6oo . Anno XX. Fascicolo 1° (1° trimestre 1901). BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. XX — 1901 ROMA TIPOGRAFIA DELLA PACE DI F. CUGGIANI Yia della Pace N. 35 1901 BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Volumi finora pubblicati. Voi. I. (1882) 2 fase. 260 Pag . 4 tavole. » II. (1883) 3 » 314 » 6 » » III. (1884) 2 » 188 » 1 tavola. » IV. (1885) un voi. 528 » 19 tav. e 3 carte geologiche a colori. » V. (1886) 3 fase. 516 » 11 » » VI. (1887) 4 » 570 » 18 » e una carta geologica a colori. » VII. (1888) 3 » 430 » 14 » » » » » » Vili. (1889) 3 » 600 » 3 » » » » » » IX. (1890) 3 » 826 » 25 » » » » » » X. (1891) 5 » 1023 » 21 » e 2 carte geologiche a colori. » XI. (1892) 3 » 702 » 11 » » XII. (1893) 4 » 892 » 7 » » XIII. (1894) 3 » 317 » 5 » » XIV. (1895) 2 » 324 » 7 » » XV. (1896) 5 » 802 » 17 » » XVI. (1897) 2 » 370 » 9 » » XVII. (1898) 3 » clii-275 pag. e 4 tavole. » XVIII. (1899) 3 » LXXVr515 pag., 9 tav. e una carta geol. a colori. » XIX. (1900) 3 » cxl-752 pag. 11 tav. e una carta geol. a colori. Por l’acquisto dirigere lettere e vaglia all’ Economo Cav. Ing. Augusto Statuti, Via Nazionale 114 (palazzo Gapranica del Grillo). Roma. BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. XX — 1901 ROMA TIPOGRAFIA DELLA PACE DI F. CUGGIANI Yia della Pace N. 35 1901 SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA MENTE ET MALLEO fondata in Bologna il 29 settembre 1881 Consiglio direttivo per l’anno 1901 Presidente Carlo Fabrizio Parona (Torino). 1901. Vice-Presidente . . . Giovanni Capellini (Bologna). 1901. Segretario Enrico Clerici (Roma). 1901 -1903. ,T. , \ Camillo Crema (Roma). 1901. Vice-Segretari . . . A n D K . • /Guido Bonarelli (lorino). 1901. Tesoriere-Economo . Augusto Statuti (Roma). 1900-1902. Archivista Antonio Neviani (Roma). 1900-1902. Carlo De Stefani (Firenze), j Arturo Issel (Genova). . . . ( Alberto Fucini (Pisa) . . . . ( I^99-901- Pietro Zezi (Roma) ; Luigi di Rovasenda (Sciolze). } . . GlUSEPPEDF.L0RENZ0(Nap0lÌ). I onsig ieri ( Vittorio Matteucci (Napoli). ( I900_9°2- I Romolo Meli (Roma) .... ; I Ernesto Mariani (Milano) . \ I Luigi Baldacci (Roma) . . . f i G. Batta Cacci amali (Brescia). ( I9OI_9°3- 1 •) Commissione per le pubblicazioni . . Il Presidente 1 Il Segretario / . . Il Tesoriere ( (Fr0 ,emPore) L’ Archivista Commissione del bi- lancio Antonio Verri Mario Cermenati Giovanni Aichino 1901 . Sede della Società: Roma, Via S. Susanna, 1 A, presso il R. Ufficio geologico. IV ELENCO DEI PRESIDENTI. — ELENCO DEI SOCI. Elenco dei Presidenti succedutisi annualmente dalla fondazione della Società in poi. 1881-82. Giuseppe Meneghini 1883. Giovanni Capellini 1884. Antonio Stoppani 1885. Achille De Zigno 1886. Giovanni Capellini 1887. Igino Cocchi 1888. Giuseppe Scarabelli 1889. Giovanni Capellini 1890. Torquato Taramelli Elenco dei Soci 1891. Gaetano G.Gemmellaro 1892. Giovanni Omboni 1893. Arturo Issel 1894. Giovanni Capellini 1895. Igino Cocchi 1896. Carlo De Stefani 1897. Dante Pantanelli 1898. Francesco Bassani 1899. Mario Canavari 1900. Niccolò Pellati per l’anno 1900 S. A. R. Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi Acclamato socio onorario per deliberazione unanime nell adu- nanza generale in Acqui del 16 settembre 1900. Soci perpetui. 1. Quintino Sella (morto a Biella il 14 maizo 1884). Fu uno dei tre fondatori della Società, e venne, per il primo, annoverato tra i soci perpetui per deliberazione una- nime nell’adunanza generale tenutasi dalla Società il 14 set tembre 1885 in Arezzo. 2. Francesco Molon (morto a Vicenza il i° marzo 1885). Fu consigliere della Società, alla quale legava con suo testamento la somma di Lire 25,000; venne iscritto fra 1 soci perpetui per deliberazione unanime nell adunanza ge- nerale del 14 settembre 1885 in Arezzo. o Giuseppe Meneghini (morto a Pisa il 29 gennaio 1889). Per i suoi insigni meriti scientifici venne acclamato socio perpetuo nell’adunanza generale di Savona il 15 settem- bre 1887. a Felice Giordano (morto a Vallombrosa il 16 luglio 1892). Fu uno dei tre fondatori della Società, _ e venne iscritto tra i soci perpetui per deliberazione unanime nell adunanza generale tenutasi a Taormina il 2 ottobre 1891. c,. Giovanni Capellini, senatore del Regno. È uno dei tre fondatori della Società, e venne iscritto tra i soci perpetui per deliberazione unanime nella adunanza gene- rale tenutasi in Taormina il 2 ottobre 1891. ELENCO DEI SOCI V 1884.1 l88l. l88l. l88l. 1890. 1894. l88l. 1890. 1884. l88l. I l88l. 1881. 1882. 1881. 1895. ]882. 1886. 1882. I 1894. 1898. 1899. 1891. Soci a vita. Bargagli cav. Piero. Via de’ Bardi, palazzo Tempi. Fi- renze. Bombicci prof. comm. Luigi. R. Università. Bologna. Cocchi prof. comm. Igino. Via de’ Pinti, 51. Firenze. Delaire ing. chev. Alexis. Boulevard St. Germain, 135. Paris. Dell’Oro comm. Luigi (di Giosuè). Via Silvio Pellico, 12. Milano. Ferraris ing. comm. Erminio , Direttore della miniera di Monteponi. Iglesias. Hughes prof. cav. Thomas Mac Kenny. University. Cambridge (Inghilterra/ Johnston-Lavis dr. Henry. Beaulieu (Alpes Maritimes). Francia. Levat ing. David. Rue de Printemps, 9. Paris, o Mattirolo ing. Ettore. R. Ufficio geologico. Roma. Mayer Eymar prof. Carlo. Scuola politecnica. Zurigo. Niccoli ing. comm. Enrico. Via dell’Indipendenza, 54. Bologna. Paulucci marchesa Marianna. Villa Novoli. Firenze. Pélagaud doct. Elisée. 15, Quai de l’Archevèché. Lyon. Roselli ing. Emanuele. Via del Fosso, 1. Livorno. Silvani dott. Enrico. Via Garibaldi, 4. Bologna. Stephanescu prof. Gregorio. Universitat. Bukarest (Ru- mania). 8 Turche ing. John. Ufficio dell’Acquedotto. Bologna. Soci* ordinari. Aichino ing. Giovanni. R. Ufficio geologico. Roma. Air aghi dott. Carlo. Magenta (Robecco sul Naviglio). Aldinio prof. Pasquale. R. Scuola normale. Lagonegro (Basilicata). Ambrosiani sac. dott. Michelangelo. Chignolo d’ Isola (Bergamo). 'Primo anno di associazione. VI ELENCO DEI SOCI 1892. 1899. 1 886. 1 898. 1896. 1 88 1 . 1890. 1881. 1901. 1883. 1897. 1885. 1900. 1898. 1892. 1885. 1885. 1897. 1896. 1882. 1893. 1897. 1885. 1884. 1891 . 1889. 1897. 1898. 1883. 1881. 1899. Angelelli ing. Ettore. Via Bonella, 9. Roma. Anseimo ing. Michele. Capo ufi', distretto minerario. Carrara. Antonelli dott. don Giuseppe. Circo Agonale, 14. Palazzo Doria. Roma. Antonelli-Giordani Giuseppe. Corso, 307. Roma. Arcangeli prof. Giovanni. R. Orto botanico. Pisa, io Baldacci ing. cav. Luigi. R. Ufficio geologico. Roma. Baratta dott. Mario. Voghera (Pavia). Bassani prof. cav. Francesco. R. Università. Napoli. Bellini dott. Raffaele. R. Museo geologico, Palazzo Ca- rignano. Torino. Berti dott. Giovanni. Via S. Stefano, 43. Bologna. Bettolìi dott. Andrea. Piazza Museo, 6. Brescia. Biagi prof. Giuseppe. R. Scuola tecnica. Spezia. Bianchi prof. Aristide. R. Liceo. Chieri (Torino). Biblioteca civica. Bergamo. Bonarelli prof, conte Guido. Gubbio (Umbria). 20 Bonetti prof, don Filippo. Via della Pigna 6. Roma. Borgnini ing. comm. Secondo. Direzione generale fer- rovie della Rete Adriatica. Firenze. Bortolotti prof. Emma. Viale Po, io. Roma. Bosco cap. dott. Camillo. Tribunale militare. Firenze. Botti avv. comm. Ulderigo. Reggio di Calabria. Botto Micca dott. prof. Luigi. R Scuola tecnica. Ven- timiglia. Brambilla prof, don Giovanni. Arciprete. Cingia dei Botti (Cremona). Brugnatelli dott. prof. Luigi. Museo mineralogico, R. Uni- versità. Pavia. Bruno prof. cav. Carlo. R. Istituto tecnico. Mondovì. Bucca prof. Lorenzo. R. Università. Catania. 30 Cacciamali prof. Giovanni Battista. R. Liceo. Brescia. Caetani (dei principi) don Gelasio. Palazzo Caetani. Via Botteghe oscure. Roma. Caffi dott. sac. Enrico. Piazza Cavour, io. Bergamo. Canavari prof. Mario. Museo geologico, R. Università. Pisa. Capacci ing. cav. Celso. Via Vaifonda, 7. Firenze. Capeder prof. Giuseppe. R. Scuola normale femminile. Potenza. ELENCO DEI SOCI VII 1892. Cappa ing. Umberto. Miniera di Rosas (Cagliari). 1892. Carape^a ing. Emerico. R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri. Palermo. 1883. Cardinali prof. Federico. R. Istituto tecnico. Macerata. 1896. Carmignani ing. Giovanni. Pisa. 1896. 40 Carniccio prof. Antonio. R. Università. Roma. 1896. Castoldi ing. Alberto , deputato al Parlamento. Diret- tore Miniere Montevecchio. Guspini (Cagliari). 1882. Cattaneo ing. comm. Roberto. Via Ospedale, 51. Torino. 1890. Cermenati dott. Mario. Via di Parione, 37. Roma. 1895. Cernili Irelli dott. Serafino. Teramo. 1896. Cettolini prof. cav. Sante. R. Scuola d’enologia. Cagliari. 1887. Charlon ing. E. Rue Pierre Duprèt, 25. Marsiglia. 1900. Cliecchia dott. Giuseppe. Museo geologico, R. Università. Roma. 1901. Chiabrera dott. conte Cesare. Acqui. 1882. Chigi Zondadari march. Bonaventura , senatore del Re- gno. Siena. 1882. 50 Ciofalo prof. Saverio. Termini Imerese (Palermo). 188Ó. Clerici ing. prof. Enrico. Via del Boccaccio, 21. Roma. 1883. Cocconi prof. comm. Girolamo. R. Università. Bologna. 1886. Colalè ing. Michele. Via dei Serragli, 13. Firenze. 1899. Colomba dott. Luigi. R. Museo Mineralogico. Palazzo Carignano. Torino. 1895. Conedera ing. Raimondo. Massa Marittima (Grosseto). 7895. Corsi ing. Arnaldo. Via Vaifonda, 34. Firenze. 1881. Cortese ing. Emilio. Rio marina (Elba). 1890. Corti dott. Benedetto. R. Collegio Rotondi. Gorla Mi- nore (Milano). 1895. Crema ing. dott. Camillo. R. Ufficio Geologico. Roma. 1900. 60 Dainelli dott. Giotto. Via La Marmora, 12. Firenze. 1882. D’Achiardi prof. cav. Antonio. R. Università. Pisa. 1895. D’Achiardi dott. Giovanni. R. Museo mineralogico. Pisa. 1896. D’Ancona dott. Giuseppe. Piazza Savonarola, 2. Firenze. 1900. D’Anna ing. cav. Salvatore. Ufficio genio civile. Ci- vitavecchia. 1898. Dannenberg doct. Arturo , Prof, an der kgl. technische Hochschule. Aachen (Prussia renana). 1893. De Alessandri dott. Giulio. Museo civico. Milano. 1883. De Amicis prof. Giovanni Augusto. R. Liceo Balbo. Ca- sale (Piemonte). Vili ELENCO DEI SOCI 1891. igOI. 1893. l88l. 1895. 1883. 1886. 1900. l88l. 1886. 1892. 1899. 1881. 1899. 1900. 1882. l895- 1892. 1890. 1881. 1899. 1881. 1883. 1885. 1896. 1901. 1896. 1893. 1898. De Angelis d’ Ossat dott. Gioacchino. R. Università- Roma. De Dorlodot chan. prof. Henri. Université catholique. Louvain (Belgio). 70 Deecke prof. Wilhelm. Universitat. Greifswald (Prussia). De Ferrari ing. cav. Paolo Emilio. Capo del distretto minerario. Bologna. De Franchis dott. Filippo. Galatina (Lecce). De Gregorio Brunaccini dott. march. Antonio. Molo,. 128. Palermo. Del Bette ing. Luigi. Corso Garibaldi. Spoleto. Del Campana dott. Domenico. R. Museo geologico. Piazza S. Marco, 2. Firenze. Delgado cav. Joaquim Philippe Nerjr. Rua do Arco a Jesus, 1 1 9. Lisbona. Dell’Erba ing. prof. Luigi. Via Trinità maggiore, 6. Napoli. De Lorenzo prof. Giuseppe. Museo mineralogico, R. Uni- versità. Napoli. Del Pia \ dott. Giorgio. Museo geologico, R. Università. Padova. 80 Del Prato dott. Alberto. R. Università. Parma. Dei-Zanna dott. Pietro. Poggibonsi (Siena). De Marchi dott. Marco. Borgonuovo, 23. Milano. Demarchi ing. comm. Lamberto. Via Napoli, 65. Roma. De Pian ing. cav. Luigi. Laurium (Grecia). De Pretto dott. Olinto. Schio (Vicenza). Dervieux sac. Ermanno. Via Massena 34. Torino. De Stefani prof. Carlo. Piazza S. Marco, 2. Firenze. De Stefano dott. Giuseppe. Via Aschenz. Reggio Ca- labria. Demalque prof. off. Gustave. Rue de la Paix, 17. Liège. 90 Di Rovasenda cav. Luigi. Sciolze (Torino). Di Stefano dott. cav. Giovanni. R. Ufficio geologico. Roma. Dompè ing. Luigi. Contrada Porti, 604. Palazzo Col- leoni. Vicenza. Etna cav. Silvio , maggiore 5.0 regg.0 Alpini. Milano. Fabani don Carlo. Valle di Morbegno (Sondrio). F abrini dott. prof. Emilio. Castelfiorentino (Firenze). Fatichi cav. not. Nemesio. Via de’ Giraldi, 8. Firenze. ELENCO DEI SOCI IX 1896. Fedeli prof. Carlo. R. Università. Pisa. 1900. Filippi dott. Domenico. Camerino (Marche). 1899. Fino Carlo. Via Savona, 50. Milano. 1894. 100 Fino prof. Vincenzo. Via Arsenale, 33. Torino. 1897. Flores prof. Edoardo. R. Scuola normale femminile L. Bassi. Bologna. 1888. Foldi prof. cav. Giuseppe. Piazza Paleocapa, 2. Savona. 1901. Forma Ernesto. R. Museo geologico, Palazzo Carignano, Torino. 1881. Fornasini dott. cav. Carlo. Via Lame, 24. Bologna. 1892. Franchi ing. Secondo. R. Ufficio geologico. Roma. 1890. Franco prof. Pasquale. Corso Vittorio Emanuele, 386. Napoli. 1 888. Frumento ing. Giuseppe. Via Genova, 4. Savona. 1890. Fucini dott. Alberto. R. Museo geologico. Pisa. 1898. Galdieri dott. Agostino. Via Stella, 94. Napoli. 1891. 110 Galli prof. cav. don Ignazio, direttore dell’Osservatorio fisico-meteorologico. Velletri. Gemmellaro prof. comm. Gaetano Giorgio. Senatore del Regno. R. Università. Palermo. Giacomelli dott. Pietro. S. Giovanni Bianco (Bergamo). Gianotti dott. Giovanni. R. Scuola normale. Pavia. Gnocchi dott. Alessandro. R. Scuola normale fem. Vit- toria Colonna. Roma. Go^i ing. Giustiniano. Cesena. Greco dott Benedetto. R. Liceo. Trani. Hassert doct. Kurt. Universitat. Tiibingen (Germania). Issel prof. comm. Arturo. Via Gropallo, 3. Genova. Jervis prof. cav. Guglielmo. Via Principe Tommaso, 30. Torino. 1883. 120 Lais sac. prof. Giuseppe. Vicolo del Malpasso, 1 1. Roma. 1889. Lanino ing. comm. Giuseppe. Via Rizzoli, 4. Bologna. 1884. Lattes ing. comm. Oreste. Via Nazionale, 96. Roma. 1891. La Valle ing. prof. Giuseppe. R. Università. Messina. 1882. Levi bar. Adolfo Scander. Piazza d’ Azeglio, 7. Firenze. 1896. Levi dott. Gustavo. R. Scuola tecnica, elusone (Bergamo). 1881. Lotti ing. Bernardino. R. Ufficio geologico. Roma. 1896. Lupi don Alessandro. Via dell’Anima, 30. Roma. 1 895. Luf dott. march. Gian Francesco. S. Severino Marche (Macerata). Maglio dott Carlo. Piazza Borromeo, 4. Pavia. 1882. 1895. 1891. 1900. 1887. 1892. 1899. 1881. 1881. 1900. X ELENCO DEI SOCI 1882. 1 30 Malagoli prof. Mario. R. Ginnasio. S. Remo. 1 900. Mallet ing. Jacques. 8, Grande rue Mi-Carème. St. Etien- ne (Francia). 1899. Manasse dott. Ernesto. Museo mineralogico, R. Univer- sità. Pisa. 1899. Maravelli dott. Giuseppe. Cagli (Pesaro). 1895. Marengo ing. Paolo. Direttore miniere Boccheggiano (Grosseto). 1886. Mariani prof. Ernesto. Museo civico. Milano. 1900. Mariani dott. Giuditta. Viale stazione. Sondrio. 1899. Mariani dott. Mario. Camerino (Macerata). 1894. Marinelli prof. Olinto. R. Istituto tecnico. Ancona. 1900. Martelli dott. Alessandro. Vinci (Firenze). 1896. 140 Martone prof. Michele. R. Istituto tecnico. Messina. 1892. Matteucci prof. Vittorio. Museo geologico, R. Univer- sità. Napoli. 1881. Mappuoli ing. comm. Lucio. V ia S. Susanna, 9. Roma. 1881. Meli ing. prof. Romolo. Via del Teatro Valle, 51. Roma. 1883. Mercalli prof. sac. Giuseppe. R. Ficeo Vittorio Ema- nuele. Napoli. 1899. Merciai dott. Giuseppe. Via della Faggiola, 3. Pisa. 1890. Meschinelli dott. Luigi. Vicenza. 1895. Me\qena ing. Elvino. Miniera di Montevecchio, Guspini (Cagliari). 1897. Millosevich dott. Federico. R. Università. Roma. 1900. Monti dott. Achille. Via Carlo Sacelli, 2. Pavia. 1899. 1 5° Maidicolo ing. Attilio. Via Dimetto, io. Milano. 1895. Mor andini ing. Bernardino. Massa Marittima (Grosseto). 1895. Morena ing. Tobia. Cantiano (Pesaro). 1895. Moretti ing. Guido. Brembate di Sotto (Bergamo). 1889. Morini prof. Fausto. Orto botanico, R. Università. Bo- logna. 1887. Moschetti ing. Claudio. Ufficio d’Arte. Saluzzo. 1890. Naniias dott. Isacco. Museo geologico, R. Università. Modena. 1897. Nelli dott. Bindo. Via Fra Bartolomeo, 17. Firenze. 1883. Neviani prof. Antonio. R. Liceo E. Q. Visconti. Roma. 1881. Nicolis (De) ing. cav. Enrico. Corte Quaranta. Verona. 1888. 160 Novarese ing. Vittorio. R. Ufficio geologico. Roma. 1901. Olivetti Bonaiuto. Via Carlo Alberto, 33. Torino. 1881. Omboni prof. comm. Giovanni. R. Università. Padova. ELENCO DEI SOCI XI 1901. Pagani dott. Umberto. R. Scuola normale femminile. Cosenza (Calabria). 1899. Pampaioni dott. Luigi. Via delle Caldaie, 3. Firenze. 1881. Pantanelli prof. cav. Dante. R. Università. Modena. 1881. Parona prof. Carlo Fabrizio. R. Museo geologico. Pa- lazzo Carignano. Torino. 1899. Pasquali cav. Alfred. Cairo (Egitto). 1892. Patroni dott. Carlo. Via Sacramento a Foria, Palazzo Schisa. Napoli. 1881. Pellati ing. comm. Niccolò. R. Ispettorato delle Miniere. Via S. Susanna, 9. Roma. 1899. 170 Pelloux ten. Alberto. Comando corpo d’armata. Roma. 1893. Peola dott. prof. Paolo. R. Liceo. Aosta. 1891. Platania-Platania dott. prof. Gaetano. R. Liceo. Acireale. 1899. Pompei ing. Augusto. R. Uff. minerario. Carrara. 1895. Porro ing. Cesare. Piazza Castello, 24. Milano. 1 898. Portis prof. comm. Alessandro. Museo geologico, R. Uni- versità. Roma. 1883. Ragnini cav. dott. Romolo. Capitano medico. Via Meru- lana, 130. Roma. 1899. Reichenbach ing. Arno. Scafa di S. Valentino (Chieti). 1900. Repossi dott. Emilio. Via Pindemonte, 1. Milano. 1901. Ricci dott. Arnaldo. Siena. 1896.180 Ricciardelli dott. Mario. Sansevero (Foggia). 1886. Ricciardi prof. Leonardo. R. Istituto tecnico. Palermo. 1894. Ridoni ing. Ercole. Miniera di Montecatini in Val di Cecina. 1885. Ristori dott. prof. Giuseppe. R. Museo paleontologico. Piazza S. Marco. Firenze. 1892. Riva dott. Carlo. Corso Magenta, 52. Milano. 1883. Riva Palaci tenente generale Giovanni , comandante la divisione. Ravenna. 1898. Roccaii dott. Alessandro. R. Museo mineralogico. Pa- lazzo Carignano. Torino. 1890. Roncalli dott. conte Alessandro. Bergamo (alta Città). 1893. Rossi dott. Guido. Via del Colosseo, 29. Roma. 1892. Rovereto march. Gaetano. Via S. Bartolomeo degli Ar- meni. 11 Genova. 1892. 190 Rusconi sac. Giuseppe. Valmadrera (Como). 1885. Sacco prof .Federico. R. Scuola d’applicazione per gl’in- gegneri. Torino. XII ELENCO DEI SOCI t 88 1 . Salmoj vaghi ing. prof. Francesco. Piazza Castello, 17. Milano. 1895. Salomon doct. Wilhelm. Seegartenstrasse 4. Heidelberg (Baden). 1898. Samengo avv. Frane. Saverio. Lungro (Cosenza). 1890. Scacchi ing. prof. Eugenio. Via Costantinopoli, 19. Na- poli. 1881. Scarabelli Gommi Flamini conte comm. Giuseppe. Se- natore del Regno. Imola. 1898. Schaffer doct. Fran 7. Rasumofskygasse n. 7. Vienna III 2 (Austria). 1885. Schneider ing. Aroldo. Montecatini in Val di Cecina. 1895. Scott Herbert. Usina Wigg. Miguel Burnier. Minas. Brasile. 1881.200 Segrè ing. Claudio. Direzione ferrovie meridionali. An- cona. 1900. Seguen^a Luigi fu Giuseppe. Messina. 1894. Sella ing. Erminio. Biella. 1899. Serafini ing. cav. Giuseppe. Scheggia (Perugia). 1883. Simonelli dott. prof. Vittorio. Museo geologico, R. Uni- versità. Parma. 1881. Simoni dott. Luigi. Via Cavaliera, 9. Bologna. 1901. Small prof. James, direttore del Victoria College. Jatfna (Ceylan). 1882. Sorniani ing cav. Claudio. R. Ufficio geologico. Roma. 1882. Spefa prof. cav. Giorgio. R. Museo mineralogico. Pa- lazzo Carignano. Torino. 1896. Spirek ing. Vincenzo. Santa Fiora per il Siele (Grosseto). 1882.210 Statuti ing. cav. Augusto. Via Nazionale, 1 14. Roma. 1891. Stella ing. Augusto. R. Ufficio geologico. Roma. 1882. Slriiver prof. comm. Giovanni. R. Università. Roma. 1898. Tacconi dott. Emilio. Museo geologico, R. Università. Pavia. 1899. Taeggi-Piscicelli conte Carlo. Via Pier Capponi, 15. Firenze. 1896. Tagiuri dott. Clemente Corrado. Via Roma, 34. Livorno. 1881. Taramelli prof. cav. Torquato. R. Università. Pavia. 1891. Tascliero dott. Federico. Mondovì. 1883. Tellini dott. prof. Achille. R. Istituto tecnico. Udine. 1881. Tenore ing. prof. Gaetano. Via S. Gregorio Armeno, 41. Napoli. ELENCO DELLE SOCIETÀ, ISTITUTI, BIBLIOTECHE, ECC. XIII 1881.220 Tittoni avv. comm. Tommaso. Via Rasella, 155. Roma. 1889. Toldo dott. prof. Giovanni. R. Liceo. Fermo. 1881. Tommasi prof. Annibaie. R. Università. Pavia. 1898. Tonini dott. Lorenzo. Seravezza (Lucca). 1883. Toso ing. Pietro. Via de’ Serragli, 13. Firenze. 1890. Trabucco prof. Giacomo. R. Istituto tecnico Galileo Galilei. Firenze. 1900. Traverso dott. Gianbattista. R. Orto botanico. Pavia. 1901. Trentanove dott. Giorgio Alessandro. Lugo in Mugello (Firenze). 1882. Tuccimei prof. cav. Giuseppe. Via dei Prefetti, 46. Roma. 1896. Ugolini dott. Pietro Riccardo. Museo geologico, R. Uni- versità. Pisa. 1893. 23° Ugelli Guido. Piazza d’ Azeglio, 26. Firenze. 1881. Ugelli prof. Gustavo. Via Ricasoli, 23. Firenze. 1899. Vergè ing. Alessandro. Tocco Casauria (Chieti). 1882. Verri colonnello cav. Antonio. Via Aureliana, 53. Roma. 1898. Viglino ing. Alberto. Stabilimento elettro-meccanico S. Anna alle Paludi. Napoli. 1893. Vinassa de Regny dott. Paolo Eugenio. Museo geolo- gico, R. Università. Bologna. 1882. Virgilio dott. prof. Francesco. R. Museo geologico. Pa- lazzo Carignano. Torino. 1883. Zaccagna ing. cav. Domenico. R. Ufficio geologico. Roma 1881.238 Ze\i ing. cav. Pietro. R. Ufficio geologico. Roma. Elenco delle Società, Istituti, Biblioteche, ecc. elle ricevono il Bollettino in cambio. Italia. Catania. — Accademia (R.) Gioenia di sciente, lettere, ecc. Firenze. — Società di studii geografici e coloniali. Roma. — Accademia ( R .) dei Lincei. » — Comitato (R.) geologico. >; — Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. » — Società geografica italiana. » — Società Ingegneri ed Architetti. XIV ELENCO DELLE SOCIETÀ, ISTITUTI, BIBLIOTECHE, ECC. Austria-Ungheria. Budapest. — Royal lnstitut gèologique de Hongrie. Cracovia. — Acadèmie des Sciences. Locse. — Maggyarorsggi Karpategyesulet. Wien. — K. k. geologische Reiclisanstalt. » — K. k. Natur historisches Hofmuseum. Belgio. Bruxelles. — Société Royale malacologique de Belgique. » — Société Belge de Géologie, de Paléontologie et d’Hydrologie. Liège — Société gèologique de Belgique. Francia. Bordeaux. — Société Linnéenne. Paris. — Association francaise pour V avancement des Sciences. » — Société de Spéléologie. » — Société gèologique de France. Germania. Berlin. — Deutsche geologische Gesellschaft. » — K. k. geologischen Landesanstalt und Berg- akademie. Bonn am Rhein. — Natur historischen Verein d. preuss. Rhein- l alide und Westfalens. Freiburg (Baden). — Natur forschende Gesellschaft. Gran Bretagna. Dublino (Irlanda). — Royal Dublin Society. Edinbourgh. — Geological Society. London. — Geological Society. Portogallo. Lisbona. — Direction des Travaux géologiques. Rumenia. Bukarest. — Bureau gèologique roumain. ELENCO DELLE SOCIETÀ, ISTITUTI, BIBLIOTECHE, ECC. XV Russia. Helsingfors. — Bulletin de la Commission géolo- gique de Finlande. Novo-Alexandria (Lublin). — Annuaire géologique et minèra- logìque de la Russie. St. Pétersbourg. — Comité géologique. » — Société Impériale minéralogique. » — Société des naturalistes. Svezia e Norvegia. Stockolm. — Geologiska Foreningens i Stockolm Fòrhanlingar. Upsala. — Université Royale. Africa. Cape Town. — Geological Commission. Depar tement of Agri- colture Cape of Good Hope. America. Buenos-Avres (Rep. Argentina). — Instituto geogràfico argentino. La Piata (id.). — Museo de la Piata. Baltimore (Maryland). — Geological Survejr. Messico. — Instituto geològico de Mèxico. Montevideo (Uraguay). — Museo Nacional de Montevideo. Montréal (Canadà). — Contributions to Canadian Palaeontology. Parà (Brasile). — Museu Paraense de Histoira Naturai et Ethno- graphia. Rochester (New-York). — Geological Society of America. Washington (U. S. A.). — Geological Society. » » — United States geological Survey. Wisconsin (U. S. A.). — University of Wisconsin. Asia. Calcutta. — Geological Society of India. Australia. Melbourne. — Geological Society of Australasian. » — Institute of mining Engineers of Australasian. Sydney. — Geological Survey of New South Wales. . ' . . RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE tenuta in Roma il 17 febbraio 11)01 Presidenza : Paroma. La seduta è aperta ad ore 10 nella sala della Biblioteca del R. Ufficio Geologico, gentilmente concessa. Souo presenti : il presidente Parona ; i consiglieri Baldacci, Meli e Zezi; il tesoriere Statuti; l’archivista Neviani; i soci Aichino, Angelelli, Bettoni, Checchia, Crema, De Angelis d’Ossat, Demarchi, Di Stefano, Franchi, Gnocchi, Lattes, Lotti, Mattirolo, Mazzuoli, Millosevich, Novarese, Pellati. Pelloux, Portis, Stella, Verri, Zaccagna e il segretario Clerici. Scusano la loro assenza : il vice-presidente Capellini ; i con- siglieri Cacci am a li. De Lorenzo, De Stefani, Di Rovasenda, Issel, Matteucci, Mariani; i soci Anselmo, Bassani, Bonarelli, Canayari, Forma, Sacco, Scarabelli. Il presidente Parona, al suo primo presentarsi ai soci, li ringrazia dell’onore fattogli col chiamarlo all’importante ufficio, al quale dedicherà il suo buon volere, affinchè tutto proceda nel miglior modo e si mantenga intatta l’alta riputazione che gode la Società. Egli crede suo dovere di esprimere un sentimento, che di certo è condiviso da tutti i colleglli, di riconoscenza per l’opera efficacissima prestata a vantaggio della Società dal comm. Pellati durante l’anno di sua presidenza. Ma il grato ricordo del presidente Pellati si collega con quello del prof. Ne- viani, solerte segretario, cessato di carica colla fine del 1900. 1 soci negli ultimi quattro anni hanno potuto apprezzare l’opera ii XVIII RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE sua benemerita ed il Presidente ritiene che mancherebbe al suo dovere se in questa occasione non si facesse interprete del loro pensiero e non ringraziasse il collega Nevtani del tempo e delle fatiche spese con tanto profitto del nostro Sodalizio. Il Presidente vorrebbe poter comunicare soltanto delle notizie liete; invece deve lamentare la perdita di due soci, l’ing. Al- berto Roux ed il sig. Andrea Balestra. Alberto Roux, laureatosi con onore nella r. Scuola degli Ingegneri di Torino nel 1898, per la sua spiccata inclina- zione agli studi di litologia venne tosto assunto come assi- stente presso il gabinetto di Geologia della Scuola stessa. Allo scopo di perfezionarsi negli studi prediletti, ottenne di recarsi per qualche tempo ad Heidelberg, dove seguì i corsi di Rosen- busch e di Salomon, frequentandone assiduamente i laboratori. Nella primavera del 1900 egli prese parte con vivo interesse alla bella escursione nelle Eolie, organizzata dalla nostra Società, ed i colleglli ebbero allora occasione di apprezzare la serietà del suo carattere e l’animo mite. Certo molto poteva attendere la scienza dall’eletto ingegno dell’ing. Roux; ma pur troppo ingegno e buona volontà si infransero contro l’avverso destino, che lo condusse innanzi tempo alla tomba. Andrea Balestra di Bassano studiò la stessa contrada, che fu già campo di ricerche per altri due nostri compianti soci, il senatore Andrea Secco ed il prof. A. Rossi, coi quali divise anche la sorte di morire ancor giovane, a soli 49 anni, fra il cordoglio di quanti ebbero modo di apprezzare le sue elette doti di mente e la sua operosità dedicata alla famiglia, alla profes- sione ed alla scienza. Da pochi anni egli si era dedicato alla Geologia, ed il suo studio sullo sviluppo dell’antico ghiacciaio del Brenta, le sue contribuzioni ai terreni terziari e cretacei del bassanese, nonché le collezioni di fossili da lui adunate dimo- strano quanto la. geologia della sua terra poteva aspettarsi da un raccoglitore così appassionato, da questo intelligente, volontario cultore della nostra scienza. Si danno per letti i verbali delle adunanze tenute in Acqui nel settèmbre 1900 e pubblicati nel 8° fascicolo, voi. XIX del TENUTA IN ROMA IL 17 FEBBRAIO 1901 XIX Bollettino e, non essendovi osservazioni, il Presidente li dichiara approvati. Il socio Pellati fa sapere come in seguito alla nomina di S. A. R. il Duca degli Abbruzzi a socio onorario, fece ripro- durre su pergamena lo stesso disegno che adorna i nostri di- plomi e rilegare in modo decoroso i volumi del Bollettino. Otte- nuta udienza da S. A. R., in occasione della sua venuta in Roma, egli procedette, in unione ai colleglli Neviani e Statuti, alla consegna del diploma e delle nostre pubblicazioni. È ora lieto di potere riferire all’assemblea le parole di gradimento e le lusinghiere espressioni di S. A. R. verso la Società Geologica nonché l’interessamento di Lui ai nostri studi. Quindi si intrattiene a parlare dello splendido successo con- seguito dalla mostra geologica italiana alla Esposizione univer- sale di Parigi, e conclude formulando il seguente ordine del giorno : « La Società Geologica, lieta del successo ottenuto all’Espo- sizione universale del 1900 in Parigi dalla mostra fatta sotto i suoi auspici colla collaborazione di diversi benemeriti suoi membri ed aderenti, anche con materiali cortesemente concessi da collezioni pubbliche e private, persuasa di dovere la massima ricompensa conseguita (Gran Premio) al concorso dei detti soci ed aderenti, per ciascuno dei quali la Giuria internazionale si pronunciò nel modo più lusinghiero, incarica la sua Presidenza di trasmettere ad essi ed ai direttori e proprietari delle colle- zioni suddette i sensi della sua più viva riconoscenza ». L’assemblea approva. Il Segretario svolge il programma della progettata escur- sione sociale a Tivoli per l’indomani. I monti di Tivoli formano l’ultima propaggine, verso il Tir- reno, dell’Apennino e sono costituiti, in massima parte, da ter- reni secondari disposti con tettonica complicata con strati con- torti, ripiegati e spesso rovesciati. La gita si comporrà di due parti : 1. Visita alle grandiose cave di travertino del Barco ed al lago della Regina, sorgente delle rinomate Acque Albule. XX RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE 2. Visita alla Villa Gregoriana ed ai cunicoli dell’Aniene: formazione travertinosa e passaggio dal neocomiano della Ca- scata al titonico del M. Catillo — quindi osservazioni lungo la rotabile di Quintiliolo. La strada corre ai piedi delle propag- gini sud-ovest del M. Piano e del M. Sterpare, passando dap- prima in uno stretto lembo di neocomiano, quindi su calcari marnosi grigi e giallognoli del Colle S. Antonio. Presso S. An- tonio si possono raccogliere fossili caratteristici del lias medio. Altre località fossilifere sono al Colle Rampino e sotto M. Cucco e si possono raggiungere prendendo la mulattiera die dal Ca- sale S. Angelo si dirige verso nord, lungo la quale affiorano anche le marne scistose rosse del lias superiore. Coloro che prendono parte a tutta l’escursione debbono tro- varsi alle 7.15 alla stazione ferroviaria; quelli invece che pre- feriscono la sola seconda parte, si troveranno alle 10.15 ai Bagni per proseguire, unitamente agli altri, per Tivoli col tram. Come appendice, si potranno visitare gli stabilimenti indu- striali ed in particolare rofticina generatrice dell’energia elet- trica per l’illuminazione e trazione delle tramvie in Roma, e a questo proposito il Segretario fa sapere che il socio Demarchi si è in particolar modo interessato di ottenere i permessi per l’ac- cesso alla cava del Barco ed alle varie officine, ed a lui perciò i colleghi devono uno speciale ringraziamento. Il Presidente informa l’assemblea delle dimissioni da socio presentate dal prof. Cesare D’Ancona, delle quali si prende atto. Quindi comunica che nell’adunanza di Consiglio tenuta il 16, furono nominati vice-segretari pel 1901 i soci G. Bonarelli e C. Crema. Nella primavera di questo anno avrà luogo in Milano il IV Congresso Geografico Italiano. La Società vi aderisce, facen- dosi rappresentare dal suo presidente e dai soci Issel, Ernesto Mariani e Taramelli. Il Consiglio ha pure deliberato di pubblicare nel venturo anno le interessanti tabelle statistiche sull’incremento della no- stra Società compilate dal socio Pantanelli, nonché gli indici dei volumi XI-XX del Bollettino già in parte preparati dal socio TENUTA IN ROMA IL 17 FEBBRAIO 1901 XXI Neviani ; tabelle ed indici che figurarono alla Esposizione di Parigi. Il Consiglio ha accolto favorevolmente le seguenti proposte di cambio delle pubblicazioni : 1° Società di studi geografici e coloniali a Firenze. 2° Association frangaise pour l’avancement des Sciences a Parigi. 3° Bulletin de la Commission géologique de Finlande a Hel- singfors. L’assemblea approva. Il Presidente rammenta che col 31 marzo prossimo si chiude il concorso al premio Molon bandito nell’adunanza di Lagone- gro ('), e che il Consiglio ha delegato al Presidente la nomina della Commissione giudicatrice, da farsi a concorso chiuso. Frat- tanto fa sapere che finora si è presentato un solo concorrente. Poscia presenta il programma inviato dalla E. Accademia delle scienze di Torino per il XIII premio Bressa, di L. 9600, destinato a quello scienziato di qualunque nazionalità che du- rante il quadriennio 1899-1902 « avrà fatto la più insigne ed utile scoperta, o prodotto l’opera più celebre in fatto di scienze teoriche e sperimentali, storia naturale, matematiche pure ed ap- plicate, chimica, fisiologia e patologia, non escluse la geologia, la storia, la geografia e la statistica ». Il Segretario legge una lettera pervenuta da pochi minuti alla Presidenza, colla quale il socio Portis, nella qualità di collaboratore dell’ufficio internazionale pel Catalogo della lette- ratura scientifica, con sede a Londra, invita i cultori delle scienze geologiche e paleontologiche a fornirgli notizia e dati biblio- grafici dei loro lavori stampati dal 1° gennaio 1901 in poi. Il Presidente fa sapere che il socio Sacco si è rivolto alla Presidenza perchè la Società si faccia iniziatrice di un secondo volume della Bìbliog rapide géologique et paléontologique de VI- (') Vedasi Bollettino, Voi. XVII (1898), pag. cxvii. XXII RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE talie comprendente il periodo 1881-1900 ed il supplemento al 1° volume. Il Consiglio ha accolto favorevolmente la proposta di mas- sima, riservandosi di spiegare attivamente l’opera sua quando il socio Sacco, d’accordo col Consiglio, abbia formulato un pro- getto concreto di collaborazione e specialmente sia assicurato, per la parte finanziaria, un largo appoggio di associati e di oblatori. L’assemblea ne prende atto. Il Segretario legge le proposte di ammissione di nuovi soci: 1° Dott. Giorgio Alessandro Trentanove, a Lugo in Mu- gello (Firenze), proposto dai soci De Stefani e Ristori. 2° Dott. Arnaldo Ricci, a Siena, proposto dai soci De Ste- fani e Ristori. 3° Can. Enrico de Dorlodot, a Louvain (Belgio), proposto dai soci Crema e Franchi. 4° Dott. Umberto Pagani, a Cosenza, proposto dai soci For- nasini e Neviani. 5° Cav. Etna Silvio, maggiore del 5° r. Alpini, a Milano, proposto dai soci De Alessandri e Parona. 6° Prof. James Small, direttore del Victoria College a Jaffna, (Ceylan), proposto dai soci Jervis e Neviani. L’assemblea approva ad unanimità. Il Tesoriere presenta i bilanci consuntivi per l’anno 1900 e preventivi pel 1901, della Società e dell’Amministrazione del premio Molon, e ne riassume i risultati come appresso: Bilancio consuntivo della Società. Anno 1900. Entrate dal 1° gennaio al 31 dicembre 1900 L. 5 871,26 Spese » » » 5 149,23 Eccedenza entrate L. 722,03 Cassa al 1° gennaio 1900 » 4 820,52 Eccedenza attiva al 1° gennaio 1901 L. 5 542,55 TENUTA IN ROMA IL 17 FEBBRAIO 1901 XXIII Bilancio consuntivo dell’Amministrazione del legato Molon. Anno 1900. Entrate dal 1° gennaio al 31 dicembre 1900 L. 680 — Spese » » » » » 32 — Eccedenza entrate L. 648 — Cassa al 1° gennaio 1900 » 1 054,77 Eccedenza attiva al 1° gennaio 1901 L. 1 702,77 Bilancio preventivo della Società. Anno 1901. Entrate. 1. Tasse sociali . . . L. 2 900 — 2. Interessi legato Mo- lon » 340 — 3. Interessi diversi. . » 684 — • 4. Vendita bollettini . » 150 — Totale entrate L. 4 074 — Spese. 1. Stampa del Bollet- tino L. 2 600 — 2. Contribuzione per tavole ed altre il- lustrazioni . . . » 500 — 3. Spese del Presi- dente » 50 — 4. Spese d’ufficio. Se- gretario e Teso- riere » 250 — 5. Spese di cancelleria, circolari ecc. . . » 80 — 6. Tassa di manomorta » 27,52 7. Rimborso spese di viaggi al Segreta- rio e Tesoriere . » 200 — 8. Per aiuti al Segre- tario e Tesoriere. » 130 — 9. Spese diverse even- tuali » 236,48 Totale spese L. 4 074 — Bilancio preventivo dell’ Amministrazione del Entrate. 1. Cassa al 1° gen- naio 1901. . . . L. 1702,77 2. Interessi del legato Molon » 680 — legato Molon. Anno 1901. Spese. 1. Tassa di manomorta. L. 32 — 2. Residuo attivo al 31 dicembre 1901. » 2 350,77 Totale L. 2 382,77 Totale L. 2 382,77 XXIV RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE I bilanci preventivi vengono, senza discussione, approvati ad unanimità. I bilanci consuntivi e gli annessi documenti giustificatavi saranno tenuti a disposione della Commissione pel Bilancio, la cui relazione verrà discussa nell’adunanza generale estiva. Si procede quindi alla votazione per la elezione dei tre Com- missari del bilancio. Mentre gli scrutatori Bettoni e Checchia procedono allo spo- glio delle schede, il Segretario legge l’elenco degli omaggi per- venuti alla Società dal 16 settembre 1900 al 16 febbraio 1901: Associazione mineraria sarda.: Resoconti delle riunioni. Anno V, Iglesias 1900. Bargagli P., Un nuovo lavoro del socio sig. Herbert Goss « Di alcuni insetti scoperti recentemente in roccie carbonifere e siluriane». Boll. Soc. Entom. It. Anno XVIII. Firenze 1886. Bergeat A., Die àolischen Diseln ( Stromboli , Panaria, Salina, Lipari , Vulcano, Filicudi und Alicudi), mit 24 Taf. u. Textfig. Abliancll. d. k. bayer. Akad. d. Wiss. II CI., XX Bd., I Abtli., Miinchen, 1899. — Mineralogische Mittlieilungen iìber den Stromboli; mit 2 Taf., Neuen Jahrbuch f. Mineralog. etc. 1897, Bd. II. Bettoni A., Fossili domeriani della provincia di Brescia, con 9 tavole. Mém. d. 1. Soc. Paléont. Suisse, voi. XXVII (19001. Bombicci L., Le frane sui monti. « Gazz. dell’Emilia », n. 364 e 366, 1896; n. 3, 1897. — I recenti e preziosi regali fatti al Museo universitario di Minera- logia di Bologna. «Il resto del Carlino», n. 106. Bologna 1897. — Le interessanti anomalie (disshnmetrie e spostamenti) dei mirabili cri- stalli di solfo nativo della miniera di Cà Bernardi; Confronto colle anomalie e contorsioni elicoidi del Quarzo di Porretta; La ipotesi del prof. G. Tschermalc sulle curvature delle lastre paraboloidi ; Obiezioni a questa ipotesi. Diversa spiegazione proposta per le sud- dette curvature. Mem. R. Acc. Scienze d. Ist. di Bologna. Ser. V, Tomo VII, 1898. — LI pensiero e il lavoro scientifico di Paolo Gorini da Lodi, in «discorsi commem. per rinaugur. del monum. eretto in Lodi ». Lodi 1899. — Sulla formazione della grandine e sulla pratica degli spari per di- minuire i danni recati da essa all’agricoltura. Annali Soc. Agraria di Bologna, 1899. — Nuove considerazioni sulla probabilità che talune anomalie di forma, nei cristalli dipendano da durevoli movimenti negli spazi natural- mente cristalligeni. Mem. R. Acc. d. Se. dell’Ist. di Bologna, Ser. V, Tomo VII, 1899. TENUTA JN ROMA IL 17 FEBIJR AIO 1901 XXV Bomiugci L., Sulla Cubosilicite e sulla sua posizione tassonomica nella serie delle varietà di silice anidra ed idrata. Id. Tomo Vili, 1899. — Intorno agli spari contro la grandine. Boll. Soc. Agricoltori It. Anno V, n. 10-12. Roma 1900. — Sopra una nuova contorsione arcuata di speciali allineamenti nei cristalli dì quarzo. Meni. R. Acc. Se. Ist. Bologna. Ser. V, Tomo Vili, 1900. — Peptica a due obbiezioni sulla cristallizzazione cubiforme della silice nella cubosilicite. Id., Tomo Vili, 1900. — Sulle cave di Alabastrite onice di Castelnuovo dell’Abate (Monte Amiata) prov. di Siena (Toscana). Livorno 1900. — - Secondo rapporto geologico relativo alle cave d’ Alabastrite di Castel- nuovo dell’Abate nella causa Miller-Piccini contro Donegani, s. 1. n. a. — Indice delle pubblicazioni del prof. Luigi Bombicci dal 1858 al 1900. Bologna 1900. — La formazione della grandine dovuta o moti rotatori ? « L'elettricista ». Milano 1901. Conte di Valmarana: Grande fotografia (con cornice) di uno splendido esemplare di Lantanites Maximiliani, del Vicentino. Dei. Prato A., Balena fossile del Piacentino , con una fig. e tav. Rivista ital. di Paleontologia, Anno VI, Bologna 1900. Levat D., Le cliemin de fer de la Guyane frangaise. Paris 1901. Matteucci R. V., Nuove osservazioni sull’attuale fase eruttiva del Ve- suvio (nov. 1891-lug. 1894). Boll. mens. Soc. Meteorolog. It., ser. II, voi. XII, n. 10. Torino 1892. — Due parole su l’attuale dinamica del Vesuvio (1893). Id. v. XIV, n. 1. Torino 1894. — La fine dell’ eruzione Vesuviana (1891-1894). Id. v. XIV, n. 3. To- rino 1894. — Le rocce porfiriche dell’Isola d’ Elba. Porfido granitico. Atti Soc. Tose. Se. nat. ; meni. voi. XIV. Pisa 1894. — Bibliogra/ìa scientifica delle prov. di Ancona , Pesar o-Urbino e limi- trofe. Geologia e scienze affini. Napoli 1894. — Bussóla-clinometro a sospensione cardanica da geologo. Atti R. Ist. d’incoraggiamento di Napoli, ser. 4a, voi. VII, n. 6, 1894. — Alcune escursioni geologiche nei granducati di Baden e Ilessen e nei regni di Baviera e Wurttemberg. Giorn. di min. crist. e petrogr., fase. 4, voi. V. Pavia 1894. — Die vulcanisclie ThutigTceit des Vesuvs wàhrend des Jalires 1894. Tschermak’s min. u. petr. Mitth. XV. Wien 1895. — Ber Vesuv und sein letzter Ausbruch von 1891-1894. Id. 1895. — Ueber die Eruption des Vesuv am 3 Juli 1895. Zeitseh. d. Deutsch. geol. Gesell. J. 1895. — Come dovrebbe essere studiato il Vesuvio. Napoli 1897. XXVI RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE Matteucci R. V., L'apparato dinamico dell’eruzione vesuviana del 3 luglio 1895. Rend. R. Acc. se. fis. mat. di Napoli, fase. 4°, 1897. — Il selenio nei prodotti delle fumarole dell’eruzione vesuviana del 3 lu- glio 1895. Id. fase. 4°, 1897. — Iodio e Bromo nei prodotti delle fumarole dell'eruzione vesuviana del 1895. Id. fase. 7°, 1897. — Sul bicarbonato sodico prodottosi sulle lave dell’eruzione vesuviana principiata il 3 luglio 1895. Id. fase. 11, 1897. — Sul sollevamento endogeno di una cupola lavica al Vesuvio. Id. fase. 6-7, 1898. — Sull'incremento dell'attività presentata dal Vesuvio nei mesi di aprile- maggio 1898. Id. fase. 6, 1898. — Fisica delle lave fluenti. Cenno sull’arresto artificiale della cristalliz- zazione della massa fondamentale. Id. fase. 6-7, 1898. — Cenno sulle attuali manifestazioni del Vesuvio. Id. fase. 6-7, 1899. — Stillo stato attuale del Vesuvio (3 luglio 1899) e sul sollevamento endo- geno della nuova cupola lavica (avvenuto nei mesi di febbraio-marzo 1898). Boll. d. Soe. Sismolog. It. Voi. V, n. 2. Modena 1899. — Le rocce porfiriche dell’Isola d’Elba. Aplite Porfirica. Atti soc. tose. se. nat., mem. v. XVI. Pisa 1897. — Sulla attività dei vulcani Vesuvio, Etna, Vulcano, Stromboli e San- torino nell’autunno 1898. Id. voi. V, 1899. — La comparsa di fiamme nel cratere Vesuviano. Rend. R. Acc. Lincei,. voi. VII, ser. 5a, f. 11, 1898. — Su fenomeni magmastatici verificatisi nei mesi di luglio-agosto 1899 al Vesuvio. Id. voi. Vili, f. 6, 1899. — Sulla causa verosimile che determinò la cessazione della fase effusiva cominciata il 3 luglio 1895 al Vesuvio. Id. f. 11, 1899. — Sur les particularités de l’eruption du Vésuve. C. R. Acc. Se., CXXIXr 1899. — Sur Vétat actuel des volcans de VEurope meridionale. Id. — Sur la production simultanee de deux sels azotés clans le cratère du Vésuve. Id. CXXXI, 1900. — Salmialc vom Vesuvlcrater, einem neuen Fundorte. Centralbl. f. Min. Geol. u. Pai. Stuttgart 1891. — Silberfidirender Bleiglanz von Monte Somma. Id. 1901. — Las Vorkommen des Breislalcits bei der Vesuveruption von 1895-1899. Id. 1901. Sacco F., Essai clune classification generale cles Boches. Bull. d. Soc. Belge de Géol. XIV, 1900. Seguenza L. fu G., Schizzo geologico del Promontorio di Castelluccio presso Taormina. Messina 1900. Vinassa de Regny P. E., Iiadiolari miocenici italiani. R. Accad. Se. Istit. Bologna, Ser. V, T. Vili, 1900. TENUTA IN ROMA IL 17 FEBBRAIO 1001 XXVII Compiutosi lo spoglio delle schede il Presidente proclama il risultato della votazione. Votanti 25. Eletti i soci: Antonio Verri con 22 voti. Mario Cermenati con 13 voti. Giovanni Aichino con 12 voti. Dovendosi ora procedere alla scelta della sede per radu- nanza generale estiva, il Presidente propone la città di Brescia i cui dintorni sono interessantissimi dal punto di vista geolo- gico. I Soci Cacciamali e Bettoni si sono già attivamente oc- cupati a preparare un’ attraente programma e ci assicurano che l’Ateneo di Brescia, la Provincia e la cittadinanza accoglie- rebbero con grande piacere la nostra visita e si adoprerebbero per la migliore riuscita del nostro Congresso. L’assemblea approva ad unanimità. Il Segretario legge l’elenco delle Memorie e note presentate per la stampa nel Bollettino. Verri A. e De Angelis G., Terzo contributo allo studio del miocene nell’Umbria (13 dicembre 1900). Portis A., Il Procyclanorbis sardus Pori, nuovo Trionichide fossile della Sardegna (20 dicembre 1900). Cacciamali G. B., Studio geologico della regione montuosa Pa- losso- Conche a Nord di Brescia (3 gennaio 1901). Trabucco G., Fossili, stratigrafia ed età della creta superiore del bacino di Firenze (10 gennaio 1901). Bonarelli G., Alcune questioni di nomenclatura paleontologica (11 gennaio 1901). Porn asini C., Le Bulimine e le Cassiduline fossili d’Italia (14 gennaio 1901). Boccati A., Ricerche mineralogiche sulla sabbia della grotta del Bandito in vai del Gesso (Cuneo) (24 gennaio 1901). Crecchia G., Nuove osservazioni sulla fauna triasica della punta delle Pietre Nere presso il lago di Lesina (31 gennaio 1901). XXVIII RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE Bonarelli Gr., Miscellanea di note geologiche e paleontologiche (13 febbraio 1901). Colomba L., Sopra alcune lave alterate di Vulcancllo (13 feb- braio 1901). 11 Segretario presenta alcune belle vedute, in eliotipia, rap- presentanti grandiose esplosioni del Vesuvio, fotografate il 13 maggio 1900 dal socio Matte ucci, a breve distanza dall’orlo craterico, la casetta delle guide devastata dai proiettili, ed una colossale bomba del peso approssimativo di 300 quintali lanciata nel periodo esplosivo dell’ aprile-maggio dell’ anno scorso. Tali vedute sono state inviate dal socio Matteucci, che le mette a disposizione dei colleglli. Il Segretario Clerici coglie questa occasione per rammen- tare ai colleglli che il socio Matteucci non è ancora compieta- niente guarito dall’accidente toccatogli, per così dire, sul campo di battaglia, il 13 maggio al Vesuvio, mentre studiava da vi- cino il cratere in fortissima attività esplosiva, e che per poco non gli costò la vita : propone, che la Società invii al dott. Mat- teucci una lettera, o meglio un telegramma, con l’augurio di una pronta guarigione. La proposta, messa in votazione dal Presidente, è approvata ad unanimità (‘). Il socio Stella legge una sua Nota intitolata: Lo studio geognostico-agrario del suolo italiano e le carte agronomiche (5). Terminata la lettura, ascoltata con grande interesse, il socio Aichino dice che la Società non dovrebbe limitarsi all’inserzione nel Bollettino della Nota del socio Stella, ma rendersi inizia- trice di una discussione sull’importante argomento delle carte agronomiche, delle quali si parla spesso anche da cultori di altre discipline. Egli propone perciò che una tale discussione ( 1 ) Il testo del telegramma fu redatto come segue: «Società Geo- logica dispiacente che Ella non possa ancora riprendere coraggiose, in- teressanti, dotte investigazioni nostro Vesuvio, a lei forse dopo scam- pato pericolo, disposto svelare segreti, fa affettuosi augurii pronta gua- rigione. (8) Pubblicata per intero nel presente fascicolo a pag. 111. TENUTA IN ROMA IL 17 FEBBRAIO 1901 XXIX venga posta all’ordine del giorno per la prossima adunanza ge- nerale. L’assemblea approva. Il socio Portis riassume un suo studio (’) sopra un resto cefalico di pitonide rinvenuto dal prof. Lovisato nel calcare argilloso elveziano del Monte Albu in Sardegna, e mostra l’esem- plare stesso. Il socio Clerici fa una comunicazione sulla inondazione del Tevere del dicembre 1900 e presenta fossili marini e campioni di sabbie raccolti in località innondate (2). Quindi riassume le sue osservazioni fatte in occasione dei lavori per la perforazione del colle Quirinale (3). Il socio Meli fa una comunicazione sulle rudiste e chamacèe del M. Affilano (4) volgendo invito al prof. Parona o a qualche collega di volersi accingere allo studio di quella importante fauna, al quale scopo offrirebbe in comunicazione copioso ma- teriale. 11 presidente Parona ringrazia il collega Meli della sua cortese offerta ed accenna alla convenienza che detti fossili vengano studiati dal collega Di Stefano il quale anche per gli studi suoi sulle faune del cretaceo si è reso cosi benemerito della geologia italiana. Il presidente Parona fa una communicazione intitolata: la Donax sulcata Brocchi non è un fossile pliocenico (3). Quindi riassume una comunicazione del socio Virgilio rela- tiva al rinvenimento di una interessante forma di Ostrea nel cretaceo della prov. di Bari (6). Essendo esaurito l’ordine del giorno, il Presidente, alle ore 12, toglie la seduta. Il Segretario Enrico Clerici. (') Sarà pubblicato in altro fascicolo del Bollettino. (2) Vedasi a pag\ 131. (3) Vedasi a pag. xxxii. (:) Vedasi a pag. 149. (5) Vedasi a pag. xxx. (6) Vedasi a pag. xxxi. XXX APPENDICE. I. LA DONAX SULCATA Br. NON È UN FOSSILE PLIOCENICO Comunicazione del prof. C. F. Parona Avendo avuto occasione di esaminare il fossile col quale 0. Brocchi (Condì, foss. subapp., II, 1814, pag. 538, Tav. XIII, fig. 9) istituì la Donax silicata , il prof. Parona ha potuto con- vincersi, consentendo in ciò anche il collega prof. F. Sacco, che esso certamente non proviene dal pliocene superiore di Rocchetta nell’Astigiano. Il fossile in discorso, il quale fa parte della collezione Brocchi di proprietà del Museo Civico di Milano, per la sua forma, per il modo di fossilizzazione del guscio, per l’aspetto del calcare, che ne costituisce il modello interno e che contiene dei granuli di glaucoma, è assolutamente identico ad altri tre individui provenienti dal neocomiano del Nizzardo, e che si conservano nel Museo Geologico di Torino. Esso appar- tiene probabilmente al genere Saxicava e, per quanto consta, finora questa forma non fu descritta, nè figurata sotto altro nome nelle faune cretacee. La Donax silicata Br. si deve quindi escludere dalla fauna pliocenica per inscriverla in quella del- l’infracretaceo. Questa osservazione coincide con quella già fatta da Saemann e Triger (Bull. Soc. Gréol. de France, 2e Sér., XIX, 1862, pag. 160) a riguardo delle Anomia ( Rhynchonella ) vespertilio Br. [ms. pres. 17 febb. 1901 — ult. bozze 26 febb. 1901]. APPENDICE XXXI II. L'OSTREA JOANNAE Choffat IN PROVINCIA DI BARI (PUGLIE) Comunicazione del doti. F. Virgilio Nei mesi di agosto e settembre del 1899, per incarico avuto dal Consiglio Provinciale di Bari, eseguii il rilevamento geolo- gico di tutto il territorio della provincia, e nel maggio dello scorso anno 1900 pubblicai la Geomorfogenia della Provincia di Bari. Nel mese di settembre decorso, continuando le escursioni specialmente per ricerca di fossili, visitai due nuove località abbondantemente fossilifere nelle vicinanze di Acquaviva ed ebbi la fortuna di trovare vari esemplari dell 'Ostrea Joannae, Cliolfat, che illustrerò con una prossima Nota. Questa forma fossile fu da me rinvenuta sul versante destro dell’ampio solco della Lama (‘) di Noicattaro, ramo orientale della Lamarosa di Casamassima, che sfocia nell’Adriatico nella regione La Pelosa, alla metà circa del tratto compreso tra il ponte della ferrovia Bari-Brindisi a mezzogiorno e quello della strada nazionale Bari-Mola a settentrione. In questo tratto la Lama è incisa nel calcare compatto biancastro a strati pressoché orizzontali. Kaccolsi gli esemplari da parecchi massi sciolti che ne erano zeppi. La forma a spigoli e ad angoli vivi di tali massi mi tolse assolutamente il dubbio che essi potessero pro- venire da località lontana per trasporto delle acque. Sono perciò certamente massi staccatisi dalle testate infrante degli strati che costituiscono il versante stesso della Lama. La scoperta di questo fossile panni di una certa importanza, inquantochè, oltre a stabilire un interessante parallelismo tra il (') Col nome di Lame si indicano in generale nella Puglia le cor- renti acquee temporanee ed i loro alvei. XXXII APPENDICE Portogallo, il versante adriatico delle Murge baresi, propaggini dell’Appennino meridionale di Basilicata, e le Alpi Venete per la stessa forma trovata da Choffat nel Cretaceo del Portogallo ed ascritta nel 1886 al Cenomaniano, ma nel 1897 riferita dallo stesso autore al Turoniano ed assimilata all’ Ostrea aff. Munsoni, Hill ed alla Pinna ostreaeformis rispettivamente classificate, ri- ferite al Cenomaniano e raccolte da Boelirn e da Futterer al Col dei Schiosi, a Bocca di Crosis, a Casera Schiosi ed a Casera Fassor nel Friuli, dimostrerebbe la esistenza nella Provincia di Bari della serie Cenomaniana, che non potetti accertare nella mia Monografia dello scorso anno per mancanza appunto di fos- sili caratteristici, o quanto meno di un piano tra le serie Ceno- maniana e Senoniana. Resterebbero di tal modo determinate nella Puglia murgiana la serie Urgoniana, ultima del Cretacico antico, e le due serie Cenomaniana e Senoniana del Cretacico recente, secondo la Cro- nografìa geologica del Renevier. [ms. pres. 13 febbraio 1901 — ult. bozze 6 marzo 1901]. III. SULLA PERFORAZIONE DEL COLLE QUIRINALE. Comunicazione preliminare dell'ing. E. Clerici. La costituzione geologica del colle Quirinale in Roma ha dato luogo a vivaci e disparate discussioni : maggiore interesse presentano perciò i lavori attualmente in corso per la sua per- forazione e per la costruzione della galleria. Riserbandomi di fornire maggiori dettagli quando tali lavori saranno più avanzati, noto intanto che il colle, lungo l’asse della galleria, appare formato come segue: Inferiormente sabbie gialliccie, più o meno argillose, inclu- denti un banco di ghiaia e inframmezzate verso l’alto da for- APPENDICE XXXIII inazioni travertinose. Sono ricoperte da tufo granulare tipico e su questo vi è un materiale argilloso verdognolo. Quanto a fossili: le sabbie contengono foraminifere e fram- menti di spongoliti : le ghiaie frequenti valve di limo sinuatus Lami?., incrostate di tartari. Alla parte inferiore, un po’ cemen- tata, del banco di ghiaia, s’ incontrò uno scheletro elefantino, del quale si estrassero, notevolmente frantumati, la mascella (che spero di poter restaurare), parte della testa, delle zanne e delle vertebre del collo. La roccia travertinosa contiene impronte di vegetali palustri. Nel tufo granulare si osservano impronte di foglie e vacui lasciati da fusti. Infine abbondanti diatomee, spe- cialmente epifite, e potamospongie si riscontrano nel materiale sovrastante al tufo granulare. [ms. pres. 17 febbraio 1901 — ult. bozze 6 marzo 1901]. IV. Resoconto sommario dell’escursione del 18 febbraio 1901. Un piccolo numero di soci (signorina prof.a Bortolotti, ing. Clerici, ing. Crema, ing. Demarchi, ing. Màttirolo, prof. Nevi ani, prof. Parona, ing. Stella, ing. Zaccagna), incoraggiati da un raggio rossastro di sole che timidamente sbucava fuori da un cielo denso di nubi plumbee, decise, come erasi conve- nuto, di prendere il treno in partenza alle 7.15' per recarsi alla stazione Bagni. Quivi giunta, la comitiva si diresse tosto, seguendo un binario di raccordo, alla grandiosa cava di travertino, detta del Barco, esercitata dalla ditta Allegri Lazzeri & C., ove il diret- tore, sig. Rossi, spiegò in ogni particolare il sistema seguito per l’estrazione dei grandi massi. Il quale consiste essenzial- mente nel tracciare ed approfondire verticalmente nella roccia, mediante zappe e scalpelli, dei solchi larghi da 45 a 50 cm., e quindi di utilizzare pel distacco del masso, già isolato all’in- giro, i piani, o meglio le discontinuità di taluni piani di stra- tificazione. In tal modo il lavoro procede per grossi gradini. XXXIV APPENDICE L’andamento della stratificazione è pianeggiante, legger- mente inclinato verso sud. La potenza della formazione non è conosciuta; attualmente se ne può vedere un taglio verticale alto ben 18 m., in cui la roccia è in generale omogenea e di ottima qualità. A metà del taglio scaturisce in abbondanza un’acqua leggermente sulfurea che è allacciata ed incondottata, onde non abbia ad allagare la parte più bassa della cava. Si ebbe anche notizia dei fossili sì animali che vegetali, che di tanto in tanto si rinvengono nel travertino; pel mo- mento però non si poterono asportare campioni degni di men- zione. Risalito il binario di raccordo, la comitiva si diresse verso nord, e passata d’innanzi ai bagni del Cardinale e ad alcuni ruderi, forse dei bagni di Agrippa, giunse al lago della Regina, donde sorgono le acque alòide dal bel colore bianco-cilestrino. La forma del lago è irregolarmente rotondeggiante, con dia- metro di una cinquantina di metri. Ritiensi che la profondità sia di circa 30 ni.; ma non vi si fecero ancora esatte misura- zioni. Immerso un termometro per quanto si poteva, a mano, lon- tano dalla sponda, si riscontrò la temperatura di 22°. Ma il tempo vie più minaccioso impedì che si procedesse, oltre l’attingimento di campioni d’acqua, ad altre osservazioni che si aveva in animo di fare, e consigliò ad affrettare il ri- torno. Infatti l’orizzonte si era andato mano mano restringendo, e, dopo breve cammino, la comitiva si trovò avvolta in un tur- binio di fitta neve in larghi fiocchi. Alle 10.13', si prese posto nel tram col dispiacere di non tro- varvi alcuno dei colleglli che avevano promesso l’ intervento alla seconda parte della gita; la loro assenza restò senz’altro giusti- ficata allorché dagli altri viaggiatori si ebbe notizia che in Roma nevicava fin dalle 7.45'. Si discese alla fermata di Villa Adriana e per la strada vecchia di Tivoli, senza che smettesse un momento di nevicare, si oltrepassò pedestremente sul soffice e candito tappeto la Ma- donna della Tosse, supposto ninfeo della villa di Tuscio, quindi discendendo per un sentieruolo, non senza soffermarsi di tanto APPENDICE XXXV in tanto ad ammirare il vallone clic si era tutto ammantato e si presentava sotto un aspetto insolito, si giunse alla nuova offi- cina elettrica della Società anglo-romana per l’illuminazione a gas e con altri sistemi, la quale fornisce l’energia elettrica per l’illuminazione e per la trazione delle tramvie di Roma. Il comm. Poucliain, molto gentilmente ce ne permise l’ac- cesso. Guidati dal direttore ing. Alker, la visita dell’officina, coi suoi giganteschi alternatori trifasi a 10000 volt, fu oltre- uiodo interessante; ma poiché non è qui il luogo di diffondersi nei dettagli di così notevole impianto, si accennerà soltanto clic, domandate notizie del suolo su cui si fondò il fabbricato, il sig. Alker ci informò del rinvenimento di uno strato di cocci, potente un paio di metri, e molto cortesemente volle mostrarci una ricchissima raccolta di vasi ed altri oggetti che, per forma e piccolezza di dimensioni, alla mente profana richiamano l’idea o di una scuola di ceramica o di un giardino froebeliano. Preso commiato dal sig. Alker, si salì a Tivoli per la cola- zione, durante la quale apparve nuovamente il sole, ad infon- dere la speranza che la parte geologicamente più interessante della gita avrebbe potuto effettuarsi. Ma l’avverso destino riebbe il sopravvento. Si procede al- lora alla visita dello stabilimento Garuti e Pompili per la pro- duzione elettrolitica dell’ossigeno e dell’idrogeno. Lo stesso ing. Pompili ebbe la compiacenza di spiegarci l’ingegnosa costruzione dei voltametri e di mostrarci tutto il macchinario per la raccolta e compressione dei due gas in adatti recipienti metallici di varie capacità che ne rendono assai age- vole il trasporto. Ci furono mostrati inoltre alcuni modelli di forni ossidrici adatti alla vetreria ed alla metallurgia. Benché fosse a tutti nota la costruzione ed il funzionamento del cannello ossidrico, nondimeno grandissimo interesse destò l'impiego dello stesso nello stabilimento per la fabbricazione, con lamiera d’acciaio, sia dei voltametri che dei recipienti ci- lindrici pel trasporto dei gas compressi. Infatti la saldatura è ottenuta rapidamente e con grandis- sima facilità facendo scorrere il dardo della fiamma sui pezzi XXXVI APPENDICE da saldarsi, mentre da un filo di ferro, che lo stesso dardo ri- scalda, colano gocciole fuse. La localizzazione deirelevatissima temperatura è tale che il dardo può, per fusione, forare una piastra quasi tanto esatta- mente che con un punzone. Risalendo la ria che dallo stabilimento elettrolitico conduce alla città si osservarono i giganteschi mammelloni travertinosi che fiancheggiano il vallone. Ma ormai il cattivo tempo s’opponeva alle osservazioni geo- logiche e si decise senz’altro di approfittare del primo treno in partenza per ritornare in Roma, il che si fece alle ore 16. E. Clerici. A. Verri e G. de Angelis d’Ossat TERZO CONTRIBUTO ALLO STUDIO DEL MIOCENE NELL’ UMBRIA. CENNI STRATIGRAFICI (>) La catena montuosa di Narni prosegue colla ossatura meso- zoica visibile sino al monte Peglia, tagliata profondamente dalle gole della Nera e del Tevere. Mentre alla estremità sud del rilievo i banchi massicci del Lias inferiore, fortemente rialzati, costruiscono la cresta aspra del monte Cosce ; mentre le dolomie triasiche stanno ribaltate ad est sulle dorsali delle montagne di Melezzole, il monte Peglia mostra scoperta solamente la serie cretacea, dal Neocomiano agli scisti scagliosi rossi e verdicci superiori. Sicché, nelle linee generali della sezione longitudinale, può essere considerato come il ramo discendente verso nord di quella ossatura. La catena Martana si allinea colla Perugina ; ma tra il Me- sozoico delle due catene è una lunga interruzione con vasto accon- camento. Il Mesozoico dei Martani è riunito in un rilievo. Tron- cato da grandiosa faglia a sud e ad ovest, sulle quali facce sorgono scogliere di calcari Basici e triasici; costrutto in parte ad est da piega ribaltata, nella quale il Giura si sovrappone (') Di A. Verri. Si richiamano le comunicazioni precedenti, la prima delle quali pone lo stato generale della quistione: Contributo allo studio del Miocene nell’Umbria. Rendiconti R. Acc. Lincei, voi. Vili, fase. 11, 1899. Secondo contributo allo studio del Miocene nell'Umbria. Boll. Soc. Geol. It., voi. XIX, 1900. 1 2 A. VERRI E G. DE ANGELIS D’OSSAT alla serie cretacea, il rilievo Martano termina al nord coi cal- cari rosati e gli scisti scagliosi della Creta superiore, declinanti verso il tratto della interruzione (J). Il Mesozoico dei monti Perugini si presenta in grandi fram- menti isolati, disposti su tre linee dirette da nord-nord-ovest a sud-sud-est, e tutti declinanti ad ovest con troncatura ad est; il monte Acuto sopra Umbertide è l’ultima ondulazione del si- stema cui appartengono quei frammenti. Composto da rocce di tutta la serie cretacea, colla appendice dei monti Valcinella e Saldo, il monte Acuto si può considerare, nelle linee generali della sezione longitudinale, come il ramo discendente del si- stema verso nord. Alla faccia tronca del monte Acuto s’addossa altro frammento mesozoico (La Torricella), che rappresenta il proseguimento della linea segnata dai monti Elcetino, Elceto, S. Croce, Mussarello; come il monte Acuto rappresenta il pro- seguire della linea centrale, sulla quale torreggia il profilo del Tezio. Ad occidente dei rilievi mesozoici Perugini, la formazione eocenica è disposta in zone a quelli parallele, cogli strati di- retti da nord-nord-ovest a sud-sud-est. Al sud dei rilievi meso- zoici, in corrispondenza della depressione Umbra, per un certo tratto gli strati eocenici sono disposti colla stessa direzione, te- state tronche ad est, sviluppo declinante ad ovest; poi avvol- gono il monte Peglia. Sintetizzando le osservazioni di molti anni fatte sul territorio, distinguerei nell’Eocene inferiore e medio di- verse zone. A) La zona inferiore dei sedimenti eocenici, la quale si so- vrappone con continuità di sedimentazione alla Creta superiore, pel monte Peglia e pel monte Acuto, è identica a quella che rappresenta l’Eocene inferiore per tutta l’Umbria. Scisti scagliosi (') In quest’ultima visita ai Martani ho notata la presenza del Trias e del Dogger. Mi riserbo di studiare specialmente la seconda forma- zione, la quale colma una lacuna importante nel Mesozoico di quei luoghi. Mi lusingo di avere nello studio l’aiuto dei Professori Parona e Bona- relli, dai quali già era stato messo sull’avviso alcuni anni indietro, in seguito ad una collezione di fossili che mandai all’Università di Torino. i STUDIO DEL MIOCENE NELL’UMBRIA 3 cinerei, marne bigie scistose, marne bigie dure la cui frattura e clivaggio danno rottami a stecche, e che presentano un pro- cesso di silicizzazione dove più dove meno avanzato; calcari marnosi bigi e giallognoli con nodi e lenti di selci scure. In questa zona sono pure inclusi nuclei, falde, banchi di rocce bigie apparentemente areniformi per granulosità, ma che sono distinte dalle vere arenarie dalla uniformità del materiale. La coerci- zione, sofferta nei movimenti delle masse, a volte ha stritolato tanto queste rocce di pochissima solidità, che in qualche luogo sono ridotte ad ammasso informe, tutto rilegato da fitte vene spatiche. B) Alla zona A — sulla linea Solomeo, Monte Melino e monte Bentella, monte Bitorno, colle Solara, monte Filoncio, monte Migianella — si sovrappone una zona, alla base della quale le arene incominciano ad introdursi nei sedimenti marnosi. Falde e grossi banchi di arenaria alternano in questa zona con masse di marne bigie, rosse, verdicce ; in qualche luogo (podere La Valle nel monte Kentella, monte La Cima sopra Solomeo) si vedono interposti a diversi piani banchi di scisti selciosi. Nel tratto tra il monte Filoncio e S. Bartolomeo dei Fossi (Sezione dal monte Acuto al monte Murlo) il Lotti notò pure in questa zona alcune falde di una brecciola contenente Briozoi, piccole Ostriche, pezzetti di piccoli Pettini, particelle d’una roccia verde. Le quali falde abbiamo riscontrate nei luoghi da lui indicati. Al nord, colla parte inferiore del monte Migianella, la zona B gira attorno i monti Valcinella e Saldo, che formano appendice al monte Acuto, e va sotto lo sperone posto tra i torrenti Nic- cone e Seano. Al sud, nel tratto corrispondente alla depressione Umbra, marne bigie con letti selciosi, banchi arenacei, marne variegate pare seguitino a rappresentare la zona B sin sotto al monte Vergnano (Agello, Monte Petriolo, sperone da Cibottola al Ne- store). Più al sud rocce marnoso-arenacee, con falde della brec- ciola conchiglifera, vanno a sottoporsi alla zona seguente sotto Poggio Aquilone e Civitella de’ Conti. C) Sul monte Migianella, sul monte Murlo si sovrappone alla zona B una zona composta da falde e grossi banchi are- 4 A. VERRI E G. DE ANGEL1S D’OSSAT nacei, strati di calcari screziati, brecciole di rocce calcari e pe- troselciose con elementi grossi anche qualche centimetro. Carat- terizzano specialmente la zona grossi banchi formati da impasto di Orbitoidi. La sezione dal monte Acuto al lago Trasimeno ta- glia la zona C tra monte Murlo e Preggio ; nella scesa da Preggio a Pian di Marte si ritrovano scisti marnosi colla brecciola con- chiglifera della zona JB, e sopra questi ritorna la zona C sul monte tra Pian di Marte ed il Trasimeno. La zona, che dirò ad Orbitoidi, nella quale s’interpolano pure in qualche luogo letti di marne variegate, di calcari marnosi a volte con nuclei di selce, è molto sviluppata sopra quella JB nel monte Bitorno, e negli altri monti presso la Magione. Da là passa alla insellatura di monte Buono, seguita per Pietrafitta, Cibottola, monte Yergnano, e si vede sino sotto Civitella dei Conti. Dipenda da piegamenti o da faglie, si trova ripetuta com- porre i monti Marzolano e Montale, nella catena tra il Nestore ed il Trasimeno. Designando questa formazione colla qualifica di zona ad Or- bitoidi, non intendesi di escludere che contenga Nummuliti ed altre foraminifere; bensì di tener conto della preponderanza delle Orbitoidi, i cui banchi spesso sono interstratificati tra sole rocce arenacee. D) Le sezioni dei monti a destra e sinistra della valle del Nestore mostrano succedere alla zona ad Orbitoidi una zona, della quale il vallone della Jerna nel Monterale mette in vista forse tutti i componenti. È assai istruttivo lo studio di quella sezione, perchè stabilisce l’unità di una formazione, della quale di solito si vedono scoperte solo parzialmente alcune rocce. De- scrivo i vari aggruppamenti notati anni addietro nel risalire il fosso, ma senza intendere di stabilire per ciascun gruppo la giusta posizione nella serie stratigrafica. a ) Calcari screziati scuri in banchi piccoli e grossi, intra- mezzati da letti di marne bigie e rosse. b) Banco di calcare pieno di foraminifere, seguito da massa di strati di calcari marnosi rossi e gialli, tra i quali s’ interpon- gono strati di calcari con foraminifere e letti di scisti rossi. Fu- coidi abbondanti in questo gruppo. STUDIO DEL MIOCENE NELL’UMARIA 5 c) Grossi banchi di calcari screziati con foraminifere a volte visibili ad occhio nudo e nodi di selce; banchi di brecce con elementi di rocce calcaree e petroselciose grossi alcuni anche più di 10 centimetri; banchi di calcari marnosi, letti di marne. d) Abbondanza di calcari marnosi bigi, verdi, gialli con frapposti letti di marne. e) Abbondanza di marne rosse e calcari marnosi rossi. f) Banchi di calcari e brecciole con Nummuliti, tra i quali banchi s’interpongono falde di marne rosse. La zona B si vede proseguire nel versante est del Peglia (Civitella de’ Conti, Kote Castello, monte Cerquabella), ed è sco- perta in molti luoghi nel gruppo del Monterale. Tra i fossili ivi raccolti presso Montegabbione furono riconosciute le specie: Nummulites biarritzmsis D’Arch., N. Guettcordi D’Arch., N. cfr. striata D’Orb., N. lacvigata Larnk., N. ìaevigata var. scabra Lamk., N. Lamarcki D’Arch. et H., N. discorbina Scili., Assi- lina granulosa (?), Alveolina sp. L’esame fu fatto dal D.r Di Ste- fano e dal Prof. Teliini otto anni indietro. In genere, nel percorrere le catene, si trovano le rocce della zona B sulle selle, mentre i poggi laterali sono formati da are- narie, a volte con interposto qualche strato di calcari screziati scuri. A volte si vede nella zona B disegnarsi un anticlinale, e s’ indurrebbe che i vari affioramenti dipendano da corruga- mento d’una formazione unica, coperta da pila arenacea. A volte la disposizione uniclinale degli strati farebbe credere che si ab- biano intercalate tra arenarie più zone del tipo B. A volte, an- corché la formazione sia disposta uniclinalmente, le rocce della zona B si vedono solo sulla insellatura delle dorsali, e se ne perde la traccia nelle pendici, quantunque si possa essere certi che non sono state coperte da franamenti. Sembra più probabile che il ripetersi delle rocce della zona D dipenda da pieghe ri- baltate, o meglio ancora da fratture con rovesciamento. Se il ripetersi della zona B dipendesse da ripetuti interpolamenti di questa sedimentazione tra i depositi arenacei, risulterebbe dal calcolo potenza enorme nella formazione. La catena eocenica che separa la valle del Tevere dalla Yaldichiana, tra Umbertide e Cortona, mostra una sola volta disposizione anticlinale nella zona B. Da là alla Yaldichiana la stratificazione declina con 6 A. VEKRI E G. DE ANGELIS D’oSSAT persistenza ostinata ad ovest, composta da pile arenacee, la cui mole sterminata impressiona seriamente l’osservatore ; tra le quali sono due affioramenti di rocce marnose e calcaree del tipo della zona D. Anche stimando a soli 30° l’ inclinazione media, risul- terebbe potenza di 8 chilometri, che sembra eccessiva. Non è qui il luogo di approfondire tale esame, intendendosi dare semplicemente un accenno sulla composizione dell’Eocene, affine di porre le basi dello studio speciale, che è oggetto della comunicazione. Certamente, anche per tale studio, importerebbe assai precisare se sopra la zona D stia o no una zona arenacea, ovvero se la pila arenacea che si sovrappone alla zona D appar- tenga alla zona sottostante C, e l’apparente disposizione strati- grafica dipenda da rovesciamenti ; oppure anche se la pila are- nacea sia di una formazione non eocenica, specialmente quando si tratta di sovrapposizione semplice, nella quale non occorra ricorrere ad ipotesi di ribaltatore per spiegare la disposizione stratigrafica. E) Le montagne del Cortonese indicherebbero che veramente in quelle contrade, sopra la zona D, si abbia una zona arenacea eocenica; la quale sembra appartenga ad una grande lingua d’insabbiamento proveniente dal nord: ma non è facile preci- sare sin dove si protende. Perciò in massima si ammette la pre- senza di una zona arenacea superiore alla zona 7); bensì facendo sempre eccezione per le arenarie che, nel Monterale sotto Mon- tegabbione, contengono banchi di puddinghe granitiche eguali a quelle del monte Deruta. Dentro nessuna di queste formazioni, sui luoghi che ho no- minati, è stata sinora trovata traccia di rocce ofiolitiche. Sul dorso della catena occidentale della Yaldichiana sbucano varie scogliere mesozoiche : poggi tra Sicilie e Petrojo, monte Follonico, monte di Chianciano, monte di Cetona. Come nelle ellissoidi Perugine, la stratigrafia del monte di Cetona presenta declinazione ad ovest, troncature ad est. Sui lati nord e sud sono addossate formazioni eoceniche ; ma colle zone scaglionate a cuneo, sicché mai si può vedere bene sviluppata la serie rego- lare. Contuttociò al nord, sui poggi tra Spineta e Castiglioncello del Trinoro, al sud sulla montagna di S. Pietro, oltre alle are- narie, si trovano calcaree e brecciole nummulitiche, accompa- STUDIO DEL MIOCENE NELL’UMBRIA 7 gnate da marne e calcari marnosi policromi con fucoidi. La mon- tagna di S. Pietro prospetta il Monterale: ed a S. Pietro si hanno banchi di brecciole nummulitiche identiche a quelle della zona D del Monterale. Sopra la formazione che contiene i banchi nummulitici, e coperta solo parzialmente al nord da calcari pliocenici a Briozoi ed Amfistegina, si spiega una formazione composta da marne e calcari marnosi bigi, verdi, rossi, gialli; manie scure, calcari screziati, brecciole ed arenarie. Prevalgono le rocce marnose bigie, c sovente la massa si presenta tormentatissima con argille composte di squame lucenti ed untuose al tatto ; le quali avvol- gono, investono brani di rocce calcaree ed arenacee ridotte a forma contorta o stirata, che paiono strappate da massa pastosa. Nella formazione vene di steatite, e di aragonite; noccioli di pirite, efflorescenze saline. Da Castiglioncello del Trinoro, sin vicino alla Foce, nei monti Spano e Rufino si trovano incluse rocce ofiolitiche (microteschenite, oficalci), per cui la formazione va riferita all’Eocene superiore. Il Lotti considera la zona calcareo-marnosa del Monterale, che ho segnata colla lettera D, quale rappresentante il piano delle argille scagliose, dove pone le ofioliti della Toscana e del- l’Umbria (*). Per quel che ho esposto, vedrei le formazioni eoceniche in modo alquanto diverso. Riassumendo il mio modo di vedere, le formazioni eoceniche, sulle contrade ad ovest della valle Tibe- rina, si presenterebbero nella serie: A — zona marnosa con transizione dalla sedimentazione cre- tacea alla eocenica. B — zona marnoso-arenacea con banchi di marne variegate, brecciole contenenti Briozoi e tritume di conchiglie di molluschi. C — zona prevalentemente arenacea con banchi di forami- nifere, nei quali preponderano le Orbitoidi. (') Studi sull’Eocene dell’Apennino Toscano, Boll. R. Com. Geol., 1898. Eilevamento geologico nei dintorni del Trasimeno, di Perugia e di Um- bertide, id., 1900. Rilevamento geologico nei dintorni del Trasimeno e nella regione im- mediatamente a sud fino a Orvieto , id., 1900. 8 A. VERRI E G. DE ANGELIS D’OSSAT D — zona marnoso-calcarea con banchi di foraminifere, nei quali preponderano le Nummuliti. E — zona arenacea. F — zona delle argille scagliose con Ofioliti. Le colline che, dal piede est della massa mesozoica del monte Acuto, scendono al piano del Tevere, sono composte in preva- lenza dalle rocce della zona A; pur apparendo in qualche tratto rocce della zona B, tra cui la brecciola conchiglifera che si trova nel versante ovest. Le colline che, dalle masse mesozoiche dei monti Valcinella e Saldo, scendono alla pianura del Tevere, e le pendici sotto il cucuzzolo del monte Migianella sono com- poste dalla zona B, ed alla pianura si presentano con testate tronche e stratificazione declive ad ovest. Un soffione di gas solfidrico sta appiè di queste colline presso il podere Bagno. I tre speroni della catena compresi tra i torrenti Mccone e Nestore sono composti dalle zone C, I), E. La zona B s’in- terna, come si è detto indietro, nello sperone a sinistra del Nic- cone, nelle adiacenze della Dogana. Preparato così il terreno, si può esaminare il problema di quelle formazioni, che stanno sui monti di destra della valle Tiberina, vicino Città di Castello, e sulle quali verte quistione se debbano essere ascritte alTEocene ovvero al Miocene. Da Montalto, presso Umbertide, sin vicino allo sbocco del- l’Erchi nella pianura di Città di Castello, i depositi del Pliocene vallivo fasciano la montagna, formando il monte Bastiola, la collina di Pugnano, i poggi del Santuario di Canoscio, le colline della Montesca. I banchi pliocenici sono dislocati, ed a volte paiono raddrizzati alla verticale. Sabbie più o meno marnose con grandi Un'io, banchi di ghiaie e ciottoli compongono quei depositi, che a destra del Tevere limitano la vallata. Da Monte S. Maria Tiberina tirata a nord una linea che passi pel poggio Montriolo, al sud altra linea che passi per Trevine, queste linee segnano il piano di contatto sul quale s’in- contrano due tipi di formazioni. Ad ovest rocce eoceniche delle qualità descritte ; ad est, sino ai depositi pliocenici, banchi d’una STUDIO DEL MIOCENE NELL’UMBRIA 0 panchina conciligli are con interposti banchi di marne e falde arenacee. A Trevine un fascio di banchi della panchina, declinanti verso nord-est, viene a contatto con un fascio di scisti selciosi, sopra ai quali stanno banchi di arenarie e di Orbitoidi declivi verso ovest. Nello sperone tra l’ Aggi a e l’Erchi da una parte marne dure di tipo eocenico declivi ad ovest, alle quali si sovrappongono arenarie e banchi di Orbitoidi ; dall’altra banchi della panchina conchigliare, che, raddrizzati a Monte S. Maria, si piegano nel- l’insellatura ad est, eppoi salgono a costruire la gibbosità del monte Cedrone. Nel poggio di Montriolo, elevato sullo sperone tra l’Erchi e la Scarzola, si vedono da una parte le marne notate a Monte S. Maria, alle quali si sovrappongono scisti selciosi, arenarie, banchi di Orbitoidi, anche qua declivi verso ovest; dall’altra la formazione arenaceo-marnosa coi banchi della panchina. Ma in questo sperone non appare nettamente come avvenga l’incontro delle due formazioni. Sotto al poggio di Montriolo si vede la panchina conchigliare, eppoi si ha una formazione marnoso-are- nacea cogli strati diretti da nord a sud, declinanti verso la valle della Scarzola (il cui corso ha direzione sud-ovest), ed a volte tendenti a rialzarsi verticalmente. Alla estremità dello sperone, sotto al poggio vicino alla chiesa di S. Lorenzo, un fascio di banchi della panchina si dispone declive ad ovest, con testate tronche ad est, ossia dalla parte della pianura. Quel poggio sta sulla linea delle gibbosità che costruiscono il monte Cedrone, i poggi Rota e Cadinieri. Ad est del monte Cedrone scaturiscono le acque minerali del Buon Riposo, forse mineralizzate da sof- tioni gassosi; e questo accennerebbe che la linea di frattura, la quale passa appiè del poggio di S. Lorenzo, prosegue al sud. Davanti monte Cedrone la massa fratturata è rimasta alta, co- stituendo, insieme ai sedimenti pliocenici, un cuneo che ha man- tenuto sollevato il sistema; invece allo shocco dell’Erchi è man- cato quel cuneo, la valle si allarga costituendosi un’ampia conca. La mancanza del contrasto, le cause che hanno generato quel- 1 avvallamento devono avere influito nel tenere più basso di quello di destra lo sperone a sinistra dell’Erchi, e determinarvi nella 10 A. VERRI E G. DE ANGELIS D’OSSAT massa uno scorrimento verso est con abbassamento ad ovest: tanto da far sembrare che la formazione colla panchina eonchi- gliare vada a sottoporsi a quella colle Orbitoidi. La durezza della roccia non si presta a raccolta di fossili nei banchi della panchina di Trevine e S. Lorenzo, nè in quelli addossati immediatamente a Monte S. Maria. Ma, appena scesi da questo paese, suH’insellamento che lega quelPaltura al monte Cedrone, si svolge con qualche ondulazione un banco di panchina friabile, sul quale si può fare copiosa raccolta. Il banco include pure ciottoloni di rocce marnose e granulose, che hanno riscontro solo nelle formazioni eoceniche. I banchi di panchina circostanti al monte Cedrone in parte sono molto duri, ma in parte la mi- nore tenacità del cemento lascia facilmente liberi i fossili. Questa volta la collezione è stata fatta solamente nel banco della in- sellatura ; le collezioni precedenti furono fatte su questo, e sotto al banco duro che corona la balza a fianco del nuovo Campo- santo locale; la collezione studiata dal Foresti nel 1887 fu da me raccolta esclusivamente sui banchi alla origine del fosso Ri- butio, tra poggio Rota e monte Amato, non conoscendo allora gli altri giacimenti. Nella panchina sotto al poggio di Montriolo trovammo un foraminifero. Mandato al prof. Teliini, rispose essere quell’esem- plare così mal ridotto da non poter servire alla determinazione cronologica di un terreno ; somigliare ad una forma che abbonda neH’Elveziano dei colli di Torino. Le ricerche nelle marne dettero dei Bathysiplion tra i banchi della panchina di S. Lorenzo ; hanno fruttato ricca collezione di Pteropodi ecc., tra monte Cedrone e poggio Rota ; sono state di risultato negativo negli altri luoghi, persino sotto al banco di panchina della insellatura : il che non vuol dire che vi manchi assolutamente quella fauna; anche nei terreni di Perugia, De- ruta ecc., si trovano banchi marnosi zeppi di Pteropodi tra banchi sterili. È un fatto che la composizione della panchina conchigliare di Trevine, Monte S. Maria, S. Lorenzo in vai d’Erchi si pre- senta rassomigliante a quella delle brecciole conchiglifere, che s’intromettono nella zona B dell’Eocene tra monte Acuto e monte STUDIO DEL MIOCENE NELL’UMBRIA 11 Murlo. I campioni di ambedue le rocce contengono frammenti di piccoli Pettini, pezzetti di conchiglie incrostati da Briozoi, frammentini sparsi di una roccia verde. È un fatto che le rocce eoceniche, colle quali la panchina conchigliare viene a contatto ad ovest, appartengono alla zona C immediatamente soprastante a quella, nella quale s’intromettono le brecciole conchiglifere eoceniche del monte Filoncio. È un fatto che, nello sperone tra l’Erchi e la Scarzola, il fascio dei banchi della panchina conchigliare è inclinato in modo, che pare si sottoponga alla zona C, la quale contiene banchi di Orbitoidi. È un fatto che la panchina conchigliare dei tre speroni, tra le valli del Nestore e della Scarzola, è uguale a quella di Pieve de’ Saddi, di Prepo presso Perugia, e di altri paesi del- l’Umbria, dei quali si è parlato nelle comunicazioni precedenti. Si comprende perciò che il Lotti, trovate nell’Eocene infe- riore le brecciole conchiglifere del monte Filoncio, le consi- deri come rappresentazioni dell’orlo di lenti, che assumerebbero sviluppo massimo sui monti ad ovest di Città di Castello, ed altrove; che ponga di conseguenza le panchine conchigliari di quei monti nell’Eocene inferiore, nonostante la inclusione di abbondante fauna caratteristica del Miocene nei bandii della panchina, e nelle marne che li accompagnano (1). Le osservazioni ora fatte a Trevine invalidano un argo- mento di assai importanza nelle ragioni addotte dal Lotti, in- quantochè escludono la sottoposizione della formazione colla panchina alle formazioni eoceniche. Il piano di rottura, sul quale vengono a contatto le due formazioni, non costituisce un accidente isolato: sta sulla linea della grande frattura che, di- retta da nord-nord-ovest verso sud-sud-est, ha ridotto in più fette parallele le ellissoidi mesozoiche dei monti Perugini. E cosa ordinaria — ed appunto si vede costantemente nelle fette di quelle ellissoidi — che, verso il piano di una faglia, la formazione distaccata si assetti in contropendenza; nè sembra il caso di dare interpretazione diversa alla anomalia apparente presentata dalla stratificazione dello sperone a sinistra del- ( ') Scritti citati. 12 A. VERRI E G. DE ANGELUS D’OSSAT l’Erchi: per spiegarla nemmeno c’è bisogno di ricorrere ai ri- baltamenti, i quali pure si è veduto essere neH’Umbria abba- stanza frequenti. D’altronde la formazione con marne a Pteropodi, e pan- chine conchigliari, di tipo eguale a quello dei monti ad ovest di Città di Castello, sta nell’alta valle del Chiascio sopra for- mazioni decise dell’Eocene superiore, perchè contengono rocce ofiolitiche ; trovasi sviluppata largamente in altri luoghi (Pe- rugia) dove — qualora si dovesse ritenere eocenica — tutto al più potrebbe essere ascritta all’Eocene superiore, mai alla zona B dell’Eocene inferiore. Quando anche si debba riferire l’Eocene di Toscella alla zona C per la presenza dei banchi di Orbitoidi, si potrà concludere che la formazione a Pteropodi, Lueine, ecc. del monte Deruta sta sopra la zona C. Cosicché, nemmeno colla massima concessione, le formazioni con fossili di tipo miocenico verrebbero nella posizione stratigrafica asse- gnata dal Lotti Q). È vero che tra le rocce dei due giacimenti si osserva so- miglianza; ma in fondo si tratta di rocce composte da tritume di conchiglie, le quali rocce litologicamente sono sempre tra loro rassomiglianti, anche se si mettono a confronto le pan- chine eoceniche colle quaternarie. Solo i fossili possono deci- dere a quale orizzonte geologico appartengano. Il Lotti non porta, in appoggio della sua tesi, raffronto specifico di fossili tra le due rocce; nè a noi è riuscito determinarne alcuno, tra i frammenti inclusi nelle brecciole eoceniche del monte Filoncio. Il Lotti non dice di aver trovato Pteropodi, Aturie, Bathy- siphon, Cassidarie, nelle marne che accompagnano quelle brec- ciole, nè a noi è riuscito di trovarne traccia. Perciò mancano criteri paleontologici per stabilire l’eguaglianza di orizzonte tra le due formazioni. (') Pare che neanche al Lotti la formazione con fossili di tipo mio- cenico vada sempre bene al posto dove intende metterla. Difatti, pas- sato a sinistra della Scarzola, deve ricorrere ad « nna locale inver- sione degli strati, dovuta al ribaltamento verso est d’un piccolo anti- clinale » per spiegare come quella formazione si trovi sopra a rocce con Orbitoidi e grosse Nummuliti (prima delle opere citate, pag. 37 dell’estratto). STUDIO DEL MIOCENE NELL’UMBRIA 13 Quanto alla inclusione di particelle verdi, comune alle due rocce clastiche, non sembra che sia da darvi importanza. Rocce verdi erano in decomposizione quando avveniva la sedimenta- zione eocenica, seguitarono ad esserlo di poi. Perciò il fatto di trovare frammentini verdi, tra i componenti delle rocce ag- gregate del Terziario Umbro, non appare cosa tanto speciale, da fondare su di essa il piano della formazione, che eventual- mente le contiene. Piuttosto il problema sulla discussa formazione sembra che, più utilmente, potrebbe essere posto in questi termini: Poiché i terreni circostanti al monte Cedrone, in base ai fossili, de- vono essere ascritti al Miocene medio, nè a questo si oppone la disposizione stratigrafica, la formazione sottostante, la quale ha tipo eguale, appartiene al piano geologico medesimo ? ovvero accade qua, come nel Monferrato, che sotto la formazione mio- cenica si abbia anche la oligocenica? Sinora mancano argo- menti per venire alla seconda conclusione. Certamente nella stratigrafia terziaria dell’Umbria sono com- plicazioni, per le quali sovente le anomalie presentano par- venza di disposizioni regolari. Perciò idee, che oggi mi sem- brano erronee, erano da me sostenute dieci anni fa: colla di- scussione ragionata arriveremo a definire quei problemi; ma deve passare molt’acqua sotto ai ponti del Tevere, prima che sia detta l’ultima parola sulla geologia del suo bacino (’). (') Pochi giorni prima di ricevere le bozze di questo contributo, l’ing. Lotti mi favoriva la sua nuova comunicazione Sull’età della for- mazione marnoso arenacea fossilifera deli’ Umbria superiore (Boll. R. C. G., serie IV, voi. I, fase. 3). Ho lette attentamente quelle pagine ; ma dalla lettura nessuna variazione è derivata riguardo le cose che ho esposte, curando di presentarle col massimo ordine, affinché il lettore possa anche segnare le linee geologiche su qualunque carta topografica. Nel rimet- tere con questo cenno indicativo i raffronti agli studiosi, noto solamente che non pare sia conosciuto dal Lotti lo sperone dei monti tifernati, sul quale sta Trevine (vedi pag. 236 e 245 al n° 5). 14 A. VERRI E G. DE ANGELIS D’OSSAT PARTE PALEONTOLOGICA (l) La formazione miocenica della Dogana di M. Cedrone (Città di Castello) è per fossili una delle più ricche dell’Umbria. Ivi i fossili si trovano specialmente nel banco arenaceo tra Monte Santa Maria Tiberina e la Dogana Vecchia e negli strati mar- nosi presso questo fabbricato. Dalla prima località provengono di preferenza i Pettinidi ed i Briozoari con il Pentacrinus Ga- staldii; mentre nell’altra si raccolgono i Pteropodi e le Cassi- darie con VAturia Aturi. Già altri geologi prima di noi (2) si occuparono di questa interessante fauna, come il Foresti (3), il Neviani (4), il Panta- nelli (5), l’Ugolini (6) ed ultimamente il Lotti (7). Tuttavia nel- l’escursione, purtroppo fugace causa le condizioni metereologi- che, il Verri ed io sortimmo la ventura di potervi trovare parec- chie forme finora sconosciute. La presenza di queste, per l’alto (') Di G. de Angelis d’Ossat. (2) Verri A. e de Angelis d’Ossat G., Secondo contributo allo studio del Miocene nell’ Umbria. Boll. Soc. geol. ital., voi. XIX (1900), fase. 1. Roma 1900. (3) Foresti L. in Verri A., Le formazioni con oftoliti nell’Umbria e nella Valdichiana. Rend. R. Istit. Lombardo., ser. II, voi. XXVI, fasci- colo XVI. 1893. (4) Neviani A. in Verri A., ibid. (5) Pantanelli D. in Verri A. e de Angelis d’Ossat G., Contributo allo studio del Miocene nell’Umbria. Rend. R. Accad. Line., voi. XIII, fase. 11. Roma 1899. (6) Ugolini R., Monografia dei Pettinidi miocenici dell’Italia centrale. Boll. Soc. malac. ital., voi. XX, pag. 161-197. — Sopra alcuni fossili dello Schlier del Monte Cedrone (Umbria). Boll. Soc. geol. ital. Voi. XVIII (1899), fase. 3. Roma 1899. (7) Lotti B., Rilevamento geologico eseguito nel 1899 nei dintorni del Trasimeno e nella regione immediatamente a sud fino a Orvieto. Boll. Com. geol.'ital., voi. XXXI, n.° 2. Roma 1900. (In nota). STUDIO DEL MIOCENE NELL’UMBRIA 15 valore cronologico di cui godono, corrobora potentemente il nostro apprezzamento intorno all’età di quegli strati. Infatti sarebbe sufficiente 1 lAturia Aturi, il Pcntacrinus Gastaldii e la Clio pedemontana per dimostrare la miocenicità del giacimento, senza tenere il dovuto conto delle altre forme prettamente mioceniche che pur vi si esumarono. Di quest’ultime, insieme a quelle che ora saranno menzionate, redigerò un elenco generale, studian- domi di mettere in vista il valore cronologico delle singole specie. In tal modo rimarrà fissato il posto indubbio che occupa la for- mazione fossilifera del M. Cedrone nella serie stratigrafìca. 1. Cryptangia sp. — Fra i moltissimi residui di Briozoi celleporoidi ve ne hanno parecchi che vissero unitamente a questo singolare corallo. Sgraziatamente il corallario è mal ridotto e quindi difficilmente si può determinare specificamente, come ac- cade nel maggior numero di simili casi. Tuttavia per la dispo- sizione del corallario, per il diametro dei calici, non vi ha dubbio che si abbia a fare con una delle due specie: C. parasita E. H. o C. Woodii, e più probabilmente coll’ultima. Queste due forme, prima che citassi la C. parasita al M. Mario ed all’Oasi di Siuwa (7 soantari fossili dei dintorni di Itoma, 1893), erano ritenute caratteristiche del Miocene. Finora non furono mai trovate in terreni eocenici. Località. Tra S. Maria Tiberina e la Dogana di M. Ce- drone. 2. Cidaris avenionensis Desmoul. — Cinque radioli, di cui tre ben conservati, somigliano perfettamente a quelli abbondan- tissimi nel Miocene piemontese e corrispondono alle molte descri- zioni e figure della specie, come dcll’Agassiz, Gregory, Desor, de Loriol c Cotteau. Il de Alessandri, che la cita a Bosignano, afferma giustamente che la presente specie è assai comune nel Miocene di Francia, di Svizzera e di Malta. Loc. Tra S. Maria Tiberina e la Dogana. 3. Cidaris Ministeri Sismonda E. — Un sottile radiolo, abbastanza conservato, rispecchia completamente quelli del Mio- 16 A. VERRI E G. DE ANGEL1S D’OSSAT cene piemontese, che si riportano alla nominata specie. È risa- puto che la C. Munsteri fu dal Simonelli identificata con la C. Peroni, fusione che venne accettata dallo stesso Cotteau e poi dal Batlier. Il de Alessandri però vuole ancora ben distinte le due forme. Anche la C. Munsteri fu trovata in soli terreni miocenici. Loc. Tra S. Maria Tiberina e la Dogana. 4. Pentacrinus (?) Gastaldii Michelotti. — Un frammento di fusto costituito di nove articoli, nettamente pentagonali, alter- nativamente uguali in altezza, lo riferisco, con sicurezza, a questa forma, perchè ne presenta tutti i caratteri, come si può rilevare dal lavoro del Noci li ( Contribuzione allo studio dei Crinoidi ter- ziari del Piemonte , pag. 5-10, tav. I, fig. 1-32. Atti Soc. ital. se. nat., voi. XXXIX. Milano 1900). A questa monografia rimando anche per la conoscenza della sinonimia e della storia della specie. Il P. Gastaldii è largamente rappresentato nel Serravalliano (Mayer) dei Colli di Torino (Resca e S. Antonio presso Sciolze; Baldissero, Valle dei Ceppi, Pino, Monte dei Cappuccini). Si trova a Rosignano; nel Leithakalk di Eisenstadt (Suess); nel Miocene di Moravia (Karrer); nei faluns miocène s del Bordolese (Artigue); molassa di Montese (Manzoni); molassa miocenica di Baiato (Bianconi); nel Miocene superiore di Serravalle-Scrivia (Michelotti). Loc. Tra S. Maria Tiberina e la Dogana. Con gli esemplari ora raccolti, il prof. Neviani ha potuto aumentare notevolmente l’elenco dei Briozoi, con le seguenti forme : 5. Cribrilina radiata Moli. sp. 6. » fìgularis Johnst. sp. 7. Hippoporina areolata Reuss. sp. 8. Mucronella coccinea Abild. var. resupinata Manz. sp. 9. » variolosa Johnst sp. 10. Cellepora polythele Reuss. 11. Tubulipora fasciculata Seg. STUDIO DEL MIOCENE NELL’UMBRIA 17 12. Lichenopora hispida Fieni, sp. 13. » cfr. formosa Reuss. sp. 14. Heteropora stellulata Reuss. 15. Alveolaria sp. Loc. Tra S. Maria Tiberina e la Dogana. 16. Cassidaria (Galeodea) cfr. echinophora L. sp. — Dovrei ripetere esattamente quanto già scrissi intorno ai due esemplari trovati a Rosselli, nella pendice est dei Monti Martani. Infatti anche alcuni individui che infarciscono specialmente uno strato presso la Dogana, sono piccoli, per giovinezza, e schiacciati, per pressione; ma tuttavia sempre riconoscibili dalla C. depressa di Hàring. La presente specie, ancora vivente, fu trovata in molte loca- lità mioceniche del bacino mediterraneo ed anche atlantico. Gli esemplari non si distinguono per niun carattere da quelli, che ebbi già a studiare, dello Scldier delle Marche. Alcuni esemplari però forse debbonsi riferire ad altra forma che è difficile rintracciare a causa della pessima conservazione. A primo esame sembrerebbe che dovessero appartenere alla Ga- leodea steplianiophora Font. (Fontannes, Les Mollusgues plio- , cènes de la vallee du Eliòne et da Eossillon, pag. 101, tav. II, fig. 2); ma ben presto si differenziano per la mancanza dei tubercoli. Maggiori invece sono le analogie con la Cassidaria striatala Bon. (Bellardi e Michelotti, Saggio orittografico ... dei terreni terziarii del Piemonte, pag. 51, tav. IV, fig. 7-8), e spe- cialmente con la varietà del Sacco : Galeodosconsia striatala (Bon) var. subottnangiensis (Sacco, I Molluschi terr. terz. Piemonte e Liguria, Parte VII, pag. 70, tav. II, fig. 27 a, b). Le più strette analogie per ora sono con le forme esclusivamente mioceniche o plioceniche. Loc. Presso la Dogana. 17. Clio pedemontana May. sp. — Questa specie frequente nel Miocene deH’Umbria si ritrova anche al M. Cedrone con V Aturia Aturi. Gli esemplari corrispondono perfettamente alla 18 A. VERRI E G. DE ANGELIS D’OSSAT figura dell’Audeninm Un nucleo interno però mostra un’apertura angolare dei lati alquanto maggiore degli altri esemplari. Lo stato dei fossili non concede la possibilità di uno studio più accurato. Alcuni esemplari somigliano alla C. Fallauxi Ritti. Specie di moltissime località del Miocene medio. Loc. Presso la Dogana. 18. Clio cavillata Auden. — (Audenino, I pteropodi mio- cenici del Monte dei Cappuccini in Torino , pag. 102, tav. Y, fig. 8 a-d). Parecchi esemplari splendidamente conservati corri- spondono alle figure, alle dimensioni ed alla descrizione della nuova specie del Miocene medio torinese. Loc. Presso la Dogana. 19. Carinaria Hugardi Bell. — Anche questa forma è fre- quente nello strato con Aturia Aturi, ma, causa la sua fragilità, non è conservata ed intera. La specificazione tuttavia è sicura perchè con un attento studio si riesce a conoscere tutti i carat- teri distintivi. Nell’Umbria la specie è già conosciuta in due località. E forma del Miocene. Loc. Presso la Dogana. 20. Cavolinia Audeninoi Vin. — (Yinassa de Regny, Sopra un nuovo Pteropode miocenico del Bolognese. Riv. Paleont., an. IY, fas. Ili, con fig.). Riporto a questa forma parecchi esemplari che non corrispondono completamente alle figure della C. bisulcata del Ritti ( Ueber die miocdnen Pteropoden non Oesterreicli-Ungarn, pag. 65, tav. II, fig. 29-32), ma molto a quelle dell’Audenino {loc. cit., pag. 101, tav. Y, fig. 2 a-d ) e del Vinassa {loc. cit., C. Audeninoi, fig. nel testo). Qui mi cade in acconcio rettificare ciò che scrissi della C. bi- sulcata (nel nostro Secondo contributo cit., pag. 272), non ricor- dando quanto, dopo la pubblicazione dell’Audenino, aveva pub- blicato il Yinassa {loc. cit.). Anche gli esemplari di Posso Piazzo di Yolpe {fide Panta- nelli), come quelli di Torre del Colle, di Poggio Civitella e di STUDIO DEL MIOCENE NELL’UMBRIA 19 Colle Caeiolfo debbono tutti attribuirsi a questa forma. Alcuni esemplari però, per alcuni caratteri, sembrano avvicinarsi alla var. bononiensis Yin. Del resto anche la C. Audeninoi e la va- rietà appartengono al Miocene. Loc. Presso la Dogana. 21. Aturia Aturi Bast. sp. — Di questa interessante specie abbiamo trovato un esemplare riconoscibile chiaramente per quanto non ben conservato. Sgraziatamente la preparazione in- vece di renderlo più evidente lo ha obliterato di molto. Ho potuto osservare i caratteri del guscio, l’andamento dei setti e la forma generale: cose tutte che corrispondono a questa forma finora trovata solo in strati del Miocene medio. Siamo lieti di potere, con una nuova località umbra, allargare la corologia di questa specie a cui giustamente si annette molto valore cronologico. Anche qui si trova con le marne a Pteropodi ( Langhiano ), come nella valle della Bormida e nella Provincia di Firenze. Loc. Presso la Dogana. * * * Nel seguente quadro sono riunite tutte le forme che si rac- colsero nelle citate località dal Verri, dal Baschi e da me e che furono determinate dal Foresti, dal Neviani, dal Pantanelli, dal- F Ugolini e da me (lavori citati). Di ciascuna specie è indicato il valore cronologico. 20 A. VERRI E G. DE ANGELIS D’OSSAT 3)U9a;a 9U900JS!3|d 9U930!|d 9U900MA3 9U9006l|0 9U9003 + f + i + + f + f + i f f + ! f i + + + + + + f i f f { Il fi f I I f f I f + + + “ + + I f I I I f + + f I f + + f I I I I I f ooioejajo W E-t < H O Eh O o hi hi hi W Q <1 £ S <1 hi o hi cS Sud <1 Oh §h h a j § a-. S m s 3 Ph e vì o o — 03 «5> < 8 ’l e & « §H o « s '■K. & & & O» 'O -§ &1 Bq ?2 O CQ O £ Hi $ $ rg 6 & m I, S P3 PP 8 8 cS O amp.ioj) fieo^iost-co. O) t- CO O! O H tH rH rH CN £ I { 1 + t ! i I + + S JS o Ss .S ^3 Cw 3 r3 < co a> o Q g & s 03 r< ss §5 corrispondenti arealmente alla odierna Europa meridionale, resti di animali oggidì tropicali. Noi ce ne lasciamo tanto meno stu- pire, quando riflettiamo a quell’altro risultato comparativo a cui son giunto: di riconoscere cioè come molto probabilmente spetti allo stesso genere Procyclanorbis anche quell’altro fossile rin- venuto nel 1843 non troppo lontano da Magonza in terreni attri- buiti od airoligocene superiore od al miocene inferiore; ed al quale Herrinann von Meyer diede il nome di Trionyx Gergensi e che può modificarsi nel nuovo di Procyclanorbis Gergensi H. v. Mey. sp. Questa nuova o meglio questa più vecchia specie ci allarga l’area di distribuzione dei Cyclodermidac nei tempi andati everso settentrione di mezza Europa (*); e si appoggia nel suo isolamento sul Prdiyclanorbis sardus: Come, vicendevolmente, il Procyclanorbis sardus si appoggia a settentrione sul Procy- clanorbis Gergensi ed a mezzodì ed oriente sulla molto più gio- vane rappresentanza, sì allo stato fossile che subfossile, del ge- nere Emyda nelle formazioni sivalesi nella valle di Narbada. Ho dovuto accompagnare il presente studio con tre figure che escludessero la mano di un disegnatore. La figura prima rappresenta, quantunque paia inutile una spiegazione, circa ad lfì il clipeo del Procyclanorbis sardus mihi, nel suo presente stato. Alla stessa scala vedesi, in figura seconda, la porzione migliore del piastrone (Hyopiastrone sinistro (sopra) ed Hypopiastrono sinistro) che ho descritti. La vermicolatura non riuscì assoluta- mente visibile tanto è dessa leggera sul soggetto. La figura terza rappresenta, sempre alla stessa scala, le reliquie dello scheletro cefalico. [ms. pres. 20 dicembre 1900 - ult. bozze 9 febbraio 1901]. (l) L’osservazione dei dettagli, non molto riconoscibili, sulla figura della nuova e recentemente descritta specie di Trionyx denominata Tr. Presciienensis e che ho più sopra (in nota a pag. 61) menzionata, mi con- durrebbe a prevedere la possibilità grazie alla quale detta specie do- vesse anch’ essa venir collocata nel mio nuovo genere Procyclanorbis; colla mutata denominazione, per conseguenza, in Proc. Presciienensis Lbe. sp., e con estensione notevole verso oriente della distribuzione geogra- fica, durante il Miocene inferiore, del Procyclanorbis stesso. STUDIO GEOLOGICO DELLA REGIONE MONTUOSA PALOSSO-CONC’HE A NORD DI BRESCIA (‘) Del prof. Giovanni Battista Cacciamali I. Cenni oro-idrografici. La regione presa a studiare estendesi per circa 49 kmq., superficie equivalente a quella d’un quadrato di 7 km. di lato. Essa trovasi allo sbocco della Y. Trompia, tutta nel bacino idrografico del Mella, e precisamente nel versante di mattina : confina quindi ad Ovest con quel tratto del Mella che scorre alTincirca da Sarezzo alla Stocchetta — - a Nord coll’intero alveo di Y. Gobbia o Y. di Lumezzane — e ad Est e Sud col corso del Garza. Collegando l’una all’altra in serie le cime principali di detta regione, veniamo per conseguenza a tracciare la linea di parti- acque tra V. Gobbia e V. del Garza ; questo partiacque è costi- tuito da due tratti, dei quali l’uno, dal lontano M. Prealba (1271 ni.) a M. Doppo (1217 m.), rettilineo e diretto da Nord a Sud, e l’altro, da M. Doppo a M. Palosso (1166 m.), ad arco di cerchio colla concavità rivolta a settentrione. Entrambi i tratti sono divisi in due segmenti da una sella principale : abbiamo inflitti tra il Prealba ed il Doppo il passo del Cavallo (746 m.), che mette in comunicazione le origini di C) Questo lavoro venne compilato nei mesi eli novembre e dicembre del 1900, in base ad osservazioni fatte nei precedenti mesi di agosto, settembre ed ottobre, in 23 giornate di escursioni compiute da Bovezzo. STUDIO GEOL. DELLA REGIONE MONTUOSA PALOSSO-OONCHE 81 Y. Gol loia con quelle del Garza (perocché è duopo avvertire che il Prealba non dà veramente tributo d’acque alla Y. di Lumez- zaue, e che da esso più che il Garza p. d. ne scende l’affluente suo detto Rio Serpentolo) — e tra il Poppo ed il Palosso abbiamo il passo della Cocca (830 m.), che mette in comunicazione il principio del torrente Eaidana (più importante tributario di V. Gobbia) con quello del torrente Listrea (più importante tri- butario del Garza). Yolendo ricordare le altre più notevoli cime del nominato partiaeque, citeremo tra il Prealba ed il passo del Cavallo il Dosso Bavarino (1245 m.j ed il Dosso Giallo (1104 m.), tra il passo del Cavallo ed il Poppo il Dosso Trecle (1152 m.), tra il Doppo ed il passo della Cocca la Cima di S. Giorgio (1125 m.), il M. Calone (1121 m.), il M. Fraine (1051 m.), il M. Conche (1158 in.) ed il M. Faetto (966 m.), e infine tra il passo della Cocca ed il Palosso il Dosso Yallero (1093 m.), il M. Predosa (1077 m.) e la Cima Valli Gemelle (1003 m.). Ed ora diremo dei contrafforti, e conseguentemente delle valli secondarie intercorrenti. Di quelli che si staccano dal tratto ret- tilineo del nostro partiaeque ricorderemo soltanto lo sperone che dal Dosso Trecle si spinge in direzione di NO nel bacino di Lumezzane, separando Y. Gobbia da V. Faidana. Di quelli par- tenti dal tratto curvilineo dalla parte della sua concavità, e quindi necessariamente protendentisi nell’ora ricordato bacino di Lumezzane, non citeremo che lo sperone delle Poff'e, a Nord di M. Predosa, e dividente la nominata V. Faidana dal Vallone Porcino, il quale scende dalla Cima Valli Gemelle pure in di- rezione Nord; ma più numerosi ed importanti, e di maggior interesse pel nostro studio, sono i contrafforti che si staccano dalla parte convessa del tratto curvilineo sopra citato, ossia quelli che si protendono a mezzogiorno di esso : sono dieci, dei quali quattro partenti dal segmento Doppo-Cocca e convoglianti le acque al Garza, e sei dal segmento Cocca-Palosso e (meno uno che tributa anche al Garza) convoglianti le acque al Mella. Il primo si spicca dal Doppo e si spinge a SE, formando M. Gabbie (939 m.) e M. Valcada (882 m.); separa quindi la valle superiore del Garza dalla Y. detta d’Aosta, sboccante a mattina di Caino. 6 82 G. B. CACCIAMALI Il secondo dal Doppo scende verso Caino, costituendo M. Al- marone (766 m.) e dividendo la nominata Y. d’Aosta dalle suc- cessive tre valli del Doppo, di S. Giorgio e di Calone, le quali alla Madonna delle Fontane si riuniscono in una, che sbocca poi ancora a Caino. Il terzo da M. Fraine si dirige alla frazione Villa Sera; lungo la sua linea di displuvio si alza M. Forche (859 m.), ed alla base del suo versante di SO scorre Rio Merolta. Da M. Conche spiccasi il quarto, che dirigesi a Sud formando la Colma Dosso Lungo (1041 m.), poi biforcandosi; nel primo e maggiore suo ramo troviamo M. Porno (969 m.), M. Rozzolo (604 m.) e M. Montecca (663 m.), e nell’altro M. Rinato; tra i due rami la valle del Rinato ; questa e Y. delle Monache (scen- dente dal Conche) sono le due principali tributarie di sinistra della Y. Listrea, la quale da destra di importante non accoglie che Y. del Sambuco (scendente da M. Predosa). Detta Y. Listrea sbocca poi a Nave. Dal nominato Predosa parte il quinto contrafforte per Dosso Falamorbia (1020 m.) e M. Spina (il noto S. Onofrio, 962 m.), dove biforcasi ; lo sperone orientale dopo formato M. Peso (915 m.)r e da questo mandato un ramo a SE verso Monteclana, spingesì a Sud fino alla località Medole, toccando ivi la strada nazionale tra Conicchio e Nave — e quello occidentale dirigesi a SO pas- sando dalla Pentera e terminando ad Artignago; tra i due scende rettilinea da S. Onofrio alla frazione Dosso di Cortine ed al Garza la V. del Cannone. Il sesto staccasi da Cima Valli Gemelle, e risolvesi pure in due speroni, dei quali il primo per Piazza Barafanto (767 m.) e Dosso Cornasello (503 m.) giunge alle Roncaglie, e l’altro, più importante, scende prima a SO fino a M. Verdura (631 in.), poi ad Ovest tino a Costorio. Tra M. Predosa, Dosso Falamorbia, S. Onofrio e Pentera da un lato e Cima Valli Gemelle, Piazza Barafanto e Dosso Cornasello dall’altro abbiamo la Y. delle Bedole ossia del Rio Cornasello, e tra Piazza Barafanto e Dosso Corna- sello da un lato e M. Verdura dall’altro abbiamo la Y. Cadiz- zone; le due valli si riuniscono allo sbocco nel piano, e le loro acque si versano nel Mella sotto Campagnola. STUDIO GEOL. DELLA REGIONE MONTUOSA PALOSSO-CONCIIE S3 Dalla minore e più orientale delle due cime del Palosso (1157 m.) protendesi il settimo contrafforte, che forma Dosso Eanzone (933 ni.) e che divide la Y. del Condigolo (originatasi alla Cima Valli Gemelle) dalla Y. del Vo (originatasi al Pa- losso): queste due valli sotto Dosso Panzone ne formano una sola, che procede ad Ovest, e che prima di raggiungere il Mella passa nel ponte-canale posto a cavaliere della strada provinciale di Y. Trompia tra Costorio e Codolazza. Infine dalla cima del Palosso spingesi a sera il Dosso Vai- lunga (1085 m.), dal quale diramano gli ultimi tre speroni: l’uno diretto a SO, formante Dosso Corno (614 m.) e separante la Y. del Yo dalla V. di Calcina — l’altro diretto ad Ovest, poi a SO e separante la Y. di Carcina da quella di Pregno — e l’ultimo diretto ad Ovest e separante la V. di Pregno da quella di Lu- mezzane. II. Serie normale delle roccie. Nella regione in esame affiorano roccie dei periodi triassico, infraliassico, liassico e giurassico. Trias. Il trias è rappresentato dal suo membro più alto, la nota dolomia principale, i cui strati offrono certamente una potenza di oltre 1000 metri. Essa trovasi in tutto l’angolo NO della nostra regione — il Conche, il Doppo ed il Prealba ne sono interamente costituiti — estendesi inoltre ampiamente nelle valli di Lumezzane e di Sarezzo, per continuare a Marcheno, Inzino e Yello, ed in quelle di Caino e di Vallio per continuare a Sabbio, Hano ed in Y. di Ledro, formando montagne gigantesche, più spesso ricche di fratture e di crepacci, onde le loro cime fra- stagliate sovente inaccessibili, onde i bizzarri profili ed i dirupi fantastici somiglianti a castelli in rovina. Colla sua disaggregazione e decomposizione, questa roccia abbandona in alcuni luoghi cristalli di quarzo che vi preesi- 84 G. B. CACCIAMALI stono ; e nelle fratture forma belle cristallizzazioni di dolomite pura — abbandona pure poche argille che alimentano scarsa vegetazione; ma dove il declivio è forte e la denudazione più facile, si sgretola e si risolve in minuto ingombrante pietrisco, col quale spesso costituisconsi delle breccie che la ricoprono qua e là, e che si denominano crespane. Dal tutto insieme ne risulta un paesaggio imponente, ma monotono, arido, squallido, desolante. La sua tinta è uniformemente grigio-cinerina, talora bianca, talora più scura; ed in generale, specie ne’ suoi strati inferiori, se percossa, esala odore di idrogeno solforato. Fossili caratteri- stici ne sono la Gervillia exilis, il Megalodon Gambetti, il Di- cerocardium Jani , il Turbo solitarius ed altri. La dolomia principale, essendo in generale poco compatta e di facile escavazione, viene utilizzata per calce, e per cavarne la nota polverina usata nella pulitura dei metalli; ma non è atta a lavori di scalpello. Già il Ragazzoni distingueva in questa dolomia tre piani, che in serie ascendente sono: l.° Dolomia cavernosa fetida, di color grigio-scuro, spesso cariata e brecciata, con Megalodon e Turbo. — 2.° Calcari e scisti bituminosi ittiolitici, di solito molto fragili e di tinta bruna o nera. Talora sono così ricchi di bi- tume da essere combustibili, anzi ne fu tentata in più luoghi (Lumezzane, Yallio, Sabbio) l’escavazione, ma senza profitto ; in altre località (Anfo, Eno, Tremosine) se ne sono ottenuti invece marmi neri di ottimo effetto. In questo piano, presso l’abitato di Lumezzane S. Sebastiano, il Ragazzoni scoperse quei pesci fossili che furono poi illustrati dal De Zigno, nonché impronte di crostacei. — 3.° Dolomia principale p. d. con Gervillia exilis , costituente la massa maggiore di questo membro del trias, ed alla quale specialmente si applicano i caratteri generali sopra indicati. In questo piano gli strati sono piuttosto grossi e poco evidenti; ma nella parte più alta si fanno sottili e con nette superfici, come si può constatare con tutta evidenza seguendo la strada di Y. Gobbia, da dove vi si immette Y. Faidana tino alla località Tuffi (J). (‘) A metà circa di questo tratto di strada, e più di preciso all'of- ficina Bonomi, sopra una di queste belle superfici di strati, si osservano STUDIO GEOL. DELLA REGIONE MONTUOSA PALOSSO-CONCIIE 85 Infralias. Alla dolomia principale succedono bruscamente gli scisti neri ed i calcari dell’ infralias. Dove le formazioni di questo periodo sono ben sviluppate, costituiscono montagne d’aspetto molto regolare, quasi geometrico, contrastante singolarmente col- l’aspetto ruiniforme di quelle dolomitiche : cime e declivi spic- cano nettamente anche da lungi come maestose cataste di strati che si direbbero scolpite ad arte, ciò che si può osservare, per esempio, sul fianco orientale dei monti a Nord di Sarezzo, alla cascata del Listrea sopra Monteclana, e sul fianco settentrio- nale di M. Dragone a Sud di Caino. Il contrasto tra le due formazioni è spiccatissimo anche quando l’ infralias occupa il fondo delle valli, perchè vi alimenta abbondante e rigogliosa vegetazione, come si può osservare in Y. di Lumezzane e nel bacino tra casa Merolta e S. Antonio. In alcuni punti della nostra provincia la pila degli strati infraliassici raggiunge anche i 400 metri di potenza ; ma nella nostra regione non oltrepassa i 200, anzi spesso riducesi fino anche a pochi metri, onde quasi pare che la dolomia triassica venga a contatto colla corna liassica; tuttavia tra l’una e l’altra l’ infralias non manca mai del tutto, e lo si può sempre trovare cercandolo con diligenza, onde non si può affatto dire che il suo affioramento non sia continuo. Da Marone sul lago d’Iseo detta formazione, attraversata la Y. Trompia ad Inzino, passa a mattina di Sarezzo, sboccando in Y. di Lamezzane presso l’officina Polotti : da qui piega a mattina risalendo il torrente lungo le estreme falde settentrio- nali del Palosso e dello sperone delle Poffe, poi a Sud risa- lendo V. Faidaua lungo il piede orientale del nominato sperone : indi per S. Carlo e Pater scende in Y. Merolta, da dove prende la direzione di Sud estendendo ampiamente il proprio afflo ra- certe impronte circolari (fattemi notare la prima volta dall’ing. Cano- vetti), ma che reputo lasciatevi eia nuclei di selce anziché di origine biologica. Analoghe impronte si trovano anche in altre località, ed in altre formazioni: le ricordo, per esempio, sui lastroni di medolo nel- l’alveo di Rio Cornasello alle Roncaglie. 86 G. B. CACCI AM ALI mento, che a sera si spinge fin presso Monteclana, costituendo a sinistra della cascata del Listrea il fianco di M. Rinato, ed a destra il piede dello sperone che da M. Peso si protende verso Monteclana (qui con potenza maggiore di 200 m. per evidenti pieghe di strati) — ed a mattina si spinge fin contro M. Bozzolo e M. Montecca: si insinua poi tra questi due monti piegando ad Est e facendosi improvvisamente molto esiguo, e giunge in Y. del Garza alla cartiera Quattro Ruote. Da qui l’infralias prosegue lungo il fianco settentrionale del Dragone, poi a Yallio, Clibbio, Pavone, Degagna e Tremosine, dove for- mando le cime del Tremalzo raggiunge il suo massimo spessore. La nostra regione ne è quindi attraversata da NO a SE con una striscia continua; solo notiamo che questa, come si disse di sopra, talora (così al Pater e tra Bozzolo e Montecca) è appena accennata da pochi banchi di calcari scuri o gialli. L’infralias può fornire buon materiale di fabbrica, discreti marini, calci idrauliche ed anche marne fossilifere utilizzabili come emendamento dei terreni. Si può dividere in tre piani, che in serie ascendente sono: l.° Calcari neri marnosi e marne scistose con JBactryllium strio- latum. — 2.° Calcari nerastri, aspri, spesso brecciati e con ve- nature gialle, alternati con argilloscisti e ricchi di fossili, tra cui predomina VAvicula contorta. — 3.° Calcari scuri con Tcrebra- tuìa gregaria e madrepore. LlAS INFERIORE 0 SINEMURIANO. Nel mio precedente lavoro sulle alture che si distendono tra Brescia e M. Maddalena, interamente costituite da Lias infe- riore o Sinemuriano e da Lias medio o Charmutiano ('), ho già largamente descritte le roccie di detti periodi geologici : nell’at- tigua regione ora in esame gli stessi periodi sono rappresentati dalle stesse roccie, per cui non ripeterò cose già dette, e solo riassumerò. Quanto dunque al Lias inferiore, esso è costituito in basso (Sinemuriano inferiore) da una roccia bianca in grossi strati, O Nei Commentari dell’Ateneo di Brescia pel 1899. STUDIO GEOL. DELLA REGIONE MONTUOSA PALOSSO-CONCHÉ 87 nota sotto la denominazione di Corna, a volte calcareo-com- patta ed a volte dolomitico-cristallina, ed in alto (Sinemuriano superiore), da un calcare grigio, molto compatto e subcristal- lino, ora in grossi ed ora in sottili strati, ricco di intercalazioni di selce per lo più nera, e noto sotto la denominazione di Me dolo ('). La corna succede, con passaggio apparentemente graduale insensibile, ai calcari bruni a polipai dell’ infralias : apparente- mente, perocché la parte alta dell’infralias è tutta calcarea ed a grigie scogliere come la corna ; ma in realtà la differenza li- tologica è tosto ben marcata — oltreché dal cambiamento di tinta nelle fratture fresche — anche dal cambiamento di strut- tura, quando almeno la corna è dolomitica. Seguendo la corna l’andamento dell’infralias, la troviamo in una fascia continua dal Sebino a Gardone Y. T., al castello di Sarezzo, alle falde settentrionali del Palosso ed a quelle orien- tali dello sperone delle Poffe, al passo della Cocca, a M. Fuetto, alla Colma Dosso Lungo ed a M. Porno, alla parte media di V. Listrea ed al M. Peso fin sopra Cortine, — Kicompare poi a costituire la massima parte di M. Montecca, da dove passa ai monti Dragone, Dragoncello e Maddalena per proseguire a Bot- iticino, Serie, Gavardo e nella Biviera benacense. Notiamo come alla Cocca ed al M. Peso prevalga la facies dolomitica della corna, onde questa vi è come tutta frantumata ed inetta a lavori di taglio, ma al pari della dolomia principale alimenta cave di polverina ; al Montecca ed al Dragone invece (') Avverto qui die le due denominazioni di Corna e di Meclolo sono state accettate dai geologi nel più stretto significato che le mede- sime hanno nel linguaggio volgare, da cui furono tolte. In bresciano, per le loro peculiari estrinseche modalità, si chiama Corna ogni roccia che si presenti in banchi formanti sporgenze (le come), e Meclolo ogni roccia a stratificazione evidente e dalla quale si possano ricavare pic- coli blocchi (i medoli) per opere murarie; ma in senso più stretto si applica il nome di Corna al nostro Sinemuriano inferiore, e tale é ri- masto in geologia; e quello di Meclolo alle nostre formazioni dal Sine- muriano superiore al Dogger, e tale é l’estensione che ha presso i geo- logi, dalla maggior parte dei quali anzi, in più ristretto significato ancora, si applica quel nome al solo Charmutiano, od anche al solo Charmutiano superiore. 88 G. B. CACCIAMALI prevale la facies calcarea, ossia quella delle note cave per calce e lavori edilizi di Botticino, Virle e Mozzano. La potenza della corna, nella nominata fascia continua, è da 150 a 300 metri; e se al M. Peso mostra uno spessore di 600 metri, ciò devesi alla ripetizione della sua massa per pieghe teutoniche. Ma dal Dragone in poi la sua potenza è certo real- mente superiore ai 300 metri. Un altro fatto che non deve passar sotto silenzio è questo, che tanto discendendo dal Pater verso casa Merolta, come sa- lendo per la Y. del Pinato a M. Porno, ho potuto osservare tra i banchi più bassi della corna, ossia in vicinanza al suo con- tatto coll’infralias, delle intercalazioni di straterelli marnosi di una bella tinta fior di pesco, cui s’associano altre tinte: dalla disgregazione di questi derivano terre vagamente colorate in roseo, in giallo, in verde. E nemmeno tralasceremo di ricordare altra peculiarità lito- logica offerta dalla corna ne’suoi banchi più alti, ossia ai suoi contatti col medolo sinemuriano: tanto verso Y. del Pinato (ad est della cascata del Listrea), come in V. Listrea stessa (verso Y„ delle Monache), sono osservabili in essa intercalazioni di stra- terelli, lenti e vene di calcare rosato. Il medolo sinemuriano — già da me contraddistinto colla de- nominazione di Eufemiano — avrà una potenza di circa 150 metri,, e segue l’andamento della corna: eccolo quindi addosso all’abi- tato di Sarezzo e della frazione Valgobbia, poi alle solite pen- dici del Palosso e delle Polle, poi in Y. del Sambuco ed in V. delle Monache, da dove risale il fianco occidentale di Dosso Lungo, poi eccolo attraversare il Listrea, passare tra M. Spina e M. Peso, e giungere finalmente sopra Cortine. — Riappare indi in un lembo isolato tra la corna di M. Montecca e l’infralias della cascata del Listrea. Questo orizzonte geologico è inferiormente caratterizzato da grossi banchi che si prenderebbero ancora per corna, se non vi fosse la selce in spruzzi o noduli o diffusa nella roccia (piano che il Curioni chiama banco siliceo della parte superiore della corna, contraddistinto, oltreché da crinoidi ed eehinoidi, dallo Spirifer Walcotti tra i brachiopodi, à&W Asteroceras stellare tra le ammoniti, da \V Atractites ortlioceropsis tra le belemniti e STUDIO GEOL. DELLA REGIONE MONTUOSA PALOSSO-CONCHE 89 eia denti di pesce) — e superiormente dai medesimi banchi alter- nati con strati sottili, nei quali vi è grande abbondanza di letti di selce (1). Lias medio o Charmutiano. Il Charmutiano è costituito dal medolo p. d., ossia da un calcare più o meno marnoso (e quindi spesso impiegato, come a Sarezzo ed alle Roncaglie, per calci idrauliche), ricco di fu- coidi, in banchi quasi sempre di discreta grossezza, più o meno intercalati da straterelli di marna verdognola e contenenti con maggiore o minor frequenza letti o noduli di selce bigia o bruna, che talora è anche diffusa nella massa. La tinta è generalmente bluastra o cinerino-plumbea, che mutasi in giallognolo-cerea per contatto degli agenti meteorici: noto per altro come detta alte- razione superficiale del medolo sia meno sensibile nella regione in esame, dove quasi sempre è palese la tinta originaria, che non nella regione Brescia-Maddalena, dove meno frequente mo- strasi il medolo inalterato. Questa formazione offre una potenza totale di circa 800 metri. Da Yalgobbia, Pregno e Carcina (nella qual’ultima località pre- senta stupende superimi di strati) sale a costituire tutta la mole (‘) Notiamo come il Ragazzoni, che d’altra parte nella sua carta geologica della provincia di Brescia (1880) segnava l’infralias nella re- gione Palosso più a sud e nella V. del Garza più a nord che non sia in realtà, avesse preso per medolo l’infralias della cascata del Listrea e di M. Rinato ; notiamo ancora come il medesimo, pure erroneamente, indicasse costituito da sola corna il M. Montecca; ma avvertiamo al- tresì come egli avesse giustamente segnata la corna di M. Peso, per quanto non ne rilevasse la continuità con quella della Cocca e del Porno, che per lui continuava colla corna del Montecca. Il Cozzaglio poi, che occasionalmente s’é occupato della stessa re- gione ne’ suoi Studii sul bacino alimentatore della fonte dì Mompiano (Brescia, 1894), mentre esattamente rileva la presenza del medolo al Montecca e riconosce Pinfralias alla cascata del Listrea, inesattamente disconosce la continuità degli affioramenti infraliassici, vede dolomia triassica nella corna di M. Peso, di M. Porno e della Cocca, e di con- seguenza ammette un contatto discordante tra medolo e dolomia lungo la linea Cortine-Cocca. 90 G. B. CACC'IAMALI del Palosso, poi discende nella parte alta di Y. Porcino, risale alle Poft’e, al Predosa, al Vallerò, al Falamorbia ed a S. Ono- frio, da qui ridiscendendo con bellissima stratificazione a Bo- vezzo, e distendendosi anche in tutta la Y. delle Bedole: ad est del Falamorbia e di S. Onofrio si spinge poi per un certo tratto fino al Listrea, e ad est di Bovezzo va ad occupare ancora tutto l’alveo di Y. Cannone. — Ricompare in un lembo presso Nave, cioè tra Medole e Monteclana, costituente le estreme falde SE di M. Peso a contatto della corna e dell’ infralias, ed appog- giantesi all’Eufemiano di M. Montecca. Il medolo cliarmutiano è divisibile in due orizzonti. Il primo (potente di circa 100 metri) corrisponderebbe al Charmutiano inferiore - — già da me contraddistinto colla denominazione di Bornatiano — ed è di tinta piuttosto grigia, più compatto, meno marnoso e con poca marna intercalata: vi attribuirei il medolo che si distende tra le frazioni di Yalgobbia e Pregno e che accompagna poi con una striscia continua il Sinemuriano supe- riore, occupando infine l’ alveo di Y. Cannone — come pure quello di Monteclana a contatto del Sinemuriano superiore di M. Montecca. Questo orizzonte venne stabilito qui in base a cri- teri puramente stratigrafici e litologici, perocché ancora non ne è stata studiata la fauna, che dovrebbe corrispondere a quella ad Aegoceras armatimi, Deroceras Davoeì, Liparoceras Becliei e Platypleuroceras Salmojraghi, già riconosciuta dal Parona per vicine località, come Zanano, Pilzone, Provaglio d’Iseo e Bor- gonato. Il secondo orizzonte (potente degli altri 700 m.) corrispon- derebbe al Charmutiano superiore — ossia al Domeriano di Bo- narelli — ed è di solito meno compatto e più marnoso. E il tipico medolo plumbeo o cereo, nel quale talora sono abbondanti e la selce e gii straterelli di marna, talora abbonda quella e scarseggiano questi, oppure è scarsa la selce ed abbondante la marna, e talora infine sono relativamente scarse e l’una e l’altra: corrisponde nel suo complesso ai quattro ultimi tipi litologico- topografici, ed anche cronologici, di medolo già da me stabiliti nel lavoro sul M. Maddalena (Fontanelliano, Gottardiano, Ron- dinino e Cidneano), i quali appunto rappresentano nel loro STUDIO GEOL. DELLA REGIONE MONTUOSA l’ALOSSO-CONCUE 91 insieme Porizzonte paleontologico Oh arimi ti ano superiore o Do- meriano Q). Questo orizzonte contiene la nota fauna a Paltopleuroceras spinatimi ed Amalthem mar'garitatus di M. Domerò e del Ca- stello e dei Konclii di Brescia, già studiata ventanni or sono dal Meneghini, ed or ora riveduta dal nostro Bettolìi, nella cui monografia (1 2) le forme descritte salgono a 122, delle quali 90 spettanti alle ammoniti. Queste sono spesso litoidi, di rado pi- ritizzate, per lo più limonitizzate, ed allora si isolano natural- mente e facilmente dalla roccia, si staccano e si rinvengono con frequenza erranti; tra le specie più comuni, anche tra Concesio e Bovezzo, ricordo le seguenti: Paltopleuroceras spinatimi, Ly- thoceras Gzizeckii e nothum, Rhacophyllites libertus, Phylloceras frondosmn, hebertinum, Partsckii e Stoppami, Hildoceras ahgo- viammi, d&merense e ruthense, Harpoceras Gurionii, Coeloceras pettos e Ragazzoni , Aegoceras Taylori e Spinelli, ecc. Le altre specie spettano ai Crinoidi (es. Pentacrinus basalti formis), agli Ecliinoidi (es. Cidaris erbaensis), ai Brachiopodi (es. Terebra- tula Renieri), ai Lamellibranchi (es. Pecten Rollei), ai Gaste- ropodi (es. Plcurotomaria Orsini), ai Manti li (es. Nautilus in- termedius ), ai Belemniti (es. Atractites indunensis ) ed ai pesci. Nella sua parte più alta il medolo domeriano mostrasi, per 75 m. circa di spessore, con caratteri molto differenti dai so- liti: offre cioè una tinta grigiastra, una struttura come di finis- sima arenaria, ed intercalazioni di strati, riconoscibili anche a distanza, grossi e compatti d’una brecciola calcare-silicea ricca di fossili frammentati, tra i quali sono nettamente riconoscibili abbondanti resti di brachiopodi ( Terebratula, Rliynconella) e cri- noidi (Pentacrinus). 1 Avverto che il tipo o piano Fontanelliano, già ascritto al Char- mutiano inferiore, dovrebbe essere unito invece al Charmutiano supe- riore, e che il Cidneano può forse non essere che Fontanelliano, al qual riferimento non opponesi la tectonica. Rinuncio qui del resto a quelle quattro denominazioni, anche perché i loro rappresentanti presi uno per uno parmi non trovino nella regione ora in esame la più esatta corri- spondenza. (2) Bettoni A., Fossili domenani della provincia di Brescia (Mém. de la Société Paléontologique Suisse, voi. XXVII, Ginevra, 1900). 92 G. B. CACCIAMALI Detto piano è osservabile in Y. di Careina, nella parte alta di Y. del Yo, presso casa Scanfoja e lungo il dorso dello spe- rone che dalla Cima Valli Gemelle per Piazza Barafanto e Dosso Cornasello scende alle Roncag'lie, nonché a sud del Roccolo sopra Medole, da dove lo si può seguire in direzione di NE sopra la Sacca e sotto casa del Lino. Presenta però singolari eteropismi : così alla Scanfoja e sotto Piazza Barafanto coi banchi ordinari del medolo, poco selciosi, oltre a quelli di brecciola alternano ancora straterelli di medolo sottilissimi e quasi scistosi — nella seconda poi delle citate località anche nei banchi del medolo notai veri ciottoli silicei e calcarei (') - — tra Dosso Cornasello e le Roncaglie ad una ventina di metri di banchi di brecciola ne succedono altrettanti di una grossolana breccia molto selci- fera, già rilevata dal Ragazzoni, ed in seguito verso ovest ab- biamo medolo arenoso, alternante ancora con strati di brecciola e che si fa ricchissimo di selce negli ultimi suoi strati, passanti alla formazione toarciana — sopra Medole infine, dopo circa 30 metri di banchi di brecciola, per tutto il resto della zona in discorso si presenta un medolo straordinariamente ricco di letti e rognoni di selce. La marna pare mancarvi sempre. Questo piano a brachiopodi e crinoidi, che riscontrasi anche nei calcari grigi della Riviera benacense e del Veneto, è quel medesimo che si trova in Y. di Navezze a nord di Gussago, e precisamente al Caricatore, stato studiato dal Ragazzoni e dal Bittner, i quali ebbero a riferirlo (insieme al sovrastante piano a Posidonomya) al Lias superiore, ciò che, seguendo quegli au- tori, feci anch’io (5), mentre al Lias superiore spetterebbe solo il nominato piano a Posidonomya — e quello in discorso spette- rebbe invece ancora al Domeriano, e ciò per ragioni paleonto- logiche, al Caricatore di Gussago il Bertoni avendo trovato che tanto le ammoniti osservabili sulla superficie delle breceiole, quanto quelle contenute negli strati del medolo che dividono il (') A proposito della Piazza Barafanto ricorderò come ne’ suoi pressi esista un ammasso di calcite spatica, la quale veniva tempo addietro escavata per impiegarsi, previa macinazione, nell’ industria ceramica. (2) Cacciamali G. B., Appennino umbro-marchigiano e prealpe lom- barda (Commentari Ateneo di Brescia, 1898). STUDIO GEOL. DELLA REGIONE MONTUOSA PALOSSO-CONCHE 93 piano a brachiopodi e crinoidi da quello soprastante a Posido- nomya, spettano a forme caratteristiche del Domeriano : le de- terminazioni del valente paleontologo tolgono ogni dubbio, ed è per questo che colloco ora nel Domeriano anche il piano delle brecciole (*). Avverto però che già il Curioni — contrariamente al Ragazzoni che insisteva per farne un orizzonte distinto — con- siderava le arenarie e le brecciole di Gussago come la parte superiore del medolo che oggi diciamo domeriano. Lias superiore o Toarciano. Agli ultimi strati del medolo domeriano seguono, nella nostra provincia ed in serie ascendente, certe formazioni molto carat- teristiche e sotto l’aspetto petrografico e sotto quello paleonto- logico. Paleontologicamente le caratterizzano la Posidonomya Bronni e tra le ammoniti V Hildoceras bifrons e Levisoni, il Coeìoceras crassum, il Polyplectus discoide s, il Pltylloceras Nil- soni, ecc., forme tutte diverse da quelle della fauna domeriana. Petrograficamente le caratterizzano la straordinaria abbondanza di marne verdognole che si intercalano a sottili strati di cal- cari marnosi chiari. Siamo nel Lias superiore o Toarciano — già riscontrato dal Ragazzoni tra Brione e Gussago, a Carcina, tra Concesio e Borezzo, a Molvina (displuvio tra Botticino e Nu- volera), a Rezzato ed altrove — - e recentemente ristudiato, sotto il punto di vista dei fossili, dal Bettolìi. Tra le località da questi ripassate mancano proprio quelle della regione che abbiamo ora in esame ; ma, e per la posizione stratigrafìca di dette formazioni, e per la loro natura litologica, e per il fatto che ben ricordo di avervi rinvenute in Y. di Car- (*) Bettoni A., Affioramenti toarciani delle prealpi bresciane (Boll. Soc. Geol. It., 1899). — In questa Memoria il Bettoni rileva Terrore nel quale caddi, sincronizzando il piano a brachiopodi e crinoidi di Gussago con quello di S. Vigilio veronese. Giustissimo: il S. Vigilio, anziché al Lias, spetta al Giura, e precisamente al Dogger inferiore : in luogo di esser sottostante al piano a Posidonomya Bronni, lo é a quello a P. al- pina; ma io feci allora quel riferimento sulla fede del Cozzaglio, che a sua volta, nelle Osservazioni geologiche sulla Riviera bresciana del lago di Garda (Boll. Soc. Geol. It., 1891), lo attribuiva, accettandolo, al Bittner. 94 G. B. CACCIAMALI cina, molti anni addietro in compagnia del Ragazzoni, abbon- danti posidonomie, non esito a riferirlo al Toarciano. Esse hanno uno spessore di circa 40-50 m., e constano in basso di sottili strati d’un calcare compatto, color nocciuola chiaro, alternanti con letti molto potenti di marna verdognola e con sottili strati di selce (il calcare stesso contiene la selce in modo così abbon- dante, che questa talora vi si sostituisce quasi completamente) — ed in alto di strati piti grossi di medolo ordinario, sempre alternanti con strati di selce e letti di marna. Quasi sempre offrono singolarissime pieghe concoidi od onduloidi di lamina- zione, che richiamano quelle del Flitscìi appenninico. Gli affioramenti di dette formazioni toarciane, dalla V. di Carcina passano in Y. del Vo, indi salgono tra M. Palosso e Dosso Ronzone ed alla Cima Valli Gemelle, per ridiscendere poi lungo il versante sinistro e nell’alveo stesso di Y. Cadizzone, e finire alla Pieve di Concesio. — Un piccolo lembo isolato delle medesime trovasi ad est di Cortine (casa Pasotti) a contatto del Domeriano di Medole. Giura inferiore o Dogger. Il Dogger — i cui piani in ordine ascendente sono : l’Aleniano (caratterizzato dal Lioceras opalinum ), il Bajociano (caratteriz- zato dallo Stephanoceras Humpliriesianum ) ed il Batoniano (ca- ratterizzato dall’ Oppelia aspidoides ) — per la provincia nostra può dirsi finora una vera incognita, non essendo stato di esso riferito mai alcun dato nè paleontologico nè litologico ; pel primo oserei non già affermarne, ma solo indicarne dubitativamente resistenza in certa roccia, che nella regione in esame avrei ri- scontrata affiorare tra gli strati riferiti al Toarciano ed i noti scisti selciferi ad aptici del Malm o Giura superiore, roccia che quindi — la stratigrafia consentendolo — potrebbe benissimo rap- presentare da noi il Dogger, e che non fu da alcuno rilevata, forse perchè molto somigliante al comune medolo. Come questo è infatti un calcare marnoso a fucoidi, in banchi piuttosto grossi, con inclusione di selce ed intercalazione di marna (scarseggianti fra gli strati più alti) ; pare però meno marnoso del domeriano, STUDIO GEDL. DELLA REGIONE MONTUOSA PALOSSO-CONCHE 95 e la sua tinta è per solito chiara e certo non offre mai il ca- ratteristico turchiniccio-plumbeo eli questo (1). Segue questa formazione, potente di circa 50 ni., quella del Toarciano; la troviamo quindi dalla V. di Cardila alle falde me- ridionali del Palosso e sotto la Cima Valli Gemelle, e da qui per V. Cadizzone a Concesio (casa Canale e ronco Uberti), nonché in un lembo isolato a NE di Cortine, nei pressi di casa Commi. Prima di procedere nell’esame della successiva serie strati- grafica avvertirò come il presunto Dogger, al pari del Toarciano e del piano domeriano a pentacrini, manifesti in modo molto saliente V epifenomeno delia tr ipoli zzazione : ricordo qui come, pen- sando al trasformarsi per epigenesi dei feldspati in caolino e delle piriti in limonite, fatti che si denominano di caolinizza- zione e di limonitizzazione, fossi portato nel mio lavoro sulla Maddalena a chiamare epifenomeni di ferrcttizzazione e di tri- polizzazione i fatti pei quali le roccie calcaree, decalcificate ad opera degli agenti meteorici, abbandonano in posto l’argilla ed il ferro (che si sovraossida) oppure la selce che contengono in diffusione, materiali che costituiscono rispettivamente le terre rosse (o gialle), analoghe per origine e per natura al ferretto, oppure specie di arenarie gialliccie, leggere e spugnose, assai friabili e riducentisi in finissima polvere, affini per l’aspetto e la composizione, se non per l’origine, al tripoli. In V. di Carcina detto materiale tripoloide, già rilevato dal Ragazzoni, è abbon- dantissimo e venne anche impiegato per la modellatura delle ghise ; sopra la Pieve di Concesio ed altrove è del pari larga- mente visibile. Giura superiore o Malm. Il Malm, i cui piani in ordine ascendente sono: il Callo- viano, l’ Oxfordiano, il Kimmeridgiano ed il Titoniano, rispet- tivamente caratterizzati dal Cosmoceras Jason, dal Peltoceras (’) Il Bettolìi, nella ricordata monografia dei fossili domeriani, dice di aver avuto sotto mano alcune ammoniti del medolo di Adro (offrente in tutti gli orizzonti una omotipica colorazione grigio-giallastra), le quali con molta probabilità si debbono ritenere aleniane. 96 G. B. CACCIANI ALI transversarium, dall’ Oppelia tenuilobata e dall : Aspidoceras cy- cloturn, è nella provincia di Brescia rappresentato dal Selcifero che corrisponde all’ Oxfordiano ed al Kinnneridgiano, e dalla Majolica che corrisponde al Titoniano. Da noi mancherebbe il Calloviano, cui tuttavia possono forse corrispondere quei pochi strati d’un calcare grigio-chiaro da me riscontrati, lungo lo spe- rone separante V. del Vo da V. di Carcina, tra il Dogger (qui di tinta meno chiara) ed il selcifero: ai paleontologi la conferma. Il selcifero è in generale costituito in basso dal selcifero p. d., ossia dai noti scisti ad aptici; ed in alto da calcari più o meno rossi; però riscontrandosi al su citato sperone che dal Palosso scende a Dosso Corno, tra i nominati pochi strati di calcare grigio-chiaro e gli scisti ad aptici, altri pochi strati di color rosso e variegato, dobbiamo ritenere gli scisti come intercalati ai calcari ; considereremo in ogni modo prima quelli e poi questi, avvertendo come nella plaga in esame l’intera formazione, po- tente di circa 150 metri, sia osservabile dalla Codolazza alla sella dietro Dosso Corno, alla V. del Yo, alla sella dietro Dosso Ronzone, alla Y. del Condigolo ed alla casa Grassi Carpini, dove volge a sud passando sul versante destro di Y. Cadizzone, da qui ripiegando ad ovest fin sopra Concesio. — Sulla destra del Mella estendesi poi in una striscia tra Zanano, Cogozzo, S. Yigilio, Collebeato ed Drago, spingendosi da Zanano e da S. Yigilio fino ad Iseo ed Adro, mentre nella parte orientale della provincia non ricompare che in Y. di Botticino, da dove prosegue fin nella Riviera benacense. Gli scisti ad aptici sono sottili strati di marne rossastre, cui però si sostituiscono quasi completamente selci policrome, per lo più rosse e verdi, ma anche nere, brune, cerulee, violacee, aranciate, gialle o bianche, tinte spesso vivacissime e talora anche elegantemente venate o sfumate (1). Yi abbonda VAptycus lamellosHS, nè vi mancano belemniti, ammoniti e legni siliciz- (') Ad Urago Mella, come anche a Botticino e Serie, nel selcifero non sono rari diaspri ed agate, di cui potrebbesi tentare l'utilizzazione, dando luogo così ad un' industria delle pietre dure, della quale ci dà esempio la Germania. — A S. Vigilio e Gussago vi abbiamo focaje nere che si potrebbero usare come pietre di paragone: a Gussago dette fo- caje nere sono bituminose e contengono anche traccie di carbone. STUDIO GEOL. DELLA REGIONE MONTUOSA PALOSSO-CONCHE 97 zati. Detti scisti si sfasciano poi con grande facilità, dando luogo ad un abbondante e caratteristico detrito siliceo, la cui parte più fina si impiega utilmente nella segatura delle pietre calcaree. Tra questo selcifero p. d., ed i calcari rossi sovrastanti in- eontransi sottili strati di calcari marnoso-silicei di tinta grigio- scura, che spesso per degradazione meteorica risolvonsi in un materiale poroso, leggero, tripoloide. I nominati calcari rossi infine si presentano in strati un po’ più grossi, sempre alquanto marnosi e color feccia di vino : al loro passaggio alla majolica però la tinta anziché uniformemente vinata è variegata di verdino. La transizione tra il Malm rosso o selcifero ed il Maini bianco o majolica avviene per sfumatura litologica. È la majolica un calcare marnoso bianco, compatto o subcristallino, a bella frat- tura concoide ed in grossi strati: essa viene largamente esca- vata a Costorio ed adoperata per stipiti, panchine, lapidi, monu- menti ed altre opere architettoniche ; subisce pure bella pulitura, e quando la sua omogeneità è perfetta può essere utilizzata an- cora come pietra litografica (1). Continuano nella majolica le ammoniti, le belemniti e VAptycus lamellosus del sottostante selcifero, e vi si aggiunge la Tcrebra- tula diphya: contiene inoltre nuclei, spesso sferoidi, di focaja bionda, assai più omogenea e compatta di quella del selcifero, onde veniva utilizzata dalle popolazioni preistoriche pei loro stru- menti litici. La majolica ha una potenza di circa 300 metri, e si estende in un affioramento continuo nella parte inferiore delle valli del Yo e del Condigolo, tra Dosso Corno e Dosso Ranzone a Nord e Costorio e M. Verdura a Sud. — A chi da Brescia si reca in V. Trompia non può sfuggire questo lato dell’ affioramento di majolica, detto sperone Costorio-M. Verdura prospettandogli il proprio fianco meridionale, colla brulla majolica sul dorso ed il selcifero ricco di vegetazione alla base (2). (') Per quest’uso s’é cercato impiegare anche il Lias inferiore o Corso di M. Denervo nella Riviera benacense; ed il Ragazzoni raccomandava inoltre certi calcari dell’infralias di Nave. (2) Il Ragazzoni nella sua carta geologica indicava inesattamente due affioramenti distinti di majolica. 8 98 G. B. CACCIATALI I piani di posa degli strati di majolica sono spesso rugosi e talvolta presentano patine o brecciole verdastre: il Ragaz- zoni dava grande importanza, come carattere stratigrafico, a questa brecciola cloritica, che scompare nel soprastante Neoco- miano. A detto Neocomiano od infracreta, costituito da calcari com- patti di tinta grigia ed a sottili straterelli, nei quali all 'Aptijcus lamellosus ed alle selci bionde si sostituiscono VA. Didayi e le selci nere, passa insensibilmente la majolica; ma nella re- gione in esame, per quanto gli strati più alti della majolica (p. es. a Costorio) si facciano più sottili e meno bianchi, ed il Curioni li ritenesse spettanti al Neocomiano, la vera formazione neocomiana manca, mentre insieme alla creta è Itene sviluppata più ad occidente, come tra Collebeato e Cellatica ed a Polaveno. III. Tectonica ed Orogenesi. La nota dominante nella tectonica della nostra regione è un’ampia ellissoide sinclinale il cui asse, seguente press’a poco l’alveo di V. del Condigolo, va dalla Codolazza alla Cima Valli Gemelle in direzione dapprima di E, poi di NE ; la majolica di Costorio ne è presa in mezzo, onde gli abbondanti arricciamenti, le bizzarre contorsioni de’ suoi strati. Quest’ellissoide sinclinale è leggermente rovesciata a Sud, per modo che nella sua gamba settentrionale gli strati offrono forti pendenze, mentre dette pen- denze sono più dolci nella gamba meridionale : infatti il giura- lias alla Codolazza, alla Y. di Carcina, al dosso Corno, alla V. del Yo, al dosso Ranzone ed all’alta V. del Condigolo (Scan- foja e Grassi Carpini) presenta — come mi risulta da 19 misu- razioni eseguite — una prevalente pendenza a Sud (oscillante tra S 20 0 e S 20 E) di 40 a 70 gradi; ed a Costorio, a Con- cesio ed al M. Verdura — dove ho eseguite 16 misure — pre- senta oscillazioni tra N e NO, in media dai 20 ai 36 gradi (minimo 12, massimo 50); il raccordamento tra le due gambe della sinclinale ha luogo intorno alla Cima Valli Gemelle, a N. STUDIO GEOL. DELLA REGIONE MONTUOSA PALOSSO-CONCHE 99 della quale le due misurazioni eseguite danno una media di SO 30, ed a S. cinque misurazioni danno una media di 0 7 N 36. Il domeriano che circonda la detta ellissoide, e successiva- mente anche il lias inferiore, l’infralias e la dolomia triassica, partecipano in massima alla medesima tectonica : cosi il medolo di Carcina (media di 2 osservazioni) pende a S 10 E di 56° — quello di Pregno (media di 2 osserv.) a S 20 E di 32° — e quello tra Pregno e Yalgobbia (media di 4 osserv.) a S 12 E di 18°, dimostrando una graduale diminuzione della pendenza mano mano che ci allontaniamo dall’asse della sinclinale; — il medolo poi del Palosso (2 osserv.) pende a S 10 0 di 40° — quello delle Poffe (3 osserv.) a S 33 O di 35° — - e quello di V. Sambuco (1 osserv.) ad O 20 S di 30°, dimostrando con ciò di seguire la curva dell’ellissoide ; — e così l’infralias di Y. Lu- mezzane offre una pendenza a SO di 60° (4 osserv.) — la do- lomia della stessa valle a S 25 O di 53° (2 osserv.) — e la dolomia di M. Conche, casa Lembroni e Caino a SO di 40° (4 osserv.). Nella parte meridionale poi della regione tutte le forma- zioni, dal toarciano di V. Cadizzone all’infralias di V. Mero Ita, in armonia coll’altra gamba della sinclinale, presentano pen- denza oscillante tra O e NO, in media dai 30 ai 40 gradi (minimo 20, massimo 60), come risulta da 63 eseguite misu- razioni. Ma la tectonica, fin ora — salvo pochi localissimi disturbi stratigrafici, che credo inutile rilevare — così semplice e coor- dinata, muta completamente nell’estremo lembo meridionale della nostra plaga, complicandosi alquanto : le masse rocciose si pre- sentano qui affatto dislocate dalle precedenti ed offrono una tectonica loro speciale : ci troviamo dinanzi ad un’altra ellissoide sinclinale, con asse press’a poco parallelo a quello dell’ellissoide di V. del Condingolo, ma del tutto rovesciata a Sud. Le due gambe od ali di questa nuova sinclinale si mostrano evidentissime al M. Montecca, dove il medolo è come intanagliato da due branche di corna, una che vi sta normalmente di sotto e l’altra che vi è rovesciata di sopra. La pendenza che effet- tivamente offre il medolo nell’ ala settentrionale è ad E 25 N di 46° (media di 3 misure); ma dato il rovesciamento di questa, 100 G. B. CACCI AMA LI bisogna ammettere ima rotazione di 134° (complementari di 46°), che avrebbe portato gli strati dall’orizzontalità primitiva all’at- tuale pendenza passando per una pendenza ad 0 25 S. Nell’ala meridionale, normalmente situata, lo stesso medolo inclina a N 30 0 di 20° (media di 3 misure). Le nominate due gambe si limitano pel sinemuriano (corna e medolo inferiore) al M. Montecca, perocché più oltre la me- ridionale scompare sotto il piano di Nave, e la settentrionale urtando (quasi ortogonalmente) contro l’infralias deve sottoporsi a questo; ma il charmutiano (medolo superiore), quello cioè che giace proprio in mezzo aH’ellissoide, si mostra anche un po’ più avanti, e presenta anzi bellissimi arricciamenti ed ondulazioni, ossia curve anticlinali e sinclinali secondarie, con strati portati spesso alla verticalità e certo con fratture e scorrimenti ; la re- gione così disturbata e sconvolta, e che comincia alle falde occidentali stesse di M. Montecca di fronte a Monteclana, con- tinua colla gamba nord della grande sinclinale per Piezze fin quasi sotto alla cascata del Listrea (direzione di corrugamento 0 30 N) — e colla gamba sud fin sopra Borano, Villa e Casina (direzione delle pieghe 0 30 S); ed il medolo, che evidentemente fu sottoposto ad enormi pressioni laterali, deve aver quindi su- bito un metamorfismo meccanico : è difatti molto più compatto del solito, si liscia facilmente diventando assai sdrucciolevole, ed è ricco di caratteristiche vene spatiche. Con molta probabilità l’ellissoide del Montecca, avendo l’asse parallelo a quello dell’ellissoide del Condigolo, deve sotto al piano di Nave incurvare planimetricamente la propria gamba meridionale, in modo da offrire leggera concavità a nord; ed allora la bella anticlinale secondaria del medolo del Coniechio, già rilevata nel più volte citato mio lavoro Brescia-Maddalena, segnerebbe la prosecuzione riaffiorante delle rughe Borano-Villa- Casina. Tale supposizione è confortata anche dal fatto che il dome- riano della Sacca e di Mcdole ed il toarciano ed il dogger di Cortine — i quali, per quanto a stratificazione indisturbata, succedono in concordanza al domeriano corrugato, e fan parte della stessa gamba meridionale dell’ellissoide — offrono incli- nazione che grado grado s’avvicina alla N.: infatti il domeriano STUDIO GEOL. DELLA REGIONE MONTUOSA PALOSSO-CONCHE 101 della Sacca pende (media di 4 misure) a N 37 0 di 32°, quello di Medole (media di 5 misure) a N 17 0 di 20°, ed il toar- ciano-dogger di Cortine (media di 3 misure) a N 10 0. Cerchiamo ora di seguire l’ala settentrionale dell’ellissoide del Montecca, quella cioè che presenta il rovesciamento e che scompare contro l’infralias di M. Binato e della cascata del Listrea. Se da Monteclana volgiamo il nostro sguardo verso oc- cidente ed osserviamo il fianco dell’estremo sperone di M. Peso, sotto casa del Lino, non potremo a meno di rimarcarvi delle stupende pieghe in quegli strati infraliassici, e precisamente rimarcheremo come gli stessi sieno duplicati, offrano cioè delle curve a C colla convessità rivolta a sud: si tratta dunque d’una anticlinale rovesciata a sud, che presuppone la compartecipa- zione della sovrapposta corna di M. Peso, onde si spiega come non sia che apparente la grande potenza offerta in questi punti dall’ infralias e dalla corna. A sua volta detta anticlinale, oggi interrotta dalla V. Listrea, presuppone l’originaria sua prosecu- zione ad E, passante sopra Monteclana ed adagi antesi contro il Montecca, nascondendo cosi anche quella parte di gamba set- tentrionale della nota sinclinale che ora è a giorno per postuma rimozione di materiale; se immaginassimo dunque rimessi a posto la corna e l’ infralias asportati dalle erosioni, vedremmo nella corna rovesciata del Montecca non solo l’ala nord della nominata sinclinale, ma altresì la prosecuzione dell’ala sud del- l’anticlinale di M. Peso, la gamba nord della quale prosecuzione d’anticlinale, passando sull’ infralias di M. Rinato, si colleglle- rebbe colla corna di M. Porno. Ed ecco così che questa anti- clinale rovesciata raccorda qui fra loro le due nostre grandi ellissoidi sinclinali. La gamba settentrionale dell’ellissoide del Montecca potrà dunque continuare ancora un po’sotto l’ infralias del Rinato, della Cascata e della casa del Lino; ma il contatto discordante tra medolo, toarciano e dogger di Monteclana, della Sacca, di Me- dole e di Cortine con infralias, corna e medolo di M. Peso non si può spiegare che colla degenerazione dell’ anticlinale rove- sciata in frattura con salto avente direzione ovest, e che sembra cessare sotto casa Mazzucchelli, per quanto certamente continui nascosta sotto il piano di Bovezzo. Tale frattura, avente pen- 102 G. B. CACCIAMALI (lenza a nord — come lo dimostra il suo arretramento pianime- trico a nord, dove fuvvi rimozione di materiale — ha permesso alle masse rocciose dell’ellissoide del Montecca di scorrere sotto a quelle di M. Peso, facenti parte dell’ellissoide del Con- digolo. La frattura in discorso è forse in relazione con altra che certamente deve passare tra M. Montecca e M. Rozzolo e che si può ritenere la causa della lievissima potenza offerta dall’in- fralias in questo valico, il piano inferiore dell’ infralias, ossia degli scisti neri (che manca affatto ovunque detta formazione ha limitato spessore), essendo infatti un orizzonte, oltreché di facile rimozione, di facile scorrimento. Ed ora che abbiam cercato di mettere in evidenza la tecto- nica della regione esplorata, dobbiamo indagare la genesi del- l’attuale morfologia del suo territorio: per far ciò è d’uopo innan- zitutto, in base alla tectonica, ricostituire l’oro-idrografia primi- tiva, quella cioè che la regione doveva presentare subito dopo il corrugamento e l’emersione de’ suoi strati dal fondo marino — ricercare poi le cause di tale corrugamento ed emersione e della tectonica stessa che ne è conseguita (protofenomeni) — e infine spiegarci le fasi che il rilievo primitivo deve aver attra- versate per trasformarsi nell’attuale (epifenomeni). Ci è già occorso di parlare di asportazione di materiali ope- rata dagli agenti meteorici e dai corsi d’acqua: ripetiamo ora col Lubbock «che i limiti primitivi degli strati geologici non sono quelli tracciati sulle nostre carte — che non un frammento della superficie originaria esiste oggi, essendovi stata dovunque forte rimozione di materiali — che tutte le roccie ora superfi- ciali debbono quindi essersi trovate un tempo a relativa grande profondità » (*). Non è facil cosa tracciare i limiti originari delle nostre stra- tificazioni, per quanto non siavi dubbio che majolica, selcifero, dogger e toarciano dovessero estendersi assai più di oggi a ri- coprire il medolo, questo dovesse addossarsi più largamente sulla corna e questa sull’ infralias, e che l’ infralias dovesse in più forte misura ammantare co’ suoi strati la dolomia triassica, la (‘) Le bellezze della Svizzera (Versione italiana. Milano, Hoepli, 1900). STUDIO GEOL. DELI. A REGIONE MONTUOSA RALOSSO-CONCHE 103 quale a sua volta non doveva presentare quelle profonde inci- sioni clie ora le sono caratteristiche. L’ellissoide del Montecca, come già dicemmo, rimaneva se- polta sotto l’infralias e la corna deH’estremo margine SE del- l’ellissoide del C’ondigolo; e tutte le roceie di questa, non per anco solcate dai numerosi torrenti attuali, erano certo disposte concentricamente attorno al suo asse con maggiore ampiezza, regolarità e continuità: ciò è quanto in generale si può con si- curezza affermare. Che se vogliamo scendere ai particolari, per alcuni punti potremo affermare anche di più: così, per esempio, è naturale che lungo l’asse della sinclinale del Condigolo si determinasse fin dall’origine la valle omonima, bellissimo esempio di valle teutonica; anzi qui possiamo quasi calcolare quale sia stata l’en- tità del lavoro di erosione. Notiamo infatti come oggi l’alveo delle due valli riunite del Condigolo e del Vo non coincida esattamente colla sinclinale, trovandosi questa parallelamente un po’ più a nord, mentre quando il torrente cominciò il suo lavoro, doveva, come si disse, scor- rere nella sinclinale; tenendo presente però che questa è incli- nata a sud, comprenderemo benissimo come il torrente stesso, procedendo verticalmente nell’ incisione del proprio alveo, abbia dovuto di necessità scostarsene sempre più: il suo corso non ha mutato, solo non fu determinato dalla presente configurazione della superficie, bensì da strati oggi scomparsi. Cosicché se noi, tenendo conto della pendenza delle due gambe della sinclinale, immaginiamo rimessi a posto tanti strati quanti ne occorrono perchè l’asse della sinclinale si trovi verticalmente sul corso del torrente, potremo calcolarne con approssimazione l’originaria po- tenza; dico con approssimazione perchè bisogna anche non di- menticare che l’emersione si compiva con estrema lentezza, e che quindi l’erosione aveva luogo contemporaneamente al corru- gamento (1). Ma ad altra interessantissima conseguenza ci porta qui la tectonica: se noi osserviamo l’andamento delle formazioni geo- (*) (*) La valle del Condigolo é splendido esempio di ciò che troviamo teoricamente spiegato dal Lubbock a pag. 161 dell’opera citata. 10 I G. B. CACCI AMALI logiche nella V. Trompia media ed inferiore, ci colpirà tosto il tatto che esse l’attraversano; e se allora immaginiamo rimesso a posto quanto l’erosione ha asportato, non potremo a meno di sospettare che detta valle all’ epoca del corrugamento dovesse essere in ogni punto sbarrata, ossia non dovesse esistere: certo è che non trattasi affatto di valle tectonica, bensì di valle di erosione e quindi relativamente recente; e come con tutta evi- denza a Brozzo e Marcheno è solo per l’ incisione della dolomia triassica che è venuto a giorno il sottostante piano del Raibl, così a Carcina e Concesio è solo per l’ incisione del terreno gin- rese che è venuto ad apparire il medolo: la majolica della nostra ellissoide del Condigolo doveva quindi originariamente formare un corpo solo colla majolica della sella dell’Oca, del Quarone,. dei Camaldoli, ecc. sulla destra del Mella. In base a ciò non esito a lanciare un’ ipotesi che vorrà essere accolta almeno come molto plausibile, l’ ipotesi cioè che la valle del Condigolo pro- seguisse verso occidente (il Mella qui non ancora esistendo) per S. Vigilio e Gussago: l’attuale dislivello tra il piano Costorio- S. Vigilio (220 m.) e la forcella S. Vigilio-Gussago (309 m.) è di soli 89 metri, e questi ci possono benissimo rappresentare l’entità del postumo lavoro di erosione del Mella — ed il conglo- merato miocenico di Sale e della Badia, prima che dai ciottoli della majolica di Brione trascinati dalla V. di Narezze, sareb- bero allora provenuti da quelli della majolica del Condigolo (1). Mi è caro che il risultato cui son qui giunto venga in ap- poggio all’opinione del mio Maestro Ragazzoni essere più antiche le valli trasversali e più recenti le longitudinali, per quanto egli pur ciò ritenendo avesse altro concetto che troppo risentiva delle dottrine catastrofiche dell’antica geologia, considerasse cioè le prime come bacini chiusi che all’aprirsi violento delle seconde riversassero nel piano le loro acque ed i loro materiali (2). C) L'identico conglomerato del M. Orfano bresciano sarebbe pro- venuto da una valle sebina ora scomparsa che portava a Rovato i ciot- toli della majolica d’Iseo; e cosi il coetaneo conglomerato del S. Bar- tolomeo di Salò da un corso d’acqua che pei Tormini e per Salò si ri- versava nella valle benacense. (2) Riferendoci qui specialmente alla V. Trompia, è bene però non dimenticare che essa, geograticamente longitudinale, é trasversale stra- STUDIO GEOL. DELLA REGIONE MONTUOSA PALOSSO-CONCHE 10& Le altre valli secondarie clie solcano il nostro territorio son tntte d’erosione, e quindi ne riparleremo più avanti; qui ci resta solo a dire della Y. del Garza. Il Taramelli (') opina non esser questa che un relitto di valle più importante, ossia della Y. del Chiese, il quale giunto a Barghe doveva prendere la via di Pre- seglie e pel passo di S. Eusebio seguire l’attuale corso del Garza ; non so su quali fatti l’ illustre geologo basi detta opinione; l’ac- cetto tuttavia completamente, sia perchè tale via del Chiese cor- risponde alla direzione NNE-SSO, che è quella dei nostri grandi laghi e delle grandi fratture e linee tectoniche bresciano-tren- tino-veronesi, sia perchè l’attuale dislivello tra Barghe e S. Eu- sebio non è che di 282 m., che possono rappresentare l’entità dell’erosione operata dal Chiese a Barghe dal momento della sua deviazione per Vobarno ad oggi, sia perchè la conca di Odolo da una parte e quella di Nave dall’ altra mi sembrano troppo ampie per gli attuali loro torrenti Yrenda e Garza, sia perchè lungo la linea Barglie-Preseglie-Odolo troviamo non solo rimossa la dolomia triassica e messo allo scoperto il Kaibl, ma rimosso anche questo e messi a nudo la porfìrite infraraibliana ed i calcari e tufi di Wengen. Se le cose stavano così, con molta probabilità anche la valle di Lumezzane da un lato e quella di Vallio dall’altro, dovevano — seguendo un corso retrogrado rispetto all’attuale — essere affluenti di questo antico Chiese, la prima giungendovi per il passo del Cavallo (dislivello tra questo e Sarezzo, 479 m.), la seconda sboccandovi al passo di S. Eusebio (dislivello tra questo e Sopraponte, 344 m.). Abbiamo accennato alle grandi linee tectoniche della regione bresciano-trentino-veronese, che è quanto dire della regione be- nacense : ora — ricordando anche come la medesima direzione tigraficamente. Io non so ora dire che ne fosse della regione attual- mente occupata dalla V. Trompia: forse versava le proprie acque ad oriente nella V. Sabbia per Marmentino e Navono (dislivello tra Taver- nole ed il passo del Termine 513 m.) e per Lodrino e Casto (dislivello tra Brozzo e la Cocca di Lodrino 326 m.) e fors’anco ad occidente per V. di Gombio o V. di Savino e poi per V. d’Ome (dislivello tra Ponte di Zanano e S. Giovanni di Polaveno 302 m.). (') Di alcune delle nostre valli epigenetiche (Firenze, Ricci, 1899). 10G G. B. CACCIATALI sia offerta dall’asse della Maddalena, ultima occidentale mani- festazione di quella tectonica — potremo ritenere le nostre due grandi ellissoidi non rappresentare forse che una deformazione, con spostamento verso ovest, di quelle linee, o meglio, un rac- cordamento del fascio stratigrafico benacense colla tectonica ge- nerale alpina, cui chiaramente obbedisce l’alta Y. Trompia. Abbiamo anche accennato a sovrapposizione concordante delle roccie del periodo cretaceo a quelle del periodo giurese nel ter- ritorio che trovasi sulla destra del Mella, ed a conglomerati miocenici formatisi con ciottoli di roccie giuresi : l’epoca del pri- mitivo corrugamento della nostra regione risale dunque ad un tempo posto tra la fine del cretaceo ed il principio del miocene: per diverse altre ragioni, che qui è inutile ricordare, possiamo precisamente ammettere che detta dislocazione di masse con con- seguente emersione di suolo è post-eocenica, si è quindi iniziata al principio del miocene; con ciò però non si intendono esclu- dere moti orogenici anteriori, palesati fra d’altro dalla presenza di roccie clastiche nel lias (le brecciole domeriane). La causa precipua dell’emersione della terra ferma, più che a reale innalzamento delle sedimentazioni, si vuole oggi attri- buire a ritiro delle acque del mare per abbassamento di vaste plaghe dei fondi oceanici; e se nei continenti emersi troviamo strati coetanei occupare regioni più alte e regioni più basse, ciò vorrebbe dire che anche in quest’ultiroe ebbero luogo affon- damenti ; il corrugarsi poi delle sedimentazioni stesse è certa- mente dovuto alle enormi pressioni laterali che le masse roc- ciose han dovuto subire per il fatto che, data la sfericità della terra, le porzioni della crosta terrestre soggette a bradisismo discendente dovevano adattarsi ad occupare uno spazio minore. Del nostro territorio dovette partecipare all’abbassamento, che colpì la regione veneto-adriatica, la parte meridionale, insieme agli speroni occidentali del M. Maddalena: la spinta laterale venne quindi da S. e SE, onde la direzione 0. e NO delle nostre ellissoidi, la loro inclinazione verso E. e SE, il completo rove- sciamento di quella del M. Montecca, i bellissimi arricciamenti del medolo di Monteclana, la frattura Monteclana-Bovezzo, lo scorrimento e la parziale sottoposizione dell’ellissoide del Mon- tecca al labbro meridionale più esterno dell’altra. STUDIO GEOL. DELLA REGIONE MONTUOSA PALOSSO-CONCHE 107 Ma altri fatti riflettenti la geologia generale del bresciano dimostrano ulteriori ritiri del mare per ulteriori affondamenti a SE, e quindi ulteriori moti di assettamento nella regione pede- montana e nella pianura, e precisamente uno alla fine del plio- cene, ed altro in pieni tempi glaciali, moti ai quali già accennai nel mio lavoro sulla geologia della collina di Castenedolo (1). Agli abbassamenti agli sbocchi di valle l’Heim dà grande im- portanza come causa della incisione dei terrazzi orografici, ogni abbassamento dovendo determinare cascate e rapide, frane e forre al limite del superiore terrazzo, e quindi più energica azione erosiva e più attivo scolpimento delle valli, mentre il Taramelli vede piuttosto nel sollevamento delle masse montuose e nell’ aumento delle precipitazioni atmosferiche durante i pe- riodi diluviali del quaternario, la causa della maggiore inten- sità della forza erosiva e quindi dell’approfondirsi più energico delle valli. Comunque — - e sia pure combinando un abbassamento allo sbocco con una portata più considerevole della corrente, e sia ancora che le cause delle mutazioni nell’andamento delle valli vengano a complicarsi per altri movimenti di suolo, come ac- centuazioni di curve stratigrafiche o dislocazioni conseguenti a fratture — la principal causa determinante il brusco cambia- mento della direzione dei corsi dei fiumi sta nella cattura delle valli, la quale dal Lubbock è spiegata con queste parole : « I corsi d’acqua retrocedono verso il partiacque per erosione, ed anche l’attraversano, e se la valle nella quale forzano il loro passaggio è a livello più alto, catturano le acque superiori». Or appunto a catture attribuirei l’abbandono della via S. Eusebio- Brescia da parte del Chiese, nonché il costituirsi della V. Trompia, fatti che forse si potrebbero collocare nella fase orogenica tra il terziario ed il quaternario, al pari dello spostamento degli strati miocenici della Badia e di M. Orfano. Il Chiese, che sulla fine del pliocene, percorrendo ancora le valli della Vrenda e del Garza, forniva le ghiaje al conglome- rato preglaciale di Castenedolo, durante il secondo interglaciale sboccava nella valle benacense, avendo lasciato al cimitero di (') Nei Commentari dell’Ateneo di Brescia pel 1896. 