6oo Anno XIX. Fascicolo l.° (l.° e 2.° trimestre 1900). i BOLLETTINO DELLA i .... SOCIETÀ GEOLOGICA I ITALIANA Voi. XIX — 1900 ROMA TIPOGRAFIA DELLA PACE DI F. CUGGIANI Via della Pace N. 35 1900 BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Volumi finora pubblicati. Voi. T. (1882) 2 fase. 2G0 pag. 4 tavole. » ir. (1883) 3 » 314 » 6 » » in. (1884) 2 » 188 » 1 tavola. » IV. (1885) un voi. 528 » 19 tav. e 3 carte geologiche a colori. » V. (1880) 3 fase. 516 » 11 » » VI. (1887) 4 » 570 » 18 » c una carta geologica a colori. » VII. (1888) 3 » 430 » 14 » » » » » » Vili. (1889) 3 » 600 » 3 » » » » » » IX. (1890) 3 » 826 » 25 » » » » » » X. (1891) 5 » 1023 » 21 » e 2 carte geologiche a colori. » XI. (1892) 3 » 702 » 11 » » XII. (1893) 4 » 892 » 7 » » XIII. (1894) 3 » 317 » 5 » » XIV. (1895) 2 » 324 » 7 » » XV. (1896) 5 » 802 » 17 » » XVI. (1897) 2 » 370 » 9 » » XVII. (1898) 3 » clii-2 lo pag. e 4 tavole. » XVIII. (1899) 3 » lxxv-515 pag., 9 tav. e una carta geol. a colori. Per l’acquisto dirigere lettere e vaglia all’ Economo Cav. Ing. Augusto Statuti, Via Nazionale 114 (palazzo Capranica del Grillo). Roma. BOLLETTINO DELLA - SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. XIX — 1900 ROMA TIPOGRAFIA DELLA PACE DI F. CUGGIANI Via della Pace N. 35 1900 SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA MENTE ET MALLEO fondata in Bologna il 29 settembre 1881 Consiglio direttivo per l’ anno 1900 Presidente .... Yice-Presidente . Segretario Vice-Segretari . . . Tesoriere-Econom o Archivista Consiglieri Commissione per le pubblicazioni . . Commissione del bi- lancio Niccolò Pellati (Roma). 1900. Carlo Fabrizio Parona (Torino). 1900. Antonio Nevi ani (Roma). 1900 (incari- cato) h Gioacchino de Angelis d’Ossat (Roma). 1900. f Guido Bonarelli (Torino). 1900. Augusto Statuti (Roma). 1900-1902. Antonio Neviani (Roma). 1900-1902. Ulderico Botti (Reggio Cai.) Torquato Taramelli (Pavia). Vittorio Simonelli (Parma). Giuseppe Mercalli (Napoli). Carlo De Stefani (Firenze). Arturo Issel (Genova). . . . Alberto Fucini (Pisa) .... Pietro Zezi (Roma) Luigi di Rovasenda (Sciolze). Giuseppe de Lorenzo (Napoli). Vittorio Matteucci (Napoli). Romolo Meli (Roma) .... Il Presidente Il Segretario Il Tesoriere L’ Archivista Mario Cermenati 1 Romolo Ragnini > 1900. Antonio Verri 1 1898-900. 1899-901. 1900-902. ( prò tempore) ' Per voto del Consiglio direttivo, causa la rinuncia del dott. F. Millosevich, eletto nell'adunanza del settembre 1899. Sede della Società: Roma, Via S. Susanna, 1 A, presso il R. Ufficio geologico. IV ELENCO DEI PRESIDENTI. — SOCI PERPETUI. Elenco dei Presidenti succedutisi annualmente dalla fondazione della Società in poi. 1881-82. Giuseppe Meneghini 1883. Giovanni Capellini 1884. Antonio Stoppani 1885. Achille De Zigno 1886. Giovanni Capellini 1887. Igino Cocchi 1888. Giuseppe Scarabelli 1889. Giovanni Capellini 1890. TorquatoTaramelli 1891. Gaetano G. Gemellaro 1892. Giovanni Omboni 1893 Arturo Issel 1894. Giovanni Capellini 1895. lG[NO Cocchi 1896. Carlo De Stefani 1897. Dante Pantanelli 1898. Francesco Bassani 1899. Mario Canavari Elenco dei Soci per l’anno 1D00 Soci perpetui. 1. Quintino Sella (morto a Biella il 14 marzo 1884). Fu uno dei tre fondatori della Società, e venne, per il primo, annoverato tra i soci perpetui per deliberazione una- nime nell’adunanza generale tenutasi dalla Società il 14 set- tembre 1885 in Arezzo. 2. Francesco Molon (morto a Vicenza il i° marzo 1885). Fu consigliere della Società, alla quale legava con suo testamento la somma di Lire 25,000; venne iscritto fra i soci perpetui per deliberazione unanime nell'adunanza ge- nerale del 14 settembre 1885 in Arezzo. 3. Giuseppe Meneghini (morto a Pisa il 29 gennaio 1889). Per i suoi insigni meriti scientifici venne acclamato socio perpetuo nell'adunanza generale di Savona il 15 settem- bre 1887. 4. Felice Giordano (morto a Vallombrosa il 16 luglio 1892). Fu uno dei tre fondatori della Società, e venne iscritto tra i soci perpetui per deliberazione unanime nell'adunanza generale tenutasi a Taormina il 2 ottobre 1891. 5. Giovanni Capellini, senatore del Regno. È uno dei tre fon- datori della Società, e venne iscritto tra i soci perpetui per deliberazione unanime nella adunanza generale tenutasi in Taormina il 2 ottobre 1891. ELENCO DEI SOCI V Soci a vita. 1884. 1 Bargagli cav. Piero. Via de" Bardi, palazzo Tempi. Fi- renze. 1881. Bombicci prof. comm. Luigi. R. Università. Bologna. 1881. Cocchi prof. comm. Igino. Via de’ Pinti, 51. Firenze. 1881. Delaire ing. chev. Alexis. Boulevard St. Germain, 135. Paris. 1890. Dell’Oro comm. Luigi (di Giosuè). Via Silvio Pellico, 12. Milano. 1894. Ferraris ing. comm. Erminio , Direttore della miniera di Monteponi. Iglesias. 1881. Hughes prof. cav. Thomas Mac Kenny. University. Cambridge (Inghilterra/ 1890. Johnston-Lavis D r. Henry. Beaulieu (Alpes Maritimes). Francia. 1884. Levai ing. David. Rue de Printemps, 9. Paris. 1881. io Maltirolo ing. Ettore. R. Ufficio geologico. Roma. 1881. Mayer Eymar prof. Carlo. Scuola politecnica. Zurigo. 1881. Niccoli ing. comm. Enrico. Via dell’ Indipendenza, 54. Bologna. 1882. Paulucci marchesa Marianna. Villa Novoli. Firenze. 1895. Roselli ing. Emanuele. Via del Fosso, 1. Livorno. 1882. Silvani dott. Enrico. Via Garibaldi, 4. Bologna. 1886. Stephanescu prof. Gregorio. Università^ Bukarest (Ru- mania). 1882. 17 Turche ing. John. Ufficio dell’Acquedotto. Bologna. Soci ordinari. 1894. Aichino ing. Giovanni. R. Ufficio geologico. Roma. 1898. Airaghi dott. Carlo. Magenta (Ribecco sul Naviglio). 1899. Aldinio prof. Pasquale. R. Scuola normale. Lagonegro (Basilicata). 1891. Ambrosiani sac. dott. Michelangelo. Chignolo d’isola (Bergamo). 1892. Angelelli ing. Ettore. Via Bonella, 9. Roma. 1 Primo anno di associazione. VI ELENCO DEI SOCI 1899. Anseimo ing. Michele. Capo uff. distretto minerario. Carrara. 1886. Antonelli dott. don Giuseppe. Circo Agonale, 14. Palazzo Doria. Roma. 1898. Antonelli-Giordani Giuseppe. Corso, 307. Roma. 1896. Arcangeli prof. Giovanni. R. Orto botanico. Pisa. 1881. io Baldacci ing. cav. Luigi. R. Ufficio geologico. Roma. 1898. Balestra Andrea. Via Serraglio. Bassano (Veneto). 1890. Baratta dott. Mario. Voghera (Pavia). 1881. Bassani prof. cav. Francesco. R. Università. Napoli. 1883. Berti dott. Giovanni. Via S Stefano, 43. Bologna. 1897. Bettoni dott. Andrea. Piazza Museo, 6. Brescia. 1885. Biagi prof. Giuseppe. R. Scuola tecnica. Spezia. 1900. Bianchi prof. Aristide. R. Uiceo. Chieri (Piemonte). 1896. Bianchi avv. Giovanni Battista. Uungarno Regio, 7. Pisa. 1898. Biblioteca civica. Bergamo. 1896. 20 Bogino dott. Francesco. Villafranca (Piemonte). 1892. Bonarelli prof, conte Guido. Gubbio (Umbria). 1885. Bonetti prof, don Filippo. Via Uudovisi, 36. Roma. 1885. Borgnini ing. comm. Secondo. Direzione generale fer- rovie della Rete Adriatica. Firenze. 1897. Bortolotti prof. Emma. Viale Po, io. Roma. 1896. Bosco cap. dott. Camillo. Tribunale militare. Firenze. 1882. Botti avv. comm. Ulderigo. Reggio di Calabria. 1893. Botto Micca dott. prof. Luigi. R Scuola tecnica. Ven- timiglia. 1897. Brambilla prof, don Giovanni. Arciprete. Cingia dei Botti (Cremona). 1885. Brugnatelli dott. prof. Luigi. R. Università (Museo mi- neralogico). Pavia. 1884. 30 Bruno prof. cav. Carlo. R. Istituto tecnico. Mondovì. 1891. Bucca prof. Lorenzo. R. Università. Catania. 1889. Cacciamali prof. Giovanni Battista. R. Uiceo. Brescia. 1897. Caetani (dei principi) don Gelasio. Palazzo Caetani. Via Botteghe oscure. Roma. 1898. Caffi dott. sac. Enrico. Piazza Cavour, io. Bergamo. 1883. Canavari prof. Mario. R. Museo geologico. Pisa. 1881. Capacci ing. cav. Celso. Via Vaifonda, 7. Firenze. 1899. Capeder prof. Giuseppe. Museo geologico. Palazzo Ca- rignano. Torino. ELENCO DEI SOCI VII ] 892. 1892. 1883. 4O 1896. 1896. 1896. 1882. 189O. 1895. 1896. 1887. I9OO. 1882. 5O 1882. l886. 1883. 1886. 1899. 1895. 1895. 1881. 189O. 1895. 60 1900. 1882. 1895. 1885. I 896. 1900. 1898. Cappa ing. Umberto. R. Corpo Miniere. Nebida (Igle— sias). Carape^a ing. Enterico. R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri. Palermo. Cardinali prof. Federico. R. Istituto tecnico. Macerata, Carmignani ing. Giovanni. Pisa. Carniccio prof. Antonio. R. Università. Roma. Castoldi ing. Alberto, deputato al Parlamento. Diret- tore Miniere Montevecchio. Guspini (Sardegna). Cattaneo ing. comm. Roberto. Via Ospedale, 51. Torino. Cermenati dott. Mario. Via di Parione, 37. Roma. Cernili Irelli dott. Serafino. Teramo. Cettolini prof. cav. Sante. R. Scuola d’ enologia. Ca- gliari. Charlon ing. E. Rue Pierre Duprèt, 25. Marsiglia. Checchia Giuseppe. Museo geologico. R. Università. Roma. Chigi Zondadari march. Bonaventura , senatore del Re- gno. Siena. Ciofalo prof. Saverio. Termini Imerese (Palermo). Clerici ing. prof. Enrico. Via del Boccaccio, 21. Roma. Cocconi prof. comm. Girolamo. R. Università. Bologna. Colalè ing. Michele. Via dei Serragli, 13. Firenze. Colomba dott. Luigi. R. Museo Mineralogico. Palazzo Carignano. Torino. Conedera ing. Raimondo. Massa Marittima (Grosseto). Corsi ing. Arnaldo. Via Vaifonda, 34. Firenze. Cortese ing. Emilio. Rio marina (Elba). Corti dott. Benedetto. R. Collegio Rotondi. Gorla Mi- nore (Milano). Crema ing. Camillo. Via Baretti, 3. Torino. Dainelli dott. Giotto. Via La Marmora, 12. Firenze. D’ Achiardi prof. cav. Antonio. R. Università. Pisa. D’Achiardi dott. Giovanni. R. Museo mineralogico. Pisa. D'Ancona prof. cav. Cesare. R. Istituto superiore (Mu- seo geologico). Firenze. D'Ancona dott. Giuseppe. Piazza Savonarola, 2. Firenze. D’Anna ing. cav. Salvatore. Ufficio genio civile. Ci- vitavecchia. Dannenberg dott. Arturo , Prof, an der kgl. technische Hochschule. Aachen (Prussia renana). Vili ELENCO DEI SOCI 1883. De Amicis prof. Giovanni Angusto. R. Liceo Balbo. Ca- sale (Piemonte). 1893. De Alessandri dott. Giulio. Museo civico. Milano. 1891. 70 De Angelis d’ Ossat dott. Gioacchino. R. Università. Roma. 1893. Deecke prof. Wilhelm. Università. Greifswald (Prussia). 1881. De Ferrari cav. Paolo Emilio. Ing. capo del distretto minerario. Bologna. 1895. De Franchis dott. Filippo. Galatina (Lecce). 1883. De Gregorio Brunaccini dott. march. Antonio. Molo, 128. Palermo. 1886. Del Bene ing. Luigi. Miniera di Morgnano e S. Croce. Spoleto. 1881. Delgado cav. Joaquim Philippe Nery. Rua do Arco a Jesus, 11 9. Lisbona. 1886. Dell’ Erba ing. prof. Luigi. Via Trinità maggiore, 6. Napoli. 1892. De Lorenzo prof. Giuseppe. Museo mineralogico della R. Università. Napoli. 1899. Del Pia 7 dott. Giorgio. Museo geologico R. Università. Padova. 1881. 80 Del Prato dott. Alberto. R. Università. Parma. 1899. Del Zanna dott. Pietro. Poggibonsi (Siena). 1900. De Marchi Marco. Borgonuovo, 23. Milano. 1882. Demarchi ing. comm. Lamberto. Via Napoli, 65. Roma. 1895. De Pian ing. cav. Luigi. Laurium (Grecia). 1892. De Pretto dott. Olinto. Schio (Vicenza). 1890. Dervieux sac. Ermanno. Piazza Gran Madre di Dio, 14. Torino. 1881. De Stefani prof. Carlo. Piazza S. Marco, 2. Firenze. 1899. De Stefano dott. Giuseppe. Via Aschenz. Reggio Ca- labria. 1881. Dewalque prof. off. Gustave. Rue de la Paix, 17. Liège. 1883. 90 Di Rovasenda cav. Luigi. Sciolze (Torino). 1885. Di Stefano dott. cav. Giovanni. R. Ufficio geologico. Roma. 1896. Dompè ing. Luigi. Contrada Porti, 604. Palazzo Col- leoni. Vicenza. 1896. Fabani don Carlo. Valle di Morbegno (Sondrio). 1893. F abrini dott. prof. Emilio. Castelfiorentino (Firenze). ELENCO DEI SOCI IX 1898. Fatichi cav. not. Nemesio. Borgo Albizzi, 9, 30 p. Fi- renze. 1896. Fedeli prof. Cai'lo. R. Università. Pisa. 1900. Filippi dott. Domenico. Camerino (Marche). 1899. Fino Carlo. Via Savona, 50. Milano. 1894. Fino prof. Vincenzo. Via Arsenale, 33. Torino. 1897.100 Flores prof. Edoardo. R. Scuola normale femminile L. Bassi. Bologna. 1888. Foldi prof. cav. Giuseppe. Piazza Paleocapa, 2. Savona. 1881. Fornasini dott. cav. Carlo. Via Lame, 24. Bologna. 1892. Franchi ing. Secondo. R. Ufficio geologico. Roma. 1890. Franco prof. Pasquale. Corso Vittorio Emanuele, 138. Napoli. 1888. Frumento ing. Giuseppe. Via Genova, 4. Savona. 1890. Fucini dott. Alberto. R. Museo geologico. Pisa. 1898. Galdieri dott. Agostino. Via Stella, 94. Napoli. 1891. Galli prof. cav. D. Ignazio, direttore dell’Osservatorio fisico-meteorologico. Velletri. 1882. Gemmellaro prof. comm. Gaetano Giorgio. Senatore del Regno. R. Università. Palermo. 1895. no Giacomelli dott. Pietro. S. Giovanni Bianco (Bergamo). 1891. Gianotti dott. Giovanni. R. Scuola normale. Pavia. 1900. Gnocchi dott. Alessandro. Via Mazzini, 14. Pavia. 1887. Go^f ing. Giustiniano. Cesena. 1892. Greco dott. Benedetto. R. Liceo. Traili. 1885. Gualterio dott. march. Carlo. Bagnorea. 1899. Hassert dott. Kurt. Universitàt. Tubingen (Germania). 1881. Issel prof. comm. Arturo. Via Gropallo, 3. Genova. 1881. Jervis prof. cav. Guglielmo. Museo industriale. Torino. 1883. Lais sac. prof. Giuseppe. Via del Corallo, 12. Roma. 1889. 120 Lanino ing. comm. Giuseppe. Via Rizzoli, 4. Bologna. 1884. Lattes ing. comm. Oreste. Via Nazionale, 96. Roma. 1891. La Valle ing. prof. Giuseppe. R. Università. Messina. 1882. Levi bar. Adolfo Scander. Piazza d’Azeglio, 7. Firenze. 1896. Levi dott. Gustavo. Via Ginori, 34. Firenze. 1881. Lotti ing. Bernardino. R. Ufficio geologico. Roma. 1896. Lupi don Alessandro. Via dell’Anima, 30. Roma. 1895. T1147 dott. march. Gian Francesco. S. Severino (Mar- che). 1900. Maglio Carlo. Piazza Borromeo, 4. Pavia. 1882. Malagoli prof. Mario. R. Ginnasio. S. Remo. X ELENCO DEI SOCI 1900. 130 Malletìng. Jacques. 8 Grande rue Mi-Carème. St. Etien- ne (Francia). 1899. Manasse dott. Ernesto. Museo mineralogico, R. Univer- sità. Pisa. 1899. Maravelli dott. Giuseppe. Cagli (Pesaro). 1895. Marengo ing. Paolo. Direttore miniere Boccheggiano (Grosseto). 1886. Mariani prof. Ernesto. Museo civico. Milano. 1900. Mariani Giuditta. Corso V. Emanuele, 12. Pavia. 1899. Mariani dott. Mario. Camerino (Marche). 1894. Marinelli prof. Olinto. R. Istituto tecnico. Ancona. 1900. Martelli dott. Alessandro. Vinci (Firenze). 1896. Martone prof. Michele. R. Istituto tecnico. Messina. 1892. 140 Matteucci prof. Vittorio. Museo geologico della R. Uni- versità. Napoli. 1881. Ma\\uoli ing. comm. Lucio. Via S. Susanna, 9. Roma. 1881. Meli ing. prof. Romolo. Via del Teatro Valle, 51. Roma. 1883. Mercalli prof. sac. Giuseppe. R. Liceo Vittorio Ema- nuele. Napoli. 1899. Merciai Giuseppe. Via della Faggiola, 3. Pisa. 1890. Meschinelli dott. Luigi. Vicenza. 1895. Me\\ena ing. Elvino. Caltanisetta. 1897. Millosevich dott. Federico. R. Università. Roma. 1900. . Monti dott. Achille. Via Carlo Sacchi, 2. Pavia. 1899. Monticolo ing. Attilio. R. Uff. minerario. Carrara. 1895.150 Morandini ing. Bernardino. Massa Marittima (Gros- seto). 1895. Morena ing. Tobia. Cantiano (Pesaro). 1895. Moretti ing. Guido. Brembate di Sotto (Bergamo). 1889. Morini prof. Fausto. Orto botanico, R. Università. Bo- logna. 1887. Moschetti ing. Claudio. Ufficio d'Arte. Saluzzo. 1890. Namias dott. Isacco. R. Università (Museo geologico). Modena. 1897. Nelli dott. Bindo. Via Fra Bartolomeo, 17 p. p. Firenze. 1883. Neviani prof. Antonio. R. Liceo E. Q. Visconti. Roma. 1881. Nicolis (De) ing. cav. Enrico. Corte Quaranta. Verona. 1888. Novarese ing. Vittorio. R. Ufficio geologico. Roma. 1881. 160 Omboni prof. comm. Giovanni. R. Università. Padova. 1899. Pampaioni dott. Luigi. Via delle Caldaie, 3. Firenze. 1881. Pantanelli prof. cav. Dante. R. Università. Modena. ELENCO DEI SOCI XI 1881. Parona prof. Carlo Fabrizio. R. Museo geologico (Pa- lazzo Carignano). Torino. 1899. Pasquali cav. Alfred. Cairo (Egitto). 1892. Patroni dott. Carlo. Via Sacramento a Foria, Palazzo Schisa. Napoli. 1881. Pélagaud doct. Eliseo. 15, Quai de l’Archevèché. Lyon. 1881. Pellati ing. comm. Niccolò. Ispettorato delle Miniere. Via S. Susanna, 9. Roma. 1899. Pelloux ten. Alberto. Comando corpo d’armata. Roma. 1893. Peola dott. prof. Paolo. R. Liceo. Teramo. 1891. 170 Platania-Platania dott. prof. Gaetano. R. Liceo. Aci- Reale. 1899. Pompei ing. Augusto. R. Uff. minerario. Carrara. 1895. Porro ing. Cesare. Piazza Castello, 24. Milano. 1898. Portis prof. comm. Alessandro. R. Museo geologico universitario. Roma. 1883. Ragnini dott. Romolo. Capitano medico. Via Merulana, 130. Roma. 1899. Reichenbach ing. Arno. Scafa di S. Valentino (Chieti). 1900. Repossi Emilio. Via Pindemonte, 1. Milano. 1896. Ricciardelli dott. Mario. Sansevero (Foggia). 1886. Ricciardi prof. Leonardo. Preside del R. Istituto tec- nico. Palermo. 1894. Ridoni ing. Ercole. Miniera di Montecatini in Val di Cecina. 1885.180 Ristori dott. prof. Giuseppe. R. Museo paleontologico (Piazza S. Marco). Firenze. 1892. Riva dott. Carlo. Corso Magenta, 52. Milano. 1883. Riva Palaci tenente generale Giovanni , comandante la divisione. Ravenna. 1898. Roccati dott. Alessandro. R. Museo geologico (Palazzo Carignano). Torino. 1890. Roncalli dott. conte Alessandro. Bergamo (alta Città). 1893. Rossi dott. Guido. Via del Colosseo, 29. Roma. 1892. Rovereto march. Gaetano. Via Caffaro, 25. Genova. 1899. Roux ing. Alberto. R. Se. appi. Ing. Castello Valentino. Torino. 1892. Rusconi sac. Giuseppe. Valmadrera (provincia di Como). 1885. Sacco prof. Federico. R. Scuola applic. Ing. Castello Valentino. Torino. XII ELENCO DEI SOCI 1881. 190 Salmo] vaghi ing. prof. Francesco. Piazza Castello, 17. Milano. 1895. Salomon doct. Wilhelm. Landhausstr. 23 b. Heidelberg (Baden). 1898. Samengo avv. Frane. Saverio. Lungro (Cosenza). 1890. Scacchi ing. prof. Eugenio. Via Costantinopoli, 19. Na- poli. 1881. Scar abelli Gommi Flamini conte comm. Giuseppe. Se- natore del Regno. Imola. 1898. Schaffer doct. Frani. Rasumofskygasse n. 7. Vienna III 2 (Austria). 1885. Schneider ing. Aroldo. Montecatini in Val di Cecina. 1895. Scott Herbert. Usina Wigg. Miguel Burnier. Minas. Brasile. 1881. Segrè ing. Claudio. Direzione ferrovie merirlionali. An- cona. 1900. Seguen\a Lidgi fu Giuseppe. Messina. 1894. 200 Sella ing. Erminio. Biella. 1899. Serafini ing. cav. Giuseppe. Scheggia (Perugia). 1883. Simonelli dott. prof. Vittorio. R. Museo geologico. Parma. 1881. Simoni dott. Luigi. Via Cavaliera, 9. Bologna. 1882. Sormani ing. cav. Claudio. R. Ufficio geologico. Roma. 1882. Speiia prof. cav. Giorgio. R. Museo mineralogico (Pa- lazzo Carignano). Torino. 1896. Spirek ing. Vincenqo. Santa Fiora per il Siele (Grosseto). 1882. Statuti ing. cav. Augusto. Via Nazionale, 114. Roma. 1891. Stella ing. Augusto. R. Ufficio geologico. Roma. 1882. Struver prof. comm. Giovanni. R. Università. Roma. 1898.210 Tacconi dott. Emilio. R. Museo geologico, Università. Pavia. 1899. Taeggi-Piscicelli conte Carlo. Via Pier Capponi, 15. Firenze. 1896. Tagiuri Clemente Corrado. Via Roma, 34. Livorno. 1881. Taramelli prof. cav. Torquato. R. Università. Pavia. 1891. Taschero dott. Federico. Mondovì. 1883. Teliini dott. prof. Achille. R. Istituto tecnico. Udine. 1881. Tenore ing. prof. Gaetano. Via S. Gregorio Armeno, 41. Napoli. 1881. Tittoni avv. comm. Tommaso. Via Rasella, 155. Roma. 1889. Toldo dott. prof. Giovanni. Imola. 1881. Tommasi prof. Annibaie. R. Università. Pavia. ELENCO DELLE SOCIETÀ, ISTITUTI, BIBLIOTECHE, ECC. XIII 1898. 220 Tonini dott. Lorenzo. Presso l’agenzia agricola versi- liese. Seravezza Querceta. 1883. Toso ing. Pietro. Via de’ Serragli, 13. Firenze. 1890. Trabucco prof. Giacoìno. R. Istituto tecnico Galileo Galilei. Firenze. 1900. Traverso Gianbattista. Orto botanico. Pavia. 1882. Tuccimei prof. cav. Giuseppe. Via dei Prefetti, 46. Roma. 1896. Ugolini dott. Pietro Riccardo. R. Scuola tecnica. So- resina (Cremona). 1893. Upelli Guido. Piazza d’Azeglio, 26. Firenze. 1881. Ugelli prof. Gustavo. Via della Colonna, 9. Firenze. 1899. Vergè ing. Alessandro. Tocco Casauria (Chieti). 1882. Verri colonnello cav. Antonio. Via Aureliana, 53. Roma. 1898.230 Viglino ing. Alberto. R. Museo geologico (Palazzo Ca- rignano). Torino. 1893. Vinassa de Regny dott. Paolo Eugenio. Museo geolo- gico, R. Università. Bologna. 1882. Virgilio dott. Francesco. Stabilimento elettro-mecca- nico all’Arenaccia. Napoli. 1883. Zaccagna ing. cav. Domenico. R. Corpo delle Miniere. Carrara. 1881. 234 Zep ing. cav. Pietro. R. Ufficio geologico. Roma. Elenco delle Società, Istituti, Biblioteche, ecc. che ricevono il Bollettino in cambio. Italia. Catania. — Accademia (R.) Gioenia di sciente, lettere, ecc. Roma. — Accademia ( R .) dei Lincei. » — Comitato (R.) geologico. » — Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. » — Società geografica italiana. » — Società Ingegneri ed Architetti. Austria-Ungheria. Budapest. — Royal Institut géologique de Hongrie. Cracovia. — Académie des Sciences. XIV ELENCO DELLE SOCIETÀ, ISTITUTI, BIBLIOTECHE, ECC. Locse. — Maggyarorsggi Karpategyesulet. Wien. — K. k. geologiche Reichsanstalt. » — K. k. Naturhistorisches Hofmuseum. Belgio. Bruxelles. — Société Royale malacologique de Belgique. » — Société Belge de Géologie, de Paléontologie et d’Hydrologie. Liège — Société géologique de Belgique. Francia. Bordeaux. — Société Linnéenne. Paris. — Société de Spéléologie. » — Société géologique de France. Germania. Deutsche geologiche Gesellschaft. K. k. geologischen Landesanstalt una Berg- akademie. Naturhistorischen Verein d. preuss. Rhein- lande und Westfalens. Naturforschende Gesellschaft. Gran Brettagna. Dublino (Irlanda). — ■ Royal Dublin Society. Edinbourgh. — Geologie al Society {Journal and Transac- tions. London. — Geological Society. Portogallo. Lisbona. — Direction des Travaux géologiques. Rumenia. Bukarest. — Bureau géologique roumain. Berlin. — )) Bonn am Rhein. Freiburg (Baden). - ELENCO DELLE SOCIETÀ, ISTITUTI, BIBLIOTECHE, ECC. XV Russia. Novo-Alexandria (Lublin). — Annuaire gèologique et minéra- logique de la Russie. St. Pétersbourg. — Cornité gèologique. » — Société Imperiale minéralogique. » — Société des naturalistes. Svezia e Norvegia. Stockolm. — Geologiska Foreningens i Stockolm Fòrhanlingar. Upsala. — Université Rodale. Africa. Cape Town. — Geological Commission. Departement of Agri- colture Cape of Good Hope. America. Buenos-Ayres (Rep. Argentina). — Instituto geogràfico argentino. La Piata (id.). — Museo de la Piata. Baltimore (Maryland). — Geological Survey. Messico. — Instituto geològico de Mèxico. Montevideo (Uraguay). — - Museo Nacional de Montevideo. Montréal (Canadà). — Contributions to Canadian Palaeontology . Parà (Brasile). — Museu Paraense de Histoira Naturai et Ethno- graphia. Rochester (New-York). — Geological Society of America. Washington (U. S. A.). — Geological Society. » » — United States geological Survey. Wisconsin (U. S. A.). — University of Wisconsin. Asia. Calcutta. — Geological Society of India. Australia. Melbourne. — Geological Society of Australasian. » — Institute of mining Engineers of Australasian. Sydney. — Geological Survey of Nerv South Wales. RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE TENUTA IN ROMA IL 25 MARZO 1900 Presidenza: Pellati Niccolò. Nella Biblioteca del regio Ufficio geologico, gentilmente con- cessa, si tiene la prima adunanza generale della Società nel- l’anno 1900. Alle ore 10,30 il Presidente dichiara aperta la seduta. Sono presenti il comm. N. Pellati presidente, i consiglieri Meli e Zezi, il tesoriere Statuti, i soci Aichino, Baldacci, Cana- vari, Checchia, Clerici, De Angelis D’Ossat, Demarchi, Di Ste- fano, Franchi, Lattes, Lotti, Mattirolo, Millosevich, Novarese, Sormani, Tuccimei, Verri, e il segretario Neviani. Scusano l’assenza il prof. Parona vice-presidente, i consi- glieri Botti, De Lorenzo, Fucini, Issel, Matteucci, Taramelli, ed i soci: Arcangeli, Bassani, Carmignani, D'Achiardi A., D’A- chiardi G., De Amicis, Del Zanna, Flores, Fornasini, Merciai, Nicolis E., Peola, Scarabelli, Vinassa De Regna. Si dànno per letti i verbali delle adunanze tenute in Ascoli il 10 e 13 settembre 1899, e pubblicati nel terzo fascicolo del volume XVIII a pag. xxv-lviii. Il socio Aichino, ottenuta la parola, chiede spiegazioni sulla carta geologica pubblicata nel fase. 3° del voi. XVIII, che accom- pagna la relazione delle escursioni fatte dalla Società alla Mon- tagna dei fiori, ed eseguita dal socio Bonarelli, e specialmente se, dato il fatto indicato anche dall’autore a pag. lx della sua relazione, di aver cioè eseguito il rilevamento in soli quattro giorni, egli non si sia valso della carta rilevata dal signor Mo- derni dell’Ufficio geologico; carta che venne comunicata in occa- ii XVIII RESOCONTO DELL'ADUNANZA GENERALE sione delle predette adunanze della Società, al presidente di allora, prof. Canavari. Il socio Canavari risponde potere accertare che la carta da lui avuta dall'Ufficio geologico, e fatta dal Moderni, non fu veduta dal socio Bonarelli, il quale però doveva conoscerne 1’esistenza, in quanto che egli stesso ne tenne parola nel suo discorso inaugurale (pag. xxxvn). Il socio Canavari aggiunge poi che avendo ora la parola, coglie l’occasione per informare l’assemblea che nel settembre dello scorso anno gli giunse una lettera di un socio, nella quale si protestava per alcune parole, ritenute poco convenienti, stam- pate nella memoria di un altro dei nostri soci, e dirette ad un professore di geologia di Roma, ora defunto; per semplice di- menticanza non se ne tenne parola nelle adunanze di Ascoli: ripara ora, col comunicare all’assemblea detta protesta. Il socio Tuccimei dichiara essere lui l’autore della prote- sta, e fa sapere all’assemblea ehe la memoria nella quale si leggono parole come soverchieria, fraudolenta mistificazione, sia del socio Portis, ed inserita nel voi. XVIII del nostro Bollet- tino a pag. 126 e seg. ; e come dette parole sieno dirette al prof. Ponzi, defunto, fondatore del museo geologico della R. Uni- versità di Roma; il socio Tuccimei non può a meno di non pro- testare per le predette parole che suonano grave ingiuria alla memoria del prof. Ponzi, suo venerato maestro; e insiste per la inserzione in verbale della sua protesta. Il socio Meli si associa alla protesta del socio Tuccimei. Il socio Clerici aggiunge che, anche facendo astrazione dalla que- stione della forma, non trova giustificate le conclusioni dell’au- tore sulla provenienza del fossile di cui trattasi. Il socio De Angelis D’Ossat dichiara di non voler difendere il prof. Portis, non avendone mandato; ma pur lodando l'af- fetto che i soci Tuccimei, Meli e Clerici nutrono per il loro maestro Ponzi, crede che siano caduti in un vero equivoco. Xel testo infatti non è dato del mistificatore al Ponzi, ma il Ponzi è solo presentato come vittima dell'opera di mistificatori, ciò che è di gran lunga ben diverso. 11 socio Canavari aggiunge che difatti è ben difficile trovare un museo dove non esistano oggetti falsi o falsificati. TENUTA IN ROMA IL 25 MARZO 1900 XIX Chiuso F incidente, il Presidente mette a votazione i pre- detti verbali, che vengono approvati all’unanimità. Il Segretario comunica con dispiacere la morte del socio ing. marchese G. B. Gualterio di Bagnorea, avvenuta il 23 gen- naio di quest’anno; la commemorazione si farà, come di con- sueto, nella prossima adunanza estiva. Presentarono le dimissioni i soci : prof. N. Speranzini di Ar- cevia, per il 1900, avv. G. B. Bianchi di Pisa, e prof. Fr. Bo- gino di Villafranca, per il 1901. I soci Taramelli e Tomhasi propongono i seguenti nuovi soci : De Marchi Marco, Gnocchi dott. Alessandro, Maglio Carlo, Ma- riani Giuditta, Monti dott. Achille, Bepossi Emilio e Traverso G. Battista. I soci Demarchi Lamb. e Mattirolo propongono a socio il sig. ing. cav. Salvatore D'Anna di Civitavecchia. Ad unanimità vengono approvati. Essi, come di norma, saranno definitivamente inscritti quando si saranno conformati alle disposizioni del Begolamento. II Presidente ricorda le elezioni fatte nelle adunanze di Ascoli, e si compiace delle nomine a vice-presidente del prof. C. F. Pa- rona della E. Università di Torino, dei vari Consiglieri e del socio Statuti, al quale venne affidata la doppia carica di Te- soriere ed Economo; al socio Statuti, presente, rivolge un saluto speciale. Kammenta poi come un numero rilevante di soci eleggesse a segretario il dott. Milloseauch ; ma questi, riluttante da prima, rinunciò poscia definitivamente; si tenne perciò, il giorno 26 no- vembre, un’apposita adunanza di Consiglio, sotto la presidenza del prof. Canavari e, a proposta di vari consiglieri presenti al- l’adunanza e di altri che non potendo intervenire scrissero ap- positamente, fu pregato il segretario uscente, prof. Neviani, di voler ancora per un anno continuare nelle sue funzioni ; al che avendo il prof. Ne vi ani aderito, il Presidente crede ora d’inter- pretare i sentimenti dei soci presenti ed anche di quelli assenti porgendogliene, a nome di tutti, i più vivi ringraziamenti. XX RESOCONTO DELL'ADUNANZA GENERALE L’assemblea unanime approva e plaude alle parole del Pre- sidente. Il Presidente comunica poi che nell’adunanza del Consiglio, tenuta nella mattina, venne riconfermato a vice-segretario per il 1900 il socio G. De Angelis d'Ossat. e nominato a egual ca- rica per il 1900 il socio G. Bonarelli. Informa che, per mandato deH’assemblea riunitasi in Ascoli, la Presidenza fece le necessarie pratiche colla tipografia Sal- viucci per la rinnovazione del contratto, e che non essendosi trovato modo ad un accordo, si intavolarono trattative colla tipo- grafia Cuggiani; trattative che condussero a buoni risultati, come si rileva dal contratto stipulato, e del quale prega il Segretario di dar comunicazione. Il Segretario riferisce che, per la parte che riguarda ai soci, le nuove condizioni sono le seguenti: Le pagine di corpo 8 in più di V5 di pagina per le note, e di una pagina di testo per ogni foglio di stampa, saranno pagate in ragione di una lira ciascuna. Le tabelle in più di una per ogni tre fogli di stampa, coste- ranno L. 1,55 per pagina. Ciascun foglio di composizione dovrà essere stampato nel ter- mine di tre mesi dalla consegna delle prime bozze, detratto il tempo in cui esse bozze rimarranno presso la tipografia per le varie correzioni, trascorso il qual termine sarà corrisposto un compenso di L. 3,50 per mese e per foglio. I soci avranno una prima bozza in colonna, ed una seconda impaginata. Le correzioni straordinarie si pagheranno in ragione di una lira per pagina. Gli estratti per conto degli autori sono regolati dalla seguente tariffa : Per ogni 50 copie con copertina muta: per 1 foglio di stampa, L. 4; per % foglio, L. 2 ; per V4 di foglio, L. 1. Prezzo della copertina stampata sino a 100 copie L. 2,50. La Società paga la copertina stampata sino a 100 copie di estratti, solamente se la memoria raggiunge il foglio di stampa. TENUTA IN' ROMA IL 25 MARZO 1900 XXI Il Presidente rende ragione del ritardo nella pubblicazione del Bollettino, causato specialmente dalla mole di esso, ed anche dalla cessazione del contratto colla tipografia Salviucci ; giacché alcune memorie erano state bensì composte, ma erano destinate per il 1° fascicolo del voi. XIX. Circa l’Esposizione di Parigi, il Presidente ricorda all’as- semblea come, non essendo stata possibile l’effettuazione del pro- getto approvato nell’adunanza invernale di Pisa, la Società de- liberasse nell'adunanza tenuta lo scorso autunno in Ascoli di presentarsi colle proprie pubblicazioni, riunendo alla mostra anche vario materiale scientifico che poteva essere fornito da geologi ed istituti geologici italiani. Quanto alla Società, oltre alla serie del Bollettino (dieciotto volumi legati in mezza pergamena, come quelli che figurarono all’Esposizione di Torino), presenta anche una Storia (mano- scritta) della Società, redatta dal socio prof. Pantanelli, e cor- redata da molti quadri statistici compilati dal Segretario e dal Tesoriere, relativi al movimento dei soci, all’ufficio di presidenza, alle escursioni fatte, alle pubblicazioni, al movimento di cassa, allo stato patrimoniale, ed al premio Molon. Il Segretario poi compilò l’indice dei volumi XI-XVIII da far seguito a quello già stampato dei primi dieci volumi ; ed inoltre fece un indice generale di tutti i generi e specie nuove contenuti nei dieciotto volumi. Altri soci o cultori di geologia, inviarono: Bassani Francesco: l.° Saggi dei pesci fossili di Giffoni. 2.° Memoria illustrativa dei fossili stessi, avente per titolo: Ittiofauna della Dolomia principale di Giffoni. Botti Ulderigo : Il suo libro : Piani e sottopiani in Geologia (1 voi. in-8°) (*). Bucca Lorenzo: l.° Una serie di campioni di lave dell’Etna, divisa in tre gruppi : a) lave di formazione anteriore al cono attuale (14 campioni) ; b) lave preistoriche (9 camp.) ; c) lave (') Il volume del comm. Botti, e quelli della Palaeontographia Ita- lica del prof. Canavari figurano all' Esposizione indipendentemente dalla mostra collettiva della Società geologica, per regolare iscrizione, come Espositori, chiesta ed ottenuta dagli autori. XXII RESOCONTO DELL'ADUNANZA GENERALE storiche (7 camp.). 2° Sei grandi fotografie dell’eruzione dell’Etna del 1892. Canavari Mario: l.° Una collezione di 30 es. di Ostracodi siluriani della Sardegna. 2.° Cinque volumi della Palaeonto- graphia Italica (Yol. I-Y, in-4.° con tav.) ('). 3.° Diciasette vo- lumi di un Nomenclator a schedario nobile sistema Staderini di Cefalopodi e Brachiopodi raccolti in Italia. Capellini Giovanni: l.° Quattro modelli di Cvcadoidee. 2.° Una memoria illustrativa delle medesime. De Bosniaski Sigismondo: l.° Saggi di piante fossili del Yer- rucano italiano (127 es.). 2.° Saggi di Taunurus della creta e dell’eocene (15 es.). 3.° Album contenente disegni di 14 specie di Taunurus (Spirophyton) cretacei e terziari. De Stefani Carlo: Un volume contenente disegni, fotografie ed illustrazioni pubblicate in questi ultimi anni, sui vertebrati fossili del museo di Firenze. Issel Arturo: l.° Modelli di manufatti (43 es.) di mandibole umane (2 es.) e di ossa di animali (12 es.), provenienti dalle caverne della Liguria. 2.° Cinque modelli di antropoide del plio- cene di Savona. 3.° Modelli di fossili del pliocene ligure e del mio- cene dei bacini di Sassello e di Cadibona. 4.° Quattordici quadri contenenti piccoli manufatti neolitici, ittioliti liguri, carte e tavole manoscritte e stampate, relative alla geologia della Liguria. Omboni Giovanni: Tavole illustrative delle principali tarta- rughe fossili del gabinetto di geologia di Padova, con mono- grafia descrittiva del Dott. A. Negri. Pantanelli Dante: Un catalogo di circa 4000 esemplari di minerali e fossili, scritto di mano del Megerle, con lettera del medesimo in data 19 ottobre 1799. Sacco Federico: Un globo orogenico con relativo fascicolo avente per titolo: Essai sur l’orogénie de la Terre. Valmarana (Conte di) A.: Grande fotografia di un esemplare completo, alto oltre nove metri, di una Latanites Maximiliani dei depositi terziari di Chiavon. A Parigi la rappresentanza della Società venne affidata al nostro consocio ing. C. Crema, il quale, gentilmente accettando, si assunse l’incarico dell’ordinamento della mostra. (') V. nota a pag. precedente. TENUTA IN ROMA IL 25 MARZO 1900 XXIII Nell’occasione del Congresso Geologico Internazionale che si terrà a Parigi nel mese di agosto, la Società si farà inscriverò regolarmente, e la Presidenza si riserba di designare, a sno tempo, un rappresentante. Il Presidente informa l’assemblea delle pratiche fatte per una escursione geologica alle isole Eolie, toccando possibilmente anche la Sicilia. I soci De Angelis e Milloseyich ne furono i promotori, ed ottennero numerose adesioni dai colleghi della Società. Il Pre- sidente si diede premura presso S. E. il Ministro della Marina, per ottenere una nave onde trasportare gratuitamente i soci; e il Ministro, in seguito anche ai buoni uffici del socio senatore Capellini, concesse difatti l’«Eridano» per i giorni 7 a 17 di aprile, come già venne fatto conoscere ai soci con circolare del 24 corrente. La Presidenza si occuperà ora per la delegazione a presiedere la gita, per la formazione del programma parti- colareggiato, per la regolarità delle iscrizioni, e per tutte quelle modalità che valgono ad assicurare alla escursione il miglior risultato. II socio De Angelis anche a nome del collega Millosevich, iniziatori, e di tutti i soci, sicuro di esserne fedele interprete, porge un vivo ringraziamento al Presidente per avere così fe- licemente condotto a termine le pratiche per realizzare la gita alle Eolie: è dispiacente che le condizioni di salute del Presi- dente non gli permettano di prender parte alla escursione e di dirigerla egli stesso. L’assemblea applaude. Il Segretario presenta all’Assemblea le memorie pervenute in omaggio dal mese di ottobre 1899 a tutt’oggi: Bittner Alexander : Die Glaubwurdigheit des Herrn E. v. Mojsisovics von Munchen aus beleuchtet. Wien 1899. Clerici Enrico : Appunti per la geologia del Viterbese. Roma 19C0. LohestM.: Sur les progrès réalisés en geologie de 1874 en 1898. Liége 1899. Lohest M. et Forir H : Stratigraphie du Massif Cambrien de Stavelot. Liége 1899-900. Lohest M., Forir H., Dewalque G., Cornet J., Malaise C. : Les coguilles dv Limon. Liége 1899. XXIV RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE Nicolis Enrico: Triplice estensione glaciale ad oriente del Lago di Garda. Venezia 1899. — Terrazzi e formazioni diluviali in rapporto col bacino del Garda. Venezia 1900. Oddone Emilio: La misura relativa della gravità terrestre a IJavia. Milano 1899. — Due stazioni con misure assolute degli elementi del magnetismo ter- restre in Canavese nell’anno 1898. Torino 1899. — Determinazione degli elementi del magnetismo terrestre a Pavia nel 1898. Milano 1899. — Sulle registrazioni sismiche di periodo lento. Modena 1899. Rogers A. W. and Schivarz E. H. L. : Noteson thè recent Limestoneson pails of thè soutli and west coast of Cape colony. — Colonia del Capo 1898. Il Tesoriere presenta il consuntivo della Società e dell’Am- ministrazione del premio Molon per l’anno 1899, già approvati dal Consiglio. Essi bilanci verranno consegnati ai Commissari die oggi stesso si eleggeranno dalTAssemblea, e verranno sottoposti all’ap- provazione dell’Assemblea nell’adunanza estiva di quest’anno. I risultati di essi bilanci consuntivi sono: Bilancio consuntivo della Società. Entrate dal 1° gennaio al 31 dicembre 1899 L. 4 766,63 Spese » » » 4 014,05 Risparmio in L. 722,58 Cassa al 1° gennaio 1899 » 4 378,21 Eccedenza attiva al 1° gennaio 1900 L. 5 100,79 Bilancio consuntivo dell’amministrazione del legato Molon. Totale attivo al 31 dicembre 1899 L. 1 086,77 » passivo » » 32 — Eccedenza attiva disponibile al 1° gennaio 1900 .... L. 1 054,77 Si procede alla votazione per la elezione dei tre Commissari del Bilancio. Fungono da scrutatori i soci Checchia e Millo- sevich, i quali presentano i seguenti risultati: Votanti 21. — - Cermenati 19 voti, Verri 19, Bagnini 11, Aichino 7 : altri soci ebbero un sol voto. TENUTA IN ROMA IL 25 MARZO 1900 XXV Il Presidente dichiara eletti i soci Cermenati, Bagnini e Verri. Il Tesoriere presenta i bilanci preventivi per l’anno 1900 già approvati dal Consiglio. Bilancio preventivo della Società. Entrate. Spese. 1. Tasse sociali . . . L. 2 900 — 1. Stampa del Bollet- 2. Interessi legato Mo- tino L. 2 600 — lon » 340 — 2. Contribuzione per 3. Interessi rendita tavole .... 7> 500 — consolidata. . . » 444 — 3. Spese del Presi- 4. Interessi sn libretti dente » 50 — di risparmio . . » 200 — 4. Spese dell’ufficio del 5. Vendita bollettini . » 150 — Segretario e del Tesoriere . . . » 225 — 5. Spese di cancelleria, circolari, ecc. » 80 — 6. Tassa di manomorta 7. Rimborso spese » 27,52 viaggi al Segreta- rio e al Tesoriere. >> 200 — 8. Per un aiuto al Se- gretario e al Te- soriere .... » 130 — 9. Spese diverse even- tuali » 221,48 Totale entrate. L. 4 034 — Totale spese. . L. 4 034 — Bilancio preventivo dell’ amministrazione del legato Molon. Entrate. 1. Cassa al 1° gen- naio 1900 . . . L. 1054,77 2. Importo 2/3 di ren- dita » 680 — Totale. . . . L. 1734,77 Spese. 1. Tassa di manomorta L. 32 — 2. Avanzo a pareggio al 31 dee. 1900. » 1702,77 Totale. . . . L. 1 734,77 Senza discussione i suddetti due bilanci vengono approvati alla unanimità. XXVI RESOCONTO DELL’ADUNANZA OENEKALE Il Presidente chiede ai presenti se qualcuno ha da fare proposte circa il luogo ove tenersi la adunanza estiva di que- st'anno, aggiungendo che, al riguardo, non ne pervenne alcuna alla Presidenza. Nessuno dei presenti chiedendo la parola, il Presidente presenta una sua proposta, di tenere cioè la adunanza estiva ad Acqui. « Due anni or sono, egli dice, si tenne l’adunanza estiva in Basilicata, l’anno scorso fu tenuta nelle Marche; sarebbe quindi indicata per quest’anno la scelta d’una città dell'alta Italia, tanto più se presenti, come Acqui, il vantaggio di trovarsi a portata di chi si recherà all’Esposizione universale ed al Con- gresso geologico internazionale di Parigi. » La regione, della quale la città è centro, si presta ottima- mente allo studio dei vairii piani del terziario medio e supe- riore, i quali vi si trovano largamente e regolarmente rappre- sentati con abbondanti depositi di fossili caratteristici, discen- dendo senza interruzioni notevoli dalle alluvioni postplioceniche sino alla base dell’oligocene. Basteranno due giorni di comode escursioni per passare in rassegna dall’alto al basso i detti piani, dall’astiano al tongriano; completando in tal modo la sezione di cui la parte inferiore fu già esaminata in senso in- verso nell’occasione dell’adunanza di Savona, nella quale si risalì dai gneiss e micaschisti dell'arcaico, per il permo-carbo- nifero e le dolomie triasiche, sino alle arenarie e marne acqui- taniane dei dintorni di Sassello. > La città di Acqui ed i suoi dintorni immediati offrono an- che grande attrattiva per le famose sue terme ( aquae statiellae ) le quali daranno certamente luogo, per parte dei congressisti, ad interessanti osservazioni geo-idrologiche intorno alla loro origine ed al loro regime. » Per le escursioni da farsi, che potranno estendersi facol- tativamente all’alta valle dell’Orba e della Stura di Ovada, e particolarmente a quella del Corsente, ben nota per i singolari giacimenti di quarzo aurifero, e per le alluvioni aurifere che ne dipendono, sarà a suo tempo diramato un programma par- ticolareggiato. TENUTA IN ROMA IL 25 MARZO 1900 XXVII » Per ora basti sapere che Sindaco di Acqui è. da oltre qua- rantanni, S. E. Giuseppe Saracco, Presidente del Senato del Pegno e Cavaliere dell'Ordine supremo deH’Annunziata, al quale avendo io, sino dall’autunno dello scorso anno, parlato della possibilità della scelta di Acqui come sede del prossimo Congresso della nostra Società Geologica, Egli se ne mostrò lieto e si compiacque darmi l’assicurazione delle benevole sue disposizioni. Questo basta perchè possiamo contare sull’appoggio delle Autorità e della Cittadinanza aequese; la quale, a parte gli innati senti- menti di ospitalità e cortesia che la distinguono, serba a ra- gione per l’illustre suo capo, la più illimitata deferenza e il più sincero attaccamento. » Quanto alla data dell’adunanza, si stabilirà in modo che profittando della vantaggiosa scelta del luogo, possano interve- nirvi anche coloro che avessero preso parte al Congresso inter- naziouale di Parigi ». L’assemblea, plaudendo, approva la proposta del Presidente. Il Segretario presenta all’assemblea le memorie giunte alla presidenza per la inserzione nel Bollettino: Seguenza Luigi fu Giuseppe: Nuovo lembo del Lias inferiore nel Messi- nese (21 gennaio 1900). Portjs Alessandro: Osservazioni stratigrafiche a proposito di alcune lave delle vicinanze di Roma (24 febbraio 1900). Colomba Luigi : Ricerche microscopiche e chimiche sopra alcune quarziti di Oulx ( alta valle della Dora Riparia) e su alcune roccie associate (28 febbraio 1900). Fornasini Carlo: Le polimorfine e le uvigerine fossili d’Italia (19 mar- zo 1930). Peola Paolo: Flora tongriana di Pavone cl’ Alessandria (24 marzo 1900). Il 30 dicembre 1899 il socio Clerici presentò in busta chiusa una memoria dal titolo: Appunti per la geologia del Viterbese f ma questa venne ritirata dall’autore. Il segretario Ne vi ani presenta una propria memoria intito- lata: ) "Revisione generale dei briosoi fossili italiani: I. Idmonee (25 marzo 1900), e ne riassume il contenuto. 11 socio Verri presenta, anche a nome del socio De Angelis, un II contributo allo studio del miocene timbro. XXVIII RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE Il socio De Angelis presenta una memoria del socio Portjs dal titolo: Di una formazione stagnale presso la Basilica Ostiense di Doma e degli avanzi fossili di Vertebrati in essa rinvenuti. e ne parla brevemente facendo notare gli importanti risultati ottenuti in quel lavoro monografico. Il socio Di Stefano richiama l’attenzione della Società sopra una questione importante per la geologia siciliana, e cioè sul- l’Età degli schisti silicei della parte occidentale della Sicilia (vedi Appendice I). Il socio Clerici dà notizia delle ulteriori ricerche fatte sui resti vegetali da lui rinvenuti nei materiali estratti per le fon- dazioni del ponte Cavour in Roma, soffermandosi particolar- mente su talune specie di muschi o nuove o finora sconosciute per la flora alpina. Presenterà una seconda comunicazione a complemento di quella inserita nell’ultimo fascicolo del Bollet- tino testé pubblicato. Parla quindi della località di Bravetta presso Roma che forma oggetto di una apposita nota. Il socio Meli presenta alla Assemblea un singolare ittiolite metallizzato (Squalius cephalus) raccolto nel fondo del Lago di Bolsena. Si prendono accordi per le gite di domani e martedì a Ci- vitavecchia ed alla Tolfa. Alle ore 12,30 il Presidente toglie la seduta. lì Segretario incaricato A. Neviani. XXIX APPENDICE. I. Sunto della comunicazione del socio Dottor Giov. Di-Stefano: Sull’età degli scisti silicei della parte occidentale della Sicilia. Il prof. 0. Marinelli in nna Nota intitolata: Osservazioni geo- logiche sopra i terreni secondari del gruppo del M. Judica in Sicilia (Bend. d. E. Acc. dei Lincei, s. 5\ voi. Vili, 1899) scrive che, avendo fatte alcune osservazioni geologiche nei dintorni di Palermo, ne ha ricavata la convinzione che i caratteristici scisti silicei di Gibilrossa, ritenuti Lassici, debbano ritenersi equi- valenti ai calcari con Halohiae e che alla stessa conclusione si giungerebbe, studiando la posizione di molti degli scisti ana- loghi della Sicilia, pure attribuiti in generale al Lias, venendo in tal modo a stabilire una nuova analogia fra il Trias siciliano e quello della Basilicata. Il dott. Di-Stefano si meraviglia che il Marinelli non abbia tenuto conto degli studi del prof. Gem- mellaro sulla serie Massica di Sicilia e dei fatti esposti dal- l’ing. Baldacci nella sua Descrizione geologica dell’isola di Si- cilia, per mezzo dei quali è dimostrata in modo inconfutabile Fappartenenza alla parte inferiore del Lias superiore degli scisti silicei della parte occidentale della Sicilia. Il dott. Di-Stefano illustra le sezioni dei terreni secondari dei dintorni di Termini- Imerese, di Trabia, della Gannita sul fiume di Ficarazzi, di Ba- gheria, di Misilmeri, di Gibilrossa, del Parco (Palermo), di Benda (Monreale), di Piana dei Greci, di S. Cristina Gela, di Marineo e di Corleone, dalle quali risulta con la massima cer- tezza che gli scisti silicei stanno generalmente sui calcari a crinoidi con la fauna del Lias medio a facies di Hierlatz e sotto il Titonico. Presso Marineo però tra gli scisti e il Titonico c’è interposto il Dogger. In qualche caso, come sul M. Bosa- marina fra Trabia e Termini, al Piano della Stoppa presso Mi- silmeri, nei dintorni di Bagheria, di Piana dei Greci e di Ma- rineo gli scisti silicei trasgrediscono sul Trias, ma nelle stesse XXX APPENDICE regioni si mostrano anche sovrapposti ai soliti calcari a cri- noidi del Lias medio. Questi fatti escludono che gli scisti silicei con le marne e i calcari associati appartengano al Trias; ma c’è di più. Il prof. Gemmellaro nel suo noto lavoro Sugli strati con Leptaena nel Lias superiore di Sicilia, 1886, tanto impor- tante per la geologia italiana, ha dimostrato che gli scisti si- licei contengono a Termini-Imerese e a Trabia la piccola ele- gante fauna degli « Strati con Leptaena » che a Taormina, nel S. 0. dell’ Inghilterra, nella Normandia, nel Wùrtemberg e nel Portogallo stanno alla base del Lias superiore. È dunque dolo- roso, nota il Di-Stefano, che sulla fuggevole osservazione di una sezione non dubbia (Gibilrossa), si voglia far diventare contro- verso quello che è certo e che è stato provato con tanti anni di studi severi. Il dott. Di-Stefano ritornerà assai prossimamente e con mag- giore sviluppo sulla questione dell'età degli scisti silicei. Per quanto riguarda quelli del gruppo del M. Judica (Catania) egli non si pronunzia in modo definitivo, dovendo fra breve visitare i luoghi. II. Relazione delle gite fatte a Civitavecchia ed alla Tolfa nei giorni 26 e 27 marzo 1900. Q) Nella mattina del 26, la pioggia, che incessantemente cadde tutta la notte, impedì che alla stazione si trovassero tutti coloro che avevano dichiarato di prender parte alle gite secondo il programma prestabilito (2). Eravamo in sei solamente : Clerici, C) L’ Ing. Mattirolo scrisse pure una breve relazione di queste gite che venne pubblicata nel X. 11, aprile, della Rassegna Mineraria. (2) Era stato preventivamente distribuito ai soci il seguente pro- gramma : Lunedì 26 marzo : Ore 7,40. Partenza da Roma. — Ore 9,4. Arrivo a Civitavecchia. — Visita allo Stabilimento e Cave delle Calci e Ce- menti. — Id. alle Cave di Arenaria del Marangone. — Ore 13. Cola- GITE A CIVITAVECCHIA ED ALLA TOLFA XXXI Demarchi, Franchi, Lotti, Mattirolo, Neviani; il collega Sta- tuti ci aveva preceduti. Tenemmo un breve Consiglio, e decidemmo di partire. La pioggia ci concesse tregua per tutta la gita, quasi a ricompensa della nostra risoluzione. Giunti a Civitavecchia, trovammo alla stazione il socio Statuti, e con lui il sig. L. Brandt, direttore della Société des Aluns romains; il cav. iug. S. D'Anna, che avemmo il piacere di an- noverare fra i nostri soci ; il sig. Lazzeri, impresario dei lavori del Porto ; ed i sigg. ing. De Mattei, direttore generale, ing. Musso, direttore locale, cav. Bosazza, rappresentante in Roma: della So- cietà Calce e Cementi di Casale e Civitavecchia. Il collega Lotti, invece di seguire il programma stabilito, preferì di visitare il campo metallifero della Tolta e, guidato dall’egregio avv. Praga, concessionario di quelle miniere, partì immediatamente a quella volta, per trovarsi il giorno di poi, con noi, alle Allumiere. Noi fummo subito invitati a salire su di un treno speciale di una ferrovia a scartamento ridotto (1 m.), che in quel giorno appunto si inaugurava, e dopo aver percorso circa km. 4 l/2 osservando tutti i lavori eseguiti per la nuova linea, e special- mente le trincee aperte in mezzo a terreni eocenici franaticci di calcare e di argille che tanto rammentano quelle scagliose dell’ Emilia, giungemmo alle cave dell’arenaria eocenica del Marangone, dove l’impresa Lazzari ha organizzato il lavoro di scavo in modo da avere diverse fronti di attacco, nelle quali dai banchi di arenaria, inclinati circa 20°, si possono estrarre, col minimo consumo di esplodenti, i più grossi blocchi che deb- bono servire per le gettate nei lavori del Porto. Qui racco- gliemmo esemplari di varie qualità, cercando, alcuni di noi, a zione. — Ore 15. Visita alle Sorgenti termali della Ficoncella, delle Terme Taurine e di Sferracavallo. — Cave di Travertino. — Cave di Gesso di Torre d'Orlando. Martedì 27 marzo : Ore 7. Partenza per Tolta in vettura. — Ore 10. Arrivo. — Visita alla Rocca. — Colazione. — Ore 13. Allumiere. — Vi- sita alle antiche trincee ed alle miniere di Allumite. — Cave di Cao- lino. — Ore 17. Partenza per Civitavecchia (arrivo alle ore 20). — Ore 22,5. Partenza per Roma (arrivo alle ore 23,30). XXXII APPENDICE preferenza campioni contenenti fucoidi, frammenti di vegetali : notammo anche qualche elmintoidea, ecc. ; alcune varietà gros- solanamente arenacee, o a brecciolino, non ci presentarono num- muliti od orbitoidi. come speravamo. Al ritorno ci fermammo al luogo detto S. Gordiano, ove si fabbricano gli enormi blocchi di calcestruzzo, composti con pie- trisco, malta di calce e pozzolana di S. Paolo; essi misurano ben 16 m. c. del peso di 36 tonnellate, costruiti con un sistema speciale detto inglese per agevolarne il sollevamento ed il tra- sporto; sistema per la prima volta introdotto in Italia dall’ing. D’Anna. Tali grandi parallelepipedi servono unitamente al ma- teriale arenaceo che si scava nelle predette cave del Marangone, ai grandi lavori del Porto, dei quali il predetto cav. D’Anna ci favori esaurienti e particolareggiate spiegazioni. Ritornati in Civitavecchia, ci dirigemmo alla Fabbrica di Calce e Cementi della Società anonima di Casale Monferrato; situata fuori Porta Cornetana. Fummo qui ricevuti dai predetti signori ing. De Mattei, Messo e Rosazza, non che dal chimico dott. Lovera, e da altri addetti ai lavori, i quali tutti con grande gentilezza fecero gli onori di casa. Visitammo così i sei grandi forni, di cui uno doppio, a si- stema Aalborg, per la calcinazione; dei quali quattro erano in attività; in essi si può raggiungere una massima temperatura di circa 1700°. Il calcare proviene specialmente da Poggio Ombricolo, dove è aperta una cava in un grosso banco di calcare marnoso com- patto bigio, dell’eocene. Passammo poi alle tettoie, ove si conserva per qualche mese il calcare cotto, per la stagionatura; quindi nei locali dove sono i mulini Krupp a palle d’acciaio per la macinazione e ì grandi cilindri orizzontali (tube mìll), rivestiti di grès, a ciot- toli di pietra focaia per raffinazione. Assistemmo all' insacca- mento e pesa automatica del cemento; al trasporto dei sacelli nei grandiosi magazzini, ecc. Ammirammo i grandi motori a gaz povero; e nel laboratorio chimico assistemmo alle esperienze del Calcimetro di Scheibler- Michaeli, che dà eccellenti risultati, sia per la precisione delle determinazioni, sia per la celerità, potendosene fare ben sei in GITE A CIVITAVECCHIA ED ALLA TOLFA XXXIII un’ora. Altre esperienze furono fatte eolia macchina per misu- rare la resistenza dei cementi alla trazione, ecc. Il cemento, che qui si fabbrica, è in generale a lenta presa, e risulta formato non solamente del citato calcare eocenico, privo o contenente minima quantità di magnesia, ma anche da oppor- tune miscele di travertino con calcari riccamente argillosi. Uscimmo da quello stabilimento, la cui produzione è ora di 1000 e può essere facilmente portata a 2000 quintali di cemento al giorno, ammirati per la bellezza e la razionalità dell’ im- pianto e riconoscentissimi per Paccoglienza, oltre ogni dire cor- diale, che ne abbiamo avuta. Nel pomeriggio andammo in vettura lungo la via Nazionale, l’antica via Àurelia, al nord di Civitavecchia. Qui vedemmo suc- cessivamente le cave dell’arenaria ealcareo-tufacea, detta scaglia, e della scaglia riccia, formazione quaternaria recente o panchina; ove raccogliemmo alquanti fossili, specialmente dei Pectunculus che erano i meglio conservati. Il signor D’Anna, che ci seguì in automobile, offrì ad uno di noi un bellissimo esemplare di Patella ferruginea, specie che oggi non vive più nel litorale di Civitavecchia, ma rinviensi nei mari della Sicilia. Nella scaglia riccia, sottostante alla scaglia, e di essa più compatta, notammo abbondanti e nitidi cristalli di augite, ed altri elementi vulcanici. Visitammo, in quei pressi, alcune piccole grotte artificiali, a camere rettangolari scavate nella scaglia, ritenute per tombe etnische, e che tanto ricordano le caratteristiche domus de gianas della Sardegna. Procedendo sulla medesima via, ci fermammo presso il « Fosso del Gesso » in località detta « Torre d’Orlando », ove esiste una delle cave di gesso mio-pliocenico, ora abbandonata, e tra- sformata in un piccolo laghetto, mancando qualsiasi scolo per le acque. Raccogliemmo qui campioni di bellissime varietà vari- colori, fibrose, bianco-alabastrine, ecc. Lì presso raggiungemmo la sommità della collina trachitica detta « la Montagnola ». La roccia si mostra in alcuni punti con una marcatissima struttura fluidale macroscopica; ed un cam- pione, studiato dal socio Franchi, si palesò alquanto diverso dalle ii* XXXIV APPENDICE trachiti comuni della Tolfa (l). La folta vegetazione ed il breve tempo ci impedirono di farci un concetto del come si presentino le trachiti in rapporto colle marne gessifere, delle quali il Ponzi le crede posteriori. Al ritorno ci fermammo presso la località detta « le Fornaci » posta in riva al mare, e qui osservammo il luogo dove il nostro consocio prof. Meli, che non avemmo il piacere di avere con noi, scuoprì un lembo riccamente fossilifero di pliocene infe- riore (2). Il vento fortissimo però ci impedì di fermarci a lungo, e di fare raccolta di fossili ; ne potemmo però raccogliere alquanti, e fra essi specialmente alcuni esemplari di Clypeaster plioce- nicus, e frammenti del Pectcn (Macroclamys) latissimus. Passammo poi il resto della giornata visitando la città, il porto, e fermandoci a lungo ad osservare il mare molto agitato che elevava e sbatteva le sue grandi onde eroditrici, contro gli scogli e le opere murarie. Al mattino del giorno 27, con due vetture, ci dirigemmo alla Tolfa. Presso Civitavecchia, ci fermammo a visitare le antiche Terme Taurine, in gran parte dirute; trovammo, in alcune camerette poste poco sotto il livello del suolo, raccolta piccola quantità di acqua salino-solforosa alla temperatura di circa 50 gradi. Nelle vicinanze esaminammo una grande cava di travertino, ove rac- cogliemmo campioni varicolori, per infiltrazioni di ossidi di ferro, di manganese, ecc., ora con qualche fillite, ora con qualche mollusco terrestre ( C pelo stoma). Più oltre, lungo la strada che da Civitavecchia, per Tolfa, giunge a Viterbo, visitammo al «Poggio Ombricolo» la cava di calcare per il cemento; aperta in un grosso banco di calcare marnoso, compatto, bigio, assai potente, ma non dissimile da molti altri banchi che tratto tratto vedevamo affiorare fra scisti argillosi lungo la strada a partire dalle Terme di Traiano. (') Le analisi microscopiche fatte dall’ ing. Franchi, su di alcuni campioni di traehite di questa e di altre località, sono riportate in ap- pendice alla presente relazione. (2) Meli R., Sui dintorni di Civitavecchia. Note (jeologiclie. Atti R. Accad. d. Lincei, Ser. 3a, Voi. V. 1879-80. GITE A CIVITAVECCHIA ED ALLA TOLFA XXXV Qui venne ad incontrarci il sig. ing. Mario Calderini diret- tore delle miniere di allnmite; con lui ci portammo a «la Bianca» ove, colla guida del sig. ing. eav. A. Tagliacozzo, direttore della Società dei Caolini romani, visitammo i laboratori per la macina- zione del caolino, per la fabbricazione di mattoni refrattari, ecc. Giunti alla Tolfa, visitammo il paese, salendo sino alla an- tica Rocca, impiantata sulla trachite; ma il tempo nebbioso ci impicciolì l’orizzonte, che di lassù (m. 555) ci assicurarono essere esteso e bellissimo. Dopo un modesto asciolvere, ci dirigemmo verso «Allumiere » fermandoci dapprima ad ammirare, in luogo detto « Gangalandi », le grandiose vecchie trincee, aperte nella trachite per l’estra- zione dell’allumite. L’ing. Calderini, che ci accompagnava, aveva fatto preventivamente aprire un sentiero fra i numerosi sterpi che hanno invaso il fondo delle trincee, e così potemmo inol- trarci in esse, e renderci conto del gigantesco lavoro dei nostri antenati. Gli scavi immensi fatti dagli antichi, asportando col minerale anche lo sterile, più che opera d’uomo, sembrano vere valli naturali a ripide pareti, ricordanti quegli orridi scavati da impetuosi torrenti che si ammirano nelle regioni alpine. Passammo quindi, lungo la via della Farnesiana, alle mi- niere di allnmite; e dapprima entrammo nelle gallerie delle « Trincere medie », poi visitammo il cantiere della « Provvi- denza » e da ultimo entrammo nella galleria della « Trinità ». L’allumite, con tutte le sue note varietà di colore e di struttura, spesso accompagnata da caolino, si presenta in due sistemi di filoni incassati nella trachite, aventi l’uno direzione prossima alla NO-SE e l’altro una direzione da questa poco divergente. I filoni che pendono verso NE hanno una potenza media di m. 1,50 a 2; e alcune volte presentano come dei rigonfiamenti che pos- sono raggiungere anche i 10 metri. Qui, naturalmente, si raccol- sero numerosi campioni, cercando fra le allumiti i minerali accessori, quali la baritina ed il quarzo; non ci fu però dato di trovare alcun esemplare di wavellite, che, come è noto, venne per la prima volta indicata alla Tolfa ed in Italia dal prof. Bombicci, sino dal 1879 (*). (') Rendiconti Accad. Se. Ist. Bologna-, Anno 1879-80; pag. 70. XXXVI APPENDICE Si calcola a circa 20 tonnellate al giorno il prodotto di esse miniere; il minerale, parte e trattato a Civitavecchia nello stabi- limento apposito, che però non potemmo visitare, parte (*/3 circa) è spedito in Francia. L’ing. Lotti, che trovammo ad «Allumiere» di ritorno dalla sua speciale escursione, ci raccontò di aver fatto osservazioni importantissime sui giacimenti di ferro della Boccaccia, di Pian Ceraso ed altri minori, sulle antiche miniere di piombo e sulle roccie metamorfiche. Quest’ultime specialmente formarono oggetto della sua attenzione, sia per la grandiosità del fenomeno, sia per il processo di trasformazione che può esser seguito in tutti i suoi diversi stadi. Di queste roccie metamorfiche fa menzione anche il Ponzi, nella sua opera sulla Tuscia Romana e la Tolfa, e giustamente le ritiene quali roccie eoceniche alterate, secondo lui, dalla trachite. Sono infatti gli stessi calcari, che nel Poggio Ombricolo servono ad apprestare il materiale per la fabbrica dei cementi, quelli che presso la Boccaccia, alla Cava Grande, all'Edificio del Ferro e a Pian Ceraso son trasformati in calcari cristallini, veri marmi a grana variabile, da quella del Pario ad una minutissima, quasi ceroide. Il Lotti osservò che questi calcari leggermente verdognoli, riccamente granatiferi, nel fosso della Cariota presso la Roccaccia, fanno passaggio graduato agli ordinari calcari alberesi eocenici presso l'Edificio del Piombo e ai calcari granulari nummulitiferi presso Pian Ceraso ai Paz- zarelli e sulla strada che porta da Pian Ceraso all’Edificio del Ferro. Gli scisti sottostanti a questi calcari metamorfici sono pur essi alterati e ridotti in scisti allunatici e cadmici; gli straterelli calcarei intercalati sono silicizzati ed epidotiferi. Anche questi scisti passano gradatamente a quelli tipici, inalterati, dell’eocene. Il Lotti non crede, come il Ponzi, che l’alterazione di queste roccie sia dovuta all’azione delle trachiti ; sta in fatto che a contatto immediato colla massa trachitiea l’alterazione delle roccie eoceniche è minima o nulla. La zona metamorfica sten- desi a sud della trachite e fino ad una distanza dal limite di questa di quasi tre chilometri. Egli ritiene piuttosto che la tra- chite della Tolta, come quella contemporanea di Campiglia, sia in correlazione con masse granitiche sotterranee e che queste GITE A CIVITAVECCHIA ED ALLA TOLFA XXXVII siano la causa del metamorfismo e delle manifestazioni metal- logeniche. I giacimenti ferriferi, come quelli dei vari solfuri metallici, sono intimamente collegati alle roccie metamorfiche. Terminate le nostre escursioni, l’ing. Calderini ci invitò cor- tesemente in sua casa, ove osservammo molti campioni del ma- teriale che si raccoglie nelle miniere, i piani di esse, ecc. Qui dalla sua gentile signora ci venne offerto un eccellente e svariato ristoro; ma il tempo ci impedì di fermarci a lungo nella casa ospitale, e ringraziati i signori di Tolfa ed Allumiere, che tanto fecero per la buona riescita della nostra visita, alle ore dieciotto circa ritornammo a Civitavecchia, e nella sera stessa giungemmo in Roma; soddisfattissimi del modo come passammo quei due giorni; grati al consocio comm. Demarchi, che diresse la nostra escursione, ed a quanti contribuirono a renderla interessante ed istruttiva; dispiacenti che le condizioni di salute del nostro Presidente gli avessero impedito di venire con noi, e dolenti pure che la nostra comitiva non fosse stata più numerosa. A. Neviani. III. Analisi microscopica di alcuni esemplari di tracliite. 1. Riolite porfrica della Montagnola. La trachite della Montagnola (') è una roccia bigio-chiara, com- patta, con abbondanti inclusi di felspato e di quarzo diesaedrico raggiungenti i 2 o 3 mm. e di minori e più rare lamelle di biotite. Al microscopio gli inclusi felspatici si rivelano essere quasi totalmente dì sanidino, ad angolo assiale quasi nullo; raramente sono di andesina. Il quarzo si presenta in molte forme, dai diesaedri a spigoli leggermente smussati, con o senza aree corrose, agli elementi (') L’affioramento trachitico della Montagnola, é ristrettissimo, rag- giungendo esso solo qualche centinaio di metri di massima dimensione, e dista circa otto chilometri dalla grande massa toffina Data la ristret- XXXVIII S. FRANCHI informi a contorni arrotondati, residui di un più o meno avan- zato riassorbimento; in esso si notano pure rarissimi cristalli negativi. Le lamelle di biotite, talora automorfa, includono sovente cristalletti di zircone e in elementi minori sono incluse uell'ortose e nel plagioclasio. La massa fondamentale, a frattura quasi porcellanica, non contiene più sostanza vetrosa, mostra frequenti microliti di sa- nidina e più rari di andesina, e qua e là degli sferocristalli di felspato (sanidina?) a segno negativo (Michel-Levy). È assai probabile che buona parte della massa fondamentale sia costi- tuita da questi sfero-cristalli, i quali, essendo molto imperfetti, non si mostrino come tali nella sezione sottile che quando sono tagliati nel loro mezzo, e diano invece colle altre sezioni eccen- triche l’apparenza di mosaico indeciso, che presenta la massa fondamentale. Pagliuzze di sericite secondaria sono frequenti. Colla classificazione di Michel-Levy, la roccia si potrebbe dire una riolite porfirica e secondo la ultima del Rosenbusch una liparite microfelsitica o felsofirica; ed astraendo dal con- cetto dell’età terziaria, si potrebbe dire una micro-granulite con il primo, ed un porfido quarzifero o un felsofiro con l'altro di quegli autori. Di queste roccie antiche, la roccia della Monta- gnola possiede poi fino ad un certo punto la compattezza, per cui si distingue dalla maggior parte delle trachiti che sono in generale più porose e quindi relativamente leggiere. Questa roccia è assai diversa dai tipi finora studiati della vicina massa trachitica della Tolta, dei quali è assai più acida; si avvicina, astrazion fatta della minore importanza per abbon- danza e grandezza degli inclusi ad alcuni tipi nevaditici della massa di Roccastrada, ed è assai simile ad alcuni porfidi quar- ziferi Elbani. Da questi si distingue macroscopicamente per il tezza di esso e la quota di soli 72 ìu. del suo pimto più elevato, non è forse arrischiata l’ ipotesi che tale affioramento rappresenti un dicco intrusivo che non riesci a raggiungere la superficie del terreno, e che solo l'erosione quaternaria abbia messo allo scoperto. Questa ipotesi potrebbe fino a un certo punto renderci ragione delle differenze strut- turali notevoli esistenti fra la roccia in parola e quelle della Tolfa. DI ALCUNI ESEMPLARI DI TRACHITE XXXIX minor grado di cristallinità e per la maggior freschezza della massa fondamentale. 2. Retinite anclesitica porfiroide di Omomorto. La roccia con cui si fanno le selci alle cave di Omomorto (secondo il Ponzi: Lume morto) è a massa fondamentale vetrosa, scura, con abbondanti inclusi felspatici porfiricamente distribuiti, di cui i maggiori raggiungono gli 8 o 10 mm, Ad occhio nudo si distinguono pure nella roccia frequenti masserelle granulari di pirite freschissima. Il sanidino è relativamente raro, in cristalli fraraentarì e corrosi per riassorbimento del magma fondamentale, essi sono i più antichi fra i grandi elementi, ed includono soventi delle lamelle di biotite. Più frequenti sono gli elementi di plagioclase, in aggrup- pamenti di numerosi individui a contorni cristallini e di una grande freschezza. Sono in generale felspati più basici del la- brador. Attorno a questi grandi elementi felspatici sono soventi raccolti, e come da essi attratti, pochi microliti della stessa na- tura; e talora dall’assembramento di un gran numero di essi con mica, pirosseni e ferro titanato si formano pure dei grandi inclusi. Un pirosseno monoclino, uno ortorombico ed una biotite scu- rissima, costituiscono gli altri inclusi del primo tempo. La bio- tite si trova pure in lamelle nei clivaggi dei due pirosseni. La massa vetrosa fondamentale racchiude rari microliti di felspato, di biotite e miriadi di minutissimi microliti pirossenici, soventi geminati in croce, i quali con molti trichiti e globuliti ne mettono in rilievo la struttura fluidale. Si osservano inoltre rari cristalli aciculari di apatite e rarissimi di tormalina. Per questo minerale viene così ad essere confermata la osservazione del Busatti, il quale già lo aveva notato in una roccia della Tolfa. La roccia, data la grande basicità degli inclusi felspatici e la loro abbondanza, potrebbe forse essere più prossima alle an- desiti che alle trachiti ; perciò la si potrebbe dire una retinite andesitica porfiroide. XL S. FRANCni La diagnosi da me ora fatta coincide assai con ([nelle pre- cedentemente date di questa roccia dal Wasington e dal Dot- tor Riva. 3. Trachiti metamorfosate di Allumiere. I campioni di roccie raccolti nelle gallerie delle miniere di Allumiere, a poca distanza dai filoni di allumite, malgrado la loro apparenza di freschezza relativa, sono profondamente alterate. Non solo i grandi cristalli di felspato sono completamente sostituiti da allumite, ma sovente tutta o quasi la massa vetrosa fondamentale, nonché gli inclusi di biotite, sono trasformati. Uno studio di tali roccie che riescirebbe interessantissimo, non è possibile senza l’aiuto di numerose analisi e sopra un materiale abbondante e raccolto con somma cura; perciò non può qui trovar luogo. Accenno solo al fatto che nella roccia grigia porfiroide, che ora si scava nelle trincee (miniere) della Trinità, il posto dei grandi felspati è occupato quasi totalmente da allumite cristal- lina purissima, di cui ho potuto riconoscere le proprietà ottiche, e che in altro campione del tetto del filone delle trincee medie quasi tutta la massa della roccia è trasformata in un insieme cristallino di elementi secondari, nel quale ha non poca impor- tanza il quarzo, che vi ha la struttura a mosaico che presenta in certe roccie metamorfiche, quali i micascisti ed i gneiss. No- tisi che la silice, oltre che in vene di opale, si trova pure allo stato di quarzo cristallizzato in piccole druse. Un altro fatto notevole è rabbonclanza di pirite freschissima in masserelle granulari come nella retinite ancora intatta di Omomorto entro a roccie che, come quelle della Trinità, sono così profondamente decomposte. Il quale fatto sembra dimostrare come all’acido solforico da cui nacquero i solfati dei filoni allumitiferi convenga attribuire un’origine all’ infuori di quella della ossi- dazione della pirite diffusa nelle roccie Rachitiche. Ing. Secondo Franchi. BICERCHE ANALITICHE SOPRA UNA ROCCIA SEDIMENTARIA DI LOMBARDIA. Nota del socio Guido Bonarelli Scrissi altra volta (') che nel sistema prealpino della Lom- bardia occidentale, dalla sponda occidentale del Sebino alla orien- tale del Verbano, l’orizzonte « domeriano » Bonar. è prevalente- mente rappresentato da un « Calcare rugoso-micaceo, roseo-vinato o grigiastro » con numerosi fossili caratteristici del Pliensbachiano superiore (2). Nel descrivere codesto tipo di roccia io mi riferivo allora, come ognun vede, ai soli caratteri macroscopici. Esami- nandone in seguito, con una lente, alcuni campioni, mi avvidi bentosto che non del tutto superfluo sarebbe stato un più accu- rato esame delle sue particolari condizioni di struttura e dei numerosi minerali che mi apparivano disseminati nella sua massa in forma di punticini varicolori ; lusingandomi che da questo esame potessero emergere alcuni indizi degni di nota, relativi alla possibile provenienza dei diversi materiali costituenti detta roccia e al confronto di questa con altre roccie, omotipiche e sincrone, che rappresentano il Domeriano in altre regioni preal- pine ed appenniniche. Scelsi pertanto tre buoni campioni di questo « calcare » i quali mi sembravano rappresentare le varietà estreme del tipo, (') Contribuzione alia conoscenza del Giura-lias lombardo. (Atti della R. Acc. delle Se. di Torino, voi. XXX, dicembre 1894). — Fossili do- menani della Brianza. (Rendie. del R. Istit. lombardo di Se. e lett., ser. 2a, voi. XXVIII. 1895). (2) Paltopleuroceras pseudocostatum (Hyatt), Paltopleuroc. spinatavi (Brug.). Phylloceras Zetes (d'Orb.), Bhacophyllites lariensis (Mgh.), Arie- tic e ras algovianum (Opp.), Hildoceras boscense (Reyn.). 1 2 G BONARELLI e da questi campioni (x) preparai, con i soliti mezzi, alcune la- mine sottili. I risultati ottenuti dall’esame diretto dei campioni e dalla analisi microscopica delle relative sezioni sono riassunti nei pa- ragrafi che seguono. a) Esame dei campioni. 1. La roccia presenta un vario grado di compattezza : mas- simo nel campione n.° 1, minimo nel campione n.° 3. Trattan- dosi di esemplari « treschi », che non sembrano aver subito in modo notevole gli effetti di quelle solite forze esodinamiche le quali determinano la alterazione e la disgregazione delle roccie in genere, ò dovuto concludere che la varia compattezza dei suddetti campioni deve essere relativa alla variabilità di alcune qualità intrinseche della roccia, (diverso rapporto percentuale dei materiali costituenti, diversa struttura, etc.): lo che mi fu confermato dalla analisi microscopica. 2. Le superfici naturali (antiche) dei campioni, e spesso anche le superfici (nuove) di frattura (specialmente nel campione n.° 3) si presentano, al tatto, ruvide o scabre, oppure (come altra volta ò scritto) « rugose ». Questo fatto è unicamente dovuto alla no- tevole abbondanza dei minerali cristallini che nella massa della roccia si trovano disseminati ed emergono dalle sue superfici più o meno distintamente. 3. Tra questi minerali si riconosce ad occhio nudo la pre- senza della Moscovite in lamine abbastanza grandi e risplendenti, per modo che la roccia, sotto diverse incidenze di luce, presenta un certo scintillìo, come si osserva comunemente nelle arenarie micacee. Questo carattere è presentato al massimo grado dal campione n.° 3. 4. La roccia in esame presenta una colorazione fondamen- tale grigio-cenerina, sulla quale risaltano larghe macchie e zone (') Raccolti nelle seguenti località: Campione n.° 1. — Val Ceppelline sopra Snello, in Brianza; (legit Bona- belli, 1894). » n.° 2. — Vicinanze di Arzo, presso Besazio, nel Canton Ticino meridionale; (legit Parona, 1897). n.° 3. — Vicinanze di Clivio, nel Varesotto ; (legit Parona, 1897). » ROCCIA SEDIMENTAR! A DI LOMBARDIA 3 più o meno estese di un bel roseo vinato. In alcuni punti della roccia questo colore è più frequente ed esteso del grigio cene- rino. Si à ragione di ritenere, per analogia con altre roccie consimili (*), che il colore primitivo sia stato il grigio-cenerino e che le macchie roseo-vinate sieno il risultato della alterazione graduale di principi minerali (di Ferro specialmente) contenuti nella roccia. Lo che è confermato dai caratteri chimici. 5. Infatti, la roccia è facilmente solubile negli acidi con no- tevole eftervescenza e abbondante residuo bianco-giallastro. Ki- cercando le basi nella soluzione acida del liquido filtrato, vi si riscontrano, residuali dopo il Calcio; abbondante il Ferro , scarso l'Alluminio ed il Magnesio, traode di Manganese , traccie di Litio. (2). Inoltre, se la roccia viene portata nella fiamma ossidante, aumenta in essa la intensità del colore rosso (perchè si completa la ossidazione dei principii ferrici che vi sono contenuti) ; se in- vece la si pone nella fiamma riducente, essa perde questo co- lore e tende a presentare qua e là un certo annerimento (do- vuto alla riduzione dell’ossido ferrico). 6. 11 residuo che si ottiene dalla roccia in esame, dopo il trattamento con l’Acido cloridrico, è costituito in prevalenza da materiale argilloso che si trovava nella roccia come abbondante impurità, secondo una percentuale che oscilla tra il 7 e l’il °/0- Al materiale argilloso si uniscono numerosi cristallini di Mo- scovite, Biotite, Ortosio, Attinoto, Epidoto, Granato e Rutilo, la di cui presenza è confermata dalle ricerche eseguite mediante il microscopio. b) Esame delle lamine sottili. 1. La roccia in esame à la struttura solita dei calcari im- puri sedimentari. Il materiale argilloso vi si trova sotto forma (‘) Bonarelli G., Osservai. sul Toarciano e VAleniano dell'App. Centr. (Boll. Soc. geol. ital., voi. XII, 1893, p. 214). Bettoni A., Fossili domeriani della Prov. di Brescia. (Mem. della Soc. paleont. Svizz., voi. XXVII, 1900, pag. 5). (2) Facilmente riconoscibile alla colorazione della fiamma, dopo avere separato il Calcio. 4 G. BOX ARELLI di innumerevoli e minutissimi grumuli che danno alle sezioni sottili un aspetto granuloso e torbido. 2. Numerosi frammenti di molluschi fossili ed altre spoglie calcaree di organismi (Foraminiferi (*), Spongiarii, ecc.) si trovano disseminati nella roccia e vi rappresentano per lo meno una quarta parte del carbonato calcareo che la costituisce. 3. I minerali cristallini che si distinguono nella roccia al- l’esame microscopico sono : la Calcite (essenziale) ; abbondanti la Musc-ovite e la Biotite ; alquanto rari l’Ortosio, l’Attinoto, l’Epi- doto, il Granato e, sparsi irregolarmente nella massa, alcuni cri- stalli relativamente grossi di Rutilo geminato. Si aggiungano a tutto ciò alcune traccie di sostanze verdastre (Clorite?), gialla- stre (Limonite) e rossastre (Ematite). 4. La Calcite in sezioni rombiche e romboidali, con le solite bene evidenti direzioni di sfaldatura ed abbondanti inclusioni opache, nerastre. I cristalli, di varia dimensione, sono sovente e variamente aggruppati. 5. La Muscovite abbondante, in lamine esilissime, lucenti, biassi, con numerose inclusioni di Rutilo aciculare giallastro ad aggruppamenti stellari. Scarsissima è la geminazione a ginocchio. 6. La Biotite meno abbondante della Muscovite ed in la- mine più minute invisibili ad occhio nudo. Fortemente dicroica, presenta le seguenti colorazioni : a — giallo bruno. c r=: bruno scuro, nelle sezioni longitudinali. Numerose inclusioni; specialmente di Rutilo aciculare. 7. VOrtosio in granelli a contorno irregolare, ma non si- nuoso, con numerose inclusioni. Nelle sezioni presentano bene evidente la geminazione caratteristica. 8. li Attinoto in cristalletti laminari verdastri, debolmente dicroici, senza inclusioni, coll’estinzione propria degli amfiboli. 9. li' Epidoto in rari cristalli non pleocroici, forse a cagione della sottigliezza loro, giallicci, a vivaci colori di polarizzazione. Estinzione quasi retta. (l) I generi di Foraminiferi meglio rappresentati sono: Polymorphina, Cristellaria, Nodosana, Dentalina , Globigerina. ROCCIA SEDIMENTARIA DI LOMBARDIA 5 10. Il Granato in rari frammenti, probabilmente della var. Almandino. 11. Interessante appare l’assenza del Quarzo, o per lo meno questo è talmente raro da sfuggire alla analisi. Solo qua e là si osservano alcuni frammenti di spicule silicee di spongiarii. c) Confronti e Conclusioni. I. Il Calcare domeriano « rugoso -micaceo, roseo-vinato e grigiastro » delle Prealpi lombarde occidentali corrisponde cro- nologicamente al « grès giallastro ammonitico » del Monte re- nerà in Val Sesia (1), al « Medolo domeriano della Provincia di Brescia » (2), al « Corso superiore, di Botticino ecc. », della medesima regione (3), ai « Calcari grigi » con intercalazioni di « lumachelle a Brachiopodi e Pentacrini » delle Prealpi venete occidentali (4), ai Calcari dei dintorni di Spezia « con fossili limonitizzati » (5), alla « Córgnola » domeriana, ed ai « Calcari policromi ammandolati » domeriani dell’Appennino Centrale (6), ai calcari « marnoso-arenacei varicolori » dei dintorni di Bus- sano in Calabria (7) e ad altre formazioni che considero di mi- nore importanza perchè, limitate, per breve tratto, in località poco estese, si possono considerare quali varietà più o meno distinte dei tipi sovracitati. IL Alcune delle indicate formazioni presentano, con la roccia in esame, non soltanto un perfetto sincronismo, ma bensì anche una perfetta omotipia. (1) Rasetti G. E., Il Monte Fenera in Val Sesia. (Boll. Soc. geol. ital., voi. XVI, 1897, pag. 165 e seg.). (2) Bettoni A., Fossili domeriani della Prov. di Brescia. (Memorie della Soc. paleont. Svizz., voi. XXVIII, 1900). (3) Bettoni A., Op. cit. C) Formazioni estesissime nella Prealpe veronese e vicentina. (D) Fucini A., Faunula del Lias medio di Spezia. (Boll. Soc. geol. ital., voi. XV, 1896, pag. 125, con Bibliogr). (6) Bellissimi esempi di questi tipi di roccia si osservano alle Foci del Borano tra Cantiano e Cagli, a Val d’Urbia presso Scheggia ed in molte altre località. (7) Greco B., Il Lias sup. nel Circond. di Possano Calabro. (Boll. Soc. geol. ital., voi. XV, 1896, pag. 92). 6 G. BONA BELLI Primo, fra queste, il grès giallastro ammonitico del Monte Fenera in Val Sesia. Se immaginiamo infatti, che nei Calcari impuri domeriani della Lombardia occidentale aumenti di molto la percentuale dei minerali allotigeni che vi sono contenuti, per modo che il Carbonato calcare, da costituente essenziale, passi a far parte degli elementi accessori, verremo ad avere un tipo di roccia analogo, se non identico, al grès ammonitico del Monte Fenera (il quale è giallastro per idrossidazione su- perficiale dei materiali ferrici che contiene), eolia sola notabile differenza che in alcuni strati di questo grès giallastro si ri- scontra abbondante la silice, rappresentatal i da numerose spicule di Silicospongie. Se immaginiamo, al contrario, che nei Calcari domeriani della Lombardia occidentale vengano a mancare quelle specie minerali accessorie che vi si trovano diffuse in forma di minu- tissimi granuli cristallini, verremo allora ad avere le qualità ti- piche del « Corso superiore » bresciano e della « Corniola poli- croma », talora « ammandolata » dell’ Appennino centrale. I quali due tipi di Calcare sono fra loro identici e solamente differiscono dalla roccia in esame per la mancanza dei minerali silicati cri- stallini che in questa abbondano. Ma fra le roccie domeriane d’Italia, quella che più s'avvi- cina per le sue qualità mineralogiche e strutturali al Calcare rugoso-micaceo domeriano della Lombardia occidentale, è senza dubbio il « Calcare marnoso-arenaceo di Pietracutale e fiocchi- gli ero » (*) in Calabria. Così notevole è la omotipia di queste due roccie, che si potrebbero facilmente confondere, specialmente se si confronta la roccia di Pietracutale con alcuni strati mar- noso-arenacei grigiastro-scuri che si vedono (intercalati al solito tipo) costituire gli affioramenti domeriani dei dintorni di Viggiù nel Varesotto (2). (>) Con Terebratula erbaensis (Suess), Terebratula 1 lenierii (Cat.), Phylloceras Partschi (Stur), Phacophyllites lariensìs (Mgh.), Phacoph. eximius (Hau.), Phacoph. Nardii (Mgh.), parecchie forme di Arietice- ras, etc. ; v. Bonarelli G., Sulla età ecc. (Rivista ital. di Pai., voi. II, ottobre 1896, p. 259). (2) Il prof. Parona raccolse recentemente numerosi campioni di roccie e fossili nelle varie località varesotte di Viggiù, Clivio ed Arzo. Questi ROCCIA SEDIMENTARIA DI LOMBARDIA 7 III. A partire adunque dalle Prealpi venete, volgendo ad ovest verso le piemontesi, vediamo a poco a poco i depositi do- meriani passare gradatamente dal tipo schiettamente calcareo, o leggermente marnoso, ad un tipo calcareo decisamente arenaceo, astrazion fatta per alcune sporadiche modalità e limitate ecce- zioni le quali, appunto perchè limitate, non infirmano la regola generale. Alla lor volta, i depositi domeriani dell’Italia centrale presentano una perfetta corrispondenza litologica con quelli delle Prealpi orientali, mentre i depositi domeriani della Calabria, quasi a ridosso delle roccie granitiche e scistoso-cristalline co- stituenti il nucleo di quella regione montuosa, presentano nella loro massa numerosi frammenti cristallini di queste ultime roccie. IY. Da tutti questi fatti mi sembra conseguire per nesso lo- gico una conclusione della più alta importanza, come quella che ci fornisce preziosi dati relativi alla possibile configurazione di < pielle terre emerse che durante il Lias occupavano la regione alpina occidentale e la porzione meridionale della attuale de- pressione tirrenica (1). Infatti, i depositi domeriani delle Prealpi comasche, vare- sotte e novaresi dovevano certamente trovarsi, al momento di loro deposizione molto più vicini alla terra emersa che non lo sieno state le regioni attualmente occupate dalle Prealpi orien- tali. Così vediamo che nelle roccie domeriane delle Prealpi occidentali abbondano alcuni materiali, relativamente grossolani, indubbiamente terrigeni, i quali abbiamo visto mancare nelle campioni si conservano attualmente in questo R. Museo geologico di Torino, [v. Parona, Ammon. di Saltrio. (Mem. della Soc. paleont. svizz., voi. XXIII, 1896, pag. 6, 7)]. (*) I caratteri paleontologici dei vari affioramenti domeriani della penisola italica non contribuiscono a queste ricerche in modo soddisfacente, poiché le condizioni faunistiche dei suddetti affioramenti si presentano pressoché identiche dappertutto, (prevalenza di Ammonidee, numerosi Brachiopodi e Crinoidi, rarissimi Gastropodi [Pleurotomaridi], Lamelli- branehiati [Pectinicli] ecc.), quasi accennando ad uguali condizioni bati- metriche di deposizione. Fanno eccezione alcune poche e limitate località, come ad es. certi « Calcari grigi » a Durga e Megàlodus del Tirolo me- ridionale e del Veronese (V. Tausch L., « Grauen K. » d. Siid-Alp. Abhandl. d. k. k. g. R., Bd XV, 2 Hft, 1890), nei quali si anno parti- colari accantonamenti faunistici di tipo bentlionico. 8 G. BONAREI.L1 roccie domeriane delle Prealpi bresciane e venete. Inoltre, la zona domeriana dell’Appennino centrale doveva trovarsi molto lontana dai rilievi continentali, mentre, al contrario, 1 abbon- danza dei materiali detritici contenuti nei depositi calabresi di Pietracutale e Bocchigliero accenna, per questi, a una notevole vicinanza delle terre emerse. Y. Poco diverse da quelle del Domeriano, sono, in Italia, le condizioni del Toarciano sovrastante; e questo assai giustifica il fatto che fino a pochi anni or sono la più gran parte degli autori soleva riferire al Lias superiore i nostri depositi dome- riani. Ma di ciò non devo ora occuparmi. Ricorderò soltanto che in altra circostanza ('), avendo accennato alla presenza della Mica nelle j marne rosse ammoni tifere » toarciane di Lombardia, le quali per tutti gli altri caratteri corrispondono perfettamente alle « marne rosse ammonitifere », pure toarciane, dell’ Appennino Centrale, io soggiunsi: « Questa caratteristica [presenza della Mica nel rosso ammonitico lombardo] è di grande utilità pratica, quando si tratti di distinguere a prima vista [fuori del loro giacimento] un campione di roccia od un pe- trefatto del Rosso ammonitico di Lombardia da altri dell' Ap- pennino centrale in cui la Mica manca del tutto ». Ora trovo che questa osservazione vale anche, in certi casi (quando si abbia quasi assoluta identità degli altri caratteri), per distin- guere il Domeriano di queste due regioni. (') Bonarelli G., Contrib. alla conosc. del giura-l. lomb. (Atti R. Acc. d. Se. di Torino, voi. XXX, 1894, pag. 12 dell'estratto). Il Meneghini {Monogr. d. foss. appari, a. Cale. remg. amm. de la Lomb. et de VApp. Centr. [Stoppani, Paléont. lomb., IV. part., 1867-81], pag. 220) riferendosi a quanto in proposito aveva già pubblicato il Canavari (Proc.Verb. Soc. Tose. Se. Nat., adun. 9 Maggio 1880,pag. 60-61) e recentemente il Dervieux (Mem. Pontif. Acc. nuovi Line., voi. XI, 1896) anno contribuito con importanti iconografie alla conoscenza mi- croscopica delle roccie supraliasiche italiane. Ma le loro osservazioni sono semplicemente paleontologiche, cosicché uno studio petrografico di dette roccie rimane ancora a farsi, ed io spero di potermene occupare se non mi verrà meno la gentile collaborazione del sig. Dott. Capeder al quale rendo ora pubbliche grazie per avermi già favorito il suo va- lido aiuto. ROCCIA SEDIMENTARIA DI LOMBARDIA 9 VI. Aggiungerò ora alcune parole intorno alla possibile con- dizione chimica primitiva dei materiali ferrici che ò già indi- cato più o meno diffusi, allo stato di sesquiossidi, nelle roccie sedimentarie del nostro Domeriano. Sembrami essere assai utile indizio, a questo proposito, la presenza di una notevole quan- tità di Pirite nel « Medolo scuro domeriano » dei dintorni del Lago d’Iseo, laddove codesta roccia (come alle cave di Montecolo, ecc.) non sembra aver subito la benché minima traccia d’una qual- siasi incipiente alterazione dei materiali che la costituiscono: i fossili (Ammonidee in prevalenza) vi si conservano piritizzati e la roccia contiene, macro- e microscopici, numerosissimi cristal- lini di Pirite. Invece, laddove il Medolo scorgesi ad evidenza alterato nei principi essenziali onde risulta composto, ivi la roccia assume un colore giallastro-chiaro, ivi i fossili si trovano costi- tuiti da limonite e nella massa della roccia si vede abbondare questo sesquidrossido ferrico; ma non è raro il caso che questo ci accusi la sua origine, per epigenesi, dalla Pirite, presentan- dosi qua e là in forma ben distinta di cristallini cubici pseudo- morti, spesso anche modificati agli spigoli ed ai vertici per le combinazioni a) [100 -h 110], b ) [100 -f- 111]. Ora, non è raro il caso che dal Domeriano della Lombardia occidentale, come da tutti gli altri depositi domeriani d’Italia, ci provengano fossili limonitizzati. Cosi in un campione di roccia del Domeriano di Viggiù aderiscono due esemplari di Hildoceras gr. cornacaldense (Tausch) nei quali i giri minori della spira, allo stato di modelli interni, sono formati da Limonite. Torino, Marzo 1900. REVISIONE GENERALE DEI BRIOZOI FOSSILI ITALIANI. Nota del socio Antonio Neyiani I. IDMONEE Il genere Idmonea venne istituito nel 1821 da Laiioukoux (Gcner. polypar. p. 80, t. 79, f. 13-15), per pochi frammenti trovati « in un banco molto duro di calcare giurassico a polipai, presso Caen » caratterizzati da rami triangolari, un poco più grossi nel mezzo, che larghi, con una superficie posteriore ( inferiore) libera da zoeci, e due superfiei anteriori, concorrenti a formare una carena mediana; su di esse i zoeci tabulari, presso a poco tutti della stessa lunghezza, sono disposti a cinque o sei in file trasverse e pa- rallele fra loro; l’estremità dei tubuli è ricurva all’infuori, quasi ad angolo retto con la superficie del zoario, e termina con un ori- fizio a bordo alquanto ingrossato. Dal 1821 ad oggi, il genere Idmonea ha subito varia for- tuna. Alcuni autori, come ad es. lo Smitt (Krit. Skand. H. Bry., 1866), lo considerano come sottogenere di Tubulipora; recentemente LHaemer (1898) propone senz’altro l’abolizione di Idmonea. per inscrivere le specie ad essa aggregate al gen. Tubidipora, fon- dato dal Lamakck nel 1816 (Hist. nat. an. s. vet. ed. la, t. II, p. 161); le ragioni addotte da questi autori, sono certamente ec- cellenti, ma sono d’avviso che gli specialisti, si adatteranno con difficoltà a questo modo di vedere, perchè il genere Tubalipora è di già molto vasto, e aggregandovi anche Idmonea, occorre- rebbe poi farne una sezione o sottogenere, come già fece lo Smitt. Uno spoglio, che in questi ultimi tempi sono andato facendo su di un buon numero di opere, mi ha dato per risultato che oltre 150 sono le specie viventi e fossili che vennero attribuite BRI0Z01 FOSSILI ITALIANI. - IDMONEE 11 ad Idmonea. Quando mi sarò persuaso di aver completato l'e- lenco, pubblielierò un Indice generale di esse Idmonee; ed allora mi fermerò di più sulla storia di questo interessante gruppo di briozoari ; ora, quasi come nota preliminare, offro agli stu- diosi l'elenco delle sole specie fossili rinvenute in Italia, appar- tenenti queste solamente ai terreni terziari e posterziari, in quanto che, come è noto, i nostri terreni secondari ed i paleozoici, non sono ricchi di briozoi come quelli di altri paesi. Tralascio le ci- tazioni di Idmonee specificamente indeterminate. Con questa monografia poi. dò principio ad una serie di lavori nei quali intendo riassumere quanto si conosce in Italia relati- vamente a questi organismi fossili. 1. Idmonea affinis Raynevald. 1854. De Rayn., V. Heck, Ponzi; Catal. foss. M. Mario (1854), pag. 20 (estr.). — Conti Aug.; M. Mario e i suoi foss. (1864), pag. 36. Dalle formazioni siciliane di Monte Mario. Questa specie manca nelle collezioni della R. Università di Roma. Secondo gli autori sarebbe affine alla I. coronopus M. Edw.; ma dalla descrizione non solo non è possibile rendersi conto di quale specie intendasi parlare, ma sembra che non si debba nep- pure ascrivere a questo genere. 2. Idm. atlantica Forbes. 1849. Seguenza; Form. terz. Reggio (1879), pag. 297, n.° 893; pag. 330, n.° 391. — De Stefani; Jejo Montalto (1884), pag. 208, 230. — Neviani; la Contriti, br. foss. (1891), pag. 136. — Nev.; Br. neoz. I (1895), pag. 120. — Nev.; Br. Farnesina (1895), pag. 130. — Nev.; Br. neoz. Ili (1896), pag. 124. — Nev.; Br. neoz. V (1898), pag. 106. — Nev.; Br. neoz. VI (1900), pag. 68. Rara i\e\V astiano di Gallina e Vallanidi, e nel siciliano di Villa S. Giovanni (Seg.); idem postpliocene (De Stef.). Frequente nel quaternario di Livorno; nel postpliocene di S. Maria di Ca- tanzaro; nel plioc. sup. (, siciliano ) della Farnesina ; nel piacen- zia.no di Bordigliera; nel postplioc. del Vallone Scoppo, Messina (Nev.). 12 A. NEVI ANI A questa specie va riferita Idm. coronopus Defr., e secondo alcuni anche Idm. gracillima Rss.; ma quest’ ultima è dimostrato essere sinonimo di Idm. concava Rss., che, almeno sembra, non è da unirsi ad Idm. atlantica Forb. Molto comune nei mari odierni, può ritenersi cosmopolita; fossile è alquanto più rara; si è osservata daH’eocene superiore od oligocene. 3. Idm. bacii laris Seguenza. 1879. Seguenza; Form. terz. Reggio (1879), pag. 297, n.° 896, tav. XVII, fig. 8, 8a. — De Stefani; Jejo Montalto (1884), pag. 212. Rarissima mq\V astiano di Gallina (Seg.); idem postplioc. (De Stef.). Potrebbe darsi che questa specie si debba includere in qualche altra, potendo l’esemplare essere logoro, come appare dalla figura. 4. Idm. cancellata Goldfuss (Re t epura). 1826. Seguenza; Form. terz. Reggio (1879), pag. 85, n.° 178. — Neviani: Br. Sardegna (1897), pag. 594 ( Crisma). Rarissima nz\V elveziano di Benestare (Seg.); rara nelle are- narie mioceniche di Fontanazzo (New). A questa specie si deve unire Idm. multipunctata Gioii del miocene di Pianosa. La sp. riscontrata nel cretaceo superiore, si estende a tutto il miocene. Da parecchi autori moderni si ascrive al gen. Crisina D'Orb. 5. Idm. carlnata Roemer. 1841. Seguenza; Form. terz. Reggio (1879), pag. 132, n.° 494. — Got- tardi; Br. Mont. Maggiore (1885), pag. 299. — Neviani ; Br. eoe. Mo- sciano (1895), pag. 123. — Sacco; Appenn. Sett. Ili (1895), pag. 204. — Nev. ; Brioz. neoz. I (1895), pag. 123. Dal postpliocene di Caraffa (Nev.) ; rarissima nel tortoniano di Benestare (Seg.); rara nell’ eocene di Mosciano (Nev., Sac.) e neWeocene sup. di Montecchio Maggiore (Gott.). BRI0Z01 FOSSILI ITALIANI. - IDJIONEE 13 Unisco a questa specie, sull’esempio di Pergens e Meunier, la Idm. lineata Hag. e la pseudoeli sticha Hag. Non nascondo che i rapporti fra queste tre specie, e in modo particolare della pseudodisticha Hag. con altre specie, non sono facili a distin- guersi, e nella letteratura relativa trovasi la massima confusione. 6. Idm. compressa Keuss. 1847. Gottardi; Br. Mont. Maggiore (1885), pag. 299. — Gioli; Br. Pia- nosa (1889), pag. 255. Rarissima nel miocene di Pianosa (Gioli) ; frequente nel- Yeocene di Montecchio Maggiore (Gott.). Trovata dal Reuss nel calcare di Leitha di Eisenstadt in Ungheria (Foss. poi. Wien. tert., pag. 46, t. YI, f. 32), non fu in seguito indicata, oltre ai sopra citati autori, che dal Manzoni; secondo il quale essa ricorda la Crisma ramosa D’Orb, e la Reticulipora cultrata D’Orb. Per me la ritengo specie dubbia. 7. Idm. concava Reuss. 1868. Reuss; Anth. Bryoz. Crosara (1868), pag. 282, 291, tav. XXXV, fig. 3-4. — Sequenza; Form. terz. Reggio (1879), pag. 85, n.° 179; pag. 209, n.° 256; pag. 297, n.° 894; pag. 330, n.° 395; pag. 371, n.° 559. — De Stefani; Jejo Montalto (1884), pag. 123, 208. — Gottardi; Br. Mont. Maggiore (1885), pag. 299. — Neviani; 3a Contr. geol. Cat. (1889), pag. 141, 152. — Xev. ; Farnesina (1895), pag. 131. — Waters; North It. Bry. II (1892), pag. 156. Comune nel saariano , zona sup. di Bovetto (Seg.) ; rarissima nel siciliano di Monasterace (Seg.); idem plioc. sup. (Nev.); raris- sima nel siciliano della Farnesina (Nev.) ; rara nell 'astiano di Gallina e Yallanidi (Seg.); idem postpliocene (De Stef.); rara nel zancleano di Terreti, Testa del Prato, Gerace (Seg.); rara nel zancleano di Stilo (Seg.) ; idem tortoniano (De Stef.) ; idem astiano liti. (Nev.) ; comunissima nell’ elveziano di Benestare (Seg.) ; molto frequente nell ’eocene sup. di Montecchio Maggiore (Rss., Gott., Wat.); idem di Crosara (Rss., Wat.); idem di Yal di Lonte, Brendola, Ferrara di M. Baldo, Malo (Wat.). Specie comune alla quale va indubbiamente unita la Idm. ejracillnna Rss., che alcuni autori uniscono ad Idm. atlantica 14 A. NEVIANI Forb. : come Idm. concava Rss. è nota vivente nel Golfo di Napoli (Waters, 1879). 8. Idm. conferta Sequenza. 1879. Sequenza; Form. terz. Reggio (1879), pag. 209, d.° 250, tav. XV, fig. 17, a, 6, c. Rara nel vandeano di Terreti e Testa del Prato (Seg.). 9. Idm. coronopus Defrance. 1815-30. De Rayn., Heck et Ponzi; Cat. foss. M. Mario (1854), pag. 14, 20. Dalle formazioni siciliane di M. Mario. È questa la specie che gli autori descrissero col nome di Idm. affinis Rayn. 10. Idm. crassa Sequenza. 1879. Seguenza; Form. terz. Reggio (1879), pag. 208, n.° 250, tav. XV, fig. 16, a. Rarissima nel vandeano di Testa del Prato (Seg.). A questa specie, la quale per altro ha molte affinità con Idm. carinata Roem., debbo cambiar nome perchè esiste già una Idm. crassa D'Orb. (1847) e denomino Idm. Seguensai n. n. 11. Idm. cristata Gioli. 1889. Gioli; Br. neog. Pianosa (1889), pag. 255, tav. XIV, fig. 3,a,b. — Neviani; Br. Farnesina (1895), pag. 131. Un solo esemplare nel pliocene di Pianosa (Gioli) ; un solo esemplare nel siciliano della Farnesina (New). Può darsi che si tratti di una parte di colonia appartenente ad una delle specie altrimenti denominate, e rigonfia per la presenza di un ovicello; nel qual caso il fatto sarebbe» molto interessante, perchè è raro che gli ovicelli si sviluppino all’estre- mità dei rami liberi ; essendo indubbiamente tali gli esemplari di Pianosa e della Farnesina. BRIOZOI FOSSILI ITALIANI. - IDMONEE 15 12. Idm. dichotomaDE Stefani. 1884. De Stefani; Jejo Montalto (1884), pag-. 142, fig. 5 nel testo. Dal tortoniano di Vena di Mezzo presso Monteleone Cala- bro (De Stef.). Ho esaminato l’originale del prof. De Stefani, e mi sono convinto che questa specie deve radiarsi dal genere Idmonea; si tratta senza dubbio di una piccola colonia di Stomatopora repens S. Wood, sulla quale sono abbastanza distinti i tubuli lungo il loro percorso, però in modo alquanto più confuso di quello indicato dal De Stefani, ma sporgenti, e ciò vedesi anche ad occhio nudo, da un cenecio che riunisce i tubuli: cenecio che si sviluppa su di una larga base, che manca completamente nella figura. Noto inoltre che nel cartellino, questa specie era indi- cata come Idm. insidens, var. diclwtoma. f1). 13. Idm. disticha Goldfuss sp. 1826. Seguenza; Form. terz. Reggio (1879), pag. 133, n.° 495. — Gioli; Br. neog. Pianosa (1889), pag. 254. — Namias; Br. plioc. Mod. Piac. (1891), pag. 478. — De Angelis; Pai. valle Aniene (1897), pag. 304. Dal pliocene di Pianosa (Gioli); idem dei colli modenesi (N am.) ; rarissima nel tortoniano di Benestare (Seg.) ; dal miocene dei dintorni di Mandela (De Ang.). A questa specie non va ascritta la Idm. disticha del mio- cene di Fontanazzo (Nev. e De Ang.; Corali, e Bri. neog. di Sardegna (1897), pag. 594) che va invece riferita a Idm. pseu- dodisticha Goldf. o Idm. carinata Roem. 14. Idm. fenestrata Buse. 1859. Seguenza; Form. terz. Reggio (1879). pag. 132, n.° 496. — Namias; Br. Mod. e Piac. (1891), pag. 479. — Neviani; Br. neoz. I (1895), pag. 117. — Nev.; Br. Sardegna (1897), pag. 595. (*) (*) Debbo l’esame di questa specie, e dell’intiera collezione dei briozoi di Calabria, raccolti dal prof. De Stefani, e conservati nel museo geo- logico di Pisa, alla gentile condiscendenza del prof. M. Canavari, col consenso del prof. De Stefani; ai due illustri professori ed amici i miei più doverosi ringraziamenti. 16 A. NEVI ANI Dal pliocene di Castellarquato (Burrone del monte di Ber- toldo — strati sabbiosi), Colline modenesi (Nam.); un esemplare dubbio dal plioc. sup. di Cannitello (Nev.); rarissimo nel tor- toniano di Benestare (Seg.); una grande colonia dal miocene di Fontanazzo (Nev.). Specie vivente nell’ Atlantico settentrionale e boreale; fossile dal miocene. 15. I d m . g r a c i 1 i s Meneghini. 1 844. Seguenza; Form. terz. Reggio (1879), pag. 209, n.° 254. Comune nel z anclcano di Terreti e Testa del Prato (Seg.). Questa specie non venne mai figurata, ed io la ritengo as- sai dubbia; forse trattasi di una varietà della Idm. atlantico Forb. o sp. affine. Il Seguenza, l’unico che abbia citato questa sp. come fossile, distingue due varietà: teretinscola ed exilis. 16. Idm. gracili ima Reuss. 1869. Reuss; Brv. Crosara (1868), pag. 282, 291, tav. XXXV, fig. 1, a, b, 2. — Gottardi; Br. Mont. Maggiore (1885), pag. 299. Molto frequente nell’Eocene sup. di Val di Fonte (Rss.); idem di Monteccliio Maggiore (Rss., G-ott.). Di questa specie, che viene giustamente aggregata ad Idm. concava Rss., ho veduto esemplari provenienti dagli strati a Clavulina Szaboi di Priabona nel Vicentino, segnati col num. 124, e conservati in una collezione fatta da Hantken e regalata al museo geologico della R. Università di Bologna. Questa Idmonea non va confusa con la Idm. gracillima Buse (Br. Mar. Cat. (1875), pag. 14). 17. Idm. inside ns Manzoni. 1875. Manzoni; Castrocaro (1875), pag. 42, tav. VII, fig. 78, 78. — Waters : Remarcks recent geol. Ital. (1877), pag. 16 (estr.). — Scarabelli; Mon< prov. Forlì (1880), pag. 97. — De Stefani ; Jcjo Montalto (1884), pag. 216. Pliocene ant. di Castrocaro (Manz., Scar.) ; plioc. di Prurno, presso Nasi ti in Calabria (Wat.), idem, postpliocene (De Stef.). BRIOZOI FOSSILI ITALIANI. - IDMONEE 17 Oltre alle sopra riportate citazioni, non conosco altra che quella del Yine (Report fossil. Polyzoa. 1884, pag. 116); giu- dico trattarsi semplicemente di giovani colonie reptanti di Id- monea serpens Linn. 18. Idm. irregularis Meneghini. 1844. Seguenza; Form. terz. Reggio (1879), pag. 209, n.° 252; pag. 297, u.° 897 ; pag. 330, n.° 393; pag. 371, n.° 557. — Namias ; Br. Mod. e Piac. (1891), pag. 480. — Neviani; 3a contr. geol. Cat. (1889), pag. 152. — Nev.; Br. foss. Farnesina (1895), pag. 131. — Nev.; Br. neoz. V (1898), pag. 106. Non comune nelle sabbie siciliane della Farnesina (Nev.); rara nel saariano, zona inf., di Reggio, e zona sup. di Bovetto (Seg.) ; pochi frammenti nel piacenziano del Rio Torsero (Nev.) ; rarissima nel siciliano di Monasterace (Seg.); idem, astiano liti. (Nev.); rarissima ne\V astiano di Gallina; rarissima nel zan- cleano di Testa del Prato (Seg.). Oltre ai zoeci seriati, come in Idmonea tipica, si trovano altri zoeci irregolarmente sparsi, talché alcuni autori l’ascrissero al gen. Filisparsa, non solo, ma anche a FU. Pourtalesii Smitt. Il Wateks (Foss. cycl. bry. fr. Australia, 1884, pag. 680) osserva come in questa specie l’ovicello si trovi sulla faccia dor- sale, e perciò essa abbia grandi affinità con il gen. Hornera, al quale forse si dovrebbe ascrivere. 19. Idm. lineata Hagenow. 1851. Seguenza; Form. terz. Reggio (1879), pag. 209, n.° 253. — Gottardi; Br. Mont. Maggiore (1885), pag. 299. Rarissima nel zancleano di Testa del Prato (Seg.); rara nel- Veocene sup. di Montecchio Maggiore (Gott.). Questa specie istituita dall’ Hagenow (Maastricht, 1851, pag.33, t. II, f. 13) venne citata solo dal Manzoni (Br. rnioc. Au. Ungli., 1877, pag. 5), oltre ai due sopra riportati autori; essa va ascritta ad Idm. cannata Roem. 2 18 A. NEVIANI 20. Idm. Meneghini i Heller. 1867. Seguenza; Form. terz. Reggio (1879), pag. 330, n.° 394. — De Ste- fani; Jejo Montalto (1884), pag. 230. Comune nelle formazioni siciliane di Villa S. Giovanni (Seg.): idem postpl. (De Stef.). È forse questa la sola citazione fatta di questa specie, come fossile. 21. Idm. Milneana d’Orbigny. 1839. Neviani; Brioz. neoz. Ili (1896), pag. 124. — Nev.; Br. neoz. V (1898), pag. 108. — Nev.; Br. Anzio, Nettuno (1898), pag. 230. — Nev.; Br. neoz. VI (1900), pag. 68. Dal postpliocene del sottosuolo di Livorno (Nev.) ; rarissima nel macco d’Anzio; nel postplioc. del Vallone Scoppo, Messina (Nev.). A questa specie del D’Orbigny, va unita la Idm. Targionii Nev., e la Idm. notomala Buse. 22. Idm. multipli notata Gioli. 1889. Gioli; Br. neog. Pianosa (1889), pag. 255; tav. XIV, fig. 2, a, b. Due soli esemplari dal miocene di Pianosa (Gioli). Senza dubbio alcuno questa specie va riferita alla Idm. ( Cri- sma) cancellata Goldf. 23. Idm. notomala Buse. 1875. Seguenza; Form. terz. Reggio (1879), pag. 330, n.° 392; pag. 371, n.° 556. — De Stefani; Jejo Montalto (1884), pag. 230. Bara nel saariano, zona inf., di Reggio (Seg.) ; rara nel si- ciliano di Villa S. Giovanni (Seg.) ; idem postpliocene (De Stef.). Secondo il Waters (Br. eycl. Austr. 1884, pag. 684) questa specie va riportata ad Idm. milneana D’Orb. BRIOZOI FOSSILI ITALIANI. - IDMONF.E 19 24. Idm. pertusa Reuss. 1847. Seguenza ; Form. terz. Reggio (1879), pag. 85, n.° 177 ; pag. 132, n.° 497 ; pag. 296, n.° 892. — De Stefani; Jejo Montalto (1884), pag. 212. — Gioli; Br. neoz. Pianosa (1889), pag. 254. Rara nell 1 astiano di Gallina (Seg.); idem postpliocene (De Stef.); rara nel tortoniano di Benestare (Seg.); comune nel- Yelveziano di Ambiati e Benestare (Seg.); rara nel miocene di Pianosa (Gioli). Fossile solamente nel miocene e nel pliocene. 25. Idm. producta Seguenza. 1879. Seguenza; Form. terz. Reggio (1879), pag. 209, n.° 251, tav. XV. fig. 18, a, 5, e. — Neviani; la conti-, geol. Cat. (1887), pag. 181. Dalle sabbie quaternarie degli altipiani del Monteleonese (Nev.) ; comune nel zancleayio di Terreti, Testa del Prato e Gerace (Seg.). Forse è una varietà della Idm. conferta Seg., con la quale, come già lo riconobbe l’Aut. stesso, ha le massime affinità. 26. Idm. pseudodistieha Hagenow. 1851. Neviani; la conti-. Br. foss. it. (1891), pag. 137, tav. IV, fig. 19. — Nev.; Br. neoz. Ili (1896), pag. 124. Dalle argille postplioceniclie del sottosuolo di Livorno (Nev.). A questa specie, che va unita ad Idm. carinata Roem., deve ascriversi anche Idm. disticlia del miocene di Sardegna (Nev.). 27. Idm. reti cu lata Reuss. 1868. Reuss; Anth. Bry. Crosara (1868), pag. 281, tav. XXXIV, fig. 13. — Gottardi; Br. Mont. Maggiore (1885), pag. 299. — Waters; North It. Bry. (1892), pag. 156, tav. Ili, fig. 10. Dall’ eocene superiore di Val di Lonte (Rss., Wat.), di Mon- tecchio Maggiore (Gott., Wat.), di Brendola, Ferrara di Monte Baldo e Malo (Wat.). 20 A. NEVIANI Specie analoga alla Idm. hybrida D'Arch. ed alla Crisma triangularis D'Orb.; apparterrebbe poi al gen. Crisidmonea di Marsson. 28. Idm. serpens Linneo sp. 1758. Manzoni; 4a contrib. (1870), pag. 349, tav. VI. fig. 32. — Mnz.; Castrocai-o (1875), pag. 42, tav. VI, fig. 78. — Scarabelli; Mou. statist. prov. di Forli (1880), pag. 97. — Coppi; Pai. mod. (1881), pag. 124, n.° 1344. — De Stefani; Jejo Montalto (1884), pag. 220. — Namias; Br. Mod. e Piac. (1891), pag. 479. — Neviani; 2a conti-, (1893), pag. 133. — Nev. ; Br. neoz. I (1895), pag. 117, 123. — Ney.; Br. Farnesina (1895), pag. 131. — New ; Br. neoz. II (1895), pag. 232. — Nev.; Br. Spilinga (1896), pag. 54, fig. 32 nel testo. — Nev.; Br. neoz. Ili (1896), pag. 113. — Nev.; Br. neoz. V (1898), pag. 102, 108. — Nev.; Br. Anzio Nettuno (1898), pag. 230. — Nev.; Br. neoz. VI (1900), pag. 62. Dal postpliocene delle Carrubbare (De Stef.); dal pii oc. sup). e postpliocene di Cannitello, Caraffa, Presinaci, Spilinga e S. Onofrio (Nev.); idem della Farnesina e Nettuno (Nev.); del piacenziano di Bordigliera (Nev.); rarissima nel tortoniano di M. Gribio ; frequente nel tabiano ( plioc . inf.) della Tagliata e nel piacentino della Fossetta e Guana (Coppi); frequente a Fi- carazzi (Sicilia) Pezzo e Cannitello, presso Reggio (Mnz., Nev.); rarissimo nel pliocene antico di Castrocaro (Mnz., Scarab., Nev.); nel pliocene di Castellarquato (Riorzo, Burrone di monte Ber- toldo). Strati sabbiosi (Nam.) A questa specie si riferisce Idm. insidens Mnz., die ne di- versifica soltanto per essere adnata e non eretta. Su questa distin- zione altri ascrivono la specie al gen. Tubuli pora ; il d'Orb. la riporta a Teptotubigera. Idm. serpens essendo comunissima si trova citata da moltissimi autori, e con i nomi più differenti; recentemente I’Harmer (Deve- lop. Tubulipora, 1898, p. 90) la unisce a Tubulipora lil iacea Pal. Gli ovicelli che normalmente si sviluppano presso le bifor- cazioni dei rami, interessando colla frontale un numero più o meno grande di zoeci, ed aventi forma subtriangolare, allargati in alto e ristretti in basso ; si presentano alle volte anche lungo il percorso dei rami, sempre sulle facce anteriori, ma assumendo in questo caso uno sviluppo assai minore. BRIOZOI FOSSILI ITALIANI. - IDMONEE 21 29. Idra, spica Sequenza. 1879. Sequenza; Form. terz. Reggio (1879), pag. 132, n.° 493, tav. XII, fig. 28, 28 a. Rarissima nel tortonicmo di Benestare (Seg.). L’aut. dichiara essere molto affine alla Idm. lineata Hag.; non venne mai citata da altri. 30. Idm. Targionii Neviani. 1891. Neviani; la contr. Br. foss. ital. (1891), pag. 139, tav. IV, fig. 20. Dalle argille postplioceniche del sottosuolo di Livorno (Nev.). Già nel 1896 (Br. neoz. Ili, pag. 124) corressi questa mia determinazione, riportando la specie di Livorno alla Idm. Mil- neana d’Orb. 31. Idm. trapezoides d’Archiac. 1846. Oppenheim; D. alt. d. Colli Berici (1896), pag. 41. Dalla fauna eocenica di Zovencedo (Opph.). 32. Idm. triforis Heller. 1867. Waters; Rem. ree. geol. Italy (1877), pag. 16 (estr.). — Seguenza: Form. terz. Reggio (1879), pag. 209, n.° 255; pag. 297, n.° 895; pag. 371, n.° 558. —De Stefani; Jejo Montalto (1884), pag. 123, 208, 216. — Neviani ; 3a contr. geol. Catanzaro (1889), pag. 141. Rara nel saariano, sona inf. di Reggio (Seg.); comune nel saariano, sona snp. di Bovetto (Seg.); rarissima ne\V astiano di Gallina e Vallanidi (Seg.); idem postpliocene (De Stef.); ra- rissima nel sancleano di Terreti e Stilo (Seg.) ; idem tortoniano (De Stef.); idem astiano liti. (Nev.); dal pliocene di Prurno presso Nasiti (Wat.); idem postpliocene (De Stef.). Specie molto affine alla Idm. gracilis Mngh. ed anche alla Idm. Meneghina Heller. Fu citata fossile solamente dai sopra- riferiti autori. 22 A. NEVIANI 33. Idm. vibicata Manzoni. 1877. Neviani; la contr. br. foss. (1891), pag. 137. — Nev.; Br. Farne- sina (1895), pag. 131. — Nev. ; Br. Spilinga (1896), pag. 55. — Nev.; Br. neoz. Ili (1896), pag. 124. Dalle formazioni postpliocmiche di Livorno e di Spilinga; da quelle siciliane della Valle dell’Inferno e Farnesina (Nev.). Ad Idm. vibicata Mnz. alcuni autori uniscono Ter via solida Jullien; altri l’associano ad Idm. serpens Linn. con la quale ha grande affinità. 34. Tubuli por a seria topora Sequenza. 1879. Sequenza; Form. terz. Reggio (1879), pag. 211, n.° 277, tav. XV, tig. 23. — De Stefani; Jejo Montalto (1884), pag. 191. Rara nel zancleano di Terreti, Testa del Prato e Piani della Melia (Seg.); idem pliocene (De Stef.). La Tubulipora seriatopora Seg. è evidentemente una Idmonea reptante; e siccome esiste già una Idm. (. Hornera , Filisparsa ) seriatopora Reuss (Mnz., Br. Mioc. Ali. Ungli. (1877), pag. 6), cosi conviene cambiare nome alla specie del Sequenza, e propongo che venga distinta colla denominazione di Idm. brutia Nev. n. n. 35. Tubulipora serpens Linneo sp. 1758. Seguenza; Form. terz. Reggio (1879), pag. 211, n.° 275; pag. 330, n.° 400 ; pag. 372, n.° 572. — De Stefani ; Jejo Montalto (1884), pag. 228, 230. Rara nel saariano, zona infer. di Reggio (Seg.); comune nel saariano, zona sup. di Bovetto e Musala (Seg.) ; idem, post pi io- cene (De Stef.); rara nel siciliano di Villa S. Giovanni (Seg.); idem, postpliocene (De Stef.); rara nel zancleano di Terreti e Testa del Prato (Seg.). Abbiamo precedentemente detto che il Seguenza ascrisse a Tubulipora le Idmonee reptanti, quindi questa va riunita ad Idm. serpens Linn. Riassumendo le precitate indicazioni ; le Idmonee fossili ita- liane vengono cronologicamente e topograficamente distribuite come nel seguente specchietto; notando come le 24 specie, ivi L iquaivi/y OTZJLOAl'J BTJq'BX'BQ •f } I + ~T ’+ _+ !_ TT + : ■f 'cnrsatuBj I 'Uijq'BqeQ ujjnSiq[ t + ! + •Buapoj^; ojuooj^S'bq oizay usoumj 'Uijq'BX^O + + + + + + + + + t + + + + + Qseuapoj^; t?XapnRj\[ 'Bijq'BX^O vsouutj + + : { + : + f + •EuSap.rBg + { OUBTOSOJ^ 0^0110^ P W p3 W P o w cu co + + + 0 Q co s Ss P5 K a O H p M « 5 "e 3 & P % 8 W 5 B 8.1 13 "53 US o s "53 S s ?U ■ P C6 m m Q U) o O OS e ^ S P “ m h g tS H H 53 P3 CO o 1 8 « 8 •£ & ■SS o3 > ’ à * g H « I M O . s •§ ;s co ^ P£ S | S5 § ?! PP C5 w • b o “ * □ § P « e CO T 8 ^ Ss p« 53 o . ^ " "5 _2 rC s £ > H ■ 25 I ^ à < - g 4 K a CO z CO O co * a, a, £ ^ § PS o gs^ll ^ a g g •* PPPPPPPPPP P P P P P P P P P P P 0uipjo,p -omjj HfMCO’JlOOt'OlffiO (Mt0s#L0cflN0305O rH t— Ir— I i— I i — I i — I -i — I ì — I CI rH (M CO Ttf CI d CN C3 24 A. NEVIANI segnate, molto probabilmente sarebbero da ridursi in numero, il che si potrebbe fare solo avendo sott’occliio non solamente molto materiale italiano, ma anclie di altri paesi, e specialmente po- tendo esaminare gli esemplari tipici conservati nelle collezioni. Da esso specchio risulta che si conoscono in Italia 5 sp. nel- Ycocene superiore, 10 nel miocene, 17 nel pliocene inf. e medio, 9 nel pliocene sup., 9 nel postpliocene; di esse tutte, 8 sono ancora viventi. BIBLIOGRAFIA. Per brevità riporto, in questa bibliografìa, solamente le opere ove direttamente vengono citate Idmonee fossili italiane; trala- sciando tutte le altre che nel testo sono ricordate, sia per ra- gioni di sinonimia, sia per citazioni indirette. Conti Augusto — Il Monte Mario ed i suoi fossili. 1864. Coppi Francesco — - Paleontologia modenese. 1881. Crespella nì Arsenio — Nota geologica sui terreni e sui fossili del Savignanese. 1875. De Angelis d’Ossat Gioacchino — Contributo allo studio pa- leontologico dell’alta valle dell’ Anime. 1897. De Raynevald, V. Hecke et Ponzi — Catalogne des fossiles du Monte Mario (près Rome). 1854. De Stefani Carlo — - Escursione scientifica nella Calabria ; Jejo Montai tg e Capo Vaticano. 1884. Gioli G. — Rriosoi neogenici di Pianosa. 1889. Gottardi G. B. — Rriozoi fossili di Montecchio Maggiore. 1885. Manzoni Angelo — 1 Rriozoi del pliocene antico di Castro- caro. 1875. — Rriozoi fossili italiani, 4a Contribuzione. 1870. Namias Isacco — Ccmtributo ai Rriozoi pliocenici delle Pro- vincie di Modena e Piacenza. 1891. Ne vi ani Antonio — Contribuzioni alla geologia del Catanza- rese. I, 1887. — Idem, III, 1889. — Rriozoi neozoici di alcune località d’Italia, I, II, 1895; III, 1896; Y, 1898; VI, 1900. BRIOZOI FOSSILI ITALIANI. - IDMONEE 25 Neviani Antonio — Briozoi fossili della Farnesina e Monte Mario presso Roma. 1895. — Briozoi eocenici del calcare nummulitico di Mosciano presso Firenze. 1895. — Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria). 1896. — Briozoi delle formazioni plioceniche e postplioceniche di Baio, Anzio e Nettuno. 1898. — e De Angelis Gioacchino — Corallarii e Briozoi neogenici di Sardegna. 1897. Oppenheim Paul — Bas Alttertidr der Colli Berici, ecc. 1896. Reuss A. E. — Fossilen Antliozoen und Bryozoen der Schichten- gruppe von Crosara. 1868. Sacco Federico — L’ Appennino settentrionale. Parte III. La To- scana. 1895. Scarabelli Giuseppe — Monografìa statistica della Provincia di Forlì. 1880. Sequenza Giuseppe — Le formazioni terziarie nella Provincia di Peggio Calabria. 1879. Waters Arth. Wil. — Remarks on thè recent geologg of Ltaly. 1877. — North Ltalian Brgozoa; part. II, Cyclostomata. 1892. Gabinetto di Storia Naturale del R. Liceo E. Q. Visconti. Roma, 25 marzo 1000. OSSERVAZIONI SUI DENTI INCISIVI DELL’ELEFANTE AFRICANO. Nota del socio Igino Cocchi Nel visitare le collezioni più celebri di Europa, ho gene- ralmente notato dei resti di Elefanti principalmente quaternari, in numero più o meno notevole, senza determinazione specifica, con determinazioni dubbiose e anche con determinazioni con- tradditorie, attribuite dai paleontologi che quei resti esaminarono successivamente. Per non allargarmi troppo, restringo le mie osservazioni ai denti, sui quali sono più comunemente fondate le determinazioni specifiche dei paleontologi. Parve a me, e sempre pare, che le incertezze e le opposte sentenze nascano dal fatto che dei limiti di variabilità dei denti abbiamo un insudiciente concetto, senza dubbio per la poca quantità di materiali scheletrici che sono a disposizione dei paleontologi e per la loro incompletezza. Le più grandi come le più comuni collezioni mancano di tipi di confronto. La qual cosa mi indusse a pensare che potendo avere sottocchio un gran ma- teriale tratto dalle due specie viventi, con confronti accurati si dovrebbe venire a conoscere entro quali limiti possano le specie viventi andare soggette a variazioni nella struttura e nella forma dei denti. Mi parve che il trovarmi allora nel Belgio fosse buona circostanza per questo esame. E infatti saputo che nel Belgio affluisce la maggior parte dell’avorio africano per la via del Congo, e a questo se ne unisce anche della specie in- diana, avendo il Siam da poco tempo cominciato a spedirvi del proprio. Anche senza l’indiano, il mercato di Anversa è oggi il principal mercato di questo articolo di commercio; e i magaz- zini del Congo in quella città ne contengono tale una quantità, DENTI INCIS. DELL’ELEFANTE AFRICANO 27 che ha sorpassato il mercato di Londra, il quale fino a qualche anno fa si mantenne il primo del mondo. Disgraziatamente però il commercio apprezza le sole zanne. I molari, si dice, non hanno applicazioni industriali, a che prò 1’ occuparsene ? Neppur uno, nessuna raccolta. Gli stessi incisivi d’ippopotamo, non essendo molto ricercati, costano poco, ond’è che si trovano appena. Le collezioni scientifiche non ne sono più provviste ; la maggiore (quella dello Stato indipendente a Terweren) possiede uno scheletro montato, qualche frammento e non più. Concentrare le osservazioni sulle sole zanne fu dunque ne- cessità. Le osservazioni su queste non potevano riuscire più nu- merose, nè più istruttive. Imperocché si stava preparando ap- punto in que’ giorni uno dei quattro incanti d’avorio trimestrali che vi si tengono annualmente. Grande era il numero dei denti destinati per quell’incanto ; il peso complessivo non era ancora accertato, ma si raggua- gliava già da 80,000 a 90,000 chilogrammi. Se ne formavano lotti di 2, di 3, o di più zanne; tutte poi venivano accuratamente descritte, classate e catalogate. Era un lavoro nuovo per me e interessantissimo al mio punto di vista prettamente scientifico. Divido così le svariate forme degli incisivi in tre Classi o Cate- gorie ; cioè : I. a Incisivi a forme normali. II. a Incisivi a forme anormali III. a Incisivi a forme viziate o patologiche. Inutile dire che descrivo le forme dell’ Elefante africano : della specie indiana non ho osservazioni mie proprie. Moltissime zanne anche di questa negli stochs di Londra ho veduto, tro- vandomi però in circostanze che non mi permisero di darmi a osservazioni di questa natura. Come impressione generale panni di aver notato che l’africano è più poderosamente armato del- l’Elefante indiano. 28 I. COCCHI La prima Classe o Categoria si divide naturalmente in quat- tro tipi o gruppi. 1° Gruppo. - Incisivi diritti. Queste zanne, le più apprezzate dal commercio, si accre- scono dirigendosi allevanti ed all’ingiù rettamente, curvandosi in alto soltanto presso la punta; mostrano un leggero scarta- mento sui lati, loccliè le fa apparire quasi parallele; talvolta la punta è bruscamente piegata all’insù ; hanno lunghezza che po- trebbe dirsi di accrescimento esagerato rispetto al diametro. Per questo motivo dagli Inglesi vengono chiamati long groom teeth, e Dents droites dai Francesi. La punta è sottile, bene spesso è compressa ed anche tagliente, forme comprese nella dizione fìat points degli Inglesi. II.0 Gruppo. - Incisivi arcuati. Le zanne di questo tipo sono le più comuni : ed è facile le immaginarle supponendo la forma precedente piegata all’insù sul suo asse longitudinale in modo da formare un semicerchio più o meno aperto. La loro inserzione nelle mascelle si direbbe alquanto obliqua, perchè al di fuori della bocca appaiono legger- mente inflesse sui lati esterni, per modo che non procedono pa- rallele, ma si discostano fra loro dalla base alla punta. Que- st’ultima suol essere di forma conico-acuminata. II.0 Gruppo.- I Incisivi contorti. Facilmeute s’intende questo tipo supponendo di torcere il precedente sul suo asse dall’interno all’esterno spiralmente. Per questa disposizione elicoidale i denti di questo tipo non posano sul piano del loro asse dal quale si discostano sempre più dalla base alla punta. Questa forma contorta è abituale, per quanto sap- piamo, nell'Elefante primigenio di Siberia; e l’avorio degli in- cisivi di questo tipo ( twisted teeth ) nella specie africana è giu- dicato poco favorevolmente dal commercio, forse per la disposi- zione a spirale delle sue fibre. DENTI 1NCIS. DELL’ELEFANTE AFRICANO 29 IV.0 Gruppo. - Incisivi corti ci punta conica. Di forma tozza, curvata all'insù sul piano dell’asse, ma poco arcuata, non contorta; generalmente di mediocre lunghezza ri- spetto al diametro, ossia con accrescimento proporzionatamente maggiore nel senso trasversale che nel longitudinale ; punta co- nica o poco assottigliata. Inutile dire che non mancano forme intermedie di collega- mento fra i quattro tipi. Inutile pure avvertire che se le quattro forme tipiche si dovessero trovare separate, distanti, in scarso numero di frammenti, sarebbe molto difficile il riunirle sotto il medesimo tipo specifico comune. Invece per questa unica specie vivente in mandre numerose nell’Àfrica dove, non sono poi tanti secoli, estendeva il suo habitat dalle rive del Mediterraneo al Capo e dal Mar Rosso all’Atlantico, non abbiamo fin qui le prove che rappresentino varietà o razze distinte. Ci contenteremo dun- que di considerarle, sia pure provvisoriamente, come differenze individuali e proseguiamo. II.a Categoria. Incisivi a forme anormali. Si riuniscono qui gli individui che hanno zanne disuguali per ineguale accrescimento, oppure per disuguaglianza di forma. Talora si trovano individui ne’ quali uno de’ due incisivi rimase atrofizzato mentre l’altro acquistò, a spese del compagno, uno straordinario accrescimento, e sono questi in parte gli oversize del commercio. In altri individui prendono invece uno sviluppo regolare con forme diverse, per modo che un incisivo sia diritto e l’altro ar- cuato, uno contorto e l’altro no, uno più lungo dell’altro. Se si dovesse cercare la causa dell’atrofia più o meno com- pleta, si giungerebbe a ritrovarla in uno stato congenito dell’or- ganismo, essendo che sappiasi che in non pochi individui di ogni altra specie l’evoluzione dentaria, non procedendo regolarmente in ogni sua fase, dà origine a modificazioni più o meno profonde. :30 I. COCCHI Non possono però essere completamente estranee anche le cause traumatiche; e trattandosi degli Elefanti di cui cui parliamo potrei esporne anco gli esempi; me ne dispenso per brevità, notoria essendo l’azione di cause esterne nell’alterazione o nella modificazione de’ tessuti e degli organi. III.a Categoria. Incisivi a forme viziate e patologiche. Yi sono incisivi che per la forma generale rientrando in ta- luna delle categorie e dei gruppi precedenti, se ne separano pur non ostante per alcuni caratteri per i quali il commercio li considera come denti viziosi e malati ( diseased teeth). Due sono le forme più note di questi incisivi. Nella prima l’avorio presenta delle corrosioni sulciformi, quando rettilinee o oblique e quando flessuose, le quali sono talvolta pro- fonde così da penetrare nella cavità dentaria. La causa la ignoro, ma sento dire che la si considera come vera carie che si presenta all’esterno, corrodendo più o meno profondamente l’avorio. Sono questi i veri diseased seams. Nella seconda, l’alterazione è interna e consiste in una o più cavità che si formano nella massa compatta dell’avorio, non completamente vuote, ma con masserelle di materia eburnea al- terata, totalmente distaccate dall’avorio sano. Quando si estrag- gono colla lavorazione, si presentano in forma di dischi, di ci- lindri, di uova di vario volume, che prendono i nomi bizzarri di fave, di candele, di uova, tutte forme le quali sono comprese nella denominazione di diseased hollows. Gli specialisti se ne avvedono allo speciale crepitìo che fanno sentire le masserelle incluse ne’ vacui respettivi agitando il dente. Tutta questa cate- goria dei diseased teetli è per gli incanti minutamente presa in esame dente per dente con speciali e ben chiare indicazioni. Qualunque sia la causa ignorata che dà origine a queste due forme, una terza se ne potrebbe aggiungere alle due, ed è la deformazione prodotta dalla rottura dell’incisivo in parte nella quale può la rottura in qualche modo rimarginare. Se però av- DENTI INCIS. DELL’ELEFANTE AFRICANO 31 viene rottura nella prima età presso la mascella, la cavità den- taria si vuota, il cono alveolare si atrofizza, e il dente superstite suol prendere eccezionali proporzioni. Importante al nostro punto di vista è anche la parte apiciale o punta. In ciascuno de’ guppi descritti la punta è varia di forme. Se si prendessero queste come carattere diagnostico, la classifi- cazione non sarebbe più artificiale della precedente, ma di questa meno utile allo scopo die ho in vista. Gli incisivi di qualunque categoria e tipo possono avere punta corta conica, o conica al- lungata, sottile ed acuminata; possono averla compressa o de- pressa e anche tagliente, collettivamente comprese nella deno- minazione fiat points, dents plates; tutte poi forme che troviamo nelle specie estinte. La punta, qualunque ne sia la forma, gene- ralmente è liscia, l’uso la rende anche consunta specialmente nel primo gruppo ; ma spesso è anche provvista di costole longitu- dinali più o meno rilevate. Questa forma va distinta in commercio col nome di ribpoints e di dents à cótes. Portando l’attenzione sui primi quattro tipi principalmente, nasce spontaneo il domandarsi quali forme di molari corrispon- dono a quelle degli incisivi. Per saperlo con precisione bisogne- rebbe che si potessero avere accanto al paio d’incisivi di un sufficiente numero di individui i rispettivi molari adulti o almeno altrettali corrispondenti al tipo e alla età di ciascun paio. Finora nessuno ha provveduto a questo. Cadono si annualmente a mille a mille gli Elefanti in Africa; ma alla raccomandazione di prov- vedere anche per la scienza in tanta ricchezza di avorio, nel Belgio si obbietta la mancanza di pecunia. Mancanza di danaro nel Belgio! è sorprendente. Evvi peraltro un mezzo apparentemente non troppo costoso e speditivo per venire in aiuto della Scienza, mentre che d’altra parte si provvede alla grossa finanza. Pochi giovani di buona volontà, colti, istruiti, mandati espressamente nelle regioni del- l’avorio, con disegni e descrizioni fatte e con notizie raccolte sui luoghi, potrebbero fare più in un anno che non gioverebbero più navi onerarie cariche di parti scheletriche raccolte e cumulate alla rinfusa, da scaricarsi ad Anversa. In attesa di ciò che farà quel popolo tanto illuminato e dovizioso, ci sia lecita qualche congettura. 32 I. COCCHI Nel primo gruppo il tipo dell’incisivo allungato, diritto, con diametro uniforme, sembra che dovrebbe ripetersi ne’ molari, i quali saranno perciò di forma allungata e proporzionalmente ri- stretta da destra a sinistra. Altrettanto dovrebbe accadere per gli altri gruppi in quegl’individui ne’ quali gli incisivi, qualunque ne sia la forma, hanno preso più in lunghezza che in diametro, o poco in entrambi i versi. Ma negli incisivi a grande sviluppo trasverso e addirittura fuor misura ( oversize ) il dicono dentario in cui il cono alveolare è necessariamente proporzionale al cono esterno, contribuisce ad allargare in misura pari alla propria le mascelle. Nelle quali, per conseguenza, si troveranno impiantati molari proporzionati alla loro ampiezza e robustezza destinata a reggere il peso dei 70 a 80 chilogrammi per zanna e agli sforzi nell’adoperarli che fa l’animale a svellere e ad abbattere gli ostacoli che incontra. Dunque il supporre che molari di dimensioni, proporzioni e forme corrispondenti agli incisivi armino le mascelle, è conget- tura che si impone, logico essendo che questi organi con le altre parti della bocca formino un tutto armonico, cosicché le forme grosse o sottili delle zanne trovino corrispondenti forme dei molari, nè debba supporsi un oversize, ad esempio, con molari ristretti. C’ è un passo dalle modificazioni delFinsieme a quelle delle parti, cioè delle lamine dentarie, per grossezza e per numero, come per ampiezza e disposizione delle losanghe ; anzi non riesce sempre facile l’escluderle. Pensatamente parlo di molari adulti. In un numero grandissimo di molari di latte (primo e secondo) spettanti a specie estinte, non ho potuto riscontrare differenze apprezzabili. Le differenze si riscontrano negli adulti a tal punto, da indurre i più esperti a riservare il loro giudizio, seppure non sia il caso di pareri discrepanti fra gli osservatori, taluni dei quali non si ristanno dal variare i concetti specifici general- mente ammessi, dove allargandoli, dove restringendoli, o sosti- tuendone degli affatto nuovi ai vecchi. In tutto ciò il principio informatore è il medesimo ; avremo l’arbitrario finché non avremo appreso fino a qual punto la dentizione possa modificarsi in ar- monia con altre modificazioni dell’organismo dei Proboscidiani. Datomi cura di sapere se varietà ben definite della specie africana siano conosciute, non ne ho trovato traccia. Solo ulti- DENTI 1NCIS. DELL’ELEFANTE AFRICANO 33 inamente da un libro scritto da taluno de’ così detti domatori (Le dressage des animaux, par P. Hachet-Souplet), edito ulti- mamente a Parigi, apprendo che gli elefanti più gustati dal pub- blico de’ circhi sono i nani. Un periodico tedesco, organo degli acrobati e dei domatori, è pieno di avvisi che nel tal circo o nel tal altro vi è l’Elefante più nano del mondo. Talune di queste maraviglie ingrossano, cessando di essere maraviglie, ma certuni restano nani davvero. Potremo ritenerli come rappresen- tanti, cotesti nani, di una varietà della specie africana? Non oserei rispondere affermativamente a questa domanda senza suf- ficienza di dati. Frattanto può esserci di maggiore aiuto in questa ricerca, fino ad un certo punto, la classificazione commerciale se non con le sue tante distinzioni, con le due principali. Questa fa, dell’avorio fornito dall’Africa, due grandi Classi. La prima è quella dell’ Avorio bianco, di cui sono sinonimi White coats, Grana d’Egitto, Central African ivory. La seconda è quella dell ’ Avorio verde che ha per sinonimi : Brown coats, Westcoast african ivory. È quanto dire che il primo è dell’Africa centrale ed orien- tale, della occidentale il secondo. Ma nel fatto il primo è for- nito dagli Elefanti che abitano le regioni montuose, asciutte ed aride dall’Abissinia (donde il nome di grana di Egitto), alle mon- tagne dirupate ed agli altipiani dell’Africa australe. Il secondo invece è tolto agli Elefanti che vivono nelle regioni basse, pan- tanose, di umido clima da Oceano a Oceano. L’avorio della prima divisione è bianco all’esterno, bianco- latteo all’interno, è tenero e opaco. L’avorio dell’altra divisione è nero-bruno all’esterno, verde all’interno, duro e trasparente. Cotali differenze hanno preso carattere di stabilità e sono, come si vede, in stretta relazione col clima, ed in conseguenza anche coll’alimentazione, diversa nei due casi. Se dunque il clima temperato e talvolta freddo ha dato origine ai Wliite coats e il clima equatoriale ai Brown coats, e se questa modificazione non è soltanto nel colore, ma è anche nella struttura, essendo opaco e tenero ne’ primi, e trasparente e duro ne’ secondi, anche senza cercare se una e quale delle due forme sia la primitiva, non si potrebbe negare che il clima possa avere indotto altre modificazioni nell’organismo, trasmissibili di generazione in ge- 3 34 i. coccht nerazione. In conclusione però siamo sempre a contrasto con la insufficienza delle nostre cognizioni. In forza dunque di questo stesso ragionamento, a me pare prudente consiglio di non toccare a taluna delle specie estinte, le quali nella grande area di diffusione che ebbero, essendosi trovate a vivere in climi abbastanza diversi, possono ripetere quanto accado oggi nell’Elefante africano. Le altre distinzioni del commercio non sono tali davvero da trovarvi alcun che di diverso dall’individualismo. La stessa cavità dentaria è variabilissima per estensione e capacità in ciascun gruppo, e anzi tanto strettamente individualizzata, clic il commercio la vuol misurata dente per dente, locchè non ac- cadrebbe se ci fosse un rapporto costante fra vuoto e pieno per i denti di dimensioni uguali. Resta dunque, a parer mio, dimostrato che la specie di Ele- fante dell’Africa riunisce in se tutte le forme di zanna che tro- viamo nelle varie specie fossili ; che non sappiamo quali modi- ficazioni dei molari corrispondano a quelle; che tenuto conto del criterio fondamentale della classificazione dell’avorio, la specie sarebbe rappresentata da due varietà, vivente una nelle regioni elevate di clima temperato, vivente l’altra nelle basse pianure di clima caldo ed umido ; che le due varietà sono per ora carat- terizzate dalla differenza di colore, di durezza e di struttura dell’avorio degl’incisivi ; che qualunque altro carattere diagno- stico restando finora sconosciuto, possono indicarsi l’una a denti bianchi , l’altra a denti neri. Finalmente che può esservi una varietà nana della quale sappiamo ancor meno. Giova dunque attendere che i naturalisti dei Belgio in primo luogo e delle altre nazioni che hanno ampia sfera d’influenza nell’Africa equa- toriale, raccolgano osservazioni, studi e materiali e ci diano le cognizioni tanto desiderate che ancora la Scienza non ha. Dall’opera dei giovani scienziati è più da sperare che da quella dei dilettanti di avventure e di caccia. Costoro, più che da altro sentimento, sembrano mossi dall’amore del guadagno. L’estrarre interi dall’alveolo gli incisivi dell’atterrato gigante della foresta non è lavoro da poco. Più sbrigativo sarebbe lo asportarli con la mascella aderente e per conseguenza co’ molari in posto. Il trasporto a spalla d’uomo è caro, ond’ è che il più lungo lavoro DENTI INCXS. DELL'ELEFANTE AFRICANO 35 alla maggiore spesa sia preferito dal cacciatore die specula sul- l'apparente esercizio sportivo (*). Chiudo offrendo alla Società e ai Colleghi alcune copie di un articolo pubblicato poco tempo fa in un autorevole nostro pe- riodico, dal quale potranno ricavare varie notizie che ora tra- scuro perchè sono estranee al punto di vista della presente nota (■). (') Lo sport europeo che si da convegno nelle regioni equatoiiali dell'Africa per dar prova di precisione di tiro, che è quanto dire ucci- dendo per uccidere, é il primo fattore della distruzione delle grandi e più belle specie. Curioso contrasto ! I molteplici mezzi che si mettono in opera in un’area circoscritta e relativamente ristretta qual’é la Mar- tinica non valsero a sopprimei’e il tanto temuto Trigonocefalo. La sola carabina aiutata dalle palle esplodenti ha fatto passare in pochi anni nel dominio della Paleontologia la maggiore delle Zebre ( Equus Bur- chelli) e la più gentile (Equus Quagga)-, e con queste altre specie sono passate o presto passeranno ad arricchire i cataloghi paleontologici. L’azione delle armi da fuoco è per ogni dove il più efficace mezzo di distruzione di tutte le creature viventi che l'avidità dell’uomo perse- guita. Fra le minacciate di prossima estinzione vi è l’Elefante Africano seppure noi salverà con leggi protettrici il commercio bisognoso di con- servarsi l’avorio, trovando salvezza la specie nella causa stessa che nello stato delle cose la trascina inesorabilmente a prendere posto fra i suoi congeneri estinti. (2) Le Zanne dell’ Elefante Africano e il commercio dell’avorio. Estr. dalla Nuova Antol. 15 Agosto 1899. FLORA TONGRIANA DI PAVONE D’ ALESSANDRI A Nota del socio prof. Paolo Peola Chi, partendo da Alessandria, prende lo stradale degli Orti, e, passato il ponte sul Danaro, segue il corso di questo fiume per po- chissimi chilometri, si trova alle falde di una collinetta conica, che a guisa di promontorio si avanza nella pianura alessandrina, e sul pendio sud-est della quale collina si trova il piccolo comune di Pavone d’Alessandria. Per metà circa della sua base la collina è fiancheggiata dalle acque del Tanaro, che l’avrebbero già erosa ed abbattuta, se grossi e duri ammassi calcarei, dati da un banco calcareo pliocenico che viene quivi ad affiorare, non la difendes- sero, rompendo ed attenuando l’urto della corrente. Ciò non im- pedì che alcuni lievi scoscendimenti si siano verificati, e si siano formati dirupi, i quali, facendo nella collina una sezione naturale, hanno messa in evidenza la sua costituzione geologica. Della geologia di Pavone d’Alessandria il primo ad occuparsi fu il Sacco nel suo studio sul « Bacino terziario e quaternario del Piemonte » (1890), ma prima di lui pare avesse percorso tali località il Sismonda Angelo, come si deduce dalla sua memoria « Osservazioni geologiche sui terreni delle formazioni terziaria e cretacea del Piemonte » : ma mentre egli parla dei terreni suba- pennini di S. Salvatore, Pecetto, Valle S. Bartolomeo. Pavone e Rivarone, e del cretaceo (*) sottostante a queste formazioni plio- (*) Appena oltre la collina di Pavone incomincia una zona di terreni la quale passando tra Pietramarazzi, Monte Castello e Valle S. Barto- lomeo, si spinge fino oltre Pecetto, e che il Sismonda Angelo ritenne cretacea, ed il Sacco liguriana. In una mia memorietta di prossima pub- blicazione, su alcune fucoidi trovate in detta zona, esprimerò anch'io l’opinione che si debba riferire piuttosto al liguriano. PLORA TONGRIANA DI PAVONE D’ALESS ANDRI A 37 ceniche in quel di Pecetto, non parla punto di questi conglome- rati, e pare che la sua attenzione fosse stata sviata dalle vicine cave di calcare pliocenico, dove fece raccolta di una trentina di specie di molluschi fossili. Riguardo la collinetta di Pavone, così si esprime il Sacco nel sopra citato suo studio : « In rapporto a questa allungata zona liguriana Valenza- Ales- » sandria, affiorano pure placche e strisele tongriane poco potenti » che si spingono talora sino all’alveo del Tanaro, facendo deviare » notevolmente il corso di questo fiume. In questa località, cioè » a Pavone d’ Alessandria, il terreno tongriano è rappresentato da » banchi arenacei inclinati di una ventina di gradi verso sud o » sud-ovest, ed inglobanti grosse lenti ghiaiose e conglomeratiche » ben cementate ; le arenarie sono piuttosto grigiastre, i ciottoli » per lo più costituiti di materiale liguriano e talora a spigoli » ancora abbastanza conservati, spesso schiacciati, smezzati, e » con i frammenti ancora saldati, i banchi arenacei presentano » spesso piccole rotture e spostamenti locali ». È in uno di questi banchi marnoso-arenacei che nei primi giorni di aprile 1893 scopersi il sedimento fillitifero, e che in di- verse escursioni ripetute poi durante gli anni 1894-95-96 ho presso che esaurito, formandomi una ricca collezione che conservo io stesso. Dalla sezione naturale fatta dalle erosioni delle acque del Tanaro, si scorge che la zona di calcare marnoso-azzurrognolo ricca in filliti si trova tra una formazione di marna azzurra al- quanto tenera ed un banco di conglomerati bene cementati in mezzo ai quali si trovano strati calcareo-arenacei sconnessi e ri- cementati da infiltrazioni calcaree. Anche lo strato fillitifero si presenta a pezzi rotti, le filliti si trovano dimezzate, spesso a frantumi indeterminabili e con frequenti impronte di pesci. Ac- canto a questa formazione, ed in modo discordante, terminano gli strati a calcare pliocenico che si fanno molto potenti, poche de- cine di metri verso ovest, in quel di Valle S. Bartolomeo. Questo deposito, per i suoi conglomerati rotti e sconnessi, per la sua po- sizione sopra il liguriano, parmi riferibile al Tongriano. e que- sta determinazione viene giustificata anche dalla natura delle filliti. Della scoperta di questo importante sedimento fillitifero diedi contezza alla Società geologica italiana il 30 aprile 1893 nel- 38 P. PEOLA rAdunanza tenuta a Genova (1). Le specie riferibili alle conifere le pubblicai nella mia nota : Le conifere terziarie dei Pie- monte 0 ed il Dott. Luigi Meschinelli nella sua nota (3) : Su alcuni funghi terziari del Piemonte ». descriveva di Pavone una impronta di fungo. Debbo in ultimo porgere i più vivi ringiaziamenti al Dott. L. Me- schinelli che mi determinò le fiditi contenenti impronte di funghi, al Prof. F. Passarli che mi studiò le impronte di pesci, ed al Dott. Vittorio Piccotti che mi suggerì questo importante deposito fìllitifero, e mi fu poi sempre di grande aiuto nella raccolta. FUNGI. 1. Sphaerites Kink clini (Engelh.) Mescli. 1895. Sphaerites Kinkélini Meschinelli, Fungi fossiles in Saccardo, Sgll. fung. orrm., voi. XI, Padova. Suppl. Univ. p. Ili, pag. 657, n. 4195. 1898. » » Meschinelli, Su alcuni funghi ierz. del Pie- monte, pag. 2, tav. II, fig. 3. Questa impronta di fungo che posa sopra una foglia di Ptelea acuminata mi fu gentilmente determinata dal dott. Luigi Meschi- nelli, il quale vi aggiunse le seguenti osservazioni : « La spe- cie descritta dal chiarissimo Engelhardt fu trovata su una foglia di Alnus Kefersteinii Goepp, nell’ argilla pliocenica di Capla- grabens presso Podvin in Slavonia, ma è così identica a quella di Pavone, che la ascrissi senz’altro a quella, sebbene la ma- trice ne sia diversa. Io non credo che questo fatto autorizzi a staccamela per istituirne una specie nuova ». (1) P. Peola, Nuovi rinvenimenti di fossili terziari nelle colline di Ales- sandria. (Boll. Soc. geol. ital., voi. XII, 1893). (2) P. Peola, Le Conifere terziarie del Piemonte. (Boll. Soc. geol. ital., voi. XII, 1893). (3) L. Meschinelli, Su alcuni funghi terziari del Piemonte. Contributo alla micologia fossile. (Atti R. Istituto Veneto scienze, lettere ed arti. Tom. IX, serie VII, 1897-98). FLORA TONGRIANA DI PAVONE D’ ALESSANDRIA 39 COXIFERAE. 2. Taxites eumenidtmi Mass. 1858. Taxites eumenidum Massalongo, FI. foss. Senig., pag. 163, tav. VI, fig. 16; tav. XL, fig. 17. 1893. » » Peola, Le Conif. terz. del Piem., pag. 37. Mantengo ancora in questo genere fossile una foglia isolata, allungata, ellittica, lunga 24 mm., ottusa all’apice, alquanto striata, che molto rassomiglia alle figure che di questa specie dà il Massalongo, quantunque abbia l’aspetto di una foglia di Abies, ma con la nervatura mediana pochissimo sentita. 3. Podocarpus eocenica Ung. 1851. Podocarpus eocenica Unger, FI. foss. v. Sotzka, pag. 28, tav. II, fig. 11-16. 1893. » » Peola, Conif. terz. del Pievi., pag. 37. Esemplari di foglie lunghe poco più di 4 cm., e larghi 2 mm., i quali, pur avendo dimensioni minori di quelli illustrati dall’ Heer, FI. tert. Helv. I, p. 53, tav. XX, f. 3. credo poterli ascrivere a questa specie per la consistenza del nervo mediano e della foglia, e per la presenza del breve picciolo. 4. Podocarpus gypsorum Sap. 1862. Podocarpus ggpsorum Saporta, Le S. E. de la Frcmce à V epoque tert. (Ann. Se. nat., serie 4a, voi. XVII, pag. 216, tav. III, fig. 9). 1893. » » Peola, Conif. terz. del Piem., pag. 37. li l’impronta di una foglia ottuso-arrotondata all’apice, lun- gamente ristretta alla base, mancante di picciolo. Molto si ras- somiglia alla figura data dal Saporta. 5. Podocarpus peyriacensis Sap. 1865. Podocarpus peyriacensis Saporta, Le S. E. de la France à Vépoque tert. (Ann. Se. nat., ser. 5a,vol. IV, pag. 83, tav. IV, fig. 7). 1893. » » Peola, Conif. terz. del Piem., pag. 37. 40 I>. PEOLA Le impronte riferite a questa specie si distinguono dalle altre dello stesso giacimento, e riferite al P. eocenica Ung. per la minor larghezza del lembo e per l’apice ottusetto. Pare che questa specie fosse stata comune nel tongriano di Pavone. 6. Podocarpus taxiformis Sap. 1865. Podocarpus taxiformis Saporta, Le S. E. de la France à V epoque tert. (Ann. Se. nat., ser. 5a, voi. IV, pag. 84, tav. IV, iìg. 6). 1893. » » Peola, Conif. terz. del Pieni., pag. 38. Sono esemplari di foglioline distaccate, lineari, lanceolate, mucronulate, uninervie, da 12 a 15 min. di lunghezza, per 2 mm. di larghezza. 7. Sequoia Couttsiae Heer. 1862. Sequoia Couttsiae Heer, FI. foss. of Bovey-Tracey, pag. 33, tav. Vili, IX, X. 1893. » » Peola, Conif. terz. del Pieni., pag. 30. 1893. » » x.polimorpha Peola, Conif. terz. del Pieni., pag. 31. Nella mia nota: Le conifere terziarie del Piemonte , tenni separata dalla specie la varietà polimorpha Sap. fondandomi su pochi esemplari che realmente presentavano la differenza di facies notata dal Saporta. Ma ulteriormente rinvenni nella stessa località altri esemplari, tanto che oggi ne posseggo circa una dozzina. Essi ci rivelano un graduale passaggio dalla specie alla varietà, tanto che fui tentato a fonderli in una specie sola, confortato a ciò fare pensando che desse furono rinvenute nello stesso giacimento, e che anche il Saporta fondava la sua va- rietà su sole differenze di facies , anziché su precisi e netti ca- ratteri differenziali. Alcuni esemplari hanno le foglioline squa- miformi, subfalcate, costate, tutte omogenee, regolarmente di- sposte (specie) ; altri alla base dei rametti hanno le foglioline più embricate, più strette, mentre all’ apice le hanno più al- lungate, più falcate (varietà). Ma altri rami hanno invece alla base loro foglioline analoghe a quelle della specie, ed all’apice foglioline analoghe a quelle della varietà, altri in tutta la lun- ghezza dei rametti hanno le foglioline piccole come quelle della FLORA TONGRIANA DI PAVONE D’ALESSANDRIA 41 specie, altri grandi come quelli della varietà, altre ancora larghe sotto, piccole sopra, ed altri finalmente hanno foglie corte e lunghe, a zone alternate. A dire il vero la maggioranza degli esemplari si avvicina al tipo della varietà dell’oligocene di Armissan, presenta una specie di eterofillia, o per meglio dire, una differenza nella grandezza delle foglie, e quindi starebbe molto bene l'appellativo di polimorpha , assegnato loro dal Sa- porta, ma non potendole staccare nettamente dalla specie, per la legge di priorità, li riferisco alla S. Couttsiae Heer. 8. Sequoia Langsdorfii (Brong.) Heer. 1855. Sequoia Langsdorfii Heer, FI. tert. Helv. I., pag. 54, tav. XX, fìg. 2; tav. XXI, fig. 4. 1893. » » Peola, Conif. terz. del Piem., pag. 30. Gli esemplari di Pavone, più che ai disegni dell’ Heer in sinonimia citati, si avvicinano alla Cupressites taxiformis Ung. in Chloris protogaea, p. 18, tav. Vili, f. 1 e 2, che gli autori ritengono come sinonimo della S. Langsdorfii Heer. 9. Sequoia Sternbergii (Goep.) Heer. 1864. Sequoia Sternbergii Heer, Urie. d. Schiveiz., pag. 310, fig. 160-163. 1893. » » Peola, Conif. terz. del Piem., pag. 31. Questa specie è una di quelle che si trova più comunemente a Pavone. 10. Sequoia Tournalii (Brong.) Sap. 1865. Sequoia Tournalii Saporta, Etud. sur la vég. tert. du S. E. de la France. (Ann. Se. nat., ser. 5a, voi. IV, pag. 50, tav. II, fig. 1). 1893. » » Peola, Conif. terz. del Piem., pag. 33. Piccolo ramoscello con foglioline molto bene conservate. 11. Widdringtonia lielvetica Heer. 1855-59. Widdringtonia lielvetica Heer, FI. tert. Helv., I, pag. 48, ta- vola XVI, fig. 2-18. 1893. » » Peola, Conif. terz. del Piem., pag. 34. 42 P. PEOLA Esemplare dato dall’impronta di un ramo con cinque rametti secondari. Di fianco scorgesi pure l'estremità di un piccolo ramo con un giovane strobilo paragonabile a quello disegnato in fig. 16 della suddetta tavola dell’Heer. 12. Libocedrus salicornioides (Ung.) Heer. 1855. Libocedrus salicornioides Heer, FI. tert. Helv.. I, pag. 47, tav. XXI, fig. 2. La fillite riferita a questa specie la rinvenni dopo la pubbli- cazione della mia nota : Le Conifere terziarie del Piemonte. Rap- presenta la punta di un ramo con tre rametti laterali. A prima vista parrebbe che i rametti fossero alterai e non opposti, es- sendone uno inserito ad un angolo della testa dell'articolo infe- riore, il terzo nel corrispondente angolo della testa dell’articolo successivo, mentre il secondo si trova sul fianco opposto del secondo articolo. Ma facilmente si scorge che quest’ultimo ra- moscello si distaccò dall’angolo della testa dell’articolo inferiore, e nella fossilizzazione rimase appiccicato al fianco del secondo articolo. Di notevole in questo fossile vi è che, mentre nei di- segni che si dà per tale specie fossile gli articoli paiono lisci o striati longitudinalmente, questi presentano nettamente l'im- pronta di tante piccolissime scagliette che ricoprono e gli articoli dei rami e quelli dei ramoscelli. La facies essendo però quella propria di questa specie, non esito a riferirgliela. 18. Ckamaecyparis massi liensis (Sap.) Sckirnp. 1869. Ckamaecyparis massiliensis Schimper, Paleont. veg., II, pag. 346. 1893. » » Peola, Conif. terz. del Piem., pag. 37. Un esemplare molto analogo a quello disegnato dal Saporta. 14. Pinites cryptomerioides Mass. 1858. Pinites cryptomerioides Massalongo, FI. foss. Senig. pag. 162, tav. VI, fig. 3; tav. XL, fig. 8. 1893 » Peola, Conif. terz. del Pieni., pag. 27. Continuo a riferire a questa specie alcune fìlliti di Pavone, non avendo trovato altra specie alla quale più si confacciano. FLORA TONGRIANA DI PAVONE D’aLESSANDRIA 43 15. Pinus liepios (Ung.) Heer. 1855-59. Pinus hepios Heer. FI. ieri. Helv. I, p. 57, tav. XXI, fig. 7. Impronta di una foglia geminata più snella e delicata di quelle che si sono trovate nelle altre località piemontesi. 16. Pinus Kotschyanus Tlng. 1851. Pinus Kotschyanus Unger, Iconoy. pag. 21, tav. XXX, fig. 10-11. Riferisco a questa specie due esemplari di foglioline esili, filiformi, lunghe, nell’esemplare migliore più di 9 em. circa, man- cando in esso la vagina, la quale però appare breve nell’altro esemplare. 17. Pinus neptimi Ung. 1851. Pinus neptuni Unger, Iconogr., pag. 29, tav. XV, fig. 4. 1893. » » Peola, Conif. terz. del Pieni., pag. 10. ITn esemplare in cui le due foglie sono lunghe cm. 15,5 e stanno molto ravvicinate per tutta la loro lunghezza. Sono fili- formi ed hanno una vagina lunga 15 mm. 18. Pinus Philiberti Sap. 1873. Pinus Philiberti Saporta, Le S. E. de la France à Vépoq. tert. (Ann. Scien. nat., ser. 5‘\ voi. XVII, pag. 20, tav. II, fig. 8-10). 1893. » » Peola, Conif. terz. del Pieni., pag. 13. Esemplari dati da foglioline esili, delle quali la parte con- servata è la vagina, ed un frammento di fogliolina lunga circa 30 mm. La vagina è breve, quasi sferica, lievemente striata trasversalmente. 19. Pinus pseudopinea Sap. 1865. Pinus pseudopinea Saporta, Le S. E. de la France à Vépoque tert. (Ann. Scien. nat., ser. 5a, voi. Ili, pag. 76, ta- vola I, fig. 8). Peola, Conif. terz. del Pieni., pag. 11. 1893. » » 44 P. PEOLA Sebbene più piccole di quelle studiate dal Saporta, ascrivo a tale specie alcune filliti per essere rigide ed erette, finamente striate, e per essere chiuse alla loro base da una guaina prov- vista di strie trasversali. 20. Pinus robustifolia Sap. 1873. Pinus robustifolia Saporta, Etudes sur la véget. du S. E. de la France à Vépoq. tert. (Ann. Scien. nat., ser. 5a, voi. XVII, pag. 18, tav. II, fig. 4-5). 1893. » » Peola, Qonif. terz. del Pierri., pag. 11. È un frammento di foglia della quale però è ben distinta la guaina, cb’è mediocre e trasversalmente striata. Si ba la sola parte inferiore delle due foglie, ma però lasciano travedere come esse siano state robuste, erette, e di una lunghezza considerevole. 21. Pinus resurgens Sap. 1865. Pinus resurgens Saporta, Le S. E. de la France à Vépoq. tert. (Ann. Scien. nat., serie 5a, voi. IV, pag. 69, ta- vola IV, fig. 1. 1893. » » Peola, Conif. terz. del Pieni., pag. 19. Di questa specie, abbastanza comune a Pavone, non si hanno che foglie ternate, sparse, tenui, leggermente curvate, e con curva più sentita in una fogliolina che stava forse inferiormente. Si pre- sentano troncate alla distanza dai 2 ai 4 cm. dalla vagina, la quale lascia travedere le tenuissime striature trasversali. Molto si avvicinano alla figura del Saporta in sinonimia citata. 22. Pinus quadri follata n. sp. (Fig. 1). Foliis quaternis, carinatis, longis cm. 9 circiter, vagina brevi, rotundata. L’esemplare che mi diede occasione di formare questa nuova specie è dato da un fascetto di 4 foglie raggruppate in una sola vagina corta, arrotondata alla base. Non tutte e quattro le foglioline mi paiono della stessa consistenza e lunghezza, due sono più corte e due più lunghe. FLORA TONGR1ANA DI PAVONE D’ALESSANDRIA 45 23. Pimis palaeostrobus Ett. 1853. Pinus palaeostrobus Ettingshausen, Tert. FI. v. Haering, pag. 35, tav. VI, fig. 22, 23. 1893. » » Peola, Conif. terz. del Pievi., pag. 21. Esemplare molto simile a quello disegnato dal Sismonda nel suo Matérìaux etc. 24. Pinus pseudotaeda Sap. 1865. Pinus pseudotaeda Saporta, Le S. E. de la Trance à l’époq. tert. (Ann. Se. nat., ser. 5a, voi. IV, pag. 63, tav. Ili, fig. 2). » » Peola, Conif. terz. del Pievi., pag. 24. Le impronte di foglie riferite a questa specie sono comuni a Pavone. Sono mozze all’estremità, ma la mancanza delle brattee vaginali ed il disco cilindrico, rendono possibile la determina- zione specifica. 25. Àbies Piccottii Peola (Eig. 2). 1893. Abies Piccottii Peola, Le conif. terz. del Piemonte, pag. 28, tav. VI, fig. 5. Folio plano lineari, 30 rum. longo, 2 mm. lato, paulo re- curvo, apice rotunclato, basi contorta et in tenuem petiolum statini angustata. Nervo mediano crasso, ora marginis crassiuscula. Questa nuova specie di Abies che ho dedicata al Dott. Vit- torio Piccotti che mi fu compagno nella raccolta delle filliti di Pavone, è data dall’impronta di una foglia grandemente analoga alle foglie Ò.AV Abies pedinata. L’impronta che si scorge nella roccia è quella della parte inferiore (bianca) della foglia, vi è evidente l’infossatura mediana che indica la prominenza e la grossezza della nervatura mediana. Il margine del lembo è ar- rotondato, grosso. È lunga 30 mm., larga 2 mm. nella parte mediana, alquanto ricurva, arrotondata all’apice, contorta alla base. Non vedesi tanto evidentemente l’addentellatura all’apice della foglia, e bruscamente si restringe alla base per formare il picciolo che pare molto piccolo; manca l’impronta del cusci- netto. 46 P. PEOLA 26. Abies l sp. ind. (Fig. 3). È l’impronta della parte superiore di una fogliolina, che mi pare riferibile al gen. Abies. Mancando la parte inferiore non potrei con sicurezza classificarla. PANICACEAE. 27. Panicum miocenicnm Etting. 1866-6S. Panicum miocenicum Ettingshausen, Foss. FI. v. Bilin., pag. 22, tav. V, fig. 1. È un frammento di foglia corrispondente ad un lembo della metà superiore. Per la sua lunghezza, e perchè tra le nervature principali si osservano sette nervature secondarie con delle pic- cole nervature trasversali, credo poterlo riferire a questa specie. BAMBUSACEAE. 28. Bambusa alexandrina n. sp. (Fig. 4). Foglia lanceolata, basi rotundata, in petiolum brevem atte- nuata, nervo medio malore aliis, 4 utrinque nervis, nervulis inter- stitialibus 5 tenuioribus. Si conserva un lembo della metà inferiore di una foglia che si può facilmente riconoscere appartenere al gen. Bambusa. La sua base cuneato-arrotondata, la presenza del picciolo, la ner- vatura mediana più consistente delle altre, quattro nervi secon- dari per parte, paralleli, con cinque nervilli terziari pure pa- ralleli ne attestano l’entità specifica. Questa forma differisce dalla B. Lugdunensis Sap. per il diverso numero di nervi secondari e terziari, e per la sua forma più piccola, e dalla Bambusa astensis Peola (*) per il numero e qualità dei nervi, e per la sua forma più lanceolata. Riguardo alla grandezza sarebbe inter- media alle due suddette specie. Q) P. Peola, Fiora fossile dell’ astigiano, pag. 5. FLORA TONGRIANA DI PAVONE D ALESSANDRIA 47 CUPULIFERAE. 29. Carpinus grandis Ung. 1840. Carpinus grandis Unger, Gen. et spec., p. 408. Di questa specie ho raccolto a Pavone un frammento di foglia, e l’impronta di un seme molto analogo ai semi di detta specie disegnati dall’Heer, quantunque si presenti con bordi lisci e non frastagliati. 30. Fagus ambigua Mass. 1853. Fagus ambigua Massalongo, Desfiriz. piani, foss. ita!., pag. 4, tav. I, fig. 5. Impronta di una grande foglia, guasta all’apice ma con i margini del lembo della parte superiore, abbastanza bene con- servati, sinuoso-dentati. 31. Fagus Deucalionis Ung. 1847. Fagus Deucalionis Unger, Chloris protogaea tav. XXVI, fig. 1-6. Impronta di una grande foglia di aspetto quasi arrotondato. 32. Quercus Cornaliae Mass. 1858. Quercus Cornaliae Massalongo, Synop. FI. foss. Senig. pag. 27. Un esemplare rappresentante la parte apicale di una foglia. L’apice è ottuso, arrotondato, il margine sinuato a lobi alquanto ottusi, subrotondi e facenti quasi angolo retto col margine. 33. Quercus Scillaua Gaud. 1859. Quercus Scillana Gaudin, Contrib. II, p. 42, tav. Ili, fig. 11-13; tav. IV, fig. 13-15; tav. VI, fig. 3-4. Impronta di una foglia piccola, oblunga, ellittica, regolarmente dentata, integra verso la base. 48 P. PEOLA MYRICACEAE. 34. Myrica salicina Ung. 1840. Myrica salicina Unger, Gen. et spec., pag. 366. Una foglia quasi intera, alquanto assimmetrica, con nervature secondarie pochissimo notate, ad apice e base acuminato-arro- tondate. SALICACEAE. 35. Salix angusta Al. Br. 1851. Salix anglista Al. Br. in Stigenb. Verz. pag. 97. Foglia lunga cui. 6,5, larga min. 7, lungamente acuminata all’apice, arrotondata alla base. La nervatura primaria è abba- stanza notata, delle secondarie non si scorgono traccie. 36. Salix inedia Heer. 1855-59. Salix media Heer, FI. tert. Helv., II, pag. 32, tav. LXYIII, fig. 14- 19; voi. Ili, pag. 175. Impronte di foglie piuttosto grandi, a base arrotondata e ad apice acuminato. 37. Salix tenera Al. Br. 1845. Salix tenera Al. Br. in Leonli. u. Bronn, Neues Jalirh. Impronta di una foglia lunga 12 cm. circa, larga 23 mm. acuminata all’apice ed alla base, e con i nervi secondari poco consistenti. 38. Salix varians Goep. 1855. Salix varians Goeppert, Foss. FI. v. Schossnitz, pag. 26, tav. XX, tig. 1-2. L’esemplare raccolto a Pavone rappresenta la parte basilare di una fogliolina seghettata, a base quasi arrotondata. FLORA TONGRIANA DI PAVONE D’ALESS ANDRIA 49 39. Populus latior Al. Br. 1837. Populus latior Al. Br. in Buckl. Geology, pag. B12. Due esemplari di foglie abbastanza bene conservati, quasi triangolari, lunghi crn. 5 e larghi cm. 6 circa, a cinque nerva- ture principali, a denti ottusi. URTICACEAE. 40. Planerà Ungeri Etting. 1853. Pianera Ungeri Etting., Foss. FI. v. Wien, pag. 14, tav. II, fig. 5-18. Piccola fogliolina alquanto guasta ai bordi, ma da un pez- zetto rimasto intatto si vede come esso sia seghettato. 41. Ficus arcinervis Heer. 1855-59. Ficus arcinervis Heer, FI. tert. Helv ., II, pag. 64, tav. LXX, fig. 24 e; tav. LXXXII, fig. 4. Fogliolina lunga cm. 5, larga cm. 2, ellittica, acuminata all’apice ed alla base, con la nervatura mediana consistente e le secondarie tenui. 42. Ficus tiliaefolia Heer. 1855-59. Ficus tiliaefolia Heer, FI. tert. Helv. II., pag. 68, tav. LXXXIII, fig. 3-12; tav. LXXXIV, fig. 1-6; tav. LXXXV, fig. 14. Porzione basilare di una foglia che per essere alquanto cor- data al punto di inserzione del picciolo, ed avere cinque nervi principali, mi pare riferibile a questa specie. LAURACEAE. 43. Persea Braunii Heer. 1855-59. Persea Braunii Heer, FI. tert. Helv., II, pag. 80, tav. LXXXIX, fig. 9-10; III, pag. 185, tav. CLIII. Impronta di una foglia ellittica, lunga circa cm. 6,5, larga cm. 3, con 7 nervi per parte. 4 50 P. PEOLA 44. Persea speciosa Heer. 1855-59. Persea speciosa Heer, FI. tert. Helv., II, pag. 81, tav. XC, fig. 11, 12; tav. C,fig. 18; III, pag. 185, tav. CLI1I, fig. 5. Si hanno tre bellissimi esemplari raccolti a Pavone. Due di essi sono dati da una foglia ovale-ellittica con ner- vatura mediana consistente e nervature secondarie esili, munita di un picciolo consistente, lunga 7 cm. circa, e larga cm. 3. Il terzo esemplare è dato dall’impronta di una grande foglia pure picciolata, lunga circa 11 cm. e larga cm. 6, con nerva- tura mediana consistente, e nervature secondarie poco notate. E ellittica, alquanto acuminata all'apice ed alla base. 45. Benzoin paucinerve Heer. 1855-59. Benzoin paucinerve Heer, Fi. tert. Helv., Ili, p. 185, tav. LXVHI, fig. 20-22. Fogliolina lineare-lanceolata, lunga circa cm. 3, larga 8 mm,, con 5 nervature secondarie, ad angolo abbastanza aperto. 46. Cinnamomum emarginatimi Sap. 1863. Cinnamomum emarginatimi Saporta, Etud. I, pag. 95,|tav. VII, fig. 5. Impronta nitida di una foglia d’aspetto coriaceo, grasso, ar- rotondata all’apice, con un’intaccatura all’apice del nervo pri- mario, acuminata alla base, con due nervi laterali piccoli, lunga cm. 4, larga 2 cm., munita di un picciolo. 47. Cinnamomum lanceolatum Heer. 1855-59. Cinnamomum lanceolatum Heer, FI. tert. Helv ., II, pag. 86, ta- vola XCIII, fig. 6-11. Tre esemplari di foglie ellittiche, lanceolate, peduncolate. 48. Cinnamomum polimorplium Heer. 1855-59. Cinnamomum polimorplium Heer, FI. tert. Helv. II, pag. 88, ta- vola XCIII, fig. 25, 28; tav. XCIV, fig. 1,26. Parte basilare di una foglia arrotondata alla base. FLORA TONGRIANA DI PAVONE D’ALESSANDRIA 51 49. Cinnamonuin Rossmaessleri Heer. 1855-59. Cinnamomum Eossmaessleri Heer, FI. tert. Helv., II, pag. 84, ta- vola XCIII, lig. 15-17. Impronta un po’ sbiadita di una foglia mancante dell’apice e larga cm. 2,5. 50. Cinnamomum Scheuclizeri Heer. 1855-59. Cinnamomum Scheuclizeri Heer, Fi. tert. Helv., II, pag. 85, ta- vola XCI, tìg. 4-22; tav. XCII; ta- vola XCIII, tìg. 1-5. Tre foglie ovali, ellittiche, piuttosto acuminate all’apice ed arrotondate alla base. TILIACEAE. 51. Àpeibopsis Gaudini Heer. 1855-59. Àpeibopsis Gaudini Heer, FI. tert. Helv., Ili, pag. 40, tav. CXVHI, tìg. 24-26; tav. CLIV. È l’impronta di un frutto rotto per metà, e visibile nella sua parte interna, in cui si notano i sepimenti delle loggie. Non si può con esattezza determinare il numero delle valve. Ha un diametro di circa 2 cm. STERCULIACEAE. 52. Sterculia tenuinervis Heer. 1855-59. Sterculia tenuinervis Heer, FI. tert. Helv. III., pag. 35, tav. CIX, tìg. 7. Impronta di buona palle di una foglia trilobata a base ar- rotondata, cordata, con i lobi integri ed acuminati all’ apice. Più che al genere Acer , mi pare sia da riferirsi a questa specie. XANTOXYLACEAE. 53. Ptelea acuminata Heer. 1855-59. Ptelea acuminata Heer, FI. tert. Helv., HI, pag. 86, tav. CXXVII, tìg. 38. 52 P. PEOLA Porzione basilare di una foglia a base arrotondata con ner- vature ad angolo quasi retto, e che mi pare analoga al disegno che di questa specie ci dà l’Heer, e citato in sinonimia. ANACARDIACEAE. 54. Blius Pyrrae Ung. 1847. Bhus Pyrrae Unger, Chloris protogaea, pag. 84, tav. XXII, fig. 1. Ho riferito a questa specie due foglioline quasi rombee. al- quanto rotte all’apice, e che mi paiono diversamente incise nei due lobi. ACERACEAE. 55. Acer primaevum Sap. 1863. Acer primaevum Saporta, Etnei. I, pag. 238, tav. X, fig. 6. Si ha il lobo di una samara ristretta alla base. RHAMNACEAE. 56. Berclieniia multinervis Heer. 1855-59. Berchemia multinervis Heer, FI. tert. Helv., Ili, pag. 77, ta- vola CXXIII, fig. 9-18. Nel tongriano di Pavone pare che questa specie sia stata abbastanza comune; si conservano quattro esemplari dei quali due portano l’ impronta di foglie ovate, lunghe 7 cm., larghe cm. 3, e gli altri due portano impronte di foglioline lunghe cm. 3 e larghe 15 mm. circa, che sembrano assimmetriche. Sono munite del picciolo. 57. Bliamnus rectiuervis Heer. 1855-59. Bhamnus rectinervis Heer, FI. tert. Helv., Ili, pag. 80, tav. CXXV, fig. 2-6. Impronta di due foglie ellittiche a base ed apice alquanto arrotondato, con la nervatura mediana consistente e le secon- darie abbastanza notate ad angolo alquanto acuto con la primaria. Il margine pare integro. FLORA TONGR1ANA DI PAVONE D' ALESSANDRIA 53 SAXIFRAGACEAE. 58. Weinmania tetrasepala n. sp. (Fig. 5). Calix tetrasepala , sepalis instar crucis dispositis, minutis- simis, ellipticis. È l’impronta di un minutissimo calice a quattro sepali di- sposti in croce, ellittici, acuminati all’apice, ristretti alla base, saldati fra loro. L’inscrizione di questa impronta al gen. Wein- mania pare non ammetta dubbio, e per il numero dei sepali e per la loro forma mi pare pure che si distacchi dalle altre specie fossili. * HAMAMELIDACEAE. 59. Liquidambar europaeum Al. Br. 1836. Liquidambar europaeum Al. Br. in Buckl., Geolog. I, pag. 175. Impronta di un lembo laterale e piccola porzione del lembo mediano. Pare che la foglia fosse trilobata. PLATANACEAE. 60. Platauus depertita Sord. 1873. Platanus depertita Sordelli, Avanzi veg. delle argille plioc. lomb. (Atti Soc. ital. Scien. nat., pag. 379, tav. V, fig. 14-17). Nel tongriano di Pavone ho raccolto diversi frammenti di foglie che certamente vanno riferite a questa specie ; la meglio conservata è una foglia trilobata a base alquanto arrotondata, e con i lobi piuttosto stretti ed allungati. COMBRETACEAE. 61. Terminali a elegans Heer. 1855-59. Terminalia elegans Heer, FI. tert. Helv ., Ili, pag. 33, tav. CVIII, fig. 13. Impronta di una foglia ellittica, colla nervatura mediana consistente e le secondarie pochissimo notate. Si distacca al- 54 P. PEOLA quanto dall’esemplare di Oeningen, illustrato dall'Heer, per avere la base piuttosto arrotondata che ristretta, 62. Terminalia radabojensis Ung. 1847. Terminalia radabojensis Unger, Chloris protogaea, pag. 142, ta- vola XLVIIT, fig. 2. Due esemplari, dei quali uno rappresenta una foglia intera, ma debolmente impressa nella roccia, e l’altro la parte inferiore d’una foglia. MYRTACEAE. 63. Etìcalyptus oceanica Ung. 1850. Eucalyptus oceanica Unger, FI. foss. v. Sotzka, pag. 52, tav. XXXVI, tìg. 1-13. Si conservano i due terzi inferiori di una foglia stretta, al- lungata, attenuata alla base, munita di picciolo. PROTEACEAE. 64. Bauksia Laharpii Heer. 1855-59. Banksia Laharpii Heer, FI. ieri. Helv., II, pag. 99, tav. XCVIII, fig. 15. Impronta di due piccole foglioline lunghe 24 rum., larghe mm. 4, ellittiche, alquanto seghettate. PAPILIONACEAE. 65. Robinia Regeli Heer. 1855-59. Robinia Regeli Heer, FI. tert. Helv., Ili, pag. 99, tav. CXXXII, fig. 20-26, 34-41. Impronta d’una fogliolina con breve picciolo, arrotondata al- l’apice, acuminata alla base. 66. Dalbergia cuueifolia Heer. 1855-59. Dalbergia cunei folia Heer, FI. tert. Helv., Ili, p. 104, tav. CXXXIII, fig. 20. FLORA TONGRIANA DI PAVONE D’ALESSANDRIA 55 Si scorge solo la metà di una foglia che pare essere stata acuminata alla base, allargata e troncata all’apice, pochissimo intagliata, e quindi molto probabilmente appartiene a questa specie. 67. Dalbergia Jaccardi Heer. 1855-59. Dalbergia Jaccardi Heer, FI. tert. Hélv ., Ili, p. 104, tav. CXXXIII, fig. 32. Impronta di una foglia quasi triangolare, pochissimo inta- gliata all’apice. CAESALPINIACEAE. 68. Cassia Berenices Ung. 1850 Cassia Berenices Unger, Foss. FI. v. Sotzha, pag. 58, tav. XLIII, fig. 4-10. Impronta di una fogliolina a base arrotondata, ad apice acu- minato e con nervi secondari arcuati. 69. Cassia lignitum Ung. 1840. Cassia lignitum Unger, Gen. et spec., pag. 492. Foglia alquanto guasta all’apice, lunga circa cm. 3, larga mm. 8, a base arrotondata, a lembi ineguali. 70. Cassia Zepliyri Ett. 1852. Cassia Zephyri Ettingshausen, Tert. FI. v. Haering , pag. 90, ta- vola XXX, fig. 1-8. Frammento di foglia mancante della base, lanceolata, con la nervatura primaria consistente. ERICACEAE. 71. Leucothoe protogaea Scb. 1874. Leucotlioe protogaea Schimper, Pàleont. vég., Ili, pag. 4. Impronta della metà inferiore di una foglia alquanto ristretta alla base e munita di lungo picciolo. 56 P. PEOLA 72. Leucotlioe vacciniifolia Ung. 1850. Leucotlioe vacciniifolia Unger, FI. foss. v. Sotzla, pag. 43, tav. XXIII, fig. 10-12. Foglia mancante dell’apice, con il nervo mediano consistente, ed arrotondato alla base. SAPOTACEAE. 73. Sapotacites eximius Sap. 1865. Sapotacites eximius Saporta, Etud. II, pag. 283, tav. Vili, fig. 3. Un bell’esemplare di una foglia guasta alla base, acuminata all’apice, integra, alquanto assimmetrica, con nervature secondarie esilissime ad angolo quasi retto. EBENACEAE. 74. Diospyros varians Sap. 1865. Dyospyros varians Saporta, Etud. II, pag. 107, tav. IV, fig. 14; ta- vola VI, fig. 4. Impronta di una foglia lanceolata, alquanto ineguale alla base, acuminata all’apice, con i nervi secondari tenui, simile alle figure in sinonimia citate del Saporta. STYEACEAE. 75. Styrax stylosus Heer. 1855-59. Styrax stylosus Heer, FI. tert. Helv., Ili, pag. 13, tav. CIII. Impronta di una fogliolina picciolata, ellittica, lanceolata, acu- minata all’apice. OLEACEAE. 76. Olea proxima Sap. 1873. Olea proxima Saporta, Revision de la Flore des gypses d’Aix, pag. 56, tav. X, fig. 8-10. Impronta di una fogliolina mancante dell’apice, oblunga, lan- ceolata, con il nervo primario distinto, analoga ai disegni datici dal Saporta. FLORA TONGRIANA DI PAVONE D’ALESS ANDR1A 57 77. Fraxinus uliiiifolia Sap. 1867. Fraxinus ulmifolia Saporta, Ètud. Ili, pag. 91, tav. IX, fig. 17-19. Foglia guasta all’apice, quasi obcordata alla base, a lembi disuguali, seghettati. APOCYNACEAE. 78. Apocyuopliyllimi lielveticum Heer. 1855-59. Apocynopliyllum hélveticum Heer, FI. tert. Helv., III, pag. 191, tav. CLIY, fig. 2. Esemplare dato da una foglia piuttosto allargata. Delle 78 specie trovate a Pavone di Alessandria, 5 solo sono nuove, cioè : Pinus quadriglia n. sp. (fig. 1), Abies Piccottl n. sp. (fig. 2), Abies? (fig. 3), Bambusa alexandrina n. sp. (fig. 4), Weinmania tetrasepala n. sp. (fig. 5 al- quanto ingrandita), e se confrontiamo le altre 73 specie con le flore fossili già studiate, vediamo che 1 1 specie furono già rinvenute nell’eocene, e di queste 5. furono finora considerate come esclusi- vamente eoceniche, e sono : Podocarpus gypsorum Sap., Pinus Phyliberti Sap., Cinnamomum emarginatum Sap., Olea proxima Sap. , tutte dell’ eocene dei gessi di Aix. Furono già trovate nel- l’oligocene 47 specie (64 °/0) e di queste ben 13 sono considerate esclusivamente oligoceniche, cioè: 1. Podocarpus taxiformis Sap. dell’oligocene di Armissan. 2. Sequoia Tournalii Sap. del- l’oligocene di Armissan e Kumi. 3. Chamaecy paris massiliensis Sch. dell’oligocene di Mar- siglia. 58 I* PEOLA 4. Pinus pseudopinea Sap. dell’oligocene di S. Jean de Gar- gnier e Allauch. 5. Pinus resurgens Sap. dell’oligocene di Amiissan. 6. Pinus pseudotaeda Sap. » » 7. Acer primaevum Sap. dell’oligocene di S. Zacharie, S. Jean de Gargnier e Allauch. 8. PJiamnus rectinervis Heer dell’oligocene di Monod. 9. Baìiksia Lalmrpii Heer » » 10. Cassia Zephyri Ett. dell’oligocene di Haering, Monod. Rallingen, M. Promina. 11. Sapotacites eximius Sap. dell’oligocene di Armissan. 12. Biospyros varians Sap. dell’oligocene di S. Jean de Gar- gnier, Allauch, Asson. 13. Fraxinus ulmifolia Sap. dell’oligocene di Asson. Di queste, ben 10 sono proprie della flora tongriaua della Provenza. Le altre specie sono comuni e alle flore tongriane della Provenza e a quelle della Svizzera e dell’Austria. Furono già trovate nel miocene 54 specie (74 °/0) delle quali 18 sono esclu- sivamente mioceniche e la massima parte proprie del miocene della Svizzera. Plioceniche abbiamo solamente 17 specie, e sola una era finora propria del pliocene. Stando alla stregua dei confronti colle altre flore, si dovrebbe ritenere la flora di Pavone come miocenica, ma considerando il gran numero di specie che pure ha in comune con le flore oli- goceniche ed eoceniche, ed il numero pure rispettabile di specie proprie dell’oligocene e dell’eocene, si deve ascriverla al mio- cene più antico, quindi io non esito, confortato anche dai dati stratigrafici e litologici citati al principio di questa mia nota, ascriverlo all’oligocene, intermedio tra l’eocene ed il miocene, e precisamente al Tongriano. Un altro fatto che facilmente emerge dallo studio di questa flora è il gran numero di specie che ha in comune, anzi di specie che sono proprie delle flore eoceniche ed oligoceniche della Provenza, studiate dal Saporta. Una si- mile analogia trovò pure il Prof. F. Bassani nello studio dei pesci che raccolsi tra le filliti di Pavone, e che gli inviai per la determinazione. « I pesciolini della marna oligocenica di Pavone, » mi scriveva nei primi di marzo 1898 il sullodato Paleontologo, » almeno in gran parte sono ciprinodonti, e quantunque non la- FLORA TONGRIÀNA DI PAVONE D’ALESSANDRIA 50 » scino discernere con sicurezza i caratteri della dentizione ed » il numero dei raggi branchiosteghi, vanno ascritti con la mag- » giore probabilità al gen. Prólébias Sauvage, affine al vivente » Lebias Cuvier, che abita le acque dolci, talvolta leggermente » salmastre, della zona temperata. Salvo qualche specie che vive » nel Sud dell’Europa e nell’Asia minore, tutte le altre dei ge- » neri attuali collegati ai Prolebias sono localizzati nei piccoli » corsi d’acqua dell’America del Nord. Ciò si accorda con le nu- » merose analogie che presentano, sotto il punto di vista della » fauna entomologica e della flora, la Francia terziaria e le parti » temperate dell’America attuale. Una esatta determinazione spe- » cifica è piuttosto difficile, perchè gli esemplari non sono bene » conservati. Le principali specie descritte provengono dai de- » positi oligocenici di Aix-en-Provence, di Rouzon, di Le Puy de » Corent, di Menat, di Céreste ; i fossili di Pavone offrono i mag- » giori rapporti con Pr. Goreti Sauvage di Céreste e con Pr. » Stemora Sauv. di Le Puy de Corent». Ma la flora di Pavone ha pure in comune molte specie con le flore tongriane svizzere e tedesche, e quindi verrebbe — come già intravidi nella mia nota: Le conifere terziarie del Piemonte , basandomi sul semplice studio delle conifere — a colmare una la- cuna già notata da WHeer ( Ueber das Klima und die Vegetations- verhdltnisse des Tertiarlandes), la mancanza cioè di una flora che serva di unione tra le flore tongriane svizzere e tedesche, e quelle consimili dell’altro versante delle Alpi. Se badiamo poi a ÌYbabitat odierno delle specie corrispondenti alle fossili, o dei generi ai quali le specie fossili furono ascritte, vediamo che pochissime specie sono tropicali, o subtropicali, e la grande maggioranza (circa il 20 °/0) è propria di climi tem- perati. Se vogliamo tener conto anche della distribuzione geo- grafica di queste corrispondenti specie vegetali viventi, si vede che poche sono asiatiche od europee, e la maggior parte sono o di tutte le regioni appartenenti a climi moderati, o proprie dell’America del Nord. Anche qui analoghi risultati si hanno e collo studio delle filliti e con quello dei pesci. Possiamo dun- que affermare di avere una flora di clima temperato, e piut- tosto americana. 