il Ministro di Agricoltura .... xlii Nuovi Soci XLII Elenco dei cambi xliii Esposizione di Parigi 1900 xliv 512 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XVIII PAG. Regolamento della Società (approvazione) xliv Elezioni sociali Resoconto delle entrate e delle spese per l’anno 1899 . . lvi Bilancio consuntivo 1898 deH’amministrazione del legato Molon Lviii Stampa del Bollettino Comunicazioni scientifiche Elezioni sociali Comunicazioni scientifiche lui Elezioni sociali Discorso del Presidente lvi Appendice I: Relazione sulle escursioni nei dintorni di Ascoli-Piceno fatte dalla Società geologica italiana PII settembre 1899. (Con una tavola geologica), del socio Guido BoNARELLI . . . LVIII Appendice II: Comunicazioni scientifiche Lxviii Meli R. — Aggiunte libliografiche sulla Baritite e sulla Fluorite della Sardegna lxviii De Stefano G. — Rinvenimento di mammiferi fossili nel Quaternario di Morrocu presso Reggio-Calabria. lxx Cacciamali G. B. — Geologia delle colline circostanti a Brescia lxxi ViNASSA De Regny P. — Un nuovo pozzo artesiano nel Comune di Cascina lxxiv Appendice III: Omaggi piervenuti alla Società lxxvi Appendice IV: Regolamento generale lxxviii Regolamento per le pubblicazioni lxxxii Memorie. Fascicolo 1° (15 aprile 1899). PAG. De Stefano G. — Un nuovo lembo conchiglifero di Reggio Ca- labria ^ PoRTis A. — Avanzi di tragulidi oligocenici nelV Italia setten- trionale ^ ViNASSA de Regny P. E. — Studi geologici sulle roccie dell' Ap- pennino bolognese (Tav. I) INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XTIII 513 PAG. DE Angelis d’Ossat Gr. — Il gen. Heliolites nel Devoniano delle Alpi Carniche italiane . ' 35 Franco P. — Se il cono del Vesuvio esistesse prima del 79 . . 41 Peola P. — Florula messiniana di Montecastello d' Alessandria . 44 Nelli B. / fossili titonici del Monte ludica nella provincia di Catania (Tav. II) 52 de Angelis d’Ossat G. e Luzj F. — Altri fossili dello Schlier delle Marche 63 Fascicolo 2° (18 agosto 1899). Greco B. — Sulla presenza del dogger inferiore al Monte Fora- porta presso Lagonegro 65 Ugolini P. E. — Molluschi continentali fossili nella Terra Rossa Deryieux e. Foraminiferi terziarii del Piemonte -e specialmente sul gen. Polymorphina d'Orbigny 76 De Stefani F. — Come l'età dei graniti si debba determinare con criteri stratigrafici. (Tav. Ili, IV) 79 PoRTis A. — Una nuova specie di rinoceronti fossile in Italia? (Tav. V) 116 De Stefano G. — Appunti sopra alcuni lembi dei terreni post- terziari di Reggio Calabria 132 Airaghi C. — Echinidi del bacino della Bormida. (Tav. VI, VII). 140 Verri A. e de Angelis d’Ossat G. — Cenni sulla geologia di Taranto ...... 179 Nelli B. — Il raibl dei dintorni di Monte ludica. (Tav. Vili) . 211 Fascicolo 3“ (15 febbraio 1900). Peola P. — Flora messiniana di Guarene e dintorni .... 225 De Stefano G. — Gli strati a pinne di Morrocu. Nuovo lembo post- pliocenico di Reggio Calabria ivi Del Zanna P. — 7 laghi di S. Antonio in Provincia di Siena (^). 281 Ugolini E. — Sopra alcuni fossili dello Schlier del Monte Cedrone ( Umbria) 289 Taramelli T. — Di alcuni scoscendimenti nel Vicentino . . . 297 (1) Errata-corrige : Pag. 287, 2^ riga: quantità che; leggi: quantità d'acqua che. !) 288, data: 26 luglio 1889; leggi: 26 luglio 1899. r » ultima riga: luoghi; leggi: laghi. 