108 G. B. CACCIATALI Salò traccia delle sue gliiaje : fu dunque il fiume salodiano che essendo retroceduto fino a Barghe catturò qui il nostro Chiese ; solo alla terza invasione glaciale questi, per sbarramento mo- renico, abbandonò anche la via benacense per l’odierna, nella quale s’impadronì di nuovo della valle di Yallio. Quanto al Mella, era forse in origine un torrentello limitato al tratto Concesio-Stocchetta ed affluente del vecchio Chiese: retrocedendo per erosione sarebbe andato impadronendosi mano mano delle superiori valli, sia in forza di cattura, sia in con- seguenza di graduale indietreggiamento del partiacque de’ suoi affluenti: così la prima valle (del Condigolo) sarebbe stata con- quistata per cattura; la seconda (di Lumezzane) per continuato spostamento verso Est del passo del Cavallo, ece. ecc. Altro esempio di cattura nel nostro territorio abbiamo nella Y. Merolta : molto probabilmente questa in origine passava a sera anziché a mattina del Bozzolo, cooperando all’erosione del- l’infralias e confluendo nel Listrea, e più tardi veniva catturata dal torrentello che produsse la profonda incisione nella dolomia tra M. Rozzolo e lo sperone di Yilla Sera: allora lo sfasciume dell’ infralias venne convogliato in questa nuova via, e noi lo troviamo qui erratico e largamente utilizzato nelle costruzioni di Yilla Sera e Caino. Come esempi di arretramenti più recenti, possiamo citare la Cima Yalli Gemelle, la quale doveva essere più a Nord e più elevata prima che V. Porcino risalisse per erosione ; nonché il principio dell’alveo del Listrea, il quale, sempre per erosione, va tuttora retrocedendo nei pascoli a Sud del passo della Cocca. Delle altre valli della regione studiata, solo la nominata del Listrea, quella del Yo e la Y. Porcino incidono ortogonalmente, come la Y. Trompia inferiore, le stratificazioni, e son state quindi forse determinate da fratture originarie e superficiali negli strati ora scomparsi, alla qual causa si potrebbe riferire anche il corso del vecchio Chiese (seguente antica superficiale frattura in pro- secuzione della Merano-Idro), nonché il tratto superiore di Y. Gob- bia, quello inferiore di Y. Merolta e le altre vailette di Caino (S. Giorgio, Aosta, ecc.). A proposito del Listrea, dobbiamo notare come la sua bella cascata, precipitante tra pittoreschi dirupi ricchi di incrosta- STUDIO GKOL. DELLA REGIONE MONTUOSA PALOSSO-CONCHE 109 zioni e cementazioni calcaree (tuffi e breccie), dovesse trovarsi in origine molto più a Sud, cioè all’incirca a Monteclana. E veniamo inline a quelle valli che sono state evidentissi- mamente determinate dalla maggiore erodibilità di alcune roccie, e che quindi seguono randamento di queste : sono le così dette «valli di fiume» o «valli monoclinali », le quali, seguendola pendenza degli strati che incidono, sono andate e vanno di con- tinuo migrando spostandosi parallelamente a sè stesse. Tali sono: la Y. Faidana e la parte inferiore di V. Gobbia, le quali, ero- dendo l’infralias, tendono a spostarsi rispettivamente verso Ovest e Sud; le valli di Pregno e di Carcina, le quali si spostano a SE erodendo rispettivamente il medolo ed il toarciano; la Y. di Cadizzone, incidente il toarciano e spostantesi a NO; e le valli del Cornasello e del Cannone, incidenti il medolo e che origi- nariamente più a SE, si son portate e si portano verso NO. Lo sfasciume trascinato in basso da V. Cannone ha prodotto, tra Bovezzo e Cortine, il bel conoide sul quale sta la frazione che dicesi appunto del Dosso e le di cui breccie risalgono fino alle case Mazzucchelli e Prignole. Anche allo sbocco del rio Cornasello, tra Roncaglie e Arti- gnago, abbiamo una grande quantità di detrito siliceo e di terra rossa, che ammantano il Monticello e sono a loro volta solcati da caratteristiche vallette di erosione. Abbondante è pure il detrito di V. Cadizzone, che però si confonde coll’enorme quantità di tritume rosso siliceo-argilloso sceso dall’alto del M. Verdura e nascondente per lo più la roccia che ne è in posto alla base : questo continua anche dietro la Pieve di Concesio, dove vi si associano grandi blocchi di solida breccia formata in prevalenza con frammenti del calcare majolica. Breccia di majolica trovasi ancora alla confluenza delle valli del Condigolo e del Yo. La V. di Pregno è del pari ricca di brecciame e di detrito siliceo-ocraceo, come si può constatare salendo per Zignone al Palosso. Ma anche nelle minori vailette possiamo trovare relativa abbondanza di sfasciume roccioso: così in quella scendente dalle falde del Peso verso casa Pasotti, dove un terreno rosso siliceo ricopre il toarciano — in quella scendente dal Montecca verso no G. B. C ACCLAMALI Monteclana, dove possiamo osservare anche la più facile ferret- tizzazione e tripolizzazione degli strati verticali del medolo, ecc. Nè dobbiamo dimenticare il detrito caratterizzante quelle selle che si trovano a cavaliere di due vallette trasversali e che son dovute a prevalente credibilità del terreno: così le selle dietro Dosso Corno e Dosso Eanzone dovute alla serie dal toar- ciano al selcifero, Cocca e Pater dovute all’infralias, ecc. * Giunto così al fine del mio dire, debbo dichiarare che la parte riguardante la ricostituzione delle passate oro-idrografie non è che un tentativo fatto per seguire le tendenze della mo- derna geologia, tendenze che vedo con piacere seguite anche dal collega Cozzaglio ne’ suoi geniali lavori presentati in questi due ultimi anni all’Ateneo di Brescia ed al Club Alpino Ita- liano; non pretendo quindi aver fatto cosa definitiva, e sarei anzi lieto se altri, sia per critica che per nuovi studi, potesse fare cosa migliore e più esattamente dimostrata. [ms. pres. 11 gennaio 1901 - ult. bozze 13 febbraio 1901]. Boll, della Soc. Geol. II. voi. XX (1901). VaUangj, • C. Porcino Cimi V; «5» ' / Carciijf \ //-•' redosa \ • \C. Elnzone Barataci M. Verdura Castel;^, ■C. Ubarti Dos&o Cornaselo Con cesio Pieve '*'^1 ^ Concesio!', C. Cadi e zone Alluvioni C. Peuiera Talus. conoidi, breccie, tuffi □ Majolica Malm Selcifero □ D Qffger □ Lias superiore j [Domcriano ) ^ Eufemiano Massuc, inferiore Corna Infralias medio - lEornatiano Dolomia triassica Conicchio ,u Scala nel ru Vi 14 o 34 (Cacciamali) Tav. II VJ-- ^Idana Domo Domo Mi Fraine C. Pater 8. Antonio ( i Bozzolo Inatteso ot* C.^e! Lino Mdjseclan» Caelna nhfrt 56600 C. 8. CACCI /.‘SALI di. / noofca \ < ; / ./ y / / LO STUDIO GEOGNOSTICO-AGRARIO DEL SUOLO ITALIANO E LE CARTE AGRONOMICHE Nota dell’ ing. A. Stella Troppo si è parlato e scritto da qualche tempo di stridii geognostico-agrarii e specialmente di Carte agronomiche, perchè la nostra Società Geologica non abbia a farsi viva sull’arg'óihento, che merita certamente un serio esame; tanto più, che, se tutti coloro che ne parlano mostrano di essere unanimi nel concetto, che anche in Italia, come altrove, debba lo Stato fare gualche cosa a tale riguardo, la difficoltà seria sta nell’indicare che cosa e come fare. L’argomento per verità non è tanto nuovo nè agli agronomi nè ai geologi, e tanto meno alla nostra Società Geo- logica: in seno alla quale il Prof. Taramelli nella riunione di Fabriano ebbe già, quasi ventanni addietro, a richiamare su di esso l’attenzione dei Soci e del Governo. Ora che l’argomento è, come si suol dire, all’ordine del giorno, sia permesso anche a a me di dirne qualche cosa; lieto se i colleglli vorranno prendere in esame e discutere alcune idee, che liberamente loro espongo, augurando, che si arrivi a qualche concetto direttivo pratico e commisurato allo scopo. E lo scopo anzitutto quale è? Che cosa vogliono e si pro- pongono agricoltori e studiosi, che da qualche tempo sono en- trati in quest’ordine di idee? Partendo dalla necessità, che l’Italia impari a conoscere il proprio suolo agrario più e meglio di quanto lo conosca finora, essi vorrebbero, che possibilmente si organizzasse uno studio si- stematico e generale del suolo italiano dal punto di vista agro- 112 A. STELLA nomico o geognostico-agrario. Per raggiungere un tale scopo, si pensa dai più alle eosidette Carte agronomiche, che si dovrebbe imprendere a rilevare e pubblicare, come contributo presunto es- senziale e principale a un tale studio del suolo agrario italiano. Ed è qui secondo me, che si arrischia di cadere in un grave equivoco, anzi in una catena di equivoci; se non si cerca di ren- dersi ben conto della portata e del valore delle « carte agrono- miche, rispetto agli stridii geognostico-agrarii » ; - ed è special- mente a chiarire questo punto essenziale, che dovrebbe la nostra Società lealmente sforzarsi di cooperare, nell’interesse stesso dello scopo scientificamente e praticamente cosi importante al quale si mira. Ora a che mira lo stadio geognostico-agrario di una data regione? Esso mira a rendere conto, per quanto è possibile, delle « caratteristiche » del suolo su tutta la superficie della regione presa in esame ; delle quali caratteristiche, per consenso generale, le principali sono: la struttura fisica, la composizione chimica; e il profilo del terreno fino ad una certa profondità. Per giungere allo scopo è necessario fare uno speciale esame geognostico della regione, aiutato eventualmente da scavi e son- daggi; una oculata presa di campioni, e uno studio fisico-chimico di questi in laboratorio. E necessario quindi coordinare ed esporre in apposita Memoria descrittiva tutti questi dati in modo tale, che si possa dalle soltanto parziali diagnosi fatte sul terreno e in laboratorio ricavare un’idea per quanto possibile approssimata delle caratteristiche del suolo agrario su tutta la regione in parola. Ora se si riuscisse a riportare su una carta topografica ab- bastanza grande della regione, con colori e segni convenzio- nali, un numero sufficiente di dati risultanti da questo studio geognostico-agrario, in modo tale, che dalla ispezione della carta si potessero ricavare con sufficiente approssimazione le caratte- ristiche del suolo agrario in un punto qualunque della regione; si potrebbe affermare di essere riusciti a dare veramente una Carta agronomica nel senso strettamente scientifico e pratico della pa- rola. Ma si può e si deve schiettamente dire, che, salvo casi eccezionali di limitate aree in speciali condizioni topografiche e geologiche, la cosa non è possibile, specialmente per difficoltà ine- LO STUDIO GEOGNOSTICO— AGRA RIO ECC. 113 renti alla enorme molteplicità dei dati, che bisognerebbe rilevare e rappresentare ; sicché le cosi dette « carte agronomiche » che eventualmente corredino lo studio geognostico-agrario di date regioni, sono agronomiche in senso molto lato ; esse possono sol- tanto cercare di avvicinarsi al desideratum sopra accennato ; dal quale talora rimangano forzatamente cosi lontane, da ren- dere anche dubbia la convenienza della compilazione loro. Questo non toglie affatto, anche, e anzi specialmente in questi casi, la con- venienza dello studio geognostico-agrario ; del quale le così dette « carte agronomiche » possono essere un eventuale eccellente corredo, ma non sono la parte essenziale, nè sempre ugual- mente convenienti o necessarie. Per uscire dalle generali, occorre anzitutto notare, che le diverse regioni di un paese, e quindi anche del nostro, vanno distinte in due grandi gruppi dal punto di vista dello studio del terreno agrario ; e cioè : regioni di piamira e regioni di monte (colline e montagne). Le nostre pianure, come è noto, sono essenzialmente la sede dei terreni di trasporto quaternari, i quali presentano in gene- rale da punto a punto differenze di struttura e di composizione, oltre che differenze di profilo geognostico in profondità. Le prime sono in gran parte ri levabili abbastanza approssimatamente a una attenta ispezione del terreno, a seconda che esso sia più o meno fino, con scheletro sabbioso ghiaioso o ciottoloso. Le se- conde invece risultano essenzialmente da analisi fisico-chimiche, in laboratorio, di un sufficiente numero di campioni; la cui scelta è cosa molto delicata, e per la quale può servire di guida l’esame preliminare del terreno, tenuto conto, oltreché dei suoi carat- teri strutturali, della sua genesi geologica, della giacitura, dello stato d’aggregazione e di plasticità, del colore, della natura li- tologica dello scheletro, della effervescenza all’attacco acido ecc. Per una limitata regione di pianura si verrà infine ad avere un certo numero di tipi di terreno differenziabili per struttura e composizione; e ai quali si dovrebbe poter riferire qualunque porzione di terreno agrario della regione in parola. Un’accurata Monografia descrittiva della regione e delle ca- ratteristiche di questi tipi di terreno, già per sè scientificamente 9 114 A. STELLA interessante, faciliterà ai pratici il compito di un tale riferi- mento; e ad ogni modo servirà di orientamento a chi, in una data area della regione, voglia conoscere in particolare la varia natura del suolo agrario. Sarebbe certamente desiderabile di poter corredare una tale illustrazione descrittiva con una Carta agronomica, nella quale si riuscisse a segnare le aree di distribuzione dei diversi tipi di suolo così distinti, o almeno si cercasse di avvicinarsi a tale grafica rappresentazione. — Per una carta di tal genere può es- sere un buon punto di partenza la carta geologica, nella quale le grandi divisioni dei terreni quaternari fatte dal geologo hanno una certa importanza agronomica, perchè ciascuna formazione geologica comprende, almeno in generale, terreni analoghi fra di loro per certi caratteri (stato di aggregazione e di altera- zione, giacitura altimetrica, natura di sottosuolo, ecc.) e diffe- renti dai terreni delle altre formazioni. Una ulteriore suddivi- sione dei terreni di ciascuna formazione geologica può essere fatta cercando di delimitare a vista i terreni per grossezza (dai ciottolosi ai terrosi), e aggiungendo alcune altre delimitazioni dei tipi facilmente riconoscibili sul posto; come sarebbero even- tualmente i terreni molto umiferi o torbosi, quelli fortemente ar- gillosi o fortemente calcarei, ecc. Si avrà così una carta geogno- stica dettagliata a scopo agronomico, ossia una carta agrono- mica in senso lato ; nella quale si potrà inoltre indicare un certo numero di profili del terreno, e i punti precisi di presa dei campioni caratteristici analizzati: una carta cioè redatta in modo analogo alle cosidette « carte geo-agronomiche dettagliate » che si vanno compilando in diversi Stati limitatamente alle regioni di pianura. Evidentemente carte siffatte, oltre a presentare un interesse scientifico, riusciranno di più o meno grande vantaggio pratico a seconda della scala, della approssimazione che raggiungono le delimitazioni fatte, del numero di osservazioni, e specialmente a seconda delle analogie genetiche fra i terreni raggruppati in una medesima formazione geologica, e delle differenze fra le diverse formazioni distinte nel quaternario. Nelle nostre pianure, per esempio, una carta così compilata avente a base le tavolette topografiche a grande scala (1: 25.000), LO STUDIO GE0GN0ST1C0— AGRARIO ECO. 115 e in cui si inseriscano le elivisioni per formazioni geologiche, e le suddivisioni basate sulle caratteristiche anzidette del ter- reno, potrà avere un certo significato agronomico in una regione allo sbocco di una vallata, e limitatamente all’area di dominio dei terreni di trasporto di quell’unico bacino; mentre avrà un signi- ficato agronomico molto minore in una regione, che cada al li- mite fra le aree dominate da due o più bacini di diversa ossa- tura geognostica ; caso questo ben più frequente di quanto si creda, se si tiene conto delle oscillazioni, che quel dominio ha subito non tanto nell’attuale, quanto nei precedenti periodi del quaternario. È a domandarsi quindi, se non sia il caso di accontentarsi in massima di criteri geologici, e di carte geognostiche riassun- tive, come guida onde studiare i terreni di pianura per regioni naturali, e fare il prelevamento dei campioni per zone geogno- stiche in ogni regione; salvo vedere, dopo uno studio prelimi- nare di ogni regione, come sia da procedere a completare questi ed altri dati, che eventualmente già esistessero, per avere ele- menti sufficienti alla descrizione geognostico-agraria della re- gione, e a una eventuale rappresentazione cartografica di essa. Nella grande pianura dell’Alta Italia p. es. l’esame geo- logico suggerisce una prima divisione in regioni naturali. I sin- goli altipiani del ferretto, i diversi anfiteatri morenici, certe zone pedemontane subalpine e subapennine, le aree di sbocco delle valli prealpine, la grande striscia del bassopiano allu- vionale padano, il delta padano, l’estuario adriatico, etc. sono altrettante regioni caratteristiche, in ciascuna delle quali di- versi sono i criteri geognostici di presa dei campioni per zone, e diversa la importanza scientifica e pratica di ulteriori sud- divisioni cartografiche. Diversa è pure la copia e la importanza di dati geo-agronomici già esistenti ; fra i quali sarebbe erroneo il dimenticare quelli del rilevamento catastale, o eseguito o in via di esecuzione; nel quale, fra l’altro, si tien conto e anno- tazione delle caratteristiche almeno strutturali del suolo, e spesso del sottosuolo, per ogni appezzamento parcellare, rendendo così discutibile assai la opportunità di procedere alle apposite labo- riose e mediocremente approssimate delimitazioni strutturali sulle tavolette topografiche ordinarie. 116 A. STELLA Passando alle regioni montuose e collinesche, di gran lunga prevalenti in Italia, è noto, che ivi i terreni di trasporto quater- nari propriamente detti, di solito sono subordinati ; mentre la os- satura loro è costituita generalmente di roccie svariate delle di- verse formazioni geologiche. Il suolo agrario in una data porzione di un bacino montuoso presenta in generale una variabilità di struttura e di composizione che dipende da diversi fattori : e cioè dalle condizioni topografiche; dalla natura litologica e dalla varietà delle roccie costituenti non solo la parte che si consi- dera, ma anche la porzione a monte di essa; infine dalla pre- senza di lembi di terreni quaternari provenienti anche da bacini ad esso estranei. Questa variabilità dei terreni nelle regioni mon- tuose e collinesche, se in certi speciali casi favorevoli può essere anche minore che in pianura, in altri ben più frequenti è invece assai maggiore, e talora tanto grande, da rendere ben laborioso il compito di stabilire quei tipi caratteristici a cui riferire con qualche successo i terreni della regione. Occorre perciò un lavoro di ispezione geognostica molto minuzioso e delicato, il quale tenga conto contemporaneamente della influenza che i fattori suddetti esercitano sul meccanismo di formazione del terreno, cercando anche qui, come in pianura, di raccogliere per le ri- cerche di laboratorio, una serie possibilmente completa di cam- pioni, che rappresentino le diverse strutture di terreni dai più grossolani ai più fini, e le diverse qualità, aiutandosi nella scelta colle medesime osservazioni preliminari addietro accen- nate sullo stato di aggregazione, natura litologica dello sche- letro, aspetto e colore della terra fina, effervescenza all’attacco acido, ecc. L’esame in laboratorio di una siffatta serie di cam- pioni suggerirà una classificazione di essi in un certo numero di tipi caratteristici più o meno numerosi, tipi ai quali il pra- tico possa riferirsi localmente; in ciò aiutato da una accurata e chiara Descrizione della regione con l’indicazione dei criteri che hanno servito allo studio, e di quelle altre notizie, che può essere opportuno di aggiungere (profondità di suolo, profili del terreno, acque sotterranee, correttivi, ecc.). Come buon elemento dimostrativo e illustrativo di un tale studio geognostico-agrario sarebbe certamente molto opportuna LO STUDIO GEOGNOSTICO- AGRARIO ECO. 117 anche qui, come in pianura, una Carta, che si avvicinasse ad essere « agronomica » nel senso più completo della parola addietro definito. Ma a redarre una carta siffatta per una regione mon- tuosa e collinesca, le difficoltà sono generalmente molto mag- giori che in pianura ; e, anche con tutto il buon volere di ren- derla completa, ne è molto più spesso problematica la effettiva utilità. Gli è per questo che quasi tutti gli Stati che pure ala- cremente lavorano alla formazione delle anzidette carte agrono- miche dettagliate di pianura, hanno creduto finora di non occu- parsene per le regioni montuose e collinesche. Ora anche in queste per venire al concreto è naturale e razionale, che si parta da una base geognostica. Ma qui le divi- sioni che suol dare la carta geologica, falliscono in gran parte allo scopo di una carta agronomica dettagliata, se non sono op- portunamente completate. È noto infatti, che il geologo, pur estendendo le sue osservazioni ai diversi tipi litologici che co- stituiscono l’ossatura dei monti, nella sua carta si sforza di rap- presentare i differenti piani geologici ; i quali, se talora cor- rispondono all’ingrosso a differenti qualità di tipi rocciosi, gene- ralmente comprendono, per ciascuno, diverse qualità di roccie, le quali si ripetono uguali anche in piani differenti; e della cui particolareggiata delimitazione sulla carta egli si occupa solo eccezionalmente, nè potrebbe altrimenti. Ne viene, che in una Carta geologica come si suole intendere e come anche da noi si intende e si eseguisce per regioni montuose e collinesche, la coloritura geologica in generale è ben lungi dal rappresentare in dettaglio la natura litologica. E siccome è appunto alla na- tura litologica specialmente, che è legato il suolo agrario; bi- sogna, per avere una base ad una carta agronomica dettagliata, passare dalla carta geologica a una Carta litologica, introdu- cendo nelle molte divisioni della carta geologica le molteplici suddivisioni litologiche dettagliatamente rilevate e delimitate. Ma con ciò si è ancora troppo lungi in generale da una Carta agronomica. E per arrivare a questa, la cosa qui si complica ben più gravemente che per le Carte di pianura, a causa di un feno- meno generale, che essenzialmente caratterizza la formazione del suolo agrario nelle regioni collinesche e montuose, in confronto 118 A. STELLA di quelle di pianura, o almeno della pianura propriamente detta. In questa si capisce, che in una data area il suolo agrario non è altro, che il « cappello d’alterazione » (più o meno artificial- mente modificato) di quella parte di terreni di trasporto qua- ternari che ivi si formarono e che tuttora si trovano. Se, invece di una pianura di formazione quaternaria, noi avessimo una pianura di altre formazioni, costituita per esempio di graniti, calcari, arenarie; cioè avessimo questi graniti, calcari, arenarie, varia- mente affioranti in un territorio piano, in modo da presentare superficialmente un certo cappello d’alterazione che funga da suolo agrario; è evidente, che a ciascuna zona di sviluppo di quelle differenti roecie, corrisponderebbe una zona del rispettivo cappello d’alterazione in posto; si avrebbero cioè altrettanti tipi di suolo quante qualità di roecie, ciascun suolo ricoprendo le aree di sviluppo della rispettiva roccia-madre. In tale caso la Carta geo-litologica della regione sarebbe contemporaneamente una discreta « Carta agronomica ». Ma in natura la cosa non è così; e se nelle nostre regioni montuose e collinesche ci sono talora aree che si avvicinano a un tal caso particolare, il caso generale è pur troppo ben più complicato. Giacché in tali regioni, alla cui superficie topografica irregolare affiorano le differenti roecie costituenti colli e monti, lo sfacelo di roccia col terriccio che lo accompagna, solo ecce- zionalmente può rimanere tal quale sul luogo di formazione; donde, sia dalla forza di gravità, sia dalle acque di dilava- mento, sia da acque correnti, sia dai venti, è in tutto o in parte rimaneggiato e trasportato fuori della area di sua formazione. Come è noto, nascono così le scarpate detritiche, le variabili zolle terrose dei versanti, le conoidi di deiezione, le distese al- luvionali delle valli, e in genere quel complicato rimaneggia- mento del terreno detritico locale, il cui risultato è la veste varia di suolo agrario, che in gran parte nasconde per così dire ai nostri occhi lo scheletro roccioso, che ne è irregolarmente ricoperto. Se questa veste fosse trasparente sì da lasciarci di sotto travedere la natura litologica delle masse, su cui essa si adagia; ci apparirebbe chiaro quanto poco il suolo agrario cor- risponda localmente al sottosuolo roccioso; e quanto sarebbe lontana una anche fedele rappresentazione geo-litologica di 1.0 STUDIO GEOGNOSTICO— AGRARIO ECO. 119 questo, dal dare in dettaglio un’ idea un po’ approssimativa di quello. A persuadercene basta considerare il caso più semplice, e che si può dire eccezionale : quello cioè di un bacino la cui os- satura sia tutta quanta costituita di un’ unica formazione geo- logica comprendente una sola roccia abbastanza omogenea (p. e. tutto granito oppure basalto, tutto calcare oppure gneis) ; e senza che vi appaiono lembi di quaternario di provenienza estranea al bacino. In tal caso la carta geo-litologica anche dettagliata sarà molto semplice, giacché il geologo vi avrà indicato con unico colore quasi tutta l’area del bacino, limitandosi a segnarvi se- parate le più importanti aree di terreni quaternari (strisce al- luviali e diluviali nelle valli, coni di deiezione, morene even- tuali ecc.) e facendo astrazione dal cappello di suolo agrario. Ma quanto è lungi una tale carta geo-litologica dall’ avere un vero significato agronomico ! Per ridurla tale bisogna appunto tenere conto in modo spe- ciale dei terreni quaternari e del mantello di terreno agrario dal geologo trascurato, e ciò in dipendenza dell’accennato mec- canismo di sua formazione e rimaneggiamento. Un esame del terreno da questo punto di vista mostrerà aree con roccia in posto affiorante; altre còn sfacelo prevalentemente grossolano, o con cappello di alterazione minuta e profonda, ancora nel posto di formazione (suoli originar!) ; altre aree ove già avvenne uno smagrimento dello sfaticcio di roccia per esportazione delle parti terrose ; infine aree importanti dove già si ha il prodotto di un totale rimaneggiamento del suolo originario secondo leggi com- plesse di naturale cernita e distribuzione sui pendìi, sino a rac- cordarsi ai terreni alluvionali propriamente detti, e con strut- tura che varia da punto a punto dalla più grossolana sassosa alla più fina terrosa. Se si cerchi di delimitare sulle tavolette a grande scala della carta geologica dettagliata questi diversi tipi strutturali di ter- reno agrario fra di loro, oltre che dalla roccia madre affiorante, procedendo anche per i terreni quaternari ad analoghe suddi- visioni come in pianura; e riportando poi su di essa con appositi segni i profili rilevati del terreno, — si avrà in tal caso una Carta, che si potrà considerare come una discreta carta « agro- 120 A. STELLA noraica » a corredo dello studio geognostico-agrario, del bacino preso ad esame. Ora, se in questo caso così semplice è lavoro così complesso il passare dalla carta geo-litologica a una carta che si possa dire « agronomica » ; la cosa si complica enormemente, quando nella regione o bacino si sviluppino non più una sola, ma di- verse formazioni litologiche, qualcuna delle quali può anche pre- sentare continui più o meno rapidi sbalzi di qualità (p. e. are- naria che passa a conglomerato o a calcaree arenaceo ; mica- scisto che passa a gneis o a quarzite; diorite che passa a sie- nite o ad anfibolite); e la cosa si complica ancor più quando, come avviene sovente, vi siano, oltre ai terreni quaternari lo- cali, anche placche di terreni quaternari di lontana provenienza. In questi casi sarebbe pur possibile, quantunque talora diffici- lissimo (p. e. nelle aree di formazioni terziarie sciolte) delimi- tare sulle tavolette topografiche roecie in posto da terreno agrario, e fare con una certa approssimazione in questo e nel quaternario le delimitazioni per qualità strutturali. Ma la variabile miscela risultante dalla cernita e rimaneggiamento complicato di suoli di origine svariata fa si, che il valore di quelle laboriose deli- mitazioni cartografiche di fronte allo scopo agronomico della carta, diventa molto discutibile e in molti casi affatto frustraneo. Ciò tanto più, se si pensa, che anche per le regioni montuose e col- linesche si ha, o eseguito o in via di esecuzione, il classamento catastale, che pure rileva, annotandole, le caratteristiche almeno strutturali di suolo e talora di sottosuolo per ogni appezzamento parcellare; cosa che può fornire, in gran parte, quei dati me- desimi cui mirerebbe il faticoso apposito lavoro di delimitazione ^opra accennato. E allora siamo ricondotti anche qui a domandarci, se non sia il caso di accontentarsi in massima di criteri geologici e di carte geognostiche riassuntive, come guida a studiare le diverse regioni di monte dal punto di vista geognostico-agrario. I colleglli converranno meco, che in generale si può in ogni territorio montuoso e collinesco individuare dal punto di vista geo-topo- grafico un certo numero di regioni naturali, nelle quali pro- cedere al prelevamento di campioni del terreno per zone geo- gnostiche, in modo, che, dopo lo studio di un certo numero di LO STUDIO GEOGNOSTICO-AGRARIO ECO'. 121 essi, si possa poi completare questi e gli altri dati, sì da poter dare intiue una Descrizione geognostico-agraria più o meno det- tagliata del territorio stesso. In tal guisa anche una Carta geo- logica, e più o meno dettagliatamente geognostica, può diventare una Carta agronomica in senso iato; tanto più quando si abbia cura di precisare i punti di presa dei campioni, e i profili ca- ratteristici del terreno; e di accompagnarla eventualmente con qualche frammento di carta agronomica più dettagliata per quelle parti, ove speciali considerazioni pratiche o scientifiche la rendono opportuna. Da quanto si è detto noi veniamo a questo risultato: che volendo studiare dal punto di vista geognostico-agrario una re- gione italiana, sia essa di pianura o di monte, è a ritenersi, che, mediante uno speciale esame geognostico locale, una oculata presa di campioni, e uno studio di questi in laboratorio, e tenendo conto dei dati già eventualmente esistenti, si possa arrivare a una sufficiente conoscenza del suolo agrario della regione ; sicché i risultati di tale lavoro complesso raccolti ed esposti in appo- sita Memoria descrittiva possano riuscire una illustrazione di in- teresse scientifico e di utilità pratica, come guida a farsi un’idea più o meno approssimata delle caratteristiche del suolo agrario in una qualunque parte della regione. Quale complemento e corredo di tale illustrazione geognostico- agraria e come agevolazione per il suo uso pratico, potrà even- tualmente riuscire di giovamento la parziale o totale compila- zione di Carte agronomiche (in senso piti o meno lato); la cui convenienza ed esecuzione però, pure partendo da criteri generali direttivi quali ho esposto, non possono seguire un programma generale prefisso, ma conviene rimangano subordinate ai risul- tati preliminari dello studio geognostico-agrario della regione stessa, tenuto conto del grado di approssimazione che si vuol conseguire. Volendo quindi fare qualche cosa, o meglio proseguire a fare, per mettersi sulla via di uno studio sistematico e generale del suolo agrario italiano, panni risulti da queste premesse facile il corollario sul che cosa fare e come fare, almeno per ora. Non si tratta già di organizzare senz’altro un lavoro mastodontico 10 122 A. STELLA di rilevamento e pubblicazione di carte agronomiche dettagliate. Questo sarebbe, secondo me, gravissimo errore; tanto più che, come ho dimostrato, a priori non si saprebbe precisare, almeno in generale, se e come convenga di farle. Si tratterebbe piut- tosto di condurre innanzi (come si è in parte iniziato) lo stadio geognostico-agrario di alcune limitate regioni di pianura e di monte opportunamente scelte, e che rappresentino per cosi dire i casi tipici, che si possono incontrare, secondo i criteri sopra esposti; salvo procedere, dai risultati di tali studi singoli, ad organizzare poi eventualmente un lavoro sistematico; prenden- done norma pel metodo sia di esecuzione e sia di pubblica- zione, in rapporto anche alla possibilità, convenienza, e modo di compilare nei diversi casi delle carte, che si possano dire agronomiche in senso più o meno lato. E a me pare che lo Stato, se anche non credesse di potere accingersi per ora a degli onerosi studi geognostico-agrari vera- mente dettagliati, e volesse lasciare questi all’avvenire o alle iniziative Locali, avrebbe pur sempre modo di cooperare effica- cemente a una migliore conoscenza agronomica del suolo italiano, facendo sì, che nella formazione e pubblicazione della Carta Geologica d’Italia , alla quale egli provvede, la parte geognostico- agraria abbia quell’importanza, che era nel programma di que- st’opera, ma che per scarsità di mezzi disponibili le fu solo eccezionalmente consentita. — Se p. es. nelle aree in via di rilevamento, e anche in quelle rilevate (ma in massima parte non ancora pubblicate), si avesse cura di raccogliere per zone geognostiche nelle singole regioni naturali un discreto numero di campioni del suolo agrario, giudiziosamente scelti (il che in parte fu anche fatto) ; e se si avesse modo di eseguirne lo studio in laboratorio, in rapporto anche alla composizione della roccia- madre; e se infin nelle singole Memorie Descrittive per la carta geologica, si aggiungesse una Appendice Geognostico-Agraria, coi risultati delle osservazioni e delle analisi, e con un certo numero di profili del terreno, riferibili alla carta geologica; si avrebbe già una base scientificamente e praticamente molto im- portante per la 'conoscenza geognostico-agrari a del nostro suolo d’Italia; e le nostre Carte Geologiche avrebbero insieme almeno il valore di carte Geo- Agronomiche sommarie. LO STUDIO GEOGNOST ICO— AGRARIO ECC. 123 Ma comunque Stato ed Enti Locali vogliano seriamente con- durre o assecondare con indirizzo organico « studi geognostico- agrari e carte agronomiche », non è d’uopo insistere sulla ne- cessità, che essi abbiano anzitutto piena coscienza della loro portata ; e vedano chiaro quale ne sia l’ oggetto, quali i criteri e quali i modi di esecuzione. Per cercare di chiarire questi punti io mi sono permesso di esporre le precedenti considerazioni, suggeritemi dall’avere collaborato al rilevamento geologico dettagliato e a qualche studio geognostico-agrario in regioni di pianura e di monte; e dall’aver veduto ciò che si fa in qualche altro Stato a tale ri- guardo. Sarei pago di essere riuscito a svegliare l’attenzione e la discussione dei colleglli della Società Geologica; la quale panni doveroso faccia udire essa pure la sua parola nell’impor- tante argomento. [ms. pres. 17 febb. 1901 - alt. bozze 1 marzo 1901], RICERCHE MINERALOGICHE SULLA SABBIA DELLA GROTTA DEL BANDITO IN VAL DEL GESSO (Cuneo) Nota del dott. Alessandro Roccati I. A molti è nota l’esistenza nella valle del Gesso, in provincia di Cuneo, di grotte, indicate nella località col nome di barine, fra cui quella detta del Bandito, conosciuta questa specialmente per un lavoro pubblicato su di essa nel 1890 da Federico Sacco (*). Questa grotta è scavata nella zona calcarea che si stende da poco a monte di Borgo San Dalmazzo sino alla zona gneis- sica di Valdieri, poco oltre la borgata dei Tetti Bandito alla confluenza del torrente Roaschia col Gesso. Questi calcari stratificati sono abbondantissimi in acque interne circolanti, che colla loro azione erosiva spiegano bene la for- mazione di dette grotte. Il calcare poi in cui è scavata la grotta in questione si pre- senta di color grigio perchè molto ricco in grafite. L’importanza geologica della grotta del Bandito sta nella grande abbondanza di ossami fossili in essa riscontrati, fra cui molti resti di carnivori (fra i quali facilmente determinabile l’ Ur- sus spelaeus ), erbivori, rosicanti ed uccelli. Di questi ossami una grande quantità venne recentemente donata al Museo Geologico di Torino dal Cav. Cesare Rovere. (*) Bollettino del Club Alpino Italiano per l’anno 1889, voi. XXIII, nmn. 56 (1890), pag. 30. RICERCHE MINERALOGICHE 125 Tali ossami si trovano sparsi od accentrati confusamente in certi punti della grotta frammezzo ad abbondante sabbia che, all’epoca della pubblicazione della sopracitata nota, ostruiva quasi completamente la cavità principale della grotta e le sue dira- mazioni, ma che attualmente fu in gran parte asportata. Tralasciando la parte paleontologica, credetti interessante uno studio mineralogico della sabbia onde determinare la sua pro- venienza: se cioè debba ritenersi dovuta ad un trasporto glaciale, come potrebbe far ritenere la presenza di blocchi erratici nelle vicinanze di Andonno (che si trova sulla sponda opposta del Gesso, quasi di fronte alla grotta), i quali blocchi dimostrano come durante il periodo glaciale, i ghiacciai discesero oltre il punto ove è scavata la grotta; oppure, come credo più proba- bile, se essa provenga da fenomeni alluvionali del torrente Gesso che scorre davanti all’apertura della grotta. Per la esatta posizione della grotta e delle sue diramazioni, senza entrare in particolari, rimando alla nota sopracitata, alla quale è annesso uno schizzo della pianta della grotta stessa dovuto 'al Prof. Spezia che ebbe occasione di visitare allora la località. Solo farò notare come attualmente tutte le diramazioni siano facilmente accessibili in seguito ai lavori di escavatone eseguiti dopo tale visita e che durano tuttora. La sabbia in massa si presenta di color giallognolo ; in essa spiccano abbondanti laminette di color giallo oro lucentissime. I grani sono piuttosto di piccole dimensioni e, tranne poche ec- cezioni, presentano evidenti traccie di fluitazione. Frammezzo ad essi si trovano relativamente abbondanti ciottolini riferibili a quarzite, schisti, diorite e calcare. Onde potere determinare le varie specie mineralogiche con- tenute nella sabbia, dopo averla sottoposta a ripetute lavature allo scopo di togliere tutta l’argilla e la terra mescolata, la trattai con acido cloridrico. Constatai in tal modo come essa desse appena traccie di effervescenza, anche trattandola a caldo, prova questa della scarsità in essa di carbonati. In pari tempo per azione dello stesso acido essendo stata disciolta la limonite inquinante i granuli, la sabbia perdette il suo colore giallognolo, assumendo invece una tinta grigiastra. 126 A. IìOCCATI 111 seguito a questo trattamento constatai come la quasi tota- lità della sabbia fosse costituita da quarzo o mica, meno abbon- dantemente da é iranato , a cui si aggiungevano piccole quantità di altri minerali e precisamente riferibili a feldspato, pirite, anfi- bolo, magnetite, cromite, tormalina, zircone, rutilo ed ilmenite. Per Ja determinazione di alcune fra queste specie assai rare, e quindi difficili a riconoscere nella massa della sabbia, come sarebbero ad esempio la tormalina, lo zircone, il rutilo, ecc., usai un metodo già impiegato da Colomba (*) e fondato sulla resistenza da esse opposte ad esser decomposte dall’acido fluo- ridrico, avendo in tal modo potuto facilmente separarli in causa della eliminazione per azione del detto acido della massima parte dei minerali costituenti la sabbia, e specialmente del quarzo. Noto però come in seguito a questo trattamento si siano pure mantenuti inalterati anche alcuni minerali, che avrebbero invece dovuto esser decomposti; tali sono il granato, la pirite e par- zialmente la mica; attribuisco questo fatto già da me altra volta notato (2) o al non aver usato acido sufficientemente concentrato, o meglio alla presenza nella sabbia di grande quantità di altri minerali più facilmente decomponibili. II. Il quarzo si presenta in granuli rotolati che possono essere di colore bianco lattiginoso o giallognolo, oppure incolori, es- sendo però questi ultimi molto meno frequenti. Più raramente trovai pure dei cristalli perfetti costituiti esclusivamente dal prisma esagono e dalla bipiramide esagona; è presumibile che questi cristalli fossero originariamente inclusi entro ai nottolini di calcare, il che sarebbe confermato dal fatto che trovai cri- stalli identici nei calcari dei dintorni della località e in alcune (') Osservazioni mineralogiche su alcune sabbie della Collina di Torino. Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino, voi. XXXI, anno 1896. (2) Nuove ricerche sulla provenienza del materiale roccioso della Col- lina di Torino. Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino, voi. XXXIV, anno 1898-1899. RICERCHE MINERALOGICHE 127 sabbie provenienti dal torrente Roascbia. Queste, raccolte presso la borgata dei Tetti Bandito, sono ricchissime di calcare come dimostra la forte effervescenza ottenuta da esse in seguito a trattamento con acido cloridrico. La mica è in laminette a contorno esagonale, facilmente sfal- dabili, molto abbondanti di dimensioni da 1 a 2 inni, di lato, avendosene però eccezionalmente di quelle che raggiungono fin 5 mm. Per lo più le laminette hanno color giallo oro con lucen- tezza metallica (1), colore che perdono completamente quando vengano trattate con acido cloridrico o nitrico a caldo, diven- tando esse bianche od incolori. La colorazione giallo oro credo si possa spiegare ammettendo che provenga da una alterazione superficiale in limonite, es- sendo dovuta la lucentezza metallica ad un fenomeno di iride- scenza analogo a quello che si verifica alla superficie dei cri- stalli di ematite in incipiente limonitizzazione. Infatti scaldando fortemente le lamine di mica il colore diventa più cupo ten- dendo al rosso. Si hanno pure, sebbene meno comunemente, lamine di color bianco argenteo con lucentezza perlacea; in queste potei deter- minare perfettamente la biassicità. Tanto Luna quanto l’altra varietà credo siano da riferire a muscovite. Non tutta la mica fu complètamente decomposta per azione dell’acido fluoridrico avendo dopo tale trattamento trovato ancora nel residuo numerose lamine, quantunque molto meno abbon- danti; si presentano esse allora con un color bianco e sono opa- che, il che indica come non siano restate completamente inal- terate. La persistenza di queste lamine di mica si potrebbe spie- gare a parer mio oltre che invocando la presenza di altri mi- nerali più attaccabili dall’acido fluoridrico, anche ammettendo (') Dalla grande quantità di queste lamine colorate in giallo oro od in bianco argenteo, ritengo sia derivata la credenza negli alpigiani della località che la sabbia sia aurifera ed argentifera, il che credo si debba escludere, poiché tutti i saggi fatti allo scopo di determinare la presenza di questi due elementi diedero risultati completamente negativi. 128 A. R0CCAT1 la possibilità che si abbiano nella sabbia due varietà di mica, l’una meno decomponibile dell’altra. A feldspato riferisco alcuni granuli di color bianchiccio senza contorno definito, abbastanza facilmente fusibili in smalto bianco. Il granato, abbondante, è in granuli di color roseo o rosso cupo; i primi, semitrasparenti, presentano, quantunque di rado, forme cristalline fra cui riconobbi il rombododecaedro, l’ icosite- traedro e l’esacisottaedro. Pure al granato, varietà spossar tino, riferisco certi granuli poco abbondanti, semitrasparenti, di color violaceo. Essi infatti fondono con relativa facilità e danno distinta la perla del man- ganese. La pirite è in granuli arrotondati ed in cristalli pentagono- dodecaedrici, talora parzialmente o del tutto alterati in limonite. L 'anfibolo si presenta in frammenti fibrosi a terminazioni indistinte, di color verde con policroismo dal verde al verde giallognolo; oppure in frammenti compatti di color verde cupo, quasi nero, con forte pleocroismo dal verde cupo al giallo. La prima varietà riferisco ad attinoto, anche per l’angolo di estinzione che sulle fibre misurai uguale a 17°; la seconda ad orneblenda. Dalla sabbia, mediante la calamita, potei separare prima del trattamento con acido cloridrico, numerosi granuli a contorni indistinti od in cristallini ettaedrici di color nero con aspetto metallico fortemente magnetici. Essi in gran parte sono di ma- gnetite, in minor quantità di cromite. Quest’ultima, che rimane anche dopo il trattamento con acido cloridrico a caldo e acido fluoridrico, dà nettamente alla perla le reazioni del cromo. La magnetite, attaccata già a freddo dall’acido cloridrico, lascia dopo il trattamento con quest’acido un legger residuo di color bianco, dovuto a silice (essendo scomparso del tutto con trattamento coll’acido fluoridrico). Questa silice si può ammettere provenga da olivina inclusa nei cristalli di magnetite, come già ebbe a notare il C’ossa (*). (') Ricerche chimiche e microscopiche su roccic e minerali d'Italia. To- rino, 1881, pag. 114. RICERCHE MINERALOGICHE 129 La tormalina, abbastanza frequente, specie nel residuo dopo trattamento con acido fluoridrico, è in cristalli prismatici al- lungati senza terminazioni definite, le cui faccie lianno con- servata la lucentezza. Forte ne è il dicroismo dal nero al giallo bruno. Lo zircone, specialmente osservabile nel residuo dell’acido fluoridrico, è in cristalli tozzi, ma ben distinti, costituiti da prismi quadrati associati all’ottaedro. Esso è incoloro, giallo- gnolo o leggermente bruniccio. Pure nel residuo dell’acido fluoridrico potei distinguere cri- stalli bacillari di rutilo, di color giallognolo, alcuni facilmente riconoscibili alla caratteristica geminazione. Pare nella sabbia sono piccole laminette di talco, di color verdognolo e con lucentezza perlacea; hanno bassi colori di po- larizzazione e presentano estinzione d’aggregato. Laminette nere lucenti, che in polvere mantengono il color nero, non magnetiche, difficilmente attaccabili dagli acidi, ri- tengo come ilmenite. III. Come dissi in principio di questa nota, l’aspetto della sabbia è nettamente quello di una sabbia di fiume fluitata, specialmente se per spiegare la provenienza di cristalli interi si vuole am- mettere la ipotesi da me fatta parlando del quarzo, che si tro- vassero cioè inizialmente inclusi nei granuli o nei ciottolini che abbondano nella sabbia, il che sarebbe confermato dall’essere essi specialmente appartenenti a minerali molto resistenti, come tor- malina, zircone, quarzo, rutilo, ecc. Ho detto come ritengo che il riempimento sabbioso della grotta sia dovuto a fenomeni alluvionali del torrente Gesso ; a sostegno della mia opinione volli fare uno studio mineralogico sulle sabbie attuali del fiume che raccolsi nel letto di questo un po’ a monte e in faccia della grotta del Bandito, onde isti- tuire un paragone. La sabbia del fiume è di color giallo più chiaro per la mi- nore limonitizzazione degli elementi ferriferi: però ritrovai in 11 130 A. ROCCA TI essa tutti i minerali indicati per quella della grotta e con gli stessi caratteri. Anzi vi trovai pure abbondante quella mica giallo oro, cui sopra accennava come caratteristica della sabbia della grotta. Questo confronto mi pare quindi renda indubbia la perfetta identità delle due sabbie e conferma anche l’opinione che la grotta sia stata riempita dalle alluvioni del torrente Gesso, tanto più che questo attualmente nei periodi di piena, come potei veri- ficare in quella fortissima manifestatasi nella primavera scorsa, se non penetra più nella grotta, giunge però fino alla stradic- ciuola che corre davanti all’apertura, a pochi metri da essa. Per cui riportandosi ai tempi in cui sarebbe avvenuto il riem- pimento della grotta mediante le sabbie in questione, probabil- mente essendo l’alveo del torrente più elevato, più facilmente poteva giungere al livello dell’orifizio della grotta. [ms. pres. 24 Gennaio 1901 - ult. bozze 5 marzo 1901], SULLA INNOVAZIONE DEL TEVERE DEL DICEMBRE 1900 Comunicazione dell’ing. Enrico Clerici Era mia intenzione di compilare una cartina dimostrativa del territorio romano, che nel dicembre 1900 fu invaso dalle acque per la piena del Tevere, ma non mi fu possibile di rac- cogliere tutti i dati necessari e colla voluta esattezza. Perciò mi limiterò soltanto a pochi cenni. Se si prescinde dalla caduta di un tratto di muraglione dei lungo-tevere, che ha scosso inaspettatamente la fiducia riposta in un’opera colossale, destinata a sfidare i secoli, i danni arre- cati in città furono immensamente minori di quelli dovuti alla piena del 1870. Nondimeno è a ritenersi che la piena del 1900 abbia alquanto superato, per persistenza ed intensità, quella del 1870, perchè se agli idrometri posti nella città ed a monte le acque raggiunsero altezze minori di quelle verificatesi nel 1870 nelle stesse località, ciò devesi ai compiuti lavori di regolariz- zazione, ampliamento e spurgo del tronco urbano. A valle, ove non si fece alcun lavoro, gli idrometri segnarono tutti altezze maggiori, come rilevasi dal seguente specchietto, in cui tutte le quote lette ai vari idrometri od altrimenti determi- nate sono state riferite allo zero di quello di Ripetta f1): (') Lo zero dell’idrometro di Ripetta si riteneva che fosse a m. 0.97 sul mare: secondo la recente livellazione eseguita dall'istituto geogra- fico militare starebbe invece a m. 1.07 sul livello del mare. 132 E. CLERICI Località Piena dei 1870 Piena del 1900 Differenze Orte 50, 01 49,71 — 0,30 Fara Sabina 28, 10 27, 17 — 0,93 Acquaeetosa 18, 20 17,98 — 0, 22 Ripetta 17,22 16, 17 — 1, 05 Ripagrande 13, 63 13, 97 — h 0,34 Ponte della ferrovia 12, 53 12, 90 -e- 0,37 Magliana 8,97 9, 84 -i- 0,87 Mezzocainmino 7, 77 7,97 0,20 Fiumicino 0, 51 1,07 -+- 0,56 Nella campagna i danni furono rilevanti, essendo restati sommersi pascoli e terreni seminati ed interrotto il transito in alcune strade. Ma non è di ciò che voglio parlare poiché la vastità del territorio sommerso suggerisce anche importanti con- siderazioni dal lato geologico. Appena il Tevere ritornò al suo abituale livello e si resero praticabili le campagne che lo fiancheggiano, mi recai in pa- recchi luoghi onde osservare taluni effetti dell’ inondazione, prima che altre pioggie o i lavori di coltura ne modificassero l’aspetto. Accenno frattanto alla rotta avvenuta in più punti a valle di Mezzocammino e ai conseguenti tentativi del fiume di procedere oltre più spedito, intercalando dei rettifili fra le tortuosità del suo corso, tentativi verificatisi ma con minore intensità anche a monte di Roma; e mi soffermerò invece sui sedimenti lasciati dalle acque. Tali sedimenti variano principalmente per quantità e per la grossezza degli elementi. In prossimità del fiume sono sabbie sciolte ben lavate, grossolane, disposte in strisce parallele alle sponde o in direzioni tendenti a rettificare le curve. A maggior distanza dal fiume le sabbie sono molto più sottili e sensibilmente argillose, ed infine ancora più in là si hanno melme finissime, lentissime ad asciugarsi. Lo spessore dei depositi è variabilissimo e in generale di- minuisce quanto maggiore è la distanza dal fiume in armonia col decrescere della grossezza degli elementi. Però nell’alveo si notano depositi ben più potenti, e nei cosiddetti « polverini » o interrimenti all’interno dei gomiti, oltre SULLA IN NONDAZI ONE DEL TEVERE 133 alle sabbie grossolane, vi lio osservato piccoli cumoli o fascie di ciottolame di roccie calcaree, ma più frequentemente vulcaniche, tufacee, talvolta di grosse dimensioni (1 dm3). La superficie del terreno in questi interrimenti, mentre in generale pende più o meno sentitamente verso il fiume, pre- senta depressioni ed anche piccoli bacini in cui l’acqua può momentaneamente ristagnare: allora le sabbie ed il ciottolame sono spesso ricoperti da un po’ di melma. Qualche volta la su- perficie è pianeggiante e le sabbie vi sono disposte con leggere ondulazioni ed increspature e con marcata selezione degli ele- menti mineralogici; vi si rimarcano strisele e plaghe di sabbia molto più scura perchè prevalentemente costituita da granellini e cristalli di augite e di magnetite. Del resto la forma ed estensione di tali interrimenti è mu- tevolissima fra una piena ordinaria e l’altra, ed essi ci rappre- sentano lo stato del letto del fiume soltanto negli ultimi mo- menti della piena e quando anzi il fiume è prossimo a ritornare verso il livello ordinario. Nel tronco suburbano fra l’Alberobello e ponte Milvio, re- golarizzato munendolo di argini in terra e dandogli una lar- ghezza di circa 120 m. dal piede delle scarpate, dopo la piena l’interrimento continuamente riprodottosi aveva raggiunto circa metà larghezza del tronco stesso e guadagnato notevolmente in altezza. Oltre alle strisele di ciottolame indicanti filetti di mag- giore velocità, vi rimarcai belle cavità imbutiformi (profonde anche oltre 3 m.) che sono evidentemente originate dai gorghi e che però durante la piena dovettero raggiungere profondità assai maggiori. Le sabbie, tanto quelle deposte nei « polverini » quanto nei terreni inondati, come è facile prevedere, sono prevalentemente composte da granellini quarzosi ; da cristalli e lor frammenti di minerali vulcanici, feldspati e augiti, poi miche, leucite, ma- gnetite, olivina; da ciottolini calcarei e di piromaca, scorie, po- micine, tartari, ciottolini di tufi diversissimi e di lave. Vi sono frequenti gusci ben conservati di forarmi nife re e frammenti di spicule di spugne di tipi marini, frammentuzzi di molluschi marini, piccoli molluschi terrestri ( Helix acuta ab- bondante in talune posature). La composizione di queste sabbie 134 E. CLERICI ed il contenuto in foraminifere e spongoliti varia assai poco nei diversi punti in cui le ho raccolte : cosi le sabbie prelevate in un campo al ponte della Magliana, o nell’androne di una casa all’isola di S. Bartolomeo, o nei campi al ponte di Castel Giub- bileo, o dicontro alla MarcigMana si possono scambiare se non accompagnate da apposita etichetta. Le sabbie dell’Aniene, raccolte al ponte Salario o al ponte Mammolo, sono presso a poco identiche a queste. Quelle pur deH’Aniene raccolte a Tivoli all’imbocco dei cunicoli contengono minor quantità di prodotti vulcanici, ma sono ricchissime di svariate foraminifere e spongoliti. Le sabbie deposte dal Velino a Rieti, presso il ponte romano, sono prevalentemente calcaree; contengono ancor esse, ma in quantità notevolmente minore delle precedenti, foraminifere (anche Globigerine) e spongoliti. Quelle del Nera, raccolte al ponte di Narni, mostrano belle spongoliti e moltissime foraminifere. Qui cade in acconcio di accennare che già più volte ho tentato di studiare dal punto di vista mineralogico e paleonto- logico le torbide del Tevere, ossia il materiale che le sue acque tengono in sospensione, anche in relazione all’apporto dei suoi principali influenti, e, risalendo alle roccie che hanno fornito il materiale stesso, ricercare poi in qual maniera vi contribuiscono. 11 problema è assai più complesso e difficile di quanto sem- brerebbe a prima vista e taluno potrebbe anche credere che fosse in gran parte risolvibile colla sola carta geologica o litolo- gica del bacino idrografico del Tevere. Però la quantità e, fino ad un certo punto, anche la qualità delle materie sospese è estremamente variabile e non dipende nè dalla profondità in cui si raccoglie il saggio dell’acqua, nè dalla posizione rispetto al filone, e tanto meno dall’altezza idro- metrica del fiume. A prova di ciò non ho che a riportarmi alle esperienze fatte continuatamente per sei anni (1873-78) dalla Stazione Agraria di Roma (Q, dalle quali risulta che il peso delle torbide per (') Rilievi, osservazioni ed esperienze sui fiume Tevere. Min. lav. pubbl.; dir. gen. op. idr. Roma, 1882, pag. 707 e seg. SULLA INNONDA Z IONE DEL TEVERE 135 metro cubo di acqua a Ripetta può variare da grammi 12 (7 nov. 1876) a gr. 42646 (31 ag. 1874); le quali cifre stanno fra loro come 1 a 3554. Colla medesima altezza idrometrica, per es., di 5.75, che è fra quelle che si verificano più di frequente, si va da gr. 22 (27 lug. 1877) a gr. 3453 (30 lug. 1878). Di più nelle 24 ore possono avvenire sbalzi considerevolis- simi; per esempio da gr. 164 a gr. 17760 (24-25 ag. 1875), cifre ben discoste dai minimi e dai massimi e nondimeno l’una è più del centuplo dell’altra; oppure da gr. 129 a gr. 34027 (9-10 sett. 1877) cifre che stanno nel rapporto di 1 a 263. Il Perrone nella sua pregevole monografia sul Tevere ('), uti- lizzando ben 2170 osservazioni ha dedotto che il peso medio delle torbide è di gr. 1464 per metro cubo d’acqua. E poiché il modulo, accuratamente calcolato, è di 230 m3, ne consegue che il Tevere trasporta annualmente 10.618.822 ton- nellate di materiale; mediamente 29.000 tonnellate al giorno. Però le quantità minime di torbide per altezze idrometriche superiori a 9.50, e quindi anche in tempo di piena, sono sempre maggiori della media. Queste cifre riguardano soltanto il materiale sospeso. Quello che rotola sul fondo, segnatamente in tempo di piena, deve essere ben considerevole. Quanto alla sua grossezza e compo- sizione si può, in parte, rendersene conto osservando quello abbandonato nei « polverini ». In ordine al contenuto organico, sparsi sulle sabbie od in- sieme al ciottolame dei « polverini », si trovano in quantità le- gnami (rami, fusti, ceppi), qualche ossame o dente di animali domestici, molluschi continentali e freschi, come varie specie di Helix, Limnaea, Cyclostoma elegans, Unio romanus, Unio si- nuatus ; infine molluschi ed altri fossili marini non meno fre- quenti che ora indicherò. Nell’interrimento sotto il ponte Garibaldi e presso la già isola di S. Bartolomeo, ebbi occasione, alcuni anni fa, di raccogliere molluschi fossili marini e ne parlai in una Nota intitolata: Sullo (') Carta idrografica d’Italia. - Tevere. — Min. agi’., ind. e coro.; dir. gen. agr. Roma 1899, pag. 187-88. 136 E. CLERICI conseguenze che possono derivare da una sbagliata interpreta- zione dei fossili (*). Anche, ora, senza intenzione di farvi ap- posita raccolta, ve ne lio ritrovati e ricordo specialmente una forma caratteristica, la Melanopsis nodosa Fér. che può rite- nersi provenga da località di Sabina ove è assai frequente. Ho invece diretto la mia ricerca ai vari « polverini » a monte di Eoma, e complessivamente noto i fossili seguenti: il Lurex sp. (logorato, mm. 40 X 25), Cerithium vulgatum Brug., C. cfr. doliolum Brocc., Potamides tricinctum Brocc., Turritella subangulata Brocc., Vermctus cfr. intortus Lamk., Natica ti- grina Defr., Dentai imn sp., Ostrea sp. (framm.), Vola Jacobaea Lin. (framm.), Peeten varius Lin. (framm.), Arca diluvii Lamk.. Peclunculus cfr. obliquatus Ponzi, Cardimi Lamarcki Reeve (— C. edule auct.), C. hians Brocc. (framm.), C. cfr. ecliinatum Lin. (framm.), Cardita intermedia Brocc., Chama gryplioides Lin., Venus multilamella Lamk., T'. cfr. Braccìni Desìi., Clado- cora caespitosa Lin. La vallata nella quale il Tevere svolge il suo corso tortuoso è in gran parte costituita da sabbie e sabbie argillose analoghe a 'quelle di cui ho precedentemente parlato e verosimilmente deposte per successive alluvioni. Queste sabbie, oltre a resti di animali e di piante dell’epoca, possono contenere numerosi fos- sili, se non sempre macroscopici, almeno come quelli che ho riscontrato nelle sabbie raccolte sui campi innondati. Chi si servisse di tali fossili per concludere che i sedimenti che li contengono sono di origine marina o che si deve consi- derare per tale, sbaglierebbe e d’assai e potrebbe esser tacciato di ignorare cose ben elementari (2). ( 1 ) Rivista it. di se. nat. XIII, n. 10. Siena, 1893. C) A questo proposito mi piace rammentare una nota di Ehrenberg Ueber clie W asliertrubung des Tibcrflusses in Som (k. Pr Akad. d. Wis- sensch. Berlin, Bericlit J. 1855) ove a pag. 564 leggesi: «Da die kalk- schaligen Polythalamien, welche eine so reiche wesentliche Mischung des Tiberschlammes bilden, ihren Ursprung niclit im Siissvasser haben kònnen, sondern Meeresgebilde sind, so tritt die Sonderbarkeit heraus, dass der Tiberflus hauptsàchlich Meeresbildungen als Schiantai wider ins Meer ftihrt ». SULLA INNOND AZIONE DEL TEVERE 137 Però una certa difficoltà può riscontrarsi nel decidere fino a quale profondità giungano i depositi « fluviali » specialmente quando il terreno venga esplorato mediante trivellazione. Non credo vi sia difficoltà ad ammettere che il fiume abbia continuamente spostato e variato il proprio alveo e che in cor- rispondenza dei luoghi che furono alveo i depositi fluviali possano raggiungere una quota notevolmente più bassa di quelli in cui le acque o dilagarono semplicemente o vi ebbero velocità minime. È bene perciò di sapere che dopo cessata la piena, per cura del E. Genio Civile si fecero numerosi scandagli nella parte urbana del Tevere. Immediatamente sotto la parte caduta del lungotevere il fondo fu trovato a quote — 3.90 e — 4.30 re- lativamente allo zero dell’idrometro di Eipetta; nel mezzo del fiume a valle del ponte Cestio a — 5.30; circa in corrispondenza dell’antico ponte Trionfale a — 6.50 (12 m. sotto magra!). Se analoghe misurazioni si fossero potute fare durante la piena, si sarebbero trovate quote ancor più basse ; infatti, a parità di altre circostanze, col diminuire dell’altezza idrometrica ed in conseguenza col decrescere delle velocità, il fiume tende ad in- terrare i luoghi poc’ anzi escavati (1). Da quanto sono venuto esponendo deducesi che per la parte bassa della città, e a più forte ragione a valle, una quota per es. di — 10 nulla avrebbe di improbabile. E poiché le torbide e le sabbie di tutti i principali influenti sono rizopodifere e spon- golitifere (spec. tetractinellidifere), e l’alto Tevere stesso almeno fin da Città di Castello trasporta già foraminifere, come ho constatato con apposita ricerca, abbondanti fossili marini mi- croscopici (ed eventualmente anche macroscopici) di trasporto fluviale si possono rinvenire a notevolissime profondità dal suolo, senza che perciò si debba ricorrere alla origine marina dei sedi- menti stessi. [ms. pres. 20 febbraio 1901 — alt. bozze 15 marzo 1901]. (’) In una trivellazione eseguita in questi giorni nel ramo interrato presso l'isola S. Bartolomeo poco a valle del ponte Fabricio, spinta a quota — 6.04. l’ultimo campione della sabbia, poco o nulla differente per composizione da tutti gli altri soprastanti, conteneva frammenti di Cladocora caespiiosa, di Pecten opercularis e di altri fossili marini. 12 NUOVE OSSERVAZIONI SULLA FAUNA TRIASICA DELLA PUNTA DELLE PIETRE NERE PRESSO IL LAGO DI LESINA (Capitanata) Nota del doti. Giuseppe Checchia Dopo le interessanti pubblicazioni dei lavori del Di Stefano e del Viola (’) sulla Punta delle Pietre Nere in provincia di Ca- pitanata, a tutti è nota la importanza geologica di quel piccolo lembo di calcare triasico che rinchiuso fra rocce eruttive, sta isolato sopra una spiaggia bassa e sabbiosa. La importanza e la esiguità di questo piccolo fascio di strati, che la lenta ma continua abrasione del mare da una parte e l’ insabbiamento della spiaggia dall’ altra faranno scomparire fra non molto, m'hanno indotto a visitare quella località con lo scopo di rac- cogliere un materiale paleontologico e petrografico, che potrebbe un giorno diventare prezioso per la sua rarità. Di questo lembo, di cui ora non resta che l’estremità accessibile appena nella bassa marea, ho potuto portar via un discreto materiale, che, rive- duto accuratamente mi ha permesso di fare alcune osservazioni paleontologiche: cosi per la migliore osservazione di certi esem- plari ho potuto osservare la cerniera del Cardimi rhaeUcum Mér. e della Loda percaudata Giimbel, di modo che ora non può più esistere alcun dubbio circa la determinazione generica (') C. Viola e G. Di Stefano, La Punta delle Pietre Nere presso il lupo di Lesina in provincia di Foggia. (Boll, del R. Comitato Geol., 1893, num. 2). — Viola C., Le rocce eruttive della Punta delle Pietre Nere in provincia di Foggia (Boll, del R. Comitato geol., anno 1894, n. 4). — Di Stefano G., Lo scisto marnoso con « Myophoria vestita » della Punta delle Pietre Nere in provincia di Foggia (Boll, del R. Comitato geol., anno 1895, n. 1). NUOVE OSSERVAZIONI SULLA FAUNA TRIASXCA 139 di queste forme. Inoltre ho trovato una nuova specie che rife- risco con dubbio al genere Anoplophora, e una Myophoria nuova per quella località, cioè la Myophoria inaequicostata Klipst., la quale come si sa appartiene tanto al piano di S. Cassiano che al Raibliano. In vista di quest’ultimo fatto e se si tien conto anche che la M. vestita v. Alb. è stata trovata pure nel piano di S. Cassiano, mediante la identificazione fatta dal Bittner, di questa forma con il Lyrodon Goldfussi Eichwald dell’ab- bazia di S. Leonardo presso S. Cassiano, noi possiamo dire, che le relazioni della fauna della Punta delle Pietre Nere con quella di S. Cassiano, si mostrano con queste nuove ri- cerche vieppiù strette. Questa modesta Nota, che fece parte della mia dissertazione di laurea, deve essere riguardata solo come un piccolo contri- buto alla più completa conoscenza di quella interessante fauna triasica. Tutti gli esemplari da me studiati, ora fanno parte delle col- lezioni del Museo Geologico dell’Università di Roma, eccetto la nuova specie, cioè V Anoplophora ? Portisi, che si trova nelle col- lezioni del R. Ufficio Geologico. Oltre alle specie citate nel pre- sente lavoro, ho raccolto alla Punta delle Pietre Nere quasi tutte le specie già studiate dal Di Stefano ; così abbondanti esem- plari di Myophoria vestita v. Alb., Avicula Gea d’Orb., Trochus integrostriatus Di Stef., Promathildia Pellati Di Stef., Provi. Kittli Di Stef., Natica Squinaboli Di Stef., ecc. Qualcuna poi da me non trovata mi è stata gentilmente mostrata dal Dot- tor Di Stefano, il quale col suo dotto consiglio moltissimo mi ha facilitato lo studio di queste interessanti forme, e per cui non ho parole per esprimergli la mia sincera gratitudine e de- vozione. Myophoria inaequicostata Klipst. 1.S43 Myophoria inaequicostata Klipstein. Beitràge zur geoìogischen Kennt- niss der òstlichen Alpen ; S. 254, Taf. XVI, Fig. 18. » Whateleyae v. Buch. Eaibler Fauna, Sitzungsber. F. v. Hauer. 24 Bd., S. 554 (pars!), Tav. V, Fig. 8-10. 1857 140 G. CHECCHI A 1865 Myophoria inaequicostata Klipst. La,ube. Die Fauna der Schichten von S. Cassiano. S. 57, Taf. XVIII, Fig 9. 1895 » » Bittner. Lamellihrancliiaten der Alpinen Trias (Abbaini], d. K. K. geol. Reichs- anst. XVIII Bd., 1 Heft.). Questa specie presenta una conchiglia piccola, alquanto gonfia, obliqua, più larga che alta, col lato anteriore corto ed arrotondito e col posteriore molto prodotto e troncato alquanto obliquamente. L’apice è prosogiro, piccolo, appuntito e leggermente ricurvo. La superficie è ornata di sei costole principali, però in mezzo alle anteriori, che sono le più deboli, se ne intercalano altre più piccole che non giungono agli apici, sicché la conchiglia nella parte anteriore appare ornata di molte e deboli costole, mentre nella posteriore di poche e grosse; il passaggio tra le due parti avviene gradualmente. La penultima costola d’ogni valva è divisa dalle altre da uno spazio as- ssai largo, ed essendo sempre la più forte ed elevata, forma una carena obliqua che sporge dal contorno palleale. Le costole sono molto sporgenti, più o meno acute, separate da larghi spazi intercostali concavi. Sul lato anteriore della conchiglia non v’è differenziata una lunula propriamente detta; sul lato posteriore, lo spazio dietro la carena è rialzato, leggermente concavo nel mezzo ; questo spazio è limitato da una leggera costola, che sarebbe la prima e che racchiude lo scudetto piccolo ; anche l’area mostra deboli tracce di costole radiali. Le strie d’accrescimento sono rugose, e serrate fra loro, più rilevate nella parte posteriore. Il con- torno della conchiglia è arrotondito e intero verso la parte an- teriore, ma nella parte posteriore si mostra più o meno den- tato a causa delle costole sporgenti. Finora non si conosceva intero il contorno di questa specie, perchè tutti gli autori che l’hanno descritta non ne danno una immagine completa: Klipstein figura un esemplare non intero ; le figure di v. Hauer fanno osservare che l’esemplare è troncato nella parte posteriore e me- diana; Laube d’altra parte lo rappresenta artificiosamente, come se Myoplioria inaequi- costata Klipst. NUOVE OSSERVAZIONI SULLA FAUNA TRJASICA 141 fosse ben conservato. Il Bittner poi nel suo lavoro dà queste figure completate per mezzo delle strie d’accrescimento. Mercè l’esem- plare della Punta delle Pietre Nere, noi possediamo ora una forma dal contorno completo. I caratteri della cerniera, per la piccolezza dell’individuo e del materiale che l’incrosta, si osser- vano con difficoltà. La presente specie ha stretti rapporti con le Mioforie del suo gruppo. La M. Chenopus Lbe., la M. Whateleyae v. Buch, la ili. Goldfussi v. Alb., la M. fallax Seeb., la ili. curvirostris v. Schloth., e la M. vestita v. Alb., hanno tutte caratteri di somiglianza con la nostra forma, sicché bisogna studiarle atten- tamente per trovarvi le differenze specifiche. L’esemplare della Punta delle Pietre Nere s’avvicina alla ili. Chenopus Lbe., per la sua forma e per il graduale passaggio che v’è tra le costole anteriori e le posteriori, ma se ne separa perchè nella ili. Chenopus le costole sono più strette, molto cur- vate e tendenti più fortemente verso l’ indietro, ciò che corri- sponde al maggiore allungamento della conchiglia verso la parte posteriore che è sbiecamente tagliata ; inoltre, nella parte po- steriore non si osserva traccia alcuna di costole secondarie. Si differenzia dalla M. Whateleyae , colla quale una volta fu confusa, perchè in questa, che raggiunge più grandi dimen- sioni, l’apice è molto rivolto verso Lavanti, il lato posteriore fortemente prodotto verso l’ indietro e tagliato obliquamente, l’orlo anteriore spesso ed ottuso, scendente in modo molto ripido; le costole sono proporzionatamente molto deboli e differenti nelle due metà della valva e nella parte anteriore posseggono una manifesta tendenza ad obliterarsi, di guisa che talora risultano forme prive affatto di costole. Dalla M. Goldfussi (*) si distingue perchè questa ha la forma generale arrotondila, che può variare sino a divenire trian- golare; dall’apice poi irraggiano 14-20 costole, in mezzo a cui s’interpongono altre secondarie ; fra le anteriori e le posteriori non v’è alcuna differenza. (') Winkler, Der Oberlceuper nach Studien in den bayerischen Alpen, pag. 607-610, tav. XIV, tig. 9, 10, 11 (Zeitschrift der deutschen geolo- gischen Gesellschaft, Band XIII, 1861). 142 G. CHECCHI A Nella M. Fallax (') vi è assoluta mancanza di costole se- condarie, la carena è molto debole sicché non sporge tanto dal- l’orlo, inoltre lo spazio compreso tra la carena e la prima costola non raggiunge quello sviluppo come nella forma in esame : l’aspetto poi è ovale e la parte posteriore non cosi obliquamente e fortemente troncata. La M. curvirostris (2) per l’aspetto generale e pel numero delle costole s’avvicina alla nostra forma, ma se ne allontana principalmente perchè manca di costole secondarie e per la sua carena molto sinuosa. Ricordiamo in ultimo la M. vestita (3) con cui la nostra forma si trova accompagnata, la quale se ne distingue senz’altro per la presenza di una lunula caratteristica ornata di costole trasversali. L’esemplare da me raccolto alla Punta delle Pietre Nere non si può dunque riferire a nessuna di queste specie; essa per i caratteri generali corrisponde alla M. inaequicostata Klipst., però mostra qualche differenza dagli esemplari tipici di questa specie raccolti a San Cassiano e a Raibl. Infatti in un tipico esemplare di S. Cassiano, figurato dal Bittner, le strie d’ac- crescimento sono molto sviluppate nella parte anteriore, e vi si osserva poi una più netta divisione in due parti della conchi- glia, in una anteriore con molte e deboli costole ed una poste- riore con poche e forti. Inoltre il numero di queste ultime nel- l’esemplare di S. Cassiano può ascendere a 6 o 7 ; mentre nel- l’esemplare della Punta delle Pietre Nere il numero delle costole posteriori è di 4. Tutte le costole sono poi ottuse e più larghe degli spazi intercostali. Osservando poi un esemplare proveniente dagli scisti a Solevi della JRaibler Scharte si nota che il numero delle costole è mag- giore ed inoltre si constata una più grande disuguagliannza fra queste, poiché le quattro posteriori, astrazion fatta di quella che limita lo scudetto, sono molto sviluppate e separate da larghi spazi e quindi occupano una larga superficie, mentre le ante- C) Winkler, toc. cit. (2) Winkler, toc. cit. (3) Di Stefano, toc. cit., pag. 23, tav. I, tig. 10-19. NUOVE OSSERVAZIONI SULLA FAUNA TRIASICA 143 riori sono molto ridotte in numero ed occupano uno spazio molto esiguo. Sicché noi crediamo che la forma che figuriamo rappresenti una varietà della M. inaeqincostata, la quale si avvicina alla M. Chenopus pel suo aspetto generale svelto e pel numero delle costole, senza però che a questa possa riunirsi. L’individuo in esame ha le seguenti dimensioni: lunghezza mm. 9 altezza » 10 spessore » 3 Leda percaudata Grumi». 1859 Leda alpina 1861 1861 1861 1863 1866 1895 Winkler, Die Schichten der Avicola contorta in- ner imd ausser den Alpen, pag. 15, tav. 1, fig. 8. complanata Stopparli, Paleontologie lombarde: Monograplde des fossiles de V Azzarda ecc., pag. 62, tav. 8, fig- 1, 2. percaudata Giimbel, Geognostiche Beschreibung des bayeri- sclien Alpengebirges und seines Vorlandes, p. 407. alpina Giimbel, Ibicl., pag. 407. claviformis Stoppani, Paleontologie lombarde: Monographie des fossiles du groupe des lumachelles et des scliistes noirs marneux, ecc., pag. 132, tav. 30, fig. 30 e 31. claviformis Capellini, Fossili infraliassih I dei dintorni del golfo della Spezia (Mem. dell’Acc. delle Se. dell’Ist. di Bologna. S. 2, voi. V, pag. 62, tav. VI, fig. 20, 21). percaudata Giimb. Di Stefano, loc. cit., pag. 19, tav. II, fig. 27 e 28. Ho raccolto parecchi esemplari di questa specie, i di cui caratteri esterni corrispondono perfettamente a quelli della Leda percaudata Giimb. Però a causa della cattiva conservazione del- l’interno delle valve nel citato lavoro del Di Stefano non è fi- gurata la cerniera. Avendo io avuto la fortuna di trovare due valve in cui la regione cardinale è ben manifesta, credo di far cosa utile di descriverne i caratteri, tanto più che non si trova 144 G. CHECCHI A figurata in altri la vori. Sotto fi ambone, leggermente rivolto al- l’ indietro e appena sporgente, si trova l’orlo cardinale che si piega formando un angolo molto ottuso in corrispondenza alla fossetta del ligamento ; tale orlo è subcon- vesso nella parte anteriore e leggermente concavo nella posteriore. La cerniera è composta di due serie divergenti di denti, fini, laminari, di forma triangolare, spor- genti, in numero di 15-18 per ogni lato, attenuatisi gradatamente verso l’angolo Leda nercaudata Giimb. , . , , , , . 1 cardinale, ove si trova la tossetta subtrian- golare del ligamento. Osservasi pure la lunula, ristretta ed al- lungata. Con questi caratteri ormai nessun dubbio più può esi- stere intorno all’appartenenza di queste forme al genere Leda. Credo utile ricordare a proposito di questo genere che il Bittner descrive una Leda aff. sulcellata Wissm. sp. (v) che ha la parte posteriore molto caudata come le nostre e che appartiene alla fauna degli scisti di S. Cassiano, ciò è interessante perchè prima, forme così ristrette posteriormente, non erano note che in istrati triasici più elevati. Ultimamente questa specie è stata citata dal dottor Bindo Nelli nel Kaibliano di Monte Judica (2), ma identificata senza buone ragioni con la Leda Biondi Gemmellaro. Cardimi! (Protocardia) rliaeticum Mér. 1853 Cardium rliaeticum Mérian, in Escher v. der Linth, Geologi- sche Bemerkungen iiber das nòrdlichen Vorarlberg und einige angrenzenden Ge- genden (Denkschr. d. aligera, schw. Ge- sells. f. d. gesammnt. Natunviss., XIII Bd., pag. 19, tav. 4, fig. 40). 1856 » rliaeticum Oppel und Suess, Ueber die muthmassli- chen Aequivalente der Kòssener Scliich- ten in Schwaben (Sitzb. d. k. Akad. d. Wiss., XXI Bd., pag. 545, tav. 2, fig. 1). (*) (*) Bittner, loc. cit., tav. XVIII, fig. 8-9. (2) Nelli B., Il Hai hi nei dintorni di Monte Judica (Boll, della Sue. Geol. Ital., 1899, voi. XVIII). NUOVE OSSERVAZIONI SULLA FAUNA TRIASICA 145 1858 1860 1860 1861 1861 1878 1888 1895 Cardimi Philippianum Quenstedt (nec Dunker), JJe Iura, pag. 31, tav. 1, fig. 38. » Philippianum Stoppani, Paleontologie lombarde: Mono- graphie des fossiles de V Azzarda, ecc., pag. 48, tav. A, fig. 18-25. Stoppani, Ibid., pag. 49, tav. A, fig. 26-29. Winkler, Der Oberkeuper nach Studien in den bayerischen Alpen (Zeitschr. d. deut- schen. geol. Gesells., XIII Bd., pag. 482, tav. VII, fig. 14, a e). Moore, On thè Zone of thè Power Lias and thè Avicula contorta Zone (Quarterly Journal of thè geol. Society of London, pag. 504, tav. XV, fig. 28). Hauer, Die Geologie und ihre Anwendung auf die Kenntniss der Boden beschaf- fenheit. d. òst.-ung. Monarchie, pag. 404, fig. 269. Gambe], Grundzuge der Geologie, pag. 690, fig. 1. » cfr. rhaeticum Mér., Di Stefano, loc. cit., (pag. 27, tav. I, fig. 20-22; tav. II, fig. 29). nuculoides rhaeticum » rhaeticum » rhaeticum rhaeticum Questa condii glia varia molto d’aspetto alla Punta delle Pietre Nere, come in altre località, tanto che vi si distinsero tre varietà, che da alcuni furono considerate anche come tre specie differenti. Dobbiamo al Winkler se ora tutte queste pre- tese specie sono invece considerate come tre varietà. Ci sono forme più alte che larghe con contorno arrotondito ( G . rhaeti- cum Mér., var. erectum Winkler zzz C. alpinum Gùmbel); altre invece in cui l’altezza è uguale alla lunghezza (var. rotundatum Winkler zz: C. Philippianum Dunker); e infine altre col lato posteriore molto sviluppato e perciò a contorno ovale (var. elon- gatum Winkler zz O. nuculoides Stoppani). Tutte queste forme si presentano associate c rilegate stret- tamente da passaggi e caratteri generali. La conchiglia è più o meno gonfia. Il lato anteriore è sempre arrotondito, il posteriore, secondo le varietà, è arrotondito o subarrotondito o lievemente troncato. Nella varietà elongata sul lato posteriore si nota un angolo ottuso che comincia dagli apici 146 G. CRECCHIA Cardium (Pro- tocardia) rhaeti- cum Mér. e die va a svanire verso il contorno. Gli apici sono prominenti, leggermente prosogiri e contigui. La superficie della conchiglia è ornata nella parte posteriore di 18-20 costole fine, piatte, ben distinte, separate da solchi lineari e profondi che si osser- vano pure sui modelli. Il numero delle costole di questi indi- vidui è leggermente maggiore che nel C. ri Mie- ti cum tipico, esse coprono quindi una parte mag- giore della superficie della valva. Lo scudetto è ben distinto. Il guscio è sot- tilissimo e le strie d’accrescimento fine ma ben rilevate. I caratteri della cerniera si osservano nei nostri esemplari molto chiaramente. Le valve che abbiamo potuto preparare all’interno ci hanno permesso di notare i seguenti contras- segni : elementi cardinali composti di due denti principali posti immediatamente sotto l’apice: uno forte, sporgente, arcuato verso l’alto e ap- puntito, l’altro rudimentàrio ; e due denti laterali di cui l’ante- riore è forte, molto allungato e listiforme. Gli esemplari da me trovati permettono dunque di stabilire che la forma in esame è veramente un Cardium. Tenuto conto della cerniera e dei caratteri esterni questa specie si può deter- minare esattamente come il 0. rhaeticuni Mér., mentre il Di Stefano l’aveva determinato con qualche dubbio perchè nei suoi esemplari non si scorgeva la cerniera. Alla presenza di questa specie alla Punta delle Pietre Nere in istinti corrispondenti al Eaibliano non si deve annettere molta importanza, perchè l’esistenza di forme del piano retico in istinti triasici più bassi non è nuova. Notevoli sono le grandi somiglianze di questa specie con le varie Protocardia del Re- tico, Giurassico, Cretaceo e, venendo ancora su, col Cardium strio- latum Cale, del Pliocene d’Altavilla in Sicilia (probabilmente identico con il C. cyprium Br.); il che persuade a non dare molta importanza nella determinazione dell’età dei terreni alla presenza delle Protocardia. Questa specie abbonda alla Punta delle Pietre Nere e ab- biamo potuto osservare parecchi esemplari ben conservati. Sono NUOVE OSSERVAZIONI SULLA FAUNA TR1ASICA 147 ordinariamente di piccole dimensioni. La varietà elongata mi- sura in lunghezza mm. 13 altezza » 8 spessore » 5 Anoplopliora ? Portisi n. sp. Conchiglia allungata trasversalmente, depressa, a contorno ovale, assai leggermente arrotondito nella regione inferiore ; mar- gine cardinale ispessito, quasi dritto e subparallelo al ventrale; regione anteriore più ristretta della posteriore. L’apice è legger- mente sporgente dalla linea cardinale, spostato alquanto verso la parte anteriore della conchiglia e depresso longitudinalmente nella parte mediana. La superfìcie è coperta di linee d’accre- scimento concentriche, talora molto rugose e rilevate. Non si può esaminare alcun carattere interno salvo l’ispes- simento della cerniera. Lunghezza quasi doppia dell’altezza (mm. 20 per mm. 12). Questa forma ha molti caratteri esterni co- muni al genere Anoplopliora (’), ed ha inoltre * (*) rapporti con varie specie triasiche di questo genere. Non si possono infatti disconoscere le analogie che la nuova specie ha con VA. let- tica Quenstedt sp. (2), la quale però si diffe- renzia dalla nostra perchè ha l’apice spostato molto di più verso Anoplopliora ? Portisi n. sp. (*) Per il Cossmann (Berne eritique de Paleozoologie, n. 2, aprile 1897, pag. 50-51), il nome generico di Anoplopliora si dovrebbe sostituire con quello di Anodontophora per evitare la confusione che potrebbe deri- vare dal fatto che lo stesso nome è adoperato anche per un genere di coleottero. Il doppio impiego di nomi adoperati per generi appartenenti a tipi del tutto dissimili non é raro in zoologia ; d’altra parte è diffi- cile di poter confondere un Lamellibranche marino con un coleottero; per questo noi crediamo di mantenere, almeno in via provvisoria, il nome di Anoplopliora. (") v. Alberti, Ueberblicli iiber die Trias. Stuttgart, 1864, pag. 140, tav. Ili, fig. 12. 148 G. CHECCHI A l’avanti; VA. Ministeri Wissm. sp. (J) è invece molto più lunga che alta (lunghezza tripla dell’altezza) e presenta strie d’ac- crescimento poco rilevate ; VA. Fassdensis Wissm. sp. (2) ha l’apice molto arrotondito come una gobba e senza la depres- sione longitudinale mediana ; cosi pure la nuova forma ha rap- porti di somiglianza con VA. musculoides Sclilt. sp. (3) e con VA. impressa nov. sp. (4), da cui si distingue per i suoi carat- teri speciali suaccennati. La incompleta conservazione dell’esemplare in esame, che non ci permette di osservare bene i caratteri interni, salvo l’ispes- simento della cerniera, e qualche somiglianza con generi affini, ci fanno per ora ascrivere con dubbi la presente specie al genere Anoplophora. Il rinvenimento di altri esemplari meglio conser- vati potranno metterci in grado di conoscere più esattamente i caratteri interni della nuova forma e quindi di precisarne l’ap- partenenza generica. jms. pres. 31 gennaio 1901 - ult. bozze 16 marzo 1901], (*) (*) Tommasi A., La fauna del calcare concliigliare di Lombardia. 1894. Pavia, pag. 114, tav. II, fig. 6. (2) v. Alberti, loc. cit., pag. 137, tav. IV, fig. 8. (3) Tommasi A., loc. cit., pag. 118, tav. II, fig. 5. (4) v. Alberti, loc. cit., pag. 138, tav. IV, fig. 2. SULLE CH AM ACE E E SULLE RUDI S TE DEL MONTE AFFILANO PRESSO SUBIACO NEL CIRCONDARIO DI ROMA Nota preliminare del prof. Romolo Meli L’egregio nostro Presidente, prof. C. F. Parona, ha, in questi giorni, pubblicato due interessanti lavori sulle Rudiste e Cha- macèe dell’Appennino meridionale (Q, nei quali sono indicate e figurate alcune forme spettanti a quelle singolari bivalvi cre- tacee. Nell’osservare le tavole, che accompagnano le due citate memorie, mi tornarono alla mente le Chamacèe e le Rudiste del cretaceo superiore del Monte Affilano presso Subiaco nel circondario di Roma, le quali non vennero finora fatte oggetto di uno studio speciale e monografico, come esse si meritano. Questi fossili si trovano in un calcare bianco, compatto, mar- moreo, che venne adoperato in Roma anche per lavori di scul- tura (come esempio può citarsi il bassorilievo sulla facciata di S. Salvatore in Lauro) (s). Per lo più si tratta di modelli in- terni, poiché il guscio delle conchiglie è spatizzato ed è difficile (‘) Parona C. F., Sopra alcune rudiste senoniane dell’ Appennino meridionale. Memor. d. R. Accad. d. Scienze di Torino. Serie II, toni. L, 1900, pag. 1-24, tav. I-II. Le Budiste e le Chamacèe di S. Polo-Matese raccolte da Francesco Bassani. Mem. d. R. Accademia predetta, 1901, pag. 197-214, tav. I— III. (2) Dovetti, anni fa, occuparmi di questo calcare come pietra da scalpello e ne scrissi una relazione tecnica in proposito per il Tribunale civile di Roma. Anche ring. E. Clerici ebbe a studiarlo in quell’epoca, e pubblicò due memorie, l’una col titolo : La pietra di Subiaco in provincia di Boma e suo confronto col travertino (Bollett. del R. Comitato Geologico d’Italia, 150 R. MERI di poterlo staccare ed estrarre dal calcare, ove esse bivalvi sono racchiuse ed impietrite (*). 1890, n. 1-2, pag. 27-33), e l’altra: Il chirografo di Pio VI e la pietra di Subiaco — Nella Rassegna delle scienze geologiche in Italia — Anno 1, voi. I, fase. 1-2, 1891, pag. 15-23. (*) Dei calcari a radiate dei mónti Sublacensi si parla, più o meno diffusamente, in molti lavori, a cominciare da quello del Murchison: On thè geological structure of thè Alps, Apènnines and Carpathians (Tlie Quarterly Journal of thè Geological Society of London, Voi. V, Part. 1, Proceedings. Seduta del 13 dicembre 1848. Ved. pag. 281). Murchison dà uno spaccato geologico dei monti presso Subiaco. (Ved. tig. 23, pag. citata). La medesima sezione è riprodotta nella traduzione italiana della predetta opera del Murchison, stampata nel 1851 a Firenze dai prof. P. Savi e G. Meneghini (ved. pag. 208). 11 Ponzi nei suoi lavori cita più volte le Rudiste del Monte Affi- lano e ne indica alcune specie. Ma quelle determinazioni specifiche hanno oggi bisogno di accurata revisione. Dei calcari a rudiste della valle del Sacco, il Ponzi fa parola, pure egli, fin dal 1848 ( Osservazioni geologiche fatte lungo la ralle Latina. Me- moria letta all’Accad. pont. dei Lincei il 31 dicembre 1848. Nella Rac- colta Scientifica. Gennaio 1849. Ved. pag. 3, 9, dell’estr.). Anche Mantovani, nella Descrizione geologica della Campagna Ro- mana, Torino, Loescher, 1875 (Ved. pag. 29, 30 e nota alla pag. 30), parla del Monte Affilano, e cita alcune specie di Rudiste. Così pure il Clerici nelle sopra menzionate memorie (Il chirogr. di Pio VI, Ved .Rassegna, pag. 17, e La pietra di Subiaco, ecc., Ved. pag. 29) dà un elenco di specie, che è riportato dal De Angelis nel suo lavoro: L'alta valle dell' Amene (Memorie della Società Geografica ital., voi. VII, Parte 2a, 1898, pag. 204. Ved. ancora pag. 207, n. 3, e pag. 257-258, 263, nelle quali si torna a parlare del calcare a rudiste deH’Aftìlano). In altre precedenti memorie del De Angelis si accenna ai fossili cretacei del predetto monte (De Angelis G., Appunti preliminari sulla geologia della valle dell Amene. Bollett. d. Soc. Geologica Ital., voi. XV, 1896, fase. 3. Ved. pag. 425-426. — Contribuzione allo studio paleontologico dell alta valle dell’ Aniene. Bollett. d. Soc. Geolog. Ital., voi. XVI, 1897, fase. 2°. Ved. pag. 281-286). Finalmente, Francesco Toni cita parecchie specie di Rudiste e Cha- macèe provenienti dal Monte Affilano (Toni F., Della collezione geologica, paleontologica e paleoetnologica da lui raccolta. Foligno, Sgariglia, 1888, in-8°. Vedansi le pag. 35, 150, n. 40-44, pag. 151 n. 15, 19-22, pag. 152 n. 31-38, pag. 154 n. 8). Ma quelle determinazioni devono essere ben va- gliate. Citerebbesi anche la Terebratula ( Pijgope ) diphya (Colonna), del Monte Affilano (pag. 140, n. 41). Questa specie bilobata é del sopra-Giu- rese (Titonico). SULLE CHAMACEE E SULLE R UDISTE 151 Anni indietro, ne riunii una copiosa e bella raccolta nel- Tlstituto di Geologia dell’Università di Roma, ottenendola in dono dal Dott. D. Seghetti, come già accennai in altra pub- blicazione (l). In seguito, ne raccolsi, recandomi sul luogo, una buona serie per il Gabinetto di Geologia e Mineralogia del R. Istituto Tec- nico di Roma, aggiungendo altri esemplari a quelli, che già vi si osservavano. Finalmente, un certo numero di rudiste è nella mia privata collezione di fossili. Da un esame sommario e da alcune sezioni, specialmente trasversali, fatte sulle precitate bivalvi, si può dire che vi si trovano forme appartenenti, sia alle Rudiste, che alle Chamacèe, con i generi: Sphaerulites, Radiolites, Biradiolites , Di ste fanello . Caprina, Caprotina, Plagioptyclius. Il Ponzi cita Rudiste, Chamacèe e grosse Nerinèe nei cal- cari dei monti Sublacensi e Lepino-Pontini, che riferisce al cre- taceo medio (Sopra i diversi periodi eruttivi determinati nel- V Italia Centrale. Atti d. Accad. pont. de’ Nuovi Lincei. Ses- sione III, 14 febbraio 1864, tom. XVII, pag. 141 e 158, ovvero pag. 11 e 28 dell’estr.). Tra le Rudiste cita V RLippurites orga- nisans ; tra le Chamacèe, la Caprinula Boissyi (2). Ma, come già dissi, queste determinazioni devono rivedersi, poiché, in generale, quei fossili furono studiati soltanto dalla loro forma esterna e dalla loro ornamentazione, nè, per la loro classifica, furono eseguiti tagli per vederne la disposizione interna e la struttura del guscio. La bivalve, indicata dal Ponzi col nome di Caprinula Boissyi, è, a mio credere, una specie nuova. (*) (*) Meli R., Sopra i resti fossili di un grande avvoltoio (Gyps) rac- chiuso nei peperini laziali. Bollett. d. Soc. Geolog. italiana, voi. Vili, 1889, fase. 3°, nota a piedi della pag. 515. In quella nota si parla incidentalmente del calcare a rudiste del Monte Affilano, che é riferito al piano Turoniano per la facies generale presentata dai fossili. (2) D'Orbigny A., Note sur le genre Caprina. Nella Berne Zoologique (Journal mensuel publié sous la direction de M. F. E. Guerin Menneville) tom. II, juin 1839, pag. 168, n. 3 (Caprina Boissyi). Riprodotta anche nel lavoro del Douvillé: Etudes sur les Caprines. Bull, de la Soc. Géolog. de France, 3e sèrie, tom. XVI, 1888, pag. 714 in nota. Ved. ancora, per la Caprinula Boissyi, pag. 705 e seguenti, tav. XXII, fig. 1, a, a', h, b\ 152 R. MELI Riserbando l’elenco delle specie ad uno studio completo, parrai poter fin d’ora indicare con molta probabilità tra le ru- diste del Monte Affilano le specie seguenti : Biradiolites cornu- pastoris Des Moni. ( Hìppurites ); Biradiolites samniticus Pa- rona; Spliaerulites Morioni Woodw. (Badiolitcs). Dalle pubblicazioni del Parona rilevo una certa analogia tra le forme di S. Polo-Matese (Campobasso), da lui descritte e figurate, e quelle del Monte Affilano. Altra e più marcata analogia presentano le rudiste dell’Affi- lano con quelle del Veneto della località Pine, delle quali vidi esemplari conservati nel Museo di Geologia della R. Università di Padova, e le cui specie vennero in gran parte descritte e figu- rate dal Catullo (1). La presenza della Biradiolites cornu-pastoris confermerebbe poi che nell’Affilano si avessero strati da riferirsi al Turoniano, giacché, secondo Douvillé, tale specie fu sempre rinvenuta in questo piano (s). (') Per le Eudiste descritte dal Catullo possono consultarsi special- mente i seguenti suoi lavori: Saggio di Zoologia fossile. Padova, 1827, in-4°. (Ved. pag. 171-176 e tav. VI, VII). Memoria geognostica-zoologica sopra alcune conchiglie fossili del cal- care jurese, che si eleva all’Est del Lago di S. Croce nel Bellunese. Pa- dova, 1834, in-4° di pag. 20 con 2 tavole. Sopra alcune questioni ris guardanti il terreno cretaceo delle Alpi Ve- nete. (Lettera del Pilla al Catullo e risposta di questo). Nel giornale Il Cimento, anno III, gennaio-febbraio 1845. Stampato anche nei : Nuovi Annali delle Scienze Naturali di Bologna, Serie IIa, Tomo III, giugno 1845, pag. 431-444. In queste due ultime memorie si parla delle rudiste di Pine. Ved. ancora: Prospetto degli scritti pubblicati da Tomaso Antonio Ca- tullo compilato da un suo amico e discepolo. Padova, 1857, in-4°. (Cfr. pag. 141, n. LXIV, pag. 214, n. XCIV, a pag. 219). Per le Rudiste della succitata località vedansi : Futterer K., Die óbere Kreidebildung cler Umgebung des Lago di Santa Croce in der Ve- netianer Alpen — Palaeont. Abhandl. von Dames und Kayser, tom. VI, 1892. Rohm G., Beitrag sur Gliederung der Kreidein den Venetianer Alpen — Zeitschrift. d. deutsch. geolog. Gesellschaft. Tom. II, 1897. (2) Douvillé H., Budistes du crei, infér. des Pyrenées. (Quatrième elude sur les Budistes). Bull, de la Soc. géologique de France, 3me sèrie, voi. XVII, 1889, pag. 648. SULLE CHAMACEE E SULLE RUOISTE 153 Anche il rinvenimento del Plagioptgclnts Aguilloni D’Orb. (Caprina), citato dal De Angelis Q), con molta probabilità di determinazione, negli strati a Rndiste dell’ Affilano, starebbe a dimostrare che l’età di quelli strati sarebbe da riferirsi al Tu- roniano, e non al Senoniano, come senza alcun fondamento e senza alcuna prova paleontologica - almeno fino ad ora - e con- trariamente all’unico fossile da lui citato, sia pure come pro- babile, vorrebbe contraporre il De Angelis. Difatti, anche senza determinazioni specifiche, il complesso dei sopra indicati generi di Chamacòe e Rndiste non indicherebbe affatto il Senoniano, ma, quando mai, potrebbe accennare al Cenomaniano. Secondo i lavori di Douvillé (2), il gruppo Caprotina , Caprina, Capri- nula caratterizzano il Cenomaniano superiore. È vero che il genere Caprinula venne stabilito da A. D’Or- bigny, fin dal 1847, nella Paleontologie frangesse (:5) sulla Ca- prina Boissyi, la quale fu indicata nel Turoniano di Fourtoux (dintorni di Corbières). Ma, Douvillé ha fatto notare che fu per isbaglio citata nel cretaceo a ippuriti (Turoniano) di Corbières, e che invece deve riportarsi al Cenomaniano superiore (4). Qualche anno indietro, secondo Douvillé, si ammetteva che nel Cenomaniano superiore apparissero le vere Rndiste (5). Ma, De Lapparent ( Cours de geologie, 4me édition, 1900, pag. 1406-1407) segna il Biradiolites cornu-pastoris (Des Moni.) del cretaceo di Provenza nel sottopiano Angnmiano (Turoniano superiore). Così ancora questa specie é indicata nel Turoniano superiore del Perigoni, Provenza, Si- cilia, ecc. ( Compte-rendu du Congrès géolog. internai. VI Session, 1894, Zurich (Chronographe géolog.). Quadro del cretaceo recente). Toucas segna pure il livello del Biradiolites cornu-pastoris nell’Angumiano medio. (Toucas, Sur l'évolution des Hippurites. Bull, de la Soc. Géolog. de France, 3me sèrie, toro. XXVI, 1898, pag. 570-572). (‘) De Angelis G., Contribuzione allo st. paleontolog., ecc. (mem. cit.) Boll. Soc. Geolog., voi. XVI, 1897, pag. 281-282. De Angelis G., L'alta valle dell' Amene (mem. cit.), Mem. d. Soc. Geografi, Voi. VII, 1898. Ved. pag. 204 e 263. (5) Douvillé H., Budistes du crétacé inferi eur des Pyrenées (mem. cit.), Bullet. de la Soc. Géol. de France, 3e sèrie, toni. XVII, 1889, pag. 646. (3) Paleontologie francai se, Terrain crétacé, toni. IV, Brachio podes, Paris, 1847 -’49, pag. 187-189, pi. 580. C) Douvillé H., Budistes des Pyrenées (mem. cit.), 1889, pag. 646. (5) Douvillé H., Essai sur la rnorpliologie des Budistes, Bullet. de la Soc. Géolog. de France, 3e sèrie, tom. XIV, 1886. Ved. pag. 395: «Sur 13 154 R. MELI secondo gli ultimi studi, le forme ancestrali delle Radiolitidi si mostrerebbero fin nel cretaceo inferiore (Urgoniano) col genere Agria e le Radioliti antiche (del tipo cantabricus) si avrebbero alla base dell’Albiano (1). Ora la fauna a Rudiste del Cenomaniano superiore, almeno in Francia, è ben conosciuta. Secondo Douvillé, è caratterizzata dalla Caprina adversa, Caprinula Boissyi, dai Radiolites di tipo antico (li. Fleuriaui, li. triangularis), ecc. Altro carattere importante per quel piano sopra-cretacico è la ricchezza nelle vere Caprotine (5). Ricordo anche che gli strati a Caprotina di Cosati (Boemia) (3) sono riferiti al Cenomaniano, e che, secondo Douvillé (4), sa- rebbero parimenti Cenomaniani gli strati a Caprotinidi (Sellaea) e a Caprinidi ( Schiosia) della Sicilia, illustrati dai eh. prof. Gem- mellaro (5) e Di Stefano (6). » le méme horizon que les Caprotina (Cénomanien supérieur) on voit » apparaitre un nouveau type représenté par le genre Spliaerulites ». Douvillé H., Sur quelques fonnes peu connues de la famille des Cha- mide's, Bullet. de la Soc. Géolog. de Trance, 3e sèrie, tom. XV, 1887. Ved. pag. 788 e 800, ove trovasi la « Phylogénie des Chamidés». In questa tabella filogenetica si rileverebbe l’ordine seguente di appari- zione: nel Cenomaniano compaiono i generi Caprotina, Radiolites, Ca- prina, mentre nel Turoniano si schiudono i generi Biradiólites e Pla- gioptychus, seguiti dal genere Hippurites all’avvieinarsi del Senoniano. (') Douvillé H., Études sur les Rudistes (V-VIII), Bullet. de la Soc. Géolog. de Trance, 3e sèrie, tom. XXVI, 1898. Ved. pag. 149. (2) Douvillé H., Études sur les Rudistes (V-VIII), mem. cit., 1898. Ved. pag. 150. (3) Zittel K. A., Rivalven der Gosaugebilde, 1866. (4) Douvillé H., Sur quelques Rudistes américains, Bullet. de la Soc. Géolog. de Trance, 3e sèrie, tom. XXVIII, 1900, pag. 217. (5) Gemmellaro G. G., Nota sopra una Spliaerulites del Turoniano di Sicilia, Palermo, 1867. Id., Caprinellidi delVippuritico della Ciaca dei dintorni di Palermo (Atti delPAccad. Gioenia di Se. Natur. di Catania, Serie IIa, voi. XX, 1865). Id., Sopra varie conchiglie fossili del cretaceo superiore e nummulitico di Pachino. — Catania, tip. Accad. Gioenia, 1860, in-4°. (6) Di Stefano G., Studi stratigrafici e paleontologici sul sistema cre- taceo della Sicilia. I. Gli strati con Caprotina di Ter mini -Imerese (Atti d. R. Accad. di Se., Lettere ed Arti di Palermo, voi. X, 1888, con XI tavole). SULLE CHAMACÉE E SULLE RUD1STE 155 Invece i generi Biradiolites e Plagioptychus sarebbero Tu- roniani (*), e si presenterebbero nel Tnroniano tipico della Cha- rente, della Provenza e dei dintorni di Corbières (2). Or bene, l’unico fossile precisato dal De Angelis tra le Ru- diste affilane è appunto il Plagioptychus Aguilloni D’Orb. ( Ca- prina), che è generalmente riguardato come Turoniano. Inoltre l’abbondanza delle vere Caprotine sarebbe un altro motivo per non riferire al Senoniano il calcare a Rudiste del- l’ Affilano. 0) Il genere Plagioptychus fu stabilito da Mathéron nel 1842 (Chenn J. C., Manuel de Concliyliologie, tom. II, 1862, pag. 237, tig. 1213. — Dou- villé H., Études sur les Caprines, 1888, pag. 713). — Per la specie sopraci- tata vedasi : Douvillé, mem. ora citata, pag. 716-719, tig. 5 nel testo e tav. XXXIV e XXV, tig. 1 ; D’Orbigny A., Pale'ont. frangaise. Terrain crctacé, tom. IV, Brachiopod., Paris, 1847 -’49, pag. 184, n. 1182, tav. 538 ( Caprina Aguilloni). Zittel dà buone figure del Plagioptychus Aguil- loni d’Orb. Una figura rappresenta la bivalve del Cenomaniano di Gosau. (Zittel K. A., Handhuch der Palaeontologie, voi. II, Moll. uncl Arthro- poda, 1881 -’85, pag. 78-79, tig. 112-113). Fischer P., Manuel de Conchyl., Paris, 1887, pag. 1054-55. Il Plagiopt. Aguilloni (D’Orb.) fu ritrovato nei calcari a Rudiste della Puglia, i quali sono riguardati come appartenenti al Turoniano. Virgilio Fr., Geomorfogenia della provincia di Bari (Estr. dal voi. Ili dell’opera La Terra di Bari). Trani, 1900, in-fol. Ved. pag. 67 e seg. Che anzi, Woodward ( Manuel de Conchyliol. Paris, 1870, pag. 465) mette il Plagioptychus Aguilloni (D’Orb.), del quale riproduce la figura della valva superiore data da D’Orbigny, nel cretaceo inferiore. Pari- menti nel cretaceo inferiore sono collocate le varie specie di Caprinula (— Caprinella) [Manuel cit., pag. 463-465]. (2) Toucas A., Dii terrain crétacé des Corbières. Bull, de la Soc. géol. de France, 2me sèrie, tom. Vili, 1879-80. Cf'r. ancora: Cliaper, Observation sur ime espèce du geme Plagiop- tychus. Negli : Études fait. dans la collection de l’École des Mines par Bayan, Paris, 1873, fase. 2. Munier-Chalmas, Prodrome d'une classification des Pudistes. — Journal de Conchyliologie, tom. XXI, Paris, 1873, pag. 71-75. — - Études critiques sur les Pudistes. Bullet. de la Société géol. de France, 3me sèrie, tom. X, 1882. Teller, Ueber neue Pudisten aus der bòhmischen Kreideformation. Sitzungsb. d. Wiener Akad. d. Wissensc.haft, voi. 75, 1877, con 3 tavole. 156 R. MELI Da ultimo, il De Angelis pubblica di non aver ritrovato nel monte Affilano alcuna vera Hìppurites. Probabilmente con ulte- riori ricerche e sezioni, potranno venir fuori anche le ippuriti. Ma intanto, stante l’ordine filogenetico delle Rudiste e Chamidèe dato dal Douvillé, la mancanza delle vere ippuriti non potrebbe essere una ragione di più per riferire la fauna affilami in pa- rola a piani più antichi del Senoniano? ('). Concludendo : non è quindi esatto che senza alcun fonda- mento si debba ritenere per ora il riferimento della fauna affi- lami al Turoniano, e che le probabilità stiano pel Senoniano (!). Peraltro, convengo perfettamente col De Angelis che, sol- tanto dopo uno studio completo della fauna affilana sarà possi- bile di precisare se essa spetti al turoniano, ovvero ad altro piano della serie sopra-cretacea. Probabilmente si avranno nel Monte Affilano parecchi livelli differenti della serie anzidetta. Tra i fossili deH’Affilano, che trovansi nel Gabinetto di Mi- neralogia e Geologia del R. Istituto Tecnico di Roma, sono no- tevoli: un frammento di modello interno di un grande gastero- podo (probabilmente una gigantesca Chemnitzia (3)), del quale (') La grande diffusione delle Ippuriti é nel Santoniano superiore e nel Campaniano inferiore, ossia nel Senoniano medio, mentre il loro primo livello è nell’Angumiano medio, ossia nella parte alta del Turo- niano. Toucas, Sur l’évolut. des Hìppurìtes (mem. cit.). Bull, de la Soc. géol., tom. XXVI, 1898. Ved. pag. 572. (2) De Angelis G., L'alta valle delVAniene (mem. cit.), pag. 205, al fine della pagina. (3) Le Melarne dei terreni mesozoici si riferiscono, come é noto, complessivamente al genere Chemnitzia. Il frammento in via provvisoria determinato come spettante a tal genere, per i suoi caratteri generici, ricorda le grandi specie di Chem- nitzia trovate nel Trias alpino e lombardo, descritte dallo Stoppani. [Stoppani A., Studii geologici e paleontologici sulla Lombardia. Milano, Turati, 1857, in-16°. Ved. pag. 349-353. — Id , Corso di Geologia. Voi. II, 1873, paragrafi 728 (strati di Esilio) a 735. — Id., Les pétrifieations d’Esino (Paleontologie Lombarde. lre sèrie) 1858-60]. Rammenta, per la sua facies e grandezza, la Coelostylina princeps Stopp. (Chemnitzia) del trias medio di Lenna in Val Brembana. Ma, evidentemente, trattasi di forma diversa. SUI, LE CHAMAOÈE E SULLE RUDISTE 157 sono conservati quasi tre anfratti; ed un altro gasteropodo di forma cilindrica, clic può riferirsi forse ad una Nerinaea. Sarebbe desiderabile che le Chamacèe e Kudiste del Monte Affilano venissero studiate e paragonate con quelle degli altri lembi del cretaceo superiore della nostra provincia e regioni circostanti (calcari cretacei dell’altipiano sopra Cervara di Koma; Oricola; Monti della Prugna sopra Arsoli; La Monna presso Trisulti; Monte Bove, e bacino del Fucino; Jenne; Arcinazzo; Bocca di Cave nei Prenestini ; Monte S. Angelo sopra Terra- gna (rj ; Koccagorga, Piperno (2), Prossedi, Pisterzo, Supino, Montelanico (3); Monte Cassino (4) ecc., nelle quali località rac- (') Il calcare del cretaceo sup. a Rudiste del M.te S. Angelo è men- zionato nella mia: Breve relazione delle escursioni geologiche eseguite alle Paludi Pontine, a Terracina ed al Circeo con gli allievi Ingegneri della B. Scuola di Applicazione dì Poma nell’anno 1893-94 — Roma, 1894? in-24°. Ved. pag. 9 (Estr. d. Annuario 1894-95 della R. Scuola predetta). Yedansi ancora: Meli R., Sopra la natura geologica dei terreni rinvenuti nella fon- dazione del sifone che passa sotto il nuovo canale diversivo per depositare le torbide dell’ Amaseno, ecc. Boll. d. Soc. Geolog. It., voi. XIII, 1894, fase. 1°, pag. 43-44. Statuti A , Esame di una calcare ad ippuriti che esiste nei dintorni di Terracina — Atti dell’Accad. pont. de’ Nuovi Lincei, anno XXX, Ses- sione 3a del 18 febbraio 1877, pag. 106-113. (?) In una lettera, scritta da A. Spada-Lavini al Prof. Ponzi, sono citati VHippurites sulcatus Defr. e la Caprinella triangularis d’Orb., come rinvenuti nel calcare del cretaceo superiore di Piperno. La predetta prima specie di ippurite, secondo lo Spada-Lavini, si ritroverebbe anche nell’oc- cliio di pavone di Rocca di Cave. La lettera precitata é da me posseduta. A proposito di Rudiste, trovasi una figura di notista, da riferirsi probabilmente ad una Radiolites, nell’opera di Ferrante Imperato: Ili- storia naturale, ecc. Seconda impressione aggiontovi da Gio. Maria Ferro, Spettale alla Sanità, alcune annotazioni alle piante nel libro vigesimo ottavo — Venetia, Combi e La Noù, 1672, in-4°. Ved. pag. 582. Il fos- sile é qualificato per un « corno di Aminone, figura di pietra, causata da forma precedente ». (3) Negri Gaetano, Geologia strati grafica, ossia descrizione dei terreni componenti il suolo d’Italia. Milano, Vallardi, 1880, in-8° gr. Alla pag. 81 trovo menzionata la catena dei Volsci formata di cal- cari con ippuriti. (4) Del calcare a rudiste del Monte di Cassino fa parola anche il Bassani nel suo lavoro: Il calcare a Nerinèe di Pignàtaro Maggiore in 158 R. MELI colsi campioni di calcari con esemplari e sezioni di Rudiste (') o Chamacèe). Richiamo pertanto l’attenzione dei Colleghi, che si occupano dello studio delle Rudiste, su questi fossili del Monte Affilano e della catena Lepino-Pontina. [ms. pres. 25 febbraio 1901 - ult. bozze 15 marzo 1901]. provincia di Caserta (Rendic. d. R. Accad. di se. fis. e mat., Napoli fase. 7-8, luglio-agosto, 1890. Ved. pag. 202). (') Oltre che dalle sopra segnate località cretaciche della provincia di Roma, e regioni finitime, che visitai, talune più volte, nelle mie nu- merose escursioni, ebbi Rudiste da Bolognano nell’Abruzzo Chietino, da Monte Cavallo nell’Abruzzo Chietino, e da Ostuni nel circondario di Brindisi in provincia di Terra di Otranto. In questo ultimo luogo si trovano esemplari che presentano la struttura del guscio della conchiglia mirabilmente conservata, mentre le cavità delle Rudiste di Monte Ca- vallo sono tappezzate di cristalli di Quarzo. Ne vidi pure esemplari pro- venienti dal monte il Palombaro presso la Cappella di S. Nicola a Guardia Regia nella provincia di Molise, da Avellino, Arpino, Caiazzo, e da Sala Consilina nella provincia di Salerno. LE BULIMINE E LE CASSIDULINE FOSSILI D’ITALIA Studio del dott. Carlo Fornasini È un fatto ormai generalmente ammesso, che i generi Buli- mina, Virgulina e Bolivina, istituiti da d’Orbigny, e da lui ascritti a due gruppi tanto diversi di foraminiferi quali erano i suoi elicosteghi ed enallostegbi, presentano tali affinità mor- fologiche da non potersi fra loro genericamente separare, do- vendosi tutt’ al più attribuire al secondo e al terzo termine un valore sottogenerico subordinato a quello del primo. Nelle bolivine la disposizione delle camere è certamente diversa da quella delle bulimine: in queste essa è spirale e non di rado triseriale, mentre in quelle è distintamente biseriale e testila- riforme; fra le une e le altre però stanno, quasi anello di con- giunzione, le virguline , le quali, se da un lato non differiscono dalle bulimine che per la loro figura molto allungata, presen- tano dall’altro una manifesta tendenza a divenire biseriali. In tutti e tre i generi sopra nominati il nicchio è calcareo, quasi sempre sottilissimo, trasparente, e più o meno distinta- mente perforato. Fanno eccezione alcune grandi bulimine fossili, con nicchio spesso, opaco, e talvolta ruvido all’ esterno perchè incrostato di sabbia calcarea o silicea, per le quali Reuss aveva proposto, pare con poco fondamento, il termine generico Ataxo- phragmium. In tutti e tre i generi, inoltre, anche l’orificio è press’a poco dello stesso tipo, vale a dire virguliforme, e si pre- senta alquanto modificato soltanto nelle bolivine, in cui talvolta assume l’aspetto di una fessura egualmente acuta agli estremi. Bi far ina di Parker e Jones è genere biforme: bolivini- o virguliniforme nella sua prima parte, è uniseriale nella seconda. 160 C. FORNAS1NI Pleurostomella eli Heuss è biseriale ('), ed ha un orificio grande, per lo più arcuato, provvisto di una fessura nel mezzo del mar- gine inferiore, e situato in cima alla faccia settale eretta del- l’ultima camera, il limosina di Millett, infine (/), è bi- o tri- seriale, ha nicchio cellulare o spugnoso, ed apertura composta, costituita cioè da due orifici distinti, l’uno dei quali si trova alla base della faccia settale dell’ultima camera, mentre l’altro è situato vicino all’apice della camera stessa. Tali sono pertanto i tipi generici e sottogenerici che so- glionsi riunire insieme a formare la sottofamiglia dei Bulimi- ninae , gruppo importante di testilaridi; ma ad essi molto pro- babilmente debbonsi associare due altri tipi, Gl nlost omelia ed Allomorphina di Reuss, che finora si considerarono come ap- partenenti a tutt’altra famiglia, quella dei cliilostomellidi. La quale, costituita dai due generi sopra nominati e da Ellipsoi- dina di Seguenza, comprendeva una serie di forme politala- miche con nicchio calcareo finamente perforato, con le prime camere tutte o in parte ricoperte dall’ultima, e disposte in ordine uni -(Ellipsoidina), \)i-(Chilosto niella) o triseriale ( Allomorphina ). Rliumbler per primo, intravveduta l’affinità esistente fra le ellipsoidine e le glandoline, affinità che poscia è stata dimo- strata dalle osservazioni di A. Silvestri (3), ascrisse le ellip- soidine ai nodosaridi. E sostenendo egli, inoltre, che le chilosto- melle e le allomorfine non differiscono rispettivamente dalle bolivine e dalle bulimine che per lo sviluppo interno delle prime camere, collocò senz’altro ambedue i generi nella sotto- famiglia dei JBulimininae (■*). Non avrebbe ragione d’essere, per tal modo, la famiglia dei chilostomellidi. Per conto mio, tengo però a dichiarare che l’introduzione di Chilostomella e Allonior- phina fra i Tiulimininae è, nel presente lavoro, accettata prov- visoriamente. Bisogna ammettere fra le altre cose, che una certa (‘) La PI. buliminiformis Terr. farebbe eccezione, essendo in parte buliminiforme (v. l’articolo acuta Hantk. Terrigi 1891, nel presente indice). (2) Journ. R. Micr. Soc, 1900, pag. 547-549, tav. IV, fi g. 11-14. (3) Atti Acc. Zelanti Acireale, voi. X, 1899-1900 (vedasi Riv. lt. Paleont., voi. VI, 1900, pag. 116, 117). (4) Nadir, der k. Ges. der Wiss. zu Gòttingen, 1895, pag. 89, 90. LE BULININE E LE CASSIDULINE FOSSILI D’iTALIA 161 affinità morfologica esiste fra i chilostomellidi e i miliolicli : il genere ialino Scabroolda di Brady, infatti, che appare prossimo a Chilostomella, è in pari tempo abbastanza isomorfo di Bilo- culina C)- Da ultimo, Cassidulina di d’Orbiguy è biseriale come una bolivina ed ha orificio simile a quello di una bulimina, ma il suo nicchio è piegato longitudinalmente, ed è completamente, o quasi, ravvolto sopra se stesso; mentre in Ehrenbcrgina di Beu ss il nicchio non è piegato, e l’asse longitudinale è sem- plicemente arcuato. Le eassiduline e le ehrenbergine costitui- scono di preferenza una sottofamiglia distinta di testi laridi : i Cassidulininae (2). * * * Riassumo nel prospetto seguente alcune indicazioni gene- rali, relative alla distribuzione geologica, geografica e batime- trica dei dieci tipi di cui sopra ho fatto parola, ricavandole dai lavori di Brady, Egger, Groes, Millett, Flint, ecc. Le mimosine non furono ancora rinvenute allo stato fos- sile (3). Le bifarine e le allomorfine, se la memoria non m’inganna, non furono ancora rinvenute in Italia (4). Le forme spettanti agli altri generi, citate fino ad oggi come fossili in terre geo- graficamente italiane, sono queste che seguono. (*) Journ. R. Micr. Soc., 1890, pag. 567. (2) I Cassidulinidae di Eimer e Fickert (Zeitschr. f. Avi ss. Zool., voi. LXV, pag. 683) comprendono Cassidulina e Cristellaria. I Chilosto- mellidae, che gli autori fanno discendere dai miliolidi (pag. 646), ven- gono conservati. I Buliminidae, infine (pag. 681), comprendono Bu li- mina (con Virgulina e Bolivina), Polymorphina e Uviyerina. Evidente- mente, una tale classificazione, che mette in non cale e la natura del nicchio e la forma dell’orificio, deve considerarsi con molta cautela, prima d’essere accettata. • (3) Ricorda alquanto le mimosine una forma malamente illustrata da Costa come «genere nuovo» (Atti Acc. Pontan., voi. VII, pag. 369, tav. XXIII, fig. 18). (*) Vedasi l’articolo laminaris nell’indice seguente. 14 162 C. FORNASINI GENERI ! DISTRIBUZIONE £ SOTTOGENERI geologica geografica batimetrica Bulimina Appare nel trias su- periore , riappare nel giura, abbonda nel cre- taceo e nel terziario. E cosmopolita. Dalla spiaggia fino a 5715 metri ( 71. af finis). Ha il massimo svi- luppo a meno di circa 1S00 m. Virgulina Appare nel terziario antico e abbonda nel neogene. È cosmopolita. Dalla spiaggia fino a circa 5500 m. ( f'. schrei- bersiana). Non risente influenza di profondità. Bolivina Appare nel cretaceo e abbonda nel terziario. E cosmopolita. Dalla spiaggia fino a 5300 m. (B. campanu- lata). Ha il massimo svilup- po a meno di circa 700 m. Bifarina Appare nel cretaceo ( B. saxipara). Abita l’Arcipelago Malese, due località del- l’Atlantico e due del Pa- cifico. Da 25 fino a 1750 m. (B. porrecta ). Pleurostomella Appare nel cretaceo e trovasi nell’eocene e nel neogene. Abita pochissime lo- calità del Pacifico e dell’Atlantico meridio- nale. Da 240 sino a 4300 m. (Pi. subnodosa). Mimosina ? Abita l’Arcipelago Malese. Da 25 a 50 m. Allomorphina Appare nel cretaceo e trovasi dipoi nel mio- cene. Abita due sole loca- lità del Pacifico, e il mare dello Spitzberg. ' Da 20 fino a 1130 m. (A. trigona). Chilostomella Appare nell’oligocene e trovasi in tutto il neo- gene. E molto diffusa, ma scarseggia nell’Atlan- tico meridionale. Da 20 fino a 5700 m. (C/i. ovoidea). Cassidulina Appare nelFeocene e trovasi in tutto il neo- gene. E cosmopolita. Da 6S fino a 5523 m. (C. crassa). Non risente influenza di profondità. Ehrenbergina Appare nel miocene. E abbastanza diffusa nei mari dell’emisfero australe. Da 24 fino a 4435 m. (E. hgstrix). LE BULININE K LE CASSIDULINE FOSSILI D ITALIA 163 BULIMINE. acantliia Costa 1854. Atti Acc. Pontan., v. VII, 1856, p. 335, t. XIII, f. 35, 36 (. Bulimina ). Non è altro che la B. marginata di d’Orbigny (Brady: Chall., p. 405). Nel pliocene di Lequile in Terra d’Otranto e di Notaresco nel Teramano, rara. acanthopus Ehrenberg 1854. Mikrogeologie, t. XXVI, f. 23 (. Strophoconus ? Grammostomum ?). Riferita da Parker e Jones (Ann. Nat. Hist., s. 4a, v. IX, p. 290) alla Virgulina embrichi dello stesso Ehrenberg. Nel « calcare bianco » (trubo?) di Cattolica in Sicilia. acicula Costa 1854. Atti Acc. Pontan., v. VII, 1856, p. 336, t. XXII, f. 6 {Bulimina). La figura sopra citata rappresenta piuttosto una polimorfma. Senza indicazione precisa di località. aculeata d’Orb. Reuss 1850. Denksclir. k. Ak. Wiss. Wien, v. I, p. 374. — Jones e Parker 1860. Quart. Journ. Geol. Soc., v. XVI, prosp., n. 53. — 0. Silvestri 1862. Atti X Congr. Se. It., p. 82. — Stolir 1876. Boll. r. Com. Geol., It., y. VII, p. 472. — Van den Broeck 1878. Quart. Journ. Geol. Soc., v. XXXIV, p. 197. — Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 146, 333, 375. — Ter- rigi 1880. Atti Acc. p. Nuovi Lincei, anno XXXIII, p. 159. — Coppi 1881. Paleont. Modenese, p. 130. — Fornasini 1883. Boll. Soc. Geol. It., v. II, p. 180. — Terrigi 1885. Boll. r. Com. Geol. It., v. XVI, p. 150. — Fornasini 1886. Boll. Soc. Geol. It., v. V, p. 213, 215. — Mariani 1888. Atti Soc. It. Se. Nat., v. XXXI, p. 99. — Sacco 1889. Boll. Soc. Geol. It., v. Vili, p. 308. — Corti 1894. Rend. r. Ist. Lomb., s. 2a, v. XXVII, f. 4° e 17°. — Egger 1895. Jahresb. nat. Ver. Passali, XVI, p. 17, t. Ili, f. 8, 10, 13, 164 C. FORNASINI 14. — Fornasini 1897. Bene!, r. Acc. Se. Bologna, n. s., v. I, p. 113 (. Bulimiina ). La forma tipica è rappresentata dalla figura 8 di B r a d y (Chall., t. LI). Nel pliocene del Piemonte in genere (Sacco), di Savona in Liguria (Mariani), d’Induno, di Nese (Corti) e del Monte San Bartolomeo presso Salò in Lombardia, comune (E g g e r), di Castellarquato nel Piacentino, comune (Ben ss, Jones e Parker), di Savignano nel Modenese, comune (Coppi), del Ponticello di Sàvena presso Bologna, comune (Fornasini), del Senese in genere (S o 1 d a n i ?, Silvestri), di Boma (?), di Monte Calvarone presso il lago di Nemi, comune (Terrigi), di Pali- doro in provincia di Boma (Fornasini), nel pleistocene di Monte Buceto in Ischia (Yan d e n Broec k), nel « torto- niano » di Benestare (?), nel « siciliano » di Monosterace, rara, nel « sahariano » di Bovetto in Calabria, rarissima (Seguenza), e nel pliocene di (Urgenti, comune (Stohr). acuta Costa 1855. MS. Collezione del Museo di Napoli, n. 131: Bulimina (Meni. r. Acc. Se. Napoli, v. II, t. II, f. 9 : non descritta). Non è altro che la Pleurostomclla alternans di Schwager (Fornasini: Mem. r. Acc. Se. Bologna, s. 5a, v. V, p. 11, t.IY, f. 5). Nel neogene di Messina. acuta Costa 1854. Atti Acc. Pontan., v. VII, 1856, p. 364, t. XIII, f. 25, p. 368, t. XXII, f. 8 (varietas?): Bulimina. Non descritta. Trattasi probabilmente della B. fusiformis di Williamson. Senza indicazione precisa di località. acuta d’Orb. Fuchs 1878. Sitz. k. Ak. Wiss. Wien, v. LXXVII, p. 473 ( Polymorpliina ). Secondo Dervieux (Boll. Soc. Geol. It., v. XVIII, p. 77), gli esemplari riferiti da Fuchs alle polimorfi ne spettano invece al genere Virgulina (V. schreibersiana di d’Orb igny e varietà longissima di Costa). Nel miocene di Sciolze presso Torino. LE BULIM1NE E LE CASSIDULINE FOSSILI D’iTALIA 165 acuta Hantk. Terrigi 1881. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. X, p. 391 ( Pleurostomdla ). Hantken : Mittli. Jalirb. k. ung. geol. Anstalt, v. IY, p. 44, t. XIII, f. 18. Nel pliocene del Monte Verde nel territorio di Roma. acuta Hantk. Terrigi 1891. Mem. r. Com. Geol. It., v. IY, p. 74, t. I, f. 25 ( Pleurostomdla ). Differisce notevolmente, per la disposizione buliminiforme delle camere, tanto dalla forma illustrata da Hantken, quanto dalle altre pleurostomelle conosciute (v. l’articolo seguente). Nel pliocene di Capo di Bove presso Roma, rarissima. acuta Hantk., var. buliminiformis Terrigi 1893. Rendic. r. Acc. Lincei, s. 5a, v. II, p. 412 ( Pleurostomdla ). Denominazione assegnata da Terrigi alla forma da lui illustrata nel 1891 (v. l’articolo precedente). Nel pliocene di Roma. aeuarieusis Costa 1854. Atti Acc. Pontan., v. VII, 1856, p. 297, t. XY, f. 1 ( Brizalind ). — - Stòhr 1878. Boll. r. Com. Geol. It., v. IX, p. 513. — Malagoli 1888. Boll. Soc. Geol. It., v. VII, p. 377, t. XIV, f. 11, 12. — Sacco 1889. Ibidem, p. 307. — Burrows e Holland 1897. Mon. Foram. Crag, p. 4a, p. 379. — A. Silvestri 1900. Mem. p. Acc. Nuovi Lincei, v. XVII, p. 282 ( Solivino, ). Illustrata anche da Brad y (Cliall. , p. 423, t. LIII, f. 10, 11). Nel tortoniano (?) e nel piacenziano del Piemonte in genere (Sacco), nel pliocene di Bordigliera e d’Albenga in Liguria, rarissima (Burrows e Holland), di Ca’ di Roggio nel Reg- giano, comune (Malagoli), di Sansepolcro in Toscana, raris- sima (Silvestri), nel pleistocene di Casamicciola in Ischia, comune (Costa), e nel miocene di Stretto presso Girgenti, rara (Stohr). aenariensis Costa, var. spinili osa Costa 1854. Atti Acc. Pon- tan., v. VII, 1856, p. 297, t. XV, f. 2 ( Brizalind ). 166 C. FORNASINI Differisce dalla forma tipica per il margine dentato. « Nella marna di Casamicciola in Iscllia, rarissima ». aenariensis Costa, var. valdecostata Mariani 1888. Atti Soc. It. Se. Nat., y. XXXI, p. 101, 1. 1, f. 2. — A. Silvestri 1900. Mem. p. Acc. Nuovi Lincei, v. XVII, p. 282 ( Bolivina ). Differisce dalla forma tipica per il maggior numero delle coste e per la mancanza del mucrone. Nel pliocene di Savona in Liguria, rara (Mariani), e di Sansepolcro in provincia d’Arezzo, rara (Silvestri). aetnaea Seguenza 1862. Atti Acc. Gioenia Se. Nat., s. 2®, v. XVIII, p. 106, t. I, f. 9 ( etnea per errore: Bidimina). Riferita dallo stesso Seguenza (1. c., p. 122) alla B. trilo- bata di d’ Orbigny. Nel pleistocene dei dintorni di Catania, rara. afflnis d’Orb. Mala g oli 1890. Boll. Soc. Geol. It., v. IX, p. 431. — Mariani 1890. Note geol. pai. dint. Girgenti, p. 8. — Terrig'i 1891. Mem. r. Coni. Geol. It., v. IV, p. 72, t. I, f. 21. — 1893. Rend. r. Acc. Lincei, s. 5a, voi. II, p. 414. — Corti 1894. Rend. r. Ist. Lomb., s. 2a, v. XXVII, f. 4° e 17°. — Cernili Irei li 1896. Riv. Abruzzese Se. Lett. Arti. — Egger 1895. Jabresb. nat. Ver. Passau, XVI, p. 14, t. IV, f. 4. — Burro ws e H oli and 1897. Mon. Foram. Crag, p. 4a, p. 397 ( Bidimina ). Le determinazioni sopra citate furono fatte in base alla figura 14 di Brady (diali., t. L). Quella di Ma lago li si riferisce ad una forma osservata in sezione sottile. Nel pliocene di Bordigbera e di Albenga in Liguria, raris- sima (Burro ws e H oli and), di Almenno, Induno, Ponte- gana e Val Faido (Corti), del Monte San Bartolomeo presso Salò in Lombardia, comune (Egger), nel miocene di Monte Balanzone (?) nel Modenese, rarissima (Mal ago li), nel plio- cene di Capo di Bove presso Roma, comune (Terrigi), di Ca- stellano nel Teramano (Cernili), e dei dintorni di Girgenti (Mariani). LE BU LIMINE E LE CASSIDULINE FOSSILI D’iTALIA 167 affinis cTOrb., var. ovata d’Orb. Schubert 1900. Verli. k. k. geol. Reiehsanst., p. 81 ( Bulini-ina ). Schubert preferisce questa denominazione a quella di B. ovata d’Orb. Nell’oligocene di Roncallo in Val di Non nel Tirolo, rara. affinis d’Orb., var. striatala Egger 1895. Jahresb. nat. Ver. Passati, XVI, p. 15, 48, t. IV, f. 5 ( Bulimina ). Non è altro, a parer mio, che la B. semistriata d’Orb. Nel pliocene del Monte San Bartolomeo sul Garda. alata Seguenza 1862. Atti Acc. Gioenia Se. Nat., s. 2a,v. XVIII, p. 115, t. II, f. 5 ( Vulvulina ). Varietà della Bolivina bey richi di Reuss, provvista di lamina marginale. Nel pleistocene dei dintorni di Catania, comune. alternans Sehw. Schwager 1877. Boll. r. Com. Geol. lt., v. Vili, p. 25, f. 37. — 1878. Ibidem, v. IX, p. 529. — Terrigi 1880. Atti Acc. p. Nuovi Lincei, anno XXXIII, p. 199, t. 2, f. 46. — 1883. Ibidem, v. XXXV, p. 192. — Coppi 1884. Boll. r. Com. Geol. It., v. XV, p. 200. — Por- nasini 1885. Boll. Soc. Geol. It., v. IV, p. 110. — Terrigi 1891. Mem. r. Com. Geol. It., v. IV, p. 73, t. I, f. 24. — 1893. Rend. r. Acc. Lincei, s. 5”, v. II, p. 412, 414. — Corti 1894. Rend. r. Ist. Lomb., s. 2a, v. XXVII, f. 4°. — Forn asini 1895. Mem. r. Acc. Se. Bologna, s. 5a, v. V, p. 11, t. IV, f. 5. — De Amicis 1895. Natur. Sicil., anno XIV, p. 66. — A. Silvestri 1896. Mem. Acc. p. Nuovi Lincei, v. XII, p. 99, t. II, f. 8. — Por nasini 1897. Rend. r. Acc. Se. Bologna, n. s., v. I, p. 53. — Burro ws e Holland 1897 Mon. Foram. Crag, p. 4a, p. 379. — - Dervieux 1899. Boll. Soc. Geol. It., v. XVIII, p. 78. — A. Silvestri 1900. Mem. p. Acc. Nuovi Lincei, v. XVII, p. 283 ( Fleurostomella ). La figura 23 di Brady (ChalL, t. LI) rappresenta la forma tipica. La 22 se ne allontana alquanto. Nel miocene di Sciolze presso Torino (Dervieux), nel pliocene di Bordighera in Liguria, rarissima (Burro ws e Hol- 168 C. FORNASINI land), di Almenno e di Taino in Lombardia (Corti), nel mio- cene del Capriolo (?), comune, e di Monte Baranzone (?) nel Modenese, rara (Coppi), nel pliocene della Ca’ del Vento e nel miocene di San Ridillo presso Bologna, comune (Fornasini), nel pliocene di Sansepolcro in provincia d’Arezzo, comune, della Coroncina e del Ponticello Novo nel Senese, rarissima (Sil- vestri), del Gianicolo, di Capo di Bove, del Quirinale, del Va- ticano, ecc., rarissima (Terrigi), nel neogene di Messina (F or- na si ni), di Girgenti (Schwager), e di Bonfomello presso Ter- mini Imerese, comune (De Amieis). alternali* Schw., var. tubulata A. Silvestri 1896. Mem. Acc. p. Nuovi Lincei, v. XII, p. 99, t. II, f. 9 ( Pleurostomella ). Differisce dalla forma tipica per l’orifìcio tubulare. Nel pliocene del Ponticello Novo nel Senese, rarissima. antiqua d’Orb. Costa 1854. Atti Acc. Pontan., v. VII, 1856, p. 286. — 0. Silvestri 1862. Atti X Congr. Se. It., p. 82. — Stolir 1878. Boll. r. Coni. Geol. It., v. IX, p. 513. — Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 91. 150. — Terrigi 1881. Ibidem, v. X, p. 391. — Pantanelli 1882. Ibidem, v. XII, p. 393. — Cafici 1883. Ibidem, v. XIV. p. 85. — Terrigi 1880. Atti Acc. p. Nuovi Lincei, anno XXXIII, p. 196, t. II, f. 40. — 1883. Ibidem, anno XXXV. p. 190. — Forna sini 1883. Boll. Soc. Geol. It., v. II, p. 178. — Coppi 1884. Boll. r. Coni. Geol. It., v. XV, ,p. 199. — Mariani 1887. Atti Soc. It. Se. Nat., v. XXX, p. 131. — Egger 1895. Jaliresb. nat. Ver. Passali, XVI, p. 11, t. I, f. 13, 15 (Bolivina). Inseparabile dalla B. punctata dello stesso d’Orbigny (B r a d y : Cball ., p. 417). La determinazione di Pantanelli si riferisce ad una forma osservata in sezione sottile. Nel pliocene del Monte San Bartolomeo sul Garda, comune (Egger), nel miocene del Capriolo nel Modenese, rarissima (Coppi), nel pliocene del Ponticello di Sàvena, comune (F or- li asini), nel miocene di Gesso nel Bolognese (Pantanelli), nel pliocene del Senese in genere (Silvestri), del Quirinale, del Vaticano, comune, del Monte Verde presso Roma (Terrigi). LE BULIMINE E LE CASSIDULINE FOSSILI D’iTALTA 169 di Notaresco nel Teramano, di Lucugnano in Terra d’Otranto, di Eeggio in Calabria, rara (Costa), nell’ « elveziano » e nel « tortoniano » di Benestare pure in Calabria, rara (Seguenza), nel «tortoniano» di Licodia Eubea nel Catanese (Cafici), di Stretto presso (Ergenti, comune (Stohr), e di Capo San Marco in Sardegna, comune (Mariani). appula Costa 1854. Atti Acc. Pontan., v. VII, 1856, p. 282, t. XVIII, f. 17 ( Polymorphina) . Non è altro che la Virgulina schreibersiana di Czjzek (Brady: Chall., p. 414). « Nella marna bianca di Mola di Bari, nella quale è frequente». arctica d’Orb. Fucbs 1878. Sitz. k. Ak. Wiss. Wien, v. LXXVII, p. 473 ( Bobertina ). — Sacco 1889. Boll. Soc. Geol. It., v. Vili, p. 308 ( JBulimina ). È una bulimina, illustrata da d’Orbigny (Foram. Vienne, t. XXI, f. 37, 38), la quale ricorda il tipo elegantissima dello stesso d’Orbigny. Nel miocene di Sciolze presso Torino. bellardii Hantken 1884. Matli. nat. Ber. Ungarn, v. II, p. 148, t. II, f, 2 {Bulimina). Ricorda moltissimo la B. elegans di d’Orbigny, e sembra differirne soltanto per le brevi e finissime strie dalle quali è ornata. Nell’oligocene di Gorbio e Scarena nella contea di Nizza, comunissima. bellardii Hantken 1884. Ibidem, p. 146, t, II, f. 1 {Pleuro- stomella). Inseparabile, a parer mio, dalla PI. acuta dello stesso Hantken. Negli stessi luoghi della precedente, rara. beyrichi Reuss. Sacco 1889. Boll. Soc. Geol. It., v. Vili, p. 307. — Malagoli 1892. Atti Soc. Nat. Modena, s. 3a, v. X, p. 81. — Mariani 1893. Ann. r. Ist. Tecn. Udine, s. 2a, v. XT. 170 C. FORNASIN I — Corti 1894. Rend. r. Ist. Lomb., s. 2a, y. XXVII, f. 17°. — Sclnibert 1900. Verb. k. k. geol. Reiclisanst., p. 372 (Bo- livina). Illustrata anche da Brady (diali., p. 422, t. LUI, f. 1). Nel pliocene del Piemonte in genere (Sacco), di Val Faido e di Nese in Lombardia (Corti), nell’oligocene di Bolognano presso Arco nel Tirolo, rarissima (Sekubert), nel miocene del Rio Crasale nel Bellunese (Mariani), e di Panilo nel Modenese (Malagoli). beyriclii Reuss. Terrigi 1880. Atti pont. Acc. Nuovi Lincei, anno XXXIII, p. 198, t. II, f. 44. — Coppi 1884. Boll, r. Com. Geol. It., y. XV, p. 199. — Mariani 1888. Atti Soc. It. Se. Nat., v. XXXI, p. 102 ( Bolivina ). La figura di Terrigi, meglio della B. bey richi, rappre- senta la B. catanensis di Seguenza (v. l’articolo catanensis nel presente indice). Pare inoltre che Coppi e Mariani si rife- riscano particolarmente alla forma illustrata da Terrigi. Nel pliocene di Savona in Liguria, rara (Mariani), nel miocene del Capriolo nel Modenese, rarissima (Coppi), e nel pliocene del Vaticano, rara (Terrigi). beyriclii Reuss. Terrigi 1883. Atti Acc. pont. Nuovi Lincei, v. XXXV, p. 191, t. Ili, f. 33. — Egger 1895. Jahresb. nat. Ver. Passali, XVI, p. 12, t. I, f. 16-18 (Bolivina). Non è altro che la varietà alata, di cui all’articolo seguente. Nel pliocene del Monte San Bartolomeo presso Salò, comunis- sima (Egger), e in quello del Quirinale, comune (Terrigi). beyriclii Reuss, var. alata Seg. Fornasini 1887. Boll. Soc. Geol. It., voi, VI, p. 31. — Corti 1884. Rend. r. Ist. Lomb., s. 2a, v. XXVII, f. 4° e 17.° — Burrows e Holland 1897. Mon. Foram. Crag, p. 4a, p. 379 (Bolivina). Illustrata anche da Brady (Chall., p. 422, t. LUI, f. 2-4). Nel pliocene di Bordighera in Liguria, rara (Burrows e Holland), in quello di Lombardia (Corti), e nel miocene di Fangario presso Cagliari, rarissima (Fornasini). LE BULIM1NE E LE CASSIDUL1NE FOSSILI D’iTALIA 171 beyrichi Eeuss, var. carinata Hantk. Terrigi 1880. Atti Acc, p. Nuovi Lincei, anno XXXIII, p. 198, t. II, f. 43, 45 (Bo- livina). La varietà carinata di Hantk en è inseparabile, secondo Brady (Chall., p. 422), dalla varietà alata di Seguenza. Nel pliocene del Vaticano, rara. beyrichi Reuss, var. lobata Mariani 1888. Atti Soc. It. Se. Nat., voi. XXXI, p. 102, t. I, f. 3 ( Bolivina ). Differirebbe dalla forma tipica per le camere « lobate nel- l’angolo interno verso l’apice della conchiglia». Nel pliocene di Savona in Liguria, rara. brevis Mariani 1893. Ann. r. Ist. Tecn. Udine, s. 2a, v. XI, t. I, f. 2, 3 (Bolivina?). Forme d’incerta determinazione, osservate in sezioni sottili. Nel trias superiore del Monte Clapsavon nella Carnia. brevis Sckw. Fornasini 1885. Boll. Soc. Geol. It., v. IV, p. 110 (Pleurostomella). Illustrata anche da Brady (Chall., p. 411, t. LI, f. 20). Nel miocene di San Rufillo presso Bologna, rara. buchiana d’Orb. Jones e Parker 1860. Quart. Journ. Geol. Soc., v. XVI, p. 302, prosp., n. 56. — Stohr 1878. Boll. r. Com. Geol. It., v. IX, p. 512. — Fuchs 1878. Sitz. k. Ak. Wiss. Wien, v. LXXVII, p. 473. — Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 64, 90, 227, 308, 333. — Cafici 1883. Ibidem, v. XIV, p. 84. — Terrigi 1883. Atti Acc. p. Nuovi Lincei, v. XXXV, p. 190. — Coppi 1881. Paleont. Modenese, p. 130. — 1884. Boll. r. Com. Geol. It., v. XV, p. 200. — Malagoli 1886. Atti Soc. Nat. Modena, s. 3a, v. II, p. 126. — 1889. Ibidem, v. Vili, p. 179. — Mariani 1888. Atti Soc. It. Se. Nat., v. XXXI, p. 99. — Sacco 1889. Boll. Soc. Geol. It., v. Vili, p. 307. — De Amicis 1893. Ibidem, v. XII, p. 350. — Mariani 1890. Note geol. pai. dint. Girgenti, p. 9. — 1893. Ann. r. Ist. Tecn. Udine, s. 2a, v. XI. — Terrigi 1891. Mem. r. Com. 172 C. FORNASINI Geol. It., v. IY, p. 73, t. I, f. 23. — 1893. Rencì. r. Acc. Lincei, s. 5a, y. II, p. 412, 414. — Corti 1894. Rend. r. Ist. Lomb., s. 2a, y. XXVII, f. 4° e 17°. — Egger 1895. Jahresb. nat. Ver. Passali, a. XVI, p. 18, t. IV, f. 9-11. — Cernili Irelli 1896. Riv. Abruzzese Se. Lett. Arti ( Bulimina ). Oltre la forma tipica, quale fu rappresentata da d’ 0 r b i- gny nel 1846, sono qui certamente comprese altre bulimine co- state. Re tipica può dirsi la forma figurata da Brady (Chall., t. LI, f. 18, 19). Nel miocene di Sciolze presso Torino (Fuclis), nel torto- niano (?) e nel piacenziano del Piemonte in genere (S a c c o), nel pliocene di Trinité Victor presso Nizza, rarissima (De Amicis), di Savona in Liguria, comune (Mariani), d’Induno, di Val Faido (Corti), del Monte San Bartolomeo presso Salò in Lombardia, co- mune (Egger), nel miocene del Rio Crasale nel Bellunese (Ma- riani), di Monte Gibio, rara (Coppi), di Monte Baranzone, comune (Coppi, Mal ago li), nel pliocene di Nirano nel Mo- denese, rara (Malagoli), di Siena e di San Quirico, comune (Jones e Parker), di Capo di Bove presso Roma e del Qui- rinale, ecc., rarissima (Terrigi), di Castellalo nel Teramano (Cernì li), nel « langbiano » di Stilo, comunissima, nell’ « elve- ziano » di Malocliia, nello « zancleano » di Gerace e di Palmi, nell’ « astiano » di Valanidi, e nel « siciliano » di Monosterace in Calabria, rara (Seguenza), nel «tortoniano» di Lieodia Eubea nel Catanese, comunissima (Cafici), di Stretto presso Girgenti, rara (Stbhr), e nel pliocene dei dintorni di Girgenti, comune (Mariani). buchiana d’Orb. Terrigi 1880. Atti p. Acc. Nuovi Lincei, a. XXXIII, p. 195, t. II, f. 37 {Bulimina). E la varietà calabra di Seguenza, di cui all’articolo che segue. Nel pliocene del Vaticano, comune. buchiana d’Orb., var. calabra Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 146, t. XIII, f. 34 {Bulimina). Differisce dalla forma tipica per avere le camere disposte in ordine regolarmente triseriale come nella B. elegans d’ 0 r b . Nel « tortoniano » di Benestare in Calabria, rara. LE BULIMINE E LE CASSIDUL1NE FOSSILI D’iTALIA 173 bulbifonnis Seguenza 1880. Ibidem, p. 146, t. XIII, f. 35 (BuUmina). Ricorda non poco, nella forma generale, la B. affmis d’Orb. Nello stesso luogo della precedente, rarissima. calcarata Seguenza 1880. Ibidem, p. 146, t. XIII, f. 36 (Bu- limina). «Ha pressoché la forma della B. marginata... terminasi posteriormente con un breve aculeo, talvolta tripartito, ma le logge... non sono crenato-marginate ». Nello stesso luogo delle due precedenti, rara. catanensis Seguenza 1862. Atti Acc. Gioenia Se. Nat., s. 2a, v. XVIII, p. Ili, t. II, f. 3,3 a. — Mariani 1888. Rend. r. Ist. Lomb., s. 2a, v. XXI, p. 500 ( Bolivina ;). Varietà de la B. punctata di d’Orbigny, intermedia fra questa e la B. dilatata di Reuss. Nel pliocene di San Colombano Lodigiano? (Mariani), e nel pleistocene dei dintorni di Catania, comune (Seguenza). contraria Reuss. Fornasini 1885. Boll. Soc. Geol. It., v. IV, p. 109 (Bulimina). Quale è illustrata da Brady (Cliall., t. LIV, f. 18). Nel miocene di San Rufillo presso Bologna, rara. costae Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 226: Pleuro.stomella (Costa 1856. Mem. r. Acc. Se. Napoli, v. II, t. II, f. 9 : non descritta). Non è altro che la PI. alternans di S eh wager (Forna- sini: Mem. r. Acc. Se. Bologna, s. 5a, v. V, p. 11, t. IV, f. 5). Nello « zancleano » di Gerace, Palmi e Ardore in Calabria, comune. costata d’Orbigny 1826. Ann. Se. Nat., v. VII, p. 269, n. 1. — 1852. Prodrome, v. Ili, p. 194. — O. Silvestri 1860. Atti X Congr. Se. It., p. 82 (BuUmina). Istituita da d’Orbigny senza illustrazione alcuna (tranne le parole « espèce largement costulée » che leggonsi nel « Pro- 174 C. F0RNAS1NI drome »), fu da lui fortunata- mente disegnata nelle «Plan- ches inédites». È intermedia fra la B. bue] 'nana dello stesso d’OrbÉgny e la B. infiala di Seguenza. Nel pliocene della Coron- eina presso Siena. costata d’Orb. Terrigi 1883. Atti p. Acc. Nuovi Lincei, v. XXXV, p. 191 (Bolivina). Trattasi di « esemplari mal conservati e logorati alla superficie». Illustrata anche da Brady (diali., p. 426, t. LII, f. 26, 27). Nel pliocene del Quirinale, rara. costata d’Orb., an inflata Seg. Coppi 1881. Paleont. Mode- nese, p. 130 {Buliniina). B. inflata Seg. e B. costata d’Orb. sono due varietà da non doversi confondere tra loro. Nel pliocene della Fossetta, rara, e di Savignano nel Mo- denese, comune. cruciata Costa 1854. Atti Acc. Pontan., v. VII, 1856, p. 366, t. XVIII, f. 7 {Cucurbitina). Non è altro die la Bulimina marginata di d’Orbigny (Brady: Chall., p. 405). Senza indicazione precisa di località. Fig. 1. Disegno inedito di d’Orbigny che rappresenta la Bulimina costata del Tableau. cylindracea Costa 1854. Ibidem, p. 265, t. XV, f. 10 {Bulimina). Incerta. Nell’insieme ricorda piuttosto certe virguline (p. e. la V. joauciloculata di Brady: Chall., t. LII, f. 4). « Nella marna di Casamicciola in Ischia, rara». cylindracea Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3°, v. VI, p. 226 {Pleurostomella). LE BU LIMINE E LE CASSlDULINE FOSSILI D’ITALIA 175 Non figurata. Pare si tratti di una forma non lontana dalla PI. incrassata di Hantken. Nello «zancleano» di Gerace in Calabria, rara. cylindracea Schwager 1878. Boll. r. Com. Geol. It., v. IX, p. 528, t. I, f. 18 ( Bolivina ). È piuttosto una Virgulina, che ricorda la subdepressa di Brady (Chall., t. LII, f. 14-17). Nel pliocene dei dintorni di Girgenti. cylindroides Reuss. Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, y. VI, p. 309 ( cylinclrica per errore). — Hantken 1884. Matk. nat. Ber. Ungarn, v. II, p. 130 ( Cldlostomella ). Inseparabile dalla Ch. ovoidea dello stesso Reuss (Brady: Chall., p. 436). Nell’oligocene degli Euganei, comune (Hantken), e nel- 1’ «astiano» di Gallina in Calabria, rarissima (Seguenza). dilatata Reuss. Terrigi 1880. Atti Acc. pont. Nuovi Lincei, a. XXXIII, p. 197, t. II, f. 42. — 1883. Ibidem, p. 190. — 1885. Boll. r. Com. Geol. It., v. XVI, p. 151. — Mariani 1887. Atti Soc. It. Se. Nat., v. XXX, p. 131. — Ma lago li 1888. Boll. Soc. Geol. It., v. VII, p. 376, t. XIV, f. 5-10. — Por nasi ni 1889. Minute forme rizop. Ponticello, f. 6. — Terrigi 1889. Mem. r. Acc. Lincei, s. 4a, v. VI, p. 110, t. V, f. 7. — 1891. Mem. r. Com. Geol. It., v. IV, p. 75, t. I, f. 29. — 1893. Rend. r. Acc. Lincei, s. 5a, v. II, p. 412, 414. — Corti 1894. Rend. r. Ist. Lomb., s. 2a, v. XXVII, f. 4°. — Dervieux 1895. Boll. Soc. Geol. It., v. XIV, p. 306. — Egger 1895. Jahresb. nat. Ver. Passau, a. XVI, p. 10, t. I, f. 6. — A. Silvestri 1896. Mem. p. Acc. Nuovi Lincei, v. XII, p. 102. - — Porta 1898. Riv. It. Paleont., v. IV, p. Ili {Bolivina). Illustrata anche da Brady (Chall., p. 418, t. LII, f. 20, 21). Nel miocene di Sant’Agata Possili nel Tortonese (Per- vie u x), nel pliocene d’ Almenno (C o r t i) e del Monte San Bartolo- meo presso Salò in Lombardia, comune (Egger), di Castellarquato nel Piacentino (Porta), di Ca’ di Roggio nel Reggiano, comu- 176 C. FORNASINI nissima (Malagoli), del Ponticello di Sàvena presso Bologna, comune (Forn asini), della Coroncina presso Siena, comune (Silvestri), di Capo di Bove e del Quirinale, comune, del Vaticano, ecc., rara, del Monte Calvarone presso il lago di Nemi e di Palo in provincia di Poma, rarissima (Terrigi), e nel miocene di Capo San Marco in Sardegna, rarissima (Mariani). dilatata Reuss. Malagoli 1887. Ann. Soc. Nat. Modena, s. 3a, v. Ili, p. 108, t. I, f. 6. — 1887. Boll. Soc. Geol. It., v. VI, p. 520, t. XIII, f. 3 ( Bolivina ). Sezioni di forme osservate in sezioni sottili e riferite dal- l’autore alla varietà di Reuss. Nel miocene del Vecchio Castello di Baiso nel Reggiano, rara, e di Lama Mocogno nel Modenese. dilatata Reuss, var. angusta Egger 1895. Jahresb. nat. Ver. Passau, XVI, p. 11, t. I, f. 7, 12 {Bolivina). Non è altro che la varietà catanensis di Seguenza. Nel pliocene del Monte San Bartolomeo sul Garda. echinata d’Orbi gny 1826. Ann. Se. Nat., v. VII, p. 269, n. 5. — 1852. Prodrome, v. Ili, p. 194. — 0. Silvestri 1862. Atti X Congr. Se. It., p. 82 ( Bulimina ). Fig. 2. Disegno inedito di d’Orbigny che rappresenta? la Bttìbnina echinata del Tableau. AVVERTENZE PER I 8001 Dal contratto con la Tipografia Cuggiani. Le pagine di corpo 8 in più di V5 di pagina per le note, e di una pagina di testo per ogni foglio di stampa, saranno pagate in ragione di una lira ciascuna. Le tabelle in più di una per ogni tre fogli di stampa, coste- ranno L. 1,55 per pagina. Ciascun foglio di composizione dovrà essere stampato nel ter- mine di tre mesi dalla consegna delle prime bozze, detratto il tempo in cui esse bozze rimarranno presso la tipografia per le varie correzioni ; trascorso il qual termine sarà corrisposto un compenso di L. 3,50 per mese e per foglio. I soci avranno una prima bozza in colonna, ed una seconda impaginata. Le correzioni straordinarie si pagheranno in ragione di una lira per pagina. Gli estratti per conto degli autori sono regolati dalla seguente tariffa : Per ogni 50 copie con copertina muta: per 1 foglio di stampa, L. 4; per 72 foglio, L. 2; per di foglio, L. 1. Prezzo della copertina stampata, sino a 100 copie, L. 2,50. Dal Regolamento per le pubblicazioni. Art. 0° Se le memorie oltrepasseranno il numero dei fogli di stampa stabilito anno per anno dal Consiglio (4 f.) la spesa eccedente sarà tutta, a carico dell’autore, anche per la parte relativa agli estratti concessi gratuitamente dalla Società. Art. 10° Sono a carico degli autori le spese in più per le pagine, in corpo 8 e per le tabelle ; così pure le spese straordinarie per correzioni maggiori del consueto, per cambiamenti o rifusione di paragrafi e per composizione annullata. Art. 17° Gli estratti che spettano agli autori avranno fron- tispizio e copertina stampata, se la memoria raggiungerà un foglio di stampa; altrimenti avranno copertina semplice. Art. 20° Gli estratti si spediscono in assegno. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE FASCICOLO I^endiconti. PAG' Consiglio direttivo, per Panno 1901 . . in Elenco dei Presidenti dalla fondazione della Società ... iv Elenco dei Soci per l'anno 1901 iv Elenco delle Società, Istituti, Biblioteche che ricevono il Bol- lettino in cambio xm Resoconto dell’Adunanza generale invernale tenuta in Roma il 17 febbraio 1901 xvn Appendice: I. — La Donax silicata Br. non è un fossile plio- cenico, comunicazione del prof. C. F. Parona .... xxx — II. — L'Osirea Jocmnae Choffat in provincia di Bari, comunicazione del dott. F. Yjrgilio xxxi — III. — Sulla perforazione del Colle Quirinale, co- municazione preliminare dell’ing. E. Clerici xxxii — IV. — Besoconto sommario dell’ escursione del 1S feb- braio 1001 xxxm Memorie. Verri A. e De Angelis D’Ossat G. — • Terzo contributo allo studio del miocene nell’Umbria . . . 1 Del Zanna P. — I travertini di Colle e le incrostazioni at- tuali dell’Elsa . 21 Bonarelli G. — Alcune questioni di nomenclatura paleonto- logica 35 Portis A. — Il Procyclanorbis sardus Port. nuovo trionichide fossile della Sardegna. 51 Cacciamali G. B. — Studio geologico della regione montuosa Palosso-Conche a nord di Brescia 80 Stella A. — Lo studia geognostico-agrario del suolo italiano e le carte agronomiche Ili Roccati A. — B Per che. mineralogiche sulla sabbia della grotta del Bandito in Val del Gesso {Cuneo) 124 Clerici E. — Sulla innondazionc del Tevere del dicembre 1900. 131 Crecchia G. — Nuove osservazioni sulla fauna triasica della Punta delle Pietre Nere presso il lago di Lesina ( Capitanata). 138 Meli R. — Sulle Chamacèe e sulle Budiste del monte Affilano presso Subiaco nel circondario di Boema 149 Fornastni C. — Le BuMmvne e le Cassiduline fossili d’Italia 169 (Cont. e fine al 2° fase.). Finito di stampare il 26 marzo 1901. Il Bollettino della Società Geologica, Italiana si stampa in fascicoli trimestrali. Il Presidente responsabile : Carlo Fabrizio Parona. Anno XX. Fascicolo 2° (2° trimestre 1901). BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA j I Voi. XX — 1901 ROMA TIPOGRAFIA DELLA PACE DI F. CUGGIANI Via della Pace N. 35 1901 SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA MENTE ET MALLEO fondata in Bologna il 29 settembre 1881 Consiglio direttivo per Tanno 1901 Presidente Carlo Fabrizio Parona (Torino). 1901. Yice-Presidente . . . Giovanni Capellini (Bologna). 1901. Segretario Enrico Clerici (Roma). 1901-1903. Yice-Segretarì . . Camillo Crema (Roma). 1901. Guido Bonarelli (Torino). 1901. Tesoriere-Economo . Augusto Statuti (Roma). 1900-1902. Archivista Consiglieri Commissione per le pubblicazioni . . Antonio Neviani (Roma). 1900-1902 Carlo De Stefani (Firenze) Arturo Issel (Genova). . . Alberto Fucini (Pisa) . . . Pietro Zezi (Roma) .... Luigi di Rovasenda (Sciolze) Giuseppe de Lorenzo (Napoli) Vittorio Matteucci (Napoli) Romolo Meli (Roma) . . . Ernesto Mariani (Milano) Luigi Baldacci (Roma) . . G. Batta Cacciamali (Brescia) Il Presidente Il Segretario Il Tesoriere L’ Archivista Antonio Verri 1899-901. 1 900-902 . 190 1-903. ( prò tempore) Commissione del bi- ; Mario Cermenati lancio 1901. Giovanni Aichino Sede della Società: Roma, Via S. Susanna, 1 A, presso il R. Ufficio geologico. LE BULININE E LE CASSIDULINE FOSSILI D’iTALIA 177 Istituita da d’Orbigny senza illustrazione alcuna (tranne le parole « espèce épineuse lisse » clie leggonsi nel « Prodrome » e il confronto con la B. patagonica e con la B. aculeata), fu da lui fortunatamente disegnata nelle « Planches inédites ». Nel pliocene dei dintorni di Siena. efflorescens Elirenberg 1854. Mikrogeologie, t. XXVI, f. 24 (, Strophoconus ). Riferito da Parker e Jones (Ann. Nat. Hist., s. 4a, v. IX, p. 290) alla Virgulina hempriclii dello stesso Ehrenberg. Nel «calcare bianco» (trubo?) di Cattolica in Sicilia. elegans d’Orb. Jones e Parker 1860. Quart. Journ. Geol. Soc., y. XYI, p. 302, prosp., n. 55. — Mariani 1888. Rend. r. Ist. Lomb., s. 2% v. XXI, p. 499. — Corti 1894. Ibidem, v. XXVII, f. 4°. — 1892. Boll. Soc. Geol. It., v. XI, p. 225. — Burro ws e Ho 1 land 1897. Mon. Foram. Crag, p. 4a, p. 379 ( Bulimina ). Forma tipica è quella rappresentata dal modello di d’Or- bigny e dalle figure 1 e 2 di Brady (Chall., t. L). Nel pliocene d’Albenga in Liguria, rarissima (Burro ws e Ho 1 land), di Taino, della Folla d’Induno (Corti), di San Colombano Lodigiano in Lombardia, comunissima (Mariani), e di Castellarquato nel Piacentino, comune (Jones e Parker). elegans d’Orb. Egger 1895. Jahresb. nat. Ver. Passali, a. XVI, p. 16, t. Ili, f. 9 {Bulimina). Anziché alla tipica B. elegans sembra doversi riferire alla varietà fusiformis di W i 1 1 i a m s o n . Nel pliocene del Monte San Bartolomeo sul Garda, rarissima. elegans Costa 1854. Atti Acc. Pontan., v. VII, 1856, p. 334, t. XVIII, f. 7 {Bulimina). Non è altro che la lì. marginata di d’Orbigny. « In un terreno a tritumi » di Castellalto nel Teramano, rara. elegans d’Orb., var. exilis Brady. Mariani 1888. Rend. r. Ist. Lomb., s. 2a, v. XXI, p. 499. — Corti 1892. Boll. Soc. 15 178 C. FORNASINI Geol. It., v. XI, p. 225. — - A. Silvestri 1896. Mem. p. Acc. Nuovi Lincei, v. XII, p. 91. — Burro ws e Holland 1897. Mon. Foram. Crag, p. 4a, p. 379 {Bulimina). Quale è illustrata da Bradv (Chall., p. 399, t. L, f. 5, 6). Nel pliocene di Bordigliera in Liguria, rarissima (Bur — rows e Holland), della Folla d’Induno (Corti), di San Colombano Lodigiano in Lombardia (Mariani), e della C'o- roncina presso Siena, rara (Silvestri). ellipsoides Costa 1854. Atti Ace. Pontan., v. VII, 1856, p. 265, t. XY, f. 9 {Bulimina). Non appare diversa dalla B. ovata di d’Orbigny, quale almeno fu illustrata da Bradv (Chall., t. L, f. 13). « Nella marna di Casamicciola in Ischia », rara. elongata d’Orb. Coppi 1884. Boll. r. C'om. Geol. It., v. XY, p. 300. — Mal ago li 1887. Atti Soc. Nat. Modena, s. 3% v. II, p. 126. — 1892. Boll. Soc. Geol. It., v. XI, p. 91. — Egger 1895. Jaresb. nat. Ver. Passali, a. XVI, p. 15, t. Ili, f. 12 {Bulimina). Tanto la figura di E g g e r so- pra citata, quanto quella di Bradv (Chall., t. LI, f. 1), rappresentano, a mio avviso, la varietà ariminensis di d’Orbigny, la quale può dirsi intermedia fra la tipica elongata e la tipica elegans. Nel pliocene del Monte San Bartolomeo presso Salò, rara (Eg- ger), di Lugagnano nel Piacen- tino, rarissima, nel miocene di Monte Baranzone (Ma lago li) e del Capriolo nel Modenese, rara (Coppi). Fig. 3. Disegno inedito di d’Orbigny ohe rappresenta la Bulimina ariminensis del Tableau. elongata Hantk. Egger 1896. Sitz. k. bayer. Ak.Wiss.,v. XXVI. p. 589. — Schubert 1900. Verh. k. k. geol. Reichanst., p. 81 ( Bolivina ). LE BULIMINE E LE CASSIDL’LINE FOSSILI D’iTALIA 179 Inseparabile, secondo Brady (Chall., p. 417), dalla B. pun- ti at a. Nell’oligocene del Monte Bidone sul Garda (Egger), e di Romallo in Yal di Non nel Tirolo, rarissima (Schubert). fusiformis Will. Fuchs 1878. Sitz. k. Ak. Wiss. Wien, vo- lume LXXY1I, p. 473 ( Bulimina ). Fuchs cita una B. fusiformis di d’Orbigny che non esiste. Egli ha voluto riferirsi certamente alla B. pupoides var. fusiformis di Williamson. illustrata anche da Millet (Journ. R. Micr. Soc., 1900, t. II, f. 2). Nel miocene di Sciolze presso Torino. liemprichi Ehr. Parker e Jones 1872. Ann. Nat. Hist., s. 4% v. IX, p. 291 ( Virgulina). Trattasi di alcune figure della « Mikrogeologie » che Par- ker e Jones credono di poter riferire alla V. liemprichi dello stesso Ehrenberg. Nel «calcare bianco» (trubo?) di Cattolica in Sicilia. imperatrix Karr. Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 146, 308, 375 {Bulimina). Secondo Brady (Chall., p. 404), la B. imperatrix di K a r r e r non sarebbe diversa dalla B. declivis di R e u s s . Questa identità a me pare tutt’altro che evidente. Nel «tortoniano» di Benestare, rarissima, nell’ « astiano » di Riace e di Gallina, rara, nel « sahariano » di Reggio (?) in Calabria, rarissima. iuconstans Egger. Coppi 1881. Paleont. Modenese, p. 130 (Bif limina). Comprende due forme diverse. Quella rappresentata dalle fig. 8 e 9 di Egger (Neues Jahrbuch, 1857, t. XII) è la B. ari- minensis di d’Orbigny (v. l’articolo elongata del presente in- dice), mentre l’altra (fig. 1-3) può continuare a designarsi con la denominazione specifica eggeriana. Nel pliocene del Tiepido e di Solignano nel Modenese, comune. 180 C. FORNASINI incrassata Hantken 1 884. Math. nat. Ber. Ungala, v. II, p. 146, t. I, f. 4, 7 ( Pleurostomella ). Differisce dalle altre pleurostomelle per la sua forma sub- cilindrica. Nell’oligocene di Gorbio e Scarena nel Nizzardo, rara. incrassata Karr., var. elongata Seguenza 1880. Meni. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 146 ( Bulhnina ). Non figurata. La lì. incrassata di Karrer è prossima alla B. social is di Bornemann. L’ima e l’altra spettano al gruppo della B. pyrula di d’ 0 r b i g n y . Nel «tortoniano» di Benestare in Calabria, rarissima. inilata Seguenza 1862. Atti Acc. Gioenia Se. Nat., s. 2a, y. XVIII, p. 107, t. I, f. 10. — 1871. Mera. r. Com. Geol. It., v. I, p. 79. — Stohr 1876. Boll. r. Com. Geol. IL, v. VII, p. 472. — Scliwager 1878. Ibidem, y. IX, p. 524, 528, 1. 1, f. 10 b, 19. — Fornasini 1883. Boll. Soc. Geol. It., v. II, p. 180. — Sacco 1889. Ibidem, v. Vili, p. 308. — Ma- riani 1888. Atti Soc. It. Se. Nat., v. XXXI, p. 100. — Rend. r. Ist. Lomb., s. 2a, v. XXI, p. 500. — Terrigi 1893. Rend. r. Acc. Lincei, s. 5a, v. II, p. 412. — Corti 1894. Ibidem, v. XXVII, f. 4° e 17°. — A. Silvestri 1894. Atti Acc. Ze- lanti Acireale, v. V, p. 12, t. Ili, f. 22, 23. — 1896. Mera. p. Acc. Nuovi Lincei, v. XII, p. 97. — De Amicis 1895. Nat. Sicil., v. XIV, p. 66. — Fornasini 1897. Rend. r. Acc. Se. Bologna, n. s., v. I, p. 113. — Burrows e Holland 1897. Mon. Foram. Crag, p. 4a, p. 379 ( Bulimina ). Affine alla B. costata e alla B. buchiana di d'Orbigny, dalle quali differisce per l’acutezza delle coste, spinose all’estre- mità. Nel pliocene del Piemonte in genere (Sacco), di Bor- dighera, rarissima (Burrows e Holland), e di Savona in Liguria, comunissima (Mariani), di Val Faido, d’Induno (Corti), di San Colombano in Lombardia, rarissima (Ma- riani), del Ponticello di Sàvena presso Bologna, comune (For- nasini), della Coroncina, comune, di Celle e di Pienza nel Senese, rara (Silvestri), di Roma (Terrigi), di Palidoro in i LE BULIMINE E LE CASSIDLLINE FOSSILI D’ITALIA 181 provincia di Roma (For nasini), nel miocene di Stretto presso Girgenti (Schwager), nei «trubi» di Caltagirone (Seguenza), di Bonfornello, rarissima (De Amicis), nel pliocene in genere dei dintorni di Girgenti, comune (Stohr, Schwager), di Pa- terno, rara (Silvestri), e nel pleistocene dei dintorni di Ca- tania, rara (Seguenza). inflata Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 227 ( Pleurostomella ). Non figurata. Sembra trattarsi di una forma non molto lon- tana dalla PI. brevis di Schwager. Nello «zancleano» di Gerace, Palmi e Ardore in Calabria, rara. inflata Seg., var. oblonga Seguenza 1880. Ibidem (Pleuro- stomella). Non figurata. «Differisce dal tipo (scrive l’autore) per la forma più allungata, e perchè la prima loggia non isporge in forma di sperone » . Negli stessi luoghi della precedente. innormalis Costa 1854. Atti Acc. Pontan., v. VII, 1856, p. 364, t. XIII, f. 28-30 (Polymorphina). — MS. Collezione del Museo di Napoli (Bulimina). È una Virgulina (F or nasi ni. Mem. r. Acc. Se. Bologna, s. 5a, v. VII, p. 206, t. I, f. 6), breve e con poche camere, intermedia fra la tipica V. schreibersiana di C z j z e k e la V. pau- ciloculata di Brady (Chall., t. LII, f. 4, 5). Nel pliocene di San Pietro in Lama presso Lecce, comune. intermedia Reuss. Mariani 1891. Boll. Soc. Geol. It., v. X, p. 724, t. I, f. 6 (Bulimina). Sezione di una forma osservata in sezione sottile, e che l’autore crede di poter riferire alla specie di Reuss. Nel lias di Nese in Val Seriana. involvens Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 227 (Pleurostomella). 182 C. FORNASIN I Non figurata. Confrontata dall’autore con la Pi. acuta di Hantken, dalla quale «distinguesi assai bene per la poca convessità ed estensione delle logge e per contro dallo sviluppo grandissimo dell’ultima, nonché per la forma dell’apertura». Si confronti dopo ciò la PI. rapa di Ginn bel (Brady: Oliali., t. LI, f. 21). Nello « zancleano» di Gerace e di Palmi in Calabria, rara. involvens Seg., var. elongata Seguenza 1880. Ibidem (Pìeu- rostomella). Non figurata. « Forma allungata e più gracile, coll’ultima loggia meno estesa, e quindi più manifeste le altre ». Negli stessi luoghi della precedente. involvens Seg., var. inflata Seguenza 1880. Ibidem ( Pleu - rostomella). Non figurata. «Forma più rigonfia, ultima loggia più grande». Con le due precedenti. laevigata d’Orb. 0. Silvestri p. 82 ( Bulimina ). Istituita da d’ Orbigny nel 1826 senza illustrazione al- cuna, fu da lui disegnata nelle « Planches inédites». Dalla fi- gura inedita, che pubblico qui accanto, si rileva che la B. iae- vigata è inseparabile dalla B. affinis dello stesso d’ 0 r b i g n y. Nel pliocene del Senese in genere. la Bulimina laevigata del Tableau. laminaris Costa 1854. Atti. Ace. Pontan., v.VII, 1856, p. 290, t. XXIII, f. 15, 16 ( Textularia ). Incerta. Ricorda le bolivine con tendenza all’ordinamento uniseriale, vale a dire le bifarine. «Nell’Amato, Notaresco, ecc. ». 1862. Atti X Congr. Se. It., Disegno inedito di d’Orbigny che rappresenta LE BUL1MINE E LE CASSIDUL1NE FOSSILI D’ITALIA 183 leptoderma Ehrenberg 1854. Mikrogeologie, t. XXVI, f. 11, 12 ( Grammostomum ? Strophoconus ?). Riferito da Parker e Jones (Ann. Nat. Hist., s. 4a, v. IX, p. 290) alla Virgulina schreibersiana di Czjzek. Nel «calcare bianco» (trnbo?) di Cattolica in Sicilia. longissima Costa 1854. Atti Acc. Pontan., y. VII, 1856, p. 364, t. XIII, f. 22, 23 ( Bolymorphina ). — MS. Collezione del Museo di Napoli ( Bulimina ). — Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 308 ( Virgulina ). E una varietà allungata, e con camere numerose, della V. schreibersiana di Czjzek (P ornasi ni: Mem. r. Acc. Se. Bologna, s. 5a, v. Vili, p. 207, t. I, f. 7). Nel pliocene San Pietro in Lama presso Lecce (Costa), e nell’ «astiano» di Vito e di Valanidi in Calabria, rara (Se- g nenz a). mamillata Costa 1854. Atti Acc. Pontan., v. VII, 1856, p. 335, t. XVIII, f. 16 (Bulimina). Incerta. È possibile anclie che si tratti di un esemplare mostruoso. Nella valle del Lamato in Calabria, rara. marginata d’Orb. Jones e Parker 1860. Quart. Journ. Geol. Soc., v. XVI, p. 302, prosp., n. 52. — Stokr 1876. Boll. r. Coni. Geol. IL, v. VII, p. 472, 474. — Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 308, 333, 375. — Ter- rigi 1880. Atti p. Acc. Nuovi Lincei, a. XXXIII, p. 194, t. II, f. 35, 36. — 1883. Ibidem, v. XXXV, p. 189. — Coppi 1884. Boll. r. Coni. Geol. It., v. XV, p. 200. — Terrigi 1885. Ibidem, v. XVI, p. 150. — Mariani 1888. Rend. r. Ist. Lomb., s. 2a, v. XXI, p. 499. — Ma lago li 1889. Atti Soc. Nat. Modena, s. 3a, v. Vili, p. 178. — 1890. Boll. Soc. Geol. It., v. IX, p. 432. — Corti 1892. Ibidem, v. XI, p. 225. — Terrigi 1891. Mem. r. Com. Geol. It., v. IV, p. 73. — Corti 1894. Rend. r. Ist. Lomb., s. 2a, v. XXVII, f. 4° e 17°. — Cernili Irelli 1896. Riv. Abruzzese Se. Lett. Arti. — 184 C. FORNASINI A. Silvestri 1900. Boll. Acc. Gioenia Se. Nat., fase. (34°. — Mem. p. Acc. Nuovi Lincei, v. XVII, p. 281 ( Buli - mina). Tipicamente illustrata da d’Orbigny nelle tavole del «Ta- bleau» e anche da Brady (Oliali., t. LI, f. 3-5). Le determi- nazioni di M a 1 a g o 1 i si riferiscono a forme osservate in se- zioni sottili. Nel pliocene della Folla d’Induno, di Almenno, di Nese (Corti), di San Colombano in Lombardia, rara (Mariani), nel miocene del Capriolo (C o p p i), di Monte Baranzone, rara (Coppi, Ma lago li), nel pliocene di Nirano nel Modenese, comune (Ma- lago li), di Sansepolcro in provincia d’ Arezzo, rarissima (Sil- vestri), del Senese, comune (Jones e Parker), del Quiri- nale, comunissima, del Vaticano, di Capo di Bove, rara, del Monte Calvarone presso il lago di Nemi nel Lazio, comune (Ter- rigi), di Colonnella nel Teramano (Cernili), nell’ «astiano» di Valanidi, nel «siciliano» di Monosterace, nel «sahariano» di Bovetto e di Seggio in Calabria, rarissima (Seguenza), nel pliocene de La Croce presso Caltagirone, rarissima (Sil- vestri), dei dintorni di Girgenti, comune, nei «trubi» di que- st’ultima località, rara (Stbhr), e nel pleistocene dei dintorni di Palermo, rara (Jones e Parker). minuta Hantken 1884. Matli. nat. Ber. Ungam, v. II, p. 148, t. I, f. 6 ( Bulimina ). A me pare inseparabile dalla B. affinis di d’Orbigny. Nell’oligocene di Gorbio e Scarena nel Nizzardo, rarissima. mutabilis Costa 1854. Atti Acc. Pontan., v. VII, 1856, p. 275, t. XVIII, f. 1-3 ( Guttulina ). — Seguenza 1880. Meni, r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 227, 333, 375. — Coppi 1884. Boll. r. Coni. Geol. It., v. XV, p. 200 (Bulimina). Non è altro che la B. pyrula di d’Orbigny (Brady: Chall., p. 399). Nel miocene del Capriolo e di Monte Baranzone nel Mo- denese, comune (C o p p i), « nella marna di Casamicciola in Ischia, ed in Pozzuoli, non molto rara, e nella mania di Reggio» (Co- s t a), nello « zancleano » di Gerace, di Palmi e di Ardore, nel LE BULIM1NE E LE CASSIDULINE FOSSILI D’ITALIA 185 « siciliano » di Monosterace, e nel « sahariano » di Reggio e di Bovetto in Calabria, rara (Seguenza). nobilis Hantk. Terrigi 1891. Mem. r. Com. Geol. It., v. IV, p. 75, t. I, f. 30. — Burro ws e Holland 1897. Mon. Eo- ram. Crag., p. 4a, p. 379 (Bolivina). La forma figurata da Terrigi differisce non poco da quella rappresentata da Brady (diali., t. LUI, f. 14, 15) per essere molto dilatata verso l’estremità orale. Nel pliocene di Capo di Bove presso Roma, rarissima (T e r- rigi), e nel pleistocene di Monte Pellegrino presso Palermo, ra- rissima (Burro ws e Holland). nodosaria Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 226 ( Pleurostomeìla ). Non figurata. Sembra trattarsi di una forma breve della PI. subnodosa di Reuss (Brady: Chall., t. LII, f. 12, 13). Nello « zancleano » di Palmi in Calabria, rarissima. obscura Ehrenberg 1854. Mikrogeologie, t. XXVI, f. 27 ( Va - ginulina). Riferita da Parker e Jones (Ann. Nat. Hist., s. 4a, v. IX, p. 290) alla Virgulina hemprichi dello stesso Ehrenberg. Nel « calcare bianco » (trubo ?) di Cattolica in Sicilia. obtusa Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 307 ( Pleurostomeìla ). Non figurata. Pare si tratti di una forma non molto lontana dalla PI. brevis di Schwager (Brady: Chall., t. LI, f. 20). Nell’« astiano » di Vito presso Reggio in Calabria, rara. oolina Schwager 1878. Boll. r. Com. Geol. It., v. IX, p. 527, t. I, f. 16. — Stolir 1878. Ibidem, p. 513 ( Chilostomella ). Non è altro che la Oli. ovoidea di Reuss (Brady: Chall., p. 436). Nel miocene di Stretto presso Girgenti, rarissima. 186 C. F0RNAS1NI ovata d’Orb. 0. Silvestri 1862. Atti X Congr. Se. It., p. 82. — Conti 1864. Monte Mario, p. 41. — Si smonda 1871. Ménti. Ae. r. Se. Turili, s. 2a, v. XXV, p. 268. — Fuchs 1878. Sitz. k. Ak. Wiss. Wien, v. LXXVII. p. 473. — Sequenza 1880. Mem. r. Ace. Lincei, s. 3a, v. YI, p. 146, 227, 308. 333, 375.- — Meli 1880. Ibidem, v. Vili. — Coppi 1881. Paleont. Modenese, p. 130. — - Terrigi 1885. Boll. r. Com. Geol. It., v. XVI, p. 151. — 1891. Mem. c. s., v. IY, p. 72, t. I, f. 20. — 1893. Kend. r. Acc. Lincei, s. 5a, v. II, p. 412, 414. — De Amicis 1893. Boll. Soc. Geol. It., v. XII, p. 349. — 1895. Natur. Sicil., v. XIV, p. 66. — Corti 1894. Rend. r. Ist. Lomb., s. 2a, v. XXVII, f. 4° e 17°. — Egger 1895. Jabresb. nat. Ver. Passali, a. XVI, p. 15, t. Ili, f. 11. — A. Silvestri 1896. Mem. p. Acc. Nuovi Lincei, v. XII. p. 94. — Cernili I r e 1 1 i 1 896. Riv. Abruzzese Se. Lett. Arti. — Burro ws e Holland 1897. Mon. Foram. Crag, p. 4a, p. 379. — A. Silvestri 1900. Mem. p. Acc. Nuovi Lincei, v. XVII, p. 280 ( Btdimina ). Illustrata anche da Brady (Chall., p. 400, t. L, f. 13). Nel miocene dei dintorni di Torino (Sismond a, Fuchs), nel pliocene di Trinité Victor nel Nizzardo, rarissima (De Amicis), di Albenga in Liguria, rarissima (Burro ws e Holland), di Almenno, Taino, Induno, Pontegana, Val Faido (C o r t i), del Monte San Bartolomeo presso il Garda in Lombardia, rara (Egger), di Savignano nel Modenese, rarissima (Coppi), di Sansepolcro in provincia d’Arezzo, di Coroneina, Lornano, San Quirico e Pienza nel Senese, rara (Silvestri), del Monte Mario, rarissima (Conti), di Capo di Bove, ecc., presso Roma, comune, del Monte Calvarone presso il lago di Nemi, rarissima (Terrigi), di Castellalto nel Teramano (Cernili), nel « tortoniano » di Benestare, comunis- sima, nello « zancleano » di Terreti e Nasiti, di Gerace e di Ardore, rarissima, nell’ «astiano» di Riace, Ardore, Bovalino e Vito, rara, nel « siciliano » di Monosterace, rara, nel « saha- riano » di Bovetto presso Reggio in Calabria, rarissima (S e- guenz a), e nei « trubi » di Bonfornello presso Termini Ime- rese in Sicilia, rara (De Amicis). LE BULININE E LE CASSIDULINE FOSSILI D’iTALIA 187 orata d’Orb., var. afflnis d’Orb. A. Silvestri 1900. Meni. p. Acc. Nuovi Lincei, v. XVII, p. 281 ( Bulimina ). Silvestri preferisce questa denominazione a quella di B. af- finis d’Orb. Nel pliocene di Sansepolcro in provincia d’ Arezzo, rara. ovata d’Orb., var. apiculata Egger 1895. Jahresb. nat. Ver. Passau, a. XVI, p. 17, t. Ili, f. 15 {Bulimina). Differisce dalla forma tipica per essere provvista di mu- crone. Nel pliocene del Monte San Bartolomeo presso il Garda. ovata d’Orb,, var. inflata Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 146 {Bulimina). Non figurata. Differisce dalla forma tipica soltanto per es- sere notevolmente abbreviata. Nel «tortoniano» di Benestare in Calabria (Seguenza). ovata d’Orb., var. pupoides d’Orb. A. Silvestri 1896. Mem. p. Acc. Nuovi Lincei, v. XII, p. 95 {Bulimina). Silvestri preferisce questa denominazione a quella di B. pupoides d’ 0 r b . Nel pliocene della Coroneina, rara, e di San Quirico nel Senese, comune. ovoidea Beuss. Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 151, 309. - — Corti 1894. Bend. r. Ist. Lomb., s. 2a, v. XXVII, f. 17°. — De Ami ci s 1895.Natur. Sicil., a. XIV, p. 68. — A. Silvestri 1896. Mem. p. Acc. Nuovi Lincei, v. XII, p. 105. — 1900. Mem. p. Acc. Nuovi Lincei, v. XVII, p. 277 {Chilostomella). Illustrata anche da Brady (Chall., p. 436, t. LV, f. 12-23). La determinazione di De Amicis è da lui fatta con «le mag- giori riserve». Nel pliocene di Val Paido in Lombardia (Corti), di San- sepolcro in provincia d’Arezzo, rara, di Lornano e di Celle nel Senese, rarissima (S i 1 v e s t r i), nel « tortoniano » di Benestare, 188 C. FORNASINI rarissima, nell’ « astiano » di Gallina in Calabria, rara (Se- guenza), e nei « trubi » di Bonfornello presso Termini Ime- rese in Sicilia, rarissima (De Amicis). ovulum Reuss. Pantane Ili 1882. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3% v. XII, p. 389 (. Ataxophragmium ). La Bulimina ovulum di Reuss è, secondo Bracly (Chall., p. 400), inseparabile della B. affinis di d’Orbigny. La forma osservata da Pan tane Ili in sezioni sottili è, a detta dell’au- tore, ben conservata. Nel cretaceo di Montalmo Rosso in Sicilia. ovurn E li re nb erg- 1854. Mikrogeolog'ie, t. XXII, f. 81 ( Siro - phoconus). Riferita da Parker e Jones (Ann. Nat. Hist., s. 4% v. IX, p. 229) alla Virgulina schreibersiana di Czjzek. Nella « marna bianca » (trubo?) di Caltanissetta in Sicilia. ovum Elirenberg 1854. Ibidem, t. XXVI, f. 21 ( Stropho - conus ). Riferita da Parker e Jones (1. c., p. 290) alla Virgu- lina hemprichi dello stesso Ekrenberg. Nel « calcare bianco » (trubo?) di Cattolica in Sicilia. paradoxa Ekrenberg 1854. Mikrogeologie, t. XXVI, f. 26 ( Vaglimi ina ?). — Parker e Jones 1872. Ann. Nat Hist., s. 4a, v. IX, p. 291 ( Virgulina). Varietà cilindrica e arcuata della V. hemprichi dello stesso E li r e n b e r gs Nel « calcare bianco » (trubo?) di Cattolica in Sicilia. pedimculata Costa 1854. Atti Acc. Pontan., v. VII, 1856, p. 334, t. XVIII, f. 13 {Bulimina). Non è altro che la B. ovata di d’Orbigny (Brady: Chall., p. 400). « In Cannitello, nella Calabria Ultra ». LE BULIMINE E LE CASSIDULINE FOSSILI D’iTALIA 189 peregrina Schwager 1878. Boll. r. Com. Geol. It., y. IX, p. 526, 1. 1, f„14. — Stolli- 1878. Ibidem, p. 518 ( Bolivina ). Breve e dilatata, questa forma possiede un carattere singo- lare, per il quale « le linee settali assumono l’ apparenza di un pettine ». Qualche cosa di analogo si osserva anche nella B. robusta di Brady (Oliali., t. LUI, f. 7). È inoltre longi- tudinalmente costata, come la B. aenariensis di Costa. Nel miocene di Stretto presso Girgenti, rarissima. peucetia Costa 1854. Atti Acc. Pontan., v. VII, 1856, p. 336, t. XVIII, f. 15 (. Bulimina ). Incerta. Non pare molto lontana dalla B. affìnis d’Orb. « Nella marna ocracea » di Bari, non rara. pliyllodes Ehrenberg 1854. Mikrogeologie, t. XXVI, f. 14, 15 ( Grammostomum ). Riferito da Jones e Parker (Ann. Nat. Hist., s. 4a, v. IX. p. 290) alla Bolivina punctata di d’Orbigny. Nel « calcare bianco » (trubo?) di Cattolica in Sicilia. pitecusana Costa 1854. Atti Acc. Pontan., v.VII, 1856, p. 364, t. XV, f. 5 {Bulimina). Non descritta. Presenta forse qualche analogia con la B.pu- poides di d’Orbigny. Senza indicazione precisa di località. plicata d’Orb. Van den Broeck 1878. Quart. Journ. Geol. Soc., v. XXXIV, p. 197 {Bolivina). Ha la superficie ornata da numerose e minute pieghe, ed è percorsa nel tempo stesso da alcune coste longitudinali (d’ 0 r- bigny: Poram. Amér. Mér., t. Vili, f. 4-7). Nel pleistocene di Monte Buceto in Ischia. prunella Costa 1854. Atti Acc. Pontan.. v.VII, 1856, p. 274, t. XIII, f. 32, 33, 37, 38 {Guttulina). — Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 227, 308, 333, 375 {Bu- limina). 190 C. FORNASIN’I Inseparabile dalla B. pyrula di d’Orbigny (Brady: ChalL, p. 399). « Nei terreni a tritumi di conchiglie della Melìa dell’A- spromonte, nella estremità della Calabria, rara » (Costa), nello « zancleano » di Gerace, Seminara e Palmi, rara, nell’ « astiano » di Gallina, Valanidi, Ardore, Bovalino e Reggio, comune, nel « si- ciliano » di Monosterace, comune, nel « sahariano » di Bovetto, rara, e di Reggio in Calabria, comune (Seguenza). prunella Costa, var. affinis Costa 1854. Ibidem, p.275, t. XVIII, f. 14 ( Guttulina ). Incerta. La figura ricorda una polimorfina meglio che una bulimina. In Calabria, probabilmente, con la precedente. punctata d’Orb. Jones e Parker 1860. Quart. Journ. Geol. Soc., v. XVI, p. 302, prosp., n. 60 ( punctulata per errore). — 1872. Ann. Nat. Hist., s. 4a, y. IX, p. 291. — StOhr 1876. Boll. r. Coni. Geol. It., y. VII, p. 472, 474. — Schwager 1877. Ibidem, y. Vili, p. 26, f. 63 ( punctulata per errore). — Van den Broeck 1878. Quart. Journ. Geol. Soc., y. XXXIV, p. 197. — Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 229, 309, 334. — Terrigi 1883. Atti p. Acc. Nuovi Lincei, v. XXXV, p. 190. — 1885. Boll. r. Com. Geol. It., y. XVI, p. 151. — Fornasini 1885. Boll. Soc. Geol. It., v. IV, p. 110. — Malagoli 1888. Ibidem, v. VII, p. 375, t. XIV, f. 1, 2. — Mariani 1888. Atti Soc. It. Se. Nat., v. XXXI, p. 101. — Malagoli 1889. Atti Soc. Nat. Mo- dena, s. 3a, v. Vili, p. 179. — Sacco 1889. Boll. Soc. Geol. It., v. Vili, p. 307. — Mariani 1890. Note geol. pai. dint. Girgenti, p. 9. — Terrigi 1891. Mem. r. Com. Geol. It., y. IV, p. 74, t. I, f. 26-28. — 1893. Rend. r. Acc. Lincei, s. 5a, v. II, p. 412, 414. — Malagoli 1892. Atti Soc. Nat. Modena, s. 3a, v. X, p. 80. — Boll. Soc. Geol. It., y. XI, p. 92. — Mariani 1893. Ann. T. Ist. Tecn. Udine, s. 2a, v. XI. — Corti 1894. Rend. r. Ist. Lomb., s. 2a, v. XXVII, f. 4° e 17°. — Egger 1895. Jahresb. nat. Ver. Passali, a. XVI, p. 12, t. I, f. 11. — A. Silvestri 1896. Mem. p. Acc. Nuovi LE BU LIMINE E LE CASSIDUL1NE FOSSILI D’iTALIA 191 Lincei, v. XII, p. 101. — Fornasini 1897. Rend. r. Acc. Se. Bologna, n. s., v. I, p. 113. — Burro ws e Ho 11 and 1897. Mon. Foram. Crag, p. 4a, p. 379 (. Bolivina ). Forma tipica della B.punctata è quella illustrata da cl’Or- bigny nel 1839 e nel 1846 (B. antiqua) e da Brady (Oliali., t. LII, f. 18, 19). Nel miocene di Torino, comune (Jones e Parker), nel tortoniano (?) e nel piacenziano del Piemonte in genere (Sacco), nel pliocene di Bordigh'era, rara, di Albenga, rarissima (Bur- ro ws e H o 1 1 a n d ), e di Savona in Liguria, comune (M ariani ), di Almenno, Taino, Induno, Val Faido, Nese, Pontegana (Corti), e del Monte San Bartolomeo presso Salò in Lombardia, rara (Egger), nel miocene del Rio Crasale nel Bellunese? (Mariani), nel pliocene di Castelìarquato, comune (Jones e Parker, Ma- la gol i), e di Lugagnano nel Piacentino, comunissima, di Ca’ di Roggio nel Reggiano, comunissima, nel miocene di Panilo, nel fango delle salse di Nirano nel Modenese, comune (Ma- lag oli), nel miocene di San Rubilo presso Bologna, comune (Fornasini), nei pliocene di Siena e di San Quirico, comune (Jones e Parke r ), di Siena, rara (Silvestri), di Palidoro (Fornasini), del Monte Calvarone presso il lago di Nerni, rara, di Capo di Bove, ecc., presso Roma e del Quirinale, co- munissima (Terrigi), nel pleistocene di Monte Buceto in Ischia (Van den Broeck), nello «zancleano» di Gerace, Ardore, Portigliela e Seminara, nell’ « astiano » di Ardore e di Aito e nel «siciliano» di Monosterace in Calabria, rara (Seguenza), nei «trubi» e nel pliocene in genere dei dintorni di Girgenti, comune (Scliwager, Stokr, Mariani), e nel miocene di Malta (Jones e Parker). punctata d’Orb. Terrigi 1880. Atti p. Acc. Nuovi Lincei, a. XXXIII, p. 197, t. II, f. 41. — Ma lago li 1888. Boll. Soc. Geol. Ital., v. VII, t. XIV, f. 3, 4. — Fornasini 1889. Minute forme rizop. Ponticello, f. 5. — - Terrigi 1889. Meni, r. Acc. Lincei, s. 4a, v. VI, p. 110, t. V, f. 8. — Dervieux 1892. Atti r. Acc. Se. Torino, v. XXVII (Bolivina). Meglio che al tipo, le forme sopra citate sono forse da rife- rirsi alla varietà catanensis di Seguenza. 