60 P. PEOLA Yi primeggiano le Conifere con 25 specie, le Lauracee con 8, le Cupulifere e le Salicacee con 5 specie ognuna; vengono poi le Urticacee, le Papilionacee, le Casalpinacee, con tre specie, le Ranmacee, le Combretacee, le Erieacee, le Oleacee rispettivamente con clue specie, e 18 altre famiglie con una specie sola. Le fa- miglie meglio rappresentate, e che perciò trovarono miglior am- biente per svilupparsi, sono appunto quelle che richiedono un clima temperato, come le Conifere, le Cupulifere, e le Salicinee, od un clima temperato caldo come le Lauracee. Yi mancano rap- presentanti di climi tropicali, e le palme, in generale cosi comuni negli altri giacimenti sincroni, qui non compaiono affatto ; in loro vece pare vegetasse il Bambù. Le impronte dei pesci indicando specie di acqua dolce o leggermente salmastra, è lecito ammettere che nelle vicinanze di Pavone emergesse dalle acque un tratto di terra ferma percorso da piccoli corsi d’acqua, terraferma data dalla vicina plaga liguriana; difatti i ciottoli che circondano la lente marnosa fillitifera sono dati, come già notò il Sacco, da mate- riale liguriano e talora a spigoli ancora abbastanza conservati, indicazione certa di un breve corso fluviale. Ma su questo iso- lotto, il più orientale ed il più meridionale nello stesso tempo della serie di terre eoceniche che si osservano nel lato setten- trionale del bacino terziario piemontese, lungo la linea Yalenza, Casale, Torino, posto là in mezzo al mare padano, lontano dalle terre che si addossavano alle circostanti Alpi, come vi poteva essere un clima da permettere una così ricca flora di conifere, e come poteva sviluppatisi una flora analoga a quella che si osserva nei depositi posti nel versante occidentale delle Alpi? E quanta differenza vi passa tra la flora di Pavone e l’altra tongriana, pure del Piemonte, di Bagnasco, Nuceto, ecc., tauto che non si hanno che 5 sole specie in comune ! Nella flora di Bagnasco, Nuceto, ecc. (*) primeggiano le ramnacee e le mi- ricacee, rappresentanti di un clima piuttosto caldo ; in quella di Pavone le conifere, le lauracee, le cupulifere, le salicacee, rap- (') P- Peola: Sopra una nuova Palma fossile del Piemonte (Malpighia- Genova 1893). Flora tongriana di Bagnasco , Nuceto, ecc. (Rivista di pa- leont. ital. 1900). FLORA TONGRIANA DI PAVONE D’ALESSANDRIA 61 presentanti, se si eccettuano le lauracee, di un clima temperato; la prima flora più si confà con quelle della Svizzera ed Au- stria, questa di Pavone con quella della Provenza. La comu- nanza di specie nelle flore di Pavone e della Provenza potrebbe forse indicare un comune punto di provenienza delle loro filliti, punto che in tale ipotesi non potrebbe essere che nelle Alpi Occidentali, le quali difatti racchiudono i terreni più antichi, e che forse erano nel tongriano già tanto emerse da permettere, in mezzo ad un clima subtropicale, come ci attestano le altre flore coeve, una vegetazione di clima temperato. Secondo l’Hum- boldt nella zona equatoriale le conifere vegeterebbero in una regione posta tra i 3000 ed i 3800 metri di altitudine. Ma allora in Piemonte si aveva, al livello del mare, non un clima equatoriale, torrido, ma uno subtropicale, vegetandovi le felci e gli allori, che ancora, secondo l’Humboldt, si spingono al massimo, sempre nella zona equatoriale, dai 1200 ai 1900 metri. Tolta quindi questa differenza di livello, ne deriva che le Alpi per permettere la vegetazione di clima temperato delle conifere dovevano allora avere un’altezza maggiore di 2000 metri (1). Molte delle filliti alpine sarebbero state portate da qualche corrente marina nelle basse acque salmastre dei dintorni di Pa- vone, dove versavano pure le loro acque dolci piccoli corsi di acqua scorrenti sui terreni liguriani da poco fornati, adornati da alberi di clima più caldo come i fichi, i lauri ed i ramni. L’ipotesi della corrente sarebbe pure suffragata dal fatto che nella marna fillitifera di Pavone si trovano pure infiniti fram- menti di foglie indeterminabili, molti esemplari contorti, segni evidenti di trasporto e di rimescolamento. Le filliti determinabili sono date da foglie leggere e coriacee nello stesso tempo, e delle conifere si hanno solo o foglie stac- cate o piccoli ramoscelli, e mancano affatto gli strobili che con 25 specie di conifere, delle quali 10 di pini, non avrebbero do- vuto mancare. Gli strobili, come più pesanti, cadevano sul posto, (‘) Lo Stopparli nel suo Corso di geologia (Voi. II, pag. 573) dà come massima altezza dell'Europa nel principio dell’èra terziaria m. 1810 ed al principio dell’epoca miocenica m. 3010. Dai 2000 a 3000 m. s’innal- zavano forse nell’oligocene le più ardite vette delle Alpi. 62 P. PEOLA e le foglie, più leggere, erano dai venti portate più distanti dalle spiaggie, dove erano poi travolte dalle correnti. Le filliti di Pavone d’Alessandria, trovandosresse in una zona di terreni ancora pochissimo studiata dai geologi, rappresentando un clima piuttosto temperato in un periodo con clima abbastanza caldo, e servendo di unione tra le flore tongriane della Svizzera ed Austria con quelle della Provenza, costituiscono dunque una flora abbastanza tipica ed interessante. NUOVO LEMBO DEL LIAS INFERIORE NEL MESSINESE. Nota del socio Luigi Segijenza Nello studiare la numerosa Collezione di rocce della pro- vincia di Messina, esistente nel Museo geologico di questa R. Uni- versità, mi venne fatto di osservare un pezzo di calcare nero fina- mente cristallino, compatto, con sopravi una ben distinta valva di Pecten, proveniente da S. Teresa di Riva, contrada Grotte. Interessandomi di determinarne l’età, mi recai sul posto, ed ecco le osservazioni fatte con le conseguenze che se ne possono trarre. Salendo da S. Teresa per il viottolo che passa a mezza costa delle colline che fiancheggiano la sponda sinistra del Torrente di Savoca, si osserva una collina alquanto più bassa delle altre (che sono alluvionali), rocciosa ed angolosa. Su di essa si ad- dossano varie case coloniche che formano colla montagna la così detta contrada Grotte. LEMBO DEL LIAS INF. NEL MESSINESE 63 Tale contrada è stata cennata dal prof. GL Seguenza (x) e dalFing. L. Baldacci (2) come lembo del Lias medio il più di- stante dal centro Giura-liassico di Taormina (km. 11 in linea retta) e tale risulta nella Carta geologica di Sicilia, foglio 262. Ed infatti a chi osserva da vicino le rocce che formano la collina suddetta, specie sul lato orientale ove una vasta cava di pietra le mostra colla frattura fresca, non può sfuggire la caratteristica che presentano, essendo, come tutti i calcari del Lias medio messinese, di colorito grigio passante al rossiccio ed al rosso mattone, brecciforme e costituite dall’impasto di innu- merevoli Encrini spatizzati. I rari fossili dal prof. Gl. Seguenza (3) ivi trovati e determinati, confermano l’età di queste rocce. In detta località non venne mai trovato altro lembo mesozoico al- F infuori del Lias medio predetto. Scendendo ad una cinquantina di metri dalla cava predetta, lungo la strada che contorna il piede della collina, ho potuto osservare una cava più recente ed assai più piccola della pre- cedente; essa mette a nudo un calcare compatto, nero che in basso fa graduale passaggio al grigio ed al bruno, variamente solcato da vene spatiche ed ove forma spesso belle concrezioni stalattitiche e mammellonari nelle cavità sparse su tutta la col- lina e nell’interno di essa, man mano scoperte dall’estrazione della pietra. Esso calcare sporge di sotto agli strati del Lias medio, e sebbene sia variamente fratturato e la sua stratificazione si con- torca in diverso senso, pure è facile scorgere la pendenza molto accentuata degli strati verso Ovest ed in concordanza a quelli del Lias medio soprastante, che pendono anch’essi nella stessa direzione come nel Lias di Taormina. E da qui che proviene il campione di calcare nero con Pecten del Museo geologico. (]) G. Seguenza, Monografia delie Spiriferina del Lias messinese (Boll. d. Soc. geol. It., anno 1885, Roma). (*) Baldacci ing. L., Descrizione geologica dell’Isola di Sicilia (Meni, desc. d. Carta geol. d'It., voi. I, Roma 1886). (3) G. Seguenza, Frammenti di un lavoro sulle Bocce del Messinese (Lista dei fossili del Lias medio). 64 L. SEGUENZA In una prima escursione fatta alla località predetta, mi fu impossibile, per quanto cercassi fra i detriti della cava e sulla roccia in posto, di rinvenire alcun fossile. Una seconda volta ebbi occasione di visitare lo stesso luogo e solo vi rinvenni qualche rarissimo frammento di Pecten uguale a quello di già in mio potere. Confrontai allora il calcare con la numerosa serie di esem- plari di questo Museo e la sua struttura ed il colorito corri- spondono perfettamente coi calcari del Lias inferiore, tanto ca- ratteristici. Ad avvalorare tale asserto c’è i Pecten che confron- tati ho potuto riconoscerli quale appartenenti a Pecten (Pseu- damusium) Helilii d’Orb. e Pecten (Ps.) Di Blasii Di Stef. ca- ratteristici del Lias inferiore messinese, Ultimo ed importante coef- ficiente nella determinazione di tale roccia a Pecteìi, si è la concordanza dei suoi strati con quelli del Lias medio a cui sot- tostanno. Le osservazioni predette, adunque, fanno, a mio credere, rife- rire con certezza al Lias inferiore, i calcari grigio-neri testò scoperti sotto il Lias medio di contrada Grotte, presso S. Teresa di Eiva nel Messinese. Dall'Istituto di Geologia e Mineralogia della E. Università, Messina, settembre '99. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE A PROPOSITO DI ALCUNE LAVE DELLE VICINANZE DI ROMA. Studio del dott. Alessandro Portis « Ho potuto constatare : — che la colata di Capo di Bove è diversa da quella di Acquacetosa, come anche il Vom Rath ha notato; — che nessuna delle due si continua fino a risalire a Monte Pila; — che la lava che. presso a Monte Pila, scende dai Campi di Annibaie nella Val Molara, è diversa dalle due precedenti; — che la colata di Capo di Bove probabilmente è più antica che non si sia ritenuto finora ». Così suonano alcune delle conclusioni per riguardo alle lave del Vulcano Laziale nella « Relazione del lavoro eseguito nel biennio 1893-94 sui vulcani dell’Italia centrale e i loro prodotti, di V. Sabatini (*) ». In questo periodo trovai allettamento a ri- petere ricerche e studi miei e non miei ma diretti a stabilire la contemporaneità o la snceessività di depositi vicini di lava e la relazione dei depositi stessi con quelli tufaceo-fossiliferi con cui li vediamo in contatto immediato o mediato. Ritenni opportuno, per l’indole delle mie indagini, insistere, anziché nella direzione della via Laurentina (che mi conduceva di preferenza sulle lave dell’Acquacetosa, di Vallerano e Tor- chiesaccia) in quella delle vie: di Castelporziano, (per la quale non tralasciavo le lave di Vallerano, ma potevo più facilmente scor- ger le relazioni coi terreni adiacenti alle lave di Mostacciano, Casalbrunori e della Selcetta) e delle vie Ostiense e Portueuse; richiamando poi, quando del caso, i risultati ottenuti e già fatti (*) Bollettino d. R. Comit. Geol. d’Italia, Voi. XXVI, 1895, pag. 325-29 (a pag. 327) Roma, 8°, 1895. 5 66 A. PORTIS noti delle mie ricerche nella regione dei tronchi suburbani delle vie Appiè. Ora eccomi ai risultati: Chi dalla « Prattica di Mare » si diriga, pel Malpasso, a Soma; e, dopo aver superati i rilievi abbastanza elevati su cui sorge C'astcl di Decima, si arresti, a sinistra della strada, a considerar una incisione fatta, nella propagine a N-E della collina reggente De- cimavecchia, per la estrazione della ghiaia (cava Pinzi in pro- prietà Pallavicini), scorge bentosto come, per tale incisione, si possa mettere insieme la sezione seguente: Sezione A. 5. — Tufi diversi talor mascherati da terriccio: quando vi- sibili, nettamente stratificati; gli strati sovra pponentisi in con- cordanza e con andamento sommariamente orizzontale; i mate- riali componenti ciascuno strato spiccatamente diversi per mole, coerenza, colore, da quelli dello strato precedente. Potenza del complesso 10-11 metri. 4. — Argille a Cardiums diversi, a rare valve d’Ostriche, rari frammenti di valve di Tapes, a rari Gasteropodi (Nassa), a Fo- raminiferi, a prodotti diversamente riconoscibili dell'alterazione di minerali e roccie vulcaniche; potente complesso in generale occupato dalle colture che ne nascondono i caratteri. Potenza del complesso circa in. 15. 3 b. — Argille sterili superiori, od azzurrigne; per siccità sgre- tolabili in minuti grumi e frammenti. Potenza di metri 3. 3 a. — Argille sterili inferiori, od ingiallite: iter siccità, sgre- tolabili in minuti grumi e frammenti. Potenza di metri 0.60. 2. — Sabbie fine giallastre, stratificate in sottili banchi di- scernibili per diversamente inoltrato processo di ossidazione ed idratazione del ferro contenuto. Non presentano macroscopici fos- sili marini ; contengono rari foraminiferi e minerali vulcanici in diversa guisa profondamente alterati. Hanno andamento somma- riamente orizzontale. Passano superiormente, in modo graduato, alle argille sabbiose del n.° 3; inferiormente trascorrono sulle irregolarità, per dilavamenti, effimere e localizzate erosioni, ed ineguaglianze di deposizione, della faccia superiore delle ghiaie numero 1. Potenza complessiva metri 2,80. OSSERV. STRATIGR. NELLE VICINANZE DI ROMA 67 1. — Ghiaie a bende giallo-brunastre di concentrazioni li- moniticlie. Sono ghiaie deposte su di una pianeggiante e sot- tile sponda marina (terrazzo sommerso): come tali, abbondano di elementi appiattiti e di non grandi dimensioni. Fra questi ele- menti abbondano le paesine e poi altri calcari di diversi piani mesozoici; abbondano pure i ciottoli silicei (pietre cornee e pi- romache) di tinte talor vivacissime nel rosso, giallo e verde: taluni di essi appaiono intaccati da organismi perforanti; scar- seggiano i ciottoli lavici (Trachite andesitica, tipo di Tolfa-Cer- veteri): vi si incontrano pure motte imperfettamente arrotondite di un materiale argil Ioide, aderente alle dita, alquanto indu- rante colla esposizione all'aria; motte che ancor si presentano colla lor crosta di materiali agglomerativisi attorno ed ineffi- cacemente cementativisi per posteriore deposizione interstiziale limonitica; (materiali in complesso eguali a quelli che costi- tuiscono T intiero deposito ghiaioso, ma, naturalmente, di molto minor mole e più prevalentemente silicei. Non scarseggiano fra queste sabbie protettrici le laminette di mica bianca e di mica oscura : rari vi sono per contro gli aghetti di augite o lor rico- noscibili frammenti, le conehigliette ben conservate di Globi- gerine, e quelle frammentarie di Ostracodi, insieme a qualche spicula di Spongilla. Il materiale poi che, sotto questo tegu- mento di agglutinazione, costituisce il corpo della motta è (secco) di color bianco gialliccio, di lucentezza terrosa, aderente alla lingua, picchiettato da un grandissimo numero di laminette di mica bionda: di più, contiene residui numerosi di minute sco- riuzze biancastre profondamente decomposte e forse minutissimi aghettini augitici ; di più, frustoli limonitizzati di vegetali supe- riori. Si può definire un loess di materiali vulcanici e gene- ticamente un tufo vulcanico a minutissimi elementi profonda- mente alterati poi, ed a fossili vegetali ; risulta molto simile a quello che troveremo poi, sul n.° 3, alla sezione N). Le ghiaie, confusamente stratificate, rimontano dal piano della cava per metri verticali 3. 0. — Piano della cava Pinzi (proprietà Pallavicini) a metri 27 sull’attuale livello del Tirreno. Se da questa cava, anziché dirigerci a valle, noi ci dirigiamo a monte per passar, al Molino della Longherina e sui « Cinque 68 A. l’ORTlS Ponti », i diversi fossi che colla lor confluenza daranno poco più giù il Fosso di Malafede, e raggiuntolo, lungheggiamo, facendo sominariamente capo verso N (1), il piede rivolto ad ovest del monte localmente detto della Caccia : Se questo versante del monte percorriamo sia in direzione S-N. quanto, ascendendolo, in direzione O-W; noi osserveremo come, salvo il caso di un disturbo locale prodotto dallo scorrimento pure locale di una grossa zolla di terreno (ad un chilometro preciso in linea retta dall’osteria del Malpasso), il versante stesso sia costituito (sezione B) l.°. alla base, da un terreno argilloide poverissimo in fossili; 2.° un paio di metri più su e fino a 3 metri dalla maggiore sua elevazione, da materiale pure argilloide ricco di conchiglie di Cardium di- versi, a valve or appaiate or disgiunte ed a conchiglie diversa- mente ben conservate di Ostrea ; 3.° superiormente, e per i tre ultimi metri di altezza del monte, di tufo granulare grigio-ne- rastro nettamente stratificato. Questa sezione, riconoscibile malgrado l’impaccio della col- tura a cereali estesa su tutto il versante rivolto ad oriente del Monte della Caccia, riscontreremo poi poco modificata sul ver- sante rivolto a nord dello stesso relitto di erosione, là dove esso fa da fianco sinistro della bassa valle di Perna: ci riverremo in seguito. Per ora. conservando la direzione sommaria a N-N-AV (') In direzione sommariamente a S, o meglio a S-O, le condizioni non mutano. Infatti il Verri (note per la Storia del Vulcano Laziale — parte prima — Rilievo circostante al gruppo dei crateri, Bull. d. Soc. Geol. Ital., \Tol. 12°, pagg. 39-80. Roma, 8°, 1893) a pag. 42 ci dice: «Per trovare sedimenti marini sulla sinistra della Valle del Te- vere... bisogna risalire il Fosso di Malafede fino al passo della Via di Trigona. Là si hanno sul piano della valle (quota 25 circa) marne con Ostriche e Cardii coperte da sabbie gialle. Pare pure che sia marino il deposito di ghiaie calcari coperte da sabbie gialle che si vede a quota tra 25 e 30 sotto Castel di Decima». — E, se noi rimontiamo il Fosso di Malafede tino all’incontro della Ala di Trigona, noi troviamo che la via che viene da questo abitato incontra uno dei fossi che colla lor con- fluenza daranno il Malafede (precisamente quello che discende dal Fon- tanile dello Schizzanello) di fronte al monte dell’Aro, avanzo di erosione della stessa piattaforma costituita da una copertura di tufi stratificati sopra terreni per la maggior parte dati dagli strati e banchi lentiformi delle argille a Cardium, dalla quale, più a Nord, é stato imperfettamente individualizzato il residuo di erosione or chiamato Monte della Caccia. OSSERV. STRATIGR. NELLE VICINANZE DI ROMA 69 sul fianco destro della ormai divenuta valle di Malafede, attra- versiamo direttamente il Fosso di Perna poco sovra il punto della sua entrata in quel di Malafede, tocchiamo l’osteria del Mal- passo, attraversiamo la strada da Prattiea, da Castel di Decima o da Castelporziano alla sua uscita dal ponte sul Malafede ed esaminiamo i terreni che si trovano sulla nostra destra, ossia (sezioni C e D) il versante rivolto a S-W del relitto di erosione su cui sorse la torre dei Cenci e la capanna dello stesso nome. Anche qui abbiamo notevole impaccio dalla coltura a cereali, ma questa vediamo elevarsi fin dove si eleva l’ultimo superiore banco di argille a C'ardium (dei quali in pochi minuti si riesce a raccogliere buon numero) ed arrestarsi allo strato inferiore dei tufi ; di quei tufi che anche qui costituiscono la piattaforma ta- gliata talor a picco del relitto di erosione. Queste argille a Car- dium troviamo adunque su entrambi i fianchi del fosso di Ma- lafede e sul fianco destro li vediamo risalire da Sud a Nord, superando la strada che proviene da Prattiea e da Castel Por- ziano, ed estendersi indefinitamente verso N-W ; indefinitamente dico, poiché la mancanza di tagli freschi nella valle di Mala- fede ci impedisce una persecuzione esatta della lor linea di affio- ramento sul fianco della valle (a). (*) (*) Il Meli (Notizie sopra alcuni resti di mammiferi quaternari [ossa e denti isolati] rinvenuti nei dintorni di Roma — Boll. d. Soc. cjeol. iteri., Voi. 15°, 1896, pagg. 291-296) a pag. 294, nota a piè di pagina, ci dice: « La località del Malpasso è dal lato geologico assai interessante perché é l'unico punto sulla sinistra del Tevere a valle di Roma in cui affio- rino e si mostrino scoperti terreni con fossili marini non sepolti dalle deiezioni vulcaniche del Lazio... Le sabbie marine fossilifere trovansi esattamente segnate nella Carta geologica della Campagna Romana e re- gioni limitrofe in 6 fogli ed una tavola di sezioni nella scala da 1 a 100,000 rilevata e pubblicata per cura del R. Ufficio geologico, Roma 1888... Le indicai nelle mie osservazioni in Boll. Soc. g eoi. rial., Voi. X, 1891, pag. 23. Più tardi vennero anche citate dal Verri nella sua me- moria... Boll. d. Soc. geol. rial., Voi. XI, 1892, fase. 1°, pag. 74». Già risulta da quanto precede e meglio risulterà da quanto segue, quanto inesatti fossero al tempo in cui venivano scritti questi brani (ed implicitamente quanto dessi affermano) del Meli. La loro inesattezza già era presumibile dalle mie afférmazioni a pagg. 59-60, voi. 1°, nelle Contri- buzioni alla storia fisica del bacino di Roma e studii ecc. e diviene accer- tata dalla comparazione dei brani stessi colle affermazioni del Verri in 70 A. PORTIS Ma poiché ci siam momentaneamente arrestati, rimontando dalla Valle di Malafede, al versante del relitto portante la Tur dei Cenci, non interrompiamo il nostro cammino. Proseguendolo con capo direttamente a Nord, superata la Tor dei Cenci noi accenniamo a discendere nel Fosso di Spinaceto (altri lo chiama del Risarò) e incontriamo per via la cava di estrazione di poz- zolana e di tufo litoide che, per mezzo di via ferrata, nel basso della stessa Valle di Spinaceto, shocca i suoi prodotti sulla via Ostiense. Noi già sappiamo dal Rodriguez Note sulle rocce vulcaniche, c principalmente sui tufi dei dintorni immediati di Roma, 4° gr., pag. 1-18, con grande quadro della classi!, dei tufi; Roma, 1893; a pag. 16 e quadro alla figura 4) come al suolo di questa cava, sotto ai tufi, si incontri un materiale argil- loso che egli chiama maina azzurra di acqua dolce, perchè, dice (pag. 16, nota prima), contengono solo fossili caratteristici d’acqua dolce. Troviamo riaccennata la presenza di questo materiale argilloso dal Verri (Nota per la storia del Vulcano laziale. Ri- lievo circostante al gruppo dei crateri. Boll. d. Soc. Geol. Hai.. voi. 12, 1893, pag. 39-80, a pag. 43), e poi dal Clerici (Sopra un giacimento di diatomee al Monte del Finocchio o della Creta presso Tor di Valle. Boll. d. Soc. Geol. Ital., voi. 12, 1893, pag. 759-821. a pag. 786). Limitiamoci quindi a constatare che questa cava (sezione E) è collocata molto in alto verso l’origine della valle; e che, per la natura del materiale che sfrutta e la Note per la storia del Vulcano laziale, Boll. d. Soc. geol. ital., Voi. 12, 1893, pagg. 41-44 e con quelle del Clerici nello scritto: Sopra un gia- cimento di diatomee presso Tor di Valle, Boll. d. Soc. geol. ital., Voi. 12, 1893, pag. 787. Affermazioni tutte che avevano per risultato una note- vole estensione dei giacimenti marini nella regione Fosso di Malafede, troppo limitatamente segnate sulla carta e relativo testo di spiegazione indicata dal Meli e affermazioni tutte, per il tempo ed il periodico in cui furono pubblicate, facilmente alla portata del Meli nel momento in cui egli redigeva la nota da cui trascrissi i brani. La limitazione di esten- sione di questi terreni marini, che può essere un neo trascurabile davanti l'estensione e le difficoltà del terreno rilevato, diviene un errore consi- derevole quando é assunta di proposito e sostenuta esatta contro l'evi- denza dei fatti e delle osservazioni singole di autori procedenti indi- pendentemente l'un dall’altro e tutti convenienti nello affermare uno stesso fatto. OSSERV. STRATIGR. NELLE VICINANZE DI ROMA 7l necessità di esito, è costretta ad avere un suolo molto in alto, cosicché le argille che tal suolo costituiscono, posson non esser quelle a Cardium che abbiam veduto nel Fosso di Malafede, tanto più che sovra di sè non hanno che particolari modalità di tufi, quali il litoide breccioide e la pozzolana rossiccia. An- diamo più avanti e più giù nello stesso Fosso di Spinacelo ; sulla sua destra, assai vicino al suo sbocco sul Tevere (alla via Ostiense presso il Casale di Mezzavia) noi incontriamo una cava di ghiaia ora alquanto trascurata e franata ma che non manca tuttavia di offrirci alcuni interessanti ammaestramenti. La ghiaia che veniva estratta da questa cava (sezione F) è della stessa natura ed aspetto di quella sfruttata alla cava Pinzi sotto Castel di Decima Vecchia, ghiaia che io contrassegnai col n.° 1 e che distinguerò collo stesso numero anche in questa sezione. Anche in essa abbondano le paesine ed i calcari mesozoici ed i ciottoli silicei; non riscontrai personalmente ancora ciottoli lavico-trachitici. ma possono esservi stati rinvenuti da altri. In sei metri verticali di faccia vista occupati da queste ghiaie, estrassi, ad un metro di altezza dal suolo attuale di via ferrata, grosse motte (irregolarmente disseminate framezzo agli altri ciottoli) di sabbia gialliccia finissima argilloide presentanti una crosta di aggregazione di sabbia giallo-vivo a laminette di mica bianca ed oscura, a rari cristallini augitici o loro frammenti, a eonchigliette riconoscibili di Gflobigerine. La sabbia gialliccia finissima argilloide che costituisce il corpo della motta, presenta per contro maggiore rarità di residui riconoscibili di roccie e minerali vulcanici e notevole frequenza di Foraminiferi abba- stanza svariati quali Nonionina, Poly stornella, Gflobigerina, ecc. Alcune di queste zolle possono aver fino a 15 centim. di dia- metro. In questa stessa faccia vista di ghiaie, osservai a circa metri 1,20 dal suolo locale di via ferrata una intercalazione lentiforme caratterizzata da maggior frequenza e quasi totale costituzione con altre più piccole (fino a 6 od 8 centim. di dia- metro) motte sferoidiche di sabbia finissima gialliccia molto più argilloide, ciascuna individualizzata con una crosta di aggluti- nazione di sabbia diversamente fina, tinta in giallo vivo. La sabbia agglutinata è ricchissima di grani silicei sì da esser dessi i prevalenti; è largamente frammezzata da laminette di 72 A. PORTI S miche sì chiare che oscure, avanzi limouitizzati di scoriuzze. cristalli di augite e loro rottami; non vi ricercai i Foraminiferi. Il materiale costituente il corpo della motta, ricercato isolato dalla crosta e lontano al possibile da essa, ci mostra non rare Fo- raminifere (IJ viger ina, Globigerina, ecc.), miche bianche e dorate, augiti per lo più alterate, residui che paiono di materiali ve- trosi; fa fugacissima e lieve effervescenza con acido cloridrico. Si ottiene l’impressione che e queste motte e quelle mag- giori che un poco più in basso si incontrano disseminate fra le ghiaie, constino dello stesso materiale che in posto abbiamo riscontrato alla sezione A sul n.° 2. La lente di queste motte non interrompe, che per breve svi- luppo trasverso e per un 10 centimetri al più in senso verti- cale, il regolare assestamento delle ghiaie della cava, le quali in alto si continuano ancora per qualche metro. Il Clerici assegnò a queste ghiaie (Meni, cit., sopra un giacim. di Diatomee al Monte del Finocchio, ecc., a pag. 787) una origine marina di spiaggia e, sulFautorità del Meli, disse esser stato rinvenuto in esse un frammento di zanna elefantina. Io ne procacciai per il Museo Geologico Universitario di Roma gli avanzi di un teschi u di Ippopotamo, un momento sporgente, assai completo e con denti, frammezzo a queste ghiaie, ma poi caduto in un' infinità di pez- zetti pel franamento del pilastro ghiaioso di cui facea parte. Ma se noi vogliamo vedere il materiale che a queste ghiaie sovrasta e risaliamo perciò la collina in cui la cava è stata aperta, troviamo dapprima sporgere dalla zolla erbosa che qui riveste il declivo, ed a due metri verticali più su dalla più alta parete di taglio artificiale della cava, parecchi spuntoni rocciosi alli- neati così da darci l'idea di un affioramento di un banco roc- cioso potente circa due metri. E questo banco che designeremo per ora col n.° 2, messo a nudo ed a faccie fresche di rottura, si rivela non esser altro che un agglomerato di ciottoletti pre- valentemente silicei (piromaehe e simili) al massimo di 3-4 cen- timetri di maggior diametro, fortissimamente compresi in un cemento calcareo ricchissimo di cristallini di augite, di lamine di mica, di scoriuzze vulcaniche semidecomposte, ecc. Più in alto la stessa collina è costituita (n.° 3) da strati fra loro concordanti e ad andamento apparentemente (da una sola OSSERV. STRATIGR. NELLE VICINANZE DI ROMA 73 faccia di sezione) orizzontale di tufi diversi; che, nelle colline della stessa sponda destra del fosso più verso la via Ostiense, mostrano di alternar frequentemente o di lasciarsi surrogare da calcari travertinoidi aneli' essi ricchissimi di materiali vulcanici. Di fronte a queste colline sta, di nuovo sulla sinistra del fosso e presso al suo sbocco, parzialmente ricoperto e franato, un altro gran taglio di cava (sezione Gr) : La parte che ne rimane visibile offre una successione di strati costituiti essenzialmente da tufi svariati e pel momento non ci interessa in modo speciale. Per contro rimane tuttavia desto l'interesse su quelle ghiaiette prevalentemente silicee, che, fortemente impastate in materiale calcareo riccamente costellato di augiti, abbiam visto alla cava di ghiaia di Spinaceto sovrastanti alle ghiaie più sciolte e più ricche di ciottoli calcarei ; rimane tuttavia insoluta la questione dello innesto di quelle su queste, innesto che alla cava non è stato dato di verificare direttamente e che possiam cercare di stabilire in altri punti dove gli stessi materiali od alcuni di essi ci si offrano più estesamente scoperti. Oltrepassiamo pel momento la gran cava aperta sulla Yia Ostiense (a sinistra venendo da Roma) circa albll0 chilometro (sezione 0) e proseguendo per la strada stessa, perveniamo, dopo aver salite e ridiscese alcune collinette, al Colle di Monte San Paolo ; per superare il quale occorre passar sulla testata di al- cuni banchi di un materiale assai resistente, banchi che al- quanto alterati e sconvolti osserviamo pure spuntare (sezione H) fra mezzo alla zolla erbosa a destra della strada, sulla sponda sinistra di un fosso mediatamente discendente dalla Macchia Saponara, od un po’ più direttamente dalla Tenuta della Infer- meria. Questi strati constano appunto di quelle ghiaie preva- lentamente silicee, fortemente impastate da cemento calcareo fittamente costellato di cristallini di augite. Esse costituiscono qui una serie assai potente di strati assai sottili, sensibilmente concordanti e con andamento assai vicino alTorizzontale; infe- riormente paiono poggiare su strati tufacei, la di cui corrosione ha molto probabilmente cagionato il lor sconvolgimento ; ed ac- cennano superiormente ad alterarsi per sgretolamento e limo- nitizzazione, dando luogo a quel materiale fortemente arrossato, sabbioso e sabbioide, ricco di ciottoletti diversamenti franta- 74 A. PORTIS mati, materiale che alcuno chiamerebbe lehm. Ma qui ancor non vediamo con nettezza la base reggente queste ghiaie, e proseguendo la strada ostiense; noi, anziché discendere, saliamo col Monte San Paolo in strati sempre più elevati delle ghiaie stesse e nel loro prodotto di alterazione. Non è inutile tuttavia percorrere qualche chilometro di detta via, per farci un'idea della estensione di tale formazione; però, se giunti alla Ma don- neila (oltre il 16° chilometro), noi volgiamo a destra e cer- chiamo di raggiungere al Casale di Dragoncello il punto in cui il Tevere taglia questa elevazione di suolo, possiamo augurarci di scorgere qualche cosa di più. La stradella che mena dalla Madonnella al Casale di Dra- goncello, si può sommariamente ritenere orizzontale: noi abbiamo lasciata la via ostiense alla quota di 25 metri, e raggiungiamo il casale sito alla stessa quota. Immediatamente al Nord del Casale, un taglio quasi a picco lascia il passaggio al Tevere. Questo in tempo di magra lambisce il piede della parete alla quota di circa 2, ed in tempo di piena si innalza a rivestirla di successivi invogli del suo limo, fino alla (piota di circa 7. 11 taglio è rivestito di folta vegetazione arborea ed erbacea; di più, come non è visibile la sua regione inferiore, coperta dalle bellette del Tevere, non è servibile la sua regione più elevata, costituita da materiale rimaneggiato e trasportato: rimane la zona intermedia, limitata ad un’altezza di circa metri 15, tra- scurando per la ragione sopradetta i tre metri superiori. Così limitata sopra e sotto la sezione di Dragoncello (sezione I), essa ci appare costituita dagli elementi seguenti : 5. — Limite superiore della sezione; materiali rimaneggiati e di trasporto, per tre metri al di sopra della quota 22. 4. — Sabbie giallognole chiare, argilloidi, a concrezioni calcaree, a rare ghiaie prevalentemente silicee, stratificate più o meno distintamente in banchi piuttosto sottili, ad andamento, per quanto appare da una sola faccia di sezione, sufficientemente orizzontale, a strati intercalati da altri sottili e incerti strati di materiale più fino, più omogeneo e come argilloso. Potenza del complesso: metri quattro, da quota 18 a quota 22. 3. — Strato o banco lenticolare, a potenza non molto uni- forme, di ghiaie silicee prevalentemente; incompletamente ce- OSSERV. S1RATIGR. NELLE VICINANZE DI ROMA 75 meritate da materiale calcareo, fittamente costellato di cristallini di augite ed altri prodotti vulcanici (la cementazione può esser stata altra, volta più completa e tenace, ed essere stata distrutta o deteriorata dagli agenti degradanti) : contiene rare valve, aneli' esse guaste dagli agenti distruttori, di Cardiuvn sp. In dieci minuti, malgrado la disagiata posizione e la piccolezza della fronte scoperta, se ne raccolsero una valva ed un fram- mento di una seconda. Potenza media del banco : centimetri quaranta, da quota 17,60 a quota 18. 2. — Sabbie giallognole, chiare, argilloidi, stratificate, più o meno distintamente, in banchi assai sottili, fra loro sensibil- mente concordanti e ad andamento sufficientemente orizzontale. Potenza dal complesso : metri uno e centimetri sessanta, da quota 16 a quota 17,60. 1. — ■ Alternanze di strati lentiformi di sabbie gialle ad elementi vulcanici, con simili strati di ghiaie incompletamente cementate in calcare travertinoide (o questo posteriormente al- terato e divenuto meno coerente e tenace), fittamente costellato di cristallini neri di augite ; le ghiaie prevalentamente silicee, talor associate a scoriuzze vulcaniche profondamente alterate. Potenza del complesso: metri 9, da quota 7 a quota 16. 0. — limite superiore del rivestimento ininterrotto alla pa- rete dalle bellette odierne del Tevere ; a quota 7. Tutta questa sezione si può quindi considerare come illu- strazione semplicemente di alcune delle modalità e delle sur- rogazioni ed intercalazioni che possan venir assunte nei limiti delle ghiaie prevalentemente costituite da ciottoli silicei, che abbiam veduto alla piccola cava di Spinaceto esser contenute in un materiale calcareo: In quel materiale che, fresco, si mostra tenacissimo e che contiene una miriade di cristallini di augite fittamente ed abbastanza uniformemente cosparsi framezzo alle ghiaie; e che, qui, vediamo in diverso grado di alterazione e sfacelo, fino a non regger più che lassamente gli inclusi o esser talor semplicemente frapposto ad essi allo stato di calcare in- coerente; come avviene in tante altre simili cave di ghiaja sulla via Ostiense, o in tagli vecchi di alcune cave di tufo a Monte Verde, sulla via Nomentana, o sulla via Flaminia. Di più ci mostra come queste ghiaie, dove molto sviluppate, possano con- 76 A. P0RT1S tener anche nei lor banchi terminali più elevati reliquie di coli- chiglie marine delle quali cercheremo più avanti di indagare la provenienza. Eiinan sempre aperta la questione relativamente al materiale su cui poggiano, materiale che alla sezione di Dragoncello dobbiam concedere sia accuratamente rivestito e ma- scherato dalle odierne bellette del Tevere. Visto e confermato con due sezioni a tagli diretti quasi nor- malmente l’uno all’altro, (sezione H, taglio diretto da N a S; sezione I, taglio diretto da W ad O) che i banchi costituiti da queste ghiaie hanno in generale un andamento sensibilmente orizzontale ci conviene rimanere in basso e cercar presso al letto del Tevere dei tagli nelle colline in cui, verso il fiume, va laci- niandosi il Monte San Paolo. Non ne troviamo di soddisfacenti nel versante rivolto a N-W del Monte Cugno; ma sì, appena su- perata la estrema propaggine nord di questo monticeli!»: quella che va ad immergere il suo piede nello attuai letto del Tevere respingendolo verso N e che, colla collina del Casale di Dra- goncello più direttamente accenna ad una breccia violentemente aperta dal fiume in un allineamento di rilievi che con anda- mento diretto N-W da Trigoria e Castel di Decima per la Tra- fusa, lTnfermeria, Monte San Paolo e Monte Cugno si univa una volta alla destra sponda del basso Fosso Galera. Dunque, dopo esserci continuamente tenuti in contatto dei banchi di ghiaie piccole e prevalentemente silicee comprese in materiale or sab- bioso, or calcareo, ma sempre straricco di cristallini di augite, dal casale di Dragoncello fino alla estremità X del versante N-W di Monte Cugno, appena abbiam svoltato attorno a questa estre- mità nei prati di Monte San Paolo noi scorgiamo al piede del versante guardante a N-N-0 che le nostre ghiaie accennano ad elevarsi un tantino verso 0 e a lasciar apparire il materiale che le regge (sezione J). Sono alcuni potenti strati di materiale tufaceo costituenti la base della collina, a cominciar dalla quota 5 fino almeno alla quota 10, e constano, inferiormente: di ma- teriali (N.ù 1) vulcanici (minerali e rocce) assai minuti, debolmente cementati da materiale farinoso o caolinico proveniente dalla alterazione delle numerosissime piccole leuciti, che situo com- miste ai cristallini di augite, alle miche ed alle seoriuzze. Questi minuti elementi vulcanici che danno preponderantemente OSSERV. STRATIGR. NELLE VICINANZE DI ROMA 77 gli elementi della roccia, sono pure associati a numero gran- dissimo di granelli arrotondati di piromache diverse, non mi- suranti nel senso di maggior estensione, più di 3 millimetri di diametro; ed a molto più rade e grosse (tino a 3 e 4 cen- timetri di diametro massimo) scorie vulcaniche, or nerastre ed ora arrossate. Il colore complessivo del tufo sabbioide che ne risulta è un grigio leggermente volgente al verdiccio; questa modalità di tufo scorgesi costituire due o tre grossi strati pa- ralleli per una potenza complessiva di circa metri 1,50, da quota 5 a quota 6,50. Sopra essi si adagiano parallelamente (2) altri grossi banchi di materiale più tino ed omogeneo, molto più tenace e resi- stente ai colpi del martello, coll’aiuto del quale si possono far saltar larghe e forti scaglie normali o quasi alla superficie degli strati, da cui formar campioni dimostrativi. Le faccie fresche di rottura così ottenute, ci mostrano come il tufo di color grigio verdiccio (talora per alterazione volgente al gialliccio ed al bruniccio) sia costituito allo stesso modo del materiale da cui esso è sorretto, soltanto gli elementi che lo compongono son di mole molto più piccola e più strettamente assestati l’un contro l’altro. Con maggior difficoltà vi si scoprono minutissimi grani di piromache, forse anche più radi : ed, in vicinanza sempre maggiore della superfice da tempo esposta agli agenti atmo- sferici, scorgonsi manifestarsi e poi spesseggiare e farsi sempre più intense delle macchie subrotonde limonitiche, quali mani- festamente si son occasionate per diffusione centrifuga dei pro- dotti di alterazione di particolari prodotti vulcanici più pro- fondamente, o di preferenza, attaccati dagli agenti distruttori, in vicinanza della superficie; accade che, un colpo ben dato riesca a mettere in evidenza dei piccoli solidi sferoidali a su- perficie granosa e magari ad enuclearli dalla circostante roc- cia; e questi sferoidi, sezionati, mostrano la stessa costituzione della roccia da cui vennero estratti, con la sola differenza di una colorazione bruna limonitica più intensa. Appar quindi evi- dente che essi hanno la origine detta per le macchie; che queste non sono che la sezione di quelli e che l’individualizzazione di questi sferoidi o pallottole dalla roccia sabbiosa è una mo- dalità di alterazione del tufo; alterazione progressiva dallo 78 A. TORTI S esterno all’interno elei banchi tufacei e molto posteriore alla formazione e deposizione dei tufi stessi. Pochi grossi banchi di questa particolare modalità di tufo (debolmente effervescente all’acido cloridrico) ci danno in questa sezione una potenza complessiva di circa 2 m. e mezzo (da quota 6.50 a 9). Superiormente, altri banchi dello stesso tufo (3) per una po- tenza di circa un metro, ci mostrano come la sua grana diventi ancora più tenue; ma, nello stesso tempo, come talora il materiale possa assumere un certo grado di apparente sehistosità in senso parallelo alle faccie di stratificazione; e come, in corrispondenza di tale alterazione, possa esser localmente più ricco di cristalli (ora decomposti) più voluminosi di leucite o subire delle in- tercalazioni lentiformi di materiale grossolano tufaceo commisto a ghiaiette prevalentemente silicee: oppure, con ripetizione di queste intercalazioni, passare insensibilmente in quel materiale che abbiamo seguito da Dragoncello fin qui e che seguiremo di nuovo di qui fino alla sezione H, sulla via Ostiense. I fatti che abbiamo messo in sodo colla sezione J, l’origine cioè del tufo sottostante alle ghiaiette prevalentemente silicee cementate in calcare ad elementi vulcanici, il suo facile tra- sformarsi in tufo verdiccio a pallottole, il suo graduale confon- dersi superiormente e lasciarsi surrogare dalle ghiaiette silicee cementate etc. o loro sostituzioni, possiamo un’altra volta con- trollare in una sezione meno chiaramente scoperta sullo stesso versante N-N-0 di Monte Cugno un trecento metri più avanti verso O-S-O (sezione K che è il prolungamento della sezione .J). Rimontando poi lo spuntone versante ad 0, che limita tale pa- rete e ridiscendendo nei prati in rispondenza di un fossetto senza nome in vicinanza di un pagliaio (sezione L. un chilometro in linea retta ad O-S-O dal punto in cui Monte Cugno è tagliato dal Tevere, 900 metri in linea retta al S-0 della sezione .T, settecento metri in linea retta a S-0 della sezione K), vi ritro- viamo il tufo sabbioso a grana fina, che qui merita già molto più il nome di tufo a pallottole, sormontato dalle ghiaiette stra- tificate, per noi tanto interessanti. Dopo aver marginato, or scendendo ed or risalendo, tutto il versante di Monte S. Paolo rivolto a nord fino al Fosso di Fon- tanile, dopo aver constatata la costanza del tufo sabbioso ver- OSSERV. STRATIGR. NELLE VICINANZE DI ROMA 79 diccio o della sua posteriore modificazione a pallottole alla base settentrionale di tutta la collina, abbandoniamo momentanea- mente questi tufi salendovi su e penetrando negli strati di mi- nute ghiaie die sempre seguitano a poggiarvisi e trascorrendo su di esse per traversar l'elevazione o piattaforma superiore di Monte San Paolo torniamo alla sezione H presso la via Ostiense (Kilom. 14 1 4 di essa da Roma) a veder quegli strati duri e così fortemente cementati di gliiaiette prevalentemente silicee, che in tutta la nostra gita in giro per Dragoncello e Monte C'ugno abbiamo avuta l’avvertenza di mai perder di vista. A Dragoncello, in queste ghiaie trovammo le conchiglie di Cardium; a Monte Cagno osservammo che queste ghiaie erano sorrette dai tufi verdicci a pallottole. Ancor non sappiamo se con ciò sia stata totalmente interpretata la sezione E alla cava di Spinaceto. A questa questione verremo subito; A mò di interru- terruzione, intanto, accennerò come il Verri (Mem. citata, Boll. Soc. Geol. Ita l., Voi 12, 1893, pag. 41) [a pag. 42 meno espli- citamente] collochi i terreni che costituiscono il Monte Cugno fra i sedimenti marini (*). Risolta la questione di sapere che cosa rappresentino e su che cosa si basino continuamente le nostre ghiaiuzze silicee, risoitala nel senso che gli è il tufo verdiccio a pallottole, o che può diventar tale, quello che normalmente apre la serie di queste particolari deposizioni ghiaiose, vediamo che cosa sia che or- dinariamente ed in concordanza sostenga gli strati del tufo a pallottole. A tal fine possiam rivedere località già studiate o vicine a quelle che già vedemmo. Ci servono e la sezione A sotto (*) Mem. citata pag. 41 « Una zona, la cui ossatura é composta da se- dimenti marini, fascia dalla parte del Tirreno il territorio sul quale il vulcano laziale espanse i suoi rigetti — Questa zona d'ora in avanti per semplicità indicherò coll’appellativo di litorale Le colline del Casale di Ponte Galera sono composte di marne cineree e giallastre con concrezioni calcaree e limonitiche. Sopra queste sta un banco di ghiaie calcari e poi vengono sabbie gialle con ghiaiette calcari. La stratifi- cazione si mantiene sensibilmente orizzontale. Egualmente é costituita la collina detta Monte Cugno, posta di fronte sulla sinistra della valle colla quale termina il litorale ». 80 A. POItTIS Castel di Decima Vecchia e la sezione B del Monte della Caccia: ma assai ci servono e la sezione C sulla destra del Fosso di Malafede, sotto Casal dei Cenci, e tutti e due i fianchi della Valle di Perna rimontata dalla sua affluenza col Malafede verso monte per un par di chilometri. Chi dall'Osteria del Malpasso risalga la Valle di Perna. scorgerà agevolmente che, se egli fa tale gita tenendosi nel thalweg, cammina in un terreno talor argilloide, talor sabbioide rossiccio, assai simile a quello che in Campagna di Roma, mal- grado la molteplice e svariata origine sua, venne chiamato ta- lor lehm; nel thalweg della valle difficilmente troverà di pine sovrattutto dei fossili. Tutto al più troverà in qualche punto che la monotonia del cosi detto lehm, potrà essere momenta- neamente animata da qualche momentaneo e poco esteso centro di deposizione di calcare travertinoide attuale: calcare impu- rissimo chimicamente, irregolarissimo nella sua continuità e nel suo contenuto: per lo più cannucce palustri incrostate in grado diversamente perfetto e diversamente alterate durante e dopo la incrostazione. Il cammino fatto, tanto sul versante destro che sinistro, ad altezza variabile fra i tre ed i sei o più metri sul thalweg, porterà invece a lungheggiare la testata de' banchi di materiale raramente arenaceo ed allora poverissimo o meglio sterile in fossili, ma più frequentemente di materiale argilloso, su cui stentata riesce la coltura dei cereali, e troverà frequen- tissima in esso le valve spaiate, rare le accoppiate, di alcune specie di Cardium, come pure valve diversamente ben conser- vate di Ostriche, sovratutto appartenenti a giovani individui. Giunto al punto in cui la direzione della Valle di Penìa si in- flette bruscamente dalla direzione O-W, a quella quasi S-N, po- trà scorgere che tale materiale fossilifero si ritrova un po’ più basso verso il suolo della valle in ambo i fianchi anche di questo tratto superiore; e che. prima di giungere al fontanile di origine del fosso, il materiale argilloide fossilifero si è riunito traverso la valletta da un fianco all’altro, ma che poi si c an- dato velando sotto un materiale tufaceo che, più bello, ritro- viamo sul fianco destro della valle nel suo basso tratto orien- tato da 0. a W. Lo stesso fatto ci avviene, se invece di se- guire la brusca inflessione del tratto terminale all’origine del OSSERV. STRAT1GR. NELLE VICINANZE DI ROMA 81 Fosso di Perna. noi seguitiamo a rimontare, in direzione 0., un piccolo affluente al fosso e clic ne determina la direzione ; at- tinente principalmente di provenienza ed origine dal Fontanile della Selcetta, affluente che dovrebbe piuttosto, per il conti- nuare e determinar che fa la direzione della parte terminale del Fosso di Perna, portar esso stesso il nome di Fosso di Perna, considerando il ramo proveniente dalla incisione separante il Monte della Perna da quello della Caccia come un affluente. Ma lasciamo da parte questa questione intempestiva : nella vai- letta che sale al Fontanile della Selcetta. noi scopriamo ezian- dio il suolo della valletta dapprima costituito dal materiale ar- gilloide a Cardium ed Ostriche : poi. più a monte, questo, velarsi e nascondersi sotto materiali tufacei. ison occorre poi dire, come procedendo nella nostra gita di ispezione sull’uno e sull’altro dei due versanti della Valle di Perna, partendo dal Malpasso e rimontando la valle, raggiun- gendo subito e mantenendoci ad un’altezza corrispondente alle quote 32 a 37 sul livello del mare, noi ci ritroviamo, salve lo- calizzatissime inflessioni di strati, nei banchi di materiale tufa- ceo, il quale dapprima può essere tufo grigio verdiccio, a pal- lottole; e poi. più su. altro materiale di origine tufacea, ora pre- sentantesi sotto l’aspetto di un materiale argilloso grigio bian- castro, o bianco gialliccio, ricco di fossili vegetali, e più su ancora da altri tufi passanti a pozzolane grossolane. Da questa costituzione della piattaforma, in cui è incisa la valletta, di origine evidentemente erosionale, del Fosso di Perna, dei suoi affluenti e dei suoi minori intagli, ne deriva un aspetto caratteristico ai suoi fianchi; che si presentano come una successione in doppia serie di Ambe in miniatura ; e che pure ricordano, sempre in miniatura, le balze a picco dei Canons americani. A 300 metri in direzione 0, dall’Osteria del Malpasso (se- zione M), alla quota 20 ed al limite (discendente la collina) fra colture a prato ed a cereali; seorgonsi spuntar dalla zolla er- bosa (]ST.° 1) le testate degli strati di arenaria, o meglio, di sabbia, diversamente cementata e coerente, sabbia prevalentemente si- licea, che contiene pure ciottoletti, grandi fino ad una nocciola, di piromache, diversamente colorate, e di calcari diversi, non- ché di lave e di scorie vulcaniche. Oltre a questi elementi gros- 6 82 A. PORTIS solani contengon esse qualche leucite minuta, generalmente sfa- rinata, frequenti laminette eli miche tanto chiare che oscure, qualche cristallino, intero o rotto, di augitc, e qualche grano presentante lucentezza spatica, molto probabilmente frantumi feldspatici. Queste sabbie son chiaramente stratificate in banchi potenti fino a due decimetri, l’un dall’altro riconoscibili per locali stratiformi incrementi dei ciottoletti maggiori. Gli strati pendono leggermente verso 0, cioè verso l’alto della valletta; e ciò ci spiega come essi si nascondano ben presto in questa direzione sotto più recenti materiali concordantemente stratifi- cati e come pure materialmente e localmente essi affiorino ad una quota alquanto più bassa dei loro prolungamenti in tra- verso la Valle di Malafede, sotto Castel di Decima Vecchia. Precisamente questi strati presso il Malpasso considero rappre- sentanti e prolungati da quelli che terminano e coprono il X. 1 della sezione A alla cava Pinzi. Immediatamente sopra questa testata di strati arenacei, il terreno (X.° 2) si fa argilloide. ma po- vero di fossili fin verso la quota 23 a rappresentazione del X. 3 della cava Pinzi; poi troviamo: (X.° 3) le prime valve di Cardium nel terreno argilloide, e queste crescono a misura che ci ele- viamo sulla collina per diminuire poi di frequenza prima di toccare la quota 35, quota approssimativa, colla quale noi en- triamo (X.° 4) nei tufi verdicci a pallottole, visibili per un paio di metri circa di potenza (a rappresentazione del limite fra i nu- meri 4 e 5 della sezione A alla cava Pinzi). Dopo di che a loro volta cedono essi il posto ad altri materiali tufacei o pseudo tufacei che vedremo meglio nella successiva sezione X. Questa sono andato a ricavare in rispondenza di una stra- dicciuola assai erta che, dal suolo pianeggiante della Valle di Perna, presso, quasi perpendicolarmente al suo fianco destro, mena alla cosidetta Cappella della Selcetta; strada iniziantesi in basso 1100 metri in linea retta ed in direzione 0 dall’Osteria del Malpasso, di fronte allo sbocco del tratto proveniente da Sud-Sud-Est della Valle di Perna, ed alla sua confluenza col ramo proveniente dal Fontanile della Selcetta, cioè da 0 (est), e che ci permette di vedere assai ben denudate e fresche le te- state di un certo numero di strati. Salendo questa strabella OSSERV. STRATIGR. NELLE VICINANZE DI ROMA 83 noi abbiamo mezzo di seguire la successione seguente di ma- teriali : 8. — Materiali diversi, o alterati, o spostati su luogo o trasportati d’altrove; potenza media locale: metri 0,20; fino alla quota 50 (o meglio da quota 50 a 50.20). 7. — Tufi, rosso-lionati, ricchi in leuciti; or più granulari, or passanti a scliistosi, ora acquistanti una certa coerenza ed i caratteri e le qualità dei tufi breccioidi-litoidi da costruzione : potenza locale : metri 1 , la parte superiore essendo localmente stata esportata ; dalla quota 49 alla quota 50. 6. — Pozzolane grossolane o giallo rossastre superiori. De- posito stratificato di grossolani prodotti vulcanici, scorie della più svariata compattezza, colorazione, composizione e dimen- sioni. insieme associate in un complesso di strati riconosci- bili fra loro per differente grado di coerenza, di erodibi- lità agli agenti atmosferici o per l’interposizione di sottili veli di più minuto materiale, pure vulcanico, rappresentato sovrat- tutto da cristallini di augite, di leucite e di melanite associati a lamine talor estese, talor simmetricamente esagonali di mica. Fra le scorie che costituiscono questa speciale associazione in- contransene alcune, ancora meno alterate perchè più voluminose, di lava nera bollosa ricca di vistosi cristalli leucitici e paragona- bile ad alcune delle modalità superficiali delle lave di Mostac- cino e di Casalbrunori. Alcune di queste bombe vulcaniche possono aver fino ad un metro di diametro. Potenza del depo- sito: metri 8, fino alla quota 49. 5. — Deposito stratificato di più minute scorie vulcaniche (pozzolane omogenee o rossiccie) generalmente molto profonda- mente alterate o arrossate, associate con poca coerenza ; risultanti in banchi o strati distinguibili un dall’altro per differente grado di coerenza, di colorazione e di presa all’erosione e per l’inter- posizione talora di sottili veli di materiale vulcanico più ricco in cristallini terminati di augite, leucite, melanite, con lamine di miche diversamente colorate ; minerali che, più rari e meno riconoscibili, si riscontrano pure frapposti alle scorie nella po- tenza dei singoli strati di queste pozzolane. La colorazione som- maria di questo materiale è nel rosso oscuro, talor volgente alla feccia di vino, talor al nericcio. In esse posson, ma più di rado, 81 A. PORTIS incontrarsi di quelle bombe lavico-scoriose die. più caratteristiche e frequenti e voluminose si incontrano nei complessi 4 e fi. Potenza del deposito: metri 2. fino alla quota 4t>. 4. — Pozzolane grossolane o giallo rossastre inferiori. De- posito stratificato di grossolani proietti vulcanici: scorie della più svariata compattezza, colorazione, composizione e dimensione insieme associate in un complesso di strati distinguibili fra loro per differente grado di coerenza, di erodibilità o per l'interpo- sizione di sottili veli di più minuto materiale pure vulcanico, ma rappresentato sovrattutto in minerali, quali augiti, leuciti, melaniti in minuti cristalli, con gruppi di lamine a regolare contorno e talor estese di miche prevalentemente oscure. Fra le scorie, che costituiscono questa speciale associazione, incon- transene alcune ancor meno alterate, perchè più voluminose, di lava nera, bollosa, ricca di vistosi cristalli leucitici, paragona- bile ad alcune delle modalità superficiali delle lave di Mostac- ciano e di Casalbrunori. Alcune di queste bombe vulcaniche possono avere fino ad un metro di diametro: alcune, spaccate, dimostrano chiaramente acquisita la struttura ad invogli succes- sivi, cosa che facilita ed accelera le vie allo sfacelo meteorico delle bombe stesse. Colorazione sommaria del complesso, dal giallo sporco al rosso pallido. Potenza del complesso, metri 3: fino alla quota 44. 3. — Tufo stratificato ad impronte vegetali. Materiale omo- geneo di colore bianco giallastro, di lucentezza terrosa o, dopo raschiatura, fino ad argillosa; nettamente orientato e disposto in veli paralleli alle facce superiore ed inferiore dello intiero strato. Veli che il colpo del martello e la presa alla degrada- zione atmosferica soli dimostrano; veli o straterelli sulla faccia dei quali ravvisarsi agevolmente organismi o porzioni del loro scheletro, sovratutto vegetali, molto profondamente alterati e ma- gari completamente limonitizzati. Il materiale che qui descri- viamo ha odor leggermente argilloso, poco aderisce alla lingua, lasciato disseccare e posto in acqua non vi si accascia e non si spappola in esso neppure se il trattamento all’ acqua sia fatto precedere da una riduzione meccanica in minutissimi frammenti. La plasticità non si sveglia in questo materiale, nemmanco colla triturazione e la compressione in seno al liquido; il materiale OSSERV. STRATIGR. NELLE VICINANZE DI ROMA 85 rimane sempre magro e a scheggiole anche dopo lunga dige- stione in acqua. Non dà effervescenza sensibile pel trattamento all’acido cloridrico; a parte le traccie macroscopiche di parti di scheletro di vegetali superiori e qualche oscura traccia di con- chiglie, forse di molluschi limnici, non si riscontrano in questo materiale fossili di conto. Per riguardo ai fossili, nè la lente, nè il microscopio, riescono a far scoprir più di quanto ha sco- perto l’occhio disarmato ; ma per riguardo alla provenienza del materiale, la lente fa scoprire una infinità di piccole concre- zioncine e di piccoli scheletri in via di scomparsa graduale di quasi altrettante minute scoriuzze di tinta chiara, da cui una volta era costituito Faccuinulo : Tali scoriuzze in seguito si alte- rarono profondamente e diedero luogo al materiale prevalen- temente siliceo e finamente diviso che attualmente imprigio- nandole. costituisce lo strato o deposito paragonabile a depo- siti argilloidi stratiformi o lentiformi intercalati fra i tufi i più svariati nelle più disparate cave di tufi d’attorno a Roma ; depositi che possono, come alla Sedia del Diavolo, esser straor- dinariamente arricchiti di conchiglie di molluschi limnici. — Il materiale in questione pel presente numero e nella presente sezione, è estremamente simile, per caratteri fisici, organici e mi- neralogici, a quello che io levai (sotto forma di motte incrostate di sabbia gialla) da tagli freschi di ghiaie del numero 1, alla sezione A, alla cava Pinzi, da un deposito a fossili marini e sop- portante altri depositi a fossili marini. Il presente tufo strati- ficato biancastro e ad impronte vegetali è in complesso potente un metro, fino alla quota 41. 2. — Tufi grigio verdicci, apparentemente omogenei, in realtà di tessitura originaria minutamente granosa e clastica. La altera- zione di particolari grani, ha sviluppato in questo materiale una struttura apparentemente pisolitica, realmente concrezionare, che si rivela in quelle pallottole, sempre più numerose quanto è più progredito il processo di alterazione del tufo, non differenti dal materiale che le comprende, che per diversa ricchezza, da esso, in ferro ed in acido carbonico combinato e per maggior resi- stenza ad ulteriore degradazione atmosferica : Cosi esse spic- cano in rilievo sopra un taglio di strato lungamente esposto a quegli agenti trasformatori. La diversa grossezza originaria della 86 A. P0RT1S grana dà anche per questi tufi, mezzo a distinguere gli strati for- matisi successivamente; ma ciò per la diversa attitudine e rapi dità al lasciarsi metamorfizzare dei materiali diversamente gros- solani aventi subiti processi diversi chimici e divenuti diversa- mente erodibili agli agenti atmosferici. Come alla sezione .J, n.° 1, (piesti tufi costituiscono pochi potenti banchi regolarmente e coneordantemente sovrapposti, ad andamento sensibilmente oriz- zontale e per una potenza di metri 6; tino alla quota 40. I bis. — Gli ultimi superiori dieci centimetri della potenza delle argille a Cardium, sono marcati dalla frequenza di concre- zioni argilloso-calcari misuranti fino a 6 e 7 centimetri di mag- gior diametro, e talor così ravvicinate da simulare come uno speciale strato continuo, al limite fra il complesso n.° 1 ed il complesso n.° 2. In queste concrezioni non di rado incontransi comprese piccole ghiaiette, minerali vulcanici, foraminifere. 1. — Argille sabbiose di color grigie) nerastro, spappolagli nell’acqua con facile operazione meccanica ; stratificate in sottili strati non facilmente distinguibili l’un dall’altro e ad andamento individuale non molto esteso. La stratificazione, pur di frequente occultata o perturbata dalla coltura a cereali, che nella valle si fa salire, con diversa proficuità, fino al limite superiore di questo complesso. Contengono frequenti conchiglie 'in maggioranza spa- iate le valve) di alcune specie di Cardium, imbiancate e fossili, e pure conchiglie imbiancate di grossi esemplari di Clausilie e di Helix, queste provenienti da individui oggi viventi su posto ed interrantisi nel suolo durante la cattiva stagione. Inoltre con- tengono : frequenti conchigliette di Foraminifere svariate benis- simo conservate, minerali e scoriette vulcaniche, ciottolini cal- carei e silicei. Queste argille qui, non sono più visibili al disopra dello innalzatosi suolo pianeggiante e coltivato della valle (fino alla quota 25) e del detrito di falda, irregolarmente accumulato contro ai fianchi, che per quattro metri al più cioè: dalla quota 30 alla quota 34. 0. — Materiale rimaneggiato contro la base delle argille a Cardium e terreni che le sopportano, elevantesi alcuni metri sul piano locale della valle. II complesso n.° 1 della sezione N, è seguibile per lunghis- sime distese sul fianco destro della valle del gruppo dei fossi OSSERV. STRATIGR. NELLE VICINANZE DI ROMA 87 di Malafede, a monte dell'osteria del Malpasso, del Monte del- l'Aro, Monte della Caccia (sui quali come si è detto si innalza notevolmente, lasciando qua e là spuntar mediatamente di sotto a sè la sommità delle sabbie gialle fossilifere) ; poi sul versante sinistro della valle di Perna. tratto inferiore; su ambi i fianchi del tratto superiore della stessa valle : passando poi, sotto il ca- sale di Pema. ad occupare il versante sinistro, regione basale della valletta proveniente dal fontanile della Selcettai Di qui lo si segue sempre continuamente sul versante destro della stessa vailetta : poi sul versante destro del tratto inferiore della valle Perna fino a pochi metri al disopra della casetta od osteria del Malpasso; lo si vede girare accanto alla strada da Pratica e Castelporziano e reinternarsi sui due fianchi di una valletta od incisione, tagliata in direzione da W ad 0 un trecento metri sulla strada, dietro l’osteria: ed. in corrispondenza del fianco destro di tale incisione, traversar la nominata strada, congiungendosi colle argille a Cardium che si vedono sulla destra del fosso di Malafede fin sotto a Tor di Cenci ed oltre. Il complesso Xum. 2, della sezione N, è meno continuo nel suo andamento; il Verri lo cita al passaggio della Via di Trigona sul Fosso (sui fossi) di Malafede (contro Monte dell’Aro) quale includente modelli di tronchi d’albero, ricoprente i terreni marini e reggente masse cineree (il mio N". 3 della sezione N). Al Monte della Caccia, il tufo in questione manca a tratti sulle argille a Cardium spinte molto in alto, e queste vediamo talor ricoperte da coni] dessi tufacei cbe si riscontrano più elevati nella sezione N. Per esempio : la roccia essenziale, di tinta grigio-nerastra, ricca in leuciti del complesso N.° 7, alla se- zione N, e presentante struttura sehistosa molto marcata. Il tufo a pallottole grigio-verdiccie si ritrova poi a suo posto nella elevazione reggente il Casale di Perna e di qui continuamente su ambo i lati (finché la profondità dell’intaglio permette di raggiungerlo) della Valletta dal Fontanile della Selcetta ad altezze convenienti, su tutto il fianco destro del tratto inferiore della Valle di Perna ; gira dietro l’Osteria del Malpasso a rag- giungere ambo i fianchi di quello intaglio menzionato a 300 metri dietro l’Osteria del Malpasso; e di qui, sempre seguendo le argille a Cardium, passa oltre la strada alla Collina reggente 88 A. PORTIS Tor de’ Cenci e nascondesi più oltre nel fianco destro della Valle di Malafede sotto la vegetazione erbacea. Dice il Verri che (Meni. Cit. Boll. Soc. fico! Ita}. Voi. 12 pagi 43) « da Castel di Decima alle Colline di Tor de’ Cenci, si sovrappongono alla formazione marina marne bianche, zeppe di molluschi d’acqua dolce coperte da tufo bigio costituito di grosse pisoliti sferiche»; a me consta invece che questo tufo, in questo tratto, si sovrappone alle argille a Cardium; ma se la vegetazione attuale mi impedi forse di accedere e di vedere alcuni punti che giustifichino in parte le asserzioni del Verri, anche tale relazione si potrà facilmente spiegare con una man- canza locale del mio Xum. 2 della sezione X, cosi da portar membri superiori, per esempio, il X. 3 a contatto col X. 1. e poi una nuova formazione lentiforme di materiale simile al X.° 2; cosichè questa rappresentanza del mio X. 3 della se- zione N, possa trovarsi o compreso in un asolo del X.° 2, op- pure che quest’asolo presenti il suo braccio inferiore molto assottigliato e confondentesi, basalmente, nel materiale che alle due braccia si frappone c l’ottura. E questa mia spiegazione pub essere sostenuta con un’altra frase dello stesso Verri tolta dalla stessa pagina 43 che cioè: « I tufi color bigio-scuro com- posti da pisoliti sferiche si estendono da per tutto. Le ripe della Valle di Perna ne mostrano più banchi dei quali l'infe- riore è a quota 25 circa; interposte a questi tufi sono sabbie vulcaniche, tritumi di pomici bianche, terre color giallo bru- ciato che paiono generate da disfacimento di quel tritume », insomma tutti gli elementi che vidi concorrere alla produzione di quel che ho chiamato tufo argilloide ed a cui ho dato, nella sezione X, il X.° 3. Vengo ora al punto di dover incidentalmente esprimere anche la mia opinione sullo sviluppo e l’estenzione del membro X.° 3 della sezione N. Oltreché nella Valle di Perna, nella quale si può seguir senza interruzione su tutto il fianco destro dal Fontanile della Selcetta al Mal Passo e sotto alla Cappella della Selcetta. e poi sotto Tor de’ Cenci; vi ha il Verri, il quale dice a p. 43 della citata memoria, che « al passo della Via di Trigoria sul Fosso di Malafede stanno, sopra ai sedimenti marini, tufi bigi a volte zeppi di pisoliti sferiche » (il X.° 2 della mia se- OSSERV. STRAT1GR. NELLE VICINANZE DI ROMA 89 zione X), « e sopra questi tufi marne cineree » ; circa il mio X.° 3 della stessa sezione. Aggiunge il Verri nella stessa pa- gina in seguito : « Xello stesso fosso del Risarò (quello che 10 chiamo Fosso di Spinaceto e che sbocca sulla Via Ostiense fra il Casale di Mezza Via e la Tenuta del Risarò) prima del Fontanile di Spinaceto, ed al Casal di Spinaceto si trovano banchi di marne cineree con concrezioni calcaree e molluschi d'acqua dolce »; e questo può andare d’accordo colle mie osser- vazioni e con quanto asserisce il Santos Rodriguez, pag 16 della sua citata memoria e fig. 4 del gran quadro annessovi; di aver trovato, al di sotto della variazione nerastra basale del tufo litoide breccioide rossastro ed inferiormente giallo bruno, le marne azzurre di acqua dolce con fossili caratteristici di acqua dolce; ed a quanto confermò il Clerici a pag. 786 nella sua citata memoria, (Boli. Soc. Geol. Ital., voi. 12, 1893, a pag. 786) descrivendoci l’argilla come compatta, quasi scheg- giosa e con qualche straterello carbonioso ed una quantità ec- cessiva di molluschi molto schiacciati (tre specie di Plcmorbis, una di Bythinia, due di Limnaea e due di Yalvata). Il Verri ancora ci direbbe, sempre a pag. 43, come: « Presso al fontanile del Casale Brunori si vedono i tufi pisolitiei esten- dersi sotto alle lave, nella Valle di Perna sotto ai tufi gialli da costruzione ». Che nella Valle di Perna si estenda sotto ai tufi gialli da costruzione è verissimo, e vengo di dimostrarlo; coll’avvertenza peri», che esso non vi sta, in linea generale, sotto immediatamente, poiché nella Valle di Perna vi è frapposto il complesso X. 3 della mia sezione X ; poi i complessi X. 4-6 della stessa sezione : Come alla cava dei tufi o superiore di Spi- naceto vi ha, secondo il Verri, il Rodriguez ed il Clerici, fra 11 tufo verdiccio a pallottole ed il tufo litoide, quel materiale che essi chiamano argilla di acqua dolce, e fra questa ed il tufo litoide si frappone, talor assai potente e stratificata, la pozzolana; come al Fontanile di Casal Brunori si frappone tra il tufo pi- solitico, segnalato dal Verri e la lava di Casal Brunori, quel materiale di cui fa menzione il Verri, sempre a pag. 43, colle parole: « Dopo il Fontanile di Casal Brunori, a quota 25 circa, sta un deposito di piccoli strati di ghiaiette scoriacee e pomicee mescolate a ghiaie calcari » e che non è altro che una surro- 90 A. PORTIS gaz ione del mio complesso N. 3 della sezione X : come fra i tufi a pallottole e le lave di Mostacciano si framette quello strato di materiale da cui il Rodriguez ebbe ed il Meli comu- nicò il rinvenimento di un frammento di dente molare, molto probabilmente di Elephas antiquus (1). Ma da quanto son venuto esponendo risulta clic il materiale X. 3 della sezione X, si è rinvenuto coll’importanza di elemento ciottoloso fra i veri ciottoli di ben altra natura ed origine che costituiscono il deposito di ghiaie marine X. 1 alla cava Pinzi. Inoltre levai di mia mano d’infra quei ciottoli alcuni dei quali erano lavici e probabilmente non laziali non solo tali motte, ma esse, in posto, erano incrostate di sabbie gialle a minerali e sco- riuzze vulcaniche non differenti da quelle clic in maggior copia si incontrano altrove in banchi assai più elevati. Inoltre dal X° 1 della sezione M, estrassi pur ciottoletti di rocce vulcaniche laziali. Di più sappiamo, dallo esame della sezione A. come dal X° 1 a giungere ai primi sovrastanti tufi, vi sia un potente complesso di strati di sabbie gialle e di argille a Cardium. A complicare, e nello stesso tempo a rendere risolvibile la questione, si potrebbero far in- tervenire alcuni piccoli brani tratti dalla nota del Verri, da cui vengo di stralciarne alcuni altri, ad esempio quello di pag. 42. « Per trovare sedimenti marini sulla sinistra della valle del Tevere bisogna risalire il Fosso di Malafede fino al passo della via di Trigona. Lù si hanno sul piano delia valle, quota 25 circa, marne con Ostriche e Cardi coperte da sabbie pialle » e quello di pag. 43 « Da Castel di Decima alle colline di Tor de’ Cenci si sovrappongono alla formazione marina marne bianche zeppe di molluschi di acqua dolce, coperte da tufo bigio costruito di grosse pisoliti sferiche ». Diamo convenzionalmente il n° 1, al materiale n° 1 delle sezione A; ed il n° 2 al materiale n° 2 della stessa sezione, ed al n° 1 della sezione M o loro surrogati: Diamo il n° 3, al complesso 3-4 delia sezione A, od al complesso 2-3 della se- zione M (argille a cardium) od al complesso n° 1 della se- zione X. Diamo il n° 4 al tufo verdiccio a pallottole n° 2 della (') Meli mem. eit.; Not. s. ale. resti di Mammiferi quatern. etc. Boll. Soc. geol. Ita!., Voi. 15, 1896, pag. 294. OSSERV. STRATIGR. NELLE VICINANZE DI ROMA 91 sezione N ; consegniamo il n° 5 al tufo argilloide bianchiccio del n° 3 della sezione X o suoi surrogati; e chiamiamo col n° 6 tutto quanto sta al disopra del n° 3 di sezione X. Con questa convenzione che ci permette di presentare e di comparare suc- cintamente le diverse sezioni in un solo quadretto, noi troviamo le sezioni stesse costituite nel modo seguente : (indichiamo per como- dità il fatto locale della superiorità o posteriorità materiale o della comprensione di materiali di altri giacimenti necessariamente pre- esistenti quali ciottoli in determinati complessi, coi segni aperti verso il <( superiore o più giovane; chiusi verso l’^> inferiore o più vecchio): Per la Sezione A: 2, 5 e 6 <( 1, <( 2. 3, <(4,<( 5,<^ 6; oppure da Casteldidecima a Tordecenci, secondo il Verri: 1, <2, <3, <5, <4, <6; Sezione secondo il Verri al passaggio della via di Trigona sul fosso di Malafede: 3, 2, 4, 5 ; Sezioni AI ed X : 6, 2, <( 3, <( 4, <( 5, 6. Risulta cioè che se troviamo il 2 ed il 3 indifferentemente sovrapposti l’un l’altro, essi devono esser contemporanei e sur- rogantisi ; se noi troviamo il 4 ed il 5, che indifferentemente l’un l’altro si sovrappongano, devono i medesimi esser fra loro contemporanei e sostituentisi ; che se noi troviamo materiali del 6 nel n° 1, il n° 6 avrebbe dovuto necessariamente pree- sistere, o quanto meno esser contemporaneo al n° 1 ; se tro- viamo materiale del 6 nel 2, il n° 6 avrebbe dovuto necessa- riamente preesistere, o quanto meno esser contemporaneo al 2 ; se troviamo materiali del 5 nell’l o nel 2, il n° 5 doveva ne- cessariamente esser preesistente o quanto meno esser contempo- raneo al n° 2; e se troviam frammenti del 2 nel n° 1, il n° 2 avrebbe dovuto necessariamente preesistere, o quanto meno esser contemporaneo al n° 1. Dunque tutti questi terreni sono a volta a volta fra loro nella condizione di precedenza, di successione, di contemporaneità; come fare per conseguenza a considerarli al- trimenti che contemporanei, altrimenti che come risultanti da materiali diversi partitamente depositantisi in rispondenza a con- dizioni diverse di suolo ed a condizioni diverse di provenienza del materiale ; come in rispondenza a condizioni diverse di equi- 92 A. PORTIS librio fra il materiale sedimentabile ed il mezzo <» veicolo sedi- mentante ossia le acque in cui la sedimentazione avveniva? 0 tufi, o sabbie gialle, od argille a C'ardii, o ghiaie; son dunque tutti terreni contemporanei: E tanto la successione locale quanto la loro sovrapposizione materiale, avviene dipendente- mente da-e in relazione alle irregolarità di una regione costiera, sommersa sotto un non alto strato di acqua; oltreché dalle di- sparità che in questa regione ancor più si vengono moltiplicando tanto in senso di numero che di estensione pel fatto di sedimen- tazioni ed elaborazioni rapide, e volta per volta incomplete, di grandi quantità di materiali forniti ad un tratto, assettati talor caoticamente e talor completamente; e poi, gli uni e gli altri, in parte rimaneggiati ; e non una volta soltanto. Fatti son questi che risultano dallo esame dei materiali in- contrati nelle diverse sezioni sulla via di Trigona, sulla via del Malpasso e sulla via Ostiense, in una regione, espressamente per ciò, studiata molto ristretta ; ma son fatti che già risulta- vano in altre regioni da un simile studio di dettaglio: E già ne feci ripetutamente cenno nel 1° volume delle mie Contribuzioni. Cosi a pag. 62, a proposito dell’A ventino ; a pag. 87-89, a pro- posito dei Paridi; a pag. 95-97, a proposito della sezione a Torretta di Quinto; a pag. 101, per le cave di Pontemolle; a pag. 105, a proposito dell : In violate Ila; a pag. 122-125, a pro- posito del versante settentrionale mariano ; e fermandoci qui per non allungar troppo la lista delle citazioni. Parrà al lettore, che io dopo aver data tanta importanza alle ghiaie prevalentemente silicee, che avevo riscontrate e descritte sotto il n.° 2 alla Sezione F nella Valle dello Spinaceto; dopo aver data importanza tale da decidermi ad una lunga peregri- nazione per stabilirne e verificarne l’origine, la provenienza, la relazione; dopo di aver constatato come esse giacevano sui tufi grigio verdicci a pallottole ed anzi dovevano considerarsi siccome una serie di intercalazioni o di surrogazioni di questi tufi ; io mi sia completamente scordato di loro, distratto dal pensarvi per essermi buttato a capofitto nelle questioni dipendenti dalle rela- zioni fra le ghiaie, le sabbie gialle, le argille a Cardium ed alcune modalità di tufi. Per procedere con ordine, ho dovuto invece ad arte risolvere queste questioni di priorità fra terreni OSSERV. STRAT1GR. NELLE VICINANZE DI ROMA 93 in parte realmente, in parte solo apparentemente, soggiacenti. Ciò fatto, posso liberamente servirmi dei risultati ottenuti per ordinare anche i terreni sovrastanti. Giunti ascendendo nelle sezioni diverse lìn qui esaminate fino ai tufi grigio verdicci a pallottole, li abbiam veduti talor presentarsi come tali, talor esser preceduti, talor susseguiti, talor rimpiazzati dai tufi argilloido- scheggiosi bianchicci o a vegetali od a conchiglie continentali : talor infine accennare a continuarsi superiormente ma intima- mente : infine a lasciarsi sostituire verso l'alto dalle ghiaie pre- valentemente silicee e diversamente cementate in materiale cal- careo ricchissimo di elementi vulcanici di Spinac-eto, Monti San Paolo e C’ugno e di Dragoncello. Vedemmo come precisamente a Dragoncello, si rinvenivano ancora in queste ghiaie i Cardami, e ciò diviene ben naturale quando noi troviamo a Castel di Decima Vecchia, nelle ghiaie che reggono le argille a Cardiaca, i materiali che sovrastanno a queste argille a Cardium e che corrispondono alle ghiaie di Dragoncello (rispondendo alla sur- rogazione argilloide superiore dei tufi verdicci a pallottole, ris- pondono pure alla surrogazione ghiaioso siliceo cementata dello stesso tufo grigio verdiccio a pallottole), e siamo così accertati che in parte almeno anche queste ghiaie vennero deposte in acque marine che alimentavano alcune forme di molluschi marini molto legati alle coste. Ed è qui il caso di mettere in vista l’im- portanza reale che hanno quelle povere, poche e maltrattate valve di Cardium rinvenute nelle ghiaie di Dragoncello. Seguendo queste ghiaie dalla tenuta di Spinaceto, per Monte San Paolo a Dragoncello, quasi sempre dovetti caratterizzare tali ghiaie come costituite da ciottoli prevalentissimamente di materiali silicei (piromaehe e simili, varicolori) e di pochi ma- teriali eruttivi compresi e talor tenacemente cementati da un materiale calcareo, fittamente costellato di miriadi di cristallini di augite senza esclusione di altri minerali e scoriuzze di pro- venienza eruttiva. (Questa dizione costantemente adoperata per tener costantemente distinte tali ghiaie da quelle più basse incon- trate alla valle e cava di Spinaceto e alla cava Pinzi e che indi- cavo come costituite da ciottoli calcari eocenici e mesozoici e da ciottoli silicei con pochi ciottoli lavici e motte di materiale poco coerente; il tutto, se in posto, marcato da bende irregolari A. POUTIS 94 giallo brunastro di concentrazioni limonitichei, Abbiamo visto die le ime e le altre ghiaie, per quanto apparentemente distanti in senso verticale, risultano invece le ime alle altre quasi contem- poranee. Ma nelle ghiaie materialmente superiori nella maggior parte dei casi, mancano in generale in gran parte od in tutto quei ciottoli calcarei che hanno primaria importanza nelle ghiaie ad esempio n.° 1 della cava Pinzi. Di più. se noi esaminiamo un po più attentamente queste ghiaie, materialmente superiori; noi troviamo bensì qualche ciottolo originariamente calcareo ri- dotto di volume, ridotto di coerenza cosi da mostrarci chiara- mente di aver subita l’azione di un qualche acido il quale da un mediocre ciottolo di calcare debolmente magnesiaco ed argil- loso, lasciò superstite un nucleo di materiale fortemente dolo- mitico allo stato di scheletro leggero e sfarinabile. 1 ciottoli silicei essi pure sono molto ridotti di volume dai ciottoli silicei che si incontravano tra le ghiaie n.° 1 di cava Pinzi. Di più molti di essi si incontrano imperfettamente arrotondati. Aneli’ essi adunque subirono una qualche particolare nuova influenza, ma questa si manifestò sotto forma di una intensa azione meccanica. Tutti questi ciottoletti e mummie di ciottoli si incontrano per converso imprigionati in una eccessiva quantità di calcare; un calcare molto simile al travertino (al (piale si passa real- mente in parecchie delle regioni studiate); un calcare gremito di fini materiali vulcanici. Come si è potuto avere questo spe- ciale deposito? Semplicissimamente colla fornitura del materiale ciottoloso, di origine erosiva, ad un bacino acqueo, in cui le acque eran ricche di quei prodotti liquidi, gazosi e solidi che forniscono in determinati momenti i vulcani; prodotti che agi- rono chimicamente su materiali calcarei ed occasionarono con ciò ritardo al conseguimento di uno stato di quiete e di assetto provvisorio; ad un bacino acqueo nel (piale più prolungati, rei- terati e disordinati furono i movimenti e le influenze meccaniche sui materiali, non così facilmente solubili chimicamente. Però quello stesso carbonato di calce che in ciottoli veniva distrutto, veniva ben presto ricostituito ; e gli elementi eran lì tutti a di- sposizione, atti a deporsi lì accanto, sotto forma di calcare tra- vertinoide o di calcare incrostante. Ed eccoci cosi i residui sfug- giti o superstiti da una energica attività chimica, inchiusi nel OSSERV. STRATIGR. NELLE VICINANZE DI ROMA 95 prodotto finale di questa stessa attività; eccoci i calcari com- prendenti varia proporzione di ciottoli di natura prevalentemente silicea; eccoci quegli stessi calcari travertinoidi, quasi unifor- memente gremiti di miriadi di cristallini di augite, senza esclu- sione della mica; clie, d'altronde, poteva più facilmente venir altrove spostata per quasi completo galleggiamento : e racco- gliersi ed infittirsi in veli al limite fra locale episodio forma- tivo ed il successivo, tra formazione lenticolare e quelle che le si adagiavano marginalmente di sopra. Un' acqua, dolce o marina o salmastra ch’essa si sia, in seno alla quale abbiali facilità e possibilità a manifestarsi attività ed effetti chimici cosi intensi, così profondi, non potrà certo offrire alla vita organica animale delle sedi propizie all’invasione, alla estensione, alla permanenza; non potrà certo conservar molte traccie materiali di quei pochi organismi che avessero ciò mal- grado, vissuto od intiSichito sul posto ; o di quei che passiva- mente vi fossero pervenuti. Onde la significante mancanza di conchiglie fossili da depositi di questa natura, e la presenza sporadica di qualche dente soltanto caduto da cadaveri, in de- composizione, dei grossi mammiferi galleggianti nelle baie e nelle lagune, caduto e affondatosi in un accumulo di materiale più minutamente diviso che il proteggeva in parte da intensi attacchi di natura chimica ; attacchi d’altronde cui non andava così facilmente soggetto quale materiale ricco in acidi fosforici, giacente in un mezzo abbondante di combinazioni coll’acido carbonico e quindi dallo stesso acido più facilmente alterabili. Ora, se, in un ambiente così esiziale alla conservazione delle conchiglie calcaree, noi ne troviamo qualcuna; se noi anche la troviamo alquanto guasta e corrosa; noi la dobbiamo apprezzar come superstite da chi sa quanto maggior copia di esemplari delle conchiglie stesse. E se queste poche conchiglie sono ancora rico- noscibili e determinabili, e se ci Accennano ad aver vissuto in acque salse, in questa, preferibilmente, noi dobbiamo dedurre sia avvenuta la deposizione del materiale che tali conchiglie contiene. Così, e non altrimenti, valutai le conchiglie di Car- dium che furono raccolte nel 1880 dall’ing. La Valle, e da lui regalate al nostro Museo geologico universitario, e che fu- rono dal Meli munite dell’etichetta « 50/i88o “ Dono Ing. La Valle - 96 A. P0RT1S Valve di Cardimi edule Lin. rinvenute, dai terreni superficiali superiori, trasportate nel Fosso di Affogalasino presso la Ma- gliaia e Villa Pampliili (Roma). » Così, e non altrimenti, va- lutai le conchiglie, che, profondamente guaste e corrose, rinvenni nel 1892 in fondo ad una scorciatoia dal vicolo della Cam- milluccia alla via Trionfale, presso S. Onofrio (Contribuzioni alla Storia fis. bac. di Roma; voi. 1°, 1893, pag. 110-111). Così, e non altrimenti, valutai le conchiglie che. profondamente alte- rate e consunte, rinvenne il Clerici nel travertino sotto Villa Glori e donò al nostro Museo nel 1885: e delle quali feci menzione a pag. 92 del mio sovraccennato volume. Così, e non altrimenti, valutai le conchiglie rinvenute in simili ma più elevate ghiaie al Monte Verde (Vigna San Carlo), dall'Indes, dal Clerici, dal Ponzi, da me, e di cui feci cenno a pag. 72. sempre di quel volume ( 1 ). Adunque i materiali tufacei corrispondenti a quella forma, così generalmente diffusa, die abbiam chiamata tufo grigio- verdiccio a pallottole, ma che possono pur essersi foggiati, se- guendo altre condizioni, sotto altre forme ben diverse, questi materiali tufacei si deposero in mare; in quegli stessi mari sottili, o meglio in quelle stesse regioni costiere di mari, in cui si deponevano le sabbie gialle e le ghiaie loro corrispondenti, ed in parte contemporaneamente ad esse. Con esse concorsero (') Per naturali evocazioni di analogie sia in riguardo alla origine come alla natura e particolarità di depositi anche non molto vicini, mi occorre trascrivere il seguente passo della pagina 14 (estratto; della Memoria del Verri intitolata: I Vulcani cimini Meni. d. Cl. di Se. Fis. mat. e Nat. d. R. Acc. d. Lincei, Ser. 3n, Voi. Vili, Sed. del 7 marzo 1880. Roma 4° pagg. 1-34 con tav., 1880. Esso suona: « Tra il 7° e l’8° chilometro dalla stazione di Orte, si vede la roccia (Peperino dei costruttori vi- terbesi — Lava necrolite a piccoli felspati del Brocchi) come iniettata in una fenditura quasi verticale di terreno pliocenico, dove a destra si hanno marne e sabbia con ciottoli calcarei, a sinistra sabbie con Pecten varius, Ostrea , Claclocora caespitosa. — In quel luogo, presso la super- ficie di contatto, le ghiaie calcari sono mescolate alla roccia cristallina; lì presso la roccia cristallina é coperta da pochi sedimenti marini con ostriche, e nei sedimenti marini si trova qualche ciottolo della stessa roccia, ma talmente sfatto da sgretolarsi tra le mani come quei ciottoli di gneiss delle alluvioni subalpine che sono indicati col nome di palle marcie. » (Aggiunta durante la stampa). OSSERV. STRATIGR. NELLE VICINANZE DI ROMA 97 largamente alla superficializzazione ed innalzamento, dovuto a sovrapposizioni, del fondo marino in queste regioni, ed al con- seguente frazionamento e trasformazione dei bacini superficiali o delle regioni litoranee di bacini anche un po; estesi, alla de- terminazione dello individuarsi di condizioni, di vita e fasi proprie in singoli bacini limitati ed isolati : fasi che poterono portar fino a raddolcimento graduale delle acque, in alcuni di essi : ed allo sviluppo di faune e flore colonizzanti queste acque e rispondenti, coi successivi caratteri loro, alle condizioni sotto cui successivamente vissero. E nel calcare travertinoide, che già vedemmo tra i derivati o rispettivamente rappresentanti o surroganti mediati od imme- diati del tufo grigio-verdiccio a pallottole e degli altri depositi di ben altra origine, ma suoi contemporanei e rappresentanti, noi abbiamo un materiale molto adatto a fissare e rendere appa- riscenti molti dei caratteri che potevano manifestarsi in questi punti, in queste condizioni, in questi tempi di transizione. Xoi, a parte la sua origine, a parte la sua età relativa, abbiamo lasciato a Monte Cugno il tufo grigio-verdiccio a pal- lottole, passante e confondentesi nelle ghiaie a ciottoli, preva- lentemente di piromaehe, annegati nel calcare travertinoide; e dopo aver trovate in queste ghiaie le conchiglie marine, noi lasciammo alla Valle di Perna sotto la Selcetta questo tufo a pallottole o pseudo-oolitico reggente in concordanza le pozzolane con grossi proietti lavici e poi i tufi litoidi. Vogliamo noi ora esaminare i materiali che in qualche altra sezione possono sop- portare. Procedendo sulla via Ostiense, dal Monte San Paolo verso Poma, noi vediamo costantemente le colline che stanno alla nostra destra esser costituite da una regione basale più o meno potente di quelle ghiaie, prevalentemente a ciottoli di piromaca, che già vedemmo equivalere ai tufi grigio-verdicci a pallottole (quegli stessi che noi sappiamo, per esperienza propria e per le rela- zioni di diversi autori, poter ritenere reliquie vegetali, talor nu- merose e vistose) e da una regione apicale costituita da tufi diversi pozzolanei, granulari, litoidi etc., o da calcari traverti- noidi; è la stessa costituzione che sommariamente ho indicata per il tratto coronante la collina in valle Spinaceto, alla cui 7 98 A. PORTiS base venne per di più scavata la ghiaia caleareo-silicea con fos- sili marini in generale sottostante alle argille a Cardimi). Di più non potemmo gran che vedere nella gran cava (sezione E presso allo sbocco della stessa Valle Spiuaceto. Ma se noi. procedendo sulla via Ostiense nel senso poco sopra indicato cioè versi» Roma, giunti al Kilom. 11, anziché arrestarci al Casale di Mez- zavia, ci arrestiamo ad una gran cava di tufo, di cui fugace- mente ho fatto cenno per differirne l’esame; cava <»r pressoché abbandonata ed aperta sul versante settentrionale di quella stessa collinetta che. dal versante orientale, è intaccata in Valle Spi- nacelo dalla gran cava o sezione 0, noi possiamo su di essa leggere (sezione 0) la seguente successione di depositi: 11. — Terriccio bruno e materiali rimaneggiati : potenza: circa 2 metri, fino alla quota locale 35. 10. — Sabbie argilloidi giallognole, più libere da concrezioni calcaree; riposano concordantemente sul complesso N.° 0: costi- tuiscono un forte banco, qualche volta accennante a risolversi in banchi stratiformi o lentiformi minori per mezzo di velature intercalate di sabbia più distintamente granosa e micacea. Po- tenza media: metri 3, fino alla locale quota 33. 9. — Sabbie argilloidi giallognole; ricche di: concrezioni cal- careo-maruoso-tuberiformi (accennanti a disporsi in allineamenti più o meno orizzontali e stratoidi), di ciottoli (grandi fino ad un uovo, ed or silicei, ed or calcari) e di roccie e minerali vulca- nici. Nelle concrezioni incontransi frequenti impronte e model- lazioni di vegetali e gasteropodi palustri. Grazie alle concrezioni, il forte banco o complesso, accenna in qualche punto a risol- versi in un certo numero di banchi minori ad andamento con- cordante fra loro e coi complessi sotto e sovrastante. Potenza del presente complesso : circa metri 5, fino alla quota 30. 8. — Ghiaie siliceo-calcaree ; di mediocri e piccole dimen- sioni, comprese in stragrande quantità di sabbie costituite da grani silicei e da materiali vulcanici; presentano netta struttura diagonale; costituiscono un banco regolarmente e concordante- mente appoggiantesi sul N.° 7 e pure concordantemente reggente il N.° 9. Potenza del complesso: circa metri 2, fino alla quota 25. 7. — Sabbie fine argilloidi; con sporadici e rari ciottoli e concrezioni calcari compresi; con mediocremente abbondanti e OSSERY. STRATIGR. NELLE VICINANZE DI ROMA 99 fini materiali vulcanici; assai nettamente stratificate. Potenza: circa 1 metro, fino alla quota 23. 6. — Ghiaie siliceo-calcaree, (li mediocri e piccole dimen- sioni: comprese in abbondanti sabbie costituite da grani silicei, da materiali vulcanici e da un po’ di calcare sfarinato; presen- tano qua e là accenno alla struttura diagonale; costituiscono un banco regolarmente e concordantemente appoggiantesi sul N.° 5. e pure concordantemente reggente il X.° 7. Potenza: circa 1 metro, fino alla quota 22. X. B. Sul suolo della cava raccolsi, caduto dalla parete messa a nudo e corrosa, un frammento osseo di mandibola elefantina, una porzione della parete interna di alveolo dentale (molare). Questo frammento, molto probabilmente, si staccò da una mag- gior reliquia ancor in posto nella sua matrice rocciosa. Questa clie non rieseii a scoprire, deve, dalla natura del materiale ancor aderente al frammento, cercarsi o nel complesso 6, o nel com- plesso 8, senza assoluta esclusione dei complessi 7 e 9-10. 5. — Tufo litoide stratificato, giallo-rosso, rosso-bruno, come il N.° 3. Potenza: circa metri 2, fino alla quota 21. 4. — Tufo litoide breccioide, tipo rupe capitolina ; di color giallo-rosso, rosso-bruno, come il X.° 2; talor imperfettamente isolato dal 3 e dal 5, per mezzo di disposizioni ed accostamenti in un solo piano di ciottoli calcarei o silicei o scoriacei. Po- tenza: circa metri 0,50, fino alla quota 19. 3. — Tufo litoide stratificato, giallo-rosso, rosso-bruno; come continuazione e surrogazione diretta del tufo N.° 2 (a cui passa con graduali diminuzioni e accenni di stratificazioni) di cui ap- piana la terminazione superiore protraendola, per ulteriore po- tenza propria, di circa un metro aU’insù. Potenza: a seconda dei punti di inserzione sul N.° 2, da 3 metri ad un metro circa, raggiungendo la quota 18,50. 2. — - Tufo litoide breccioide, tipo rupe capitolina, di color giallo-rosso, rosso-bruno; talor contiene ciottoletti calcarei o silicei a diverso grado di arrotondamento; può contener maggiori ele- menti scoriacei ancor nereggianti. In basso non si mostra stra- tificato a circa due metri e mezzo sopra il piano locale della cava; può spingersi conservando la sua struttura in oscure e tozze apofisi sporgenti nel materiale N.° 3, e manifestanti la- 100 A. PORTIS teralmente accenno ad assumere con quello andamento stratifi- cato; gli interspazi fra due apofisi successive di questo complesso N.° 2, venendo occupate, appianate ed eguagliate, dal materiale tufaceo N.0 3, il quale presenta del 2 colori, contenuto e com- posizione, e solo si distingue per la una volta manifestatasi stratificazione. Potenza visibile del tufo litoide breccioide sul piano della cava: circa due metri e mezzo a raggiungere il li- vello più basso della più profonda insellatura fra le apofisi sa- lienti; quattro metri e mezzo e fino alla quota 17,50 a rag- giunger la cima riconoscibile delle più distinte ed elevate apofisi. Piano locale presente della cava alla quota di circa 13 metri. 1. — Dal locale piano stradale della via Ostiense, salendo al presente piano della cava, si attraversano, per circa quattro metri verticali, le ghiaie prevalentemente silicee (piromache) com- prese in calcare diversamente sviluppato pei caratteri di quantità e di coerenza, ma sempre straordinariamente ricco e gremito di cristallini di augite ed altri materiali vulcanici, del tipo fin qui seguito da Dragoncello, Monte San Paolo, Valle Spinaceto. La maggior potenza in profondità di questo complesso, non è qui più riconoscibile. Il limite superiore di queste ghiaie può benissimo non raggiungere precisamente la quota 13, in quanto che il tufo litoide N.° 2, non sia stato scalzato e scoperto fino alla sua base reale ; ma lo stato attuale di abbandono della cava non permette di determinare con precisione dove avvenga qui il contatto (*) fra i complessi N.° 1 e N" ,° 2. 0. — Piano locale della via Ostiense alla quota 9 circa. Dal Casale di Mezzavia, accostandoci a Poma, seguitiamo a vedere nelle colline, alla nostra destra, come le ghiaie basali N.° 1, della sezione 0, vadano sempre più abbassandosi e im- mergendosi nel suolo (cosicché ben presto le perdiamo di vista) e siano costantemente coronate dai tufi, talor direttamente li- toidi, talor con inframmettenze di banchi diversamente potenti di pozzolane (rosse), fra queste ghiaie ed i tufi litoidi; a scapito della potenza di questi ed a modificazione dei caratteri loro fino (*) Contatto del resto che vediamo in tanti altri punti qui attorno, e che, come alla cava di via Nomentana, si manifesta or brusco or gra- duale, ma sempre diretto. OSSERV. STRATIGR. NELLE VICINANZE DI ROMA 101 a diventare irriconoscibili. Sopra, mediatamente, ai tufi litoidi vediamo le rappresentanze dei complessi 6-10 della sezione 0, andar prendendo consistenza per accrescimento di quantità e di coerenza del materiale calcareo: E già presso al kilom. 10 da Eoma, noi anziché con ghiaie e sabbie a concrezioni calcaree, abbiamo a fare con un vero travertino straordinariamente im- pregnato di cristallini d’augite ed includente impronte e model- lazioni di vegetali e gasteropodi palustri. Le ghiaie e le sabbie a concrezioni riprendono un po’ d’importanza un cento metri più presso a Eoma: ma dopo aver oltrepassata la vailetta della cava di pozzolana (sotto ai tufi litoidi), sboccante alla via Ostiense circa a 9 kilom. e mezzo da Porta Ostiense, noi troviamo circa al 9° kilom. di nuovo un forte predominare della formazione calcarea travertinoide ; ed a kilom. 8,9 da Eoma, al Casale del Tor- raccio, esser stato sfruttato e tagliato su larga fronte questo calcare travertinoide ; e cotto in una fornace a calce che tuttora sussiste fra gli edilizi del Casale stesso. Su questa fronte è pos- sibile leggere e smembrare la regione superiore della formazione calcareo travertinoide stessa, nei complessi seguenti (sezione P). 8. — Terriccio vegetale e materiali apportati e rimaneg- giati. Potenza media : circa 1 metro, fino alla quota locale 28. 7. — Tufaccio, cappellaccio; strato di materiale poco coe- rente, profondamente alterato dagli agenti atmosferici; consta di parecchio materiale vulcanico, con materiale terroso (calcareo ed argilloso) sfarinato; contiene concrezioni e ciottoli, il tutto molto alterato. Colorazione variabilissima a seconda del grado di alterazione, per lo più ed a secco, grigio-giallognola. Potenza complessiva: metri 1, fino alla quota 27. 6. — Travertino bianco-grigio giallognolo, resistente; banco stratiforme della potenza di circa due metri; giacente in con- cordanza sul complesso N.° 5, sopportante in concordanza il banco N.° 7 ; è zeppo di impronte e modellazioni di vegetali e gaste- ropodi palustri e terrestri ; contiene con una certa abbondanza ciottoletti di materiali sì calcarei che silicei, ed è tutto gremito di cristalletti di augite ed altri minerali e scoriette di origine vulcanica. Fino alla quota 26. 5. — Tufo quasi incoerente, schistoso (pozzolana), grigio-ne- rastro, talor rossigno, a frequentissime macchiette bianche dì 102 A. PORTJS leuciti sfarinate; forma un banco stratiforme di un metro al più di potenza, ad andamento sensibilmente vicino all’orizzontale, giacente in concordanza sul banco N.° 4, e reggente in concor- danza il N.° 6. Arriva fino alla quota 24. 4. — Altissimo banco di calcare travertinoide, bianco-grigio- giallognolo; resistentissimo al colpo del martello. Il materiale che ne venne cavato per l’alimentazione della fornace, fu estratto colle ordinarie mine a polvere pirica. Giace in concordanza sul complesso N.° 3; sopporta in concordanza il banco N.° 5: nel suo intimo, non presenta molto accennato indizio di stratifica- zione. Il potentissimo banco è scisso in due regioni una supe- riore, alta in media 2 m. e mezzo, una inferiore alta metri 3, da una irregolarissima soluzione di continuità, ad andamento pressoché trasversale (le di cui pareti, talor si avvicinano a toc- carsi, talor si allontanano alquanto, a simular piccole cavità cavemiformi; in queste la parete inferiore regge una spalmatura più o meno alta dello stesso calcare travertinoide, ma incoe- rente e terroso; e la parete superiore lascia pendere una infi- nità di bitorzoli stalattitiformi, e subcilindrici, di poco diminuiti di diametro alla loro estremità libera ; misuranti in inedia circa un decimetro di diametro basale, sporgenti da dieci a quindici centimetri, toccantisi mutuamente per la lor regione d’impianto: Le lor faccie libere, tutte scomposte in laciniette e fiocchetti di men di un centimetro di diametro, e di men di un centimetro di sporgenza libera; l’interno di questi bitorzoli rotti, ce li mostra costituiti dallo stessissimo materiale che costituisce le regioni continua sopra e sottostante del banco, di cui interrorapon la monotonia; colla stessissima frequenza di materiali vulcanici, con alquanto minor abbondanza di grosse reliquie vegetali ed animali). Nel calcare travertinoide che costituisce le due regioni continue, sovrapposte di questo banco, son fittamente compresi una infinità di materiali vulcanici, augiti, miche, scoriuzze di mole minuta, senza esclusione di qualche scoria maggiore, e senza esclusione di qualche ciottoletto siliceo o calcareo. Il cal- care è pur fittamente gremito di impronte e modellazioni di ve- getali e conchiglie palustri, mutuamente toccantisi, sovrappo- nentisi, intrecciantisi. All’alito, questo calcare, si dimostra for- OSSERV. STRAT1GR. NELLE VICINANZE DI ROMA 103 temente argilloso; misura una potenza di circa metri cinque e mezzo e raggiunge la quota 23. 3. — Banco stratiforme di calcare, diviso, sfarinato, argil- loide; contenente ciottoli arrotondati, qualche concrezione tube- riforme calcarea; qualche scoria vulcanica ; molti minerali e scoriuzze vulcaniche di piccola mole. Giace concordante sul X.° 2 ; sopporta in concordanza il X.° 4 ; misura in potenza circa metri uno, arrivando fino alla quota 17,60. 2. — Tufo a grana fina ; abbastanza omogeneo, grigio-ver- diccio; senza secrezioni a pallottole. Presenta invece frequenti picchiettature bianche di piccole leuciti caolinizzate ; in con- cordanza coi banchi soggiacente e sovrastante; misura circa metri 0,60 di potenza, arrivando alla quota 16,60. 1. — Tufo a grana media, omogeneo, sabbioso, grigio-ver- diccio, senza secrezioni pallottoliformi ; a frequenti picchietta- ture bianche di piccole leuciti caolinizzate; in concordanza col banco sovrastante; visibile, al di sopra del piano di servizio della cava, per circa un metro, arrivando alla quota 16. 0. — Piano di servizio della cava e fornace a calce al Torraccio; alla quota 15 circa. Procedendo avanti verso Poma, noi potremmo osservar pure sezioni abbastanza interessanti, per qualche fatto o dettaglio; come sarebbe Faffioramento dell’orizzonte delle pozzolane nere, al kilom. 3°, e circa a quota 20. Fatto che va in armonia col continuo abbassarsi dei terreni di sedimentazione meccanica, non prevalentemente con materiali vulcanici e per conseguenza con abbondanza di riconoscibili organismi a scheletro calcareo, che abbiam seguito da Castel di Decima, o da Dragoncello, fino al Torraccio; e di cui abbiam, secondo i dati del Clerici, (Meni, cit. sopra un giacim. d. Diatomee al monte del Finocchio; Boll. Soc. Gcol. Ital ., voi. 12, 1893, pag. 795) ulteriore dimo- strazione col rinvenimento dell’argilla giallastra a foraminiferi, affiorante a quota — 6; ottenuto nella trivellazione in proprietà Cancelli, presso il Vicolo di Porto. Ma preferisco per ora seguire un altro ordine d’idee, e quindi un altro itinerario, collo eleggere il cammino del fosso del Torraccio passando a S. della riserva del Prato verde (nel quale trivellazioni mediocremente spinte, fecero pur ritrovare, 104 A. PORTIS sempre stando ai dati del Clerici (loc. eit., pag 703) affioranti circa a quota — 2, argille carboniose a diatomee e conchiglie pa- lustri; come simile materiale fu pure rinvenuto affiorante alla quota -t- 8 alla trivellazione sovramenzionata in proprietà Can- celli; come il tufo grigio- verdiccio a pallottole, che io rinvenni nel fosso di Ponte Bottero, fornace alla riserva delle Cavalle, circa a quota -+- 18, viene dal Clerici indicato rinvenuto nella non lontana perforazione in proprietà Venerati, come rinvenuto affiorante circa a quota 10; e come il tufo litoide ordinario viene indicato (pag. 794) incontrato da una limitata perfora- zione eseguita quasi in rispondenza della attuale rampa a valle del Ponte della Magliana): Quindi, inoltrandoci fra un nuovo Monte della Creta e il dosso iuossato dalla estremità di deposito lavico, che fornisce il materiale alla cava dei selci di Mostae- ciano, raggiungere in traverso la strada proveniente da Ca- stelporziano e dal Malpasso, oppure girare attorno al Prato verde, rientrando sulla stessa via dal Malpasso per il suo sbocco sulla via Ostiense. Dal suo imbocco sulla via Ostiense, la strada al Malpasso, si sviluppa per circa due chilometri nella valle (regione termi- nale) della Marrana di Yallerano, mantenendosi circa alla quota 10, poi improvvisamente sale sul contrafforte diretto a S.-E. del monte della Creta per raggiungere la piattaforma delle lave Mostacciano-Casalbrunori-Selcetta, attorno a cui abbiamo girato finora, più o men da vicino. Procedendo nella nuova direzione scelta, cioè verso il Malpasso, vediamo, nel secondo chilometro di questa strada e lungo il versante ad 0. del Monte della Creta, questo monte costituito di depositi distintamente stra- tificati, le di cui testate rivolte verso di noi accennano a salir lentamente verso Sud, e sovrapposti nell’ordine seguente: (se- zione Q). 5. — Tufo pomiceo grigiastro. 4. — Tufo argilloide a concrezioncine e ghiaiette. 3. — Tufo pomiceo grigiastro. 2. — Tufo granulare grigio-oscuro più grossolano e meno coerente del N.° 1 ; potrebbe venir anche qualificato come poz- zolana. OSSERV. STRATIGR. NELLE VICINANZE DI ROMA 105 1 bis. — Modificazione argilloide (alterazione più avanzata per maggior finezza del materiale) del tufo granulare ad im- pronte di vegetali. 1. — Tufo granulare, grigio-oscuro, a vegetali; visibile per alcuni metri di potenza (questo tufo è dello stesso aspetto del tufo tagliato dalla via Ostiense, al 3° chilom. da Roma). Oltre il 2° chilom. sulla via al Malpasso la salita della strada si accentua fortemente e la strada stessa passa come in trincea dentro agli strati che abbiam veduto lentamente salire, e che qui accennano ad arrestarsi per breve tratto quasi in posizione orizzontale ; poi subito dopo a pendere in senso in- verso. Qui noi scorgiamo, sul taglio a destra per la strada, la sezione già modificata nel modo seguente: (sezione R). 7. — Tufo pomiceo leggero; 0,60 metri di potenza ; bianco sporco. 6. - — Pozzolane grigie; potenti tre metri. 5. — (Manca, per assottigliamento a scalpello, il tufo po- miceo grigiastro superiore di sezione Q). 4. — Tufo argilloide a concrezione-ine e ghiaiette (pomiceo, alterato). 3. — Tufo pomiceo grigiastro. 2. — Tufo granulare grigio-oscuro; assai granulare e poco coerente (leggermente schistoide) potrebbe anche venir qualifi- cato come pozzolana scadente. 1. — Tufo terroso (alterazione molto avanzata per finezza del materiale accumulato in grande quantità) grigio-rossiccio. I numeri uno a cinque in questa sezione sono concordanti; il N.° 6, sensibilmente concordante col 7, è in discordanza coi N.1 1-5 ; accenna con lieve pendenza verso S. a trascorrere sulle testate tagliate obliquamente del N.0 5. Accediamo ora al grande taglio o cava a W. del Casale di Mostacciano (il taglio a S.-O., quello su cui ora passa quasi a picco la strada al Malpasso, ci mostra bensì tagliate per mag- gior altezza le lave o selci, ma ce le mostra localmente quasi totalmente scoperte di depositi superiori). Questo taglio, dopo aver veduta la sezione R (e la sezione N), è estremamente inte- ressante ed istruttivo: esso ci mostra la successione di strati seguente (sezione S): 106 A. PORTJS 6. — Tufo coerente a frequenti macchie bianche, per cristalli di leucite caolinizzata ; di color giallo-rossastro con coerenza va- riabile dal litoide breccioide (tipo rupe capitolina ', allo schistoso granulare (a cacate di colombi); è una evidente modificazione dalle sottostanti pozzolane N.° 5, nelle quali si affonda con spor- genze verticali, ad irregolari e tozze forme piramidali o coniche rovesciate; a parte questo, ha una potenza propria, al disopra del piano a cui arrivano le pozzolane, di metri 1. 5. — Tufo incoerente; pozzolane grossolane e scadenti ros- sastre, nettamente stratificate; potenza: 1 metro. 4. — Pozzolane fine, ricche di scorie vetrose fortemente sti- rate, quindi sfarinabili e sfarinate (pozzolane imbiancabili su tagli vecchi). Potenza : metri 0,30. 3. — Pozzolane stratificate rossastre; potenza: metri 1.20. 2. — Lave molto stirate e bollose, più facilmente alterabili tino ad argillificate; in tagli vecchi, rosso-brunastre. Sacco lavico. Potenza media: metri 1. 1. — Lava di Mostacciano, nera, apparentemente compatta: scheggiabile facilmente, con faccie largamente concoidi ed a spigoli netti vivi come dal vetro. Presenta struttura di ritrazione confusamente colonnare: I singoli prismoidi però, non hanno gli spigoli continui e rettilinei, sono invece a tratti rientranti e sporgenti. Si scopre questa lava per 5 metri, sopra il piano della cava, attualmente disturbato dalle acque che a ino’ di sorgenti sgorgano, dalla lava stessa, sul piano stesso di cava od anche a qualche decimetro più in alto. Sulla via al Malpasso, a sinistra della strada, noi possiamo poi seguir per lungo tratto il complesso delle pozzolane 3-6, della sezione S (a destra dell’osservatore); e ripetutamente con- fermare come il tufo litoide ed il tufo schistoide, si originino per alterazione e successivo incremento di coerenza e relazione, procedente dall’alto verso il basso a spese delle pozzolane; e come, dove non vennero esportate le pozzolane, esse costitui- scano il tegumento naturale e continuo delle lave, e di queste contengano grosse goccie laviche più o meno sferoidiche e più o meno bollose e stirate, e di diametro variabile entro i limiti 8 ed 80 centimetri. OSSERV. STRATICiR. NELLE VICINANZE DI ROMA 107 Alla gran cava elei selci, sezione T. presso Casal Brnnori, vediamo scoperta per maggior fronte trasversa e per maggior altezza, una lava (che ai suoi caratteri fisici, molto si assomiglia a quella di Mostacciano — uno studio petrografie© comparativo ed accurato ci dirà se sia identica) la quale è pure ancor rico- perta dal suo sacco di costipazione (constante di una lava agevol- mente distinguibile dalla compatta grigio-nera e vetroide infe- riore per essere strutturata a deformi e grossi prismi, per colore rossastro, per accenno a stiramento e bollosità in senso trasverso, e sviluppo di struttura a sferoidi, risolventisi per alterazione dagli agenti atmosferici in tanti invogli pietrosi sovrapposti at- torno ad un minor nucleo centrale di diametro variabile fra i 3 ed i 6 centimetri), questa particolar modificazione della lava, molto accentuata alla superficie del deposito, accenna a scemar discendendo in esso. Tuttavia, ad un metro dalla superficie, scorgesi abbastanza facilmente una linea di separazione fra le due modalità della lava stessa. Quindi ripetendo: minor altera- zione generale, non accenno alla struttura a sferoidi, non sti- ramento trasverso, accenno alla division colonnare in senso ver- ticale, per il gran banco inferiore: Alterazione molto progredita, colorazione al giallastro e al rossigno, stiramento e bollosità, trasversalmente non divisione colonnare, e sviluppo della strut- tura a sferoidi sempre più accentuata e moltiplicata, quanto più osservata superficialmente nella sottil benda (1 metro circa di potenza) della lava superiore. Le lave di Casal Brnnori, si estendono verso sud, a quanto mi fu dato osservare, assai più di quanto non siano material- mente riportate sulla Carta Geologica al 100000 della Campagna Bomana (foglio Cerveteri 1878-80) del R. Ufficio Geologico. In quella carta però una maggior estensione profonda (velata dai tufi) della lava, è accennata da una macchietta rossa presso la fontana, od origine del braccio sinistro di Valle Spinaceto, e da tre macchiette allineate a sinistra della via al Malpasso, lungo il ciglio meridionale della piattaforma della Selcetta. Ed invero, vogliasi discendere la piattaforma elevata (50 metri circa) Torre Brnnori a Selcetta in qualsiasi direzione; sia verso N.-W. a Spinaceto e Mezzavia; a S.-W. verso il Malpasso (sezione U); a S.-O. verso Fosso Perna (sezione V), ed un po’ meno a N.-O. 108 A. FORTI S (cioè a ritroso nel cammino fatto) verso Mostacciano; sempre noi troviamo una formazione tufacea salire ad ammantar tutto attorno le lave. E dipendentemente da questa relazione di ammanto vediamo la formazione tufacea stessa pender sempre allo in- fuori e non riescire a vestire e coprire completamente, molto probabilmente per erosione e sottrazione della regione apieale del manto, l’apice o la regione più elevata delle lave. Sempre noi vediam questi tufi, cbe vengono d’ogni intorno ad ammantar le lave, aver, a contatto colle lave stesse, qualità tali da me- ritare il nome di pozzolane; e preferibilmente il nome di poz- zolane rosse; e più in alto, queste stesse pozzolane, andar smar- rendo, per modificazione sopravvenuta nel deposito già formato, i caratteri loro; e mutandoli in quei cbe contraddistinguono tufi sempre più coerenti nella direzione al tipo del tufo litoide, breccioide, che costituisce in parte la rupe capitolina (*). Cosi, una volta di più, se noi scendiamo dalla piattaforma della Selcetta nel fosso di Perna in faccia al Casale di Perini, poco ad 0. della viottola lungo cui vedemmo la successione o sezione N ; noi ritroviamo nella sezione V, ridotta alla sua forma la più succinta, la sovrapposizione seguente: 4. — Tufo litoide potente parecchi metri. 3. — Tufo granulare; pozzolane ridotte in potenza a poco più di un metro. 2. — Tufo grigio-bianco, argilloide a fossili vegetali; circa un metro di potenza. 1. — Tufo grigio-verdiccio a pallottole; alcuni metri di po- tenza, sovra il suolo della valle. Tutti questi materiali, nell’ordine progressivo dei numeri, coneordantemcnte l’un l’altro sovrapposto. Come adunque abbiam girato tutto attorno le lave, di Mo- stacciano e specialmente di Casal Brunori, chiudendole quasi da ogni parte in un ammanto o in un recinto dato da tufi pozzolanei allo interno, litoidi allo esterno; abbiam ora un mezzo di striu- (') Risulta dalla mia descrizione della sezione a via Martorio, die alla Rupe capitolina vi sono eziandio regioni in cui l'alterazione e l’acquisto di coerenza progredì di basso in alto ; cosi che si hanno in basso tufi litoidi breccioidi giallo-bruuo-rossastri, e in alto tufi granulari o pozzo- lane nerastre. OSSERV. STRATIGR. NELLE VICINANZE DI ROMA 109 gerle d'alto in basso fra due fogli di materiale perfettamente conosciuto. Le pozzolane rosse cioè dal di sopra : e dal di sotto i tufi grigio-verdicci a pallottole della Valle di Perna e della provenienza da Monte C’ugno. Formazione questa ultima che a suo luogo abbiamo veduta tanto estesa, complicata e rappresentata or colle ghiaie fino al tufo grigio-verdiccio a pallottole, che anche secondo i dati di Verri troviam direttamente sotto le lave di Casal Brunori, od i di cui rappresentanti o surrogati ho io stesso veduto ascendendo da Prato Verde a Mostacciano, e dai quali il Bodriguez ed il Meli segnalarono un rinvenimento di dente elefantino. Ma colla sezione X abbiamo ancora da apprender qualcosa dippiù ; dapprima, che il materiale tufaceo che or chiamiamo pozzolana, o più alterato posteriormente, appelliamo tufo litoide breccioide del tipo della rupe capitolina, si produsse in vicinanza e contemporaneamente al remissione ed alla espansione della lava di Casal Brunori-Selcetta ; dippiù vediamo che esso è pure im- mediatamente successivo alla deposizione del tufo grigio-ver- diccio a pallottole (ai suoi surroganti e surrogati di altre specie, ma contemporanei). E cosi ne viene che anche le lave, di Casal Brunori-Selcetta e Mostacciano, sono immediatamente successive alla deposizione del tufo grigio-verdiccio (oggi) a pallottole; op- pure delle ghiaie a Cardium, cui sopra accenna a passare, o delle argille a Cardium, o delle ghiaie plioceniche a ciottoli lavici ed a fossili marini, da cui esso tufo a pallottole apparen- temente è sostenuto più o meno immediatamente. La posizione di queste lave, andando al dettaglio molto spinto, può pure esser ritenuta corrispondente, ossia coetanea al tufo argil- loide a fossili vegetali, che abbiamo riscontrato in strati in posto, sotto il N.° 3 alla sezione X ; e che, in pezzi svelti dal giacimento loro, abbiam trovato alla sezione A, dentro strati che erano in- feriori ; e quindi avrebber dovuto esser contemporanei a quei gia- cimenti, come contenevano ciottoli di quelle lave che dovevano esser loro sovrastanti e quindi più giovani. Abbiam risolta a suo luogo la obbiezione, col ritenere questi giacimenti in mutua relazione così paradossale, siccome mutua- mente surrogantisi e quindi coetanei. Lo stesso ragionamento e le stesse conseguenze dobbiamo estender alle lave o loro rap- 110 A. PORT1S presentanze ; e ne viene di conseguenza che tutti i membri delle sezioni fin qui studiate, a partir dalle ghiaie a fossili marini, passando per le sabbie gialle, per le argille a Cardium ed Ostriche, per i tufi grigio-verdicci a pallottole, iter le ghiaie prevalente- mente silicee annegate in calcare travertinoide gremito di augiti, per queste ghiaie men cementate e contenenti valve di Cardium, per i tufi argilloidi bianchicci a vegetali, per le lave, {ter le poz- zolane rosse, andare alle pozzolane nere, e poi all'alterazione posteriore superiore di queste, detta tufo litoide del tipo capi- tolino e sue surrogazioni ghiaiose, travertiuose a fossili terrestri od a fossili marini; tutte appartengono al pliocene superiore c tutti sono a ritenersi contemporanei, e l’un dell’altro surrogan- tisi, cosa che, per tutti i depositi sopranominati, avevo già più volte affermata nei miei precedenti lavori. Rimane un’ ultima conseguenza a dedursi e questa riguar- dante la lava di Bove: Avendo dimostrato qui che le lave di Mostacciano e di Casal Brunori sono inferiori alle pozzolane rosse ed al tufo litoide che a lor corrisponde, che per conseguenza sono ad essi depositi per lo meno contemporanei se non si vo- lesse dire anteriori: Ma avendo io altrove dimostrato come: po- steriori e superiori alle pozzolane rosse siano le nere o l’altro tufo litoide che anche queste rappresenta; e che sopra le poz- zolane nere, talor mediatamente persino, si collochino le lave di Capo di Bove; ne discenderà naturalmente che le lave di Mo- stacciano e Casal Brunori (Acquacetosa) sieno bensì diverse per età da quelle di Capo di Bove; ma ciò in favor di maggior vecchiezza per le prime, in favore di maggior gioventù per le seconde. Il presente studio è stato ultimato fin dal Giugno 1897. [Roma; Febbraio 1900]. RICERCHE MICROSCOPICHE E CHIMICHE SU ALCUNE QUARZITI DEI DINTORNI DI OULX (alta valle della dora riparia) E SU ALCUNE ROCCIE ASSOCIATE. Nota del socio dott. Luigi Colomba in Torino I. Nell'alta valle della Dora Riparia e nel tratto compreso fra Gad e Savoulx, sono molto sviluppate le quarziti; ad esse io già accennai in un precedente mio lavoro su alcuni calcefiri della Beaume (’) ed ultimamente Franchi (2) se ne occupò dal lato stratigrafico e cronologico, nelle sue ricerche sulla età della zona delle pietre verdi. La presenza di queste roccie non è del resto limitata al tratto della valle da me indicato, poiché uno sviluppo maggiore ancora assumono nel vallone di Fond, sopra Bardonecchia, nel massiccio della Rognosa d’Etiache ; parimenti numerosi affiora- menti si hanno in vari punti del Gruppo d’ Ambili nelle regioni soprastanti a Salbertrand, Chiomonte, Bari, etc. ; si hanno pure in prossimità del colle del piccolo Moncenisio e secondo Diener (3) esse apparirebbero pure al Chaberton. Nella parte della valle che io indicai, esse incominciano ad affiorare nelle vicinanze di Savoulx formando la base del Vili Vert e si prolungano poscia, con alcune interruzioni, sino alla Beaume e di li sino a Pont-Ventoux costituendo l’alta parete rocciosa che forma la base del Seguret. In vicinanza della Beaume (‘) Sulla glaucofane della Beaume. Atti della B. Accademia delle Scienze di Torino, XXIX (1894), p. 404. (2) Sull’età mesozoica della zona delle pietre verdi nelle Alpi occi- dentali. Boll, del B. Com. Geol. It. (1898), n. 3-4. (:i) Das Gebirgsbau der Westalpen. Wien, 1891, p. 18. 112 I,. colomba si nota che alla base sono ricoperte da una successione alter- nante, di variabile sviluppo, costituita da calcari e da sciasti: risalendo verso l’alto, mentre nella zona compresa fra Savoulx e la Beaume scompaiono presto sotto ad una grande formazione di calceschisti, nel vallone della Beaume esse si mostrano assai più sviluppate, poiché, sebbene al disopra della cornice su cui si trovano i casolari Auberges scompaiano pur esse sotto una formazione complessa costituita qui di calcari cristallini, gessi e carniole, tuttavia la loro presenza si rende manifesta sempre in tutti quei punti nei quali la erosione ha esportato il man- tello roccioso soprastante. Infatti risalendo il detto vallone tino a giungere all’alta parete verticale che forma la base della piramide terminale del Seguret, non solo si vedono qua e là ad affiorare, ma anche è facile osservare come i grandi antri scavati nella detta parete (uno dei quali ancora ricoperto dalla sua volta è veramente meraviglioso, avendo un vano la cui al- tezza non è certamente inferiore ai cento metri) abbiano il loro suolo molto inclinato perchè formato dalla superficie degli strati di quarzite rimasti allo scoperto in seguito alla eliminazione dei gessi e delle carniole che li ricoprivano. Così pure riappariscono nell’altipiano che forma l’estremità superiore del suddetto vallone, fra le punte del Seguret, del Vallonet e del Yin Veri; anche qui essendo rimaste a nudo in seguito all’erosione. Per cui collegando insieme i numerosi affioramenti suaccen- nati si può conchiudere come sviluppatissime, nel gruppo d’ Ambili, appaiano le quarziti sulle quali a seconda delle località si ada- giano dei calceschisti, dei calcari cristallini, dei calcefiri, delle anidriti, dei gessi e delle carniole. Una località in cui bene si possono esaminare i calcefiri è quella già accennata della Beaume dove, come già dissi, si hanno in basso, sulla parete quarzitica, alcuni strati di calcari cristallini ricchi in minerali alternanti con sottili strati di tal- cosehisti. Franchi (') ha osservato nel punto in cui il rio della Beaume per una strettissima spaccatura sbocca nel thalweg della valle, una limitatissima serie litologica soprastante alle quarziti p) Loc. cit. p. 175. RICERCHE SU QUARZITI E ROCCIE DI OULX 113 nelle quali è in tale località scavato il letto del torrente; non dappertutto essa appare così limitata, poiché risalendo di poco la mulattiera che conduce agli Auberges, si osserva in alcuni punti, in cui furono fatte delle mine onde utilizzare i materiali della parete per arginature alla Dora Riparia, come la serie alternante che sovrasta alle quarziti sia molto più sviluppata, avendosi alla base, e quindi addossati alle quarziti, dei calcari cristallini gneissiformi ai quali sovrastano, separati da un tal- coschisto grigio scuro, dei calcari cristallini grigi ai quali sono infine addossati calcari molto ricchi in glaucofane, spesso alte- rata parzialmente o totalmente, che io già studiai (1), essendo pure le due roccie separate da un esile strato di schisti verdi glaucofan itici, ed essendo ricoperta quella superiore da talco- schisti verdognoli. Continuando poscia a salire ancora si vede come in alcuni punti un nuovo elemento litologico venga ad unirsi ai precedenti sotto forma d’un calcare stratificato più o meno ricco in albite (2). Notevole è poi il fatto che i calcari grigi intermedi appaiono sul loro confine con gli schisti verdi glaucofanitici fortemente modificati in causa di alcune formazioni di contatto in cui pre- domina la glaucofane, formazioni che, da quanto vidi, sono non solo localizzate alla Beaume ma pure si trovano in vari punti in cui si osservano dei calcari cristallini a ricoprire le quarziti. Da queste formazioni di contatto diramano poi dei filoncini fel- dispatici e ricchi assai in minerali e che tagliano in vario senso i calcari e gli schisti soprastanti. Frale quarziti, in vari punti, nelle vicinanze della Beaume, sono intercalate delle roccie schistose che debbono considerarsi come dei talcoschisti e siccome il talco è contenuto anche nelle quarziti, ed anzi è alla sua presenza che è dovuta la loro struttura schi- stosa, si può ammettere che le dette intercalazioni di talcoschi- (') Loc. cit. (*) Altri calcari albitiferi riscontrai pure addossati alle quarziti che formano la massa della Rognosa d’Etiache nello stretto valloncino che conduce al colle Sommeiller; tali calcari appaiono dotati completamente di struttura cristallina e sono ricchi in cristalli di albite bianchi ge- minati tanto secondo la comune legge dell’albite, quanto secondo quella del Col du Bonhomme. 8 114 L. COLOMBA sti siano semplicemente dovute al notevole aumento del suac- cennato minerale nelle quarziti stesse; ed infatti si osserva precisamente come la quantità di esso vada nelle quarziti au- mentando coll’avvicmarsi alle intercalazioni dei talcoscliisti. Più raramente si hanno pure intercalate delle roccie verdi costituite da cloriteschisti ; una di queste intercalazioni affiora in una delle varie pieghe presentate dalla parete quarzitica al disotto delle case Auberges. Viceversa in altri punti sono le quarziti che appaiono in- tercalate fra roccie scliistose; ciò appare lungo la strada di Bar- doneechia, appena oltrepassato il ponte sulla Dora, dove, come ha fatto osservare Franchi, si ha un gran banco di quarzite intercalato fra micaschisti feldispatici grafitici. Franchi, a pag. 176-177 del suo già citato lavoro, ammette che non tutte le quarziti del tratto di valle a cui qui si accenna, siano contemporanee; sarebbero invece da dividersi in due gruppi distinti appartenenti al permocarbonifero ed al trias inferiore, mentre quelle di Savoulx, da lui considerate piuttosto come mi- caschisti ricchi in quarzo, apparterrebbero invece al trias medio rappresentato pure da calcari e dagli schisti che alla Beaume sovrastano alle quarziti. Apparterrebbero al permocarbonifero, le quarziti che al pari di quella che si incontra sulla strada di Bardonecchia, sono intercalate fra i micaschisti ; apparterreb- bero invece al trias inferiore quelle soprastanti. Avendo in questi ultimi tempi avuto occasione di studiare petrograficamente alcune di queste quarziti, contemporaneamente ad altre roccie pure esistenti in queste località, credo bene di pubblicare i risultati delle mie osservazioni, trattandosi di roccie che vennero dal lato cronologico considerate come distinte ed appartenenti a due periodi geologici differenti. Queste mie brevi ricerche riguardano i vari tipi di quarzite che si osservano alla Beaume, comprese pure le roccie interca- late e la quarzite della strada di Bardonecchia. RICERCHE SU QUARZITI E ROCCHE DI OULX 115 IL Quarziti della Beaume. Le quarziti della Beaume sono nettamente stratificate : hanno un grado di schistosità assai variabile, nè la loro struttura si modifica in modo uniforme col variare del grado di schistosità, poiché mentre in alcuni punti in vicinanza dei talcoschisti in- tercalati, per quanto ricchissime in talco, pure conservano un aspetto assolutamente omogeneo in causa della piccolezza e della uniforme distribuzione delle lamine di talco, in altri punti in- vece, a contatto di calcari gneissiformi, la schistosità si mani- festa in modo assai irregolare, essendo il talco in grandi la- mine contorte; non sempre si ha però tale cambiamento nella struttura delle quarziti sul loro contatto con i calcari, per quanto rimanga invariata la struttura di questi ultimi, poiché in altri punti essa si mantiene normale e corrispondente a quelle del tipo predominante e più caratteristico, tipo che non apparendo per nulla influenzato nè dalle roccie soprastanti, nè da quelle intercalate, è rappresentato da una quarzite omogenea, assai compatta e poco schistosa, sebbene nettamente stratificata. Osservate al microscopio, queste quarziti si presentano es- senzialmente costituite da granuli di quarzo a cui è associato il talco. Il quarzo, si presenta in granuli costantemente intrecciati, senza traccia alcuna di sostanza cementante. E se pure in al- cuni punti ad una osservazione superficiale sembra che si abbia un cemento in quanto che si nota che i granuli appaiono con- tornati da una sostanza ferruginosa brunastra (limonite) ciò è solo apparente ; infatti si osservano spesso e specialmente nella quarzite tipica, delle plaghe molto limitate le quali appaiono sotto forma di chiazze bruno-rossastre e che sono costituite, (piando si osservano al microscopio, da siderite più o meno limo- nitizzata, per modo che mentre in alcuni punti si hanno ancora dei romboedri trasparenti, giallognoli ed in cui si manifestano visibili le sfaldature, in altri punti invece non v’ha che della 116 L. COF.OMBA limonile ; ora oltre ad aversi nell’interno di questi noduli dei grani di quarzo poco numerosi e circondati dalla sostanza ferru- ginosa, si nota pure come anche nelle vicinanze dei detti no- duli si abbia della limonite, la quale si infiltra fra grano e grano; però la sua quantità va diminuendo coll’ allontanarsi dai noduli stessi e ad una certa distanza manca completamente, lasciando vedere in modo certo come quella esistente in vi- cinanza dei noduli stessi, sia dovuta ad infiltrazioni che da essi diramano. Le dimensioni dei granuli di quarzo sono assai variabili, mantenendosi però sempre assai piccole; le minime dimensioni le notai nelle quarziti molto schistose, che segnano il contatto con i talcoschisti intercalati; ciò del resto è in relazione col fatto, che pure notai negli altri tipi di quarzite, che general- mente i granuli appaiono più piccoli e più stipati in prossi- mità dei piani di sehistosità. Spesso diffusi nella massa senza ordine alcuno, si hanno dei grani di dimensioni molto maggiori che per nulla differiscono da quelli piccoli, presentando pure dei contorni irregolari: solo talvolta invece di presentare nel loro interno un colore uni- forme, risultano invece costituiti come da un complesso di pic- coli nuclei diversamente colorati ed a contorni indecisi, che fanno pensare a qualche cosa di intermedio fra la vera struttura ad intreccio, e quella uniforme presentata dai singoli granuli. Tali fatti sono visibilissimi nella quarzite irregolarmente schistosa, superiormente a contatto con i calcari gneissiformi, la quale contiene dei grani molto voluminosi che appunto presentano spesso il fenomeno suaccennato, mentre d'altro lato se ne hanno di quelli che pur apparendo a luce naturale formati da un solo individuo, invece quando sono osservati a luce polarizzata la- sciano vedere la struttura ad intreccio derivante dall esser costi- tuiti da un complesso di piccoli granuli. In tutti questi casi poi si osserva che le serie di inclusioni passano imperturbate dall’uno all’altro grano. Il secondo elemento è il talco, che si presenta, come già si disse, in lamine più o meno grandi e più o meno frequenti; esso è facilmente riconoscibile e quando è in grandi lamine, presenta spesso delle inclusioni di rutilo e zircone. RICERCHE SU QUARZITI E R0CC1E DI OULX 117 Nella quarzite tipica si hanno spesso delle venature di quarzo bianco che la solcano in vario senso; esse presentano solo ra- ramente delle geodine in cui si hanno impiantati dei piccoli cristalli di quarzo che raramente giungono a due o tre milli- metri di lunghezza ; essi, oltre alle comuni forme, solo rara- mente presentano la 412; spesso nelle dette venature si ha anche della Umonite e più raramente della siderite in masse sfaldabili od in cristalli lenticolari. Dove la quarzite si avvicina ai calcari, e ciò tanto in quella irregolarmente sehistosa quanto in quella che conserva la sua struttura inalterata, essa si arricchisce in calcite la quale si pre- senta in plaghe irregolari costituite da un aggregato di individui ad orientazione differente ed intrecciati; queste plaghe, in cui la calcite è facilmente riconoscibile in causa delle strie di gemi- nazione e dalle sfaldature, non sono da considerarsi come vena- ture, ma appaiono realmente diffuse nella roccia e siccome d’altra parte la loro quantità va aumentando approssimandosi alla super- ficie di contatto con i calcari soprastanti ed anche nei calcari, in vicinanza di tale superficie, si osserva la presenza di plaghe costituite da granuli di quarzo, si può ammettere che esista un passaggio graduato continuo dall’ una all’ altra roccia per modochè oltre ad esser concordanti, come ammise Franchi, sono pure inti- mamente collegate. Al pari che nelle quarziti anche nei calcari la struttura irre- golarmente sehistosa, che dà loro l’aspetto gneissiforme, si mo- difica coll’ allontanarsi dal contatto con le quarziti; infatti mentre in prossimità di tale contatto essi sono formati da grossi ele- menti fibrosi aventi una lunghezza anche di un centimetro e disposti con i loro assi di allungamento normali ai piani di schistosità ed in pari tempo le lamine di talco appaiono molto grandi e contorte, ciò non si nota più ad una certa distanza, tendendo gli individui cristallini a divenir più piccoli e il cal- care ad assumere una struttura meno sehistosa e più saccaroide. Così pure va diminuendo la quantità di quarzo che in prossimità delle quarziti forma delle plaghe e dei noduli, mentre ad una certa distanza si hanno soltanto più dei piccoli cristalli. In com- penso però si osserva, nel residuo ottenuto trattando con acido 118 L. COLOMBA cloridrico, abbondante una mica «massica brunastra ed alcuni rari cristalli di albite e di pirite. Tornando ora alle quarzite, si notano in esse molti elementi accessori. Il più abbondante è lo zircone che si presenta in tutte le varietà di quarzite sotto forma di cristalli allungati rossicci e che alle volte presentano i loro spigoli netti ed altre volte invece curvi in modo da apparire affusolati. Si trovano sia in- clusi nel talco sia nei granuli di quarzo essendo in alcuni casi inclusi contemporaneamente parte in un grano e parte in un altro; sono pure semplicemente intercalati fra granulo e granulo, nè si osserva nel loro aspetto alcuna relazione colla giacitura essendovene di quelli a spigoli netti od arrotondati tanto fra quelli inclusi nei granuli di quarzo, quanto fra quelli sempli- cemente intercalati. Essi sono sempre di dimensioni piccolissime raggiungendo raramente un decimo di millimetro di lunghezza e non mancandone di quelli visibili appena con forte ingran- dimento; e neppure si può stabilire qualche relazione fra l'abito che presentano e le loro dimensioni, essendo alle volte a spigoli netti od arrotondati tanto i grossi quanto i piccoli. Lo zircone trovasi pure, in cristalli perfettamente simili, nei calcari gneissiformi, essendo però in questo caso limitato ai no- duli di quarzo ed alle lamine di talco che, come dissi, abbon- dano in essi nelle zone prossime al contatto colle quarziti. Un altro minerale pure abbondante è la siderite; oltre a presentarsi, come già si disse, in vari punti, sotto forma di plaghe più o meno alterate in limonite, appare anche, sebbene scarsa, in minutissimi romboedri spesso solo nettamente discer- nibili mediante un discreto ingrandimento e facilmente ricono- scibili essendo sempre più o meno giallognoli e torbidi in causa d’un inizio di alterazione in limonite ed avendosene anche di quelli rossi per completa alterazione ; essi hanno sempre spigoli nettissimi e dal loro aspetto debbono indubbiamente riferirsi al simbolo 100; si trovano interposti fra i granuli di quarzo. In alcuni rari casi notai pure altri minutissimi romboedri di dimensioni al massimo uguali a quelle dei romboedri di side- rite già segnalati, inclusi sempre nei granuli di quarzo; questi differiscono esclusivamente dai primi per esser perfettamente incolori e limpidi; la loro estrema rarità mi ha impedito di RICERCHE SU QUARZITI E ROCCIE DI OULX 119 accertarmi se anch" essi dovessero considerarsi come di siderite 0 se piuttosto fossero da riferirsi a qualche altro carbonato e specialmente alla dolomite, vista la loro forma, esseudo comunis- simo nella dolomite il romboedro 100. Tuttavia il fatto che la stessa forma è presentata da quelli a cui prima accennai, toglie molto valore ad un tale carattere diagnostico; ed io credo che pur essi siano da considerarsi come costituiti da siderite, poiché ciò ammettendo, sarebbe facile lo spiegare il diverso aspetto presen- tato da quelli inclusi e da quelli semplicemente interposti fra 1 granuli di quarzo, potendosi ammettere che la mancanza di ogni alterazione nei primi dipenda dall’ esser inclusi e quindi nella impossibilità di subire alcuna alterazione, cosa più diffi- cile ad avverarsi in quelli interposti fra granulo e granulo. Che se invece si volesse ammettere che quelli inclusi siano di cal- cite o di dolomite, non sarebbe facile lo spiegare la differente giacitura degli uni e degli altri, poiché mentre quelli di side- rite sarebbero sempre interposti fra i granuli, gli altri sarebbero invece sempre inclusi nei detti granuli (*). La pirite è pure un minerale presente, sebbene sempre sia scarso ad eccezione di alcuni punti, in cui sotto forma di micro- scopici pentagonododecaedri superficialmente alterati in limonite, si addensa lungo le superficie di scbistosità. Comunemente poi si trovano diffuse delle concrezioni gial- lognole, isotrope, molto lucenti a luce riflessa e di dimensioni piccole, essendo però visibili anehe con un debolissimo ingran- dimento; non essendomi possibile di determinarle in base alle osservazioni fatte sulle lamine sottili della roccia, cercai di sepa- rarle ed a quest’uopo trattai alcuni frammenti di quarzite con acido fluoridrico colla speranza, realizzatasi in seguito, che le dette concrezioni rimanessero inalterate. (‘) In uno schisto calcareo che si trova lungo la strada di Bardo- necchia a contatto colla quarzite accennata da Franchi, notai pure dei numerosi romboedri microscopici inclusi entro a filoncini di quarzo e di calcite che attraversano la massa della roccia formata di calcite inqui- nata di ematite e da raro talco; questi romboedri sono di dolomite poiché non si sciolgono nell’acido cloridrico diluito a freddo ; analogamente a quanto vidi nelle quarziti della Beaume essi si presentano intercalati od inclusi nei granuli di quarzo e di calcite. 120 L. COLOMBA Nel corso del trattamento notai come dopo pochi giorni, avendo usato a freddo dell'acido fluoridrico fumante, i fram- menti di quarzite si fossero ridotti in finissima polvere che osser- vata al microscopio appariva composta di granuli di quarzo su- perficialmente corrosi, ma che ancora possedevano le asperità e gli incavi caratteristici; in seguito, dopo una prolungata azione dell’acido, tutto il quarzo ed il talco scomparvero e rimase un tenue residuo costituito principalmente dalle summentovate con- crezioni e da cristalli di zircone a cui era, in proporzioni molto minori, unito il rutilo ; inoltre si notavano pure rarissime lamine d'ima mica incolora uniassica, la cui inalterabilità in presenza all’acido può esser dovuta più che ad una reale inattaccabilità, al fatto della grande abbondanza di altri minerali più facil- mente attaccabili; più raramente si hanno dei piccoli cristalli di pirite rimasti affatto inalterati e lucenti per la scomparsa del rivestimento di limonite. Per quanto riguarda lo zircone, esso si presenta in questo residuo perfettamente con dei caratteri simili a quelli già osser- vati prima; si eccettui solo il fatto di aver qui notato, oltre ai cristalli a spigoli netti ed oltre a quelli ad abito fusiforme, al- cuni rari individui aventi una forma quasi sferica. Poco c’è da dire riguardo al rutilo; si presenta esso in gra- nuli ed in bastoncini colorati in giallo-rossastro od in rosso bruno, talvolta geminati; pure essi sempre microscopici. Le concrezioni gialle appaiono abbondantissime nel detto re- siduo: esse sono realmente opache ed a luce riflessa hanno una lucentezza grassa che in molti casi si fa più viva avvicinandosi all’adamantina. Pattane una perla al sai di fosforo, ottenni i colori caratteristici del titanio e siccome dal loro aspetto, a parte le dimensioni notevolmente minori, si avvicinavano alle concre- zioni di acido titanico descritte da Gorceix (*) e provenienti da alcune sabbie diamantifere del Brasile, volli assicurarmi se esse pure potessero considerarsi come ugualmente costituite; mi per- suasi tosto come ciò non fosse possibile, sia per la loro minima durezza, rompendosi facilmente fra due vetri, mentre Gorceix (‘) Note sur un oxide de titane bydraté ecc. ; Bull, de la Soc. Frane, eie Minerai. (1884) VII, p. 179. RICERCHE SU QUARZITI E ROCCIE DI OULX 121 aveva constatato che le sue rigavano facilmente il vetro, sia perchè a differenza di queste che al cannello decrepitavano vio- lentemente, quelle da me esaminate non solo erano infusibili, ma anche dopo un prolungato riscaldamento, apparivano perfet- tamente inalterate, senza traccia di fessure, per cui sarebbe esclusa la presenza dell’acqua in esse. Dal complesso di questi vari caratteri si può supporre che esse siano costituite da biossido di titanio amorfo ; mi riservo però, quando possa avere a mia disposizione una sufficiente quan- tità di materiale, di ritornare sull'argomento, essendo a mio pa- rere degne di studio, non solo considerandole dal lato minera- logico, ma anche per il fatto che trovandosi sparse fra i granuli di quarzo senza che intorno ad esse siavi alcun residuo che ci permetta di supporle derivanti da qualche alterazione di mi- nerali preesistenti, tutto induce a credere che esse siano con- genite col quarzo. III. Talcoschisti e schisti glaucofanitici intercalati fra le quarziti della Beauine. I talcoschisti che si osservano intercalati fra le quarziti della Beaume, specialmente in profondità, per nulla differiscono dalle quarziti dove queste sono molto ricche in talco, se si eccettui il notevolissimo aumento che si osserva nelle proporzioni del talco; questo però si conserva sempre in lamine molto sottili e piccole ed al microscopio si nota che la roccia appare costituita da una successione di strati sottilissimi di talco e di quarzo in granuli di dimensioni molto minori di quelle possedute dal quarzo delle vere quarziti. Anche qui si notano gli stessi elementi accessori, comprese le supposte concrezioni di biossido di titanio, che sono relativa- mente diffuse al pari dei cristalli di zircone. Si può quindi ammettere che questi talcoschisti siano inti- mamente collegati alle quarziti e che anzi costituiscano più che altro dei termini molto ricchi in talco ad esse riferibili. 122 L. COLOMBA Non così si può dire di alcuni rari strati di supposti clori- tescliisti che pure sono intercalati fra le quarziti, poiché essi hanno una struttura ed una composizione mineralogica affatto indipendente da quelle presentate dalle quarziti; infatti, sebbene ad una prima osservazione si possano scambiare con dei veri clo- riteschisti, osservati in sezione sottile lasciano facilmente ve- dere come siano invece degli schisti glaucofanitici più o meno alterati. Affiorano essi, come già si disse, lungo la parete rocciosa della Bcaume, in una delle varie pieghe che si notano nelle quarziti; i loro piani di schistosità appaiono colorati in bruna- stro in causa della presenza di limonite proveniente dall'alte- razione di minerali ferriferi in essi contenuti. Nelle sezioni microscopiche appaiono costituiti da un intreccio di cristalli prismatici allungati evidentemente riferibili a glnu- cofane parzialmente o totalmente alterata in clorito: spesso se ne incontrano di quelli che ancora posseggono un nucleo che presenta il caratteristico pleocroismo. Un altro prodotto d’altera- zione è V epidoto; si presenta esso in piccoli grani ed in cri- stalli giallognoli, dotati, come al solito, di vivi colori di pola- rizzazione: siccome esso trovasi incluso nei cristalli di glauco- fane, tanto dove sono inalterati quanto nei punti in cui sono cambiati in clorite, così si può supporre che esso derivi non da un’ulteriore alterazione della clorite, ma piuttosto da un ditfe- rente tipo di alterazione della glaucofane stessa. Più raramente si hanno pure associati alla clorite dei mi- croscopici cristalli di fcldispato plagioclasico, dotati di gemina- zione polisintetica e che dal complesso dei loro caratteri sem- brano doversi riferire ad un termine molto acido della serie e precisamente all’albite od all’oligoclasio ; la loro costante asso- ciazione colla clorite e la loro mancanza nei punti in cui la glaucofane è inalterata, rendono possibile che essi, al pari di quanto già altra volta notai (x), debbano considerarsi come pro- dotti d’alterazione della glaucofane analogamente a quanto si ammise per la clorite e per l’epidoto. (’) Sulla glaucofane della Beaume. Atti della B. Acc. delle Scienze di Torino. XXIX (1894), p. 404. RICERCHE SU QUARZITI E R0CC1E DI OULX 123 Xon così credo si possa dire di un altro fenomeno di alte- razione die osservai frequentemente nella elorite ; questa si pre- senta spesso ricoperta superficialmente da una patina bianco- gialliccia opaca, avente un aspetto che ricorda le sostanze ge- latinose, quando tendono a raggrumarsi ; essa è certo da consi- derarsi come un ulteriore prodotto di decomposizione della elorite e suppongo si tratti di silice. Ison è però facile, a mio parere, lo spiegare come una tale alterazione sia avvenuta, poiché seb- bene già nel sopra citato mio lavoro, io abbia notato come in alcuni calcari glaucofanitici di questa stessa località, si avessero dei casi in cui la sostanza cloritosa derivante dairalterazione della glaucofane, si era ulteriormente decomposta, però allora oltre alla silice erano presenti anche gli altri prodotti di de- composizione, che nel caso presente mancherebbero compieta- mente. Essendo questi schisti glaucofanitici molto ricchi in pirite, che si presenta in noduli, in piccole geodine microscopiche ed in pentagono-dodecaedri pure microscopici e che sovente lungo i piani di stratificazione della roccia appare alterata in limonite, si potrebbe invocare, per spiegare la decomposizione della elorite, un processo chimico analogo a quello indicato da Spezia (*) per dar ragione della trasformazione di alcuni calcari in gessi; con- siderandola cioè come conseguenza dell’azione sulla elorite del- l’acido solforico, risultante dall’ossidazione della pirite contenuta negli strati suaccennati. L’ipotesi che la suindicata alterazione sia dovuta a qualche acido, sarebbe confermata da una esperienza di Piolti (2) ri- guardante l’azione dell’acido cloridrico concentrato a caldo sulla elorite; egli notò come in seguito ad un tale trattamento, la elorite si decomponga lasciando un residuo bianco-gialliccio, opaco od isotropo, dovuto a silice. Avendo potuto osservare i suoi preparati microscopici, potei convincermi come il risultato (') Sulla origine del gesso micaceo ed anfibolico di Val Cherasca. Atti delia R. Accad. delle Scienze di Torino. XXIII (1887) Adunanza 20 novembre. (2) Sopra alcune roccie del bacino del Monte Gimont. Mem. della R. Accad. delle Scienze di Torino. Serie II (1895), XLY. Adunanza 9 giugno. 12 i L. COLOMIÌA della sua esperienza corrisponda pienamente a quanto io aveva notato, non tenuto conto della differenza nella intensità della reazione. Essendo la clorite attaccabile dall’acido solforico, non v’ Lia alcuna ragione perchè in presenza di questo acido, la clo- rite non siasi decomposta in modo analogo a quello osservato da Piolti per l’acido cloridrico. Nè credo che nel mio caso potrebbe esser in contrasto con tale ipotesi il fatto che la pirite spesso appare inalterata nei punti in cui si ha la clorite alterata, poiché, anche malgrado un tale fatto, il fenomeno di alterazione si potrebbe ugualmente spiegare tenendo conto della differenza di ambiente esistente fra il caso mio e quello osservato da Spezia; invero quando si tratta di un calcare, essendo la pirite in via d’ossidazione circondata da ogni parte da una sostanza facilissimaraente attaccabile dall’acido solforico che si libera, è logico l’ammettere che la saturazione completa dell'acido for- matosi avvenga direttamente nella zona circostante, immedia- tamente vicina al punto in cui si compie il processo di ossida- zione; invece, nel caso mio, per quanto la clorite sia decom- ponibile per opera dell’acido solforico, tuttavia è probabile che la reazione non sia stata sufficientemente rapida, per modo di impedire che parzialmente l’acido formatosi, per infiltrazione, abbia potuto giungere nei punti in cui la pirite è ancora inal- terata. V’ ha però un’altra causa, che secondo il mio parere, non permette di considerare come applicabile la suddetta reazione, ed è che nella massa fondamentale formata essenzialmente da quarzo, si hanno spesso delle venature e delle plaghe di cal- cite che pure si osservano nei punti in cui si ha l’alterazione della clorite; come mai questa calcite non si sarebbe trasformata in gesso per l’azione dell’acido che decompose la clorite? Oc- correrebbe ammettere che la calcite si sia depositata posterior- mente ; ma nulla prova tale fatto, specialmente nei punti in cui sotto forma di plaghe anche estese sostituisce il quarzo come elemento della massa fondamentale. Si potrebbe forse invocare il concorso dell'acido carbonico, il quale per quanto dotato di deboli proprietà acide, ha però la proprietà di intaccare numerose specie minerali, anche fra quelle appartenenti ai silicati e sebbene non mi consti che si RICERCHE SU QUARZITI E ROCCIE DI OULX 125 siano compiute esperienze riguardanti l’azione dell’acido carbo- nico sulla clorite, se ne hanno però delle altre che riguardano l’azione del detto acido su specie minerali molto più resistenti; cosi ad esempio, senza neppur arrestarmi al noto caso della caolinizzazione dei feldispati. citerò un’esperienza di Piolti (*) da cui risulta come l'acido carbonico sia capace di decomporre l’enstatite, minerale molto resistente alle azioni chimiche come lo prova il fatto di trovarlo spesso inalterato in roecie serpen- tinose provenienti da lherzoliti. Ammessa la possibilità che sia avvenuta una reazione ana- loga a quella sopraccennata, non si ricava però dai risultati delle mie osservazioni nulla che possa indicare se realmente av- venne ed in caso affermativo quale sia la causa che la determinò e come essa si sia svolta ; credo però che si debba escludere l’in- tervento dell’acido carbonico dell'atmosfera sia perchè in tal caso la reazione dovrebbe soprattutto esser superficiale, sia perchè se tale reazione fosse facile a verificarsi, l’alterazione da me os- servata dovrebbe esser molto più generale e comune in tutte le località in cui si hanno delle roccie cloritiche. D’altra parte poi l’intervento di acque ricche in acido carbonico non ha nulla di improbabile nel caso da me accennato, visto che nella roccia si hanno delle venature e delle plaghe di calcite. IY. Quarzite della strada di Bardonecchia, Il grande banco di quarzite che si osserva sulla strada di Bardonecchia, appena oltrepassato il ponte sulla Dora, è, come disse pure Franchi, intercalato fra roccie scliistose da lui con- siderate come micaschisti feldispatici grafitici; in vicinanza della quarzite si hanno in queste roccie numerose litoclasi di dimen- (') Sulla origine della magnesite di Casellette. Mem. della B. Ac- cademia delle Scienze di Torino. Serie II, (1897). XLVII. Adunanza del 7 Marzo. 126 1 . COLOMBA sioni sempre relativamente piccole ed in cui si hanno i seguenti minerali: quarzo, albite, siderite. Il quarzo si presenta in cristalli di dimensioni sempre pic- cole, impiantati sul quarzo compatto che forma il rivestimento delle litoclasi; difficilmente essi raggiungono una lunghezza di due o tre centimetri; sono piuttosto allungati ed oltre alla co- mune forma presentano spesso la 412 e rarissimamente la 412 oltre ad alcune faccie indeterminabili di romboedri che appaiono sotto forma di striature lungo gli spigoli d'intersezione della bipiramide eoi prisma. L 'albite è in cristalli geminati secondo la comune legge; hanno dimensioni che raramente giungono a tre o quattro millimetri, sono spesso tabulari in causa del grande sviluppo delle faccie 010 c sono poveri iu forme, presentando oltre alle suindicate 010, le 001, 110, 110, 111, 111 e più raramente le 130 e 130. La siderite è in cristalli lenticolari ed in romboedri 100; spesso è notevolmente alterata in limonite; talvolta i romboedri così alterati sono ricoperti di sottili patine di calcite. Anche nella vera quarzite si hanno delle litoclasi molto si- mili a quelle osservate nella quarzite della Beaume; sono esse ripiene specialmente di quarzo compatto e di limonite, e più raramente si nota pure V ematite con una struttura che va dal lamellare allo scaglioso. Questa quarzite, osservata esternamente si presenta, colorata in rossastro od in giallo-brunastro ; queste colorazioni sono do- vute ad ematite ed a limonite; osservando attentamente si vede come questi depositi di ossido e di idrato di ferro siano do- vute alla decomposizione di certe incrostazioni ed efflorescenze giallo-verdi o verdi-brune che si osservano aderire alla quar- zite stessa ; più raramente se ne hanno anche di quelle bianche. Mentre queste risultano esclusivamente costituite da gesso. quelle verdi si debbono invece considerare come risultanti da una miscela variabile di composti fra cui predomina il ferro allo stato di solfato. Esse non hanno una composizione ben definita e costante; infatti mentre in alcune parti e special- mente dove hanno una tinta schiettamente giallo-verde, pre- sentano puramente i caratteri del solfato ferroso, per cui si pos- sono considerare come costituite da melanterite , ciò non avviene RICERCHE SU QUARZITI E ROCCIE DI OULX 127 nella massima parte delle efflorescenze, nelle quali lio potuto constatare come si abbiano contemporaneamente e confusamente tanto le reazioni dei sali ferrosi, quanto quelle dei sali ferrici. Trattandole con acqua fredda od appena tiepida si ottiene una soluzione colorata in verde-giallo, che in seguito a lenta evaporazione lascia depositare dei cristalli di solfato ferroso oltre ad una parte giallo-bruua pulverulenta. Il residuo insolubile è essenzialmente costituito da limonite ; avendolo trattato con acido cloridrico, esso fu per la massima parte decomposto e sciolto, rimanendo solo un tenue residuo e nella soluzione trovai debolissima la reazione delTacido solfo- rico. La parte rimasta indisciolta poi era formata da frammenti di lammette di mica, clorite ed altri minerali dei dintorni, la cui presenza era probabilmente dovuta ad un trasporto atmo- sferico, e da rare stalattiti minutissime, solo ben discernibili mediante un forte ingrandimento e che io riferisco ad opale, imbiancando in seguito a riscaldamento ed essendo perfetta- mente isotrope; queste stalattiti presentano un abito caratteri- stico essendo perfettamente cilindriche. La soluzione ottenuta mediante l’acqua fredda ulteriormente scaldata lascia depositare abbondanti quantità di una sostanza rossa costituita da ossido di ferro; questo carattere che si ri- scontra tanto in alcuni termini della serie dei solfati idrati normali quanto in alcuni termini della serie dei solfati ferroso- ferrici basici, non può dare nessuna indicazione sulla composi- zione delle efflorescenze stesse, prese nel loro complesso; per cui credo che esse debbansi più che altro considerare come una miscela di differenti solfati idrati, essendo prevalente la melanterite. La soluzione stessa diede pure, sebbene poco intensamente, la reazione dell’allumina; molto nette ed abbondanti furono invece quelle della calce e della magnesia; in quanto alla pre- senza della prima, è evidentemente dovuta al gesso, di cui già fu indicata la presenza; per la seconda, credo si possa spie-' gare la provenienza considerando il più probabile modo di origine delle incrostazioni. Invero dallo studio delle sezioni di questa quarzite, pure molto ricca in talco, risulta come questo, invece di presentarsi 128 L. COLOMBA come nelle roccie della Beaume, in lamine verdi, trasparenti, appaia piuttosto decomposto, essendo sotto forma di lamine a contorni indecisi, sfrangiati, costituiti da una sostanza grigio- biancastra isotropa od opaca, avente, al pari di quanto si vide negli schisti glaucofanitici, un aspetto che ricorda quello delle sostanze gelatinose, quando si raggrumano; nei punti in cui l’alterazione è meno avanzata, si osserva ancora nell’interno delle lamine un nucleo in cui il talco presenta intatti i suoi caratteri. È probabile che la sostanza grigio-biancastra sia silice proveniente dall’alterazione del talco, ed io credo che tale alterazione del talco dipenda dallo stesso fenomeno che deter- minò la produzione delle incrostazioni solfatiche e che preci- samente la magnesia, di cui constatai la presenza nelle incro- stazioni stesse, derivi dalla decomposizione del talco. Questi fenomeni di alterazione e la susseguente formazione delle efflo- rescenze solfatiche. si possono, a parer mio, in questo caso fa- cilmente spiegare invocando il processo chimico, a cui già ac- cennai, pur non ritenendolo allora possibile, a proposito del- l’alterazione della clorite negli schisti glaucofanitici; supponendo cioè, che essi dipendano dalla ossidazione della pirite abbon- dantemente diffusa nella quarzite; e mentre ai solfati ferroso- ferrici che si mettono in libertà durante questa alterazione, sarebbero dovute le incrostazioni solfatiche, all’acido solforico, che sempre si ottiene contemporaneamente libero (’). sarebbe dovuta l’alterazione del talco. È bensì vero che il talco viene considerato come non de- componibile dagli acidi; ma tale inattaccabilità è solo relativa, come del resto deve succedere in molti altri casi, dovendosi negli studi di chimica mineralogica, per quanto riguarda l'evo- luzione delle sostanze minerali, tener conto di un fattore che non si considera nella chimica sintetica: il tempo. Per cui molte 0) Infatti supponendo una ossidazione della pirite, essendo essa un bisolfuro di ferro della forinola Fe S2, la quantità di acido solforico che si inette in libertà, oscillerà assai a seconda che si formino del solfato ferroso, del solfato ferrico o dei solfati misti o basici, ma sempre se ne formerà a spese dell’eccesso di solfo contenuto nella pirite, es- sendo tanto maggiore la quantità, quanto maggiore sarà la basicità del solfato che si forma. RICERCHE SU QUARZITI E ROCCIE DI OULX 129 reazioni che sembrano non avvenire, in causa della estrema loro lentezza, si rendono invece perfettamente percettibili quando per un tempo molto lungo si accumulino tutti i minimi risultati che vanno lentamente ottenendosi. Ed in vero, nel caso speciale del talco, io ho potuto con- statare come realmente esso sia decomposto dall’acido solforico anche diluito; avendo collocato in un recipiente, a contatto con una soluzione fredda di acido solforico al 10 °/0, del talco ri- dotto in laminette microscopiche o quasi, lasciai il tutto in ri- poso per sette mesi ed in seguito a questi potei osservare come le laminette di talco avevano in parte perduta la loro caratte- ristica lucentezza, apparendo diffusa nella soluzione una specie di polvere finissima simile nell’aspetto alla silice quando si pre- cipita allo stato pulverulento. Potei poi accertarmi in modo indi- scutibile che il talco era stato realmente decomposto dall’acido solforico, sia perchè avendo osservato le laminette al microscopio trovai che in gran parte erano diventate torbide, sia perchè avendo filtrato la soluzione, da questa ottenni facile ed ab- bondante la reazione della magnesia mediante il fosfato am- monico. Rimanendo in tal modo stabilito come realmente il talco possa esser lentamente decomposto dall’acido solforico anche di- luito, credo perfettamente corrispondente al complesso dei fatti osservati, l’ipotesi da me emessa, onde spiegare la produzione delle incrostazioni ed efflorescenze solfatiche; la presenza poi del gesso in esse non può avere nulla di strano in sé, poiché sovrastando alle dette quarziti dei depositi di anidride e gesso, certamente ricche in solfato calcico devono essere le acque che si infiltrano attraverso alle quarziti sottostanti ; e probabilmente pure a queste acque di infiltrazione sarebbe dovuto, sia il tra- sporto all’esterno dei prodotti delle varie alterazioni osservate nella roccia, sia la produzione delle piccole stalattiti di opale derivanti da un po’ di silice scioltasi nelle acque durante il suo passaggio attraverso alle quarziti. Astrazione fatta da questi prodotti d’alterazione e dallo stato più o meno avanzato di alterazione presentato da alcuni degli elementi contenuti in questa quarzite, essa è per il complesso dei suoi caratteri molto simile a quelle della Beaume. 9 130 L. COLOMBA Anche in essa il quarzo presenta la caratteristica struttura ad intreccio; il talco, a giudicare dalle dimensioni delle lamine e dal loro aspetto nei punti in cui si mantenne inalterato, si avvicina assai a quello esistente nelle quarziti di tipo normale della Beaume ed anche in parte a quello contenuto nella quar- zite irregolarmente schistosa che forma il termine più elevato di tutta la serie delle quarziti nella detta località. Analoghi pure sono gli elementi accessori ad eccezione della maggior abbondanza della pirite constatata nella quarzite della strada di Bardoneechia e della mancanza, in questa stessa quar- zite, dei romboedri e dei noduli di siderite, essendo certo tale mancanza dovuta ai fenomeni di alterazione a cui si accenni» di sopra. Y. Riassumendo, dal complesso dei fatti da me osservati ri- sulta come tanto fra le varie quarziti che si hanno alla Beaume, quanto fra queste e quelle della strada di Bardoneechia non esi- stano, per quanto riguarda i loro caratteri petrografia, alcuna differenza essenziale che ci permetta di considerare in esse la presenza di due o più tipi ben distinti. Considerate dal lato mineralogico, si vede infatti come in tutte compaiano gli stessi elementi e solo si noti qualche differenza nelle relative quantità; analogamente, per quanto riguarda la loro struttura, poche sono pure le differenze e queste anche non sembrano dovute a cause che si manifestino in modo regolare. Infatti mentre alla Beaume le quarziti inferiori, che da quanto risulta dagli studi di Franchi dovrebbero essere permocarboni- fere, differiscono da quelle superiori appartenenti, secondo il medesimo autore, al trias inferiore, puramente perchè presentano un grado più elevato di scliistosità, passando in alcuni plinti a dei veri talcoschisti, per altra parte la quarzite della strada di Bardoneechia, pure intercalata fra roceie schistose e cronologi- camente equivalente a quelle inferiori della Beaume, presenta invece una struttura vicinissima a quelle superiori e triasiche della serie della Beaume. RICERCHE SU QUARZITI E R0CC1E DI OULX 13L Per cui si può concludere che dal punto di vista petrogra- fieo e mineralogico, supposto che un criterio fondato su tali caratteri possa avere importanza nella geologia stratigrafica, manca ogni ragione per separare le due serie di quarziti; onde, ammesse le idee di Franchi sulla cronologia delle roccie in questione, tenendo conto della loro completa concordanza, si po- trebbero spiegare tanto le analogie di struttura, quanto quelle di composizione, ammettendo che esse costituiscano una forma- zione il cui deposito, qualunque sia il modo in cui avvenne, si sia iniziato sul finire del permiano, continuando durante il trias inferiore. Gabinetto Mineralogico deH’Università di Torino. 25 Febbraio 1900. LE POLIMORFINE E LE UVIGERINE FOSSILI D'ITALIA. Studio del dott. Carlo Forn asini (con 7 figure nel testo) “ We have no besitation in saying that, read in thè tight of thè older definitions, thè whole of thè widely differing shells referable to thè Poly- morphine type must be regarded as a single spe- cies This does not diminish thè ne- cessiti" for subdivision Bradv, Parker and Jones: O/i thè Genus Poft/morp/iina. I generi Polyntorphina e Uvigcrina, unitamente ai rispettivi sottogeneri biformi Dimorphina e Sagrino, costituiscono, secondo i sistemi naturali ora generalmente in uso, la sottofamiglia dei Polymorphininae, gruppo importante di Iagenidi o nodosaridi. Per d’Orbigny, che nell’ordinamento dei foraminiferi attribuiva grandissimo valore al modo di disporsi de le camere, le poli- morfine e le uvigerine spettavano a due diverse famiglie: agli enallosteghi le prime, agli elieosteghi le seconde, poiché in quelle le camere si alternano secondo due o tre assi distinti, senza formare una vera spirale, mentre in queste esse formano una vera spirale disponendosi secondo un asse unico. In realtà però, siffatto carattere differenziale non è costante ed assoluto, poiché anche nelle uvigerine la disposizione de le camere può essere, benché raramente, biseriale. Esso, futt’ al più, ha un certo va- lore per una separazione generica, al pari dei caratteri de l’ori- ficio, che nelle polimorfine è generalmente raggiato, mentre nelle uvigerine è semplice e provvisto quasi sempre di un breve tu- bulo labiato. Pertanto, in tutte le classificazioni posteriori a d'O r- b i g n y , proposte da R e u s s , da B r a d y , da S c li wager, da Neumayr, daRhumbler, Uvigerina ha sempre trovato il suo POLI MORFINE E UV1GERINE FOSSILI D'ITALIA 133 posto naturale accanto a Polymorphina, e anche secondo l’ordina- mento che di recente Eimer e F i c k er t hanno ideato, e che di preferenza ha per base, come quello di d’O r big n y , la disposizione de le camere facendo astrazione da la natura del nicchio, i due tipi generici in parola spettano ad una stessa famiglia, quella dei Buliminidae, così denominata perchè fanno parte di essa anche le bulinane (x). Queste ultime, stando ai sistemi di Brady, di Bhumbler, ece., appartengono a la famiglia dei testilaridi, e anche stando a quello di E i m e r e F i c k e r t , i loro buliminidi vanno ascritti al medesimo gruppo, cosicché le polimorfine e le uvigerine sarebbero da riguardarsi come testilaridi. Neu ma yr non è di questo parere. Secondo lui, i textilaridi sono discesi direttamente dagli astrorizidi, mentre questi, da l’altra parte, hanno generato (mediante i lituolidi e Nodosinella ) i nodosa- ridi. Da Nodosaria è derivata (mediante Dentalina ) Cristél- laria , e da questa finalmente Polymorphina e Uvigerina (2). Guppy invece, ammessa l’esistenza di una forma primordiale che avrebbe dato origine a Polymorphina, e da cui (mediante Uvigerina e Sagrino ) sarebbe discesa Nodosaria, aggiunge che la disposizione biseriale o triseriale de le testilarie, de le bu- limine, ecc., lascia supporre che anche il loro sviluppo sia pas- sato a traverso di Polymorphina (3). Quanto a Dimorphina, la sua stretta affinità con Polymor- phina fu riconosciuta anche da d’Orbigny. Si tratta in essa di un genere biforme, in cui a la parte iniziale polymorphina fa seguito una parte nodosaria, e la cui importanza (per chi am- mette la discendenza di Polymorphina da Nodosaria ) consiste nell’accennare un ritorno al tipo primitivo. Eimer e Fickert, non trattano del genere Dimorplnna. Essi collocano però Sagrino, che è vicinissima, nella loro famiglia degli Opistho-Dischistidae spettante al gruppo dei testilaridi. Del resto, Sagrino, come è intesa da Parker e Jones (non d’Orbigny) è un genere (') Die Artbildung und Venvandtschaft bei den For amini feren. Zeitschr. wiss. Zool., voi. LXV, 1899, fase. 4.° (2) Vedasi il sopra citato lavoro di Eimer e Fickert, nel quale viene riportato lo « Staminbanm der Foraminiferen » di Neumayr. (3) On some Foraminifera from thè Mierozoic Deposits of Trinidad. Proe. Zool. Soc. London, voi. IV, 1894, pag. 649. 184 C. FORNASINI biforme, in cui a la parte iniziale uvigerina fa seguito una parte nodosaria. E perciò lo si colloca generalmente accanto a Uvigerina. Secondo Eimer e F i c k e r t , la cosidetta Sa- grina columellaris non sarebbe una sagrina, ma dovrebbe ri- guardarsi come una cristellaria f1) o anche come una cassidu- lina opistliostrepta ( 2 ), poiché Cristellaria e Cassidulina avreb- bero fra loro tale affinità da potere stare unite in una sola fa- miglia, i cassidulinidi. La S. columellaris, a giudicare soltanto da le tre figure che ne dà B r a d y , si presenta con una dispo- sizione molto variabile de le camere iniziali, le quali in realtà non sempre tengono del tipo uvigerina, come non sempre ten- gono dei tipi cassidulina e cristellaria, cosicché riesce molto dif- ficile una determinazione generica basata unicamente sui carat- teri de la parte iniziale. * * ❖ Le forme di Polymorphina e di Uvigerina, citate fino ad oggi come fossili in terre geograficamente italiane, sono queste che seguono. POLIMORFINE. acuminata Mariani 1887. Rend. r. Ist. Lomh., s. 2a, v. XX, p. 477 ( Polymorphina ). Il termine acuminata era già stato applicato da d’Orbigny, sino dal 1840, ad una polimorfina cretacea. Mariani non ha figurata la sua nova specie pliocenica, de la quale, con la sola descrizione, non è possibile farsi un’idea esatta. acuta d’Orb. Conti 1864. Monte Mario, p. 41. — Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 145. ■ — Coppi 1884. Boll. r. Com. Geol. It., v. XV, p. 198. — Mariani 1887. Atti Soc. It. Se. Nat., v. XXX, p. 126 ( Polymorphina ). O «Sagrina columellaris Brady gehdrt zu Cristellaria». (2)«Nahe stelit die als Sagrina columellaris Brady beschriebene Form den ersten Anfàngen der Cassidulinen-Bildungen ». POLIMORFINE E UVIGERINE FOSSILI D'iTALIA 135 Gli autori sopra citati hanno inteso senza dubbio di riferirsi a la forma del terziario di Vienna. D’ 0 r b i g n y aveva già istituita nel « Tableau » un’altra Polymor- phina acuta fossile a Dax, la quale trovasi disegnata nelle «Planehes inédites». Essendo le due forme diverse, lo stesso d’ Or- bi g n y distinse più tardi quella di Vienna col nome di subacuta (1852. Prodrome, v. Ili, p. 159, n. 2978); ma per ora non con- viene introdurre alcuna modifi- cazione di nomenclatura. Fig. 1. Disegno inedito di d’Orbigny che rappresenta la Po !//»i o rp h in a acuta del Tableau. acuta d’Orb. Puchs 1878. Sitz. k. Ak. Wiss. Wien, v. LXXVII, p. 473. — Sacco 1889. Boll. Soc, Geol. It., v. Vili, p. 306 ( Po lymor pii ina ) . Secondo Dervieux (1899. Boll. Soc. Geol. It., v. XVIII, p. 77) gli esemplari del miocene piemontese riferiti da Puchs a la Polymorphina acuta d’ 0 r b . spettano tutti al genere Vir- gulina. aequalis d’Orbigny 1826. Ann. Se. Nat., v. VII, p. 255, n. 13 ( Polymorphina) . Istituita nel « Tableau » senza alcuna indicazione, tranne le parole «fossile de la Coroncine». Non è figurata nelle «Plan- ches inédites». aequalis d’Orb. Heuss 1851. Zeitsehr. deutseb. geol. Ges., v. Ili, p. 161. — Conti 1864. Monte Mario, p. 41. — Coppi 1874. Cat. foss. miopi, mod., n. 1000 ( Globulina ). — Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 90. — Por nasini 1883. Boll. Soc. Geol. It., v. II, p. 179 ( Polymorphina ). Differisce da la Polymorphina gibba d’ O r b . soltanto per la sensibile compressione. 136 C. FORNASINI aequivoca Costa 1856. Atti Acc. Pontan., v. VII, f. 2°, p. 366, t. XVIII, f. 8 ( Guttulina ). Non descritta. La figura è indeterminabile, anche generica- mente. amygdaloides Terquem. Seguenza 1880. Meni. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 307 e 333 {Polymor pinna). Il termine specifico amygdaloides era già stato applicato da Heuss nel 1855 ad una Polymorphina del terziario di Germania. Terquem, nulla sapendo di questa, istituì più tardi un’altra P. amygdaloides su esemplari pliocenici di Rodi. È singolare che la specie di T e r q u e m corrisponda, almeno in parte, a quella di Heuss, cosicché propongo di considerarla tutt’ al più come varietà terquemiana de la P. amygdaloides Heuss. anceps Phil. Seguenza 1880. Meni. r. Acc. Lincei, s.3a, v. VI, p. 90. — - Por nasini 1883. Boll. Soc. Geol. It., v. II, p. 179. — 1891. Tavola Forum. Ponticello, f. 24 {Polymor pinna). Qual’ è intesa da Heuss e dai rizopodisti inglesi (Brady, Parker e -Tones 1870. Trans. Limi. Soc., v. XXVII, p. 223, t. XXXIX, f. 8). angusta Egger. Seguenza 1880. Meni. r. Acc. Lincei, s. 3% v. VI, p. 226. — De Amicìs 1895. Nat. Siciliano, v. XIV, p. 109 {Polymor pinna). Seguenza cita una Polymorphina angusta di Heuss, che non esiste. È certo che egli ha voluto riferirsi a la specie di Egger. appaia Costa 1856. Atti Acc. Pontan., v. VII, f. 2°, p. 286, t. XVIII, f. 17. — Stolli- 1876. Boll. r. Com.Geol.lt., v. VII, p. 467 ( Polymorphina ). Non è una Polymorphina, come si rileva da la forma de l’orificio. È una Virgulina (Brady 1884. Rep. Foram. diali., p. 414). austriaca d’Orb. Heuss 1851. Zeitsclir. deutsch. geol. Ges., v. Ili, p. 161. — O. Silvestri 1862. Atti X Congr. Se P0LIM0RF1NE E UVIGERINE FOSSILI D’iTALIA 137 It.. p. 82. — Conti 1864. Monte Mario, p. 41. — Fuclis 1878. Sitz. Ak. Wiss. ÙYien, v. LXXVII, p. 473 ( Guttulina ). — Sequenza 1880. Meni. r. Aec. Lincei, s. 3a, y. YI, p. 64 e 145. — Mariani 1887. Atti Soc. It. Se. Nat., v. XXX, 1887, p. 125 ( Po lymorph ina). — Sacco 1889. Boll. Soc. Geol. It., v. YIII, p. 306 ( Guttulina ). Brady la ritiene inseparabile da la Èplymorpldna problema (1884. Bep. Forarti. Oliali., p. 568). In realtà non ne differisce clie per essere meno globosa, e più acuta nella parte terminale. bilocnlaris Terquem. Mariani 1891. Boll. Soc. Geol. It., v. X, p. 728, t. I, f. 18 c 19 {Polymor pinna). Sezioni di forme liasiebe di Lombardia, che l’autore crede di potere ascrivere a la specie di Ter q u e m . capellini! De Amicis 1895. Nat. Siciliano, anno XI Y, p. Ili, t. I, f. 18 {Bimor pinna). La parte uniseriale di questa pretesa dimorfina non panni abbastanza sviluppata perchè si possa togliere la specie al ge- nere Polymorphina. Ori- ficio labiato. caudata d’Orbigny, 1826. Ann. Se. Nat. v. YII, p. 266, n. 16 {Guttulina). Non descritta e con- frontata soltanto con la Guttulina vitrea (d’Or- bigny 1839. Foram. Cuba, p. 12 8) .Trovasi pe- rò figurata nelle « Plan- ches inédites». Fig. 2. Disegno inedito di d’Orbigny che rappresenta la Guttulina caudata del Tableau. communis d’Orbigny 1826. Ann. Se. Nat., v. VII, p. 256, n. 15, tav. XII, f. 1 a 4 {Guttulina). — Ni- col ucci 1846. Nuovi Ann. Se. Nat., s. 2a, v. VI, p. 191 {Po- 138 C. FORNASINI lymorpliina). — D’Orbigny 1846. Foram. foss. Vienne, p. 225. — 1852. Prodrome, v. Ili, p. 194, n. 558. — 0. Sil- vestri 1862. Atti X Congr. Se. It., p. 82. — Conti 1864. Monte Mario, p. 41 ( Guttulina ). — Stohr 1876-78. Boll. r. Coni. Geol. It., v. VII, p.467 ; v. IX, p. 512. — Segnenza 1880. Mem. r. Ace. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 90, 145, 225, 307, 333 e 375 (. Polymorphìna ). — - Coppi 1881. Paleont. Modenese, p. 130 ( Guttulina ). — 1884. Boll. r.Com. Geol. It., v. XV, p. 198. — F or nasini 1883. Boll. Soc. Geol. It., v. II, p. 179. — Malagoli 1888-92. Ibidem, p. 386 ; v. XI, p.96. — Mariani 1893. Ann. r. Ist. Tecn. Udine, s. 2a, v. XI, p. 10. — Corti 1894. Rend. r. Ist. Lomb., s. 2a, v. XXVII, f. 4°. — F or na- sini 1897. Rend. r. Acc. Se. Bologna, n. s., v. I, p. 113. — Bnrrows e Holland 1897. Mon. Foram. Crag, p. 4a, p. 387. — A. Silvestri. Mem. Acc. Nuovi Lincei, v. XV, 1898, p. 232 ( Polymorphìna) . A proposito dei rapporti di questa varietà con la Polymor- phina problema, vedasi quel che ho scritto recentemente (1900. Mem. r. Acc. Se. Bologna, s. 5a, v. Vili, p. 387). coimnunis d’Orb., var. acuplacenta J. e Ch. A. Silvestri. Mem. Acc. Nuovi Lincei, v. XV, 1898, p. 233, t. IV, f. 2 ( Poly - mor pinna). Varietà fistolosa de la Polymorphìna communis. complanata d’Orb. Segnenza 1880. Mem. r. Acc, Lincei, s. 3a, v. VI, p. 145, 333 e 375. — Coppi 1881. Paleont. Mode- nese, p. 130. — Burro ws e Holland 1897. Mon. Foram. Crag, p. 4a, p. 387 (Poly mor pi lina). Segnenza ha osservata in Calabria anche la forma stretta del crag d’Inghilterra (J o n e s, Parker e Brady 1866. Mon. Foram. Crag, p. la, t. I, f. 52 e 53) ed esemplari intermedi fra essa e quella espansa del terziario di Vienna. compressa d’Orb. O. Silvestri 1862. Atti X Congr. Se. It., p. 82. — Conti 1864. Monte Mario, p. 41. — Segnenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 225, 307. 333 e 375. — Coppi 1881. Paleont. Modenese, p. 129. — Ter- POLTAIORFINE E UVIGERINE FOSSILI D’ITALIA 189 ri gi 1883. Atti Acc. Xuovi Lincei, v. XXX Y. p. 182, t. II, f. 21. — Mariani 1888. Boll. Soc. Geol. Ital., v. YII. p. 288, t. X, f. 13. — Terrigi 1889. Meni. r. Acc. Lincei, s. 4a, v. YI, p. 22, t. YI, f. 10. — Corti 1894. Rencl. r. Ist. Lomb., s. 2% v. XXYII, f. 4° (Poìymor pinna). I due esemplari illustrati da Terrigi sono molto dubbi. La figura di Mariani rappresenta la sezione di una forma cre- tacea parimente dubbia. La fig. 11 di Brady (1884. Rep. Foram. Chall., t. LXXII) corrisponde abbastanza a la forma tipica del terziario di Yienna. Le fig. 9 e 10 se ne allontanano assai, anche perchè sono parzialmente costate. cordiformis Costa 1856. Atti Acc. Pontan., y. YII, f. 2°, p. 277, t. XYIII, f. 19 ( Globulina ). Incerta. È possibile che si tratti di un esemplare di Poly- morphina ìactea figurato al rovescio. costata Egger. Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. YI, p. 146 ( Po lymorphina) . Specie raccolta soltanto a lo stato fossile ed esclusivamente nel miocene. cylindracea Costa. Stohr 1876. Boll. r. Coni. Geol. It., v. YII, p. 467 (. Polymorphina ). X on esiste alcuna Polymorphina descritta da Costa con tale nome specifico. cylindrica Born. Seguenza 1871. Mem. r. Coni. Geol. It., v. I, p. 79 ( Guttulina ). — Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 145 ( Polymorphina). Inseparabile, secondo Brady (1884. Rep. Foram. Chall., p. 564) da la Polymorphina lanceolata Reuss. Ma la forma tipica di quest’ultima, quale fu figurata da Reuss nel 1851, non è certamente da confondersi con la P. cylindrica di Bor- nemann. 140 C. FORNASINI deformìs Costa. F or nasi ni 1890. Mem. r. Acc. Se. Bologna, s. 4a, y. X, p. 471, t. un., f. 35 a 37. — De Amicis 1895. Nat. Sicil., anno XIY, p. Ili il) intorpidivi). Illustrando gli originali de la Glandulina deformìs di Costa ho dimostrato che essi nulla hanno a che fare con la specie da me riferitavi (1896. Biv. It. Paleont., v. II, p. 342. — 1898. Kend. r. Acc. Se. Bologna, n. s., v. II, p. 16, t. II, f. 7). Non trovo neppure che la parte uniseriale nei miei esemplari sia tanto sviluppata da poterli ascrivere a le dimorfine. Non è im- possibile che si tratti di forme labiate di polimorfine diverse. depauperata Keuss. Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 146 {Polymor pinna). Inseparabile, secondo Brady (1884. Kep. Foram. Chall., p. 561) da la Polymorpldna amygdaloides de lo stesso Beuss. In realtà non ne differisce che per la minore compressione e per il maggiore sviluppo de le due ultime camere. digitalis d’Orb. Coppi 1874. Cat. foss. miopi, mod., n. 995. — Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 63. — Terrigi 1880 e 1883. Atti Acc. Nuovi Lincei, v. XXXIII, p. 183, t. I, f. 13; v. XXXV, p. 184, t. II, f. 23 e 24. — Sacco 1889. Boll. Soc. Greol. It., v. Vili, p. 306 {Polymor- pldna). Negli esemplari figurati da Terrigi, che sono incompleti e dubbi, non appare la distribuzione de le rugosità in serie lon- gitudinali, caratteristica di questa specie. dimorpha Boni. Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 145 {Polymorpldna). Inseparabile, secondo Brady (1884. Bep. Foram. Chall., p. 570) da la Polymorpldna rotundata de lo stesso B or ne- nia nn. In realtà non ne differisce che per la tendenza de le ultime due camere ad assumere disposizione uniseriale. discreta Beuss. Seguenza 1880. Ibidem {Polymorpldna). «Un esemplare dubbio» scrive Seguenza. La Globulina discreta Beuss (1849) fu associata da Brady, Parker e P0L1M0RFINE E UVIGERINE FOSSILI D’iTALIA 141 Jones (1870. Trans. Linn. Soe., v. XXYII, p. 224) a la Po- lymorpliina communis; la Gl. discreta Eeuss (1864) fu asso- ciata da Brady (1884. Rep. Foram. Chall., p. 565) a la P. coni pressa. dorsi gera Costa 1856. Atti Ace. Pontan., v. VII, f. 2°, p. 281, t. XYIII, f. 20 (Aid osto meli a). Esemplare fistoloso di Poi ymor pinna sororia, spettante a la var. complicata di Jones e Chapman (1896. Linn. Soc. Journ., Zool., v. XXY, p. 507 e 515). elata Costa 1856. Atti Acc. Pontan., v. YII, f. 2°, p. 281 (Aulostomella). Xon figurata. Si tratta di una Volymor pinna fistolosa, spe- cificamente indeterminabile. elegans Hantken 1884. Malli. Xat. Ber. Engarn, v. II, p. 149 ( Dimorphina ). Secondo Brady (1884. Rep. Foram. Chall., p. 584) è una Sagri na. gibba d’Orbigny 1826. Ann. Se. Xat., v. YII, p. 266, mod. 63. — - 1846. Foram. Yienne, p. 228. — 0. Silvestri 1862. Atti X Congr. Se. It., p. 82. - — Conti 1864. Monte Mario, p. 41 ( Globulina ). — - Brady, Parker e Jones 1870. Trans. Linn. Soc., v. XXVII, p. 218. — - Stblir 1878. Boll, r. Com. Geol. It., v. IX, p. 512. — Seguenza 1880. Meni, r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 90, 146 e 375 ( Polymorphina) . — Coppi 1881. Paleont. Modenese, p. 130 {Globulina). - — 1884. Boll. r. Com. Geol. It., v. XV, p. 198. — Mariani 1888. Atti Soc. It. Se. Xat., v. XXXI, p. 117. — 1890. Xote geol. pai. dint. Girgenti, p. 9. — Sacco 1889. Boll. Soc. Geol. It., v. Vili, p. 306. — Malagoli 1892. Ibidem, p. 96. — De Amicis 1893. Ibidem, v. XII, p. 432. — Corti 1892. Rend. r. Ist. Lomb., s. 2a, v. XXV, p. 1002, t. IV, f. 9. — 1894. Ibidem, v. XXVII, f. 4°. — Fornasini 1894. Foram. Coll. Sold., p. 17. — De Amicis 1895. Xat. Sicil., anno 142 C. FORNASINI XIV, p. 109. — A. Silvestri 1898. Mem. Acc. Nuovi Lincei, v. XV, p. 228 ( Po lymorphina) . Subsferica, arrotondata a la base, meno ottusa a l’apice, co- stituita da tre camere, distinte mediante linee di sutura non depresse. gibbad’Orb., var. ovoidea Egger. 0. Silvestri 1862. MS. Coll. Museo di Firenze, n. 67 d (fide F or nasini 1894. Foram. Coll. Sold., p. 17: Polymorphina). Inseparabile dal tipo (B rad y 1884.Rep. Foram. diali., p. 561). gibba d’Orb., var.pyrula Egger. 0. Silvestri, 1862. MS. Ibidem, n. 67 b (fide Fornasini 1894. Ibidem: Polymorphina). Come la precedente. gatta d Orbigny 1826. Ann. Se. Nat., v. VII, p. 267, t. XII, f. 5 e 6. — 1852. Prodromo, v. Ili, p. 194 (Pyrulina). — Nicol ucci 1846. Nuovi Ann. Se. Nat., s. 2a, v. VI, p. 192. — Parker, Jones e Bi v. Vili, p. 171, t. XI, f. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 225, 307, 333. — Coppi 1 884. Boll. r. Com. Geol. It., v. XV, p. 198 (Polymorphina). ady 1871. Ann. Nat. Hist., s. 4% 107. — Seguenza 1880. Mem. Fig. 3. Piriforme, triseriale, con linee di sutura non depresse. inaequalis d’Orbigny 1826. Ann. Se. Nat., v. VII, p. 255. — 1852. Prodrome, v. Ili, p. 195. — 0. Silvestri 1862. Atti X Congr. Se. It., p. 82 (Polymorphina). Non fu mai descritta da d’ 0 r b i g n y , il quale la citò nel « Prodrome » con le sole parole «grande espèce lisse ». Trovasi però figurata nelle « Planclies inédites ». Disegno inedito di d’Orbigny ohe rappresenta la Polymorphina inaequalis del Tableau. POLI MORFINE E UVIGERIXE FOSSILI D ITALIA 143 inaequalis Keuss. Seguenza 1880. Meni. r. Acc. Lincei, s. 3% v. VI, p. 146 e 225 (Polymor pinna). Associata da Brady, Parker e Jones (1870. Trans. Linn. Soc., v. XXVII, p. 214) a la Polymorphina amygdaloides de lo stesso Beuss. Differisce però da la forma tipica di questa per il grado molto minore di compressione. incerta Costa 1856. Atti Acc. Pontan., v. VII, f. 2°, p. 366, t. XVIII, f. 11 ( Globulina ). Xon descritta. La figura è indeterminabile. inflata Costa 1856. Ibidem, p. 365, t. XV, f. 11 ( Dimor - plana). Come la precedente. iimormalis Costa 1856. Ibidem, p. 287, t. XIII, f. 28 a 30 ( . Poi y m orph ina). È una Virgulina (For nasini 1898. Meni. r. Acc. Se. Bo- logna, s. 5a, v. VII, p. 206, t. un., f. 6). involvens Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 226 ( Polymorphina ). Xon figurata. A giudicare da la descrizione, pare si tratti di una varietà de la Polymorphina ovata « distintamente ca- renata ai lati . . . ma fortemente convessa sulle due opposte facce ». lactea W. e J. Jones e Parker 1860. Quart. Journ. Geol. Soc., v. XVI, 1860, p. 302, prosp., n. 48. — Parker e Jones 1863. Ann. Xat. Hist., s. 3a, v. XII, p. 440. — Parker, Jones e Brady 1865. Ibidem, v. XVI, p. 29 ( Po lymo r plana) . Si tratta, almeno in parte, de la Polymorphina communis an- ziché de la tipica P. lactea. lactea W. e J. Sis monda 1871. Mém. Acati, r. Se. Turin, s. 2a, v. XXV, p. 266. — Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 146, 333, 375. — Fornasini 1883. Boll. 144 C. FORNASINI Soc- Geol. It., y. II, p. 180. — Terrigi 1885. Boll. r. Com. Geol. It., v. XV, p. 152. — 1889. Mena. r. Acc. Lincei, s. 4a, v. VI, p. 113, t. VI, f. 8, 9. — Sacco 1889. Boll. Soc. Geol. It., v. VITI, p. 306 ( Polymorphina ). Si tratta verosimilmente de la forma tipica. Gli esemplari figurati da Terrigi sono molto dubbi. lanceolata Reuss. Fuchs 1878. Sitz. k. Ak. Wiss. Wien, v. LXXVII, p. 473 ( Guttulina ). — Stolir 1878. Boll. r. Com. Geol. It., v. IX, p. 512. — Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v .VI, p. 145 ( Polymorphina ). — Sacco 1889. Boll. Soc. Geol. It., v. Vili, p. 306 {Guttulino). Si tratta, con ogni probabilità, de la forma tipica, quale cioè venne illustrata da Reuss nel 1851. lanceolata Reuss. Corti 1894. Rend. r. Ist. Lomb. s. 2a, v. XXVII, f. 4°. — De Amicis 1895. Nat. Sicil., anno XIV, p. 110 {Polymorphina) . Gli autori citano le ligure di Brady (1884. Rep. Forum, diali., t. LXXII), e De Amicis si riferisce particolarmente a la fig. 5, la quale rappresenta, piuttostochè la forma tipica, la var. cylindrica di Bornemnnn. lata Egger. Seguen za 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 146 {Polymorphina). Associata da B r ad y, Parker e J o n e s (1 870. Trans. Linn. Soc., v. XXVII, p. 225) a la Polymorphina communis. In realtà non ne differisce che per il contorno subcircolare. Se- guenza cita una P.lata di Bornemann che non esiste. leprosa Reuss. Seguenza 1880. Ibidem {Polymorphina). Associata da Brady, P a r k e r e J o n e s (1 870. Trans. Linn. Soc., v. XXVII, p. 237) a la Polymorphina rugosa. Ne dif- ferisce tuttavia per avere la superficie ornata di escrescenze granulari e non di rugosità allungate. liasica Mariani 1891. Boll. Soc. Geol. It., v. X, p. 729, t. I, f. 20 {Polymorphina). POLIMORFINE E UVIGERINE FOSSILI D’iTALIA 145 Sezione di una forma liasiea di Lombardia, che l’autore crede di poter riguardare come una specie nova di Polymor- j)hina. Strickland aveva già istituita una P. liasiea nel 1845. longirostrata Giimbel 1869. Jahrb. k. k. geol. Reichsanst., v. XIX, p. 178, t. V, f. 14, 15 ( Po lymorphina) . L’autore stesso è in dubbio se questa forma del trias di San Cassiano sia veramente una polimorfina, potendo essere anche una biloculina o una triloculina ! longissima Costa 1856. Atti Acc. Pontan., v. VII, f. 2°, p. 864, t. XIII, f. 22, 23 ( Polymorphina ). È una Virgili ina (Fornasini 1898. Mem. r. Acc. Se. Bo- logna, s. 5a, v. VII, p. 207, t. un. f. 7). mamilla Costa 1856. Ibidem, p. 366, t. XAIII, f. 6 (Gut tutina). Non descritta. La figura è indeterminabile. minuta Roemer. Costa 1856. Ibidem, p. 277 ( Globulina ). Costa citò Globulina minuta Reuss, perchè egli si riferì a la figura che de la specie di Roemer fu data da Reuss nel 1849. Questa varietà fu associata da Brady, Parker e Jones (1870. Trans. Linn. Soc., v. XXVII, p. 214) a la Po- lymorphina amygdaloides. Il grado di compressione è però così tenue, da doversi essa riguardare piuttosto come poco lontana dal tipo lactea (Brady 1884. Rep. Foram. ChalL, p. 560). mutabilis Costa 1856. Ibidem, p. 275, t. XVIII, f. 1 a 3 ( Guttulina). È una Bulimina (Brady 1884. Rep. Foram. ChalL, p. 399). nodosaria Reuss. Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 145 ( Polymorphina ). Forma di passaggio da le polimorfine a le dimorfine. Nella parte uniseriale si osserva un principio di alternanza de le camere. 10 146 C. F0RNAS1NI nodosaria d’Orb. Fuclis 1878. Sitz. k. Ak. Wiss. Wien, v. LXXVII, p. 472. — Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3*, v. VI, p. 375. — Sacco 1889. Boll. Soc. Geol. It., v. Vili, p. 306 ( Dimorphina ). Associata da Brady, Parker e Jones (1870. Trans. Linn. Soc., v. XXVII, p. 249) a la Dimorphina tuberosa. In realtà ne differisce soltanto per il tenue sviluppo de la parte poly- mor pinna. obliqua d’Orb. Scliwager 1877. Boll. r. Coni. Geol. It., v. Vili, p. 25, f. 36. — Sacco 1889. Boll. Soc. Geol. It., v. Vili, p. 306 ( Dimorphina ). Differisce da la Dimorphina tuberosa per avere la parte uni- seriale costituita da camere oblique. oblunga Will. Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3% v. VI, p. 225, 307, 333 ( Polymorphina ). È la Polymorphina lactea var. oblonga di William so n (1858). Essendo lontana dal tipo lactea, deve e può distinguersi col nome di P. oblonga Will. La P. oblonga Koemer (1838) va associata a la P. communis o a la P. problema, e la P. oblonga d’ O r b. (1846) non è altro che la P.soldanii d’ 0 r b. (Brady 1887. Journ. R. Micr. Soc., s. 2a, v. VII, p. 913). obtusa Bora . S e g u e n z a 1880. Ibidem, p. 146 ( Po- lymorphina'). « Un esemplare dubbio » scrive Seguenza. Associata da Brady, Parker e Jo- nes (1870. Trans. Linn. Soc., v. XXVII, p. 234) a la Po- lymorphina rotundata de lo stesso Bornemann, non è però da confondersi con la medesima. Nò è da confon- Fig. 4. Disegno inedito di d’Orbigny che rappresenta la Polumorphina obtusa del Tableau. POLIMORFIXE E UVIGERINE FOSSILI D’iTALIA 147 dersi con la P. ottusa istituita da d’Orbigny nel 1826, non descritta, ma figurata nelle « Planches inédites ». orbiguyi Zborz. Brady, Parker e Jones 1870. Trans. Linn. Soc., v. XXYII, p. 248 (Polymorphina). Questa pretesa specie, citata dagli autori sunnominati come fossile in Italia (pliocene clays of Nortli Italy) era costituita da forme fistolose spettanti a diverse specie di Polymorphina (Jones e Chapman 1896. Linn. Soc. Journ., Zool., v. XXY, p. 514 a 516). ovalis Boni. Seguenza 1871. Mem. r. Com. Geol. It., v. I, p. 79 ( Guttulina ). Ovale, non compressa, acuta agli estremi. Fig. 5. ovata d’Orb. 0. Silvestri 1862. Atti X Congr. Se. It., p. 82 {Globulina). — Conti 1864. Monte Ma- rio, p. 41. — Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. YI, p. 90, 145. — Coppi 1881. Paleont. Modenese, p. 130. — Ma lago li 1886. Bend. Soc. Nat. Mo- dena, s. 3a, v. II, p. 126. — Mariani 1887. Atti Soc. It. Se, Nat., v. XXX, p. 125. — Mal ago li 1892. Boll. Soc. Geol. Ital., v. XI, p. 96. — Dervieux 1895. Ibi- dem, p. 307. — De Amicis 1895. Nat. Sicil., anno XIV, p. 110. — A. Silve- stri 1898. Mem. Acc. Nuovi Lincei, v. XY, p. 230. — Dervieux 1899. Boll. Soc. Geol. It., v. XVIII, p. 78 {Polymor- phina). Ovale, acuta agli estremi, compressa. È questa la Polymorphina ovata d’Orb. del terziario di Vienna, da non confondersi con la Globulina ovata istituita da lo stesso d’Orbigny nel 1826 su figura incerta di S o 1 d a n i , non descritta, ma figurata nelle « Planches inédites » e che appare non lontana dal tipo lactea. Disegno inedito di d’Orbigny che rappresenta la Globulina ovata del Tableau. 148 C. FORNASINI pliocaena A. Silvestri 1898. Mem. Acc. Nuovi Lincei, v. XY, p. 234, t. IV, f. 3 ( Po lymorphina) . Piuttostochè di una polimorfina, pare si tratti di una cristel- laria. Si confronti la fig. 5 de la tav. LXIX de l’atlante di Brady (1884. Rep. Foram. Oliali.). pliocaena A. Silv., var. tricostata A. Silvestri 1898. Ibidem, p. 235, t. IY, f. 4 (Polymorphina). Come la precedente. problema d’Orbigny 1826. Ann. Se. Nat., v. VII, p. 256, mod. 61. — 1846. Foram. Vienne, p. 224. — 0. Silvestri 1862. Atti X Congr. Se. It., p. 82. — Conti 1864. Monte Mario, p. 41 ( Guttulina ). — -Parker e Jones 1872. Ann. Nat. Hist., s. 4a, v. IX, p. 291. - — Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 90, 145, 307, 375. — Karrer 1880. Sitz. k. Ak. Wiss. Wien, v. LXXI, p. 171. — Coppi 1881. Paleont. Modenese, p. 130. — - Fornasini 1883. Boll. Soc. Geol. It., v. II, p. 179. — 1886. Ibidem, v. V, p. 353. — Malagoli 1892. Ibidem, v. XI, p. 96. — Mariani 1888. Rend. r. Ist. Lomb., s. 2a, v. XXI, p. 500. — Fornasini 1894. Foram. Coll. Soldani, p. 23. — A. Silvestri 1898. Mem. Acc. Nuovi Lincei, v. XV, p. 230 ( Polymorpldna ). Intimamente connessa con la Polymorphina communis. proteiformi Reuss. Stolir 1876. Boll. r. Coni. Geol. It., v. VII, p. 473. — De Amicis 1895. Nat. Sicil., anno XIV, p. 110 ( Po lymorphina) . Molto variabile, ma sempre allungata e non compressa. prunella Costa 1856. Atti Acc. Pontan., v. VII, f. 2°, p. 274, t. XIII, f. 32, 33, 37, 38 ( Guttulina ). È una Buliniina (Brady 1884. Rep. Foram. Chall., p. 399). prunella Costa, var. afflili Costa 1856. Ibidem, p. 275, t. XVIII, f. 4 ( Guttulina ). Non è ben chiaro se si tratti di una Bulimina o di una Po- lymorphina. POLIMORFINE E UVIGERTNE FOSSILI D’iTALIA 149 punctata d’Orb. Conti 1864. Monte Mario, p. il {Globulina). — Sequenza 1880. Mein. r. Ace. Lincei, s. 3a, y. VI, p. 90, 146 ( Polymorphina ). Associata da Brady (1884. Kep. Foram. Chall., p. 561) a la Polymorphina gihha. In realtà non ne differisce che per la grossolana perforazione. pupa 0. Silvestri 1862. MS. Coll. Museo di Firenze, n. 65 i {fide Fornasini 1894. Foram. Coll. Soldani, p. 16: Mar- ginulina). Non è altro che la I) imo r plana tuberosa. quadrispinosa Costa 1856. Atti Acc. Pontan., v. VII, f. 2°, p. 278, t. XVIII, f. 18 {Globulina). Pare veramente una polimorfina, ma la specie è indeterminabile. regina B. P. e J., A. Silvestri 1893 (1894). Atti Acc. Ze- lanti Acireale, v. V, p. 14, t. V, f. 70 a 72 {Polymorphina). Non è altro che V TJvigerina pygmaea . romana Costa 1855 (1857). Mem. r. Acc. Se. Napoli, v. II, p. 125, 1. 1, f. 6 {Guttulina). È una Bulimina (Fornasini 1895. Palaeont. Italica, v. I, p. 147). rotundata Costa 1856. Atti Acc. Pontan., v. VII, f. 2°, p. 279, t. XVIII, f. 21 {Globulina). Indeterminabile, anche genericamente. rotundata Born., var. fracta Born. Dervieux 1899. Boll. Soc. Greol. It., v. XVIII, p. 78 {Polymorphina). Inseparabile, a mio avviso, da la varietà dimorpha de lo stesso Bornemann. rudis 0. Silvestri 1862. MS. Coll. Museo di Firenze, n. 236 {fide Fornasini 1894. Foram. Coll. Soldani, p. 33: Di- morphina). Non è altro che la Clavulina rudis Costa sp. 150 C. FORN ASINI rugosa d’Orb. Conti 1864. Monte Mario, p. 41 ( Globulina ). — Sequenza 1880. Meni. r. Acc. Lincei, s. 3a, y. VI, p. 146 ( Po lymorphina) . Gli autori si riferiscono a la forma del terziario di Vienna, che è una varietà de la Polymorphina gibbo , con minute rugo- sità di figura allungata. sicula E li r e n b erg 1854. Mikrogeologie, t. XXVI, f. 18 ( Pro - roporus siculus ). Secondo Parker e Jones (1872. Ann. Nat. Hist., s. 4*, y. IX, p. 290) si tratterebbe de la Polymorphina thouini. simplex Costa 1856. Atti Acc. Pontan., v. VII, f. 2°, p. 279, t. XVIII, f. 5 ( Globulina ). È probabilmente una Bulimina. simplex Terquem. Canavaril 880. Boll. r. Com. Geol. It., v. XI, p. 256, 257 ( Polymorphina ). Sezioni di una forma comune nei calcari Basici de P Appennino centrale, confrontata da l’autore con la specie di Terque m. solilanii d’Orb. Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 226. — Terrigi 1883. Atti Acc. Nuovi Lincei, v. XXXV, p. 183, t. II, f. 22 ( Polymorphina ). Vedasi l’osservazione a l’articolo oblonga W i 1 1. Il fram- mento illustrato da T e r r i g i è assai dubbio. sororia Beuss. Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 145 ( Polymorphina ). Varietà allungata e subfusiforme de la Polymorphina ladea. sororia Beuss, var. cuspidata Brady. Corti 1894. Bend. r. Ist. Lomb., s. 2a, v. XXVII, fase. 4° e 17° {Polymorphina). Modificazione mucronata de la precedente. spinosa d’Orb. Beuss 1851. Zeitschr. deutsch. geol. Ges., v. Ili, p. 161. — O. Silvestri 1862. Atti X Congr. Se. It., p. 82. ( Globulina ). — Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, POLI MORFINE E UV1GERINE FOSSILI D’iTALIA 151 v. YI, p. 146. — Mariani 1887. Atti Soc. Ital. Se. Nat., v. XXX, p. 125. — - Burro ws e Ho 1 land 1897. Mon. Foram. Crag, p. 4a, p. 387 (. Polymorphina ). Varietà aculeata de la Polymorjpliina gibba. succinea Costa 1856. Atti Acc. Pontan., v. VII, f. 2°, p. 276, t. XVIII, f. 4 (Guttulina). È probabilmente una Bidimina. tarentina Costa 1856. Ibidem, p. 273 ( Guttulina ). Non figurata e indeterminabile. tenera Karrer. Seguenza 1880. Mem. r. Ace. Lincei, s.3a, v. VI, p. 145 ( Polymorphina ). Associata da Brady (1884. Rep. Foram. Chall., p. 570) a la Polymorphina rotundata di Bornemann. In realtà non ne differisce che per essere un poco più evoluta. thouini d’Orb. Jones e Parker 1860. Quart. Journ. Geol. Soc., v. XVI, p. 302, prosp., n. 50. — 1872. Ann. Nat. Hist., s. 4a, v. IX, p. 291 (Poly- morphina). Molto allungata, con camere pure allungate e leggermente convesse. truncata d’Orbigny 1826. Ann. Se. Nat., v. VII, p. 255. — 1852. Prodrome, v. Ili, p. 195 ( Polymorphina ). Non fu mai descritta da d’Orbigny, il quale si limitò a confrontarla con la Polymor- phina rochefortiana di Cuba, e a citarla nel « Prodrome » con la sola aggiunta de le parole «espèce subeylindrique». Trovasi però figurata nelle «Planclies inédites». tuberculata d’Orb. O. Silvestri 1862. Atti cr oTì>TgVy ebe'rap- X Congr. Se. It., p. 82. — Conti 1864. presentala Polymor- ,, ; UT • 1 -.//-« t 7 t \ n phina truncata del Monte Mano, p. 41 ( Globulina ). — Se- Tableau. 152 C. F0RNASIN1 gii e n za 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. YI, p. 146 (Po- lymorphina). Varietà tubercolata de la Polymorpldna gibba. tuberosa d’Orb. Jones e Parker 1860. Quart. Journ. Geol. Soc., v. XVI, p. 302, prosp., n. 19. — Seguenza 1880. Meni, r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 146. — Pornasini 1891. Tav. Foram. Ponticello, f. 25. — 1894. Poram. Coll. Sold., p. 16. — De Amici s 1895. Nat. Sicil., anno XIV, p. 110. — Por- nasini 1897. Rend. r. Acc. Se. Bologna, n. s., v. I, p. 113. — A. Silvestri 1898. Mem. Acc. Nuovi Lincei, v. XV, p. 236 (JDimor pinna). Più o meno sviluppata nella parte nodosaria. tubulosa d’Orb. Jones e Parker 1860. Quart. Journ. Geol. Soc., v. XVI, p. 302, prosp. n. 49 ( Polymorpldna ). — Conti 1864. Monte Mario, p. 41 ( Globulina ). — - Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 145, 333 ( Polymorpldna ). Forma fistolosa de la Polymorpldna gibba, da riferirsi a la varietà horrida secondo Jones e Chapman (1897. Linn. Soc. Journ., Zool., v. XXV, p. 510). uvula Ehrenberg 1854. Mikrogeologie, t. XXVI, f. 28 (Poly- morpldna). Inseparabile, secondo Brady (1884. Rep. Poram. Chalk, p. 568), da la Polymorpldna problema. variata J. P. e B. Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3% v. VI, p. 226. — Coppi 1884. Boll. r. Com. Geol. It., v. XV, p. 198 (Polymorpldna). Asimmetrica, con superficie ineguale perchè cosparsa di de- pressioni angolose e irregolari (Jones etc. 1866. Mon. Foram. Crag, p. la. — 1896. Ibidem, p. 3a). vitrea Bora. Seguenza 1871. Mem. r. Com. Geol. It., v. I, ]>. 79 (Guttulina). Ovale, acuta agli estremi, con l’ultima camera molto svilup- pata, e abbracciante gran parte de le camere precedenti a la guisa de le glanduline. POLIMORFINF. E UVIGERINE FOSSILI D ITALIA 153 xantea Seg. Fuclis 1878. Sitz. k. Ak. Wiss. Wien, v. LXXVII, p. 473. — Sacco 1889. Boll. Soc. Geol. It., y. Vili, p. 306 (Poi ymorpMna) . Secondo Dervieux (1899. Boll. Soc. Geol. It., v. XVIII, p. 77), gli esemplari determinati da Fuclis come Polymorphina xantea Seg. (che non esiste) spettano tutti al genere Pleurosto- mella. APPENDICE. 1. « Globulina ». Costa 1856. Atti Acc. Pontan., v. VII, f. 2°, p. 368, t. XXII, f. 11. Non descritta e senza indicazione di località. La figura è ab- bastanza chiara e permette di vedere l’affinità che esiste tra la forma da essa rappresentata e la Polymorphina obtusa di d’ Or- bi gny (vedasi l’articolo obtusa Born.). 2. « Bulimina acicula ». Costa 1856. Ibidem, p. 336, t. XXII f. 6. Senza indicazione di località. La figura, meglio die una Bulimina, rappresenta una Polymorphina, e verosimilmente la P. soldanii. 3. « Globulina — Corcula spinosa. Sold., t. Ili, f. Y». Conti 1864. Monte Mario, p. 41, 55. La figura di S o 1 d a n i , con la quale viene confrontata questa Polymorphina, rappresenta una forma fistolosa di P. gibba spet- tante a la varietà complicata di Jones e Chapman (1897. Linn. Soc. Journ., Zool., v. XXV, p. 515). 4. « Polymorphina sp. ». Reuss 1868. Sitz. k. Àk. Wiss. Wien, v. LVII, p. 105. Specie triasica di San Cassiano, non figurata, e descritta sem- plicemente come ovale, con sezione trasversa circolare e suture appena visibili (— P. gibba?). 5. « Bimorphina sp.». Zittel 1876. Palaeont., v. I, p. 86, f. 23, 3. È la Bimorphina tuberosa del pliocene di Siena, con por- zione polymorphina molto sviluppata. 154 C. FORN ASINI 6. « PolymorpMna (?) sp. ». Forn asini 1890. Mem. r. Acc. Se. Bologna, s. 4a, v. X, p. 471, t. I, f. 34. Determinazione generica veramente dubbia. 7. «PolymorpMna cfr. gibbo d’Orb. sp. ». Mariani 1893. Ann. r. Ist. Tecn. Udine, s. 2a, anno XI, p. 11. Un esemplare solo, nel calcare raibliano del rio Tolina nella Carnia occidentale. 8. « PolymorpMna sp. ». Mariani 1893. Ibidem, p. 23, t. I, f. 5, 6. Sezioni di probabili polimorfine osservate da l’autore nel cal- care triasico del M. Clapsavon nella Carnia. 9. « Bulimina pyrula d’Orb. — Numerose varietà di questa specie, la maggior parte delle quali riferibili alla B. ovulo d’Orb. ; alcune si avvicinano anche alla PI. ovata d’Orb.». A. Sil- vestri 1893. Atti Acc. Zelanti Acireale, v. Y, p. 12, t. Y, f. 73 a 82. Queste figure rappresentano, invece, de le polimorfine, e pro- babilmente: P.communis, P. problema, P. gibbo, ecc. (Jones etc. 1896. Mon. Poram. Crag, p. 3a, p. 253, nota). 10. « PolymorpMna sp. ». Fornasin i 1898. Meni. r. Acc. Se. Bologna, s. 5a, v. YII, p. 210, t. I, f. 20, 21. Differisce da la PolymorpMna oblonga W i 1 1 . per essere asimmetrica, e da la P. burdigalcnsis d’ 0 r b . per la maggiore lunghezza de le camere. Propongo per essa la nova denomina- zione di P. costiana. PROSPETTO DE LE POLIMORFINE FOSSILI D’ ITALIA. o o o O o o sa o sa ss oc o ?» ?» o Oh E ° 42 2 C ci X ci o so o 03 o» o SO ?» o •±vnò •BTIPIS 'Bijq'tfxuO O^UBJXO tp 'B-J9X OXZ^rj 'BU'BOSOJj gseuScqog; esan9poj\[ ouipcrao'BTj 'cipj\3quiori ■BtJnSirj 9Xnoui9i:»% © Ph + - + + + Ph © a D a> è ^2 .«2 "§ i*S ^ § I $ rp O * e m 2 s a? £ Ph fi. C ^ <> ^ SO co H(MC0^^CDl'-C005OH(MW^i0^^C0C 1 1 i 1 ■ j T-H I 1 I I ’T ■ 1 I 4 I ■ H I I T" : - . - . . t * + : + * V» * - »• •- V. i. ! ^ ’ s*. • + * + + ~ ! •- c« ! + : + co *•«-)- co + + . co + + - 1 *> *• : . . c + CO co co ?! c*j co co ° 1 : + - • + •f + co i • *■ ?> • . : - CO - %■» v. • • t ®~ o> *■ •? k t v! ? ^ t P e^> + + I ..... . J3 o u S §3 | W e 8 & 6 8 ^ 5 o i .«2 > ^ S « A A rO O « s ^0 Io p Sh « Ph ^ « 5? 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La colonna 4 è la più importante : le numerose forme indicate in essa proven- gono quasi tutte da l’argilla tortoniana di Benestare in provincia di Reggio di Calabria (alcune anche da l’elveziano de la stessa provincia) eia loro determinazione è dovuta a Seguenza. Co- lonna num. 5: tre forme citate da Stohr per il tortoniano dei dintorni di (Ergenti. Colonna 6 : quattro forme citate da M a- riani per il tortoniano di Capo San Marco. La P. gibbo, , unica specie segnata nella col. 7, fu citata da Sacco per il piacenziano del Piemonte in genere. Nella col. 8, oltre le ri- cerche di Mariani sul pliocene di Savona e di Burrows e H o 1 1 a n d su quello di Albenga e di Bordighera, sono consi- derate anche le osservazioni di DeAmicis sugli strati di Tri- nité Victor nel Nizzardo. Colonna 9 : sei forme citate da Corti per il pliocene lombardo. La col. 10 concerne le osservazioni di d’Orbigny, di Reuss e quelle più recenti di Ma lago li sugli strati de la classica località di Castellarquato. Colonna 11 : cinque forme citate da Coppi e da Ma lago li per il pliocene de le pro- vinole di Modena e di Reggio de l’Emilia. Colonna 12 : sei forme da me raccolte negli strati a Pecten liystrix dei dintorni di Bolo- gna. Le polimorfine segnate nella col. 13 provengono dal terri- torio senese, e la loro determinazione è dovuta a d’Orbigny, a Jones e Parker e ad A. Silvestri. Nella col. 14, oltre le ricerche di Terrigi, sono considerate anche quelle di Conti sul pliocene recente del Monte Mario, e le mie sugli strati a Pecten liystrix di Palidoro. Colonna 15 : una forma raccolta da 0. G. Costa e da me illustrata, proveniente dal pliocene superiore di San Pietro in Lama, nonché la P. minuta , che lo stesso Costa cita per la marna di Taranto. Nella col. 16, a le specie citate da Seguenza per le varie zone plioceniche de la provincia di Reggio di Calabria, sono aggiunte due forme POLIMORFINE E UTIGERINE FOSSri.1 D’iTALIA 159 indicate da Costa per terreni probabilmente pliocenici de la stessa regione. Colonna 1 7 : polimorline provenienti dai trubi di Caltagirone, di Bonfornello, ecc., nonché dal pliocene su- periore di Girgenti, e dovute a le ricerche di Segnenza, di De Amicis, di Ehrenberg e di Stòhr. Colonna 18: sette forme citate da Segnenza per il saariano dei dintorni di Seg- gio di Calabria. Nel prospetto precedente non figurano le polimorfine osser- vate in terreni più antichi del miocene medio. In realtà, la presenza del genere Polymorjphina nelle formazioni italiane com- prese fra il lias e il miocene non fu ancora dimostrata, e quanto a le forme citate per il lias e il trias, possiamo dire che la loro determinazione specifica è molto incerta. Tranne Tesem- plare che Mariani ha raccolto nel raibliano de la Carnia, e che egli confronta con la P. gibba, e l’altro di San Cassiano che Reuss descrisse breyemente, e che forse appartiene a la stessa specie, tutte le pretese polimorfine che lo stesso Ma- riani, Giimbel e Canavari indicano fossili, tanto nel trias de la Carnia e del Tirolo, quanto nel lias di Lombardia e de l’Apennino centrale, riferendole a specie conosciute o distin- guendole con nome novo, sono da riguardarsi come specifica- mente (talvolta anche genericamente) dubbie, tanto più che la loro determinazione, nella maggior parte dei casi, è basata sopra forme osservate in sezioni sottili di calcari, e non sopra esem- plari isolati. Noterò, inoltre, che nel prospetto non ho tenuto calcolo de la P. communis e de la P. gutta citate da N i c o 1 u c c i , la prima come fossile a Tropea e in Sicilia, e la seconda a Gra- vina, non sapendo bene in quali terreni esse siano state rinve- nute. Per la stessa ragione ho omesso la P. lactea e la P. gibba che i rizopodisti inglesi indicano per i depositi, ch’essi chiamano terziari, di Palermo; ed ho pure omesso la P. aequalis e la P. digitaìis, quantunque citate in uno dei primi cataloghi di Coppi per il Modenese, poiché lo stesso Coppi non ne ha fatto cenno nel suo catalogo generale del 1881. Da ultimo, non ho tenuto calcolo de la P. communis che Burrows e H o 1 1 a n d dicono rarissima nell’astiano del Monte Pellegrino, poiché non 160 C. FORNASINI capisco bene quale località gli autori abbiano voluto indicare. Nella colonna di M. Pellegrino essi comprendono anche le specie citate da Sacco per l’astiano del Piemonte. Nell’attualità, le polimorfine prediligono le acque basse, ed è così che esse abbondano specialmente a profondità minori di 150 o 180 metri. Si trovano però non di rado e con una certa frequenza anche a maggiori profondità, e la loro presenza fu ac- certata, secondo Brady , a più di 4500 metri. È molto probabile che anche durante il neogene le condizioni batimetriche favorevoli o meno al loro sviluppo fossero poco dissimili dà le attuali. Geo- graficamente, il genere Polymorphina può dirsi cosmopolita ; geo- logicamente, la sua comparsa risale al trias. Quanto a le di- morfine, la loro presenza sembra limitata al Mediterraneo, ove si rinvennero sino a profondità di circa 660 metri. La loro com- parsa risale al miocene. UVIGERINE. aculeata d’Orb. Jones e Parker 1860. Quart. Journ. Geol. Soc., v. XVI, p. 302, prosp. n. 63. — Mariani 1887. Atti Soc. It. Se. Nat., v. XXX, p. 127. — 1888. Ibidem, v. XXXI. p. 118. — Sacco 1889. Boll. Soc. Geol. It., v. Vili, p. 307 ( Uvigerinà). Jones e Parker attribuiscono a questa specie un significato molto ampio, poiché vi comprendono anche V Uvigerinà aspenda. Forma tipica è quella rappresentata da la fig. 2 di Brady (1884. Bep. Foram. Cliall. , tav. LXXY). Le fig. 1 e 3 de lo stesso autore riproducono esemplari parzialmente costati, e tale è anche quello illustrato da d’Orbigny. affinis Fornasini 1883. Boll. Soc. Geol. It., v. II, p. 180 e 189, t. II, f. 10 (Sagrino). Non è una Sagrino nel senso in cui s’adopera oggidì questo termine generico, vale a dire un 'uvigerinà biforme. È una te- stilarina (Fornasini 1896. Mem. r. Acc. Se. Bologna, s. 5a, v. VI, p. 2, t. unica, f. 10). POLIMORFINE E UV1GER1NE FOSSILI D'iTALlA 161 angularis Will. Jones e Parker 1860. Quart. Journ. Geol. Soc., y. XYI, p. 302, prosp., n. 62 ( Uvigerina ). Errore, invece di anguiosa. angolosa Will. Segoenza 1862. Atti Àcc. Gioenia Se. Nat., s. 2a, t. XVIII, p. 123. — 1880. Mem. r. Àcc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 226, 307. — Fornasini 1883. Boll. Soc. Geol. It., y. II, p. 180. — De Amicis 1895. Nat. Sicil., anno XIV, p. 112. — Fornasini 1897. Rend. r. Acc. Se. Bologna, n. s., v. I, p. 113. — A. Silvestri 1898. Meni. Acc. Nuovi Lincei, v. XV, p. 243 ( Uvigerina ). Bene distinta da le altre uvigerine per la sua compressione trifacciale (Brady 1884. Rep. Foram. Chall., p. 576, t. LXXIV, f. 15 a 18). asperula Czjzek. StOlir 1878. Boll. r. Com. Geol. It., v. IX, 1878, p. 512. — Segoenza 1880. Mem. r. Acc. Linc.ei s. 3a, v. VI, p. 146, 226, 307. — Fornasini 1883. Boll. Soc. Geol. It., v. II, p. 180. — Hantken 1884. Math. Nat. Ber. Ungarn, v. II, p. 149. — Mariani 1888. Atti Soc. It. Se. Nat., v. XXXI, p. 119. — Sacco 1889. Boll. Soc. Geol. It., v. Vili, p. 307. — Mariani 1890. Note geol. pai. dint. Girgenti, p. 9. — Terrigi 1891. Mem. r. Com. Geol. It. v. IV, p. 100, t. Ili, f. 25 ( Uvigerina ). L’ Uvigerina asperula , qual’è intesa da Czjzek, ha i mi- nuti aculei disposti in serie longitudinali più o meno distinte. La fig. 8 di Brady (1884. Rep. Foram. Chall., tav. LXXV) rappresenta la tipica U. asperula. Non può dirsi lo stesso de le fig. 6 e 7. asperula Cz. Terrigi 1883. Atti Acc. Nuovi Lincei, v. XXXV, p. 185, t. II, f. 26. — Coppi 1884. Boll. r. Com. Geol. It., v. XV, p, 199. — Terrigi 1885. Ibidem, v. XVI, p. 152 ( Uvigerina). Non è altro che V Uvigerina rugosa d’Orb. (Fornasini 1897. Rend. r. Acc. Se. Bologna, n. s., v. II, p. 11, fig. ined. di d’Orb.), la quale differisce da la varietà asperula per avere i 'minuti aculei disposti senz’ordine e non in serie longitudinali. 11 162 C. FORNASINI asperula Cz. Mariani 1899. Atti Soc. It. Se. Nat., v. XXXYIIT ( Uvigerina). Sezioni di uvigerine in calcari cretacei di Lombardia, con- frontate da l’autore con la specie di Czjzek. asperula Cz., var. ampullaeea Brady. Mariani 1888. Ibidem, v. XXXI, p. 119 ( Uvigerina ). Differisce da l’ Uvigerina asperula per non avere i minuti aculei disposti in serie, e anche per la disposizione uniseriale de le ultime due camere (Brady 1884. Bep. Corani. Oliali. r p. 579, t. LXXY, f. 10, 11). asperula Cz., var. auberiana d’Orb. Mariani 1888. Ibidem ( Uvigerina). Differisce da l’ Uvigerina rugosa per la disposizione biseriale de le ultime quattro o cinque camere (Brady 1884. Op. cit., p. 579, t. LXXY, f. 9). auberiana d’Orb. For nasini 1885. Boll. Soc. Geni. It., v. VI, p. 114. — 1889. Tav. foram. mioc. S. Rubilo, f. 25. — 1897. Rend. r. Acc. Se. Bologna, n. s., v. I, p. 19 ( Uvigerina ). Non è la varietà auberiana , poiché questa è parzialmente biseriale. È invece l’ Uvigerina rugosa. Vedasi l’osservazione a l’articolo asperula Cz. Terrigi. baccalis Schwager 1878. Boll. r. Coni. Geol. It., v. IX, p. 512, 523, t. I, f. 9 ( Uvigerina ). Possiede un’ornamentazione caratteristica, poiché in essa cia- scuna costa si biforca in corrispondenza de le suture, e ciascuno dei due rami si unisce bentosto al ramo derivato da la costa vicina, costituendosi per tal modo la costa che va ad ornare la camera seguente. beccarli F ornasi ni 1897. Rend. r. Acc. Se. Bologna, n. s., v. II, p. 12, t. I, f. 5 ( Uvigerina ). Affine a V Uvigerina sclnvageri di Brady (1884. Rep. Fo- ram. Cliall., p. 575, t. LXXIV, f. 8 a 10), ne differisce per la maggiore rotondità de la regione terminale. POLI 31 OR FIN E E UVIGERJNE FOSSILI D’iTALIA 163 bononiensis Fornasini 1888. Boll. Soc. Geol. It., v. VII, p. 48, t. Ili, f. 12. — 1898. Biv. It. Paleout., v. IV, p. 27, t. I, f. 4 a 8 ( JJvigerina ). Varietà elegantissima de F JJvigerina pygmaea, parzialmente biseriale e compressa, con tendenza ad assumere, da ultimo, la disposizione uniseriale. canariensis d'Orb. Fornasini 1886. Boll. Soc. Geol. It., v. V, p. 247. — Fornasini 1891. Tav. foram. Ponticello, f. 26. — De Amicis 1895. Nat. Sicil., anno XIV, p. 111. — - Burrows e Holland 1897. Mon. Foram. Crag, p. 4a, p. 387. — A. Silvestri 1898. Mem. Acc. Nuovi Lincei, v. XV, p. 237 ( JJvigerina ). Considero come varietà tipica quella rappresentata da le fig. 1 e 2 di Brady (1884. Bep. Foram. Chall., tav. LXXIV). canariensis d’Orb. Mariani 1888. Atti Soc. It. Se. Nat., v. XXXI, p. 117 (JJvigerina). L’autore dichiara esplicitamente che gli esemplari da lui osservati sono identici a la varietà proboscidea. canariensis d’Orb. Mariani 1893. Ann. r. Ist. Tecn. Udine, s. 2a, v. XI, p. 10 (JJvigerina ). L’autore riconosce nell’esemplare da lui osservato i caratteri de la varietà umida. canariensis d’Orb., forma distoma De Amicis 1894. Meni. Soc. Tose. Se. Nat., v. XIV, p. 29, t. II, f. 5, — 1895. Nat. Sicil., anno XIV, p. 112 (JJvigerina). Esemplare mostruoso spettante a la varietà tipica. coclilearis Karrer. Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3% v. VI, p. 146 (JJvigerina ). «Specie gracile (scrive Seguenza) e molto variabile nella lunghezza e negli altri caratteri». La figura di Karrer rap- presenta una forma allungata, con numerose camere alquanto convesse, parzialmente ornate da finissime coste. 164 C. FORNASINI columellaris Brady. Burro ws e Holland 1897. Mon. Foram. Crag, p. 4a, p. 387 (Sagrino,). Per quel che concerne la determinazione generica, vedasi quanto ho esposto nella prefazione. columellaris Brady, var. fissurina For nasini 1897. Eend. r. Acc. Se. Bologna, n. s., v. I, p. 55, figura (Sagrino). Differisce da la varietà tipica per la conformazione parti- colare de l’orificio. cylindrica d’Orbigny 1826. Ann. Se. Nat., v. VII, p. 268. — - 1852. Prodrome, v. Ili, p. 194. — 0. Silvestri 1862. Atti S Congr. Se. It., p. 82 (Clavulina). — For nasini 1897. Kiv. It. Paleont., v. Ili, fase. 4°, p. 14, fig. ined. di d’Orb. (Sagrino). Pubblicando la figura inedita di d’ 0 r b i g n y ho dimostrata l’identità de la Sagrino cylindrica d’Orb. sp. con la S. nodosa P. e J. elegaus Hantk. Hantken 1884. Matli. Nat. Ber. Ungarn, v. II, p. 149 (Dimorphina). Inseparabile, secondo Brady (1884. Rep. Foram. Chall., p. 584), da la Sagrino striata. farinosa Hantk. Hantken 1884. Ibidem, p. 129, 159 (Uvigerina). Varietà fusiforme e gracile de l’ Uvigerina canariensis. hispida Scbw. Mariani 1887. Atti Soc. It. Se. Nat., v. XXX, p. 128 (Uvigerina). Inseparabile da la varietà auberiana de l’ Uvigerina rugosa. nodosa d’Orb. Jones e Parker 1860. Quart. Journ. Geol. Soc., v. XVI, p. 302, 303, prosp., n. 64. — 0. Silvestri 1862. Atti X Congr. Se. It., p. 82. — Stohr 1876. Boll, r. Com. Geol. It., v. VII, p. 474. — Coppi 1884. Ibidem, v. XV, p. 199 (Uvigerina). D’Orbigny istituì V Uvigerina nodosa nel 1826 limitandosi a citare alcune figure di S o 1 d a n i , le quali rappresentano nè PO LI MORFINE E UV1GERINE FOSSILI D'ITALIA 165 Fig. 7. più nè meno che V U. pygmaea. Contemporaneamente egli istituì una var. S de la stessa U. nodosa, citando altre figure di Soldani che rappresentano de le uvigerine liscie. Pertanto, non sappiamo a quale forma abbiano voluto riferirsi gli autori che hanno indicata VU. nodosa fossile in Italia. Nelle « Planches inédites » tro- vasi disegnata l’ U. nodosa (— U. py- gmaea ). nodosa P. e J. Seguenza 1880. Meni. 1. Acc. Lincei, S. 3 , V. VI, p. 333 Disegno inedito di d’Orbigny ( Uvigerina ). — Corti 1894. Rend. che rappresenta T , T , _ . „ la Uvigerina nodosa del Tableau. r. Ist. Lomb., s. 2 , v. XXVII, tasc. 4°. — A. Silvestri 1898. Meni. Acc. Nuovi Lincei, v. XV, p. 244 {Sagrino). Seguenza cita un’ Uvigerina nodosa d’Orb. facendo seguire la parola Sagrino. È evidente che egli ha voluto riferirsi a la forma di Parker e Jones, da questi determinata appunto come U. (S.) nodosa d’Orb. Che cosa intendesse d’Orbigny per U. nodosa non è definito. Quel eh’ è certo si è che la S. nodosa P. e J. non è altro che la S. cylindrica d’Orb. sp. paucicosta Costa 1856. Atti Acc. Pontan., v. VII, f. 2°, p. 268, t. XXII, f. 7 {Uvigerina). Non appare altrimenti diversa da la comune Uvigerina py~ gmaea. pineiformis d’ Orb. Sismonda 1871. Mém. Ac. r. Se. Turin, s. 2a, v. XXV, p. 266. — Fuchs 1878. Sitz. k. Ak. Wiss. Wien, v. LXXVII, p. 473. — Sacco 1889. Boll. Soc. Geol. It., v. Vili, p. 306 {Uvigerina). D’Orbigny non ha mai istituita un ' Uvigerina pineiformis. Soldani denominò pinei formio certi « Polymorpha » che d’ 0 r- bigny ascrisse poi a l’ U pygmaea. Ma la nomenclatura solda- niana è puramente descrittiva, nè devesi adottare in alcun caso 166 C. FORNASINI (F or nasi ni 1900. Mem. r. Acc. Se. Bologna, s. 5a, v. Vili, p. 379, nota 6a). proboscidea Schw., var. magnopunctata M a r i a n i 1877. Rend. r. Ist. Lomb., s. 2a, v. XX, p. 477 ( Uvigerina ). Non figurata. Differirebbe da V Uvigerina proboscidea Scllv. (che è appena una varietà de V U. canari ensis ) per avere su- perfìcie rugosa e collo corto e grosso. pygmaea d’Orbigny 1826. Ann. Se. Nat., v. VII, p. 269, t. XII, f. 8, 9. — - 1846. Foram. Vienne, p. 190. - — 1852. Prodrome, v. Ili, p. 194. — Jones e Parker 1860. Quart. Journ. Geol. Soc., v. XVI, p. 302,prosp., n. 61. — 0. Silve- stri 1862. Atti X Congr. Se. It., p. 82. — Sequenza 1871. Mem. r. Com. Geol. It., v. 1,1871, p. 79. — Hantken 1876. Sitz. k. Ak. Wiss. Wien, v. LXXIII, p. 73. — C r e s p e 1 1 a n i 1875. Ann. Soc. Nat. Modena, s. 2a, v. IX, p. 34. — Stohr 1876. Boll. r. Com. Geol. It., v. VII, p. 467, 473. — 1878. Ibidem, v. IX, p. 512. — Schwager 1877. Ibidem, v. Vili, p. 25, f. 34. — Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 64, 146, 226, 307, 333. — Cafici 1883. Ibidem, v. XIV, p. 84. — Terrigi 1880. Atti Acc. Nuovi Lincei, v. XXXIII, p. 158, 159, 184, t. I, f. 14, 15 ; 1883. Ibidem, v. XXXV, p. 184, t. II, f. 25. — Coppi 1881. Paleont. Mo- denese, p. 130. — Terrigi 1881. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. X, p. 391. — F or nasini 1883. Boll. Soc. Geol. It., v. II, p. 180. — Hantken 1884. Matli. Nat. Ber. Ungarn, v. Il, p. 129, 148. — Coppi 1884. Boll. r. Com. Geol. It., v. XV, 1884, p. 198. — Terrigi 1885. Ibidem, v. XVI, p. 152. — For nasini 1886. Boll. Soc. Geol. It., v. V, p. 247, 353. — Ma lago li 1888. Ibidem, p. 387. — 1886. Rend. Soc. Nat. Modena, s. 3a, v. II, p. 126. — Mariani 1887. Atti Soc. It. Se. Nat., v. XXX, p. 127. — 1888. Ibidem, v. XXXI, p. 118. — Di Stefano 1889. Boll. r. Com. Geol. It., v. XX, p. 93. — - Ma lago li 1889. Mem. Soc. Nat. Modena, s. 3a; v. Vili, p. 180. — Mariani 1890. Note geol. pai. dint. Gir- genti, p. 9. — Terrigi 1891. Mem. r. Com. Geol. It., v. IV, p. 100, 112, 114, t. Ili, f. 24. — Malagoli 1892. Boll. POLI MORFINE E UVlGERINE FOSSILI D ITALIA 167 Soc. Geol. It., v. XI, p. 97. — De Arnieis 1893. Ibidem, v. XII, p. 433. — Mariani 1893. Ann. r. Ist. Tecn. Udine, s. 2a, v. XI, p. 10. - — Fornasini 1894. Foram. coll. Sold., p. 18, 32. — Corti 1894. Kend.r. Ist. Lomb., s. 2a, v. XXVII, fase. 17°. — 1896. Ibidem, v. XXIX. — Dervieux 1895. Boll. Soc. Geol. It., v. XIY, p. 307. — De Amicis 1895. Xat. SieiL. anno XIY. p. 112. — Cerulli 1896. Kiv. Abruz- zese Se. Lett. Arti. — Burrows e Holland 1897. Mon. Foram. Crag, p. 4a, p. 387. — Fornasini 1897. Rend. r. Acc. Se. Bologna, n. s., v. I, p. 113. — - 1898. Mem. c. s., s. 5a, y. YII, p. 208. — A. Silvestri 1898. Mem. Acc. Xuovi Lincei, v. XY, p. 239, t. IV, f. 5. — 1899. Rend. r. Acc. Lincei, s. 5a, y. AGII, p. 594 ( Uvigerina ). Variabile nel numero de le coste e nelle dimensioni. pygmaea d’Orb., var. asperula A. Silvestri 1899. Rend. r. Acc. Lincei, s. 5a, y. AGII, p. 594 ( Uvigerina ). Xon ancora figurata, nè descritta. raphanus P. e J., A. Silvestri 1893 (1894). Atti Acc. Zelanti Acireale, v. Y, p. 15, t. II, f. 18 a 20 (Sagrino). Non riesco a distinguere nelle figure di Silvestri i caratteri de la specie di Parker e Jones, nè quelli del genere Sagrino. regina B. P. J., A. Silvestri 1893 (1894). Ibidem, p. 14, t. Y, f. 70 a 72 ( Po lymor pinna) . Non è altro che V Uvigerina pygmaea. rosae Costa 1856. Atti Acc. Pontan., v.YIl,f.2°, p. 267, t.XYIII, f. 7 ( Uvigerina ). Nella spiegazione de le tavole costiane la stessa figura è determinata come Cucurbitina cruciata. È una Bulimina (B r a d y 1884. Re]). Foram. Cliall., p. 405). rugosa d’Orbigny 1826. Ann. Se. Nat., v. AGI, p. 269. — 1852. Prodrome, v. Ili, p. 194. — Fornasini 1897. Rend. r. Acc. Se. Bologna, n. s., v. II, p. 11, t. I, f. 4 ( Uvigerina ). Vedasi l’osservazione a l’articolo asperula Cz. Terrigi. 168 C. FORNASINI semiornata d:Orb. Stohr 1878. Boll. r. Coni. Geol. It., v. IX. p. 512. — Fuclis 1878. Sitz. k. Ak. Wiss. Wien, y. LXXVII, p. 473. — Cufici 1883. Meni. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. XIV, p. 84. — - Coppi 1884. Boll. r. Coni. Geol. It., v. XV, p. 199. — Ma lago li 1886. Bend. Soc. Nat. Modena, s. 3a, v. Il p. 126. — Mariani 1887. Atti Soc. It. Se. Nat., v. XXX, p. 128. — Sacco 1889. Boll. Soc. Geol. It., v. Vili, p. 306 ( U viger ina). Associata da Brady a YUvigerina pygmaea (1884. Rep. Foram. Cliall., p. 575). Differisce da forma tipica di essa per avere le coste ottuse e poco distinte G £sl \?rqosi s • © • 1 'Biipig 04 © © + © -3 1 BTjq'BX^O 5 - ; ! •«-. ; •- ; - ; oauuj^OiP s : : : : : : : : : : : : : : i : : : ; : : : H izznjqy 3 + : 2: H 0 OlZV'J O ; - : © © • © . vweosojj 2 - + + 03. + © • © . - + : 0 esauSoxoa; 2 - : + © ! © © • © . •- - : 11 9S9U9pOJ\[ © © . • • Ph om^n9om« : + 1 + : + : + ■“ ••• . . . { eaSepang - © * ; ; j JL.l 0 fri «m°is o : •- ; é» © r-l 2 'BijqBpeQ CI © . © . © © C>3. © 9 0 0 0S3nSo|Oa; oc © © © . 9S9H9pOJ£ I- ; - *- + W § OTXj[^n9D'BT W o w Ph m o +P 02 §■£ s i5 o s ® s § i-t rO.| ? © g g Ifife s ! . N © O - © ; e « I ^ S § Pp o rO O fl ^ o © :g £ § © © si © rf> 6 © PC © ©v: ir Stó .«o Pp 6 ' © © © r ■ "3 r © © £ Jo .CC 13 Pj § © PC I ci : > '©J Cw ^ © © © 2 PC © OC d5 >> g ; Pp 6 JS "© 5 auxpjo (p pj9innjsi H(^CO^iOCDC^C0050H(MCO^iOCni>CO i «i i 4 i I i I i < i i Gì O t-H 05 172 C. FORN ASINI Le specie e le varietà indicate nelle colonne 1 e 2 del pre- cedente prospetto furono raccolte negli strati a Clavalina Szabói de la contea di Nizza Marittima e del Veneto rispettivamente, e la loro determinazione è dovuta a Hantken. Quelle indi- cate nelle colonne 3, 5, 7, 9, 10 e 11 provengono dagli strati miocenici de le stesse località di cui ho fatto menzione a pro- posito de le colonne 1 a 6 del prospetto de le polimorfine, con raggiunta, nella col. 10, di un paio di forme trovate da Cafici nel tortoniano di Licodia Eubea. L’unica specie de la colonna 4 fu citata da Corti per il miocene dei dintorni di Como, e l’u- nica varietà de la col. 6 fu da me citata per gli strati di Vi- goleno. Colonna 8: due forme che ho rinvenute nel tortoniano di San Rufillo presso Bologna; col. 12: una forma (TJ_. pygmaea) citata da Hantken, e l’altra da Brady per il miocene di Malta. Per le specie indicate nelle colonne 13 a 24 valgono a un dipresso le osservazioni fatte a proposito de le col. 7 a 17 del prospetto de le polimorfine: solo per la col. 18 va notato che la var. beccarli fu da me rinvenuta nelle « sabbie gialle » del Bolognese, e per la col. 21, che l’unica specie devesi a le ricerche di Cernili sul pliocene del Teramano. Colonna 25: unica specie citata da Costa per la marna, che suppongo pleistocenica, di Casamicciola ; col. 26: due specie citate da Segue n za per l’argilla pleistocenica di Catania. La presenza de le uvigerine in Italia in terreni più antichi degli oligocenici è, secondo Mari a n i, accertata. Essa è però limitata sinora a calcari cretacei di Lombardia, nei quali si osservano sezioni di forme che ricorderebbero il tipo rugosa. Geograficamente, le uvigerine, al pari de le polimorfine, pos- sono dirsi cosmopolite ; batimetricamente, s’incontrano ad ogni profondità, da la spiaggia sino a 4700 metri e più; geologica- mente, la loro comparsa risale al cretaceo (Mariani). Le sa- grine invece prediligono acque non molto profonde (meno di 370 metri); ma la loro comparsa risale pure al cretaceo (Chapman). DI ALCUNI CONOCLIPEIDI. Nota elei socio dott. Carlo Airaghi (con una tavola). Allo scopo di far conoscere qualche echinide interessante e nuovo per la scienza, lio pensato di pubblicare la presente nota. Essa comprende la descrizione di tre esemplari: due appar- tenenti al genere Heteroclypus e uno al genere Conoclypus. V He- teroclypus Nevianii e il Conoclypus Pignatarii vennero trovati nel miocene medio di Yena presso Monteleone Calabro dal Prof. Pignatari, V Heteroclypus elegans, pure nel miocene, a Porto Torres in Sardegna, dal Comm. Yigoni. Quelli si conservano nel Gabinetto di Storia Naturale del E. Liceo Visconti di Roma, questo nelle Collezioni del Museo civico di Milano, e gli uni mi vennero comunicati in istudio dal Prof. Neviani, insegnante Scienze Naturali nel R. Liceo E. Q. Visconti di Roma, l’altro dal Prof. Mariani, direttore della Sezione di geologia al Museo civico di Milano. A questi chiarissimi Professori pertanto, che vollero essere cosi cortesi di affidarmi lo studio di questi fossili, la mia più sincera riconoscenza. E ora credo necessario fare le seguenti osservazioni : I.a Nel mare in cui si formarono i depositi miocenici della Calabria vissero pure, accanto ai Cidaridi, Clipeastridi, Spa- tangidì, ecc. ecc., i Conoclipeidi ; fatto questo sin’ ora non an- cora noto, come risulta dai molti lavori che illustrano tale re- gione o. (') Tra i più importanti lavori che illustrano la Calabria vedi : G. Seguenza, Le formaz. terz. nella prov. di Reggio, (Atti R. Acc. Line.), Roma, 1879; C. De Stefani, Escur. scient. nella Calabria, (Atti R. Acc. Line.), Roma, 1883. Tra i più recenti vedi : A. Neviani, Le forni, terz. 174 C. AIIIAGHI II. a Questi Conoclipeidi sono di grandi dimensioni, e l’uno, ]' Heteroclypus Nevianii, si avvicina all’ Heterocl. subpentagonalis (Lbe). Greg., trovato nell’elveziano di Malta, e a Grosshoilein, l’altro, il Conoclypus Pignatarii , è affine invece al Conoclypus conoideus, Agas., dell’eocene. III. a Mentre il genere Conoclypus sembra aver avuto il suo massimo sviluppo durante l’eocene, il genere Heteroclypus sem- bra averlo avuto durante il miocene. Di quel genere infatti molte sono le specie trovate nei de- positi eocenici, pochi in quelli miocenici (‘), di questo invece sin’ora si conoscono solamente cinque specie (2) e sono tutte quante del miocene. Beco pertanto l’elenco di esse coll’indica- zione della località in cui vennero trovate, almeno per quanto ri- guarda all’Italia : Heteroclypus semiglobus (Lam.) Cott. — Cagliari - miocene. » subpentagonalis (Lb.), Greg. — Malta - elveziano. » hemisphaericus, Greg. — - Malta - elveziano. » elegans, n. f. — Porto Torres - miocene. » Nevianii, n. f. — Vena (Calabria) - miocene medio. Conoclypus Pignatarii, n. f. (Tav. I, tig. 1, 2). ( lunghezza . . . mm. 128 Dimensioni j larghezza .... » 122 ( altezza » 72 È una forma di grandi dimensioni, subcircolare, un po’ più larga in corrispondenza degli ambulacri pari posteriori che non del Messinese (Atti Soc. geol. ital.), Roma 1888; G. De Stefano: Gli strati a Pinne di Morrocu di Peggio C. (Atti Soc. geol. ital.), Roma 1899; C. Airaghi : Echinidi post-pliocenici di Monteleone C. (Atti Soc. Ital. di St. Nat.), Milano 1900. 0) Vedi in proposito i lavori del Cotteau e specialmente: Pai. Frane, eoe. echin., Parigi 1871 e del de Loriol, Echin. tert. de la Suisse (Soc. de phys. et Hist. nat.), Genève 1875. (2) Cotteau : Descript, des echin. daus le mioc. de la Sardaigne , (Mém. Soc. géol. f rany., 1895), pag. 30. DI ALCUNI CONOCLIPEIDI 175 nella parte anteriore. Faccia superiore alta, conica ; faccia infe- riore piana. Sommità ambulacrale subcentrale, leggermente spo- stata allevanti. Aree ambulacrali petaloidee, diritte, lunghe, molto aperte alla loro estremità libera. Zone porifere strette, composte da pori piccoli e leggermente disuguali ; gli interni rotondi, gli esterni appena oblunghi, uniti gli uni cogli altri da piccoli solchi trasversali. Tubercoli piccoli, scrobiculati, omogenei. Pe- ristoma subcentrale, stelliforme, coperto in parte dalle protube- ranze interambulacrali. Periprocto inframarginale, ellittico secondo il diametro antere posteriore. Apparecchio apicale mal conservato. Questa forma presenta molta affinità col Conoclypus conoi- deus (Les), Agas, proprio dell’eoeene, ma da esso si distingue per la sua faccia inferiore più larga in corrispondenza agli am- bulacri posteriori e non a quelli anteriori, e per la conforma- zione degli ambulacri, fomiti di zone porose molto strette e di pori piccoli e poco disuguali tra loro. Confrontai il mio esemplare coi molti che si conservano nel Museo civico di Milano e che vennero riferiti al Conoclypus comi deus o alle sue varietà (Q {Con. costellatus, coniescentricus, Bordae, Leymeriei) e mi persuasi eh’ esso è contradistinto da caratteri tali da doverlo considerare una forma diversa. La var. Leymeriei si distingue tra le altre per le sue aree interporifere relativamente strette, e in ciò si avvicinerebbe di molto al mio Conoclypus, il quale però si distinguerà poi sem- pre da tale varietà del Conoclypus conoideus e per la confor- mazione dei pori, molto più piccoli e meno disuguali, e per la conformazione della faccia inferiore meno marcatamente penta- gonale, meno rostrata nella parte posteriore, più rotondeggiante. Miocene medio: Vena presso Molteleone Calabro (Coll. R. Liceo Visconti di Roma). (') Cottean, Pai. frane;, ter. tert. eoe. échin., pag. 200, pi. cclii, colui, CCLIV, CCLV, CCLVI. 176 C. A TRAGHI Heteroclypus elegans, n. f. (Tav. I, fig. 3, 4). ^ lunghezza . . . mm. 127 Dimensioni ) larghezza .... » 123 [ altezza » 67 È una forma di grandi dimensioni, subcircolare, leggermente allungata. La faccia superiore alta, conica, dilatata in vicinanza al margine, cosicché rechino assume in certo qual modo la forma di una campana, quella inferiore molto concava. Sommità ambulacrale centrale. Aree ambulacrali petaloidee, diritte, lunghe. Zone porifere eguali tra loro, strette, composte da pori diffe- renti, gli interni piccoli e rotondi, gli esterni più grandi e al- lungati, uniti tra loro da un piccolo solco. Attorno al peristoma le due depressioni ambulacrali si uniscono e formano, all’esterno di ciascun’ area, cinque solchi diritti e profondi, alternati alle protuberanze interambulacrali. Tubercoli scrobicolati, piccoli, omo- genei. Peristoma centrale, stelliforme. Periprocto molto vicino al margine, ellittico, trasversale secondo il diametro antero poste- riore. Apparecchio apicale mal conservato. Questa forma si distingue assai facilmente dall’ Heteroclypus Jiemisphaericus, Greg. (Q per le sue maggiori dimensioni, e per l’andamento meno regolare della faccia superiore, che si pre- senta molto dilatata nei margini, campaniforme e non foggiata ad emisfero. Pure facilmente si distingue dall’ Heteroclypus sub- pentagonalis (Lbe), Greg. (2) per la forma circolare e non sub- pentagonale; maggiore affinità presenta invece coll’ Heteroclypus semiglobus (Lam), Cott. (3) : le dimensioni dell’uno e dell’altra (*) (*) The Malt. fos. Echin. (Trans, of thè R. Soc. of Edimburgh, 1892), pag. 598, tav. I, fig. 11 a, c. (2) Laube, 1871. Die Echinod. der Oester. Ung. oheren tert., pag. 67, tav. XIX, fig. 3. (3) Grateloup; Meni. Geo. Zoo. sur les oursins fossiles (Att. Soc. Lin. Bordeaux, 1836) p. 155, tav. I, fig. 7 ; Cotteau, Descript, des echin. dans le mioc. de la Sardaigne (1. c.), pag. 30. DI ALCUNI CONOCLlPEfDI 177 sono press’a poco eguali, e eguale è pure la conformazione degli ambulacri, diverse invece sono e la faccia superiore e la faccia inferiore. La faccia superiore nell' Heter. semiglobus è, come dice il nome specifico, subglobosa, quella inferiore piana: nzW Heter. elegans quella superiore è formata a campana, quella inferiore non piana, ma marcatamente concava. Miocene: Porto Torres in Sardegna (Coll. Museo civico di Milano). Heteroclypus deviami, n. f. (Tav. I, fig. 5, 6). ( lunghezza . . . mm. ? Dimensioni , larghezza .... » 149 [ altezza » 64 E una forma di grandi dimensioni, oblunga, arrotondata al- levanti, un po’ ristretta nella parte posteriore. La faccia supe- riore alta, subconica; la faccia inferiore piana. Sommità am- bulacrale pressoché centrale. Aree ambulacrali lunghe, larghe, diritte, aperte. Zone porifere di mediocre larghezza in relazione alle dimensioni dell’esemplare, formate da pori ineguali, rotondi e piccoli gli interni, allungati e piu grandi gli esterni, uniti, a paia, gli uni cogli altri da un piccolo solco. Peristoma grande, un po’ spostato all’avanti, stelliforme, subpentagonale. Periprocto molto vicino al margine, grande, ellittico, trasversale riguardo al diametro antero posteriore. Apparecchio apicale mal conser- vato. Tubercoli piccoli, scrobicolati, uniformi. Questa forma si distingue assai facilmente da tutti gli altri Heter ocly pus finora noti. La sua faccia superiore, non rotonda, nè emisferica, la distinguono subito da IV Heteroclypm semiglo- bus, (Lam.), Cott. ('), MW Heter. hemispìiaericus Greg. (2), e dall 'Heter. elegans, Air. ; maggior affinità presenta invece col- (') Vedi Grateloup, 1. c. (2) Vedi Gregory, 1. c. 12 178 C. AIRAGHI V Heteroclypus subpentagonalis, (Lbe), Greg'Q ma anche da questa forma si distingue eoli facilità per il suo contorno quasi rotondo e non subpentagonale, carattere di prima importanza per la specie descritta dal Laube e dal Gregory. Miocene medio: Vena presso Monteleone Calabro (Coll. R. Liceo Visconti di Roma). Milano (Museo civico), marzo 1900. Spiegazione della Tavola. Tutta la tavola è una metà circa della grandezza naturale. 1. 2. Conoclypm, Pignatarii, n. f. 3. 4. Heteroclypus elegans, n. f. 5. 6. » Nevianii, n. f. (’) Vedi Laube, 1. c. ; Gregory, 1. c. DI DNA FORMAZIONE STAGNALE PRESSO LA BASILICA OSTIENSE DI ROMA E DEGLI AVANZI FOSSILI VERTEBRATI IN ESSA RINVENUTI. Studio del dott. Alessandro Portis (con 2 figure) Il grande collettore romano di sinistra, dopo esser uscito dal Recinto Aureliano per la Porta Ostiense, si va ora costruendo nel suo ulteriore sviluppo lungo la via Ostiense ; e, nel primo semestre del 1899, l’opera, lasciatosi addietro l’edifìzio a saracinesche per il soprapassaggio al fosso Almone, si trovava completamente in assetto fino a pochi decametri di distanza dalla basilica di San Paolo. Erano in costruzione alcuni tronchi, il primo dei quali doveva sopprimere l’interruzione in corrispondenza alla ba- silica ostiense, portando ad imboccare il collettore, fin qui ulti- mato, con altro tratto già in assetto esso pure, nel territorio pia- neggiante, che si estende fino all’ osteria del Ponticello (e che troviamo costituito superficialmente di depositi recentissimi ap- portati dalla Marrana di Grottaperfetta); mentre altri tronchi, o per mezzo di avanzamenti in galleria, o di profonde trincee, dovevano portare il collettore, già protratto al di là del terzo chilometro, ben oltre la vigna Venerati, fino ed al di là del nuovo ponte sul Tevere alla Magliana. Il primo tronco, di cui è cenno, doveva superare in corri- spondenza del secondo chilometro della Via Ostiense (dalla porta omonima), la stretta che esiste fra l’alto scoglio di tufo strati- ficato, detto di Monte San Paolo, e la basilica dello stesso nome ; nella qual stretta passa, come è noto, a disagio la via ostiense, costretta a girare attorno al campanile della basilica. Le carte topografiche moderne assegnano, come ognuno può verificare, alla strada in questo punto un’altezza sul livello del 180 A. PORTIS mare di metri 14 circa; mentre assegnano quella di 42 al punto più elevato del sovrastante Monte San Paolo, il di cui piede orien- tale dovette venir inciso per notevole altezza e profondità nel- l’atto di aprire la profonda trincea in cui veniva ad allogarsi il collettore, il di cui fondo doveva raggiungere l’altezza di metri 3,90 sullo zero di Pipetta, o 4,87 sul livello del mare. Approfittando della parte già naturalmente scoperta ed emer- gente dal localmente basso suolo verso il Tevere, e della faccia messa in vista dal taglio; si ebbe così agio di vedere per 37-38 metri di altezza verticale, ad un tratto, una sezione eli e poteva riescire interessantissima, in corrispondenza del monte nominato, e die invece risultò tanto più interessante a pochi metri di ulte- riore distanza da Poma. In fatti, in corrispondenza del monte, la sezione mise in evidenza che la parte profonda or messa in vista di esso, constava degli stessi materiali dei quali era costi- tuita la porzione anteriormente scoperta ; vale a dire di strati diversamente potenti di tufo giallo-paglia a grosse e frequenti scorie nere ; strati concordantemente l’un l’altro sovrapposti fino al vertice del monte, vicinissimi alla orizzontale od al più in- clinati di pochi gradi in direzione nord. Il tufo in profondità si rinvenne, non solo in corrispondenza della base della piramide di Monte San Paolo, ma eziandio con- siderevolmente protratto nel taglio esteso verso sud per un cen- tinaio circa di metri, non affiorante tanto estesamente alla su- perfìcie per causa di alcuni fatti posteriori che ben presto ve- dremo. Giova aggiungere che gli strati, onde si compone il Monte San Paolo, sono in modo relativo facilmente discernibili e nu- merabili, per la diversa mole degli elementi che ogni singolo strato costituiscono ; e per la conseguente diversa presa offerta all’erosione, da strati diversi costituiti con materiali di identica natura chimica e mineralogica per tutti, ma diversamente gros- solani e conseguentemente in mutua diversa relazione di con- tatto e di intreccio per ciascuno dei banchi o strati onde l’ele- vazione è costituita. Nelle faccie verticali messe di fresco in vista dalle trincee, l’aiuto della erosione e della alterazione chi- mica meteorica, venendo a mancare, riesciva più difficile il di- stinguere un numero cospicuo di straterelli e strati sovrapposti; DI UN a FORMAZIONE STAGNALE PRESSO ROMA 181 e questa distinzione veniva ancor limitata dal fatto reale del crescere della uniformità di materiale per considerevoli tratti verticali, o sezioni verticali, di maggiori banchi tufacei : i quali, oltre all’essere realmente più potenti, si dimostravano eziandio più potenti, di materiale più uniforme, più uniformemente cemen- tato, compatto e coerente ; cosicché non mancarono strati di ma- teriale, a parte il colore, meritante il nome di tufo litoide. Il colore del tufo di Monte San Paolo andò, in linea gene- rale, vieppiù oscurandosi man mano che si interessavano, colla trincea, strati sempre più profondi ed antichi. Da quello più in alto definito di giallo-paglia a diversamente grandi scorie nere, si passava talor ad un rossiccio, più frequentemente a bruniccio, e poi generalmente a grigio molto oscuro, quasi tanto quanto nel peperino poco coerente. La particolar tinta predominante, ad una data altezza, poteva anche subir localmente ampie in- terruzioni fiammiformi, per opera di una o più delle altre grada- zioni di tinta ricordate; interruzioni o fiamme queste, che per es- sere in linea generale contornate o frammezzate da soluzioni di continuità del materiale, facilmente potevano venir spiegate con processi di ossidazione e di idratazione esercitati dalle acque difficoltosamente circolanti nel materiale stesso. Non solo variava il colore e la compagine dei diversi strati di tufo, ma era pure quantitativamente e qualitativamente di- verso il contenuto accessorio, o meglio accidentale loro. Così, mentre gli strati più alti e superficiali contengono pochissime ghiaie silicee e calcari, e queste non sempre completamente ar- rotondate e ciottoliformi, gli strati più profondi grigiastri pos- sono contenerne impastate, per entro tutta la potenza dello strato, una quantità ragguardevolissima; e sono allora principalissima- mente ciottoli di piccole dimensioni, completamente foggiati, ap- piattiti, a contorno ellittico; e quel che più monta, talor striati fortemente in una sola direzione principale, come se fossero stati soffregati sotto forte pressione contro spigoli duri e sottili ; spi- goli questi offerti da molti fra i materiali vulcanici che com- pongono i tufi stessi. Non volendo parlare di secrezioni stratiformi o filoniformi calcaree posteriori, e nemmanco di cementazioni parziali, egual- mente calcaree, che ho riscontrato; passerò piuttosto alle incili- 182 A. PORTI, S sioni di organismi, o parti di organismi, che si rinvengono nella massa del tufo. Ma prima è bene di ricordare come, malgrado la trincea dietro la basilica ostiense sia stata affondata per un tratto con- siderevole al disotto dei 4 metri sul livello del mare, in ninn ]>unto si riuscì a scorgere sicuramente che cosa soggiacesse al tufo grigiastro a ciottoletti. A parecchie riprese piccole vene acquee, o sorgentuzze tron- cate dalla trincea, e sgorganti apparentemente dal piano di fondo, portarono su di esso quantità relativamente considerevoli di una fine sabbia quarzoso argillosa gialla, comparabile per tinta ed altre qualità al comune tipo delle sabbie gialle subap- pennine. Però questi depositi, ripetutamente esaminati colla lente o col microscopio a deboli ingrandimenti, non lasciarono scoprire avanzi di organismi marini, nè minuti ed intieri, nè maggiori ed in frammenti. Per contro mostrarono, con relativa frequenza, minuti cristalli interi e frantumati di augite, e minute scaglie o laminette tanto di miche chiare quanto di miche oscure. Trat- tate con acido diluito, queste sabbie diedero solo lieve e fugace effervescenza. Per conseguenza non si può assicurare che i tufi riposino qui sovra le sabbie gialle, nel senso cronologico della espressione; si può però arguire che essi siano caduti a depositarsi sovra una spiaggia sottile marina, assai ricca in sabbia e ghiaia, dalla natura, mole e forma dei ciottoletti abbastanza uniformemente e copiosamente distribuiti per entro i più profondi strati a colo- razione peperinoide; dalla striatura sulla faccia inferiore di pa- recchi di questi ciottoletti, dovuta allo scorrimento forzato su grani duri e non molto voluminosi, cagionato dalla inegual di- stribuzione e pressione del materiale tufaceo rapidamente accu- mulantesi, ed infine da una valva di Pectunculus, all’atto della scoperta perfèttamente conservata ed intatta, completamente ve- stita ed improntata su quel tufo. Prezioso ed unico fossile questo che fu alquanto danneggiato all’atto della estrazione del cam- pione di tufo che lo comprendeva, ma che ciononostante ora fa parte delle collezioni del nostro Istituto Geologico Universitario, assieme alla restante raccolta illustrativa della località. DI DNA FORMAZIONE STAGNALE PRESSO ROMA 183 Piu in alto gii strati tufacei, mantenendosi, come accennai, in generale concordanti agii strati inferiori, mutano di tinta ; e sovrattutto variano nei gradi di coesione e mole, per rispetto ai materiali vulcanici che li compongono; ma variano eziandio per gii avanzi organici che contengono. Qui son scarsi, per non dir quasi nulli, i tronchi o rami legnosi; sono pure scar- sissime le conchiglie di Unionidi e di Pulmonati, che poco più lontano da Poma incontreremo con relativa abbondanza e buono stato di conservazione. Son più frequenti invece gli avanzi di grandi Mammiferi terrestri. Così dalla condizione di pochi frammenti di grandi ossa, salvati dalla Impresa di sotto al piccone dei lavoratori, potei concludere alla presenza di un intiero scheletro di Elephas antiquus non troppo vecchio, come munito del suo quarto mo- lare in piena funzione. Con altri avanzi potei pure constatare la presenza di porzione del cranio di un Bhinoceros Merchi, di cui più non rimangono che pochi molari superiori. Poche e più mal andate ossa, attestano la presenza di Bovidi e di Cervidi. Ma percorrendo da nord a sud le due pareti messe in evi- denza dalla profonda ferita praticata nel terreno, appena oltre- passato il campanile di San Paolo, l’interesse grandissimo vien attratto, dalle assise più profonde scoperte del tufo, a formazioni sempre più giovani e sempre più elevate, fino a depositi che son di ben altra origine, natura e contenuto fossilifero. Sulla parete sinistra od orientale vedesi chiaramente che motivo della marcata profonda interruzione od individualizza- zione, a sud, del monte San Paolo, è una ben definita rapida in- cisione, od erosione operata a spese dei sovrapposti strati tufacei; una incisione che rapidamente foggiò, nell’altipiano ottenuto coi successivi strati tufacei, una conca a fondo regolare, di cui la sezione in vista ci mostra la figura arcata con circa cento metri di corda e una diecina di metri di saetta. Il fondo tufaceo di questa conca si mostra, in qualsiasi strato lo si consideri, o più basso e vicino all’imo del fondo, o più elevato e prossimo ai margini superiori, profondamente alterato in senso chimico ; con artossamento decrescente dalla superficie di incisione allo esterno di essa, cioè verso la roccia intatta; con una estinzione totale apparentemente della alterazione, in media circa ad un metro 184 A. P0RT1S di distanza dalla stessa superficie di incisione o fondo della conca. Qualche profonda lacerazione delle masse tufacee, par- tentesi da questa conca, potè in alcuni punti propagare più lon- tano, limitatamente a ristrette zone, seguenti l’andamento della fessura, le stesse alterazioni ed arrossamenti riscontrati in modo continuo sul materiale tufaceo che direttamente limita la conca. In questa rinvenni depositata, modellantesi regolarmente e concordantemente alla forma una volta ottenuta, e successiva- mente a nuove formazioni, successivamente modificata, una serie numerosa di sottili depositi stratiformi di materiali e nature fra loro diversi, che raggruppai in un minor numero di alquanto maggiori complessi, presentanti ciascuno maggiori analogie fra gli strati che lo costituiscono, e che ho numerati dal basso in alto, secondo la successiva giovanezza loro. Questa serie di depositi, chiusi o meglio sovrapposti ai tufi, previa parziale e rapida esportazione dei medesimi, dimostra, coi materiali che la costituiscono nei suoi più bassi strati e coi fossili che in essi contiene, di aver cominciato quasi subito dopo o contemporaneamente alla deposizione dei materiali che le servirono di recipiente o base e di essersi svolta ed ultimata in modo anch’ essa relativamente rapido; ma ciò risulterà meglio colla enunciazione dei singoli numeri in cui venne divisa, e colle considerazioni e fatti esposti in seguito a detta enuncia- zione. I membri della formazione, numerati in posto, con preleva- zione immediata di grossi campioni materialmente documentanti ed illustranti, risultarono in numero di tredici; dei quali, (vedi la figura la a pagina 188 (')) i tre più profondi, dal — 1 al 1, spettanti piuttosto al vaso che comprende o regge la serie di depositi per noi, al momento, in questione, quindi ad essa rela- tivamente estranei; l’ ultimo, cioè il N.° 11, ad essa assoluta- mente estraneo perchè contemplante accumulazioni e rimaneg- giamenti per opera evidentemente molto posteriore e per mano dell’uomo. Quindi abbiamo: (') Questa figura è assolutamente schematica; perciò non ebbi ri- guardo in essa a limitar esageratamente la lunghezza della sezione pur mantenendone in evidenza la potenza relativa. DI UNA FORMAZIONE STAGNALE PRESSO ROMA 185 Sommità locale della sezione a m. 14,28 sul mare, ed al- quanto più elevata del piano locale della via Ostiense. jST.° 11. — Fondazioni, rimaneggiamenti, incisioni nette, accu- mulazioni a sacco, seppellimenti in tomba, scarichi e altri rot- tami e ruderi di antiche costruzioni, interessanti le sottostanti regolari deposizioni per una potenza variabile, entro un massimo di circa un metro, ed un minimo di pochissimi centimetri; co- sicché il N.° 10 può in alcuni punti venir ad incontrare la su- perficie locale attuale del suolo. 1ST.° 10. — Argilla turchiniccia, a numerosissimi sottili strati (da 1 a 6 ed 8 centimetri di potenza per ciascuno di essi) concordanti, ricchi di conchiglie di molluschi pulmonati palustri. I bordi degli strati sono consumati e scemati per l'erosione e l'esportazione posteriore: la potenza dello intiero complesso, presa sulla saetta dell’ intiera calotta, è di circa tre metri. N.° 9. — Strato lentiforme, argilloso-torboso (bruno se fre- sco), con sparse ossa fossili di uccelli, con numerose piccole con- chiglie di pulmonati palustri. Potenza media riportata sulla saetta: metri 0,40. Anche questo strato maggiore si suddivide e sfoglia in un numero considerevole di sottilissimi minori strati fra loro paralleli. Parecchi di questi posson localmente venir a mancare od, assottigliandosi, confondersi mutuamente così da di- minuir od accrescer notevolmente i termini fra i quali oscilla la potenza media assegnata al complesso. N.° 8. — Tripoli bianchiccio, leggerissimo, sfogliabile in un numero considerevole di sottili strati fra loro paralleli e mu- tuamente in modo intimo sovrapponentisi ; cosicché, per assot- tigliamento localizzato di essi, ne risulta allo intiero complesso un andamento stratiforme irregolare come suddiviso, nelle sue estensioni, in un certo numero di formazioni lenticolari unite per i margini più o meno protratti. La potenza media del com- plesso é ancora di metri 0,40; contiene una quantità conside- revolissima di avanzi organici (oltre le diatomee che in propor- zione notevolissima ne costituiscono la massa). Fra questi : avanzi riconoscibili di fusti di Equisetum sp., poche conchiglie di pul- monati palustri (relativamente) ; moltissimi (il massimo di) ossami di Chelonii palustri; abbondantissime (il massimo di) ossa di uccelli di media e di grande mole ; pochi ossami di piccoli mammiferi. 186 A. EORTIS N.° 7. — Complesso concordante di straterelli di argilla gial- liccia, simile a quella del N.° o, con molluschi palustri ; nume- rose ossa di rettili, uccelli e mammiferi. Potenza del complesso: metri 0,60. N.° 6. — Argilla marnosa turchiniccia, povera di fossili (con- chiglie palustri, pochi e piccoli ossami) ; complesso stratiforme articolabile in formazioni lenticolari più o meno comunicanti mutuamente pei margini assottigliati; potenza media: metri 0,10. N.° 5. — Tufo argilloide bianco-gialliccio. — - Argillificazione più completa del tufo nello stagno. — Argilla più decisa, mar- nosa. Il complesso assai regolare, nella sua potenza di metri due, costituito da strati di potenza, per ciascuno, assai oscillante da luogo a luogo di osservazione, in media da 10 a 20 e più centimetri. Il complesso interrotto a diverse riprese, parallela- niente al piano di deposizione da intercalazioni tripolacee (si- mili al N.° 8) straterelli da 1-2 a più centimetri di potenza; ed alcuni (due principali) raggiungenti fino quella di 0,10 a 0,20. Abbondantissimi i minerali vulcanici sparsi ed i blocchetti sfarinati di tufo vulcanico; abbondanti nei tripoli gli avanzi di equiseti; abbondantissimi nel complesso intiero, compresi i tri- poli, le minute conchiglie di pulmonati palustri. Nessuna reli- quia di pesci ; abbondantissimi e vistosi avanzi di Emidi, uccelli di medie e grandi dimensioni, mammiferi terrestri (ossami di animali di grandi, medie e piccole dimensioni). N.° 4. — Tufo argilloide giallo-rossiccio (o rosato se fresco). Argillificazione del tufo nello stagno. Argilla stratificata in banchi alquanto confusi di media potenza (10-20 e più centimetri), di colorazione bianco-gialliccio, picchiettato frequentemente di rosso, giallo, bruno e nero, per inclusione ed alterazione profondissima di abbondantissimi minerali e scorie vulcaniche. I materiali vul- canici, che in gran parte costituiscono questo complesso, e che sono ancora riconoscibili, sono gli stessi che costituiscono il pre- cedente tufo N.° 3. Abbondano in questo complesso le piccole conchiglie di pulmonati palustri; scarseggiano le ossa di mam- miferi ed uccelli. Potenza del complesso: metri 1. N.° 3. — Strato lentiforme di tufo granulare a grana, in ge- nerale, minuta; grigio- verdiccio (se fresco in cava); i materiali che lo compongono sono per la massima parte identici a quelli DI UNA FORMAZIONE STAGNALE PRESSO ROMA 187 che costituiscono gli strati di tufo granulare più elevati del com- plesso JST.° 1 ; più una quantità grandissima di frammenti di cri- stalli e minuti cristalli di leucite, tutti caolinizzati. Pochissimi o nulli gli avanzi organici riconoscibili in questo deposito. Po- tenza sua media: circa 30 centimetri. X.° 2. — Primo e più profondo deposito effettuatosi sulla o nella conca scavata a spese dei tuff di Monte San Paolo ; riposa sopra una superficie ben marcata di abrasione ed esportazione interessante diversi strati dei tufi stessi, tanto più arrossati e posteriormente decomposti quanto son più vicini alla faccia di incisione, contemporaneamente fondo, del bacino. — Argillifica- zione del tufo di Monte San Paolo. — Deposito argilloso sub- conglomeratico, di colore, in complesso, giallo-rossiccio, confusa- mente stratificato e constante dell’argilla impura, risultante dalla incompleta trasformazione dei materiali vulcanici componenti il tufo N.° 1 e ’N.° 0 ; e questa inchiudente (o riempientene gli in- terstizi) assai preponderante quantità degli stessi materiali vul- canici, o meno alterati, od addirittura intatti, con blocchi e bloc- chetti a vario grado di alterazione ; ma sempre sicuramente ri- conoscibili dello stesso tufo N".0 1. — - Comprende inoltre nume- rosissime piccole e medie conchiglie di pulmonati palustri ; nonché minor quantità di ossa fossili di uccelli e di piccoli mammiferi. Potenza del complesso : metri 0,60. N.° 1. — Tufi gialli di Monte San Paolo. — Superiormente contengono foglie di piante dicotiledoni, elici ed ossami fossili interi e frantumati di grossi mammiferi terrestri, fra cui uno sche- letro intero di elefante e denti di rinoceronte. Sono gialli a scorie frequentissime (e queste di mole diversa, a seconda dello strato di cui fan parte) di color nero. Sono in generale tanto meno coerenti quanto più si esaminano in strati elevati. Gli strati in- feriori diventano molto ricchi in ghiaiette appiattite, a contorno ellittico od ovale; ed assumer possono una colorazione grigia peperinoide. In questi tufi è incisa la conca occupata poi da depositi di altra natura, ed essi stessi son più o men profon- damente alterati, a seconda della meno o più immediata conti- guità alla superficie messa a nudo. Potenza conosciuta di questo complesso nelle adiacenze immediate della località in esame : 188 A. PORTIS metri 40. Riposa concordante)!] ente e costituisce un complesso solo indivisibile col N.° 0. N.° 0. — Tufi gialli di Monte San Paolo, al di sotto dell’or- dinata 4,88; hanno comuni i caratteri coi tufi più bassi del N.° 1, che da essi superiormente si continuano. Come quelli, possono talor aver, a parte il colore, caratteri di tufo litoide; come quelli possono esser straordinariamente ricchi di ghiaiette (magari striate), impastate da tutte le parti nel tufo, ed appiattite, ed a contorno ellittico od ovale. Come quelli hanno allora un co- lore grigio, simile a quello del peperino, e ricchezza stragrande di cristalli di augite e di cristalli e lamine di miche diversa- mente colorate. In questi tufi è stata rinvenuta una valva, molto ben conservata e compresa da tutte le parti nel tufo, di una specie di Pectunculus. Potenza conosciuta di questi tufi: al- meno 3 metri. N.° — 1. — Terreni non veduti, che sottostanno e sorreggono teoricamente i tufi N.° 0 e N.° 1 — dai quali sarebbero isolati per mezzo di una pellicola di argilla grigiastra che occasione- rebbe una debole falda acquifera. — Terreni sospettati rappre- sentare orizzonti assai elevati, poveri in fossili, delle sabbie gialle subappennine coi loro più comuni caratteri. Non si ha alcun indizio sulla loro potenza locale. Fig. 1. Prima di passare ad ulteriori informazioni sopra questa così individualizzata serie di depositi, debbo dire ancora, per rispetto al vaso che la conteneva, come esso, nella sezione che ce lo ha rivelato, è costituito a nord, come già ripetei, dal Monte San Paolo DI UNA FORMAZIONE STAGNALE PRESSO ROMA 189 o meglio dalla parte profonda, fino a ieri a noi nascosa del monte stesso. Sn questa parte appoggiandosi il limite nord del bacino ; il suo limite superiore meridionale Tiene a trovarsi a circa cento metri più a sud e dato da un minor rialzamento relitto del tufo giallo a scorie nere solito; rialzamento che, per esser minore, non raggiunge il livello qui assai basso del piano di campagna si da affiorare in esso lungo la strada Ostiense, ma ne rimane di alcuni metri al di sotto. Il prolungarsi dello scavo per il fri- gnone però, dimostrò che questa rielevazione non si mantiene che per pochi metri longitudinali, al di là dei quali il tufo toma a cessare, causa le tracce di una nuova incisione (simile a quella in illustrazione e limitata a nord da questo relitto) estesa ulte- riormente verso sud, non sappiamo di quanto ; e colmata molto probabilmente con una serie di complessi sedimentari analoga o simile a quella dietro la basilica e chiostro San Paolo. Ciò argo- mentiamo dai materiali argillosi grigio-turchinicci, ricchi di cal- care sì da renderli marnosi e ricchi delle stesse conchiglie di pulmonati terrestri e palustri ; materiali identici a quelli che co- stituiscono il deposito N.° 10 della serie testé dettagliatamente espressa. Tornando alla nostra piccola serie di depositi; riconosciutala interessantissima, vi feci ripetute esplorazioni personali e la tenni per mesi di seguito sotto sorveglianza speciale, sia per- sonale, che indiretta; le descrizioni singole, che precedono, appuntai sul posto quando la fossa era al massimo di profon- dità, di estensione e di sgombro. E, grazie alla squisita cortesia della Impresa Costruttrice che mi permise il ripetuto accesso e la esportazione ripetuta dei materiali importanti ; grazie alla gentilezza dei Signori Ingegneri ed Assistenti rappresentanti dell’impresa stessa; alacrità del mio Assistente e personale; grazie alla diligenza dello studente sig. Crivelli da me indet- tato, le mie gite ed osservazioni e controlli vennero controllate a loro volta ed immensamente moltiplicate; e venne a molti- plicarsi eziandio notevolmente il materiale scientifico raccolto e sottratto al piccone ed alla carriola dei cavatori e dei terrazzieri fra i quali anche trovai non raramente, ascosi sotto al berrettone ed al grembiule, delle intelligenze e delle cortesi persone. Docu- mentai così con abbondante materiale ciascuno dei sedimenti 190 A. rORTIS (li cui ho fatto cenno e raccolsi abbondanti reliquie di vertebrati sovratutto rettili, uccelli e mammiferi. Quelli fra tali avanzi die raccolsi o che furono per me raccolti dai depositi N.° 0 ad 1, tenni da parte; ed il lor breve elenco, già risultò da quanto è premesso; quelli dei depositi N.° 2-10, o meglio N.° 2-9, tenni insieme uniti in un maggior altro gruppo, il quale rappresenta, o deve rappresentare, il complesso degli animali che, sponta- neamente o meno, visitarono lo stagno nella sua breve indivi- duale esistenza; prima cioè che l’opera di rapida sedimenta- zione in esso avvenuta lo cancellasse dal novero dei bacini acquei continentali raccoglitori di depositi proprii. I vertebrati dello stagno di San Paolo si possono, ho detto, raccogliere e suddividere fra le tre classi dei rettili, degli uc- celli, e dei mammiferi. Previa estrazione, ristaurazione, o ricerca, nei limiti del possibile, dei frammenti di uno stesso osso (o qualche volta di uno stesso scheletro), e determinazione loro; ho potuto metter insieme tre piccoli elenchi rappresentativi per ciascuna delle classi; elenchi che qui illustro colle considerazioni che la presenza di dati tipi, o forme, o specie, mi va, via via sug- gerendo. Così, lasciata da banda la classe dei pesci, non rappresentata in modo certo che con poche piccole squame disperse sulla su- perficie di alcune sfoglie di tripoli; lasciata da parte quella degli anfibi della quale non mi fu dato porre la mano su avanzi sicuri, passo subito alla classe dei rettili. Essa non è fin qui rappresentata che nel solo ordine dei Testudinati e nella sola famiglia delle Emydidae o Chelonii palustri. Ancora: un unico genere ed un’ unica specie son rappresentati ; e questa è la co- mune e vivente Emys orbicularis Linn. Se poveramente, in fatto di varietà di forme è rappresentata la classe, e rispetti- vamente l’ordine; con sufficiente abbondanza, era invece svilup- pato quell’unico tipo che abbiamo rinvenuto. Malgrado la ri- strettezza del giacimento, e quella della sezione che lo mise in mostra, malgrado la febbri lità del lavoro, a causa della quale molto del materiale estratto doveva passar direttamente e non esaminato al rilevato, o alla scarica, son tuttavia arrivato a metter le mani sopra ad esemplari (od a, parti di esemplari tanto estese da dover per ciascuna ammettere un individuo) in DI UNA FORMAZIONE STAGNALE PRESSO ROMA 191 numero di sei, oltre ad un numero considerevole di piastre isolate o rotte ; raccolte in tutte le altezze ed in tutte le sezioni del giacimento: cosicché ne potrei arguire alla presenza di una ventina o più di individui che lasciaron lor traccia. Gli esemplari migliori fanno arguire ad animali adulti, non vecchi, e di dimensioni abbastanza elevate (lunghezza del ca- rapace fino ed oltre ai 16 centimetri, mentre quelli delle po- steriori torbiere di Polada misurano fino ed oltre ai 18 centi- metri); non sono però assolutamente esclusi gli avanzi dipen- denti da individui morti in più giovane età. È certo che vi- veva in situ, mentre lo stagno era occupato dalle acque e che gli individui che man mano vi si andavano estinguendo, cade- vano al fondo e, rapidamente seppellitivi dai depositi sovr’essi accumulatisi, venivan sottratti, almeno per le parti dure, alla distruzione. Da questi rettili noi abbiamo le migliori e più complete reliquie dei vertebrati nel deposito rappresentati. È poi un fatto interessante a notarsi questo, che mentre nel contemporaneo deposito al monte delle Gioie, fra i ehelonii co- tanto completamente rappresentati da poter essere con qualche attendibilità determinati, non vi sia che un esemplare di Clem- mys (la nuova specie a cui diedi il nome di Clemmys Anienis ); qui, a non grande distanza, noi abbiamo unicamente l’altra forma distinta, dalla sistematica e dalla nomenclatura moderna, non solo per la specie, ma ancora pel genere; e ciò fa risaltare una volta di più quanto limitato e forse sporadico abbia dovuto esser lo sviluppo della Clemmys Anienis. Infatti dappertutto ove accadde nel bacino romano od attorno ad esso, a non troppo grande distanza, di rinvenir avanzi determinabili di Chelonii fossili, dal pliocene in qua, essi o spettano a testudini e più propriamente alla Testudo graeca, come al pozzo naturale di Palombara Marcellina; o spettano ad Emydi genuine ristretta- mente comprese nel genere JEmys, quali la Emys orbicularis di Roma San Paolo, la Emys orbicularis ( Testudo Purgotii Ceselli) delle Acque caje di Viterbo, la Emys orbicularis di Bardano presso Orvieto, da me altrove fatta conoscere. Mentre la Emys orbicularis fossile dell’Italia centrale, ha precursori e poste- riori nell’ Italia settentrionale cogli esemplari fossili della stessa specie ; sian delle ligniti di Beffe, ed associati quindi agli ippo- 192 A. PORTIS potami, agli elefanti, ed ai mastodonti; sian delle torbe del Varesino e del Desenzanese, e per conseguenza in associazione coll’ nomo, magari già conoscitore e fucinatore del rame e del bronzo: La Clemmys Anienis per contro, si attacca più diretta- mente alla Clemmys caspica, la quale vissuta in Italia, sotto il nome da me dapprima imposto ai suoi esemplari pliocenici val- darnesi di Emys etrusca, ha seguitato a vivere fino ai giorni presenti, solo modificando e restringendo dalla direzione N.-O., la sua area di abitazione e spontanea riproduzione. Veniamo agli uccelli. Raccolsi in sito, o posteriormente isolai, da motte di materiale leggero per quel fine raccolto e lavato, centinaia di ossa isolate, e molto frequentemente, già in sita peste e frantumate anteriormente, durante, e posteriormente ai pro- cessi di fossilizzazione o di metasomatismo conservativo. Mi accadde per conseguenza di ottenere assai più frequentemente, che ossa intiere o ricompletabili, delle porzioni o delle metà prossimali o distali di ossa lunghe delle quali era impossibile il riavere l’altra metà. Con tutto ciò, dopo lungo lavoro di spoglio e di ricostruzione, mi trovai d’aver messo da parte un certo gruzzolo di ossa servibili fino ad una approssimativa determi- nazione generica, e di conseguenza ad un tratto una avifauna locale abbastanza ricca e svariata. Vi predominano, come era da aspettarsi, particolarmente i palmipedi, ma eziandio sono in essa importanti i trampolieri e conirostri; nè i rapici notturni vi fanno difetto. Con questi ultimi appunto si spiega la presenza di alcuni conirostri e passeracei; come colla presenza di alcune ossa di uccelli entro coproliti di mammiferi carnivori, colle impressioni e sfondature e rosicchiature sui capi articolari di ossa di uc- celli, si comprende come la presenza di alcune specie o di alcuni individui appartenenti a specie d’altronde abbondanti nella lo- calità fosse tutt’ altro che spontanea, e quindi le loro ossa ed i loro scheletri dovessero essere da bel principio mancanti e rotte e disseminate. Segue intanto l’elenco delle ossa più o meno sicuramente attribuite a specie diverse di uccelli ; coll’ avvertenza che le forme diverse portano ciascuna un numero progressivo romano e che le singole ossa o parti rappresentanti un osso portano numeri DI UNA FORMAZIONE STAGNALE PRESSO ROMA 193 arabici progressivi nello stesso ordine da specie a specie; quindi i richiami e le osservazioni che dovrò fare in seguito e la nu- merazione approssimativa delle forme diverse di questa avico- lonia, si richiameranno unicamente alla numerazione romana. Ecco l’elenco ; l’ordine del quale corre approssimativamente secondo quello deW Avifauna Italica del Giglioli. 1. 1. Corpus la sp.; Tarso-metatarseo destro; capo prossi- male. 146. Corvus?; estremità distale di Tarso-metatarseo. II. 2. Corvus 2a sp.; Tarso-metatarseo sinistro; integro. 147. Corvus?; dialisi di Cubito. III. 3. Fringillida, gen.? et sp.? Tarso-metatarseo sinistro; integro. IY. 4. Fringillida, gen.? et sp.?; Sterno; schiacciato e fram- mentario. V. 5. Bubo maximas ; Tarso-metatarseo sinistro; capo pros- simale. VI. 6. Pelecanus? sp. ; Omero; diafisi. 7. » Cubito, » VII. 8, 9, 10. Pelecanus? aut Cygnus sp. ; Eadio; diafisi; tre tronchi di esemplari diversi. Vili. 11, 12. Phalacrocorax sp. 1; Radio; capo dist., con Cu- bito, diafisi. IX. 13. Phalacrocorax sp. 2, min.; Omero sin.; capo pross. e capo dist. 14. » Metacarpale princip. sin. integro. X. 15. Microcarbo sp.; Omero destro; capo prossimale. 16. » Omero; diafisi. XI. 17. Ardea la sp.; Omero sinistro; capo prossimale. 18. » » destro; capo distale. 19. » » diafisi. 20 e 21. » Metacarpale principale sin., e Meta- carp. pr. destro; integri. XII. 22. Ardea 2a sp.; Omero destro; capo prossimale. 23. » » » » » 24. » » » » » 13 191 A. l'ORTiS XIII. 25. Phoenicopterus sp. ; Metacarpale principale destro; capo prossimale. Cygnus sp.; Tarso-metatarseo sinistro ; capo prossimale. XIV. 26 27 28, 29 e 29 bis, 30. 31. 32. 33 e 34. 35. 36. 37. 38. 39. 40. 41. 42. 43. 44. 45 e 45 bi\ 46. 47. 48. 49. XV. 50. 51. » Tibiotarso sin.; capo distale (maciullato da callide; con coprolite). » Tibiotarso destro, diafìsi. » Sterno, Coracoidi e Clavicole, ancora in parziale relazione; (di un individuo maschio). » Sterno; regione marginale anteriore si- nistra. » Clavicole (forchetta). » Clavicola (branca rotta; da coprolite). » Coracoide sinistro e Corac. destro; capi distali e capi prossimali. » Coracoide destro; capo prossimale. » Omero destro; integro. » Omero destro; diafìsi. » Omero; in frantumi. » Cubito destro; capo prossimale. » Cubito sinistro; capo distale. » Radio sinistro; capo prossim., capo distale. » » destro » » » » » diafìsi. » Metacarpale principale sinistro ; capo pros- simale. » Metacarpale principale destro; capo pros- simale, due esempi. » Metacarpale principale destro; capo di- stale. » Metacarpale principale destro; regione medio distale. » Metacarpale principale sinistro; capo di- stale. » Ala destra, dito principale, falange prima; integra. Anser la sp.; Radio sinistro; capo prossimale. » » » diafìsi. DI UNA FORMAZIONE STAGNALE PRESSO ROMA 195 XVI. 52. Anser 2a sp. ; Tibiotarso sinistro ; capo distale. 53. » Femore destro; capo prossimale. 54. » Omero sinistro; capo distale. 55. » » » » » 56. » » destro » » 57. » Cubito sinistro; capo prossimale. 58. » » » » » 59. » Metacarpale principale sinistro; capo di- stale. 60. » Metacarpale principale sinistro; capo di- stale. XVII. 61. Anser ? 3a sp.; Tibia destra; capo distale. XVIII. 62. Anser ? 4a sp. ; Metacarpale principale, dito accessorio: diafisi. XIX. 63. Anser? 5a sp.; Radio; diafisi. XX. 64. Anas ( Chenalojoex) sp.; Omero sinistro; capo prossi- male. 65. » Omero destro; capo prossi- male. 66. » Omero destro; capo prossi- male. 67. » Omero destro; capo distale. XXI. 68. Anas la sp.; Femore destro; capo prossimale. 69. » Scapole. 70. » Coracoide destro; integro. 71. » Coracoide destro; capo prossimale. 72. » Omero sinistro; integro. 73. » Omero destro; integro. 74. » Omero destro; capo prossimale. 75. » Omero destro ; capo prossimale. 75. » Omero; diafisi prossimale. 76. » Omero sinistro; diafisi. XXII. 78. Anas 2a sp.: i Femore ; diafisi. 79. » Tibia destra; capo prossimale. 80. » Tibia destra ; capo distale. 81. » Coracoide destro; integro. 82. » Omero destro; capo prossimale. 83. » Omero destro; capo prossimale. 196 A. PORTIS XXII. 84. Anas 2n sp. ; Omero destro; capo distale. 85. » Metacarpale principale destro; capo distale. XXIII. 86. Anas 3a sp.; Cubito sinistro; capo prossimale. 87. » Cubito sinistro; capo distale. 88. » Cubito destro ; capo distale. 89. » Cubito destro; capo distale. XXIV. 90. Anas 4a sp.; Coracoide sinistro; integro. 91. » Coracoide sinistro; integro. 92. » Omero sinistro; capo distale. 93. » Omero sinistro ; capo distale. 94. » Cubito sinistro ; capo prossimale. 95. » Cubito destro; capo distale. 96. » Cubito sinistro ; capo distale. 97. » Cubito; capo distale (con coprolite). 98. » Cubito; diafisi. 99. » Metacarpale principale destro ; ca- po prossimale. 100. » Metacarpale principale sinistro; ca- po distale. 101. » Ala destra; falange prima del dito principale ; integra. XXV. 102. Anas 5a sp.; Omero destro; capo distale. XXVI. 103. Anas 6a sp. ; Omero destro; capo distale. XXVII. 104. Anas 7a sp. ; Vertebre sacrali anteriori. 105. » Sterno; in frammenti. 106. » Radio; diafisi. 107, 1 07 bis , 107 ter. Anas 7a sp. ; Cubito ; diafisi ; tre esemplari. 108. » Metacarpale principale destro ; capo prossimale. XXVIII. 109. Anas 8a. sp. ; Femore ; diafisi. 110. » Sterno ; regione mediana carenale anteriore. 111. » Scapole. 112. » Coracoidi ; frammenti. 113. » Omero sinistro ; capo prossimale. 114. » Omero; diafisi. 115. » Omero ; frammenti. DI UNA FORMAZIONE STAGNALE PRESSO ROMA 197 XXVIII. 116. Anas 8 117. » 118. » XXIX. 119. Anas sp.; 120. » 121. » XXX. 122 XXXI. 123 sp.; Omeri; frammenti. Cubito; capo prossimale. Falange dell’estremità inferiore. Vertebra sacrale. Vertebra cervicale. » Vertebra cervicale. Fuligula la sp. ; Coracoide sinistro; integro. Fuligula 2a sp.; Coraeoide destro; integro. 124. » Coracoide destro; integro. 125. » Coracoide destro; integro. 126. » Coracoide destro; integro. 127. » Coracoide sinistro; integro. 128. » Cubito destro; capo distale. 129. » Cubito destro; capo distale. 130. » Metacarpale principale sinistro XXXII. XXXIII. XXXIV. XXXV. XXXVI. XXXVII. XXXVIII. XXXIX. XL. 131. 132. 133. 134. 135. 136. 137. 138. 139. 140. 141. 142. 143. 148. 144. 145. Pulii US la sp. Rallus 2a sp. » capo distale. Omero destro; capo distale. Omero destro; capo distale. Omero destro; capo distale. Omero sinistro ; integro. Falange dell’estremità inferiore. Larus sp. ; Eadio destro ; capo distale. » Cubito destro; capo prossimale. » Cubito destro ; capo distale. Avis g. et sp.? Ossa dell’ala; frammenti. Avis fam. Grallae ?\ Tarso- metatarseo ; framm. Avis fam. Grallae ?; Tarso-metatarseo ; framm. Avis gen. et sp.? Metacarpale principale; dito se- condario; diafisi. Avis gen. et sp.? (Grallae?)] Fibula; capo pros- simale. Aves diversae; troclea di Tarso-metatarseo e fram- menti diversi. Aves diversae ; Frammenti diversi, Omeri, Cora- coidi, Metacarpali. » » Frammenti diversi, ossa dell’ala. 198 A. PORTIS Fin qui l’elenco delle ossa che ho potuto, dalla sola loca- lità di San Paolo, acquisire al Museo Geologico universitario di Poma. Veniamo ad alcune considerazioni che sulla Avifauna plio- cenica superiore e postpliocenica italiana ci vengono richiamate da questo elenco o meglio dai singoli numeri romani dello elenco stesso. I numeri I e II si riferiscono a conirostri nel senso vecchio, molto estensivo della espressione, tanto estensivo da compren- dere, o da avvicinarsi molto a comprendere, eziandio i numeri III e IV dello elenco. Egli è un fatto costante che nelle diverse Avifaune dei tempi andati di qualsivoglia località, noi troviamo sempre scarseggiare questi tipi di piccola e media mole che og- gidì ravvivano le regioni continentali colla frequenza e varietà loro e che sicuramente adempivano allo stesso ufficio durante i tempi pliocenici ed anteriori. Lo stesso si verifica nel cosi detto bacino di Roma, ed io mi reputo ben fortunato di aver ad un tratto arricchito di quattro numeri questo, per la fauna odierna, estesissimo raggruppamento di ordini e famiglie diverse: Lo debbo dir tanto più, in quanto, di tutto il raggruppamento, non si aveva nella fauna fossile di Roma e dintorni, altro che la povera traccia data dalle parole del Ponzi a pag. 28 (dell’estratto) della sua memoria del 1878, Le ossa fossili subapennine, parole che qui ri- produco: « Uccelli — Fra gli animali conosciuti della fauna qua- ternaria, gli uccelli sono quelli che fanno la più meschina figura, riducendosi ad un solo osso ed anche indefinibile. — 16. Uc- cello della famiglia dei Conirostri. — Un becco — Rinvenuto nei travertini delle Caprine — ». Con queste parole il Ponzi non disse se il materiale esemplare sia stato acquisito al Museo, o meno, o se rinvenuto da persona di sua conoscenza gli sia stato mostrato, poi sia andato a disperdersi in altra collezione. Nep- pure sappiamo se questo oggetto, acquisito alle nostre collezioni, sia poi andato smarrito nel disastro provato dalle collezioni stesse all’epoca della invasione delle acque per la piena del 1870; quindi non ce ne rimane che la memoria tenuta viva dalle frasi trascritte. II N.° V si riferisce ad un grosso rapace notturno, del quale ebbi un pezzo tanto caratteristico da poter perfino arrischiare una denominazione specifica, Tunica di tutto lo elenco. Anche DI UNA FORMAZIONE STAGNALE PRESSO ROMA 199 qui si tratta di una importante aggiunta alla avifauna dei ter- reni fossiliferi superiori del bacino romano. Finora i rapaci notturni vi erano sconosciuti affatto, e noi veniamo ad averne d’ora in avanti un rappresentante, come dal 1889 in qua, noi abbiamo pure un solo rappresentante dei ra- paci diurni con quello scheletro rinvenuto nei peperini del Fra- scatese dal Meli, e da lui determinato come di Gyps fulvus J. F. Gmel. ( Vultur ) e fattoci conoscere con apposita memoria (nel voi 8° (1889) del Boll. cl. Soc. Geog. Ital., pag. 430-544). In relazione coi numeri YI-X, Pelicani e Cormorani e, subor- dinatamente anche in relazione coi numeri XI-XIII, devo ricor- dare i seguenti anteriori fatti ed autori: 1° Il Frère Indes nel suo lavoro sul Monte delle Gioie {Bull, de la Soc. Géol. d. Fr., 2me Ser., T. 26, 1868-69, pag. Ila 28) enumerando gli avanzi fossili rinvenuti nei depositi in bacino locale per quel monte, a pag. 25 ci lasciò scritto: « 27° Oiseaux nombreux: quelques- uns trouvés dans la conche N.° 5 avec les os de poissons, sont d’une grande taille. Il y a des cubitus de 0m16, de 0m 80 et móne de 0 m40, des métacarpes de 0 m, 09 de longueur ». Sarebbe stato importante, oggidì, dopo il rinvenimento fatto a San Paolo, rivedere e studiar le ossa delFIndes; ma poiché della maggior parte del tesoro rinvenuto da lui, quasi più non si sa che ne sia divenuto, così noi dobbiamo limitarci a riprodur la breve notizia trasmessaci e veder d’ interpretarne il testo. Risulta da esso, come da tutta la restante parte della descrizione, che al Monte delle Gioie, si ebbe ad osservare una formazione offrente molti caratteri comuni con quella che potei osservare a San Paolo, e che in quella si ebbero pure, come in questa, a rinvenir molte ossa di uccelli, magari in più favorite condizioni di conserva- zione. Che fu permesso di constatare l’associazione di questi uc- celli con molti pesci di acqua dolce e con anfìbi, chelonii e crostacei ; tutti animali che in un colla natura dei depositi, po- steriormente da me studiati, ci indicano come colà si avesse, come a San Paolo, uno stagno più o meno vasto, nel quale si accumularono, anche rapidamente, depositi relativamente potenti (dei quali la formazione studiata dalFIndes, non rappresenta che una piccola parte sfuggita, qual relitto, a vasta posteriore erosione) e che questo stagno veniva visitato o temporaneamente 200 A. PORTIS abitato da quegli uccelli che posson venire attratti appunto dal- l’esistenza di uno stagno ricco di pesci; e questi uccelli possono essere appunto palmipedi e gralle. Che, grazie alle poche parole sulle dimensioni dei cubiti e dei metacarpi forniteci sempre dal- l’Indes, è lecito ammettere che questi maggiori uccelli spettassero appunto alle due famiglie dei Pelecanidae e dei Phalacrocoracidae nelle quali precisamente abbiamo un così potente sviluppo lon- gitudinale delle ossa dell’avambraccio, e che alcuni altri spet- tassero ai Cygnidae o forsanco ai Phoenicopteridae; che questo sospetto è avvalorato da quanto avrò a dire in seguito, sotto le notizie forniteci dal Ponzi e dal Terrigi. E che infine fra gli uccelli di minori dimensioni, per analogia con altri rinvenimenti consimili, si saranno trovati numerosi avanzi di altri palmipedi, come Anseridi, Anatidi ecc. ecc. e magari anche piccole Gralle. 2.° Il Ponzi, nella già citata memoria: Le ossa fossili sub- apennine dei dintorni di Poma del 1878, al fondo di pag. 25 (dello estratto) ci lasciò scritto: «Uccelli — Diverse specie di uccelli compariscono nelle ossa erratiche delle breccie alluvio- nali logorate dal trasporto e riferibili alla fauna terziaria. — 27. Grallae. — Queste ossa contengono dei tarsi di uccelli da riva, riconoscibili per la loro lunghezza, senza poter determinare la specie. Non rare ». — - Corrispondentemente a questa notizia feci diligente ricerca in collezione degli avanzi che le avevano occasionate e rinvenni un solo campione constante di soli cinque monconi di grosse ossa di uccelli. Dei cinque pezzi presenti, quattro almeno portavano traccie evidenti di taglio e di rosic- chiatura evidentemente pure dovuta ai denti di grossi mammi- feri carnivori e dovevano di conseguenza considerarsi siccome cascami duri o residui di loro pasti. (I grossi carnivori non ci fanno difetto in quel giacimento, ne abbiamo fra i Callidi, i Jenidi, ed i Eelidi, persili, se vogliamo, fra gli Ursidi). Tutti e cinque erano accomunati sotto una sola etichetta vecchia (con limo del Tevere 1870, al par delle ossa) dal tenore: «Ossa di uccelli » ed accompagnate da altra più giovane etichetta dal tenore: «Coll. Ponzi — Ossa di uccelli diversi logorate dall’at- trito — Ponte Molle (presso Roma)». Cercai di classificar quei cinque tronconi e il risultato del ndo studio fu di attribuirli nel seguente modo: DI UNA FORMAZIONE STAGNALE PRESSO ROMA 201 1. Pelecanus sp. Femore; diafisi. 2. Pelecanus sp. Omero sinistro; diafisi; porzione prossimale lunga m. 0,085; avanzo di pasto di carnivoro. 3. Pelecanus sp. o Phalacrocorax sp. Radio; diafisi; porzione di- stale lunga m. 0,140 ; evidente cascame di pasto di carnivoro. 4. Phalacrocorax sp. Femore; diafisi; moncone lungo m. 0,055; cascame di pasto di carnivoro. 5. Cygnus sp. Omero destro; diafisi prossimale. Moncone lungo m. 0,060; residuo di pasto di carnivoro. Tutti e cinque i monconi spettano con molta probabilità a cinque individui differenti od al più hanno comunanza di modo di fossilizzazione i due primi fra loro; e per quanto la deter- minazione, mancando tutti i capi articolari, ed essendo tutte le asperità corrose, debba esser ritenuta come assai avventata, tut- tavia è notevole che condotta indipendentemente su ciascun pezzo abbia dato cinque risultati così conformi e che vengono ad avvalorare i sospetti nati su alcuni uccelli della antica ca- verna al monte delle Gioie dalle parole dellTndes. 3.° Il Terrigi nella sua memoria del 1883: Il colle Quiri- nale, sua flora e fauna lacustre e terrestre, fauna microscopica marina, ecc. (estratto di pagg. 145-252 e tav. II-IY, in-4°, dagli Atti d. Acc. Pontif. dei Nuovi Lincei ; tomo 35, anno 35, ses- sione 6a, del 21 maggio 1882) a pag. 211 offre, nelle seguenti parole, l’elenco della fauna di vertebrati superiori « del depo- sito lacustre del Quirinale consistente in argille grigio-turchi- niccie e nerastre torbose ». Eccolo: «Un dente molare di giovane Elefante. Altro del genere Canis; denti molari de\V Hippopota- mus? Sesta vertebra cervicale d eWEquus asinus. Mascella in- feriore in parte rotta del Sus scrofa ( Aper ) con i denti incisivi, canini e molari della stessa. Frammento di una costola proba- bilmente appartenente al genere Bos. Frammenti di scapole, di tibia e di altre ossa lunghe indeterminabili. Piccolo frammento di corno del Gervus dama? o elaphus. Un osso del metatarso forse del Lepus. Cubito destro di un Palmipede o trampoliere, Anser segetum? Omero destro pertinente forse AV Arias ; e molti altri frammenti di ossa lunghe di uccelli indeterminabili». 202 A. PORTIS Lasciando ora da parte tutto il tratto anteriore della tra- scrizione che riguarda gli avanzi fossili di mammiferi, (che qui era indispensabile, per indicare in che sorta di compagnia si trovasser gli uccelli) ed attenendomi solo al tratto che più strettamente ad essi si riferisce, dirò che: per dono fattomi a suo tempo dal compianto Terrigi (assai dopo la pubblicazione avvenuta, e quando per conseguenza alcuna parte del materiale aveva potuto deteriorarsi e smarrirsi) il nostro Museo geologico universitario è ora in possesso della maggior parte delle ossa di uccelli trovati e qui sopra menzionati dallo stesso Terrigi. In tutto si hanno reliquie di cinque ossa diverse soltanto; ossa che si presentano fossilizzate cogli stessi caratteri di compattezza, colori etc. di quelle da me raccolte a san Paolo, cosicché con esse, non tenute distinte, assolutamente si confonderebbero. Anche queste cercai di determinare approssimativamente e mi risultò il piccolo elenco seguente : 1. Phalacrocorax; Cubito destro; quasi integro; lungo m. 0,170. 2. Anas sp. Omero destro; mancante solo del capo distale; lungo m. 0,09. 3. » Omero sinistro; probabilmente dello stesso individuo del N.° 2 ; dialisi prossimale ; lungo m. 0,04. 4. Anas sp. Omero; porzione di diafisi prossimale; lunga m. 0,05. 5. Anas sp. Cubito ; porzione di diafisi; lunga m. 0,057; forse proveniente dallo stesso individuo coll’osso N.° 4. 5 bis. Altra scheggiola lunga m. 0,02, forse dello stesso cubito N.° 5. Dunque questi ultimi fossili in parte dimostrano che anche al Quirinale, come a San Paolo, come al Monte delle Gioie, come a Ponte Molle, erano presenti e rappresentati i Pelecanidi od i Marangoni ; e che, come a san Paolo, la maggioranza della fauna ornitica, poteva al Quirinale esser rappresentata da pal- mipedi lamcl Prostri. Non più in rapporto a numeri speciali dello elenco, ma allo elenco in totalità, aggiungerò qualche altra notizia speciale dap- prima, e poi sempre più generale, avente riguardo cioè piut- tosto alla avifauna fossile generale italiana. DI UNA FORMAZIONE STAGNALE PRESSO ROMA 203 Negli ultimi mesi adunque del 1899, nel prendere grossi campioni del tufo terroso-litoide gialliccio, che si trova stratifi- cato nel sottosuolo del Foro romano, e precisamente sotto al niger lapis alla altezza, sopra il livello attuale del mare, fra metri 5,50 e 9, mi venne fatto di metter le mani sopra una scaglia di fresco staccata (larga non più di due centimetri quadrati) da un omero di un uccello probabilmente Palmipede, chè per il resto andò perduto o rimase in posto nel deposito. Se non serve ad altro, ci dimostra che anche questo tufo di questa località è fossilifero e contiene avanzi di uccelli. Nello elenco generale degli Uccelli a San Paolo manca qual- sivoglia accenno di presenza o ricordo di Gallinacei nella fauna studiata : per contro esiste in museo un fossile in due esem- plari (che quasi mutuamente si completano a presentare la tota- lità dell’estrazione del fossile) il quale porta la seguente scritta : « N.° 976. Acquisto 3/'3 87; Impronta di una penna di gallinaceo nei tartari calcari rinvenuta nel fare uno scavo presso l’antico stabilimento dei bagni alle Acque Albule ». Questa penna ri- composta col semplice accostamento dei due frammenti ci si mostra di dimensioni notevoli, oltre 35 centimetri di lunghezza, secondo il rachide principale, del quale ancor non è visibile la parte prossimale spoglia delle barbe. Queste a loro volta lunghe, sottili, molli, e verso la estremità apicale delForgano, per oltre metà della sua lunghezza, tendenti a separarsi l’ima dall’altra, raggiungenti una lunghezza individuale massima fin di 75 mil- limetri. Anziché di gallinaceo potrebbe quindi questa penna esser ritenuta come una delle copiatrici, posteriori (di quelle che ai lati del groppone fiancheggiano se nei Palmipedi, o in parte sostituiscono le timoniere se in molte Grulle) di un qualche grosso Ardeide, o Fenicotteride, o Gruide, o Ciconiide. Ad ogni modo la attribuirei piuttosto ad un animale che fosse contem- plato nella antica vasta comprensione delle gralìe, e subordina- tamente potrei poi avvicinarla ad un qualche Pelecanide, o Ci- gnide fra i Palmipedi (a rigore anche qualcuno fra gli Stru- tti ionidac potrebbe per alcune sue cuopritrici venir qui tirato in comparazione). I gallinacei per conseguenza seguiterebbero fin qui a mancare dalla avifauna fossile speciale romana. 204 A. PORTIS Esiste nelle nostre collezioni un altro esemplare portante una vecchia scritta dal tenore: « Travertino di Tor di Monte » e poi aggiuntovi di altra mano e di altro inchiostro : « presso Orvieto». Esso porta quest’ altra etichetta del nostro Museo: « Ex Museo Kirch.0 — Uovo nel travertino di Tor di Monte (Circondario di Orvieto) ». Trattasi realmente di un ovetto di uccello; è della grossezza di un ovo di piccolo piccione, è ancora parzialmente imprigionato nel travertino; il qual fatto se ci impedisce di pigliarne direttamente le dimensioni, secondo Tasse maggiore (m. 0,038), non ci impedisce di pigliarla secondo Tasse trasverso (0,026), nè di osservare che esso ha la forma ovale abituale nell’ovo di gallina, colla molto marcata appuntitura del polo aguzzo che caratterizza l’uovo della comune Numida; che è uniformemente bianco, e che molto probabilmente questa uniformità di colore era tale all’atto della infusione dell’orga- nismo nel deposito; che l’organismo stesso al momento dell’ar- rivo nel veicolo liquido, aveva sano ed intatto l’invoglio calcareo, e che tale lo mantenne anche dopo esser stato da tutte le parti incrostato nel travertino: che tale integrità dello invoglio non impedì però uno scambio di materiali fra l’interno e l’esterno così che al di dentro dello invoglio si è messo a nudo, con abrasione parziale di esso, un solido, forse massiccio, forse a sua volta cavo, a sua volta oviforme, costituito della stessa va- rietà di travertino compatto che incrosta ed imprigiona T uovo dallo esterno. In queste condizioni il nostro fossile ci dice ben poca cosa : potrebbe tanto bene essere di qualche piccolo o medio Gallina- ceo; potrebbe essere di qualche Colombide; potrebbe essere di qualche piccolo Anatide, non conviene forzare di più la determi- nazione; d’altronde a qual prò? Unico risultato che ne otteniamo è quel di constatare che nei travertini di Orvieto come in quei di Tivoli si incontrano reliquie o traccio innegabili della classe degli uccelli; ma questo si poteva già ammettere anche a priori. Ancora nelle nostre collezioni conservo un altro esemplare colla scritta: « Dono del Cap. Verri - Penna di uccello nel travertino quaternario di Eapolano, provincia di Siena ». Questa penna è, meglio definita, meno del terzo distale di una grossa, forte e lunga penna; una remigante probabilmente di un grosso DI UNA FORMAZIONE STAGNALE PRESSO ROMA 205 rapace diurno ; e siccome questa parte misura circa undici cen- timetri di lunghezza, così credo di non errare attribuendo alla penna intera da cui deriva, almeno un trentasei centimetri di lunghezza. Per la parte conservata la larghezza massima della penna è di mm. 30, e come nelle remiganti dei grandi vola- tori, abbiamo squilibrio in lunghezza fra le barbe sporgenti anteriormente al rachide, da quelle che posteriormente se ne distaccano, così noi vediamo queste ultime misurare fino a 27 millimetri di sviluppo longitudinale, di fronte a 6 millimetri di sviluppo delle prime. E barbe anteriori (superiori) e barbe posteriori (inferiori) son fra loro strettamente contigue e conti- nue; rappresentano una trama fitta e resistente; non una sfi- lacciatura come ci era offerta dalla penna, o meglio grossa piuma, dei travertini di Tivoli di cui sopra. A proposito di questa penna di Eapolano, non ho che da ripetere esser io inclinato ad attribuirla ad un rapace diurno; ma se anche fosse di un qualche grosso palmipede totipalme o longipenne, non vi sa- rebber, da una impronta soltanto, mezzi sufficienti ad impugnare od a rafforzar l’una, piuttostochè la contraria opinione. Portata così, col mezzo dei rinvenimenti di avanzi fossili di uccelli in Roma e poi attorno a Roma, sempre più lontano da essa, un aumento notevole di forme alla ornitolitologia italiana parmi necessario riassumerne lo stato, anteriormente al rinveni- mento di S. Paolo, per tutta Italia. Non ho che da riassumere un mio lavoro di tredici anni or sono e aggiungervi poche altre notizie. Nella parte seconda delle mie Contribuzioni alla Ornitolito- logia italiana stampata a Torino ( Mem . d. R. Acc. d. Se. ; Sez. 2a, Voi. 38, estr. di 25 pagg. ed 1 tav. in 4°) a pag. 23 menzio- navo già: 1. Una Alauda gypsonm Portis, del Messiniano di Sinigaglia. 2. Una Alauda major Portis, del Messiniano del Gabbro. 3. Una Siila senogalliensis Portis, del Messiniano di Sinigaglia. 4. Un Passer gen. et sp. ind., del Messiniano di Licata. 5. Un Falco sp .(Pisanus) Portis, dell’Astiano di Orciano pisano. 6. Un Tringa sp. (un Ornitichnites ) Portis, del Messiniano di Gabbro. 206 A. I’ORTIS 7. Un 8. Un 9. Un 10. Un 11. Un 12. Un 13. Un 14. Un 15. Un 16. Un 17. Un 18. Un 19. 20. 21. 22. 23. 24. Numenius ( pliocaenus ) Portis, dell’Astiano Valdarnese. Totanus Bear ab eli i/ì Portis, del Messiniano di Senigallia. Ballus dubius Portis, pure del Messiniano di Senigallia. Fulica sp. (pisana) Portis, dell’Astiano di Orciano pi- sano. Palacogrus princeps Portis, del Parisiano di Monte Zuello. Chenornis graculoides Portis, dell’Acquitaniano di Ceva. Anas lìgnitipliila Salvad.-Portis, deirAcquitaniano di Monte Bamboli. Fuligula aretina Portis, dell’Astiano Yaldarnese. Fuligula sepidta Portis, dell'Astiano Yaldarnese. Uria Ausonia Portis, dell’Astiano di Orciano pisano. Avis fam. et gen. ind., dell’Astiano Palermitano. Ornitholithes Faujasi Zigno (penne), del Parisiano di Bolca. » Tenuipennis Zigno (penne), del Parisiano di Bolca. » Gabbrensis Zigno (penne), del Messiniano di Gabbro. » Procaccimi Portis (penne), del Messiniano di Senigallia. » Bosniasldi Portis (penne), del Messiniano di Ancona. Ornitichnithes Argenterae Portis, dal Liguriano di Ar- genterà. » Taurinus Portis, del Liguriano di Yerrua Savoja. Oltre a questi, a pag. 18-22 segnalavo: 25. 26. 27. 28. 29. 30. 31. Ardaea cinerea dalla stazione preistorica o dosso di Ca- stello nel Trentino. j Emberiza Miliaris?, del Buco della Volpe sopra Rovenna. Passer sp. » » » Alauda arvensis » » » Acccntor alpinus » » » Sylvia luscinia » » » Turdus musicus » » » DI UNA FORMAZIONE STAGNALE PRESSO ROMA 207 32. Turdus pilaris del Buco della Volpe sopra Rovenna. 33. Pica caudata » » » 34. Upupa epops, » » » 35. Aves variae et plures indet. » » » 37. Strix flammea » » » 38. Columba palumbus » » » 39. Lagopus mutus » » » 40. Perdix cinerea » » » 41. Gallus bandiva (familiaris) ; avanzi di pasti umani in periodi storicissimi al di fuori della cavità. Segnalavo dalla Torbiera della Cataragna presso Solferino della Battaglia: 42. Grus cinerea — 43. Fulica atra. Poi : 44. Aves plures Passerinae, dalle ligniti ? quaternarie di Mu- gliano Toscano. Della breccia ossifera della « Miniera della Polveriera; Monte Argentaro : 45. Corvus spp. — 46. Upupa sp. — 47. Avis raptator ind. — - 48. Columba spp. Poi, della breccia ossifera di Oliveto presso Verruca; Monti Pisani : 49. Avis anseriformis ind. — 50. Avis passeriformis ind. — 51. Avis ind. Poi, della caverna di Cala Giovanna; Isola Pianosa: 52. Columbae plures et variae — 53. Baptatores ( Falcns ?) — ■ 54. Passeriformes (Turdidae) — 55. Coraciformes ( Corvi - due) — 56. Graìlae ind. Poi, dalle breccie ossifere della Isola d’Elba: 57. Aquila fulva; auctoritate Gastaldi et Riitimeyer. 208 A. PORTIS Poi, dalla Terramara del Castellaccio; Imolese: 58. Gallus? sp. — 59. Gallus sp. — 60. Anser segetum. Poi, dai depositi preistorici della Valle della Vibrata. 61. Anser iformes variae — 62. Galliformes variae , auctoritate Strobel. Nella prima parte delle mie stesse contribuzioni (1884, Voi. 36, Memorie della stessa accademia di Torino) a pag. 14 e segg. (del- l’estratto), descrivevo ed illustravo gli avanzi conosciuti della 63. Grus Turfa Portis della Torbiera di Pro Foscliin presso Pe- schiera con armi neolitiche ; ed a pag. 24, 25, ricordavo: 1 Milne Edwards, per la caverna 65. Falco cenchris. 66. Falco tinnunculus. 67. Strix Imbo. 68. Alitene passerina. 69. Fringìlla cannabina. 70. Loxia pyrrliula. 71. Turdus viscivorus. 72. Turdus migratorius. sull’autorità del Kamorino e di Verezzi in Liguria: 73. Corvus pica. 74. Pyrrhocorax alpinus. 75. Columba oenas. 76. Tetrao albus. 77. Tetrao urogallus. 78. Coturnix communis. 79. JRallus crex. 2°, riferivo sulla autorità di Giebel e di Pictet, come anterior- mente conosciute dalle breccie ossifere di Nizza: 80. Turdus bresciensis. 81. Larus priscus. 3°, riportavo sull’autorità dello Studiati e del Lamarmora, la seguente lista di specie di uccelli estratti dalla breccia ossifera di Monreale da Bonaria in Sardegna: 82. Rapace de la taille du Falco Albicilla. 83. » » » Tinnunculoides. DI UNA FORMAZIONE STAGNALE PRESSO ROMA 209 84. Rapace plus gros que le Falco peregrinus. 85. » noctume, espèce de Stryx. 86. » » de la taille d’une Chouette. 87. Autre rapace noctume? 88. Rapace de la taille d’ime Chouette. 89. Gros Corbeau ? 90. Passereau à peu près gros conmie un Merle. 91. Autre passereau. 92. » de la taille d’un gros Merle. 93. Gallinacée de la taille d’un Pigeon. 94. » » Poularde. 95. » » » 96. Oiseau puissant dans le voi. de la taille d’un Cygne. 97. Oiseau pas bien fort dans le voi, de la taille d’ime Poularde. 98. Palmipede grande Fuligida? 99. » de la taille d’une Sarcelle. 100. » » grosse Fuligida. 101. Upupa epops; add. auctoritate Milne Edwards. 102. Tetrao albus; add. auctoritate Milne Edwards. 5°, aggiungevo come per le stesse breccie sarde si aveva, anteriormente allo studio dello Studiati e del Milne Edwards, la lista seguente dovuta alle ricerche del Wagner e del Nitscli: 103. Vultur fossili s. 104. Aquila fossilis. 105. Strix sp. nictea? ! ! ! 106. Turdus bresciensis. 107. Fringilla trochanteria. 108. Corvus fossilis. 109. Corvus cornix fossilis. 110. Picus sp. martius? 111. Tantalus bresciensis. 112. Anas aff. A. tadorna et A. boschas. 6°, aggiungo ora come grazie a materiale a me acquisito dal Eorsytli Major, il Museo geologico universitario Romano possiede un abbastanza buon materiale della specie seguente proveniente dalle breccie ossifere dell’Isola Tavolara. 113. Puffmus spp. 14 210 A. PORTIS e ohe il Prof. D. Loyisato conserva nel Museo geologico mine- ralogico universitario di Cagliari e mi fece vedere in Roma nella primavera 1899, proveniente da terreno quaternario della Sar- degna : 114. Ovo grande come un grosso ovo di gallina. ripieno di calcare a tessitura oolitica. Anteriormente si conoscevano per opera del Parker e del Lydekker, da terreni ritenuti quaternarii dell’Isola di Malta le specie seguenti: 115. Cygnus Falconeri Parker; maggiore del C. musicus. 116. Cygnus sp.; statura pressoché eguale al C. Olor. 117. Cygnus sp.; più piccolo del C. musìcus. In due successive memorie 1894 e 1896 entrambe dal titolo: Sulla fauna della Grotta dei Colombi , Isola Palmaria, Spezia (ed estratte la prima dall’ Archivio per V antropologia e V etno- logia, Voi. 23, fase. 3°, 1893, con pag. 1-112 e tav. 6a, in-8°; la. seconda dal Voi. 26 dello stesso periodico, fase. 2°, 1896, con pag. 1-40, tav. I-II) il Regalia portava un incremento ed una estensione all’avifauna fossile italiana. Nella prima memoria a pag. 8 indicava o nominava: 118. Podiceps sp. 119. Laridae. 120. Sternidae. 121. Scolopacidae. 122. Otis tarda Linn. 123. Otis tetrax Linn.? 124. Pallidae. 125. Lirurus tetrix Linn. 126. Coturnix communi s Bonnat. 127. Starna per dix Linn. (?). 128. Perdi x sp. 129. Columba livia Bonnat. (opp. C. oenas ). 125. Columba palumbus Linn. 126. Anatidae. 127. Cygnus musicus Bechst. (?). 128. Phalacrocorax gracvlus Linn. 129. Gyps fulvus J. F. Gmel. 130. Astur palumbarius Linn. 131. Aquila chrysaetos Linn. (?). 132. altri Accipitres. 133. Pubo maximus Cerini. 134. Syrnium aluco Linn. 135. altri Striges. 136. Hyrundo rustica Linn. (?). DI UNA FORMAZIONE STAGNALE PRESSO ROMA 211 137. Sylviidae? 141. Pyrrhoco rax a Ijoinus Vie i ll. 138. Turdidae. 142. Lycos monedula Linn. 139. Fringillidae. 143. Corvus frugilegus Linn. 140. Pyrrhocorax graculus Linn. 144. Corvus co rax Linn. Nella seconda memoria poi il Regalia dimostrava l’esistenza, nella citata località e depositi, della 145. Nyctea nivea Daudin; in unione al Grido Borealis Nilss., mammifero aneli’ esso molto sintomatico. Aggiungo che essendo, dal principio del 1899, entrato a tar palle delle nostre collezioni il materiale osteologico raccolto (as- sieme ad avanzi dell'iimana industria neolitica ed enea) dal Ram- botti nella torbiera di Polada, rinvenni in questo abbastanza numerosi avanzi fossili e subfossili di uccelli. Ancora non li sot- toposi ad un esame preciso di determinazione; tuttavia non credo di andar lontano dal vero annunziando fra essi la presenza di un assai grosso Ardeide, di Rapace diurno, di Totipalme, di Li- micoli diversi, di Lamellirostri svariati, e forse di qualche Gal- linaceo, oltre ad incerti avanzi di Coracidi. Se io non accordai tanta attenzione a questi materiali, ciò è derivato un po’ dalla mancanza di tempo, assorbito da altre più pressanti questioni, un po’ anche dal sospetto che parecchie delle ossa siano poste- riormente state, in modo casuale, introdotte negli strati più super- ficiali del deposito ; e che per conseguenza possano alterare il con- cetto che vorrei fare a me ed altrui, il più esatto possibile, dello stato della fauna sì selvatica che domestica, contemporanea al soggiorno ed allo sviluppo dell’uomo eneolitico in quella resi- denza o stazione; ciò in confronto di altre contemporanee del- l’Italia settentrionale dalle quali vanno via via ricavandosi e fa- cendosi conoscere eziandio avanzi ornitici. Chiuderò questa rivista con dire che per mezzo della mia nota sugli Avanzi di Tragulidi Oligocenici nell’Italia settentrio- nale {Boll. d. Soc. Geol. Ital., voi. 18, 1899, pag. 4-14) ho inteso a meglio interpretare un avanzo fossile di mammifero che per un giudizio preliminare suggerito al compianto A. De-Zigno, da una sola fuggevole ispezione, era stato dal Bassani ricordato 212 A. PORTIS come un avanzo ornitico. E che colla mia noticina del 1896: II Cigno fossile nelle vicinanze di Roma (estr. di 4 pagine dalla Rivista Ital. di Paleontologia, voi. 2, 1896), avevo segnalato la presenza di un individuo maschio di Cygnus sp. nei calcari tra- vertinoidi sottostanti ai tufi della Punta di San Giuliano (Pa- rioli), poco distante dalle sorgenti dell’Acqua Acetosa. Così son tornato presso al mio punto di partenza, e così la mia lunga digressione resta giustificata e chiusa con dire come: grazie al Cigno di Punta San Giuliano; grazie alla possibile esi- stenza di esso frammezzo ai numerosi avanzi di uccelli preva- lentemente palmipedi e limicoli, rinvenuti nel 1868, dal Pròre Indes nella cosidetta Caverna al monte delle Gioie; grazie agli scarsi e mal determinabili avanzi di esso negli strati e lenti sabbiose intercalate alle ghiaie di Pontemolle; grazie ai nume- rosi avanzi ancora di cigno rinvenuti alla trincea di San Paolo, e valutabili provenire da non meno di sei individui; posso ora af- fermare che i Cigni (una o due specie) erano relativamente fre- quenti, vuoi abitatori, vuoi visitatori delle maremme, che nel periodo siciliano, al volgere del pliocene, andavano preparando il passaggio del territorio romano dallo stato di sommersione a quello di emersione; in tale lavoro dapprima originate, in se- guito potentemente aiutate fino a totale esaurimento e scom- parsa loro, colle frequenti e potenti esplosioni da non lontani vulcani che procuravano altrettanto vaste e potenti accumula- zioni e sedimentazioni di materiale vulcanico. La fauna ornitica che è risultata per i dintorni di Poma così complessa e svariata, sovratutto in grazia della trincea pel Collettore, o meglio pel deposito stagnale messo in luce da quella trincea a Monte San Paolo, offre numerose analogie con quella della Grotta dei Colombi all’Isola Palmaria-Spezia. Io ho altrove accennato come quella fauna ritenessi assai più antica di quel che dai suoi primi illustratori non sia stata ritenuta, o che per lo meno potesse risultare dalla sovrapposizione, e poscia confu- sione, di depositi continuatisi in condizioni diverse per lunghis- simo tempo, sì da aver principio durante od allo inizio del Si- ciliano, e terminare poi quando l’uomo già aveva preso di mira la parte residuale del sistema così complicato di fessure e sceltolo per abitazione o rifugio. Le relazioni presentate dalle faune or- DI UNA FORMAZIONE STAGNALE PRESSO ROMA 213 nitiche delle due località non contrastano per nulla a tali am- missioni, per conseguenza non è d'uopo che io vi insista più oltre. Piuttosto, prima di passare alle deduzioni generali sulla cro- naca del giacimento di S. Paolo da quando si cominciò a pre- parare e poi a produrre quel deposito, o parte di deposito, di cui già accennai parecchi caratteri fino a quando si chiuse la locale sedimentazione, è meglio finire l’elenco degli avanzi or- ganici in esso raccolti. E poiché già passammo in rassegna quelli appartenenti alla classe dei Rettili e quelli alla classe degli Uc- celli, passiamo a quelli pur numerosi e svariati appartenenti alla più elevata classe di Vertebrati, a quella dei Mammiferi. Essa vi è rappresentata cogli ordini dei Carnivori Fissipedi, degli Insettivori?, dei Roditori, dei Proboseidei e degli Artiodattili Ruminanti. Dell’ordine dei Carnivori sonvi : 1. ° Il Canis lupus L., con un cranio, e pertinente mandi- bola destra, con buona parte dei denti, esclusi soltanto gli in- cisivi ; pochi e malsicuri frammenti delle ossa del restante sche- letro, airinfuori di qualche falange; parecchie coproliti, fra le quali alcune contenenti ancora ossa lunghe di uccelli (piccoli anatidi); un carapace di individuo di Emys orbicularis caduto vivo in poter di un grosso carnivoro, da lui ferito e maciullato coi premolari e canini, poi scampato o sprezzato per la sua re- sistenza e con incompleta cicatrizzazione guarito ? dalle profonde lesioni toccate sull’esoscheletro osseo. 2. ° Martes abietum Alb. Magn., con una mandibola (ramo destro) troncato a mezza lunghezza dell’alveolo pel canino, e recante tutti i denti ben conservati allo indietro di esso ; inoltre alcune falangi. 3. ° Meles taxus Pall. ; un cubito sinistro. All’ordine degli Insettivori furono dapprima attribuiti : 4. ° Una piastra di tripoli sulla quale misi parzialmente allo scoperto moltissime ossa dello scheletro di un piccolo mammi- fero mancante di cranio ; e, dato il loro estremo stato di schiac- ciatura e di fessurazione, non ulteriormente isolabili e denuda- bili. Quindi solo per le loro dimensioni e per qualche relazione di proporzione abbastanza vagamente comparate con ossa di Eri- naceus europaeus Linn. In seguito, meglio esaminate e messe 214 A. l’ORTIS in vista alcune ossa, venne questo doppio esemplare attribuito ad un giovane Lepus cuniculus o ad una specie di Lagomys. 5. ° Una piastrella di tripoli impuro offrente parzialmente inckiuso e conservato un cranietto di cui non è dato in niun modo vedere i denti o loro alveoli. Solo per dimensioni appros- simativamente fissate e per contorni anche essi seguibili con molta incertezza, sospettai appartenere ad un Tal pi de, forse la comune Talpa europaea Linn. Anche qui non è lontano il giorno in cui si affermerà con maggior sicurezza trattarsi di un Arvicolide, quindi sarà sop- pressa la rappresentanza degli Insettivori. Molto più sicuri ed abbondanti gli avanzi di Roditori che vengono dimostrati da: 6. ° Arvicola amphibius Lixn. Sovratutto molari isolati; ed un grazioso ramo mandibolare sinistro, ancora munito dei suoi tre molari in posto e del suo incisivo, alquanto rotto dalla sua parte libera. Di più: parecchie ossa lunghe degli arti ed un gra- zioso calcagno. Potrebbe anche darsi che il N.° 4 fosse qui da trasferirsi. 7. ° Lepus cuniculus Linn. Coniglio; un cranio, parte poste- riore con molari — due porzioni di rami mandibolari diversi, pure con molari; un cranio schiacciato ed irriconoscibile altri- menti che per molari rimasti in posto e distinguibili; denti in- cisivi isolati, sia inferiori che superiori, ossa lunghe degli arti, ossa metacarpali e metatarsali diverse, vertebre diverse. Era il mammifero più comune e frequente nel deposito; vi erano rap- presentati gli individui essenzialmente giovani. La sua presenza è a ritenersi quasi mai volontaria, piuttosto a considerarsi come una fra le prede importate dai rapaci e dai carnivori che abbiam, pei loro avanzi, veduto frequentar questo stagno. 8. ° Lagomys specie; gli avanzi, per la forma loro, attribuiti al coniglio, non tutti vi si accordano: per la statura e forma delle faccette articolari, fanno sospettare alla presenza di qualche grossa specie di Lagomys. I Proboscidei non figurano che con avanzi derisori. 9. ° Una vertebra o meglio un corpo vertebrale privato di tutti i processi e delle epifisi di Elcpltas cf. antiquus; proba- bilmente scivolato nel deposito dai Tufi N. 1 che abbiamo visto DI UNA FORMAZIONE STAGNALE PLESSO ROMA 215 contenerne avanzi di ben maggiore importanza e numero. Forse hanno la stessa provenienza alcuni frammenti e scaglie di grandi ossa degli arti. Mancano avanzi di Binoceronti, Ippopotami e Suini. I Eliminanti abbondantissimi, rappresentati col : 10.0 Cervus eìaphus Wagn., un ramo mandibolare sinistro ri- costruibile, con tutta la serie premolare-molare, spettante ad in- dividuo adulto, non vecchio. Minori porzioni di serie mandibo- lari: denti molari o premolari inferiori, isolati; uno o due incisivi inferiori, isolati ; pochissimi molari o premolari superiori, per lo più isolati; una grossa stanga di un 12-14corna, ridotta in truccioli dalla fossilizzazione e dalla escavazione, parecchi pugnali stac- cati ; numerosi metapodii o loro frammenti, più scarse le falangi, non scarse le vertebre: frammenti di costole ed ossa lunghe, per lo più frammentarie, degli arti ; una intiera metà, ricostrutta a pezzi, del bacino, altri frammenti del medesimo : avanzi quindi di questa specie relativamente abbondantissimi. 11.0 JBos primigenius Boj. Pochi denti, talor in brevi serie di due o tre molari, risp. premolari e molari, riposanti su tratti di ramo mandibolare; tre molari superiori, pure in serie; un frammento di una piccola caviglia ossea di conio, un metapodio molto difettoso, una vertebra lombare molto maltrattata, parecchi frammenti di coste, vertebre, grandi ossa degli arti. Una bella e grossa falange ungueale posteriore. Il bove assai comune, molto meno frequente ed abbondante, però, del cervo. Molte delle ossa frantumate di Bove e di cervo portano tracce, o dimostrano addirittura di essere state già rotte ed in quello stato di imperfettezza inchiuse nel deposito; altre di esser state inoltre alquanto sballottate di qua e di là prima di trovar quiete nel bacino; altre, sovratutto di giovani individui, di esser state rosicchiate. Ma siamo in presenza del lupo e della mar- tora, ed alcune delle coproliti potrebbero anche provenir dalle •Iene; non abbiam dunque a sorprenderci di quel che vediamo. Cosi son passati in rassegna tutti i mammiferi fin qui rin- venuti in quel particolare deposito; mammiferi che, se in nu- mero di individui equivalgono a quei degli uccelli, in varietà di tipi stan loro molto al di sotto; infatti noi non possiamo fra loro far assegnamento sicuro che sovra sei a sette specie: un 216 A. PORTIS grande o medio, un medio, ed un medio o piccolo carnivoro, un piccolo ed un medio rosicante, e due grandi ruminanti. Di più, ed è a notarsi, tutte e sette queste specie, vivono o vissero, ancor non è troppo gran tempo, nella località. Ancora non è tempo di rifare, dagli indizi raccolti, la storia del bacino stagnale scoperto a San Paolo. Poiché la stessa opera di costruzione del collettore ci ha permesso di vedere ad una certa profondità nel suolo in altri punti; non vogliamo trascu- rare le informazioni ed i materiali che questi altri punti pos- sono averci offerti. Ho già detto come ancor dietro al chiostro di San Paolo, estremità meridionale del fabbricato, il lavoro della trincea pel collettore, avesse tagliato un relitto tufaceo che fungeva da parete o limite meridionale al piccolo antico stagno (o parte di stagno), la di cui fauna abbiamo or ora finito di passare in rassegna. Ho detto come questo rilievo tufaceo accennasse non solo a funger da limite meridionale ad esso, ma nello stesso tempo a servir di limite settentrionale ad altro, forse più ampio, più meridional bacino, collocato di seguito al primo (vedi la sottostante Fi- gura schematica seconda) insomma ad apparir come un tramezzo o sbarra fra i due, o fra due anse di uno stesso stagno mag- giore, nel quale su per giù si dovevano esser depositati mate- riali delle stesse nature di quelli di cui avevamo avuto sì istrut- tiva mostra, nella piccola conca tante volte nominata. E ciò di- ciamo a giudicarne dal materiale superiormente incontrato ap- parentemente colmare anche la conca o parte della conca posta più a sud, ed assai simile al materiale superiore, o N. 10, della conca, o frazione di conca posta più a nord. Certo qui le con- dizioni naturali del suolo, dapprima eroso, poi interrito dalle DI USA FORMAZIONE STAGNALE PRESSO ROMA 217 acque, che ora si raccolgono nel fosso, o Marrana di Grotta Per- fetta, poi profondamente rimaneggiate dalla coltura, non si pre- stavano a tradurre i dubbi in certezza, ad investigare con pro- babilità di successo le relazioni dei diversi materiali fra loro, con mira sovratutto alla risoluzione di quistioni poste, relativa- mente alla storia di Monte San Paolo. Bisognava trasferirsi sempre più in là; e poiché l’erosione ed il successivo interri- mento della Marrana l'avevano portata a piegar considerevol- mente verso sud, fin contro ed oltre allo spuntone tufaceo se- parante la Via Ostiense dalla Via Laurentina, (e marcato dalla osteria denominata appunto per quel Ponticello, sotto cui passa la divertita marrana) ; così bisognava portarsi in là lunghesso e sopra quel promontorio o relitto di altipiano; e, per mezzo delle profonde trincee in esso incise dalla via alle Tre fontane e dagli ancor più profondi tagli che ad esso infiisse, apparentemente, la via Ostiense, ma più direttamente Lattimi corrente del Tevere (e che vennero messi, per così dire, a nudo ed a fresco in alcuni tratti dalle trincee e gallerie pel collettore nei suoi tronchi ul- teriori) veder la costituzione anche di questa parte dello alti- piano. I tratti utili a tale scopo son tutti compresi nello sviluppo, circa o poco più di un chilometro ulteriore del collettore; poiché oltre il 4° chilometro sulla via Ostiense, il collettore si accosta ancor di più al Tevere, o meglio taglia in trincea i sedimenti contemporanei dal Tevere stesso deposti contro ai suoi fianchi, ed in seguito profondamente incisi dalle sue magre. Anche su questo tratto di un chilometro son ben scarse e limitate le località che si prestino ad osservazioni di conseguenza. Quel che si prestò meglio, fu appunto l’uscita da una galleria sotto la via Ostiense, in corrispondenza della pietra chilome- trica quarta, ed in faccia al cancello della Vigna Venerati (Can- cello in ferro, entro porta in pietra e muratura, sul frontone della quale sta scritto: Salve Regina). Quivi il taglio del ter- reno si estendeva verticalmente per parecchi metri, discendendo alquanto sotto l’ordinata 7,77 sul mare (ossia 6,80 sul zero di Ripetta), piano d’imposta della calotta per il collettore. Delle due pareti o fianchi della trincea, quello di destra o tiberino od occidentale, non presentava alcun interesse dal punto di vista geologico ; alquanto dal punto di vista storico, per aver 218 A. T0RT1S incontrato all’ordinata 9,77 sul mare, le evidenti traccie di un antico piano stradale, ben lastricato a grossi massi spianati di lava; e poi sopravi, alla ordinata 10,97, altro vecchio piano stra- dale ben lastricato a piccoli quadrucci, pur della stessa lava: Due percorsi anteriori forse della stessa Via Ostiense che pas- sava in quel punto per girar intorno al locai relitto dell’ alti- piano e che, due volte sepolta sotto ai fianchi franati di esso, fu due volte trasportata più in alto sino a correre oggi in quel punto al suo attuale livello di m. 20-21 sul mare. L’opposta parete è nella sua parte profonda assai più ser- vibile, malgrado anche in essa si riveli un profondo pertur- bamento dei materiali, per franamento loro verso la direzione in cui la resistenza era venuta a mancare. In essa potei leggere la sezione seguente. Piano locale di campagna a m. 17,30 sul livello del mare. N.° 8. — Detriti, e scarichi fino a 3 metri di potenza. N.° 7. — Tufo poco coerente, grigio-cenere, a grosse scorie profondamente alterate (Pozzolana alquanto cementata, cappel- laccio di pozzolana), a grandi blocchi ; forse alquanto slittato in basso. Potenza circa 1 metro. N.° 6. — Materiale argilloide marnoso, grigio-bruniccio fresco, imbiancabile all’ aria ; ricco di prodotti di diretta e di mediata alterazione di materiali tufacei a feldspati od a leuciti ; povero di avanzi organici : fusticini vegetali, conchigliette di Pulmo- nati palustri ; stratificato ; pressoché in posto. Potenza : circa 1 metro; riposa in concordanza sul N.° 5. N.° 5. — Materiale argilloide marnoso, meno ricco in calce del sovrastante X.° 6 ; grigio-bruniccio fresco, imbiancabile per non lunga esposizione all’aria esterna; ricco di prodotti di di- retta e di mediata alterazione di materiali tufacei a feldspati od a leuciti ; povero di avanzi organici, quali : fusticini di ve- getali, conchigliette di pulmonati terrestri e palustri ; stratificato, pressoché in posto. Potenza: circa metri 1,20; riposa in con- cordanza sul N.° 4. N.° 4. — Sabbione bruniccio, ricco in ghiaiette, in compo- nenti diversamente piccoli dei tufi vulcanici, in prodotti argil- losi della loro decomposizione. Poverissimo fin ora di reliquie DI UNA FORMAZIONE STAGNALE I'EESSO ROMA 219 organiche; potenza: metri 0,60; stratificato, riposa in concor- danza sul jST.° 3. bT.° 3. — Marne bianche, assai coerenti, contenenti aneli’ esse notevole proporzione di minuti frantumi e pagliette di minerali di origine evidentemente vulcanica, e provenienti in generale dalla loro alterazione; contenenti numerose piccole concrezioni o grumi calcarei fino al maggior diametro di 6 millimetri; con- tenenti, con tal quale frequenza, conchiglie di pulmonati ter- restri e palustri. Stratificate; riposano in concordanza sul N".0 2; potenza: circa metri 0,20. N.° 2. — Tufo, granulare-litoide, di colore grigio-bruno o grigio-verdiccio ; rassomiglia un poco quel che a Monte San Paolo costituisce i più profondi strati del locai tufo giallo a scorie nere. Come quello contiene frequenti (in alcuni punti) reliquie di organismi sì vegetali (ramoscelli follati di Buxus, foglie di Sederci, rami e frammenti di fusto di alberi ed arboscelli di- versi Prunus etc.) che animali: conchiglie ancora conservate o semplicemente improntate e poi disciolte di specie diverse, grandi e mezzane di Helix; valve ancora aderenti o spaiate di Un'io , etc. — Contiene inoltre frequenti e talor voluminosi inclusi sia ciot- toliformi, che projettiformi, di rocce diverse, tanto vulcaniche che sedimentarie ; quali : lave diverse, tufi sia del tipo dello stesso tufo che li abbraccia, che del tipo litoide lionato del Campidoglio; calcari mesozoici, calcari eocenici, calcari traver- tinoidi, calcari argillosi del tipo da me altrove qualificato calcare a Pupa con numerose conchiglie fossili (Helix, Cyclostoma, Lym- naeus, Pupa, etc.) ancora conservatevi e determinabili (esempio un grosso incluso ciottoliforme di oltre 20 centimetri sul suo maggior diametro, raccolto e spaccato e conservato in museo). Presenta inoltre frequenti concrezioni e druse tappezzate di cri- stalli assai bene sviluppati di calcite. Stratificati, riposano in concordanza sul N.° 1; potenza: metri 2. (Contengono eziandio ossami di grandi mammiferi terrestri : Elephas, Bos, etc.). N.° 1. — Apparentemente ghiaie gialle, di media grossezza, parzialmente cementate. Meglio osservate: un tufo vulcanico ad elementi fini, poscia sfarinato e disfatto ; che funziona da cemento argilloide ferruginoso ad una quantità assai prevalente delle dette ghiaie, generalmente di piccola e media grandezza (fino a 6 cen- 220 A. PORTIS timetri, secondo il diametro massimo) ; per lo più appiattite, a contorno discoideo od ellittico, e constanti degdi stessi svariati materiali, di cui constano le ghiaie alle cave: alle Vigne torte, alla batteria Nomentana, od a Ponte Molle, od al Monte delle Grotte (tombe dei Nasoni); quindi, come in quelle località, gli elementi fra esse più calcarei molto frequentemente sfarinanti^ sotto la pressione delle dita per alterazioni subite posterior- mente alla inclusione nel deposito. Sono stratificate, reggono in concordanza il N.° 1. Sono conosciute fin’ ora per metri 2 di potenza; nè si sa, se allo ingiù dall’ordinata, esse si approfon- dino notevolmente, mantenendosi eguali a se stesse, o se non riposino su materiali di altra natura, forse tufacea. N.° 0. — Ordinata 6,27 sull’ attuai livello del Mediterraneo; limite inferiore momentaneamente cognito della sezione. In questa esposta sezione sono interessantissimi sopra gli altri i numeri 1, 2 e 7. Sul N.° 1 non aggiungerò altro alla descrizione dettagliata che ne ho dato, bastando essa a tutte le informazioni di comparazione che attingeremo in seguito. Del N.° 2 aggiungerò che esso si estende, o fu incontrato nello scavo della galleria, di qualche centinaio di metri allo indietro o verso nord, e che esso si mostrò sempre limitato, o più svilup- pato, sul fianco sinistro od opposto al Tevere; dimostrando così che l’erosione, a sue spese, fu assai antica; ed antica pure fu l’elezione del Tevere pel suo letto, in quel punto. Che dapper- tutto dove questo tufo venne intaccato, esso mostrò sempre la stessa frequenza e qualità di inclusi, sia organici, che litici. Che in qualche punto esso mostrò intercalazioni, fra i grossi suoi banchi, di straterelli di materiali dello stesso colore grigio- cupo, ma più fini e quindi con maggior omogeneità di tinte e maggior adattabilità a ricevere e mantener delicate impronte di foglie coriacee di vegetali dicotiledoni. Che se un poco ras- somiglia ad alcune delle varietà profonde del tufo di Monte San Paolo, ciò non porta certo a voler ricercare una identità fra questi ed esso; tutt’altro. Esso invece tenderebbe piuttosto in alcuni punti ad assumer relazioni di compagine e di com- posizione chimico -mineralogica, con quei tufi che abbiamo ve- duto sotto il N.° 7, e che abbiamo chiamato piuttosto cappel- laccio di pozzolana. Che in alcuni punti invece esso assume, in DI UNA FORMAZiONK STAGNALE PRESSO ROMA 221 un con un colore grigio-verdiccio, decisa ed evidente stratifica- zione a fogli sottili, e scarseggiare di maggiori elementi sco- riosi contenuti, ed anche una tendenza ad assumere tessitura con- crezionale, fino ad assomigliare, e parzialmente confondersi, per alcuni campioni, col tufo a sferoidi e pallottole che incontrai ad un chilometro e mezzo di distanza più a sud in una vai- letta affluente di quella di Ponte Bottero presso la Fornace ; o meglio ancora a quel tufo che pure chiamai a pallottole od a pisoliti e che incontrai nelle valli di Perna e di Malafede, presso all’osteria del Malpasso. Per rispetto finalmente al N.° 7, confermando la denomina- zione o qualificazione datagli, aggiungerò che noi lo incontriamo nel tratto in esame altre volte, e che per la relazione con altri materiali in cui lo troviamo qui ed altrove, noi dovremo con- siderarlo come strettamente legato allo orizzonte elevato delle Pozzolane di questi dintorni, a quello cioè che altrove ho spe- cificato quale Orizzonte delle Pozzolane Nere. Penetrando a ritroso nella galleria, cioè dal suo sbocco verso Ponte Fratta, o dalla sezione che ho cercato di presentare e dirigendoci verso San Paolo, noi vediamo come in alcuni punti il materiale N.° 2 della sezione stessa, o cambi di caratteri, o venga sostituito da altri materiali di simile o di diversa natura: Soltanto, per la natura e forma del tratto messo allo scoperto, non sempre è dato di stabilir relazioni con materiali sopra o sotto- stanti. Così noi vediamo dapprima, quasi in coincidenza dello sbocco, che il tufo N.° 2 ha in alcuni punti sofferto profonda alterazione per arricchimento locale al momento della sua de- posizione in materiale feldspatico o feldspatoidico (leucitico), e conseguente disfacimento delle scorie e scori ette che lo costi- tuiscono. Egli ha così perduta quasi tutta la sua consistenza litoidica, ed ha assunto un aspetto di una cattivissima pozzo- lana (o cappellaccio) grigio-bruniccia, molto chiara (secca), con numerosi punti bianchi e giallo-chiari. Un po’ più avanti (una cinquantina o meno di metri), ve- diamo che il cielo dello scavo (a circa 11 m. sul mare) è co- stituito da un tufo tra il terroso ed il litoide, di tinta giallo- chiara, di tessitura apparentemente terrosa omogenea, ma ma- scherante un gran numero di minutissimi elementi scortosi va- 222 A. PORTIS ricolori, e rappresentanti quindi alcune delle gradazioni che, interstratificate all’altre, troviamo fra i tufi più profondi e com- patti, ma di tinta più chiara, al Monte San Paolo. Lo vediamo per una lunghezza di 15 o 20 metri. È desso decisamente stratifi- cato ed appare sovraposto, se non gli è slittato davanti, ad un forte deposito di argilla che, in altro punto vicino, costituisce a sua volta il cielo della galleria e che qui costituisce il pie- dritto destro od opposto al Tevere. L’argilla è abbastanza omo- genea, decisamente stratificata e contenente una certa propor- zione di minutissimi avanzi della decomposizione di rocce tu- facee. La si vede per un tratto lungo dai 30 ai 40 metri, e seguendola in tutta la sua locale estensione, si scorge che essa è in massima di colore grigio-azzurrigno, ma intercalata da strati di diversa potenza di altra argilla un po’ meno plastica, ed un po’ più sabbiosa, di color bianco-giallognola (secca), e contenente non frequenti gusci di piccoli eliceidi subpalustri, nonché con- crezioncine calcareo-marnose. Ai limiti fra le due variazioni di argille abbiamo ben sovente veli o straterelli sottili di materiale sabbioso micaceo abbastanza fino. Verso il basso, visibile, del deposito argilloso (m. 7,80 sul mare), lo si scorge arricchirsi di frammenti appiattiti di legni più o men completamente carbo- nizzati o bituminizzati (un più grosso frammento di fusto mi- surava oltre un metro di lunghezza), generalmente appiattiti e che per quantità e qualità non sono apprezzabili come sorgente o deposito di combustibile. A metri 225, risaliti dallo sbocco, noi incontriamo dei rap- porti quasi totalmente inversi ai veduti, fra tufo ed argilla. Il cielo della galleria è costituito dalla descritta argilla grigio- turchiniccia, la quale verso il piedritto destro o di monte, ac- cenna in basso a divenire, come diviene, nericcia o nera affatto, per abbondante contenuto organico macerato e carbonizzato (frondi e fusticini di equisetee, foglie di mono e di-cotiledoni, ossicini di vertebrati, conchiglie di piccoli pulmonati palustri). Sono inoltre ricche queste argille di avanzi riconoscibili e minuti del disfa- cimento di rocce tufacee: scoriuzze semidecomposte, pagliuzze di mica, etc. Quest’argilla sovrasta, in abbastanza accettabile concordanza, ad altro deposito argil Ioide; ma del quale è ancor più evidente l’origine da alterazione e decomposizione dei tufi. DI USA FORMAZIONE STAGNALE PRESSO ROMA 228 A parte la tinta un tantino più fosca, verso il grigio-bruniccio, ed a parte un tantino di più di plasticità, ottenuto con legger- mente più avanzato grado di alterazione di alcuni dei materiali a base feldspatoidica, noi possiamo paragonare questo deposito a quello che ho descritto sotto il hi.0 2, o meglio ancora sotto il N".0 4 alla sezione di Monte San Paolo. Lo scavo arriva a sufficiente profondità per dimostrar come sotto questo materiale si trovi il tufo, questa volta identico al tufo giallo del detto Monte San Paolo. Ma notevole il fatto che questo tufo, qui rinvenuto circa a 7-8 metri sul livello del mare, non corrisponde al tufo, in generale di consistenza litoidea, che s' incontri) alla stessa altezza dentro lo scavo dietro la basilica. Esso è invece piuttosto conforme a quello degli strati superiori, che costituiscono la parte elevata, già anteriormente sporgente al disopra del livello della via Ostiense. Senza voler appoggiar troppo sulla importanza di questa va- riazione del tufo di Monte San Paolo, e limitandoci quindi alla semplice menzione che ne ho fatta, possiamo aggiunger come, grazie ad essa ed ai materiali che, a 225 metri dallo sbocco del tunnel a lei stan sopra, è a noi possibile tener sempre d’occhio l’orizzonte fisso dei tufi di Monte San Paolo, malgrado gli strappi a cui, e durante la deposizione e per azioni posteriori, andò soggetto e malgrado le numerose variazioni che, ed in uno stesso punto ed in punti diversi, desso presenta. Ma seguitiamo a ri- montare la galleria. Essa è lunga dai 400 ai 450 metri, ed il brano di sezione che vengo di presentarne, si trova alla metà circa di sua lunghezza. Più a nord le argille tornano ad occupar tutta l’altezza del lume dato alla perforazione, e solo ad un centinaio di metri circa dallo imbocco noi ritroviamo un tufo il quale assai meno spontaneamente si lascierebbe identificare con quello di Monte San Paolo, e che ha tutta l’apparenza di star al disopra delle argille azzurrigne. Ad esse cede dopo pochi metri di sviluppo il campo per rimostrarsi più vicino allo im- bocco (ad una quarantina di metri da esso), per una lunghezza di circa dieci metri. Ma questa volta esso si adagia ad unghia sopra le argille stesse, conferma adunque la posizione per ri- spetto ad esse che era confusamente accennata a metri cento. A trenta metri dallo imbocco le argille tornano ad essere le 224 A. PORTJS sole incontrate in tutta la sezione della galleria, e tali si man- tengono nel tratto fra la progressiva 30 ni., e la progressiva 10 ni.; da questa allo imbocco abbiamo un ritorno degli stessi tufi, i quali sono parzialmente visibili al basso della profonda trincea scavata per dar accesso alla galleria di cui è parola fin qui, e combinare il raccordo a gomito del collettore fra questa galleria ed un’altra precedente, die aneh’essa deve sot- topassare alla via Ostiense, ma con direzione da N.-N.-O. a S.-S.-W. Parrebbe che questa trincea, estesa allo insù con un alto sbancamento alla collina, dovesse riuscire molto interessante e concludente per stabilire la successione e sovrapposizione dei materiali e terreni che fin qui abbiamo veduti. Ma disgraziata- mente le cose non vanno così regolari. L’incisione provocò una estesa frana nel versante della collina, o relitto di altipiano, che le si trovava ad occidente ; o meglio, rimise in movimento dei materiali che con tutta probabilità già eransi smossi ed avevano anteriormente slittato sull’argilloso pendio. Il continuo alterarsi delle relazioni fra i materiali interessati da questo taglio, od abrasione dalla superficie, rende assai difficile e som- mamente dififidabile la lettura di una serie o progressiva suc- cessione di essi. Dirò ad ogni modo quel che mi è parso poter distinguere sovra una denudazione che non potè mai esser con- temporaneamente visibile per la totale sua altezza di circa una ventina di metri. X — Un materiale tufaceo, in alcuni punti rossastro-gial- lastro, a grandi macchie bianche, ed a scorie piuttosto grosso- lane, molto disfatte, evidentemente stratificato (cacate di co- lombi); in altri punti, allo stesso livello, grigio picchiettato di bianco, a minuti elementi, ancor più evidentemente stratificato; in altri ancora costituente prosecuzione di banchi o strati pochis- simo coerenti di scorie disformi per colore (dal rosso lionato al nero), e per mole, e che complessivamente potrebbe esser chiamato pozzolana d’infima qualità, o cappellaccio di essa: Serve di coronamento alla sezione e nello stesso tempo costi- tuisce una cotenna erbosa sulla quale sparsi e grami allignano i cespiti erbacei o semilegnosi. Può, quando maggiormente con- servata, aver qualche metro di potenza. DI UNA FORMAZIONE STAGNALE PRESSO ROMA 225 Y. — In concordanza coi tufi sovrastanti X, vedonsi, per la potenza di circa 2 metri, altri tufi più omogenei, più uni- formi per grana e colore. Sono in massima parte a grana mi- nuta, chiaramente stratificati; altri straterelli invece più sab- biosi, di tinta grigio-cinerea, con frequentissimi punti bianchi ; altri straterelli invece più terrosi di tinta giallo-sporco-chiara, quasi privi di punti bianchi, e di potenza di qualche centimetro: altri ancora, più evidentemente sabbiosi con minore numero di punti bianchi, e di tinta generale volgente al nerastro. Tufi pozzolanei o tufi granulari stratificati, pochissimo coerenti. Se appaiono concordare coi sovrastanti è ben incerta la concordanza loro coi materiali sottostanti U. IT. — Succede, per una diecina di metri, una sovrapposi- zione di materiali argilloidi di diversa purezza e tinta, scindi- bile in pseudobanchi a lor volta potenti oltre il metro. I banchi sempre in movimento e sempre in posizione dipendente dagli anteriormente subiti movimenti, si alternano: di materiale, or più prettamente argilloso grigio-turchiniccio, or più marnoso giallo-chiaro, e scheggioso, oltreché ricco in concrezioncine più calcaree. Altri banchi apparirebbero frammezzo a quel caos che paion di materiale duro e resistente e che da lontano si vorrebber definire tufo litoide, mentre invece toccati si riconoscon di ma- teriale argillo-mamoso, localmente alquanto più duro, e slittato in grandi falde. Non mancano però, cadutivi dal tetto, blocchi e blocchetti di tufo di svariata consistenza e tinta. Cosi pure non mancano frammenti e frammentimi lenticolari di combustibile fossile xiloide; ma guai al disgraziato che si attenti bruciarli in luogo chiuso. Altri maggiori frammenti di legni fossili sono quasi completamente calcarizzati e posteriormente sfarinantisi e scheggiati come molti dei legni fossili dai tufi di altri punti della campagna romana. Ben poche son le conchiglie ricono- scibili di piccoli pulmonati palustri, che si possano ricavare da questa successione di svariate gradazioni di materiale argilloso ed argilloide. T. — In basso incontriamo il tufo che abbiamo osservato allo imbocco della galleria ulteriormente risalita, e che si con- tinua per il fondo visibile del cavo (una quindicina di metri 15 226 A. PORTIS trasversi), fino ad andarsi a nascondere dietro il piedritto orien- tale della galleria, ulteriormente più a nord. Ciò che si può vedere e conchiudere da questa sezione, si è che, malgrado gli spostamenti subiti, si mantiene la presenza di due distinte sorta di tufo : una profonda la quale più o men direttamente si connette con quella che costituisce le regioni, or profonda or elevata, del Monte San Paolo; ed una elevata la quale si attacca colla grande distesa delle pozzolane che troviamo più ad oriente da Tor Marancia a Grotta Perfetta, Tre Fontane, Casa Ferratella, eco. Due sorta di tufo, che per un chilometro almeno, in senso longitudinale, appaiono tenute distinte da una assai potente interposizione di materiali argillosi depositatisi in una depressione occupata da acque stagnanti, e che venne colmata appunto dal rapido accumularsi di questi materiali provenienti direttamente ed indirettamente dalla la- vatura e decomposizione dei materiali tufacei costituenti: ed il fondo della depressione, ed il suolo circostante. Conclusione ge- nerale questa che viene confermata dalla osservazione dei ma- teriali, or tufaceo-granulari, or tripolacei, or argilloidi, nelle nu- merose ma poco stabili e diversamente elevate e monde sezioni messe in mostra ai lati della via Laurentina, dall'Osteria del Ponticello all’Abbazia Tre Fontane, e dalla Strada di Allaccia- mento Via Laurentina-Via Ostiense, dalla detta Abbazia al- l’Osteria di Ponte Fratta. Da poche decine di metri, oltre la pietra chilometrica terza sopra la via Ostiense, a venir di altrettanto al di qua della stessa pietra miliare, vedonsi sul fianco orientale della strada stessa sviluppate e ricoperte dalla vegetazione due sorta di tufi. L’uno più alto è quello stesso che già allo sbocco Ponte Fratta della galleria terminante al quarto chilometro, trovammo, e che rico- nobbi qual cappellaccio di pozzolane e che dal più al meno non si è perduto di vista per tutto questo chilometro fatto a rovescio; esso termina in basso, alla pietra chilometrica, circa un metro sopra il piano stradale (13 m. sul mare) ed è qui direttamente sopportato da altro tufo grigio peperinico a scorie grossolane, a ghiaiette arrotondate, ed a numerose impronte di vegetali di-co- tiledoni a foglie coriacee, primo fra questi per frequenza ed abbondanza il Buxus sempervirens. Tipo di questo tufo è quel DI UNA FORMAZIONE STAGNALE PRESSO ROMA 227 clie si trova a Prima Porta sulla via Flaminia, a livello della strada sul margine settentrionale. Un po’ più da lontano vi ras- somiglia quello elle ho accennato trovarsi in qualche punto nei piani più bassi del tufo giallo di Monte San Paolo. Se queste due gradazioni, alquanto simili di tufo, in località non più separate fra loro che da un intervallo minore di un chilometro, sono rap- presentanze reciproche di uno stesso atto formativo, come è pro- babile; rimarrà tuttavia sempre incidente degno di nota l’altro fatto precedentemente segnalato, grazie al quale nella galleria sboccante a Vigna Venerati trovammo (a circa 700 metri di qui) il tufo di Monte San Paolo nelle sue gradazioni più elevate, e quindi relativamente più giovani ad una quota sul mare fra i 7 e gli 8 metri ; mentre noi qui potremmo avere le gradazioni più basse, e quindi relativamente più vecchie, ad una quota di circa 13 metri, e per di più immediatamente in contatto con altra formazione tufacea assai più giovane, quale è quella delle pozzolane. Allungando adunque di due chilometri il nostro campo di osservazione, e connettendo insieme anche i brani di sezione molto imperfetti e separati da diseguali distanze, e visibili a quote diverse, siamo tuttavia riesciti a stabilir qualche cosa che direttamente completa la serie di vicende ; grazie alle quali potè prodursi la serie di depositi da me nominata e cercata di illu- strare, dietro la basilica di San Paolo. 1. ° In primo luogo questo possiamo concretare, che la for- mazione stagnale radicata, a San Paolo, sui tufi dell’omonimo monte, è assai più estesa verso sud di quanto essa a San Paolo, loco, non appaia. Essa, oltreché in altre direzioni, si estende o si estese verso sud, per più di due chilometri; fino a raggiun- gere e superare il poggio della Vigna Venerati e per conse- guenza fino ad appoggiarsi, molto probabilmente, contro al Monte della Creta o del Finocchio. 2. " La piccola conca tagliata dal collettore, dietro San Paolo, non rappresenta quindi che un’ansa, un’ernia strozzata fra due relitti di tufo di una ben maggior distesa di stagno, probabil- mente allungata e ristretta, e nella quale si raccoglievano abbon- dantissimi e rapidissimamente elevantisi depositi, sovrattutto di sedimentazione meccanica. 228 A. PORTIS 3. ° La serie dei terreni che raccolti in questo stagno ab- biamo a San Paolo numerati progressivamente dal due al dieci, non è completa ; essa deve venir chiusa colla sovracolloeazione, almeno, delle pozzolane nere che abbiamo veduto, malgrado le dislocazioni subite costantemente, mantenersi superiori e talor concordantemente alle argille corrispondenti al N. 10 sovrapposte della conca dietro San Paolo. 4. ° La serie delle sabbie diversamente grossolane, che io ho osservate nel 1891-92 in prossimità della Vigna Venerati, e che nel 1° volume delle mie Contribuzioni alla storia fìsica del ba- cino di Roma, a pag. 61, ho chiamate Ghiaiette, e sabbie mi- nute dell’Elevatore di Ostia (Eig. la della tavola 2"), munite della lettera e numero convenzionali d 5, nonché quelle altre coi segni convenzionali d 6, e chiamate sabbia finissima argil- loide giallastra, diventano gradatamente intaccate di sospetto, per la continuità loro coi sottostanti terreni ; i quali a loro volta devono essere interpretati a nuovo (e prevedo ringiovaniranno di molto) valendoci dei nuovi lumi forniti dai recenti estesi tagli, e perforazioni pel prolungamento del collettore. 5. ° La collocazione della formazione stagnale di San Paolo, sopra ai tufi gialli di San Paolo, nei quali si son rinvenuti blocchi del calcare a Pupa precedentemente formato ed eroso, e sotto alle pozzolane nere, permette di ricostituire con sufficiente precisione il brano di cronaca riguardante : ed i tufi gialli di monte San Paolo, ed i depositi stagnali che si raccolsero sovra di essi. E vorrei subito venire alla esposizione di questo brano della successione dei nostri terreni, se ancor non avessi da richiamar l’attenzione su qualche necessaria premessa o ricordo di risultati anteriori. Così, è risultato dal mio citato lavoro e volume, come abbastanza frequentemente in svariate località in cui si raggiunge attorno a Roma la formazione vulcanica più profonda, talora in diretta e concordante sovrapposizione colle plioceniche ghiaie o sabbie gialle a numerosi conchiferi e gasteropodi marini; è ri- sultato, dico, come questa prima formazione vulcanica possa es- sere quel tufo a sferoidi od a pallottole, detto anche tufo ] (isoli- tico, che io menzionai alla fornace al Monte della Creta o del Pinocchio (pag. 61 citata), colla notazione c1 0, e che corrispon- dentemente annotai nel Tavolone di pag. 143 in fondo alla prima DI UNA FORMAZIONE STAGNALE PRESSO ROMA 229 colonna di sinistra, quarta casella cominciando dal basso di essa, col nome di Tufi a sferoidi, a proietti smussati ; di Ponte Bottero. È risultato eziandio dalle mie osservazioni fatte lungo la Costa Tirrena dalla foce dello Schiavo a Torre Astura, fatte di pubblica ragione nelle pagine 310-344 del Volume 2° di dette contribuzioni, 1896; come il Macco debba esser ritenuto una formazione incidentale dentro quella detta delle sabbie gialle; della potenza della quale, quando è presente, rappresenta una parte di importanza variabile, talor una frazione trascurabile, talor quasi la totalità. Ma molto o poco sviluppato che esso si sia, esso sta in pieno nella regione delle sabbie gialle plioce- niche marine, alle quali nella sezione generale di raccordamento, per 30 sezioni materialmente e dettagliatamente illustrate, as- segnai, a pag. 334-335, il N. 2. Ma siccome nel primo volume dimostrai a sua volta, come formazione incidentale, o facies sur- rogata, del Macco fosse quel calcare che chiamai calcare argil- loso a Pupa od a Chara, che in tanti luoghi ritroviamo sì presso e a nord di Roma, che più lontano sul litorale Tirreno, da Cor- neto, Civitavecchia, a Palo, ad Anzio, ecc.; così ne viene di conseguenza che nel tavolone comparativo stesso, di pag. 143 del voi. 1°, il Macco e sue formazioni incidentali e surrogate, deve esser di molto abbassato nelle colonne ove esso è indicato; ed, anziché occupare la posizione apicale che colà gli è stata assegnata, cioè nella quintultima casella a cominciare dal basso; esso deve collocarsi in posizione basale, cioè a cominciare dalla quarta casella e ad andar tutto al più fino alla settima casella, sempre a cominciare dal basso. E poiché della stessa sezione generale di raccordo di voi. 2°, pag. 334-335, il N. 2 si conviene tanto bene al cuore della formazione delle sabbie gialle, sieno esse o meno sostituite dal macco, o suoi surrogati, quanto ad una estesa e potente forma- zione tufacea, così ne verrà di conseguenza altrettanto neces- saria che quella formazione tufacea, verrà nel tavolone ad oc- cupar la stessa posizione, a cui più sovra ho accennato necessario trasportare il macco. Conseguenza delle conseguenze sarà, che o questa formazione tufacea potrà rappresentare in località di- verse quel tufo a sferoidi di cui vengo or ora di far menzione, 230 A. I'ORTIS o lo debba in una teorica sezione generale completa, respingere e, magari notevolmente, più in alto. E siccome, non avendo dinanzi agli ocelli ed alla mente questo conflitto di posizione tra i due tufi, ma avendo ad esaminare e risolvere ben diverse questioni, ho potuto constatare nei dintorni del Malpasso, che il tufo a pallottole coronava la formazione delle sabbie gialle, completata in alto dapprima colle ghiaie gialle povere di conchiglie fossili, e poi colle argille a Cardimi, così col richiamo delle osservazioni fatte sul litorale e delle con- seguenze ottenutene, col richiamo delle osservazioni fatte presso Castel di Decima, e delle conseguenze ottenutene si può facil- mente risolvere il dubbio emerso, dalla necessitata nuova collo- cazione in serie stratigrafica ascendente: del macco, del calcare argilloso, dei tufi a fossili marini pliocenici constatati sul lito- rale; e conchiudere che, in linea generale e quando i tufi della, Pinciera ecc. non presentino essi stessi un aspetto consimile per qualsivoglia causa, il tufo a pallottole dovrebbe venir considerato come più giovane e rimandato assai in su: almeno oltre la ca- sella settima, cominciando dal basso, delle colonne del più volte ricordato tavolone. (Per alcuni casi e giacimenti speciali, potrà esser mandato ancora di molto più su, per altri assai più in giù). ISlel caso speciale era necessario premettere queste dedu- zioni: primo, perchè abbiamo vicino da molte parti ed a quote or relativamente elevate or relativamente basse il tufo a sfe- roidi ; secondo, perchè nei tufi di Monte San Paolo, o meglio nella loro estensione alla galleria del collettore a Pontefratta, si rinvennero blocchi rotolati del calcare argilloso a Chara, od a Pupa, od altri molluschi palustri, succedaneo del macco. Parlando della formazione del Tavolato, voi. 1, pagg. 259- 293, tav. 3, fig. 1, ed in altri luoghi più incidentalmente, ho rigorosamente fissato l’ordine di successione dei diversi orizzonti tufacei frammezzo ai quali alcuni, per applicazioni industriali, hanno ricevuto il nome di pozzolane; ho prima e poi stabilito le relazioni di continuità laterale fra questi tufi localmente poco coerenti e quegli altri che tanto coerenti diventano, da aver da Brocchi ricevuto il nome di Tufi Litoidi, e che fanno capo al tipo sviluppato nel Campidoglio. In quel testo ed in quella figura mi sono limitato a considerar come orizzonte il più profondo, DI UNA FORMAZIONE STAGNALE PRESSO ROMA 23L quel che più profondamente era raggiunto dallo sfruttamento delle pozzolane alla cava dei Cessati Spiriti. Nelle mie osser- vazioni lungo il Tevere, e la via Ostiense, tino a Dragoncella, e lungo la via di Castelporziano tino a Castel di Decima, e re- gioni traversate ed allaccianti, ebbi agio di vedere che cosa si trovi al di sotto dell'orizzonte delle pozzolane rosse; come queste ben soventi direttamente o quasi si continuino superiormente dai tufi a pallottole, od impropriamente detti pisolitici. Col tener dietro ai numerosi rinvenimenti di ossami fossili nella campagna, potei infine aver altrettanto numerose prove che, se non così frequentemente l'Ippopotamo, certo almeno YJElepìias meridio- nalis-antiquus ed il llhinoceros Merda, si trovano con marcata costanza, così bene nell’orizzonte delle pozzolane rosse, come in quello delle pozzolane nere ; ed ho così l’agio di chiudere entro un cerchio di ferro le formazioni che presentemente ci interes- sano, alla basilica di San Paolo, alla ricostruzione di storia delle quali finalmente arrivo. Il tufo a cui ho attribuito il N.° 0, alla sezione dietro alla basilica e chiostri di San Paolo fuori le mura, ed a due chi- lometri di distanza dalla porta omonima (*) ; quel tufo N.° 0, che incontriamo nel cavo pel collettore a quote inferiori a 5 sul livello del mare, e che probabilmente riposa sovra ghiaie poli- geniche appartenenti al sistema delle sabbie gialle plioceniche; deve considerarsi come l’elemento il più antico di tutta la se- zione estesa per due chilometri, da questa località N.-N.-O., a quella S.-S.-W., di Vigna Venerati. Infatti, esso qui si depose e stratificò sovra un basso lido sabbioso ghiaioso marino, ed in- corporò in se le ghiaiuzze e, le valve di conchiferi marini che giacevano sovra il fondo; e col creare un rilievo momentaneo sul fondo, e col procurare momentanea emersione del deposito tufaceo o di una sua parte, occasionò dall’un lato, colle nume- (') Faccio qui, come ho fatto precedentemente, apposta abuso di spe- cificazioni precise per non lasciar mai immaginare al lettore che io qui parlando del Monte San Paolo intenda parlare di altra piccola eleva- zione del suolo, posta essa pure lungo e sulla sinistra della via Ostiense, ma a 15 chilometri di distanza dalla Porta San Paolo. Anche questa ele- vazione porta il nome di Monte San Paolo, e su di essa anche ebbi a fare osservazioni che registrai in precedente studio. 