514 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XVIII Gapeder G. — Sui fenomeni di erosione nei dintorni di Era e di Castellamonte {Piemonte) (Tav. IX) Del Zanna P. — / fenomeni carsici nel bacino dell'Elsa . . . Meli R. — Osservazioni sul Pecten (Macrochlamys) Ponzi! Meli e confronti con alcune forme di pectinidi che vi si collegano (i). Sacco Federico. — L' Appennino settentrionale — Parte IV ; L’ Appennino della Romagna Giura-Lias Cretaceo Eocene Zona prevalentemente marnoso-calcarea Zona prevalentemente marnoso-arenacea Bartoniano Oligocene Miocene Miopliocene . . . Pliocene .... Piacenziano Astiano . . . Villafranchiano Quaternario . . . Sahariano ^ Diluvium . \ Morenico . Terrazziano De Stefano G. — L'Elephas meridionalis ed il Rhinoceros Merki nel quaternario calabrese Baratta M. — Saggio dei materiali per una storia dei fenomeni sismici avvenuti in Italia, raccolti dal prof. Michele Stefano De Rossi Bettoni a. — Affioramenti “ Toarciani « delle Prealpi bresciane. PAG. 309 315 323 354 354 356 364 366 373 382 383 391 392 410 411 414 415 417 ivi 418 419 421 432 461 (1) Errata-corrige : Pag. 338, linea 15 delle note: tav. B, XLI ; leggi: tav. B, XLI). n 339, n 6 del testo: Wrigt-, leggi; JVright. » 344, n 18 delle note: Serpentinsander ; leggi: Serpentinsatiden. jj 344, » 22 delle note: miocènen; leggi; miocànen. n 349, n 4 del testo; A Capocolle; leggi: a Capo Colle, Nelle note a piedi delle pag. 343-344 è avvenuta una trasposizione tipo- gi-afica. Dopo la 1^ riga della nota in fondo della pag. 343, cioè dopo le parole : « I raggi nel P. simplex sarebbero solamente otto, n dovrebbe seguire ; « Ma De Alessandri ritiene che il P. simplex Michtti » ecc. fino al termine della nota, che trovasi stampata a piedi della seguente pag. 344 (dalla riga 8, all’ultima, 40). INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XVIII 515 PAG. Ugolini R. — Ap'pendice al Catalogo dei Molluschi fossili nel Bacino dell'Era . 467 T. Morena — Le formazioni eoceniche e mioceniche fiancheg- gianti il gruppo del Gatria nell' Appennino Centrale ... 471 Bonarelli G. — Alcune formazioni terziarie fossilifere del- l'Umbria 484 ViNASSA DE Regny P. E. — I fossUi della « Tabella oryetogra- phica n di Ferdinando Bassi, conservata nel R. Istituto geo- logico di Bologna 491 Gl, ERIGI E. — Sui recenti scavi per il nuovo ponte sul Tevere a Ripetta in Roma 501 BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Volumi finora pubblicati. Voi. 1 (1882) 2 fase. 260 pag. 4 tavole. » II (1883) 3 JI 314 JI 6 JI » III (1884) 2 JI 188 JI una tavola. » IV (1885) un voi. 528 JI 19 tav. e 3 earte geologiche a colori. V (1886) 3 fase. 516 JI 11 JI li VI (1887) 4 » 570 JI 18 e una carta geologica a colori. yt VII (1888) 3 » 430 JI 14 JI JI JI JI JI n VIir(1889) 3 JI 600 JI 3 JI JI JI JI JI •n IX (1890) 3 JI 826 JJ 25 n JI JI JJ JI n X (1891) 5 JI 1023 JI 21 » e 2 carte geologiche a colori. » XI (1892) 3 JI 702 JI 11 JI V XII (1893) 4 » 892 JI 7 JI n XIII (1894) 3 JI 317 JI 5 JI XIV (1895) 2 JI 324 JI 7 JI XV (1896) 5 JI 802 JI 17 JI ji XVI (1897) 2 JI 370 Jf 9 JI 9 XVII (1898) 3 JI CLII-275 pag, . e 4 tavole. Per l’acquisto dirigere lettere e vaglia all’ Economo cav. ing. Augusto Statuti Via Nazionale 114 (‘palano Capranica~Del Grillo). Roma. AVVISO I sig’nori Soci troveranno i Regola- menti della Società, pubblicati in questo fascicolo a pag. LXXVIII. Finito di stampare il 15 febbraio 1900 Il BoUetiino della Socleià Geologica Italiana si stampa in fascicoli trimestrali. Il Prendente responsabile Mario Carnevali. ' " . 2- v t im ^ i,- ■ -.tVcJ ■ ‘ a - -v: è' wm-:, ■^f- .V'. » .15 C ■ r-s- ; : ' ■’; '- ^s :'- -V !>- , ,-'•1 '. ■ .. - - - H ■ ■ ■;V> .f4'Vv ■ ••'•’ ^ 'MSfe •.. . ■; .-,? -'^ •' -• :■ .: \ A- / -'f'i j?‘-' : .■ V >vr ,, A'^.-r.-JS ... ?i ■■■ • y> ^ 'iv ■■-•' -■ ' '■ K.‘ . • ■ 'M.- fJ, .-' S- X'/jfpr • r'- •' •■/, II;?.'' • ■ ■ ,^r-. ’f;' • " ’ 5' '•' ■ -'. -.A y.