192 C. FORNASINI Nel pliocene di Villarvernia nel Tortonese, rara (Der- vieux), di Ca’ di Roggio nel Reggiano, comune (Ma lago li), del Ponticello di Sàvena presso Bologna, comune (Po mas ini), del Yatieano, comune, e di Palo (?) in provincia di Roma, raris- sima (Terrigi). punctata d’Orb. Terrigi 1880. Atti p. Acc. Nuovi Lincei, a. XXXIII, p. 159 ( Virgulina). È con dubbio che l’autore cita questa forma orbignyana (Foram. Cuba, t. I, f. 35, 36), che non panni separabile dalla V. squamosa dello stesso d’ 0 r b i g n y . Nel pliocene di Roma. punctata d’Orb., var. spinescens De Amicis 1893. Boll. Soc. Geol. It., v. XII, p. 352 ( Bolivina ). L’autore stesso non pare molto deciso per la istituzione di questa varietà, la quale differirebbe dal tipo perchè « la prima loggia è munita verso la punta estrema di tre brevi e sottili spine». Nel pliocene di Trinité Yictor nel Nizzardo, rarissima. punctata d’Orb., var. substriata Egger 1895. Jahresb. nat. Yer. Passau, a. XYI, p. 11, t. I, f. 14 {Bolivina). Differisce dalla forma tipica per avere i fori disposti in serie longitudinali. Nel pliocene del Monte San Bartolomeo presso Salò. pupoides d’Orb. Jones e Parker 1860. Quart. Journ. Geol. Soc., v. XVI, p. 302, prosp., n. 54. — 0. Silvestri 1862. Atti X Congr. Se. It., p. 82. — - Fuchs 1878. Sitz. k. Ak. Miss. Wien, v. LXXVII, p. 473. — Stolir 1878. Boll. r. Com. Geol. It., v. IX, p. 512. — Y an den Broeck 1878. Quart. Journ. Geol. Soc., v. XXXIV, p. 197. — Seguenza 1880. Meni, r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 90. — Terrigi 1880. Atti p. Acc. Nuovi Lincei, v. XXXIII, p. 193, t. II, f. 31. — 1883. Ibi- dem, v. XXX Y, p. 189. — Coppi 1881. Paleont. Modenese, p. 130. — Parona 1883. Rend. r. Ist. Lomb., s. 2a, v. XVI, f. 12°. — For nasini 1883. Boll. Soc. Geol. It., v. II, p. 178. LE BUI.IMINE E LE CASSIDULINE FOSSILI D’iTALIA 193 — Coppi 1884. Boll. r. Com. Geol. It., y. XV, p. 200. — Terrigi 1885. Ibidem, v. XYI, p. 150. — Malagol i 1887. Atti Soc. Nat. Modena, s. 8% v. II, p. 126. — Mariani 1887. Atti Soc. It. Se. Nat., v. XXX, p. 131. — 1888. Ibidem, y.XXXL p. 98. — Rend. r. Ist. Lomb., s. 2a, v. XXI, p. 500. — Sacco 1889. Boll. Soc. Geol. It., v.VIII, p. 307. — Malagoli 1890. Ibidem, v. IX, p. 431. — Mariani 1891. Ibidem, v. X, p. 172. — 1890. Note geol. pai. dint. Girgenti, p. 8. — Ter- rigi 1891. Mem. r. Com. Geol. It., v. IV, p. 72, 112, 1. 1, f. 22. — 1893. Rend. r. Acc. Lincei, s. 5% v. II, p. 414. — Corti 1894. Rend. r. Ist. Lomb., s. 2a, y. XXYI1, f. 4° e 17°. — 1896. Ibidem, y. XXIX. — De Amicis 1895. Natur. Sicil., a. XIY, p. 66. — Cernili Ire Ili 1896. Riy. Abruzzese Se. Lett. Arti ( JBidimina ). Forma tipica è quella illustrata da d’Orbigny (Foram. Vienne, t. XI, f. 11, 12) e da Brady (Chall., t. L, f. 15). Nel miocene e nel pliocene del Piemonte in genere (Sacco), nel miocene di Torino, comune (Jones e Parker), e più pre- cisamente di Sciolze (F u c li s), nel pliocene di Savona in Liguria, comune (Mariani), nel miocene dei dintorni di Como (Corti), nel pliocene di Taino (Paro n a, Corti), di Almenno, Induno, Pontegana (Corti) e di San Colombano in Lombardia, comune (Mariani), nel miocene di Monte Barandone (Coppi, Mala- goli), e del Capriolo, rara, e nel pliocene di Savignano nel Modenese, rara (Coppi), del Ponticello di Sàvena presso Bo- logna, rara (F orna si ni), del Senese in genere (Silvestri), di Siena e di San Quirico, comune (Jones e Parker), di Vi- terbo, rara (Mariani), di Capo di Bove, di Piazza del Grillo, del Vaticano, comune, del Quirinale, del Monte Calvarone presso il lago di Nemi, rarissima (Terrigi), di Colonnella nel Tera- mano (Cerulli), nel pleistocene di Monte Buceto in Ischia (Van den Broeck), nell’ « elveziano » di Malochia in Ca- labria, rara (Seguenza), nei « trubi » di Bonfornello presso Termini Imerese, rarissima (De Amici s), nel miocene di Stretto presso Girgenti, rarissima (S 1 6 li r), nel pleistocene dei dintorni di Palermo, rara (Jones e Parker), e nel tortoniano di Capo San Marco in Sardegna, rarissima (Mariani). 16 194 C. FORNASINI pupoides d’Orb. Costa 1855. MS. Collezione del Museo di Napoli, n. 130 (Buliniina). È un’uvigerina (Fornasini: Mem. r. Aec. Se. Bologna, s. 5a, v. Y, p, 11, t. IY, f. 33). Nel neogene di Messina. pupoides d’Orb. Schwager 1878. Boll. r. Coni. Geol. It., v. IX, p. 523, t. I, f. 10 a (Buiimi no). L’esemplare che l’autore dice affine alla B. pupoides è, a parer mio, da riferirsi piuttosto alla B. pyrula. Nel miocene di Stretto presso Girgenti. pupoides d’Orb. Terrigi 1880. Atti p. Acc. Nuovi Lincei, a. XXXIII, p. 193, t. II, f. 30, 32. — 1889. Mem. r. Acc. Lincei, s. 4a, v. VI, p. 110, t. Y, f. 6. — Corti 1892. Bend. r. Ist. Lomb., s. 2a, v. XXY, t. IV, f. 4 (. Bulimina ). Le figure sopra citate, meglio della B. pupoides, rappre- sentano la B. ariminensis, di cui all’articolo eìongata del pre- sente indice. Nel pliocene di Castenedolo in Lombardia (Corti), del Vaticano, comune, e di Palo in provincia di Roma, rarissima (Terrigi). pupoides d’Orb. Terrigi 1880. Atti p. Acc. Nuovi Lincei, a. XXXIII, t. II, f. 33, 34 (Bulimina). Le figure sopra citate non rappresentano certamente la B. pupoides, nè la B. ariminensis di cui all’articolo precedente. Nel pliocene del Vaticano. pupoides d’Orb. Egger 1895. Jabresb. nat. Ver. Passau, a. XVI, p. 14, t. IV, f. 6, 7 (Bulimina). Le figure sopra citate rappresentano piuttosto, a mio avviso, la B. inconstans dello stesso Egger, di cui all’articolo in- constans del presente indice. Nel pliocene del Monte San Bartolomeo presso Salò, comu- nissima. LE BUL1MINE E LE CASSIDULINE FOSSILI D’iTALIA 1«5 pupoicles d’Orb., var. brevis Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI p. 146 ( Bulimina ). Non figurata. Secondo Sequenza: «la forma di questa bulimina è più tozza del tipo figurato dal d’Orbigny ». Nel « tortoniano » di Benestare in Calabria, rara, pupoides d’Orb., var. striatala Egger 1895. Jahresb. nat. Ver. Passati, a. XVI, p. 14, t. IV, f. 8 {Bulimina). È una varietà della B. inconstans, che differisce dalla forma tipica per avere i fori ben distinti e disposti in serie longitu- dinali. Vedasi l’articolo pupoides d’Orb. Egger. Nel pliocene del Monte San Bartolomeo presso Salò. pustulosa Costa 1854. Atti Acc. Pontan., v. VII, 1856, p. 264, t. XV, f. 8. — S egli e n za 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3% v. VI, p. 333 {Bulimina). La specie costiana non appare ben definita, e anche Se- ga e n z a riferisce « con qualche dubbio a questa specie un solo esemplare alquanto più rigonfio ». « Nella Calabria ulteriore, in un terreno a tritumi di con- chiglie con frequenti Pinne» (Costa), e nel «siciliano» di Monosterace, rarissima (Seguenza). pyrula d’Orb. Jones e Parker 1860. Quart. Journ. Geol. Soc., v. XVI, p. 302, prosp., n. 51. - — 0. Silvestri 1862. Atti X Congr. Se. It., p. 82. — Seguenza 1862. Atti Acc. Gioenia Se. Nat., s. 2a, v. XVIII, p. 107. — Conti 1864. Monte Mario, p. 41. — Hantken 1876. Sitz. k. Ak. Wiss. Wien, v. LXXIII, p. 73. — Fuchs 1878. Ibidem, v. LXXVII, p. 473. — Stohr 1878. Boll. r. Com. Geol. It., v. IX, p. 512. — Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 146, 227, 308, 333, 375. — Terrigi 1880. Atti Acc. p. Nuovi Lincei, a. XXXIII, p. 159. — Mariani 1888. Atti Soc. It. Se. Nat., v. XXXI, p. 97. — Bend. r. Ist. Lomb., s. 2a, v. XXI, p. 500. — Ma lag oli 1888. Boll. Soc. Geol. It., v. VII, p. 374. — Sacco 1889. Ibidem, v. Vili, p. 307. — Mariani 1890. Note geol. pai. dint. Girgenti, p. 8. — Terrigi 1891. Mem. r. Com. Geol. It., 196 C. FORNASINI v. IV, p. 71, t. I, f. 18, 19. — 1893. Rend. r. Acc. Lincei, s. 5a, v. II, p. 412. — Mariani 1893. Ann. r. Ist. Tecn. Udine, s. 2a, v. XI. — De Amicis 1893. Boll. Soc. Geol. It., v. XII, p. 348. — Fornasini 1894. Foram. Coll. Sol- dani, p. 18. — Corti 1894. Rend. r. Ist. Lomb., s. 2a, v. XXYII, f. 4° e 17°. — De Amicis 1895. Natur. Sicil., voi. XIY, p. 66. — F ornasi ni 1895. Palaeont. Italica, v. I, p. 147. — Egger 1895. Jahresb. nat. Ver. Passau, v. XVI, p. 16, t. IY, f. 1. — A. Silvestri 1896. Mem. p. Acc. Nuovi Lincei, v. XII, p. 92. — Fornasini 1897. Rend. r. Acc. Se. Bologna, n. s., v. I, p. 113. — Burrows e Hol- land 1897. Mon. Foram. Crag, p. 4a, p. 379. — A. Sil- vestri 1900. Boll. Acc. Gioenia Se. Nat., f. 64° (Bulimina). Quale è intesa da d’Orbi gny e da Brady (Chall., p. 399, t. L, f. 7-10). Nel miocene e nel pliocene del Piemonte in genere (Sacco), nel miocene di Sciolze presso Torino (F u c h s), nel pliocene di Trinité Victor nel Nizzardo, rara (De Amicis), di Bordighera, rarissima (Burrows e H o 1 1 a n d), e di Savona in Liguria, rara (Mariani), di Taino e di Nese (Corti), di San Colombano Lo- digiano, rara (M a r i a n i), del Monte San Bartolomeo presso Salò in Lombardia, comunissima (Egger), nel trias superiore del Rio Tolina nella Carnia, rarissima, nel miocene del Rio Crasale nel Bellunese (Mariani), nel pliocene di Ca’ di Roggio nel Reg- giano, rara (M a 1 a g o 1 i), del Senese in genere (JoneseParker, 0. S i 1 v e s t r i, Fornasini), di Coroncina e di San Quirico, co- munissima, di Pienza, comune (A. Silvestri), di Roma, di Capo di Bove, rarissima (T erri g i), del Monte Mario, rara (C o n t i), del Vaticano e di Palidoro in provincia di Roma (Fornasini), nel « tortoniano » di Benestare, rara, nello « zancleano », di Gte- race, Palmi, Seminara e Ardore, comune, nell’ « astiano » di Riace, Valanidi e Vito, rara, nel « siciliano » di Monosterace e nel « sahariano » di Bovetto e di Reggio in Calabria, comune (Seguenza), nel miocene di Stretto presso Girgenti. rarissima (Stohr), nei « trubi » di Bonfornello presso Termini Imerese, rara (De Amici s), nel pliocene dei dintorni di Girgenti, rara (Mariani), di San Giovanni, rara, e de La Croce presso Calta- LE BULIMINE E LE CASSIDULINE FOSSILI D'ITALIA 197 girone, comunissima (A. Silvestri), nel pleistocene di Catania, rarissima (Segue n za), e nel miocene di Malta (Hantken). pyrula d’Orb. A. Silvestri 1894. Atti Acc. Zelanti Acireale, voi. Y, p. 12, t. V, f. 73-82 ( Bulini-ina ). Le figure sopra citate rappresentano polimorfine. Nel fango eruttato dalla salsa di Paterno, alla base del- l’Etna. pyrula d’Orb., var. lata Seguenza 1880. Meni. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 147, 227 ( Bulimina ). Non figurata. Differisce dal tipo per essere « di forma più larga, colla regione posteriore non prominente ma quasi appia- nata ». Nel « tortoniano » di Benestare, rara, e nello «zancleano» di Gerace, Palmi. Seminara e Ardore in Calabria. pyrula d’Orb., var. spiuescens Brady. De Amicis 1893. Boll. Soc. Geol. It., v. XII, p. 349, t. Ili, f. 8. — Egger 1895. Jahresb. nat. Ver. Passali, a. XVI, p. 17, t. IV, f. 2, 3 (Bu- limina). Quale è illustrata da Brady (Chall., p. 400, t. L, f. 11, 12). Nel pliocene di Trinité Victor nel Nizzardo, rarissima (De Amicis), e del Monte San Bartolomeo sul Garda, comunissima (Egger). pyrula d’Orb., var. spinosa Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 147 (Bulimina). Non figurata. « Colla regione posteriore più o meno promi- nente e fornita d’una, due o tre piccole spine ». E poco lontana, probabilmente, dalla varietà spiuescens di Brady. Nel « tortoniano » di Benestare in Calabria, comunissima. rapaGlunb., var. recens Dervieux 1899. Boll. Soc. Geol. It., v. XVIII, p. 78 ( Pleurostomella ). Gli esemplari osservati da Dervieux sono « perfettamente simili» a quelli illustrati da Brady come PI. rapa (Chall., t. LI, 198 C. FORNASINl f. 21). Crede però l’autore clie tanto gli uni che gli altri deb- bano distinguersi dalla forma eocenica di Giimbel. Nel miocene di Sciolze presso Torino. reticolata Hantk. Hantken 1884. Math. nat. Ber. Ungarn, v. II, p. 130, 149, 159. — Egger 1896. Sitz. k. bayer. Ak. Wiss., y. XXVI, p. 589 ( Bolivina ). Illustrata anche da B r a d y (Chall., p. 426, t. LUI. f. 30, 31). NelToligocene di Gorbio e Scarena nel Nizzardo, rarissima, di Priabona nel Vicentino e degli Euganei, rara (Hantken), e del Monte Brione sul Garda (Egger). rliomboidalis Costa 1854. Atti Acc. Pontan., y. VII, 1856, p. 364, t. XIII, f. 24 ( Bulimina ). Non descritta. La figura è incerta: l’orificio non pare quello di una bulimina. Senza indicazione precisa di località. robusta Brady. A. Silvestri 1900. Mem. p. Acc. Nuovi Lincei, v. XVII, p. 283 (Bolivina). Illustrata da Brady (Chall., p. 421, t. LUI, f. 7-9). Nel pliocene di Sansepolcro in provincia d’ Arezzo, rara. romana Costa 1856. Mem. r. Acc. Se. Napoli, v. II, 1855, p. 125, t. I, f. 6 ( Guttulina ). Non è altro che la Bulimina pyrula di d’Orb igny (For- lì asini: Palaeont. Italica, v. I, p. 147). Nel pliocene del Vaticano, rarissima. sclireibersiana Czjz. Jones e Parker 1860. Quart. Journ. Geol. Soc., v. XVI, p. 302, prosp., n. 59: Bulimina ( Virgu - lina). — Seguenza 1871. Mem. r. Coni. Geol. It., v. I, p. 79. — Parker e Jones 1872. Ann. Nat. Hist., s. 4a, v. IX, p. 229, 291. — Stolli- 1878. Boll. r. Coni. Geol. It., v. IX, p. 505. — V an den Broeck 1878. Quart. Journ. Geol. Soc., v. XXXIV, p. 197. — Seguenza 1880. Meni. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 147, 227. — Terrigi 1880. Atti Acc. p. Nuovi Lincei, a. XXXIII, p. 196, t. II, f. 38, 39. — 1883. Ibidem, LE BULIMINE E LE OASSJDULINE FOSSILI D’ITALIA 199 p. 190. — Hantken 1884. Math. nat. Ber. Ungarn, v. II, p. 149, 159. — Mariani 1887. Rend. r. Ist. Lòrhb., s. 2', v. XX, p. 478. — Atti Soc. It. Se. Nat., v. XXX, p. 126. — 1888. Ibidem, v. XXXI, p. 100. — Rend. r. Ist. Lomb., s. 2il, v. XXI, p. 500. — Malagoli 1888. Boll. Soc. Geol. It., v. VII, p. 375. — Terrigi 1891. Meno. r. Cono. Geol. It., v. IV, p. 74. — 1893. Rend. r. Ace. Lincei, s. 5a, v. II, p. 412. — Corti 1894. Rend. r. Ist. Lomb., s. 2a, v. XXVII, f. 4°. — Burrows e Holland 1897. Mon. Forano. Crag, p. 4a, p. 379. — Dervienx 1899. Boll. Soc, Geol. It., v. XVIII, p. 78 ( Virgili in a) (1). Forma tipica è quella illustrata da C z j z e k . Quella figurata da Brady (Chall., t. LII, f. 1-3) se ne allontana alquanto. Nel miocene dei dintorni di Torino, comune (Jones e Parker), e più precisamente di Sciolze (Dervienx), nell’oli- goeene di Gorbie e Scarena ìoel Nizzardo, rarissima (Hantken), nel pliocene di Savona, comune (M a r i a n i), e di Albenga in Li- guria, rarissima (B u r r o w s e H o 1 1 a n d), di Tronconero presso Casteggio, rarissima, di San Colombano Lodigiano, rara (Ma- riani), di Almenno in Lombardia (Corti), di Castellarquato nel Piacentino, comune (Jones e Parker), di Ca’ di Roggio nel Reggiano, rarissima (Malagoli), nell’oligocene di Priabona nel Vicentino (Hantken), nel pliocene di Siena e di Monte Arioso, comune (Jones e Parker), del Vaticano e del Qui- rinale, comune, del Gianicolo, ecc., rara, di Capo di Bove presso Roma, rarissima (Terrigi), nel pleistocene di Monte Buceto in Ischia (Van den Broeck), nel «tortoniano» di Benestare, nello «zancleano» di Seminara e di Palmi in Calabria, rara (Seguenza), nei «tripoli» di Girgenti (Stohr), nei «trubi» di Caltagirone (Seguenza), di Caltanissetta e di Cattolica (Parker e Jones), nel pleistocene dei dintorni di Palermo, comune (Jones e Parker), e nel miocene di Capo San Marco in Sardegna, comune (Mariani). (’) Molti dei citati autori hanno usata la denominazione specifica schreibersi. 200 C. FORNASINI schreibersiana Czjz. Mal ago li 1887. Atti Soc. Nat. Modena, s. 3a, v. Ili, p. 108, t. I, f. 5 ( Virgulina schreibersi). Sezione di una forma che l’autore ritiene un «bellissimo e bene caratterizzato esemplare» della specie di Czjzek. Nel miocene di Lama Mocogno nel Modenese, rara. schreibersiana Czjz. Egger 1895. Jahresb. nat. Ver. Passau. a. XVI, p. 19, t. I, f. 20 ( Virgulina ). Si allontana dalla forma tipica, avvicinandosi piuttosto a la V. squamosa, di d’Orbigny. Nel pliocene del Monte San Bartolomeo sul Garda, rara. schreibersiana Czjz. Fornasini 1897. Rend. r. Àcc. Se. Bo- logna, n. s., v. II, p. 18, t. II, f. 9. — 1898. Mem. e. s., s. 5a, v. VII, p. 207, t. I, f. 6 ( Virgulina ). Meglio che alla forma tipica, gli esemplari figurati sono da riferirsi alla varietà innormalis di Costa. Nel pliocene di San Pietro in Lama presso Lecce, comune. schreibersiana Czjz., var. longissima Costa. Dervieux 1899, Boll. Soc. Geol. It., v. XVIII, p. 78 ( Virgulina ). Vedasi l’osservazione all’articolo longissima del presente indice. Nel miocene di Sciolze presso Torino. semistriata d’Orbigny 1826. Ann. Se. Nat., v. VII, p. 270, n. 15. — - 1852. Prodromo, v. Ili, p. 194 ( Buliniina ). Fig. 5. Disegno inedito di d'Orbigny che rappresenta la Bulimina semistriata del Tableau. LE BUL1MTNE E LE CASS1DULINE FOSSILI D’iTALIA 201 Istituita da d’Orbigny senza illustrazione alcuna (tranne le parole «espèce ovale fìnement striée» che leggonsi nel « Pro- dromo»), fu da lui fortunatamente disegnata nelle «Planches inédites». È, con ogni probabilità, da riguardarsi come una va- rietà della B. affinis, in cui le perforazioni sono disposte in serie longitudinali. Nel pliocene della Coroncina presso Siena. semistriata Hantk. Hantken 1884. Math. nat. Ber. Ungarn, v. II, p. 130. — Schubert 1900. Verh. k. k. geol. Reich- sanst., p. 81, 371 ( Bolivina ). È con dubbio che Hantken riferisce a questa sua specie (Mitth. Jahrb. k. ung. geol. Anstalt, v. IV, t. VII, f. 13) un unico esemplare. Nell’oligocene di Teoio negli Euganei (Hantken), di Ro- mallo in Val di Non e di Cologna presso Riva nel Tirolo, ra- rissima (Schubert). siculum Ehrenberg 1854. Mikrogeologie, t. XXVI, f. 16 ( Grammo stornimi). Riferito da Parker e Jones (Ann. Nat. Hist., s. 4a, v. IX, p. 290) alla Bolivina punctata di d’Orbigny. Nel « calcare bianco » (trubo?) di Cattolica in Sicilia. simplex Costa 1854. Atti Acc. Pontan., v. VII, 1856, p. 279, t. XVIII, f. 5 ( Globulina ). Incerta. La figura ricorda le bulimine meglio che le poli- morfine. Trattasi probabilmente della B. pyrula di d’O r bi g n y . «Nella marna della Valle Beneventana, rara». spicula Ehrenberg 1854. Mikrogeologie, t. XXVI, f. 20 (Stro- phoconus). Riferito da Parker e Jones (Ann. Nat. Hist., s. 4a, v. IX, p. 290) alla Virgalina hemprichi dello stesso Ehrenberg. Nel « calcare bianco » (trubo?) di Cattolica in Sicilia. spinosa Seguenza 1862. Atti Acc. Gioenia Se. Nat., s. 2a, v. XVIII, p. 105, t. I, f. 8 ( Bulimina ). 202 C. t'ORN'ASINI Dallo stesso Sequenza (1. c., p. 121) associata alla li. aculeata di d’Orbignv. Nel pleistocene dei dintorni di Catania, comune. squamosa d’Orbi gny 1826. Ann. Se. Nat., v. VII, p. 267, n. 1, mod. 64. — 0. Silvestri 1862. Atti X Congr. Se. It., p. 82. — Se glieli za 1880. Meni. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 375. — A. Silvestri 1896. Mera. p. Acc. Nuovi Lincei, v. XII, p. 100 ( Virgulina ). Testi larif orme, e tipicamente riprodotta dal modello di d’ 0 r- bigny (Parker, Jones e Brady: Ann. Nat. Hist., s. 3a, v. XVI, p. 29, t. II, f. 66). Nel pliocene del Senese in genere (d’Orbigny, 0. Silve- stri), e precisamente della Coroncina, rara (A. Silvestri), e nel «sahariano» di Reggio in Calabria, rara (Sego en za). squamosa d’Orb. Egger 1895. Jahresb. nat. Ver. Passali, a. XVI, p. 18, t. I, f. 21 ( Virgulina). Non è altro, a parer mio, che la comune V. schreibersiana di Czjzek. Nel pliocene del Monte San Bartolomeo sul Giarda, rara. stiligera Elirenberg 1854. Mikrogeologie, t. XXVI, f. 22 (Strophoconus ? Grammostomum ? stiliger). — Parker e Jones: Ann. Nat. Hist., s. 4a, v. IX, p. 291 ( Virgulina ). Riguardata da Parker e Jones (1. c., p. 290), come una varietà della C. 1 tempri chi dello stesso Ehrenberg. Nel «calcare bianco» (trubo?) di Cattolica in Sicilia. subsquamosa Egger. Corti 1894. Rend. r. Ist. Lomb., s. 2a, v. XXVII, f. 4° e 17°. — A. Silvestri 1900. Meni. p. Acc. Nuovi Lincei, v. XVII, p. 281 ( Virgulina ). Illustrata anche da Brady (diali., t. LII, f. 7-11). Nel pliocene di Alme uno, Taino e Nese in Lombardia (Corti), e di Sansepolcro in provincia d’ Arezzo, rarissima (Silvestri). LE BULININE E LE CASSIDULINE FOSSILI D’iTALIA 203 subteres Brady. Foni asini 1889. Minute forme rizop. Pon- ticello, f. 4 (. Bulimina ). Illustrata da Brady (Oliali., p. 403, t. L, f. 17, 18). Nel pliocene del Ponticello di Sàvena presso Bologna, ra- rissima. succinea Costa 1854. Atti Acc. Pontan., v. VII. 1856, p. 276, t. XVIII, f. 4 ( Guttulina ). L’orifìcio è quello di una bulimina, la quale spetta forse al gruppo della B. pyrula di d’Orbrgny. « Nella marna di Casamicciola in Ischia ». tenera Beuss. Stohr 1878. Boll. r. Coni. Greol. IL, v. IX, p. 512. — Seguenza 1880. Meni. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 146, 227, 308, 375 (Bulimina). Spetta al gruppo della lì. pyrula d’Orb. (Beuss: Sitz. k. Ak. Wiss. Wien, y. LV, p. 94, t. IV, f. 11, 12). Nel « tortoniano » di Benestare, nello « zancleano » di (fe- race, nell’ « astiano » di Vito e nel « sahariano » di Seggio in Calabria, rara (Seguenza), e nel miocene di Stretto presso Gfirgenti, rarissima (Stolir). tenuis Seguenza 1862. Atti Acc. Grioenia Se. Nat., s. 2a, v. XVIII, p. 110, t. II, f. 2 ( Virgili ina ), Non è altro che la V. sub-squamosa di Egger (Brady: Chall., p. 415). Nel pleistocene dei dintorni di Catania, rara. tenuis Hantken 1884. Math. nat. Ber. Ungarn, v. II, p. 145, t. I, f. 5 ( Pleurostomella ). Differisce, secondo l’autore, dalla PI. alternans di Soli wa- ger per la sua notevole piccolezza, nonché per la lunghezza delle camere e la forma dell’orifìcio. Nell’oligocene di Gorbio e Scarena nel Nizzardo, comune. teretiusculus Ehrenberg 1854. Mikrogeologie, t. XXVI, f. 25 ( Strophoconus ). 204 C. FORNASINI Riferito da Parker e Jones (Ann. Nat. Hist., s. 4*, v. IX, p. 290) alla Virgulina schreibersiana di Czjzek. Nel «calcare bianco» (trubo?) di Cattolica in Sicilia. textilarioides Reuss. Terrigi 1883. Atti Ace. p. Nuovi Lincei, v. XXXV, p. 191, t. Ili, f. 32. — 1885. Boll. r. Com. Geol. It., v. XVI, p. 151. - — For nasini 1889. Minute forme rizop. Ponticello, f. 7. — Egger 1895. Jaliresb. nat. Ver. Passau, a. XVI, p. 12, t. I, f. 8. — Ce rulli Irelli 1896. Riv. Abruzzese Se. Lett. Arti ( Bolivina ). Illustrata anche da Brady (Chall., p. 419, t. LII, f. 23-25). Nel pliocene del Monte San Bartolomeo sul Garda, comune (Egger), del Ponticello di Sàvena presso Bologna, rara (F or- nasi ni), del Quirinale, comune, del Monte Calvarone presso il lago di Nemi, rarissima (Terrigi), e di Castellalto nel Te- ramano (Cernili). trilobata d’Orb. Seguenza 1862. Atti Acc. Gioenia Se. Nat., s. 2a, v. XVIII, p. 122 ( Bulimina ). E una varietà semimarginata della B. elegans, istituita da d’Orb igny sopra figura di Soldani (v. l’articolo aetnaea). Nel pleistocene dei dintorni di Catania, rara. truncana Giimb. Hantken 1884. Math. nat. Ber. Ungarn, v. II, p. 130. — Egger 1896. Sitz. k. bayer. Ak. Wiss., v. XXVI, p. 589. — Sckubert 1900. Verh. k. k. geol. Reick- sanst., p. 371, 372 {Bulimina). Secondo Brady (Chall., p. 408), la forma riferita da Hantken alla B. truncana di G u m b e 1 è diversa da essa, ed è invece identica alla B. rostrata dello stesso Brady (Chall., t. LI, f. 14, 15). Nell’oligocene di Cologna presso Riva e di Bolognano presso Arco nel Tirolo, rara (Schubert), del Monte Brione sul Garda (Egger), e degli Euganei, comunissima (Hantken). turio Ehrenberg 1854. Mikrogeologie, t. XXVI, f. 19 {Gram- mostomum). LE BUL1MINE E LE CASSIDUL1NE FOSSILI D’iTALIA 205 Riferito da Jones e Parker (Ann. Nat. Hist., s. 4a, v. IX, p. 290) alla Virgulina li embrichi dello stesso Ehrenberg. Nel «calcare bianco» (trubo?) di Cattolica in Sicilia. xantea Seg. Fuchs 1878. Sitz. k. Ak. Wiss. Wien, v. LXXVII, p. 473 ( Polymorpliina ). Secondo Dervieux (Boll. Soc. Geol. It., v. XVIII, p. 77), gli esemplari riferiti da Fuclis ad ima P. xantea Seg. (che non esiste) spettano in parte alla Pleurostomella rapa di Gii in bel, var. recens di Dervienx, e in parte alla PI. al- ternans di Schwager. Nel miocene di Sciolze presso Torino. APPENDICE. 1. « Bulimina sp. » Costa 1855. MS. Collezione del Museo di Napoli, n. 186. È un’uvigerina (Fornasini: Mem. r. Acc. Se. Bologna, s. 5a, v. IV, p. 224, t. Ili, f. 39). Nel neogene di Messina. 2. « Bolivina sp. nuova, atf. punctulata Seg.». Stohr 1876. Boll. r. Coni. Geol. It., v. VII, p. 472. Non figurata, nè descritta. Affine, probabilmente, alla B. punctata di d’Orbigny. Nel pliocene dei dintorni di Girgenti, comune. 3. « Ataxopliragmiwn sp. ». Pant anelli 1882. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. XII, p. 390, 392. Resti di probabili bulimine, osservati dall’autore in sezioni sottili. Nel calcare compatto di Ca’ de’ Lotti e in quello argilloso nerastro di Magarone nel Bolognese. 4. «Bulimina sp. ? ». Malagoli 1888. Atti Soc. Nat. Mo- dena, s. 3a, v. VII, p. 113, t. Ili, f. 5. È giustamente con riserva che l’autore riferisce a questo genere una forma osservata in sezione sottile. Nel calcare miocenico di Bismantova, rara. 206 C. FORNASINI 5. « Bolivina sp. ». Sacco 1889. Boll. Soc. Geol. It., v. Vili, p. 307, n. 561. Non figurata, nè descritta. Nell’elveziano del Piemonte in genere. 6. « Balimina sp. ? ». Mariani 1891. Boll. Soc. Geol. It., v. X, p. 725, t. I, f. 5. È giustamente con la massima riserva che l’autore rife- risce a questo genere il frammento di una forma osservata in sezione sottile. Nel calcare Basico di Nese in Val Seriana. 7. « Bolivina sp. ». Dervieux 1896. Mem. p. Acc. Nuovi Lincei, t. XI Y, f. 9. Estremamente dubbioso è il riferimento fatto dall’autore a questo genere per una forma osservata in sezione sottile. Nel calcare rosso Basico di Monsummano in Val di Nie- vole. 8. « Bolivina sp. ». Scliubert 1900. Verli. k. k. geol. Reicli- sanst., p. 371. Non figurata, nè descritta. Nell’oligocene di Cologna presso Riva nel Tirolo, rara. CASSIDULINE. alata Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 65, t. VII, f. 5 ( Cassidulina ). « Distintissima (scrive l’autore) per essere carenata e per la lamina che cinge la carena, siccome per la forma assai curva delle logge ». Nel « langhiano » di Stilo in Calabria, rarissima. bradyi Nomi. Mariani 1888. Atti Soc. It. Se. Nat., v. XXXI, p. 103.— Sacco 1889. Boll. Soc. Geol. It., v. Vili, p. 308. — Terrigi 1891. Mem. r. Com. Geol. It., v. IV, p. 76, t. I, f. 32 ( Cassidulina ). Illustrata anche da Brady (diali., p. 431, t. LIV, f. 6-10). LE BULININE E LE CASSIDULINE FOSSILI D’ITALIA 207 Nel pliocene del Piemonte in genere (Sacco), di Savona in Liguria, rarissima (M aria n i), e di Capo di Bove presso Roma, rarissima (Terrigi). ealabra Seguenza 1880. Meni. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 138, t. XIII, f. 7 (. Burseolina ). — - Schubert 1900. Yerli. k. k. geol. Reichsanst., p. 82 ( Cassidulina ). Illustrata anche da Brady (Oliali., p. 431, t. CXIII, f. 8). Nell’oligocene di Romallo in Val di Non nel Tirolo (Schu- bert) e nel « tortoniano » di Benestare in Calabria (Seguenza), rarissima. crassa d’Orb. Jones e Parker 1860. Quart. Journ. Geol. Soc., v. XYI, p. 302, prosp. n. 152. — O. Silvestri 1862. Atti X Congr. Se. It., p. 82. — Terrigi 1883. Atti Acc. p. Nuovi Lincei, v. XXXY, p. 192, t. Ili, f. 34. — Egger 1895. Jahresb. nat. Ver. Passau, a. XVI, p. 19, t. Ili, f. 19. — A. Silvestri 1896. Mem. p. Acc. Nuovi Lincei, v. XII, p. 104, t. II, f. 11, 12 ( Cassidulina ). Illustrata anche da Brady (diali., p. 429, t. LIV, f. 4, 5). Nel pliocene del Monte San Bartolomeo sul Garda, rarissima (Egger), del Senese in genere (O. Silvestri), dei dintorni di Siena, rara, di San Quirico, comune (Jones e Parker), di Riluogo, comune, di Pienza, comunissima (A. Silvestri), e del Quirinale, rarissima (Terrigi). globosa Hantk. Hantken 1884. Math. nat. Ber. Ungarn, v. II, p. 131 ( Cassidulina ). Brady (diali., p. 431) scrive a proposito di questa specie: « this appears to be an intermediate variety, scarcely separable from C. crassa ». NeH’oligocene degli Euganei, rara. laevigata d’Orb. Jones e Parker 1860. Quart. Journ. Geol. Soc., v. XVI, p. 302, prosp., n. 151. — O. Silvestri 1862. Atti X Congr. Se. It., p. 82. — Stohr 1876. Boll. r. Coni. Geol. It., v. VII, p. 472. — Schwager 1877. Ibidem, v. VILI, p. 26, f. 67. — Van den Broeck 1878. Quart. Journ. Geol. Soc., v. XXXIV, p. 197. — Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 334, 376. — Terrigi 1880. Atti 208 C. FORN ASINI p. Acc. Nuovi Lincei, a. XXXIII, p. 199, t. II, f. 47. — 1883. Ibidem, a. XXXY, p. 192. — 1885. Boll. r. Com. Geol. IL, v. XVI, p. 151. — Mariani 1888. Atti Soc. It. Se. Nat., v. XXXI, p. 103. — Rend. r. Ist. Lomb., s. 2a, v. XXI. p. 500. — Terrigi 1889. Meni. r. Acc. Lincei, s. 4a, v. VI, p. Ili, t. V, f. 9. — Sacco 1889. Boll. Soc, Geol. It., v. VILI, p. 308. — Mariani 1890. Note geol. pai. dint. Girgenti, p. 9. — Terrigi 1891. Meni. r. Com. Geol. It., v. IV, p. 75. — Cernili Ire Ili 1896. Riv. Abruzzese Se. Lett. Arti. — A. Silvestri 1896. Meni. p. Acc. Nuovi Lincei, v. XII, p. 103, t. II, f. 10. — Burrows e Hol- land 1897. Mon. Foram. Crag, p. 4a, p. 379. — A. Sil- vestri 1900. Boll. Acc, Gioenia Se. Nat., f. 64° ( Cassidulina ). Illustrata anche da Brady (Chall., p. 428, t. LIV, f. 1-3). Nel pliocene del Piemonte in genere (Sacco), di Bordi- glieli, rara, di Albenga, rarissima (Burrows e Holland)), e di Savona in Liguria, comunissima, di San Colombano Lodi- giano, rara (Mariani), del Senese in genere (O. Silvestri), comune (Jones e Parker), di Riluogo, rara, di Coroneina e del Palazzo di Piero, comune (A. Silvestri), del Quirinale, del Vaticano, di Capo di Bove, comune, del Monte Calvarone presso il lago di Nemi, di Palo in provincia di Roma, raris- sima (Terrigi), di Colonnella nel Teramano (Cernii i), nel pleistocene di Monte Buceto in Ischia (Van den Broeck), nel « siciliano » di Monosterace, rarissima, e nel « sahariano » di Reggio in Calabria, rara (Seguenza), nel pliocene di Gir- genti, comune (Stolli-, Sclnvager, Mariani), de La Croce presso Caltagirone, rarissima (A. Silvestri), e nel pleistocene dei dintorni di Palermo, rara (Jones e Parker). mavgareta Karr. Seguenza 1880. Mem. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. VI, p. 151 ( Cassidulina ). Illustrata soltanto da Karrer (Alili, k. k. geol. Reiclisanst., v. IX, p. 386, t. XVI b, f. 52). Nel «tortoniano» di Benestare in Calabria, rara. oblunga Reuss. Jones e Parker 1860. Quart. Journ. Geol. Soc., v. XVI, p. 302, prosp., n. 153. — O. Silvestri 1862. Atti X Congr. Se. It., p. 82. — Seguenza 1880. Mem. LE BULIM1NE E LE CASSIDULINE POSSILI D’ITALIA 209 r. Acc. Lincei, s. 3n, v. YI, p. 91, 151. — Coppi 1881. Paleont. Modenese, p. 132 ( Cassidulina ). Inseparabile, secondo Brady (Ckall., p. 429), dalla C. crassa di d’Orbigny. Nel miocene di Monte Gibio, nel pliocene di Svignano nel Modenese, rara (Coppi), del Senese in genere (0. Silvestri), comune (Jones e Parker), nell’ « elveziano » di Malocbia e nel «tortoniano» di Benestare in Calabria, rara (S e gire n za). puiictata Keuss. Seguenza 1880. Meni. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. YI, p. 65, 91, 151. — Cafici 1883. Ibidem, v. XIV, p. 85 ( Cassidulina ). Inseparabile, secondo Brady (Chall., p. 428), dalla C. lae- vigata di d’Orbigny. Nel «langkiano» di Stilo, nell’ «elveziano» di Benestare e di Malochia, rara, nel «tortoniano» di Benestare in Calabria, comunissima (Seguenza), e di Licodia Bubea in Sicilia, rara (Cafici). serrata Reuss. Fuchs 1878. Sitz. k. Ak. Wiss. Wien, v. LXXVII, p. 473. — Sacco 1889. Boll. Soc. Geol.. It., v. Vili, p. 308 ( Cassidulina ). Fuchs e Sacco citano una C. serrata di d’Orbigny, che non esiste. È probabilissimo che si tratti della C. serrata di Reuss, che è più precisamente una Ehrenbergina, illustrata anche da Brady (Oliali., p. 434, t. LV, f. 2-7). Nell’ «elveziano» di Sciolze presso Torino. Sicilia Seguenza 1862. Atti Acc. Gioenia Se. Nat., s.2a,v. XVIII, p. 109, t. I, f. 7 ( Cassidulina ). Inseparabile, secondo Brady (Chall., p. 428), dalla C. lae- vigata di d ’ 0 r b i g n y . Nel pleistocene dei dintorni di Catania, comunissima. subglobosa Brady. Terrigi 1891. Meni. r. Com. Geol. It., v. IV, p. 76, t. I, f. 31. — 1893. Rend. r. Acc. Lincei, s. 3a, v. II, p. 412. — Cerulli Ire Ili 1896. Riv. Abruzzese Se. Lett. Arti ( Cassidulina ). Illustrata da Brady (Chall., p. 430, t. LIV, f. 17). Nel pliocene di Roma e di Capo di Bove presso Roma, raris- sima (Terrigi), e di Castellalto nel Teramano (Cerulli). 17 Prospetto delle bulimine e delle cassiduline fossili d’Italia desunto dagl’indici precedenti. I. Il segno -+- indicala semplice presenza di una data specie; r, significa che la specie è rara; rr, che è rarissima; C, comune; cc, comunissima 210 C. FORN ASINI PLEISTO- CENE 'BT[TOTg *0 *0 . O *o i: . uiucdureQ + ■ + 5 6 w 0 0 H 04 'BlIIOTg « • u • s } £ UTiSna; - ozztuqy + OIZ'B'3 c cc c c e 'BHBOSOX • ‘v « • t t ° ~ Pilima c c rr c c c r 'Bip.TBqmorj cc rr c r r c cc C 1 'buu.ST'I £•£ } • « È e^nomeij 1 • + H % S 0 0 H § ctiujv ■euSapaug * * * * *o 'BlIIOTg £ 'Bijq^x'BO cv. . ^FUraa . o . . . o CV. opno^ eipjuqinor[ + 0CJ.UOUI0IJ • • -1 u OLIGO- CENE O^0H0^ UtjnSjrj CJ O o *o ■< E-i W ►—i P3 > H W t— i O w 0H C a K § t>s cj m W rS 8 J ? O 'b .03 5 s 03 s co SS c$ V* > ti o > > A p .co ÒX) bn H co A -d 5 bs * , à p bs 5 bs e bi) "co -o* cs *§ .§ JS "5 e » « * * •>s> co <2. O co o •o o o O * rO r2 ’ cS> S Ss CO P5 CO H co « •S co o S f 1 S) 8 0mpjotp oj0uraM tH CO ìO CD 00 Sì 10 rH tH 12 co tH rH rH LE BUL1MINE E LE CASSIDULINE FOSSILI D’iTALlA 2lÌ { t + + ° + ■ + T3 c$ &D J— ( cS c3 > rp a .5 ’S CD U o O e •I pi o O rp 6 rp O bs r5 5* Si o % ,p p -S « &D 15 m -S *§ >> 1—3 p w e "§ r^> C3 s § 3 a? W .g § § o J2 w A e o JS s O e £ « *p 5 'b « $ O co LE BUL1MINE E LE CASSIDULINE FOSSILI D ITALIA 213 C. FObNASINi 2l4 Non figurano nel prospetto precedente le forme citate come fossili in Italia in terreni più antichi degli oligocenici, poiché, fatta eccezione per un esemplare di Bulimina pyrula che Ma- riani ha potuto isolare nel calcare marnoso raibliano della Carmia occidentale, trattasi di determinazioni eseguite sopra sezioni sot- tili, e quindi specificamente o anche genericamente incerte. Tali sono : la Bolivina ? brevis Mar. di un altro calcare triasico, pure nella Carnia; la Bulimina intermedia Reuss e una Bu- limina sp.?, che lo stesso Mariani avrebbe osservate in un calcare liasico della Val Seriana ; una pretesa Bolivina , riscon- trata da Dervieux nel lias di Val di Nievole, e la Bulimina ovulum Reuss (— B. affini s d ’ 0 r b .), che Pantanelli disse ben conservata in un calcare cretaceo di Sicilia. Nè figura nel prospetto un’altra forma più recente: Bulimina pustolosa Costa, perchè è mal definita e perchè è dubbio il riferimento ad essa fatto da Seguenza. Per quel che concerne le località e i terreni, debbo poi ricoi- dare che nella regione « Liguria » intendo compreso il territorio di Nizza Marittima, che nella regione « Veneto » intendo com- preso il Tirolo meridionale, e che alla regione « Campania » intendo annessa l’isola d’Ischia. Suppongo inoltre che la marna di Casamicciola citata più volte da Costa sia coetanea di quella di Monte Buceto che V a n d e u B r o e c k dice pleistocenica, e considero « pleistocene » non già come sinonimo di pliocene re- centissimo, ma di postpliocene o quaternario inferiore, riferendovi il cosidetto piano «siciliano» che Seguenza ascrisse dapprima al pliocene, ma che egli stesso restituì poscia al quaternario. Al quale ultimo sono probabilmente da riferirsi anche gli strati conchigliferi dei dintorni di Palermo («thè shell-heds of Pa- lermo») che Jones e Parker riguardarono come terziari. Con- tinuo, infine, a considerare, sino a prova contraria, i cosidetti « trubi » o marne « zancleane » di Sicilia e di Calabria come depo- siti di mare profondo del pliocene, e reputo conveniente di lasciare per ora immutati tutti gli altri riferimenti che vennero fatti dai vari autori ai singoli piani del neogene. [ms. pres. 15 gennaio 1901 - ult. bozze 27 aprile 1901]. MISCELLANEA . DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE PER L’ANNO 1900 Comunicazioni fatte dal dott. Guido Bonauelli alla riunione di Acqui I. “Uberschiebungen,, (Q nelle Alpi. — In occasione delle ricerche geologiche da me eseguite nella scorsa estate lungo il sistema prealpino veneto, compreso tra la valle dellTsonzo e quella del Tagliamento, ho potuto verificare che alcune delle fratture-rigetti (faglie) già riscontrate dal prof. Taramelli in questa regione, quindi descritte o citate dal Futterer, dal Ma- rinelli, dal Teliini, hanno il valore e il significato tettonico di vere e proprie iperolistesi . a) Lungo la « frattura del Quarnan » che dalle Fonti di Godo presso Gemona risale il dosso meridionale del monte omo- nimo per discendere poi verso oriente, nel letto della Vedronza, il massiccio dolomitico del Trias sup. poggia direttamente sulla serie eocenica avendosi fra l’uno e l’altra una apparente con- cordanza. b) Identica appare la condizione della « frattura peria- driatica » (Taramelli) nella sua porzione orientale, fra la valle del Torre e la valle dellTsonzo, dalle sorgenti della Vedronza a Caporetto. Invece, nel tratto di questa frattura, compreso fra Gemona e l’alta Vedronza, passando pel Forador, si vedono le roccie basiche costituenti il versante settentrionale del Quarnan sormontate dalle dolomie triasiche del Chiampon. (*) (*) Ove si voglia sostituire a questo vocabolo un termine scienti- fico preso ilal greco, proporrei la parola iperolistesi da e 216 G. BONARELLI c) In Yal Pozzolonz le dolomie triasiclie del Monte Ledis passano sulla riva sinistra del torrente e ricoprono, con appa- rente concordanza, i calcari liasici del Monte Deneal, tino alla quota di 1210 metri, presso il Colle di Serie. Questa medesima frattura di Yal Pozzolonz si continua verso ovest lungo le falde settentrionali del Chiampon e del Cuel di Lanes; prosegue poi nel corso inferiore del E. Tapou e percorre tutta la Yalle di Musi fra il Monte Musi e il Malivarch (Gran Monte), risale quindi il Monte Starnaz e rimane a metà costa fra il crinale del monte Stol e la Valle dell’Isonzo per discendere nel letto di questo fiume fra Ternova e Caporetto. (A sua volta, nella bassa Yal Yenzonazza, a cominciare da Venzone, abbiamo una sinclinale molto stretta e rovesciata, come già fu descritta dal prof. Tarameli i, che si prolunga ad Est, verso la massa del Monte Canin, passando per Forca di Campidello e Sella di Carnizza, lungo le falde settentrionali del Monte Musi, del Monte Chila e del Monte Guarda. Lungo le falde meridionali di questo ultimo Monte, tra i calcari del Lias inferiore e le Dolomie triasiche si trovano intercalati altri calcari con grossi Megalodonti delTEttangiano e alcune marne calcareo-scistose nerastre, che potrebbero essere del Retico. Il corso superiore del Rio Uccea, dalla chiesuola di Carnizza, fin quasi ad Uccea, è scavato in queste Marne). A queste osservazioni credo utile aggiungere il confronto con altri casi consimili già riscontrati nelle Alpi centrali ed occidentali. 1° La « Paglia di Ganzo » e la « Paglia del Monte Bo- lettone », nel sistema giuraliassico della Brianza, descritte da me per la prima volta nel 1894 Q), vennero in seguito inter- pretate dallo Schmidt come vere e proprie « TJberschiébungen », ed in questo io convengo perfettamente con l’egregio geologo di Basilea, pur dubitando che le sezioni da lui pubblicate (2) al confronto con le mie (schematiche) abbiano alquanto esagerato il valore del fenomeno e non sieno del tutto esatte. (') Contrib. alla conosc. del giurai, lombardo. Atti R. Accad. delle Se. di Torino; voi. XXX. (-) Zur Geolog. der Alta Brianza. Compt.-rend. du Cong. géol. in- ternai; Zurich, 1894, pag. 503. MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE 217 2° Nel recente pregevolissimo studio degli ingegneri Bal- dacci e Franchi intorno alla Galleria del Colle, di Tenda Q) è dato un profilo in cui si vede ripetuto per ben due volte il fenomeno iperolistico per il quale la serie triasica (calcari dolo- mitici) e quindi la serie giurassica (scisti variegati e calcari) sormontano il Flysch eocenico. Tutti questi dati riferentisi alla condizione tettonica di re- gioni prealpine cosi distanti fra loro, mi inducono a ritenere che il fenomeno iperolistico occorra nelle Alpi assai più fre- quentemente di quanto finora siasi creduto e che a spiegare alcuni problemi di stratigrafia delle Alpi occidentali si possa invocare l’intervento di questo fenomeno. Così, per esempio, la posizione della « Zona dioritica eporediese » rispetto alle roccie cristallino-scistose fra le quali rimane compresa. II. Roccie porfiriticlie nei dintorni d’Ivrea. — Risalendo la strada che da Montalto Dora porta al Castello omonimo, a 30 metri circa più a nord del crocevia di S. Rocco, presso i « Calcari dolomitici » e nella serie degli « scisti ftanitici eco. » che ivi affiorano, mi fu dato riconoscere la presenza d’un limi- tato spuntone di roccia porfiritica. Alcuni campioni di questa roccia vennero da me inviati in esame all’egregio dott. C. Riva, il quale mi favorì in proposito le seguenti osservazioni: «La roccia è molto alterata... I cenni che Le comunico si riferi- » scono quindi ai campioni da Lei lasciati a Pavia, e non escludo che » esaminando della stessa roccia campioni migliori, più freschi, ne venga » modificata l’attuale determinazione. » Riferirei la roccia alle porfiriti effusive... Essa ricorda alquanto » alcune porfiriti della Val Sabbia le quali si trovano alla base del » Trias sup., come pure mi pare si avvicini ad altre rocce porfiriche » di Recoaro ed anche ad alcune facies di porfidi e porfiriti della Val » Caffaro, presso Bagolino. » La struttura è nettamente porfirica, e tra gli interclusi i soli an- » cura alquanto conservati sono quelli di plagioclasio, i quali vanno ri- » feriti a’ termini &e\Y Andesina. Forse qualche individuo è più acido (') Boll. R. Coni. geol. it., voi. XXXI, Roma, 1900, pag. 33. 18 218 G. BONARELLI » (Oligoclasio-andesina) . Questi cristalli di dimensioni variabilissime, » sono sovente rotti, frantumati, e i frammenti alquanto spostati e ri- » saldati da una sostanza sericitica che costituisce buona parte della » massa fondamentale. Questo fenomeno e la struttura generale della » roccia indicano azioni dinamiche da essa subite. » Di Ortose se ne osserva qualche scarso frammento; alcune larghe » ed irregolari plaghe, che si delimitano in modo indeciso dalla massa » fondamentale e che sono costituite da granuletti quarzosi, feldispatici, » da fibre sericitiche, da ossido di ferro, ecc., potrebbero forse essere » state originariamente costruite da feldispato alcalino, nel qual caso la » roccia si avvicinerebbe maggiormente ai porfidi, o almeno a quelle » varietà di porfidi ricchi, oltreché di feldispato alcalino, anche di fel- » dispato di calce e soda e di elementi colorati. Ma lo stato di conser- » vazione della roccia non permette di pronunciarsi in proposito. » Il Quarzo è abbondante, ma non forma interclusi primari ; occupa » plaghe irregolari, in granuli, unitamente agli ossidi di ferro, alla se- » ricite, ecc. Credo sia intieramente secondario. » Non vi è più traccia di elementi colorati, ma dall'abbondanza dei » prodotti ferriferi,... si può affermare che dovevano essere piuttoste » abbondanti. Talora qualche contorno fa pensare a forme amfiboliche, » ma non si può nè escludere nè affermare se originariamente fossero » biotite o pirosseno. » La massa fondamentale doveva essere prevalentemente feldispa- » tica, con microliti o squamette di componenti ferriferi. Nello stato » attuale è costituita da prodotti secondari: fibrille sericitiche, ossidi di » ferro, granuletti di quarzo, ecc. » (*). Non mi consta elie siasi finora fatto cenno di roccie porfi- ritiche nei dintorni d’Ivrea. Cosi, mentre mi propongo di ritor- nare sul luogo onde raccogliere altri campioni, credo intanto opportuno di render nota la mia scoperta, per la quale si ver- rebbe a riempire una certa lacuna topografica fra i « tufi por- tuàri dei colli di Baldissero » (2) e i « porfidi (« melafiri » auct.) del Biellese » (3), aumentando la possibilità che queste due for- mazioni si debbano ritenere in rapporto fra di loro (4). (‘) In data 13 settembre 1900. (2) Issel, Boll. Soc. geol. it., voi. XII, 1893, p. 255 e seg. (3) Baretti, Geol. della prov. di Torino, 1893, tip. Casanova, p. 157 e 166. (4) Il recente lavoro del Yan Horn (Tshermak’s Mineralog. u. Petrogr. Mitth., voi. XVII, Wien, 1898) si occupa esclusivamente delle roccie verdi eporediesi. MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE 219 Aggiungerò infine che al « Brio Toupin », un po’ più a nord del Castello di Montalto, si hanno roccie besimauditiche com- prese nella serie degli argilloschisti ftanitici ecc. III. Affioramenti cretacei nell’ Appennino settentrionale, — In base ad alcune ricerche da me praticate, nella scorsa sta- gione estiva, in varii punti dell’Appennino settentrionale, mi sembra di poter asserire quanto segue: 1° La delimitazione fra l’Eocene ed il Cretaceo in valle Scrivia ed in vai Polcevera, segnata dal prof. Sacco nella sua carta geologica dell’Appennino settentrionale (parte centrale) ('), è approssimativamente esatta. Gli argilloschisti e i psammoschisti plumbei di questa regione sono realmente del cretaceo, come lo proverebbero i fossili che vi si rinvengono (« Ammonite » di S. 01- cese (2); Eucoidi identiche a quelle cretacee dell’Appennino cen- trale e della Lombardia, ecc., ecc.), e sottostanno ai « Calcari marnosi ad Hélminthoida » (3), avendosi fra di loro un termine di passaggio rappresentato da un’esile formazione di marne sclii- stoidi policrome (piano della «Scaglia»), di cui si vedono af- fioramenti a Ronco, a S. Olcese, a Montoggio, ecc. 2° La valle Lavagna è una valle anticlinale (Sacco). Le roccie schistose che ne costituiscono il fondo sono pressoché identiche alle roccie cretacee della valle Polcevera e della valle Scrivia, così da invitarmi ad ammettere che anche queste sieno cretacee (Sacco). 3° Percorrendo la valle del Taro, mi fu dato stabilire con prove paleontologiche la età cretacea di alcune roccie schistose marnoso-arenacee in tre limitati affioramenti, dei quali farò, nei periodi che seguono, un breve cenno descrittivo. (*) la edizione (v. Boll. Soc. geol. it., voi. X; Roma, 1891). (*) Scoperta dal Pareto e più volte citata da altri autori. (3) Il prof. De Stefani {Le pieghe dell’App. seti. ; nel « Cosmos » di Guido Cora, voi. Il, fase. 5°, 1892), convinto che gli Argilloschisti e i Psammoschisti della vai Polcevera e della valle Scrivia sieno dell’Eocene superiore, immagina una piega rovesciata onde spiegare la loro sotto- stanza, rispetto ai « Calcari ad Hélminthoida » dell’Eocene medio-infe- riore. 220 G. BONARELLI a) Il primo affioramento ha per centro la stazione di Ostia. Emerge dalle roccie eoceniche che tutto intorno la circuiscono in forma di limitata elissoide diretta da NO a SE ed è tagliata, nel senso ortogonale a codesta direzione, dal corso del Taro. La superficie scoperta di questo affioramento ha la forma d’un trian- golo i cui vertici coincidono coi casolari di Testauello a nord, Magrano a SO e Beiforte a SE. La serie delle roccie schistose di questo affioramento si può suddividere in due diversi oriz- zonti litologici: la parte inferiore ha colore grigio-piombino lu- cente; nella parte superiore predomina il grigio giallastro. In questo ultimo orizzonte si raccolgono le stesse impronte di Cy- lindrites, Spyrophyton, ecc., caratteristiche della scaglia cinerea di Lombardia (parte superiore al piano di Brenno) e dell’Ap- pennino centrale. b) Il secondo affioramento ha per centro il punto di con- tinenza del Torrente Manebiolo con il fiume Taro a mezzo chi- lometro SO dalla stazione di Berceto. Anche questo affioramento ha la forma di un triangolo, due vertici del quale coincidono (a nord e a SO) con il letto del Taro, mentre il terzo (a SE) coincide coi letto del Manebiolo. Nel punto di questo affiora- mento, in cui la mulattiera che sale al villaggio di Preda si diparte dalla provinciale, si hanno grossi frammenti di arenarie micacee schistoidi grigio-piombine con impronte di Inocerami. Alcuni di questi fossili, che non mi riuscì di staccare dalla roccia, si trovano tuttora in posto. c) Il terzo affioramento è quello del Rio Vezzana (affluente destro del Taro fra le stazioni di Lesignano e di Citerna). Il Mulino Groppo si trova quasi al centro di questo assai limitato affioramento. 4° Nelle carte geologiche dell’ Appennino settentrionale pubblicate finora dal prof. Sacco (’), le « Argille scagliose » ch’io ritengo eoceniche e le roccie schistose (Argilloschisti, Marnoschisti (') L’ Appennino settentrionale (Parte centrale) (V. Boll. Soc. geo!, it., voi. X, 1891). L’ Appennino dell’ Emilia (v. Boll. Soc. geol. it., voi. XI, 1892). E Appennino della Romagna (v. Boll. Soc. geol. it., voi. XVIII, 1899). MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE 221 varicolori e Psammoschisti micacei) della Creta sono indicate con una stessa tinta e riferite tutte al Cretaceo essendoché il pro- fessor Sacco ritiene sincroni questi due diversi orizzonti. IV. Noduli argillosi pseudomorfì della pirite fibroso- raggiata, nei calcari alberesiformi dei dintorni di Borgo- taro. — A due km. circa dalla stazione di Borgataro, lungo la provinciale che conduce a Parma, ho trovato un blocco di calcare argilloso grigio-chiaro (dell’Eocene sup.) che presenta nel suo mezzo un sottile straterello, più argilloso e più scuro, in cui si trovano immersi numerosi e piccoli arnioni piritici. Alla periferia del blocco, laddove i suddetti arnioni subirono alterazione profonda, la sostanza piritica è stata sostituita, mo- lecola per molecola, da un materiale argilloso grigio e rossigno, il quale conserva la forma arrotondata e la struttura fibroso- raggiata della sostanza primitiva. Non mi consta che questo caso particolare di pseudomorfosi sia stato finora descritto. I campioni da me raccolti si conser- vano nel R.° Museo geologico di Torino. V. Sulla presenza dell’Oligocene nell’Umbria. — I depo- siti oligocenici dell’ Appennino settentrionale («Miocene inf. » degli aut. ant. ; « giovane macigno » di Doderl. [ex. p.) ; « Bor- midiano » di Pareto, Taram., Pantan. e Trab.; « Sestiano, T011- griano e Stampiano » di Sacco) si presentano nelle seguenti con- dizioni : — Fra Mondo vi e Voltaggio si appoggiano, in discordanza, alla « serie antica della Riviera di Ponente » e presentano i ca- ratteri distintivi d’ una formazione litorale. I materiali detri- tici che li costituiscono sono frammenti delle roccie verdi e cristalline della suddetta « serie antica ». — Fra Voltaggio e Monte Langonio (presso Rocchetta Li- gure), passando per il Monte Porale di Ronco e per Pietra Bis- sara, ai lati della Scrivia, si appoggiano, sempre in discordanza, agli schisti plumbei argilloso-marnosi ed arenaceo-micacei del 222 G. BONARELLI Cretaceo sup. e quindi alle roccie calcareo-marnose deirEocene inferiore e medio. Invece: — A partire dal Monte Langonio, volgendo verso NE, quasi tutti gli affioramenti oligocenici del Preappennino tortonese e vogherese (prevalentemente arenaceo-conglomeratiei) sovrastanno all’Eocene sup. (« argille scagliose e calcari alberesi » con pietre verdi ed altre roccie concomitanti) con un termine di passaggio rappresentato da pochi strati essenzialmente marnosi riferiti dal prof. Sacco al Bartoniano (1). — In queste ultime condizioni si trovano pure i limitati e sporadici affioramenti dell’alto Appennino emiliano, mentre le basse pendici di questo Appennino, verso la pianura padana, non ne presentano sicure traccie. (Tutti gli autori sarebbero con- cordi nel ritenere che parecchi giacimenti calcareo-marnoso-are- nacei di questa regione [Castelnuovo nei Monti, Pavullo, Montese Mte Yigese], riferiti dal prof. Sacco (2) al Tongriano, debbano invece riferirsi prevalentemente al Miocene, come lo dimostre- rebbero i fossili che vi si raccolgono con una certa frequenza). — Il giacimento oligocenico « di Borgataro » è già noto per il pregevolissimo studio fattone dal De Stefani (3). Io ritengo, per analogie litologiche, che altre masse arenacee costituenti alcune porzioni elevate dell’Appennino tosco-emiliano fra Bor- gotaro e Pontremoli debbano riferirsi aH’Oligocene. E ritengo pure che buona parte di certe cosidette « arenarie macigno » le quali in altri punti dell’Appennino settentrionale si vedono so- vrastare alle « argille scagliose », debbansi distinguere dal ma- cigno eocenico propriamente detto, e ritenere oligoceniche. — Seguo lo Scarabelli nel ritenere che le roccie arena- cee del Preappennino romagnolo riferite al « Tongriano » dal prof. Sacco (4) sieno in gran parte mioceniche, quantunque non voglia escludere con ciò la presenza di formazioni oligoceniche in quella parte dell’Appennino; così, il «macigno» della Valle (') Boll. Soc. geol. it., voi. X, 1891. (2) Boll. Soc. geol. it., voi. XI, 1892. (3) Boll. R. Com. geol. it., voi. XXVI, 1895, p. 205. (4) Boll. Soc. geol. it., voi. XVIII, 1899. MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE 223 Santerno (Imolese) fra S. Pietro ili Fiorenzuola e Castiglioncello- Monti potrebbe appartenere all’ Oligocene, giacche sembra su- periore alle « argille scagliose » (*). — Venendo al versante tirrenico deirAppennino settentrionale, esprimo primieramente il dubbio che certe arenarie della Toscana, le quali si vedono sovrastare alle « argille scagliose » e si vor- rebbero da alcuni autori collegare al macigno eocenico sottostante, immaginando contorcimenti e pieghe d’ogni risma e d’ogni conio, sieno invece oligoceniche. Ma di ciò intendo occuparmi con mag- giore dettaglio in altra circostanza. — - Ora mi affretterò a determinare i limiti e la estensione delle arenarie umbre ch’io ritengo d’età oligocenica. Esse inco- minciano fra Arezzo ed Anghiari, in Toscana, nel contrafforte appenninico che separa la Val di Chiana dall’alta valle del Te- vere, si proseguono verso SE costituendo buona parte dei Monti cortonesi e della regione compresa fra il bordo orientale del Trasimeno e i monti del Perugino, quindi si continuano a Sud per il Monterale, nell’Orvietano. Nel Perugino si vedono sovra- stare alle roccie eoceniche, e queste, alla lor volta, si vedono circuire le elissoidi mesozoiche dei monti Malbe, Tezio ed Acuto. Affioramenti limitati delle suddette arenarie si osservano nelle seguenti località: a ) presso Umbertide, a Nord di Perugia, dove costitui- scono una stretta zona, con direzione NO-SE, che dalla Valle del Niccone, passando pel monte Migianella viene a costituire il colle di Polgeto, dove termina bruscamente; h) al Monte Corona (pure presso Umbertide) di cui forma pure buona parte del versante N-E ; c ) nel Colle di Castiglione Ugolino allo sbocco della Nese e nel colle Torrazzone allo sbocco del Molinella, lungo la riva destra del Tevere, fra Monte Corona e Monte Tezio; d) nella « cresta della Fornace » a NE di Perugia (di- staccate per breve tratto, dalle arenarie di Monte Murlo, di Preggio e di Castel Rigone); (*) Boll. R. Com. geol. ita!., voi. XXX, 1899, p. 26 della Relaz. uffic. (escursioni del Zaccagna). 224 G. BONARELLI e ) nel poggio di Yalbiancara e nel Monte Paceiano a Nord di Perugia; f) nelle cime del Rentella, di Solomeo e di Mandoleto, (poco distanti dalle arenarie di Agello), ad Ovest del Monte Malbe ; g) nei dintorni di Pila (in mezzo al pliocene) e nella collina della Madonna del Monte sotto Yestricciano, a Sud di Perugia. Altri e più estesi affioramenti di queste arenarie oligoce- niche si hanno ad oriente di Perugia, fra la Yalle del Chiascio e la Val Topina, da Petrignagno d’Assisi alla vetta del Bel- vedere e da Giomici a Valfabbrica. Nè meno importanti ed estesi sono quelli che (a SE di Perugia) formano il Colle di Torgiano, il Colle di Bettona, il Monte Cinque Quercie sopra Deruta ed il crinale delle Civitelle fino a Gualdo Cattaneo, ad Ovest di Bevagna. La posizione stratigrafica di queste arenarie è sempre la medesima. Esse riposano sull’Eocene sup. Al limite tra le due formazioni si intercalano alle Arenarie alcuni calcari con num- muliti ed orbitoidi e poche falde marnoso-arenacee (Priaboniano?).. L’Eocene sup. (Bartoniano) è a sua volta formato da una serie di marne schistoidi galestrine e policrome ( « Scisti variegati » del Lotti), intercalate ad argilloschisti scagliosi, a calcari ar- gillosi alberesiformi e a straterelli diasprigni. Queste marne sono un rappresentante eteropico locale dell’Eocene superiore appen- ninico e soltanto in alcune limitate località del Perugino (Casa Gastalda verso Gualdo Tadino, Feriano presso Castel Iiigone, S. Vetturino presso Perugia, ecc.) cedono il posto alle roccie tipiche di questo piano («argille scagliose e calcari alberesi» con pietre verdi ed altre roccie concomitanti). E pertanto, la serie eogenica dell’Umbria settentrionale ri- sulterebbe costituita dai seguenti membri: Oligocene Arenaria grossolana (« Giovane macigno » ex p.) in po- ( tenti banchi. Priaboniano \ Porzione basale del « Giovane macigno » con interca- \ lazioni di calcari a mummuliti ed orbitoidi. MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE 225 2 s © © w ; « Argille scagliose e Calcari al- I (Eteropia locale): sup. ! beresi » con pietre verdi ed altre j Marne argillose schi- f roccie concomitanti. \ stoidi policrome. i Fìyscli prevalentem. marnoso con intercalazioni di medio i calcari arenacei e di arenarie schistoidi. — Molto po- tente. inf. Flysch prevalentem. marnoso-argilloso con rare in- ' tercalazioni di macigno e di calcari arenacei. — Esi- ( lissimo. Cretaceo sup. 1 — « Bisciaro » albe resi forme (Damano?). ( — « Scaglia » cinerea ( Senoniano sup.). Riguardo alla età delle « Marne schistoidi policrome » e delle sovrastanti arenarie oligoceniche, credo opportuno ricordare le seguenti opinioni: — Il Lotti (*) pone il tutto nell’Eocene superiore e ritiene che le « marne schistoidi policrome » sieno un equivalente sin- crono delle « argille scagliose ». Cita inoltre la presenza di num- muliti alla base delle arenarie « superiori » di Monte Murlo. Ma queste nummuliti sono di tipo oligocenico e priaboniano. Giova ora ricordare che il Lotti (2) colloca nell’Eocene (me- dio-inferiore) anche i calcari arenacei dell’ « Orizzonte a Pecten » ed i calcari dell’ « Orizzonte a Lucine » (3), i quali affiorano in molti punti dell’Umbria in discordanza contro le roccie eoce- niche. Forse il Lotti non rammenta di aver visitato in mia compagnia il «Masso di Schifanoia » (*) (dell’Orizzonte a Pe- cten ») e di averci riscontrato, compresi nella roccia calcareo- arenacea, numerosi ciottoli di pietre verdi, di diaspri e di cal- cari alberesi, le quali roccie, essendo dell’Eocene superiore, esclu- dono che 1’ « Orizzonte a Pecten » possa riferirsi all’Eocene in- feriore-medio. Rimane perciò la questione se 1’ « Orizzonte a Pecten » (e, aggiungo, quello a Lucine) sieno miocenici od oli- gocenici; questione tuttora discussa dagli autori. (■) Boll. R. Com. geol. it., voi. XXXI, 1900. (2) Op. cit., ecc. (3) Bonarelli G., Boll. Soc. geol. it., voi. XVIII, 1899, p. 487. (4) Bonarelli G., Boll. Soc. geol. it., voi. XVIII, 1899, p. 487. 226 G. BONARELLI Il Verri e il De Angelis (1), fuorviati a mio parere dalla inesatta interpretazione tettonica da loro attribuita ai giacimenti fossiliferi dell’ « Orizzonte a Pecten » e dell’ « Orizzonte a Lucine», come pure a certe « Marne a Pteropodi » riscontrate in parec- chie località dell’Umbria settentrionale, pongono nel Miocene medio tanto le roccie di codesti eteropici giacimenti fossiliferi quanto le roccie sottostanti e circonvicine, o apparentemente sovrastanti. Viceversa poi mantengono nell’Eocene queste ultime roccie ogni qual volta esse si trovano distanti dai suddetti gia- cimenti fossiliferi (2). Ma di ciò intendo occuparmi con maggiore diffusione in altra circostanza. Riguardo alla natura litologica della formazione oligocenica dirò che la roccia predominante è l’arenaria grossolana in po- tenti banchi, cui s’ intercalano frequentemente alcune falde mar- nose, altre di brecciole poligeniche e qualche strato conglome- ratico a grossi elementi. I famosi « ciottoli esotici » del Monte Deruta, illustrati recentemente dal De Angelis in una pregevo- lissima nota petrogratica (3), provengono dallo sfacelo di questi conglomerati. Essi costituiscono in complesso il solito ciottolame dei conglomerati oligocenici dell’ Appennino (4). Il cemento dei conglomerati e dell’arenaria grossolana è in prevalenza marnoso- ferruginoso; dalla loro disgregazione si origina un terreno agrario di poco spessore, ferruginoso-giallicio, silicifero, nel quale natu- ralmente prosperano le Eriche, il Corbezzolo, il Castagno ed il Cerro. Si può dire, quasi senza eccezione, che le plaghe oligo- ceniche dell’Umbria presentano sempre i caratteri esteriori del paesaggio collinoso prevalentemente boschivo e che i castagni e i corbezzoli si trovano nell’Umbria, salvo poche eccezioni («terre rosse silicifere» di Monte Malbe, ecc.), quasi soltanto in codeste plaghe oligoceniche, (castagneti dell’alta Valle tiberina, del Cor- ei Rendic. R. Accad. d. Lincei, ser. 5a, voi. Vili, 3 giugno 1899. Boll. Soc. geol. it., voi. XIX, 1800, p. 241 e seg. (2) Boll. Soc. geol. it., voi. XIX, 1900. (3) Rendic. R. Accad. dei Lincei, ser. 5a, voi. IX, 17 giugno 1900. (4) Quelli dell’ Appennino meridionale (Sannio, Avellino, dintorni del Vulture) sono già noti per i lavori del Verri, del Taramelli e del De Lorenzo citati dallo stesso De Angelis (op. cit.). MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE 227 tonese, del Trasimeno, eco.), mentre difficilmente allignano nei terreni eocenici. VI. Importanza di alcune impronte sulle superfìci degli strati. — Credo utile render noto clie nelle vicinanze di Gubbio, in due diverse località (Pagino di Salia e Strada privata di Petroia), ho trovato due belle impronte di Paìeodictyon dise- gnate nella superfìcie inferiore di banchi arenacei eocenici. Le condizioni stratigrafiche delle due indicate località escludono la possibilità di un locale rovesciamento della serie. Questa posizione dei Paìeodictyon nella superficie inferiore degli strati toglie valore alla opinione recentemente sostenuta dal prof. Sacco in merito alla natura di tali fossili (1). Q) Bull. Soc. belge de Géol. etc., voi. XIII; Bruxelles, 1899, pp. 1-12. — Il prof. Sacco ritiene che i Paìeodictyon sieno stati prodotti dalla semplice azione meccanica « du mouvement des ondes d’interference d’une masse d’eau... sur les fonds sablo-limneaux» (op. cit., pag. 12). A questo modo di vedere io non potrei sottoscrivermi per le seguenti considera- zioni : 1° Le impronte fisiche descritte dal prof. Sacco a confronto coi Paìeodictyon si osservano nei fondi limacciosi di fiumi e torrenti; i Pa- ìeodictyon invece si raccolgono in roccie esclusivamente talassogene. 2° Le suddette impronte si trovano impresse in materiali limac- ciosi, mai sabhioso-grossolani ; i Paìeodictyon invece sono generalmente impietriti in roccie arenacee, talune ad elementi assai grossolani. 3° Le suddette impronte hanno forma allungata, o subcircolare o poligona sempre irregolare, con poco risalto e variabili dimensioni; i Paìeodictyon invece sono reti esagone regolari e presentano dimensioni costanti. Alcune maglie di queste reti sporgono talora assai distinta- mente dalla roccia alla quale aderiscono. (Il più beH’esemplare, finora descritto, di Paìeodictyon, è certamente quello raccolto «dans un grès micacé [pietraforte] jurassique [Cretaceo V] de la Crimée, entre Aloupka et Yalta» e descritto da Eichwald nel 1866 [Letti, ross., II, p. 82, t. VII, fig. 12] col nome di Cephaìites maximus. Questa figura dell’Eichwald era sfuggita sinora agli studiosi di Paìeodictyon'). 4° Le forme « Batrachoides di Hitclicook » citate dal prof. Sacco (op. cit.) a confronto dei Paìeodictyon sono forme particolari di strut- tura di alcuni schisti siluriani d’America, dovute forse alla pressione che determinò la schistosità di quelle roccie ; esse interessano tutta la massa delle roccie che le presentano, per modo che rompendo dette roccie si 228 G. BONARELLI VII. Un (lente di Carcliarodon mostruoso per condi- zione patologica. — Questo dente mostruoso di Carcliarodon megalodon Ag. (v. fìg.) della collezione Canali (Libera Univer- Carcliarodon megalodon Ag. (Da fotografia del socio Ernesto Forma). ritrovano i « Batrachoides » in tutti i piani della loro scili sto sita ; i Pa- leodictyon invece sono una vera rete limitata alla superficie rocciosa cui si vedono aderire. 5° Aggiungo infine la scoperta di Paleodictyon aderenti alla su- perficie inferiore di strati arenacei. MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE 229 sità di Perugia) apparteneva con molta verosimiglianza alla serie dentaria d’una arcata mandibolare destra. Non mi consta che siasi per anco fatta menzione di defor- mità patologiche nei denti dei Selaci. L’esemplare che ora pre- sento è indicato nel catalogo della collezione di cui fa parte come proveniente da Todi (Umbria). Questo nome è pure scritto con inchiostro nella porzione media-anteriore della sua radice. Vili. Blocchi domeriani nelle “ argille scagliose „ (Capel- lini, ecc.) dell’ Appennino meridionale. — Negli « Appunti geo- logici sull’ Appennino fra Napoli e Foggia » l’ing. prof. Salmojra- ghi(1) cita, fra i giacimenti calcareo-cretacei, fossiliferi di quella regione, un affioramento di calcare « bianco giallognolo, compatto, semicristallino » nella località detta « Regione Pignataro », a SE di Ariano-Puglia, presso lo spartiacque appenninico alle sor- genti dell’Edera. E scrive (2): «Il calcare è forato da litofagi » e contiene oltre rudiste anche cefalopodi (Ammoniti) e bra- » chiopodi cretacei. Quivi però, non essendosi praticati scavi, » non fu possibile accertare se trattasi di reali affiorimenti che » spuntano sotto le argille [« scagliose »] o di massi erratici » Ho espresso il dubbio che trattasi di massi erratici, perchè » una dispersione erratica di calcare ippuritico ebbe luogo real- » mente nella zona di cui ci occupiamo ». E più avanti (3): «Trovai i calcari... forati dai litofagi. Quelli della Regione » Pignataro mostrano tuttora la conchiglia che fu determinata » dall’ing. Spreafico per Lithodomus lithophagus (L.). Natural- » mente la perforazione è avvenimento posteriore alla sedimen- » tazione delle roccie perforate ». Il prof. Parona ebbe recentemente in comunicazione il ma- teriale cretaceo raccolto dal Salraojraghi nei dintorni di Ariano- Puglia, durante i lavori per la ferrovia Foggia-Napoli. Facevano parte di questo materiale anche i fossili del calcare suddetto della Regione Pignataro, i quali, in realtà, non sono cretacei, (>) Boll. Com. geol. it., voi. XII, 1881, pag. 96. (2) Op. cit., pag. 100. (3) Op. cit., pag. 106. 230 G. BONARELLI ma Massici, e più precisamente del Lias medio, come risulta dal seguente elenco delle forme finora determinate: Spiriferina rostrata (Schlot, » obtusa Opp. » f. ind. Bhynchonella Briseìs Gemm. » serrata (Sow.) » gr. tetraedro (Sow.) Terebratula fimbrioides E. Desl. Turbo gr. Orion d’ORB. Scurriopsis f. ind. Serpula filaria Gldf. Nautilus f. f. Phylloceras Zetes (d’ORB.) » frondosum (Reyn.) » liebertinum ? (Reyn.) Pecten Stoliczlaì Gemm. » f. ind. » velatus Gldf. Avicola gr. inaequivalvis Opp. Cardinia f. ind. Trochus gr. Aegion d’ORB. » Nesea (d’ORB.) Eucyclus alpinus Stol. Bliacopliyllites eximius (Hau.) » libertus Gemm. Ampliiceras gr. aegoceroides Gemm. » falcidila Mgh. Harpoceras gr. Kurrianum (Opp.) Arieticeras gr. algovianum (Opp.) » f. ind. » f. ind. Il merito di questa scoperta è tutto del prof. Parona. Io non feci altro che provvedere alla determinazione delle varie forme di ammonidee indicate nel soprascritto elenco. Ringrazio viva- mente il prof. Parona di avermi affidato tale lavoro, nonché l’incarico di pubblicarne oggi i risultati. Il rinvenimento di fossili medioliassici nella Campania be- neventana è in verità di non lieve importanza in quanto esso accenna alla possibilità che alcune formazioni calcaree le quali costituiscono quella porzione dell’Appennino meridionale, deb- bansi riferire al Lias medio e collegare ai calcari medioliassici dell’Alta Valle del Sangro (x), contemporanei a quelli del Monte Circeo (2) e di Gaeta (3). Non meno importanti mi sembrano le condizioni di giacitura del blocco calcareo domeriano della Regione Pignataro, in quanto (*) (*) Cassetti M., Boll. R. Com. geol. it., voi. XXVIII, Roma, 1897, pag. 349. (2) Viola C., Il M. Circeo in prov. di Poma. Boll. R. Com. geol, it., voi. XXVII, Roma, 1896, pag. 168. (3) Cassetti M., Boll. R. Com. geol. it., voi. XXVII, Roma, 1896, pag. 37. MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE 231 dimostrerebbero che nello studio, specialmente paleontologico, delle « argille scagliose » o d’altre roccie simili (‘), si deve pro- cedere con molta cautela, trattandosi di formazione che per la sua plasticità può andare soggetta a continuo « rimestamento » (Salmojraghi) e nella quale perciò possono venire inglobati fram- menti di roccie e fossili di vari altri terreni (5). Nel caso spe- ciale del blocco calcareo della Regione Pignataro, la sua condi- zione erratica potrebbe datare dal pliocene come fa sospettare la circostanza ch’esso è perforato da Litodomi. IX. Una questione di cronologia stratigrafìca. — Avendo partecipato al Congresso geologico internazionale di Parigi, ho avuto occasione di assistere alla seduta (18 agosto 1900) nella quale il prof. Zittel comunicò all’Assemblea il « Rapport de la Commission internationale de classifìcation stratigraphique » redatto dal prof. Renevier. Tale rapporto sarà inserito a suo tempo negli Atti di quel Congresso. Con una frase molto felice il prof. Bertrand constatò, seduta stante, che in quel rapporto la Commissione presieduta dal Re- nevier non ha saputo far altro che proporre, di decisivo, la sop- pressione di tre nomi: Primario, Secondario, Terziario, destinati a scomparire dal vocabolario geologico per cedere il posto ai termini Paleozoico, Mesozoico, Cenozoico. (') Molte cosidette «argille scagliose» dei dintorni di Ariano-Puglia sono piuttosto marnoschisti scagliosi policromi con « pietraforte » (Cap.) e con fossili del Cretaceo sup. (vedi Capellini - Cenni geolog. sulle Valli (JélVUfita, del Calore e del Cervaro. Mem. R. Acc. d. Se. di Bologna, ser. II, voi. II, 1869). (2) L’ammonite raccolta nelle «argille scagliose» di Ranzano (vedi Sacco Contrib. à la connaìs. paléont. des argil. écaill. Bull. d. 1. Soc. belge de géol., etc., voi. VII; Bruxelles, 1893, pag. 22, tav. II, fig. 2 [copia], si riconosce a prima vista per un tipico Hildoceras (?) boscense. (Reyn.) del Domeriano. Va annoverato fra i numerosi fossili erratici d’età diversissime raccolti in varie riprese nelle « argille scagliose ». Esso spiega in parte, se non giustifica, la discrepanza degli autori nella determinazione cronologica di queste roccie. 232 Gr. BONARELLI Oso aggiungere, per mio conto, esser mia ferma convinzione che i geologi, specialmente italiani, difficilmente si addatteranno a seguire i criteri di Tassonomia stratigrafica favoreggiati dalla suddetta Commissione, tra i quali osservo, ad esempio, che si vorrebbe comprendere il Quaternario nell’Era cenozoica, divi- dendo quest’Era in due soli periodi: Terzìar... ico e Modem... ico, per modo che le suddivisioni del Terziarico (Eocene, Oligocene, Miocene, Pliocene) equivarrebbero a suddivisioni di periodi (come Eocambrico, Mesocarbonico, Neocretacico) e sarebbe in tal guisa falsato il primitivo significato di tutte queste parole, a comin- ciare dal termine « Cenozoico », con grave sfregio ad uno dei comma fondamentali di classificazione stratigrafica. [ms. pres. 13 febbraio 1901 - ult. bozze 30 maggio 1901]. SOPRA ALCUNE LAVE ALTERATE DI YITLC ANELLO Nota del dott. Luigi Colomba I. E noto come nell’isola di Vulcano abbondino le lave alte- rate in seguito ad azioni dovute a fumarole; di esse se ne tro- vano tanto nel complesso gruppo craterico di Vulcano, quanto in quello molto meno sviluppato di Vulcanello. Però, mentre numerose osservazioni vennero compiute su queste alterazioni, e specialmente sui prodotti da esse risultanti per quanto riguarda i crateri di Vulcano, e fra gli osservatori basta ricordare, oltre ai nomi di Spallanzani (*) e di Dolomieu (2), quelli di Stromeyer (3), Saint-Claire-Deville ( 4 ), Cossa (5), non mi consta •che alcuno si sia occupato degli analoghi prodotti d’alterazione delle lave di Vulcanello: solo vi accenna di sfuggita Bergeat (fl), (*) Viaqaio alle Bue Sicilie, ecc. Pavia, MDCOXCV. Tomo II, Ca- pitoli XIII e XIV. (2) Voyage aux Iles de Lipari en 1781, ecc. Paris, MDCCLXXXIII. (3) Untersuchungen uber die Mischung der Mineral-Uòrper und an- deren damit venvandten Substanzen ; Untersuchungen des in der Gegend voti Clausthal rorlcommenden Selenblei nebst einer JSfotiz darauf der Insci Vulcano vorlcomniende Schwefelselen. Pogg. Ann., Voi. 2, p. 410. C) Lettres à 31. Elie de Beaumont sur les phénomènes éruptifs de V Italie meridionale. Comp.-Rend. de l’Acad. des Sciences, XLIII (1856), p. 681. (5) Bicerche chimiche e microscopiche su roccie e minerali d'Italia : Allume potassico dell’isola di Vulcano. Torino, 1881, p. 208. (6) Voti den Aeolischen Inselli. Abhandl. d. Math. Physik. Classe, der K. Bay. Akademie der Wissensch. XX Bd., I (Miinchen, 1899) p. 196-202. 234 L. COLOMBA Siccome ebbi occasione durante la gita compiutasi all’isola di Vulcano, nella primavera scorsa, di raccogliere una certa quantità di questi prodotti di alterazione provenienti da lave di Vulcancllo, credetti opportuno di sottoporli ad esame, allo scopo di stabilire se il tipo dell’alterazione fosse paragonabile a quello delle lave di Vulcano. I campioni da me raccolti provengono da alcune lave su- perficiali die si incontrano salendo da casa Narlian direttamente verso la sommità di Vulcanello, a mezz’altezza circa dell’in- tero cono; queste lave appaiono immediatamente sotto ai tufi ed alle ceneri vulcaniche costituenti il rivestimento più esterno del cono stesso. Presentano una struttura notevolmente caver- nosa essendo i vani costituiti da bolle di varia dimensione, ma sempre sferiche o sferoidali; notandosi quindi una sensibile dif- ferenza fra di essi e le lave sane circostanti, nelle quali, pur non essendo esse meno cavernose, i vani hanno generalmente una forma schiacciata od allungata. La cavernosità delle lave alterate da me raccolte, non è però uniforme in ogni punto, e da quanto mi fu dato eli osser- vare essa è molto più spiccata nelle parti esterne che non in quelle interne, dove la roccia assume una struttura più com- patta. II grado d’alterazione di queste lave è molto avanzato e non mancano dei punti nei quali esse sono ridotte in fram- menti anche molto minuti, quasi in polvere; sono colorate in bianco gialliccio presentando talvolta, ma solo localmente, delle colorazioni rossiccie, dovute alla presenza di incrostazioni super- ficiali di ematite terrosa. Disseminati nella roccia, allo stato porfirico, si osservano abbondanti cristalli prismatici che al pari della roccia presen- tano esternamente una tinta bianca o gialliccia; la loro forma caratteristica è sufficiente per indicare come essi siano di au- gite essendo la loro tinta biancastra, dovuta al fatto della loro totale alterazione; essi presentano le comuni forme 100, 110, 111, 010. Malgrado l’alterazione, le loro faccie sono perfettamente lu- cide e senza traccia alcuna di corrosione; l’unica differenza strut- turale notevole è la facilità che hanno di rompersi parallela- SOPRA ALCUNE LAVE ALTERATE DI VULCANELLO 235 mente ai piani 110 di sfaldatura. Le dimensioni di questi cri- stalli sono assai variabili e mentre non sono rari quelli aventi una lunghezza di 4 o 5 millimetri, non mancandone di quelli che giungono quasi ad un centimetro, se ne hanno pure di quelli, per nulla rari, la cui lunghezza non giunge al millimetro e questi generalmente sono più sottili. Si hanno pure degli altri cristalli tabulari allo stato porti- rico ; sono essi meno comuni e si presentano foggiati a losanga con una tinta bianca ; sono molto friabili e sebbene non presen- tino caratteri distintivi molto marcati, essendo aneli’ essi comple- tamente alterati, li riferisco a feldspato. Oltre a queste due specie minerali che sono elementi essen- ziali delle roccie alterate, altri se ne osservano la cui forma- zione deve ammettersi come inerente al processo d’ alterazione subito dalla roccia. Sono essi il solfo, il gesso ed il caolino. Il solfo occupa molti dei vani della roccia; trovasi impian- tato in essi sotto forma di minutissimi cristalli di abito molto variabile, essendo talvolta costituiti appena dall’ottaedro 111 e tal’altra invece ricchissimi di faccie, le quali però sono gene- ralmente curve ed inadatte a misure goniometriche; più rara- mente questo solfo si presenta in aggregati di cristalli che assu- mono un aspetto di vere dendriti cristalline arborescenti. Il gesso si presenta in minute incrostazioni cristalline che rivestono molti dei vani della roccia; in condizioni analoghe di giacitura trovasi il caolino pure sotto forma di incrostazioni terrose. II. Nelle sezioni microscopiche la massa della roccia alterata mantiene la sua tinta bianco-gialliccia; spesso si presenta opaca e quando non lo è completamente si manifesta perfettamente isotropa; sebbene sovente manchi ogni indizio della preesistenza d’una massa fondamentale totalmente o parzialmente cristallina, tuttavia è possibile in alcune sezioni di osservare ancora la pre- senza di numerosi microliti, pure completamente alterati, i quali però non dovevano, quando la lava era sana, costituire da soli 236 L. COLOMBA la totalità della massa della roccia stessa, ma dovevano bensì essere disseminati in una massa vetrosa. Si può quindi ammet- tere che la roccia allo stato sano non possedesse una massa com- pletamente olocristallina ma invece fosse parzialmente vetrosa, struttura questa comune nelle circostanti lave di Vulcanello. Non mi fu però possibile in alcun modo di stabilire se tutti i microliti fossero da considerarsi come riferibili solo a feldi- spato o se pure dovessero in parte riferirsi ad augite, mancando assolutamente ogni carattere utilizzabile per tale diagnosi in causa della completa loro alterazione. L’aspetto bolloso della roccia appare più sensibile ancora che non osservando i frammenti ad occhio nudo, poiché si nota come oltre ai grandi vani, se ne abbia una grandissima quan- tità di altri microscopici o quasi e quindi tali da sfuggire fa- cilmente ad una osservazione macroscopica: questi vani non sono sempre vuoti avendo in alcune sezioni osservato come molti di essi, specialmente quelli di dimensioni minori,' fossero ri- pieni d’una sostanza Éal l’aspetto opalescente, semitrasparente ed isotropa. Porfiricamente disseminati si hanno i cristalli di augite e di feldispato. Dalle sezioni sottili di quelli di augite risulta come essi, sebbene anche neH’intemo siano completamente alterati non lasciando più scorgere in nessun punto delle parti ancora sane, tuttavia, mentre superficialmente presentano un aspetto relativa- mente omogeneo, nell’ interno invece appaiono costituiti da un alternarsi di plaghe colorate in giallo bruno di limonite, o di zone bianche disposte le une e le altre parallelamente all’al- lungamento dei cristalli. Questa differenza di aspetto fra le parti esterne e quelle in- terne, dipende dal fatto che sebbene l’alterazione sia stata com- pleta in ogni parte del cristallo, nelle parti superficiali e lungo le linee di sfaldatura, alle quali appunto corrispondono le pla- ghe bianche, si ebbe anche l’esportazione d’una parte degli ele- menti che inizialmente entravano a costituire i cristalli stessi. La sostanza bianca di cui sono formati i cristalli di au- gite, differisce da quella che costituisce la massa della roccia perchè si presenta debolmente birifrangente ; e ciò che v’ha di notevole si è che l’estinzione di queste plaghe birifrangenti non SOPRA ALCUNE LAVE ALTERATE DI VULCANELLO 237 si manifesta ondulata, ma avviene invece parallelamente all’al- lung'amento dei cristalli. I cristalli di feldispato mancano di ogni carattere utile non solo per stabilire a quale specie debba riferirsi, ma anche per determinare che realmente si tratti di feldispato; e se mi fu dato di accertare la vera natura dei cristalli stessi, ciò dipese più che altro dall’analogia che essi presentavano con altri cri- stalli di feldispato plagioclasico osservati nelle parti sane di al- cune delle roccie circostanti. Come dissi, sono tabulari e proba- bilmente la faccia di maggior sviluppo corrisponde alla 010: hanno, al pari di quelli di augite, delle dimensioni piuttosto variabili essendo quelli più voluminosi lunghi oltre ad un cen- timetro per una larghezza di poco inferiore e quelli più piccoli, lunghi poco più di due o tre millimetri. Essendo completa l’alterazione, manca ogni traccia di gemi- nazione polisintetica, e nelle sezioni si osserva semplicemente una sostanza subtrasparente, bianca, completamente isotropa, e nella quale stanno disseminati senza ordine alcuno numerosi grumi d’una sostanza bianca ed opaca. III. Dai saggi chimici compiuti su queste lave alterate si ricava come esse siano essenzialmente costituite da silice idrata a cui si aggiungono in piccole quantità alcune basi e precisamente il ferro allo stato di sesquiossido, l’allumina, la calce e la soda. Infatti, avendo ridotto in polvere finissima alcuni frammenti della roccia esaminata ed avendo in seguito trattata questa pol- vere con acido fluoridrico puro, dopo aver eliminato totalmente il solfo mediante il solfuro di carbonio, osservai che la sostanza volatilizzava in massima parte lasciando un tenue residuo, nel quale constatai con certezza la presenza dell’allumina, del ferro e della calce. Queste reazioni apparivano più evidenti impiegando certi frammenti che non impiegandone altri ; il che dimostra come, malgrado l’aspetto uniforme della roccia alterata, essa non abbia per nulla una composizione omogenea, cosa pure confermata dalla 238 L. COLOMBA determinazione degli elementi volatili che mi diedero dei valori oscillanti tra 10,41 e 14,67 °/0. Sebbene si possa, in base ai sopraindicati risultati, ammet- tere cbe le lave alterate siano, come già si disse, essenzialmente costituite da silice idrata, tuttavia non si deve credere che tutti gli elementi volatili siano esclusivamente rappresentati da acqua combinata colla silice, poiché si hanno in esse altre sostanze capaci di volatilizzare completamente o parzialmente, anche fa- cendo astrazione dall’acqua contenuta nella limonite che incrosta in alcuni punti le lave alterate. Infatti, avendo scaldato in un tubo chiuso una certa quan- tità di polvere ottenuta dalla roccia, ebbi dei vapori fortemente acidi; essi sono quasi esclusivamente dovuti alla presenza di acido solforico libero, poiché, avendo trattato una porzione di polvere lungamente con acqua distillata a caldo, ebbi una so- luzione che aveva forte reazione acida e che, a parte alcune traccie di acido cloridrico appena sensibili, svelava solo la pre- senza dell’acido solforico, deirallumina con poco ferro e della calce. All’analisi spettroscopica la soluzione stessa, dopo essere stata lungamente trattata con cloruro ammonico, allo scopo di tras- formare i solfati in cloruri, diede esclusivamente le reazioni del calcio e del sodio, potendosi in tal modo escludere che si abbia, al pari di quanto osservò A. Cossa (' ) nei prodotti d’alterazione delle lave di Vulcano, la presenza di allumi contenenti cesio e rubidio ed escludendo pure la presenza del tallio. La polvere della roccia che era stata trattata con acqua distillata a caldo fino a che non desse più traccia di reazione acida venne disaggregata con acido fluoridrico e volatilizzò quasi completamente essendo contenute nel residuo esclusivamente l’al- lumina e la calce; la prima è certamente dovuta alle piccole quantità di caolino contenute nelle cavità della lava alterata e la seconda dipendendo, da quanto mi fu dato di osservare, da un residuo di gesso che non era stato completamente disciolto. Dal complesso di questi saggi appare evidente che 1 altera- zione subita dalle lave di Vulcanello è perfettamente analoga (*) (*) Loc. cit. SOPRA ALCUNE LAVE ALTERATE DI VULCANELLO ‘239 a quella delle lave dei Faraglioni a cui accennò A. Cossa (*), essendo essa certamente dovuta ad emanazioni solforose. Credo però, dati i caratteri che presenta la roccia alterata, che l’alterazione sia incominciata per opera di emanazioni con- temporanee alla consolidazione della roccia e non posteriori; infatti, confrontando la roccia alterata con quelle circostanti sane ed aventi uguale giacitura, si notano delle differenze nelle ri- spettive strutture, differenze che, a parer mio, si potrebbero perfettamente spiegare, ammettendo che l’alterazione sia dovuta a fumarole attive durante il deposito stesso della roccia. Come già dissi, il tipo delle cavità nella roccia alterata differisce notevolmente da quello che le stesse cavità mostrano nelle roccie sane circostanti, anche in quelle più superficiali, mancando loro quella forma allungata e schiacciata che si os- serva in queste; forma che si può spiegare, tenendo conto del fatto, che in una lava anche quando sia cessato il periodo del movimento in massa, tuttavia è possibile, almeno fino a quando solo si ha una crosta superficiale ben consolidata, che nelle parti interne dove la lava stessa ancora si mantiene a temperatura elevata e quindi se non fluida almeno pastosa, si abbiano dei movimenti che abbiano per effetto di deformare i vani che si produssero, tendendo essi ad allungarsi nel senso del movimento ed a schiacciarsi per effetto della contrazione di volume subita in seguito al progressivo consolidarsi delle parti più superficiali della colata ed al diminuire della tensione dei vapori e dei gaz in essi contenuti. Ora, se si suppone che un processo d’alterazione venga a manifestarsi su una lava già consolidata, a parte la trasforma- zione ed anche la scomparsa di taluni dei suoi elementi, non ci sarebbe motivo alcuno perchè si modifichi la struttura della roccia ed il tipo delle cavità che essa presenta, per cui la loro forma si dovrebbe mantenere uguale, tanto nelle parti sane, quanto in quelle alterate. Se invece l’alterazione si iniziasse durante il periodo di con- solidamento della roccia e questa tendesse a trasformarsi, per effetto dell’alterazione stessa, in una sostanza meno fusibile del (') Loc. cit. 240 L. COLOMBA magma sano iniziale della roccia stessa, verrebbe per questo fatto arrestato il suo movimento e verrebbero pure a mancare le deformazioni delle cavità, il che appunto si verifica nelle lave alterate di Vulcanello da me esaminate. Essendo la roccia considerata complessivamente, costituita in massima parte da silice idrata, lo stesso deve dirsi dei cristalli pseudomorti di augite e di feldispato, che pure alterati, si os- servano diffusi porfiricamente in essa; avendo però potuto se- parare dei cristalli dei due minerali, ho compiuto su di essi alcuni saggi chimici di cui qui riporto i risultati. Alcuni cristalli di augite vennero ridotti in finissima polvere e scaldati lungamente al rosso scuro in un crogiuolo di platino; si ebbe una perdita di peso corrispondente al 5,38 °/0 rappre- sentante gli elementi volatili contenuti nell’augite stessa. In un’altra determinazione ottenni una quantità molto mag- giore pari a 8,43 °/0. La sostanza usata per questa seconda determinazione fu poscia disaggregata con carbonato sodico potassico ed analizzata nel modo solito ; da essa ottenni : . Riunendo a questi valori la quantità trovata per gli elementi volatili, si giunge ad una somma complessiva pari a 98,42, che presenta cioè una differenza in meno certamente non trascura- bile; essa non deve però considerarsi come dovuta ad errori di osservazione, ma bensì dipende dalla presenza nell’augite di sostanze che parzialmente non furono dosate. Invero, avendo trattato, analogamente a quanto feci per la roccia, un’altra porzione di sostanza ridotta in polvere finissima IV. Si 0., Al* 03 Fe2 03 CaO 85, 75 tr 3,26 0, 98 SOPRA ALCUNE LAVE ALTERATE DI VULCANELLO 241 con acqua distillata, ottenni una soluzione che dava nettamente le reazioni dell’acido solforico e della calce; e siccome la so- stanza, dopo tale trattamento e per ulteriore disaggregazione con acido fluoridrico, si manifestò assolutamente priva di calce, conchiusi che tutta la calce fosse allo stato di solfato, sotto forma di gesso per cui occorre di aggiungere ai valori otte- nuti 1,40% rappresentante la quantità di anidride solforica necessaria per saturare 0, 98 di Ca 0. Inoltre la soluzione ottenuta coll’acqua distillata presentava reazione acida dovuta alla presenza di acido solforico libero, e siccome esso dovette al pari dell’acqua associata al solfato calcico nel gesso e di quella associata al sesquiossido di ferro nella limo- nite, volatilizzare durante il riscaldamento al caler rosso della sostanza impiegata per l’analisi, così la cifra 8,43 °/0 che rap- presenta il complesso* degli elementi volatili non deve già con- siderarsi come esclusivamente costituita dall’ acqua combinata colla silice che in prevalenza rappresenta il prodotto d’altera- zione dell’augite, ma bensì come derivante dalla somma di que- st’acqua con quella associata al solfato calcico ed al sesquios- sido di ferro e coll’acido solforico libero; per cui riassumendo si ha per l’augite alterata la seguente composizione centesimale: Si 02 85, 75 Al, 03 tr Fe, 0., 3, 26 CaO 0,98 S 03 combinata 1,40 H2 0 (combinata colla silice, col solfato i calcico e col sesquiossido di ferro) ■■ 8,43 S 03 libera ) 99, 82 L’esistenza d’ima debole birifrazione nelle plaghe non inqui- nate da limonite dei cristalli di augite alterata, lascia il dubbio che la silice debba in essa considerarsi piuttosto allo stato di calcedonia che non di opale. È bensì vero che generalmente la calcedonia si può riconoscere dalle opali non assolutamente iso- tropo, per il fatto che in esse si osserva una struttura fibrosa caratteristica, cosa che nel caso mio non ho notato; però osservo 242 L. COLOMBA come, da quanto dissi, le plaghe 1 (infrangenti non presentino quelle estinzioni ondulate ed indecise proprie delle sostanze che allo stato amorfo sono birifrangenti per effetto di azioni meccaniche, come appunto avviene nell’opale, ma bensì abbiano una estin- zione netta e parallela all’asse di allungamento dei cristalli, il che farebbe supporre la presenza d’una vera individualità cri- stallina nella silice che le costituisce. Tuttavia la quantità di elementi volatili in essa contenuti è troppo rilevante per poter ammettere che sia da considerarsi come esclusivamente formata da calcedonia, poiché anche fa - cendo astrazione dalle piccole quantità indeterminate di acido solforico libero, e dall’acqua associata al solfato calcico ed al sesquiossido di ferro, nell’ ipotesi più favorevole si avrebbe sempre per l’acqua combinata colla silice una quantità non inferiore al 7 °/0, valore troppo elevato per la calcedonia. Per cui è forse più logico ammettere che nell’augite si abbia una miscela di opale e calcedonia; e che ciò realmente sia, lo si può desumere dal fatto osservato da me in varie sezioni di cristalli di augite alterata, cristalli nei quali si osservavano, oltre alle plaghe bian- che birifrangenti, anche altre plaghe bianche isotrope dovute queste certamente ad opale. Y. I cristalli di feldispato alterato sono più ricchi in elementi volatili e meno ricchi in silice; ridotti in polvere e scaldati al calor rosso, analogamente a quanto feci per la augite, ottenni una perdita di peso corrispondente a 15,01 0/0> disaggregata po- scia la sostanza con carbonato sodico potassico, ottenni: Si 0, 74,93 Al2 03 5,29 Fe2 03 tr Ca 0 1,11 valori questi che sommati agli elementi volatili porterebbero ap- pena ad un totale di 96,34. SOTRA ALCUNE LAVE ALTERATE DI VULCANELLO 243 Anche in questo caso potei constatare come le basi fossero parzialmente o totalmente allo stato di composti solubili; la so- luzione ottenuta trattando alcuni cristalli ridotti in polvere, me- diante acqua distillata, rivelò la presenza di acido solforico li- bero e combinato, dell’allumina, della calce e della soda. Ma però, mentre al pari di quanto notai nell’augite, la rea- zione della calce veniva completamente a mancare nella sostanza costituente i cristalli di feldispato dopo averla trattata con acqua, indicando in tal modo come tutta la calce fosse allo stato di solfato, ciò non avveniva per l’ allumina, la cui presenza potei ancora constatare in seguito disaggregando la sostanza residua con acido fluoridrico. Il che mi persuase che l’allumina, oltre a trovarsi allo stato di solfato probabilmente associata alla soda per costituire del- l’allume sodico, si trovi pure allo stato di caolino ed anzi a questo caolino sarebbero precisamente dovuti i grumi bianchi ed opachi che, come dissi, si osservano abbastanza numerosi nelle sezioni dei cristalli alterati di feldispato. Se si volesse, anche in questo caso, esprimere con una mag- giore precisione la composizione centesimale dei cristalli, la cosa presenterebbe delle difficoltà molto maggiori che non per l’an- gite, poiché in causa specialmente del fatto che l’allume si de- compone parzialmente quando viene scaldato a temperatura ele- vata, riescirebbe impossibile lo stabilire, solo fondandosi sui risultati da me ottenuti, in quali proporzioni l’allumina sia contenuta allo stato di silicato ed allo stato di solfato. Per il che, non avendo potuto, in causa della scarsità della sostanza che era a mia disposizione, fare altri saggi analitici, mi limito a stabilire in generale la seguente composizione cen- tesimale : Si 02 (libera e combinata) 74, 93 A1.2 03 (allo stato di caolino e di solfato) 5,29 Fe, 03 tr Ca 0 1,11 S 03 (combinata colla calce) 1,58 Elementi volatili 15,01 Sostanze non dosate 2,08 100,00 244 L. COLOMBA ritenendo inglobati negli elementi volatili l’acqua combinata colla silice, col solfato calcico e coll’allume, e l’acido solforico libero e derivante dalla parziale decomposizione dell’allume, ed indi- cando col nome di sostanze non dosate la soda contenuta nel- l’allume e l’acido solforico ancora combinato coll’allumina. Il fatto poi del completo isotropismo dei cristalli alterati di feldispato, non lascia dubbio alcuno che in esso la silice sia allo stato di opale, cosa del resto pure confermata dall’elevata quantità di acqua in essi trovata. VI. Non tutte le lave alterate che si trovano a Vulcanello pre- sentano uno stadio di alterazione tanto avanzato quanto quello a cui ho dianzi accennato; cosa questa che, del resto, si nota pure nelle lave alterate del gruppo craterico di Vulcano, come si può osservare alla Forgia Vecchia, dove le ossidiane sono al- terate in caolino. Si hanno infatti a Vulcanello delle lave nelle quali, mentre alcuni elementi appaiono inalterati, gli altri si presentano meno alterati che non nelle lave sopra indicate ; tale è il caso della leucitobasanite studiata da Bàckstròm (x) e che si osserva negli strati inferiori di Vulcanello. Dove questa roccia è alterata, ed in questo caso occorre di ammettere che l’alterazione sia stata posteriore alla consolida- zione della roccia, essa appare trasformata in una massa bianca, friabile, costituita da caolino, nella quale i cristalli di augite si presentano affatto inalterati. Nelle sezioni microscopiche si os- serya ancora meglio questo fatto, poiché mentre l’augite è per- fettamente inalterata, invece il feldispato sia della massa fon- damentale, sia porfirico appare trasformato in caolino, pur es- sendo ancora perfettamente visibile la struttura microlitica della roccia stessa. Ed anzi si può ammettere che il feldispato por- ti rico sia più facile ad alterarsi clic non quello della massa fon- (') Geol. Fòren. ; Stockhotm, Forliandl. XVIII (1896), p. 155. SOPRA ALCUNE LAVE ALTERATE DI VULCANELLO 245 (lamentale, poiché si osserva come in alcuni punti in cui la massa della roccia è ancora sana, già i cristalli di feldispato porfirico siano torbidi e biancastri. Questo tipo di alterazione così differente da quello prima da me esaminato, potrebbe dipendere dall’essere l’alterazione stessa dovuta ad una causa differente ; fra le emanazioni secondarie del vulcanismo essendo anche compreso l’ acido carbonico, po- trebbe questo considerarsi come causa della caolinizzazione della leucitobasanite suindicata. Credo però che ciò sia difficile ad ammettersi, poiché avendo, analogamente a quanto feci per le altre lave, trattato alcuni frammenti della detta roccia alterata ridotti in polvere con acqua distillata, ottenni pure le reazioni dell’acido solforico, dell’allumina e della calce, avendo pure la soluzione una debole reazione acida dovuta ad acido solforico libero. A maggior ragione potrebbe forse questo processo di caoli- nizzazione considerarsi come un primo stadio di alterazione, a cui ne seguirebbe un secondo, per effetto del quale la massa in- tera della roccia si ridurrebbe a pura silice idrata. Basterebbe per ciò che l’ acido solforoso, e quindi il solforico proveniente dalla ossidazione del primo, fossero capaci di dar luogo, agendo sui feldispati, a fenomeni di alterazione che passando per di- versi gradi giungessero fino alla loro totale decomposizione. Invero, ciò ammesso, si potrebbe in un primo tempo sup- porre che, per effetto di emanazioni solforose, vengano eliminati gli alcali del feldispato allo stato di solfati alcalini, avendosi la trasformazione del feldispato stesso in caolino e che poscia questo caolino, per ulteriore azione delle emanazioni solforose, tenda a decomporsi ancora, dando luogo, in ultimo, a silice idrata ed a solfato di allumina che in presenza alle soluzioni dei solfati alcalini derivanti dal primo stadio dell’alterazione in altri punti della roccia, verrebbe a costituire degli allumi; in pari tempo, anche gli altri elementi più resistenti, come Bau- gite, sarebbero decomposti. E forse in questo modo si potrebbe spiegare il fatto da me osservato nelle lave a cui ho precedentemente accennato, cioè che mentre il feldispato è trasformato in vera opale, l’augite invece sembra trasformata piuttosto in un miscuglio di opale 246 L. COLOMBA e calcedonia; poiché, mentre si comprenderebbe facilmente come da un idrosilicato quale è il caolino, si possa avere per alte- razione della silice idrata, anche in seguito ad emanazioni sec- che e calde, sarebbe invece perfettamente logico che queste stesse emanazioni agendo su un silicato anidro come l’angite, dessero luogo a silice molto meno idrata, potendosi pure in certo modo escludere la possibilità di una comparsa di silice anidra per il fatto che le emanazioni vulcaniche secondarie contengono sempre del vapor d’acqua. I risultati da me ottenuti da queste mie osservazioni sulle precitate lave di Vulcanello non mi permettono per ora di sta- bilire se realmente la produzione di solfati, in seguito all’azione dell’acido solforico sulle lave, debba considerarsi come l’effetto d’una reazione unica, o se pure si possa ammettere l'ipotesi a cui ho prima accennato. Su questo argomento mi riservo di ritornare in seguito. Istituto Mineralogico della R. Università di Torino. [ras. pres. 13 febbraio 1901 - alt. bozze 26 maggio 1901]. IL PALAEOPYIHON SARI) US Fort. NUOVO PITON1DE DEL MIOCENE MEDIO DELLA SARDEGNA Nota del dott. Alessandro Portis Fra gli avanzi di vertebrati fossili della Sardegna, comuni- catimi in istudio dal cliiar. prof. Domenico Lovisato, uno ve mera da lui specialmente raccomandato alla mia attenzione e che accompagna vasi coll’etichetta seguente: «Mascellina di ret- tile (forse prossimo agli Spìiaenodonti?). Calcare argilloso della base di Monte Albu (Dosa)» (J). L’esame sommario al qual sottoposi questo resto mi fece subito avvertito che i denti di cui esso era munito erano infissi su alveoli, e che per conseguenza conveniva pria d’ogni altra cosa escludere qualsiasi analogia tra il fossile ed i Rltyncliocephalia ; tutti (e per conseguenza la famiglia degli Splienodontidae in quest’ordine compresa) essendo invece chiaramente acrodonti. Vagheggiai poi per qualche tempo, per apparenze di struttura esterna dell’osso (che poi non furono giustificate quando addi- venni ad un esame un po’ più accurato), di accostarlo a qual- cuna delle famiglie di pesci che comprendono generi tecodonti^ ma una più attenta osservazione e l’autorevole parere dell’amico e collega prof. F. Bassani mi distolsero da quella idea : Ed al- lora, dopo aver un per uno vagliati i pochi caratteri che riuscivo a ricavar dall’osservazione dell’avanzo, venni metodicamente ad esser condotto sulla buona via e ad accertare la reale pertinenza del frammento in discorso di nuovo alla classe dei rettili, ma ad (') Il calcare argilloso di cui si parla nell’etichetta é, dal Lovisato secondo informazioni da lui favoritemi contemporaneamente alla comu- nicazione dei fossili, attribuito allo Elveziano medio. 248 A. PORTIS un ordine diverso da quel che il Lovisato mi aveva indicato, a quello cioè degli Ophidia. È noto ai paleontologi quanto misera sia la messe di avanzi fossili attribuibili ad Olìdii che si potè metter insieme da ter- reni di qualsiasi età, in qualsiasi parte del mondo. È noto come, corrispondentemente a tale miseria, sia meschina la bibliografia relativa a questa sezione paleozoologica, e come da essa risulti che tutti gli avanzi fossili di Ofidii (da 30 a 40 specie in tutto) appartengano, salvo forse due o tre casi per fossili della creta superiore, a piani diversi dei terreni terziarii dell’India, dell’A- merica settentrionale e più di tutti dell’Europa. È noto pure che quasi tutte queste specie di Ofidii fossili non son conosciute e descritte e comparate che dietro rinvenimenti di poche o molte vertebre, mentre rarissimi sono i casi in cui siansi rinvenute ed illustrate reliquie riferentisi allo scheletro cefalico. Anche (piando ciò avvenne, non si ebbero davanti che rami mandibolari staccati, come a Kumi (isola di Eubea) (*), od al Quercy (2); e, soltanto per qualche minor colubride e viperide, è avvenuto di trovare presso Oeningen (3) od a Eott presso Bonn (4) di rinvenir cranii più o men schiacciati o difettosi in relazione con tratte abbastanza lunghe dello scheletro vertebrale. In Italia il tesoro complessivo di avanzi fossili di Ofidii si riduceva a quelle poche vertebre conservate nel museo di Firenze (') RoemerF., Ueber Python Enho'icus, eine fossile Riesensclilange aus tertiàrem Kalkscìiiefer von Kumi auf cìer Insel Euboea. Zeitsclift. d. Deutsch. Geol. Gesell., Bd. 22, S. 582-590, T. 13. Berlin, in-8°, 1870. (-) Filhol H., Recherches sur les Pliospliorites du Quercy ; étude des fossiles qu’on y rencontre et spécialement des Mammif'eres. Paris, in-8n, pag. 1-561, pi. I-LY (Y. pag. 490-3, pi. LIII-LIV) 1870. De Rocliebrune A. T., Faune opliiologique des Phosphorites da Quercy. Extr. in-4° d. Mém. d. la Soc. d. Se. Natur. de Saóne-et-Loire, tome 5. Cbalon-sur-Saóne, 1884 (pag. 1-16, pi. I-II). (3) Meyer v. H., Zur Fauna der Vorwelt. Fossile Sàugethiere, Voegel und Reptilien aus dem Molasse-Mergel von Oeningen. Frankfurt am Main, in-folio, 1845, pag. 1-52, Taf. 1-12 (V. pag. 40-43, Taf. 6, fig. 2 ; Taf. 7, fig. 1; Taf. 2, fig. 5; Taf. 2, fig. 4; Taf. 3, fig. 3). 0) Meyer v. H., Coluber (Tropidonotus?) atavus aus der Braunkohle des Siebengebirges. Palaeontographica, Bd. VII, S. 232-240, Taf. 25. Cassel, in-4°, 1860. IL PALAEOPYTHON SARDUS PORT. 249 e provenienti dalla località denominata « il Tasso », Yaldarno, che io descrissi nel 1890 ('), e ad avanzi del Bolca sui quali è ancor viva la contestazione di pertinenza fra gli Ofidii ed i Pesci Murenidi; e questo era il tutto. Il piccolo fossile di Bosa porta a due il numero dei rinvenimenti fin qui accertati di Ofidii fossili nella nostra terra ; e, malgrado la sua modesta mole ed apparenza, non la cede per importanza all’avanzo ofidiano val- darnese. Infatti le dieci o dodici vertebre del Tasso apparten- gono ad un Coluber e non son che vertebre, mentre il fossile di Bosa appartiene ad un grosso Python e ne rappresenta por- zione considerevole del Palato -pterigoideo de- stro ; è quindi il primo ed unico rappresentante di un osso facciale ofi- diano che si sia fin qui rinvenuto allo stato fos- sile e che appartenga ai megaofidii. L’osso fossile in que- stione che ho presentato in proporzione lineare 1X2 nelle due acco- stanti figure (2) è un frammento di un pezzo il quale doveva essere stato conservato nella roccia con dimensioni maggiori ; e dal quale si staccarono ed anda- rono smarrite parti all’epoca del rinvenimento e del distacco dalla roccia stessa che gli serviva di letto. Attualmente è una lama ossea di 22 min. di lunghezza, alquanto inarcuata sovratutto (*) (*) Portis A., I rettili pliocenici del Vomarno superiore e di alcune altre località plioceniche di Toscana. Firenze, 1890, gr. in-8° di 32 pagg. e 2 tavv. doppie (Y. a pag. 23 e tav. 1, fig. 8-11). (2) La figura a destra del lettore presenta il frammento visto obli- quamente sulla faccia inferiore ed interna: La figura a sinistra ce lo presenta pure obliquamente sulla faccia inferiore ed esterna : Estremità distale in alto. 20 2E0 A. PORT1S verso il mezzo del suo percorso. Ha uno spessore dallo indentro allo infuori, massimo verso il terzo inferiore di sua altezza, di 4 millimetri; ed, in rispondenza della regione di massimo spes- sore presenta sulla faccia esterna una cresta longitudinale che limita due faccie esterne piano-convesse: una, fortemente obli- quante allo ingiù verso il bordo alveolare; altra, un po’ meno rapida nella sua obliquazione in alto, conduce, con occupazione di due terzi della superficie esterna, al bordo superiore dell’esem- plare; bordo molto sottile e tagliente, continuo ed orizzontale per i tre quinti anteriori del frammento, poi ascendente in un poco elevato processo per l’articolazione al post-frontale, dopo del quale ridiscende al ed oltre il livello di prima. La super- ficie interna dell’osso è tutta a sezione verticale debolmente convessa per una altezza media dell’osso di 7 millimetri. Il bordo inferiore dell’osso è munito di denti. Nessuno di essi è intatto, tutti son consumati sin presso od addirittura fino al bordo alveolare. 'Quelli conservati di più non ne sporgono che per quasi due millimetri, e sono i due posteriori. Se ne contano otto ed, allo avanti di tutti, il vuoto cilindroconico pseudoalveolo di un nono. Sono diseguali per mole, così che i sei primi di cui scorgesi la porzione radicale hanno un diametro di circa 2 mm., mentre i due posteriori più sporgenti hanno un diametro di circa tre. E probabile, date le dimensioni del vuoto pseudoal- veolo anteriore, che il dente su di esso allegato fosse pur di dimen- sioni pari ai due denti maggiori più allo indietro collocati. La profondità sondabile di questo alveolo dal margine interno discendente allo ingiù assai più dello esterno tocca e supera i 3 mm. I denti erano allo esterno lisci e lucenti, conici; verso il bordo alveolare interno appaiono alquanto prismoidi. Il penul- timo, il più grosso e sporgente di tutti, ha invece sulla faccia esterna presso al bordo alveolare una cavità conica (resa più evidente da locai ritrarsi del margine alveolare esterno) che pe- netra fino al centro od asse del dente stesso, e che interpreto più come una carie od altra manifestazione precorritrice della caduta e sostituzione dell’organo stesso, che come fatto organico destinato a dar passaggio ad un condotto da una ghiandola velenifera annidata sopra o nella gengiva esterna. Infatti il carattere si ripete, benché in proporzione minore, anche sull’ul- IL PALAEOPYTHON SARDUS PORI’. 251 timo posterior dente visibile del frammento; e, benché entrambi in sezione appaiano cavi, tuttavia questa apparenza, grazie alla quale essi risulterebbero a prima vista costituiti da una parte esterna di smalto comprendente una cavità polpare di metà dia- metro, non è reale ; la regione centrale del dente essendo occu- pata da dentina a maglie abbastanza larghe, quindi molto più attaccabile da azioni meccaniche e chimiche e quindi deprimen- tesi e consumantesi con molta maggior rapidità della parete d’attorno più dura: Ciò che, con un po’ di preparazione attra- verso la roccia aderentevi, scorgesi negli stessi due maggiori denti, ciò che con un po’ di attenzione vedesi anche sugli altri sei denti minori allo stesso modo costituiti. Aggiungo infine che tutti i denti appaiono inserti non completamente normali all’asse longitudinale della mascella, ma con leggerissima obliquità allo indietro, obliquità che forse veniva resa in vita più apparente con incurvatura pure allo indietro di ciascun dente. Le poche ossa mandibolari dentate di Ofidii fossili che si conoscono e che ho citate mostrano tutte i loro denti integri o quasi. Qui, noi invece abbiamo a far con denti consumati fino alla radice. È un fatto questo che si può spiegar con due ra- gioni: l’una, che l’osso dentato che abbiam davanti spettando non più alla mandibola ma alla volta palatina, si facesse sentir mag- giormente contro ai denti che la guarniscono l’attrito e l’urto delle parti dure delle grosse prede ingoiate dallo animale ; l’altra che sapendo noi provenir questo avanzo di animale terrestre da un deposito marino, dobbiamo assegnare un grande coefficiente nelle corrosioni che su di esso osserviamo agli attriti ed urti provati dallo avanzo nel tempo decorso dalla morte dell’individuo o dal suo distacco da esso alla sua sepoltura nel sedimento in cui fu conservato, e per conseguenza non creder che tutte le modifi- cazioni che mostra le avesse sopportate in vita. Comunque, l’avanzo che abbiam davanti, malgrado il piccol numero di caratteri (') che da esso possiam desumere, non può esser ravvicinato che ai Pythonidae (distinti per maggior numero (') Precisamente per il piccolo numero di caratteri offerti da questo fossile ne condussi lo studio in confronto colla Odontography di R. Owen, London 8° 1840-45 (V. Text, pag. 218-225-238; Atlas, pi. 65-65 B) e 252 A. P0RTIS di denti (e questi inseriti, oltreché sulle mandibole e mascelle, anche sulle ossa vomerine, palatine, pterigoidee ed intermascellari) dai Boidae pei quali i denti sono infissi sulle sole mandibolari e mascellari). La sua mole ci fa arguire ad un pitone assai mag- giore di quelli che lasciarono lor mandibole al Quercy o di quello di cui abbiamo una colonna vertebrale ed una mandibola da Kumi. Noi abbiamo davanti l’avanzo di un bel serpente, di un gigante davanti ai Python di oggidì e misurante parecchi metri di lunghezza. Ho già accennato incidentalmente come il terreno dal quale tale avanzo proviene sia un sedimento marino assegnato dal Lovisato allo Elveziano medio. Non credo opportuno, stante la peculiarità, sotto qualsiasi punto di vista, dello avanzo, entrar, sulla base di esso, in discussioni o conclusioni sull’età del de- posito stesso che lo conteneva; tanto più che i pitonidi fossili fin qui conosciuti (a parte i Symoliophis cretacei) possono tanto bene trovarsi in terreni eocenici, come le vertebre descritte dal- l’Owen (*) o dal Cope (2); quanto in terreni oligocenici, come i già ricordati avanzi del Quercy; quanto in terreni miocenici, come i pur ricordati avanzi di Kumi; quanto in terreni plio- cenici e postpliocenici, come alcune reliquie da parti diverse del- l’India (3); fino a rinvenir nell’India orientale stessa avanzi sub- fossili del vivente Python molurus (Linn.) Gray. Occorre soltanto distinguere questa importante reliquia con un nuovo nome specifico non essendo dessa, per la natura sua, con un bel cranio preparato di Python molurus (Linn.) Gray., avuto in comunicazione dal collega Prof. A. Carruccio al cjuale perciò rendo vi vissime grazie. (') Owen R., Monograph of thè fossil reptilia of thè London Clay; Part 2, Crocodilia and Ophidia. London, 1849, in-4°, pag. 1-70, pi. 1-16, Palaeontograpliical Society (V. pag. 51-70, tav. 13-16). (2) Cope E. D., Tertiary vertebrata, Book I. Rep. o. th. U. St. Geol. Surv. by Hayden, voi. Ili, 1884, pag. 1-1010, pi. 1-75, in-4°, Washington (V. pag. 102-3, t. 23, fig. 17-18; pag. 730-32. t. 24 fig. 2; pag. 781-86, tav. 60, fig. 21, tav. 58 a, fig. 7-15). (3) Lydekker R. (Palaeontologia indica, Ser. X, Indian tertiary and Post tertiary Vertebrata, voi. Ili, parte 7-8), Siwalik Crocodilia, Lacer- tilia and Ophidia, and tertiary Fishes. Calcutta, gr. in-4°, pag. 209-264, pi. 28-37, 1886 (V. pag. 236-38, tav. 35). IL PALAEOPYTHON SARDUS PORT. 253 comparabile con alcuna delle precedentemente conosciute. Come la maggior parte dei meglio conosciuti avanzi descritti come di Python vennero dal Rochebrune (‘) raccolti nel suo nuovo genere Palaeopython, non avendo io mezzi per accertarmi che fossero sulle vertebre del Pitone di Bosa presenti i caratteri che indus- sero il Rochebrune stesso a distinguerne l’ Heteropython, attri- buisco tal Pitone al maggiore e più conosciuto primo genere no- minato; e, dalla Sardegna d’onde proviene, propongo di appellarlo: Palaeopython sardus. [ms. pres. 18 febbraio 1901 - ult. bozze 21 maggio 1901]. (l) Rochebrune A. F. (de), Bevision des Ophidiens fossiles, Nouv. Ar- chives du Musée d’hist. nat. de Paris , 2me sér., voi. Ili, in-4°, Paris, 1880. I PESCI POSSILI DELLA PEOY. DI REGGIO (Calabria) CITATI DAL PROF. G. SEGUENZA (') Nota di Luigi Seguenza fu G. Possedendo la maggior parte delle specie fossili di pesci terziarii della provincia di Reggio (Calabria), esistenti nella collezione del fu Prof. G. Seguenza, colle indicazioni autogra- fiche del medesimo, e considerando le numerose relazioni che passano fra molti strati e fossili delle formazioni reggine con quelli del Messinese, mi è sembrato interessante di passare in rassegna i fossili da me posseduti e riordinarli secondo i cri- terii da me espressi nella monografia dei pesci fossili in Mes- sina (2). Quanto agli esemplari menzionati da G. Seguenza come esistenti nella collezione dell’Istituto tecnico di Reggio (Ca- labria), ho potuto accertarmi che non vi si trovano più, come pure andò dispersa la collezione privata del Dott. M. De Mejà da Siderno, citata più volte dal medesimo autore. Ciò nonper- tanto mi sarà facile, almeno per alcune di dette forme, de- durre la esatta determinazione, conoscendo i criterii adoperati dal detto autore, per averli a fondo studiati su esemplari eguali e di sincronia giacitura del Messinese. Non è qui il luogo di discutere la precisa età di questi pochi fossili; mi basterà solo ricordare che i varii strati accen- nati da G. Seguenza dal Tongriano all’Elveziano dovranno pro- babilmente riunirsi al miocene medio, meno il lembo di Folco ( *) Seguenza G., Le formazioni terziarie ' nella Provincia di Peggio (Calabria), Atti dell’Acc. dei Lincei, Memorie, voi. VI, ser. III. Roma, 1879-80. (2) Seguenza L., I Vertebrati fossili delia Provincia di Messina. Parte prima: Pesci. Boll, della Soc. Geolog. ital., voi. XIX, 3. Roma, 1900. 1 PESCI FOSSILI DELLA PROV. DI REGGIO 255 che va riunito al Tortoniano, mentre resta intatto il Miocene superiore (Tortoniano) e le varie assise del Pliocene nelle quali furono rinvenuti i pesci. Ciò posto, passo alla descrizione delle singole specie, ordi- nandole sotto i nomi che mi è sembrato meglio confarsi ad esse, indicando come sinonimia le varie determinazioni date da G. Seguenza colle indicazioni strati grafi che dallo stesso ac- cennate. Oxyrhìna hastalis Agassiz. Oxyrhìna xyphodon Ag. - Seguenza G., Forvi, terz. di Reggio, pag. 40, » Desorii » Desorii Ag.- Ag. ■ » xypliodon Ag. • » hastalis Ag. • » trigonodon Ag. » xyphodon Ag. ■ » tumidula Costa - Lamna crassidens Ag. - Oxyrhìna hastalis Ag. - (Tongriano). » loc. cit., pag. 40, (Tongriano). » » » 49, (Aquitaniano) non pag. 247. » » » 49, (Aquitaniano). » » » 72, (Elveziano). » » » 72, (Elveziano). » » » 72, (Elveziano). » » » 72, (Elveziano). » » » 73, (Elveziano) non pag. 247. » » » 183, (Zancleano). hastalis - Seguenza L., I Vert. foss., p. I, pag. 484 (46) e seg. Riunisco sotto questa unica determinazione tutti i denti cennati con i varii nomi predetti e provenienti dal Miocene e Pliocene di Reggio (Calabria). I denti determinati col loro vero nome ( Ox . hastalis ) sono due: uno d’essi assai danneggiato proviene dal miocene, e l’altro ben conservato, meno la radice che manca, è pliocenico; entrambi presentano i caratteri dei denti laterali inferiori. Quanto agli altri sono riferibili alle seguenti posizioni : Ox. xyphodon, denti anteriori superiori; Ox. Desorii denti anteriori inferiori; Ox. trigonodon , denti laterali superiori; Ox. tumidula , denti inferiori posteriori. Tutti questi denti sono di dimensioni più o meno rilevanti, dal che si deduce essere appartenenti ad individui adulti; qualche dente anteriore inferiore di giovane individuo raccolto nelle sabbie mioceniche è cennato come L. crassidens, da non con- 256 !.. SEGUENZA FU G. fondersi con L. crassidens citata come raccolta nel pliocene e che appartiene con sicurezza ad Ox. Spallanzanii Bon., come ap- presso dirò. Tutte le forme sono egualissime a quelle del Messinese e e da ciò ne derivano le identiche determinazioni date da GL Se- guenza. Rispondono tutti completamente ai caratteri di Ox. bastali* Ag. La radice manca sempre. Miocene medio - Sabbie e calcari: Palmi, Capo delle Armi. Malochio. Pliocene - Sabbie: Terreti, S. Agata. Oxyrhina crassa Agassiz. Oxyrhina crassa Ag. - Seguenza G., Form. terz. di Peggio, peg. 40, (Tongriano). » » Ag. - » toc. cit., pag. 72, (Elveziano). Non ho potuto vedere nessuno dei due esemplari menzionati da GL Seguenza; però nella breve descrizione che Egli ne dà, è presumibile che si tratti veramente di Ox. crassa Ag. D’altro canto ho potuto vedere nel libretto di escursione di mio Padre l’abbozzo di un disegno rappresentante l’esemplare posseduto dal Dott. De Mojà di Siderno e menzionato come Ox. crassa , e mi sono accorto che esso risponde quasi esattamente ai tipi della specie di Agassiz. Ciononpertanto riporto tale determinazione con riserbo trat- tandosi di esemplari che non ho visti. Miocene medio - Sabbie: Ardore, Agnana. Oxyrhina Spallanzanii Bonaparte. Oxyrhina Desorii Ag. - Seguenza G., Form. terz. di Peggio, pag. 247, Astiano, non pagg. 40 e 49. Lavina crassidens Ag. - » loc. cit., pag. 185, (Zancleano). » » Ag. - » » » 247, (Astiano) non pag. 73. Oxyrliina Spallanzanii - Seguenza L., I Vert. foss., p. I, Pesci, pag. 488 (50) e seg. 1 PESCI FOSSILI DELLA PROV. DI REGGIO 267 Di questa specie pochissimi denti sono stati rinvenuti nei dintorni di Reggio (Calabria) mentre è comune nel Messinese. Le stesse osservazioni da me fatte per i denti di Ox. Spal- lanzanii Bon. di Messina vanno anche per quelli di Reggio (Calabria). Infatti, l’ esemplare determinato come L. crassidens del- l’Astiano è un dente anteriore-inferiore di individuo di media età; quelli dello zancleano sono quattro denti di individuo di età quasi uguale al precedente; di essi uno è anteriore-infe- riore sinistro, due anteriori-superiori di destra ed uno anteriore- superiore di sinistra. I denti cennati come Ox. Desorii, sono tutti anteriori-supe- riori, meno l’esemplare completo di Riace che è laterale-infe- riore. AH’infuori di quest’ ultimo, mancano tutti di radice. Pliocene - Sabbie: S. Agata, Gallina, Riace, dintorni di Reggio. Odontaspis cuspidata Agassiz. Odontaspis dulia Ag. - Seguenza G., Le Form. Terz. di Reggio, pag. 72 (Elveziano) non pag. 99. » cuspidata - L. Seguenza, I Vert. foss., p. I, pag. 494 (56) e seg. Anche questa specie tanto comune a Messina, ha nel Reg- giano qualche raro esemplare nel Miocene di Folco. Io possiedo di tale località cinque denti riferibili a questa specie: uno anteriore-inferiore è il solo ben conservato; gli altri quattro che appartengono alla mascella superiore hanno lo smalto calcinato. Nulla presentano di anormale da richiamare l’attenzione. Credo meglio riferirli a Od. cuspidata anziché a Od. dulia , che del resto sono sinonimi, essendo la prima denominazione più in uso. Miocene superiore - Sabbie: Folco. Odontaspis contortidens Agassiz. Odontaspis dulia Ag. - Seguenza G., Le Form. terz. di Reggio, pag. 99, (Tortoniano) non pag. 73. » contortidens Ag. - Seguenza L., I Vert. foss., p. I, Pesci, pag. 497 (59) e seg. 258 L. SEGUENZA FU G. Il dente menzionato dal Prof. G. Sequenza, fu determinato dal sig. E. Lawley del quale conservo l’etichetta autografa in- sieme al fossile. Osservando però attentamente questo unico esemplare, mi accorgo che esso va riferito ad Od. contortidens anziché ad Od. dubia; esso ha infatti la faccia interna percorsa per quasi tutta l’altezza da sottili strie che s’intersecano sovente come tante venirne; alla base della faccia esterna esiste una breve e ben distinta piega; il dente nell’assieme è acuto e flessuoso; la ra- dice ed i coni laterali mancano. Esso appartiene alla parte anteriore destra della mascella inferiore. Miocene superiore - Argille: Benestare. Carcharodon megalodon Agassiz. Carcharodon megalodon Ag. vai . siculo Gemili. - Sequenza G., Le Form. terz. di Leggio, pag. 39, (Tongriano). » » » var. subauriculatus Ag. - Seguenza G., loe. cit., pag. 40, (Tongriano). » » Ag. - Seguenza G., loc. cit., pag. 49, (Aquitaniano). » rectidens Ag. - » » » 49, (Aquitaniano). » productus Ag. - » » » 72, (Elveziano). » megalodon Ag. Seguenza L., I Vert. foss., part. I, Pesci, pag. 503 (65) e seg. Questa specie è rappresentata da denti somigliantissimi a quelli dell’Elveziano di Patti e Nizza nel Messinese da me de- scritti. A Car. rectidens venne riferito un dente anteriore-inferiore di Car. megalodon, ed a Car. productus furono rapportati varii denti posteriori e quindi piccoli, appiattiti e poco spessi, della medesima specie. I denti esattamente determinati, come Car. megalodon e sue varietà, sono quelli di maggiori dimensioni, molto spessi ed ap- partenenti a varie posizioni laterali e qualcuno anteriore supe- riore. La forma generalmente tipica mi dispensa dal darne ulte- riori dettagli, rispondendo essi per tutti i caratteri alle forme ben note. I PESCI FOSSILI DELLA PROV. DI REGGIO 259 Miocene medio. Sabbie a Briozoi, calcari a Nullipore: Palmi, Capo delle Armi, Stilo, S. Barbara, Malochio. Miocene superiore - Sabbie: Folco. Carcharodon Rondeletii Miiller et Heule. Carcharodon sulcidens Ag. = Car. Rondeletii M. et H. - Seguenza G., Form, terz., pag. 185 (Zancleano). » » Ag. — Car. Rondeletii - Seguenza G., toc. cit., pag. 267, (Astiano). » Rondeletii - Seguenza L., I Vert. foss., p. I, Pesci, pag. 506 (68) e seg. Il prof. G. Seguenza fu probabilmente il primo a ritenere Car. sulcidens Ag. sinonimo di Carcarias Lamia Bon. e Car. Bon- deletii M. et H. Infatti, a pag. 185 dell’opera più volte citata, egli fa rilevare la comunanza di caratteri tra i denti fossili di Seggio, e della specie di Agassiz con le varie specie fossili della Toscana, instituite dal Lawley ( Car. etruscus, Caifassii, nonché Car. productus, megalodon, angustidens, sulcidens), e con la specie vivente del Mediterraneo. Tra i denti in esame, ne ho riscontrato alcuni che presen- tano interessanti variazioni dalla forma tipica, pur avendo tutti i caratteri della specie; e sono giusto quelle variazioni che indussero il Lawley a dividere i fossili di Car. Bondeletii in tante specie. In alcuni denti, sebbene piccoli in raffronto' a quelli di Car. megalodon, di poco spessore, arcuati, con seghettatura irre- golare, e forte depressione sulla faccia interna, presentano la faccia esterna divisa in due spioventi da un angelo molto ottuso ma ben visibile, che va dall’apice alla base e che ricorda lon- tanamente Car. megalodon. In tutto il resto rispondono ai carat- teri di Car. Bondeletii M. et H. Due denti anteriori inferiori hanno dimensioni e forma assai tipica, pur avendo la stessa altezza dei denti ordinari. Le mi- sure potranno spiegare meglio le differenze da me osservate. 260 L. SEGUENZA FU G. dente N. 1 N. 2 ordinaria Altezza mm. 33 37,2 39,5 Larghezza alla base » 20 26 38 Spessore antero-posteriore alla base » 12 12 8,5 » » » a mezza altezza » 7,5 7 6 Come si vede facilmente, gli esemplari ordinarii, hanno la forma di un triangolo equilatero che passa appena ad isoscele, mentre nei due esemplari in parola abbiamo un triangolo iso- scele ben definito, la cui base è uguale a due terzi dell’altezza; d’altro canto, mentre lo spessore alla base negli esemplari or- dinari, è solamente un quinto dell’altezza, in questi due esem- plari arriva ad un terzo e più. Tutto questo ci dà una forma acuminata, con i margini seghettati perfettamenre dritti e le facce quasi egualmente convesse ; tale tipo ricorderebbe i denti anteriori del Car. auriculatus meno dei coni laterali di cui non esiste traccia e della irregolarità della segbettatura tipica del Car. Rondeletii. Il rilievo di tali caratteri su denti appartenenti con sicu- rezza alla specie vivente ne comprovano viemmeglio la discen- denza. Tutti gli altri denti appartengono alle varie posizioni della mascella superiore e qualcuno alla inferiore. Essi presentano i ben noti caratteri della specie vivente. Pliocene-Sabbie: Terreti, Nasiti, S. Agata. Galeocerdo Pantanellii Lawley. Galeoeerdo Pantanellii Law. - Sequenza G., Form. terz. di Reggio, pag\ 99, (Tortoniano), . Un sol dente di questa specie fu determinato dal sig. E. Lawley fra i resti del miocene superiore di Benestare. Esso è assai piccolo, costituito di una punta principale e tre piccolissime punte accessorie, tutte e quattro inclinate verso l’an- golo della bocca. Nulla si può dire da un solo dente sull’esattezza o meno della determinazione. Miocene superiore - Argille: Benestare. I PESCI FOSSILI DELLA PROV. DI REGGIO 261 Aetobatis Seguenziae Lawley Q) Aetobates Seguentiae Law. - Seguenza G., Le Form. terz. di Leggio, pag. 73, tav. VII, fìg. 11, Ila, 11 b. (Elveziano). Lo stesso Prof. G. Seguenza riconosce l’ impossibilità di dia- gnosticare la nuova specie da un frammento corroso di placca dentaria inferiore sul quale la instituì il Lawley. Esso consta di quattro piastre insieme saldate alle quali cor- rispondono sul lato piano altrettanti solchi. Questo è tutto ciò che se ne può dire. Miocene medio - Arenarie: Amendolea. Myliobates michrorhizus Delfortrie. Myliobates michrorhizus Del. - Seguenza G., Form. terz. di Leggio, pag. 73, (Elveziano). Mi fu impossibile di rinvenire tale fossile nelle collezioni; però la competenza di Lawley e Issel, che insieme a G. Seguenza lo determinarono con questo nome, ne è affidamento sicuro del- l’esattezza. Ilaja antiqua Agassiz. Baja antiqua A g. - Seguenza G., Le Form. terz. di Leggio, pag. 185, (Zancleano). Non ho potuto vedere la placca dermica menzionata da G. Se- guenza e quindi nulla posso aggiungere. Chrysopbrys cincta Agassiz. sp. Sphaerodus annulatus Ag. - Seguenza G., Le Form. terz. di Leggio, pag. 49, (Aquitaniano). Chrysophrys cincta - Seguenza L., I Vert. foss., p. I, pag. 514 (76) e seg. Anche questa specie, tanto comune nel territorio di Messina, è rarissima a Peggio (Calabria). (*) (*) Aetobatis Miiller, non Oetobates Blainville. 262 L. SEQUENZA FU G. Il Prof. G. Seguenza ricorda col nome di Sp. annulatus cinque esemplari del calcare a briozoi di Stilo. Essi sono per- fettamente sferici appiattiti alla sommità, con un collare attorno alla corona e ricordano perfettamente il Cr. cincta. Qualche esemplare similissimo ai precedenti Elio avuto da Palmi e Capo delle Armi, ove sono anche rarissimi. Miocene medio - Calcare a Briozoi e Arenarie: Stilo, Palmi, Capo delle Armi. Chrysophrjs sp? Spliaerodus cinctus A g. - Seguenza G., Forvi, terz. di Reggio, pag. 247, (Astiano'. Alcuni grossi denti sferici, completamente lisci, sono cennati da G. Seguenza, come Sp. cinctus. Io credo però che non se ne possa con sicurezza stabilire la specie e quindi li lascio indeterminati in attesa che un più numeroso materiale, ed in migliore stato di conservazione, mi permetta di dirne alcunché di concreto. Pliocene - Sabbie: Siderno, Gallina. Bradi yrhincus teretirostris V. Beneden. Brachyrliincus teretirostris V. Ben. - Seguenza G., Le forvi, terz. di Reg- gio, pag. 73, (Elveziano). Per completare la serie ho voluto ricordare questo fossile assai problematico, che fu a suo tempo così determinato dal Prof. Capellini. Si tratta di un frammento di rostro lungo mm. 53 a sezione ellittica di mm. 22 X 15. Esso è attraversato per tutta la lun- ghezza dai due canalicoli delle narici. Miocene superiore? - Arenarie: Eolcò. Istituto di Mineralogia e Geologia della R. Università di Messina. [ms. pres. 10 maggio 1901 — ult. bozze 19 giugno 1901]. DI ALCUNI GIACIMENTI DI ALUNOGENO IN PROVINCIA DI ROMA Nota del dott. Federico Millosevici-i È noto come il solfato neutro di alluminio, variamente chia- mato dai diversi mineralisti coi nomi di alunogeno, keramolia- lite. ecc sia abbastanza diffuso in natura e si trovi in di- versi modi di giacimento. Recentemente ho avuto occasione di visitare dei giacimenti di questo minerale se non nuovi, certo poco noti e le osserva- zioni, che ho avuto campo di fare, sono riassunte nel presente lavoro. Si trova spesso alunogeno in cristalli o meglio in incrosta- menti di struttura cristallina in molte gallerie di miniere dove la pirite o la marcassite vengono in contatto con rocce feldspa- tiche più o meno decomposte o con argille. A giacimenti di simile natura si devono riportare le impre- gnazioni di solfato di allumina nei cosidetti schisti alluminosi, che sono, come è noto, sempre abbondantemente forniti di pi- rite. Ed allo stesso gruppo appartengono quelle argille che con- tengono non troppo grandi quantità di solfato di alluminio facil- mente estraibile con la lisciviazione. Infatti parecchie di queste argille che ho avuto occasione di esaminare, mostrano fìnissimamente diffusa una grande quan- tità di pirite, che è quella che loro conferisce il colore grigio azzurrastro. In tutti questi modi di giacimento l’alunogeno è dovuto alla decomposizione parziale della pirite, decomposizione che fornisce l’acido solforico che attacca lentamente il materiale argilloso o feldspatico decomposto. 264 F. M1LL0SEVICH Tutt’altra natura ed origine hanno i giacimenti di alunogeno che sono dovuti ad azione vulcanica ; infatti fu constatata la pre- senza di solfato di allumina in relazione con vulcani attivi o spenti; ad esempio al Vesuvio, alla solfatara di Pozzuoli, nel cratere di Pasto in Bolivia, ecc È a questo genere di gia- cimenti che si riportano alcuni della provincia di Roma, che sono oggetto della presente nota. Il più importante di questi si trova presso il paese di Ma- gugnano a Nord- Est di Viterbo. Quivi presso le rive del Fosso Malnome (affluente del tor- rente Vezza) a mezza costa di un ripido pendio che scende al fosso, si trova una specie di cavità o grotta naturale tutta tap- pezzata di grosse incrostazioni biancastre, bianco -verdiccie, bianco candido, incrostazioni che raggiungono lo spessore anche di due decimetri. Si tratta di alunogeno talora purissimo, come nel caso delle incrostazioni candide, le quali sono tutte solubili nel- l’acqua senza alcun residuo. Esso si presenta in un aggregato di lamine cristalline piccolissime di lucentezza perlacea ; alcune di queste lamine esaminate al microscopio mostrano un contorno irregolarmente quadrangolare o esagonale; mostrano in taluni casi una o due tracce di sfaldatura ed una estinzione nè paral- lela, nè simmetrica rispetto a queste tracce. Insomma presentano i soliti caratteri dell’alunogeno naturale. Alcuni dei campioni da me raccolti sono di purissimo solfato di allumina, altri tinti in rossastro lasciano un residuo insolubile nell’acqua di ossido ferrico, altri di color verdastro sono inqui- nati da una certa quantità di solfato ferroso, altri da non in- differenti quantità di solfato ferrico. L’analisi quantitativa di un campione dei più puri da me eseguita nel Laboratorio di Chimica della R. Scucia degli In- gegneri mi ha dato i seguenti risultati: A103. . . . . . 16,02 so3 . . . . . . 37,34 ILO . . . . . . 46, 48 Fe.,03. . . 99, 84 DI ALCUNI GIACIMENTI DI ALUNOGENO 265 Da questi dati segue che l’alunogeno di Mugugnano si ac- corda con la forinola Al, (S04)3 -+- 16 H,0. È noto che le ana- lisi di diversi alunogeni hanno dimostrato esserveue alcuni con 18 molecole di acqua, altri con 16. Il nostro quindi appartiene al tipo dell’alunogeno artificiale di Marguerite e Delacharlonny e di quello di Bolivia (*), di quello di Cerro Pintados (prov. Tarapacà) (2) di quello di Ilio Saldana (3), ecc Esistono una descrizione ed una analisi di un alunogeno di un’altra località del Viterbese (Bovine di Ferento) che si devono al Maugini (4); ma la sua analisi discorda di molto nei risultati e nella forinola che ne deriva non solo dalla mia, ma da quante altre furono istituite su altri alunogeni. Infatti egli dà per il suo alunogeno la forinola Al, (S04)3 h- 33 H,0. La piccola grotta dove si trova l’alunogeno è situata al con- tatto fra un conglomerato vulcanico a grossi ciottoli lavici, ricco di minerali più o meno completamente decomposti ed alcuni strati di argilla biancastra incoerente, dovuta probabilmente al disfacimento di questi minerali che passa alcuni metri più sotto ad una argilla più compatta, probabilmente appartenente al ter- reno sedimentario che fu base all’edificio vulcanico Vulsinio. Questa località è infatti indicata dal Clerici (3) come una delle più interessanti sezioni della base del sistema vulcanico Vul- sinio. I ciottoli di grosse dimensioni che predominano in detto conglomerato appartengono ad una hasanite leucitica. Presenta infatti una sezione sottile di questa roccia, una massa fonda- mentale con moltissima leucite, con vlagioclasio piuttosto basico, con augite ed olivina ed in mezzo ad essa degli interclusi ab- bondanti di augite e più rari di olivina. (') Vedi Comptes-rendus de l’Acad. d. Sciences. Paris, 1890, 111, 229. (2) Raimondi A., Minéraux du Pérou. Paris, 1878, 243. (3) Boussingault I. B., Analyse de l’Alumine sulfatée native du Rio- Saldana. Annales de Chimie et de Physique. Paris, 1825, XXX, 109. (4) Maugini F., Sull’ allumogene ilei Viterbese. Boll. Coni. Geol. ltal., 1890, XXI, 36-39. (5) Clerici E., Per la storia del sistema vulcanico Vulsinio. Read. Acc. Lincei, Serie V, voi. IV, 1° seni., fase. 5°, 219-226. 21 266 P. MILLOSEVICH La rimanente parte del conglomerato è formata da ima roc- cia, probabilmente un tufo, molto decomposta e ricca di feld- spati e specialmente di leuciti caolini zzate, colorata qua e là in giallastro per liroonite ed impregnata di solfato di alluminio. Negli strati di argilla sottoposti a questo conglomerato vi è superficialmente una certa impregnazione di solfato di allumi- nio, impregnazione che va diminuendo di quantità fino a scom- parire negli strati inferiori, come potei constatare in vari cam- pioni scelti a tale scopo. Invece quasi al livello delle acque del fosso affiorano strati di pirite in istato di avanzata decom- posizione e in relazione con essi anche degli straterelli di me- lantcrite (solfato ferroso ) di cui si può prendere qualche cam- pione sufficientemente puro e in cristalli. Questa pirite, come altra dei pressi di Viterbo fu estratta nei tempi scorsi per ri- cavarne il vetriolo verde, come si apprende dal Breislak ('). Nella suaccennata pubblicazione del Maugini è fatto un cenno intorno al l’origine deiralunogeno da lui analizzato, ori- gine che viene attribuita alla decomposizione dell’argilla per parte di quella certa quantità di acido solforico libero che si forma, come è noto, nella solfatizzazione naturale della pirite. Ma questa ipotesi, che potrebbe valere nel nostro caso per quella piccola quantità di solfato di alluminio che si trova iu immediata vicinanza della pirite decomposta, non potrebbe certo spiegare la grandissima diffusione di alunogeno nelle rocce so- vrapposte alle argille con piriti. Perchè tutto il conglomerato vulcanico che riposa sopra le dette argille è profondamente im- pregnato e per una grande estensione di solfato di alluminio. Le acque che penetrano nell’interno di questa roccia disciolgono questo sale e circolano per l’interno di essa finché sono costrette ad uscire al contatto fra il tufo e le argille impermeabili sot- tostanti impregnate, come ho detto, soltanto superficialmente: che l’alterazione della roccia sia vasta e profonda è provato dal fatto che, levate le incrostazioni anche grosse superficiali for- matesi nella grotta, al riparo cioè dalla pioggia che le discioglie altrove, queste si tornano in breve tempo a formare special- (‘) Breislak S., Saggio di osservazioni mineralogiche sulla Tolfu, Oriolo, Luterà. Roma, 1786, pag. 81. DI ALCUNI GIACIMENTI DI ALUNOGENO 267 mente nelle giornate calde, come mi è stato assicurato, dalla guida che mi accompagnò nella visita di detto giacimento. Quale è la causa di questa profonda alterazione del tufo? Senza ricorrere all’ipotesi di una alterazione in causa di fuma- role acide contemporanee o posteriori alla sua deposizione, ipo- tesi che non avrebbe, del resto, nulla di azzardato, possiamo spiegar benissimo la formazione in esso del solfato di alluminio osservando ciò che accade presentemente in quella località. In tutti i punti di una estesa zona tutto all’intorno del giacimento descritto si hanno fortissime emanazioni di idrogeno solforato, il quale esce qua e là dal terreno insieme a vapor d’acqua a temperatura piuttosto elevata, tanto che in giornate piuttosto fresche, ma non freddissime (primi di novembre), come quella in cui io visitai il giacimento, se ne vedono i fumi anche da lungi. La decomposizione del materiale feldspatico contenuto nel tufo incomincia con l’azione dell’acido carbonico, che anche esso si trova in quelle emanazioni come in molti altri punti del sistema Vulsinio; prosegue poi per l’azione dell’ idrogeno solforato che ossidandosi dà zolfo e piccola quantità di acido solforico, il quale agendo sul silicato d’alluminio ha formato e continua sempre a formare del solfato di alluminio, che finisce con l’impregnare completamente la roccia. Che così proceda 1’ alterazione è dimostrato luminosamente da un fatto che si osserva a poca distanza dalla località suac- cennata procedendo lungo la stretta valle verso il Poggio Ma- rabese. Quivi trovasi una delle tante località denominate nelle nostre regioni vulcaniche «La Solfatara». È dessa una piccola spianata della estensione di circa un centinaio di metri quadrati, dal suolo della (piale brullo e del tutto sprovvisto di vegetazione emana abbondantemente idrogeno solforato. Dal lato di questa spianata che confina verso il tor- rente è dato osservarne una sezione, la quale mostra come essa sia costituita da un conglomerato in cui predominano elementi vulcanici, cementato in certo modo da zolfo. Vi si trovano cri- stalli di augite della comune combinazione (100), (010), (110), (111), ricoperti di una sottilissima patina iridescente, frammenti di cristalli di feldspato ora abbastanza fresco, ora completamente caolinizzato, in mezzo ad una massa argillosa impregnata coni- 268 F. MILLOSEVICH pletamente di solfo che in alcuni campioni si presenta addirit- tura abbondantissimo. In mezzo a questo conglomerato si pre- sentano delle piccole masserelle bianche granulari, che si sciol- gono completamente nell’acqua e che sono costituite da solfato di alluminio. In questo giacimento quindi non vi può essere alcun dubbio nell’attribuire alla costante e forte emanazione di idrogeno solforato la formazione, da un lato dello zolfo, dall’altro del solfato di alluminio per decomposizione del materiale argilloso. Devo alla cortesia dell’ing. E. Clerici l’aver potuto esami- nare dei campioni simili a quelli di Poggio Marabese e da lui raccolti nella località detta Francalancio in territorio di Viterbo: alcuni sono di zolfo quasi puro con poca argilla e poco solfato di alluminio, altri contengono poca argilla, poco zolfo ed invece grande quantità di solfato di alluminio, con solfato ferroso. Anche in questa località sono abbondanti le emanazioni di idrogeno solforato. Credo che da questa località provengano i campioni analizzati dal Maugini, essendo il fosso Francalancio assai pros- simo alle rovine dell’antica città di Ferente. In un’altra località che ebbi occasione di visitare recente- mente si manifesta un fenomeno del tutto analogo: è questa la Solfatara che si trova presso la strada che conduce da Brac- ciano a Manziana. Anche in questo luogo vi sono dei tufi tra- chitiei molto decomposti in causa delle emanazioni di idrogeno solforato, che sono ancora abbondantissime; anche qui queste emanazioni diedero origine a scarsi depositi di zolfo, che furono sfruttati nei tempi scorsi. Ho preso vari campioni del materiale che veniva scavato ed in tutti ho trovato una impregnazione pili o meno scarsa di zolfo e di solfato di allumina; un cam- pione maggiormente impregnato ridotto in polvere e lisciviato con acqua calda mi ha dato in soluzione relativamente abbon- danti quantità di solfato di allumina (circa il 5 °/0) con poca quantità di solfato ferrico. Non ho potuto visitare la Solfatara di Latera, ma dalle de- scrizioni che ne furono fatte sembra che si ripeta anche in essa il complesso di fenomeni da me osservati altrove. Per citare soltanto il Breislak, che per primo ne ha parlato ('), dirò che (’) Loc. cit, pag. 97 e seguenti. DI ALCUNI GIACIMENTI DI ALUNOGENO 269 esso parla di allume di piuma in eleganti incrostazioni sulle pareti di grotte dalle quali si hanno fortissime moffette di ani- dride carbonica e di idrogeno solforato. Anzi a Latera stessa fu per qualche tempo tentata oltre all’estrazione dello zolfo anche quella del solfato di allumina. Noterò inoltre che il Coquand (‘) parla di formazione di sol- fato di allumina per azione di idrogeno solforato sopra schisti argillosi nella miniera di Pereta in Toscana. * * * Per quanto i modi di giacimento deU’alunogeno nella pro- vincia di Poma, da me osservati e descritti mostrino abbastanza chiaramente la sua origine dalla decomposizione dei materiali feldspatici per azione continuata di anidride carbonica e spe- cialmente di idrogeno solforato, pure volli tentare un esperi- mento che, riproducesse in laboratorio questa decomposizione che in grande ha operato la natura. Ho disposto due esperienze nel seguente modo : nella prima ho posto in una colonna di vetro un grosso tubo di assaggio capovolto con un orlo di diametro soltanto un po’ più piccolo di quello interno della colonna ; al fondo di questa e al disotto del grosso tubo feci arrivare due tubi di vetro in comunica- zione, l’uno con un apparecchio di Kipp a idrogeno solforato, l’altro con un gazometro contenente aria. Al fondo della colonna e tutt’intorno nello spazio fra il grosso tubo e la colonna, posi acqua ed una certa quantità, 100 grammi, di caolino puro polverizzato ed accuratamente lavato insieme con dei piccoli so- stegni di vetro, i quali avevano l’ufficio di formare una specie di impalcatura atta ad impedire che il caolino con l’acqua fa- cesse una pasta compatta ed impenetrabile, tale da ostacolare il libero passaggio dei gaz attraverso di esso. Regolai appa- recchio di Kipp e gazometro in modo che dai due tubi giun- gessero all’acqua nel fondo della colonna presso a poco Tagliai numero di bolle di idrogeno solforato e di aria e continuai l’e- (') Coquand H., Ttes solfatares, des alunières et des Lagoni de la Tornine. Bull. Soc. Geo!, de France, IIe sèrie, tom. VI, 1849, pag. 91-160. 270 P. M1LLOSEVICH sperienza, così disposta, per più di due mesi ad una temperatura presso a poco costante di circa 12 gradi nel sotterraneo del Laboratorio di Chimica della R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri. Nella seconda esperienza ho posto semplicemente un’eguale quantità dello stesso caolino in un vaso con una soluzione sa- tura di idrogeno solforato ed ho lasciato il vaso aperto e al ri- paro dalla polvere nello stesso ambiente e per lo stesso spazio di tempo. Alla fine delle esperienze trovai in tutti e due i casi una piccola quantità di zolfo insieme col caolino, e nel liquido fil- trato potei constatare, con le reazioni comuni, la presenza di piccole quantità di solfato di alluminio. Le reazioni furono più nette e decise nella seconda esperienza che nella prima, il che significa che si formò in essa maggior quantità di solfato di alluminio. È molto chiara l’interpretazione di queste esperienze: l’idro- geno solforato, come è noto, forma, ossidandosi, zolfo e in parte acido solforico che attacca lentamente il caolino, formando il solfato di alluminio. Nella seconda esperienza, dove l’ossidazione fu più lenta, si formò maggior quantità di acido solforico che non nella prima e quindi si produsse relativamente maggior quantità di solfato di alluminio e minor quantità di zolfo. Si deve notare che in queste esperienze non furono poste certe condizioni favorevoli che si verificano in natura nei gia- cimenti da me esaminati, cioè la temperatura più elevata e l’e- missione di acido carbonico, condizioni che agevolano, la prima l’attacco del materiale caolinoso, la seconda il disfacimento del materiale feldspatico rimasto inalterato ; e per questo appunto le esperienze sono tanto più convincenti per lo scopo cui furono dirette. Gabinetto di Mineralogia della R. Università di Roma [ins. pres. 9 maggio 1901, ult. bozze 11 giugno 1901], FOSSILI, STRATIGRAFIA ED ETÀ DELLA CRETA SUPERIORE DEL BACINO DI FIRENZE Memoria del prof. G. Trabucco Malgrado la scoperta, in questi ultimi anni, di alcuni tatti paleo-stratigrafici fondamentali (dapprima sconosciuti o contro- versi), i quali rischiararono la stratigrafia e V età dei terreni della creta superiore dell’Appennino settentrionale e malgrado che i nuovi affioramenti degli stessi terreni siano venuti, volta a volta, confermando l’esattezza delle conclusioni precedenti, al- cuni geologi persistono a confondere i fossili ed i terreni della creta superiore con quelli dell 'eocene e viceversa — immaginando ipotesi che non trovano appoggio nei fatti e costituiscono vere eresie paleontologiche e stratigrafiche. Gli studi minuziosi, consegnati in note precedenti, dei ca- ratteristici terreni cretacei ed eocenici dell’Emilia, del bacino di Firenze e del Casentino, mi hanno permesso di portare nuova luce nella intricata, difficile ed importantissima questione e di ridurre al loro giusto valore certi rimescolamenti di strati e di fossili, che una serie di scienziati erano venuti mano a mano pazientemente e faticosamente scevrando. Importa quindi ora bene precisare e stabilire i limiti stra- tigrafici e litologici tra 1’ eocene inferiore e la creta superiore del tipico bacino di Firenze, sui quali basarsi per estendersi, con successive osservazioni e confronti, agli altri terreni dell’Ap- pennino. Ma non sarà inutile premettere un po’ di storia delle vi- cende subite dalla stratigrafia di questi terreni. 272 G. TRABUCCO * ;Jc JfC Appena in Italia si diffusero le idee Werneriane. il com- plesso delle rocce arenacee, calcaree ed argillo-scistose, che co- stituisce gran parte dell’Appennino settentrionale ed è cono- sciuto col nome di flysch o terreno del macigno , fu riferito ad epoca antica e classificato tra i terreni di transizione. Tale lo ritennero Targioni-Tozzetti, Brocchi, Pareto (1827), Guidoni (1828), La Beche (1829), seguiti poi da Savi (1882), Hoffmann (1883) e da altri valenti italiani e stranieri : distin- guevano però, cominciando dai monti della Spezia e poi nelle Alpi Apuane, dei terreni più recenti dell’era primaria , che ri- guardavano come intermedi ( infra! ias , lias, giura, creta, eocene). Savi, il quale ancora nel 1830 dava a quei terreni, riguardati da lui come primari , il nome di macigno, trovava nel 1832 dei fossili nel calcare di S. Giuliano presso Pisa e, per sollecita rea- zione, riguardava i medesimi terreni, in Toscana, come secon- dari e vi distingueva i terreni calcarei inferiori (i quali colle rocce sottostanti — triassiche e paleozoiche - — vennero attribuiti al lias, detto allora lias appenninico ), mentre i terreni sovra- stanti, fra i cretacei e gli eocenici, vennero posti nella parte su- periore del secondario col nome di macigno. Poco appresso tutto questo macigno (àixM' eocene. super, al giura) era equiparato all 'arenaria verde e considerato come creta superiore ('); così, adagio adagio, a forza di successive restrizioni, la determinazione dell’età di questi terreni si faceva più vicina al vero. Nel 1843 i calcari {creta infer. e giura) con le zone sottostanti fino al lias erano del pari staccati dal piano del macigno ed attribuiti alla creta inferiore (5); così nel macigno, cioè nella creta super., rimasero i terreni veramente cretacei e quelli eocenici. A questi tempi ed a tempi anteriori rimontano alcuni fatti, di parte dei quali la geologia italiana si è andata mano a (') Savi P., Tagli geol. delle Alpi Apuane, etc. «Nuovo Giornale di Letterati », tom. XXIV, 1833. (?) Savi P., Sopra i carboni fossili delle Maremme Toscane. Pisa, 1843. FOSSILI, STRATIGRAFIA ED ETÀ DELLA CRETA SUPERIORE 278 mano correggendo, mentre altri, a forza di essere ripetuti e ridetti senza sindacato, hanno preso stabilità ad onta del vero. Tra questi fatti sono l’estensione soverchia data ai terreni cre- tacei e che qualche geologo, ad onta dell’evidenza delle prove paleontologiche e stratigrafiche, vorrebbe conservare. Nel 1845 Savi in Toscana e Pareto in Liguria separarono dal macigno il calcare alberese (“), notando che questo si tro- vava sempre superiormente, mentre Pilla (uno dei primi che con Collegno e Pareto cercasse di rendere meno regionale la geologia italiana) riferiva il macigno e le rocce che lo accom- pagnano al terreno etrurio, da intercalarsi tra il cretaceo pro- priamente detto ed il miocene. Il flysch delle Alpi ed il terreno nummulitico furono iden- tificati col terreno del macigno e col calcare nummulitico to- scano. Si riconobbe la sovrapposizione del flysch e quindi del macigno e del calcare nummulitico al vero terreno cretaceo. Ma, non essendo stati ben distinti dal macigno l’arenaria pi etra forte, nè dal calcare alberese super, quello che si trova sotto al num- mulitico, Pilla non sospettò i veri rapporti del flysch e del calcare nummulitico col terziario infer. od eocenico di Lyell. Nel 1846 E. Sismonda fu il primo ad avvertire che il cal- care nummulitico , che si trovava sotto al macigno nei dintorni di Nizza, conteneva fossili terziari e doveva riferirsi all 'eocene, mentre Collegno nel 1847 riassumeva tutto quanto fino allora si conosceva intorno ai rapporti del terreno etrurio col cretaceo super, e coll 'eocene di diverse regioni d’Europa. Era riservato a Murchison di fare la più importante appli- cazione delle precedenti osservazioni alla stratigrafia dei terreni della Toscana, dimostrando con caratteri paleontologici e stra- tigrafici che il macigno ed il calcare nummulitico dell’Appen- nino erano eocenici e che la pietraforte dei dintorni di Firenze era cretacea. Il grande geologo, nella sua magistrale opera « Sulla strut- tura geologica delle Alpi, degli Appennini e dei Carpazi » scri- veva: « Io sono ora pienamente persuaso che la grande massa (') Da Alberese, vasta tenuta nella Maremma Grossetana, posta sopra un poggio di calcare alberese. 274 G. TRABUCCO » del cosidetto flysch altro non sia che la porzione superiore » del terreno nummulitico e che i letti nummulitici inferiori » stiano assolutamente al di sopra di tutte quelle rocce che equi- » valgono alla creta bianca dell’Europa settentrionale I nomi » di arenaria dei Carpazi e di arenaria di Vienna, come pure » quelli di flyseh e di macigno, sono stati applicati a rocce le » quali appartengono ugualmente alla età secondaria ed alla » terziaria, ma che nei Carpazi, come nelle Alpi, quelle por- » zioni di esse che contengono nummuliti insieme a certi strati » sovrapposti, rappresentano il terziario eocene ». Tuttavia il grande stratigrafo, nella disposizione delle rocce eoceniche, incorse in una grave inesattezza e tanta fu la sua in- fluenza sui geologi italiani e stranieri i quali lo seguirono, che la verità fu ristabilita solo, nel 1894, colla mia nota « Sulla posizione del calcare nummulitico di Mosciano e degli altri ter- reni eocenici del bacino di Firenze ». Egli infatti credette che il calcare nummulitico ( granitello di Mosciano e di altri luoghi) costituisse la base dell '‘eocene e sopportasse il macigno ed in questo senso tracciò la sezione (‘), evidentemente errata di Mo- sciano, perchè in realtà è tutto l’opposto. E questa errata disposizione, ammessa poi unanimemente dagli studiosi, fu causa di un altro errore più grave ancora. L’arenaria macigno, che costituisce la base de\ì' eocene, fu divisa in macigno superiore o giovane macigno (parte superiore del- l’eocene medio o par isiano) e macigno inferiore (creta superiore L Così lo stesso macigno fu attribuito alla parte superiore del- l’eocene medio ed alla creta superiore. Savi, Meneghini, Pareto ed altri accettano le conclusioni di Murchison, corroborandole con nuove osservazioni; così, mano a mano, si riuscì approssimativamente a separare ciò che era da riferirsi al cretaceo e ciò che spettava all’ eocene ogni qual- volta si potè avere per guida il calcare nummulitico. Ma, senza questo prezioso orizzonte, la grande analogia delle altre forme litologiche che si trovano intercalate nel terreno etrurio, la sup- posta mancanza in esse di avanzi organici (prima della mia (') Murchison R., Sulla struttura geol. delle Alpi, degli Appennini c dei Carpazi. Traduz. Savi e Meneghini, 1851, p. 203. FOSSILI, STRATIGRAFIA ED ETÀ DELLA CRETA SUPERIORE 275 scoperta delle nummulitl nell’arenaria macigno ), le osservazioni stratigrafiche superficiali, la mancanza di lavori minuziosi sopra località specialmente importanti mantennero le difficoltà delle distinzioni cronologiche ed alimentarono le discussioni ed i di- spareri sulla età dei membri del terreno del macigno tanto svi- luppato nelPAppennino settentrionale. Così può dirsi che da noi la questione della possibile distin- zione del terreno del macigno in diversi piani era progredita ben poco; soltanto per alcune località si ebbe a riconoscere che più cose erano state raggruppate insieme. Ma, in generale, la scienza non si arricchì di nuove osservazioni, atte a sbrogliare l’intricata matassa. Nel 1856 Cocchi, nella importante monografia sulle rocce della Toscana ('), tenendo conto principalmente di quanto si era osservato in Toscana e nel Bolognese, distinse con molta chia- rezza Veocene in due piani, riferendo al piano inferiore il cal- care nummulitico (screziato), la porzione superiore del calcare alberese (colombino), una parte degli schisti galestrini inferiori e l’arenaria macigno; al piano superiore il calcare argilloso con fucoidi, le argille galestine, le serpentine e le altre pietre verdi che comunemente le accompagnano. La pietraforte e le altre rocce, poste al di sotto del calcare nummulitico, furono lasciate tutte quante nel cretaceo superiore. Dopo la pubblicazione del Cocchi e di altri si raccolsero, in Toscana e nell’Emilia, fossili di età differenti, prevalentemente cretacei, in frammenti erratici di rocce spettanti al gruppo della pietraforte. Tali frammenti, essendo stati trovati in terreno scon- volto, prevalentemente argilloso, indussero a considerare cretacee tutte le argille scagliose, non badando che, per le frane dovute alla natura speciale di queste rocce e per le azioni meteoriche generali, le medesime dovevano necessariamente presentare (nella parte superficiale ) mescolanze di materiali detritici svariatissimi (di terreni confinanti, sovrapposti e sottoposti ) e fossili di ori- gine e di età diversissime. E cretacee furono considerate da Sca- rabelli, Mortillet, Mantovani, Zittel, ecc., mentre Doderlein le (‘) Cocchi I., Description des roches ignées et sédiment. de la To- scane, etc. Bull. Soc. Géol. de France, 2e sér., tom. XIII, 1856, p. 226. 276 G. TRABUCCO ascrive alla creta media, Bianconi e Stoppani a Weoccne, Cocchi, giustamente, in parte alla creta ed in parte txWeocene. Nel 1865 Pareto (l). dopo fatto un piano niceano per i calcari nummuli- t.ici ( eocene medio parte inferiore) del Nizzardo, propose il nome di Liguriano per le rocce stesse considerate dal Mayer fino dal 1853 (2), comprendendo in quel terreno anche il macigno. tanto esteso in Toscana. Ma, riconoscendo il predominio di schisti argillosi e di galestri con calcari a fucoidi nella parte superiore di quel piano liguriano e la estesa loro diffusione nel Mode- nese, ne fece un nuovo piano modenese, intermedio al liguriano ed al tongriano. Però in questi piani di Pareto, che fu certa- mente uno dei più valenti conoscitori dei terreni dell’Appen- nino, erano ancora inglobati terreni di età differenti ; terreni, cioè, più antichi erano attribuiti al piano più recente e viceversa. Capellini, dopo avere considerate cretacee tutte le argille sca- gliose (3), successivamente (4) osserva: « Le argille scagliose non » possono considerarsi altrimenti che come una particolare mo- » dificazione di forma litologica, la quale, sebbene si verifichi » di prevalenza in rocce che contengono avanzi di fossili cre- » tacei, non si può escludere che in qualche caso la stessa mo- » dificazione non abbia interessato rocce eoceniche e forse anche » mioceniche. Nella stessa guisa che in mezzo alle argille sca- » gliose si raccolgono frammenti di arenaria e calcari con Ino- » cerami e perfino con Ippuriti, vi si trovano pure rocce man- » mulitiche ». Più tardi il valente paleontologo aggiunge: « Io non dubito » che anche per l’ Appennino avverrà quanto è già capitato al- » trove ; sappiamo infatti che, per i recenti studi di Paul e Tietze, » nell’arenaria dei Carpazi, già poterono essere distinti i diversi » piani del cretaceo a cominciare dal neocomiano. delimitando » esattamente ciò che dovevasi riferire a ciascuno di essi e ciò (') Pareto L., Subdivisions que l’on pourrait établir dans le terr. tert. de l’App. septentr. Bull. Soc. Géol. de France, toro. XXII, 1865. (5) Mayer C., Versuch einer Classification der tert. Gebilde Europa' s. « Verh. d. Sclivveiz. Natur. Gesell. », 1853. (3) Capellini G., Carta dei dintorni di Bologna, 1871. C) Capellini G., Discussione sull'età delle argille scagliose. Boll. Soe. Geol. Ita!., voi. II, 1883, p. 93. FOSSILI, STRATIGRAFIA ED ETÀ DELLA CRETA SUPERIORE 277 » die si doveva ritenere come corrispondente al macigno ita- » liano » (*). Taramelli non crede che si possa generalizzare il riferimento delle argille scagliose alla creta e propende a considerare eoce- niche quelle che contengono masse ofiolitiehe. Conclude giusta- mente : « Tutti ci intendiamo quando si nominano le argille » scagliose ; la questione vera è piuttosto di determinare quali » saranno cretacee e quali eoceniche » (2). Uzielli ritiene che la formazione delle argille scagliose e dei galestri, essendo sempre posteriore all’età dei terreni ove si de- positarono le rocce, dalla cui alterazione provennero le argille scagliose ed i galestri stessi, andrebbero riferiti cronologicamente non all’età dei fossili, che per avventura possano contenere, ma all’epoca in cui avvenne il fenomeno meccanico da cui trassero origine (3). De Stefani, distingue (4) argille scagliose Massiche, cretacee, eoceniche e perfino mioceniche e successivamente, nei suoi nu- merosi lavori (5) geo-paleontologici sull’Appennino, enumera ter- reni e fossili eocenici della creta superiore e della creta media, indicando le numerose località dove si rinvengono ; scevera, mano a mano, e riordina i fossili del flysch, correggendo molti errori e trasportando, con numerosi raffronti, sopra aree più vaste le conclusioni stratigrafiche regionali. Egli fu, senza dubbio, mal- grado qualche inevitabile inesattezza, uno dei pochi geologi ( ') Capellini G., Il macigno della Torretta e le rocce a globigerine del- l’App. Bolognese. Mem. Acc. Se. Ist. Bologna, ser. IV, voi. II, 1881, p. 181. (2) Taramelli T., Discussione sull'età delle argille scagliose. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. II, 1883, p. 94. (3) Uzielli G., Discussione sull’età delle argille scagliose. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. II, 1883, p. 102. (4) De Stefani C., Delle argille galestrine. Proc. Verb. d. Soc. Tose, d. Se. Natur., Ad. 10 novembre 1878. (5) De Stefani C., Quadro comprensivo dei terr. che costituiscono l’App. settentr. Atti della Soc. Tose, di Se. Natur., voi. V, p. 2, 1881. — Studi paleozoologici sulla creta sup. e media dell’App. settentr. Mem. Acc. Lincei, ser. 4a, voi. I, 1885, p. 73. — Nuovi fossili cretacei dell’App. settentr. Rend. Acc. Lineei, voi. I, ser. 5a, 1892. — Nuovi foss. cretacei dei din- torni di Firenze. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XIV, 1895, fase. 2. 278 G. TRABUCCO che contribuirono, nell’ultimo trentennio, al progresso della stra- tigrafia dei terreni dell’Appennino. Manzoni divide (‘), dal basso all’alto, il cretaceo e Yeocme dell’App. di Bologna: Cretaceo super, ed eocene Argille scagliose Schisti galestrini Calcare alberese Calcare a fucoidi Pietraforte Pietra serena Calcare screziato nummulitico Macigno \ (Flysch appenninico con l serpentine intruse Bombicci enumera (5), dall’alto al basso, i terreni eocenici e cretacei del Bolognese: Terreni eocenici con passaggio ai cretacei superiori Brecce poligeniche, ftaniti a radiolarie Calcare screziato del Granagliene Molassa bruna schistoide Macigno ed arenarie con Palaeodictyon e Nemertiliti Marne bianche e calcari compatti a fucoidi Calcare alberese super., schisti galestrini, ftaniti e diaspri Macigno appenninico infer., rocce con nummuliti e pie- traforte Argille scagliose e galestrine Calcare alberese infer., serpentine e rocce verdi. Lotti, in una prima nota, Sulla creta e sulVeocene dei din- torni di Firenze (3), così divide i terreni dall’alto al basso: I. Calcari alberesi bianchi o grigio-chiari con strati di calcare screziato nummulitico, a Nummulites nella parte infer. II. Calcari marnosi grigi, schisti argillosi, arenarie calcaree (pie- Iraforte) e calcare screziato nummulitico; il tutto in strati fra loro ri- petutamente alternanti a Nummulites, Helminthoida, Nemertilites, Tao- nurus, Palaeodictyon, Chondrites, Inoceramus. (’) Manzoni M. D., La Geol. della Prov. di Bologna. Ann. d. Soc. dei Natur. di Modena, Serie II, 1881, p. 36. (s) Bombicci L., Montagne e vallate del terr. di Bologna, 1882. (3) Lotti B., Ija creta e Veocene dei dintorni di Firenze. Proc. Verb. d. Soc. Tose, di Se. Natur., Ad. 20 maggio 1885. FOSSILI, STRATIGRAFIA ED ETÀ DELLA CRETA SUPERIORE 279 III. Calcari screziati nummulitici e schisti rossi a Nummulites , Chon- ilrites, Helminthoida. IV. Arenaria macigno e puddinga volgarmente detta graniteli o, Ntnn- mulites (?) dubbie nella parte super. Spiega la promiscuità di Nummulitì e di Inocerami, am- mettendo eteropicità della fauna delle formazioni II e III, ag- giungendo che: le forme nummulitiche (ossia il granitelló) di Mosciano spettano alla zona più antica deU’eocene appenninico ; l’arenaria macigno del Fiorentino deve ritenersi cretacea; essere manifestamente impossibile una delimitazione puramente crono- logica tra il secondario ed il terziario. Finalmente, in una nota (p. 220), che credo utile riportare per la storia della questione, scrive : « di essere pronto a dimo- » strare sui luoghi la verità delle sue asserzioni ; non potrebbe » perciò accettare la discussione in iscritto, perchè trattasi di fatti » e non di opinioni ». E più tardi lo stesso studioso fa dipingere cretacea sulla Carta geologica d’Italia del 1889 l’arenaria macigno, dapprima segnata nell’Eocene. In questa prima fase, dunque, l’ing. Lotti comincia a con- fondere le rocce più comuni e stratigraficamente note del bacino di Firenze, e cioè la cicerchina ed il granitelló e viceversa, dif- ferenti per fossili, stratigrafia, età e litologia; poi ascrive e fa dipingere cretacea sulla Carta geologica d’Italia del 1889 l’are- naria macigno , dapprima giustamente ritenuta eocenica; infine rimescola Inocerami e Nummulitì ed i terreni che li conten- gono. In una parola, quasi ignorasse la grande scoperta fatta dal Murchison, confermata dalle osservazioni di tutti i più emi- nenti geologi italiani (Savi, Pilla, Meneghini, Cocchi, Pareto, Capellini, De Stefani, Issel, Pantanelli, etc.) e stranieri, indie- treggiando di quasi mezzo secolo, rimescola i terreni ed i fossili del flysch, che gli studiosi erano venuti faticosamente scevrando. Successivamente, lo stesso ing. Lotti, invitato a citare una sola località del bacino di Firenze dove esistesse la pretesa commistione di Inocerami e di 'Nummulitì in posto, onde fosse possibile una seria discussione, dapprima si limita a citazioni generiche ed antiquate, e poi, a corto di fatti, termina con af- fermare di avere finalmente ritrovato altrove la pretesa coni- 280 G. TRABUCCO mistione, e cioè nei dintorni di Bari gasso (Modenese) e di Meni- menano (Casentino) ('). Ma, anche questa seconda fase, si risolve in osservazioni stratigrafiche errate (2). Issel (3) così spartisce il flysch della Liguria: I. Eocene a) Liguriano. Calcare marnoso, argille e galestri, macigno e psammite, della Val di Trebbia a Chondrites, Zonari- des, Helminthoida, etc. b) Infràliguriano. Argille, schisti argillosi, Calcari lito- grafici, ipoftaniti, ftaniti, diaspri, serpentine, eufotidi, diabasi, gabbri, arenaria e psammiti delle Cinque terre, schisti galestrini ed alberesi di M. Biassa. c) Bartoniano. Calcare vero nummulitico di Pigna, S. Perno, calcare grigio con Nummulites, Assilina della Mortola, Braus, Palarea, ecc. II. Cretaceo Damano e Senoniano. Schisti rossi e verdastri, calcare marnoso di Palarea ad Inoceramus, pietraforte di Vez- zano ad Ammonites e Nemertiliti, schisti varicolori del prom. occident. di Vezzano. Pantanelli divide il flysch della provincia di Modena: Cretaceo superiore. Rocce simili a quelle dell’eocene ad Inoceramus r Ichthyosaurus. Eocene inferiore. Arenarie compatte, passanti a banchi sabbioso-ar- gillosi, ai quali si intercalano di frequente estesi banchi nummulitici, che passano sotto alle argille scagliose dell’eocene. Eocene superiore. Argille scagliose, calcari compatti e calcari ar- gillosi. Sacco, nei suoi voluminosi lavori sull’ Appennino, ascrive esclusivamente alla creta tutte le argille galestrine e scagliose- (*) (*) Lotti B., Strati eocenici fossiliferi presso Barigazzo nell’ Appen- nino Modenese. Boll. Com. Geol. d’Ital., 3a ser., voi. VI, 1895. — Ino- cerami nélVeocene del Casentino (Toscana). Boll. Com. Geol. d’Italia, 1896, n° 4. (2) Trabucco G., Stratigrafia dei terreni ed elenco delle rocce della Prov. di Firenze. Firenze, 1899. — Fossili, stratigrafia ed età dei ter- reni del Casentino (Toscana) con 2 tav. Boll, della Soc. Geol. Italiana, fase. 2, 1900. (3) Issel A., Comunicaz. fatte al Congresso Geologico di Savona. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. VI, 1887, p. 26. FOSSILI, STRATIGRAFIA ED ETÀ DELLA CRETA SUPERIORE 281 e le rocce ofèolitiche, citando una quantità di fossili cretacei o creduti tali, raccolti qua e là nel flyscìi. Così egli arriva a questa strana conclusione stratigrafica: colloca nel parisiano la zona arenacea (arenaria macigno) del- l’Appennino e nella creta la grande zona delle argille scagliose che giace in concordanza sul macigno stesso. Bene scrisse a questo proposito De Stefani (*): « Non basta » indicare i fossili; bisogna indicarne la situazione stratigrafica. » Non tenendo conto di questa, si potrebbe attribuire l’Appen- » nino settentrionale al siluriano, al carbonifero, al trias , al lias » od al titonico solo perchè fossili di questi piani, anche più » frequentemente di fossili cretacei, furono trovati dai tempi di » Collegno e di E. de Beaumont in poi. Si potrebbe, per ciò » solo, attribuire l’Appennino anche al Veocene, perchè moltissimi » e frequenti fossili, veramente eocenici, furono trovati quasi per » tutto » . Però, per quanto riguarda la pretesa commistione di Inocc- rami e di Nummuliti in strati eocenici affermata dal Lotti, anche Sacco giustamente crede che l’ipotesi del medesimo sia dovuta ad errate (2) osservazioni stratigrafiche. Trabucco stabilisce la vera posizione ed età del calcare num- mulitico di Mosciano e degli altri terreni eocenici del bacino di Firenze, collocando per la prima volta l’arenaria macigno alla base (s) dei medesimi. Successivamente dimostra (4) che tutte o quasi le rocce eoceniche (a cominciare dal macigno) contengono numerosi fossili caratteristici ; respinge la pretesa promiscuità di Inocerami e di Nummuliti in terreni eocenici, e finalmente (') De Stefani C., Sulla età delle serpentine appenniniche. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XIII, 1895, p. 63. (■) Sacco F, L’Appennino settentrionale. Parte III, Toscana. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XVI, 1895, p. 194. — Parte IV, Romagna. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XVIII, 1899, p. 364. (3) Trabucco G., Sulla posizione del calcare di Mosciano, ecc. Fi- renze, 1894. (') Trabucco G., Nummalites ed Orbitolites dell’arenaria macigno del bacino eocenico di Firenze. Proc. Verb. Soc. Tose, di Se. Natur., Ad. 9 novembre 1894. — Sulla vera posiz. dei terr. eocenici dei monti del Chianti. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XIV, 1895. 282 G. TKABUCCO scopre (*) nella valle del Mugnone la vera creta superiore nelle sue tipiche forme litologiche e coi suoi fossili caratteristici in posto; di quella creta superiore , di cui poteva ben dirsi: che ci sia ognun io dice , che cosa sia nessun lo sa. Scoperta impor- tante, che permette sempre una sicura distinzione tra il secon- dario ed il terziario e destinata a risolvere definitivamente l’in- tricata matassa della stratigrafia del fiysch appenninico, attorno alla quale si affaticarono tanti valenti studiosi e che taluni ave- vano quasi annunciato come un problema inestricabile. Succes- sivamente dimostra (5) che la pretesa promiscuità di Inocerami e Nummuliti in terreni eocenici nei dintorni di Barigazzo (Mo- denese) e di Memmenano (Casentino), asserita dal Lotti, è do- vuta ad osservazioni stratigrafiche errate. * * * Stratigrafia della creta superiore del bacino di Firenze. La scoperta dell’intiera serie della vera creta superiore, nella, sua esatta posizione stratigrafica, colle sue tipiche forme lito- logiche e coi suoi fossili in posto, venne fatta da me nella pri- mavera dell’anno 1895 nella valle del Mugnone in una cava di arenaria pietraforte, da poco aperta presso la Y. Galardi. La serie completa, che ricopre tutta l’alta valle del Mu- gnone, spingendosi ad ovest fino al di là di Pratolino e della C. ITccellatoio, ad est fino oltre l’Olmo, ricomparendo, dopo breve interruzione, nella salita della C. di Masseto, a sud fino alla C. al Vento, C. il Lago, C. Croci, ecc., è costituita da strati assai regolari di calcari marnosi compatti bianchi e verdognoli a Globigerina, Chondrites , Zoophycos intercalati con Assise ri- petute di galestri scuri, cerulei, verdognoli o varicolori, friabili (') Trabucco G., Sull' età geol. del macigno di Firenze. Boll. Soc. Geol. Ita!., voi. XIII, 1895, p. 104. — Sulla posizione ed età delle ar- gille galestrine e scagliose del fiysch e delle serpentine terziarie dell’ Ap- pennino settentr. Firenze, 1896. (2) Trabucco G., Stratigrafia dei terreni ed elenco delle rocce della Prov. di Firenze. Firenze, 1898. — Fossili, stratigrafia ed età dei ter- reni del Casentino (Toscana). Boll. Soc. Geol. Ital., voi XIX, 1900. FOSSILI, STRATIGRAFIA ED ETÀ DELLA CRETA SUPERIORE 283 a Globigerina, Chondrites ed Arenaria pietraforte in potenti strati ad I. Cripsii, Helminthoida, Nemertilites, ecc. Questa serie completa si può distintamente osservare nelle cave di Y. Galardi e della C. Uccellatolo ed in quelle ultima- mente aperte a sinistra della C. Croci, sopra l’Olmo. I diffe- renti terreni (calcari, galestri e pietraforte) affiorano, in gene- rale, senz’ordine alcuno ora qua, ora là; ma la pietraforte si osserva specialmente nei dintorni dei Macioli, delle Badasse, della Y. Peruzzi, ecc. La località di Y. Galardi ed il Rio sottostante presentano una speciale importanza, poiché vi si può osservare il contatto e l’intiera serie dei terreni dal par mano al senoniano, dal ma- cigno a Nummulites alla pietraforte ad Inoceramus. L’affioramento cretaceo dell’alta valle del Mugnone (certo il più vasto e tipico di quanti se ne conoscono) rappresenta una anticlinale, parzialmente abrasa (sezione M. Senario-Tavernuzze, Tav. Ili), circondata e ricoperta, in discordanza, da terreni eoce- nici suessoniani e parisiani. Invito gli studiosi a visitare questa tipica valle del Mugnone, dove in poche ore, dal Castel di Poggio (Fiesole) a Pratolino, per S. Andrea Sveglia, si può seguire ed osservare la serie completa e ripetuta dei terreni fossiliferi dal parisiano al sues- soniano, al senoniano. Questa importantissima regione e quella non meno impor- tante di Mosciano sono destinate a divenire la vera scuola pra- tica dei geologi che vorranno accingersi seriamente allo studio della stratigrafia del fhjsch delle altre regioni appenniniche. Cogli stessi caratteri paleontologici, stratigrafici e litologici si presenta la creta supcriore che si adagia (sezione M. Senario- Tavemuzze, Tav. Ili), in discordanza, sopra la creta inedia di M. Ripaldi e M. Cuccioli, estendendosi verso S. Giusto e circa a Pozzolatico, circondata e ricoperta a sua volta da terreni eoce- nici e così pure nei noti affioramenti del Viale dei Colli, di V. Nobili, V. Medici, S. Francesco di Paola, S. Margherita a Montici, Marignolle, Bellosguardo, Poggio Imperiale e Boboli, ricoperti qua e là da conglomerati (ìe\V astiano continentale e circondati dal Vèocene. 284 G. TRABUCCO Nello stesso modo sono pure costituiti quelli dei dintorni di Pontassieve, dei monti Pistoiesi, di Monte Albano e gli altri, sparsi per l’Appennino, di Yarzi (Pavia), della Provincia di Piacenza, di Montese e di Yigolo (Modena), della valle dell’Idice (Bologna), di Perticara (Urbino), etc. E questa disposizione dei terreni della creta media e su- periore concorda perfettamente colle conclusioni emesse, molti anni addietro, dal Cocchi (*), riportate e convalidate da De Ste- fani (2) e più tardi dallo stesso Cocchi (3) : I. Zona della pietraforte con Ammoniti. IL Arenarie, calcari e schisti con Inocerami. CONCLUSIONE La serie dei terreni cretacei ed eocenici dei dintorni di Fi- renze è costituita dal basso all’alto: Cenomaniano Banchi assai regolari di arenaria pietraforte a Turrilites costatus Lamk., T. cfr. acutus Passy, T. sp. n. cfr. Hugardia- mus D’Orb., Schloembachia Michelii (Savi), S. Cocciài (Menegh.), 8. tricarinata (D’Orb.), 8. Targionii De Stef., S. Ferberi De Stef., Acanthoceras cfr. Mantella (Sowerby), A. navicularis (Mantell), Desmoceras Austeni (Sharpe), Crioceras Pillae De Stef., Apticus, Falaeodictyon, Nemertilites, Relminthoida, alter- nanti con straterelli schistosi calcareo-argillosi bigi o cenerini, spesso untuosi al tatto, ricchissimi di Chondrites. Senoniano Strati più o meno potenti di arenaria pietraforte ad I. Cripsii Mant., Pennatulites, Nemertilites , Relminthoida , ecc., intercalati (') Cocchi I., Sulla geol. dell’Italia centrale, p. 7. (2) De Stefani C., Studi paleozoologici sulla creta media e superiore del- V Appennino settentrionale. Mem. Acc. Lincei, ser. 4a, voi. I, 1885, p. 92. (3) Cocchi I., Resoconto dell’ Ad. generale invernale tenuta in Fi- renze il 25 aprile 1895. Boll. Soc. Geol. Italiana, voi. XIV, 1895, p. 110. FOSSILI, STRATIGRAFIA ED ETÀ DELLA CRETA SUPERIORE 285 con assise ripetute di galestri scuri, cerulei, verdognoli o vari- colori, friabili a Globigerina e Chondrites e strati assai regolari di calcari marnosi compatti bianchi e verdognoli a Globigerina > Chondrites. Suessoniano Arenaria macigno in potenti banchi, con stipiti e lenti ar- gillose, passante talora alla tipica cicerchina, intercalata con Fig.'l. Nummulites Fiesolana Trab. Fig. 2, Nummulites Cocc/rìi, A Trab. schisti argilloso-arenacei (bar del- Ione ) a N. Fiesolana Trab. (Fig. 1), N. Cocciài Trab. (Fig. 2, 3). Potenti assise di galestri rossi, verdi e policromi con noduli dia- sprigni ricchi di ferro e man- ganese o vene di diaspri varico- Fig. 3. Nummtilites Cocchìi, B Trab. lori ad Etmosphaera, intercalati con Brecciole nummulitiche a Nummulites, Orbitoides, Orbitolites, Alveolina, ecc. ; Filaretti di arenaria psammite, a Nummulites, Helmin- thoida; 286 G. TRABUCCO Calcari marnosi bianchi e cenerognoli, che divengono num- mulitici alla base, a Nummulites, Orbitoides, Alveolina, Chon- drites; Breccia calcareo-cloritico-serpentinosa, in arnioni e strati scontinui verso la base. Parisiano Calcare screziato (granitello) intercalato con straterelli schisto- argillosi, a Chondrites, L. nummuliticum Giimb., 0. stellata D’Arch., 0. nummulitica Giimb., N. lucasana Defr., N. cur- vispira Menegh., A. mamillata D’Arch., 0. complanata Giimb., G. eocaena Giimb., N. Maximiliana Giimb., C. tetraedra Giimb., 0. sub-media D’Arch., il L Hooheri Haim., C. eocaena JSTev.. H. stipata Reuss, etc. Assise potenti e ripetute di calcari e scliisti calcarei marnosi bianchi, cerulei, grigi e neri, talora con strati arenacei a JS hm- mulites, Alveolina, Helminthoida e Chondrites. La distinzione tra la creta e Veocene è sempre possibile, poiché tutte le rocce eoceniche contengono nummuliti, mentre quelle cretacee ne sono sprovviste. Lotti, nel suo ultimo studio: SulVeocene dell’App. Toscano , Boll. R. Com. Geol. d’Italia, 1898, n° 1, p. 29, scrive: «Il » prof. Trabucco, dell’Istituto Tecnico di Firenze, in un suo » recente scritto, Stratigrafia dei terreni della Prov. di Firenze » (Firenze, 1898), dice a pag. 10 che l’affioramento costante in » fondo alle valli della pietraforte nel bacino di Firenze, nel » Casentino, ecc., autorizza a conchiudere che la valle dell’Arno » non corrisponde ad un sinclinale, ma ad un abraso anticlinale » e cadono le precedenti interpretazioni dovute a preconcetti. « Osservo che questa conclusione è infondata, perchè l’affiorare » nel fondo delle valli di un terreno più antico di quelli che » affiorano nei lati non porta di conseguenza la loro conforma- » zione in anticlinale, e le forme tectoniche di una regione » non sono il risultato di interpretazioni dovute a preconcetti, » ma sono fatti materialmente constatabili da chiunque ». Premetto che io non ho scritto V affioramento, ma il costante affioramento, e ripeto che appunto questo costante affioramento FOSSILI, STRATIGRAFIA ED ETÀ DELLA CRETA SUPERIORE 287 della creta nel bacino di Firenze e in tutto F Appennino set- tentrionale in fondo alle valli autorizza a concliiudere che la valle dell’Arno non corrisponde ad un sinclinale , ma ad un abraso anticlinale e cadono le precedenti conclusioni dovute a preconcetti, derivati da erronee interpretazioni stratigrafiche. È vero che la ristrettezza degli affioramenti della creta su- periore, per quanto numerosi, non permette ancora un esatto rilievo della stratigrafia di questi terreni; però tutto quello che si può osservare porta a conchiudere che i medesimi costitui- scono altrettante cupide (elissoidi) più o meno abrase e (nel nostro caso) che l’elissoide di M. Kipaldi si collega con quello abraso dall’Arno e questo con quello dell’alta valle del Maglione. Anche Sacco (') è di questo parere, poiché scrive: «Così, » per citare un esempio riguardante il bacino di Firenze, il » Lotti ( La Creta e l’Eocene nei dintorni di Firenze. Proc. » Verb. S. T. S. N., Ili, 1885), oltre a segnare una zona rac- » chiudente assieme Inocerami e Nummuliti, ciò che non panni » accettabile, stabilisce nettamente che il macigno sta sotto agli » schisti argilloso-calcarei-arenacei ofiolitiferi ; perciò nel suo studio » sopra Le condizioni geologiche di Firenze per le trivellazioni » artesiane , B. C. G. I., XVIII, 1887, il Lotti indica e disegna » il bacino di Firenze come una sinclinale in cui la zona argillo- » schistosa, sulla quale posa Firenze, si adagierebbe sopra una » potente zona arenacea (macigno) foggiata pur essa a conca, e » quindi egli consiglia l’esecuzione di fori artesiani profondi » circa 300 m., da farsi con una spesa non maggiore di 60,000 » lire per foro, allo scopo di provvedere la città con buone acque » potabili, che spesso si incontrano nelle zone del macigno. » Invece, secondo il mio modo di vedere, il bacino di Fi- » renze rappresenterebbe una complessa e molto abrasa anticli- » naie cretacea e quindi le trivellazioni, fatte nel bassopiano » fiorentino, oltrepassato lo strato alluvionale, si sprofondereb- » bero nel cretaceo potentissimo senza probabilità di trovare » acqua potabile abbondante, buona e zampillante ». (') Sacco F., L’ Appennino settentrionale, Parte III, La Toscana. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XIV, 1895, p. 189-190. 288 G. TRABUCCO La morfologia del bacino di Firenze si presenta affatto indù pendente dalla tectonica ; valli e monti non corrispondono gene- ralmente alla stratigrafia, ma alle zone più o meno erodibili. Così le valli dell’Ema, dell’Arno, della Sieve e del Mugnone corrispondono ai maggiori antielinali. In altre parole: le superficie geografiche e geologiche del bacino non si corrispondono; è l’erosione che ha modellato il paesaggio. Sotto questo punto di vista esiste una notevole differenza tra l’Appennino centrale e meridionale (specialmente) e quello settentrionale. Infatti, mentre in quelli ad ogni elissoide cor- risponde un dosso calcareo ( cretaceo o più antico) molto elevato rispetto alle regioni terziarie circostanti, l’opposto avviene nel bacino di Firenze e nell’ Appennino settentrionale, dove ogni affioramento cretaceo corrisponde ad una depressione circondata da rilievi terziari. * * * Fossili della “creta super.,, del bacino di Firenze. I Musei di geologia di Firenze e di Pisa e la collezione Strozzi conten- gono numerosi avanzi di fossili della creta super., raccolti anti- camente, quasi tutti erratici, senza indicazione precisa della località o con indicazioni errate, come S. Piero a Sieve, Porgo (Vaglia) e qualche altra dove non esistono terreni cretacei. Questi fossili furono, per la maggior parte, acquistati da un cercatore del defunto marchese Strozzi, che ne raccoglieva molti nel tor- rente Vicano d’Altomena presso Pontassieve ed illustrati dal Cocchi Q) e dal De Stefani (2). Cosicché gli esemplari di I. Cripsii, da me raccolti nella valle del Mugnone, si debbono considerare tra i primi fossili della creta sup. del bacino di Firenze rac- colti in posto. E poiché è ormai necessario di precisare la questione in modo da tagliar corto ad ogni tergiversazione, così : nego in (’) Cocchi I. (in Alessandri, Grattarola e Momo), Taglio del viale, ecc. Boll. R. Com. Geol. Ital., voi. I, 1870. O De Stefani C., Studi paleozoologici sulla creta media e super. Meni. Acc. Lincei, ser. 4a, voi. I, 1885. FOSSILI, STRATIGRAFIA ED ETÀ DELLA CRETA SUPERIORE 289 modo assoluto la promiscuità di inocerami in posto , non rima- neggiati, e di nv simuliti in strati eocenici od, in altri ter- mini, escludo che siansi mai trovati inocerami in posto, non rimaneggiati, in strati eocenici del bacino di Firenze e dell’Ap- pennino settentrionale. Ho detto INOCERAMI IN POSTO, NON RIMANEGGIATI, poiché è noto da gran tempo, che piccolissimi frammenti di inocerami si osservano nel macigno ed anche nel granitello (calcare screziato nummulitico) nelle stesse condizioni in cui devono necessaria- mente trovarsi neH’alluvione post-pliocenica ed attuale dell’Arno. Esistono in terreni confinanti del bacino di Firenze inocerami e nummuliti; ma i primi si raccolgono esclusivamente nei ter- reni cretacei , le seconde esclusivamente in terreni eocenici. Anche De Stefani (‘) scrive: «Nei dintorni di Firenze la di- » stinzione paleontologica della creta dall focene è sempre sicura. » mentre non lo è altrettanto quella litologica, e si può esclu- » bere nel Mono il più certo die si trovino Nummulitcs negli » strati con Inoceramus o sotto di questi». DESCRIZIONE DEI FOSSILI. Inoceramus Cripsii Mantell (Pag. 291, Fig. 4, 5, 6). 1822 I. Cripsii Mantell, Geology of Sussex, p. 133, PI. XXVJI, fig. 11. 182G I. planus Miinst., Goldf., Petr. Gemi., tav. 113, fig. 16. 1834 I. Barabini Mortoti, Org. Remains Cretaceous Grup. United Sta- tes, p. 62, tav. 13, fig 11, tav. 17, fig. 3. 1851 I. eocenus Menegh , Savi e Menegli., Considerai. sulla geol. to- scana, p. 485. 1852 I. regularis D’Orli , Paléont. frane., IH, p. 516, tav. 410. 1852 I. impressus D’Orb., ibid., p. 515, tav. 409. 1853 I. Lamarcki (non Roemer) Meneghini, Nuovi foss. toscani. Ann. delle Univ. Italiane, toni. Ili, p. 38. 1870 I. Cripsii Cocchi, Alessandri, Grattarola e Monio, Taglio, ecc., p. 116. 1870 I. Cuvieri (non D’Orb.), Cocchi, ibid., p. 116. (') De Stefani C-, Nuovi fossili cretacei dell’App. settentr. Estr. Rend. Acc. Lincei, voi. I, 2° sem., ser. 5a, fase. 8, 9; pag. 6. 23 290 G. TRABUCCO 1875 I. Haueri Zugmayer, Ueber Petrefactunde aus dem Wiener Sand- stein des Leopoldberges bei Wien (Verh. der K. K. Geol. Reichsanstalt, p. 293). 1876 I- Sagensis Meek, Pepi. on thè Inveri, cretac. and tert. foss. of thè Upp. Missouri Contr., p. 52, tav. 13, tig. 2. 1876-77 I. Cripsii Schltiter, Zur Gattung Inoceramus, Palaeont., N. F., IV, 6 (XXIV), p. 277. 1881 I. Cripsii Negri (De Stefani Quadr. compr. dei terr. che costi- tuiscono VApp. settentr., p. 226). 1883 I. Cripsii Pantanelli, Note paleont., (Rend. Natur. di Modena, ser. II, voi. I). 1885 I- Cripsii De Stefani, Studi paleozool. sulla creta sup. e media dell'App. settentr., Meni. Acc. Lincei, voi. I, p. 103, tav. I, tig. 1-2. 1884 I. Cfr. subcardissoides Capellini, Il Crei, super, ed il gruppo di Priabona nell’App. settentr., Meni. Acc. di Bologna, ser. IV, toni. V, p. 540. 1885 I. Cripsii Lotti, La Creta e Veocene dei dint. di Firenze (Proc. verb. soc. tose, di Se. Natur., Ad. 20 Maggio). 1885 J. Salisburgensis Fugger e Castner, Natur ivissenschaftliche Stu- dien und Beobactungen aufund uber Salzburg, p. 77; p. 78, tig. 7 ; p. 79, tig. 8 e tav. I. 1890 I. Cfr. subcardissoides Trabucco, Cronol. dei terr. della Prov. di Piacenza, p. 12, tav. II, tig. 2. 1892 I. Cripsii De Stefani, Nuovi fossili cretacei dell'App. settentr. (Rend. Acc. Lincei, ser. 5\ voi. I, Fase. 8-9). 1894 I. Cripsii Lotti, Rilev. geol. eseguito in Toscana (Boll. Coni. Geol., voi. XXV, n. 2). ' 1895 /. Cripsii De Stefani e Trabucco, Nuovi foss. cretacei del ba- cino di Firenze. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XIV (1895). 1895 I. Cripsii Trabucco, Sulla età geol. del macigno di Firenze (Boll. Soc. Geol Ital., voi. XIV, fase. 1, p. 7). 1895 I. Cripsii Lotti, Strati eocenici foss. presso Barigazzo (Boll. Coin. Geol., voi. XXVI, n. 4). 1896 I. Cripsii Trabucco, Sulla posiz. ed età delle argille galestrine e scagliose, ecc., p. 23. 1896 I. Cripsii Lotti, Inocerami nel Casentino (Boll. Coni. Geol. d'Ita- lia, voi. XXVII, p. 395). 1898 I. Cripsii Trabucco, Stratigr. dei terr. ed elenco delle rocce della Prov. di Firenze, p. 9. 1898 I. Cripsii Lotti, Studi snll’eocene dell'App. toscano (Boll. Com. Geol d’Italia, n. I). I. Cripsii Trabucco, Foss. strat. ed età dei terreni del Casen- tino (Toscana). Boll. Soc. Geol. Italiana, voi. XIX, i900, p. 719. 1900 FOSSILI, STRATIGRAFIA ED ETÀ DELLA CRETA SUPERIORE 291 Per quanto riguarda la delimitazione della specie mi attengo alla Monografia dello Schliiter {Zur Gattung Tnoceramus), il quale ha riunito coll’ I. Cripsii un’altra serie di forme, che gli au- tori avevano tenute distinte, e cioè: I. confertim-annulatus Romer, 7. convexus Hall et Meek, /. sublaevià Hall et Meek, I. tenui- Eig. 4. / noeeramus Cripsii Mant. Valle del Mugnone (V. Galarcli). Fig. 5. /noeeramus Cripsii Mant. Valle del Jlugnone i V. Giuliani). lineai us Hall et Meek, I. aratus Lartet, I. alias Meek, 7. proximus Meek, 1. subcircularis Meek, 7. Ballili Meek, 7. alveatus Morton. Le Fig. 4, 5, 6 rappre- sentano tre esemplari da me rispettivamente raccolti in posto nella cava di Y. Galardi, sotto la V. Giu- liani e sotto la V. Franco- lini. L’7. Cripsii è la specie più comune e caratteristica delia creta super, del ba- cino di Firenze e dell’Ap- pennino settentrionale e fu oggetto di un importante ed Fig. 6. /noeeramus Cripsii Mant Valle del Mugnone (V. Francolini). 292 G. TRABUCCO accurato studio di De Stefani ( Studi paleozoologici sulla Creta super, e media dell’App. settentr., 1885). Intanto, mentre le località, dove affiora la creta super., vanno ogni anno crescendo, grazie all’attività dei geologi ed ai pro- grediti studi sulla stratigrafia di questi terreni, importa bene stabilire un fatto paleo-stratigrafico importante ormai acquisito alla scienza. VI. Cripsii non si raccoglie che nei tipici terreni della creta super., e gli antichi esemplari delle collezioni che portano l’in- dicazione M. Ripaldi provengono dai terreni cretacei superiori, i quali (come già aveva osservato De Stefani f1), e si è potuto meglio stabilire ora (2) ), ricoprono in questa località la creta media, che ne differisce per i caratteri paleontologici, strati grafi ci e litologici. Ostrea Cocciài De Stefani 1885 0. Cocchii De Stefani, Studi paleozool. sopra la Creta media e super. Mera. Acc. Lincei, ser. 4a, voi. I, 1885, p. 106, tav. I, fig. 3-4. De Stefani (toc. cit.) osserva che IO. Caccivi i è sempre ade- rente al!!. Cripsii Mant. e propria, per conseguenza, della zona della creta snp., caratterizzata da questo fossile. Palaeosceptron Menegliinii Cocchi 1870 Pennatulites Menegliinii Cocchi, Alessandri, Grattacela e Moino, Taglio, ecc., p. 116. 1885 Palaeosceptron Menegliinii De Stefani, op. cit., p. 101, tav. II, fig- 2. (') De Stefani C., Studi paleozoolog. sulla creta media e super. Mem. Acc. Lincei, ser. 4a, voi. I. 1885. — Nuovi fossili cretacei delVApp. settentr. Estr. Rend. Acc. Lincei, sei*. 5a, voi. I, fase. 8, 9. (*) De Stefani e Trabucco, Nuovi foss. cretacei dei dintorni di Fi- renze. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XIY, 1895. Trabucco G., Nummulites ed Orbitolites dell’ Arenaria macigno del bacino di Firenze, 1894. — Sull’età geol. del macigno di Firenze, 1895. — Sulla posizione ed età delle argille galestrine e scagliose, ecc., 1896. — Stratigrafia dei terreni, ecc., della Prov. di Firenze, 1898. POSSILI, stratigrafia ed età della creta superiore 293 Lungo il Mugnone, sotto Pratolino. Museo Geologico di Firenze. 1885 Pennatulites Meneghinii Cocchi P. Meneghina Cocchi (in literis), De Stefani, op. cit., tav. II fig- 3. Lungo il Mugnone, sotto Pratolino. Museo Geologico di Firenze. Pennatulites longespicata Cocchi 1870 P. longespicata Cocchi, Alessandri, Grattarola e Momo, Ta- glio, ecc., Boll. Com. Geol. d'Italia, voi. I, p. 116. 1885 P. longespicata De Stefani, op. cit., p. 99, tav. II, fig. 2. Lungo il Mugnone, sotto Pratolino, nella pietraforte, a poca distanza dai terreni eocenici. Museo Geologico di Firenze. 1885 Cliona hastata De Stefani CI. hastata De Stefani, op. cit, p. 98, tav. II, fig. 11. Nella creta super., con I. Cripsii ed 0. Cocchii, a Pontas- sieve, Marnia, ecc. Sopra una valva di 7. Cripsii, coperti da individui di 0. Cocchii. Museo Geologico di Firenze. Cliona cretacea Portlok 1843 CI. cretacea Portlok, Report on thè geology of thè county of Lon- donderry, p. 360. 1868 Cl. cretacea Fischer, Recherches sur les éponges perforantes, p. 107, pi. II, fig. 5. 1882 Cl. cretacea Seguenza, Studi geol. e paleont. sul cretaceo medio dell’Ital. merid., p. 135, tav. XVIII, fig. 2. 1885 Cl. cretacea De Stefani, op. cit., p. 98, tav. II, fig. 12. Pontassieve, sulle valve dell’/. Cripsii , nella creta sup. (Fi- renze). Museo Geologico di Firenze. 294 G. TRABUCCO Helmintlioida labyrinthica Heer 1866 H. labyrinthica Heer, Le monde primitive de la Suisse, tav. X, tig. 12-13, p. 305. Nella pietraforte, valle del Maglione, V. Pernzzi. Nemertilites Strozzii Menegli. 1851 N. Strozzii Menegh., Considemz. sulla geologia stratigrafica della Toscana, p. 421. Nella pietraforte , valle del Maglione, P. Maccioli. Età della u creta super. „ del bacino di Firenze. Sull’età della creta superiore del bacino di Firenze e dell’Appennino in genere non può esistere dubbio. Il fossile coniane e caratteristico di questo terreno cretaceo, VInoceramus Cripsii Mant., è ]mre, per unanime consenso degli studiosi (Scbliiter (l), De Stefani (2), ecc.) caratteristico del piano senoniano. Dunque la creta super, del bacino di Firenze e del- l’Appennino ad I. Cripsii Mant. appartiene al senoniano. [ras. pres. 10 gennaio 1900 - ult. bozze 14 giugno 1901]. (') Scbliiter C., Zar Gattung Inoceramus. Palaeont. N. ^F., IV, 6 (XXIV), p. 286. ( -) De Stefani C., Studi paleozoologici sulla Creta super, e media del- l’App. settentr. Estr. Mem. E. Acc. Lincei, ser. 4a, 1885, p. 30. BOLL. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA, VOL. XX (1901) (TRABUCCO) TAV.III Sezione da Monte Senario a Tavernuzze Spiegazione Cenoaianiano Bandii di arenano.’ p xcKkcÌ^o tic, alternanti rari scisti calcareo -argiitosi a. 5. dfiutaiJuuuio , S . ,‘TTUc (refii , 61. *1 d , etc Se NONI ANO Cafcvtr marnosi bùuidii e verdognoli alternar . fi con assise di- lyxfcolxx. scuri, cerulei' e- con, potente, s troie di ru- eri aria. epieXxaJ^oxXe- ad 3. Oziasi v, età SuESSONIANO Potenti ■ banchi/ di arenaria, m«cuyno intercalati con scisti, argilloso -arenacei a *11 .‘JieooEasux,, *TL Co cc&ii/ , eie. Assise, potenti, e ripetute di ^atcslxi varicolori con, brecdole, luumnwÙw^. attemanti, con- fi. Zar dii di arenaria / p.'amm ite, e calcari marnosi a Scaladi 1 : 50,000 _ Poxxalatie/} FOSSILI DEL SILURIANO INFERIORE DELLO SCHENSÌ (Cina) Nota del dott. Alessandro Martelli Nella grandiosa opera del Richthofen sulla Cina (r) sono raccolte notizie geologiche importantissime relative specialmente allo Schansi ed allo Scliensì e ad accrescere le nostre cognizioni sulla natura ed età dei terreni delle regioni più interne del- l’Estremo Oriente, hanno spesso contribuito anche le raccolte di oggetti naturali fatte dai missionari. Recentemente il Padre Giuseppe Girahli delle Missioni per mezzo del sig. Biondi ha favorito al Museo di Geologia del- l’Istituto Superiore di Firenze, alcuni fossili paleozoici raccolti nella località di Lean-San fra i monti di Tsin-ling nello Scliensì meridionale, fossili in verità poco numerosi, ma in compenso assai ben conservati ed importanti per la determinazione del- l’orizzonte geologico. Li abbiamo determinati come segue: Brachiopodi: Orthis calligramma Daini, var. serica nov. Orthis calligramma Daini, var. Davidsoni De Vern. Schizophoria Poloi sp. nov. Porambonites intercedens Pand. Orthisina Giraldii sp. nov. Briozoi: Feneslella ambigua Hall. Vermi: Spirorbis inornatus Hall. Lo studio di tali esemplari, mentre non apporta altro che una semplice conferma alla presenza di terreni siluriani nello (') Richthofen F., China, Ed. D. Reiraer. Berlino, 1883. 296 A. MARTELLI Schensì meridionale, contribuisce in piccola parte ad ampliare la conoscenza della fauna siluriana della Cina. E. Kayser nell’opera del Richtkofen, illustra i fossili del Siluriano delle regioni montuose del Tshan-Tién, che, al pari di Lean-San, trovasi nello Scliensì del Sud. Secondo quanto si legge nel Richthofen ('), sempre nella stessa località e più pre- cisamente nei dintorni di Kian-tshang-pa, si notano dal basso all’alto le seguenti formazioni ben distinte pei caratteri litolo- gici e pel contenuto organico: a) Calcare grigio scuro e nerastro, a struttura microcri- stallina e con resti fossili riconosciuti per la massima parte come frammenti di Trilobiti. (Riferito dall’Autore al Siluriano inferiore). b) Calcare marnoso grigio chiaro subcristallino con rari frammenti di Trilobiti, ma con abbondanti esemplari di Orthis calligràmma Dalm. ed altri Brachiopodi, le cui impronte si di- stinguono facilmente nella massa omogenea della roccia. (Silu- riano medio). c) Calcare compatto rossastro con frammenti di Crinoidi e di Brachiopodi, fra i quali ultimi si hanno varie specie di Spi- ri fer e Rhynchonella. (Parte più antica del Siluriano sup.). d) Calcare marnoso grigio giallastro con resti di Crinoidi e Corallari e con una ricca fauna di Brachiopodi. Cefalopodi, Gasteropodi e Trilobiti in buono stato di conservazione. (Parte più alta del Siluriano sup.). Dall’asserzione del raccoglitore risulta che in uno stesso calcare grigio chiaro nel quale noi abbiamo riscontrato i ca- ratteri generali esposti dal Kayser, si trovano in prevalenza ab- bondanti esemplari della specie che abbiamo riconosciuto per Orthis calligramma Dalm. frammisti con gli altri fossili più sopra da noi menzionati. La vicinanza delle due località nelle quali sono stati trovati i fossili siluriani descritti da Kayser e quelli descritti da noi, ci permettono di riconoscere l’analogia della formazione di Lean-San con quella ( b ) di Kian-tshang-pa. Kayser, parlando di questa formazione, osserva che la pos- sibile immediata relazione fra il calcare a trilobiti (a) con (*) (*) Op. cit., voi. IV, pag. 37. FOSSILI DEL SILURIANO INFERIORE DELLO SCHENSÌ 297 quello a brachiopodi (b) farrebbc assegnare a quest’ultimo un’ età corrispondente, nella nomenclatura del Murchison, alle forma- zioni del più profondo Llandovery, quindi a confine con le as- sise del Caradoc. Però la presenza con la Orthis cdlligramma di uno Spirifer radiatus Sow. che farebbe pensare ad un’età meno antica, lascia il Kayser alquanto titubante nella deter- minazione del piano, tantoché riconoscendo quasi questa for- mazione come un termine di passaggio fra l’Ordoviciano ed il Grotlandiano, la riferisce al Siluriano medio. Porse lo studio di questi pochi fossili giunge opportuno per stabilire con sicurezza l’età del calcare grigio chiaro di Lean- San e di Kian-tshang-pa, giacche abbiamo potuto constatare che la 0. calligramma var. Davidsoni, oltre al ripetere i caratteri degli esemplari dell’Inghilterra riferiti con sicurezza alla parte più alta del Siluriano inferiore, è accompagnata dalla Poram- bonites intercedens Pand. e da una Orthisina (forme essenzial- mente caratteristiche del Siluriano inferiore o Ordoviciano) e cosi crediamo di non essere in errore riconoscendo nei dintorni di Lean-San (Schensì meridionale) la presenza di formazioni ri- feribili. all’Ordoviciano superiore. BRACHIOPODI: APYGIA. Orthis calligramma Dalm. var. serica nov. (Tav. IV, fig. 1-4). 1845 Orthis calligramma Daini. De Verneuil, Géol. de la Russ. cV Europe (Voi. II, pari. Ili paléont. Londre- Paris) pag. 207, tav. XIII, fig. 7. 1855 » » » Sedgwiuk, British paleozoica Londra, pag. 214. 1859 » » » Murchison, Siluria. Londra, pag. 209, tav. V, fig. 8. 1873 » » » Salter, Calai. Cambr. and Silur. foss. pag. 57. 1883 » » » Richthofen, Clima, voi. IV (palaeont., Theil. Em. Kayser, Silur. Verstein. von Tsliau-Tien) pag. 40, tav. Ili, fig. 12. 1894 » » » Frech, Die Karnischen Alpen, (Halle) pag. 220. 24 298 A. MARTELLI Sono relativamente numerosi gli esemplari riferibili a questa specie e provenienti dalla stessa località meridionale dello Schensi. Il loro stato di conservazione non lascia quasi nulla a deside- rare, cosicché i caratteri distintivi non solo appaiono chiara- mente sulla superficie esterna, ma in taluni campioni, consistenti nella sola valva dorsale, si sono pure conservati benissimo ta- luni caratteri quali l’apparato cardinale e le impressioni musco- lari, che ci guidano ad una determinazione sicura. Gli esemplari di questa specie, che il Eichthofen illustra, non corrispondono perfettamente ai campioni che noi abbiamo in esame, giacche VO. calli grammo, rinvenuta nel Tshan-Tien è alquanto più appiattita, mentre il nostro brachi opode presentasi rigonfio e tondeggiante specialmente lungo la linea antero-po- steriore. Anche l’umbone è più arcuato ed il suo apice sorpassa il margine dell’area cardinale. I caratteri che si notano all’ interno della valva dorsale cor- rispondono a quelli messi in evidenza da Salter (*), nella var. proava, illustrata pure da Davidson (2). Mentre le cavità prodotte dall’ inserzione dei muscoli addut- tori, la parte dell’apparato cardinale e le notevoli incisioni presso il bordo paileale corrispondenti all’esterno rilievo delle coste, non farebbero mettere in dubbio il riferimento a questa varietà, le superflui esterne degli esemplari che stiamo studiando se ne scostano’ invece sensibilmente, giacché a parte la forma più tondeggiante, anche il numero delle coste della var. proava è minore di quello che può riscontrarsi nella var. serica. Se ad una varietà questa potrebbe avvicinarsi sarebbe all’or- thambonites (confi-. De Vern., op. cit.), per quanto riguarda la forma generale, ma, se ne scosta invece assai, per le stria ture della superficie. Per tali ragioni, pur constatando la presenza di quei carat- teri essenziali pel riferimento sicuro alla 0. calligramma Dalm., ci siamo trovati nella necessità di proporre per questa forma la nuova varietà serica. (’) Mem. Geol. Survey, voi. Ili, pag. 335, tav. XXII, fig. 1. (*) British fossil brachiopoda, voi. III. Devon. and Silur. sp. Paleont. Soc. Lond. 1864-1871, tav. XXXV, fig. 13-15. FOSSILI DEL SILURIANO INFERIORE DELLO SCHENSÌ 299 Veniamo quindi alla descrizione di questi esemplari. Il complesso dell’ individuo appare per così dire piano con- vesso, perchè a differenza della valva ventrale, quella dorsale risulta appiattita e solo leggermente curvata verso il punto cor- rispondente alla metà della linea cardinale di dove irradiano le coste aumentando successivamente di spessore tino alla peri- feria. La linea cardinale è netta e diritta, e la sua lunghezza, nei campioni ben conservati, è presso a poco uguale a quella del diametro margino-! aterale. Su ciascuna valva la porzione dell’area è ben delineata ed alla metà di essa apresi il foro triangolare. L’area ventrale al di sotto dell’umbone ricurvo si presenta rilevata sulla dorsale. m m . mm. Diametro antero-posteriore negli esemplari più grandi : 14 nei più piccoli 11 » margino-laterale » » » » 15 » » » 12 » dorso-ventrale (perpend. ai precedenti) 7 » » » 6 All’esterno, la superfice è adorna di 17 coste semplici, ra- dianti verso la parte frontale, senza però che le più esterne si riuniscano all’umbone. Le coste mediane spiccano sulle altre e dalla larghezza massima di mezzo millimetro, insieme con gl’in- terspazi, vanno leggermente diminuendo verso la sporgenza della linea cardinale, dove le coste sono fra loro riunite, simulando l’aletta di taluni lamellibranchi. Nell’ interno della valva dorsale e lungo il bordo palleale si hanno incisioni alternate con coppie di rilievi e corrispon- denti relativamente alle coste esterne e all’inizio della piega concava degli interspazi. In corrispondenza al pseudo-deltidio si ha l’apparato cardinale nettamente distinto. I piccoli setti cardinali (placche foveali) si sviluppano in due apofisi divergenti, trigonali, incavate nel lato interno e divise da un setto mediano che dalla metà dell’aper- tura triangolare continua verso la fronte, separando le due cavità prodotte dai muscoli adduttori. La sutura delle valve si presenta ondulata soltanto presso la fronte. 300 A. MARTELLI Rapporti e differenze. — Secondo De Verneuil, fra i bra- chiopodi più caratteristici del piano inferiore del Siluriano si hanno principalmente le Ortliis a pieghe semplici. Per l’inco- stanza di alcuni caratteri, come la lunghezza della cerniera e il numero delle coste, sono state moltiplicate le varietà di questa specie. È opportuno ricordare come De Verneuil, parlando della 0. or- thambonites Eicli. tondeggiante e con l’umbone che si ripiega sul margine dell’area, l’abbia distinta come semplice varietà della ealligramma nella quale ha compreso anche la 0. callactis (!). Come principale differenza ha notato la presenza di strie tra- sversali sulla superflue della var. orthambonites. A parte la que- stione se tale carattere sia più apparente che reale, potendo essere spesso inerente allo stato di conservazione degli individui, su taluno dei campioni più conservati provenienti dalla stessa località e riferibili alla medesima specie, abbiamo potuto rico- noscere, con l’aiuto di una lente, la presenza di sole strie lon- gitudinali e ciò esclusivamente lungo la convessità delle pieghe intercostali. Siccome questo carattere è comune a tutta la specie che in qualche varietà può mostrarsi striata anche trasversalmente, rie- pilogando, potremo anche conchiudere che la nostra var. serica mostrando tutti i caratteri specifici della 0. ealligramma par- tecipa della forma complessiva della var. orthambonites e si accosta per i rilievi della valva interna dorsale alla var. proava. Essa non può nemmeno ritenersi uguale a quella descritta dal Kayser nell’opera del Richthofen sulla Cina, giacche si fa notare nella descrizione stessa, come la 0. ealligramma dei din- torni del Tshan-Tien sia ancora più appiattita della tipica in- glese. Località ed Orizzonte. — Nel Nord-America, nella Russia e nella Svezia (2) questa specie trovasi nei depositi del Silurano inferiore corrispondenti a quelli inglesi di Llandeilo e Caradoc, nei quali la 0. ealligramma entra a far parte di quella fauna 0) Murchison, De Verneuil, De Kayserling, Géol. de la Russie d’ Eu- rope, voi. II, part. Ili, pag. 208. Paris, 1846. (2) Murchison, Siluria, pag. 209. Lond., 1859. FOSSILI DEL SILURIANO INFERIORE DELLO SCHENSÌ 301 che mostrasi costantemente nelle assise superiori à&WOrdovi- ciano. In Russia, e specialmente nei dintorni di Pietroburgo, è assai frequente la var. orthambonites. Anche il Richthofen, come già abbiamo veduto, annovera fra i fossili del Tshan-Tien questa specie notevole per la sua grande estensione nell’Europa, Asia ed America. Ortliis calligramma Dalm. var. Davidsoni De Vera. (Tav. IV, fig. 5-6). 8148 Orthis Davidsoni De Vern., Bull. Soc. Géol. de France, Voi. II, ser. II, pag. 323, tav. IV, fig. 9. 1864-71 » calligramma Dalm. var. Davidsoni De Vern., Davidson., British. foss. bradi. Voi. Ili, Devon. and Silur. spec. Paleont. Soc. Lond. pag. 240, tav. XXXV, fig. 18-19. Non esitiamo a riferire alla var. Davidsoni taluni degli esemplari di questa specie frammisti con quelli che abbiamo distinti come var. serica. Corrisponde pe’ suoi caratteri alla descrizione del Davidson e si distingue facilmente dalla 0. calligramma var. serica. Tanto sulla valva ventrale dove l’ ambone mostrasi ricurvo fin presso all’area, che è di poco più grande che nella comune calligramma, quanto su quella dorsale, molto appiattita, le coste appaiono leg- germente irregolari nel loro decorso e assai più discoste presso la fronte che non ai margini. Inoltre, la lunghezza presa dall’um- bone alla fronte sulla valva dorsale e quella fra i due margini di essa, risultano uguali, mentre per l’ordinario nelle altre Or- this è prevalente lo sviluppo trasversale. Le dimensioni degli esemplari in esame sono infatti le se- guenti : mm. Diametro antero-posteriore 17-18 » margino-laterale 17-18 » dorso-ventrale 7 La linea di sutura è al la fronte alquanto ondulata, e le coste, insieme con i margini presso la linea cardinale, sono notevol- mente depressi. 302 A. MARTELLA De Yerneuil, notando pel primo i caratteri di questa varietà, ne aveva fatto una specie a sè, ma in seguito è stata compresa nella calligramma Dalm. Località ed Orizzonte. — Più che altro trovasi frequente nelle formazioni calcaree del Siluriano inferiore della Russia e della Svezia. Scliizoplioria Poloi nov. sp. (Tav. IV, fig. 17-22) Distinguiamo sotto questo nome quattro esemplari ben con- servati che rendono possibile un accurato esame dei loro carat- teri esterni e che non corrispondono a nessuna delle specie fino ad ora descritte. Nelle opere classiche di De Yerneuil e di Davidson sui brachiopodi, gli esemplari come quelli che stiamo per descrivere non sono distinti con una denominazione particolare, essendo in- vece compresi nell’esteso appellativo di OrtJiis. De Verneuil però, nel quadro sintetico dei caratteri delle Orthis, fa due grandi divisioni di Sinuate e Non sinuate ; nella prima ha distinto la 0. resupinata Martin, e 0. striatula Sebi., mentre nella seconda vi ha compreso tutte le altre specie da lui conosciute, raggrup- pandole secondo i caratteri relativi alla superficie. In appresso, tutte le Orthis riunite nella classificazione sotto il nome collet- tivo di Sinuate , vennero distinte nella nomenclatura con quello generico di Schizophoria (King. 1850). Così è stato possibile un ulteriore aggruppamento di quelle forme che mostrano l’appa- rato cardinale, le impressioni muscolari e vascolari uguali a quelle delle Orthis, dalle quali si scostano invece per la co- stanza di una notevole depressione frontale sulla valva ventrale, corrispondente ad una elevazione della valva opposta. Anche in questi brachiopodi le dimensioni trasversali della conchiglia superano quelle longitudinali. A differenza delia maggioranza delle Orthis , la valva ventrale fino al principio della depressione è pianeggiante, mentre quella dorsale è assai più globosa. Il piccolo umbone è ricurvo fino a delimitare il punto più alto del bordo cardinale, ma sporge assai poco oltre la sommità dell’altra valva. FOSSILI DEL SILURIANO INFERIORE DELLO SCHENSI 303 L’area ventrale è di poco maggiore a quella della valva dorsale e la lunghezza complessiva dell’area in mezzo alla quale apresi il foro triangolare, uguaglia circa la metà della massima larghezza della conchiglia. I quattro esemplari che abbiamo riferiti a questa specie hanno grandezze diverse : i. ii. Diametro antero-posteriore : rum. 30 mm. 22 » margino-laterale : » 36 » 27 » dorso-ventrale: » 17,5 » 14 III. IV. mm. 21 mm. 16 » 25 » 20 » 13 » 11 Sulle superflui non si discernono striature nemmeno sottilis- sime, ma si notano invece ben marcate delle linee circolari che dai margini cardinali si estendono verso la fronte segnando i limiti delle zone di accrescimento. La leggera cresta che nell’interno della valva ventrale con- torna le impressioni ovoidali lasciate dai muscoli, si rivela a fatica sulla superficie liscia della conchiglia insieme col sottile setto che le divide. Con minore difficoltà si notano sulla valva dorsale i segni corrispondenti ai setti che dividono all’interno le cavità muscolari. Rapporti e differenze. — Al confronto con la 0. striatula Schlot., questa nuova specie non solo si mostra, come abbiamo già detto, priva di qualsiasi striatala radiale, ma, a parte la piccolezza dell’umbone, anche l’area è molto più bassa e la stessa valva ventrale molto più depressa di quanto non si verifica nella 0. striatula. Orizzonte. — I brachiopodi riferibili alle Schizopliorìae si estendono dal Siluriano al Carbonifero, ma noi abbiamo ragione di ritenere che questa nostra specie possa essere la rappresen- tante del più antico orizzonte proprio al genere, tanto più che studi recenti limitano addirittura il gruppo delle 0. resupinatae al Siluriano inferiore (1). Questa specie è stata ritrovata insieme con gli altri fossili riferibili all’Ordoviciano superiore, e su questi (') Confi-. Hall. J., An Introd. to thè study of tlie Brachiopoda, p. 272. Ann. Rep. of thè state New-York Geolog. Albany. 1892. 304 A. MARTELLI campioni vedonsi pure briozoi e piccoli frammenti di altri orga- nismi, identici per struttura e forma a quelli incrostanti gli altri fossili che sono stati oggetto di questa nota. Porambonites intercedens Pand. (Tav. IV, fig. 13-16). 1830 Porambonites intercedens Pander, Beitr. zìi Geoì. des liuss. Rei eh., pag. 2, tig. 2. 1845 Spiri fer porambonites von Buch. Murchison, De Verneuil,. De Kayserling. Geoì. de la Russie d’ Europe, V ol. II, III, part. pag. 131. 1859 Porambonites intercedens Paud. Murch., Siluria, pag. 545. 1864-1871 » » » Davidson Brit. foss. bradi.. Voi. Ili, De v. and. Silur. spec . pag. 195, tav. XXV, fig. 17. Un solo esemplare completo corrispondente per tutti i ca- ratteri che mostra all’ esterno a questa specie assai incostante nella sua forma generale e che non si presenta mai simmetrica rispetto alla perpendicolare al piano di separazione delle valve. Le conchiglie subpentagonali sono più gibbose lungo la linea mediana che presso al margine ed il piccolo umbone, ricurvato sulla corta linea cardinale, sporge assai poco al disopra dell’op- posto e tondeggiante apice dorsale. La valva dorsale più rigonfia dell’altra sollevasi presso la fronte con una rilevante piega, corrispondente ad una notevole ed irregolare depressione della valva ventrale, che contribuisce a rendere asimmetrico questo esemplare. Con una attenta osservazione, si notano sulla superficie delle fitte e sottili costole radiali e trasversali che comprendono lun- ghe serie di piccole fossette, disposte esse pure in linea rag- giante. Diametro margino-laterale : mm. 30 » antero-posteriore : mm. 25 » dorso-ventrale : mm. 16 L’eccessiva prevalenza della dimensione lungo la linea tra- sversale potrebbe in parte far ritenere come riferibile al gen. Spi- rifer questo brachiopode, ma la brevità della linea cardinale e FOSSILI DEL SILURIANO INFERIORE DELLO SCHENSÌ 305 l’esigua estensione dell’area sono caratteri più che sufficienti per comprenderlo nel gen. Porambonites Pand., nonostante che non si vedano i caratteri interni e che si rivelino alla superficie soltanto i tratti lineari corrispondenti alle impronte delle placche foveali e dentali, il cui complesso genera il rilievo circolare presso la sommità delle valve. Rapporti e differenze. — - Di questa specie se ne sono di- stinte alcune varietà che si scostano dall’esemplare ordinario per un grado maggiore di rotondità. La P. subrecta Pan., che il De Verneuil riconosce solo come una varietà dello Spirifer poram- bonites von Buch, è forse la forma che più si avvicina a questa tanto per le dimensioni che per lo spessore, ma mentre nella subrecta le valve sono tra di loro poco diverse e la piega fron- tale più regolare, nell’ intercedens la valva dorsale è sensibil- mente maggiore della ventrale, che è contorta e sinuata senza simetria. Davidson descrive ed illustra una varietà filosa Coy (’) che si scosta dalla nostra pei caratteri della superficie. Località ed Orizzonte. — Come anche il De Verneuil affer- ma (2), questo brachiopode è uno dei più caratteristici dei de- positi siluriani inferiori del Nord della Russia e trovasi anche abbondante nelle formazioni siluriane del Caradoc. Ortliisina Giraldii nov. sp. (Tav. IV, fig. 7-12). Crediamo opportuno di ricordare come nella famiglia delle Stropìiomenidae, le OrtMsinae, riunite da prima ai generi Orthis e Strophomena con i quali furono confuse, siano state in se- guito distinte da Pander (1830) nella sinonimia coi nomi di Clitambonites , Pronites ed Hemipronites. Nell’importante mo- nografia di Pahlen sulle Orthisinae (3) sono enumerate tutte le (’) Brit. Silur. brachiop., pag. 195, tav. XXV, fig. 16. (2) Géol. de la Bussie d’ Europe, pag. 131-132. (3) Von der Pahlen A., Monogr. der battiseli silurischen Arten der Bracliiopoden- Gattung Òrtliisina, Ména. Ac. Imp. des Se. Saint-Péters- bourg, VII sér., tom. XXIV, n° 8, Pietroburgo, 1877. 306 A. MARTELLI varianti succedutesi nella classificazione e nomenclatura di questi brachiopodi siluriani, di cui gli studi successivi hanno messo in evidenza i caratteri pei quali vengono distinti dalle Ortlds e dalle Strophomenae. Sono tre gli esemplari die noi ascriviamo a questa nuova specie. La conchiglia è subcircolare ; la valva dorsale è leggermente rigonfia e quella ventrale pianeggiante è sollevata notevolmente sul margine della grande area triangolare, che s’inclina di 50° sul piano dell’area ventrale molto più piccola. Nel mezzo dell’area si ha un rilievo convesso risultante dal- l’unione dei due pseudo-deltidi e finito in punta sotto l’umbone dove apresi il foro tondeggiante. La valva ventrale si prolunga leggermente presso la fronte, formando una leggera depressione dalla metà della linea mediana fino al margine anteriore, la quale corrisponde nella valva opposta ad una carena chiara- mente visibile. La carena e la piccola sinuosità frontale dànno a questi fossili un aspetto caratteristico che non trova riscontro in nessuna delle Orthisinae finora descritte. La superficie dell’area è liscia, mentre quella della conchiglia è ricoperta da fittissime strie radianti, fini ed uguali che dall’um- bone si estendono fino ai margini. Dal bordo cardinale ed in maggior numero dairestremità di esso a forma di semicerchio si hanno dalle 6-12 zone d’accresci- mento pressoché concentriche. Negli esemplari più piccoli, queste zone si addossano a poca distanza dalla fronte, in modo che la superficie striata viene interrotta da più anelli di accrescimento che si sovrappongono a guisa di gradini. La parte posteriore della valva dorsale finisce con una linea che, segnando anche la lunghezza del cardine, è di poco minore alla massima lar- ghezza della conchiglia. Quella ventrale appare esternamente limitata da un largo angolo di 160°, al cui vertice trovasi na- turalmente il piccolo ambone. Gli esemplari sono di grandezza variabile e riportiamo qua le principali misure prese su ciascuno di essi : FOSSILI DEL SILURIANO INFERIORE DELLO SCHENSÌ 307 i. il in. Diametro antero-posteriore : mm. 17,5 mm. 14,4 mm. 14,1 » margino-laterale : » 17,8 » 14,7 » 14,5 » dorso-ventale : » 8,3 » 5,4 » 5 Lunghezza massima dell’area » 15,5 » M ‘ CO » 11,4 Altezza dell’area fra i due margini posteriori » 6 » 4,9 » 4,8 Rapporti e differenze. — Il Palilen descrive VOrthisina plana Pand. (1), corrispondente in parte all’ Orthis plana De Vern. (5); la sua forma è quella che più si accosta alla nostra specie, che essenzialmente si distingue per essere sinuata nella valva ven- trale e carenata in quella dorsale. Inoltre, anche nell’ Ortldsina plana si ha una piccola depressione lungo la linea mediana e presso la fronte, ma questa si verifica sulla valva dorsale in- vece che su quella ventrale, tantoché, sotto questo riguardo, l’una è il rovescio dell’altra. Orizzonte. — Per la facilità, con la quale questi fossili sono stati confusi con le Strophomenae e Streptorliynchi si è spesso assegnato ad essi un habitat assai più esteso del reale, mentre tutte le Orthisinae sono caratteristiche del Siluriano inferiore. BRIOZOI: CYCLOSTOMATA Fenestella ambigua Hall. 1879 Fenestella ambigua Hall James, The fauna of thè Niagara Group in centrai Indiana. An. Report New-Jork State Museum of Nat Hist. Albany pag. 123, tav. XI, fig. 17-21. Le superimi delle Schùophoriae e taluno dei frammenti in- determinabili di brachiopodi mostrano frequenti traccie di briozoi, i quali però non sempre si prestano ad un’esatta determina- zione. Come afferma lo Zittel, le considerevoli variazioni subite dai briozoi durante il loro accrescimento, hanno fatto si che fossero (') Pahlen, Monogr. baltisch-silur. Arten Orthisina, Mém. Ac. Imp. Se. Saint-Pétersbourg, VII sér., tom. XXV, n° 8, pag. 25, tav. II, fig. 10-17. (2) Gcol. de la Buss. d’Eur., voi. II, part. Ili, pag. 199, tav. XI, fig. !• 308 A. MARTELLI moltiplicate inopportunamente le specie nuove e così, malgrado che gli esemplari di Lean-San non corrispondano perfettamente nei caratteri secondari alla Fenestella ambigua descritta da Hall, pure crediamo di poter riferire a questa specie due fra i migliori campioni conservati. Questi si presentano infatti con le loggie dicotome, disposte a ventaglio e incostanti nella loro disposizione in serie; le sezioni delle loggie sono in preponderanza di una forma irre- golarmente ellittica. Lo spessore dei sepimenti è uguale al terzo del massimo diametro delle aperture delle loggie, le quali, osservate in sezione orizzontale, si presentano come embricate. Siccome i sepimenti trasversali che si dispongono obbliqua- mente attraverso alla serie di quelli longitudinali hanno fra loro una distanza massima di 3/10 di mm., che è doppia della massima fra quelle delle serie che intersecano, è naturale che le sezioni della cavità da essi comprese e ispessite agli angoli, debbano risultare pressoché ellittiche. Gli individui sono meno grandi di quelli del Niagara, pre- sentando 12 loggie nello spazio di mm. 5. Lo speciale carattere d’irregolarità nella disposizione e forma delle loggie e quindi di tutto il coenoecium , proprio della F. am- bigua, non lascia dubbi sulla determinazione avvalorata dalla corrispondenza con i caratteri complessivi menzionati da Hall e pur non essendo riusciti a distinguere la striatura lungo i margini esterni delle logge, probabilmente dipendenti dallo stato di conservazione, abbiamo creduto di poter riferire a questa specie, alcuni fra gli esemplari di briozoi di Lean-San. Orizzonte. — La F. ambigua Hall è stata trovata finora nei terreni siluriani del Niagara (gotlandiano medio). VERMI: CHAETOPODES Spirorbis inornatus Hall. 1879 Spirorbis inornatus Hall, The Fauna of thè Niagara Group, pag. 181, tav. 31, fig. 14-15. Ann. Rep.New- York State Museum Nat. Hist. Albany. 1883 » omphaìocles Goldf., Richthofen und Kayser, China , Voi. IV (paleont.), tav. XI, fig. 2 e 5, pag. 95 FOSSILI DEL SILURIANO INFERIORE DELLO SCHENSÌ 309 Sulla valva ventrale di un’ Orthisina insieme con frammenti di briozoi non determinati, si nota un piccolo ma ben conser- vato esemplare di anellide regolarmente avvolto a spira e rife- ribile con ogni probabilità a questa specie dalla forma assai semplice e che più frequentemente die altrove si trova ad in- crostare fossili paleozoici. Frammenti indeterminabili di altri organismi e specialmente di briozoi si riscontrano sulla superfice dei brachiopodi che ab- biamo studiati, ma tutti questi resti di fossili non si prestano nemmeno ad un riferimento probabile del genere. [ms. pres. 24 marzo 1901 - ult. bozze 17 giugno 1901]. 310 A. MARTELLI SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA IV 1-4. 5-6. 7-12. Orthis calligramma Daini, var. serica nov. 1. Parte dorsale. 2. Parte ventrale. 3. Vista da tergo. 4. Interno della valva dorsale. Orthis calligramma Daini, var. Davidsoni De Vern. 5. Parte ventrale. 6. Esterno della valva dorsale. Orthisina Giraldii nov. sp. 7. Esemplare grande di fianco. 9. 10. 11. 12. dalla parte dorsale. da tergo. piccolo dalla parte ventrale. » di fronte. » dalla parte ventrale (X 1 /?)- 13-16. Porambonites intercedens Pand. 13. Parte ventrale. 14. Esemplare da tergo. 15. » di fronte. 16. » dalla parte dorsale. 17-22. Schizophoria Poloi nov. sp. 17. Esemplare grande dalla parte ventrale. » dorsale. 18. » piccolo » » 19. » grande » » 20. » » di fronte. 21. » » di fianco. 22. » » da tergo. Boll. d. Soc. Geol . Italiana. Voi. XX. (Martelli) Tav. IV, 9 ELIOT. CALZOLARI & FCRRARlf). (VHl^ANQ IL LOESS DEL SHAN-SI SETTENTRIONALE Nota dellTng. Alberto Viglino Une question encore assez controversée est celle de la, destinée des ménues pous- sières engendrées par la désagrégation dans les déserts ('). Nell’Asia orientale, ad eccezione delle masse granitiche pri- mitive e degli scliisti cristallini arcaici e paleozoici, formanti il nocciuolo di tutti i suoi sistemi montuosi, ben poche formazioni posson competere col loess per potenza e per superficie di ter- ritorio ricoperto. Non porterò vasi a Samos, descrivendo questo caratteristico terreno dal lato geo-fisico, desso è troppo ben conosciuto pegli scritti di moltissimi provetti scienziati e viaggiatori, fra i quali eccelle il barone di Richthofen (2) ; mi basterà accennare che in Cina esso occupa un territorio immenso, più vasto della Francia, e costituisce il suolo dominante delle provincie del Nord, cioè: il Sben-si, il paese degli Ordos, il Shan-si, il Ci-li, il Kansu, il settentrione dell’ Ho-nan e buona parte dello Shan-tung, e, raggiungendovi soventi degli spessori di 300 a 400 metri, si spinge poscia in lembi isolati per le valli e le propaggini dei monti Tsin-ling e per le derivazioni del Kuen-lun, sin contro l’altipiano del Tibet (3). Verso nord, invece, invade le steppe mongoliche e finisce di confondersi col loro suolo e colle mobili (') De Lapparent, Leqons de Géographie physique, 2e èdition, Paris, 1898, p. 256. (2) Von Richthofen F. F., China, Berlin, 1882. (3) Reclus E., Nuova Geografia universale. 312 A. VIGLINO sabbie del deserto di Gobi, lo Han hai o mare disseccato dei cinesi. Nel paese è conosciuto sotto il nome di « nang-tu », ossia di terra gialla, ed il suo colore fu preso dagli industriosi e men- daci figli del cielo , come simbolo della Terra stessa, e quindi tenuto in grande venerazione; è il loro colore nazionale, il co- lore, diremo così, per eccellenza, forse perchè è quello domi- nante nel paese, tanto da meritargli il nomignolo di paese giallo. Cito, a tal proposito, ciò che ne dice il Keclus nella sua Geografia universale: « In queste regioni tutto è giallo, eol- » line, strade e campi, le case fabbricate di terra, i ruscelli ed » i torrenti carichi di alluvioni; la vegetazione stessa è masclie- » rata da un velo di polvere gialla, ed il minimo soffio solleva » nell’aria nuvole di fine argilla ». Quasi quasi che si potrebbe aggiungere, in mezzo a tanto giallo, esser dovuto ad un curioso fenomeno di mimetismo anche il colore degli uomini che vi abitano. Giudicando così a priori, data la sua origine assai recente, parrebbe non aver dovuto far nascere dei dubbi sulla sua ma- niera di formazione e provenienza; invece essa è assai contro- versa, ed io ritengo che ciò dipenda non tanto dal loess in sè stesso, quanto dal non essersi i geologi tuttora ben fissati su quei pochi, ma distinti caratteri peculiari, che valgano a sepa- rarlo da altre formazioni, a lui simili nell’aspetto generale, e cioè : 1° Uniformità di composizione, struttura ed entro certi li- miti anche grossezza degli elementi minerali, in tutta quanta l’estensione della formazione. 2° Mancanza assoluta di segni di stratificazione orizzontale od inclinata, o quanto meno di facile divisibilità in tali dire- zioni, ma invece facilissima e costante divisibilità in direzione verticale, con marcata tendenza a sfaldarsi in tale senso e for- mare alte pareti perpendicolari. 3° Fitta rete di canalicoli ramificati, provenienti dalla scomparsa di radici di piante erbacee, non riuniti in ammassi confusi e caotici, bensì regolarmente ed equamente distribuiti nella massa, conservando la primitiva loro giacitura, corrispon- dente a quella delle radici, di cui sono l’impronta. IL LOESS DEL SHAN-SI SETTENTRIONALE 313 4° Scarsissimo o nullo potere smettico od agglutinante, e grandissima porosità. 5° Calcaricità costante, sebbene in grado diverso. 6° Presenza esclusiva di resti fossili di animali terrestri, specialmente gasteropodi . I suddetti caratteri sono assolutamente specifici e, secondo il mio parere, non dovrebbesi chiamar col nome di loess, il ter- reno che ne fosse anche in parte privo, o peggio, avesse qualche altro carattere contradittorio. Prima d’ intraprendere il resoconto delle ricerche da me fatte su tale caratteristico terreno, mi sento in dovere di ringraziare il Prof. C. F. Paroma, alla cui squisita cortesia io debbo i bei campioni di loess provenienti dal Shan-si settentrionale, e ch’egli acquistò dai cinesi delle missioni, presenti alla mostra d’Arte Sacra, tenutasi Tanno 1898 in Torino. Grazie pure debbo al Prof. F. Sacco, per alcuni altri campioni di loess del Shan-si ed uno dello Shan-tung settentrionale, ed al Prof. F. Bassani pel suo valido consiglio, nonché ai Dottori R. V. Matteucci e G. De-Lorenzo pel loro interessamento a questo mio lavoro; in- fine grazie infinite debbo in special modo al Dott. Forte, pel- l’aiuto prestatomi in alcune ricerche ed analisi chimiche istituite sui minerali componenti, detti campioni. Caratteri fìsici generali. Colore. — E giallo in tutti i campioni, sibbene in diverse tonalità, variabile cioè dal giallo-bigio pallido al fulvo vivace, passando per diverse gradazioni intermedie; però è perfettamente uniforme in tutta la massa di un medesimo campione. Uno solo di questi è color rosso-ocra ed è cosparso di pic- cole macchiette nerastre; causa ne è la straordinaria quantità di limouite che invade la massa e forma da cemento ai granelli di cui questa è composta, rivestendo altresì le superfici di frat- tura, d’un velo sub-lucente d’aspetto ceroso o porcellanoide. Stato d’ aggregazione. — È simile a quello di molte argille sabbiose alluvionali ; a differenza da queste però, non presenta la benché minima tendenza a sfaldarsi secondo piani di sedi- mentazione. •25 314 A. VIGLINO Tranne che il campione limonitizzato suddetto, tutti gli altri sono fortemente porosi ed assorbenti e, messi a bagno, si disgre- gano lentamente cadendo in fine sabbia sul fondo del vaso. Im- pastati con poca acqua, non si legano come le argille plastiche, ma invece di indurirsi coll’ essiccamento come fanno quelle, si sciolgono in polvere senza coerenza alcuna. La resistenza allo schiacciamento ed all’attrito con altri corpi è simile a quella che presentano molte marne ed argille sab- biose quando son ben secche, ma s’approssima poi grandemente a quella offerta dalla terra ad infusori volgarmente conosciuta sotto il nome di tripolo, con cui ha in comune pure la sensa- zione di ruvidezza allo stropicciamento fra le dita. I vari campioni macroscopicamente considerati presentano tutti una notevole uniformità nella grossezza degli elementi mi- nerali costitutivi; al microscopio i granuli maggiori non supe- rano mai V40 di millimetro, ma per contro ve ne sono moltis- simi di dimensioni anche inferiori ad 73(10 di millimetro, essendo per altro le dimensioni di 7100 ad V1S0 le più frequenti. Inclusioni. — Fossili, nessuna traccia, almeno così ebbi a constatare nei campioni ricevuti. In due di essi, cioè quello del Sban-si, fortemente limoni- tizzato, ed in quello proveniente dallo Sban-tung settentrionale, rinvenni alcuni granuli minerali di colore vario, bianco, bigio, rossastro, verde-giallastro e nero, di dimensioni oscillanti tra 1 e 3 millimetri cubi, uno raggiungeva persino il volume di 9 mm3; questi granuli misti al loess appaiono tutti molto corrosi, ton- deggianti e lucidi pel lungo loro rotolamento. Impronte. — Sono le solite provenienti dalla scomparsa di radici affastellate di piante ed arbusti annuali, e comuni al loess di tutta la terra. Esse formano una fitta rete di canalicoli che facilitano l’as- sorbimento ed il drenaggio delle acque meteoriche e superficiali. I più grandi sono in parte rivestiti con straterelli di un finis- simo materiale ocraceo rosso-bruno, ed in parte sono ostruiti da emboli della medesima sostanza. IL LOESS DEL SHAN-SI SETTENTRIONALE 315 Provenienza dei campioni. Pur troppo non mi fu dato sapere con certezza le località in cui i vari campioni furono presi, però siccome i componenti le missioni cinesi da cui detti campioni furono acquistati, ap- partenevano alla sede centrale delle missioni del Shan-si set- tentrionale, così puossi ritenere quasi con sicurezza ch’essi pro- vengano dai dintorni del capoluogo di detta provincia, cioè di di Tai-yuen-fu, e certamente, se non altro, da regioni poste a mezzogiorno della elevata catena montuosa del Wu-tai-shan, che, quale poderosa barriera ai rigidi e disseccanti venti del nord, mantiene in eccellenti condizioni climatiche il paese sottostante, promuovendo la condensazione de’ vapori, dalle correnti del sud portati contro le sue creste elevate e le sue ampie e verdeg- gianti falde. Meno certo ancora sono peli’ esatta località di pro- venienza del campione dello Shan-tung settentrionale; ma per questo l’errore non ha importanza alcuna, prima di tutto perchè di regione differente da quella di cui è oggetto il presente la- voro, e poi perchè da alcune particolarità di struttura e di ag- gregazione, puossi quasi con certezza desumere essere questo campione di origine alluvionale, benché formato con elementi di loess tipico; quindi materiale rimaneggiato e di nessuna im- portanza pello spirito dello studio che qui ci occupa. Metodo di studio. Alle osservazioni dei caratteri fìsici generali, ho fatto natu- ralmente seguire le indagini chimiche, la cui successione siste- matica ho creduto bene esporre nella seguente tabella, accioccchè più chiaro apparisse l’ordine cronologico dei diversi trattamenti a cui assoggettai i vari campioni di loess, prima di intrapren- derne lo studio micrografico. 316 A. VIGLINO Tabella dimostrativa dei trattamenti fatti cronologicamente subire ai vari campioni di Loess. Soluzione Sospensione nell'acqua di- stillata con e- nergica agi- tazione e se- parazionesuc- cessiva in tempi diffe- renti di depo- ' sizione, per diminuita ve- locità, dei mi- nerali che per primi si de- ponevano al fondo del vaso Residuo solido Concentra- zione a bagno- maria per la ricerca delle ' I parti solubili I in H20 Trattamen- to con HC1 concto Trattamen- to con HC1 diluito | Trattamen- to con HNO3 concto Trattamen- { to con HNO3 diluito Trattamen- to con acido acetico. HC1 Trattamen- to con fluori- drato animo - nico a caldo [ Ricerche allo ’ii \ e successiva e- spettroscopio.. vaporazione a secco j AQabsi raicro- l scopica. Trattamento con Ba Cl2 per la ricerca dei solfati solubili. Trattamento con soluzione di difeni- lammina ed H2S04 denitrificato per la ricerca dei composti nitrosi. Di questi trattamenti le soluzioni troppo ricche in ferro per essere util- mente analizzate, furono lasciate in di- sparte; i residui solidi dopo ripetuti la- vaggi in acqua corrente, si mostraron cambiati di colore, ed allo esame pre- ventivo al microscopio, risultò che molti minerali si erano profondamente alterati, altri scoloriti, quindi aneli’ essi furono messi da parte. La soluzione nitrica fu utilizzata per \ la ricerca del fosforo, ed il residuo so- ) lido messo da parte per le medesime ( ragioni di cui sopra. I La soluzione evaporata a secchezza per esame micro-chimico. I II residuo solido ancora provvisto del j suo caratteristico colore fu sottoposto ad esame preventivo al microscopio e quindi sottoposto a tentativi di separa- zione meccanica, indi preparato per le indagini microscopiche definitive. La soluzione di- luita con H20 e trat- Residuo tratta- ] tata con BaCl2, filtra- to con H2 SO4 con- / ta, evaporata quasi centrato e caldo j a secchezza ed ana- I lizzata allo spettro- \ scopio. i Residuo solido Residuo lavato ) preparato per pia- cendo ed alcool / dagine microscopica. IL LOESS DEL SHAN-SI SETTENTRIONALE 317 I residui solidi finali dei vari trattamenti, dopo rapido e sommario esame a debole ingrandimento in preparati ad hoc, inclusi cioè in glicerina, onde accertarmi dello stato di conser- vazione dei minerali, li sottoposi a vari tentativi di separazione meccanica con liquidi densi, entro acqua in moto, ecc., ma pur- troppo con risultati cosi incerti da considerarli addirittura come tentativi falliti, od almeno mancanti di certa attendibilità. Causa di ciò ritengo esser sovratutto l’estrema finezza degli elementi di questo loess, per cui non è più sensibile la loro densità rispetto a quella del liquido in cui sono immersi, e per la relativa forte viscosità di questo. I risultati di tali ricerche furono i seguenti: La soluzione acquosa proveniente dal primo trattamento si mostrò perfettamente neutra anche dopo concentrazione; legger- mente acidificata con qualche goccia di acido idroclorico, eva- porata a secco su filo di platino ed esplorata la fiamma allo spettroscopio, diede nette le linee del sodio e del calcio, deboli quelle del potassio, ed estremamente fuggevoli anche quelle rosse caratteristiche del litio. Una porzione acidificata con acido nitrico, concentrata ad 7 5 del primitivo volume e trattata con il reattivo molibdico del Maillère, assunse dopo alcune ore una leggiera colorazione gial- lastra, e dopo due giorni abbandonò sul fondo del provino e sulle pareti, un tenuissimo velo polverulento color giallo chiaro, che esaminato al microscopio apparve costituito da minutissimi cristallini di fosfomolibdato ammonico. Altra porzione concentrata ad '/5 come sopra e trattata in lungo e sottile tubo di saggio con acido solforico concentrato, liberato di fresco dalle ultime traccie di composti nitrosi, diede in capo a pochi minuti, dopo l’aggiunta di una soluzione di difenilammina, il caratteristico anello azzurro dei nitriti, il quale in men d’un ora passò all’indaco intenso, mostrando in tal modo non essere lieve la proporzione di composti nitrosi solubili entro il loess. La reazione del fosforo nella semplice soluzione acquosa, benché poco pronunciata, pure sta sicuramente ad indicare che esso non si trova solo presente come apatite, bensì vi si deve 318 A. VIGLINO trovare pure sotto forma di fosfati solubili, non potendo certo pensare ad una decomposizione od alterazione della stabilissima apatite, la quale per giunta trovai quasi sempre inclusa entro silicati insolubili. La forte proporzione di fosforo che si rivela poi in seguito al trattamento con acido nitrico concentrato, di- mostra che solo con tal mezzo son decomposti i fosfati fra cui quello di calcio, anche se incluso entro silicati i quali sieno intaccabili a caldo da detto acido. Con tal mezzo, il sensibile e sicuro reattivo del Maillère produsse in capo a pochi minuti una forte colorazione gialla, susseguita a breve intervallo da intorbidamento ed abbondante deposito cristallino di fosfomolib- dato ammonico. L’aggiunta di alcune goccie di soluzioni sature di cloruro di bario o di nitrato d’argento, a separate porzioni di soluzione acquosa primitiva previamente concentrate ad J/10 del primitivo volume, non diede luogo al minimo intorbidamento anche dopo molte ore. Ciò escluderebbe quindi in questo loess la presenza di solfati e cloruri solubili, cosa abbastanza strana, considerato che negli stagni e paludi di Tai-yuen-fu, tali sali si trovano in grande abbondanza e vengono regolarmente estratti per uso com- merciale, ed i monti circostanti, dai quali provengono le acque di tali bacini saliferi, sono potentemente rivestiti da loess. I trattamenti con acido cloridrico o nitrico concentrati o di- luiti diedero luogo a forte effervescenza a causa della decom- posizione del carbonato di calce che assieme alla limonite in- quina il loess e ne riveste e compenetra i singoli elementi mi- nerali. Il liquido risultante resta sempre più o meno fortemente colorito in giallo dai sali di ferro, mentre il residuo lavato con acqua pura risulta di un chiaro color bigio cenerino, special- mente se si è operato con acidi concentrati od a caldo. Dopo tale trattamento, molti minerali, specie i silicati, si mostrano assai chiari e facilmente riconoscibili al microscopio, molti altri invece si mostrano scoloriti, ad esempio le miche nere o brune, i granati e molte cloriti, altri presentano non dubbi segni di alterazione o soluzione patita, altri restano corrosi, ecc., tanto che ne nacque il dubbio, alcuni di essi, essersi addirittura di- sciolti completamente e spariti. Per tale cagione, e per essere più sicuro dell’attendibilità delle determinazioni, fui costretto di ir, LOESS DEL SHAN-SI SETTENTRIONALE 319 .servirmi di qualche acido organico, e per la facilità di tratta- mento scelsi perciò l’acido acetico, il quale, se sufficientemente forte da sciogliere il carbonato di calce e parte della limonite, non lo era tanto da alterare gli altri minerali, specie i silicati. In tal modo riescii ad ottenere residui solidi assai chiari e suf- ficientemente adatti a confezionarne dei discreti preparati mi- croscopici, dei quali mi servii poscia pelle indagini mineralo- giche e petrografiche. Porzione dei residui solidi rimasti dai precedenti trattamenti, posi in digestione con acido idrofluorico fumante, entro crogiuolo di platino, ma visto che dopo vari giorni pochi erano i mine- rali disciolti, anche se a lungo scaldati rinnovando l’acido che si evaporava, dopo aver ridotto il tutto a secchezza e portato il crogiuolo al calor rosso, dopo raffreddamento aggiunsi in grande eccesso del fluoridrato ammonico ed acido idrofluorico fumante, riscaldando nuovamente, e ciò sinché vidi arrestarsi il processo di soluzione dei minerali entro la massa acida fusa nel crogiuolo. Il residuo accuratamente lavato ed esaminato al microscopio diede solo più pochi elementi di spinellidi, rutilo, zircone, me- naccanite, anatasio, zircone e fluorina, la cui identificazione fu così resa relativamente più facile e sicura. Il restante residuo solido, trattato a caldo con acido concen- trato per decomporre i sali formatisi, diede allo spettroscopio nettissime le linee del sodio, potassio, calcio, e fugacissima an- che quella del litio. Miglior risultato ottenni invece trattando i fluoruri fusi con acido solforico, concentrato e bollente, ripren- dendo con acqua e precipitando con soluzione di cloruro di bario onde convertire in cloruri i solfati corrispondenti. La soluzione evaporata ad ’/io del primitivo volume ed esaminata allo spet- troscopio, oltre le linee dei metalli alcalini e del calcio, diede netta anche la linea rossa del litio. Separazioni. — Tentai con i residui solidi provenienti dal trattamento con acido acetico, di operare delle separazioni per ordine di densità, allo scopo di ottenere delle porzioni costituite da poche specie minerali e facilitarmi l’indagine microscopica, ma, purtroppo come ebbi già occasione di esperimentare con altro loess di provenienza diversa, non ne venni a capo in modo sod- disfacente a causa della straordinaria finezza degli elementi, e 320 A. VIGLINO dalla difficoltà di ottenere mediante l’ordinaria stacciatura una sufficiente uniformità nei granuli. Dopo varie prove infruttuose, riescii mediante agitazione del loess con acqua pura, entro lungo tubo in vetro, frazionando la deposizione con decantazioni suc- cessive ed in tempi diversi, in modo da separare mano mano i materiali più leggieri che restavano in sospensione, da quelli più grossi e pesanti, i quali finirono di trovarsi riuniti sul fondo del vaso, nell’ultima separazione. Dai materiali di queste, confezionai molti preparati stabili chiusi in balsamo del Canadà, che sottoposi partitamente aH’in- dagine microscopica, valendomi di un eccellente microscopio grande modello del rinomato costruttore Fuess di Berlino. Nella, seguente tabella i minerali sono ordinati secondo il me- todo seguito dal Dana (’), e quelli controsegnati con un punto interrogativo sono dubbi, causa la grande difficoltà della de- terminazione basata sui soli caratteri ottici, e non sussidiata da apposite analisi chimiche separate. Per esempio per la Le- pidolite, la cui presenza ritengo probabile per la presenza del litio accertata allo spettroscopio, la quale però non esclude po- tersi trattare di qualche altra mica litifera. Naturalmente que- sto elenco non ha la pretesa di essere completo, troppo diffi- cile riuscendo un’analisi rigorosa a causa dello stato polveru- lento e sommamente diviso in cui si trovano i varii minerali; in ogni modo però serve a farsi un concetto sufficientemente esatto della sua composizione generale. Se poi qualche altra varietà minerale fossemi sfuggita, certo sarebbe sì rara nel loess, da non recar sensibili conseguenze nel risultato finale e nelle conclusioni del presente lavoro. (') Dana J. D., Manual of mineralogy and petrography. N. Y. 1890. IL LOESS DEL SHAN-SI SETTENTRIONALE 321 Minerali del loess. SPECIE GRADO DI ABBONDANZA SPECIE GRADO DI ABBONDANZA Sulfidi? scarsi Arfvedsonite? .... rarissima Rutilo raro Olivina abbondante » Sa genite . . . abbondante Granato (Grossularia) raro Anatasio rarissimo Zircone scarso Pirite scarsa Idocrasia rarissima Ematite abbondante Epidoto raro Menaccanite rarissima Zoisite rara Magnetite scarsa Paragonite ? scarsa Cromite » Muscovite abbondantissima Limonite abbondantissima Lepidolite? ...... rarissima Siderite rarissima Sericite abbondante Corindone rarissimo Flogopite scarsa Pleonasto » Biotite abbondante Fluorina scarsa Nefelina » Apatite rara Sodalite ? rarissima Calcite abbondantissima abbondante Aragonite scarsissima Oligoclasio scarso Quarzo abbondantissimo rara Calcedoni a abbondante Microclimi rarissimo Opale scarso Ortosio » Tridimite rarissima Sanidino abbondante Augite » Caolino abbondantissimo Diopside rara Tormalina abbondante Uralite rarissima Sillimanite rarissima Orneblenda verde . . abbondante Cianite rara » bruna . . rara Talco abbondantissimo Tremolite abbondantissima Clorite (Ripidolit.e)? . abbondante Attinoto abbondante Ottrelite rarissima 322 A. VIGLINO Origine e provenienza (lei loess. La veramente straordinaria varietà nelle specie minerali co- stituenti il loess del Slian-si settentrionale, è, secondo me, uno dei fatti più importanti per l’interpretazione della sua origine. Non è infatti che l’ablazione su di un’area immensamente vasta, che possa aver formato un sì intimo miscuglio di tanti minerali, ed è pur certo ch’essi non posson provenire se non dal disfacimento di una grande varietà di roccie di natura differentissima, e quindi non certamente ristrette entro spazio limitato. Altra prova ne sarebbe pure la potenza del loess, ed il predominio assoluto di minerali silicati in prevalenza pro- venienti da roccie compatte antiche e difficilmente alterabili, per cui nessun agente distruttore avrebbe potuto fare sì grande scempio di esse, se non aiutato dal fattore superficie che ne abbia fatto rientrare l’azione sua nei limiti ordinari di potenza, per unità di parte esposta. L’esame macroscopico dei varii campioni, indicava chiara- mente ch’essi dovevano avere provenienze diverse, sia pel loro colore, come per la loro compattezza, proporzione più o meno grande di elementi minerali polverulenti, nonché per la loro diversa calcaricità; al contrario, l’esame chimico e petrografia diede assolutamente per ognuno di essi l’identico risultato, af- fermando così nel modo più inoppugnabile la costanza della sua composizione mineralogica, e l’indipendenza di essa dai terreni su cui il loess è deposto (Q. Questo carattere tronca, a parer mio, nettamente la questione della sua origine per dila- vamento superficiale (ruissellement) così strenuamente sostenuta dal De-Lapparent, e riduce la discussione a due sole ipotesi: quella che lo attribuisce ad antiche alluvioni o periodi di alte acque in epoche di forti precipitazioni atmosferiche, ed a quella genialissima, per la prima volta emessa dal Barone F. di Eicli- (r) Questo fatto é dunque specifico per il loess di tutta la terra, e costituisce indubbiamente uno de’ suoi caratteri essenzialmente distin- tivi. IL LOESS DEL SHAN-SI SETTENTRIONALE 323 thofen, cioè al trasporto eolico ilei prodotti di disgregazione superficiale. Ad ogni modo, onde non lasciar dubbi, o materia a conte- stazioni, metterò meglio in evidenza il lato debole della teoria del De-Lapparent, ed all’uopo incomincierò col citare testual- mente le sue parole, al soggetto del loess cinese: « Toutefois il convient d’observer que la terre jaune n’est » pas un produit actuel; qu’à l’époque de sa formation le cli- » mat était tout différent, si bien qu’alors se faisait en plein » désert des dépóts limoneux particuliers ; enfin, que ce que » domine pai' dessus tout dans les cacactères du loess chinois, » c’est l’influence prépondérante du ruissellement sur les pentes. » C’est donc à l’abondance des pluies antérieures à notre époque » qu’il fraudrait attribuer la constitution de ce sol si merveil- » leusement propre à l’agriculture et dont l’inépuisable fertilità » a si fort influé sur les destinées du peuple chinois ». Che il loess cinese non sia un prodotto attuale è fuor di dubbio, e certi si è pure che le cause climatiche le quali ne provocarono la formazione, debbano essere state alquanto diffe- renti dalle attuali; ma che alle pioggie abbondanti di un’epoca anteriore alla nostra debba esser addebitata la straordinaria efficacia di accumularlo in masse sì potenti, non è peranco pro- vato, nè il De-Lapparent lo dimostra, accontentandosi di affer- marlo così tout court. I lembi di terreni argillosi (limoneux) che trovansi in alcune regioni montuose del deserto mongolico, nulla prova che siano coevi col loess cinese causa la grande scarsezza di fossili da cui possa emergere la sicurezza della loro età, e dall’essere commisti ed adagiati a zone alluvionali terrazzate evidentemente di epoche diverse, in mezzo a terreni cristallini antichi attra- versati o ricoperti soventi da roccie eruttive recenti. Le rare eccezioni costituite da giacimenti fossiliferi son sempre assai localizzate e l’indole loro dimostra l’origine lacu- stre, quindi non comparabili al loess, i cui fossili sono esclusi- vamente terrestri. La formazione del loess in epoca anteriore alla nostra non deve intendersi in linea assoluta; è più che altro questione di misura, poiché se oggidì non esistono più le condizioni cosi 324 A. VIGLINO favorevoli al suo accumularsi, non è già detto die il loess non abbia più assolutamente a formarsi e deporsi. L’affemazione erronea del De-Lapparent proviene probabilmente da ciò, die cioè, non manifestandosi affatto oggidì quel tanto invocato « ruis- sellement » che forma la base della sua teoria, esso dovrebbe essersi formato in condizioni di clima molto più umido del- l’attuale. La ragione che più d’ogni altra colpisce al cuore questa teoria del dilavamento superficiale è quella dell’assoluta e co- stante indipendenza della composizione mineraria del loess, dalla costituzione e natura litologica de’ terreni su cui poggia o dai quali è dominato. Difatti, se esso provenisse dal lento accumu- larsi di correnti fangose formate dall’ impasto dei materiali di disgregazione ed alterazione superficiale colle acque meteoriche o selvaggie scendenti pe’ clivi, sarebbe funzione diretta ed as- soluta della natura litologica de’ terreni sovrastanti, egual- mente a quanto succede pei detriti di falda, le lavine, cas- sere, ecc., nè alcun minerale estraneo ai luoghi elevati sui cui fianchi trovasi il loess, potrebbe ragionevolmente trovarsi commisto ad esso. La presenza nel loess di materiali grossolani disposti secondo zone determinate, non costituisce punto una prova in favore della teoria del dilavamento superficiale e, quantunque non si possa in modo assoluto negare la possibilità della formazione di correnti di fango, divallanti lentamente giù pelle falde mon- tane, durante lunghi periodi di abbondanti precipitazioni atmo- sferiche, pure è duopo non accordar loro una soverchia impor- tanza, che non possono aver avuta nella genesi del loess. Ed invero la loro presenza si spiega sufficientemente colla caratte- ristica e veramente straordinaria porosità del loess medesimo, che assorbendo rapidamente l’acqua dei numerosi ruscelletti e rigagnoli avventizi, scorrenti lunghesso i clivi sovrastanti, du- rante le stagioni piovose, fa sì ch’essi non possano scorrere sulla superficie della formazione, e vi abbandonino più o meno rapidamente tutte le materie solide che trascinan seco, dando origine ad una zona o fascia di loess impuro, che segue le in- flessioni dei fianchi vallivi, e che di tratto in tratto protende innanzi qualche punto a ino’ di colata, ove le condizioni di pen- IL LOESS DEL SHAN-S1 SETTENTRIONALE. 325 (lenza e di più o meno facile alterazione dei clivi sovrastanti, hanno permesso un maggior nutrimento a dette correnti di acque limacciose. Io son certo che se ben si esaminassero i componenti di dette zone, che posson esser equiparate al comune detrito di falda, si troverebbero, come succede in quest’ultimo, delle sen- sibili varianti, dipendenti dalla natura litologica dei terreni che ne hanno forniti i materiali, mentre il loess tipico, il loess puro, come abbiam più volte ricordato, è di composizione assolutamente costante. Una prova di ciò io l’ebbi esaminando i granelli grossolani racchiusi nel loess dei due campioni che ne contenevano ; in uno di essi i granuli erano prevalentemente calcedoniosi con inclusi di magnetite, nell’altro invece erano tutti di natura schistosa e formati da frammenti di talcoschisti ed anfiboloschisti assai al- terati. Il loess polverulento di tutti e due i suddetti campioni conservava perfettamente inalterata la caratteristica sua costanza nella composizione mineralogica e l’abito scheggiforme di tutti i propri minerali. L’ipotesi alluvionale, sotto certi punti di vista, dà certamente maggior soddisfazione che non la precedente, benché anche ad essa possano muoversi gravissime obbiezioni. Secondo questa, il loess non sarebbe se non il prodotto della lenta deposizione dei finissimi materiali che, durante le pode- rose alluvioni pleistoceniche, trovandosi nelle acque calme late- ralmente all’asse delle correnti, erano sottratti o non subivano l’influenza delle variazioni delle piene e loro relativa velocità e facoltà di trasporto, e quindi i materiali deponendosi indi- sturbati non producevano sensibili traccie di stratificazione. Se non altro essa spiega assai meglio la caratteristica uniformità di struttura e di composizione del loess, e la straordinaria va- rietà nei minerali che in esso si trovano. E infatti cosa indubbia che in simili alluvioni, i materiali vengono ad essere intima- mente commisti, e l’area d’ablazione e di loro provenienza è vasta quanto il bacino idrografico cui appartengono le valli in cui è deposto il loess. Obbiezioni gravissime però si oppongono all’ipotesi alluvio- nale e ne dimostrano l’ insostenibilità, almeno per la parte più 326 A. VIGLINO cospicua della formazione in posto, come è appunto il caso pella regione montuosa che costituisce il Slian-si settentrionale. Contrariamente alle leggi che presiedono a tutte le forma- zioni alluvionali, la grossezza degli elementi è perfettamente uniforme in tutta l’ intera massa della formazione, sia essa nelle regioni montuose più elevate e presso gli anfiteatri alla testata delle valli, sia in basso lungo le ampie valli collettrici princi- pali ed alle confluenze colle tributarie. Questa uniformità si conserva inalterata lungo tutto il percorso delle correnti che le avrebbero data origine, ed a tutte le altezze sul thalweg val- livo, anche nei siti, ove le brusche e frequenti inflessioni, gli strozzamenti e le espansioni nella sezione di dette correnti, avrebbe forzosamente dovuto generare delle notevoli variazioni nella velocità delle vene fluide e quindi delle sensibili diffe- renze nella grossezza degli elementi deposti, per la conseguente variazione nella facoltà di trasporto dei materiali solidi da esse correnti tenuti in sospensione. Questa costanza, cosi caratteristica nella grossezza degli ele- menti minerali del loess, è messa in rilievo dalla mancanza assoluta in esso di ogni segno di stratificazione orizzontale, par- ticolare che fu messo assai bene in rilievo dal Richthofen e che risulta anche dairesame dei campioni pervenutimi, raccolti cer- tamente in località diverse, dato il loro diverso colore, compat- tezza e tenore in materia calcare. Il Lyell (Q pei depositi alluvionali del Nilo, spiega l’assenza di tali segni di stratificazione, colla loro estrema esiguità e colla sottigliezza degli strati annualmente deposti durante le sue pe- riodiche inondazioni, confortando la sua teoria col rimaneggia- mento che tali depositi subirebbero per opera del vento, durante i lunghi periodi di basse-acque. Ma non è qui davvero il caso di fare de’ confronti, nè di paragonare il limo del Nilo col loess del Shan-si, troppo differenti essendo nei due casi le condizioni geo-fisiche delle regioni relative, e quelle dei giacimenti stessi, cui il paragone dovrebbe riferirsi. (’) Lyell C., Eléments de geologie, 6a edizione, trad. Ginestou. — Parigi, pag. 190. IL LOESS DEL SHAN-SI SETTENTRIONALE 327 Mi pare poi tanto meno acconcio ricorrere all’ipotesi di oscillazioni del suolo durante il periodo di tempo in cui si compì la sua deposizione, come fece il Lyell per spiegare la potenza e l’elevazione dei depositi di loess sui fianchi della valle del Keno, date le particolari condizioni tettoniche del Shan-si in relazione a quelle della grande valle inferiore e media del- l’Hoang-ho. Siccome nella parte più settentrionale del Shan-si, che è anche la più elevata, il loess è tanto sviluppato e potente, da livellare quasi il paese e lasciare solo le giogaie e le cime più elevate sorgere dall’uniforme e gialla pianura come altrettante isole in mezzo al mare, per valermi della pittoresca espressione usata dal Reclus; bisognerebbe supporre che, durante il non corto periodo in cui il loess si è deposto, tutta quella vastis- sima regione fosse occupata da enormi bacini lacustri per via dell’abbassamento del suolo, ed in questi convenissero, portan- dovi individualmente le proprie alluvioni, tutti i fiumi e torrenti ora tributari dell’Hoang-ho. Obbiezioni gravissime, che anche così in via generale si op- pongono a questa teoria sono: 1° la fauna prettamente terrestre che caratterizza il loess, ed in patente contraddizione con quella lacustre e fluviatile che invece dovrebbe riscontrarsi; 2° la già tante volte ripetuta uniformità nella composizione mineralogica in tutta l’estensione e potenza della formazione. Per quest’ultima ragione infatti, se fosse vera l’ipotesi sud- detta, ogni bacino ed ogni giacimento da esso dipendente do- vrebbe possedere elementi almeno in parte differenti, e se non altro offrire delle prevalenze di qualche specie minerale, diverse pei diversi bacini, poiché è naturale l’ammettere differenze esi- stere nella natura litologica delle regioni da cui proverrebbero i materiali delle alluvioni corrispondenti. Inoltre dovrebbero tro- varsi in qualche località segni evidenti delle formazioni del- toidi dovute allo sbocco dei fiumi e torrenti nei bacini lacustri. Volendo poi seguire le idee emesse dal Penck (') pel loess della Svizzera, conciliando cioè le due teorie, alluvionale ed eo- lica colle quali generalmente si spiega l’origine del loess, si (‘) Penck A., Mensch und Eiszeit. Arcliiv fili- antrop. 1884, XV, n.° 3. 328 A. VIGLINO potrebbe supporre che antichi sedimenti limacciosi deposti in epoca anteriore alla nostra, nelle vallate, dalle alte acque, sian stati in seguito al ritiro di queste ultime ed alla grande sec- chezza del clima, presi e rimaneggiati dal vento e poscia da questo abbandonati coi caratteri che oggigiorno offre il loess. Ed invero tale comunione di ipotesi parrebbe cosi a priori dar buona soddisfazione, sciogliendo essa le principali difficoltà che si oppongono alla teoria semplicemente alluvionale, cioè la grande uniformità di composizione, l’assenza di stratificazione, e la fauna esclusivamente terrestre che in esso si trova; non rimarrebbe che a spiegare lo stato di perfetta conservazione dei frammenti minerali che lo costituiscono,- il loro abito schietta- mente scheggioso e l’assoluta assenza di ogni traccia di fluita- zione subita. Vi si oppone però la considerazione della direzione de’ venti che ne avrebbero operato il trasporto. Condizione essenziale e necessaria perchè sedimenti polve- rulenti, sabbie, ecc., abbiano ad essere facile preda del vento, si è una grandissima secchezza dell’aria, che li renda, per l’at- tiva evaporazione superficiale, sciolti ed incoerenti; perchè essi possano esser portati molto lontani occorre che il vento possa agire su una superficie libera, vasta abbastanza da permetterne l’elevazione a grande altezza sotto la spinta di poderosa cor- rente ad alta velocità, e che questa corrente sia perfettamente secca od almeno si trovi al disotto del punto di saturazione. Ciò è necessario perchè altrimenti, al primo raffreddarsi dei cor- puscoli minerali trovantisi nella sua massa, per via del loro innalzarsi in regioni elevate dell’atmosfera e perchè essi cedono molto più facilmente il loro calore che non l’aria che li cir- conda, l’umidità di quest’aria si condensa in sottil velo sulla loro superficie e così nell’urtarsi reciproco che fanno durante il tumultuoso loro viaggio aereo, si agglomerano e diventando gruppi, pesanti oltre la capacità di trasporto determinata dalla velocità della corrente aerea, cadrebbero a terra dopo non lungo tragitto. Orbene, è chiaro che tuttociò valga a metter da banda l’ipo- tesi che a’ venti del sud operanti sulle alluvioni della bassa valle dell’Hoang-ho, possa addebitarsi la formazione degli impo- nenti depositi di loess del Shan-si settentrionale. Tali venti per- la loro elevata temperatura e tenore di umidità, oltre al non IL LOESS DEL SHAN-SI SETTENTRIONALE 329 permettere la siccità nel clima della regione alluvionale di rac- coglimento, anche ammesso che fossero forti abbastanza da sol- levarne le polveri disseccate dal sole, non potrebbero poi tra- sportarle tanto lontane, perchè, od elevandosi in alto si raffred- derebbero e succederebbero i fenomeni di precipitazione sudde- scritti, oppure all’ incontro delle prime catene montuose, abban- donerebbero la maggior parte dei materiali solidi che hanno in sospensione per via della diminuita loro velocità e per via del risolversi in pioggia dei vapori di cui son saturi, causa il raf- freddamento che subirebbero nel valicarne le creste. Oltrecciò è da obiettarsi che, se da venti del sud provenissero i mate- riali del loess, la maggior potenza della sua formazione dovrebbe trovarsi nelle provinole dell’Ho-nan e nel mezzodì del Slie-nsi e Shan-si, invece che nel Kansu, Shen-si e Shan-si settentrionale. Il Dott. K. Futterer, in una sua recente pubblicazione (’) descrive i vasti e potenti giacimenti alluvionali e lacustri che circondano la regione montuosa della Mongolia meridionale ed occidentale. Secondo una sua pittoresca espressione, questi de- positi ravvolgono il piede di tutta quell’estesa ed elevata re- gione montuosa, e s’ insinuali nelle pieghe de’ suoi gruppi e nelle valli come fa la nebbia nelle nostre Alpi. Queste potenti assise di sciasti, arenarie, marne ed argille sarebbero il prodotto del- l’enorme sviluppo che i bacini lacustri avrebbero avuto nell’Asia centrale verso lo scorcio del terziario, e che, secondo tutte le probabilità, si sarebbero più o meno mantenuti durante il pe- riodo che ricoprì di ghiacci quasi l’intiera Europa ed il nord dell’America. Parrebbe che durante l’epoca glaciale, l’Asia cen- trale come la settentrionale sia stata affatto libera dalle inva- sioni glaciali, non trovandosi sulle elevatissime catene dell’alto Hoang-ho, degli Ala-shan ed Yn-shan, traccia alcuna di morene o di antichi ghiacciai anche entro valiate all’altezza di 3000 e più metri. Tale assenza di ghiacci si può spiegare col far ri- montare sin dallo scorcio del terziario il periodo di siccità e di scarse precipitazioni che diedero origine al deserto mongolico. ( 1 ) Futterer K., Vortràge iiber Forschungen und Studien in Centra- lasien und China. Verhandlungen des Naturwissenschaftlichen Vereins, Bd. XIII, 1900. 26 330 A. VIGLINO La grande siccità del clima e la scarsezza delle precipita- zioni, causate forse anche in parte dal ritiro del mare del nord dall’attuale valle dell’Jenissei in Siberia, congiunta all’azione temperante che sul clima producevano quegli immensi bacini lacustri insinuantisi fra i monti, impedirono certamente lo sta- bilirsi delle poderose fiumane di ghiaccio, ad esempio delle nostre Alpi, cosi nell’alternativa di periodi più o meno secchi od umidi che da noi produssero le varie glaciazioni di quell’epoca, le re- gioni or nominate si mantennero spoglie di ghiacci e solo va- riarono più o meno i livelli delle acque nei bacini lacustri e la potenza delle alluvioni, i di cui segni si vedono tuttora in pieno deserto. Peggiorate ancora le condizioni di siccità, mentre da noi si ritirarono i ghiacciai definitivamente nelle loro sedi al- pine, quivi diminuì ancora le portate dei fiumi, che incisero così profondamente le proprie precedenti alluvioni terrazzandole, ed i laghi abbassarono il livello delle proprie acque sino a ri- dursi a stagni salati, quando mancò ad essi lo scolo per gli emissari, non così solleciti ad approfondire lo scavo dei propri letti, quanto rapido era l’abbassamento delle acque nei bacini per via dell’attivissima evaporazione. Questi materiali di sedimento lasciati allo scoperto ed esposti aH’azione disseccante del sole ed a quella non meno energica degli impetuosi venti siberiani che hanno lasciata sulle falde de’ monti Baikaliani de’ Sayansk, Jablonoi e Kentei, tutta l’acqua portata seco dal mar polare attraverso i tremila e più chilometri di steppe siberiane, è assai probabile non abbiano potuto molto resistere, ed abbiano, almeno in parte, contribuito a fornire al deserto mongolico le sue sabbie, ed al loess i ma- teriali polverulenti. Però anche qui s’affaccia la solita difficoltà dello stato di conservazione dei minerali del loess, e l’assenza di traccie di fluitazione, benché in tal caso non abbia il medesimo valore; deve difatti esser riuscito molto più facile ai minerali deposti al fondo de’ laghi di cintura e delle valli mongoliche, il con- servare l’abito scheggiforme, dato il relativo loro corto tragitto in seno ad acque correnti, che non a quelli portati per migliaia di chilometri dalle fangose correnti del « fiume giallo » e suoi affluenti. IL LOESS DEL SHAN-SI SETTENTRIONALE 331 Io ritengo peraltro che se tali sedimenti lacustri possono in parte aver contribuito alla genesi dei materiali che costitui- scono il loess, la grande, la massima parte non possa aver avuto origine che in conseguenza degli energici fenomeni d’in- solazione sulle roccie del deserto. « Dans les pays dépourvus de végétation, l’agent par excel- » lence de la désagrégation des éléments de la surface est l’in- » solation. La pureté de l’air exempt de vapeur d’eau occasionne » un rayonnement intense; aussi le froid est-il très vif pendant » la nuit. Dès que le soleil apparaìt et frappe le terrain de ses » rayons, il en résulte une dilatation brusque, capable, cornine on » l’observe au Texas, de taire éclater des gros blocs de rochers. » Tous les déserts se font aussi remarquer par leurs écarts de » temperature. Le Gobi, qui par ses froids appartient à la Siberie, » ressembie aux Indes par ses chaleurs. Un intervalle d’une demi » journée suffit pour que le thermomètre subisse une variatimi de » 40 degrés centigrades. L’écart est encore plus grand au Sahara, » où de 60° à 70° degrés qu’il marquait à la lumière du soleil, » le thermomètre peut s’abaisser pendant la nuit à 2 ou 3 degrés » au-dessous du zèro. On comprend l’effet que d’aussi brusques » différences de température peuvent produire sur des terrains » que rlen ne protège. La désagrégation se manifeste d’une facon » particulièrement intense avec les roches granitiques et en gé- » néral avec toutes celles qui étant pourvues d’un grain appré- » ciable sont en mème temps constituées par une association de » minéraux aux couleurs contrastantes, car les grains juxtaposés » subissent une insolation tout à fait inégale ». Queste parole del De-Lapparent (Q spiegano assai bene il fenomeno e l’energica sua azione sulle roccie, specialmente le olocristalline ad elementi variamente colorati. Le altre roccie compatte ad elementi assai minuti od a colorazione unica, come sarebbero appunto le argille, le arenarie, gli schisti argilloso- sabbiosi, ecc., costituenti i sedimenti degli antichi laghi terziari, non possono essere state tanto degradate dall’insolazione per ra- gione della loro struttura, quindi se pure su di esse la degra- dazione si è fatta sentire, questa o è derivata dall’azione mec- (*) (*) De Lapparent, loc. cit. 332 A. VIGLINO canica dell’urto di sabbie silicee spinte violentemente dal vento contro le loro assise, oppure da azioni di gelo e disgelo, od anche da azioni chimiche. Il Futterer, a tale proposito, accenna a qualche dubbio, de- scrivendo alcuni fenomeni di erosione osservati nel deserto di Gobi ; io però inclino a crederli, piuttosto che derivanti da azioni chimiche, conseguenza di differenziazioni nella struttura od in- tima compagine di quelle roccie, solo apparentemente compatte ed uniformi. Dallo scorcio del terziario in qua, il regime rudemente con- tinentale del clima co’ suoi forti squilibrii di temperatura, la grande siccità e scarsezza di precipitazioni, fugando verso le regioni periferiche la vegetazione che un tempo ornava l’alti- piano mongolico, convertì in uno squallido deserto di sabbia tutta la regione centrale, tra i monti siberiani e le catene che chiudono a N e N-0 il « celeste impero ». L’insolazione, agendo allora liberamente su quei terreni cristallini antichi, at- traversati qua e là da roccie eruttive paleozoiche e neozoiche e non più riparate dal mantello vegetale, li ridusse mano a mano in sabbie, sulle quali i potenti e disseccati venti del nord eb- bero buon gioco, facendole turbinare lungo spazi di centinaia di miglia e mantenendone in sospensione le particelle più mi- nute, sulle quali non era più sensibile il potere selettore delle correnti. Queste polveri, una volta valicate le alte creste degli Ala-shan ed Yn-shan che dividono il deserto dalla Mongolia me- ridionale, all’ incontro delle correnti relativamente ancor calde ed umide provenienti dal sud, precipitavano al suolo per via della condensazione dei vapori sui loro granuli e conseguente agglomeramento ed accrescimento di peso di questi, come già ho dianzi ricordato. Tutto il materiale che l’insolazione staccò dalle roccie, dal vento trasportato lungi dal luogo d’origine, de- postosi nella regione montuosa periferica o di cintura a S e S-E del deserto, trovando ivi le condizioni climatiche favorevoli allo sviluppo della vegetazione potè, mercè di questa, soffermarsi ras- sodandosi e così, sottratto all’azione del vento, accumularsi per più centinaia di metri, formando quel suolo meravigliosamente fertile che, oltre quaranta secoli di una intensissima coltivazione, non aiutata da alcun concime, non valsero peranco ad esaurire. IL LOESS DEL SHAN-SI SETTENTRIONALE 333 Le condizioni climatiche che diedero origine alla formazione del loess, non sono oggigiorno guari variate, e pare anzi che siano tuttora assai simili a quelle esistenti su tutta l’Asia cen- trale verso la fine del terziario, poiché la fauna dei laghi d’acqua dolce del nord della Cina e della Siberia meridionale è poco diversa da quella allora vivente nei grandi laghi mongolici. Nello stesso loess pochissime differenze si riscontrano nei fos- sili delle parti più antiche e delle più moderne, non solo, ma questi sono assai affini all’attuale fauna malacologica terrestre delle provincie del loess. Contrariamente a quanto potrebbesi immaginare ed all’opi- nione espressa dal De-Lapparent, alla quale ho addietro accen- nato, non è punto vero che la deposizione del loess sia cessata oggidì; lo sanno tutti coloro che ebbero a viaggiare nel nord e nord-est della Cina, e lo sanno purtroppo anche le nostre truppe colà ora in missione, a quali tormentose tempeste di sabbia si trovino esposte durante l’imperversare dei furiosi venti di N. e N-O. Il barone di Richthofen a tali impetuosi venti carichi delle sabbie del Gobi, va debitore della geniale sua teoria. Non deve quindi far meraviglia se in alcune località in cui si sono trovate riunite le condizioni più favorevoli al deporsi e permanere di tali materiali, il loess, dalla fine del terziario ad oggi, abbia potuto raggiungere, come nel N-E del Kansu, spes- sori di oltre 400 metri. Quasi tutte le valli scavate nel loess preesistevano ad esso prima che la siccità del clima ne avesse disseccati per parte dell’anno i corsi d’acqua; i loro letti, ricoperti annualmente da sottil velo di sabbie eoliche, ne venivano sbarazzati colle prime alluvioni, mentre lateralmente la vegetazione favorita dal breve periodo di umidità, fissava invece le sabbie e le polveri al suolo, sicché piano piano questo venne ad accrescersi sui fianchi delle correnti, incassandole fra alte pareti, come si vedono og- gidì. Un paragone forse strano, ma pertanto giusto, con tale feno- meno, possiamo stabilirlo colla neve che d’inverno scende sui nostri prati e campi rialzandone il livello col suo candido strato, tranne che sulle linee occupate da fiumi o canali, le cui acque 334 A. VIGLINO correnti la disciolgono e non ne permettono l’accumularsi. Se la nevicata è forte e lunga, vediamo tutti i corsi d’acqua scorrere fra le alte pareti di neve accumulatasi sui bordi e sul resto della campagna; tal fatto specialmente si osserva assai bene nelle alte valli alpine ove in inverno, spesso la neve raggiunge lo spessore d’un metro ed anche due. Le caratteristiche pareti verticali con cui il loess scende a valle non son altro che il naturale effetto e la conseguenza della sua facile sfaldatura in tale direzione, dovuta alla presenza dei numerosi canalicoli che vi lasciaron le scomparse radici e radichette dei vegetali, che successivamente ne guarniron la superficie, e che così disposti l’un sull’altro costituiscono zone di minima resistenza, una specie di fibra o venatura, la quale naturalmente provoca lo scoscendersi di quel terreno lungo tali linee di minima resistenza, come fanno tante rocche ad elementi laminari, il legno, i metalli laminati, ecc., in cui l’assettamento molecolare ha una direzione dominante prodotta sia per natu- rale accrescimento, sia per successive operazioni meccaniche, sti- ramenti, compressioni, ecc. Nel loess l’assettamento può darsi si sia prodotto per via della tendenza delle acque meteoriche a scendere rapidamente e verticalmente attraverso la sua massa, per cui poco per volta i singoli granuli, specie dei minerali fibrosi e laminari, abbian acquistato un certo orientamento faci- litante tale direzione di facile drenaggio. Durante i periodi di massima secchezza nel clima, i quali è facile abbiano ad esser stati più d’uno, come lo furon da noi. ove provocarono diverse volte il ritiro delle fronti glaciali, è naturale che il loess dovesse avere il sopravvento sull’erosione atmosferica, torrentizia e fluviale, ed invadendo mano a mano le valli, finisse col colmare completamente il thalweg delle mi- nori, innalzandolo sul primitivo livello ed addolcendo il pendìo de’ fianchi. Le valli maggiori invece, troppo ampie perchè il ma- teriale accumulantesi potesse colmarle, si saranno invece solo ristrette per via del restringersi del corso d’acqua rispettivo, ed avranno inoltrate digitazioni all’incontro delle valli minori in esse confluenti, così a mo’ di vallicelle a fondo cieco. Col migliorare delle condizioni climatiche, le acque ripren- dendo novello vigore ed aumentando i fiumi e torrenti la loro IL LOESS DEL SHAN-SI SETTENTRIONALE 385 ])ortata, le correnti non più contenibili negli stretti thalweg, ricominciarono a scavare le proprie sponde, provocando qua e là parziali franamenti, i quali obligando le acque a deviare, causarono nuove erosioni sul lato opposto, nuove frane, e così di seguito, sino a die il corso d’acqua serpeggiando or qua ol- la pel proprio letto, lo allargò a spese del loess, che risultò tagliato a pareti verticali alte più o meno, a seconda della sua potenza e dell’energia della corrente che vi scorreva. Mentre i letti delle acque nelle valli maggiori s’andavan così allargando, tutta la massa delle acque meteoriche, che prima essendo scarse, venivan lentamente esitate dalla porosità della enorme massa di loess che ricopriva le falde vallive, ora satu- rando, per così dire, la formazione, spinte a scendere più rapi- damente dalla pressione delle abbondanti pioggie sopravegnenti e non trovando più al disotto del loess sufficienti gli avvalla- menti collettori e le vene di drenaggio primitive, dovettero a loro volta forzarsi passaggi alle valli di raccoglimento; in tal modo si iniziaron sotto la formazione delle gallerie scendenti verso i thalweg, ed al loro sbocco nelle valli aperte combinan- dosi l’erosione delle correnti contro le pareti laterali, con quella sotterranea provocata dall’aumentata energia nel drenaggio; le vallicelle a fondo cieco si allungaron sotterraneamente dapprima, poscia mediante successivi scoscendimenti, si aprirono a cielo libero, dando origine a quella rete di profondi burroni che sol- cano tutta la formazione del loess nel Shansi settentrionale, e costituiscono il suo principale carattere fìsiografico. Questo fenomeno del progredire dei burroni verso i monti, mediante sprofondamenti nelle volte di gallerie sotterranee, è oggidì in pieno vigore e se le condizioni climatiche attuali durano abba- stanza, il loess finirà di esser completamente tagliato, ed i re- litti che ne rimarranno qua e là sulle dorsali, preda dell’erosione atmosferica, finirammo di scomparire, cadendo a brani nei tor- renti che ne minano il piede, andando ad arricchire di allu- vioni i’Hoang-ho, e sollevando davvantaggio la bassa valle di questo ed il fondo del Mar Giallo e del golfo del Cili. 336 A. VIGLINO CONCLUSIONI. Le medesime cagioni, quali esse siano, che hanno provocato- nel centro dell’Asia orientale la formazione del grande deserto mongolico, hanno pure prodotto le condizioni necessarie alla formazione del materiale componente il loess cinese. Il Gobi situato sul percorso dei disseccantissimi venti del nord, gode di un clima specialmente adatto all’energico mani- festarsi dell’azione d’insolazione sulle roccie, e queste poi per loro natura, son quanto mai atte a risentirne gli effetti di disgre- gazione. Ne consegue che lo sfacelo delle roccie eruttive antiche e degli sciasti cristallini che costituiscono in grande prevalenza il suolo di quella regione, è assai attivo e dura da tanti secoli quanti ve ne sono dal principio del quaternario a tutt’oggi, in cui si manifesta ancora molto energico, a giudicarne dai feno- meni di erosione che vi si osservano. Perciò il lungo protrarsi di periodi, più o meno attivi, nella disgregazione dei rilievi rocciosi che abbondantemente solcano il deserto, specie verso le ultime derivazioni nord-orientali del Kuen-lun, gli Ala-shan. ed Yn-shan, ha finito col produrre una sterminata massa di sabbie, le quali, esposte ad un clima così secco e continentale ed all’at- tiva evaporazione atmosferica, restando sempre sciolte ed incoe- renti, sono facile preda del vento, i cui impetuosi turbini, sol- levandole a grandi altezze, le porta in giro qua e là pel deserto, mischiandole intimamente fra loro, pel continuo succedersi di trasporti e deposizioni tumultuose. In tale vicenda, continuamente ripetuta, succede natural- mente una certa selezione per ordine di grossezza, cosicché, mentre le sabbie più grossolane si muovono poco per volta dai loro luoghi di origine, riducendosi man mano più sottili, quelle che già lo sono compiono tragitti maggiori, mischiandosi a quelle di diversissime provenienze, e così via, sino alle più minute pol- veri, le quali per l’estrema esiguità de’ loro elementi non risen- tono più l’azione selettiva del vento, in relazione alla densità propria, ma dal limite di V60 circa di mm. in giù, son capaci di restar tanto lungamente sospese nell’atmosfera , da compiere IL LOESS DEL SHAN-SI SETTENTRIONALE 337 anche il giro del globo (1). Ne avviene che, mentre le sabbie grosse e minute si sono radunate entro le depressioni del deserto,, i rilievi rocciosi vennero sempre ad essere spazzati via dal vento e la loro superficie sempre rinovellata all’azione d’insolazione; le polveri, invece, sia direttamente provenienti dalla disgrega- zione di detti rilievi, quanto provenienti dalla successiva maci- nazione e riduzione in grossezza delle sabbie più grossolane, varcarono le alte barriere montane che cingono a mezzogiorno il deserto, ed incontrando nella regione alpestre delle provineie settentrionali della Cina i venti umidi provenienti dal mare e dalla bassa valle alluvionale dell’Hoang-ho, precipitarono al suolo in seguito allo sciogliersi in pioggie dei vapori di quest’ultimi a contatto colle fredde correnti, entro cui esse viaggiavano. L’umidità relativa che regnava nelle regioni ove queste polveri venivano a deporsi, favorendo lo sviluppo della vegetazione, fece sì, che ivi esse si consolidassero, rattenute alla superficie dalle innumerevoli barbatelle radicali delle piante, le quali ne proteggevano lo strato esposto al vento, dalla sua troppo energica azione abrasiva, dimodoché, non potendo più questo sollevarle e portarle oltre sulle possenti sue ali, lo strato neces- sariamente venne man mano aumentando di spessore sino a raggiungere, con varia vicenda di maggiore o minore abbon- danza, a seconda delle condizioni climatiche vigenti nel deserto e nella regione di deposizione, l’attuale potenza del loess. Nel deserto invece in cui i materiali polverulenti lentamente si formano per le ripetute ed energiche azioni d’insolazione, mancando l’umidità necessaria allo stabilirsi del velo vegetativo che ne forma la più efficace protezione, non possono fermarsi, e preda facile del minimo soffio d’aria, vengono dai venti domi- nanti, che vi soffiano frequenti e con estrema violenza, portate ad immense distanze, e dalla secchezza dell’aria mantenute lun- gamente in sospensione. Riassumendo quindi, perchè il loess possa formarsi e radu- narsi in potenza sufficiente, occorre: (') Udden J. A., On thè mechanicaì compos itimi of ivind deposi t.sT Augustana College Library. Rock Island 111., 1898. 338 A. VIGLINO 1° Una causa qualsiasi che riduca i minerali allo stato di finissima polvere e li disponga su ampia superficie soggetta a forti correnti aeree. 2° Che queste correnti abbiano un grado minimo d’umi- dità, cioè siano al disotto del loro punto di saturazione, e siano perciò disseccanti, come ad esempio il fbhm. 3° Che spirino regolarmente ed abbiano una direzione dominante. 4° Che a distanza più o meno grande esistano catene di rilievi sufficienti a rallentare la velocità delle correnti aeree di trasporto e che siano abbastanza elevati da abbassare la temperatura delle dette correnti, tanto da far loro raggiungere ed oltrepassare il punto di saturazione, oppure orientate in modo da far barriera ad altre correnti più umide e calde, e provo- care all’incontro delle altre fredde che vi giungono dall’opposto versante, delle precipitazioni di pioggie che facciano precipitare i materiali solidi in esse correnti tenuti in sospensione. 5° Che il clima in tali regioni di deposizione sia sufficien- temente umido e temperato da promettere, almeno durante un certo periodo dell’anno, la costituzione di una certa qual col- trice vegetale le cui radici e parti sub-aere e valgano a proteggere i recenti depositi dall’azione abrasiva del vento. Senza questi requisiti i depositi eolici polverulenti sul genere del loess non possono sussistere e non possono raggiungere la necessaria stabilità, quindi radunarsi in potenti strati come è successo nel Shansi settentrionale. Pongo termine a questo mio modesto contributo, lusingan- domi di aver sufficientemente risposto al brano del De Lappa- rent che ho citato nel principio del presente studio, a cui del resto ha già risposto esaurientemente la recente caduta di sabbie sahariane nel mezzogiorno della nostra penisola ed in Sicilia ('). [ms. pres. 6 maggio 1901 - ult. bozze 25 giugno 1901]. (’) La cosidetta « pioggia di sangue » del giorno 10 marzo 1901. ANCORA SULL 'ELEPHAS MERIDIONALI S Nesti ED IL RHINOCEROS MERCHI Jaeg. NEL QUATERNARIO DI REGGIO CALABRIA Nota del dott. Giuseppe De Sete pano Nel 1899 publicai una Memoria, nella quale si illustravano resti di Elephas meridionalis Nesti e di Rhinoceros Merchi Jaeg. rinvenuti nel post-pliocene di Reggio Calabria (1). Il dott. E. Flores si compiacque di fare allora una recensione al mio lavoro nella Rivista Italiana di Paleontologia (2), nella quale recensione, mettendo da parte l’importanza della scoperta, poneva in dubbio la esatta determinazione dei frammenti elefantini, i quali, come scrisse, potrebbero essere facilmente di El. antiquus, tanto fre- quentemente associato al Rii. Merchi nei terreni post-pliocenici italiani e stranieri. In seguito, detto signor dott. Flores, trovandosi a Reggio, volle vedere i resti elefantini e di Rinoceronte nella mia già citata Memoria illustrati. Fu cosi che egli ebbe agio di osser- vare i frammenti rimastimi delle due specie in discorso, essendo che il materiale da me raccolto in parte era stato ceduto al mio egregio amico chiarissimo Prof. A. Neviani, ed in parte smar- rito, non avendo io il locale ed i mezzi adatti per conservarlo dopo che si è studiato. Il Flores non ammise alcun dubbio sulla identificazione dei bellissimi molari di Rhinoceros Merchi ; ma per un molare ele- (') E Elephas Meridionalis ed il Rhinoceros Merchi nel quaternario calabrese, Boll, della Soc. Geol. Ital., voi. XVIII, 1899. (2) Riv. Ital. di Pai., Anno VI, fase. II, 1900. 340 G. DE STEFANO fantino, un frammento di tre lame, espresse la opinione elie po- tesse spettare a \Y antiquus anzi che al meridionalis, malgrado io sostenessi con convinzione doversi il fossile in discorso attri- buire a quest’ultima specie. Chiestomelo in prestito per confrontarlo con i resti della valle del Liri, che si conservano nel Museo geologico dell’Uni- versità di Napoli, di buon grado glielo diedi ; ed egli ne fece oggetto di una comunicazione trasmessa al Congresso geologico italiano, tenutosi ad Acqui nel settembre del 1900. In essa (‘), dice il predetto autore: «... Le tre lamine che » si conservano, hanno tutti i caratteri di quelle dell 'Elephas » antiquus, sono cioè leggermente increspate, con una notevole » tendenza alla forma caratteristica di losanga e con lo smalto » molto più sottile e crespo di quello (\e\V Eleqritas meridionalis. » Dal riscontro poi fatto a Napoli tra il frammento calabrese » e i bei denti di Elepnas antiquus della valle del Liri, di » Chieti e di Gioia del Colle, vien distrutto ogni dubbio. Non » bisogna ammettere quindi la problematica contemporaneità del » Uh. Merchi e dell 'Elepìias meridionalis, ma aggiungere alla » numerosa serie di giacimenti che diedero avanzi associati delle » suddette specie anche i lembi quaternari dei dintorni di Leggio » Calabria ». Dopo molti mesi, riavuto il fossile del quale si parla, dal dott. Flores cortesemente restituitomi, convinto che ogni mortale va soggetto ad errare, tanto più quando egli dimori in un paese quale è quello di Reggio Calabria, dove manca il materiale di confronto, volli ristudiarlo e confrontarlo con altri molari di El. antiquus e meridionalis, posseduti da L. Sequenza di Mes- sina, ed ereditati dal compianto padre. Ora, dopo tale studio, persisto nella mia opinione che il fram- mento spetti aWEl. meridionalis Nesti sp. Prima d’ogni altro è ben notare che le lame del molare in quistione non sono leggermente, secondo vuole l’egregio sig. Flo- res, ma grossolanamente increspate, il che basterebbe di già ad escludere VEl. antiquus e riconoscere nell’esemplare VEl. meri- 0) L 'Elephas antiquus Fai. e il Rhinoceros Merchi Jaeg. in pro- vincia di Reggio Calabria, Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XIX, 1900. ANCORA SULL’ELEPHAS MERIDIONALE NESTI, ECC. 341 dionalis, cui Falconer attribuiva collidili grosso digitati, ada- mnntc crasso. Appresso; la tendenza alla forma caratteristica di losanga non solo non è notevole, ma non esiste nemmeno, poiché delle tre lamine la seconda e la terza corrono perfettamente rettilinee, e solamente la prima presenta anteriormente nel centro, non già un angolo, ma un leggerissimo allargamento per la ragione che essendo la più anteriore od esterna, ha dovuto conformarsi al naturale arrotondamento che presentano tutti i molari, cosi ante- riormente che posteriormente. Finalmente, lo smalto non è sottile e crespo come nell’io, an- tiquus, ma grossolano, adamante crasso , ed irregolarmente pie- ghettato. Nel mio già citato lavoro, VElephas meridionalis, ecc., scrissi in proposito (*): Un frammento di molare formato da tre lame. Sembra un molare vero, superiore, sinistro, ma nello stato incom- pleto in cui si trova, non è possibile accertare il suo rango nella formula dentaria e darne esatta descrizione e plausibile giudizio. Soltanto la specie può ritenersi esser quella deWElephas meridionalis Mesti, sotto-genere Loxodon di Falconer a giudi- carne dalla spessezza delle lamine di smalto ( adamante crasso), irregolarmente increspato che differenzia questa specie da quelle deH’_E7. primigenius e àeWEl. antiquus e dalla mancanza della figura romboidale nei dischi di logoramento, quale suol riscon- trarsi uell’AV. africanus. L’egregio signor Flores invece che mettere in dubbio la iden- tificazione del frammento che ha visto poi, avrebbe fatto bene a notare allora la mia contraddizione nello scrivere di altri frammenti di molari che io, attribuendo pure alYEl. meridio- nalis, le dicevo, errando (del che ora mi correggo) con altre che in quel tempo aveva sotto mano, con larghe lame a forma di losanga (f). Quanto poi alla esistenza deH’jE7. meridionalis nei terreni post-pliocenici, poiché venne accertata altrove, non vi è ragione (') Boll. Soc. Geol, Ita]., Voi. XVIII, 1899, pag. 427. (2) Mem. cit., pag. 428. 342 G. DE STEFANO di escludere die possa verificarsi anche nei terreni post-plioce- nici di Reggio Calabria. Già nella mia precedente nota fu avvertito come YEl. mc- riclionalis fosse stato raccolto nei terreni alluvionali presso Ab- beville (*) e specialmente a Gensac-la-Pallue, e se il sig. Flores volesse usare la diligenza di verificare la illustrazione che di quest’ultimo ritrovamento ne porse il signor Marcellin Boule (2). troverebbe alla pag. 505 rappresentato un molare deir_E7. v ie- ri dionalis di Tilloux, che niente differisce da quello da lui visto e studiato nella parte che vi rimane. Con ciò non si vuole mettere in dubbio che i resti elefan- tini della valle del Liri, di Chieti e di Gioia di Colle, spettino ad altra sp. anzi che all’_E7. antiquus. Ad ogni modo ho cre- duto utile inserire alla presente nota la riproduzione fotozin- cografica (grand, nat.) del fossile in questione. [ms. pres. 23 aprile 1901 - ult. bozze 24 maggio 1901]. (*) D’Ault du Mesnil, Note sur le terrain quaternaire des environs d’Abbeville. Rev. mens. de l’Ec. d’Anthrop., 15 sept. 1896. (2) Boule M., La Ballastière de Tilloux près de Gensac-la-Pallue (Charente). L’Anthropologie, Tome VI, 1895, pag. 497. BOLLETTINO DEJL/LA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Volumi finora pubblicati. fai. I. (1882) 2 fase. 260 pag. 4 tavole. » II. (1883) 3 » 314 » 6 » » III. (1884) 2 » 188 » 1 tavola. » IV. (1885) un voi. 528 » 19 tav. e 3 carte geologiche a colori. » V. (1886) 3 fase. 516 » 11 » » VI. (1887) 4 » 570 » 18 » e una carta geologica a colori. » VII. (1888) 3 » 430 » 14 » » » » » » Vili. (1889) 3 » 600 » 3 >>- » » » » » IX. (1890) 3 » 826 » 25 » » » » » » X. (1891) 5 » 1023 » 21 » e 2 carte geologiche a colori. » XI. (1892) 3 » 702 » 11 » » XII. (1893) 4 » 892 » 7 » » XIII. (1894) 3 » 317 » 5 » » XIV. (1895) 2 » 324 » 7 » » XV. (1896) 5 » 802 » 17 >> » XVI. (1897) 2 » 370 » 9 » » XVII. (1898) 3 » clii-275 pag. e 4 tavole. » XVIII. (1899) 3 » lxxv-515 pag., 9 tav. e una carta geoLa colori. » XIX. (1900) 3 » cxl-752 pag. , 11 tav. e una carta geol. a colori. Per l’acquisto dirigere lettere e vaglia all’ Economo Cav. Ing. Augusto Statuti, Via Nazionale 114- (palazzo Capranica del Grillo). Roma. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE FASCICOLO Memorie. PAG Fornasini C. — Le Bulinine e le Cassiduline fossili d’Italia. (Cont. e fine) 177 Bonarelli G. — Miscellanea di note geologiche e paleontolo- giche per l’anno 1900 215 Colomba L. — Sopra alcune lave alterate dì Vulcanello . . 233 ■ Portis A. — Il Palaeopython Sgrdus Fort, nuovo pitonidie del Miocene medio della Sardegna 247 Seguenza L. fu G. — I pesci fossili della prov. di Reggio (Calabria) citati dal prof. G. Seguenza 254 Millosevich F. — Di alcuni giacimenti di Alunogeno in pro- vincia di Roma 263 Trabocco G. — Fossili, stratigrafia ed età della Creta su- perióre del bacino di Firenze (con una tav.) ..... 271 Martelli A. — Fossili del Siluriano Inferiore dello Schernì (Cina) (con una tav.) 293 Viglino A. — Il loess del Shan-sì settentrionale 311 De Stefano G. — Ancora suTl’Elephas meridionalis Nesti ed il Rhinoceros Merchi Jaeg. nel quaternario di Reggio Calabria 839 La tav. II posta alla line del presente fascicolo deve es- sere allegata alla inem. del prof. Cacciamali : Studio geologico della regione montuosa Palosso-Conche a nord di Brescia, pub- blicata col 1° fase. Finito di stampare il 28 giugno 1901. Il Bollettino della Società Geologica Italiana si stampa in fascicoli trimestrali. Il Presidente responsabile : Carlo Fabrizio Paroxa. Anno XX. Fascicolo 3° (3° trimestre 1901). BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. XX — ÌQOI ROMA TIPOGRAFIA DELLA PACE DI F. CUGGIANI Via della Pace N. 35 1901 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE FASCICOLO Memorie. PZG. Lotti B. — Sulla questione del terreno cretaceo nei dintorni di Firenze. 343 Nelli B. — Il langhiano di Rocca di Mezzo 346 Cacciamali G. B. — Osservazioni geologiche sulla regione tra Villa Cogozzo ed Urago Mella ( Brescia ) 351 Ricci A. — Mammiferi post-pliocenici di Kurgan in Siberia. 363 Martelli A. - — Le formazioni geologiche ed i fossili di Paxos e Antipaxos nel mare Ionio 394 Botti U. — Sui molari di elefante 438 De Angelis d’Ossat G. — Sulla geologia della provincia di Roma 445 Cortese E. — Escursioni geologiche al Venezuela .... 447 Bellini R. — La grotta dello zolfo nei Campi Flegrei . . 470 Trabucco G. — Sulla posizione ed età del macigno dei monti di Cortona 476 Capeder G. — Appunti geologici sui dintorni di Potenza. . 478 Prever P. — Cenni preliminari sulle nummulitidi dei din- torni di Potenza 488 SULLA QUESTIONE DEL TERRENO CRETACEO NEI DINTORNI DI FIRENZE Dichiarazione e rettifiche dell’ing. B. Lotti. Da molto tempo, vedendo che non era possibile una proficua discussione col prof. Trabucco su controversie insorte a propo- sito della geologia dei dintorni di Firenze, lasciai trascorrere in silenzio i continui e troppo spesso ripetuti attacchi ai quali venni da lui fatto segno nel periodico della nostra Società. Pen- savo che questo mio contegno avrebbe finito per rendere il detto professore un po’ più mansueto verso di me, ma siccome vedo pur troppo che vuol continuare nella lotta solitaria e collo stesso sistema, come fa nell’ultimo fascicolo del Bollettino (2° trini, del 1901), così, affinchè il mio silenzio non sia attribuito a mancanza di buone ragioni da parte mia, tengo a dichiarare che io, mentre mi son tenuto e mi tengo onorato di polemiz- zare di geologia, seriamente ed anche talvolta vivacemente, col De Stefani, col Bueca ed ora col Verri e col De Angelis, sento di non potermi prestare a discussioni col prof. Trabucco. Mi preme però, al tempo stesso, di rettificare alcune cose di fatto asserite dal prof. Trabucco nella sua ultima nota (. Fos- sili, stratigrafia ed età della creta superiore del bacino di Fi- renze. Boll. Soc. geol. ital. 2, 2° trini, del 1901). A pag. 274, facendo la storia della geologia dei dintorni di Firenze, dice che il Murchison « incorse in una grave inesat- » tezza nella disposizione delle roccie eoceniche e tanta fu l’in- » fiuenza di questa sui geologi italiani e stranieri, i quali lo » seguirono, che la verità fu ristabilita » solo da lui nel 1894. Questa inesattezza consisteva, come egli spiega, nell’aver cre- 27 314 n. i.otti duto il Murchison « che il nummulitico costituisse la base del- » l’Eocene e sopportasse l’arenaria macigno, nel qual senso tracciò » la sua sezione presso Mosciano », mentre in realtà i rapporti di posizione fra il nummulitico e l’arenaria sono a Mosciano precisamente gli inversi. Ora io nel 1885 ( Proc.-verh . Soc. tose. se. nat. IY, pag. 219) scrivevo : « Nei dintorni di Mosciano può osservarsi, dirimpetto al » cimitero di quel villaggio, affiorar l’arenaria disotto al num- » mulitico e un poco più basso vedesi una cava d’arenaria rico- » perta tutt’ intorno dal nummulitico stesso » ed aggiungevo poi: « Dunque la serie dei dintorni di Mosciano è perfettamente in- » versa a quella data dal Murchison e accettata poi dai vari » autori successivi ». Veda dunque il prof. Trabucco che la verità non fu ristabi- lita da lui nel 1894, ma da me nel 1885. E non è a credersi che il prof. Trabucco non conoscesse quel mio scritto, perchè esso è proprio quello che specialmente ha servito e serve sempre di bersaglio ai suoi strali. A pag. 282 dice che egli ha dimostrato che la promiscuità da me asserita di inocerami e di nummuliti a Barigazzo nel Modenese e a Memmenano nel Casentino è dovuta alle mie osservazioni strati grafiche errate. Rispondo che sul giacimento fossilifero di Barigazzo il si- gnor Trabucco non ha scritto mai niente e quanto a Memme- nano avrebbe fatto meglio a dimostrare che la sua sezione del Casentino {Boll. soc. geol. ital ., XIX, 3, 1900, tav. XII), dove le diverse formazioni dell’Eocene son tutte in discordanza fra loro e con tale disposizione di strati, al contatto, da renderne incon- cepibile il modo di deposito, e dove le due ali corrispondenti (l’un sinclinale sono una eocenica e l’altra cretacea, era una sezione strati graficamente possibile. A pag. 289, invocando a conforto delle sue asserzioni l’auto- rità, competentissima, del De Stefani, cita un suo lavoro del 1892 nel quale osservava che « si può escludere nel modo il più certo » che si trovino nummuliti negli strati con inocerami o sotto » di questi » ; ma il prof. Trabucco ha avuto cura di non citare uno scritto più recente dello stesso prof. De Stefani ( Osserv . ■SULLA QUESTIONE DEI. TERRENO CRETACEO 345 geologiche sul terremoto di Firenze del 18 maggio 1895. Ann. deirUff. centr. di meteorologia, ecc., XVII, 1, Roma 1897), nel quale si dice a pag. 117 che « un Inoceramus, vicino o iden- » tico all ’i. Cripsii, si trova abbondante e frequente nelle valli » del Terzolle, del Maglione e delle Sieci a settentrione di Fi- » renze, in strati che pur contengono qua e là banchi di Num- » mulites ed in tale situazione stratigrafica da ritenere per certo » come il fossile e gli strati che lo contengono non debbano » attribuirsi alla creta, ma, come ritenne il Lotti, all’eocene, » anzi alla parte media del nostro eocene medio ». Ed ora che il prof. Trabucco ita scoperto, pag. 282, nella valle del Mugnone, citata dal De Stefani, la vera creta superiore, guardi di mettersi d’accordo col I)e Stefani stesso o quanto meno rinunzi a trovare in lui un appoggio. pbs. pres. 10 luglio 1901 - ult. bozze 26 luglio 1901]. IL RAGGHIANO DI ROCCA DI MEZZO Nota del dott. Bindo Nelli Alle località indicate nell’altra mia nota sui fossili miocenici dell’ Appennino aquilano (') aggiungo anche questa, i cui fossili furono raccolti dal prof. Chelussi e cogli altri, da me studiati prima, gentilmente donati al Museo di Firenze. Questa località dalle poche specie fossili, da me precedentemente indicate, alle quali poche altre dobbiamo aggiungerne, resulta appartenere al Langhiano di Pareto e Mayer. il quale dall’Appennino setten- trionale passa in (pie! lo centrale, sviluppandosi in una larga zona in quello aquilano per estendersi pure nei confini della Provincia di Roma, per es. nelle vicinanze di Subiaco. Quivi furono riferiti al Cretaceo, all’Eocene ed all’Oligocene con la Pie- tra di Subiaco in generale i calcari marnosi compatti e cristal- lini, ed i conglomerati calcarei con Orbitoides , Ostrea, Pecten, Gasteropodi e denti di Pesci dei dintorni di Subiaco e d’ altre regioni non lontane, le quali invece devono essere riferite al Miocene medio. 11 Viola recentemente (2), seguendo le vecchie tracce, concludeva che il calcare con coralli ed echini e quello superiore con Pettini, non hanno offerto tali elementi da farne stabilire bene l’età, ma che le maggiori affinità dei Pettini sono per le specie eoceniche, senza poter dire a quale piano del num- mulitico appartengano. Ora, dietro le nostre ricerche paleonto- logiche, ritengo che pure il calcare a Pecten, citato dal Viola, ( 1 ) Boll, della Soc. Geol. 1900; fase. 2°, pag. 381 e seg. (5) Viola C., Sopra alcuni pettini del calcare a piccole nummuliti dei dintorni di Subiaco in provincia di Roma. (Boll. d. R. Com. Geol. it. 1900, n° 3). IL LANGUIAMO DI ROCCA DI MEZZO 347 debba ascriversi indubbiamente al Miocene medio e conseguen- temente mioceniche quelle specie dal Viola ritenute così affini alle specie eoceniche. Infatti, alcuni esemplari da lui figurati come specie nuove di Pecten, piuttosto che a specie eoceniche, sono rispondenti a specie conosciute e caratteristiche appunto di quel piano, come risulterà dalle indicazioni seguenti. Cytherea erycina Lamk. Riferisco a questa specie quattro esemplari, dei quali tre mostrano evidentemente traccie di pieghe trasversali. A questi aggiungo un altro, rappresentato da un frammento di modello in gesso d’impronta, nel quale sono riprodotti gli ornamenti della superficie esterna della conchiglia. La specie viene indicata a Pantano (Pantanelli) (') e nel tortoniano di Monte Gibbio (Coppi) (2). È indicata parimente nel Pliocene. Cardinm oblongum L. (Lunghezza mm. 67 ; larghezza nini. 49). Di questa specie abbiamo due esemplari, uno in assai cat- tivo stato di conservazione, l’altro, per quanto non in ottimo stato, mostra le costoline longitudinali. Il Sacco (3) distingue come Laevicardium norvegicum Spengi, var. gì bòa ( Jeffr .) (pag. 51 ) esemplari (Tav. XI, fig. 43 e 44) che si accostano più al Car- di am oblongum Chemn. che non all’altra specie, mostrando, come resulta da quelle figure, una forma piuttosto oblunga e la su- perficie ornata di vere e proprie costoline longitudinali, anziché una forma orbicolare e la superfìcie ornata di strie superficiali, come nel L. norvegicum. ( ') Pantanelli D. e Mazzetti G., Cenno monografico intorno alla fauna fossile di Montese, pag. 34 ,Estr. d. Atti d. Soc. d. Se. Nat. di Modena Serie 3n, Voi. IV), 1885. (5) Coppi F., Paleontologia modenese o guida al paleontologo con nuove specie, pag, 109, 1881. (3) Sacco, Moli. terr. terz. Pieni, e Lig. Parte XXVII, 1899. 348 B. NELLI Del resto il Sacco stesso nota che la sua varietà si accosta moltissimo al C. oblongum tanto che parrebbe quasi doversi considerare piuttosto, come una sua varietà. E vivente ed è comune nel Pliocene. Nel Miocene, se non erro, fu indicata soltanto dal Mayer nell’Elveziano di Svizzera. Però una forma molto vicina è stata trovata dal Dott. Dainelli nel Miocene inferiore di Monte Promina. Arca diluvii Lamk. Di questa specie abbiamo diversi nuclei in cattivo stato di conservazione, pure in essi vedonsì assai distintamente le tracce del margine dentellato e delle coste radiali. Il Sacco (') distingue una varietà più oblunga e colla parte posteriore dilatata, che tende verso il gruppo dell’M. turonica Duj. A questa varietà credo poter riferire due dei nostri nuclei. Questa specie trovasi nell’Elveziano dei colli torinesi, Baldissero, Sciolze; a Rosignano Monferrato ; nel tortoniano di Stazzano, S. Agata e Montegibbio (Sacco E., pag. 20), dove viene indicata anche dal Coppi (2). Viene indicata nelle argille bluastre e molasse di Guardavalle e di Stilo (Seguenza) (3), secondo il Simonelli corrispondenti allo Schlier del Bolognese e dell’Anconitano, inoltre lungo il sen- tiero che per la montagna conduce a Popoli (De Angelis) (4) ed in molti altri luoghi. E comunissima nel Pliocene ed è tuttora vivente. Pecten Haueri Mieht. Di questa specie abbiamo dei nuclei, i quali si trovano in grande abbondanza nelle manie sabbiose di Rocca di Mezzo e sono affatto simili a quelli da noi già osservati nel calcare di (') Sacco F., loc. cit. ; Parte XXVI, pag. 22, 1898. O Coppi F., Catalogo dei fossili del Modenese. (Estr. dall’Annuario degli scienz natur. di Modena. Anno IV), 1869. (v) Seguenza G., Le formazioni terziarie nella prov. di Leggio (Ca- labria). Meni. R. Accad. dei Lincei, 1879-80. (4) De Angelis d’Ossat G., Le sorgenti di petrolio a Tocco di Ca- suaria. (Estr. dalla Rassegna mineraria. Voi. XI, n. 16 e 17 : 1° e 11 Di- cembre 1899, pag. 9). IL LANGUIAMO DI ROCCA DT MEZZO 349 Rocca di Cambio nell’altra mia nota ed in molte altre località dell’ Appennino aquilano (loc. cit. ; pag. 398, 399). La specie indi- cata dal Viola (loc. cit.) col nome di Chlamys Clarae (Tav. V, fig. Ili) mostra, per l’aspetto esterno del guscio, molte e spic- cate analogie col P. Haueri, cui corrisponde anche per il nu- mero delle coste. La fig. IV potrebbe anche corrispondere al P. Northamptoni Micht. Trattandosi d’esemplari così mal con- servati non si possono fondare specie nuove. Pecten Kolieni Fuchs. Due nuclei interni, uno dei quali piuttosto sformato. Esami- nando il loro aspetto, mi è dato poter descrivere la parte interna di questo Pecten , descrizione che io avevo trascurato nell’altra mia nota. In essi vedousi le impronte delle costoline interne del guscio in numero di 24, le quali appariscono disposte a coppie e convergenti verso la cerniera, come nel P. cristatus Bromi. Queste costoline limitano delle leggere concavità nella conchiglia, che nel nucleo appariscono come deboli pieghe o coste, legger- mente convesse e quasi pianeggianti presso il margine palleale, dove si mostrano più larghe, quivi rispondenti ad una concavità mi- nore. Alcune di queste coste fanno rilievo sulla superficie del nucleo, altre invece si alternano con quelle in una leggera depressione. Le prime corrispondono ad una concavità maggiore della parte interna della conchiglia, a quella concavità che è racchiusa fra le due costoline che convergono alla cerniera. Le seconde corri- spondono alle concavità minori, situate fra Luna e l’altra coppia di coste. Questi esemplari rispondono pure con molta esattezza a nuclei di P. Kolieni, portati dal Leccese in gran quantità dal Dott. Dainelli. Le concavità della parte interna del guscio rispon- dono alle pieghe della parte esterna e si fanno meno marcate late- ralmente, dove scompariscono affatto insieme alle costoline che le limitano; rispondentemente le pieghe della superficie esterna spa- riscono dalle parti laterali. Il Viola (loc. cit., pag. 253) cita col nome di P. De Angelisi, n. sp., un esemplare che, secondo la figura (Tav. VI, fig. V), sembrami doversi considerare come un nucleo di P. Kolieni, corrispondendo in tutto ai nuclei di questa 350 R. NELLI specie da noi osservati. La specie fu già da me indicata nelle marne di Monte Luco (loc. cit., pag. 393) ed era già nota altrove nel miocene medio. Pecten eristatus Bromi. Due nuclei interni, uno dei quali con parte del guscio esterno liscio, mostranti Pimpronte delle costoline della parte interna della conchiglia. Questi nuclei sono a prima vista molto simili a quelli del F. Koheni, cui corrispondono per il numero delle costoline della parte interna, però gli spazii compresi fra una costolina e l’altra, come fra le coppie di coste, non sono concavi, ma pianeggianti in modo che nei nuclei vedonsi fra i solchi, rispondenti alle coste, spazi piani e d’egual rilievo. Indicai già la specie nel calcare marnoso di Cuculio e nelle marne di Monte Luco (loc. cit.: p. 390). Ostrea (P.ycnodonta) cochlear Poli. Alcuni dei nostri esemplari per la loro forma rotondeggiante ed espansa corrispondono alla forma tipica (*) ; altri invece per la loro forma piuttosto allungata, ovale, arcuato-naviculare con guscio relativamente crasso, che specialmente in un esemplare mostrasi segnato da rugosità sfogliose, corrispondono alla varietà navi- cularis Brocchi (?). La specie fu già da me citata nelle arenarie di Francolisco, comune di Limoli e nelle marne compatte di S. Lucia e Monte Luco (loc. cit., pag. 386). Da altri autori, da me già indi- cati, viene parimente citata in molte altre località del Miocene medio. Trovasi anche nel Pliocene ed è tuttora vivente. (') Poli G. S., Testacea utriusque Siciliae, li, pag. 179, Tav. 28, fig. 28, 1795. (2) Brocchi G. B., Conch. foss. subapp., II, pag. 565, 1814. [Ms. pres. 3 giugno 1901 ; ult. bozze 6 agosto 1901]. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SULLA REGIONE TRA VILLA COGOZZO ED IMAGO MELLA (BRESCIA) Nota del prof. G. B. Cacciamali A NO di Brescia, dalla destra del Mella procedendo verso occidente tino all’alveo del torrente Canale, e da Villa Cogozzo e M. Magnoli a nord scendendo a sud fino ad Drago Mella e la collina della Badia, vediamo distendersi, per circa 35 km. q. (con una lunghezza di km. 9,50 ed una larghezza media di km. 3,70) la regione da me presa a studiare, sotto l’aspetto geologico, con una dozzina di esplorazioni compiute nella pri- mavera di quest’anno (1901) ('). La plastica attuale di questo territorio tosto si rivela per- correndo il partiaeque tra il Mella ed il torrente Canale : co- mincia desso un po’ più a nord della regione in esame, e pre- cisamente tra Brione a sera e Cogozzo a mattina, con M. Per- nice (899 m.); dirigendosi sempre a sud entra poi nel nostro territorio toccando M. Magnoli (881 m.), la Sella dell’Oca (804 ni.), ii passo del Quarone (691 m.), M. Quarone (784 in.), l’ex con- vento dei Camaldoli (521 m.) e la forcella S. Vigilio-Gussago (309 m.); da qui risale al santuario della Stella (397 m.), per piegare indi ad est fino a M. Peso (485 m.), dal quale punto riprende l’andamento di mezzogiorno, scendendo ai Campioni (325 m.), risalendo a M. Picastello (383 mi), per ridiscendere infine e cessare nella pianura sotto S. Emiliano (150 m.). Il sopraindicato spostamento verso mattina del partiaeque, e di tutto il rilievo, ci spiega e la curva offerta dal Mella a (') Ebbi però già a percorrere (letta regione in diverse altre cir- costanze, e fin dal 1877, epoca nella quale cominciava ad accompagnare il compianto mio maestro Ragazzoni nelle sue gite geologiche. 28 352 G. B. CACCIAMALI Collebeato e quella offerta dal torrente Canale alla Fantasma; dopo tale incurvatura, convessa ad est, i due corsi d’acqua pren- dono la direzione di SO, tale essendo Fandamento della collina della Badia che vi è di mezzo, e che come appendice s’aggiunge alla descritta linea di partiacque nella località Torrieella (157 m.), elevandosi poi tino a 222 m. Come al solito dividerò il lavoro in due parti, nella prima delle quali saranno descritte, nella loro serie normale stratigrafica ascendente, le varie roccie che vi si incontrano, accennando anche alla loro distribuzione topografica; e nella seconda si tratterà della tectonica, colla guida della quale si ricostituirà il rilievo originario, quello cioè che la regione doveva offrire appena corrugata ed emersa dal mare, e si seguiranno poi le successive trasformazioni del suo paesaggio. I. Serie normale delle roccie. La regione in esame si può tosto ed agevolmente dividere in quattro zone: quella della pianura, occupata da alluvioni qua- ternarie; quella di bassa collina (Badia), occupata da alluvioni mioceniche; e quelle di alta collina e di montagna, occupate da formazioni dei periodi cretaceo, giurese e liassico; la divi- sione tra l’alta collina e la montagna è ben tracciata dalla for- cella S. Vigilio-Gussago. Lias. Il Lias è dunque la formazione geologica più antica che affiori nella nostra plaga ; lo troviamo in tre punti, e cioè : sulla sinistra del torrente Canale, dal principio di questo fino a Ca- vezze ; sulla destra del Mella, da Villa Cogozzo fin sotto Cailina; ed alle estreme falde sud-est di M. Picastello (S. Emiliano e Pendolina). Più di preciso sono rappresentati il Lias medio o Charinu- tiano ed il Lias superiore o Toarciano, le cui roccie ebbi già OSSERV. GEOL. SULLA REGIONE TRA VILLA COGOZZO ECC. 358 a descrivere in due miei precedenti lavori, sulla regione Brescia- Maddalena cioè, e su quella Palosso-Conclie (*). Il Charmutiano è costituito dalla roccia che denominasi me- li olo e diviso paleontologicamente in due orizzonti distinti : l’in- feriore o Bornatiano mio, ed il superiore o Domeriano di Bo- narelli, offrenti fra loro anche qualche differenza litologica. Lito- logicamente poi il Domeriano può a sua volta dividersi in due piani : del medolo tipico e delle sovrastanti brecciole. Avverto però subito come il Bornatiano credo non affiori affatto sulla sinistra del torrente Canale, ma solo in un punto posto sulla destra, tra Cavezze cioè e la cascina Caricatore : presentasi ivi compatto, di color cinerino chiaro o bigio-cereo, in banchi piuttosto grossi (1 metro circa), quasi privi di inclu- sioni selciose e poveri di intercalazioni di straterelli di marna verdognola indurita; sulla sua esatta determinazione paleonto- logica non deve esservi dubbio, una cava apertavi avendo messo alla luce fossili caratteristici di detto orizzonte ( Liparoceras Bechei, Arietites rapi decrescenti, Aegoccras capricornu ) (2). Un lembo di Bornatiano forse trovasi anche in vicinanza di Villa Cogozzo: presentasi qui infatti un Medolo compatto, grigio cinerino, in banchi discretamente grossi, con rognoni e letti di selce; mentre più lontano da Villa il Medolo (Domeriano) offre banchi ancor più potenti (anche più d’un metro), marnosi e come morbidi, color piombino, ricchissimi di fucoidi, con intercalazioni di marne e quasi senza selce, riproducente cioè i caratteri lito- logici del piano Fontanelliano da me stabilito nella regione Brescia-Maddalena : con questi stessi caratteri presentasi il Medolo a nord di Navezze e sotto Civine. Il Domeriano pare però offra nella regione in esame uno spessore molto minore di quello (700 metri) dal medesimo offerto sulla sinistra del Mella; finisce però sempre in alto, per 50 metri (') Il primo nei Commentari dell’Ateneo di Brescia pel 1899, il se- condo negli stessi Commentari pel 1901 e nel Boll. d. Soc. Geol. It. pel 1901. — Nel primo sono descritte le roccie charmutiane nella quasi loro totalità, salvo cioè il superiore piano a brecciole; nel secondo lo sono tutte, e charmutiane e toarciane. (2) Bettolìi A., Affioramenti toar ciani delle prealpi bresciane (Boll, d. Soc. Geol. It., 1899). 354 G. B. CACCfAMALI circa, con caratteristiche brecciole, la cui serie così constatai nella località Caricatore fin dalPll agosto 1881 e dal 10 no- vembre 1882 visitando Val Navezze in compagnia la prima volta del Ragazzoni e del Bittner, la seconda dello stesso Ragazzoni e del Cozzaglio (l) : a) Breccie calcaro-silicee compatte, in grossi banchi (anche oltre un metro), con Terébratula, Waìdlìeimia e fflnjnclionella . b) Le stesse ad elementi più minuti (breccioline), con encriniti e frustoli di chiari. c) Le medesime breccioline alternanti con medolo are- noso e selcifero. Trattasi però d’una formazione con caratteri molto vari: tanto breccie che brecciole possono alternare con strati di Me- dolo normale o quasi scistoso, ed offrire il fenomeno della tri- poi izzazione; i banchi di breccia grossolana poi sono talora quasi puddingoidi o simili a Medolo includente ciottoli, i quali più spesso sembrano del medolo stesso (2); ed i banchi di brec- ciola sono talvolta anche d’un metro e mezzo di spessore e molto compatti, con letti di selce inclusi nel banco. Il Lias superiore infine, offrente uno spessore di circa 50 metri, è rappresentato da un Medolo molto marnoso, biancastro, sempre riccamente intercalato da marne verdognole scistose con Posidonomya Bronni ; vi si intercalano pure straterelli d’un calcare compatto color nocciola chiaro, associato a letti di selce, talvolta anche potenti, e talvolta tripolizzati. Nella zona di alta collina è l’unico rappresentante del Lias. Il Bettoni, nella citata sua memoria sugli affioramenti toarciani delle prealpi bresciane, ricorda solo, della regione nostra, quello a sera di Urago, nel quale oltre alla Posidonomya Bronni, rinvenne V Hildoceras bifrons, il Polyplectus discoides ed il Coelo- ceras crasswn; ma non si pronuncia sulla sua posizione strati- grafica, non risultandogli la roccia in posto normale, per il (') L’escursione col Bittner è ricordata nella mia lettura: Gita geologico-aìpinistica tra il lago cl’Iseo ed il lago d’Idro, riassunta nei Commentari dell’Ateneo di Brescia pel 1881. (5) A Cailina, dice il Cozzaglio nelle sue Osserv. geól. sulla Siviera bresciana del lago di Garda (Boll. d. Soc. Geol. It., 1891), le breccie contengono ciottoli triassici. OSSF.RV. GEOL. SULLA REGIONE TRA VILLA OOGOZZO EGC. 355 fatto che il Medolo domeriauo verrebbe a trovarsi superiore al toarciano. Il Bettolìi avrebbe ragione se realmente la roccia che sovrasta al Toarciano di Urago fosse Medolo domeriauo; ma invece trattasi di Dogger, e quindi si comprende allora come la serie sia normalissima. Giura, 11 Giurese si distende largamente a cavaliere della linea di partiacque della nostra zona montana, tra il Lias della Val di Navezze e quello di Villa e Gallina; a M. Magnoli però scende sul versante occidentale, ed alle ultime pendici di M. Quarone biforcasi scendendo a NE per la costa Moranda alle case Ci- masela, ed a SO pel Dosso de’ Boccoli a pie’ del Dosso; e poi ricollegasi a mezzogiorno dei Camaldoli e mostrasi anche in staccato lembo a NE di M. Peso. Altro largo affioramento giurese abbiamo nella parte meridionale dell’alta collina, ossia a M. Picastello. 1 caratteri suoi concordano in massima con quelli del Giurese della sinistra del Mella, descritto nella già citata mia memoria su Palosso-Conehe: è, cioè, anche nella regione in esame costituito dalle seguenti tre formazioni litologiche, tra loro ben distinte; a) Calcare marnoso in grossi banchi, di tinta cinerina, con rognoni di selce, talvolta anche tripolizzata, e lievi inter- calazioni di marna. Spesso è semisepolto dalle terre rosse e dai detriti che derivano da esso e dal sovrastante Selcifero. Ha tutta la facies del tipico Medolo domeriano, col quale prima d’ora fu sempre confuso, mentre ne è separato dal Toarciano, e probabilmente corrisponde all’ Aleniano, al Bajociano ed al Batoniano. b) Selcifero: straterelli di selci policrome, con predominio delle tinte verde, rossa e nera; sono quasi sempre scistosi e minutamente franti, talvolta anche tripolizzati, e danno luogo costantemente a balze e ad abbondante detrito di falda. Vi si intercalano rari sottili strati di un calcare marnoso rossastro, verdiccio o variegato, i quali son dominanti nella parte alta della formazione. Corrisponderebbero al Calloviano, all’Oxfor- diano ed al Kimmerigiàno. 356 G. B. CACCI AM ALI La fascia di Selcifero che da S. Vigilio passa a sud dei Camaldoli presenta in quest’ultimo tratto un singolare etero- pismo, consistente in questo, che i calcari, prevalentemente di un rosso vinato, i quali dovrebbero trovarsi ai due contatti della Maiolica, nonché intercalati nel Selcifero stesso, sonvi sostituiti da più abbondanti calcari biancastri (od al più leggermente e sporadicamente rosati) ai contatti della Maiolica, e da calcari gialli nel Selcifero p. d., il quale è qui costituito da selci per lo più brune, gialle o nere, e più del solito tripolizzate. Dove però detta fascia raggiunge la valletta che tra il Quarone ed i Camaldoli scende a Pie’ del Dosso, vailetta nel cui Selcifero colle selci nere sono state trovate traccie di materia bituminosa e di carbon fossile, sotto alla Majolica e nel Selcifero stesso rivediamo gli strati del calcare rosso vinato o verdino. Analogo eteropismo verificasi dal Roccolo Chinelli fin verso la Pozza ; ma tanto più sopra detto Roccolo quanto alla Pozza ricompaiono i calcari rossi. c ) Majolica: strati molto potenti in basso (anche 1 metro), e più sottili in alto, d’un calcare marnoso, bianco, compatto, a frattura concoide, spesso con pallottole, rognoni e lenti di selce pure compatta e per lo più bionda, grigia o bianca, e talvolta con patine cloritiche ; vi si rinviene, come negli strati rossi sot- tostanti, la Terebratula diplnja. Anche questo calcare, che cor- risponde al Ritornano, dà origine ed abbondanti terre rosse. La prima formazione dunque, di circa 100 metri di spessore, spetterebbe aH’Infragiura o Dogger; e le altre due, conbelemniti ed aptici a costole diritte (A. lamellosus), e potenti rispettiva- mente 100 e 150 metri circa, spetterebbero al Giura p. d. o Maini. Creta. Teniamo innanzi tutto presente la divisione del Cretaceo in Infracreta e Creta p. d., che offrono nella nostra provincia una molto netta distinzione litologica, quale non presentasi invece tra l’Infracreta e la sottoposta Majolica (‘). (l) Sull’ Infracreta e sulla Creta del bresciano, veggasi anche mia memoria « Appennino umbro-marchigiano e prealpe bresciana » nei Com- mentari dell’Ateneo di Brescia pel 1898. OSSERV. GEOL. SULLA REGIONE TUA VILLA COGOZZO ECC. 357 Nel territorio in esame entrambe le divisioni del Cretaceo presentano i loro larghi affioramenti nella zona d’alta collina, e solo piccoli lembi alle estreme pendici meridionali della zona montana, i calcari bianchi in sottili strati del passo del Qua- rone spettando certamente alla parte superiore della Majolica. L’ Infracreta (Neocomiano, Barremiano ed Aptiano) trovasi dunque in tre lembi, ai Camaldoli, a sud dei Oamaldoli ed a Piè del Dosso — e distendesi poi ampiamente sui tre lati set- tentrionale, orientale e meridionale di M. Peso, e fino al Gar- rese di M, Picastello. È costituita da un calcare compatto a sottili strati (da 5 alò cm.), quasi scistoso, di colore dal bianco al cinerino plumbeo, spesso ricco di vene spatiche, ed ottimo materiale per gradini e banchine, nonché da muratura. — Agli optici a costole di- ritte del Giuresc sostituisconsi nell’ Infracreta quelli a costole ripiegate (A. Didayi ) ; inoltre in questo mancano le patine o breccioline verdi della Majolica, mentre i noduli di selce si fanno più abbondanti, e più frequentemente si presentano in belle concentrazioni sferiche; di più la selce, prevalentemente nera o bruna, vi è anche in abbondanza grande sotto forma di letti. Lo spessore dell’Infracreta può ritenersi di circa 200 metri ('). La Creta p. d. occupa una larga zona del nostro territorio, distendendosi tra Casaglio ad ovest, la Forcella e Vaisorda a nord, S. Stefano ad est ed i Campiani e Cellatica a sud; ri- scontrasi anche, in un piccolo lembo isolato, a nord dei Camal- doli, e precisamente affiorante nelle sue due estremità rispetti- vamente fuori della cinta settentrionale e di quella occidentale del podere (2). (') Nella Carta Geologica della Provincia di Brescia del Ragaz- zoni (ISSO) non è segnato l’ Infracretaceo ai Camaldoli, né quindi l’in- cluso lembo cretaceo di cui si dirà — come non é segnata la Majolica fino alle case Cimaschi ed a Piè del Dosso, nè la ripresa di essa a sud del Selcifero che passa sotto ai Camaldoli — ed infine sono indicati il Lias ed il Giura anche ad ovest di Collebeato, mentre qui non esiste che l’Infracreta, od al più forse gli strati più alti della Majolica. (5) La presenza di questo lembo di Creta mi venne indicata prima dall’amico prof. Cozzaglio. 358 G. B. CACCIATALI Per quanto nella sua parte alta l'Infracreta si faccia di tinta più oscura, ed offra anche intercalazioni di strati calcareo-mar- nosi, pur tuttavia il contrasto litologico tra essa e la Creta p. d. è, come si disse, marcatissimo, onde il piano inferiore di questa è un buon orizzonte geologico. Lo spessore totale della Creta p. d. può ritenersi di circa 200 metri. Essa è divisibile nei seguenti tre piani, corrispon- denti molto probabilmente e rispettivamente all’Albiano, al Ce- nomaniano e Turoniano ed al Senoniano: a) Marne verdognole a fucoidi, sulle quali se ne trovano altre di color nero, friabilissime, bituminose ed alternanti con letti di marne gialle e rosse. b) Marne calcaree rosse (Scaglia), di tinta molto viva al- meno in basso, cui si intercalano sottili straterelli di arenarie verdastre compatte, ed^ in alto anche strati d:un bel calcare ro- sato: spesso sono ricche di venature spatiche. Detto piano è osservabile in modo molto evidente salendo dalla Forcella alla Stella. c ) Ancora Scaglia (marne calcaree prevalentemente rosso chiare, ma anche bianche) con arenarie grigie compatte in grossi strati ( macigno , psammité), che talora prendono il predominio, passando spesso anche a calcari arenosi cinerini: tali arenarie contengono il caratteristico Jnoceramus concentricus. Nella parte più alta del piano infine la Scaglia include talvolta frammenti o ciottoli delle arenarie medesime, fatto già stato rilevato dal Ragazzoni. I due piani inferiore e medio circondano come fascia con- tinua a nord, est e sud il superiore, il quale ad ovest finisce libero nella pianura. Avvertiamo in ultimo come tutta la zona occupata dalla Creta p. d. sia eminentemente viticola. Miocene. II miocene infine, che forma la collina della Badia, è costi- tuito da un’alternanza di banchi d’un conglomerato poligenico calcare-siliceo (Nagel fi uh) dello spessore di circa 2-3 metri, tal- volta a grossi e tal’altra a minuti elementi, e di banchi d’una OSSERV. GEOL. SULLA REGIONE TRA VILLA COGOZZO ECC. 359 arenaria per lo più marnosa, giallastra e poco coerente ' (Mol- lasse!,), dello spessore di circa mezzo metro, talvolta sostituita, specie in basso, da marne e calcari bianchi. Anzi alla base della formazione (nei pressi della Torricella e del Carretto) abbiamo : calcare arenoso grossolano, calcare alquanto compatto, talvolta roseo, con conchiglie terrestri e traccie di vegetali e di ossa di mammiferi, ed anche calcare molto bianco e farinoso. A nord di S. Anna poi nella Mollassa, oltre a discrete filliti, abbiamo dei corpiceiattoli duri, irregolarmente cilindrici e bitorzoluti, mancanti però affatto d’ogni struttura organica, e quindi inde- terminabili e fors’anco semplici concrezioni calcaree (‘). Le conchiglie e le filliti della Badia furono studiate dal Sor- delli fin dal 1882 (2), il quale vi determinò tra le conchiglie la Cyclostoma cinti quum, la Hdix Noiieli, la IL Ramondi e frammenti del genere Glandina, e tra le filliti impronte d’un ( ’yperus e foglie spettanti ad una Myrica, che denominò il/. Ra- gazzoni. La totale potenza del Miocene della Badia è di circa 30- 40 metri: il Sordelli lo riferisce al piano A/iuitaniano, ossia ad Antracotherium magnimi , mentre il Sacco, forse con maggior ragione, lo riferisce al piano Messiniano (3). II. Tectonica ed Orogenesi. Distinguiamo innanzitutto la tectonica della formazione ceno- zoica della Badia da quella delle formazioni mesozoiche, essendo le due teutoniche tra loro affatto indipendenti. ( 1 ) Della stessa formazione sono il M. Orfano eli Rovato ed il colle di Sale di Gussago: la potentissima Mollassa di quest’ultimo ó molto ricca di filliti. (2) Sordelli F., Sui fossili e sull'età del deposito terziario della Badia presso Brescia. (Atti d. Soc. It. d. Se. Nat., voi. XXV). (:J) Sacco F., Anfiteatro morenico del lago di Iseo ed Anfiteatro mo- renico del lago di Garda (Ann. d. R. Accad. d’Agric. di Torino, 1894- 1895). Nella seconda di queste memorie il Sacco cita pel colle di Sale i seguenti generi : Cinnamomum, Popolus, Acer, Quercus, Fraxinus, Salix, Ilex e Betula. 360 G. B. CACC1AMAL1 La speciale tectonica del colle della Badia è subito esposta quando diciamo che negli strati di questo abbiamo pendenza di 15° a 25° da 0 ad OSO ('). Le formazioni mesozoiche del nostro territorio mostransi in- vece corrugate in una serie di sinclinali ed anticlinali che suc- cedonsi all’incirca da SSE a MO, secondo assi quindi press’ a poco diretti da ENE ad OSO. Sinclinali e anticlinali. Una grande sinclinale cominciamo a trovare nelle forma- zioni occupanti la zona d’alta collina e le ultime pendici della zona montana : Lias e Giura di M. Picastello. Infracreta e Creta dei Campiani, dalle blande pendenze e (meno il Lias) ampia- mente sviluppati, ne costituiscono la gamba meridionale — la Creta superiore di Casaglio, Stella e M. Peso ne è l’asse — ed il Selcifero da Piè del Dosso a S. Vigilio ne limita la gamba settentrionale, le cui formazioni offrendo fortissime pendenze si distendono sopra spazio più ristretto. Siamo dunque in presenza di una sinclinale piegata a SSE ; anzi, siccome a nord ed ovest della Forcella le stratificazioni sono addirittura capovolte, mo- strando pendenze a NNO, essa è nella parte occidentale della sua ala settentrionale veramente rovesciata. Avvertiamo poi fin d’ora come le formazioni di natura sci- stosa — quali il Selcifero e l’Infracreta — offrano sempre, oltre al generale corrugamento al quale han partecipato le masse tutte, degli arricciamenti speciali e molto complicati, che non è possibile seguire caso per caso in uno studio di tectonica generale. Sul versante occidentale del Picastello il Dogger inclina a NNO, il Selcifero a N e la Maiolica a NNE — sul versante orientale invece domina l’inclinazione a NO, osservata tanto nel Toarciano quanto nella Maiolica. Anche l’Infracreta della Pantasina offre pendenza N 10 E 30; ma poi a S. Rocco di Cellatica e Cellatica oscilla tra N ed 0 e tra i 18° ed i 28° (estremi eccezionali 6° e 40°) — - ed ai Campiani e Collebeato ( 1 ) A Sale di Gussago il Miocene pende invece a SSE. OSSERV. GEOL. SULLA REGIONE TRA VILLA COGOZZO ECC. 3G1 tra NO e NE e tra 20° e 50°. La Creta infine, a snd della Stella e di M. Peso, offre pendenze tra 0 20 N e N 10 E e tra 10° e 36°. Passando ora all’ala nord della sinclinale osserviamo nella Creta di S. Eocco di Casaglio S 30 E 60, in quella a nord della Stella S 25 E 54, in quella della Selva S 20 E 45, di Vaisorda SO 50 e di S. Stefano SO 40. La Creta e l’Infracreta rovesciate della Forcella pendono tra NO e N di circa 60° e 70", l’Infracreta di M. Scapia a SO 30, quella di Dosso Boscone (con stupende sinclinali ed anticlinali secondarie dirette da E ad O) tra S e SSO dai 30° ai 60°, e quella a mattina di S. Ste- fano a SO 50. La Majolica che si incontra prima salendo ai Camaldoli (rovesciata) pende a NO, e quella di Dosso Boscone a SSO 44; il lembo di Selcifero infine a nord dello Scapia in- clina in media a S 30 E 50. 11 rovesciamento della nominata sinclinale porta con sè quello della successiva anticlinale, il cui asse è rappresentato, come si disse, dal Selcifero che da S. Vigilio passando sulla strada salente ai Camaldoli va fino ad est di Piè del Dosso : l’anticlinale di questo Selcifero diventa quindi, nel suo tratto di sera, monoclinale. Esaminiamo quindi ora l’ala nord di detta anticlinale, cioè a dire l’ala sud di nuova sinclinale, le cui stratificazioni per conseguenza, anche dato il rovesciamento, vengono a trovarsi in posizione normale. Salvo i bizzarri contorcimenti secondari del Selcifero abbiamo dunque in questo, nella vailetta del car- bone, pendenza generale a NO da 32° a 60° ; sotto ai Carnai- doli oscillazioni tra N ed O da 26° a 40°; ed a S. Vigilio, oltre ai parziali corrugamenti visibili nell’alveo del torrente Ee, N 20-35 O 28-48. La sovrapposta Majolica nella valletta del carbone presen- tasi a NO da 30° a 52°; sotto ai Camaldoli tra NO e NNO da 24° a 40° ; ed alla Costa Moranda N 20 O 38. L’Infracreta ai Camaldoli infine N 30 O 40. Ed esaminiamo adesso la gamba nord di questa seconda sinclinale, il cui asse va dall’Infracreta di Piè del Dosso alla Creta dei Camaldoli ed alla Majolica di case Cimaschi: vi tro- viamo tosto pendenze molto forti, il che indica essere anche 362 G. B. CACCIAMALI detta sinclinale piegata a SSE, anzi a SE, senza però vero rove- sciamento. Son quasi verticali e gli strati del piccolo lembo di Creta dei Camaldoli e quelli deH’Infracreta di Piè del Dosso; così dicasi della Majolica, la quale però se alla Pozza è S 80, al Dosso dei Boccoli diventa SE 40, ed alle pendici meridio- nali di M. Quarone S 26. 