232 A. P0RT1S rose e svariate condizioni offerte da punto a punto allo asset- tamento, alle selezioni ed alle reazioni mutue dei materiali di- versi elle lo costituivano, le tanto più numerose gradazioni ed aspetti diversi che a suo luogo ho ricordato (non esclusa quella chiamata già, da autori ben di me più antichi, tufo a pallottole, o tufo pisolitico grigio-verdiccio, o da me chiamato altrove tufo a sferoidi ed a proietti ; gradazione questa alla quale, forse a ragione, forse a torto, si diede già grandissima importanza, ma che certo almeno si ritrova e si ripete un numero considerevole di volte in altrettanto numerose sezioni e località di questi din- torni). Dunque mentre il Tufo X.° 0 di Monte San Paolo, col pro- vocare una barra momentaneamente o parzialmente emergente di materiali, arrestava ed accoglieva nel proprio tessuto anche una quantità notevole di materiali realmente od apparentemente eterogenei, quali sarebbero: conchiglie galleggiate di molluschi palustri; foglie e fusti galleggiati di vegetali terrestri; ossa ca- denti da galleggiati carcami di grandi mammiferi terrestri (Ele- phas, Bhinoceros , JBos, ecc.); ciottoli di calcari diversi, non escluso il Calcare a Pupa, svèlti da frangenti e spiagge battute dalle onde e soggetti ad erosione; ciottoli di tufi diversi (nuclei dello stesso tufo pria eroso che consolidato e rotolati e soffermatisi poi, perchè impigliati un po’ più in alto od un po’ più profon- damente nel materiale più sottile di selezione locale fra il ma- teriale tufaceo stesso) ; ed infine veri proietti più o meno arro- tondati o goceiformi od angolosi di vero materiale lavico, di proporzioni, fra le diverse specie minerali componenti, diverse da goccia a goccia, da blocco a blocco, da frammento a frammento. Questo tufo N.° 0, che alla basilica di San Paolo si man- tiene da quote minori di m. 5 sul mare, fino a quella di 8 nella lunghezza del 4° chilometro dalla porta Ostiense, accenna a voler raggiungere quote sempre più elevate; cosicché al di là del 4° chilometro esso apparirebbe basare già alla quota 8,25 per arrivare superiormente a quella di 10,25. Ma mentre esso va apparentemente elevandosi di posizione, muta di contenuto e di caratteri. E se da una parte, con una delle sue variazioni, passa al tufo detto pisolitico od a pallottole, e ci permette di rintracciarlo in quel suo surrogato alla Fornace della Valletta, DI UNA FORMAZIONE STAGNALE PRESSO ROMA 233 a ponte Bottero, ove si eleva alla quota 13, e dopo varie vi- cende e smarrimenti persino al Monte Cagno (tenuta di Dra- goncello), alla quota 10, e all’osteria del Malpasso a quota su- periore a 25 metri: D’altra parte, colla ricchezza e svariatezza del suo contenuto, ci autorizza ad ammettere che il ghiaione poligenico compreso in tufo sfarinato, che incontriamo sotto di esso, da quota 8,25 a quella di 6,25, allo sbocco della gal- leria a Ponte Fratta, e che colà abbiamo dotato del N.° 1, non costituisca già uno strato inferiore al Tufo, colà dotato del N.°2, ma una lente dentro lui stesso: Che quindi, il Tufo N.°2 possa rinvenirsi al di sotto del ghiaione N.° 1 il quale, come si va gradatamente assottigliando a Nord fino a venir total- mente a mancare, così potrà andar gradatamente assottiglian- dosi, fino a venir a mancare verso Sud. Ma questo dopo un trascorso abbastanza lungo, dopo una serie abbastanza lunga e svariata di fasi e di incidenti, fra i quali ben possiamo com- prendere quelle potenti e complicate asole che così istruttive e belle ci si mostrano alle sezioni presso il Casale del Torraccio (al nono chilometro sulla via Ostiense). La digressione, che precede, era necessaria per ben com- prendere e far comprendere dove io faccia appoggiare i tufi inferiori del Monte San Paolo, ed in qual mezzo io li faccia stratificare. Li appoggio direttamente sulle sabbie gialle ed in con- tinuità cronologica diretta, da e con esse ; li faccio stratificare in acque marine sottili e, per il rapido sovrapporsi di deposi- zione tufacea a distribuzione tufacea, i successivi sempre più giovani ed elevati strati posson momentaneamene o localmente cessar di esser subacquei, per divenir parzialmente subaerei e dar luogo a barre e rilievi duniformi, in collo ai quali potranno essersi originate o trasformate o provocate lagune o stagni o paludi littorali, riempite poi con acqua di salsedine, per cause diverse, diversa. Così, passo dal Tufo N.° 0 al Tufo N.° 1, il quale rappresenta dal più al meno il materiale che, all’atto immediato della ca- duta sul suolo, non ebbe agio di assettarsi, per sedimentazione meccanica e chimica, attraverso ad una quantità e massa suf- ficiente di veicolo liquido. 231 A. PORTIS La stessa serie di emissioni di materiale eruttivo, che pro- dusse il deposito tufaceo N.° 0, produsse, perdurando, il depo- sito tufaceo N.° 1; cosicché esso in breve venne a stratificarsi entro un bacino acqueo limitato e circoscritto, sia per l’area, sia per il quantitativo di liquido, in relazione col quantitativo di materiali minerali od assimilati che aveva a distribuire. Altro materiale proveniente contemporaneamente dalle stesse bocche eruttive, ma sottoposto a condizioni ed ambiente diversi dopo l’ uscita dal cratere, si stratificò altrove sotto forma di pozzolane (rosse) e di tufi svariati ad esse sottoposti, intercalati e sovrap- posti. Nei pressi della basilica Ostiense, esso si elevò rapida- mente per decine di metri di potenza, chiudendo nel proprio seno avanzi ossei elefantini e rinocerontini, caduti dai carcami che le acque trasportavano e lasciavano arenare nella località, e reliquie di piante di ordini assai elevati pure trasportate dalle acque in quel punto. Immediatamente dopo, o quasi contemporaneamente, alla de- posizione degli ultimi strati tufacei, sul punto oggi occupato dal Monte San Paolo, i tufi vennero rapidamente e potentemente dilavati ed incisi da quelle stesse acque che li avevano ricet- tati, e che erano state di conseguenza costrette a soggiornare sopra un fondo ben più elevato dell’originale. Esse sfiancarono in breve le pareti del nuovo bacino costituite da materiale ben poco coerente e resistente; le incisero profondamente obbligan- dole poi a franare, ed a provocar così nuove successive frane nel materiale sempre più centrale del bacino stesso. Si deter- minarono anche momentanee correnti locali e rapide e dopo un breve periodo di erosione e di tumultuaria rideposizione del ma- teriale spostato, le acque, fattesi decisamente continentali e li- mitate e costrette fra i relitti della formazione tufacea prima demolita che costrutta, stagnarono sopra un fondo che in alcuni punti poco distava per altezza da quello su cui eransi deposti i tufi N.° 0 e N.° 1. Il materiale tufaceo costituente le nuove sponde dei nuovi stagni, mal resistette alle nuove condizioni chimiche presentateglisi nelle acque stagnanti, in brevissimo tempo invase dagli orga- nismi sì animali che vegetali. La parte feldispatica e feldspa- toidica si argil liticò o caolinizzò in breve, provocando sempre DI UNA FORMAZIONE STAGNALE PRESSO ROMA 235 nuovi sgretolamenti e corrosioni della parte più elevata dalle ripe; il materiale che ne risultò venne a raccogliersi e strati- ficarsi sul fondo stesso dello stagno, in tanta maggior copia quanto più strette erano le anse, i seni e le strozzature che dividevano e suddividevano la superficie dello stagno; e si pro- dussero così i depositi che raggruppai sotto i numeri 2, 4 e 5. I successivi fatti, posteriori alla deposizione dei tufi N.° 1, si svolsero in breve periodo di tempo, e mentre ancora era at- tiva, benché in via di decrescenza, la fase produttiva di tufo che aveva generati i depositi K.° 1 ; cosicché, per un momen- taneo risveglio di essa, si ebbe nell’ansa di maggior stagno sco- perta a San Paolo, e posteriormente alla deposizione di un primo strato per sedimentazione chimico-meccanico-organogenica N.° 2 ; quella soprapostavi di uno strato tufaceo JST.° 3, deposto origina- riamente a fondo di battello e costituito da materiali poco di- sformi da quelli che costituiscono i tufi N.° 1. In seguito, resisi meno vivaci e meno frequenti questi in- cidenti, il materiale fornitone andò ad aumentare, confondendo- visi, la massa delle formazioni per risultato di energie chimica- meccaniea; ossia a continuar il deposito K.° 2, interrotto nella sua monotomia col deposito N.° 3, e ripreso in seguito col de- posito p.° 4. A misura della maggior quiete introducentesi nelle rela- zioni fra liquido contenuto e bacino contenente, nel territorio in esame, la argillificazione del materiale tufaceo (lentamente ra- pito ai margini del bacino e sue accidentalità e nel bacino stesso sommerso, oppure apportato ad esso da particolari scoli alimentatori) si andò rendendo più lenta e più perfetta ; ma con tutto ciò, col volger dei tempi, si andò pure, il materiale che ne risultava, accumulando in quantità sempre maggiore, sì che noi così otteniamo depositi di metri addirittura di potenza; quale sarebbe quello distinto col N.° 5. Ho detto che lo stagno, appena si rese stabile ed autonomo, fu invaso dalla vita organica. Alghe palustri di certo non vi mancarono, che anzi furon quasi di certo fra i primi invasori, e fra queste furon, per i tempi avvenire, più importanti le Dia- tomee; poiché lasciarmi traccie materiali della loro presenza. Contemporaneamente ad esse, ed a causa di esse, si ebbe pure 236 A. P ORTIS una invasione ed una occupazione dell’area per opera dei pul- monati palustri. Nuovi e più elevati vegetali palustri vennero attirati a fissarsi sul margine dello stagno ed a procacciare ali- mento e riparo a ben più elevati animali. Quindi la presenza e frequenza dei vegetali, dei molluschi, insetti e pesci, invita alla abitazione ed alla frequentazione i rettili, dell'ordine dei chelonii, e vi attira gli uccelli; tutti questi vi attirano partico- lari mammiferi; i quali a lor volta provocano e subiscono rea- zioni su e da parte degli altri animali, ed i residui scheletrici derivati da particolari rapporti o conflitti fra animali di tipi ed ordini diversi, fra animali affini e fra lontani, fra animali e ve- getali, fra vegetali di tipi ed ordini svariati, si aggiungono ai risultati e prodotti litogenici della semi ilice attività chimica e chimico-meccanica, e in essi vengono infusi per fossilizzarsi poi, Yi son dei momenti, però, in cui maggiormente si manifesta la attività della vita organica inferiore, e particolari Diatomee, con stragrande sviluppo, ed estremamente esagerata riproduzione e moltiplicazione, accennerebbero ad eliminar, od a monopolizzare a loro favore tutti i principi i vitali del luogo. L’esagerato squi- librio ricade poi a detrimento e ad estinzione momentanea, quindi a freno, dello stesso tipo monopolizzatore ; il quale ha tuttavia tiranneggiato tanto a lungo e tanto attivamente da coprir lo spazio con un deposito continuo stratiforme o lentiforme potente di qualche centimetro. Ristabilitosi l’equilibrio cogli altri agenti produttori, riprende al disopra la formazione e regolar deposi- zione di materiali prevalentemente argillosi; e le intercalazioni tripolacee, che noi osserviamo nella potenza del deposito N.° 5, del N.° 7, e l’ intiero N.° 8, ci dimostrano quante volte la vi- cenda si sia ripetuta. In fine, col diuturno accumularsi di materiale sul fondo di uno stagno di piccola profondità, il materiale stesso si andò man mano sempre più perfettamente digerendo ed argillificando, e il bacino diventò sempre meno concavo, fino ad espellere sempre più compiutamente le acque da particolari frazioni del- l’area già stagnale. Lo stagno divenne una pozza, od una serie di pozze; poi di acquitrinii; nuove essenze vegetali si sostitui- rono ad altre e si ebbe l’invasione degli equiseti ; gli animali DI UNA FORMAZIONE STAGNALE PRESSO ROMA 237 amanti delle antiche condizioni del luogo, le cercarono altrove e disertarono la posizione. Sotto queste finali condizioni avvenne la deposizione dapprima dello straterello 9, poi del complesso N.° 10, a lor due soli abbraccianti più di un terzo dell’intero deposito stagnale nel golfetto presso la basilica Ostiense ; altrove rappresentadone la quasi totalità ; qui ed altrove mostrando un materiale quasi uni- camente argilloso, una copia moderata di spoglie di molluschi di acquitrinio, uno scarso contenuto di ossami di vertebrati, come di fusti di vegetali superiori. Finalmente: cessando il periodo di quiete relativa od asso- luta, nel qual si era giaciuta l'attività vulcanica produttiva di materiale endogeno; questo venne, a brevi ma energiche riprese di nuovo, ed abbondantemente distribuito; ed, a seconda delle più o meno marcate depressioni ed infossature del suolo più o meno potentemente accumulato e dilavato. E lo fu sotto quella forma che, previe le intermediarie chimiche trasformazioni o ce- mentazioni diversamente progredite, a seconda che il materiale era più potentemente o più sottilmente accumulato, più vicino alla superficie o meno, noi conosciamo col nome di Pozzolane Nere e lor cappellaccio, di Tufi diversamente Granulari e Litoidi di color giallo lionato e lor cappellaccio. Anche da queste pozzolane nere conosconsi, benché più rari, i fossili; e sono ancora i grandi mammiferi estinti che noi co- nosciamo dalle pozzolane rosse e dai tufi ed altre rocce ad essi inferiori; ancora sono V Elephas meridionalis antiquus, il JRlii- noceros Merchi, 1 ' Hippopota mas amphibius, le di cui ossa segui- tarono a cader nelle pozzolane nere, e sulle pozzolane nere, da carcami o lor grandi parti trasportati dalle acque. Quindi, se le pozzolane molto probabilmente si stratificarono caoticamente in un mezzo liquido, quantitativamente di massa insufficiente a selezionare e distribuire questo materiale diviso, in determinati momenti e località, esorbitantemente fornito (o meglio si strati- ficarono sopra un mezzo liquido, affondandosi in esso a misura che Tacccumulo polverulento (e quindi repellente l’infiltrazione del circostante liquido) aumentava di peso, ed obbligando il liquido a circondarlo ed involgerlo senza bagnarlo, spostandosi lateralmente fino a reinvaderne poi, sempre con progressivi spo- 238 A. PORTIS stamenti laterali prima divergenti e poi convergenti, la faccia superiore, come si tratterebbe di un galleggiante tirato a forza sott’acqua) esse pozzolane non ebbero tuttavia influenza suffi- ciente a mutar le condizioni da sommerse ad emerse, per vaste distese di territorio. I carcami di grandi mammiferi, che prima arrivavano da continenti, a noi oggi ignoti, (perchè ingoiati dalle acque che con molta parsimonia, ciottolo a ciottolo, fiocco a fiocco, grano a grano, ne restituirono in parte i brandelli incom- pletamente o completamente digeriti elevando con essi gli strati argillosi, sabbiosi e ghiaiosi del pliocene superiore) ad appro- dar, galleggiando sulle acque, ed interrirsi sul nostro terri- torio, seguitarono ad arrivarvi dopo la produzione delle poz- zolane nere, e dopo la produzione di quel tufo granulare poco coerente che le chiude dal di sopra, e che chiamiamo « Tufo a cacate di colombi ». Ora, se il materiale JST.° 10 della Basilica Ostiense si trova, come lo si vede realmente a Vigna Venerati e nella galleria, sotto le pozzolane nere ; ciò vorrà dire che gli animali che rin- chiude ed a maggior ragione quei che ricopre, per appartenere a complessi dal 2 al 9, vissero, per quanto di poco, anterior- mente a quei che fornirono gli avanzi loro alle pozzolane nere ed ai tufi a cacate di colombi. Quindi tutti gli uccelli e mam- miferi e rettili, dei complessi 2-10, per quanto in maggioranza ascrivibili a specie ancor oggi viventi, ed ancora in maggio- ranza sul suolo in cui noi li rinveniamo allo stato fossile, sono più antichi delle specie estinte (relativamente alla località) di grandi mammiferi che sovra essi lasciaron lor spoglie, sono più antichi di quegli individui di elefante, rinoceronte, ed ippopotamo, che appartengono ai tufi superiori. Or siccome questi grandi mam- miferi son propri e caratteristici o classici del piano siciliano, cosi al modo stesso che in base al lor frequente rinvenimento pos- siamo già assegnare a quel piano una parte delle formazioni o depositi ghiaiosi terminanti, indissolubilmente da loro, le sabbie gialle pliocenico-marine ; al modo stesso che in base al lor fre- quente rinvenimento assegniamo a quel piano i tufi inferiori direttamente a quei depositi ghiaiosi sovrapposti cosi allo stesso modo, per il non scarso rinvenimento di spoglie originali di quei DI UNA FORMAZIONE STAGNALE PRESSO ROMA 23£> mammiferi: assegniamo a quel piano tutti i tufi superiori e i terreni intercalati fra gli inferiori ed i superiori. Così tutta la curiosa ed interessante formazione stagnale, rive- lata dal Collettore a poca profondità dietro la basilica Ostiense, tutta la preziosa avifauna fossile in essa contenuta, passano, armi e bagaglio, e si mantengono nel piano siciliano. Prima di chiudere il presente lavoro debbo dichiarare che nello elenco degli avanzi ornitici fossili e subfossili italiani, che ho raccolto da precedenti memorie e notizie alle pagine 193- 197, ho di proposito lasciato da parte il maggior numero di quelli fatti conoscere sovratutto nell’ultimo dodicennio quali provenienti dalle caverne e grotte della Liguria. Le ragioni che mi indussero a ciò fare sono essenzialmente due: La prima, perchè tali avanzi erano troppo manifestamente accompagnati da reliquie dell’uomo o dalle sue assai avanzate in- dustrie. La seconda, perchè essi vennero già fatti dettagliatamente di pubblica ragione per opera dei loro ricercatori e classificatori; sì che il mio lavoro si sarebbe ridotto ad una semplice trascri- zione da pubblicazioni che sono oggidì alla portata di tutti. È bene però che a più completa informazione sugli avanzi ornitici in Italia io ricordi i principali fra tali scritti e loro autori ed accenni succintamente ai risultati da essi segnalati. Così: le ricerche in proposito furono essenzialmente condotte dallo Abate D. N. Morelli e dal Prof. A. Issel e son registrati i risultati sovratutto nei resoconti e liste che il primo di questi autori pubblicò nei volumi 1° e 2° delli Atti della Società li- gustica di Scienze Naturali e Geografia. (Genova, 8.° 1890-91) e nelle informazioni dettagliate fornite dall’Issel nel voi. 2° della Liguria Geologica e preistorica (Genova, 8.° 1892). Da questa seconda pubblicazione enumero le cavità naturali più feconde in avanzi ornitici, seguendo l’ordine di descrizione in cui esse son poste. Sono : 1 .° La caverna delle Arene candide (Finalmarina) con 67 specie di uccelli fra le quali particolar- mente abbondanti : Columba Uria, Columba oenas, Pyrrhocorax alpinus ; meno frequenti: Columba palumba, Pica caudata, Coc- cothraustes vulgaris. — 2.° La caverna Pollerà (Finalborgo) con Corvus corax, Pyrrhocorax alpinus, Fuligula fosca. — 3.° Grotta dei colombi (Isola Palmaria) a suo posto ricordata. — 4.° Ca- 240 A. VERRI E G. DE ANGELIS D’OSSAT verna N.° 7 dei Balzi Bossi con ossa di Gazza, di Pernice, di Colombo. — 5.° Caverna dei Balzi Bossi N.° 4 o du Carillon con Falco, ed alcuni Passeracei e Gallinacei. — 6.° Le Grotte di Pietra Ligure, con 54 specie in gran parte Passeracei. — La caverna di Verezzi nel Monte Caprazoppa ; con Tetrao albus, T. urogallus e Tumus migratorius fra l’altre. — 8.° La Lava del Pastore presso Toirano con Fregilus graculus. — 9.° La Tana del Colombo (Toirano) con 20 specie. — 10.° Caverna delle Fate (Bricco Peagna) con Tetrao tetrix ecc. Roma, gennaio 1900. ♦ A. Verri e G. de Angelis d’Ossat. II.0 CONTRIBUTO ALLO STUDIO DEL MIOCENE NELL’ UMBRIA. Nell’autunno scorso, dopo la riunione della Società in Ascoli, furono da noi avviate ricerche di dettaglio, dirette ad esaminare a quali piani geologici siano da riferire le formazioni arenaceo marnose dell’Umbria interna, conforme alla riserva posta nella Nota Contributo allo studio del Miocene nell’ Umbria; obbiet- tivo della quale era soltanto delineare lo stato generale della quistione (1). Sembrandoci che lo sperone dei monti Martani, il quale si protende tra la valle del Tevere e la vallata di Fo- ligno, contenga la serie più completa e meno disturbata di quelle formazioni, scegliemmo tale zona a base dei nostri studi. Poiché il resoconto delle sedute di Ascoli, e varie comunicazioni conte- nute nel fascicolo del Bollettino relativo, trattano l’argomento con apprezzamenti diversi, affinchè i lettori del Bollettino abbiano modo di stare al corrente della discussione, riassumiamo breve- mente le conclusioni, cui siamo venuti in conseguenza delle os- servazioni fatte, in attesa di svolgere la materia in modo più largo quando avremo compiuti gli studi, che ci siamo proposti. (l) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei. Voi. Vili, fase. 11. STUDIO DEL MIOCENE NELL’UMBRIA 241 CENNI STRATIGRAFICI (x). L’ossatura della catena Martana, dalla conca di Terni alla linea San Terenziano-Montecchio-Castagnola-Giano, è composta da formazioni mesozoiclie : le quali, nella direzione longitudinale della catena, presentano parecchie inflessioni e troncature; ma nelle linee generali declinano da sud verso nord, da ovest verso est. Lungo il perimetro sud-ovest, scogliere di lias inferiore mo- strano scoperto il nucleo dell’anticlinale mesozoica, metà della, quale è rimasta sepolta sotto le formazioni posteriori. Il contorno rimanente è segnato dai calcari rosati e dagli scisti scagliosi cretacei soprastanti : ma nemmeno da questa parte si vede quel- randamento stratigrafico regolare, che si crederebbe trovarvi pel fatto, che la vallata di Spoleto ha origine da disposizione sin- clinale degli strati mesozoici. Gli strati cretacei del ramo di questa sinclinale, che è rappresentato dalla pendice della catena Martana, si vedono troncati nel senso delle generatrici della ca- tena con inclinazioni diverse, e persino in contropendenza verso il monte. La causa sta nel modo come preme l’altro ramo della sinclinale, e la catena di faccia è costruita da due pieghe an- ticlinali coricate verso est: la principale sulla linea dei monti Cotogna, Serano, e dei monti sopra Spoleto; l’altra sulla linea di Morro e Cam moro. La serie mesozoica si chiude cogli scisti cretacei scagliosi verdicci e rossi, raramente cinerei, superiori al calcare rosato; da questi si passa gradualmente a scisti bigi, a marne bigie sili- cifere, a calcari marnosi bigi e giallognoli con selci nere; la quale zona, qui, come altrove nell’Apennino e Subapennino del- l’Umbria, crediamo anche noi che rappresenti l’Eocene inferiore. Il corrugamento degli strati cretacei comprende eziandio le roccie di questa zona, sicché costituiscono cogli strati cretacei un tutto unito nella orogenesi locale. Simile unità poi manca quando si passa agli altri terreni, i quali compongono la pendice bassa dei monti Martani, ed il prolungamento della catena sino alla confluenza del Chiascio nel Tevere. (l) Di A. Verri. 16 242 A. VERRI E G. DE ANGELES d’OSSAT Fra questi terreni — formati da alternanza di marne bigie, di calcari arenacei, di arenarie — si vede sbucare presso To- scella uno spuntone di marne policrome. Nelle montagne di Todi e di Orvieto, che prospettano ad ovest la catena Martana, marne consimili — con alternanza di calcari policromi a granitura fina, di calcari arenacei, di arenarie, di calcari e breceiole con Num- muliti ed Orbitoidi — si sovrappongono in concordanza agli strati delle marne e dei calcari siliciferi, i quali, per posizione stra- tigrafica indiscutibile, supponiamo rappresentare nell’Umbria l’Eo- cene inferiore, o la parte inferiore di questo periodo, con potenza d’un centinaio di metri perlomeno; come si vede sviluppata presso Macerino alle origini della Maroggia. Premesso questo cenno di orientamento generale; avvertito che lo sperone della catena Martana, dopo una insellatura, si rialza col rilievo, che chiameremo monte Deruta, seguendo per semplicità la nomenclatura della carta antica, ecco le nostre conclusioni. A) Nel poggio tra il casale di Sireno ed il villaggio di Toscella affiora, come si è detto, uno spuntone di marne poli- crome, tra le quali sono interposti banchi di calcari arenacei, alcuni ricchi di orbitoidi macroscopiche. Per la ragione esposta riferiamo questo spuntone all’Eocene, ritenendo probabile che appartenga all’Eocene superiore. B) Sopra quelle marne sta una estesa formazione di marne bigie e falde granellose, nella quale sono interposti al- cuni banchi e falde di arenarie e di calcari arenacei. Le marne contengono Pteropodi ed altri fossili; le falde granellose sono composte da colonie di Globigerinc, ed includono anche molte Ostriche piccolissime ; i banchi calcarei contengono frammenti di Pettini e di altri fossili macroscopici, e più le loro sezioni al microscopio mostrano, tra altri organismi, Nummulitidi inde- terminabili. La piccola estensione dello spuntone eocenico non permette di affermare, con sicurezza, se le marne bigie siano o no con- cordanti con quelle policrome. Ma girando la catena dei Mar- tani — presso S. Terenziano, Montecchio, Monte Martano, Pian della Noce, Koselli, Terzo San Severo, Ocenelli, La Costa, Cesi — la formazione viene a contatto delle rocce silicifere, le quali STUDIO DEL MIOCENE NELL’UMBRIA 243 abbiamo riferito all'Eocene inferiore. Anzi a volte viene a con- tatto collo stesso calcare rosato ; etl in qualche punto, colla de- clinazione degli strati verso il monte, ha persino l’apparenza di sottoporsi non solo alle rocce dell’Eocene inferiore, ma pure a quelle della Creta. Tutto ciò induce a concludere per una discordanza tra la formazione, che è oggetto dello studio, e le formazioni indiscutibilmente eoceniche. C) Presso Deruta si hanno lenti di calcare con Lueine, e di marne con Coralli isolati. Nell’ordine stratigrafico, ei sem- bra che quelle lenti siano comprese nella zona superiore della formazione delle marne bigie, di cui dicemmo nella lettera B. Probabilmente appartengono a questo sistema di lenti: il masso di calcare con grosse Lucine che sta nel fosso della Tratta presso Cerqueto; la roccia con Lueine nella valle del torrente Caldognola presso Morano ; il masso a Lueine di Bu- sche. A titolo di notizia, e per quel che può valere, soggiun- giamo che, molti anni fa, fu veduta da uno di noi una grossa Lucina in una Farmacia di Città di Castello, e gli fu detto che era stata raccolta presso Pieve de’ Saddi: andato sul luogo, trovò un banco con Ostriche e Pettini, ma non potè ritrovare il banco delle Lucine; forse pel disagio inerente alla lontana ricognizione. B) Segue, posata sopra le lenti di cui alla lettera C , e so- pra le marne bigie di cui alla lettera B , una grossa pila di brecce e brecciole poligeniche, di arenarie e calcari arenacei; marne a Pteropodi, e marne con ghiaie poligeniche sparse sono inter- poste tra i banchi di quelle rocce dure. La formazione compone la parte superiore del monte con banchi inclinati a nord ed est, le cui testate si vedono tronche verso sud ed ovest. Pare che questa massa, prevalentemente arenacea, abbia costituito nel fondo marino una grande lente, un orlo della quale sarebbe segnato dalle brecciole di Saragano, nella insellatura tra il monte Martano ed il monte Deruta. In base alla somiglianza litologica potremmo indicarne altri lembi: come sulle ripe del fosso delle Tassinare presso Perugia, ecc., ma non è il caso per ora di estenderci su questo particolare. Allorché per cause, delle quali possiamo solo rilevare alcuni effetti, avvennero le ripetute invasioni del ciottolame poligenico 244 A. VERRI E G. DE ANGEL1S D’OSSAT nel mare che copriva l’Umbria — i testimoni delle quali inva- sioni troviamo presso Montegabbione nella Valdichiana, e con abbondanza assai maggiore sullo spazio tra Deruta e Bevagna le lenti delle marne con Coralli isolati, e del calcare a Lucine del monte Deruta preesistevano, e forse alcune erano tuttora in formazione, trovandosene blocchi, a poca distanza at- torno al nucleo principale, impigliati tra marne e sabbie con- tenenti quel ciottolame. Nel ciottolame mancano roccie meso- zoiche del tipo apenninico ; ma, tra altri calcari, tra arenarie e rocce cristalline, abbondano rottami del calcare paesino, e di altri calcari tipici dell’eocene: dei quali, come delle altre rocce, si sta studiando la collezione fatta. E) Separata dal Chiascio, segue il monte Deruta la col- linetta di Torgiano, composta da marne bigie, arenarie, calcari fossiliferi. La presenza di ghiaie poligeniche induce a porre nella formazione, di cui alla precedente lettera JD, eziandio il calcare di Torgiano contenente Pettini, Ostriche, ecc. Molti anni addietro fu notato da uno di noi il residuo d’un banco di Pet- tini, somigliante a quello di Torgiano, anche nella scoperta di cave del calcare a Lucine del poggio San Lorenzo presso Deruta. Ci sembra che il calcare di Torgiano presenti molta analo- gia coi banchi di Ostriche e Pettini, che si trovano sopra le marne ed i calcari policromi dell’Eocene superiore: a Pieve de’ Saddi, a C. Monte Salajole e presso lo Spaccio (nord-est e sud-ovest dei poggi di Castiglione Aldobrandi), a destra del rio Acquina a monte di Carestello, presso la confluenza del tor- rente Rasina col fosso dell’Acquasanta, al casale La Romita tra monte Spinosa e Erecco, nella valle dell’Arone al nord di Col- lemincio, nella vailetta dell’ Acquacaduta presso Perugia. Bloc- chi d’altro banco di Pettini stanno presso Cerqueto, nel fosso del Varco, tra massi di arenaria e di calcari verdi eocenici: si tratta qui di grossi frammenti di formazioni in disfacimento im- pigliati nel sedimento pliocenico, ma fanno indurre che in quella località pure, come altrove, banchi di Lucine e banchi di Pet- tini si formarono sopra alle rocce caratteristiche dell’Eocene, le quali si vedono in posto là vicino, tra Cerqueto e Morcella. Sul confronto di questi banchi con quello di Torgiano ci riserbiamo di tornare, dopo esteso lo studio di dettaglio alle STUDIO DEL MIOCENE NELL’UMBRIA 245 altre località. Intanto prendiamo nota del fatto, che banchi di detriti conchigliacei, a volte anche con ghiaie, contenenti mol- luschi della zona litoranea, posano bruscamente, e senza sedi- menti di transizione, sopra fini sedimenti depositati nelle pro- fondità del mare dell’Eocene superiore. Aggiungiamo ancora che, in genere, sopra ai banchi con Pettini si sovrappongono estesi terreni composti da alternanze di arenarie e calcari arenacei con frammenti di Pettini, di marne con Pteropodi : il che os- servasi nel modo più distinto specialmente tra Montone e Pieve de’ Saddi. Pur astraendo dal momento geologico cui convenga rappor- tare Tavvenimento — su di che dovrebbero decidere i fossili — questi appunti presi in altri tempi, ora confermati da quanto abbiamo detto e diremo circa le formazioni del Monte Deruta, ci fanno pensare che — dopo intervallo più o meno lungo di emersione dei sedimenti dell'Eocene superiore — sia avvenuto neirUmbria un nuovo abbassamento : la fauna ed il materiale grossolano ne mostrano la prima fase, nella quale le acque erano poco profonde ; il materiale sedimentario minuto, e la fauna re- lativa mostrano poi le fasi successive, con profondità marine maggiori. In proposito si pone il problema: le grandi masse sabbiose che — sul monte Paceiano presso Perugia ed altrove — stanno sopra le rocce tipiche dell’Eocene, ed imbasano formazioni mar- nose, quale relazione hanno coi banchi di Ostriche e Pettini suin- dicati ? F ) Nel monte Deruta, sopra la grossa pila delle arenarie e delle breccie poligeniche, si ripete una formazione somigliante a quella di cui nella lettera JB, ma un poco più arenacea di questa : con alternanze di marne a Pteropodi, banchi e falde di arenarie, calcari arenacei, calcari a Briozoi. Questa formazione superiore, scendendo inclinata verso la valle di Foligno, costi- tuisce sotto la quota 400 la pendice orientale del monte verso C’annara e Bevagna. (?) Terminano la pendice, posati sulle rocce più antiche, i sedimenti pliocenici, composti di marne e sabbie con Dreissensie, Nerbine, eco.; di falde tripolacee con Diatomee, delle quali le specie sinora studiate sono di acqua dolce; e di banchi ghiaiosi. 246 A. VERRI E G. DE ANGELIS D’OSSAT Sedimenti analoghi si ritrovano verso la valle del Tevere addos- sati alle diverse formazioni che abbiamo indicate. I sedimenti mostrano maremme con conoidi alluvionali, paludi e stagni di acqua dolce o salmastra: a giudicare dal posto che occupano le marne con C. edule L, Melanopsis, ecc. sulle ripe del fosso sotto la Fonte acidula di San Gemini, si direbbe che le acque siano divenute salmastre verso la fine dei tempi pliocenici; od almeno che allora lo divenissero di più. Accennando ai banchi di Ostriche e Pettini, abbiamo posto il quesito se abbiano relazione coi banchi sabbiosi del monte Facciano presso Perugia. Il problema eccede i limiti del pro- gramma propostoci nelle escursioni dell’anno passato : ma è di troppo rilievo nella questione per indugiare ad esaminarlo, e ci proveremo cogli appunti presi negli anni 1894-95. Il sistema mesozoico dei monti Perugini è composto dai frammenti di tre ellissoidi, emergenti come isole tra formazioni terziarie e quaternarie. I frammenti della ellissoide occidentale costruiscono i monti Torrazzo, Malbe, Lacugnano, le colline di Pieve del Vescovo e di Mantignana, oltre ad uno spuntone tra san Giovanni del Prugneto e colle Solana; quelli dell’ellissoide mediana costruiscono i monti Gudiolo, Tezio, Ci vitelle, il poggio di Montenero ed uno spuntone nel fosso delle Tassinare sotto al toppo delle Cime ; quelli della terza ellissoide costruiscono in parte il monte Elcetino, i monti Elceto, Santa Croce, Mussa- rello, e se ne rivede nella valle del Nese sotto il monte La Pe- trara. Queste ellissoidi, coll’altra del monte Acuto poco più al nord, sono le parti culminanti delle ondulazioni di una catena mesozoica, il cui asse sta in linea colla catena Martana; e tra tutte e due vengono a costituire una delle catene parallele, le quali caratterizzano il Subapennino centrale verso il Tirreno. Disposte su tre linee, le ellissoidi hanno l’asse maggiore di- retto da sud-est verso nord-ovest, e presentano la faccia verso oriente troncata. Il tipo delle rocce è diverso in parte da quello del vicino Apennino, e viene al tipo della Toscana; ma è eguale all’apenninico nella serie cretacea superiore. Sulle pendici, dove la formazione mesozoica si spiega regolarmente, i soliti calcari marnosi siliciferi dell’Eocene inferiore si sovrappongono agli scisti STUDIO DEL MIOCENE NELL'UMBRIA 247 scagliosi della Creta superiore ; è detto al principio come il pas- saggio sia graduale, e si avverta clie trattasi di sedimentazioni in mari molto profondi. Sulla pendice del monte Malbe, che guarda la valle del- l'Oscano, non ci sono le rocce che dal Lias medio alla Creta ammantano, sia pure a tratti interrotti, il complesso ellissoidale nel contorno rimanente; nel mentre mai rocce mesozoiche si vedono scendere sotto al Terziario dall’altro lato della valle, e nella composizione del Terziario non entrano gli elementi delle rocce mesozoiche locali. Questi fatti escludono che la mancanza delle rocce dal Lias medio alla Creta possa essere spiegata con denudazioni nei tempi preeocenici, eocenici, miocenici, pliocenici, pleistocenici. La pendice presenta una massa di calcari scuri del Lias inferiore e del Letico, disposta a balze, con divisione stratigrafica incerta o mancante; molta fratturazione con rice- mentazione, che fa apparire i calcari di struttura brecciforme. Strappi e scorrimenti, per stirature nel corrugarsi e sollevarsi della ellissoide, possono dar ragione dei lembi che, dal Lias medio alla Creta, stanno sopra al monte più o meno in trasgres- sione colle grandi masse del Lias inferiore e del Letico, e spie- gherebbero meglio della erosione la mancanza di quelle forma- zioni su questa pendice rupiforme. Ma sono effetti piuttosto di piegamenti anticlinali, ed in una sinclinale, quale dovrebbe es- sere tra il Malbe ed il Tezio, larga solo 3 a 4 chilometri mi- surando sul piano dei terreni terziari, male si capirebbe come rocce mesozoiche mai spuntino tra il Terziario che vi s’ incunea, e la disposizione a balze della pendice est del Malbe. Sembra più probabile che in questo monte un segmento ad est sia stato troncato con faglia, la quale supposizione meglio risponde anche nell’ordine di successione delle rocce: del resto non parrebbe questa la sola linea di rottura che presenti il monte Malbe, per- chè disegnandone la sezione trasversale, ne appare almeno un’altra al podere Petra, tra la vetta del monte ed il toppo Tanella. Era necessario fermarsi su questo particolare, perchè molto espres- sivo nello spiegare il viluppo dei terreni terziari, che appunto eomincia da qua. Non occorrono parole a provare che le altre ellissoidi sono troncate ad est con faglia, mostrandolo aperta- mente la disposizione loro uniclinale, con pendenza degli strati 248 A. VERRI E G. DE ANGELIS D’OSSAT verso occidente ; il contatto dei lembi cretacei, uscenti da sotto al Terziario, colle testate tronche di formazioni più antiche ; le tracce di sfregamento lasciate dallo scorrere dei piani rocciosi. Ad ovest della ellissoide del monte Malbe, ad ovest della ellissoide del monte Tezio, ma pel tratto dove questa più non prospetta la precedente, ai calcari marnosi siliciferi si sovrap- pone una serie di rocce marnose, selciose, calcaree ed arenacee : banchi di Nummuliti e di Orbitoidi, interposti nella serie, la fanno riferire a parte dell’Eocene inferiore ed all’Eocene medio (N. biarritzensis D’Arch., N. Guettardi D’Arch., N. cfr. striata D’Orb., N. laevigata Lamk. ; N. laevigata var. scabra Lamie., N. Lamarchi D’Arch., N. discorbina Sebi., N. anomala De La H., O. marginata Mieli., 0. dilatata Mieli., 0. Giimbeli Seg.). Invece, nel canale tra le due ellissoidi, è addossata ai calcari marnosi siliciferi dell’Eocene inferiore una serie composta di marne, are- narie, calcari arenacei con Nummulitidi indeterminabili nelle se- zioni al microscopio. Il tipo di queste rocce è molto differente dalle formazioni dell’Eocene medio, che si estende dalle ellis- soidi alla Valdichiana. A partire dalla rottura trasversale che separa il monte Ci- vitelle dal Tezio, il rio della Forcella ha scavato solco profondo in quella serie marnoso-arenacea, le cui rocce compongono sulla sinistra della valle il monte Pacciano. Sulla pendice di questo monte, la quale guarda la valle della Forcella, s’interpongono saltuariamente nella formazione marnoso-arenacea rimasugli di calcari e scisti policromi tipici dell’Eocene: tra il podere Pa- lazzo e San Lorenzo della Eabatta, sugli speroni a destra e si- nistra del fosso delle Boccole, presso il podere Badioli, presso La Possa, allato alla strada da San Marco a santa Maria di Cenerente ; altro rimasuglio sta sulla sella tra il poggetto di sant’Orfito e le case di Vagliano. Questi capisaldi fanno riferire all’Eocene eziandio la formazione marnoso-arenacea loro sotto- posta: ma la somiglianza delle rocce con quelle della forma- zione contenente ofioliti, la quale dalla valle superiore del Te- vere scende alla Vaitopina; la inclusione di blocchi ofìolitici nel ciottolame vallivo delle colline di Perugia, inducono a riferire la formazione più particolarmente aH’Eocene superiore. Pure am- mettendo che l’Eocene medio, subito ad oriente delle ellissoidi STU DIO DEL MIOCENE NELL’UMBRIA 249 Perugine, fosse rappresentato da sedimentazione diversa di quella che si ha ad occidente, potrà essere riferita a questo piano la formazione con banchi di calcari nummulitici che, sul tratto dove il Topino sbocca nella valle Umbra, s’addossa al Subasio, al monte Serrone, al Sasso di Pale, eppoi va a sottoporsi all’Eo- eene superiore sviluppato nel bacino medio del Topino: ma sulla contrada di cui si discorre manca anche questa formazione. Si direbbe che i disturbi stratigrafici, derivanti dalle faglie ad oriente delle ellissoidi, abbiano avuto per effetto di portare l'Eo- cene superiore a contatto di quella piccola striscia dell'Eocene inferiore, che resta scoperta (e non sempre) sopra le rocce cre- tacee, e che l'Eocene medio sia rimasto sepolto colla porzione maggiore delEinferiore. Certo la stretta depressione tra i monti Malbe e Tezio non poteva inghiottire per se sola la potentis- sima formazione dell’Eocene medio, mancante tra i monti della Yaldichiana e della Yaltopina: ma bisogna conoscere, che quella depressione è una insenatura nel perimetro del vasto aceonca- mento, lungo circa 40 chilometri, che, interposto tra le catene mesozoiche Perugina e Martana, geologicamente parlando, costi- tuisce la vera Conca Umbra. Circa l’estendersi al nord della interruzione dell'Eocene medio, bisogna porre nel calcolo, che il Terziario là prosegue incuneato in mezzo alle faglie, che si pro- spettano, delle ellissoidi Perugine ed Eugubine ; nel quale tratto il costringimento ha prodotto la gibbosità anticlinale, compo- nente i monti tra la valle del Tevere e l’altipiano di Gubbio. La estensione ristretta delle rocce tipiche dell’Eocene supe- riore, che residuano sopra alla formazione arenaceo-marnosa, mentre nelle condizioni normali vi s’intercalano con zone di qualche potenza ; la variabile loro qualità da luogo a luogo — ora calcari giallicci, ora verdi, ora marne policrome — fanno sup- porre che sia passato un periodo di abrasione dei terreni eoce- nici, prima che si depositassero i sedimenti, i quali compongono la parte superiore del monte Paeciano. Sopra al piano tracciato dai punti fissi eocenici viene una formazione con banchi di brecciole e sabbie, calcari arenacei r marne a Pteropodi: la quale, estesa al monte Bagnolo e verso Ponte Pattolo, benché tormentata da varie inflessioni trasversali 250 A. VERRI E G. DE ANGELIS D’OSSAT e longitudinali, disegna nelle linee generali declinazione verso la valle del Tevere. Il cuneo di sedimenti vallivi, sui quali sta Perugia, è limi- tato a nord-est dalla formazione arenaceo-marnosa con Pteropodi, die costituisce le pendici dei monti Pacciano e Bagnolo; ad ovest dalle colline di monte Mordilo, Prepo, Yestricciano, Ma- donna del Monte. Anche in queste abbiamo la formazione mar- noso-arenacea con rimasugli saltuari e variabili di rocce tipiche dell’Eocene : a monte Morcino, sulle pendici della collina di Prepo, nella vailetta di san Vetturino. Nella vailetta dell’Acqua- caduta, appiè della collina di Prepo, vicino al podere Stamigni e presso un rimasuglio di calcari eocenici giallicci, affiora un banco (o pezzo grosso di banco?) con Ostriche; più a valle, sotto al monte Tabor e presso l’affioramento di altro rimasuglio di calcari giallicci eocenici, si trovano rottami di roccia zeppa di Pettini, e si raccolgono Ostriche e Pettini sopra marne policrome eoceniche. Gli scorrimenti ed il detrito di falda impediscono di dettagliare meglio tali giacimenti : ma i rottami dei banchi li mostrano composti da roccia di qualità identica a quella, che compone grossi banchi di panchina conchiglifera durissima, a posto poco più in alto, dai quali fu estratta la Limea strigilata Broc. Del resto, lasciando pure da parte il confronto, resta sempre : che la formazione contenente i fossili sta superiormente alle rocce tipiche dell’Eocene, epperciò si trova, per questo riguardo, nelle condizioni dei banchi sabbiosi del monte Pacciano. A comple- tare il parallelo tra il giacimento fossilifero di Prepo e l’are- naceo del monte Pacciano, una formazione con brecciole, arenarie, calcari arenacei, marne a Pteropodi copre al nord la panchina conchiglifera di Prepo, eppoi, posando sugli scisti policromi eoce- nici della valletta di san Vetturino, compone la collina della Madonna del Monte, da dove declina verso la valle del Tevere. Al di là del Tevere le colline di Civitella d’Arno e Brufa, formanti sistema topograficamente colla collina di Torgiano, mo- strano, nelle zone scoperte dai sedimenti pliocenici, d’essere pure composte dalla formazione arenaceo marnosa con Pteropodi; ed in massima, presentano gli strati acclivi verso le alture Peru- gine. Quelle colline sono il tratto d’unione tra il monte Deruta ed il sistema montuoso, da dove il Chiascio sbocca nella vai- STUDIO DEL MIOCENE NELL’UMBRIA 251 lata Umbra: la tettonica del quale sistema è determinata dalla ellissoide mesozoica del Subasio, tutta ammantata dalle rocce cretacee, eccetto un segmento ad ovest che è troncato. Pure qua si vede che la formazione arenaceo-mamosa a Pteropodi (no- tati: tra Castel d’Arno e Monteverde; presso Giomici, Abbadia san Niccolò, Mora, san Fortunato), con alla base banchi di Ostriche e Pettini (continenza del fosso Acquasanta nella Ra- sina, ecc.), ed in genere banchi di panchina conchiglifera, va a sovrapporsi alle formazioni delFEocene superiore, sviluppate nel bacino medio del Chiascio. Da tutte queste osservazioni risulterebbero adunque, nella formazione arenaceo-mamosa dei dintorni di Perugia, due piani : uno, che le rocce tipiche fanno riferire all’ Eocene superiore ; altro, che la natura litologica, la fauna fanno porre nel piano medesimo delle formazioni, le quali sul monte Deruta sono sovrapposte all' orizzonte del calcare a Lucine, e delle marne con Coralli isolati. E probabile che con simile criterio possano risolversi le apparenti complicazioni stratigrafiche, che presenta il Terziario antico nell’ Umbria interna. La difficoltà più grande resterebbe nel fissare le linee della divisione tra le due forma- zioni litologicamente somiglianti, quando vengono a contatto immediato, senza l’interlinea di rocce tipiche dell’ Eocene ; perchè allora nemmeno dà molto aiuto la massima della discordanza tra gli strati, atteso il come sono state tormentate dalle pres- sioni masse, nelle quali, tra zone di rocce plastiche, s’intromet- tono banchi spesso lenticolari di rocce rigide: sicché non di rado si vedono apparenti discordanze in formazioni dello stesso piano. Nel gruppo Perugino la differenza più saliente tra i due piani dal punto di vista litologico è questa: che nella forma- zione superiore abbondano le arenarie, le quali vi s’intercalano spesso in banchi grossi tanto da dare materiale concio per costru- zione; invece nella formazione eocenica sottoposta, prevalgono le marne, e di arenarie in massima se ne hanno solo delle falde. Nel riguardo paleontologico sinora nella formazione sicuramente eocenica non abbiamo trovati i Pteropodi, dei quali si ha tanta copia nella superiore. Ma tali caratteri non si riscontrano in modo eguale sulle colline, che costituiscono la base est della 252 A. VERRI E Ci. DE ANGELI.S D’OSSAT catena Martana: perchè là abbondano i Pteropodi in lina for- mazione prevalentemente marnosa, e dove di arenarie si hanno solo delle falde. Tenendo per caratteristica la presenza dei Pteropodi, si sa- rebbe indotti a pensare: che il mare già copriva la regione Martana, quando il proseguire di una depressione posteocenica riportò sotto le acque la regione Perugina. È un fatto signifi- cante che nello spazio intermedio, sul quale sorge il monte De- ruta, alcuni banchi di arenarie s’intromettono nella zona preva- lentemente marnosa, la quale si estende verso la regione Mar- tana ; ed a questa zona si sovrappone la zona prevalentemente sabbiosa, che si estende verso la regione Perugina. Qua, ed altrove nell’ Umbria, giammai i sedimenti terziari antichi si presentano composti col detrito delle formazioni me- sozoiche locali : dal che si deve concludere, che le masse meso- zoiche dell’Apennino e Subapennino Umbro, mai sono state sco- perte e soggette ad erosione, quando i mari eocenici e mioce- nici si estesero su quelle contrade. Perciò le arene, i ciottoli del monte Deruta accennano a spiagge vicine dominate da terre situate ad occidente : nella quale zona di spiagge comprendiamo le arenarie della Valdichiana, che includono banchi di ciottoli identici a quelli del monte Deruta. Non una traccia di mol- luschi, non più marne tra quelle arene nella Valdichiana; se- parano i banchi fa lderei le di scisti sabbiosi con superficie ondu- lata, per lo più zeppi di residui vegetali informi : forse rigetti di alghe dispersi. Sembra che formazione così particolare abbia potenza di più centinaia di metri; posa su rocce eoceniche, le quali pare appartengano a piani diversi, almeno il più sovente sull’ Eocene medio. Già nell’ Eocene medio, in posto sui monti tra le valli della Chiana e del Tevere, i grossi banchi di arene, le falde ed i banchi di ghiaiette petroselciose, diasprigne, gneissiche accennano terre ad occidente; ma un lido più lontano dallo specchio acquoso che copriva le contrade Umbre, sotto al quale si componevano i calcari nummulitici in posto allo sbocco della Vaitopina. Dopo (piel periodo la, sedimentazione argillosa dell’Eocene superiore, in posto sulla catena del monte Cetona, fa ritenere che la pro- fondità del mare era aumentata eziandio nella Valdichiana, c STUDIO DEL MIOCENE NELL’UMBRIA 258 di conseguenza che il litorale si fosse allontanato dall’ Umbria. Sicché i depositi arenaceo-marnosi con ciottolame poligenico e Pteropodi dei luoghi descritti, indicando una ripetizione nel sollevamento delle terre occidentali, con maggiore avvicinamento del lido all’ Umbria, rappresenterebbero, secondo il nostro modo di vedere, meglio un momento ben distinto nelle vicende geo- logiche di questo paese, che non semplici differenze nelle sedi- mentazioni eoceniche, da attribuire a modalità di forma nel bacino. Lasciati da parte i tentativi di sintesi, che possono essere considerati prematuri, noi vediamo nell’ Umbria, tra i paralleli 42°. 35 — 43°. 15, formazioni ben caratterizzate rappresentare l’Eocene inferiore, medio, superiore ; per ultima vediamo venire la formazione arenaceo-marnosa con ciottolame poligenico e Pte- ropodi, a chiudere la serie del Terziario antico. Dai dati stratigrafie! esposti, messi in relazione coi dati paleontologici contenuti nella seconda parte di questo lavoro, sembra adunque che la formazione miocenica nell’Umbria sia piuttosto estesa e variamente rappresentata: tantopiù se si do- vranno riferire al Miocene anche le marne di cui alla lettera B, nonostante la presenza delle Nummulitidi microscopiche nei banchi calcarei intercalati. Del resto avvertiamo, per le dedu- zioni che si crederà trarne, aver noi ora trovato Nummulitidi microscopiche indeterminabili eziandio nelle sezioni di calcari appartenenti alle zone, le quali hanno a base i banchi di Ostriche e Pettini, cui accennammo nella lettera E : cosicché questi mi- croorganismi si estendono su tutto il complesso della formazione. Certamente risolvere il problema a quali piani geologici siano da riferire queste formazioni arenaceo-marnose, che coprono estese superficie nell’Umbria interna, non è cosa tanto facile: per le complicazioni stratigrafiche inerenti ai corrugamenti ed alle frat- ture, da cui é risultato quel sistema orografico alternato di val- late e catene montuose; per la circostanza che quelle formazioni spesso costituiscono lembi isolati in mezzo ai sedimenti plioce- nici e quaternari; perché sembra che ci sia somiglianza litolo- gica tra alcune formazioni, le quali hanno probabilità di appar- tenere all’Eocene superiore, e quelle, che i criteri paleontologici, i rapporti stratigrafici coi terreni miocenici delle Marche inducono 254 A. VERRI E G. DE ANGELIS D’OSSAT a porre nel Miocene; per la scarsità in diverse zone di fossili caratteristici e ben determinabili; infine per le difficoltà che pre- sentano le ricognizioni ed i confronti, colla lontananza dei luoghi di utile osservazione tra loro e dai centri abitati, ed i disagi a tale riguardo. Ci siamo proposti di esaminare le formazioni arenaceo mar- nose possibilmente in dettaglio, onde tentar di scoprire i segni caratteristici che permettano di riferirle a giusti piani geologici; ma, per le considerazioni fatte, le possibilità di errori sono molte, nonostante tutte le cure che si pongano nelle osservazioni. Perciò ci prefiggiamo di astenerci in questi studi assolutamente dalle polemiche : perchè colle polemiche, mentre è molto facile passar oltre ai termini convenevoli, spesso si reca confusione nella ma- teria anziché chiarirla. Allorquando occorrerà citare opinioni diverse dalle nostre, se non ci persuaderanno, diremo — come si fece nel primo contributo — i fatti pei quali non si crede aderirvi, guardandoci dal sentenziare, e specialmente dal sen- tenziare con affermazioni non dimostrate: per pronunciare giudizi definitivi sul soggetto bisogna, almeno, tanta conoscenza del ter- reno, quanta nessuno di noi, che discutiamo, può vantarsi one- stamente di possedere sino ad oggi. PASTE PALEONTOLOGICA 0 Le nostre ricerche nell’Umbria fruttarono una larga messe di fossili, esumati da molte nuove località. Per mettere le pre- senti conclusioni ed i nostri futuri studi sopra una più salda e larga base paleontologica, ho determinato i fossili che si devono in massima parte alle ricerche assidue del Verri. Nel presente elenco delle forme fossili non figurano quelle già descritte dal Simonelli (5) nel Miocene della Verna, nè vi (*) (*) Di G. de Angelus d'Ossat. 0 Simonelli V. Il monte della Verna e ì suoi fossili. Boll. Soc. geol. ital. Voi. H, 1883, pag. 235-283. STUDIO DEL MIOCENE NELL’UMBRIA 255 sono annoverate le specie riconosciate dal Morena (*) alle falde del Catria, dacché queste località non sono strettamente con- nesse con la regione in istudio, Similmente non sono ricordate le specie menzionate dal De Stefani (■), perchè non hanno una ben determinata ubicazione. Del resto non è impresa troppo ardua unire a queste specie quelle già studiate dai nominati autori. Qui sono riunite le numerose specie che noi abbiamo ulti- mamente raccolto in molte località dell’Umbria e quelle poche che già sono conosciute per le determinazioni del Foresti (3), del Neviani (4), del Pantanelli (5) e dell’Ugolini (6). Ciascuna forma porta solamente l’indicazione delle opere che servirono più specialmente alla determinazione e qualche breve osserva- zione, da cui scaturisca lampante il valore cronologico della specie. Ci auguriamo che il ricco numero di specie getti una novella luce sulla difficile quistione. Ultimamente parecchi studiosi (7) hanno portato il loro largo contributo di conoscenze per addivenire finalmente alla sperata risoluzione dell’intricato problema. Riserbandoci di ritornare a discutere più particolarmente le divergenze che scaturiscono (') Morena T. Le formazioni eoceniche e mioceniche fiancheggiami il gruppo del Catria nell’ Appennino centrale. Boll. Soc. geol. ital. Voi. XVIII. 1899. (2) De Stefani C. Il Tortoniano dell’alta valle del Tevere. Proc. verb. Soc. tose. se. nat. Voi. II, pag. 114-115. Pisa 1879. (3) Foresti L. in Verri. Le formazioni con ofioliti nell’ Umbria e nella Valdichiana. Rencl. R. Istit. Lombardo. Ser. II, voi. XXVI, fase. XVI, 1898. (4) Neviani A. in Verri ibid. (5) Pantanelli D. in Verri A. e de Angelis d’Ossat G. loc. cit. (6) Ugolini R. Sopra alcuni fossili dello Schlier del M. Cedrone (Um- bria). Boll. Soc. geol. ital. Voi. XVIII. 1889. (7) Sacco F. Sull’età di alcuni terreni terziari dell’ Appennino. Att. R. Accd. Se. Torino, n.° 35, 19 Xov. 1899. — Lotti B. Rilevamento geo- logico nei dintorni del lago Trasimeno, di Perugia e d’Umbertide. Boll. R. Com. geol. 1899. — De Stefani, Canavari, Taramelli. Resoconto Riu- nione Soc. geol. ital. Ascoli- Piceno. Voi. XVIII, fase. 3. — Bonarelli G. Al- cune formazioni terziarie fossilifere dell’Umbria. Ibid. pag. 484.— De Ste- fani C. Il Miocene nell’ Appennino settentrionale a proposito di due recenti lavori di Oppenheim e di Sacco. Proc. verb. Soc. Tose. Se. nat. 4 Marzo 1900. 256 A. VERRI E G. DE ANGELIS D’OSSAT dall’apprezzamento stratigrafico, per ora mi terrò pago di far rilevare due fatti che stimo di somma importanza. 1. ° Anche noi rinvenimmo nelle sezioni microscopiche di una lunga serie di rocce, interstratificate a quelle che conten- gono fossili sicuramente miocenici, vere e proprie Nummulites. Queste però sono sempre indeterminabili e quindi non godono di niun valore cronologico, dacché la vivente N. Cuminghi ci attesta che le nummuliti dovevano pur vivere nei mari mio- cenici ; ed invero tre forme già sono ben note alla scienza. 2. ° Il Verri, ha esposto che i banchi fossiliferi principali, costituiti da detriti di conchiglie e da ghiaie, si trovano a con- tatto immediato di rocce indubbiamente eoceniche. Questo fatto ha perfetto riscontro con quanto ebbi ad osservare nelle valli del- l’Aniene, del Turano, del Sacco, del Pescara, ecc. dove sempre sotto le rocce più tipiche del Miocene medio si trova uno strato ghiaioso e sabbioso, ricco di fossili, il quale è a contatto, ma discordante , con le rocce dell’Eocene o di formazioni più an- tiche. Probabilmente nell’ Umbria tale discordanza non è tanto sensibile perchè ci avviciniamo ai sedimenti del mare del Mio- cene inferiore, il cui lembo più meridionale conosciuto in Italia è quello, troppo dimenticato, che già segnalò il de Stefani ncl- l’ Appennino modenese. Si è quindi innanzi ad una vera e grande trasgressione di molta importanza. Il mare del Miocene inferiore dell’Italia superiore trasgredì sopra la media e l’inferiore, de- ponendovi gli svariati sedimenti eteropici del Miocene medio. Questa discordanza , che accenna ad uno spostamento positivo del nostro continente penisolare, dopo un periodo di abrasione, può, a mio debole parere, delimitare nettamente il principio del Miocene medio nell’ Italia media ed inferiore e far riconoscere, quando è possibile, le rocce mioceniche dalle eoceniche. Passiamo, senz’altro, alla enumerazione delle forme : PROTOZOI. Iìathysiphon taurinensis Sacco. (Sacco. Legenre Bathysiphon à l’etat fossile, fìg. 2). E specie abbondante nel Langhiano e meno diffusa nelle zone marnose dell’Aquitaniano e dell’Elveziano STUDIO DEL MIOCENE NELL’UMBRIA 257 inferiore. Fossile nel Miocene di Torino (Sacco, 1895) e di Como (Corti, 1896) C). Località. Monte Pacciano, presso Perugia. Fra Monte Murcie ed il Belvedere, nei monti di Assisi. Villa Mane, sulla pendice est dei Martani. Nelle sezioni microscopiche delle rocce e nel residuo della lavatura delle argille di moltissime località umbre si osserva un grandissimo numero di Foraminiferi, fra cui predominano le Globi gerina, non mancano però piccolissime Nummuliti inde- terminabili. Questi fossili adunque non potendoci porgere alcun aiuto nella investigazione dell’età delle rocce che li contengono, non sono stati fatti segno ad uno studio accurato. ANTOZOI. Ceratotroclms nmltispinosus Michtti sp. (Michelotti. Foss. terr. mioc. Ital. sept., pag. 29, tav. I, fig. 25, 26. Turbinolid). È presente questa ben riconoscibile forma nelle marne di .Deruta. Fu descritta proveniente da Tortona ; S. Agata-fossili e Stazzano : non manca nel Pliocene, come a Savona, a Monte Vaticano, a Castellarquato, a Pantano, ecc. Loc. Marne del fosso Vallone, presso Deruta. Trochoc.vatlms bellingheriaims Mieli, sp. (Michelin. Icon. zooplì., pag. 41, tav. IX, fig. 3. Turbinolid). Già altre volte ebbi occasione di rilevare le strette somiglianze e le differenze di (L Nel 1894 ( Corali . terr. terz, It. setten. Mem. R. Accd. Lincei. Ser. 5a, Voi. I, pag. 175) affermai di aver trovato la presente forma, che indicai col nome di Pavonaria Portisi, anche nell’Eocene inf. di S. Gregorio da Sassola (Tivoli), attenendomi, come dichiarai, al riferimento cronologico della carta geologica del R. Ufficio Geologico (Foglio Roma, 1 : 100000. Pubbl. 1888). Ora esplicitamente dichiaro che le nuove ricerche che ho intraprese intorno al fossile, il quale vanta le più curiose vicissitu- dini, mi hanno condotto alla scoperta di nuovi argomenti paleontologici. Questi dimostrano che non solo la località citata, ma anche quelle che segnalo nelle vicinanze immediate di Vicovaro e lungo le sponde del Fosso Fiumicino debbono essere ascritte al calcare con Spatangus au- striacus, cioè al Miocene medio. 17 258 A. VERRI E G. DE ANGELIS D’OSSAT questa specie con le tre forme congeneri : T. simplex, crassus e mitratus. La forma è conosciuta in molte località mioceniche, come: Baldissero, Tortona, Stazzano, S. Agata-fossili, Monte- gibio. Loc. Marne del fosso Vallone, presso Deruta. Trocliocyatlras versicostatus Mieli, sp. (Michelin. Icon. zooph., pag. 43, tav. IX, fig. 8. Turò inolia). Possediamo di questa, forma del Miocene di Torino (Michelin 1841 ; Michelotti 1847; Narnias 1892) parecchi esemplari ben conservati. Il Narnias ( Cor. foss. Museo geol. Univ. Modena, pag. 95) la ricorda anche a S. Stefano di Bacedasco (Piacenza). Loc. Marne del fosso Vallone, presso Deruta, Trochocyatlius undulatus Mieli, sp. (Michelin. Icon. zooph., pag. 41, tav. IX, fig. 4. Turò inolia). Riporto alla presente forma 6 esemplari, nei quali non in tutti sono facilmente riconoscibili i caratteri differenziali con la vicina specie T. cornucopia Michtti. Tanto Tuna che l’altra forma appartengono al Miocene di molle località. Loc. Marne del fosso Vallone, presso Deruta. V’ha poi nella stessa località un polipierite che appartiene, con tutta probabilità, ad una specie nuova del gen. Trocho- cyathus. È conico, allungato e porta poche, ma forti e lunghis- sime spine, sparse in tutta la superficie esterna. Si allontana di molto dal T. armatus per essere allungato e per avere le spine non in un solo piano. Flagellimi avicula Michtti.? Abbiamo molti frammenti di un Flabellum, che offre molti caratteri che mi conducono alla pre- sente determinazione. Non è però possibile escludere che possano anche riferirsi alla vicina forma F. intermedium, dacché non ci è dato poter osservare i caratteri distintivi, che più volte ho rilevato. Nel nostro caso però ciò poco importa, dacché l’ima e l’altra forma appartengono a moltissime località del Miocene e del Pliocene, mentre non furono mai citate nell’Eocene. Loc. Marne del fosso Vallone, presso Deruta. STUDIO DEL MIOCENE NELL'UMBRIA 259 Flabellum extensum Mieli. (Michelin. Icon. sooph., pag. 46, tav. IX, fìg. 14). Questa forma è conosciuta nel Miocene dei Colli di Torino ; di Fontanazzo, Sardegna (de Angelis) ; Ville- neuve-lez-Avignon, Anvers (M. E. H.), Malaga (Duncan); anche nel Pliocene: Sicilia (Seguenza), Ponticello di Savena (Simonelli), Ampurdàn di Catalogna (de Angelis). La forma è tuttora vivente nei mari del Giappone, nel Mar Posso e nell’Atlantico. Loc. Marne del fosso Vallone, presso Deruta. ECHINODERMI. Echinolampas angulatus Mérian. Schlier di Camerino (de Loriol P. 1884), Eosignano (de Alessandri 1897) eec. Loc. Città di Castello ; tra la vecchia Dogana e Monte S. Maria Tiberina (Fide Foresti); Monte Cedrone (Fide Ugolini) (J). Conoclypus plagiosomns Agass. (Fide Ugolini;. Molassa mio- cenica di Bologna (Manzoni), Miocene Austria-Ungli. (Laube). Loc. Città di Castello, Monte Cedrone. Ecliinocyamus Studeri Sisnxl. E. (Fide Foresti). Miocene Piemonte (Sismonda. 1841), Elveziano piemont. (Sacco 1889). Loc. Città di Castello; tra la vecchia Dogana e Monte S. Maria Tiberina. Echinanthus Camerinensis P. de Lor. (Fide Ugolini). Schlier di Camerino. Loc. Città di Castello, Monte Cedrone. Schizaster sp. ( Fide de Alessandri). Loc. Fosso del Vallone, presso Deruta. BRIOZOI. Nel Miocene dell’ Umbria frequentemen'e s’incontrano briozoi; ma ben di rado permettono una sicura determinazione. V’ha C) Il Verri mi assicura che trattasi di un solo giacimento. 260 A. VERRI E G. DE ANGELIS D’OSSAT imo straterello lungo la via collinesca che da Bevagna conduce all’Attone, il quale è quasi essenzialmente costituito di briozoi celleporoidi indeterminabili. Altri esemplari rinvenimmo a Torre del Colle, presso Bevagna; vicino all’abitato di Torgiano e nella pendice est dei Martani, oltre tutte le località di cui diremo. Scliizoporella linearis Hass. {Fide Neviani). Fossile dal Miocene inferiore. Loc. Città di Castello, tra la vecchia Dogana e Monte S. Maria Tiberina. Micropora (sotto gen. Rosselliana) Rosselli Aud. sp. ( Fide Neviani). Fossile dal Miocene. Loc. Città di Castello, tra la vecchia Dogana e Monte S. Maria Tiberina. Micropora (sott. gen. Calpensia) impressa Moli. sp. Fossile dal Cretaceo. Loc. Valle dell’ Acquacaduta sotto Monte Tabor, presso Pe- rugia, Onychocella angulosa Reuss sp. ( Fide Neviani). Fossile dal Cretaceo?. Loc. Città di Castello, tra la vecchia Dogana e Monte S. Maria Tiberina. Membranipora reticolimi L. sp. Fossile dal Cretaceo. Loc. Città di Castello, tra la vecchia Dogana e Monte S. Maria Tiberina {Fide Neviani). Valle dell’Acquacaduta sotto Monte Tabor, presso Perugia, Osthimosia coronopus S. Wood sp. Miocene di Catalogna (de Angelis 1898), Miocene medio sardo (Neviani 1897). Pliocene abbondante. Loc. Città di Castello, tra la vecchia Dogana e Monte S. Maria Tiberina {Fide Neviani ed Ugolini sotto il nome di Cellepora cfr. glóbularis Manz.). STUD.O DEL MIOCENE NELL’UMBRIA 261 Smittia cuculiata Busk sj). ( Fide Neviani). Fossile dal Mio- cene e vivente. L o c . Città di Castello, tra la vecchia Dogana e Monte S. Maria Tiberina. CIRRIPEDI. Lepas efr. Eovaseudai de Alessandri ( Contrib . allo studio dei Cirri]). Boll. Soe. geol. ital., pag. 256, tav. I, fig. 3 a, 3 b). Con la stessa esitazione con cui furono riferiti a questa specie alcuni scudi dello Schlier delle Marche, ora riportiamo ad essa parecchi avanzi ben conservati. Per il nostro presente scopo è già ben importante constatare che i nostri scudi corrispondono maravigliosamente con quelli dello ScJdier delle Marche e che si possono paragonare con quelli dell’Elveziano di Sciolze. Loc. Marne del fosso Vallone, presso Deruta. Colle Stra- marino, nella pendice est dei Martani. LAMELLIBRANCHI. Abbiamo raccolto nelle marne del fosso Vallone presso Deruta, parecchie valve dei gen. Tellina e Cardium di specie indeter- minabili. Ostrea langhiaua Trab. La presente specie del Trabucco (1895) non è chiaramente figurata dall’autore e quindi i rife- rimenti rimangono alquanto incerti. Il Sacco (1897) ha esposto la probabilità che questa specie sia affine alla 0. neglecta Mi- chelotti. Le figure che rappresentano quest’ultima forma, quanto quella di Michelotti, che quelle del Sacco, sono veramente in- servibili al riconoscimento. Non reputo poi, con il Sacco, che questa specie rappresenti lo stato giovanile di qualche altra forma, dacché spesso dove si trova VO. langliiana non si rin- vengono individui di questo genere di maggiori dimensioni. Del resto anche VO. neglecta è del Miocene medio. Trabucco la crede caratteristica della facies langhiana. Fu trovata nello Schlier delle Marche ed altrove. 262 A. VERRI E G. DE ANGELIS Il’OSSAT Loc. Colle Raso, Borgo S. Sepolcro. Tra il M. Portole e Castiglione Aldrovandi. Monte Bagnolo, Monte Morcinovecchio ; presso Perugia. Posso S. Caterina, Cesi. Pendice est dei M. Martani. Ostrea plicatula Gmel. {Fide Foresti). Elveziano, Piemonte (Sacco), Pliocene (Pantanelli 1893). Loc. Città di Castello, tra la vecchia Dogana e Monte S. Maria Tiberina. Spondylus crassicosta Lk. (Hornes M. Fo.ss. Moli. Tert. Wien, voi. II, pag. 429, tav. LXYII, fig. 7 a-d). Possediamo di questa importante specie un piccolo frammento, che, per essere tanto caratteristico, assicura la determinazione. La forma è mio- cenica e conosciuta in molte località. Elveziano piemontese (Sacco), calabro (Seguenza). Miocene medio sardo (Parona), córso (Locard), eco. Loc. Città di Castello, tra la vecchia Dogana e Monte S. Maria Tiberina. Nell’Umbria è citata anche dal de Stefani (loc. cit.). Pecten scabrellns Lk. e vai*. Questa specie è largamente rappresentata ; il suo polimorfismo però rende soventi incerta la determinazione. Parecchie valve somigliano alle varietà che l’Almera (1897) ha descritto nel Miocene medio di Catalogna. Loc. Città di Castello, tra la vecchia Dogana e Monte S. Maria Tiberina {Fide Foresti ed Ugolini); Valle dell’Acqua- caduta sotto M. Tabor, presso Perugia. Presso l’abitato di For- giano nel calcare arenaceo. Gubbio {Fide Ugolini). Pecten solarium Lk. {Fide Foresti). Fossile nel Miocene di Vienna, di Montese (Pantanelli e Mazzetti 1887), di Calabria (Seguenza 1881), di Sardegna (Parona e Mariani 1887, Parona 1887), di Corsica (Locard 1876). Loc. Città di Castello, tra la vecchia Dogana e Monte S. Maria Tiberina. Pecten cfr. Malvinae Dub. (Hornes M. Fos.s. Moli. Tert. Wien. Voi. fi, pag. 414, tav. LXTV, fig. 5 a-c). Due frammenti quan- STUDIO DEL MIOCENE NELL’UMBRIA 268 timque piccoli e mal conservati pure fanno riconoscere la ca- ratteristica scultura delle coste. L’esitazione nasce dalle forti affinità die presenta questo Federi con il P. opercidaris ed il P. scabrdhis. (Di Stefano 1900). La forma è caratteristica di molte località del Miocene medio. Lo e. Calcare arenaceo presso l’abitato di Torg'iano. Pecten cristatus Bronn. (Hornes M. loc. cit., voi. II, pag. 419, tav. LXYI, fig. 1 a-d. — Fontannes. Moli. pliocèn., part. II, pag. 198, tav. XIII, fig. 1, 2. Fleuronedia). Frammenti, che ri- costruiscono quasi completamente una valva, appartengono a questa forma del Miocene e del Pliocene di moltissime località italiane e straniere. Loc. Marne del fosso Vallone, presso Deruta. Pecten Besseri Andr. (Hornes M. Foss. Moli. Tert. Wien. Voi. II, pag. 404, tav. LXII e LXIII, fig. 1-5). Di questa forma possediamo due riconoscibili frammenti di valva superiore, pro- venienti da diversa località, da cui si ebbero gli esemplari stu- diati dal Foresti. Fossile dall 'AquBaniano al Tortoniano in mol- tissime località italiane e straniere. Loc. Città di Castello, tra la vecchia Dogana e Monte •S. Maria Tiberina ( Fide Foresti ed Ugolini). Valle dell’Acqua- caduta sotto Monte Tabor, presso Perugia. Pecten latissinms Brocc. Comparve nell’Elveziano e non è vivente. Loc. Città di Castello, tra la vecchia Dogana e Monte S. Maria Tiberina. (Fide Foresti ed Ugolini). Pecten Beudanti Bast. ( Fide Ugolini). Fossile dall’Aquita- niano al Tortoniano. Loc. M. Cedrone, Città di Castello. Pecten Tournali De Serres (Hornes). ( Fide Ugolini). Fossile dall’Aquitaniano. Loc. M. Cedrone, Città di Castello. 264 A. VERRI E Ci. DE ANGELIS D’OSSAT Almissima anconitanum Foresti. ( Contribuzione alla con- chiologia fossile italiana 1879, pag. 19, tav. I, fig. 10, 11, 12. Pecten). A questa forma deve ascriversi un esemplare abba- stanza ben conservato, il quale mostra tutti i caratteri specifici della forma, quali sono descritti dal Foresti e dal Simonelli. L’individuo in istudio è molto vicino, se non identico, alla vai\ Prodalli del Sacco, per quanto si può congetturare dalle non ben riuscite figure. (7 Moli. Pieni, e Lig. Parte XXIY, pag. 50, tav. XI Y, fig. 25-29. Propeamussium anconitanum var. Prodalli).. Questa varietà, secondo il Sacco, è frequente nel Langhiano dei Colli di Torino e non rara nelFElveziano. (Langhe occidentali e Monregalese, Sciolze, Rocca di Tortona). Il Foresti istituì la specie sopra una valva proveniente dalle marne indurite della Pietra alla Croce presso Ancona (Langhiano, secondo il Ca- pellini). Il Simonelli ( Sopra la fauna Scldier. pag. 21) la trovò nel Miocene delle colline Bolognesi ed a Pergola; il Calici nel Langhiano e nelFElveziano di Sicilia. ( Sulla determinazione cronologica del calcare ). Finalmente il Mariani la menzionò nel Miocene di Varano. Loc. Salita dal fosso di Valfabbrica alla Pieve di S. Niccolò. Modiola Broccliii May. (Hòrnes M. Foss. Moli. Tert. Wien . Yol. II, pag. 345, tav. XLV, fig. 13, a, b). Questa forma mio- cenica si trova riunita in numerose colonie, le quali costituiscono localmente quasi per intero la roccia. Tutti gli individui hanno pressoché le medesime dimensioni, le quali però sono alquanto minori degli esemplari figurati dal Hòrnes M. I rapporti però delle misure, la forma generale e tutti gli altri caratteri assi- curano la determinazione. Notevole è il fatto della perfetta conservazione della con- chiglia, mentre le valve delle altre specie in genere sono cor- rose ed asportate, in modo da averne generalmente solo i nuclei. Loc. Calcare da calce di Deruta. Lucina pomum Duj. — Loripes glolmlosus Desh. Hòrnes M. (de Stefani) (Gioii G. La Lucina pomum Duj. Atti Soc. Tose. se. nat. Memorie Voi. VILI, pag. 304, tav. XIV, fig. 1, 1 a, 1 b). Dopo aver consultato i lavori del Michelotti, Doderlein, STUDIO DEI MIOCENE NELL’UMBRIA 265 Capellini. Homes M., Meneghini, Calici, de Stefani (1887), Ro- vereto, Gioii, Oppenheim e de Stefani (1900) (*) si ritorna alla primiera conclusione, cioè a Dernta nel calcare da calce vi sono ben quattro forme di questo genere o del gen. Loripes, le quali hanno caratteri tali da potersi tenere separate. Ciò però non esclude che paragonando i materiali che ho raccolto in Sardegna, nelle vicinanze di Roma, con quello dell’Umbria e di Fermo, dono gentile del eh. prof. Mascarini, non si rico- nosca l’utilità di uno studio che venga a delimitare bene i ca- ratteri generici e specifici. Rimane però sempre che i nostri esemplari delFUmbria somigliano grandemente con quelli delle più caratteristiche località mioceniche sia italiane, che straniere. Brisighella e Bologna (Manzoni 1876), Langhiano di Forlì (Sca- rabelli 1880), Elveziano, Sicilia (Cafici 1880), Dicomano (de Stefani 1880); molte altre località mioceniche (Gioii, Rovereto). Loc. Calcare da calce di Deruta. Lucina Dicomani Menegh. sp. (Meneghini 1861, Michelotti 1861. Cyprina ). È specie citata in moltissime località mio- ceniche italiane, il de Stefani (1891) distingue un piano del Miocene Medio dal nome di questa forma. Loc. Calcare da calce di Deruta; Busche presso Gualdo Tadino. Lucilia globulosa non Desìi. (Hi irne s M. Foss. Moli. Tert. Wien. Yol. IL pag. 223, tav. XXXII, fig. 5 a, b). Alcuni, come il Fuchs, vogliono questa specie sinonimo della A. Dicomani. Altri invece, a ragione, chiamano questa specie col nome di Loripes Hoerneana Desm. Frequente Miocene medio italiano (Schaffer 1898). Loc. Calcare da calce di Deruta. Busche, presso Gualdo Tadino. Fosso del Varco, presso Cerreto. Luciua miocenica Michtti. (Michelotti. Descr. Foss. mioc. Ital. sept., pag. 114, tav. 4, fig. 3 e 10. — Hòrnes M. Foss. Moli. (') Oppenheim P. Ueber die grossen Lucinen und das Alter der « mio - cànen » Macigno- Mer gel des Appennin. Zeit. deut. geol. gesell. 1900, pag. 87. 266 A. VERRI hi G. DE ANGELIS d’OSSAT Tert. Wien, voi. II, pag. 228, tav. XXXIII, fig. 3 a-c). Torto- niano e Tongriano (Sacco 1889), Miocene di Calabria e Messina (Seguenza 1880). In Sicilia con la Cardita Jouanneti (de Gre- gorio 1883). Miocene sardo (Parona 1887). Bacino di Vienna. (Hòrnes M.). Loc. Calcare da calce di Deruta; marne fossilifere del fosso Vallone di Deruta. Lucina cfr. transversa Bronn. (Hornes M., loc. cit., voi. II, pag. 246, tav. XXXIV, fig. 2 a-c). Riporto, con ben molta esita- zione, a questa specie parecchie valve non intere e calcificate. Miocene, Pliocene e vivente. Loc. Marne del fosso Vallone, presso Deruta. Limea strigilata Brocc. sp. (Hornes M. Foss. Moli. Tert. Wien. voi. IL pag. 392, tav. LTV, fig. 7 a-c). Miocene di Calabria (Seguenza 1880), delle Marche (de Angelis e Luzj 1889), di Vienna (Hornes). Pliocene profondo (Brocchi, Pantanelli). Loc. Colline di Prepo, presso Perugia. Nelle marne del fosso Vallone, presso Deruta. Verso C. Caciolfo, nella pendice est dei Martani. Lutraria lutraria L. sp. A questa specie polimorfa rife- risco alcuni modelli interni e alcune valve non completamente intere. Molti di questi individui, che vivono in colonia, sorpas- sano le dimensioni delle figure che ne riporta l’Hbrnes M. È risaputo che il de Gregorio ( Studi su talune conchiglie medi- terranee viventi e fossili. Siena 1884-85, pag. 142) scinde le figure che l’Hbrnes riferisce alla L. oblonga Cliemt. ( Foss. Moli. Tert. Wien., voi. II, pag. 58) per le due forme della L. lutraria. f. Hòrnesi Mayer (tav. V, fig. 6) e f. veriga de Gregorio (tav. V, fig. 7). Ora i nostri esemplari corrispondono a tutte e due le forme. Ciò già riscontrò il Parona (1887) nei fossili di S. Bar- tolomeo, presso Cagliari, ed in parte il Pantanelli e Mazzetti (1877) nei fossili di Montese. Anche le proporzioni delle dimen- sioni corrispondono, ma qui queste sono alquanto maggiori. Loc. Dal calcare da calce di Deruta. STUDIO DEL, MIOCENE NELL’UMBRIA 267 GASTEROPODI. Nelle manie del fosso Tallone, presso Deruta, vi hanno ga- steropodi indeterminabili specificamente dei gen. : Onda, Ma- galus, Dentalium, Solarium, Vermetus, Turbonilìa. Teredo uorvegica Spleng. Determinazione empirica per mancanza delle valve. Loc. Città di Castello, tra la vecchia Dogana e Monte S. Maria Tiberina. San Paterniano, presso Umbertide. Fosso di S. Caterina, presso Cesi. denota Bonnanii Bell. (Bellardi. Moli. Piem. e Lig., parte II, pag. 87, tav. Ili, fig. 8). Un esemplare, non perfettamente con- servato, lo riferisco a questa forma ben conosciuta. È questa una specie pliocenica, ma fu già trovata nel Miocene non lontano dal nostro al Monte della Verna. (Simonelli 1883). Loc. Marne del fosso Vallone, presso Deruta. Euspira scalari» (Bell, e Micbtti) ( Saggio oriti., pag. 72, tav. Vili, fig. 11, 12. 1840. — Sacco. Moli. Piem. e Lig., parte IX, pag. 12, tav. I, fig. 14 a, b. 1891). Questa forma è frequente nei Colli Torinesi. Sono riuscito a prepararne un esemplare che corrisponde molto bene alla figura del Bellardi e del Micbelotti. Questa specie deriva dalla E. scalariformis Desìi, del Parisiano, da cui chiaramente si distingue. Loc. Dal calcare da calce di Deruta. Natica lielicina Br. (Hornes, op. cit., voi. I, pag. 525, tav. XLVII. fig. 7. — Sacco. Moli. terr. terz. Piemont. e Lig., parte Vili, pag. 70, tav. II, fig. 43 a, b. Naticina catena var. lielicina Br.). Forma frequentissima nel Pliocene italiano, non manca però nel Miocene medio, infatti è citata in molte località mioceniche dell’Italia Settentrionale e pur nella Sardegna (Pa- rona C. F.), in Corsica (Locard) e nella Calabria (Seguenza). Fu nominata a Malta e nel bacino di Vienna. Loc. Marne del fosso Vallone, presso Deruta. 268 A. VERRI E G. DE ANGELIS D’OSSAT Cassidaria (Graleodea) ecliinophora L. sp. I due nostri esemplari somigliano a maraviglia a quelli ohe si riportarono a questa ben conosciuta specie vivente e trovati nello Schlier di S. Severino (Marche) e di Bologna. Anche quelli in istudio oltre alla identica facies, mostrano delle forti compressioni subite. Le dimensioni sono più tosto piccole per giovinezza. Sempre però si distingue la presente specie dalla C. depressa v. Bucli delle marne di Haring. La presente forma è comunissima nel Miocene tanto del- l’Italia continentale, che insulare. Piemonte (Michelotti), Montese (Pantanelli e Mazzetti), Sardegna (Parona), Corsica (Locard). Si. rinvenne pure nel Miocene del bacino atlantico. Loc. Rosselli, nella pendice est dei Martani. Murex spinicosta Bromi. (Hornes M. loc. cit., voi. I, pag. 259, tav. XXVI, fig. 6, 7, 8). Bi questa forma abbiamo raccolti pa- recchi frammenti abbastanza ben riconoscibili. Anche questi ricor- dano fortemente il 31. brandaris che è specie molto affine alla pre- sente. È specie del Miocene e del Pliocene di moltissime località. Loc. Marne del fosso Vallone, presso Deruta. PTEROPODI. Le marne mioceniche dell’Umbria contengono quasi sempre avanzi di questa classe di molluschi. Sgraziatamente però non sempre sono ben conservati e determinabili, spesso presentandosi allo stato di modello o limonitizzati. Possiamo asseverare che, in tutti i posti dove vi sono le marne, noi li abbiamo trovati, quando pazientemente ci siamo messi alla ricerca. Laonde non nomineremo che quelle località che ci diedero i migliori avanzi e che per circostanze speciali noi potemmo più a lungo esplorare. L’abbondanza poi di questi avanzi è tale da conferire, a tutta ragione, il titolo di marne a Pteropodi a quelle che costituiscono in gran parte le rocce che noi ascriviamo al Miocene medio, anche per la presenza di queste caratteristiche forme. Quelli che furono nella prima nostra nota menzionati al Fosso Piazzo di Volpe (Perugia) sono stati determinati dal eli. i prof. D. Pantanelli. STUDIO DEL MIOCENE NELL’UMBRIA 269 Yaginella depressa Daudin. (Benoist E-A. Descript. Céplial. Pte'rop. Coquil. foss. terr. tert.moy. S- W. Frane., pag. 28, tav. Il, fig. 4 a, b, c. Act. Soc. Lin. Bordeaux, x ol. XLII, 1888. Con lunga sinonimia). È questa la forma più comune nel Miocene umbro, tuttavia si mostra sempre con dimensioni alquanto diverse; ma sempre riferibili al tipo per quanto lo permette la conservazione. Ho paragonato i nostri esemplari anche con le buone figure del Hbrnes M. e di Kittl. È una specie frequente nel Miocene e si trova ancora vivente nel Mediterraneo. Miocene medio piemon- tese (Bellardi 1872, Audinino 1897), Miocene Lazio (de Angelis 1897), Schlier di Sanseverino Marche (de Angelis e Luzj 1899), Langhiano Calabria (Seguenza 1880), Varano (Mariani 1882), Sardegna (Parona 1887). Mioc. med. Francia (Benoist 1888), Mioc. Aust.-Ung. (Kittl 1886). Pliocene Roma (Ponzi 1876). Loc. Città di Castello, tra la vecchia Dogana e M. S. Maria Tiberina. Fosso Piazzo di Volpe, presso Perugia. Fosso S. Ca- terina, presso Cesi. Torre del Colle; Casale Castellinone presso Bevagna. Poggio Civitella nel Monte Deruta, versante verso il F. Puglia. Yaginella acutissima Aud. (Audenino. I Pteropodi miocenici del M. dei Cappuccini in Torino, pag. 100, tav. V, fig. 7 b, c. Bull. Soc. Malac. ital. Voi. XX, Modena 1897). Questa specie dopo la V. depressa è la più abbondante e diffusa nel Miocene umbro. Finora è conosciuta solo nel Miocene di Torino. Loc. Città di Castello, tra la vecchia Dogana e Monte S. Maria Tiberina. Fosso Piazzo di Volpe, presso Perugia. In molte località della pendice est del M. Deruta, lungo l’Attone da Torre del Colle al Mulino di Bevagna. Colle Caciolfo sulla pendice est dei Martani. Yaginella austriaca Kittl. (Kittl. Ueber die miocànen Pte- ropoden von Oesterreich-Ungarn , pag. 54, tav. II, fig. 8-12. Ann. k. k. Naturhist. Hofmus. Wien. 1886). Riporto, con qualche esi- tazione, a questa specie, cattivi esemplari, poche impronte e nuclei non ben conservati; la forma però corrisponde perfetta- mente alle figure del Kittl e specialmente alla fig. 11, perchè in tutti gli esemplari manca la conchiglia primordiale. Il Kittl 270 A. VERRI E G. DE ANGELIS D’OSSAT riferisce moltissime località mioceniche di questa forma. Il Be- noist (loc. cit. pag. 32) la cita in molti luoghi della Francia del Tortoniano con Rotella subsuturalis. L’Audinino la menziona per la prima volta in Italia nel Miocene piemontese. Loc. Lungo la ripa destra dell’Attone e Casale Castelbuono, sulla pendice est del M. Deruta. Yaginella Calaudrelli Michtti. (Bellardi. Moli. terr. ter 2. Piem., voi. I, pag. 35, tav. Ili, fig. 17. — Benoist. op. cit. pag. 30, tav. II, fig. 5 a, b, c). È rara questa forma e molto localizzata. I nostri esemplari somigliano più alle figure del Bellardi, che non a quelle del Benoist. La specie dagli autori citati fu tro- vata nel Miocene Piemontese e Francese. Anche Audinino la menziona ai Cappuccini di Torino. Ponzi la trovò nelle argille vaticane. Loc. Villa Mane e Colle Stramarino sulla pendice est dei Martani. Fosso Piazzo di Volpe, presso Perugia. Yaginella Rzehaki Kittl. (Kittl. op. cit. pag. 06, tav. II, fig. 13-16). Un solo esemplare riferisco a questa interessante specie. Quantunque non ben conservato, pure fa riconoscere i caratteri specifici. Nella figura e nelle dimensioni si rispecchia completamente alla fig. 13. Questa forma è frequente nel Miocene Austro-Ungarico, ma fu già rinvenuta in quello di Torino e di Serra valle di Scrivia. Ultimamente l’ Audinino la riscontrò pure nel Miocene medio dei Cappuccini in Torino. Loc. Poggio Civitella, sul monte Deruta verso il F. Puglia. Clio Bellardii And. (Audinino. Ptcrop. mioc. M. Cappuccini Torino, pag. 104, tav. V, fig. 5, a, b, c, d). Fossile nelLElveziano Piemontese. Loc. Fosso Piazzo di Volpe, presso Perugia ( Fide Panta- nelli). Villa Mane sulla pendice est dei Martani. (Un esemplare non intero). Clio multicostata Bell. sp. (Bellardi. op. cit., pag. 33, tav. Ili, fig. 14). Questa forma si trova anche nel Miocene umbro. È STUDIO DEL MIOCENE NELI.’UMBHIA 271 quella che più facilmente si riconosce e corrisponde alla figura del Bellardi; sembra però più slanciata. Loc. Argille del Fosso di S. Caterina, presso Cesi. Ripe dell’Attone, sulla pendice est del M. Deruta. Clio pulclierrima May. sp. (Bellardi loc. cit. pag. 33, tav. Ili, fig. 13). Sono frequenti gli esemplari di questa bella specie. Loc. Ripa destra e sinistra dell'Attone, dalla Torre del Colle al Mulino, sulla pendice est del M. Deruta. Clio triplicata Aud. (Audiniuo. Pterop. mioc. M. Cappuccini Torino, pag. 106, tav. Y, fig. 4, a-e). Miocene medio dei Cappuccini a Torino. Loc. Fosso Piazzo di Volpe, presso Perugia ( Fide Panta- nelli). Strada di S. Severo sulla pendice est dei Martani. Clio sinuosa Bell. sp. (Bellardi. Moli. Piemt. Lig., pag. 32r tav. Ili, fig. 11). Non è sempre facile riconoscere la presente forma a causa della cattiva conservazione. È forma del Miocene medio del Piemonte. Loc. Violino dell’Attone e colline a destra ed a sinistra sulla pendice est del M. Deruta. Fosso di S. Caterina, presso Cesi. Fosso Piazzo di Volpe, presso Perugia (Fide Pantanelliy Clio pedemontana May. sp. Questa conosciuta specie è, dopo le Vaginella, la più ricca in individui e più diffusa. Nelle ar- gille di Cesi è la più abbondante dopo VAturia Aturi. Non ricordo le figure di questa specie, ma solamente avverto che qualche esemplare, per i caratteri che presenta, di molto si av- vicina alla Clio Fallauxi Ritti (loc. cit. pag. 62, tav. Il, fig. 23- 26). È la Clio pedemontana uno dei fossili del Miocene medio deirAustria-Ung., del Piemonte, del Lazio ecc. Loc. Fosso Piazzo di Volpe (Fide Pantanelli); Colline di Prepo, presso Perugia. Fosso S. Caterina, presso Cesi. Casale Castelbuono, ripa sinistra dell’Attone; Torre del Colle a destra dell’Attone, sulla pendice est del M. Deruta. Poggio Civitella sul detto monte nel versante del F. Puglia. Salita dal fosso di Valfabbrica alla Pieve S. Niccolò. 272 A. VERRI E G. DE ANGEI.IS D OSSAT Carinaria Mugardi Bell. (Bellardi. Moli. ter?-. Vieni. Lig., pag. 31, tav. Ili, fig. 10 a, b, c). Miocene Piemontese (Bellardi). Miocene del Lazio (de Angelis 1897). Loc. Fosso Piazzo di Volpe, presso Perugia (Fide Pan- tanelli). Torre del Colle ripa destra dell’Attone, nel versante est del M. Deruta. Cavolinia bisulcata Kittl sp. (Kittl loc. cit ., pag. 65, tav. II, fig. 29-32. — Audinino loc. cit., pag. 101, tav. V, fig. 2 a-d). Di questa forma abbiamo trovati parecchi esemplari, i quali tutti presentano delle variazioni, come già riscontrò l’ Audinino. I ca- ratteri specifici però si mostrano sempre chiaramente. Nel Pie- monte fu trovata neH’Elveziano, nel Miocene medio di Austria- Unglieria a Nusslau presso Seelowitz. Loc. Fosso Piazzo di Volpe, presso Perugia (Fide Panta- nelli). Città di Castello, tra la vecchia dogana e Monte S. Maria Tiberina. Torre del Colle, destra dell’Attone sulla pendice est del M. Deruta. Poggio Civitella sul detto Monte nel versante F. Puglia. Colle Caciolfo sulla pendice est dei Martani. Cavolinia Cookei Simonelli. (Sopra un nuovo Pteropode del Miocene di Malta. Boll. Soc. geol. ital., voi. XIV, pag. 19, fig. a, b, c). I nostri esemplari corrispondono alle descrizioni ed alle figure della specie per quanto ci è dato poter osservare. Nella superficie dorsale ho però riscontrato alcune tenui pieghe trasversali che tagliano ad angoli retti le coste raggianti. Tale particolarità ed altre lievi differenze potrebbero servire od a far conoscere meglio la forma od a far riconoscere i nostri esem- plari come appartenenti ad una varietà, ciò che per ora non oso affermare. Il Cooke asserisce che il fossile illustrato dal Simonelli fu raccolto « nella parte superiore della serie aquitaniana » nel limite fra FAquitaniano e Langhiano, sempre però nel Miocene. Loc. Fosso Piazzo di Volpe, presso Perugia. STUDIO DEL MIOCENE NELL’UMBRIA 273 CEFALOPODI. Aturia Aturi Bast. Dalle argille del fosso S. Caterina, presso la Villa Eustachi, Cesi, rinvenimmo di cpiesto interessante ce- falopodo molti esemplari frammentari, mal conservati e schiac- ciati. Tutti quasi conservano il guscio per modo che solo in rari casi si osservano i setti. Muno può riportarsi alla A. Formae Parona {Note sui Cefalopodi terziari del Piemonte. Paleont ital. voi. IV, pag. 1 64, tav. XIII, fig. 7 a, c. 8), perchè sempre il piccolo spessore dei giri e la convessità dei fianchi conce- dono una figura sagittale alla sagoma. Non si riscontra neppure la finissima ornamentazione a reticolato dello strato esterno del guscio. Questa specie è caratteristica del Miocene medio del bacino mediterraneo ; finora non fu trovata in strati sicuramente di di- verso valore cronologico. Loc. Fosso di S. Caterina, Cesi. Presso C. Stramarino, nella pendice est dei Martani. PESCI. Sphyrna prisca Agass. (Agassiz. Poi ss. foss., voi. Ili, pag. 234, tav. 26 a, fig. 35-50. — Bassani F. Ittiohti Mioc. Sardegna, pag. 41, tav. II, fig. 19). Eocene dubbio nella Carolina meridionale. Miocene med. abbondantissima: Lecce, Malta, Catanzaro, Chiusi, Torino, Sciolze, Bosignano, Acqui, ecc. Pliocene: Orciano, Vol- terra, Siena, Genova, S. Frediano. Da quanto si può rilevare dagli ultimi scritti del Bassani e del de Alessandri, questa forma è frequentissima nel Miocene ed a preferenza in quello medio. Loc. Monte Morcino vecchio. Odontaspis cuspidata Agass. (Bassani. Ittiol. Mioc. Sar- degna, pag. 25, tav. I, fig. 14; tav. II, fig. 10, 13, 16 e 17). Oligocene: Castelgomberto, Mioglia, Sassello. Miocene inf.: Ca- stelli di Monfumo, Gassino. Miocene medio: molte località della 18 274 A. VERRI E G. DE ANGELI, S D’OSSAT Sardegna, Rosignano, Lecce, Serravalle Scrivia, M. Titano, Be- nestare, Montegibio. Pliocene: Sassuolo, S. Prediano, Volterra. Anche questa forma offre il suo massimo sviluppo nel Mio- cene medio. Loc. Monte Pacciano, presso Perugia. Abbiamo inoltre raccolto due otoliti, uno nelle marne del fosso presso Deruta e l’altro presso il Molino di Bevagna al- l’Attone ; nella prima località potemmo osservare anche scaglie di pesci, ma molto profondamente alterate. ❖ * * Si recherebbe offesa a chi legge se a lungo si dimostrasse il valore cronologico della fauna, perchè è schiettamente del Miocene medio. Infatti, tutte le forme menzionate sono state già rinvenute in terreni conosciuti di questo periodo geologico, anzi molte di esse ne sono del tutto caratteristiche, come: Bathysiphon taurinensis, Trochocyatlms Bcllinglicrianiis , T. versicostatus, T. unduìatus, Ecldnolampas angulatus, Conocly- pus plagiosomus, Echinocyamus Studeri, Echinanthus Cameri- nensis, Lepas Bovasendai, Ostrea langhiana, Spondylus crassi *■ costa, Becten solarium, P. cfr. Malvinae, P. JBesseri, P. Ben- danti, P. Tournali, Amussium anconitanum, Modiola Broccliii, Lucina pomum, L. Dicomani, Ij. globulosa, L. miocenica, Eu- spira scalaris, Vaginella acutissima, V. austriaca, V. Bzehalri, Clio Bcllardii, C. multicostata, C. pulcherrima, C. triplicata, C. sinuosa, C. pedemontana, Cannaria Hugardi, Cavolinia bisul- cata, C. Coolcei, Attjeia Attiri. Solo alcune rare forme fra le rimanenti, come fra i Briozoi, appartengono pure all’ Oligocene, aH’Eocene od al Cretaceo; mentre che un numero considerevole vissero anche nei tempi pliocenici e quaternari. Ve ne ha taluna che prospera ancora nei nostri odierni mari. Questa distribuzione cronologica della, fauna in istudio si raccoglie facilmente dalle brevissime osser- vazioni che seguono il nome di ciascuna forma e che non si ripetono per amore di brevità. Dopo il sicuro e chiaro riferimento cronologico, penso, clic abbia non piccolo interesse la constatazione delle diverse for- STUDIO DEL MIOCENE NELL’UMBRIA 275 inazioni eteropiche del Miocene medio dell’Umbria. Le svariate zone batimetriche e le peculiari condizioni fisiche che regolano la formazione degli strati sono svelate e dalla natura litologica dei sedimenti e dalle faune die essi racchiudono. Passiamo in rapida rassegna le rocce mioceniche umbre in rapporto con la rispettiva fauna. Le seguenti rocce, che menziono in ordine di maggior dif- fusione, costituiscono il Miocene umbro: 1. Complesso arenaceo-marnoso; 2. Calcari arenacei; 3. Calcari conchigliari; 4. Marne riccamente fossilifere. Mentre i due primi tipi sono molto diffusi e misurano com- plessivamente una rilevante potenza, i rimanenti finora li conosco, accantonati ed intercalati ai precedenti, presso Deruta ed in altre pochissime località. 1. Le marne, che si potrebbero chiamare argille se non rac- chiudessero una miriade di Foraminiferi, sono intercalate ad arenarie che dalla grana più sottile passano anche alla gros- solana. In questo complesso e specialmente nelle marne si trova una fauna rappresentata da denti di Pesci, da Cefalopodi, da Pteropodi e da Foraminiferi. Solo sporadicamente si rinvengono magri avanzi degli altri Molluschi, di Cirripedi e di Echino- dermi. La fauna adunque è quasi esclusivamente composta di elementi del Nekton e del Plankton. I Pteropodi, del Plankton pelagico e zonario, sono quelli che per numero di specie ed individui e per la diffusione con- feriscono il carattere faunistico alla formazione. Le loro con- dizioni di esistenza e la zona batimetrica che ne raccoglie le spoglie sono ben conosciute in grazia ai lavori del Fol, Murray e Renard, Boas, Johston, Pelseneer, Cium ed Agassiz. Infatti discendendo dalla spiaggia verso le profondità abissali noi incon- triamo dopo la zona litorale quella del fango a Pteropodi, la quale più in basso lascia il posto al limo a Globigerine. La nostra fauna adunque accenna sicuramente alla zona batime- trica fra quelle a Pteropodi ed a Globigerine offrendoci abbon- danti residui degli uni e delle altre. L ’Aturia Atari, gli altri scarsi Molluschi ed i Pesci, specie tutte del Nekton si pos- 276 A. VERRI E G. DE ANGELIS D’OSSAT sono trovare, senza difficoltà, nella zona a Pteropodi. Solo la Lepas Rovasendai parrebbe un elemento esotico, appartenendo al Benthos sessile del litorale e della zona a Laminarie; ma ri- fiettendo che la Lepas miocenica, al pari delle congeneri, poteva navigare sul mare aperto fissata sopra i legni e gli oggetti gal- leggianti, noi troviamo la spiegazione della sua presenza. La fauna adunque ed il materiale sedimentario determinano una zona batimetrica ben conosciuta negli attuali mari, la quale cor- risponde perfettamente a quel circolo di esistenza che costituisce nel mare miocenico la facies langhiana del Pareto e del Mayer e che il Fuchs rettamente sincronizza con lo Schlier di Vienna. Ai caratteri menzionati se ne aggiunge uno negativo dato dalla mancanza degli elementi paleontologici degli altri circoli di esi- stenza. Non bisogna dimenticare che in alcuni luoghi, dove la forma- zione accenna a cambiamenti litologici, noi rinveniamo una fauna alquanto diversa da quella ora considerata. Infatti ab- biamo menzionato in parecchi posti colonie numerose di Briozoi celleporoidi, di Ostrea ìangliiana e di Pettinidi: tutti questi avanzi dimostrano il passaggio graduale della zona a Pteropodi ed a Globigerine a quella seguente meno profonda. 2. Calcari arenacei. Entro queste rocce si trovano: sva- riati Briozoi, molti Pettinidi caratteristici, Poraminiferi, e fram- menti di conchiglie che portano i segni della subita erosione meccanico-chimica della spiaggia. Il passaggio a questi calcari | dalle rocce sottostanti è talvolta brusco, a volte graduale ed insensibile. La fauna è costiera ed appartiene in gran parte al Benthos. Ci troviamo innanzi alla conosciuta zona delle Lami- narie, chiamata Elveziana dal Mayer e Serravalliana dal Pareto. Corrisponde, secondo il Fuchs, al calcare della valle del Leitha ed al calcare di Rosignano, come crede il de Stefani. I dintorni di Forgiano sono quelli che meglio fanno riconoscere questa zona batimetrica che pur non manca altrove, come a Castelleone, ecc. i Anzi nel complesso arenaceo-marnoso pare che almeno ben di- stinta si ritrovi generalmente due volte intercalata, ottenendosi j così due facies relativamente profonde, sormontate rispettiva niente da due delle Laminarie. Ciò evidentemente è dimostrato dai po- tenti banchi di arenarie grossolane e dai fossili della zona delle STUDIO DEL MIOCENE NELL’UMBRIA 277 Laminarie compresi fra le marne a Pteropodi. L'arrivo poi di ciottoli esotici nel bel mezzo della formazione, come sarà detto, documenta quanto si espone. 3. I calcari concbig-liari attestano un’altra zona batimetrica, interposta fra le due precedenti, finora solo riconosciuta fossilifera nel calcare da calce presso Deruta, Busche e Cerqueto. Il calcare di Deruta, in grossa lente, è compreso fra gli strati della forma- zione arenaceo-marnosa ; ed è costituito quasi esclusivamente da conchiglie appartenenti a poche specie dei gen. Lucina e Lori- pes, alla Latrarla latrarla ed alla Mocliola JBroccìiii ; solo qualche nicchio di Euspira spiralis sta a provare la presenza di Ga- steropodi. Traendo partito dalle conoscenze bionomiche intorno alle forine congeneri viventi, noi veniamo a fissare la zona di deposizione del calcare superiore a quella langhiana ed inferiore a quella litorale. Ci troveremmo anche qui innanzi alla facies elveziana. A questa zona batimetrica debbono essere riportati gli strati, di cui abbiamo fatto parola, che contengono Briozoi celleporoidi, Pettini e Foraminiferi, nonché il calcare di Be- vagna. A Dernta, durante la loro deposizione, si formava la lente calcarea, in una plaga sopra il complesso arenaceo-marnoso non molto sotto lo specchio dell’acqua marina, ma separata dalla spiaggia, pur non lontana. Infatti la fauna ci dimostra una ben lieve profondità, mentre che la mancanza dei caratteri del lito- rale ne confermano la separazione. Ciò non è punto contrario alle leggi dell’odierna sedimentazione marina. Si può invero am- mettere che un banco sabbioso-marnoso, non unito alla spiaggia, quantunque vicino, accogliesse dei bassi fondi, in cui si pote- vano trovare le condizioni favorevoli allo sviluppo di tanto nu- mero d’individui di così poche specie. Questo stesso fatto ho constatato nella stessa formazione a Tocco da Casauria (Q. 4. Marne riccamente fossilifere. Nelle stesse condizioni del calcare si deponeva a Dernta, in una zona batimetrica poco più bassa, una lente marnosa con un mondo di diversi animali. In quella ristretta plaga viveva una discreta rappresentanza di (‘) De Angelis cl’Ossat G. Le sorgenti di petrolio a Tocco di Casauria [Abruzzo). Rasseg. min., voi. XI Torino. 1899. 278 A. VERRI E G. DE ANGELIS D’OSSAT Corallarì isolati insieme a svariati Molluschi, fra i quali però mancavano i Pteropodi ed i Cefalopodi. Ceratotroclms multispinosus Michtti. sp. TrocJiocyathus bellingherianus Mieli, sp. » versicostatus Mieli, sp. » undulatus Mieli, sp. Flabdlum avicula Michtti. » extensum Mieli. Schisa ster sp. Lepas cfr. Rovasendai de Aless. Pecten cristatus Bromi. Lucina miocenica Michtti. » cfr. transversa Bromi. Limea strigliata Brocc. Genota Bonnanii Bel. Natica helieina Brocc. Murex spinicosta Bron. Inoltre vi hanno molte specie dei gen: Teli ina, Cardimi, Ovula, Magalus, Dentatimi, Solarium, Vermetus, Turboniìla, che, non essendo perfettamente conservate, ho stimato più pru- dente non determinarle specificamente. L’assieme della fauna, specialmente per i coralli isolati, cor- risponde alle isocrone e conosciute faune dei Colli di Torino, di Tortona, di Monte Gildo, di Benestare, di S. Agata-fossili e di molte altre località che si attribuiscono alla zona tortoniana di Mayer e del Pareto, cioè alla coralligena. L’isopicità non solo è dimostrata dalla analogia faunistica, ma anche dalla corrispon- denza litologica. In tal modo nel Miocene medio umbro riscontriamo le zone batimetriche: c. Zona delle Laminarie (Elveziano). Calcari arenacei e calcari. b. » coralligena (Tortoniano). Marne a coralli isolati. a. » profonda (Langhiano). Formazione arenaceo-mar- nosa a Pteropodi. STUDIO DEL MIOCENE NELL UMBRIA 279 Ancora una volta adunque rimane dimostrato il solo valore batimetrico dei piani isocroni del Miocene medio; infatti anche nell’Umbria si ripetono e si seguono in ordine svariato. Che poi la formazione di cui abbiamo ora parlato appar- tenga sicuramente al Miocene medio è chiaramente dimostrato dalla fauna: 1. ° che è rappresentata da forme già tutte note in sincroni giacimenti italiani e stranieri; 2. ° che vanta molte specie caratteristiche di questo tempo; 3. ° che non offre niun elemento esclusivo dell’Oligocene e dell’Eocene; 4. ° che mostra evidentemente più intime analogie con la fauna delle isopiche formazioni plioceniche, che non con quella a del Miocene inferiore. Roma, Marzo 1900. ' . < .gw >' 9 * AVVERTENZE PER I SOCI Dal contratto con la Tipografìa foggiani. Le pagine di corpo 8 in più di 1 . di pagina per le note, e di una pagina di testo per ogni foglio di stampa, saranno pagate in ragione di ima lira ciascuna. Le tabelle in più di una per ogni tre fogli di stampa, coste- ranno L. 1,55 per pagina. Ciascun foglio di composizione dovrà essere stampato nel ter- mine di tre mesi dalla consegna delle prime bozze, detratto il tempo in cui esse bozze rimarranno presso la tipografia per le varie correzioni, trascorso il qual termine sarà corrisposto un compenso di L. 3,50 per mese e per foglio. I soci avranno una prima bozza in colonna, ed una seconda impaginata. Le correzioni straordinarie si pagheranno in ragione di una lira per pagina. Gli estratti per conto degli autori sono regolati dalla seguente tariffa : Per ogni 50 copie con copertina muta: per 1 foglio di stampa, L. 4; per ‘/2 foglio, L. 2; per 1ji di foglio, L. 1. Prezzo della copertina stampata, sino a 100 copie, L. 2,50. Dal Regolamento per le pubblicazioni. Art. 9.° Se le memorie oltrepasseranno il numero dei fogli di stampa stabilito anno per anno dal Consiglio (4 f.) la spesa eccedente sarà tutta a carico dell’autore, anche per la parte relativa agli estratti concessi gratuitamente dalla Società. Art. 10.° Sono a carico degli autori le spese in più per le pagine, in corpo 8 e per le tabelle ; cosi pure le spese straordinarie per correzioni maggiori del consueto, per cambiamenti o rifusione di paragrafi e per composizione annullata. Art. 17.° Gli estratti che spettano agli autori avranno fron- tispizio e copertina stampata, se la memoria raggiungerà un foglio di stampa; altrimenti avranno copertina semplice. Art. 20.° Gli estratti si spediscono in assegno. INDICE ■ ? PELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE FASCICOLO • ..." y * Rendiconti. PAG. Consiglio direttivo per Fanno 1900 in Elenco dei Presidenti dalla fondazione della Società. ... iv Elenco dei Soci per l’anno 1900 ìv Elenco delle Società ecc., che ricevono il Bollettino in cambio. xm Resoconto dell’Adunanza invernale tenuta in Roma il 25 marzo 1900 xvn Appendice I. — Sunto della Comunicazione del socio dottor G. Di-Stefano : Sull’età degli scisti silicei della parte oc- cidentale della Sicilia. ... . . xxix Appendice II. — - Relazione delle gite fatte a Civitavecchia ed alla Tolfa nei giorni 26 e 27 marzo 1900 (Neviani). xxx Appendice III. — Analisi microscopica di alcuni esemplari di tracliite (Franchi) xxxvn Memorie. Bonarelli G. — Ricerche analitiche sopra una roccia sedi- mentaria di Lombardia 1 Neviani A. — Revisione generale dei Brioeoi fossili italiani. I. Idmonee 10 Cocchi I. — Osservazioni sui denti incisivi dell’elefante africano. 26 Peola P. — Flora iongriana di . Pavone d’ Alessandria (con una figura nel testo) 36 Seg lenza L. — Nuovo lembo del Lias superiore nel Messinese. 62 Portis A. — Osservazioni stratigrafche a proposito di alcune lave delle vicinanze di Roma 65 Colomba L — Ricerche microscòpiche e chimiche su alcune quarziti di Oulx (alta ralle della Dora Riparia) e su al- cune roccie associate Ili Fornasini C. — Le Polimorfnie e le Uvigerìne fossili d’Italia (con 7 figure nel testo) 132 Airaghi C. — Di alcuni conoclipeidi (Tav. I) 173 Portis A. — Di una formazione stagnale presso la Basilica Ostiense di Roma e degli avanzi fossili vertebrati in essa rinvenuti (con 2 ligure nel testo) 179 Verri A. e G. de Àngelus d’Ossat. — II.° Cmirilnito allo studio del Miocene nell’ Umbria .......... 240 •’v * ' V 1 •. 'Ni Finito (li stampare il 31 maggio 1900. Il Bollettino della Società Geologica Italiana si stampa in fascicoli trimestrali. Il Presidente responsabile: Nicolò PellAti. Anno XIX. Fascicolo 2.° (3.° trimestre 1900). SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA MENTE ET MALLEO fondata in Bologna il 29 settembre 1881 Consiglio direttivo per Tanno 1900 Presidente . . . Vice-Presidente Segretario. . . . Vice-Segretari . . . Tesoriere-Economo Archivista Consiglieri Commissione per le pubblicazioni . . Commissione del bi- lancio Niccolò Pellati (Roma), igoo. Carlo Fabrizio Parona (Torino). 1900 Antonio Neviani (Roma). 1900 (incari- cato) \ 1 Gioacchino de Angelis d’Ossat (Roma). 1900. Guido Bonarelli (Torino). 1900. Augusto Statuti (Roma). 1900-1902. Antonio Neviani (Roma). 1900-1902. j Ulderico Botti (Reggio Cai.) Torquato Taramelli (Pavia). Vittorio Simonellt (Parma). Giuseppe Mercalli (Napoli). Carlo De Stefani (Firenze). Arturo Issel (Genova). . . . Alberto Fucini (Pisa) .... Pietro Zezi (Roma) Luigi di Rovasenda (Sciolze). Giuseppe de Lorenzo (Napoli). Vittorio Matteucci (Napoli). Romolo Meli (Roma) .... Il Presidente Il Segretario Il Tesoriere L’ Archivista 1898-900. 1899-901. 1900-902. (prò tempore ) Mario Cermenati Romolo Ragnini . Antonio Verri . 1900. 1 Per voto del Consiglio direttivo, causa la rinuncia del dott. F. Millosevich, eletto nell’adunanza del settembre 1899. Sede della Società: Roma, Via S. Susanna, i A, presso il R. Ufficio geologico. Benché la nostra Società, 'per la sua natura e per le norme da cui è regolata, rifugga da qualsiasi argomento che non sia proprio della scienza, pure la nostra mente e il nostro cuore ci dicono che , anche da queste pagine, deve levarsi alta una voce di profondo rimpianto e di omaggio riverente alla memoria, oggi sacra a tutti, del re Umberto 1. Nel cammino lento e faticoso degli studi, ci turbò l'animo all’improvviso e lo strinse d’angoscia la notizia che il Re era caduto, e in così barbaro modo ! Oggi proseguiamo dolenti nella nostra via, e con fervido augurio di tempi ìnigliori per la patria. La Presidenza. — ■ ' RIUNIONE STRAORDINARIA DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA TENUTA ALLE ISOLE EOLIE ED A PALERMO 7-17 Aprile 1900 Già da moRo tempo i soci della nostra Società nutrivano il vivo desiderio di visitare le interessantissime Isole Eolie, da ul- timo studiate, con speciali monografie, dal Cortese e Sabatini (1), dall’Arciduca Ludovico Salvatore (2) e dal Bergeat (3). (') Cortese E. e Sabatini V., Descrizione geologico-petrografica delle Isole Eolie. Mem. Descr. Carta Geol. d’Ital. R. Uff. Geol., Roma 1892. (2) Arciduca Ludwig Salvator, Die Liparischen Inseln, 1893-96. (’) Bergeat A. Die Aeolischen Inseln. Abhandlungen d. le. bayer. Aka- demie der Wiss., II. Cl., XX. Bd. I. Abth. Miinchen 1899. Quivi è raccolta l'intera bibliografia geo -mineralogica e vulcanologica delle Isole Eolie. in XLII RESOCONTO DELLA RIUNIONE STRAORDINARIA 7 Aprile. Al principio del presente anno alcuni soci presentarono alla Presidenza, a termini dell’art. 10 dello Statuto, una domanda per un’adunanza straordinaria da tenersi alle Isole Eolie, interessando il Presidente Pellati ad ottenere all’uopo dal Governo un trasporto della E. Marina. Il Presidente, con circolare del 24 marzo, co- municava : « Desideroso di veder soddisfatta la domanda presen- tata, non mancai di adoperarmi, appena le condizioni della mia salute me lo permisero, per la realizzazione del progetto, e sono ora lieto di annunziare a tutti i soci die S. E. il Ministro della Marina, nell’intento di favorire i nostri studi, ha cortesemente concesso l’uso della E. Nave « Eridano » la quale si terrà a di- sposizione della Società Geologica, e dei soli soci , e pronta a salpare da Civitavecchia il giorno 7 aprile p. v., a condizione però di poter essere di ritorno a Civitavecchia non più tardi del giorno 17, dovendo compiere in seguito altra missione già de- terminata ». All’appello risposero di buon grado molti soci ed altri an- cora avrebbero preso parte all’adunanza, se la nave li avesse potuti comodamente alloggiare. Il 7 aprile, alle ore 11, furono accolti a bordo dell 'Eridano, E. Nave sussidiaria, all’àncora nel Porto di Civitavecchia, dal si- gnor Comandante Susanna Carlo, Capitano di Vascello e dal suo Stato Maggiore, con quella nobile gentilezza che ormai è tradi- zionale nell’Ufficialità della nostra E. Marina, i seguenti soci : Ba- ratta, Brugnatelli, Checchia, Colomba, Dannenberg, Dainelli, de Angelis d’Ossat, del Zanna, de Marchi M., de Stefani, di Ste- fano, Gnocchi, Maglio, Mariani G., Martelli, Millosevich, Monti, Pampaloni, Pelagaud, Portis, Eepossi,Eiva,Eoccati,Eoux, Sacco, Tacconi, Taramelli, Tommasi e Traverso. Secondo l’art. 10 dello Statuto nostro, fu eletto Presidente della riunione il Taramelli, che, per delegazione, rappresentava a Civi- tavecchia il Presidente della Società. A Civitavecchia venne ad allestire la spedizione il nostro se- gretario Neviani, il quale poi fu rappresentato a bordo dal vice- segretario de Angelis d’Ossat. Il di Stefano, conoscendo di già perfettamente la geologia delle Eolie, aveva accettato gentilmente l’incarico della direzione scientifica. TENUTA ALLE ISOLE EOLIE ED A PALERMO XLlir Alle ore 12 si salpò da Civitavecchia, mentre il cielo accen- nava ad abbonacciarsi. La lunga traversata non fu felicissima, poiché un forte maestrale agitò costantemente il mare. Verso le ore 13 del giorno 8 si avvistò la gemina Salina e poi le altre belle isole dello splendido arcipelago. Dopo aver costeggiato la parte alta orientale dell’ isola di 8 Aprile. Lipari, ammirando di lontano l’imponente cratere di M. Pelato, con la sua splendida corrente delle Rocche Rosse, e lo sman- tellamento del cratere di M. Rosa, si sbarcò alla città di Lipari alle ore 17,45 . Si visitò frettolosamente la graziosa cittadella che riposa nell’ incantevole golfo, con vivacità orientale, protetta dal pittoresco Castello che torreggia sopra una rupe a picco di riolite a distinta struttura perlitica. Prima di ritornare a bordo s’inviò un telegramma di rin- graziamento al Presidente Pellati. I due soci Stella e Sequenza, giunti a Lipari col postale di Milazzo, accrebbero la comitiva. Escursione all’Isola Lipari. Alle 7 antimeridiane si sbarcò allo scalo di Lipari per intra- 9 Aprile, prendere la prima escursione geologica stabilita dal programma del di Stefano. Il cielo però piuttosto nuvoloso non lasciava nu- trire soverchie speranze sull’intero svolgimento della gita; tut- tavia di buon animo si prese subito la via che mena alla vicina borgata Canneto, varcando il M. Rosa, dove questo si con- giunge al grosso dell’isola. Lungo l’erta breve, ma faticosa, si osservarono belle serie di strati tufacei, le quali hanno permesso ai geologi che le studiarono in rapporto con quelle della rima- nente isola, parecchie distinzioni, accresciute in numero special- mente a causa delle modificazioni che hanno subito per le fu- marole. Giunti a Canneto, non si ebbe neppure il tempo di am- mirare il bel golfo, dacché un acquazzone scrosciante ci obbligò a ripararci entro i magazzini di pomice. Non fu perduto nep- pure quel tempo, poiché fu dedicato alla conoscenza di quell’in- dustria. Si videro le diverse selezioni di pomice che desidera il commercio, ed i frantoi che la riducono in polvere. È questa, XLIV RESOCONTO DELLA RIUNIONE STRAORDINARIA dopo la devastazione dei vigneti per opera della filossera, Tunica indu- stria che alimenta il laborioso pae- sello (1). Il materiale è ricercato con anguste cave sotterranee, non scevre di pericoli, che si aprono in numero di circa 200 nel seno dell’anfiteatro di M. Pelato. La produzione annua ascende circa a 5.000 tonnellate, che rendono nel commercio circa L. 800,000. Appena il tempo lo permise, si cominciò l’ascensione di M. Pelato. (Fig. 2). Il sentiero si svolge sempre sopra detriti pomicei candidissimi, solo per breve tratto si varca la cor- rente Pomiciazzo di Liparite ( Junge liparite, Bergeat). Si guadagna fi- nalmente la cima. Lo spettacolo che si presentò innanzi ai nostri occhi era imponente. L’immane cavità cra- terica è slabbrata verso il mare a NE., dove si dirige la più unica che rara corrente di pomice delle Rocche Rosse, la quale verso l’origine è con- tornata da un basso avanzo di un ben distinto cratere. Il monte è co- stituito nella parte profonda da po- pi Bergeat A., Von den àólischen In- selli. Zeit f. praktische Geologie, Iabrg. 1899. Berlin. — Fumici of Monte Pelato, Lipari Islands, Itàly. Trans, of nort En- glantl Inst. Min. Medi. Engineers. Voi. XLVIII. Newcastle-npon-Tyne. 1899. (2) Debbo alla gentile cortesia della Direzione del Boll, del R. Comitato Geo- logico d’Italia alcune delle presenti in- cisioni che illustrarono già il lav. cit. del Cortese e del Sabatini. TENUTA ALLE ISOLE EOLIE ED A PALERMO XLV mice cui è sovrapposto il corrispondente tufo, che racchiude altresi grossi blocchi di tipica ossidiana. In questo tufo sono aperte le cave per la ricerca delle pomici. Talora sono stretti cunicoli che orizzontalmente od obliquamente si addentrano nelle viscere del monte; altra volta sono pozzi verticali di notevole profondità. Il Bergeat contrassegna, nella sua nitida carta geologica, tutto il M. Pelato con la tinta corrispondente alla Junge Bimsstein- decke. Notevoli fra i blocchi di ossidiana sono quelli costituiti di massa vetrosa, nera, compatta, con straterelli intercalati di po- mice bianca, spugnosa. Essi presentano i più belli accidenti stra- tigrafici, come nel campione, qui figurato, del Museo Geologico della B. Università di Roma. (Fig. 3). Questi esempi frequen- Fig. 3. Gr. */s. fissimi in quella località ed altri fatti altrove osservati fecero pensare a chi scrive che gli analoghi fenomeni che noi osser- viamo in rocce antiche, come negli scisti cristallini e negli gneiss, non si debbano sempre ritenere di origine posteriore alla loro formazione e che tale sottile stratificazione non addimostra sem- pre Forigine sedimentaria della roccia. Si penetrò nel fondo del cratere per esaminare da vicino la corrente delle Rocche Rosse. Fummo tutti ricondotti a quell’ i- XLVI RESOCONTO DELLA RIUNIONE STRAORDINARIA stante, tanto intatte sono le forme e così fresco il paesaggio, in cui dal centro del cratere extra vaso quella importantissima corrente di circa m. 30 di potenza. Si cercarono le fumarole e se ne raccolsero i prodotti, fra cui lo zolfo è il più abbondante. Molti ritennero die il sottile smalto, già osservato dallo Spallan- zani, die ricopre quella roccia e le conferisce il nome col suo colore, debba ritenersi formato dall’azione meteorica. Tale consta- tazione fu ripetuta, il giorno seguente, a M. Guardia. Sopra la roccia pomicea e sulla ossidiana compatta si tro- vano aderenti rare epatiche e magri licheni. Ho raccolto: Leca- nora pallescens Schaer. f. typica, Lubricarla conspersa DO., Per- tusaria sulphurea Schaer. Dopo la colazione, la comitiva si divise in due schiere, una, capitanata dal Taramelli, per nuova via, ritornava direttamente a Lipari, l’altra, condotta dal di Stefano, tentava scalare M. S. An- gelo. Il cielo però, ricoperto di dense nubi, dalle minacce passò ben presto ai fatti. Mentre ascendevamo si scatenò invero una terribile bufera, che ci costrinse a girare il monte per raggiungere il sommo del Piano Conte, dove giunti la pioggia cessò. Si co- minciò la discesa della grandiosa gradinata dei terrazzi, formati da tufi stratificati nel seno delle acque marine in tutta la serie secondo alcuni geologi, e secondo altri nella sola parte inferiore (Bergeat, pag. 119). Il più alto terrazzo alle pendici di M. S. An- gelo si allarga a m. 520 sul mare, l’altro più basso dei Quattro Pani si trova circa a m. 250. I materiali che si osservarono furono molti e svariati : tufi giallastri, con zone di ciottolettì di pomice, arrotondati; le cosiddette argille variegate, seinischistose, che sono tufi profondamente alterati da fumarole. Il primo elemento costi- tuisce per il Bergeat la Hauptverbrèitung des Tuffloesses. Si osservò ancora la corrente di Cordierite andesitica che segna il Bergeat nella sua carta e che è determinata per Labradorite augitica dal Sabatini. Si giunse finalmente a Lipari dove si trovarono i col- leglli che ci aspettavano. Anche loro furono contrariati dal tempo, tuttavia, come noi, erano soddisfatti di quanto avevano ammi- rato. 11 Taramelli riferisce quanto segue intorno al tratto che aveva percorso con l’altra parte della comitiva: « Al ritorno dal M. Pelato osservammo una fumarola attiva in una valletta ad oriente di M. S. Angelo. Mi colpirono alcune TENUTA ALLE ISOLE EOLIE ED A PALERMO SLVII contorsioni evidentissime dei tufi neri andesitici A, compresi in di- scordanza in strati alternati di tufi e lapilli B ; tanto da far pen- sare a pressioni laterali per qualche movimento di massa. (Fig. 4). Fig. 4. (Taramelli). Potevano questi tufi essersi ammassati in strati inclinati ed ondu- lati, in solchi nelle dejezioni precedenti, il che sarebbe altra prova dell’essersi il tutto formato all’aria e non sott’acqua ». 2a Escursione all’Isola (li Lipari. Si mise piede a terra alle 7,20'. Una pioggia dirotta impedì 10 Aprile, assolutamente la partenza, la quale si effettuò dopo la colazione alle ore 12,30'. Tuttavia il programma fu completamente esaurito; esso recava: « Da Lipari al M. Guardina e al M.. della Guardia. Discesa al piano Lazzaro e ritorno a Lipari ». Appena fuori dell’abitato, ci inerpicammo per il ripido, ma comodo sentiero che unisce le linde casettine campestri, le quali danno vita all’orrido e bel paesaggio della falda orientale di M. Giardina, che la mirabile operosità degli isolani ha ridotto a vero giardino. La via si svolge dapprima sopra il più imo terrazzo ( Quartdre Strandablangerungen, Bergeat) e poi si eleva sulla tipica Liparite che costituisce l’ossatura del monte. Verso la sommità si trovarono i lapilli o scorie che sono vicini al piano di M. Giardina, che fu da tutti ritenuto come un antico cratere, quantunque ora non mostri i caratteri distintivi. Intanto lungo XL/V1II RESOCONTO DELLA RIUNIONE STRAORDINARIA la via si. faceva larga mèsse di campioni delle belle varietà della tipica roccia. Si passò poi al M. Guardia, formato della stessa roccia, ma con un cratere ancora meno distinto di quello di M. Giardina. Il cielo era divenuto sereno, il sole animava l’isola di Lipari e la vicina Vulcano suscitando le calde tinte delle terre vulcaniche, disegnando i profili dei monti vulcanici ed illumi- nando la bianca frangia con cui l’azzurro mare contornava coi frangenti le isole stesse e specialmente le sottostanti bocche di Vulcano. Una vera festa naturale di forme e di colori. Il sottoposto Vulcanello, il vulcano in miniatura, incatenava i nostri sguardi e ci faceva pregustare la gioia della escursione futura, specialmente perchè auspicata con buon tempo. Tutti sperarono di gran cuore che finalmente Giove Pluvio avesse tutta riversata sopra di noi la sua ira e che si apprestasse a concederci tempi migliori. Si scese, staccandoci da quel ciglio con molta fatica, alla fossa Lazzaro, dove fu trovata una roccia molto interessante che lascio descrivere all’amico Millosevich. È notevole perchè non menzionata dal llergeat tra i tre tipi di rocce che riscontrò nella parte sud dell’isola di Lipari, mentre il Sabatini, fra le rocce di questa località, ne menziona una che chiama trachite, che fa passaggio a riolite, con composizione mineralogica perfetta- mente simile alla' descritta, ma con struttura molto diversa. Ecco la descrizione petrografia : « Roccia di color bruno rossastro con numerosi inclusi bian- castri e piccoli cristalli di augite. » Al microscopio mostra struttura porfirica: la massa fonda- mentale è prevalentissima ed in essa sono sparsi molti e grossi interclusi feldspatici e più piccoli di augite. » I cristalli di feldspato (plagioclasio) sono allungati secondo l’asse verticale e tabulari secondo (010): mostrano una bellis- sima geminazione polisintetica e nella maggior parte dei casi l’unione delle geminazioni con le due leggi di Carlsbad e del- l’albite. Generalmente sono freschissimi con poche inclusioni ve- trose ; solo qualche cristallo mostra una parziale corrosione per parte della massa fondamentale. » Il valore massimo dell’angolo di estinzione nella zona nor- male a (010) è di circa 25°: la differenza A fra le lamelle I e II nei geminati doppi è da 17" a 20°. Il feldspato deve quindi TENUTA ALLE ISOLE EOLIE ED A PALERMO XL1X ritenersi per labradorite. Non mancano cristalli con distinta strut- tura zonata nei quali il valore degli angoli di estinzione mostra che la basicità nel feldspato va crescendo dall’esterno verso lo interno. » In minor quantità e più piccoli degli interclusi feldspatici sono quelli di augite di color verde chiarissimo ; tutti o quasi tutti sono geminati secondo la solita legge, cioè con asse nor- male a (100) e sono caratteristici per presentare geminazione polisintetica ; mostrano cioè intercalate fra le due metà emitrope più grandi alcune sottili lamelle in posizione di gemello. La mag- gior parte dei cristalli sono allungati parallelamente all’asse [z] ; mostrano distinte le facce del prisma (110) e dei pinacoidi. » La magnetite è sparsa in piccoli cristalli. » La massa fondamentale della roccia non è decisamente ve- trosa, nè decisamente cristallina: infatti la sostanza vetrosa as- solutamente isotropa è scarsissima e piuttosto riferibile a micro- felsite e predomina invece un aggregato a incertissima biri- frazione riconoscibile solo con la lamina di gesso; probabil- mente si tratta di una devi- trificazione della base primi- tiva : in esso vi sono non trop- po abbondanti microliti feld- spatiche generalmente gemi- nate e quindi da ritenersi per plagiodasio, non certo deter- minabile più esattamente. » Per la struttura e per la composizione mineralogica la roccia deve ritenersi per una andesite augitica ». La via poi si allunga sul Fig 5. Gr. nat. Piano Salvatore, ove furono trovati altri campioni di roccia lavica, a piccoli straterelli, contorti e piegati. Notevoli sono quelle falde di liparite, spesse poco più di un centm. e curvate, sopra le quali si osservano vere e proprie crepature date da fessure corte generalmente 1-5 centm., profonde L RESOCONTO DELLA RIUNIONE STRAORDINARIA 11 Aprile. 2-4 mm. e larghe nel mezzo 2-6 mm. (Fig. 5). Esse evidentemente dovettero formarsi quando la roccia era ancora allo stato plastico, dacché con la rigidità completa della roccia non si potrebbero spie- gare le dimensioni in profondità e larghezza delle screpolature, tanto paragonabili a quelle che si formano sopra le tavole di legno duro quando si essicca. Nel terriccio della pianura di Salvatore si rinvengono molte conchiglie marine, ancora con i colori naturali, esse apparten- gono specialmente a quelle specie che sono mangiate anche pre- sentemente dagli isolani. Sono infatti più frequenti vicino alle abitazioni. Da alcuni geologi, che illustrarono le isole, simili conchiglie di Salina e di Panaria furono ritenute fossili. Nelle sezioni di tufo sono interessanti le consta- tazioni del l’arrivo di bloc- chi che hanno compresso gli strati sottostanti affon- dandovisi. (Fig. 6). Ciò che si osserva anche in altri tufi vulcanici del continente, come nei laziali. Si toccò anche la lava riolitica di Capistrello, raccogliendo campioni di bellissima ossidiana, verde-oscura, non compieta- mente vetrosa. Questa corrente, con le lave di M. Guardina e M. Guardia vengono ascritte dal Bergeat alla Aeltere Liparite. Con questa escursione alla parte meridionale si terminò la visita alla interessantissima isola. Avremmo dedicato anche altri giorni, e con frutto, allo studio di essa, ma il lungo programma e le angustie del tempo ci sospingevano. Isola Vulcano. La nave Eridano ci condusse di buon mattino sino al Porto di Levante dell’isola, i cui ricordi ci accendevano il più vivo desiderio di vederla. E fortunatamente fu questa l’escursione più favorita dal tempo. Due imbarcazioni ci portarono a terra. Muo- vemmo subito in direzione di Vulcanello (Fig. 7), attraversando l’istmo clic divide questo dal resto dell’isola di Vulcano, congiun- TENUTA ALLE ISOLE EOLIE ED A PALERMO c O S5 55 o o £ òh E gimento che con molta probabilità av- venne dopo l’ eruzione del 1444, come racconta Fazello. Il tristoma monti- cello, m. 122,5, fu subito salito quan- tunque il suolo argilloso bagnato dalla pioggia opponesse una seria difficoltà. Quanto si mostra sulle falde ed entro i crateri, specialmente in quello di ponente più conservato, costituisce mi- rabilmente in piccolo l’essenza di tutti i vulcani. Qui in brevissimo tempo si acquista un’idea chiara e completa del- la costituzione di un monte vulcanico. Un succedersi alternato di lave e di tufi svariati, con pendenza quaquaver- sale ben riconoscibile e per la natura della roccia e per le diverse tinte, for- mano il monticeli©. Tale disposizione si può chiaramente osservare sul lato orientale che il mare corrode e sven- tra. La lava è chiamata dal Sabatini Trachite augitica , mentre che il Ber- geat la dice Lencit-basanit ; ha un colore nero ed è alquanto bollosa. In seguito sarà spiegata la notevole dif- ferenza di apprezzamento. Qua e là le fumarole hanno alterato e modificato profondamente i prodotti di questo vul- canello che forse nacque nel 183 a. C. Un forte rovescione di pioggia ci staccò da quella visione reale che tutti noi avevamo sognato le mille volte leggendo i lavori di tanti illustri scien- ziati, i quali enfaticamente descrissero il piccolo monte vulcanico. Mentre s’ imbandiva la colazione, si osservarono le devastazioni prodotte dall’ultima eruzione della fossa diVul- LII RESOCONTO DELLA RIUNIONE STRAORDINARIA cano nel 1888. Il sig. Narlian E. aveva presso il porto di Levante costruito una fabbrica — migliorando l’industria fondata dal Nun- ziante entro il cratere stesso, il cui fabbricato poi fu vomitato fuori per intero fra l’altro materiale di esplosione — per racco- gliere e preparare l’allume, l’acido borico ed il sale ammoniaco. 1 Questa fu pure bombardata con le grandissime bombe del 1888 e ridotta ad un mucchio di macerie. Anche le vigne dell’istmo, che costituivano un discreto appannaggio allo stesso signore, furono completamente distrutte. Dopo la colazione ci dirigemmo verso la fossa di Vulcano. Con una via a zig-zag, che tracciammo sul pendio ricoperto da lapilli e che occupa lo spazio fra la Forgia Vecchia (Fig. 1 : nel mezzo) e la colata del 1771 di ossidiana riolitica ( Junge Liparite, Bergeat) (Fg. 1 : a destra) giungemmo al Piano delle Fumarole, meta sospirata sin dal primo arrivo in quell’arcipelago a causa dei fumi che, svolgendosi bellamente, ci invitavano. Fu abbon- dante la copia dei prodotti minerali che si raccolsero. Di qua si risalì al ciglio della gran fossa. Un grido d’am- mirazione uscì spontaneo al giungere innanzi a quell’indimenti- cabile spettacolo. Il gran cratere è costituito ad imbuto con un diametro massimo di circa m. 500. È slabbrato verso il piano delle Fumarole. A metà circa della profondità v’ha un ripiano da cui comincia un altro imbuto più piccolo. Il fondo è occupato i da due piccoli crateri, che terminano con due piani di pochi metri quadrati. Uno era sgombro dalle emanazioni, l’altro invece non era visibile che durante i brevi istanti in cui il vento lo liberava dai densi fumi. Qua e là nell’ interno del cratere si vedono fumacchi e fumarole con debole attività. Le Fig. 8 e 9 i danno un’ idea chiara della forma del cratere. Per ogni dove però il terreno è fumante; basta rimuovere ; un ciottolo, praticare un foro col bastone per cavarne esalazioni e fumi. La superficie craterica è chiazzata da croste di subli- mazioni. Spiccano sul fondo nero le cristallizzazioni di zolfo giallo o rosso (con arsenico, selenio e tellurio) e le bianche chiazzate da vernice di verde atacamite. I bordi del gran cratere sono brulli di vegetazione, pur vi j potei raccogliere due pianticelle : Filacjo (/allicci L., Trifolium sp. ' TENUTA ALLE ISOLE EOLIE ED A PALERMO LUI Sopra i fianchi è frequente la ? Carlina lanata L. (Yed. Elenco in fine). Facilissima e piacevole fu la discesa lungo il pendio rico- perto dai sottili e soffici lapilli. Giunti alla pianura alcuni mos- Sezioni schematiche del cratère di Vulcano (Cortese). a) Piano delle famajole. ! C) Ubicazione del centro di emissione nel bj Fumajola interna dell’angolo N. E, nel 1882. ^ marzo 1890 Fig. 8. m - .< 500 — ^ a) Piano delle fumajole. bj Fossa profonda con acqua (19 marzo 1891^. Fig. 9. sero verso il M. Lentia per riconoscervi le Lipariti (Bergeat) e le Trachiti auyitiche (Sabatini). Altri invece, attraversate le de- vastate vigne, ammirando ancora altre bombe vulcaniche, giun- sero a quelle lingue di terra che si denominano C. Grosso e pro- priamente presso Cala Formaggio. Ivi si riconobbero invero le lipariti e svariate, delle quali, sul materiale raccolto da chi scrive, dirà il Millosevich che ne ha studiato al microscopio la varietà più importante, la quale offre il fallace aspetto di un calcare oolitico. Conviene ricordare che il Mercalli descrive trachiti e trachiti andesitiche di molte località della regione settentrionale LIV RESOCONTO DELLA RIUNIONE STRAORDINARIA dell’isola; ma le sue descrizioni non corrispondono perfettamente : alla presente roccia. Il Sabatini invece illustra una roccia simile, ma la attribuisce a Vulcanello, certo per scambio di materiali. In tal modo si accordano le divergenze fra i risultati del Sa- batini e del Bergeat. Ecco la descrizione fatta dal Millosevich della bella roccia di Cala Formaggio. « Boccia molto compatta di color grigio rossastro con molti piccoli inclusi di feldspato biancastro e più rari cristalli di au- gite nerastra. » Al microscopio la roccia mostra struttura porfirica con una massa fondamentale prevalente e numerosi interclusi di feldspato e di augite ; più rari sono cristalli di magnetite e di olivina. » Il feldspato degli interclusi è un plagioclasio in cristalli allungati con distinta geminazione polisintetica secondo la legge dell’albite, spesso associata con quella di Carlsbad. Il massimo nel valore dell’angolo di estinzione nella zona normale a (010) raggiunge circa 23°-25°: in qualche geminato doppio si trova una differenza \ secondo Michel-Levy di 15°. Le sezioni presso a poco parallele a (010) hanno un angolo di estinzione rispetto alla traccia della sfaldatura secondo (001) da 10° a 20°. Per tutti questi caratteri il feldspato deve ritenersi per un termine basico della serie dell ’andesina o per una labradorite acida. » Molto abbondanti sono i cristalli di augite di color verdino chiaro : i più piccoli sono perfettamente idiomorfì e le sezioni mostrano le forme (100), (010), (001), (110): qualcuno è gemi- nato secondo (100): altri più grandi sono lamine a contorno ta- lora non ben definito : nelle sezioni presso a poco parallele a (010) l’angolo c : c oscilla da 38° a 42°. » Qualche raro granulo a contorno più o meno regolare, sem- pre però più o meno tondeggiante, appartiene ad olivina. » La magnetite è in cristalli abbastanza grandi a sezione quadrata, o in piccolissimi granuletti dentro la massa fonda- mentale. » La massa fondamentale della roccia è costituita di innu- merevoli, piccolissime microliti feldspatiche, in mezzo ad una massa biancastra opaca con innumerevoli granulazioni giallognole: questa massa biancastra non è perfettamente isotropa, ma ino- TENUTA ALTE ISOLE EOLIE ED A PALERMO LV stra una debole polarizzazione come di aggregato microcristal- lino. Con un forte ingrandimento le più grandi delle microliti mostrano geminazione polisintetica e siccome estinguono tntte parallelamente o quasi alla direzione di lor lunghezza, sono pro- babilmente da ritenere per oligoclasìo. » Per la presenza di plagioclasio abbondante, per la strut- tura della massa fondamentale, per la presenza subordinata di augite e di rara olivina, la presente roccia può classificarsi per una andesite augitico-olivinica. Il suo contenuto in Si 02 accu- ratamente determinato risulta di 61.88 0/0 ». Interessanti furono le osservazioni fatte sopra i prodotti di esplosione di Vulcano, che sono: proietti informi, bombe leggere o pesanti, massi angolosi subvitrei, bombe bipartite o tripartite. Ci ricorrevano alla memoria le spiegazioni del Mercalli, di Con- silio Ponte, di Platania G., di Graffio vfìz, di Clerici V., di Silvestri, di Jonhston Lavis, di Hobbs, di Bergeat, ecc. Ecco quanto gen- tilmente mi comunica sopra questo argomento il Poetisi « Fui molto soddisfatto il di 11 aprile nel poter personalmente raccogliere, oltre agli svariati altri prodotti litici di Vulcano, anche dei magnifici esemplari delle sue famose bombe ; esemplari dei quali il nostro Istituto Geologico sentiva prima tanto più il di- fetto, in quanto io ritenevo quelle bombe particolarmente dimo- strative per la mia idea, del resto divisa con tanti maggiori li- tologi, che la manifestazione della tessitura pomicea fosse un fenomeno assolutamente superficiale e pressoché ultimo manife- statosi fra quelli che procurano ed accompagnano la produzione dei materiali offrenti tale tessitura. » Ed infatti le bombe da me raccolte, colla lor crosta ve- trosa interrotta da lacerazioni beanti, e ciò nonostante tenuta in relazione col materiale interno decisamente e fittamente bolloso, chiaramente ci dimostrano e manifestano come lo spruzzo di vetro fuso proiettato in alto e roteante nell’aria, si sia, nello attraver- sare un mezzo assai più freddo, prontamente irrigidito alla su- perficie ; mentre il materiale interno, sul quale, per cattiva condut- tività calorifica, l’azione di irrigidimento non essendo così pronta, conservava la maggior parte della sua plasticità o meglio visco- sità iniziale. In esso di conseguenza aveva tempo per contro a farsi sentire l’effetto della diminuita pressione. Quindi la produ- LVI RESOCONTO DELLA RIUNIONE .STRAORDINARIA zione e lo svolgimento di una grande quantità e di un conside- revole volume di vapori cercanti di sfuggire dalla prigione in cui erano racchiusi. Con questa loro tendenza riuscivano a crivellare in ogni senso e quindi a render bollosa e cavernosa, in una pa- rola: poniicea, la parte ancor viscosa della massa rocciosa. Ma pervenuti ad un centimetro circa dalla superficie trovavano i gas la via sbarrata per la crosta rigida vitrea intanto formatasi; e ne avveniva un forzare di questo tegumento in via di produ- zione soventi nelle regioni c presso alle linee di maggior debo- lezza o di minore spessore. Ne avveniva una semi-esplosione con produzione di lacerazioni e fessure e talor con proiezione a pic- cola distanza di parti o brandelli a contorno poligonale della crosta stessa. La maggior parte invece dei brandelli rimanevano, dopo più o men perfetta individualizzazione loro, dopo essersi alquanto spostati in direzione centrifuga, e dopo aver per con- seguenza permesso ai prodotti gasosi svoltisi di sfuggire dalla massa attraverso le soluzioni di continuità prodottesi e apertesi fra gli uni e gli altri, ancora aderenti per l’ultimo residuo di viscosità attiva tuttavia sopravvivente nella massa interna raf- freddantesi e con essa definitivamente in questa nuova posizione si irrigidivano. » Così trovo soddisfacentemente a spiegare la struttura da tanti autori e da ultimo dal Bergeat a pag. 184-8G del suo la- voro : Die Aeolischen Inselli, adattamente chiamata, per simili- tudine: a pane o meglio a crosta di pane, per queste bombe di Vulcano. Cosi trovo spiegazione della estrema debolezza e fra- gilità loro, grazie alle quali, il minimo sforzo meccanico o la minima alterazione meteorica su di loro, bastano a ridurre in frammenti questi solidi di vetro temprato. Così trovo anche a spiegar la presenza di nuclei talor angolosi di pasta più mar- catamente vitrea per entro la pasta pomicea, in quanto essi rap- presentano od indicano quelle regioni che furono parzialmente risparmiate nella fuga, nella elezione delle vie di sfuggita dei prodotti gazosi verso l’aperto. Trovo infine che queste spiega- zioni perfettamente armonizzano colle qualità c coi fenomeni pre- sentati dalle bombe che nella eruzione presso Pantelleria 1891 venivano, dopo aver attraversato un mezzo idrico, a galleggiare e poi a scoppiare alla superficie del mare, secondo la succinta TENUTA ALLE ISOLE EOLIE ED A PALERMO LVIl descrizione datane a suo tempo, oltreché in altra precedente pub- blicazione, dal nostro compagno di viaggio dott. M. Baratta nel suo opuscolo: Gli odierni fenomeni endogeni di Pantelleria , 2:> edi- zione, in-8° gr., di pp. 12, Milano Voghera 1892; a pag. 10, linee 29-34, descrizione che io ho altrove e ad altro scopo tra- scritta ». Sull’origine delle bombe di Vulcano ha esposto, dopo la nostra escursione, una novella teoria il Taramelli f1). Questi, dopo aver sagacemente osservato tutte le caratteristiche che presentano le bombe di Vulcano, passa in rassegna tutte le teorie avanzate da altri e specialmente quella della Commissione incaricata dal B. Go- verno a studiare le eruzioni vulcaniche nell’isola di Vulcano nel periodo 1888-90. Bimando alla Memoria del Taramelli chi avesse vaghezza di conoscere tutti i minimi dettagli della nuova teoria, riserbandomi solo di riportare le poche seguenti parole dell’A., che servono mirabilmente a farci comprendere, per intero, la sua spiegazione, che consiste nel « ritenere questi proietti come strappi, non di un magma fluido, ma di una scoria schiumosa, da cui il magma era ricoperto durante il periodo eruttivo » (pag. 8). Tale teoria in sostanza « non differisce da quella presentata (dalla Commissione nominata), in quanto che anche qui si ammette l’e- sistenza di un magma lavico fluido nell’interno del cratere» (pag. 7 ). Verso le 17, soddisfattissimi della escursione, ci trovammo a bordo de \Y Eridano. che tornò all’àncora a Lipari. Stromboli. L’infaticabile Stromboli (Fig. 10) costituiva la meta precipua 12 Aprile, della nostra riunione. Era l’isola ammaliatrice che ci aveva strap- pato, durante le feste pasquali, dalle nostre case. Purtroppo ! i no- stri sacrifici non le furono accetti e si chiuse nel più fitto velo della nebbia per infliggerci lo strazio del siticuloso Tantalo. Nulla- meno ci potemmo fare un’idea concreta della costituzione geo- logica dell’isola e raccogliere le rocce principali che la formano. (') Taramelli T., Sulle bombe di Vulcano e sulla forma dello Stromboli, Estr. Rend. R. Ist. Lomb. se. lett., ser. II, voi. XXXIII, 1900. LYIII RESOCONTO DELLA RIUNIONE STRAORDINARIA in Non è il caso di descrivere que- sta piccola e bella isoletta, dac- ché molti e molti già lo fecero con più competenza e leggiadria di quanto potrei; sarò pago di riferire quanto ci fu dato ammi- rare e ciò che rimase nel desi- derio vivissimo di tutti noi. Dall’ormeggio di Lipari si mosse di buon mattino alla volta di Stromboli, dove si giunse ab- bastanza per tempo. Due imbar- cazioni ci condussero a terra. 11 cielo era sereno, il sole faceva bella quell’isola e specialmente S. Vincenzo che è lieta fra le vigne e tranquilla alle falde di quel gigante che pur moribondo, ogni tanto, nei suoi ritmici ran- toli dell’agonia, dà scosse con- vulse che tutta la agitano. Solo una nube coronava l’alta vetta m. 925. Sperando che il sole me- ridiano la domasse, noi pren- demmo la via clic per S. Bartolo conduce alla Punta Labronzo. In- tanto non si cessava dall’ ammi- rare l’estensione del vigneto, mi- rabilmente coltivato, il quale dal piano, di formazione marina, si inerpica sino a m. 000 e più. La via si svolge, con fortissimo pen- dio, sulla corrente di lava [Leu- citbasanit (Bergeat) o basalto la- bradoritico ed andesite, secondo Sabatini], che forma il ciglio che sovrasta la Sciara del Fuoco. Questa è costituita dalle scorie, TENUTA ALLE ISOLE EOLIE ED A PALERMO LIX lapilli e ceneri che presentemente erutta il piccolo vulcano ; ma- teriali che rotolando sul piano inclinato, dopo averlo reso di notte rosseggiante, in modo da servire da fantastico faro ai na- viganti a maestro di quell’ isola, vanno a spegnersi nelle onde marine. Intanto il calabro dalle sue montagne ammira il sanguigno chiarore, accendendo a quel fuoco le più strane fantasticherie. Ai m. 700 circa si fa un grand alt per consumare la cola- zione. La nebbia però discende col vento che soffia forte. Tutti sperano che Eolo, con la sua violenza, sia capace di sbarazzare la vetta dal fìtto velo in cui si cela. Intanto avevamo ricevuto il primo saluto. Il primo colpo era stato inteso ed a quello avevano fatto seguito altre esplosioni, che diventavano più frequenti quanto più si ascendeva. Giunti alla cima si ascoltava un continuo bombardamento e quindi fu impossibile tener conto dei colpi isolati. Lungo la salita registrai le seguenti esplosioni: h. 8,57' esplosione con un colpo secco, ma forte; » 9,42' debole; » 9,48' forte e proietti per la Sciara; » 9, 52' forte ; » 10,20' tripla scarica, forte; » 10,25' debole; » 10, 30' debole ; » 10,40' una forte, seguita da una piccola; » 10,43' debole; » 11,5' una forte e tre piccole; » 11,7' due vicine e deboli. Su alla cima la nebbia era così fitta e fredda da far tornare alla mente i versi di Dante : Ricorditi, lettor, se mai nell’alpe Ti colse nebbia, per la qual vedessi Non altrimenti che per pelle talpe; ecc. Un malcontento giustificato invase la comitiva. Essere giunti alla vetta da dove si sarebbe potuto ammirare il più mirabile feno- meno della vita endogena della terra; udire i boati reboanti, la IV LX RESOCONTO DELLA RIUNIONE STRAORDINARIA caduta dei proietti ; ... e non vedere al di là di 2 o 3 m , è un tormento che non si descrive. Decidemmo aspettare nella speranza di poter finalmente con- tentare i nostri avidi sguardi per sì lungo tempo delusi; ma vana riuscì anche la pazienza di più di due ore di fermata. A male in cuore si discese da quella vetta per raggiungere la via che unisce Ginestra e S. Vincenzo. Non fu facile impresa dacché la stessa guida, nelle fitte tenebre, aveva smarrito l’o- rientamento. Solo il di Stefano, dispiacente di non averci addi- tato quel fenomeno che egli fortunatamente aveva già goduto varie volte, seppe condurci per la buona via, mostrandoci quanto era pos- sibile vedere. Infatti ci indicò la Serra Vancori, parte del labbro dell’antico e grande cratere di basalti labradoritici (Sabatini), andesiti (Bergeat). Si osservarono attentamente i proietti che pochi giorni prima lo Stromboli, in una fase di più vigorosa attività, aveva disse- minato anche lungo la nostra via. Erano frammenti scoriacei e leggeri; talvolta piccoli quanto un pugno, spesso molto mag- giori. Caduti ancora plastici avevano con la superficie inferiore modellato il suolo ed inglobato dei frammenti di esso. Rare volte mostravano di aver persino scorso a mo’ di piccolissime cor- renti. Intanto si giunse al passo Savoto, alla porta delle Croci. Quivi specialmente furono raccolti i completi cristalli di augite con belli aggruppamenti a croce di S. Andrea ed a croce come quelli dell’enstatite. I più comuni sono geminati con asse nor- male a [100]. Quivi uscimmo a rivedere il sole. Si scivolò poi giù per le scorie e ceneri sino a raggiungere la via che corre sopra i tufi e sopra il basalto labradorico (Sa- batini) o Leucitbasanit (Bergeat). Interessanti sono le considerazioni che il Taramelli ( loc . cit., pag. 10) espone intorno alla forma dello Stromboli. Fra tanto il Millosevich, disceso precipitosamente prima di noi, aveva trovato tempo di provarsi a sbarcare a Strombolicchio, spintovi specialmente dalle parole del Bergeat: « es Idsst si eh dori sicherlich noch mancher hiibsdie Fund thun ». Lo sco- glio presenta tutti appicchi, il mare era alquanto agitato; la TENUTA ALLE ISOLE EOLIE ED A PALERMO LXI roccia quindi non potè mai essere aiferrata ed il bravo amico dovette tornarsene con lo zaino e la speranza vuoti. Era giornata infausta e quindi anche all’ Equipaggio toccò la sua parte di sventura. L’àncora prese fondo a m. 100, mentre, secondo le carte, doveva raggiungerlo a soli 25 o 30 m. La di- scesa inaspettata produsse un guasto all’àncora che costò grave fatica all’Equipaggio. Il sig. Millo, Comandante in 2°, ebbe il gentilissimo pen- siero di serbarmi un campione del materiale aderente all’àncora recuperata, che ho poi sottoposto ad esame microscopico. E una argilla sabbiosa, senza reliquie organiche e ricca di frammenti minutissimi di lave e di minerali vulcanici, fra cui predomi- nano l’augite e la mica: tutti però portano evidenti traecie di decomposizione. Alle 5, 30' si lasciò Stromboli. Il disinganno non era com- pleto. Appena allontanati dall’isola la nube, che aveva troppo gelosamente occultato la cima, si dileguò ed il caratteristico pen- nacchio, nel bel tramonto, rendeva più bella l’isola incantata. Quasi ad ultima beffa il cratere emise uno splendido anello di fumo, il quale mollemente s’innalzò allargandosi e mantenendosi librante nell’aria per circa un quarto di ora. Prima di notte eravamo ancorati a Panaria, dove si doveva pernottare. Nella notte sopra coperta si ammirò il vulcano fan- tasticamente illuminato da rossigni bagliori. Panaria. Di buon mattino parecchi visitarono alquanto fugacemente 13 Aprile. Panaria, altri invece si recarono a Basiluzzo (Fig-, 11). I primi fecero una breve, ma interessante escursione geologica. Le rocce sono in- vero poco svariate essendo l’isola costituita da lave andesitiche e relativi tufi. Le parti pianeggianti risultano di tufi subacquei marini come indicano i fossili trovativi dal Gaudin, Cortese e Bergeat. Interessante è la panchina calcarea presso S. Pietro, la quale risulta di un calcare travertinoide, che ha incrostato la diffusissima monocotiledone marina: Posidonia Cantini Koenig (P. oceanica L.) (Fide Neviani), tuttora vivente nelle nostre spiagge. LXII RESOCONTO DELLA RIUNIONE STRAORDINARIA La sua struttura e tutte le particola- rità anatomiche sono perfettamente riconoscibili. Si rinvennero eziandio molti ma- nufatti , ma sgraziatamente poco ben conservati. Essi constano di rozze schegge di ossidiana traspa- rente, roccia che manca nell’isola. Figuro quella che fra le altre porta più evidenti i colpi intenzionali del- l’artefice. (Fig. 12). Qui cade in acconcio ri- cordare che fra le diverse va- rietà di ossidia- na che si rin- vengono nelle isole Eolie, vi ha ancora quel- la di color ver- de-bottiglia. Ciò serve a togliere il valore alle conclusioni, già accettate con ri- Fig. 12. serva dal Colini, dello Schoetensack 0. (’), il quale asseriva che gli og- getti preistorici della Sicilia e della Calabria di ossidiana verde-bottiglia dovevano provenire fuori d’ftalia e che quivi si trovano solo nel neo- litico. (') Schoetensack 0., Vor- und Friih- geschitliches aus dem italienischen Sùden und uus Ttmis. Zeitschrift fur Etimo- logie. 1897. TENUTA ALLE ISOLE EOLIE ED A PALERMO LXIII Il Bergeat ( loc . cit.) ci assicura che simili reperti si trovano anche a Basiluzzo ed a Lisca bianca, dove rinvenne ancora resti di quarziti e di scisti micacei. Del resto anche strumenti di nefrite e cloromelanite nelle isole Lipari sono citati dall’Andrian (L) e dal Meyer A. B. (2) e ne vidi anche nel Museo Preistorico di Roma. Basiluzzo. I pochi soci poi che approdarono a Basiluzzo poterono rico- noscere la costituzione geologica di quell’ isoletta. Essa risulta da riolite (Sabatini) o da Junge Libante (Bergeat), che offre localmen'e una distinta stratificazione, anzi dove mettemmo piede a terra, gli strati sembravano addirittura raddrizzati alla ver- ticale. L’aspetto di un gneiss o di un micascisto è perfetto (Fig. 13). Il resto della massa invece ha tale un’ apparenza granosa da - — -'r- fir - .. ■ li'' Fig. 13. sembrare il più tipico granito e come tale appunto fu ritenuto da alcuni antichi geologi. La natura di questa roccia ben di- versa da quella di Panaria, di Dattilo, di Lisca bianca, di Lisca nera e di Bottaro, esclude, in concomitanza con altre ragioni, l’esistenza dell’ideato enorme cratere di Dolomieu ( Evonimos ), di cui le isole nominate non sarebbero che i magri residui. La varietà di riolite con netta stratificazione così è descritta dal Sabatini: «Essa mostra dunque un’associazione tra un vetro (l) Von Andrian, Praeliistorische Studien aus Sizilien. 1878. (s) Meyer A. B., Ueber Nephrit von Sizilien. (Manoscritto trad. dallo Strobel P.) Bull. Paletn. ital., Ser. Il, tom. IX, pag. 173. LXIV RESOCONTO DELLA RIUNIONE STRAORDINARIA bruno, in straterelli sottili e paralleli ed una sostanza granel- losa, risultante dai piccoli felspasti bianchi e da grani rosso- mattone su cui spiccano delle laminucce di mica colorata dal bruno al roseo-rame» (pag. 96). (Fig. 13). È questa un’altra prova di quanto esposi per l’analoga roccia di Lipari. Evidentemente la stratificazione, come gli altri acci- denti stratigrafici di rocce antiche, non sempre si debbono ripe- tere la prima dalla sedimentazione meccanica ed i secondi dalle pressioni avvenute dopo la consolidazione. È questo un concetto che non è tenuto costantemente presente nello studio dei massicci antichi, quantunque alla scienza non sia nuovo. Infatti l’Heim ( JBeitr . r. Geol. K. d. Schiv. L, XXI Y) già distinse chiaramente due specie di scistosità nello gneiss, quella cioè per pressione, schiac- ciamento e laminazione e l’altra per originaria struttura di se- gregazione. Nell’isola, fiorita di Asfodeli, non mancammo di raccogliere piante. Anche i ruderi di antiche costruzioni attirò la nostra attenzione. Rinvenimmo residui di un mosaico di marmo di egre- gia fattura, ma fortemente maltrattato dalle intemperie cui era esposto; frammenti d’intonaco con la tinta rossa pompeiana; pezzi di marmo levigato ( Africano , bianco-giallo ) ed un ciottolo discoidale di quarzite lattiginosa. Alle 8 ant. eravamo tutti a bordo. Si mosse verso Salina, dove si sbarcò alle ore 11. V E ridano segui la sua rotta per Lipari per prendere la posta e per lasciarvi i soci Stella e Seguenza, i quali col postalo tornavano a Mi lazzo. I. Salina. Appena sbarcati a Salina, si scatenò sull’isola (Fig. 14) un terribile temporale con tremende scariche elettriche. I gentili abitanti fecero a gara per offrirci ricovero. Poco dopo il tempo si mise a buono e noi potemmo muovere per la nostra escursione. Alcuni andarono a vedere le saline, altri presero la direzione del Capo. I primi erano guidati dal Taramelli che riferisce: « Alquanto più interessanti dal lato geologico furono le os- servazioni che ho potuto stabilire nella passeggiata da Salina TENUTA ALLE ISOLE EOLIE ED A PALERMO XLV alla Punta Lingua ; inquantochè due cose in particolare mi fis- sarono l’attenzione, e cioè: 1° re- sistenza di un abbastanza co- stante strato di (nottoloni da 8 a 10“ sulla spiaggia attuale, at- testante con ogni probabilità una spiaggia antica, sollevata almeno in questo tratto ; 2° la presenza di evidentissimi salti, con scorri- mento, nei tufi di lave andesiti- cbe, con ribalto almeno di 3 rne- --- tri ; questi salti accennano a rot- j> ture e movimenti di massa quali Q colla attuale attività sismica non ^ avvengono di certo. Inoltre, la ^ discordanza dei vari banchi di e tufi, i passaggi evidentissimi del- ■S le lave compatte alle scoriacee | e da queste ai tufi ed ai lapilli, fS si mostrano in varii punti di quella spiaggia interessantissi- ^ ma: dimostrando l’ insufficienza ■f della scala delle nostre carte to- § pografiche e geologiche a dare | una esatta idea della composi- * «s> 5S zione e della storia di quelle isole • vulcaniche » . T"! Coloro poi che andarono verso £ il Capo poterono accuratamente osservare le splendide sezioni che formano le ripide sponde. Sono materiali nettamente stratificati e disposti orizzontalmente. E un succedersi (Fig. 15) di tufi vulca- nici, ora costituiti da conglome- rati a grossi elementi, ora da sot- tili sabbie più o meno cemen- LXVI RESOCONTO DELLA RIUNIONE STRAORDINARIA 14 Aprile tate. Lungo la via ohe conduce al Semaforo si ritrovarono anche i tufi a vegetali. Per questa serie di strati orizzontali, ritenuti marini, il Cortese cd il Bergeat ammisero dei vasti movimenti nell’isola. Fig. 15. Tufi della costa fra Santa Marina e Capo (Cortese). Passata la Portella si entrò nel dominio dei tufi, che il Cor- tese chiama peperini per qualche analogia che presentano con i ben conosciuti tufi laziali di questo nome. Essi tufi sono quelli che accompagnano le lave di M. Rivi, delle quali se ne vide un piccolo affioramento presso il Capo. È una lava oscura, com- patta, che il Sabatini chiama labradorite augitica ed il Bergeat basalto. Al ritorno nel paese fummo fatti segno a squisite gentilezze dai terrazzani e specialmente dal Sindaco di Salina e dai Soci dei circoli locali. Alle 5,30' poni, eravamo tutti a bordo &e\V Eridano, che fece rotta per Palermo. Palermo. La mattina, appena usciti dalle nostre cabine, potemmo bearci della veduta incantata che ci offriva la Conca d’oro e la bella Palermo. Scesi a terra, il Taramelli diresse il seguente tele- gramma a S. E. il Ministro della Marina: « Soci geologi viva- mente ringraziano Eccellenza vostra concessione Eridano. Esau- rite visite Eolie desiderosi visitare Campi Elcgrei pregano con- cedere sbarco definitivo Napoli anziché Civitavecchia ». TENUTA ALLE ISOLE EOLIE ED A PALERMO LXVII Tutti poi si recarono a visitare il Museo geologico della E. Università, dove gentilmente il Direttore prof. G. Gemmel- laro, senatore del Regno, ci aspettava con i suoi assistenti, per mostrarci personalmente, guida sapiente e cortesissima, le ric- chezze geologiche che vi sono raccolte. Il Museo geologico della R. Università di Palermo , non v’ha dubbio che debbasi ascrivere fra i migliori d’Italia. Esso costi- tuisce una delle basi del merito scientifico di chi lo fondò e di chi lo arricchì di tante dovizie paleontologiche. Il prof. Gem- mellaro dal 1860 ad oggi ha saputo riunire ordinatamente tanta mésse geologica, da meritare un viaggio anche da lontani luoghi per ammirarla. Un unico aiuto lo ricevette dal cav. Airoldi, il quale legò a quel museo una cospicua somma e parecchi mine- rali, rocce e pochi fossili. L’ordine che governa la disposizione delle Collezioni è quello cronologico e quindi facilmente si riesce ad apprezzare e la chiarezza della mente direttiva e la ricchezza delle Collezioni. Il Museo consiste in una vastissima sala le cui vetrine sono disposte in due ordini. Purtroppo anche qui la man- canza dello spazio obbliga a tener celate, entro cassetti, preziose raccolte determinate anche da valenti paleontologi ; ricordo quella dei Crags d’Inghilterra, del Liassico inferiore di Hierlatz (Alpi), del Triassico di S. Cassiano ed una collezione speciale di Bra- chiopodi di tutti i terreni determinata dallo stesso Zittel. Nel piano inferiore delle vetrine si hanno a destra le rac- colte della Sicilia, cominciando dai terreni più giovani ; esse sono rappresentate da fossili ben montati negli scompartimenti più bassi, mentre che negli alti trovano posto le rispettive rocce. Menzioniamo le più importanti: I vertebrati del Quater- nario, i fossili delle falde di Monte Pellegrino e Picarazzi, quelli degli strati a Congerie di Casteltermini. La serie dei fossili dei terreni cretacei della Sicilia. Preziose le serie dei fossili del Titonico e del Bogger di M. S. Giuliano (Trapani). Seguono i fossili di tutti i piani del Liassico e quelli del Triassico. Deve poi segnalarsi specialmente la maravigliosa raccolta dei fossili del Calcare a Fusulina , che costituisce una delle maggiori glorie di chi la illustrò. Vicino a ciascun fossile descritto vi è la fi- gura che lo rappresenta. LXVIII RESOCONTO DELLA RIUNIONE STRAORDINARIA 15 Aprile. Nel piano superiore si ammirano le collezioni dell’ Italia continentale e dell’estero. Fra le prime debbonsi menzionare le raccolte del Terziario del Modenese e del Piacentino, già di proprietà del Doderlein; dell’Eocene del Vicentino; del Lias- sico dell’Appennino, ecc., ecc. Fra le collezioni straniere ricor- diamo le rappresentanze del Terziario del bacino di Parigi, di Bordeaux e dell’ Inghilterra. Splendidi gli esemplari del Cretaceo della Francia, del Maini di Solenhofen, del Dogger dell’ Inghil- terra e della Francia. Ben rappresentata è la fauna triassica delle Alpi e della Germania. Anche dei terreni paleozoici stra- nieri si conservano collezioni della Germania, della Francia, del- l’ Inghilterra e dell’America. Nel bel mezzo della sala vi sono due lunghi mobili con la raccolta mineralogica, che se non è grandiosa è in compenso scelta. Una ricca biblioteca aumenta il valore delle collezioni. Questa è stata da poco accresciuta considerevolmente con i libri che ap- partenevano al defunto prof. Doderlein. Nelle ore pomeridiane si visitò, sotto la guida del eh. Diret- tore, il Museo Nazionale di Palermo. Vi sono custoditi veri te- sori d’arte e ricordi preziosissimi. Non ci permette l’indole di questa relazione di intrattenerci sopra queste rarità, quantunque riesca molto importante la visita al geologo per le applicazioni dei materiali. Di molto interesse per il sismologo furono alcune considerazioni fatte intorno alla posizione delle abbattute colonne di Selinunte, per il vulcanologo una plastica in legno del Vesuvio di antica data e per il paletnologo una collezione di suppellet- tili dell’uomo archeolitico, neolitico ed eneolitico di Sicilia. Palermo. Giorno di Pasqua e di riposo. La mattina fu occupata nella visita della città interessantissima per bellezza, per monumenti e per la storia. Nelle ore pomeridiane molti tornarono ad am- mirare il Museo geologico, dove, con squisita cortesia, si fece trovare il prof. Gemmellaro ed i suoi assistenti, pronti a dare tutte quelle spiegazioni che loro si richiedevano. TENUTA ALLE ISOLE EOLIE ED A PALERMO LXIX Alcuni andarono a visitare la grandiosa collezione del Mar- chese Monterosato che è la più ricca per conchiglie marine del Mediterraneo. Vi ha pure una larga rappresentanza di molluschi lacustri e continentali dell’intera Europa. Per quanto riguarda i molluschi terrestri italiani è una raccolta che non ha rivali. Anche la collezione del Marchese de Gregorio fu da altri visitata. In essa vi è una serie importante di fossili siciliani e di molluschi marini viventi. Nell’Orto Botanico, nella graziosa Villa Giulia, nel Giardino inglese ed altrove si poterono ammirare piante tropicali raris- sime ed importanti, le quali vi vegetano lussuriosamente per la dolcezza del clima. Finalmente parecchi si recarono alle falde del pittoresco Monte Pellegrino per osservare il classico giacimento, special- mente illustrato dal Monterosato. Monreale. Alle 1 0 si partì per Monreale insieme ai signori Ufficiali del- YEridano. Si percorse tutta l’incantevole pianura della Conca d’Oro, verde per aranceti, e si ascese alla bella Monreale. Lungo la via si riconobbe la superficie occupata dai calcari pleistocenici delle falde di M. Pellegrino e la costituzione geologica della cerchia montuosa con le indicazioni che ci forniva inesauribilmente il di Stefano. La visita della celebre basilica e del rinomato chiostro fece a tutti più stupore che maraviglia. In verun altro monumento si riconosce più armonico il connubio fra la ricchezza e la bel- lezza. A colazione il presidente Takamelli ringraziò, a nome di tutti i soci, il sig. Comandante Susanna e tutti i signori Ufficiali per le cortesi premure e squisite gentilezze con cui prodigamente ci avevano circondati durante il soggiorno m\V Eridano. Rispose con elevato e gentile discorso lo stesso Comandante. Anche al m Stefano, che ringraziò, furono presentate le più sincere grazie pel modo sapiente e cortese con cui aveva disim- pegnato l’ufficio di guida. 16 Aprile. LXX RESOCONTO DELLA RIUNIONE STRAORDINARIA Ritornati a bordo, alle 1(3, si salpò da Palermo facendo rotta per Napoli. La notte fu mirabile e la nave filò tranquilla. Molti di noi per la prima volta poterono ammirare la fosforescenza degli animali marini. La spumeggiante scia del bastimento si vedeva costellata da tanti dischi luminosi, i quali non erano altro che Meduse travolte dal vortice dell’elica. Napoli. 17 Aprile. Alle 7 si avvistò il giustamente decantato golfo di Napoli. Il Vesuvio si faceva bello di un pittoresco pino di fumo. Alle 10 si diede fondo alle àncore. L’interessantissima escursione purtroppo era terminata. Il giorno stesso parecchi ritornarono alle loro residenze, men- tre altri rimasero a Napoli per visitare il Musco geologico di quella Università e per fare una escursione ai campi Flegrei. * * * Quantunque le osservazioni geologiche durante le escursioni siano state numerose, svariate ed importanti, pure le discussioni che ne nacquero furono ben poche. Ciò avvenne per varie cause che non è difficile rintracciare. Tra le prime va annoverata la chiarezza con cui la guida scientifica, dott. di Stefano, poneva le questioni anche le più delicate, dopo aver mostrato le rocce, i loro rapporti ed i feno- meni endogeni. Egli si studiò, con felice esito, di distinguere nettamente ciò che apparteneva al patrimonio della scienza po- sitiva, da quello che è parto della teorica. In tal modo il di- stinto paleontologo ci si mostrò, ancora una volta, pari geologo e vulcanologo. Secondariamente l’accordo deve spiegarsi con la buona pre- parazione scientifica che tutti avevano cercato di possedere. La conoscenza completa di una quistione dirime quasi sempre la maggior parte delle discussioni. Le isole Eolie per l’interesse geologico di cui godono sono generalmente conosciute, ma per la circostanza tutti gli escursionisti, oltre all’antica bibliografia, TENUTA ALLE ISOLE EOLIE ED A PALERMO LXXI avevano pure attinto alla recente. In Pavia poi, che è stato il centro del maggior gruppo di aderenti, lodevolmente erano state tenute conferenze di preparazione. I frutti scientifici sono stati numerosi ed importanti. La vi- sione diretta è l’unico mezzo per acquistare facilmente idee chiare, concrete ed indimenticabili, che la mente può poi elaborare per in- ferirne i più giusti e legittimi giudizi. Il geologo, come tutti gli altri naturalisti, deve cacciare i suoi sguardi indagatori sul libro della natura a preferenza di qualsiasi altro libro ; dacché il primo costituisce uno studio oggettivo, diretto, genuino; mentre il se- condo è indiretto, soggettivo e spesso non scevro di errori. Abbondantissimo materiale scientifico è stato raccolto per i Musei, in cui si lamentava questa lacuna. Ricche collezioni lito- logiche delle isole visitate ora si potranno anche vedere in parecchi istituti scientifici; cioè: R. Scuola d’ Applicazione degli Ingegneri di Torino. Museo di Mineralogia, R. Università di Torino (Prodotti di fumarole). Museo di Mineralogia, R. Università di Pavia. » di Geologia, R. Università di Pavia. » di Geologia, R. Università di Roma. R. Istituto Superiore di Firenze. Scuola tecnica superiore di Aachen. Per quanto il tempo piovoso lo permise, si erborizzò e la non abbondante flora raccolta è conservata ora nell’ Erbario della R. Università di Roma e di Pavia (Vedi elenco in fine). Si fece preda dei rappresentanti della fauna sì marina che continentale. Chiuderò queste poche parole di relazione coll’esprimere, e sono ben sicuro di rendermi fedele interprete dei miei colleglli, le più sentite grazie a S. E. il Ministro della Marina per averci accordato VEridano, al comm. N. Pellati, nostro presidente, per avercelo impetrato ed ottenuto. Non dimenticheremo mai tutte le cure squisitamente gentili che il comandante Susanna, il suo Stato Maggiore composto dai signori Ufficiali: Millo, Cappricci, Comolli, Calvino, Rossi, Alessio; Arnier, Greco; Drago; Badano; i Sotto-ufficiali e l’Equipaggio tutto ci hanno amorevolmente prodigato; a loro tutti LXXll RESOCONTO DELLA RIUNIONE STRAORDINARIA invio il più vivo e cordiale ringraziamento per averci facilitato le nostre gite, per averci aiutato nelle nostre necessità, per aver voluto persino essere nostri compagni graditi anche nelle escur- sioni (‘). Gioacchino de Angelis d’Ossat. ELENCO DELLE PIANTE DETERMINATE NEL R. ISTITUTO BOTANICO DELL’UNIVERSITÀ DI ROMA DIRETTO DAL CH. PROF. R. PlROTTA SOPRA ESEMPLARI RACCOLTI SPECIALMENTE DAL SOCIO TRAVERSO Alyssum maritimum L. — Lipari, Basiluzzo, Panaria. Anthemis viixta L. — Stromboli. Asphodelus microcarpus Viv. — Basiluzzo. Artemisia arborescens L. — Basiluzzo. Atriplex Halimus L. — Basiluzzo. Bellis perennis L. — Panaria, Stromboli. Brornus maximus Desf. — Panaria. » madritensis L. — Panaria. '( Carlina lanata L. — Sommità cratere Vulcano. Chenopodium murale L. — Stromboli. Chrysanthemum coronarium L. — Lipari, Panaria, Basiluzzo. Cistus salviaefolius L. — Lipari. Cotyledon Umbilicus L. — Stromboli. Diplotaxis viminea DC. — Panaria, Lipari. Echium pustulatum S. S. — Basiluzzo, Panaria. Erica arborea L. — Lipari. ( 1 ) Una breve relazione della nostra riunione apparve nella Rasse- gna Mineraria , voi. XII, n. 13. Torino, 1900. — Il dott. M. Baratta scrisse Sullo stato presente dei vulcani eolici. Boll. Soc. googr. ital., ser. IV, voi. I, il 6, 1900. — Il prof. C. de Stefani presentò alla nostra Società un lavoro dal titolo: Le acque atmosferiche nelle fumarole a proposito di Vul- cano e di Stromboli, inserito noi presente fascicolo a pag. 295-320. TENUTA ALLE ISOLE EOLIE ED A PALERMO LXXIII Erodimi Botrys Bert. — Panaria, Vulcano. Euphorbia dendroides L. — Basiluzzo, Stromboli. » Pithyusa L . — Vulcano. Ferula communis L. — Basiluzzo. Filago gallica L. — Sommità cratere Vulcano. Fumaria capreolata L. — Lipari. Galactites tomentosa Moench. — Basiluzzo, Vulcano. Galium tricorne With. — Panaria. Genista ephedroides DC. — Lipari. Gladiolus segetum Gawl. — Panaria. Grimaldia rupestris Linclbg. — Salina. Herniaria hirsuta L. — Lipari. Imbricaria conspersa DC. — Lipari, Fossa Rocche Rosse. Lamarclcia aurea Mnch. — Vulcano. Lathyrus Cicera L. — Basiluzzo. Lecanora pallescens Schaer. — f. typica. Lipari, Fossa Rocche Rosse. Binaria chalepensis Mill. — Panaria. Lupinus angustifolius L. — Lipari. Matthiola incana R. Br. — Lipari. Medicago Murex W. — Lipari. » litoralis Rhod. — Basiluzzo. Mesembryanthemum acinaciforme L. — Vulcano. Myosotis liispida Schlecht. — Lipari. Orchis longicornu Poir. — Lipari. » rubra Jacq. — Lipari. Ornithopus compressus L. — Lipari, Stromboli, Panaria. Papaver hybridum L. — Panaria. Pertusaria sulphurea Schaer. — Lipari, Fossa Rocche Rosse. Plantago Coronopus L. — Panaria. » Psyllium L. — Panaria. Pistacia Lentiscus L. — Basiluzzo. Polycarpon tetraphyllum L. — Lipari, Panaria. Polygonum maritimum L. — Vulcano. Polypodium vulgare L. — Stromboli, Panaria. Rumex bucephalophorus L. — Lipari, Panaria, Stromboli. ? Saisola longifolia Forsk. — Lipari. » Kali L. — Lipari. Scandix Pecten Veneris L. — Stromboli. Scrofularia canina L. — Stromboli, Vulcano. » peregrina L. — Lipari, Panaria. Senecio leucanthemifolius DC. — Panaria, Basiluzzo. Sherardia arvensis L. - — Panaria. Silene neglecta Ten. — Panaria, Lipari, Stromboli, Basiluzzo. Solanum Sodomaeum L. — Lipari. Spartium junceum L. — Vulcano. LXXIV RESOCONTO DELLA RIUNIONE STRAORDINARIA ? Statice dictyocìada Boiss. — Basiluzzo. Tamarix africana Poir. — Lipari. Trifolium sp. ? — Sommità cratere Vulcano. * sp. — Panaria. Vida atropurpurea Desf. — Basiluzzo. » lathyroides L. — Stromboli, Panaria. » dasycarpa Ten. — Lipari. » Pseudocracca Bert. — Lipari. Vulpia ciliata Lk. — Vulcano. GLI AVANZI FOSSILI DEI MISTICETI IN CALABRIA. (Con tre figure inserite nel testo). Nota del socio Dott. Giuseppe De Stefano Son diversi i fossili spettanti a Cetacei che si conoscono nel Cenozoico della Calabria, specialmente nel Miocene e Pliocene dell’estrema parte della penisola. Essi aserivonsi a forme che vanno incluse nella categoria dei cosi detti Misticeti, come ad esempio : Heterocetus Guiscardii Capellini, JBalaenoptera muscu- loides Van Beneden, Plesiocetus Goropiì Van Beneden, ecc. ; o nel gruppo degli Odontoceti, Eudelphinus sp., Delphinus sp., Palaeodelphinus minutus Du Bus, ecc. ; o, in fine, ai Sirenidi, come ad esempio, avanzi di Metaxytlierium sp. Però i Sirenidi, noi li considereremo come un ordine di mammiferi marini distinti dai Cetacei, e per nulla a questi ul- timi affini, sai vocile per una vita prettamente acquatica ed il corpo pisciforme. In ciò si seguono alcune recenti classificazioni di eminenti zoologi e paleontologi (’), nelle quali appunto si dimostra che erroneamente finora i Sirenidi si univano ai Ce- tacei in un solo ordine. Ma gli scarsi ed incerti avanzi fossili fino a questi ultimi giorni determinati, vuoi avuto riguardo ai Misticeti, vuoi agli Odontoceti, non permettono ancora uno studio sintetico intorno a tale ordine, il quale studio, si può ben dire, salvo improvvise e ricche scoperte, è molto al di là da venire. E ciò per varie ragioni. Nella estrema parte della penisola in special modo, dopo le ricerche dell’illustre prof. G. Seguenza, per quanto io (l) Giglioli, Zoologia, Vertebrati, voi. III. Claus, Manuale di Zoologia, traduzione del Cattaneo, voi. II. Hertwig R., Lehrbucli den Zoologie. Zittel, Traité de Paleontologie, trad. di Barrois, toni. IV, Vertebrati. 19 282 0. DE STEFANO sappia, nessuno si è più occupato del materiale paleontologico che nel decorso di questi ultimi quindici o venti anni è venuto a giorno man mano che si sono operati degli scavi, o per altre circostanze; ond’c clic gli studi da quegli così diligentemente e sapientemente cominciati, e condotti a buon punto, sono poi stati d’uu tratto trascurati. Da qui ne è venuto forse che la maggior parte di quel materiale poco avanti accennato, andasse perduto, e solo qualche esiguo avanzo ora rimane presso qualche privato. Conseguenza logica di tale iattura è il non potere con- statare nessuna nuova illustrazione, avuto riguardo ai fossili in discorso, se togli quelle già citate del Seguenza, e quelle ma- gistrali del venerato prof. Capellini, e quelle del Neviani e del Flores; la quale ultima, a dire il vero, è un elenco sistematico delle specie determinate in Calabria e nella Italia meridionale ('). Una delle note del prof. Ncviani: Contribuzione alla pa- leontologia della provincia di Catanzaro, ha però speciale im- portanza, poiché in essa viene a descrivere avanzi di un cetaceo fossile da lui rinvenuto nel paese di Borgia (2). (') G. Capellini, Balenottere fossili e Pachyacanthus dell’ Italia meri- dionale, Atti R. Accademia dei Lincei, 1877. G. Seguenza, Le formazioni terziarie della provincia di Reggio Cala- bria, Atti R. Acc. dei Lincei, 1878. Il prof. Seguenza cita i seguenti avanzi di Cetacei da lui rinvenuti nella provincia di Reggio : Miocene — Piano Elveziano Mayer, Heterocetus Guiscardii Cap., Palaeodelphis minutus Du Bus (pag. 71). Pliocene — Piano Zancleano, Heterocetus (?) (pag. 148). Piano Astiano, Delphinus sp. (pag. 247). Quaternario marino (P. Saariano) Heterocetus sp. (pag. 350). A. Neviani, Sui giacimenti dei Cetacei fossili nel Monteleonese con in- dicazioni di altri rinvenuti nelle Calabrie, B. S. Geol. It., 1886, p. 61. A. Neviani, Contribuzione alla paleontologia della provincia di Ca- tanzaro, Boll, della Soc. Geol. Ital., 1887, p. 63. E. Flores, Catalogo dei mammiferi fossili dell’Italia meridionale con- tinentale, Memoria presentata all’Accademia Pontaniana, Napoli, 1895. (2) Nella su indicata nota il prof. Neviani ci fa il seguento quadro sintetico ili tutte le specie fossili determinate in Calabria e spettanti agli ordini dei Cetacei e dei Si renidi. Cetacei Misticeti. Quaternario, Balaenoptera Musculoidcs V. B. Heterocetus sp. GLI AVANZI FOSSILI DEI MISTICETI IN CALABRIA 283 Tante ragioni mi hanno spinto da vario tempo a raccogliere materiale fossile spettante a Cetacei, con l’idea che il suo studio possa esser proficuo alla paleontologia in genere, ed a quella calabrese in specie. E in tali ricerche mi si è data l’occasione appunto in questi ultimi mesi di osservare diverse vertebre, qualcuna di mia pro- prietà, ed altre spettanti ad alcuni miei amici di Reggio, non che al gabinetto di Geologia dell’Università di Messina ed a quello di Storia Naturale dell’Istituto Tecnico di Reggio; dal- l’esame delle quali può ricavarsi qualche utile dato; che de- scrivo ed illustro nel presente studio. Non parlerò quindi dei frammenti che pochi anni fa, al- lorché studente, portai nella vicina università, nè di altri rin- venuti presso Archi (1), come altrove accennai, tutti ridotti in miserevole stato. l.° La prima vertebra, della quale si discorre, è posse- duta dal dott. Larizza. Fu rinvenuta poco tempo fa in vici- nanza di due grosse caudali, delle quali una andò perduta, presso il villaggio di Gallina, a non molta distanza da Reggio. Io non mi sono potuto recare sul luogo di rinvenimento di tali ossami ; ma dalla sabbia giallognola micacea onde è coperta una delle superficie del corpo della lombare, e ancora, le conchiglie che ad essa si trovano appiccicate come incrostazioni, le quali Pliocene, Heterocetus sp. Miocene, Heterocetus Guiscardii Cap. Plesiocetus Goropii V. B. Cetacei Odontoceti. Pliocene, Eudelphinus sp. Delphimis sp. Dioplodon gibbus Ow. Miocene, Palaeodelphinus minutus Dn Bus. Sirenidi. Miocene, Metaxytherium sp. I nuovi avanzi trovati a Borgia spettano a Delphinus, e compren- dono: un omero, quaranta vertebre, frammenti di coste, frammenti di ossa indeterminabili (mem. cit., pag. 64-66). (‘ ) L 'Elephas meridionalis, ecc., Boll, della Soc. Geol. Ital., fase. Ili, 1899. 