11 Selcifero alla Pozza offre pendenza S 30, più su SE 70, ed al Dosso dei Roccoli S 20-30 E 30-46; alle case Cimaselo poi SE 40. Infine il Dogger sotto al Roccolo Cliinelli inclina a S 20 E 40-50, ed il Lias di Navezze a SE 35-60. Venendo infine alla parte più montana della nostra regione diremo come il M. Quarone ci presenti nuova anticlinale, il passo del Quarone una terza sinclinale, e M. Magnoli una terza anti- clinale; ma, oltre al non riscontrar qui rovesciamenti, le pen- denze vi sono molto blande, e quindi le formazioni in topografia si mostrano, come nella zona Stella-Brago, più largamente svi- luppate. L’antielinale di M. Quarone, oltreché dalle pendenze della propria Majolica, è dimostrata pure dall’andamento del sotto- posto occidentale selcifero, il quale circuendo la parte alta della valletta laterale di Navezze passa dalla pendenza SE a quella E, poi a NE ed infine a N 15 O 22. Anche il Domeriano del versante destro della medesima vailetta, mentre a Navezze offre una pen- denza S 10 E 24, alla casa di Chiara inclina ad O 20 N 24. La sinclinale del passo del Quarone, oltreché dal fatto che la Majolica da una inclinazione a N passa all’orizzontalità per pendere poi a S 20 O 15 ed ancora a S 10 O 20 verso la Sella dell’Oca, è dimostrata anche dalle proprie continuazioni occiden- tale ed orientale, osservabili la prima nelle brecciole domeriane della cascina Caricatore, dove abbiamo N 20 O 10 a sud e S 20 E a nord, colla qua l’ultima pendenza concorda quella del Domeriano tipico sotto Civine (SE 36-45) ; e la seconda in valle di Cailina, dove l’ala settentrionale offre O 30 S 30 nel Selcifero, S 20 O 20 nel Toareiano e S 15 O 20 nel Domeriano. Notiamo poi la forte pendenza a S. del Domeriano (70°) poco a nord di Cailina, mentre tanto a Cailina stessa quanto verso Villa è solo di 30°. Colla già indicata inclinazione della Majolica alla Sella dell’Oca con- cordano: quella del Selcifero sopra Rivere (S e SO di 18-38) OSSKItV. GKOL. SULI.A REGIONE TRA VILI, A COGOZZO ECC. 863 ed a nord della Sella stessa (S 30 0 23) quella delle formazioni che s’incontrano scendendo dalla Sella dell’Oca a Villa Cogozzo (da S 20 0 a S 20 E di 20-37), nonché quella del Domeriano a sera di Villa Cogozzo (da SO a S 20 E di 14-45). Finalmente l’anticlinale di M. Magnoli è dimostrata dalla ripresa della pendenza da IVO ad O delle formazioni più a nord (Toarciano al passo Eoccolo Magnoli IVO 24-40, e Dogger verso Brione IVO ed O da 20 a 30). Rilievo originario. I dati offerti dalla tectonica ci hanno rivelato come le nostre formazioni mesozoiche sieno corrugate in tre sinclinali e tre anti- cliuali, e come una zona più fortemente corrugata (tra la For- cella ed i Camaldoli) stia di mezzo a due zone dai blandi cor- rugamenti ; notiamo inoltre come le medesime formazioni in una di quest’ultime due zone (nella montana) si trovino ad un livello alquanto più elevato di quello al quale si trovano nell’altra (d’alta collina): tutto ciò dimostra chiaramente che la regione a sud della Forcella ci rappresenta la zona abbassatasi — che la regione a nord ci rappresenta invece la zona rimasta in posto — e che il raccordamento fra le due zone ci è dato dalle forti pieghe tra i Camaldoli e la Forcella. Le nostre formazioni mesozoiche, la Creta superiore com- presa, avendo partecipato tutte al corrugamento, questo deve essere per lo meno post-cretaceo. Non escludiamo con ciò ante- riori corrugamenti di strati ed emersioni di terra ferma, le breccie domeriane ed i ciottoli di macigno nel livello più alto della Sca- glia cretacea dimostrandoli in modo indubbio ; ma non abbiamo ora dati sufficienti per determinare la posizione, l’entità e la natura di quegli antichi rilievi, che forse gli studi della geo logia continentale, oggi appena all’inizio, e solo per i tempi più recenti, riveleranno un giorno. Contentiamoci quindi per ora di prendere in considerazione soltanto il più chiaro, generale ed esteso corrugamento terziario, iniziatosi forse nell’eocene e compiutosi nei primi tempi mio- cenici. Ripetiamolo dunque: la regione a sud si è abbassata, blandamente corrugandosi a sinclinale — detto abbassamento 364 G. B. C ACCI AMALI sviluppò enormi pressioni laterali che si esercitarono contro la regione nord, rimasta relativamente in posto — questa oppo- nendosi come massa rigida, obbligò a forte corrugamento la zona intermedia: tale la genesi sommaria del nostro rilievo. Così stando le cose, non abbiamo che da rimettere a posto, colla nostra mente, quanto l’erosione ha esportato durante una parte del Miocene, tutto il Pliocene e tutto il Quaternario, per farei un’ idea dell’ orografìa del paese in pieni tempi miocenici, e della conseguente idrografìa. Tre valli sinclinali, tra loro press’ a poco parallele, dovevano solcare il territorio con dire- zione da E ad 0, e precisamente: la prima da casa Mandò pel passo del Qnarone al Caricatore di Gussago ; la seconda nella sinclinale case Cimaschi-Camaldoli-Piè del Dosso, la quale do- veva trovarsi, essendo piegata a mezzogiorno, verticalmente so- vrapposta alla linea S. Vigilio-Forcella-Gussago; la terza sulla Creta superiore M. Peso-Casaglio, però meno della seconda e più della prima secondo una linea più a mezzogiorno degli attuali rispettivi assi sinclinali. Se poi cerchiamo raccordare la tectonica del nostro territorio con quella riscontrata nel territorio alla sinistra del Mella, con tutta evidenza constateremo: a) Che la sinclinale del passo del Quarone è la conti- nuazione di quella posta tra Carcina e Concesio, e che quindi la prima valle era la continuazione di quella del Condigolo. b) Che la sinclinale dei Camaldoli, non avendo corrispon- denza dall’altra parte, interessa solo le formazioni alla destra del Mella, e che quindi la seconda valle aveva origine locale. c) Che all’abbassamento della regione tra la Forcella ed Drago corrisponde dall’altra parte del Mella T abbassamento della regione a sud della frattura Bovezzo-Monteelana (piano di Nave e contrafforti occidentali della Maddalena), e che quindi la terza valle era la continuazione di altra corrispondente alla nominata frattura, affiorante allora - data la sua pendenza a nord - secondo una linea più meridionale dell’attuale. Quanto alla prosecuzione dei tre corsi d’acqua verso ovest, non ho ora dati sufficienti per poterne stabilire l’andamento; ma con molta probabilità il primo seguiva una linea passante OSKERV. GEOL. SULLA REGIONE TRA VILLA COGOZZO ECC. 365 a sud di Barche e di Ome, il secondo passava tra Ronco di Gussago e la Santissima, ed a sud di questa il terzo. Trasformazioni del paesaggio. Le cose non dovettero però a lungo durare come di sopra si è detto; ben presto dovettero accadere le seguenti catture di valli: a) Sopra Costorio cattura della parte superiore della prima valle ad opera di un affluente di destra del secondo fiume, affluente che per retrocessione forzò il proprio passaggio attra- verso il partiacque Costorio - case Cimaschi: incorporamento quindi nel secondo fiume, quello cioè passante alla Forcella, delle acque del Condigolo, abbandonanti la via del passo del Quarone. b) A Collebeato cattura della parte superiore della terza valle ad opera d’un Mella incipiente, arretrantesi per erosione e forzante lo sbarramento Urago-Mompiano: le acque di Nave, convogliate a sud, abbandonarono quindi la sinclinale di M. Peso. c) A Croce di Gussago ed a Gussago, da parte di un tor- rente Canale che doveva essere l’ultima porzione dell’ odierno, cattura del residuato terzo fiume (della sinclinale di M. Peso) e dell ingrossato secondo fiume (della Forcella), per abbatti- mento delle due dighe Cellatica-Croce di Gussago e S. Rocco di Casaglio-Santissima. d) Presso Dernago, da parte del terzo fiume o fiume di Nave, cattura del Chiese, il quale, giunto da Barghe, Provaglio, Odolo, S. Eusebio e Caino fin presso Dernago, doveva prima di questa sua cattura volgere da qui al passo di S. Vito per scendere poi in direzione SSO lungo la frattura orientale di M. Maddalena. Questi fatti dovevano già essere accaduti prima della fine del Miocene, nel qual tempo noi troviamo quindi la nostra rete idrografica quale ho descritta nella mia memoria Palosso-Conchc. Abbiamo allora la formazione delle conoidi alluvionali mioce- niche che dovevano poi darci i conglomerati di Sale e della 366 G. B. CACCIATALI Badia, come in regioni più lontane quelli del M. Orfano di Rovato e del S. Bartolomeo di Salò. Ma tra il Miocene ed il Pliocene - pur non verificandosi ulteriore corrugamento - il mare, dovette invadere nuovamente buon tratto della già emersa spiaggia, onde sulle formazioni continentali mioceniche abbiamo il depositarsi delle formazioni marine plioceniche. Tra il Pliocene ed il Quaternario poi abbiamo nuovo abbas- samento della regione pedemontana, il quale accentua antichi corrugamenti e ne produce di nuovi : tra quest’ultimi ecco le dislocazioni nei conglomerati miocenici, i quali vengono ad emer- gere a Sale ed alla Badia, affondandosi a sinclinale nella plaga intermedia. Il mare si ritira di nuovo, ed ecco iniziarsi un grande lavorio di erosione dei superiori terrazzi che non parte- ciparono all’abbassamento, quindi forte retrocessione dei corsi d’acqua (scendenti da N a S) verso i superiori partiacque, e quindi ancora il costituirsi (per altre catture) delle attuali valli del torrente Canale e del fiume Molla, ed il formarsi della pia- nura, che non era però ancora l’attuale. È forse in questo stesso periodo che il Chiese abbandonò la nostra regione, da altra cattura richiamato per Salò alla valle benaeense, e che quindi si costituì la valle del Garza ; come è forse in questo stesso periodo che i depositi pliocenici vennero per dilavamento spazzati via dai colli miocenici che da poco si erano costituiti; meno dal S. Bartolomeo di Salò il quale non partecipò alla dislocazione postpliocenica, e da Castenedolo il quale veniva a trovarsi lontano dalla zona soggetta alle grandi erosioni. In pieni tempi quaternari infine si ebbe un ultimo abbassa- mento nella plaga che sta al di sotto della linea Capriano, Castenedolo, Cili verghe, Bedizzole, Calvagese: lungo questa linea soltanto affiora oggi l’antica pianura, la quale tanto più a nord che più a sud venne ricoperta dalle posteriori alluvioni che determinarono la pianura attuale C). (') Di questi abbassamenti già dissi nella mia memoria su Caste- nedolo (nei Commentari dell’Ateneo di Brescia pel 1896). | Boll, della Soc. (7 eoi. Italiana voi. XX. (Cacciamaxi) Tav. OSSERV. GEOL. SULLA REGIONE TRA VILLA COGOZZO ECU. 367 Un ultimo fatto che riguarda la nostra regione nei più re- centi tempi, in quelli cioè delle citate ultime alluvioni: negli scavi teste compiuti per collocare la nuova condottura dell’acqua potabile da Mompiano a Brescia si incontrarono delle ghiaie identiche a quelle che oggi il Molla trascina nel proprio alveo. Ciò dimostra che questo fiume in non lontani tempi, giunto contro Dosso Boscone, veniva da quest’ostacolo direttamente spinto a SE fino ad urtare contro lo sperone di Mompiano, diri- gendosi poi (con arco convesso ad oriente) verso Brescia: allora il Garza vi doveva affluire al Conicchio ; solo più tardi il Mella si andò spostando verso occidente, fino a lambire le pendici est di Dosso Boscone e di M. Picastello, rendendo indipendente il corso del Garza. [ms. pres. 6 luglio 1901 - ult. bozze 10 agosto 1901]. 29 MAMMIFERI POST-PLIOCENICI DI KURGAN IN SIBERIA Nota del Dott. Arnaldo Ricci. Il comm. Stéplien Sommier nell’ anno 1881, gentilmente aveva donato al museo paleontologico del R. Istituto di Studi superiori in Firenze alcune ossa fossili acquistate, durante un suo viaggio in Siberia (‘), dal dott. Bilinsky. Questi fossili, che erano stati trovati in terreni alluvionali presso i dintorni della città di Kurgan, nel governo di Tobolsk (Siberia occidentale), lungo la spónda destra del fiume Tobol, consistono in una ma- scella inferiore di giovane Mammouth, in tre molari insieme ad una vertebra di elefante adulto, in due cranii di Bhinoceros tichorhinus ed in un frammento di cranio di Bison priscus. Dietro consiglio del mio maestro prof. Carlo De-Stefani, mi sono accinto a studiare tutti questi resti fossili e più scrupolo- samente quelli elefantini, onde sempre più accertare, dietro i relativi confronti con i nostri, l’ esistenza del l’i?. primigenius Blum. nel post-pliocene toscano. Nel 1896 l’ing. A. Wyssotzky (2). nel resoconto fatto al Comitato della ferrovia transiberiana delle ricerche geologiche da lui stesso eseguite nella Siberia occidentale, accennò (in nota) ad una estesa fauna post-pliocenica ; cioè a resti di Felis tigris , F. onca, F. spelava, Hyaena spelaea, Vulpes vulgaris, Meles taxus, JJrsus arctos, Talpa europaea, Castor fiber, Lepus vana- bilis, Bos primigenius, Bison prisus, Ovis aries, Ovibos moschatus, ( 1 ) Sommier S., Un’estate in Siberia, Firenze, 1885, pag. 492. (*) Wyssotzky A., Apergu sur les dépots tertiaires et post-tertiaires de la S bérie occidentale (Explorations géologiques et miniéres le long du chemin de fer de Sibèrie), liv. V, Mem. 3a, pag. 86; St-Péters- bourg, 1896. MAMMIFERI POST-PLIOCENICI DI KURGAN IN SIBERIA 369 Cervus euryceros, Rangìfer tarandus , Camelus sp., Sus scropha, Eguus caballus, Rìdnoceros tichorhinus, Elasmotherium sibiricum, Elephas primigenius, ecc., ecc., ecc. ; trovata nelle caverne presso i monti Aitai, lungo il Miass, sul Tura intorno a Tioumen, lungo il Pischma, intorno alla stazione di Omsk, presso le miniere di Salairsk e Prikanawsk nel pendio orientale degli Urali, presso Ekaterinbourg, ecc., ecc., ecc., in terreni post-terziari, cioè nei grandi depositi lacustri e fluviatili con Cyrena flaminalis, Cyclas, Planorbis, Unio, ecc., ecc., quivi esistenti. Nel 1900 A. Krasnopolsky (*), sui depositi post- terziari, che osservansi lungo i fiumi Kamenka, Om, Stepnaia, Tobol, ecc., ecc., tra la città di Tchéliabinsk ed il villaggio di Krivocktchékovo sul fiume Ob, ai quali appunto riferisconsi i fossili da noi de- scritti, ha detto : « Les dépots post-tertiaires s’étendent d’une ma- » nière continue à travers tonte la zone du chemin de fer. Ils sont » représentés: 1° par des sables schisteux post-pliocènes à Cyrena » fluminalis Muli, Cyclas , Pisidium, Planorbis , restes d’ Elephas » primigenius et par des argiles sableuses similaires au loess, » renfermant par places des petits amas de gyps (avec Pupa , » succinea de terreferme, Planorbis, Limnaeus, ccc., ecc. d’eau » douce) ; 2° par ditférentes espèces de sols (tchernozom, solonetz, » podzol); 3° par les dépots modernes fluviatiles et lacustres ». Compio intanto, prima d’ incominciare lo studio di detti fos- sili, il dovere di ringraziare il prof. Carlo De-Stefani, che si adoperò a fornirmi il materiale di studio, la sig.a Maria Pavlow per la sua memoria: «Sur un Mammouth trouvé en 1896 près de la ville de Jaroslawl », che gentilmente ci ha inviata, ed il sig. Enrico Bercigli per l’aiuto prestatomi nell’esecuzione delle fotografie di questi fossili. Elephas primigenius Blum. La mandibola di giovane individuo (Tav. VI, Pig. la) pre- sentasi quasi del tutto completa ed ha da ambo i lati in sita anteriormente un residuale disco di dentina di un secondo dente ( 1 ) Krasnopolsky A., Pecherches géologiques le long de la section occi- dentale du Transsibérien (Aperta des exploratious géologiques et minière s le long du Transsibérien), pag. 12; St. Pétersbourg, 1900. 370 A. RICCI di latte ed all’ indietro un intiero ultimo pure di latte, ma non completamente uso. A destra è mancante dell'estremità supe- riore dell’apofisi coronoide, a sinistra invece lo è del condilo. Il mento non è appuntato ma rotondo, il diastema è quasi ver- ticale; la gronda sinfisiale è larga; il rostro è piccolo; il bordo posteriore del ramo ascendente è rotondo ; il ramo orizzontale non è grosso ed lia il margine inferiore pure arrotondato e quasi pai-allelo a quello alveolare o superiore. L’apofisi coronoide è diritta e separata dal condilo per una piccola incisura sigmoidea. L’orificio superiore del canale dentario inferiore trovasi subito al di sotto del collo del condilo con il maggior diametro in senso antero-posteriore e guarda direttamente in alto. Tre fori mentonieri esterni esistono sulla branca destra, due sulla sinistra ed uno interno da ambo i lati. I due residuali dischi di dentina del secondo molare di latte sono lunghi mm. 35 e larghi mm. 42 ; arcuati alla faccia poste- riore con la convessità rivolta in avanti e sul piano loro d’abra- sione vedonsi ancora alcune traccie delle lamelle dello smalto delle ultime lamine posteriori. I molari terzi di latte invece sono completi con xYlx, un poco arcuati, non completamente usi, essendo ancora intatte le ultime due lamine ed il tallone prossimale, che appariscono for- mate di numerose digitazioni, sebbene ancora siano ricoperte dal cemento. Il tallone anteriore in ambedue è ridotto ad una sot- tile e larga lamella, formata da varie digitazioni, parallela alla prima lamina, e ciò a causa della pressione. Delle dieci lamine, che trovansi in uso e che stanno entro un piano d’abrasione piriforme e lungo mm. 91, la la nel molare sinistro risulta for- mata di due elementi laminari laterali e di uno anulare cen- trale, che sono sul punto di fondersi tra loro, mentre nel destro per essersi già effettuata tale fusione si ha una figura d’abra- sione del tutto aperta. La 2a e la 3a lamina hanno ciascuna una figura completamente aperta, tortuosa, priva della dilata- zione mediana loxodontica caratteristica dell’iL antiquus Falc. La 4a, 5a fino alla 8a constano in entrambi i molari di tre ele- menti laminari, che nella 4a e 5a sono sul punto di fondersi tra loro ; nella 6a sono distinti e separati, nella 7a infine, oltre essere separati nell’elemento mediano, è presente ancora la traccia MAMMIFERI POST-PLIOCENICI DI KURGAN IN SIBERIA 371 della primitiva distinzione in due isole. Le rimanenti lamine sono formate di numerose digitazioni in incipiente uso, formanti altrettante piccolissime e separate isole anulari. Tra la 2a e 3a lamina di ambedue i molari, nel centro del piano d’abrasione, accanto alla lamella posteriore dello smalto della seconda lamina, osservasi una digitazione intercalare che ha già fusa la sua parete anteriore colla lamella sopra ricor- data. Nel molare destro infine alla parte esterna della prima lamina notasi pure una piccola digitazione laterale in inci- piente uso. Le lamine sono tutte sottili, strettamente addossate tra loro, con le lamelle dello smalto finissime, lievemente ondulate e di colore bianco madreperlaceo sulla superficie triturante e cia- scuna lamina ha uno spessore al massimo di mm. 5. Gli inte- respazi del cemento sono completi, di colore giallo rossiccio e ciascuno ha uno spessore massimo di circa mm. 3 '/,. Le principali dimensióni sono le seguenti : Lunghezza massima della branca destra dal rostro al condilo » » » » sinistra dal rostro al collo del condilo Circonferenza post-molare Lunghezza del margine alveolare fino al margine anteriore deH’apofisi coronoide Divergenza massima dei rami ascendenti al collo dei condili. Larghezza del ramo orizzontale presso il margine ante- riore della coronoide Spessore del ramo orizzontale al davanti del primo molare Altezza del ramo orizzontale presso il margine anteriore della coronoide Altezza del ramo orizzontale incluso il 3° molare latte presso la sua la lamina Altezza del diastema incluso il rostro » » » » ed il 2° molare di latte Lai’ghezza massima del ramo ascendente Altezza del ramo ascendente Altezza del processo coronoideo Condili - Lunghezza per la larghezza Circonferenza di questi Apertura del canale dentario - Lunghezza per la larghezza Lunghezza della sinfisi mm. 416 » 405 » 352 » 132 » 275 » 97 » 62 » 105 » 118 » 126 » 137 » 180 » 300 » 190 » 37X45 » 148 » 55X38 » 84 872 A. RICCI Altezza della medesima mm. 47 Distanza a destra del foro mentoniero superiore dal mar- gine alveolare » 29 Distanza a destra del foro mentoniero superiore dal mar- gine diastemale » 36 Distanza a destra del foro mentoniero superiore dall’e- stremo rostrale » 97 Distanza a destra del foro mentoniero mediano dall’infe- riore » 12 Distanza a destra del foro mentoniero mediano dal mar- gine diastemale » 14 Distanza a destra del foro mentoniero inferiore dall’estremo rostrale » 62 Distanza a destra del foro mentoniero inferiore dal mar- gine diastemale » 11 Distanza a sinistra del foro mentoniero superiore dal mar- gine alveolare » 29 Distanza a sinistra del foro mentoniero superiore dal mar- gine diastemale » 40 Distanza a sinistra del foro mentoniero superiore dall'e- stremo rostrale » 97 Distanza a sinistra del foro mentoniero inferiore dal mar- gine diastemale » 12 Distanza a sinistra del foro mentoniero inferiore dal mar- gine alveolare » 61 Distanza a sinistra del foro mentoniero inferiore dall’estremo rostrale » 58 Distanza a destra del foro mentoniero interno dal margine diastemale » 22 Distanza a destra del foro mentoniero interno dall’estremo rostrale » 80 Distanza a sinistra del foro mentoniero interno dal margine diastemale » 24 Distanza a sinistra del foro mentoniero interno dall’estremo rostrale » 79 Lunghezza di ambedue i diselli di dentina del 2° molare di latte » 35 Larghezza dei medesimi » 42 Lunghezza della corona dei due terzi molari di latte . . » 114 Larghezza della corona dei medesimi alla 3a lamina . . » 52 » » » alla 9a lamina . . » 32 Indice dentale di ciascun elemento laminare completo di questi terzi molari di latte » 0,00814 MAMMIFERI POST-PLIOCENICI DI KURGAN IN SIBERIA 373 Se questa mandibola la confrontiamo con quella trovata presso Pinsk, descritta e figurata da Eichwald (') sotto la denomina- zione di Maxilla inferior Mammontea; con quella d’Ilford, nella collezione Brady, descritta e figurata da Adams (2); con quella di Darmstadt, descritta e figurata dal Pohlig (3); infine con quella branca mandibolare sinistra, proveniente dal Ponte alla Nave presso Arezzo e che esiste in quel museo paleontologico, da me descritta e figurata (4); troviamo esistere tra loro una così stretta rassomiglianza, anzi un’ identità così perfetta, da essere auto- rizzati ritenerle tutte appartenenti alla stessa specie E. primi- < tennis Blum. — E. manmonteus Cuv. Infatti in tutti quanti questi esemplari noi osserviamo un mento largo, un rostro piccolo, un diastema alto e diritto, una gronda sinfisiale larga, un bordo posteriore del ramo ascendente rotondo, i lati dei condili com- pressi, un canale dentario che guarda direttamente in alto, una piccolissima differenza in lunghezza tra il ramo orizzontale ed il ramo ascendente, nonostante che le dimensioni alquanto dif- feriscano tra loro, dipendendo ciò dall’età degli individui. I mo- lari in tutte queste mandibole presentano poi assai bene spic- cati i caratteri propri della specie, essendo tutti polidiscodonti, densilamellati, con figure d’abrasione tortuose, poche complete a causa della non inoltrata usura, per avere gli intervalli del cemento stretti, le lamine diritte, rettangolari, lievemente cre- spate ed un indice dentale non superiore ai 10 mm. (*) (*) Eichwald Ed., De Pecorum et Pachydermorum reliquiis fossilibus in Lithucinia, Volliynia et Podolia repertis, 1834, pag. 707, tav. LII. (2) Leitli Adams, Monograpli on thè british fossi l Elephants, London, 1877-81, pag. 97, tav. Vili, fig. la. (3) Pohlig H., Dentition und Kranologie des «E. antiquus» Fate. (Nova Acta Akad. Caes. Leop. Carol. Natur. Curios. Bd. 57, n° 5, 1888-91, p. 441-42, fig. 141b e 143). (4) Ricci A., L 'E. primigenius nel post-pliocene della Toscana, «Pa- laeontographia italica», voi. VII, tav. XVII (II). Fig. 4-5. — Pisa 1901. 374 A. RICCI Elephas trogontherii Pohlig. Dei tre molari isolati il primo è un molare terzo superiore sinistro permanente (Tav. VI, Fig. 2a) ed ha 1 2 17 x e le seguenti dimensioni : Lunghezza della corona lungo la sua convessità dal tallone prossimale alla faccia anteriore del disco di dentina alla sua parte esterna min. 295 Lunghezza della corona in linea retta dal tallone prossimale alla faccia anteriore del disco di dentina alla sua parte interna concava » 2E0 Larghezza della corona alla 3a lamina » 89 » » alla 10a lamina » 50 Altezza della corona alla 12a lamina » 154 Questo molare è assai arcuato, un poco ritorto, lievemente concavo in direzione sagittale, non del tutto uso, essendo intatte le ultime sei lamine con il tallone prossimale ricoperte tutte da denso strato di cemento, per cui ci resta impossibile di contare le digitazioni appartenenti a ciascuna di esse. Anteriormente alla prima lamina completa osservasi la lamella posteriore dello smalto di altra lamina insieme al terzo esterno di quella ante- riore ed inoltre un piccolo disco di dentina lievemente incavato sulla superficie triturante, largo mm. 66 e lungo mm. 13, su cui appariscono ancora alcuni residui dello smalto di altra lamina. Delle 11 V2 lamine, che trovansi completamente in uso e che stanno entro un piano d’abrasione lungo mm. 180, le prime tre anteriori, mentre presentano ciascuna una figura d’abrasione com- pletamente aperta, hanno le lamelle dello smalto, eccetto quella posteriore della terza lamina, divise lungo la linea mediana della superficie d’abrasione, le quali poi si riuniscono alternativamente tra loro. La 4a fino alla 9a hanno le figure d’abrasione piuttosto larghe, un poco tortuose, lievemente arcuate con la convessità volta in avanti, con i corni laterali diritti e nessuna che accenni alla mediana romboidale espansione ed angolazione già ricordata. La 9a, sebbene simile alle precedenti, pure accenna alla primitiva sua separazione in tre isole. La 10a consta di un elemento lami- MAMMIFERI POST-PLIOCENICI DI ICURGAN IN SIBERIA 375 nare mediano e due anulari laterali. La lla infine risulta di quattro piccole isole anulari sul punto di riunirsi tra loro. Tra la 5a e la 6a lamina presso il margine interno del dente osser- vasi una piccola digitazione intercalare in incipiente uso. Le lamine sono tutte grosse, non strettamente addossate tra loro, con uno spessore al massimo ciascuna di mm. 10, con smalto spesso, crespato sulla parte mediana di ciascuna lamella e di co- lore bianco madreperlaceo sulla superficie triturante. Il cemento ricopre tutte quante le superflui del molare ed i suoi interspazi completi hanno ciascuno uno spessore massimo di mm. 5; quindi ad ogni elemento laminare completo spetta un indice dentale di mm. 15. La superficie esterna del dente è fortemente convessa, mentre l’interna è alquanto concava e su di ambedue le lamine appa- riscono un poco ricurve con la convessità volta in avanti. La faccia posteriore convessa e coperta da denso strato di cemento non presenta alcuna marca di pressione ; questa invece è assai bene accentuata sulla faccia anteriore ed interessa in parte anche la radice anteriore. Delle radici esistono tanto l’anteriore che le mediane come pure il ceppo posteriore, ma però tutte sono rotte alle loro estremità, eccetto la seconda branca mediana esterna. 11 secondo è un frammento di molare terzo superiore sinistro che ha — 6 x e le seguenti misure: Lunghezza della corona mm. 112 Massima larghezza della corona sul piano d’abrasione alla 2a lamina » 109 Altezza della corona dalla parte esterna del molare all’anti- penultima lamina » 65 Altezza della corona dalla parte interna del molare alla stessa lamina » 120 Questo frammento laticoronato si presenta poco consumato alla superficie interna del dente, mentre molto lo è all’esterno, ove l’abrasione arriva fino quasi alla comune base. Le prime tre lamine, mancanti della centrale espansione angolare, hanno ciascuna una figura d’abrasione completamente aperta, molto festonata, poco o punto tortuosa con corni laterali diritti. La 4a e la 5" constano di un elemento laminare occupante il terzo 376 A. BICC1 esterno e terzo medio e di un altro distinto e separato sul terzo interno. L’ultima infine risulta di un elemento laminare esterno, simile a quello delle due precedenti, e di un altro anulare in- terno anche esso ben distinto e separato. Il tallone posteriore è ricoperto da denso strato di cemento, per cui è impossibile sa- pere di quante digitazioni sia esso composto. Tra la 3a e la 4* lamina alla parte interna del dente si ha un disco cuneiforme occupante tutto quanto il terzo interno c su questo sempre osser- vasi la traccia della primitiva sua separazione in due isole. Le lamine sono tutte piuttosto grosse, non strettamente addos- sate tra loro, emergono dal cemento sul piano d’abrasione incli- nate dall’alto ed avanti al basso ed indietro ed hanno ciascuna uno spessore massimo di min. 10. Lo smalto è grosso, crespato e di colore bianco madreperlaceo sulla superficie triturante. Gli interspazi del cemento completi hanno ciascuno al massimo uno spessore di inni. 6; quindi ad ogni elemento laminare completo spettano nini. 16. La superficie esterna del dente è più convessa dell’ interna ed ambedue sono ricoperte da denso strato di cemento di colore giallo rossiccio. La superficie posteriore è pure convessa e non presenta alcuna marca di pressione. Alla superficie anteriore vedonsi i residui di una lamina di cemento. Alla faccia supe- riore osservasi il ceppo posteriore delle radici intiero e termi- nante quasi in punta. Il terzo, infine, è un molare terzo inferiore destro (Tav. VI, Fig. 3a) ed ha - lo x e le seguenti dimensioni: Lunghezza totale della corona mm. 251 Larghezza della corona alla 5a lamina » 79 » » alla lla lamina » 48 Altezza massima della corona alla 12a lamina » 90 Questo molare è piuttosto tapinodisco, un poco arcuato, non ha tutte le lamine affette dall’abrasione, essendo intatte le ul- time due insieme al tallone prossimale ed è mancante del tal- lone distale insieme a due o tre lamine. Anteriormente alla la lamina quasi completa ed usa fin presso alla comune base scorgesi alla parte interna un solito disco di dentina largo MAMMIFERI POST-PLIOCENICI DI KURGAN IN SIBERIA 377 mm. 43 e lungo min. 17, su cui vedonsi ancora alcuni residui della lamella posteriore dello smalto dell 'ultima lamina comple- tamente usa. Delle tredici lamine, che trovansi in uso e che stanno entro un piano d’abrasione un poco arcuato, più largo anteriormente che posteriormente e lungo mm. 194, le prime due mancano presso il terzo interno delle lamelle dello smalto a causa del- l’usura. La 3n fino alla 10a presentano tutte una figura d’abra- sione completamente aperta, priva della dilatazione mediana loxodontica. La KB risulta formata di un elemento laminare occupante il terzo interno ed il terzo medio e di altro anulare separato e distinto sul terzo esterno. L’lla, 12a e 13a infine sono formate ciascuna da quattro grosse isole anulari distinte e separate tra loro. Le lamine tutte sono piuttosto diritte, distanti le une dalle altre, con corni laterali diritti e ciascuna ha uno spessore al massimo di mm. 9. Lo smalto è massiccio, alquanto crespato e di colore nero. Il cemento manca sulle superfici esterna ed in- terna del molare, è di colore grigio nerastro e i suoi interspazi! completi hanno ciascuno uno spessore di mm. 6 ; quindi ad ogni elemento laminare completo spetta un indice dentale di mm. 15 al massimo. La superficie esterna del dente è alquanto ritorta, ma però è assai meno convessa di quella interna. Le lamine anteriori in ambedue le superfici appariscono diritte, le posteriori invece ricurve con la convessità rivolta in avanti. Alla faccia poste- riore convessa manca qualsiasi marca di pressione, mentre alla faccia anteriore il disco di dentina a causa di questa vedesi respinto verso il lato esterno del dente. Alla faccia inferiore osservasi le estremità inferiori delle lamine parallele e separate tra loro insieme all’intiera serie delle radici posteriori e me- diane rotte alle loro estremità e ripiegate alquanto all’ indietro. Dalla descrizione fatta di questi tre molari isolati facilmente si scorge essere impossibile riferirli, come si era fatto per la giovane mandibola sopra ricordata, al tipo della specie E. pri- migeni ns Blum ; in quantochè presentano dischi molto più aperti, lamine più grosse, smalto più massiccio, scarso il numero delle 378 A. RICCI lamelle rispetto alla loro lunghezza ed un indice dentale che supera i lo min. Tenendo ora conto della loro forma, dell’in- dice e dimensioni sì assolute che in rapporto all’indice, numero e conformazione delle lamine, credo che ciò basti per poterli attribuire, anziché all’ E. primigenius Blurn. tipico, all’E. tro- gontlierii Pohlig. Infatti se li confrontiamo con quelli, esistenti a Weimar, Jena, Dresda, Pietroburgo, Monaco, Berlino, Karls- ruhe, ecc., figurati e descritti dal Pohlig Q) come appartenenti alla specie, da lui stesso fondata, E. trogontherii ; con quelli del Forest-bed, Norfolk, Clapton, ecc., esistenti parte nel museo Woodwardiano, parte nel museo di Norwich, attribuiti da Adams (2) alla varietà A dell’ E. antiquus Pale, (in cui pone tutti quelli che hanno denti con corona larga e massiccia del tipo del- YE. namadicus, che da una parte si avvicina all’ Pò primige- nius e dall’altra all’ E. meriti ionalis), e poi assegnati dal Pohlig stesso al suo E. trogontherii ; con quelli, scoperti nel 1896 presso Jaroslawl, figurati e determinati quali di E. trogontherii dalla sig. Maria Pavlow(3); infine con i due esemplari siberiani, d’ignota località, esistenti in questo museo paleontologico fiorentino, vera- mente tipici dell’ E. primigenius Blum.; troviamo che mentre differiscono del tutto per i loro caratteri, formula, dimensioni ed indice da questi due ultimi, presentano invece con quelli del Pohlig, Adams e Pavlow una così stretta rassomiglianza tra loro, anzi un identità così perfetta da sentirci autorizzati a riu- nirli nella stessa ed unica specie E. trogontherii Pohlig. La vertebra d’individuo adulto, che trovasi insieme alla mandibola ed ai tre molari isolati sopra descritti, è completa ed assai bene conservata. Questa presenta un corpo assai grosso e largo, il quale ha una superficie anteriore lievemente con- vessa a forma di testa, priva di circa la metà del suo tessuto compatto; una superficie posteriore alquanto concava pure man- (‘) Pohlig H., op. cit. Bd. 53, N. 1, pag. 192 a 208. Fig. 82 a 91 bis 1888-89. Bd. 57, N. 5, pag. 325, 1888-91. (-) Adams L., op. cit. pag. 32 e pag. 175 a 178. Tav. V, Fig. 1 e Tav. XX, Fig. 1 e 2, 1877-81. (:i) Pavlow M., Sur un Mammouth trouvé en 1S96 près de la ville de Jaroslawl (Extrait de l’Annuaire géologique et minéralogique de la Bussie). Varsovie, Tome II, N. 3 e 4, 1887. MAMMIFERI POST-PDIOCENICI DI KURGAN IN SIBERIA 379 caute di oltre la metà della sua sostanza compatta; una faccia superiore, formante il pavimento del canale vertebrale, con una piccola sporgenza scabra e rugosa a forma di cresta sulla linea mediana; una faccia inferiore rotondeggiante completamente priva del suo tessuto compatto esterno. Il canale vertebrale ha la figura di un triangolo equilatero. L’arco vertebrale schiac- ciato è formato da lamine alte e sottili. L’apofisi spinosa è lunga, robusta, triangolare, alquanto più ristretta in alto, in- clinata alFindietro e termina con un apice grosso, rigonfio e tubercolato per dare attacco al legamento cervicale. La faccia posteriore di questa apofìsi presenta un largo incavo poco pro- fondo superiormente, che va poi restringendosi ed approfondan- dosi quanto più si avvicina al canale vertebrale. Le apofisi tra- sverse sono grosse, tubercolate, corte, quasi diritte, con una piccola faccetta diartrodiale alla faccia esterna. Alla base di dette apofìsi osservansi quattro faccette articolari concave per la testa della costa, delle quali due anteriori poste vicino alla testa della vertebra stessa e due posteriori sul contorno della cavità articolare del corpo, separate tra loro, cioè l’anteriore e posteriore della stessa parte, da soli 5 o 6 millimetri di so- stanza ossea. Dei processi articolari, che trovansi scolpiti alla base del processo spinoso, gli anteriori sono ovali, alquanto profondi, costituendo delle piccole fossette; i posteriori invece sono rotondeggianti e piani a guisa di piccole faccette oblique. Alla base di questi processi articolari vedonsi due scanalature alquanto profonde per il passaggio dei nervi spinali. Le dimensioni principali sono le seguenti: Altezza totale della vertebra mm. 645 Larghezza massima della vertebra tra gli estremi punti dei processi trasversi » 370 Altezza del processo spinoso e canale vertebrale .... » 485 Altezza del processo spinoso » 410 Larghezza massima del processo spinoso » 82 Altezza del canale vertebrale » 75 Larghezza del canale vertebrale » 90 Altezza del corpo della vertebra alla sua superficie posteriore » 159 Larghezza del corpo della vertebra alla sua faccia poste- riore » 170 380 A. RICCI Lunghezza massima del corpo della vertebra alla sua faccia inferiore mm. 78 Larghezza massima di ciascuna faccetta articolare per la testa della costa » 63 Altezza massima di ciascuna di dette faccette articolari . » 42 Questa vertebra per la grande altezza dell’apofisi spinosa, per l’arco sottile e schiacciato, per lo spessore arrotondato delle apofisi trasverse, la cui base è profondamente incavata da due cupole molto ravvicinate tra loro per l’articolazione delle coste ed infine per la larghezza e spessore del corpo, va ritenuta essere una dorsale, e probabilmente la terza o la quarta. A quale specie potrà essere riferita? Mancando i termini di confronto, per la mole sua non grande, per lo sviluppo della sua apotisi spinosa, per il suo stato di fossilizzazione identico a quello del molare terzo inferiore destro sopra descritto, per la sua provenienza, ritengo che si debba attribuire alla specie E. trogontherii Polilig e che probabilmente sia dello stesso in- dividuo a cui appartiene il molare sopra ricordato. Dalla descrizione fatta di questi pochi resti elefantini, pro- venienti dai depositi post-terziari che si estendono lungo la sponda destra del fiume Tobol presso la città di Kurgan, ci è dato concludere che ambedue queste specie, cioè VE. primi- genius Blum e VE. trogontherii Pohlig, sono tra loro contem- poranee in Siberia, come lo furono anche in Italia ed altrove. Rhinoceros ticliorhinus Fischer, Cuv. Di questa specie si hanno due cranii assai ben conservati, mancanti ambedue delle loro mandibole ed uno anche dei mo- lari superiori. Cranio A. — Questo è intero, di grande mole, di figura allungata, con ossa intimamente saldate tra loro, con setto na- sale del tutto ossificato. La squamma occipitale, di forma rom- boidale, più stretta superiormente, un poco inclinata al di sopra dei condili, lievemente convessa nel mezzo, più diritta nella sua metà inferiore, depressa ai lati, ha alla sua faccia esterna una piccola protuberanza triangolare, la quale emette dai suoi angoli superiori una cresta longitudinale larga e diritta, dando origine MAMMIFERI POST-l’LIOCENICI DI KURGAN IN SIBERIA 381 a tre fossette rugose per l’inserzione dei muscoli occipitali. Il margine superiore della squamma è lievemente arcuato, grosso, irregolare, fornito nel centro di un tubercolo assai prominente. I condili occipitali sono oblunghi, ritorti e tra loro quasi paral- leli. I fori condiloidei sono grandissimi. Il grande foro occipi- tale, di forma triangolare, è più alto che largo. Nel mezzo della faccia inferiore del processo basilare notasi una piccola cresta longitudinale che si unisce a quella del corpo dello sfenoide. II processo mastoideo occipitale, rotto all’apice, presenta alla sua faccia interna un solco longitudinale, che va a sboccare nel foro condiloideo. Al davanti di questo trovasi il foro lacero di- viso per mezzo di un sottile processo osseo in due parti, cioè nel foro lacero anteriore e nel foro lacero posteriore. I parietali sono molto allungati, inclinati verso la squamma occipitale, sal- dati intimamente tra loro formando una lamina pianeggiante più lunga che larga ed un poco rigonfia nel mezzo. Lo sfenoide ha un corpo grosso, stretto e lungo. Le grandi ali sono poco sviluppate,- non s’ articolano con i parietali, nè risalgono molto sulle fosse temporali. Al margine loro posteriore notasi una piccolissima spina sporgente entro il foro lacero ante- riore. I processi pterigoidei sono corti, larghi, diretti in avanti, rotti all’apice ed attraversati alla base dal condotto vidiano, che va a sboccare nello spiraglio orbitario, il quale presentasi a forma di atrio sormontato da una sottile, tagliente ed arcuata lamina ossea. Superiormente al di sotto di questa lamina vedesi il foro ottico, inferiormente il foro orbitario insieme al foro vi- diano. I frontali hanno una faccia esterna quasi esagona, convessa, declive ai lati, larghissima nel mezzo tra le orbite. Nel centro di essa osservasi un’ eminenza convessa (arca romboidale), af- follata di numerose papille e tubercoli, con una piccola cresta sulla linea mediana. Il margine orbitale del frontale è grosso e tubercoluto. La squamma del temporale, inclinata all’ indietro ad angolo quasi acuto, produce una fossa stretta, lunga, diretta obliqua- mente dall’alto in basso e dall’ avanti all’ indietro. L’arcata zigomatica ricurva, compressa dal di fuori all’ indentro, di- scende obliquamente dall' indietro in avanti. L’apofisi zigomatica 382 A. RICCI del temporale triangolare, un poco arcuata, colla massima lar- ghezza alla parte sua posteriore e mediana, presenta una faccia esterna convessa e liscia, una faccia interna lievemente concava, un margine anteriore sottile ed un margine posteriore grosso e rugoso. Le ossa giugali, poste al di sopra dell’ ultimo molare, larghe e grosse hanno una faccia esterna lievemente convessa, un margine orbitale grosso con una tuberosità semilunare rugosa alla sua parte esterna. Anteriormente al processo mastoideo occi- pitale vedesi quello temporale di forma triangolare, la cui faccia esterna è compressa e carenata, V interna piana, l’anteriore lie- vemente concava, prendendo parte alla formazione della cavità glenoidea, che è oblunga, concava, posta al di sotto del foro uditivo esterno, limitata in basso dal condilo, in alto dalla emi- nenza sopra condiloidea. La porzione tuberosa o rocca petrosa è piccola, rugosa, piramidale e tronca anteriormente. Il processo stiloideo è un poco incavato in avanti. L’ apertura del meato uditivo esterno è grande, rotondeggiante ed allo stesso livello del margine anteriore dell’apofisi zigomatica. Le orbite sono piccole dirette indentro e poste indietro del- l’ultimo molare superiore. I lacrimali piccolissimi emettono dal margine loro orbitale un piccolo processo mammillare conico e rugoso. I mascellari s’avanzano al di sotto dell’orbita e ne formano la base. 11 foro sott’orbitario grande, semilunare apresi sulla su- perficie esterna del mascellare presso il fondo della scanalatura nasale al di sopra del 5° molare. I margini alveolari sono brevi e ciascuno presenta sei fossette od alveoli. A destra, in dietro all’alveolo dell’ultimo molare, nel margine posteriore del mascel- lare notasi una perdita di sostanza ossea, quasi triangolare, larga mm. 33 e lunga mm. 48, attraverso la quale scorgonsi le radici posteriori dell’ultimo molare. Le ossa palatine sono allungate, strette, inclinate obliquamente e ricurve l’ una verso l’ altra alla loro estremità inferiore per concorrere alla formazione della volta del palato. Il margine loro posteriore presenta in alto la rugosa cresta palatina, è liscio e concavo nella sua metà inferiore for- mando un arco parabolico che circoscrive in basso il duplice orificio gutturale delle cavità nasali. Il margine anteriore è dentato e sottile e si unisce al margine posteriore dell’apofisi MAMMIFERI I*OST-PIjIOCENICI DI KUKGAN IN SIBERIA 883 palatina del mascellare superiore. In corrispondenza dell’inter- vallo tra il 6° e 7° molare osservasi l’orificio inferiore dei con- dotti palatini. La vasta apertura gutturale delle cavità nasali è ellittica, allungata, divisa al suo fondo in due metà dal vo- mere, limitata lateralmente dalle due creste ptcrigo-palatine, indietro dalla faccia inferiore del corpo dello sfenoide ed in avanti dal margine posteriore delle ossa palatine. Le ossa nasali, unite intimamente tra loro, formano una lamina allungata, quasi orizzontale, romboidale, arcuata, stretta in avanti, larghissima alla base, declive ai lati e tronca al margine anteriore, fornito nella sua parte mediana di un tu- bercolo prominente, che si unisce con la parte superiore del margine anteriore del setto osseo nasale. La lunghezza loro su- pera di molto la terza parte di tutta la lunghezza craniale, mentre la larghezza è eguale alla metà circa della massima larghezza del cranio. I margini laterali sono ricurvi dall’ avanti all’ in- dietro. La faccia superiore è aspra per numerosi tubercoli e papille, costituendo un’ area tetragona, nel cui centro osser- vasi una protuberanza, da cui si parte una cresta longitudinale mediana che termina al tubercolo prominente del margine an- teriore. Ài lati di questa cresta vedesi una scanalatura longi- tudinale, che va a terminare nell’estremità libera inferiore del naso. Le aperture anteriori delle narici sono grandi, ellittiche, con il margine superiore fortemente arcuato e con l’inferiore quasi diritto. Le cavità nasali sono separate si anteriormente che poste- riormente da un setto osseo, il quale superiormente si unisce con i frontali e nasali, inferiormente con le ossa palatine ed intermascel- lari. Nella metà posteriore di questo setto osservasi un’area fal- cata, più larga posteriormente e più stretta anteriormente, non ri- piena da sostanza ossea, per cui è presumibile che nell’ animale in vita fosse ripiena di sostanza cartilaginea. Verso il margine an- teriore delle ossa nasali il margine superiore di detto setto (che è una lamina grossa, allungata e posta perpendicolarmente come la lamina etmoidale) emette da una parte e dall’altra una la- mina allungata, quasi triangolare, da prima ascendente all’ insù, poi ripiegata all’ingiù, curva in avanti, più larga e spessa an- teriormente, convessa al di sopra, concava e glabra al di sotto. La parte inferiore del margine anteriore presenta un’ eminenza 30 384 A. RICCI oblunga, spessa, compressa ai lati e superante gl’interraascellari. La metà posteriore del setto, o vomere propriamente detto, si unisce posteriormente e superiormente con la lamina perpendi- colare dell’etmoide, posteriormente ed inferiormente con il corpo dello sfenoide. Il margine inferiore, grosso e compresso ai lati, posteriormente divide l’apertura gutturale delle cavità nasali per metà; nella sua parte mediana diviene sottile e si unisce alle ossa palatine e mascellari ; nella parte anteriore di nuovo un poco più grosso si salda agli intermaseellari ed alla sua estremità forma la parete interna dei canali incisivi. Le ossa intermaseellari, di forma romboidale, più lunghe che larghe, dirette in avanti, sono unite anteriormente con il mar- gine anteriore del setto nasale, posteriormente coi mascellari. La faccia esterna loro è alquanto convessa e rugosa ; l’ in- terna è lievemente concava ed emette obliquamente un processo simile alla cresta obliqua arcuata della faccia interna dei ma- scellari; il margine anteriore è lievemente arcuato; il superiore è sottile ed un poco flessuoso con un piccolo processo rugoso, tubercoliforme alla parte sua posteriore e con una piccola cresta ottusa, sottile, trasversa, oblunga alla parte sua anteriore; il margine inferiore infine è un poco più spesso con una piccola eminenza ottusa nella parte sua anteriore. I fori incisivi sono duplici, oblunghi, appuntati posterior- mente e larghi anteriormente mm, 18. I canali incisivi, che hanno origine da questi fori, sono diretti obliquamente all’ in- dietro e sono lunghi circa mm. 49. Nessuna traccia esiste dei denti incisivi, nè tampoco dei loro alveoli. Dei molari a destra esistono gli ultimi sei, a sinistra solo gli ultimi quattro. II Pir, 2 , antipenultimo premolare, che solo trovasi a destra, è molto uso, ha il contorno della corona di forma trapezoidale, è lievemente arcuato alla faccia esterna, ove manca in seguito a rottura la superficie dello smalto, è convesso alla sua faccia anteriore ed interna, è diritto alla posteriore. La valle mediana, in seguito all’unione delle due colline trasverse per le loro estre- mità interne, è trasformata in una fossetta profonda, oblunga, parallela al diametro longitudinale del mascellare essendo di- retta dall’ avanti all’ indietro. La fossetta accessoria, prodotta MAMMIFERI POST-PLIOCENICI DI KURGAN IN SIBERIA 385 dall’unione del rampino colla cresta verticale emessa dall’angolo esterno anteriore della collina longitudinale, è separata comple- tamente dalla fossetta mediana c presentasi quasi rotonda e ri- volta verso il margine esterno. Della valle posteriore si ha solo una piccolissima traccia fornita dalla sottile porzione arcuata dello smalto della collina posteriore. A sinistra trovasi solo l’al- veolo con tre piccole fossette per le respettive radici. Il Pin3, penultimo premolare, esistente solo a destra, è simile al precedente, però un poco più grande, di forma quasi rettan- golare, con una faccia esterna diritta, fornita nel suo terzo ante- riore di una costa verticale sporgente e spuntata; con una faccia interna arcuata, rotta alla sua metà posteriore. L’angolo anteriore esterno è poco accentuato e non diretto infuori, nè in avanti. La fossetta mediana è obliqua, lunga ed assai più grande di quello che era nel dente precedente. La fossetta accessoria non è del tutto separata dalla mediana. Manca completamente la valle posteriore. A sinistra l’alveolo presenta, invece di tre, quattro piccole fossette per le radici del dente. Il P„,4, ultimo premolare, esistente tanto a destra che a sinistra, presentasi di forma quadrangolare. La faccia esterna della corona nel molare destro, che è il meglio conservato, ap- pare quadricostata, sebbene sia priva di circa V3 della lamina dello smalto; le due facce anteriore e posteriore sono diritte; l'interna un poco arcuata. L’angolo anteriore esterno supera un poco l’angolo posteriore esterno del penultimo premolare. La collina esterna si presenta assai stretta nella sua parte mediana. La collina anteriore, quasi perpendicolare all’esterna, è oblunga, lievemente arcuata ed è fornita alla sua parte interna di un piccolo processo accessorio uncinato. La collina posteriore è più bassa delle precedenti. La fossetta mediana triangolare è obliqua ed assai grande. La fossetta accessoria non è separata dalla mediana. La valle posteriore completamente chiusa, per la riunione della branca della collina posteriore, che va obliqua- mente indietro verso l’angolo interno posteriore, con la collina esterna, forma una fossetta oblunga ed ovale. L’MU primo vero molare, è completamente privo dello smalto alla sua superficie esterna, ed ha la corona di forma (piasi quadrata. Le costole e le colline sono simili a quelle del Pmt. 386 A. RICCI La valle mediana è chiusa del tutto, formando una fossetta stretta, obliqua e lunga. La, fossetta accessoria non è separata dalla mediana; la fossetta posteriore obliqua è identica a quella deirPm4, però è un poco più grande e più lunga. L’M2, secondo vero molare, è il più grande di tutta la serie, ha una figura allungata tetragona ed è solo alla base della corona ricoperto da sottile strato di cemento. Il sinistro, più completo, presenta una superficie esterna munita di quattro distinte costole, delle quali la seconda è assai più sviluppata: una superficie interna scavata fino alla base dal solco longitu- dinale. La collina anteriore è assai più arcuata della posteriore. La valle mediana è grande, falcata ed aperta alla faccia in- terna del dente. La fossetta accessoria, quasi rotonda, non è completamente separata dalla valle mediana. Il rampino è sot- tile, ma più sviluppato che nell’M,. La valle posteriore del tutto chiusa forma una fossetta triangolare il cui smalto tro- vasi ricoperto all’interno da uno spesso strato di cemento. L’M3, terzo vero molare, a destra è fortemente mutilato in seguito a rottura, a sinistra meno. Nel destro vedesi la parte basale della collina esterna ed anteriore insieme alla parte an- teriore della valle mediana e le quattro radici disgiunte in sita entro l'alveolo. Nel sinistro osservasi la collina esterna a forma di una lamina oblunga sottile, quadricostata, diretta in- dietro ed indentro; quasi tutta la collina anteriore arcuata, convessa anteriormente e concava posteriormente; infine il fondo della fossa mediana e di quella accessoria completamente se- parate tra loro. Cranio B. — - Questo è bene conservato come il precedente, ma non completo, è di mole più piccola, ha le ossa non del tutto intimamente unite tra loro ed un setto nasale compieta- mente ossificato. La squamma occipitale è di figura quadrango- lare, un poco più inclinata al di sopra dei condili e priva nel suo margine superiore del prominente tubercolo notato nel cranio A. Dei condili solo esiste la parte superiore. Mancano i fori condiloidei e tutta quanta l’apofisi basilare dell’occipitale insieme ai fori laceri. Rotto è l’apice del processo mastoideo occipitale e dell’apofisi stiloide. I nasali sono più lunghi e sot- tili. Il margine posteriore del mascellare superiore presentasi MAMMIFERI POST-PLIOCENICI DI KURGAN IN SIBERIA 387 arcuato ma non rotto. Ben visibile è l’apertura del canale la- crimale. Nel setto osseo del naso manca l’area falcata sopra ricordata e solo circa alla sua metà si ha una perdita di so- stanza ossea, in seguito a rottura, lunga mm. 55 e larga mm. 60. Nessuna traccia si lia dei denti incisivi, nè dei loro alveoli. Manca l’intera serie dei molari, e solo vedonsi gli alveoli for- niti di profonde fossette per le radici dei denti. Dimensioni dei due crani. Cranio A Cranio B Estrema lunghezza del cranio dal margine anteriore deH’intermascellare al margine inferiore del foro occipitale Massima lunghezza del cranio dalla som- mità della cresta occipitale alla punta dei nasali in linea retta Massima lunghezza del cranio dalla som- mità della cresta occipitale alla punta dei nasali seguendo le curve frontali e nasali. Distanza dal bordo posteriore dei condili occipitali alla punta dei nasali .... Distanza dal bordo posteriore dei condili occipitali alla estremità anteriore dell’al- veolo del 2° premolare • Distanza dal bordo posteriore dei condii1 occipitali al margine posteriore dell’M3. Distanza dal bordo posteriore dei condili occipitali all’orlo anteriore dell’orbita . Distanza in linea retta dalla sommità della cresta occipitale alla massima convessità dei nasali Distanza dalle coane alla cima dei nasali. Distanza dall’apofisi sopra orbitale alla cresta occipitale Altezza dell’occipite dal margine inferiore del foro occipitale alla sommità della cresta occipitale Larghezza massima dell’occipitale dietro i fori uditivi Larghezza del margine superiore dell’oc- cipite mm. in m . 0, 630 — 0, 762 0, 740 0, 825 0, 798 0, 750 0, 720 0, 560 0, 342 0, 340 0, 360 0, 338 0, 675 0, 330 0, 653 0, 325 0,365 0, 345 0, 240 — 0, 264 0, 244 0, 196 0, 200 388 A. RICCI Distanza dal margine esterno di un condilo a quello esterno dell'altro Distanza tra i condili occipitali tra loro. Altezza massima dei condili occipitali . . Diametro trasverso di questi preso nel mezzo Foro occipitale - Larghezza per la lunghezza Distanza dal bordo inferiore del foro occi- pitale alla scanalatura palatina . . . Distanza dal margine anteriore dell’orbita al margine anteriore dei nasali . . . Lunghezza della fossa temporale .... Altezza della fossa temporale sopra il meato uditivo Lunghezza della cavità glenoidea, . . . Distanza tra le estremità interne delle fac- cette glenoidee Distanza dal meato uditivo destro al si- nistro Lunghezza dell’arcata zigomatica dal meato uditivo al margine anteriore dell’orbita. Larghezza del cranio tra i due punti più prominenti dell’arcata zigomatica . . . Larghezza minima craniale tra le tempie. Larghezza del cranio tra l’apofisi post-or- bitarie del frontale Altezza del cranio tra le orbite . . . . Larghezza massima della fronte tra le or- bite Distanza dal foro sotto orbitale al margine anteriore dell’intermascellare . . . . Lunghezza delle coane Lunghezza dell’apertura nasale dall’apice dei nasali al margine anteriore dei ma- scellari Distanza tra le sommità delle tuberosità che portano i due corni Distanza dall’estremità degli intermaseel- lari all’inizio della serie dei molari . . Larghezza massima trasversa dei nasali nel mezzo del corno anteriore . . . . Larghezza dei nasali presa nel mezzo della loro lunghezza Cranio A Cranio 0, 156 0, 054 0, 051 0, 130 0, 060 0. 088 0,055 X 0,058 0,050 X 0, 350 — 0, 360 0, 226 0, 357 0, 215 0, 112 0,089 0, 102 0, 085 0, 125 0, 106 0, 232 0, 227 0, 250 0, 240 0,347 0, 114 0, 322 0, 116 0,212 0, 220 0, 200 0, 210 0, 260 0, 230 0, 230 0, 137 0, 230 0, 137 0, 210 0, 210 0, 300 0, 295 0, 132 0, 130 0, 167 0, 144 0, 157 0, 140 MAMMIFERI POST-I’UOCENICI DI KURGAN IN SIBERIA 38!) Estensione antero-posteriore del setto na- sale Spessore del setto nasale Altezza dell'apertura nasale dal mezzo del mascellare al margine superiore dei na- sali Lunghezza dello spazio occupato dai mo- lari Lunghezza dall’esterno, a livello del colletto, della serie dei premolari a destra . . Lunghezza dall’esterno, a livello del colletto, della serie dei premolari a sinistra . . Lunghezza dall’esterno, a livello del colletto, della serie dei veri molari a destra . . Lunghezza dall’esterno, a livello del colletto, della serie dei veri molari a sinistra . Cranio A min. 0, 452 0, 143 0, 084 0, 216 0, 077 0, 034 0, 140 0, 138 Cranio B min . 0, 448 0, 132 0, 080 0, 190 — | Dimensioni dei molari nel cranio A. Ait. della corona Lungh. massima Larghezza massima della corona o diametro trasverso lato lato lato lato esterno interno esterno interno P,„ 2 destro 0, 010 0, 011 0, 022 0, 016 0, 029 P,u 2 sinistro — — — — — Pm 3 destro 0, 015 0, 012 0, 020 0, 020 0, 040 Pm3 sinistro — — — — — Pm 4 destro 0, 027 0,017 0,035 0, 030 0, 042 Pm 4 sinistro 0, 025 0,018 0,034 0, 028 0, 044 M, destro 0, 020 0, 018 0, 036 0, 036 0, 043 M, sinistro 0, 020 0, 017 0, 035 0, 035 0,036 M2 destro 0, 031 0, 021 0, 049 0,045 0, 044 Mj sinistro 0,038 0, 022 0, 053 0, 046 0, 044 M3 destro 0, 025 — 0, 055 0,054 0, 050 M3 sinistro 0, 027 0, 029 0, 052 0, 051 0, 039 390 A. RICCI Bison priscus Owen. Del frammento di cranio di Bison esiste l’occipitale, i parie- tali, il temporale, lo sfenoide in parte ed il frontale con il nucleo osseo intero del corno destro e con una piccola porzione del sinistro. La squamma occipitale semicircolare non presenta alcuna piegatura anteriore, non fa parte della faccia anteriore della testa, forma un angolo ottuso colla fronte. L’inion è ottuso e trovasi mm. 98 al di sopra del foro occipitale. La cresta occi- pitale è prominente. I condili occipitali sono grossi, lunghi e presentano una doppia convessità. L’apofisi basilare è larga e grossa e sulla sua faccia esterna notasi due grosse tuberosità pira- midali separate da una profonda scanalatura. I -processi stiloidei, rotti all’apice, sono corti ed incurvati indentro. I fori condiloidei sono doppi e scorgonsi al di sotto del condilo entro la larga fossetta esistente tra la paramastoide ed i condili stessi. Il foro lacero è piccolo e diviso dalla porzione mastoidea del temporale in foro lacero anteriore e foro lacero posteriore. La depressione stiloidea è una fossetta cilindrica e profonda. Il grande foro occipitale è largo mm. 45 ed alto mm. 42. I parietali, posti al di sotto del nucleo osseo delle corna, concorrono a formare col- l’occipitale la base del cranio e nell’insieme sono rappresentati da una lamina ossea stretta, allungata trasversalmente ed incur- vata alle due estremità, che discendono nelle fosse temporali, a guisa di una cintura. Il corpo dello sfenoide è grosso ed è intimamente unito all’apofisi basilare dell’occipitale. I processi sotto-sfenoidali sono larghi e rotti all’apice. Grande è il foro ovale e l’apertura orbitaria: manca il condotto sotto-sfenoidale. La porzione squammosa del temporale di forma ovalare, allun- gata, stretta, verso la sua metà dà origine aH’apofisi zigoma- tica, della quale solo esiste la base. La cavità glenoidea è larga, concava, ha un piccolo orlo sporgente, ed è allo stesso livello del meato uditivo esterno. La porzione tuberosa è a guisa di disco compresso e lievemente convesso nel centro. L’apofisi para- mastoide è larga, diretta indentro ed indietro. Il foro carotideo è nascosto tra la porzione tuberosa del temporale e l’apofisi MAMMIFERI POST-PLIOCENICI DI KURGAN IN SIBERIA 391 basilare dell’occipitale. La cresta mastoidea è confusa colla ra- dice superiore dell’apofisi zigomatica, sorpassa in basso la ma- stoide e si prolunga fino alla protuberanza mastoidea, che è molto voluminosa. Al di sotto deH’apofisi mastoidea si ha il foro stilo mastoideo. Il frontale è largo, convesso ed occupa da se solo più della metà della faccia anteriore della testa. L’al- tezza sua, prendendo la base tra le orbite, è minore della sua larghezza. Il margine inferiore è profondamente incavato nella parte sua mediana, onde ricevere le ossa nasali. Le apofisi post- orbitarie sono grandi e prominenti per appoggiarsi sopra l’osso giogaie e chiudere l’orbita che è proporzionalmente piccola e sporgente infuori della linea laterale. L’arcata obitaria del fron- tale presenta una faccia esterna convessa e lievemente rugosa, una faccia interna liscia e concava, un bordo arcuato, spesso e prominente. Il foro sopraciliare è trasformato in un vero con- dotto, di cui l’orificio anteriore si apre in una doccia che ascende verso la base delle corna da una parte e discende dall’altra fin presso il margine inferiore dell’osso. Tra questa doccia e la base dell’arcata orbitaria, cioè tra le basi dei nuclei ossei delle corna esiste la gobba frontale. Le basi delle corna, poste al di sopra delle orbite ed allo stesso livello, producono sulla fronte due enormi protuberanze che si dirigono infuori del frontale andando obliquamente in alto e di lato, ritornando colle punte indentro ed in avanti. Queste protuberanze, o nuclei ossei delle corna, poste mm. 69 in avanti della sporgente linea, che separa il frontale dall’oc, cipitale, sono larghe, grosse, lievemente contorte, rugose, crivellate da irregolari fori e marcate di leggiere e lon- gitudinali scanalature. Dimensioni. Distanza dai condili occipitali al margine inferiore del frontale in linea retta mm. 0,348 Distanza dalla cresta occipitale al margine inferiore del frontale sulla linea mediana » 0,298 Distanza dal condilo occipitale destro aH’apotìsi post-orbi- taria destra » 0,280 Altezza del cranio dall’orlo posteriore del corpo dello sfe- noide alla cresta occipitale » 0,195 Distanza dall’orlo inferiore del foro occipitale alla cresta » 0,165 31 392 A. RICCI Distanza dall’orlo superiore del forum magnum alla cresta min. 0,122 Diametro trasverso dell’occipitale presso la base delle corna » 0,160 » » » tra le apofisi mastoidee . » 0,240 » » » al di sottodei foro occipitale » 0,115 Diametro antero-posteriore del foro occipitale » 0,042 Diametro trasverso di detto foro » 0,045 Diametro longitudinale dei condili occipitali » 0,082 Diametro trasverso dei condili occipitali » 0,051 Distanza tra gli esterni orli dei condili » 0,155 Larghezza dell’articolazione glenoidea » 0,062 Altezza del frontale dal margine superiore dell’orbita alla cresta occipitale » 0,321 Larghezza del frontale al di sotto delle radici dei due corni » 0,310 Larghezza della fronte tra le punte più sporgenti dell’apo- fisi post-orbitarie » 0,370 Distanza tra i bordi interni delle due orbite » 0,280 Distanza tra le basi dei due nuclei ossei delle corna . . » 0,356 Distanza dalla cresta occipitale alla base di detti nuclei ossei » 0,069 Circonferenza dei nuclei ossei delle due corna alla loro base » 0,380 Diametro antero-posteriore dei nuclei alla loro base . . » 0,118 Diametro trasverso dei medesimi » 0,105 Lunghezza del nucleo osseo destro in linea retta dalla base alla punta » 0,420 Lunghezza del nucleo osseo destro seguendo l'esterna cur- vatura » 0,604 Lunghezza del frammento del nucleo osseo sinistro ... » 0,065 In conclusione, col fare noti questi pochi resti fossili, esi- stenti nel museo paleontologico di Firenze, che provengono dai terreni alluvionali presso i dintorni della città di Kurgan (Si- beria occidentale), credo avere adempiuto al dovere, che mi era imposto, di dimostrare come VE. primigenius Bliun. fu in Siberia, come lo è in Italia ed altrove, contemporaneo dell’!?. trogon- therii Pohlig e che ambedue convissero insieme con il Rhino- ceros tichorldnus Fischer, Bison priscus Chven ed altre molte specie. |ms. pres. 2 giugno 1901 - ult. bozze 16 agosto 1901]. ELIOT. CALZOLARI & FERRARIO. MILANO MAMMIFERI POST-PLIOCENICI DI KURGAN IN SIBERIA 393 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1. — E. primigenius Blum. - Mandibola di giovane individuo con 2 M. M. ed 1 M. M. ('/2 grandezza naturale). Fig. 2. — E. trogontherii Pohlig- Molare terzo superiore sinistro (*/2 gran- dezza naturale). Fig. 3. — E. trogontherii Pohlig - Molare terzo inferiore destro ( % gran- dezza naturale). LE FORMAZIONI GEOLOGICHE ED I FOSSILI DI PAXOS E ANTIPAXOS NEL MARE JONIO Memoria del dott. Alessandro Martelli Le principali fra le Isole Jonie sono state argomento di pre- giati lavori geologici per parte specialmente di Partsch, De Ste- fani, Issel e Fuchs, mentre le due isole di Paxos e Antipaxos, distanti otto miglia dal capo sud di Corfù e solo illustrate da una pubblicazione di S. A. l’Arciduca Salvatore d’Austria ('), sono rimaste finora geologicamente sconosciute. Per consiglio del- l’Illmo Prof. Carlo De Stefani mi recai, nel settembre del 1899, in quelle isole, con la speranza che le mie ricerche potessero pure contribuire a colmare il vuoto che rimane sulla conoscenza delle Isole Jonie. La parte geografica e morfologica del nostro lavoro insieme con le osservazioni che abbiamo potuto raccogliere sui fenomeni geodinamici e sull’idrologia, è stata pubblicata nel Bollettino della Società Geografica Italiana (2) ed è corredata da una carta geolo- gica e da talune illustrazioni ; ciò che si riferisce alle forma- zioni geologiche ed alla descrizione dei fossili lo abbiamo riser- vato pel Bollettino della nostra Società. Non ripeteremo qui quanto abbiamo scritto sull’orografia di queste isole nella parte geografica del nostro studio, ma può interessare di sapere che Paxos consta di una piega ellissoidale con asse montuoso parallelo a quello della catena littoranea del- l’Epiro e che è lunga km. 11 su una massima larghezza di 3 V2. Diremo pure che a circa km. 2 V2 a sud di questa si estende G) Paxos und Antipaxos. Wiirzburg, Wien, Verlag von Leon Woerl, 1889. (2) Paxos e Antipaxos nel Mare Ionio. (Studio geo-fisico). Boll. Soc. Geogr. It., ser. IV, voi. II, n. 9 e 10 (Sett. e Ott., 1901). LE FORMAZIONI GEOL. ED I FOSSILI DI PAXOS E ANTIPAXOS 395 Antipaxos, lunga poco più di km. 3 e larga la metà, presen- tandosi come un altopiano sollevato ed eroso a settentrione che declina lentamente verso mezzogiorno. Ed ora riportiamo senz’altro quanto ci sembra che possa ri- ferirsi alla conoscenza geologica di queste due isole. Formazione cretacea. La formazione cretacea appare in alcune località di Paxos con assise considerevoli di calcare semicristallino, esternamente molto corroso e cinereo pei licheni che lo ricoprono e per l’azione atmosferica. La serie dei calcari cretacei, o meglio, la serie compresa fra i calcari più profondi con frammenti di Rudistae ed i calcari nummulitici, non presenta molte varietà. Il materiale che costituisce tutta la parte N.E. della piccola isola di Haios Nicolaos, un tratto di costa meridionale a Porto Spuzzo, quella orientale di Misorachi e la base di Mongonisi e Calzionisi, è un calcare semicristallino, d’apparenza ceroide, bian- castro o giallognolo, spesso molto spatizzato e cavernoso, e che presenta frammenti di Rudistae per lo più mal conservati. L’apparente cavernosità di questo materiale devesi sovente alle cavità lasciate dai fossili che contiene e principalmente dalle ippuriti. Oltre ad avanzi mal conservati di Rudistae e probabilmente d ' Hippurites, trovansi traccie di corollari, di lamellibranchi e frammenti di altri molluschi indeterminabili, come pure dubbie sono ordinariamente le traccie di fossili microscopici. Nel cal- care a N.E. di Haios Nicolaos abbiamo pure rinvenuto VOmomya scapi io ides Agassiz. La formazione cretacea compare presso la parte più alta e centrale dell’ isola, alla cima del monte H. Caralabos forman- dovi un’ anticlinale di raggio molto grande ; costituisce il fianco sud ed est di detto monte e scendendo vicino al mare, continua quindi a N.E. di H. Nicolaos. Questo calcare, più di quello rife- ribile alla stessa formazione di cui constano le scogliere più basse di Romiti, non sembra per alcuni tratti dotato di molta omogeneità, probabilmente pei differenti materiali da cui è stato 396 A. MARTELLI prodotto; è molto cavernoso con parti del tutto spatizzate e vi si notano pure internamente delle macchie brunastre, corrispon- denti per lo più a traccie di fossili. Specialmente sui fianchi del monte S. Caralabo, il calcare cretaceo, giallognolo, appare spesso inquinato da ocra rossa pel terriccio ferrugginoso che, sull’alto dell’isola, ricopre per brevi tratti il terreno. Sopra al calcare che costituisce la base di Calzionisi, tro- vasi immediatamente interposto fra il cretaceo e quello a fora- minifere, un calcare assai compatto, a frattura concoide con druse di spato, simile al calcare detto majolica. Quantunque noi non abbiamo in questa roccia rinvenuto fossili macroscopici e soltanto qualche sparsa Globigerina con l’aiuto del microscopio, pure, trovandosi anche qui come in altre località, in perfetta concordanza con le formazioni ippuritiche e sotto ai calcari eo- cenici del piano parigino, crediamo di poter comprendere nella Creta, il calcare majolica di Paxos. Alla base di Mongonisi e Misorachi, essendo gli strati im- mersi ad est con circa 10° d’inclinazione, ne deriva che la parte meridionale della costa trovasi sul mare formata da potenti assise di questo stesso calcare, entro cui sono scavate ampie e nume- rose grotte. La formazione cretacea in connessione con la catena delle prealpi orientali si continua al di là dell’Adriatico acquistando uno straordinario sviluppo nell’ Istria e nella Dalmazia e tro- vando spesso riscontro nel versante orientale dell’ Appennino, nelle Puglie ed altrove. Com’è noto, in tutta la regione compresa fra l’Asia minore e l’Appennino centrale si succedono spesso, con concordanza quasi perfetta, serie di calcari riferibili alle formazioni del cretaceo superiore. L’aspetto litologico dei calcari cretacei di Paxos è parago- nabile a quello dei calcari che in Grecia, nelle isole Jonie e nell’Albania sono stati con certezza riferiti al cretaceo superiore, ed anzi per l’analogia con la formazione tanto sviluppata in Morea, che per gli studi del Desìi ayes e del Philippson è stata ascritta al piano Turoniano, non è difficile che i calcari cretacei di Paxos siano riferibili alla stessa età, come pure quelli di Corfù e di Zante. Siccome però ci mancano specie caratteristiche di LE FORMAZIONI GEOL. ED I FOSSILI DI PAXOS E ANTIPAXOS 397 fossili del Turoniano, dobbiamo soltanto limitarci ad ascrivere al cretaceo superiore i calcari rinvenuti a Paxos con frammenti di Eudistae. Formazione eocenica. Tanto l’intera isola di Antipaxos, quanto la massima parte di Paxos risultano di formazione eocenica. Immediatamente sovrastante alla Creta che costituisce la base di questa località emersa, trovasi una serie numerosa e varia di strati, i quali, diretti generalmente da S.E a N.O con notevole inclinazione, si sovrappongono e, scendendo tino al mare, danno ad Antipaxos l’aspetto di un altipiano inclinato verso le- vante e contribuiscono a rendere la costa orientale di Paxos molto meno scoscesa dell’altra opposta che rimane ordinaria- mente a picco. Se per l’abbondanza dei fossili caratteristici dell’eocene, non c’è da mettere in dubbio il riferimento a quest’epoca dei ter- reni che costituiscono quasi interamente le due isole, non è ugualmente facile una netta divisione dei suoi piani, fuori che dal punto di vista litologico, perchè bene spesso, come veriticasi in altre località non molto lontane, le specie di foraminifere (e più di tutte le nummuliti) che in numero considerevole concor- rono a, formare la roccia, appaiono accompagnate ed unite, an- corché altrove si trovino in piani separati e diversi. In uno stesso luogo trovasi per esempio una Nummulites c-urvispira esclusiva del piano Parisiano ed una Nummulites Tchihatcheffi più propria del Eartoniq.no, a differenza dell’Europa centrale, ove trovansi in piani ben distinti. Mentre il nummulitico è poco esteso nelle altre isole Jonie e solo notasi in parte nella prospicente costa d’Epiro, ove in- sieme col cretaceo concorre alla formazione della località intorno a Purga, in queste due isole invece, la varietà dei calcari eoce- nici si esplica considerevolmente. Dal basso all’alto, la disposi- zione è la seguente : . Calcari a piccole foraminifere, subsaccaroidi o screziati. Calcari bianchi compatti con inclusioni di limonite e spesso comprendenti fra i loro strati calcari puddingoidi. 398 A. MARTELLI Sopra a questi calcari bianchi trovansene spesso altri a costituzione più grossolana, quindi calcari marnosi con noduli di piromaca calcedoniosa senza fossili e, specialmente sul mare, cal- care arenaceo poco compatto ed assai friabile. Ai calcari a piccole foraminifere si succedono in alcune località calcari a grosse nummuliti, mentre in altre, questi tro- vansi alternati con calcare bianco compatto. Per quelle stesse osservazioni stratigrafiche per le quali siamo stati indotti a ritenere che la formazione eocenica ha effettiva- mente a Paxos l’accennata disposizione, crediamo appunto che la serie s’inizi con un calcare saccaroide compattissimo, costi- tuito interamente da foraminifere e da frammenti microsco- pici di altri organismi, i quali rendendosi spesso distinguibili ad occhio nudo, ne differenziano l’aspetto fino a farlo sembrare un calcare screziato. E pure nettamente stratificato e non di rado include piccole lenti di selce, la quale in sottili strati tro- vasi in alcune località, compresa fra i depositi di cui ci stiamo occupando. Nella parte d’aspetto saccaroide, abbondano Orbidinae, Glo- bigerinae e trovansi pure, con frammenti di Coralli , rare Tex- tulariae e Rotaliae. Pel resto la stessa roccia è costituita da altre numerose foraminifere, come Dentalinae, Nodosariae, Spi- riloculinae, Discorbinae, Operculinae, OrbituUtes, Alveolinac , Heterosteginae, Orbitoides, Assilinae e Nummulites piccole e da frammenti di Crinoidi , Echinidi e Nulliporidee. Quasi tutti questi fossili si presentano alterati dalla spati z- zazione, ma di essi abbiamo potuto specificarne vari riportando nella parte paleontologica le determinazioni più sicure fatte nelle sezioni sottili di tali calcari dove appunto si possono di- stinguere le seguenti specie: Orbulina universa d’Orb. Globigerina bulloides d’Orb. Globigerina bilobata d’Orb. Globigerina eocaenica Grùmb. Miliolina Gussensis Schwag. Rosalina rudis Ross. Textularia Alieni d’Orb. l.E FORMAZIONI GEOL. ED I FOSSILI DI PAXOS E ANTIPAXOS 399 Operculina ammonea Leym. Operculina canalifera D’Arch. Operculina discoidea Schwag. Operculina pyramidum Elir. Operculina Silvestri n. sp. Operculina sublevis Giimb. Orbitulites complanata Lamk. Alveolina confi-, ellipsoidalis Schwag-. Alveolina confi-, decipiens Schwag. Orbitoides nummulitica Giimb. Orbitoides papyracea Boub. Orbitoides dispansa Sow. Nummulites jonica n. sp. Lithothamniwn nummuliticum Giimb. Lithothamnium torulosum Giimb. Haploporella anntdus Park, et Jon. A Fontanàs in modo speciale, il calcare risulta compieta- mente da un impasto di foraminifere, le quali, sulle superfici corrose, mostrano forme complete e relativamente grandi di Orbitoides, Orbitulites e Operculinae. Molto spesso, le forami- nifere sono poco o punto determinabili, ma nel caso nostro per il riscontro di qualche specie caratteristica, possiamo ritenere i calcari che le contengono come rappresentanti della parte infe- riore dell’eocene medio. Questa formazione si estende nelFinterno di Paxos e principalmente nella parte settentrionale da Bogda- natica a Lacca, da Fontanàs a Lacoplatica e con rare appari- zioni nella parte meridionale lungo la linea da Gayo a Nosias, ricomparisce ad Antipaxos, dove nelle cave presso Thiedro, dimostra con numerosi strati tutta la sua potenza. Sopra a questo calcare e più spesso interposti, trovansi so- vente depositi di calcare marnoso con impronte di Spirophyton c Cylindrites. Tali alghe hanno, del resto, un habitat molto esteso: a Paxos trovansi specialmente abbondanti nella località di Cavicatica. Questa formazione scende pure ordinariamente verso la costa di levante a N.E., con inclinazione variabile dai 10° a 20°. Gli 400 A. MARTELLI strati però, non si presentano quasi mai sul mare o tutt’al più si trovano al livello marino alla base di stratificazioni del cal- care bianco, che anche ad Antipaxos mostrasi sulla costa, con disposizione tettonica presso a poco uguale a quella della for- mazione sottostante. Le specie di foraminifere fossili rinvenute in questo calcare devono essere quasi esclusivamente littoranee come pure littoranee sono le Nulliporidee che in grande quan- tità e in numerosi frammenti concorrono alla formazione di questo materiale. Successivamente, sopra al calcare a piccole foraminifere che caratterizza il tipo meridionale dell’eocene medio, tanto ad H. Xi- colaos che in altri punti dell’interno e sul mare, si hanno calcari bianchi o grigiastri molto compatti e con piccole macchie di limo- nite; questi si presentano in istrati distinti, non molto alti e com- presi spesso fra sottili scisti marnosi. Mancano assolutamente i fossili macroscopici ed in sezione si mostrano costituiti da Orbu- linae e Globigerinae ; questi calcari con la stessa facies circon- dano quasi senza interruzione le coste orientali e si trovano anche spesso nell’intèrno, alternati con calcari a foraminifere. Xon perchè le Orbulinae e le Globigerinae siano sufficienti a distinguere la Creta dall’ Eocene, ma piuttosto pel fatto che questa roccia non giace soltanto sopra ai calcari che caratteriz- zano il piano del Parisiano inferiore ad Alveolina e Opeculina e sotto ai calcari con nummuliti come verificasi a Cefalonia, ma anche bene spesso alternata con gli stessi calcari nummul itici (in località dove la serie dei terreni si constata facilmente e dove a nostro avviso non si verificano inversioni) crediamo di non sbagliarci ritenendo questo calcare come riferibile all’eocene medio e solo originato in condizioni speciali di deposizione a ripetuti intervalli di tempo. È pure opportuno l’osservare, come tra numerosi strati di questo calcare trovansi conglomerati di un minuto materiale for- temente cementato con frammenti di fossili anche eocenici, come nummuliti ed orbitoidi ; inoltre, tale calcare puddingoide fram- mentizio, non trovasi soltanto frequente nella parte superiore della serie dei materiali che lo comprendono dove gli strati ap- paiono spesso convoluti e come plastici, ma anche nella parte inferiore, mostrandosi sempre formati a spese del calcare eoce- LE FORMAZIONI GEOL. ED I FOSSILI DI PAXOS E 4NT1PAXOS 401 nico a foraminifere che gli serve di base e che spesso lo com- prende. Per la struttura compatta di questo calcare, per la sua co- stanza nella costituzione mineralogica, per la presenza in esso di fossili come Orhulinae e Glóbigerinae senza che vi si trovino altre foraminifere od altri fossili di carattere littoraneo, bisogna convenire che tale calcare siasi originato in mare profondo. I precedenti, successivi e spesso alternati depositi di altre fora- minifere viventi in profondità minori e di conglomerati detritici, attesterebbero che prima della generale emersione si sarebbero avute nel fondo numerose oscillazioni di livello. Raramente alternato e più spesso sopra al calcare bianco, trovasi un altro calcare ma di costituzione grossolana e di colore giallastro, il quale, al microscopio, mostrasi più ricco di quelle specie e frammenti che costituiscono l’altro. La sua struttura apparentemente arenacea, lo fa distinguere dal bianco sopra al quale si trova e come in molte località di Paxos, sempre so- vrapposto nello stesso ordine, mostrasi assai bituminoso. Il calcare arenaceo poco compatto, assai friabile e con resti di fossili eocenici, come verificasi per il calcare grossolano e con noduli di silice che più specialmente trovasi presso Longò, non è solo sovrastante al calcare bianco, ma bene spesso vi si trova compreso. Nella parte meridionale di Paxos, -sopra al calcare a piccole foraminifere, se ne ha un altro molto compatto, biancastro o giallo roseo con piccoli fossili e con molte nummuliti. Questa roccia, nella sua parte più alta, si differenzia leggermente in un calcare biancastro, molto granuloso, sempre compatto e con nummuliti in migliore stato di conservazione. Anche nell’ Isola di Leucade per tacere di altre località, sopra al calcare con piccole foraminifere trovansi quelli con grosse nummuliti. Il calcare della scogliera di Bugasi e dell’alto di Mongonisi presenta oltre a Glóbigerinae, Orhulinae e frammenti di Orbi- toides e di Lithothamnium , anche molte nummuliti. Sovente i fossili contenuti in questo materiale sono molto spatizzati spe- cialmente se la superficie della roccia mostrasi corrosa, ma . le nummuliti che abbiamo raccolte nelle parti più alte sopra a 402 A. MARTELLI Porto Spuzzo e Misorachi come pure sul monte San Caralabo, sono sufficentemente determinabili. Anche l’Arciduca Salvatore scrive nella sua pubblicazione, di aver veduto nummuliti sulle superfici erose dei calcari. Le seguenti specie di nummuliti sono quelle determinate con sicurezza e trovate negli strati che abbiamo detto esser costi- tuiti da calcare con nummuliti visibili: Nummulites latispira Menegh. — N. complanata Lamk. N. Tchihatcheffi D’Arch. et H. N. perforata Montf. non D’Orb. N. Lucasana Defr. N. distans Desìi. N. Lamondi (?) Defr. N. Heberti D’Arch et H. N. variolaria Sow. N. Guettardi D’Arch. et H. N. graeca nov. sp. Orizzonte : Par. sup. Bart. inf. » Bartoniano » » » Parisiano super. » » » » Par. sup. Bart. inf. » Paris, e Barton. » Par. sup. Bart. inf. » » » » » » Per la determinazione dell’orizzonte geologico, oltre che il confronto con le località caralteristiche ci ha servito anche di guida quanto espone il Telliui nel suo coscienzioso e serio lavoro sulle Nummulitidi della Maiella delle isole Tremiti e del Gar- gano, nei quadri riassuntivi compilati a sostegno delle sue dedu- zioni stratigrafiche. Abbiamo già detto che numerose nummuliti appartenenti alle specie enumerate e che altrove trovansi in piani ben di- stinti, a Paxos invece sono state rinvenute in una stessa roccia Infatti : Sull’alto dell’isolotto Mongonisi e del piccolo promontorio di Misorachi sopra a tutti gli altri calcari ve ne sono di quelli nei quali si trovano rappresentanti abbastanza numerosi delle seguenti specie: Nummulites latispira Menegh. — N. complanata Lamk. — N. Tcliihatcheffì d’Arch. et H. — N. distans Desh. — N. perforata Montf. - — N. Lucasana Defr. Sull’alto di Porto Spuzzo: I,E FORMAZIONI GEOL. ED I FOSSILI DI PAXOS E ANTIPAXOS 403 N. curvispira, Menegli. — N. Tchihatcheffì d’Arch. et H. — - N. Lucasana Defr. — N. Bamondi Defr. — N. variolaria. Sow. — N. Heberti d’Arch. et H. — N. graeca nov. sp. — Nel calcare che costituisce la scogliera di Bugasi e la cima di S. Caralabo, si distinguono: N. curvispira Menegli. — N. Heberti d’Arch. et H. — N. va- riolaria Sow. — N. Guettardi d’Arch. et H. — N. Tchiliat- cheffi d’Arch. et H. — N. graeca nov. sp. A farci concludere qualche cosa di concreto in proposito, vengono molto opportune le osservazioni che il Teliini in se- guito a constatazione di fatto, riporta alla fine del suo lavoro sulle Nummulitidi della Maiella e del Gargano. Egli termina il suo studio tenendo giustamente per fermo come nella località abruzzo-garganica non sia possibile di trovare una precisa li- nea di demarcazione fra il piano Parisiano e il Bartoniano, e che perciò le singole specie o gruppi di specie che nell’Europa media vissero sensibilmente distinte, nel Gargano vissero invece nello stesso tempo in un mare fisicamente omogeneo. Se vogliamo, anche il calcare puramente nummulitico di Paxos, non solo si manifesta come un deposito uniforme tanto litologicamente che biologicamente, ma anche le specie deter- minate di Paxos hanno in realtà più punti di contatto con quelle studiate dal d’Archiac e dal Tellini nell’ Appennino centrale, anziché con quelle della Svizzera studiate dal De la Harpe. Mentre è certa a Paxos e ad Antipaxos la presenza della parte inferiore dell’eocene medio caratterizzata da una ricca fauna di foraminifere proprie di questa età, è anche da rite- nersi quasi senza dubbio che i calcari nummulitici ci rappre- sentino nella maggiore di queste isole, come nell’Appennino, l’eocene medio superiore. Infine, se anche a Paxos non è veri- ficabile nè possibile una demarcazione netta fra Parisiano e Bartoniano, la prevalenza di fossili del Parisiano superiore ed il loro aggruppamento in modo simile a quello che si verifica nella fauna nummulitica di S. Giovanni Uarione e di talune località del bacino piemontese riconosciute come appartenenti al Parisiano, non può lasciarci incerti sul riconoscimento del- A. MARTELLI 404 l’orizzonte, anche perchè l’abbondanza delle nummuliti fino ad una quasi esclusione di altri fossili, non si verifica che nella parte superiore dell’eocene medio. Formazione miocenica. Nel promontorio che forma la punta settentrionale dell'isola di Paxos, esiste un lembo di formazione diversa da quella cne manifestasi in tutte e due le isole. Si tratta di piccole collinette mioceniche formate da un materiale argilloso, compatto, molto calcarifero, di un colore grigio o brunastro. Esso mostra resti organici limonitizzati, e in modo speciale fra strato e strato presentasi molto tenace. Spesso si accompagna ad un conglomerato bianco, formato quasi interamente a spese del calcare eocenico. Però in mezzo ai frammenti di altri pic- coli fossili vi è pure assai ben conservata una grossa specie di foraminifera, trovata nel Miocene di Sassello in Piemonte, la Orbitoides dilatata Michelotti. Il terreno sparso di detriti non ha favorito affatto la ricerca dei fossili in questa piccola formazione diversa dall’ordinaria e, per la scarsezza di essi, siamo costretti a servirci come cri- terio per la determinazione dell’età, delle due sole specie di Pecten che vi abbiamo potuto raccogliere, cioè il Pccten Pian- genti Fuchs e il Pecten anconitanum For. proprie del Langhano. Tale formazione non è molto estesa e viene limitata dalla linea che riunisce Lacca col Faro e comprende quindi la parte più a Nord dell’isola di Paxos. Presso l’altura del Faro, gli strati eocenici che scendono a N E., al livello del mare servono di base a queste piccole co - line mioceniche, dopo le quali, il terreno sembra sollevarsi quasi all’improvviso e dall’altura del Faro, la costa d’occidente ap- pare sul mare con le alte scogliere di cui abbiamo panato nella parte morfologica del nostro studio. LE FORMAZIONI GEOL. ED I FOSSILI DI PAXOS E ANTII’AXOS 405 Formazione recente. Per terminare questa enumerazione di terreni, rimarrebbe soltanto da parlare sui depositi che si sarebbero formati dopo l’emersione di queste due isole, in periodo recente. Generalmente presso litorali ed isole questi sono di origine marina e consistono per lo più in sabbie e ghiaie agglutinate con incluse specie viventi di Molluschi ; però, durante la nostra permanenza a Paxos e ad Antipaxos e nella visita completa di tutta la loro costa, non abbiamo mai osservato di tali depositi. Evidentemente, essendo la costa soggetta ad una continua azione demolitrice è naturale che tali formazioni non vengano favorite. Pel fatto stesso della scarsezza dell’acqua sono rare le con- crezioni calcaree prodotte per via chimica, però abbiamo potuto verificare qualche esempio di tali formazioni in varie buche da cava ove si hanno frequenti stalagmiti. Comuni però sono presso agli sbocchi delle acque torren- ziali, là dove apronsi piccole valli sul mare, i depositi abba- stanza alti di frammenti angolosi di calcari eocenici e cretacei, non di rado cementati fra loro nella parte più profonda, in modo da presentarsi come vere breccie. È notevole il fatto che questi depositi non si hanno altro che sul mare, giacché se per un improvviso acquazzone si riempiono gli angusti letti quasi sempre asciutti, delle acque torrenziali, i torrenti che ne deri- vano non lasciano deposizioni nel loro alveo in fondo al quale la roccia rimane scoperta e soltanto abbandonano parte dei ma- teriali che avevano travolto nel loro breve ma precipitoso corso, quando potendosi allargare presso al mare, vanno gradatamente perdendo della loro forza. Deduzioni geologiche. Per le antiche tradizioni si vuole che Paxos sia, per così dire, un’appendice di Corfù, dalla quale per la forza delle onde e in altre parole per l’azione erosiva e demolitrice del mare si 406 A. MARTELLI sarebbe divisa. È dunque logico che ci rivolgiamo la seguente domanda : Che cosa risulta in proposito dalle osservazioni e dallo studio geologico di queste due isole? Se teniamo conto delle condizioni del fondo marino al quale abbiamo fatto un accenno nella parte geografica del nostro lavoro e della essenziale diversità di costituzione geologica fra la parte meridionale di Corfù (Leuchimo) che è pliocenica ed i terreni di Paxos cretacei ed eocenici per la massima parte e solo mio- cenici per un breve tratto verso settentrione, se teniamo conto, ripeto, di questi dati, non crediamo che tale tradizione possa trovare nel campo delle osservazioni positive ragioni che mili- tino in suo favore. Infatti, non dimenticando la breve distanza che separa Corfù da Paxos, e se per trovare erronea tale asserzione non può sembrare sufficente il fatto che le parti prospicenti di queste due isole sono di formazione diversa e che mancano le analogie fra i terreni di Paxos e quelli di Corfù, con un attento esame nell’ interposto fondo marino ci convinciamo facilmente che se le isole Paxi sono ben distinte da Corfù, la causa non è da ricercarsi nella semplice erosione marina, che si è voluto anche ritenere di data recente. Il fondo marino si presenta irregolare e inciso come se avesse subita l’azione erosiva di acque continentali e non regolarmente avvallato come se avesse risentito contemporaneamente l’azione delle onde e della corrente ; inoltre al tratto di canale dove la corrente appare più forte non corrisponde una maggiore pro- fondità la quale si verifica invece fra Lacca, punta settentrio- nale di Paxos, e Leuchimo ; in altre parole si constatano appunto le minori profondità verso Corfù dove la parte emersa si pre- senta costituita di materiali friabili, arenacei e poco compatti i quali avrebbero dovuto essere invece più facilmente soggetti a rapida e continua erosione. A ben altro devesi quindi riferire lo stato attuale di separazione fra Corfù e Paxos, perchè tali isole sono effettivamente originate da pieghe ben distinte fra loro. Facendo astrazione dai movimenti di abbassamento e solle- vamento risentiti in unione col continente, l’anticlinale cretaceo di Paxos ci fa conoscere come un tratto di formazione secon. LE FORMAZIONI GEOL. ED I FOSSILI DI PAXOS E ANTIPAXOS 407 daria siasi sollevato fin da quando nei mari neozoici si erano depositati, dopo un breve periodo continentale, i sedimenti lit- toranei dell’eocene medio, formando la piega ellissoidale di cui consta l’isola di Paxos. Infine, dopo il tramontare del miocene medio per un rin- novato moto di sollevamento originatosi normalmente alla dire- zione N.O., le coste settentrionali ed occidentali si sono sollevate e dalla parte N.O. è emerso un piccolo tratto di formazione mio- cenica. Relativamente ad Antipaxos diremo che sono così numerose e costanti le analogie litologiche e le concordanze geotettoniche con Paxos, che non può essere azzardato il giudizio che emet- tiamo in proposito, vale a dire che la formazione eocenica sog- getta ad una serie di pieghe in quel tratto poco elevato di terra emersa parallela alla costa d’Epiro trovasi ad Antipaxos in continuazione con Paxos. Mercè questo concetto avvalorato dalle condizioni geologiche del paese appare chiaramente come l’ampio sinclinale i cui punti estremi sarebbero limitati dall’altura di Vigla ad Antipaxos e di Milo a Paxos, sarebbe rimasto, per l’abbassamento della regione, sommerso dal mare dando in tal modo origine a due isole distinte. In seguito poi le coste di Antipaxos corrose dal mare sarebbero andate soggette a solle- vamenti lungo quelle stesse direzioni già osservate parlando delle coste di Paxos. Questo è quanto crediamo che possa arguirsi dalle osserva- zioni fisiche di tale località, dalle condizioni in cui le isole stesse ci sono apparse e dai piani che sono stati da noi spe- cifizzati secondo la sovrapposizione degli strati, e secondo i cri- teri litologici e sopratutto paleontologici. 32 408 A. MARTELLI Quadro cronologico riassuntivo dei terreni di Paxos e Antipaxos. Formazione Materiale Località Cretaceo superiore < Calcari ceroidi e caver- nosi con frammenti di Rudistae. Eocene medio Miocene medio Recente Calcari terrosi e caver- i nosi pure con Rudistae. ì Calcari subsaccaroidi di i aspetto e più spesso screziati con piccole foraminifere, proprie per la maggior parte dell’eoc. medio infe- riore. (Includono spesso picco- lissime lenti di selce). Sovente compresi fra sottili strati di cal- care cretoso. Calcari bianchi compat- ti, nettamente strati- ficati, con inclusioni limonitizzate e spe- cialmente bituminosi quando sono sotto- stanti al calcare più grossolano e gialla- stro. Calcari marnosi, fria- bili con inclusioni di piromaca. Calcari compatti con nummuliti e forami- ! nifere. ' Cale, bianchi, granulosi con nummuliti. Ì Calcari brunastri, poco marnosi, compatti con fossili miocenici e calcari frammentizi poco compatti. I \ Detriti di sfacelo. < Ghiaie e sabbie. j Ghiaie cementate. Scogliera di Romiti (parte meri- dionale). — N.E. e N. di H. Ni- colaos-Porto Spuzzo presso al mare e parte inferiore di Mi- soraclii, Mongonisi e Calzionisi. Fianco meridionale ed orientale del monte Haios Caralabo. Tutta Antipaxos, meno la costa Sud, Est e la sua punta merid. Dintorni di Gayo-Ovest di H. Ni- colaos - Tranacatica- Nosiàs - Ja- nàs - Porto Spuzzo, Misorachi, Mongonisi e Calzionisi a */2 co- sta. Musmuli - Fanariocatica- Belianicatica - Bogdanatica - Lacoplatica - Lacocontaratica - Fontanàs - Andioco - Cavicati- ca - Curteca - Ciciliana - Casta- nida - Moricatica - Plandra - Pa- pandi e Monte Haios Isaphos. Tutta la costa di levante di Pa- xos e Antipaxos - Faro -Cot- tervo - Zernatica - Arghyrati- ca - Dendiatica - Milo - Cama- ra - Is. Madonna e punta S. S. 0. di Antipaxos (Cattervo). Da Glifada a Longò lungo la costa di levante alternati con calcari compatti e conglomerati frammentizi minuti. Sud di Longò. Scogliera di Bugasi. Alto di Mi- sorachi ed Est di Mongonisi. Alto di Porto Spuzzo-Mongonisi e cima di H. Caralabos. Punta settentrionale di Paxos a Nord di Lacca. Sbocchi di letti di torrenti nel centi o delle insenature di Gli- fada - Orcòs - Lacos - Fibbia - Longò - Cachilangada - S. di Gayo-Lacca. Spiaggie sabbiose di Condari e Avrica ad Antipaxos. LE FORMAZIONI GEOL. ED I FOSSILI DI PAXOS E ANTIPAXOS. 409 PARTE PALEONTOLOGICA Foraminifere. In moltissime sezioni di roccie si distinguono numerose fora- minifere in cattivo stato di conservazione e poche che mostrino sufficientemente i caratteri del genere con quelli della specie. La spatizzazione ha alterato molti fossili compresi nei calcari di Paxos e noi, avendo già citato i generi di foraminifere riscon- trati nelle sezioni sottili e sulle superimi erose di detti cal- cari parlando specialmente della formazione eocenica, in questa parte paleontologica non accenneremo altro che a quegli esem- plari, i quali ci hanno reso possibile la determinazione specifica od un riferimento probabile a specie con le quali li abbiamo confrontati. Orbulina universa d’Orb. 1 84G 0. universa — D’Orbigny, Foraminifères fossiles du bassin tertiaire de Vienne, pag. 22, Atl. Tav. 1, n. I. Frequente nei calcari specialmente insieme con globigerine; è di dimensioni variabili ma sempre molto piccole. Trovasi più frequentemente che altrove nei calcari bianchi compatti che abbiamo incontrati tanto spesso in queste isole e che abbiamo riferiti all’eocene medio. Globigerina bulloni es d’Orb. 1846 G. bulloides — D’Orbigny, Foravi, foss. du bass. tert. deVienne, pag. 163, Atl. Tav. 9, f. 4-6. 1868 » d’Orb. — Giimbel, Foraminiferénfauna der nordalpinen Focàngebilde, pag. 661, Tav, II, f. 106. 1875 » — Von Hantken, Die fauna der Clavulina Szaboi Schichten, 1 Theil, Tav. Vili, f. 2. 1883 » — Schwager, Die Foram. aus den Eocaen- ablagerungen der libyschen Wilsle und Aegyptens, pag. 118, Tav. XXVII (IV) f. 5. 410 A. MARTELLI Comunissima anche a Paxos tanto nei calcari nummulitici, eocenici in genere, quanto in quelli miocenici. Globigerina bilobata d’Orb. 1846 G. bilobata — D’Orbigny, Foravi, foss. du bass. tert. de Vienne, pag. 164, Atl. Tav. IX, f. 11-14. Sono esemplari di un millimetro circa di diametro. È una specie molto meno frequente della G. bulloides dalla quale si distingue per avere i suoi due lobi ineguali, mentre l’altra ne ha cinque. Inoltre la superficie è molto più perforata e le due conchiglie molto più grandi delle ordinarie bulloides. Trovasi specialmente nel calcare di Fontanàs. Comune all’eocene ed al miocene. Globigerina eocaenica Gùmb. 1868 G. eocaenica — Giimbel, Foravi, der nordalp. Eocàngeb-, pag. 662, Tav. II, f. 109. Ha camere bollose irregolari, sovrapposte le più piccole sulle maggiori e in numero di nove. Non è rara nei calcari a foraminifere e specialmente in quelli della parte più settentrionale. Comune in tutti i piani dell’eocene. Miliolina Gussensis Scbwag. 1883 M. Gussensis — Scliwager, Die Foravi, aus den Eocaenabl. der lib. Wuste und Aeg., pag. 85, Tav. 24, f. 5. Non è rara nei calcari con piccole foraminifere. È inequi- valve, globosa e compressa. Si riordina intorno all’asse con cinque faccie sferiche le quali vengono a comprendersi succes- sivamente aumentando di diametro, in modo che Festremità di ciascuna viene compresa dentro la curva della zona successiva avente raggio maggiore. LE FORMAZIONI GEOL. ED I FOSSILI DI PAXOS E ANTIPAXOS 411 Rosalina rudis Ross. 1868 B. rudis Ross. — Gtimbel, Forum, nordulp. Eocàngeb., pag. 637, Tav. II, f. 99. Ha un diametro molto piccolo ed il massimo è di mm. 1. Ha nove anfratti compresa la loggia centrale, i quali svolgen- dosi con un sol giro verso l’esterno, vanno rapidamente aumen- tando d’altezza. Presenta rari esemplari. Il Gtimbel la comprende nella fauna del più antico terziario. Textularia Auerii d’Orb. 1846 T. Auerii — D’Orbigny, Forum, foss. da buss. de Vienne, pag. 250, Tav. 15, f. 13. Qualcuno dei frequenti esemplari o frammenti di textularia, se mostra a sufficenza i caratteri del genere, quasi mai presenta abbastanza quelli della specie. Però nel calcare a nord di Haia Marina abbiamo notato in sezione microscopica due textulariae dalla forma non molto allun- gata e piuttosto larga, tanto che mettendole a confronto, si ba ragione di riferirle alla specie Auerii descritta dal d’Orbigny. Di questo genere tanto abbondante nei terreni terziari subap- pennini, si hanno frammenti anche nella roccia calcarea di Paxos che non contiene che scarse foraminifere. Operculina sp. Le forme tipiche delle operculine possono ridursi a due : a) Operculine di forma subcircolare con un passo di poco crescente, tanto che nell’ultimo giro sarebbe presso a poco uguale al doppio del passo del primo. — Nonostante numerose osser- vazioni, non abbiamo potuto verificare se in questo gruppo i setti assumono in realtà un comportamento speciale. b) Operculine di forma ovale, nelle quali il passo della spira è nell’ultimo giro triplo di quello precedente. — Il D’Ar- chiac asserisce che in questo gruppo i setti vi si presentano 412 A. MARTELLI quasi sempre arcuati fin dalla base, mentre anche il Teliini ha potuto constatare che in talune specie essi appaiono quasi per- pendicolari alla base e soltanto ripiegati presso alla volta. I caratteri esterni delle granulazioni essendo comuni a due individui, uno per ciascun gruppo, non possono essere sufficenti a stabilire un carattere morfologico differenziale, mentre valgono assai pel riconoscimento delle coppie, giacché sappiamo che se- condo il dimorfismo delle foraminifere, ciascuna operculina pre- senta una forma a megasfera ed una a microsfera, impropria- mente distinte come due specie separate, mentre effettivamente non si tratta che di una specie dimorfa (1). II Telimi, riconoscendo il dimorfismo anche per questo ge- nere, ha fissato con sicurezza le seguenti quattro coppie: 0. canalifera D’Arch. forma B della 0. subcanalifera Teli. 0. complanata Defr. » » » 0. subcomplanata Teli. 0. lybica Schwag. » » » 0. Terrigii Teli. 0. Thouini d’Orb. » » » 0. subthouini Teli. La correlazione dei caratteri essenziali fra una specie nuova che abbiamo chiamata 0. Silvestri con la 0. sublevis, descritta dal Giimbel e fra la 0. discoidea Schwag. e 0. pyramidum Ehr. c’ induce a riconoscere anche le due seguenti coppie : 0. pyramidum Ehr. forma B della 0. discoidea Schwag. 0. sublevis Grtimb » » » 0. Silvestri Martel. Operculina ammonea Leym. 1875 0. ammonea Leym. — Von Hantken, Die Fauna der Clav. Szaboi Schichten, 1 Theil, Tav. 12, f. 1-2. 1868 » » — Giimbel, Foravi, fauna der nordalp. Eocàngeb., pag. 665. 1890 » » — Teliini, Nummulitidì delta Majella, Isole Tre- miti e prom. Garganico. Boll. Soc. Geol. It., voi. IX, pag. 400, Tav. 13, f. 24. Se ne hanno rari esemplari. L’individuo è piccolo, a micro- sfera. e si avvicina assai alla 0. pyramidum Ehr. da cui si di- (’) Silvestri 0., Un’ impoì'tante questione di nomenclatura zoologica. Atti dell’Acc. pontif. dei Nuovi Lincei, anno LUI, sess. II, anno 1900. LE FORMAZIONI GEOL. ED I FOSSILI DI RAXOS E ANTJPAXOS 413 stingile per un numero di setti alquanto maggiore e più fìtti tra loro. Tali setti sono circa in numero di 30, ed inseriti quasi perpendicolarmente alla spira più interna, si flettono poi appres- sandosi alla volta. Nei due giri di spira il passo cresce rapi- damente verso l’esterno. Alcuni esemplari di mm, 4 di diametro si notano facilmente sulle superflui corrose dei calcari che più volte abbiamo detto risultare da un impasto di foraminifere e di altri piccoli fossili. È vero che i caratteri esterni servono assai poco ad una deter- minazione sicura delle foraminifere, ma pure abbiamo creduto di riconoscere su talune superfici corrose esemplari di questa specie, basando la nostra asserzione sulla concordanza con le figure date da altri autori. Riteniamo che la operculina a megasfera illustrata dal Tel- iini al n° 23 della Tavola XIII non appartenga a questa specie, sembrandoci inconciliabile la sua forma non discoidale con una camera centrale grande, mentre lo stesso Autore ci presenta pure con la stessa determinazione un individuo a microsfera. Orizzonte-Parisiano. Operculina canalifera d’Arch. 1853 0. canalifera — D’Archiac et Haime, Nummulitiqiie de Vinile, pag. 346, Tav. 35, f. 5. 1883 » D’Arch. — Schwager, Forum. FocaenaFlag. lib. Wiiste, und Aegypt., pag. 144, Tav. 6, f. 3. Tale specie non è molto rara in queste due isole. Fra le diverse illustrazioni che ne dà il D’Archiac ha più somiglianza con T 0. canalifera illustrata come abbiamo notato in sinonimia anziché con quella figurata nell’opera stessa al n° 1, tav. 12. Non abbiamo trovato la compagna 0. subcanalifera Teli. Orizzonte : E più frequente nel Parisiano che nel Bartoniano ed il D’Archiac l’ha trovata spesso insieme con la N. Ramondi. Operculina discoidea Schwag. 1883 0. discoidea — Sehwager, Die Foram. Focaenab. lib. Wiiste und Aegypt., pag. 144, f. 5, Tav. 6. Questa piccola specie osservata oltre che con la lente sulle superfici denudate dei soliti calcari, anche con l’aiuto del mi- 414 A. MARTELLI croscopio mostra i tre giri della lamina, i setti fitti subequi- distanti e leggermente incurvati verso l’esterno. Il passo della spira sta come 1 : 1 l/r Le camere appaiono più alte che larghe. Quella centrale è appena visibile. Per tali caratteri la riteniamo corrispondente agli esemplari dello Schwager. È stata trovata nell’eocene inferiore e medio. Operculina pyramidum Ehr. 1888 0. pyramidum Ehr. — Schwager, op. cit., Tav. VI, f. 4, pag. 143. In questa specie che a parer nostro rappresenta la forma B (microsferica) della 0. discoidea Schwag. i setti sono molto distanti fra di loro, e, in numero di 20, intersecano lo svolgersi della spira il cui spessore è molto pronunziato specialmente nel bordo esterno. Il passo della spira ha la proporzione 1:3. Operculina Silvestri nov. sp. (Tav. VII, fig. 10 e 11). Fra le numerose descrizioni riguardanti le operculine nes- suna corrisponde all’esemplare piuttosto comune nei calcari con piccole foraminifere di Paxos. I caratteri di questa piccola specie che riconosciamo come nuova, sono i seguenti: Dimensioni variabili fra mm. 0,6 e nini. 1. La spira piuttosto spessa compie tre giri, compreso l’avvol- gimento della camera centrale, con passo regolarmente crescente e tale da rendere l’altezza della loggia più esterna doppia di quella che la precede internamente. La lamina spirale, salvo che all’inizio della prima loggia dove sembra più sottile, conserva invariato il suo spessore uguale all’altezza delle prime quattro camere. La megasfera ha un diametro uguale al sesto della mag- gior dimensione dell’operculina stessa. I setti subequidistanti sono semplici al pari dei canalicoli interni ed in numero di 19. Come raggi leggermente arcuati LE FORMAZIONI GEOL. ED I FOSSILI DI PAXOS E ANTIPAXOS 415 e divaricanti presso l’inserzione con la lamina più esterna, divi- dono le loggie in 18 camere (esclusa la centrale) le quali sulla superficie esterna appaiono alquanto rigonfie e limitate da linee sensibilmente curve e corrispondenti coni’ è naturale ai setti interni ed alla lamina. Secondo la nomenclatura proposta dal Silvestri (vedi nota prec.) pel dimorfismo delle foraminifere, questa operculina sa- rebbe dunque da considerarsi come la forma A della seguente: Operculina sublevis Giimb. 1868 0. sublevis — Giimbel, Foravi, fauna dernordalp. Eocàngeb., pag 665, Tav. II, f. 113. Pel numero dei setti (18) per l’andamento crescente dei due giri di spira e per le dimensioni degli esemplari (rum. 2-2.5 di diam.) riferiamo alla specie sublevis Giimb alcune delle oper- culine che si mostrano nelle sezioni dei calcari come quelli di Fontanàs e sulle loro superfiei dove una leggera denudazione ha messo allo scoperto molte delle foraminifere che li costituiscono. Orbitulites complanata Lamk. (Tav. VII, fig. 4). 1853 0. complanata Lamk. — D’Archiac et Haime, Numm. de Viride, pag. 350, Tav. 36, f. 19. 1883 » » — Schwager, Forarti. Eocaenab. lib. Waste and Aegypt., pag. 90, Tav. 24, f. 10. Esemplari abbastanza comuni. Per lo più di dimensioni va- riabili fra mm. 1 e 2. Corrispondono alla descrizione dello Schwager. All’esterno si mostra di forma discoidale e depressa al centro. In sezione orizzontale presenta le sue numerosissime camere, le quali verso l’esterno finiscono a forma di losanga e appaiono come fittamente embricate; verso il centro però, forse per difetto della sezione, sembrano più grandi e irregolari. Orizzonte: Eocene inferiore e medio. 416 A. MARTELLI Alyeolina confi-, ellipsoidalis Sehwag. (Tav. VII, fig. 6). 1883 A. ellipsoidalis — Schwager, Foram. Eocaen. Uh. Wuste und Ae- gypt. , pag. 96, Tav. II, f. 2. 1896 » — Oppenheim, Eocaenfauna des Monte Postale bei Bolca. Palaeontographica, pag. 134. Nella citazione delle specie contenute nei calcari a piccole forami nife re, riportata parlando della formazione eocenica, questa specie e l’altra Alveolina decipiens sono segnate come con- frontabili, perchè la determinazione non è assolutamente sicura, ma però assai probabile. La ragione di questa incertezza sta nel fatto, che pur sem- brandoci evidenti i caratteri distintivi della specie, per quanto riguarda la forma delle camere e la loro disposizione, trattan- dosi per lo più di frammenti e non di fossili ben conservati, ci sono spesso mancati caratteri di conferma, i quali solo pos- sono trovarsi nell’esame di individui completi. La forma ellittica e le camere tondeggianti le quali verso l’esterno vanno leggermente aumentando di diametro e sono disposte in dieci serie poco regolari intorno alla loggia centrale, non dovrebbero a parer nostro lasciar dubbi sulla determinazione, tanto più che tali alveoime corrispondono, almeno apparente- mente, alla descrizione dello Schwager per quanto riguarda i caratteri più generali, scostandovisi soltanto per poco nelle di- mensioni, forse perchè trattasi di individui della forma più piccola. Appartiene al Parisiano. Alveolina (Flosculina) confi-, decipiens Scliwag. (Tav. VII, fig. 5). 1883 A. decipiens — Schwager, Foram. Eocaen. lib. Wiiste und Aegxjpt., pag. 103, Tav. 26 (3a), f. 1. Pochissimi campioni riferibili a questa specie più che altro per la forma e per l’aspetto esterno. Si confronta male la strut- tura interna avendo riscontrato rari di questi esemplari e per LE FORMAZIONI GEOL. ED I FOSSILI DI PAXOS E ANTIPAXOS 417 lo più in frammenti e sempre poco conservati causa la spatiz- zazione. Al microscopio si distinguono delle strisce interrotte, più rifrangenti, le quali indicano il luogo delle camere in serie circolari eccentriche, con i relativi tratti interrotti, come si vede nella figura dello Schwager, dalla quale differisce soltanto per un numero minore di giri. I frammenti di alveoline si ritrovano frequentemente nel calcare a foraminifere di Mongonisi e a S.E. di Paxos. L’orizzonte ad Alveoline comprende, come quello delle Oper- culine, l’eocene medio inferiore. Orbitoides nuniraulitica Giimb. (Tav. VII, fig. 7). 1868 0. nummulitica — Giimbel, Forarti, der nordalp. Eocàngeb., pag. 702, Tav. IV, f. 1, 2 e 18. Nelle sezioni microscopiche dei calcari di Fontanàs, di Laco- platica, ecc., si distinguono esemplari e frammenti di orbitoides, in quantità considevole, ma raramente abbiamo avuto la fortuna di osservare una sezione orizzontale di essi. Molte Orbitoides sono riferibili con sicurezza alla specie nummulitica del Gtimbel, per le numerose e fitte serie di loggie e per la relativa grandezza degli individui, a bordo spesso rilevato. Vari esemplari in se- zione trasversale fanno distinguere molto bene la linea mediana, prodotta dalle camere più grandi e principali, la quale è ap- parentemente formata da piccoli tratti neri, l’uno accosto e suc- cessivo all’altro. Fra il fitto tessuto originato dall’incrocio delle lamine laterali e dei setti, si notano pure, ad intervalli verso l’esterno, le papille cuneiformi. In sezione orizzontale di molti frammenti, tali papille si mostrano come obliterazioni bucherellate di un’intiera camera. È una specie comunissima nel Parisiano. Orbitoides papyracea Boub. 1868 0. papyracea Boub. — Giimbel, Foramin. nordalp. Eocàn. pag. 690, Tav. Ili, f. 19-29. 1883 » » — Schwager, Forarli. Eocaen. lib. Wilste und Aegypt., pag. 139. 418 A. MARTELLI Da molti frammenti in sezione orizzontale e trasversale ab- biamo creduto poter riferire a questa specie alcune delle orbitoidi comuni nei nostri calcari a foraminifere. Yi si notano infatti ca- mere molto rettangolari con la lamina spirale che presenta a tratti dei piccoli ispessimenti a guisa di punte e le volte delle camere che appaiono sovrapposte nelle sezioni meno sottili, come si riscontra nelle figure delle concamerazioni riprodotte nelle tavole del Giimbel. Nei calcari denudati si riconoscono all’esterno vari esem- plari riferibili a questa specie, che ha la superficie con leggere ma fitte punteggiature e con un piccolo ma ben visibile mam- mellone centrale. Il resto della superficie è sottile, piatto e qual- che volta ondulato. Orbitoides dispansa Sow. 1853 0. ephippium — I)' Archine et Haime, Nummulitique de Vlnde, pag. 349. 1868 0. dispansa Sow. — Giimbel, Forum, nordalp. Eocàn. pag. 701 Tav. Ili, f. 40 e 43. Molto sottile nel contorno, è ondulata alla superficie, la quale, ricoperta di granulazioni, ha un grosso mammellone ombelicale e di forma poco regolare. Questo rilievo della superficie è più grande che nella specie papiracea e nummulitica , e per i suoi caratteri esterni è perfettamente confrontabile con i disegni e con la descrizione del Giimbel. Orizzonte: Parisiano. Orbitoides dilatata Mieli. 1868 0. dilatata Michelotti — Giimbel, accenna a questa specie e l’il- lustra in : Forum, der nordalp. Eocàngeb., pag. 717, Tav. IV, f. 45 e 46. Nel calcare frammentizio presso Lacca, vi sono degli esem- plari di questa specie, i quali, pur non raggiungendo le dimen- sioni massime degli individui descritti dal Giimbel, hanno però un diametro relativamente considerevole, giacche arriva fino a centim. 2. LE FORMAZIONI GEOL. ED I FOSSILI DI PAXOS E ANTIPAXOS 419 La superficie rilevata da piccole punteggiature sparse irrego- larmente, non presenta, come d’ordinario le altre orbitoidi, un forte rigonfiamento centrale prodotto dalla camera iniziale, men- tre in questa specie, da uno spessore massimo, al centro, di cinque millimetri, si va sempre diminuendo gradatamente fino al bordo. Internamente presenta una serie numerosissima di camere, le quali, in sezione orizzontale, hanno l’aspetto costituito da concamerazioni embricate e tondeggianti verso l’esterno. La la- mina ed i setti che le contengono sono dello stesso considere- vole spessore e fanno vedere nel proprio interno i sottilissimi canali che li solcano nel mezzo. Il diametro della camera centrale è uguale a circa 720 del diametro di tutta l’orbitoide e per tutti questi caratteri enume- rati e facilmente distinguibili, la determinazione non può esser dubbia. È una specie propria del Miocene. Altri generi di piccole foraminifere trovate in quei calcari che abbiamo riferiti alla parte inferiore dell’eocene medio e non potuti determinare specificamente, sono i seguenti : Bentalina sp. Nodosaria sp. Spirilocidinci sp. liotalia sp. Biscorbina sp. Oltre a questi, si hanno pure numerose specie indetermina- bili di foraminifere, appartenenti a quegli stessi generi di alcuni dei quali è stata riconosciuta la specie, dove lo hanno permesso la conservazione e la posizione in cui si presentano all’esame microscopico. Numniulites latispira Menegh. 1851 Nummulina latispira — P. Savi e G. Meneghini, Considerazioni sulla geologia della Toscana, p. 189. 1853 Numniulites » Men. — D’Archiac et Haime, Monograpliie des Nummulites, pag. 93, Tav. I, f. 6. 1890 » ,> — Teliini, Nummulitidi della Majella, ecc., pag. 17, Tav. XI, f. 13-15. Quantunque gli scarsi rappresentanti di questa specie siano molto spatizzati, pure è possibile con l’aiuto di una buona lente 420 A. MARTELLI il determinarne i caratteri e di riscontrare in essi quella carat- teristica regolarità dei giri e dei setti, propria della Nwnmu- ìites ìat ispira. È solo da notarsi che lo spessore della lamina è uguale al quarto dell’altezza delle loggie e non precisamente al terzo come verificasi nell’esemplare descritto dal D’Archiac. È stata trovata a Paxos nei calcari che formano la parte più alta di Mongonisi e Misorachi. Orizzonte: Parisiano superiore e Bartoniano inferiore. Nummulites complanata Lamk. 1853 N. complanata — D'Ai'diiac et Haime, Monogr. des Numm. pag. 87, Tav. 1, f. 1. 1871 » — Sismonda, Matériaux pour servir à la Paleon- tologie clu terrain tertioire du Piémont. 2a partie, Mem. Acc. di Torino, Ser. II, Tomo 25, pag. 270. 1877 » — Munier Chalmas, Compt. rend. Inst. Frane., tav. 85. 1888 » — Telimi, Numm. terziarie dell’Alta Italia occ. Boll. Soc. Geol. It., pag. 178, voi. VII. 1890 » — Tellini, Numm. delia Ma, iella , eco., pag. 5. 1894 » — • Oppenliein., Venet. Numm., pag. 11. Il frammento maggiore di questa specie comprende 12 giri e mostra assai evidente la struttura propria della N. compla- nata. Arguendolo facilmente dall’ampiezza dell’arco, verrebbe a comprendere circa 36 giri sul raggio di 50 mm. Le spire sono a giri numerosissimi e nella parte periferica dei frammenti con- servati nel campione di roccia, alcune di dette spire si addos- sano sulle altre che si mantengono equidistanti. I setti, anch’ essi conservando fra loro un’ eguale distanza, sono molto inclinati e lo spessore uniforme della lamina è uguale al terzo dell’altezza delle loggie. In sezione orizzontale presentasi ondulata, come in generale avviene delle superfici di tutte le N. complanatae. Nei calcari che costituiscono l’alto di Mongonisi si trova abbondante. Orizzonte: Bartoniano. » LE FORMAZIONI GEOL. ED I FOSSILI DI PAXOS E ANT1PAX0S 421 Numnmlites Tchihatcheffi D’Arch. et H. 1853 N. Tchihatcheffi 1888 » 1890 » 1894-96 » 1898 » — D’Archiac et Haime, Monogr. des numm., pag. 98, Tav. I, f. 9. — Tellini, Nummulitidi dell’Alta Ital. occ., Boll. Soc. Geol., voi. VII, pag. 193. — Teliini, Numm. della Majella, ecc., pag. 14. — Trabucco, Sulla posiz. del cale, di Mose, e terr. eoe. del hac. di Firenze, pag. 2-3. — Posiz. ed età delle Argil. gal. e scagl. del Flysch dell’ App. sett., 1896, pag. 21. — Stratigr. terr. della prov. di Firenze, pag. 18 Esemplari dai 7-8 mm. di diametro. Nella stessa roccia ab* biamo trovato più esemplari della stessa specie, differenti solo fra loro nella grandezza del diametro. Come tutte le N. Tchihatcheffi, sembra che questa specie abbia subito una pressione laterale, generante un sensibile rav- vicinamento delle loggie più esterne. La lamina compie un giro non perfettamente regolare. T setti hanno una forte inclinazione verso la periferia e mostrano la struttura e posizione corrispondente a quanto hanno per i primi osservato d’Archiac et Haime. Le loggie del primo giro sono assai larghe ma basse. La spira è crescente nel primo mezzo giro, poi si mantiene di passo costante per due giri e fino all’orlo è decrescente. I setti nella loro direzione generale, meno che alla base, sono molto inclinati e a un quarto della loro lunghezza verso la periferia si ripiegano e decorrono per un tratto parallela- mente alla successiva lamina. II diametro della sfera centrale è circa un millimetro. I giri periferici vanno gradatamente avvicinandosi fra loro ed i due più esterni sono quasi addossati. Al centro, lo spes- sore della lamina è uguale al terzo dell’altezza della loggia e all’orlo apparisce di poca maggior dimensione dell’altezza della loggia stessa, perchè, come abbiamo già detto, questa nummulite sembra alquanto schiacciata. In complesso però, lo spessore della lamina è costante in tutti i suoi giri e soltanto varia il suo rap- 422 A. MARTELLI porto con le loggie, perchè queste vanno appunto man mano restringendosi. Nel quarto del 3° giro, i setti sono in numero di 6. Località. Fra Calisma e Porto Spuzzo a SSO di Paxos e ad est di Mongonisi. Orizzonte: Bartoniano. Nummulites perforata Montf. non d’Orb. 1853 N. perforata var. obesa — D’Arcliiac et Haime, Monog. des Num., pag. 134, Tav. 8, f. 7 e. 1877-79 » Montf. — De la Harpe, Bull. Soc. Géol. France, 3a Serie, voi. V, pag. 822, Tav. 17, f.4a, b, e Soc. Vaud. Se. Nat., voi. XVI, Tav. 10, f. 4. 1881 » — De la Harpe, Étude des Numm. de ì a Suisse, pag. 125. Mém. Soc. Paléont. Suisse, voi. Vili. 1883 » — De la Harpe, Monograp. Aegyp. Numm., pag. 203, Tav. 35 (6a), f. 1-10. 1888 » — Tellini, Numm. dell' Alta Ital. occ. Boll. Soc. Geol. It., voi. VII, pag. 210. Gli esemplari hanno da 15 a 17 mm. di diametro. Giri re- golari di passo pressoché costante, meno che nelle prime loggie in cui è un poco più stretto. I setti sono numerosi e poco in- curvati e per tutti gli altri caratteri è paragonabile con l’esem- plare tipico del de la Harpe. Trovata sull’alto di Misorachi. Orizzonte: Parisiano superiore. Nummulites Lucasana Defr. 1853 N. 1867 1876 1877 Lucasana — D'Archiac et Haime, Monogr. des Numm., pag. 124, Tav. 7, f. 5. » — Fraas, Aus dem Orient, pag. 130. » — Zittel, Handb. des Palaeont., voi. I, pag. 100, f. 37 e 40. » — De la Harpe, Bull. Soc. Géol. France, IIIe Sér., voi. V, pag. 823, Tav. 17, f. 6-8. » — De la Harpe, Bull. Soc. Vaud. Se. Nat., voi. XVI, pag. 205, Tav. 10, f. 6-8. 1879 LE FORMAZIONI GEOL. ED I FOSSILI DI PAXOS E ANTIPAXOS 423 1883 1888 1890 1894 1894 1896 1896 1898 N. Lucasana — De la Harpe, Monograp. Aegypt. Num., pag. 208. » — Tellini, Nummulitidee dell’Alta Hai. occid. Boll. Soc. Geo]., voi. VII, pag. 214. » — Teliini, Nummulit. della Maiella, ecc., Tav. 11, f. 36, pag. 25. » — Oppenheim, Uelter Venet. Nummulìten, pag. 12. » — Trabucco, Sulla posiz. del calcare di Mosciano e terr. eoe. del bacino di Firenze, pag. 2-3. » — Trabucco, Sulla posiz. ed età delle Argille gal. e scagl. del Flysch delVApp. sett., pag. 21. » — Oppenheim, Die Focaenfauna des Monte Postale bei Dolca in Veronesischen, Palaeontographica, pag. 130. » — Trabucco, Stratigrafia dei terreni della pror. di Firenze , pag. 18. Corrisponde a quella di Defrance descritta nel Nummulitico dell’India e soltanto si scosta leggermente per la curvatura più notevole dei setti. È noto die la N. Lucasana è la forma a megasfera della N. perforata come la N. Tcmhatcheffì lo è della N. Compla- nata. Queste specie sono molto diffuse nel bacino mediterraneo tanto da formare la caratteristica dei depositi nummulitici del- l’Europa meridionale. Il livello di queste due coppie e specialmente della prima propria del Parisiano corrisponde tanto nella Francia meridionale quanto nel Veneto, nell’Ungheria e nelle località più lontane del- l’Algeria, Egitto ed Indie al massimo sviluppo delle nummuliti ed è considerato come rappresentante dell’eocene medio, mentre la seconda coppia si trova ordinariamente ad un livello supe- riore, ma non crediamo che possa assumere pure un’ importanza caratteristica nella determinazione cronologica perchè troppo spesso si è trovata in formazioni indubbiamente parisiane. Nummulites curvispira Menegh. 1851 Nummulina curvispira — Savi e Meneghini, Consid. sulla Geol. della Toscana, pag. 137. 1853 Nummulites curvispira — D’Archiac et Haime, Monogr. desNumm., pag. 127, Tav. 6, f. 15. 1867 » » — Fraas, Aus dem Orient, pag. 130. 33 424 1883 Nummulites curvispira 1894 » » 1894-96 » » 1895 » » A. MARTELLI — De la Harpe, Monogr. Aegypt. Numm., pag. 200, Tav. 34 (5a), f. 66. — Oppenheim, Venet. Nummul., pag. 11. — Trabucco, Suììa posiz. del calcare di Mo- sciano e terr. eoe. del bacino di Firenze, pag. 2-3. — Posiz. dei terr. eoe. dei Monti del Chianti, 1895, pag. 11. — Posiz. ed età delle Arg. gal. e scagl. del Flysch. delVApp. settent., 1896, pag. 21. — Stratigr. dei terreni della pror. di Firenze, 1898, pag. 18. — Marinelli 0., Calcare nummulitico di Vil- lamagna presso Firenze. Boi. Soc. Geol. It., voi. XIII, pag. 206. Corrisponde tanto alla descrizione fattane dal D’Arcliiac nel Numnmlitico dell’India quanto all’esemplare di Villamagna col quale lo abbiamo confrontato. È questa una specie abbondante nei terreni deH’eocene medio e trovasi a Paxos sull’alto di Porto Spuzzo e del Monte Haios Caralabos. Nummulites clistans Desh. 1853 N. distans — D’Archiac et Haime, Monogr. des Numm., pag. 91, Tav. 1, f. 4. 1871 » — Sismonda, Mat. etc. pour le terr. tertiaire du Pié- mont, 2e partie. Mem. Accad. di Torino, Ser. 2% Tomo 25, pag. 270. 1888 » — Teliini, Numm. terz. dell’Alta Italia occid. Boll. Soc. Geol. It., voi. VII, pag. 192. Si ha un solo frammento riferibile per l’ampiezza dell’arco, per lo spessore della lamina uguale ad un terzo dell’altezza delle loggie, per i setti fitti, inclinati e avvicinati fra loro irre- golarmente, alla jV. distans descritta dal D’Archiac. Trovasi in alto di Misorachi, in un calcare che rimane sopra alla serie degli altri associata con la N. complanata, latispira e perforata. Orizzonte: Parisiano superiore e Bartoniano. LE FORMAZIONI GEOL. ED I FOSSILI DI PAXOS E ANTIPAXOS 425 Nummulites Ramondi Defr. 1853 N. Ramondi Defr. 1871 » 1883 » 1888 » 1894 » 1896 » — D’Archiac et Haime, Monograph. des Numm., pag. 128, Tav. 7, f. 13. — Sismonda, Matémaux etc. du tertiaire du Piémont, 2e partie. Mem. Accad. di Torino, Serie 2a, Tom. 25, pag. 271. — De la Harpe. Monogr. Aegypt. Numm., pag. 19, Tav. 31 (2a), f. 5-12. — Teliini, Numm. Aita Ital. occidentale, Boll. Soc. Geol., voi, VII. pag. 192. — Trabucco, Posiz. del cale, di Mosciano e terr. eoe. bachi, di Firenze, pag. 2-3. — Posiz. ed età delle Argille gal. e scagl. del Flysch. e App. settentrionale, pag. 21. Pur facendo molte riserve su questa nummulite la cui bontà specifica, fin dalla sua instituzione, è molto discutibile, riferiamo a questa specie tre esemplari di mm. 7 di diametro e alquanto alterati. Specialmente per lo spessore della lamina uguale al terzo dell’altezza delle loggie, si scosta dall’esemplare tipico del D’Ar- chiac, mentre corrisponderebbe piuttosto alla descrizione del de la Harpe. Si avrebbero pure N. JRamoncli riferibili alla varietà d D’Arch. et H. (pag. 128, tav. 7, fig. 17). Tale specie menzionata spesso nel perimetro eocenico del Mediterraneo, troverebbesi a S.S.O. di Paxos, sopra a Porto Spuzzo. Orizzonte: Comune al Parisiano e al Bartoniano. Nummulites Heberti d’Arch. et H. 1853 N. Heberti — D’Archiac et Haime, Monogr. des Numm., Tav. 9, f. 14, pag. 147. 1883 » — De la Harpe, Aegypt. Numm., Tav. 31 (2a), f. 27, pag. 24. Essendo questa una specie piuttosto rara nel bacino medi- terraneo, crediamo conveniente darne una breve descrizione. 426 A. MARTELLI Piccoli campioni di mm. 2.5, con quattro giri a spirale sulla lunghezza, del raggio. I giri, abbastanza regolari, aumen- tano leggermente di passo dall’interno verso l’esterno. Lo spes- sore della lamina è pressoché costante, cosicché l’altezza delle loggie appare maggiore della lamina verso la circonferenza, minore verso il centro, raggiungendo quasi l’eguaglianza nei giri intermedi. La microsfera iniziale si nota come un punto sottile. I setti sono numerosi, poco arcuati e soltanto alla loro unione con la lamina più esterna sono più piegati. Se ne con- tano cinque nel quarto del terzo giro e 6 nel 4°. Trovasi nel calcare sopra a Porto Spuzzo. Orizzonte: Parisiano superiore e Bartoniano inferiore. Nummulites variolaria Sow. 1853 N. 1868 1879 1883 1888 variolaria — D’Archiac et Haime, Monograp. des Nummul., Tav. 9, f. 13, pag. 146. » — Fraas, Aus dem Orient, pag. 131. » — De la Harpe, Etude Numm. de Nice. Bull. Soc. Vaud. Se. Nat., tomo 16, pag. 210. » — De la Harpe, Numm. Aegypt., Tav. 31 (2a), f. 28-36, pag. 25. » — Telimi, Nummul. dell’Alta Italia occ. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. VII, pag. 200. Questa piccola nummulite, forma A della precedente e di sicura determinazione, si trova a Paxos sull’alto del Monte S. Caralabo, a S.O. dell’isola e nella scogliera di Sugasi. Orizzonte: Parisiano superiore e Bartoniano inferiore. Nummulites Guettardi D’Arch. et Haime. 1853 N. Guettardi 1877 » 1879 » 1883 » — D’Archiac et Haime, Monograp. des Numm., pag. 130, Tav. 7, f. 18. — De la Harpe, Numm. de Nice, pag. 825, Tav. 17. — De la Harpe, Etude numm. de Nice, pag. 210, Tav. 10, f. 9 b, 10 b. — De la Harpe, Monogr. Numm. Aegypt., pag. 171, Tav. 30, f. 29-42. LE FORMAZIONI GEOL. ED I FOSSILI DI I'AXOS E ANTIPAXOS 427 1888 N. Guettardi 1890 » 1894 » 1896 » 1898 » — Teliini, Numm. dell’Alta Ital. occ. Boll. Soc. Geol. It., voi. VII, pag. 199. — Tellini, Numm. della Maiella, ecc., Tav. 11, f. 22, pag. 19. — Oppenheim, Venet. Nummuliten, pag. 11. — Oppenheim, Eocaenfauna des Monte Postale bei Bolca, ecc. Palaeontograp., pag. 124. — Trabucco, Stratigrafia dei terreni della Toscana (prov. di Firenze), pag. 18. È una piccola nummulite di ram. 2 V2 di diametro, e glo- bosa di forma. La prima loggia (loggia centrale) è sferoidale e relativamente grande; la prima seriale è più piccola della centrale e di forma irregolare, ma per lo più di aspetto semi- lunare. Ha quattro giri e mezzo di spira regolare con passo crescente e la lamina conserva lo stesso spessore uguale circa a poco più della metà della loggia; però soltanto nei primi giri, che sono più stretti, la lamina è uguale all’altezza della loggia. In altre parole, la lamina rimane costante, ma non cosi l’altezza della loggia, la quale va aumentando di passo verso l’esterno. I setti si presentano leggermente inclinati verso la periferia e sono ugualmente distanti fra loro. Se ne contano cinque nel quarto del 3° giro e sono sottili e flessuosi. Alcuno l’aveva considerata come una varietà della Striata (la Harpe). Altri come una varietà minore della Ramondi. Ora ne fanno tutti d’accordo una specie a se, e noi l’abbiamo descritta, data la possibilità che possa venir confusa con la N. striata d’Orb., rappresentante di un orizzonte superiore. Lo- calità ad est di Mongonisi. Orizzonte: Parisiano superiore. Numnmlites graeca nov. sp. (Tav. VII, fig. 12). Questa specie ha un diametro di mm. 3.5-4. Nel raggio di 2 mm. la lamina compie 4 giri e per tutto il percorso della spira si mantiene quasi costantemente uguale all’altezza delle loggie ed ai 4/3 negli esemplari spatizzati. Il passo della spira 428 A. MARTELLI va semplicemente aumentando, tanto che la prima loggia ri- sulta la metà del l’ultima più esterna. La nummulite in esame è a megasfera, ma non sappiamo con certezza quale sia la corrispondente a microsfera, riservandosi tal denominazione, secondo il concetto col quale si è spiegato il dimorfismo nelle foraminifere, a quegli esemplari che appaiono più evoluti e con la spira completamente formata a profitto pure della me- gasfera; questa, come è noto, è caratteristica di quegli indi- vidui che nell’alternanza di generazione darebbero ulterior- mente origine alla foraminifera più sviluppata e a microsfera. Come la lamina segue il suo giro spirale in modo regolare, pure regolare sono in conseguenza le loggie che essa comprende. I setti sono semplici, sottili e molto fitti ; la distanza fra loro è costante in ogni giro, ma sono più ravvicinati, senza mai toccarsi, nelle spire più interne. Nel quarto del III0 giro (più esterno) si contano 8 setti » » » II0 » » 7 » » » » 1° » » 5 » Essi sono leggermente inclinati di 25° verso la periferia, mostrano più forte questa loro inclinazione inserendosi nella lamina più esterna. La superficie è leggermente punteggiata. La specie che più si avvicina a questa sarebbe la Ar. Guet- tarcli che è striata, molto più piccola, globosa e con giri pure subequidistanti ma inegualmente spessi nel percorso della la- mina. Inoltre, la nostra N. graeca si distingue pure per un numero maggiore di setti. Accompagnata con la N. Tcliiliatclieffi e curvispira si trova nell’alto di Porto Spuzzo, nei calcari del Monte S. Caralabo, ovunque piuttosto abbondante, nella formazione soprastante a quella con piccole foraminifere. Niminralites jonica nov. sp. (Tav. VII, %. 8 e 9). Nel calcare fittamente costituito da foraminifere si trovano pure piccolissime nummuliti che presentano in varie sezioni gli LE FORMAZIONI UEOL. ED I FOSSILI DI PAXOS E ANTIPAXOS 429 aspetti diversi assunti da questa piccola specie, la quale, per i caratteri che mostra, non è riferibile a nessuna di quelle de- scritte finora. In tali calcari, per l’ordinario alquanto alterati dalla spa- tizzazione, non sempre possono bene distinguersi i caratteri che la specializzano, perchè principalmente la lamina per la ragione accennata subisce varianti considerevoli nello spessore. Non è però raro che nelle sezioni di questo calcare eocenico si possa trovare qualche esemplare poco alterato e facilmente studiabile. Questa nummulite può arrivare fino ad un millimetro di dia- metro ed ha una camera centrale sempre molto visibile. E quasi globulare, tanto che in sezione longitudinale presenta una lar- ghezza pari ai due terzi dell’altezza e una spessa lamina in forma di losanga restringentesi alle estremità verso gli angoli acuti. In sezione orizzontale si vedono i tre giri della lamina con passo rapidamente crescente, in modo che le altezze delle ca- mere nei due giri consecutivi stanno fra loro come 1 a 2. La spira nello svolgimento di un giro e mezzo, vale a dire fino al punto d’inserzione col dodicesimo setto dal centro, appare poco spessa; nel resto della lamina esterna lo spessore diminuisce ancora e intorno alle ultime camere appare tanto sottile quanto i setti, dei quali sembra una continuazione. Si hanno da 18-20 setti subequidistanti che dividono la num- mulite in altrettante camere, le quali aumentano di ampiezza verso l’esterno. La prima della serie è di forma allungata per l’inizio della lamina, e la camera centrale completamente sferica è uguale al decimo del diametro dell’intiera nummulite. I setti presentano visibili i canali interni e sono inseriti verso il centro a distanze proporzionalmente crescenti con lo sviluppo della spira. Sono molto arcuati specialmente verso la periferia, dove si direbbe che lamina e setti si fondono in un solo arco. Quei setti che trovansi più verso il centro, si flettono meno alle loro inserzioni con le lamine che li comprendono. Nel confronto di questa specie con la N. striata alla quale si avvicina pei caratteri esterni, risalta subito la differenza pel maggior numero di giri della lamina nella N. striata e per i 430 A, MARTELLI setti più fini e sottili. Le camere della striata sono meno alte e più regolari e la prima della serie è molto più grande che non in questa specie ora descritta. Complessivamente in questa piccola nummulite la forma è più tondeggiante, mentre nell’altra è più conica. La costanza regolare della lamina nella striata, e lo spessore dei setti costituisce pure una valevole differenza con questa specie che verso l’esterno fa distinguere male l’in- serzione dei setti nella lamina causa l’uguale spessore e raggio dell’arco della spira e del setto. È innegabile che in sezione, la forma di questo esemplare richiama molto alla mente l’aspetto di una Operculina o di una Ampi uste g ina, ma l’incertezza nella determinazione generica scompare subito quando osservando i suoi caratteri esterni ne completiamo l’esame. Von Hantken descrivendo e figurando la N. budensis pone in evidenza alcuni caratteri che possono giovarci in una com- parazione con la nostra. Lo svolgimento della spira, spessore e forma arcuata dei setti sono comuni a queste due specie che differiscono perchè la N. bu- densis ha le camere della prima serie molto più piccole e pio- babilmente anche invisibili, e un numero doppio di setti. L’aspetto esterno è identico nelle due specie presentando sulla loro superficie delle strie con leggera curva verso la peri- feria e raggianti da una piccola zona liscia e circolare corri- spondente al centro della nummulite. Località : Dove si ha calcare con piccole foraminifere questa specie non manca quasi mai insieme con V Orbitoides nummu- litica, Lithothamnium torulosum e nummuliticum. Sulle superfici corrose di alcuni calcari con foraminifere e meno bene, per la spatizzazione, nell’interno di essi, si notano traccie indeterminabili dei seguenti fossili : Briozoi : gen. ind. Celenterati: Coralli in rari e piccolissimi frammenti. Echinodermi : Frammenti probabili di Crinoidi, e fra quelli riferibili agli Echinidi, sono da menzionare alcuni radioli inde- terminabili specificamente di Cidaris sp. LE FORMAZIONI GEOL. ED I FOSSILI DI PAXOS E ANTIl'AXOS 431 Molluschi — Lamellibr anchi. Pecten Manzonii Fuchs. (Tav. VII, fig. 3). 1881 P. Manzonii — Fuchs Tli., Die miocànen Pecten-Arten aus clen nordlichen Appenninen in clen Sam- mlung des Dr. Manzoni p. 320, n. 16. Verhandl. des R. geologischen Reich- santalt Sitzung am 22 Nov. 1881. 1897 P. subarcuatus Tour — Sacco, I Molluschi dei terreni terziari del Piemonte e Liguria, XXIV Pectinide, Tav. XX, f. 25. 1900 P. Manzoni Fuchs. — Nelli B.. Fossili miocenici dell' Appennino Aquilano, Boll. Soc. Geol. It., Voi. XIX, pag. 397. Risponde in tutto agli esemplari del calcare a briozoi di San Marino esistenti nella collezione Manzoni del Gabinetto di Firenze e descritti dal Fuchs. La conchiglia è orbicolare ed ine- quivalye con numerose coste longitudinali e convesse. La valva destra ha un umbone assai ricurvo e gonfio con 18 coste rag- gianti, strette ed acute verso l’ambone e più larghe e arroton- date al margine. In questa specie di forma rigonfia, gli spazi intercostali appaiono più stretti delle coste. Il Fuchs descrive la valva sinistra come piana o legger- mente concava e con costole di cui ciascuna mostra tre costoline secondarie ornate di strie concentriche e scagliose molto svilup- pate e lontane verso l’apice e più sottili e avvicinate verso il margine. Questa specie trovasi nei calcari leggermente marnosi e bru- nastri, nella punta settentrionale di Paxos, a nord e nord-ovest del porto di Lacca. Orizzonte : Langhiano. Pecten anconitamim For. (Tav. VII, fig. 2). 1879 P. anconitanum — Foresti, Contributo alla conchiglio- logia fossile italiana. Mem. Acc. Se. di Bologna, S. Ili (X), pag. 19, tav. I (XI), f. 10-12. A. MARTELLI 432 1880 P. anconitanum — Cafici, Determinazione cronologica dei calcari a selce piromaca e dei calcari compatti e marne con echi- nidi ecc. nella regione S-E di Si- cilia. Boll. Coni. Geol. it., XI, pag. 500. 1887 » — Mariani, La molassa miocenica di Varano. Att. Soc. It. Se. Nat. XXX, p. 7. 1893 » — Si monelli, Sopra la fauna del così detto Schlier, nel bolognese e an- conitano Atti della Soc. tose. Se. Nat. XII, pag. 21. 1897 Propeamussium anconitanum — Sacco, I moli, dei terr. terz. del Pieni. La descrizione fattane dal Foresti e dal Simonelli è riferi- bile per intero a questa specie, tanto per le dimensioni, essendo il diametro umbo-ventrale di circa 30 millimetri, quanto per la forma quasi orbicolare alquanto allungata. Le coste raggianti un poco curve in alto non raggiungono il margine e sono ine- guali di sviluppo. Nella valva destra esternamente convessa si notano ben rilevate le linee concentriche. Orizzonte : Langhiano. Homomya scaplioides Agassiz. (Tav. VII, iìg. 1). 1842 Myopsis scaplioides — Agassiz, Études critiques. Myes pag. 261, Tav. 32, f. 4 e 5. 1850 Panopaea scaplioides — D’Orbigny, Marnes bleues de Neuclidtel. Prodi-., T. II, pag. 73. 1853 Myopsis scaplioides — Studer, Geol. des Schweiz, T. Il, 1899 Amussium anconitanum e Liguria, XXIV. Pectinidae, pag. 50. Ugolini, Monografia dei pettinidi Miocenici delVIt. centr. pag. 280. 1856 Panopaea scaplioides — Tribolet, De l’étage neucornm moyen. Boll. Neucliàtel,T. IV, pag. 72. 1865 Pholadomia scaplioides — Pictet, Matériaux pour la Pa- leont. suisse. Ser. quatriéme, Livi-. II, pag. 80, 1 Livr., Tav. CIII, f. 3-5. LE FORMAZIONI GEOL. ED 1 FOSSILI DI PAXOS E ANTIPAXOS 433 Piccolo esemplare con conchiglia allungata altrettanto spessa quanto larga e con la regione cardinale molto arrotondata. La larghezza si mantiene costante tanto nel mezzo che all’estremità. Le ineguali e sottili strie di accrescimento sono sulla superficie della conchiglia pochissimo visibili. La regione marginale è molto sviluppata, larga e arrotondila. Località : Questa Homomya è stata raccolta a nord-est del- l’isolotto Haios Nicolaos, nel calcare con frammenti di Budistae. Orizzonte : Comune a tutto il sistema cretaceo. I numerosi frammenti di Budistae, per il cattivo stato di conservazione, non si possono convenientemente isolare e sono poco determinabili. Mancando ad on efficace confronto la con- figurazione esterna, molte volte non riesce nemmeno possibile il poter conchiudere se ci troviamo di fronte a resti d ’Hippu- rites o di Badiolites. Disgraziatamente non abbiamo potuto tro- vare esemplari completi o che presentino snfficentemente quel complesso di caratteri che possono farci nettamente distinguere questi due generi. Ci preme quindi di far notare che le Hippurites sp. e Ba- diolites sp., le quali si presentano in frammenti nei calcari ceroidi e cavernosi di Haios Nicolaos, Mongonisi, Calzionisi, Misorachi (alla base), e della scogliera bassa di Domiti e fianco est e sud di San Caralabo, non si presentano quindi nemmeno in condizioni tali, da permettere una determinazione specifica. Alghe. Litliothamnium torulosum Giimbel (Tav. VII, fig. 14). 1871 L. torulosum — Giimbel, Die sogenannten Nulliporen, Erster Tli. p. 30, t. II, f. 6 a, b. 1891 » — Rothpletz, Fossile Kalkalgen A bdruck. Zeitschr. d. Deutsch. geolog. Gesellschaft, Jahrg. XLIII. La forma cubica delle cellule del tessuto sterile ed i con- cettaceli subellittici, allungati nello stesso senso delle assise con- 434 A. MARTELLI centriche del tessuto, non lasciano dubbi sulla determinazione di questa specie. Trovasi in frammenti, in quasi tutte le sezioni microscopiche fatte nei calcari con foraminifere. E dell’eocene medio. Lithothamnium nummuliticuin Gfimbel. (Tav. VII, fig. 13). 1871 L. nummuliticum — Giimbel, Die sogenannten Nulliporen., Erster Theil. Bd. 1, p. 30, t. II, f. 6 a,b. 1891 » — Rothpletz, Fossile Kalkalgen ecc , Zeitschrift d. Deutscb. geolog. Gesellschaft, pag. 316, Tav. XVII, f. 5. Quasi tutti i calcari a foraminifere di queste due isole mo- strano in sezione microscopica numerosi frammenti di Litliotli. nummuliticum. Fortunatamente abbiamo potuto in qualcuno di essi distinguervi i concettacoli, messi in evidenza da una sezione ben riuscita. Per la disposizione loro, essendo in serie parallele, se- condo l’asse maggiore del concettacelo in un tessuto meno re- golare di quello sterile, e per la forma quasi ellittica apppun- tata irregolarmente verso le estremità, questa specie di Litho- tliamnium è di determinazione non dubbia. È dell’ eocene medio. Haploporella annulli» Parker et Jones. 1862 Dactylopora annulus — Carpenter, Introd. to thè studi/ of thè foraminifera, pag. 132, Tav. X, f. 9-14. 1872 Haploporella annulus — Giimbel, Die sogen Nullip., pag. 27, Tav. D. 1, f. 2a-2e. Non sono molto rari i fragmenti di questa nulliporidea che presentandosi in massa sotto la forma di tubetti cilindrici, ap- paiono poi anulari in sezione trasversale, con un fitto tessuto di piccole cellule a rettangolo disposte in serie concentriche e regolari. In una sezione microscopica del calcare di Fontanàs fra le sette serie concentriche si nota un coneettacolo di forma ovale che ha servito di guida nella determinazione specifica. LE FORMAZIONI GEOL. ED I FOSSILI DI l'AXOS E ANT1PAXOS 435 La forma nettamente anulare e senza apparenti irregolarità nel contorno interno ed esterno, fa riavvicinare questa nullipo- ridea esclusivamente terziaria alla Gyroporella più propria del Trias, dalla quale però molto si scosta per la regolare struttura e per la forma dei concettacoli. Chondrites sp. Sdì. Su taluni calcari cretosi si hanno tratti cosparsi d’impronte di quest’alga fossile spesso filiforme, a fronda cilindrica e di- sposta in forma arcuata. La specie è indeterminabile. Spirophyton sp. Hall. Alternati con calcari a foraminifere trovansi spesso strati estesi, ma non molto alti di calcare marnoso friabile. Special- mente a nord di Fontanàs, tale materiale trovasi con numere- voli protuberanze conico-scliiacciate, prodotte da ammassi di queste alghe fossili. Gli esemplari di Spirophyton presentansi a gruppi di dimen- sioni variabili, e sono talmente ammassati gli uni sugli altri, e confusi insieme che riesce difficile il ritrovarli separati in modo da poterne distinguere la forma propria. Sembra che questo tipo curioso di alga che non si è mai trovata vivente nei nostri mari, abbia un habitat assai esteso e che apparso fin dall’ epoca siluriana siasi conservata fino al primo periodo del Terziario. Genere d’incerta sede. Cylindrites sp. Goepp. In un’opera di Watelet ( Description des plantes fossiles du bassin de Paris, 1865) sono enumerati fra i generi trovati nel calcare grossolano anche qualcheduna di queste Fucoidi, ma man- cano i termini di confronto con le alghe viventi che più si ap- prossimano agli esemplari fossili. Le impronte che conservansi 436 A. MARTELLI sul calcare marnoso trovato a Fontanàs, sono di forma larga, cilin- drica ed ellittica allungata, ma non si presentano dicotome altro che in rari punti. S’ incrociano spesso fra loro ed in generale si accostano pel resto alla descrizione riportata da Schimper nel « Tratte de paleontologie vegetale ». Bene spesso trovansi riunite in forma palmata e per tale carattere potrebbe forse avvicinarsi con probabilità alla Cylin- drites eocaenica Wat. ma la mancanza assoluta delle vescicole e dei concettaceli, necessaria guida nella determinazione, non ci permette un riferimento sicuro ad un organismo o ad una specie piuttosto che ad un’altra. Potrebbe anche forse trattarsi di semplici impronte di vermi come quelli che riempiono i calcari marnosi del Miocene medio nell’Italia meridionale. Giunto al termine di questo studio, sento il dovere di espri- mere la mia gratitudine all’Illmo Prof. Carlo De Stefani, il quale col suggerimento di recarmi a studiare le isole di Paxos e An- tipaxos sotto il punto di vista geo-fisico, mi ha procurato il modo di apportare un modesto contributo alla conoscenza di una re- gione non ancora nota geologicamente. Nello stesso tempo rendo pure un pubblico ringraziamento all’ allora studente di giurisprudenza ad Atene, sig. Trasibulos Bogdanos, il quale accompagnandomi nelle quotidiane escursioni ha spesso adempiuto all’ ufficio d’ interprete ed ha facilitato non poco le mie ricerche, aiutandomi a raccogliere con intelligenza tutte quelle notizie che potevano riuscirmi interessanti. [ms. pres. 12 luglio 1901 - ult. bozze 14 ottobre 1901]. Boll. d. Soc. Geol. Italiana. Voi. XX. (Martelli) Tav. VII LE FORMAZIONI GEOL. ED I FOSSILI DI PAXOS E ANTIPAXOS 437 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1. Homomya scaphoides Agassiz. » 2. Pecten anconitanum Foresti. » 3. Pecten Manzonii Fuchs. » 4. Orbitulites complanata Lamark (X 20). » 5. Alveolina ( Flosculina ) confi', decipiens Schwager (X 20). » 6. Alveolina, confi-, ellipsoidalis Schwager (X 20). » 7. Orbitoides nummulitica Giimbel, frammento presso il bordo (X 20). » 8-9. Nummulites jonica nov. sp. (X 25). » 10. Operculina Silvestri n. sp. (X 24). » 11. Operculina Silvestri n. sp., parte esterna di altro individuo (X 25). » 12. Nummulites cjraeca n. sp. (X 10). » 13. Lithotliamnium nummuliticum Giimbel (X 25). » 14. Lithothamnium torulosum Giimbel (X 25). SUI MOLARI DI ELEFANTE Nota del socio U. Botti Fino da quando ebbi la fortuna d’imbattermi in alcuni molari elefantini e quindi nella necessità di studiarli, io mi trovai molto imbarazzato sul significato dei così detti denti eli latte, altrimenti detti premolari. Corse e Cuvier, che primi studiarono scientificamente i Masto- donti e gli Elefanti, ritennero dapprima i denti molari nel nu- mero di otto, disposti in serie continua, orizzontale, succedentisi dalTindietro al davanti. Cuvier suppose, credo pel primo, che i denti di rimpiazzo si formino indietro, anzi che per di sopra o per di sotto ai denti di latte. Blainville riteneva il numero di sei, ma, secondo Falconer ne avrebbe sbagliato il significato. Egli diceva : ni dents de lait ni dents de remplacement, e fin qui aveva ragione, ma poiché gli ultimi tre sono i molari, i tre più avanzati chiamò premo- lari, e qui ebbe torto. Falconer, con Chven, mantenendo il numero di sei, ne rista- bilì il significato e disse : 3 di latte -+- 3 molari, ossia soppresse i premolari, che avrebbero dovuto rimpiazzare quelli di latte. In conclusione: i primi tre denti molari diconsi i denti di latte, ma non sono rimpiazzati, perchè i tre che avrebbero do- vuto rimpiazzarli, e sarebbero stati i premolari, ed avrebbero dovuto arrivare verticalmente per di sotto o per di sopra, restano, dicesi, soppressi. Non resta adunque che una serie continua di sei molari, succedentisi dall’indietro allevanti; ma, essendo soppressi i pre- SUI MOLARI DI ELEFANTE 439 molari, ossia i rimpiazzanti, si conclude che non si debba dire con Blainville 3 premolari -+- 3 molari , ma secondo Owen e Falconer 3 milk-molars -+- 3 true molars. A me pare questa una questione di parole, dacché non si questiona dei fatti ma dei vocaboli coi quali questi debbano essere rappresentati. I denti sono sei, questo è il fatto, e su questo non si fa questione. I tre molari più indietro sono i tre molari veri, ed anche in questo si va d’accordo. Tre molari precedono questi ultimi, ed in ciò anche d’accordo, ma non si è poi d’accordo sul nome che si ha da dare a questi tre primi molari. Secondo de Blainville avrebbero a chiamarsi i tre premolari, secondo Owen e Falconer dovrebbero dirsi i tre denti di latte. Per decidere la questione, bisogna stabilir prima bene, cosa è dente premolare, cosa è dente di latte. Incominciando dai denti di latte, si osserva che dente di latte, stando a Falconer, forse il più autorevole illustratore dei molari elefantini, è il decidous tooth ivhich is expelled l>y a ver- tical successor. Perchè un dente possa dirsi dente di latte, occorre adunque : 1° che sia decidous, cioè caduco; 2° che sia cacciato e rimpiazzato da un successore ; 3° che questo successore sia verticale, cioè venga per di sotto nella mandibola, per di sopra nel massiilare. Stando cosi le cose, la questione, senza andar più oltre, sembra bell’ e risoluta. Nei primi tre molari di elefante è dubbio se concorra, in un certo senso, il 1° requisito; non vi concorrono certamente il 2° ed il 3°. È perfino dubbio se concorra in loro il primo dei sopra di- stinti requisiti, ossia la caducità, cioè, se cadano per essere rim- piazzati. E bensì vero che questi denti cadono, ma cadono pure quelli che succedono ai primi, cioè i molari veri, e se questo bastasse a qualificare i denti come denti di latte, bisognerebbe dirli tutti ugualmente denti di latte ; in altri termini, la cadu- cità (senza rimpiazzo) non è un carattere che valga a distin- guere gli uni dagli altri. 34 440 U. BOTTI Infatti l’ordine di successione in serie orizzontale di tutti questi sei denti, non permettendo che restino contemporanea- mente in ciascuna mandibola più che un sol dente in uso ed uno in germe, destinato a succedere, sempre orizzontalmente all’altro, qualche volta tre, uno già consumato e pronto a cadere, l’altro in pieno esercizio ed un terzo ancora in germe, è asso- lutamente necessario che i primi, a misura che per la mastica- zione si consumano, cedano il posto, cadendo, a quelli che intanto si sono formati appresso a loro e che spingono perchè han bisogno di spuntare. Questo procedimento ha luogo ugualmente tanto per i primi tre quanto per gii ultimi tre molari. Or dunque se la caducità, in senso assoluto, dei molari si estende a tutti sei, e se principalmente dipende dal grado di logoramento cui per masticazione vanno soggetti, non si vede come questo possa dirsi valevole a distinguere i primi tre dagli altri ed a considerarli di preferenza caduchi ; caduchi sono tutti, questo non è dunque un carattere che valga a distinguerli. Degli altri due caratteri poi, sui quali è pure fondata, secondo lo stesso Falconer, la distinzione dei denti di latte, non ve ne concorre alcuno, ossia non si verifica che il dente supposto di latte venga cacciato da un successore, e se come successore volesse considerarsi il molare che viene appresso, questo non è verticale, cioè non viene nè per di sopra nè per di sotto nei due massiilari superiore ed inferiore, ma viene orizzontalmente ed è compreso nella serie dei sei molari orizzontali, che costi- tuiscono tutta quanta la dentatura dell’Elefante. Si obbietta, è vero, che una o due specie di Mastodonte ed una di Elefante pare abbiano presentato il caso di un dente di latte rimpiazzato in senso verticale, ma a questo potrebbe rispon- dersi che Mastodon ed Eleplias sono due generi, vicini quanto si vuole nella scala degli esseri e con graduato passaggio fra loro, ma tuttavia distinti. Tutti i generi, tutte le specie hanno delle affinità, dei caratteri comuni come delle differenze, appena sensibili da principio, che di mano in mano si fanno più di- stinte; ma finché si vorranno avere generi e specie, sia pure che vogliansi dire fondate in natura o create per comodo di classificazione, bisognerà bene stabilire dei caratteri, ed in con- formità di questi riunire o disgiungere i generi e le specie. Ora SUI MOLARI DI ELEFANTE 441 fra i caratteri si reputano i più importanti quelli stabiliti nella dentizione e sovente una minima diversità nella forma di un dente, purché costante, bastò a formare un carattere distintivo, generico o specifico. Or qual carattere più importante della presenza o meno di un dente di rimpiazzo in senso verticale ? Sarebbe senza dubbio importantissimo, ma però quando fosse costante ; e tale, nel caso nostro, non pare che sia, perchè non tutti i Mastodonti, non tutti gli Elefanti, ma una o due specie dei primi, una sola fra i secondi, hanno presentato questo fenomeno. È questo adunque proprio il caso in cui la eccezione con- ferma la regola, e se si ammetta che due sole specie di Masto- donte ed una sola di Elefante hanno dato qualche raro esempio di dente di rimpiazzo succeduto verticalmente, si è forzati a concludere, che i Mastodonti e gli Elefanti, in tesi generale, non hanno denti di rimpiazzo ed i loro primi molari non sono cacciati via da altri denti che agli stessi verticalmente succe- dano; dunque, non sono denti di latte, e cadono senza rimpiazzo verticale, come cadono i molari veri quando sono per mastica- zione logorati. Io non intendo adunque come due sole specie di Mastodonte, una sola specie di Elefante possano dar legge a tutte le altre che sono parecchie. Sarebbe davvero il caso inverso, quello cioè di prendere come regola la eccezione! Se la dentizione di questi due generi è anomala di fronte a quella degli altri mammiferi, ciò potrà dispiacere ai siste- matici, ma non vi è che fare. La simmetria delle classificazioni è una bella cosa, ma i fatti son fatti e bisogna accettarli quali sono. Se i denti di rimpiazzo verticali si verificano solo in tre specie (sopra settanta o più mentovate dagli autori che ne sono mancanti), si prenda se si vuole questa mancanza come un carat- tere negativo e la loro presenza in solo tre specie quale una eccezione alla regola generale, ma non si pretenda fare una regola di ciò che viceversa è affatto eccezionale, e la simmetria si accomodi come si può. Quanto poi alla pretesa soppressione dei denti di rimpiazzo, questa pare a me non essere che un ingegnoso pretesto! Ecco, vedete, dicesi, i denti di rimpiazzo nel senso verticale ci sono, 442 U. BOTTI ossia, per dir meglio, non ci sono ma ci dovrebbero essere, tanto è ciò vero che due specie di Mastodonte ed una di Ele- fante li hanno, e se le altre specie non li hanno, è perchè in queste sono soppressi ! Ma se fosse lecito argomentare in questa maniera, io sarei disposto a provare che un carattere importantissimo dei Pachi- dermi è quello di avere uno o due corni in fronte, disposti lon- gitudinalmente uno davanti all’altro ; tanto è ciò vero che non una specie ma un genere intero, il Rinoceronte, presenta di somiglianti corni. E quando mi si obbiettasse che l’Elefante, il Cavallo, il Porco non ne hanno, potrei rispondere che non ne hanno ma dovrebbero averne, e se di fatto non ne hanno è perchè questi corni sono soggetti ad essere soppressi ! Ma, lasciando da parte queste assurdità e ritornando alla questione, ritenuto, come non sembra, per quanto sopra, poter- sene fare a meno, che i primi tre molari non sono denti di latte, da ciò consegue che se si vogliano assolutamente distin- guere (il che peraltro non sarebbe affatto necessario, come si vedrà più sotto) dai tre successivi chiamati molari veri, biso- gnerà chiamarli con altro nome, ed allora avrebbe potuto essere opportuna denominazione quella adottata da Blainville, desunta dal posto che i tre denti in questione occupano nella serie intera. Poiché si è d’accordo che gli ultimi tre sieno da chiamarsi mo- lari veri, i tre che precedono, poiché non possono chiamarsi denti di latte, potrebbero bene chiamarsi premolari , comecché precedano e vengano in posto ed in uso innanzi ai molari ; intendiamoci bene, non già premolari nel senso di rimpiazzanti dei molari di latte, che generalmente diconsi appunto denti di rimpiazzo, ma nel senso strettamente letterale, cioè premolari perchè precedono i molari ; ma questo vocabolo essendo già impie- gato a designare negli altri mammiferi i denti di rimpiazzo, che appunto diconsi premolari, così non lice applicarlo a quelli dell'Ele- fante, che non rimpiazzano niente. Quella dei così detti denti di latte nei mammiferi in gene- rale è, in sostanza, una dentatura provvisoria, destinata a scom- parire assai per tempo, per far luogo ad una dentatura defini- tiva, che fu detta dei premolari o dei denti di rimpiazzo; ma questo procedimento, che ha luogo generalmente nei mammiferi, SUI MOLARI DI ELEFANTE 448 non si verifica negli Elefanti e nei Mastodonti, i quali, per conseguenza, non hanno denti di latte, non hanno premolari, non hanno denti di rimpiazzo, ma hanno una dentatura loro propria, particolare e diversa da quella degli altri mammiferi, alla quale non si possono quindi applicare le formule in uso generalmente per quest’ultima. Esclusa, per conseguenza, la distinzione senza alcuna ragione introdotta fra i così detti denti di latte ed i così detti molari veri, esclusa la esistenza dei premolari o denti di rimpiazzo, non restano in sostanza che sei denti, tutti molari, tutti veri, di struttura perfettamente uguale, che si succedono gradatamente e che vengono in uso, si consumano e cadono allo stesso modo. In che consiste allora la differenza per la quale i primi tre debbano chiamarsi ad un modo e gli ultimi tre in modo diverso? Io non so vederne alcuna ! Ridotti che sieno questi sei denti ad univoca denominazione, si eliminerebbe anche lo sconcio della nomenclatura complica- tissima a ciascuno di loro singolarmente attribuita. E noto che i pretesi denti di latte si distinguono l’uno dal- l’altro come antepenultimo, penultimo ed ultimo molare di latte, e poi gli altri tre come antepenultimo, penultimo ed ultimo mo- lare vero, e dicesi pure: I od antepenultimo, II o penultimo, III od ultimo molare di latte, ed inoltre IV od antepenultimo molare vero, e così di seguito il Y e VI. Ma vi ha di peggio ancora: in alcun’esemplare de 11’. È', an- tiquus e, se ben ricordo, negli Elefanti di Malta, si è qualche volta trovato un dente soprannumerario, che è stato detto pre- ante-penultimo molare di latte ; denominazione molto lunga e poco comoda, ed inoltre, questo pre-ante-penultimo è stato tal- volta ammesso e numerato come I, ed allora è rimasta sconcer- tata tutta la serie, tantoché oltre un III è stato talvolta enu- merato un IV molare di latte; ma siccome non tutti i Paleon- tologi ammettono questo soprannumerario, che chiamano teorico ed abitualmente soppresso, così ne deriva che quando si parla, per esempio, di un III molare di latte, non sappiamo più se si tratti di un ultimo o di un penultimo ! Tutta questa complicazione sarebbe pure evitata se restasse convenuto di abbandonare l’equivoco pre-ante-penultimo, salvo 444 U. BOTTI a notarlo espressamente quando per rarissima eccezione venisse a mostrarsi, e se tutti quanti i molari si distinguessero col solo numero d’ordine da I a VI. Queste considerazioni io aveva fatte e perfino redatte una ventina d’anni or sono, ma non aveva osato manifestarle per non andar contro all’uso generalmente seguito da tutti gli au- tori, ben sapendo che il pregiudizio e l’abitudine sono tetragoni agli assalti della logica. Pur mi decido a metterle fuori perchè più ci penso e meglio mi persuado della loro ragionevolezza e per sfogare, non fosse altro, il mio dispetto contro quella odiosa numerazione dell’ul- timo, penultimo ed antepenultimo, che sembra far mancare il respiro, ed obbliga il lettore ad un calcolo mentale che non serve se non a far perder tempo e divagare l’attenzione dal soggetto principale. [ms. pres. 11 settembre 1901 - ult. bozze 22 ottobre 1901]. SULLA GEOLOGIA DELLA PROVINCIA DI ROMA Comunicazione del dott. G. De Angelus d’Ossat I. Rinvenimento di ossa fossili presso la stazione ferroviaria di Fara Sabina. Presso la stazione ferroviaria di Fara Sabina e lungo la fer- rovia, nel territorio della provincia romana, in una cava di ghiaia, detta cava di Monte Maggiore, si estrassero, entro l’anno in corso, parecchie ossa fossili. I lavori hanno messo a giorno la seguente sezione: Terriccio vegetale. m. 1. Sabbie grossolane ad elementi vulcanici; m. 0.80. Ghiaie poligeniche ad elementi vulcanici ; m. 3. Sabbione argilloso, giallastro, con ciottoli e fossili d’ac- qua dolce e terrestri ; ni. 1.10. Sabbie con straterelli di augite a stratificazione irre- golare ; m. 1.80. Ghiaie talvolta cementate, con straterelli e lenti sab- biose e marnose (Fossili); m. 0.40. Sabbie ad elementi vulcanici; m. 2. Ghiaie e ciottoli poligenici, fra i quali alcuni di ar- gilla pliocenica marina. Totale m. 10.10. Era le ghiaie predominano le rocce del secondario ap pen- nino e specialmente le piromache. Fra i fossili spesseggiano le ossa appartenenti ai generi: Cervus ed Elephas; non manca il gen. Rhinoceros. Del gen. Cervus si trovarono molte corna e parecchi denti. Del gen. Rhinoceros vidi solo un molare inferiore. 446 G. DE ANGELIS d’OSSAT Del gen. ElepJias, oltre a notevoli frammenti di ossa lunghe, ho veduto un piccolo, ma intero, dente deciduo ed un frammento considerevole di molare superiore ancora attaccato ad una grande porzione del teschio, di cui è ben conservata solo la regione occipitale. L’esame dei denti assicura il riferimento della specie all ' Elephas antiquus Falc. Tutte le ossa sono fortemente corrose, addimostrando un su- bito trasporto. Evidentemente il giacimento di Fara Sabina è coetaneo a quelli conosciuti presso Roma, vicino ai ponti Salario e Nomen- tano; dove essi giacciono sopra il tufo litoide. II. Rinvenimento (li ciottoli (li argilla marina ai Campi (li Annibaie (M. Cavo). In una escursione, in compagnia del celebre vulcanologo Stitbel, ebbi la ventura di rinvenire, dentro i tufi peperinici dei Campi di Annibaie, parecchi ciottoli di argilla con fossili ma- rini, simili a quelli conosciuti lungo la Via della Stella fra Albano e l’ Ariccia. La località trovasi vicino alla biforcazione di due vie, di cui una conduce nel bel mezzo della pianura e l’altra al fontanile della Pentima, e proprio in quest’ultima dove essa corre incassata nel terreno, mostrando gli strati tufacei. [ms. presentato l’8 settembre 1901 - ult. bozze 21 ottobre 1901], i ESCURSIONI GEOLOGICHE AL VENEZUELA Nota dell’ing-. E. Cortese. Per circostanze speciali, ho dovuto fare un viaggio in questa interessantissima parte dell’America centrale, o meglio, meri- dionale. Le stesse circostanze, specialissime, mi hanno condotto a limitare a due mesi il mio soggiorno colà, e l’àmbito delle mie escursioni ad una parte molto limitata, verso Est, della costa e catena montuosa al Nord del paese. Cosi, mentre sarebbe razionale fare una descrizione geologica del paese, ordinandola per epoche e periodi geologici, mi con- viene invece descrivere, in ordine cronologico, le roccie e ter- reni veduti in varie regioni o centri di escursioni, e limitarmi a riassumere poi, in fine, in una serie cronologica, la classifi- cazione dei terreni veduti. Questa descrizione è corroborata da una collezione sistema- tica di campioni di roccie e minerali, che mi sono fatto un pi-egio e un dovere di offrire al E. Ufficio Geologico e che se, come spero, sarà ospitata fra le altre collezioni, sarà a disposizione degli stu- diosi in geologia, per controllare e correggere le mie determi- nazioni qui contenute. Queste correzioni io accetterò con piacere, tanto più sapendo non improbabile un mio ritorno in quelle regioni tropicali, che allora ne profitterei. Ciò posto, comincio a descrivere i nuclei da me visitati, cominciando da quello più ad Est e venendo poi verso Ovest. I. Carùpano e dintorni. Carùpano è nel centro della linea di costa, diretta da Est a Ovest, di quell’insieme di due penisole, quella di Paria all’Est 35 448 E. CORTESE e quella di Araya ad Ovest, che costituiscono come le due teste di un piccone da ferroviere, e che si allungano per quasi 250 chi- lometri fra le due punte estreme omonime. La città è comodamente adagiata in una insenatura o, se cosi si vuol dire, in una valletta che, colle sue influenti e le sue diramazioni, va al mare. Così è in piano ; ma fra i suoi quartieri stessi, fra le capanne della città medesima, sporgono e si introducono cocuzzoli e propaggini delle colline formate da roccie più antiche. E la roccia è la fillade caratteristica, scisto lucente grigio azzurrognolo, micaceo, alterato in rosso alla superficie, abbon- dantemente attraversato da filoni di quarzo. Roccia e filoni sono caratteristici; però qui, come in altre parti del Venezuela, ho trovato il quarzo intimamente unito alla calcite spatica, bianca talvolta, spesso gialla color ocra e perfino color ocra rossa, tale da sembrare, per lo splendido effetto dei clivaggi, del siderosio. Però si tratta sempre di calcite, bellissima per le sfaldature di clivaggio, e intimamente riunita, ripeto, al quarzo. Si direbbe che in questi filoni, di provenienza endogena, la natura avesse voluto preludere all’ indole degli abitanti del Venezuela, che, Indi dapprima, Ispano-americani dipoi, unirono sempre ad una mitezza straordinaria, una caparbietà o, se dir si vuole, un carat- tere, che in alcune circostanze si possono dire adamantini. E lo scisto lucente arcaico, ossia le filladi, identiche a quelle di Sicilia, di Calabria, di Sardegna, si trovano anche qui con tutto il cortèo di roccie, o la varietà di forme, che troviamo da noi. A Rio Caribe, sono i calcari grigi cristallini, intercalati fra gli schisti, e questi rossastri, come se il ferro contenuto fosse sovraossidato. Tutte le strade da Rio Caribe a Carùpano, Macarapàno, Chi- pechipe, sono nelle filladi, più o meno colorate in rosso, talvolta, assai pòco sempre, granatifere. A Quebrada di Piedra, al Sud di Carùpano, si ha una specie di cl anzi gite ; certo all’Encanto si hanno gli scisti della fillade fortemente granatiferi. Si tratta però, sempre, di granati molto piccoli e mai ho potuto vedere i granati, alterati sì, ma gros- sissimi, che si trovano in Calabria (o anche al Madagascar) nelle stesse roccie. A Portachuela si ha un vero micascisto. ESCURSIONI GEOLOGICHE AL VENEZUELA 4 49 Proseguendo verso Ovest, sopra Cariaquito e Muco, si tro- vano delle filladi con parti steatitose, verdastre, simili ad asbesto, e delle zone tutte attraversate da filoni di feldspato e di granu- lite, per cui ben assomigliano a quella che, per mancanza di un nome caratteristico, ho dovuto definire come « zona degli scisti vari di Pentone », nella mia descrizione geologica della Calabria. Veramente ad Ovest di Carùpano poi, sulla spiaggia di Giuria, abbiamo finalmente le filladi verdi, con filoni di quarzo, ossia le filladi anfiboliche, che tanto vediamo sviluppate nel circondario di Paola, in Calabria. Sempre, ad onta delle contorsioni che mani- festano, queste filladi pendono verso N., come se il sollevamento che ha portato la formazione della catena delle due penisole, fosse venuto dal Sud (*). Segue le sorti e la disposizione tettonica delle filladi, un calcare che si trova specialmente sopra Macarapàna, a Ollada, Maturincito, Sacamanteca, Portachuela, Encanto, Gran Pobre, Rivilla. Questo calcare è grigio, duro, cristallino, a grana minuta, tanto a Macarapàna e Ollada, che a Rivilla. Nella zona di mezzo, al Sud di Carùpano, cioè a Portachuela (o Toma), Encanto, e Gran Pobre, è un calcare a larghe lamelle, che ricorda molto quello della fiumara di Savoca, in provincia di Messina, o il marmo del Delfinato, mentre l’altro ricorda il calcare di Vil- lanova e della Liguria occidentale in genere. Il calcare non presenta fossili apparenti. Sui campioni con- tenuti nella collezione, i valenti colleglli del R. Ufficio Geologico potranno fare osservazioni speciali, formando delle sezioni sottili. Io sono propenso a ritenere questo calcare come assai antico, forse contemporaneo delle filladi, forse cambro-siluriano (2). Se però fosse anche triasico, e del trias superiore, o liasico, non (') Alla Bocca Grande, una delle bocche del Dragone, che separano la punta di Paria da Trinidad e sue isole, potei vedere, passando da presso col piroscafo, una sezione di filladi contorte, ma colla pendenza generale a N., come nel resto della regione. (5) Ad Est di Carùpano vi é una punta di scisti neri, non lucenti, con vene di quarzo, assomiglianti, identici direi, a quelli di Scalea e Diamante, in Calabria, e ad altri di Lavagna, che sembrano più recenti. 450 E. CORTESE sorprenderebbe, perchè la Liguria e la Calabria ci dànno il me- desimo esempio di calcari del Trias, forse anche del Lias, che accompagnano, nelle vicende geo-oro-tettoniche, le filladi, e si distaccano assolutamente dai terreni e depositi del secondario più giovane e del terziario. Passato Sacamanteca, passato il fiume della Toma, o del Calata], si vedono alcuni lembi isolati di arenaria, ma che hanno poca importanza; passato il colle di Chuparipal, e salendo a Santa Tecla, ci si presentano i calcari turoniani. Questi calcari, pieni di rudiste e altri fossili, sono di color grigio scuro, nerissimi quando sono bagnati e i fossili spiccano bene pel loro candore. Anche qui l’analogia è somma col cretaceo della Calabria del Nord, tanto vero che mi sembrava di essere ad Ajeta, in provincia di Cosenza. Un aquazzone, come ne cadono nei tropici, mi impedì, essendo a cavallo, e dovendo affrettare il passo, di prendere un cam- pione di calcare sabbioso, che mi parve contenere nummuliti, orbitoidi e scutelle, e che stava a immediato contatto col cal- care nero a rudiste, di cui aveva già passato una larga zona. Vicende di viaggio mi impedirono di passar dallo stesso punto, nè mai più potei incontrare lo stesso calcare, di cui parlo qui come di una imagine fugace, e solo a titolo di indizio. Certo è, però, che la formazione che segue immediatamente è quella delle arenarie gialle o rossastre, a grana quarzosa minuta e cemento siliceo, quelle stesse che da noi rappresentano l’oligocene. Contengono, come in Sicilia, della limonite, talora assai ricca e abbondante, come sulla cresta di Chaguarama; sono prive di fossili, e ben stratificate. Esse si stendono dalla cresta di Chaguarama, giù pel Sud, assai lontano certo; le mie esplorazioni si sono fermate qui, ed è questa l’ultima formazione che, inclinata a S., ho veduto in queste escursioni da questa parte. Tornando verso il Galatal e Portachuela, da ben diverso cammino, mi venne fatto di vedere, fra le arenarie e il calcare nero, a rudiste, una zona di manie dure, grigie, assai calcari, che mi sembrarono rappresentare Teocene medio (o inferiore), più per analogia litologica, che per ESCURSIONI GEOLOGICHE AL VENEZUELA 451 la posizione stratigrafìca, la quale però non ripugnava a quella ipotesi. A Chipechipe, e da ciò il nome della montagna, a 220 m sul mare, si trova una zona di conchiglie, specialmente bivalve, male o punto cementate in una argilla rossastra e sabbia bian- castra. A Carùpano, a Eio Caribe, e su tutta la costa, si trovano degli ammassi di tufo calcareo bianco, che si appoggia sulle roccie delle filladi, ne impasta i blocchi e stabilisce come un orizzonte, a poche diecine di metri, o meglio, pochi metri, sul livello del mare. Questo tufo pare fatto di foraminiferi, e non è coralligeno. Sono tentato a credere che esso sia il deposito di mare pro- fondo, sincrono a quello litoraneo di gusci di molluschi visto a Chipechipe. Sarebbe quaternario. Da questo tufo si ricava tutta la calce che si adopra a Carùpano e a Eio Caribe. L’abbondanza di gusci di molluschi di Chipechipe, che deve senza dubbio trovarsi in tutte le coste montuose disposte come questa, non meraviglia chi conosce queste regioni. Le spiaggie di mare sono addirittura formate di gusci di Cardium, Venus, Mitilus, Spondylus, Murex, ecc., ecc., tantoché si cammina sopra di queste, per chilometri, senza vedere, quasi, un ciottolo (i gusci di conchiglie si chiamano chipe-chipe). Nella valle di Eevilla (a Quebrada Jionda ) e a Maturincito, ho trovato dei lembi di travertino, formati allo sbocco di laghi, generatisi in quei punti, perchè ivi si avevano dei bacini chiusi, locali, e delle acque termali. Stando così le cose, la serie geologica dei dintorni di Ca- rùpano, sarebbe, dall’alto in basso: 1. Banchi di gusci di molluschi . . . . 2. Tufo calcareo (con foraminiferi) . . . . 3. Arenarie quarzose gialle o rosse (Calcari sabbiosi a scutelle?) 