2S1 G. DE .STEFANO sono poi spoglie di Vmus, di Citlierea, di Cardimi, eco., in- dicano clic il fossile dovette formarsi in seno a quegli strati posti a S-O. di Gallina, in prossimità dei lembi di Eavagnese e Bovetto, formati da sabbie calcaree e marnose, di color gial- lastro, disposti in letti quasi orizzontali, ricchissimi di fossili, che il prof. De Stefani attribuì al postpliocenc, ma che il Se- guenza, altra volta, aveva già ritenuti decisamente come spet- tanti al piano d’Asti (’). Alcuni contadini — come mi si è raccontato — operando uno scavo nelle predette sabbie, trovarono gli avanzi in discorso; i quali, poi, dalle mani del signor De Franco passarono in quelle del mio egregio amico dott. Lai-izza. Il quale io pre- gherei di volerne fare un dono all’Istituto Tecnico di Leggio, per la collezione paleontologica di quel gabinetto di Storia Na- turale: così non ci sarebbe la tema che un giorno o l’altro an- dassero perduti, come è successo per tanti altri. Il corpo della nostra vertebra presenta, notevoli dimensioni : completa è la sua parte inferiore, frantumata resta la superiore: Fignra 1. del processo spinoso però si conservano frammenti del canale neurale e delle basi apofisiche, ond’è facile la ricostruzione del- l’intero corpo. Le cui facce articolari sono pianeggianti; ma (■) Escursione scientifica nella Calabria, Jeio, Montalto e Capo Va- licano, Atti li. Acc. dei Lincei. — Scgnenza, Mem. cit. GLI AVANZI POSSILI DEI MISTICETI IN CALABRIA 285 come si è già accennato, su una si notano spoglie di Vcnus (V. casina), principalmente di CitJierea (C. Gl none) e di Car- di am, e sull’altra trovasi un residuo di sabbia marnosa gialla. Si nota un’apofisi transversa intera, alquanto stretta verso la base, gradualmente allargatesi man mano che si avvicina al- l’estremo, dove presenta due lobi in forma arcuata, quasi ro- tonda, lievemente incavata. Manca completamente l’apofisi tran- sversa opposta, la quale però è di facile ricostruzione pigliando a modello la nota. Mancando il completo processo neuroapofi- sico, si può solo osservare il diametro del canale neurale, es- sendo che rimangono i suoi frammenti. (Fig. 1). Le dimensioni sono le seguenti: Lunghezza o diametro antero-posteriore : m. 0,157, larghezza fra le basi delle apofìsi transverse: m. 0,374, altezza: m. 0,272, diametro del canale neurale: m. 0,907, lunghezza della apofìsi transversa: m. 0,245, suo spessore massimo: m. 0,035, sviluppo dell’arco transversale: m. 0,452. 2. ° Corpo di vertebra allungato spettante agli stessi strati dove si rinvenne quello del numero precedente. Il corpo in di- scorso manca dei processi transversi e spinoso ; le sue facce ar- ticolari sono piane, a contorno quasi circolare. Dimensioni : Lunghezza o diametro antero-posteriore: m. 0,235, larghezza delle due facce ar- ticolari: m. 0,197, altezza: m. 0,165. Vertebre possedute dai signori fratelli Moschella e trovate a Gal- lina nella stessa formazione che le precedenti. 3. ° Una, come quella avanti descritta, è un corpo di vertebra molto allungato: (Fig. 2) manca delle apofìsi transverse, ma con- serva la base del processo spinoso ; ond’è che si può osservare una piccolo parte del canale neurale. 2S6 G. DB STEFANO Dimensioni : Diametro antero-posteriore: m. 0,150, altezza: m. 0,165, larghezza massima: m. 0,170. 4. ° Anche l’altra è una piccola vertebra a corpo allun- gato, le cui dimensioni non sono facili a determinarsi, essendo ridotta in miserando stato. La sua conformazione generale è identica a quella dei corpi testò accennati ; mancano i processi transversi e sitinosi. Si può ritenere che il corpo della nostra vertebra sia alto m. 0,103. 5. ° Vertebra esistente nel gabinetto geologico dell’Univer- sità di Messina. Nello scattale n° 17 di tale gabinetto, contenente una colle- zione di fossili della provincia di Eeggio, in mezzo a resti di Molluschi si osserva un corpo di vertebra, il cui cartellino porta la seguente indicazione: Vertebra di Cetaceo, nel quaternario di Eeggio Calabria. Il tessuto osseo del fossile in discorso, a simiglianza di quello degli altri avanti nominati, è spugnoso. Le facce articolari sono piane, e le basi delle apofisi transverse, rotte. Manca del tutto il processo spinoso. Le dimensioni di tale corpo sono : Diametro antero-posteriore: m. 0,065, altezza: m. 0,100, larghezza: m. 0,165. 6. ° Vertebra della collezione paleontologica di L. Seguenza. Il mio egregio amico di Messina possiede un corpo di ver- tebra, che trovò nella collezione del suo illustre padre, e che mi assicura essere stata rinvenuta nel quaternario di Eeggio. Il cartellino aderente al fossile porta la seguente scritta: Heterocetus sp. : vertebra dorsale, determinazione del prof. Capellini. Dimensioni : Diametro antero-posteriore: in. 0,091, larghezza massima misurata fra le basi delle apofisi tran- sverse: ni. 0,140, altezza: m. 0,105. La vertebra posseduta dal Seguenza è un corpo frantumato. Mancano le apofisi transverse, rotte, e tutto il processo spinoso, GLI AVANZI FOSSILI DEI MISTICETI IN CALABRIA 287 essendo che la parte del corpo dove esso dovrebbe trovarsi in- serito. manca. Però si può ideare la sua conformazione, dal- l’andamento dell’arco transversale, e dalle due facce piane. 7. ° Vertebre che si trovano a far parte della collezione di fossili esistente nel gabinetto di Storia Naturale dell’Istituto Tecnico di Reggio. Sono due corpi di vertebra, il cui cartellino porta il nome generico di liete rocdus ; ma che io non potrei ora descrivere, avendole viste di volo una sola volta. Pregato il signor com- mendatore U. Botti, grazie la sua bontà, intorno ad esse ho potuto avere le seguenti notizie: Vertebre di Cetacei raccolte a Ravagnesc (quaternario) dal Mantovani. Vert. caudale, lunghezza m. 0,075, altezza m. 0,150, larghezza m. 0,150. Vert. lombare, lunghezza m. 0, 146, altezza m. 0,160, larghezza m. 0,175. 8. ° Vertebre trovate nel post-pliocene di Archi. Come ho già detto altra volta (*), esse consistono in fram- menti, quasi tutti indeterminabili. Però un corpo, alquanto smus- sato dal lato di una delle apofisi transverse, appa- rtiene alla serie caudale e misura 20 centimetri di lunghezza per 13 di larghezza per ognuna delle facce. Le apofisi spinose sono compieta- mente distrutte. (Fig. 3). La prima considera- zione che si può fare dopo quanto si è scritto, è la seguente: che le vertebre descritte ed altre in fram- menti semplicemente accennate, spettano tutti a Cetacei, per la struttura del loro tessuto osseo, per le loro conformazioni e di- (’) VElephas meridionalis, ecc., Boll, della Soe. Geol. Ital. 28S G. DE STEFANO mensioni, per essere identiche a tante altre figurate e conser- vate nei musei, c clic si sono ascritte a Cetacei. Tutte esse poi spettano sicuramente al gruppo dei Misticeti. Non si conoscono fino ad oggi Odontoceti il cui sistema sche- letrico possa giungere a così notevoli dimensioni, quali facil- mente lasciano immaginare le dimensioni delle vertebre de- scritte. Le vertebre lombari dei Misticeti vanno distinte dalle cer- vicali e dorsali, per i seguenti caratteri: le prime sono in tutti i diametri più grandi di quelle delle due ultime regioni, ed hanno il più grande forame vertebrale. È perciò clic la grossa vertebra posseduta dal Larizza si ritiene come una lombare. Il suo esame ci dimostra che i processi transversi sono più deboli clic nelle vertebre toraciche. Ora, la vertebra in discorso presenta l’asse antero-posteriore notevolmente cresciuto (m. 0,272) quale si suole riscontrare nelle ultime lombari dei Misticeti viventi: e benché frantumate le apofisi accessorie, dai loro frantumi si scorge clic la distanza fra gli estremi di esse è alquanto ridotta, ed è certo minore di quella che si intravede nella vertebra conservata nel gabinetto di Geologia dell’Università di Messina. La direzione delle apofisi transverse della vertebra del Larizza c quasi per- pendicolare al corpo con tendenza a volgersi alquanto all’ in- nanzi. Sarebbe per noi difficile assegnare il posto che tale ver- tebra starebbe ad occupare nella serie lombare. Forse spetta ad una delle ultime. Il corpo di vertebra esistente nel gabinetto di Geologia del- l’Università di Messina e quello posseduto dal Segucnza, si ri- tengono come spettanti alla serie dorsale: l’altezza del loro arco transversale è alquanto ridotta, e le basi dei processi transver- sali sono più spesse di quelle esaminate nella vertebra dianzi connata: in quella posseduta dal gabinetto di Geologia dell’U- niversità di Messina, il canale neurale, da quanto rimane, non sembra dovesse essere molto ampio; le basi delle apofisi tran- sverse hanno origine dal capo dell’arco transversale. I rimanenti avanzi appartengono alla regione cedale. Appar- tengono a tale serie, quantunque di essi non siano sopravvissute le orna potisi, por la lunghezza del loro corpo, per le basi delle apofisi transverse, spesse, per la forma rotondeggiante delle loro GLI AVANZI FOSSILI DEI MISTICETI IN CALABRIA 289 facce articolari. In esse, inoltre, si scorge da qualche resto di processo spinoso che il diametro del canale neurale è diminuito. Esse, si eccettui qualcuna, spettano quasi con certezza alle prime della serie codale. Riepilogando, noi abbiamo esaminato nella prima parte di questo studio avanzi di vertebre spettanti a Cetacei Misticeti, le quali, avuto riguardo alla loro posizione topografica nella impalcatura scheletrica dell’animale, posson dividersi in: dorsali, lombari e caudali. È ovvio il dire che tali avanzi non potrebbero essere attri- buiti a un solo individuo fossile, essendo stati rinvenuti in lo- calità differenti e lontane ed in piani magari diversi; ma il paragone fra essi e con altri ad essi identici e determinati, ci può permettere di ritenerli, senza molta tema di errare, come ossami di nno stesso genere di Misticeto, il quale popolò i nostri mari del cenozoico superiore. Le dimensioni dell’ignoto mammifero fossile, desunte dalla grandezza delle vertebre che noi possediamo, non sono facili a dedursi: però possono intuirsi con alquanta approssimazione. L’aumento dell’asse antero-posteriore che si riscontra a par- tire dalle vertebre dorsali, gradatamente, in tutti i Misticeti, il quale dunque è in continuo aumento così dalle cervicali alle dorsali, e da queste alle lombari e alle prime codali, è per noi un dato importante. Tenendo perciò conto delle cartilagini in- tervertebrali che fanno correre una certa distanza fra le diverse vertebre, ecc., anche ammesso che la vertebra lombare, dal La- rizza posseduta, rappresenti la più grande della serie, noi avremo sempre per i nostri avanzi un Misticeto di grandi dimensioni. Ma a quale genere del gruppo bisogna ascrivere i fossili notati? Io ho cercato di osservare quanto più materiale consimile mi è stato possibile, e consultare i testi figurati di cetologia e paleocetologia che il comm. U. Botti, facendo opera buona, ha messo a mia disposizione. Del che sento il bisogno di ringra- ziarlo pubblicamente. Ed i risultati ai quali sono giunto, se si tien conto dei mezzi di cui ho potuto disporre nella determinazione dei fossili in di- scorso, mi son sembrati degni di nota. 290 G. I>E STEFANO Si sogliono distinguere dai cetologi tre gruppi di Misticeti: le balene, le inegattere e le balenottere, a seconda dei loro ca- ratteri differenziali, principale fra essi, secondo il prof. Capel- lini ed altri eminenti naturalisti, la struttura del dorso, che è uniforme nelle balene, gibboso nelle megattere e con natatoia nelle balenottere: ma quando si tratta di determinare avanzi fossili, tale carattere non è più possibile riscontrarlo. Allora bi- sogna in particolar modo ricorrere alle ossa del cranio e delle vertebre cervicali. L’ artroscheletro e lo splancnoscheletro non conducono clic molto diffìcilmente alla determinazione; e del neu- roscheletro solo la parte anteriore è più adatta a tale operato. Ora esaminiamo quanto tino ad oggi si è determinato in pro- posito nella Italia meridionale. Dagli avanzi illustrati splendidamente dal prof. Capellini, esistenti, o nel Museo geologico dell’Università di Napoli, o fa- cienti parte di private collezioni, o conservati in altri gabinetti di Storia Naturale, risultano constatati i seguenti generi con le relative specie: gen. Heterocetus. He. Guiscardii Capellini. He. Hupschii Yan Beneden. Plcsiocetus Hupschii Y. B. — Cetoterium HujpscJiii Y. B.('). gen. Aulocetus V. Beneden (2). gen. Plesiocetus. P. Garopii V. B. (3). gen. Pachyacanthus J. F. Brandt (4). (') Van Beneden et Gervais, Osteograpliie des Cetaces vivants et fos- siles, tav. XIV, fig. 18. G. Capellini, Balenottere fossili ecc. (2) Van Beneden, Les ossements fossiles du geme Aulocète annuisce de Linz. Bull, de l’Ac. R. de Belgique, 2me sèrie, 1875. Capellini, Meni, cit., p. 12-14, tav. Ili, fig. 2-5. (3) Van Beneden et Gervais, Meni, cit., tav. XIV, fig. 5. Capellini, Balenottere fossili ecc., p. 10-11, tav. I, fig. 16. 0) Brandt, Pachyacanthus, Meni. Acad. Imp. des Se. do Saint-Pé- tersbourg, voi. XVI, 1871. Untersuchungcn iiber die fossilen und subfossilen Cetaceen Europa, Mém. Acad. Ini]», etc., serie VII, voi. XX. GLI AVANZI FOSSILI DEI M1STICETI IN CALABRIA 291 Nella breve disamina fatta vanno esclusi per ragioni ovvie a dirsi gli Odontoceti (generi Palaeodelphis, Dioplodon, Eudel- phinus, Dclphinus ) e l’ordine dei Sirenidi. Gli avanzi della balenottera di Briatico sono appunto quelli che il prof. Capellini determinò come spettanti al genere Hete- rocetus Y. B. e che chiamò col nome specifico di Guiscardii. Tutti gli avanzi di Misticeti rinvenuti poi nella estrema Calabria dal Mantovani (vedi vertebre dell’Istituto tecnico di Reggio) e dal Seguenza (vedi Meni. cit. elenchi dei vertebrati fossili tro- vati nel Miocene, Pliocene e Quaternario) vennero riferiti allo stesso genere Heterocetus ('). Se si deve tener conto che gli avanzi dal Seguenza inclusi nel gen. Heterocetus furon quasi sempre direttamente determi- nati dal Capellini, si può ritenerli come ben classati. Lo stesso dicasi per le vertebre conservate nel gabinetto di Storia Natu- rale dell’Istituto Tecnico di Reggio, la cui determinazione ge- nerica (Heterocetus), come attesta il comm. Botti, fu riconosciuta dal prof. Capellini, alcuni anni fa, passando a visitare il nomi- nato gabinetto di Storia Naturale. Ora, gli avanzi che noi possediamo ed avanti si son descritti, sono identici agli altri, salvo che presentano tutti più grandi dimensioni. Inoltre, essi sono ancora identici ai fossili del genere Hete- rocetus descritti e figurati dal Yan Beneden e dal Capellini. Esaminando con un attento confronto si trova però che le vertebre lombari, anche quelle più avanzate della serie del ge- nere descritto dal Yan Beneden, hanno sempre minori dimensioni delle nostre corrispettive. Così dicasi per quelle caudali e dor- (!) Vedasi per ciò i resti trovati dal primo a Ravagnese e quelli dal secondo raccolti presso Gerace, nel piano Elveziano del Miocene. Gli avanzi determinati dal prof. Seguenza consistono in « una cassa timpanica alquanto mutilata, spettante all’apparato auditivo destro, af- fatto identica a quella rappresentata dal prof. Capellini ». L’osso tim- panico però è alquanto più piccolo di quello illustrato dal Capellini. Io credo che le vertebre determinate col nome generico di Hetero- cetus dal prof. Mantovani, siano state anche controllate dal paleontologo messinese e che sian quelli citati nella sua memoria, e che egli dice tro- vati nel quaternario di Ravagnese. Sicuramente poi sono quelle citate dal dott. Flores nel suo catalogo: Catalogo dei mammiferi fossili eco. 202 (i. RR STEFANO siili. In verità, dal sn fatto confronto non si osserva ohe quanto si è accennato: identità nel complesso c nei particolari della forma dei corpi di vertebra da noi posseduti; diversità avuto riguardo alle loro dimensioni: le vertebre da noi descritte sono più sviluppate di quelle descritte dal cetologo belga. Si tratta di un Hderocetus molto sviluppato? o non piuttosto di una nuova specie fossile di Mistieeto? Disgraziatamente noi non abbiamo vertebre della serie cer- vicale, e di quelle eterogenee caudali mancano le emapofisi per constatare con sicurezza se si tratti del primo o del secondo caso. Ma noi intanto possiamo concludere, che i nostri avanzi, in parte già determinati come fossili di Hderocetus, si ritengono spettare tutti allo stesso genere. Non è però cosi facile il determinarne la specie. Si è già detto come nella determinazione dei Misticeti fos- sili il fatto non riesca difficile quando si abbiano da porre in raffronto vertebre della regione cervicale o parti del teschio- scheletro. Nella balenottera di Erbatico, dal prof. Capellini de- terminata col nome di He. Guiscardii, si hanno gli ossami spet- tanti al neuroscheletro, e le parti più importanti consistono in quelle dell’apparecchio uditivo. Come si osserva si hanno sufficienti dati da porre in raf- fronto. Ma noi non abbiamo alcuna vertebra cervicale. Le notevoli dimensioni delle vertebre esaminate al principio di questo studio mi fecero pensare alcun poco ad avanzi fossili di vera balena. L’ idea venne in mente per la conformazione della più grossa lombare, e di qualcuna codale, identica ad altre che si osservarono nella balena di Taranto (' ). Ma di vere balene fossili si rinvennero ben pochi avanzi in Italia ed all’estero. Solo eccezionalmente il prof. Capellini illu- strò avanzi di vera balena, trovati a fonte Rotella presso Chiusi, ed in qualche altra località della Toscana (?). C) G. Capellini, Suda balena di Taranto confrontata con quelle della Suora Zelanda e con talune fossili del Belgio e della Toscana, 1877. F. Casco, Intorno alla balena presa in Taranto nel febbraio Ibi 7. Napoli 1878. (2) Sulla balena Etrusco, Memoria del Prof. Comm. Giov. Capel- lini, Bologna 1873. GLI AVANZI FOSSILI DEI MTSTICETI IN CALABRIA 293 Non cito gli avanzi fossili di balena, illustrati dal Yan Be- neden, dal Du Bus, ecc., perchè non fa al nostro caso. Riassumendo adunque, intorno agli ossami da noi posseduti e spettanti al gen. Heterocetus, possiamo notare infine: 1. ° La lombare, da noi figurata, nell’insieme si scorge iden- tica ad altre lombari del gen. He. figurate e descritte dai pa- leocetologi più rinomati; ma d’altro canto si diversifica per la grandezza e per l’andamento dell’arco transversale. 2. ° La vertebra dorsale del gabinetto di Geologia dell’Uni- versità di Messina è identica ad altra descritta dal prof. Capel- lini e da questo attribuita ad Heterocetus. 3. ° Le nostre vertebre codali paragonate con quelle descritte dal Yan Beneden spettanti al gen. Heterocetus, nel complesso a quelle di tal genere sono identiche, ma differiscono nella gran- dezza. Nemmeno la prima vertebra codale del gen. He. giunge ai due terzi del diametro antero-posteriore e dell’altezza delle nostre più grosse. Bisogna ricorrere al gen. Ikdaena per trovare dei corpi di vertebre lombari (le ultime due) e codali (le prime sei) i quali raggiungano una lunghezza oscillante dai tredici ai quattordici centimetri, ed aventi la maggior larghezza. 4. ° Tra la vertebra lombare del Larizza e quelle più grosse codali si osserva dalle basi troncate dei processi spinosi che, le apofisi di essi, in queste ultime, dovevano essere più svilup- pate, più robuste, più divaricate, che non fossero quelle della prima. Ciò può farci ritenere le caudali spettanti alle prime ver- tebre della regione di individui per lo meno molto più svilup- pati del noto Heterocetus Ctuiscardii Cap. Onde io ritengo che gli ossami in discorso spettino a una nuova specie di Misticeto, appartenente al gen. Heterocetus. Non si dà il nome a tale specie, la quale sicuramente popolò il no- stro mare post-pliocenico, come ce lo attestano i numerosi avanzi che continuamente si rinvengono in Calabria e nella vicina Si- cilia; poiché a noi importava solo far noto che tutti gli ossami che si trovano nel quaternario della nostra regione ed attri- buiti al gen. Heterocetus, probabilmente spettano ad una specie nuova, la quale, dalle proporzioni e dalle grandezze delle ver- tebre note, potrebbe ricevere il nome di major. 294 G. DE STEFANO Questa nuova specie, differente dal Guìscarèii e à&WHup- schii. era già quasi stata riconosciuta dal prof. Capellini a pro- posito di alcune vertebre rinvenute dal prof. Seguenza in Si- cilia ('). Ma io non ho avuto la fortuna di poterle vedere. Forse esse andarono perdute ; poiché nella collezione paleontologica di L. Seguenza più non esistono. E la esatta determi nazione forse non si potrà avere, se non quando del nostro Misticeto si possede- ranno maggiori e più determinabili resti. [Reggio di Calabria, marzo del 1900]. C) G. Capellini, Mem. più volte cit., p. 16. Ecco quanto scrive il prof. Capellini avuto riguardo a certi resti di Cetacei, trovati dal prof. Seguenza vicino Messina e descrittigli in una lettera in data del 1° del 1877: « Dalle figure delle due vertebre inviatemi dal prof. Seguenza, ho creduto di poter rilevare che esse debbano riferirsi ad un grande ITeic- rocetus, che potrebbe aver rapporti con una specie della quale ho ritro- vato parecchie vertebre presso la Pieve ili Santa Luce nella valle della Fine in Toscana e che per ora non ho ancora caratterizzato. » Una cassa timpanica sinistra incompleta di Jleterocetus, prove- niente pure dalla Pieve Santa Luce, e che si trova nel museo di Storia Naturale di Firenze, probabilmente ha rapporto con lo stesso tipo di cui si trovarono avanzi anche in Sicilia. » Una delle vertebre restaurate dal prof. Seguenza ha la lunghezza o diametro antero-posteriore di m. 0,165 con una larghezza approssima- tiva di m. 0,180 e sembra appartenere a una delle ultime dorsali; l’altra è una lombare larga m. 0,180, ma incompleta in modo che non se ne può apprezzare la lunghezza ». LE ACQUE ATMOSFERICHE NELLE FUMAROLE A PROPOSITO DI VULCANO E DI STROMBOLI. Nota di Carlo de Stefani Visitando, li 11 aprile di quest’anno 1900, il cratere di Vul- cano, presentemente inattivo, osservavo le fumarole, non molto numerose, nè molto abbondanti, nè a tensione apparentemente troppo alta, disposte principalmente nel fondo della Fossa o cra- tere attuale, poi a piedi della parte più alta dell’orlo esterno settentrionale della Fossa medesima ad 0. e sopra la Forgia vec- chia, e con minore intensità nel fondo della Forgia vecchia, e riflettendo alle cose viste altrove, raccogliendo poi le mie idee, facevo i pensieri seguenti. I. L’origine dei vapori acquei che formano le fumarole dei vul- cani, così pure i soffioni ed i Geysirs, poiché si tratta di nomi diversi d’una stessa serie di fenomeni, fu ricercata e non può ricercarsi che in tre cause diverse. Nell’acqua la quale secondo alcuni trovasi diffusa poco meno che fin dall’origine nella massa interna del globo; nell’acqua del mare; nell’acqua derivante dalle precipitazioni atmosferiche. a) Quanto alla prima origine, secondo me, e secondo molti, essa è ad escludere, almeno come causa di qualche importanza, nei fenomeni di cui parliamo. Può darsi che minime quantità di vapore sieno formate a spese di particelle acquee chiuse da tempo negli strati eventualmente sedimentari attigui al focolare vulcanico, e che queste minime quantità si aggiungano alle altre 0. PIO STEFANI 296 originate per cause diverse: ma la vecchiaia del nostro globo, la lunga permanenza e durata dei fenomeni vulcanici, il con- seguente esaurimento clic sarebbe avvenuto delle particelle acquee <1 illuse internamente senza un rinnovarsi della loro provvista, la quantità di vapori clic accompagnano i fenomeni vulcanici, i materiali stessi clic questi trascinano seco, i fenomeni conco- mitanti, provano, credo, ad esuberanza, ohe deve abbandonarsi l’idea della provenienza dei vapori da particelle acquee diffuse fin dall’origine nell’interno della terra. b) Quanto alla provenienza dei vapori da acque del mare, o per lo meno di grandi laghi, penetrate in quantità nell’ in- terno dei focolari vulcanici, essa è da mettere fuori di dubbio, almeno nelle più grandi eruzioni. Provano questa origine la re- lativamente grande quantità di vapore acqueo prodotta nelle dette eruzioni, l’indipendenza dalle vicende e dalla quantità delle precipitazioni atmosferiche, la natura dei prodotti che ac- compagnano il vapore acqueo, e spesso varie altre circostanze di fatto. Nelle eruzioni dello Stromboli, le quali durano da secoli, con esplosioni clic si succedono ad ogni istante, con emissione con- tinua di vapore, c quand’anche per mesi di seguito duri nel- l'isola siccità di acque atmosferiche, è assai probabile l’inter- vento delle acque marine, quando pur anche si voglia far parte al vapore prodotto da acque piovane clic eventualmente tocchino il suolo in certe stagioni. e) Nondimeno non si può escludere clic le acque atmosfe- riche abbiano grande importanza nei fenomeni susseguenti e spesso concomitanti le eruzioni vulcaniche c clic una certa quan- tità, spesso la totalità dei vapori i (piali vengono fuori nelle fumarole, provenga direttamente da acque atmosferiche. Che ciò avvenisse per lo Stromboli già lo ritenne lo Spal- lanzani, quasi primo dottissimo investigatore delle isole Eolie; per altri vulcani in particolare o in generale lo ritennero Hum- boldt, Daubrée, Pcacock, De Lorenzo ed altri, ma in via d’i- potesi. Il Lana ha già espresso l’opinione che il non abbondante vapore concomitante remissione delle lave fluidissime e poco vessicolari del Kilauca e del Molina boa sia d’origine atmosfo- i LE ACQUE ATMOSFERICHE NELLE FUMAROLE 297 rica (1). Junghuhn osservò che sulle pendici de’ vulcani delle isole del Pacifico, quantunque situati nelle regioni più piovose del globo, non sono corsi d’acqua (2). Le fumarole boracifere della Toscana, dette localmente sof- fioni, sono più abbondanti certo, in ogni luogo dove si osservino, die le fumarole di Vulcano o della Solfatara di Pozzuoli, e non meno abbondanti che le fumarole le quali si vedevano sotto l’orlo esterno N.-O. del Vesuvio sopra le bocche dell’Atrio del Cavallo durante l’ultima eruzione. I vapori che le producono, derivanti da maggiore o minore profondità, hanno certo una origine atmosferica, non marina; essi variano in quantità e pro- babilmente in tensione, come variano i loro prodotti, col variare delle precipitazioni acquee. La quantità dei vapori e dei loro prodotti è minore nelle annate più asciutte, come è minore nelle stagioni secche rispetto a quelle piovose, cioè d’estate e d’in- verno, rispetto all’autunno ed alla primavera. Una pioggia mode- rata aumenta i vapori ed anche, alquanto, il tenore di sali e di acido borico; una pioggia forte aumenta assai i vapori, ma diminuisce, piuttosto che aumentare, i sali e l’acido (3). Anche l’energia dei soffioni si è constatato che varia secondo i tempi deiranno e secondo lo stato dell’atmosfera (4). Le acque le quali danno origine ai soffioni non provengono certo dal mare, perchè mancano tutti i sali marini. Però non si è studiato ancora a quale distanza di tempo si succedano i minimi ed i massimi delle precipitazioni acquee e delle emissioni dei vapori (5). Così pure le fumarole o Geysirs dell’ Islanda, della Nuova Zelanda, del Yellowstone non sono alimentati dall’acqua marina, ma dalle abbondanti precipitazioni atmosferiche delle contigue regioni. Anche le fumarole della Solfatara di Pozzuoli sono alimen- tate, cred’io, esclusivamente, da acque atmosferiche, e la loro intensità varia in rapporto alla piovosità delle stagioni; come, (') G. Dana, Cliaracteristics of Volcanoes, London 1890, p. 156, 224. (2) Lyell, Manual of Geology. 1885, p. 497. (3) C. de Stefani, I soffioni boraciferi della Toscana, Roma, 1897, p. 416, 421. (4) Toc. cit., p. 418. (5) Toc. cit., p. 421. 20 DE STEFANI 298 naturalmente, secondo queste, varia la quantità dell’acqua del contiguo sottosuolo; la quale, secondo la sua situazione, produce appunto delle fumarole, o rimane a più basse temperature come acqua freatica. Nella sorgente, o meglio nel pozzo che trovasi procedendo dall’ entrata della Solfatara, a destra, il De Luca, nel 1879, osservò essere l’altezza dell’acqua variabile, secondo la piovosità, fra in. 0,51 c m. 2,13 (*). E ai primi di dicembre del 1808, circa 50 ni. a N. del pozzo, in uno dei punti più bassi del fondo, in seguito ad abbondanti pioggie, si apri tempora- neamente, dove era già stata altre volte, una fumarola (2). Però osservazioni precise sui rapporti fra la quantità delle precipi- tazioni atmosferiche e la quantità e tensione dei vapori della Solfatara, non ne conosco. È singolare clic nelle vicine nume- rose terme del Ottonile abbonda più di ogni altro sale il cloruro sodico, mentre nelle fumarole, lontane dal mare poco più di un chilometro, sono solo traccio di cloruro ammonieo. Ciò vuol dire che nelle terme si mescola, per filtrazione, dell’acqua marina; e che tal cosa non avviene nelle fumarole. Anche l’acqua delle stufe di Nerone verso Baia, la quale dà luogo talora a piccole fumarole nel monte sovrastante, non è marina. Le scarse fumarole di Lipari, notevolmente quelle di San Ca- logero, sono in rapporto con le stufe o tenne di acqua dolce (:i). In taluni casi, con certezza o con probabilità, accumulazioni superficiali di acque dolci sono state ragione principale, o con- comitante, di esplosioni od eruzioni vulcaniche. Narra Humboldt che nel settembre 1759, nel Messico, si formò improvvisamente il vulcano domilo, alto 1183 piedi. Due piccoli fiumi, il Rio de Cuitimbo c il Rio de San Pcdro scom- parvero, e tornarono fuori alcun tempo dopo sotto forma di sor- genti termali (,1). (*) S. De Luca, Sulle variazioni di livello dell'acqua termale in un pozzo della Solfatara di Pozzuoli. (Atti R. Acc. di Se. oco numerosi. Braccia brevi, robuste, acuminate all’estremità, con grandi e rade perforazioni. Larghezza massima della porzione centrale: mm. 0,112; lun- ghezza delle braccia: mm. 0,098-0,111. Rara a Lissano. Fam. PORODISCIDA Haeckel 1881. Gen. Xypiìodictya Haeckel 1881. 19. Xypiìodictya Bombiceli n. f. (Tav. Ili, fig. 17). Guscio non molto grande, assai sottile, a contorno irregolare, con pori rotondi, minuti, molto fitti, disposti in serie lineari ra- diali. Gli aculei sono assai brevi, larghi alla base e coll’apice molto acuto. Asse minore: mm. 0,11 circa; asse maggiore: mm. 0,162; lunghezza, compresi gli aculei: mm. 0,225. Assai rara a Prada. Gen. Statjrodictya Haeckel 1881. 20. Staurodictya longispina n. f. (Tav. Ili, fig. 26-27). Guscio di grandi dimensioni, sottile; la porzione centrale è subquadrangolare, molto depressa, munita di pori grandi, rego- lari, fìtti, quasi rettangolari. Gli aculei sono sottili, lunghissimi, acuminati all’apice. Un esemplare in cui la parte centrale è molto maggiore, e che ho figurato alla fig. 27, ha gli aculei rotti, e com- pleto doveva misurare dimensioni molto notevoli. Larghezza massima della porzione centrale, nell’esemplare maggiore: mm. 0,07, nell’esemplare minore: mm. 0,045; lun- ghezza delle braccia: mm. 0,212; altezza totale, comprese le braccia: mm. 0,435. Non raro a Lissano. ROCCE E FOSSILI DEI DINTORNI DI GRIZZANA E DI LAGÀRO 337 21. Staurodictya bononiensis n. f. (Tav. Ili, fig. 28). Guscio non molto grande, nè molto spesso, con ampia por- zione centrale subqnadrangolare, arrotondata, munita di piccoli pori rotondi, irregolari. Gli aculei sono sottili, brevi assai ed acu- tissimi all’apice. Larghezza massima della porzione ventrale : mm. 0, 089 ; lun- ghezza degli aculei: mm. 0,065-0,078. Baro a Lissano. 22. Staurodictya (?) dubia n. f. (Tav. Ili, fig. 36). Riferisco con grandissimo dubbio a questo genere una forma molto mal conservata, di dimensioni molto grandi, con porzione centrale quasi ovale, munita di grandi pori, la cui forma esatta male si distingue, e con quattro braccia non disposte a croce regolarmente, di forma ottusa, assai brevi. Ne ho trovato un unico esemplare e quindi non posso entrare in maggiori dettagli. Asse maggiore della porzione centrale: mm. 0,823; asse mi- nore: mm. 0,279; lunghezza delle braccia: mm. 0,105-0,11. Unico. Lissano. Gen. Stylodictya Haeckel 1862. 23. Stylodictya (?) lissaueusis n. f. (Tav. Ili, fig. 18). Guscio non molto grande e assai sottile, discoidale, a con- torno circolare, con pori rotondi, piccoli assai, fitti e disposti in numerose serie lineari concentriche. Di queste se ne contano 5, tra le quali l’esterna è incompleta, essendo mal conservato l’e- semplare. Dal margine sporgono delle appendici assai sottili, non molto lunghe, ad apice ottuso come si rileva dall’unica rimasta completa. Di tali appendici si conservano tre solamente, ma a mio parere debbono essere state più numerose e mancare adesso per la cattiva conservazione dell’esemplare. Per una tal ragione 23 338 I>. E. VINASSA DE REGNY ho creduto di riferire alla Stylodictya la forma ora descritta, senza però poter negare una notevole somiglianza colle Stau- rodictya. Diametro approssimativo della porzione centrale: rum. 0,10; lunghezza delle braccia: circa mm. 0,043. Unico a Lissano. Gerì. Amphibrachium Haeckel 1881. 24. Amphibrachium ovale n. f. (Tav. Ili, fig. 16). Giù scio assai grande, spesso e robusto, scabroso esternamente, di forma ovale allungata, coi due apici acuminati, con una stroz- zatura mediana non molto pronunziata. Pori piccoli, circolari, profondi, molto numerosi, assai irregolari nella disposizione e nelle dimensioni. Lunghezza massima: mm. 0,32; altezza: mm. 0,105; altezza alla strozzatura mediana: mm. 0,055. Unico a Prada. Gen. Dictyastrum Ehrenberg 1860. 25. Dictyastrum diasprinum n. f. (Tav. Ili, fig. 20). Guscio non molto grande, assai sottile, levigato, fornito di una porzione centrale triangolare a margini lievemente arroton- dati. Le tre braccia eguali tra loro sono assai lunghe e larghe e terminano alla loro estremità con un rigonfiamento clavato, di cui uno presenta un accenno di lobatura. I pori sono piccoli, numerosi, circolari, fitti, che sulla porzione centrale e nella parte rigonfia terminale delle braccia sono irregolarmente disposti, mentre lungo le braccia sono in serie lineari alternanti più o meno regolarmente. La nuova forma ha grandissime somiglianze col I). ncoco- mense Kùst ( Kreide , pag. 200, tav. XXY, fig. 9) assai comune nel neocomiano di Gardenazza, tanto che sul primo ho creduto doverla riferire ad esso. Ma le dimensioni grandemente diverse, ROCCE E FOSSILI DEI DINTORNI DI GR1ZZANA E DI LAGÀRO 339 essendo la specie bolognese molto più piccola, il numero dei pori molto più numerosi e meno regolarmente disposti della nuova forma, mi hanno fatto propendere a tenerla separata. Lunghezza delle braccia: mm. 0,082; larghezza massima di esse : mm. 0,014 ; larghezza del rigonfiamento terminale : mm. 0,029 ; larghezza massima della porzione centrale: mm. 0.041. Assai raro a Lissano e Savignano. Gen. Ehopalastbum Ehrenberg 1847. 26. Rhopalastrmn Capellinii n. f. (Tav. Ili, fig. 22). Guscio molto grande e robusto, munito di tre grandi braccia, assai larghe, terminate da rigonfiamenti claviformi molto note- voli. Quello del braccio maggiore presenta un leggero accenno di lobatura. I pori sono rotondi, piccolissimi, non molto nume- rosi, disposti irregolarmente ovunque, salvo che nella porzione centrale, ove accennano ad una disposizione lineare concentrica. Lunghezza del braccio maggiore : mm. 0, 32 ; dei due mi- nori: mm. 0,279, mm. 0,210; larghezza massima delle espan- sioni terminali: mm. 0,112-0,126. Non molto raro, per lo più in frammenti, a Lissano e Grizzana. 27. Rhopalastrum lissanensis n. f. (Tav. Ili, fig. 23). Guscio assai grande e robusto, fornito di tre braccia larghe, non molto lunghe, terminate in alto da un rigonfiamento lobato, diviso in tre porzioni, una mediana maggiore e più rigonfia, e due laterali minori. I pori sono rotondi, grandi, assai fitti, di- sposti in due serie lineari ai lati delle braccia. Solamente nel braccio più corto i pori sono in alcuni punti disposti in tre serie. Questa forma ha qualche somiglianza col Pili, tuberosum Riist (Jura, pag. 297, tav. Vili, fig. 1) dei diaspri titoniani. Se ne distingue però per avere un braccio assai più breve degli altri due, mentre la forma descritta da Riist ha braccia presso che uguali. Inoltre la nuova forma si differisce tosto per la termi- nazione claviforme e lobata delle braccia. 340 P. E. VINASSA DE REGNY Lunghezza del braccio minore: mm. 0,112; sua larghezza: min. 0,032; lunghezza delle braccia maggiori : mm. 0,15; loro larghezza massima: mm. 0,026; dimensioni delle espansioni ter- minali: mm. 0,055-0,075. Assai raro a Lissano. 28. Rhopalastrum clava n. f. (Tav. Ili, fig. 24). Guscio non molto robusto, assai grande, fornito di braccia non molto lunghe ed assai strette. Il braccio minore non è molto più breve degli altri due, e termina con una grande espansione claviforme irregolare. Delle due braccia maggiori uno porta una espansione terminale enormemente ingrossata. I pori sono ro- tondi, assai grandi, poco numerosi ed irregolarmente disposti. Lunghezza del braccio minore: mm. 0,135; lunghezza delle braccia maggiori : mm. 0,15; larghezza delle braccia : mm. 0,021; dimensioni massime dell’espansione terminale: mm. 0,081. Raro a Lissano. Gcn. Chitonastrum Haeckel 1881. 29. Cliitonastrum (?) apenninicum n. f. (Tav. Ili, fig. 21). Guscio assai piccolo e non molto spesso, munito di tre braccia tra loro poco diverse, non molto lunghe e assai larghe. Esse terminano con delle espansioni claviformi, irregolari, più o meno nettamente forcate. I pori sono rotondi, molto piccoli, poco nu- merosi e irregolarmente disposti qua e là. Questa forma ha somiglianza col Dictyastrum singulare Riist ( Jura , pag. 299, tav. Vili, fig. 9) degli strati con Aptici di Ur- selilau; la nuova forma se ne distingue per essere assai più ir- regolare e per avere pori molto meno numerosi. Anche le di- mensioni sono notevolmente minori. Rispetto al genere sono ancora in dubbio, sebbene l’accenno alla forcazione delle braccia sia, abbastanza spiccato. ROCCE E FOSSILI DEI DINTORNI DI GRIZZANA E DI LAGÀRO 341 Lunghezza delle braccia: mm. 0,105-0,112; larghezza mm. 0,026: larghezza delle espansioni terminali: mm. 0,054. Unico a bissano. Gen. Hagiastrtjm Haeckel 1881. 30. Hagia, strimi irregulare n. f. (Tav. HI, fig. 29). Guscio non grande, poco robusto, di forma irregolare, mu- nito di quattro braccia non molto lunghe, a terminazione ottusa. I pori sono rotondi, piccoli, poco numerosi ed irregolarmente di- sposti. La cattiva conservazione dell’individuo non mi permette di entrare in più estesi ragguagli. Lunghezza delle braccia: mm. 0,094-0,115; larghezza della porzione centrale: mm. 0,065. Unico a bissano. CYRTOIDEA. Fam. SETHOCYRTIDA Haeckel 1887. Gen. Sethocapsa Haeckel 1881. 31. Sethocapsa gutta n. f. (Tav. Ili, fi g. 33). Guscio assai piccolo e sottile, scabroso; cefalo molto allun- gato e formante un tutto unico col corno largo ed acuto. Torace ampiamente slargato, quasi sferico, ma assai piu largo che alto, acutamente scabroso. Pori piccoli, rotondi, poco numerosi, disposti irregolarmente. Altezza del cefalo col corno: mm. 0,112; altezza totale: mm. 0,176. Larghezza massima del cefalo: mm. 0,043; lar- ghezza del torace: mm. 0,091. Non comune a Grizzana. 342 P. E. VINASSA DE KEGNY 32. Setliocapsa prunnin n. f. (Tav. Ili, fi g. 34). Guscio assai piccolo, non molto spesso, scabroso. Cefalo stretto, allungato, quasi cilindrico, munito di un lungo corno, sottile, diritto ed acuto. Torace ampio, globoso, un poco più largo che alto. Pori grandi, rotondeggianti, numerosi, irregolarmente di- sposti, di dimensioni non uniformi. Altezza totale: mm. 0,19; altezza del cefalo senza corno: mm. 0,073; altezza del corno: mm. 0,044; larghezza del cefalo: mm. 0,027; larghezza del torace: mm. 0,112. Raro a Lissano. 33. Setliocapsa liirta n. f. (Tav. Ili, fig. 35). Guscio assai piccolo, poco spesso, tutto quanto scabroso, e quasi spinoso. Cefalo assai breve e largo, cilindrico, con corno breve, sottile, acuto; torace ampio, esattamente sferico. Pori pic- coli, rotondi, minuti, assai radi, sparsi irregolarmente qua e là. Altezza totale: mm. 0,152; altezza del cefalo senza corno: mm. 0,04; altezza del corno: mm. 0,021; diametro del torace: mm. 0,091. Raro a Lissano e Pruda. Gen. Dicolocapsa Haeckel 1881. 34. Dicolocapsa elongata n. f. (Tav. Ili, fig\ 37). Guscio grande, robusto, assai scabroso. Cefalo allungato, stretto, cilindrico, in alto un poco ottuso. Torace ampio, rigonfio, sferico, scabroso. Pori rotondi, grandi, assai radi. Quelli del cefalo sono minori ed un poco diversi di dimensione tra loro; quelli del to- race invece sono più grandi. Tutti sono disposti senza regola. Altezza totale: mm. 0,311; altezza del cefalo: rara. 0,155; diametro del torace: mm. 0,188. Raro a Lissano. ROCCE E FOSSILI DEI DINTORNI DI GRIZZANA E DI LAGÀRO 343 Fam. THEOCYRTIDA Haeckel 1887. Gen. Theosyringitjm Haeckel 1881. 35. Tlieosyringium robustum n. f. (Tav. Ili, fig. 30). Guscio grande, molto spesso e robusto, tutto quanto scabroso. Cefalo stretto, molto allungato, acuminato in alto. Torace ampio, globoso, quasi sferico, addome breve e ristrettito. Pori del ce- falo e del torace rotondi, non grandi, poco numerosi, irregolar- mente disposti. Quelli dell’addome sono assai più piccoli e più fitti. Altezza del cefalo: min. 0,086; del torace: mm. 0,164; del- l’addome: mm. 0,044; totale: mm. 0,294; larghezza del torace: mm. 0,182. Non comune a Prada e Fissano. Fam. LITHOCAMPIDA Haeckel 1887. Gen. Dictyomitra Zittel 1876. 36. Dictyomitra bononiensis n. f. (Tav. Ili, fig. 39-40). Guscio grande non molto spesso, levigato, costituito da nu- merose logge, assai basse, incavate verso la porzione mediana, di cui la prima ha una terminazione in alto ottusa. I pori sono rotondi, assai grandi, disposti regolarmente in tre serie alternanti per ogni loggia. Questa forma lia somiglianze assai notevoli colla Liihocamipe exaitata Rust ( Jura , pag. 315, tav. XY, fig. 1) degli strati con aptici di Urschlau; la nuova forma però si distingue per la mag- gior regolarità nella disposizione dei pori assai più grandi, e per le dimensioni molto maggiori. Altezza: mm. 0,211; larghezza massima: mm. 0,088. Assai rara a Lissano e molto comune a Grizzana e Savi- gnano. 344 1>. E. VINASSA DE REGNY Gen. Sticiiocorys Haeckel 1881. 37. Sticiiocorys pagoda n. f. (Tav. Ili, fig. 41). Guscio assai grande e spesso, dapprima conico ad apice ot- tuso, quindi cilindrico. Le logge numerose, meno la prima di forma emisferica, sono incavate verso il mezzo. I pori sono cir- colari, grandi, poco numerosi, irregolarmente disposti. La bocca non è ristrettita. Altezza totale: mm. 0,270; larghezza massima: mm. 0,117. Non rara a Grizzana, Savignano e Lissano. Gen. Lithocampe Ehrenberg 1838. 38. Lithocampe sp. (Tav. Ili, fig. 38). Non è raro di rinvenire delle sezioni di piccoli individui a guscio sottile, regolarmente conico-ovati, con bocca strettita, dei quali è solo determinabile il genere. Per la forma generale so- migliano alla Lithocampe cretacea Kiist ( Jura , pag. 31 3, tav. XI Y, fig. 3), poi riferita al gen. Dictyomitra (Elist, Kreìde, pag. 211) del Neocomiano; ma da una semplice sezione non si possono dedurre caratteri sufficienti per una identificazione. Altezza: mm. 0,112; larghezza massima: mm. 0,053. Comune a Grizzana, Lissano e Savignano. Gen. Cyrtocapsa Haeckel 1881. 39. Cyrtocapsa crassa n. f. (Tav. Ili, fig. 42). Guscio grande, molto spesso e robusto, poco scabroso, con lungo corno diritto, largo ed acuto, e logge assai ampie, ondu- late internamente. Pori circolari profondi, non molto numerosi. Altezza totale: mm. 0,350; larghezza massima: mm. 0,198. Assai rara a Lissano. ROCCE E FOSSILI DEI DINTORNI DI GR1ZZANA E DI LAGÀRO 345 40. Cyrtocapsa Paronai u. f. (Tav. Ili, fig. 43). Guscio assai grande, sottile, cilindrico. Prima loggia conica e strettita, fornita di un aculeo sottile e ricurvo, acuto all’estre- mità. Le restanti quattro logge sono rigonfie e globose, quasi tutte ugualmente alte. Altezza totale: mm. 0,320; altezza del corno: mm. 0,026; larghezza massima: mm. 0,135. Unico a Lissano. Gen. Stichocapsa Haeckel 1881. 41. Sticliocapsa ampolla n. f. (Tav. Ili, fig. 31). Guscio grande, spesso, robusto, scabroso, composto di nume- rose camere, di cui le prime sono assai strette, e che terminano in alto come in un aculeo. L’ultima loggia è grandissima, globosa, più alta che larga, a parete molto spessa. Altezza totale: mm. 0,363; altezza dell’ultima loggia: mm. 0,240, sua larghezza: mm. 0,223. Unico a Lissano. Se noi passiamo nuovamente in rassegna queste 40 forme determinabili, vediamo che si hanno rappresentate 12 sferoidi, 4 prunoidi, 14 discoidi e 10 cirtoidi. Carattere quindi della fauna ora studiata è la preminenza dei discoidi, cui seguono immediatamente gli sferoidi. I cirtoidi sono invece in minoranza. Ciò è in opposizione grande a quanto è stato osservato da Rlist, da Parona e da me (x) pei Radiolari giuresi e cretacei; ed in molto maggiore opposizione con quanto si rileva dagli studi sui radiolari più recenti, eocenici e miocenici. (') Vinassa, Radiolari delle ftaniti titoniane di Carpenct. Palaeon- tographia italica, IV, pag. 217. Pisa 1898. 346 P. E< VINASSA DE REGNY Questo fatto però ha un carattere molto relativo, poiché cia- scuna fauna di radiolari, anche contemporanea, si sviluppa con forme e gruppi di forme molto diverse e localizzate. Passando ai generi più interessanti si rileva che le forme più numerose appartengono ai generi : Cenosphaera comune dal paleozoico ad oggi; Doryspìiaera rinvenuto dal paleozoico al miocene; Trisphaera, per adesso limitato al giurese ed al cre- taceo; PipetteUa non rinvenuto, per quanto io ne sappia, in ter- reni anteriori al titoniano, del quale la citai per la prima volta nel mio lavoro sui Radiolari di Carpena (*), e finalmente Rho- palastrum prevalentemente rappresentato in numerosi esemplari negli strati ad Aptici descritti da Riist; rarissimo, se pur rap- presentato, negli strati titoniani di Carpena e non comune certo nei terreni più recenti. Quanto alle specie vedemmo che una sola si può effettiva- mente riferire a specie nota, ed è questa la Cenosphaera cla- thrata Paroma del giurese di Cittiglio. Le altre che presentano somiglianze con specie note sono le seguenti . Cenosphaera scabra Vin. simile a C. pachyderma Riist (Giura, Creta). » diasprina Vili, simile a C. disfiorata Riist (Giura). Dictyastrwn diasprinum A in. simile a D. neocomense Riist (Creta). Rhopalastrum lissanmsis Adii, simile a Rh. tuberosum Riist (Giura). Chitonastrum (?) apenninicum Vin. simile a Dictyastrum singulare Riist (Giura). Dictyomitra bononiensis Arin. simile a Lithocampe exaitata Riist (Giura). È da notare però la nessuna somiglianza colle torme tito- niane da me descritte di Carpena, e la poca connessione con quelle di Cittiglio descritte dal Prof. Parona. (') Pàlaeontogr. italica, IV, pag. 229 [13j. ROCCE E FOSSILI DEI DINTORNI DI GRIZZANA E DI LAGÀRO 347 Non ostante questo però, per quello che i Radiolari possono servire a dare un’idea dell’età dei terreni, credo che da questa iauna ora studiata, la quale da altre preparazioni ho potuto ve- dere che si ripete anche in varie località bolognesi più distanti (Bombiana ecc.), si possa ammettere per queste rocce con radio- lari un’età assai antica forse giurassica del titoniano o del cre- taceo inferiore. S intende bene che tale età non influisce menomamente su quella delle prossime serpentine eoceniche, trattandosi di rocce indipendenti da esse, e solo poste allo scoperto per elfetto delle argille scagliose, che ci hanno del resto fornito fossili di età ancora più antiche. Bologna, Luglio 1900. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA III. Fig. 1. » 2. » 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. » 15. » 16. » » » v> 17. 18. 19. 20. » 21. » 22. » 23. » 24. Cenospliaera scabra Vin. » clathrata Parona. » diasprina Vin. Thecosphaera (?) acuitala Vin. Dorysphaera lissanensis Vin. » porosissima Vin. » clathrata Vin. Trisphaera elegans Vin. » aculeata Vin. » valida Vin. Stylostaurus simplex Vin. Ellipsoxyplius lissanensis Vin. Pipettella Pantanellii Vin. » bononiensis Vin. » apenninica Vin. Amphibrachìum ovale Vin. Xyphodictya Bombiccii Vin. Stylodictya (?) lissanensis Vin. Trigonactura oligopora Vin. Dictyastrum diasprinum Vin. Chitonastrum (?) apenninicum Vin Jtlioph a l asinini Capellina Vin. » lissanensis Vin. » clava Vin. Lissano pag. . 329 » » 329 Grizzana » 330 Lissano » 330 » » 330 Prada » 331 Lissano » 331 Prada » 332 Lissano » 332 » » 333 » » 333 » » 334 ✓> » 334 Grizzana » 334 Lissano » 335 Prada » 338 » » 336 Lissano » 337 » » 335 » » 338 » » 340 » » 339 » » 339 » » 340 348 I>. E. VINASSA DE REGNY Fig . 25. Trigonactura crassa Vin. Lissano pag. 335 » 26-27. Staurodictya longispina Vin. » » 336 » 28. » bononiensis Vin. » » 337 » 29. Hagiastrum ir regalar e Vin. » » 341 » 30. Theosyringium robustum Vin. Piada » 343 » 31. Sticliocapsa ampulla Vin. Lissano » 345 » 32. Staurosphaera gigas Vin. » » 333 » 33. Sethocapsa gatta Vin. Grizzana » 341 » 34. » prunum Vin. Lissano » 342 » 35. » flirta Vin. » » 342 » 36. Staurodictya (?) dubia Vin. » » 337 » 37. Dicolocapsa elongata Vin. » » 342 » 38. Lithocampe sp. Grizzana » 344 » 39-40. Dictyomitra bononiensis Viu. » » 343 » 41. Stichocorys pagoda Vin. Lissano » 344 » 42. Cyrtocapsa crassa Vin. » » 344 » 43. » Paronai Vin. » » 345 Tutte le figure sono ingrandite a 170 diam., e disegnate alla ca- mera lucida. Gli esemplari originali si conservano nel R. Museo mine- ralogico di Bologna. (Tav. III). 12 Boll. Soc. Geol. Ital. Yol. XIX (1900) AUCT. DIS STAB. MENOTTI BA8SANI A C. - MILANO BRIOZOI TERZIARI E POSTERZIARI DELLA TOSCANA Nota del socio Antonio Neviani (con 6 figure nel testo) Il presente studio, nel quale riassumo tutto quanto si conosce sui briozoi fossili terziari e posterziari della Toscana, è stato determinato dall’esame di numeroso materiale, che ho potuto avere specialmente, per mezzo del prof. Canavari, dal museo geologico della R. Università di Pisa; al Chino prof.1'6 pertanto presento pubblicamente i miei più vivi ringraziamenti. Fra le varie collezioni esaminate, la più importante è quella conservata nel museo di Pisa, formata da esemplari provenienti dal calcare lenticolare di Parlaselo e S. Prediano, che in gran parte fu determinata dal Meneghini, ed in seguito riveduta e pubblicata dal De Amicis. Parecchie determinazioni portano nomi di specie nuove del Meneghini, ma queste si riferiscono pur troppo a forme che vennero già da tempo descritte e figurate da vari autori, cosicché nessuna di esse può entrare a far parte del patri- monio scientifico. Il De Amicis, nel suo lavoro sui fossili del cal- care ad Amphistegina, riportò solamente i nomi dati dal Mene- ghini senza discuterli punto; anzi credo che neppure gli altri briozoari sieno stati sottoposti ad attento esame dal valente rizo- podista, perchè ben poche determinazioni ho trovato corrispon- dere alle moderne denominazioni e concetti di classificazione. L’elenco complessivo dei briozoi fossili della Toscana, è por- tato a 112, dei quali 16 si riferiscono all’eocene ; gli altri sono del pliocene e del postpliocene; del miocene non abbiamo forme specificamente determinate; una sola forma deve ritenersi per nuova; vennero poi messe in evidenza alcune varietà interessanti. Per amore di brevità, riporto per ogni specie solamente la bibliografia dei lavori che trattano di località toscane, citandole con i numeri che pongo accanto alle memorie del seguente 24 350 A. NEVIANI ELENCO BIBLIOGRAFICO. 1. — Busatti L. — Appunti stratigrafici e paleontologici sopra Vallebiaia, comune di Fauglia in provincia di Pisa. Atti Soc. Tose. Se. Nat., voi. XII, Pisa 1893. Del pliocene superiore di Vallebiaia, sono citate : 4. Bt iflustra delicatula Buse (1). 34. Lepralia violava (2) John. 14. Membranipora nolostoma (3) S. Wood. 5. » Savartii Aud. 2. — De Amicis Giov. Aug. — 11 calcare ad Ampliistegina nella provincia di Pisa ed i suoi fossili. Atti Soc. Tose. Se. Nat., voi. VII, con 1 tav., Pisa 1885. Il Calcare lenticolare viene dall’ A. attribuito al pliocene, e ritenuto di formazione littoranea, contemporanea alla deposizione delle sabbie gialle ed argille turchine subappenniniche. I Briozoi sono : 95. Berenicea congesta Heuss. 61. » echinulata Reuss. 97. Entalophora anomala Reuss. 89. Filisparsa biloba Reuss. 104. Plethopora Ibex sp. n. Mgh. 105. Fascicularia audeontium M. Edw (4). 61. JReptimulticava cavernosa Micht. 108. » simplex Micht. 37. Ceriocava mcgalopoca (5) Reuss. 111. » Arbasculum (fi) Reuss. (*) Per agevolare il riscontro delle specie denominate nel presente elenco bibliografico, con l'enumerazione sistematica successiva, ho se- gnato accanto a ciascuna di esse il numero d’ordine relativo. (2) Leggi : violacea. (3) » liolostoma. (*) » aurantium. (5) » megalopora. (G) » arbutsculum. BR10Z0I TERZIARI E P0STERZIAR1 351 103. 1. 6. 12. 14. 9. 14. 18. 20. 4. 15. 15. 51. 16. 33. 48. 29. 64, 97. 64. 54. Heteroporella radiata Buse:. Aetea sica Co. Membranipora nobilis Reuss. » minima sp. n. Mgh. » excavata sp. n. Mgh. » squamata sp. a. Mgh. » anguiosa Reuss. » calpensis Bk. » Rossellii Aud. » reticulum Michel. Lepralia innominata Cod. (1). » raricostata Reuss. » squamoidea Reuss. » Haueri Reuss. » decorata Reuss. » pertusa Tohast. (2). » dilata Pallas. Eschara varians Reuss. » papillosa Reuss. » con feria Reuss. 70. » sp. 35, 53. Escharina gracilis d’ORB. 35. Escharinella (3) elegans sp. u. Mgh. 37. Porina scrobiculata Reuss. 63. » Beassi n. sp. Mgh. 56. Retepora ecldnulata Blain. 59. Semiflustrella limarioides sp. n. Mgh. 61. Cellepora tubigera Buse. 61. Reptocelleporaria globulari Bru. 61. » sp. 23. Rincularla submarginata d’ORB. 44. Myriozoum truncatum Donati. 64. » punctatum Phil. 104. » clavatum sp. n. Mgh. (') Leggi: Couch. (2) » Johnst. (3) » Escliarellina. 352 A. NEVIANI 3. — Mantovani Pio. — Catalogo illustrato delle collezioni di Storia Naturale del R. Istituto Tecnico di Livorno. Livorno 1883. Dal postpliocene : 44. Myrìozoum truncatum d’ORB. 55. Betepora collimila ta Lk. 75. Cellepora sp. sp. Dal pliocene: . 70. Esci tara sp. ind. 4. — Manzoni Angelo. — Saggio di conckiologia fossile subappennina : Fauna delle sabbie gialle. Imola , 1868.- Dalle sabbie del pliocene superiore di Vallebiaia sono: 22. Salicornaria farciminoides John. 14. Membranipora Savartii Aud. (*) 14. » holostoma S. W. 48. Lepralia pertu.sa John. 34. » violacea » 5. Bif lustra délicatula Bk. 24. Cupularia canariensis Bk. 81. Ho mera sp. 5. — Manzoni Angelo. — Briozoi fossili italiani. 2a Conti-. Site. d. le. Alcad., XXIX Bd., I Abth.; Taf. I, II, Wien 1869. Delle varie specie descritte provengono dalla Toscana le se- o 21. Membranipora exilis n. sp. pliocene Volterra 19. » Oceani d’ORB. » S. Regolo (Pisa) 4. » Lacroixii Sav. » Volterra 33. lepralia decorata Rss. » S. Regolo (Pisa) 31. » Morrisiana Bk. quaternario Livorno 15. » innominata Couch. » » 65. » mammillata S. Wood. » » 29. » utriculus n. sp. pliocene Volterra 29. » » var. quaternario Livorno 28. » Brofjniartii Aun. pliocene Volterra (l) Questa è la M. anguiosa Rss., come corregge lo stesso Mnz. in Br. foss. ital. 3* conti-, pag. 331. BRIOZOI TERZIARI E POSTERZIARI 353 46. Lepralia unicornis Johnst. 66. » venusta Eichw. 47. » Bowervarikiana Bk. 48. » per fusa ? Auct. pliocene Volterra » S. Regolo (Pisa) quaternario Livorno pliocene Volterra 5.bis — Manzoni Angelo. — Bryozoi fossili Italiani. Terza contrib. Sitz. cì. mat. etc. LX Bd., I Abtli., Taf. I-IV. Wien 1869. Della Toscana sono: 15. Lepralia scripta Rss. 40. Lepralia cupulaia n. sp. 6. — Manzoni Angelo. — Bryozoi fossili Italiani. Quarta contrib. Sitz. d. mat. etc., LXL Bd., LAbth., Taf. I- VL. Wien 1870. Solamente 5 sp. delle 28 sp. descritte in questa monografia, sono della Toscana, e cioè : 22. Salicornaria farciminoides John, plioc. Colli di Pisa; qua- ternario Livorno. 23. » cuspidata n. sp. plioc. Colli di Pisa. 9. Membranipora annulus n. sp. mioc. Nugola. 14. » anguiosa Rss. pliocene Colli di Pisa e Val d’Arno infer. 20. » Rosselli Aud. quatérn. Livorno. 38. Eschara foliacea Lame. » » 7. — Neviani Antonio. — Contribuzione alla conoscenza dei briozoi fossili italiani. Briozoi postpliocenici del sottosuolo di Livorno. Boll. Soc. Geol. Ltal ., voi. X, tav. LV. Roma 1891. 3. Scrupocellaria elliptica Rss. 2. Caberea Borigi Aud. 22. Cellaria fstulosa Lin. 4. Membranipora reticolimi Lin. 9. » annulus Mnz. 10. » » var. explanata n. v. 29. Microporella ciliata Lin. 28. Chorizopora Brongniarti Aud. 74. Porina borealis Bk. 37. » columnaris Mnz. 40. Lepralia adpressa Bk. 38. » foliacea Ell. et Sol. 354 A. NEVI ANI 64. Dorella undulata Rss. 41. Escharoides pertusa M. Edw. 52. » monilifera M. Edw. 62. Smittia Landsborovii John. 36. » Adae n. sp. 55. Retepora cellulosa Lin. 61. Cellepora tubigera Bk. 68. » ramulosa Lin. 24. Cupularia canariensis Bk. 78. Crisi a Hórnesi Rss. 77. » elongata M. Edw. 76. » fistulosa Hell. 79. Crisia De Stefanii n. sp. 85. Idmonea atlantica Eorb. 84. » vibicata Mnz. 83. » pseudodisticha Hag. 86. » Targionii n. sp. 89. Filisparsa varians Rss 88. » Delvauxii Pero. 99. Pustidopora Smittii Pero. 97. Entalophora proboscidea M. Edw. 98. » D’Anconac n. sp. 94. Diastopora latomar pinata cPOrb. 96. Mesenteripora Eudesiana M. Edw. 80. Hornera frondiculata Lk. 104. Frondipora Marsilii Miche. — Ceriopora globulus Rss. (1). 8. Neviani Antonio. — Briozoi fossili illustrati da Soldaui Ambrogio nel 1780. Doli. Soc. Rom. St. Zool., voi. IV. Roma 1805. Sono passate in rassegna le specie di briozoari descritti e figurati nel « Saggio orittografico, Siena, 1780 » (14) che sareb- bero le seguenti : — Ceriopora globulus Rss. Casentino. 4. Membranipora reticulum Lin. Crete senesi. (l) Questa specie venne dallo stesso A. riconosciuta per un fora- minifero. BRIOZOI TERZIART E POSTERZIART 355 22. Melicerita fistolosa Lin. Volterra. 26. Copularla Reussiana Mnz. Siena e Volterra 25. » umbellata Defr. » 24. » canariensis Bk. » 27. Lunularia ? » 72. Batopora rosula Bss. S. Q idrico. 75. Cellepora sp. Bipalta. 60. Retepora sp. » 9. — Neviani Antonio. — Briozoi neozoici di alcune loca- lità d’Italia. Parte II, cap. 6°, Briozoi del calcare ad Amphiste- gina di Parlaselo. Boll. Soc. Boni. St. Zool.; voi. IV. Roma 1895. Sono studiati i briozoari già appartenenti al dott. Angelo Manzoni, e conservati nel museo di Geologia della B. Università di Bologna, essi sono: 9. Membranipora goleata Bk. 20. Micropora [ Rosseliana ] Bosselii Aud. 18. » [Calpensia] impressa Moll 14. Onychocella anguiosa Bss. 15. Cribrilina radiata Moll 16. » [Figidaria] Jonst. 29. Microporella [ Fenestrulina \ ciliata Lin. 30. » » » var. Castrocarensis Nev. 33. » [Calloporina] decorata Rss. 44. Myriozoum truncatum Pali.. 48. Schizoporella sanguinea Smitt. 49. » » var. imperforata Mnz. 51. » squamo idea Bss. 61. Osthimosia coronopus S. Wood. 71. Cycloporella costata M. Gill. 67. Smittia [ Palmicellaria ] Slcenei Sol. 92. Tubulipora [ Stomatopora ] major John. 103. Lichenopora Inispida Flem. 105. Fascicularia aurantium M. Edw. 356 A. NEVIANI 10. Neviani Antonio. — Briozoi neozoici di alcune località d’Italia. Parte III, cap. 11°, Briozoi postpliocenici di Livorno. Boll. Soc. Boni. St. zoo l; voi. V. Roma 1S9G. È una revisione della memoria pubblicata dall’A. nel 1891 (vedi n° 7) ; ne risultano le seguenti specie : 2. Cab crea Boryi Avo. 3. Scrupocellarla elliptica Rss. 9. Membranipora goleata Bk. 10. » » var. explanata Nev. 4. » reticulum Lin. 11. » minax Bk. 22. Melicerita fstulosa Lin. 23. » Johnsoni Bk. 24. Capotarla canariensis Bk. 28. Chorìsopora Brongniartli Aud. 29. Microporella [ Fenestrulina ] dilata Lin. 37. » WJlporula) verrucosa Peach. 36. » » Adae Nev. 38. Hlppoporlna foliacea Ell. et Sol. 39. » » » var. bidentata M. Edw.. 40. » adpressa Bk. 41. JEscharoides pertusa M. Edw. 52. Schlzoporella monilifera M. Edw. 61. Osthimosla corouopus S. Wood. 55. Rctcpora cellulosa Linn. 62. Smittia Landsborovl Johnst. 64. » [Marsillca\ cervicornls Pall. 68. Umbonula ramidosa Lin. 74. Porlna borealis Bk. 78. Crlsia Hdrnesl Rss. 77. » elongata M. Edw. 76. » fistolosa Hll. 79. » De Stefanii Nev. 80. Hornera frondlculata Lamk. 85. Idmonea atlantica Fokb. 84. » vibicata Mnz. 83. » pseudodisticha Hag. BRIOZOI TERZIARI E POSTERZIARI 357 86. Idmonea Milneana d’ORB. 88. Tubulipora [ Filisparsa ] Delvauxii Pero. 89. » » varians Rss. 94. » [ Diastopora ] latomarginata d’ORB. 96. » [Mesenteri poni] meandrina S. Wood. 97. Entalophora próboscidea M. Edw. 98. » d’Anconae Nev. 99. » Smitti Perg. 104. Frondipora Marstlii Miche. 11. — - Ne vi ani Antonio. — Briozoi eocenici del calcare num- mulitico di Mosciano presso Firenze. Boll. Soc. Geoì. ItaL, vo- lume XIV, Boìna 1895. La faunula a briozoi di questa interessante località è così rappresentata : 7. Membranipora Hookeri Ha m. 8. » macrostoma Kss. 18. » sp. 14. Onychocella anguiosa Kss. 73. Conescharellina eocoena Nev. 60. Rctepora sp. 83. Idmonea cfr. carinata Rom. 91. Pavotubigera flabellata d’ORB. 93. Diastopora tenuis Rss. 102. Defrauda stellata Rss. 109. Heteropora anomalopora Goldf. 107. » dichotoma Goldf. 106. » stipitata Rss. 110. Fungella plicata Hag. 112. Ceriopora megalopora Rss. 111. » arbusculum Rss. 12. — Sacco Federico. — L’ Appennino settentrion. Parte III, La Toscana. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XIV, Roma 1895. Sono riportate le specie studiate nella mia precedente me- moria (11). 358 A. NEVIANI 13. — Simonelli Vittorio. — Il monte della Verna ed i suoi fossili. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. II, Roma 1883. Nelle sabbie mioceniche presso Chiusi, sono: 75. Cellepora sp. 70. Escliara sp. 69. Lepralia sp. 1-1. — - Soldani Ambrogio. — Saggio orittografico, ovvero osservazioni sopra le terre nautiliche ed ammonitichc della To- scana. Siena 1780. I briozoari studiati e figurati in questa memoria vennero da me recensionati nella sopra indicata memoria al n° 8. 15. Soldani Ambrosius. — - Testaceographiae ac zoophyto- graphiae parvae et microscopieae. Senis 1789-1798. In questa classica memoria del Soldani sono illustrate mol- tissime forme di Briozoari, ma di essi non ho ancora comple- tato lo studio per poterne presentare un elenco. 16. — Trabucco Giacomo. — Stratigrafia dei terreni ed elenco delle rocce della provincia di Firenze. Firenze 1898. A proposito del calcare screziato di Mosciano, attribuito a! Parisiano, FA. riporta, fra i vari fossili, l’elenco dei briozoari da me precedentemente studiati (v. n° 11). ENUMERAZIONE DELLE SPECIE ('). Cheilostomi. 1. Aetea recta Hincks. — Alcuni esemplari dal plioc. sup. di Parlascio (De Amicis 2, p. 25, Aetea sica Co.)(2). 2. Caberea Boryi Aud. — Pochi frammenti dal plioc. sup. di S. Frediano (mia coll.). Comune nel postplioc. di Livorno (Ne- viani 7, p. Ili, t. IV, f. 1; Nev. IO, p. 121). (') Vengono indicati con M. P. gli esemplari conservati nel Museo di Geologia della R. Università di Pisa; e con mia coll, quelli della mia privata collezione. (*) Le determinazioni date da ciascun autore sono riportate colla medesima grafia; cosi trascrivo: megaìopoca, nólostoma, invece di correg- gere: megalopora, holostoma, ecc. BRIOZOI TERZIARI E POSTERZlARf 359 3. Scrupocellaria elliptica Reuss sp. — Alcuni piccoli fram- menti dal plioc. Slip, di S. Frediano (mia coll.). Comunissima nel postpliocene di Livorno (Neviani 7, p. 110; Nev. IO, p. 121). 4. Membranipora reticulum Lin. sp. — Varie colonie esca- roidi dal plioc. sup. delle colline pisane (M. P.) ; una colonia sopra un frammento di Pecten, dal plioc. sup. di Nugola (M. P.); comune nel plioc. sup. di Vallebiaja (M. P. ; Busatti 1, p. 81, Biflnstra delicatula Bk.); un frammento dal plioc. sup. di Par- lascio (M. P., Siphonella texturata Rss. sp.); alcuni esemplari dal plioc. sup. di S. Frediano (mia coll. ; De Amicis 2, p. 26, Membr. reticulum Michel.); comune nel postpliocene di Livorno (Neviani 7, p. 114; Nev. IO, p. 121); rarissima nel plioc. delle colline di Volterra (Manzoni 5, p. 514, t. I, f. 4, Membr. La- croixii Say.); in frammenti nelle crete senesi (M. P. ; Soldani 14, p. 119, t. XIII, f. D, cor atto- fungitae in modum bacilli brevius- culi conformati, intus et extra voi stellati , vel diversimode per- forati; Neviani 8, p. 64). 5. Membr. Savarti Aud. sp. — In frammenti colla prece- dente nel plioc. sup. di Vallebiaja (M. P. ; Busatti 1, p. 81; Manzoni 4, p. 71, Biflustra delicatula Bk.). 6. Membr. irregularis d’Orb. — Pochi frammenti dal plioc. sup. di S. Frediano (mia coll.); alcune colonie incrostanti masse colleporoidi dal plioc. sup. di Parlascio (M. P. e De Amicis 2, p. 25, Membr. nobilis Rss.). 7. Membr. Hookeri Haime. — Due esempi, dal calcare num- mulitico di Mosciano (Neviani 11, p. 120; Sacco 12, p. 204, Trabucco 16, p. 18). 8. Membr. macrostoma Rss. sp. — Sei esempi, dal calcare nummulitico di Mosciano (Neviani 11, p. 121 ; Sacco 12, p. 204, Trabucco 16, p. 18). 9. Membr. galeata Bk. — Un frammento dal plioc. sup. di Vallebiaja (M. P.) ; molto frequente nel plioc. sup. di Parlascio 360 A. NEVIAN1 (M. P., e De Amicis 2, p. 26, Membr. squamata Mngh.; Neviani 9, p. 233); molti frammenti dal plioc. sup. di S. Frediano (mia coll., M. P.); comune nel postpliocene di Livorno (Neviani 7, p. 116, Membr. annulus Manz. ; Nev. 10, p. 121); dal miocene (?, fide Manzoni) di Nugola (Manzoni 6, p. 329, t. I, f. 6). 10. Membr. galeata Bk., var. explanata Nev. — Rarissima nel postpl. di Livorno (Neviani 7, p. 116, t. IY, f. 2; Nev. 10, p. 121). 11. Membr. minax Bk. — Rara nel postpliocene di Livorno (Reviani 10, p. 121). 12. Membr. sp. — Una colonia, formata di piccoli zoeci con- fusi, indeterminabili, aderente ad un frammento di Smittia cer- vicornis Pall., proveniente dal pliocene sup. di Parlaselo. L’e- semplare appartiene al M. P. colla scritta « Membranipora mi- nima Mgh. n. sp. ad Eschara polyomma » ; con tale denomina- zione venne pubblicato dal De Amicis 2, p. 25. 13. Membr. sp. — Un frammento dal calcare nummulitico di Mosciano (Neviani 11, p. 121; Sacco 12, p. 204; Trabucco 16, p. 18). 14. Onyehocella anguiosa Rss. sp. — Frequente nel plioc. sup. di Yallebiaja (M. P.; Busatti 1, p. 81, Membr. nolostoma S. W.; Manzoni 4, p. 69, Membr. Savartii Aud. ; Manz. 4, p. 70, Membr. holostoma S. W.). Il Busatti ed il Manzoni citano fra i briozoi di Vallebiaja una M. holostoma S. W., che non ho trovato nelle collezioni del museo di Pisa, nè nel materiale da me pos- seduto. Questa è una specie del Crag inglese, della quale ho vari esemplari nelle mie collezioni, e per quanto sia specie ben distinta, pur tuttavia si può, con un esame superficiale, confon- dere con M. anyulosa Rss. La denominazione poi di Membr. Savartii Aud., venne corretta dallo stesso Manzoni, in 4a Conti*., p. 331. Comune nel plioc. sup. di Parlascio e S. Frediano (M. P., un esempi, determinato: Eschara sp. n., un secondo: Membr. BR10Z0I TERZIARI E POSTERZIAR1 361 excavata Mgh. sp. n. ; De Amicis 2, p. 26, riporta la determina- zione del Meneghini, ed anche quella di Membr. anguiosa Rss. ; Neyjani 9, p. 233). Dal plioc. del Val d’Arno inferiore, e presso Pisa (Manzoni 6, p. 331, t. II, f. 10). Un frammento allo stadio di Vmcularia, dal calcare num- mulitico di Mosciano (Neviani 11, p. 122; Sacco 12, p. 204; Tra- bucco 16, p. 18). 15. Cribrilina radiata Mole sp. — Non molto comune nel plioc. sup. di S. Frediano e Parlascio (De Amicis 2, p. 26, Le- pralia innominata Cod. e L. raricostata Rss. ; Nevi ani 9, p. 233). Colla indicazione generale di « pliocene della Toscana » trovasi in Manzoni 5 bis, p. 933, t. I, f. 1, 2, Lepr. scripta Rss.); nel quaternario di Livorno (Manz. 5, p. 517, Lepr. innominata Couch. 16. Cribr. [Fignlaria] tigni a- ris John. sp. (fig. 1). — Abba- stanza comune a S. Frediano e Par- lascio (De Amicis 2, p. 27, Lepr alia Haueri Rss.; Neviani 9, p. 234). 17. Membraniporella nitida John. sp. — Un piccolo frammento con zoeci ben distinti; dal plioc. sup. di S. Frediano) mia coll.). 18. Micropora [Calpensia] impressa Moll sp. — Alquanti esemplari provengono dal plioc. sup. di S. Frediano e Parlascio (mia coll.; De Amicis 2, p. 26, Membr. calpensis Bk.; Nev. 9, p. 233); una grossa colonia da S. Lorenzo (M. P., Multiescha- rellina subnobilis d’Orb.). 19. Micr. [Gargantua] oceani d’Orb. sp. — Dal plioc. di S. Regolo-Pisa (Manzoni 5, p. 514, t. I, f. 3, Membr anipor a). 20. Micr. [Rosseliana] Rossetti Aud. sp. — Alcuni esem- plari da S. Frediano e Parlascio (De Amicis 2, p. 26, Membra- 362 A. NEVIANI nipora ; Ne vi ani 9, p. 233); dal quaternario di Livorno (Man- zoni 6, p. 333, t. TU, f. 15, Mernb ran ipora). 21. Mici*. [Manzonella] exilis Mnz. sp. — Dal plioc. di Vol- terra (Manzoni 5, p. 512, t. I, f. 1, Membranipora exilis Mnz. n. sp.). 22. Melicerita fistulosa Lin. sp. — Dal plioc. sup. di Val- lebiaja (Manzoni 4, p. 69, Salicornaria farciminoides John.); al- cuni frammenti da S. Frediano (mia coll.); colla indicazione ge- nerale di «Colli di Pisa» (Manzoni 6, p. 326, t. I, f. 2); dal quaternario di Livorno (Mnz. 6, p. 326; Nev. 7, p. 112, Cella- ria; Nev. 10, p. 121); dal plioc. di Volterra (Soldani 14, p. 119, t. XIII, f. F, corallo-fungitae in modum bacali brevmsculi confor- mati, intus et extra vel stellati, vel diversimode perforati. Ne- viani 8, p. 64). — Con ogni probabilità alla specie Linneana devesi, per le citazioni del Manzoni, aggiungere la seguente. 23. Melic. Jolmsoni Bk. sp. — Colla precedente nei calcari di S. Frediano e Parlascio (M. P., Vincularia tenuissima Mgh. sp. n., con altre specie; Vinc. submarginata d’Orb. — V. mar- ginata Rss., non Goldf.; De Ahicis. 2, p. 29, Vinc. submarginata d’Orb.); dal plioc. sup. di Vallebiaja (M. P.); colla indicazione generale di «Colli di Pisa» (Manzoni 6, p. 327, t. I, f. 3, Sali- cornaria cuspidata Mnz.); comune nel quaternario di Livorno (Neviani IO, p. 121); alcuni frammenti dal pliocene di Spuntone (M. P., Vincularia submarginata d’Orb.). 24. Ciipularia canariensis Bk. — Poco comune nel plioc. sup. di Vallebiaja (M. P.; Manzoni 4, p. 71); rara nel quater- nario di Livorno (Neviani 7, p. 130; Nev. IO, p. 121); un esem- plare da Pienza- Montepulciano (M. P., Cupulites sp.); dal plioc. di Siena e Volterra (Soldani 14, p. 19, t. XIII, f. 68, BB, CC, corallo-fungitae, seu cscaritae orbiculares, ecc. ; Neviani 8, p. 64). 25. Clip, umbellata Defr. — Pochi frammenti dal plioc. su]), di Vallebiaja (M. P.); pochi esemplari dal plioc. di Siena e Volterra (Soldani 14, p. 119, t. XII, f. Z, A, corallo-fungitae, BRIOZOI TERZIARI E POSTERZIAR1 363 seu escaritae orbicuìares, ecc. ; Ne vi ani 8, p. 64 ; M. P., Disco- flustrella umbellata Mich. sp., ed anche Discoporella umbellata Defr. sp.). 26. Cup. reussiaua Manz. — Poche colonie dal plioc. di Siena e Volterra (Solda.ni 14, p. 119, t. XII, f. 68, Y, corallo- fungitae, seu escaritae orbicuìares, ecc.; X eviani 8, p. 64; M. P., Cupularia papillosa - Mngh. n. sp.). 27. Lunularia sp. — .Dal pliocene di Siena e Volterra (Sol- dani 14, p. 119, t. XIII, B, C, corallo-fungitae, seu escaritae orbi- culares, ecc.; Ne vi ani 8, p. 64). 28. Chorizopora Brongniarti Aud. sp. — Dal plioc. di Li- vorno (Manzoni 5, p. 518, t. II, f. 9, Lepralia ; Neviani 7, p. 118, t, IV, f. 3; Nev. 10, p. 121). 29. Microporella [Fenestrulina] ciliata Lin. sp. — Dal plioc. sup. di S. Frediano (mia coll.; De Amicis 2, p. 27, Lepralia ); e da Parlaselo (Neviani 9, p. 234); rara nel quaternario di Li- vorno (Manzoni 5, p. 518, t. II, f. 10, Lepralia utriculus Mnz., var.; Neviani 7, p. 117; Nev. 10, p. 122); dal plioc. di Volterra (Manz. 5, p. 518, Lepralia utriculus Mnz. n. sp.). 30. Micr. [Fenestr.] ciliata var. ca- strocarensis Nev. — Rara nel plioc. sup. di Parlaselo (Neviani 9, p. 234). 31. Micr. [Fenestr.] ciliata var. mor- risiana Bk. sp. — Dal quaternario di Li- vorno (Manzoni 5, p. 516, t. I, f. 7, Le- pralia mor ristana Bk.). 32. Micr. [Fenestr.] ciliata var. se- nensis n. var. (fig. 2). — In questa nuova varietà l’orificio è alquanto allungato nel diametro antero-posteriore ; il margine prossimale è rettilineo, con due brevi insenature agli angoli laterali: il margine distale presenta 364 A. NEVIANI ima o tre larghe inserzioni di spine orali. I due grossi avicellari sono posti in alto, ai lati dell’orifìcio zoeciale, e disposti obliquamente in dentro, in modo da formare col loro margine interno, un con- torno rilevato all’orificio. La fenestrata è piccola, perfettamente rotonda, non sempre ben distinta; poche e larghe perforazioni sono sparse sulla frontale. Ho riscontrato questa bella varietà in una colonia aderente alla superficie inferiore di una Cumularla umbellata Defr. del pliocene di Siena (M. P.). 33. Mici-. [Calloporina] decorata Rss. sp. — Poco frequente nel plioc. sup. di S. Frediano (De Amicis 2, p. 27, Lepralia ) e di Parlascio (Neviani 9, p. 234); nel plioc. di S. Regolo-Pisa (Manzoni 5, p. 515, t. I, f. 6, Lepralia). 34. Mici*. [Heckelia] violacea John. sp. — Dal plioc. sup. di Vallebiaja (M. P.; Busatti 1, p. 81, Lepralia violaca; Man- zoni 4, p. 70, Lepralia). 35. Micr. [Reussina] polystomella Rss. sp. — Varie colonie escaroidi del pliocene dei colli di Pisa (M. P.); alcune colonie dal plioc. sup. di S. Frediano (mia coll.) ; abbastanza frequente a Parlascio (M. P., Escharina gracilis d’Orb., Esehara sp. n., ed anche Escharellina elegans Mngh. sp. n.; De Amicis 2, p. 28, Escharina gracilis d’Orb., e Escharinella elegans Mgh.). 36. Micr. [Diportila] Adae Nev. sp. — Rarissima nel post- pliocene di Livorno (Neviani 7, p. 127, Smittia ; Nev. IO, p. 122). 37. Micr. [Dip.] verrucosa Peach sp. — Pochi frammenti adulti del plioc. dei colli di Pisa (M. P.); frequente nel plioc. sup. di S. Frediano (mia coll.); meno frequente a Parlascio (M. P., Porina scrohi culata Rss. sp. e Ceriocava megalopora Rss. sp.; De Amicis 2, p. 25, Ceriocava megalopoca Rss. p. 28, Porina scrohiculata Rss.); comune nel quaternario di Livorno (Neviani 7, Por ina columnaris Manz.; Nev. IO, p. 122). BRIOZOI TERZIARI E POSTERZIARI 365 38. Hippoporina foliacea Ell. et Sol. sp. — Un piccolo frammento dal plioc. snp. di Yallebiaja (M. P.); comune nel qua- ternario di Livorno (Manzoni 6, p. 340, t. I, f. 4, t. IV, f. 24, j Escha m; Ne vi ani 7, p. 123, Lepralia; Nev. IO, p. 122). 39. Hip. foliacea Ell. et Sol. var. bidentata M. Edw. sp. — Comune nel quaternario di Livorno (Neviani IO, p. 122). 40. Hip. adpressa Bk. sp. — Dal plioc. sup. di Yal d’Era (Manzoni 5 bis, p. 942, t. IY, f. 21, Lepralia copulata Manz.; Neviani 7, p. 122, Lepralia; Nev. IO, p. 122). 41. Hip. imbellis Bk. sp. — Un frammento dal plioc. sup. di S. Frediano (mia coll.); un frammento dal plioc. di Orciano (M. P.); rara nel quaternario di Livorno (Neviani 7, p. 125, e Nev. IO, p. 122, Escliaroides pertusa M. Edw.). 42. Hip. pallasiana Mole sp. — Un frammento dal pliocene sup. di S. Frediano (mia coll.). 43. Hip. delicatula Mnz. sp. — Un frammento alquanto dubbio (mia coll.) dal plioc. sup. di S. Prediano, cbe si appros- sima molto alla sp. descritta dal Manzoni del miocene di Torino (Mnz. 3a Contr. p. 940, t. Ili, f. 17). 44. Myriozoum francatimi Pall. sp. — Molto comune nel plioc. sup. di S. Prediano (mia coll. ; De Amicis 2, p. 29) ; pari- menti da Parlascio (M. P., Myriapora miocenica Micht.; De Am. 2, p. 29 ; Neviani 9, p. 234) ; un frammento dal plioc. di Siena (M. P.) ; altro frammento molto logoro dal plioc. di Belvedere -Yolterra (M. P., Cellepora tubigera Bk.) ; dal postpl. di Livorno (Manto- vani 3, p. 19). 45. Scliizoporella linearis Hass. sp. — Un frammento di colonia dal plioc. sup. di S. Frediano (mia coll.). 46. Scliiz. iinicornis John. sp. — Un frammentino di colonia dal plioc. sup. di Vallebiaja (M. P.); dal quaternario di Livorno (Manzoni 5, p. 519, Lepralia). 25 A. NEVI AN I 3G6 47. Schiz. bowerbankiana Bk. sp. — Nel quaternario di Li- vorno (Manzoni 5, p. 520, Lepralia). Questa specie del Crag in- glese, forse non è che una varietà della precedente. 48. Scliiz. sanguinea Norm. sp. — Alcuni frammenti dal plioc. sup. di Vallebiaja (M. P. ; Manzoni 4, p. 70, Lepralia per- tusa John.); non rara nel plioc. sup. di S. Frediano e Parlascio (De Amicis 2 , p. 27, Lepralia pertusa Tohast; Neviani 9, p. 234); dal plioc. di Volterra (Manzoni 5, p. 520, t. Il, f. 11, Lepralia pertusa? auct.). 49. Schiz. sanguinea var. imperforata Mnz. — Una colonia del plioc. sup. di Parlascio (var. inedita del Mnz. nel museo geo- logico di Bologna; Neviani 9, p. 234). 50. Schiz. volgari s Moll sp. — Una piccola colonia dal plioc. sup. di S. Fre- diano (mia coll.). 51. Schiz. squainoidea Rss.sp.(tig.3). — Dal plioc. sup. di S. Frediano (De Amicis 2, p. 27, Lepralia) e di Parlascio (Neviani 9, p. 234). 52. Schiz. monilifera M. Edw. sp. — Rarissima nel post-pliocene di Li- vorno (Neviani 7, p. 125, Escharoides ; Nev. IO, p. 122); un esemplare dal plio- cene di Siena (M. P., Escharellina monilifera M. Edw.). 53. Schiz. silicata Nev. — Una larga colonia del Museo di Pisa porta l’indicazione generale di « Colline pisane » ; un altro esemplare del plioc. sup. di Parlascio era determinato per Es- cìiarina gracilis d’Orb., e con tale denominazione venne pubbli- cata dal De Amicis 2, p. 28; molti frammenti poi provengono da S. Frediano (mia coll.). Figura 3. BRIOZOI TERZIARI E POSTERZIARI 367 54. Scliiz. silicata var. laevigata u. var. (fig. 4). — È un piccolo esemplare del Museo pisano, proveniente dal calcare lenticolare di Parlascio, e determinato per E scita ra conferta Rss. (vedi anche De àmicis 2, p. 27). I zoeci ripetono la forma della specie ti- pica; ne diversificano per avere la frontale continua e non percorsa da solchi, ed è im- perforata; ai lati dell’orifizio zoeciale, due brevi e robusti tubetti mi sembrano adibiti alla inserzione di due spine orali ; i grandi avicellari marginali alla colonia sono rego- larissimi. 55. Retepora cellulosa Din. sp. — Un frammento del plioc. dei colli di Pisa (M. P. ) ; vari frammenti dal plioc. sup. di S. Pre- diano (mia coll.) ; comune nel postplioc. di Livorno (Mantovani 3, Retepora echinulata Lk. ; Levi a nj 7, p. 128, t. IV, f. 8; Lev. IO, p. 123). 56. Ret. beauiana King. — Lon comune nel plioc. sup. di Parlascio (M. P. ; De Amicis 2, p. 28, Retepora echinulata Blainv.). 57. Ret. simplex Bk. — Alcuni frammenti che corrispondono esattamente alla specie del Crag inglese (Buse, Grog Poi. 1859, p. 76, t. XII, f. 3), provenienti dal pliocene sup. di S. Frediano (mia coll.). 58. Ret. Pignatarii Lev. — Un frammento dal plioc. sup. di S. Frediano, esattamente corrispondente alla specie tipica del postpliocene di Spilinga (mia coll.). 59. Ret. sp. — Alcuni frammenti del calcare lenticolare di Parlascio sono nel Museo pisano determinati per Semiflustrella limarioicles Mngh. n. sp. (De Amicis 2, p. 28) ; altri frammenti vennero raccolti anche a S. Frediano (mia coll.). Sono incerto se i frammenti in discorso appartengano al gen. Retepora ; si tratta di tronchi grossi, robusti, compressi, ra- 868 A. NEVI ANI «liticati con accenni a dicotomie ed anastomosi ; i zoeci si aprono tutti da una sola parte, ma nei vari esemplari esaminati non mi è riescito scorgere il limite dei zoeci, la forma dell’orificio zoeciale, che apparirebbe rotondeggiante, con una depressione nella parte prossimale, ove osservasi qualche cosa che potrebbe essere un avicellario ; ma gli esemplari sono vecchi, logori o cal- cinati, per vedere di più ; la superficie posteriore levigata è ta- lora percorsa da linee alquanto rilevate a guisa di vibici. 00. Ilei. sp. sp. — Dal pliocene di Ripalta (Soldani 14, p. 129; Neviani 8, p. 04); dal calcare nummulitico di Mosciano (Neviani 11, p. 123; Sacco 12, p. 204; Trabucco 16, p. 18). 01. Ostliimosia coronopus S. Wood sp. — Molto comune nel plioc. sup. di Parlaselo e S. Frediano. Nelle collezioni del Museo pisano si trovano esemplari determinati come: Reptomul- ticava cavernosa Michtt. sp., Reptocelleporaria globularis Ben. sp., Berenicea echinulata Rss. sp., Cellepora tubigera Bk. Cellepora sp., e con tali denominazioni vennero pubblicate dal De Amicis (2, p. 24 e 29); alcuni esemplari di Parlaselo trovansi nel Museo geologico di Bologna (Neviani 9, p. 235); pochi esemplari dubbi, perchè logori, dal pliocene di Belvedere (Volterra) e di Orciano (M. P.); comune nel postpliocene di Livorno (Neviani 7, p. 129, Cellepora tubigera; Nev. IO, p. 123). 62. Smittia Landsborovii -Johnst. sp. — Rarissima nel post- pliocene di Livorno (Neviani 7, p. 126, t. IV, f. 6; Nev. IO, p. 123). 63. Sm. Canavarii n. sp. (fig. 5). — Gli esemplari che rife- risco ad una nuova specie appartengono in parte al Museo geo- logico pisano, in parte si trovano nelle mie collezioni, e proven- gono dai calcari lenticolari del pliocene superiore di S. Frediano e di Parlascio. Gli esemplari posseduti dal museo pisano (Parlascio) furono in parte determinati per « Farina Reussi Mngh. n. sp., R. diplostoma Rss., non Pii i l. », ed in parte per « Eschara varians Rss.»; e colla denominazione di Porina Reussi Mngh. vennero pubblicati BR10Z0I TERZIARI E POSTERZIARI 369 dal De Amicis 2, p. 28. Ma queste colonie sono logore e troppo adulte per potere su di esse fare una diagnosi esatta, tanto che il prof. Meneghini, da esperto paleontologo qual’era, vide le ana- logie con P. diplostoma, ma non potè distinguere che detti brio- zoari non si dovevano riferire nè ad Eschara diplostoma Philippi (1843, Tertiaerversteinerungen, p. 38, t. I, f. 20), nè ad Eschara diplostoma Phil. in Keuss (1864, Oberoligocans, p. 35, t. XI, f. 1 e 4; 1866, Septarienthones, p. 69, t. XI, f. 5-7). Un frammento trovato fra il ricco materiale della mia col- lezione, che nel 1893 mi venne gentilmente offerto in dono dal collega ed amico prof. Gl. A. De Amicis, mi ha permesso una più esatta diagnosi, e di esso presento la figura di quattro zoeci. I zoari hanno forma di ba- stoncini cilindrici, robusti, con po- che file alterne di grandi zoeci ; questi sono subquadrangolari, a margini ondulati, alquanto più larghi in alto che in basso; un grosso cordone divide i singoli zoeci la cui frontale appare ad un livello più basso. La bocca, od orificio zoeciale, è subcircolare con una incisura nella parte pros- simale; questa particolarità mi ha fatto per vario tempo credere si trattasse di una Schizoporella, ma un pajo di zoeci meglio con- servati mi hanno messo in ri- lievo il dente caratteristico di Smittia. Il peristoma, calloso, grosso, in alcuni zoeci si confonde lateralmente con i cordoncini marginali sopra indicati; di sotto si prolunga a circondare un avicellario, abbastanza grande, colla mandibola acuta rivolta in giù, di esso non ho potuto mai vedere la sbarra trasversale; il prolungamento del peristoma, divenuto periavicellare, si confonde poi colla frontale; quest’ultima ha superficie rozza e presenta pochi e larghi origelli marginali irre- golarmente distanziati. 370 A. NEVI ANI Oltre alle soprariportate citazioni del Philippi e del Reuss, credo opportuno ricordare che non poche analogie si osservano con la Smittia Tatei S. Wood in Waters, 1882, Mount Gambier, p. 271, t. Vili, f. 21. 64. Sin. [Marsillea] cervicornis Pall. sp. — Estremamente comune in tutti i giacimenti. Stante il suo polimorfismo l’ho tro- vata nelle collezioni del museo pisano determinata coi più sva- riati nomi, e cioè: Eschara papillosa Rss., E. polyomma Rss., E. varians Rss., Crescis damaecornis Mngh. n. sp., e persino Myriozoum punctatum Phil. sp. Con le denominazioni di E. va- rians, E. papillosa e Myr. punctatum venne pubblicata dal De Amicis (2, pag. 27 e 29). Tutti questi esemplari provengono da Parlaselo; io ne posseggo moltissimi di S. Frediano. Connine pure nel postpliocene di Livorno (Neviani 7, p. 124, Porella un- dulata Rss.; Nev. IO, p. 123). 65. Sin. [Mucronella] cocciuea Abildg. sp. — Non comune nel plioc. sup. di Parlaselo (M. P.) e S. Prediano (mia coll.); nel quaternario di Livorno (Manzoni 5, p. 517, t. II, f. 8, Lepredia mammillata S. Wood.). 66. Sili. [Mucr.] venusta Eichw. sp. — Dal pliocene di S. Re- golo-Pisa (Manzoni 5, p. 519, Lepralia). 67. Sili. [Pai miceli aria] Skenei Sol. sp. — Due colonie dal plioc. sup. di Parlaselo (Neviani 9, p. 235). 68. Umbonula ramulosa Lin. sp. — Alcuni frammenti dal plioc. sup. di S. Frediano (mia coll.); comunissima nel postplio- cene di Livorno (Nevjani 7, p. 129, t. IV, f. 9-12, Cellepora; Nev. IO, p. 123). 69. Lepralia sp. — Nelle sabbie mioceniche di Chiusi (Si- monelli 13, p. 273). 70. Eschara sp. — Dal plioc. di Parlaseio e S. Frediano (De Amicis 2, p. 27); nel pliocene di Livorno (Mantovani 3, p. 19); nelle sabbie mioceniche di Chiusi (Simonelli 13, p. 273). BRIOZOI TERZIARI E POSTERZIARI 371 71. Cycloporella costata M. Gill. sp. — Due colonie dal plioc. sup. di Parlascio (Neviani 9, p. 235). 72. Batopora rosula Bss. sp. — Dal pliocene di S. Quirico (Soldani 14, p. 130, t. XVI, f. 83, Hystrices marinas minimas ; .Ne vi ani 8, p. 64). 73. Conescharellina eocoeua Nev. — Un esemplare dal cal- care nummulitico di Mosciano presso Firenze (Neviani 11, p. 122, fig. nel testo; Sacco 12, p. 204, Trabucco 16, p. 18). 74. Boriila borealis Bk. sp. — Comune nel postpliocene di Livorno (Neviani 7, p. 120, t. IV, f. 4, 5; Nev. IO, p. 123). 75. Cellepora sp. — Dal pliocene di Ripalta (Soldani 14, p. 128, t. XV, f. 79, Escharites ecc. ; p. 129, Escharites arboreus; p. 129, t. XV, f. 81, Escharites; Neviani 8, p. 64); dal postplio- cene di Livorno (Mantovani 3, p. 19); dalle sabbie mioceniche di Chiusi (Simonelli 13, p. 273). ClCLOSTOMI. 76. Crisia fistolosa Heller — Comunissima nel postplio- cene di Livorno (Neviani 7, p. 134; Nev. IO, p. 123). 77. Cr. eloogata M. Edw. — Comunissima nel postpliocene di Livorno (Neviani 7, p. 133; Nev. 10, p. 123). 78. Cr. Hornesi Bss. — Alcune colonie dal plioc. sup. di S. Frediano (mia coll.); comunissima nel postpliocene di Livorno (Neviani 7, p. 131, t. IV, f. 13; Nev. 10, p. 123). 79. 'Cr. De Stefanii Nev. — Rarissima nel postpliocene di Livorno (Neviani 7, p. 135, t. IV, f. 14-16; Nev. IO, p. 123). 80. Horuera frondiculata Lk. — Un frammento dal plioc. dei colli presso Pisa (M. P.); varii frammenti dal plioc. sup. di S. Frediano (mia coll.); rara nel postpliocene di Livorno (Ne- viani 7, p. 145; Nev. 10, p. 123). 372 A. NEVIANI 81. Hoc. sp. — Dal plioc. sup. di Yallebiaja (Manzoni 4, p. 71). 82. Idinonea irregularis Mngh. — Due frammenti dal plioc. dei colli presso Pisa (M. P.). 83. Idm. cavillata Roem. — Comunissima nel postpliocene di Livorno (Neviani 7, p. 137, t. IV, f. 19, Iclm. pseudodisticha Hag. ; Nev. 10, p. 124, Idm. pseudod.)] due frammenti dal cal- care nummulitico di Mosciano presso Firenze (Neviani 11, p. 123, Idm. cfr. cannata R.; Sacco 12, p. 204; Trabucco 16. p. 18). 84. Idm. vibicata Manz. — Comune nel postpliocene di Livorno (Neviani 7, p. 137 ; Nev. 10, p. 124). 85. Idm. atlantica Forb. — Comune nel postpliocene di Li- vorno (Neviani 7, p. 136, t. IV, f. 17, 18; Nev. IO. p. 124). 86. Idm. Milneana d’Orb. — Comune nel postpliocene di Li- vorno (Neviani 7, p. 139, t. IV, f. 10, Idm. Targionii Nev. n. sp. ; Nev. IO, p. 124). 87. Tubulipora liliacea Paul. sp. — Due frammenti dal plioc. sup. di S. Frediano (mia coll.). Corrisponde alla Idmonèa serpens Auctt. ; vedi l’interessante discussione in Harmer, 1898, Dcvclopment of Tubulipora, p. 90. 88. Tub. [Filisparsa] Delvauxi Pero. sp. — Comunissima nel postpliocene di Livorno (Neviani 7, p. 140, t. IV, f. 22, 23; Nev. 10, ]». 124). 89. Tub. [Fil.] varians Rss. sp. — Un frammento dal plioc. sii]), di Parlaselo (M. P. e De Amicis 2, p. 24, Filisparsa biloba Rss. sp.); alcuni frammenti da S. Frediano (mia coll.); comu- nissima nel postpliocene di Livorno (Neviani 7, p. 139, t. IV, f. 21, Filisparsa ; Nev. IO, p. 124). 90. Tub. [Fil.] sp. — Un frammento dal plioc. sup. di Par- lascio (M. P., Vincularia tenuissima Mngh. con altre sp.). BRIOZOI TERZIARI E POSTERZIARI 373 91. Tub. [Pavotubigera] flabellata d’Orb. — Un esemplare dal calcare nummulitico di Mosciano (Neviani 11, p. 124, Sacco 12, p. 204, Trabucco 16, p. 18). 92. Tub. [Stomatopora] major John. sp. — Una colonia dal calcare lenticolare di Parlascio (Neviani 9, p. 235). 93. Tub. [Diastopora] tenuis Rss. — Due colonie dal calcare nummulitico di Mosciano presso Firenze (Neviani 11, p. 124; Sacco 12, p. 204; Trabucco 16, p. 18). 94. Tub. [Diast.] latomarginata d’Orb. — Rara nel postplio- cene di Livorno (Ne vi ani 7, p. 144, Diastopora ; Nev. IO, p. 124). 95. Tub. [Diast.] obelia John. sp. — Un esemplare dal plioc. sup. di Parlascio (M. P. e De Amicis 2, p. 24, Berenicea congesta Rss. sp.). 96. Tub. [Mesenteripora] meandrina S. Wood sp. — Comune nel postpliocene di Livorno (Neyiani 7, p. 144, Mes. Eudesiana M. Edw.; Nev. IO, p. 124). 97. Entalophora proboscidea M. Emv. sp. — Due fram- menti dal pliocene dei colli di Pisa (M. P.); vari frammenti dal plioc. sup. di S. Frediano (mia coll.) ; comune anche a Parlascio (M. P. e De Amicis 2, p. 24, Ent. anomala Rss. sp. ed Eschgra varians Rss. con altre sp.) ; comunissima nel postpliocene di Li- vorno (Neviani 7, p. 141, t. IV, f. 25; Nev. IO, p. 125). 98. Ent. d’Auconae Nev. — Rarissima nel postpliocene di Livorno (Neviani 7, p. 143, t. IV, f. 26, 27; Nev. IO, p. 125). 99. Ent. Smitti Perg. sp. — Comune nel postpliocene di Livorno (Neviani 7, p. 141, t. IV, f. 24, Bustulopora; Nev. IO, p. 125). 100. Ent. rugosa d’Orb. — Un frammento di robusta colonia dal plioc. sup. di S. Frediano (mia coll.); alcune colonie da Par- 26 374 A. NEVIANI lascio (M. P., Vlncularia tenuissima Muori. ed Eschara varians Rss. con altre sp.). 101. Ent. clavata Bk. — Tre colonie dal plioc. super, di S. Prediano (mia coll.). 102. Defrauda stellata GIoldf. sp. — Due esemplari dal calcare nummulitico di Mosciano (Neviani 11, p. 124; Sacco 12, p. 204; Trabucco 16, p. 18). 103. Lichenopora hispida Flem. sp. — Non comune nel plioc. sup. di Parlascio (De Amicis 2, p. 25, Hetcroporclla ra- diata Bk.; Neviani 9, p. 235) e S. Frediano (M. P.). 104. Frondipora Marsilii Miche. — Alcuni frammenti dal calcare pliocenico di Parlascio (M. P. e De Amicis 2, p. 24 e 29, Plcthopora Ibex Mnoii. n. sp. e Myrìozoum clavatum Mngh.); pochi frammenti da S. Frediano (mia coll.); rarissima nel post- pliocene di Livorno (Neviani 7, p. 146; Nev. IO, p. 125). 105. Fascicularia au- rantium M. Edw. (fig. 6). — Un solo esemplare da Parlascio (De Amicis 2, p. 24, Fase, audeontium M.Edw.; Neviani 9, p. 235). L’esemplare figurato, tro- vasi nelle collezioni del Museo Geologico di Bolo- gna, e venne così deter- minato dal Manzoni. 106. Heteropora stipitata Ess. — Due esemplari dal cal- care nummulitico di Mosciano presso Firenze (Neviani 11, p. 125; Sacco 12, p. 204, Trabucco 16, p. 18). 107. Het. (lidiotoma Goldf. sp. — Un esemplare dal cal- care nummulitico di Mosciano (Neviani 11, p. 125; Sacco 12, ; ]>. 204; Trabucco 16, p. 18). BRIOZOI TERZIARI E POSTERZIARl 375 108. Het. stellulata? Rss. — Alcuni esemplari dal calcare lenticolare di S. Frediano (M. P. e De Amicis 2, p. 25, Repto- multicava simplex Micht. sp.). Posseggo esemplari identici del miocene piemontese. 109. Het. anomalopora GtOldf. sp. — Un esemplare dal cal- care di Mosciano (Neviani 11, p. 125; Sacco 12, p. 204; Tra- bucco 16, p. 18). 110. Fimgella plicata Hag. — Nove esemplari da Mosciano (Neviani 11, p. 126; Sacco 12, p. 204; Trabucco 16, p. 18). 111. Ceriopora arbusculum Rss. — Una colonia da S. Fre- diano (mia coll.); un esemplare da Mosciano (Neviani 11, p. 127; Sacco 12, p. 204; Trabucco 16, p. 18). Nelle collezioni del museo di Pisa, sotto la denominazione di Ceriocava arbasculum Ess. sp. ho trovato, provenienti da Par- lascio, alcuni frammenti indeterminabili di ciclostomi (De Amicis 2, p. 127). 112. Per. megalopora Ess. — Una colonia dal calcare num- mulitico di Mosciano (Neviani 11, p. 126; Sacco 12, p. 204; Tra- bucco 16, p. 18). Roma, R. Liceo E. Q. Visconti. Luglio 1900. SULLA TRIVELLAZIONE DI CAPO DI BOVE. Nota del Socio A. Verri L’ Ing. Sabatini, nella Memoria sul Vulcano Laziale, riprende in esame la trivellazione di Capo di Bove, e confrontati i cam- pionari che di essa si hanno colle determinazioni pubblicate, propone una nuova determinazione (1). Poiché trattasi di discu- tere un documento geologico di tanta importanza, e del quale difficilmente si ripresenterà il caso di procurare l’eguale, nel- l’interesse della scienza e delle sue applicazioni, è utile fissarne le circostanze. Verso la metà del 1890 venni a Roma Vice-Direttore del Genio Militare. Ricevuta proposta dal signor L. Perreau di prov- vedere acqua potabile con pozzi trivellati, nell’esaminare la cosa, seppi che l’anno 1884 il Perreau aveva eseguita a tal scopo sul forte Appia antica, vicino alla località detta Capo di Bove, una trivellazione profonda metri 117,18, de’ quali 46,88 sotto al li- vello del mare. Penetrati eziandio più di 24 metri dentro marne marine, senza aver ottenuto risultamento utile, il Ministero della Guerra non credè accordare ulteriori assegni, e la perforazione fu abbandonata. I prodotti della trivellazione erano conservati dalla Direzione dentro una cassetta a riparti con coperchio vetrato. Un quadro grafico descriveva i materiali incontrati, riferendosi a cartellini incollati ai riparti. Ma nel quadro erano delle correzioni ; i car- tellini erano mal conservati, ed alcuni staccati; tra le indica- zioni del quadro c dei cartellini non passava tutta l’armonia. (') V. Sabatini, Vulcano Laziale, voi. X delle Memorie descrittive dellaCarta geologica d’Italia, pubblicate dal R. Ufficio geologico, p. 112-113. SULLA TRIVELLAZIONE DI CAPO DI BOVE 377 Nel 1892 citai riassuntivamente i dati di quella trivellazione, tenendo, per lo scopo dello scritto, conto speciale solamente delle lave e dei tufi notati come litoidi. Ora apprendo che la trivel- lazione era stata descritta dal Perreau in un giornale politico, e che in quella descrizione figurava un banco di lava anche tra le quote 22,39 — 17,89. Siccome nel riparto relativo del cam- pionario non vidi rottami scagliosi, ma ghiaiette laviche, non pensai che rappresentassero un banco di lava, ed inclusi quei prodotti nella categoria « Detriti vulcanici diversi ». Appresso avviai passeggiate, per formarmi un’idea sella strut- tura del terreno a qualche distanza dalla città. Notai allora che, dalla Via Prenestina all’Ardeatina, si distende un banco potente di materiali, nel quale erano aperte molte cave per estrarre poz- zolana. Il banco è composto da detriti di colore variato : rosso- mattone smorto, gialliccio, bigio ; senza accenno di divisioni che lo facciano supporre prodotto da più eruzioni ; include parecchi frammenti di scorie rosse, e contiene sparse leuciti caolinizzate in alcuni tratti abbondantissime (1). Questa pozzolana è di quelle che sono distinte dalla vera ottima pozzolana di Roma col nome di pozzolanelle, perchè ritenute di qualità assai inferiore: fu molto adoperata nel momento della febbre edilizia, stante il minor costo, essendone le cave a cielo aperto ed il giacimento estesissimo : credo che oggi quelle cave siano abbandonate del tutto. Alcune cave, e forse le principali, stanno sulla Via Ardea- tina, a distanza di un migliaio di metri circa dal punto della trivellazione, tra le quote 53 e 40 circa. Le osservazioni sulla Via Appia Pignatelli, distante 500 a 600 metri dal punto della trivellazione, mostrano sotto le lave la presenza del banco delle pozzolanelle; e la Via Appia Pignatelli passa a quota 40 circa sotto il punto della trivellazione situato a quota 70,30. Consi- derata la piccola distanza, la concordanza dei materiali a destra e sinistra dello sperone perforato, la situazione altimetrica ; con- siderato che bastava la presenza d’una grossa scoria o di un (') Ho sentito chiamare qualche volta questa roccia «tufo cacata di palombi » per le larghe macchie di leucite che spesso si vedono sulla superficie. 378 A. VERRI nido di scorie per dare, colla macinazione della trivella, tritumi colorati in rosso rassomiglianti alle pozzolane rosse tipiche, naturalmente doveva convincermi : che la perforazione tra le quote 54,04 — 39,03 aveva incontrato il grosso banco della poz- zolanella. Le osservazioni sul medesimo settore — e particolarmente nelle sezioni delle cave di Centocelle e Yia Ardeatina — costan- temente mi avevano mostrate le cave del tufo giallo da costru- zione immediatamente sotto alla pozzolanella, e concordavano in questo particolare col banco segnalato dalla trivellazione tra le quote 39,03 — 36,05. Talvolta aveva veduto nella massa della pozzolanella lenti indurite, aventi somiglianza litologica col tufo giallo da costru- zione, ma di questo materiale non si faceva conto dai cavatori. Poteva ben darsi che, sotto al grosso banco della lava supe- riore, ha pozzolanella fosse indurita da dare piccole schegge so- miglianti al tufo suddetto; ma, in base alle osservazioni di cam- pagna, doveva concludere non trattarsi di un vero banco di tufo, quale si presenta questa roccia nelle condizioni normali, e così inclusi la casella relativa nel banco della pozzolanella. Le osservazioni nella valle della Caffarella, tra le Vie Appia antica ed Appia nuova, mostrano splendidamente i rapporti di successione tra il banco della pozzolanella ed il suo tufo giallo da costruzione, le pozzolane scure e rosse sottoposte. Sta tra queste due pozzolane anche un banco tufaceo, i cui caratteri corrispondono a quelli del campione che era segnato tra le quote 31, 09 — 28,58 ; il materiale è del tutto distinto dal tufo giallo da costruzione, ed, attesa la pochissima consistenza, è as- solutamente disadatto all’ uso delle fabbriche, perciò lo inclusi nella categoria « Rigetti vulcanici diversi », i quali non aveva interesse a precisare. 11 posto delle pozzolane scure e rosse ve- niva chiaramente segnato da quel banco; ma su ciò il campio- nario lasciava dei dubbi, perchè, tra altro, c’era il riparto delle ghiaiette laviche. Saputo che presso l’Ufficio geologico era stato depositato altro campionario, chiesi di confrontarlo, e l’Ing. Sommili gentilmente mi condusse a vedere anche un terzo campionario, disposto in cassa verticale, appesa nelle sale del Museo agrario. L’Ing. Sa- SULLA TRIVELLAZIONE DI CAPO DI BOVE 379 batini a pag. 112 descrive lo stato di questi due campionari: per cui nulla dico di nuovo, asserendo che da quelli poteva trarre ancor meno lume per chiarire i dubbi. Allora mi decisi ad in- serire tra le quote 36,05 — 11,92 le pozzolane scure e rosse ve- dute all’esterno: tanto più che lo scopo era di presentare una serie delle eruzioni principali, i cui prodotti erano stati progettati sin vicino Roma. Del resto, nel pubblicare la tavola, avvertiva di aver adottato tale procedimento. Non ho difficoltà di ammettere che in quella zona s’ inter- ponga un banco lavico grosso pure 8,70, come è indicato ora nelle determinazioni del Sabatini; il quale banco, in quel tratto dello sperone, verrebbe ad occupare parte della zona, che altrove è occupata dalle pozzolane rosse tipiche. Questo banco, come l’inferiore, concorda colle osservazioni sul terreno riguardo alle lave che affiorano tra le vie Laurentina ed Ostiense. Siccome pel resto non ci sono divergenze che m’ interessino, la quistione si riduce a discutere la qualità dei materiali com- presi nella zona tra le quote 54,04 — 39,03. Ho vedute e dirette abbastanza perforazioni, per sapere quanto si deva essere cauti nel classificare i tritumi macinati che estrae la trivella: specialmente qua, dove si attraversano tufi vulcanici, la cui composizione è tanto complessa, da bastare poco per far prendere equivoco sulla loro qualità. Tenuto conto di questo, dei dubbi sul modo come sia stata fatta la scelta dei materiali pel campionario, delle vicende per le quali i campionari sono pas- sati, della netta visione dei terreni adiacenti, credo sempre che non sia razionale il suddividere in diversi banchi il materiale compreso tra le quote 54,04 — 39,03, e tanto meno il segnare ivi un banco di pozzolana rossa, col quale attributo i costruttori distinguono in modo speciale l’ eccellente pozzolana tipica di Roma, i cui giacimenti sono molto ben delineati nella struttura del territorio. Circa i controlli tra le osservazioni esterne e le trivellazioni la penso oppostamente dell’ Ing. Sabatini. Ritornato a Roma nei primi del 1898, ebbi occasione di di- scorrere di questa trivellazione coll’Ing. Sabatini, e fattomi ce- dere dalla Direzione del Genio il campionario, lo donai all’Isti- tuto Geologico. Nella circostanza proposi al Sabatini di fare in- sieme una visita sul luogo per esaminare le circostanze relative 380 A. VERRI al banco della pozzolanella. Non credè aderire: io non ne parlai più, e scrissi una breve Nota, che affermasse in modo netto e riepilogativo il mio pensiero (1). In quella Nota precisava una osservazione già abbozzata nel 1894, e cioè che il tufo giallo da costruzione è un prodotto della eruzione medesima, dalla quale fu composto il banco che qui chiamo della pozzolanella. Soggiungeva sembrarmi: che si- mile condizione di cose, unita alle circostanze esposte nelle co- municazioni degli anni 1893-94, dovesse decidere definitivamente sul problema circa la genesi di quel tufo — che per tentare tale soluzione aveva presi altri appunti, dei quali mi restava a pre- cisare meglio i particolari; epperciò rimetteva ad altro tempo di trattare questo argomento: seppure intanto non fosse presen- tata da altri una ipotesi che soddisfi a tutti i quesiti. Dopo, distratto da occupazioni, ho lasciato da parte quello studio. Contuttoché oggi sono presentato, in modo speciale, per osti- nato sostenitore delle eruzioni fangose; il che rivela poca cono- scenza di regioni vulcaniche (pag. 50, 52): mentre i punti, sui quali nel 1893-94-98 chiedevo la luce, restano per me oscuri quanto prima. Ma non è qui il luogo di trattenermi su questo soggetto; ed avverto solamente : che, per una svista, nelle pagine 54, 67, 68, sono combattute opinioni differenti da quelle che ho espresse, e prego sia fatto il confronto colle pagine ivi citate delle comu- nicazioni cui si riferiscono. Altra svista consimile è nella pa- gina 113, e si corregge facilmente confrontandola colla tabella posta dopo la pagina 114. Roma, 21 Agosto 1900. A. Verri. (') Verri, Osservazioni sulla successione delle rocce vulcaniche nei din- torni di Poma. — Boll. Soc. Geo!., Voi. XVII, 1898. FOSSILI MIOCENICI DELL’ APPENNINO AQUILANO Memoria del Dott. Bindo Nelli (con una tavola) A questo mio lavoro paleontologico non aggiungerò che poche parole intorno alla posizione geologica dei terreni, poiché ne fu già trattato dal Prof. De-Stefani e da me in altro lavoro (*), come pure specialmente dal Chelussi che raccolse i fossili. Il terreno da noi esaminato equivale prevalentemente al primo piano mediterraneo o Schlier dei geologi austriaci, ed al piano Lan- ghiano di Pareto e Mayer, e perciò ad una plaga di mare piut- tosto profondo del Miocene medio. Questo piano che si ritrova così spesso in tutto l’Appennino centrale, è molto frequente su quello aquilano, e dalle rocce che noi abbiamo potuto notare, come pure da osservazioni recenti del Prof. De Stefani è costi- tuito inferiormente da un calcare compatto bianco, o quasi mar- noso equivalente ai calcari di Acqui in Piemonte, anche per situa- zione stratigràfìca, e superiormente da marne arenose (M. Luco) 0 da calcari marnosi (Cuculio) che loro equivalgono compieta- mente. Altra volta le marne insieme alle arenarie, ma specialmente 1 calcari, erano riferiti all’Eocene, mentre invece, come poi ri- conobbe il Chelussi (5), sono effettivamente mioceniche. Ai fos- sili, citati nella nostra nota preventiva, debbo aggiungerne alcuni nuovi, rettificando invece i nomi di altri inesattamente determi- (') C. De Stefani e B. Nelli, Fossili miocenici cidi’ Appennino aquilano. (Rend. R. Acc. Lincei. Estr. voi. Vili, 2° seni., ser. 5a, fase. 2°, 1899). (2) I. Chelassi, Brevi cenni sulla costituzione geologica di alcune lo- calità dell’ Abruzzo aquilano. Firenze, Baroni e Lastrucci, 1897. 27 382 B. NELL! nati. Distinguerò la fauna del calcare da quella della marna. Le marne arenacee o calcaree presentano i fossili seguenti: Ostrea cochlear Poli. Pcctm Chelussianus sp. n. » cristatus Brn. » Koheni Fuchs. » denudatus Heuss. » Northamptoni Micht. » scabriusculus Math. » Malvinae Dub. Lima oblonga sp. n. Lucina spirifera Mont. Arca barbata Linn. Nucula nucleus Linn. » piacentina Lk. Cardita globulina Micht. Arcopagia speciosa n. sp. PMJadomya Fuchsi Scliaffer. Galeodea Echinophora Lk. Turbo fmibrìatus Bors. Trochus granulatus Bors. Aturia Aturi Bast. Terebratulina caput serpenti s- Lk. Spatangus sp. Conoc lypus p lagiosomus Agassi z . Flabellum avicula Micht. Ceratotrochus sp. Il calcare marnoso di Cuculio contiene: P. cristatus Brn. Venus islandicoides Lk. Limea strigilata Brocchi. il calcare compatto bianco o bardigliaceo, od il conglome- rato equivalente, contiene: Ostrea acuticosta Seguenza. » neglecta Micht. l'eden granulato-scissus sp. n. » revolutus Micht. » longolaevis Sacco. » scabrellus Lk. » planosulcatus Math. » Manzonii Fuchs. » Haveri Micht. Pecten Malvinae Dub. Cirsotrema pedemontana Sacco. Terebratula Costae Seg. StepJianopliillia imperialis MchL Opercul ina complanata Bast. Odontaspis contortidens Agas. Oxyrhina Pesorii Agas. Chrysophrys cincta Agas. Hcmipristis Serra Agas. Dando uno sguardo generale alla fauna dell’Appennino aqui- lano, noi vediamo che i Danieli il (ranchi, in special modo i Pecten, sono in prevalenza per varietà di forme e abbondanza d’indi- FOSSILI MIOCENICI DELL’ APPENNINO AQUILANO 383 vidni. Il calcare è ricco eli Pecten ecl in alcune località, come a Rocca di Cambio, sembra quasi esclusivamente costituito da modelli interni di Pecten Haveri, cosi che ben possono dirsi cal- cari a Pecten. Queste forme di calcari venivano attribuite al- l’Eocene e talora perfino alla Creta, mentre invece sono da ri- ferirsi al Miocene. Se il calcare dell’ Appennino aquilano è tanto ricco di Pecten, le marne non lo sono meno; così che a M. Luco noi le troviamo costituite pure essenzialmente da Pecten, fra i quali caratteristico, perchè quasi costituisce in certi punti la roccia, il P. Malvinaè, forma propria di molte località del Mio- cene medio, accompagnata da esemplari di Aturia Aturi Bast., di P. clenucìatus Reuss e di altre specie. Nel Museo geologico della R. Università di Roma, a quanto ci riferiscono De Angelis e Luzj ( 1 ), trovasi un esemplare di P. Malvinaè proveniente dal M. Corno (Gran Sasso d’Italia), onde essi credettero trovare un indizio della miocenicità di quella regione che già era stata comprovata dal Chelussi. La fauna deH’Appennino aquilano corrisponde pure a quella die generalmente trovasi neH’Appennino centrale e die si rin- viene anche nell’Umbria, dove la formazione marnoso-arenacea con Pettini già da lungo tempo era stata ritenuta miocenica dal De Stefani. Ostrea acuti costa Seguenza. Di questa abbiamo un cattivo esemplare, proveniente dal calcare di Rocca di Cambio, stato sottoposto a rotolamento ed immedesimato nella roccia. La valva sinistra (superiore) oblunga, piuttosto spessa, con pieghe forti, angolose, irregolari e tortuose, mostra numerose lamelle d’accrescimento grossolane, spesse e subaderenti, e lungo il margine della conchiglia si vedono delle pieghe ondulate non molto acute. La valva inferiore, della quale nel nostro esemplare vedesi solo una parte, presenta delle pieghe marginali ondulate, che al margine palleale s’insinuano nelle pieghe della valva superiore, per cui il margine della conchiglia (') De Angelis e Luzj, Altri fossili dello Schlier delle Marche. (Estr. Boll. Soc. geol. it., voi. XVIII, 1899, fase. 1°). 384 li. NELLI si mostra totalmente ondulato. Molto si è discusso sul tipo di questa e di simili conchiglie, anche viventi, che molti autori chia- marono pìicata Chemn. o plicatula Gmelin. Il Gmelin (’) chiamò 0. plicatula la pìicata Chemn., perchè preesiste una Chama j all- eata Sol. Però le figure di Chemnitz (2) e quella del Gualtieri (3), alla quale lo Chemnitz si riferisce, non corrispondono alla specie vivente nel Mediterraneo e sono incerte. Parimente l’0. plica- tula Gmelin è insostenibile perchè egli non fece che sostituire questo nome a quello di pìicata: alcuni ritengono la pìicata e la plicatula applicabili alla 0. edulis a facies indiana. Noi per- ciò adotteremo per la specie mediterranea il nome cl’O. stentina Payrandeau (4), vivente appunto nel Mediterraneo e nell’Adria- tico, a preferenza dei nomi più antichi, sotto i quali è stata de- scritta da un gran numero d’autori. La nostra specie, per i suoi caratteri e per le sue dimensioni, più che alla forma vivente figurata da vari autori, si avvicina alla specie figurata col nome d’O. plicatula dal Reuss neH’Hòrnes, il quale ne diede splen- dide figure a tav. 72, fig. 3-8 (Hornes, Die Fossilen Mollusìcen des Tertiàr-Beckens von Wien ). La valva superiore di questa è guarnita di pieghe raggianti quasi simili a quelle della valva inferiore. Questa forma arrotondita, di dimensioni relativamente grandi, si avvicinerebbe all’O. pìicata di Chemnitz più di tutte quelle che noi conosciamo allo stato vivente. Il De Gregorio (5) paragonando le figure dell’Hòrnes, come pure fa il Sacco, con quelle dello Chemnitz, pure della specie vivente mediterranea, trova differenze tali che non permettono un’identificazione e per ciò e per quelle altre stesse ragioni da me sovraindicate viene a concludere che si debba designare alla specie fossile del ba- cino di Vienna un nome particolare e l’ha chiamata 0. germa- nitala. Il Sacco (fi) accetta questo nome come varietà della pli- catula. Il nostro esemplare dunque presenterebbe una certa SO- CI 1790. Gmelin, Linnei syst. nat., Edit. XIII, p. 3335, n° 111. (5) 1785. Chemnitz., JSfues, Syst. Conchyl. Cabinet, Vili, p. 73, fig. 674. (3) 1742. Gualtieri, Index Testarum Concliyl., tav. 104, fig. A. C) 1826. Payrandeau, Moli, de la Corse, p. 81, pi. Ili, fig. 3. (5) 1884. De Gregorio, Studio su talune conchiglie mediterranee viventi e fossili con una rivista del yen.«Vulsella» e del yen. « Ficaia », ecc., p. 47. (°) 1897. F. Sacco, Moli. terr. terz. Pieni. IAg., parte XXIII. FOSSILI .MIOCENICI DELL’APPENNINO AQUILANO 385 miglianza colla germanitala De Greg., ma le pieghe vi sono molto meno numerose e più grosse, talché ha una somiglianza maggiore colla Viridi Desìi. Il tipo ne viene indicato dal Des- hayes nel Pliocene di Morea (1). Il Fuchs l’ha indicata nei cal- cari terziari di Siokuh in Persia e nell’arenaria miocenica di Siwah in Egitto (2). Questa forma di S Evali da lui proposta e descritta, veramente si avvicina al tipo di Morea. Il Fuchs la cita in questo ultimo lavoro anche a Malta, ove dice di averla precedentemente citata col nome improprio di 0. crassicostata Sow. (3). Noi pure possediamo vari esemplari perfetti di tale forma provenienti dalle sabbie verdi di Malta, i quali corrispondono all’O. acuticosta Seguenza del Tortoniano e dell’ Elveziano di Benestare in Calabria (4). Tale specie ben descritta dal Seguenza è ben distinta e abbastanza diversa dall’ (9. Viridi per le grosse coste angolose dicotome, e per le piccole numerose coste pure dicotome che ne ornano le parti laterali al cardine. Ora di tutte le citate specie, delle quali ultimo rappresentante mediterraneo è l’O. stentina, la nostra di Bocca di Cambio combina appunto con l’O. acuticosta Seguenza del miocene medio di Calabria e di Malta. Per l’aspetto e andamento delle pieghe si avvicina a questa specie anche YO. (Alectnjonia) proplicatula Sacc. del Tongriano di Carcare in Piemonte (Sacco, tav. VI, fig. 7). Ostrea neglecta Micht. Di questa specie abbiamo diversi esemplari: due valve di forma giovanile provenienti da un calcare compatto, simile a quello di Rocca di Cambio, dove ho notato altri esemplari di (*) (*) 1832. Deshayes, Expédition scientifigue de Morde, III, p. 123, pi. XXI, f. 1, 2; 3e serie. O 1883. T. Fuchs. Beitràge sur Kenntniss der Miocaenfauna Ac- gyptens und der libyschen Wuste. (Palaeontographica, Band 30, Taf. X, f. 1-4). (3) Th. Fuchs, Der Alter der Tertiàrschicliten ron Malta. (4) Seguenza, Formazioni terziarie nella Prov. di Peggio, p. 76 e 122, tav. XII, f. 2. 386 B. NELLI questa specie, e situato sopra il calcare litografico di S. Giacomo presso i castagni. I nostri esemplari hanno forma vescicolare. Una valva, meglio conservata, presenta un contorno netto e per la sua forma piuttosto allungata e rigonfia sembra appartenere alla valva destra di questa specie, corrispondendo alla figura che ne dà il Sacco (tav. Ili, fig. 4, parte XXIII). Alcuni esem- plari, essendo individui molto giovani, non possono essere spe- cificati in modo assoluto, perchè in questi la conchiglia non è molto diversa da una specie all’altra. Il Sacco indica la specie nel Langhiano e nell’ Elveziano, in quest’ ultimo assai frequente a Baldissero, Sciolze, Marmorito, Villadeati. Il Seguenza la indica nel Tortoniano di Benestare in Calabria. Ostrea (Pyciiodonta) cochlear Poli. Riferisco a questa specie vari esemplari malamente conser- vati: alcuni, per avere una conchiglia poco spessa e sottile e per la forma rotondeggiante, sembrano appartenere alla varietà navicularis Br., mentre altri alla var. alata For. (\), ed altri alla var. bialata Font. (2). I nostri individui provengono dalle arenarie di Franeolisco, comune di Lucoli e dalle marne compatte di S. Lucia e M. Luco, dove già dal Chelussi (loc. cit.) vennero indicati pure nel cal- care. Questa specie vivente nel Mediterraneo, propria di mari piuttosto profondi, è comune nel pliocene e nel miocene medio, dove in Italia viene indicata dal Sacco (pag. 22), nelle zone marnose (Langhiano), nei depositi sabbiosi arenacei che egli unisce nel piano Elveziano dei colli torinesi a Baldissero, Sciolze, Ozzano, Albugnano, Rosignano Monferrato (3), San Giorgio Monferrato, Treville casale, M. Yallassa in Val Statfora. Parimente egli la (‘) 1880. L. Foresti, Dell’ « Ostrea cochlear Poli» e di alcune sue varietà. (2) F. Fontannes, Moli, plioc. de Val clu Bilióne et du lioussill., pi. XVIII, f. 8, p. 232. (3) 1897. (ì. De Alessandri, La pietra da cantoni di Rosignano e di Vignale ( Basso Monferrato). (Museo civ. di Stor. Nat. di Milano e Soc. it. di Se. Nat., Meni.; tomo VI (II della nuova serie), fase. I, p. 61). FOSSILI MIOCENICI DELL’ APPENNINO AQUILANO 387 ìndica nelle argille del Tortoniano, Brio S. Paolo sui colli tori- nesi, T. Branzola presso S. Giovanni e S. Agata in Piemonte. Questa specie trovasi anche nel Modenese a Montegibbio e Monte- baranzone (Q, e nello Schlier di Montese e di Pantano (2). Il Simo- nelli ( 3 ) la cita nelle sabbie di Chiusi e nelle colline bolognesi (4) ed il Foresti (5) nelle marne di S. Luca e di Paderno, e nel Bolognese vien pure citata dal Neviani (6) nel Rio delle Casette. Trovasi anche a Sassugìio (7) e nel Tortoniano di Capo San Marco in Sardegna (8), nell’ arenaria di Casale (Cantiano), Catena di Serra Maggiore (9), nella pietra leccese (10), nelle marne della valle di Pu- polordo (u), nel calcare di Calaforno Q 2), nelle argille diFangario (13 ), a monte Gardeto, Ripe del Passetto (14), nelle marne di Mon- (') Malagoli, Tortoniano di Montebaranzone. (Atti Soc. Se. Nat., Mo- dena, serie III, voi. II, 1874). (2) Pantanelli e Mazzetti, Cenno monografico intorno alla fauna fossile ■di Montese. (Estr. Soc. Se. Nat. Modena. Mem. orig., serie III, voi. VI, 1887). (3) V. Simonelli, Il monte della Verna e i suoi fossili. (Boll, della Soc. geol. it., voi. II, 1883, p. 271). (4) V. Simonelli. Sop>ra la Fauna del così detto Schlier nel Bolognese e nell’ Anconitano. (Atti Soc. tose, di Se. Nat., voi. XII, Pisa 1893). (5) L. Foresti, Le marne di S. Luca e di Paderno e i loro fossili (Dal rendiconto dell’Acc. di Se. dellTstituto di Bologna; Bologna 1877). (6) A. Neviani, Di un orizzonte a Settarie nel Bolognese. (Boll. Soc. geol. it., 1883, p. 166). (') De Angelis D’Ossat e G. F. Luzj, Altri fossili dello Schlier delle Marche. (Estr. Boll Soc. geol. it., voi. XVIII, fase. 1°, 1899). (8) E. Mariani e C. F. Parona, I fossili tortoniani di Capo San Marco in Sardegna. (Atti Soc. it. Se. Nat., voi. XXX, p. 61, 1887). (°) T. Morena, Le formazioni eoceniche e mioceniche fiancheg giunti il gruppo del Catria nell’ Appennino Centrale. (Boll. Soc. geol. it., voi. XVIH, 1899). (10) De Lorenzo. La fauna Bentho-N 'elitonica della pietra leccese ( Mio- cene medio). (Rend. della R. Acc. Line., estr. voi. II, 1° sena., ser. 5a, fase. 3, 4, 1893 p. 2). (n) I. Calici. La formazione gessosa del Vizzinese e del Lieo diano, prov. di Catania. (Estr. boli. R. Com. geol. 1880, n. 1, 2, p. 7). ( 12) I. Calici. La formazione miocenica nel territorio di Licodia-Eubea (prov. di Catania). (Estr. R. Acc. Line., 1883). (*3) C. F. Parona, Appunti per la paleontologia miocenica della Sar- degna. Roma 1887, p. 8. (u) G. Capellini. Gli strati a congerie e le marne compatte mioceniche dei dintorni di Ancona. (R. Acc. dei Line., 1879, p. 9). 388 B. NELLI tedoro (Morena), e col nome di Ostrea navicularis Brocchi nel- l’Elveziano e nel Tortoniano della Calabria meridionale ( Se- quenza). Pecten gramilato-scissus sp. n. (Tav. IV; fig. 6). Abbiamo una sola valva non intera proveniente dal Ponte delle Valli a Piscina, la quale presenta in gran parte la super- ficie esterna provvista di guscio ed in parte l’impronta della superficie interna. Le coste sono in numero di 9, larghe e schiacciate al mar- gine e sempre più ristrette e convesse all’apice dove terminano quasi appuntite. Gli spazi intercostali più stretti delle coste sono poco profondi, quasi pianeggianti e mostrano delle costoline li- neari d’aspetto assai caratteristico. In uno spazio intercostale vediamo una sola di queste costoline, in quello che gli succede ne vediamo due e nell’altro dopo una sola, così che sembrano alternarsi nel numero d’uno a due. Le coste si presentano al margine scisse in tre costoline. In una di queste coste ho po- tuto osservare meglio che nelle altre questa divisione in tre ed ho veduto due costoline laterali che lasciano nel centro una leggera insenatura nella quale vedesi una costolina più piccola. L’impronta della superficie interna della valva costituisce l’altra parte del nostro esemplare e da essa se ne arguisce la forma interna dove i solchi, corrispondenti esternamente alle coste, sono poco profondi, pianeggianti, limitati lateralmente da due pic- cole costoline come per es. vedesi nella parte interna del P. cri- status Bronn. Lateralmente il nostro esemplare mostra costoline fornite di sottilissime linee di granulazioni. La superficie è ornata di zone d’accrescimento con colora- zioni giallo aranciate intercalate a colorazioni grigie. Esso pre- senta tali somiglianze col P. scissus Favre, del Miocene medio di Galizia, figurato dalPHilber (f. 11, 12, 13, 14, 15, 16, tav. II) da potersi ritenere per una specie a quella molto affine. Infatti, come in quella, le coste si mostrano divise in costo- line minori al margine e delle piccole coste si vedono pure presso il margine negli spazi intercostali, ma nel nostro le coste late- i FOSSILI MIOCENICI DELL’aPPENNINO AQUILANO 389 Talmente non sono ampie ma lineari e fornite di granulazioni, e ciò non riscontrasi neppure nelle altre specie affini allo scissus, citate e figurate dall’Hilber. Dal P. quadriscissus Hilb. diversifica perchè nella nostra specie la partizione delle coste, che talora è alquanto maggiore, arriva solo a poca distanza dal margine. Le costoline intermedie riduconsi talora ad una sola oltre la granulazione delle costoline laterali. Pecten Chelussiaims sp. n. (Tav. IV ; fig. 9). P. similis. Lask. ; C. De Stefani e B. Nelli, (op. cit.). Dimensioni: altezza della valva. . min. 11 larghezza » » . . » 13 , Abbiamo una valva destra proveniente dalle marne di Ponte delle Valli. Questo piccolo esemplare suborbicolare liscio con tracce di strie d’accrescimento si presenta più largo che alto; sotto l’orecchietta destra notasi una leggera insenatura. Manca quasi totalmente l’ orecchietta sinistra della quale non vedesi che un piccolo frammento; la destra, assai espansa, è ben con- servata con tracce di costoline raggianti, un poco irregolari, in numero di cinque. Per questa particolarità si accosta molto al P. incomparabilis Risso (') (=: P. Testale Biv.) (2); però diffe- risce un poco da questo per avere la superficie esterna liscia anziché ornata di strie sottili, formanti un reticolato assai carat- teristico (3), come pure per la forma trasversalmente più larga. La forma è invece corrispondente a quella del P. similis Lask, per cui il Sacco uni le sue forme a questa specie, la quale è affatto liscia anche nelle orecchiette. Le forme che il Sacco figura potrebbero anche appartenere a questa nostra specie per quanto non vedansi in quelle figure tracce di costoline nelle orecchiette forse a causa del cattivo stato di conservazione. Altri esemplari meno completi mostrano che la specie non è rara. (') 1826. Risso, Europe me'ricl , t. IV, p. 302, f. 154. (2) 1836. (Bivona mss.) Philippi. Enum. Moli. Sic., t. I, p. 81, t. V, f. 17, 17 A. (3) E. Bucquoy, ecc., Mollusques marins chi Eoussillon, tom. II, fase. Ili (fase. 16), p. 109, tav. 16, f. 18-19. 390 B. NELI,I Pecten cristatus [Brìi. Trovasi nel calcare marnoso di Cuculio. Di questo abbiamo diversi esemplari i quali mostrano in parte Toreccliiette e che per il loro aspetto, per avere la superficie esterna liscia e nella parte interna le costoline disposte a paia, evidentemente appar- tengono a questa specie. A questi esemplari aggiungo una valva d’individuo molto giovane delle marne di M. Luco. Secondo il Fontannes Q) la specie miocenica dell’ Hornes (2) deve distinguersi dalla specie pliocenica. La specie del bacino del Danubio secondo il Fontannes offrirebbe un contorno più largo, un diametro mag- giore dell’altezza; il margine anteriore e posteriore sono più lunghi e formano col margine inferiore un angolo più acuto; il margine cardinale è molto più lungo e l’angolo rientrante formato dalle orecchiette della valva destra è molto più aperto ed il numero delle coste interne è maggiore. I miei esemplari presentano un’altezza maggiore della larghezza ed un margine cardinale assai breve ed il numero delle coste da 22 a 26, come appunto nella specie pliocenica. Inoltre io ho osservato esem- plari pliocenici che almeno sulla massima parte dei caratteri sopra accennati combinano con la stessa forma miocenica del- l’ Hornes, onde ritengo che la distinzione che propone il Fon- tannes col nome di Pleuronectia JBadensis per la specie del bacino del Danubio non sia sostenibile. — Questa specie viene citata dal Sacco (parte XXIV) nell’ Elveziano dei colli torinesi e nel Tortoniano di S. Agata (p. 2); trovasi pure nella pietra leccese (De Lorenzo, p. 2), nel calcare tufaceo di S. Michele in Sardegna (Parona, p. 12), nei dintorni delle miniere di Tocco e a Lettomanopello negli Abruzzi (De Angelis, p. 9 e 15) (3). (') Fontannes, Les mollusques pliocenes de la Vallee du Pilóne et du Poussillon, p. 199, t. XIII, f. 1, 2. (*) Hornes, Die fossilen Mollusken dea Tertiaer-Beclcens ron Wien, p. 419, t. CXVI, f. 1, parte II. (3) 1899. De Angelis D’Ossat, Le sorgenti di petrolio a Tocco da Ca- saurìa (Abruzzo). (Estr. dalla Rassegna mineraria, voi. XI, n. 16 e 17, 1° e 11 Dicembre 1899). FOSSILI MIOCENICI DELl’APPENXINO AQUILANO 391 Pecten revolutus Miclit. Di questo abbiamo un grosso frammento proveniente dal cal- care di Rocca di Cambio, il quale per la sua forma, per l’aspetto e andamento delle coste presenta una forma tale da potersi iden- tificare senza errore. Trovasi nell’Elveziano dei colli torinesi, a Baldissero e Tignale (Sacco, p. 63), nel calcare tufaceo di S. Michele (Parona, p. 12). Pecten longolaevis Sacco. Federi gloriamaris ( Dub.) var. longolaevis Sacco. Sacco, loc. cit., parte XXIV. » » var. pervaricostata Sacco. C. De Stefani e B. Nelli, loc. cit. Abbiamo l’impronta d’una valva nel calcare di M. Luco. Fattone il modello, ho potuto esaminare la superficie esterna, la quale si presenta ornata di coste grosse e fitte, alcune delle quali dicotome, separate da spazi intercostali piuttosto profondi. Il nostro esemplare per quanto non completo, per l’aspetto delle coste e per la loro dicotomia sembra identico alla var. longolaevis del Sacco del suo P. gloriamaris Dub. (Sacco, tav. I, fig. 8), piut- tostochè alla var. pervaricostata Sacco cui l’avevo riferito altra volta. Le forme clic il Sacco riferisce come varietà al P. glo- riamaris, a parer mio se ne discostano tanto per dimensioni maggiori, per avere le coste liscie anziché embricate e non rego- larmente dicotome, da poterle ritenere senz’ altro per specie affatto differenti. Anche il nome di P. substriatus d’Orb., adottato dal- l’Hornes per queste forme o per forme affini non è accettabile, dovendosi esso riserbare al P. striatus Sow. del Crag. Il P. glo- riamaris (non Dub.) varietà pervaricostata del Sacco presenta molte analogie o forse identità col P. Justianus Fontannes (Étude strat. et paléontol. de la pe'node Ter maire clans le Bassin da Eliòne, III. Le Bassin de Visan, pi. 3 a-b. pag. 78). Infatti la fig. 3 a del Fontannes, che è la valva destra di questa specie, corrisponde alla fig. 9 del Sacco per il numero delle coste, per 392 B. NELLI la loro forma e dicotomia, come pure per la presenza di fine costoline, intercalate fra i gruppi di costole, le quali si vedono anche nella fig\ del Sacco. Inoltre la fìg. 10 del Sacco corri- sponde alla fig. 3 b del Fontannes, che rappresenta la valva sinistra e come questa mostra le coste un poco più angolose che nella valva destra. — Elveziano dei colli torinesi (Sacco, p. 6). Pecten scabrellus Lk. In un conglomerato calcareo d’Ofena ho osservato diversi frammenti di Pecten, alcuni dei quali mostrano in modo abba- stanza evidente l’ornamentazione esterna costituita da squamette trasversali che diversificano un poco da quelle dell 1 Haveri, le quali hanno l’aspetto di vere e proprie granulazioni. .Ho pure un bell’esemplare di P. scabrellus del miocene di Malta. Vari nuclei d’un calcare compatto di Matera presso Ascoli e di Muro Lucano in Basilicata, in quest’ultima località non accennato dagli autori, di forma inequilaterale, rispondono ai nuclei del P. sca- brellus. Il Sacco (p. 25 e seg.) cita la specie nell’Elveziano dei colli torinesi, Baldissero, Sciolze; nel Tortoniano di S. Agata, Stazzano, Montegibhio. Trovasi pure nel Tortoniano di Capo San Marco in Sardegna (Mariani e Parona), nei dintorni di Possano Calabro c a Monte Cedrone neH’Umbria (Ugolini) (l). Nell’Umbria viene citato anche a Città di Castello, tra la vecchia Dogana e Monte S. Maria Tiberina, nella valle dell’Acqua- caduta sotto monte Tabor (A. Verri e Gl. De Angelis d’Ossat) (2). Nel Tortoniano di Benestare e nell’ Elveziano di molti luoghi della Calabria meridionale (Seguenza). (') lì. Ugolini, Pisa 1899. Sopra alcuni Pettinidi dell’arenarie mioce- niche del circondario di Possano in Calabria. (Atti Soc. tose. Se. Nat., voi. XVII. — Ugolini 1899, Sopra alenili fossili dello Schlier del Monte Cedrone nell’ Umbria. (Estr. Boll. Soc. geol. it, voi. XVIII, fase. 3, p. 6. (2) A. Verri e G. De Angelis, 1899. Contributo allo studio del Mio- cene nell’ Umbria. (Rend. lì. Acc. Line. Estr. voi. Vili, 1° sera., serie A, fase. II). FOSSILI MIOCENICI DELL’APPENNINO AQUILANO 393 Peoten Iiolieni Fuchs. (Tay. IV; fi g. 4). Abbiamo di questa specie una intera valva destra e il fram- mento d’altra valva provenienti dalle marne di M. Luco. La valva intera presenta dodici coste convesse ebe ristrette e rile- vate verso il vertice s’allargano e si deprimono sempre più verso il margine. Esse sono separate da solchi un poco più stretti delle coste, i quali sono poco profondi e concavi, si designano special- mente verso la metà della valva e finiscono per scomparire quasi del tutto e per esser pianeggianti verso il margine. Le parti la- terali della valva, dove le coste sono appena accennate, si mo- strano quasi liscie e sotto l’incrostazione calcarea cbe le ricopre sono lucenti e nitide. Le coste laterali sono ottusamente ango- lose. Questi esemplari sono identici al P. Koheni Fucbs e ad un esemplare di Malta di questo gabinetto cbe noi abbiamo figu- rato (fig. 4). Quest’esemplare intero e con ambedue le valve, una delle quali in parte mancante del guscio in modo da la- sciare scoperto il nucleo interno, è identico all’individuo tipico figurato dal Fuchs (l) con quel nome. A questa specie si riferisce la valva ed il nostro frammento, il quale, in buonissimo stato di conservazione, mostra il guscio d’un colore giallo scuro con striscie brune e le coste lateralmente un poco angolose, strie finissime d’accrescimento e fini strie radiali. Ai nostri esemplari è simile il P. burdigalensis Lk., varietà sp in osella Sacco, da questi figurata a tav. XY, fig. 8 (loc. cit.). Del resto il P. bur- digalensis di Sacco è più vicino al P. Koheni che al P. bur- digalensis figurato dall’ Hbrnes a tav. 65, e al tipico P. bur- digalensis Lk. di Bordeaux. Se la fig. 8 del Sacco a tav. XY (cioè la fig. 9 più alta nella tavola) corrisponde al P. Ko- heni, la fig. 9 invece della stessa var. spinosella presenta molti punti di contatto colla valva sinistra che dal Fischer (2) viene (') Tli. Fuchs, TJeber den sogenannten « Badner Tegel» ciuf Malta. Taf. I, s. 1 e 2. (Sitzungsberichte der kaiserlichen Akademie der Wissen- schaften, LXXIII. Band, I, II und III Heft 1876). (2) 1873. Animaux fossiles de Mont Léberon (Yaucluse) , études sur les vertébrés par Albert Gaudy. Etudes sur les invertébrés par P. Fisher et R. Tournotier. 394 B. NELLI figurata colla fig. 7 a tav. XX col nome di P. scabriusculus Matti., per la forma e stilatura delle coste e intercoste ed an- che per il numero delle coste che sono 14. A questa varietà del Sacco corrisponde in tutti i suoi caratteri un bellissimo esem- plare dell’arenarie marnose di Acqui raccolto dal prof. Trabucco. Che poi la valva figurata dal Fischer, come per conseguenza le forme del Sacco e del Trabucco siano il tipico P. scabriusculus non oserei affermarlo in modo sicuro. Alla valva destra del vero e proprio P. scabriusculus Matheron Q) vanno riferiti un bel- lissimo esemplare di Matera presso Ascoli, appartenente al Museo di Firenze, e pure il P. Orsinii Menegh. dairUgolini figurato e descritto in una sua monografìa dei Pettini miocenici dell’Italia centrale (tav. VII, fig. 3 a, b) e forse nominato cosi dal Mene- ghini in antico perchè lo aveva ricevuto dall’Orsini, dalle Marche. Avendo confrontato queste figure, oltreché colla forma tipica, anche con quelle che ne dà il Sacco a tav. IX, fig. 4 a, b, loc. cit., mi pare corrispondano perfettamente sia. per il numero delle coste che sono 14, per il loro aspetto, larghezza e stilatura, come pure per gli spazi intercostali larghi quasi quanto le coste e come queste parimente striati. Di Malta il Museo possiede un com- pleto esemplare di P. praescabriusculus Fontannes. L’Hilber (2) cita come P. Koheni Fuchs e lo figura (tav. IV, fig. 10, 11) un esemplare vicino più dei nostri al P. spinulosus Miinst., il quale è diverso assai, per le sue coste tutte ornate di spine, dal tipico P. Koheni Fuchs e dagli esemplari nostri. Il P. Koheni Fuchs, comune a Malta e nella Pietra leccese, è specie varia- bilissima, poiché dagli esemplari tipici come i nostri si passa da una parte ad esemplari quasi mancanti di coste come il P. cristatus Brn., c dall’altra parte ad esemplari con coste de- presse ma assai più larghe degli intervalli, ai quali esemplari appartengono quelli dell’isola di Sardegna, che dal Meneghini ebbero il nome di P. Pasinii , specie che noi abbiamo esami- nato in diversi esemplari della pietra leccese e dell’isola di (') Matheron, Catalogne méthodique et descriptif dea corps organisés fossiles du département des Bouches du Eliòne, tav. 30, fig. 8. (2) ] I il ber, Neue and w.enig belcannte Conchylien aus dem ostgahzi- s cheti Miocàn. FOSSILI MIOCENICI DELL’ APPENNINO AQUILANO 396 Malta, alcuni dei quali abbiamo creduto bene figurare (fig. 2, 3). Parimente abbiamo avuto occasione d’esaminare alcuni esemplari delle marne alternanti nel calcare ritenuto aquitaniano d’ Acqui in Piemonte, determinati primitivamente come burdigalmsis dal Trabucco, i quali, per quanto presentino dimensioni maggiori dei nostri esemplari, pure si avvicinano alla nostra specie. Tro- vasi nei dintorni di Rossano Calabro e del Gran Sasso (Ugolini), nei dintorni delle miniere di Tocco da Casauria (De Angelis). nella pietra leccese (De Lorenzo) e nel Monferrato (P. spinosellus Sacco). Pecten planosulcatus Math. Abbiamo impronte di Pecten nei calcari, rappresentate da due valve; una di queste, proveniente dal calcare di Tufo, presso Corsoli, è la destra, l’altra, proveniente dal calcare di Ponte delle Valli, essendo in molto cattivo stato non si può affermare se sia la destra o la sinistra; altra ancora ne abbiamo dal cal- care di Rocca di Cambio. Ho paragonato questi esemplari con quelli figurati dal Fischer a tav. XIX del monte Léberon (loc. eit.) e ad un bellissimo esemplare del miocene medio del Faro d’Alistro in Corsica raccolto dal Prof. De Stefani. L’esemplare di Tufo, per quanto non sia intero, mostrando le coste abba- stanza convesse ed ampie, mostra essere la valva destra. Per il numero delle coste e per la loro forma i nostri esemplari com- binano col P. planosulcatus Malli. Questi nostri esemplari e la specie hanno una certa somiglianza col P. Pesseri Andrz., col P. gigas Schlt. (Fuchs) (') e col P. Karalitanus Menegli. Dal P. Pesseri differiscono per avere le coste meno rotonde, meno appiattite e meno numerose, essendo queste nella valva destra appariscenti da 16 a 18 invece di 20 e 23, senza contare lo spazio quasi liscio situato presso le orecchiette. Confrontando poi i nostri esemplari col P. gigas Schlt. ho notato che le coste di questo, più rotondeggianti e rilevate, sono separate da intervalli più convessi oltre che arrivano più presso il margine cardinale (') Beitràge zur Kenntniss der Miocaenfauna Aegyptens und der 7 i- byschen Wùste. (Palaeontographica, Band 30, 1883). 396 B. NELLI a contatto con le orecchiette; sono esse nella valva destra meno numerose che nella nostra specie e nella sinistra presso a poco dello stesso numero di quelle più appariscenti del P. planosul- catus, ma in questo vi è di più uno spazio abbastanza ampio presso le orecchiette, non interamente liscio ma occupato da fini e numeróse costoline. Il P. gì gas Schlt. corrisponde al P. sola- rium (non Lamk.) figurato dall’ Hórnes a tav. 61 (loc. cit.) del quale ho avuto occasione d’osservare un bellissimo esemplare, appunto del bacino di Vienna, invece al vero P. solarium Lek. appartiene il P. Tournali Serres e Hórnes, specie abbastanza di- versa dalla nostra. L’Ugolini in un recente lavoro: Sopra alcuni Pettinidi delle arenarie mioceniche del circondario di Possano in Calabria, descrive e figura (Atti Soc. Tose. Se. Nat., voi. XVII, tav. VI) un nuovo Pecten Fucini i dell’arenarie di Campana in Calabria. La fig. 2 dell’Ugolini che sembra d’una valva destra per il numero delle coste e per la loro rotondità, come pure per l’an- golo apicale corrisponde a parer mio al P. gigas Schlt., se pure gli spazi intercostali non sono più ristretti. La fig. 3 dell’Ugo- lini appartiene ad una specie diversa da quella della fig. 2 e corrisponde per il numero delle coste, che sono fitte all’apice e piuttosto depresse, al P. Besserì Àndrz. Il P. planosulcatus si accosta al P. Karalitanus Menegh., che anzi il Loeard ( Des- cript ion de la faune des terrains tertiaires moyens de la Corse) fa sinonimo del P. planosulcatus Math.; ma confrontando quello con questo si vede che presenta un numero maggiore di coste e tanto più diversifica dal P. gigas per essere le sue coste più depresse e più larghe dei solchi i quali dal margine cardinale vanno facendosi sempre più profondi verso i bordi, mentre quelli del P. gigas quivi si mostrano invece più depressi. Ai nostri esemplari debbo aggiungere uno d’una località sco- nosciuta della Maremma toscana, forse di Bcrignone ed un altro di monte Salatolo presso Montanaldo (Umbria) donato al Museo di Firenze dal Prof. Bonarelli, che lo trovò insieme al P. sola- rium Link. (P. Tournali Serres e Hórn.) e con altri Pecten mio- cenici. FOSSILI MIOCENICI DELL’APPENNINO AQUILANO 397 Pecten Manzonii Fuchs. (Tav. IY ; fig. la, 15). Pecten Manzonii , Th. Fuchs, Ueìjer die miocdnen Pecten Arten aus den nòrdlichen Appenninen in der Sammìung des Herrn Dr. A Man- zoni. (Verbandlungen der k. k. geologiscken Reicksanstalt. Sit- zung am 22 November 1881, n. 16, p. 320). » cfr. subarcuatus (Tourn.) Sacco, parte XXIV, loc. cit., t. XX, f. 25. Di questo abbiamo la valva destra, proveniente dal calcare di Tufo, la quale è piuttosto rigonfia e quasi del tutto sprov- vista del guscio die mostrasi in piccola parte verso il margine. Le coste vi si contano in numero di quindici, ma, essendo in parte mancante da un lato, si possono ritenere per diciassette. Gli spazi intercostali, per la mancanza del guscio, appaiono molto più larghi di quel che veramente siano e più larghi delle coste. Queste si mostrano convesse, strette verso il cardine e sempre più larghe verso il margine. Quivi abbiamo tracce di guscio e si vede bene che le coste nel loro stato primitivo sono molto più grosse e gli spazi intercostali risultano assai più stretti. La nostra valva che è certo la superiore, per la sua forma e per la sua rigonfiezza, come pure per l’aspetto e disposizione delle coste, risponde in tutto agli esemplari del calcare a briozoi di San Marino. Quelli esistenti nella collezione Manzoni del gabi- netto di Firenze, uno dei quali abbiamo pensato figurare, e che dal Fuchs nel 1881 furono descritti col nome di P. Manzonii per la loro forma, per la rigonfiezza e per il numero delle coste, che sono 17, corrispondono perfettamente al P. cfr. subarcuatus Tourn., figurato nel 1898 dal Sacco a tav. XX, fig. 25. Il Tournoiier nel 1874 in un suo lavoro sulle Mollasse mio- ceniche del Forcalquier (Basses-Alpes), accennava brevemente, ma non figurava una nuova forma di Pecten delle mollasse del- l’Armagnac, il P. subarcuatus, dicendo che per quanto nella forma appartenga al gruppo del P. benedictus, nell’ insieme dif- ferisce sensibilmente da quello tipico della Turenna e dell’Anjou. Di poi questa specie non è più stata citata, ma il Sacco figu- randola, senza descriverla, vi ha riferito la presente forma. Xel- 28 39S B. NELLI 1: incertezza però che trattisi della specie del Tournoiier e tanto più che si può dire non esser questa mai stata descritta, si deve accettare secondo me il nome sicuro dato dal Fuchs. Riporterò qui la descrizione degli esemplari tipici di P. Man- zoni i, provenienti da San Marino: Conchiglia orbicolare, equila- terale, inequivalve, ornata di coste longitudinali, valva destra con ombone piuttosto ricurvo ed assai gonfio con coste raggianti in numero di 18-19, anguste ed acute verso bombone e più larghe e rotondate al margine, separate da interstizi minori. Noi non possediamo la valva sinistra di questa specie ovvero la valva superiore, che il Fuchs ci descrive piana o leggermente concava e le coste portano ciascuna tre costoline secondarie. Queste inoltre sono ornate di strie concentriche d’accrescimento, alquanto sca- gliose, le quali verso l’apice sono molto sviluppate, notevolmente lontane Fune dall’altre, e verso il margine sono notevolmente più deboli e più vicine. Il Fontannes ( Bassin de Visan, p. 93, tav. Ili, fig. 3) descrive il P. Fuchsi, nuova specie che si allon- tana più dal benedictus , ma cui si accosta il P. Manzonii per modo che può trattarsi forse della stessa specie. — Miocene medio di San Marino (Manzoni) e di Piemonte (Sacco). Pectcn Haveri Micht. Pecten Bianconii Fuchs, (prò parte), loc. cit. Di questa specie, abbastanza conosciuta, abbiamo le due valve ben conservate in una brecciolina calcarea di Pietra Cervara presso Calaselo, ai quali esemplari possiamo aggiungere altri in buono stato del calcare di Muterà presso Ascoli, dove vedonsi anche i modelli interni e impronte di ambedue le valve. La valva sinistra, provvista di guscio, di Pietra Cervara, di forma piuttosto equilaterale, presenta quattordici coste che, strette al- l’apice, si allargano verso il margine e sono ornate di tre file di granulazioni che vedonsi anche negli spazi intercostali più stretti delle coste. La valva destra, come l’altra, incastrata nella roccia, mostra la parte interna della conchiglia ed in gran parte anche le orecchiette. Le due valve per i loro caratteri, interni FOSSILI MIOCENICI DELL’APPENNIXO AQUILANO 399 ed esterni corrispondono specialmente alle figure 4 e 7 della tav. VII del Sacco (loc. cit.). La forma dell'isola di Malta figu- rata e descritta dal De Gregorio (*), la quale, come il De Gre- gorio stesso ci dice, si avvicina al P. spinulosus Munst., è di- versa dal tipo nostro pèrche le sue scaglie dal lato esterno si trasformano in piccole spine : però essa segna un vero passaggio dal P. Haveri al P. Kolieni, passaggio frequente a Malta e che non si riscontra fra gli esemplari del Piemonte e fra i nostri. Della parte interna delle valve di Cernirà e del calcare di Rocca di Cambio abbiamo rilevato dei modelli che corrispondono a quelli che vedonsi nel calcare di Muterà, nella valle del Tronto, sicuramente appartenenti al P. Saveri. Il calcare di Rocca di Cambio è quasi totalmente costituito da nuclei interni di questa specie, tutti mancanti affatto di guscio esterno e che quasi mai presentano tracce d'orecchiette. A questi nuclei dobbiamo aggiungerne, non però in modo assoluto, altri del calcare di San Panfilo. Anche alcuni esemplari del calcare di Cucuzzo presso Calascio sono da riferirsi a questa specie, e pro- babilmente alcuni del Ponte delle Valli presso Pescina. Prima, non avendo conosciuto e studiato Tinterno di P. Haveri , avevo attribuito questi modelli al P. scabrellus. I nostri nuclei che presentano da 14 a 16 coste, sono piuttosto depressi, per pres- sione subita, e di forma più equilaterale del P. scabrellus , cioè come il P. Haveri. Gli spazi intercostali, di larghezza molto maggiore delle coste, sono più larghi verso la metà delle valve che lateralmente, piuttosto pianeggianti al centro, mentre dalle parti presentano una certa convessità, marcata specialmente al margine. Avendo rilevato un nucleo interno cl’una valva di P. sca- brellus e così pure del P. Haveri, ho constatato, come ebbi oc- casione per il P. Nortbamptoni Micht., che le concavità delle coste interne del guscio, accentuate specialmente al margine, sono in corrispondenza colle convessità intercostali del nucleo. Il nucleo dell’ Haveri anche per altri caratteri corrisponde a quello dello scabrellus, essendo le loro coste, rilevate al margine, in di- (*) Bescription de qiielqiies fossiles tertiaires ( surtout mioc'enes) de Malta, p. 14, pi. 1, f. 19 a, b. ( Annales de Géologie et de Paleontologie). 400 B. NELLI pendenza appunto della concavità maggiore al margine degli spazi intercostali. Una piccola differenza, oltre la maggiore equi- latcralità del primo, esiste fra il nucleo delYHareri e quello dello scabreìlus, poiché in questo le coste non arrivano all’apice, ma si arrestano circa a due terzi del modello. Del resto l’a- spetto della superficie interna della conchiglia in tutti i suoi ca- ratteri corrisponde alla parte interna del P. Haveri come del F. scabreìlus , che in ciò si somigliano. Agli esemplari da noi studiati ne aggiungo uno bellissimo di Schio, appartenente a questo museo, il quale fu trovato in quella località insieme col P. pracscobrmscu lus Font. Essendomi capitato d’osservare un nucleo di P. deletus Miclit. di Dego in Piemonte, l’ ho voluto confrontare coi nostri nuclei ed ho notato che per quanto a questi a prima vista si somigli molto, ne differisce però per avere gli spazi intercostali più larghi lateralmente e più stretti e rilevati al centro e per avere una forma più equilaterale. Il Sacco cita la specie nell’Elveziano dei colli torinesi, Bal- dissero, Albugnano, Serralunga, Vignale, S. Giorgio Monferrato. L’Hornes (*) cita la specie in Val Calda. Trovasi anche a San Marino (P. Bianconii Fuclis). Pecten demulatus Keuss. Di questo abbiamo cinque esemplari, parte col guscio e parte senza, i quali vennero già indicati dal Chelussi nelle marne di M. Luco (loc. ciL). Per quanto mancanti delle orecchiette e non in troppo buono stato, si distinguono bene dal P. cristatus Bromi come dal P. comitatus Fontannes. Le figure date dal Sacco (loc. cit., tav. XIV, fig. 30-39), corrispondono perfettamente ai nostri esemplari e cosi pure quelle date da M. Hòrnes (2), alle quali il Sacco si riferisce. La specie è abbastanza comune nell’Elve- ziano piemontese, sui colli torinesi, a Sciolze, Cellamonte, Ro- (') Hoernes, Beitràge zur Kenntniss der Tertiàr-Ablagerungen in don Sudalpen. (Jahrbuch d. k. k. geol. Reichsanst.alt, 1878, 28. Band, 1. Heft). (2) M. Hornes, Jahrbuch der Icais. kbn. Gcólogisclien Reichsanstalt. 25 Band. 1875, IV Heft. Taf. XIV, lig. 21 u. 22. FOSSILI MIOCENICI DELL’APPENNINO AQUILANO 401 signano, Monferrato, Castello Uviglie, Ozzano, S. Giorgio Mon- ferrato, Ceva, M. Yallassa, nel Vogherese e Tortonese, così pure nel Toi’toniano dei Tetti Borelli sui colli torinesi (Sacco, p. 52). Trovasi anche nel Langliiano di Pantano nel Modenese (Pantanelli e Mazzetti), nell’argine di Fangario in Sardegna (Parona, p. 8), nel Tortoniano della provincia di Peggio (Seguenza), nella mi- niera comunale presso Tocco da Casauria (De Angelis, p. 12), nelle colline bolognesi (Simonelli, p. 23), a Sassuglio (De An- gelis e Luzj), e a monte Gardeto (Capellini, p. 9). Pecten Northamptoni Micht. Pecten Bianconii, Fuchs (prò parte), loc. cit., p. 319. Abbiamo diversi esemplari di questo Pecten, alcuni dei quali mostrano la parte interna del guscio, altri la parte esterna. Ho pure veduto la parte interna ben conservata d’una valva destra, mostrante le costoline a coppie sopra descritte, proveniente dal calcare marnoso di Cuculio. Inoltre un’impronta della superficie esterna con parte di guscio interno proveniente dalle arenarie di M. Luco e un nucleo interno di forma molto inequilaterale con traccia d’orecchiette pure di queste medesime arenarie, un nucleo contenente le impronte della parte interna del calcare marnoso di Collebrineioni (Capo Croce), quattro parti interne di guscio, due delle quali presentano parte della superficie con le spine, del calcare marnoso di Ponte delle Valli (Pescina), due nuclei del calcare marnoso della medesima località ed un esem- plare del calcare marnoso di Cerchio. In ultimo abbiamo un esem- plare delle marne di M. Luco, il quale sembra pure appartenere al P. Northamptoni, ma non oso affermarlo in modo assoluto per il cattivo stato della sua superficie. A questi esemplari debbo ag- giungere un’impronta con parte di guscio interno dell’arenarie marnose di M. Luco, che altra volta era stato da me riferito al P. Reussi Horn. Avendola esaminata più attentamente, ho ve- duto traccie di spine, le quali insieme con l’aspetto esterno ed interno delle coste fanno riferire la specie al P. Northamptoni : così il P. Beussi deve escludersi. Riepilogando, abbiamo visto 402 15. NELLI questa specie nell’arenarie di M. Luco, nel calcare marnoso di Cerchio, di Cuculio, di Collebrincioni (Capo Croce), di Ponte delle Valli (Pcscina). Uno fra questi esemplari, quello di Cerchio, meglio conser- vato, fornito d’ambedue le valve, ha una forma evidentemente inequilaterale. La valva destra presenta quattordici coste e queste sono ornate da una triplice fila di squame, succedentisi ordina- tamente in senso longitudinale ; negli spazi intercostali vedonsi parimente queste squame disposte, come sulle coste, su tre or- dini. Questa valva, e per la forma e per il suo aspetto esterno, è identica a quella figurata dal Sacco (tav. IV, fig. 2). La valva sinistra è rappresentata dal suo nucleo interno, quasi del tutto privo di guscio, ma con qualche parte ben con- servata. Avendo rilevato il modello di questo nucleo, che cor- risponderebbe alla superficie interna della valva, ho notato che esso si presenta ornato di 20 coste ravvicinate, riunite a paia e separate da una concavità quasi pianeggiante, le quali, diver- genti al margine, dove scompaiono poco prima di giungervi, con- vergono all’estremità apicale. Queste coppie di coste corrispon- denti allo spazio intercostale esterno sono separate da uno spazio concavo più ampio e più profondo di quello che separa le coste medesime, la cui concavità corrisponde alle coste esterne del guscio. Ho confrontato il nostro modello colla parte interna del guscio del Pecten, che il Meneghini ( Paleontologia dell’ isola di Sardegna, tav. II, fig. 9) qualifica per dubius e mi sono convinto che essi si corrispondono perfettamente. Del resto il nostro esem- plare ed il tipico Pecten ÌNorthamptoni Miclit. corrispondono pure perfettamente alla descrizione ed alla figura del predetto P. du- bius (non Brocchi) Menegh. Corrispondono pure per la forma ine- quilaterale, per la struttura esterna del guscio, il quale presenta delle scaglie spinose disposte ordinatamente lungo le coste e nell’intercoste, ed anche per il numero delle coste al Pecten Boni- faciensis Locard (loc. cit., p. 14G, tav. II, fig. 6-8). Il nucleo della valva sinistra del nostro esemplare presenta solchi ristretti e profondi, dove viceversa sono le costoline della parte interna del guscio e convessità assai appariscenti, dove sono le concavità e la forma è come quella del nucleo che il Sacco ha chiamato e figurato col nome di P. mioalternans Sacco, FOSSILI MIOCENICI DELL5 APPENNINO AQUILANO 403 (tav. VII, fig. 11), dei colli torinesi (Museo di Torino) e di Ter- mofourà (Collezione Bovasenda) e che potrebbe anche essere un nucleo di Pecten Northamiptoni. Nella collezione dei fossili di San Marino del Museo di Firenze trovasi il P. Bianconii, de- scritto dal Fuclis come specie nuova, rappresentato da diversi individui, una parte dei quali mostrano a parer mio caratteri tali da poterli identificare al P. NortJiamptoni Micht., e solo per la cattiva conservazione di gran parte della superficie potè il Fuclis costituirne una specie nuova. Altri esemplari potreb- bero appartenere 2IV Haneri. Il Sacco indica la specie nell’Aqui- taniano (Acqui), nell’ Elveziano dei colli torinesi, Baldissero, Sciolze, Albugnano, Serralunga, Vignale, Eosignano, S. Giorgio, Monferrato, S. Marino (Manzoni). Pecten cfr. scabri usculus Malli. Abbiamo una valva incompleta di questa specie nel calcare marnoso d'Ofena. Avendola confrontata col P. scabréllùs Lk., non ho riscontrato sulle sue coste tracce di squamette trasver- sali come in questa specie ; col P. Haveri Micht. parimente non combina perchè neppure le sue coste presentano tracce di quelle piccole spinosità così caratteristiche in quella specie. Il nostro esemplare invece per il numero delle coste e per qualche traccia della sua ornamentazione esterna si accosta molto al P. sca- briuscuìm Matli. ed al P. praescabriusculus Fontannes, cui non oso però confrontarlo in modo assoluto, trattandosi d’un esem- plare in poco buona condizione. Del P. pra esca b r i usculus Font, abbiamo alcuni esemplari di Schio ed altri bellissimi di Malta. Pecten (Aequipecten) Malvinae Dub. Questa specie è abbondantissima nell’ arenarie marnose di M. Luco, dove nel calcare fu già indicata dal Chelussi (loc. cit.), in quelle del Ponte delle Valli, di Francolisco, comune di Lu- coli. nel calcare bardigliaceo di M. Luco, di S.a Lucia presso 404 B. NELLI Lucoli, identico al calcare bardi gliaceo di M. Luco tra Franco- lisco e Sri Manna, nelle marne sotto S. Giuliano, tra il convento e l’Aquila, trovata in uno scavo per costruzione di casa, infine nelle marne di tufo presso Corsoli al confine della provincia romana. A questi esemplari dobbiamo aggiungere alcuni nuclei del calcare di S. Panfilo. Alcuni dei nostri esemplari per quanto non ben conservati, mostrano tracce di guscio e le costoline lon- gitudinalmente solcate. Dalla forma della conchiglia, dal numero e dall’aspetto delle costole sembra doversi riferire i nostri indi- vidui al P. Malvinae: alcuni della forma tipica del Dubois, altri alla varietà acuticostulata Sacc. Nel calcare di Rocca di Cambio trovansi varii modelli interni, i quali per quanto in cattivo stato, perchè mancanti affatto del guscio, pel numero e per la forma delle coste sembrano appartenere alla medesima specie. Le coste del guscio sono rispondenti precisamente alle coste della superficie esterna della conchiglia e gli spazi inter- medi corrispondono alla parte interna pianeggiante, che rappre- senta sulla superficie gli spazi intercostali, quivi non pianeg- gianti, ma concavi. Questi spazi intercostali, interamente piani in molte specie di Pcctcn, sono più o meno, in tutto o in parte, presso il margine della conchiglia ed anche fino all’ apice, leg- germente concavi e nel nucleo appaiono per conseguenza più o meno convessi e rappresentati come da costoline minori, situate fra le coste maggiori, rilevate anche all’ esterno. Questi carat- teri, sui quali ho richiamato l’attenzione degli osservatori, sono abbastanza distintivi da una specie all’altra. In alcuni dei nostri esemplari del calcare di Rocca di Cambio, come in quelli delle arenarie di M. Luco, vedonsi da un lato fra le coste maggiori dei rilievi minori, rispondenti ad una leggera concavità degli spazi intercostali nella parte interna del guscio. Questa traccia non comparisce dall’altro lato della valva. Deve attribuirsi a questa specie un esemplare di M. Titano (San Marino) del Museo di Firenze. Il Sacco indica la specie nell’ Blveziano dei colli torinesi, e ad Albugnano. Trovasi anche nello Schlier di Sassuglio nelle Marche e del M. Corno negli Abruzzi (De Angelis e Luzj), nei dintorni di Tocco da Casauria (De Angelis), nel calcare tufàceo di S. Michele in Sardegna (Parona), infine nel calcare di Acqui FOSSILI MIOCENICI DELL7 APPENNINO AQUILANO 405 (Trabucco) (x) con P. Holgeri Gein., P. Burdigalensis Lk., P. Ko- lieni Fuclis, P. gigas Sdii., P. spinosellus Sacco, P. solarium Lk. Nel Tortoniano di Benestare in Calabria (Seguenza). Limea strigliata (Brocchi). Limatulella Langhiana, Sacco, loc. cit., parte XXV, p. 17. Un piccolo esemplare di questa specie nel calcare marnoso di Montecckio, il quale per quanto mancante d’orecchiette, per la sua forma come per il suo aspetto deve esser riferito a questa specie. Il Sacco distingue come genere nuovo e specie nuova col nome di Limatulella Langhiana individui che egli ci presenta colle fig. 8, 9 a, tav. V, i quali forse per il loro cattivo stato di conservazione trassero il Sacco in errore. Infatti se noi con- frontiamo queste figure con quelle che il Sacco medesimo ci dà della Limea strigilata a tav. VI, fig. 4, 5, 6, 7, fossili meglio conservati, vediamo che i due generi e le due specie non pos- sono esser distinte, poiché la somiglianza fra queste figure è tale e tanta che la forma della conchiglia è tutt’ una, obliqua, oblunga ed un po’ ovale e la superfìcie di essa ornata egualmente in ambedue le specie di piccolissime costoline o strie longitudinali. La specie trovasi nelle colline di Prepo nell’ Umbria (Verri e De Angelis), nello Schlier delle Marche (De Angelis e Luzj), nell’Aquitaniano, Elveziano e Langhiano dei colli torinesi, nel Tortoniano presso Stazzano e Montegibbio (Sacco), nel Torto- niano, Elveziano di Benestare in Calabria (Seguenza). Lima oblonga sp. n. (Tav. IV ; fig. 5) Dimenzioni: Larghezza min. 54 Altezza minima ... » 34 » massima . . » 48 Noi non possediamo che un solo esemplare di questa specie rappresentata da una valva delle marne di M. Luco di forma (’) Trabucco, Firenze, 1891. Sulla vera posizione del calcare di Acqui (Alto Monferrato), p. 23. B. NELLI 406 oblunga ed inequilaterale. Per questa inequilateralità si distingue nella nostra conchiglia una parte anteriore ed una posteriore, le quali sul lato cardinale formano insieme un angolo ottuso in cui risalta l’apice cardinale piuttosto appuntito, leggermente rivolto verso la parte anteriore, limitato lateralmente da due leggere depressioni nella valva. Questa ha una superficie quasi liscia, ornata di coste radiali, numerose e fitte, non diritte, irregolari, poco salienti, a metà della superficie bipartite e spesso vieino al margine bipartite ancora, separate da solchi poco profondi, un poco più stretti delle coste, le quali scompariscono a metà dell’altezza della valva, e così intorno all’apice cardinale vedesi una superficie liscia. La parte anteriore della valva presenta una linea concava e breve sul lato cardinale ; la parte posteriore invece, per quanto nel nostro esemplare sia incompleta, sembra molto più estesa e segnata da una linea orbicolare ; il margine paileale è leggermente convesso. Le due orecchiette sono ben visibili. Il nostro esemplare per la sua forma sembra evidente- mente una Lima, ma si discosta tanto dalle specie terziarie fino ad ora conosciute, che non ci è stato possibile poterlo confron- tare con alcuna di esse. Lucina spinifera Mont. Un’ impronta di questa conchiglia abbiamo sul calcare marnoso di Cuculio. Avendone rilevato il modello, che è ili forma ovale con strie concentriche lamelliformi e con lunula lanceolata, cor- rispondente alla fig. dell’ Hbrnes (tav. 33, fig. 8, op. cit.), sembra indubbiamente appartenere a questa specie. Comune nel Langhiano della Valle dello Stilavo e nel Tortoniano di Benestare in Ca- labria (Seguenza). Arca barbata Limi. Una valva di questa specie nelle marne di M. Luco. Essa è di forma ovale, inequilaterale e compressa con qualche parte di guscio, dove vedonsi delle sottili costoline granulose che per- corrono la conchiglia longitudinalmente dal lato cardinale al FOSSILI MIOCENICI DELL’APPENNINO AQUILANO 407 margine paileale, intramezzate ogni 4 o 6 eia intervalli più larghi e meno superficiali. Per quanto incompleto il nostro esemplare per la sua forma e per le tracce della sua ornamentazione esterna sembra appartenere a questa specie, e tanto si accosta alle forme viventi figurate da Boucquoy e Dautzenberg ('), sì da non po- tersi riferire alle forme mioceniche del Bacino di Vienna indi- cate coi nomi di A. Hebbingii Chemn. e di A. subTieTbingii D’Orb. o variabilis Mayer. Il Sacco indica la specie assai frequente nell’ Elveziano dei colli torinesi. Trovasi anche nel Tortoniano della montagna Fo- rabosco, del Veneto (De Gregorio) (2), di Montegibbio nel Bolo- gnese (Coppi) (3), e di Benestare in Calabria (Seguenza). Nucula imcleus Finn. Abbiamo un modello interno proveniente dalle marne di M. Luco. Per la sua forma piuttosto trigona, inequilaterale con lato posteriore corto, sul quale vedesi traccia d’una fila di denti, è indubbiamente una Nucula, ed avendolo poi confrontato colla figura dell’ Hornes (loc. cit., tav. 38, fig. 2), come aspetto e come forma corrisponde a questa specie. Trovasi nel Langhiano di Pantano nel Modenese (Pantanelli e Mazzetti) e nel Torto- niano di Montegibbio (Coppi), e di Benestare in Calabria (Se- guenza). Nucula piacentina Lk. Abbiamo una valva di questa specie nelle marne di M. Luco, la quale per la sua forma inequilaterale e per mostrare tracce di denti lungo la cerniera sembra riferirsi a questa specie. Il Sacco indica la specie nell’ Elveziano dei colli torinesi. Baldis- sero, Sciolze, Albugnano e nel Pliocene la cita come varietà. Trovasi anche nel Tortoniano di Capo S. Marco in Sardegna (Mariani e Parona) e a Montegibbio (Coppi). (') Les mollusques marins du Boussillou, tom. II, tav. 32, f. 1, 2. 3, 4, 5. (2) A. De Gregorio, Elenco di Fossili dell’ Orizzonte a Cardita Jouan- neti Bast. (Estr. dal Naturalista siciliano, anno II, n. 7, 8, 1883). (3) Coppi 1881, Paleontologia Modenese. 408 B. NELLI Cardita globulina Miclit. Giana aculeata Poli, var. globulina Micht. Sacco 1899, loc. cit., parte XXVIII, p. 14. Cardila rudista Lk. C. De Stefani e B. Nelli 1899, loc. cit. Due esemplari delle marne di M. Luco che per forma, pel numero delle coste sulle quali vedutisi tracce d’aculei, appar- tengono a questa specie. Il Sacco pone la specie del Micht. nel suo sottogenere Glans col nome della specie vivente del Poli, includendo in questa come varietà la specie fossile del Michelotti. Il nome di Cardita aculeata Poli (1795, Chama) Q) è da riferirsi alla specie vivente e non può essere appropriato alla specie fossile, la quale piuttosto va distinta col nome di Cardita globulina Micht. Questa specie si accosta molto alla C. nidi sta Lamarck. Yenus islandicoides Lk. Abbiamo un bellissimo esemplare di questa specie nel cal- care marnoso di Cuculio. Il De Gregorio (loc. cit.) cita la specie nel Tortoniano di S. Pietro in Sicilia e della montagna Fora- bosco presso Asolo nel Veneto. Il Malagoli (loc. cit.) la cita nel Tortoniano di Montegibbio e Montebaranzone. Arcopagia speciosa n. sp. (Tav. IV; fig. 8). Dimensioni : Diam. antero-posteriore. min. 30 Altezza » 29 Abbiamo parte interna con porzione del guscio della valva sinistra di questa specie nelle marne di M. Luco. Essa è poco rigonfia, obliqua, di forma inequi laterale ornata di lince d’ac- (') Testac. utr. Hiciliae, voi. II, tav. 23, fig. 23. FOSSILI MIOCENICI DELL’APPENNINO AQUILANO 409 crescimento, presso il margine pai leale piuttosto serrate. Bordo cardinale stretto, mediocremente angoloso. Per la sua marcata inequilateralità e per la posizione dell’apice questa specie è certamente un ' Arcopagia, e non può essere confusa con nessuna delle specie finora conosciute. Nella parte posteriore essa pre- senta una concavità piuttosto profonda sotto l’umbone ed il mar- gine poi è regolarmente convesso. La parte anteriore è molto più breve della posteriore ed offre un contorno limitato da una linea leggermente ricurva, quasi retta e presso il margine pal- leale, suborbieolare, una leggera depressione radiale che s’avanza verso l’apice. Nell’insieme la nostra specie può avere qualche punto di contatto coll 'Arcopagia crassa Ilrown ( Illusi . Brit. Condì., pi. 16, f. 8, 1827) figurata anche dal Wood, (Palaeon- tographical Society, Monograph of thè Crag Mollusca, p. 226, t. XXI, f. 1 a-c ) daH’Hòrnes (loc. cit.) e da altri, dalla quale differisce però per avere nella parte posteriore una concavità maggiore presso l’ umbone, per avere in generale un contorno meno ovale e più angoloso anteriormente. Nella parte posteriore invece vi è una certa analogia fra la nostra specie e l’altra nel contorno ed anche perchè entrambi mostrano una leggera de- pressione presso il margine palleale, che nella nostra specie però è meno sentito e più limitato, mentre nell’altra a guisa di una piega assai accentuata arriva fin presso il lato cardinale. L’Hòrnes ed altri hanno riferito all’ J.. crassa forme che ne vanno divise, come già notò il Fontannes; la specie dell’Hòrnes è più vicina alla nostra per il solco radiale nella parte anteriore della valva, ma per la forma è pure essa diversa. Pholadomya Fuclisi Schaffer. (Tav. IV ; fig. la, Ih) Abbiamo un bell’esemplare delle marne di San Demetrio, il quale nell’insieme è di forma piuttosto allungata, con amboni poco prominenti. La superficie della conchiglia è ornata eli coste concentriche, parallele alla periferia, regolari, ellittiche, le quali nel centro delle due valve sono intersecate da 10 costoline lon- gitudinali raggianti a ventaglio un poco obliquamente dagli apici 410 li. NELLI degli umboni alla periferia. Umboni appuntiti, valve ellittiche, asimmetriche. Le coste longitudinali incontrandosi colle concen- triche danno origine su queste a delle piccole nodosità. Il nostro esemplare è identico alla specie nuova figurata dallo Scliaffer (‘) e da lui descritta col nome di Ph. Fuchsi ed anche ad un buono esemplare di Casaleccliio, appartenente a questo Museo, che lo stesso autore cita ed include in questa specie; però le figure da lui prodotte non sono molto chiare e per ciò abbiamo creduto bene darne una fotografìa. La specie dello Schatfer è alquanto simile alla Ph. Puschi Goldf. Infatti per avere gli umboni appuntiti, portati un po’ in avanti, la parte posteriore allargata, come per la forma delle valve e per l’an- damento delle coste concentriche e longitudinali, corrisponde alle fig. 1, 2, 3, 7, 9, tav. XXXYII del Moesch (2), specie che da questo autore nella sua Monographìe der Pholadomyen (3) viene inclusa nella Ph. Puschi; però gli altri individui figurati di questa medesima specie presentano notevoli differenze dalla no- stra, avendo gli umboni più marcatamente portati in avanti e la parte posteriore assai più allargata. La Ph. Fuchsi si avvicina molto alla Vaticana del Ponzi (/ fossili del monte Vaticano (4)), cosa del resto che molto opportunamente viene notata anche dallo Scliaffer. Avendo tra mano alcuni individui di Crosara di questo Museo appartenenti alla Ph. Puschi ho notato che pure sono molto vicini alla Ph. Fuchsi. Questa specie viene indicata dallo Scliaffer nel Bolognese e nell’Anconitano, nell’Aquitaniano di Ceva presso Cuneo, neH’Elveziano dei colli torinesi e a Mon- dovì, nel Londoniano di Clierry presso Tournais, nel Piacentino, nel miocene medio di Vernone, Sciolze, Tetti Correyo e St. Grato presso Gassino e nel miocene superiore d’Avuglione. Il Simo- nelli in un suo scritto: Sopra la Fatma del così detto Schlier (') I)er Murine Tegel von Tìieben. Neadorf in Ungarn. (Separat-Ab- druck aus dem Jahrbuch der k. k. geolog. Reichsanstalt, 1897, Bd. 47, Heft 3, p. 537, f. 1, 2, 3). (2) Abhandlungen der Schveiz. pala eontolog. Gesellscha/'t, 1874, voi. I. Mémoires de la Société paléontologique Suisse. (a) Separai- Abd rack aus den Verhandlungen der k. k. geolog. Reicli- sanetalt, 1898, n. 8. (4) Atti della li. Acc. dei Lincei, ser. 2a, voi. III. Roma 1876. FOSSILI MIOCENICI DELL’APPENNINO AQUILANO 411 nel Bolognese e nell’ Anconitano (x), riferisce a specie indetermi- nata di Pìioladomya individui di Casaleechio, e bene li descrive per modo elle ragione voi mente lo Schaffer (p. 220) ritenne che la forma descritta dal Simonelli rispondesse alla sua stessa specie. Per equivoco lo Schaffer ebbe dal Museo di Firenze, altri due cattivi esemplari di altra località dello Scldier del Bolognese, che però non rispondono alla forma ritenuta incertamente dal Simonelli come Ph. mèrgaritacea Sow., nè alla specie da lui lasciata indeterminata, che è la Ph. Fuchsi. In questo mio studio ho avuto occasione d'esaminare un bel- l’esemplare di Pholadomya proveniente dal pliocene di Castel- fiorentino, che mi sembra senza dubbio poter riferire alla Ph. thyrrena del Simonelli, da questi descritta e figurata nella sua memoria: Terreni e fossili dell’isola di Pianosa nel mar Tir- reno (2). I nostri esemplari dello Scldier differiscono assai da questa specie, la quale presenta il contorno del margine ven- trale quasi diritto e gli amboni poco prominenti. Glaleodea echiuopliora Lam. Di questa abbiamo un modello interno in mediocre stato pro- veniente dalle marne di M. Luco. Il nostro esemplare per la sua forma, per l’andamento delle sue strie trasversali, come pure per la disposizione dei cingoli tubercolari, i quali nel nostro esemplare sono appena accennati, appartiene ad una delle tante varietà di G. echinophora. Il Sacco (parte VII, pag. 53) indica la varietà di questa specie nell’Elveziano dei colli torinesi, Al- bugnano, Baldissero, Sciolze e nel Tortoniano di Stazzano, S. Agata e Tetti Borelli in Piemonte. Trovasi anche nella marna di Bacca- nello nella valle deUTdice (Sangiorgi, p. 14) (3), nel Tortoniano di Montegibio e Montebaranzone (Coppi) (4), dove viene indicata (x) Atti della Soc. tose, di Se. Nat. di Pisa, voi. XII, 1893. (2) Boll. B. Corri. Geol. d’Italia 1889, p. 214, tav. IV, f. 3. (3) Sangiorgi 1896, Il tortoniano dell’alta valle delVIdice. (Estr. dalla Rivista Italiana di Paleontologia). (4) F. Coppi 1872, Studi di Paleontologia iconografica del Mode- nese, p. 31. 412 B. NELLI anche dal Malagoli, e di Benestare in Calabria (Seguenza). Tro- vasi anche a Ponte dei Canti nelle Marche (De Angelis e Luzj), nel Langhiano di Pantano nel Modenese (Pantanelli e Mazzetti), nelle marne di Montedoro (Morena), nel calcare tufaceo di S. Mi- chele in Sardegna (Parona), nelle sabbie di Chiusi (Simonelli), nel territorio di Licodia-Eubea (Cafici). Cirsotrema pedemontana Sacco. Cirsotrema crassicostata Desìi, var. pedemontana Sacco, 1891, loc. cit., parte IX, tav. II, tig. 14, p. 46. Scalaria lamellosa Br. Simonelli, loc. cit., 1893. » Duciei Wrigt. C. De Stefani e B. Nelli, 1899, loc. cit. Abbiamo un esemplare proveniente dal calcare di M. Luco. La nostra conchiglia è di forma conica, oblunga con anfratti or- nati di coste oblique longitudinali, le quali presentano 4 funi- coli trasversali che nell’ ultimo giro sono cinque; essi trovansi anche negl’ interstizi. Apertura orbicolare, angolosa alla base, col margine pianeggiante. Il nostro esemplare, per molti carat- teri, è vicino alla Scalarla Duciei Wrigt, citata e figurata dal De Gregorio C)- In parte però differisce da questa per avere le coste un poco più grosse e perchè non sono depresse presso la sutura superiore, e per questi caratteri si accosta alla Cirsotrema crassicostata Desìi., var. pedemontana Sacco (2). Il nostro esem- plare corrisponde, per tutti i suoi caratteri, anche ad uno che il dott. Vittorio Simonelli identificò per Scalaria lamellosa Br. in un suo lavoro che più sopra fu da me citato. Questo però mi pare differisca assai dalla specie del Brocchi, perchè non pre- senta tracce di quel l’aggregato di sottilissimi sfogli uniti a guisa d’embrici che caratterizzano quella specie. L’ Alessandri indica questa specie a Designano (La Colma) e a Vignale. (*) (*) De Gregorio, 1889, Annales de Geologie et de Paleontologie, p. 9, tav. I, f. 35. (2) Loc. cit., parte IX, p. 46, tav. II, fig. 14. POSSILI MIOCENICI DELL1 APPENNINO AQUILANO 413 Turbo fimbriatus Bors. Di questo abbiamo tre individui, uno dei quali un po’ de- formato, ed il frammento di un’impronta provenienti dalle marne di M. Luco. I nostri esemplari presentano due ordini di granu- lazioni, uno situato sul lato dorsale dell’anfratto di granulazioni fini e l’altro sul lato ventrale di granuli più grossi. La super- ficie inferiore della conchiglia è liscia, leggermente solcata con apertura boccale obliqua. Per la loro forma e per la loro orna- mentazione somigliano in tutto al Turbo fimbriatus Bors. Nel Tortoniano di Stazzano e S. Agata (Sacco, parte XXI, p. 16) e in quello di Benestare in Calabria (Seguenza). Troclms granulatus Bors. Il nostro esemplare delle marne di M. Luco è piuttosto in cattivo stato di conservazione, sformato un poco per pressione subita. Per la sua forma e per l’andamento delle strie, le quali coll’aiuto della lente si mostrano costituite da fini granulazioni, in serie di 14 o 15 sull’ultimo giro, sembra evidentemente ap- partenere a questa specie. In parte si accosta all’ Ampollotro- chus granulatus Bors., figurato dal Sacco a tav. IY, fig. 34, parte XXI (op. cit.) ed anche più per la sua forma si accosta al Troclms ottuangensis, che l’Hornes descrive come nuova specie nel suo lavoro: Die Fauna des Schliers von Ottnang (1), e che molto probabilmente dovrà unirsi al T. granulatus. Il Sacco in- dica le varietà di questa specie nell’Elveziano dei colli torinesi (p. 42). Nautilus (Aturia) Aturi Bast. Di questo abbiamo due frammenti provenienti dalle marne di M. Luco, i quali sembrano per certo appartenere a questa (*) (*) Jahrbuch der Kais Icon. geologischen Reichsanstalt, 25 Band, 1875, IV Heft, p. 360, tav. X, f. 11-19. 29 414 B. NELLI specie. Trovasi nelle marne di S. Luca e di Paderno e a Me- delana (Foresti, p. 5), nel calcare dell’ Appennino parmense nella località detta Fosso del Botazzo a mezzo il monte di Rusino (Del Prato) (J), a Rosignano (San Bartolomeo), secondo T Ales- sandri, al Ponte dei Canti e S. Severino (De Angelis e Luzj), nel Langhiano di Pantano (Pantanelli e Mazzetti), di Montese, Montardone e Montagliana nel Modenese (Coppi), a Tocco da Casauria negli Abruzzi (De Angelis), a Monte Gardeto, Ripe della Gallina, Duomo, Ripe della Darsena (Capellini), nel Langliiano di Stilo in Calabria (Seguenza), nel territorio di Licodio-Eubea in prov. di Catania (Calici). Terebratula Costae Seg. 1871. Seguenza, Studi paleontologici sui brachiopodi ter ziarii dell'Italia meridionale p. 67, tav. V, fig. 9, 10, 11, 12, 13. In un frammento di breccia calcarea d’Ofena abbiamo un esemplare di questa specie, di cui non vedesi che la valva su- periore rigonfia e ricurva all’umbone, dilatata nella regione pai- leale. Nel centro della valva si vede un rilievo piuttosto largo che la percorre longitudinalmente quasi fino all’apice e da ciascun lato di essa una depressione piuttosto marcata. Il nostro esem- plare manca della valva inferiore: nell’insieme la conchiglia presenta una forma pentagonale. L’apice è poco sporgente con forame mediocre, con deltidio largo e concavo. Questo esem- plare, per quanto incompleto, presenta caratteri tali da potersi senza errore riferire alla T. Costae Seg. Il Seguenza indica la specie a Monteleone (Calabria), dove pure fu segnalata dal Costa, ed in molti altri luoghi dell’Elveziano di Calabria. (*) (*) Alberto Del Prato, Sopra una calcaria a bivalvi nell’ Appennino parmense. (Estr. dal Boll. R. Coni. Geol., n. 7, 8, 1881). FOSSILI MIOCENICI DELL APPENNINO AQUILANO 415 Terebratulina caput serpenti» Lam. Molti esemplari ed impronte nelle marne di M. Luco. Il Seguenza cita la specie nei Terreni terziari del distretto di Mes- sina (1). Conoclypus plagiosomus Agassiz. Diversi esemplari in buono stato nelle marne di M. Luco. Il Laube (2) cita la specie a Malta e a Balistro in Corsica. Tro- vasi anche a Vignale del Monferrato (Alessandri), nelle marne del monte Cedrone (Ugolini) e a Calaforno in prov. di Catania (Calici). Spataugus sp. Abbiamo due esemplari delle marne di Preturo ed un’im- pronta nelle marne di Collebrencioni, i quali, essendo in molto cattivo stato di conservazione, non possono esser riferiti in modo assoluto ad alcuna specie: probabilmente sono da confrontarsi allo Sp. austriaci is Lbe (loc. cit.). Flabellum avicula Michelotti. Turbinolia avicula, Michelotti, 1838. Spec. Zoopli. diluv., p. 58, tab. Ili, f. 2. Abbiamo diversi esemplari di questa specie nelle marne di M. Luco. Il Simonelli cita la specie nelle colline bolognesi (Col- lezione Manzoni, Museo di Firenze), il Sangiorgi nella marna di Baccanello, ed il Seguenza nel Langhiano di Stilo in Calabria. (') 1865. Paleontologia malacologica dei terreni terziari del distretto di Messina. (Estr. dal 1° voi. delle Mem. della Soc. it. di Se. Nat., Mi- lano 1865). (-) D1' Gustavo C. Laube. Wien 1871. Die Echinoiden der Oester- reichisch. — TJugurisclien oberen Tertiaerablaserungen, p. 67. 