4. Marne dure grigio-azzurre Quaternario Miocene (Oligocene) Eocene 452 5. Calcari neri a rudiste E. CORTESE Cretaceo 6. Calcari cristallini a larghe lamelle, o a grana fina e duri 7. Filladi. Scisti lucenti granatiferi ecc., ecc. ? (Trias o Cambro-si- luriano)? (Arcaico). Evidentemente, come diremo poi nel riassunto, fra il Cre- taceo e i calcari cristallini, vi ha un hiatus, rappresentato da una faglia, che fu la causa per cui quelle roccie, emerse fino all’epoca cretacea, vennero bruscamente portate al fondo di un mare ove si deponevano calcari e vivevano ippuriti, sferuliti, acteonelle, ecc., ecc. Nel capitolo in cui parlerò dei minerali, descriverò i gia- cimenti metalliferi, e i soffioni idrosulfurei e geisiformi, che si trovano in questa regione. Darò qui un semplice schizzo geologico, semplicemente dimo- strativo e convenzionale, per dimostrare la posizione reciproca delle roccie e giacimenti descritti. Sezione geologica schematica dimostrativa della costa Nord del Venezuela. 3. Arenarie oligoceniche. — 4. Marne eoceniche. — 5. Calcari turoniani. — 6. Calcari cristallini. — 7. Filladi. II. Cumanà e dintorni. Cumanà è situata sopra un fiume, chiamato Manzanarès, e circondata da pianure salate, le quali insinuandosi fra le col- line con mille frastagliamenti, rappresentano le insenature che prima faceva il mare, e sono caratteristiche, tanto qui, come ad Araya, nei dintorni di Carùpano, a Eio Caribe, ecc., ecc. ESCURSIONI GEOLOGICHE AL VENEZUELA 463 Dei dintorni di Cumanà non ho visitato che le colline pros- sime alla città, le quali sono formate di un sabbione cementato da calcare, pieno di fossili recenti, di color bianco o legger- mente giallognolo. È veramente una panchina, che non saprei se mettere meglio quaternaria che pliocenica. Tuttavia, avendo trovato la stessa formazione alla Punta di Arava (Serro Barrigon, ecc.) vicino ad altra che è assolutamente pliocenica, propendo per mettere questo tufo conchigliare nell’astiano, ossia riferirlo al pliocene superiore. Nella penisola di Araya, abbiamo il Serro Barrigon, e tutta la estrema punta occidentale formati di questa panchina, che si eleva a 230 m sul mare. Sulla strada che da Manicuare va alla Salina di Araya, si trovano anche delle argille con concentrazioni e croste di gesso. Questo mi aveva fatto pensare ad una formazione mio- cenica, o per lo meno riferibile al piano pontico. Però il carat- tere schiettamente pliocenico dei fossili, la disposizione speciale, in croste o in noduli del gesso, l’immediato contatto del qua- ternario caratteristico e concordante, mi fanno propendere per la determinazione pliocenica di queste arenarie ■ e argille. Fra le arenarie, si ha un tufo bianco, con bracliiopodi, che pure è di aspetto pliocenico. Alcune emanazioni petroleifere, di cui parleremo più avanti, ben si concordano colla presenza del gesso e col sale che affiora dalle argille che ho dette plioceniche. Il quaternario è rappresentato da ciottoletti, male o punto cementati, con argille rosse frammiste, o sottostanti. I ciottoli sono preferibilmente biancastri, e sono di quarzo bianco, e di pegmatiti. Siccome le roccie a immediato contatto sono delle filladi, con filoni di quarzo bensì, ma non contenenti pegmatiti, si deve credere che questi ciottoli vengano da lontano, o che forse a quell’epoca l’attuale golfo di Cariaco non esistesse. Questo quaternario si estende abbastanza verso l’Est, tanto che da Manicuare lo si distingue per la tinta rossa che dà alle colline che sono lungo il golfo di Cariaco. 454 E. CORTESE Fra il quaternario però, spunta spesso il terreno fondamen- tale, che è della bellissima fillade, talora granatifera, con belli e grossi filoni di quarzo bianco, e altri, più caratteristici, di quarzo laminato, contenenti cristalli di un minerale colorato, che potrebbe essere staurotide, ma che non ho esaminato bene. Verso Araya, non si ha che una serie di insenature, chiuse da barre litoranee, simili a quelle che chiudono i laghi di Le- sina e Varano nel Gargano, o a quelle dell’Argentario, se si vuole. Con opportuni, per quanto primitivi, canali e tagli, attra- verso queste barre, si fa entrare l’acqua del mare e se ne ricava il sale. Parlerò, ripeto, più avanti, delle emanazioni petrolifere di Manicuare, e anche di altre manifestazioni di minerale, di cui mi fu parlato, ma che non vidi. Lo schizzo geologico della regione sarebbe tanto semplice che non sto a farlo qui, poiché tutti i membri della serie si riducono a: Ciottoletti - Marne rosse Tufo bianco a brachiopodi j Argille gessifere Panchina fossilifera \ Filladi e Scisti granatiferi Quaternario Pliocene Su- periore III. Guanta — Barcelona — Naricual. Chi viene a Guanta dall’Oriente, con un veliero e passa la bocca del Seno di Guanta, fra la punta orientale e l’isola di Caducamo, corre lungo una parete verticale, formata da un cal- care nero, i cui strati raddirizzati hanno le testate all’aria. Lo stesso calcare, in strati quasi orizzontali, forma il primo scoglio, e poi l’isola di Caducamo. Arrivati al porto di Guanta che, circondato da isole e punte, pare un lago, benché profondissimo, si vedono, sulla sinistra, ossia all’Est del porto, dei calcari marnosi lamellari, e delle marne dure, in strati raddrizzati, quasi come quelli del cal- care nero. ESCURSIONI GEOLOGICHE AL VENEZUELA 455 Sortendo dal porto di Guanta, ad Ovest, si vedono le isole di Bergantin e Chimènas, la Borracina col Borracko e i Borra- cliitos, identiche a quelle di Caracas e alla Piena, grande e pic- cola, che si estendono all’Est. Sono di una roccia stratificata, a strati contorti, ma principalmente inclinati di 15° a 0. Tutte sono formate da arenarie bianco-giallastre, o giallo rossastre, alternanti con pochi strati più marnosi, che sembrano, su una certa zona, contenere o dare per alterazione di piriti, deH’allume. La serie, dunque, è molto semplice, e cioè: Arenarie 0 ligocene Calcari marnosi e marne . . . Eocene Calcari neri Cretaceo sup. Tutto è rialzato, localmente, alla punta verso Caducamo, da una faglia diretta Est-Ovest. Le arenarie, essendo molto biancastre nell’ isola, nuda di vegetazione, di Borracka, e nelle altre che la seguono, come in alcuna delle Chimènas, queste, vedute da lontano, e illuminate dal sole, sembrano coperte di neve, gradevole illusione, ma fu- gace, per un viaggiatore dei tropici. Internandosi da Guanta, colla ferrovia che va a Barcelona e alle miniere di Naricual, si passa al piede di colline boscose, ma tutte fatte di arenarie gialle. A Porto la Cruz, si ha un promontorio, dove le emanazioni endogene di una frattura geologica ben definita hanno alterato le roccie, formato delle argille variegate per azione di endo- gena metamorfizzazione, e perfino creato delle cristallizzazioni di quarzo, con forme degne di studio, disseminate nelle stesse argille, che sono colorate dal giallo chiaro al vinato. Savane, ossia piani, salati, si intromettono qui tra le col- line, e si internano con sinuosità strane, rappresentanti quasi antichi fiords o golfi lunghi, come quello di Santafé, o altri che ancora si vedono nelle coste venezolane. Le roccie in posto, e non alterate, che si trovano progre- dendo al Sud, ad Araguita, Sabana de Perro, Bergantin, nel Naricual, nel Capiricual, nel Querecual e fino all’Aragua, che 456 E. CORTESE 10 sappia, sono sempre le medesime e cioè le arenarie quarzose dell’oligocene. In queste arenarie si trovano numerosi banchi di carbone, vero carbon fossile, accompagnati però, al letto, da marne con vene calcari, e al tetto da marne, per dimostrare come, pur essendo le arenarie un deposito littoraneo, la formazione del car- bone è dovuta a periodi di laguna o di palude. E poiché le lagune o paludi dovevano avere la configura- zione delle attuali sabane, è naturale che sia molto estesa la formazione di ogni banco di carbone, come infatti fu identifi- cato daU’esame degli affioramenti. Si sono veduti, da chi ha studiato quei banchi, per estrarne 11 carbone, fino a 480 affioramenti. Io, occupandomi solo dei banchi industrialmente coltivabili, perchè grossi, ne ho veduti : sei nel Naricual, due nel Capi- ricual, uno neH’Araguita, senza contare quelli minori, e quelli che, per essere troppo lontani dalle vie di comunicazione, non hanno valore. Siccome di questi banchi, concordanti cogli strati di arenaria, ho preso la direzione e la inclinazione, ho trovato che, mentre questa varia molto, quella non oscilla che fra E.S.E.-O.N.O e S.E.-N.E. Ne deduco che le arenarie oligoceniche sono qui, propria- mente, il terreno dominante e che, per quanto scrive il dottor W. Sievers, esse si prolungano al Sud nei piani e terrazzi ( Llanos - Mesas ) fino all’Orenoco (1). Tanta estensione, non andando disgiunta da una grande po- tenza, mi sono spesso domandato se queste arenarie, con qualche zona marnosa intercalata, non rappresentano piuttosto un periodo più lungo dell’oligocene e se non si formarono in tutto quello che decorre dall’eocene medio al pliocene, o per lo meno al miocene superiore. Data l’uniformità di regime dei mari tropicali, e la regione era anche allora, tropicale, ciò può essere. (') Sievers J. W., Zweite Eeise in Venezuela. Mittlieilungen der Geo- graphischen Gesellschaft in Hamburg. Voi. XII, 1896. ESCURSIONI GEOLOGICHE AL VENEZUELA 457 Lungo la ferrovia da Barcelona alle miniere, in località detta Acua caliente (Acqua calda, 50°), si ha un piccolo deposito di travertino, dovuto a questa sorgente calda, acqua contenente cal- care, acido carbonico e acido solfidrico. IY. La Guayra — Catia — Caracas. Viaggiando da Guanta alla Guayra, ciò che ho fatto, sempre per mare, a vela e a vapore, l’aspetto della costa ci dice già che siamo davanti a montagne di roccie cristalline. Il fatto è che non si trovano, colà, che le roccie delle nostre Alpi o dell’ Aspromonte e Peloro. Tutte le forme possibili dei micascisti si trovano al Rio Osorio, presso la Guayra, o salendo a Caracas. A Catia al mare si trova del gneiss, talvolta del vero gneiss occhiatino, e i campioni che ne porto di là potrebbero benis- simo portar il cartello di un campione alpino. A Catia del monte si hanno degli scisti calcari, o meglio dei calcari cristallini scistosi che assomigliano molto a quelli di Rio Caribe, ma anche a molti della Valtellina o delle Alpi piemontesi. Finalmente, al Calvario di Caracas, si trovano delle roccie verdi, unite a spato calcare, e con cristallini che non potei de- terminare, che sono le stesse nostre diabasi e roccie pirosseniclie delle Alpi. Per il resto dei dintorni di Caracas, non abbiamo colà che micascisti, superficialmente alterati, ma ben caratteristici. L’alterazione superficiale porta quella formazione di terra rossa, che è costante nei tropici, sopra alle roccie cristalline. Non mi fu dato di veder graniti. A Caboblanco si hanno dei depositi del pliocene superiore, identici a quelli di Manicuare, e di cui lo Sievers dà una nota di fossili, tolta da un lavoro del Martin, il quale li ritiene qua- ternari (1). ( 1 ) Martin K., Geologischen Studien iiber Niederlàndischer Westindien. Leiden, 1888. 458 E. CORTESE Esaminate così brevemente le formazioni geologiche che ho vedute nelle quattro zone di escursioni fatte da me, passerò ad esaminare i giacimenti geologici principali che si collegano alla orogenia della parte Nord del Venezuela. È d’uopo dire subito che,- il Venezuela in genere, la sua parte Nord in specie, sono regioni dolorosamente e spesso col- pite dal terremoto. Le case a un piano, costruite principalmente di legno, terra e paglia, dimostrano la tema che si nutre per quel flagello. Le ruine o le lesioni dei fabbricati a due piani, delle chiese, dei palazzi pubblici, dimostrano che quella tema è fondata. Questo fatto dei terremoti si collega assai bene col sistema di faglie che si riscontra in Venezuela a cui si deve la confi- gurazione del paese. Il sistema principale di faglie è infatti diretto da Ovest a Est, ed esso ha influito sulla conformazione della sua costa Nord, sulla configurazione delle due penisole di Araya e di Paria, e pure sulla disposizione del corso dell’Orenoco, da dove esso, rac- colti i varii affluenti che se ne disputarono lungamente il nome, corre regolato e profondo fino alla foce. Lungo linee dirette da Ovest ad Est, o prossimamente, cioè da Ovest un poco Sud, a Est leggermente Nord, troviamo alli- neate le direzioni delle roccie antiche e quelle delle terziarie ; troviamo le pareti del calcare fra Quanta e Santafé, le emana- zioni endogene delle solfare (Azufrales) di Chaguarama, l’asse del golfo di Cariaco e la costa settentrionale del golfo di Paria, con molte manifestazioni speciali, e una infinità di altri fatti e allineamenti geognostici speciali. Era necessario far precedere tuttociò, perchè nella esposi- zione che segue mi converrà riferirmi spesso a questi allinea- menti. I giacimenti ed emanazioni di materie utili, nella parte di Venezuela, da me visitata sono: Filoni metalliferi. Formazioni carbonifere. ESCURSIONI GEOLOGICHE AL VENEZUELA 459 Soffioni caldi e solfatare. Umanazioni asfalto-petroleifere. Esaminerò per ordine queste concentrazioni di sostanze utili. 1° Filoni metalliferi. Nei dintorni di Caracas, e tino ai pressi della Guayra, sono state domandate e colla locale facilità accordate, molte conces- sioni su filoni metalliferi, contenuti nei micascisti. Presso Caracas si parla di indizi cupriferi sopra 7 leghe di estensione. Questi non li vidi, e solo vidi, nelle roccie verdi del Calvario, alcuni cristalli di un minerale metallico incerto e inde- terminabile, data la poca quantità. Le concessioni della Guayra sono per piriti, per plonibagina, per galena, ecc., ecc. Non ho avuto occasione di visitare che una concessione, dove appaiono degli esili fìloncelli di pirite di ferro, talvolta sempli- cemente disseminata nella roccia, in modo da non formare filone. Al cannello, la pirite non mi ha dato nulla; è rimasto il dubbio, molto debole del resto, che possa contenere oro, in pic- cola proporzione, dubbio che tutti noi, viaggiatori dei tropici, emettiamo, forse suggestionati dall’idea che nei tropici in ge- nere, in America in specie, dove si vede del minerale metallico, esso possa contenere oro. Più ovviamente però parrai che si tratti di semplici piriti di ferro, come se ne hanno in tutte le roccie cristalline delle Alpi, senza che mai si sia pensato a ritenerle aurifere o, almeno, industrialmente aurifere. La grafite (plombagina) esiste realmente nei micascisti presso la Guayra; mai però la vidi abbondante in modo da incorag- giare, anzi nemmeno in modo da far nascere l’idea di una esca- dazione. Al Sud di Carùpano, invece, e all’Ovest, si hanno dei veri filoni metalliferi, che hanno alimentato delle miniere in passato, e forse saranno oggetto di attiva escavazione in avvenire. I campioni che ne ho portato in Italia sono sotto analisi. Può darsi che fra qualche tempo io possa darne l’analisi com- pleta. Al momento non posseggo nò i risultati delle analisi, nè 460 E. CORTESE l’ autorizzazione a servirmene, dopo avutili. In ogni modo, do qui la descrizione di quello che si trova in quelle località. All’Ovest di Campano, nella Ensenada Esmeralda, si trova un minerale di rame, che all’esterno è manifestato da azzurrite e malachite, ma che in profondità si vede essere calcopirite. E nelle filladi verdastre, diabasiche. Più vicino a Campano, nella baia di Guiria, si trova, nelle stesse filladi, un filone di materia argillosa, nerastra, in cui fu trovato un minerale complesso che, mandato ad analizzare, ri- sultò contenere del Vanadio. Ecco anzi l’analisi, che di esso mi fu presentata come fatta a New York, e che riferisco qui per solo debito di esattezza nelle informazioni : Rame 67 °/0 ! Argento 3 \fz °/0 Oro 0.05 °/0 Vanadio 0.008 °/0 . Passando più al S.-O., si trova a Revilla, Juan burro, ecc., ecc., sopra Cariaquito e Muco, del ricchissimo oligisto, che si accom- pagna più al calcare cristallino che ho descritto, che alle filladi. Il minerale è a grana fina e contiene talora molto quarzo, talaltra è puro, molto pesante e certamente assai ricco, tanto più che in alcuni punti passa alla magnetite. Questo minerale, quantunque ricco, forse al 65 °/0 e più, non ha valore, in causa del costo che avrebbe sul bastimento, dopo escavato e portato al mare. Sopra Cariaquito, nelle località dette Carmen e E1 Encanto, i ha della galena in filoni ben marcati, e talvolta in masse compatte. Più che altro si trova col calcare cristallino a grandi lamelle ed è essa stessa lamellare, talché, ad onta di quello che dicono localmente e in attesa dei risultati delle analisi, mi per- metto di ritenerla povera in argento e valevole solo pel piombo (1). Ve ne sono delle masse e filoni discreti. Proseguendo all’Ovest, sempre sulla stessa linea a Sud di Carùpano, si ha l’antica miniera di Gran Pobre, che mi sembra (') Vi si é trovato il 0.4% di argento. ESCURSIONI GEOLOGICHE AL VENEZUELA 461 ancora assai ricca in rame grigio, e quella del 2° Encanto e di Colombia, dai due lati di Cantinchù, dove si trovano delle piriti e calcopiriti, con mescolanza di galena al 2° Encanto, e affio- ramenti di malachite e azzurrite a Colombia. A quest’ ultima miniera, la pirite di ferro si mescola alla calcopirite. Si suppone che vi sia dell’oro, ed io, pur ammet- tendone possibile e facile la esistenza, non posso che attendere i risultati delle analisi dei numerosi campioni portati (*). A Maturincito, più all’Est, cioè, ho dovuto fare una gita, perchè mi segnalarono colà la esistenza di un grosso filone di calcopirite con galena. Quantunque vi sia colà degli indizi di filoni, tantoché nella fillade si trova una specie di porfido, e delle roccie di contatto alterate, non potei vedere nessun pezzo di calcopirite e solo, nel porfido, qualche mosca di galena. Duoimi, ripeto, di non poter ancora corroborare questa descri- zione con i risultati delle analisi sui campioni portati. In ogni modo, dei principali minerali si possono vedere i campioni, insieme con quelli delle roccie presso il Ii. Ufficio Geologico. Nella penisola di Araya, a Chaconata, mi fu detto che si trovano nelle filladi abbondanti filoni di minerale di rame con argento e oro. 2° Formazioni carbonifere. Il carbone si trova in strati intercalati fra le arenarie mio- ceniche, come abbiamo detto. La direzione dominante, nei banchi del Naricual, è da E. 20° S. a 0. 20 ' N. Nel Capiricual, troviamo un piccolo strato, che attraversa il rio a Calimàco, ed ha l’identica direzione ; altro, nella stessa vallata, alla Quebrada (vallone) Pirela, è diretto da S.-E. a N.-O., e finalmente il più importante, che è attraversato dal Capiricual, a monte, pare diretto E.-O., al pari di altri che si trovano nella stessa vallata, ancora più a monte. All’affioramento, sul monte, tutti gli strati della regione sono nascosti dalla forte vegetazione e dal terreno superficiale di C) Infatti si è riscontrato, finora, 1 grammo di oro per tonnellata. 462 E. CORTESE trasporto, formato da ciottoli e massi più o meno arrotondati. Non è che nei valloni (quebrade) che alcuni affioramenti, non tutti, sono posti allo scoperto, o lungo i rii, dove la erosione del fiume mette assolutamente a nudo il carbone. Questo è duro, compatto, a frattura scagliosa e lucente, molto più simile ad un carbone di Scozia che ad una lignite picea di cui non ha assolutamente nessun carattere esterno. Analizzato, questo carbone ha dato : Umidità 1.25 °/0 Ceneri 2.83 °/0 Parti volatili .... 38.63 °/0 Coke 58.49 % Potere calorifico . . . 9052. È dunque un combustibile eccellente, specialmente per mac- chine a gas o per caldaie a molti giri di fiamma. Al Naricual, nella miniera, si sta coltivando lo strato n° 5, che ha 2 m di spessore. All’epoca della mia permanenza colà, si è scoperto, colla traversa con cui si fa l’esplorazione del gia- cimento, altro banco grosso 3,10 ; ora si avanza in cerca dello strato n° 3, che fu conosciuto e lavorato agli affioramenti, dove aveva 2,80 di spessore ; oltre a questi, da questo lato, ossia, sulla sinistra del Naricual si conoscono molti strati, che hanno spes- sori varii, da 0,30 a 1,80. Tutti pendono da 55° a 35° a S. 20° O. Sulla destra si conosce uno strato di 2,60 di spessore, incli- nato di 60°, verso S.-S.-O. egualmente, e detto Vena Simplicio. La miniera è a 40 m sul mare. Nel Capiricual si conosce lo strato della Quebrada Pirela, grosso 1“, affiorante a 77“ sul mare, che pende 20° a S.-O. A 40“ sul mare, nel rio stesso, si vede il grosso banco di 2“, e più a monte: alla Quebrada Santiago, a 70 “, uno di lm, diretto E.-O., alla Quebrada Ramirez uno di 2“; e conquesti, come nel Naricual, gran numero di piccoli strati, messi a nudo dalle quebrade o dai fiumi. Come si vede, questa formazione carbonifera è assai impor- tante, e difatto si stende sopra tutta la estensione di 800 chi- ESCURSIONI GEOLOGICHE AL VENEZUELA 463 lometri quadri, e più, che il Governo venezuelano ha dato in concessione alla Compagnia italiana, che esercita le miniere, la ferrovia da esse per Barcelona a Guanta, e il molo di questo porto. Ma indizi di carbone, nelle stesse roccie, si trovano presso Puerto Cabello, e, più importante ancora, al Sud di Carùpano, tantoché si deve dire che le arenarie oligoceniche sono il vero terreno carbonifero di Venezuela. Di tutti i bacini, però, quello di Naricual è il più ricco per numero e grossezza di strati, ed è il solo coltivabile, poiché è rilegato al mare da una ferrovia, che fa parte della concessione Stessa delle miniere. 3° Soffioni caldi e solfatare. Questi si trovano specialmente al Sud di Carùpano, in una vallata detta di Chaguarama, dal nome di una palma che ivi abbonda. Si tratta di veri soffioni, di acque talora caldissime (95°), talora meno calde (65°), alcune fredde. I soffioni vengono in mezzo alle arenarie mioceniche, e for- mano delle chiazze bianche e nude, in mezzo alla lussureg- giante vegetazione della vallata. Dove l’acqua è calda bolle e il vapore esce soffiando, come nei soffioni boraciferi della Toscana. L’acqua ha sapore di acido solfidrico e di solfato di ferro. Talora, e specialmente quella calda, è carica di silice, che ab- bandona allo stato gelatinoso. Più abbondantemente le acque lasciano del fegato di solfo, o anche del solfo purissimo, concrezionato intorno ad un nucleo, o ad uno stelo. Le roccie attraversate da questi filoni sono le arenarie oli- goceniche colle loro marne intercalate. I soffioni hanno variamente alterato queste roccie, secondo la loro violenza o il calore delle acque. Le arenarie sono, diremo così, lavate, e divenute bianchis- sime. Alcune conservano la loro durezza, e solo sono un poco più spugnose, come se l’emanazione acida, attraversandole, avesse 3G 464 E. CORTESE sciolto ed asportato tutto quello che non era silice. Sono allora di bellissimo aspetto. Il quarzo delle venature è ridotto trans- lucido. In altre zone, più estese, l’arenaria è ridotta a un sabbio- niccio bianco, irregolare di grana, sciolto, ma non scorrevole. La marna è spesso trasformata in un fango nero, fetido, e il calcare che conteneva ridotto a gesso, amorfo o cristallizzato in piccoli ferri di lancia. Altre volte, le marne si mantengono compatte all’aspetto,, ma sono tutte attraversate da esili fenditure, tappezzate da pic- colissimi cristalli di pirite. I gruppi di soffioni sono tre: Buona Esperancia, Provi - denota e Foiosi. Alla Providencia e a Foiosi i soffioni sono ancora allo stato geyseriano, e non danno che silice concrezionata bianca tipica. Questa si trova anche nelle altre località, ed evidentemente, lo stadio geyseriano, cioè di soffioni intermittenti di acque sature di silice gelatinosa è il primo di quei soffioni, e in seguito viene quello in cui escono altri sali, coll’acqua, e l’acido solfidrico, che produce il solfo, è l’ultimo. In questo stadio, più che ai soffioni di acido borico, asso- migliano ai soffioni del Monte Andata (solforate, puzzolenti, ecc.); anzi, in molti punti si vedono le stesse marne colorate in vio- laceo, e stanno ad indicare dei soffioni esausti, esattamente come vediamo a Selvena e al Cornacchino, presso Castellazzara. Questi soffioni, detti Azufrales (solforate) sono distribuiti sopra una linea diretta da Ovest a Est, segnando esattamente una linea di frattura geologica. Sono dati in concessione ad una Società tedesca, detta ap- punto degli Azufrales del Venezuela. Per asportarne il solfo si sta costruendo una funicolare di 18 chilometri di percorso, che termina in mare a Carùpano e viene dall’Esperancia, splendido impianto fatto dalla casa Pohlig di Colonia, cointeressata nell’affare. L’ingegnere che ha studiato prima quei soffioni (Huhn), ha emesso la teoria che il calore che li caratterizza sia generato dalla ossidazione delle piriti di ferro che sono, dice, abbondan- ESCURSIONI GEOLOGICHE AL VENEZUELA. 465 tissime in profondità. Ed ha calcolato che vi sieno colà 2 mi- lioni di tonnellate di solfo. Non so se sia accettabile la ipotesi sulla generazione del calore che porta le acque a quel grado di temperatura. Le are- narie contengono della limonile, e specialmente li presso se ne trova di ricchissima. La limonite è spesso il cappello di grandi giacimenti di pirite, ma è un fatto che la pirite è sconosciuta, in grandi masse, in tutta la regione, e mai si trova nelle are- narie oligoceniche del Venezuela. I cristallini, minutissimi, che si trovano nelle marne, sono formati appunto dalla lenta penetrazione dell’acido solfidrico, fra le marne stesse, e quindi effetto, non causa, delle emana- zioni solfidriche. La emanazione passa prima per un periodo geyseriano, poi per un periodo di acque bollenti, che ancora portano silice, ma già portano un poco di solfo; finalmente si raffredda e porta solfo. I depositi di sabbione bianco, rappresentanti le arenarie metamorfosate dalle emanazioni calde, furono ripetutamente e profondamente scavate, per farvi i pozzi di fondazione e dei contrappesi di tensione della funicolare, e ciò in prossimità ad amfrales attivi. Ebbene: essi non contengono affatto solfo! Esaminando bene tutti i soffioni della Esperancia, mi sono domandato se vi era modo di raccogliere da essi 30 mila ton- nellate di solfo. E dato che la Providencia è ancora allo stato geyseriano, e che Potosì non è molto importante, o almeno assai lontano (10 chilometri), poiché la testa della funicolare va alla Esperancia, sono rimasto confuso, pensando che si spendono 2 milioni di lire in impianti, formazione di Società, ecc., ecc. Mi pareva impossibile che un errore così madornale potesse compiersi da ingegneri che sono generalmente molto profondi e pratici. Tuttavia, tornando sui luoghi, ristudiando e riflettendo fino ad oggi, mi sono sempre più convinto che il solfo è, colà, in piccolissima quantità. Ho scoperto io, invece, del cinabro, che esso sì può esistere colà, che è minerale ricco, e che se l’ ingegnere-direttore dei lavori ritroverà, darà alla sua Compagnia quel guadagno che non avrà certo dal solfo. 466 E. CORTESE 4° Emanazioni asf'a Ito-petr oleifere. È noto come l’ isola di Trinidad, lembo staccato dal conti- nente Venezuelano, è ricchissima in giacimenti di asfalto natu- rale che si trova riunito e si riproduce in bassure e lagune pros- sime al mare. A Guanoco e Guariquèn, fra i canos (canali) delle lagune che terminano ad Ovest il golfo di Paria, si hanno analoghe paludi, talmente ricche di asfalto, che non vi è che da racco- glierlo, e Tunica impurità sono le foglie che vi porta il vento. Su questi laghi di pece nera si cammina di notte, essendo l’asfalto compatto; di giorno ciò è impossibile, poiché il sole lo rammollisce, e allora lo si raccoglie a cucchiaiate. Analoghe formazioni e giacimenti di asfalto si hanno presso alla laguna di Putucual, ecc., ecc. Alla estremità orientale del golfo di Cariaco si ha una sor- gente calda e delle emanazioni di nafta e petrolio. A Manicuare, sulla riva settentrionale del golfo di Cariaco, di contro a Cumanà, e presso alla Salina di Araya, si hanno, in prossimità del mare, delle emanazioni petroleifere. Nelle immediate vicinanze del paese, verso Ovest, basta sca- vare un pozzino di 1 metro di profondità, nel terreno alluvio- nale per veder sorgere acqua con nafta e petrolio. In un’ora, da un pozzino di tal genere, ho ricavato 16 litri di acqua fetida e salata, con un litro e V, di un miscuglio di nafta e petrolio. Ad Est del paese, in alcune ricerche fatte per trivellazioni, si è avuto lo stesso prodotto. Si trova spesso fra i ciottoletti e le argille rosse del qua- ternario, delle punte di uno scisto nero, bituminoso, e degli ammassi di un’argilla bruno-nera fetida, imbevuta di idrocarburi. Il mare stesso puzza di nafta, e si vedono gorgogliare dal fondo delle bollicine di petrolio impuro, che viene alla super- ficie del mare e vi si distende. Stuzzicando con un palo il fondo del mare, specialmente dove, invece di ciottoli si ha della sabbia, si può provocare lo svolgimento di queste bolle. ESCURSIONI GEOLOGICHE AL VENEZUELA 467 Tutte le spiaggie da me visitate, cioè La JBréa (creta), il Muerto, ecc., ecc., sono in queste condizioni e sono persuaso che tutta la costa, fino a che si vede il quaternario dominante, è petrolifera. Questi idrocarburi, raffinati, danno dell’ olio pesante, lubri- ficante, della nafta propriamente detta, e del fotogene o petrolio, in grande quantità. È cosa molto interessante, perchè, trovate le linee di queste emanazioni e la loro legge di segregazione degli olii minerali, si potrebbe sviluppare, lungo le coste del golfo di Cariaco, una importante industria. Pare che a Piritu e a Puerto Gabello vi sieno altre emana- zioni asfaltifere, e nella laguna di Maracaibo molte petrolifere. CONCLUSIONI. Riassumendo, il Venezuela deve la sua configurazione oro- grafica, in modo speciale a linee di fàglia e di sollevamento, dirette prossimamente Est-Ovest, ovvero da Est, pochi gradi Sud, ad Ovest, pochi gradi Nord. I terreni antichi, cioè micascisti, formano la gran massa mon- tuosa degli Altos, che va da Puerto Gabello e Cabo Goderà, ca- tena lunga 220 chilometri, e larga solo 25 o 30, con cime alte 2500 (Picacho) e 2762 (Siila de Naiguatà). In una vallata, quella del Guayre, annidata colà, si ha Caràcas, a 950m sul mare. La depressione Valencia-Ocumare-Rio Cliico, corre nella stessa direzione, e lo stesso fa la Serrania del Intérior, che la separa dai Llanos che vanno degradando al Sud, fino alla valle del- l’Orénoco. L’altro gruppo montuoso, più ad Est, non ha più veri mica- scisti, ma filladi. Esse formano le due penisole di Araya e Paria, sopra 250 chilometri di lunghezza, con una larghezza talora ri- dotta a 10 chilometri. Qui abbiamo altezze minori; però fino alla punta di Paria, o poco discosto, abbiamo punte di 1100m di altezza. II golfo di Cariaco è separato da quello di Parìa, dall’istmo, largo circa 60 chilometri, e la cui spina dorsale ha un punto minimo che di poco si discosta da 100m di altezza. 468 E. CORTESE Questa depressione corrisponde a quella da Valencia a Eio Ciuco. Anche qui corrisponde poi una Serranìa dell’Interior, che va da Barcelona a Rio Caripe (non Rio Caribe) e in cui si ha come punto culminante, della sempre altissima cresta, il Turumiquìre (2040m). Al Sud di essa, di nuovo i Llanos, fino alla valle dell’Orénoco. I due sistemi montuosi, analogamente bifidi, sono separati dalla gran depressione di Piritu, nella quale, ossia nel golfo omonimo, sboccano molti fiumi, che han dovuto torcere a Est o ad Ovest il loro corso per lambire o uscire dalle due serrarne interne. Alle roccie antiche (micascisti, fìlladi e calcari che le accom- pagnano) che pendono, grossolanamente parlando, al Nord, si addossano, senza transizione, il cretaceo superiore e il terziario, pendendo più o meno generalmente al Sud. Questo dimostra che una dislocazione geologica brusca ha avuto luogo in una data epoca geologica, e sempre secondo linee dirette Est-Ovest, a un dipresso, riducendo i terreni antichi emersi ad isole lunghissime e strette, coll’asse diretto Est-Ovest, un ultimo abbassamento ha portato i terreni antichi, per una certa zona, al fondo di mari pliocenici superiori e quaternari, e per successivo sollevamento i depositi di quell’epoca emersero a Cumanà, Araya, Carùpano, ecc., ecc. II bradisisma ha continuato, e le insenature profondissime e capricciose, simili a quelle dei golfi di Santafè e di Guanta, colle loro isole, sono state colmate, ed abbiamo le numerose sa- bane salate di Carùpano (Praia Grande, Giurìa, Esmeralda, Puerto Santo) di Chaconata, di Araya, di Cumanà, di Barcelona, ecc., ecc., del pari che i Morri di Chaconata e di Pozuelos (Puerto la Cruz) non sono che isole collegate al continente, per l’emersione delle barre sabbiose, come è successo in Italia, per l’Argentario. Ecco perchè credo che il vaticinio di Humboldt ('), che l’istmo fra i golfi di Cariaco e di Paria deve sprofondarsi di nuovo, e le due penisole divenir nuovamente una lunga isola, mi sembra (l) Humboldt A. v: Beise in der Aequinotial Gegendes des Neuen Kontinent. ESCURSIONI GEOLOGICHE AL VENEZUELA 469 destinato a mai avverarsi, e che invece sarà la laguna di Ca- rneo, e i Canòs di Guariquèn e della Brea che si colmeranno. In ogni modo, le emanazioni endogene ( amfrales ), e sorgenti petroleifere, sono ben allineate secondo la direzione dominante nella orogenia di questa parte di America. Nell’istmo di Cariaco si trova un tratto di pianura, in cui, passando a cavallo, si sente un rimbombo, come se al di sotto vi fosse un vuoto, e perciò si chiama tierra hueca. Non fa mera- viglia, essendosi là nella zona asfaltifera e bituminifera, nè è ancora sufficiente a corroborare l’idea di una prossima disposi- zione di quell’istmo. Mi auguro di poter tornare al Venezuela e rimanervi più a lungo per dare una più completa descrizione della geologia del paese, di cui non ho potuto dare qui che un parziale e incom- pletissimo schizzo. [ms. pres. 20 agosto 1901 - alt. bozze 20 ottobre 1901]. LA GROTTA BELLO ZOLFO NEI CAMPI ELEGREI Nota del dott. Raffaello Bellini Nella parete settentrionale del Porto di Miseno, antico cra- tere, a livello del mare e riparata da una scogliera naturale, esiste una grotta scavata nel tufo verdastro, disseminato di pezzi di trachite; questo sito è importante perchè nel suo interno si manifestano intensi e caratteristici quei fenomeni d’attività sol- fatariana, che hanno reso celebre questo ridente lembo della Campania. La suddetta grotta, chiamata sul luogo Grotta dello Zolfo , è poco nota ; accennata per la prima volta da Scipione Breislak a pag. 295 della sua Topografia fisica della Campania, fu ancor meglio fatta conoscere da Arcangelo Scacchi nel 1849 ('), che ne studiò le sublimazioni; nel 1857 il Guiscardi (?) determinò esattamente la natura dei gas che vi si svolgono ed egualmente nel 1872 fece il Gorgeix (3); eccetto questi ricordi e qualche posteriore accenno superficiale (4), la Grotta dello Zolfo non ha avuto ancora una descrizione diffusa. Nel mese di maggio 1899, io ed il mio amico Dott. Ago- stino Galdieri, rintracciammo questa grotta e la visitammo, ripor- tando un primo saggio delle sublimazioni che abbondantemente (') Scacchi A., Memorie mineralogiche e geologiche sulla Campania, Napoli 1849. (2) Guiscardi G., Note sur les émanations gazeuses des Champs Phlégréens, Bull. Soc. Géol. de France, 2e sèrie, t. XIV, p. 633, 1857. (3) Gorgeix, On thè composition of thè vapours or gas escaping in thè Phlaegrean Fields and other places near Vesuvius, American Journal of Science and arts, III sei'., voi. IV, agosto 1872. (') Stoppani, Negri e Mercalli, Geologia d’Italia, parte III, p. 42. LA GROTTA DELLO ZOLFO NEI CAMPI FLEGREI 471 si formano lungo le pareti. Vi ritornammo qualche settimana dopo insieme al sig-. Prof. Bassani, che sono in obbligo di rin- graziare per i molti aiuti fornitimi ; in seguito vi andai un’altra volta col Dott. Cerio di Capri e muniti di scala potemmo rac- cogliere in grande abbondanza i bellissimi ed interessanti subli- mati, principalmente copiosi sulle pareti di destra e di fondo. L’esame di questi prodotti, di cui dirò qualche cosa, mi ha fruttato la scoperta di una sostanza sinora sconosciuta tra le sublimazioni flegree e vesuviane. Per accedere alla Grotta dello Zolfo è più comodo e più agevole recarvisi per mare, anzi sino al 1849, epoca in cui Scacchi scrisse le sue Memorie mineralogiche e geologiche sulla Cam- pania, era questo l’unico mezzo. Oggidì esiste anche un accesso per la via di terra, percorrendo un malagevole viottolo ed una serie di scoscesi e ripidi scaglioni. In ogni caso, il tragitto è sempre molto breve. L’altezza della grotta è considerevole, tanto più se parago- nata alla profondità ; nell’interno e verso l’apertura notansi varie pozze d’acqua marina, da cui continuamente gorgogliano abbon- danti bolle gassose e gas si svolge anche dal suolo della grotta. È notevole che l’acqua da cui si sviluppano questi gas non presenta per nulla una temperatura diversa da quella del mare che esternamente lambisce la grotta, vale a dire che l’emissione del gas avviene a bassa temperatura. Il Saint-Clair Deville, in una sua Nota in appendice alla sopracitata comunicazione del Guiscardi, ritiene questo fatto molto importante, giacche, sono le sue parole, ce point serait le seni point volcanique, à ma connaissance où V acide sulphydrique se de'gagerait uvee une cer- tame abondance à une basse temperature. Il gas suddetto si svolge senza essere unito o mescolato a vapore acqueo e secondo Scacchi sarebbe questa la ragione per cui la roccia, che internamente costituisce la grotta, rimane, contrariamente a quanto osservasi alla Solfatara, immutata di colore e per nulla alterata. Il Guiscardi ha analizzato il gas raccolto nelle pozze all’in- gresso della grotta il 2 marzo 1857 ed ha ottenuto i seguenti risultati su tre analisi: 37 472 R. BELLINI 1* analisi 2a analisi 3» analisi h2s 88,8 85,7 86,8 C02 9,0 9,6 ) 0 ed Az A V • 13 2 100,0 100,0 100.0 I risultati avuti dal Gorgeix sono i seguenti : raccolto aU’ingresso della grotta Gas raccolto nell'interno H0S 4,7 h2s 5,7 co2 88,8 co2 87,8 0 0,7 0 0,7 Az (impuro) 6,4 Az (impuro) 5,8 100,0 100,0 La sproporzione notevole che si osserva nelle due analisi riguardo alla quantità percentuale dell’idrogeno solforato e del- l’anidride carbonica non deve meravigliare; la natura, l’emis- sione e la quantità dei gas che svolgonsi in un luogo vulcanico non sono mai costanti e ciò tanto maggiormente è da notarsi in quanto che l’analisi del secondo autore è stata eseguita a quindici anni di distanza da quella del Guiscardi. In tutte le emanazioni gassose dei Campi Flegrei osservasi la presenza dell’anidride carbonica, ultima manifestazione del vulcanismo morente; ma l’acido solfidrico si trova quasi esclu- sivamente alla Solfatara e più in abbondanza relativamente alla Grotta dello Zolfo; come pure sono queste le due sole località dei Campi Flegrei in cui notansi sublimazioni abbondanti, varie ed interessanti. Quelle della Grotta dello Zolfo sono le seguenti: Zolfo — A giudicare dal nome della grotta quest’elemento dovrebbe trovarsi in una certa abbondanza; invece, nel 1849, Saccchi ne notava la completa assenza tra i sublimati di questo luogo. Attualmente però lo zolfo, se non copioso, per lo meno non è scarso, segno quindi che la formazione di questo metal- loide è periodica e forse, a mio modo di vedere, potrebbe coin- cidere con i periodi in cui è massima l’emissione d’acido solfi- drico. Lo zolfo sublimato della grotta non offresi sotto forma di quegli elegantissimi e brillanti aghetti trimetrici rivestenti gli I LA GROTTA DELLO ZOLFO NEI CAMPI FLEGREI 473 spiragli della Solfatara, ma è amorfo, polveroso ed incrostante, mostrantesi all’aspetto come avesse subito un raffreddamento dopo una fusione. Credo che ciò possa dipendere dalla completa as- senza di vapor acqueo nella emissione d’idrogeno solforato. V allume potassico o Palmite , Dana (K2 S04 . Al., S3 012 4- 24 H, 0) e Vallumogeno, Beud. (Al2 S3 012 4- 18 H2 0) sono in intimo miscuglio e formano un’incrostazione d’aspetto granuloso e di splendore subvitreo. lì alotrichite, Glocker (Fe S04. Al, S3 012 4- 22 H2 0) si pre- senta anche con una certa frequenza. È notevole anche l’esistenza della Voltaite , Scacchi (Fe S04. Fe, S3 012 4- 24 H20) scoperta per la prima volta da Scacchi alla Solfatara ; ma nella Grotta dello Zolfo si mostra in minima quan- tità. sotto forma di esili venature. Misenite , Scacchi (K„ S04. H2 S04). — Bisolfato potassico sco- perto in questo sito dal Prof. Scacchi nel 1840. Ha aspetto fibroso, lucentezza debolmente sericea, colore bianchiccio. Forma sulle pa- reti della grotta delle croste spesse circa mezzo centimetro 0 fibre poco aderenti. La sua soluzione acquea dà con cloruro di bario e con cloruro di platino i caratteristici precipitati dell’acido sol- forico e del potassio. Un’altra sostanza, sinora non rinvenuta ancora, merita una descrizione alquanto dettagliata. Essa si raccoglie principalmente lungo la parte bassa delle pareti sotto forma di laminette sparse sulle sublimazioni d’al- lume e d’allumogeno, diffuse od addensate in guisa da costituire delle massoline gremite di tali laminette splendenti e di lucen- tezza grassa e perlacea; il loro colore è giallo-verdastro. In molti casi le laminette non sono visibili, ma la sostanza forma piccolissime agglomerazioni, opache e ricoperte 0 diffuse in altri sublimati. Le laminette souo fragili, mostrano un contorno esa- gonale, in pochi casi nettamente visibile, e qualche volta un accenno di vertice ; in dimensione non sorpassano mai il dia- metro di mezzo millimetro ed hanno la massima sottigliezza. All’aria sono inalterabili. Il loro modo di comportarsi ai saggi chimici è il seguente : Saggio per via secca. — Trattata sul carbone la sostanza che forma le laminette si riduce in minime scagliette nere e 474 R. BELLINI magnetiche. Con la perla di borace si è avuto il vetro gialliccio nella fiamma ossidante e verde bottiglia in quella riducente. Sono queste le reazioni del ferro. Nei tubi di vetro, aperti e chiusi, si è avuta perdita d’acqua (!) e nel saggio per la colorazione della fiamma non si è ottenuto alcun risultato. Saggio per via umida. — Le laminette sono insolubili nel- l’acqua fredda, ma portando il liquido all’ebollizione, il loro colore passa dal giallo al rossiccio ; versando nel tulio qualche goccia d’acido cloridrico la soluzione si schiara e diventa limpida. Questa soluzione ha dato le caratteristiche reazioni dell’ossido ferrico (Fe2 03) con l’idrato potassico, il ferrocianuro potassico ed il solfocianuro dello stesso elemento ; si è avuto, vale a dire, un precipitato voluminoso e fioccoso rosso-bruno di perossido di ferro idrato con il primo reattivo, dopo d’aver saturato l’eccesso d’acido del liquido ; un precipitato azzurro intenso col secondo e la colorazione rossa speciale col solfocianuro in soluzione acida. Con i reattivi degli acidi non si è avuto alcun risultato; solamente in un primo saggio si notò un precipitato granelloso col cloruro di bario ; ma ciò derivò dall’essere le laminette me- scolate con un poco d’allume su cui sono impiantate; ma lavate accuratamente in acqua questa reazione non si è più avuta. E che non si tratti di sali di ferro ci viene anche assicu- rato dalla inalterabilità della sostanza all’aria ed alla luce, mentre i composti salini di ferro sono alterabili, deliquescenti o mostrano caratteri fisici diversi. Così pure resta escluso che possa trattarsi di un composto binario di ferro con solfo o con arsenico, perchè le laminette, isolate e lavate con la massima cura, non hanno dato traccia di questi metalloidi. Da tutti questi saggi iniziati chiaramente poteva dedursene che nella composizione della sostanza della Grotta dello Zolfo entrava in grande abbondanza, se non esclusivamente, l’ossido ferrico e di ciò ho potuto convincermene con un saggio quan- titativo. (') Dovuta airallume di cui tracce e granelli rimangono sempre mescolati. LA GROTTA DELLO ZOLFO NEI CAMPI FLEGREI 476 Saggio quantitativo. — Ho scelto un frammento abbastanza voluminoso d’incrostazione ed ho isolato alcune delle piccole masse formate dall’ agglomeramento delle laminette, in modo d’aver la sostanza più libera possibile dalle particelle d’allume; con tutto questo però, data la eccessiva scarsezza e la difficoltà desolarla del tutto pura, ho potuto raggranellare trenta centi- grammi delle laminette sublimate. Ho sciolto il minerale in acido cloridrico diluito e caldo e poi ho precipitato l’ossido ferrico con ammoniaca ; il precipitato lavato, filtrato ed essiccato alla lam- pada fu indi pesato. La differenza fra il primo ed il secondo peso fu di gr. 0,053; vale a dire che s’erano avuti più di cinque centigrammi di perdita su 30 centigrammi della sostanza. Come conseguenza di tutti i saggi eseguiti se ne può dedurre che la sublimazione in parola sia costituita da ossido ferrico. Ciò è provato oltre che dai saggi escludenti altre combinazioni, principalmente dal modo di comportarsi in acqua bollente. I cinque centigrammi di perdita possono esser trascurati, essendo andati dispersi sia per le perdite durante le operazioni, sia perchè nessun minerale è chimicamente puro, e poi sono da calcolarsi le altre impurità meccanicamente unite, che non pote- rono completamente separarsi a causa del difficile isolamento delle lamelle dai sali in cui sono diffuse (1). In conclusione dirò che non conosciamo alcun minerale vesu- viano e flegreo, e forse nessuna delle specie o varietà principali note, che possa assomigliarsi alla sostanza della Grotta di Mi- seno per l’insieme della composizione e caratteri. In ogni caso è nettamente distinta per il suo aspetto, per la gran proporzione d’ossido ferrico (82 °/0 e più), per la speciale condizione del suo giacimento. M’auguro di poterne raccogliere in maggior quan- tità e quindi eseguirne analisi minuta, affinchè sia possibile con maggior esattezza stabilirne il posto nella serie dei composti ferrici naturali. Intanto ho creduto darne notizia preliminare, facendo notare come forse la sostanza della Grotta di Miseno possa esser considerata una varietà di ematite. [ras. pres. settembre 1901 - nlt. bozze 23 ottobre 1901]. (') Recatomi ultimamente alla Grotta dello Zolfo rinvenni la sostanza lamellare di gran lunga diminuita in quantità. SULLA POSIZIONE ED ETÀ DEL MACIGNO DEI MONTI DI CORTONA Nota del prof. G. Trabucco In una recente pubblicazione del prof. Gr. Bonarelli (Miscel- lanea di note geologiche e paleontologiche per Vanno 1900, Boll. Soc. Geol. Italiana, Yol. XX, 1901, pag. 219, 223, 226) si leg- gono, tra l’altro, le seguenti notizie e cioè: 1° La delimitazione tra Teocene ed il cretaceo in vai Seri via ed in vai Polcevera, segnata dal prof. Sacco nella sua Carta geol. dell’App. settentr. (parte centrale), è approssimativamente esatta. 2° Il macigno dei monti Cortonesi e della regione com- presa fra il bordo orientale del Trasimeno ed i monti del Pe- rugino appartiene all 'oligocene. 3° I castagni ed i corbezzoli si trovano nell’Umbria, salvo poche eccezioni, soltanto nelle plaghe arenacee oligoceniche (casta- gneti dell’alta valle Tiberina, del Cortonese, del Trasimeno, ecc.), mentre difficilmente allignano nei terreni eocenici. Mi duole (come ho già in parte espresso verbalmente in una seduta del Congresso tenuto in Acqui) di non essere d’accordo coll’egregio collega e ne dirò brevemente le ragioni. I. Non credo esatte le carte geologiche del prof. Sacco sull’Ap- pennino, specialmente poi per quanto riguarda la delimitazione tra l’eocene ed il cretaceo, perchè lo stesso autore : a) Ascrive esclusivamente alla creta tutte le argille gale- stine e scagliose, che appartengono invece in parte alla creta stessa ed in parte ai tre piani dell’eocene ; d’onde poi ne con- segue necessariamente la distribuzione a caso delle rocce della serie eocenica e cretacea. POSIZIONE ED ETÀ DEL MACIGNO DEI MONTI DI CORTONA 477 Così, senza parlare d’altro, egli arriva a questa erronea con- clusione: colloca nel parisiano la zona arenacea (arenaria ma- cigno dell’Appennino) e nella creta la grande zona delle argille galestine e scagliose, la quale (jiace in concordanza sul ma- cigno stesso, che costituisce la base dclVeocene. b) Colloca esclusivamente nella creta tutte le rocce verdi recenti ( serpentina , diabase, cufotide, ecc.), mentre è oramai indubitato che le medesime stanno intercalate colle rocce dei tre piani dell’eocene, specialmente nella grande zona suesso- niana delle argille galestine e scagliose, la quale riposa in con- cordanza sul macigno. II. Non credo che il macigno dei monti Cortonesi e della regione compresa fra il bordo orientale del Trasimeno ed i monti del Perugino appartenga al V oligocene, ma che, al contrario, costi- tuisca, come altrove, la base dell focene e debba attribuirsi al piano suessoniano. Infatti contiene gli stessi fossili (N. Fiesolana, N. Cocchii, ecc.) del macigno suessoniano del bacino di Firenze ed in genere dell’Appennino, mentre stratigraficamente sopporta in discor- danza quasi dovunque, come ognuno può constatare, il calcare nummulitico parisiano (granitello o calcare screziato) a Litli. nummuliticum, N. curvispira, A. mamillata, 0. complanata, ecc. III. Chi ha percorso i nostri monti, sa benissimo che i castagneti deìl’Appennino, non esclusi quelli dei monti di Cortona, ecc., crescono rigogliosi quasi esclusivamente sulle grandi plaghe del macigno eocenico, anzi suessoniano, e che il castagno , pianta cal- cifuga per eccellenza, segna nelle stesse plaghe il limite tra il macigno suessoniano ed i calcari alberesi eocenici soprastanti così bene, come nessun geologo potrebbe meglio. Dove cessa il macigno eocenico, cessa come per incanto il castagno ! [ms. pres. 8 settembre 1901 - ult. bozze 20 ottobre 1901]. APPUNTI GEOLOGICI SUI DINTORNI DI POTENZA Nota del dott. Giuseppe Capeder Il largo contributo portato recentemente alla geologia delle provincie meridionali e principalmente della Basilicata dal De Lo- renzo (’), dal Baldacci e dal Viola, servì a chiarire la costituzione geologica di quelle regioni, le quali, per la difficoltà delle comu- nicazioni, restarono per tanto tempo geologicamente poco note. Per opera loro, e solo in questi ultimi anni, si scoprirono affioramenti di terreni non prima sospettati e di grande impor- tanza per la determinazione della tettonica generale dell’Ap- pennino. Durante la mia dimora a Potenza, ebbi agio di percorrerne i dintorni collo scopo di osservare, se i potenti affioramenti del trias, che quivi si riscontrano fossero in qualche punto fos- siliferi, come già il De Lorenzo aveva riscontrato pel versante di Lagonegro e per studiare i rapporti che avevano col trias specialmente i depositi superiori terziari. Debbo però subito affer- mare, che ogni speranza ed ogni ricerca per trovare dei fossili in quel terreno andò delusa e solo dovetti accontentarmi di osser- vare i limiti e l’estensione degli affioramenti di questo terreno importante per quella limitata regione. (') De Lorenzo G., Osservazioni geologiche sui dintorni di Lagonegro, E. Acc. Lincei, novembre 1892. Id., Sul trias dei dintorni di Lagonegro in Basilicata, 1893, Atti R. Acc. di Se. fis. e nat. di Napoli. Id., Le montagne mesozoiche di Lagonegro, 1894, Id. Id., Osservazioni geologiche sul tronco ferrod ir io Cas ilb nono -Lago - negro, R. Istit. d’Incoragg., Napoli, 1894. Baldacci L. e Viola C., Sull’ estensione del trias in Basilicata, Boll. R. Comitato Geologico, n. 4, 1894. APPUNTI GEOLOGICI SUI DINTORNI DI POTENZA 479 Il grande sviluppo poi dei terreni terziari a N. di Potenza e la loro ricchezza in fossili, mi indusse a curare maggiormente questi ed a ricercare qualche giacimento fossilifero che mi presen- tasse materiale per un elenco sul quale fondare qualche concetto sulla stratigrafia e sulla natura del terreno di quella regione. * * * Potenza è una piccola città, posta, come quasi tutte le città della Basilicata, su di un poggio allungato da S.-O. a N.-E., limi- tata perciò ed impedita di allargarsi dal ripido declivio della collina, sistemato a terrazzi ed a scarpate di acacie, onde im- pedire il facile franarsi. Quest’altura è in parte formata da conglomerati grossolani e in parte, specialmente alla sommità, da argille giallognole riferibili al terziario. La mancanza di fossili m’impedì di stabi- lirne l’età precisa, però dall’aspetto fisico di quei depositi pa- ragonati ai circostanti terziari, sarei condotto a riferirli al pliocene. Il pliocene dilaga da Potenza verso S. a Poggio Cavallo, a ttraversando il Basento ove viene ricoperto dalle alluvioni ; ai piani di Ciardilli, alla Serra di S. Mauro e nel vallone di Pi- gnola che fa fronte all’Arioso. Verso E. si estende assai meno, poiché già al poggio del Bersaglio si trovano affiorare potenti banchi di calcari, la cui età potrebbe essere con molta proba- bilità riferita al cretaceo. Così, al piano la Mattina di Potenza, alle macchie di S. Luca fino a Brindisi di Montagna ed a Va- glio, ove cominciano ad osservarsi sovrapposti al cretaceo dianzi accennato, dei conglomerati grossolani. Il calcare cretacico che affiora ampiamente ad E. e N.-E. di Potenza, mentre a S. viene direttamente coperto dai terreni terziari, è generalmente privo di fossili determinabili, solo nel vallone di Riofreddo, sul declivio della Costa della Cerasa del M. Grosso, potei osservare numerose impronte di Gystocistites Orsinii Menegh. Sulla strada di Vaglio e precisamente oltre la stazione per salire al paese, osservai potente sviluppo di un’arenaria azzur- rognola, compattissima, priva di veri fossili, ma con molte im- 38 480 G. CAPEDER pronte, alcune forse accidentali, altre indubbiamente riferibili alla Helminthoidea labiryntìiica. Dappertutto poi, abbondantis- sime le alghe filiformi di dubbia determinazione. Al poggio del Bersaglio ed in tutto il bacino del Riofreddo, ai piani la Mattina ed oltre, affiorano le argille scagliose, con impronte di alghe (Zoophicos) prive di altri fossili, sicché i cal- cari rosei del M. Piatamone, del poggio del Bersaglio, ecc., rap- presenterebbero la parte superiore del cretaceo, e le argille sca- gliose potrebbero rappresentare la parte inferiore dell’ eocene secondo alcuni, mentre secondo altri queste dovrebbero ancora appartenere al cretaceo. Come che sia, i calcari nummulitici vengono a coprire direttamente quelle argille scagliose. In molti luoghi, particolarmente a Pietracolpa, alle argille scagliose va- riegate sono intercalate zonule di calcari rosso-vinati ed altre di ossido di ferro rosso-sangue. A S. di Potenza il cretaceo non affiora, ma i terreni ter- ziari si appoggiano direttamente sul trias che quivi assume im- portante sviluppo, formando quasi totalmente la massa di monti assai elevati, quali il Monteforte 1446m, la Serranetta 1477m, il M. Pierfaone 1730ra, ed altri. Quivi soltanto osservai qualche lembo di roccia, molto in basso però, che forse deve ascriversi al cretaceo al M. Piatamone sopra citato, sulla strada fra Po- tenza e Pignòla, sotto forma di un calcare grigio-rossastro, com- patto, divisibile secondo piani determinati, nel quale si vedono, benché rare, impronte di alghe filiformi. Il trias nella regione in discorso si presenta con una facies, che seguendo la classificazione dei terreni triasici proposta dal BittnerQ), corrisponderebbe al piano Ila, alle falde della Cro- cetta, a Monteforte, al M. Pano di Tito; vale a dire sotto forma di scisti silicei, leggermente inclinati aH’orizzonte, varicolori, prevalentemente rossigni, simili ai diaspri a radiolarie, con no- duli di selce bianca, porcellanica, privi di fossili macroscopici determinabili; essi sono molto fragili fa per unacile scistosità in direzione parallela e normale agli strati. (') Bittner A., Zur neueren Literaf.ur der aìpìnen Trias. Jahrb. fi- li. k. geol. Reichs, 1894. APPUNTI GEOLOGICI SUI DINTORNI DI POTENZA 481 Al M. Pierfaone, alla Serranetta, alla Serra di Riofreddo, fra Pignòla ed Abriòla, abbondano invece i depositi triasici appartenenti al piano 116 del Bittner, formati cioè da calcari bianchi, cerulei, nerastri, con vene e lenti silicee ; a questi inter- calati grandi noduli di scisti silicei varicolori. Ho raccolto alla Serranetta dei belli esemplari di roccia, interessanti per le vena- ture e per il clivaggio che nei frammenti dà luogo ad una forma che molto si avvicina a quella di un romboedro. Il trias si continua potente colla facies Ila, ad 0. di Potenza, ove si scorge nelle parti più elevate dei M. Lifoy di Picerno, a S. Angelo le Fratte, alla Serra Murgia Ponga, alla Serra delle Scagliole, alla Serra del Femone ed a Vietri di Potenza, e qualche affioramento ancora scorgasi verso N.-O. presso Avigliano, nei monti Lifoy di Ruoti ed al Montocchio, ove in breve scompare coperto dai potenti strati delle argille scagliose e dei calcari nummulitici. A N.-E. di Potenza, i depositi terziari hanno limitata esten- sione e furono In massima parte asportati, sicché già sui piani la Mattina, affiorano le sottostanti rocce cretacee, colla mede- sima facies caratteristica delle regioni circostanti ove compare questo terreno, cioè di calcari bianchi o rosei, privi di fossili. Esso si estende potente pel piano dello Zucchero, piano Grande e Serra Coppole. Sicché concludendo a S., ad 0., S.-O. e N.-O. di Potenza, affiorano gli scisti triasici; a S.-E., ad E., a N.-E. e N., affiorano i calcari cretacei, in parte coperti a N. dal plio- cene, e nell’ampia conca delimitata tutt’attorno nelle parti ele- vate da questi terreni appoggiano i terreni terziari, i quali vengono perciò ad essere così in gran parte delimitati e circo- scritti. Gli è appunto in questo bacino che io raccolsi i fossili ter- ziari dei quali darò più avanti un elenco, lasciando alla cor- tesia del sig. Prever (‘) la determinazione dei fossili dell’eocene, rappresentati specialmente da nummuliti, che potei raccogliere numerose ed isolate, per aver trovato un giacimento ove la roccia era in completo sfacelo. (') Prever P., Cenni preliminari sitile nmnmulitidi dei dint. di Po- tenza. Boll. Soc. Geol. It., XX, 1901, fase. 3°. 482 G. CAPEDER Nel bacino del quale ho dato i limiti approssimativi, com- presi cioè ad 0. fra i M. Lifoy di Picerno e M. Pano di Tito ; a S. fra il M. Pierfaone, Pignola, M. Serranetta e Brindisi di Montagna; ad E. fra Brindisi e Vaglio; a N. fra Vaglio, i piani la Mattina, il piano dello Zucchero e Montocchio, ho potuto distinguere del terziario l’eocene ed il pliocene rappresentati tipicamente ed interposto poi in qualche località probabilmente il miocene, del quale però non avrei trovato che qualche lembo che rappresenterebbe del miocene il solo orizzonte inferiore. L’eocene è molto potente e sviluppato a N. di Potenza, ove affiora sotto forma di calcari nummulitici e di scisti argillosi ricchi in fucoidi. Le località che dettero maggior frutto in quanto a nummuliti sono poste fra Potenza ed Avigliano, e precisa- mente nelle regioni di Piscone Pezzato m. 998, della Spina di Potenza m. 1197, di Montocchio m. 1153 e della M.a Abruz- zese m. 1012, ove i calcari subirono più che nelle località vicine un’alterazione profonda per lo spessore di qualche dm, che con- vertì la roccia in una polvere bianca, idrofila, tenace, simile alla calce spenta, nella quale si ritrovano le nummuliti libere ed affatto inalterate. L’eocene non affiora nè a S., nè ad 0., nè ad E. di Potenza, perchè viene tutt’attorno coperto dalle marne plioceniche, che variano di facies a seconda della loca- lità, passando in senso verticale dal basso in alto gradualmente dai conglomerati a grossi elementi rotolati ricchi in Ostree, ad arenarie giallognole, compatte, con Pecten, ad argille azzurre e gialle, quasi prive di fossili. Le località plioceniche fossilifere sono le seguenti: Poggio Cavallo, m. 837, arenaria giallognola a grana fina, compattissima, che racchiude rari ciottoli rotolati; vi ho tro- vato i fossili seguenti: Anomia ephippium L. - Pecten J acobaeus L. - Aequipecten scabrellus Lk. - Aequipecten opercularis L. - Flabellipecten Bos- niashii de Stef. e Pant. - Spondylus gaederopus L. - Terebra- tula sp. - Balanus sp. Per la grande ricchezza di Pecten, questo si può considerare come un vero banco a pettini, molto esteso in senso orizzontale e verticale. APPUNTI GEOLOGICI SUI DINTORNI DI POTENZA 483 La Crocetta: m. 774: argille gialle ed azzurre, in parte debolmente cementate, coi seguenti fossili: Nassa eurosta Font. - Natica millepunctata Lk. var. fulguro- punctata Sacc. - Ranella marginata Mart. - Cernina compressa Bast. - Corbula gibba Oliv. - Trigonostoma ampullaceum Br. - Bonellitia evulsa var. taurinia Bell. - Haustator vermicularis Br. - Anomia ephippium L. - Aequipecten scabrellus Lk. - Ae- quipecten opercularis L. - Flabellipecten flabelli f or mis Br. - Mytilus scaphoides Brn. - Mocliola adriatica Lk. - Modiola in- termedia For. - Ledina fragilis Ckemn. - Nucula piacentina Lk. - Actinobolus antiquatus L. - Tracliycardìum multicostatum Br. - Trachycardium erinaceum Lk. - Lajonkaireia rupestris Br. - Tapes eremita Br. - Ventricola casino, L. - Panopaea glycimeris Boni. - Solecurtus candidus Rem. - Azor antiquatus Pult. - Cupularia sp. - Oxyrhina hastalis. Macchia Romana, m. 821: argille azzurre, poco fossilifere, e Pietracolpa, m. 910: argille e marne gialle, ricche dei fossili seguenti : Nassa crebricos fidata Bell. - Nassa familiaris May. - Natica millepunctata Lk. - Ranella marginata Mart. - Corbula gibbo Oliv. - Murex torularius Lk. - Strombus coronatus Defr. - Sveltici varicosa Br. var. pertypica Sacc. - Trigonostoma am- pullaceum Br. - Torri iella incannata Br. - Zaria subangulata Br. - Torculoidella subvaricosa Sacc. - Ampullothrochus granu- latus Bora. - Ostrea cocìilear Poli. - Recten Jacobaeus L. - Ae- quipecten scabrellus Lk. - Aequipecten opercularis L. - Aequi- pecten deletus Miclit. - Pinna pedinata L. - Modiola adriatica Lk. - Axinea insubrica Br. - Trachycardium multicostatum Br. - Tapes eremita Br. - Venus plicata Gmel. - Cupularia sp. Costa la Torà, m. 657: M. del Vescovo, m. 851, e M. Tri- nità, m. 912: potenti strati di conglomerati grossolani, inter- calati ad argille gialle marnose, ricche in lamellibranchi : Ostrea edulis Raul et Deb. - Ostrea eclulis var. lamellosa Br. - Ostrea cochlear Poli. - Anomia ephippium L. - Aequipecten scabrellus Lk. - Aequipecten scabrellus var. transversa Clém. - Aequipecten Bicknelli Sacc. - Flabellipecten flabelliformis Br. - Axinea insubrica Br. 484 G. CAPEDER Poggio del Bersaglio, m. 655: marne azzurrognole, ricchis- sime specialmente in pinne, gli altri fossili trovati sono: Corbula gibba Oliv. - Haustator vermicularis Br. - Pinna pedinata L. Nell’elenco dei fossili che ho esposto, ho tenuto conto della sinonimia, riferendomi ai lavori del prof. Sacco sui molluschi terziari del Piemonte e della Liguria: la più parte delle forme citate furono trovate in più di due esemplari, le forme mal con- servate o di dubbia determinazione vennero tralasciate. Riguardo all’età di questi depositi, desunta dai criteri pa- leontologici in un coi criteri stratigrafici e litologici, emerge- rebbe, come già ho detto, che in alcune delle località citate, oltre ai fossili caratteristici del pliocene esisterebbero anche fos- sili miocenici, che ho raccolto in apposito elenco, epperò par- rebbe questo terreno affiorare in qualche punto, benché così ri- dotto di potenza da potere essere posto in dubbio. ❖ * * Passando ora in rassegna con rapido sguardo i terreni ter- ziari che si sono visti affiorare nel bacino di Potenza, conchiudo che: 1° L’eocene nella limitata zona descritta affiora sotto forma di argille giallastre, compatte, scistose (argille scagliose), cui si sovrappongono calcari marnosi e calcari compatti nummulitici. Questi depositi si trovano alle più grandi altezze: m. 1197 alla Spina di Potenza e rappresenterebbero il solo eocene inferiore ed il medio, conclusione cui panni sia pur giunto il sig. Prever, dall’esame delle nummuliti quivi contenute. 2° Il miocene affiora soltanto per piccolissima estensione e questa sarebbe la causa per cui non venne ancora per tale regione segnalato che di sfuggita (‘). Io non avrei però di questo terreno riscontrata che la zona inferiore, mancando affatto il miocene superiore. Detta zona sa- (') De Giorgi C., Note geologiche sulla Basilicata. Lecce, 1879. V. Bol- lettino R. Conrit. Geol., pag. 640, voi. X. APPUNTI GEOLOGICI SUI DINTORNI DI POTENZA 485 rebbe costituita da marne grigiastre, arenacee e marne friabili, grigio-verdastre, contenenti fossili prevalentemente elveziani. Su quelle marne stanno strati ciottolosi e marne grigie, che passano alle argille azzurre piacenziane ed alle sabbie gialle astiane. Questa zona che io attribuisco all’elveziano, affiorerebbe soltanto nei profondissimi burroni che solcano ad est il Poggio Cavallo, press’a poco vicino alla M.a Maffei. Quivi nei profondi spaccati naturali, risalendo quei torrentacci, ho potuto osservare la seguente serie dal basso all’alto: Marne grossolane grigiastre calcaree prive di fossili. Marne giallo-verdastre meno compatte ricche di fossili. Banchi sabbioso-arenacei giallo-grigi con fossili. Argille azzurre tipiche con pochi fossili. Marne e sabbie giallastre ricche in fossili. L’elveziano è ricco di fossili, rappresentati piuttosto da nu- merosi individui, particolarmente nell’ orizzonte che si presenta colla facies di marne giallo-verdastre. Le specie che vi avrei riscontrate sarebbero le seguenti: Nassa eurosta Font. - Nassa familiaris May. - Natica mille- punctata Lk .-Ranella marginata Mart.- Cernina compressa Bast. - Leptoconus elatus Micht. - Turritella turris Bast. - Haustator vermicularis Br. - Zaria subangulata Br. - Aequipecten sca- brellus Lk. - Aequipecten malvinae Dub. - Aequipecten multi- scabreìlus San. - Callistotapes vetulus Bast. - Omphaloclatjirum miocenicum Micht. - Ventricola casina L. - Tapes eremita Br. var. taurelliptica Sacc. - Circomphalus plicatus Grmel. var. com- pressa de Serr. Questi fossili accennerebbero ad una fauna elveziana, da ciò una miglior conferma per la supposta miocenicità di questi strati. L’ elveziano viene direttamente coperto dal pliocene, che acquista un grandissimo sviluppo. 3° Del pliocene si distinguono i due piani: Piacenziano ed Astiano. Il Piacenziano è molto sviluppato al M. del Ve- scovo, al M. Trinità, alla Crocetta, alla Macchia Romana. Esso si presenta colla facies corrispondente a strati di ciottoli ad elementi grossissimi prevalentemente di calcare, intercalati ad altri di arenarie e ricchi in Ostree, con rari Pecten, ed Anomiae 486 G. CAPEDER mimetiche del Flabellipecten flabelli formis, ai cui esemplari sono aderenti. I suoi limiti potrebbero essere contrassegnati dalle seguenti località: la Mezzana, M. Trinità, la Trasenda, M. del Vescovo, Romagnana, Autopare, costa la Torà, M.!l di S. Mi- chele, Serra di S. Marco, Serra Lacurt, M. Arciprete. Particolarmente interessante è inoltre il vallone di Riofreddo, al poggio del Bersaglio, dalla parte ove il rio scalza gli strati: quivi osservai un potente banco a pinne, dal quale però mi fu impossibile staccare un solo esemplare sano, per la fragilità di quelle conchiglie, dovuta in parte anche alla grande umidità di quel terreno. Esse sono in grande quantità ammassate con- fusamente fra di loro: la loro grandezza è variabile, giungendo alcune a grandi dimensioni e stanno incastrate in un’ argilla azzurra fine, probabilmente piacenziana al limite delle sabbie gialle soprastanti. In questo orizzonte a pinne può darsi che esistano diverse specie; per ora io non potei determinare che la sola Pinna pedinata L. per la mancanza di esemplari suf- ficientemente ben conservati. Il piacenziano affiora pure, ma per limitata estensione, sotto il ponte della ferrovia di Foggia, presso la macchia Romana e qui si presenta colla sua solita facies caratteristica di marne a grana finissima e di argille azzurre affatto senza fossili. Al M. della Trinità, in un profondo spaccato naturale potei osservare la seguente serie dall’alto al basso: Sabbie e marne giallastre con fossili. Marne argillose bluastre. Banchi sabbioso-giallastri con Pecten. Banchi ciottolosi con Ostree. Al Poggio Cavallo, osservasi una marna compattissima, quasi esclusivamente ricca di pettini, terebratule e balanidi. Alla Crocetta, potei pure osservare il piacenziano, sotto forma di argille bluastre ricche specialmente in nasse, natiche e tur- ritelle, oltre a quel banco a pinne che già ho citato. 4° Il pliocene superiore od Astiano, in questa regione conserva la solita sua tipica facies di sabbie giallastre, talora di marne ricche sempre di fossili: le sabbie di ostree, pettini, turritelle, cardi; le marne, specialmente di pettini. APPUNTI GEOLOGICI SUI DINTORNI DI POTENZA 487 Questo piano ha un’estensione alquanto superiore al piacen- ziano, occupando la massima parte della superficie di questo piccolo bacino terziario che ci occupa. I limiti di questo terreno sarebbero perciò dati dalle località seguenti : Poggio Cavallo, la Crocetta, Poggio del Bersaglio, S. Antonio la Macchia, Pietracolpa, M.a Ajello, Poggio Calli, M. Cocuzzo, costa la Torà. Dal suesposto conchiudo che con altre ricerche non sarà difficile rinvenire altri lembi fossiliferi miocenici in questa re- gione, onde confermare quanto per ora non posso esporre che in dubbio, trattandosi di scarse osservazioni e di un limitato numero di fossili raccolti. [ras. pres. 11 settembre 1901 - ult. bozze 31 ottobre 1901]. 39 CENNI PRELIMINARI SULLE NUMMULITIDI DEI DINTORNI DI POTENZA Nota del dott. Pietro Prever La formazione eocenica nummulitifera dei dintorni di Po- tenza (Q, quantunque poco estesa in superficie, è però impor- tantissima per il gran numero di Nummulitidi che contiene; ancorché, come giustamente sospetta il dott. Capeder, la serie eocenica, in questa regione, non sia compieta. In questa nota io passo in rivista le specie da me ricono- sciute in un primo esame, ma mi riservo di fare in seguito uno studio completo di questa fauna. Le località di provenienza delle Nummulitidi in discorso, e più specialmente delle Nummuliti, sono cinque: Pisconepez- zuto, Masseria Aiello, Spina di Potenza, Montocchio, Monte Abruzzese, non molto distanti fra di loro. Queste località furono ridotte a quattro, comprendendo in una sola le località di Spina di Potenza e Montocchio, avendo osservata una perfetta iden- tità di specie, non solo, ma altresì una sensibilissima eguaglianza nell’abbondanza relativa degli individui rappresentanti ciascuna specie. Il materiale, copiosissimo, di eccellente conservazione, è co- stituito da parecchie migliaia d’individui isolati dalla roccia per degradazione meteorica. Spina di Potenza e Montocchio. I due terzi del materiale da me esaminato provengono da queste due località. Quantunque si osservino abbondanti forme (') Capeder G., Appunti geologici sui dintorni di Potenza, Bollettino Soc. Geol. italiana, voi. XX, fase. 3°, 1901. NUMMULIT1DI DEI DINTORNI DI POTENZA 489 di notevoli dimensioni (esclusivamente appartenenti, si può dire, al gruppo della Numm. perforata e a quello della Numm. Brongniarti), la preponderanza delle forme è costituita da in- dividui che scendono da dimensioni medie a dimensioni assai piccole (3-2 mm. di diametro). Gruppo della Numm . MurcMsoni. Sottogruppo della Numm. planulata. Numm. planulata, d’Orb. Gli individui rappresentanti questa specie sono molto numerosi, e tutti di piccole dimensioni. Misu- rano da 3-4 mm. di diametro sopra 1 mm. o 3/4 di mm. di spessore. Il margine della conchiglia loro è tagliente, e questa porta, sulla sna superficie, delle strie fini, alle volte quasi di- ritte, alle volte falciformi od ondulate leggermente. La spira è abbastanza regolare. Numm. elegans, Sow. E la compagna della precedente. È abbondantissima, quattro o cinque volte più abbondante della sua omologa a microsfera. Gli individui hanno, generalmente, un diametro che oscilla fra i 2 e i 3 mm. e uno spessore che varia da V3 a 1 V2 mm. Si incontrano delle forme depresse, ma sono pure abbastanza comuni le forme rigonfie, a margine ta- gliente. Si scorge la prominenza, non in tutti gli esemplari però, detrultimo giro, come fa osservare il De la Harpe (Q. Giri da 4 a 5, a passo crescente. Camera centrale di inedia grandezza, seguita da una prima camera seriale pure di discrete dimen- sioni. E una specie che varia assai. Gruppo della Numm. distans. Numm. Tcliihatcheffi, d’Arch. Questa specie è rappresen- tata da scarsissimi esemplari, dei quali tre o quattro si acco- stano alla forma tipo, gli altri invece rappresentano la var. de- pressa, Teli., stata creata per delle forme rinvenute nel bario- (') De la Harpe, Étude cles Numm. de la Suisse, parte 3a, pag. 176. Mémoires de la Soc. Paléont. Suisse, voi. X, 1883. 490 P. PREVER niano piemontese. Osservo però clie gli esemplari che ho sot- tocchio, e che rappresentano questa varietà, sono ancora più depressi di quelli stati osservati dal Teliini. Difatti, il Telimi dà le seguenti dimensioni (‘): Esemplari maggiori -’5 i medi 15J_19 , - £ 2 . Gli individui da me esaminati hanno invece le seguenti dimensioni: 2J, , ^ ™-2 , TpT* Le strie della superficie conchigliare generalmente non si vedono. Camera centrale assai grande ; giri di spira da 4-6 ; passo spirale, in alcuni individui, sensibilmente costante dal secondo giro al margine, in altri, lentamente decrescente dal terzo giro al margine. Numm. lati spira, Menegh. Anche qui la specie è rappre- sentata da esemplari che assai facilmente si possono scindere in due gruppi ; uuo di questi comprenderebbe le forme che hanno un diametro che oscilla fra i 7-5 mm. e uno spessore che va dai 2 mm. a 1 , mm., e questi si accosterebbero alla forma tipo, come la descrisse e figurò il Teliini (?), e di più ancora all’e- semplare stato descritto e figurato dal D’Archiac e dall’Haime (:<). L’altro gruppo comprende delle forme aventi le seguenti dimen- sioni: . Di questi esemplari, come fu fatto per la Numm. Tchihatcheffi, d’Arch., ne faccio i rappresentanti di una varietà di questa Numimilite, cioè: Numm. lati spira, Me- negh., var. antiqua, Prev. Superficie liscia, giri da 6-5, spira a passo crescente nei due primi giri, decrescente negli altri sino al margine. Setti molto sottili, flessuosi, arcuati, numerosi, più numerosi che nella Numm. Tchiliatcheffi, d’Arch., equidistanti, o subequidistanti. Gruppo della Numm. JBiarritzensis e discorbina. Numm. Beaumonti, d’Arch. È una forma di medie dimen- sioni ( g , !-j J , a margine debolmente arrotondato. Superfìcie ( 1 ) Telliui A., Le Nummulitidi terziarie dell’Alta Italia occidentale, Boll. Soc. geol. italiana, voi. VII, 1888, pag. 29, Estr. (2) Tellini A., Le Nummulitidi della Maiella, delle Isole Tremiti e del Promontorio Garganico, Boll. Soc. geol. italiana, voi. IX, 1890, pag. 17, Estr. (3) D’Archiac et Haime, Monog rapine des Nummulites, pag. 93, tav. I, fig. 6 a, Paris, 1853. N U M M U LITI D I DEI DINTORNI DI POTENZA 491 a pieghe numerose, raggianti dal centro, diritte o leggermente flessuose, alle volte dicotome. Nessuna camera centrale. Spira regolare, a passo crescente; giri 14 sopra un raggio di mm. 4,5. Setti molto numerosi, quasi diritti, in numero di 20 a mm. 3,5 dal centro, 16 a mm. 2 1/4 , 13 a mm. 1 1/ì in un quarto di giro. Numm. discorbina, d’Arch. Forma abbastanza comune, len- ticolare, talvolta subglobulosa, di medie dimensioni e anche pic- cole, a margine arrotondato. Superficie coperta di strie non molto sottili, un po’ arcuate, raggianti dal centro. Dim. — , — , — , 01 4— . Forma a microsfera. Spira regolare, a passo crescente ; la- mina spirale a spessore pure crescente. Setti numerosissimi, quasi diritti, sempre più distanti fra loro a misura che si avvicinano al margine della conchiglia. Si trovano in numero di 22-21 in un quarto del 12° giro, 16, 15 in un quarto dell’8°, 13-11 in un quarto del 6° giro. Numm. subdiscorbina, De la Harpe. Forma comune, pic- cola, subglobulosa. Trascuro di darne una descrizione, anche sommaria, rimandando alla Monografia delle Nummuliti d’Egitto, del De la Harpe ( 1 ), attesoché gli individui che ho in esame offrono identici caratteri di quelli stati descritti e figurati dal De la Harpe nell’opera sopracitata. Numm. striata, cVOrb. È rappresentata da un solo esem- plare. Però non si possono avere dubbi sulla determinazione, poiché esso corrisponde esternamente alla descrizione del D’Archiac (Monogr., pag. 135), e internamente a quella che il De la Harpe dà della Numm. striata tipo, nello studio delle Nummuliti della Contea di Nizza (2). Numm. Ramondi, d’Arch. Anche questa forma è scarsissi- mamente rappresentata. È una Nummulite di medie dimensioni ( 3\°r) , lenticolare, a margine tagliente, ed a superficie coperta di strie sottili, rade, diritte, od anche leggermente flessuose, e, alle volte, dicotome. Spira regolare; giri da 9 a 10 sopra un (') De la Harpe, Monographie der in Aegypten und der libyschen Wiiste , ece., pag. 185, tav. XXXII (III), fig. 8-15. — Palaeontographica Beitraege zur Naturgeschichte der Vorzeit. Cassel, 1883. (2) Extr. Bull. Soc. vaud. des Se. Nat., voi. XVI, n. 82, 1879. 492 P. PREVER raggio di 5 rom. ; passo spirale lentamente crescente sino nel penultimo giro, leggermente decrescente nell’ultimo; lamina spi- rale a spessore crescente; setti equidistanti, arcuati, assottiglian- tisi verso la loro estremità superiore. Nimini. variolaria, Sow. Questa piccola specie è rappresen- tata da due soli esemplari, che si accostano ad una delle figure che il Teliini dà di essa (fig. 24, tav. XI) nel suo studio sulle Nummuliti della Maiella, ecc. Essendo una specie cosi scarsa- mente rappresentata, stimo inutile darne una descrizione anche succinta. Numìn. anomala, De la Harpe. Come la precedente, questa specie conta in questo giacimento scarsissimi rappresentanti. Fra le parecchie migliaia di Nummuliti provenienti da questa località, mi riuscì di rintracciare quattro soli individui appar- tenenti a questa specie. Anche per questa mi limito ad un cenno, rimandando, chi volesse leggere una descrizione completa de’ suoi caratteri, a quella amplissima ed esauriente che il Telimi dà a pag. 20 del suo pregevolissimo studio sopra citato sulle Num- muliti della Maiella, ecc. Gli esemplari sott’occhio sono iden- tici a quello che il Telimi figurò in questo suo lavoro alla fig. 25 della tav. XI. Gruppo della Numm. perforata. Ninnili, perforata, Montf. (tipo). Intendendo la Numm. per- forata, Montf., nel senso lato in cui l’intese il De la Harpe, dirò che questa specie è largamente rappresentata in questo giacimento. La tipo è rappresentata da individui che non rag- giungono le massime dimensioni che può raggiungere questa specie, come ad esempio alla Mortola, nè in diametro, nè in i spessore. Le dimensioni sono, relativamente quindi alla specie, un po’ al disotto delle massime, e gli esemplari non si presen- tano marcatamente rigonfi. Essi raggiungono uno spessore mas- simo di 8 mm., sopra 20 mm. di diametro. Il margine è ottuso, e la spira molto addensata ne’ suoi giri vicino al margine. Negli individui giovani osservo che la spira non si condensa verso il margine, e la forma appare un tantino più rigonfia. Il margine è meno arrotondato. i NUMMULITIDI DEI DINTORNI DI POTENZA 493 var. y., d’Arch. Questa varietà è rappresentata da parecchi individui quasi piani, a margine arrotondato. Dim. !?s^3^ . Il passo e lo spessore della lamina diminuiscono gradatamente dal centro al margine. La spira però non si presenta condensata negli ultimi giri. var. Renevieri, De la Harpe. Ha una spira a passo rela- tivamente largo, giri non molto numerosi ; il loro numero è infe- riore al numero dei millimetri che l’individuo misura di dia- metro, e non sono condensati verso il margine. Dim. . var. Sismondai, d’Arch. Questa varietà è abbondantemente rappresentata da esemplari appartenenti alla forma tipo, e a qualche varietà. La forma degli individui, che misurano in media 15 mm. di diametro, è varia; subglobulosa, lenticolare, depressa, piana. Sulla superfìcie conchigliare si vedono i filetti sepimen- tali, raggianti, anche ondulati, e delle granulazioni grosse, gene- ralmente sparse su tutta la superficie della conchiglia. La spira è generalmente regolare, la lamina spirale sottile. Il margine della conchiglia si presenta poi, a seconda delle varietà, larga- mente arrotondato, o subtagliente. Conforme a quanto fece il De la Harpe, riunisco anch’io alla Numm. perforata Montf. var. Sismondai d’Arch. la Numm. perforata Montf. var. s d’Arch., rappresentata pure da parecchi individui in questo gia- cimento. var. Verneuilli, d’Arch. È scarsamente rappresentata da individui che hanno un diametro il quale oscilla dai 14 ai 18 mm., con uno spessore variabile da 4 a 6 mm. Margine acuto. Si riconosce subito alla sua forma, alla spira regolare, alla lamina spirale sottile, ai giri ravvicinati e molto numerosi (28-30 sopra un raggio di 8 mm.), ai sepimenti distanti. Sulla superficie conchigliare di qualche individuo si scorgono i filetti sepimen- tali bene in rilievo, sottili, ondulati, frammezzo ai quali si ve- dono delle numerose e distinte granulazioni. var. Deshayesi, d’Arch. Come la precedente varietà è essa pure scarsamente rappresentata. Noto due varietà. Una varietà subglobulosa, a margine largamente arrotondato, di dimensioni medie ( ^- ) , ed una varietà a margine ancora arrotondato, con- chiglia lenticolare, quasi piana, su cui si scorgono delle nume- rose e grosse granulazioni sparse su tutta la superficie. Lamina 494 P. PREVER spirale più spessa verso il mezzo che verso il margine e verso il centro della conchiglia. Giri più ravvicinati al margine. Numm. Partsclii, De la Harpe. Questa Nummulite, stata trovata per la prima volta dal De la Harpe esaminando le Nummuliti del calcare di MicJielsberg, vicino a Stoclrerau (Austria), e del Gurnigelsandstein (catena dello StocìcJiorn, Sviz- zera), fu da me trovata, assieme alla sua omologa, la Numm. Oosteri, De la Harpe, in questo giacimento. La Numm. Partsclii, De la Harpe però, al contrario della sua compagna, non si trova abbondante, anzi è rarissima. È una forma lenticolare, depressa alle volte, ma leggermente, a margine tagliente, o subarrotondato. La superfìcie è ricoperta di numerose granulazioni, grosse, poste sui filetti sepimentali, che sono raggianti dal centro, e un po’ arcuati. Queste granulazioni, se si levano alcune lamine della conchi- glia, o, meglio ancora, se si consuma parte di essa collo smeri- glio, si vedono disposte a giri concentrici, ma preferibilmente a spirale. Passo crescente, lentamente però; giri 10 sopra un raggio di mm. 4-5. Spira irregolare, lamina spirale spessa, ed irrego- golarmente spessa alle volte. Le irregolarità interne però, negli individui da me esaminati, non sono così forti come nelle figure che il De la Harpe dà di questa specie (Q. Dimando per gli altri caratteri alla descrizione che il De la Harpe dà di questa Nummulite nella sopracitata nota, atte- soché essa conviene perfettamente agli individui che ho in esame. Il De la Harpe per questa Nummulite dà le seguenti di- mensioni: --3^- • Gli individui che ho in esame hanno di- mensioni un po’ minori, e raggiungono al massimo i 10 mm. di diametro, sopra 3 mm. di spessore, e scendono, da queste dimensioni, sino a 6 mm. di diametro, sopra 2 di spessore. Numm. lucasana Defr. (tipo). Questa Nummulite è la più riccamente rappresentante (500-600 individui) e presenta pa- recchie varietà. La tipo, presenta le granulazioni visibili solamente verso l’ombilico. Le granulazioni sono rade e grosse. Le maggiori di- (') De la Harpe, Note sur les Nummulites Partschi et Oosteri, de la Harpe, ecc. Bull. Soc. vaucl. Se. Nat., voi. XVIII, tav. III. NUMMULITIDI DEI DINTORNI DI POTENZA 495 mensioni degli individui che la rappresentano raggiungono i 10 inni, di diametro. var. obsoleta, De la Harpe, È pure assai copiosamente rap- presentata. Le granulazioni si distinguono a malapena, o non si distinguono affatto. Si scorgono invece assai bene general- mente i filetti sepimentali, relativamente spessi, raggianti, un po’ arcuati. Gli individui che la rappresentano raggiungono le stesse dimensioni della tipo. var. granulata, De la Harpe. Le granulazioni, in questa varietà, ricoprono tutta la superficie della conchiglia, cosicché non si possono vedere, come nella tipo, i filetti sepimentali vi- cino al margine della conchiglia stessa. Inoltre il margine è un po’ arrotondato e la conchiglia un pochino più rigonfia. var. Mentonensis, De la Harpe. Fra tutti gli individui che rappresentano la Numm. lucasana, Defr. ne osservai parecchi grandi, raggiungenti i 10-12 mm. di diametro, piani, a margine tagliente, provvisti di una camera centrale grande con 9-10 giri di spira, e che credo debbano rappresentare la var. Men- tonensis, De la Harpe, a cui appunto li riferisco. var. Meneghini, d’Arch. Seguendo l’esempio del Teliini (') considero la Numm. Meneghina, d’Arch., dagli autori della Mo- nografia ritenuta specie autonoma, come una varietà della Numm. lucasana, Defr. Essa si distingue, come scrive lo stesso Teliini, per avere la lamina spessa, oltre la metà dell’altezza delle camere. Numm. Roualti, d’Arch. È abbondantemente rappresentata, ed è una forma di dimensioni all’incirca eguali a quelle della Numm. lucasana, Defr., colla quale può anche confondersi. Ma le sue granulazioni non sono così pronunciate, e sono inoltre disposte come su raggi partenti dal centro della conchiglia. Come pure i suoi giri sono meno regolari, e la sua lamina spi- rale è più spessa. Numm. Oosteri, De la Harpe. È la compagna della Numm. Parisela, De la Harpe, ed è assai copiosamente rappresentata. 11 De la Harpe, assegna a questa specie da 2 a 5 mm. di diametro, sopra 1 a 2 di spessore. Gli esemplari numerosissimi (‘) Telimi A., Le Nummulitidi della Maiella, ece., pag. 26. 496 1\ PREVER che ho innanzi hanno dimensioni alquanto maggiori, e rag- giungono le dimensioni di ® , di modo, che ad un esame superficiale, possono benissimo confondersi colla Numm. ìuca- sana, Defr. tipo. Il margine in generale è subtagliente, la su- perficie, specialmente verso il centro, è coperta di granulazioni grosse, salienti, e se si consuma parte della conchiglia si os- serva che queste granulazioni sono disposte a spirale, od anche a cerchi concentrici. È lo stesso di ciò che si osserva per la compagna. Spira regolare, molto più regolare di quella della Numm. lucasana, Defr.; camera centrale media; giri 7 sopra 4 mm., passo eguale in tutta la spira; lamina spirale sottile, pure di spessore eguale in tutta la spira; sepimenti equidistanti, arcuati, alle volte leggermente flessuosi. Camere tanto larghe, quante alte. Mi limito a questa breve descrizione, quantunque si tratti di una specie sinora non stata trovata in Italia, eli' io sappia, che da me alla Forca di Presta, sul Monte Vettore (Monti Sibillini), rimandando per ora chi volesse conoscerla meglio alla descrizione e alle figure che, nella nota già citata, ne dà il De la Harpe. Gruppo della Numm. Brongniarti. Numm. Brongniarti, d’Arch. et H. Questa specie, abba- stanza bene rappresentata da una discreta quantità di individui, è costituita da parecchie forme, quali la Numm. Brongniarti , d’Arch. et H. tipo, la var. depressa, la giovane e la var. a (vedi le figure 1-4, tav. Y, Monografia). Le dimensioni sono perciò anch’esse abbastanza variabili, raggiungendo la massima 20 mm. di diametro, la minima 8-9 mm. Del resto i caratteri esterni, come pure gli interni, degli esemplari che ho in esame, corri- spondono alla descrizione che gli autori della Monografia dònno dei caratteri di questa Nummulite. Numm. laevigata, Lam. Questa specie è rappresentata da scarsi individui a conchiglia leggermente ondulata, depressa, a margine alle volte flessuoso e subtagliente, i quali raggiungono la loro massima dimensione in individui che misurano 15 mm. di diametro. NUMMU L1TIDI DEI DINTORNI DI POTENZA 497 Numin. Lamarclri, d’Arch. Questa specie è abbastanza co- mune, ed è rappresentata da individui a conchiglia lenticolare, leggermente rigonfia, a margine subtagliente, colla superficie coperta di granulazioni grosse. Le dimensioni degli individui di questo giacimento sorpassano però un po’ le dimensioni date nella Monografia ( ) • Difatti gli individui di maggior taglia raggiungono persino 9 mm. di diametro, sopra 3 mm. di spessore. Numm. Molli, d’Arch. Come la Numm. laevigata, Lam., è una specie scarsissimamente rappresentata. Gli individui che la rappresentano si accordano però completamente colla descrizione che di questa specie vien data nella Monografìa, salvo che per le dimensioni. Oltre ad individui che hanno precisamente le dimensioni assegnate nella Monografìa a questa specie ’ ne osservo altri che le hanno un po’ superiori (4!-). Gruppo della Numm. intermedia. Numm. intermedia, d’Arch. Mi limito solo ad accennarla, poiché, quantunque gli individui che ho sott’occhio appartengano indubbiamente a questa specie, essa non merita che un cenno, stante la sua minima importanza, in questo caso, essendo solo riuscito, fra le parecchie migliaia di individui provenienti da questa località, a rintracciare due soli individui appartenenti ad essa. Gruppo delle Assiline. Assilina mamiìlata, d’Arch. Come generalmente capita in tutti i giacimenti nummulitiferi, in cui, se si trovano delle Assi- line, queste sono sempre scarsamente rappresentate, così è per questo giacimento. Le Assiline però, per contro, sono rappre- sentate da numerose, si può dire, da quasi tutte le specie che si conoscono. VAssil. mamiìlata, d’Arch., è già una di queste specie scar- samente rappresentate. Àssilina exponens, J. de C. Sow. Come la sua omologa, Assil. mamiìlata, d’Arch., è rappresentata da pochi individui. 498 P. l’REVER Assilina spira, de Roissy. È rappresentata da pochi esem- plari, che presentano però una eccellente conservazione. Assilina subspira, De la Harpe. Anch’essa è rara, più co- mune però della sua compagna, e, com’essa, è pure rappresen- tata da individui di una eccezionale conservazione. Assilina granulosa, d’Arch. È rappresentata da individui di dimensioni piccolissime ( , ) , e da individui che raggiun- gono delle dimensioni abbastanza notevoli, quantunque siano ancora lontani dal raggiungere le dimensioni massime che a questa specie assegna la Monografia. Assilina Leymerici, d’Arch. Anch’essa è rappresentata da scarsi individui, che si presentano però con una buona conser- vazione. Operculine. Fra le Nummulitì di minori dimensioni rinvenni pure una discreta quantità di Operculine. Trovai cioè le seguenti : Oper- culina Thouini, Teli. ; Operculina subthouiui, Teli. ; ambedue rappresentate da un numero relativamente abbondante di indi- vidui; Operculina Terrigii, Teli., rappresentata scarsamente; Operculina ammonea, Leym., abbondante. Orbitoides. Rinvenni pure delle Orbitoidi, ma non mi soffermo per ora a descriverle, specialmente perchè, quantunque a vederle sembra siano in discreto numero, pure comparandole al numero gran- dissimo delle Nummulitì tra cui le trovai appaiono scarsamente rappresentate. Se poi si confronta con altri giacimenti, come quello sopra accennato della Forca di Presta ( Bartoniano supe- riore), in cui il numero delle Orbitoidi è all’incirca eguale a quello delle Nummuliti, si conchiude che esse sono, in questo giacimento, scarsissimamente rappresentate, e, di fronte alle nu- merose specie caratteristiche di Nummuliti, assumono una impor- tanza affatto secondaria. Le specie trovate sono : Orbitoides pa- pyracea, Boub. ; Orbitoides dispansa, C. v. Sow. ; Orbitoides aspera, Gumb. ; Orbitoides radians, d’Arch. NUMMUL1TIDI DEI DINTORNI DI POTENZA 499 Alveoline. Al contrario delle Orbitoidi, le Alveoline sono largamente rappresentate, sia riguardo al numero degli individui, che al numero delle specie. Mi limiterò anche qui ad enunciare le specie trovate che sono: Àlveolina ellipsoidalis, Schwag. ; Alveolina frumeutisformis, Schwag.; Alveolina cfr. oblonga d’Orb.; Alveolina ( flosculina ) decipiens, Schwag. ; Alveolina ( flosculina ) pasticciata, Schwag. Ho ancora notata la presenza di parecchi individui appar- tenenti alla Calcarina calcitrapoides, Lam. Pisconepezzuto. L’analogia fra questa località e le precedenti, ed anche colla susseguente, è grande assai, di modo che mi limiterò solo ad accennare le specie di Nummuliti state trovate, salvo a dare qualche cenno riguardo a quelle forme che non si fossero vedute sopra. Gruppo della Numm. distans. Numm. Tcliihatclieffi, d’Arch. Anche qui osservo la forma tipo, e la var. depressa, Teli. Specie rara assai. Numm. latispira, Menegh. Come per la precedente si di- stinguono pure la forma tipo, e la var. antiqua, Prev. Gruppo della Numm. Biarritzensis e discorbina. Numm. discorbina, d’Arch. Gli esemplari che in questa località rappresentano questa specie sono eguali a quelli che la rappresentano nelle due località sopra accennate, tanto per la forma che per il numero. Gruppo della Numm. perforata. Numm. perforata, Montf. Questa specie è abbondantemente rappresentata. Manca la forma tipo. Si trovano invece le se- 500 P. PREVER guenti varietà : var. Sismondai, d’Arch., che si osserva in esem- plari i quali si accostano alla tipo, e in altri che passano alla var. depressa ; var. Verneuilli, d’Arch.; var. Deshayesi, d’Arch.; var. Lorioli, de la Harpe. Quest’ultima è rappresentata scarsa- mente da individui di discrete dimensioni, a lamina spirale molto sottile, i quali presentano numerosi giri, e dei sepimenti discretamente distanti fra di loro. È rappresentata da individui piani, e da altri rigonfi. Numm. lucasana, Defr. Anche in questa, a somiglianza delle località precedenti, cotesta specie è abbondante. Si trova la forma tipo, la var. granulata, de la Harpe; la var. obsoleta, de la Harpe, e la var. Meneghini, d’Arch., ed è pure accom- pagnata dalle: Numm. Roualti, d’Arch., comune; Ninnili. Oosteri, de la Harpe, meno comune. Gruppo della Numm. JBrongniarti. Questo gruppo è rappresentato dalla sola Numm. laevigata, Lam., rarissima. Gruppo delle Assiline. Sono presenti V Assilina mamillata, d’Arch., rara; V Assilina spira, de Iioissy, rappresentata anch’essa da pochi individui, e la sua compagna V Assilina subspira, de la Harpe. Di questa località non fu possibile avere delle Nummuliti piccole , nè della terra sciolta, attesoché la roccia si presenta pochissimo alterata, quindi, credo non dipenda che da questo motivo la mancanza di tutte, o di parte delle specie state rin- venute nelle località di Spina di Potenza e Montocchio, e che non ho trovato rappresentate in questa. Orbitoidi. Fra le Nummuliti rinvenni pure qualche rara Orbitoides appartenente alla Orbitoides aspera, Giimb., e alla Orbitoides papyracea, Boub. NUMMULITIDI DEI DINTORNI DI POTENZA 501 Masseria Aiello. Gruppo della Numm. distans. Ninnili. Tcliihatcheffi, d’Arcli. Specie abbastanza comune, rappresentata dalla forma tipo , e dalla var. depressa , Teli. Numm. latispira, Menegh. var. antiqua, Prev. rara. Gruppo della Numm. Biarritzensis e discorbina. Numm. discorbina, d’Arch. Specie comune. Gruppo della Numm. perforata. Numm. perforata, Montf. (tipo) comune. È accompagnata dalla var. S, d’Arch., rarissima; var. Bellardii, d’Arch., rariss.; var. JDeshayesi, d’Arcb., rara; var. Lorioli, de la Harpe, comune. Numm. lucasana, Defr. Risulta rappresentata dalla forma tipo, abbastanza comune, dalla var. obsoleta, de la Harpe, co- mune, dalla var. granulata, de la Harpe, abbondante. Numm. Roualti, d’Arch., comune; Numm. Oosteri, de la Harpe, rara. Gruppo della Numm. Brongniarti. Anche questo gruppo è solamente rappresentato da poche specie, cioè : Numm. laevigata, Lam. tipo, e Numm. laevigata, Lam., var. rigonfia, d’Arch., e Numm. Brongniarti, d’Arch. Monte Abruzzese. In questa località il dott. Capeder rinvenne solo parecchie grosse Numwuliti appartenenti tutte al gruppo della Numm. per- forata, cioè: Numm. ‘perforata, Montf., tipo e le var. Sismondai, d’Arch.; JDeshayesi, d’Arch.; Lorioli, de la Harpe. Avuto riguardo all’importanza del giacimento, credo oppor- tuno dare qui appresso un prospetto delle specie da me in esso trovate, indicando a fianco la loro relativa diffusione, e facendo seguire, per confronto, i nomi di alcune località in cui queste singole specie furono trovate. 502 P. PREVER gsezztuqy e^uopi °Tt9!V ■bt:i9SS'bH o'pn.zzedeaoosij otqooopaopf 8 eztta^o,! tp v;nidg O (U A CQ ce o p > < zn © ce òx> ce O a a < &D Qj ce O ^ gT ,£L t» a q w ~ o «r ce g p .2 ce a ^ o © r* +* « GG ce ce o £ 5© PQ © ce xji O ce » g a -a Cu « 00 £ 6 75 P S3 I P •P c K* ■*“*. zn 75 ce P cè ce 55 co (5 O rp B S Ph ce ce -4J ce ce CS3 M o o S S £ g Ph .2 § M > _ O ft, s m il , «s jS s .£ o bX) cs S w S ri 0 o -r ri ra tp 4 o r r- co *§ r ? 52 o " a) o ^ ce ^ a 2 ce ◄ ~ p-* © ^ 75 e 'TS 7S £ Pq “-S p co ^ n -s rO 5$ I P5 NUMMULITIDI DEI DINTORNI DI POTENZA 503 o fl ct tuo Si O ct et PQ bB 3 o rQ fl o co fl et G O et PQ 'fl fl et hi et CO fl *£ 0 1 & Ph S et O OH O et et et £ co cu Ph sa et ■> g> CO et ^ ° et •ri © -J3 fl o e bc

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PREVER La scala delle N ummuliti pone, come caratteristiche della prima zona ( Numm . striate, sona inferiore ), le Numm. pi ami- lata, d’Orb., elegans, Sow.; della seconda {Numm. subreticulaté) le Numm. laevigata, Lana., Laniarclci, d’Arcli. ; della terza {Numm. granulate ), le Numm. perforata, Montf., lucasana, Defr. ; della quarta {Assiline), le Assiline; della quinta {Numm. striate, sona mediana), le Numm. striata, d’Orb., contorta, Desb. Se si dà un’occhiata al prospetto dato avanti, si vede che in questo giacimento si trovano per l’appunto le Nummuliti caratteristiche della prima, seconda, tersa, quarta sona. E non solo, ma in confronto delle poche altre specie che ancora sono rappresentate in questa località, si osserva che esse sono rela- tivamente in grande maggioranza, salvo per la Numm. laevi- gata, Lam., appartenente alla coppia che caratterizza la se- conda zona. Di più qui si verifica un fatto abbastanza importante. Fi- nora le tre coppie di Assiline { Assil . exponens, J. de Sow., ma- millata, d’Arch., spira, de Roissy, subspira, de la Harpe, gra- nulosa, d’Arch., Leymeriei, d’Arch.), che caratterizzano la quarta zona, detta per l’appunto sona delle Assiline, non furono mai trovate riunite, ma si trovò che esse si rimpiazzavano, le une alle altre, secondo i luoghi. Invece in questo giacimento esse si trovano tutte e tre riunite nella quarta sona, cioè nella zona loro caratteristica. Come si sa, le Nummuliti sinora non furono ancora sicu- ramente verificate nei primi piani della serie eocenica, di mo- dochè la coppia, caratteristica della prima divisione della scala delle Nummuliti, non caratterizza già il primo piano della serie eocenica, cioè il Tanetiano, nè il secondo, cioè lo Sparnaciano, ma sibbene il terzo, 1’ I prestano, il quale rappresenterebbe la parte superiore dell’eocene inferiore. La coppia perciò apparte- nente alla seconda divisione della scala caratterizza quindi il primo piano dell’eocene medio, e più precisamente il Lutesiano inferiore, quindi la terza coppia caratterizza il Lutesiano medio, la quarta il Lutesiano superiore. La coppia che rappresenta la quinta divisione della scala apparterrebbe al Bartoniano. NUMMULIT1DI DEI DINTORNI DI POTENZA 505 Dall’elenco dato risulta che si hanno anche delle Nummu- liti appartenenti a zone superiori, cioè alla sesta, settima, ot- tava zona , ma si scorge subito che di queste, come pure di quelle della quinta, non si hanno tutte le specie caratteristiche , ed inoltre quelle esistenti sono scarsissimamente rappresentate, ed alle volte rappresentate quasi esclusivamente da varietà. Quindi è da ritenersi che, nelle località suddette, apparte- nenti al giacimento fossilifero eocenico in questione, dei din- torni di Potenza, sia rappresentato solo Veocene inferiore e il medio in parte, cioè del medio si trovi il Luteziano e manchi il Bartoniano. A spiegare la presenza di queste forme caratteristiche di piani più recenti di quelli del Luteziano potrei riportare quanto già scrissi in un lavoro, in corso di stampa, trattando dell’età dei terreni eocenici della già citata Forca di Presta, e di una nuova zona da aggiungersi nella scala delle Nummuliti; ma basterà qui ricordare le tavole della longevità delle specie che il De la Harpe (') e il Benoist (2) hanno compilato, le quali ci fanno vedere come la Numm. Tcliihatcheffi, d’Arch., ad es., co- minci ad apparire nella prima zona, mentre non caratterizza che un piano molto più in alto, la Numm. variolaria , Sow. compaia fin dalla seconda zona, assieme alle Numm. laevigata, Lam., e Lamarcki, d’Arch., e la Numm. intermedia compaia assieme alle Assiline. Qui si vedono appunto verificarsi queste pseudo-associazioni, ma da quanto si è detto scompare ogni dubbio che si potesse avere in proposito sulla possibile presenza di altri piani superiori al Luteziano. Museo Geologico di Torino. [ms. pres., 11 settembre 1901 - ult. bozze 30 ottobre 1901]. (') De la Harpe, Étude sur les Numm. de la Suisse, parte prima, pag. 77, Mémoires de la Soc. Paléont. Suisse, voi. VII, 1880. (2) Benoist A., j Étude sur les Numm. et les Assilines du Sud-Ouest de la Trance, Extr. Bull. Scient. de la Soc. de Bosda, 1889. AVVERTENZE PER I SOCI Dal contratto con la Tipografìa Cuggiani. Le pagine di corpo 8 in più di ‘/5 di pagina per le note, e di una pagina di testo per ogni foglio di stampa, saranno pagate in ragione di una lira ciascuna. Le tabelle in più di una per ogni tre fogli di stampa, coste- ranno L. 1,55 per pagina. Ciascun foglio di composizione dovrà essere stampato nel ter- mine di tre mesi dalla consegna delle prime bozze, detratto il tempo in cui esse bozze rimarranno presso la tipografia per le varie correzioni; trascorso il qual termine sarà corrisposto un compenso di L. 3,50 per mese e per foglio. I soci avranno una prima bozza in colonna, ed una seconda impaginata. Le correzioni straordinarie si pagheranno in ragione di una lira per pagina. Gli estratti per conto degli autori sono regolati dalla seguente tariffa : Per ogni 50 copie con copertina muta: per 1 foglio di stampa, L. 4; per */• foglio, L. 2; per V4 di foglio, L. 1. Prezzo della copertina stampata, sino a 100 copie, L. 2,50. Dal Regolamento per le pubblicazioni. Art. 9° Se le memorie oltrepasseranno il numero dei fogli di stampa stabilito anno per anno dal Consiglio (4 f.) la spesa eccedente sarà tutta a carico dell’autóre, anche per la parte relativa agli estratti concessi gratuitamente dalla Società. Art. 10° Sono a carico degli autori le spese in più per le pagine in corpo 8 e per le tabelle; cosi pure le spese straordinarie per correzioni maggiori del consueto, per cambiamenti o rifusione di paragrafi e per composizione annullata. Art. 17° Gli estratti che spettano agli autori avranno fron- tispizio e copertina stampata, se la memoria raggiungerà un foglio di stampa; altrimenti avranno copertina semplice. Art. 20° Gli estratti si spediscono in assegno. Per l’indice delle materie contenute nel presente fasci- colo vedasi la seconda pagina della copertina. Nel 4° fascicolo sarà inserita la relazione del Congresso tenutosi in Brescia nello scorso settembre ; frattanto si partecipa ai Colleglli cìie nell’Adunanza delli 11 sett. il Premio Molon venne aggiudicato ai soci Bonarelli dott. Grumo, Dal Piaz dott. Giorgio e De Lorenzo dott. Giuseppe. Il risultato delle elezioni fu il seguente: Vice-presidente pel 1902 Verri ing. conun. Antonio, con voti 99 Consiglieri pel triennio 1902-904 Dì Stefano dott. cav. Giovanni con voti 124 Taramelli prof, coram. Torquato » 122 Pantane lei prof. cav. Dante » 121 Pellati ing. comm. Nicolò » 112 Consigliere pel 1902 Fornasini dott. cav. Carlo, con voti 107 Finito di stampare il 31 ottobre 1901. Il Bollettino della Società Geologica Italiana si stampa in fascicoli trimestrali. Il Presidente responsabile : Carlo Fabrizio Paro r a. Anno XX. Fascicolo 4° (4° trimestre 1901). BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. XX 1901 ROMA TIPOGRAFIA DELLA PACE DI F. CUGGIANI Yia della Pace N. 35 . 1901 a H\ R. BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Volumi finora pubblicati. Voi. I. (1882) 2 fase. 260 pag. 4 tavole. » II. (1883) 3 » 314 » 6 » » III. (1884) 2 » 188 » 1 tavola. » IV. (1885) un voi. 528 » 19 tav. e 3 carte geologiche a colori. » V. (1886) 3 fase. 516 » 11 » » VI. (1887) 4 » 570 » 18 » e una carta geologica a colori. » VII. (1888) 3 » 430 » 14 » » » » » » Vili. (1889) 3 » 600 » 3 » » » » » . » IX. (1890) 3 » 826 » 25 » » » » » » X. (1891) 5 » 1023 » 21 » e 2 carte geologiche a colori. » XI. (1892) 3 » 702 » 11 » » XII. (1893) 4 » 892 » 7 » » XIII. (1894) 3 » 317 » K O » » XIV. (1895) 2 » 324 » 7 » » XV. (1896) 5 » 802 » 17 » » XVI. (1897) 2 » 370 » 9 » » XVII. (1898) 3 » clii-275 pag. e 4 tavole. » XVIII. (1899) 3 » lxxv-515 pag., 9 tav. e una carta geol. a colori. » XIX. (1900) 3 » cxl-752 pag-., 11 tav. e una carta geol. a colori. Per l’acquisto dirigere lettere e vaglia all’Economo Cav. Ing. Augusto Statuti, Via Nazionale 114 (palazzo Capranica del Grillo). Roma. IL MIOCENE MEDIO DI POPOONA E CAFAGGIO NEI MONTI LIVORNESI Memoria del dott. Giorgio Trentanove Le vallate superiori della Ardenza e della Chioma, che com- prendono le rispettive località di Popogna e Cafaggio, sono for- mate da limitati bacini, i quali sono circondati a guisa di co- rona, da una parte da roccie di natura otìolitica, dall’altra da roccie sedimentarie eoceniche, mentre il fondo della vallata è occupato da terreni miocenici. La valle di Popogna ha una dire- zione generale da sud-ovest a nord-est e le roccie ofiolitiche sono dalla parte di sud-est; per Cafaggio invece la direzione gene- rale è verso sud-ovest e le roccie ofiolitiche sono dalla parte di nord-est. Ambedue queste valli sono comprese nello studio geologico che il Capellini fece sui monti di Livorno (’), e di queste loca- lità egli diede anche una carta geologica nella proporzione di 1,100,000 (2), carta che io credo sia in parte da modificarsi per quanto riguarda le due località da me studiate, specialmente in ciò che concerne la distribuzione del miocene, e la disposi- zione delle roccie ofiolitiche e dei calcari eocenici intorno al miocene medesimo. Secondo la carta del Capellini sembrerebbe essere il miocene di Popogna riunito a quello di Cafaggio, ma nelle escursioni che più volte ho fatte sul posto, ho potuto notare esservi netta interruzione fra il miocene di Popogna e quello di (') Capellini G., Il calcare di Leitha ed il Sarmatiano nei monti di Livorno, Miemo, ecc., Atti R. Acc. Lincei, Roma 1878. {-) Capellini G., Carta geologica dei monti di Livorno, di Castellina Marittima e di una parte del Volterrano. Pubblicato per il II congresso geologico internaz. di Bologna del 1881. 2 508 G. TRENTANOVE Cafaggio ; e detta interruzione è determinata da una collina for- mata da serpentine, che staccandosi dalla località detta la Pa- lazzina, va a guisa di arco a ricongiungersi al terreno eocenico del Poggio alle Vacche. Il Capellini per queste due località cita 19 specie (J), che sono: Nassa semistriata Link. Nassa prysmatica (Br.) Natica millepunctata Lch. Turritella turris Dsm. Bentalium inacquale Brow. Tellina sp. Cori ul a carinata Duj. Corbula gibba Olivi. Solecurtus coarctatus Gml. Lutraria oblonga Chm. Venus plicata Gml. Tapes gregaria Parst. Lucina miocenica Lucina dentata Bast. Arca diluvii Lmk. Arca Turonica Duj Arca Breislalci Bast. Modiola Sp. Ostrea Sp. = Nassa Hòrnesi May. = Nassa Brugnonis Bell. = Turritella tricarinata Broc. (var. n.). = Tellina planata (Lin.). — Corbula birostrata n. s. — Venus pliocenica De Stef. var. = Tapes Basteroti May. = Lucina spinifera Mont. — Lucina dentata var. Meneghini De Stef. et Pant. pars. = Arca corbuloides Monteros. — Arca Syracuensis May. =r 3Iodiola Bosignani n. s.. = Ostrea lamellosa Brocc. Trovandomi a mano un materiale relativamente ricco, in parte raccolto dal Prof. Cocchi ed esistente nel Museo di Firenze, in parte raccolto da me, ho ripreso lo studio di queste due re- gioni, trattenendomi in special modo sulla parte paleontologica. Estensione del Miocene di Popogna e Cafaggio e natura delle roccie che lo circondano. La direzione generale della valle di Popogna è, come ho detto, da nord-ovest a sud-est. Dalla parte di sud-est è circon- data da roccie ofiolitiche, dalle altre parti abbiamo formazioni C) Capellini, op. cit., p. 10. — Ho citato queste specie, mettendo di contro quelle trovate da me, che probabilmente non sono altro che quelle del Capellini. IL MIOCENE MEDIO DI POPOGNA E CAPAGGIO 509 eoceniche costituite da alberesi e scisti argillosi. Il fondo della valle è miocenico ed il suo piano è ben determinato dai nume- rosi fossili che vi si incontrano. La lunghezza massima del sedi- mento miocenico, in direzione della valle è all’incirca di 250 metri, la sua larghezza massima, di faccia alla villa di Popogna è all’in- circa di un 200 metri. Il terreno si mantiene sempre al di sotto di 200 metri sul livello del mare. Cambiata la direzione della valle abbiamo presso a poco la medesima disposizione a Cafaggio. Riguardo alle roceie ofiolitiche procedendo da Popogna verso sud-est, specialmente nei dintorni della Palazzina, si hanno ser- pentine molto friabili, nero-verdastre con cristalli di enstatite. Nelle numerose fratture abbiamo asbesto ora disposto in filoni, ora irregolarmente incluso. Talora ho notato nelle serpentine ftaniti e diaspri. Bellissimi esemplari di diaspro rosso ho trovato lungo il sentiero che da Popogna conduce a Cafaggio. Il terreno eocenico è costituito pure da calcari alberesi, da scisti argillosi e da arenarie con selce. Terreno miocenico. Il terreno miocenico a Popogna, dove ho avuto maggior luogo di esaminarlo, si presenta regolarmente disposto in strati molto bene distinti. Esaminando detti strati in fondo alla valle di Popogna, alla confluenza del Botro Bosso con l’ Ardenza, dove per l’erosione sono più visibili, troviamo dal sotto in su un affio- ramento di calcare sabbioso, poco compatto, con una inclinazione di circa 33° ad est-nord-est, nel verso cioè cui sono rivolte le pareti della valle in quel punto. Questi calcari poi fanno capo in diversi altri punti, con inclinazione diversa, ma la loro posizione indica sempre come un adagiamento sulle pareti della valle. Sovrapposto a questo calcare sta un terreno costituito da argille marnose cenerognole. Il primo e più antico di questi giacimenti, è un calcare abbastanza compatto, talora formato essenzialmente da briozoi e da coralli; in altri punti, come nel fondo della valle, alla confluenza del Botro Rosso col Rio di Popogna, è invece poco compatto, marnoso, sabbioso, colla presenza di ciottoli. 510 G. TRENTANOVE Nel suo insieme questo calcare fu già dal Capellini assimi- lato al calcare di Rosignano. Dai fossili che io vi ho ritrovato e fondandomi specialmente sopra gli studi del Fuclis (l) e sopra una tavola inedita di lui medesimo (z), dove riproduconsi fossili ritrovati nel calcare di Rosignano, mi sono convinto infatti della quasi assoluta identità. Questi fossili sono indicati dal Fuclis come specie indeterminate quali : Pecten sp., Modiola sp., Car- dimi sp. Di queste specie già una, il Pecten sp., fu ritrovata nel medesimo calcare di Rosignano dal De Stefani e da lui determinata in Schedis come Pecten Etruscus e fu poi descritta come P. Vigolenensis Sim. La Modiola sp. ed il Cardimi sp. che ho accennato si trovano figurati nella citata tavola ine- dita del Fuclis che doveva accompagnare un suo lavoro sul calcare di Rosignano e li ho descritti come specie nuove. Di questo calcare, abbonda di fossili specialmente quello in fondo alla vallata di Popogna, che io ho designato come sabbioso e poco compatto. Vi si trovano prevalentemente i seguenti fossili: Ostrea lamellosa Brocc. Pecten Malvinae Dub. » Vigolenensis Sim. Modiola Posi guani n. s. Arca Syracusensis May. Arca corbuloides Monteros. Cardium hians Brocchi. Cardium Labronicuin n. s. Gluma gry pinna Link. Venus pliocenica De Stefani var. Popognae n. Venus Islandicoides Lmk. Tapes Vindobonensis For. Tapes Basteroti May. Lutraria oblonga Chm. Tellina planata Lin. Thracia pubescens Pult. Il Capellini studiando appunto questi strati, li sincronizza al Tortoniano di Mayer ed al Sarmatiano. Secondo altri autori il nome di depositi Sarmatici è da riserbarsi per quei giaci- menti esclusivi del bacino del mar Nero, mar Caspio, lago di Arai e bacino di Vienna, caratterizzati da una fauna tutta spe- ciale, le cui forme, sebbene abbiano una certa analogia, pure (') Fuchs T., Studien ùber die Gliederung der tertiàrbildungen ober Italiens. Sitzb. der K. Akad. d. Wissensch. B. LXXVII, 1878. (*) Vedasi Tav. IX. IL MIOCENE MEDIO DI l'OPOGNA E CAFAGGIO 511 non corrispondono perfettamente alle forme dei depositi sincroni del bacino Mediterraneo (‘). Il giacimento superiore è costituito essenzialmente da argille marnose cenerognole contenenti: Ancillarìa glandiformis Lmk. Fusus Valénciemiesi Grat. Nassa Brugnonis Bell. Nassa Hòrnesi May. Chenopus Uttingerianus Riss. Turritella cnmmunis Riss. Turritella tricarinata Brocc. typus. Turritella Capellina n. Natica millepunctata Lmk. Scalaria subir evelyanoidcs Sacco. Oxystele rotellaris Mieti. Dentalium inacquale Bromi. Dentalium Jani Hornes. Ostrea cochlear Poli. Arca diluvii Lmk. Leda pella var. n. Queste argille marnose sono regolarmente stratificate, e, vi- cino alla confluenza del Botro Rosso col Rio di Popogna, ap- punto dove si può vedere chiaramente la sovrapposizione delle marne al calcare, affiorano con una inclinazione presso a poco eguale a quelle del calcare sabbioso poco compatto che ho già rammentato. Tali marne sono molto meglio rappresentate che non il calcare, giacche mentre queste riempiono quasi completamente la valle, il calcare non si presenta che sotto forma di affiora- mento, interposto fra le argille marnose e l’alberese eocenico. Verso la parte superiore della valle di Popogna queste marne assumono un aspetto sabbioso, arenaceo, di colore grigio rossi- gno, nè si scorge apparentemente alcuna stratificazione. In questa parte del giacimento identifico il deposito che il Sacco indica (') Vedansi i lavori: FuchsT., Geoìogische Tertiàrbildungen des Wiener Beclcens, 1877. — Andrussow, Beobachtungen uber geologischen Untersu- chungen, ecc. Verli. der Geol. Reichs. 1884. — De Stefani, Les terrains tertiaires supérieurs du bass. Méditerr., Bull. soc. belg. 1893, p. 255. — Andrussow, Die sudrussischen Neogeuablagerungen (St. Pétersburg, 1889). Yoldia Philippii Bell. Yoldia nitida Brocc. Cardila globulina Mieti var. tau- ro simplex Sacco. Dosinia exoleta Lin. Venus ovata Pen. Venus subscalaris n. Cytherea multilamella Lmk. Cytherea rudis Poli. Corbula bìrostrata n. Corbula gibba Olivi. Lucina dentata Bast. Laurina spinifera Mont. Lucina spinifera var. Meneghina De Stef. et Pant. 512 G. TRENTANOVE per questi luoghi ed avvicina al Messiniano , citando le seguenti specie (Q: Queste sono le specie indicate dal Sacco. Se si ponessero a confronto questi nomi citati dal Sacco per il miocene dei monti livornesi con la fauna del miocene di altre parti d’Italia, del Piemonte ad esempio, risulterebbe che questi trovano riscontro nei depositi di Stazzano, S. Agata, Baldissero, Montegibio, ecc. mentre invece non troverebbero analogia con la fauna di gia- cimenti posteriori a questi, come dovrebbero essere quelli del Messiniano. Per Popogna e Cafaggio, un deposito consimile es- sendo nella parte superiore delle argille, rappresenterebbe un Tortoniano molto alto; starebbe cioè ad indicare la fine del Tortoniano, e secondo me sarebbe una formazione piuttosto lit- toranea, ancora meglio determinata a Cafaggio, dove nella parte superiore si possono rinvenire resti di vegetali, come Laurus sp. Per Cafaggio, come ho già notato, ho avuto meno campo di fare le mie osservazioni, ma anche in questa località ho ve- duto le medesime argille marnose cenerognole regolarmente stra- tificate come a Popogna. Sotto la casa colonica, dove anche dal Capellini furono raccolti la maggior parte dei fossili, gli strati messi allo scoperto dal fosso affiorano seguendo la medesima direzione della parete della valle ossia diretti verso est-nord-est. Anche a Cafaggio ho notato qualche affioramento di calcare, ma, a differenza del lembo che a Popogna è alla confluenza del Botro Bosso col rio di Popogna, lo ho trovato molto povero di fossili lamellibranchi, e costituito in massima parte da briozoi e coralli. (l) Sacco F., L’ Appennino Settentrionale. La Toscana. Studio geo- logico sommario. Parte III. (Boll. d. Soc. Geol. It. XIX). Chama sp. Ostrea crassissima Lmk. Ostrea sp. Clausinella sp. Lucina sp. Pecten Besseri Andr. Corbula gibba Olivi. Turritella tricarinata Brocc. Nassa sp. Cerithiùm bicinctum Brocc. Pirenella cfr. bidisiuncta Sacc. Pitocerithium cfr. costatavi Bors. » transversa Broun. Arca diluvii Lmk. IL MIOCENE MEDIO DI POPOGNA E CAFAGGIO 613 Tanto nella valle di Popogna che in quella di Cafaggio non ho potuto trovare strati contenenti gesso ; neppure ci ho ri. scontrato la formazione di strati a Congerie, nè deposito di tripoli, giacimenti presenti nel miocene di altre parti dei monti livornesi (1). Notammo però sotto la villa Maggi-Tidi e poco lontano dalla strada provinciale, un giacimento di selenite a circa due metri di profondità. In questi due giacimenti ho trovato i seguenti fossili. Non indicherò altro che le sinonimie principali delle sole forme più rare o più importanti e quasi solamente di quelle indicate nei terreni del miocene medio superiore d’Italia. Cosi pure fra le località nelle quali le specie furono trovate fuori di Popogna e Cafaggio indicherò solo le principali del miocene italiano. Gasteropodi. Ancillaria glandiformis Lmk. Molto rara nelle località di Popogna e Cafaggio (marne ar- gillose turchine). Ne ho un solo esemplare di cui non sono con- servati che i primi anfratti e manca tutta l’apertura boccale. Il mio esemplare è forse riferibile alla varietà indicata da Do- derlein e Ceppi (op. cit., pag, 107 e 44), come var. spira conico- acuta (var. B. del Bellardi, op. cit.). Questa varietà si trova nelle località del miocene medio o superiore e secondo alcuni : Colli Torinesi, Stazzano (Bell.), Montegibio S. Agata (Dod.), valle dellTdice, Monterenzo (Sangiorgi), Montebaranzone (Malagoli), miocene di Nicosia (De Greg.), ecc. Fusus Yalenciennesi Grat. 1856 Fusus Valenciennesi — Hòrnes, Moli. Fos. Wi'en, pag. 287, Tav. XXXI, f. 13, 14, 15. 1864 » » — Doderlein, Cenni geologici intorno la giaci- tura dei terreni miocenici superiori dell’ Italia centrale, pag. 103. (' ) De Bosniascki S., La formazione gessosa ed il secondo piano Me- diterraneo, Att. Soc. tose, scienze nat. proc. verb., p. 4. — Cenni sopra l’ordinamento cronologico dei terr. monti livornesi, Estr. Soc. tose, scienze nat., luglio, 1879. — Capellini, loc. cit. 514 G. TRENTANOVE 1866 Fusus Etruscus — Pereira da Costa, Gasteropod.es dos depositos terciaros de Portugal, Tav. XXI, f. 5. 1869 » Vàlenciennesi — Manzoni, Fauna marina miocenica, pag. 16. 1869 » » — Coppi, Calai, foss. mioc. plioc. Modenesi, pag. 28. 1872 » » — Bellardi, Molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria, Parte la, pag. 137. 1882 » » — Coppi, Paleontologia iconografica del Mode- nese, pag. 29. Questa conchìglia è molto rara nelle località di Popogna e Cafaggio. Località : Colli Torinesi, Stazzano S. Agata (Dod. e Bell.), Montegibio (Coppi). Nassa Hoernesi May. (Tav. Vili, f. 18, 19). 1878 Nassa semistriata — Capellini, Il calcare di Leitlia ed il Sarma- tiano nei monti di Livorno, ecc., pag. 10. 1882 Nassa Hoernesi — R. Hoernes-Auinger, Gasi. moli. Oester. Ung., pag. 128, Tav. XIV, f. 22. 1882 » » — Bellardi, Foss. Ter. ierz. Piemonte, p.3'\ pag. 143, Tav. IX, f. 10. 1883 » » — De Gregorio, Fossili dell’orizzonte a Cardila Jouanneti (Naturalista Siciliano), pag. 2. Specie molto frequente ed abbondante nelle località da me studiate, raccolta pure dal Capellini a Popogna e Cafaggio e da lui riferita alla JST. semistriata Brocc. Dopo un esame ac- curato sopra un buon numero di esemplari, mi sono convinto trattarsi della N. Hoernesi e non di altre specie a questa vicine. Basandomi sopra le figure e le descrizioni che ne ha date il Bellardi, darò la diagnosi dei caratteri che distinguono le specie più vicine: hac species distinguuntur a N. Hoernesi se- quentibns notis: N. semistriata: Testa subovata; spira brevi, parum acuta; anfractubus convexis, superficie tota longitudinaliter ecostata. N. solidula: Anfractubus convexis; ore suborbiculare, rima a labiis longiusculis-circum scripta. N. gigantula : Testa subfusiforme, ventrosa ; superficie tota longitudi- naliter ecostata ; rima magis lata quam profonda a labiis longiusculis circumscripta. IL MIOCENE MEDIO DI POPOGNA E CAFAGGIO 515 La N. Hoernesi è citata dal Bellardi come presente nel plio- cene di Castel Nuovo di Asti (’), ina Hoernes e Auinger (2) la citano nel miocene dell’Austria-Unghcria. Nassa lìrugnonis Bell. 1847 Nassa prysmatica — Michelotti, Description des fossiles des terrains mioc'cnes de V Italie septen- triònale, pag. 208 (in parte). 1864 » limata — Doderlein, Cen. geol. terr. mioc. sup. It., pag. 105. 1869 Buccinum prysmaticum — Coppi, Catal. foss. mioc. e plioc. Mode- nesi, pag. 24. 1878 Nassa prysmatica — Capellini, Il calcare di Leitha e Sarma- tiano, pag. 10. 1881 » limata — Coppi, Paleontologia Moden., pag. 33. 1882 » Brugnonis — Bellardi, Moli. terr. terz. Piemonte, pag. 73, Tav. V, f. 2. 1890 » » — Pantanelli, Buccinide Purpuride ed Oli- vide del Miocene superiore di Monte- gibio (Bull. Soc. Mal. It., Voi. XV, pag. 11). 1896 » » — Sangiorgi, Il Tortoniano dell’alta valle dell’ Idice (Riv. It. Paleontologia, 1896, pag. 15). Questa forma che si avvicina alla N. prysmatica Brocc., ed alla N. subprysmatica di Hornes e Auinger, fu dal Bellardi distinta con un nuovo nome, non solo per certe particolarità di forme, ma anche per essere propria del Tortoniano, mentre la N. prysmatica è propria delle sabbie gialle Astesi. Anche questa forma la credo identica a quella ritrovata dal Capellini a Popogna ed indicata come N. prysmatica. Però dalla N. prysmatica Brocc. tipica si distingue per conchiglia più rigonfia e più corta , mag- gior numero di strie traversali , spazi intercostali meno estesi, labbro destro meglio marcato e rugoso. Località: Colli Tortonesi, Stazzano S. Agata (Boll.), Mon- tegibio (Dod. e Copp.), alta valle Idice (Sangiorgi), Montegibio (Pant.). (‘) Bellardi, op. cit., p. 143, T. 9, fig. 10. {-) Hoernes R. u. Auinger, op. cit., p. 128, T. 14, tig. 22 516 G. TRENTANOVE Chenopus Uttingerianus Riss. var. Esemplari poco bene conservati, mancando a tutti la parte boccale e quindi ogni vestigia di digitazione. Ma quantunque mal conservata ho potuto determinare con sicurezza che questa conchiglia appartiene al C. Uttingerianus Riss., e ne rilevo i caratteri che la distinguono dal C. pespelecani, che da Hbrnes, Cocconi ed altri è stato considerato sinonimo al C. Uttinge- rianus. — Si distingue dunque dal C. pespelecani per spira più schiacciata , angolo apiciale maggiore (45° cir.). Strie di accre- scimento distinte, digitazione superiore aderente alla spira e più lunga di essa, ornamentazione più grossolanamente scolpita (1). Confrontato l’esemplare di Popogna e Cafaggio colla ripro- duzione che il Sacco dà come tipica del C. Uttingerianus e con esemplari del Pliocene del Piacentino Carpeneto in provincia di Alessandria, Asti, Orciano, sono da notarsi le seguenti diffe- renze: straordinario sviluppo del callo, tanto in grossezza che in estensione, e questo specialmente per il labbro sinistro che in molti esemplari è sempre presente e si distacca col suo mar- gine per 2-3 mm. dalla spira; digitazione superiore aderente anche al primo anfratto, sebbene stroncata al livello dell’apice, dalla sezione clic presenta si può dedurre dovesse prolungarsi ancora assai oltre la spira ; carena nodosa con tubercolini ton- deggianti bene distinti. Questo ultimo carattere avvicinerebbe alquanto i nostri esemplari al G. pespelecani. Tenuto pure conto delle osservazioni del Sacco ( Le varia- zioni nei molluschi , Boll.. Soc. Mal., voi. XVIII, p. 139) e delle osservazioni di Vinassa de Regny (Il Chenopus Uttingerianus Riss. ed il Chenopus pespelecani del Pliocene italiano (Boll. Soc. Mal., voi. XX, p. 21), avvicino i miei esemplari al C. Uttinge- rianus, senza però identificarlo con questo. La forma così nodu- losa della carena negli esemplari di Popogna, mi farebbe sup- porre trattarsi del C. Uttingerianus var. carina subnodosa Do- derlein (2), ma non essendo stata data dal Doderlein una descri- (') Vedi Vinassa de Regny, op. cit., p. 20. (2) Doderlein, Cenni geoil. mioc. sup., It. centr., p. 104. IL MIOCENE MEDIO DI POPOGNA E CAFAGGIO 517 zione, nè una figura, nè potendo avere gli esemplari originali che servirono al Doderlein per la determinazione, e non avendo trovata questa varietà menzionata da alcuni degli autori con- frontati da me, non posso pronunziarmi con certezza. Località: Montebigio, S. Agata (Dod.). Turritella communis Bisso (Tav. Vili, f. 7, 8). 1829 Turritella terebra 1847 » ungulata 1873 » communis 1884 » » 1887 » » 1895 » » 1895 Turritella tricarinata — M. De Serres, Géognosie des terrains ter- tiaires du midi de la France, pag. 106. — Michelotti, Descrip. foss. mioc., pag. 185 (pars). — Cocconi, Enumerazione sistematica dei mol- luschi miocenici e pliocenici delle Pro- vincie di Parma e Piacenza, pag. 193. — Boucquoy-Dautzenberg et Dollfus, Mol- lusgues marins du Roussillon, pag. 224, PI. XXVIII, fig. 6, 7, 8, 9, 10, 11. — Pantanelli e Mazzetti, Cenno monografico intorno alla fauna di Montese (Atti Soc. Nat. Modena. Mem. originali, Sez. Ili, Voi. VI, pag. 25). — De Franchis, Descrizione comparativa dei molluschi postpliocenici del bacino di Galatina, B. S. M. It., Voi. XIX, pag. 166. — Sacco, Molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria, pag. 6. Specie comunissima a Popogna e Cafaggio, tanto che a Po- pogna ne ho veduto in certi punti il terreno affatto ricoperto. Per questa T. communis noto, come già notò il De Franchis per la T. communis delle varie località postplioceniche del Lec- cese da lui studiate ('), che non si ha un tipo di Turritella ben netto e deciso, considerando le forme in complesso, ma si ha un graduale passaggio alla T. tricarinata ad essa affine. Come questa rassomiglianza di forma abbia originato confusioni, è stato esaminato minutamente dal De Franchis. Sono della me- desima opinione del citato autore in quanto possa tenersi distinta (') De Franchis, Il bacino postpliocenico di Galatina, Boll. Soc. M. I., voi. XIX. 518 G. TRENTANOVE la T. communis dalla T. tricarinata per le diversità della forma di cui do qui sotto i caratteri differenziali, alcuno dei quali è pure dato dal De Franchis: T. communis Kiss.: Anfratti molto convessi, con linee di sutura molto profonde. Superficie marcata di 8-10 strie sottili talora lamelliformi, tre di queste alquanto più distinte, le altre di poco più piccole, spessissimo subeguali, strie di accresci- mento generalmente poco visibile. T. tricarinata Brocc. : Anfratti poco convessi con linee di sutura non profonde. Superficie marcata di tre strie ben nette, rilevate e più grosse di quanto non si osservi nella T. communis, mai però lamelliformi ; intervalli fra le tre strie generalmente lisci, talora marcati di fini strie, spesso visibili solo colla lente, strie di accrescimento visibili. 11 Sacco considera la T. communis (Bisso), come semplice varietà della tricarinata (Brocchi). La polimorfia della T. com- munis è già stata notata anche dal Fontannes ( Mollusqucs Plio- cènes de la vallee du Eliòne et du Eoussillon, p. 200). Gli esemplari di T. communis (Bis) di Popogna, come già ho notato, presentano grandi variazioni nella forma; la maggior parte degli individui presentano forme di passaggio alla T. tri- carinata (Brocc.), come quegli osservati dal De Franchis del Postpliocene Leccese, però non mancano esemplari che ripro- ducono la forma tipica della communis (Biss.), come mi è risul- tato dal confronto fatto colla forma del Pliocene di S. Colom- bano prov. Piacenza, che secondo il De Franchis rappresenta la T. communis (Biss.) tipica. Anche in esemplari del Pliocene di Castell’Arquato ho notato molta variabilità di forma, ed ho trovato qualche esemplare in cui gli ultimi anfratti accennano ad un distacco dagli anfratti precedenti ed in cui non si distin- guono più le tre strie principali della superficie nettamente, ma quasi si confondono colle rimanenti. In vari miei esemplari di Popogna noto la medesima cosa e li ritengo come var. so- lida (B. D. D.) (*) distinta per maggiore convessità degli an- fratti, maggior numero di strie, più fitte, più sottili, subeguali (‘) Vedi Tav. Vili, f. 7. IL MIOCENE MEDIO DI POPOGNA E CAFAGGIO 519 fra loro, suture molto profonde, ultimi anfratti staccati dai lire- cedenti. Località del Miocene; Stazzano, S. Agata (Sacco), Montcse (Pant.-Mazzetti), oltre a numerosissime località del Pliocene e del Postpliocene. È anche vivente. Turritella tricarinata Brocc. Tav. Vili, f. 9, 10. 1814 Turbo tricarinatus — Brocchi, Condì, foss. subappennina, II, pag. 374. 1829 Turritella tricarinata — M. De Serres, Géog. terr. sud-est Trance, pag. 107. 1873 » » — Cocconi, Enumerazione moli. plioc. Panna- Piacenza, pag. 194. 1882 » » — Koenen, Gasteropoden Norddeutschen Mio- càn, pag. 283. 1895 » » — Sacco, Moli. terr. terz. Piemonte, 5, I, p. 14. Esemplari abbastanza numerosi con forme di passaggio dalla communis. Alcuni di questi corrispondono perfettamente alla figura che ne dà il Sacco della forma tipica della collezione Brocchi, ed alla T. tricarinata del Pliocene della Cianca (*) prov. di Modena; i rimanenti esemplari corrispondono molto alle forme di T. tricarinata del Pliocene di Eiolo, di Castro- caro (Romagna) e di Orciano, forme che si accostano per qualche carattere alla communis (Riss.). Località del Miocene: Stazzano (Sacco), e Miocene inferiore di Germania. Turritella Capellinii n. sp. (Tav. Vili, f. 5, (3). Posseggo tre soli esemplari di Popogna, di questa forma, che nel loro insieme riprendono la forma della T. tricarinata, ma si allontanano per i seguenti caratteri: « Anfratti meno convessi, suture meno profonde con bordo » leggermente rigonfio, tre strie carenali più sottili che nella (‘) Questi esemplari sono anche dal De Franchis indicati come tipici. V. Moli, postplioc. bac. Galatina, B. S. M., voi. XIX. 520 G. TRENTANOVE » T. tr icarinata tipica; solo un esemplare presenta un accenno » appena visibile ad una quarta stria oltre le tre carenali; oltre » a queste tre carene non si notano strie trasversali nemmeno » coll’aiuto della lente; abbiamo invece ben nette e marcate le » linee di accrescimento che rendono la conchiglia come striata » longitudinalmente ». Confrontata con Turritélle di specie dif- ferenti dalla tr icarinata (’), ricorda alquanto la T. turris var. taurolevis del Sacco (2) da cui si distingue però per carene più minute, più decise, costantemente in numero di tre. Natica millepunctata Lmk. Non rara nella località di Popogna e Cafaggio: esemplari imperfetti ; qualcuno conserva intatti i primi anfratti su cui si possono notare le punteggiature. Confrontando i miei esemplari di N. millepunctata colle ri- produzioni del Sacco, li trovo riferibili in special modo alla varietà acutìspira (Sacco) (3). Località: Tortoniano del Bolognese (Manzoni), M. Gibio, Montebaranzone (Coppi), M. della Verna (Sim.), Capo S. Marco Sardegna (Mar. e Parona), Stazzano, S. Agata (Sacco), valle dell’Idice (Sangiorgi), marne di S. Luca (Foresti), Quarara e Stincone in Sicilia, Forabosco nel Veneto (De Gregorio). Comune nel pliocene e vivente. Oxystele rotellaris (Micktt.) 1847 Trochus rotellaris 1864 » » 1872 » » 1879 » » 1881 » » — Miclielotti, Descriz. foss. mioc., pag. 182. — Doderlein, Cenni geol. terr. mioc. sup. It. cen- trale, pag. 100. — Coppi, Studi di paleontologia iconografica del Modenese, pag. 12, T. I, pag. 17. — Sacco, Calai, pai. Bac. terz. Piemonte, n. 1813. — Coppi, Paleontologia Modenese, pag. 81. (’) Anche dalla T. triplicata Brocchi è differente per non avere come questa carene cordiformi. (2) Sacco, Moli. terr. terz. Piemonte c Liguria. Part. XIX, p.4, T. 1, F. 4. (3) Sacco, Moli. terr. terz. Piemonte e Liguria. Parte Vili, T. II, fig. 8. IL MIOCENE MEDIO DI POPOGNA E CAFAGGIO 521 1884 Trochus rotellaris — Malagoli, Note geologiche Montebaranzone e dintorni, pag. 7 (Soc. nat. Modena: Rendi- conti adunanze, Serie IIP, Voi. II). 1887 » » — Pantanelli e Mazzetti, Cenno monogr. fauna Montese. (Soc. nat. Modena). 1896 Oxystele » — Sacco, Moli. foss. terr. terz. Piemonte e Liguria, Parte XXI, p. 27. 1896 Trochus » — Sangiorgi, Tortoniano alta valle dell’Idice, pag. 10. Yar. torquata Sacco. Un solo esemplare delle argille marnose. Corrisponde alla figura datane dal Sacco. Località: Fossile frequente nei dintorni di Tortona (Miotti), Stazzano S. Agata (Sacco), alta valle Idice (Sangiorgi), Monte- gibio (Coppi e Dod.), Montebaranzone (Coppi), Montese (Pant. e Mazzetti). È esclusiva del miocene. Scalaria subtrevelyanoides Sacco (Tav. IX, f. 2, 3). 1890 Scalaria subtrevelyana — (non Brugnone) De Boury, Étude critique des scalidae mioc. et plioc. d’Ital. B. S. M. It., Voi. XIV, pag. 292. 1891 » » — De Boury, op. cit., Voi. XV, pag. 201, Tav. IV, f. 5. 1891 » subtrevelyanoides — Sacco, Moli. terr. terz. Piemonte-Li- guria, Part. IX, pag. 17. Il De Boury ha dato una esatta descrizione e figura di questa forma che egli riferisce alla S. subtrevelyana Brugnone (Boll. Soc. M. It., XIX, 292 e XY, 201, Tav. IV, f. 5). Il Sacco (op. cit., pag. 17) fa notare Terrore in cui è incorso il De Boury, e mentre considera la S. subtrevelyana di Brugnone (') come affine alla S. alternicostata di Bronn dice che la S. subtrevelyana (De Boury) è invece molto differente, perciò propone per questa ultima il nome di 8. subtrevelyanoides. Dall’esame delle figure dei due autori e dal confronto della descrizione che questi medesimi autori ne danno, rilevo queste (') Brugnone, Le conchiglie plioceniche delle vicinanze di Caltanis- setta. B. S. M. It., Voi. IV, pag. 124, Tav. I, f. 13; 1880. 522 G. TRENTANOVE differenze fra la forma di De Boury e quella di Brugnone, in parte citate anche dal Sacco. « Anfratti più convessi e suture più profonde della specie » descritta e figurata dal Brugnone, orecchiette più sviluppate, » costole longitudinali generalmente 12-13 saltuariamente tras- » formate in varici, terminanti superiormente in spina spero- » nata e susseguentesi da un anfratto ad un altro in una me- » desima linea obliqua in modo che le costole dell’uno anfratto » sembrano la continuazione di quello precedente ; nella specie » di Brugnone invece le costole sono meno lamellose, nè dalla » figura appare che siano menomamente speronate, non si sus- » seguono in una medesima linea, ma generalmente quelle del- » l’uno anfratto alternano con quelle del precedente; nè dalla » figura, nè dalla descrizione si rileva che la S. sublrcvéUjana » di Brugnone abbia mai costole variciformi ». Di questa medesima Scalarla esiste una riproduzione in una tavola inedita del Fuchs favoritami dal Professor De Stefani, tavola che oltre a questa Scalarla contiene altre conchiglie già trovate dal Fuchs a Rosignano (V. T. IX, fig. 2-3). Località : Montegibio (Sacco). Scafopodi Dentalium inacquale Bromi. 1331 Dentalium inacquale — Broun, Italiens Tertiixr-Gebilde und deren organiseli e Einschlusse, pag. 84. 1847 » » — Michelotti, Descriz. foss. mioc. It. sett., pag. 142. 1864 » » — Doderlein, Giac. terr. mioc. sup. It. cent. 1869 » 1872 » 1873 » 1878 » 1880 » pag. 97. » — Manzoni, Fauna mar. lembi mioc., pag. 499. » — Coppi, Studi di paleontologia iconografica del Modenese , pag. 5. » — Seguenza, Cenni terr. terz. prov. Messina pag. 265. » — Capellini, Il calcare di Leitlia, ecc. monti di Livorno, ecc., pag. 10. » — Seguenza, Form. terz. prov. di Leggio, pag. 117. IL MIOCENE MEDIO DI POPOGNA E CAFAGGIO 523 1881 Dentalium inacquale — Coppi, Paleontologia Modenese, pag. 85. 1883 1887 1889 1897 — De Gregorio, Foss. oriz. Cardila Jouanneti, pag. 4. — Mariani e Parona, Foss. tort. Capo S. Marco Sardegna, pag. 81. — Sacco, Cut. pai. Pac. terz. Piemonte, n. 1728. — Sacco, Moli. terr. terz. Piemonte e Liguria, p. XXII, pag. 95. Gli esemplari di Popogna e Cafaggio presentano un numero di costole maggiori della specie tipica. La specie tipica ne ha circa 50 ; negli esemplari di Popogna e Cafaggio se ne contano fino a 65. Le costole che determinano la esagonalità della con- chiglia nei miei esemplari solo per un terzo della lunghezza totale sono evidentissime sopra le altre ; all’estremità anteriore, sebbene si possano sempre distinguere, pure a prima vista ri- mangono confuse colle rimanenti, e per questo carattere il Den- talium di Popogna e Cafaggio si avvicina alla var. rotundatior del Sacco (x). Confrontato l’esemplare di Pop. e Caf. col D. Del- phinense Font, a cui accenna anche il Sacco (op. cit., pag. 85), mostra un minor numero di costole, ed ha le 6 costole principali per più lungo tratto visibili che non nel D. Delphinense. Ha in comune col D. Delphinense la finissima striatura trasversale. Località: Montegibio, Sant’Agata, Yigoleno (Dod.), Monteba- ranzone-Cà di Serra (Modena) (Coppi), Stazzano; Capo S. Marco in Sardegna (Mar. e Parona), Stincone in Sicilia (De Greg-.). Dentalium Iani Hornes. Frequenti nell’argilla turchina di Popogna. Si avvicina molto alla forma tipica rappresentata da Hornes (Foss. Moli. d. tert. Beclì,., von Wien, pag. 657, tav. 50, f. 37). Località: Rara nel Tortoniano di Cà di Serra (Coppi), Staz- zano S. Agata, Montegibio abbondante (Sacco). Frequente nel Pliocene. (') Sacco, Moli. terr. terz. Piemonte e Lig., Parte XXIIa, pag. 96. 41 624 Gt. TRENTANOVE Pelecìpodi. Ostrea Jamellosa Brocchi. Questa forma l’ho rinvenuta nelle sabbie gialle cementate, nella parte inferiore della valle di Popogna. Non ho potuto tro- vare traccia di questa nelle marne argillose turchine. Vari individui di questa Ostrea presentano numerose punteg- giature visibili coll’aiuto della lente dovute a spongiari. Località del Miocene: Baselice in provincia Benevento (Pa- troni), Stazzano (Sacco), dintorni di Ancona (Capellini), di Mon- tebaranzone (Malagoli), etc. Comune nel Pliocene, vivente. Ostrea nayicularis Brocchi. 1857 Ostrea coclilear 1862 » » 1862 » » 1874 » » 1874 » » 1877 » » 1878 » » 1878 » » 1880 » » 1881 » » 1882 » » 1883 » » 1883 » » (Poli) — Meneghini, Paléont. Sardaigne, pag. 600. — Doderlein, Giac.terr.terz.lt. cent., pag. 15. — Segnenza, Brevissimi cenni intorno ai ter- reni terziari prov. Messina, pag. 264. — Fuchs, Età strati terziari di Malta, pag. 377. var. navicularis — Capellini, Form. foss. Ca- stellina Marittima. — Foresti, Marne di S. Luca e Pdderno, pag. 35. — Capellini, Il calcare di Leitha , ecc. nei monti di Livorno, pag. 10. — Ciofalo, Alcune osservazioni siti miocene di Ciminna, pag. 285. — Cufici, Formazione gessosa del Vizzin. e Licod., pag. 7. — Coppi, Mioc. medio nei colli modenesi. Ap- pendice alla Paleontologia Modenese (Boll. Reg. Comit. geol., Voi. 15°). — Foresti, Note sur deux nouvelles var. de Ostrea coclilear, pag. 4. — Cufici, Formazione mioc. di Licodia, pag. 25. — Simonelli, Il monte della Verna ed i suoi fossili. Boll. Soc. geol. Ital., Voi. II, pag. 271. — Malagoli, Tortoniano di Monte Baranzone, pag. 6. 1884 Grypliea » IL MIOCENE MEDIO DI POPOGNA E CAPAGGIO ' 625 1887 Ostrea cochlear (Poli) — Mariani, Descriz. mioc. tra Scrivia e Staf- fora, pag. 27. 1887 » » — Mariani e Parona, Foss. tori. Capo S. Marco Sardegna, pag. 61. 1887 » » — De Angelis e Lazzi, Altri fossili dello Schlier delle Marche (Boll. Soc. geol. It., col. XVIII, pag. 2). 1897 » » — Chelussi, Brevi cenni sulla costituzione geologica dell’ Abruzzo Aquilano, pag. 11. 1897 » » var. navicularis — Sacco, Descriz. foss. terz. Piemonte-Liguria, p. XXIII, pag. 22, Tav. Vili. 1897 » » — De Alessandri, La pietra da Cantoni di Eosignano e di Vignale (basso Monfer- rato) (Mem. mus. civ. stor. nat. Milano e soc. It. e se. nat., tom. VI, fase. 1). 1899 Gryphea navicularis — De Angelis, Le sorgenti dì petrolio a Tocco da Casauria (Abruzzi), pag. 9 (Rasse- gna Mineraria, dicembre 1899). Un solo individuo non raccolto da me, clie dal modo di fos- silizzazione giudico essere delle marne argillose. Tenuto conto dell’osservazione del Foresti (1), Pantanelli (2), Fontannes (3), Sacco (4), avvicino questo mio esemplare a quelli dell’Italia meridionale indicati dal Seguenza (. Formaz . terz. provincia Reg- gio, 76) specialmente come navicularis. Si può nettamente distinguere la fossetta legamentare per- fettamente orizzontale sul quale carattere il Fontannes fondava la varietà Foresta che ravvicinava all’ Ostrea navicularis del mezzogiorno d’Italia citata dal Seguenza, e dava di questa sua varietà una buona figura (5). Questa varietà poi secondo il Fo- resti si collegllerebbe alla var. grifoide del Foresti stesso (op. cit., pi. I e II, fig. 4, 5 e 6). Località: S. Agata (Dod.), Montegibio (Pant.), Montebaranzone (Malagoli), Capo S. Marco in Sardegna (Mar.-Parona), S. Paolo, colli Torinesi, Brianzola presso S. Giovanni (Sacco), Abruzzo Aquilano (Chelussi, Nelli). (’) Foresti, Dell’ Ostrea cochlear ed alcune varietà, pag. 7. (2) Pantanelli, B. S. M. I., 1892, V. XVII, p. 63. (3) Fontannes, Moli, plioc. Elione et Eouss., p. 232. (4) Sacco, op. cit., p. 23. (5) Fontannes, op. cit., p. 233. — PI. XIX, fig. 3. 526 G. TRENTANOVE Pecten multistriatus Poli. Raro nelle sabbie cementate a sud-ovest di Popogna, assente nelle marne argillose. Manca dalla parte di Cafaggio. Località del Miocene, S. Agata Montegibio (frequente) (Dod.). Pecten Malviuae Dub. (Tav. Vili, f. 11). 1867 Pecten Màlvinae (Dub.) — Hòrnes, Die foss. moli. Beck. Wien, 414-415, Tav. LXIV. — Chelussi, Geolog. Abruzzo Aquilano, pag. 11. - — Sacco, Moli. terr. terz. Piemonte- Li- guria, pag. 16, III, 36. — De Angelis e Lazzi, Altri fossili dello Schlier delle Marche (Boll. Soc. geol. It., Voi. XVIII). — De Angelis, Sorgenti di Petrolio a Tocco da Casauria, pag. 9. Un solo esemplare perfettamente conservato dei depositi sab- bioso-arenacei gialli (ovest part. inf. Valle Popogna): esso pre- senta una distinta solcatura in vicinanza del bordo paileale delle costole mediane. Stando alla riproduzione dell’ Hòrnes (op. cit., T. LXIV) e del Sacco (op. cit., Ili, 36), si osservano sopra tutte le costole, anche in vicinanza del bordo paileale, più solchi (da 2 a 6), però mai un solco principale quale si osserva nel mio esem- plare nella parte mediana in vicinanza del bordo pai leale. Località: Colli Torinesi, Albugnano (Sacco), Rosignano ed altri luoghi del Monferrato (De Alessandri), Abruzzo Aquilano (Chelussi, Nelli), Tocco da Casauria (De Angelis). Pecten Vigolenensis Sim. (Tav. IX, f. 13, 14). 1873 Neithea Bollei — Cocconi, Enun. sistem. mioc. plioc. Parma e Piacenza, pag. 339. 1892 Pecten flabelliformis — Pantanelli, Lamellibranchi 'pliocenici (Boll. Soc. Mal. It., Voi. XVII). 1896 » Vigolenensis — Simonelli, Appunti sopra la fauna e l’età dei terreni di Vigoleno (Boll. Soc. geol. It., Voi. XV, pag. 328). 1897 » » 1897 » » 1899 » » 1899 » » IL MIOCENE MEDIO DI TOPOGNA E CAFAGGIO 527 1897 Pecten Vigolenensis — Sacco, Moli. terr. terz. Piemonte e Liguria, XXIII, 63. 1899 » » — Ugolini, Monografìa dei Pecten miocenici dell’Italia centrale (B. S. M., Voi. XX, 161). Non raro nel deposito sabbioso arenaceo di Popogna. Questa forma si avvicina molto al Pecten aduncus (Eichw.), al Pecten subbenedictus (Font.), e ad altri, come vedremo. Fu per la prima volta descritta e figurata dal Simonelli (Appunti terr. Vigoteno - Boll. Soc. Geol. It., Voi. XV, p. 328), riproducendo esemplari da lui ritrovati nelle sabbie argillose mioceniche di Vigoleno. Come nota l’Ugolini, oltreché dal Cocconi, il quale pure la ritrovò a Vigoleno e la riferì a torto al Rollei (Hbrn.ì, la specie era stata già trovata anche dal De Stefani nel cal- care a Rosignano, e da lui stesso era stata riconosciuta come specie nuova e determinata in schedis come P. Etruscus. Noto come anche il Fuchs nel lavoro: Studien iìber die Gliederung d. Ober Italiens, p. 26, parlando di un Pecten ritrovato a Ro- signano, che egli avvicina ai P. Bendanti (Bast.), Rollei (Hòrn.), benedictus (Lek), riconoscendolo differente da ognuno di questi, si riferisca appunto a questa medesima specie ancora non no- minata, e più tardi figurata dal Simonelli come Vigolenensis. Il Fuchs dette anche una riproduzione di questo Pecten nella tavola inedita che ho già avuto luogo di citare. V. Tav. IX, fig. 13-14. Dal confronto della figura data dal Simonelli (op. cit., p. cit.) con quella del Fuchs e coi tipi, mi sono convinto dell’assoluta identità del P. Vigolenensis (Sim.) col P. etruscus De Stef. in schedis, accennato e figurato dal Fuchs e lasciato da questi in- nominato. Il P. Vigolenensis si distingue dal P. benedictus Lek., pei seguenti caratteri : P. Vigolenensis Sim.: Conchiglia più o meno obliqua, con- vessa suborbicolare. Valva destra con 16-18 costole radiali, con dorso quasi piano, più larghe degli intervalli ; umbone ricurvo, sporgente poco oltre la linea cardinale, strie di accrescimento molto visibili specialmente al bordo palleale. Valva sinistra con- cava; costole 11-12 con dorso tondeggiante appiattito al margine palleale, più larghe degli intervalli, orecchiette con raggi. 528 G. TRENTANOVE P. benedictus Lek: Numero minore di costole, circa 12 nella valva destra, 11 nella sinistra; minore convessità della valva destra o minore curvatura dell’umbone. Superficie meno lamel- losa, conchiglia meno obliqua. Il P. subbenedictus (Font.) è diverso per intervalli più stretti, conchiglia meno obliquata, umbone sporgente oltre la linea car- dinale, orecchiette più disuguali. Il P. aduncus Eichwal ha un minore numero di costole, intervalli più stretti (nel P. aduncus sono minimi), conchiglia meno obliqua, orecchiette sprovviste di raggi. Il P. Beudanti Bast. ha conchiglia più trasversa, meno convessa, unbone meno ricurvo, numero minore di costole e meno appiattite. Il P. Eolici Horn. ha angolo apicale più aperto, numero minore di costole, e nella valva destra più larghe e più promi- nenti, orecchiette sprovviste di raggi. La specie fino ad ora fu dunque ritrovata nel Miocene dal Cocconi e Simonelli (Vigoleno), dal De Stefani, Fuchs e Ugolini (Kosignano). Le marne di Vigoleno che prima erano state rite- nute come plioceniche, furono anche dal De Stefani riconosciute mioceniche Modiola Rosignani n. sp. (Tav. IX, f. 1, 12). Questa conchiglia che si trova a Popogna nelle marne sab- biose si presenta equivalve, subrettangolare, quasi trapezoidale, allungata, coi margini rettilineari, rigonfia specialmente verso il mezzo ed alFumbone; presenta una convessità che attraversa la conchiglia dall’umbone, e si attenua fino a scomparire presso il margine ventrale. Umbone poco distinto, ottuso, posto ad un angolo del ret- tangolo formato dal profilo della conchiglia, da cui pure parte la convessità, che, come ho detto, attraversa diametralmente la conchiglia. Si possono sempre distinguere quattro margini ret- tilineari: l’umbonale, il ventrale, l’anteriore e il posteriore, che essendo disposti l’uno presso l’altro quasi ad angolo retto for- mano quasi un rettangolo, con spigoli più o meno acuti. Solo lo spigolo posto fra il margine inferiore e ventrale si mostra IL MIOCENE MEDIO DI POPOGNA E CAFAGGIO . 529 dolcemente arcuato. Superficie ornata di minute strie concen- triche ben distinte dalle strie di accrescimento che in qualche esemplare si mostrano come gradini. Anche di questa modiola ho trovato una riproduzione nella ricordata tavola del Fuchs. Y. T. IX, fig. 1. Veduto quanto dice il Brocchi della M. modiolus ('), affine a questa conchiglia di Popogna, e quanto dice il Foresti per il genere Modiola (2) riguardo alle variazioni sotto cui i vari indi- vidui si presentano, credo che per questi esemplari miocenici convenga un nuovo nome, ravvicinandoli però alla M. interme- dia Foresti. Indicherò le differenze che la distinguono da questa, e da altre specie analoghe. La M. intermedia For. si distingue dalla M. di Popogna prima di tutto per la sua forma subtriangolare rotondata alle estremità e il margine superiore molto più esteso ed espanso a guisa di ala di quanto non lo è l’esemplare di Popogna; per una depressione che partendo daH’umbone si estende fino al margine inferiore facendogli descrivere una curva rivolta all’in- dietro; per stilature della superficie molto più fini. La M. modiolus L. si distingue per la forma subtriango- lare; per una grande ristrettezza della conchiglia nella regione umbonale; per la convessità che invece di correre in linea retta descrive sulla superficie della conchiglia come una curvatura; per una notevole depressione del margine inferiore. Le mede- sime differenze si notano presso a poco per la M. modiolus var. vulgaris ed elongata Wood (. Mónograf . Crag Mollusca , Voi. II, p. 57, T. Vili a, b, c). La M. Brocchii May. si distingue per umhone più piccolo, costole più slargate, margine ventrale che con curva continua e regolare si riunisce al margine superiore; per depressione del margine inferiore. La M. longa Bromi di cui ha dato una buona figura il Foresti, sotto il nome di M. rectemarginata (3), si distingue per regione umbonale più ristretta, per il margine superiore rego- (*) (*) Brocchi, Conchigliólogia fossile subappennina, T. II, p. 485. (2) Foresti, Moli. foss. Bolognesi, p. 43. (3) Foresti, Contribuzione conchigl. terziaria italiana (Acc. Scienze Bo- logna, Serie IV, T. Ili, pag. 417). 530 G. TRENTANOVE larmente incurvato, tanto da dare alla conchiglia l’aspetto di cucchiaio, mentre nella M. di Popogna il margine superiore è (sebbene molto meno della il/. intermedia ) alquanto depresso e accenna alla forma di ala, carattere appunto che me l’ha fatta avvicinare a questa M. intermedia Foresti. Arca (Anomalocardia) diluvii Lmk. 1847 Arca neglecta — Michelotti, Descriz. fos.s. terr. mioc., pag. 101. 1862 » diluvii — Doclerlein, Cenni giac. terr. terziar. sup. It. c., pag. 96. 1876 » » — Locarci, Description de la faune des terrains tertiaires moyens de la Corse, pag. 163. 1877 » » — Seguenza, Formazioni terz . Prov. Peggio, pag. 120. 1878 » » — Capellini, Il Sarmatiano, il calcare di Lettila, ecc- monti Livorno, pag. 10. 1881 » » — Coppi, Paleontologia Modenese, pag. 99. 1883 » » — Calici, La formazione miocenica di Licodia- Eubea, pag. 25. 1883 » » — De Gregorio, Elenco foss. orizz. Cardila Jouan- neti. 1884 » » — Malagoli, Tortoniano Montebaranzone, pag. 6. 1887 » » — - Mariani e Parona, Foss. tor. Cap. S. Marco Sar- degna, pag. 71. 1896 » » — Sangiorgi, Tortoniano alta valle delVIdicc pag. 9. 1897 » » — De Alessandri, La pietra da Cantoni, ecc. Vi- gnale, pag. 55. 1898 Anadara diluvii — Sacco, Moli. terr. terz. Piemonte - Liguria, parte XXVI, pag. 20. 1899 Arca diluvii — De Angelis, Le sorgenti di petrolio di Tocco da Casauria, pag. 9. Frequentissima nelle argille turchine di Popogna e Cafaggio: non ne ho trovato traccia nel banco di sabbie cementate che ho citato altre volte, dove ho rinvenuto VA. syracusensis May. e VA. corbuloides. Secondo il parere di diversi autori (x) questa (') Weinkauff, Die Condì. Mittehner, pag. 178 ; 1867. — De Stefani- Pantanelli, Moli, plioc. dintorni Siena, pag. 38; 1880. — Foresti, Enum. Brachiop. in B.S. M. I., V. XVIII, pag. 338; 1895. — De Franchis, Moli, postplioc. Galalina , pag. 80. IL MIOCENE MEDIO DI I’OPOGNA E CAFAGGIO 531 specie fossile ha piccole differenze colla vivente, come maggiore globosità, margine anteriore più retto; altri invece fanno una netta distinzione fra la fossile e la vivente e indicano questa ultima come A. Polii Q). L ’A. diluvii Link, è molto variabile nelle sue forme, e se- condo il Fontannes (2) non è bene distinta, essendovi incluse varie forme da quella subrotonda a quella allungata che si ap- prossima all’M. Turonica. Il Brocchi medesimo, ingannato dal diverso modo di presentarsi di questa specie, classificò come A. didyma giovani individui di A. diluvii (3) che ho pure os- servato con eguali caratteri in moltissimi individui di Popogna e Cafaggio. Riguardo al profilo generale ed alla forma, noto che da una forma subquadrata si passa ad una forma più rotonda e più rigonfia, che accenna ad un passaggio alla forma corbuloides; sebbene alquanto più rigonfi e di area ligamentare alquanto più larga, i nostri esemplari sono molto simili alle forme di A. diluvii del Pliocene italiano che ho potuto confrontare (Car- peneto, Castellarquato, Orciano, Siena). Il nome di latesulcata Nyst. proposto dal De Gregorio per VA. diluvii ( Studi su tal. condì. Medit , p. 84), è stato dimostrato fuori di luogo dal Foresti (B. S. M. I., V. XVIII, p. 338), es- sendo VA. latesulcata Nyst. forma differente. Località: Montegibio, S. Agata (Dod.), Montebaranzone (Ma- lagoli), alta valle Idice (Sangiorgi), Stazzano, ecc. (Sacco), Ro- signano Monferrato (De Aless.), S. Marco in Sardegna (Mar.-Pa- rona), Stincone (Sicilia) (De Greg.), Tocco da Casauria (De An- gelis), Licodia Eubea (Calici). Comune nel Pliocene e vivente. Arca corbuloides Monterosato (1878) Pochi esemplari raccolti nelle sabbie cementate di Popogna, di determinazione abbastanza diffìcile. (') Monterosato, Not. Conch. Civitavecdiia , pag. 7. Enum. Condì. Medit. (2) Fontannes, Moli, plioc. vallee Elione , p. 164. (3) Brocchi, Saggio condì, foss. subapp., pag. 477. 532 G. TRENTANOVE Avevo da prima riferito quest’arca di Popogna all’ Jh Fiditeli Desìi., ma è di questa ultima meno rigonfia, meno alata anterior- mente, più arrotondata posteriormente, con ambone meno rialzato e più piccolo, costole più fini f1). È molto somigliante alla vivente A. corhuloidcs Monterò»., ed a questa come la più vicina la riferisco dubitativamente, mancandomi per l’imperfetta conservazione il modo di fare con- fronti molto minuziosi. Arca Syracusensis Mayer (Tav. Vili, f. 4). 1868 Arca Syracusensis — Mayer, Moli. test. mus. feci. Ziirik, pag. 72. 1868 » » — Mayer, Catalogue systématique et descriptif des formes des terrains tertiaires, Cat. Ili, Ztirich, 1868, pag. 75. 1873 » » — Cocconi, Enum. moli. Parma- Piacenza, Tav. Vili, fig. 14, 15, 16. 1878 » Breislalci — Capellini, Il Sarmatiano, ecc. di Livorno, pag. 10. Non frequente nelle sabbie argillose. Ho anche un fram- mento che credo riferibile a questa specie raccolto nelle marne argillose turchine. È specie molto vicina all’M. pedinata Brocc., da cui però si distingue per maggiore regolarità di forma e pel margine centrale retto, mentre nella pedinata è depresso. Il decussamento che si osserva all’apice dell’umbone dell’H. pedi- nata, si continua allargandosi fino al margine ventrale ove vi determina la depressione al margine pai leale già notata; nel- V A. Syracusensis invece tale decussamento è appena visibile al- l’umbone e non interessa affatto la superficie, nè il margine ven- trale. Gli esemplari di Popogna sono affatto identici all’M. Syra- cusensis del Pliocene italiano (Pienza, Orciano, ecc.). A questa specie credo siano riferibili alcuni degli esemplari figurati dal Sacco {Moli. terr. terz. Piemonte e Liguria, parte XXVI, Tav. V, f. 22 (2) e Tav. VI, f. 1) e indicati da lui come A. pedinata. (‘) Cfr. B. D. D., Moli. mar. Eoussillon, fase. 18, p. 194. (2) Anche la figura f. 1, Tav. VI ricorda la figura del Cocconi. IL MIOCENE MEDIO DI POPOGNA E CAFAGGIO 533 Leda pella L. var. antecarinata n. v. (Tav. IX, f. 4, 5, 6). Nelle dimensioni corrisponde presso a poco alla L. pella vivente. La conchiglia è subnavicolare, equivalve, inequilaterale, me- diocremente rigonfia. Diam. ant. post. 15 mm., diam. limbo- ventrale 8., gross. 5-6. Arrotondata anteriormente, presenta una sottilissima costola carenale, nettamente distinta; posteriormente si allunga in rostro e presenta due costole carenali. La prima è formata da un ripiegamento ad angolo retto della superficie della conchiglia, il cui bordo è rialzato e le strie che terminano a questo bordo formano un corsaletto rialzato, crenulato, che circonscrive un’area. La seconda costola, a qualche distanza dalla prima, è molto fine, ma ben decisa. Superficie esterna marcata di striature alquanto oblique, ma più concentriche che nella L. pella tipica, umboni piccolissimi poco distinti, con strie po- chissimo note o non marcate affatto ; in molti esemplari invece vi si notano dei corrugamenti poco estesi, anzi limitati affatto alla curvatura dell’umbone. Lunula stretta lanceolata. Questi esemplari di Popogna hanno qualche analogia, per forma, a quelli descritti dal Beffardi (Q, come L. consanguinea Bell, e L. Bonellii Bell., si distinguono però per carene più fini e più rialzate. Per la forma delle carene anteriori e posteriori si distinguono dalla L. pella , L. tipica. Yoldia Philipp» Bell. 1875 Yoldia Philippii — Beffardi, Monografia delle nuculidi trovate finora nei terreni terziari del Piemonte e della Li- guria, pag. 25, f. 22. Si trova nelle argille marnose cenerognole di Popogna e Cafaggio. Località : Miocene medio di Baldissero, Colli Torinesi, Mon- tese (Pant. e Mazz.). Non raro nel Pliocene. (') Beffardi, Monogr. nuculidi terr. terz. Piemonte e Liguria , pag. 19, Tav. Y. 534 G. TRENTANOVE Yoldia nitida Brocc. Distinguo pochi esemplari con questo nome, e li ho trovati nelle argille turchine di Popogna e Cafaggio, non nel calcare poco compatto. Località : Montegibio, S. Agata (Dod.), Capo S. Marco in Sar- degna (Mariani e Parona), Colli Torinesi, Baldissero, Stazzano, Tetti Borelli, ecc. (Sacco), Montese (Pant. e Mazzetti). Candita globulina Michelotti var. Taurosimplex Sacco. 1847 Cardila rudista — Michelotti, Descriz. fossili mioc. It. settentrionale, pag. 95. 1880 » » — Segugpza, Formazioni terz.prov. Peggio, pag. 280. 1880 » » — Sacco, Catalog. foss. terr. terz. Piemonte, n. 1416. 1899 » » — Sacco, Moli. terr. terz. Piemonte, ecc., parte XXVII, pag. 15, Tav. IV, f. 22, 23, 24. Pochi esemplari nelle argille marnose cenerognole di Popogna e Cafaggio. È specie molto vicina alla C. rudista Lek. Gli esemplari di Popogna sono molto vicini a quella forma che dal Sacco è stata figurata e descritta come C. acideata var. taurosimplex Sac. Questa forma si distingue dalla aculeata Poli, per maggiore globosità, spine meno acute; si distingue dalla var. globulina Mieti, per essere maggiormente estesa in avanti, per solchi laterali nelle costole meno accennati, oppure non affatto visibili. Secondo il Sacco ('), le solcature laterali nelle costole della var. taurosimplex sarebbero caratteristiche delle forme tortoniane. Località: Colli Torinesi, Baldissero, Sciolze (Sacco). Cardium Labronicum n. sp. (Tav. IX, f. 10, 11). Numerosi esemplari nelle sabbie argillose di Popogna, non nelle argille marnose cenerognole. Si avvicina molto ai C. acu- leatum Lin., C. echinatum L., C. tuberculatum L. Differisce però da ognuno di questi per i seguenti caratteri: (’) Sacco, op. cit , p. 15. IL MIOCENE MEDIO DI POPOGNA E CAPAGGIO ' 535 Dal C. aculeatimi L., per numero minore di costole, per non presentare posteriormente nel bordo palleale quel troncamento che vi si osserva. Dal C. echinatum L., per numero delle costole e per non pre- sentare nel mezzo delle costole quel solco che vi si osserva. Dal C. tuberculatwn L., iter numero molto minore delle costole, per essere meno esteso posteriormente, per mancanza di tuber- coli sulle costole. Gli ornamenti sono affatto differenti da quelli delle tre specie ora accennate. Il Fuchs (, Studien iiber die Gliederung d. Tertkirhildungen Ober Italiens ) accenna ad un Cardimi ritrovato a Itosi guano che egli , pur distinguendolo, avvicina al C. taberculatum e C. Moeschanytm (p. 26). Il ravvicinamento che fa il Fuchs a queste due specie, mi fece supporre l’identità del C. del Fuchs con questo di Popogna, e dopo me ne sono convinto, avendo trovato una riproduzione del medesimo nella tavola inedita del Fuchs, che più volte ho avuto luogo di citare. Ora lo descrivo: Conchiglia equivalve, subequilaterale, globosa. Diam. ant. post. 35 mm,, diam. umbo-ventrale 33, grossezza 20 mm., superfìcie esterna ricoperta da 17 costole larghe quanto gli intervalli. Le costole portano punteggiature accennanti ad ornamenti unite fra loro da una cresta piccolissima, appena visibile. Superfìcie mar- cata da strie trasversali concentriche pochissimo visibili sulle costole, molto accennate e grossolane negli intervalli; più mar- cate al bordo paileale, si attenuano via via avvicinandosi all’ am- bone fino a scomparire affatto. Bordo cardinale poco incurvato, umboni submediani piccoli uncinati, alquanto rivolti indietro. Non ho fatto il confronto col C. Moeschanum May. a cui accenna il Fuchs (op. cit., pag. 26), giacché la mancanza as- soluta di accenno a papille o spine in questo ultimo, lo rende tanto diverso da fare ogni confronto superfluo. E forse il me- desimo C. sp., accennato dai diversi autori, che parlarono di questa regione, come presente nel calcare poco compatto (’). ( 1 ) Cfr. Capellini, Sarmatiano, eco. M. di Livorno. — De Bosniaski, La formazione gessosa ed il secondo piano Mediterraneo. 536 G. TRENTANOVE Card inm (Levi cardi um) oblongum Chem. Specie affine molto al C. ( Levicardium ) Norvegicum Spreng. che pure si trova quasi nei medesimi giacimenti; si distingue però da questo per conchiglia più grande, più inequi laterale, più obliquata. Rara nelle sabbie argillose cementate di Popogna: non pre- sente affatto nelle argille turchine delle medesime località. Vivente nel Mediterraneo; comunissima nel Postpliocene e nel Pliocene : ignoro che sia stata sinora indicata nel Miocene superiore e medio. Però una forma simile arriva certamente anche nel Miocene inferiore dove l’ha indicata il dott. Dainelli al Monte Promina. Cardium hians Brocc. var. Daiiubianum May. 1862 Cardium hians — Hòrnes, Moli. foss. beclc. Wien, pag. 186, XXVI, 1, 5. Pochi esemplari nelle marne sabbiose cementate; quantunque non molto bene conservati, pure si può nettamente notare che negli intervalli delle costole principali una costicina intermedia divide lo spazio intercostale in due parti. Nell’insieme sono iden- tici al C. hians del bacino di Vienna secondo le figure date dall’Hòrnes, che poi dal Mayer venne indicato come C. Banu- hianum (’), ma nello stesso tempo anche nel tipico C. hians del Pliocene si trovano esemplari aventi identici caratteri. Località del Miocene: Colli Torinesi, Albugnano (Sacco), Stiu- cone, Quarara (Sicilia) (De Greg.). Comune nel Pliocene. Secondo alcuni la specie vivente differisce dalle fossili e fu chiamata C. Barwini Mayer; crediamo però che la distinzione non sia esatta. Cliaina gryphina Lmk. Molto rara: ne posseggo un solo esemplare di Popogna. Fra le varie figure che di questa specie sono state date dagli autori, ( *) Mayer, Description de coquilles fossiles des terrains tertiaires sa- périeurs. Journal de conchilol., voi. XIV, 1866, p. 71. IL MIOCENE MEDIO DI POPOGNA E CA FAGGIO 587 lo avvicino sopra tutto alla Chama yryphina riprodotta dal- l’Hòrnes (op. cit., pag. 212, T. XXXI, f. 2) per la forma e numero di lamelle, per l’aspetto generale della conchiglia; il nostro esem- plare è però maggiormente inequivalve ed ha la valva supe- riore, quasi appiattita. Dosinia exoleta (Linn.). Non rara nelle argille marnose di Popogna e Cafaggio. Esem- plari generalmente mal conservati, alcuni con impronte di spon- giari perforanti. Le dimensioni di questi esemplari di Popogna corrispondono generalmente alle dimensioni date dal Fontannes ( 1 ). Specie molto vicina alla JJ. lupinus e sul principio da molti autori confusa con questa, come osserva B. D. D. (2); ma distin- guibile per dimensioni maggiori e per bordo cardinale meno largo, mentre nella D. lupinus è molto incurvato e ristretto. Località: Miocene del bacino della Loira, Portogallo, Algeria, Àustro-Ungheria, Corsica, Svizzera (B. D. D.). Vive nel Mediterraneo, nell’Adriatico, Oceano Atlantico. Vernis ovata Penn. 1862 Venus ovata 1878 » » 1880 » » 1881 » » 1887 » » 1896 » » — Doderlein, Cenni giac. terr. mioc. sup. It. cent., pag'. 96. — Ciofalo, Alcune osservazioni sul mioc. di Ciminna, pag. 295 — Seguenza, Formazioni terziarie Reggio, pag. 119. — Coppi, Paleontologia Modenese, pag. 108. — Mariani e Parona, Foss. Tortoniani Capo S. Marco, pag. 76. — Sangiorgi, Tortoniano alta valle Idice, pag. 10. Un solo individuo giovane di Popogna. Per la forma intera delle costole senza alcuna traccia di depressione l’individuo di Popogna si accosta alla specie vivente (3). P) Moli, plioc. vallèe Rhone, p. 70, pi. IV, fig. 10. (2) Op. cit., pag. 344. (3) Cfr. B. D. D., Moli. mar. Rouss. par., Vili, Fase. 21, Tav. 59, 538 fi. TRENTANOVE Località : Montegibio, S. Agata (Dod.), Capo S. Marco Sar- degna (Mar. e Par.), alta valle dell’Idice (Sangiorgi). Comune nel Pliocene e nel Postpliocene. Vive nel Mediterraneo e nell’Atlantico fino al Nord della Norvegia. Yenus Islandicoides Lamk. 1862 Venus Islandicoides 1864 » » 1881 » » 1883 » » 1884 » » — Hòrnes, Die foss. moli. Deci ;. Wien, pag. 121, PI. XII, f. 7, 8. — Doderlein, Cenni geol. cjiac. mioc. sup. It. cent., pag. 96. — Coppi, Paleontologia Modenese, pag. 107. — De Gregorio, Foss. orizz. Cardita Jouanneti, pag. 4. — Malagoli, Tortoniano Montebaranzone, pag. 7. Corrisponde al tipo. Località: Montegibio, Sant’Agata (Dod.), Montebaranzone (Ma- lagoli), Capo S. Marco in Sardegna (Mar. e Parona), Abruzzi (Nelli). Yenus pseudoscalaris n. sp. (Tav. Vili, f. 1, 2, 3). Conchiglia subtriangolare più larga che alta, estesa in avanti, più che posteriormente; quasi angolosa in avanti, arrotondata all’indietro ; molto convessa ed a valve molto spesse, dentellate internamente al margine paileale. Diametro antero-posteriore mm. 34-29.5, diametro umbono- ventrale 29-26, grossezza 19. La superficie esterna è coperta da lamelle concentriche molto crasse, separate nettamente Luna dall’altra per un solco molto profondo; le lamelle e gli intervalli sono rigati da strie tras- versali sottili, pure concentriche. Le lamelle sono in numero 13-15, piccole, poco rilevate e più grosse verso il mezzo della conchi- glia, dove si innalzano e si incurvano verso l’umbone ; le lamelle sono tanto visibili nell’area che nella lunula, dove si continuano minutissime, ma sempre ben decise. Area molto grande, lanceo- lata, allungata, concava, molto bene determinata da un bordo (corsaletto) formato da un brusco ripiegamento ad angolo acuto della superficie della conchiglia, verso la parte interna; questo IL MIOCENE MEDIO DI POPOGNA E CAFAGGIO ■ 539 ripiegamento immediatamente dietro l’ambone forma quasi un margine tagliente che più discosto si continua in un bordo arro- tondato. Superiormente l’area presenta la fossetta del legamento. Lunula cordiforme ben delimitata da un finissimo solco formato da una interruzione della linea rialzata che formano le lamelle. Umboni piccoli, acuminati, rivolti all’indietro. Del cardine e dei denti cardinali poco posso notare essendo la conchiglia tutta spatizzata. Però si può con certezza affermare che si tratta di un Venus e non di una Cytherea. Dente anteriore quasi paral- lelo all’area. Ho distinto questi esemplari come specie nuova non avendo trovato fra le specie descritte alcuna che vi corrispondesse ; nello stesso tempo do i caratteri differenziali per cui si distingue dalle specie affini. Si distingue: dalla V. scaìaris Bronn. per le dimensioni, per area lanceo- lata e più grande, meglio delineata; pel bordo rialzato della superficie della conchiglia, come ho notato sopra ; costole concen- triche più riavvicinate; dalla V. Basteroti Desh. per area e lunula differenti, per numero minore di costole più irregolarmente aggruppate ; dalla V. casina L. per dimensione maggiore ; strie più gra- nulose, più irregolarmente aggruppate, mentre nella casina sono fini ed eleganti. Venus pliocenica De Stef. (Tav. Vili, f. 16). 1839 Venus plicata — Goldfuss e Miinster, Petrefacta Germaniae, pag. 248, Tav. 131, f. 9, d-e (pai’s). 1870 » » — Hòrnes, Die foss. Moli. Peci:. Wien, pag. 132 (pars). 1878 » » — Capellini, Il calcare di Leitha ed il Sarma- tiano monti Livorno, pag. 10. 1882 » » — Fontannes, Moli, plioc. vali. Ehdne, pag. 52 (pars). 1884 » ■impressa — De Gregorio, Studi su talune conchiglie Medi- terranee, pag. 90 (pars). 1884 » pliocenica — De Stefani, Iconog. moli, dintorno Siena, pag. 13 42 540 G. TRENTÀNOVE var. Popognae n. (Tav. Vili, f. 16). Questa conchiglia ha qualche somiglianza con quelle che fino ad oggi sono state classificate col nome di Venus pii ceda, im- pressa, ecc., ecc. Il primo ad applicare il nome della vivente alla specie fos- sile fu il Brocchi (1814) (Q chiamando V. plicata Gml. alcune conchiglie fossili trovate nel Pliocene italiano (Piacentino, Crete Senesi, Parlaselo, Asti). Nel 1829 M. De Serres (2) descrisse e figurò una conchiglia fossile del mezzogiorno della Francia col nome di V. impressa M. De Serres, conchiglia simile a quella del Brocchi, e cita questa conchiglia come presente nelle argille marnose cenerognole. M. De Serres con questa indicazione com- prende insieme terreni miocenici e pliocenici; ma da quello che ne dicono i successivi autori e dall’identità della forma è da ritenersi che egli abbia compreso con quel nome la forma del Miocene superiore del Bordelese. Puscli (1837) (3) chiamò V.cras- satelliformis una specie abbondantemente rappresentata nel ba- cino di Vienna, simile, ma alquanto diversa dalla V. impressa di M. de Serres, che gli autori successivi chiamarono V. plicata. Goldfuss (1839) descrive e figura, confondendo, due forme diverse per le quali cita le località di Vienna, Cassel, Dax, Piacenza. Per la seconda, che probabilmente è di Piacenza (9 d, e), da lui chiamata Var. compressa cui riunisce la V. impressa di M. De Serres, figura la forma del Pliocene italiano che il Brocchi chiama V. plicata. Nella prima forma (9 a, c) è rappresentata una conchiglia affatto peculiare al Miocene viennese. Il D’Orbigny (4), citando le forme delle località accennate dal Goldfuss (Dax, Vienna, Piacenza), riconosce che la specie indicata dal Goldfuss come V. plicata deve avere un nome diverso, e propone il nome di V. subplicata, senza riconoscere però che con questo nome egli pure prese a confondere forme (') Brocchi, Conch. foss. subappennina, pag. 542, Voi. II. (2) De Serres M., Géognosie des terrains tert. midi France, pag. 149, Tav. VI, 6. (3) Fuseli, Polen’s Palàontologie, pag. 74, f. 2, Tav. Vili. (4) D’Orbigny, Prodrome de paleontologie, pag. 107, n° 1987. IL MIOCENE MEDIO DI POPOGNA E CAPAGGIO • 54Ì diverse. Prendendo per tipo la prima delle forme da lui nomi- nata, cioè quella di Dax, il nome del D’Orbigny dovrebbe pas- sare in perfetta sinonimia della V. impressa M. D. Ser. proposta per i fossili della stessa regione. L’Hòrnes (1862) (J) pure confonde evidentemente col nome di V. plicata più forme, come si può dedurre dalle citazioni delle diverse località e dalle figure che egli ne dà. Ambedue le forme si trovano nel bacino di Vienna. La figura 4 a, b, c è riferibile a quella specie che il Goldfuss riporta nella Tav. GLI, 9 c, come tipica della V. plicata ; la fig. c sembra invece rife- ribile alla V. crassatelliformis già figurata dal Puscli (op. cit., Tav. Vili, f. 2, pag. 74). Il Fontannes (1874) (2) descrive e figura col nome di V. pli- cata la specie del Pliocene di Saiut-Ariés identica a quella del Pliocene italiano, e distingue, facendone la Var. Druentica, che però non figura, quella del miocene di Cabrière d’Aigues, accen- nando che nei caratteri si accosta a quella del Miocene di Salles. De Gregorio (1884) (3) considerando che sotto i nomi di V. plicata ed impressa venivano comprese forme fra loro abba- stanza differenti, ne fa tre distinzioni e indica: I. Col nome di V. impressa Serres (che però noi abbiamo ritenuto sia da riserbarsi alla specie miocenica di Bordeaux), gli esemplari del Pliocene di Altavilla e quindi in generale del- l’Italia. II. Col nome nuovo di V. Quararensis una conchiglia del miocene di Ciminna ; ma siccome nè dà la figura, nè si rife- risce decisamente alla figura di alcuno autore, nè io conosco gli esemplari tipici, non si comprende bene di quale specie parli. III. Col nome pure nuovo di V. subplicatopsis la Venus del bacino di Vienna figurata dall’Hòrnes (op. cit., f. 15, pag. 4) e possiamo soggiungere dal Goldfuss (Tav. CLI, f. 9 a, b). Non essendovi per questa forma altri nomi esatti precedenti, crediamo che questo del De Gregorio possa essere conservato. (') Hórnes, Moli. Foss. Beclc. Wien, pag. 132, Band. II, Taf. XV, f. 4-6. (2) Fontannes, Moli, plioc. Vallee Rhdne, pag. 52, Tav. III. (3) De Gregorio, Studi sio talune conchiglie Mediterranee, pag. 91. 542 G. TRENTANOVE Il prof. De Stefani (1888) (’) osserva che la forma pliocenica italiana è diversa dalla Venus plicata Gml. vivente e propose per essa il nome di V. pliocenica riservando il nome V. im- pressa Serres per le forme del miocene superiore. Egli però non distingue le varie forme del miocene dei vari bacini alle quali dovrebbero applicarsi diversi nomi. Dall’esame comparativo delle varie figure riportate dagli autori e daH’esame degli esemplari originali mi pare debba trattarsi almeno di cinque specie abbastanza distinte fra loro. I. La V. impressa (Serres) del bacino di Bordeaux (M. De Serres, op. cit., 149, YI, 6). (Vedasi T. Vili, f. 15). II. La V. crassatelliformis Pusch del bacino di Vienna (Pascli, op. cit., p. 74, Vili, 2. Hòrnes, op. cit., voi. II, T. 15, fig. 5). Differisce dalla prima specie per dimensioni minori, strie più fini, più ravvicinate, più irregolarmente aggruppate, per la traccia di un terzo dentino della valva sinistra che ras- somiglia alle Cijtliereae, dentino che si vede molto meno nella prima specie (Vedasi T. Vili, f. 14). III. La V. subplicatopsis De Greg. del bacino di Vienna (Goldfuss, op. cit., T. CLI 9, a, b - Hòrnes, Moli. Wien., ecc., V. II, T. XV, f. 4, a, b). Si distingue dalle due precedenti per una molto maggiore convessità, per essere anteriormente meno tronca, per la costola carenale meno accentuata, per le sue la- melle più rialzate e più ravvicinate. Porta anche questa un’ap- pendice al terzo dente della valva sinistra, meno visibile però che nella forma precedente (Vedasi T. Vili, f. 13). IV. Venus pliocenica De Stefani (Goldfuss, op. cit., T. CLI - Fontannes, op. cit., p. 52, T. Ili, f. 3, fig. 9, d, e) del Pliocene italiano. Differisce dalle due specie prime, per dimensioni mag- giori, per lamelle più rialzate e più regolarmente disposte, per forma più appiattita, più obliquata, più tronca anteriormente, dove il margine paileale presenta un deciso angolo, per una carena più marcata. Questa specie porta come la crassatellifor- mis Pusch. e la subplicatopsis De Greg. l’appendice, però meno ac- cennata, al terzo dente della valva sinistra, che rammenta, come abbiamo detto, un passaggio al genere Cytherea. Differisce poi (') De Stefani C., Iconografia dei nuovi moli. dini. Siena, pag. 13. IL MIOCENE MEDIO DI POPOGNA E CAEAGGIO ' 543 dalla subplicatopsis De Gfreg., perché molto più grande, meno rigonfia; per margine posteriore molto più carenato: ha più marcato l’angolo di ciascuna valva, lunula meno ovale, più al- lungata, con solco mediano, lamelle meno fitte e più rilevate all’angolo carenale, dente anteriore nella valva sinistra meno accentuato (Vedasi T. Vili, f. 17). V. Oltre a queste quattro specie si potrebbe citare la vi- vente V. plicata Gmelin. Il nostro esemplare di Popogna confrontato colle varie specie ora nominate, a nessuna è perfettamente identico; si avvicina però molto alla V. pliocenica De Stef. Differisce per essere posteriormente più schiacciato, per il profilo generale del mar- gine più arcuato, e meno svolto obliquamente dalla parte ante- riore; per lamelle assai più fitte, più omogenee, più grosse e meno rilevate; carena nella parte posteriore meno accennata, per la lunula ancora più allungata, spazio fra il corsaletto e la costola carenale meno estesa. Questa conchiglia potrebbe essere riferita ad una var. della V. pliocenica De Stef. col nome di V. Popognae (Vedasi T. Vili, f. 16). Molti esemplari delle sabbie argillose accennate. C.ytlierea multilamella Lmk. 1857 Cytherea multilamella 1867 » » 1874 » » 1876 » » 1878 » » 1880 » » 1881 » » 1883 » » 1884 » » 1887 » » — Meneghini, Pale'ont. Sardaigne, pag. 410 a 482. — Doderlein, Cenni geolog. mioc. sup. It. cent., pag. 96. — Fuchs, L’età degli strati terz. Blatta, pag. 377. — Locarci, Faune ieri, de Corse, pag. 190. — Ciofalo, Alcune osservazioni sul mioc. di Ciminna, pag. 285. — Seguenza, Formazioni terz. p. Reggio, pag. 119. — Coppi, Paleontologia Modenese, pag. 108. — De Gregorio, Foss. orizz. Cardila Iouan- neti , pag. 3. — Parona, Appunti paleont. mioc. Sardegna, pag. 42. — Mariani e Parona, Foss. terz. Capo S. Marco Sardegna, pag. 77. 544 G. TRENTANOVE 1897 Gytlierea multilamella — De Alessandri, La pietra da Cantoni di Bosignano Vignate (Mem. Mus. Civ. Nat. Milano, Tav. VI, Fascicolo I, pag. 58). Specie alquanto variabile nella forma. Frequentissima nelle argille marnose cenerognole di Popogna e Cafaggio. Località: Montegibio (Dod.) S. Agata. Eosignano (Monfer- rato) (De Alessandri), Capo S. Marco Sardegna (Mar. e Parona), Forabosco (Veneto) (De Gregorio). Vive nel Mediterraneo, comune nel Pliocene. Cytlierea rudis Poli. 1857 Cytherea rudis — Meneghini, Pai. Sardaigne, pag. 481. 1864 » » — Doderlein, Cenni geolog. mioc. sup. It. centrale, pag. 96. 1884 » » — Parona, Appunti paleont. mioc. Sardegna, pag. 43. 1887 » » — Coppi, Paleontologia Modenese, pag 284. Non rara nelle argille marnose cenerognole di Popogna e Cafaggio. Somiglia molto, se non è perfettamente identica, a quella del Pliocene italiano (Siena-Piacenza). Gli esemplari da me osservati nel Miocene di Popogna pre- sentano grande uniformità nella loro forma, nè ho potuto osser- vare le variabilità accennate dal Doderlin ( 1 ). Località: Montegibio S. Agata (Dod.). Comune nel Pliocene. Vive nel Mediterraneo e nell’Atlantico. Tapes vetula Bast. var. Vindobonensis Foresti. 1864 Tapes obsoleta — Doderlein, Cenni geolog. mioc. sup. It. cent. 1870 » vetula — Hòrnes (non Bast), Die foss. Moli. Beck. Wien, pag. 114, Tav. 11, p. 1. 1884 ». » var. Vindobonensis — Foresti, Contribuzione alla conchiliologia terziaria Italiana, pag. 15. Secondo il Foresti, ritenendo come specie tipica la T. vetula descritta e figurata dal Basterot (2), non sarebbero di identica O Doderlein, op. cit., toc. cit. (2) Basterot, Descr. terr. ieri, sud-ouest France, p. 89, PI. VI, tìg. 7. IL MIOCENE MEDIO DI POPOGNA E CAFAGGIO 545 forma le Tapes descritte e figurate sotto lo stesso nome dall’Hornes e dal Groldfuss ('), per cui propone di indicare queste come var. Vindobonensis. Riconoscendo giuste le osservazioni del Foresti indico come T. vetula var. Vindobonensis una conchiglia raccolta nelle sabbie cementate di Popogna, la quale si avvicina moltissimo alle fi- gure riportate dall’Hornes, da cui si distingue appena per essere alquanto più incavata nella regione lunulare; vi corrisponde poi per il profilo generale e per la forma delle lamelle. Località: Miocene del bacino di Vienna (Hornes), Monte- gibio (Dod.). Tapes Basteroti May. var. brevior (Tav. Vili, f. 12). Abbastanza bene rappresentata nelle sabbie cementate di Popogna, Nelle dimensioni differisce alquanto, essendo un poco più piccola e più breve della T. Basteroti del Bacino di Vienna. Lutraria oblonga Chemnitz. Un solo esemplare delle sabbie cementate di Popogna, male conservato, non avendo più detta conchiglia che parte della re- gione umbonale nella valva sinistra, dove si vede ancora nella cerniera traccia di un dentino bifido; il rimanente è modello interno. L’esemplare, di dimensioni abbastanza ragguardevoli, è identico alla L. oblonga del bacino di Vienna figurato dall’Hornes nella Tav. V, fig. 6, che il Cocconi riferirebbe ad una specie nuova del Mayer Lut. Hoernesìi (Cocconi, op. cit. pag. 268). Località: Montegibio, S. Agata (Dod.), Baselice in prov. di Benevento, Montese (Pant. e Mazz.). Comune nel Pliocene e vivente. Corbula gibba Olivi. 1857 Corbula gibba — Meneghini, Paleontologia di Sardegna, pag. 552. 1862 » » — Doderlein, Giac. terr. mioc. sup It. cent , pag. 96. 1870 » » — Hornes, Die foss. Moli, der Tert. Deck. Wien. pag. 34, Tav. 3, f. 9. (‘) Goldfuss, Petr. Ger manine, pag. 248, T. CLI, fig. 8. 546 G. TRENTANOVE 1873 Corbula gibbo, 1878 » » 1880 » » 1881 » » 1883 » » 1887 » » 1883 » » 1887 » » — Seguenza, Cenni terreni terz. di Messina, pag. 264. — Ciofalo, Osservazioni mioc. di Cimino, pag. 285. — Seguenza, Formazioni terziarie Prov. Peggio, pag. 118. — Coppi, Paleontologia Modenese, pag. 112. — De Gregorio, Foss. orizz. Candita J., pag. 5. — Pantanelli e Mazzetti, Cenno monografico fauna fossile Montese., pag. 33. — Cafici, Formazioni mioceniche Licodia Eubea, pag. 25. — Mariani e Parona, Fossili terz. Capo S. Marco Sardegna, pag. 80. Molto frequente ed abbondante nelle argille turchine di Po- pogna e Cafaggio. Facendo il confronto sopra un numero gran- dissimo di individui ho trovato una grande variabilità nella forma. Questi esemplari sono alquanto diversi, p. es., dagli indi- vidui pliocenici di Larniano (Senese) perchè più triangolari, meno allungati, e più alti che larghi, ed in ciò somigliano agli esem- plari del miocene Modenese ; viceversa poi corrispondono, p. es., ad altri individui del pliocene di S. Gemignano pure nel Se- nese. Confrontati colla C. gibbo, del Miocene di Vienna (‘) diffe- riscono per strie molto più minute, più irregolarmente aggrup- pate, per una minore gibbosità. Non mi sembra però che i nostri si possano considerare nemmeno come varietà della forma tut- tora vivente. Località : Montegibio, S. Agata (Dod.), Capo S. Marco Sar- degna (Mar. e Par.), Stincone in Sicilia, Montese (Pant. e Mazz.). Comune nel Pliocene e vivente. Corbula birostrata n. sp. (Tav. IX, f. 7, 8, 9). 1878 Corbula carinata — Capellini, Il calcare di Leitha, pag. 10. Conchiglia transversa, subequivalve, inequilaterale, rigonfia me- diocremente, arrotondata anteriormente, allungata posteriormente, ove termina in rostro rotondeggiante. Valva destra globosa, ornata di strie ben marcate, regolarmente concentriche, con ambone piccolo, ricurvo, appena più alto dell’ ambone della valva sinistra ; valva (') Vedi Hornes, op. cit.., p. 34, Tav. Vili, 7. IL MIOCENE MEDIO DI POPOGNA E CAFAGGIO 547 sinistra appena più piccola della valva destra, tanto da essere da questa compresa. Ambedue le valve hanno posteriormente due cor- rugamenti nella superficie, che accennano a rostro o carena. Il bordo paileale che è determinato dalla valva destra è intero, descrive una curva continua, senza mostrare bruschi ripiegamenti nè depressioni. Ho designato questa conchiglia come specie nuova giacche, troppo allungata nel senso anteroposteriore e poco inequivalve, non può riferirsi alla C. gibbo, e d’altra parte, sebbene abbia qualche analogia con le C. carinata Duj., C. revoluta Br., C. Bct- steroti, si distingue nettamente da queste per i seguenti caratteri : Dalla C. carinata Duj., perchè non presenta mai nelle linee descritte dal bordo paileale depressioni o curve con la conves- sità rivolta all’umbone, ma una curva continua; ha poi dorso più rotondeggiante ed è meno inequivalve. Dalla C. revoluta Br., per strie più fini, più numerose; per la costola carenale determinata da un dolce corrugamento della superficie, mentre nella revoluta la carena è determinata da un ripiegamento a linea spezzata. Dalla C. Basteroti, per essere maggiormente prolungata in rostro; per costole carenali meno prominenti, nè formate da un brusco ripiegamento come avviene nella G. Basteroti. Questa forma, conservando ancora qualche carattere della C. gibbo , come la forma delle strie, la linea del bordo palleale continua, ed avvicinandosi nello stesso tempo alle forme con cui più sopra ho fatto il confronto, per diametro ant.-post. molto maggiore deH’umbo-ventr. per la presenza di una carena, segna come un passaggio tra tutte le predette specie. Abbastanza frequente nelle argille marnose cenerognole di Popogna e Cafaggio. Lucina dentata Bast. 1862 Lucina dentata 1870 » » 1878 » » 1883 » » » — Doclerlein, Descriz. terr. mioc. sup. It. cent., pa g. 95. — Hornes, Die foss. Moli. Beclc. Wien. — Capellini, Il calcare di Leitha, pag. 10. — De Gregorio, Orizzonte foss. Cardila Jouanneti, pag. 5. — Parona, Appunti pai eont. mioc. Sardegna, pag 38. 1884 » 548 G. TRENTANOVE È alquanto più ricurvata e più profonda della forma del miocene di Grand, ma confrontata cogli esemplari originali di Leognan (Bordeaux), eccetto nelle dimensioni, vi corrisponde perfettamente nella forma. Così pure corrisponde cogli esemplari di Dax e Saucats figurati dal Basterot (Basterot, Terr. tert. sud-ovest Franco, pag. 87). Assai abbondante nelle argille marnose cenerognole di Po- pogna e Cafaggio. Molti individui sono vuoti, spatizzati inter- namente; hanno l’aspetto di piccole geodi di calcite. Località mioceniche d’Italia: Montegibio (Doderlein). Lucina spinifera Mont, Da molti autori si fa sinonimo di questa specie la L. hia- telloides Bast. ('), da altri invece si distingue come varietà. Dal confronto delle descrizioni e daH’esame delle figure e di esem- plari originali del Miocene di Salles (Francia) e del Miocene di Pont-Levoy, rilevo le seguenti differenze fra le due forme: L. spinifera Mont. Conchiglia mediocremente rigonfia, poco transversa, diam. ant. post, subeguale al diam. umbo-vent. Ca- rena distante dal margine talora marcato di spine acute, su- perficie esterna ornata di fini strie concentriche lamelliformi, ma pochissimo rialzate, regolarissime ed eguali in tutta la su- perficie. L. liiatelloides Bast. Conchiglia poco rigonfia, quasi piatta, transversa, con diametro umbo-vent. costantemente minore del diam. ant. post. Carena vicinissima al margine, ora liscia, ora nodulosa, superficie esterna marcata di fini strie concentriche, talora rialzate a guisa di lamelle; di tratto in tratto si notano ingrossamenti delle strie in modo da determinare come dei gradini sulla superficie. La var. spinifera tipica è molto frequente nel pliocene ita- liano dove (specialmente ad Orciano) secondo le indicazioni del (‘) Basterot, Description géologiqiie du bassin tertiaire du sud-ouest de la France, p. 87, PI. 5, p. 13. IL MIOCENE MEDIO DI l’OI’OGNA E CAFAGGIO 549 Fontannes (') raggiunge dimensioni considerevoli (21 sopra 17 mm,). Gli esemplari di Popogna e Cafaggio sono identici a quelli del pliocene italiano; le dimensioni in generale sono 12 mm. sopra 10; ma vi hanno anche esemplari eccezionalmente grandi che raggiungono le dimensioni indicate dal Fontannes (21 mm. su 17). Località: Tortoniano di M. Gibio (Coppi) e del Piemonte. L. spinifera. var. Menegliinii De Stef. et Pant. (Tav. IX, f. 15). (De Stefani, Iconografia Moli, plioc. Siena, B. S. M. It., Voi. XIII, 1888, pag. 191, Tav. IX, f. 27, 28). Pochi esemplari nelle argille turchine nelle località da me studiate; fra i vari individui ve ne ha uno alquanto differente per lamelle appiattite alquanto distanti l’una dall’altra. È specie molto vicina alla L. Wolfi E. Hornes ( Jahrbuch der Kais. Kon. geologischen Reichsantalt. Die fauna des Scldiercs von Ottnang. p. 371, T. XIV, f. 6), da cui però si distingue per una maggiore levigatezza nella superficie, per bordo ante- riore e lunula meno estesa, per umbone molto più marcato an- teriormente. Non era stata fino ad oggi ritrovata che nel Pliocene. Tellina planata Lin. 1862 Tellina planata — Doderlein, Cenni geolog. mioc. sup. It. cent., pag. 95. 1870 » » — Hornes, Die foss. Moli. d. t. Deck. Wien, pag. 84, Tav. Vili, p. 7. 1877 » » — Foresti, Marne di S. Luca Paderno, pag. 9. 1881 » » — Coppi, Paleontologia Modenese, pag. 110. Vari esemplari delle sabbie cementate di Popogna. Conosciuta in molti giacimenti miocenici (B. D. D.): Monte- gibio (Dod.), S. Luca e Paderno (Foresti). Comune nel pliocene e vivente. (') Fontannes, Les moli, plioc. vallee Ditone, p. 111. 550 G. TRENTANOVE Tliracia pubescens Pult. 1883 Thracia pubescens — De Gregorio, Fossili orizzonte Cardila Jouan- neti, pag. 7. Pochi esemplari nelle sabbie cementate di Popogna. Corri- spondono poco colle figure date dal Pbilippi ('), ma assai bene a quelli del Wood (2) e del Leacb. Località del Miocene: Orizz. Cardita Jouanneti di Quarara (De Greg.). Si trova nel Pliocene; è vivente. CONCLUSIONE. Dall’insieme degli studi stratigrafici e paleontologici mi ri- sulta che il miocene medio non sarebbe qui rappresentato die da quei due strati die bo citato già: credo il primo di questi (calcareo a Ostrea lamellosa, Cardimi, Modiola, ecc.) identico a quello di Eosignano studiato dal Puchs e riferibile aH’Elveziano, mentre riferisco il sovrastante giacimento (marne argillose ce- nerognole) al Tortoniano più tipico. Delle specie che vi bo trovato infatti, tutte sono presenti nel Tortoniano di Montegibio, a Santagata, Stazzano; qualche specie poi è affatto esclusiva di detti giacimenti, come Ancillaria glandiformis, Nassa JBrugnonis Oxystele rotellaris, Cardita glo- bulina var. taurosimplex (Sacco) ecc., ecc. Oltre questi due strati non ne ho trovati altri; solo la parte superiore del giacimento mostra passaggi a depositi prettamente littoranei, depositi vi- sibili specialmente nella valle inferiore di Cafaggio, ove in parti molto limitate come già bo accennato si trovano numerosi avanzi di piante. [ms. pres. 25 febbraio 1901 - ult. bozze 10 dicembre 1901]. (') Philippi, Enum. moli. Sicilia, T. II, p. 16; T. I, f. 10; T. I. (2) Wood, Grog Moli., p. 254, T. 26, f. 1. Boll. d. Soc. Geol. Italiana. Voi. XX. (Trentanove) Tav. Vili 1 6 ELIOT CALZOLARI & F ERRA RIO. MILANO Boll. d. Soc. Geol. Italiana. Voi. XX. (Trentanovei Tav. IX. ELIOT. CALZOLARI & FERRARIO MILANO II, MIOCENE MEDIO DI POPOGNA E CAFAGGIO .551 SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE TAVOLA Vili. Fig. 1-2-3. Venus pseudoscalaris n. sp. » 4. Arca Syracusensis May. » 5-6. Turritella Capellina n. sp. » 7-8. Turritella communis Riss. » 9-10. Turritella tricarinata Brocc. » 11. Pecten Malvinae Dub. » 12. Tapes Basteroti May., var. brevior. » 13. Venus subplicatopsis De Greg. » 14. Venus crassatelliformis Pusch. » 15. Venus impressa Serres. » 16. Venus pliocenica De Stef., var. Popognae n. » 17. Venus pliocenica De Stef. » 18-19. Nassa Hoernesi May. TAVOLA IX. Le figure 1-2-3-11-13-14 sono riprodotte da una tavola inedita del Fuchs. Fig. 1. Modiola Rosignani n. sp., confr. fig. 12. » 2-3. Scalaria subtrevelyanoides Sacco. » 4-5-6. Leda pella Lin., var . antecarinata n. var. » 7-8-9. Corbicla birostrata n. sp. » 10. Cardium Labronicum n. sp. » 11. Cardium Labronicum n. sp , confr. fig. 10. » 12. Modiola Rosignani n. sp. » 13-14. Pecten Vigolenensis Sim. » 15. Lucina spinifera Mont., var. Meneghina De Stef. et Pant. ALCUNI PESCI PLIOCENICI DI CALANNA IN CALABRIA Nota del dott. Giuseppe De Stefano. A nord-est di Calanna (Calabria occidentale), poco dopo il paese omonimo, sullo gneiss della formazione centrale, si eleva un alquanto esteso lembo di sabbie, di aspetto e di costituzione non differente dagli altri post-pliocenici studiati da G. Seguenza, e che il compianto geologo accenna di volo quando tratta del quaternario marino nella sua nota opera: Le formazioni terziarie della provincia di Reggio-Calabria (Atti della R. Aec. dei Lincei, Memorie, voi. VI, serie III. Roma, 1879-80, pag. 339). A quanto sembra, la formazione in discorso non è stata finora particolar- mente studiata, in special modo dal lato paleontologico, dato che nè il Seguenza, nè altri a lui posteriormente, elencano fos- sili di detta località ; mentre i suoi strati racchiudono una fauna degna di attento esame. Il Seguenza G. include le sabbie di Calanna, sincronizzan- dole con gli strati di Pellaro, di Vallanidi, di Musala, ecc., nel quaternario marino inferiore o più antico (piano Sahariano del Mayer). I denti dei pesci fossili che illustro in questa nota spettano precisamente al deposito sabbioso di Calanna. Alcuni di essi mi furono donati dall’egregio mio amico avv. R. Moschella, e la maggior parte, raccolti da me, in una escursione fatta nell’a- prile dell’anno in corso, fanno parte della mia privata collezione. Ritornando agli strati sabbiosi di Calanna, dirò brevemente che essi racchiudono un’abbondante fauna fossile, specialmente malacologica, della quale forse in seguito mi occuperò partico- larmente. La formazione della quale si parla affiora a più di ALCUNI PESCI PLIOCENICI DI • CALANNA ' 553 quattrocento metri di altezza sul livello del mare; e, come si è accennato, riposa direttamente sullo gneiss, avvenendo che quest’ultimo forma ad essa intorno delle pareti assai più alte. Il deposito sabbioso costituisce una serie di strati piuttosto po- tenti, il cui spessore massimo arriva a poco meno di 20 m. da un minimo di circa 10 m. Tali strati per quanto vari nella loro costituzione quantita- tiva, qualitativamente sono formati da quarzo con mica bianca (moscovite) in discreta quantità, calcare, e resti organici micro- scopici. In basso della serie la formazione è a fini elementi ; i quali diventano sempre più grossolani man mano che si sale in alto : la loro disposizione stratigrafica regolare inclina lieve- mente verso il mare. Il deposito, in conclusione, è una roccia di origine marina, formato da sabbie calcarifere di color bian- castro, e di triste aspetto per la sua aridità: i suoi letti sono discretamente fossiliferi, specialmente quelli più bassi. Io per ora non darò che qualche accenno sui fossili in ge- nerale. Degli Antozoi, cito: Isis melitensis Goldfuss. — Due frammenti di articoli, mal conservati, ma identificabili. Isis peloritanus Seguenza. — Cinque frammenti di articoli, rotti, ma che il Comm. U. Botti, grazie la sua bontà, potè spe- cificare. Fra i Briozoi , noto: Microporella (Cellepora) ciliata Limi. — Molto frequente. lietcpora cellulosa (?) L. — Frammenti rari e molto dubbi. Membranipora (Tubipora) catenularia Jam. — Sono alcuni frammenti incrostazioni di valve di Pecten che si attribuiscono alquanto dubitativamente alla su indicata specie. Fra gli Echinodermi cito: Echinocyamus (Spatangus) pusillus Milli. — Tre esemplari ben conservati identici a quelli viventi nel mare dello stretto di Messina. Inoltre, ho raccolto diversi radioli di Cidaris, fra i quali dubitativamente attribuisco qualcuno a Leiocidaris margheriti- fera Meneghini. B54 G. DB STEFANO I Molluschi rappresentano la fauna più estesa del depo- sito di Calanna, principalmente come numero di forme. Il loro studio però non riesce molto facile per la seguente ragione. Piuttosto scarsi negli strati superiori, si presentano discreta- mente abbondanti in quelli inferiori, dai quali, per una certa tenacità e coesione della roccia, riesce difficile l’estrarli in buono stato. A mio modo di vedere, e da quel poco materiale malaco- logico che, raccolto, ho ora sottocchio, i Bivalvi hanno predo- minio sui Gasteropodi ; anzi, a dire il vero, di questi ultimi non ho determinato che le seguenti poche specie: Nassa incrassata Muli., Ceritldum vulgatum Brug., Natica Guillemini Payr., Trochus exasperatus Penn., FissureUa sp., Vermetus sp. Fra i Lamellibranchi abbondano per numero di forme: Tapes edidis L., Venus ovata Penn., Cytherea Chìone L., Cytli. màis Poli, Cardimi echinatum L., C. papillosum Poli, C. oblungum Chemn., Loripcs lacteus L., Modiola barbata L., il/, phascolina Phil. Meglio di ogni altra rappresentata è la famiglia dei Pedi- nidi, con le seguenti tipiche specie: Pecten Jacobcieus L., P. oper- cularis L ., P. multistriatus Poli, P. varius L. Anche le anomie sono frequenti: vi si notano le specie: Anomia epMppimi L., A. orbiculata Lam. Fra i Vertebrati finora non si sono trovati che soli avanzi di Pesci: il loro studio riesce molto interessante per il numero dei denti che non di rado s’incontrano nel deposito. Gli esem- plari, che io ho esaminati, ascendono a centotrenta; ma per alcuni lo stato di conservazione è tale per cui bisogna deporre ogni idea di identificazione non solo specifica, ma anche ge- nerica. Il materiale decifrabile per la maggior parte spetta ad avanzi di Selachii ed il rimanente a pesci Teleostei. Due vertebre, una molto più piccola dell’altra, vanno pro- babilmente attribuite a Lamina o ad Odontaspis. Le specie identificate sono in numero di dieci, le seguenti: ALCUNI PESCI PLIOCENICI DI CALANNA '555 Oxyrhina liastalis Agassiz (Tav. X, fig. 1, 2). (Agassiz L. — Recherches sur les poissons fossiles. Neuchàtel, 1833-43. Voi. Ili, pag. 277, PI. XXXIV, fig. 3, 5-13, 15-17). Un dente anteriore-inferiore sinistro, che ricorda il tipo xyphodon dell’ Agassiz ( Recherches sur ics poiss., eco., tom. Ili, pag. 278, PI. XXXIII, fig. 11-17) dagli Autori fatto rientrare in sinonimia con Vhastalis. Il dente è alquanto consumato, spe- cialmente lo smalto della base della corona: è di forma trian- golare allungata, piuttosto spesso e robusto, convesso alla faccia interna, alquanto appiattito sulla esterna. Un altro esemplare della stessa specie, alquanto più piccolo del primo, io lo rapporto ad un dente mandibolare (dente late- rale inferiore destro). Manca di radice, ed i lati della base sono appena smussati: ma la corona è ben conservata. Il dente ha forma triongolare, che ricorda il tipo dal Seguenza G. deter- minato come Lamma crassidens nell’Elveziano, Tortoniano ed Astiano della prov. di Reggio Calabria (Le form. terzi., ecc., pag. 73, 105 e 247), ciò che il Seguenza L. giustamente già fece notare per gli esemplari del Messinese ( I veri. foss. della prov. di Messina. Parte I. Pesci. Boll. Soc. Geol. Ital. Voi. XIX, Roma, 1900). Oxyrliina Spallanzanii Bonaparte (Tav. X, fig. 3, 4, 5). (Bonaparte L., Iconografia della fauna italica. Roma, 1832-41. — Seguenza L., I vert. foss., ecc. Pesci, pag. 488, tav. VI, fig. 29-36). Dente privo di radice, con la corona ben conservata, che io ritengo come un superiore sinistro. È senza dubbio difficile poter distinguere i denti delle tre specie di Oxyrhina viventi e fossili, Oxyrh. Spallanzanii Bo- nap., 0. liastalis Ag., 0. Desorii Ag., quando si tratti di denti isolati; ciò che del resto si verifica quasi sempre nelle stesse condizioni per molte altre specie di pesci fossili. Ma però la 43 556 G. DE STEFANO somiglianza che il dente in esame ha con l’analogo della specie vivente, mi fa ritenere indubbia la identificazione da me fatta. Quattro denti laterali superiori di sinistra. Anche per essi valgano le osservazioni fatte per il precedente, trattandosi di denti isolati. Il confronto fatto fra essi e la specie vivente mi fa convincere che la differenza di forma che si riscontra fra i diversi denti delle sabbie di Calanna dipende solamente dalla diversa posizione che occupano nella bocca dell’animale. Gli esemplari in studio sono triangolari, tre privi di radice, ed uno con radice biloba, tutti allungati ed acuti, con la faccia esterna piatta, col margine inferiore bilobo, la faccia interna fortemente convessa col margine inferiore inturgidato, ed i mar- gini laterali molto taglienti dall’apice alla base, divergenti in basso. Oltre i precitati denti spettano forse aWOxyrh. Spallan- zanii altri numerosi esemplari, molto rotti e mal conservati. Odontaspis contortidens Agassiz (Tcav. X, fig. 9-12). (Agassiz L. — Rechercìies sur les poissons fossiles. Neuchà- tel, 1833-43. Voi. Ili, pag 294, PI. XXXVII, fig. 17-23). Sono numerosi esemplari che io rapporto a denti inferiori e superiori di Odontaspis contortidens. La striatura sottilissima è tipica della specie, ed è sovente usata dalla masticazione. Tale fatto osservato sopra esemplari perfettamente tipici, mi fa dubitare che anche a questa specie debbano rapportarsi alcuni piccoli denti delle posizioni poste- riori, nei quali non si osserva striatura, o perchè l’abbiano per- duta, o perchè il dente non è completamente sviluppato. Sono in tutto una quarantina di esemplari che io per la maggior parte ho confrontato con quelli della collezione del Museo geologico dell’Università messinese riferiti ad Odontaspis contortidens, i quali non lasciano adito a dubbio sulla loro iden- tificazione. Se togli quelli piccoli poco su mentovati, delle posizioni po- steriori, nei quali non si osserva striatura, i rimanenti denti hanno ben marcati i caratteri distintivi della specie. Sono, vale a dire, cilindrici, arcuati, con la base della corona fortemente ALCUNI PESCI PLIOCENICI DI CALANNA ■557 inturgidata, con margini laterali i quali svaniscono nella parte inferiore, e muniti di strie sottilissime sulla faccia interna, le quali strie raggiungono fin quasi l’apice del dente, e fra loro s’intersecano di frequente. La maggior parte degli esemplari mancano di radice e di coni laterali ; ma una diecina, ben conservati, possiedono radice e coni laterali. A denti superiori di Odontaspis contortidens at- tribusco quattro esemplari fra quelli studiati : i rimanenti io ri- tengo che spettino a tutte le posizioni, anteriori, laterali e po- steriori, della mandibola. Odontaspis ferox Agassiz. (Tav. X, fig. 16, 17, 18, 20). (Agassiz L. — Recherches sur les poissons fossiles, Neuchàtel, 1833-43, Voi. Ili, pag. 87 et 288, PI. G et P). Debbo alle giuste osservazioni dell’illustre prof. Bassani, al quale perciò rendo pubblici ringraziamenti, la certa identifica- zione à&W Odontaspis ferox nelle sabbie di Calanna, da me ri- tenuto molto dubbio. Probabilmente, molti fra quei piccoli denti delle posizioni posteriori, nei quali non si osserva striatura, sono da attribuirsi più che ad Odont. contortidens alla specie sopra elencata. Ad ogni modo fra gli esemplari di Calanna vi ha di quelli che hanno i caratteri tipici dell 1 0dont. ferox ; sono, cioè, denti cilindrici, alquanto ricurvi in vicinanza della gola, un po’ dilatati e turgidi alla base della corona, fortemente depressi e forniti di breve piega mediana alla parte inferiore della faccia esterna, con due piccoli dentelli accessori alla base. La specie Odontaspis ferox Ag. sembra frequente nel Plio- cene del Messinese (calcari e sabbie delle colline di Messina, Milazzo, Rometta, ecc.). Il Seguenza L. nota ( I vert. foss. della prov. di Messina. Resci, pag. 499) con giuste osservazioni che i denti raccolti nel terziario della Sicilia nord-orientale, dal Se- guenza G. e dallo stesso identificati come Odontaspis dulia, vanno riferiti piuttosto ad Odontaspis ferox. In tutti i casi io non credo che gli esemplari del compianto paleontologo raccolti nell’Elveziano e nel Tortoniano della Calabria occidentale {Le 558 G. DE STEFANO form. ter 2., eco., pag. 73 e 79), da lui ritenuti come spettanti ad Odontamis dubia possano riferirsi al vivente Odontaspis ferox dei nostri mari. Carcharodon Kondeleti Miiller et Henle (— Carcharodon sulcidens Agassiz). (Agassiz L., Recherches sur les poissons fossiles, Neuchàtel, 1833-43, Tom. Ili, pag. 254, PI. XXX a, fig. 3-7, — Miiller J. et Henle J. Systematisóhe Besclireibung der Plagiostomen. Berlin, 1841, pag. 70). Nelle sabbie di Calailna si raccolsero due denti di Carcìia- rodon, mal conservati, mancanti di radice e di porzione della base, i quali attribuisco a Carcharodon Rondeleti Muli, et Henle, perchè presentano gli stessi caratteri di alcuni fra gli avanzi conservati nel Museo geologico dell’ Università messinese e a detta specie riferiti. I miei esemplari sono poco spessi, di forma triangolare, diritti, con la faccia esterna piatta, il che me li fa ritenere come spettanti alla mandibola, ed infine con i margini laterali irregolarmente dentellati. Il prof. Seguenza Gr. cita col nome di Carcharodon sulci- dens Ag. {Le form. terz ., ecc., pag. 185 e pag. 247) vari denti raccolti nel suo piano Zancleano e neH’Astiano del Pareto, che, presumibilmente, vanno riferiti alla vivente specie elencata Car- charodon Rondeleti Muli, et Henle. Carcliarias [Prionodon] lamia Lawley sp. (— Carcharias tennis Ag., Carcharodon minimus Law., Corax Egertoni Ag., Galeocerdo etruscus Law., Prionodon sublamia Law. Lawley E., Nuovi studi sopra ai pesci ed altri vertebrati delle colline toscane , Firenze, 1876, pag. 24. — Ibidem, Studi comparativi sui pesci fossili coi viventi dei generi Carcharodon, Oxyrhina e Galeocerdo, Pisa, 1881, pag. 136-38 e pag. 142-44, Tav. III, fig. 1-6 e 8-9. — Bassani F., Su alcuni avanzi di pesci del pliocene toscano, Monitore Zoologico Italiano, Anno XII, n. 7, 1901, pag. 190). ALCUNI PESCI PLIOCENICI DI CALANNA 559 Verosimilmente appartengono a questa specie tre denti, due dei quali io rapporto a superiori laterali. Essi hanno i seguenti caratteri. La faccia esterna pianeggiante, e convessa quella in- terna: la radice in proporzione dell’altezza e della grossezza degli esemplari è molto spessa: essa rialza ben poco le sue due branche, le quali sono ambedue egualmente sviluppate. I mar- gini hanno dentellatura quasi unita per tutto il contorno del suo bordo, ma verso la base del cono essa si presenta alquanto più marcata. La faccia esterna dei due esemplari presenta un leggiero rialzo, susseguita da leggiere pieghe, che vanno disper- dendosi verso la metà del cono stesso. È probabile che il Carcharias lamia sia una specie nuova per il terziario calabrese, dato che io non l’bo vista mai citata in nessun lavoro paleontologico riguardante tale regione. Carcliarias [Prionodon] glaucus Mailer et Henle (Tav. X, fig. 19, 21-23, 30, 34). (Mtiller J. et Henle J. — - Systematische Beschreibung cler Plagiostomen. Berlin, 1841, pag. 36, tav. IX. — Bassani F., Su alcuni avanzi di pesci del pliocene toscano. Monitore Zool. Ital., Anno XII, n. 7, 1901, pag. 190). Anche questa specie a me sembra nuova per il cenozoico della Calabria occidentale. Il Seguenza L. illustra alcuni denti di Carcharias [Prionodon] glaucus Muli, et Henle. Sono per la maggior parte esemplari da ascriversi al mascellare superiore. I denti delle sabbie di Calanna da riferire alla sopra citata specie sono in numero di sei. Dal confronto fatto con quelli della collezione del museo geologico delFUniversità messinese, io li ritengo tre superiori e tre inferiori. Quelli del mascellare sono quasi diritti, piuttosto lunghi e stretti, ed abbastanza con- vessi: quelli della mandibola sono appiattiti, con le due faccie quasi egualmente e lievemente convesse, e con delle leggiere pieghe nella parte inferiore della faccia esterna: uno fra essi manca completamente di radice e di parte della base: l’altro ha la radice quasi completa e le parti laterali della base un po’ smussate. 5G0 G. DE STEFANO I tre esemplari che io rapporto al mascellare hanno diverse dimensioni, uno è quasi doppio dell’altro; e sono tutti privi di radice. Tutti i denti menzionati hanno i caratteri tipici della specie, vale a dire, possiedono seghettatura ai margini laterali, che va dall’apice alla base; hanno l’apice che si protende un po’ in fuori, e sulla faccia esterna il margine inferiore dello smalto diritto, mentre neH’interna è arcuato. Scymnus licliia (?) Cuvier (— Scymnus Majori Lawley) (Cuvier G., Le régno animai. Ia ediz., Tom. II, Paris 1817, pag. 130. — Seguenza L., I vcrt. foss. d. prov. di Messina. Pesci, 1900. Boll. Soc. Geol. It., fase. Ili, pag. 508, tav. YI, fig. 21-22. — Bassani F.. Su alcuni avanzi di pesci , ecc., Mon. Zool. Ital., Anno XII, n. 7, 1901, pag. 190). A questa specie rapporto due denti, un po’ mal conservati, i quali hanno identici caratteri a quelli conservati nel gabi- netto geologico messinese e dal Seguenza L. riferiti a Scymnus licliia Cuv. I miei esemplari sono privi di radice, di forma triangolare, non molto finamente seghettati, piuttosto larghi alla base, e non allungati; il che mi fa credere che debbano rife- rirsi a denti mandibolari. La specie, a quanto sembra dalle memorie geo-paleontolo- giche ch’io conosco intorno alla Calabria, è nuova per il ce- nozoico di detta regione. Non così in Sicilia, dove viene citata in numerosi esemplari raccolti nelle sabbie plioceniche di Scoppo vicino Messina. Chrysophrys cincta (?) Agassiz (— Sphaerodus cinctus Ag.) (Tav. X, fig. 26-29, 31, 32) (Agassiz L., Recherei) es sur les poissons fossiles. Neuchàtel, 1833-43. Voi. III, pag. 214. PI. LXXIII, fig. 68-70. — Lawley R., Osservazioni sopra una mascella fossile del genere Sphaerodus ALCUNI PESCI PLIOCENICI DI CALANNA 561 rinvenuta noi pliocene toscano del volterrano. Atti d. Soc. toscana di Se. Nat., voi. II, fase. I, Pisa, 1875). Negli strati sabbioso-calcarei di Calanna sono frequenti al- cuni molari che io per ora riferisco al gen. Chrysophrys, e, dubitativamente, alla specie cincta Ag. sp. Io ne possiedo ben diciotto esemplari, di varie dimensioni: sono di colore aranciato, di forma irregolarmente sferica, e tutti tipicamente circondati da strozzatura più o meno appariscente, alla radice. La presenza di un incisivo accerta sicuramente il genere: esso ha forma spiccatamente conica, e misura 17 mm. di altezza sopra 6 di diametro alla base della radice: poco più in su della metà della sua altezza si nota una appariscente strozzatura cir- colare; e la parte inferiore della^. corona è segnata da diversi anelli non molto accentuati. Alla base del dente, cavo interna- mente, vi sono le solite pieghette verticali. I complessivi ca- ratteri su mentovati mi fanno ritenere l’esemplare come un in- cisivo della prima fila della mascella inferiore o mandibola. Fra i molari, uno, per le sue dimensioni (misura 18 mm. di diametro alla base), io lo rapporto fra quelli più grossi che occupano la parte centrale del mascellare inferiore. Riferisco infine due esemplari abbastanza piccoli (4 mm. di diametro alla base), e di forma piuttosto conica, a denti spet- tanti alla parte interna della estremità posteriore della mascella. L’illustre prof. Bassani ritiene che i denti da me riferiti dubitativamente a Chrysophrys cincta Ag. appartengano secondo ogni verosimiglianza ad una specie attuale. Il che potrebbe es- sere, trattandosi di denti sciolti, tanto più che i molari della specie elencata, anche per la colorazione, possono confondersi con quelli del gen. Sargus. Sargus incisivus (?) G-ervais (Tav. X, fi g. 24, 25, 33-37). (Gervais R. — Zoologie et paléontologie frangaise. IIa Ediz., Paris, 1859; pag. 514, tav. LXIX, fig. 14-16). Anche quest’ultima specie identifico dubitativamente, poten- dosi benissimo trattare di qualche altra, attuale. 562 G. DE STEFANO Sono diciassette frammenti di denti incisivi, dei quali otto in tale stato di conservazione da potere essere confrontati con quelli esistenti nel gabinetto geologico dell’Università messinese. Riferisco gli avanzi in studio a Sargus incisivus precisamente per le loro identità con quelli di Messina inclusi nella stessa specie. Gli esemplari, adunque, delle sabbie di Calanna, per lo più sono privi di radice: quello più sviluppato, è più largo che alto: misura 15 mm. in larghezza per 11 mm. di altezza. La sua faccia interna è abbastanza depressa; fatto questo che, del resto, si osserva più o meno accentuato in tutti gli altri denti da me posseduti. J quali tutti hanno il bordo inferiore percorso da lievissime pieghe longitudinali e leggermente inturgidato. Un fatto degno di nota che ho potuto riscontrare fra i denti di Sargus incisivus del Messinese e quelli di Calanna da me riferiti alla stessa specie, è il seguente: quelli della collezione Seguenza, spettanti al Miocene medio (Elveziano) messinese, sono più piccoli di quelli raccolti a Calanna; ed in oltre, fra quelli siciliani, il meglio conservato è di forma quadrangolare ed ugualmente convesso sulle due faccie; mentre tutto ciò non si osserva in nessuno degli esemplari della Calabria occi- dentale. [ras. pres. 27 agosto 1901 - ult. bozze 24 novembre 1901]. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. » » » » » » >> » 1-2. 3, 4, 5. 6, 7, 8. 9, 10, 11, 12. 16, 17, 18, 20. 19, 21,22,23,30, 34. 26-29, 31-32. 24-25, 33-37. 14-15. Oxyrhina hastalis Agassiz. Oxyrhina Spaìlansanii Bonaparte. Carcharias [Prionodon] etruscus Lawley. Odontaspis contortidens Agass. Odontaspis ferox Agass. Carcharias [ Prionodon j gìaucus Muli, et Henle. Chrysophrys cincia (?) Agass. Sargus incisivus (?) Gervais. Lamina od Odontaspis (?). Boll, d, Soc. Geol. Italiana. Voi. XX, (D© Stefano) Tav. X. ELIOT, CALZOLARI a FERRARIO MILANO SUL VALORE STRATI GRAFICO DELLE GRANDI LUCINE DELL’APPENNINO Nota del prof. Federico Sacco. Circa l’età di alcuni estesi e potentissimi terreni terziari del- l’Appennino che la maggioranza dei geologi e dei paleontologi ri- ferisce al Miocene, mentre alcuni pochi (fra cui l’autore di questa nota) attribuiscono all’Eocene, la controversia, sorta una trentina d’anni fa e rimasta per lungo tempo allo stato direi stazionario o latente, ha raggiunto ultimamente una tale acuità (tanto da assumere purtroppo talora persino il carattere polemico) che sembra opportuno di non trascurare alcun dato positivo il quale possa servire a sciogliere l’accennato problema. Due anni fa in una Nota: Sull’ età di alcuni terreni terziari dell’ Appennino, A. R. A. Se. Torino, 1899, ebbi già ad esporre lo svolgimento cronologico di detta questione, presentando al- cune considerazioni che mi facevano propendere a ritenere eo- cenici i terreni controversi; ma siccome l’opinione opposta è specialmente fondata su dati paleontologici, cosi nel corrente anno, mentre terminavo lo studio monografico dei Molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria , Parte XXIX, do- vendo occuparmi di alcune forme di Lucine, di Eoladomie, ecc., che vengono ritenute come i più solidi argomenti dell’età mio- cenica dei terreni appenninici in questione, parvenu opportuno di coglier l’occasione per approfondire lo studio sullo sviluppo cronologico nonché sull’ interpretazione generica e specifica di tali forme, e vedere così se esse fossero state ben interpretate e se avessero realmente quel valore stratigrafico che viene loro attribuito. 44 564 F. SACCO Nella presente nota espongo il risultato sommario di tali ricerche specialmente sulle grandi Lucine che furono oggetto delle più recenti polemiche. Schematicamente si può nel seguente modo indicare lo svol- gersi cronologico degli studi su dette Lucine appenniniche. 1861 — Michelotti ( Etud . Mioc. inf.) descrive e figura per la prima volta la Cyprina Dicomani Menegh. di Dicomano. 1876 — Manzoni ( Posiz . str. Cale, a Lueina pomum May. — B. C. G. I.) segnala tale forma nella formazione gessifera della Ro- magna. 1877 — Coppi {Sul Calcare a Lucina pomum — B. C. G. I.) indica come forse distinte L. pomum Dod. e L. Delbosii May. 1878 — De Stefani ( Cenni cron. terr. Toscana - Proc. Veri). S. T. Se. Nat.) ricorda come fossili a Dicomano e nel Casentino un Loripes e la L. Dicomani. 1880 — Scarabelli {Geologia Prov. di Ferii) accenna la L. appenninica Dod. in terreni, che crede miocenici, del Forlivese. 1880 — De Stefani (J fossili di Dicomano e Porretta — Atti Soc. tose. Se. Nat.) indica L. Dicomani Menegh. nei terreni, che dice elveziani, di Dicomano e della Porretta e Loripes globulo- sus Desìi, a Dicomano. 1880 — De Bosniascki (Formaz. gesso-solf. e 2° piano mediterr. — Atti Soc. tose. Se. Nat.) nota la L. globulosa Desh. fra i fossili della Porretta. 1881 — Manzoni {Mioc. del Macigno — B. C. G. I.) cita pure naturalmente la L. (Loripes) globulosa nel Macigno appenninico. 1881 — Coppi ( Paleontologia modenese ) indica L. globosa ? Desh. a Monte Gibbio e L. pomum Dod. nel calcare miocenico di M. Ba- ranzone. 1881 — Capellini {Calcari a Bivalvi di M. Cavallo e Macigno di Por- retta) segna la L. globulosa Desh. sia nel Calcare che nel Macigno di tali regioni. 1881 — De Stefani {Il Macigno di Porretta ed i terr. corrispond. — Proc. verb. Soc. tose. Se. Nat.) vi nota Loripes globulosus Desh. e Lucina Dicomani. 1883 — Cafici {Formaz. mioc. territ. Licodia Eubea — M. R. A. L.) pre- senta varie interessanti osservazioni, sue e del Fucila, sulle globulose Lucine in esame. 1883 — May ev (Die Ver steiner. d. tert. scli.v.Westl. Ins. Mittel-Egypten. — Palaeontographica), cita la L. pomum Duj. in diversi ter- reni miocenici dell’alta Italia. 1884 — Coppi {Mioc. medio Colli moden.) vi segnala /.. pomum Dod. VALORE STRAT1GIÌ. DELLE GRANDI LUCINE DELL’aPPENNINO ‘ 565 1887 — Gioii ( Lucina pomum Duj. — Mem. Soc. tose. Se. Nat.) distin- gue in questo gruppo tre tipi provenienti da varie località dell’Appennino tosco-romagnolo, fa interessanti compara- zioni, esamina c figura opportunamente le cerniere di varie forme di Lucine appenniniche, ecc. 1887 — De Stefani ( La Lucina pomum sinonimo di L. Dicomani — Proc. Veri». Soc. tose. Se. Nat.) indica a Dicomano Lori- pes globulosus Desìi, e Lucina Dicomani. 1898 — Rovereto ( Note prev. Pelecip. tongr. ligure) propone il nuovo nome di Loripes Destefanii per la L. glolmlosa di Hòrnes, identificandole la L. Dicomani di Gioii. 1900 — Oppenheim ( Ù. die grossen Lucinen und dcis Alter d. « mioc. » Macigno-Mergel des Appennin — Neues Jahrb. fiir Min.) espone interessanti considerazioni sinonimiche, paleontolo- giche e stratigrafiche sul gruppo delle Lucine globulose. 1900 — De Stefani (Il Miocene nell’App. settentr. a proposito di due recenti lavori di Oppenheim e di Sacco — Proc. verb. Soc. tose. Se. Nat.) indica Lucina Dicomani Menegh. e Loripes globulosus Desìi, nel Miocene (secondo lui) di Dicomano e di altre località, facendo inoltre, col consueto suo stile, varie considerazioni sinonimiche e stratigrafiche, in opposizione a quelle di Gioii, di Sacco, di Lotti, ecc. 1900 — Oppenheim (Nodi eimnal il. die grossen Lucinen des Macigno ivi Appennin — Centralblatt fiir Min.) ribatte alcune idee esposte dal De Stefani nel precedente lavoro e aggiunge nuove considerazioni al suo di prima, osservando che le Lucine dell’Appennino ricordano talora alcune forme eo- ceniche. 1900 — Rovereto (Illustr. Moli. foss. tongr.) riconosce che la sua L. (Lo- ripes) De Stefani i cade in sinonimia di L. (Loripes) globu- losa Desh. in Hòrn. e dopo varie considerazioni conclude che da queste grosse Lucine delPAppennino non può rica- varsi un fondamento cronologico. 1900 — Trabucco (Fossili, stratigr. ed età dei terreni del Casentino — B. S. G. I.) cita la L. globulosa Desh. in molti punti del- PAppennino tosco-romagnolo, indicando come suoi sinonimi la L. Dicomani Mgli. e la L. appenninica Dod. Non è possibile esporre brevemente le svariate interpreta- zioni proposte da diversi autori intorno alle Lucine in questione che vennero variamente indicate coi nomi di Lucina pomum, L. pomma, L. appenninica o Cyprina Dicomani, L. globu- losa, L. globosa , L. hoernea, L. hoerneana, L. hoernesiana, L. mio- cenica, L. edentula, L. subedentula, Loripes globulosus, Loripes o 566 F. SACCO Lucina Le Stemmi, ecc., ecc., spesso con curiosi scambi dei ri- spettivi nomi d’autore. Quindi, rinviando il lettore ai sovraccen- nati lavori, mi limito ad esporre che, come risultato delle mie ricerche, ebbi a ricavare come in questa intricata matassa di tanti nomi si confusero spesso forme appartenenti a sottogeueri ben distinti, cioè: 1° ai Megaxinusì come, per le forme piccole, la cosidetta Lucina miocenica auct., che viceversa è il il/, bellardianus (May), oltre ad altri Megaxinus affini al il/, transversus (Brn.); 2° alle Lentilucina, come la Z). appenninica (Dod. in Gioii) ; 3° alle Lucina str. s., come appunto le forme più abbon- danti e voluminose del tipo della L. globutosa Desh. Viceversa non vi si incontrano vere Loripes, come altri ha creduto di poter affermare. Passando ora alle denominazioni specifiche, dobbiamo anzi- tutto eliminare quella tanto usata di Lucina pomum Desm. (non Duj. come da molti fu scritto), giacche essa, pubblicata nel 1835 in Dufrenoy (Meni. terr. tert. 3Lidi France, Ann. des Mines, p. 119), cade in sinonimia di L. globutosa, nome proposto dal Deshayes nel 1830 in Hist. Nat. Verms (Encyclop. méth.), II, p. 573, per l’identica forma di Bordeaux, come l’ha poscia ri- conosciuto lo stesso Des Moulins. La Lucina Lelbosii D’Orb., 1852 (Prodr. Pai. str., Ili, p. 21) (e non Mayer come indicato da molti autori) è nome semplice- mente di Catalogo proposto per una forma oligocenica di Mo- rillac (Gironde), spesso identificata all’eocenica L. gigantea ; aven- done avuto in esame parecchi esemplari di Morillac mi potei convincere trattarsi di specie assolutamente diversa da quelle appenniniche in esame (vedi F. Sacco, il I. I. P. /., XXIX, Tav. XIX, fig. 10, 11). Il nome Lucina globosa è generalmente un semplice lapsus calami invece di L. globutosa. La denominazione di Lucina edentula L., per gli antichi paleontologi piemontesi rappresentava la forma neogenica tanto abbondante che deve appellarsi Megaxinus bellardianus (May.) ; quindi la Lucina subedentula D’Orb. 1852 deve subire la stessa sorte (vedi P. Sacco, il I. T. P. L., XXIX, p. 75, 76). Ma per VALORE STRATIGR. DELLE GRANDI LUCINE DELL* APPENNINO 567 altri paleontologi, come ad esempio per Mayer, l’indicazione di L. edentula si riferisce alla grande e rigonfia L. glóbulosa; quest’ultimo riferimento è abbastanza ragionato giacche, data la grande variabilità della L. globulo sa, non sarei neppur contrario a riunire tale forma fossile alla grande specie-gruppo L. eden- tula (L.), che è tanto sviluppata nei mari attuali e clic presenta pure molte variazioni, come potei osservare su numerosi esem- plari delle Antille e- d’altre regioni. Il nome di Lucina miocenica Miclit. (usato generalmente per forme piccole, ma talvolta anche per forme grandi e rigonfie, come ebbi a constatare in alcune Collezioni), se giustamente in- terpretato corrisponde alla Dentilucina miocenica Micht. (vedi F. Sacco, M. T. P. L., XXIX, p. 87, 88, Tav. XX, fig. 23-28); ma siccome tale nome venne generalmente conosciuto e citato secondo l’erronea interpretazione datane dall’ Hornes nel suo grande lavoro, così in tal caso corrisponde al Megaxinus bel- lardianus (May.), nonché, per alcune citazioni, al 31. transver- sus Brn. (Y. Sacco, 31. I. P. L. , XXIX, p. 75-77, Tav. XVII, fig, 29-37). I nomi di Lucina hoernesana, L. hoernesiana, ecc., non sono che ampliamenti della L. hcernea Desmovd., e d’altronde non sono accettabili eziandio perchè preesiste una ben differente L. hoernesana Neugeb. 1865, anche non tenuto conto della L. hoernesi Desh. 1860. Infine la denominazione di Lucina De Stefanii Rover. 1898, creata per la L. globulosa di Hornes, cade in perfetta sinonimia colla L. hòrnea Desili., proposta dal Des Moulins trent’anni prima per l’identica forma. Sbarazzato così il terreno dai nomi inutili o erroneamente usati, vediamo come debbonsi interpretare gli- altri. La Lucina globulosa Desh. 1830, se pur non la si vuol con- siderare come una varietà della vivente L. edentula (L.), di cui credo sia la forma atavica, è, fra le Lucine, la specie più ri- gonfia, più voluminosa e, spesso, più abbondante nei terreni terziari deH’Appemnino (v. Sacco, 31. T. P. L., XXIX, p. 67, Tav. XY, fig. 31, 32, 33 e XYI, fig. 1). La Lucina hòrnea Desili. 1868, dubito rappresenti solo una varietà, la più frequente e più conosciuta, di L. globulosa ; ne 568 F. SACCO osservai spesso esemplari (almeno per quanto si può ricavare dall’esame di semplici impronte interne) in diversi punti del- l’ Appennino, come, per esempio, nella famosa località di Deruta. La Lucina Dicomani (Menegh. in Miclit.) 1861 (Ét. Mioc. inf., p. 158, Tav. 16, fig. 2), dopo l’esame di centinaia di esem- plari raccolti nella classica località di Podere Case! lino sopra Dicomano, mi risultò (v. Sacco, M. T. P. L., XXIX, p. 67, Tav. XVII, fig. 1 ) essere una vera Lucina str. s., come, oltre la forma complessiva mi comprovarono diverse sezioni fatte nella regione cardinale, sezioni che assai bene si accordano con quelle fatte e figurate dal Gioii (1887, La Lucina pomum, Tav. XIV, fig. 5). Essa presenta molti caratteri di affinità colla />. gloibu- ìosa di cui, data la sua grande variabilità, potrebbe persino considerarsi come una forte varietà ; però, considerata nel com- plesso, per essere generalmente più piccola, più orbicolata, più fortemente striata, ecc., la L. Dicomani può rappresentare una specie realmente distinta. Intanto credo opportuno far osservare che la forma così spiccatamente orbicolare che mostra la figura originale data dal Michelotti (Ét. Mioc. inf., Tav. 16, fig. 2) è in parte dovuta al modo di conservazione, tant’è che spesso si incontrano esemplari in cui una valva è ovoidale, l’altra or- bicolare. Nel Macigno appenninico non sono rare le Lucine che sem- brano riferibili alla L. Dicomani e sue varietà, così per esempio nel lavoro del Capellini sopra LI Macigno della Porretta e le roccie a Globigerine, 1881, vediamo figurate (Tav. Ili, fig. 1) forme che paiono identificabili colla var. pseudo-fuchsi Sacc. (vedi Sacco, M. T. P. L., XXIX, Tav. XVII, fig. 2) di Dico- mano, nonché forme ancor più transverse, come la var. perel- liptica Sacc. (Capellini, 1. c., Tav. II, fig. 6 e 7) e la var. inaequi- lateralis Sacc. (Capellini, 1. c., Tav. II, fig. 5). Inoltre nel Ma- cigno della Porretta e di altre località si incontra una Lucina allungata nel senso dell’altezza, ficoide-piriforme, che, se non sta alla L. Dicomani come la var. alta Sacc. sta alla L. glo- bulosa, ciò che non è impossibile, potrebbe anche rappresentare una specie distinta; credo quindi opportuno distinguerla con un nome speciale, subficoidcs Sacc. (Capellini, Macigno di Porretta, Tav. Ili, fig. 2, 3), in attesa che migliori esemplari ne per- VALORE STRATIGR. DELLE GRANDI LUCINE DELL’APPENNINO 569 mettano la precisa interpretazione. Ricordo in proposito come alle forme ultimamente accennate sembrino affini le eoceniche L. Fontis Felsinae Oppenh. di M. Pulii, L. corbarica var. elon- gata Leym., forse la L. bovensis de Gre»-., ecc. ; ricordo pure che Hébert e Renevier ( Descr . Foss. terr. numm. env. Gaas, 1854) figurano una Lucina dell’ Eocene di Saint-Avit affine a quella in questione. Quanto alla Lucina appenninica Dod., siccome non fu mai descritta dal Doderleiu, essa rimase per lungo tempo una specie nominale e spesso fu confusa colle Lucine del gruppo della L. globulosa ; ma nel 1887 il Gioii nel suo lavoro sopra La Lucina pomum Duj., descrivendo e figurando (Tav. XIV, fig. 1, 2, 3, 4) la forma di S. Sofia e Martano, che erroneamente credette poter denominare L. pomum, vi pose come unico sinonimo la L. appenninica Dod. Orbene, siccome detta forma risulta net- tamente, dalle molte e belle figure date dal Gioii, essere una Dentilucina, e siccome il nome di L. pomum non può conser- varsi pei motivi sopradetti, panni naturale che la specie in questione cosi bene descritta ed illustrata dal Gioii venga rico- nosciuta col nome di Dentilucina appenninica (Dod.-Gioli). Tale specie, non rara nella grande formazione arenaceo-marnosa (rite- nuta miocenica ma che io credo eocenica) dell’Appennino tosco- romagnolo, talora assieme alla L. Dicomani , si presenta assai variabile, giacche anche solo tra le figure presentate dal Gioii nel sovracitato lavoro, oltre al tipo, possiamo distinguere una varietà molto obliqua e sub -eli ittica, var. Giolii Sacc. (L c., Tav. XIV, fig. 7), una varietà molto sviluppata verso Lavanti, var. protracta Sacc. (1. cit., Tav. XIV, fig. 8), ecc. A proposito della D. appenninica, credo opportuno ricordare che nella nota località fossilifera di Deruta si incontrano pure frequenti Dentilucina affini alla specie sovraccennata (di cui potrebbero fors’ anche essere spiccate varietà), ma che ad ogni modo è conveniente distinguere con un nome a se, Dentilucina perusina Sacc. (vedi Sacco, M. T. P. L., XXIX, Tav. XIX, fig. 12, 13, 14), con una var. pseudorotunda Sacc. (1. c., fig. 15); ciò in attesa che migliore e più ricco materiale permetta di stabi- lirne i rapporti con specie affini già note, come sarebbero, per esempio : L. proclinata May., L. Zignoi Oppenh., L. argus Mill., 570 F. SACCO L. pseudoargus D’Arck., ecc., cioè (come può notarsi) con specie essenzialmente eoceniche. Riassumendo quindi le considerazioni fatte sulle grandi Lu- cine del terziario appenninico, risulta che esse in ultima analisi si possono ridurre a due soli gruppi principali, cioè il gruppo della Lucina globulosa Desìi, (colle sue varietà o specie affini Tiòrnea Desm., e Dicornani Mgh., e colle rispettive varietà trasverse, come elliptica Sacc., Fuchsi Caf., pseudofuchsi Sacc., taurofuchsi Sacc., ecc., o piriformi, come sicula Caf., subficoides Sacc., alta Sacc., ecc.) ed il gruppo della Dentilucina appenninica (Dod.- Grioli) colle sue varietà o specie affini, come Giolii Sacc., prò- tracia Sacc., perusina Sacc., pseudorotunda Sacc., ecc. Esaminata così succintamente la questione delle grandi Lu- cine appenniniche dal punto di vista paleontologico e sinoni- mico, consideriamole ancora un momento sotto l’aspetto crono- logico e stratigrafico. Si è detto e ripetuto da tutti che le grosse Lucine globose del Terziario appenninico sono caratteristiche del terreno mio- cenico e quindi si è creduto generalmente di dover collocare nel Miocene tutte le formazioni che neH’Appennino italiano in- globano tali grosse Lucine, derivandone purtroppo una grande confusione estesa a molte ed amplissime regioni e sincronizzando così terreni disparatissimi di età. Senza voler citar le cento pubbli- cazioni in cui per tal modo si credette di attribuire al Miocene una quantità di terreni oligocenici ed eocenici, come per esempio il Macigno appenninico e le sue svariate fisionomie più o meno arenacee o marnose, ricordo solo quale sintesi grafica di tale tendenza la Carta geologica d’Italia del 1889 (la quale d’al- tronde per la questione in esame venne in massima parte ri- copiata per la recente Carta geologica d’Europa) che ha risen- tito fortemente’ ed in modo, credo, assai dannoso gli effetti di detta interpretazione. Orbene la base di tale interpretazione credo sia in parte erronea ; infatti, come già accennai altre volte, è a notare come vi siano molti fossili (così i denti di Carcharodon, certe Lu- cina, Pgcnodonta, Plioladomya, Ghlamys, Amussium, Acesta , VALORE STRATI GR. DELLE GRANDI LUCINE DELL’APRENNINO 571 Attirici, Cassidaria, Tugurium, Xeno gl torà; ecc., ecc.) che, per semplicità di ornamentazione o per plasticità di adattamento a varii ambienti o per altre cause, ben poco variarono dando- cene ad oggi, oppure le loro variazioni sono così poco appari- scenti che possonsi soltanto distinguere su esemplari ben con- servati, ciò che non è purtroppo il caso nei fossili appenninici in questione. Le grandi Lucine del Terziario appenninico sono appunto fra tali forme poco variabili o, per dir meglio, esse sono bensì va- riabili, per essere più o meno rotonde o trasverse od oblique o rigonfie, od allungate, ecc., ma tali variazioni si ripeterono in diversi periodi geologici per modo da non costituire general- mente specie o varietà caratteristiche di un dato piano. Infatti la Lucina globulosa che si trova in tutto il Miocene, da WAqui- taniano sino alle zone gessifere del Mcssiniano, presenta certi esemplari talmente affini alla vivente L. edentùla (L.) che non sarebbe illogico raggnipparle in una sola specie. Nell’Oligocene venne già citata, anche recentemente dal Rovereto, la L. glo- bulosa. Nel Macigno e formazioni consimili, che credo eoceniche, dell’Appennino sono frequentissimi gli incontri di banchi a tali grosse Lucine, indicabili come varietà di L. globulosa o come specie bensì a parte ma tanto affini alla L. globulosa che ne riesce talora incerta la delimitazione specifica. Ma siccome mi si opporrà tosto che tali incertezze derivano appunto da che i terreni appenninici che ritengo eocenici sono invece miocenici, senza voler citare i cento fatti stratigrafici che provano il con- trario (come per esempio il passaggio talora rapido per quanto graduato da zone con grosse Lucine a zone cretacee con Ino- cerami), ricorderò solo come Lucine affinissime e talora confon- dibili colle tante varietà di L. globulosa o di L. Dicomani in- contrinsi spesso in varii terreni tipicamente eocenici, così per esempio la L. Pharaonis Bell., la L. cycloiclca Bell., la L. Vol- deriana Nyst, la L. Vicaryi D’Arch., la L. subvicaryi d’Arch., la L. thebaica, la L. aegyptiaca, ecc., ecc.; d’altronde recente- mente il Mayer citò la presenza della stessa L. globulosa nel Suessoniano e nel Parisiano d’ Egitto. Infine forme consimili incontransi pure nel Cretaceo e giù giù sino al Paleozoico, dove troviamo per esempio la tanto abbondante L. proavia Goidf. 45 572 F. SACCO del Devoniano ; noto-ciò perché le forme-gruppo che sono apparse già nel Paleozoico e continuarono sino al Terziario quivi gene- ralmente non presentano più variazioni molto importanti. Quanto alle Dentilucina si è già accennato come la D. ap- penninica, la D. perusina, ecc., abbiano affinità spiccate spe- cialmente con forme dell’ Eocene circummediterraneo ed asia- tico ( proclinata May., Zignoi Opph., argns Mill., pseudoargus D’Arch,, ecc.). Quindi, concludendo, panni si possa dire che non è già che le grosse Lucine più o meno globulose siano solo mioceniche, giacché esse abbondano pure in terreni oligocenici e special- mente in quelli eocenici; invece siamo noi italiani, direi, che trovando spesso tali grandi Lucine nei nostri tanto sviluppati e fossiliferi terreni miocenici, ci siamo poco a poco abituati a credere che esse fossero caratteristiche del Miocene; perciò ora ogni qualvolta incontriamo tali Lucine incliniamo ad attribuire al Miocene i terreni che li inglobano, incorrendo talora natu- ralmente per tal modo in gravi ed estesi errori di interpreta- zione cronologica. Mi sono fermato alquanto sulle grandi Lucine dell’ Appen- nino perchè esse vennero recentemente portate all’ ordine del giorno, direi, circa la controversia in questione, ma casi di in- terpretazione consimile si ripetono per diversi altri fossili, di cui per esempio ho citato sopra qualche nome generico. Perfino gruppi sottogenerici creduti finora solo miocenici e che, riscon- trati nei terreni appenninici in esame, costituirono valido argo- mento per riferire tali terreni al Miocene, dietro più accurate ricerche si riconobbero comparire già assai prima, come per esempio il grande Pecten Tournali De Serr., che, ritenuto affatto caratteristico dal Miocene, venne recentemente riscontrato dal De Alessandri nei terreni eocenici di Oneda in Lombardia. Chiudo infine queste poche osservazioni ricordando T inte- ressante caso presentato dalla Phoìadomya Canavarii Sim., (1888, Simonelli, Sopra una nuova specie del genere Pliolado- mya — B. S. M. I., voi. XIII, | tav. I, fig. l-7j), come mi risultò re- centemente dagli studi fatti sui Molluschi terziari del Piemonte. VALORE STRATIGR. DELLE GRANDI LUCINE DELL’APPENNINO ' 573 Tale fossile, che appartiene al gruppo delle Procardia, fu rac- colto dapprima nelle marne ritenute mioceniche (ma che io credo eoceniche) dei dintorni di Pergola e di Poggio Mirteto (Ascoli) e venne finora sempre ritenuto come fossile caratteristico del Miocene; infatti esso venne più volte raccolto in terreni veramente miocenici di varie regioni ed anzi ebbi ad osservarne numerosi esemplari nelle tipiche zone mioceniche dei Colli Torinesi, del Monregalese e delle Langhe (vedi Sacco, M. T. P. L., voi. XXIX, p. 144, tav. XXVIII, tìg. 19, 20, 21). Ma quando ebbi in esame le Procardie delle famose località eoceniche di Gassino e di Busso- lino constatai con stupore che vi si riscontra pure abbondante la Procardia Canavarii (V. Sacco, 1. c., fìg. 18); probabilmente V habitat di queste forme, che vivono affondate fra le melme dei tranquilli fondi marini, deve aver contribuito a conservare quasi immutata questa specie (come d’altronde anche altre di- verse Foladomie) sottratta così, direi, alle influenze delle va- riazioni esterne verificatesi attraverso diversi successivi periodi geologici. Attratto dall’interesse della questione proseguendo le ricerche e le comparazioni sulla Procardia in esame, ebbi a constatare non solo che la P. Canavarii per quanto comune nel Miocene del Piemonte è pure frequentissima nel tipico Eocene della stessa regione, ma che forme consimili furono già indicate da Giimbel e da Hantken, benché col falso nome di Pholadomya cf. ludensis, in terreni eocenici di Hàring e d’Ungheria; inoltre potei stu- diare un esemplare, conservato nel Museo geologico di Torino col nome di Pii. subalpina Giimb., che è identificabile colla P. Canavarii e proviene dai depositi oligo-eocenici dei dintorni di Budapest; notai pure che la Pii. Pobianac Vin., proveniente dal caratteristico Eocene di Robiana, sembra specificamente iden- tificabile colla P. Canavarii. Infine, estendendo le indagini, ri- conobbi che il gruppo a cui appartiene la P. Canavarii è un gruppo essenzialmente cretaceo, cioè quello della P. Kodgii Meck alla quale anzi, comprendendo la specie in senso un po’ largo, si potrebbe persino riferire la forma Canavarii come una spiccata varietà; d’altronde la P. Malbosii Pìct. del Xeoco- miano, la P. genevensis Pict. del Gault, la P. decussata Mant. del Cretaceo superiore, ecc., sono tutte forme le quali hanno 574 F. SACCO notevoli caratteri di affinità colla P. Canavarii. Ecco quindi come una delle forme spesso citate a provare l’età miocenica dei terreni che la contengono, dopo un esame critico un po’ pro- fondo e generale, diventa invece una forma essenzialmente cretaceo-eocenica, per quanto sia giunta a svilupparsi sino al Miocene. Concludendo, è assolutamente necessario un serio, profondo e spassionato studio paleontologico, coadiuvato da materiale di comparazione assai più ricco di quanto siasi finora utilizzato, se si vuol risolvere definitivamente la controversia che si va da lunghi anni trascinando ed ora acuendo circa l’ interpretazione cronologica di alcune potenti ed estesissime formazioni terziarie delì’Appennino italiano. Fino a che ciò non sia stato fatto, mal- grado le accoglienze poco favorevoli fatte generalmente ai miei studi in proposito, continuo a riferire aH’Eocene i terreni con- troversi, giacche per me ha sempre più valore cronologico una Nummulite che mille Lucine globulose e forme simili. [ms. pres. 8 novembre 1901 - ult. bozze 8 dicembre 1901j. APPUNTI DI GEOLOGIA MONTENEGRINA Nota del prof. P. Vinassa db Rec4NY. Durante l’estate corrente, innamorato dalle descrizioni del Montenegro fattemi dal carissimo amico e collega Prof. Bal- dacci, mi decisi a recarmi in quella regione a noi tanto vicina e pur così poco nota e spesso mal giudicata. I rapporti tra il nostro paese ed il piccolo, eroico Piemonte serbo mi promette- vano buona accoglienza ed aiuto, e T influenza ben meritata del Prof. Baldacci mi sarebbe stata, come infatti mi fu, veramente preziosa. E quelle cinque settimane passate in mezzo alle mon- tagne orridamente belle del Vecchio Montenegro, od ai ridenti pascoli alpini delle nuove provincie, sono adesso per me un dolcissimo ricordo. Nè posso dimenticare le Autorità tutte e gli ospitali abitanti che, ricchi o poveri, hanno fatto sempre del loro meglio per rendermi meno faticoso e più gradito il viaggio, ed ai quali mi sento grato dal più profondo del cuore. Sbarcato a Cattaro, insieme al mio amico signor Giattini, studente di Scienze naturali, che mi doveva poi essere gradito compagno in quasi tutte le mie peregrinazioni, salimmo a Zet- tinje (‘) ; da lì facemmo una escursione al Lovcen, poi per Rjeka arrivammo a Podgorica, da dove effettivamente cominciava il vero viaggio. L’itinerario seguito fu questo: Kakariska gora, Fondina, Premici, Scepoh, Korita, Gretcia, ove trovammo Anni- baie, fratello del Prof. Baldacci, reduce da un’escursione bota- nica nelle inesplorate Procletje o Bieska Nemuna, la montagna maledetta delle Alpi albanesi. Poi dopo Gretcia: Kostiza, Rikavaz, (*) (*) Scrivo i nomi secondo la più approssimata pronunzia italiana; non potendo servirmi, per rendere i snoni serbi, dell'alfabeto croato. 576 P. VINASSA DE REGNY Scirokar, Mokro, Bukomirsko jezero, Maglie, Kurlaj, Zarine, Kom kuchki, Konjuhe, Andrijeviza, Bulici, Andrijeviza, Murino, Grascianica, Piscevo, Scekulare, Berane, Zabrgje, Krivi Do, Ko- lascin, Trebaljevo, Kolascin, Yeruscia, Bioce, Podgoriza, Mescite, Podgoriza, Virpazar, Sutorman, Antivari, Dulcigno, Antivari, Su- torrnan, Sozina, Grlulii Do, Limljani e Antivari. Varie interessanti osservazioni geografiche e geologiche ho avuto la possibilità di fare durante il viaggio, le quali spero far note in un lavoro più completo tra qualche tempo, quando avrò potuto studiar bene i numerosi fossili raccolti. Ma intanto credo utile accennare ai principali risultati geologici, già accer- tati, che si riferiscono a regioni geologicamente ignote, come sarebbe Gretola, nella porzione albanese sopra Selze, e il Sceku- lare; o correggono quanto si credeva sinora di regioni superfi- cialmente studiate. Di passaggio solamente accennerò che ho trovato innegabili tracce di ghiacciai antichi a Gretcia dove le morene sono net- tissime, a Vratlo presso Kolascin ove pure esistono belle morene, e nella Kosticia ove per ora da nessuno erano accennate (*). Con- fermo poi pienamente le osservazioni recentissime di Hassert (2) sopra tracce glaciali nei dintorni di Rikavaz e di Scirokar, mentre non saprei vederle chiaramente nella Planiniza e nel Kom. Si noti però che io nulla conoscevo ancora del lavoro di Hassert, che conobbi solo tornando in Italia. E perciò, mentre l’aver veduto noi due, all’ insaputa rimo dell’altro, tracce glaciali, ne conferma l’esistenza, il non averle io riscontrate nella Planiniza e nel Kom può imputarsi al mio occhio molto meno esperto di quello dell’egregio geografo di Tubinga. Com’è noto esistono due sole carte geologiche del Montene- gro, quella di Tietze del 1884 e quella di Hassert del 1895. Questa, benché presenti sulla precedente un notevole migliora- mento, è però, per giudizio dell’Autore stesso, lungi dall’essere esatta. Il Prof. Hassert non è però un geologo di professione, e quindi invece che imputargli qualche errore nella sua carta, (*) Vedi: Vinassa, Tracce glaciali nel Montenegro. Rend. R. Accad. Lincei, dicembre 1901. (2) Ilei se durcli Montenegro in Sommer 1900. Mittl. k. k. geogr. Gesell. in Wien, 1901, Hcft 5 u. 6, p. 140-165. APPUNTI DI GEOLOGIA MONTENEGRINA 577 dobbiamo al contrario essergli grati poiché ha potuto aggiun- gere alle vecchie indicazioni di Tietze tanti nuovi ed interes- santi dati geologici. Fossili cretacei, rudiste specialmente, sono comuni in tutta la regione dei Zatrijebac, e bellissime Eadioliti ho rinvenuto specialmente a Scepob, parrocchia di Trijepsi ed a Gretcia. Il cretaceo si continua, a quanto pare, anche sopra a Selze, a si- nistra del Zeni. Quindi il limite dei calcari triassici delia carta di Hassert va qui portato più verso N. A Krstaz sopra Vukli, nella Procletja ancora inesplorata, esistono degli scisti neri, portatimi dal signor Baldacci, i quali confermano l’esistenza di formazioni quasi certamente paleozoiche, in continuazione di quelle identiche della regione dei Vasojevici. Anche presso al lago Bukomirsko, e precisamente sopra Mokro, ho trovato un mal conservato ma pur sempre riconoscibile avanzo di Ippurite. Quindi anche questa massa di calcari segnati pa- leozoici e triassici dall’Hassert dovrà più esattamente essere smem- brata. Al Kom non ho potuto trovar fossili, ma la serie litologica è cosi perfettamente identica a quella dei Monti Pisani, che credo giustificato il riferimento cronologico, esclusivamente fon- dandosi su questa serie. Si hanno in basso scisti argillosi, vere e proprie filladi sul genere di quelle che tengono la flora per- mocarbouifera a S. Lorenzo ed anzi talmente identici a quelli del versante lucchese dei M. Pisani, che non sarei niente affatto meravigliato di vedere un giorno o l’altro scappar fuori anche qui una flora simile; seguono poi quarziti e anageniti tipiche del Verrucano; quindi un calcare scuro selcifero in molti punti con macchie e venature gialle come il celebre Portoro, poi una dolomia grigia, identica al nostro Betico, e finalmente un cal- care più chiaro, esso pure triassico come il precedente. Per la regione di Piscevo e Scekulare, non carteggiata ancora, posso accennare alla continuazione di scisti, conglomerati e rari calcari, tutti probabilmente paleozoici. Uscendo dalla regione paleozoica e triassica scistosa a Jablan si rientra nella porzione carsica del Vecchio Montenegro. Qui il Hassert segna il Giura, poiché Baldacci accenna alla presenza di Ellipsactinie titoniane. 578 P. VINASSA DE REGNY Non ho trovato le Ellipsactinie al Vieternik, ma invece nu- merose e belle ippuriti. Quindi, se veramente esistono qui le Ellipsactinie titoniane, oltre al Giura è da segnare anche la Creta. Fossili cretacei ho pare rinvenuti a Bratonoziei, dopo il Vie- ternik. Rispetto alla regione litorale accenno alla presenza di fossili al Lovcen. Salendo da Bioce all’Iezerski Vrh, a circa metà strada, sopra ai calcari con Megalodon, si hanno dei calcari bianchi con numerosi avanzi di Corallari, che a primo aspetto somi- gliano a Chetetidi, ma che hanno invece pareti con canali e poche tavole, e che saranno descritti in breve dal signor Giattini. Al Sutorman si ha una serie molto interessante. Già Bukowski l’aveva quasi tutta assai esattamente interpretata per la prossima regione di Spie. Egli però non sapeva a che età riferire il cal- care oolitico in trasgressione sul Trias. Tal calcare al Sutorman è in immediata relazione con uno sviluppatissimo giacimento di calcare bianco con numerose e bellissime Ellipsactinie, ed è quindi riferibile al Titoniano. Sopra ad esso calcare se ne trova un altro con mal conser- vati avanzi di Ippuriti, che corona le alture della catena costiera. A poca distanza dal nuovo Han di Sutorman, lungo la vecchia strada di Antivari si trovano splendidi esemplari di calcari zeppi di crinoidi, ed un calcare rosso con brachiopodi del trias supe- riore. Vi è pure un calcare ceroide con avanzi di turricolate, ma non posso ancora pronunziarmi sulla sua età. Altra correzione da fare alla carta di Hassert è nella re- gione costiera presso Dulcigno. Le zone successive di calcari ad orbitoidi e di arenarie cominciano assai più verso il mare. Tutta la schiena del Muzura ad esempio è cretacea, essendovi numerose e belle Ippuriti. Il calcare a Litotamni di Dulcigno è riferibile al Miocene, come lo provano i numerosi Pecten che contiene. Bologna, R. Istituto geologico. [ms. pres. 13 novembre 1901 - ult. bozze 16 dicembre 1901]. SEZIONI GEOLOGICHE RIGUARDANTI LA COLTRE ALLUVIONALE PADANA Nota del doti. Giovanni Toldo La cortesia del Direttore generale delle Opere idrauliche, del cav. Enrico Nicolis di Verona, del cav. Giuseppe Piana di Badia Polesine e del maestro Paolo Bosi di Legnago, mi ha reso possibile di raccogliere dati geologici relativi a pa- recchie trivellazioni ed a parecchi scavi che furono fatti nel seno delle alluvioni padane o per semplice assaggio o per impianti di ponti o per ricerca di acqua potabile. Questi dati mi hanno servito per comporre le sezioni di cui do relazione in questa nota, aggiungendo per ciascheduna le roccie corrispondenti alle varie profondità. La rappresentazione grafica di queste profondità e di queste roccie venne da me accuratamente compiuta ; ma non può, almeno per ora, venir pubblicata stante la gravità della spesa. Dal Direttore generale delle opere idrauliche ebbi i dati relativi alle sezioni 1, 2, 4-35, 39, 56, 58, 77-80, 89-98, 100-103, 106-158, 162-199, 201-240; dal cav. E. Nicolis quelli relativi alle sezioni 36, 38, 43, 45, 49-52, 55, 57, 61, 63, 65, 85, 105 ; dal cav. G. Piana quelli relativi alle sezioni 3, 40, 66-76, 81-83, 86-88, 99-104, 161, 200; dal maestro Paolo Bosi finalmente quelli relativi alle sezioni 37, 41, 42, 44, 46-48, 53, 54, 59, 60, 62, 64, 84. Però le sezioni 1, 2, 157, 158 e qualcuna fra quelle favo- ritemi dal cav. Nicolis sono già note ai geologi e figurano tra le mie solo come utili termini di collegamento. A fine di rendere possibile la comparazione delle sezioni, essendo necessario l’ordinarle geograficamente, ho creduto con- veniente il disporle a destra e a sinistra del Po secondo le linee di pendenza idrografica, come si può rilevare dalla annessa carta della valle padana dove sono segnati i numeri corrispon- » 46 580 G. TOLGO denti alle varie sezioni. Nella stessa carta la linea rossa che limita la zona colorata in nccciola segna il contine inferiore dei terreni terziari e il confine superiore dei terreni quaternari (s. str.), mentre l’altra linea rossa segna il confine inferiore di questi terreni quaternari. Come risultato di una preliminare comparazione, intesa a ricercare la distribuzione delle roccie attraversate dalle trivel- lazioni e dagli scavi, ho aggiunte alcune osservazioni, riser- bandomi di compilarne altre in seguito relativamente alla distri- buzione delle acque sotterranee. Del resto io mi permetto di offrire questa nota geologica solo come semplice contributo, sperando cioè che possa in se- guito riuscire utile ad altri per uno studio conclusivo sulla coltre alluvionale padana. Elenco delle sezioni e delle relative roccie. Per ognuna delle sezioni che seguono è indicato il numero con cui essa è rappresentata sulla carta (Sez. ...), segue la loca- lità che corrisponde a tal numero e quindi, tra parentesi, la quota altimetrica della località [m. ...]. Le altre cifre indicano le suc- cessive profondità a partire dalla superficie del terreno. La po- tenza delle varie roccie si deduce dalla differenza di due cifre consecutive, poiché invece di ripetere gli stessi numeri al termine di una roccia ed al principio della successiva si sono segnati dei punti (. . . .). Ciò è consigliato da ragioni di opportunità, specialmente per conseguire brevità e chiarezza, e non può del resto dar luogo ad equivoci. Sez. 1. — Ponte sul Po a Piacenza ( riva sinistra ) [m. 44.60], Da m. 0.00 a m. 12.00 sabbia con ghiaia; .... a 18.00 sabbia con argilla e ciottoli; .... a 20.50 sabbia con argilla e ghiaia; .... a 20.90 ciottoli; .... a 22.00 sabbia con ar- gilla e ghiaia; .... a 22.30 sabbia e argilla. Sez. 2. — Ponte sul Po a Piacenza ( riva destra ) [m. 46.80]. Da m. 0.00 a m. 2.70 sabbia e argilla; .... a 3.20 sabbia e argilla e conchiglie terrestri ; .... a 4.80 argilla ; .... a 5.85 sabbia e argilla; .... a 6.60 sabbia; .... a 18.30 ghiaia e SEZ. geol. riguardanti la coltre alluvionale padana 581 ciottoli; .... a 20.20 sabbia e argilla; .... a 23.60 ghiaia e ciottoli; .... a 24.60 argilla; .... a 26.10 ghiaia c ciottoli; . . . . a 28.30 ghiaia; .... a 34.80 ghiaia e ciottoli. Sez. 3. — Pozzo di Cremona [m. 35.50], Da m. 0.00 a m. 5.50 ?; .... a 11.50 sabbia; .... a 22.30 sabbia e argilla; .... a 27.40 torba; .... a 30.40 sabbia e argilla; .... a 33.40 sabbia; .... a 39.40 ghiaia ; .... a 60.50 sabbia e ghiaia ; .... a 83.00 sabbia ; .... a 90.50 sabbia e ar- gilla; .... a 99.50 sabbia; .... a 104.00 sabbia e ghiaia; a 150.00 sabbia; .... a 151.50 argilla; a 159.50 sabbia e argilla; a 163.00 limo; a 173.00 sabbia; a 185.00 argilla; .... a 195 sabbia e argilla ; .... a 207 ghiaia; .... a 213.00 sabbia; a 215.00 torba; a 225.00 limo; .... a 237.00 sabbia. Sez. 4. — Ponte sul Po a Cremona {spalla di destra ) [m. 37.40]. Da m. 0.00 a m. 0.70 limo; .... a 7.50 sabbia; .... a 13.50 sabbia e ghiaia; .... a 17.90 argilla; .... a 18.40 torba; .... a 25.30 argilla; .... a 37.50 sabbia. Sez. 5. — Ponte sul Po a Cremona {prima pila da destra) [m. 25.60]. Da m. 0.00 a m. 2.10 sabbia e ghiaia; .... a 5.50 argilla; .... a 25.60 sabbia. Sez. 6. — Ponte sul Po a Cremona ( seconda pila da destra ) [m. 33.80]. Da m. 0.00 a m. 13.60 sabbia e ghiaia; .... a 33.90 sabbia. Sez. 7. — Ponte sul Po a Cremona {terza pila da destra) [m. 34.80]. Da m. 0.00 a m. 12.40 sabbia; .... a 15.30 argilla; a 16.20 torba; .... a 21.50 argilla; .... a 34.80 sabbia. Sez. 8. — Ponte sul Po a Cremona {quarta pila da destra) [m. 34.50]. Da m. 0.00 a m. 9.20 sabbia e ghiaia; .... a 12.60 argilla; .... a 14.80 sabbia; .... a 17.00 torba; .... a 21.70 argilla; .... a 34.50 sabbia. Sez. 9. — Ponte sul Po a Cremona {quinta pila da destra) [m. 34.50]. Da m. 0.00 a m. 11.50 sabbia e ghiaia; .... a 12.80 ar- 582 G. TOLDO gilla; .... a 14.20 sabbia; .... a 14.80 torba; .... a 21.00 argilla; .... a 34.50 sabbia. Sez. IO. — Ponte sul Po a Cremona ( sesta pila da destra) [m. 33.80]. Da m. 0.00 a m. 14.40 sabbia e ghiaia; .... a 15.20 torba; . . . . a 20.70 argilla; .... a 33.80 sabbia. Sez. 11. — Ponte sul Po a Cremona ( settima pila da destra ) [m. 34.30], Da m. 0.00 a m. 14.00 sabbia e ghiaia; .... a 15.60 torba; . . . . a 22.00 argilla; .... a 34.30 sabbia. Sez. 12. — Ponte sul Po a Cremona ( ottava pila da destra ) [m. 33.40]. Da m. 0.00 a in. 13.00 sabbia e ghiaia; .... a 13.50 argilla; .... a 14.50 torba; .... a 18.30 argilla; .... a 33.40 sabbia. Sez. 13. — - Ponte sul Po a Cremona ( nona pila da destra) [m. 34.85]. Da m. 0.00 a in. 15.30 sabbia e ghiaia; .... a 15.80 torba; ....a 22.30 argilla; .... a 35.00 sabbia. Sez. 14. — Ponte sul Po a Cremona ( decima pila da destra) [m. 33.00]. Da m. 0.00 a m. 12.40 sabbia e ghiaia; .... a 13.45 ar- gilla; .... a 14.60 torba; .... a 21.00 argilla; .... a 33.00 sabbia. Sez. 15. — Ponte sul Po a Cremona (undecima pila da destra) [tu. 26.40]. Da m. 0.00 a in. 6.70 sabbia e ghiaia; .... a 7.85 torba; . . . . a 14.25 argilla; .... a 26.40 sabbia. Sez. 16. — Ponte sul Po a Cremona (spalla sinistra) [m. 37.50]. Da m. 0.00 a in. 16.10 sabbia; .... a 17.70 argilla; .... a 18.60 torba; .... a 26.00 argilla; .... a 37.50 sabbia. Sez. 17. — - Ponte sull’ Oglio, via Cremona- Ostiana (pila quarta) [m. 28.50]. Da m. 0.00 a m. 5.60 sabbia, ghiaia e ciottoli; .... a 13.60 argilla; .... a 15.00 argilla e sabbia. SEZ. GEOL. RIGUARDANTI LA COLTRE ALLUVIONALE PADANA 583 Sez. 18. — Ponte sull’ Oglio, via Cremona- Ostiana ( pila tersa ) [m. 30.30]. Da m. 0.00 a m. 2.50 sabbia e ghiaia; .... a 10.40 argilla; . . . . a 11.80 argilla e sabbia. Sez. 19. — Ponte sull’Oglio, via Cremona- Ostiana ( pila se- conda) [m. 30.30]. Da ra. 0.00 a m. 2.30 sabbia, ghiaia e ciottoli; .... a 10.00 argilla; .... a 11.60 argilla e sabbia. Sez. 20. — Ponte sull’ Oglio, via Cremona- Ostiana ( pila prima ) [m. 31.00]. Da m. 0.00 a m. 2.70 sabbia, ghiaia e ciottoli; .... a 10.20 argilla; .... a 12.00 argilla e sabbia. Sez. 21. — Ponte sull’Oglio, ferrovia Parma-Brescia ( pila quarta da destra) [m. 26.80]. Da m. 0.00 a m. 2.10 sabbia e argilla; .... a 16.20 sabbia; .... a 19.40 argilla. Sez. 22. — Ponte sull’ Oglio, ferrovia Parma-Brescia ( pila tersa da destra) [m. 23.70]. Da m. 0.00 a m. 13.40 sabbia; .... a 16.40 argilla. Sez. 23. — Ponte sull’Oglio, ferrovia Parma-Brescia ( pila seconda da destra) [m. 23.20]. Da m. 0.00 a m. 13.30 sabbia; .... a 16.60 argilla. Sez. 24. — Ponte sull’Oglio, ferrovia Parma-Brescia ( pila prima da destra) [m. 26.70]. Da m. 0.00 a m. 2.10 sabbia e argilla; .... a 16.00 sabbia; .... a 18.50 argilla. Sez. 25. — Ponte sul Po a Borgo forte, ferrovia Mantova - Modena (. spalla destra) [m. 19.80]. Da m. 0.00 a m. 5.00 sabbia; .... a 6.50 ?; .... a 7,60 limo; .... a 13.00 ?; .... a 14.00 limo; .... a 24.00 sabbia. Sez. 26. — Ponte sul Po a Borgoforte ( prima pila da destra) [m. 11.00]. Da m. 0.00 a ra. 8.00 sabbia; .... a 8.80 ?;.... a 14.00 sabbia. Sez. 27. — Ponte sul Po a Borgoforte {seconda pila da destra) [m. 7.20]. Da m. 0.00 a m. 6.10 sabbia; .... a 6.65 ?;.... a 11.50 sabbia. 584 G. TOLDO Sez. 28. — Ponte sul Po a Borgoforte {terza pila da destra) [m. 9.10]. Da m. 0.00 a m. 7.50 sabbia; .... a 8.00 ?; .... a 13.00 sabbia. Sez. 29. — Ponte sul Po a Borgoforte {quarta pila da destra) [m. 10.00]. Da m. 0.00 a m. 1.20 limo; .... a 9.60 sabbia; .... a 10.30 ?; .... a 15.50 sabbia. Sez. 30. — Ponte sul Po a Borgoforte {quinta pila da destra) [m. 15.10]. Da m. 0.00 a m. 1.70 limo; .... a 2.00 sabbia; .... a 3.70 limo; .... a 4.60 sabbia; .... a 5.60 argilla; .... a 13.00 sabbia; .... a 13.90 argilla; .... a 14.70 sabbia; a 15.40 ?; .... a 21.00 sabbia. Sez. 31. — Ponte sul Po a Borgoforte {sesta pila da destra) [m. 17.10]. Da m. 0.00 a m. 7.25 sabbia; .... a 8.30 argilla; .... a 15.60 sabbia; .... a 16.80 ?; .... a 22.01 sabbia. Sez. 32. — Ponte sul Po a Borgoforte {spalla sinistra ) [m. 20.25]. Da m. 0.00 a m. 2.10 limo; .... a 3.30 argilla e sabbia; . . . . a 5.10 argilla; .... a 7.00 ? ; .... a 15.00 sabbia; a 16.00 sabbia e argilla; .... a 17.80 ?; .... a 19.70 sabbia e argilla; .... a 24.00 sabbia. Sez. 33. — Letto del Mincio presso Governolo {sezione prima) [m. 11.10]. Da m. 0.00 a m. 4.10 sabbia; .... a 4.70 sabbia e argilla; . . . . a 7.50 argilla. Sez. 34. — Letto del Mincio presso Governolo {sezione se- conda) [m. 8.10]. Da m. 0.00 a m. 5.00 argilla; .... a 6.10 sabbia; .... a 8.00 argilla. Sez. 35. — Letto del Mincio presso Governolo {sezione terza) [m. 11.60]. Da m. 0.00 a m. 6.00 argilla; .... a 8.20 sabbia. Sez. 36. — Tamassia presso Isola della Scala [m. 29.00]. Da m. 0.00 a m. 8.00 ?; .... a 9.00 sabbia e argilla; SEZ. GEOL. RIGUARDANTI LA COLTRE ALLUVIONALE PADANA 585 . . . . a 11.00 ?; .... a 14.00 sabbia; .... a 15.00 a 20.00 sabbia. Sez. 37. — Pozzo della contrada Muri di Aselogna presso Cerca [m. 15.00]. Da m. 0.00 a rn. 10.00 limo; .... a 22.00 argilla. Sez. 38. — Borgliesana presso Sanguinetto [m. 15.00]. Da m. 0.00 a m. 7.00 ?; .... a 8.10 sabbia; .... a 13.00 sabbia e argilla; .... 16.00 sabbia e ghiaia; .... 20.00 sabbia. Sez. 39. — Ponte sull’Adige a Ponton [m. 83.00]. Da m. 0.00 a m. 5.00 ghiaia; .... a 6.00 sabbia. Sez. 40. — Piazza di S. Giovanni Lupatoto [m. 41.70]. Da m. 0.00 a m. 20.00 ciottoli; .... a 67.00 sabbia; a 70.00 sabbia e argilla; .... a 73.00 argilla. Sez. 41. — Pozzo della piazza di Palù fui. 23.80]. Da m. 0.00 a m. 4.00 argilla; .... a 5.00 ghiaia; .... a 11.00 sabbia; .... a 13.00 limo. Sez. 42. — Pozzo della strada maestra presso Pala [m. 23.10]. Da m. 0.00 a m. 7.00 argilla; .... a 11.00 sabbia e ar- gilla; .... a 15.00 argilla; .... a 17.00 ciottoli; .... a 25.00 ghiaia; .... a 27.00 sabbia; .... a 32.00 argilla. Sez. 43. — - Albaredo presso Lcgnago [m. 23.00]. Da m. 0.00 a m. 6.00 ?; .... a 7.00 sabbia; .... a 15.00 ghiaia; .... a 16.00 sabbia; .... a 27.00 sabbia e argilla; . . . . a 28.50 sabbia. Sez. 44. — Bonavigo ( basso veronese ) [m. 15.80]. Da m. 0.00 a m. 6.00 ?; .... a 9.00 sabbia e argilla; ....a 11.80 sabbia, argilla e ghiaia; ....a 17.00 sabbia. Sez. 45. — Piazza principale di Bonavigo ( basso veronese ) [m. 18.00]. Da m. 0.00 a m. 5.00 sabbia e argilla; .... a 7.00 argilla; ....a 12.00 sabbia; .... a 15.00 argilla e sabbia. Sez. 46. — Piazza Osteria di Volpe in Bonavigo (basso veronese ) [m. 18.00]. Da m. 0.00 a m. 4.00 sabbia e argilla; .... a 8.00 argilla; ....a 15.00 sabbia e argilla; .... a 20.00 sabbia; .... a 23.00 sabbia e argilla. 586 G. TOLDO Sez. 47. — Stabile Tozzolavi presso Bonavigo (basso vero- nese) [m. 15]. Da m . 0.00 a m. 4.00 limo; .... a 8.10 argilla; .... a 12.00 sabbia e argilla; .... a 15.00 argilla; .... a 20.00 sabbia. Sez. 48. — Angiari ( basso veronese) [m. 15.80], Da m. 0.00 a m. 5.00 argilla e sabbia; .... a 9.00 argilla; . . . . a 13.00 sabbia e argilla. Sez. 49. — Guasti di Angiari ( basso veronese ) [m. 16.00]. Da m. 0.00 a m. 2.10 sabbia; .... a 4.00 sabbia e argilla; . . . . a 4.30 sabbia; .... a 9.90 sabbia e argilla; .... a 15.00 argilla; .... a 20.00 argilla e sabbia; .... a 21.00 torba; . . . . a 22.00 sabbia. Sez. 50. — - Orti di Bonavigo ( basso veronese), pozzo privato [m. 16]. Da m. 0.00 a m. 3.90?; .... a 5.00 sabbia e argilla; . . . . a 6.00 argilla; .... a 13.00 sabbia e ghiaia ; .... a 14.00 argilla; .... a 17.00 sabbia e ghiaia. Sez. 51. — Orti di Bonavigo ( basso veronese), pozzo pub- blico [m. 16.00]. Da m. 0.00 a m. 0.50 limo; .... a 9.00 argilla; .... a 12.00 argilla e sabbia; .... a 15.00 argilla; .... a 18.00 torba; .... a 21.00 limo; .... a 24.00 sabbia; .... a 26.00 limo. Sez. 52. - — Minerbe ( presso Legnago) [m. 1 5.80] . Da m. 0.00 a ra. 6.00 ?; .... a 7.00 sabbia e argilla; a 13.00 sabbia; .... a 15.00 sabbia e argilla; ....a 17.00 sabbia. Sez. 53. — Legnago (viale) [ra. 16.00]. Da m. 0.00 a m. 8.00 ?; .... a 9.00 sabbia e argilla; . . . . a 15.00 sabbia; .... a 17.00 sabbia e argilla; .... a 19.00 sabbia. Sez. 54. — Legnago , Via Disciplina [m. 16.00]. Da m. 0.00 a m. 5.00 argilla e sabbia; .... a 10.00 ar- gilla; .... a 13.00 sabbia e argilla; .... a 17.00 sabbia. Sez. 55. — Contrada Mura in Legnago [m. 16.00]. Da m. 0.00 a m. 25.00 sabbia; .... a 36.00 sabbia e ar- gilla; .... a 42.00 sabbia; .... a 43.00 torba; .... a 50.00 sabbia e argilla; .... a 58.00 sabbia; .... a 63.00 sabbia e ghiaia; .... a 70.00 lignite e torba; .... a 87.00 sabbia; . . . . SEZ. GEOL. RIGUARDANTI LA COLTRE ALLUVIONALE PADANA 587 a 88.00 sabbia e argilla; .... a 90.50 sabbia; .... a 94.00 argilla; .... a 102.00 sabbia; .... a 103.00 torba; .... a 107.00 sabbia; .... a 109 argilla; .... a 111.00 sabbia. Sez. 56. — Ponte carrozzabile tra Legnago e Porto sul- l’Adigei [m. 18.20]. Da m. 0.00 a m. 3.90 sabbia e argilla; .... a 5.00 limo; . . . . a 6.00 sabbia e argilla; .... a 9.00 sabbia; .... a 11.00 sabbia e argilla; .... a 13.00 argilla; .... a 14.00 sabbia e argilla; .... a 15.00 sabbia; .... a 17.00 limo. Sez. 57. — Porto presso Legnago [m. 18.20]. Da m. 0.00 a m. 3.50 ?; .... a 4.90 sabbia e argilla; a 5.40 limo; .... a 6.40 sabbia e argilla; .... a 7.90 sabbia; . . . . a 8.35 limo; .... a 9.40 sabbia; .... a 11.30 limo; a 13.40 sabbia e argilla; a 15.40 sabbia; a 15.90 limo. Sez. 58. — Ponte ferroviario tra Legnago e Porto sull1 Adige [m. 18.30], Da m. 0.00 a m. 3.40 ?; .... a 4.40 sabbia e argilla; a 5.50 limo; .... a 6.50 sabbia e argilla; .... a 8 sabbia; . . . . a 9.50 sabbia e argilla; .... a 11.50 limo; .... a 13.50 sabbia e argilla; .... a 16.10 sabbia; .... a 16.20 limo. Sez. 59. — Contrada da Canove a Palò, presso Legnago [m. 14.00]. Da m. 0.00 a m. 3.00 argilla; .... a 7.00 argilla e sabbia; ....a 10.00 argilla; .... a 15 sabbia; .... a 16 argilla; . . . . a 17 sabbia. Sez. 60. — Contrada Soresina di Canove , presso Legnago [m. 12.00]. Da m. 0.00 a m. 10.00 argilla; .... a 15.00 argilla e sabbia; . . . . a 22.00 sabbia; .... a 24.00 argilla. Sez. 61. — Rosta Treves, presso Legnago [m. 10.00]. Da m. 0.00 a m. 9.40 ?; .... a 10.30 sabbia; .... a 11.20 sabbia e argilla e conchiglie fluviali; .... a 16.80 ?; .... a 17.30 sabbia; .... a 18.50 ?; .... a 19.50 sabbia, argilla e conchiglie fluviali; .... a 34.30 ?; .... a 35.40 sabbia; a 35.80 ?; .... a 36.50 sabbia, argilla e conchiglie fluviali. Sez. 62. — Mezzavilla di Vigo, presso Legnago [m. 15.00]. Da m. 0.00 a m. 5.20 argilla; .... a 10.20 limo; 13.30 sabbia. a 588 G. TOLDO Sez. 63. — Spilimbecco presso Legnago, podere De Stefani (m. 12.00]. Da in. 0.00 a in. 5.80 sabbia e argilla; .... a 7.30 sabbia; . . . . a 28.40 limo; .... a 30.50 sabbia; .... a 32.00 sabbia e argilla. Sez. 64. — Stabile del conte di San Bonifacio , presso villa Bartolomea [m. 13.00]. Da m. 0.00 a m. 9.00 limo; .... a 10.00 sabbia. Sez. 65. — Villa Bartolomea , presso Legnago [m. 12.50]. Da m. 0.00 a m. 17.20 argilla e sabbia; .... a 18.20 sabbia. Sez. 66. — Castagnaro tra Legnago e Bovigo [ni. 13.00]. Da m. 0.00 a m. 45.00 sabbia; .... a 46.00 limo; .... a 48.00 sabbia. Sez. 67. — Chiavica alla Aladama [m. 23.00]. Da m. 0.00 a m. 13.00 sabbia e ghiaia; .... a 19.00 sabbia e argilla; .... a 33.00 sabbia; .... a 39.00 argilla; .... a 41.80 sabbia e argilla; .... a 45.00 sabbia e ghiaia. Sez. 68. — Bozzo di Lonigo ( piazza del Teatro) [in. ?]. Da m. 0.00 a m. 8.30 argilla; .... a 11.70 sabbia; .... a 12.00 argilla; .... a 14.20 sabbia; .... a 31.00 argilla; . . . . a 35.00 sabbia ; .... a 40.00 argilla; .... a 42.00 sabbia; .... a 50.00 argilla. Sez. 69. — Contrada di Sopra in Lonigo (A) [m. ?]. Da m. 0.00 a m. 16.00 argilla ; .... a 20.00 argilla e sabbia; . . . . a 23.00 sabbia; .... a 35.00 argilla. Sez. 70. — Contrada di Sopra in Lonigo (B) [m. ?]. Da m. 0.00 a m. 14.00 argilla; .... a 24.00 sabbia; . . . . a 27.00 argilla; .... a 30.00 sabbia e ghiaia; .... a 33.00 argilla; .... a 35.00 sabbia e ghiaia. Sez. 71. — Villa Raspa, presso Lonigo [m. 27.00]. Da m. 0.00 a m. 1.00 argilla e sabbia ; .... a 10.00 sabbia e ghiaia; .... a 22.00 sabbia; .... a 27.80 sabbia e argilla; .... a 31.80 sabbia; .... a 33.80 sabbia e ghiaia; .... a 36.80 sabbia; .... a 38.80 sabbia e argilla; .... a 41.80 ar- gilla ; .... a 48.00 argilla e sabbia. Sez. 72. — S. Toma presso Lonigo [m. 26.50?]. Da m. 0,00 a m. 13.00 sabbia e argilla; .... a 28.00 SEZ. GEOL. RIGUARDANTI LA COLTRE ALLUVIONALE PADANA 689 sabbia; .... a 37.00 argilla; .... a 40.00 sabbia; .... a 53.00 sabbia e argilla. Sez. 73. — Bagnolo presso Lonigo [m. 28.00?]. Da m. 0.00 a m. 9.20 argilla; .... a 12.30 sabbia; a 22.20 sabbia e argilla; .... a 32.20 sabbia; .... a 41.00 argilla; .... a 47.00 argilla e sabbia; .... a 50.10 sabbia; ....a 52.90 argilla; .... a 53.40 sabbia. Sez. 74. — Barchesse di Bagnolo presso Lonigo [m. 25.00?]. Da m. 0.00 a m. 12.00 argilla; .... a 15.00 sabbia. Sez. 75. — Molini di Bagnolo presso Lonigo [m. 26.00]. Da m. 0.00 a m. 12.00 argilla; .... a 15.00 sabbia; a 22.00 argilla; .... a 27.00 sabbia. Sez. 76. — Campistorti presso Lonigo [ìu. 25.00?]. Da m. 0.00 a ni. 17.70 argilla; .... a 27.00 sabbia; a 29.80 sabbia e argilla; .... a 33.00 sabbia e ghiaia. Sez. 77. — Ponte obliquo sul Guà presso Colonia { spalla destra ) [m. 23.00]. Da m. 0.00 a m. 0.20 argilla; .... a m. 3.10 ?; .... a 3.20 sabbia; .... a 3.30 ? ; .... a 3.50 sabbia e argilla; a 3.60 argilla; .... a 5.40?; .... a 5.60 sabbia; .... a 6.30?; .... a 6.50 argilla. Sez. 78. — Ponte obliquo sul Guà presso Colonia (. spalla sinistra) [m. 24.40]. Da in. 0.00 a ni. 0.20 argilla; .... a 2.80 ?; .... a 3.00 sabbia; .... a 3.30?; .... a 3.50 argilla; .... a 4.40?; . . . . a 4.60 argilla; .... a 5.30 ?; .... a 5.60 sabbia; a 6.50 ?; .... a 6.90 argilla. Sez. 79. — Ponte retto sul Guà, presso Colonia {spalla sinistra) [m. 23.00]. Da m. 0.00 a m. 0.20 argilla; a 2.50 ?; .... a 2.70 sabbia; .... a 3.60?; .... a 3.80 sabbia e argilla; .... a 4.70 ?; .... a 4.90 argilla; .... a 5.30 ?; .... a 5.50 argilla; . . . . a 5.80 ? ; .... a 6.00 sabbia. Sez. 80. — Ponte retto sul Guà , presso Colonia {spalla destra) [ni. 22.80]. Da m. 0.00 a m. 0.20 argilla; .... a 2.00 ?; .... a 2.20 sabbia ; .... a 3.30 ? ; a 3.55 argilla e sabbia ; a 4.10 ?; .... a 4.25 argilla; .... a 5.70 ?; a 5.90 sabbia. 590 G. TOLDO Sez. 81. — Sossano [m. ?]. Da m. 0.00 a m. 6.00 sabbia; .... a 13.00 argilla; .... a 16.00 sabbia. Sez. 82. — Tenuta Mescanolo presso Sossano [m. ?]. Da m. 0.00 a m. 10.00 argilla; .... a 15.00 sabbia. Sez. 83. — Tenuta Altura presso Sossano [in. ?]. Da m. 0.00 a m. 10.00 argilla; .... a 13.00 sabbia; .... a 16.00 argilla. Sez. 84. — Stabile di A. Forin presso Bragantin ( Veneto) [m. 8.00]. Da m. 0.00 a m. 4.00 argilla; .... a 8.00 argilla e sabbia; . . . . a 11.00 torba; .... a 14.00 argilla; .... a 17.00 sabbia; . . . . a 19.00 limo. Sez. 85. — Sedici di S. Pietro in Valle presso Massa Supe- riore [m. 7.20]. Da m. 0.00 a m. 11.90?; .... a 12.30 sabbia; .... a 13.90?; .... a 14.20 argilla; a 16.10?; .... a 19.00 sabbia, argilla e concbiglie fluviali ; a 20.80 ?;.... a 22.00 sabbia. Sez. 86. — Trecenta presso Badia [m. 8.90], Da m. 0.00 a m. 14.00?; .... a 14.30 sabbia; a 27.80?; a 28.20 sabbia; a 39.80 ?; a 40.20 argilla; .... a 49.70 ?; a 50.20 sabbia. Sez. 87. — Arginello presso San Bellino, prov. di Rovigo [m. 6.10]. Da m. 0.00 a m. 7.00 argilla; .... a 22.00 limo; ....a 31.00 sabbia. Sez. 88. — Brespara ( Veneto ) [m. 6.50]. Da m. 0.00 a m. 3.00 argilla ; .... a 9.00 limo ; .... a 16.00 sabbia. Sez. 89. — Prov. di Rovigo presso Mezzano [m. 0.50 sotto il livello marino]. Da m. 0.00 a m. 1.50 argilla; .... a 2.00 sabbia; .... a 4.50 limo; .... a 8.00 sabbia e argilla; .... a 10.00 sabbia. Sez. 90. — Prov. di Rovigo tra Pancetta e Adria [m. 0.00]. Da m. 0.00 a m. 1.60 argilla; .... a 2.10 limo; .... a 5.60 argilla; .... a 7.15 sabbia; .... a 9.30 torba; .... a 13.80 limo; .... a 16.00 sabbia. SEZ. GEOL. RIGUARDANTI LA COLTRE ALLUVIONALE PADANA ' 5!)1 Sez. 91. — - Ponticello sullo scolo Valdentro tra Adria e Chioggia [m. 2.00]. Da m. 0.00 a m. 3.30 argilla; .... a 0.40 argilla e sabbia; ....a 10.20 sabbia; .... a 12.40 sabbia e argilla; .... a 12.60 sabbia. Sez. 92. — Sullo scolo Manin tra Adria e Cliioggia [ra. 1.50]. Da m. 0.00 a m. 3.00 argilla; .... a 5.50 argilla e sabbia; ....a 7.50 torba; .... a 10.70 sabbia; .... a 12.10 sabbia e argilla; .... a 12.30 sabbia. Sez. 93. — Ponticello sullo scolo Presega tra Adria e Chioggia [m. 0.70]. Da m. 0.00 a ra. 5.60 argilla; .... a 6.40 torba; .... a 8.10 sabbia; .... a 13.80 argilla; .... a 13.90 argilla e sabbia; . . . . a 14.10 sabbia. Sez. 94. — Ponticello sul canale Adi getto tra Adria e Chioggia [m. 1.20]. Da m. 0.00 a m. 4.30 argilla; .... a 5.20 torba; .... a 6.90 sabbia; .... a 9.00 sabbia e argilla; .... a 9.20 sabbia. Sez. 95. — Sottopassaggio sulla strada di Belvedere tra Adria e Chioggia [m. 0.20 sotto il livello marino]. Da m. 0.00 a m. 4.70 argilla; .... a 5.60 torba; .... a 6.60 sabbia; .... a 11.10 sabbia e argilla; .... a 11.30 sabbia. Sez. 96. — Ponticello sullo scolo Belvedere tra Adria e Chioggia [ra. 0.20 sotto il livello marino]. Da ra. 0.00 a m. 5.00 argilla; .... a 5.70 torba; .... a 6.80 sabbia; .... a 11.10 sabbia e argilla; .... a 11.30 sabbia. Sez. 97. — Ponticello sullo scolo Bossi inferiore tra Adria e Chioggia [m. 0.00]. Da m. 0.00 a m. 4.00 argilla; .... a 4.90 torba; .... a 6.90 sabbia; .... a 9.00 argilla; .... a 10.30 argilla e sabbia; . . . . a 10.50 sabbia. Sez. 98. — Cavanella di Po, prov. di Rovigo [m. 0.00]. Da m. 0.00 a ra. 1.10 argilla; .... a 3.10 limo; .... a 5.50 torba; .... a 7.00 limo; .... a 8.50 sabbia; .... a 10.00 limo; .... a 15.00 sabbia. Sez. 99. — Pozzo di Loreo , prov. di Rovigo [m. 2.40]. Da m. 0.00 a m. 36.00 ?; .... a 42.80 sabbia; .... a 46.00 limo; .... a 48.80 argilla e sabbia; .... a 52.00 sabbia. 592 G. TOLGO Sez. 100. — Sondaggio presso Lo reo, prov. di Iiorigo [m. 0.00]. Da m. 0.00 a m. 0.90 ?; .... a 2.70 argilla; .... a 4.00 torba; .... a 8.70 argilla e sabbia; .... a 14.00 sabbia. Sez. 101. — Rosolina in prov. di Rovigo [m. 0.00]. Da m. 0.00 a m. 0.60 argilla; .... a 12.00 argilla e sabbia. Sez. 102. — Meja, prov. di Rovigo [in. 0.00]. Da in. 0.00 a m. 1.00 argilla; .... a 2.30 limo; .... a 3.30 argilla e sabbia; .... a 3.70 limo; .... a 7.20 sabbia e argilla; .... a 7.60 limo; .... a 11.80 sabbia e argilla; a 12.60 limo; .... a 16.00 argilla e sabbia. Sez. 103. — Presso Cà Farsetti, prov. di Rovigo [m. 0.30], Da m. 0.00 a m. 2.00 limo; .... a 3.60 sabbia; .... a 4.20 limo; .... a 7.10 sabbia; .... a 10.10 limo. Sez. 104. — Slesicci di Mostrino [m. ?]. Da in. 0.00 a m. 3.00 argilla; .... a 5.00 sabbia e ghiaia ; .... a 21.00 argilla. Sez. 105. — Marninola in Padova [m. ?]. Da m. 0.00 a m. 5.00?; .... a 10.00 sabbia e argilla; .... a 17.00 argilla; .... a 27.00 limo. Sez. 106. — Santa Margherita Calcinara (padovano), 10 giu- gno 1887 ( angolo Sud-Est) [m. 0.50]. Da m. 0.00 a m. 4.40 ?; .... a 5.50 argilla ; .... a 8.50 limo; .... a 9.50 argilla; .... a 10.50 sabbia. Sez. 107. — S. Margherita Calcinara (padovano), 8 mag- gio 1886 (angolo S.-E.) [m. 0.20 1. Da m. 0.00 a m. 4.00 ? ; .... a 5.00 argilla ; .... a 8.20 limo; .... a 9.10 argilla; .... a 9.40 argilla e sabbia. Sez. 108. — S. Margherita Calcinara (padovano), 10 giu- gno 1887 (angolo N.-O.) [in. 0.50]. Da m. 0.00 a m. 0.50 ?; .... a 1.00 limo; .... a 4.50 argilla ; .... a 6.80 limo ; .... a 8.50 sabbia. Sez. 109. — San? Ambrogio in prov. di Padova (A) [m. 6.00]. Da m. 0.00 a m. 2.00 sabbia e argilla; .... a 6.00 sabbia; .... a 9.00 sabbia e argilla; .... a 11.00 argilla; .... a 20.00 sabbia. Sez. 110. — Sant' Ambrogio in prov. di Padova (B) [m. 5.20]. Da m. 0.00 a m. 3.00 argilla ; .... a 3.50 sabbia ; .... a SEZ. GEOL. RIGUARDANTI LA COLTRE ALLUVIONALE PADANA 593 5.20 argilla; .... a 7.10 sabbia e argilla; .... a 9.60 sabbia; ....a 11.30 argilla; .... a 11.80 sabbia; .... a 16.50 ar- gilla; a 21.30 sabbia; .... a 24.30 argilla; .... a 26.00 sabbia. Sez. 111. — Scorse presso Venezia [ni. 6.70] . Da m. 0.00 a ni. 2.90 sabbia; .... a 4.60 argilla; .... a 6.60 sabbia; .... a 9.30 sabbia e argilla; .... a 13.50 sabbia; ....a 17.00 argilla; .... a 19.10 sabbia; .... a 21.30 ar- gilla; .... a 26.50 sabbia e argilla; .... a 33.30 argilla; .... a 36.00 sabbia. Sez. 112. — Pozzo di Mogliano ( Veneto ) [ni. ?J. Da m. 0.00 a m. 36.00 ?; .... a 45.00 sabbia e argilla; ... a 50.00 limo. Sez. 113. — j Puma presso Venezia [m. 2.60]. Da m. 0.00 a m. 7.30 argilla; .... a 13.00 sabbia; .... a 24.30 argilla; .... a 28.50 sabbia; .... a 35.10 sabbia e argilla; .... a 37.00 torba; .... a 44.10 argilla; .... a 46.70 torba; .... a 49.10 argilla; .... a 56.50 sabbia; .... a 60.50 argilla ; .... a 65.00 sabbia ; .... a 66.60 argilla ; .... a 68.00 sabbia. Sez. 114. — Malghera presso Venezia [ni. 2.00]. Da m. 0.00 a m. 2.00 argilla; .... a 6.50 argilla e sabbia; .... a 9.00 sabbia; .... a 19.20 argilla e sabbia; .... a 20.50 sabbia; .... a 28.20 argilla; .... a 34,70 argilla e sabbia; .... a 38.60 torba; .... a 40.30 argilla; .... 43.40 sabbia; .... a 44.40 argilla; .... a 47.30 torba ; .... a 48.60 sabbia; .... a 52.60 torba; .... a 57.20 argilla; .... a 70.00 sabbia. Sez. 115. — - Ghetto in Venezia [ni, 1.10]. Da m. 0.00 a m. 2.00 argilla; .... a 4.50 sabbia; .... a 15.20 argilla; .... a 24.10 torba; .... a 29.40 sabbia; .... a 38.10 argilla; .... a 47.00 torba; .... a 49.20 argilla; .... a 53.70 sabbia; .... a 54.70 torba; .... a 56.00 argilla; .... a 57.50 sabbia; .... a 59.70 sabbia e argilla; .... a 60.20 sabbia. Sez. 116. — - Cà di Dio in Venezia [m. 2.00]. Da m. 0,00 a m. 8.80 argilla; .... a 12.50 sabbia; a 24.50 argilla; .... a 26.50 sabbia; .... a 43.80 argilla; .... a 45.00 sabbia; .... a 46.10 torba; .... a 51 argilla; 594 G. TOLDO . . . . a 52.00 sabbia; .... a 02.40 argilla; .... a 75.00 sabbia*. . . . . a 70.00 torba; .... a 78.00 sabbia; .... a 90.00 argilla: . . . . a 91.00 torba ; .... a 95.50 argilla; .... a 113.00 sabbia; ....a 114.50 argilla; .... a 139.50 sabbia; .... a 144.00 argilla; .... a 157.00 sabbia. Sez. 117. — Giardini pubblici in Venezia [m. 1.70]. Da m. 0.00 a m. 15.80 argilla; .... a 17.50 sabbia; a 18.00 torba; .... a 31.00 argilla; .... a 36.20 sabbia; . . . . a 36,70 torba; .... a 37.70 argilla; .... a 41.80 sabbia ; . . . a 42.50 torba; .... a 43.70 sabbia; .... a 47.20 sabbia e argilla; .... a 70.00 argilla; .... a 74.50 sabbia; .... a 80.50 argilla; .... a 81.00 sabbia; .... a 86.00 argilla; a 86.50 sabbia; .... a 91.50 argilla; .... a 106.00 sabbia; .... a 114.00 argilla; .... a 120.50 sabbia; .... a 122.00 argilla. Sez. 118. — Santa Marta in Venezia [m. 1.80]. Da m. 0.00 a m. 14.20 argilla; .... a 20.00 sabbia; a 53.60 argilla; .... a 59.60 sabbia e argilla; .... a 76.00 sabbia; .... a 97.00 sabbia e argilla; .... a 127.50 sabbia; . . . . a 164.00 sabbia e argilla; .... a 178.00 sabbia; .... a 192.00 argilla; .... a 215.00 sabbia. Sez. 119. — San Servolo presso Venezia [ni. 0.70;. Da m. 0.00 a m. 11.00 argilla; .... a 26.30 sabbia; a 28.40 argilla; .... a 30.40 sabbia; .... a 32.80 argilla; . . . . a 34.00 torba; .... a 41.60 argilla; .... a 42.50 sabbia; . . . . a 65.50 argilla; .... a 67.00 torba; .... a 71.50 sabbia. Sez. 120. — Botte alle Tresse presso Cliioggia ( sondaggio X ) [m. 0.40]. Da m. 0.00 a in. 1.80 sabbia; .... a 2.80 sabbia e argilla; ....a 5.00 torba; .... a 7.00 sabbia e conchiglie marine. Sez. 121. — Botte alle Tresse presso Cliioggia ( sondaggio IX) [m. 0.65]. Da in. 0.00 a m. 2.20 sabbia; .... a 3.30 sabbia e argilla; . . . . a 6.00 torba; .... a 7.30 sabbia e conchiglie marine. Sez. 122. — Botte alle Tresse presso Cliioggia {sondaggio Vili ) [ni. 1.40]. Da m. 0.00 a m. 1.40 sabbia; .... a 4.00 argilla; .... a 6.60 torba ; .... a 8.30 sabbia e conchiglie marine. SEZ. GEOL. RIGUARDANTI LA COLTRE ALLUVIONALE PADANA 595 Sez. 123. — Botte alle Tresse presso Chioggia (sondaggio VII ) [m. 1.50]. Da m. 0.00 a m. 1.50 sabbia; .... a 2.00 argilla; .... a 3.00 argilla e sabbia; .... a 4.10 argilla; .... a 6.70 torba; ....a 10.00 sabbia e conchiglie marine. Sez. 124. — Botte alle Tresse presso Chioggia ( sondaggio VI) [m. 0.20]. Da m. 0.00 a m. 0.40 sabbia ; .... a 5.00 torba ; .... a 6.60 sabbia e conchiglie marine. Sez. 125. — - Botte alle Tresse presso Chioggia (sondaggio V) [m. 0.90]. Da m. 0.00 a m. 1.50 limo; .... a 2.80 sabbia; .... a 4.00 torba; .... a 5.60 argilla e sabbia; .... a 6.10 torba; .... a 9.00 sabbia e conchiglie marine. Sez. 126. — Botte alle Tresse presso Chioggia (sondaggio IV) [ni. 0.70]. Da m. 0.00 a m. 0.70 limo; .... a 2.50 sabbia; .... a 5.00 torba; .... a 5.50 sabbia e argilla; .... a 8.30 torba; .... a 9.30 sabbia e conchiglie marine. Sez. 127.— Botte alle Tresse presso Chioggia (sondaggio III) [m. 1.00]. Da m. 0.00 a m. 1.55 limo; .... a 1.70 sabbia; .... a 2.20 argilla; .... a 3.35 sabbia; .... a 8.40 torba; .... a 9.70 sabbia e conchiglie marine. Sez. 128. — Botte alle Tresse presso Chioggia (sondaggio II) [m. 0.20]. Da m. 0.00 a m. 0.50 limo; .... a 2.20 sabbia; .... a 7.80 torba; .... a 8.70 sabbia e conchiglie marine. Sez. 129. — Botte alle Tresse presso Chioggia (sondaggio T) [m. 0.00]. Da m. 0.00 a m. 1.30 sabbia e argilla; .... a 7.60 torba; .... a 8.70 sabbia e conchiglie marine. Sez. 130. — Da Conche alle Tresse, circondario di Chioggia, (sondaggio T) [ni. 1.00 1. Da m. 0.00 a m. 0.90 argilla; .... a 1.20 sabbia; .... a 3.50 argilla; .... a 4.15 sabbia; .... a 7.50 torba; .... a 10.90 limo. 47 596 G. TOLDO Sez. 131. — Da Conche alle Tresse, circondario di Chioggia , (. sondaggio 2°) [m. 0.50J. Da m. 0.00 a m. 1.60 sabbia; .... a m. 4.12 torba; .... a 7.10 limo; .... a 8.10 sabbia; .... a 10.50 limo. Sez. 132. — Da Conche alle Tresse, circondario di Chioggia (, sondaggio 3°) [m. 0.60 sotto il livello marino]. Da m. 0.00 a m. 0.40 sabbia; .... a 1.10 argilla; .... a 5.80 torba; .... a 9.30 limo. Sez. 133. — Da Conche alle Tresse, circondario di Chioggia (. sondaggio 4°) jm. 0.70 sotto il livello marino:. Da m. 0.00 a m. 0.50 sabbia; .... a 1.08 argilla; .... a 4.20 torba; .... a 4.60 limo; .... a 7.20 torba; .... a 8.65 limo; .... a 9.30 sabbia; .... a 10.20 limo. Sez. 134. — Da Conche alle Tresse, circondario di Chioggia ( sondaggio 5°) [m. 0.60 sotto il livello marino]. Da m. 0.00 a m. 1.10 argilla; .... a 3.90 torba; .... a 5.00 limo; .... a 9.50 torba; .... a 10.40 limo. Sez. 135. — Da Conche alle Tresse, circondario di Chioggia ( sondaggio 6°) [m. 0.40 sotto il livello marino]. Da m. 0.00 a m. 0.90 sabbia; .... a 3.00 torba; .... a 5.00 limo; .... a 8.00 torba; .... a 8.70 sabbia e conchiglie marine. Sez. 136. — Da Conche alle Tresse, circondario di Chioggia (. sondaggio 7°) [m. 0.50 sotto il livello del mare]. Da m. 0.00 a m. 0.70 argilla; .... a 4.20 torba; .... a 6.00 limo; .... a 7.95 torba; .... a S.5 5 sabbia e conchiglie marine. Sez. 137. — Da Conche alle Tresse, circondario di Chioggia ( sondaggio 8°) [m. 0.50 sotto il livello marino]. Da m. 0.00 a m. 1.50 argilla; .... a 3.00 torba; .... a 5.10 limo; .... a 7.40 torba; .... a 8.00 sabbia e conchiglie marine. Sez. 138. — Da Conche alle Tresse, circondario di Chioggia {sondaggio 9°) [m. 0.60 sotto il livello marino]. Da ni. 0.00 a m. 1.10 argilla; .... a 3.20 torba; .... a 5.00 limo; .... a 8.50 torba; .... a 9.00 sabbia e conchiglie marine. SEZ. GEOL. RIGUARDANTI LA COLTRE ALLUVIONALE PADANA 597 Sez. 139. — Da Conche alle Tresse, circondario di Chioggia (, sondaggio 10° ) [m. 0.50 sotto il livello marino]. Da m. 0.00 a m. 1.00 argilla; .... a 4.00 torba; .... a 4.80 limo; .... a 8.00 torba; .... a 8.60 sabbia e conchiglie marine. Sez. 140. — Da Conche alle Tresse , circondario di Chioggia ( sondaggio 11°) [m. 0.50 sotto il livello marino]. Da m. 0.00 a ni. 1.10 argilla; .... a 4.30 torba; .... a 5.50 limo; .... a 6.65 torba; .... a 7.50 sabbia e conchiglie marine. Sez. 141. — Da Conche alle Tresse , circondario di Chioggia ( sondaggio 12°) [m. 0.60 sotto il livello marino]. Da in. 0.00 a m. 1.10 argilla; .... a 4.10 torba; .... a 4.70 limo; .... a 5.50 sabbia e conchiglie marine. Sez. 142. — Da Conche alle Tresse, circondario di Chioggia ( sondaggio 13°) [m. 0.70 sotto il livello marino]. Da m. 0.00 a m. 1.00 argilla; .... a 3.55 torba; .... a 4.50 limo; .... a 5.30 sabbia e conchiglie marine. Sez. 143. — Da Conche alle Tresse, circondario di Chioggia ( sondaggio là0) [in. 0.55 sotto il livello marino]. Da m. 0.00 a m. 0.90 argilla; .... a 4.00 torba; .... a 5.00 limo; .... a 6.00 sabbia e conchiglie marine. Sez. 144. — Da Conche alle Tresse , circondario di Chioggia (sondaggio 15°) [m. 0.55 sotto il livello marino]. Da ni. 0.00 a m. 1.00 argilla; . . , . a 4.90 torba; .... a 6.50 sabbia e conchiglie marine. Sez. 145. — Da Conche alle Tresse, circondario di Chioggia (sondaggio 16°) [m. 0.40 sotto il livello marino]. Da m. 0.00 a m. 1.00 argilla; .... a 3.50 torba; .... a 4.60 sabbia e conchiglie marine. Sez. 146. — Da Conche alle Tresse , circondario di Chioggia (sondaggio 17°) [m. 0.30 sotto il livello marino]. Da m. 0.00 a m. 0.60 argilla; .... a 3.10 torba; .... a 4.75 limo; .... a 6.00 torba; .... a 6.60 sabbia e conchiglie marine. Sez. 147. — Da Conche alle Tresse, circondario di Chioggia (sondaggio 18°) [m. 0.50 sotto il livello marino]. Da m. 0.00 a m. 0.90 argilla; .... a 3.00 torba; .... a 598 G. TOLDO 5.20 limo; .... a 5.50 torba; .... a 6.10 sabbia e conchiglie marine. Sez. 14-8. — Da Conche alle Tresse, circondario dì Cliioggia (. sondaggio 19°) [in. 0.55 sotto il livello marino]. Da m. 0.00 a in. 0.70 argilla; .... a 3.50 torba; .... a 5.80 limo ; .... a 6.50 sabbia e conchiglie marine, Sez. 1-49. — Da Conche alle Tresse, circondario di Cliioggia {sondaggio 20°) [m. 0.60 sotto il livello marino]. Da m. 0.00 a m. 1.00 argilla; .... a 3.90 torba; .... a 6.00 limo; .... a 7.40 sabbia e conchiglie marine. Sez. 150. — Da Conche alle Tresse , circondario di Cliioggia {sondaggio 21°) [m. 0.55 sotto il livello marino]. Da m. 0.00 a m. 1.10 argilla; .... a 4.40 torba; .... a 6.20 limo; .... a 6.70 sabbia e conchiglie marine. Sez. 151. — Da Conche alle Tresse, circondario di Cliioggia {sondaggio 22°) [m. 0.25 sotto il livello marino]. Da m. 0.00 a m. 0.50 argilla; .... a 1.50 sabbia; .... a 2.00 argilla; .... a 4.50 torba; .... a 5.00 limo; .... a 6.00 sabbia e conchiglie marine. Sez. 152. — Da Conche alle Tresse , circondario di Cliioggia {sondaggio 23°) [m. 0.90], Da m. 0.00 a m. 1.60 argilla; .... a 2.90 sabbia; .... a 4.20 torba; .... a 5.80 limo; .... a 8.00 sabbia e conchiglie marine. Sez. 153. — Ponte sul Taro a Martorano {spalla destra) [m. 41.15]. Da m. 0.00 a m. 3.00 sabbia; .... a 15.00 argilla, Sez. 154. — Ponte sul Taro a Martorano {pila prima da destra) [m. 24.00]. Da m. 0.00 a m. 15.20 argilla. Sez. 155. — Ponte sul Taro a Martorano {pila seconda da destra) [m. 21.90]. Da m. 0.00 a m. 3.80 sabbia e argilla; .... a 5.60 ghiaia; ....a 7.50 sabbia e argilla; .... a 17.00 argilla. Sez. 156. — Ponte sul Taro a Martorano {spalla sinistra) [m. 33.80]. Da m. 0.00 a m. 11.00 sabbia e argilla; .... a 13.00 ghiaia; .... a 16.30 sabbia e argilla; .... a 25.00 argilla. SEZ. UEOL. RIGUARDANTI LA COLTRE ALLUVIONALE PADANA 599 Sez. 157. — Pozzo nel Giardino pubblico di Parma (A) [in. 50.00], Da m. 0.00 a m. 0.15 argilla; .... a 6.00 ?; .... a 7.00 sabbia; .... a 11.70 ?; .... a 12.20 argilla; .... a 13.00 ?; . . . . a 14.00 sabbia e argilla. Sez. 158. — Pozzo nel Giardino pubblico di Parma (B) [m. 50.00]. Da m. 0.00 a m. 0.25 argilla; .... a 3.90 ?;.... a 4.20 argilla; .... a 4.90 ?; .... a 5.20 argilla; .... a 5.80 ?; . . . . a 6.10 argilla; .... a 7.30 ?; .... a 7.70 ghiaia; .... a 7.90 argilla; .... a 11.20 ?; .... a 11.60 argilla; .... a 11.80 ?; .... a 12.10 sabbia e argilla. Sez. 159. — Gainago parmense proprietà Balduino [m. ?]. Da m. 0.00 a m. 18.00 argilla; .... a 42.70 sabbia e ghiaia; .... a 89.00 argilla; .... a 91.00 sabbia; .... a 95.00 sabbia e ciottoli; .... a 100.00 sabbia; .... a 105.00 sabbia e ghiaia; .... a 113.00 argilla con lignite. Sez. 160. — Letto del Parma presso Colorno [m. ?]. Da in. 0.00 a m. 2.00 argilla; .... a 3.00 argilla e sabbia; .... a 10.00 sabbia. Sez. 161. — Pozzo piazza di Gonzaga (Mantovano) [m. ?]. Da m. 0.00 a m. 48.00 sabbia; .... a 60.60 sabbia e ar- gilla; .... a 62.80 argilla e ghiaia; .... a 65,70 sabbia e argilla; .... a 73.00 sabbia; .... a 76.50 sabbia e argilla; .... 106.00 sabbia; .... a 112.00 sabbia e argilla; .... a 119.00 sabbia; .... a 139.50 argilla; .... a 145.50 sabbia; ....a 147.50 argilla; .... a 156.50 sabbia; .... a 158.00 argilla; .... a 165.00 sabbia. Sez. 162. — Ponte sul Secchia lungo la ferrovia Suzzara- Fcrrara ( spalla sinistra) [ni. 18.80]. Da m. 0.00 a m. 3.10 limo; .... a 7.00 argilla e sabbia; .... a 8.10 argilla; .... a 20.20 sabbia. Sez. 163. — Ponte sul Secchia lungo la ferrovia Suzzara- Ferrara {spalla destra) [m. 19.15]. Da m. 0.00 a ni. 3.20 limo; .... a 9.20 argilla e sabbia; .... a 17.30 sabbia. 600 G. TOLDO Sez. 164. — Portovecchio di Mirandola [m. 7.20]. Da m. 0.00 a in. 14.00 argilla; .... a 29.00 sabbia; .... a 40.00 argilla; .... a 49.70 sabbia; .... a 60.00 argilla; . . . . a 113.00 sabbia; .... a 123.00 sabbia e argilla; .... a 140.00 argilla; .... a 145.00 sabbia; .... a 152.00 sabbia e argilla; .... a 153.00 sabbia; .... a 177.00 argilla; .... a 195.00 argilla e sabbia; .... a 223.00 sabbia. Sez. 165.' — Cascina tenuta Quiete {in comune di Finale Emilia) [m. 9.10]. Da ni. 0.00 a in. 1.90 argilla; .... a 2.10 torba; .... a 3.00 limo; .... a 5.00 argilla; .... a 5.50 argilla e sabbia; a 7.30 argilla; .... a 7.60 argilla e sabbia; .... a 16.00 sabbia; .... a 24.50 sabbia e ghiaia. Sez. 166. — Finale Emilia presso la Salina [m. 19.00]. Da m. 0.00 a in. 25.00 argilla e sabbia; .... a 63.80 argilla; .... a 71.00 sabbia; .... a 85.00 argilla; .... a 86.00 sabbia; .... a 86.50 argilla; .... a 87.50 sabbia; .... a 88.00 argilla; .... a 88.50 sabbia; .... a 89.00 argilla; .... a 106.00 sabbia e ghiaia; .... a 149.00 argilla; .... a 178.00 sabbia e argilla. Sez. 167. — • Alveo di Reno al ponte di Cento ( ferrarese ) [m. 16.70]. Da m. 0.00 a m. 4.10 sabbia; .... a 6.10 limo; .... a 10.60 argilla. Sez. 168. — Presso Chiavica dei Due Portoni in Comune di Malalbergo [m. 16.00]. Da in. 0.00 a m. 1.00 limo; .... a 3.00 argilla; .... a 7.00 sabbia e argilla; .... a 11.30 sabbia; .... a 11.40 limo; . . . . a 11.70 sabbia; .... a 11.80 limo; .... a 12.40 sabbia; .... a 12.50 limo; .... a 12.80 sabbia; .... a 12.90 limo; . . . . a 13.30 sabbia; .... a 13.40 limo; .... a 13.80 sabbia; . . . . a 13.90 limo; .... a 14.10 sabbia; .... a 14.30 argilla; .... a 14.50 limo; .... a 14.80 argilla; .... a 14.90 limo; . . . . a 15.20 argilla; .... a 15.30 limo; .... a 15.60 argilla; ....a 15.70 limo; .... a 20.00 argilla. Sez. 169. — Alveo di Reno al ponte ferroviario di S. Pro spero nel Ferrarese [m. 12.20]. Da m. 0.00 a m. 2.10 sabbia; .... a 4.20 sabbia e argilla; SEZ. GEOL. RIGUARDANTI LA COLTRE ALLUVIONALE PADANA 601 . . . . . a 5.50 argilla; .... a 7.20 argilla e sabbia; .... a 9.20 sabbia; .... a 10.80 sabbia e argilla; .... a 12.20 argilla. Sez. 170. — Alveo di Po in corrispondenza della 1" pila di destra del ponte ferroviario vicino a Ferrara [m. 3.10]. Da ni. 0.00 a m. 1.60 argilla e sabbia; .... a 4.90 sabbia; ....a 5.50 argilla; .... a 5.60 limo; .... a 6.00 argilla; . . . . a 6.20 limo; .... a 7.10 argilla; .... a 8.30 limo; a 9.10 argilla; .... a 9.20 limo; .... a 9.40 argilla; .... a 9.50 limo; .... a 10.00 argilla; .... a 11.80 argilla e sabbia; . . . . a 13.90 limo; .... a 14.90 argilla; .... a 15.90 argilla e sabbia; .... a 18.20 sabbia; .... a 20.40 argilla e sabbia; . . . . a 22.40 sabbia. Sez. 171. — Con f ne del Parco Borselli ( comune di Bon- deno nel Ferrarese ) [m. 8.70]. Da m. 0.00 a m. 1.50 ?; .... a 6.00 argilla. Sez. 172. — - A sinistra dell’argine Esposti ( Torre Crispa nel Ferrarese [m. 8.30], Da m. 0.00 a m. 1.00 ?;.... a 1.50 sabbia e argilla; a 4.50 sabbia; .... a 5.00 sabbia e argilla. Sez. 173. — Alla destra del Canale Cittadino in Biaman- tina nel Ferrarese [m. 6.00]. Da m. 0.00 a m. 0.50 ? ; .... a 4.50 argilla. Sez. 174. — • Alla destra del Canale Cittadino presso il ponte dei Palazzi ( Ferrarese ) [m. 6.60]. Da m. 0.00 a m. 0.60 ? ; .... a 4.80 argilla. Sez. 175. — A sinistra della Provinciale presso i Cancelli della Diamantina ( Ferrarese ) [m. 7.00]. Da m. 0.00 a m. 1.50 argilla; .... a 3.00 sabbia e ar- gilla; .... a 5.50 argilla. Sez. 176. — Tra il Canalino di Cento e il cavo Passone ( Ferrarese ) [m. 8.00]. Da m. 0.00 a m. 1.00 ?; .... a 3.00 sabbia e argilla; a 6.50 sabbia. Sez. 177. — Nella campagna Gesù ( Ferrarese ) [m. 6.00]. Da m. 0.00 a m. 1.00 ?; .... a 5.50 argilla. Sez. 178. — Tra la strada provinciale e il Canalino di Cento ( Ferrarese ) [m. 9.00]. Da m. 0.00 a m. 1.00 argilla; a 4.50 sabbia e ar- 602 G. TOLDO gilla; .... a 5.00 argilla; .... a 6.50 sabbia e argilla; .... a 7.00 sabbia ; .... a 8.50 sabbia e argilla. Sez. 179. — - A destra del Canale Cittadino in Beneficio di Cassatia ( Ferrarese ) [m. 5.80]. Da m. 0.00 a m. 2.60 argilla ; .... a 3.40 sabbia e ar- gilla ; .... a 5.30 argilla. Sez. 180. — A destra delio Scolo Brunetto in campagna Salici Piangenti ( Ferrarese ) [m. 6.00]. Da m. 0.00 a m. 0.50 ?; .... a 1.20 argilla; .... a 3.50 argilla e sabbia; .... a 4.10 sabbia; .... a 5.60 argilla. Sez. 181. — Fra la strada provinciale e il Canalino di Cento ( Ferrarese ) [m. 9.00]. Da ra. 0.00 a m. 4.50 sabbia e argilla; .... a 7.50 sabbia. Sez. 182. — Alla Cà del Diavolo, alla destra del Citta- dino ( Ferrarese ) [ni. 5.60]. Da m. 0.00 a m. 0.60 ?; .... a 1.20 sabbia; .... a 1.50 sabbia e argilla ; .... a 5.00 argilla. Sez. 183. — Tra la fossa di Ferrara e la strada di cir- convallazione [m. 7.50]. Da m. 0.00 a m. 4.50 argilla; .... a 6.00 argilla e sabbia; .... a 7.00 argilla. Sez. 184. — Al Bcirco presso il Ponte Braghini ( Ferrarese ) [m. 4.90]. Da m. 0.00 a in. 1.50 argilla ; .... a 2.60 argilla e sabbia; .... a 4.90 argilla. Sez. 185 . — Bonettina alla sinistra del Gramiccia ( Ferrarese ) [in. 4.40]. Da m. 0.00 a ni. 0.90 argilla; .... a 2.20 argilla e sabbia; . . . . a 2.65 sabbia; .... a 4.00 argilla. Sez. 186. — Golena sinistra del Volano, a valle di Quacchio ( Ferrarese ) [m. 7.00], Da m. 0.00 a in. 1.90 argilla e sabbia; .... a 3.20 sabbia; . . . . a 3.25 limo; .... a 3.40 sabbia; .... a 3.50 limo; a 3.60 sabbia ; .... a 3.80 argilla ; .... a 3.90 limo ; .... a 4.20 argilla; .... a 4.30 limo; .... a 4.90 argilla; .... a 5.50 sabbia. SEZ. GEOL. RIGUARDANTI LA COLTRE ALLUVIONALE PADANA '603 Sez. 187. — Presso la Cà Nova ( Ferrarese ) [m. 4.00]. Da m. 0.00 a m. 1.00 argilla; .... a 3.90 argilla e sabbia; .... a 4.00 limo. Sez. 188. — Sullo strudel dello Scorsuro ( Ferrarese ) [m. 3.30]. Da m. 0.00 a m. 2.00 sabbia; .... a 2.70 argilla. Sez. 189. — Golena destra del canale Volano nel ferrarese [m. 6.80]. Da m. 0.00 a m. 0.30?; .... a 2.80 sabbia; .... a 5.30 sabbia e argilla. Sez. 190. — Golena sinistra del canale Volano nel ferrarese [m. 6.40]. Da m. 0.00 a m. 0.70 argilla e sabbia; .... a 1.00 sabbia; . . . . a 2.30 sabbia e argilla; .... a 2.80 sabbia; .... a 2.90 limo ; .... a 3.10 sabbia ; .... a 3.20 limo; .... a 3.40 sabbia; . . . . a 3.50 limo; .... a 4.70 sabbia; .... a 4.80 limo; a 5.00 sabbia; .... a 5.10 limo; .... a 5.30 sabbia. Sez. 191. — Golena destra del Volano al sostegno di Cona ( Ferrarese ) [m. 6.50]. Da m. 0.00 a m. 2.00 argilla; .... a 3.00 argilla e sabbia; . . . . a 4.00 argilla; .... a 4,50 argilla e sabbia; .... a 5.10 argilla; .... a 5.20 limo; .... a 5.40 argilla; .... a 5.50 limo; .... a 5.70 argilla; .... a 5.80 limo; .... a 6.00 argilla. Sez. 192. — Golena destra del Volano al Passo di Contrago ( Ferrarese ) [m. 4.80]. Da m. 0.00 a m. 0.35 argilla e sabbia; .... a 0.80 argilla; . . . . a 4.70 argilla e sabbia. Sez. 193. — Golena, sinistra del Volano al passo di Viconovo (. Ferrarese ) [m. 4.40]. Da m. 0.00 a m. 0.40 ?; .... a 1.30 argilla; .... a 4.40 argilla e sabbia. Sez. 194. — Golena destra Volano a Sabbioncello ( Ferra- rese) [m. 4.50]. Da m. 0.00 a m. 0.40 ?; .... a 1.00 argilla; .... a 2.30 argilla e sabbia; .... a 2.80 sabbia; .... a 4.90 sabbia e argilla. Sez. 195. — Monte Santo ( Ferrarese ), stabilimento idrovoro [m. 1.30]. Da m. 0.00 a m. 4.50 argilla ; . , . . a 5.00 limo ; .... a 604 G. TOLDO 7.00 argilla e sabbia; .... a 8.00 argilla; .... a 10.50 limo; . ... a 11.00 sabbia e argilla; .... a 12.00 argilla; .... a 12.20 limo; .... a 13.00 argilla. Sez. 196. — Sabbiosola ( Ferrarese ), stabilimento idrovoro [m. 2.50]. Da m. 0.00 a m. 1.80 ?; .... a 2.90 argilla e sabbia; a 4.10 argilla; .... a 4.30 limo; .... a 4.85 argilla; .... a 5.80 argilla e sabbia; .... a 7.80 argilla; .... a 8.80 limo; . . . . a 9.80 sabbia e argilla; .... a 12.00 argilla. Sez. 197. — Stabilimento idrovoro JBenviqnante (Ferrarese) [m. 1.50]. Da m. 0.00 a m. 1.50 ?;.... a 3.50 sabbia e argilla; a 3.80 argilla; .... a 3.90 limo; .... a 5.00 argilla; .... a 6.00 argilla e sabbia; .... a 8.00 argilla; .... a 8.50 limo; . . . . a 9.50 argilla; .... a 10.00 limo; .... a 12.00 argilla. Sez. 198. — Stabilimento idrovoro Denore ( Ferrarese ) [m. 1 .00] . Da in. 0.00 a m. 2.00 ?; .... a 4.50 argilla; .... a 5.50 ar- gilla e sabbia; .... a 6.50 argilla; .... a 8.50 argilla e sabbia; . . . . a 9.50 argilla; .... a 11.00 limo; .... a 12.00 argilla; . . . . a 13.00 sabbia. Sez. 199. — Stabilimento idrovoro Campocieco ( Ferrarese ) [m. 0.55]. Da m. 0.00 a m. 3.00 ?;.... a 6.50 argilla e sabbia; a 6.80 argilla ; .... a 6.90 limo; .... a 7.20 argilla; .... a 7.30 limo; .... a 7.50 argilla; .... a 8.00 argilla e sabbia; . . . . a 8.50 sabbia; .... a 9.50 sabbia e argilla; .... a 10.00 limo; .... a 10.20 argilla; .... a 10.30 limo; .... a 10.60 argilla; .... a 10.70 limo; .... a 11.00 argilla; .... a 11.50 limo; .... a 13.50 argilla e sabbia. Sez. 200. — Posso di S. Giovanni Ostellato [m. ?]. Da m. 0.00 a m. 3.00 ?;.... a 26.10 sabbia; .... a 35.10 sabbia e argilla; .... a 41.00 argilla; .... a 66.00 sabbia; ....a 71.50 sabbia e argilla; .... a 77.50 argilla; .... a 87.50 sabbia; .... a 104.00 sabbia e argilla; .... a 108.00 argilla; .... a 113.00 sabbia; .... a 121.00 argilla; .... a 125.00 sabbia. SEZ. GEOL. RIGUARDANTI LA COLTRE ALLUVIONALE PADANA 605 Sez. 201. — Stabili mento idrovoro Ter salto ( Ferrarese ) [m. 0.40]. Da m. 0.00 a m. 1.00 ?;.... a 2.00 argilla; .... a 2.60 argilla e sabbia ; .... a 3.20 argilla ; .... a 5.60 argilla e sabbia ; . . . . a 6.00 limo; .... a 6.40 argilla; .... a 6.50 limo; .... a 6.70 argilla; .... a 6.90 limo; .... a 7.50 argilla; .... a 8.00 limo; .... a 8.50 sabbia; .... a 9.10 sabbia e argilla; ....a 11.80 argilla; .... a 11.90 ?; .... a 12.20 argilla; . . . . a 12.25 ?; .... a 12.60 argilla; .... a 12.65 ?; .... a 13.00 argilla; .... a 14.00 argilla e sabbia; .... a 15.00 sabbia. Sez. 202. — Stabilimento idrovoro Bevilacqua ( Ferrarese ) [m. 0.00]. Da m. 0.00 a m. 2.20 argilla; .... a 2.30 limo; .... a 2.60 argilla; .... a 2.70 limo; .... a 3.00 argilla; .... a 3.50 limo; .... a 4.60 argilla; .... a 5.10 limo; .... a 5.40 argilla; .... a 5.50 limo; .... a 5.80 argilla; .... a 5.90 limo; .... a 6.20 argilla; .... a 6.30 limo; .... a 6.60 ar- gilla; .... a 7.10 limo; .... a 7.40 argilla; .... a 7.50 limo; . . . . a 7.60 argilla ; .... a 9.00 argilla e sabbia; .... a 11.00 argilla; .... a 11.60 limo; .... a 12.10 sabbia; .... a 15.00 argilla. Sez. 203. — Stabilimento idrovoro Martinella ( Ferrarese ) [m. 0.00]. Da m. 0.00 a m. 1.40 ?; .... a 2.80 argilla; .... a 3.00 limo; .... a 3.25 argilla; .... a 3.35 limo; .... a 4.00 ar- gilla; .... a 4.20 limo; .... a 4.25 ?; .... a 4.40 limo; . . . . a 4.90 sabbia; .... a 5.90 sabbia e argilla; .... a 6.20 argilla; .... a 6.30 limo; .... a 6.40 argilla; .... a 6.60 limo; .... a 7.00 argilla; .... a 7.15 limo; .... a 9.90 ar- gilla; .... a 10.00 limo; .... a 10.20 argilla; .... a 10.30 limo; .... a 11.40 argilla; .... a 12.20 argilla e sabbia; ....a 12.80 limo; .... a 15.40 argilla. Sez. 204. -- Stabilimento idrovoro Trava {Ferrarese) m. 0.00]. Da m. 0.00 a m. 7.60 sabbia; .... a 9.70 argilla; .... a 9.80 limo; .... a 10.00 argilla; .... a 10.60 argilla e sabbia; . . . . a 12.20 sabbia; .... a 13.20 argilla e sabbia. 606 G. TOLDO Sez. 205. — Stabilimento idrovoro Galavronaro ( Ferrarese ) [m. 1.00]. Da m. 00 a m. 1.40 ?; .... a 2.90 sabbia; .... a 3.90 argilla; .... a 5.90 limo; .... a 6.20 argilla; .... a 6.30 limo; .... a 6.70 argilla; .... a 6.90 limo; .... a 7.40 ar- gilla; .... a 7.90 limo; .... a 10.00 argilla; .... a 10.40 argilla e sabbia; .... a 11.90 sabbia; .... a 12.40 limo; ....a 12.90 argilla; .... a 15.00 sabbia e argilla. Sez. 206. — Cassa di colmata fra l’Idice ed il Sillaro [m. 5.80]. Da m. 0.00 a m. 0.50 argilla; .... a 1.60 argilla e sabbia; . . . . a 2.80 sabbia; .... a 3.40 sabbia e argilla; .... a 5.80 argilla ; .... a 6.60 limo ; .... a 6.80 argilla ; .... a 6.90 sabbia; .... a 7.10 argilla; .... a 7.20 sabbia; .... a 8.40 argilla; .... a 10.00 argilla e sabbia; .... a 12.25 argilla; . . . . a 12.80 limo ; .... a 13.80 sabbia e argilla; .... a 15.90 argilla; .... a 16.60 limo; .... a 17.80 sabbia e argilla; ....a 19.80 argilla. Sez. 207. — Alveo di Reno al Ponte ferroviario di Bastia ( Ferrarese ) [m. 8.201. Da m. 0.00 a m. 4.00 argilla e sabbia; .... a 4.25 ar- gilla; .... a 4.40 limo; .... a 4.55 argilla; .... a 4.70 limo; *... a 5.10 argilla; .... a 5.20 limo; .... a 5.60 argilla; . . . . a 5.70 limo; .... a 6.20 argilla ; .... a 6.40 limo; . . . . a 10.30 argilla; .... a 10.45 limo; .... 11.15 argilla; .... a 11.30 limo; .... a 11.80 argilla; .... a 12.00 limo; .... a 12.50 argilla; .... a 12.60 limo; .... a 13.00 argilla; . . . . a 14.80 sabbia; .... a 16.40 limo; .... a 19.00 sabbia e argilla; .... a 20.20 sabbia; .... a 20.90 limo; .... a 22.00 sabbia e argilla; .... a 25.00 argilla. Sez. 208. — Piede esterno dell’argine destro del Santerno [m. 4.65], Da m. 0.00 a m. 1.10 limo; .... a 3.15 argilla; .... a 4.65 argilla e torba; .... a 8.00 argilla; .... a 9.20 argilla e torba; .... a 10.00 torba; .... a 12.80 sabbia e argilla; . . . . a 14.20 sabbia; .... a 15.20 sabbia e argilla; .... a 16.20 sabbia; .... a 18.20 argilla e torba; .... a 19.20 argilla. SEZ. GEOL. RIGUARDANTI LA COLTRE ALLUVIONALE PADANA G'07 Sez. 201). — Argine destro del Canale dei Mulini presso Fusignano [m. 5.00]. Da m. 0.00 a m. 3.00 limo; .... a 5.00 sabbia e argilla; . . . . a 7.00 sabbia; .... a 8.00 sabbia e argilla; .... a 12.00 torba; .... a 13.00 sabbia con torba; .... a 20.00 sabbia. Sez. 210. — Argine sinistro del fiume Senio nella bassa pianura [m. 4.70]. Da m. 0.00 a m. 2.00 limo; .... a 4.00 sabbia e argilla; . . . . a 7.00 argilla; .... a 9.00 torba; .... a 14.00 argilla; ....a 17.00 argilla e sabbia; .... a 20.00 argilla. Sez. 211. — Terebrazione al punto d’incontro del futuro diversivo del Lamone col canale a destra del Beno [m. 4.00]. Da m. 0.00 a m. 2.00 sabbia; .... a 3.00 argilla; .... a 4.50 sabbia; .... a 5.20 argilla e sabbia; .... a 5.85 argilla; . . . . a 7.90 torba; .... a 10.10 sabbia; .... a 15.20 sabbia e argilla; .... a 20.40 argilla. Sez. 212. — Ponte sul Monticano presso Latrano ( spalla sinistra) [m. 14.00]. Da m. 0.00 a m. 0.60 limo; .... a 7.00 argilla. Sez. 213. — Ponte sul Monticano presso Latrano ( spalla destra) [m. 13.90]. Da m. 0.00 a m. 0.60 limo ; .... a 3.80 argilla ; .... a 6.30 sabbia, argilla e ghiaia. Sez. 214. — Ponte sul Monticano presso Fontanelle [m. 21.65]. Da m. 0.00 a m. 0.70 limo; .... a 4.00 argilla e sabbia; ....a 7.10 argilla. Sez. 215. — Nuovo tracciato del Monticano dal Ponte di Redigole ad Albano (saggio 1°) [m. 5.90]. Da m. 0.00 a m. 0.70 limo; .... a 4.30 sabbia e argilla; . . . . a 5.20 argilla; .... a 5.90 argilla e sabbia; .... a 7.50 argilla. Sez. 216. — Nuovo tracciato del Monticano dal Ponte di Redigole ad Albano (saggio 2°) [m. 5.90]. Da m. 0.00 a m. 0.70 limo; .... a 7.00 argilla. Sez. 217. — Nuovo tracciato del Monticano dal Ponte di Redigole ad Albano ( saggio 3°) [m. 6.15]. Da m. 0.00 a m. 0.65 limo ; .... a 7.00 argilla. 608 G. TOLDO Sez. 218. — Nuovo tracciato del Monticano dal Fonte di Redigole ad Albano ( saggio 4°) [m. 6.90]. Da m. 0.00 a m. 1.00 limo; .... a 1.70 argilla; .... a 6.60 ?; .... a 9.70 argilla. Sez. 219. — Nuovo tracciato del Monticano dal Ponte di Redigole ad Albano { saggio 5°) [m. 6.10]. Da m. 0.00 a m, 0.80 limo; .... a 1.15 argilla; .... a 6.10 argilla e sabbia; .... a 10.20 argilla. Sez. 220. — Nuovo tracciato del Monticano dal Ponte di Redigole ad Albano ( saggio 6°) [m. 4.80]. Da m. 0.00 a m. 0.50 limo; .... a 3.80 argilla; .... a 8.80 torba; .... a 10.00 argilla. Sez. 221. — Nuovo tracciato del Monticano dal Ponte di Redigole ad Albano { saggio 7°) [m. 4.75]. Da m. 0.00 a m. 0.40 limo; .... a 3.30 argilla; .... a 9.10 torba; .... a 10.30 argilla. Sez. 222. — Nuovo tracciato del Monticano dal Ponte di Redigole ad Albano { saggio 8°) [m. 4.85). Da m. 0.00 a m. 1.00 limo; .... a 3.00 argilla; .... a 6.00 torba; .... a 10.10 argilla. Sez. 223. - — Nuovo tracciato del Monticano dal Ponte di Redigole ad Albano {saggio 9°) [m. 6.00]. Da m. 0.00 a m. 0.60 limo; .... a 1.25 argilla e sabbia; . . . . a 5.00 argilla; .... a 6.30 torba; .... a 12.60 argilla. Sez. 224. — Nuovo tracciato del Monticano dal Ponte di Redigole ad Albano {saggio 10°) [m. 7.00]. Da m. 0.00 a m. 4.60 sabbia e argilla; .... a 6.10 ar- gilla; .... a 6.60 torba; .... a 13.80 argilla. Sez. 225. — Canale a destra del Livenza di fronte a Cor- bolone {saggio 1°) [m. 3.40]. Da m. 0.00 a m. 10.00 sabbia e argilla; .... a 11.00 argilla. Sez. 226. — Canale a destra del Livenza di fronte a Cor- bolone {saggio 2°) [m. 4.20]. Da in. 0.00 a m. 1.00 limo; .... a 5.50 sabbia e argilla; . . . . a 6.00 sabbia e ghiaia; .... a 11.00 sabbia e argilla; .... a 12.00 argilla. SEZ. GEOL. RIGUARDANTI LA COLTRE ALLUVIONALE PADANA 609 Sez. 227. — Canale a destra del Livenza di fronte a Cor- bolone { saggio 3°) [m. 4.00]. Da m. 0.00 a m. 1.00 limo; .... a m. 3.00 argilla e sabbia; . . . . a 4.00 argilla; .... a 5.30 argilla e sabbia; .... a 6.80 sabbia e ghiaia; .... a 11.00 argilla e sabbia; .... a 12.30 argilla. Sez. 228. — Canale a destra del Livenza di fronte a Cor- bolone ( saggio 4°) [m. 3.80]. Da m. 0.00 a m. 1.10 limo; .... a 3.00 argilla e sabbia; . . . . a 4.50 argilla; .... a 6.50 sabbia e ghiaia; .... a 11.00 sabbia e argilla; .... a 11.70 argilla. Sez. 229. — Canale a destra dei Livenza di fronte a Cor- bolone ( saggio 5°) [m. 4.10]. Da m. 0.00 a m. 1.00 limo; .... a 3.00 argilla e sabbia; . . . . a 4.50 argilla; .... a 6.70 sabbia e ghiaia; .... a 11.20 sabbia e argilla; .... a 11.70 argilla. Sez. 230. — Canale a destra del Livenza di fronte a Cor- bolone ( saggio 6°) [m. 5.20]. Da m. 0.00 a m. 1.00 limo; .... a 4.00 sabbia e argilla; .... a 5.50 argilla e ghiaia; .... a 8.00 sabbia e ghiaia; ....a 11.00 sabbia e argilla; .... a 12.80 argilla. Sez. 231. — Canale Malgher presso il suo sbocco in Livenza { saggio 1°, A) [m. 4.60]. Da m. 0.00 a m. 4.60 argilla. Sez. 232. — Canale Malgher presso il suo sbocco in Livenza {saggio 2°, A) [m. 5.00]. Da m. 0.00 a m. 6.00 argilla. Sez. 233. — Canale Malgher presso il suo sbocco in Livenza {saggio 3°, A) [m. 4.10]. Da m. 0.00 a m. 5.60 argilla. Sez. 234. — Canale Malgher presso il suo sbocco in Livenza {saggio 4°, A) [m. 4.30]. Da m. 0.00 a m. 5.80 argilla. Sez. 235. — Canale Malgher presso il suo sbocco in Livenza {saggio 5°, A) [m. 4.20]. Da m. 0.00 a m. 5.00 argilla; .... a 5.50 torba. 610 G. TOLDO Sez. 236. — Canale Malgher presso il suo sbocco in Livenzu {saggio 1°, B) [m. 4.50]. Da m. 0.00 a m. 4.70 argilla; .... a 5.10 torba. Sez. 237. - — Canale Malgher presso il suo sbocco in Livcnza {saggio 2°, B) [m. 4.40]. Da m. 0.00 a m. G.00 argilla. Sez. 238. — Canale Malgher presso il suo sbocco in Li- venza {saggio 3°, B) [m. 3.90]. Da m. 0.00 a m. 2.10 argilla; .... a 2.70 argilla con con- chiglie marine; .... a 3.90 argilla; .... a 4.50 torba. Sez. 239. — Canale Malgher presso il stio sbocco in Li- venza {saggio 4°, B) [m. 4.20]. Da m. 0.00 a m. 1.30 argilla; .... a m. 2.30 argilla e conchiglie marine ; .... a 4.60 argilla ; .... a 5.00 torba. Sez. 240. — Canale Malgher presso il suo sbocco in Li- venza {saggio 5°, B) [m. 4.20]. Da m. 0.00 a m. 5.00 argilla; .... a 5.50 torba. Distribuzione delle roccie ricordate nelle sezioni. Del sottosuolo corrispondente alla pianura padana ci è nota una parte assai piccola tanto in senso orizzontale quanto in senso verticale, e ciò perchè le sezioni che sono state raccolte risul- tarono insufficienti e pel numero e per la profondità. Quando le sezioni appartengono a località vicine alle falde montuose non è difficile che esse raggiungano il terreno terziario sottostante ai terreni alluvionali. Così, alle note trivellazioni di Manerba presso il Mella, di Pontevico presso l’Oglio, di Poden- zano presso il Nure, di Malandriano presso il Parma, di Castel- novo Eangone e di Villa del Montale nel modenese, possiamo aggiungere nella presente nota uno dei pozzi di Lonigo il quale con profondità di 52 metri raggiunse argilla dura fossilifera terziaria. Eicordiamo anche a tale proposito il pozzo scavato ad Imola in piazza delle Erbe nell’ultimo trimestre del 1898 sotto la direzione scientifica del geologo Senatore Scarabelli: tale pozzo raggiunse le sabbie gialle plioceniche attraversando cinquanta SEZ. GEOL. RIGUARDANTI LA COLTRE ALLUVIONALE PADANA 611 metri di terrazza alluvionale, e raggiunse poi anche le argille turchine plioceniche attraversando ottanta metri circa di sabbie gialle. Ma quando le sezioni appartengono a luoghi distanti dalle falde montuose, esse si mantengono costantemente nel seno delle roccie alluvionali anche se sono molto profonde. Ciò accennarono più volte il prof. Taramelli per i pozzi di Milano, Saronno, Revere, etc., e i prof. Pantanelli e Del Prato per la pianura emiliana. Ciò devo ripetere io pure quantunque le sezioni 55, 159, 117, 99, 200, 116, 161, 166, 118, 161 e 3 raggiungano rispettivamente 111, 113, 122, 124, 125, 157, 165, 178, 215, 223 e 237 metri di profondità. Ad ogni modo la comparazione delle sezioni palesa alcuni fatti relativi alla struttura geologica della coltre alluvionale padana, e di essi appunto intendiamo fare cenno. L’esame individuale delle sezioni ci mostra che le roccie predominanti nelle alluvioni padane e cioè la sabbia, l’argilla, la torba, il limo (argilla spesso sabbiosa, sempre ricca di resti organici vegetali) e la ghiaia, in alcuni casi si trovano di- stinte l’una dall’altra tanto in senso orizzontale quanto in senso verticale, mentre in altri casi esse sono mescolate fra di loro e le mescolanze più comuni si verificano fra roccie di costitu- zione fisica meno diversa, ossia fra la ghiaia e la sabbia, fra la sabbia e l’argilla e fra l’argilla e la torba. Tale esame indivi- duale del resto non mi è parso fecondo di concetti importanti e tanto meno di concetti erigibili a leggi di pratica applica- zione. L’esame comparativo delle sezioni invece ci mostra anzitutto la predominante forma dei depositi alluvionali ; in secondo luogo le variazioni volumetriche dei loro detriti in senso verticale e in senso orizzontale; finalmente le analoghe variazioni litolo- giche e volumetriche degli strati. * * * La forma delle alluvioni padane è in generale lentoide e tali lenti alluvionali hanno piccola estensione sia in senso oriz- zontale, sia in senso verticale. Perciò la detta forma ci appare 4» 612 G. TOLDO soltanto se compariamo sezioni che corrispondono a punti distanti fra di loro in senso orizzontale pochissimi metri, mentre fra sezioni distanti fra di loro qualche chilometro vi possono bensì essere relazioni litologiche, ma non stratigrafiche nel senso geo- metrico della parola. Così nelle sezioni 4-16 (Ponte costrutto sul Po a Cremona) è chiara la variazione di potenza della sabbia fra la sez. 5 e la sez. 16, dell’argilla fra la sez. 7 e la sez. 1*2 e fra la sez. 1*2 e la sez. 16 ; della torba fra la sez. 4 e la sez. 8 e fra la sez. 8 e la sez. 16 con interruzione in corrispondenza della sez. 5 e della sez. 6. Analogamente nelle sezioni 17-20 (Ponte costrutto sull’Oglio per la ferrovia Cremona-Ostiano) risulta evidente la variazione di potenza della miscela argillo-sabbiosa fra la sez. 18 e la sez. 20. Nelle sezioni 120-120 (Botte alle Tresse nel Chioggese) la stessa variazione si osserva tanto per la sabbia quanto per la torba, e nelle sezioni 130-152 (da Conche alle Tresse nel Chiog- gese) si vedono benissimo le variazioni della torba e del limo. Altrettanto si dica per le sezioni 215-224 (Tracciato lungo il fiume Monticano), mentre nelle sezioni 225-230 si osservano piuttosto lenti di sabbia fra la sez. 226 e la sez. 230, di argilla fra la sez. 227 e la sez. 230, e di miscela argillo-sabbiosa fra la sez. 226 e la sez. 230. * •i* Le variazioni volumetriche dei detriti alluvionali consistono in un generale loro assottigliamento sia in senso verticale ascen- dente, sia in senso orizzontale da monte a valle. Questo assot- tigliamento è da attribuirsi alla progressiva diminuzione storica che la pendenza, la portata e quindi la forza dei fiumi ebbero a subire. Tuttavia esso non si verifica in senso orizzontale da monte a valle se le sezioni messe a mutuo confronto non appar- tengono a luoghi geograficamente molto distanti fra loro e posti sopra una medesima direzione di pendenza ; e d’altra parte non si verifica neppure in senso verticale ascendente se le sezioni prese in esame non sono molto profonde. SEZ. GEOL RIGUARDANTI LA COLTRE ALLUVIONALE PADANA 613 Un generale assottigliamento dei detriti alluvionali padani in senso verticale ascendente lo possiamo constatare nelle se- zioni 159 (Gainago parmense), 116 (Cà di Dio in Venezia), 118 (Santa Marta in Venezia), 166 (Salina presso Finale Emilia) e 3 (Cremona), le quali come abbiamo altrove accennato sono pro- fonde rispettivamente 113, 157, 215, 178 e 237 metri. Infatti nella sezione 159 mentre la superficie è argillosa, si trova ghiaia a trenta metri e ghiaia con ciottoli a novanta; nella sezione 116 e nella sezione 118 mentre la superficie è argillosa, verso il fondo predomina la sabbia ; nella sezione 166 mentre la super- ficie è una miscela di sabbia e argilla a cui segue in ordine stratigrafico discendente l’argilla, a cento metri circa troviamo ghiaia; e nella sezione 3 mentre presso la superficie troviamo sabbia e limo, a diverse profondità troviamo potenti strati di sabbia e ghiaia. Ciò non ostante è necessario aggiungere che una tale varia- zione volumetrica di detriti non risalta ugualmente nelle se- zioni 55 (Contrada Mura di Legnago), 117 (Giardini Pubblici di Venezia), 99 (Loreo), 200 (S. Giovanni Ostellato), 181 (Piazza di Gonzaga) e 164 (Portovecchio di Mirandola), il che del resto cessa di apparire strano quando si pensi che Legnago, Loreo, S. Giovanni Ostellato, Gonzaga e Portovecchio si trovano in località soggette, almeno in altri tempi, a notevoli variazioni idrografiche. Un generale assottigliamento dei detriti alluvionali padani in senso orizzontale da monte a valle si può constatare se noi paragoniamo fra loro le sezioni in cui prevalgono le roccie sab- biose colle sezioni in cui prevalgono le roccie argillose. Le roccie sabbiose prevalgono sulle argillose nelle seguenti sezioni : Sinistra del Po: 1-2, 3, 4-16, 21-24, 25-32, 36, 38, 39, 46, 43, 44, 50, 52, 53, 55, 61, 63, 66, 67, 71. Destra del Po: 160, 161, 162-163, 165, 172, 181, 188, 200, 204. Prevalgono invece le roccie argillose sulle sabbiose nelle seguenti sezioni : 614 G. TOLDO Sinistra del Po: 34, 37, 47, 48, 49, 62, 64-65, 70, 84, 85, 87, 89, 90, 91, 92, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 104, 105, 106-108, 109-110, 111, 112, 113, 114, 115, 116, 117, 119, 130-152, 219-224, 225-230. Destra del Po: 158, 159, 164, 166, 169, 170, 189, 190, 209, 210, 211. Ora le sezioni in cui prevalgono le roccie sabbiose (1, 2, 3, 4-16, 21-24, 25-32, 36, 38, 39, 40, 43, 44, 50, 52, 53, 55, 61, 63, 66, 67, 71, 160, 161, 162, 163, 165, 172, 181, 188, 200, 204) corrispondono, in generale, a luoghi vicini o alle falde montuose o agli assi idrografici, e quindi, almeno in parte, all’alta pianura, mentre le sezioni in cui prevalgono le roccie argillose (34, 37, 47, 48, 49, 62, 65, 70, 84, 85, 87, 89, 90, 91, 92, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 104, 105, 106-108, 109, 110, 111-117, 119, 130-152, 219, 224, 158, 159, 164, 166, 169, 170, 189, 190, 209, 210, 211) corrispondono, in generale, a luoghi lontani o dalle falde montuose o dagli assi idrografici, e quindi, almeno in parte, alla bassa pianura padana. Le variazioni litologiche e volumetriche degli strati si col- legano anch’esse colle vicende storiche dei corsi d’acqua che li formarono. Così noi possiamo anzitutto verificare che nelle sezioni poste alla destra del Po, le quali corrispondono a località soggette, specialmente nei tempi passati, a massime variazioni di regime fluviale, gli strati sono spesso sottili e spesso constano di roccie differenti sia per la natura mineralogica, sia pel volume dei detriti, mentre nelle sezioni poste alla sinistra del Po stesso, per le ragioni storiche opposte, gii strati sono spesso potenti e spesso constano di roccie simili sia per la natura mineralogica, sia pel volume dei detriti. D’altra parte ricercando le relazioni litologiche che esistono fra la superficie e l’interno della coltre alluvionale padana, noi possiamo verificare che nelle sezioni 1, 2, 3, 4-16, 21-24, 25-32. 39, 40, 66, 67, 161 e 188 superficie e sottosuolo sono tutt’ e due di natura prevalentemente sabbiosa, e nelle sezioni 34, 37, 62, 64, 70, 84, 87, 90, 91-98, 104, 110, 113, 119, 130, 152, 219, 224, 225-230, 158, 164, 209 e 210, sono tutt’ e due di natura pre- Boll della Società Geologica Italiana. Voi XX (Tox.do) Tav.XI Coivano © elusone ® 'Rovereto crono. Peschi eS OChioffffù ìCremona girandola 'errarci 11-19 4 m/sa @RpgjÌO Emilia tossa Firenze Isti tato Cartografico Italiano , E Coltone Roma. / V'' ' SEZ. GEOL. RIGUARDANTI LA COLTRE ALLUVIONALE PADANA 615 valentemente argillosa; invece nelle sezioni 160, 162, 163 e 165, mentre la superficie è argillosa, il sottosuolo è prevalentemente sabbioso, e nelle sezioni 49, 111, 169, 189 e 211, mentre la super- ficie è sabbiosa, il sottosuolo è prevalentemente argilloso. Tale disparità tra la superficie ed il sottosuolo deve attribuirsi, almeno in molti casi, alle innondazioni che sono avvenute nella bassa pianura specialmente in seguito all’arginamento dei fiumi, e che hanno ricoperto di sabbia alcuni luoghi, come per esempio la campagna fra Legnago e Angiari, e di argilla altri luoghi, come per esempio la campagna tra Colorno e Parma. o [ms. pres. 10 giugno 1901; ult. bozze 23 dicembre 1901]. APPUNTI GEOLOGICI SULLA PARTE MERIDIONALE DEL CAPO DI LEUCA Memoria del dott. G. D vinelli Per quanto già abbondante fosse la bibliografia geografica e geologica riguardante questa estrema terra d’Italia, che si spinge nel mare colle sue ultime punte della Ristola e del Mèliso, dividendo l’Ionio dall’Adriatico, e riguardante più gene- ralmente ancora il Leccese, le Puglie, tutta insomma la regione, più o meno montuosa, che il Prof. De Giorgi divise come sistema Apulo-Garganico, indipendente dall’ Appennino ; pure, sulla età dei vari terreni, nascevano alcuni dubbi che quella bibliografìa non poteva togliere. Si è per questo, che, dietro consiglio del chino Prof. C. De Ste- fani, mi recavo nel dicembre 1900 a Lecce, e poi a Gagliano del Capo, di dove, con numerose escursioni, visitavo la parte estrema del Capo di Letica. Una linea che da Presicce vada all’Adriatico passando poco sopra a Corsano, e un’altra che da Presicce stessa raggiunga al Posto di Salve l’Ionio, limitano la regione che ho visitato. I resultati del mio studio, pur riguar- dando una regione assai ristretta, non credo sieno del tutto privi di interesse. E prima di esporre questi resultati, sento il dovere di ringraziare vivamente il chino Prof. C. De Giorgi, per le indicazioni cortesi che mi ha dato. Vediamo adesso se sia possibile la determinazione dell’età geologica dei terreni da me visitati, basandosi sui fossili che vi ho rinvenuti, la cui enumerazione, e descrizione, farò seguire alle considerazioni d’indole generale. Terreno cretaceo. — Il sistema collinesco del Capo di Leuca è costituito quasi per intero dalla parte superiore dei terreni APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MERID. DEL CAPO DI LECCA 617 secondari, rappresentati da un calcare, vario nell’aspetto, nel co- lore, nella compattezza, che quei del paese chiamano anche qui, come nel bacino di Galatina (1), pietra viva o màrmore. Più spesso questo calcare è biancastro, talvolta anche bianco perfetto, ma per lo più cenerognolo, assai compatto ed omogeneo, saldo, a frattura irregolare, a suono metallico: cosi lo s’incontra sul- l’alta scogliera adriatica; nella serra che ha principio poco sopra a S. Dana, e di li si spinge nella direzione di N.-O. passando per Montesardo e presso ad Alessano; e in line, ma solo localmente, nella serra Palitte o Filippe che sovrasta alla bassa pianura di Poggiano e di Barbarano, e nella sua pro- paggine meridionale della Foresta di Santoro, colla quale va a terminare alla estrema punta della Pistola. Spesso ancora, questo calcare cretaceo si presenta singolarmente cavernoso, come, e in specie, nella scogliera occidentale che declina verso l’Ionio ; o presenta un colore più scuro, bigio, come nelle Macchie di Santoro; o inclusioni verdastre, come a Nord di Gagliano e presso al faro della Punta 'Mèliso ; o in fine belle tinte rosate, con venature giallastre, come neH’affiora mento, che appare tra Salignano e Gagliano del Capo. Gli usi, per i quali il calcare cretaceo è scavato, sono piut- tosto limitati, preferendosi come materiale da costruzione, quello formato dalle sedimentazioni più recenti, che, quantunque assai meno resistente agli agenti esterni, presenta il vantaggio di una maggiore facilità di lavorazione; però è adoprato dovunque per la calce viva, per le massicciate, e presso alle Macchie di San- toro lo si escava anche in grossi blocchi, per farne tinozze da bagno. Assai raramente sono riconoscibili dei fossili: l’unica loca- lità che posso a buon diritto chiamare fossilifera, è il Ciolo, sul mare, ad oriente di Gagliano, dove ho raccolto quantità di Pudiste, che in gran parte ho potuto isolare in seguito colla calcinazione. La fauna ippuritica che ne è uscita fuori, essendo uguale a quella di St. Cesarea, da me pure raccolta e studiata, ed appartenendo ambedue indubbiamente al medesimo piano (') De Franchis F., Bicerche sui terreni del Bacino ài Galatina. Boll. Soc. Geo!. It., 1897, pag. 122. 618 G. DAINELLI cretaceo, mi permetto di unire a quella prima anche questa seconda, che è pur fuori della regione da me particolarmente visitata, affinchè la nota dei fossili possa divenire con ciò meno scarsa e meno incompleta; e la presento distinta per le due località : Pleurotomaria sp. ? (St. Cesarea) ; Rostellaria n. sp. ? (St. Cesarea) ; Rostellaria sp. (Il Ciolo, St. Cesarea); Strombus sp. (St. Cesarea); Fusus sp. (St. Cesarea); Ostrea sp. (St. Cesarea); Preterì Canavarii n. sp. (Il Ciolo); Ilippurites Lapeirousei Goldftiss (Il Ciolo, St. Cesarea) ; Pironea po- lystyìus Pirona (Il Ciolo); Radiolites Parolieri n. sp. (St. Cesarea); Ra- diolites Hoeninghausi Des Moulins (Il Ciolo, St. Cesarea); Radiolites sp.? (Il Ciolo, St. Cesarea); Radiolites sp. (Il Ciolo); Radiolites sp. (Il Ciolo, St. Cesarea) ; Biradiolites n. sp. (St. Cesarea). Altri e numerosi resti di Rudiste, sotto forma di parziali impronte, non rammento qui, nè descriverò in seguito, perchè il loro troppo imperfetto stato di conservazione non permette conclusioni sicure; così pure i corallari costruttori che si trovano in gran quantità a St. Cesarea, e che ho anche rinvenuto al Ciolo, e le varie foraminifere mal conservate, che numerose sezioni mi- croscopiche di roccie provenienti da varie località, mi hanno mostrato; tra esse ho riconosciuto i seguenti generi: Triloculina Orbitolites, Orbulina, Globigerina , Textularia , Discorbina, JRo- talia ; oltre a frammenti, abbastanza comuni, di Lithotliamnium. La mancanza assoluta, in questa fauna cretacea, dì Toncasie, Apricarclie, Caprine, Eequienie e Monopleure, e la presenza esclusiva di Ippuriti e Radioliti, ci dice chiaramente che ab- biamo qui formazioni del cretaceo superiore; di quale piano, e sottopiano, ci possono insegnare le specie, che altrove e già in varie località sono state raccolte. De Giorgi (') nelle sue «Note geologiche sulla provincia di Lecce» dice, che a St. Cesarea (e in conseguenza anche nella parte più meridionale del Capo di Leuca), « le rudiste, i polipai, gli echinodermi e i coralli ne rivelano indubbiamente l’ultimo periodo del terreno cretaceo superiore, Turoniano e Senoniano ; . . . essendo la forma- zione più antica ed una delle più estese nella provincia di Lecce » . (’) De Giorgi C., Note geologiche sulla provincia di Lecce. 1876, pag. 48. APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MERID. DEL CAPO DI LEUCA 619 Il cretaceo di questa parte estrema del Leccese non è più stato, per quanto io mi sappia, argomento di studi speciali; ma si quello della regione immediatamente a settentrione, del quale il De Giorgi stesso citò varie ippuritidee, e disse che deve «senza dubbio riferirsi al piano Turoniano d’Orbigny» ('). — Di Ste- fano (2), esaminata questa fauna (nelle cui determinazioni dovè pertanto portare alcuni cambiamenti), avendo sempre in mente il primo riferimento, fatto dal De Giorgi nelle sue Note geolo- giche, anche al Senoniano, conclude : « Sebbene parecchie di queste specie turoniane sieno anche indicate qua e là in mezzo a faune senoniane, la loro aggregazione e più la presenza delle H. giganteus d’Hombre Firmas e R. Sauvagcsi d’Hombre Firmas, uhe salgono con certezza fino alla base del Santoniano, mostrano che quei calcari pugliesi con Hippuritcs sono da porre vera- mente nel Turoniano, ma nelle parti più elevate di esso ( An - goumien). Noi non possiamo perciò fino ad ora sospettare con buone ragioni la presenza in Puglia dei livelli ippuritici del Senoniano. Possiamo quindi ritenere che i calcari cretacei com- patti e cristallini delle Puglie delibano riferirsi all’Angoumiano e alle porzioni superiori delPUrgoniano, senza volere per altro escludere la esistenza possibile di altri piani cretacei nella Murge ». Ed in parte, in seguito a queste recise affermazioni, Flores poneva, senz’altro come piano più recente del cretaceo, dal Gar- gano alla terra d’Otranto, appunto il Turoniano (3); ma Vir- gilio (4), meno esclusivo, dice invece: «Credo probabile che i calcari, finora riconosciuti privi di fossili, inferiori e superiori a quelli a Rucliste (appartenenti al Turoniano) possano rappre- sentare se non tutti, qualcuno almeno dei piani Albi ano, Vra- conniano e Rotomagiano della serie Cenomaniana, e dei piani Santoniano e Daniano della Senoniana. . . . Per lo Sphaerulites (') De Giorgi C, Note stratigr. e geol. da Fasano a Otranto. Boll, del R. Com. geol., 1881, pag. 189. (s) Di Stefano G., Suda presenza dell' Urgoniano in Puglia. Boll. Soc. Geol. It., 1892, pag. 681. (3) Flores E., Appunti di Geologia Pugliese. Rassegna Pugliese, 1899, fase. 9, pag. 10 e seg. (4) Virgilio F., Geomorfogenia della provincia di Bari, 1900, pag. 68. 49 620 G. DAINELLI Hoeninghausi da me raccolto a Cortomartino presso Acquaviva è pure rappresentato il piano Campaniano ». In mezzo a questi pareri e a tali dubbiose ipotesi, lo studio paleontologico di una fauna fin qui quasi nuova, si mostrava oltremodo interessante ; e tale è infatti quello della fauna da me raccolta al Ciolo e a St. Cesarea, più volte citata genericamente r ma non ancora osservata un po’ più da vicino. Di grande aiuto mi è stato, in questo studio, la memoria del Prof. Parona sopra alcune Kudiste senoniane deH’Àppennino meridionale (l), che avrò poi più volte occasione di citare nella descrizione delle singole specie; le quali tutte appartengono al Dordoniano, come il Prof. Parona ha mostrato, per quelle forme che fio a comune con lui, con chiara discussione, sì da rendere superflua, per parte mia, ogni altra parola. La quale conclu- sione, mentre da un lato conferma il vago riferimento fatto già dal De Giorgi (2), viene sollecita, dopo lo studio del Prof. Pa- rona, a confortare l’ idea del Di Stefano (3), che terreni del Cre- taceo, sincroni, si trovino tanto neirAppennino meridionale che nelle Puglie. Terreno miocenico. — In tutta quanta la regione da me vi- sitata manca affatto la caratteristica Pietra Leccese o Leccisu, la calcarea tenera di Lecce di Costa, che forse altri immagine- rebbe dovesse anche qui rappresentare il terreno miocenico. Mi era stata indicata 1’esistenza di tipica pietra leccese a Monte- sardo, ma questo paese giace sopra un calcare cretaceo com- pattissimo, che è ben lungi dal poter esser confuso con quella formazione calcareo-marnosa del Miocene medio. Del resto anche gli stessi abitanti del paese, che in questo son certo molto atten- dibili, perchè sanno distinguere con occhio pratico, e con nomi speciali, ogni più piccola varietà di roccia, mi hanno sempre affermato, che anche il giacimento più meridionale di Leccisu è ben lungi da questa estrema punta di Leuca. (*) (*) Parona C. F., Sopra alcune Tu diate Senoniane dell' Appennino me- ridionale. Mem. della R. Acc. delle Scienze, Serie II, tom. L, 1900, pag. 4 e seg. (2) De Giorgi C., Note pedi, sulla prov. di Lecce, pag. 48. (:ì) Di Stefano G., Sulla presenza dell'Urgoniano in Puglia. Boll. Soc. Geol. It., 1892, pag. 681 e seg. APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MERID. DEL CAPO DI LEUCA 621 La roccia che qui rappresenta il Miocene chiamano quei del paese Fragiulo, nome del resto non a tutti noto, come quello che serve a indicare una roccia poco abbondante e poco diffusa, e sopra tutto di nessuna utilità ed applicazione pratica; è una vera e propria lumachella, assai compatta, e meno ricca di fos- sili nella parte inferiore, dove presenta tinte variabilissime, bigie, rosate, verdastre; meno cementata nella parte superiore a con- tatto cogli agenti esterni, dove i fossili vengono ad essere facil- mente isolabili, e coloriti in rosso piuttosto scuro da una specie di bolo, o terra rossa, proveniente dal disfacimento dei calcari cretacei. I fossili più abbondanti sono i Brachiopodi, tanto che chia- merei questa una lumachella a Terebratula; infatti, individui di Cefalopodi, per quanto abbondanti, lo sono assai meno dei Brachiopodi, ed anche di certi generi di Gasteropodi e Lamel- libranchi, come Comis, Cypraea e sopratutto Pecten. Non so se Costa (') conosceva questa lumachella nel Lec- cese, quando distingueva nella pietra leccese un calcare a tri- tumi, ricco di resti organici macroscopici, e povero di cemento calcareo; ma certo egli citava una roccia consimile come esi- stente nel Gargano, sulla fede di esemplari conservati nell’Uni- versità di Napoli, e quantunque la località non sia mai stata precisata, anzi ninno vi abbia mai nemmeno indicato terreni Miocenici. Il Costa citava questa lumachella attribuendola ad età affatto errata e con nomi completamente sbagliati, come lo provano le Cuvierie che egli chiamava Garganites e V Afuria Aturi che egli denominava Goniatites Garganicus n. sp. (2). Questa lumachella del Capo di Leuca fu la principale ra- gione per la quale intrapresi la mia escursione, perchè, aven- dola il Prof. De Stefani osservata anni sono in qualche Museo, indicata come eocenica, ed a lui sembrando appartenente al Miocene medio, fui dal medesimo sollecitato a determinare la questione. Il Prof. De Giorgi, pregato da me per lettera, prima della mia gita nel Leccese, di volermi indicare la località pre- ( ') Costa G. 0., Ricerche dirette a stabilire l'età geologica delia cal- carea tenera a grana fine di Lecce, 1857. (2) Costa G. 0., Paleontologia del regno di Napoli, 1854-56. 622 G. DAJNELLI cisa ove tale lumachella appare al Capo di Leuca, mi rispon- deva gentilmente dandomi l’indicazione richiesta. Lo studio della ricca fauna che ne ho raccolto, parte isolan- dola sul posto, e parte in seguito e colla calcinazione, mi ha provato come essa, e la roccia che la contiene, differentemente dalle opinioni avute fin qui, non sia eocenica, ma vada real- mente riferita al Miocene medio; la nota delle seguenti specie lo proverà del resto chiaramente: Coralli: Heliastraea confr. Remimi Edwards et Haime - Flabellum extensum Michelin - Ceratotrochus duodecimeostatus Gfoldfuss - Stephdnophyllia imperìalis Michelin - Lobophyllia confr. contorta Michelin - BalanopJiyllia sp. Echinidi: Echinolanipas scutiformis Desmoulins - Conocly- peus sp. Brachiopodi: Rhynchonella bipartita Brocchi - Terebratula rhomboidea Biondi - Terebratula Co.stae Seguenza, var. planata Seguenza. Gasteropodi: TrocJms sp. - Turbo speciosus Michelotti - Natica millepunctata Lamarck - Xenophora cwnulans Bron- gniart - Vermetus arenarius Linneo - Turritella subangulata Brocchi - Cypraea utriculata Lamarck - Cypraea minor Gra- teloup - Cypraea sp. - JEudolium subfasciatum Sacco - Fi- caia geometra Borson - Triton nodiferum Lamarck - Triton sp. - Nassa bisotensis Depont - Nassa Brugnonis Bellardi - Nassa sp. n. - Fusus sp. - Fusus sp. - Ancillaria obsoleta Brocchi - Priamus Beshayesianus Da Costa - Pleurotoma rotata Brocchi - Conus Passeggeri Hauer - Conas antediluvianus Brugnière - Conus Buschi Michelotti - Conus confr. clavatus Lamarck - Conus sp. Lamellibranchi : Ostrea cochlear Poli - Pecten Malvinae Dubois - Pecten Haveri Michelotti - Pecten cristatus Bromi - Pecten Koheni Fuchs - Spondylus concentricus Bronn - Lima sp. - Arca confr. nodulosa Miiller - Arca sp. - Pectun- culus insubricus Brocchi - Cardita globulina Michelotti - Car- dimi sp. n.? - Carclium sp. n.? - Chama gryphoides Linneo - Isocardia cor Linneo - Meiocardia Moltkianoides Bellardi - Meiocardia Beshayesi Bellardi - Coralliophaga litliophagella Lamarck - Venus multilamella Lamarck - Venus sp.? - Bosinia APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MER1D. DEL CAPO DI LEUCA 623 exoleta Linneo - Lucina spinifera Montagu, var. Meneghina De Stefani et Pantanelli. Cefai.opodi: Aturia Aturi Basterot - Aturia Formae Pa- rona. Crostacei: Neptunus sp. Pesci : Carcharodon megalodon Agassiz - Oxyrhina hastalis Agassiz. Mammiferi: Fhysodon sp. Che la numerosa e svariata fauna, che son venuto enume- rando sommariamente, ed intorno alla quale farò seguire una breve discussione paleontologica, appartenga per intero, senza alcuna eccezione, al Miocene medio, non v’ha luogo di dubitare ; ed appartenendo essa a tale periodo geologico, sarebbe stato per noi sommamente interessante conoscere quella coeva della vi- cina e tipica pietra leccese. La quale però, per quanto da gran tempo nota, e in gran parte studiata anche di recente, rimane per ora, si può dire, inedita. Dopo il Costa, Guiscardi, Capellini, Ristori, Vigliarolo, Bas- sani, Nelli, illustravano individui raccolti nella pietra leccese; De Lorenzo (‘) in fine raccoglieva le determinazioni fatte fin allora quasi sporadicamente, aggiungendone altre, e non poche, di specie da lui stesso riconosciute nella raccolta del Museo della R. Uni- versità di Napoli; ma la nota sommaria che egli stesso pub- blica, inviatagli dal Prof. De Giorgi, mostra quale abbondante materiale di studio resti ancora da descrivere, e quanto inte- resse ne presenterebbe una completa conoscenza, per stabilire anche i rapporti che con la Pietra Leccese ha il giacimento da me visitato. Questo, poco, anzi punto potente, costituito da una roccia, che mantiene sempre inalterati i suoi caratteri, ricco di fossili, distribuiti affatto senza selezione alcuna: non v’ha dubbio che debba appartenere ad un unico piano batimetrico. Gli avanzi organici, spesso mal conservati, perchè sotto forma di impronte esterne o di modelli interni, ma mai, o quasi, ridotti in fram- menti, attesterebbero già di per sè, se anche argomenti più va- P) De Lorenzo G., La fauna Bentho-Nektonica della Pietra Leccese , 1893, Rendic. R. Acc. Lincei, voi. II, ser. 5, fase. 3, 4. 624 Gr. DAINELLI lidi non ci soccorressero, che essi non si sono depositati in sedi- menti litorali, dove il moto ondoso facilmente li avrebbe potuti frantumare contro il fondo del mare; e Tessersi in alcune im- pronte conservati gli ornamenti più fini e delicati della super- ficie conchigliare mostra pure che è mancata affatto questa azione meccanica della spiaggia ; se oggi le parti calcaree mancano in molta parte, ciò dipende dal disfacimento prodotto dalle acque stesse superficiali, facilmente permeanti nella roccia. D’altra parte l’assenza di grandi Briozoari, di Coralli costruttori (ne abbiamo una sola specie), di Alghe calcarifere, e la presenza di generi e specie proprie di mare più profondo : tutto ciò fa escludere che si tratti di un sedimento depositatosi nella zona delle laminarie, e appartenente cioè alTElveziano di Mayer o Serravalliano di Pareto. Il numero invece assai grande di coralli isolati ( Ceratotro - cìms, Flabellum, Stephanophyllia, Balanopliyllia, Dendrophyllia), abbondantissimi, se non come specie, certo come individui, ci potrebbe far supporre di aver presente una formazione coralli- gena, almeno nel significato che le dettero il Jeffreys, il Mon- terosato ed altri autori recenti, piuttosto che una di mare pro- fondo; ma, per quanto « on peut quelquefois raisonnablement rester dans l’incertitude sur Tattribution des couches intermé- diaires à cette zone ou à la zone coralligène » (1), io sono di parere di riferire il giacimento fossilifero da me studiato, an- ziché alla detta zona eoralligena, cioè al Tortoniano di Mayer e Pareto, piuttosto alla zona immediatamente più profonda, cioè al Langhiano di quei medesimi autori ; del quale possiede in prevalenza la fauna numerosa e caratteristica, di Brachiopodi, Gasteropodi, Lamellibrancliiati, Cefalopodi, Pesci, e perfino di grandi Mammiferi pelagici, il cui valore batimetrico è buona base di riferimento. Per cui questa mia fauna ritengo coeva e in parte corrispon- dente a quella della Pietra Leccese, a quella dello Sclilier di Malta, dell’argilla di Fangario in Sardegna, delle formazioni arenaceo- marnose dell’Umbria, delle marne del Monferrato, e di altri si- (l) De Stefani C., Les terraìns tertiaires supérieurs du bassin de la Mediterranée, 1893, pag. 21. APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MERID. DEL CAPO DI LEUCA 625 mili depositi italiani, di Toscana, Romagna, Piemonte, e appar- tenente cioè al Langhiano di Mayer e Pareto; credo però che essa sia stata depositata a profondità alquanto minori dei ter- reni ora indicati e della stessa pietra leccese. Terreni neogenici recenti. — In tutta quanta la regione da me visitata non affiorano in nessuna località le argille; non che vi manchino, per quanto assai limitate, come attestano i pozzi nella piazza principale di Gagliano, durante la cui escavazione uscirono, appunto dalle argille, resti carboniosi, sotto forma di una lignite poco abbondante e nella quale la carbonizzazione era poco avanzata. Disgraziatamente non ho trovato pozzi in via di escavazione, nè quelli di Gagliano avevano bocca sufficientemente larga da poter essere esplorati; non posso quindi citare fossili delle ar- gille, e l’età di queste, senza dati paleontologici, potrò dedurre solo, con incerta approssimazione, dal rapporto stratigrafico che esse hanno con le altre roccie neogeniche recenti, che affiorano estesamente sotto altra forma. Sono queste tufi più o meno compatti, costituiti da sabbie calcaree saldamente cementate, nella cui intima costituzione si riconoscono molti e minutissimi frammenti conchig'liari, e che contengono poi anche fossili in buono stato di conservazione, e abbondanti, sopra tutto come numero di individui, se non come specie. Talvolta questi tufi si mostrano grossolanaYnente concre- zionati, come alla Punta Mèliso, tal’altra costituiti da elementi sottili come sulla riva del seno di mare formato dalla Punta Mèliso e dalla Ristola; presentano una struttura farinosa, come si osserva talvolta localmente lungo la strada tra le Casine di Leuca e Castrignano, od una struttura mediocremente granulare, come per lo più nelle pianure di Alessano, di Barbarono e di Castrignano; possono avere un colore giallo-chiaro, come alla Punta Mèliso e alle Casine di Leuca e per non lunga estensione dietro di queste, costituendo allora il tufo propriamente detto, od un colore rossiccio più o meno scuro, formando quella va- rietà che gli abitanti distinguono col nome speciale di càrparo. Questo è assai più saldo e resistente di quello, per quanto tal- volta meno compatto; e l’uno e l’altro sono attivamente esca- vati in bei blocchi regolari, come materiale da costruzione, che 626 G. DA1NELLI offre il vantaggio di una facile lavorazione e di un modico prezzo, ma che facilmente si altera sotto l’influenza degli agenti atmosferici; il càrparo stesso presenta poi differenze di compat- tezza e di consistenza, tanto, ad esempio, che, mentre un cava- tore taglia comodamente in un giorno 30 blocchi della roccia che affiora a Giuliano, riesce solo a compiere un lavoro minore della metà nel giacimento tufaceo che è presso la Masseria Yerginelli al di sopra delle Macchie di Romano. Questi tufi sono assai spesso fossiliferi, ma per la compat- tezza loro e per la loro costituzione granulare si può solo iso- lare una fauna in assai imperfetto stato di conservazione, e che poi è, come ho già detto, abbondante più per numero di esem- plari che di specie. Tre sono le località più riccamente fossilifere, nelle quali ho potuto fare più ampia raccolta; tutte contengono abbondanti Lithotliamnium ; nel tufo della Punta Méliso ho trovato: Spatangus purpureus Leske ; Psammechinus mi ero t aber cui a tus Agassiz ; Terebratula Scillae Seguenza ; Megcrlea truncata Linneo; Crania lamellosa Seguenza; Gadinia nitida n. sp. ; Ostrea cochlear Poli ; Pecten opercularis Linneo ; Pecten Jacobaeus Linneo; Pecten inflexus Poli ; Pecten flexuosus Poli ; Pecten subclavatus Contraine; Modiola marmorata Forbes; Pectunculus pilosus Linneo; Venus casina Linneo; tra le quali specie, più numerose per esemplari sono la Tere- bratula Scillae Seguenza e qualche Pecten. Tra i fossili raccolti nella pianura di Alessano, presso al paese, ho riconosciuto: Spatangus purpureus Leske ; Turritella lyciensis De Franchis ; APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MERID. DEL CAPO DI LEUCA '627 Natica millepunctata Lamarck ; Ostrea lamellosa Brocchi; Anomia ephippium Linneo ; Pecten opercularis Linneo ; Pectcn Jacobaeus Linneo; Pectunculus bimaculatus Poli ; Pectunculus pilosus Linneo ; Pectunculus flammulatus Renier ; Cardimi erinacenm Lamarck ; Cyprina islandica Linneo ; Cytherea eli ione Linneo; Venus casina Linneo; Venus fasciata Da Costa; tra le quali forme abbondano, per numero di individui, i Pecten e le Venus. Sulla spiaggia di Novaglie, a Nord di Gagliano del Capo, ho raccolto: Rhynchonella bipartita Brocchi; Calyptraea chinensis Linneo; Natica millepunctata Lamarck ; Trochus magus Linneo; Ostrea cochlcar Poli; Ostrea lamellosa Brocchi; Anomia ephippimn Linneo ; Pecten varius Linneo; Pecten opercularis Linneo; Pecten Jacobaeus Linneo; Modiola adriatica Lamarck; Pectunculus pilosus Linneo; Cardium norvegicum Spengler; Cytlierea chionc Linneo ; Venus casina Linneo; Venus fasciata Da Costa ; Venus ovata Pennant; Solecurtus antiquatus Pulteney; tra le quali specie pure, come presso Alessano, abbondano i Pecten e le Venus. 