416 B. NELLI Stephanopliyllia imperialis Miclielin. Due esemplari provenienti dal calcare bardigliaceo di M. Luco. Cera tot roelrns sp. Abbiamo un piccolo polipaio proveniente dall’arenaria mar- nosa di M. Luco. Questo manca dello strato corticale e mostra una collimerà fasciculata, un poco ricurva. Odontaspis contortidens Agassiz. Lavina elegans. Ag. C. De Stefani e B. Nelli, loc. cit. Abbiamo un solo esemplare di Poggio Picenze, il quale è da riferirsi a questa specie per la sua forma, per avere la super- ficie esterna liscia e curva e quell’ interna solcata da strie. Tro- vasi nel Miocene di Torino, Baldissero, Sciolze, Rossignano, Vi- gnale (Monferrato), Mondovì (Posso Otaria), Stazzano (Alessan- dri) (*). Dallo stesso autore viene pure citata a Rosignano (Paese e la Colma) ed a San Giorgio (Camposanto). In Liguria non è rara nelle marne e argille del Savonese (Issel) (2), e trovasi pure nella miniera di S. Spirito a Tocco da Casalina (De Angelis), nel calcare di Acqui (Trabucco), nella pietra leccese (De Lo- renzo), a Bonifacio in Corsica (Locard), nel tufo di Cerisano (Costa) (3). Oxyrhina Desorli Ag. Oxyrliina hastalis. Ag. C. De Stefani e B. Nelli, loc. cit. Abbiamo quattro buoni esemplari di questa specie, due dei quali interi e ben conservati, tutti provenienti dal calcare di (’) Torino 1895. Alessandri, Contribuzione allo studio dei Pesci Ter- ziari del Piemonte e della Liguria. (Meni. Acc. R. di Se. di Torino). (2) Roma 1886. Issel. Contributi alla Geologia Ligustica. (3) O. G. Costa. Paleontologia del Regno di Napoli. Napoli 1850, parte I. FOSSILI MIOCENICI DELL’ APPENNINO AQUILANO 417 Poggio Picenze. Forma tipica e dimensioni piuttosto sviluppate. La corona presenta la superficie interna convessa e liscia, re- sterna invece appianata, ricurva leggermente all’ indietro con una larga depressione nella parte centrale presso la radice. Questa è rigonfia, divisa in due branche divaricanti. Questa specie trovasi a Eosignano (Paese. La Colma e Castello di Uviglie), Cellamonte, Vignale, nel Miocene di Torino, Baldissero, Eosi- gnano, Camino (Monferrato), Tou (Monf.j, Montaldo, Bersano (Alessandri), nella miniera di S. Spirito a Tocco da Casauria (De Angelis), nel Miocene del Bolognese (Vinassa De Eegny) (*) e della Liguria (Issel), nella pietra leccese (De Lorenzo), nelle marne della Valle di Pupolordo e nel territorio di Licodia-Eubea (Cafici), a Bonifacio in Corsica (Loeard), nell’Aquitaniano di Calabria (Seguenza). Chrysophrys ci lieta Ag. Abbiamo diversi denti nel calcare di Poggio Picenze, uno della località detta la Fossa ed un altro nelle marne di M. Luco, i quali tutti per il loro aspetto, come pure per la loro speciale colorazione, sembrano evidentemente appartenere a questa specie. Trovasi nel calcare tufaceo di Cerisano (Costa) ed è assai comune sui colli torinesi e nel Miocene di Torino, Albugnano, Baldissero, Eossignano, Serravalle, Tortona, come pure è frequentissima in tutto il Monferrato, nelle località di Eosignano (Paese e La Colma), San Giorgio e Vignale (Alessandri). Trovasi anche nel Torto- niano di Montegibio (Coppi), a Lettomanopello presso Tocco da Casauria (De Angelis), nel calcare di Acqui (Trabucco), e nella pietra leccese (De Lorenzo), nell’Elveziano di Catanzaro, ed altre località della Calabria (Neviani). Hemipristis Serra Ag. Abbiamo un solo dente di questa specie proveniente dal cal- care di Poggio Picenze. Esso è di forma piuttosto triangolare, C) P. Vinassa De Regny, Pesci neogenici del Bolognese. (Estr. dalla Riv. it. paleont., anno V, fase. Ili, Bologna 1899). 418 B. NELI.I con la parte radicale piuttosto larga ed intaccata nel mezzo. La corona presenta un margine dentellato ed è più convessa dal lato esterno che dal lato interno. Il Costa cita la specie nel calcare tufaceo tenero di Lecce; ma trovasi anche a Rosi- guano (Paese e La Colma) e Vignale, nel miocene di Torino, Baldissero, Sciolze, Rossignano (Alessandri), nella miniera di S. Spirito a Tocco da Casauria (De Angelis), e nella pietra lec- cese (De Lorenzo). NELLI. Tav. IV Bell. Sce. Geol. ital. Voi. XIX (1900) la 1 b 2 6 7 b Roma Fotot. Danesi AVVERTENZE PER I SOCI Dal contratto con la Tipografia Cuggiani. Le pagine di corpo 8 in più di 1j. di pagina per le note, e di una pagina di testo per ogni foglio di stampa, saranno pagate •in ragione di una lira ciascuna. Le tabelle in più di una per ogni tre fogli di stampa, coste- ranno L. 1,55 per pagina. Ciascun foglio di composizione dovrà essere stampato nel ter- mine di tre mesi dalla consegna delle prime bozze, detratto il tempo in cui esse bozze rimarranno presso la tipografia per le varie correzioni, trascorso il qual termine sarà corrisposto un compenso di L. 3,50 per mese e per foglio. I soci avranno una prima bozza in colonna, ed una seconda impaginata. Le correzioni straordinarie si pagheranno in ragione di una lira per pagina. Gli estratti per conto degli autori sono regolati dalla seguente tariffa : Per ogni 50 copie con copertina muta: per 1 foglio di stampa, L. 4; per r/2 foglio, L. 2; per l/-4 di foglio, L. 1. Prezzo della copertina stampata, sino a 100 copie, L. 2,50. Dal Regolamento per le pubblicazioni. Art. 9.° Se le memorie oltrepasseranno il numero dei fogli di stampa stabilito anno per anno dal Consiglio (4 f.) la spesa eccedente sarà tutta a carico dell’autore, anche per la parte relativa agli estratti concessi gratuitamente dalla Società. Art. 10.° Sono a carico degli autori le spese in più perle pagine, in corpo 8 e per le tabelle ; cosi pure le spese straordinarie per correzioni maggiori del consueto, per cambiamenti o rifusione di paragrafi e per composizione annullata. Art. 17.° Gli estratti che spettano agli autori avranno fron- tispizio e copertina stampata, se la memoria raggiungerà un foglio di stampa; altrimenti avranno copertina semplice. Art. 20.° Gli estratti si spediscono in assegno. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE FASCICOLO Rendiconti. Riunione straordinaria della Società Geologica Italiana tenuta alle Isole Eolie ed a Palermo 7-17 Aprile 1900. . . . Memorie. De Stefano G. — Gli avanzi fossili dei Misticeti di Calabria (con tre figure inserite nel testo) De Stefani C. — Le acque atmosferiche nelle fumarole a pro- posito di Vulcano e di Stromboli P. E. Vinassa DE Regny. — Bocce e fossili dei dintorni di Grizzana e di Lagàro nel Bolognese (con 1 carta geolo- gica e 1 tavola doppia) A. Neviani. — Briozoi terziari e posterziari della Toscana (con 6 figure nel testo) A. Verri. — Sulla trivellazione di Capo di Bove .... 13. Nelli. — Fossili miocenici dell’ Appennino Aquilano (con una tavola) Finii o (li stampare l’8 settembre 1900. XLI 281 295 321 349 376 381 1 1 Bollettino della Società Geologica Italiana si stampa in fascicoli trimestrali. Il Presidente responsabile; Nicolo Cullati. Anno XIX. Fascicolo 3.° (4.° trimestre 1900). SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA MENTE ET MALLEO fondata in Bologna il 29 settembre 1881 Consiglio direttivo per l’anno 1900 Presidente Nicolò Piìllati (Roma). 1900. Vice-Presidente . . . Carlo Fabrizio Parona (Torino). 1900. Segretario Antonio Neviani (Roma). 1900 (incari- cato) L Vice-Segretari . . . . Gioacchino de Angelis d’Ossat (Roma). 1900. Guido Bonareli.i (Torino). 1900. Tesoriere-Economo . Augusto Statuti (Roma). 1900-1902. Archivista Antonio Neviani (Roma). 1900-1902. Consiglieri Ulderico Botti (Reggio Cai.) \ Torquato Taramelli (Pavia). ( Vittorio Simonelli (Parma). ( 1 898-90°. Giuseppe Mercalli (Napoli). ] Carlo De Stefani (Firenze), j Arturo Issel (Genova). . . . ( Alberto Fucini (Pisa) ... A *^99 901- Pietro Zezi (Roma) ] Luigi di Rovasenda (Sciolze). \ GlUSEPPEDELoRENZO(NapolÌ). f Vittorio Matteucci (Napoli). ( tQ00^02- Romolo Meli (Roma) . . . . ! Commissione per le pubblicazioni . . Il Presidente 1 Il Segretario / . . 1 11 Tesoriere i (l?™ tempore) L’Archivista ! Commissione del bi- lancio Mario Cermf.nati ) ! Romolo Ragnini > 1900. Antonio Verri 1 ' Per voto del Consiglio direttivo, causa la rinuncia del doti. F. Millosevich eletto nell'adunanza del settembre iSgy. Sede della Società: Roma, Via S. Susanna, i A, presso il R. Ufficio geologico. RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI ORDINARIE tenute in Acqui nei giorni 16-19 settembre 1900 Circolare d’invito diramata in data 25 luglio 1900: Egregio Collega , La riunione estiva di quest’anno, conformemente al voto espresso nell’assemblea del 25 marzo ult., si terrà in Acqui ( Alessandria ) nei giorni 16-19 settembre; svolgendo il seguente Ordine del giorno: Lettura per l’approvazione dei verbali della adunanza del marzo p. p. Comunicazioni della Presidenza. Nomina di nuovi soci. Approvazione del Regolamento Molon. Discussione per l’approvazione dei bilanci consuntivi 1899 della Società e dell’Amministrazione del Legato Molon. Comunicazioni scientifiche. Elezioni alle cariche sociali per l’anno 1901. Programma delle sedute e delle escursioni. Domenica 16, ore 10. — Adunanza di apertura in un lo- cale posto cortesemente dal Municipio di Acqui a disposizione della nostra Società. — Nelle ore pomeridiane visita ai dintorni immediati di Acqui e segnatamente alle sorgenti idrotermali della Bollente e di Oltre Borali da. (Marne Langhiane ed Aquita- niane — Calcare di Acqui). LXXVI RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI ORDINARIE Lunedì 17: Escursione per la valle del Medrìo ad Alice Belcolle , Ricaldone e Cassine lungo la via rotabile. — Ore 7 partenza; kil. 14 su strada rotabile. (Serie Miocenica dal Lan- g'hiano al Tortoniano e Pliocenica dal Messiniano all’Astiano; Quaternario diluviale a Cassine). — Ore 4.30 p. ritorno in ferrovia ad Acqui con fermata a Strevi. (Elveziano e Terrazziano ; visita alla frana del rio Crosio). Martedì 18: Escursione delia valle dell’ Erro, passando in quella della Bormida per Cartosioì Malvicino, Turpino e Spigno. — Ore 7 partenza; kil. 15 su strada rotabile sino al [tonte di Malvicino, ed ore 3 di traversata a piedi. — Da Spigno, ore 6.40, ritorno ad Acqui in ferrovia. (Aquitaniano e Tongriano, roccie verdi antiche e scisti concomitanti). Mercoledì 19, ore 10. — Adunanza di chiusura. Nei giorni successivi potranno aver luogo, a scelta dei soci, delle escursioni facoltative da Ovada alla valle del Gorzente e della Piota per Derma e le capanne di Marcarolo, alle miniere aurifere della Lavagnina e della Tana; nella valle dell’Orba e della Stura per Molare, Ostiglieto e Rossiglione ; oppure nella valle dell’Erro e del Riobasco per Sassello, Santa Giustina ed Albissola (Aquitaniano e Tongriano, Serpentine antiche ed altre roccie concomitanti in tutte e tre le escursioni ; besimauditi permiane nella terza). Si uniscono alla presente circolare, la scheda per la nomina del Vice Presidente e dei Consiglieri, e copia dei bilanci con- suntivi del 1899. La Presidenza farà le pratiche per la consueta riduzione della spesa dei biglietti ferroviari. I soci che desiderano intervenire, sono pregati di inscriversi non più tardi del 31 Agosto p. v. inviando al Segretario della Società (Roma - R. Liceo Visconti) una quota di L. 10 per co- stituire un fondo per piccole spese. La Presidenza non garantisce alcuna agevolazione a quei soci clic intervenissero in Acqui senza la preventiva regolare iscrizione. Il Presidente N. PELLATI. TENUTE IN ACQUI NEL SETTEMBRE 1900 LXXV11 Ai soci intervenuti venne distribuita la seguente guida per le escursioni geologiche, redatta, per incarico del Presidente, dal socio ing. Zaccagna. Gite durante l’adunanza. 16 settembre. La città di Acqui si stende, come è noto, sulla formazione miocenica, che i rami della Bormida solcano ampiamente nella regione detta delle Lunghe, situata a S.-O., dove questo terreno è sviluppatissimo; mentre verso Est esso si raccoglie in una zona più ristretta che si protende molto al di là della Seri via. A Nord della città la serie sale rapidamente verso il terziario superiore ed il quaternario; a Sud essa si completa coi piani più antichi appoggiandosi colle molasse ed i conglomerati tongriani sopra la formazione di scisti e serpentine arcaiche costituente l’appennino ligure-piemontese. Le marne sabbiose, cineree, fogliettate, appartenenti, secondo gli autori, al Langhiano, che formano il sottosuolo di Acqui, ap- pariscono in vari punti nelle vicinanze della città, segnatamente sulla riva destra della Bormida e presso il Cimitero, dove, sul rio Medrio, possono raccogliersi esemplari di Balantium , di Pa- laeodictyon, ecc. È fra queste marne che scaturisce la nota sorgente termale detta la Bollente, che alimenta lo stabilimento delle Nuove Terme. Le sorgenti d’oltre Bormida, utilizzate nel vecchio stabilimento, scaturiscono dagli strati egualmente marnosi ed arenacei, che costituiscono il monte Stregone, e che sono ancora da conside- rarsi, secondo alcuni come langhiane, secondo altri apparterreb- bero all’Aquitaniano. Fra esse è inserita la lente calcare che forma la parete di- rupata allo sbocco del rio Ravanasco presso le vecchie Terme, che viene utilizzata come pietra da costruzione e da calce. È un calcare biancastro, grossolano, contenente talora granuli di quarzo e di serpentina, che risulta dall’ impasto di resti di nu- merose specie fossili, specialmente lithotlianmium, briozoi, fora- minifere, denti di squalo, ostree, pecten, ecc., generalmente mal conservati. LXXVIII RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI ORDINARIE Risalendo il rio Ravanasco appare evidente l’inserzione del calcare nelle marne, entro alle quali la lente va disperdendosi. Lo stesso calcare riaffiora con maggior sviluppo nel rio di Vi- sone, lungo il quale il banco calcare forma un marcato risalto sulle marne che lo sopportano. Anche i dintorni di Visone sono ricchi di acque termo-mi- nerali. Potrebbe darsi che la presenza della massa calcare fa- vorisse l’uscita a queste acque. La loro origine però dev’essere molto profonda, a giudicarne dalla loro temperatura che rag- giunge i 50° nelle sorgenti d’oltre Bormida ed i 75° nella Bol- lente. Probabilmente queste acque circolando in profondità attra- versano le roccie antiche formanti qui il sottostrato alle colline mioceniche. Da quelle roccie attingono forse l’acido solfidrico per la decomposizione dei solfuri metallici ; poscia, attraversando gli strati miocenici, si arricchiscono dei cloruri e joduri di cui questi strati sono abitualmente provvisti. 17 settembre. Le marne langhiane a pteropodi delle vicinanze di Acqui con- tinuano cogli stessi caratteri risalendo il rio Medrio sino al ponte delle Rocchie. Quivi subentrano delle arenarie fine, gialliccie, calcarifere, alternanti con marne biancastre ad Aturia Aturi, costituenti il piano elveziano, che secondo le Carte geologiche forma una stretta zona tra Serravalle-Scrivia ed Acqui, per poi svilupparsi potentemente verso S.-O. tra la Bormida ed il Ta- naro, come il Langliiano. Salendo ad Alice, dalle arenarie elveziane si passa alla for- mazione messiniana dopo di aver attraversata una zona di marne bluastre tortoniane qui poco sviluppata e poco distinta. La for- mazione messiniana è essenzialmente costituita da depositi mar- nosi che racchiudono delle masse gessose talora importanti, con traccie di zolfo, come è quella scavata poco sotto ad Alice; e nodi più o meno voluminosi di un calcare gialliccio, sabbioso, duro, silicifero. Banchi di sabbie, ghiaie c conglomerati alter- nano confusamente colle marne, come si può vedere nel poggio fra »S. Sebastiano c la strada che scende a Ricaldone. Fra i ciot- toli, che raggiungono spesso discreta grandezza, si notano le TENUTE IN ACQUI NEL SETTEMBRE 1900 LXXIX quarziti ed i calcari del Trias alpino, gneiss, serpentine ed altre roccie arcaiche, alberesi e macigno dell’Eocene ed il calcare di xlcqui. Percorrendo la strada per Cassine le marne azzurre del Pia- cenziano s’incontrano non lungi dalle C. Noceto ; indi le sabbie gialle deH’Astiano nel poggio di S. Secondo e nel poggio ter- razzato su cui si distende l’abitato di Cassine, profondamente incise da burroni a causa della facile erosione. La parte pia- neggiante di questa terrazza è ricoperta da un’argilla dura, ocra- cea, che viene attribuita al Sahariano. La ferrovia che da Cassine si dirige a Strevi e ad Acqui, rimonta la serie testé esaminata. Strevi è sulle arenarie e marne elveziane, qui pure terrazzate e ricoperte da alluvione antica; le une e l’altra profondamente incise dal rio Crosio. 18 settembre. I banchi marnosi con strati di arenaria gialliccia riferiti al Langhiano ed all’ Aquitaniano, che sul rio Ita va nasco si asso- ciano al calcare d’ Acqui, seguitano per buon tratto risalendo il torrente Erro. Altre marne scure, scagliose, associate a sabbie ed arenarie, che segnano, secondo gli autori, il passaggio al Tongriano superiore vi subentrano non lungi da Cartosio; sosti- tuite poscia dai conglomerati grossolani alternanti con arenarie e puddinghe, di cui si compone il Tongriano inferiore. Il paese di Cartosio è sopra questi conglomerati grigi e rubiginosi che vanno protraendosi sulla destra dell’Erro verso Saquanna e Ci- maferle e sulla sinistra formano la base del poggio di Monte- chiaro. Le roccie antiche, sulle quali poggia generalmente il piano inferiore del miocene, compariscono poco oltre Cartosio sul fondo della valle e nel colle di Malvicino. Salendo al paese vi si no- tano molte delle varietà litologiche di cui si compone la zona alpina delle pietre-verdi, e segnatamente serpentina compatta e scistosa, anfiboliti, ovardite, scisti a glaucofane, calcescisto ecc. qui però generalmente molto alterate. Le stesse roccie antiche e gli stessi strati miocenici si attra- versano salendo a Turpino e discendendo a Spigno in valle della LXXX RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI ORDINARIE Borimela. Sotto Barbagna si noterà un’altra massa di roccie an- tiche principalmente formata eli serpentina zonata con pochi cal- cescisti. Essa fa parte della massa arcaica staccata costituente il Bric Calma che sorge tra il torrente Valla e la Bormida, sulla quale d’ogni intorno si modellano le molasse ed i conglomerati tongriani. Spigno è sopra banchi di queste molasse tongriane alternanti con strati marnosi, noti pei fossili citati dagli autori. Dalla stazione di Spigno scendendo lungo la ferrovia sino ad Acqui le marne scagliose scure con arenarie del Tongriano superiore si seguono fino alla stazione di Montechiaro; oltre la quale si ritrovano le marne biancastre con strati di arenaria giallastra dell’Aquitaniaho e del Langhiano. Gite facoltative. I. Da Ovada alla Valle del (dormite e della Piota per Pernia e le Capanne di Marcarolo, alle miniere aurifere della Lavagnina e della Tana. Recandosi nella valle del Gorzente da Ovada per Lerma ed il colle di S. Sebastiano, si passa successivamente dalle marne laughiane od acquitaniane alle marne, arenarie e conglomerati tongriani, che sono qui assai potenti, come generalmente avviene ad Est della valle dell’Orba. Sul Gorzente formano le alture del M. Pantaleo, del Bric Roccon e del M. Tobbio che sta a cava- liere fra la valle del Gorzente e quella di Voltaggio; sulla Piota ricoprono la falda settentrionale del M. Colma imbasandosi sulle roccie antiche che formano il fondo delle due valli. Scendendo dal colle di S. Sebastiano sul Gorzente noteremo i conglomerati rubiginosi di C. Besegli e dei Piani sulla sinistra della Piota. La serie delle roccie antiche che s’incontrano sotto ai con- glomerati tongriani non è molto varia, essendo dapprima esclu- sivamente, poscia prevalentemente, formata dai vari tipi di ser- pentina compatta, scistosa, zonata e bastitica di cui sono costi- tuite le aride montagne die incassano queste valli. E appunto nella massa delle serpentine, ai piedi del Bric Mondovì, che furono aperte le gallerie per l’estrazione del minerale aurifero. Le più numerose ed importanti trovansi in valle del Gorzente presso al luogo detto la Lavagnina, dove venne pure impiantato TENUTE JN ACQUI NEL SETTEMBRE 1000 LXXXI uno stabilimento per la triturazione meccanica ed il lavaggio del minerale. Il minerale consiste generalmente in fìloncelli e vene quarzose formatesi per secrezione tra le spaccature della serpentina. Altre gallerie si trovano più a monte, al YEdifizio, in prossimità del lago artificiale d’Iselle, ottenuto collo sbarra- mento della valle mediante una diga in muratura. D&W Edifizio salendo al colle Pancaldi, seguitano gli scisti serpentinosi, con poche eufotidi e scisti zonati anfibolo-feldspa- tici che poi incontransi maggiormente sviluppati alle C. Neb- bia. Notando che alle C. Cornaglieto vengono ad inserirsi al serpentinoscisto pochi micascisti, si seguita ad attraversare la serpentina sia scistosa, sia compatta fino alle Capanne di Mar- carolo. La serpentina scistosa, spesso anche fogliettata e talora commista a scisti feldspatici, domina verso la Piota alle C. Mer- lina, C. Leverata e C. Viola; e forse a ciò è dovuta la rigogliosa vegetazione che incontrasi su questo versante, che contrasta colla aridità quasi assoluta della regione fin qui attraversata. Sotto alle C. Merlina, sempre nel serpentinoscisto, trovansi le gallerie di ricerca della miniera aurifera detta della Tana. Da questo punto discendendo la Piota si ritorna sulla nuda regione delle serpentine compatte; quindi sui conglomerati tongriani dei Piani e dei dintorni di Lerma. II. Da Prasco a Molare, Madonna delle Bocche ed Osti- glielo; salita alla C. Scajosa e discesa a Bossiglione, indi ad Ovada lungo la Stura. La zona delle marne, con arenarie e calcari del Langhiano ed Aquitaniano che corre fra Acqui ed Ovada, passa col suo li- mite inferiore a Prasco e Cremolino. A sud di questi luoghi si stende sull’arcaico la zona del miocene inferiore passante per Grognardo, Cassinelle, Molare e Beiforte, località note pei fossili tongriani citati dagli autori. Fra queste formazioni mioceniche sorge T isola arcaica attra- versata dalla galleria di Cremolino, che si distende in forma allungata tra Prasco e Molare, costituita di serpentina, di eufo- tide a glaucofane e di scisto anfibolico, con interstratifìcazioni di calcescisto. Essa è disgiunta dalla massa principale arcaica, che nelle vicinanze scende molto in basso sul rio di Visone e LXXXII RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI ORDINARIE sulla Stura, dalla zona tongriana di Morbello, Cassinelle e Mo- lare che quivi viene discretamente allargandosi. Risalendo l’Orba per la via della Crocetta, le arenarie gros- solane ed i conglomerati del Tongriano inferiore terminano al poggio della Madonna delle Rocche, dove subentrano le forma- zioni antiche, fra cui predominano, come al solito, le serpentine di vari tipi. Qui però le interstratificazioni delle altre roccie di tipo arcaico sono più frequenti e più importanti che nelle valli del Gorzente e della Piota. Alla Madonna il tongriano poggia immediatamente sopra micascisti che alternano più volte con scisti anfibolie! e serpentinosi ; e precedono una massa assai più importante di serpentina ed eufotide che si attraversa nel colle della Crocetta. Discendendo alle Cascine, sull’Orba, i calcescisti e micascisti acquistano un discreto sviluppo e danno luogo, in ragione della minore resistenza all’erosione, ad un allargamento della valle, che forma la piana di Ortiglieto. Oltre l’Orba, salendo per Garrone alla C. Nova ed alla C. Scajosa, per passare dalla valle dell’Orba a quella della Stura, si attraversano le potenti masse di serpentina ed eufotide che costituiscono il Brio Saccone, passanti, sul rio Gargassa presso Rossiglione, a scisto anfibolico-cloritico. In alto, sulla destra del rio, le dirupate Rocche dei Crovi sono costituite dalle molasse e dai conglomerati del lembo tongriano che attraversa il con- trafforte arcaico fra Tiglieto e Rossiglione. Lungo la Stura, sino al rio della Costa presso Ovada, dove si ritrovano le arenarie tongriane, le alternanze di serpentine, eufotidi di tipo arcaico e scisti anfibolici coi micascisti e cal- cescisti, si fanno molto frequenti ed importanti; offrendoci un buon esempio della caratteristica associazione delle roccie costi- tuenti la zona alpina delle pietre-verdi. III. Escursione nella valle dell’ Erro e del Riobasco per Sas- sella, Santa Giustina ed Albissola. Le roccie antiche sottostanti al Tongriano che nella escur- sione del giorno 18 in valle dell’ Erro si sono seguite fino al ponte di Malvicino, continuano ad incassare il torrente lungo tutto il rimanente percorso della rotabile per Sassello. Predo- TENUTE IN ACQUI NEL SETTEMBRE 1900 LXXXIII minano le serpentine, sia massiccie, sia scistose; ma non vi mancano le alternanze con scisti anfibolie!, cloritici, micascisti e calcescisti, come nelle vicinanze di C. Foi e di C. Sciapa. I conglomerati tongriani frattanto seguitano a coronare le alture a Cimaferle ed al M. Acuto, frazionandosi poi in lembi, che si trovano sparsi a varie altezze sul fianco dei monti e sul fondo dei valloni adiacenti. Oltre il ponte dell’ Erro, lungo il rio Gallaretto dove, lasciata la valle principale, volge la rotabile per Sassello e presso la C. Verrina, notasi un’importante massa di calcescisto e mica- scisto con scisto cloritico-anfibolico, che succede alla serpentina. A questo punto incominciano a mostrarsi i banchi delle marne e delle molasse, generalmente poco inclinati, formanti l’isola tongriana di Sassello. Questo lembo, totalmente deposto, come gli altri residui ton- griani delle vicinanze sulle roccie antiche, occupa una depres- sione, i cui orli a N. e ad 0. sono formati dalle grandi masse di roccie serpentinose che scendono lungo l’Orba e l’Erro; ad E. ed a S. da micascisti con altre masse serpentinose ed anfi- boliche costituenti la pendice occidentale del M. Ermetta. Da questi strati miocenici di Sassello, e specialmente dal- l’altro lembo più meridionale di Santa Giustina provengono, come è noto, le ricche collezioni di fossili del Tongriano ligure, illustrate da vari autori. Nei dintorni di Sassello si fa speciale menzione del rio dei Zunini, presso la Maddalena, per l’abbon- danza dei fossili (corollari, echinidi, rizopodi, molluschi). Uscendo da Sassello le roccie antiche teste menzionate s’in- contrano ai Badani ed alternano più volte lungo la depressione seguita dalla strada che conduce al Passo del Giovo, pel quale si scende ad Albissola. Le marne e le molasse facenti parte del lembo miocenico di Santa Giustina s’incontrano a circa un chilometro dal Passo. Quivi prevalgono i conglomerati, sotto ai quali nel versante Sud subentrano e seguitano fino al villaggio le molasse e le marne che occupano la parte più profonda della serie. Le numerose fiditi raccolte a Santa Giustina provengono da questi strati più profondi nei dintorni immediati del paese, LXXXIV RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI ORDINARIE « mentre gli strati marnosi ed arenacei più alti, lungo la discesa presentano vari orizzonti con molluschi marini e d’acqua dolce. Subito oltre Santa Giustina riaffiorano le roccie antiche. Vi si osservano calcescisti, scisti anfibolici, ovarditi, serpentine e dia- basi che si presentano in alternanze frequenti, in qualche punto ancora ricoperti da piccoli lembi miocenici. Alla Madonna del Salto è notevole un calcescisto a mica grigio-scura, cristallino, scavato come pietra da taglio, identico a certe varietà delle Alpi (Val Yaraita), associato a zone di scisto cloritico. Poco a valle di San Giambattista notiamo una massa di scisto gneissico che attraversa la valle del Riobasco, sviluppandosi spe- cialmente sulla destra dove forma il M. Ciri. Questa roccia feld- spatica fu considerata come una massa di granito, faciente parte della serie arcaica. Chi scrive ritiene che essa debba rag- grupparsi alle besimauditi e riferirsi quindi al Permiano. La sua indipendenza dalle roccie arcaiche sulle quali s’imbasa si rileva dal contorno assai frastagliato della massa, dalla variabilità dei contatti colle roccie sottostanti e dalla diversa inclinazione dei suoi banchi ; la sua origine clastica dai frammenti irregolari di quarzo impastati in materia talcoide che formano la sua parte più profonda e ne rendono assai spiccata la linea di contatto. Discendendo sino alla Vetriera si ritrova il limite a valle di questa roccia. Si noterà che mentre sulla sinistra la besi- maudite sale appena fino al crinale ricoprendo roccie scistose, come si vede nel rio di Gameragna, dove si ha un’alternanza di calcescisti, scisti anfibolici e serpentinosi, seguendola sulla destra verso il Sansobbia essa viene a contatto coll’ anfibolite massiccia granatifera, di cui è formato lo sperone di Magrania. Più a valle un piccolo lembo staccato di besimaudite scura, ricca di quarzo e di feldspato ci fa vedere la sovrapposizione assai netta di questa roccia alla diabase che forma il fondo della valle. La serie delle roccie arcaiche termina lungo il Riobasco con nuove anfiboliti e serpentine ed una importante massa di dia- base che incassa la valle sino ad Albissola. Cèntro queste roccie viene a poggiare il conglomerato tongriano della massa Celle- Varazze. Chi poi percorra la rotabile da Albissola Marina a n TENUTE IN ACQUI NEL SETTEMBRE 1900 LXXXV Savona, appena giunge in alto, alla C. Gentile, ritrova le besi- mauditi identiche a quelle incontrate lungo il Riobasco, che sono battute dal mare sino a Savona. Questa roccia è d’altronde quella stessa che si sviluppa ad 0. e N.-O. di Savona al colle del- l’Altare ed al colle Melagno e va a sovrapporsi al Carbonifero di Mallare, di Osiglia e Calizzano, il cui orizzonte geologico è ormai bene accertato. Adunanza di apertura del 16 settembre 1900. Presidente: Comm. N. Pellati. Alle ore 10, nella grande sala dell’Asilo gentilmente concessa, sono presenti i soci: Baldacci, Bettoni, Bianchi, Bonabelli, Bruno, Capeder, Capellini, Clerici, Dainelli, De Alessandri, De Ferrari, De Marchi, Di Stefano, Dompè, Fino V., Issel, Mariani, Mattikolo, Neviani, Novarese, Pantanelli, Parona, Pellati, Peola, Portis, Statuti, Stella, Taramelli, Trabucco, Verri, Vinassa, Zaccagna. Onorano di loro presenza S. E. il cav. Giuseppe Saracco, Presidente del Consiglio dei Ministri; il comm. Serafini, prefetto di Alessandria e rappresentante S. E. il ministro di Agr. Ind. e Comm.; il cav. Spairani, sottoprefetto; l’avv. cav. Garbarino, prosindaco d’ Acqui; l’on. senatore Borgatta e l’on. deputato Mag- giorino Ferraris, che tutti seggono al banco della Presidenza. Nella sala sono presenti altre autorità civili e militari e molte gentili signore. Il prosindaco avv. Garbarino porge, a nome della città di Acqui, il saluto ai congressisti, dolente che tale saluto non venga, per la elevata posizione ora occupata, da Giuseppe Saracco che da quasi cinquant’anni è sindaco della città. Termina bene augu- rando ai lavori del Congresso. Il Presidente, ringraziato il prosindaco per le gentili parole rivolte ai congressisti, e la cittadinanza Acquese per l’accoglienza, LXXXVI RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI ORDINARIE fatta, informa che dalla Rappresentanza municipale è pervenuto un cortese invito per un banchetto che viene offerto ai congres- sisti a nome della Città e che avrà luogo oggi stesso alle ore 12 1 2 nella gran sala da pranzo delle Vecchie Terme. L’adu- nanza privata che doveva tenersi oggi alle 13 V2 viene perciò rimandata alle ore 18 per avere disponibile nel pomeriggio tempo sufficiente per l’escursione alla valle del Ravanasco ed alle sor- genti e stabilimenti termali della città. Invita il segretario a fare la chiama dei soci presenti ed a leggere i nomi degli ade- renti. Tutti i soci sunnominati rispondono alzandosi successiva- mente; aderiscono e scusano la loro assenza i soci: Aichino, Arcangeli, Bassani, Botti, Cacciamali, Canavari, Colomba, De Angelis, De Castro, Del Zanna, Dervieijx, De Stefani C., Flores, Fornasini, Franchi, Lattes, Matteucci, Meli, Morena, Namias, Niccoli, Patroni, Ristori, Rovasenda, Sacco, Sormani, Zezi. Il Presidente legge il seguente discorso: Eccellenza, gentili signore , illustri ed egregi signori. È questa la prima volta che la Società Geologica Italiana si riunisce dopo che un fatto atroce ha profondamente funestato il nostro paese. Per quanto non sia stato mai costume della Società Geologica di occuparsi di cose estranee alla scienza che professa, non pos- siamo tuttavia dimenticare che la nostra Società, oltre che geo- logica si denomina italiana, e che il geologo italiano ha sempre accoppiato al culto vero e puro della scienza e della civiltà il più forte e nobile patriottismo. Rammentiamo che furono geo- logi italiani il Pilla, il Pareto, l’Orsini, il Molon, lo Stoppani, il Meneghini ed il Sella. L’atto nefando, che ha gettato nella più profonda costernazione il nostro paese, non può dunque non essere altamente stigmatizzato anche da noi in questa solenne circostanza, perche al disopra della scienza e della politica sta la patria c la civiltà, ed il misfatto cui alludiamo ha colpito un Re che era vero antesignano di civiltà e di patriottismo. Leviamoci dunque, o Signori, c mandiamo riverenti un pen- siero al Re buono c leale, commemorando riconoscenti il patrono TENUTE IN ACQUI NEL SETTEMBRE 1900 LXXXVII del 2° congresso geologico internazionale, il donatore del premio di incoraggiamento aggiudicato in quel congresso medesimo per l’unificazione dei colori e della nomenclatura geologica, il fon- datore del gran premio di L. 10,000 che viene posto annualmente a disposizione della R. Accademia dei Lincei. La mia parola disadorna non è atta ad esprimere i senti- menti di amaro cordoglio che voi tutti provate nell’animo vostro colto e gentile ; confortiamoci però al pensiero che tutto il mondo civile partecipò con unanimità di manifestazione al lutto di Ita- lia, confortiamoci innalzando il nostro sguardo ad un altro Re, nobile e forte, succeduto al Re buono e leale, stringiamoci in- torno a Lui e confidenti inauguriamo il nostro congresso colle parole: sursum corda - viva il nobile e forte erede di una stirpe di eroi: Vittorio Emanuele III. Eroi non solo per virtù militari ma altresì nelle più svariate forme del vivere civile e religioso, e nelle più ardue imprese di esplorazioni scientifiche. Così destarono e destano la ammi- razione di tutto il mondo civile le ardite spedizioni che un va- loroso principe di Casa Savoia ha recentemente compiuto, al lontano monte di S. Elia nella Alaska, ed ora, rivaleggiando le imprese degli Argonauti, spingendosi colla « Stella Polare » alla più alta latitudine sinora raggiunta, a prezzo dei più grandi sacrifici e della più nobile abnegazione. Al valoroso principe Luigi Amedeo di Savoia e ai suoi arditi compagni giunga la espressione della nostra ammirazione e della nostra riconoscenza. Signori, dobbiamo grandemente felicitarci che l’antico ed il- lustre patriota Giuseppe Saracco, ci abbia fatto l’onore di assi- stere a questa adunanza, ed io mi faccio interprete dei vostri sentimenti di riconoscenza per le grandi cortesie di cui Egli ha voluto in questa circostanza far segno la nostra Società. — La sua fibra di acciaio ha dato prova ancora una volta, nelle do- lorose contingenze che il nostro paese ha ultimamente attraver- sato, della grande resistenza che Egli possiede, e quanto possa l’Italia ancora attendere dalla sua mente serena e dal suo animo invitto. LXXXV1U RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI ORDINARIE Cari ed illustri colleglli della Società Geologica, vi ringrazio del vostro intervento a questo Congresso. Non posso nascondervi la commozione che provo nel vedervi convenuti da ogni parte di Italia in questa contrada, dove son nato, e in questa città dove la mia famiglia ha sì larga parentela e conta tanti caris- simi amici, fra i quali son ben lieto di vedere qui presente l’esimio economista, ottimo mio cugino, Maggiorino Ferraris. Voi esaminerete rapidamente la natura geologica di questi monti, e le meravigliose Tenne, la cui efficacia sin dai tempi più remoti è riconosciuta per ogni dove ; e troverete, io spero, suffi- ciente compenso ai disagi dei viaggi fatti per rispondere corte- semente al mio invito. Ma ben altro ancora avrete qui ragione di ammirare, e spe- cialmente l’innata e schietta ospitalità, la sicura fede di questa popolazione, la quale è ben lieta di avervi oggi con se, come ve ne dà prova il largo concorso della cittadinanza che ha vo- luto prender parte a questa nostra riunione. Modellandosi sul- l’esempio dell’uomo illustre che da quasi mezzo secolo si occupa con tanto amore degli interessi di questa nobile città e provincia, mentre attende per una parte alle alte cure della politica e dello Stato, e per l’altra parte alla direzione della sua modesta e ben ordinata azienda agricola, questo popolo si dedica indefesso al lavoro individuale, promuovendo ad un tempo con interesse e soddisfazione la razionale evoluzione delle industrie naturali a questa regione, le quali per tal modo sono qui in graduale e sicuro progresso. Qui le virtù civili e militari, hanno una base tetragona nella fede inconcussa e nella integrità e serietà del carattere. Ancora una parola, o Signori, altamente doverosa, spontanea e cordiale, ed è la rispettosa espressione del nostro grato animo a S. E. il Ministro d’ Agricoltura, Industria e Commercio, per essersi compiaciuto di farsi qui rappresentare dall’illustre capo i di questa provincia, comm. Serafini, al quale siamo pure ben riconoscenti del suo cortese intervento. Porgiamo grazie infinite alla egregia Rappresentanza munici- J pale, a tutte le Autorità civili e militari, che con grande nostra ! soddisfazione vediamo qui presenti, ai cittadini benemeriti che i tanto si interessarono e si interessano alla buona riuscita di questo ; TENUTE IN ACQUI NEL SETTEMBRE 1900 LXXXIX Congresso, alla cittadinanza Acquese, alla colonia forestiera, e sopratutto alla geniale corona delle colte e gentili Signore, che abbellano e allietano il nostro convegno. Carissimi colleghi - a voi debbo in questa solenne e nobile adunanza, rinnovare pubblicamente l’espressione della mia rico- noscenza per l’onore che mi avete voluto conferire di designarmi a vostro presidente in questo anno che chiude un ciclo tanto notevole nella storia dell’umanità. — Io mi glorio di occupare in questo momento, grazie alla benevolenza vostra, un posto che fu già con tanto lustro tenuto da un Sella, da un Meneghini, da uno Stoppani, da un De Zigno, per non parlare degli illustri viventi, fra i quali il Chino Presidente del R. Comitato Geolo- gico, ex presidente del Congresso internazionale di Bologna, unico superstite dei tre fondatori della nostra Società, senatore Capel- lini, al quale abbiamo pure la soddisfazione di poter dirigere qui di presenza un cordiale saluto. Debbo certamente la mia elezione a vostro presidente, più che altro, alla mia qualità ufficiale di capo dell’ antico e bene- merito Corpo Reale delle Miniere e di capo del servizio geo- logico dello Stato, al quale è affidata la formazione e la pub- blicazione della Carta Geologica del Regno. Se ho potuto rendere qualche servizio e recare qualche utilità alla nostra Società, fu sopratutto in grazia della carica ufficiale che da molto tempo occupo e che mi ha posto talvolta in grado di far apprezzare dal Governo i vantaggi che la Società stessa può recare e reca a diversi pubblici servizi e la benefica influenza che essa eser- cita per il progresso di una scienza che in altri tempi fu tanto misconosciuta. A misura che la geologia (e sotto questo nome di famiglia comprendo anche le due sue sorelle : la mineralogia e la paleon- tologia) va estendendo il suo àmbito ed approfondendo le sue ricerche, molti pregiudizi si sono dissipati sulla vera sua por- tata, e noi possiamo ridere oggi della definizione che qualche incosciente burlone soleva darne, dicendola « l’arte di raccogliere ciottoli e animali fossili e di ingiuriarli in latino». Le applicazioni della geologia vanno ogni giorno più esten- dendosi e moltiplicandosi ; le miniere più profonde non sono che rare scalfitture nell’epidermide del nostro pianeta: spetta al xc RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI ORDINARIE geologo di spingersi oltre e di scoprire le ricchezze che sono ancora nascoste al nostro sguardo. Gli antichi aruspici consultavano le viscere degli animali per predire i destini dei popoli. Pare tuttavia che essi non avessero molta fede nei loro pronostici, perchè si dice che non potessero guardarsi l’un l’altro senza sorridere. Anche il geologo rovista ed indaga le viscere del globo, ma rischiarato oggidì dal lume della scienza e guidato dallo spirito rigoroso della osservazione procede più sicuro del suo confratello della anti- chità, e riesce col suo lavoro intenso e assiduo a svelare i segreti che la terra racchiude. Le applicazioni della geologia all’ arte delle miniere, all’idrografia, ai lavori pubblici, all’agricoltura vanno prendendo importanza ognor crescente. Questo che io vi dico, o signori, potrebbe esservi confermato dall’antico ministro dei lavori pubblici, Giuseppe Saracco, che ho in questo momento l’onore di avere a me d’accanto e che seppe, col sussidio della geologia e colla fede nella scienza, con- durre a termine uno dei più diffìcili lavori ferroviari eseguiti in questi ultimi tempi, la grande galleria del colle di Tenda. L’espressione più concreta e riassuntiva della geologia appli- cata sono le carte ed il figurato geologico, che corredati delle opportune sezioni ed illustrazioni costituiscono la sintesi delle osservazioni geologiche atte direttamente alle più svariate appli- cazioni. Questo concetto ha indotto tutti gli stati civili a creare il servizio speciale della carta geologica, che valendosi più o meno direttamente del contributo dei geologi liberi, oltre che della opera sistematica di speciali operatori, riassume con carte fatte in scale le più grandi possibili quanto si può sapere sulla costituzione geologica e geognostica del territorio. Io ebbi già a presentare al 11° Congresso Geografico, tenu- tosi in Roma nel 1895, uno specchio dell’organizzazione c delle dotazioni dei principali servizi geologici del mondo civile, ed ebbi recentemente occasione di riesaminare, come vicepresidente I della Giuria internazionale alla Esposizione di Parigi, i progressi fatti da tali servizi Geologici di Stato, rispetto ai quali il nostro j mantiene il suo posto di onore, come è risultato dalla massima onorificenza ottenuta, malgrado le molte difficoltà incontrate per TENUTE IN ACQUI NEL SETTEMBRE 1900 XCI la scarsità dei mezzi che il Governo può mettere a nostra dispo- sizione. Condizione essenziale di successo per un servizio di questo genere è, a nostro parere, il potersi valere, oltre che di un corpo di operatori geologi disciplinati per l’esecuzione, anche della col- laborazione dei geologi liberi. Il nostro corpo, benissimo prov- veduto di direzione superiore scientifica, mediante il E. Comitato Geologico, del quale fanno parte i geologi più competenti ed auto- revoli del nostro paese, potrebbe con vantaggio valersi più lar- gamente della sistematica collaborazione che, con qualche mag- gior mezzo posto a sua disposizione, si otterrebbe dai geologi liberi. Dovrei e vorrei ora, o Signori, parlarvi di varie altre cose, che riuscirebbero per voi del più grande interesse. Vorrei anti- ciparvi un cenno sul risultato degli ultimi lavori compiuti dai nostri geologi ufficiali, soprattutto nelle Alpi Occidentali, dove si è finalmente potuto pervenire ad una soddisfacente uniformità di vedute coi geologi francesi e svizzeri che studiano le zone contigue ; ma tali risultati vi sono già in parte stati comunicati con alcune delle più recenti pubblicazioni del Bollettino del E. Comitato Geologico ; vi saranno in modo più completo rese note nella relazione che presenterò quest’ anno al Comitato nella adunanza che, per circostanze eccezionali, dovette essere ritar- data sino al prossimo novembre. Sarebbe anche stato mio desiderio darvi qui qualche indi- cazione sulla bibliografia geologica di questa regione interessan- tissima sotto il punto di vista del tipico sviluppo di quasi tutta la serie terziaria ; ma non posso e non devo dimenticare (e forse sono appena in tempo a farlo) il proverbio francese che la brièveté est la politesse des orateurs. Ma certamente mi consentirete di compiere un dovere che il vostro animo gentile sente al pari di me, di ricordare breve- mente i due nostri colleghi, dai quali la morte inesorabile ci ha quest’anno crudelmente separati, cioè i due fratelli Giovanni Battista e Carlo Gualterio, figli del marchese Luigi e della con- tessa Maria Venturini. Giovanni Battista Gualterio, nato a Bagnorea il 1 4 aprile 1 840, studiò a Eoma, quindi a Perugia, ed infine all’Università di Bo- logna, ove ebbe la laurea di ingegnere. Si dedicò dapprima a la- vi XCII RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI ORDINARIE vori di ingegneria, quindi all’agricoltura. Apparteneva alla nostra Società dal 1886. Fece vita ritirata, amatissimo da tutti. Lottò per due anni col terribile male che lo spense il 23 gennaio 1900. Carlo Gualterio, nato anche egli a Bagnorea il 23 agosto 1832, studiò a Roma, ove ebbe la laurea di dottore in legge. Si dedicò poscia agli studi di storia naturale, facendo una importante rac- colta di molluschi, di minerali e di fossili. Si occupò pure di ar- cheologia, specialmente di numismatica. Nel 1865 fu ascritto alla Società italiana di scienze naturali di Milano, nel 1867 alla So- cietà geologica di Francia, nel 1869 fu nominato membro del- l’Accademia di scienze ed arti degli Ardenti di Viterbo, nello stesso anno socio dell’Accademia Grioenia di Catania. Nel 1873 fu nominato corrispondente della Accademia dei Fisiocritici di Siena; finalmente dal 1885 faceva parte della nostra Società. Insegnò nella Scuola Tecnica di Civitavecchia ; e fu in rela- zione con molti naturalisti, specialmente collo Stoppani, col quale fece alcuni viaggi. Fu modestissimo; sopportò serenamente la lunga malattia, distraendosi cogli oggetti della sua collezione ed occupandosi ancora dei suoi studi prediletti. Mori il 27 luglio di quest’anno. Signori e colleghi stimatissimi ! Devo ora accennare ad un fatto, la cui buona riuscita garantisce alla nostra Società un mezzo efficacissimo di esplicare la sua attività scientifica. Nei 19 anni di vita, che ormai conta la nostra istituzione, si ten- nero 18 congressi annuali, questo di Acqui essendo il 19°, e sì visitirano insieme ben 18 punti del territorio italiano, cioè Ve- rona, Fabriano, Milano, Arezzo, Terni, Savona, Rimini, Catan- zaro, Bergamo, Catania, Vicenza, Ivrea, Massa Marittima, Lucca, Roma, Perugia, Lagonegro, Ascoli, traendone occasione per dare su ciascuno di essi, se non una completa illustrazione geologica, almeno un complesso di osservazioni geognostiche e bibliogra- fiche interessantissime, come chiaro apparisce dai nostri Bollet- tini. L’enumerazione delle località in tal modo visitate nelle nostre annuali peregrinazioni ordinarie, e la loro equabile di- stribuzione su tutte le parti del territorio dello Stato, già può indicare l’azione proficua della nostra istituzione per la cono- scenza geologica del paese c come essa debba riguardarsi (piasi TENUNE IN ACQUI NEL SETTEMBRE 1000 XCIII complemento dell’Istituto ufficiale della Carta geologica, al quale abbiamo poc’anzi accennato. Ma, o Signori, per restare fedeli al concetto fondamentale della geologia, che è riassunto nella nostra impresa : Mente et malleo, la quale potrebbe essere completata, dicendo : Mente, gradii et malleo, noi abbiamo fatto anche qualche escursione straordinaria; in Sardegna ed alle Isole Pontine, sotto la presi- denza dei chiarissimi e benemeriti miei predecessori Carlo De Ste- fani e Francesco Bassani, il risultato delle quali fu anche più soddisfacente, in ragione della maggiore intensità e del tempo maggiore che vi si potè consacrare, e per non essere in tali riunioni straordinarie altrimenti distratti per comunicazioni scien- tifiche ed in sedute amministrative. La escursione alle isole di Ponza, alla quale sono ben lieto di aver potuto contribuire, per- suadendo il compianto mio amico ministro Brin a concedere una nave della R. Marina per renderla possibile, aprì la via al- l’altra più importante che una trentina di noi, sotto la scorta del valente ed operoso nostro collega prof. Tara nielli, poterono fare alle isole Lipari ed a Palermo. Fui ben lieto di aver po- tuto, anche per questa escursione, ottenere le più grandi faci- litazioni da S. E. l’ex-ministro Bettòlo, il quale mise per una diecina di giorni a nostra disposizione la regia nave Eridano, sulla quale i nostri escursionisti ebbero la più cortese e gene- rosa ospitalità. Voi troverete nel 2° fascicolo del Bollettino di quest’anno, che viene oggi messo in distribuzione, un brillante resoconto di questa gita, fatto dal collega De Angelis d’Ossat, il quale vi dà una chiara dimostrazione dei vantaggi che da simili ritrovi straordinari si possono ricavare, sia per estendere la conoscenza del nostro territorio, sia per coltivare, special- mente nei giovani colleglli, lo spirito di indagine che per il geo- logo deve avere sempre qualche cosa di avventuroso. E dopo ciò poniamo fine a questa già troppo lunga allocu- zione, accennando all’importante successo che la nostra Società ottenne all’Esposizione di Parigi, nella quale la mostra da noi prodotta degli interessantissimi oggetti inviati dai benemeriti nostri soci : Bassani, Botti, Bucca, Canavari, Capellini, De Ste- fani, Issel, Omboni, Pantanelli, Sacco, ed aderenti : De Bosniaski, XCIV RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI ORDINARIE conte di Valmarana e E. Osservatorio Geodinamico, unitamente ad un sostanziale ed efficace resoconto della vita ed esplica- zione scientifica della nostra Società, fatto dal chiaro nostro col- lega prof. Dante Pantanelli, ottenne la più grande distinzione, cioè il Gran Premio, e la medaglia di collaborazione per gli operosi nostri segretario prof. Nevi ani e tesoriere ing. Statuti, ai quali facciamo di cuore le nostre più vive congratulazioni. Il Prefetto comm. Serafini pronuncia le seguenti parole: Signori ! Era vivissimo desiderio di S. E. il ministro per la Agricol- tura di intervenire a questa solennità ; ma, impedito dalle gravi cure del suo alto ufficio, a me delegava l’onore di rappresen- tarlo nella circostanza, ed a nome suo reco a voi il saluto cor- diale del Governo. Voi avete opportunamente scelto a luogo della consueta vo- stra annuale riunione questa Città, nel cui territorio troverete ampio e fecondo campo alle vostre scientifiche indagini nell’in- teresse della geologia, dei cui progressi si avvantaggiano la agri- coltura, le industrie estrattive, e le altre, che dagli studi geolo- gici traggono le loro origini, si procurano il maggiore incremento, acquistano prosperità. Il dotto congresso che oggi qui si inaugura è novello e no- tevole sintomo della vitalità, della energia intellettuale del nostro paese che tanti germi di attività contiene nella sua promettente giovinezza, che tanto altamente sente lo stimolo all’azione anche nel campo della scienza, gareggiando vittoriosamente con le mag- giori nazioni che in questo campo lottano fecondamente. È in questa gara, in questa lotta, con queste vittorie, che le menti si elevano, i caratteri si ritemprano; e però ogni nuova forma, ogni manifestazione come questa di scientifico progresso è, e deve essere salutata dall’ Italia tutta con compiacenza e fiducia. Noi non siamo più la terra dei morti, ma la terra ove si lavora, si studia, si crea. E l’esempio ci viene dall’alto, dalla Augusta Dinastia che ci affratella e regge i destini della Na- zione. Da essa, dalla dinastia degli eroi, dei legislatori, dei guer- TENUTE IN ACQUI NEL SETTEMBRE 1900 XCV rieri, dei martiri è venuto ora di ritorno a noi dalle più remote regioni polari, coronato della nuova luce della scienza, il gio- vane principe Sabaudo a ricordarci che l’Italia come fu prima nelle arti, ha diritto, per virtù dei suoi figli, ad un posto eletto nel campo delle scienze. Egli così ci ammonisce. Ascoltiamo la Augusta sua parola e mandiamo a Lui un saluto riconoscente e devoto. Mandiamo un saluto reverente al giovane nostro Ee Vittorio Emanuele III di ogni scienza amico e protettore. Viva il Ee. Il socio professore sen. Capellini ha la parola per proporre all’Assemblea di nominare Socio onorario S. A. E. il Duca degli Abruzzi. Tale proposta già era stata da esso presentata al Con- siglio e da questo debitamente approvata. Il senatore Capellini premette brevi acconce parole per accen- nare agli stretti rapporti tra la Geografia e la Geologia e ri- corda come dalle esplorazioni nelle regioni polari, specialmente da quella diretta da Nordenskiold abbia già tratto immenso pro- fitto anche la paleontologia, poiché pei materiali raccolti in quelle remote regioni abbiamo imparato a conoscere una ricca flora fos- sile artica strettamente in rapporto con la flora miocenica di Europa. Dimostrata quindi la grande importanza delle esplorazioni polari e ricordando che un Principe di Casa Savoia ha rinnovato le gloriose tradizioni di Marco Polo e di Cristoforo Colombo essendosi avanzato più che altri mai verso il polo settentrionale affrontando gravissimi disagi e ponendo a rischio la sua vita tanto preziosa alla Scienza ed alla Nazione, propone che S. A. E. il Duca degli Abruzzi sia acclamato Socio onorario della So- cietà geologica italiana, glorioso ricordo del Congresso geologico internazionale tenuto in Bologna nel 1881 sotto l’alto Protetto- rato di Umberto I Ee d’Italia, così barbaramente rapito all’a- more del suo Popolo, così affettuosamente rimpianto da tutto il mondo civile. L’Assemblea unanime si alza ed applaude alla proposta del senatore Capellini. XCVI RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI ORDINARIE Il Presidente quindi solennemente proclama S. A. R. Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi Socio onorario della Società Geologica Italiana. Nuovi e prolungati applausi. Il socio Capellini propone che S. E. Saracco comunichi a S. M. ecl a S. A. R., nella forma che più crederà opportuna, il voto dell’Assemblea. S. E. il cav. Saracco si dichiara orgoglioso dell’ incarico ri- cevuto, e che accetta di cuore, sicuro come è che torneranno graditissimi a S. A. R. Luigi di Savoia, i voti della Società Geo- logica Italiana. Si mostra dolente, che le sue condizioni di salute non gli permettano di dare al Congresso altro che la sua persona; mentre avrebbe desiderato dare egli stesso il benvenuto ai congressisti. Termina ringraziando il Presidente per le parole a lui di- rette; ringrazia tutti per la benevolenza con cui quelle parole furono accolte. La seduta è tolta fra vivissimi applausi alle ore 11.30. Seduta privata del 16 settembre 1900. Presidenza : Pellati. Alle ore 18,30 il Presidente dichiara aperta la seduta. Sono presenti tutti i Soci intervenuti nella mattina alla seduta pubblica. Si dà per letto il verbale dell’adunanza generale ordinaria te- nuta in Roma, e pubblicato nel primo fascicolo del Bollettino di quest’anno a pag. xvn-xxvm. 11 socio Bonarelli, a proposito di alcune osservazioni pub- blicate nelle prime due pagine del verbale, fa voti che non sia fatta menzione nei verbali delle osservazioni eventualmente fatte dai Soci, che possono tornar sgradite ai colleglli, specialmente se assenti ; osservazioni che spesso nascono da equivoci, e che si potrebbero chiarire direttamente fra i Soci stessi, senza pas- sare per la trafila della stampa. TENUTE IN ACQUI NEL SETTEMBRE 1900 XCVI1 Il socio Capellini appoggia la proposta Bonarelli, la quale viene adottata. Il verbale è approvato. Si propongono a nuovi soci: Dal 1° gennaio 1900, il dott. Domenico Del Campana, pre- sentato dai soci De Stefani e Dainelli. Dal 1° gennaio 1901, i signori: Bellini dott. Raffaele, pro- posto dai soci Bassani e Parona ; Chiabrera dott. conte Cesare. proposto dai soci Issel e Pellati ; Forma Ernesto, proposto dai soci Bonarelli e Capeder; Olivetti dott. Bonaiuto, proposto dai soci Colomba e Roccati. Ad unanimità vengono approvati. Il nuovo socio dott. Chiabrera assiste all’adunanza. Il socio Sacco ha fatto omaggio ai congressisti di alcune copie delle sue carte geologiche dei dintorni di Acqui. Il Presidente dà comunicazione all’assemblea del seguente telegramma, col quale S. E. il cav. Saracco annunciava a S. A. il Duca degli Abruzzi la nomina a Socio onorario della nostra Società, aggiungendo sapere che S. E. ne fece consapevole anche S. M. il Re. S. A. R. Buca Abruzzi — Roma. Società Geologica Italiana convenuta Acqui, inaugura lavori Congresso annuale nel nome augusto Duca Abruzzi e su pro- posta socio Senatore Capellini acclama Y. A. suo membro ono- rario, a testimonianza dei sentimenti di ammirazione e di gra- titudine per gli eminenti servigi da Essa resi alla scienza. In- vitato dalla Presidenza sciolgo, colla maggiore soddisfazione del- l’animo, il gradito incarico di portare a notizia di Vostra Al- tezza questa solenne manifestazione degli scienziati italiani e La prego a voler gradire il mio personale ossequioso saluto. Giuseppe Saracco. Il Presidente stesso informa che per sua parte, facendosi interprete dei voti espressi nel l’adunanza inaugurale, e durante XCV1II RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI ORDINARIE il sontuoso banchetto oggi con tanta cordialità offertoci e pre- senziato dalle Autorità cittadine, lia anche spedito i telegrammi seguenti : 1. ° S. A. Buca Abruzzi — Torino. Società Geologica Italiana riunita Acqui suo XIX Congresso, ammirata valore intrepido spedizione Stella Polare , acclama Y. A. Socio onorario, fidente vorrà consentire che Vostro Augusto Nome sia segnacolo di esplorazioni gloriose e di valore patrio alla scienza italiana. 2. ° S. E. Saracco — Acqui. Congressisti Società Geologica Italiana, tanto cortesemente ospitati dalla città di Acqui, grati Y. E. per cordiali e festose accoglienze, Le esprimono sinceri ringraziamenti insieme all’au- gurio che Ella continui a lungo a rappresentare in Italia il ca- rattere e la fortezza delle terre Monferrine. 3. ° S. E. G arcano, Ministro Agricoltura — Poma. Congresso Società Geologica Italiana inaugurato presenza S. E. Saracco, on. Borgatta, Capellini, Maggiorino Ferraris ed au- torità cittadine, rassegna sentimenti devozione, fiducioso che scienza geologica italiana avrà da Voi strenuo ausilio di morali e materiali incoraggiamenti. 4. ° S. E. Ministro Marina — Poma. Società Geologica Italiana riunita assemblea generale in Acqui, ricordando gentile generosa concessione fatta della B. nave Eri- dano ai colleglli che nello scorso marzo visitarono Isole Eolie, invia V. E. vivissimi ringraziamenti. 5. ° S. E. Bava, Sottosegr. Stato Min. Agricoltura — Poma. Congresso Geologico Italiano inaugurato presenza S. E. Sa- racco, on. Borgatta, Capellini, Maggiorino Ferraris, saluta in Y. E. giovane e forte rinnovatore degli studi ed augura a Lei ed alla Patria nuovi progressi nella via delle scienze applicate alla agri- coltura ed alla industria. TENUTE IN ACQUI NEL SETTEMBRE 1900 xcix Il Segretario presenta gli omaggi pervenuti alla Società dal 25 marzo al 16 settembre 1900. Bassani Fr.: Su la «Hirudella laticauda 0. G. Costa» degli schisti bituminosi triasici di Gittoni, nel Salernitano. Napoli 1899. — Su alcuni avanzi di pesci nelle marne stampiane del bacino di Ales in Sardegna. Napoli 1900. — Avanzi di « Clupea (Meletta) crenata » nelle marne di Ales in Sar- degna. Napoli 1900. — Di un congegno per facilitare l’isolamento dei fossili. Napoli 1900. Bogoslowsky N. : Ueber das antere neokom im Norden des Goucerne- ments Simbirsk linci clen Bjazan-horizont. SO Petersburg 1900. Cacciamali G. B.: Rilievo geologico tra Brescia e AL. Maddalena. Bre- scia 1899. Cocchi I. : Osservazioni sui denti incisivi dell’ Elefante africano. Roma 1900. Corset J. : Limon lxesbayen et limon de la Hesbaye. Ann. Soc. geol. Belg., t. XXVII. Fitti palli E. U.: Gastropodi del calcare turoniano di S. Polo Matere (Campobasso). Napoli 1900. Forir ET., Soreil G., Lohest M.: Compte-rendu de la session extraor- dinaire de la Soc. ge'ol. de Belg. ecc. Liége 1900. Forir H. : Encore les limons! Bruxelles 1900. — Rhynchonella Omaliusi et Eh. Damanti ont-élles une signification stra- tigraphique ? Liége 1909. Gerolamo Guidoni. Spezia 1900. La Valle G.: Il museo di mineralogia e geologia nella B. Università di Alessina. Messina 1900. Levat D. : Exploitation des placers au moyen de dragues à or. Saint- Étienne 1900. Lohest M. et Forir H. : Quelques découvertes intéressantes faites pendant les excursions du Cours de geologie de l’ Università de Liége. Liége 1900. — Determination de l’àge rélatif des roches dans le massif cambrien de Stavelot. Liége 1900. Lohest M. : De l’origine de la vcdlée de la Mense entre Namur et Liége. Liége 1900. Nicolis E.: Marmi, pietre e terre coloranti della provincia di Verona. Verona 1900. Pagani M. : Sorgenti di petrolio nel Bolognese. Torino 1900. — Sio alcune sorgenti di gas nel Bolognese. Firenze 1900. Perez G. B. : La provincia di Verona ed i suoi vini. Verona 1900. Resoconti delle riunioni dell’Associazione mineraria sarda. 1899-1900. Reyer Ed.: Esperimenti di Geologia e di Geografia. Traduzione di Vir- gilio Fr. Torino 1900. Salmoiraghi Fr. : Esiste la «Bauxite» in Calabria ? Milano 1900. Sequenza L. : L’ Hippopotamus Pentlandi Fede, di Taormina. Aci- reale 1900. Tenore G. : L’industria carbonifera in Italia ed il suo avvenire nel Na- poletano. Napoli 1893. c RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI ORDINARIE Tenore G.: Il rincaro del carbone e l’avvenire dell’industria carbonifera nell’Italia meridionale. Napoli 1900. Virgilio Fr. : Geomorfogenia della Provincia di Pari. Traili 1900. Vinassa de Regny P. E.: La sorgente acidulo-alcalina-litiosa di Uliveto. Pisa 1900. Zeiller R. : Éléments de Paléobotanique. Paris 1900 (‘). Il Tesoriere presenta i bilanci consuntivi per l’anno 1899 tanto (leU’Annninistrazione della Società, quanto dell’Ammini- strazione del legato Molon, che già vennero distribuiti ai Soci unitamente alla circolare di invito del 25 luglio di quest’anno, e che qui sono riportati: Bilancio consuntivo dell’almo 1899. Attivo. Passivo. 1. Tasse d’ammissione 1. Stampa del Voi. e quote annue . L. 3 330 — XVIII. . . . L. 2 156,10 2. Interessi rendita e 2. Estratti relativi al depositi . . . » 980,78 suddetto voi. . » 449,50 3. Vendita di bollet- 3. Spese per tavole tini » 208,50 e clichés. . . » 535,95 4. Partite di giro » 236,65 4. Spese dell’ ufficio 5. Rimborso spese po- di presidenza . » 40,45 stali .... » 10,70 5. Spese della segre- teria ed econo- mato .... » 289,03 6. Spese di cancel- leria .... » 38 — 7. Tassa di mano- morta. . . . » 30,02 1 8. Rimborso spese viaggi al Se- gretario ed al- l’ Economo . . » 108,35 9. Compensi al per- sonale . . . » 160 — 10. Partite di giro . » 236,65 Totale entrate de) Totale spese del 1899 L. 4 766,63 1899 .... L. 4 044,05 Cassa al 1° Gcn- Residuo attivo al naio 1899. . . » 4 378,21 31 Dicem. 1899. » 5100,79 Totale . . . L. 9 144,84 Totale . . . L. 9 144,84 (') La presente opera è edita dalla casa G. Carré et C. Naud, di pag. 421, con 210 figure nel testo. TENUTE IN ACQUI NEL SETTEMBRE 1900 CI Amministrazione del legato Molon, Attivo. Passivo. Cassa al 1° gennaio Tassa di manomorta . L. 32 — Cassa al 1° Decembre 1899 . . . . L. 392,21 Interessi diversi . . » 694,56 1899 .... » 1054,77 Totale . . . L. 1 086,77 Totale . . . L. 1 086,77 Il Segretario dà lettura della seguente relazione dei Re- visori dei conti: Esaminato il bilancio consuntivo della scorsa annata, quale venne presentato daH’Economo-Tesoriere Ing. Cav. Augusto Sta- tuti nell’adunanza tenuta in Roma il 25 marzo di quest’anno, verificando per ciascun capitolo i documenti, tutto trovammo in perfetta regola. Confrontate le cifre del consuntivo con le corrispondenti del preventivo, abbiamo rilevato una eccedenza di L. 39,03 nel cap. 4 « Spese d’Ufficio e spedizioni del Bollettino » giustificata dalle spese postali; spese che appunto non sono esattamente preve- dibili. Altra di L. 2,(30 nel cap. 6 « Tassa di manomorta » per varianti indipendenti dalla Amministrazione della Società. In- vece risulta un avanzo di L. 478,23 complessivamente negli altri Capitoli, specialmente in quelli relativi a spese di Ammi- nistrazione, e la Presidenza ebbe anche modo di rimborsare col 75 °/0 gli autori, nelle spese di tavole e elichés, conforme alle deliberazioni prese nelle adunanze del 25 e 2(3 febbraio 1899 in Pisa. Le cifre relative sono esposte nel seguente quadro. Onorevoli Colleglli, Parallelo fra i bilanci preventivo e consuntivo del 1899. CII RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI ORDINARIE co co o a a o m t- CO Totale avanzo TENUTE IN ACQUI NEL SETTEMBRE 1900 CHI Del pari regolare abbiamo trovato il rendiconto della partita speciale relativa al legato Molon. Yi proponiamo pertanto Tappi-ovazione dei predetti bilanci. Homa, 20 ghigno 1900. I Revisori A. Verri Mario Cermenati Eomolo Bagnini. Messi a votazione i bilanci predetti, senza discussione ven- gono approvati alTnnanimità. Il Segretario presenta i manoscritti delle Memorie che ven- nero recentemente inviate da alcuni Soci, perchè vengano inse- rite nel Bollettino: Colomba L. — Sul deposito d’una fumarola silicea alla Fossa delle Bocche rosse (Lipari). Del Campana D. — I cefalopodi del Medolo esistenti nel Gabinetto di Geologia e Paleontologia del B. Istituto di Studi superiori di Firenze. Del Zanna P. — I travertini di Colle e le incrostazioni at- tuali dell’Elsa. Flores E. — L 'Elephas antiquus Falò, e il Rhinoceros Mer- dài Jjeg. in provincia di Peggio di Calabria. Franco P. — Osservazioni sulla geologia delle Isole Pontine. » Baritina della provincia di Caserta. Pantanelli. — Storia geologica dell’Arno. Peola P. — Flora dell’eocene piemontese. Bistori. — Le formazioni ofiolitiche del Poggio dei Leccioni (Serrazano) ed il filone di contatto fra gabbro rosso e serpen- tina presso il torrente Sancherino. Sequenza L. fu G. — Vertebrati fossili della provincia di Mes- sina ; parte I : Pesci. A proposito del manoscritto presentato dal socio Del Cam- pana sui fossili del Medolo, il socio Bonarelli chiede la parola per comunicare all’assemblea un lavoro sullo stesso argomento, CIV RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI ORDINARIE eseguito dal socio Bettoni, e in via di pubblicazione nelle Me- morie della Società geologica svizzera ; presenta di essa Memoria le bozze di stampa già impaginate ; chiede se dopo ciò si possa accettare per la inserzione nel Bollettino della Società geologica italiana la Memoria del socio Del Campana. Dopo discussione, alla quale prendono parte specialmente i soci Capellini, Parona, Portis e Trabucco, l’assemblea delibera di affidare alla Presidenza l’esame del caso, e provvedere se- condo convenienza. I soci Pantanelli e Peola riassumono le Memorie da loro presentate, e sopra enumerate. II socio Clerici presenta una carta sui giacimenti diatomei- feri del sistema vulcanico Vulsino, e riassume le osservazioni fatte in proposito. Il socio Stella espone in succinto alcune osservazioni « sulla presenza di fossili microscopici nelle roccie a solfo della forma- zione gessoso-solfifera italiana». Il socio Trabucco presenta i manoscritti di tre Memorie così intitolate : « Possili, stratigrafia ed età del calcare di Acqui ». « Fossili, stratigrafia ed età della creta superiore del bacino di Firenze ». « Fossili, stratigrafia ed età dei terreni del Casentino (To- scana) » (1). Le suddette Memorie vengono brevemente riassunte dall’A. Relativamente alla Memoria sul calcare di Acqui, il socio Issel chiede la parola per sapere se il dissercnte (prof. Trabucco) si sia anche occupato delle sorgenti termominerali, vanto e ric- chezza della città d’ Acqui, sorgenti clic offrono attraenti pro- blemi da risolvere. A questo proposito, osserva che il grosso banco di calcare a , nullipore visibile in vari punti presso la riva destra della Bor- mida, in vicinanza della via provinciale, presenta sul rivo Ita- vanasco, nelle adiacenze dell’Albergo Roma, ad un livello un i po’ più alto, meati, come fenditure irregolari, che si allargano (') Lo prime due Memorie vennero poi ritirate dall’A. TENUTE IN ACQUI NEL SETTEMBRE 1900 CV in piccole caverne, dovuti, crede, all’azione dissolvente eser- citata snlla roccia in tempi più o meno remoti da acque mi- nerali, dalle quali dipendono forse anche la struttura cristallina localmente assunta da esso calcare e certe incrostazioni calci- tiche da cui è in qualche punto rivestito. Nota pure la circo- stanza che la roccia, estratta, come è noto, ad uso di pietra da calce, emana odore solfureo durante la cottura. Se rinterpretazione ora accennata è conforme al vero, sog- giunge il socio Issel, se ne dovrebbe argomentare che le acque minerali sgorgavano in passato in copia maggiore e raggiunge- vano più alto livello che non attualmente. Mentre non è più a revocare in dubbio, egli dice, che le sorgenti hanno origine pro- fonda (') e sgorgano al di sotto di tutta la pila di strati oli- gocenici e miocenici ivi segnalati dagli autori e da noi veduti, attraversano cioè la formazione ofiolitica antica sottostante (alla quale traggono probabilmente alcuni dei principii minerali che ricettano), e si ammette in generale che si trovino allineate lungo un sistema di fratture dirette trasversalmente alla valle della Bormida, è pur probabile che, prima di raggiungere la superficie si espandano alquanto negli strati conglomerati ed are- nacei che giacciono ad immediato contatto della serpentina; laonde ne conseguirebbe la possibilità di ottenere artificialmente nuove polle (forse anche diverse dalle altre, dal punto di vista dei materiali disciolti) mediante trafori artesiani abbastanza pro- fondi. Il socio Issel conclude nei seguenti termini : « Ogni affer- mazione da parte mia sarebbe ora arrischiata ed intempestiva. Oggetto delle mie parole non è perciò di far conoscere quel che io pensi in proposito, ma piuttosto di provocar notizie e spie- gazioni da coloro che meglio studiarono il paese e, all’ occor- renza, di promuovere ulteriori indagini. Ciò colla lusinga che dalla nostra adunanza possa eventualmente risultare qualche dato positivo per la scienza o qualche indicazione utile dal punto di vista industriale, a prò della nobile città dalla quale siamo tanto cortesemente ospitati ». (*) (*) Lo dimostra la temperatura della Bollente, 74°, 5. (JVI RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI ORDINARIE Il socio Taramelli presenta e riassume alcune sue « Osser- vazioni stratigrafiche a proposito delle Fonti di S. Pellegrino in provincia di Bergamo ». Il socio Bonarelli presenta a nome del socio De Alessandri, che si era dovuto assentare dall’adunanza, una breve Nota sui « Fossili aquitaniani dei dintorni di Acqui ». Alle ore 20 il Presidente toglie la seduta. I Soci riman- gono nella sala per accordarsi sulle gite da farsi nei giorni suc- cessivi. Di queste gite e di quella suaccennata, fatta nella valle del Ravanasco, veggasi la Relazione presentata dal socio Tra- bucco nell’adunanza di chiusura. Seduta privata del 19 Settembre. Presidenza: Pellati. Alle ore 10 ant. il Presidente dichiara aperta la seduta. Sono presenti i soci Baldacci, Bettoni, Bianchi, Bonarelli, Bruno, Clerici, Cocchi, Dainelli, De Ferrari, De Marchi, Di Stefano, Dompè, Issel, Mariani, Mattirolo, Neviani, No- varese, Parona, Pellati, Portis, Statuti, Stella, Taramelli, Trabucco, Verri, Vinassa, Zaccagna. Il Presidente comunica i seguenti telegrammi pervenuti in risposta a quelli spediti nei giorni precedenti. Da S. E. il Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio: Presidenza Congresso Geologico — Acqui. Vivamente grato per le benevoli espressioni rivoltemi da co- desto illustre consesso esprimo i migliori voti e auguri per la Società da cui tanto lustro deriva alla scienza geologica italiana. Ministro Carcano. Da S. E. il Ministro della Marina: Comm. Pellati Presidente Società Geologica — Ac equi. A Vossignoria c Società ringraziamenti per cortese gentile telegramma. Ministro Morin. TENUTE IN ACQUI NEL SETTEMBRE 1900 CVII Da S. E. il sottosegretario di Stato del Ministero di Agri- coltura : Ing. Comm. Pellati Presidente Congresso Geologico — Acqui. Ringrazio con animo commosso Y. S. e Congresso del gen- tile e troppo benevolo saluto che breve assenza mi impedì rice- vere ieri. Modesto lavoratore in altri campi, auguro che la scienza, di cui Acqui nobilissima ospita oggi così illustri cultori, sempre meglio giovi alla pratica della vita e la agricoltura e la indu- stria continuino senza esitanza il cammino già felicemente in- trapreso nella via maestra del progresso economico nazionale. Ossequi. Rava. Essendo stato proposto, nella fermata che i congressisti fecero il precedente lunedì, a Strevi, in casa del Presidente, di diri- gere alla Vedova di Quintino Sella, un telegramma di saluto, Egli dà lettura di quello che spedirà oggi stesso: Clotilde Sella — Biella. Occasione Congresso Società Geologica Acqui chiuso stamane, furono rammentate alte feconde benemerenze illustre suo marito Quintino Sella, fondatore Società, deliberato per acclamazione inviare a Lei riverente saluto il che faccio con animo commosso. Il Presidente: Pellati. Il Presidente fa notare come non sia possibile passare all’ap- provazione del nuovo Regolamento per il Premio Molon, come fu indicato nell’ordine del giorno, perchè non fu ancor possibile alla Presidenza avere l’ istrumento di consegna del capitale ; senza del quale manca la base per definire alcuni punti rimasti sospesi nelle precedenti discussioni. Senza osservazioni l’Assemblea approva di proseguire nell’or- dine del giorno. Il Presidente chiama i soci Bettoni e Dainelli a fungere da scrutatori nello spoglio delle schede per le elezioni sociali ; ad essi vengono consegnate 88 schede, delle quali una viene senz’altro dichiarato nulla, non portando il talloncino col nome del votante. VII CVIII RESOCONTO DELI.E ADUNANZE GENERALI ORDINARIE Il socio Vinassa, a nome anche dei soci Mariani e Stella, svolge una proposta relativa alla nomenclatura stratigrafica. Ac- cenna alla anarchia dei termini scientifici stratigrafici usati dai vari scrittori italiani, alla supposta mancanza di vocaboli ita- liani adatti, ecc. Accenna quindi alla fortunata combinazione che alla presidenza della Società siavi il Capo del servizio mi- nerario e geologico, il quale potrebbe con opportuna inchiesta da farsi per mezzo degli ingegneri delle miniere addetti ai ser- vizi medesimi, con una specie di elenco di voci dialettali o dialettizzate, aiutare validamente l’ intrapresa di formare una specie di vocabolario stratigrafico del quale la Società geologica dovrebbe farsi iniziatrice. Si tratterebbe insomma di un lavoro del genere di quelli di Heim e Margerie, più moderno, e reso più consono a quanto veramente si incontra in natura. Vari soci, Taramelli, Trabucco, Parona, Issel ed altri pren- dono la parola, e tutti, pur facendo osservazioni e riserve, appog- giano la proposta Vinassa. Il Presidente, dopo aver fatto notare che l’Ufficio Geologico si occupa già da tempo di questo importante argomento, appoggia la proposta Vinassa, e propone che i soci Vinassa, Mariani e Stella vengano incaricati di studiare la questione e di concre- tare delle proposte che verranno poi presentate in altra tornata all’Assemblea per l’approvazione. L’Assemblea approva. Il Presidente dichiara chiusa la seduta privata, dovendo aprirsi la seduta pubblica di chiusura. I soci Lettoni e Dainelli continuano lo scrutinio delle schede: il risultato delle Elezioni verrà proclamato nella seduta pub- blica. Seduta di c li i u s ur a . Presidenza: Pellati. Sono presenti al banco della Presidenza il prosindaco di Acqui cav. Garbarino, il sottoprefetto cav. Spairani, il sindaco di Spigno maggiore Airaldi ed il march. V. Scati ispett. on. degli scavi e monumenti. TENUTE IN ACQUI NEL SETTEMBPE 1900 C1X L’avv. Garbarino, dopo d’aver partecipato che S. E. il ca- valiere Saracco, trattenuto da urgenti affari di Stato non può con suo rincrescimento assistere all’ adunanza di chiusura, rin- grazia la Società di aver scelto la città di Acqui come sede del Congresso, e porta il suo saluto ai Congressisti, che stanno per partire dalle regioni in cui furono cordialmente ospitati. Augura splendido avvenire alla Società ; e che questa, tenendosi sempre lontana dalla politica e dai partiti, continui ad essere faro lu- minoso del progresso e della civiltà. Anche il Sottoprefetto con elevate parole ringrazia, a nome del Circondario, i Congressisti e bene auspica all’avvenire della Scienza, Il Presidente, dopo aver ringraziato il rappresentante della città di Acqui, ed il sottoprefetto delle cortesi loro parole, pro- nuncia il seguente discorso: «Eccoci giunti al termine dei nostri lavori. Questi lieti giorni del nostro convegno trascorsero ben rapidamente ! essi lascie - ranno nondimeno nei nostri cuori un ricordo indimenticabile. — La bella ed interessante regione scelta quest’anno come campo delle nostre annuali peregrinazioni non può non aver colpito ciascuno di voi per la regolare e tipica giacitura dei terreni terziari superiore e medio che altrove sono in questo momento oggetto di tanta discrepanza di opinioni fra alcuni dei nostri soci più competenti, e giova sperare che l’ osservazione della facies delle formazioni che qui prendono sì largo e regolare svi- luppo e l’esame diligente e comparato dei fossili che con suffi- ciente abbondanza si rinvengono nei fianchi di questi monti var- ranno a risolvere le principali questioni controverse. Ma sui risultati delle osservazioni fatte nelle nostre escur- sioni vi terrà parola il valente nostro collega prof. Trabucco che volle gentilmente aderire alla mia richiesta di farvene relazione. Non vi parlo delle meravigliose sorgenti termali che scatu- riscono dal suolo di questa antica stazione ligure-romana le quali depositano nelle anfrattuosità dei loro meati d’efflusso i fanghi salutari e benefici che dai tempi più remoti hanno fatto alle agirne statiellae ben meritata celebrità. CX RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI ORDINARIE Purtroppo la bibliografìa delle sorgenti termali di Acqui è ancora molto scarsa, a motivo delle difficoltà della loro esplo- razione. Speriamo tuttavia che taluno di voi si sarà invogliato a farne tema di ulteriori studi e di più accurate osservazioni, e che anche sotto questo punto di vista la nostra venuta in questi luoghi sarà feconda di importanti risultati. Già un giovane no- stro collega, nativo di questa regione, l’ing. Aristide Bianchi, che abbiamo il piacere di vedere fra noi, ha intrapreso sulle terme di Acqui uno studio geniale e vigoroso (*), che speriamo vorrà continuare, perchè abbiamo fede che il metodo da lui adot- tato condurrà a conclusioni di grande interesse. Il tempo splendido e la stagione propizia hanno favorito non poco le nostre escursioni; ma oltre al favore degli elementi abbiamo avuto quello degli uomini; e vivi ringraziamenti dob- biamo rivolgere alle rappresentanze dei comuni di Alice Bei- colle, Ricaldone, Cassine, Strevi, Cartosio, Malvicino e Spìgno per le oneste e festose accoglienze che ci vollero prodigare al nostro passaggio per quei luoghi. Al sindaco di Spigno, egregio maggiore Airaldi, siamo inoltre ben grati che abbia aderito al nostro invito di assistere a questa adunanza. Vivi ringrazia- menti dobbiamo pur rivolgere all’onor. deputato Gavotti per la splendida e geniale refezione che ebbe la cortesia di offrirci nella propria casa al nostro passaggio per Malvicino. Ringra- ziamo pure l’ illustre marchese Scati di Casaleggio per il cor- tese suo intervento a questa nostra adunanza. Noi possiamo con- siderare lui, benemerito e dotto ispettore degli scavi e monu- menti di questa regione, come nostro distinto collega, poiché l’etnologia e l’archeologia, delle quali egli è tanto esimio cul- tore, non sono altro che capitoli interessantissimi di geologia antropozoica. Ed ora permettetemi che io rinnovi a nome mio particolare ed anche a nome vostro le più sentite azioni di grazie all’uomo illustre che fu il vero patrono del nostro Congresso, a Giuseppe Saracco. Simili ringraziamenti io ripeto alle rappresentanze della città, del circondario e della provincia, le quali efficacemente coope- (') Nota geologica sulle sorgenti termali dell'Acquese. Chieri 1899. TENUTE IN ACQUI NEL SETTEMBRE 1900 CXI rarono alla buona riuscita del nostro Congresso ed infine alla cittadinanza acquese che in questi giorni si mostrò con noi no- bilmente cortese ed ospitale. Ma è tempo, o carissimi colleghi, che pensiamo a prender commiato per far ritorno alle nostre abituali dimore e ripren- dere le nostre consuete occupazioni. Possano queste tornar utili al progresso della scienza che professiamo; ma sopratutto ci sia concesso di applicare a ciascuno di noi per lunghi anni il pre- sagio, che io amo tradurre in augurio, del mens savia in cor- por c, sano. Questo augurio io estendo di gran cuore a tutti i presenti soci e non soci ed alle loro famiglie». Il Presidente dà quindi la parola al socio Trabucco, il quale legge, sulle gite compiute nei giorni precedenti, la Relazione che viene pubblicata in appendice al presente verbale. A proposito della idrografia dei dintorni di Acqui, di cui ha parlato il socio Trabucco nella sua Relazione, il Presidente rende conto di un progetto di condottimi di acqua potabile dal fiume Erro alla città di Acqui, comunicatogli dal prosindaco, e così ne riassume i dati essenziali : Derivazione di 40 litri di acqua potabile al 1" da una sor- gente situata presso la S’ciapà in Valle dell’Erro. Quota della presa m. 245 Perdita di carico » 19 Resta caduta di . . . . m. 226 La quota della piazza V. E. in Acqui . . m. 154 Per cui resta un carico di m. 72 Una turbina è stabilita alla quota di . . m. 182 Quota di Acqui » 154 Differenza m. 28 carico che dà una pressione sufficiente per distribuire l’acqua a tutta la parte piana della città. La turbina posta alla quota di m. 182 dà una forza motrice di 30 cavalli, che devono servire a sviluppare l’energia elettrica CXII RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI ORDINARIE per 300 lampade da 16 candele, necessarie alla pubblica illu- minazione della città. L’alimentazione della città è fatta ad esuberanza con 2000 m.c. al giorno; il rimanente è abbandonato per la nettezza delle fogne. Quanto alla geologia, le formazioni antiche che abbiamo visto incominciare poco oltre Cartosio, seguitano lungo tutta la valle dell’Erro sino a Sassello ed oltre nel versante meridionale del- l’Appennino. 11 tongriano, che già veniva a mancare oltre Car- tosio, si prolunga sulle alture a Cimaferle ed a Pareto; divi- dendosi poi anche in lembi sparsi, fra cui è notissimo quello di Sassello. Però il fondo della valle resta per grande tratto nelle formazioni antiche, che sono per lo più costituite di anfibolo- scisti e serpentine, con micascisti. Presso la S’ciapà, dove sca- turisce la sorgente, vi è una notevole intercalazione di mica- scisto, che è la causa determinante l’uscita delle acque circo- lanti nelle spaccature delle serpentine. Quanto alla potabilità delle acque, le roccie dalle quali esse scaturiscono, ci affidano della loro purezza. Però, se la scelta è convenientissima, sarà sempre necessaria l’esame chimico e bat- teriologico per dire l’ultima parola. Il Presidente proclama il risultato delle elezioni sociali : Votanti 88 Schede nulle 1 Vicepresidente per il 1901, Presidente per il 1902: Capellini prof. Giovanni, senatore del regno, con voti 68. Consiglieri per il triennio 1901- 1903 : Mariani prof. Ernesto .... con voti 74 Baldacci ing. Luigi » 70 Cacciamali prof G. Battista » 68 Portis prof. Alessandro (*) . » 48 (') Il socio prof. Poutis A. fece pervenire alla Presidenza, lo stesso giorno 19 settembre, la seguente lettera: « Pregiatissimo signor Presidente «Mi duole partecipare le dimissioni o la non accettazione alla ca- rica sociale da Lei or ora a mio favore proclamata c ciò per mie ra- TENUTE IN ACQUI NEL SETTEMBRE 1900 CXIII Segretario per il triennio 1901- 1903 : Clekici ing. Enrico, con voti 46. Ebbero maggiori voti : a Vicepresidente il socio ing. col. Verri con 8 voti; a Consigliere il socio Fornasini C. con 32 voti; a Se- gretario il socio Neviani con voti 27. Il Presidente porge un fraterno saluto ai nuovi eletti, vi- vamente compiacendosi della loro elezione. Indi, così si esprime: « Sono veramente orgoglioso di poter chiudere questo congresso colla comunicazione di due telegrammi che altamente onorano la Società Geologica Italiana ; mi furono pocanzi consegnati da S. E. il Cav. Saracco; e sono uno di S. M. il Re Vittorio Ema- nuele III, e Paltro di S. A. R. il Duca degli Abruzzi ». Eccoli : S. E. Cav. Saracco — Acqui. La prego ringraziare Presidenza Società Geologica Italiana per sentimenti verso Mia persona e porgergli i ringraziamenti Duca Abruzzi per la sua nomina a membro onorario Società Geo- logica Italiana. Affettuosi saluti. Vittorio Emanuele. S. E. On. Saracco e Presidente Soc. Geol. It. — Bistagno. L’alto tributo d’encomio che ricevo da codesto eminente con- sesso mi tocca vivamente, ne ringrazio proprio di cuore Lei e gli onorevoli Soci. Luigi di Savoia. Dichiarata chiusa l’adunanza, i Soci si alzano al grido di viva il Re, viva il Duca degli Abruzzi, viva Saracco, viva la città di Acqui. Il Segretario A. Neviani. gioni personali e conformemente al mio fermo proposito espresso appena seppi della mia candidatura. » Gradisca i miei rispettosi ossequii e ringraziamenti e mi creda » Suo devotissimo » Alessandro Portis ». CXIV G. TRABUCCO APPENDICE. I. RELAZIONE DELLE GITE FATTE NEI GIORNI 16, 17 E 18 SETTEMBRE 1900 NEI DINTORNI DI ACQUI del socio prof. G. Trabucco Illustrissimi Signori, Chiarissimi Consoci! Alla squisita gentilezza del nostro illustre Presidente e forse ancora all’esser nato in mezzo a queste ridenti colline debbo l’onore di riassumere brevemente le osservazioni fatte e le im- pressioni ricevute durante le nostre escursioni. La costituzione geologica dell’Alto Monferrato è molto sem- plice. Ad Est, verso l’ Appennino, la grande formazione ofìoli- tica arcaica, quasi continua da Spigno a Voltaggio, che circonda ed acclude i terreni terziari attraversati dal Gorzente, dal Piota, dalla Stura, dall’Orba, dal Visone, dall’Erro, dalla Bormida e dal Belbo, i quali, gradatamente declinando, si succedono e si molti] dicano per andare a perdersi a Nord sotto la pianura Ales- sandrina e passare più ad Ovest nell’Astigiano e nella valle su- periore del Tanaro. Sono appunto questi terreni terziari inferiori, medi e supe- riori, scaglionati, più che sovrapposti, gli uni dietro gli altri, visitati dai più illustri geologi italiani e stranieri, ricchi di fos- sili peculiari sparsi in tutti i musei del mondo, che resero geo- logicamente e paleontologicamente famosa la nostra regione. La brevità del tempo concesso alle nostre escursioni, non ci ha permesso di visitare qualche località specialmente importante e caratteristica per i suoi fossili; ma io crederei di mancare al mio dovere di studioso e di monferrino se non mi ponessi a completa disposizione dei molti o pochi colleglli che volessero RELAZIONE DELLE GITE NEI DINTORNI DI ACQUI CXV raccogliere abbondante messe di fossili, da servire di utile con- fronto per lo studio geo-paleontologico dei terreni terziari di altre regioni. In una mezza giornata, visitando la regione Car- peneto-Santo Stefano-Cremolino-Cassinelle, ognuno potrà racco- gliere numerosi, importanti e caratteristici fossili dei piani elve- ziano, langhiano e bormidiano. j Escursione lungo il JRio Havanasco e visita delle sorgenti termali dello stabilimento di Acqui. 16 Settembre Domenica, dopo il banchetto che, con cordialità monferrina e magnificenza ligure, l'onorevole rappresentanza del comune di Acqui ci offriva e dopo che quel demone tentatore, il quale ri- sponde al nome di Maggiorino Ferraris, ci allietò le orecchie ed i cuori colla musica soave delle sue parole e dei suoi alti concetti, senza perdere un minuto di tempo, sotto la guida del giovane e valente acqnese D.‘ G. De Alessandri, ci avviammo, per la valle del Eavanasco, ad osservare la serie inferiore del miocene medio, costituita da ripetute assise di marne grigio- bluastre intercalate con arenarie grigie e gialle, le cui testate si possono inoltre così bene osservare presso il ponte della Bor- mida, nella franata collina di M. Stregone che sovrasta allo sta- bilimento e nelle quali sono interstratificati banchi calcareo- arenacei, ricchissimi di fossili caratteristici. La roccia, che prima richiamò la nostra attenzione, fu il noto calcare grossolano compatto di Acqui, di colore bianco o grigio, costituito da un impasto di Haloplorella, Lithophyllum, Litliotliamnion, foraminiferi, briozoi, lamellibranchi, ecc., cemen- tato di piccole concrezioni di calcite, accludenti granuli di quarzo, di serpentina e laminette di mica. Le varietà bianche passano talora ad un vero calcare brecciato, mentre nella parte infe- riore, per aumento di granelli, ciottoletti e frammenti di quarzo e di serpentina, assume talora aspetto o tessitura puddingoide od arenacea ed in questo ultimo caso la roccia è utilizzata per paracarri, scalini, stipiti, frontoni, ecc. Questi strati calcarei o calcareo-arenacei, che affiorano in prossimità dello stabilimento, qua e là negli opposti versanti Vili CXVI G. TRABOCCO del Eavanasco, nella valle del Visone ed in molti altri luoghi, appartengono indubbiamente, per i loro caratteri paleontologici e stratigrafici, alla parte inferiore del piano langhiano. Infatti contengono: Pecten Holgeri, P. solarium, P. burdigalensis, P. Malvinae, P. scabriusculus, P. Haueri, etc. e devono perciò essere ascritti al miocene medio ; mentre poi, sottostando, in cor- cordanza, alle assise marnose langliiane superiori ad Aturia Aturi, Carinaria Pareti, Vaginella Calandrelli, Solenomya Doderleini, Ostraea langhiana, eco., debbono costituire la parte inferiore del piano langhiano. Questo riferimento stabilito da me fino dal- V anno 1891 Q), venne successivamente confermato da Fuchs, Suess, Schaffer, De Stefani, De Stefani e Nelli, ecc. L’Alto Monferrato è ricchissimo di giacimenti calcarei mio- cenici, che diedero e danno ancora luogo ad utile estrazione per materiale da costruzione, decorativo, da calce e da pietrisco; ma i mezzi limitati, i cattivi metodi di estrazione, la poca notorietà di molti di questi giacimenti nella stessa regione, ed infine la mancanza di una onesta reclame rendono questa industria poco o punto rimunerativa. Oltre ai calcari langhiani di Acqui, Visone, ecc., abbiamo quelli elveziani a P. Gentoni , var. Paretiana Iss., ecc., che, quasi senza interruzione, affiorano nella zona, la quale, dal Monte della Guardia (Strevi), si spinge a Eivalta, Orsara, Montaldo, ! Carpeneto, Eoccagrimalda, Silvano, Castelletto, ecc. Nè minore importanza economica presentano i calcari borni idiani a P. ar- cuatus , Nummulites intermedia, N. Boucheri, ecc. di Cremolino, Morbello, Ponzone, Spigno (Eocchetta), ecc. Tutti questi giacimenti furono più largamente usufruiti in antico, come lo attestano le numerose cave e fornaci abbandonate. Eppure molti edifizi pubblici e privati, molte chiese e molti castelli ne sono intieramente costituiti e mostrano, colla loro re- ! sistenza alle ingiurie del tempo, le ottime qualità di questi cal- cari come materiali da calce e da costruzione; resistenza prò- j vata anche dai manufatti della ferrovia Acqui-Ovada, a cui fu- rono su grande scala adibiti. Senza aggiungere che, special- (') Trabucco G., Sulla vera posiziono del calcare di Acqui (Alto Monferrato). Firenze 1891. RELAZIONE DELLE GITE NEI DINTORNI DI ACQUI CXV1I mente i calcari langkiani, ottimi per l’agricoltura, per imbian- care, per il latte di calce, ecc., convenientemente mescolati e ricotti colle marne argillose locali, possono dar luogo a vere e proprie calci idrauliche e cementi ed emancipare la regione da un notevole cespite di importazione. Risalimmo poi la valle del Ravanasco, osservando le testate degli strati della interessante serie langkiana inferiore fino al piccolo affioramento serpentinoso, situato sotto la C. Senti (fini di Cavatore) e sul quale la serie si appoggia. Strada facendo abbiamo raccolti alcuni fossili delle arenarie (P. revohitus, P. bur- digalmsis, P. Northamptoni) caratteristici del miocene medio e che provano ancora una volta la vera età di questa serie lan- ghiana inferiore. Poscia, rifacendo la stessa strada, ritornammo allo Stabili- mento, onde visitare le tanto rinomate sorgenti termali e tutti ammirarono la grande abbondanza di queste prodigiose acque minerali, le quali si vedono sorgere dagli strati marnosi lan- ghiani sotto la dirupata collina dello Stregone e che ogni anno danno salute e gioia a migliaia e migliaia di malati. Queste numerose sorgenti, note e tenute in gran pregio fino dai primi secoli dell’ impero Romano ('), in cui già esistevano due stabilimenti, uno oltre Bormida e l’altro nel centro della città in prossimità della Bollente (2), spiegano bene l’antico nome di Aquae Statidìae dato alla città. L'origine di queste sorgenti deve essere molto profonda a giudicarne dalla loro temperatura, che raggiunge 50° in quelle d’oltre Bormida e 75° nella Bollente. Quanto alle sostanze di cui le stesse sorgenti sono ricche e che loro attribuiscono qualità terapeutiche peculiari, in parte (acido solfidrico e composti di boro, di stronziana, di potassa, ecc.) provengono probabilmente da decomposizione di solfuri metallici e da altre reazioni delle rocce della formazione arcaica, che co- (’) Ne parlano Seneca, Strattone, Plinio, Tacito. (2) Fabretti A., Atti Soc. Arch. e Belle arti di Torino, Tom. IT, p. 19. Scati V., Scoperta di avanzi di un edificio romano, Biv. di Storia, Arte ed Archeol. della Prov. di Alessandria. Anno I (1892), fase. II. D’Andrade e Taramelli - Acqui, Edificio romano scoperto presso la fonte detta la Bollente. Estr. dalle Notizie degli scavi, Novembre 1899. CXVIII G. TRABUCCO stituiscono il sottostrato delle colline mioceniche, come si può distintamente osservare lungo la strada provinciale Prasco-Cre- molino, mentre delle altre (ossidi, cloruri, ioduri) si arricchiscono circolando attraverso alle rocce dei terreni miocenici, che abi- tualmente ne contengono. È certo però, contrariamente a quanto volgarmente si crede, che dette sorgenti non hanno nessuna rela- zione colla formazione gessosa di Alice, poiché scaturiscono da terreni più antichi. La differenza sensibile poi della temperatura delle sorgenti delle Vecchie Terme (Stabilimenti Civile, Militare e Nazionale dei poveri), della Bollente e delle altre polle solforose della re- gione deve probabilmente la sua origine ad infiltrazioni di acque fredde, come a Plombières (’) ed in altri luoghi. Nel 1847, scavandosi nello Stabilimento termale dei poveri di Acqui uno speciale serbatoio per il fango, l’Ing. Zannone, che dirigeva i lavori, vide improvvisamente erompere una co- spicua sorgente di acqua calda che si mescolava ad una grossa colonna di acqua fredda, che solo riuscì a scevrare mediante lunghe palafitte ed un profondo strato di calcestruzzo (2). Il Prof. Issel, nella seduta privata di domenica scorsa, emet- teva l’opinione che certe cavità ed altri fenomeni di metamor- fismo osservati nel calcare di Acqui in prossimità dello Stabi- limento termale, nonché l’odore di solfo emanato dal detto cal- care in cottura fossero dovuti ad antichi sgorghi di acque minerali del sistema di quelle delle vicine Terme, concludendo sull’ impor- tanza della trivellazione in quella località di fori artesiani, dai quali probabilmente potrebbero sgorgare acque sensibilmente dif- ferenti dalle attuali ed aggiungere nuova importanza allo Stabi- limento per speciali virtù mediche. Poiché la spesa di queste trivellazioni sarebbe piccola e la probabilità delle deduzioni del mio riverito maestro sono avva- lorate dai fatti che si osservano altrove, come per es. a Mon- tecatini, così io unisco la mia debole voce per incoraggiare a queste ricerche l’onorevole Bappresentanza Comunale di Acqui, alla quale ed all’iniziativa privata pure raccomando alcune note (') Lccoq H., Les eaux minerai., ete. Paris, 1865. (?) De Alessandri D., Acqui e le suo terme, p. 65. RELAZIONE DELLE GITE NEI DINTORNI DI ACQUI CXIX sorgenti minerali della regione, che altrove costituiscono impor- tanti cespiti di entrata, mentre da noi rimangono completamente sconosciute e dimenticate, quali l’acidula -gasosa di Grognardo, la clorurata-sodica di Strevi, le ferruginose-magnesiache di Vi- sone, Morbello e Ponzone, le solforose-saline tiepide di Ponti, Cassinasco e Sessame, eco. Non mi lusingo che queste sorgenti possano far nascere e prosperare stabilimenti da emulare i principali congeneri italiani e stranieri; ma per le posizioni topografiche eccellenti di questi luoghi, per l’aria balsamica, per la facilità di potere associare alla cura idiopatica la cura coll’uva, ecc., almeno alcune di esse, come l’acidula-gazosa di Grognardo, potrebbero divenire stazioni sanitarie utilissime, frequentate e rimunerative e servire, per la vicinanza ad Acqui, quasi di cura complementare a quella delle Vecchie e Nuove Terme. Prima di lasciare l’argomento, io credo di interpretare i vo- stri sentimenti, egregi Consoci, facendo voti che in qualche ca- pitolo del bilancio dello Stato possa trovare posto una qualche somma per l’ampliamento ulteriore dello Stabilimento Nazionale de’ poveri, dove ogni anno sono curati gratuitamente e restituiti alla salute, al lavoro ed alla patria circa 1500 ammalati di ogni parte d’Italia. Escursione ad Alice Belcolle, JRìcaldone e Cassine ; ritorno in Acqui per ferrovia con fermata a Strevi. (17 settembre) La città di Acqui, già importante stazione militare nei primi secoli dell’impero romano, riposa sopra antiche alluvioni terraz- zate (agglomerati e conglomerati di sabbie, ghiaie e ciottoli) della Bormida poco potenti e queste sulla serie langhiana supe- riore, come si può distintamente osservare lungo il viale che da Acqui tende alle Vecchie Terme, attraversando il ponte Carlo Al- berto ed in prossimità del ponte stesso. Sgorga da questi ter- reni, nel centro della città, la meravigliosa Bollente, le cui acque si usufruiscono ora per le Nuove Terme, costruite da pochi anni. Questa serie langhiana superiore, costituita di marne indurite cxx G. TRABUCCO (sciatlin), intercalate con straterelli di marne cineree e di sabbie gialle, elle sembra a tutta prima non contenere punti fossili, ma che invece ne racchiude (A. Aturi, S. Doderleini, B. sinuosum, V. Calandrella, 0. langhiana, ecc.) a tutti i livelli, noi l’abbiamo potuta osservare appena fuori dalla città, risalendo il Medrio fin verso il Ponte delle Rocchie. Più in su cominciano a com- parire le assise elveziane superiori (marne sabbiose azzurrognole alternanti con straterelli di arenarie calcaree giallicce a P. Cen- toni), die ricoprono i terreni langbiani, i quali affiorano ancora irregolarmente qua e là fin verso C. Giardini, C. Spagna ed i Botti. Salendo ancora verso Alice, appena abbandonata la strada pro- vinciale, attraversammo una zona di marne bluastre tortoniane, quivi poco sviluppata e mascherata dalla coltivazione, ma pure distintamente osservabile nei cunicoli della strada. I terreni el- veziani e tortoniani, molto assottigliati tra Serravalle ed Acqui, prendono solo notevole sviluppo verso S.-O., tra la Bormida ed il Tanaro. Finalmente, in prossimità dell’abitato di Alice, siamo entrati nella formazione messiniana, di cui potemmo successivamente osservare la serie completa. Dapprima potenti banchi marnosi che racchiudono impor- tanti masse gessose (gessino, gesso a cristalli incrocicchiati) con tracce di solfo e noduli più o meno voluminosi di un calcare gial- liccio, duro, silicifero; poi sabbie gialle con fiditi intercalate colle tipiche marne bianche fogliettate. Finalmente, nella parte superiore, banchi di sabbie, ghiaie e conglomerati, alternanti confusamente con marne, come nella cava di petrisco aperta nel poggio fra S. Sebastiano e la strada che scende a Ricaldone. Tra gii elementi del conglomerato, in generale molto ridotti e perfettamente arrotondati, non mancano le serpentine, le eu- fotidi, le antìbolitj, le quarziti, i calcescisti, ecc. della forma- zianc arcaica, ma vi predominano quelli eocenici e miocenici (calcari ed arenarie) ; onde si può conchiudere che furono con- vogliati alle spiagge messiniane da torrenti originati dal cri- nale appenninico. Banchi conglomeratici a grossi elementi costituiscono la base della formazione e si intercalano pure coi banchi marnosi, come RELAZIONE DELLE GITE NEI DINTORNI DI ACQUI CXXI ho potuto osservare quando si traforava la galleria che sbocca, poco lontano, a Castelletto Molina ; anzi sono essi, probabilmente, che danno origine a parecchie grandiose sorgenti locali, come quelle di Ricaldone, di Quaranti, ecc. La formazione messiniana, ridotta ad una zona ristrettissima nella valle dell’ Orba, comincia a acquistare notevole sviluppo ed una vera importanza economica verso S.-O., a partire da Alice. Da tempo antichissimo gesso di ottima qualità si estrae dai giacimenti di questo territorio e si cuoce in piccole fornaci preadamitiche, dando luogo ad una piccola industria poco rimu- nerativa, che si limita a vendere i suoi prodotti ai paesi cir- convicini. Cosi, per deplorevole incuria locale, rimane quasi im- produttiva questa naturale ricchezza mineraria ! Discendendo poi a Ricaldone osservammo ancora meglio le caratteristiche marne bianche fogliettate, le quali costituiscono la parte superiore della serie messiniana e che, per i loro carat- teri, s’avvicinano ai tripoli veri e proprii. Le rappresentanze comunali di Alice e di Ricaldone ci in- contrarono all’ entrata dei rispettivi comuni e ci colmarono di gentilezze ed io non dimenticherò mai l’assalto dato, nella sala comunale di Ricaldone, a quei cesti di dolcetto, di dorato mo- scato ed a tutta quell’altra grazia di Dio che ci fu offerta per colazione. Alfine, dopo avere visitato lo stabilimento enologico ed il grandioso parco della villa del gentilissimo cav. Lavagnino, ci siamo incamminati alla volta di Cassine. Le solite marne mes- siniane ci accompagnano fino quasi alla C. Noceto, dove suben- trano le marne azzurre piacenziane, ricoperte, a partire dal poggio di S. Secondo, dalle sabbie gialle dell’astiano, ricche di fossili caratteristici. Sopra un poggio terrazzato di sabbie gialle, pro- fondamente incise da burroni in causa della facile erosione, si distende l’abitato di Cassine. Di qui, in pochi minuti, il treno ci trasportò a Strevi, che giace anch’esso sopra un bel poggio terrazzato di marne e di arenarie elveziane, ricoperte da conglomerati post-pliocenici. A Strevi eb- bimo ancora tempo di osservare, lungo il R. Crosio, l’intiera serie elveziana, che, poco più in alto, nel Bric della Guardia, passa alla caratteristica mollassa calcarea, un vero impasto di CXXII G. TRABUCCO foraminiferi, spicele di spongiari, resti di ecliinidi, frammenti di briozoi, ecc., passante ad un calcare brecciato grossolano di colore rossastro traente al bruno chiaro ed al rosso, con granuli di quarzo e di feldispato plagioclasio, pagliuzze di mica, lamelle e fasci fibrosi di clorite verdastra o giallastra ed abbondante ossido di ferro rosso-mattone, che talora riempie la cavità delle conchiglie dei foraminiferi e colora in rosso la clorite. Notevole, in qualche saggio, la presenza di un minerale violetto, che si lascia riferire al glaucofane e più particolarmente alla gastaldite. Questi banchi calcarei a T. miocenica, P. Gentoni, var. Pa- re tiana, L. columbella, 0. la meli osa, ecc., corrispondono perfet- tamente al calcare di Leitlia, agli strati ad PLeterostegina di Malta, agli strati superiori di Superga, alla pietra di Finale, al calcare di Kosignano e Castelnuovo (monti Livornesi), al cal- care di Pachino, di Gerace, di Burgio (Bivona), ecc., e non hanno nulla di comune col calcare e colla pietra da cantoni di Rosi- gnano, i quali, al contrario, per i loro caratteri paleontologici e stratigrafici, debbono essere riferiti al piano laughiano ed as- similati al calcare di Acqui, Visone, ecc. Di ritorno a Strevi, dopo la breve escursione, un sontuoso banchetto ci attendeva nella ospitale casa Pellati-Braggio. Fu una serata indimenticabile, per la quale sento il dovere di ri- presentare, a nome di tutti, i più caldi ringraziamenti al nostro illustre Presidente ed alla gentilissima sua Signora famiglia. Escursione a Cartosio, Malvicino, Tur pino e Spigno; ri- torno ad Acqui in ferrovia. (18 settembre) Martedì, di buon mattino, attraversato il ponte Carlo Alberto e lasciati a destra, giù nel greto Bormitano, i vetusti ed ammi- randi avanzi dell’antico acquedotto romano che, due secoli prima dell’era cristiana, sorse a provvedere di acqua potabile la città neo-latina, siamo entrati nella valle dell’Erro, dove seguitano per buon tratto i banchi marnosi langliiani, intercalati con are- narie gialliccie, già osservati lungo il R. Ravanasco. Gli abitati di Melazzo e di Castelletto d’Erro riposano, negli opposti versanti, sopra la stessa serie langhiana, che si spinge RELAZIONE DELLE GITE NEI DINTORNI DI ACQUI CXX1I1 da mia parte fino all’abitato di Cavatore e dall’altra fino alla Villa Satragni, sotto Montechiaro, dove sono associati, come nelle valli del Eavanasco e del Visone, i soliti banchi calcarei, i quali qui affiorano quasi al contatto della serie bormidiana. Verso la borgata S. Felice subentrano le marne scistose tenere verdognole del bormidiano superiore, associate a strate- relli di sabbie e di arenarie, passanti talora a veri e proprii banchi calcarei a Litliothamnion, P. arcuatus, JST. Boucheri, ecc., come a Cremolino, Morbello, Ponzone, Spigno, ecc., i quali si spingono in alto verso Ponzone, Squanna e Malvicino, mentre le assise langhiane inferiori seguitano ancora, sul fondo della valle, fino sopra a Kivere. Alla C. Colomba ricompaiono le marne bor- midiane, sulle quali riposano Cartosio e Montechiaro. Salendo ancora le marne sono sostituite da conglomerati gros- solani grigi e rubiginosi, alternanti con puddinghe ed arenarie distintamente fossilifere, le quali sulla destra dell’Erro vanno protraendosi verso Squanna e Cimaferle, mentre sulla sinistra costituiscono, sotto Montechiaro, i poggi da cui ha origine il E. Senatore. Le rocce della serie arcaica, sulle quali poggia generalmente il sottopiano inferiore bormidiano, compariscono, un pò al di sopra di Cartosio, sul fondo della valle e nel poggio di Mal- vicino e sono ordinariamente costituite da serpentina compatta e scistosa, anfiboliti e calcescisti molto alterati. Verso le 11 e 1/2 giungiamo all’abitato di Malvicino, dove l’On. Gavotti e la rappresentanza comunale ci danno il benve- nuto. Poscia visitammo alcune cave di anfiboliti con tracce di minerali ramiferi (calcopirite) e due fonti di ottima acqua, che sgorga dalle rocce arcaiche. Queste rocce antiche ed il poggio di Malvicino mi sugge- riscono due calde raccomandazioni. La prima all’iniziativa pri- vata, perchè non si lascino più oltre dimenticate le bellissime serpentine ed oficalci dei dintorni di Morbello Piazza, le quali possono dare luogo ad una utile e rimunerativa estrazione di pregiato materiale decorativo, non inferiore in bellezza ed in abbondanza a quello che, sotto il nome di verde di Polcevera e di Prato, si scava nella Liguria e nella Toscana. IX ex XIV G. TRABUCCO La seconda all’onorevole Rappresentanza comunale di Acqui perchè siano affrettati gli studi per l’importante conduttura, che deve portare alla città le acque che sgorgano da una sorgente del poggio di Malvicino. L’acqua che scaturisce dalle rocce che costituiscono il Urie della Vite si possono a priori, giudicare ottime, come veramente ottime sono quelle delle fonti di Malvicino, senza aggiungere che la quasi assenza di abitazioni sopra il poggio costituisce un’altra circostanza favorevole. Se pertanto le analisi chimiche e batteriologiche conferme- ranno, come è probabilissimo, i dati geologici, si ponga mano il più presto ad una opera tanto utile e necessaria alla città. Così non potrà più ripetersi che Acqui, la quale dall’acqua trae il nome, difetti poi di buona acqua potabile. Verso le 12 e 1/2 ci assidiamo e facciamo onore al lauto pranzo offerto dalla munificente gentilezza dell’onorevole Gavotti, dall’attivo e fortunato commerciante, venuto apposta nella notte dalla Liguria. La più schietta allegria accompagna l’eletta riu- nione, resa più simpatica ancora dalla cordiale e veramente mon- ferrina gentilezza dell’anfitrione. Ma le ore passano allegramente e dobbiamo alfine ricordarci che la via, ancora da percorrere per arrivare a Spigno, non è breve. Discendendo il poggio si attraversa la serie arcaica talora ricoperta da conglomerati bormidiani, fino al R. Barbiano, ol- trepassato il quale subentra la zona delle marne verdi fram- mentizie, che seguita per Tarpino e l’ accompagna quasi fino a Spigno. La facile credibilità e scistosità di queste marne disposte a grandi festoni e la rara vegetazione dànno al paesaggio una impronta caratteristica ed indimenticabile. A Barbagna le marne sono sostituite da conglomerati, puddinghe ed arenarie nummu- litiche del bormidiano inferiore, clic riposano, vicino al ponte, sopra le serpentine zonate, le anfi beliti ed i calcescisti, i quali fanno parte della massa arcaica staccata costituente il bric Calma, che sorge tra il torrente Valla e la Bormida, sulla quale si mo- dellano d’ogni intorno le mollasse ed i conglomerati bormidiani o tongriani. RELAZIONE DELLE GITE NEI DINTORNI DI ACQUI CXXV Spigno giace sopra banchi di marne alternanti con strati di belle arenarie, die si estraggono da alcune cave in vicinanza della strada che dall’abitato tende alla stazione, alla quale arri- viamo sull’ imbrunire insieme alla rappresentanza comunale, che ci colmò di cortesie. Fa parte della comitiva il veterano della geologia italiana, il Prof. Igino Cocchi, l’ illustre e venerato superstite dei fonda- tori della stratigrafia italiana, che non manca mai alle nostre riunioni, di cui ammirammo la giovanile baldanza e resistenza ed al quale tutti di gran cuore auguriamo che sia per molti e molti anni ancora conservato all’onore della scienza ed all’amore dei geologi italiani. Molte cose mi resterebbero da dire ; ma oramai mi avveggo, Signore e Signori illustrissimi, di avere abusato della vostra gen- tilezza e rinnovati caldissimi ringraziamenti a S. E. il Presi- dente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Saracco, che volle onorare colla sua presenza l’apertura del nostro Congresso e bene augurare ai nostri lavori, alle Autorità tutte che intervennero alle nostre riunioni, agli onorevoli Rappresentanti del Senato, della Camera, del Consiglio Provinciale e dei Comuni di Acqui, Alice Belcolle, Ricaldone, Cassine, Strevi, Malvicino e Spigno, ai cittadini tutti ed alla stampa di questa illustre e patriottica città per la cordiale simpatia con cui ci accolsero e per le squi- site cortesie di cui ci furono larghi, mi affretto a conchiudere. Domenica il consocio Senatore Capellini ci proponeva di pro- clamare a socio onorario S. A. R. il Duca degli Abbruzzi che, rinnovando gli antichi ardimenti dei grandi esploratori italiani, ha ricoperto di purissima gloria se stesso e la patria ed arric- chito il patrimonio della scienza. E noi tutti, Chiarissimi Con- soci, abbiamo acclamato alla bene ispirata proposta dell’illustre e riverito Maestro. Ebbene, io credo ora di interpretare i sentimenti unanimi di voi tutti facendo voti che, se con nuovo ardimento si ritentasse la via dei poli, e specialmente d a\V Antartico geologicamente più importante, tra i componenti della spedizione fosse prescelto anche un geologo. E non ci sarebbe da stentare a trovarlo, poiché i geologi italiani sarebbero tutti entusiasti di prendere parte, a qualunque cxxvi E. ELORES costo, ad lina spedizione, la quale, con una meta così alta, si proponesse di aumentare il grande patrimonio delle scienze geo- grafiche e geologiche ed onorasse la grande patria italiana. IL V Elephas antiquus Falc. e il Rhinoceros Merchi Jìeg. in provincia di Reggio Calabria Comunicazione del socio prof. Eduardo Flores Nell’ultimo fascicolo della Rivista italiana di Paleontologia, nel fare la recensione di una memoria del dott. Giuseppe de Ste- fano (x) misi in dubbio la coesistenza dell 'Elephas meridionalis Nesti e del Rhinoceros Merchi Jlg. in terreni postpliocenici di Reggio di Calabria e facevo l’ipotesi che si trattasse invece di El. antiquus Falc. Recatomi nello scorso mese a Reggio, il dottor de Stefano mi mostrò i denti bellissimi di Rii. Merchi e un frammento di molare di Elephas e gentilmente mise questo a mia disposi- zione. Non appena lo vidi mi convinsi pienamente circa il dubbio espresso e riferii il frammento all 'El. antiquus. Le tre lamine che si conservano hanno tutti i caratteri di quelle del- l’ Elephas antiquus, sono cioè leggermente incresjiate, con una notevole tendenza alla forma caratteristica di losanga e con lo smalto molto più sottile e crespo di quello de\V Elephas meri- dionalis. Dal riscontro poi fatto a Napoli tra il frammento ca- labrese e i bei denti di Elephas antiquus della valle del Liri, di Chieti e di Gioia del Colle vien distrutto ogni dubbio. Non bisogna ammettere quindi, la problematica contemporaneità del Rh. Merchi e dell’Elephas meridionalis ma aggiungere alla numerosa serie di giacimenti che diedero avanzi associati delle suddette specie anche i lembi quaternari dei dintorni di Reggio di Calabria. Bologna, R. Scuola normale « L. Bassi » Settembre 1000. (') Do Stefano G, L’ Fdeplias meridionalis e il Rhinoceros Merchi nel quaternario calabrese. (Boli. S. geol. it., voi. XVIII, pag. 421, 1900) U. MARINELLI. DI UNO SCRITTO DEL DOTT. DI STEFANO CXXVII III. A PROPOSITO DI UNO SCRITTO DEL DOTT. DI STEFANO SULLA GEOLOGIA SICILIANA. Comunicazione del socio 0. Marinelli Leggo nell’ultimo fascicolo del Bollettino della Società geo- logica il sunto di una comunicazione fatta dal dott. Di Stefano all’adunanza generale dello scorso Marzo, concernente un’idea da me espressa intorno all’ età degli scisti silicei della Sicilia occidentale. Persuaso che le questioni di geologia non si devono discutere a tavolino, ma sul terreno, non prenderei oggi in mano la penna, se non mi trovassi di fronte a due circostanze: l’una che il dott. Di Stefano non si limita a considerare la questione obbiettivamente, nei suoi veri termini, ma deplora il mio modo di trattare le questioni scientifiche, l’altra che le mie condizioni personali non mi permettono un nuovo viaggio in Sicilia, per controllare e discutere le osservazioni fatte tre anni or sono. Se ciò non fosse, vorrei rifare, insieme col dott. Di Stefano, alcune delle poche escursioni da me eseguite nella Sicilia e dimostrargli sul posto quanto frequenti siano i casi in cui, non solamente gli scisti silicei si trovano, senza intermezzo di alcun strato lia- sico, immediatamente addossati ai calcari selciferi raibliani od alle dolomie, ma passano addirittura lateralmente a questi ul- timi terreni (che secondo me sostituiscono) o sono ad essi inter- calati ; vorrei, d’ altro canto, provargli quanto artificiosi sieno parecchi dei profili geologici, dove si ricorre al comodo espe- diente di immaginare strane fratture, ovunque la natura non si presta a spiegare più semplicemente le preconcette idee dell’os- servatore e come, d’altronde, sia tutt’altro che facile fissare con sicurezza la precisa posizione di quelle roccie scistose, quasi ovunque affette da locali rovesciamenti periferici alle aree cal- careo-dolomitiche, che circondano alla base, talora dilamati in immani scivolamenti e quindi ricoprenti formazioni meno antiche, facile fonte di inganni stratigrafici. Pure conoscendo la letteratura scientifica pubblicata finora sui terreni secondari della Sicilia, nelle escursioni fatte mi sono CXXVI11 1>. L''IÌ ANCO persuaso clic esistono, in quella regione, degli scisti silicei assai analoghi litologicamente, in due zone, una certamente liasica meno potente, l’altra più spessa ed ampia del trias superiore. lo ho affermato nella nota sopra i terreni del M. Judica che ritenevo triasici, molti degli scisti silicei della Sicilia occiden- tale, non già tutti, come sembra creda il Di Stefano. Cosi va posta nei suoi veri termini la questione. E persisto nella mia idea, per quanto la cosa possa sembrare dolorosa, al Di Stefano. Io non credo clic per la scienza sia doloroso che si metta in guardia: contro l’abitudine, prevalsa in Italia, di volere attri- buire un prevalente valore geologico al carattere litologico, anche dove si tratta di terreni mutevoli di facies a breve distanza; contro quella di volere forzare gli spaccati geologici ad espri- mere ciò che non potrebbero; contro l’altra di volere ad ogni costo fissare una precisa età a formazioni di dubbia posizione stratigrafica, e di fare in generale una geologia avente a scopo principale quello (che dovrebbe essere soltanto un semplice espe- diente di pubblicazione) di costruire una carta geologica, la quale, per quanto possa risultare a colori artisticamente stem- perati, è spesso inesatta. E forse, nel caso che ci interessa, sa- rebbe stato più utile e più opportuno il vedere che un anno dopo da me pubblicata una nota, nella quale erano rilevati fatti, che potevano sembrare nuovi per la geologia siciliana, il mio valente contradditore si fosse curato di fare controllare le mie più notevoli osservazioni, piuttosto che ribattere una sola delle mie asserzioni da me messa in forma tutt’altro che recisa e de- plorare la mia leggerezza. Ma spero, nell’ interesse della scienza, che quanto non fu ancora fatto, lo possa essere sollecitamente. IV. BARITINA NELLA PROVINCIA DI CASERTA Comunicazione del socio prof. P. Franco Or son parecchi anni ebbi dal Guiscardi alcuni cristalli di Baritina come provenienti da una drusa nel calcare della pro- vincia di Caserta. La presenza della Baritina in simile giacitura BARITINA NELLA PROVINCIA DI CASERTA CXX1X è già nota (Zirkel-Lehrbucb der Petr. Ili, p. 464): d’altra parte non conoscendo la località precisa, non credetti opportuno pub- blicare i risultati dello studio che feci di tali cristalli, prima di avere più precise notizie. Ma non mi è riuscito averne altri esemplari, sebbene il calcare di Caserta si adoperi largamente in Napoli come pietra di costruzione. Mi decido ora a pubbli- carli, se mai altri potesse incontrarsi o si fosse avvenuto in cristalli di Baritina provenienti dal detto calcare. Rettangolare a : b : c = 0,81520 : 1 : 1,31359 (Helmacker). Facce Angoli osservati Num.° delle osserv. Limiti degli angoli osserv. Angoli calcolati Differenza 0 f 0 1 0 1 0 t ff 0 1 „ 001 : 102 38 56 3 39 0-38 47 38 51 28 — 0 4 32 001 : 011 52 43 5 52 50 - 52 41 52 43 8 L- o 0 8 001 : 010 37 15'/* 3 37 16-37 15 37 16 52 -4- 0 1 22 001 : 102 61 49 2 61 51-61 47 61 51 0 -+- o 2 0 011 : 122 26 3 V* 2 26 5-26 2 26 4 0 -P 0 0 30 111 : 122 18 14 2 18 16-18 12 18 14 20 -+- 0 0 20 111 : 110 25 41 2 25 42 - 21 40 25 41 20 + 0 0 20 111 : 102 39 6 1 39 6 50 -+- 0 0 50 110 : 100 39 0 1 39 11 10 4- 0 11 10 102 : 122 45 34 1 45 39 0 — +— 0 5 0 011 : Oli 74 27 1 74 33 44 4- 0 6 44 122 : 122 91 17 1 91 22 10 4- 0 5 10 ? 015 : 001 14 61/, 2 14 8-14 5 14 43 10 4- 0 36 40 ?905 : 102 24 24 1 23 43 20 — 0 40 40 0.4.21 : 001 14 6% 2 14 8-14 5 14 3 o — 0 3 30 37.0.20 : 102 24 24 1 24 21 30 — 0 2 30 ex XX P. FRANCO Combinazione osservata 001. 010. 110. 102. 905. Oli. 015. 111. 122. Incolore, trasparente. Clivaggio perfetto secondo 001, 110. (a 1.63616 (media di due osservazioni) 1° Cristallo 1.63580. II0 Cristallo 1.63655. Urlano {') ; P 1 63715 (media di due osservazioni) 1° Cristallo 1.63714. / II0 Cristallo 1.63715. \ 7 1.64765 (1° Cristallo). (3 e y si possono ritenere approssimati a meno di 1 alla 5a cifra decimale, a alla quarta cifra decimale : correggendo x in 1.63600 si ha 2V — 37° 24', 2E ~ 63° 46' V2 prossimo a quello calcolato da Arzruni per D dello spettro — 64° 1', e a quello osservato da Des Cloizeaux pel rosso ~ 63° 5'. Bisettrice acuta normale a 100. D — 3 P. sp. 4.333. Analisi: SO3 34.66 BaO 63.33 SrO 2.04 CaO tracce 100.03 V. RELAZIONE DEL CONGRESSO GEOLOGICO INTERNAZIONALE Vili SESSIONE, 1900, PARIGI. In seguito a quanto aveva annunciato il Presidente Pellah, durante l’adunanza generale tenuta in Roma il 25 marzo 1900 {Boll. Soc. geol. Hai., voi. XIX, 1900, pag. xxm), furono nomi- nati rappresentanti della nostra Società al Congresso di Parigi, (’) Prossimo alla riga I). CONGRESSO GEOLOGICO INTERN. DI PARIGI CXXXI il socio perpetuo prof, senatore Gr. Capellini ed i soci dottori : G. di Stefano e G. de Angelis d’Ossat. I delegati presero parte ai lavori del Congresso — facendo riconoscere la loro qualifica — insieme ai soci : Ambkosioni, Bo- narelli, Canavari, Crema, d’Achiardi G., Dainelli, de Marchi M., de Stefani, Mattirolo, Nicolis, Platania, Riva, Sabatini, Sacchi, Statuti e Telline Alcuni altri soci si recarono direttamente al luogo di ritrovo per le escursioni, senza intervenire alle adunanze a Parigi. II delegato Capellini faceva parte della Presidenza insieme agli altri tre soci: Cocchi, Mattirolo e Crema, i primi due quali vice-presidenti e l’ultimo come segretario. Il 16 agosto p. p., nel Palazzo dei Congressi, sotto la presi- denza del Ministro dell’Istruzione della Repubblica, Leygues, fu inaugurata l’ottava sessione, con le rituali allocuzioni dell’ultimo presidente Karpinsky e del nuovo Gaudry. * Le comunicazioni numerose ed importanti furono ripartite nelle quattro seguenti sezioni : I. — Geologia generale e tettonica. Geikie A. — De la coopération Internationale clans les investigations géo- logiques. Chamberlin. — Patronage des investigations fondamentdles. Joly. — Mécanisme interne de la sédimentation marine. — Age géologique de la terre fixé par la teneur en sodium de la mer. — Sur l’écoulement visqueux des minéraux des roches à des tempe'ratures inférieures à leur point de fusion. — Expériences relatives à la dénudation en eau douce et dans l’eau sale'e. De Lapparent. — Définition , pour chacune des périodes de Vhistoire du globe, des contrées oh doivent ètre rechercliés de préférence les ar- guments sur lesquels on peni fonder la délimitation précise des étages et sous-étages géologiques. Munier-Chalmas. — Tertiaire parisien. Délimitation des formations se- condaires et tertiaires. Rolland. — Minerai de fer oolithique de Varrondissement de Briey. Meunier S. — Structure du diluvium de la Seine. — Phénomènes de la sédimentation souterraine. x C.\ XXII a. DE ANGEL1S D’OSSAT Raulin V. — Terrains tertiaires de VAquitaine. — Leur classification et leur faune d’eau douce. Bleiciier. ■ — Dénudation du plateale lorrain et ses conse'quences. Hull. — Terrasses subocéaniques et vallc'es des rivières de la còte occiden- tale d’ Europe. Hudleston. — La bordure orientale de V Atlantique. Rabot. — Sur les glaciers. Arcktoyvscky. — La pliénomène glaciaire dans la region antarctique. Mrazec. — Terrains salifères de Roumanie. Popovici-Hatzeg. — Présentation de la Carte géologique de Ltoumanie. Vorwerg. — Sur la pendage des couches. Parat. — Observations géologiqucs dans Ics grottes de la Care. Plateaux du N.- 0. du Morvan. Guebiiardt. — Recoupements et étoilement des plis dans les Alpes de France. IL — Stratigrafia c 'Paleontologia. Bertrand C. G. — Terrain houiller. Fayol. — Terrains houillers du centre de la France. Gosselet. — Terrain houiller. Grand-Eury. — Formation des couches de houille des bassins houillers du centre de la France. Tiges drissées et souclies enracinées. Lemière. — Transformations des végétaux en conibustibles fossiles: rute des diastases et des ferments. Ami. — Successioni des faunes paléozolques du Canada. Malaise. — Le Cambrien et le Silurien de Belgique. Hume. — Xe Sinai orientai. Hume e Barrow. — Geologie du dèstri orientai. Beadnell. — Geologie du de'sert lybien. Rolland e Flamand. — Geologie de la regioni S. de Algerie. Douvillé e Boule. — Geologie de Madagascar. Zeiller. — Plantes fossiles du Tonkin. Loiiest e Forir. — Notation cliiffrée des terrains. Paulow A.-P. — Portlandien de Russie compare à celai du Boulonnais et d’ Angleterre. — Flaboration de la classifìcation génètique des fossiles. Osborn. — Corrélation des formations tertiaires d’ Europe et du nord de V Amérique. Scott. — Faune de Paiagonie. Matthew. — Les plus anciennes faunes palèozoiques. Walcott. — Formations précambrienncs fossilifères. CONGRESSO GEOLOGICO INTEKN. DI PARIGI CXXXIII III. — Mineralogia e Petrografia. Loevyinson-Lessing. — Présentation d’ épreuves du lexique petrogra- phique. Becke. — Pop por t de la Commission da Journal International de pétro- graphie ('). Sacco. — Essai d’ime classification generale des roches. Salomon. — Nomenclature des roclies de contact. Weinschenk. — Sur le dynamométàmorphisme et la p ié zoc ristali is atto n . Hague. — Sur les vulcans tertiaires de l’AbsaroJca-Range. Sabatini. — État actuel des recherches sur les volcans de l’Italie centrale. Grenyille J. Colle. — Nomenclature des roches. Rutley. — Nomenclature de diverses roches. IV. — Geologia applicata. Mourlon. — Les voies nouvelles de la geologie belge. Gosselet. — Minéralisation des eaux profondes. Van der Veur. — Agrandissement du rogatane des Pays-Bas par le des- sechement du Zuyderzèe. Fabre. — Les plateaux des Hautes-Pyrénées et les dunes de Gascogne. Van den Broeck. — Geologie applique e. Kunz. — Progrès de la production des pierres précieuses aux Etats-Unis. Janet L. — Communications sur le captage des eaux potables et l’excur- sion de Monti gny - sur -Loing. De Richard. — Théorie sur la formation du pétrole. * * * Furono presentate all’adunanza le Relazioni delle Commis- sioni che erano state nominate nei precedenti Congressi. I. Renevier E. — Bapport de la Commission internai ’ionale de classification stratigraphique. Il relatore, dopo aver riassunto quanto era stato fatto, a tale scopo, nei precedenti CongTessi di Parigi (1878), di Bologna (1881), (') Secondo la relazione di questa commissione il giornale riporte- rebbe solo articoli scritti in tedesco, inglese e francese. Al congresso di Vienna (1903), quando si dovrà venire alla istituzione del giornale, è sperabile che si riesca di fare annoverare fra le lingue ufficiali anche l’italiana. ex XXIV G. DE ANGKI.IS n’OSSAT eli Berlino (1885), di Londra (1888), di Washington (1891), di Ztirich (1894) e di Pietroburgo (1897); riferisce le conclusioni dell’adunanza tenuta a Berlino nel 1898 dal 26 al 29 settembre nella Bergahademie. Alla Commissione erano state date ad esame tre proposizioni : a) La prima è accettata ; essa è cosi concepita : Il serali desirable , dans la division des systèmes pour lesquels il n’y a pas de noms usités , cornine Bogger, Lias, etc., d’introduire les expressi ons : Palco ... , Mésa ... , Neo . .., ( C.-R ., p. cl). N.- B. La prefxe Po... pourrait ótre substituée à Palèo... pour abréger les noms tropi longs, p. ex., Pocrétacique. b) Dell’art. Y (C.-R., p. cu): Pour ce qui est des diverses appellations stratigraphiques qui existent dans la littérature, il serait à désirer que les termos désignant des sections ou des se'ries fussent rcmplacés piar les mots « supérieur », « moyen » et « in - fèrieur». La Commissione rejette la seconde proposition récla- mant pour les subdivisions V empio/' des termes: supérieur, moyen et inférieur, de préférence à des noms univoques. c) La terza proposiziono viene accettata con una aggiunta finale. Cosi ora dice l’art. VI ( ibid .) : Lorsqu’ un terme, donne, à un ensemble de couches, doit ètre restreint à la désignation d’une parile seulement de ces couches, on ne doit le conserver que pour les couches les mieux caractérisées paleontologi quement et COBBESPONDA N T À LA DÈE INI TION PB IMITI VE. II. Lacroix A. — Compte-rendu des séances de la Commis- sion internati ornile (de nomenclature des roches) et rapports prc- sentés cn séance à Paris, les 25 et 20 octobre 1890. Nel rapporto è prima riferito il regolamento della Commis- sione russa e poi vengono riportate le votazioni della Commis- sione internazionale. Dei 14 articoli, alcuni non sono stati messi neppure in discussione e cioè: gli art. 2, 4, 6, 8, 11; gli altri, approvati con qualche modificazione, sono i seguenti: 1." Il est avant tout desirable de régulariser la nomenclature des roches éruptives oh le manque d’unite est particulièrement sensible. Biffe' rcnts auteurs attribuent une signification et un sens différents à un seul et mime no-m, et invcrscmcnt diverses déno- ininations sant employées pour designer -ime ménte roche, un mime CONGRESSO GEOLOGICO INTERX. DI PARIGI CX XXV groupe de roches ou une me me structure. Tous ces inconvénients de la nomenclature actuelle peuvent et doivent ótre e'cartés, tout au moins paur les grands grempes. 3.° La caractéristique des grands groupes (par eoe. des fa- milles) doli se laser sur la composition minératogique appuyée sur la composition chimique et sur la structure. 5.° Les grands groupes peuvent ótre fixés dès cì présent, sans getter le développement ulte'rieur de la classi fication, et le dé- membrement de ces groupes en subdivisions. le LI est désirable de designer les principaux types de struc- ture par des noms speda ux. 9.° Il est necessaire d’éviter Vemploi dune, mente denomina- tion (d’un ménte terme) dans des sens différents. IO.0 On devrait éviter autant que possible Vemploi et la créa- tion de différents termos pour designer la ménte notion, la ménte roche ou le ménte groupe de roches. Gli art. 12.° e 14.° si fondono con gli articoli seguenti, già precedentemente approvati : Les noms d’auteur devront toujours étre indiqués à la suite des noms de roches, comme cela est d’u- sage en Zoologie et en Ho fan igne. Il y a lieti de proposer au Congrès de 1900 de nommer une Commission internationale chargée de publier les noms nou- veaux des roclies uvee leur description aussi précise que possible, avec leur analyse chimique et, au besoin, avec un (lessiti repro- duisant leur structure. Cette publication aurait lieti dans le volume des Comptes-rendus des Congrès internationaux. 13.° Il faut éviter autant que possible, pour les nouveaux types de roches, Vemploi, de noms préexistants, en leur assignant un nouveau sens, en restreignant ou en élargissant leur signi- fication. III. Richteb Ed. — jRapport de la Commission internationale des glaciers. Il relatore, dopo aver ricordato l’istituzione della Commis- sione e l’organizzazione per l’osservazione dei ghiacciai nei di- versi paesi, rende conto del lavoro della Commissione stessa, riferendo i risultati più importanti, e cioè la proposta di una CXXXVI G. DE ANGEI.1S d’OSSAT A. Classificazione delle morene: l ( mor. latérales i mor. superficiclles ’ / mor. médianes \ mor. longiiu dindi es - . ( mor. viver aines I mor. mar gin al es ■ f « wr.frontales \ mor.profondes ( mor. drumlins I). Stabilire le osservazioni da farsi nello studio dei ghiacciai. a) Struttura. — 1. Riconoscere la struttura bendata e la stratificazione originaria, la direzione e l’inclinazione della prima per — 2. apprezzare il movimento del ghiacciaio. — 3. Osser- vare il fenomeno detto arate de Beid. — 4. Ricercare la pla- sticità dei granelli isolati e della massa intera. b) Morene. — 5. Stabilire esattamente la costituzione e la provenienza della morena superficiale. - — 6. Per conoscere la mo- rena interna eseguire sondaggi sul piano di contatto di un ghiac- ciaio composto. c) Movimento e temperatura. — 7. Apprezzare la velocità delle diverse profondità. — 8. Considerare quanto si può, nel mo- vimento superficiale, la componente verticale. — 9. Per spiegare l’uscita della morena di fondo fra i giunti della parte inferiore della fronte del ghiacciaio, ò necessario studiare il movimento del ghiacciaio stesso, dello scivolamento di ghiaccio sopra ghiaccio in piccoli strati od in grandi masse. — 10. Stabilire le diverse velocità in rapporto alle stagioni. — 1 1. Determinare il gonfia- mento invernale. — 12. Investigare la temperatura delle diverse regioni del ghiacciaio. d) Economia del ghiacciaio. — 13. Valutare la sezione tra- sversale del ghiacciaio in più profili. — 14. Calcolare la quan- tità di scarico dei torrenti glaciali e la quantità di acqua ca- duta nei bacini di alimentazione. — 15. Stabilire le variazioni nelle stagioni del tenore della fanchiglia dei torrenti glaciali. — Di. Lo studio sperimentale per computare la fusione totale I mor. mouvantes < mor. internes l f mor. infe'rieures mor. deposées i mor. rempart mor. de fond CONGRESSO GEOLOGICO INTERN. DI PARIGI CXXXVII prodotta per radiamento diretto od indiretto, conducibilità del- l’aria e del suolo, per il calore latente messo in libertà dalla condensazione. — 17. Si ammette di usare la parola stratifica- zione della neve nel senso geologico, cioè come un deposito na- turale originato da masse sovrapposte. IV. Karpinsky presentò un rapporto intorno alla creazione dell’ Institut fiottoni internati onal. mostrando le insormontabili difficoltà clic presenta la realizzazione dell’importante progetto. V. Il congresso internazionale a Pietroburgo emise, ad una- nimità, il voto che i governi di tutti i paesi stabilissero l’ in- segnamento della Geologia nelle classi superiori dei Licei e Gin- nasi. Il Karpinsky, sopra tale argomento, riferisce che in Russia la Commissione della riforma generale dei Ginnasi prese in con- siderazione il voto dell’assemblea. Stephanescu annuncia che la geologia figura ora nei pro- grammi dell’insegnamento delle scuole in Rumenia. Il consiglio e l’assemblea approvano la nomina di due Com- missioni su proposta del Geikie: a) Le Congrès est d’avis qui il y a lieu d’étalilir une plus grande, uniformite dans les e'tudes relatives aux lignes de rivages de l’hémisphère nord. Pour établir cet accord, le Conseil giro- pose la nomination d’ime commission iute mattonale composte de MM. Brògger, Reusch, de Geer, Sederliolm, Ramsay, Hogeborn, Ischerueff, Barrois, Chamberlin, C. M. Dawson, Geikie, Home. b) Viene creato un comitato internazionale di cooperazione per le investigazioni geologiche. Sono nominati: Credner, von Zittel; Mojsisovics von Mojsvar, Tietze; Geikie, Hull; Renard; Walcott, Chamberlin; Barrois, de Lapparent; Capellini; Karpin- sky, Paulow A.; Brògger; Renevier. * Il Comitato di organizzazione aveva preparato molte escur- sioni nelle regioni francesi geologicamente più importanti. Esse dovevansi eseguire ripartite in tre gruppi, cioè : prima, durante CXXXVI1I G. DE ANGELUS D’OSSAT e dopo il Congresso. Acciò riuscissero efficaci, lo stesso Comitato aveva opportunamente distribuito a ciascun aderente un libro- guida, formato di fascicoli corrispondenti alle singole escursioni. A questo grande lavoro avevano dato l’opera sapiente i migliori geologi francesi, i quali gentilmente vollero sobbarcarsi alle cure penose della direzione delle escursioni; disimpegnando l’ufficio con dottrina pari alla cortesia squisita. Il libro-guida costituisce cosi una descrizione geologica pregevolissima di quasi tutta la Francia. Livret-guide des excursions en France da VIIF Congrès géologique International, 372 fig. e 25 tav. Paris 1900. Escursioni prima del Congresso : I. Ardennes, Gosselet J. — Ila. Gironde, Fallot E. — II b. Touraine, Dolifus G. — III. Pyrénées (Roches cristallines) , Lacroix A. — IV. Aqui- la ine (Cliarentes et Dordogne), Glangeaud Pii. —V. Types du Turonien de Touraine et du Cenomanien du Mans, Grossouvre (de). — VI. Mayenne, Oehlert. D. P. — VII. Bretagne, Barrois Ch. Escursioni durante il Congresso : Villa. Environs de Gisors et de Beauvais, Munier-Chalmas ; Excur- sion aux environs de Beauvais, Munier-Chalmas ; Excursion aux euri- rons de Cuise-la Motte, Munier Clialmas; Excursion aux environs d’E- pernay, Munier-Chalmas. — VII I b. Elude de gypses parisiens. Argenteuil et Romainville, Janet L. ; Visite des travaux de cuptage des sources des vallées du Loing et du Lunain, Janet L. — Ville. Pare de Grignon, Meu- nier S. — Ville?. Environs d’Arcueil et de Bagneux, Dolifus G. ; Environs d’Etampes, Dolifus G.; Environs d'Anvers-sur-Oise, Dolifus G. Escursioni dopo il Congresso: IX. Boulonnais et Normandie. Boulonnais, Gosselet; Falaises Juras- siques du Boulogne, Munier-Chalmas et Pellat E.; Normandie, Bigot. — X. Massif centrai. Les volcans de la France centrale , Boule M. ; Bégion des Causses, Fabrc G. — XI a. Bassins houillers de Comm entry et de Be- cazeville, Fayol H. — XI b. Bassin houiller de la Loire, Grand’Eury C. — XII a. Bassins tertiaires du Eliòne, Depéret; Environs de Bignè et de Sisteron, Haug E. — XIII a. Grenoble, Kilian W. ; Alpes du Bauphiné et de la Savoie, Kilian W. ; L’extrémité du Mont-Blanc et le Mont-Joly, Bertrand M. — XIII b. Massif de la Mure et Devoluy, Lory P. ; Diois, Paquier V.; Valentinois, Sayn G. — XIII c. Montagne de Bure, Kilian W.; Moni Venloux et Montagne de Bure, Leenhardt F. — XIII d. Massif du Pelvoux et Brianr.onnais, Terni ier P. — XIV. Massif du Moni -Bore, citai ne des Puys et Limagne, Michel-Lévy. — XV. Le Morvan et ses en- veloppcs, Vélain Ch ; Terrains de la vallee de l’ Yonne, Peron ; Avallonais, CONGRESSO GEOLOGICO INTERN. DI PARIGI CXXX1X Semurois et Morvan, Vélain et Bréon R. — XVI. Lirnons du nord de la France, Ladriére ; Phosphates de cliaux de Picardie, Gosselet J. — XVII. Ca- vernes de la re'gion des Causses , Martel. — XVIII. Massif de la Montagne Noire, Bergeron J. — XIX. Pyrénees terrains sédimentaires, Carez L. — XX. Environs de Toulon, Ziircher; Basse-Provence, Bertrandt M. ; Bassin d'Aix et de Bureau, Vasseur G. ; Excursion à Saint -Be'my et aux Baux, Pellat E. A questi eleganti e pregevoli fascicoli furono uniti due altri di non minore importanza ed opportunità, e cioè, le Notices sur les Musées et Collections géól., minerai, et paléont. de Paris, scritte dai singoli direttori dei Musei, e la Notice sur les documents geologiques réunis à V Exposition, per cura di A. Thevenin. * Hi ^ Poiché nelle diverse mostre nazionali dell’Esposizione, aveva il suo posto anche la parte geologica, paleontologica e mineraria, il Comitato organizzatore del Congresso non ha dovuto darsi il pensiero di riunire in speciale esposizione il materiale geologico, come si è praticato negli altri Congressi internazionali. Sarebbe cosa lunghissima e mai completa, una Relazione, anco sommaria, della larga mèsse scientifica esposta e quindi si rimanda al ìav. cit. del Thevenin. Anche l’ Italia ha presentato i suoi prodotti minerari e le più importanti cose geologiche di questi ultimi tempi. La nostra Società aveva esposto (classe n.° 63, gruppo XI) quanto già co- municò il Presidente Pellati alla riunione invernale (*) ; ed il Corpo Reale delle Miniere aveva raccolto nel breve spazio con- cesso, nella stessa area della nostra Società, quanto vantiamo di più interessante dal punto di vista geologico e minerario, come può desumersi dal relativo catalogo (2). C) Elenco delle collezioni, stampe e manoscritti presentati dalla So- cietà Geologica Italiana ed a sua proposta da geologi ed istituti geologici italiani alla Esposizione universale di Parigi del 1900. Boll. Soc. Geol. Ital , voi XIX, 1900, pag. xxi. (2) Catalogo della mostra fatta dal Corpo Reale delle Miniere alVE- sposizione universale del 1900 a Parigi, con cenni descrittivi dei princi- pali giacimenti italiani di minerali utili, notizie sulle industrie estrattive, metallurgiche e chimiche e sui servizi minerario, geologico ed idrografico. Min. Ind. e Comm., Roma 1900. XI CXE D. PANTANELLI * * * Le accoglienze furono anche liete ed invero, oltre alle nu- merose facilitazioni, ci pervennero inviti a parecchi sontuosi ri- cevimenti : 16 agosto. Ricevimento dei Congressisti alla Società Geologica di Francia, nella nuova residenza me Danton, 8. 19 » Garden partie all’Eliseo, invito del Presidente della Repubblica. 21 » Soirée presso il Signore e Signora Alberto Gaudry. 23 » Ricevimento del Principe Rolando Bonaparte. 25 » Ricevimento all’ Hotel de Ville del Consiglio Munici- pale di Parigi. » » Banchetto offerto all 'Hotel du Palais d’Orsay dal Co- mitato di organizzazione del Congresso. Il giorno 27 dello stesso mese si tenne l’adunanza di chiu- sura, durante la quale fu proclamata Vienna sede del successivo Congresso (1903). G. de Angelis d’Ossat. VI. CENNI STORICI DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA ('). Redatti dal socio prof. D. Pantanelli La storia della Società (jcoloyica italiana è scritta nei ver- bali delle sue adunanze e dallo spoglio dei medesimi, come sono J stati pubblicati nel Bollettino, si può ottenere fedelmente la suc- ci Questi cenni storici manoscritti, vennero inviati all’Esposizione Universale di Parigi a corredo delle pubblicazioni. Furono pure inviati i a cura del Segretario e del Tesoriere, l’indice dei Voi. XI-XVIII, fatto colla stessa disposizione di quello già pubblicato dei primi dieci ; un indice completo, per tutti i dieciotto volumi, dei generi e delle specie j nuove dei fossili; più varie tabelle indicanti i cambiamenti nell’ufficio | CENNI STORICI DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITAL. CXLI cessione delle sue vicende e in qual modo e sino a qual punto lo scopo dei suoi primi fondatori sia stato raggiunto. Nell’adunanza generale tenuta in Fabriano nel 1883 è nar- rato dal prof. Capellini l’episodio che preluse alla sua fonda- zione ; fu in occasione del congresso geologico internazionale del 1881 in Bologna che Quintino Sella, vedendosi attorniato da quanti si occupavano di geologia in Italia, ideò di riunirli in un sodalizio ; ospite con Giordano di Capellini, persuase su- bito il primo dell’utilità della impresa e le ultime riserve del secondo, esitante non per il principio, ma per il timore che po- tesse venirne nocumento al sereno svolgersi del congresso del quale era presidente, furono facilmente vinte: il 27 settembre 1881 fu diramato ed accolto, senza discussione, un programma som- mario per la futura Società geologica italiana (Q ; la sera del 29 i soci avevano votato lo statuto, raccolti sotto la presidenza di Quintino Sella e nominato, per acclamazione, presidente Giu- seppe Meneghini, col mandato di nominare per il primo anno i componenti del Consiglio direttivo (2). Pochi mesi dopo, in un’adunanza generale tenuta a Pisa, fu approvato il Regolamento della Società e nella stessa primavera di Presidenza; il movimento dei soci; dati statistici sulle elezioni; sui luoghi ove si sono tenute le adunanze, ecc. ed inoltre qualche quadro comparativo dei bilanci, stato patrimoniale, ecc. (*) Apposero la loro firma: Q. Sella, G. Capellini, A. De Zigno. F. Giordano, T. Taramelli, G. Uzielli, P. Zezi, G. Tenore, C. De Ste- fani, F. Castracane, G. Guiscardi, G. Omboni, G. Seguenza, T. Cocchi, C. Macchia, C. Fornasini, M. S. De Rossi, S. de Bosniaski, A. Issel, 0. Silvestri, G. Scarabelli, S. Balestra, C. Forsyth-Major, A. Alessandri, N. Pellati, L. Mazzuoli, F. Amici, C. Segré, R. Meli, A. Rossi, F. Bas- sani, G. Bornemann, F, Borsari, C. F. Parona, C. De Giorgi, S. Cano- vazzi, R. Travaglia, D. Zaccagna, A. Portis, D. Pantanelli, E. Cortese, L. Baldacci, M. Canavari, C. Capacci, G. Mazzetti, E. Mattinilo, A. Man- zoni, L. Acconci, L. Picaglia, A. Tommasi, E. Niccolis, V. Cavalletti, L. Bellardi, F. Molon, L. Filopanti, G. Conti, E. De Ferrari, B. Lotti, F. Cardinali, A. Audinot, L. Foresti, G. A. Pirona. (2) Nominato il Consiglio direttivo e riservata la nomina del teso- riere, fu incaricato provvisoriamente il segretario, autore dei presenti cenni, di assumerne le funzioni ; la prima somma riscossa fu la quota di socio a vita di Q. Sella, che il segretario dovette ricevere prima che fosse pronto il modo di darne regolare ricevuta. CXLII D. PANTANE LLI del 1882 uscì il primo fascicolo del primo volume del Bollet- tino della Società geologica italiana. Dall’82 in poi le pubbli- cazioni si sono succedute regolarmente, nè è avvenuto che in- tervalli troppo lunghi abbiano mai accennato ad un rallenta- mento nell’ operosità dei soci; con l’anno 1899 i volumi sono diciotto, cioè uno per anno, con una media di poco più di 500 pa- gine e 10 tavole. Avvenimento notevole nella storia della Società fu il lascito del socio Molon; legò questi al nostro sodalizio, nel 1884, il capitale di lire 25000, la rendita del quale destinò in parte a premi triennali, in parte a diretto benefizio della Società; sino al 1896 il Ministero d’ Agricoltura, Industria e Commercio ac- cordò annualmente alla Società un sussidio variabile in denaro e un locale in Roma per l’archivio, presso l’ufficio del Comitato geologico ; dalla data precedente in poi, essa si sostiene con le proprie rendite, unite alle quote annuali dei soci e solo seguita ad usufruire del locale assegnato al l’archivio. Con decreto reale del 17 ottobre 1885 la Società geologica venne riconosciuta in Ente morale; con altro decreto regio del 25 gennaio 1894. il Presidente della Società geologica venne a far parte di diritto del Comitato geologico italiano. All’Esposizione di Torino del 1898 concorse presentando la serie delle sue pubblicazioni, e ne ottenne la medaglia d'oro. Nei quadri statistici annessi, sono esposti i principali dati relativi agli uffici di presidenza, al movimento dei soci, allo stato finanziario ed alle pubblicazioni ('). Ed ora esaminiamo come nello svolgersi dell’attività della Società Geologica essa tenda ed abbia in parte raggiunto lo scopo che i suoi fondatori si erano prefissi. Occorre qui ricor- dare che prima del 1870 per le vecchie divisioni politiche, la geologia, questa scienza che così intensamente vive dell’ambiente nel quale si svolge, procedeva in Italia irradiando dai diversi centri scientifici autonoma, isolata o legata e inspirata ai lavori e agli studi degli Stati vicini secondo che l’opportunità e le cir- costanze dettavano, in modo che sovente per due regioni pros- (’) Non si è ritenuto necessario pubblicare qui i suddetti quadri sta- tistici clic si inviarono alla Esposizione. CENNI STORICI DEILA SOCIETÀ GEOLOGICA ITAL. CXL1II sime poteva accadere che studiate nelle pubblicazioni, sembras- sero geologicamente assai più lontane di quello che nella realtà non fossero ; un primo tentativo d’unificazione si ebbe nel periodo eroico dei congressi degli scienziati anteriore al 1848, ma il primo passo serio non fu fatto che con la costituzione del comi- tato geologico nel 1867. Questa istituzione, dovuta anch’essa alla energia e alla profonda cognizione delle necessità scientifiche d’Italia di Quintino Sella, raccolse attorno a sè i cultori della geologia, con signorile larghezza li soccorse e valendosi dell’opera comune potè pubblicare nel 1881 la prima edizione della carta geologica italiana; il suo bollettino aperto a tutti, fu il giornale dei geologi italiani e tutti trovarono in esso e per esso modo di pubblicare le loro ricerche. La Società Geologica più liberamente e con più efficacia prese il suo posto nel 1881 nel nobile arringo; il Bollettino del Comi- tato Geologico fu riservato agli studi per la carta geologica; il Bollettino della Società divenne il campo chiuso delle discus- sioni scientifiche, l’organo naturale e illuminato dei geologi italiani. Come la Società abbia potuto avviarsi e rimanere in questa strada, sarà inteso esaminando i principii fondamentali del suo statuto. Base del medesimo fu la non rieleggibilità agli uffici scaduti, impedendo con questo la perpetuazione di principii per- sonali e a un tempo favorendo la più diffusa partecipazione dei soci al buon andamento della Società. Ogni anno essa nomina un vicepresidente il quale diviene presidente nell’anno successivo a quello per il quale è stato eletto; con ciò il vicepresidente è interessato a conoscere le condizioni momentanee dell’amministrazione sociale, nò il pre- sidente che sa di averlo a necessario successore, lo tiene lon- tano dalla risoluzione degli affari pendenti ; il presidente dura in carica un anno ed è tempo più che sufficiente, se vuole fare completamente il suo dovere, perchè al cessare dall’ufficio non sia contento di cederne ad altri l’onore e l’onere. Le adunanze generali ordinarie sono due, una invernale per gli affari amministrativi in luogo da designarsi dal presidente, l’altra estiva determinata dalla società, ma che in pratica risulta anch’essa a scelta del presidente per deferenza naturale al prò- CXL1V D. PANT ANELLI ponente, comprendendo ognuno che la scelta è determinata dal desiderio di raccogliere i colleglli dove meglio possa essere utile per le sue cognizioni personali al buon andamento delle riunioni : in ambedue è fatta larga parte alle comunicazioni scientifiche, la estiva è più particolarmente consacrata alle escursioni geo- logiche e alle elezioni degli uffici sociali. Così sono state sedi delle riunioni estive e centro delle gite che le accompagnano, Verona, Fabriano, Arezzo, Savona, Bi- nimi, Catanzaro, Bergamo, la Sicilia, Vicenza, Ivrea, Massa Ma- rittima, Lucca, la Sardegna, Roma, Perugia, Napoli, Lagonegro, Ascoli, ossia quasi tutta l’ Italia è stata percorsa nei diciotto anni di vita della società. È superfluo osservare che ogni riu- nione si riflette nelle nostre pubblicazioni con memorie speciali alla regione visitata e con esse e con le altre che i soci recano, si vanno stringendo ogni giorno le maglie della rete che co- prendo l’ intero paese, daranno in un tempo che ormai possiamo giudicare vicino, la completa storia geologica della nostra patria; anzi, si può ormai asseverare che per l’azione riunita del comi- tato geologico e della nostra società, essa è a tal punto che gli studi di dettaglio già da tempo incominciati, prendono il soprav- vento su quello delle grandi linee per le quali assai poco è da aggiungere o da modificare. Il nostro primitivo statuto, questa gloriosa bandiera che da diciotto anni ci riunisce, non è forse perfetto e si risente della rapidità della sua redazione; non è molto che fu creduto oppor- tuno, tenuto conto della esperienza, di modificarlo; venuti però alla discussione i soci furono contrari a qualunque modificazione ed è a credersi clic bene si sieno apposti: il vigore di una isti- tuzione più che dalle leggi è determinata dall’energia di coloro che ne fanno parte ; se qualche inconveniente col tempo si è manifestato, esso non è stato che di momentaneo imbarazzo a coloro che dirigevano la società e questa o non se n’è accorta o è stato tale che non la toccava nella sua essenza, nel suo svolgimento, nel suo scopo; non cosi per il regolamento; redatto sul primo nascere della società, si modificò, si allargò negli anni successivi a, seconda che nuove emergenze lo consigliavano e fu riassunto a nuova forma nel 1899. CENNI STORICI DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITAL. CXLV I primi diciotto volumi abbracciano 8930 pagine e 179 ta- vole cioè in media più di 500 pagine e più di 10 tavole per ciascuno: le memorie inserite sono 357 delle quali 123 di pa- leontologia; delle rimanenti 234, 88 si riferiscono all’Italia set- tentrionale, 66 alla centrale, 31 alla meridionale, 25 alle isole e 24 sono d’indole generale; a queste memorie per le quali i nostri regolamenti accordano uno spazio massimo di sessanta- quattro pagine, si devono aggiungere i discorsi dei presidenti e tutte le brevi comunicazioni scientifiche che insieme costituiscono una ricca miniera di interessanti osservazioni; di queste e delle prime è stato pubblicato un primo elenco bibliografico per i primi dieci volumi. Gli uffici sociali sono gratuiti; il nostro bilancio non ha per- messo di far fronte per intero alle spese per le illustrazioni, alle quali hanno sempre concorso gli autori. Così con qualche sacri- ficio e per la buona volontà di tutti, possiamo non essere scon- tenti del passato, attendere fiduciosi l’avvenire. STORIA GEOLOGICA DELL’ARNO. Nota del socio professore Dante Pantanelli Sul bacino dell’Amo, in ragione dei secolari lavori idraulici lungo il suo corso e specialmente nella Val di Chiana, sono state pubblicate delle biblioteche, e non vi è relazione o memoria su di esso dove il geografo ed il geologo non possano ricavare no- tizie preziose per la storia delle variazioni o delle modificazioni che ha subito nel tempo. Lasciando in disparte tutte le memorie che vertono su argo- menti idraulici e i brevi accenni di Targioni ( 1 ) e Soldani (2) sull’origine lacustre dei sedimenti della valle dell’Arno dalle sue origini fino a Signa, il primo che abbia recato sulla storia del- l’Arno un largo criterio geologico è stato Paolo Savi nel 1863 (3). Ammise che il mare pliocenico penetrasse nella Val di Chiana fino ad Arezzo tenendosi al Giuli che lo aveva detto nel 1828 (4), escluse le formazioni postplioceniche, o almeno non ne riconobbe l’importanza tra Arezzo e Rignano, attribuì al solo pliocene tutti i sedimenti di questo tratto della attuale valle dell’Arno e ritenne che l’Arno scendendo dal Casentino trovasse presso Arezzo la sua foce in mare e che il lago pliocenico del Val d’Arno di Mon- tevarchi fosse dallo stesso indipendente: stabilite queste premesse, dedusse dal sollevamento pliocenico, che giudicò massimo lungo C) Targioni Tozzetti G., 1775. Relazioni di alcuni viaggi fatti in di- verse parti della Toscana. Voi. Vili, pag. 309. (2) Soldani A., Saggio Orittografico, 1780. (3) Savi P., 1863. De’movimenti avvenuti dopo la deposizione del ter- reno pliocenico nel suolo della Toscana. Nuovo Cimento. (4) Giuli G., 1828. Statistica agraria della Val di Chiana. Pisa, pag. 6 e pag. 9. 30 420 D. PANTANELLI la linea Siena- Volterra, la interelusione dell’Arno ad Arezzo e collegando al sollevamento pliocenico i fenomeni susseguenti alla estrusione serpentinosa dell’Impruneta, suppose delle rotture tra Arezzo e la Val d’inferno, tra l’Incisa e la valle fiorentina da determinare il vuotamento a N. 0. del lago di Montevarchi e il nuovo corso dell’Arno. Ritenne altresì che l’apertura della Golfolina abbia potuto essersi prodotta nello stesso tempo delle precedenti e dello sprofondamento del Monte Pisano (1). Dalla memoria di Savi si viene a quella di Cocchi (1867) (2) che rimane senza alcun dubbio ciò che di meglio è stato scritto sul corso dell’Arno, non tanto per le conclusioni alle quali giunge, quanto per la copia di dati e di fatti che permettono, anche non dividendo tutte le idee dell’autore, di collegare ed interca- lare il nuovo che dopo è stato osservato o che potrà osservarsi col tempo. Cocchi afferma che le acque del lago valdarnense compreso tra Rignano e Caterina corressero verso Arezzo ; lo deduce dalla pendenza degli strati, dalla posizione dei tronchi d’albero fos- sili, dalla posizione dei resti di mammiferi e dalle ghiaje. Ri- tiene che tutte le acque del bacino di Firenze scorressero nella stessa direzione; riconosce la presenza del post-pliocene in tutto il corso dell’Arno e la mancanza del pliocene nel bacino aretino, cioè in quella parte compresa tra la Chiassa, Arezzo e foce di Chiani; questa condizione fu ampiamente confermata (1884) in un successivo lavoro (3) nel quale aggiunse nuove prove sulla estensione delle formazioni lacustri della Val di Chiana ; queste a partire dalla foce di Chiani sono tanto più antiche quanto più si rimonta la Chiana o quanto più si discenda per l’Arno ; in questa disposizione degli strati del lago di Montevarchi vede un nuovo argomento per dimostrare che il medesimo si è riem- pito con acque venute dal Nord. Aggiunge che, dove manchino documenti paleontologici, non è possibile la separazione crono- C) Quest’ultimo fenomeno è stato dimostrato insussistente da De Ste- fani, e le sue conclusioni sono state da tutti accettate. (2) Cocchi I., 1867. L’uomo fossile nell’Italia centrale. Milano, Società italiana di scienze naturali. Voi. II, n. 7. (3) Cocchi I., 1884. 1 fossili di Vingone. Proc. verbali della Società Toscana. Voi. IV, pag. 84. STORIA GEOLOGICA DELL’ARNO 421 logica dei diversi strati, cioè del pliocene dal post-pliocene, es- sendosi raccolti senza interruzione alcuna. Stohr (1869) (*) conferma che il lago del Val d’Arno fosse chiuso a N. 0. ed avesse il suo deflusso a Sud; riconosce che a Nord si trovano i depositi più antichi e che l’accumulazione dei legnami fossili tra Gravide e Capriglia contro lo sprone eo- cenico presso il Botro dei Calvi accenna ad una corrente che veniva dal N. E.; attribuisce con Savi l’inversione del corso del- l’Arno al sollevamento pliocenico. De Stefani (1876) (2) ritiene ancora che il mare pliocenico penetrasse per l’attuale valle della Chiana fino ad Arezzo, dove trovava foce l’Arno di Casentino e che il Mugello per la valle della Sieve versasse le sue acque nel lago pliocenico di Mon- tevarchi, il quale avrebbe avuto il suo emissario fra Castiglion Fibocchi e i poggi di Corticelle e Talzano. Avendo trovato il pliocene marino a Monistero d’Ombrone fin contro il seno la- custre dove oggi corre l’ultimo tratto dell’Ambra che sbocca in Arno presso Bucine, crede che per questo seno potesse il lago valdaruense avere uno sfogo nel mare pliocenico. Verri in diverse pubblicazioni dal 1877 al 1881 accenna in- cidentalmente varie volte alle modificazioni del corso dell’Arno e attribuendole al sollevamento pliocenico che secondo questo autore ha avuto un massimo lungo la linea Monte Annata, Ra- dicofani, Monte Cetona, Città di Pieve, inclinando verso oriente : riconosce negli ultimi lavori che il pliocene marino è stato molto lontano da Arezzo e mentre nelle prime note suppose che il golfo pliocenico della Chiana, dopo avere accolte le acque del lago di Montevarchi e delFArno di Casentino potesse per la Foenna sboccare in mare nell’attuale valle dell’Ombrone, trova che più tardi possa essere stato un affluente del Tevere finché, erose le ultime cinghie di Rignano, ottenne il corso attuale; per questo autore il lago di Montevarchi riceveva l’acqua dal Nord e la perdeva a Sud ; dubita se ricevesse le acque del Mugello ; (G Stohr E , 1869. Intorno ai depositi di lignite che si trovano nel Val d’Arno Superiore. Atti della Soe. dei naturalisti di Modena. Voi. IV. (2) De Stefani, 1876-1881. Molluschi continentali pliocenici. Pisa, Atti della Società Toscana di Scienze naturali. Voi. II, 1876; Voi. V, 1881. 422 D. PANTANELLI suppone una rottura lungo presso a poco l’asse della Chiana per spiegare la differenza di sollevamento del pliocene lungo l’at- tuale corso della Chiana e dell’Arno e la direzione Monte Annata, Città di Pieve. Beyer (1882, 1884) (’), si occupa della Val di Chiana e in- direttamente del corso dell’ Arno : il medesimo non introduce nessun concetto nuovo dopo quelli dei suoi predecessori. Ristori (1886) (2) conferma la esclusione del pliocene dai din- torni di Arezzo e ritiene che il lago di Montevarchi sia stato alimentato dall’Arno di Casentino; per la presenza del post-plio- cene nel piano aretino e in Val di Chiana ammette che nel post- pliocene l’Arno e il lago di Montevarchi abbiano fluito per la Val di Chiana. Riprendendo la idea di De Stefani sulla possi- bilità che il lago di Montevarchi abbia avuto per il Val d’Ambra uno sfogo nel mare pliocenico lo esclude, per quanto riconosca che il pliocene lacustre venne a contatto col pliocene marino. L’ultimo a riparlare su questo argomento insieme con altri affini è Borzino (3) ; è un breve e frammentario riassunto di lavori precedenti; accetta le idee di Ristori; suppone che il Val d’Arno possa avere avuto sfogo in Val d’Ombrone per Biricoccolo in Val d’Ambra e ritiene che il lago di Fucecchio sia una palude laterale. A questi autori si potrebbe aggiungere Nesti, Strozzi, Gami in, D’Ancona, Simonelli, Forsyth Major, e quanti altri si sono oc- cupati della paleontologia del Val d’Arno ; in questi lavori però la storia geologica delle variazioni del corso del fiume non es- sendo quasi mai toccata, verranno citati solo se argomenti spe- ciali lo richiederanno. Da questo rapido esame si deduce che il corso attuale del- l’Arno è stato ritenuto, da coloro che se ne sono occupati, dif- ferente da quello seguito in altri tempi e che debba dividersi lo studio del medesimo in sezioni successive; cioè, una prima (') Reyer E., 1882. Aenderung der Flussliiufe (Zeitschrift fltr Erd- kunde) Berlin — 1884. Aus Toscana. Wien, pag. 112. (2) Ristori, 1886. Considerazioni geologiche sul Val d’Arno superiore. Società Toscana di Scienze naturali. Voi. VII, pag. 249. (3) Borzino C., 1895. Frammenti di Geografia fisica e sociale « L’Etru- ria » Rivista militare. Anno XL, disp. XVIII, pag. 1666-1669 e clisp. XIX, pag. 1732-1736. STORIA GEOLOGICA DELL’ARNO 423 dalle origini ai dintorni di Arezzo; una seconda tino all’incontro colla Sieve, una terza nella conca fiorentina e l’ultima da Mon- telupo al Tirreno. Sul primo tratto sono tutti d’accordo; la stretta di Bibbiena determina il lago pliocenico che si estende fino a Pratovecchio, e quando quella per l’erosione è aperta, l’Archiano e l’Arno sca- vano i propri depositi, l’ultimo appoggiandosi al fianco destro della valle ; da Bibbiena alla foce della Chiana l’Arno erode re- golarmente il suo alveo nel sinclinale eocenico corrispondente. Qui cominciano le divergenze, ossia l’unico che si allontana dalle idee di Savi, di Cocchi e degli altri è Bistori che per la mancanza del pliocene nei dintorni di Arezzo, lungo la foce di Chiani e nella parte settentrionale della Val di Chiana, ritiene che nell’epoca corrispondente alle maggiori e profonde deposi- zioni plioceniche del Val d’Arno di Montevarchi, questo fiume abbia avuto nei suoi diversi tratti la direzione attuale. Le acque della conca fiorentina sono state anch’esse per il loro deflusso soggette ad interpretazioni diverse, anche a quella che potessero correre nel Val d’Arno superiore e perdersi in mare nella Val di Chiana sfociando per l’apertura di Chiani, dopo avere alimentato prima il lago fiorentino, poscia quello di Montevarchi e finalmente le lagune litorali plioceniche della Val di Chiana. Nell'ultimo tratto cessano di nuovo le divergenze e le discus- sioni ; tutt’al più non è chiaro se l’attuale foce dell’Arno a Mon- telupo sia la stessa di quella che serviva di sfogo al lago plio- cenico fiorentino e quando si aprì tra Signa e Montelupo la stretta della Golfolina ; in quest’ultimo tratto la storia dell’Arno è po- steriore al pliocene e salvo modificazioni o meglio divagazioni insignificanti nel suo corso e quelle che ha subito alla sua foce nel Tirreno, non presenta nulla di particolare. Prima di abbandonare questo rapido riassunto delle opinioni che hanno avuto coloro che hanno studiato il corso dell’Arno, occorre rammentare in proposito le idee che ne ebbe Fossom- broni (1). Non poteva quest’ illustre idraulico portarvi un criterio (*) (*) Vedasi Fossombroni V., Memorie storico-idrauliche della Val di Chiana la edizione, Firenze, 1789; 2a edizione, Firenze, 1823; 3a edi- zione, Montepulciano, 1835, come pure altre memorie dello stesso autore. 424 D. PANT ANELLI geologico e dovendosi spiegare la formazione del piano aretino, ri- tenne che l’Arno uscendo dalla foce di Monte all’ingresso dell’at- tuale piano d’Arezzo, si sia diretto parte verso Firenze, parte in Val di Chiana, tinche per il successivo affondamento del letto dal lato fiorentino, abbandonò la Val di Chiana e la Chiana assor- bita dal continuo approfondarsi dell’Arno invertì lentamente il suo corso ; si vedrà a suo tempo che Fossombroni salvo l’epoca nella quale avvenne l’abbandono della Val di Chiana, non era molto lontano da quello che pure oggi per altri criteri si può sostenere. Per esso la Chiana è un vecchio corso parte di quello dell’Arno; la separazione avvenne in tempi storici e relativa- mente recenti, cioè tra il decimo e il tredicesimo secolo soltanto cominciò V assorbimento (‘) della Chiana per parte dell’Arno. Ne trova le ragioni in documenti di non sempre chiara interpreta- zione e specialmente in un disegno singolare pubblicato da Fos- sombroni in scala molto ridotta e sopprimendo i nomi dei ca- sali, chiese e castelli, negli Atti della Società dei Quaranta (Mo- dena, 1823), nella Raccolta dei trattati delle acque (Bologna) e nella terza edizione delle Memorie storico-idrauliche della Yal di Chiana. È una carta di cent. 60X44 che nel foglio sul quale è in- collata per arrestare molte sue lacerazioni, porta scritto « Carta trovata nell’archivio dei monaci cassinensi di S. Fiora e Lucilla »; è conservata nell’archivio capitolare d’Arezzo. Rappresenta pro- spettivamente la regione compresa tra la foce di Chiani e la strada senese ai cosi detti ponti d’Arezzo; in mezzo è disegnata una corrente che sembrando venire dall’Arno, certamente dal piano d’Arezzo, ha la direzione inversa a quella della Chiana attuale. Giudici che trovò il documento e Fossombroni che l’illustrò, lo ritennero del XIII secolo; non tutti però ebbero la stessa opinione, come avverte Del Corto (2) ed alcuno lo ricondusse al secolo XY. Per la nessuna reminiscenza del metodo itinerario, per il modo (') Uso la parola assorbimento per il fenomeno, secondo la proposta Boraino (Ballettino della Società Geografica Italiana, serie IV, Voi. I, pag. 532) tanto più volentieri che Fossombroni usò nello stesso senso il verbo assorbire dalla line del secolo scorso nella la edizione delle Me- morie storico-idrauliche della Val di Chiana. (?) Del Corto G. B., 1898. Storia delIaVal di Chiana, pag. 103. Arezzo. STORIA GEOLOGICA DELL’ARNO 425 di disegno, per la forma dei caratteri delle molte parole che contiene, a me è parso lavoro del secolo XVI inoltrato. Se dovessi darne una spiegazione, lo giudicherei un di- segno fatto ad illustrazione di un supposto stato di cose deri- vante dalla interpretazione di antichi scrittori, tanto più che nulla autorizza a ritenere che lo specchio d’acqua con relativa bar- chetta in alto del foglio, debba essere l’Arno piuttosto che le paludi aretine dei documenti di Obsequente e di altri (:). Oltre alla grafia per me evidente, mi conferma in questo so- spetto il fatto che è precisamente tra il 1532 e il 1546 che si agita più viva la questione per la demolizione di un mulino del- l’ Abbadia di Santa Fiora, tra i monaci, il vescovo d’Arezzo e Cosimo I e che condusse alla costruzione della Chiusa dei mo- naci che tanta parte ha nella storia idraulica della Val di Chiana; la questione ebbe termine con la fine del XYI secolo (2). * * * Occorre intanto stabilire alcuni dati di fatto dei quali potranno discutersi le conseguenze, ma che debbono nella loro essenza ac- cettarsi senza obiezioni. La storia prepliocenica dell’Arno nella fase marina del mio- cene medio, per quanto le vallate nel quale esso scorre doves- sero essere già delineate, non si ristabilisce. Le acque della re- gione superiore a Pontassieve come quelle di Casentino o anche quelle d’attorno ad Arezzo, poterono dirigersi verso il mare che (') Disegni consimili, fatti con lo stesso scopo, non debbono essere rari negli archivi italiani. In quello di Modena ne conosco due. Uno schizzato rapidamente col titolo « Situazione antica del Ferrarese » di mano certamente di Sardi Alessandro (1550?), dove il Po di Primaro si stacca a Codrea passando per Consandolo, richiamando forse la supposta carta di Roberto di Napoli del 1300 indicata dal Biondo. Un altro rap- presenta la condizione del Po prima della rotta di Ficarolo (1152) e che rimase per la grafia assai misterioso per me, finché non ebbi quando meno l’attendevo, trovato della stessa mano e nelle stesse dimensioni, due altre carte, una prima del taglio di Porto Viro (1610) l’altra delle condizioni del Po dopo detto taglio. (2) Fossombroni. Memorie storico-idrauliche della Val di Chiana, 2a edi- zione, pag. 172. 426 D. P ANTA NELL, T lambiva la ristretta cresta dell’ Appennino settentrionale o vol- gersi al cuore dell’Umbria; queste due possibilità sono troppo divergenti, perchè una ipotesi qualsiasi abbia grado di proba- bilità. Egualmente indecifrabile è l’idrografia della regione nella fase continentale del miocene superiore e solo può dirsi che le due vallate parallele del corso superiore dell’Arno essendo tecto- niche dovevano già essere nella loro direzione modellate prima di quando comincia a delinearsi la storia dell’Arno della fase marina pliocenica. La conca fiorentina, quella tra Eignano ed Arezzo, la più elevata tra Bibbiena e Stia, furono veri laghi continui nello stretto senso della parola? io non lo credo; che nella regione coperta dai sedimenti pliocenici, post -pliocenici e recenti, limitata da roecie eoceniche vi potessero essere dei laghi è probabile assai, ma non mi pare egualmente probabile che abbia potuto esservi uno specchio continuo d’acqua, piuttosto che una serie di paduli più o meno profondi ; ho voluto dir questo in precedenza perchè se mi accadrà spesso d’impiegare la parola lago, si ricordi che è di comodo e che intenderò seni] ire di usarla con le riserve accennate. Succeduta alla fase discendente del pliocene quella di ascesa che lo terminò, il sollevamento che vi corrispose fu oltremodo ir- regolare ed interessò in grado diverso tutto ciò che era emerso nella fase precedente compreso l’intiero Appennino ; questo sol- levamento della seconda fase del pliocene nel bacino dell’Arno e anche in tutta la Toscana, non si può coordinare ad una o due direzioni determinate e tanto la idea di Savi (1863) che il mas- simo sia avvenuto lungo la linea Siena- Volterra, quanto quella di Verri (1881) che la massima intensità si sia verificata lungo la linea Monte Annata, Monte Cetona, Città della Pieve, non sono esatte; intanto queste due direzioni che pure sono di forti ele- vazioni sono contraddittorie e a Pietra Porciana assai a Nord della linea di Verri il calcare ad anfistegina pliocenico trovasi a 800 metri sul livello del mare. 11 sollevamento pliocenico è stato flessuoso e da una regione di massimo che trovasi a Nord c attorno al Monte Cotona e alle pendici orientali del Monte Amiata declina lievemente e irregolar- STORIA GEOLOGICA DELL’ARNO 427 mente al Tirreno e, penetrandovi, all’arco delle corrugazioni eoce- niche dentro le quali in parte oggi si svolge il corso dell’Arno; molte sono le irregolarità che il sollevamento pliocenico presenta qualora si esamini lungo linee irradianti dal massimo accennato ; declina rapidamente in Val di Chiana dalla quota di 600 metri a Montepulciano a quella di poco superiore a 300 nelle colline della parte centrale e meridionale di detta valle ; nei due ver- santi dei monti del Chianti il pliocene marino del fianco occi- dentale è sempre più alto del pliocene lacustre del lato orien- tale ; nel colle di Malmantile il pliocene marino supera di circa 100 metri il vicino pliocene e post-pliocene lacustre della conca fiorentina, dal quale è separato per una stretta zona di roccie eoceniche che potrebbe anche essere stata denudata per erosione. Nello stesso modo mentre la conca fiorentina ha nei suoi limiti una quota media di circa 100 metri, il lago valdarnense si av- vicina e oltrepassa i 300, differenza che non può essere plio- cenica ma derivante dalla diversa altezza raggiunta nel solle- vamento della fine del pliocene. È inutile riandare le irregolarità del pliocene nella parte cen- trale del golfo senese ; in generale si mantiene a 300 metri ; raggiunge 500 a Pienza, 400 a S. Quirico, riscende a 300 per risalire a 400 a Chiusuri e 345 a Yescona e poi si mantiene su- periore a 300 da Torre a Castello a tutto il confine lungo Teocene fino al torrente Pesa e lungo la separazione del golfo senese da quello dell’Elsa, declinando poi irregolarmente al corso inferiore delTArno, sulla riva destra del quale compare in bassi colli iso- lati tra ì terreni più recenti o addossati alle roccie più antiche di Montalbano con quote inferiori a cento metri. Nella Yal di Chiana il pliocene marino si trova solo nella parte occidentale e presso a poco il limite della formazione con- tinentale pliocenica è lungo la ferrovia tra Lucignano e Chiusi ; le quote dei limiti delle formazioni continentali oscillano tra 260 (Chiani) e 304 sotto Lucignano crescendo regolarmente; dal lato orientale da 260 sotto Capo di Monte si mantengono oscillanti attorno a questo numero fin sotto Cortona, rilevandosi il limite tra i terreni recenti e Teocene lungo il Trasimeno. Questi numeri se non rappresentano l’andamento relativo della regione durante la deposizione degli strati pliocenici e post- 428 D. PANT ANELLI pliocenici non possono certamente essere superiori alle altezze relative raggiunte, tutto al più per effetto della denudazione sa- ranno minori ; nella parte centrale non mancano colline più ele- vate, Fojano 315, Bettolle 313, Petrignano 338 eppoi sempre maggiori accostandosi al Trasimeno. Cocchi osservò che in Val di Chiana e in Val d’Arno l’età degli strati va crescendo allontanandosi dalla foce di Chiani, a questo dato va aggiunto che i limiti tra le formazioni terziarie e recenti continentali con le formazioni eoceniche va alzandosi nelle stesse direzioni; per la Val di Chiana è in accordo con il progressivo diminuire del sollevamento pliocenico partendo dalla regione del massimo nell’area Montepulciano, Sarteano, Ra- dicofani e portandosi verso le catene che separano la valle del- l’Arno da quella del Tevere. Lungo i fianchi del lago di Montevarchi, partendo sempre dalla foce di Chiani, le quote dei limiti delle formazioni plioce- niche e quaternarie che le ricoprono, vanno progressivamente salendo da 268 ad oltre 400 lungo il fianco orientale fra Reg- gello e S. Donato, di ben poco vanno oltre trecento nel fianco occidentale di fronte a Reggello, sopra Rignano ed Incisa (x) ; come si vede anche qui, il limite va elevandosi da Sud a Nord non solo ma diversamente lungo i due fianchi; quest’innalza- mento è sempre tale da superare quello che avrebbe naturalmente anche seguendo la ipotesi che la depressione valdarnense sia stata colmata da Nord (2) ; il sollevamento poi pliocenico lo ha ele- vato a N.-O. più che a S.-E., assai più sul fianco orientale qua- siché abbia acquistato nuovo vigore nella regione di Prato- magno. (l) Fianco sinistro o occidentale: Chiani 268, Fornello 280, Palaz- zone 300, Gallo 246, Tontenano 277, Rendola 290, Piscille 276, Camme- nata 296, Cavriglia 310, Gaville 276, S. Andrea 291, S. Piero 300. — Val d’ Ambra. S. Martino 293, Pietra Viva 285, la Selva 323, Montalto 332, Casa al Bosco (limite tra le formazioni lacustri e marine) 381. Fianco destro o orientale: Sotto Capo di Monte 268, Bagnoro 274, Arezzo 260, Chiassa 300, Meliciano 264, Castiglion Fibocchi 300, S. Giu- stino 340, Loro Ciuffenna 330, Pian di Sco 360, Reggello 437, Pitiana 400. (!) Il Remano, che ha presso a poco le stesse dimensioni del lago di Montevarchi, ha tra i suoi estremi cinque metri di dislivello. STORIA GEOLOGICA DELL’ARNO 429 I limiti delle formazioni terziarie nel lago di Bibbiena — Prato Vecchio, oscillano attorno alla quota di 500 metri sul fianco orientale, l’Arno correndo lungo il fianco occidentale a 300 m. circa d’altezza. II bacino di Firenze nei suoi limiti periferici raramente arriva a 100 metri, nella parte centrale è sotto 50, inferiore d’assai non solo alle colline plioceniche della Greve e della Pesa ma anche di 200 metri al contorno del lago di Montevarchi. Se si vuole supporre che la posizione relativa delle due conche sia oggi come quando queste due vallate erano o coperte da laghi o sottoposte al libero spagliamento dei fiumi che le hanno col- mate con i loro detriti, occorrerebbe ritenere che fra loro esistesse un dislivello non inferiore alla differenza indicata. Mentre il piano aretino è stato colmato dopo la deposizione pliocenica, la valle tra questa regione e Bignano è stata riem- pita nel pliocene e nel postpliocene; quest’ultimo fatto non ap- prezzato da Savi, fu posto in evidenza da Cocchi; basta esa- minare i profili di Bufino, Bucine e Malafrasea (J) per convin- cersi che la massima estensione del lago di Montevarchi è stata raggiunta nel postpliocene. Lo stesso deve dirsi per la conca fiorentina come per la parte settentrionale della Val di Chiana. * Stabiliti questi fatti la discussione correrà più rapida ridu- cendosi a pochi punti controversi. Comincierò subito dal lago di Montevarchi ; io ritengo che il medesimo abbia raccolto le acque del Mugello e del lago pliocenico di Scarperia, il quale nel suo asse longitudinale quasi parallelo alla depressione tra Pistoia e Firenze, ha il lato meridionale, dove la Sieve corre al limite delle formazioni plioceniche, alla quota oscillante attorno 200, mentre il lato settentrionale sale a 300 a Barberino per elevarsi fino a 400 sullo stesso fianco al Poggio de Boti presso il limite orien- tale. Io trovo in questa disposizione la ripetizione di quello che è già stato accennato per il Val d’Arno di Montevarchi, cioè che il sollevamento pliocenico dopo il minimo della conca fio- (') Cocchi, L’uomo fossile nell’Italia centrale, pag. 12, 13, fig. 4, 5, 6. 430 I). PANTANELLI ventina, aumentò la sua intensità propagandosi nell’Appennino, non parendomi probabile che il corso dissimmetrico della Sieve, come quello dell’Arno di Casentino, sia dovuto solamente alla erosione più facile lungo la divisione tra una roccia solida ed una incoerente, come si presentava la separazione tra le roccie eoceniche e quelle detritiche del pliocene. La Sieve scendeva a Montevarchi e non a Firenze perchè durante il pliocene questa vallata doveva essere più bassa della conca fiorentina e senza il pliocene marino su i colli di Mal- mantile e il diaframma eocenico tra Pontassieve e la pianura fiorentina, sarebbe più facile ammettere che il lago fiorentino definisse nella valle di Montevarchi di quello che accadesse l’in- verso. Che la valle della Sieve e di Montevarchi fosse più bassa della conca fiorentina può dedursi dalle quote citate e da quelle che aggiungerò ; questi numeri sono : contorno attuale della valle fiorentina alla quota di 100 metri; contorno della valle di Mon- tevarchi, 300 ; fondo della valle fiorentina al limite delle roccie eoceniche circa zero (*) ; fondo della valle di Montevarchi sco- perto dall’erosione dell’Arno, 150; e poiché in Val d’Ambra il pliocene lacustre è a immediato contatto col pliocene marino ad una quota superiore a 300, occorre ritenere che d’altrettanto sia stato il sollevamento nella fase ascendente del pliocene per gli strati di Montevarchi, mentre quelli della conca di Firenze si sono alzati di poche decine di metri. Togliendo trecento metri al Val d’Arno tra Arezzo e Iiignano, questo scenderà fino a 150 metri sotto il livello del mare, mentre abbassando di 100 metri il bacino di Firenze esso scenderà di altrettanto nella sua parte profonda al limite dei sedimenti eocenici ; questi numeri essendo massimi per il bacino di Firenze, minimi per quello di Montevarchi, ne deduco che durante la fase discendente del plio- cene il fondo del bacino di Montevarchi è stato in un certo tempo più basso di quello di Firenze di almeno cinquanta metri. Nè vale opporre che queste profondità sotto il livello del mare sieno strane e che occorra spiegare come il mare non vi sia penetrato; effettivamente libere non saranno mai state; nella fase discen- dente del pliocene a partire dal miocene superiore le due valli (') De Stefani, I terreni e le acque del bacino di Firenze, p. 28. STORIA GEOLOGICA DELL’ARNO 431 si sono depresse e i fiumi le hanno colmate a misura che si deprimevano, conservando la loro altezza relativa come è acca- duto per la valle del Po che si è potuta deprimere di oltre trecento metri nel postpliocene sotto il livello dell’Adriatico senza mai essere rioccupata dal mare. Si aggiunga a questi argomenti che, se nella fase discen- dente i due laghi di Firenze e Montevarchi fossero stati uniti, e difficilmente potevano esserlo per il diaframma eocenico oltre Pontassieve dello spessore alla base di circa dieci chilometri, non si comprende come sarebbe stato possibile l’accumularsi degli strati nella conca di Montevarchi aperta alle due estremità e alle aperture della quale corrispondevano regioni di minore al- tezza, cioè la Val di Chiana dall’estremità meridionale, la conca fiorentina dal lato di settentrione. Trascuro tutti gli altri argo- menti dei banchi di lignite (Stolir), direzione dei ciottoli, dei tronchi fossili (Cocchi), della direzione degli strati essendo per me secondari e sovratutto di evidenza assai incerta. Assodata la direzione delle acque tra il Mugello e l’aretino le questioni susseguenti saranno più facilmente risolte. Le acque di questo secondo lago pliocenico della Sieve dovevano pure in qualche luogo sfogarsi; esclusa la conca fiorentina, resta la Val di Chiana o la valle dell’ Ombrane per l’Ambra. Alla foce di Chiani il fondo eocenico scoperto dalla Chiana è alla quota di circa 220 metri, quindi più basso delle sovrastanti formazioni lacustri plioceniche e anche di più di 30 metri del piano are- tino occupato dal post-pliocene ; poteva quindi la Sieve plioce- nica riunita all’Arno di Casentino, sia come crede De Stefani dal lato di Castiglion Fibocchi, sia lambendo le colline di Pieve a Majano, presentarsi e sfociare alla gola di Chiani. Oltre questa foce il campo era libero; il conoide si poteva estendere in una valle largamente aperta e il mare pliocenico poteva e doveva essere raggiunto oltre Fojano in uno o più punti a seconda che il delta finale del fiume si allargava attorno ad uno o più rami. A questo modo di vedere, Ristori oppone la mancanza del pliocene nel piano aretino e più specialmente lungo la foce di Chiani per dove avrebbe dovuto passare l’Arno: la mancanza di pliocene nel piano aretino vorrà dire che nel plio- cene era fuori del dominio delle acque, ma la stessa conclusione 432 D. PANTANELLI non può accogliersi per la foce di Cliiani ; qui il fiume costretto in una valle angusta doveva scavare e non interrare e riservan- domi di spiegare come il piano aretino sia occupato solamente dal post-pliocene, la mancanza del pliocene lungo la foce di Chiani, die per me si prolunga assai più in Val di Chiana di quello che la orografia attuale non indichi, mi dice che in questo tratto le acque riunite della Sieve e dell’Arno scavavano e non hanno lasciato nulla di quello che recavano, come lungo l’Arno tra Bibbiena e Subbiano o lungo la Sieve attuale da Vicchio in poi, non si riconoscono strati pliocenici per quanto questi fiumi vi abbiano corso indubbiamente dal principio del pliocene. La valle lacustre, nella quale scorre l’Ambra, termina al- largata a Bucine nella conca di Montevarchi e se ne allontana in direzione quasi perpendicolare all’asse della conca principale per una lunghezza di circa 14 chilometri, terminando ai poggi tra Monistero d’Ombrone e Arceno a contatto col pliocene ma- rino; più o meno larga lungo il suo percorso, certamente resa più stretta dall’erosione laterale, trova il suo termine al poggio di Casa al Bosco sopra a Montalto alla quota di 381 metri, mentre i limiti suoi verso Capannole alla congiunzione con un altro ramo di pliocene lacustre dove ora corre il torrente Scemo e che veniva dai pressi di Caterina, sono alla quota di circa 240, mentre risalgono a 290 a Panzano e Tontenano da un lato e a circa 300 sotto Presciano nel ramo dello Scemo che con l’Ambra circonda l’isola di Montarsi e Castiglione Alberti; questo emis- sario della conca di Montevarchi tra Poggigiobbi e Montalto si divideva in due rami, uno dei quali sboccava a Ca del Bosco e Monistero dove non havvi interruzione tra le formazioni plioce- niche lacustri e marine, l'altro unitamente all’Ambra di Mon- teluco raggiungeva il mare ad Arceno (m. 408) separato oggi dal pliocene lacustre da una valletta ove l’eoc.ene è scoperto dal- l’erosione, lasciando in mezzo l’isoletta eocenica di Campanule e Casina. La Sieve pliocenica ha certamente trovato il mare anche ncl- l’ attuale valle dcll’Ombrone ; l’emissario di queste acque fu unico o duplice? io inclino a questa ultima ipotesi, poiché se è strano che un unico corso d’acqua trovi il modo di defluire contempo- raneamente e per molto tempo attraverso a catene di colli per i STORIA GEOLOGICA DELL’ARNO 433 un duplice sfogo senza che l’uno predomini sull’altro, nel caso speciale la duplicità dei corsi d’acqua ostacolati dallo sperone eocenico di Pieve a Majano deve aver reso facile una lunga permanenza dei due emissari. D’altra parte o che l’Arno riunito alla Sieve trovasse il suo sfogo nel contorno della conca aretina o più a Nord a Laterina e a Bucine o per queste tre aperture insieme, la direzione ge- nerale di queste acque non è sostanzialmente cambiata. Alla fase discendente del pliocene seguì la fase ascendente e questa avendo spiegato una maggiore intensità attorno al ba- cino dell’Arno specialmente lungo una linea che partendo dalla Val di Chiana occidentale lambisca le colline eoceniche del Chianti fin contro la conca fiorentina, l’efflusso dell’Arno e della Sieve furono ostacolati, il livello delle acque nell’interno del bacino di questi fiumi fu innalzato e perduta presto la comu- nicazione col mare per il Val d’ Ambra dove il sollevamento plio- cenico (Arceno 400 m.) fu maggiore che nella Val di Chiana settentrionale (minore di 300 m.) l’Arno, come dice il Fossorn- broni, potè spagliare liberamente nell’aretino pareggiandone il fondo coprendolo di sedimenti e sfociando più liberamente per la gola di Chiani, correre verso il Sud per congiungersi al Pa- glia e al Tevere. Con le innalzate acque della Sieve ora post- pliocenica e dell’Arno si depositò il mantello postpliocenico che ricopre le formazioni plioceniche della conca di Montevarchi; quindi le acque cresciute trovarono modo di tracimare, forse anche in grazia di qualche vailetta d’erosione, oltre Pontassieve, la- sciando su i colli di Sieci le masse cletritiche osservate da Ri- stori, nella conca fiorentina; aperto anche un modesto viottolo alle acque all’estremo N. 0., divenne presto strada maestra per la differenza di livello ormai fortemente accentuata e che man- cava dall’altra estremità in Val di Chiana; la Sieve dovette per questa nuova e potente chiamata volgersi al corso attuale e per progressivo assorbimento invertirsi il suo corso inferiore del plio- cene finche non raggiunse l’Arno di Casentino, obligandolo ad abbandonare il piano aretino, la Val di Chiana, riducendosi alla parte centrale della conca di Montevarchi. Nello stesso tempo e per le stesse ragioni il corso dell’Ambra di Monteluco fu in- tercluso e il fiume allungò il suo corso percorrendo a rovescio 434 D. PANT ANELLI il seno Bucine-Montalto, volgendo il muso a Montalto come l’Arno l’aveva voltato ad Arezzo, ripetendo in scala minore e nello stesso ordine il fenomeno dell’Arno ; il corso dello Scemo si stabili pure in direzione inversa a quella primitiva per la chiamata dell’Ambra invertita. La parte abbandonata dell’Arno oltre la foce di Chiani di- venne la Chiana e seguitò per lungo tempo, ordinando i suoi affluenti secondo la sua direzione, a correre dove e come aveva corso l’Arno verso il Tevere a partire dalla foce di Chiani o anche al di là di questo nel pianoro aretino; tale si mantenne tino ai tempi storici, Fossombroni ponendo per limite il XII se- colo che io reputo troppo vicino ; poco a poco assorbita dall’Arno sempre più depresso si divise in due tratti, uno verso l’Arno l’altro verso il Tevere separati da un tratto d’ incerta pendenza che nel XYI secolo, quando ancora l’Esse e la Foenna scende- vano con la Chiana al Tevere, era tra Brolio e Pilli e oggi corrisponde ai laghi di Chiusi e Montepulciano sottratti forza- tamente al bacino del Tevere dall’argine di Chiusi del 1780. Maggiori dettagli sulla storia recente della Yal di Chiana po- tranno aversi nell’opera magistrale di Fossombroni o in quella recentissima di G. B. Del Corto ( Storia della Val di Chiana , Arezzo 1895) quando si preferisca le unite nozioni di storia ci- vile alle dotte considerazioni idrauliche dell’illustre aretino. Resta la conca fiorentina; prima di ricevere le acque della Sieve cioè nel pliocene poteva comunicare col mare tanto per Lamole e Malmantile quanto per la valle della Greve; proba- bilmente ha avuto sfogo per ambedue; nell’ultimo caso la giun- zione col mare dovè compiersi un po’ a sud di Tavarnuzze ed anche qui per il sollevamento pliocenico la Greve che doveva incontrare il mare presso S. Angelo pochi chilometri a Nord di Vicchio Maggio, si allungò verso il piano fiorentino di questo nuovo tratto fino alle Tavarnuzze, invertendo di qui in poi il suo corso e come l’Arno e l’Ambra è oggi la riunione di valli in origine distinte. La giunzione col mare poteva avvenire anche per il colle di Malmantile alla base del quale l’Arno attuale taglia addi- rittura un lembo pliocenico marino del quale sono conservati residui ai due lati, quello esteso di Lamole e per poco separato STORIA GEOLOGICA DELL’ARNO 435 da Malmantile sulla sinistra e un breve relitto sulla destra sotto Poggio alla Malva. Il sollevamento pliocenico intercludendo o ostacolando il li- bero corso delle acque, facilitò e determinò i potenti sedimenti postpliocenici della parte centrale lasciando il pliocene scoperto in alcuni lembi periferici, Antella, Bagno a Ripoli e lungo l’Ema, che per essere più vicini alla conca di Montevarchi risentirono anche più fortemente il sollevamento pliocenico; accresciuto il volume delle acque dalla venuta della Sieve si aprì il nuovo varco per Montelupo, dove il sollevamento pliocenico presentava già una prima degradazione non oltrepassando 80 m. sopra Ca- praja mentre a Malmantile raggiunge 186 m. e 318 a S. Ca- sciano fra la Greve e la Pesa. Del rimanente corso dell’Arno è inutile parlare; può avere avuto modificazioni secondarie e del suo allungamento tra Pisa e il mare avvenuto in tempi storici è stato troppo elegantemente e finamente discusso dal De Stefani nella sua monografia del Monte Pisano, perchè debba fermarmici col pericolo di ripetere in peggio ciò che ne ha scritto il mio dottissimo amico (1). Così il sollevamento pliocenico sviluppato contro l’arco dei colli eocenici dall’estremo meridionale del Chianti a Montalbano, obbligò l’Arno a cercarsi la sua strada tra i monti e togliendolo al bacino del Tevere lo avviò sopra un suo affluente invertito, lo volse nella conca fiorentina e di qui per la via più semplice al mare riunendo tre corsi d’acqua diversi in un unico fiume. * * * Riepilogando: 1° periodo. Pliocene inferiore. Nella conca fio- rentina si raccolgono le acque dei monti che immediatamente la circondano e trovano un’uscita al mare differente dall’at- tuale. La Sieve raggiunge nella conca aretina l’Arno di Casen- (') De Stefani C., Geologia del Monte Pisano. Roma, 1877, pag. 82. Nell'anno 1 (?) dell’E.V. Strabone ; Bocca d’Arno distava da Pisa 3,700 m.; nel 933, Beniamino Tudelense, 5,917; nel 1406, Goro di Stagio Dati, 8600; nel 1841, Carta austriaca 12,635; l’avanzamento medio nei diversi periodi sarebbe rispettivamente 2,37 ; 5,67 ; 8,65. 31 436 T. PANT ANELLI tino, trovano insieme il mare oltre Fojano passando per la foce di Chiani e tra Arceno e Montalto per il Val d’ Ambra. Il0 periodo. Pliocene superiore e quaternario antico. Il mare pliocenico ritirandosi nei confini del mare attuale, la foce d’Ambra è chiusa e per la foce di Chiani l’Arno si protende fino al Te- vere per la Paglia; l’alveo è rialzato e i sedimenti postplioce- nici ricoprono quelli antecedenti e le regioni vicine dove non erano arrivati i sedimenti pliocenici. IIP periodo. Quaternario. La Sieve si apre una via nella conca fiorentina e questa trova il suo sfogo per la Golfolina correndo al mare secondo l’alveo presente determinato da un minimo del sollevamento pliocenico; il corso della Sieve infe- riore lentamente si inverte ed assorbe l’Arno di Casentino che abbandona il tratto a valle della foce di Chiani; questo tratto abbandonato dall’Arno diventa la Chiana la quale rimane sola affluente del Tevere. IY° periodo. Attuale. Parte della Chiana sino a Chiusi, in- vertendo il suo corso è assorbita dall’Arno. L’Arno e il Serchio con i loro detriti e per il lento sollevamento della costa Tir- rena, continuazione del sollevamento pliocenico, allungano il loro corso in mezzo alla zona costiera di emersione attuale. Modena, luglio 1900. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE A PROPOSITO DELLE FONTI DI S. PELLEGRINO IN PROVINCIA DI BERGAMO. Nota del socio Prof. T. Taramelli Alcuni giorni fa ebbi occasione di esaminare i dintorni di S. Pellegrino per tentare di comprendere in quali condizioni tectonicbe possa avvenire la mineralizzazione di quelle acque e sia determinata la loro uscita a giorno, sia alla nota loca- lità dello stabilimento [Bagni, 376 m.] sia alTaltra fonte, che tro- vasi a Nord del paese ed a distanza di circa un chilometro, presso S. Rocco, nel comune di Fuipiano al Brembo (360 m.). Dalle carte geologiche esistenti è segnato abbastanza esat- tamente che la fonte dei Bagni nasce al contatto degli scisti e calcari marnosi delTinfralias, che stanno a Sud, colla dolomia principale, la quale scorre da levante a ponente, formando le vette dirupate dei monti Somadello e Castelregina (m. 1580-1424) sul versante destro del fiume Brembo, ai piedi del quale versante sgorgano le fonti. La fonte dei Bagni esce dalla roccia, a circa 15 metri sull’alveo del fiume ed è largamente utilizzata, così per bagni come per bevanda; possiede una temperatura quasi co- stante di 27°. Invece le varie fonti che si aggruppano presso S. Rocco sono nell’alveo del fiume o poco sopra; escono al contatto della do- lomia con alcuni scisti dolomitici e bituminosi da essa compresi, alla distanza di pochi metri dal contatto della dolomia stessa colle più antiche marne ed arenarie variegate, keuperiane, che si stendono più a Nord e formano la bella gola attraversata dal Brembo sotto S. Giovanili Bianco. Se il contatto della dolomia cogli scisti dell’infralias può ritenersi alquanto regolare, salvo 438 D. TARAMELI-.! quegli accidentali sconcerti che non sono stati fino ad ora ri- levati, il contatto della dolomia colle marne keuperiane deve avvenire certamente secondo un piano di frattura, probabilmente inclinato a Nord ; poiché di solito queste arenarie e marne sot- tostanno ai calcari marnosi fossiliferi del piano raibliano, i quali colà non si avvertono ma si sviluppano, come è noto, nei dintorni di S. Giovanni Bianco, di S. Gallo e di Dossena. Questo piano di frattura verrebbe a coordinarsi con quel sistema di faglie, che i recenti studii dell’ingegnere Porro hanno dimostrato esistere nell’alto bacino del Brembo, con scorrimento verso Sud e verso l’alto nelle masse infrante. Prescindendo ora dalla questione, se la spinta che ha determinato cotali faglie provenisse da Nord piuttosto che da Sud, fermiamoci al fatto che non soltanto questa supposta frattura deve ammettersi inclinata a Nord, argomento di valore del tutto ipotetico, ma che tutta la massa della do- lomia sottostante all’infralias, mentre presenta la stratificazione, in genere poco evidente, inclinata a Sud o verticale, è poi in- franta da piani di frattura, diremo quasi di laminazione, incli- nati di circa 45° costantemente a Nord. Sono anzi questi piani di frattura, che, meglio della stratificazione, determinano coi particolari orografici la fìsonomia ed il profilo di quegli artistici dirupi. La quale prevalenza nella funzione orogenetica delle frat- ture sulla stratificazione, mi è occorso altresì di vedere in più siti nei dintorni di Lugano, a non grande distanza del contatto del mezozoico colla massa delle rocce azoiche gneissiche e sci- stose formanti il nucleo delle montagne di quella regione. È molto probabile che gli strati raibliani, sottostanti diretta- mente alla dolomia principale a profondità ignota ma certamente di qualche centinaio di metri, contengano dei depositi di gesso, quali si avvertono nei dintorni a Nord di S. Giovanni Bianco, in Vaitorta e nei dintorni di Dossena e Oltreilcolle ; ed è del pari probabile che, se questi gessi esistono, la loro presenza abbia qualche effetto nel causare la composizione chimica del- l’acqua termale, di cui le sostanze mineralizzanti, oltre al car- bonato di calcio, sono cloruri di sodio e di magnesio, ioduro di sodio e solfati di sodio e di magnesio. Ma questa ricerca è da rimandarsi a quel tempo, in cui sarà conosciuta esattamente la composizione delle rocce di quelle loca- FONTI DI S. PELLEGRINO - BERGAMO 439 lità, compresi gli scisti dolomitici bituminosi che affiorano presso le fonti di S. Rocco ; i quali mi paiono equivalere a quegli altri più potenti e ricchi di impronte di pesci, che si trovano sul Bre- sciano presso Luinezzane e Tusculano. Al presente, possiamo li- mitarci a considerare questa massa potente di dolomia principale, dello spessore di almeno un chilometro, infranta dalle accen- nate fratture ed avente una inclinazione di solito molto risentita, la quale è compresa tra due formazioni del tutto impermeabili: cioè, dagli scisti infraliasici a Sud e dalle marne variegate a Nord; mentre poi, a profondità, essa riposa sulle rocce del pari impermeabili del raibliano. In questa massa di dolomia, che possiamo ritenere permea- bile fino a grande profondità, così per la fratturazione subita, come pei giunti tra gli strati, possiamo supporre che le acque sotterranee, approfonditesi sino presso al contatto colla forma- zione impermeabile raibliana, trovata una temperatura elevata, quivi si provvedano di alcuni dei loro componenti ; poi che riscaldate rimontino per altre fratture e trovino la loro uscita precisamente in contatto o quasi colle due formazioni impermea- bili, dalle quali la massa dolomitica è lateralmente compresa, verso Nord colle fonti di S. Rocco e verso Sud colla fonte di S. Pellegrino. Oppure, si può ritenere che le acque si riscaldino e si mineralizzino più a ponente, sotto la massa delle accennate montagne, ad una altitudine forse anche superiore a quella del- l’alveo del Brembo o non molto più bassa; e che quindi le ter- mali delle nostre due località provengano dal lato occidentale. In fatto però esse non mostrano di possedere alcuna pressione e non è quindi molto probabile che provengano, almeno diret- tamente, da punti sensibilmente più alti del thalweg. Sono acque profonde, perciò mineralizzate e calde. È da notarsi che le acque di S. Rocco sono alquanto più di- luite di quelle di S. Pellegrino, però aventi composizione chi- mica analoga e posseggono la temperatura meno elevata e quasi costante di 22°. Oltre a questa circolazione profonda, di acque mineralizzate e riscaldate, devesi anche considerare queiraltra circolazione sot- terranea, che, senza giungere a profondità ragguardevoli, nutre le fonti ordinarie, che si trovano abbastanza numerose in quei I 440 T. TARAMELL1 03 *H M Sn Ph .2 o ’cS ffl g M * s .2 •- ^ D fi W s s s ^ N a a o o 3 Q <3 ^ Q FONTI DI S. PELLEGRINO - BERGAMO 441 dintorni, non soltanto presso al contatto della dolomia colle ac- cennate formazioni impermeabili, ma nella massa stessa della dolomia, dove questa è incisa dal solco più profondo, che è la valle Bertesca. Questa valletta scende dal Castelregina e sbocca nel Brernbo a Nord di S. Pellegrino. Quivi esiste quella grossa fonte detta « il Buglione » che venne recentemente usufruita a scopo industriale. L’esistenza di questa fonte è una nuova con- ferma all’idea, che io già espressi in altri scritti, secondo la quale la sorgenza delle acque nelle rocce calcari può avvenire esclusivamente pel fatto che esse sieno profondamente incise da un solco vallivo, senza che la si possa attribuire, nemmeno in- direttamente, al contatto di rocce meno permeabili del calcare. E se bene si considera V origine delle due fonti minerali, delle quali la posizione è strettamente collegata coi due accennati contatti, essendo una nell’alveo del Brernbo e l’altra di poco ad esso superiore, si comprende che anche per le due fonti ter- mali l’incisione della valle ebbe un’influenza notevole e decisiva. Il quale fatto mi sembra che si ripeta nella maggior parte delle fonti minerali, tutte determinate da un complesso di fenomeni stratigrafici ed orogenetici, che si devono volta per volta minu- tamente considerare ancora piima di assurgere alla spiegazione del come possa avvenire la mineralizzazione di esse fonti. Devesi anche considerare che la localizzazione di tutte queste sorgenti, così di acque ordinarie come di termali e minerali, è un fatto relativamente recente. Nel caso nostro, ad esempio, in periodo diluviale il Brernbo scorreva sicuramente alquanto più ad Ovest dell’attuale suo decorso, presso a poco nel senso della strada mulattiera, che va da S. Pellegrino a Torre, Piazza Cava, Ca’ Brasate, Corna, Fuipiano, ad un livello di circa 120 m. su- periore all’alveo postglaciale. Questo antico decorso non è sol- tanto evidentemente dimostrato dalla conformazione orografica, ma viene comprovato dall’esistenza in più siti di quel conglo- merato diluviale, precedente per lo meno all’ultima invasione glaciale, che trovasi molto sviluppato in molti altri siti della Val Brembana, in particolare nei dintorni di Piazza, Came- rata, Piazza d’Alto, Zogno, Poscante e Sedrina. La localizzazione quindi delle fonti in discorso è un fenomeno sicuramente post- glaciale. 442 T. TARAMELI,! Ho accennato di volo a questo importante dettaglio della stratigrafia e della idrografia sotterranea nelle prealpi bergama- sche per avere occasione di invocare un prossimo rilievo detta- gliato di quella assai interessante regione, per la quale posse- diamo bensì molti particolari tectonici ed una serie abbastanza sicura di formazioni, senza però essere ancora pervenuti ad un concetto stratigrafico sintetico, che possa in qualche modo coor- dinarsi colle idee, che si vanno maturando sulla orogenia al- pina, Raccomando in particolare questo desiderato ai miei col- leglli giovani. Viggiù, settembre 1900. 1 VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA. Memoria del socio Luigi Seguenza fu G. PARTE PRIMA. PESCI. Con due tavole doppie (V e TI). Studiando da tempo la paleontologia dei numerosi strati geo- logici della Provincia di Messina tanto sulle collezioni del Museo geologico della R. Università di Messina e sulle numerose rac- colte private del mio compianto Padre, Prof. G. Seguenza, quanto sul molteplice materiale da me stesso raccolto e comunicatomi o donatomi da varii amici, mi sono accorto che molto resta a dire su molti fossili nuovi o poco conosciuti. E sopratutto ho dovuto notare la mancanza assoluta di uno studio speciale sui Vertebrati fossili che si presentano in buon numero in alcuni strati geologici della nostra regione. E bensì vero che nelle numerose opere riguardanti la geologia e paleontologia messinese si trova menzione di Ver- tebrati fossili sia appartenenti a specie note, sia a specie nuove; pure di esse mai se ne fece una diagnostica descrizione che valga a convalidarne la determinazione. Tra i Vertebrati fossili nostrali occupano il primo posto i Pesci che io mi propongo a tema di questa prima parte della mia monografia. Molte citazioni intorno ad essi furono fatte da G. Seguenza, però non avendoli egli studiati minuziosamente in una speciale monografia ma cennandoli solo in lavori d’indole stratigrafica, 32 444 L. SEGUENZA FU G. ne viene di conseguenza che io ho dovuto modificare varie deter- minazioni ; ed a ciò anche concorrono le moderne vedute paleo- ittiologiche che hanno variamente cambiato l’antica classifica- zione e nomenclatura riunendo numerose specie credute distinte. Lo scopo dunque di questa memoria è la revisione delle specie menzionate dai varii autori, l’illustrazione delle specie scono- sciute come appartenenti alle rocce della nostra regione, ed infine la determinazione di quelle che, a mio credere, non trovano raffronto con le congeneri conosciute. Divido lo studio dei Pesci in due parti. Nella prima tratto della distribuzione stratigrafica delle specie cennando tutto ciò che intorno ad esse hanno detto i varii autori. E siccome le opinioni avanzate circa alla età di alcuni fra i resti di pesci fossili della nostra provincia, sono variamente controverse, così sono stato obbligato a far precedere alle descrizioni delle specie uno studio critico intorno alla loro giacitura. Nella seconda parte descriverò ciascuna specie sia sopra i tipi cennati da G. Seguenza e che ho potuto trovare nelle collezioni colle indicazioni auto- grafe dello stesso, sia sul numeroso materiale da me raccolto e determinato. Tutti i resti descritti si conservano in questo Museo geologico meno le figure 6 e 14 della tavola Va che appartengono al Museo geologico di Pavia. Mi corre qui l’obbligo di rendere pubblici i miei ringrazia- menti ai Sigg. G. La Valle, T. Taramelli, C. F. Parona, F. Bassani, L. Facciola i quali, con infinita cortesia hanno messo a mia disposizione libri e materiali di confronto. Istituto di Geologia e Mineralogia della lì. Università di Messina. Giugno 1900. PESCI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 445 ELENCO DELLE PUBBLICAZIONI CITATE IN QUESTA MONOGRAFIA 1. Agassjz L. — Eecherch.es sur les poissons fossiles. Neu- chatel 1833-43. 2. Baldacci L. — Descrizione geologica dell’ Isola di Sicilia. Memorie descrittive detta Carta geotogica d’Italia, voi. I, Roma 1886. 3. Bassani Fr. — Ittiodontoliti del Veneto. Atti della Soc. Ven -treni, di Se. Nat., voi. V, Padova 1877. 4. Bassani Fr. — Nuovi squalidi fossili. Atti della Soc. Toscana di Se. Nat., voi. Ili, Pisa 1877. 5. Bassani Fr. — Ricerche sui pesci fossili del miocene di Gahard (Ile-et-Vilaine) in Francia. Atti della Soc. Ven.-trent. di Se. Nat., voi. VI, Padova 1879. 6. Bassani Fr. — Su due giacimenti ittiolitici dei dintorni di Crespano. Boll. n° 4 della Soc. Ven.-trent. di Se. Nat., Pa- dova 1880. 7. Bassani Fr. — Note paleontologiche. Atti della Soc. Ven.-trent. di Se. Nat., voi. VII, Padova 1880. 8. Bassani Fr. — Appunti su alcuni pesci fossili d’Austria e del Wiirtemberg. Atti della Soc. Ven.-trent. di Se. Nat., voi. VII, Padova 1880. 9. Bassani Fr. — Intorno ad un giacimento ittiolitico del Monte Mascal. Atti della Soc. Ven.-trent. di Se. Nat., voi. IX, fase. I, Padova 1883. 10. Bassani Fr. — Contributo alla paleontologia della Sar- degna. Ittioliti miocenici. 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Sequenza G. — Gli strati con Posiclonomia alpina Gras nella serie giurassica di Taormina. Boll, della Soc. geol. ital ., voi. V, Eoma 1887. 126. Seguenza G. — Intorno al Giurassico medio (Dogger) presso Taormina. Nota I, II, III. Rend. della R. Acc. dei Lincei, Cl. Se. fis. mat., voi. Ili, fase. 9°, Eoma 1887. 126 bis. Sequenza L. — Schizzo geologico del Promontorio di Castellimelo presso Taormina. Messina 1900. 127. Scarabelli-Gommi-Flamini G. — Descrizione della carta geologica del versante settentrionale dell’Appennino tra il Mon- tone e la Foglia (in: Monografia statistica, economica, ammini- strativa della provincia di Forlì). Forlì 1880. 128. Schauroth (von) C. — Verzeichniss der Versteinerun- gen im herzogl. naturaliencabinet zu Coburg (N. 1-4328). Co- burg 1865. 129. Scilla A. — La vana speculazione disingannata dal senso. Lettera. Napoli 1670. (con varie ediz. latine dal titolo: Be Corporibus marinis lapidescentibus ecc. Bomae. 130. 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Paris -Munieh 1893. DISTRIBUZIONE STRATIGRAFICA DELLE SPECIE Carbonifero ! Il Prof. G. G. Gemmellaro (48, p. 285) nello illustrare i pesci fossili di Sicilia, descrive un Amblypterus macropterus Bron. sp. proveniente da una valle dei dintorni di Limina, riportato da G. Se- guenza (115 bis, p. 17) (non Amblycopterus macrocephalus come riportò il Baldacci (2, p. 38) e il Cocco (16, p. 6) da rpiesti riprodusse). Il C. Gemmellaro (47, p. 238) aveva già fatto menzione di impronte di piante del Carbonifero ( Calamites e Nevropteris) rinvenute nella stessa contrada. Tali scoperte affermano con molta probabilità la presenza del Carbonifero in quella regione, essendo tali fossili di esso caratteristici. Però essendo essi stati raccolti erratici riesce impos- sibile di stabilirne l’esatta ubicazione. È probabile che un assai sottile lembo di tale periodo affio- rasse nei dintorni di Limina e che fosse stato poi denudato dagli 45G L. SEGUENZA FU G. agenti atmosferici; se non deve anche accettarsi l’opinione di G. Seguenza (115 bis, p. 15 e seg.) che riferisce a tale periodo la parte superiore della Fillade, sebbene il Bacca, nella Guida di Di Stefano e Cortese (34, p. 11 e 12), la creda con molta probabilità appartenente all’Arcaico e somigliante agli schisti sericitici di Taunus in Germania ritenuti per arcaici. Lias. Sciarmuziano. — A questo piano riferisco un calcare rosso teste scoperto al di sotto dei calcari grigi della stessa età nel promontorio di Castelluccio (Taormina) dal lato orientale che sporge sul mare e da me altrove cennato (126 bis, p. 6). Qui mi basterà ricordare, per l’accertamento dell’età di questi calcari, che la fauna in essi contenuta è, oltreché formata da numerosi Crinoidi indeterminabili, costituita di varii Brachio- podi delle specie identificate nel lias medio di Rocche Rosse presso Galati, di M. Ziretto e Cave di marmo presso Taormina, di M. San Giuliano presso Trapani e di molte altre località. Insieme alla detta fauna si rinvengono in buon numero pic- coli denti di Elasmobranchi che riferisco alle specie seguenti : Hgbodus Lavallci n. sp. Sphenodus robustidens n. sp. Do gger . Batoniano. — Il G. Seguenza (123, p. 191) fa cenno di uno Sphenodus aff. longidens Ag. raccolto nel calcare con Sphacrocems Broìignartii Sow. sp. del Capo S. Andrea [ Bajociano G. Seg.]. Della stessa località e della roccia medesima, l’autore predetto (124, p. 4), fa menzione di uno Sphenodus cfr. alpinus De Greg., e degli strati a Posidonomia alpina Gras., d’una nuova specie di pesce che chiama Otodus Vesulliensis (124, p. 6). Queste due specie vengono nuovamente citate dallo stesso autore nell’ultima sua nota sul giurassico di Taormina (126, p. 470 e 474). PESCI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 457 G. Di Stefano (33, p. 171) cita come rinvenuti nei calcari a Posidonomia elei Dogger di Capo S. Andrea: Sphenodus lon- gidens Ag. e Sphenodus sp. (riportati nel lavoro fatto dallo stesso in collaborazione con E. Cortese) (34:, p. 35). Nello stesso lavoro però è discorde daH’opinione di G. Seguenza che riferiva i cal- cari a Brachi apodi e Pos. alpina Gras. al Batoniano, e gli strati a Sphaer. Brongnartii Sow. sp. al Bajociano. Egli crede che tanto gli uni che gli altri appartengano al Batoniano per aver rinvenuto la Posidonomia e varii Brachiopodi tipici di questo piano in entrambi gli strati. Tale opinione è condivisa dal Lapparent (67, 1900, p. 1138) cd è perciò che credo di dover ritenere coetanee le faune dei due lembi e quindi i pesci seguenti in essi rinvenuti. Sphenodus longidens Ag. » cfr. alpinus De Greg. sp. Lamina (Otodus) Vesulliensis G. Seguenza sp. Malm . Oxfordiauo. — Nella zona riferita a Peltoceras transversa- rius Quenst. sp. affiorante nel promontorio di Castelluccio, è men- zionato da G. Seguenza (122, p. 11; 123, p. 189) qualche raro dente di Sphenodus longidens (?) Ag. Kimeridgiano. — Nella parte più elevata del promontorio di Castelluccio, e poggiante in discordanza sopra i calcari grigi del Lias medio, si osserva un calcare rosso bruno con noduli e straterelli di limonite e grosse Ammoniti che ricordano la facies della zona ad Aspidoceras acanthicum Opp. sp. della regione orientale di Sicilia tanto degnamente illustrata dal Prof. G. Gem- mellaro (50). G. Seguenza (122, p. 11; 123, p. 189) nel far nota tale sco- perta, ed i Sigg. Di Stefano e Cortese (34, p. 38) nel riportarla fanno menzione di denti di pesci appartenenti alle specie se- guenti : Sphenodus longidens (?) Ag. Sphenodus sp. 458 L. SEGUENZA FU G La specie indeterminata di Sphenodus si rinviene piuttosto abbondante nell’affioramento predetto ed è a mio credere da rap- portarsi a specie nuova che chiamo (126 bis, p. 11): Sphenodus rectidens n. sp. Inoltre nel numeroso materiale raccolto nella località pre- detta ho potuto identificare qualche dente di: Astcracantlms ornatissimus Ag. Sphenodus longidens A g. Titonico. — G. Seguenza nei suoi ultimi lavori (124, p. 8; 125, p. 7 ; 126, p. 388) cita una lunga lista di denti di pesci fossili, raccolti parte negli scliisti varicolori, parte nelle concre- zioni liinonitielie, e parte negli schisti e calcari marnosi con Aptychus rinvenuti nel promontorio di S. Andrea (Taormina), ri- feriti tutti al Titonico. È però da credere che solo le specie rinvenute negli strati con Ap ficus debbano riferirsi a questo piano, essendoché la fauna degli schisti varicolori alternanti a concrezioni limoniticlie, so- prastanti allo strato precedente, deve rapportarsi aH’Eocene come dimostreremo a suo luogo. Le specie titoniche sarebbero dunque le seguenti: Sphenodus longidens Ag. » tithonius Geni. » Vìrgai Gem. raccolte nel territorio di Taormina dal G. Seguenza e riportate in parte dal Di Stefano e Cortese (34, p. 38 ; 34, p. 37) e da me (126 bis, p. 13). lo ho avuto agio di vedere i tipi cennati dal G. Seguenza oltre ad alcuni che io stesso ho potuto raccogliere a Castelluccio, fra cui un Gyrodus sp. PESCI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 459 Cretacico. Cenomaniano. — G. Sequenza nel suo lavoro sulla forma- zione cretacica di Sicilia e Calabria (120, p. 42), fa nota la scoperta di qualche raro dente di : Corax falcatus A g. Odontaspis gracilis Ag. raccolti nei calcari marnosi del Cenomaniano di S. Paolo presso Barcellona (Sicilia). Mi è stato impossibile osservare queste due specie non aven- dole potuto rinvenire nelle raccolte, e quindi non posso illu- strarli nella parte paleontologica di questo lavoro. È però fuor di dubbio l’esatta ubicazione stratigrafica data loro dall’autore predetto. Cretacico superiore. — Al promontorio di Castelluccio e precisamente in contrada S. Nicola, ove il promontorio forma un piccolo porto naturale, al di sopra dei calcari rossi con qualche raro esemplare di Terebratula janitor Pict. del titonio, s’incontra una sottile lista di calcari bruno-violetti picchiettati di giallo, nei quali furono raccolti tre denti di Ptychodus e qualcuno di Lemma che io ho potuto riferire alle specie seguenti (126 bis, p. 14): Ptychodus latissimus Ag. » decurrens Ag. Lavina obliqua Ag. sp. Le prime due specie sono tipiche del Cretacico superiore, la terza sebbene si rinvenga nella parte inferiore del terziario, pure non rare volte è stata incontrata negli ultimi piani del Cretacico. Tali dati paleontologici insieme a quelli stratigrafici, sebbene assai scarsi tanto gli uni che gli altri, mi fanno credere che tale lembo debba riferirsi al Cretacico superiore, la quale de- terminazione potrà essere maggiormente convalidata se le ri- cerche, che ho in mente di fare nella località predetta, mi frut- teranno un più largo contingente di osservazioni e deduzioni. 33 460 L. SEQUENZA FU G. Eocene. Eocene superiore. — Rapporto a questo periodo gli subisti marnosi variamente colorati ed alternanti con concrezioni limo- niticlie che in piccoli stenterelli s’intercalano ai primi. Tali stratificazioni affiorano in piccoli lembi ad Ovest ed a Nòrd della chiesuola del Capo S. Andrea ed alla portella dei Carrubbi dello stesso promontorio ; in contrada S. Nicola, Pozzo Mazzarru e sotto la casa colonica del Promontorio di Castel- luccio ; in fondo al Vallone di Malica ; tutte le località predette appartengono al territorio di Taormina. In tutti questi affioramenti si raccoglie buon numero di denti fossili di pesci che sono gli unici rappresentanti della fauna. G. Seguenza (124, p. 8), descrivendo la geologia del Capo S. An- drea, riferì tali subisti insieme a parte di quelli del 'Pitonico, al Calloviano e diede la seguente nota di specie credute nuove : Carcliarodon jurcnsis Gl. Seg. Sphenodus sulcidens G. Seg. » sp. e più avanti nella stessa nota: Oxyrhina antegenita G. Seg. Lavina isomorplia G. Seg. » omcomorplta G. Seg. Sphenodus longidens Agass. ('). » sulcidens G. Seg. » ceratidens G. Seg. Inoltre, nella nota in fondo alla pagina 8 del lavoro citato, diede notizia della scoperta di due denti di Carcliarodon affine al Car eh. jurcnsis e tre vertebre clic appartennero probabilmente alla medesima specie. (') Questa specie proviene certamente dagli strati più bassi ed è quindi titonica veramente. PESCI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 461 In seguito lo stesso autore (126, p. 388) ripete la prece- dente determinazione stratigrafica e la lista dei fossili, aggiun- gendo alle specie predette le seguenti : Sphenodus brevis G. Seg. » jurensis G. Seg. Lamna rectidens G. Seg. Notidanus insignis G. Seg. Oxyrhina obtusidens G. Seg. Da ultimo il medesimo autore (126, p. 405) riferisce al Tito- nico gli strati precedentemente creduti calloviani. G. Di Stefano (33, p. 219) facendo lo studio geologico del Capo S. Andrea, accenna di passaggio agli schisti marnosi con denti di pesci che riferisce all’ Eocene e le concrezioni limo- nitiche che crede sovrapposte ai primi e riferibili al Quater- nario. Io ho avuto la fortuna di trovare in massima parte i tipi fossili che servirono al G. Seguenza per stabilire le nuove specie citate e con essi le indicazioni autografe dello stesso autore; oltre a ciò, dopo accurate ricerche, mi fu dato di trovare nelle dette località altro materiale interessante. Studiati con minuziosa cura tutti i fossili di cui dispongo, mi sono accorto che tutte le specie ritenute nuove possono con sicurezza riferirsi alle ben note specie seguenti per come ho altrove cennato (126 bis, p. 15) : Notidanus primigenius Ag. [zi z Notidanus insignis G. Seg.]. Oxyrldna Desorii A g.[~Ox. antegenita; Lam. isomorpha, omeomorpha, rectidens G. Seg.]. Odontaspis elegans Ag. [—Sphenodus sulcidens G. Seg.]. » Hopei Ag. sp. [— Sph. ceratidens, brevis, jurensis G. Seg.]. Lamna obliqua Ag. sp. Oarcliarodon auriculatus Ag. [—Car. jurensis G. Seg.]. Dando uno sguardo allo specchietto seguente, dal quale si rileva la cronologica distribuzione stratigrafica delle specie rin- 462 Ij. seguenza fu g. venute nelle varie località di Taormina, riesce agevole dedurne la esatta età geologica: SPECIE Il MIOCENE I OLIGOCENE EOCENE SUP. MED. INF. Notidanus primigenius . . + -t- -h Oxyrliina Desor ii . . . H- H- H- H- • • Odontaspis Hopei . . . -h + -t- » elegans . . . H- -t- “+• Lamna obliqua .... H— -I- -b Carcharodon auriculatus . -+- -1- H- • • 3 4 6 5 3 Da ciò risulta che le specie in parola s’ incontrano tutte in sieme neH’Eocene superiore e solo in parte nei piani precedenti o seguenti. Infatti se la presenza di Od. elegans e Hopei, specie esclu- sivamente eoceniche, tolgono ogni dubbio sulla eocenicità degli strati in esame, il Noi. primigenius, specie che secondo gli au- tori apparve solo nell’Eocene superiore, incontrato con fauna eocenica, ne conferma l’età come Eocene superiore. Accertato il piano a cui bisogna riferire i denti di pesci in discorso, è interessante far noto che essi furono raccolti promi- scuamente, sia negli schisti, sia nelle concrezioni limonitiche; d’altro canto queste ultime non sono sovrapposte ai primi ma con essi interstratificate ed alternate, come io stesso ho potuto costatare vicino alla chiesa del Capo S. Andrea e sotto la casa colonica del capo Castelluccio. Questi due fatti mi fanno credere quasi con certezza che tanto gli schisti marnosi varicolori, quanto le concrezioni limonitiche che affiorano in varii punti del territorio di Taormina e che con- tengono una interessante serie di ittiodontoliti, debbano riferirsi all’Eocene superiore. PESCI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 463 Miocene. Elveziano. — G. Seguenza (116, p. 14) per il primo men- ziona la presenza di un’arenaria calcarifera che fa passaggio a conglomerato ed a calcare compatto che in certi punti risulta dall’ammasso di numerose alghe calcarifere (Lythotamnhm) e che riferisce al Miocene inferiore. Tali arenarie sono raramente fossilifere ed affiorano in varii punti della provincia di Messina come Oliva, Bada, Rodi, Novara (Sic.), Basico, S. Piero, Tripi. Nelle cave di Patti (cava dei Monaci) e di Nizza Sicilia (cava Interdonato) s’ incontrano sovente denti di pesci fossili di cui il G. Seguenza (116, p. 15) dà la seguente nota: Carcharodon megalodon A g. » turgidus A g. » productus Ag. Oxgrhina leptodon Sism. Lamna crassidens Ag. » cuspidata Ag. Sphoerodus intermedius Gemm. che rinvenne insieme a Cidaris avenionensis Des Moni, ed altri fossili. Il Cortese (18, p. 79 e seg.) studiando la nostra provincia, crede che tali strati debbano riferirsi all’Elveziano. Io credo in vero che l’opinione di quest’ultimo sia da accet- tare essendo ritenuta, secondo il Lapparent (67, 1883, p. 1054; 1885, p. 1206), la Cidaris avenionensis tipica della zona media dell’Elveziano d’ Italia. Studiando i tipi trovati e menzionati dal G. Seguenza credo doverne modificare in parte la determinazione nel modo seguente : Oxyrliina hastalis Ag. ( ~ Lamna crassidens, Oxgrhina lep- todon [G. Seg.]). Odontaspis cuspidata Ag. sp. (— Lamna cuspidata [G. Seg.]). Carcharodon megalodon Ag. ( ~ Car. megalodon, turgidus, productus [G. Seg-.]). Chrgsophrys cincta Ag. sp. (— Sphoerodus intermedius [G. Se- guenza]). 464 L. SEQUENZA FU G. A queste specie ho potuto aggiungerne delle altre raccolte in seguito e da me determinate come appresso: Odontaspis molassica Probst. Diodon italicus De Aless. Labrodon Haueri v. Miinst. sp. » midtidens v. Miinst. sp. Sargus incisivus Gervais. Tortoniano. — Vicinissimo della città di Messina, in con- trada Gravitelli e Scoppo affiorano va rii lembi di argille mar- nose turchine; parte di esse sono marine con ricca e numerosa fauna, fra cui Ancillaria obsoleta Brocc. e moltissime specie del genere Pleurotoma, il resto appartiene a formazione lacustre con ligniti e Sus choeroides Pomel. Tali strati furono scoperti da G. Seguenza (113, p. 9) che torna a menzionarli in varii suoi lavori (114, p. 5; 115, p. 47; 116, p. 18; 118, p. 28; 121, p. 10). Nelle argille marine il predetto autore trovò le specie se- guenti : Oxyrìdna hastaìis Ag. Lamna crassidens Ag. Otodus sulcatus Ag. Carcharodon megaìodon Ag. Queste determinazioni vennero in seguito riportate dal dottor L. Cocco (16, p. 20; 17, p. 14 e 15). Ho avuto sottocchio i tipi cennati dal G. Seguenza come L. crassidens e Otodus sulcatus e credo poterli entrambi rife- rire ad Oxyrìdna Spallanzani Bon. Quanto ad Ox. hastaìis non ho potuto trovare nelle collezioni l’esemplare menzionato dal Seguenza, però ho io stesso raccolto negli strati tortoniani qualche dente che può riferirsi a tale specie e che giustifica la determinazione del predetto autore. Non ho potuto nemmeno vedere il tipo che servì a dare la denominazione di Carcharodon megaìodon ; invece ho potuto con sicurezza determinare come Carcharodon lìondeletii Milli, et Hen. PESCI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 465 qualche raro dente di S. Piero (Monforte) ed è quindi probabile che ad esso si riferisca la determinazione del G. Sequenza. Alle predette specie va aggiunta Odontaspis cuspidata Ag., che in rarissimi esemplari ho potuto raccogliere a Rometta. Cosicché le specie del Tortoniano messinese si possono cosi enumerare : Oxyrhina Spallanzani Bon. » hastaìis Ag. Odontaspis cuspidata Ag. Carcliarodon Rondeletii Muli, et Hen. Pliocene. Gli strati in cui si raccolgono numerosi denti di pesci, nella provincia di Messina, sono quelli riferiti al Pliocene, tanto carat- teristico nella nostra regione. Nei calcari e nelle sabbie a Brachiopodi e Polipai delle lo- calità Stirpi, Scoppo, Trapani, Tremonti, S. Filippo, Rometta, Mi- lazzo, Barcellona, Gravitelli e varie altre, si sono raccolti in tutti i tempi denti di squali. Infatti, sin da epoca lontana, allorché Agostino Scilla, messi- nese, con la sua opera tanto nota (179, p. 133, t. XIV), cercò di- mostrare, quasi per primo, che le petrificazioni delle patrie col- line sono resti di animali marini, vissuti in epoca remota, e non prodotti capricciosi della pietra, come allora erroneamente si credeva, citò la presenza di denti di squali nelle nostre col- line da lui stesso raccolti. G. Seguenza, nello studiare la stratigrafia della nostra re- gione, cenna in quasi tutti i suoi lavori riguardanti i terreni terziari di Messina (113, p. 16, 22; 114, p. 6; 115, p. 475; 116, p. 20; 117, p. 15, 16; 118, p. 20, 21, 23) una lista di specie che a volta modificò ed aumentò, dando in tutto i se- guenti nomi : Carcliarodon productus Ag. » megalodon Ag. 466 L. SEQUENZA FU G. Cardi arod on Rondeletii Muli, et Hen. Lamna crassidcns Ag. Oxyrhina Desorii Ag. » isocelica Sism. Odontajsjms dulia Ag. sp. » contortidcns Ag. Sphoerodus cinctus Ag. » deprcssus Ag. È qui da osservare che il G. Seguenza riteneva siuo al 1862 (113, 114) come mioceniche le sabbie ed i calcari con la pre- detta fauna di pesci, in seguito però (115) modificò la deter- minazione stratigrafica nel suo giusto senso. Studiando accuratamente le specie menzionate dall’ autore, sui tipi lasciati dallo stesso con le indicazioni autografe, son venuto a deduzioni assai diverse da q nelle sinora ritenute per giuste. Infatti credo che invece di poter riferire i denti di pesci fossili del pliocene messinese a specie estinte, come si era fatto sinora, si debbano rapportare in massima parte a specie viventi nel Mediterraneo. E. Lawley (72) riconobbe la somiglianza dei denti fossili di pesci di varie regioni d’Italia con quelli dei viventi nel Medi- terraneo, ma ha creduto bene di instituire nuove specie per di- stinguere i fossili dai viventi. Tale criterio, a mio credere, an- ziché far luce agli studi paleontologici, li rende più intricati aumentando il numero già enorme dei sinonimi, oltreché non è ammissibile per la priorità di nomenclatura, che è generalmente rispettata, per gli esemplari fossili delle specie viventi e vice- versa. Io riferisco quindi alle specie seguenti i vari denti fossili menzionati con vari nomi dal G. Seguenza: Oxyrhina Spallanzani Bon. { — Lam. crassidens; Ox. isoce- lica, Desorii [G. Seg.]). Odontaspis contortidcns Ag. sp. [G. Seg.]. fcrox Ag. { — Od. dulia [G. Seg.]). » PESCI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 467 Carcharodon Bondeletii Muli, et Hen. ( — Car. megalodon, jproductus, Bondeletii, sulcidens [G. Seg.]). Sargus? { — Sphoe . cinctus, dejpressus [G. Seg.]). Alle specie predette vanno aggiunte le seguenti die ho potuto identificare nel numeroso materiale da me studiato: Notidanus griseus Ralìn. Oxyrhina hastalìs Agassiz. Prionodon glaucus Mailer et Henle. Scymnus lichia Cuvier. Squatina angelus Dum. Come riepilogo di quanto ho detto sin qui e come indice della parte paleontologica, presento un quadro nel quale sono riunite le specie a cui mi è sembrato più contamente di riferire i resti di pesci fossili sinora raccolti nella provincia di Messina per i caratteri che essi presentano e che descriverò a suo luogo. Ad ogni specie va accompagnata Tindicazione del piano geo- logico al quale deve essere riferita, se ben mi appongo, con la prima parte di questa monografia. PESCI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA. 468 L. SEGUENZ FU G. i;u0Aia 'Biotti} aioads auaoojtj (omjiuo^iox) uaclns auaooij\[ (on'BizaA^a;) oipam auaoojj\[ uadns aaaoo^ ’dns ooiot^ajQ ommui tuona q OOTUO^IX ouyrSpyjaniiAj ou'cipaojxo on^iuo^Bg; oipaui sufj; ; OJajiuoqjRQ o w « a + + JZ o ctf 0) co < C5 <3 a < Ph I + + + I a « o a o co 5 s « <4 O ◄ CO Q « $ PESCI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 469 1 + + + + + + f + + + + + + ! < a e •«* CO o <1 ai < CÌ5 <1 « O 4 a SJ Z 0 P rK H m < C5 <1 e & e s § e H 0 0 > g < PQ CO < et o <3 < C5 -si co s e 0 Pfi 0 0 P S e p o Cd g P o z ss o cd PQ & ■o § 0 4-> cd Q tó ^ v CO « 0 o c ai s o 0 < co m ■72 Z ctì 0 0 P O o Q 0 h 0 «i sa O 0 Q r53 O cd « oc P cd -s NJ *r- CCrt O fe( tQ &2 Cb « •-- r© e «! e <1 e < > cd 0 o o 1*2 470 L. SEQUENZA FU G. DESCRIZIONE DELLE SPECIE Prima di passare alla descrizione particolareggiata di cia- scuna specie, bisogna dire qualche parola in generale sui resti fossili di pesci sin ora raccolti nella provincia di Messina. Giammai si sono incontrati scheletri intieri di pesci; sola- mente nelle marne argillose turchine del Miocene superiore (Tor- toniano) si rinvengono assai di raro delle impronte mal conser- vate ed irriconoscibili; nelle stesse marne sono frequenti: ossa, spine, vertebre e squame variamente mutilate ed insufficienti per la specifica determinazione. Resti assai abbondanti delle sabbie plioceniche del Messi- nese, sono le Otoliti di pesci che in certe località (Rometta, Sa- lice, ecc.) si raccolgono in numero enorme. Io ne possiedo pa- recchie migliaia. Il G. Seguenza (119) aveva incominciato uno studio comparativo fra le specie fossili e le viventi, ed era giunto a riconoscere che fra le cinquanta specie fossili della Calabria ulteriore, il maggior numero può riferirsi agli Sparoidi. Io ho continuato sin oggi questo lavoro per le Otoliti fossili del Messinese le quali, sebbene più numerose, si riferiscono quasi intieramente alle specie Calabresi; però non sono ancora in grado di dare una esatta conclusione del loro studio, avendo ancora bisogno del tempo per ammassare maggior materiale di con- fronto. I soli resti che si prestano ad una giusta e quasi sicura de- terminazione, sono infine i denti che s’ incontrano in quasi tutti i piani geologici del territorio di Messina,. Ed è per ciò che io mi sono esclusivamente riservato, in questo lavoro, lo studio di essi come quelli che essendo ben determinabili possono dare un contingente importante di deduzioni. Infatti: per la esatta determinazione dei denti di pesci che provengono dai promontorii di S. Andrea e Castelluccio presso Taormina, ho potuto riferire all’Eocene gli strati che li racchiu- dono, l’età dei quali era sin ora controversa. Dalla compara- zione fatta fra i denti raccolti in buon numero nel Pliocene mes- PESCI POSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 471 sinese, variamente determinati dagli autori, e i denti delle specie sovente pescate nello Stretto di Messina, ho potuto dimostrare come i fossili pliocenici, anziché alle specie di Agassiz, come sin oggi si credeva, debbano riferirsi in gran parte alle specie viventi del Mediterraneo. Da ultimo un accurato studio sulle di- verse forme di denti a seconda della posizione che essi occupano sulle due mascelle, ha potuto farmi riunire in una sola specie i denti sin ora ritenuti come appartenenti a diverse specie. Le continue ricerche che faccio tuttodì intorno a questo Gruppo, potranno in appresso, colla scoperta di nuovo materiale, darmi maggior luce per ciò che riguarda le Otoliti ed i varii resti che pel momento sono obbligato a trascurare in questo lavoro. Notidanus primigenius Agassiz. (Tav. V, fig. 21). 1833-43 Notidanus primigenius Ao. 1, v. Ili, p. 218, t. 27, f. 6-8, 13-17. » » » recurvus Ag. 1, v. Ili, p. 220, t. 27, f. 9-12. 1875 » primigenius Lawl. 68, p. 20, t. I, f. 1-5. » » recurvus Lawl. 68, p. 24, t. II, f. 1, 1 a, 1 b. 1877 » primigenius Bass. 3, p. 19. 1885 » » Noetl. 87, v. VI, pt. Ili, p. 17, 1. 1, f. 4-5. 1886 » » Woodw. 144, p. 216, t. VI, f. 19-20. 1887 » insignis Seg. G. 126, p. 388. 1889 » primigenius Woodw. 147, p. 163. 1891 » » Bass. 10, p. 44. 1897 » » De Aless. 30, p. 30, t. I, f. 10, 10 a. 1899 » » Bass. 11, p. 25, t. II, f. 13-15. Riferisco alla specie di Agassiz il dente di Notidanus rinve- nuto al capo S. Andrea (Taormina) e chiamato dal Seguenza G. Notidanus insignis n. sp., nonché un frammento trovato in se- guito negli schisti del promontorio di Castelluccio (Taormina). Il campione di S. Andrea, ha la corona quasi intera, essa si compone di quattro dentelli principali di grandezza decre- scente progressivamente d’avanti in dietro; al lato anteriore del primo dentello si osserva una punta accessoria molto piccola. 1 1 primo cuspide ha i lati dritti, gli altri tre li hanno lievemente incurvati; tutti e quattro sono inclinati verso la gola ed hanno 472 L. SEGUENZA FU G. i margini taglienti e le due facce egualmente convesse (tav. V, fig. 21). L’esemplare di Castelluccio è rotto; di ciò che resta ho po- tuto assicurarmi che i primi due cuspidi e la punta accessoria rispondono esattamente ai caratteri dell’altro. Confrontando questi due denti con la figura 17 dell’Agassiz, ( Nb ti danus p rimigenius, 1, v. Ili, t. 27), sebbene più piccoli, li ho trovati assai somiglianti con questa, ed è per ciò che io credo non debbano esserne separati. Località: Promontorii di Castelluccio e S. Andrea (Taormina). Epoca: Eocene superiore (schisti). Notidanus [Hexanclras] griseus Rafinesque (*). 1810 Noticlanus [. Hexanchus ] griseus Raf.-Schm. 100, p. 14. Rapporto a questa specie, tuttora vivente nei nostri mari, alcuni rari frammenti di denti superiori ed inferiori raccolti nei calcari degli strati pliocenici dei dintorni di Messina. Il numero assai sparuto di tali resti ed il loro pessimo stato di conservazione, m’impediscono di farne uno studio completo, ciò non toglie però, a mio credere, la giustezza della determi- nazione. Località: Scoppo, S. Filippo inferiore. Epoca: Pliocene. Asteracanthus ornatissimus Agassiz. 1833-43 Asteracanthus ornatissimus Ao. 1, v. Ili, p. 31, t. Vili. » » Strophodus reticulatus Ag. 1, v. Ili, p. 123, t. XVII. » » » » subreticulatus Ao. 1, v. Ili, p. 125, t. XVIII, f. 5-10. 1846 » radiatus Munst. 84, p. 47, t. Ili, f. 17. 1848 Asteracanthus preussi Dunker, 38, v. I, p. 188, t. XXVI, f. 3. 1851 » ornatissimus Dunker, 38, v. I, p. 316, t. XXXVII, f. 1-7. 1852 » » Quenst. 98, p. 180. » Strophodus subreticulatus Quenst. 98, p. 190. (') Credo inutile di ripetere l’interminabile sinonimia per le specie tuttora viventi. l'ESCI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 473 1855 Asteracanthus papiTlosus Egert. 39, d. Vili, n. 3, p. 3. » Strophodus subreticulatus Giebel, 58, t. 47, f. 6. 1858 » » Quenst. 99, p. 782, t. 96, f. 35. » Asteracanthus ornatissimus Quenst. 99, p. 783. 1859 Strophodus subreticulatus Tiiukm. e Etall. 133, p. 432, t. 62, f. 29- 1860 » » Pictet e Jocc. 92, p. 75, t. 17, f. 3-15. 1861 Asteracanthus ornatissimus Wagn. 140, p. 317. 1863 Strophodus subreticulatus Dolfus, 36, p. 12, 13. 1864 Asteracanthus ornatissimus Damon, 27, t. X, f. 2. 1866 Strophodus ratisbonensis Gumbel, 59, p. 762. 1869 »' meclius Owen, 90, p. 193, t. VII. 1870 » subreticulatus Gemmell, 49, p. 9, t. I, f. 35-47. 1875 Asteracanthus ornatissimus Fricke, 44, p. 387, t. XXII, f. 4. » » preussi Fricke, 44, p. 388, t. XXII, f. 1. » Strophodus subreticulatus Fricke, 44, p. 391, t. XXI, f. 16. 1888 Asteracanthus ornatissimus, var. jlettonensis Woodav. 146, p. 336, t. XII. 1889 » » Woodw. 147, p. 307 e seg. 1893 Strophodus reticulatus, subreticulatus Zittel, 151, v. Ili, p. 76, f. 74. » » medius Zittel, 151, v. Ili, p. 76, f. 76. Woodward dimostrò che i denti determinati come Strophodus reticulatus Ag., vanno riferiti ad Asteracanthus ornatissimus A g., di cui si conoscevano le sole spine, per aver rinvenuto nell’Oxford- Olay un esemplare quasi completo avente le spine dell’una e la dentizione dell’altra specie. È per ciò che io rapporto ad Asteracanthus ornatissimus tre denti raccolti nei calcari rosso-bruni della zona ad Aspidoceras acanthicum Opp. sp. del Kimeridgiano di Castellimelo (Taormina). Il primo dente appartiene alla linea mediana della mascella ; infatti esso è rammassato e gibboso; uno dei lati è sottilmente striato, l’altro è coperto da una rugosità irregolare (larg. mm. 13, alto mm. 7). Il secondo dente ha la stessa struttura ed una altezza quasi uguale al precedente; però è assai più largo alla base (mm. 32); le strie sono sottilissime ; per la sua forma speciale credo possa riferirsi alla seconda linea mediana della mascella. Il terzo dente appartiene alla superficie masticante laterale ; esso è piatto e quadrangolare, leggermente gibboso al centro e striato finamente ad uno dei lati. 474 L. SEQUENZA FU G. E certo die questi tre denti appartengono ad una medesima specie ; infatti studiando accuratamente la loro struttura este- riore, la si trova egualissima in tutti e tre : il lato, che è pro- babilmente l’esterno, è coperto da una rugosità simile a quella di una lima, però senza simmetria alcuna; sul lato opposto si osservano numerose strie equidistanti fra loro, sottili e conver- genti verso la sommità della corona. Località: Capo Castelluccio (Taormina). Epoca: Kimeridgiano (zona con Asp. acantlncum Opp. sp.). Hybodus La Yallei n. sp. (Tav. V, fig. 33). Nel calcare rosso a Crinoidi del Lias medio, nella estrema parte frontale del Capo Castelluccio (Taormina) ho incontrato alcuni denti che vanno riferiti al genere Hybodus. Tra essi uno solo è intero con una cuspide mediana, due co- netti laterali ed un frammento di radice. 11 cono mediano è slanciato, sottile, flessuoso, coll’apice ri- volta indietro ; i margini laterali di esso sono taglienti dall’a- pice sino a pochi millimetri dalla radice, quindi si assottigliano e svaniscono ed il terzo inferiore della corona diventa cilindrico- esso è finamente ornato da numerosi solchi longitudinali su en- trambe le faccie, i quali raggiungono tutti la medesima altezza e svaniscono contemporaneamente. Sulla faccia interna i solchi sono poco più lunghi (mm. 3) che sulla faccia esterna (mm. 2 ’/2). I piccoli coni laterali, brevi, sottili, acutissimi, sono coperti per tutta l’altezza da strie alquanto più larghe di quelle del cono maggiore. Questi conetti sono indipendenti dalla cuspide mediana, e quindi non formano con essa un insieme come nel maggior minerò di specie d’ Hybodus. Tali caratteri avvicinano in certo modo i denti in esame al genere Lanuta, però le strie sulle due faci* e del cono e su tutte le cuspidi accessorie, c la radice non divisa in due fittoni, ma formante un solo fittone breve e largo, sono caratteri clic li rife- riscono senza dubbio ad Hybodus. fissi infatti ricordano VHy- bodus minor Ag. del Trias c V Ilybodus basanus Eger. della Creta PESCI POSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 475 inferiore, dai quali si differiscono per essere più regolari ed al- quanto più alti in rapporto alla larghezza della base, e per avere le strie molto più sottili. Tutti gli altri denti sono variamente mutilati. Dedico questa specie, che ritengo nuova per non averla po- tuto confrontare con alcuna delle numerose congeneri conosciute, al Prof. G. La Valle, il quale mi fu largo sempre di aiuti e consigli. Località: Promontorio Castellimelo (Taormina). Epoca: Lias medio (calcari rossi a Cr inoidi e Bracliiopodì). Ptycliodns latissimus Àgassiz. (Tav. V, fig. 19). 1833-43 Ptychodus latissimus Ad. 1, v. Ili, p. 157, t. XXV a, f. 1-6 (? f. 7, non f. 8) t. XXV b, f. 24-26. 1845 » » Reuss, 102, p. 1, t. II, f. 5-8. » » decurrens Reuss, 102, p. 1, t. II, f. 9-10. » » latissimus Owen, 89, v. II, t. XVII, f. 1-2, » » » Geinitz, 58, p. 167, t. VII, f. 8. 1850 » » Geinitz, 54, p. 63, t. VII, f. 5, t. XVII, f. 1-3. » » schlotheimi Geinitz, 54, p. 63, t. XVII, f. 4-5. » » paucisulcatus Dixon, 85, p. 363, t. XXX, f. 3. 1851 » latissimus Osw. 88, v. Ili, p. 531. 1852 » » Kipr. 64, p. 483, t. XII, f. 1-2. » » » Quenst. 98, p. 181. 1853 » » Pictet, 91, V. II, p. 264, t. XXXVII, f. 26. 1855 » » Giebel, 58, t. 48, f. 9. 1870 » » Roem. 108, p. 323, t. XXXVI, f. 7. 1873 » » Stol. 182, p. 66. t. XII, f. 16. 1875 » » Geinitz, 55, p. 212, t. XI, f. 16-22. 1878 » » Fritsch, 45, p. 15, f. 36. 1886 » » Hòrnes, 61, p. 542, f. 554. 1887 » paucisulcatus Woodw. 145, p. 127, t. X, f. 12. 1889 » latissimus Woodw. 147, p. 147. 1893 » » Zittel, 151, v. Ili, p. 78. Due soli denti di questa specie sono stati raccolti in un pic- colo lembo di calcare nel promontorio di Castelluccio (Taor- mina), che per la loro presenza riferisco al Cretacico superiore. 34 ■476 L. SEQUENZA FU G. TI più grosso di essi è perfettamente conservato, eccezione fatta della radice che manca (tav. V, fig. 19). La corona c molto convessa e traversata da sette forti co- stole salienti c taglienti che convergono ai due lati opposti. Alle estremità antero-posteriori si osservano numerose piccole pieghe simmetriche. Lo smalto è assai spesso. Questo dente, sebbene molto convesso, pure per le sue co- stole poco numerose, dritte e robuste, va, a mio credere, riunito a Pf. latissimus Ag. L’altro esemplare è più piccolo ed appiattito, con cinque sole costole alquanto corrose dall’uso ; nel resto risponde ai caratteri dell’altro esemplare. Località: Promontorio di Castelluccio. Epoca : Cretacico superiore ! (calcari varicolori). Ptychodus decurrens Agassiz. (Tav. V, tig. 20). 1833-43 Ptychodus decurrens Ag. 1, v. Ili, p. 154, t. XXVb, f. 1, 2, 4, 6-8 (non f. 3, 5). 1840-45 » » Owen, 89, v. II, t. XVIII, XIX. 1850 » » Dixon, 35, p. 362, t. XXX, f. 7-8, t. XXXI, f. 1, t. XXXII, f. 5. 1850 » depressus Dixon, 35, p. 363, t. XXXI, f. 9. 1852 » decurrens Gekvais, 52, t. LXXVIII, f. 5. » » » Kipr. 64, p. 490, t. XIII, f. 5. » » » Quenst. 98, p. 181, t. XIII, f. 59. 1856 » polygyrus Fischer, 43, p. 140, f. 31-33. 1872 » decurrens Sauv. 109, p. 18. 1875 » » Geinitz, 55, p. 296, t. LXIV, f. 24, 25. 1878 » latissimus Zarecz. 149, p. 200, t. Vili, f. 8. » » decurrens Fritscii, 45, p. 14, f. 34. 1885 » » Quenst. 98, p. 281, f. 86, t. XXI, f. 63, 64. 1887 » » Woodw. 145, p. 123-130, t. X, f. 1-10, 13. 1889 » » Woodw. 147, p. 138. 1893 J> » Zittel, 151, v. Ili, p. 78, f. 78. Possiedo un sol dente proveniente dallo stesso giacimento di Castelluccio (Taormina) ove furono raccolti i precedenti. PESCI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 477 La corona di questo esemplare è convessa, gibbosa ed asim- metrica ; si allarga ai margini laterali ; le costole che la tra- versano da un lato all’altro sono egualissime fra di loro ed ar- rotondate per tutta la lunghezza; da un lato esse corrono pa- rallele, dall’altro sono convergenti, flessuose e s’incrociano qualche volta l’una con l’altra ad angolo molto acuto ; sono in numero di undici. Ài due lati antero-posteriori si osservano numerose pieghe simmetriche dello smalto. Quest’ultimo è assai spesso e corroso superficialmente dalla masticazione su uno dei lati. La radice manca. Credo potere con sicurezza riferire questo dente a Ptychodus decurrens A g., sia per i suoi caratteri rispondenti a quelli dati daH’Agassiz, sia perchè confrontato con alcuni campioni di questa specie provenienti dal Senoniano d’Inghilterra, mi sembra per- fettamente uguale ad essi. Località : Promontorio di Castelluccio (Taormina). Epoca: Cretacico superiore! (calcari varicolori). Nel calcare rosso a Crinoidi del Lias medio affiorante nella parte frontale del promontorio di Castelluccio (Taormina) furono raccolti vari denti di Sphenodus, che per la loro forma speciale non credo possano riunirsi ad alcuna delle specie conosciute. Fra i campioni ivi trovati uno solo ha la corona intera. Esso è quasi dritto, leggermente arcuato, le due facce sono lisce e lucenti, l’interna poco più convessa dell’esterna. I margini laterali sono paralleli ed ornati per tutta la lun- ghezza da una larga lamina marginale tagliente; i bordi infe- riori sono dritti, l’apice è acuto ed appiattito; lo smalto, facil- mente distaccabile, è trasparente. Sphenodus robustidens n. sp. (Tav. V, fig. 30). Larghezza alla base . . . Spessore alla base . . . . Altezza mm. 6 » 4 » 31 478 L. SEGUENZA FU G. Oltre a questo ue ho sottocchio varii altri esemplari più o meno mutilati. Un frammento di questa specie è largo rum. 10 e dello spessore di mm. 6. Sebbene questa specie si avvicini alla Lamna Massica, Schio. (112, p. 557, t. XIII, f. 4 a b c) pure ne differisce per essere più dritta, appiattita e lunga. Località: Promontorio di Castellacelo (Taormina). Epoca: Lias medio (calcari rossi a Crinoidi e Brachi apodi). Splienodus cfr. alpinns De Gregorio sp. 1880 Oocyrhina alpina De Greg. 82, p. 11, t. I, f. 1. 1887 Splienodus cfr. alpinus Seg. G. 124, p. 4. » » » » Seg. G. 170, p. 470 e 474. Ho studiato l’esemplare menzionato dal Seguenza G.; esso è assai somigliante alla specie instituita dal De Gregorio. Infatti è levigato, tagliente ai margini laterali, con la faccia interna convessa e l’esterna quasi appiattita. I bordi sono convergenti sin dalla base mentre che nella specie del De Gregorio essi sono paralleli sino a metà dell’altezza e quindi convergono come ri- sulterebbe dalla figura datane dall’autore; tale differenza non credo sia sufficiente per distaccamelo. È però probabile che deb- bano entrambi riunirsi a Sph. longidens. Quanto alla generica determinazione il Seguenza G. ha cre- duto bene riferirlo a Splienodus anziché ad Oxyrhina. Località: Promontorio S. Andrea (Taormina). Epoca: Batoniano (calcari a Spli. Brongnartii Sow. sp. [Ba- jociano secondo G. Seguenza]). Splienodus rectideus n. sp. (Tav. V, fig. 31). 1887 Splienodus sp. Seg. G. 123, p. 189. 1891 » sp. Di Stef. e Cort. 34, p. 38. Nei calcari rosso-bruni della zona ad Asph. acanthicum Opp. sp. che affiorano al di sopra dei calcari grigi del Lias medio nella PESCI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 479 parte più elevata del capo Castellacelo (Taormina) si raccolgono numerosi denti di forma assai caratteristica. Essi sono larghi, lunghi, diritti, con l’apice rivolta in fuori. I margini laterali molto larghi sono paralleli per più di due terzi dell’altezza, e quindi convergono bruscamente verso l’apice. La faccia interna è convessa e presenta una depressione trian- golare vicinissima alla base; la faccia esterna ha una forte piega mediana che va dall’apice alla base ; qualche volta questa piega si biforca in basso; essa è sempre accompagnata per tutta la sua lunghezza da due depressioni laterali ad essa parallele. I bordi sono sottili e taglienti. L’apice acuto si piega bruscamente in fuori ; la radice manca sempre. Tali numerosi caratteri speciali danno ai denti in esame una forma tipica tutt’affatto sconosciuta che si ripete fedelmente in tutti i numerosi esemplari di cui dispongo, siano grandi che piccoli. Ed è per questo che non avendoli potuto rinvenire ad alcuna delle poche specie conosciute, ho creduto dovere per essi insti- tuire la nuova specie. Le dimensioni qui appresso cennate appartengono all’ esem- plare figurato (tav. Y, fig. 31), ma possono anche riferirsi a buon numero degli esemplari da me studiati: Larghezza alla base . . . mm. 9 Spessore alla base .... » 2 Altezza » 32 Località: Promontorio di Castelluccio (Taormina). Epoca: Kimeridgiano (calcari della zona ad Asp. acanthi- cum Opp. sp.). Sphenodus longidens Agassiz. (Tav. V, fig. 26). 1833-43 Lamna (Sphenodus) longidens Ag. 1, p. 298, t. XXXVII, f. 24-29. 1846 Squalus Phillipsii Rouill. 106, t. B, f. 6 1852 Oxyrhina longidens Quenst. 98, p. 172, t. XIII, f. 11 » » macer Quenst. 98, p. 172, t. XIII, f. 18. » » ornati Quenst. 98, p. 173, t. XIII, f. 13. 1858 » » Quenst. 99, p. 467, t. LXIII, f. 5. » Sphenodus longidens Quenst. 99, p. 467, 589, 662. 480 L. SEGUENZA FU G. 1858 Oxyrhina macer Quenst. 99, p. 783, t. XCVI, f. 45, 46. 1860 Splienodus » Trautsch. 137, p. 356, t. VITI, f. 23, 24. 1861 » » Trautsch. IBS, p. 433. » » longidens Trautsch. 13S, p. 433. 1875 » macer Fricke, 44, p. 394, t. XXI, f. 21. 1876 » longidens Favre, 40, v. Ili, t. Il, f. 2. 1885 » longidens (?) Seg. G. 122, p. 11 e 12. 1886-87 » longidens Di Stef. 33, p. 171 e 38. 1887 » longidens (?) Seg. G. 123, p. 189. » » longidens Seg. G. 124, p. 8. » » » Seg. G. 125, p. 7. » » » Seg. G. 126, p. 388. 1889 Orthacodus » Woodw. 147, p. 349. 1891 Sphenodus » Di Stef. e Cort. 34, p. 38 e 39. 1893 » » ZlTTEL, 151, v. Ili, p. 80, f. 80. Questa specie viene citata, dai vari! autori che si sono occu- pati del Giurassico di Taormina, come rinvenuta in tutti i piani del Giura medio e superiore che ivi affiorano. Nei piani inferiori (Batoniano ed Oxfordiano) è rarissima e diventa frequente nei piani più alti (Kimeridgiano e Titonico). Nella zona ad Aspirici, acantliicum Opp. sp. del promontorio di Castelluccio si raccolgono varie forme della specie in parola. Denti gracili, eretti, variamente flessuosi, facce quasi egualmente convesse e levigate. In massima parte sono brevi come l’esem- plare figurato a tavola Y, fig. 26. Qualche raro esemplare acquista dimensioni rimarchevoli. A tutti i denti, sin ora raccolti nel territorio di Taormina, manca la radice. Località: Promontorii di Castelluccio e S. Andrea (Taormina). Epoca: Batoniano (calcari a Fos. alpina). Oxfordiano (zona a Pel toc. transversarius Quenst sp.). Kimeridgiano (zona ad Aspi), acantliicum Opp. sp.). Titonico (calcari e schisti con Apthychus). Sphenodus tithonius Gemmellaro. 1868-79 Splicnodus tithonius Gemm. 49, p. 8, t. II, f. 32-41. 1887 » » Seg. G. 125, p. 7. Riferisco a questa specie numerosi denti, quasi sempre più o meno danneggiati, provenienti da tutte le località titoniche PESCI POSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 481 dei promontorii di Castelluccio e S. Andrea (Taormina). Essi pre- sentano tutti i caratteri descritti dal Gemmellaro. Io lio potuto fra essi identificare le varie forme descritte dall’autore predetto, cioè a dire: forma breve, eretta, con i mar- gini laterali convergenti sin dalla base; forma lunga, flessuosa, ripiegata indietro, sia gradatamente, sia repentinamente; forma lunga arcuata, con i margini paralleli nella metà inferiore, e varie altre forme intermedie che certamente corrispondono alla varia posizione occupata dal dente nella bocca. Seguenza G. la rinvenne negli strati della stessa età affio- ranti nel torrente Serina (Taormina). A tutti gli esemplari studiati manca la radice. Località: Promontorii di S. Andrea e Castelluccio, torrente Serina (Taormina). Epoca: Titonico (calcari e schisti). Splienodus Virgai Gemmellaro. 1868-79 Splienodus Virgai Gemm. 49, p. 8, t. II, f. 42-47. 1887 » » Seg. G. 125, p. 7. Rapporto a questa specie parecchi denti più o meno piccoli e ben caratteristici. Essi sono più stretti e slanciati del tipo dato dall’A., ma rispondono nell’assieme alla descrizione fattane dal medesimo. Alcuni denti sono perfettamente dritti, altri sono arcuati o lievemente inclinati da un lato. Seguenza G. rinvenne questa specie nel Titonio della valle del Serina (Taormina), io ho potuto identificarla in alcuni denti raccolti negli strati della stessa età, affioranti presso la casa co- lonica del promontorio di Castelluccio (Taormina). Località: Valle del Serina, promontorio di Castelluccio (Taor- mina). Epoca: Titonico (calcari e schisti). -182 L. SEGUENZA FU G. 1833- » 1846 » » » 1846 » 1849 1853 1856 1858 » » » » 1861 » 1876 1877 » » » 1881 1884 1885 1886 1887 » » » 1889 » » 1891 1893 » » 1895 Oxyrhina Desorii Agassiz. (Tav. V, fig. 1-12). •43 Oxyrhina Desorii Ag. 1, v. Ili, p. 282, t. 37, f. 8-13. » » leptodon Ag. 1, v. Ili, p. 282, t. 37, f. 3-5. » Desorii Sism. 181, p. 44, t. II, f. 7-16. » liastalis Sism. 131, p. 40, 1. 1, f. 41, 43, 44 (non 42, 45 47). » minuta Sism. 131, p. 44, t. II, f. 36-39. » isocelica Sism. 131, p. 43, t. II, f. 1-6. Otoclus sulcatus Sism. (non Geinitz) 131, p. 39, 1. 1, f. 34-36. Oxyrhina complanata Sism. 131, p. 41, t. I, f. 39-40. » Wilsonii Gibbes, 57, v. I, p. 203, f. 172-173. Otoclus salentinus Costa O. G. 19, v. V, p. 345, t. 9, f. 7. Oxyrhina W il sopii Costa 0. G. 19, v. VII, t,. 7, f. 12. » isocelica Gast. 46 bis, p. 47. Otodus sulcatus Gemmell. 48, p. 310, t. I, f. 10. Lavina crassidens Gemmell. 48, p. 318, t. VI, f. 15-16. » Lyelli Gemmell. 4S, p. 319, t. VI, f. 17. » inequilateralis Gemmell. 48, p. 319, t. VI, f. 22. Oxyrhina incerta Miciiltt. 82, p. 144, t. 14, f. 10-12. » Desorii Miciiltt. 82, p. 145. » Winkleri V ino. 139, v. XI, p. 125, t. VI, f. 3. » Agassizi Lawl. 71, p. 19-22. » complanata Bass. 3, p. 27. » Zignoi Bass. 4, p. 2, f. 2. Otodus Lawleyi Bass. 4, p. 4, f. 3-5. Oxyrhina Agassizi Lawl. 72, p. 93, t. V-IX (Oxyrhina) . » isocelica Portis, 95, p. 14. » xiphodon Noetl. 87, p. 50, t. III. » Agassizi Issel, 62, p. 55, 1. 1, f. 1-2, 5-9. » antegenita Seg. G. 124, p. 8. Lavina isoviorpha Seg. G. 124, p. 8. » rectidens Seg. G. 126, p. 389. » ovieoviorpha Seg. G. 126, p. 389. Oxyrhina Desorii Woodw. 147, p. 382. Lavina (? Oxyrhina) Lawleyi Woodw. 147, p. 401. Oxyrhina Agassizi Poi.l. 93, p. 77. » Desorii Woodw. 144, p. 106. » crassidens Rovas. 107, p. 419. » leptodon Rovas. 107, p. 419. » xiphodon Rovas. 107, p. 419. » crassa Tua b. 136, p. 124. PESCI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 483 1895 Oxyrhina Desorii De Aless. 28, p. 275, f. 10. 1897 » » Priem, 98, p. 215, t. 7, f. 5-6. 1899 » » Bass. 11, p. 19, t. II, f. 24-38. Ho potuto osservare numerosi esemplari di questa specie, rac- colti uei calcari marnosi e scliistosi e nelle concrezioni limoni- tiche dei promontorii di Castelluccio e S. Andrea (Taormina). Sequenza G. chiama col nome di Lemma isomorpha n. sp. varii denti che io riferisco agli anteriori della mascella inferiore di Oxyrhina Desorii Ag. Essi sono stretti, lunghi, arcuati verso T interno; la faccia esterna è leggermente convessa e presenta vicino la base tre o quattro brevi pieghe longitudinali ben di- stinte; la faccia interna è fortemente convessa e liscia con due leggiere depressioni laterali in basso. I margini laterali sono taglienti e rilevati sino alla base. L’apice acuto si flette in fuori. (Tav. Y, fig. 1, 2, 3). Sotto il nome di Oxyrhina antegenita n. sp. il medesimo A. designa alcuni denti che a mio credere sono i laterali della specie di Agassiz. Essi sono triangolari, eretti o leggermente inclinati da un lato; la faccia interna è convessa, E esterna è appiattita, divisa in due da una leggiera piega mediana; dei bordi infe- riori l’esterno è diviso in due lobi, l’ interno è inturgidato. I mar- gini laterali sono taglienti e leggermente rientranti, qualche volta dritti; l’apice è ottuso, forte, arrotondato. (Tav. Y, fig. 4, 5, 6, 7). Lo stesso A. dà il nome di Lavina rectidens n. sp. a molti denti che io credo vadano riuniti ad Oxyrhina Desorii Ag. e precisamente sono da rapportarsi ai denti anteriori della ma- scella superiore di questa specie. Sono eretti, appiattiti, non troppo lunghi, un poco depressi sulla faccia esterna. Per gli altri caratteri somigliano ai precedenti. La specie Lavina omeomorpha del Seguenza G. sarebbe co- stituita da alcuni denti del fondo della mascella inferiore di Ox. Desorii Ag. Essi sono rudimentali; larghissimi alla base in confronto alla loro altezza. (Tav. V, fig. 11-12). Inoltre riferisco alla medesima specie varii denti acuti, in- clinati verso l’angolo della bocca; la loro base si slarga dai due lati, l’apice si flette leggermente in fuori. La faccia interna è convessa, un poco depressa nella parte mediana; il margine in- 484 L. SEQUENZA FU G. feriore di essa faccia c turgido e diviso in due lobi ; la faccia esterna è piatta e leggermente ondulata con varie piccole pieghe in basso. I margini laterali sono taglienti dall’apice alla base. Possiedo infine numerosi denti molto piccoli che credo spet- tino ai denti d’ individui giovani di Ox. Dcsorii Ag. Essi hanno tutti i caratteri cennati per gli altri esemplari. Tutti i denti in parola mancano di radice. Località: Promontorii di Castelluccio e S. Andrea (Taormina). Epoca: Eocene superiore (sciasti e concrezioni ìimonitiche). Oxyrliina liastalis Agassiz. (Tav. VI, fig. 23-28). 1833-43 Oxyrhina liastalis Ag. 1, v. Ili, p. 277, t,. 34, f. 3, 5-13, 15-17. » » » leptodon Ag. 1, v. Ili, p. 282, t. 32, f. 1-2, 4. » » » xiphodon Ag. 1, v. Ili, p. 278, t. 33, f. 11-17. » » » trigonodon Ag. 1, v. Ili, p. 279, t. 37, f. 17-18. » » » plicatilis Ag. 1, v. Ili, p. 279, t. 37, f. 14-15. » » » retroflexa Ag. 1, v. Ili, p. 281, t. 33, f. 10. » » » quadrans Ag. 1, v. Ili, p. 281, t,. 37, f. 1-2. 1846 » liastalis Sism. 131, p. 40, t.. I, f. 42, 45-47 (non 41, 43, 44). » » xiphodon Sism. 131, p. 42, 1. 1, f. 51-52. » » plicatilis Sism. 131, p. 42, t. I, f. 48-50. 1847 » liastalis Michltt. 81, p. 358. » » xiphodon Michltt. 81, p. 355. 1849 » liastalis Gibbes. 57, p. 201, f. 148-152. » » xiphodon Gibbes, 57, p. 201, f. 153-154. » » plicatilis Gibbes, 57, p. 202, f. 155-157. 1853 » liastalis Costa 0. G. 19, p. 353, t. 9, f. 10-12. » » leptodon Costa 0. G. 19, p. 351, t. 9, f. 11. » » xiphodon Costa 0. G. 19, p. 352, t. 9, f. 7. » » Zippei Costa 0. G. (non Ag.) 19, p. 351, t. 9, f. 8-9. 1856 » plicatilis Costa 0. G. 19, v. VII, p. 47, t. 6, f. 5. » » brevis Costa 0. G. 19, p. 78, t. 7, f. 8-9. » » tumidula Costa 0. G. 19, p. 78, t. 7, f. 10-11. » » Dcsorii Costa 0. G. (non Ag.) 19, p. 75, t. 7, f. 2, t. 6, f. 7. (?) » » Mantelli Costa 0. G. (non Ag.) 19, p. 76, t. 7, f. 4. » » minuta Costa 0. G. (non Ag.) 19, p. 81, t. 7, f. 52-58. » » subinflata Costa 0. G. (non Ag.) 19, p. 77, t. 6, f. 8. 1858 » liastalis Gemmell. 48, p. 36, t. 6, f. 5. » » leptodon Gemmell. 48, p. 38, t. 6, f. 9-11. a » xiphodon Gemmell. 48, p. 37, t. 6, f. 6-8. PESCI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 485 1858 Oxyrhina hastalis Gast. 40 bis, p. 47. » » xiphodon Gast. 46 bis, p. 47. 1859 » plicatilis Gerv. 52, t. 75, f. 9. 1861 » hastalis Michltt. 82, p. 144. 1871 » trigonodon Le Hon, 73, pag. 6. 1878 » leptodon Seg. G. 116, p. 15. » » hastalis Seg. G. 116, p. 18. » Lamna crassidens Seg. G. 116, p. 15. 1873-77 Oxyrhina hastalis Seg. G. 118, p. 28. 1875 » » Sauv. 110, p. 635. » » xiphodon Sauv. 110, p. 633. » » isocelica Manz. (In: Fuchs Th.) 78, ] 1876 » hastalis Lawl. 70, p. 27. » » leptodon Lawl. 70, p. 29. » » xiphodon Lawl. 70, p. 27. » » trigonodon Lawl. 70, p. 28. » » plicatilis Lawl. 70, p. 28. » » isocelica Lawl. 70, p. 31. » » hastalis Ponzi, 94, p. 931. 1877 » » Locard, 76, p. 2. » » » Bass. 3, p 27, » » leptodon Bass. 3, p. 28. » » xiphodon Bass. 3, p. 29. » » minuta Bass. (non Ag.) 3, p. 28 (in » » Zippei Bass. (non Ag.) 3, p. 29. 1879 » hastalis Bass. 5, p. 21. » » » Probst, 97, p. 129, t. II, f. 1- » » xiphodon Probst, 97, p. 132, t. II, f. 1880 » hastalis Scarab. 127, p. 42. » » xiphodon Scarab. 127, p. 42. » » hastalis Sauv. Ili, p. 11. » » xiphodon Sauv. Ili, p. 10. » » hastalis Bass. 6, p. 6. » » leptodon Bass. 6, p. 6. » » minuta Bass. 6, p. 6. » » hastalis Bass. 7, p. 7. » » » Bass. 8, p. 32. » » » Seg. G. 119, p. 72 e 185. » » xiphodon Seg. G. 119, p. 40, 49, 72. » » trigonodon Seg. G. 119, p. 72. » » tumidula Seg. G. 119, p. 72. » » xiphodon Masc. 79, p. 360. » » Agassizi Masc. 79, p. 360. 1882 » leptodon Cort. 18, p. 80. » Lamna crassidens Cort. 18, p. 80. L. SEQUENZA FU G. 486 1883 » 1884 » » » » 1885 18S6 » » 1887 1888 1889 » » » » » 1891 » 1893 1895 » » 1897 Oxyrhina hastalis Bass. 9, p. 1. » Rossi, 104, p. 19. » Nicolis, 86, p. 39, t. II, f. 3. » Seg. G. 121, p. 10. xiphodon Portis, 95, p. 13. plieatilis Portis, 95, p. 13. Agassizi Simon. 130, p. 247. hastalis Ferretti, 41, p. 16 e 19. » Ferretti, 42, p. 10 e 17. Agassizi Ferretti, 42, p. 25. quadrans Issel, 62, p. 55, t. I, f. 10-11. plieatilis Zittel, 150, v. Ili, p. 82, f. 81. » Berg. Ac. Se. Inst. d. Frane., p. 252. hastalis Kilian, 63, p. 705. xiphodon Kilian, 63, p. 727. hastalis Ramb. e Nev. 101, p. 360. xiphodon Ramb. e Nev. 101, p. 360. hastalis Woodw. 147, p. 385. quadrans Pollini, 93, p. 79, f. 2. hastalis Trab. 135, p. 19. » Bass. 10, p. 31, 1. 1, f. 3, t. II, f. 18-26. » Trab. 135 bis, p. 193 (15). » Cocco, 17, p. 14. » Cocco, 16, p. 15. » De Aless. 28, p. 13, 1. 1, f. 9. » De Aless. 30, p. 34, t. II, f. 2. I denti di pesci più comuni dell’arenaria calcarifera a po- riferi dell’Elveziano, affiorante in grandi ammassi nel territorio di Patti, sono certamente quelli riferibili a questa specie. Ne ho sott’occliio numerosi esemplari di tutte le grandezze ed ap- partenenti a tutte le posizioni. Tutti mancano di radice. Seguenza G. rapporta a, Lamna crassidens Ag. tutti i denti lunghi, alquanto ricurvi, convessi alla faccia interna, appiattiti sulla esterna, che a mio credere sono i denti anteriori della mascella inferiore di Ox. hastalis Àg. (Tav. VI, fìg. 24, 25, 26). Lo stesso A. determina come Ox. leptodon Ag. vari denti triangolari, più o meno lunghi. Tale specie, però, essendo stata riunita alla Ox. liasta lis, è a questa specie che bisogna riferire i suddetti denti, e precisamente ai denti laterali di essa (Tav. VI, fig. 27). PESCI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 487 Di questa specie ho potuto identificare qualche raro esem- plare raccolto a bazza (Sicilia) nella roccia della stessa età. Nelle argille marnose turchine del Miocene superiore (Tor- toniano) della contrada Scirpi presso Messina fu raccolto un bel- lissimo dente intero. La sua forma ricorda V Ox. plicatilis Ag. Avendo il Woodward (147) riunito tale specie ad Ox. liastalis, è fuor di dubbio che ad essa debba ascriversi il dente in parola. (Tav. YI, fig. 23). Nelle sabbie e nei calcari del Pliocene inferiore (Zancleano Seg.) dei dintorni della città, ho raccolto alcuni denti che ricor- dano perfettamente tutti i caratteri dell’Oc, quadrans Ag., riu- nita anch’essa dal Woodward predetto (loc. cit.) alla Ox. liastalis. (Tav. YI, fig. 28). Sebbene a prima vista potrebbero confondersi coi denti la- terali di Ox. Spallanzani appresso descritti e molto comuni nei depositi del nostro Pliocene inferiore e superiore, pure un mi- nuzioso confronto con i numerosi denti, sia fossili che apparte- nenti ad individui viventi di questa ultima specie, mi convinse che differiscono radicalmente per la forma molto più spessa e robusta, per le strie sulla faccia esterna, e per la caratteristica contorsione della corona che li fa rapportare ad Ox. quadrans — Ox. liastalis. Ho anche osservato che alcuni fra gli esemplari descritti dal Seguenza GL, come Ox. JDesorii debbono per i loro caratteri rapportarsi a questa specie, mentre gli altri sono, con sicurezza, di Ox. Spallanzani. Cosicché nel Messinese la Ox. liastalis Ag. s’incontra nell’El- veziano, nel Tortoniano e nel Pliocene inferiore ; è però da os- servare che il tipo Elveziano, sebbene rappresentato da esem- plari completamente sviluppati, è più piccolo e sottile dei tipi del Tortoniano e del Pliocene, i quali hanno inoltre dei carat- teri particolari. Località: Patti, Nizza (Sic.), Scirpi, Scoppo, S. Filippo inf. Epoca: Elveziano, Tortoniano, Pliocene inf. (Zancleano Seg.). 488 L. SEQUENZA FU G. Oxyrhina Spallanzani Bonaparte (1). (Tav. VI, tig. 29-36). 1862 Lanma crassidens Seg. G. 113, p. 16. » Oxyrhina Desor ii Seg. G. 113, p. 16. » Lavina crassidens Seg. G. 114, p. 6. » Oxyrhina Desorii Seg. G. 114, p. 6. 1868 Lavina crassidens Seg. G. 115, p. 467. » Otodus sulcatus Seg. G. 115, p. 467. 1873 Lavina crassidens Seg. G. 116, p. 18 e 20. » Otodus sulcatus Seg. G. 116, p. 18. 1873-77 Lavina crassidens Seg. G. 118, p. 20, 21, 23, 28. » » Oxyrhina isocelica Seg. G. 118, p. 20, 21. » » » Desorii Seg. G. 118, p. 21. » » Otodus sulcatus Seg. G. 118, p. 28. 1875 Oxyrhina Desorii Seg. G. 117, p. 15. » » isocelica Seg. G. 117, p. 15. . » » minuta Seg. G. 117, p. 15. » Lavina crassidens Seg. G. 117, p. 15. 1880 » ,> Seg. G. 119, p. 185 e 247. » Oxyrhina Desorii Seg. G. 119, p. 247. 1882 Lamna crassidens Cort. 18, p. 91. » Oxyrhina isocelica Cout. 18, p. 91. 1884 Lavina crassidens Seg. G. 121, p. 10. » Otodus sulcatus Seg. G. 121, p. 10. 1895 Lamna crassidens Cocco, 17, p. 15. » Otodus sulcatus Cocco, 17, p. 15. » Lamna crassidens Cocco, 16, p. 29. » Otodus sulcatus Cocco, 16, p. 29. Ho a lungo studiato i denti di Oxyrhina del Pliocene di Messina, che sono stati riferiti a diverse specie e perfino a di- versi generi, e mi sono andato sempre più convincendo che essi devono riferirsi a Oxyrhina Spallanzani Bon., specie tuttora vi- vente nel Mediterraneo. Seguenza G. riferisce i numerosi denti in parola e qualcuno del Miocene superiore (Tortoniano) alle specie seguenti: Lamna crassidens Ag. Mioc. sup. e Plioc. Oxyrhina Desorii, Àg. Plioc. (') La sinonimia di questa specie è esclusivamente locale. PFSCI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 489 Oxyrhina isocelicci Sism. Plioc. » minuta Ag. Plioc. Otodus sulcatus Sism. Mioc. sup. Il Cortese ed il Cocco, nelle loro pubblicazioni citate, ripor- tano tali determinazioni. Ho potuto osservare i tipi ciré servirono al Seguenza G. per stabilire le predette determinazioni ; essi erano accompagnati dalle indicazioni autografe dell’A. medesimo. I caratteri che vi si scorgono comuni a tutti, per quanto la forma differisca da dente a dente, mi convincono che la differenza di forma dipende dalla diversa posizione che occupavano nella bocca dell’animale. Tali caratteri, che oltre ad essere comuni ai vari tipi del Pliocene e del Miocene superiore messinese, sono anche riferi- bili esattamente ad Oxyrhina Spallanzani Bon., possono rie- pilogarsi in poche parole: Denti trigoni, più o meno acuti;* faccia esterna piatta o lievemente convessa, col margine infe- riore bilobo e qualche volta con brevi pieghe; faccia interna fortemente convessa col margine inferiore inturgidato ; bordi la- terali taglientissimi dall’apice alla base (negli anteriori qualche volta si arrestano in alto ad uno dei lati) ; smalto liscio e lucente. I denti anteriori sono stretti, linguiformi, arcuati (gl’ infe- riori); dritti ed inclinati da un lato (i superiori); i denti late- rali sono triangolari, coi margini laterali divergenti in basso ; la radice, ove esiste, è biloba, con le branche piccole e molto divergenti nei denti laterali, forti e poco divergenti negli ante- riori. A Lanina crassidens Ag., il Seguenza G. riferisce i denti an- teriori; ad Oxyrliina Desorii Ag1., gli stessi denti appartenenti ad individuo molto adulto; ad Oxyrliina isocdica Sism., vari denti laterali inferiori e superiori ; ad Oxyrliina minuta Ag1., nu- merosi denti di giovani individui, tutti della medesima specie. L’ Otodus sulcatus Sism. del Miocene superiore non è altro che un dente laterale della medesima specie ; solo che presenta due piccole pieghe ai lati della base della corona che possono essere scambiate per cuspidi accessorie. Io ho potuto osservare tale anomalia in una bocca di Ox. Spallanzani pescata a Mes- 190 L. SEGUENZA EU G. sina ; e non sono stato solo, elio anche il Bassani cita una os- servazione simile fatta da lui (11, p. 21). La Lemma crassiclens Ag. (secondo Seguenza G.) delle ar- gille turchine tortoniane è così Itene conservata, da non mettere dubbio che essa appartenga alla medesima specie a cui tutti gli altri denti sinora menzionati. Vista dunque la perfetta somiglianza fra le varie specie stabilite dal Seguenza G., e YOx. Spallan- zani, io credo che ad essa senza dubbio debbano riferirsi. A rafforzare la mia asserzione, riporto le seguenti parole del Bassani nella sua Memoria citata (11, p. 21) : « Fu citata (YOx. Desorii) anche nel Pliocene, ma i denti rinvenuti in esso po- trebbero forse appartenere ad Oxyrhina Spallanzani Bon. ». Da quanto si è detto potrebbe dedursi che YOx. Spallanzani Bon., apparsa in rari esemplari nel Miocene superiore, visse numerosa nel Pliocene, e tuttora vive nei nostri mari. Località: Tutte le colline di Messina; Rometta, Milazzo, ecc. Epoca: Miocene superiore e Pliocene. 1833-43 1846 1861 1877 » » » 1885 1887 1889 1890 » 1891 1893 » 1895 1896 1899 Odontaspis Hopei Agassiz. (Tav. V, fig. 27-29). Lavina (Od.) Hopei Ag. 1, v. Ili, p. 293, t. 37 a , f. 27-30. » » dubia Sism. 181, p. 48 e 86, t. 2, f. 17-22. » » » Gast. 46 bis, p. 63. » » Hopei Bass. 3, p. 26. a » (jracilis Bass. 3, p. 25. » » dubia Bass. 3, p. 25. » » cuspidata (parte) Bass. 3, p. 23. Odontaspis Hopei Noetl. 87, v. VI, pt. Ili, p. 71, t. 5, f. 1-3. Splienodus ceratidens Seg. G. 124, p. 8. Odontaspis cuspidata (parte) Woodw. 147, p. 368. Lavina » Sacco, 108, p. 295. » (Od.) dubia Sacco, 108, p. 295. Odontaspis cuspidata Woodw. 144, p. 110. Latrina longidens Rovas. 107, p. 411. » cuspidata Rovas. 107, p. 418. Odontaspis cuspidata Tkah. 136, p. 123. » Hopei De Ai.ess. 21), p. 7, f. 2. » » Bass. 11, p. 15, t. I, f. 18-23. PESCI POSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 491 Col nome di Sphmódus ceratidens n. sp., Seguenza G. rife- risce un dente raccolto negli schisti del promontorio S. Andrea (Taormina) creduti titonici. Ho sottocchio l’esemplare in parola ed eccone i caratteri più salienti : Dente lungo, gracile, cilin- drico nella metà inferiore della corona e lievemente depresso nella metà superiore. Esso è flessuoso e fortemente curvato in- dietro. Le due faccie sono quasi egualmente e fortemente con- vesse ; al loro incontro nella metà inferiore non lasciano traccia alcuna di bordo, mentre che nella metà superiore formano un margine ben distinto. Tali caratteri mi fanno riferire ad Odontaspis Hopei A g., il dente in parola come pure le altre specie di G. Seguenza : Sph. brevis, J urensis. Studiando il numeroso materiale ittiolitico delle due località di S. Andrea e Castelluccio (Taormina), ho potuto riconoscere vari altri denti somiglianti a quello già descritto e che mag- giormente confermano l’esattezza della mia determinazione. Essi sono arcuati ed hanno i bordi laterali rilevati dall’apice a metà dell’altezza, che svaniscono nella metà inferiore; qualche esemplare presenta una breve piega in basso della faccia es- terna. Malgrado l’assoluta mancanza di conetti laterali e di radice, questi denti rispondono a tutti i caratteri descritti dalTAgassiz e più estesamente dal Bassani (11). Tale somiglianza toglie ogni dubbio all’esattezza della mia determinazione. Alla medesima specie riferisco vari denti piccolissimi, gra- cili, flessuosi ed acuti, in tutto somiglianti alla specie in parola. Località: Promontorii di S. Andrea e Castelluccio (Taormina). Epoca: Eocene superiore (schisti e concrezioni limonitiche). Odontaspis elegans Agassiz sp. (Tav. Y, fig. 13). 1833-43 Lamna elegans Agl 1, v III, p. 289. t. 35, f. 1-5, t. 37, f. 59. 1846 » (Od.) contortidens Sism. 131, p. 48, t. II, f. 25-28. » » undulata Sism. (non Heuss), 131, p. 47, t. II, f. 23-24. 1850 » elegans Dixon, 35, p. 203, t. X, f. 28-31. 35 L. SEGUENZA FU G. 492 1852 Lamna elegans Gervais, 52, tav. 75, f. 3. 1864 » (Od.) contortidens Costa 0. G. 22, p. 26, t. II, f. 6. » » » » Costa 0. G. 23, p. 30, t. 5, f. 2. 1874 Otodus striatus Winkl. 141, p. 8 e 24, t. I, f. 7-9. 1876 Lamna elegans Vincent, 139, p. 123, t. 6, f. 4. » Otodus striatus Vincent, 139, p. 125, t. 6, f. 2. 1877 Lamna elegans Bass. 3, p. 23 (parte). » » (Od.) contortidens Bass. 3, p. 24 (parte). 1885 » elegans Noeti,. 87, p. 61, t. 4. 1887 Sphenodus sulcidens S'eg. G. 124, p. 8. » » » Seg. G. 126, p. 389. 1889 Lamna striata Woodw. 147, p. 409. » Odontaspis elegans Woodw. 147, p. 361. 1891 » » Woodw. 144, p. 105. 1893 Lamina contortidens Rovas. 107, p. 418. » » rapido don Rovas. 107, p. 418. » » elegans Rovas. 107, p. 418. 1895 Odontaspis elegans De Aless. 29, p. 7, f. 1. 1899 » » Bass. 11, p. 13, t. I, f. 1-17. Negli schisti marnosi e nelle concrezioni limoniticlie dei pro- montorii di Castelluccio e S. Andrea (Taormina) si raccolgono diversi denti che il Seguenza G. determinò come specie nuova col nome Sphenodus sulcidens n. sp. Nello osservare tali denti mi accorsi in primo luogo che essi anziché a Sphenodus vanno riferiti ad Odontaspis per esser for- temente arcuati mentre che nello Sphenodus sono eretti o assai poco curvi, e per avere la faccia interna fortemente convessa, assai più dell’esterna, mentre che nello Sphenodus le facce sono leggermente ed egualmente convesse. I caratteri più salienti dei denti in parola sono: corona sot- tile, gracile, assai slanciata, ripiegata più o meno fortemente verso la gola con l’apice che torna in fuori; faccia esterna po- chissimo convessa e perfettamente levigata, con una piega me- diana più o meno appariscente, assai sporgente in basso, vicino alla base della corona; faccia interna fortemente convessa, sol- cata da profonde strie (20 a 30 c.) che raggiungono fino ai tre quarti dell’altezza e sono di lunghezza decrescente procedendo dal centro della faccia verso i margini; esse sono dritte, quasi sempre parallele e s’intersccano qualche volta. Vicino alla base, fra le strie principali se ne osservano alcune più sottili e bre- PESCI POSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 493 vissime che presto si uniscono, ad angolo molto acuto, con le prime. I margini laterali sono ornati di larga e tagliente la- mina che scende sino alla base della corona anche nei denti an- teriori. Il Bassani nel suo lavoro più volte citato sui pesci fossili di Gassino (pag. 14) stabilisce alcuni caratteri distintivi tra Od. contortidens ed Od. elegans. Egli crede che a mezzo di essi si può riuscire in certo modo a distinguere l’una specie dall’altra. Ora è ben curioso che i denti raccolti nel territorio di Taor- mina e da me studiati, riuniscono alcuni caratteri delTuna ed alcuni dell’altra specie. Dell’ Od. elegans hanno: i margini ben rilevati e taglienti sino alla base in tutti i denti a qualunque posizione essi appar- tengano, la piega ben distinta e rilevata sino alla base della faccia esterna, i solchi marcati e quasi sempre dritti. Dell’ Od. contortidms hanno: qualche volta la flessuosità delle strie, che s’intersecano e che giungono sempre sin oltre i tre quarti dell’altezza. Tali somiglianze fanno degli esemplari in esame una forma transitoria fra Od. elegans ed Od. contortidens , più vicina cer- tamente alla prima di cui conserva gran parte dei caratteri più importanti, pur avendo alcuni dei caratteri dell’ultima. Forse tale osservazione può servire di contributo all’opinione espressa dal Le Hon (73, p. 12) che crede poter riunire ad Odon- taspis contortidens la Lemma (Od.) elegans ; tanto più che i miei esemplari si trovano alla fine del periodo eocenico col quale, secondo gli autori, scomparisce l’Od. elegans , e mentre nel prin- cipio del periodo seguente (Oligocene) apparisce l’Od. contor- tidens. In ogni modo la preponderanza dei caratteri di Od. ele- gans negli esemplari di Taormina, me li fanno riferire a questa specie. Località: Promontorii di Castelluccio e S. Andrea (Taor- mina). Epoca: Eocene superiore (schisti e concrezioni limonitiche). 494 G. SEGUENZA FU G. Odontaspis molassica Probst. (Tav. VI, f. 16-17). 1879 Odontaspis molassica Proest, 97, p. 150. t. II, f. 47-52. Rapporto a questa specie alcuni pochi denti dell’arenaria calcarifera di Patti (cava dei Monaci). Un solo esemplare è completo; gli altri mancano della radice e sono variamente mutilati. Il dente intero (tav. VI, fìg. 16) appartiene al lato sinistro della mascella superiore, è sottile, di forma appiattita, ed incli- nato verso la gola, le facce sono egualmente convesse, l’esterna presenta qualche breve piega in basso; i bordi laterali sono or- nati di lamina ben visibile dall’apice alla base; questa è molto dilatata al disopra della radice. I conetti laterali sono dritti ed acuti; la radice è biloba e molto grossa in confronto della corona. Degli esemplari in esame, qualcuno anteriore della mascella inferiore presenta una depressione al margine inferiore della faccia esterna, ed i margini svaniscono più in alto dalla base. Questa specie ha qualche affinità con l 'Od. cuspidata ma è più breve, più appiattita e con le facce egualmente convesse. Località: Patti. Epoca: Elveziano (arenaria calcarifera a poriferi). Odontaspis cuspidata Agassiz sp. (Tav. VI, f. 14-15). 1833-43 Lamna cuspidata Ag. 1, v. Ili, p. 290, t. 37 a, f. 43-50. » » » denticulata Ag. 1, v. Ili, p. 291, t. 37 ce, f. 51-53. » » » (Od.) dulia Ag. 1, v. Ili, p. 295, t. 37 a, f. 24-26. 1846 » cuspidata SlSM. 131, p. 47, t. II, f. 29-32. 1853 » dulia Costa 0. G. 19, p. 354, t. 9, f. 16. » » (Sphenodus) longideus Costa 0. G. (non Ag.), 19, p. 358, t. 9, f. 17. 1857 » cuspidata Menegh. SO, p. 528. 1858 » dulia Rouault, 105, p. 101. Odontaspis Hopei Rouaugt (non Ao.), 105, p. 101. PESCI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 495 1859 Lavina dubia Gervais, 52, t. 75, f. 5. 1871 » cuspidata Le Hon, 73, p. 5 e 10. 1873 » » Seg. G. 118, p. 262. 1875 » » Manz. (in Fuchs), 78, p. 259. 1876 » (Od.) dubia Lawl. 70, p. 34. » » » Hopei Lawl. (non Ag.), 70, p. 33. 1877 » cuspidata Locard, 76, p. 6. » » » Bass. 3, p. 23 (parte). 1879 » (Od.) cuspidata Probst, 97, p. 149, t. II, f. 59-62. » Odontaspis Hopei Bass. (non Ag.), 5, p. 17. 1880 Lamina cuspidata Sauv. Ili, p. 12, t. I, fig. 15-16. » » » Bass. 7, p. 7. » » denticulata Bass. 7, p. 7. » » cuspidata Bass. 6, p. 6. » Odontaspis Hopei Bass. (non Ag.), 6, p. 6. » Lavina cuspidata Bass. 8, p. 32. » Odontaspis Hopei Bass. (non Ag.), 8, p. 32. » » verticatis Bass. (non Ag.), 8, p. 32. » Lavina cuspidata Masc. 79, p. 360. » » » Winkler, 143, p. 75. » Odontaspis dubia Winkler, 143, p. 75. » » » Seg. G. 119, p. 73 e 99. 1882 Lavina cuspidata Cort. 18, p. 80. 1883 » » Bass. 9, p. 1. » » » Bass. 104, p. 219. 1884 » » Nicolis, 86, p. 39, t. II, f. 5. » » » Simon. 130, p. 248. » » Hopei Simon, (non Ag.), 130, p. 247. » » cuspidata Portis, 95, p. 13. 1885 » Hopei De Amicis (non Ag.), 31, p. 21. » 1886 Odontaspis Hopei Ferretti (non Ag.), 41, p. 16. Lavina acuminata Ferretti (non Ag.), 41, p. 17. » elegansì Lov. 77, p. 17. » cuspidata Ferretti, 42, p. 10. » » 1887 1888 1889 » » » » » » Issel, 62, p. 56. » (Od.) dubia Issel, 62, p. 57, t. I, f. 16-17. » cuspidata Zittel, 150, v. Ili, p. 82, f. 83. » » Bergeron, Acad Se. Inst. d. Fran., voi. XXX, p. 251. » » Rame, e Nev. 101, v. VII, p. 360. » » Pollini, 93, p. 81. Odontaspis dubia Pollini, 93, p. 86. » cuspidata Woodw. (parte) 147, p. 368. » » Bass. IO, p. 25, t. I, f. 14, t. II, f. 10, 13, 16, 17. 496 1891 L. SEQUENZA FU G. » 1895 » 1896 1897 Lavina cuspidata Trab. 135, p. 4. Odontaspis cuspidata Trab. 134, p. 19. » dubia Cocco, 16, p. 29. » cuspidata De Aless. 28, p. 11, t. I, f. labe. » » Kissl. 65, p. 20, t. I, f. 17, 19, 21. » » De Aless. 30, p. 37, t. I, f. 15. Nell’arenaria di Patti s’incontrano sovente i denti di questa specie; negli strati coetanei affioranti presso Nizza (Sicilia) se ne incontra qualche raro esemplare. Seguenza G. che per primo li rinvenne, li menziona con questo nome specifico sebbene li riferisca a Lemma mentre oggi sono più generalmente riferiti ad Odontaspis. I denti che ho in esame sono leggermente depressi al centro e cilindrici in basso. I margini laterali ben appariscenti e ta- glienti si estendono per tutta la lunghezza della corona, ecce- zione fatta per qualche esemplare in cui il margine si arresta poco sopra della base dello smalto; ma è assai facile chetale carattere anziché da propria struttura del dente, provenga dal- l’erosione per rotolamento al quale pare siano stati sottoposti tutti i fossili che si trovano in questa roccia, come pure i ciot- toli che in essa sono sparsi. La radice ed i coni laterali mancano sempre. Un bellissimo dente della medesima specie fu teste rinve- nuto nelle argille turchine del Miocene superiore (Tortoniano) presso Rometta. Esso ha la corona intiera con i due coni acces- sorii ai lati della base di essa che sono acutissimi e divergenti; le branche della radice sono forti ed aneli’ esse intere. 11 dente in parola è dritto ed arcuato verso la gola con i margini pa- ralleli per i quattro quinti dell’altezza, perciò credo poterlo ri- ferire alla parte anteriore della mascella inferiore. Località: Patti e Nizza-Sie. (El.,) Rometta (T. ). Epoca: Elveziano (arenarie calcarifere a poriferi). Tortoniano (argille marnose turchine). PESCI FOSSI!. I DELLA PROVINCIA DI MESSINA 497 Odontaspis contortidens Agassiz. (Tav. VI, fig. 13). 1833-43 » » 1846 1853 » » 1856 » » » 1858 » 1862 » 1865 1867 1875 » 1876 » » 1877 » » » 1873-77 1879 » » 1880 » » » 1883 » 1884 » 1885 Lavina (Od.) contortidens Ag. 1, v. Ili, p. 294, t. 37 a, f. 17-23. » » acutissima Ag. 1, v. Ili, p. 294, t. 37 a, f. 33-34. » elegans Sism. (non Ag.) 131, p. 46, t. II, f. 33-35, » contortidens Costa 0. G. 19, p. 355, t. IX, f. 18. » raphiodon Costa 0. G. (non Ag.) 19, p. 357, t. IX, f. 28. Odontaspis elegans Costa 0. G. (non Ag.) 19, p. 357, t. IX, f. 30. Lamna (Od.) contortidens Costa 0. G. 19, p. 67. » adunca Costa 0. G. 19, p. 68. » (Od.) raphiodon Costa 0. G. (non Ag.) 19, p. 67. » elegans Costa 0. G. (non Ag.) 19, p. 67. » (Od.) contortidens Gemmell. 48, p. 44, 1. 1, f. 13, t. 6, f. 18-20. » elegans Rouault (non Ag.) 105, p. 101. Odontaspis contortidens Seg. G. 113, p. 16. » » Seg. G. 114, p. 6. Lamna elegans Schaur. (non Ag.), p. 263, t. 28, f. 13. » » Genn. (non Ag.), p. 21. Odontaspis contortidens Seg. G. 117, p. 16. Lamna » Manz. (in Fuchs), 78, p. 259. » (Od.) » Lawl. 70, p. 33. » » acutissima Lawl. 70, p. 34. » elegans Lawl. (non Ag.), 70, p. 33. » (Od.) contortidens Bass. 3, p. 24. » » acutissima Bass. 3, p. 24. » contortidens Locard, 76, p. 7. » elegans Locard, (non Ag.), 76, p. 5. Odontaspis contortidens Seg. G. 118, p. 21 e 23. Lavina (Od.) » Probst, 97, p. 144, t. II, f. 33-39. Odontaspis » Bass. 5, p, 17. » acutissima Bass. 5, p. 16. Lavina (Od.) contortidens Scarab. 127, p. 43. Odontaspis » cfr. Bass. 6, p. 6. Salv. Ili, p. 14. Bass. 8, p. 32. Bass. 9, p. 2. Rossi, 104, p. 219. Nicolis, 86, p. 39, t. II, f. 5. Lamna elegans Portis (non Ag.), 95, p. 13. » contortidens Lov. 77, p. 17. L. SEQUENZA FU G. 498 1885 » 1886 1889 » » » 1891 1895 1896 1897 Odontaspis contortidens Ferretti, 41, p. 16. » acutissima Ferrei ti, 41, p. 17. Lamna (Od.) contortidens Issel, 62, p. 57, t. I, f. 25. Odontaspis » Ivilian, 63, p. 719. » » » » » Lamna Odontaspis » Pollini, 93, p. 85. » Woodw. 147, p. 366. adunca Woodw. 147, p. 374. contortidens Bass. IO, p. 28. » De Ale, ss. 28, p. 12, 1. 1, f. 8-8 a. » Kissl. 65, p. 21, 1. 1, f. 23-25. » De Aless. 30, p 36, t I, f. 14. Nelle numerose località fossilifere del Pliocene dei dintorni di Messina, si raccolgono molti denti di questa specie. Essi sono cilindrici, arcuati, colla base della corona forte- mente inturgidata. I margini laterali svaniscono nella parte in- feriore; le strie sulla faccia interna s’intersecano frequentemente c raggiungono quasi l’apice del dente, esse sono sottilissime. Tutti mancano della radice e dei coni laterali. Ne possiedo di tutte le posizioni : anteriori, laterali e poste- riori, sia della mascella superiore die di quella inferiore. Questa specie fu riconosciuta dal Seguenza G. per la nostra provincia. Località: Colline attorno Messina; Mi lazzo, Kometta, ecc. Epoca: Pliocene (calcari e sabbie). Odontaspis ferox Agassiz. (Tav. VI, fig. 10-12). 1833-43 Odontaspis ferox Ao. 1, v. Ili, p. 87 c 288, t. G e dulia Seg. G. (non Ag.), 114, p. 6. » Seg. G. (non Ag.), 113, p. 16. » Seg. G. (non Ag.), 115, p. 475. » Seg. G. (non Ag ), 117, p. 16. » Cort. (non Ag.), 18, p. 91. 1862 » 1868 1873-77 1882 Era i denti fossili di pesci che si raccolgono negli strati del Pliocene nella provincia di Messina, ve ne ha moltissimi clic rispondono ai seguenti caratteri: denti sobillati, cilindrici, ri- curvi verso la gola o variamente flessuosi, dilatati e turgidi alla PESCI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 499 base della corona, con una forte depressione ed una breve piega mediana alla parte inferiore della faccia esterna. Le due facce sono quasi egualmente e fortemente convesse, margini laterali taglienti sino alla base nei denti laterali, o arrestantesi in alto negli anteriori. Uno o due dentelli accessorii a ciascun lato della base; essi sono curii e sottili nei denti arcuati, ottusi e dritti nei denti eretti o poco dessuosi. Radice robusta più o meno di- vergente. Dalla comparazione fatta dei denti in parola con i numerosi mascellari di Oclontaspis ferox A g. sovente pescato nei nostri mari, mi risulta che sono perfettamente uguali. Il numero dei dentelli laterali alla base, non è, a mio credere, un carattere costante ed interessante; infatti avendo potuto osservare su una mascella di questa specie vivente, appartenente ad un individuo pescato a Messina, alcuni denti forniti di tre cuspidi per ogni lato, malgrado che ranimale rispondesse in tutti i caratteri alla specie in parola, mi sono completamente convinto non essere il numero dei dentelli di alcun interesse per la specifica determi- nazione dei denti. E perciò che io ho creduto poter riferire con sicurezza i denti in parola a questa specie, anziché ad Od. dubia a cui la rife- risce il Seguenza Gr. Località: Colline di Messina; Milazzo, Rometta. Epoca: Pliocene (calcari e sabbie). Dammi obliqua Agassiz sp. (Tav. V, fig. 22-25). 1833-43 Otoclus obliquus Ag. 1, v. Ili, p. 267, t. 30, f. 22-27. » » » lanceólatus Ag. 1, v. Ili, p. 269, t. 37, f. 19-23. 1850 » obliquus Dixon, 35, p. 204, t. 10, f. 32-35, t. 15, f. 11 1877 » » Bass. 3, p. 22. » » lanceólatus Bass. 3, p. 21. » » appendiculatiis Bass. (non Ag.) 3, p. 20. 1883 » obliquus Dames, 76, p. 115, t. Ili, f 6. 1889 Lavina obliqua AVoodw. 147, p. 404 1893 Oiodus obliquus Rovas. 107, p. 418. » » lanceólatus Rovas. 107, p. 418. 1895 Lavina obliqua De Aless. 28, p. 270, f. 5. 1899 » » Bass. 11, p. 18, t. I, f. 32-35. 500 L. SEQUENZA FU G. Rapporto a questa specie varii denti alquanto danneggiati e rotti, ma ben riconoscibili, rinvenuti in contrada S. Nicola nel capo Castell uccio (Taormina). Essi furono raccolti nel piccolo lembo di calcari insieme ai denti di Ptychodus testé descritti e rapportati al Cretacico superiore. I denti in parola sono tozzi e spessi con la faccia esterna appiattita e la faccia interna fortemente convessa ed inturg'idata al margine inferiore. La corona è inclinata da un lato; la ra- dice manca sempre. (Tav. Y, fig. 22). Alla stessa specie riferisco alcuni denti raccolti negli schisti eocenici dei promontorii di S. Andrea e di Castelluccio predetto. L’esemplare meglio conservato è spesso, robusto e fortemente obliquo, con l’apice ripiegata lievemente in fuori. La faccia in- terna di esso è fortemente convessa ed inturgidata nel margine inferiore; la faccia esterna è leggermente convessa con una forte depressione triangolare vicino al bordo inferiore che è dritto. I lati sono ornati da una larga lamina marginale taglientissima die va dall’apice alla base; la radice ed i coni laterali mancano; proviene da Castelluccio. (Tav. Y, fig. 23). Un altro dente è più piccolo, meno obliquo, con la caratteristica depressione sulla faccia esterna. Esso ha un piccolo frammento di uno dei coni laterali; fu raccolto a S. Andrea. (Tav. V, fig. 24). Un terzo è quasi uguale ai precedenti, ma più acuto, slan- ciato e ricurvo verso l’angolo della bocca. Esso ha la depres- sione triangolare sulla faccia esterna; i margini laterali sottili e taglienti. Ai lati della base ha due coni accessorii acuti, di- vergenti, appiattiti. Fu raccolto a Castelluccio. (Tav. Y, fig. 25) Anche questi esemplari mancano di radice. Località: Promontorii di S. Andrea e Castelluccio (Taormina). Epoca: Cretacico superiore (calcari). Eocene sup. (schisti). Lamna [Otodus] Yesiilliensis Seguenza G. sp. 1KH7 Otodus Vesulliensis Seg. G. 124, p. 6. » » » Seg. G. 12(5, p. 474. La nuova specie stabilita dal Seguenza G. e trovata nei cal- cari con Posid. alpina del promontorio di S. Andrea (Taormina) PESCI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 501 fu instituita per un solo dente raccolto dall’autore citato e con- servato in questo R. Istituto di Geologia. Il dente in parola è piccolo (min. 7 X?) triangolare, acuto, quasi egualmente convesso sulle due facce, con due cuspidi acces- sorie, acute e alte quasi un terzo del cono principale. La radice manca. Essendo esso fragilissimo e con parte di una faccia forte- mente impigliata nella roccia, mi è impossibile indicarne altri caratteri. Località: Capo S. Andrea (Taormina). Epoca: Batoniano (calcari con Posidonomia alpina Gras.). Carcharodon auriculatus Blainville sp. (Tav. V, tìg. 14-18). 1818 Squalus auriculatns Blainv. 12, p. 384. 1833-43 Carcharodon auriculatus Ao. 1, v. Ili, p. 245, t. 28, f. 17-19. » » >> heterodon Ag. 1, v. Ili, p. 258, t. 28, f. 11-16. » » » angustidens Ag. 1, v. Ili, p. 255, t. 28, f. 20-25, t.30, f. 3. » » >> lanceolatus Ag. 1, v. Ili, p. 257, t. 30, f. 1. » » » toliapicus Ag. 1, v. Ili, p. 257, t. 30 a, f. 14. » » » disaurius Ag. 1, v. Ili, p. 259, t. 28, f. 7. » » » megàlotis Ag. 1, v. Ili, p. 258, t. 28, f. 8-10. 1846 » megalodon Sism. (non Ag.) 131, p. 34, t. I, f. 11-13. » » crassidens Sism. 131, p. 35, t. I, f. 32-33. » » productus Sism. (non Ag.) 131, p. 37, t. I, f. 25-29. » » angustidens Sism. 131, p. 36, t. I, f. 30-31. 1850 » heterodon Dixon, 35, p. 204, t. II, f. 19. 1861 » angustidens Michltt. 82, p. 142. 1866 » lanceolatus Costa 0. G. 24, p. 11, t. I, f. 10. 1887 » jurensis Seg. G. 124, p. 8. » » off. jurensis Seg. G. 124, nota a p. 8. » » jurensis Seg. G. 126, p. 388. 1889 » auriculatus Woomv. 147, p. 4-11. 1893 » » Trab. 135 bis, p. 193, 195 (15 e 16). » » productus Rovas. (non Ag.) 107, p. 418. » » heterodon Rovas. 107, p. 418. » » angustidens Rovas. 107, p. 418. » » polygyrus Rovas. 107, p. 418. 1899 » auriculatus Bass. 11, p. 22, 1. 1, f. 36-39. 502 L. SEGUI5NZ A FU G. Possiedo parecchi denti triangolari, spessi, alti il doppio della larghezza della base dello smalto, con le facce (piasi egualmente convesse che io riferisco alla specie di Blainville. Alcuni sono dritti coi margini laterali retti ed eguali che formano con la base un triangolo isoscele; la faccia interna è fortemente e regolarmente convessa; l’esterna aneli’ essa con- vessa ma poco meno dell’interna, entrambe sono perfettamente lisce e lucenti (denti anteriori). Altri sono inclinati da un lato, meno lunghi, un poco appiat- titi, con una leggiera depressione e qualche piega tutt’ affatto superficiale; il bordo inferiore è leggermente curvo e turgido sulla faccia interna, dritto e ondulato nell’esterna (denti laterali). Tutti gli esemplari sono fortemente dentellati ai margini da una seghettatura piccola ed uniforme nei denti anteriori, alquanto grossolana ed ineguale nei denti laterali. Tutti hanno l’ apice rivolto più o meno in fuori. La radice manca sempre ; dei cu- spidi laterali si vede traccia nell’esemplare (tav. V, fig. 16) rac- colto a Castelluccio. Due denti anteriori assai somiglianti fra loro sono stati tro- vati dal Seguenza G. e ne fa menzione col nome di Cardi, aff. jurensis (124, nota a pag. 8). (Tav. Y, fig. 14 e 15). Insieme ad essi vennero raccolte tre vertebre. L’avere ri- scontrato i resti in parola in un piccolissimo spazio pur non avendo riscontrato altro fossile in tutto lo spessore dello strato, fanno credere che tanto i denti quanto le vertebre debbano ri- ferirsi alla stessa specie e forse allo stesso individuo ; tanto più che nelle seconde si osservano le caratteristiche del genere Cardiaro- < fon , ed essendo tale genere rappresentato in questi strati dal Car. auricuVdtus, credo clic la mia asserzione non è del tutto infondata. Le vertebre in parola sono molto danneggiate dalle pressioni subite durante il processo di fossilizzazione. La più grande, che è la meglio conservata, è a sezione lievemente ellittica, con i lati antero-posteriori a forma d’imbuto le cui pareti sono per- corse da numerose strie di accrescimento di dimensioni varie; la sostanza spugnosa ('interamente rimpiazzata dal calcare. (Tav. V, fig. 18). nini. 79X75 Diametri Altezza massima ai bordi . . » PESCI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 503 Nello stesso promontorio di Castelluceio, al di sotto della casa colonica, fu raccolto nelle concrezioni limouitiche interca- late agli schisti, un dente laterale che presenta un frammento di cuspide laterale; un altro dente laterale è stato trovato negli schisti di S. Andrea. Altri esemplari molto più grossi furono raccolti nella valle di Marica (Taormina) ma sono molto danneggiati dalle pressioni. Alla medesima specie io rapporto il dente trovato da Se- guenza Gf. presso la chiesa di S. Andrea e che servì allo stesso A. per instituire la nuova specie Carcharocìón jurensis. La corona di questo dente è quasi intera; mancano i coni laterali e la radice ; esso è spesso, flessuoso ; presenta la faccia interna for- temente convessa con una lieve depressione mediana ; la faccia esterna un poco appiattita e variamente ondulata, i margini late- rali ornati da regolare seghettatura. (Tav. Y, fig. 17). Località: Promontorii di Castelluceio e S. Andrea, Valle Ma- rica (Taormina). Epoca : Eocene superiore (schisti e concrezioni limonitiche). Carcharodon megalodon Agassiz. (Tav. VI, fig. 1-3). 1833-43 Carcharodon » » » » » » » » » » » » 1846 » 1849 » 1853 » 1853-56 » 1856 » » » » » » » » » » » » » 1857 » 1858 » megalodon Ag. 1, v. Ili, p. 247, t. 28. polygyrus Ag 1, v. Ili, p. 253, t. 30, f. 9-12. productus Ag. 1, v. Ili, p. 251, t. 30, f. 2-4 e 6-8. rectidens Ag. 1, v. Ili, p. 250, t. 30 a, f. 10. subauriculatus Ag. 1, v. Ili, p. 251, t. 30a, f. 11-12. megalodon Munst. 84, pt. VII, p. 22. » Gibbes, 57, p. 143, t. 18, t. 19, f. 8-9. » Costa 0. G. 19, p. 347, t. 9, f. 2. » Bronn, 14, p. 661, t. 43, f. 1. a Costa 0. G. 19, p. 42, t. V, f. 2-3, t. 6, f. 1 . productus Costa 0. G. 19, p. 48, t. V, f- 1. rectidens Costa 0. G. 19, p. 46, t. V, f.4, t. 6, f. 2. auriculatus Costa O.G. (non Ag.) 19, p. 43, t.V, f. 5. arcuatus Costa 0. G. 19, p. 52, t. VI, f. 4. tumidissimus Costa 0. G. 19, p. 50, t. V, f. 7. latissimus Costa 0. G. 19, p. 51, t. V, f. 8. productus Menegh. 80, p. 466. megalodon Gemmell. 48, p. 23, t. II. L. SEGUENZA FU G. 504 1858 » » » » 1859 1861 1864 » 1866 1871 1873 » » 1875 1877 » » » » 1879 » 1880 » » » » » » » » » » » » » » 1882 » » » 1883 Carcharodon megalodon var. sicula Gemmell. 48, p. 24, t. III. » » var. subauriculata Gemmell. 48, p. 25, t. IV, f. 1-3. » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » productus Gemmell. 4S, p. 30, t. V, f. 3-5. latissimus Gemmell. 48, p. 31, t. IV, f. 4. Cosine Gemmell. 48, p. 27, t. V, f. 1-2. megalodon Gervais, 52, p. 520 e 521, t. 74, f. 11-12, t. 75, f. 10. » Michltt. 82, p. 142. auriculatus var. falciformis Costa 0. G. 21, p. 104, t. 6, f. 2. crassus Costa 0. G. 21, p. 102, t. 6, f. 1. productus Lioy, 75, p. 9. megalodon Le PIon, 73, p. 7. » Seg. G. Ufi, p. 259. productus Seg. G. Ufi, p. 261. turgidus Seg. G. (non Ag.) Ufi, p. 261. megalodon Manz. 78, p. 259. » Bass. 3, p. 15. productus Bass. 3, p. 15. subauriculatus Bass. 3, p. 16. ìeptodon Bass. (non Ag.) 3, p. 14 megalodon Loc. 7fi, p. 8. » Bass. 5, p. 22 » Probst, 97, p. 138. » Bass. 8, p. 31. » Masc. 79, p. 360. ' latissimus Masc. 79, p. 360. megalodon Sauv. Ili, p. 5, t. I, f. 11. polyggrus Sauv. Ili, p. 7, t. I, f. 10. megalodon Scara iì. 127, p. 42. polyggrus Scarab. 127, p. 42. megalodon Seg. G. 119, p. 49. » var. subauriculatus Seg. G. 119, p. 30. » var. siculus Seg. G. 119, p. 40. rectidens Seg. G. 119, p. 49. productus Seg. G. 119, p. 72. » Bass. 7, p. 7. » Bass. 8, p. 31. » Bass. fi, p. 31. megalodon Cort. 18, p. 80. productus Cort. 18, p. 80. turgidus Cort. 18, p. 80. megalodon Lawl. 72, p. 35, t. IV, f. 1, t. V, f. 11. polyggrus Portts, 95, p. 13. PESCI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 595 1883 Carchcirodon productus Bass. 9, p. 1. 1884 » megalodon Simon. 130, p. 249 » » productus Nicolis, 87, p. 39, t. II, f. 1. 1885 » megalodon Ferretti, 41, p. 15 e 16. 1886 » » Issel, 62, p. 54. 1889 » » Pollini, 93, p. 72, f. 1. » » productus Pollini, 93, p. 74. » » megalodon Woodw. 147, p. 415. » » productus Ramb. e Nev. 101, p. 360. 1891 » megalodon Bass. 10, p. 14, t. I, f. 1-2. 1893 » » Zittel, 151, v. Ili, p. 83, f. 87. 1895 » » De Aless. 28, p. 6, 1. 1, f. 1. 1897 » » De Aless. 30, p. 9 e 40. Ho sott’ occhio i denti del piano Elveziano menzionati dal Seguenza GL coi nomi di Cardi, megalodon, turgidus, productus (quest’ultimo nome fu anche dato a Car. Eondeletii dallo stesso Autore). A mio credere essi possono riunirsi a Car. megalodon per i caratteri comuni fra essi di cui eccone un accenno: Denti grandi, triangolari, con i margini laterali inarcantisi in fuori o in dentro a seconda della posizione che occupava il dente nella mascella ; faccia interna fortemente convessa e gib- bosa ; faccia esterna piana o lievemente depressa, divisa da una piega longitudinale dall’apice alla base, più o meno appari- scente ; il bordo inferiore esterno è dritto o ad angolo ottuso, l’in- terno è arcuato e turgido ; la punta è ottusa e leggermente rivolta in fuori ; seghettatura piccola e regolare. La radice manca sempre. Il dente menzionato dal Seguenza GL come Car. turgidus A g. differisce dagli altri per la sua forma slanciata, lanciforme, con i margini laterali quasi dritti ; in tutti gli altri caratteri risponde perfettamente ai denti raccolti nello stesso strato ; io quindi non dubito dal riferirlo ai denti anteriori di Car. megalodon. (Tav. YI, fig. 3). Il dente riferito a Cardi, productus dallo stesso A. risponde a tutti i caratteri degli altri, solo che ha i margini laterali alquanto rientranti e quindi è da rapportare ai denti laterali della stessa specie. Del resto il Car. productus dell’Agassiz venne dagli Autori riconosciuto come faciente parte del Cardi, mega- lodon dello stesso Autore. (Tav. YI, fig. 2). Tj. sequenza fu ci. 506 Questi due denti che servirono al Sequenza G. per insti- tuire le specie in parola, provengono dalle arenarie calcarifere elveziane di Patti. Qualche raro frammento fu rinvenuto nelle stesse rocce di Basico, Cesarò, Novara (Sicilia), Nizza (Sicilia). Da quest’ultima località provengono alcuni denti piccoli, in confronto agli altri, e riferibili a giovani individui della me- desima specie. Località: Patti, Cesarò, Nizza (Sic.), Novara (Sic.), Basico. Epoca: Elveziano (arenarie calcarifere a Poriferi). Carcliarodon Rondeìetii Mailer et Henle. (Tav. VI, f. 4-7). 1841 Carcliarodon Rondeìetii Me or,, et Henlf, 83, p. 70. 1848 » sulcidens Ao. 1, v. Ili, p. 254, t. 30 a, f. 3-7. 1847 » » Michltt. 82, p. 353. 1858 » Tornabenc Gemmell. 48, p. 309, t. I, f. 12. 1862 » meyalodon Seg. G. (non Ao.), 114, p. 5. » » productus Seg. G. (non Ag.), 114, p. 6. » » meyalodon Seg. G. (non Ag.), 113, p. 9 e 16. » » productus Seg. G. (non Ag.), 113, p. 16. 1869 » » Seg. G. (non Ag.), Da Reggio a Terreti, p. 2. » Seg. G (non Ag.) 116, p. 267. 1873 » 1873-77 » » Seg. G. (non Ag.), 118, p. 21, 23, 37. » » » meyalodon Seg. G. (non Ag.), 118, p. 23. 1875 » Rondeìetii Seg. G. 117, p. 15. » » meyalodon Seg. G. (non Ag.), 117, p. 15. 1876 » sulcidens Lawl. 70, p. 23. » » Caifassi Lawl. 70, p. 23. 1878 » Etruscus Lawl. 71, p. 17. 1880 » sulcidens Seg. G. Ili), p. 185 e 247. 1881 » Etruscus Lawl. 72, p. 17, t. li e 111, t. IV, f. 2, t. V. 1889 » meyalodon Cort. (non Ag.), 18, p. 91. » » productus Cort. (non Ag.), 18, p. 91. 1882 » Rondeìetii Woodw. 147, p. 421. 1891 » » Bass. 10, p. 17 (nota 7). 1895 » » De Aless. 28, p. 8. Negli strati pliocenici dei dintorni di Messina si raccolgono numerosi alcuni denti di (Jarcharodon che il Seguenza G. chiamò PESCI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 507 prima Carcliarodon productus e megalodon, indi Car. Bondeletii ed in fine Car. sulcidens. Confrontati da me con i numerosi mascellari degli individui di Car. Bondeletii sovente pescati nei nostri mari, ho trovato che per nulla ne differiscono, ed eccone i caratteri comuni: Denti triangolari, appiattiti, poco spessi, dritti o leggermente curvati in avanti; faccia esterna piatta e liscia nei denti inferiori, on- dulata e solcata da strie nei superiori ; margini laterali irrego- larmente dentellati; numerosi dentelli sono bifidi. Da quanto ho detto sin qui, si vede bene che trattasi di quella specie italiana del Pliocene, che rinvenuta e determinata dall’Agassiz col nome di Car. sulcidens, fu poi variamente inter- pretata dal Gemmellaro, Seguenza G., Mielielotti, Lawley, sino a che il Woodward le diede la sua giusta determinazione rife- rendola a Carcliarodon Bondeletii M, et H. tuttora vivente. È per questo che io rapporto a quest’ultimo il dente rinve- nuto nel Miocene superiore di S. Piero e che è certamente il Car. megalodon dal Seguenza G. raccolto nello stesso piano ; ed i numerosissimi denti trovati in vari strati del Pliocene di Messina ed in tutte le località ove esso affiora così a S. Filippo, Tre Monti, Trapani, Scoppo, Scirpi, Gra vitelli, Rometta, Milazzo, Gesso, ecc. Il dente pliocenico creduto Car. megalodon dal Seguenza G., è a mio credere un dente anteriore della specie tuttora vivente. Fra i tanti esemplari studiati, ne ho uno raccolto a Scirpi che per anomalia presenta l’apice bifida. (Tav. VI, fig. 7). A tutti gli esemplari manca la radice. Località: Colline di Messina; Milazzo, Eometta, Gesso, ecc. Epoca: Miocene superiore (S. Piero) e Pliocene. Prionodon glaucus Miiller et Henle. (Tav. VI, f. 37). 1838 Prionodon glaucus Muller et Henle, 88, p. 36, t. IX. Negli strati pliocenici dei dintorni di Messina si rinvengono, non raramente, alcuni denti piuttosto piccoli, triangolari, falci- formi, con le faccie quasi egualmente e leggermente convesse 36 508 L. SEGUENZA FU G. con una depressione e qualche lieve piega nella parte inferiore della faccia esterna; con segkettatura ai margini laterali, dal- l’apice alla base; col margine inferiore dello smalto sulla faccia esterna dritto, sull’interna arcuato; con l’apice rivolta lievemente in fuori. Dal confronto fattone con i denti del Prionodon glaucus M. e H., frequente nei mari di Messina, mi risulta che ad esso pos- sono riferirsi i denti fossili della detta regione. Sono assai più frequenti i denti falciformi più appiattiti ed a triangolo equilatero, rapportabili alla mascella superiore; mentre che i denti quasi dritti, stretti e lunghi, molto più convessi appar- tenenti alla mascella inferiore sono assai più rari. Località: Colline di Messina (Scoppo, S. Filippo). Epoca: Pliocene (sabbie). Scynmus 1 teina Cuvier. (Tav. VI, f. 21-22). 1817 Scymnus licitici Cuvier, 25, p. 130. Possiedo numerosi denti raccolti nel pliocene di contrada Scoppo presso Messina. La loro forma, tanto caratteristica, me li fece con sicurezza rapportare al genere Scymnus. Essi sono triangolari e finamente seghettati ai margini late- rali ; la radice è dritta, appiattita e divisa in due lobi paralleli: ed insieme saldati; al centro della loro sutura si osserva un foro che in alcuni denti è aperto, in altri è otturato dallo smalto. Confrontati con i denti di un individuo di Scymnus lichia Cuv., ] tescato nello stretto di Messina ove è molto raro, mi sem- brano rispondere perfettamente ad essi ed è perciò che credo doverli riferire alla specie vivente. Lo Scymnus majori Lawley (70, pag. 38), clic secondo l’au- tore predetto abbonda nel Pliocene toscano, deve a mio credere riunirsi alla specie vivente. Tale è anche l’opinione di Wood- ward (70, voi. I, pag. 33), allorché dice, parlando di questa PESCI POSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 509 specie: «Specie imperfettamente definita, assai somigliante ai denti del vivente Se. Udita ». Ne possiedo di entrambe le mascelle; gli inferiori sono più larghi e brevi, mentre che i superiori sono acuti e sottili. Località: Scoppo. Epoca: Pliocene (sabbie). Sonatina angelus Dumeril. 1806 Squatina angelus Dumeril, 37, p. 102. Nelle sabbie plioceniche della contrada Trapani, presso Mes- sina, ho raccolto un solo esemplare di dente che per la sua speciale forma ho subito riconosciuto come appartenente ad una Squatina. Confrontando questo dente con quelli di una testa di Squa- tina angelus, splendidamente preparata dall’egregio Dott. Luigi Cocco e pescata nel nostro Stretto, ho potuto assicurarmi che il dente fossile in parola corrisponde esattamente ai caratteri dei denti della specie vivente; infatti la base è slargata, triango- lare, appiattita, con una piega che la percorre da un lato al- l’altro sulla faccia esterna, al disotto della quale vi è un sottile straterello che fa da radice, in mezzo a questa base si alza la cuspide acuta con sottile laminetta ai margini laterali, con piega breve ma ben distinta sulla faccia esterna e con un forte rin- forzo sulla faccia interna che ingrossa gradatamente in basso. Questo dente appartiene con sicurezza al lato sinistro della mascella superiore della specie vivente. Località: Trapani (Messina). Epoca: Pliocene (sabbie). Amblypterus (Rabdolepis) macropterus Bromi sp. 1829 Palaeoniscum macropterum Bronn, Zeit. f. Min., v. II, p. 483. 1833-43 Amblypterus macropterus Ag. 1, v. II, p. 31, 1. 1, f. 4-7, t. Ili, f. 1-4. » » » eupterygius Ag. 1, v. II, p. 4 e 36, 1. 1, f. 8, t. Ili, f. 5-6. 1857 Rhabdolepis macropterus Troschel, Verh. naturli. Ver. Preus. Rlieinl. n. Westf. p. 15, t. II, f. 15. » » eupterygius Troschel, loc. cit., p. 15, t. Il, f. 14. 1858 Amblypterus macropterus Gemmell. 48, p. 285 ('). (*) ( *) Non Amblycopterus macroceplialus come riportarono Baldacci (2, p. 38) e Cocco (16, p. 6). Ij. SEQUENZA FU G. 510 1870 Rhabdolepis (Amblypterus) macropterus Nichol. 85, p. 135, f. 501. 1883 Amblypterus macropterus Gaudry, Les ench. cl. raon. an., I, f. 239. 1891 Eloniclitys macropterus Wood. 147, P. II, p. 491. Il Gemmellaro (48) fa menzione di uno scheletro di Am- blypterus macropterus Bron. sp., trovato in uno sferosiderite rac- colto in una valle a N. 0. di làmina. La descrizione minuziosa da- tane dall’illustre autore, nel mentre toglie ogni dubbio sulla esatta determinazione, è sufficientissima perchè io ritorni sull’ar- gomento. Località: Limina. Epoca : Carbonifero ! Gyrodus sp. (Tav. V, f. 32). Possiedo un sol dente molare raccolto nella parte N.-E. di Castellacelo in un lembo titonico insieme a qualche Sphenodus longidens Ag. È ben difficile da un solo esemplare riconoscere la specie a cui potè appartenere ; però è certo che esso proviene da uno dei ranghi laterali dei denti di Gyrodus. Esso è ellittico, largo il doppio dell’altezza, con ima depres- sione mediana ; lo smalto attorno ad essa è pieghettato da varie e lievi grinze radiali ; manca la ben che menoma traccia di radice. In questo dente riscontro molta somiglianza con quelli di Gyrodus titanius Wa g. del giurassico superiore, però non oso riunirlo a questa specie non bastando come già dissi un sol dente ad assicurare la determinazione specifica. Località: Promontorio di Castclluccio (Taormina). Epoca: Titonico (calcari). Diodo» italicus De Alessandri. (Tav. VI, f. 18). 1895 Diodon italicus De Aless. 28, p. 25, f. 23 a, b, c. 1897 » » De Ai.ess. 30, p. 27, 1. 1, f. 5. Nell’arenaria calcarifera elveziana di Nizza (Sicilia) è stata raccolta una placca dentaria di Biodon molto ben conservata. PESCI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 511 Il diametro antero-posteriore è di mm. 12 e da un lato all’altro inni, 20; l’altezza massima mm. 9 V2. Essa è formata da due pile di lamine orizzontali sovrapposte l’ima all’altra, di color bruno saldate da un cemento bianchiccio. Le lamine della pila di destra sono più larghe ed in numero di 19, quelle della sinistra sono 18. La linea mediana di con- tatto è dritta ; in questo punto le lamine sono leggermente cur- vate in sotto. La superficie masticante, levigata dall’uso, è in declivio che scende dall’indietro in avanti. La faccia interna è dritta e leggermente flessuosa in alto. Le faccette laterali sono irregolarmente dritte ma disuguali fra loro. Dalla precedente descrizione risulta chiara la somiglianza dell’esemplare di Nizza (Sicilia), con quelli descritti dal De Ales- sandri col nome di Biodon italicus e raccolti nell’Elveziano del Monferrato. Da ciò risulta che oltre alla esatta somiglianza del mio esemplare con quelli del Monferrato, ne coincide l’età geo- logica che maggiormente mi convince sull’esatta determinazione della placca faringea in esame. La placca raccolta nel Miocene della Corsica e menzionata dal Locard (76) come Pliillodus corsicanus e riconosciuta dallo Zittel (151) come appartenente a,ì genere Biodon, credo debba rife- rirsi alla specie del De Alessandri per la somiglianza che offre con gli esemplari del Monferrato e di Nizza (Sicilia) sebbene di essa non si abbia una descrizione esauriente. Qui è da discutere se tutte le placche in parola debbano riunirsi al Biodon Scillae Agas. Guise, di cui si occupò testé il Pantanelli (Q cosa che io non posso provare per mancanza di materiale. Qualche lieve differenza che distingue le diverse placche in parola credo debba attribuirsi al maggiore o minore sviluppo dell’individuo a cui appartennero, all’erosione prodotta dalla ma- sticazione, o infine a danneggiamenti causati dal processo di fossilizzazione. Località: Nizza (Sicilia). Epoca: Elveziano (arenarie calcarifere a poriferi). (‘) Pantanelli D. Sul Diodon Scillae Ag. Guis. Meni. 11. Acc. Se. lett. di Modena, ser. Ili, voi. I, 1897. 512 L. SEQUENZA FU G. Labrodon Haneri v. Mlinster sp. (Tav. VI, f. 9). 1846 Phillodus Haueri Mììnster, 84. p. 6, 1. 1, f. 1 a-c. 1864 Pharyngodopilus Haueri Cocchi, 15, p. 67, t. IV, f. 13. 1875 Nummopàìatus Haueri Sauv. 110, p. 621. 1895 Labrodon Haueri De Aless. 28, p. 30, t. I, f. 30. Il Dott. G. De Alessandri molto esattamente rivendica il nome di Labrodon institnito da Gervais nel 1858 per questo ge- nere cui spetta per dritto di priorità essendo il nome di Num- mopalatus institnito da Rouault nel 1859 e quindi più recente di un anno come aveva con precedenza fatto rilevare il Sau- vage (111). Riferisco alla specie in parola una placca superiore destra quasi intera che somiglia perfettamente airesemplare figurato dal Sauvage nella sua monografia sul genere Nummopalatus. Le dimensioni sono le seguenti : Diametri delle due facce prese insieme mm. 20 X 16 Diametri della faccia triturante .... » 12 X 16 Diametri della faccia anteriore .... » 1G X 6 Angolo formato dalle due facce 115° Alla faccia anteriore si contano sei ordini di sei denti cia- scuno; ovuliformi, piazzati simmetricamente e formanti un pavi- mento liscio. All’angolo destro della placca si osservano parecchi denti piccolissimi e sferici raggruppati asimmetricamente. Su l’altra faccia si osservano quattordici denti sferici, corrosi in cima e piazzati dissimmetricamente, tanto che lasciano fra loro uno spazio vuoto mentre che nella faccia anteriore sono stret- tamente addossati gli uni agli altri. Le dimensioni dei denti vanno da uno a tre millimetri e mezzo. I denti più grossi stanno sulla faccia posteriore. Dal lato inferiore della placca si osservano in gran numero i denti di rimpiazzamento; essi sono sferici, vuoti nella parte inferiore, e si accumulano senza ordine alcuno. Località: Nizza (Sicilia). Epoca: Elveziano (arenarie calcarifere). PESCI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 513 Labrotlon multidens v. Miinster sp. (Tav. VI, f. 8). 1816 Phillodus multidens Munst. 84, p. 7, t. I, f. 5. » » subdepressus Munst. 84, p. 9, t. I, f. 7. 1864 Pliaryngodopilus multidens Cocchi, 15, p. 63, t. IV, f. 10-12. 1875 Nummopalatus multidens Sauv. 110, p. 629, t. 23, f. 19. 1893 » » Zittel, 151, v. Ili, p. 282, f. 299. Nelle arenarie calcarifere di Nizza (Sicilia) è stata raccolta una placca superiore di questa specie, molto somigliante a quelle figurate da Miinster e dal Cocchi. La placca in esame è larga mm. 11 e lunga rum. 15; il suo massimo spessore, non tenendo conto dei denti di rimpiazzamento clie mancano in parte, è di mm. 5. Tutti i denti che si osservano alla superficie sono sferici e corrosi dall’uso. Essi sono piazzati su tre ordini; il mediano di essi è costituito da cinque denti di grandezza decrescente. Il infimo dente è il più grosso della placca, del diametro di mm. 7, sferico, depresso e fortemente corroso; il secondo è di mm. 3, meno corroso del primo; gli altri sono progressivamente più piccoli. Nei due ordini laterali che per la forma e grandezza decre- scente dei denti della serie mediana, vanno a convergere in an- golo acutissimo, si osservano nove denti per lato anch’essi gra- datamente decrescenti in diametro che è tra 1 e 2 millimetri. Al disotto di ogni dente si osserva una pila regolare di 4 o 5 denti di rimpiazzamento. La placca in parola differisce da quelle sin ora illustrate della medesima specie per un ordinamento più simmetrico dei denti sulla superficie triturante e per la lunghezza maggiore, anziché uguale alla larghezza. Tali piccole differenze non credo siano tali da dover sepa- rare dalla specie del Miinster l’esemplare descritto, che pur vi corrisponde in tutti gli altri caratteri. Un altro frammento somigliante alla fig. 5, tav. XXIII del Sauvage (110) proviene dalla stessa località del primo. 514 L. SEQUENZA FU G. Essendo monco in varii lati, poco si può dire intorno ad esso. Ho solamente potuto osservare quattro denti ovuliformi di mil- limetri 3X2, situati su d’ una linea ed addossati per il lato lungo gli uni agli altri; accanto a questa serie se ne osserva un’altra formata da piccoli denti sferici; il resto manca. Località: Nizza (Sicilia). Epoca: Elveziano (arenaria calcarifera). Chrysophrys ciucia Agassiz. (Tav. VI, f. 19-20). 1833-43 1842 1846 1853 » 1857 » ? » 1858 » 1862 1865 1873 1874 1877 » 1879 1880 » » » » » 1882 1883 1884 » 1885 » 1886 Sphaerodus cinctus Ag. 1, v. Ili, p. 214, t. 73, f. 68-70. » » Munst. 84, pt. V, p. » » Sism. 131, p. 21, t. I, f. 1-4. » » Costa 0. G. 19, p. 329, t. 9, f. 24. » annularis Costa 0. G. 19, p. 328, t. 9, f. 21-22. » cinctus Menegh. 80, p. 464. » sp. ind. N.° 4 Menegh. SO, p. 465. » sp. ind. N.° 2 e 3 Menegh. 80, p. 465. » cinctus Gemmell. 48, p. 16, t. I, f. 4. » intermedius Gemmell. 48, p. 15, 1. 1, f. 2. » cinctus, depressus, lens Costa 0. G. 20, p. 23-32, t, III, f. 2, 4-7, 9. » ìrregularis Sciiauroth, 128, p. 263, t. 28, f. 15. » intermedius Seg. G. 116, p. 262. Sparoides umbonatus Phobst, 97, p. 29, t. Ili, f. 17 e 24. Sphaerodus cinctus Manz. 78, p. 259. Pagrus audrianus Bass. 3, p. 35. Chrysophrys miocenica Bass. 5, p. 7, f. 1-8. Sphaerodus cinctus Scara n. 127, p. 43. » annulatus Seg. G. (non Ao.), 119, p. 50. Chrysophrys miocenica Bass. 6, p. 6 e 10. » » Bass. 7, p. 7. » cfr. miocenica Bass. 8, p. 32. » cincia Sauv. Ili, p. 25, 1. 1, f. 1-6. Sphaerodus intermedius Cort. 18, p. 80. Chrysophrys ciucia Bass. 9, p. 2. Sphaerodus cinctus Portis, 95, p. 13. Chrysophrys cincta Nicolis, 86, p. 40, t. 2, f. 14. Sphaerodus cinctus Ferretti, 41, p. 16 e 19. Chrysophrys miocenica Ferretti, 41, p. 17. » sp. ? Issel, 62, p. 58, t.. I, f. 23-24. PESCI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 515 1889 Ghrysophrys cincia Simon. 130, p. 232. » » » Pollini, 93, p. 90, f. 4-6. » » » Ramb. e Nev. 101, p. 360. 1891 » » Bass. 10, pag. 49, t. II, f. 2-9. 1895 » » De Aless. 28, p. 26, t. I, f. 24-25. 1897 » » De Aless. 30, p. 26, 1. 1, f. 6. Nelle arenarie calcarifere Elveziane di Nizza (Sicilia) si rac- colgono numerosissimi i denti di questa specie che il Seguenza G. menziona col nome di Sphaerodus intermeclius Geni. Tra i molti campioni che ho sottocchio ve ne sono di tutte le posizioni delle mascelle; pochissimi sono più o meno conici, ma assai piccoli (incisivi, tav. VI, fig. 19) il resto sono sferici con una strozzatura più o meno appariscente alla radice; essi variano dai 2 ai 12 mm. di diametro; il loro colorito è nero lucente per la corona, gialliccio per la radice (molari, tav. VI, fig. 20). Sei soli denti molari di questa specie si raccolsero presso Patti. Essi sono di colore aranciato e io sono in dubbio se a questo genere o a Sargus debbano riferirsi avendo insieme ad esso trovati alcuni incisivi di Sargus dello stesso colore. Località: Patti, Nizza (Sicilia). Epoca: Elveziano (arenaria calcarifera). Sargus incisivus Gervais. 1859 Sargus incisivus (Tav. VI, f. 38-39). Gerv. 52, p. 514, t. 69, f. 14-16. 1879 » » Bass. 5, p. 8, t. I, f. 9-12. 1880 » » Sauv. Ili, p. 28, t. I, f. 7-9. 1884 » » Nicolis, 86, p. 40, t. II, f. 15. 1886 » » Issel, 62, p. 33, t. I, f. 21, 22, 26. 1895 » » De Aless. 28, p. 28. Fra i denti di Sargus quelli che si possono con sicurezza determinare genericamente e specificamente sono gl’incisivi che variano da specie a specie e sono caratteristici per questo ge- nere, mentre che i molari si confondono, per la loro forma quasi costante, sin anco con i congeneri della stessa famiglia. 516 L. SEQUENZA FU G. È perciò che io ho potuto identificare questa specie nelle arenarie calcarifere di Patti e di Nizza (Sicilia) per avervi trovato alcuni incisivi di essa. L’esemplare più grosso è quadrangolare, più alto che largo, quasi egualmente convesso sulle due faccie; sulla metà superiore della faccia interna è lievemente depresso; il bordo inferiore è leggermente inturgidato e percorso da sottilissime pieghe longi- tudinali. Proviene da Nizza. (Tav. VI, fig. 38). Altro esemplare di Nizza è assai più piccolo e smussato ad uno degli angoli superiori per erosione della masticazione. Un terzo esemplare proviene da Patti; esso è uguale al primo ma presenta una più forte depressione mediana. (Tav. VI, fig. 39). Tutti i campioni mancano di radice. Località: Patti, Nizza (Sicilia). Epoca: Elveziano (arenaria calcarifera). Sargus V 1H62 Spliaerodus cinctus Seg. G. (non Agas.) 113, p. 22. » » deprcssus Seg. G. (non Agas.) 113, p. 22. NeirAstiano di Messina si raccoglie qualche raro molare di forma sferica che non supera i inni. 3 di diametro. Seguenza G. riferisce questi denti a due specie di Spliaerodus, io però avendoli confrontati con quelli dei varii Sargus viventi nei nostri mari, credo che ad uno di essi debbano riferirsi per le dimensioni e per la somiglianza. Sarebbe però impossibile po- terne stabilire la specie essendo quasi uguali fra loro i molari dei varii Sargus ed assai somiglianti a quelli degli altri Sparoidi. PESCI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 617 SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE TAVOLA V. Fig. 1-12. Oxyrhina Desorii Agassiz - Eocene - Capo S. Andrea. Fig. 1-2-3 - denti anteriori inferiori [ = Lavina isomorpha, G. Se- guenza]. » 4-5-6-7 - denti laterali inferiori [ = Oxyrhina antegenita, G. Seguenza]. » 8-9-10 - denti laterali superiori. » 11-12 - denti posteriori [= Latrina omeomorpha, G. Se- guenza]. Fig. 13. Odontaspis elegans Agassiz sp. - Eocene - Capo S. Andrea. Dente anteriore inferiore [= Sphenoclus sulcidens, G. Seguenza]. Fig. 14-18. Carcliarodon auriculatus Blainville sp. - Eocene. Fig. 14-15 - denti anteriori inferiori [ = Carcliarodon aff. ,ju- rensis, G. Seguenza] Schisti - Castelluccio. » 16 - dente anteriore superiore - Concrezioni limoniticlie - Castelluccio. » 17 - dente superiore [= Carcliarodon jurensis, G. Seguenza] Schisti - S. Andrea. » 18 - vertebra - Schisti - Castelluccio. Fig. 19. Ptychodus latissiinus Agassiz - Cret. stip. - Castelluccio. » 20. Ptychodus decurrens Agassiz - Cret. sup. - Castelluccio. » 21. Notidauus primigenius Agassiz [=A Tot. antegenitus G. Seguenza] Eocene - S. Andrea. 518 L. SEQUENZA FU G. Fig. 22-25. Lanuta obliqua Agassiz sp. Fig. 22 - dente anteriore - Cretacico superiore - Castellacelo. » 23-24 - denti laterali - Eocene - Castellnccio. » 25 - Eocene - S. Andrea. Fig. 26. Sphenodus longidens Agassiz - Titonio - S. Andrea. » 27-29. Odontaspis Hopei Agassiz - Eocene - S. Andrea. » 30. Sphenodus robustidens nov. sp. - Lias ni. - Castellnccio. » 31. Sphenodus rectidens nov. sp. - Kimeridg. - Castellnccio. » 32. Gryrodus sp. - Titonio - Castelluccio. » 33. Hybodus La Yallei nov. sp. - Lias medio - Castelluccio. Boll. Soe. Geol. Ital. Voi. XIX Tav. V Ruma Fotot. Danesi PESCI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 519 TAVOLA VI. Fig. 1-3. Carcliarodon megalodon Agassiz - Elveziano - Patti. Fig. 1-1 a - dente (= Car. megalodon Ag. [G. Seguenza]). » 2-2 a - dente (= Car. productus Ag. [G. Seguenza]). » 3-3 a - dente ( = Car. turgidus Ag. [G. Seguenza]). Fig. 4-7. Carcliarodon Rondeletii Mtiller et Henle - Pliocene ( = Cardi, sulcidens, megalodon, productus, Ronde- letii [G. Seguenza]). Fig. 4-4 a, 5-5 a - denti anteriori superiori - Gesso - Scoppo. » 6-6 a - dente laterale inferiore - Scoppo. » 7-7 a - dente laterale superiore anomalo - Scoppo. Fig. 8. Labrodonmultidensv. Miinst. s\).- Elvez.- Nizza (Sicilia). » 9. Labrodon Haueri v. Miinst. sp. - Elvez. - Nizza (Sicilia). » 10-12. Odontaspis ferox Agassiz - Pliocene { — Od. dubia Ag. [G. Seguenza]). Fig. 10-10 a, 12-12 a - denti anteriori. » 11-11 a - dente laterale. Fig. 13. Odontaspis contortidens Agassiz - Pliocene - dente ant. » 14-15. Odontaspis cuspidata Agassiz sp. - Elveziano - Patti (fig. 14), Nizza (fig. 15). » 16-17. Odontaspis molassica Probst. - Elveziano - Patti. » 18. Diodon italicus De Aless. - Elveziano - Nizza (Sicilia). » 19-20. Chrysoplirys cincta Agassiz sp. - Elveziano - Nizza (Sicilia) (= Sphaerodus intermeclius Gemmell. [G. Se- guenza]). Fig. 19 - dente incisivo. » 20 - dente molare. Fig. 21-22. Scymnus licliia Cuvier - Pliocene - Scoppo. Denti della mascella inferiore. 520 L. SEGUENZA FU G. Fig. 23-28. Oxyrhina hastalis Agassiz. Fig. 23 - dente anteriore - Tortoniano - Scirpi. » 24-25-26 - denti anteriori inferiori - Elveziano - Patti { — Lavina crassidens Ag. [G. Seguenza]). » 27 - dento laterale - Elveziano - Patti ( = Ox. Icptodon Ag. [G. Seguenza]). » 28 - dente laterale - Pliocene - Scoppo. Fig. 29-36. Oxyrhina Spallanzani Bonaparte. Fig. 29 - dente anteriore inferiore - Tortoniano - Gravitoni ( = Lavi, crassidens Ag. [G. Seguenza]). » 30 - dente anteriore inferiore adulto - Pliocene - S. Fi- lippo (=0*. Desorii Ag. [G. Seguenza]). » 31-31 a, 32-32 a - denti anteriori inferiori - Pliocene ( = Lavi, crassidens Ag. [G. Seguenza]). » 33-33 a - dente laterale inferiore - Pliocene. » 34-34 a - dente laterale inferiore - Tortoniano ( = Otodus sulcatus Sism. [G. Seguenza]). » 35-35 a - primo dente anteriore superiore - Pliocene -Salice. » 36 - dente laterale superiore - Pliocene - Salice. Fig. 37. Prionodon glaucus M. et H. - Pliocene - Scoppo (dente sup.). » 38-39. Sargus incisivus Gervais. Fig. 38 - dente incisivo - Elveziano - Nizza (Sicilia). » 39 - dente incisivo - Elveziano - Patti. Boll. Soe. Geol. Hai. Voi. XIX Tav. VI Roma Fotot. Danen SUL DEPOSITO D’UNA FUMAROLA SILICEA ALLA FOSSA DELLE ROCCHE ROSSE (LIPARI). Nota del socio dott. Luigi Colomba in Torino. I. Durante l’escursione compiutasi per iniziativa della Società Geologica Italiana, nella scorsa primavera, al 1: arci pel ago delle Eolie, in una gita alla Fossa delle Rocche rosse in Lipari, ebbi modo di osservare sul fianco verso Monte Pelato, della grande colata di pomice o di ossidiana ivi esistente, una limitata serie di depositi prevalentemente silicei i quali si presentavano più o meno regolarmente sotto forma di piccoli coni. La Fossa delle Rocche rosse non è del resto l’unica località nella quale, in Lipari, si abbiano di consimili giacimenti. Cortese nei suoi studi sulle Eolie (*) accenna all’esistenza di depositi pure specialmente silicei in vari punti dell’isola ; essi oltre a presentarsi in piccola massa al Timpone Tre Croci in vicinanza della città di Lipari, abbondano nella parte nord-est dell’isola e precisamente in prossimità dei Timponi Patasso e del Grado e nelle adiacenti valli di Pera e dei Lacci. Questi depositi furono da lui considerati come provenienti da fumarole, sebbene tale nome non sia realmente il più appro- priato poiché dalle sue osservazioni sì può arguire che essi, anche per le grandi analogie che presentano con quelli che attualmente vanno ancora formandosi in vicinanza delle sorgenti termali di S. Calogero e Bagnosecco, siano dovuti a delle sorgenti termali silicee associate a delle emanazioni riferibili indubbiamente a «Ielle fumarole. Essi constano specialmente d’un materiale avente O Memorie descrittive della Carta Geologica d’Italia. Voi. VII, p. 37. Roma 1892. 522 L. COLOMBA un aspetto tufaceo o marnoso, passante gradatamente ad una sostanza bianca o rossa simile, nel suo modo di presentarsi, ad uno smalto; unito con esso trovasi sempre il gesso e seconda- riamente si hanno pure delle efflorescense di solfati di magnesio e sodio. Mattinilo (‘), che studiò questi depositi dal lato mine- ralogico e chimico, constatò come essi fossero prevalentemente costituiti da silice idrata con poca calcedonia e come contenes- sero pure notevoli quantità di allumina, per cui li ammise come risultanti da una miscela di silice idrata e di caolino derivante quest’ultimo dall’alterazione delle roccie esistenti nella stessa località. Inoltre constatò pure come in seguito a riscaldamento si avesse lo sviluppo di vapori acidi dovuti, secondo le sue osser- vazioni, all’ossidazione del solfo che vi era pure costantemente associato. Notevolmente differenti appaiono i depositi silicei della Fossa delle Bocche rosse, poiché dal complesso delle mie ricerche si deve escludere che debbano riferirsi a delle sorgenti termali, dovendosi invece in modo sicuro considerarsi come dipendenti da vere fumarole silicee. Essendo stato molto scarso il tempo disponibile, limitai le mie osservazioni sul posto, ad uno dei vari depositi osservati e scelsi quello che per il modo di presentarsi e per l’aspetto dei materiali costituenti poteva veramente considerarsi come tipico. Appariva esso sotto la forma (l’un piccolo cono alto poco più d’un metro ed avente alla base un diametro pressoché uguale all’altezza; all’estremità superiore presentava un foro avente un diametro di circa cinquanta centimetri e che andava allargan- dosi verso la base come un imbuto rovesciato. Osservando i materiali che lo costituivano, essi apparivano formati da frammenti di ossidiana e di pomice insieme cemen- tati da una sostanza bianca ; le dimensioni dei frammenti erano variabilissime essendovene di quelli che presentavano un volume di alcuni decimetri cubi, mentre in altri punti le dimensioni diminuivano fino ad essere pari a quelle dei grani d’una sabbia; i frammenti voluminosi erano però localizzati alla base del cono e non erano molto comuni. (>) Id., p. 39. SUL DEPOSITO D’UNA FUMAROLA SILICEA ECC. 523 Nella parte interna del cono la breccia risultava rivestita da una successione di strati che avevano complessivamente uno spessore raramente superiore ai dieci centimetri e che appari- vano costituiti da una sostanza biancastra, ruvida al tatto e non presentante in tutto lo spessore un aspetto omogeneo, poiché mentre lungo i piani di separazione dei vari strati assumeva un’apparenza simile ad un tufo avendo pochissima coerenza, ciò non avveniva più nelle parti interne dei vari strati, dove invece aveva una compattezza maggiore, presentandosi simile alla por- cellana e con una frattura scagliosa, mancante completamente nelle parti dotate di minima coerenza. Associato a questa sostanza in quantità non indifferente notai il solfo che appariva sotto forma di incrostazioni terrose più abbondanti negli strati più interni a contatto colla breccia che non in quelli più superficiali ; in ogni strato poi era maggiore la sua quantità nella parte superficiale che non neH’interno. I saggi compiuti allo scopo di stabilire se esso contenesse del selenio furono negativi sebbene in alcuni punti presentasse un colore giallo ranciato abbastanza caratteristico. La sostanza funzionante come cemento alla breccia era nel suo aspetto simile ad uno smalto ; era molto dura e presentava una colorazione bianca. Nei punti in cui i frammenti non ap- parivano in immediato contatto essa rivestiva la superficie dei frammenti sporgenti assumendo la forma di masse mamillonari o di piccole stalattiti generalmente vuote nell’interno e simili ad otricelli peduncolati, essendo costituite da una parte basale di diametro inferiore a quello della parte estrema per lo più aperta e svasata. Queste piccole stalattiti, raramente giungenti alla lunghezza d’un centimetro, ed anche le masse mamillonari, sebbene meno comunemente, apparivano costituite da una successione di sot- tilissimi strati concentrici e sovrapposti essendo quelli esterni incolori e trasparenti mentre si presentavano translucidi e bian- castri quelli interni. Tanto le stalattiti quanto le masse mamillonari si presen- tavano finamente fessurate, con un aspetto simile a quello che presenta il vetro quando venga immerso nell’acqua fredda dopo un prolungato riscaldamento ; malgrado questo però la superficie 37 L. COLOMBA 0-21 esterna delle ime e delle altre si manteneva perfettamente lucida e liscia non giungendo le fessure tino alla superficie. Le piccole stalattiti non occupavano solo i vani della breccia ; ne osservai pure di quelle addossate alle incrostazioni prima accen- nate. In alcuni casi osservai pure come il vano interno fosse ripieno di solfo; questo appariva pure incluso, sebbene più rara- mente, nelle masse mamillonari, essendo in esse intercalato fra strato e strato. II. Alle differenze esistenti nel modo di presentarsi delle sostanze incrostanti le pareti del piccolo cono corrispondono differenze nella struttura come risulta dai caratteri osservati nelle sezioni micro- scopiche. Nelle incrostazioni addossate alla breccia la parte meno coe- rente si presentò costituita da una specie di breccia ad elementi microscopici cementati da una sostanza bianca, translucida ed isotropa; non fu però facile il determinare la natura degli ele- menti cementati per la ragione che generalmente essi manca- vano, donde risultava la grande porosità presentata appunto dalla sostanza esaminata; tuttavia siccome i pochi frammenti ancora esistenti erano di ossidiana, si può ammettere che anche quelli mancanti fossero costituiti dallo stesso materiale. Poco dissimile apparì l’altra parte costituente l’interno degli strati presentandosi essa pure sotto forma di una sostanza bianca, isotropa e pure porosa; Punica differenza sta nella maggiore omo- geneità dipendente dall’assoluta mancanza in essa d’ogni accenno ad una struttura breeciata. Sensibilmente differenti si presentano le parti funzionanti da cemento e le piccole stalattiti. Le prime che, come dissi, hanno l’aspetto di uno smalto, sono prive di porosità c presentano una frattura concoide ben marcata. Osservando il modo nel quale avviene la cementazione dei frammenti, si nota come si abbia più che altro un vero ri- vestimento che ricopre ogni singolo frammento, avvenendo l’u- nione dei vari frammenti per il fatto che in molti punti i ri- vestimenti si toccano e si saldano insieme. SUL DEPOSITO D’UNA FUMAROLA SILICEA ECC. 525 Nelle sezioni microscopiche questo rivestimento appare costi- tuito da due parti, di cui una, interna, generalmente molto più sviluppata è completamente isotropa, mentre quella esterna, spesso ridotta ad un sottile velo, è birifrangente e presenta una strut- tura fibrosa e zonata perfettamente paragonabile a quella della calcedonia. Il distacco delle due parti non è però netto poiché si osserva quasi costantemente intercalata fra di esse una terza parte in cui la sostanza, pur mantenendosi ancora completamente isotropa, comincia però già a presentare delle zonature per cui si può ammettere che si abbia un passaggio continuo dalla parte in- terna compatta ed isotropa a quella esterna zonata e birifrangente. Il fatto poi del rivestimento di ogni singolo elemento della breccia appare evidentissimo nelle sezioni microscopiche, nelle quali si vede come, anche nel caso di frammenti molto vicini, ognuno abbia il suo involucro esternamente birifrangente in modo assoluto indipendente da quello dei frammenti vicini, anche quando i frammenti stessi siano saldati insieme. Analoga è la struttura delle piccole stalattiti nelle quali pure si osservano due parti, l'una superficiale birifrangente e l’altra interna ed isotropa; in quelle vuote nell’interno si osserva che la parte birifrangente costituisce un rivestimento tanto sulla su- perficie interna quanto su quella esterna. In grado molto maggiore che non nelle masse mamillonari, si osserva nelle stalattiti la struttura zonata anche nelle parti isotrope. L’aspetto fessurato esistente sulla superficie tanto delle une quanto delle altre, si risolve nelle sezioni in un finissimo in- treccio di canaletti diretti in tutte le direzioni e che si osser- vano specialmente nelle zone biri frangenti. III. Considerati dal lato chimico, tutti questi materiali indistin- tamente appaiono essenzialmente costituiti da silice. Trattando con acido fluoridrico tanto le incrostazioni quanto la sostanza cementante e le stalattiti, esse vennero in brevissimo L. COLOMBA 526 tempo completamente decomposte, lasciando un piccolissimo re- siduo perfettamente solubile nell’acqua ad eccezione di «quello derivante dall’azione dell'acido fluoridrico sulla parte meno coe- rente delle incrostazioni, dal quale ebbi un leggero residuo in- solubile che dai saggi fatti risultò esclusivamente contenere del- l’allumina. Il residuo solubile nell’acqua era costituito da fluoruri alca- lini ed in modo speciale da fluoruro sodico; decomponendosi esso rapidamente per azione dell’acido solforico con svolgimento di acido fluoridrico ed avendosi solo dalla soluzione risultante la reazione del sodio, secondariamente quella del potassio. In un saggio quantitativo compiuto sulla parte meno coerente delle incrostazioni, mediante la fusione con carbonato sodico- potassico, ottenni il 91,48 °/0 di silice; dallo stesso trattamento ebbi appena traccie non determinabili di allumina, la cui pre- senza credo si possa spiegar facilmente tenendo conto della strut- tura brecciata presentata dalla detta parte delle incrostazioni e della presenza in essa di piccole quantità di ossidiana inalte- rata; il rimanente poi era tutto rappresentato da prodotti vola- tili ed in modo speciale da vapor d’acqua. Nelle stalattiti la quantità di silice è superiore ancora poiché da un saggio da me fatto risulta che contengono il 4,17 °/0 di clementi volatili essendo tutto il rimanente da considerarsi come silice, se si eccettua un impercettibile residuo che rimane quando si trattano con acido fluoridrico. Questi risultati permettono di stabilire in modo certo che i giacimenti da me studiati sono essenzialmente silicei dovendosi considerare come formate da opale q nelle parti che si presen- tano isotrope e da calcedonia quelle birifrangenti e dotate di struttura fibroso-zonata. È bensì vero che la quota di elementi volatili trovata nelle stalattiti è notevolmente elevata per la calcedonia, ma ciò non deve far stupire quando si pensi che la determinazione fu fatta sulle stalattiti intiere e non solo sulla parte di loro che presentava la birifrazione. D’altra parte questi prodotti volatili non debbono esclusiva- mente considerarsi come risultanti da vapor d’acqua; essi con- tengono pure altre sostanze capaci di volatilizzare a temperatura elevata. SUL DEPOSITO D’UNA FUMAROLA SILICEA ECC. 527 Infatti avendo scaldato in un tubetto chiuso ad un estremità, alcuni frammenti tolti dalle incrostazioni, osservai come essi, mentre a differenza di quanto notò Mattirolo (*) in quelli tro- vati da Cortese, nè annerivano, nè svolgevano odore empireu- matico, dessero invece luogo a svolgimento di vapori acidi; a temperatura prossima a quella della fusione del vetro costituente il tubetto ebbi pure lo sviluppo di fumi bianchi solubili nell’acqua. Analoghe cose osservai nelle masse mamillonari e nelle sta- lattiti; in queste poi osservai come scaldate al cannello, pur non fondendo, si deformassero rigonfiando essendo queste deforma- zioni, da (pianto mi fu dato di osservare, dovute al fatto che i vari strati di cui erano formate tendevano a staccarsi ed a contrarsi, probabilmente in causa della eliminazione degli ele- menti volatili in esse contenuti. Allo scopo di stabilire quali fossero le sostanze che rende- vano acidi i vapori svolgentisi ed a che fossero dovuti i fumi bianchi, presi una discreta quantità di sostanza e collocatala in una stortimi di vetro il cui collo pescava in un matraccio pieno di acqua mantenuta fredda, la scaldai lungamente. Siccome Mattirolo aveva ammesso che l’acidità da lui riscon- trata nei prodotti volatili dei materiali da lui studiati, prove- nisse dall’ossidazione del solfo in essi contenuti, procurai di sce- gliere per la mia ricerca dei frammenti per quanto possibile privi di solfo. Sottoposta la stortina a riscaldamento constatai come, anche malgrado l’assenza del solfo, si avesse ugualmente lo sviluppo di vapori acidi e di fumi bianchi i quali ultimi in parte si de- ponevano nella parte interna del collo della stortina ed in parte venivano a sciogliersi nell’acqua del matraccio. Terminata l’ope- razione, dopo aver constatato che l’acqua del matraccio aveva assunto una leggera reazione acida, determinai le sostanze in essa discioltesi e notai come solo si rivelasse in essa la presenza del cloro e del sodio. Dal che dedussi doversi escludere in modo assoluto che la reazione acida fosse dovuta all’ acido solforico. Conclusi pure che associato al vapor d’acqua si avesse la volatilizzazione di piccole quantità di cloruro sodico; a questo (') Loc. cit., p. 39. 52S L. COLOMBA orano dovuti i fumi bianchi svolgcntisi sul finire del riscalda- mento, poiché avendo sciolto in acqua il deposito che essi ave- vano formato sulle pareti interne della storta, potei nella solu- zione così ottenuta, determinare perfettamente ed esclusivamente la presenza di cloruro sodico. Un’altra porzione di sostanza fu trattata lungamente con acqua a caldo; poscia filtrata la soluzione e portatala a secco, si ebbe un tenue residuo bianco solubile facilmente nell’acqua a freddo. Avendo in seguito lasciato una parte di quest’ultima soluzione in condizione da produrre una lenta evaporazione, quando questa fu completa, ebbi in ultimo un piccolo deposito costituito da pic- coli cubetti a tremie isotropi e da fascetti raggiati di cristalli microscopici allungati molto ed aventi costantemente estinzione retta. D’altra parte, avendo determinato le sostanze contenute nella soluzione primitiva, osservai come essa desse nettamente le reazioni del (doro e del sodio e secondariamente quelle del magnesio e dell’acido solforico, onde conclusi che i cristalli a tremie fossero dovuti a cloruro sodico e quelli allungati a sol- fato di magnesio. Fino ad un certo punto la presenza del cloruro sodico po- teva rendere ragione dello sviluppo di vapori acidi in seguito a riscaldamento, considerando questi come risultanti da una rea- zione possibile fra esso e la silice idrata costituente le incro- stazioni, reazione in seguito alla quale si otterrebbero silicato sodico ed acido cloridrico libero. Questa reazione si può facil- mente far avvenire : basta mescolare in un tubetto di vetro del- l’opale e del cloruro sodico preventivamente ridotti in polvere finissima e poscia scaldare fortemente; si vede allora come dal tubo si svolgano dei vapori acidi dovuti alla produzione di acido cloridrico per doppia decomposizione fra il cloruro sodico e la silice idrata. Questa reazione possibile nel caso da me considerato, però soddisfaceva solo parzialmente ai risultati da me ottenuti, in quanto che non spiegava il motivo per cui la, soluzione, ottenuta trattando con acqua calda le incrostazioni, presentasse una leg- gera reazione acida; sintomo questo dell’esistenza nei materiali considerati, di un acido allo stato libero. SUL DEPOSITO D’UNA FUMAROLA SILICEA ECO. 629 Orbene, osservando attentamente l’acqua contenuta nel pal- loncino che avevo usato nella prima delle ricerche qui citate, quella cioè di ottenere la soluzione nell’ acqua degli elementi volatili mediante il riscaldamento di una certa quantità di so- stanza in una piccola storta di vetro, notai come essa non fosse perfettamente limpida lasciando vedere galleggianti entro il li- quido alcuni fiocchi bianchi con apparenza quasi gelatinosa. Avendo con ogni cura separati questi fiocchi, osservai come in seguito all’azione dell’acido fluoridrico essi si volatizzarono com- pletamente, onde venni alla conclusione che essi fossero costituiti da silice; per il che ammisi che fra i prodotti volatili fosse pure contenuto dell’acro fluoridrico , il quale reagendo colla sostanza silicea delle incrostazioni, avrebbe prodotto del fluoruro di si- licio decompostosi a contatto coll’ acqua del piccolo matraccio. Onde accertarmi in modo assoluto della presenza di questo acido, collocai in un crogiuolo di platino una certa quantità di sostanza ridotta in polvere e la scaldai al rosso scuro, avendo ricoperto il crogiuolo mediante un vetrino; terminata l’opera- zione, constatai come il vetrino fosse stato fortemente intaccato. IV. I frammenti di ossidiana costituenti il piccolo cono erano generalmente, sebbene in grado più o meno elevato, alterati ; quest’alterazione per lo più appariva incominciare alla periferia e si manifestava specialmente in ciò che nei punti alterati l’os- sidiana perdeva il suo colore, per modo che i frammenti risul- tavano circondati da una zona bianco-gialliccia costituita da una sostanza isotropa. Osservando nelle sezioni sottili, notai come la detta altera- zione si manifestasse specialmente seguendo le lunghe file di pori a gas esistenti nell’ossidiana, probabilmente perchè esse rap- presentavano linee di minore resistenza. Oltre che alla periferia vidi pure dei frammenti nei quali l’alterazione incominciava dall’interno ; in tutti questi casi però si poteva constatare come essa fosse dovuta a delle infiltrazioni dal l’esterno. Effetto di queste alterazioni, più o meno avanzate, 530 L. COLOMBA ora la produzione nell’interno dei frammenti di ossidiana, di plaghe più o meno grandi, bianco-gialliccie perfettamente simili alle zone alterate periferiche. Più raramente notai in queste parti interne alterate anche una sensibile modificazione nella struttura, perdendo essa il suo aspetto vetroso compatto e presentandosi invece filamentosa e con un’apparenza simile a quella della po- mice, tanto da lasciar supporre che si trattasse di pomice in- clusa nell’ossidiana ; cosa però assolutamente contraddetta dalle indagini chimiche da me eseguite. Avendo separato una certa quantità di questa sostanza fila- mentosa, la trattai al solito con acido fluoridrico ed osservai come si sciogliesse pressoché completamente ed in brevissimo tempo; portando in seguito a secco la soluzione fluoridrica, ot- tenni un piccolo residuo solubile pure quasi completamente nel- l’acqua e che reagiva fortemente coll’acido solforico, rivelando allo spettroscopio esclusivamente la presenza del sodio; il pic- colissimo residuo insolubile nell’acqua era costituito da allu- mina. Analoghi risultati ottenni da quelle parti superficiali alte- rate ; su queste anzi, avendone una molto maggiore quantità dis- ponibile, potei compiere un saggio quantitativo che mi diede i seguenti risultati : Se ora si tien calcolo delle strettissime relazioni esistenti fra queste varie zone d’alterazione superficiali e le parti filamentose interne, tali che ad eccezione della differenza di struttura, spie- gabilissima colla differenza di giacitura, non è possibile di con- siderarle altrimenti che come derivanti da un unico fenomeno, avendosi anche dei passaggi graduali dalle une alle altre, ri- sulta dai valori ottenuti evidente come sia. assolutamente da escludersi che la sostanza filamentosa sia da riferirsi a pomice inclusa. 88,40 6,45 3,94 El. volatili . . 98,79 SUL DEPOSITO D’UNA FUMAROLA SILICEA ECO. 531 Tanto essa quanto le parti superficiali alterate debbono di- pendere da uno speciale fenomeno di alterazione che, eliminando in gran parte le basi, lasciò invece pressoché intatta la silice contenuta nell 'ossidiana preesistente. V. Questo processo d’alterazione dovette certamente compiersi per azione delle sostanze svolgentisi dal piccolo cono durante il periodo della sua attività vulcanica. Ora, come già dissi in principio, io credo che i materiali che lo costituiscono attestino in modo sicuro la loro provenienza da una fumarola e non da sorgenti termali, sebbene a tutta prima il fatto delle incrostazioni stratificate che si hanno nell’interno del cono lascino supporre quasi una natura geyseriana nel fe- nomeno che le produsse. Se pero esse si osservano attentamente, non è difficile il con- statare come l’aspetto stratificato sia più che altro apparente, dipendendo esso da un alternarsi di parti più compatte e di altre meno coerenti dotate, come si disse, di struttura brecciata. Ora una tale struttura può, a mio parere, facilmente spie- garsi anche ammettendo solo l’intervento di emanazioni gassose capaci di depositare della silice, poiché l’alternarsi di zone com- patte e di zone brecciate essendo in queste ultime gli elementi cementati sempre microscopici, potrebbe derivare dall’alternarsi di periodi di grande attività e di periodi di calma relativa, du- ìante i quali poteva, per effetto di fenomeni eolici, esser traspor- tato nell’interno del cono, del pulviscolo costituito da minutis- simi frammenti di ossidiana e di pomice che sono le roccie pre- valenti nella località. Ricominciando un nuovo periodo di atti- vità, questo pulviscolo poteva venir cementato, risultando in tal modo l’alternanza appunto osservata nelle incrostazioni. I n altra ipotesi, che potrebbe pure spiegare la presenza dei grani cementati, nella breccia, si è quella che essi appartenessero a materiali derivanti da fenomeni vulcanici anteriori e trovantisi sul tragitto ilei vapori svolgentisi dalle fumarole, dai quali sa- rebbero stati portati alla superficie del suolo. In tal caso evi- L. COLOMBA 532 dentemente, occorrendo una certa spinta ai vapori affinchè fos- sero capaci di trasportare meccanicamente dei grani di sabbia, sarebbero gli strati brecciati (incili che corrisponderebbero ai periodi di massima attività. La possibilità di ottenere della silice come effetto di ema- nazioni vulcaniche, indipendentemente da sorgenti termali si- licee, non è esclusa, avendosi dei casi in cui fu realmente trovata. A. Scacchi (') nelle emanazioni vesuviane constatò la pre senza della silice allo stato di fluoruro di silicio nella proido- ìiite e dallo stato di fluosi boato ammonico nella criptohalite. Cosso (5) nelle fumarole di Vulcano ne constatò pure la presenza allo stato di fluosilicato potassico nella Meratite. Damour (:i) nelle sue ricerche sulla fiorite della Toscana, ammise che i va- pori acidi da essa svolgentisi contenessero dell’acido idrofluosi- licico. Se si osservano i risultati i che io riportai riguardanti i depo- siti da me studiati e si confrontano con quelli di Damour a pro- posito della fiorite, appare subito la grandissima analogia esi- stente fra i due giacimenti sia per il modo in cui si presentano i materiali avendosi pure per la fiorite la struttura mamillonare e la presenza di stalattiti prevalentemente calcedoniose, sia per il tipo dei prodotti volatili in esse contenuti; per cui credo che un’origine analoga possa ammettersi per i depositi silicei della Fossa delle Rocche rosse in Lipari. Infatti non credo sia possibile ammettere che la silice ivi esistente possa essere dovuta alla presenza di fluosilicati, poiché supposto ciò, non si spiegherebbe lo sviluppo dei vapori acidi dando i fluosilicati per decomposizione origine a fluoruri metal- lici ed a fluoruro di silicio ma non ad acido fluoridrico libero. Nel caso da me studiato invece si ebbe non solo sviluppo di vapori acidi ma la stessa soluzione ottenuta trattando la so- stanza con acqua calda, presentò reazione acida; e mentre l’aci- dità della soluzione era piccolissima, fortissima era invece quella (') Atti deità li. Accademia (Ielle scienze di Napoli ( 1868). Memoria sosta. (*) Transunti del!' Accademia dei Lincei (1882) fi. p. 141. (3) Annàles des Mine s, III. sèrio, Tome XVII (1840), p. 202; Bull, dr la Sorirte T’’r imeni s de Mineralogie, T. XVII (1894), p. 151. SUL DEPOSITO d’UNA FUMAROLA SILICEA ECO. 533 dei vapori. Questo fatto caratteristico si può facilmente spiegare ammettendo l’esistenza nei materiali esaminati, di acido fluosi- licico, essendo questo un acido poco energico mentre dà luogo per decomposizione ad un acido estremamente energico quale è il fluoridrico. Posso anche citare un’altro fatto che conferma l’ ipotesi da me ammessa sulla scorta di Dimoili’ : in uno dei trattamenti della sostanza con acqua calda, avendo filtrato troppo rapida- mente la soluzione, questa apparve leggermente torbida perchè una piccola quantità di silice era passata attraverso al filtro; avendo in seguito portato a secco la soluzione ed avendola ri- presa poscia con acqua notai come questa seconda soluzione appa- risse perfettamente limpida. Ora se si tiene conto che l’acido tìuosilicico è poco stabile e si decompone quando passa allo stato di vapore, in acido fluoridrico ed in fluoruro di silicio, la sua presenza nella soluzione spiegherebbe precisamente l’ulteriore scomparsa della silice per azione dell’ acido fluoridrico svilup- patosi. Però pur essendo disposto ad ammettere che nelle incrosta- zioni e negli altri materiali silicei della Fossa delle Bocche rosse siavi dell’acido fluosilicico, dubito che si possa accettare piena- mente l’ ipotesi di Damour specialmente dove parla di gas idro- fluosilicico che passa attraverso all’acqua. In effetto l’acido fluosilicico è poco stabile e solo si conosce in soluzione per cui per evaporazione di una sua soluzione non si otterrebbe già l’acido inalterato, ma bensi una miscela di acido fluoridrico e di fluoruro di silicio che non avrebbero più motivo alcuno di ricongiungersi insieme trovandosi il primo in presenza alla silice già depositatasi anteriormente ed a roccie ricche pure in silice e quindi facilmente decomponibili. Ora per quanto riguarda i depositi della Fossa delle Bocche rosse il tipo dell’alterazione osservata nei frammenti cementati esclude assolutamente che essa possa dipendere dall’ azione di acido fluoridrico sulle roccie stesse poiché nei prodotti d’altera- zione è prevalente la silice; piuttosto si può ammettere che essa siasi originata per emanazioni di acido solforoso il quale svi- luppandosi dalle fumarole contemporaneamente alle altre sostanze da esse svolgentisi, avrebbe precisamente agito sui frammenti L. COLOMBA 534 decomponendoli; e nel caso qui considerato si avrebbe nel solfo clic impregna i materiali silicei la prova di uno sviluppo d’a- cido solforoso durante i periodi di attivi' à delle fumarole. Più concordante col complesso dei fatti osservati sarebbe, a mio parere, l’ipotesi d’uno sviluppo di fluoruro di silicio, dal quale si può, anche senza il concorso di acido fluoridrico libero, ottenere, quando venga in contatto coll’acqua, dell’acido fluosili- cieo secondo la nota reazione: 3 Si Pl4 -4- 3 H„0 = H„ Si 03 -+- 2 H, Si Fl6. Per cui ammettendo un contemporaneo sviluppo di fluoruro di silicio e di vapore d’acqua, anche in parte eondensantesi nel- l’interno dei piccoli coni, si potrebbe mediante la suddetta rea- zione spiegare perfettamente il deposito dei materiali silicei e la presenza in essi di notevoli quantità di acido fluosilicico. E siccome dalle ricerche di A. Scacchi (') sulle emanazioni vesuviane risulta pure che in esse non,inanca l’acido fluoridrico libero, si potrebbe spiegare l’origine del fluoruro di silicio am- mettendo che esso si sia formato in seguito ad una reazione avvenuta a profondità fra dell’acido fluoridrico e le roccie cir- costanti. Ammesso un tale modo di formazione, si avrebbe nei depo- siti silicei della Fossa delle Rocche rosse un nuovo caso accer- tato fra i pochi noti di formazioni derivanti essenzialmente dal- l’azione di prodotti gassosi. Non è però impossibile, a mio parere, die l’importanza di questi composti volatili del fluore e spe- cialmente del fluoruro di silicio, come vero agente di deposito, sia molto maggiore osservando quanto, nelle formazioni filoniane, siano abbondanti fra i minerali di ganga il quarzo c la fluorite, minerali cioè nei quali sono contenuti il silicio ed il fluoro. Istituto Mineralogico dell’Università di Torino. 16 Settembre 1900. (*) ( *) Atti (Iella J{. Accademia delle Scienze di Napoli (1879). Memoria sesta. FLORA DELL’EOCENE PIEMONTESE. Nota del socio prof. Paolo Peola L’eocene, pur essendo abbastanza rappresentato in Piemonte, ha dato una discreta messe di fiditi solamente in due località, a Pietramarazzi ed a Gassino. Il lembo eocenico di Pietrama- razzi, posto all’estremo limite delle colline Torino-Casale- Valenza, verso la confluenza del Tanaro col Po, mi ha fornito solamente impronte di fucoidi; mentre la formazione di Gassino ha dato specialmente al Cav. Luigi Rovasenda un buon numero di fil- liti di piante dicotiledoni, la maggior parte delle quali ho po- tuto avere in esame dalla di Lui ben nota gentilezza. Queste due fiorale sono cosi distinte per località e per la natura loro che fa duopo studiarle in due capitoli separati. Nelle argille e nei calcari eocenici piemontesi si rinvennero pure qua e là frequenti impronte riferite ad alghe, ma la loro determinazione, o per meglio dire la natura di tali fossili, lascia tuttora molto incerti gli scienziati, ed io tra gli opposti pareri, e non avendo potuto studiarli di proposito, mi limiterò a darne qui la nota. Furono già studiate e disegnate dal Sismonda nel suo Ma- tériaux eco. le seguenti alghe eoceniche: 1. Cystoseirites (?) gigantea Sism. (pag. 9, tav. V, f. 1) del- l’eocene di Mezzano in Valle della Trebbia. 2. Chondrites Targioni Sternb. (pag. 9, tav. Il, f. 3, 4) del- l’eocene di Mezzano in Valle della Trebbia e di Brusasco. 3. Chondrites furcatus Sternb. (pag. 10, tav. II, f. 2) dell’eo- cene di Brusasco. r. TEDIA 566 4. Chondrites arbuscola P. 0. (pag. 10, tav. Il, f. 5) dell’eo- cene di Brusasco. 11 Sacco nel suo studio: Impronto organiche dei terreni ter- ziari ilei Piemonte (Atti 11. Acc. Se. di Torino, 1886) cita un Zoophycos che lasciò indeterminato e proveniente dalle marne alternanti ai calcari di Gassino; e nell’altro suo studio: Note di Paieoicnologia italiana (1888) descrive la nuova specie Ta- phrelminthopsis auricuiaris deH’eoeene dell’alta valle della Stura. 1. LE FUC01DI DELL’EOCENE DI PIETRAMARAZZI DI ALESSANDRIA. Fra i territori di Pietramarazzi, Valle S. Bartolomeo, Monte Castello, Pecetto, posti al N.-E. di Alessandria, all’estremo lembo delle colline Torino-Casale-Valenza, si osserva una zona di ter- reni argillosi bruno-rossastri, contenenti massi calcarei bianchicci, giallognoli, verdognoli, calcari alberesi, ricchi di impronte di fucoidi. Secondo il Sacco questa zona costituisce uno dei più importanti fra i numerosi affioramenti eocenici che si osservano nelle colline Torino-Valenza « raggiungendo uno sviluppo di oltre 5 km., quantunque talora ridotto solo ad una striscia di un cen- tinaio di metri di larghezza; talvolta invece esso è ampio quasi un chilometro. Anche (pii predominano le argille scagliose di color bruno, tra cui trovansi sparsi frammenti di arenarie e di calcari arenacei; non è neppur raro il caso d’osservare argille di color rossastro, come per esempio sulla cresta del Brio Can- toniere, e ad Est di Cascina De Amicis, oppure di color ver- diccio, come al Sud di Cascina Villa. Sono quivi numerosi i frammenti di calcare alberese, specialmente alle falde occiden- tali di Prie Castellar e sul fianco orientale di Brio Oliva. Trat- tasi (pii di un corrugamento eocenico diretto all’ incirca da Nord FLORA DELL’EOCENE PIEMONTESE 537 a Sud » (1). Il Sacco riferisce tale affioramento alinocene, e spe- cialmente al Liguriano, contrariamente al Sismonda, che lo ri- ferì al cretaceo (2). Amendue non fanno menzione delle impronte di alghe. Nelle numerose escursioni che feci non rinvenni altri fossili all’ infuori di dette impronte di alghe. Mi par degno di nota il fatto che vi trovai un arnione di barite del peso di più di 8 kg. e frammenti di calcare variegato a dadi verdi e di color rug- gine a diverse gradazioni con impronte di frammenti di fucoidi riferibili forse alla Chondrites Targioni. Essi sono fragilissimi per sottili ed intrecciate vene di calcite. Io quindi sarei del pa- rere di riferire tale lembo all focene piuttosto che al cretaceo. Ritengo poi che le impronte qui rinvenute si debbano ritenere per vere alghe, perchè oltre al presentarsi ramificate dicotomi- camente ed accompagnate da sostanze carboniose, come vorreb- bero il Maillard e lo Squinabol, in alcuni esemplari ho potuto distaccare dalla roccia l’alga con le sue ramificazioni, lasciando impressa nella roccia un’ impronta alquanto incavata. 1. Chondrites affinis (Sternb.) F. 0. 1858. Chondrites affinis Fisch. Oost., Die foss. Fuc. d. Scine. Alpen , p. 53, tav. XI, f. 1. Un esemplare sopra un calcare durissimo. Da un punto par- tono, non poste sullo stesso piano, tre diramazioni lunghe cm. 1.5, 2 e 3.5 e larghe dai 5 ai 6 mm. ed allargate verso l’apice che è arrotondato. Anche in questo esemplare si osserva il fenomeno notato dallo Squinabol per gli esemplari della Madonna del Monte, cioè che la materia carboniosa è sostituita da calcare quasi cri- stallizzato, ma però di un colore oscuro, forse per inclusioni car- boniose. (1) Sacco, Il Bacino terziario e quaternario del Piemonte, p. 78. (2) Sismonda A., Osservazioni geologiche sui terreni delle formazioni terziaria e cretacea. 538 P. PROLA 2. Cliomlrites dolichophyllus Sq. 1S87. Chondrites dolichophyllus. Squinabol, Coni, alla FI. foss. della Li- guria I. Fucoidi ed Ehnint., pag\ G, tav. XV, fig. 6. Sono alcuni esemplari che si trovano su calcare verdognolo tutto attraversato da venctte di calcite ed in parte incrostate di ossido di ferro. Vi si deve principalmente notare un vecchio ramo dicotomo, lungo cm. 4,5 e largo cm. o, ed alcuni frammenti di rami giovani, dei quali uno dicotomo, larghi tutti circa 2 inni. Tanto i rami vecchi che i giovani sono di eguale larghezza in tutta la lunghezza dei frammenti conservati, e non terminano nè rigonfi, nè acuminati. 3. Chondrìtes Targioni (Sterilii.) F. 0. 1853. Chondrites Targioni riseli. Oost., Die foss. Fuc. Schv-, Alp., pag. 4G, tav. Vili, fig, 8 a-h. Questa, sarebbe la, specie più rappresentata nella località og- getto di questo studio. Vi sono esempi tanto della varietà a come della fi stabilite dallo Squinabol. La varietà a lui le fronde lunghe circa 10 cm. e larghe 1 nini., più volte dicotomicamente ramifi- cate, e si trova su calcare marnoso grigiastro. Altri esemplari su calcari grigiastro-verdastri e rossicci si avvicinano più alla varietà (ì per la brevità delle loro fronde. Alcuni esemplari sono dati da un cespuglietto quasi circolare di 4 cm. di diametro, di fronde partenti da un punto centrale alquanto rilevato. Sopra un frammento di calcare bianchiccio argilloso, da un ramo ci- lindrico innalzantesi attraverso la roccia, si distacca un ramo- scello lungo 2 cm., con fronde puniate, ed un centimetro più in su staccasi un altro ramo dicotomo che va a giacere sull’altra faccia dcH’escmplare. Su questa faccia ed accanto al ramoscello dicotomo giace l’apice di un altro ramo che si divide in quattro ramoscelli, ognuno dei quali si suddivide in tre diramazioni al- quanto ingrossate, claviformi, il tutto disposto a ventaglio di un FLORA DELL’EOCENE PIEMONTESE 539 centimetro e mezzo di larghezza. Queste terminazioni sono forse riferibili a tubercoli fruttiferi. 4. Chondrites intricatus Sch. 1869. Chondrites intricatus Schimper, Traile de paltoni, veg., I, pag. 172, tav. Ili, fig. 4-9. Nelle numerose impronte che si trovano sopra un ammasso di calcare bianco-giallognolo si nota un graduale passaggio dal tipo della C. intricatus Sch. a quello della C. aequalis Brong., e quindi parrebbe giustificata la fusione di queste due specie. Ma nella stessa località ho rinvenivo esemplari riferibili al tipo dato per la C. aequalis Brong., ma su calcare affatto diverso, di colore grigiastro, più duro. La facies è affatto diversa; negli esemplari riferibili alla. C. intricatus Sch. l’alga è più stretta, più ammassata, più intrecciata ; negli altri invece ha un aspetto più snello, le fronde sono più divise. Mi parrebbe quindi che si potrebbero tenere distinte queste due forme. 5. Chondrites aequalis (Brong.) Omb. 1869. Chondrites aequalis Omboni, Geologia, pag. 726, fig. 176. Ho creduto bene, per i motivi accennati riguardo la specie precedente, tenere questa specie separata dalla C. intricatus Sch. 6. Chondrites parvulus Squin. 1890. Chondrites parvulus Sqninabol, Alghe e pseudoalghe , pag. 24, tav. XI, fig. 1. Due frammenti di calcare alberese portano numerosi cespu- glietti di un’alga, i quali più che alla figura, si confanno alla diagnosi dataci per questa specie dallo Squinabol. Nell’aspetto generale del cespuglio si avvicinano molto alla C. intricatus, ma è più cespitoso, più ramificato, con ramoscellini cortissimi, strettissimi, che paiono alquanto ingrossati all’ apice. Credo di 38 540 P. l’EOLA poter confermare l’esistenza di questa specie con i miei esem- plari molto più conservati di quelli di Morosolo che servirono allo Squinabol. Gen. Bostricophyton Squin. 11 genere Bostricophyton fu fondato dallo Squinabol nel suo studio: Alghe c pseudoalghe fossili italiane , p. 38, confortato dai suggerimenti del Saporta, su diversi esemplari provenienti dall’eocene ed oligocene della Liguria, dell’Emilia e della To- scana. Comprende fucoidi dall’aspetto analogo a quello di certe Chondrites, ma che si differenziano specialmente per le fronde ravvolte a spirale, e che nel fossilizzarsi presero forma di linee a zic-zac. I)i tutte e due le specie comprese in questo genere ho trovato esemplari a Pietramarazzi. 7. Bostricophyton etruscus Sq. 1890. Bostricophyion etruscus Squinabol, Alghe e pseudoaìghe foss. Hai., p. 41, tav. XI, fig. 5. L’impronta che riferisco a questa specie si trova su calcare alberese portante pure un cespuglietto di Chondrites parvulus, ed è data dall’apice di una fronda ramificata in cinque ramo- scelli, con a fianco due piccole porzioni terminali di rami sem- plici. Fui alquanto titubante se dovessi inscriverla alla specie Chondrites óhtusidens Men. od alla Bostricophyton etruscus Sq., sia perchè la diagnosi dice essere questa specie data da fronda semplice, sia perchè la parte ramificata non si presenta netta- mente dentata o sinuata, ed è rettilinea all’apice. Ma poi ve- dendo che lo Squinabol ha fondato questa specie sopra un solo frammento di fronda, e quindi non poteva con sicurezza dire essere la fronda semplice o ramificata; e considerando che la porzione di fronda vicina a questa ramificata è semplice e con- torta a spirale, come il modello dello Squinabol, credo poter ascrivere queste impronte alla specie Bostricophyton etruscus Sq., modificandone nella diagnosi la caratteristica di fronda semplice in fronda ramificata . Le fronde sono larghe da 1,5 a 2 unii. ELURA DELL’EOCENE PIEMONTESE 541 8. Bostricophyton Pantanelli Sq. 1890. Bostricophyton Pantanéllii Squinabol, Alghe e pseudoalghe foss. Hai., pag. 40, tav. VII, fig. 5. Sono cespuglieti di filamenti algosi che si potrebbero para- gonare a filamenti di Chondrites intricatus punteggiati, però con i ramoscelli meno intrecciati. Le otto specie qui descritte, essendo state già rinvenute spe- cialmente nelle formazioni liguriane italiane e straniere, ci con- forta a ritenere il lembo Pietramarazzi-Pecetto come eocenico e non cretaceo, e molto probabilmente liguriano. Nulla possiamo dedurre riguardo il clima. II. FLORA BARTONIANA DI GASSINO. I calcari di Gassino furono oggetto di studio per molti geo- logi italiani e stranieri, ma quasi tutti rivolsero la loro atten- zione sulla stratigrafia e sui fossili animali. I fossili vegetali, qui molto più rari di quelli animali, non furono finora studiati di proposito se si eccettuano un ramoscello di Sequoia Sternbergii illustrato nel 1836 da Provana di Collegno (1), un esemplare di Sequoia Langsdorf i var fi Heer, ed una squama di Ahies da me studiate nel 1893 (2). II cav. Luigi Rovasenda, che spese gran parte della sua vita nel raccogliere fossili di Gassino e dintorni con gran cura ed esemplare pazienza, ha collezionato una discreta quantità di fìl- liti dei calcari di Gassino, che furono così alla sfuggita esami- (') Provana di Col legno, Essai géologique sur les cóllines de Superga pr'es de Twin (Mem. Soc. geol. de France, Tom. II). (2) P. Peola, Le conifere terziarie del Piemonte. (Boll. Soc. geol. ital. 1893). 542 1>. PE0LA nate dai geologi che provarono l’ospitalità e la gentilezza del cav. Eovasenda nella sua villa in Sciolze. Per terminare la revisione della flora fossile del terziario piemontese, non mi mancava che esaminare le tìlliti di Gassino, e pregai il sullodato cav. liovasenda di volermi concedere di studiare anche la di lui preziosa raccolta. Con lodevole solleci- tudine (ed io gli rendo infinite grazie) mi fece avere una cas- setta contenente 19 esemplari di fiditi, dei quali ho potuto esa- minare 16, essendo gli altri tre frammenti così malconci da non dover arrischiare la determinazione. La maggior parte di esse filliti si trova sopra una marna sabbiera-arenacea proveniente dalla cava Giannone, solo l’esemplare portante l’impronta del legume di Cassia si trova su marna verdastra e proviene dalla cava alta. Tali filliti pare quindi che provengano dallo strato che il Eovasenda (') chiama dei Bcrtot , dal nome dei proprietari della cava, e che dice (pag. 413) « essere piuttosto bianco, mar- moreggiato quando contiene molti LitJmtamnium, ed è quello stesso che viene direttamente, senza interruzione, dalla villa Giannone, ove è utilizzata per calce in tre o quattro differenti siti Questo strato, oltre la facies già indicata, si riconosce più precisamente perchè si mostra sempre accompagnato nel suo percorso da una marna sabbiosa ripiena di Terébraiule È preziosa questa zona sabbioso-arenacea clic fa riconoscere questo strato supcriore, più noto generalmente col nome di calcare di Gassino per tutto il suo affioramento ». E più sotto a pag 416: « Inferiormente le marne diventano sabbiose accostandosi al calcare, e formano quella preziosa zona delle Terebratule citata superiormente che accompagna per tutto lo strato di calcare sopra descritto col nome di Bcrtot ; esse contengono i seguenti fossili che credo indubbiamente spettare alla formazione bartoniana: Cartoliti e filliti molto interessanti , ma ancora da studiare ccc. » c una lista di 32 specie di fossili animali. La formazione indicata generalmente col nome complessivo di calcare di Gassino secondo Bassani (2) è costituita da sei dc- (') Luigi Rovasentla, I fossili di Classino. (Boll. Soc. geol. voi. XI, 1892). (2) F. Bassani, Ittiofauna del calcare eocenico dì Gassino in Pie- monte. Napoli, 1899. FLORA DELL’EOCENE PIEMONTESE 543 positi diversi e la cava Giannone, donde provengono le fìlliti oggetto del nostro studio, si trova compreso nel deposito b, cioè nel vero calcare di Gassino, quindi in uno dei depositi che sono oggetto di controversia tra i numerosi geologi che da più di mezzo secolo studiano per determinarne la vera posizione e la vera età. Il calcare Bcrtot, od il vero calcare di Gassino con le marne che lo inglobano e che gli sono interposte secondo il riassunto della questione fatto dal Bassani stesso (’) sarebbe assegnato da al- cuni (Portis, Teliini, Sacco, Bovasenda) alTeocene (Bartoniano) mentre viene riferito da altri (Fuelis, Mayer, Trabucco) all’oli- gocene (Tongriano). Il Bassani, sulla scorta dello studio degli avanzi di pesci, si schiera tra coloro che riferiscono il calcare di Gassino all’eocene. « È fuori di dubbio dunque, egli conclude, che il calcare Bcrtot, cioè il calcare di Gassino propriamente detto, con le marne che lo inglobano e gli sono interposte, non può essere riferito alToligocene, ma appartiene al pari degli strati marno-calcarei del Caviggione e di Villa De Filippi alinocene. Quanto al piano si può dire ch’esso trova il suo posto nel Parisicino alto o nel Bartoniano basso. Vediamo se lo studio della flora ci porge modo di definire la questione. 1. Sequoia Langsdorfii var. [i Heer. 1869. Sequoia Langsdorfii Heer, FI. foss. Alaste., pag. 23, tav. I, fig. 10 b. Non ho potuto vedere la figura dell’Heer, ma consigliato dalla descrizione che ci dà lo Schimper, e dalla grande rassomiglianza che, a detta dello stesso Schimper, tale varietà ha con la Ta- xitc.s Bosthorni ITng. ( Chloris protogaca, pag. 83, tav. XXI, fig. 4, 5, 6), riferisco a questa varietà l’esemplare di Gassino, a causa delle sue foglie più appianate ed ottuse all’apice. (') F. Bassani, op. cit. 544 1>. l’EOLA 2. Sequoia Sternbergii (Goepp.) Heer. 1835. Taxodium juniperoides A. Brongniart in Collegno, Essai géologique sur les collines de Superga près de Turin. Ménti. Soc. géol. de France, toni. II, parte la, pag. 204. 1893. Sequoia Sternbergii Peola, Le conifere terziarie del Piemonte, pag. 31, tav. VI, tig. 2. (Boll. Soc. geol. ita!., 1893). Di questa specie si raccolgono abbondanti esemplari nelle cave di Gassino, esemplari di piccoli rami con rametti alterni, con piccole foglioline per metà decorrenti sul fusticino, indi ar- cuate e terminanti in punta quasi mucronata. 3. Abies sp. ind. 1893. Abies sp. ind. Peola, Conif. terz. del Piemonte, pag. 29, tav. VI, tig. 7. (Boll. Soc. geol. ital., 1893). E una squama isolata che io stesso raccolsi nelle cave di Gassino, bene conservata, saldata alla roccia. È subrotonda al- l’apice, con piccolo dente, striata. 4. Quercus Etymodrys Ung. 1854. Quercus Etymodrys Unger, Foss. FI. v. Gleichenberg, pag. 174, tav. Ili, fig. 3. È un frammento di una grande foglia di quercia che da un pezzo di lembo conservato si scorgono i grossi denti e le sinuo- sità di questa specie. 5. Quercus Drymeja Ung. 1847. Quercus Drymeja Unger, Citi ori s protogaca, pag. 113, tav. XXXII, fig. 1-4. Due frammenti di foglie, l’una rappresentante la parte ba- sale a nervature piuttosto dense, e l’altra la parte mediana a nervature più rare. Amendue sono larghe 15 min. circa e sono sinuate ai bordi. FLORA DELL’EOCENE PIEMONTESE 545 6. Quercus nereifolia Al. Br. 1840. Quercus nereifolia Al. Br. in Unger, Gen. et spec., pag. 403. Impronta della metà inferiore di una foglia picciolàta a bordo integro inferiormente, alquanto sinuosa in alto. Molto si rasso- miglia alla tig. 2 della tav. LXXY dell’Heer, FI. tcrt. Helv., voi. II. 7. Quercus palaeopliellos Sap. 1874. Quercus palaeopliellos Saporta, Révision de la Flore des gypses d’Aix. (Ann. Se. nat., serie 5a, voi. XVIII, pag. 36, tav. VI, fig. 9-12). Frammento di foglia rappresentante la metà inferiore di una foglia a base lungamente acuminata, integra al bordo. 8. Myrica liakeaefolia Sap. 1865. Myrica liakeaefolia Saporta, Étud. II, 2, pag. 100, tav. V, fig. A, B. Impronta dei due terzi inferiori di una foglia acuminata alla base, con qualche dente al bordo nella parte superiore. 9. Myrica laevigata (Heer) Sap. 1865. Myrica laevigata Saporta, Étud. II, 2, pag. 102, tav. V, fig. 10. Impronta di una foglia ellittica lanceolata, acuminata all’a- pice ed alla base, con nervature secondarie poco visibili, a bordo integro. Molto si rassomiglia alla fig. 8 della tav. XCIX del- l’Heer, FI. tert. Helv., voi. II. 10. Laurus primigenia Ung. 1850. Laurus primigenia Unger, Foss. FI. v. Sotzlca, p. 38, tav. XIX, f. 1, 4. Due esemplari, impronta e controimpronta discretamente con- servati. P. PEOLA 546 11. Cinnamoni imi Bucini Heer. 1855-59. Cinnamomum Bucini Heer, FI. tert. Ilelv. II, p. 90, tav. XCV, f. 1, 8. Impronta di una foglia alquanto grande, guasta all’apice, con la nervatura tipica di questa specie. 12. Cinnamomum polimorplium Heer. 1855-59. Cinnamomum polimorplium Heer, FI. tert. Helr. IT, p. 88, tav. XCIII, f. 25, 28; tav. XCIV, f. 1, 26. Impronta di una foglia di forma alquanto romboidale. 13. Daplmogene Ungevi Heer. 1855-59. Daplmogene Ungevi Heer, FI. tert. Helr. II. p. 92, tav. XCVI, f. 9, 13. Impronta di una fogliolina molto rassomigliante alla fig. 12 della tav. XCVI dell’Heer, FI. tert. Hclv. 14. Elaeagnus acuminatus Web. 1852. Elaeagnus acuminatus Weber, Palaeontog. II, p. 185, tav. XX, f. 13. Metà inferiore di una foglia a base arrotondata, picciolata. 15. Lomatites acquensis v. acuminata Sap. 1863. Lomatites acquensis Sa porta, Etnd., I, 1, p. 100, tav. VII, f. 10; III, l.° p. 19. Fogliolina quasi lineare lunga più di 7 cui., larga 6 mm. al massimo, denticolata. Fra le quattro varietà stabilite dal Saporta per questa specie, più si confà alla v. acuminata. 16. Cassia sp. ind. Frammento di un legume clic mi pare sia riferibile più che ad un altro, al ircnere ('ossia. FLORA DELL’EOCENE PIEMONTESE 547 17. Echitonium cuspidatum Heer. 1855-59. Echitonium cuspidatum Heer, FI. tert. Helv., Ili, p. 192, tav. CLIV, f. 4, 6; tav. CLV, f. 4. Foglia lunga circa 8 cm., larga 1 era., molto analoga alla fig. oc della tav. CLIY dell’Heer, FI. tert. Helv. o » GENERE E SPECIE EOCENE OLIGOCENE MIOCENE PLIOCENE 1 Sequoia Langsdorfii v. [t, Heer . — ? — — 2 Sequoia Sternbergii (Goep.) Heer. — 3 Abies sp. ind — — — — 4 Quercus Etymodrys Ung — — H— — 5 » Drymeia Ung — —4— -+- -4- 6 » nereifolia Al. Br — —4— 7 » palaeophelìos Sap — f— — | — -- 8 Myrica hakeaefolia Sap -+- -+- ! — 9 » laevigata (Heer) Sap. . — -4- — 10 Laurus primigenia Ung -1- — 4— — 11 Cinnamomum Buchii Heer. . . . — -+- -4- — 12 » polimorphum Heer. — -4- -r- 13 Daphnogene Ungeri Heer .... — — —4— — 14 Elaeagnus acuminatus Web. . . — — — 4— — 15 Lomatites acquensis Sap — — — 16 Cassia sp. ind — — — — 17 Echitonium cuspidatum Heer . . — — - — Un semplice sguardo a questo quadro ci convince che lo studio delle filliti comunicatemi dal Cav. Kovasenda non ci porge purtroppo una guida sicura nel decidere sulla questione dell’età del calcare di Gassino. Se si fa eccezione dei due esemplari de- terminati solo genericamente, delle 15 specie rimaste, 5 sono eoceniche, delle quali due ( Quercus pala copi icllos Sap. e Loma- tites acquensis Sap.) sono finora puramente eoceniche; 9 sono oligoceniche, delle quali nessuna è esclusivamente oligocenica ; 12 sono mioceniche e 4 plioceniche. Confrontata poi con le flore 39 548 r. X-’EOLA oligoceniche e mioceniche piemontesi, abbiamo 5 specie già tro- vate nell’oligocene piemontese (2 a Pavone e 3 a Bagnasco, bu- cete ecc.) e 8 specie già trovate nel miocene delle quali 6 nel vicino elveziano torinese, 5 nel langhiano pure torinese, e 5 nel messiniano di Guarene. Avremmo quindi una flora che molto ha del miocene, e si avvicina molto a quella dell’ elveziano e del langhiano delle colline circostanti a Gassino. Ma, per mezzo degli studi litologici, stratigrafici e paleontologici di questi cal- cari, paro che si escluda il miocene, e che la questione si limiti a decidere se detti calcari si debbano ritenere oligocenici od eocenici. Ridotta la questione in questi termini, considerando che, delle 9 specie oligoceniche, nessuna è esclusivamente oli- gocenica, mentre delle cinque eoceniche ne notiamo due proprie dell’eocene di Aix, sarei più propenso ad unirmi con coloro i quali ritengono il calcare di Gassino come eocenico. Abbiamo anche qui, come in tutte le altre flore terziarie piemontesi, una grande prevalenza di piante proprie di regioni temperate o di regioni temperate calde. Il Portis nel suo studio: Sulla vera posizione del calcare di Gassino nella collina di Torino, esaminando l’opinione del Fuchs che il deposito di Gassino in confronto alle altre flore dovesse ritenersi più corrispondente a quella di Rumi che a quella di Sotzka, perchè specialmente per la presenza dei generi Fagus , Populus ed Ulmus si ha una flora di clima temperato ed euro- peo, e non australiano come s’addice ad un deposito più antico, fa notare che per la presenza di frutti di Fracastoria si avvi- cinerebbe alla flora eocenica del Veronese, e che i generi Fagus e Populus si trovano già rappresentati nel cretaceo, ed il ge- nere Ulmus nell’eocene di Sezanne, e quindi non crede impos- sibile che come a Sezanne accanto a piante di clima australiano siano pure cresciute piante di clima europeo. Nelle filliti inviatemi dal Cav. Rovasenda io non trovai im- pronte che anche lontanamente si potessero ascrivere ai generi Fagus, Populus, Ulmus, nè frutti di Fracastoria, quindi credo che io non abbia avuto in esame tutta la raccolta fillitica di Gassino, ma solo una parte. SOPRA ALCUNI FOSSILI AQU1TANIANI DEI DINTORNI DI ACQUI. Nota del socio dott. G. De Alessandri V Aquitaniano si presenta dovunque povero di avanzi fossili. Il bacino tipico della Dordogna colle faune di Saueats, di Léognan e di Mérignac, il bacino del Rodano, colle sabbie a Saltella paulensis e coi faluns di Sausset, il bacino di Vienna, colle molasse e coi calcari a Pccten Holgeri, e cogli avanzi di Squali di Eggenburg, Gaudendorf e Loibersdorf, non hanno finora dato quel ricco contributo di fossili, che hanno reso paleon- tologicamente tanto noti gli altri piani del Miocene medio e supe- riore. In Italia le glauconie di Belluno ed i banchi arenacei superiori di Schio, le arenarie ed i calcari a Briozoi e Litho- thamnium di Stilo in Calabria, le arenarie di Fontanazzo e di Castelsardo in Sardegna, hanno esse pure portato una scarsa con- tribuzione alla conoscenza della fauna aquitaniana. Ritengo quindi cosa non del tutto superflua, il comunicare alla Società Geologica Italiana una nota preventiva dei fossili, che in numerose escursioni, durate per quasi due lustri, io ho raccolto nelle formazioni deM’Appennino settentrionale, lungo la Valle della Bormidn, e più precisamente nei dintorni di Acqui. Tali fossili provengono da tre località differenti ; dal calcare e dalle arenarie sovrastanti, che si osservano presso le Terme di Acqui, dal calcare di Visone, e dal banco arenaceo cbe si osserva alla base del Miocene, lungo la Valle del Ravanasco presso C. Ferri e che verso Cavatore costituisce la parte ele- vata del Monte Capriolo. 550 G. DE ALESSANDRI 11 calcare di Acqui, posto sulla destra della Bormida, è eviden- temente sottostante alle marne langhiane a Pteropodi, che si riscon- trano sulla sinistra del fiume e quindi rappresenta la base del Miocene o Aguitaniano (Lunghi ano inf. secondo il Pareto ed il Trabucco) ; esso costituisce la parte superiore dei depositi aqui- taniani, mentre quello di Visone, ed il banco arenaceo presso C. Ferri, ne rappresentano la parte basale ; sicché le tre loca- lità, pure appartenendo allo stesso piano, differiscono in età fra di loro, di tutto il periodo trascorso durante il depositarsi della formazione stessa. Fossili del calcare e delle arenarie presso le Terme di Acqui. Vertebrati. Squàlodon Gastaldii Brandt. Carcharodon megalodon Agass. Odontaspis cuspidata Agass. sp. » contortidens Agass. sp. Oxyrhina liastalis Agass. » Desorii Agass. » crassa Agass. Sphyrna prisca Agass. Hemipristis Serra Agass. Scymnus trituratus Winkl. sp. Chrysophrys cincia Agass. sp. Crostàcei. Lepas Sillii Leacli. sp. Palanus concavus Bromi. Molluschi. A f uria A turi Bast. sp. Gaìeodea lauropomun Sacco. 7 eredo norvegica Spengi. Pcclen rcvolutus Micht. Amussiopecten burdiyalensis Lamk. sp. Prupeamussiwm anconitanum For. sp. Aequipecten Nortliamptoni Micht. sp. » Malvinae Dub. sp. Chlamys cf. tauroper striata Sacco. Acesta miocenica Sism. sp. Pycnodonta cochlear Poli sp. Brachiopodi. Terebratula sp. Echinodermi. Pericosmus spatangoides De-Lor. Echinolampas plagiosomus Agass. sp. Antozoi. Flabellum extensum Micht. Alghe. Lithothamnium undulatum Cap. FOSSILI AQUITANIANI DI ACQUI 551 Fossili del calcare di Visone. Vertebrati. Carcharodon megalodon Agass. Odontaspis cuspidata Agass. sp. » contortidens Agass. sp. Oxyrhina hastalis Agass. » Desorii Agass. Chrysophrys cincta Agass. sp. Molluschi. Astralium carinatum Bors. sp. Teredo norvegica Spengi. Avmssiopecten burdigalensis Lamk. sp. Macrochlamys Holgeri Geintz. sp. Aequipecten scabriusculus Math. sp. Aequipecten Northamptoni Micht. sp. » Malvinae Dub. sp. Pycnodonta cochlear Poli sp. Brachiopodi. Terebratula sp. Echinodermi. Pericosmus spatangoides De-Lor. Echinolampas plagiosomus Agass. sp. Alghe. Lithothamnium undulatum. Cap. Fossili delle arenarie di C. Ferri e del Monte Capriolo. Vertebrati. Odontaspis cuspidata Agass. sp. » contortidens Agass. sp. Oxyrhina Pesorii Agass. Chrysophrys cincta Agass. sp. Crostacei. Lepas Hillii Leach. Molluschi. Fulguroficus burdigalensis Sow. sp. Eburnea cf. Caronis Brongn. Gaìeodea tauropomun Sacco. » cf. taurinensi Sacco. Ampullina cf. parisiensis D'Orb. sp. Tugurium sp. Haustator cf. strangulatus Grat. sp. Cirsotrema crassicostatum Desh. sp. Astralium carinatum Bors. sp. Pecchiolia aff. argentea Mart. Teredo norvegica Spengi. Thracia Edivardsi Desh. Discors cf. cliscrepans Bast. sp. Actinobolus cf. Schivalenaui Hoern. sp. Nucula silicata Bronn. Aximaea boriili diana May. sp. Amussiopecten burdigalensis Larak. sp. Pseudamussium corneum Sow. sp. 552 G. DE ALESSANDRI Parvamussium duodecimi amellatum Pericosmus Maritimi Airag. Bromi, sp. Echinolampas plagiosomus Agass. sp. Macrochlamys Hólgeri Gointz. sp. Coptosoma Alexandrii Airag. Aequipecten Ilaveri Micht. sp. » Nortliamptoni Micht. sp. Antozot. Acesta miocenica Sisni. sp. Pycnodonla cochlcar Poli sp. Flabellum eoctensum Micht. Braciiiopodi. Alghe. Terebratula sp. LitJiothamnium undulatum Cap. Echinodermi. Impronte fisiologiche. Spatangus corsicus Agass. e Des. Palaeodiclyon rubiconis Scarab. Pericosmus spatangoides De-Lor. Dall’esame di quest’elenco si scorge facilmente quello che già il Mayer ('), il Seguenza (2), il Dcpéret (3) ed il Sacco (4) avevano osservato per le faune aquitaniane dell’ Appennino set- tentrionale, della Calabria, del bacino del Rodano e del Veneto, trattarsi cioè di un complesso di specie eminentemente mioce- niche, anzi con una grande prevalenza di forme elveziane. Ciò può spiegarsi, ove si ponga mente, che tanto VAquita- niano quanto YElveziano sono quasi sempre costituiti da depo- siti litorali, mentre le formazioni intercluse del Langlàano sono generalmente conosciute dai loro depositi di mare profondo, e che in rapporto ai piani dell’epoca primaria e secondaria, quelli dell’epoca terziaria, rappresentano periodi di durata assai minore e quindi con scarse specie caratteristiche. (’) Mayer (Eymar) C., Studi Geologici sulla Liguria Centrale (Poli. P. Com. Geol. d'Ilal., voi. Vili, 1877, pag. 412. (2) Seguenza (!., Le formazioni terziarie nella provincia di Reggio Calabria (Mem. li. Accad. d. Lincei, anno 1879-80, voi. XI), pag. 49. (3) Dcpéret M., Sur la CI assiti cation et le Parallelisme du Systéme Miocène (Bull. Soc. Geol. d. France, t. Ili, sèrie XXI, pag. 170). (4) Sacco E., Il Bacino Terziario del Piemonte (Atti Soc. Hai. Se. Nat., Milano 1889-90, pag. 341), e Anfiteatri Morenici del Veneto (Atti li. Accad. di Agrieoi . di 'Jori no, voi. XXX, 1899, pag. 8). FOSSILI AQUITANI ANI DI ACQUI 553 Fra un complesso però di specie elveziane, anche qui. come nel bacino di Vienna ( Strati di Loibersdorf) f), si osservano alcune specie schiettamente eoceniche od oligoceniche, (piali il Scymnus trituratus Winkl. sp., la Thracia Edivardsi Desìi., VAximaea bormidiana May. sp., il Pericosmus spatangoides De’ Lor., ed altre alquanto dubbie, come V Ampullina cf. pa- risiensis d’Orb. sp., V Haustator cf. strangulatus Gtrat. sp., il Discor s cf. discrepans Bast. sp., le quali raggiungono il loro maggiore sviluppo, e la più ampia dispersione geografica nel terziario inferiore. Importante altresì è la presenza in questa fauna del gen. Squaìodon ( S . Gastaldii Brandt.), il quale anche in Francia a Bari ( Valle del Rodano), compare nello stesso orizzonte, con una specie vicinissima lo S. barriense Jourdan sp. (Compì. Rend. d. l’Accad. d. Scien. d. Paris, 1860, t. Ili, pag. 969 e Annal. d. Scien. Nat., 1861, serie IV, t. XVI, pag. 369 Rhizoprion bariense), la quale si riscontra nello stesso livello anche nel- l’Alta Austria, a Linz ed a Bleichembach in Baviera (Suess E., Ne ne reste von Squaìodon aus Linz, Jalirb. Geol. Reichs., t. XVIII, pag. 287, e Zittel K. A., Deber Squaìodon bariensis aus Blei- chembach in Niederbayern, Palaeontographica, 1877, Bd.XXIX), come pure le altre specie assai prossime, S. Catulloi De Zign. e lo S. Scillae Agass. sp., vennero rinvenute solo in formazioni aquitaniane ( Belluno , Malta). La fauna che io ho raccolto, è in gran parte costituita dal Benthos tanto sessile, che vaglie (Lamellibr anelli, Cir ripedi, Echini, Brachiopodi, Coralli), con scarsi rappresentanti del Nekton (Cetacei, Squali, Cefalopodi ); essa conferma la natura litologica dei depositi, formatisi in mare costiero e basso e prevalente- mente nella zona a laminarie, mentre il piano superiore, il Lan- ghiano (strictu sensu) presenta una natura litologica di mare (') Suess E., Ueber die Gliederung der tertiaer Bildung'en zwisclien dem Mannhart der Donau und dem ausserem Saum des Hochgebirges (Sitzung. d. K. Akad. d. Wiss., 1866), Autl. d. Erde, 1. Bd., p. 389. Fuchs T., Geol. Ueber d. jiing. Tertiarbild. d. Wiener Beckens (Zeit. Deutsch. geol. Gesellsch., 1877). 554 G. DE ALESSANDRI profondo, e la sua fauna è costituita quasi esclusivamente dal Plankton pelagico. L’avere essa una grande quantità di specie comuni coll’_E7- reziano , conferma quanto già il Fallot (*), il Renevier (2) ed il Sacco (:ì) avevano asserito, doversi cioè per i caratteri paleon- tologici disgiungere il piano Aquita/niano dall’oligocene, per costi- tuirne la, formazione di base del miocene. Milano (Museo Civico), Luglio 1900. (') Fallo! F., Sur la Classification du Néogène inf. {Comete Benda d. Se'an. de la Soc. Géol. d. France, n° 13, Juin 1893, pag. 77). (2) Renevier E., Chronographie Géologique ( Compie Benda du Con- grès Geolog . Internai. Zurich 1894, Losanna 1897, pag. 561). • (3) Sacco F., Classification des terrains tertiaires [Compie Benda da Congrès Gcolog. Internai. Zurìcli 1894, Losanna 1897, p. 317). I CEFALOPODI DEL MEDOLO DI VALTROMPIA. Memoria del socio Domenico Del Campana (con due tavole, VII, Vili) INTRODUZIONE. Le Ammoniti del Medolo (M. Domaro-Valtrompia) che formano l’oggetto del presente lavoro, appartengono al Museo Geologico degli Studi Superiori di Firenze. Alcune di queste forme furono già, fino dal 1861, osservate e descritte dall’ Hauer (') in un suo studio sul Medolo, ma il primo che illustrò diffusamente la fauna di quella località, fu il Meneghini (2) con un lavoro che ha per titolo « Fossiles du Medolo ». Egli però, antecedentemente a questo, pubblicava la classica Monografìa (3) sui Fossili del Calcare rosso Ammonitico, ove al capitolo « Considerazioni stratigrafìche », notando le specie che il Medolo di Val Trompia aveva a comune cogli altri giacimenti lombardi del Lias superiore, ne deduceva che i giacimenti del Medolo non formano altro che un termine di transizione tra il Lias medio e il Lias superiore. Tuttavia, coi rapidi progressi che in questi ultimi anni ha fatto l’Ammonitologia sia nella parte sistematica, quanto ancora (') Hauer, Ueber die Ammoniteli aus dem sogenaiinten Medolo. Sit- zungsberichte der K. Ale. d. Wiss. (2) Meneghini, Fossiles du Medolo. Appendice à la Monograpliie des Fossiles du Calcaire rouge Ammonitique de la Lombardie. 1881. (3) Idem, Monographie des Fossiles du Calcaire rouge Ammonitique de Lombardie et de 1’Apennin centrai. Considérations stratigraphiques, pag. 223. 1867-81. 40 556 D. DEL CAMPANA nella scoperta di specie nuove, il lavoro del Meneghini citato in principio, sebbene sotto mille rapporti pregevolissimo, pure non soddisfaceva più alle esigenze della scienza progredita. Dopo infatti i lavori di critica che oggi abbiamo dell’Haug, del Geyer, del Bonarclli e del Fucini, si è visto come molti esemplari del Medolo sieno stati dal Meneghini inesattamente ravvicinati a specie già note e debbano invece ritenersi come appartenenti a specie diverse, quando, come il più spesso ac- cade, non costituiscano delle vere e proprie specie nuove. Molte delle specie da me studiate erano già state osservate pure dall’Haug (') nella sua Monografia sulle Ammoniti; anche il Geyer (2) mi ha giovato non poco col suo lavoro sui Cefalo- podi di Schafberg, avendo egli avuto spessissimo l’occasione di citare lo Studio sul Medolo del Meneghini. Tra gl’italiani il Bonarelli (3), il quale fu il primo, come dirò più sotto, a distinguere col nome di «Orizzonte Domeriano» la parte superiore del Lias medio, confrontando fra loro le con- dizioni paleontologiche delle varie formazioni domeriane, riscon- trate fino ad oggi nelle Pre-Alpi Venete, Lombarde e Piemon- tesi, aveva già fatto parecchie osservazioni su le classificazioni fatte dal Meneghini. Non ò più tardi di un anno che egli pubblicava un nuovo lavoro critico (4), frutto di numerose osserva- zioni, sulla Monografia del Calcare rosso, ove vengono corrette molte delle classificazioni ivi adottate. A questo lavoro del Bonarelli, per il fatto già notato che molte specie del Medolo sono comuni anche al Calcare rosso, ho spesso attinto nello studio che sono andato facendo, e tanto (') Haug, Beitrage za einer Monographie dei- Ammoniten-gattung Harpoceras 1885. Neues Jahrb. far Min. Geol. und Falconi., Ili Beilage Band. (2) Geyer, Die Mittelliasische Ceplialopoden Fauna des Hinter-Schaf- berges in Oberosterreicli 1893. Abhandl. der K. K. f/eolog. Beich., Band XV, Heft 4. (3) Bonarelli, Fossili domeriani della Brianza, Bend. del E.Ist. Lomb. di Se. c Leti., serie II, voi. XXVIII, pag. 18, 1895. Idem, Contribuzione alla conoscenza del Giura Lias Lomb. Atti della E. Acc. di Torino, voi. XXX, pag. 7, 1894. (*) Le Ammoniti del « Rosso Ammonitico ». Bull, della Soc. Malac. IL, voi. XX, pag. 198-219, 1899. CEFALOPODI DEL MEDOLO DI VALTROMPIA 557 più l’ho fatto con sicurezza in quanto che l’autore, prima di ve- nire ad una classificazione decisiva, ha eseguito numerosi raf- fronti cogli esemplari tipici, sia figurati che originali, riportati dai diversi autori. Oltre ai lavori citati mi sono stati utili ancora quelli più recenti del Fucini (1). Questi, nei suoi studi sul Lias medio di Spezia, di M. Calvi e dell’Appennino centrale, ha avuto campo di parlare indirettamente dei lavori del Meneghini e di esami- narne le classificazioni; sulle quali spesso e volentieri si trat- tiene, esprimendo il suo parere, come gliene dà diritto la pratica che egli possiede in Ammonitologia. Per ciò che si riferisce alla posizione stratigrafica del Me- dolo, è da notare che solo da pochi anni si è d’accordo nel ri- ferire quella località al Lias medio. Furono di questo parere il Benecke (2) e lo Zittel (3) che si occuparono pei primi della questione. Ma in seguito il Mene- ghini nelle considerazioni stratigrafiche, colle quali chiude la sua Monografia, notando (già l’ho accennato) i fossili che gli altri giacimenti del Lias superiore hanno comuni col Medolo, ne deduceva che quivi (4) « sono da distinguere più orizzonti e che preso nel suo insieme esso presenta una transizione dal Lias medio al Lias superiore ». Dopo il Meneghini, il Parona (5), occupandosi dei fossili di Val Cavia, ebbe occasione di riscontrare la somiglianza spiccata (‘) Fucini, Fauna del Lias medio di Spezia. Bull, della Soc. Geol. It., voi. XY, 1896. Idem, Fauna del Lias medio del Monte Calvi presso Campiglia Ma- rittima. Palaeontographia italica, voi. II, 1896. Idem, Ammoniti del Lias medio dell’ Appennino centrale esistenti nel Museo di Pisa. Palaeontographia italica, voi. V, 1899. (2) Benecke, Ueber Trias und Jura in den Sud-Alpen 1866. Geognost. palàont. Beitr., pag. 202, Ester Band, I Heft. (3) Zittel, Geologiche Beobachtungen aus den Central Appenninen 1869. Ibid., pag. 172, Zweiter Band, II Heft. (4) Meneghini, op. cit. sopra. (5) Parona, Contribuzione allo Studio della fauna Massica di Lom- bardia. Bend. del B. Ist. Lomb., serie II, voi. XII, fase. XV, pag. 2, 1879. 558 D. DEL CAMPANA della fauna di quel luogo coll’altra del M. Domare in Val Trompia. Tuttavia, siccome allora, secondo lui, non si avevano dati certi per ammettere le opinioni del Benecke e dello Zittel, riferì il deposito del M. Domare, pel carattere della sua fauna, alla parte inferiore del Lias superiore. Diverso tempo dopo, il Bonarelli (x) osservando nel Meso- zoico di Brianza il graduale passaggio tra il Calcare rosso Am- mouitico e gli strati sottoposti, credè di avere in questo fatto una prova sicura che il Lias medio doveva pure trovarsi rap- presentato in questa serie non interrotta di strati. Infatti, visi- tando egli la Brianza, scoprì degli strati i quali, per i loro ca- ratteri, poterono essere ascritti con sicurezza al Charmutiano o Lias medio che egli divise in due parti, la inferiore e la superiore. Senza occuparmi qui del Charmutiano inferiore, che non in- teressa il mio studio, dirò che diverse furono le formazioni ascritte dal Bonarelli al Charmutiano superiore, oltre al calcare argilloso e selcifero del M. Domavo. Tutte queste formazioni, sebbene riconosciute varie dal Bo- narelli per condizioni litologiche e paleontologiche, pure lasciano vedere, secondo lui, che si tratta di formazioni sincrone tra loro e costituenti un orizzonte diverso affatto dal Toarciano che so- vrasta loro immediatamente. Siccome poi si mostrano tutte senza distinzione affini colla formazione del Medolo, riconosciuta come tipica dopo gli studi del Meneghini, il Bonarelli diede all’orizzonte da esse formato i 1 nome di D o m e r i a n o . L’opinione ora esposta fu seguita di poi anche dal Parona (2). Egli, riconosciuta la quasi completa diversità che distingue la fauna del Calcare rosso da quella del Medolo, ritenne que- st’ultima come appartenente al Charmutiano superiore. Del resto gli studi recentemente fatti dal Fucini (3) sul Lias medio di M. Calvi, della Spezia e dell’Appennino centrale (') Bonarelli, Contribuzione alla conoscenza del Giura Lias Lom- bardo, pag. 4 e seg. (2) Parona, Appunti per lo Studio del Lias Lombardo, liend. del 11. Tst. Lomb., serie II, voi. XXVII, fase. XIV, pag. 4. (3) Fucini, opere citate. CEFALOPODI DEL MEDOLO DI VALTROMPIA 559 hanno a parer mio consolidate ancora una volta le opinioni che già si avevano sul Medolo. Infatti nella fauna di quest’ultima località, moltissime sono le Ammoniti le quali sono state riscon- trate pure comuni alle località studiate dal Fucini e principal- mente a quella dell’Appennino centrale. Venendo ora a parlare più direttamente delle conchiglie che hanno fornito materia al mio studio, dirò che esse sono fossi- lizzate in limonite e, come già sopra ho notato, si trovano rac- chiuse in un calcare dal quale si distaccano solo in seguito alFazione erosiva esercitata dagli agenti esterni. La conservazione delle conchiglie da me esaminate non è sempre buona. Spesso gli esemplari consistono in frammenti più o meno grandi, talora hanno subito delle forti abrasioni o delle compressioni, circostanze tutte che rendono impossibile in questi casi l’indicare, sia pure approssimativamente, quali dimensioni avrebbe avuto l’esemplare perfetto. Aggiungerò che non in tutti la linea di sutura si mostra al completo, anzi in alcuni esemplari è totalmente erosa e nascosta sotto uno strato di limonite così denso che difficilmente si riesce a metterla allo scoperto per osservarne i particolari i quali d’altra parte sono pur tanto necessari per venire a delle clas- sificazioni esatte. Premesse queste brevi considerazioni, che ritenevo necessarie, ecco ora l’elenco delle specie da me studiate. Rhacophyttites libertus Gemili. Pliylloceras cylindricum Sow. » MenegJnnii Gemm. — A. (Pliylloceras) Hébertinmi (Medolo). » frondosum Eeyn. » sub-frondosum n. sp. — A. (Pliylloceras) frondosus (non Reyn. Medolo). » sp. ind. » Partschi Stur. » tenuistriatum Mgh. » Emeryi Bett. ~ Pliylloceras Nilssoni (non Heb.) Me- neghini, Foss. du Cale, rouge, pars. » Bettonii n. sp. 560 D. DEL CAMPANA Lytoceras loricatum Mgìi. » nothum Mgh. » trompianum Hauer. » Gauthieri (Reyn.). » grandonense Mgh. » sepos itum Mgh. Lyparoceras Nevianii n. sp. Aegoceras Taylori Sow. Seguensiceras Bertrandi Kilian. — A. (Harpoceras) algovianus (non Opp.) Meneghini, Foss. du Cale, rouge, pars. Foss. d. Medolo, pars, esci. fig. » retrorsicosta Opp. Harpoceras Stoppami n. sp. — A. (Harpoceras) boscensis (non Reyn.) Meneghini, Foss. d. Medolo, pars. » bosccnse Reyn. » (Hildoceras?) Canavarii n. sp. » » Fucinii n. sp. » » Bonarellii n. sp. » » Geycri n. sp. » » Medolense n. sp. » » domarense Mgh. » » ruthenense Reyn. » » microspira Mgh. ~ A. (Harpoceras) ruthenensis Reyn. var. microspira Mgh. Medolo. » pectinatum Mgh. » cfr. Amm. lympharum Dum. Hildoceras (Lillia) Hoffmanni Gemm. Harpoceras ( Grammoceras ?) Hauer i n. sp. Grammoccras sp. ind. » fallaciosum Bay. — A. radians. Foss. d. Cale. rouge. » aeguiondulatum Bett. » Meneghina Bon. (Joéloceras cfr. crassum Y. e B. » sub-anguinum Mgh. » medolense Hau. » Thmortieri n. sp. CEFALOPODI DEL MEDOLO DI VALTROMFIA 561 Coéloceras sp. ind. » Mortilieti Mgli. » cumulati forme Bon. — ■ A. (Stephanoceras) Desplacei D’Orb., Boss, du Cale, rouge, pars. » striatimi n. sp. » Humfrìesianum Sovc. — A. (Stephanoceras) crassus J. e B., Foss. du Cale, rouge, pars. » Desplacei D’Orb. » sp. ind. » sp. ind. Atractites Guidonii Mgh. » in fiatimi Stopp. Quando il presente lavoro era finito, pronto per la stampa, e già consegnato alla Presidenza della Società Geologica, seppi che il D.' Bettoni ne aveva intrapreso un altro pel medesimo argomento certo con assai maggiore competenza. Il lavoro è oggi pubblicato nelle Memorie della Società pa- leontologica Svizzera, sotto il titolo di « Fossili Domeriani della Provincia di Brescia ». Avendolo io potuto esaminare, prima che la mia memoria venisse definitivamente pubblicata, alle specie riconosciute come nuove tanto da me quanto dal Dottor Bettoni, ho imposto il nome dato loro da quest’ultimo, lieto di essermi trovato non discorde dall’egregio autore. Mancano a me moltissime specie descritte dal Bettoni, che ebbe a sua disposizione una più ricca raccolta ; viceversa io accenno varie specie da lui non indicate, specialmente fra quelle che più si accostano a forme del Lias superiore. Io non le ho sceverate perchè presentavano tutte il medesimo aspetto di fossilizzazione, perchè erano tutte indicate come provenienti dalla stessa località, e perchè so che le scelte fatte a tavolino anziché sul posto riescono sempre pericolose. 562 D. DEL CAMPANA Gen. EH A COPH YLLI TES Zittel. Rliacopliyllites libertus Gemm. (Tav. VII, fig. 1-4). Dimensioni : Diametro mm. 35 mm. 16 mm. 13 Altezza nlt.° giro ... » Larghezza ult.° giro . . » Larghezza ombelicale . 1856 Ammonites mimatensis 1867-81 » » 1867-81 » » 1880 » » 1884 Phylloceras libertum 1886 (Rhacophyllites) » 1893 Rhacophyllites libertus 1894 » » 1895 » » 14 » 5V2 » 5 10V2 » 5 » 4 972 » 5 » 4 — Hauer, Ueb. d. Ceplial. aus d. Lias d. nordòstl. Alpen, p. 56, t. XVII, f. 1-3. — Meneghini, Monogr. d. Foss. du Cale, rcuge Amm. de Lombardie, p. 87, t. XVII, f. 4. — Meneghini, Foss. d. 3Iedolo, p. 26, t. IV, f. 2. — Taramelli, Monogr. strat. e pa- leont. del Lias nelle prov. Venete , p. 73, t. Ili, f. 2. — Gemmellaro, Sui fòssili degli strati a Ter. Aspasia, p. 4, t. II, f. 1-5. — De Stefani, Lias inf. ad Arieti d. app. sett., p. 48. — GEYER,Dt'e Mittel. Ceplial. d. Scliaf- berges in Oberòst, p. 48, t. V, f. 8- 12 (Abhandl. d. K. Geolog. R. Bd. XV). — Greco, Il Lias inf. del Circonda- rio di Rossano, t. III (Soc. Tose, d. Se. Nat., Memorie, v. XIII, p. 166). Bonarelli, Fossili domeriani di Brianza, p. 10 (Estr. d. Rendic. d. R. Istit. Loinb. di Se. e Leti., Serie II, v. XXVIII). CEFALOPODI DEL MEDOLO DI VALTROMPIA 563 Fucini, Faunula del Lias viedio di Spezia (Boll. Soc. Geol. It., v. XV » p. 131, t. Ili, f. 2). Bonarelli, Le Amm. d. Fosso Am- monitico, p. 212 (Estr. d. Boi. Soc. Malacol. It., v. XX). Gli esemplari classificati sotto questa specie concordano esat- tamente colla descrizione che ne dà il Gemmellaro (op. s. cit.). Si tratta d’individui giovani, a giri lisci, essendo gl’indi- vidui adulti caratterizzati, secondo il Gemmellaro, da delle coste trasversali. Il numero dei solclii è vario, ed in pochi ho potuto con- tarne un numero maggiore di tre nell’ultimo giro, mentre il Gem- mellaro, nel tipo da lui descritto, ne nota 5 o 6 per ogni giro. Non crederei però che questo fatto dovesse costituire nei miei esemplari un carattere negativo. Infatti, se al H hacophyllites Ubertus vanno riuniti gli esem- plari del Medolo, classificati dal Meneghini sotto il nome di Phyìloceras mimatense, come crede il Gemmellaro, leggendo la descrizione che il Meneghini dà del suo Phyìloceras, si trova che i solchi in alcuni individui arrivano nell’ultimo giro fino a sette, uno solo, assai diverso dagli altri per la grandezza del- l’ombelico, ne ha otto, la maggior parte ne hanno cinque, altri infine tre o quattro ed uno solo non presenta alcun solco. Nel lavoro del Fucini, citato nella sinonimia, si parla dif- fusamente del Phacojhiyllites Ubertus. A quella specie l’autore attribuisce due esemplari i quali corrispondono (ed io pure l’ho riscontrato pe’ miei) perfettamente al Phyìloceras mimatense del Medolo, pure non presentando, lo si vede anche dalla figura, che un solco ben distinto. — Aggiungerò come ultima osserva- zione, che tra i miei esemplari, sebbene sieno tutti di un iden- tico tipo di forma e di linea lobale, pure se ne trovano alcuni, i quali presentano dei giri un poco più compressi degli altri. Questo particolare venne del resto osservato anche dal Fucini negli esemplari del Medolo esistenti nel Museo di Pisa. 1896 Bhacophyllites Ubertus — 1899 » » — 564 D. DEL CAMPANA Gen. rHYLLOCEEAS Stjess. Phylloceras cylindricum Sow. (Tav. VII, fig. 5-7). Dimensioni : Diametro Altezza nlt.° giro . . . Larghezza ult.° giro. . Larghezza ombelicale. 1833 Amvionites cylindricus 1851 » » 1856 » » 1879 » » 1882 Phylloceras cylindricum 1886 » convexum 1886 » cylindricum 1888 » » mm. 40 mm. 9 » — » 7 » — » 5V2 » 3V4 » 1 V* — Sowerby in De la Beche, Manuel géologique, p. 406, f. 55. Savi e Meneghini, Considerazioni sulla geol. strat. della Toscana, p. 354, n. 17 (App. al Murchison, Meni, sulla strutt. geol. d. Alpi, d. Appen. etc.). Hauer, Ueber d. Ceph. a. d. Lias der Nordòstl. Alp., p. 56. Reynès, Monogr. d. Ammonii. Atlas, t. XXXI, f. 4-9. Canavari, Beitr. zur Fauna des mi/. Lias von Spezia (Paleont. XXIX Bd. Ili Lief., p. 147 [25] t. XVI [2] f. 8-11). De Stefani, Lias inf. ad Arieti nel- l’App. sett., p. 49, t. I, f. 14; t. Il, f. 16. Geyer, Ueber die Lias Cephal. des Llierlal. bei Hall sta, tt. (Abhandl. der k. k. geol. Reichsanst., Bd. XX, n. 4, p. 215 [3] t. I, f. 3-5). Canavari, Fauna del Lias inf. di Spezia, p. 99, t. II, f. 8-11. Gli esemplari dei quali intendo parlare, concordano colla de- scrizione data dal Canavari (op. cit.) e sono in tutto simili agli esemplari di Phylloceras cylindricum provenienti dalla Spezia, posseduti dal Museo Paleontologico di Firenze. CEFALOFO DI DEL MEDOLO DI VALTROMPIA 565 Fra le conchiglie più grosse, quelle delle quali, per essere meglio conservate, ho potuto prendere il diametro massimo, mi hanno dato cifre non diverse da quelle del Canavari. Una sola- mente, la più grande, mi dà un diametro massimo approssima- tivo di 41 mm. Negli esemplari più piccoli, in cui la prima sella laterale appare difilla, a causa del piccolo sviluppo della fogliolina in- terna, ho riconosciuto (v. Canavari, op. cit.) degli individui più giovani. Una specie molto affine al Phylìoceras cylindricum venne descritta e figurata dal De Stefani (op. cit.) sotto la nuova deno- minazione di Pliylloceras convexum , perchè, pure avendo linea lobale identica al Phylìoceras cylindricum del Canavari, ne dif- feriva dall’altra parte per la convessità dei fianchi e per le di- mensioni piuttosto grandi. La somiglianza delle due specie è però assai marcata e secondo il Canavari (op. cit.) il Phylìoceras con- vexum De Stefani deve essere unito al Phylìoceras cylindricum tipico del quale non sarebbe che un individuo molto meglio con- servato di una varietà a fianchi rigonfi. La specie in questione non era fino ad oggi stata riscontrata che nel Lias inferiore. Phylìoceras Meneghinii Gernm. (Tav. VII, fig. 8-12). Dimensioni : Diametro. mm. 21 % mm. 12 V, Altezza ult.° giro. . . » 12 V, » 12 Larghezza ult.° giro . » 10 V2 » 103/4 Larghezza ombelicale. » 1 V2 » 1 1867-81 A. (Phylìoceras) Hebertinus (non Reynés) — Meneghini, Foss. cl. Meclolo, p. 30, t. Ili, f. 6. 1874 Phylìoceras Meneyhinii — Gemmellaro, Sopra ale. faune Giur. e Lias. d. Sicilia, p. 102» t. XII, f. 23. 1884 » » — Gemmellaro, Sui foss. d. strati a Ter. Asp. d. contr. Bocche rosse presso Galati, p. 9, t. II, f. 13-17. D. DEL CAMPANA 566 1895 Phylloceras Meneghina 1896 » » 1896 » » 1899 » » — Bonarelli, Fossili domeriani d. Brianza, p. 7. — Levi, Sui fossili d. Sirati a Ter. Aspasia di M. Calvi, presso Campiglia Marittima, p. 10 (Estr. d. Boll. d. Soc. Geol. Ital., v. XV, fase. 2). — Fucini, Fauna del Lias m. d. M. Calvi, p. 223, t. 24, f. 17-18 (cum syn.) (Palaeontogr. Ita- lica, v. II). — Fucini, Ammoniti del Lias m. dell’ App. centrale (Palaeout. Italica, v. V, p. 150, t. XIX. f.7). Di questa specie la collezione da me studiata possiede mol- tissimi esemplari i quali presentano perfetta analogia con quello figurato dal Meneghini sotto il nome di Phylloceras Hébertinum, appartenente al Medolo Bresciano. Essendo stata la specie in discorso già descritta ampiamente dal Meneghini, nel lavoro sopra citato, riporterò da quello alcuni brani, i quali servono benissimo alla conoscenza degli esemplari di cui parlo: « I fianchi sono assai rigonfi, soprattutto alla parte interna, cominciando il massimo spessore col terzo dell’altezza, eia se- zione dei giri essendo esattamente ovale. » L’ombelico, assai aperto, lascia allo scoperto negli esem- plari più grandi i giri interni Lo sviluppo delle loggie ras- somiglia molto a quello del Phylloceras Doderleiniimum, ma in esso il lobo sifonale c comparativamente più grande, c le ultime branche soltanto del primo lobo laterale ne sorpassano la lun- ghezza. La prima branca esterna del secondo lobo laterale è separata dal tronco per una grande foglia, ciò che dà alla sella una apparenza quasi trifogliata. Il lobulo della sella esterna e quello della sella laterale sono due volte trifidi, e, quantunque meno sviluppati, se ne riconosce la stessa forma in quelli clic; rendono difille la prima, la seconda c la terza sella accessoria. Nella quarta il lobulo non è più che una dipendenza del quarto lobo accessorio. Le tre seguenti sono monofille, l’ultima poco CEFALOPODI DEL MEDOLO DI VALTROMPIA E67 profonda e stretta. Non vi sono che quattro lobi interni, e le selle interposte sono tutte monofille, l’assenza del lobo suturale è qui ben certa ; una sella più ampia delle selle vicine corri- sponde alla sutura ». La denominazione di Phylloceras Hebertinum data dal Me- neghini al Phylloceras sopra citato del Medolo, in un recente lavoro del Fucini, sulle Ammoniti del Lias medio dell’ Appennino centrale, è stata riconosciuta errata ; il Phylloceras Hebertinum non è che un esemplare di Phylloceras Meneghina. Ecco infatti come si esprime in proposito il Fucini dopo aver confrontato gli esemplari del Medolo con un modello in solfo del Phylloceras Hebertinum tipico di Reynès. « Se dal Phylloceras Hebertinum Reynès si deve tener sepa- rato il Phylloceras Meneghina Gcmm. che io ho sempre ricono- sciuto estremamente vicino, le due specie non possono distin- guersi che per i caratteri seguenti. La sezione dei giri nel Phyl- loceras Hebertinum sarebbe ellittica, e quindi colla maggior lar- ghezza in corrispondenza della metà dell’altezza dei giri stessi ; nel Phylloceras Meneghina la sezione dei giri risulterebbe invece ovale in quanto che i fianchi hanno il massimo spessore a circa il primo terzo interno della loro altezza. La linea lobale del Phylloceras Hebertinum disegnata dal Reynès ha i lobi sempre meno profondi procedendo verso l’interno, nel Phylloceras Me- neghina i lobi hanno tutti la stessa profondità. Sembrerebbe poi . . . che la specie di Reynès avesse anche l’ombelico più ampio ». Tornando ora ai miei esemplari dirò che, avendo pure in essi riscontrati i caratteri che differenziano il Phylloceras Meneghina dal Phylloceras Hebertinum, li ho classificati, seguendo il parere del Fucini, sotto la prima denominazione. Phylloceras frondosum Reyn. (Tav. VII, fig. 13). 1868 Ammonites frondosus — Reynès, Ess. d. Géolog. et d. Pa- leontol. Aveyron, p. 88, pi. V, f. 1. 1867-81 » ( Phylloceras ) frondosus — Meneghini, Monogr. d. Foss. d. Cale, rouge Amm., p. 89, pi. XVIII, f. 1. 568 D. DEL CAMPANA 1895 Phylloceras frondosum — Bonarelli, Fossili domeriani di Brianza, p. 19. 1899 » » — Bonarelli, Le Ammoniti del Bosso Amm., p. 213. Attribuisco ;i questa specie due esemplari non ben conseri vati, ma pure tali da potersi determinare. Da quanto si può vedere, la conchiglia degli individui in discorso, non differisce dalla forma riscontrata nel Calcare rosso dal Meneghini. Anche la linea dei lobi, molto ben conservata nella massima sua parte, armonizza colla figura riportata dall’autore sopra citato nella sua Monografia. Dal lavoro del Bonarelli, citato nella sinonimia, sappiamo che «il Pompeckj (1897, Lias am Kessik tash, pag. 729) escluse recentemente questa figura dalla sinonimia dell' Ammonite, s fron- dosità Reynès a cui il Meneghini stesso aveva riferito l’origi- nale «perchè in essa i fianchi sono alquanto più rigonfi che nell’originale del Reynès e la sezione trasversale apparisce più ovale mentre nella forma tipica del Phylloceras frondosum Reynès è del tutto elittica ». Il Bonarelli però, notando la perfetta rassomiglianza della forma del Meneghini con quella originale riportata dal Reynès, ritiene per esatta c conserva la classificazione usata dal Mene- ghini. Tra le specie le quali presentano qualche somiglianza col Phylloceras frondosum, si può notare in primo luogo il Phyllo- ceras Meneghina Gemili, dal quale tuttavia la specie in discorso si distingue per presentare una conchiglia con fianchi assai meno rigonfi, in modo che in essa la sezione dell’ultimo giro ha forma ovale più allungata di quella del Phylloceras Meneghina. Anche nella linea dei lobi esistono alcune differenze. Altra specie affine potrebbe citarsi nel Phylloceras Heber- tinum, anche questa però ha forme più rigonfie, senza confon- dersi tuttavia col Phylloceras Meneghina, dal quale si distingue per essere più involuta e più rigonfiata ai fianchi e con anda- mento diverso nella linea dei lobi (Gcmm., Foss. d. strati a Ter. Aspasia, pag. 9). CEFALOPODI DEL MEDOLO DI VALTROMPIA 569 Phylloceras sub-frondosum n. sp. (Tav. VII, fig. 14-15). Dimensioni : Diametro nnn. 16 mm. 18 V, mm. 12 Altezza ult.° giro . . . » 9 » h-i o to » 7 Larghezza ult.° giro . » 51; » 7 » 4 Larghezza ombelicale. » ì » iv. » 7 4 3 1867-81 A. (Phylloceras) frondosus (non Reyn.) — Meneghini, Foss. d. Medolo, p. 31, pi. IV, f. 1. 1896 Phylloceras frondosum — Fucini, Faunula del Lias medio di Spezia, p. 138, t. II, f. 7. 1897 Ammonites frondosus — Pompeckj, Lias am Fessile tash, p. 729. Si tratta di esemplari che sono stati confrontati cog'li esem- plari del Medolo posti dal Meneghini sotto il nome di Phyllo- ceras frondosum. Però, come il Bonarelli (Le Ammoniti del rosso Ammonitico, pag. 213) osserva giustamente (e per la somiglianza sopra no- tata debbo dire lo stesso dei miei), una differenza spiccata corre tra il Phylloceras frondosum del Medolo e quello omonimo del Calcare rosso, differenza che consiste non solo nella forma, ma ancora nella linea di sutura. E siccome il Phylloceras frondosum del Calcare rosso cor- risponde al tipico del Revnès, egli ne deduce che la determi- nazione usata dal Meneghini nella Monografia è buona, contra- riamente a quanto osserva il Pompeckj (op. s. cit.). Invece la forma del Medolo, che il Meneghini pose sotto la stessa denominazione di Phylloceras frondosum , non è esattamente determinata, e si deve considerare come tipo di una forma nuova ben distinta. Del resto, confrontando coi miei esemplari e col Phylloceras frondosum del Medolo, quello del Calcare rosso, quest’ultimo si differenzia dagli altri pel rapido accrescimento in spessore che assume la sua conchiglia, in modo che la metà esterna dell’ul- 570 D. DEL CAMPANA timo giro appare assai più rigonfia dell’altra metà. Anche il Dottor Bettolìi riconosce per differente dal Pliyll. frondosum tipico la forma in questione, però invece di farne una specie nuova la descrive a parte sotto la stessa denominazione. Al contrario i miei individui e quello del Medolo hanno una conchiglia nella quale l’accrescimento in spessore facendosi più lentamente, ne consegue che la forma sia molto più planulata. In tal modo si comprende facilmente come nel PhyUoceras frondosum tipico l’ ombelico sia profondo, imbutiforme, mentre negli esemplari che ho sottocchio e in quello pure figurato dal Meneghini nel lavoro sul Medolo l’ombelico è stretto e poco pro- fondo. Quanto alla linea lobate, si può dire che la differenza quasi più notevole consista in una maggiore complessità di ramifica- zioni che il Plryll oceras frondosum tipico presenterebbe; essendo il disegno nelle linee generali presso a poco uguale nelle due forme. Stando pertanto a quanto dice il Bonarelli, a questa nuova specie dovrebbero, mi sembra, riunirsi non solo l’ esemplare del Medolo studiato dal Meneghini, ma ancora quelli riportati dal Pompeckj al PhyUoceras frondosum, i quali concordano, sembra, coi tipi del Meclolo. Credo ancora che, oltre alle forme suddette, debbano essere riuniti alla nuova specie anche gl’individui del PhyUoceras fron- dosum descritti e figurati dal Fucini (op. s. cit.) i quali a detta dello stesso autore « corrispondono perfettamente a quelli del Medolo ». D’altra parte confrontando coi miei la figura di uno di quc- st’ultimi individui data dal Fucini, noto che essa presenta per la forma molta rassomiglianza, se si vuole, maggiore anche clic per la linea lobale, la quale in qualche particolare si allontana da quella dei miei e dalla figura del Meneghini. PhyUoceras sp. ind. (Tav. VII, fig. 16-17). L’individuo del (piale intendo parlare, è costituito da un pic- colo frammento, il quale tuttavia lascia ritenere che si dovesse trattare di una conchiglia di dimensioni non tanto piccole. CEFALOPODI DEL MEDOLO DI VALTROMPIA 571 Non essendo il frammento ben conservato che da una sola parte, poco si può dire circa la conformazione dei fianchi, tut- tavia, da ciò che si può vedere, essi diminuivano sempre più di spessore andando verso la regione sifonale, molto stretta, e raggiungendo il loro massimo spessore in vicinanza della regione ombelicale. Maggiori particolari si possono notare invece circa la linea di sutura, la quale si trova da una parte conservata quasi nella sua totalità. Partendo infatti dall’ esterno sono visibili sino a cinque selle; dei lobi si scorge il sifonale, l’esterno, il laterale e tre piccoli lobi accessori. Sella esterna. — Si presenta pentafilla. AH’infuori della foglio- lina esterna, di forma schiacciata, e più piccola di tutte, le altre hanno presso a poco eguale grandezza ; la mediana è situata più in alto delle rimanenti. Altra osservazione da farsi si è che tanto le due foglie esterne, quanto la mediana e la quarta (interna) sono, coppia per coppia, riunite da un peduncolo. Alla base della sella si trova dalla parte interna una grossa foglia ovale formata da una biforcazione del ramo esterno. Dalla parte opposta fa riscontro a questa foglia un’altra digitiforme, formata dalle ramificazioni interna e media del lobo sifonale. Sella laterale. — È essa pure pentafilla, ma le foglie si trovano isolate tra loro e distribuite perciò più largamente; anche qui la foglia mediana assume un notevole sviluppo, ed è situata an- cora più in alto della foglia omologa della sella precedente. Anche nella sella laterale si notano due foglie basilari, ma molto più piccole e un po’ differenziate da quelle descritte. Seconda sella laterale. — Iiipete con qualche leggera variante il disegno della prima. Le altre due si presentano trillile. Lobo sifonale. — La sola parte che ne è visibile è formata da un ramo diretto obliquamente verso l’interno, il quale, circa la metà della sua lunghezza, si divide in tre ramificazioni tri- fide, di cui la mediana si allunga fino a toccare la foglia me- diana della sella esterna sottostante. L,obo esterno. — È il più sviluppato di tutti; ha dal lato esterno una ramificazione separata profondamente dal tronco prin- 41 572 D. DEL CAMPANA pipale, in modo da dare luogo alla foglia basilare notata già nella sella esterna. Lo stesso succede dal lato esterno, ma in proporzioni molto più ristrette. Il ramo mediano termina in tre ramificazioni se- condarie. Gli altri lobi ripetono assai in piccolo il disegno di quello descritto. Phylloceras Partschi Stur. (Tav. VII, fig. 18-25). Esemplari con solchi. — Dimensioni: Diametro min Altezza ult.° giro ... » Larghezza ult.° giro . » Larghezza ombelicale. » 1851 Ammonites Partschi 1853 » striato-costatus 1856 » Partschi 1861 » » 1867-81 A. (Phylloceras) Partschi 1881 Phylloceras Partschi 1879 Ammonites » 1884 Phylloceras » 1886 » » 1895 » » 1 895 » » 20 mm. 11 v. mm. 9 10 » 6 » 47, 6V2 » 4 » 37; 3 » 2 » l1/. — Stur, Jahrb. der le. k. geolog. Bei ■ chsanst.; II, 3 Heft, p. 26. — Meneghini, Nuovi fossili Toscani, p. 28. — Iìauek, Ueber die Cephal. aus d. Lias d. Nordòstl. Alpen, p. 57. — Hauer, Ueber die Amm. aus d, soyen. Medolo (Sitzungsberichte d. k. Ak. d. Wiss., p. 405). — Meneghini, Monogr. d. Foss. d. Cale, rouge Amm., p. 83. — Meneghini, Foss. d. Medolo, p. 26, pi. Ili, f. 3-4. — Reynès, Monogr. d. Amm. Lias, Atlas, pi. XXXIV. f. 80-32, pi. XLIV, f. 12-15. — Gemmellaro, Sui foss. d. strali a Ter. Asp. (Giornale di Scienze etc., Palermo, v. XVI, p. 171, t. 2, f. 9-10). — De Stefani, Lias inf. ad Arieti delVApp. sctt., p. 44, f. 10-11. — Geyer, Mittellias. Cephal. d. Schaf- berg., p. 42, t. V, f. 7-12. — Bonakelli, Fossili domeriani d. Brìanza, p. 7. CEFALO PO DI DEL MEDOLO DI VALTROMPIA 573 Fra gli esemplari classificati sotto tale nome, i più grossi non sono in generale troppo bene conservati. Essi consistono in fram- menti di conchiglie, e tra questi uno assai grosso, molto vicino alla camera d’abitazione, fa presumere che appartenesse ad un individuo di dimensioni più grandi di quelli figurati dal Me- neghini nel lavoro sul Medolo. In un solo esemplare ho trovato conservata una parte del- l’ultima camera, non ho potuto però prendere misura alcuna sia pure approssimativa, anche perchè questo esemplare sembra abbia subito una forte compressione specialmente nella regione ventrale. Però, non ostante la poco buona conservazione, le linee di sutura non sono così erose da non permettere confronti, sia pure non troppo esatti, dei lobi, i quali appaiono simili a quelli di- segnati dal Meneghini per gli esemplari del Medolo. Degli individui che ho sott’ occhio, in due soli si veggono conservate sui fianchi le coste caratteristiche, ed in uno di questi specialmente è notevole il vederle riunite in fascetti. Negli altri le coste sono visibili soltanto lungo la regione sifonale. Agli esemplari di cui ho parlato fin qui, ne ho aggiunti altri i quali, per la loro linea di sutura, foggiata sul tipo riprodotto dal Meneghini nella fig. 3 (op. cit.), non lasciavano dubitare della loro specie. Sono esemplari di piccole dimensioni i quali si avvicinano molto alle forme piccole del Medolo. Ciò che però si riscontra di notevole in questi è il vederli coi fianchi traversati da solchi, i quali non oltrepassano il numero di quattro. Anche il Meneghini dice di aver riscontrato questo partico- lare in alcuni degli individui del Medolo, e aggiunge che esso è un carattere specifico. Esaminando gli esemplari del Plnyllo- ceras Partschi figurati dal Geyer, anche tra quelli ne troviamo alcuni coi fianchi molto rigonfi i quali pure presentano solchi. Ho ravvicinato a questi ultimi tipi alcuni altri de’ miei esem- plari i quali presentavano con quelli moltissima rassomiglianza. A proposito degli esemplari del Medolo riferiti dal Meneghini al Phylloceras Partschi, il Fucini è di parere che alcuni di essi debbano essere riuniti al Phylloceras tcnuistriatum. E probabile che tale osservazione sia giusta, specialmente, secondo me, per la fig. 5 (Fossiles du Medolo). 574 D. DEL CAMPANA Pliylloceras tenuistriatum Mgh. (Tav. VII, fig. 24-251. Dimensioni : Diametro mm. 34 mm. 26 V, Altezza ult.° giro . . . » 17 » 14 V, Larghezza ult.° giro . » 8 » 7 '/ 2 Larghezza ombelicale. » 4 » 3V2 1853 Ammonites Loscombi (non Sow.) — Meneghini, Nuovi fossili della Toscana, p. 10. 1868 » tenuistriatum — Meneghini in G. V. Rath, Geo- gnostich - mi nevai ogische Frag- mente aus Italien (Zeitschrift. d. deuts. geolog. Gesellschaft. Bd. XX, p. 321). 1886 Phylloceras » — De Stefani, Lias inf. ad. Arieti d. App. sett., p. 51, t. Ili, f. 7, 8, 9. 1893 » » — Geyer, Pie MittelUas. Ceph. Fauna d. Hinter Schafberges, p. 43, t. VI, f. 1-2. 1895 » » — Bonakelli, Fossili domeriani d. Brianza, p. 7. 1896 » » — Fucini, Formula del Lias m. di Spezia, p. 141, t. Ili, f. 4. 1896 » » Levi, Sui foss. d. strati a Ter. Aspasia di M. Calvi presso Cam- piglio, p. 8, t. Vili, f. 7. Sono stato molto in dubbio se dovessi classificare sotto questa specie alcune ammoniti della collezione, perchè esse presentano una grandissima affinità cogli individui piccoli del Pliylloccras Partschi figurati dal Meneghini nel lavoro del Medolo, e in modo speciale coll’individuo il quale secondo l’autore formerebbe quasi un termine di passaggio al Pliylloccras Zetes. La somiglianza però ancora più spiccata coll’ esemplare di Phyl lacera, s tenuistriatum figurato dal Fucini, mi ha indotto a ravvicinarlo a quella specie. Invero, tenendo conto della descrizione che egli dà dell’esem- plare da lui osservato e figurato, e delle differenze che esistono CEt'ALOPODI DEL MEDOLO DI VALTROMPIA 575 tra le due specie del Phylloceras Partschi e del Pliylloceras te- nuistriatum, mi convinco sempre più di aver giustamente adot- tata quest’ ultima denominazione. Anche nei miei esemplari si osserva la conchiglia ad accre- scimento rapido, a giri compressi, ed ombelico stretto, con con- torno ombelicale e carena rotondeggianti. Confrontando poi la linea lobale con quella degli esemplari piccoli di Phylloceras Partschi, si vede che essa, pure mante- nendo in ambedue le specie un disegno eguale nelle linee ge- nerali, è tuttavia (carattere tipico secondo il Fucini) molto più frastagliata nella prima che non in quella del Phylloceras Partschi. Nel lavoro del De Stefani, citato in sinonimia, viene ampia- mente descritto e figurato il Phylloceras tenuistriatum. Confron- tando pertanto con queste figure il mio esemplare, trovo che gl’ individui studiati dal De Stefani presentano un ombelico pro- porzionatamente più ampio, regione sifonale e fianchi più piatti; lo stesso si osserverebbe confrontando fra loro le due figure del De Stefani e del Fucini. Però ho potuto confrontare l’esemplare del Medolo con quelli del Phylloceras tenuistriatum provenienti da Canapiglia, appar- tenenti alla collezione del Museo ed ho riscontrato una notevole somiglianza col mio. Phylloceras Emeryi Bett. (Tav. VII, fig. 26-29). 1867-81 Phylloceras Nilssoni (non Heb.) — Meneghini, Monogr. des Fossiles chi Cale, rouge Amm., t. XVIII, f. 8 sol- tanto. 1899 » » Heb. — Bonarelli, Le ammoniti del rosso Ammonitico, p. 214. Sono alcuni esemplari i quali si avvicinano assai all’indi- viduo più grande di quelli figurati dal Meneghini, proveniente da Cagli (App. centrale) e posto sotto il nome improprio di Phylloceras Nilssoni. 57 G D. DEL CAMPANA 11 Bonarelli (op. s. cit.), esaminando la figura del Meneghini, c confrontandola col Phylloceras Nilssoni tipico dell’Hebert, nota che essa ne differisce « per aver l’ombelico un poco più stretto, ed i giri meno compressi». — Confrontando anch’io i miei esem- plari colla figura dell’Hébert (Observations sur Le Cale, à Tere- bratula dypliia. Bull. Soc. Géol. de Franco, 2a ser., t. XXIII, pag. 525, fig. 3) trovo che, oltre ai caratteri differenziali già notati dal Bonarelli, un terzo se ne aggiunge, quello cioè dei solchi. Infatti questi, tanto nei miei individui, quanto in quelli del Meneghini, descrivono una curva quasi sempre regolare e concava in avanti ; al contrario nel tipo figurato dall’Hébert, i solchi descrivono una linea irregolarmente sinuosa con direzione principale radiale, e con una convessità nella regione mediana dei fianchi ben visibile e rivolta verso l’esterno. Per tutte dunque le differenze notate sopra mi sono indotto a indicare col nome nuovo di Phyll. Emeryi Bett. gli esemplari di Val Trompia, e ad essi, se non m’inganno, dovrebbe unirsi l’esemplare del Meneghini già citato e dal Bonarelli confrontato col Phylloceras Nilssoni Heb. tipico. Per ciò che riguarda la conformazione degli esemplari che ho sott’occhio, nulla di speciale vi è da dire ; sono individui non interamente conservati, solo in uno rimangono traccie delle strie esterne, osservate pure dal Meneghini; negli altri di strie non rimane traccia alcuna e si vede al contrario ben conservata la linea di sutura. Sella esterna. — Visibile solo per metà, lascia prevedere tuttavia, che non era dissimile da quella difilla che si osserva nelle forme affini al Phylloceras Nilssoni. Sella laterale. — E invece trifilla e presenta la foglia me- diana più sviluppata di tutte, leggermente obliqua verso l’in- terno, e riunita per un comune peduncolo colla foglia interna che è la più piccola delle tre. Le altre selle appaiono difille. Lobo sifonale. — Completamente invisibile. Lobo esterno. — Molto sviluppato, ha un grosso peduncolo il quale porta ai lati delle piccole ramificazioni. Termina per tre grosse branche di cui la mediana e l’esterna appaiono tri- fide, e rinterna si divide a sua volta in due rami più piccoli di cui l’esterno è maggiormente sviluppato. CEFALOPODI DEL MEDOLO DI VALTROMPIA 577 Gli altri lobi assumono uno sviluppo sempre minore pure ripetendo imperfettamente e molto in piccolo il disegno già descritto. Debbo parlare in secondo luogo di un altro esemplare sul quale sono stato a lungo in dubbio se dovessi porlo sotto la classificazione del Phyìloceras Capitanò Cat. Certamente tra le due specie del Phyìloceras Capitami e la mia vi sono non poche affinità, e da prima paragonando il fram- mento di cui parlo colla figura che del Phyìloceras Capitanò dà il Geyer (Mittellias Cephal., tav. II), la somiglianza mi parve se non perfetta, pure molto notevole ; in seguito però confron- tandolo anche colla figura del Phyìloceras Capitanò del Mene- ghini (op. cit., tav. XVIII, fig. 5) e che, stando a quanto dice il Bonarelli (op. cit.), ritengo come tipica, dovei mutarmi d’idea osservando la ristrettezza dell’ombelico, carattere che non si os- serva nè nel mio esemplare nè in quello figurato dal Geyer. A proposito delle figure sopra citate del Geyer, è da ricor- dare come il Bonarelli (Foss. Dom. della Brianza, pag. 8) abbia cambiato la classificazione inesatta usata da quell’autore nella nuova di Phyìloceras Geyeri, perchè le dette figure rappresen- tavano un tipo di forma molto diversa dal Phyìloceras Capitanò originale. Come già sopra accennavo, io ho esaminato e paragonato le figure del Geyer coll’esemplare in questione, esse, lo ripeto, sono molto vicine al mio per la forma, ma il disegno della linea lobale in alcuni degli esemplari dello Schafberg sembra un poco più frastagliato; in un altro poi, quello rappresentato dalla fig. 6 (op. cit.), il disegno delle selle è del tutto diverso. Come varietà di questa nuova specie, oserei proporre alcuni individui di dimensioni piccole i quali presentano la stessa linea lobale e la stessa conformazione dell’ombelico. Dna differenza si potrebbe solamente scorgere nei fianchi i quali appaiono pro- porzionatamente più rigonfi. In questi esemplari i solchi, pure avendo sempre una direzione obliqua, non sono però ricurvi nella maniera stessa delle prime forme descritte, ma piuttosto si avvi- cinano ad un altro tipo di Phyìloceras Nilssoni figurato dal Me- neghini (op. cit., fig. 7) del quale il Bonarelli (op. cit.) ha fatto la nuova specie del Phyìloceras Beatricis. 578 D. DEL CAMPANA Quest'ultimo però differisce dai miei esemplari per la con- formazione dell’ombelico il quale è angusto e non lascia meno- mamente vedere i giri interni. Sempre confrontando gl’individui in questione colle figure del Phylloceras Nilssom del Meneghini, essi si avvicinerebbero, per la forma generale della conchiglia e pel carattere dei loro solchi, ad un terzo tipo (fig. 9, op. cit.) del quale pure il Bo- narelli ha fatto la nuova specie del Phylloceras Virginae, ma qui ancora si nota un ombelico di conformazione assai diverso ed un numero di solchi molto maggiore che nei miei. Phylloceras Bettonii n. sp. (Tav. VII, fig. 30-32). Dimensioni : Diametro inni. 21 72 Altezza ult.° giro. . . » IO1 /2 Larghezza ult.° giro. . » 8 72 Larghezza ombelicale. » 3 mm. 17 72 » 87, » 7 mm. 8 7 » 4 » 27 » — 4 4 Vicine alle forme descritte sotto la indicazione di Phyllo- ceras Emery/' Bett., altre ne stanno di piccole dimensioni le quali concordano con esse nella massima parte dei loro caratteri. In queste conchiglie la spira ha giri più involuti, sicché ne resulta un ombelico piuttosto ristretto e profondo nella cui cavità si possono scorgere, sebbene in minima parte, i giri interni. I fianchi delle conchiglie, anche questo è uno dei caratteri differenziali, appaiono negli esemplari in questione molto più rigonfi clic non nella seconda varietà del Phylloceras Emeryi Bett. già descritta ; i solchi, i quali vi si notano in numero di tre o di quattro, hanno una direzione marcatamente obliqua verso l’in- terno, sinuosa assai più irregolarmente che nella varietà del Phyl- loceras ora citata. Della linea lobate, nulla di notevole è a dirsi; descrivendola si dovrebbe ripetere su per giù quanto si è detto per la specie precedente. CEFALOPODI DEL MEDOLO Dt VALTROMPIA 579 Gen. LYTOCERAS Suess. Lytoceras loricatum Mgli. (Tav. VII, fig. 33). Dimensioni: Diametro mm. 7 7 Altezza ult.° giro. . . » 5V2 Larghezza tilt.0 giro . » 6% Larghezza ombelicale. » 51', 1874 Lytoceras loricatum — Meneghini, Nuove sp. di Phylloc. e Lyt. del Lias sup. d’Italia, p. 108. 1867-81 A. (Lytoceras) loricatus — Meneghini, Foss. d. Medolo, p. 38, pi. V, f. 4. 1895 Lytoceras loricatum — Bonarelli, Foss. dovi, di Lrianza, p. 20. Conchiglia a lento accrescimento ; con ombelico largo perchè i giri si sovrappongono senza ricuoprirsi. La sezione dei giri è una circonferenza quasi perfetta; sui fianchi si notano delle sot- tili strie radiali, le quali prendono origine dal contorno ombe- licale; Cui timo giro presenta quattro strozzamenti. La linea lohale è visibile solo in parte, tuttavia gli elementi che si veggono ancora conservati, si mostrano simili alle figure date dal Meneghini per l’esemplare del Medolo. A proposito di questo esemplare, il Meneghini notò la ras- somiglianza che esso presenta col Lytoceras scpositum , il quale, secondo lui, potrebbe forse essere una forma adulta del Lyto- ceras loricatum. Però, come successe al Meneghini, anch’io, per lo stato poco buono di conservazione dell’esemplare studiato, non posso fare ratfronti esatti, e debbo quindi limitarmi a quanto ha detto il Meneghini. Una certa rassomiglianza tra le due specie bisogna certamente riconoscerla, soltanto mentre negli esemplari perfetti di Lytoceras sepositum esiste un solo solco peristomatico, nel Lytoceras lori- catum ne abbiamo notati quattro. 580 D. DEL CAMPANA Chi abbia sottocchio più esemplari di Lytoceras loricatum ben conservati, potrà probabilmente decidere se l’asserzione del Meneghini sia giusta; a me ciò resta impossibile non avendo trovato nella collezione di Val Trompia che un solo individuo di questa specie e non interamente conservato. Lytoceras nothum Mgh. (Tav. VII, lig. 34-35). Dimensioni : Diametro mm. 15 mm. 9 Altezza nlt.° giro ... » 5 V2 » 3 Larghezza ult.° giro . » 6 72 » 372 Larghezza ombelicale. » 5 » 3 1861 Ammonites fhnbriatus (non Sow.) — Hauer, Ucber d. Amn. aus d. sog. Medoìo, p. 406, 1. 1, f. 1-2. 1874 Lytoceras nothum — Meneghini, Nuove specie di Phyll. e Lyt. del Ivias sup. d’It. (Atti Soc. Tose, di Se. Nat., v. I, p. 108). 1867-81 A. (Lytoceras) nothus — Meneghini, Foss. du Medoìo, p. 35, t. V, f. 1. 1895 Lytoceras nothum — Bonarelli, Foss. dovi, della Brianza , p. 20. 1896 » » — Fucini, Faunula del Lias medio di Spezia, p. 148, t. Ili, f. 3-4. 1896 » » — Fucini, Faunula del Lias di M. Calvi presso Campiglia Marittima, p. 231, t. XXIV [I]. f. 23 (cum syn.). Gli esemplari di cui intendo parlare sono stati riscontrati uguali a quelli del Lias medio di Spezia studiato dal Fucini (op. s. cit.). Sono conchiglie di piccole dimensioni, ad accresci- mento piuttosto lento. I giri, rigonfi, sono tra loro soltanto giu- stapposti, e presentano una sezione quasi circolare. Osservando i fianchi di questi Lytoceras con una lente d’ingrandimento, si scorgono benissimo degli strozzamenti, i quali sono quasi inapprez- zabili ad occhio nudo. Questi strozzamenti erano già stati studiati dal Meneghini e più recentemente dal Fucini e si dovrebbero ritenere non «come CE FALÒ PODI DEL MEDOLO DI VALTROMPIA 581 strangolamenti peristomatici » ma « come impressioni dovute alle estremità delle selle e dei lobi». La linea di sutura, quale l’ho potuta osservare nei miei esem- plari, si avvicina molto a quella riportata dal Fucini. Ho voluto confrontare gli esemplari in discorso anche colle figure riportate dal Meneghini nel lavoro sul Medolo, ed ho ri- scontrato la stessa somiglianza. La linea lobale appare nel Meneghini un po’ più frastagliata che nei miei, ma la differenza è di minima entità, e denota, se non m’inganno, che nel tipo studiato dal Meneghini si ha un esemplare molto più avanzato dei miei nello sviluppo. Come il Meneghini ed il Fucini hanno ripetutamente notato, la specie in questione è intermedia tra il Lytoceras fimbriatum Sow. ed il Lytoceras cornucopia Y. e B. Si avvicina al primo per la linea di sutura ed al secondo per le proporzioni poco diverse. Essendo i miei individui ridotti a modelli interni, mancano naturalmente le lamine e le strie che ornano i fianchi degli indi- vidui completamente conservati. Lytoceras trompiaiuim Hau. (Tav. VII, fig. 36-37). Dimensioni : Diametro min. 33 mm. 19 V2 Altezza ult.° giro. . . » 13 » 8 Larghezza ult.° giro » 12 » 71/2 Larghezza ombelicale. » 8 » 5 1861 Ammonites trompianus — H auer, TJeber die Amm. aus d. sog. Medolo, p. 407, f. 3-5. 1867-81 A. (Lytoceras) » — Meneghini, Fossiles du Medolo, p. 36, t. V, f. 2-3. 1895 Lytoceras trompianum — Bonarelli, Fossili domeriani di Brianza, p. 20. Conchiglia ad accrescimento piuttosto lento, con regione si- fonale rotondata, fianchi pianeggianti e sezione dei giri quasi circolare. 582 D. DEI, CAMPANA I fianchi scendono rapidamente all’ombelico, nel penultimo giro le strie sono visibili soltanto nella metà più esterna, invece nel giro esterno non ne rimangono che lievissime traccie. Non essendo troppo ben conservata la linea lobale, poco posso dirne; però, da quanto ne resta ancora visibile, sembra che pre- senti i particolari propri della specie in discorso. L’esemplare della mia collezione è stato confrontato con quello del Mcdolo figurato dal Meneghini, col quale corrisponde assai bene. Oltre all’ individuo di cui ho già parlato, la collezione ne possiede un secondo di dimensioni assai più piccole, ma di eguale conformazione e che io ritengo per un esemplare meno avanzato nello sviluppo. Lytoceras Gauthieri (Eeynès). (Tav. VII, fig. 38). Dimensioni: Diametro mm. 15 Altezza ult.° giro. . . » 5 Larghezza ult.° giro . » 5V2 Larghezza ombelicale. » 6 1861 Ammonites Phillipsi — FIauer, Ueber d. Amm. aus d. sog. Me - dolo, p. 409 (ex parte), t. I, f. 8-9-10. » » Gauthieri — Reynès, Fss. d. géol. Areyr., p. 97, T. IV, fig. 2. 1874 Lytoceras mendax — Meneghini, Nuove specie di Phyl. e Lyt., p. 108. 1867-81 Lytoceras audax — Meneghini, Foss. d. Medolo, p. 38, pi. V, f. 6. — Bonarelui, Foss. dovi, di Brianza, p. 20. 1895 » » 1896 » » — Fucini, Fauna del Lias m. di Spezia, p. 147, t. Ili, f. 6. 1896 » » — Fucini, Fauna del Lias m. d. M. Cairi, p. 230 (cimi syn.). 1899 » » — Fucini, Ammoniti del Lias m. d. App. cent., p. 155, t. XX, f. 6. CEEALOPODI DEL MEDOLO DI VALTROMPIA 583 L’unico rappresentante di questa specie ha una conchiglia ad accrescimento non molto lento, a fianchi piatti, i quali nel- l’ultimo giro mostrano tre strangolamenti ben visibili. Della linea lobale si vede soltanto conservato il lobo sifo- nale, il quale somiglia notevolmente al disegno che il Mene- ghini ed il Fucini descrivono per la specie in discorso nei loro lavori. L’ Hauer, sotto l’ unico nome di Litoceras Pìdllipsi aveva riunite due forme, l’una più compressa, l’altra meno, indotto a ciò dalla variabilità dei tipi riuniti dal Sow. sotto V Ammonites Phyllipsi. Il Meneghini però alla più compressa di queste due forme diede il nome della specie in discorso. In principio la specie nuova era da lui stata contradistinta col nome di Lytoceras mendax, però, avendo in seguito trovato un tal nome usato per un altro Ammonite, sostituì alla parola mencìax la parola audax. Però con ragione il Bettoni sostituisce il nome del Reynès, che è più antico. La specie di cui parlo è stata trovata dal Fucini anche nel Lias medio della Spezia e l’esemplare di quella località, figu- rato da lui, concorda esattamente col mio. L’altro esemplare, studiato dal medesimo autore, proveniente dal monte Gringuno nell’Appennino centrale (Lias medio) ha di- mensioni assai più grandi e presenta strozzamenti più numerosi, i quali si continuano fino ai giri interni ; questo esemplare è il maggiore di quanti se ne conoscano fino ad ora, misurando 40 mm. di diametro massimo. Prima che il Fucini avesse stu- diato quest’individuo, si credeva, come egli stesso dice, che la specie in questione fosse formata da individui di dimensioni assai ridotte. Dopo tutto ciò che intorno al Lytoceras audax ha detto il Fucini, credo inutile trattenermi maggiormente su questa specie. 584 D. DEL CAMPANA Lytoceras grand onense Mgh. (Tav. VII, fig. 39). Dimensioni : Diametro mm. 23 Altezza ult.° giro . . » 9 Larghezza ult.° giro . » 9 Larghezza ombelicale. » 11 1861 Ammonites Phillipsi — Hauer, Ueb. d. Amm. aus d. sog. Medolo, p. 409 (ex parte) 1. 1, f. 6-7. 1875 Lytoceras grandonense — Meneghini, Nuove sp. di Phylì. e Lyt. d. Lias sup. d. It., p. 109. 1867-81 A. (Lytoceras) grandonensis — Meneghini, Fossi! es du Medolo, p. 39, pi. V, f. 7. 1895 Lytoceras grandonense — Bonarelli, Fossili domeriani di Brianza, p. 20. La specie del Lytoceras grandonense è rappresentata nella collezione di Val Trompia da due esemplari, i quali concordano perfettamente colla descrizione che il Meneghini dà degli esem- plari omonimi, riscontrati nel Medolo. La spira, a lento accrescimento, è formata da giri a sezione quasi circolare, compressi ai lati e che si sovrappongono ricopren- dosi menomamente. Altro carattere dei giri è quello di presentare dei solchi i quali, negli individui da me osservati, si notano nel giro ultimo in numero di quattro. Sui fianchi la direzione dei solchi è volta all’indietro colla convessità che guarda però innanzi, all’opposto nella regione sifonale la convessità è rivolta all’indietro. Della linea di sutura sono soltanto visibili i quattro primi elementi, cioè il lobo sifonale e l’esterno, la sella esterna e la laterale. Confrontando colla figura della linea lobale di questa specie data dal Meneghini quella che si osserva nei miei, la rassomi- glianza si nota subito, sia per ciò che riguarda le selle, quanto per ciò che si riferisce ai lobi. CEFALOPODI DEL MEDOLO DI VALTR0MP1A 585 Non voglio però passare sotto silenzio che in uno dei miei esemplari, assai più sviluppato di quello figurato nel lavoro sul Medolo, si scorge un maggiore frastagliamento nella linea di sutura, tuttavia esso è tale che io non ho creduto costituisse un carattere da poter classificare questo individuo come specie nuova. Lytoceras sepositum Mgh. (Tav. VII, fig. 40-42). Dimensioni : Diametro mm. 1 3 1 '2 mm. 7 Altezza ult.° giro. . . » 6 » 3 Larghezza ult.° giro » 7 » 3 Larghezza ombelicale. » 4* 2 » 2 1874 Lytoceras sejpositum — Meneghini, Nuove specie di Phyll. e Lyt. del Lias sup. d’It., p. 107. 1867-81 A. (Lytoceras) sepositus — Meneghini, Monogr. d. Fossiles du Cale, rouge Amm. d. Lomb. et d. App. cent., p. 109, t. XXII, f. 3-4. 1896 Lytoceras sepositum (?) — Fucini, Faunula del Lias medio di Spezia, p. 150, t. Ili, f. 5. 1899 » » — Bonarelli, Le Amm. d. Rosso Amm., p. 217. Riferisco a questa specie un frammento di individuo il quale presenta molta affinità colle figure date dal Meneghini nella Mo- nografia del Calcare rosso. Trattandosi di aver sottocchio un modello interno, non ho potuto con esattezza verificare i particolari delle strie, le quali sono conservate in piccolissima parte. Migliori confronti ho po- tuto fare invece circa la linea di sutura la quale, a quanto mi sembra, armonizza con ciò che ho veduto nelle figure del Me- neghini citate in sinonimia. Dei due tipi per altro che queste rappresentano, il mio si avvicina in ispecial modo alla fig. 4. Alla stessa specie riferisco pure alcuni piccoli esemplari i quali mi presentano notevole somiglianza con altri studiati dal 586 li. DEL CAMPANA Fucini nella Faunula di Spezia e da lui posti essi pure, dub- biamente però, sotto il nome di Lytoceras sepositum. Quanto il Fucini nota per i suoi sì potrebbe egualmente ri- petere pei miei, i quali e per il disegno generale della linea di sutura c per la forma, si avvicinano molto alle figure date dal Meneghini della specie in discorso. Un’altra ragione che mi ha indotto a riunire alla forma grande anche la piccola è stata la notevole somiglianza che que- st’ultima presenta coi giri interni che si veggono conservati nel- l’altra già descritta, tanto per ciò che riguarda la conformazione, quanto per ciò che si riferisce ai pochi elementi visibili della linea di sutura. Se non m’ inganno nella forma grande si avrebbe a che fare con un individuo giunto a sviluppo completo, mentre gli altri, e ancora quelli della Spezia studiati dal Fucini, rap- presentano individui giovani. Gen. LYRAROCERAS Hyatt. Lyparoceras Nevianii n. sp. (Tav. VII, fig. 43-44). Dimensioni: Diametro mm. 23 Altezza ult.° giro. . . » 12 V2 Larghezza ult.° giro . » 13 Larghezza ombelicale. » 3 L’esemplare al quale alludo presenta notevoli somiglianze per la linea lobate e per la forma eo\Y Aeyoceras Spinella Hau. da una parte e dall’altra col Lyparoccras Bcchei Sow. Si differenzia dall 'Aegoceras in primo luogo per due serie di tubercoli, i quali sono visibili soltanto nel quarto esterno del- l’ultimo giro. Di queste l’ima è situata in vicinanza dell’ombe- lico, l’altra nella regione esterna dei fianchi. In secondo luogo si differenzia per la spira molto più involuta, in modo da non lasciare visibile nessuno dei giri interni. Per tutti questi caratteri l’esemplare in discorso si avvicina notevolmente al Lyparocerau Rechei Sow. del quale potrebbe rap- CEFALOPODI DEL MEDOLO DI VALTROMP1A 587 presentare un modello interno. In tal caso però, secondo le osser- vazioni del D’Orbigny (Pai. Frane. Terr. Jurass., I, pag. 278, pi. 82) non dovrebbero essere visibili le coste radiali e longitudinali che caratterizzano la specie del Sowerby. Ora, osservando bene il mio individuo, vi si trovano delle tenuissime coste, visibili in special modo nella metà esterna del- l’ultimo giro, parrebbe anzi che in alcuni punti le costicine, giunte ai nodi, si biforcassero, come avviene appunto nella specie del Sowerby. Per il disegno della linea di sutura, il mio esemplare si av- vicina assai al Lyparoceras Bechei; vi sono tuttavia alcune dif- ferenze da notare nella ramificazione mediana del lobo esterno, la quale invece di dividersi in due rami a lor volta biforcati, ha biforcato soltanto il ramo interno. La sella suturale è net- tamente divisa in tre parti di cui la più profonda è la mediana unita da un comune peduncolo alla ramificazione interna, la meno sviluppata che viene seconda in ordine di profondità. La terza parte più bassa di tutte, si suddivide alla sua estre- mità in' due piccolissime foglioline. — Quanto più si va verso la regione ombelicale sempre più il disegno si rende semplice. Altri elementi della linea di sutura non sono visibili, essendo il mio esemplare non troppo bene conservato. Gen. AB GO CE RAS Waag. Aegoceras Taylori Sow. (Tav. V, fig. 45-47). Dimensioni : Diametro, inni. 13 mm. 77. » 6 1 , » 4 » 8 V2 » 5 » 37, » 17. Altezza ult.° giro . . . Larghezza ult.° giro . Larghezza ombelicale. 1826 Ammonites Taylori — Sowerby, Minerai. Conchiliology , v. VI, p. 23, pi. 514, f. 1. 1842 » » — D’Orbigny, Pai. Frang. Terr. Ju- rass., I, p. 323, pi. 102, f. 3-5. 42 588 D. DEL CAMPANA 1842 Ammonites lamellosus — D’Orbigny, Bai. Frane. Terr. Ju- rass., I, p. 283, pi. 184, f. 1-2. 1861 » Taylori — Hauer, Ueber die Amili, aus. d. so- yen. Medolo, p. 413, 1. 1, f. 21-22. 1867-81 A. (Aeyoceras) » — Meneghini, Monoyr. d. Fossiles d. Cale. Bouye Amm., p. 78. 1867-81 » » — Meneghini, Foss. d. Medolo, p. 23. 1883-85 Ammonites » — Quenstedt, Amm. d. Sclarabischen Jara, Atlas, t. 27. 1886 Aeyoceras » — Wrigt, The Lias Amm., p. 348, pi. XXXI, f. 5-7 (Palaeontogvatical Soc., 1878-1886). 1895 Aeyoceras (?) » — Bonarelli , Fossili domeriani d. Briama, p. 13. La specie è rappresentata nella collezione da diversi esem- plari i quali mostrano affinità grandissima colle figure riportate dagli autori citati in sinonimia. Descriver!» in primo luogo alcuni esemplari più piccoli e me- glio conservati. La conchiglia ha forma glohulosa e rapido accrescimento; il giro esterno non ricuopre però il sottostante in modo da non lasciare scoperti anche i giri interni ; ne risulta da tale confor- mazione un ombelico non troppo largo ma profondo. I fianchi sono più alti clic larghi, la regione ventrale è rotondeggiante ed estesa. In uno di questi esemplari, discretamente conservato, il quale non misura più di 13 inni, di diametro massimo, si possono ve- dere le coste in numero di 14 nascere dal contorno ombelicale con direzione, nella metà interna dei fianchi, marcatamente obli- qua, ma che diminuisce lungo la metà esterna. Le coste delle due parti non si ricongiungono, ma, arrestandosi nella parte me- diana della regione sifonale, vi lasciano uno spazio libero. Nel tipo del Medolo descritto dal Meneghini, la metà esterna delle coste ha una direzione radiale; ciò può avvenire infatti, come si osserva anche in alcune delle figure riprodotte dal Quen- stedt (op. cit.) ; però in una di esse, la fig. 20, la quale rap- presenta, secondo l’autore, V Ammonites Taylor i maccrrimus, le coste, nella metà esterna, prendono appunto la direzione obliqua, come si nota negli esemplari che ho sott’occhio. CEFALOPODI DEL MEDOLO DI VALTROMPIA 589 Riguardo però alle coste, due osservazioni sono da aggiun- gere. La prima si è che tra quelle che già abbiamo notato in numero di 14, se ne veggono intercalate altre intermedie le quali si originano là dove termina la regione interna dei fianchi, in modo che le coste principali appaiono in quel punto quasi bi- forcate. Altra cosa da notare è la presenza di quattro serie di tuber- coli, due per lato, di cui una nella regione sifonale all’estremità delle coste, l’altra nel punto che segna il limite delle due re- gioni interna ed esterna dei fianchi. Nell’esemplare che fino ad ora abbiamo osservato, questi tu- bercoli non sono troppo bene pronunziati; lo sono invece in altri due di dimensioni ancora più piccole del precedente. Mi sembra anzi che colla loro forma aguzza essi offrano una prova di quanto si legge nel D’Orbigny a proposito di questi tubercoli, cioè che essi sieno i residui di punte aguzze le quali ornavano i fianchi della conchiglia. Appunto in forza di tali considerazioni, io non ho esitato a porre in sinonimia della specie in discorso, come fecero già il Meneghini ed il Wrigt, V Ammonites lamellosus, quale lo figura il D’Orbigny; esso rappresenterebbe nient’altro che una forma di Aegoceras Tayìori un po’ più planulata della tipica e con tubercoli meglio conservati. Questo per ciò che si riferisce agli esemplari più piccoli ; ri- guardo poi agli altri, è a dire che sebbene sieno assai peggio conservati e non si prestino ad osservazioni esatte, sono però tali che io ho creduto ben fatto di classificarli insieme ai primi. Esaminando il lavoro del D.1' Bettoni trovo indicata da lui col nome nuovo di Aegoceras imbucatimi una specie molto vicina AY Aegoceras Taylori , e molto affine altresì coll’individuo di cui parlo. Non è difficile che in questo si abbia appunto a che fare colla nuova specie del Bettoni. Del più grande tra questi si può quasi interamente ripetere ciò che si è detto in precedenza. Pertanto i caratteri che lo differenziano dagli altri esemplari sopra descritti sono i seguenti. Le due serie laterali di tubercoli sono appena accennate nelle coste più interne, e nelle esterne mancano affatto. Tal partico- 690 li. DEL CAMPANA lare del resto era stato notato già dal D’Orbigny, il quale os- serva clie in certi casi i tubercoli possono mancare. Quanto alle piccole coste intercalate colle principali, mentre sono presenti negli esemplari piccoli, scompaiono in questi che ora osserviamo, nel terzo esterno dell’ultimo giro, almeno a quanto mostra l’individuo meglio conservato. Anche questa differenza al pari della prima non è, secondo me, di molta importanza, perchè, osservando le figure degli autori già citati, non sempre vi si scorge la presenza di coste secondarie. Per ciò che si riferisce alla linea dei lobi, sia negli esem- plari più piccoli che in quei più grandi, debbo notare che gli esemplari da me studiati non si prestano ad esatte osservazioni, perchè in quei pochi in cui la linea lobale è visibile, lo è solo in piccoli tratti ed in questi pure non si distingue troppo chiaramente. Come si può vedere dalle figure del Quenstedt citate in si- nonimia sotto l’indicazione di Ammoni fe.s Taylori sono state riu- nite delle forme piuttosto diverse tra loro, le quali, secondo il parere del Bonarelli (op. cit.), dovranno esser distinte con nuovi nomi specifici. Quanto a me, sebbene abbia potuto descrivere due diversi tipi di esemplari, non dispongo però di individui tali che per la loro conservazione e per il loro numero permettano di fare delle specie nuove con sicurezza. Pertanto credo bene di distin- guere come varietà la seconda forma descritta (tav. VII, fig. 47), quella cioè in cui non si notano i tubercoli e le costicine secon- darie. Gen. SEGUENZICEEAS Levi. Intorno a questo nome nuovo il quale è sinonimo di Arie- ti ccras (Seguenza) ecco come si esprime il Levi che fu il primo ad usarlo: « Il Seguenza fondò il genere Arieticeras per quegli Harpo- eeratidi clic presentano carena dorsale accompagnata da due solchi e coste poco flessuose e che perciò si avvicinano agli Aricti- tes prendendo egli per tipo V Harpoceras algovianwm Opp. Bi- sogna però notare che il nome generico Arieticeras fu usato dal Quenstedt come sinonimo di Arictites; per cui non ritenendo. giusto CEFALOPODI DEL MEDOLO DI VALTROMPIA 591 uno stesso appellativo per due generi diversi, ho dato il nome di Seguensiceras a quello fondato dal Seguenza ». (Levi, Foss. d. str. a Ter. Aspasia ecc., pag. 13). Dall’altra parte il Fucini (Amm. d. App. centrale, pag. 175) non ritiene giusta tale nuova denominazione, e continua ad usare il nome di Arieticeras per la ragione che a lui sembra sia «me- glio» usar quello «restringendolo alla specie del gruppo dell’A- rieticeras algovìanum come intese il Seguenza». Per parte mia, pure riconoscendo la grande competenza che in materia di paleontologia ha il Fucini, mi sembra che egli non abbia in tal modo dato ragioni sufficienti del perchè si debba usare il nome di Arieticeras dato promiscuamente a generi di- versi, invece del nuovo Seguensiceras il quale toglie, secondo me, ogni possibile confusione di generi. Ritengo quindi per ora giusta la denominazione del Levi e la conservo. Seguenziceras lìertrandi Ivilian. (Tav. VII, fig. 48-49). 1857 Ammonites oblique-costatus (non Zieten) — Quenstedt, Jura, p. 173, t. XXII, f. 29 non 30. 1867-81 A. (Harpoceras) alcjovianus (non Opp.) — Meneghini, Monogr. d. Foss. d. cale, rouge Amm., p. 40 (pars) t. X, f. 1-2. — Meneghini, Foss. d. Medolo , p. 8, escluse le figure, f. 1 (?). — Haug, Beitràge su einer Mono- graphie der Ammonitengattung Harpoceras (Neues Jahrbuch fili- Mineralogie, Geologie und Palaeontologie, III Beilage. Band) p. 629 (pars). — Kilian, Missioni d’ Andalusia, p. 609, t. XXV, f. 1-2. — Geyer, Mittellias Cepìial. d. Schafb., p. 7, t. I, f. 9-10. Riunisco sotto tal nome alcuni esemplari mal conservati, i quali somigliano moltissimo alla figura della specie in discorso data dal Geyer (op. cit.). 1867-81 » » 1889 Harpoceras algovianus 1889 Hildoceras Bertrandi 1895 Harpoceras » 592 D. DEL CAMPANA Tanto il Geyer quanto il Fucini riuniscono sotto questa specie V Harpoceras aìgovianum del Meneghini, sia quello del Calcare rosso che quello descritto nel lavoro sul Medolo. Confrontando le figure date da questo autore co’ miei esem- plari, si riscontra una quasi perfetta somiglianza coll’ Harpoceras aìgovianum del Calcare rosso; invece la somiglianza è molto minore coll’ Harpoceras aìgovianum del Medolo (tav. 11, fìg. 1), il quale, a detta del Fucini, formerebbe un termine di passaggio tra le due specie del Scguensiceras Bertrandi ed il Scguenziceras aìgovianum. Il Harpoceras Bertrandi Kilian è molto vicino a\V Harpoceras Lottii Gemili. 11 Fucini anzi, nel suo lavoro sulla Fannula del Lias medio di Spezia, aveva riunito in una le due specie sotto la denomi- nazione di Arieticeras Lottii come quella che era stata usata per la prima; però nel lavoro sulle Ammoniti dell’Appennino centrale, parlando dell 'Arieticeras Bertrandi, esso ritiene non giustificato il ravvicinamento fatto da lui precedentemente, ed indica le differenze che corrono tra le due specie e tra quella dell ' algovia/num colle seguenti parole : « L’ Arieticeras Bertrandi Kilian è diverso dall 'Arieticeras Lottii Gemm. per le coste non meno robuste, ma più numerose ed interponenti intervalli più stretti, e soprattutto per lo spessore assai maggiore dei giri ; dall 'Arieticeras aìgovianum si differenzia per le coste più ro- buste, meno sinuose, per i giri aventi uno spessore maggiore in rapporto dell’altezza nonché per avere dei solchi più distinti ai lati della carena sifonale ». Seguenziceras aìgovianum Opp. (Tav. VII, fig. 50-51). Dimensioni : Diametro inni, 34 Altezza ult.° giro. . . Larghezza ult.° giro . Larghezza ombelicale. CEt'ALOPODI DEL MEDOLO DI VALTEOMPIA 593 1862 Amvionites algovianus — Oppel, Pcilaeont. Mit- theil., p. 137 (cimi syn.). 1867-81 A. (Harpoceras) algovianus — Meneghini, Monogr. d. Foss. d. Cale, rouge Amm., p. 40 (pars) non t. X, f. 1-2. 1867-81 » » — Meneghini, Foss. d. Medolo, p. 8, t. II, f. 9. 1874 Harpoceras algovianum — Gemmellaro, Foss. d. str. a Ter. Aspasia, p. 105, t. XII, f. 27-28. 1885 » » — Haug, Monog. der Am- monitengattung Har- poceras, p. 629. 1889 Hildoceras >» — Kilian, Miss. d’Anda- lousie, p. 608, t. XXIV, f. 7. — - Bonarelli, Foss. do- me r. d. Brianza, p. 21. 1889 Arieticeras » 1896 Harpoceras ( Arieticeras ) » — Fucini, Faunula del Lias m. di Spezia , p. 156, t. HI, f. 12 (cuna syn.). 1899 Hildoceras (Arieticeras) » — Bonarelli, Ardiri, d. Bosso Amm., p. 205. 1899 Arieticeras algovianum » — Fucini, Amm. d. Lias vi. d. App. centrale, p. 175, t. XXIY, f. 1. Gli esemplari che io classifico sotto questa specie, hanno la spira a lento accrescimento. Le coste che ornano i fianchi piut- tosto piatti, sono robuste, leggermente sigmoidali, ed hanno ori- gine dal contorno ombelicale. Quando poi giungono vicino alla regione sifonale, si volgono bruscamente in avanti per svanire sull’orlo dei solchi, abbastanza distinti, che fiancheggiano la ca- rena. La sezione della spira si presenta ellittica con una leg- giera compressione dal lato sifonale e dal lato opposto ove i giri si soprammettono. La linea di sutura è discretamente visibile. Lobo sifonale. — Semplice ; termina per due punte un po’ di- vergenti e presenta ai fianchi delle leggiere dentellazioni. Sella esterna. — Divisa in due parti principali da un lobulo secondario. La parte esterna un po’ più piccola è divisa a sua 594 D. DEI, CAMPANA volta da un secondo lobulo situato sull’orlo del solco laterale alla carena. La parte interna si presenta essa pure divisa da un piccolo dente. Lobo esterno. — Molto più lungo del lobo sifonale, si spinge colle estremità vicino alla base del lobo omologo della linea di sutura inferiore. Porta ai lati delle denticolazioni e termina per tre digitazioni di cui la mediana è la più lunga. Sella laterale. — Raggiunge in larghezza circa i due terzi della sella esterna, della quale è situata quasi ad uguale li- vello; divisa in due parti da un piccolissimo lobo. Lobo laterale. — Di dimensioni piccolissime in paragone del- l’esterno che è molto più lungo. Altri elementi non sono visibili. Il Fucini nel suo lavoro, più volte citato, sulle Ammoniti dell’Appennino centrale, si trattiene a lungo sulla specie in di- scorso, e la descrizione che egli dà dei suoi esemplari concorda assai con quanto ho potuto vedere nei miei ; del resto anche le figure che esso riporta si avvicinano notevolmente alle forme del Medolo da me studiate. Accanto al tipo già descritto ne aggiungo un altro, il quale costituirebbe una varietà dell’ Harpoceras ahjovianum a coste più numerose. Questa varietà, che il Meneghini stesso riscontrò tra i fossili del Medolo, differisce dal primo tipo solo per le coste più fitte e un poco più sigmoidali. L’esemplare, del quale parlo, può benissimo ravvicinarsi alla figura àe\V Arieticeras algovianum della Spezia, riportata dal Fucini nell’opera già citata, e pre- senta inoltre moltissima somiglianza colla fig. 9 della tav. II del lavoro sul Medolo. lì Harpoceras algovianum figurato dal Geyer (Mittell. Cephal.) viene dubbiamente citato dal Fucini nella sinonimia della specie in discorso « perchè presenta, oltre a dei solchi poco o punto profondi, coste piu sigmoidali e più retroverse » caratteri tutti die il Fucini non riscontrò negli esemplari dell’Appennino cen- trale e che neppur io ho riscontrato ne’ miei. CEFALOPODI DEL MEDOLO DI VALTROMPIA 595 Segueuziceras retrorsicosta Opp. (Tav. VII, fig. 52-54). Dimensioni : Diametro mm. 16 Altezza ult.° giro . . . » Larghezza ult.° giro . » Larghezza ombelicale. » D 5Vg 6 mm. 15 » 5 » 5 » 6 1846 Ammonites obliquecostatus (Ziet.) — Quenst., Fetrefal:. Demschl. Ceplialop. 1862 » retrorsicosta — Ovv&l, Palaeontog. Mit- ili eil., I, 139. 1867-81 A. (Harpoceras) retrorsicosta — Meneghini , Foss. d. Medolo, p. 11, t. II, f. 8. 1867-81 Ammonites retrorsicosta — Meneghini, Monogr. d. Foss. d. Cale, rouge Amm., p. 46, t. X, f. 3. 1885 » » • — Haug, Beitrcige zu einer Monogr. d. Ammoniteli - gattung Harpoceras, p. 630. 1893 Harpoceras » — Geyer, Mitili. Cepli. d. Hinter. Schafberges, p. 10, t. I, f. 14, 17. 1895 Arieticeras » — Bonarelli, Foss. dom. di Brianza, p. 14. 1896 Harpoceras (Arieticeras) » — Fucini, Faunula del Lias m. d. Spezia, p. 158. 1899 Hildoceras (Arieticeras) » — Bonarelli, Le Amm. d. rosso Ammoniaco, p. 205. 1899 Arieticeras » — Fucini, Amm. d. Lias m. d. Appennino centi'.. p. 180, t. XXIV [VI], f. 2. Appartengono a questa specie due esemplari di piccole di- mensioni, con conchiglia a lento accrescimento. 596 D. DHL campana Il primo di essi, per la sua conformazione, somiglia perfet- tamente n\V Harpoceras retrorsicosta del Medolo studiato dal Me- neghini. Lobo si fonale. — Semplice e allungato. Si avvicinerebbe a quello elie si vede nella varietà di Harpoceratide, dubbiamente indicata dal Meneghini come appartenente all’ Harpoceras retror- sicosta, e distinta come una varietà di questa, sotto la denomi- nazione di velox. D’altra parte giova però notare che il lobo sifonale di detta varietà presenta nella sua metà uno strozza- mento che nel mio è molto meno accentuato. Lobo esterno. — Presenta l’estremità ornata di tre punte, delle quali la mediana è più lunga. È largo presso a poco quanto il lobo sifonale, ma un po’ più lungo. Lobo laterale. — La forma è quella che presso a poco si osserva nella fig. 3 del Meneghini; esso cioè termina per tre punte tutte ineguali e di cui la mediana è più grande. Sella esterna. — Divisa in due parti sub-eguali da un lobulo secondario. L’esterna sembra situata un po’ più in alto. Questo carattere si riscontrerebbe, secondo il Meneghini, nella varietà ricordata della specie in discorso. Sella laterale. — Non frastagliata da alcuna dentellatura. La specie in questione viene descritta dal Meneghini, oltreché nel lavoro sul Medolo, anche in quello sul Calcare rosso; io ho voluto esaminare ciò che appunto egli dice nella Monografia ri- guardo alla linea di sutura e ho ritrovato che la descrizione che egli ne dà si accorda, in molti punti, con quanto si vede nell’esemplare da me studiato. Una differenza un po’ maggiore si noterebbe, invece, con- frontando col mio esemplare la figura della Monografìa, nella quale le coste appaiono meno flessuose c marcatamente rivolte all’indictro ; lo stesso si potrebbe osservare per la figura del re- trorsicosta data dal Meneghini nel lavoro sul Medolo. Sotto la stessa denominazione ho posto un secondo esemplare, il quale, avvicinandosi per la forma alla figura citata del Me- dolo, ne differisce invece per la linea di sutura. Sotto questo riguardo esso è molto più vicino a quel tipo di Harpoceras retrorsicosta figurato dal Geyer. CEFALO PODI DEL MEDOLO DI VALTROMPIA 597 Non avendo però detto esemplare una linea di sutura che presenti notevoli differenze da quella già vista, rinunzio a darne la descrizione. Gen. HABPOCEBAS Waag. Harpoceras Stoppami n. sp. (Tav. VII, fig. 55). 1867-81 A. (Harpoceras) boscensis — Meneghini, Foss. d. Medoìo, t. II, f. 18 (solamente). La specie è rappresentata nella collezione da un unico fram- mento, il quale mostra una somiglianza perfetta colla figura del Meneghini sopra indicata. Sotto la comune classificazione di Harpoceras boscense il Meneghini include, insieme ad un esemplare tipico, anche un secondo, quello cioè di cui parlo, il quale non costituirebbe che una varietà del boscense a coste più numerose. Poiché, come il Meneghini nota, « lo sviluppo delle log-gie in alcuni dettagli, sopratutto per le proporzioni dei lobi e per l’obliquità del lo- bulo che divide in due la sella esterna, risponde alla forma tipica ». Il parere del Meneghini fu seguito anche dal Geyer. il quale pure (Mittellias Cephal., pag. 1, tav. I, fig. 1-6) include sotto la stessa denominazione di Harpoceras boscense anche il tipo rap- presentato dalla figura del Meneghini già citata. A sua volta il Tausch (Grauen Kalke, pag. 36, tav. I, fig. 6) separò daW Harpoceras radians una forma molto simile a quella di cui parliamo e ne fece la specie nuova dAY Harpoceras cor- nacaldense. Il Bonarelli (Fossili domeriani della Brianza) confrontando le due figure del Tausch e del Meneghini, e portando la sua attenzione all’andamento delle coste e il dettaglio della sutura, trovò tra di esse una rassomiglianza perfetta e ascrisse n\V Har- poceras cornacaìdense la fig. 18, tav. II, del Meneghini. Dopo di esso il Fucini (Fannula del Lias medio di Spezia), parlando del Grammoceras fallaciosum, ha occasione di tornare 69S D. DEL CAMPANA sulla questione e, dietro osservazioni più esatte, si esprime nei termini seguenti : « La forma del Medolo è diversa 28 rei li, nel gruppo degli Harpoceras a dorso acuto, formanti il passaggio al sottogenere Polipi ectus Back. (Ti]). Amm. di scoiti es Ziet). Gcn. COELOCERAS Hyatt. Coeloceras cfr. crassum Y. e B. (Tav. VÌI, fig. 35-41). Dimensioni : Diametro min. » Spezia, p. 83, t. I, f. 23-25. — Boxarelli, Foss. doni. Brianza, p. 16. Di questa specie la collezione da me studiata non possiede che alcuni pochi frammenti in pessimo stato di conservazione. Tuttavia confrontandoli non solo colle figure del Meneghini ma anche cogli esemplari della Spezia studiati dal Canavari e appartenenti al Museo, ho potuto facilmente classificarli. Non posso darne misura alcuna per lo stato di deperimento in cui si trovano gli esemplari da me studiati. 6-10 li. DEL CAMPANA Atractites inflatum Stopp. (Tav. Vili, fig. 62). 1857 Orihocei atites inflatum - Stoppani, Studi etc., p. 344. 1867-81 Auìacoceras inflatum — Meneghini, Monogr. des Foss. du cale, rouge amm., p. 142, t. XXVI, f. 6, 7, 8. 1895 Atractites inflatum — Bonarelli, Fossili dom. di Brìanza, p. 22. Kiferisco a questa specie un piccolo frammento di esemplare il quale concorda assai bene colle figure che il Meneghini dà nella Monografia del Calcare rosso. CEFA LOPODI DEL MEDOLO DI VALTROMPIA 641 1. 2-3. 4. 5-6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21-23. 24. 25. 26. 27. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE TAVOLA VII. Rliacophyllites libertus Gcmrn. — Esemplare gran- de visto di lato. — Esemplari piccoli visti di lato. — ■ Esemplare piccolo visto di faccia. Phylloceras cylindricum Sow. — Esemplari visti di lato. — Esemplare visto di faccia. Phylloceras Meneghina Gemm. — - Esemplare gran- de visto di lato. — Esemplare piccolo visto di faccia. — Esemplare piccolo visto di lato. — Esemplare grande visto di lato. — Esemplare piccolo visto dalla regione sifonale. Phylloceras frondosum Reyn. — Esemplare visto di lato. Phylloceras sub-frondosum n. sp. — Esemplare visto di lato. — Esemplare visto di faccia. Phylloceras sp. ind. — Esemplare visto di lato. — Lo stesso visto di faccia. Phylloceras Partschi Stur. — Esemplare grande che mostra le coste conservate su i fianchi. — Altro esemplare come sopra. — Esemplare grande che mostra la linea lobale e le coste conservate solo nella regione sifonale. — Esemplari piccoli con linea lobale scoperta e fianchi traversati da solchi. Phylloceras tenuistriatum Mgh. — Esemplare visto di lato. — Esemplare più piccolo visto come sopra. Phylloceras Emeryi Bett. — Esemplare tipico. — Esemplare che presenta nella regione sifonale traccie di strie. 28. Phylloceras Bmeryi Bett. — Esemplare che pre- senta delle affinità col Phylloceras Geyeri Bon. 29. — Varietà a fianchi più rigonfi. 30. Phylloceras Bettonii — Esemplare visto di lato. 31. — Altro esemplare visto come sopra. 32. — Esemplare visto di faccia. 33. Lytoceras Ioricatum Mgh. — Esemplare visto di lato. 34-35. Lytoceras notlium Mgh. — Esemplari visti di lato. 36. Lytoceras Trompianuin Hau. (Emend. Bett.) — Esemplare grande visto di lato. 37. — Esemplare più piccolo visto di lato. 38. Lytoceras Gauthieri Reynès. — Esemplare visto di lato. 39. Lytoceras grandonense Mgh. — Esemplare visto di lato. 40. Lytoceras sepositum Mgh. — Esemplare grande visto di lato. 41. — Lo stesso visto dalla regione sifonale. 42. — Esemplare piccolo visto di lato. 43. Lyparoceras Nevianii n. sp. — Esemplare visto di lato. 44. — Lo stesso esemplare visto dalla regione sifonale. 45. Aegoceras Taylori Sow. — Esemplare visto dalla regione sifonale. 46. — Esemplare visto di lato. 47. — (varietas) Esemplare visto di lato. 48-49. Seguenziceras Bertrandi Kilian. — Esemplari visti di lato. 50-51. Seguenziceras algovianum Opp. — Esemplari visti di lato. 52. Seguenziceras retrorsicostaOpp. — Esemplare visto di lato. 53. — Lo stesso visto di faccia. 54. — Altro esemplare visto di lato. 55. Harpoceras Stoppami sp. n. — Esemplare visto di lato. 56. Harpoceras boscense Reyn. — Esemplare visto di lato. D. DEL-CAMPANA. Tav. VII -*-V e* Gl Soe. Geol. It. Voi. XIX Roma Fotot. Danesi CEFAL0P0D1 DEL MEDOLO DI VALTROMPlA 643 TAVOLA Vili. 1. Harpoceras boscense Reyn. — Esemplare piccolo visto di lato. 2. Harpoceras (Hildoceras) Canavarii n. sp. — Esem- plare visto di lato. 3. — Esemplare visto di faccia. 4. — Esemplare visto dalla regione sifonale. 5. Harpoceras (Hildoceras) Fucinii n. sp. — Esem- plare visto di lato. 6. Harpoceras (Hildoceras) Bonarellii n. sp. — Esem- plare visto di lato. 7. Harpoceras (Hildoceras) Geyeri n. sp. — Esem- plare visto di lato. 8. — Lo stesso veduto di faccia. 9. Harpoceras (Hildoceras) Medolense n. sp. — Esem- plare visto di lato. 10. Harpoceras (Hildoceras) domarense Mgh. — Esem- plare visto di lato. 11-13. Harpoceras (Hildoceras) ruthenense Reyn. — Esem- plari visti di lato. 14-16. — Altri esemplari più piccoli visti come sopra. 17-18. Harpoceras (Hildoceras) microspira Mgh. — Esem- plari visti di lato. 19. Harpoceras pectinatum Mgh. — Esemplare visto di lato. 20. — Lo stesso visto di faccia. 21. Harpoceras cfr. (Amm.) lympharum Dum. — Esem- plare visto di lato. 22. — Lo stesso visto di faccia. 23. — Altro esemplare visto di lato. 24. Hildoceras (Lillia) Hoffmanni Gemm. — Esemplare visto di lato. 25. — Lo stesso visto dalla regione sifonale. 26. — Altro esemplare visto di lato. 27. — Lo stesso visto dalla regione sifonale. 28-29. Harpoceras (Grammoceras?) Haueri Mgh. — Esem- plari visti di lato. Grammoceras sp. ind. — Esemplare visto di lato. 45* 30. (j 1 -i D. PEL CAMPANA Fig. 31. » 32. » 33. » 34. » 35. » 36. » 37-40. » 41. » 42. » 43. » 44. » 45. » 46. » 47-48. » 49-50. » 51. » 52-53. » 54-55. » 56. » 57. » 58-61. » 62. Grammoceras fallaciosuin Bay. — Esemplare visto di lato. Grammo ceras aequiondulatum Bett. — Esemplare visto di lato. Grammoceras Meneghina Bon. — Esemplare visto di lato. — Lo stesso visto dalla regione sifonale. Coeloceras cfr. Coeloceras crassnm Y. B. — Esem- plare visto di lato. — Esemplare visto dalla regione sifonale. — Esemplari diversi visti di lato. — Esemplare visto dalla regione sifonale. Coeloceras snh-anguinnm Mgh. — Esemplare visto di lato. — Esemplare più piccolo visto come sopra. Coeloceras niedolense Mgh. Hau. — Esemplare visto di lato. Coeloceras Dumortieri sp. n. — Esemplare visto di lato. Coeloceras sp. ind. — Esemplare visto di lato. Coeloceras Mortilleti Mgh. — Esemplari visti di lato. Coeloceras annulatiforme Bon. — Esemplari visti di lato. Coeloceras striatum n. sp. — Esemplare visto di lato. Coeloceras Humfriesianuin Sow. — Esemplari visti di lato. Coeloceras Desplacei D’Orb. — Esemplari visti di lato. Coeloceras sp. ind. — Esemplare visto di lato. Coeloceras sp. ind. — Esemplare visto di lato. Atractites Guidonii Mgh. Atractites inilatum Stopp. Boll. Soe. Ceol. II. Voi. XIX (1900) D. DEL-CAMPANA. Tav. Vili Roma Potai. Dai SUPPLEMENTO ALLA FAUNA A RADIOFARI DELLE ROCCE MESOZOICHE DEL BOLOGNESE. Memoria del socio prof. Antonio Neviani (con due tavole, IX, X) Nel secondo fascicolo di questo volume (pag. 321-348) il dott. P. E. Vinassa De Regny ha pubblicato un interessante studio sopra alcune rocce e fossili dei dintorni dì Grizzana e Lagàro nel Bolognese, illustrando cou opportune descrizioni e figure, 41 specie di radiolari, delle quali 39 sono nuove, con un nuovo genere (Trisphaera), specie tutte osservate nelle sezioni sottili di diaspri e ftaniti delle sopracitate località. Le sezioni appartengono al gabinetto di mineralogia della R. Università di Bologna, e furono da parecchi anni fatte eseguire dal prof. L. Bom- bicci. Avendo io pure precedentemente esaminate le medesime se- zioni, e fatte non poche figure di varie specie di radiolari, che non vennero descritte dal dott. Vinassa, ho pensato di pubbli- carle ora, per rendere così più completa la conoscenza di questa elegante microfauna nascosta in rocce delle mie dilette monta- gne; aggiungo poi altre specie osservate in parecchie altre sezioni di mia proprietà. Al termine di questo lavoretto porrò l’elenco sistematico com- pleto delle specie. Per ciascuna specie, indicando la località, segnerò pure il numero della preparazione per gli opportuni confronti; avver- tendo a tale proposito che le preparazioni del museo di Bologna, da me citate, portano le seguenti segnature: 43 cs 43 al - 43 a 2. Grizzana Bombiana A. NEVIANI 646 43 . Savignano 43 c2- 43 e5-43 5 . . Lissano 43 g - 43 g 2 - 43 g 3 . . Drizzami 67 g . Rio di Prada. Le mie trentadue sezioni sono così numerate: 1 a, b; 2 a, b . Lizzo 3 a, b . Bombiana 4: tì/j b . Torrente Santerno 5 a, b, c, d, e, f g, h, i . . Creda 6 a,b, c, d, e, f . Rio di Prada 7 a,b,c,d,e . Grizzana 8 a, b 9 a, b . Lissano. Tutte queste sezioni presentano in maggiore o minore quan- tità dei radiolari; ma però nel testo vengono ricordate solo le seguenti: 4 a , b; 5 a, b, d, f; 6 a, b , c, f; 7 a, b, c, e, come quelle dalle quali ho tratto le specie figurate nelle annesse due tavole. Fra le nuove specie ve ne sono due inedite del prof. Pan- tanelli Dante, il quale da vari anni aveva esaminate alcune delle sezioni eseguite dal prof. Bombicci, e ne aveva determinate al- quante specie delle finali due solamente ho creduto opportuno mantenere. Riguardo ai generi io pure in questa memoria contribuisco all’accrescimento del numeroso esercito; si tratta di tre forme (Trigonodiscus, Staurodiscus, X-astrum) che non è possibile in- cludere nei generi conosciuti. Le figure le ho ritratte tutte colla camera lucida a 200 dia- metri, solamente due sono disegnate con ingrandimenti diversi, come viene indicato nella spiegazione delle tavole. Come conclusioni faunistiche osserverò che sono alquanto dif- ferenti da quelle del dottor Vinassa. Difatti dalla lista comples- siva delle specie troviamo che in essa sono rappresentati 22 sfe- roidi, 7 prunoidi, 30 discoidi e 40 cirtoidi oltre ad uno sfero- zoide ed uno stefoide, con una prevalenza dei cirtoidi; mentre SUPPL. ALLA FAUNA A RADIOLARI, ECC. fi47 il dottor \ massa aveva notata una prevalenza nei discoidi R); ma ciò per me ha poco valore, perchè questo fatto non solo può dipendere da un più o meno attento esame del materiale di studio; da conservazione maggiore o minore dei fossili nella roccia; ma anche da condizioni di ambiente che possono variare a di- stanza di pochi metri; ciò che più importa è la conferma nelle deduzioni cronologiche, in quanto che mentre il Yinassa notò già parecchie forme che, sebben nuove, avevano molta analogia con quelle giurassiche studiate dal Eiist, io ho trovato queste affinità anche per parecchie delle forme da me descritte, per quanto sia stato costretto dare ad esse nuovi nomi ; cosicché ormai non esito dichiarare appartenenti al giura! superiore (Titanico) le ìoccie silici fei e ( ftaniti, diaspri, etc.) del Bolognese. Sferoidi. 1. Cenospliaera subpachyderma n. sp. (tav. IX, fig. 1, 2). — Si differenzia dalla C. pachyderma Rust (Palaeont. XXX. t. II, f. 2) e dalla C. scabra Vin. (Rocce e foss., t. Ili, f. 1) per essere più piccola e per avere quindi in proporzione il guscio più spesso; i pori sono più larghi e più radi. Potrebbe forse anche considerarsi come una varietà della C. scabra Vin., perchè avendo disegnate molte cenosfere, notai molte gradazioni inter- medie nei numeri che rappresentano il diametro della sfera, lo spessore del guscio, e la quantità dei pori nella sezione trasversa; una nitida figura mi ha dato un diametro superiore a nini. 0,20. Dimensioni degli individui figurati. — Diametro della sfera: mm. 0,105-0,15; spessore del guscio: mm. 0,02-0,035. Rissano, 43 e 2, 43 e 4. 2. Carposphaera Gemmellaroi n. sp. (tav. IX, fig. 3). — Sferoide a due sfere delle quali V interna è un po’ meno del terzo del diametro della esterna; quest’ ultima presenta larghi pori e rilievi scabrosi come in molte cenosfere; la sfera interna ha fon minutissimi; alcune spicole cilindriche sottilissime le uni- scono. (') 12 sferoidi, 4 prunoidi, 14 discoidi e 10 cirtoidi. 648 A. NEVI ANI Dimensioni. — Diametro della sfera esterna: min. 0,19 ; spessore del guscio: min, 0,015; diametro della sfera interna: min. 0,055. Ilio di Prada, G c. 3. Doryspliaera porosissima Vin. — Da una sezione appar- tenente al museo di Bolo gita (67 g) Do ricavato la figura che pubblico nella tav. IX, fig. 4 ; forse si tratta dello stesso esem- plare studiato dal dottor Vinassa (Rocce foss. ecc., t. Ili, fig. 6); però le misure sarebbero alquanto maggiori (diametro della sfera: mm. 0,14; altezza della conchiglia compreso l’aculeo: mm. 0,235), e mi parve di notarvi altre particolarità interessanti. Tutto at- torno alla sezione, nello spessore della conchiglietta, in corri- spondenza a ciascuno dei pori, evvi come un piccolo allarga- mento; a destra e a sinistra della sfera alcune spicole si proten- dono verso il centro;' queste forse reggevano una seconda sfera interna. Se così fosse, la specie apparterrebbe al gen. Dorylonchi- (Uum; inoltre la grossa spina mi sembra vuota. Rio di Prada, 67 //. 4. Xyphosphaera Manzoni! Pant. sp. n. in scliedis (tav. IX, fig. 5). — Il prof. Pantane! li già da vari anni aveva osservata, disegnata e determinata questa specie, che egli allora attribuiva al gen. Dictyocha. Questa nuova specie consta di una sfera a guscio robusto, con grosse perforazioni che nelle sezioni ben riescite compaiono in numero di 5 per lato e separate da bandellette sottili, in corrispondenza delle quali si ha un rilievo rotondeggiante aire- sterno. Ai poli opposti si notano le caratteristiche due spine eguali, cilindriche, terminate a punta grossa semisferica. Ricorda la Stylosph. resistens Rììst ritenuta però avere due sfere concen- triche, con conchiglia ellittica, otto pori per parte e spine molto più grosse. Dimensioni. — Diametro della sfera: mm. 0,105; larghezza inedia dei pori: mm. 0,022; lunghezza delle spine: mm. 0,00; loro grossezza: mm. 0,012. Savignano, 43 . 65. Sticliocapsa subjucunda n. sp. (tav. X, fig. 35). — Con- chiglia costituita da non meno di dieci logge gradatamente ere- 666 A. NE VI ANI scenti, con portamento conico; l’ultima loggia è immensamente più grande, essendo di poco più breve di tutte le precedenti prese insieme; le prime sono basse, piatte e separate da sepi- menti piani e paralleli. Il guscio delle prime logge è ornato di cordoncini paralleli, in numero di 2-5 per ciascuna loggia. Questa specie ricorda Tetracapsa jucunda Rust, e Stick, decora Rust. Dimensioni. — Lunghezza di tutta la conchiglia: min. 0,325; id. delle prime logge: mm. 0,1 6 ; id. dell’ultima loggia: mm. 0,165; sua larghezza massima: mm. 0,17. Creda, 5 a. 66. Stichocapsa nova n. sp. (tav. X, fig. 36). — Litocam- pide con 5-6 logge, delle quali le ultime due sono distanziate da un largo collo. Rammenta, per il portamento generale, la Si. pinguis Hinde (Q. J. G. S. XLIX, 1893, t. V, f. 18). Dimensioni. — Lunghezza di tutta la conchiglia: mm. 0,17; sua larghezza massima: mm. 0,07. Savignano, 43 d. 67. Stichocapsa ooides n. sp. (tav. X, fig. 37). — Piccolo litocampide a cinque logge; portamento ooide; superficie leg- germente scabrosa. Dimensioni. — Lunghezza della conchiglia: mm. 0,13; sua larghezza massima : mm. 0,07. Rio di Prada, 6 a. 68. C.vrtocapsa phyalina n. sp. (tav. X, fig. 38). — Ele- gante litocampide a forma di bottiglietta con collo anellato, sor- montato da una robusta spina (corno) subfusiforme; le tre prime camere hanno sepimenti piani e paralleli e sono graduatamente crescenti. L’ultima loggia è globosa, più lunga delle tre prece- denti riunite insieme; il guscio dell’ultima loggia ha larghe per- forazioni. Dimensioni. — Lunghezza totale della conchiglia: mm. 0,215; id. della spina: mm. 0,05; id. delle tre prime logge: mm. 0,06; id. dell’ ultima loggia: mm. 0,105; larghezza massima deli’ ul- tima loggia: mm. 0,10. Pruda, 6 a. SUFPL. ALLA FAUNA A RADIOL ARI, ECO. 607 ELENCO SISTEMATICO DI TUTTE LE SPECIE NOTE NELLE ROCCIE GIURASSICHE DEL BOLOGNESE. RAD IO LARI A. Ordine PEIJIPYLIIÌA IL Sottordine SPHAEROIDEA H. Fam. Liosphaerida H. gen. Cenosphaera Ehrb. 1 . subpachyderma Nev. 2. scabra Vin. 3. clathrata Par. 4. diasprina Yin. gen. Carposphaera H. 5. Gemmellaroi Nev. gen. Thecospliaera? H. 6. aculeata Yin. Fam. Dorysphaerida Vin. gen. Doryspliaera Hinde. 7 . porosissima Vin. 8. Lissanensis Yin. 9. clathrata Vin. Fam. S T YLOSPHAERIDA H. gen. Xyphosphaera H. 10. Manzonii Pant. 11. tenuispina Nev. gen. Xypliosthylus H. 12. Felsinae Nev. Fam. Triposphaerida Yin. gen. Trispliaera Vin. 13. élegans Vin. 14. aculeata Vin. 1 5. valida Vin. Fam. Staurosph arrida II. gen. Staurospliaera H. 16. gigas Vin. gen. Stylostaums H. 17. simplex Vin. Fam. Astrosphaerida R. gen. Àcanth ospliaera Ehrb. 18. Capellina Nev. 19. Paronai Nev. gen. Conosphaera H. 20. Emiliana Nev. gen. Actinomma H. 21. duhia Nev. 22. pachyspina Nev. 47 GOS A. NRVIANI Sottordine PRUNOIDEA H. Fam. Ellipsida H. gen. Cenellipsis H. 23. subtypica Ney. gen. Ellipsoxiphus Dunik. 24. Fornasinii Nev. 25. Lissanensis Yin. gen. Ellipsostylus H. 26. H indei Ney. gen. Pipettella H. 27. Pantanellii Yin. 28. bononiensis Vin. 29. appenninica Yin. Sottordine DISCOIDEA H. Fam. Cenodtscida H. gen. Trigonodiscus Nev. 30. Grizzanensis Ney. gen. Staurodiseus Nev. 31. Busti Nev. Fam. Cocco disc ida H. gen. Stylocyclia Ehrb. 32. Emeryana Nev. gen. Trigonactura H. 33. oligopora Vin. 34. crassa Vin. 35. tripos Nev. Fam. Bo podi sci da II. gen. Porodiscus H. 36. perfora tus Nev. 37. Bassanii Nev. 38. ellipsoides Nev. gen. Xyphodictya H. 39. Bombiceli Vin. gen. Stanrodictya H. 40. longispina Yin. 41. bononiensis Vin. i2.?dubia Vin. gen. Stylodictya? H. 43. Lissanensis Yin. gen. Anipliihracliium H. 44. ovale Yin. 45. Tarameli ii Nev. gen. Dictyastrum Ehrb. 46. diasprinum Vin. 47. Paronai Nev. 48. Pantanellii Nev. 49. Capellina Nev. hi), pala Nev. 51. truncatum Nev. gen. Rhopalastrum Ehrb. 52. clava Yin. 53. Capellina Yin. 54. Lissanensis Vin. 55. spinosum Nev. 56. carcinoides Nev. gen. Cliitonastruin ? H. 57. apenninicum Yin. gen. Hagiastrum H. 58. irregolare Yin. gen. X- astrum Nev. 59. Bombiceli Nev. Sottordine SPHAEROIDEA H. Fam. Spiiaepozoida H. gen. Sphaerozoum H. 60. sp. ? SUFPL. ALLA FAUNA A RADIOLAIU, ECC. 669 Ordine MOIVOPYLARIA II. Sottordine STEPHOIDEA H. gen. ? 61. sp.? Sottordine CYRTOIDEA H. gruppo MONOCYRTIDA H. Fani. Tripocalpida H. gen. Tripilidium H. 62. bononiense New gen. Tripodiscium H. 63. irregulare Nev. Fam. Cyrtocalpida H. gen. Archicapsa H. 64. Vinassai Nev. gen. Halicapsa H. 65. elongata Nev. 66. abbreviata Nev. 67. parva New gruppo DICYRTIDA H. Fam. Sethocybtida H. gen. Dicolocapsa H. 68. Portisi Nev. 69. Fo mas imi Nev. 70. abbreviata Nev. 71. globosa Nev. 72. elongata Yin. gen. Setkocapsa H. 73. p rumini Yin. 74. prunoides Nev. 75. var. longicollis Nev. 76. gatta Yin. 77. Iurta Yin. 78. dorysphaeroides Nev. 79. macracanthina Nev. gen. Setlioconus? H. 80. deforme Nev. gruppo TRICYRTIDA H. Fam. Theocyrtida H. gen. Tricolocampe H. 81. Isseli Nev. gen. Tlieosyringium H. 82. robustum Yin. 83. italicum Nev. 84. apenninicum Nev. gen. Tricolocapsa H. 85. sphaeroides Nev. gruppo STICOCYRTIDA H. Fam. Lithocampida H. gen. Dictyomitra Zittel 86. bononiensis Yin. 87. hyalina Nev. 88. Bombiceli Pant. 89. exilis Nev. 90. montana Nev. 91. gigantea Nev. 92. Vinassai Nev. gen. Stichocorys H. 93. pagoda Yin. gen. Artostrobns H. 94. tessellati ts Nev. A. NEVI ANI G70 gen. Lithomitra Bììtschli. 95. Savìgnanensis Nev. 90. var. Borni) lanate Nev. 97. Airagldi Nev. gen. Lithocampe Ehrb. 98. subcretacea Nev. 99. sp. gen. Eusyringium H. 100. De Angelisi Nev. gen. Sticliocapsa H. 101. amputici V in. 102. su bj munita Nev 103. nova Nev. 104. ooides Nev. gen. Cyrtocapsa H. 105. crassa Vin. 106. Paronai Vin. 107. phyatina Nev. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE TAVOLA IX. Fig. 1-2. Cenosphaera subpacfiy derma n. sp. . . di ani. : 200 pag. 647 » 3. Carpospliaera Gemmellctroi n. sp. . . » » » » » 4. Dorysphae ra porosissima Vin » » » 648 » 5. Xyphosphaera Manzonii Pant. n. sp. . » » » » » 6. » tenuisp'na n. sp. . . . » » » 649 » 7. Xyphostylus Feìsmae n. sp » » » » » 8. Acanihospliaera Capellina n. sp. . . . » » » » » 9. » Paronai n. sp. . . . » » » » » 10. Conosphaera Emiliana il. sp » » » » » 11. Actinomma dubia n. sp » 64 » 650 » 12. » pachyspina n. sp » 200 » » » 13. Cenéllipsis subtypica n. sp » » » » » 14. Ellipsòxiphus Fornasinii n. sp. . . . » » » 651 » 15. Ellipsostylus Ilindei n. sp » » » » » 16-17. Trigonodiscus Grizzanensis n. g., n. sp. » » » > » 18. Staurodiscus Busti n. g., n. sp. . . . » » » 652 » 19. Stylocyclia Emeryana n. sp » » » » » 20. Trigonactura tripos n. sp » » » 653 » 21. Porocliscus perforatus n. sp » » » » » 22. » Passami n. sp » » » » » 23. » ellipsoides n. sp » » » » » 24. Amphibrachium Taramdlii n. sp. . . » » » 654 » 25. Dictyastrum Paronai n. sp » » » » » 26. » Pantanellii n. sp. . . . » » » » « 27. » Capellina n. sp » » » » » 28. » pala n. sp » » » 655 » 29. » trwncatum n. sp » » » » Boll. Sob. Geol. Ital. Voi. XIX (1900). i. Tav. IX Roma Folot. Danesi ' ' * y?mm' <* ■*% » « » « * » «• )»* * • * V * ' '.f v"i • » « \i n 1 1 1 ili! Ut» li l l «il» t i » i illlt» Iti ItlMM» '«0 M • X|.H • ' 23 * 1 l'”»K ; SUPPU. ALLA FAUNA A HADIOLART, EUC. 671 Fig. 30. Bhopalastrum spinosum n. sp. . . . di am.: 200 pag. 655 » 31. » carcinomes n. sp. . . » » » 656 » 32. X-astrum Bombiceli n. g\, n. sp. • » » » » » 33. Spliaerozoum sp » » » » TAVOLA X. Fig. 1. Tripilidium bononiense n. sp. . . . diano.: 200 pag. 657 » 2. Tripodiscium irregulare n. sp. . . . » » » » » 3. Archicapsa Vinassai n. sp » » » » » 4. Halicapsa elongata n. sp » » » 658 » 5. » abbreviata n. sp » » » » » 6. » parva n. sp » » » » » 7. Dicolocapsa Portisi n. sp » » » » » 8-9. » Fornasinii n. sp. . . . » » » 659 » 10. » abbreviata n. sp. . . . » » » » » 11. » globosa n. sp » » » » » 12. Sethocapsa prunoides n. sp. ... » » » » » 13. var. loìigicollis n. v. . » » » 660 » 14. » dorysphaeroides n. sp. . . » » » » » 15. » macracantliina n. sp. . . » » » » » 16. Sethoconus? deforme n. sp » » » 661 » 17. Tricoloeampe Isseli n. sp » » » » » 18. Theosyrmgium i'alicum n. sp.. . . » » » » » 19. » apenninicum n. sp . » » » » » 20-21. » robustum Vin. . . . » » » 662 » 22. Tricolocapsa sphaeroides n. sp. . . » » » » » 23. Dictyomitra Imalina n. sp » » » 663 » 24. » Bombiceli Pant. n. sp. . » » » » » 25. » exilis n. sp » » » » » 26. » montana n. sp. ... » » » » » 27. » gigantea n. sp » » » » » 28. » Vinassai n. sp. . . . » » » 664 » 29. Artostrobus tessellatus n. sp. . . . » » v> » » 30. Lithomitra Savignanensis n. sp. . . » » » » » 31. var. Bombianae n. v. » » » 665 » 32. » Airaghii n. sp » » » » » 33. Litliocampe subcretacea n. sp. . . . » » » » » 34. Eusyringìum De Angelisi n. sp. . . » » » » » 35. Stichocapsa subjucunda n. sp. . . . » » » » » 36. » nova n. sp » » » 666 » 37. » ooid.es n. sp » » » » » 38. Cyrtocapsa phyalina n. sp. . . . » » » » » 39. Stefoide ? g. ? sp » 400 » 657 CONTRIBUZIONE ALLA GEOLOGIA DELLE ISOLE PONTINE. Lettera del Sig. Emmanuele Frieolaender al socio P. Franco Nel febbraio del 1898 la Società geologica italiana fece una escursione alle Isole Pontine; scopo precipuo della quale era dirimere una quistione sorta tra il Sabatini e lo Sclmeider sulla costituzione geologica dell’isola di Ponza. Una delle differenze precipue era nel rilievo: basta dare uno sguardo alle carte geolo- giche disegnate dai due autori per conchiudere che senza un nuovo rilievo accurato e nei più minuti particolari, sarebbe vano voler dare un giudizio. Nel rilievo dello Sclmeider la riolite si mostra alla superficie come masse irregolarmente rotonde cir- condata dal tufo, anziché come masse che attraversino l’isola da una costa all’ altra, come disegnano Sabatini e Dolter : questi chiamano le masse riolitiche di Ponza filoni, come da moltis- simo tempo l’Abich e lo Scrope, quello le chiama cupole, forse attaccandosi alla antica opinione, che la riolite si presenti prin- cipalmente con (piestc forme. E se non si trattasse d’altro, ri- peto, sarebbe puramente questione di rilievo. Ma viene da sé una conseguenza naturale: se é vero il rilievo dello Sclmeider, la ridite, nei suoi affioramenti, non attraversa il tufo, ma ne è invece ricoperta, cioè a dire, nella parte superiore almeno, il tufo è posteriore alla ridite; ritenendo pure che nella inferiore la riolite attraversi il tufo c quindi sia anteriore ad essa. Questo è il punto più delicato della questione e l’unico modo di risol- verla sono le azioni di contatto c l’andamento delle rocce negli scavi e nelle gallerie ove lo Sclmeider richiama l’attenzione. Posta cosi la questione principale, la nostra Società com- prende come io, pur facendo parte della escursione, non volli CONTI*. ALLA GEOLOGIA DELLE I. PONTINE 673 esprimere giudizio di sorta : una passeggiata di poche ore, non credo me ne desse il diritto. Però non ho mancato di consi- derare attentamente la cosa, augurandomi una più lunga visita alle Pontine, e non ho mancato d’ interessare i cultori di geo- logia che le visitassero. Il sig. Emmanuel Friedlander di Ber- lino, che le ha visitate ultimamente e ne parlammo prima della sua partenza, mi scrisse una lettera nella quale sono osserva- zioni che io ritengo importanti e gioverebbero nello studio ul- teriore delle Pontine. Rimetto alla Società la lettera del sig. Fried- lànder che riassumo brevemente. A Santo Stefano si vedono nelle parti più alte dell’Isola de- positi eolici con frammenti di conchiglie marine. A Yentotene sono dune di spiaggia sopra la Parata grande formate di frammenti di conchiglie marine, foram ini fere e ma- teriale vulcanico, che provano il sollevamento recente dell’Isola. A Ponza il tufo riolitico in generale è anteriore alla riolite che lo ha attraversato e vi si è sparsa sopra in colate: non si può dire se in alcuni punti il tufo sia secondario. A Ponza le formazioni eoliche contengono gasteropodi ter- restri insieme a piccoli frammenti di conchiglie marine. A Palmarola si trovano depositi fossiliferi sulla costa orien- tale del mezzogiorno dell’Isola, cinquanta metri a sud della cala dei Graclilli. Vicino la spiaggia contengono strati di ciottoli al- l’altezza di 2 a 4 metri sul mare; più in alto mostrano, in gran parte, una stratificazione eolica, ma si tratta non solo di dune ma di vere spiagge, come lo prova una grande patella ( Patella caerulea ) trovata a 80 metri sul livello del mare : questi depo- siti giungono a 140 metri sul livello del mare. A Zannone, nel calcare si trovano intercalate arenarie; sotto la riolite e sotto il calcare si trova un’argilla oscura. 4, 7, 1900. Illustrissimo Sig. Professore Franco! Ieri sono partito da Capri e sono andato a bordo del vapore in partenza per Hamburg; mi rincresce di non aver avuto oc- casione di salutarla. Come Ella si interessava molto della mia 674 E. FRIEDLAENDER - 1>. FRANCO gita alle Isole Pontine, mi preme di communicarle certe mie os- servazioni, che crederei siano importanti. Però, siccome sono poco pratico della letteratura, potrebbe darsi benissimo che qualche punto sia già stato osservato dai miei predecessori. All’isola di Santo Stefano, che era la prima del gruppo che visitai, ho osservato le lave sovrapposte dai tufi e lapilli. Vi devono essere state molte eruzioni, però non credo che sia pos- sibile determinare i punti di eruzione. È da notare die vi si tro- vano anche dei depositi eolici con frammenti di conchiglie ma- rine nelle parti alte dell’isola, e si veggono fra i lapilli supe- riori alcuni strati calcarei di pochi centimetri, i quali hanno ritirato il bicarbonato di calce delle stesse arenarie eoliche. A Ventotene ho trovato, sopra la Parata grande, delle are- narie composte di frammenti di conchiglie, di foraminiferi e di materiale vulcanico. Per la loro stratificazione sono senza dubbio eoliche, delle vere dune ; ma, essendo composte di materiale un po’ grossolano e frammenti non troppo piccini, crederei che si siano formate vicino alla marina. Ciò proverebbe un solleva- mento recente dell’isola. Un altro fatto che mi pare ancora più degno di essere stu- diato diligentemente è questo : che si trova sotto il fondo Ta- liercio (dove esiste una cripta antica, nel tufo, forse uno a due metri sopra il livello del mare) uno strato di tufo contenente certi ciottoli di un conglomerato di apparenza antica. Di che formazione sia questo conglomerato e come sia stato trasportato là, mi è impossibile immaginare. A Ponza mi sono occupato un poco della relazione tra tufo e riolite. Dopo tutto quello che ho visto, mi pare indiscutibile che il tufo tipico riolitico è di età anteriore alla riolite. Dei filoni di riolitc sono passati e delle lave di riolite hanno coperto questo tufo, come si vede bene alla spiaggia e sopra la montagna detta « Core ». Gli effetti di contatto sono (pii e in moltissimi altri punti tanto chiari, che non si può dubitare della relativa età. Ma, essendo le varietà di tufo in quest’isola moltissime e di- verse, non potrei stabilire, se in alcuni punti non esistano anche dei tufi riolitici posteriori a certe violiti. Il tufo stratificato che sottostà alla lava trachitica della montagna della Guardia è, senza dubbio, posteriore alle eruzioni di riolite, come si vede CONTR. ALLA GEOLOGIA DELLE J. PONTINE 675 benissimo presso il famoso profilo della Chiaia di Luna. Tra- versando lo stesso tufo al lato orientale della montagna, sulla via che conduce da Ponza al Faro, si osservano, nella parte rossa sottostante alla tracliite, dei depositi di ciottoli marini. Questa spiaggia antica è un segno sicuro della sollevazione re- cente dell’isola, avvenuta prima della eruzione di lava tracliitica. Le arenarie fossilifere dell’isola di Ponza si trovano fra la cala dell’acqua e la casa detta « La Luigina », che appartiene al paese dei Forni. Per la loro formazione sono delle vere dune; contengono moltissimi gasteropodi terrestri, tra i quali ho notato Bulimus (Stenogym) decollatus L., Cyclostoma elegans Muli, e fra altre specie di Helix, anche una Helix naticoides Drap. I fossili marini sono quasi tutti rotti e rotolati e, quasi sempre, di un volume che permetteva il trasporto eolico. Nei pezzi che ho rila- sciato a Lei si trovano delle belle foraminifere e frammenti di Pecten. Ho riscontrato in queste arenarie parecchi massi di roccie riolitiche angolosi, provenienti probabilmente da frane. All’isola di Palmaróla si trovano degli strati fossiliferi nella costa orientale della parte meridionale dell’ isola, cominciando una cinquantina di metri al Sud della cala dei Gradili i. Vicino alla marina si rinvengono strati di ciottoli a un livello da due a quattro metri. Più in alto dimostrano, per la più gran parte, una stratificazione eolica; si tratta non solo di dune, ma di vere spiagge, come lo prova una grande Patella ( Patella cae- rulea L.) pesante, che ho trovato al livello di 80 metri. Ho se- guitato questi depositi fino all’altezza di 140 metri. I fossili ter- restri sono anche qui, come a Ponza, più frequenti dei fossili marini. Sono molte specie, fra le quali anche la Helix nati- coides. A Zannane ho trovato nel calcare i fossili già conosciuti e frammenti di gasteropodi, probabilmente indefinibili. Negli scisti lucenti che sottostanno al calcare ad oriente, vicino alla pic- cola sorgente e nelle arenarie che si trovano intercalate al calcare, non sono riuscito a trovare fossili. Vicino alla rovina (?) del calcare ho trovato un punto di contatto fra la riolite di Zannone e le roccie sedimentarie. Sotto una massa di riolite molto spaccata ed alterata, si trova un deposito di argilla scura; un’argilla simile si trova anche sotto il calcare. Spero che a 4S G7G E. FRIEDLAENDER P. FRANCO Lei riescirà di trovare nei campioni rilasciati da me, qualche fossile microscopico. Sono ancora molte le osservazioni fatte da me in questo gruppo interessantissimo di isole vulcaniche ; però non conviene comu- nicarle prima di aver studiato i campioni presi. Per chi si occupa di questioni preistoriche voglio aggiungere che, fra le tante ossidiane delle Isole Pontine, è probabilmente quella del tufo al Sud di Palmarola, che si adoperava per col- telli, ecc. Alla Punta del Pieno a Ponza ho trovato due coltellini lunghi circa 3 centimetri e molti frammenti di ossidiana; nell’i- sola di Zaimone, fra il Convento e la cala del Varo, si trovano molti frammenti di ossidiana, probabilmente trasportati. In am- bedue i siti si vedono frammenti di terraglia molto grossolana. Se la S. V. illustrissima crede opportuno, prego comunicare questa mia lettera al E. Comitato geologico italiano. Si possono anche rilasciare i campioni che Le ho dati, a condizione clic rimangano di mia proprietà. Con cordiale stretta di mano, mi dico Suo devotissimo servo e amico Emmanuel Fkiedlaendek. LE FORMAZIONI OFIOLITICBE BEL POGGIO DEI LECCIONI (Serrazzano) ED IL FILONE FRA GABBRO-ROSSO E SERPENTINA PRESSO IL TORRENTE SANCHERINO. Memoria del socio prof. Giuseppe Ristori I giacimenti ofiolitici della Toscana, ed in modo particolare quelli che fanno parte del sistema collinesco della nostra ma- remma, furono soggetto interessante di studi svariati per parte di Geologi e Mineralogisti, a cui si unirono anche Ingegneri minerari, che in quelle regioni poterono svolgere, non senza pro- fitto, la loro attività nella ricerca e nella coltivazione delle mi- niere. Questi studi però per quanto importanti hanno per lo più ca- rattere regionale e spesso traggono argomento da speciali scopi su cui furono volta volta richiamati dalle industrie minerarie, che dai minerali di ferro e di rame, vanno alla singolare e carat- teristica ricerca dell’acido borico, esclusivamente basata sullo sprigionamento naturale od artificiale di vapori aquei, quale ma- nifestazione di residuale attività vulcanica non disgiunta logi- camente dalla natura eruttiva ormai universalmente riconosciuta ed ammessa per le roccie serpentinose. Studi di carattere più generale ed astratto sulle roccie olio- litiche sono meno frequenti, ma assai pregevoli per la cono- scenza di queste singolari formazioni sotto l’aspetto litologico, chimico e geologico. L’argomento assai oscuro è oggi notevol- mente rischiarato per la cooperazione di molti e valenti studiosi, e notizie più positive si hanno intorno alla loro genesi, al loro singolare metamorfismo e alla loro età. Questi problemi furono lungamente discussi. La genesi e l’età di queste roccie possono ritenersi argomenti meglio studiati e le opinioni dei più ne sono G. RISTORI G78 concordi, sebbene debba escludersi nei loro diversi gruppi, topo- graficamente distinti, il sincronismo, perchè la loro età è sempre approssimativamente desunta dai caratteri cronologici delle roecie sedimentarie, con le quali trovansi in contatto. Le maggiori con- troversie restano ancora sul loro metamorfismo e sui processi di alterazione che hanno dovuto subire per assumere gli attuali aspetti e caratteri litologici, non che sulla natura del primitivo magma eruttivo da cui ebbero origine. Di tutto questo ha dift'usamente parlato il Prof. Carlo De Stefani (*) riepilogando eziandio le opinioni degli altri e lar- gamente discutendole e commentandole; per cui non mi resta che richiamare quella memoria ove pure si trova la bibliografia degli studi fatti in Italia ed all’estero sulle roccie ofiolitiche. Tutto questo però, quantunque molto pregevole, non serve a guidarci nelle pratiche investigazioni e nella ricerca dei mi- nerali più comunemente contenuti in queste roccie, per cui con- viene ricorrere ai lavori speciali e alle descrizioni regionali di alcuni dei più importanti giacimenti minerali inclusi nelle ofio- liti; e basandosi su questi studi, indagare comparativamente in quali condizioni si trovino le formazioni serpentinose del gruppo nostro in genere e del Poggio dei Leccioni e di Serrazzano in specie. Mi si permetta quindi questo studio; perchè solo così potremo giungere a conclusioni sintetiche, le quali ci daranno modo di elaborare e consigliare un piano di pratiche ricerche ed investigazioni. Le masse ofiolitiche della Toscana e in special modo quelle della Maremma hanno caratteri litologici molto simili, ed i vari tipi di roccie che sotto il nome generico di ofioliti si compren- dono, si aggruppano con costanza assai notevole, ma con varia- bile sviluppo per ciascun tipo, a seconda delle regioni diverse e delle diverse località di una stessa regione. Già il Prof. Paolo Savi (2) dal punto di vista topografico spartì le roccie ofiolitiche della Toscana in quattro serie: 1“ Ul- (') De Stefani, Le roccie eruttive deirEocene sup. deU’Apennino. Jìoll. Soc. Geol. il., voi. Vili, Roma 1889. (2) Savi, Delle roccie ofiolitiche della Toscana e delle masse me- tallifere in esse contenute. Nuovo giornale dei letterati, anno 1838-89. — D’Achiardi, Mineralogia della Toscana, voi. Il, p. 180. FORMAZIONI OFIOLITICHE DEL POGGIO DEI LECCIONI 679 trapenninica ; 2a Citrapenninica ; 3a Litorale; 4a Insulare. Alla terza serie appartiene la nostra regione che poi fu distinta anche col nome di maremmana. È di questa principalmente che noi ci dobbiamo occupare, notando fin d’ora come essa abbia carat- teri litologici e geologici corrispondenti alle due prime serie; mentre la quarta da tutte si distacca, sia per le roccie sedimen- tarie che la involgono, sia per età molto più antica. A proposito dell’età delle roccie ofiolitiche e più precisamente delle serpen- tine, si hanno studi laboriosi e molteplici; e per i primi tre gruppi si ritiene dai più distinti geologi italiani che debbano riferirsi all’Eocene. Il Prof. Sacco f1) le credè cretacee, ma le deduzioni stratigrafiche, con cui confortò questo suo modo di vedere, non sembrano molto attendibili. Inquanto all’età ed ai caratteri pecu- liari del quarto gruppo esistono studi del De Stefani, del Meli, del Lotti ed altri più antichi, che non è qui il caso di pren- dere in esame, dacché si uscirebbe senza pratico scopo dal nostro argomento. La serie maremmana o litorale si estende per cinque pro- vincie : Grosseto, Siena, Firenze, Livorno e Pisa. Alla provincia di Pisa appartengono le maggiori masse e forse le meglio stu- diate se non altro sotto il punto di vista minerario. Questa serie è quindi suscettibile di una divisione ulteriore in gruppi che sarebbero così disposti. Il primo gruppo più ad Est comprende l’alta valle dell’Elsa. Il secondo è quello di Monte Castelli con Berignone e Rocca Sillana. Il terzo quello di Monte Cerboli. Il quarto quello di Monte Bufoli, a cui si uniscono Serrazzano, Lustignano, Libbiano, Micciano e Querceto, per cui la nostra plaga fa parte integrale di questo gruppo che Pilla, Savi e Me- neghini (2) considerarono come uno dei principali e dei più im- portanti dal lato geologico e minerario. Il quinto gruppo è quello di Montecatini e Pietrapiana, ove abbiamo il massimo sviluppo del gabbro rosso. Finalmente il gruppo della Castellina e quello dei Monti livornesi costituiscono la sesta e la settima divisione. C) F. Sacco, L’ Appennino settentrionale, Parte III. Boll. Soc. Geol. it., voi. XIV, Roma 1896. (2) Meneghini, Rapporto sui giacimenti ramiferi di Libbiano. Li- vorno 1859. — Id., Due rapporti al Consiglio della Soc. anglo-toscana sulle miniere di Libbiano. Livorno 1860. 680 G. RISTORI Ulteriori aggruppamenti potrebbero fare rientrare nel quinto gruppo le formazioni ofiolitiche dell’alta Valle d’Era e di Mieino. Dalla divisione topografica passiamo all’esame sommario dei diversi tipi di roccie ofiolitiche predominanti in ciascun gruppo. Questo esame fatto comparativamente alla ricchezza ed impor- tanza dei giacimenti minerari che i tentativi e le esplorazioni ci hanno fatto conoscere, credo potrà condurci a conclusioni pra- tiche assai attendibili, che alla loro volta potranno essere nella giusta misura applicate alla regione e più precisamente alla plaga che è soggetto di questo studio. Osserviamo intanto come nei primi tre gruppi siavi preva- lenza di serpentina bastitica ed enstatitica con molteplici vene di asbesto e con alterazioni più o meno profonde. A queste ser- pentine generalmente più sviluppate ed anche se vuoisi più an- tiche, si aggiungono, in ammassi di maggiore o minore esten- sione, ed in lenti per lo più assai limitate, serpentine con dial- lagio. Si unisce a questa roccia anche l’eufotide, spesso assai alterata, ad elementi ora molto grossi, ora granulari ed uni- formi ; finalmente abbiamo, in via eccezionale, limitate plaghe di gabbro rosso amigdaloide. Lo stesso potrebbe dirsi del gruppo dei Monti livornesi e di quello di Monte Cerboli. La regione di cui qui vogliamo occuparci, compresa nella quarta serie, ha un carattere intermediario, perchè mentre per il notevole sviluppo delle serpentine si accorda coi tre gruppi che la precedono, per la presenza di un notevole ammasso di gabbri rossi e di lenti di eufotide richiama il carattere singolare del gruppo che la segue, o gruppo quinto, che comprende Monte- catini ed anche Micino ove abbiamo un assoluto predominio dei gabbri rossi e la presenza, delle vere diabasi inalterate. I gabbri poi hanno il singolare carattere alternante di gabbri ba- saltoidi e gabbri amigdaloidi colla prevalenza dei secondi. Anche qui del resto abbiamo presenza di lenti ed ammassi di eu- fotide. Il carattere misto della nostra plaga si ripete qua e là in tutto il gruppo che la comprende: infatti il Targioni (’) stesso a proposito delle formazioni ofiolitiche di Libbiano, Micciano e (') Targioni, Viaggi, tomo li. FO Rii AZIONI OFIOL1TICHE DEL POGGIO DEI LECCIONI 681 Querceto, in diretta continuazione colle nostre di Serrazzano, osserva che ivi pure abbiamo delle lenti di gabbro rosso, e parlando più estesamente di Libbiano, dice di scorgere in quelle forma- zioni una mirabile somiglianza con quelle di Montecatini, per cui fin d’allora prevedeva perfino la scoperta delle vene di rame. Nello stesso modo si esprime il Savi (Q a proposito di Monte Vaso, ove pure fra il serpentino ed il gabbro si incontra a NO la vena metallifera; mentre un’altra ne fu scoperta nella stessa formazione serpentinosa, in cui (filone S. Salvadore) si rin- vennero noccioli di calcosina. Anche alla Miniera della Botti- cella ed a Monte Bufoli furono fatte escavazioni per le quali si ebbero a riconoscere in prossimità del gabbro rosso filon- eelli mineralizzati; ma il lavoro di esplorazione fu troppo presto interrotto. Queste notizie ci danno ora modo di fare qualche conside- razione comparativa sulla zona che si vuole da noi esplorare ; tanto più che questa nostra località limitata dai due ruscelli Secolo e Sancherino fu dal Giuli e dal Santi (2) ritenuta degna di studio, di tentativi e di ricerche che fino ad oggi non furono tradotte in atto. È intanto degno di nota come nella plaga più attigua al Sancherino qua e là neH’invadente massa serpentinosa compaiano alterazioni ulteriori nella serpentina stessa ed af- fioramenti di roccie ofiolitiche di natura diversa, quali sareb- bero serpentine con diallagio più o meno estese ed eufotidi in filoncelli o masserelle aventi l’aspetto di dicchi. Il complesso di queste roccie, che quasi si direbbero iniettate nella predomi- nante massa serpentinosa, è contradistinto anche da filoncelli a pasta steatitosa con cappelli limonitici e da vene intricate d’asbesto. La singolare eterotipicità di queste roccie non si limita a questo ; ma qua e là compaiono in masse più o meno note- voli i gabbri rossi nodulosi amigdaloidi unitamente a quelli compatti a struttura basaltoide, il cui interno presenta un’alte- razione limitata ed un colore verde sporco poco dissimile da quello proprio della diabase, dalla cui alterazione si ritiene (’) Savi, Considerazioni sulla convenienza della cultura dei depositi cupriferi e miniere di rame nella tenuta di Monte Vaso. Firenze 1850. (2) Santi, Viaggi, Tos. 1805, 1806. Vedi Repetti, Diz. Geog. 682 G. RISTORI provenga il così detto gabbro rosso nelle sue diverse modalità di struttura. Ai gabbri più o meno alterati anche nella nostra plaga si uniscono roccic sedimentarie calcareo-argillose, che sembrano ammantare tutt’ all’intorno le masse ofìolitiche. Le porzioni però di queste roccic sedimentarie più prossime alle ofioliti in genere ed al gabbro in specie, hanno subito notevoli alterazioni dovute con la maggiore probabilità ad un metamorfismo di contatto, che non dovè agire a grandi distanze, ma che immediatamente produsse in esse alterazioni ben visibili. Ad ogni modo il con- tatto diretto dei gabbri colle roccie sedimentarie calcareo-argillose si fa quasi sempre per mezzo di straterelli di ftaniti a cui se- guono argille scagliose cupe di colore e finalmente prende il sopravvento la vera e propria formazione calcareo-galestrina. Questa caratteristica e tipica successione nel senso orizzontale è ben visibile nel Botrello di Buio, ove le roccie sedimentarie quasi si incuneano fra la serpentina ed il gabbro, mentre ad 0 sono ricoperte dalle invadenti masse serpentinose. L’aspetto di questa regione rispecchia assai fedelmente le condizioni geolo- giche e tettoniche che si sono potute con maggiore cura e pre- cisione osservare a Montecatini ; solo in questuiti ma località abbiamo maggiore sviluppo dei gabbri e notevole riduzione della serpentina. Nella regione da noi presa in esame i gabbri nella loro massa per quanto meno estesi hanno comuni i caratteri con quelli che costituiscono il Monte Caporciano, e solamente non rappresentano come a Montecatini la roccia prevalente, limi- tandosi a delle lenti incluse nelle masse serpentinose le quali prendono sempre il sopravvento. Una di queste lenti, forse la maggiore, è appunto quella che occupa la regione del Sanche- rino; mentre una simile, ma meno estesa si sviluppa presso il Poggio delle Corti sul torrente Secolo ove già fu aperta una Miniera di rame. La prima di queste lenti di gabbro che noi specialmente prendiamo in considerazione, occupa propriamente la regione del Sancherino e di lì raggiunge il vertice del colle per poi scendere ad OSO verso la parte più alta della vallecola della Trossa, senza raggiungere il fiume causa d ripetersi, con invadente sviluppo, delle masse serpentinose, mentre lungo il FORMAZIONI 0F10L1TICI1E DEL POGGIO DEI LECCIONI 683 lato EO riassurgono le formazioni sedimentarie calcareo-gale- strine. I diversi tipi di roccie ofiolitiche clie pure riscontrammo nella regione qui presa in esame, unitamente ai filoni impastati stea- titosi e più o meno mineralizzati sono, secondo il Savi, dovute ad eruzioni successive avvenute posteriormente all’ emissione della serpentina bastitiea, che sarebbe la più alterata f1). Queste eruzioni successive a cui, secondo lo stesso autore, si debbono pure i minerali cupriferi e ferrici, si sarebbero iniettate entro le masse serpentinose preesistenti determinandovi altresi un me- tamorfismo di contatto, e quindi queU’insieme di fenomeni per i quali quei filoni dicchiformi o lenticolari, come altri vogliono, verrebbero ad essere sede di mineralizzazioni più o meno estese e profonde. II Lotti (2) sembra non sia molto favorevole all’idea delle eruzioni dicchiformi ; ma però dall’esame fatto di molteplici loca- lità, dice di non potere, per ora, escludere questa idea, la quale secondo lui sarebbe meno ammissibile per le serpentine di fronte alle roccie argilloso-calcaree preesistenti o contemporanee nella formazione, su cui e non entro la loro compage, si sarebbero invece espanse in forma di lenti le serpentine e non iniettate come enormi dicchi. Il De Stefani pure non ammette l’eruzione dicchiforme e spiega diversamente i rapporti delle serpentine colle roccie sedimentarie, ritenendo le une e le altre di contemporanea formazione ; cioè che le une abbiano fatto eruzione nelle grandi profondità marine, mentre le altre in quelle stesse profondità quasi indisturbate si deponevano. A parte queste discussioni ed altre importantissime che si sono fatte e si fanno intorno all’origine delle roccie ofiolitiche, ai loro rapporti colle roccie sedimentarie, alla loro natura ed alle metamorfosi subite, resta sempre quasi indiscusso e non con- tradetto il fatto delle eruzioni successive, contradistinte dalla diversità delle roccie attuali a cui deve essere intimamente con- (') Per le origini delle serpentine vedi i lavori del Lotti, Maz- zuoli e De Stefani, e specialmente il lavoro di quest’ultimo sulle roccie eruttive deH'eocene sup. dell’Apennino. (2) Lotti, La Miniera cuprifera di Montecatini e i suoi dintorni. Boll. Soc. Geol. It , voi. XV, Roma 1884, pag. 379. (384 G. Ili STORI nessa diversità nel magma successivamente eruttato ; come pure resta il fatto della presenza dei filoni mineralizzati che sono, con mirabile costanza, con quelle concomitanti, quando, come spessissimo accade, non si sviluppano lungo le linee di contatto. Conviene notare anche che la regione che stiamo esaminando fu una di quelle diligentemente prese in esame dal Savi per sta- bilire, secondo il suo modo di vedere, l’origine, la diversità e la concomitanza delle diverse specie di roccie ofiolitiche unitamente ai filoni secondo lui dicchiformi mineralizzati, che poi furono anche distinti col nome di filoni impastati, listati, ed anche filoni di contatto. Dall’insieme di queste notizie e di questi studi emerge evi- dente l’analogia del nostro giacimento ofiolitico con molti altri che diedero minerali cupriferi in più o meno abbondanza; lascio quindi la parte generale e più astratta di questo studio, che giustifica la scelta della plaga di Serrazzano per iniziare in essa, prima uno studio concreto, poi delle esperienze e dei saggi allo scopo di conoscere la sua importanza e la sua ricchezza mine- raria. Esame del filone. Le roccie ofiolitiche, lungo il cui contatto, in questa nostra plaga, si dispone il filone, sono il gabbro rosso da una parte e la serpentina bastitica dall’altra; questo però non apparisce ovunque, come carattere costante; perchè spesso si veggono ser- pentine con enstatite ed anche diallagio ed eufotidi, quest’ ul- time, in piccoli ammassi lenticolari ed anche dicchiformi, che interessano prevalentemente la gran massa delle serpentine. Questo concorda forse con quello che da alcuni si crede: cioè, che il gabbro sia esso pure preesistente e forse contemporaneo alle serpentine; ma eruttato come diabase, poi convertita in gabbro rosso di diversa natura fisica c chimica a seconda della più o meno profonda alterazione sofferta. La metamorfosi della diabase in gabbro non è improbabile, secondo alcuni, che abbia concorso alla mineralizzazione dei filoni o vene mineralizzate che trovansi spesso nella cpmpage del gabbro stesso o lungo il contatto di questo con altre roccie ofiolitiche. Qualunque sia FORMAZIONI OFIOLITICHE DEL POGGIO DEI LECCIONI 685 l’importanza da darsi a questa opinione che potrebbe essere ma- gari generalizzata a quasi tutte le roccie otìolitiche, perche sem- pre prodotte da alterazione dei magma primitivi, essa non esclude la natura eruttiva del filone e delle vene, giacche la loro mine- ralizzazione può ritenersi di duplice origine. A queste osservazioni astratte va pure aggiunto il fatto importante che le mineraliz- zazioni cuprifere sono più notevoli là dove i gabbri sono più svi- luppati e presentano alterazioni più profonde ; ed i filoni ricchi di minerali trovansi di preferenza ove abbondano i gabbri ami- gdaloidi uniti a nuclei ed ammassi più limitati di gabbri basal- toidi. Sul contatto di queste due varietà di gabbro e fra gabbro amigdaloide e diabase vera e propria, si sviluppa il filone di Montecatini. Anche nella nostra regione, quantunque la massa gabbrica sia molto meno sviluppata che a Montecatini, pure abbiamo prevalenza di gabbro amigdaloide, a cui, oltreché le serpentine, succedono lenti di gabbro basaltoide, sul cui con- tatto è da supporsi un filone. Del resto, non sempre deve darsi assoluta importanza allo sviluppo più o meno grande del gabbro, dal momento che in altre località, come a Libbiano, Micciano, ecc., si ritrovarono filoni impastati, simili a quello bianco di Montecatini, nella stessa massa serpenti uosa e più spesso sul contatto di questa con le eufotidi più o meno alterate. Nella nostra regione, la massa gabbrica con tutte le sue spe- ciali modalità, non può ritenersi indifferente per lo sviluppo, mentre d’altra parte presenta le concomitanze caratteristiche con le altre roccie otìolitiche die sempre accompagnano i filoni di con- tatto, listati, steatitosi. Da queste considerazioni comparative risulta con abbastanza evidenza che noi siamo davanti ad un vero e proprio filone a pasta bianca, il quale affiora qua e là lungo il contatto del gabbro colla serpentina. Se nel suo generale andamento noi dob- biamo considerare il filone in corrispondenza del contatto delle due roccie suindicate; esaminandolo più minutamente, esso ci presenta nei suoi diversi affioramenti un andamento ed una di- sposizione assai incostante di fronte alle roccie che l’includono; infatti a volte tende ad addossarsi e anche ad interessare la massa serpentinosa, ma più di frequente si attiene al gabbro: G. RISTORI 686 infatti, dai fori e dai saggi fino ad ora praticati risulta che il filone c le sue diramazioni si devono preferibilmente ricercare nel gabbro o vicino ad esso ; non escludendo però che anche la massa serpentinosa possa includere vene mineralizzate, spe- cialmente ove più frequenti e più profonde compaiono le alte- razioni di questa roccia o, meglio ancora, la presenza di lenti d’eufotide, sul cui contatto spesso si veggono vene steatitose, la cui mineralizzazione è manifesta superficialmente dalla pre- senza del caratteristico cappello limonitico. Del resto, non mancano esempi di veri e propri filoni lungo il contatto della serpentina bastitica coll ’eufotide ; qualche cosa di simile si ebbe a riscontrare fra V eufotide ed il gabbro a Montecatini; mentre a Libbiano ed a Micciano il Savi ed il Meneghini affermano di avere constatate vene con minerali cu- prici in abbondanza fra la serpentina bastitica ed enstatitica e l’eufotide; ed il Mazzuoli (Q afferma che a Gallinaria (riviera ligure) il giacimento cuprifero sta fra la serpentina steatitosa e l’eufotide, con vene irradianti nella massa serpentinosa. Anche a Monte Castelli fu ritrovata notevole quantità di erubescite e calcosina in un dicco steatitoso situato fra la serpentina e l’eu- fotide, come pure nella massa serpentinosa si ebbero a riscon- trare vene mineralizzate steatitose con frammenti di calcopirite e pirite gialla. Questi noduli convenientemente trattati con la- vaggio davano uno slicco che, secondo lo Schneider (2), conte- neva dal 18 al 20 per cento di minerale cuprifero, che in qualche punto giungeva tino al 33 per cento. Il giacimento di Bocca Sii- la na trovasi pure nelle identiche condizioni; giacché ivi il gabbro è molto scarso e le vene cuprifere interessano quasi esclusiva- mente le masse serpenti nose. Da tutte queste notizie panni possa concludersi in massima, che i filoni più ricchi e più potenti si sono mostrati quelli clic interessano o si sviluppano sul contatto del gabbro amigdaloide colla diabase, oppure con il gabbro basaltoide, con prevalenza per (’) Mazzuoli, Sul giacimento cuprifero della Gallinaria, Boll. Coniti, tjeól. Voi. XVI. 1885. (2) A. Schneider, Breve cenno sulla miniera cuprifera di Montecatini, Firenze 1884. FORMAZIONI OFIOLITICHE DEL POGGIO DEI LECCIONI 687 10 sviluppo in superficie del gabbro amigdaloide, ove, come a Montecatini, abbiamo mineralizzazioni cuprifere di eccezionale ricchezza, essendo specialmente nel filone a pasta rossa quasi esclusivamente costituite da erubescite e calcosina. In secondo luogo abbiamo, che, anche al contatto del gabbro con la serpen- tina e più verso la massa gabbrica che in quella serpentinosa, compaiono filoni impastati steatitosi, specialmente se nella massa serpentinosa prossima al gabbro si notano lenti o dicchi d’eufo- tide. Questi filoni spesso notevolmente estesi e potenti, presen- tano mineralizzazioni cuprifere, specialmente al letto, in forma di noduli steatitosi con calcopirite e pirite più spesso comprese nelle druse calcitiche od ofìcalci che di frequente si scoprono nell’interno di detti noduli. Questi singolari filoni sogliono au- mentare di potenza e di ricchezza colla profondità : ed il Maz- zuoli (l) afferma che fino ai contatto delle roccie sedimentarie argilloso-calearee sottostanti si hanno segni evidenti di abbon- dante mineralizzazione. Del resto anche a Montecatini spesso 11 letto del filone è costituito dalle roccie sedimentarie suin- dicate e specialmente dalle argillose. Da tutte queste osserva- zioni di fatto si può facilmente dedurre che i filoni mineraliz- zati che si trovano nelle roccie ofiolitiche non impoveriscono con la profondità; ma al contrario, sogliono divenire più ricchi e potenti fin sulla roccia sedimentaria su cui possono avere il loro riposo e contro cui non lasciano traccia di sè. Tutto ciò stà, secondo me, in perfetta armonia con quello che si disse circa T origine dei filoni e delle roccie ofiolitiche diverse. In terzo luogo è da osservarsi che anche le vere e proprie masse serpen- tinose, quando in queste e su queste siansi espanse od iniettate roccie ofiolitiche diverse, come Teufoticli, possono presentare filoni steatitosi a pasta bianca mineralizzati contenenti minerali cupri- feri di una certa importanza. Da tutto ciò ne consegue che 1’ esame comparativo diretto ed indiretto, esterno ed interno della regione sottoposta al nostro studio, nonché le esperienze eseguite mediante dei saggi e dei fori artesiani, trova riscontro, spesso esatto, con altre Miniere (‘) Mazzuoli, op. cit. (3SS G. RISTORI che si escavano o si escavarono con sufficiente profitto. I punti di contatto sono molti e molto notevoli ; e nel suo carattere misto, il giacimento cuprifero di Serrazzano presenta caratteristiche che incoraggiano e consigliano una più larga e meglio intesa esplo- razione, la quale potrebbe benissimo essere coronata da un suc- cesso migliore di quello ottenuto fino ad ora con fori artesiani praticati qua e là, senza un giusto criterio direttivo. Ad onta di ciò, questi fori diedero modo di scoprire traccie di minerali cupriferi, specialmente nel gabbro e presso al suo contatto. Fu- rono quasi sempre negativi nella serpentina e nelle roccie se- dimentarie. Del resto io reputo che un simile metodo, adottato nelle esplorazioni delle miniere in genere ed in quelle delle roccie ofiolitiche in specie, non sia troppo adatto per dare risultati molto pratici e molto attendibili ; mentre a profondità notevoli importa un dispendio non indifferente e forse maggiore di quello che può incontrarsi praticando nelle medesime roccie pozzi e gallerie. Ma veniamo finalmente all’esame analitico diretto del filone. Questo, alla superfìcie lungo il contatto del gabbro con la ser- pentina, presenta, come già accennai, numerosi e caratteristici affioramenti, i quali sono più frequenti ad una certa altezza, die non alla base del Poggio dei Leccioni presso il torrente San- cherino; mentre scompaiono al culmine sulla linea di sparti- acque : infatti, in una breve galleria praticata sulla sinistra del Sancherino alla base della formazione gabbrica presso un foro artesiano e non lungi dalla formazione sedimentaria argilloso- calcarea, non si trovarono che incerte traccie di filone con vene quarzifere e dopo breve tratto la galleria si trovò ad interessare esclusivamente le serpentine. Una seconda galleria praticata più a monte nella massa gabbrica poco lungi dalla serpentina, in- contrò invece il filone a pasta steatitosa con tracce evidenti e spesse di pirite e calcopirite, come aveva già fatto conoscere un foro artesiano praticato in quello stesso luogo. Una terza gal- leria fatta un poco itili a valle allo scopo di tagliare il filone e riconoscerne la potenza, lo ha dopo breve tratto attraversato ponendo in evidenza il suo andamento, come pure facendo cono- scere la sua potenza di circa metri 3, che va aumentando colla FORMAZIONI OFIOLITICHE DEL POGGIO DEI LECOIONI 689 profondità dal momento che l’andamento delle roccie incassanti tende a divaricare con notevole rapidità. Alla superficie sulla linea di contatto il filone può seguirsi fino ad una certa altezza nel displuvio del Sanclierino, poi si perde presso il vertice del poggio per ritrovarlo nel versante opposto presso un altro foro artesiano. In questa ultima plaga, la massa gabbrica si ristringe, e si perde quasi completamente il gabbro a struttura basaltoide restando esclusivamente quello nodnloso, sferoidale, amigdaloide. Qui il filone affiora in modo costante lungo la linea di contatto del gabbro col serpentino ed è nettamente contradistinto dal caratteristico cappello limo- nitico e spesso più profondamente ematitico. I pochi saggi pra- ticati in questa regione hanno dato sempre minerali cupriferi con pasta di filone bianca ed anche rossa, ed hanno altresì posto in evidenza una molto costante successione nelle roccie rivelando qua e là la presenza di dicchi o lenti d’eufotide. L’insieme di questi caratteri litologici, unitamente alle esperienze ed ai saggi, fa supporre uno sviluppo ragguardevole nel filone caratterizzato altresì da abbondante mineralizzazione. Infatti la massa del gabbro amigdaloide è, anche superficialmente, tutta interessata da vene raggianti in ogni senso fino al contatto di questa colle roccie sedimentarie; presso cui potrebbe benissimo trovarsi un altro filone a pasta rossa con a tetto il gabbro ed a riposo le roccie sedimentarie argillose, come appunto fu riscontrato in identiche condizioni a Montecatini. Del resto nulla di più proba- bile che le roccie sedimentarie argilloso-calcaree, giacciano molto profondamente presso la periferia della massa gabbrica; oppure, secondochè sarebbe dimostrato da un foro artesiano praticato nel gabbro presso al vertice del Poggio e non lungi dalle roccie sedimentarie che si sviluppano a SSO, il riposo del gabbro, almeno alla periferia, sia la serpentina. Questo però non può avvenire ove il gabbro confina direttamente colla formazione sedimentaria, presso la quale devesi essere riversato il magma eruttivo poi metamorfosato in gabbro. Da tutto ciò è lecito in- tuire che qui abbiamo molte analogie con quello che si è ri- scontrato a Montecatini, per cui, a schiarimento delle condizioni tettoniche di questa plaga, richiamerei volentieri le sezioni che <>00 G. RISTORI illustrano il lavoro del ring. Schneider (') sulla Miniera cuprifera