628 G. DAINELLI Troppo poco ricche sono queste faune dei terreni neogenici recenti del Capo di Leuca, per potere portare un argomento decisivo nell’interpretazione cronologica dei terreni analoghi e in parte certamente sincroni, tanto abbondanti nell’Italia meri- dionale, e che hanno avuto, in specie in questi ultimi tempi, sì numerosi e sì valenti illustratori. Questa più giovane fauna della regione da me visitata, come pure quelle più antiche, cretacea e miocenica, delle quali ho già brevemente parlato, non è stata finora enumerata e descritta; De Giorgi (Q solo cita dei fossili provenienti dalla Punta Mèliso, e li attribuisce alla zona inferiore del Pliocene recente di Se- guenza, chiamando analoghi i tufi che si stendono a nord di Leuca tra le colline cretacee ; però, aveva già riferito alla zona superiore del Pliocene recente di Seguenza, il tufo della pia- nura di Alessano ( 2 ), attribuendogli così un’età di poco più gio- vane. Ora, il Pliocene recente di Seguenza, corrispondente al Neiver Pliocene di Lyell, è il Postpliocene inferiore , come scrisse il De Stefani (3) e come ammettesi generalmente. Se prendiamo adesso ad esaminare i fossili da me deter- minati, vedremo che nella prima località, la Punta Mèliso, dove la roccia si può chiamare un tufo conerezionato a Terebratula Scillae Seguenza, sopra 15 specie, 4 sono estinte, cioè: Pecten subclavatus Contraine, Gadinia nitida n. sp., Terebratula Scillae Seguenza, Crania lamellosa Seguenza; ciò che dà una propor- zione del 26,6 °/0 di forme adesso non più viventi nel Mediterra- neo; ma se si aggiungono le specie che non si riscontrano nel mio elenco, e che De Giorgi ha trovato nella stessa località (4), cioè : Ostrea cristata Born ; Pectunculus glycimeris Linneo; Cardimi tuberculatwn Linneo ; Calyptraea vulgaris Linneo ; Turritelda communis Risso ; (') De Giorgi C., Note geologiche sulla provincia di Lecce, 1876, pag. 134 e seg. (2) De Giorgi C., Op. cit., pag. 64 e seg. (3) De Stefani C., Les terr. tert. super, du Bassin de la Mediter- ranée, 1893, pag. 188 e seg. C) De Giorgi C., Op. cit., pag. 134. APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MERIO. DEL CAPO DI LEUCA 629 quella proporzione scenderà al 20 °/0, mentre nel Pliocene tipico oscilla tra il 50 e il 25 per cento (*); non porto però questo, come molto valido argomento per riferire il terreno della Punta Mèliso ad uno piuttosto che a un altro piano, perché, come osservano Di Stefano e Viola (2), il criterio della propor- zione centesimale delle specie estinte per determinare l’età geo- logica di un terreno può condurre ad errori, (piando la fauna non è abbastanza ricca e nota. Però, qui, nel caso presente, abbiamo una fauna, se non abbondante, tuttavia ben determinata, per la presenza della Tenebratala Scillae Seguenza, la quale nelle marne ed argille marnose di Matera e Gravina, servì a Di Stefano e Viola nel determinare con buona approssimazione l’età di quei terreni. Essi infatti dicono (3) : « Questa specie fu dal Prof. Seguenza riguardata come caratteristica della parte inferiore del suo Plio- cene recente, sinonimo di Postpliocene inferiore, e trovata poi in istrati della Calabria creduti astiani (Cosentino, Valanidi, Gallina, ecc.), ma che possono appartenere al Postpliocene infe- riore o a strati di passaggio, e in altri riferiti al Siciliano (Pantani, Reggio). Tale specie si raccoglie anche nella parte superiore del Pliocene di Altavilla presso Palermo, come si trae dai belli esemplari conservati nel Museo geologico di quella Università; ma generalmente si presenta in Sicilia e in Calabria, e anche in Puglia, in depositi che sono paragonabili a quelli di Monte Mario e di Vallebiaia» «Esse (argille) rappresen- tano un livello più elevato di quello indubbiamente pliocenico (Andonino).. . e vanno probabilmente poste accanto agli strati di Gallina, Monte Mario e Vallebiaia» , cioè «non del tutto a torto alla parte più bassa del Postpliocene». Essendo tali le conclusioni di Di Stefano e Viola, non credo che Virgilio (4) li abbia bene citati quando ne riporta le seguenti parole, a provare la pliocenità, da lui ammessa, di questi ter- reni di Matera e Gravina : « . . . è bene, per ragioni di oppor- ci Di Stefano G., Oss. sul Plioc. e Postpl. di Sciucca, 1889, pag. 104. O Di Stefano G. e Viola C., L’età dei tufi di Matera e Gravina, 1892 pag. 26. (3) Di Stefano e Viola, Op. cit., pag. 24. C) Virgilio F., Geomor forjenia della Provincia di Pari, 1900, pag. 76 630 G. D AINELLI tnnità, che nel rilevamento della carta geologica della Puglia e della Basilicata le argille marnose a Terébratula Scillae siano associate alla porzione più elevata del Pliocene, come abbiamo fatto nelle sezioni che accompagnano il presente lavoro». Non credo, ripeto, che li abbia bene citati, perchè questi autori, dopo le conclusioni che ho riportato, motivano questo loro de- siderio, in parte solo per eliminare difficoltà cartografiche, sic- come « le controversie inerenti alle questioni dei limiti tra i piani non possono trovare utilmente la loro espressione sulle carte geologiche, e siccome si è lungi dall’essere d’accordo sulla necessità di porre simili livelli nel Quaternario ». Concludendo, per il carattere della fauna raccolta nel tufo della Punta Mèliso, reputo questo più giovane del tipico Plio- cene; lo credo un termine contemporaneo al 3° livello dei ter- reni neogenici di Matera e Gravina intorno al quale ho ripor- tato in gran parte le parole di Di Stefano e Viola, e da Vir- gilio riferito al Piacenziano superiore; contemporaneo alle marne ed argille a Terebrntula Scillae della valle del Bradano; allo zuppigno di Taranto (x), che De Angelis ascrive al Pliocene dopo aver detto : « oserei affermare che indica il passaggio tra il Pliocene e il Postpliocene, con carattere però più pliocenico che quaternario » ; contemporaneo infine al tufo del Bacino di Galatina (2) che De Franchis pone nel postpliocene inferiore; infatti terreni veramente Pliocenici, o Piacenziani o Astiani che dir si voglia, esistono in quelle regioni, come quelli di Lacedonia descritti ultimamente dal Chelussi, e come i calcari di Apricena descritti dal Kicciardelli, ma hanno in verità ca- ratteri paleontologici assai diversi. Se prendiamo adesso a considerare i fossili delle altre due località dove io ne ho potuto fare raccolta, vedremo che ad Alessano sopra 15 specie una sola è estinta, la Turritclla ly- ciensis De Franchis, ciò che dà una percentuale di 6,6 di forme oggi non più viventi; ed a Novaglie su 18 specie, pure una (*) (*) Verri A. e De Angelis d’Ossat G., Cenni sulla Geologia dì Taranto. Boll. Soc. Geol. It., 1899, pag. 179. (2) De Franchis F., Descr. comp. dei moli, postpl. del bue. di Galatina. Boll. Soc. Malt. It., 1894. — Ricerche sui terr. del bac. di Galatina. Boll. Soc. Geol. It , 1897, pag. 123. APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MERITI. DEL CAPO DI I.EUCA 631 sola estinta, la Rhynchonella bipartita Brocchi, ciò che dà la proporzione del 5,5 per cento; ed anche se uniamo, perchè non sembri che io aggiusti le cifre a mio comodo, i fossili delle due località, che in gran parte sono uguali, avremo un totale di 23 specie, delle quali 2 estinte, ciò che dà la percentuale maggiore di 8,69. Si noti però che di queste due specie, oggi scomparse, una, la Rhynclionella bipartita Brocchi è di tipo pliocenico, ma l’altra, la Turritella lyciensis De Franchis, è stata trovata solo nel bacino di Galatina, nelle argille supe- riori al càrparo , cioè in terreno certamente postpliocenico. Data perciò la esigua proporzione centesimale delle specie estinte; dato il carattere, più recente che pliocenico, della fauna; data anche la presenza della Cyprina islandica Linneo, che Senza dubbio ha un buon valore cronologico, per quanto Virgilio cerchi di provare il contrario (4); pongo questi tufi nel Post- pliocene inferiore e medio, con qualche probabile maggiore an- tichità del tufo di tovaglie rispetto a quello più esteso di Alessano; a quel livello cioè cui il De Stefani, per il bacino del Mediterraneo, ha dato appunto il nome di strati a Cyprina islandica (1 2), e li faccio perciò contemporanei delle argille sab- biose di Matera e Gravina, superiori alle marne a Terebratula Scillae, delle quali argille Virgilio, dopo aver riportato la lista dei fossili data da Di Stefano e Viola, senza accettarne però le conclusioni, fa risalire vagamente l’età « al piano Astiano della serie Pliocene, ed al piano Siciliano della serie Postplio- cene » (3) ; contemporanei al massaro ed al càrparo di Ta- ranto; alle argille sabbiose della valle del Bradano; alle sabbie argillose, sottostanti ai tufi, di Sciacca (4) ; alle argille sabbiose di Galatina, e infine ai tanti altri giacimenti mediterranei simili . Ed in ciò concorda il Prof. Taramelli, il quale dice: « Co- munque voglia interpretarsi la presenza di specie nordiche nei tufi calcari superiori e nelle argille e sabbie pleistoceniche dei dintorni di Matera, Gravina, Taranto, Lecce e Galatina, credo (1) Virgilio F., op. cit., pag. 91. (2) De Stefani C., op. cit., pag. 175 e seg. (3) Virgilio F., op. cit., pag. 84. (4) Di Stefano G., Oss. sul Plioc. e Postplioc. di Sciacca. Boll. R. Com. Geol., 1889. 632 G. DAINELLI clie non si possa disconoscere che quei depositi siano più re- centi del pliocene, epperò coevi coi nostri depositi sicuramente quaternari » ('). Ammessa per tale l’età dei tufi, ritengo incerta l’età delle argille, alle quali dianzi ho accennato; esse infatti, come già ho detto, non affiorano nel territorio che è stato oggetto del mio studio, ma delimitano solo lo strato acquifero dal quale sono alimentati i pozzi di Gagliano, e per questo devono essere evidentemente sottostanti ai tufi. Per questa ragione potrebbe risalire la loro età al pliocene, senza poterla più particolar- mente precisare, in mancanza assoluta di dati paleontologici, perchè è pur possibile che sieno postplioceniche come veramente sono le argille nelle rimanenti parti delle Puglie, ad esempio quelle di S. Severo in Provincia di Foggia, descritte dal Ric- ciardelli. Una roccia invece che cuopre per grandi estensioni la re- gione da me visitata, è la crosta, per la quale non ho sentito usare dagli abitanti del paese il nome speciale di chiancaredda, che De Franchis cita per la roccia analoga del bacino di Ga- latina; la chiamano invece, ma non sempre, pietra morta, in contrapposizione al marmore, o pietra viva, perchè quella ha suono sordo, è meno compatta, e generalmente suscettibile di facile rottura. Del resto è roccia di aspetto variabilissimo : spesso è data da un materiale frammentizio, grossolano; talora costituisce una vera breccia, i cui elementi sono ciottoli di calcare compatto cretaceo, distinguibile, anche pel solo colore, dal cemento che li unisce; oppure è un vero e proprio calcare concrezionato, bianco, farinoso, punto resistente ai colpi del mar- tello. Non è in genere fossilifero; in sezioni microscopiche che ne ho fatto, mostra numerosi e minuti frammenti di Foramini- fere; raramente presenta delle impronte organiche, e piccole parti di nuclei interni di Gasteropodi, dei quali è impossibile una determinazione anche generica; solo una Lima ho trovato presso la chiesa di S. Francesco, conservata come modello in- U) Taramelli T., Di due casi di idrografia sotterranea nelle provvide di Treviso e di Lecce, 1899, pag. 10. APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MER1D. DEL CAPO DI LEUCA G33 terno, e die si può ravvicinare alla Radula lima Linneo (~ Lima squamosa Lamarck). Questa crosta talora, come ho detto, non è resistente; ma spesso invece è molto compatta e salda; può presentarsi in grandi e lisci lastroni, o corrosa e forata da numerosi vacui, riempiti dalla terra vegetale, che in gran parte si forma a sue spese. Questa roccia, che è la più alta di tutte, ed è sopportata in genere dai tufi, ma può anche poggiare direttamente sul cal- care cretaceo, è senza dubbio la più giovane di quante ne ab- biamo incontrate. E recente ed attuale è pure infine la formazione di dune, che appariscono sulla riva dell’Ionio, poco a Sud del Posto Vecchio di Salve. Il Prof. De Giorgi, nelle sue « Note Geologiche sulla Pro- vincia di Lecce », che tante volte ho avuto occasione di citare, parla, della configurazione morfologica del Capo di Leuca, a lungo e assai competentemente, per la conoscenza che egli ha del Leccese, sua patria. Sarebbe per questo inutile, da parte mia, ripetere cose già dette con tanta evidenza e chiarezza; pure solo poche parole credo necessarie, onde meglio spiegare la stratigrafia, assai semplice del resto, di questa estrema punta d’Italia. Chi guardi dal mare la punta di Leuca, vedrà protendersi ai due lati due alte scogliere, che dalla massima altezza (100- 130 metri) declinano lentamente verso l’acqua, sulla quale poi terminano a perpendicolo; le punte loro più meridionali, Mèliso ad oriente, Pistola ad occidente, limitano un breve seno di mare, sulle cui rive dolcemente ascendenti s’adagiano le ville delle Casine di Leuca; dietro si stende la pianura, verso la quale scendono le scogliere laterali con pendìo, dolce per l’orien- tale, più ripido per quella opposta: così si delinea fino da qui il diverso aspetto che questi rilievi presentano sui loro fianchi opposti. Essi si prolungano a nord, mantenendosi sempre vicini al mare, in specie quello adriatico, mentre di poco se 634 G. DA1NELLI ne discosta quello ionico; di qui ne deriva, da una parte, per la divergenza loro, la forma triangolare della pianura che in- tercede tra essi; dall’altra, per la diversa distanza del mare, l’aspetto loro esterno, ripido, scosceso, impraticabile quasi sempre, per il rilievo orientale ; invece più dolce e facilmente accessibile, per quello opposto. Ed infatti, da Corsano alla Punta del Mè- liso, solo pochi e difficili sentieri, conducono sulle rive del mare, per il fosso dei Catrini, per la strada da poco tracciata che conduce a No vaglie, per quella specie di spaccatura chia- mata il Ciolo, presso a Gagliano ; e sulle estreme ripe scoscese non alligna quasi mai vegetazione alcuna, perchè la terra ve- getale non ha luogo di accumularsi affatto per il troppo ripido pendìo; invece da Presicce alla punta della Pistola, numerose strade conducono al mare, attraverso alla serra ionica, in gran parte coltivata, e spesso anche boschiva. E l’inverso succede, ma in proporzioni minori, sui fianchi opposti, che scendono verso la pianura centrale; questa, limi- tata ad oriente da un rilievo il cui asse ha la direzione N.-S., e ad occidente da un altro che decorre da S.-E. a N.-O., deve naturalmente allargarsi, via via che dalle Casine di Leuca ci si spinge verso settentrione; senonchè, giunti poco oltre Ari- gliano, diretti a Montesardo, ci accorgeremo che il terreno s’ inalza dolcemente, tendendo a far distinguere nella pianura centrale due avvallamenti minori e laterali. E da Montesardo poi, ove la nuova collina ha raggiunto la massima altezza (185 m.) si continua una serra verso N.-O., parallela a quella ionica, di- vergente con quella adriatica, determinando la separazione netta delle due pianure, che già oltre Arigliano cominciavano a deli- nearsi; delle quali una, ad occidente, diretta verso N.-O., ri- stretta, chiusa tra la serra centrale e quella Palitte o Filippi, e spingentesi da Giuliano verso oltre Presicce; l’altra ad oriente, triangolare, aperta al nord verso Specchia e Tri case e limitata tra le colline di Montesardo e Alessano, ed il lungo rilievo adriatico. Questi rilievi del Capo di Leuca, almeno nella parte più meridionale che ho visitata, si presentano, più che come tre creste regolari, come tre scaglioni, ripidi sul fianco orientale, e a dolce pendìo su quello opposto; a questa condizione avevo APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MERID. DEL CAPO DI LEUCA 635 già accennato per le estreme punte che fiancheggiano le Casino di Leuca, e se per altro in esse non è chiaramente visibile, ciò dipende dal fatto che il sistema ionico non ha lì abbastanza spazio per distendersi verso il mare, ma è da questo come tagliato a breve distanza dalla sua massima altezza; sì che le alte ripe che ne derivano presentano, dietro la punta Ristola, quasi lo stesso aspetto di quelle del sistema adriatico, dietro la punta Mèliso. Ma se si prosegue più a N., per la leggiera divergenza che c’è tra l’asse centrale del sistema ionico, e la vicina riva del mare, vedremo la serra discendere dolcemente, per l’aumen- tato spazio, verso occidente, e diminuire sempre più l’altezza delle ripe battute dall’acqua; finché, giunti oltre la torre di Yado, lo spazio, anziché far difetto, abbonda, e presso al mare si ha una vera pianura sabbiosa, con formazione di dune e di acquitrini. Lo stesso succede nell’interno: la pianura di Leuca è tron- cata, lungo la linea Patù-Casine, da un alto gradino ; dalla parte opposta invece, sale per insensibili gradi verso le massime altezze di Montelungo; la pianura tra Presicce e Giuliano è limitata a S.-E. dalla serra Falitte, elevantesi improvvisamente, e a N.-O. dalle pendici poco inclinate della serra centrale; la pianura di Alessano, chiusa da una parte da una specie di muraglia irregolare formata dagli strati che si prolungano da Montesardo, sale lentamente verso il rilievo adriatico. Le roccie, come abbiamo veduto, sono tutte, almeno quelle che affiorano, calcaree: o compatte, o tufacee, o concrezionate e brecciate ; di qui ne viene la mancanza di corsi d’acqua re- golari, e la presenza di quei fenomeni carsici, che hanno avuto tanti illustratori, anche per questa regione; chè, se la grande diffusione delle roccie tufacee offre una differenza litologica tra questi terreni e quelli caratteristici della riva orientale dell’Adria- tico, dal Carso Triestino al Montenegro, non per questo può impedire, anzi può facilitare per la loro grande permeabilità, il manifestarsi di quei fenomeni d’ idrografia, tanto abbondanti in tutta la regione oltre l’Adriatico, e che dal ristretto Carso han preso il nome. Così le vore di Barbarano ne sono esempio assai noto, e la mancanza di sorgenti sub-terrestri, e la presenza di sorgenti, numerose e ricche, sottomarine, come al Ciolo. Il 50 636 G. DAINELLI piano acquifero, determinato dalle argille sotto a Gagliano, è affatto locale e assai limitato. In questa regione, del cui semplice aspetto morfologico ho dato rapido cenno, l’ossatura del sistema collinesco è formata per intero dal calcare compatto cretaceo, depositatosi in alti strati regolari, che si piegano in ampie ondulazioni, delle quali le anticlinali formano i tre rilievi, e le sinclinali il fondo delle pianure interposte, coperte poi dalle sedimentazioni più giovani: la direzione e l’inclinazione degli strati è quasi sempre visi- bile, quella nel senso degli assi delle colline, questa variante da un posto all’altro tra un minimo di circa 10° e un massimo di circa 35°. Le testate appariscono in special modo sui fianchi orientali delle anticlinali, corrispondenti al gradino formato dai vari scaglioni, così lungo tutta la riviera adriatica, ad occi- dente di Alessano e ad occidente della pianura di Barbarano: per vedere in modo evidente la formazione ad anticlinale di queste colline, è assai istruttivo percorrere la strada che da Alessano conduce, per Montesardo, ad Arigliano: l’immersione degli strati cretacei che prima, sul fianco orientale, era netta- mente verso N.-E., via via che si attraversa, da un versante all’altro, la collina, gira da E. per il N. verso l’O., e nello stesso tempo diminuisce l’ inclinazione, arrivando ad un minimo, vicino alla orizzontalità, presso al vertice; finche poi, oltrepassato Mon- tesardo, gli strati si immergono verso S.-O., riprendendo una inclinazione all’ incirca uguale a quella del fianco opposto. Ab- biamo così tre grandi zone cretacee, estese in direzione generale da N. a S.: la più orientale, corrispondente al rilievo adriatico, assai stretta; la centrale, che si protende poco verso il mezzo- giorno; la terza, che forma le colline ioniche, più larga di tutte. La creta affiora poi tra Gagliano e Salignano, presso alla chiesa di S. Francesco, e un po’ più a N. vicino ad Arigliano. L’Eocene, indicato, nelle carte del Comitato Geologico, come affiorante nella parte meridionale del Capo di Leuca, da me visitata, e soggetto di questa mia Memoria, non esiste affatto, e per ritrovarne il primo giacimento, bisogna risalire al nord, lungo il mare, fin presso al porto di Tricase. Il Miocene medio affiora solo sopra la collina adriatica, diret- tamente poggiando sul cretaceo sottoposto; trovandosi esso al APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MERID. DEL CAPO DI LEUCA 637 culmine pianeggiante dell’altura, ed in terreni in gran parte coltivati, non ne è visibile una vera e propria stratificazione ; del resto la potenza è assai piccola, perchè gli abitanti nel dis- sodare il terreno per la coltura dei campi, trovano ben presto il calcare compatto. Questo fragiulo si estende da sopra Mon- telungo verso Gagliano per un tratto che può essere di un chi- lometro e mezzo o poco più; lascia libera ad oriente una non larga striscia di cretaceo lungo il mare, e ad oriente rasenta le masserie Cucuruzzi e Bitonto, insinuandosi un poco più oltre tra l’una e l’altra. Il Prof. De Giorgi, pregato da me, prima della mia partenza per il Leccese, di indicarmi la località ove questa lumachella affiora, mi aveva risposto trovarsi essa anche al ponte dei Le- vati, dietro alle Casine di Leuca ; per quante ricerche vi abbia fatto, non vi ho potuto trovare la roccia in questione; ma poi il Prof. De Giorgi stesso mi ebbe a dire che egli ne aveva rac- colti i fossili solo a 14 o 15 metri di profondità durante certi lavori di escavazione; e ciò, mentre da una parte concordava colle mie vane ricerche, fa supporre che questo sedimento del miocene medio debba essere assai più esteso di quel che non apparisca alla superficie. L’argilla pliocenica non affiora in nessun luogo ; a Gagliano però è stata riscontrata nella escavazione dei numerosi pozzi che sono nella piazza principale del paese; questi, secondo le notizie che ho potuto raccogliere, sono profondi dai 4 ai 10 metri, e tanto più, quanto più da E. si va verso 0 ; e ciò ci insegna che lo strato acquifero, sopra all’argilla, si immerge in quella direzione, sopra al sottoposto cretaceo, inclinato verso il centro della sinclinale; tanto è vero che in tempo di siccità i pozzi più orientali sono i primi ad asciugarsi. Le formazioni più recenti si stendono su larga superficie nelle pianure interposte tra i sistemi collineschi, dalle Casine di Leuca fino a Giuliano ed Arigliano, di dove si dividono, parte a N.-O. per Barbarano verso Presicce, parte a N. verso Corsano e Alessano ; si trovano poi anche sull’altipiano di Mor- dano, dove, presso le masserie Monaci, Romano e Yerginelli affiora il tufo, e per più grande estensione appare la crosta. 638 G. DA1NEI.LI Subito dietro le Casine di Leuca si trova vero tufo, che si di- lunga abbastanza a lato della strada che conduce a Patù; ma mostra facili passaggi alla varietà detta càrparo, che appare già presso la punta Pistola ad oriente del Semaforo sotto la Foresta di Santoro, ed è poi molto diffuso nelle pianure di Bar- barano e di Alessano ; queste roccie tufacee hanno una sedimen- tazione uniforme ed omogenea, tanto che non sono mai visibili veri strati, nemmeno nei tagli fatti artificialmente per la esca- vazione, come in spaccati naturali, per es., nel fosso che co- steggia per un poco la strada Casine-Castrignano : è certamente però una sedimentazione quasi sempre orizzontale. Il tufo della punta Mèliso, che ho detto più antico, è separato da ogni altro, dalla roccia cretacea che scende al mare a lato del Faro e della Chiesa di Santa Maria di Leuca; ha un’apparenza un po’ di- versa da quella del vicino tufo delle Casine, che è più fina- mente granulare, meno concrezionato, meno compatto, e meno resistente; e d’altra parte non avendo questo fossili, che pos- sano collegarlo a quello, lo unisco con le sedimentazioni che si estendono a nord, e colle quali è intimamente legato, e tengo invece separato a sè il tufo della punta Mèliso. Considerando però come questo ultimo sia ristretto e mal si presti a una distinzione cartografica, ho rappresentato, nell’abbozzare la carta geologica della regione da me visitata, con un solo colore tutte le roccie neogeniche recenti, riunendole sotto il nome unico di Postplio- cene. Chiuderò le mie osservazioni su questa parte meridionale del Leccese, citando, come ben appropriate, le parole che il Prof. Taramelli usava per la intera regione : « Da quanto mi parve di comprendere, non tanto per le mie osservazioni che furono scarse e di pochi giorni, quanto dagli scritti dei signori Botti, Capellini, De Giorgi e De Franchis, e da notizie assunte dal per- sonale del B. Ufficio geologico, trattasi piuttosto di una regione dove le accidentalità prodotte dal corrugamento posteocenico fu- rono obliterate dalla erosione e dal deposito di sedimenti ter- ziari e quaternari ... ; contrariamente a quanto si credeva alcuni anni fa, l’emersione della penisola salentina è recentissima, come quella della penisola calabrese, poiché i sedimenti pleistocenici APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MERID. DEL CAPO DI LEUCA 639 vi giungono quasi alle massime altitudini » (1). Fatto, questo, provato, nel nostro caso, dal tufo che appare nell’alta pianura di Mordano, e, si può soggiungere, confermato in tutto dalle osservazioni fatte più a settentrione dal Kicciardelli. Da Lecce, avendo un po’ di tempo disponibile, mi recavo, dietro consiglio del Prof. De Giorgi, per la strada di Lèquile, lungo la quale, a sinistra, a circa due chilometri da quella prima città affiora un calcare dolomitico cretaceo, escavato per farne massicciate e breccie da strada. Yi potei raccogliere vari esemplari delle seguenti specie: Actaeonella crassa Dujardin; Actaeonella n. sp. ; Decten De Qiorgiì n. sp. ; Venus Dainellii De Franchis; Apricardia carantonensis d’Orbigny ; Apricardia laevigata D’Orbigny. L’ Actaeonella crassa Dujardin indicherebbe il Turoniano come età di questo terreno; nello stesso tempo le due Apri- cardiae sono, secondo D’Orbigny, proprie del Cenomaniano; e questo piano propendo a credere che sia qui veramente rappre- sentato, tanto più che una di quelle due specie è presente, credo, a questo livello, se non in uno più antico (2), nel bacino di Galatina, che ha pure a comune quella Venus n. sp., alla quale il Prof. De Franchis, avendo ricevuti da me i miei ottimi esem- plari, ha voluto dare il mio nome, facendomi un onore che in- vero non meritavo. (*) (*) Taramelli T., Di due casi di idrografia sotterranea nelle provincie di Treviso e di Lecce , 1899, pag. 11. (2) De Franchis F., Ricerche sui terreni del Bacino di Galatina, Boll. Soc. Geol. It., 1897, pag. 124. 640 G. DAINELLI FOSSILI CRETACEI. Pleurotomaria sp.? Un’impronta esterna mal conservata, col relativo nucleo in- terno, attribuisco non con sicurezza al genere Pleurotomaria. Gli anfratti sono in numero certamente di 8 e forse più, piut- tosto alti, ben distinti l’uno dall’altro per il contorno loro irre- golare ; la spira non è molto inclinata sull’asse della conchiglia, ma questa, per l’altezza degli anfratti ed il loro sviluppo è essa stessa assai alta in confronto al diametro basale, conica, appun- tita. Gli anfratti sono rigonfi presso alla sutura inferiore, poi presentano una depressione, che va a poco a poco diminuendo via via che ci avviciniamo alla sutura superiore ; a questa forma, visibile nella impronta esterna, corrisponde anche quella del nucleo interno. Gli anfratti poi mostrano, indistintamente però, delle ornamentazioni date da solchi trasversali e longitudinali, che vi determinano un aspetto grossolanamente tubercoloso. La sezione è irregolarmente quadrangolare, o con maggiore preci- sione trapezoidale, essendovi due lati, l’inferiore e il superiore quasi paralleli e leggermente curvilinei, e gli altri due, l’esterno e l’interno inclinati e convergenti verso l’alto. Dimensioni: diametro basale 28 mm. ; altezza totale 35 mm. ; altezza dell’ultimo anfratto 8 mm. Questo individuo, che per la forma generale somiglia anche al genere Trochus, attribuisco al genere Pleurotomaria per il fatto della depressione longitudinale degli anfratti, che corri- sponderebbe alla fascia del seno; forma vicina è la Pleuro- tomaria Matheroniana D’Orbigny (Paléont. frane., 1843, tomo II, pag. 264, tav. 201, f. 1-4), la quale però ha la depressione ca- ratteristica al centro degli anfratti, anziché più in basso, come si verifica nel nostro fossile. Località: St. Cesarea. APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MERJD. DEL CATO DI LF.UCA '641 Rostellaria n. sp.? Un frammento di conchiglia, clic riferisco al genere llo- st diaria — pur tenendola separata dai modelli interni, ai quali accennerò, per la forma degli anfratti — mostra alcuni caratteri differenti da quelli di specie già descritte; ma, pur dovendo notare la distinzione, il cattivo stato ed il misero fram- mento di questo Gasteropode mi ritengono dal proporre per esso un nome nuovo. I due soli anfratti visibili sono assai alti, spessi e robusti, ed hanno per ornamentazione delle costole trasver- sali, grosse, tondeggianti, separate da solchi regolari, profondi, e molto più larghi di quel che non sieno larghe le coste stesse. Nell’ultimo anfratto, questi rilievi si estendono assai verso il basso, pure andando attenuandosi sempre più ; ed è anzi questo il carattere che fa distinguere questo frammento dalla lìostel- laria Robinaldina D’Orbigny, nel cui ultimo anfratto le coste sono nette e molto limitate dalla parte del canale (v. D’Orbigny, Paléont. frane., 1843, voi. II, pag. 282, tav. 206, t. 4-5). Striature longitudinali non si vedono affatto ncH’esemplare imperfetto da me trovato; nè altri caratteri si possono osservare; per cui, mentre quello unico, che è chiaramente rimasto, lo tiene sepa- rato da specie già note, credo che sia troppo tenue e poca cosa per autorizzare a fare una specie nuova. Dimensioni : diametro alla base del penultimo anfratto 1 6 mm. ; altezza visibile del penultimo anfratto 10 mm. ; distanza tra i vertici di due costole vicine 2,5 mm. Località: St. Cesarea. Rostellaria sp. Riunisco nello stesso genere alcuni modelli interni dall’aspetto generale di due coni uniti per le basi; gli anfratti superiori ben alti, e, in paragone, di diametro piuttosto piccolo ; l’ultimo ancor più sviluppato, ma sfuggente dal lato opposto alla bocca; questa è allungata, stretta, un poco rigonfia verso il centro; la spira discretamente inclinata sull’asse conchigliare. Località : Ciolo, St. Cesarea. 642 G. DAINELLI Strombus sp. Un modello interno riferisco a tal genere: visibili quattro anfratti ben sviluppati, in specie l’ultimo che è assai alto ed involgente i precedenti; la spira è poco inclinata sull’asse della conchiglia, la bocca allungata, stretta, leggermente ricurva, colla convessità all’esterno. Località: St. Cesarea. Fusus sp. Un’impronta esterna, parziale e imperfetta, deve essere rife- rita al genere Fusus : ha l’ultimo anfratto molto alto, e gli altri pure in proporzione; la conchiglia è conica, allungata, acumi- nata, adorna di piccole costole longitudinali, delle quali restano rare traccie, e di grossi tubercoli situati al centro degli anfratti, dei quali sono il maggiore e più appariscente ornamento ; nell’ul- timo anfratto in specie prendono proporzioni rilevanti. Dimensioni: diametro massimo 22 mm. ; altezza dal centro dell’ultimo anfratto al vertice 23 mm. ; distanza tra i vertici di 2 tubercoli vicini, nell’ultimo anfratto, 10 mm. Si veda, come forma vicina, il Fusus Dupinianus D’Orbigny (Paléont. frane., 1843, tomo II, pag. 334, tav. 222, f. 6-7); esso però ha i tubercoli assai più fitti e meno rilevati. Località: St. Cesarea. Ostrea sp. Un frammento di conchiglia attribuisco al genere Ostrea, senza potere però arrischiare una più precisa determinazione. Presenta esso tre grosse coste equidistanti, acute, a sezione per- fettamente triangolare, divise da solchi in tutto ad esse costole simili, formate da tante squamme sottili soprammesse l’una all’altra. Dimensioni : distanza tra il vertice di due coste adiacenti 6 mm. ; profondità dei solchi 1,5 mm. APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MERID. DEL CAPO DI LEUCA 643 Si confronti, come forme analoghe, YOstrea Milletiana D 'Or- bi gny, YO. frons Parkinson, VO. Diluviana Linneo, V 0. Caran- tonensis D’Orbigny, e tante altre ; anche la Pinna ostrearformis Futterer del Cenomaniano ( Deber einiye Ver steiner tingen aus der Kreideform. der Icarnischm Voralpen. Palaeont. Abhandl., Bd. II, Heft 6, 1896, pag. 21, tav. 6, f. 1-2) presenta ornamenti simili, ma, data la ricchezza e la frequenza di Ostreae che ne sono provviste, ho creduto di attribuire a tal genere il mio frammento. Località: St. Cesarea. Pecten Canavarii n. sp. (Tav. XII, fig. 8). Conchiglia rotondeggiante, allungata, rigonfia, spessa e ro- busta, leggermente trasversa ; l’umbone è assai acuto, prominente, ed assai sviluppato ; la valva destra, la sola conservata, è adorna di 10 coste radiali rotondeggianti, molto rilevate, e tanto più, quanto più son vicine al centro della conchiglia, e limitate da solchi larghi e profondi, a sezione pure regolare e rotonda. Tanto le coste che i solchi presentano degli ornamenti secondari, costi- tuiti da altre coste e da altri solchi radiali, più fitti e meno sentiti, per quanto assai netti e ben visibili. Le alette sono per- dute, e se ne vede soltanto Fattaccatura. Dimensioni: diametro umbono- ventrale 18 mm. ; diametro antero-posteriore 15 mm. Questa specie si avvicina al Pecten Dujardini Roemer, che però ha gli ornamenti radiali intersecati da serie di squamine trasverse, e presenta una assai notevole depressione delle due valve. Località: Il Ciolo. Hippurites Lapeirousei Goldfuss. (Tav. XII, fig. 6; Tav. XIII, fig. 10). Le numerose sezioni naturali che di questo Hippurites ho trovato a St. Cesarea mostravano chiaramente i caratteri esterni, sì da rendere facile la determinazione; e le sezioni artificiali che ne ho fatto, difficili a causa della spatizzazione completa degli 644 G. DA1NELLI strati eonchigliari, la lianno confermata, per quanto da esse non abbia potuto vedere l’apparato interno. Lo strato esterno è spesso da 5 a 6 millimetri, costituito da tante lamine in direzioni tra loro ortogonali, in modo da formare delle caselle, che sono più larghe che alte; la superficie è adorna di costole longitudinali, piuttosto irregolari nella loro distribuzione e nel loro sviluppo, essendo più o meno fitte e più o meno rilevate non solo da individuo a individuo, ma anche in uno stesso esemplare; sono talora ad angolo acuto, che più spesso diviene ottuso, o meglio addirittura rotondeggiante ed abraso. Lungo la valva inferiore, conica o subcilindrica, decorrono i due pilastri ineguali, corti e molto ottusi, in modo che nella sezione non presentano una parte ristretta a mo’ di colletto ed una più interna espansa e rigonfia, ma appariscono come semplici e più o meno larghe concavità; la cresta cardinale manca. Dimensioni: diametro massimo 50 min. Località: St. Cesarea, il Ciolo. Douvillé, dopo aver descritto e figurato vari esemplari di diverse provenienze ( Études sur Ics Rudistes, Mém. de la Soc. Géol. de Prance, 1895, toni. V, fase. I et III, pag. 164, tav. 24, fig. 7-10) come appartenenti all’ Hippurites Lapeirousei Goldfuss tipico, distingue in seguito (op. eit., 1897, tom. VII, fase. Ili, pag. 222, fig. 20) alcune forme, come varietà crassa , per il mag- giore sviluppo delle coste esterne; a questa varietà apparter- rebbero i nostri esemplari, seuonchò Paroua non sembra accet- tarla ( Sopra alcune Rial iste Senoniane dell’ Appennino Meri- dionale, Meni, della R. Acc. delle Se. di Torino, serie II, toni. L, 1900, pag. 11, tav. I, f. 2-3), riunendo come egli fa le sinonimie date da Douvillé nei due luoghi sopra citati. Gli autori pongono tutti nel Dordoniano questa specie, che per l’Italia Parona ha descritto da esemplari trovati nella vallata Genestra a N.-O. di Ariano Puglia, in un calcare bianco marmoreo, e nella trincea- galleria del Pinocchio, tra Ponte e Benevento, in un calcare compatto, di color cereo. Pironaea polystylus Pirona. Due frammenti assai singolari di Rudiste si riconoscono facil- mente come appartenenti al caratteristico genere Pironaea Me- APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MER1D. DEL CAPO DI LEUCA . 645 neghini, e si possono riferire, non ostante il cattivo stato di conservazione, alla sp. Pironaea poìystylus Pirona. Lo strato esterno, nettamente visibile nella roccia incassante, e assai sottile (è spesso 14 millimetri), viene implicato in tutto il suo spessore dalle pieghe numerose che si aggiungono qui alle tre solite e normali delle Hippurites tipiche; la superficie esterna è adorna di larghe coste rotondeggianti, ad ampia curvatura, separate da leggieri solchi o depressioni, che corrispondono alle pieghe degli strati conchigliari verso l’interno. Una ornamen- tazione secondaria, sempre longitudinale, è data da piccole coste, e solchi corrispondenti, a contorno regolarmente curvilineo, di- stanti Timo dall’altro da 1 a 2 millimetri. La cresta cardinale è lunga, piuttosto sottile alla sua base, ingrossata e arrotondata all’estremità, che si piega verso il lato anteriore; il primo pilastro, piuttosto vicino alla cresta cardi- nale, non la uguaglia in lunghezza, ma la sorpassa nello spes- sore, che è anche più uniforme dalla base all’apice; il secondo pilastro poco visibile nel nostro esemplare, sembra però assai forte e robusto, uniforme, più lungo del precedente, e a questo vicino. Oltre a queste tre pieghe principali, e tipiche nel ge- nere Hippurites, se ne aggiungono altre relativamente fitte, il cui numero completo però (8) non è conservato nei nostri esem- plari, lunghe, forti, poco o punto ristrette alla base; e tra esse ancora altre inflessioni secondarie si osservano, per lo più poco profonde, e certamente mai quanto le pieghe di primo ordine. — Dell’apparato cardinale niente è conservato; ma anche gli esem- plari spagnoli, studiati da Douvillé (. Etudes sur les Eudistes, Ména, de la Soc. Géol. de France, 1894, toni. IV, fase. II, pag. 105, tav. 17, f. 4) non l’avevano visibile, ma pure gli altri caratteri sono bastati per una determinazione sicura. Il mio esemplare mostra una leggiera piega secondaria, poco accennata, tra la cresta cardinale ed il primo pilastro: Douvillé dice esplicita- mente che questa piega manca affatto; ma a questo proposito basti vedere 3 delle 4 sezioni da lui stesso figurate (op. cit., tav. 17, f. 1, 2, 4), e appartenenti a esemplari sì italiani che spagnoli, e ci si accorgerà facilmente come tale inflessione esista in realtà anche in essi ; e tanto perfino, che nelle figure 1 e 4 646 G. DA1NELLI si vede anche la superficie esterna un po’ fatta concava, perchè implicati tutti gli strati conchigliari da tale piega. Località: Il Ciolo. Douvillé dice che gli esemplari d’Italia (a nord di Udine, presso Subit) appartengono al Dordoniano, e uguale età attri- buisce a quelli di Spagna (Cuatretonda). Radiolites Paronai n. sp. (Tav. XIII, fig. 1). Numerosi frammenti, conservati in massima parte solo nello strato esterno, riferisco alla specie rinvenuta al M. Gesso, e studiata dal Prof. Parona, il quale ne dava la determinazione di Sphaemlites Mortoni Mantell (Parona, Sopra alcune Rudiste Senoniane dell’ Appennino meridionale, Mem. della E. Acc. delle Se. di Torino, 1900, serie II, tom. I, pag. 15, tav. II, f. 3, 4). Molti dei miei frammenti costituiscono delle sezioni orizzontali, in buono stato di conservazione, dello strato esterno della valva inferiore; le quali corrispondono ad un setto orizzontale, per cui appaiono più o meno lisce, non essendo le caselle visibili direttamente, ma solo per le impronte che i setti verticali vi hanno lasciato. Sopra questa superficie, a partire dal contorno interno, decorrono dei leggieri rilievi, curvilinei, più larghi e più grossi verso la base, più sottili ed evanescenti verso la pe- riferia, i quali presentano una caratteristica dicotomia. Le celle hanno una sezione stretta ed allungata presso il bordo interno, poi diventano irregolarmente poligonali, quasi sempre a 6 lati, finché, verso il bordo esterno, si cambiano in esagoni più o meno regolari, e di dimensioni minori delle precedenti. Questo strato esterno, che, in un nostro esemplare, è spesso 40 millimetri, visto in sezione verticale, mostra le numerose e assai fitte lamelle orizzontali, e quelle verticali, le quali, es- sendo la Radiolites ricurva un po’ da una parte, si mostrano, le prime, rettilinee o quasi, ma non parallele, e invece leg- germente divergenti verso l’esterno; le seconde parallele, ma non rettilinee; le caselle, vedute in questa sezione mostrano maggiori dimensioni andando dall’interno verso l’esterno, come pure dal basso in alto. APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MERID. DEL CAPO DI LEUCA 647 In un esemplare poi, nel quale è conservato il nucleo interno, è chiaramente visibile la piega cardinale, che, appunto come nell’esemplare figurato da Parona (tav. II, f. 4), pur essendo ben pronunciata, non s’addentra molto verso il centro dell’ani- male, ha la base larga e termina, all’interno, con una punta assai acuta. La presenza, nell’esemplare del M. Gesso, della piega car- dinale, faceva già sospettare che esso fosse altra cosa dalla specie di Munteli, che ne è priva; e Parona stesso, mentre la determinava per tale per l’identità del complesso di tutti gli altri caratteri, a giustificare la sua determinazione, che da questa differenza notevole veniva ostacolata, aggiungeva: «nè deve sorprendere che la presenza della piega legamentare non sia stata avvertita da Zittel, che dice questa Rudista immer min in Bruclistuckchen ziemlich sciteli in Gosauthal ». A confermare questo dubbio che sulla determinazione del Parona nasceva, Douvillé, in una recente- recensione da lui fatta sulla memoria di Parona (nella Revue critique de Paleozoologie, 1901, Y, 2, pag. 101) dice: « L’auteur signale également Spliaerulites Montoni Munteli; c’est bien un Sphérulite, ou plus exactement un Ra- diolite, avee aréte ligamentaire, mais ce n’est pas l’espèce de Mantell qui appartient au Genre Biradiolites qui est du groupe de Bir. cornupastonis ». Per cui, mentre per l’identità di tutti i caratteri, ninno eccettuato, unisco i miei frammenti agli esem- plari del M. Gesso, studiati da Parona, credo che gli uni e gli altri appartengano ad una specie nuova, e diversa dal Bira- diolites Montoni Mantell, come afferma Douvillé; quanto all’età, non viene cambiata da questa diversa determinazione, e resta per ciò attribuibile, nel Cretaceo superiore, al piano Dordoniano. Località: St. Cesarea. Radiolites Hoeniugliausi Des Moulins. (Tav. XII, fig. 2). Di questa specie ho trovato numerosi nuclei interni di valva inferiore, e due impronte interne di valva superiore, delle quali una in specie assai ben conservata. Essa coincide esattamente cogli esemplari figurati da Goldfuss ( Petnefacta Germ., 1826, 648 G. DA1NELL1 pag. 301, tav. 164, f. 3 a, b, c) e con la figura schematica data da Fischer ( Manuel de Conchyliologie, 1887, voi. II, pag. 1046, f. 787); il cono superiore del birostro, inclinato verso l’infles- sione legamentare, è acuto, rilevato, leggermente compresso la- teralmente, e ristretto dalla parte opposta alla inflessione stessa, là dove il rilievo periferico, che dalle due parti va a poco a poco abbassandosi, resta interrotto. La piega legamentare è ben sviluppata, un poco allargata e rotondeggiante alla sua estremità; le cavità accessorie, ampie, colla parete esterna regolarmente curvilinea e pieghettata lon- gitudinalmente, e quella interna irregolare ed un poco espansa ai due lati del cono superiore del birostro; discretamente svi- luppate anche le impressioni muscolari. Il cono inferiore del birostro è allungato, conico, acuminato, ricurvo; e i numerosi esemplari di nuclei di valva inferiore che posseggo, mostrano il così detto apparecchio accessorio di Des Moulins, costituito da due rigonfiamenti o specie di grosse co- stole longitudinali, assottigliantisi verso il basso, dove poi spa- riscono, ed ornati di tanti piccoli rilievi e solchi pure longitu- dinali, visibili però solo nella parte loro superiore e più in- grossata. Il JRadiolUes Hoeninghausi Des Moulins appartiene al Dor- doniano, citandolo Groldfuss nel cretaceo della Dordogne e della Charente; Virgilio (Geornorfogenia della Provincia di Bari, 1900, pag. 68) lo vuole proprio del Campaniano. Località: Il Ciolo, St. Cesarea. Radiolites sp.? Frammenti di un’altra Rudista ho trovati in abbondanza, ma conservati in tal maniera, che non rendono possibile una determinazione specifica, e nemmeno una generica, sicura, dal momento che non si può vedere se esiste o no piega cardinale. È visibile parte della superficie esterna, la quale appare munita di numerosi piccoli pori, e adorna di costole longitudi- nali piuttosto grosse e rilevate, arrotondate al loro culmine, e separate da solchi abbastanza profondi, e di uguali dimensioni; in alcuni punti della superficie però tali coste sono assai meno APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MERID. DEL CAPO DI LECCA 649 rilevate e talora perfino sembrano svanire quasi del tutto, forse anche per difetto di fossilizzazione. Lo strato esterno della valva inferiore si può sfaldare rela- tivamente con facilità in lamine normali all’asse della conchi- glia; e la superficie di questi piani o sezioni, appare ornata talora da leggieri rilievi rettilinei radiali, interi però, e sempre da pieghe pure radiali, larghe ed ottuse, che si accentuano di più verso la periferia, dove trovano una corrispondenza nelle coste e nei solchi della superficie esterna della conchiglia. La struttura di questo strato è assai minuta, e le celle molto pic- cole, per quanto discernibili ad occhio nudo, di poco più alte che larghe, ineguali per dimensioni, ed a sezione irregolarmente esagonale. Questi caratteri, tutti e solamente esterni, che i nostri fram- menti hanno a comune cogli esemplari del M. Gesso, studiati dal Prof. Parona, e determinati come Sphaerulites cylindraceus Des Moulins (Parona, Sopra alcune Rudiste Senoniane dell’ Ap- pennino meridionale. Mem. R. Acc. Se. di Torino, 1900, Ser. Ili, tom. L, pag. 14, tav. II, f. 1-2) non possono bastare che ad un semplice ravvicinamento, assai dubitativo; dei caratteri interni infatti, i più importanti nella determinazione specifica, nessuno è visibile ; non si può nemmeno arguire la presenza o no della piega cardinale, ciò che rende dubbia anche la determinazione generica. E quanto in tale genere di studi si debba andar cauti, mostra Douvillé, il quale, nella già citata recensione, dice, degli esemplari di Parona, i quali pure mostrano abbastanza numerosi caratteri, che: «paraissent insufifisamment caractérisés, et res- semblent à beaucoup d’autres Radiolites». Località: St. Cesarea, il Ciolo. Radiolites sp. Numerosi nuclei di valva inferiore di Radiolites non per- mettono che di essi possa dare una determinazione specifica nè tanto meno fare una specie nuova: sono di piccole dimensioni, conici, hanno la superficie solamente striata trasversalmente, ed un apparato accessorio, costituito da due rilievi paralleli allun- gati, schiacciati, assottigliantisi verso il basso, adorni di 3 o 650 G. DA1NELL1 4 piccole coste rotondeggianti e dei relativi solchi frapposti; essi sono poi limitati, sul cono del birostro, da tre solchi larghi e poco profondi che decorrono giù fino all’estremità del nucleo. Lo strato esterno, ben visibile in un esemplare, è poco svilup- pato, raggiungendo lo spessore massimo di 8 o 9 millimetri: le lamelle, assai fitte, sono generalmente sottili, ma di quelle ver- ticali, alcune, a intervalli più o meno regolari, sono ispessite assai, forse dalla saldatura di due o più, in modo da formare come degli strati concentrici; le caselle sono di dimensioni mi- nime, ma pure discernibili ad occhio nudo. La piega cardinale è ben visibile in questo stesso esemplare, acuta e assai rilevata. Dimensioni: diametro massimo 28 mm. Località: Il Ciolo. Radiolites sp. Àncora alcuni esemplari ho trovato di Radiolites, sprovvisti affatto dello strato esterno; la sola superficie dello strato interno offre caratteri troppo semplici e si poco importanti, che non vale la pena il descriverla, come quella che non porterebbe nemmeno a ravvicinamenti verosimilmente giusti. Località: St. Cesarea, il Ciolo. Biradiolites sp. n. (Tav. XII, fig. 1). Un esemplare intero di Biradiolites posso descrivere disgra- ziatamente solo nei caratteri esterni, i quali sono ben visibili, e differiscono da quelli di specie già note. Forma allungata, conica, leggermente ricurva; conchiglia robusta, e forte, dalla valva inferiore assai sviluppata e appuntita, dalla valva supe- riore corta, larga, leggermente convessa. Lo strato esterno, spesso 20 millimetri verso il bordo d’unione delle due valve, lo è solo la metà ed anche meno alla parte inferiore di quella fìssa; è completamente spatizzato; ciò che peraltro non impedisce che si scorga la natura sua, sotto forma di rade caselle, assai ampie, più larghe che alte, orientate su piani curvi ed inclinati sull’asse appunti geol. sulla parte merid. del capo di leuca 651 della conchiglia. In vicinanza in specie della valva superiore le lamelle, che si trovano ad intersecare quelle verticali, sono talmente inclinate, che le sezioni delle caselle assumono la forma di losanghe più o meno allungate. La superficie esterna è rico- perta di numerose costole longitudinali, regolarmente distribuite, rotondeggianti, abbastanza rilevate, divise da solchi assai pro- fondi e stretti ; per avere un’ idea delle dimensioni di questi ornamenti, basti dire che la distanza tra il vertice di due coste contigue varia tra i 3 e i 4 millimetri. Lo strato interno è assai più sottile dell’esterno, raggiun- gendo uno spessore di 3 o 4 millimetri ; è costituito di tante lamine sottili staccate, embricantisi Luna l’altra dall’interno all’esterno, e tanto meno numerose, quando dall’estremità infe- riore della conchiglia si procede verso il bordo vaivare: la su- perficie di contatto dello strato interno verso quello esterno, è adorna longitudinalmente da numerose costole, curvilinee, data la forma arcuata della conchiglia, ben nette, rilevate, piane su- periormente, disgiunte da solchi larghi pressoché il doppio di esse coste; la distanza tra l’una e l’altra è di circa 2 milli- metri. A questi ornamenti corrispondono, nello strato interno della valva superiore uguali solchi e uguali costole (queste forse meno rilevate), disposti concentricamente. Dimensioni approssimate: altezza totale 150 mm. ; diametro massimo 70 mm. Non conoscendo affatto di questa forma i caratteri interni, perchè rimasti invisibili, contro ogni mio tentativo, non posso avvicinarla ad alcun gruppo di forme già note, mentre la chia- rezza dei caratteri esterni permette di descriverla forse come specie nuova. Località: St. Cesarea. 51 652 G. DA1NELLI FOSSILI MIOCENICI. Coralli. Heliastraea confr. Raulini Edwards et Haime. Un piccolo polipaio mostra grandi analogie colla presente spe- cie, alla quale ravvicino: i calici hanno un diametro di circa 2 mm., e sono distanti l’uno dall’altro da 1 a 3 mm. ; presentano una se- zione circolare, columella discretamente sviluppata, lunghi i tra- mezzi del primo ciclo, muraglia sottile; del resto il suo stato di conservazione non permette che un semplice ravvicinamento. Flabellum exteiisum Michelin. Alcuni esemplari di questa specie ben nota; riunisco pure a questa forma un individuo che mostra qualche analogia anche col Flabellum avicula Mieli., ma per il quale, per il suo stato di conservazione assai imperfetto, non posso dare una determi- nazione precisa. Specie miocenica, pliocenica, e vivente. Ceratotroclms duodecimcostatus Goldfuss. Numerosi individui di non dubbia determinazione; alcuni, trovati nella parte inferiore e più compatta della roccia fossi- lifera, mostrano evidenti i caratteri esterni, con leggiere varia- zioni dall’uno all’altro nella Elevatezza delle coste; altri rinve- nuti isolati nella parte superiore, sono in gran parte decorti- cati, ma tuttavia facilmente riconoscibili come appartenenti alla presente specie. Specie miocenica e pliocenica. APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MERID. DEL CAPO DI LEUCA 653 Steplianophyllia iniperialis Michelin. TJn solo esemplare come chiara impronta esterna del calice ; presenta tutti i caratteri di questa specie ben nota e comune. Specie miocenica e pliocenica. Lobophyllia confr. contorta Michelin. Due esemplari, che per il loro cattivo stato di conserva- zione non permettono di riferirli con sicurezza alla presente specie di Michelin; hanno rami brevi, sinuosi, striati longitu- dinalmente, con ripiegature esterne strasversali, muraglia discre- tamente sviluppata, lamelle lunghe, divise da spazi abbastanza grandi. Balanophyllia sp. Numerosi frammenti, per i quali non posso dare determina- zione più precisa. Echinidi. Ecliinolampas scutiformis Desmoulins. Tre esemplari, dei quali uno in specie ben conservato; le dimensioni sono un poco più piccole di quelle date da Loriol ( Déscription des oursins tertiaires de la Suisse, Mém. de la Soc. Paléont. Suisse, voi. II, 1875, pag. 74, Tav. X, fig. 5-6), ma i caratteri sono in tutto corrispondenti alle diagnosi di Leske (JEchinoneus scutiformis ), Desmoulins, Desor, Loriol, ecc. Specie assai comune nelle formazioni del miocene medio : in Francia, Savoia, Svizzera, Nizza, Corsica, Lonigo, Montese. Conoclypeus sp. Un esemplare mal conservato, per il quale non è possibile una determinazione specifica. 654 G. DA1NELLI Brachiopodi. Rhynchonella bipartita Brocchi. (Tav. XIV, fig. 1, 2). Numerosi esemplari, dei quali solo pochi conservano gli strati conchigliari ; la determinazione ne è sicura, avendoli potuti con- frontare con individui di varie località. Quasi tutti hanno liscia la piega del bordo inferiore, e solo alcuni la presentano legger- mente ondulata, mai però pieghettata, come in alcuni esemplari pliocenici ho veduto; confrontandoli coll’individuo trovato nel tufo di Novaglie, e con altri di svariate località del Pliocene italiano, ho notato nei primi, che sono miocenici, dimensioni alquanto minori, una rigonfìezza assai meno sentita, e meno pro- nunziato l’infossamento o depressione della valva ventrale. Questa specie, prima ritenuta propria del Pliocene, è stata già da lungo tempo rinvenuta in tutto quanto il Miocene, e in località disparate: Alta Italia, Palermo, Messina, Malta, Reggio. Terebratula rhomboidea Biondi. (Tav. XIV, fig. 4-11). Numerosi esemplari, e tanto abbondanti rispetto agli altri fossili, da indurmi a chiamare la roccia che li contiene una vera e propria lumachella a Terebratula; ho raccolto facilmente, in quantità assai grande, esemplari di tutte le età e dimensioni, nei quali si possono riconoscere alcune piccole variazioni, in specie nell’entità delle pieghe, pur rimanendo costante e carat- teristico il tipo. Gli individui giovani hanno le pieghe più rilevate, ed in conseguenza più profondi i solchi interposti; quelli adulti, avendo appunto meno marcati questi caratteri, assumono un aspetto ge- nerale più rigonfio e regolare. Il contorno della conchiglia è nettamente pentagonale, al- lungato nel senso umbono-ventrale, tanto che in alcuni esem- plari appare piuttosto triangolare, se visto dalla parte ventrale. Le due valve, unendosi lateralmente, formano un angolo ottuso, APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MERID. DEL CAPO DI LEUCA 655 e tanto più quanto più l’individuo è adulto ; quella dorsale ha due pieghe divergenti, che non appariscono di sotto all’apice, ma solo a circa un terzo dell’altezza vaivare, e terminano molto rilevate e distanti tra di loro, al bordo inferiore ; il solco che le divide è assai profondo, triangolare ; meno sentite invece, ma più larghe, sono le depressioni esterne a ciascuna piega, ed oltre le quali la conchiglia si rileva sensibilmente fino al bordo late- rale. La valva ventrale presenta una forte piega, che quasi dal- l’umbone, giunge fino al bordo inferiore in corrispondenza al solco centrale della valva dorsale: lateralmente sono due solchi, che si partono pure quasi dalFumbone, e giungono, leggermente divergenti, al bordo inferiore, corrispondendo alle due coste della valva opposta ; oltre questi due solchi abbastanza profondi, abbiamo ancora ai due lati una larga piega, non rilevata come la centrale, ma pur tuttavia ben chiara e marcata : corrisponde alle depressioni laterali della valva dorsale. L’umbone è arro- tondato, poco prominente, molto incurvato, sì da nascondere del tutto il deltidio; l’apertura è di grandezza mediocre, circolare, obliqua in alto e all’indietro. La linea di commessura delle due valve, veduta lateralmente, è diritta da principio, poi presenta verso la valva dorsale una leggiera convessità, che ben presto dà luogo ad una concavità assai sentita; la linea di commes- sura, vista nel bordo inferiore, presenta due pieghe profonde, regolari, corrispondenti alle due della valva dorsale, separate da tre solchi diretti in senso opposto, i quali sono ugualmente profondi, tanto che la tangente a quello mediano si mantiene tale anche per quelli laterali. La superficie presenta numerose e sottili strie concentriche d’accrescimento, tra le quali alcune più marcate risaltano a prima vista. Dimensioni di due esemplari: altezza 31-54 mm. ; larghezza massima 28-42 mm. ; Elevatezza delle due valve 19-34 mm. A questa specie Seguenza ( Studi Pai. sui Bradi. Ter z. del- l’It. merid., 1871, pag. 78) faceva seguire la nota: «Il deplo- rato Prof. Biondi da Catania scuopriva questa bella e nuova specie nell’eocene di Capo Pachino, nè altrove è stata finora rac- colta » (vedi Biondi Salvatore : Su alcune specie malacologiche siciliane. - Atti d. Acc. Gioenia. Serie II, Tomo XI, 1855). Però, 656 G. DAINELLI io stesso, studiando, come materiale di confronto, alcuni Bra- chiopodi dell’Italia meridionale, di proprietà del Museo fioren- tino, ho trovato molti esemplari provenienti dalla pietra lec- cese, attribuibili senza dubbio alcuno a questa specie ; e altri ancora e numerosi individui rinvenivo in una raccolta di fossili miocenici dell’isola di Malta. E l’essere poi questa forma talmente abbondante al Capo di Leuca, dove ero costretto, dopo i primi giorni di raccolta, a gettarne via gli esemplari, per non portare un peso soverchio e ormai inutile; questo fatto, unito all’altro di aver io rico- nosciuto la stessa specie tra i fossili della pietra leccese e di Malta, mi ha fatto nascere il dubbio, che spesso si sieno deter- minati come appartenenti alla Terebratula Costae Seguenza, in- dividui della Terebratula rhomboìdéà Biondi. Tanto più, che, se i tipi estremi sono ben diversi e distinguibili, come dalle figure del Seguenza stesso risulta chiaro (op. cit., T. Costae Seg., Tav. 5, fig. 9-13, Tav. 6, fig. 1; T. rhomboidca Biondi, Tav. 6, fig. 8-9), pure, variazioni nello spessore delle due valve, e nella rilevatezza delle coste, e in specie nella profondità del solco mediano della valva dorsale, che si verifichino in individui delle due specie, possono determinare tante forme intermedie di pas- saggio, sì da formarne una serie quasi continua, come io ho avuto facoltà di riscontrare. Cosicché credo, che, chi avesse co- modità di rivedere il vario materiale, che finora è stato classi- ficato come Terebratula Costae Seguenza, potrebbe accrescere la bibliografia, per adesso quasi mancante, della Terebratula rhom- boidea Biondi. De Gregorio ( Fossili dei dintorni di Taci lino. Palermo, 1882) non cita tra i fossili di Pachino questa specie, ma invece il Conus Eusseggeri Hauer, del Miocene medio, che noi abbiamo trovato al Capo di Leuca. Terebratula Costae Seguenza, var. planata Seguenza. Tre modelli interni credo di poter determinare così, seguendo la diagnosi e le figure che ne dette Seguenza ( Studi Tal. sui Bradi. Ters. dell'It. merid., 1871, pag. 69, Tav. 5, fig. 11). Specie miocenica. APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MERID. DEL CAPO DI LEUCA 667 Gasteropodi. Trochus sp. Numerosi modelli interni, pei quali non è possibile tentare più che una semplice determinazione generica. Turbo speciosus Michelotti. Esemplari assai frequenti sotto forma di modelli interni, e so- pra tutto di impronte esterne sì perfette, che permettono la rico- struzione di questa bella specie del Michelotti. Conchiglia conica, ottusa, robusta, con ornamenti caratteristici dati da granula- zioni piccole e distinte, disposte su tante serie longitudinali, nel senso della spira; gli anfratti sono un poco rigonfi verso la sutura superiore, ed in conseguenza leggermente concavi subito al di sotto; verso la sutura inferiore le granulazioni sono assai più sottili, e talora tendono a sparire ; la bocca è obliqua, mu- nita di un forte ispessimento calloso, che viene a ricoprire gran parte della base conchigliare. Inclino a porre sinonimo il Turbo carinatus (non Bors.) Hornes ( Foss. Moli, cles Wiener Teck., tav. 44, f. 6). Specie propria del Miocene medio. Natica millepunctata Lamarck. Numerosi esemplari di non dubbia determinazione. Specie miocenica, pliocenica e vivente. Xenopliora cimiiilans Brongniart. Numerosi esemplari ben conservati ; per quanto sieno stati spesso ascritti a questa forma individui appartenenti indubbia- mente alla Xenopliora crispa Kbnig, ci pare che la sola ele- vatezza della conchiglia in relazione al diametro basale sia buon argomento di distinzione; infatti, se Bronn disse la crispa Kbnig conico-depressa, la cumulans Brongniart è certamente assai più 658 G. DAINELLL ottusa, ciò che dà all’aspetto generale della conchiglia un carat- tere proprio e ben riconoscibile. Specie eocenica e miocenica. Yermetus arenarius Linneo. Un modello esterno, della lunghezza di 160 mm. circa, del diametro di 13 mm., ripiegato in parte su sè stesso; la super- ficie è ornata da numerose piccole coste, assai avvicinate tra loro, un poco granulose, e decorrenti longitudinalmente, e da pieghe varicose trasversali, visibili e sviluppate specialmente nei punti dove la conchiglia è contorta. — Oramai, dietro Hanley, da tutti viene riunito a questa primitiva specie Linneana il Vermetus gigas che Bivona ( Nuov . gen. e sp. di Moli ., 1832r pag. 9) stabiliva come forma essenzialmente mediterranea. Specie miocenica, pliocenica e vivente. Tnrritella subaugulata Brocchi. Un modello esterno ben conservato, che mostra distintamente rornamentazione conchigliare : gli anfratti sono per intero coperti di numerose e fitte strie longitudinali, di vario sviluppo, delle quali anzi alcune più pronunziate si alternano a distanza quasi regolare; il contorno degli anfratti è rotondeggiante, privo di una vera e propria carena, la quale è sostituita da una stria più eminente delle altre, poco distinguibile negli ultimi anfratti, e un po’ più nei primi. Specie miocenica e pliocenica. Cypraea utriculata Lamarck. Due esemplari, per il contorno generale, per l’andamento della bocca e la leggiera espansione del labbro esterno all’estremità superiore, riferisco a questa specie mio-pliocenica, per la quale cade in sinonimia il ben noto nome di Cypraea physis Brocchi, perchè posteriore, come ha provato Sacco con giusta discussione (Moli. terr. terz. Pieni.- Lig., fase, lo, pag. 26). APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MER1D. DEL CAPO DI LEUCA 659 Cypraea minor Grateloup. Un esemplare corrispondente in tutto alla figura originale di Grateloup {Conch. JBass. tert. Adour., tav. 41, fig. 16). Specie miocenica. C.vpraea sp. Numerosi individui, conservati solo come modelli interni, non posso determinare specificamente: il carattere loro più sa- liente è quello dei bordi che sono subparalleli, e per questo la conchiglia si mostra assai ottusa all’estremità inferiore. Questo carattere, ma meno accentuato, presenta la Cypraea lyncoides Brongniart {Meni. terr. sed. Vie., tav. 4, f. 11), alla quale specie Sacco a ragione riunisce alcuni individui figurati dall’Hornes {Foss. Moli. d. Wien. Beck., tav. 8, f. 1) come tipica Cypraea leporina Lamarck. Avendo avuto occasione di vedere molte diagnosi e figure di Cypraeae, ho notato, che molto probabilmente appartengono alla Cypraea gioiosa Dujardin gli esemplari del Miocene di Malta che il Marchese De Gregorio {Béscr. de quelq. foss. tert. de Malte, 1895, p. 10) attribuisce alla Cypraea fahagina Lamarck, avendoli egli paragonati agli esemplari di globosa Dujardin che Hornes {Foss. Moli. Wien. Beck., tav. 7, f. 6) figura appunto sotto il nome di fahagina Lamarck. Endolium subfasciatum Sacco. Vari individui, dei quali alcuni in buono stato di conserva- zione : hanno tre cingoli tubercoliferi, uno dei caratteri (questo della moltiplicità delle serie di tubercoletti) che distingue la presente specie dall 'Eudolium fasciatimi Borson, col quale è stato spesso confusa. Specie del Miocene medio. Ficaia geometra Borson. Un individuo con frammenti ben conservati di conchiglia, che hanno reso possibile la determinazione, e numerosi modelli 660 G. DA1NELLI interni, che riunisco a questa specie, non potendo, in mancanza dei caratteri esterni e più importanti, ritenerli a priori diversi. Le coste longitudinali sono ben rilevate, ma piane, sono discre- tamente distanti le une dalle altre, e presso alla sutura intra- mezzate da una costicina sottilissima, ma ben netta; carattere, che non accennato da Borson, riconobbero già Cocconi, Fontannes, Hornes e Auinger, e poi ultimamente anche Sacco negli esem- plari del pliocene biellese. E non apparendo questo carattere nelle figure date da Hornes per gli individui del Bacino di Vienna ( Foss . Moli. d. Wien. Beck., tav. 28, f. 7-8), furono questi con più esattezza figurati di nuovo (Hornes und Auinger, (iast. d. Mioc. Medit. St., tav. 35, f. 1-2). Le coste trasversali alla spira, pure ben nette e piane, sono però assai meno rile- vate di quelle longitudinali ; e tra esse si notano delle sottilis- sime striature intermedie. Specie miocenica e pliocenica. Tritoli nodiferum Lamarck. Una parziale impronta esterna, nella quale è facilmente ri- conoscibile la presente specie per i suoi caratteri ben chiari. Specie miocenica, pliocenica e vivente. Tritoli sp. Numerosi modelli interni, nei quali la forma generale, e la presenza di serie trasversali di piccole fossette, corrispondenti a varici della conchiglia, permettono questa determinazione ge- nerica. Nassa bisotensis Depont. Numerose impronte esterne perfettamente conservate, sì che i modelli ricavatine mostrano chiari i caratteri specifici : con- chiglia conica, allungata, con anfratti ricurvi, e in conseguenza suture incavate; l’ultimo anfratto, assai alto e convesso, si ri- stringe in basso in un discreto canale, leggermente piegato in fuori ; bocca elittica, allungata ; la superficie conchigliare è adorna tutta quanta di coste trasverse alla spira, prevalenti, ben rile- APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MERJD. DEL CAPO DI LEUCA 661 vate, tondeggianti, a percorso curvilineo in tutti gli anfratti e leggermente sinuoso nell’ultimo ; queste coste sono attraversate da altre, longitudinali, nel senso della spira, nette, ma sottili e rade tra loro. La superficie interna presso alla bocca è adorna di solchi e coste longitudinali. Ad osservarne la figura, sem- brerebbe vicina alla presente specie la Nassa aretina Simonelli ( Foss.deì M.d . Verna. Boll. Soc. Geol. It., 1883, pag. 257, tav. 6, f. 7-9), pur differendone per l’andamento rettilineo delle coste trasversali; ma dalla descrizione, si vede che le coste longitu- dinali (trasversali secondo l’autore) sono fitte, ciò che non re- sulta affatto dalle illustrazioni ; il Simonelli avvicina questa sua specie del Monte della Verna alla Nassa incrassata Brocchi (?, certamente Miiller) ed alla incerta Bellardi ; con questa se- conda forma però credo non debbano esservi molte analogie, stante la diversità del contorno generale, dell’ultimo anfratto e dell’andamento delle coste. Miocene medio, Pliocene inferiore. Nassa Brugnonis Bellardi. Un unico individuo conservato perfettamente come impronta esterna completa: concbiglia conica, poco allungata, con anfratti non molto ricurvi, ma con suture ben distinte e incavate; l’ul- timo anfratto supera del doppio in altezza il precedente; le coste trasversali sono ben rilevate, leggermente curve, e nel- l’ultimo giro sinuose, più strette dei solchi che le separano; le coste longitudinali, che seguono la spira, sottili e numerose, im- plicano appena le coste trasverse. Alla presente specie si potrebbe unire l’esemplare figurato da Hornes come Nassa prysmatica Brocchi ( Foss . Moli. Wicn. Becli., tav. 12, f. 14), se non avesse maggiore il diametro del- l’ultimo anfratto in confronto all’altezza totale della conchiglia; del resto, e per la forma generale, e per il numero delle coste trasversali, e per altri caratteri ancora, certamente non appar- tiene codesto esemplare alla Nassa prysmatica Brocchi: Hornes e Auinger (Die Gast. d. Mioc. Medit. St., 3 Lief., p. 130) lo riu- niscono alla Nassa limata Chemnitz, ammettendo con Weinkauff 662 G. DAINELLI e con Fontannes che le due specie vadano aggruppate a for- marne una sola. Ciò, che dietro la chiara distinzione dei caratteri differen- ziali, fatta da Beffardi (Moli. terr. terz. Piem.-Lig. part. Ili, pag. 71 e seg.) non si può accettare; onde, a parer mio, l’esem- plare miocenico figurato primieramente da Hòrnes, che non è una Nassa ]ìrysmatica Brocchi, e non può essere una Nassa li- mata Chemnitz, aspetta ancora una più precisa determinazione. Miocene medio. Nassa sp. n. (Tav. XIII, fig. 11). Una buona impronta esterna, che mostra analogie coffa Nassa musiva Brocchi e insieme con la N. turrita Bors., pur rimanen- done separata per varie differenze caratteristiche: rispetto affa N. musiva il penultimo anfratto è più alto, e sopratutto più rigonfio, dando così affa conchiglia un aspetto suo proprio, assai meno svelto; i solchi trasversali alla spira sono assai più radi e più sentiti, donde ne deriva una maggiore importanza delle coste relative, le quali hanno in sviluppo lo stesso valore di quelle longitudinali, sì che ne deriva una ornamentazione gra- nulosa a scacchiera che la Nassa musiva Brocchi non ha. Malgrado queste differenze però, non posso dare al modesto campione del Capo di Leuca un nome, per quanto lo ritenga appartenente ad una specie nuova. Fusus sp. Una discreta impronta esterna, col relativo modello interno; se gli ornamenti anfrattuali fossero meglio visibili, si potrebbe forse determinare sicuramente come Fusus Burdigalensis Ba- sterot, del Miocene medio, affa quale specie l’avvicino. Fusus sp. Numerosi modelli interni, non del tipo precedente, e appar- tenenti a forme più allungate. APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MERID. DEL CAPO DI LEUCA 663 Ancillaria obsoleta Brocchi. Un individuo completo, visibile solo da un lato, perchè im- medesimato nella roccia, dalla quale non l’ho potuto isolare; è conservato così bene che ci sono traccie di colorazione; molti altri esemplari facilmente riconoscibili, come appartenenti a questa specie. Specie miocenica. Priamus Deshayesianus Da Costa. Un esemplare facilmente determinabile. È assai vicino il Priamus helicoicìes Brocchi, che Hornes e Auinger ( Gasi. d. Mioc. Medit. St., 4 lief., pag. 170) credono del tutto differente e che Sacco {Moli. terr. terz. Piem.-Lig ., fase. 14, pag. 34) pone solo come varietà; esso ha gli anfratti, in specie l’ultimo, assai più rigonfi della forma descritta dal Da Costa. Specie miocenica. Pleurotoma rotata Brocchi. Una impronta esterna ben netta; l’avvicino alla varietà che Beffardi {Moli. terr. terz. Piem.-Lig ., part. Il, pag. 15, tav. 1, f. 5) distingue coffa lettera D. Specie miocenica e pliocenica. Conus Russeggeri Hauer. Vari esemplari in assai buono stato di conservazione. Non si capisce come per questa specie, caratteristica di Malta e di Siracusa, e che Simonelli ha trovato abbondante nelle sabbie di Chiusi {Il Monte della Verna. Boll. Soc. Geol. It., 1883 pag. 252, tav. YI, f. 3-4), il Marchese De Gregorio proponga il nome nuovo Conus melitosiculus De Gregorio {Foss. tert. de Malte, 1895, pag. 12), pure ammettendo in sinonimia il nome dato fin dal 1848 da Hauer. Specie del Miocene medio. 664 G. DA1NELLI Couns antedi luvianus Bruguière. Vari esemplari, alcuni dei quali mostrano ben netta la or- namentazione degli anfratti; in essi la spira è poco elevata. Specie miocenica e pliocenica. Conus Pnsclii Michelotti. Numerosi individui, nei quali talora sono visibili gii strati conchigliari ; per l’andamento della spira, il contorno generale, lo sviluppo degli anfratti, li attribuisco al Conus Puschi Mi- cbelotti. Specie miocenica. Conus confr. clavatus Lamarck. A questa specie riferisco altri e numerosi esemplari, in ge- nerale mal conservati, dalla spira meno elevata che i prece- denti, e l’ultimo anfratto leggermente rigonfio verso la sutura e affusolato all’estremità inferiore. Conus sp. Numerosi modelli interni di varie forme e dimensioni, per i quali, non potendoli avvicinare alle forme precedenti nè ad altre, bisogna limitarsi ad una determinazione generica; accen- nerò solo ad uno che si avvicina al Conus Mercatii Brocchi. Lamellibranchi. Ostrea cochdear Poli. Vari esemplari di valva superiore, piuttosto ben conservati, ed uno di valva inferiore, sotto forma di modello interno. Specie miocenica, pliocenica e vivente. APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MERID. DEL CAPO DI LEUCA 665 Pecten Malvinae Dubois. Di questa specie ho trovato numerosissimi rappresentanti, nei quali, per quanto in gran parte mal conservati, si possono assai chiaramente riscontrare tutti i caratteri specifici; in alcuni le coste, anziché a sezione tondeggiante e regolarmente curvi- linea, sono acute e subtriangolari, ma passano, per leggiere gra- dazioni, alla forma di quelle prime e tipiche. Specie miocenica. Pecten Haveri Michelotti. Numerosi e belli esemplari, conservati sotto forma di mo- delli esterni, che presentano ben chiara e manifesta la orna- mentazione tipica di questa specie di Michelotti, e coincidono esattamente colla figura data dal suo descrittore ( Descr . foss. mioc ., 1847, pag. 88, tav. 3, f. 13); i nuclei interni relativi com- pletano quasi sempre i vari individui. Specie del Miocene medio. Pecten cristatus Bronn. Un solo frammento conservante ancora gli strati conchigliari, sicuramente determinabile per i suoi caratteri evidenti e chiari. Specie miocenica e pliocenica. Pecten Koheni Fuchs. Numerosi esemplari, dal Koheni Fuchs tipico, a individui che fanno passaggio al cristatus Bronn ed al Pasinii Meneghini. Di questa specie, come della precedente ho raccolto numerosi e belli esemplari nella pietra leccese di Curzi, nelle vicinanze di Maglie, i quali si identificano cogli individui raccolti nella parte meridionale del Capo di Leuca : naturalmente corre gran differenza nello stato di conservazione, essendo i primi in quella roccia ben nota, anche agli antichi, come calcarea tenera, e i secondi invece in una lumachella tenace e compatta. Quanto 66fi G. UA1NELLI al presente Pecten Kolieni Fuchs, accetto e seguo le osserva- zioni del Dott. Nelli ( Foss . mioc. delVApp. Aquilano, Boll. Soc. Gfeol. It-, 1900, pag. 393 e seg.), e riunisco alla specie del Fuchs il Pecten Burdigalensis Lamarek varietà spinose! la Sacco ( Moli . terz. Pieni.- Lig, fase. 24, tav. 15, pag. 8). Specie del Miocene medio. Spoudylus conce litri cus Bronn. Una valva sinistra assai ben conservata nel suo doppio mo- dello, interno ed esterno, e frammenti di altri esemplari. L’in- dividuo, che conserviamo in così buono stato di conservazione, mostra nettamente distinti i caratteri specifici, e si identifica con alcuni degli esemplari del Miocene Piemontese, figurati da Sacco {Moli. terr. terz. Pìem.-Lig ., fase. 25, pag. 7, tav. Ili, f. 9-14). La valva che noi possediamo, dal contorno irregolare, trasverso, ed assai espanso posteriormente, è poco rigonfia, con ambone però ben distinto, triangolare acuto, e munito dalle due parti di due alette brevi ed ottuse; la superficie tutta quanta è mu- nita di numerose e fitte costole radiali, nette, ma poco rilevate, irregolarmente curvilinee, ma per lo più concave, o con tendenza a mostrare una concavità verso il lato posteriore; le spire non molto numerose, sono anche assai poco rilevate; e questa esi- guità appunto degli ornamenti distingue la varietà imbucata Michelotti dalla specie tipica. Altezza e larghezza 48 min. Specie miocenica e pliocenica. Lima sp. Due nuclei interni mal conservati attribuisco a individui del genere Lima , senza potere nemmeno tentare una determinazione più precisa; sono allungati, acuti, triangolari, arrotondati nel bordo inferiore e verso il lato posteriore; il bordo è ingrossato assai verso l’apice, dalla parte anteriore, e la superficie appare adorna di costole radiali, diritte e numerose. Un frammento di conchiglia riferisco pure al genere Lima: corrisponde alla parte infero-posteriore di una valva sinistra, APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MERID. DEL CAPO DI LEUCA 667 ed è munito di numerose costole radiali, diritte, ben nette, pia- neggianti, con un leggiero solco, decorrente alla loro metà, inter- rotte, verso il bordo concbigliare, da pieghe trasverse, concen- triche, corrispondenti a striature d’accrescimento, che danno un aspetto fogliettato assai caratteristico. In vicinanza del bordo uno spazio di 10 millimetri comprende 5 coste e i 4 solchi intermedi, che sono più larghi delle coste stesse, ben netti, ma poco pro- fondi e pianeggianti. Questo frammento non posso attribuire a forme già note, nè posso permettermi di prenderlo a fondamento di una specie nuova. E analogie non riesco a trovare con specie già esistenti; perchè queste in genere hanno le coste radiali rotondeggianti: così la Radula lima Linneo, la quale nel contorno e nell’aspetto generale, collima colla nostra, ha le coste tondeggianti e coperte di squamine a principiare dall’umbone, ciò che affatto non è nella nostra forma del Leccese; ed oltre a queste differenze, si noti ancora che nella Radula lima Linneo le coste sono in ge- nerale assai più fitte, e dove queste coste sono più rade, come- nella forma pliocenica figurata da Bucquoy, Dautzenberg e Dollfus ( Les Moli, marins da Roussillon, fase. 15, tav. 11, f. 1-3), si vede bene che ad esse si limitano le squamine, e non sono vere pieghe concentriche, implicanti anche i solchi, come nel nostro esemplare si verifica. Arca cfr. nodulosa Mùller. Abbastanza frequenti individui, in massima parte sotto forma di modelli interni, che mostrano però chiaramente visibili il contorno generale, l’apparato cardinale, la carena ed altri ca- ratteri, sì da attribuirli, non però con assoluta certezza, a questa specie. Arca sp. Un unico esemplare conservato nelle due valve, ed in parte con gli strati conchigliari, ma rotto in varie sue parti, non è suscettibile di determinazione specifica; è però vicino certamente all’Arca barbata Linneo. 52 668 G. DAINELLI Pectunculus insubricus Brocchi. Attribuisco a questa specie due piccoli esemplari, dal con- torno trasverso, che coincidono con gli esemplari tipici di questa specie. Specie miocenica, pliocenica, e come P. vioìacescens Lam. vivente. Candita globulina Michelotti. Numerosi individui, in alcuni dei quali sono nettamente vi- sibili gli ornamenti vulvari, si prestano ad una esatta determi- nazione specifica. Specie miocenica. Cardium sp. n.? Un parziale modello esterno, che mostra delle coste radiali fitte, rotondeggianti, intersecate da leggieri solchi trasversali concentrici, avvicino al Cardium faìlax Michelotti, senza però poterne dare una buona e sicura determinazione. Cardium sp. u. ? Conchiglia allungata, rigonfia; ambone prominente, legger- mente ricurvo; costole in numero da 18 a 20, diritte, rilevate, non perfettamente rotondeggianti, ma piuttosto acute, disgiunte da solchi più larghi di esse stesse. Altezza circa 30 mm,, lar- ghezza 24 mm., Elevatezza 14 mm. — Questi pochi caratteri non sono bastanti per determinare specificatamente questo esem- plare. Cimimi gryphoides Linneo. Molti nuclei di Chama, che conservano ancora l’ apparato cardinale, attribuisco a questa specie tanto diffusa, avendo tro- vato accanto ad essi anche impronte esterne ben conservate e riconoscibili. Specie miocenica, pliocenica e vivente. APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MER1D. DEL CAPO DI LEUCA 669 Isocardia cor Linneo. Un unico modello interno rappresenta sicuramente questa specie ben nota. Specie miocenica, pliocenica e vivente. Meiocardia Moltkianoides Bellardi. (Tav. XIII, fig. 12). Un unico, ma veramente bello esemplare. — Conchiglia irre- golarmente triangolare, rigonfia, inequilaterale, con umbone molto prominente, acuminato e ricurvo verso il lato anteriore, che è poco sviluppato, mentre è espanso assai quello posteriore; una forte carena, rilevata ed acuta, divide la superficie vaivare in due parti disuguali, partendosi dall’apice umbonale, e giungendo posteriormente al bordo, ove determina un angolo. La parte ante- riore della conchiglia, determinata da questa carena, è la più sviluppata e rigonfia ; la parte posteriore, è come tronca e leg- germente concava, data l’acutezza della carena stessa. Tutta la superficie è ornata da rugosità larghe e irregolari, disposte con- centricamente e che vengono interrotte nella parte posteriore, dove si notano in continuazione di esse solo delle sottilissime striature. Gli strati conchigliari mostrano riflessi madreperlacei. Dimensioni: altezza lo mm.; larghezza 19 mm.; elevatezza di una valva 8 mm. Rara nel Miocene, comune nel Pliocene dell’alta Italia, To- scana, Lazio. Meiocardia Desliayesi Bellardi. Molti individui di varia grandezza, di non dubbia determi- nazione. Conchiglia irregolarmente triangolare, rigonfia, inequi- laterale, che presenta, in misura assai minore, i caratteri esterni della Meiocardia moltkianoides Bellardi: è rigonfia, ha l’umbone forte, prominente e ricurvo verso il lato anteriore, che è tronco, e concavo sotto l’ambone stesso, mentre il posteriore è più espanso; la carena che dall’umbone va al bordo posteriore è leggermente 670 G. DA1NELLI ottusa, e la parte posteriore della conchiglia, che da essa carena viene limitata, presenta una concavità assai leggiera che in al- cuni esemplari sparisce addirittura; la parte anteriore è unifor- memente e regolarmente rigonfia. La superficie è adorna di striature concentriche, numerose, fitte, poco marcate, per quanto ben visibili ed irregolari. Dimensioni in due individui: altezza 28-18 nini.; larghezza 32-21 rum.; elevatezza di una valva 15-8 mm. Specie miocenica. Coralliophaga litliophagella Lamarck. Due esemplari sotto forma di modelli interni, discretamente conservati, tanto da mostrare assai bene il contorno generale, e le impressioni muscolari; li ascrivo alla comunissima forma pliocenica di Lamarck, nella quale Bucquoy, Dautzenberg e Dollfus (. Les Moli. mar. du JRoussillon, fase. 20, pag. 320) vogliono fare rientrare gli individui del Miocene svizzero, che Mayer de- scrisse come Coralliophaga nucleus. Miocene e Pliocene. Tenus multilamella Lamarck. Specie rappresentata da numerosissimi esemplari relativa- mente ben conservati, tanto che se ne possono ricavare tutti i caratteri specifici. Specie miocenica, pliocenica e postpliocenica. Venus sp.? Un esemplare di assai incerta determinazione generica; pre- senta però molte analogie con molte Venus mioceniche: con- chiglia triangolare, allungata, ambone forte, prominente; lato anteriore poco sviluppato, e il posteriore espanso; tutta la su- perficie è adorna di rughe concentriche, più o meno larghe e profonde, distribuite piuttosto irregolarmente. Si vedano, come forme vicine, la Venus taurorugosa Sacco, la Venus intermedia Michelotti, la Venus promeca Locard, ecc. APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MERID. DEL CAPO DI LEUCA 671 Dosinia exoleta Linneo. Un esemplare conservato in parte come buon modello esterno, col relativo nucleo interno. Specie miocenica, pliocenica e vivente. Lucina spinifera Montagu, var. Me neghimi De Stefani et Pantanelli. Un modello interno di valva destra, che per il contorno ge- nerale, la forma delle impressioni muscolari, lo sviluppo e l’an- damento del bordo anteriore, e per quella parte del cardine che è visibile, unisco a questa varietà, recentemente trovata dal Trentanove nel Miocene medio delle colline livornesi. Miocene e pliocene. Cefalopodi. Aturia Aturi Basterot. (Tav. XIY, fig. 12). Di questa specie, che ha un così grande valore cronologico, ho trovato numerosissimi esemplari, alcuni dei quali in ottimo stato di conservazione; cito per tutti il più grande, nel quale non è presente la camera di abitazione, ma che in massima parte è munito del suo guscio, e presenta le seguenti dimen- sioni: diametro massimo visibile 120 mm.; altezza dell’ultimo setto a partire dall’ombilico 70 mm. ; larghezza massima del- l’ultimo anfratto 42 mm. Noto solamente come debba essere certamente una Aturia, e con probabilità la presente specie, quel Cefalopode, che Costa ( Paleont . del Regno di Napoli, 1854-56, voi. II, pag. 105, tav. 10, f. 2, 3) descrisse e figurò come Goniatites Garganicus. Specie del Miocene medio. I 672 G. DA1NELLI Aturia Formae Parona. (Tav. XIII, tìg. 6-8). Sette esemplari di varia età e grandezza, in tal modo con- servati, da non rendere dubbia la bontà della determinazione. In nessuno è conservato il guscio, quindi non è visibile il carat- tere del finissimo reticolato esterno, formato dalle strie di ac- crescimento e dalle altre ad esse trasverse e disposte nel senso della spira. Ma la larghezza dei giri quasi uguale all’altezza, sì da renderne subquadrata la sezione; i fianchi appiattiti, a differenza di quelli dell 'Aturia Aturi Basterot; l’andamento ca- ratteristico dei setti, sono abbastanza buoni e sicuri elementi di determinazione. La differenza tra i setti della presente specie di Parona, e quella già ben nota di Basterot, è specialmente riconoscibile in individui già abbastanza adulti ; e si vede in- fatti che, nella seconda, ciascun setto ha un andamento curvi- lineo, colla convessità rivolta verso la bocca, assai regolare, pre- sentando uno spessore che va gradatamente crescendo fin circa a un terzo del raggio della conchiglia in quel punto, e poi gra- datamente diminuisce fino al lobo posteriore, che non arriva a toccare l’angolo anteriore del lobo dorsale del setto precedente. Nella Aturia Formae Parona, invece, ciascun setto cresce assai e regolarmente fin circa al terzo del raggio della conchiglia; di lì diminuisce rapidamente fino a raggiungere uno spessore minimo, oltre al quale ricresce d’un tratto con direzione netta- mente posteriore, per diminuire indi a poco a poco fino alla estremità del lobo posteriore; questo, assai più lungo che nella Aturia Aturi Basterot, arriva fino a toccare l’angolo anteriore del lobo dorsale del setto anteriore. Una differenza abbastanza notevole è pure nei lobi dorsali: nell ’ Aturi, più stretti e più convessi, hanno assai meno promi- nenti, che nella Formae , gli angoli anteriori. La presente specie, descritta e figurata così chiaramente e di recente dai colli torinesi (Parona, Note sui Cefal. ter 2. del Pievi., Palaeont. Ital., 1900, voi. IY, pag. 164, Tav. 13, fig. 7 a-c, 8), non avrebbe avuto bisogno dell’aggiunta di nessuna parola espli- cativa; ma ho creduto, se pur superfluo, non del tutto inutile, appunti geol. sulla parte merid. del capo di lbuca 673 il paragone dell’ andamento dei setti, con quello Aq\V Aturia Aturi Basterot, perchè dal Parona solo accennato nella descri- zione (forse perchè visibilissimo dalle ligure), e perchè anche questi miei esemplari del Capo di Leuca sono, se non erro, i primi trovati dacché è posta la specie. In nessuno dei miei individui, come in quelli di Parona, è presente la camera di abitazione ; i due meglio conservati hanno le seguenti dimensioni : diametro massimo visibile 23-12 min.; altezza dell’ultimo setto, a partire daH’ombilico 14-7 mm.; larghezza dell’ultimo setto 12-6 mm. ; ed hanno nell’ultimo giro rispettivamente 12 e 10 concamera- zioni. Del resto ho tre frammenti di individui assai più grandi, nei quali, dalla parte visibile, suppongo che il diametro dovesse essere rispettivamente almeno di 28, 40, 50 min., misurandolo al setto più grande del frammento stesso. Specie del Miocene medio. Crostacei. Neptunus sp. Un piccolo frammento, attribuibile a questo genere. Pesci. Carcharodon megalodon Agassiz. Due denti ben conservati e di abbastanza grandi dimensioni. Specie miocenica e pliocenica. Oxyrhina hastalis Agassiz. Diversi denti facilmente riconoscibili come appartenenti alla presente specie ; tanto questa che la precedente sono forme così comuni e generalmente note, che qualsiasi descrizione ed osser- vazione sarebbe del tutto superflua. Specie miocenica e pliocenica. 674 G. DA1NELLI Mammiferi. Physodon sp. Frammenti di denti appartenenti senza dubbio a individui di tal genere, come da esemplari ben conservati di altre loca- lità ho potuto constatare. FOSSILI NEOGENICI RECENTI. Echinidi. Spatangus purpureus Leske. Un esemplare quasi completo e numerosi frammenti. Punta Mèliso, Alessano? Psammecliinus microtuberculatus Agassiz. Due esemplari ben conservati. Tanto di questo, come del precedente Ecbinide non abbiamo trovati radioli. Punta Mèliso. Brachiopodi. Terebratula Scillae Seguenza. Numerosi esemplari, raccolti alla Punta Mèliso dove indivi- dui di questa specie formano localmente una vera lumackella, sì grande è la loro abbondanza. Comincia nella parte più antica del Pliocene superiore di Seguenza, o Postpliocene, e secondo alcuni è forse anche vivente. Punta Mèliso. APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MER1D. DEL CAPO DI LEUCA 675 Megerlea truncata Linneo. Un solo esemplare in perfetto stato di conservazione. Punta Mèliso. Rliynclionclla bipartita Brocchi. (Tav. XIII, fig. 2-3; Tav. XIV, fig. 3). Un assai bello esemplare, ben conservato, di questa specie tanto comune dal Miocene al Pliocene nell’Italia centrale e me- ridionale, come possono attestare le frequenti citazioni in Me- morie di geologia e paleontologia che su codesta regione sono state scritte. I caratteri specifici della Rhynchonella bipartita Brocchi sono ben chiari e noti, onde sarebbe superfluo il ripeterli adesso; basti il dire che il nostro esemplare ha il bordo inferiore, là dove mostra la curva sentita, prodotta dalla depressione della valva ventrale, liscio del tutto, potendosi avere individui col bordo leggermente ondulato, fino ad averlo, per varie grada- zioni, strettamente pieghettato, come bene dimostrano le parole e le figure del Pbilippi ( Enumeratio Moli. Siciliae , voi. II, pag. 67, Tav. 18, fig. 5), colle quali abbiamo potuto confron- tare esemplari fossili di svariate località. Credo sia la prima volta che tale specie venga citata in terreno così recente. Novaglie. Specie estinta. Crania lamellosa Seguenza. Di questa specie assai rara, perchè citata da Seguenza solo nella zona inferiore del Pliocene recente a S. Filippo presso Messina (Seguenza, Pai. mal. dei terr. tersi, del distr. di Mes- sina, 1865, pag. 75, Tav. 8, fig. 8) e nell’ Astiano dei dintorni di Reggio e di Gallina (Seguenza, Le forni, terz. nella prov. di Peggio Calabria, 1879, pag. 287), abbiamo una sola valva infe- riore, rotta dal lato superiore, dove non mostra le impressioni muscolari centrali ; però il buono stato di conservazione ci mostra gli altri caratteri così ben visibili, che non possiamo esitare a 676 G. DA1NELI.I riunire il nostro unico esemplare a questa rarissima specie de- scritta da Seguenza. E le sue stesse parole ci occorreranno na- turalmente nel parlare del nostro individuo: la sua valva infe- riore, runica da noi (come da Seguenza) posseduta, ha una forma regolarmente circolare nella sua parte inferiore ; nella superiore si espande un poco in larghezza, ma è presto troncata da un bordo un poco rientrante verso il centro. La conchiglia, di piccole dimensioni, è in cambio assai spessa e solida; poco rigonfia, ha la sua massima rigonfiezza verso il bordo superiore sopra una linea che si trova a circa 3 dell’altezza conehigliare totale; la superficie esterna è ornata da numerose strie o la- melle, irregolari, tra le quali se ne possono distinguere alcune più rade ma più pronunziate, e le altre assai sottili e fitte. Gli spessi bordi della conchiglia sono, sul lato interno di essa, mu- niti di numerosi solchi, regolari e posti in direzione trasversa al bordo stesso ; tutta poi la superficie interna è coperta di stria- ture radiali, più deboli e più irregolari. Le impressioni muscolari laterali sono disposte obliquamente dal bordo superiore a quelli laterali ; hanno forma allungata, sottili striature trasversali, e terminano dal lato interno con un rilievo, che limita poi le im- pressioni centrali ; — queste nel nostro esemplare non sono vi- sibili. Dimensioni: altezza 13 min. ; larghezza 13 mm.; elevatezza massima 4-5 mm. Punta Mèliso. Specie estinta. Gasteropodi. Turritella lyciensis De Franchis. Pochi frammenti, che conservano gli ornamenti anfrattuali, permettono di determinarli come appartenenti a questa nuova specie trovata da De Franchis nel bacino postpliocenico di Gala- tina (op. cit., pag. 179, tav. 2, fig. 17); troviamo curioso però che il De Franchis, dopo avere minutamente descritta questa nuova specie, la paragoni solo alla tornata Brocchi ed alla Brocchii Bronn, mentre nella spiegazione della tavola la chiama varietà lyciensis della incrassata Sowerby ; ciò che non crediamo impro- APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MERID. DEL CAPO DI LEUCA 677 babile, o per lo meno che dall’ima all’altra si passi per gra- duali termini intermedi. Alessano. Specie estinta. Turritella sp. Punta Mèliso. Gadinia nitida n. sp. (Tav. XIII, fig. 5, 9). Abbiamo, ritrovati nel tufo della Punta Mèliso, due esem- plari di Gasteropodi, che attribuiamo ad una nuova specie di Gadinia. La conchiglia, solida, presenta tanto all’esterno, quanto, e assai più, all’interno, delle incrostazioni di Lithothamnium, che certamente contribuiscono a celare certi caratteri partico- lari della specie in discorso; ma crediamo che come tali deb- bansi descrivere i nostri due esemplari, poiché i caratteri che essi mostrano ben visibili, li differenziano non solo dai generi, ma perfino dalla vicina G. Garnoti Payrandeau. Conchiglia pa- telliforme, assai solida, subrotonda-ovata, a bordo però, in uno dei nostri fossili, non regolare; rigonfia, gibbosa, obliquamente co- nica; l’apice è incurvato verso il lato posteriore, è forte ed ottuso, posto circa a V3'Vi della lunghezza conchi gliare. La superficie appare per intero percorsa da coste concentriche di accresci- mento, non nette nè rilevate, ma ben visibili ; non visibili affatto striature radiali, che sono caratteristiche della Gadinia Garnoti Payrandeau. La superficie interna ha il bordo finamente striato, e traccie di strie radiali ancor più sottili ed obsolete mostra sulle pareti della conchiglia. In un esemplare esiste in parte l’impressione muscolare in forma di ferro di cavallo, aperto dal lato anteriore, e terminante con due ingrossamenti circolari. Dimensioni: diametro antero-posteriore 13 mm. ; diametro laterale 11 mm. ; elevatezza 6 mm. Punta Mèliso. Caliptraea cliinensis Linneo. Due belli esemplari, di perfetta conservazione. No vaglie. 678 G. DAINELLI Natica millepunctata Lamarck. Un piccolo esemplare rinvenuto presso Novaglie, ed uno assai grande, di Alessano, abbiamo attribuiti senza esitazioni a questa specie assai comune nel pliocene e nel postpliocene del bacino mediterraneo. Novaglie, Alessano. Troclms magus Linneo. Vari esemplari in cattivo stato di conservazione. Novaglie. Troclms sp. Esemplari non certamente attribuibili alla specie precedente. Punta Mèliso, Novaglie. Lamellibranchi. Ostrea coclilear Poli. Attribuisco all’ 0. cochlear Poli alcuni pochi ed assai imper- fetti esemplari trovati alla Punta Mèliso presso S. Maria di Leuca, e sulla costa a nord di Novaglie, presso Galliano del Capo ; alcuni di essi, che conservano le forme e i caratteri propri della specie, non olfrono dubbio di determinazione ; altri abbiamo semplicemente avvicinato, essendo assai mal conservati. Novaglie, Punta Mèliso. Ostrea lamellosa Brocchi.’ Di questa specie ho trovato innumerevoli esemplari, taluni di dimensioni assai notevoli a Novaglie, e pochi frammenti ad Alessano. Novaglie, Alessano. APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MERID. DEL CAPO DI LEUCA 679 Anomia ephippium Linneo. Posseggo pochi esemplari, e mal conservati, data la fragi- lità. della conchiglia e la natura della roccia. tovaglie, Alessano. Pecten varius Linneo. Un unico esemplare, però ben conservato. No vaglie. Pecten opercularis Linneo. Numerosi esemplari, ritrovati da me ugualmente abbondanti nelle tre località fossilifere visitate ; molti individui ben con- servati, mostranti le caratteristiche specifiche; infiniti i fram- menti. Novaglie, Punta Mèliso, Alessano. Var. Audouini Payrandeau; Alessano. Pecten Jacobaeus Linneo. Specie, al pari della precedente, ben rappresentata come nu- mero di esemplari e stato di conservazione. Novaglie, Punta Mèliso, Alessano. Pecten inflexus Poli. Pochi esemplari, in perfetto stato di conservazione, permet- tono una determinazione specifica sicura, che li fa separare da altri più numerosi, appartenenti alla specie seguente. Punta Mèliso. Pecten subclavatus Contraine. Specie assai frequente nel tufo della Punta Mèliso; si di- stingue facilmente dal P. inflexus Poli, non avendo come questo 680 G. DAIN’ELLI il bordo ripiegato, e presentando un maggior numero di costole radiali ; a questi caratteri, che esso lia a comune col P. septem- radiatus Miiller, aggiunge uno sviluppo notevole dei rilievi secon- dari, dati da strie longitudinali, le quali spesso sono così rile- vate, da divenire ornamenti di primo ordine, al pari delle coste principali ; queste possono al contrario essere più o meno svi- luppate, ed in taluni casi attenuarsi tino a quasi sparire. Questo sviluppo delle strie radiali differenzia le due specie vicine, come di recente ha mostrato il Doti. Scalia (Previsione delia fauna post-pliocenica dell’ argilla di Nizze ti . . . , pag. 10-11). Punta Mèliso. Specie estinta. Pecten flexuosus Poli. Pochi esemplari, ben conservati e di sicura determinazione. Punta Mèliso. Modi ola adriatica Lamarck. Numerosi esemplari, in parte ben conservati, che mostrano chiaramente i caratteri specifici. Novaglie. Modiolaria marmorata Forbes. Frequentissimi individui nel tufo della Punta Mèliso; di questa specie Bucquoy, Dautzenberg e Dollfus ( Les Mollusqucs marins du Boussillon) hanno stabilito la sinonimia, distinguendo in essa gli individui, tante volte citati dagli autori sotto il nome di M. discor s Linneo; questa seconda specie, più grande, più spessa, meno rigonfia, dagli ornamenti meno numerosi e meno accentuati, di quella prima, non è stata finora ritrovata nel Mediterraneo. Punta Mèliso. Pectunculus bimaculatus Poli. Due soli esemplari in assai imperfetto stato di conserva- zione ; la forma generale, la rigonfiezza, la mancanza dei denti APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MER1D. DEL CAPO DI LEUCA. 68 L centrali in un individuo giovane (vedi Bucquoy, Dautzenberg e Dollfus, Les Mollusques marins du Roussillon), ed altri carat- teri ancora li pongono in questa specie mediterranea, die non va confusa con la glycimeris Linneo, atlantica, e nemmeno colla seguente. Alessano. Pectunculus pilosus Linneo. Numerosi esemplari, di piccole dimensioni, ridotti ai soli modelli interni, che lasciano però visibile quasi sempre l’appa- rato cardinale; sono presenti i denti centrali, gli umboni sono rigonfi, prominenti, opistogiri talvolta assai nettamente. Novaglie, Punta Mèliso, Alessano. Pectunculus flanimulatus Eenier. Un esemplare unico, ben conservato però, ci lia offerto oc- casione di studiare la complicata questione dei Pectunculus. Il nostro individuo ha la conchiglia di forma lenticolare e assai depressa, non esattamente circolare; l’umbone è depresso, acuto, ed ha l’apice rivolto verso il lato anteriore, e neppure è esat- tamente collocato in mezzo alla linea del cardine; l’area del legamento è stretta; i denti sono diritti, interrotti al centro; la superficie esterna è ornata da strie radiali e da piccoli rilievi concentrici dati dalle linee di accrescimento. Di tale specie, della quale abbiamo ripetuto la descrizione quasi colle parole precise usate da Brocchi ( Conchiologia fossile subappennina, 1814, voi. II, pag. 489), ha a lungo parlato il De Stefani {Notizie sopra alcuni molluschi pliocenici del Poder Nuovo presso Moni eruf oli, 1876, pag. 9 e seg-.), al quale anzi offrì occasione di una lunga e dotta nota sul genere Pectunculus. Oggi però, in seguito agli studi in ispecie del Pantanelli, di quel che scrisse allora il De Stefani non possiamo tutto accet- tare; il Pantanelli {Enumerazione e sinonimia delle specie dei Lamellibranchi pliocenici dell’Italia superiore e centrale, 1893, pag. 128 e seg.) mostrava come negli scritti propri ed in quelli del De Stefani debba intendersi Pectunculus glycimeris per P. pilosus, e pilosus per bimaculatus Poli; così, quando il De 682 G. DAINELLI Stefani (op. cit., pag. 8) dice che il flammulatus Renier si diffe- renzia dal glycimeris (leggi pilosus ), ma che si « avvicina in- vece al bimaculatus Poli per la depressione delle valve...» tanto che può « considerarsi come una semplice varietà di esso », fa sorgere il dubbio, che non abbia preso a confronto il bima- culatus tipico, del quale, concordano adesso gli autori, la ri- gonfiezza delle valve è carattere specifico. Non ci sembra poi improbabile che al flammulatus Renier si debba porre assai vicino, e forse anche identificare il lineatus Philippi ( Enumera- no molluscorum Siciliae , 1836, I, pag. 62, tav. V, f. 4, II, p. 44), ove si legga, oltre alla concisa descrizione primitiva, quel che di recente ne ha detto lo Scalia (Revisione della fauna postplio- cenica dell’argilla di Nizzeti, pag. 12). Alessano. Cardium norvegicum Spengler. Un unico esemplare trovato a Novaglie. Cardium erinaceum Lamarck. Un’impronta esterna assai netta, che lascia ben visibili i caratteri e gli ornamenti della conchiglia, e quindi rende la determinazione sicura. Alessano. Cyprina islandica Linneo. Un solo esemplare abbiamo ritrovato di questa importante specie; ma esso mostra il caratteristico cardine, se non ogni altro particolare della sua conchiglia, assai ben conservato; ve- dasi lo studio diligente di De Franchis (Molluschi postpliocenici del Bacino di Gelatina, 1895, pag. 73 e seg., tav. I). Alessano. Cytlierea cliione Linneo. Numerosi modelli interni. Novaglie, Alessano. APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MERID. DEL CAPO DI LEUCA 683 Tenus casina Linneo. Numerosi modelli interni, ed anche esemplari in buono stato di conservazione. Novaglie, Alessano, Punta Mèliso. Tenus fasciata Da Costa. Molti individui, come perfette impronte esterne, e pochi esemplari ben conservati. Novaglie, Alessano. Tenus ovata Pennant { — radiata Brocchi). Numerosi e belli esemplari. Novaglie. Solecurtns antiquatus Pulteney coarctatus non Gmelin, pars). Un solo esemplare, che mostra chiaramente i caratteri propri di questa specie, e quelli che la differiscono dalle altre. Novaglie. Pesci. Sphaerodus sp. Un dente di forma circolare, assai piccolo, al massimo di 6 mm. di diametro, di colore giallo splendente, e appartenente senza dubbio al gen. Sphaerodus , non abbiamo potuto studiare a fondo, perchè andato perduto nell’isolamento di altri fossili dalla roccia comune che li univa. Novaglie. 53 684 G. DAINEl.LI FOSSILI CRETACEI DI TEQUILE. Actaeonella crassa Dujardin. Questa specie cita Parona ( Sopra alcune Budiste Senoniane dell’ Appennino meridionnle, 1900, Mem. della R. Accad. delle Se. di Torino, serie II, toni. I, pag. 4, nota 1) incidentalmente, come da lui riconosciuta tra alcuni fossili inviatigli dal Prof. De Giorgi, il quale li ha raccolti sulla strada tra Lecce e Léquile. Tra gli esemplari di Actaeonella che io ho raccolto nella stessa località, solo due ritengo attribuibili alla specie che prima Dujardin determinò come una Volvaria (1835, Mém. de la Soc. géol. de Fr., t. 2, pi. 17, f. 10), e poi da D’Orbigny ebbe più esatta determinazione generica (D’Orbigny, Balconi, franq., 1842, tom. II, pag. Ili, pi. 166). Conchiglia assai spessa, ovale, allun- gata, leggermente rigonfia al centro, ottusa all’estremità ante- riore, ristretta a quella posteriore; anfratti assai alti, embriean- tisi e ricoprentisi completamente l’un l’altro dall’interno verso l’esterno; a un terzo circa dell’altezza totale della conchiglia, si nota, dal lato anteriore, una leggiera depressione che segue nel suo andamento la spira stessa. Ben visibili e conservate le tre pieghe oblique, assai rilevate, che dalla base della colu- mella si continuano all’interno; esse sono scalariformi dall’esterno verso l’interno, equidistanti tra di loro e ugualmente prominenti dalla superficie dell’anfratto. Apertura lineare, allungata, lon- gitudinale. Una rigonfiezza al centro alquanto maggiore, ed un più sensibile ristringimento all’estremità posteriore distinguono i nostri esemplari dalle figure di D’Orbigny: differenze però minime, ed attribuibili forse ad inesattezza delle riproduzioni. Questa specie appartiene, secondo D’Orbigny, al Turoniano superiore. Actaeonella n. sp. (Tav. XII, fig. 5). Alcuni esemplari si differenziano assai nettamente dalia specie precedente : conchiglia molto spessa, ovale, assai rigonfia APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MERID. DEL CAPO DI LEUCA 685 non precisamente al centro, ma più verso il lato anteriore ot- tusa e quasi rotondeggiante a questa estremità, ristretta a quella opposta, allungata e acuminata; anfratti alti, embricantisi l’un l’altro; più sentita, che nella A. crassa Dujardin, la depressione che si osserva verso il lato anteriore a circa un terzo della altezza totale della conchiglia. Ben conservate e caratteristiche le tre pieghe scalariformi : la distanza tra la prima e la seconda è di un terzo minore che quella tra la seconda e la seguente; di più, la rilevatezza loro non è uguale, ma di assai crescente dalla più esterna alla più interna. Apertura lineare, longitudi- nale, allungata. Dimensioni di un esemplare non completo: altezza 80 min., diametro massimo 42 mm. Dalla breve descrizione che precede si comprende facilmente come la presente forma vada distinta dalla Ad. crassa Dujardin; assai vicina invéce è alla Act. loevis Dujardin, la quale, però, ha l’estremità anteriore meno ottusa, e sopratutto è meno ri- gonfia al centro, in modo che ne acquista un aspetto notevol- mente più svelto ed affusolato; lo provano le stesse dimensioni dell’esemplare figurato dal D’Orbigny ( Paléeont . frane., 1842, tom. II, pag. 110, pi. 165, fìg. 2-8), confrontate con quelle della forma di Léquile: altezza 83 mm.; diametro massimo 36 mm. Pecten De Giorgii n. sp. (Tav. XII, fig. 4). Un’unica valva destra di Pecten, conservata solo come mo- dello interno, mostra caratteri cosi evidenti e netti da permet- tere di descriverla come specie nuova. Conchiglia triangolare, depressa, inequilatera ; l’ ambone è acuto, prominente, legger- mente rilevato, determinato da due lati rettilinei, che si man- tengono tali fino a metà dell’altezza totale della valva, da cui ne deriva l’aspetto triangolare di questa, tanto più che il bordo inferiore è a curva molto larga. Le alette, di molto dissimili tra loro, determinano superiormente una linea retta normale all’asse dell’umbone, e assai più estesa dal lato anteriore; l’aletta posteriore è ad angolo ottuso e molto sviluppata, quasi fin dove comincia la curva inferiore del bordo; l’aletta anteriore, più 686 G. DA1NELLI lunga, arrotondata alla sua estremità libera, ha un bordo rien- trante, e termina a breve distanza dall’ estremità dell’ umbone stesso. Torno torno all’orlo inferiore si nota un piccolo solco, cor- rispondente ad un ispessimento della conchiglia, e sulla super- ficie vaivare si possono osservare traccie di sottili striature ra- diali. Dimensioni: diametro umbono-ventrale 11 mm. » antero-posteriore 11 mm. I Pecten che più mostrano analogie colla presente specie, ad esempio il Pecten Cottaldinus D’Orbigny, lo striato-punctatus Roemer, il Rliotomagensis D’Orbigny, oltre a molti e vari carat- teri diversi, che li fanno da essa distinguere, presentano sopra- tutto una gran differenza nell’aspetto generale che appare in massima rotondeggiante e non triangolare, per il poco sviluppo che hanno verso il bordo inferiore ricurvo i due lati rettilinei dell’umbone. Yenus Dainellii De Franchis. (Tav. XII, fig. 7). Questa specie aveva già trovata il Prof. De Franchis nel bacino di Galatina, prima che io la rinvenissi a Léquile; essendo i miei esemplari assai ben conservati, li ho ceduti al De Fran- chis il quale su di essi in gran parte ha potuto fare la diagnosi specifica. Apricardia carantonensis D’Orbigny. Anche questa specie, come 1’ Actaeonella crassa Dujardin già Parona ha riconosciuto tra i fossili del calcare cretaceo affio- rante tra Lecce e Léquile (Parona, Sopra alcune Budiste Seno- niane dell’ Appennino meridionale, 1900. Mena, della R. Acc. delle Se. di Torino, serie II, tomo L, pag. 4, nota 1), ed ha poi descritta e figurata come proveniente da S. Polo Matese (Pa- rona, Le Budiste e le Camacee di S. Polo Matese, 1901. Mem. della R. Acc. delle Se. di Torino, serie II, tomo L, pag. 3, tav. I, APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MER1D. DEL CAPO DI LEUCA 687 fig. 1 a, i). Molti esemplari ho ritrovato anche io in quella prima località, conservati solo come modelli interni, ma rico- noscibili come appartenenti alla presente specie di D’Orbigny. Assai variabili nella loro forma, mostrano molto nettamente i caratteri dati come specifici dal primo descrittore, e sopratutto ben netto e profondo il solco che sul lato posteriore delle due valve decorre quasi parallelamente alla carena laterale esterna, fino a convergere con essa nell’ estremità dell’ umbone, più o meno irregolarmente avvolto a spira larga e incompleta. Le valve sono piuttosto rigonfie, ciò che le dilferisce da quelle della specie seguente; ed hanno una carena, che dall’a- pice va al bordo conchigliare, più acuta e netta nella valva superiore che nella inferiore ; l’ umbone in quella prima è ri- volto in avanti con una curva regolare ; nella seconda, nella quale è molto più sviluppato in lunghezza, si volge prima in avanti, e poi, mentre prosegue la sua spira, si piega lateral- mente, talvolta verso l’interno, tal’altra verso l’esterno. Dimensioni massime nei nostri esemplari: valva inferiore: diametro basale 28 mm. distanza dal bordo posteriore al culmine della spira 40 mm. valva superiore : diametro basale 25 mm. distanza dal bordo posteriore al culmine della spira 30 mm. D’Orbigny pone questa specie nel Cenomaniano. Ap ricardia laevigata D’Orbigny. (Tav. XII, fig. 3; Tav. XIII, fig. 13). Le differenze che tengono separata questa dalla precedente specie, sono una maggiore depressione delle valve, due lame interne, anziché una sola, decorrenti dall’apice al bordo sul lato posteriore interno della valva inferiore, e due carene che su questa pure si osservano nella sua superficie esterna. I primi due caratteri sono ben visibili nei numerosi esemplari che ho raccolti presso Léquile, i quali pertanto, essendo allo stato di modelli interni, non permettono di verificare anche il terzo; una 688 G. DA1NELLI parziale impronta esterna della parte posteriore di una valva inferiore, mostra ben netti i caratteri superficiali, quali si riscon- trano nell’esemplare figurato da D’Orbigny nella posizione cor- rispondente ( Paléontologie frangaise, 1850. Tom. IY, pag. 258; Requienia laevigata D’Orbigny, tav. 590, f. 1). La maggiore depressione della valva superiore, implica il fatto che delle due parti della superficie sua, determinate dalla ben netta carena laterale esterna, non sono, come giustamente osserva Parona, per V Apricardia carantonensis d’Orbigny (Parona, Le Rudiste e le Camacee di S. Polo Matese. Mem. della R. Acc. delle Se. di Torino, 1901. Serie II, tomo L, pag. 4), la anteriore assai meno estesa della posteriore, che è convessa, e assai in alcuni esem- plari; ma nella Apricardia laevigata invece, per la maggiore depressione, la parte anteriore viene ad essere la più estesa, non per un suo maggiore sviluppo, ma per quello minore della parte posteriore. Dimensioni massime nei nostri esemplari: valva inferiore: diametro basale 27 mm. distanza dal bordo posteriore al culmine della spira 40 mm. valva superiore: diametro basale 27 mm. distanza dal bordo posteriore al culmine della spira 29 mm. Un esemplare completo che posseggo può a prima vista mo- strare qualche differenza da quelli figurati da D’Orbigny; ciò dipende dal fatto, che in esso, la spirale dell’umbone della valva inferiore, si rivolge, oltre che all’avanti, lateralmente, non all’in- terno, come in quelli succede, ma invece all’esterno. D’Orbigny pone questa specie nel Cenomaniano. |ms. pres. 11 settembre 1901 - ult. bozze 17 dicembre 1901]. Boll. d. Soc. Geol. Italiana. Voi. XX. Dainelli) Tav. X 1 1 . ELIOT CALZOLARI & FERRARIO MILANO I Boll. d. Soc. Geol. Italiana. Voi. XX. i Dainelli ) Tav. XIII. ELIOT CALZOLARI & FERRARIO MILANO APPUNTI GEOL. SULLA PARTE MERID. DEL CAPO DI LEUCA 689 SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE TAVOLA XII. Fig. 1. Biradiolites sp. n St. Cesarea, (Dordoniano) » 2. Badiolites Hoeningliausi Des Moulins St. Cesarea, Il Ciolo. (Dordoniano) » 3. Apricardia laevigata D’Or- bigny Léquile (Cenomaniano) » 4. Pecten De Giorgii n. sp. . Léquile (Cenomaniano) » 5. Actaeonella n. sp Léquile (Cenomaniano) » 6. Hippurites Lapeirousei Goldfuss St. Cesarea, Il Ciolo. (Dordoniano) » 7. Venus Daìnellii De Franchie Léquile (Cenomaniano) » 8. Pecten Canavarii n. sp. . . Il Ciolo (Dordoniano) TAVOLA XIII. Fig. 1. Eadiolites Paronai n. sp. St. Cesarea (Dordoniano) » 2. ) ( Bhynclionella bipartita \ Brocchi Novaglie (Postpliocene) » 4. I » 5. Gadinia nitida n. sp. . Punta Méliso .... (Postpliocene inf.) » 6. i » 7. Aturia Formae Parona. Montelungo (Langhiano) » 8. ' » 9. Gadinia nitida n. sp. . Punta Méliso .... (Postpliocene inf.) » 10. Hippurites Lapeirousei Goldfuss St. Cesarea, Il Ciolo. (Dordoniano) » 11. Nassa sp. n Montelungo (Langhiano) » 12. Meiocardia MoUkianoides Bellardi Montelungo (Langhiano) » 13. Apricardia laevigata D’Orbigny Léquile (Cenomaniano) 690 G. DAINELLI TAVOLA XIV. Fig. » » » » » » » » » » » 1. ) 2. 1 3. 4. 5. 6. 7. 8. ] 9. 10. 11. 12. Rhynchonella bipartita Brocchi. . . Montelungo. (Langhiano) » » »... Novaglie . . (Postpliocene) Terebratula rhomboidea Biondi . . Montelungo. (Langhiano) » » (altro esempi.). Montelungo. (Langhiano) Aturia Aturi Basterot Montelungo. (Langhiano) Boll. d. Soc. Geol. Italiana. Voi. XX. ( Dai ne 1 1 i) Tav. XIV. ELIOT. CALZOLARI & FERRARIO. MILANO Boll d Soderò Geologica Italiana , Voi XX. (Dainelli) Tav.XV. Scala nel rapporto di la 50000 | | Cretaceo sup (Dordon/ano) X Direzione ed immersione degli strati Hg] Miocene med (Langhiano) , Linea dogli spaccali | | Postpliocene e Recente G. Da ine/h rilevo 7 dati ffeo/offici Spaccato bb RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI tenute in Brescia nei giorni 8-12 settembre 1901 Nel radunanza del 17 febbraio 1901 in Roma fu scelta la città di Brescia come sede del XX Congresso della Società Geologica Italiana. Tale deliberazione venne accolta assai favorevolmente dall’Ateneo di Brescia e dalle Autorità di quella città e pro- vincia, e l’Ateneo stesso prese l’iniziativa dell’organizzazione del Congresso nominando a tale scopo un Comitato composto dei signori : prof. G. Battista Cacciamali, presidente, prof. Andrea Bettoni, rag. Carlo Bonalda, e prof. Ugolino Ugolini. Con la circolare del 1° agosto fu distribuito ai soci il pro- gramma delle escursioni stabilito d’accordo col Comitato e quello delle adunanze col seguente Ordine del ((ionio: Lettura per l’approvazione del verbale dell’adunanza del feb- braio s. Comunicazioni della Presidenza. Nomina di nuovi soci. Discussione per l’ approvazione dei bilanci consuntivi 1900 della Società e dell’amministrazione del Legato Molon. Discussione della relazione della Commissione giudicatrice del concorso al Premio Molon (chiuso al 31 marzo 1901). Proposta del tema al nuovo concorso Molon (da bandirsi pel triennio 1902-1904). Affari eventuali. Comunicazioni scientifiche. Discussione sulle carte geologico-agrarie. Elezioni alle cariche sociali: vice-presidente pel 1902; quat- tro consiglieri pel 1902-1904; un consigliere pel 1902-1903. ni XXXVIII RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Adunanza inaugurale dell’ 8 settembre. Presidenza del prof. C. F. P a bona. Alle ore 10 nella grande sala dell’Ateneo, gentilmente con- cessa, sono presenti, oltre il presidente Parona, il vice-presidente Capellini, i consiglieri De Stefani, Mariani Ernesto, Cacci amali e Zezi, il tesoriere Statuti, l’archivista Ne vi ani, i vice-segretari Bonarelli e Crema, i soci Bettoni, Brugnatelli, Bruno, Caffi, Capeder, Cermenati, Chiabrera, Cortese, Dainelli, De Ales- sandri, De Ferrari, Del Zanna, De Pretto, De Stefano, Di Stefano, Dompè, Lotti, Martelli, Mattirolo, Merciai, Meschi- nelli, Nicolis, Pantane lli, Portis, Reichenbach, Salmoiraghi, Schneider, Sormani, Stella, Tacconi, Taramelli, Tommasi, To- nini, Toso, Zaccagna ed il segretario Clerici. Assistono alla seduta il prefetto comm. Angelo Cova, che rappresenta S. E. Zanardelli ed i ministri della Pubblica Istru- zione e dell’Agricoltura, Industria e Commercio, il sindaco com- mendator Carlo Fisogni, il cav. Pietro Frugoni presidente della Deputazione provinciale, l’avv. Bortolo Benedini presidente del Consiglio provinciale, il prof. Giuliano Fenaroli provveditore agli studi e segretario dell’Ateneo che rappresenta, il cav. Luigi Ci- cogna vice-segretario dell’Ateneo, il rag. Carlo Bonalda ed il pro- fessor Ugolino Ugolini del Comitato organizzatore, il colonnello Giuseppe Zamara del Comitato pel ricordo a G. Ragazzoni, altre autorità della magistratura e dell’esercito e scelto pubblico. Il Segretario presenta il seguente telegramma pervenuto da parte di S. A. R. il Duca degli Abruzzi, socio onorario : Professore Parona R. Museo Geologico Palazzo Carignano Torino. S. A. R. Duca Abruzzi ringrazia vivamente per programma inviato e per invito gentile dolente non potere intervenire riunione Brescia. D’ordine Ufficiale d’ordinanza Ducei. TENUTE IN BRESCIA DEL SETTEMBRE 1901 XXXIX Poscia il Segretario presenta lettere e telegrammi con cui i soci sottoindicati salutano i colleglli, scusano la loro assenza, aderiscono al Congresso: Aldinio, Anselmo, Baldacci, Baratta, Bassani, Bellini, Bianchi, Colomba, Dal Piaz, De Angelis d’Ossat, De Lorenzo, Dervieux, Di Kovasenda, Flores, Forma, Franchi, Fucini, Issel, Lattes, Mazzuoli, Meli, Pellati, Peola, Platania, Sacco, Salomon, Sequenza, Spirek, Trabucco, Yinassa de Regny. Quindi il comm. Fisogni, sindaco di Brescia, pronuncia applau- dite parole colle quali porge un cordiale saluto ai congressisti ringraziandoli a nome della città per aver scelto Brescia a sede dei loro lavori pei quali augura lieto successo. Termina invitando i congressisti a visitare i musei e le pinacoteche. Il presidente Parona, ringraziato il comm. Fisogni per le sue cortesi parole, legge il seguente discorso: Egregi Signori, cari Colleglli! È doverosa e lodevole consuetudine che il presidente della Società Geologica inauguri l’adunanza estiva con un breve di- scorso, il cui primo scopo si è di porgere, alle Autorità ed alla cittadinanza del luogo scelto a sede del convegno, un saluto a nome dei colleglli ed un anticipato ringraziamento per l’ospita- lità cortese, nella quale i nostri lavori e le nostre escursioni tro- vano il più efficace aiuto. La scelta è caduta quest’anno su Brescia; e l’alto onore di porgere il saluto dei geologi italiani spetta a me, chiamato all’uf- ficio di Presidente dalla indulgente benevolenza dei colleglli. Spetta a me immeritatamente ; perchè il saluto mio, nè per l’au- torità della persona che lo pronuncia, nè per la forma colla quale può essere rivestito, è tale da riuscire degno di questa terra di Arnaldo e del Moretto, di questa antica ed illustre città, che tanto alto tiene il nome lombardo. Tuttavia, ospiti gentili, spero che gradirete la mia modesta parola, come eco lontana del caloroso e riverente saluto, che tutti i componenti XL RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI la Società Geologica Italiana oggi pensano ed in cuor loro rivol- gono a « Brescia la forte, Brescia la ferrea, Brescia leonessa d’Italia ». Permettetemi, o signori, ch’io ve la presenti questa Società Geologica. È un sodalizio che conta già 20 anni di vita e che si costituì in Bologna nel 1881, in occasione del Congresso Geo- logico Internazionale. Il nostro primo Presidente G. Meneghini, l’insigne e compianto naturalista, inaugurando in Verona, nel 1882, la prima nostra adunanza estiva, disse che quel Congresso Inter- nazionale era riuscito utilissimo a noi Italiani, avendo gli stra- nieri dovuto riconoscere in Italia il risveglio dell’antico valore e operosità proporzionata all’alto grado cui era giunta la scienza. Ma il venerando uomo reputava risultato ancora più grande e prezioso il legame che si era stretto fra i geologi italiani, i quali in quell’occasione con slancio spontaneo si erano uniti nella So- cietà Geologica, che virtualmente doveva abbracciare tutti i cul- tori italiani della Geologia e gloriarsi di tutti i loro prodotti. Nè le vicende della nostra Società smentirono l’idea e le speranze del degno Presidente: basterà ch’io vi dica, che l’au- gurio suo, ch’essa riunisse in una sola famiglia tutti i geologi italiani è un fatto compiuto, poiché essa in oggi ne conta ben 238. Venti volumi di studi geologici, onorati dalle più alte onorificenze alle Esposizioni di Torino, del 1898, e di Parigi, del 1900, stanno a prova della sua operosità, mentre l’accordo fra i soci ed i rap- porti cordiali della nostra Società colla istituzione governativa per la Carta Geologica del Regno fanno fede, che la ricerca del vero ed il progresso scientifico sono gli elevati ideali, che guidano ed animano i geologi italiani nei loro lavori e nelle loro discussioni. Ma un altro scopo ha persuaso e spinto i geologi italiani ad associarsi : quello cioè di rendersi più agevole ed insieme più istruttiva la visita alle regioni italiane geologicamente più interessanti. Dopo la sua prima riunione in Verona, già ricor- data, la Società tenne adunanze estive a Fabriano, Milano, Arezzo, Terni, Savona, S. Marino, Catanzaro, Bergamo, Toarmina, Vicenza, Ivrea, Massa-Marittima, Lucca, Roma, Perugia, Lagonegro, Ascoli- TENUTE IN BRESCIA NEL SETTEMBRE 1901 XLI Piceno ed Acqui, e con gite straordinarie, favorite nel modo più efficace dall’illuminato interessamento del Governo, visitò parte della Sardegna, le Isole Ponze e le Lipari. Per il corrente anno la scelta cadde su Brescia e, nel pro- porla ai colleglli come luogo di convegno, fui mosso dal desi- derio, eli’ io lombardo provava, di convocarli in Lombardia e dal proposito di offrire loro l’opportunità di visitare una fra le più belle regioni alpine, che all’interesse di una struttura geo- logica varia e complessa unisce quello di presentare giacimenti minerari, ai quali si collega l’origine delle antiche e celebrate fabbriche d’armi di Brescia e Gardone. Nei due laghi di Iseo e di Garda, due gemme della corona alpina, si specchiano i monti della provincia bresciana, la quale stende il suo territorio dal Pizzo dei Tre Signori, dal Tonale, dall’Adamello, da vette eccelse che toccano i 3.457 metri, all’ubertoso basso piano lom- bardo, dove l’Oglio, bruscamente ripiegando verso est, mantiene il tortuoso suo corso per lungo tratto parallelo al nostro mas- simo fiume, prima di cedergli le sue acque e quelle portategli dal Mella e dal Chiese, gli altri due fiumi della terra bresciana. Dai massicci di rocce cristalline, che al nord la separano dalla Valtellina e dal Trentino e che, per la loro altezza, forma e costituzione geologica, ricordano i colossi delle Alpi piemon- tesi, scendono le tre grandi valli, Camonica, Trompia e la vai Sabbia, che ricetta il melanconico e piccolo lago d’Idro. Esse incidono profondamente le rocce cristalline di età discussa ed i terreni del pernio-carbonifero, attraverso la frattura Collio- Bovegno, dovuta al distacco ed allo sprofondamento della parte meridionale di una grande vòlta stratigrafica, per cui i terreni del Trias vennero a trovarsi a contatto colle rocce paleozoiche e prepaleozoiche : tale è il concetto tectonico di questa regione formatosi da Suess, allorché riuscì a dimostrare la contempora- neità delle rocce porfiriche dell’alto bresciano con quelle del bacino di Lugano. Queste valli tagliano poi la bella serie dei terreni mesozoici, che nella Prealpe bresciana si incurva nella sua direzione, da nord-ovest a nord-est, per disporsi parallela- mente alla riviera del Garda. Ci troviamo qui nell’area di svi- luppo della sinclinale del Garda, una delle più grandiose del XL1I RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI sistema alpino, la quale si addentra profondamente nella massa alpina in direzione quasi meridiana, così da costituire una se- parazione naturale e spiccatissima fra le Prealpi lombarde e quelle venete. È questa una divisione di carattere geografico e geologico ad un tempo, accusata anche dal fatto, che i terreni giuresi, qui relativamente poco sviluppati in confronto dei Rasici e dei triasici, prendono il predominio nella riviera veronese colle potenti masse dei calcari ammonitici. Tuttavia la tectonica della riviera bresciana è intimamente connessa a quella della catena del Baldo: e questa grandiosa curva concava, adagiata fra le Prealpi venete e quelle lombarde non è molto antica, in quanto che dallo scorcio del mesozoico, forse dal cenomaniano come pensa Takamelli, datano i primi accenni al corrugamento, che presentò le fasi di massima intensità al principio del miocene, alla fine del pliocene ed al chiudersi dell’epoca glaciale, come risulta dagli studi del Cozzaglio. È notevole il cambiamento che i terreni mesozoici lombardi presentano nel bresciano, al di qua della Val Camonica: la ete- ropia dei terreni triasici è assai spiccata e si accentua mag- giormente nel retico, che in questi monti va assumendo la facies tipica colla quale si sviluppa nelle Alpi Ketiche. Così nel Lias e nel Giura assumono prevalente sviluppo certe forme litolo- giche, che nella Lombardia occidentale mancano o sono ecce- zionali: esempio tipico il così detto niedolo, particolare forma litologica, che invade parecchi sottopiani del Lias e del Giura. Nè mancano al bresciano i terreni cenozoiei, coi noti giacimenti del nummulitico di Manerba, del messiniano di Badia e di Mon- torfano e del pliocene marino fossilifero di Castenedolo e S. Bar- tolomeo di Salò. Sono questi lembi cenozoiei relativamente poco estesi e quasi tutti affiorano di sotto al potentissimo mantello di depositi glaciali ed alluvionali. Classico è lo sviluppo glaciale nella regione bresciana e ben sanno i colleglli, com’essa, nel- l’altipiano subalpino si allacci da una parte al territorio di Ber- gamo mediante il piccolo, ma caratteristico anfiteatro morenico del lago d’Iseo e dall’altra alle proviucie di Verona e di Man- tova per mezzo del grandioso anfiteatro morenico del Garda, il più vasto del versante meridionale delle Alpi, costruito da quel- l’enorme ghiacciaio, che Stoppani disse l’archetipo del suo genere. TENUTE IN BRESCIA NEL SETTEMBRE 1901 XIjllI Poche sono le altre regioni alpine che in sì breve spazio presentino una serie così ricca di terreni di età e costituzione diversa. Quivi i petrografi trovano nelle rocce cristalline e par- ticolarmente in quelle intrusive del gruppo del Tonale e del- l’Adamello materiali svariati alle loro indagini e, nei rapporti delle rocce stesse con quelle scistose e sedimentari, un campo quant’altro mai interessante per lo studio dei fenomeni attribuiti al metamorfismo di contatto, nel quale sì larga messe raccolse il nostro collega Salomon dell’Università di Heidelberg. La stra- tigrafia si presenta in questa regione disturbata più che altrove nelle Prealpi lombarde, in quanto che la deviazione verso nord- est si svolge complicata da ripetute dislocazioni, scorrimenti ed accavallamenti di masse, in particolar modo manifesti nel tratto interposto fra il massiccio del Tonale e la grandiosa volta del Monte Baldo, come accurate ricerche stratigrafiche, segnatamente quelle del Cozzaglio, mettono in chiara luce. Così per V interpre- tazione dell’orogenesi di questo angolo delle Alpi è di grande importanza la presenza del pliocene marino all’ altezza di 560 metri presso S. Bartolomeo sulla Riviera del Garda, mentre non se ne riscontrano traccie sulla sponda veronese. Nel qual fatto vuoisi riconoscere una significante prova dell’abbassamento post- pliocenico della Prealpe veronese e della pianura padana. Questa parte delle Aliò fu dunque sede di grandiosi feno- meni teutonici in parte svelati, in parte soltanto intraveduti, o che tutt’ora si offrono come problemi alla mente del geologo. Ma non meno importanti sono le ricerche per il riconoscimento delle cause per le quali queste masse alpine, durante e dopo il loro assettamento teutonico ed in dipendenza della varia na- tura delle rocce che le costituiscono, vennero smembrandosi in monti e valli, per assumere i caratteri attuali di forma, la fisio- nomia particolare del loro paesaggio. Questi rilievi montuosi sono bensì l’effetto del corrugamento e di spostamenti grandiosi di masse, ma il loro modellamento, questa varietà infinita di mo- venze e di atteggiamenti che il suolo ci presenta, dobbiamo attri- buirla alla efficacia di cause esterne, all’azione dell’atmosfera, alla erosione fluviale, alla invasione di grandi ghiacciai, agli spostamenti compiutisi nel corso dei fiumi, a quel complesso di cause, che, per esser brevi, attribuiremo alla così detta azione XL1V RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI edace e continua del tempo. È questo l’ordine di ricerche e di studi nel quale il geologo dà la mano al geografo ed al riguardo mi piace di notare, che questa analisi scientifica del paesaggio, come felicemente vien detta dal Cozzaglio, trova nel bresciano appassionati cultori. I geologi che affaticano la mente in queste attraenti que- stioni di geologia continentale ed intorno all’origine dei bacini lacustri, alle ripetute invasioni glaciali, alla formazione e mo- dellamento della grande pianura, trovano poco lungi da Brescia nei due laghi di Garda e di Iseo, nei già ricordati loro sistemi glaciali, nelle morene e nelle alluvioni di diversa età ed in diverso stato di alterazione, nel terrazzamento operato dall’Oglio e dal Mella nelle antiche alluvioni, altrettanti campi di ricerche e temi di discussione. Nè minori sono le attrattive per i paleontologi, perchè le valli bresciane offrono numerosi e ricchi giacimenti fossiliferi. Per la sola Val Trompia possiamo citare quello con fìlliti per- miane di Collio, le ooliti ferruginose ed il calcare oolitico di Ivino e della Man iva con fossili del Trias inferiore, il Trias ammonitifero di Marcheno, il tipico deposito degli scisti ittio- litici di Lumezzane e quello classico del munte Domerò, colla ricca fauna del Lias medio. Nè meno ricche di fossili sono la Val Camonica e la Val Sabbia e per quest'ultima è in parti- colare degno di menzione il giacimento di Caino, dal quale lo Stoppani ebbe i giganteschi esemplari dei suoi strani Dicero- cardium. I giacimenti di minerali metallici e segnatamente quelli di ferro spatico della Val Trompia, i depositi delle rinomate pietre da calci e da cementi della riviera d’Iseo ed i banchi dei pre- giati calcari marmorei delle vicinanze di Brescia richiamarono per tempo l’attenzione dei geologi sopra questa bella parte della Prealpe lombarda. Infatti G. B. Brocchi esercitò il suo versatile e potente in- gegno anche nello studio dei giacimenti minerari bresciani ed affidò i risultati delle sue ricerche alle Memorie, che portano le date del 1805 e del 1808, sulle miniere di ferro spatico del Dipartimento del Mella e sulla costituzione delle montagne me- TENUTE IN BRESCIA NEL SETTEMBRE 1901 XLV tallifere della Val Trompia. A Bassano spetta l’onore di aver dato i natali a questo illustre italiano, che a Chartum, nel Sen- naar, doveva chiudere nel 1826 la gloriosa sua carriera di scien- ziato; ma anche Brescia può vantarlo suo cittadino, poiché l’ospitò per quasi dodici anni della sua operosissima vita, durante la quale il celebre paleontologo doveva rivelarsi valente zoologo, botanico, igienista, archeologo e letterato. Non si può parlare di geologia bresciana senza ricordare Giulio Curioni. il quale fu uno dei pochissimi che, dopo un lungo periodo di abbandono quasi totale degli studi geologici fra noi, cooperarono efficacemente a farne rinascere l’amore. Così disse di lui lo Stoppato, il geniale fondatore della geologia lom- barda, al quale le escursioni sui monti e nelle valli bresciane procurarono molti ed importanti dati e materiali preziosi per i poderosi suoi lavori paleontologici e di sintesi stratigrafica. Ma come potrei discorrervi di geologia bresciana, di Curioni, di Stoppini senza associarvi il nome di Giuseppe Ragazzoni, del geologo bresciano, al quale i concittadini, i discepoli e gli ammi- ratori, memori e grati, inaugurano oggi, col vostro intervento, un ricordo marmoreo? Nel 1891 il mio amatissimo maestro pro- fessor Taramelli, nell’elevato discorso col quale iniziò i lavori della memorabile adunanza tenuta in Bergamo, si dolse che la salute mal ferma non permettesse l’ intervento di Ragazzoni, ed al colto ed esperto conoscitore della geologia bresciana inviava un saluto augurale, nella speranza che a lui tornasse di dolce conforto la parola di un collega riconoscente, fra i molti che, oltre la sua valentia e modestia, avevano potuto apprezzare la generosità colla quale soleva far parte ai colleglli italiani e stra- nieri delle sue carte geologiche inedite, dei tesori di notizie scientifiche e di materiali di studio, che da oltre quarantanni andava raccogliendo nei suoi monti. Con viva compiacenza io rammento questo saluto, che la Società nostra, colla parola auto- revole, affettuosa e colorita del suo Presidente inviava dieci anni or sono al valoroso geologo bresciano. Pur troppo ci manca ora il conforto della sua presenza fra noi, nè possiamo compiacerci della gioia colla quale egli avrebbe accolto i colleglli e della soddisfazione colla quale avrebbe loro parlato della geologia bresciana, della quale fu tanta parte, e presentato le collezioni XLVI RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERAI, I da lui adunate. Ma se è scomparsa la sua persona, vive e vivrà la sua memoria e l’opera sua, non solo nei suoi scritti e nelle sue raccolte, ma anche nei suoi allievi, ai quali trasmise il sacro fuoco dell’amore alla geologia ed al patrio suolo. Cacci a. mali e Cozzaglio diletti allievi del compianto collega, colle loro belle ed efficacissime commemorazioni lette in questa stessa aula del- l’Ateneo, resero degno omaggio alle virtù esemplari del concit- tadino ed affermarono l’opera del maestro, informata ad un con- cetto direttivo, che i geologi dovrebbero avere sempre presente e ch’egli esprimeva colla frase « i fatti sono fatti, stiamo ai fatti ». E questi allievi, mentre colle loro ricerche attivamente contribuiscono al progresso degli studi geologici della natia pro- vincia, danno prova nel tempo stesso della bontà degli insegna- menti del maestro e ne onorano nel miglior modo la memoria. Nell’ influenza esercitata da Ragazzoni sui giovani da lui avviati agli studi geologici abbiamo anche una prova della virtù dell’esempio; ed io non esito ad esprimere l’opinione, che l’in- fluenza esercitata dall’esempio suo deve aver superato i confini della provincia ed abbia giovato a mantenere vivo nei colleglli Comotti e Vanisco quell’amore agli studi geologici, che doveva dar loro la forza necessaria a condurre a termine il rilievo geo- logico della confinante provincia di Bergamo ed alla compila- zione della relativa carta geologica, pregievolissimo lavoro, se consideriamo l’epoca in cui fu compiuto, le difficoltà dell’im- presa e il fatto ch’esso è il risultato di iniziativa individuale. Io penso che l’esempio del Ragazzoni non dev’essere estraneo all’opera di un altro privato cittadino, che per virtù propria, per rara energia, animata da acuto ingegno e dall’amore allo studio, seppe conquistare fama di valente geologo e pubblicare carte geologiche e monografìe per cui l’altra provincia attigua, quella di Verona, è nel riguardo geologico fra le meglio conosciute del Regno. I colleglli sanno ch’io parlo di Enrico De Nicolis, il quale negli studi geologici trovò prima ristoro a fatiche onorate e cerca ora conforto e distrazione ad irreparabile sventura do- mestica. È cosa nota che Ragazzoni non era affatto geloso degli altri geologi: anzi egli soleva aiutarli del suo meglio e la provincia di Brescia fu campo aperto a geologi e paleontologi, e molti TENUTE IN BRESCIA NEL SETTEMBRE 1901 XLV11 italiani e stranieri visitarono queste montagne e ne studiarono le rocce ed i tossili, che di mano in mano vi si discoprivano. Così alla stratigrafia ed alla paleontologia bresciana si collegano indissolubilmente i bei nomi di Mortillet, Hauer, Benecke, Gììmbel, Suess, Geitnitz, Fuchs, Lepsius, Mojsisovics, Bittner, Salomon e quelli dei nostri Meneghini, De Zigno, Omboni, Ta- ramelli, Salmojraghi, Tommasi, Sacco, Stella e di parecchi altri nostri colleglli, dei quali, oltre Cozzaglio e Cacciamali già menzionati, mi piace di ricordare un altro bresciano, I’Andrea Bettoni, che di recente iniziò la sua carriera di paleontologo con una accurata monografia dei fossili domeriani, che voi ve- drete nel Museo Ragazzoni. A proposito delle, benemerenze di Brescia verso la patria e verso la scienza nostra, lasciate eh’ io ricordi la voce divulgata, ma che pur troppo non possiamo confermare, che le spoglie di Leopoldo Pilla, l’illustre geologo napoletano, decoro dell’Uni- versità pisana, caduto gloriosamente a Guidatone a soli 42 anni di età, trovassero degna sepoltura nel Cimitero monumentale di questa città. Intorno a ciò riferisce Gherardo Nerucci, nei suoi ricordi del battaglione universitario toscano (Prato, 1891), che la « diceria dev’essere nata dal fatto della domanda di un Co- mitato bresciano per avere i cadaveri dei professori caduti», e soggiunge che il cadavere del Pilla fu lasciato sul posto dove cadde, nè fu possibile trasportarlo per l’ incalzare delle truppe austriache. L’ impossibilità di provvedere al trasporto non di- strugge il merito del pensiero pietoso e patriottico dei bresciani e non ci dispensa dal dovere della gratitudine. Riguardo alla diceria sarei poi per dire, che non dobbiamo dolerci ch’essa sia corsa, perchè, ritenuta per vera, suggerì al Coquand le generose parole colle quali chiuse l’eloquente com- memorazione dell’ insigne geologo, letta alla Società Geologica di Francia, nell’adunanza del 16 aprile 1849. Egli disse: «La » rotta di Curtatone e la fine del professore di Pisa destarono » nella Penisola un generale cordoglio. Brescia reclamò la sua » spoglia, ed è nella patria del famoso Arnaldo che riposa questo » nuovo martire dell’antica causa italiana. 1 bresciani si rnostra- » rono degni del deposito che loro aveva confidato l’Italia. Un XLVIII RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI » popolo che protesta, col sacrificio della vita, contro le ingiurie » della fortuna è degno di libertà ... Un sole più fulgido bril- » lerà per l’ Italia . . . essa ricostruirà il suo edificio nazionale. » Possa riparare anche la perdita eh’ essa ha fatto, e che noi » abbiamo fatto con essa, di uno scienziato che noi le abbiamo » invidiato e che fu uno dei membri più eminenti e più com- » pianti della nostra Società ! » Non si leggono senza commozione nel vecchio volume della Società francese, sorella maggiore della nostra, queste inspirate parole colle quali uno straniero, recando tributo di ammirazione sincera al collega italiano, si rivelava col caloroso suo augurio profeta di tempi migliori per la patria nostra, quando volgevano per l’ Italia tempi assai tristi, quando la sventura di Novara sembrava dovesse soffocare le aspirazioni degli italiani. Però noi, rivolgendo ora riverenti il nostro pensiero alla memoria di Pilla, dobbiamo associare, riconoscenti, al nome suo glorioso quello del pari illustre di Coquand. Egregi colleglli ! Credo di avervi dimostrato che Brescia, per l’importanza geologica della sua Prealpe e per i ricordi che la collegano al risveglio fra noi degli studi geologici ed al rapido loro progresso, ben meritasse di essere da voi visitata. A voi, che qui in buon numero siete venuti da ogni parte d’Italia a rappresentare la nostra Società, io do il benvenuto e porgo rin- graziamenti dal profondo dell’animo. A guisa di resoconto morale sull’anno già inoltrato, sono lieto di potervi dire, che dall’ultima volta che ci raccogliemmo nessun lutto venne a funestare la nostra famiglia, a diradare le nostre file. Così mi piace di poter richiamare la vostra atten- zione sul numero rilevante di nuovi soci acquistati nel corrente anno e che sta per acquistare il nostro Sodalizio e sull’attività invero confortante dei colleglli, segnatamente dei giovani. Ne dànno prova i due fascicoli già pubblicati del nostro Bollettino ed il numero e l’ importanza dei lavori presentati al concorso Molon ; come presto vi dirà il relatore della solerte Commis- sione, incaricata di riferire in merito dei lavori stessi e di illu- minarci sull’assegnazione del premio. TENUTE IN BRESCIA NEL SETTEMBRE 1901 XLIX I colleglli Taramelli, Pantanelli e Di Stefano, accettando il delicato incarico di esaminatori ed assoggettandosi al lungo e faticoso lavoro di leggere e di confrontare le opere volu- minose, in gran parte manoscritte, presentate dai sei concor- renti al premio, dimostrarono quanto sia vivo il loro interessa- mento per la nostra Società ed io sono sicuro di farmi inter- prete vostro nell’ esprimere ad essi i più sentiti ringraziamenti. Sono del pari sicuro di interpretare il vostro pensiero mani- festando inoltre la più schietta compiacenza per il risultato sod- disfacentissimo di questa nobile gara fra i giovani nostri col- leglli, anche per il fatto che l’esito del concorso costituisce il più bel tributo d’onore alla memoria di Francesco Molon. Ed ora non saprei come meglio chiudere il mio dire, che colla preghiera, di unirvi a me nello sciogliere il debito di gra- titudine alla tradizionale ospitalità bresciana, che sola rese possibile il nostro convegno. Questo illustre Ateneo, che nelle lettere e nelle scienze degnamente rappresenta la coltura bre- sciana, e che è degno custode di una eredità scientifica, lette- raria ed artistica la quale si onora dei nomi di Nicolò Tar- taglia, di Agostino Gallo, di Veronica Gambata, di Camillo Ugoni, di Giuseppe Nicolini e di altri insigni, accolse con in- coraggiante favore la mia proposta di qui convocarvi, e si com- piacque di assumere sotto il suo patrocinio il XX Congresso Geologico Italiano. Le Autorità comunali e provinciali con grande cortesia provvidero perchè generosi aiuti ed opportune disposizioni facilitassero in ogni modo le nostre gite. Un Co- mitato si è costituito per organizzare il convegno e dirigere le escursioni: ne sono l’anima i signori prof. Cacciamali, rag. Bo- nalda, prof. Bertoni, prof. Ugolini, desiderosi di mostrarci le bellezze naturali del loro paese, e di darci nuova prova della ospitalità lombarda. A questo benemerito Comitato si deve il programma delle gite, e la guida- itinerario delle escursioni, grato ricordo del Congresso e dei colleglli bresciani. Questa guida fu redatta allo scopo di fornirvi preventivamente di utili informazioni sulle località che si visiteranno, di guisa che voi potrete prendere parte alle escursioni già informati dei fatti geologici più importanti, con manifesto vantaggio dei vostri studi. L RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI All’on. Massimo Bonardi, Presidente dell’Ateneo, eoi nostro saluto e coi nostri ringraziamenti, giunga gradito anche l’augurio di sollecita guarigione. Al prof. G. Fenaroli, che degnamente lo sostituisce, al primo magistrato della città, il Sindaco Comm. Fi- sogni, al Presidente dell’On. Deputazione Provinciale, C'av. Fru- goni, al benemerito Comitato, alla cittadinanza io rivolgo, a nome dei geologi italiani qui convenuti, le più vive azioni di grazie, insieme al cordiale saluto. E un reverente saluto mandiamo a S. A. li. il Duca degli Abruzzi, nostro Socio Onorario, il quale si compiacque di esprimerci i suoi voti per la miglior riuscita del Congresso, ed il suo dispiacere di non poterlo presenziare. E il nostro riverente saluto ed i più vivi ringraziamenti giungano pure graditi a S. E. Giuseppe Zanardelli, l’illustre cittadino che personifica il patriottismo bresciano, ed ai Ministri Baccelli e Nasi, che con squisita cortesia vollero farsi rappresentare alla nostra adunanza dall’Illmo sig. Prefetto Comm. Cova. Il discorso, spesso interrotto da applausi, è alla fine accolto da vive acclamazioni. Il prof. Fenaroli a nome dell’Ateneo saluta i congressisti e ringrazia il prof. Parona perchè qui nell’Ateneo, che fu sede di scienziati e di patrioti, ha così efficacemente, nel suo discorso, ricordato il patriottismo della terra bresciana. Il prof. Cacciamali, nostro consocio e presidente del Comitato, è lieto di recare all’assemblea il saluto dell’on. Nasi, Ministro della Pubblica Istruzione. Quindi il segretario legge le seguenti lettere inviate da S. E. il Ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio e dal Direttore dell’Osservatorio Meteoro-geodinamico e limnimetrieo di Salò: Il Ministro pei- l’agricoltura, Pindustria Boma, 31 agosto 1901. e il commercio. Illmo signor Professore, Molto volentieri avrei accettato il cortese e gradito invito della Società Geologica Italiana, se le cure del mio ufficio non me lo impe- TENUTE IN BRESCIA NEL SETTEMBRE 1901 LI dissero. Nel presentare a Lei e a tutti i membri della benemerita Asso- ciazione geologica i miei più sentiti ringraziamenti mi piace assicurarli che io, seguendo con interesse e simpatia i loro studi, non solo seguiterò in quell’appoggio di cui furono larghi i miei predecessori, ma cercherò per quanto posso di incoraggiare in ogni modo gli studi geologici italiani. Il Ministro G. Baccelli. Illmo Signor Prof. Carlo Fabrizio Parona Presidente della Società Geologica Italiana Torino. Osservatorio Meteoro geodinamico e limnimetrico Salò, 7 settembre 1901. di Salò. Illustre Presidente del XX Congresso Geologico Italiano in Brescia, Spiacentissimo di non poter prender parte al XX Congresso Geo- logico Italiano, compio il gradito dovere di inviare a Y. S IIP e ai valorosi e benemeriti cultori delle discipline geologiche costi convenuti il plauso più fervido ed il reverente e affettuoso mio saluto ; ed esprimo voti che codesto illustre consesso, adunante nella secolare nostra Acca- demia, in cui suona sempre applauditissimo il nome venerato di Giam- battista Brocchi, raccolga tanta messe di studi e diffonda tanta luce di scoperte, per cui derivi nuovo e rapido incremento alla scienza e no- vello lustro alla Patria. Confido che il Congresso geologico vorrà onorare di una sua visita l’osservatorio, a cui, da oltre quattro lustri, ho consacrato le mie mo- deste, ma operose sollecitudini. Con la più alta stima ho il piacere e l’onore di protestarmi. Della S. V. Illma devotissimo Pio Bettoni. Il Segretario legge le proposte di nuovi soci : Prof. Lodovico Audenino a Chieri (Torino), proposto dai soci Bonarelli e Parona. Ing. Ettore Broggi a Milano, proposto dai soci De Alessandri e Neviani. Prof. Liberto Fantappiè a Viterbo, proposto dai soci Clerici e Neviani. LII RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALT Dott. Fabio Fra ssetto a Torino, proposto dai soci Bonarelli e Parona. Sig. Giovanni Battista Giattini a Cingoli (Macerata), proposto dai soci Bonarelli e Vinassa de Regny. Dott. Paolo Oppenheim a Charlottenbnrg, proposto dai soci Bonarelli e Sacco. Prof. Vittorio Emanuele Picasso a Torino, proposto dai soci Bonarelli e Parona. Avv. Guido Praga a Roma, proposto dai soci Lotti e Sclineider. Prof. Agilulfo Preda a Spezia, proposto dai soci Taramelli e Zaccagna. Dott. Pietro Prever a Torino, proposto dai soci Bonarelli e Parona. L’assemblea approva ad unanimità. La seduta è tolta alle 11.30. ❖ * * Terminata la seduta inaugurale i Congressisti ricevono da parte del Comitato l’invito al banchetto dato in loro onore all’Hótel Brescia; l’invito alla inaugurazione del ricordo monu- mentale al geologo Giuseppe Ragazzoni. Ricevono pure in dono assai gradito: una cartolina commemorativa del ricordo stesso; un album illustrato della città di Brescia con cenni cronistorici, e una guida-itinerario delle escursioni compilata da Cacciamali, Bonarelli e Cozzaglio. In altra sala dell’Ateneo il Comitato aveva esposto gli origi- nali delle carte geologiche eseguite dal Ragazzoni ed il profilo delle Prealpi dello stesso, la carta della Lombardia del Tara- melli, le cartine Maddalena, Palosso ed Urago del Cacciamali ed una grande carta del Bresciano eseguita da Bonarelli e Bet- tolìi per la circostanza riunendo gli elementi finora noti. Ad illu- strazione delle dette carte vi era inoltre una serie di campioni delle principali roccie della regione. Dopo il banchetto, nel quale furono pronunziati applauditi brindisi dal prof. Parona, dall’avv. Benedini, dal prof. Ca- pellini e dal prefetto Cova, i soci in numerosi gruppi, corte- TENUTE IN BRESCIA NEL SETTEMBRE 1901 LUI semente guidati dai membri del Comitato, si recarono a visitare i principali monumenti ed i musei. Fra le cose viste, specialmente ammirate furono la impareg- giabile facciata di S. Maria dei Miracoli, la Loggia, il Monte di Pietà, il Broletto, la torre con fontana detta la Pallata, poi i monumenti a Moretto, ad Arnaldo, a Tito Speri, quello delle dieci giornate. Molto interesse destò il Museo dell’età romana, costruito appunto sulle rovine di un edificio romano, ove si conservano oggetti pregevolissimi, notissimo fra tutti la statua in bronzo la Vittoria, che molti non conoscevano che di fama o per averne viste delle riproduzioni. Si passò poi al non meno interessante Museo dell’età cri- stiana situato nell’ex chiesa di S. Giulia. In ambedue i musei fu guida il loro direttore cav. P. Rizzini. La visita si sarebbe ancora protratta molto a lungo se non fosse stato necessario affrettarsi a salire sul colle Cidneo. Inaugurazione del ricordo monumentale a Giuseppe Ragazzoni sul colle Cidneo. Il colle Cidneo raggiunge la quota di m. 245 e quindi si erge di un centinaio di metri sulla città che sembra adagiata al suo piede meridionale ed occidentale. È solcato da una rete di comodi viali alberati e coronato da un pittoresco castello le cui origini rimontano certamente fino all’epoca romana. Poche città possono vantare una passeggiata altrettanto bella e dalla quale possa go- dersi di una vista altrettanto splendida ed estesa che abbraccia la pianura padana dalle prealpi all’Appennino. Presso la sommità, in mezzo ad una aiuola di fiori, fu eretto il ricordo monumentale a Ragazzoni, ed invero la scelta del luogo non poteva essere più felice. Il monumento consiste in una piramide triangolare, alta m. 8.10, e coi lati della base di m. 4.50, formata da massi irregolari di porfido, gneiss, quarziti, dolomia, ferro spatico, tonalite, roccie tutte delle vicine vallate, raccolte ed ivi traspor- tate, con gentile pensiero, dai Valligiani di Collio e di Bovegno. Addosso alla faccia occidentale è appoggiato un lastrone di IV LIV RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI arenaria rossa che reca in alto il bassorilievo in bronzo col ritratto, mezzo busto, del Ragazzoni, opera dello scultore F. Pezzoli. Il ricordo a G. Ragazzoni (Da una fotografia, opera ed omaggio del rag. P. Rubagotti). In basso v’è una lapide di pietra bianca di Rezzato con la seguente epigrafe dettata dal prof. Folcieri : A GIUSEPPE RAGAZZONI NEL COSPETTO DELLE PATRIE VALLATE CHE EGLI SAPIENTE DELLE GEOLOGICHE DISCIPLINE A PUBBLICO BENEFIZIO SVELAVA MCMI Due giovani piante di alloro crescono ai lati della lastra e sembrano spingere i loro rami ad incoronare il ritratto. Alle 17, ora stabilita per l’inaugurazione, convengono intorno al monumento tutte le autorità, tutti i congressisti con largo TENUTE IN BRESCIA NEL SETTEMBRE 1901 LV stuolo di invitati colla parte più eletta della cittadinanza, signore e signorine, e poi dietro il recinto una massa di popolo. Giuseppe Ragazzoni (Da una fotografia, opera ed omaggio del di lui figlio Pietro). La lapide viene scoperta al suono della marcia reale, quindi il prof. Cacciamali, presidente del Comitato, pronuncia il se- guente discorso : Pochi mesi dopo che, tra il rimpianto dei cultori della geologia e dei cittadini bresciani, Giuseppe Ragazzoni era sceso nella tomba, quando colleglli ed amici, discepoli ed ammira- tori suoi pensarono di eternare, anche nel marmo e nel bronzo, il ricordo di Lui, fu spontaneo il plauso, spontaneo l’appoggio morale e materiale all’idea tanto in Brescia che in ogni parte d’Italia. LY1 RESOCONTO PELLE ADUNANZE GENERALI Quasi a rappresentare l’opera scientifica del Maestro, si volle che il ricordo consistesse in una piramide di massi delle varie roccie della provincia, e che sorgesse qui in cospetto della da Lui prediletta V. Troni pia. E quando il Comitato pensò di inaugurare questo monu- mento nell’occasione che in Brescia nostra sarebbero convenuti i geologi italiani pel loro XX convegno scientifico, unanime fu l’accordo; ed ogni altro desiderio, per (pianto nobilmente ispirato, cedette il passo. Tutto ciò, o Signori, ha un grande significato: non soltanto all’uomo probo ed onesto, al lavoratore indefesso, al patriota, al cittadino benemerito ed intemerato; nè solo al ricercatore delle naturali ricchezze, intento a giovare all’economia nazio- nale; nè solo ad uno dei fondatori della sezione nostra del Club Alpino, mirante alla educazione fisica, intellettuale e mo- rale delle generazioni; nè solo al valente professore, al quale una plejade di giovani attinse i veri scientifici e tecnici, noi siamo dinanzi; ma ancora e sopratutto all’illustratore primo c massimo delle nostre montagne, a Colui che seppe conquistarsi un posto distinto tra i geologi suoi contemporanei. Pressoché coetaneo dello Stoppani e del Curioni — per non citare che due tra i defunti e sommi geologi lombardi — Giu- seppe Ragazzoni svolse la propria attività scientifica principal- mente nel periodo di tempo che corre all’incirca tra il 1850 ed il 1890. Per quanto la stratigrafia e la paleontologia fossero allora già progredite, ad opera del Brongniart, del D’Orbigny, del Lamarck, del Cuvier, del nostro Brocchi e d’altri, le antiche concezioni — cosmogoniche più che geologiche — avevano la- sciata una forte impronta nella scienza; e la profonda traccia del plutonismo di Hutton e Von Buch, della teoria del sincro- nismo delle catene parallele del De Beaumont, di quella delle rivoluzioni istantanee del Cuvier stesso e di Breislak, rimase anche dopo venuto il Lyell colla teoria delle cause attuali. È così che nella mente del Ragazzoni, per quanto vi aves- sero trovato accesso le teoriche del Lyell, rimase un sedimento della vecchia concezione catastrofica, della vecchia concezione TENUTE IN BRESCIA NEL SETTEMBRE 1001 LVII dei crateri di sollevamento, che vedeva nelle forme topografiche l’effetto di azione endogena sollevante. Soggiogato da quei concetti, e preoccupato d’altre questioni allora di attualità, il Ragazzoni non ebbe modo nè tempo per accedere alle moderne vedute; onde di Lui si può dire, come dello Stoppani, che sopravvisse a sè stesso, mentre tanti altri venivano conquistati dalle teorie morfogenetiche del Suess, del Neumayr e dell’Heim, che ebbero così benefica influenza anche sui poderosi ingegni del Lubbok in Inghilterra e del Lapparent in Francia — le teorie cioè della contrazione dello sferoide e degli abbassamenti di masse con consecutivi corruga menti per forze tangenziali, teorie che vedono nelle montagne delle masse passive, nelle catene e nelle modalità topografiche il risultato di corrugamenti plasmatisi contro nuclei che preesistevano, e di potentissime azioni erosive. La stessa questione glaciale, che diede la spinta all’analisi del paesaggio, allo studio meccanico della scorza terrestre, e che ebbe valenti studiosi prima in Agassiz, Charpentier e Martin, poi in Mortillet, Ramsay, Tyndall e Stoppani, veniva dal Ra- gazzoni sfuggita. Ciò non pertanto l'acuta mente di Lui intuì molti fatti che i nuovi studi vanno ora continuamente riconfermando: valga per tutti il ricordare che neH’orogenesi della nostra prealpe Egli giustamente ammetteva le valli trasversali essersi costi- tuite prima di quelle longitudinali. Ma il maggior merito del Ragazzoni non è già quello di aver creato delle teorie, della qual cosa Egli era affatto schivo; maggior suo merito è quello di essersi attenuto soprat- tutto ai fatti : in questa via positiva, nella quale si trovò spesso col Curioni, Egli veniva a mettersi sopra un terreno più so- lido di quello dello Stoppani stesso, dello Stoppani il quale, colla potenza dell’intelletto e colla forma smagliante dell’espo- sizione, salì a tal fama, da venir meritamente considerato uno dei rappresentanti sommi del genio italiano e della scienza geologica; ma le cui teorie Luna dopo l’altra furono in gran parte sostituite da altre più in armonia colle nuove ricerche, colle nuove indagini. LVIII RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Ferveva in quel tempo la controversia tra i geologi per stabilire la serie normale di successione delle varie formazioni sedimentarie, e si andavano stabilendo più o meno esatte cor- rispondenze tra la serie delle Alpi nostre e le serie di Inghil- terra, Francia, Svizzera, Germania, Austria. Il nostro Ragazzoni, partendo dal suo « stare ai fatti » imprese allora un’opera po- derosa, il profilo geognostico del versante meridionale delle Alpi nella Lombardia orientale, che per la Y, Tellina, la V. Camonica e la Y. Sabbia giunge al Po, andando così da M. Braulio a Casalmaggiore. Quel profilo, che per la sua gran- diosità venne da taluno ritenuto persino un lavoro ideale, orna ora le sale del Museo di Storia Naturale Bresciana, monumento e testimonio della meravigliosa attività, della vasta mente del Ragazzoni, che ebbe a rilevarlo colla tenacia del geologo e dell’alpinista insieme. Oggi, non v’ha dubbio, i progressi della tectonica e della geologia continentale, della stratigrafia e della morfogenesi, della paleontologia e della petrografia han fatto fare passi gi- ganteschi alla scienza; ma ancora e sempre dovremo dire che la geologia bresciana è stata quasi per intero rivelata dal Ra- gazzoni, e che niuno, pur riconoscendo particolari nuovi, o considerando i fatti sotto aspetti nuovi, può e potrà mai dire della geologia nostra senza riferirsi all’opera sua, opera della quale, Egli vivente, faceva volentieri larga parte a chiunque lo richiedesse di aiuto, di consiglio, di notizia. Instancabile nella indagine dei fatti, come nella ricerca di quanto potesse tornare utile all’industria nazionale, come nella raccolta di roccie e di fossili, il Ragazzoni era d’una così ec- cezionale modestia, che — non considerando sè stesso come scienziato, mentre della scienza era vero interprete e dispen- satore — spesso ripeteva: «Verranno poi gli scienziati e giu- dicheranno ». A questa sua grande modestia devesi lo scarso numero delle sue pubblicazioni, consegnate quasi tutte nei Commentari della cittadina Accademia, alla quale egli legò le ricche rac- colte che sono la base principale della parte geologica del nostro Museo di Storia Naturale. TENUTE IN BRESCIA NEL SETTEMBRE 1901 L1X Gloria a Te, Maestro venerato, figlio eletto della nostra Brescia; possa questo monumento, che io, a nome del Comitato ed al cospetto di tanti valorosi cultori delle geologiche disci- pline, ho, benché indegnamente, l’onore di consegnare all’Il- lustrissimo sig. Sindaco della città, essere col ricordo di Te, esempio e sprone alla gioventù; esempio di forte carattere e di grande amore alla patria ed alla scienza, sprone di attività e di costanza nelle opere che mirano insieme alla conoscenza del vero ed all’utile pubblico. Applausi prolungati. Quindi prende la parola il comm. Fisogni, sindaco di Brescia : Egregi Signori , Nessun posto era più adatto di questo per un monumento al prof. Ragazzoni. Qui, di fronte a quelle valli ch’Egli tanto amò, che percorse indefesso studiandole, analizzandole, sviscerandone l’intima costi- tuzione morfologica e geodinamica, Egli rivive nei suoi studi prediletti e dice ai posteri : Là, io ho vissuto, là ho insegnato alla gioventù, ai miei discepoli ad amare la scienza, ad amare il nostro bel Paese! A Giuseppe Ragazzoni, che mi onorò della sua amicizia e col quale percorsi molte e molte volte quelle balze e quelle cime, pendendo dal suo labbro sempre pronto a far noto agli altri quanto la scienza gli aveva svelato : a Giuseppe Ragazzoni, che — poco curante di sé, modestissimo e cosi poco geloso delle proprie scoperte — metteva disinteressatamente e sempre la propria attività a servizio degli scienziati che a lui ricorrevano : a Giuseppe Ragazzoni che amò di caldo e sincero affetto la Patria nostra, ad essa dedicando tutta la sua vita di scienziato e di cittadino, oggi i suoi contemporanei eressero a perpetua memoria questo monumento. Signori, Quale rappresentante di Brescia e quale amico dell’illustre estinto, mi sento onorato di ricevere questo ricordo in consegna LX RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI in nome dei miei concittadini, grati al Comitato che lo eresse per volontà di popolo. Esso dica ancora una volta ai tìgli nostri, che Brescia non dimentica mai coloro che la onorarono. Là, poco discosto, un monumento ricorda le nostre glorie patriottiche, qui, un altro rammenta uh cittadino benemerito della scienza. Applausi. Il prof. Taramelli prende la parola e dice: La Presidenza della Società Geologica Italiana mi incarica di manifestare al solerte Comitato ed alla cittadinanza bre- sciana, che vollero onorata con questo monumento la memoria di Giuseppe Ragazzoni, sensi di plauso e di ringraziamento vivissimi. Poiché il compianto geologo bresciano fu di essa Società uno dei fondatori, volgono appunto ora ventanni in Bologna, in quella prima festa della geologia italiana ; allor- quando, dopo appena pochi lustri di vita nazionale, il paese nostro agli scienziati accorsi d’ogni parte offriva onorevole spettacolo di una mirabile abbondanza di lavori geologici lo- cali ed un primo tentativo di una carta geologica d’Italia. Fra questi lavori locali, sebbene con molta riluttanza, da me vinta colla tenace insistenza di amico riverente, presentava il professore Ragazzoni la carta geologica della provincia bre- sciana, nella quale egli aveva raccolto i risultati di oltre un trentennio di studi appassionati e coscienziosissimi, condotti quasi tutti a sue spese; studi così copiosi e così esatti, che di quel rilievo geologico tuttora rimane immutata la parte essen- ziale dell’ordinamento e della distribuzione dei terreni. Che di questa importante regione lombarda quanti hanno scritto tino a pochi anni fa, italiani e stranieri, ebbero dal nostro geologo l’ insegnamento esattissimo. Egli allo Stoppani ed al Curioni, al Hauer, al Giìmbel, al Lepsius, al Meneghini fornì i fossili per le loro monografìe. Egli, colla semplicità di una esposizione precisa ed amorosa, si crebbe attorno bella schiera di giovani operosi e colti, ai quali sono lieto di qui tributare ben meritata lode, e pel valore dei loro studi, e per la affettuosa memoria che essi, quali figli ben nati, serbano di TENUTE IN BRESCIA NEL SETTEMBRE 1901 LXI così zelante ed efficace maestro. I lavori stratigrafici e paleon- tologici di Cacciamali, Cozzaglio e Bettoni sono frutti eleganti e splendidi, usciti dal germe che quel modesto e nobile ingegno ha seminato in questi egregi, sino dalla loro fanciullezza. Ep- però benedetta e lodata sia mai sempre l’opera di Lui, che tanto validamente ha contribuito al progresso della geologia italiana. Due caratteristiche notevoli distinguono l’opera del prof. Ragazzoni nel campo delle scienze geologiche: l’una, l’assoluta oggettività, che conseguiva dal fatto che ad ogni dubbio il co- scienzioso naturalista tornava sul terreno, incontentabile nel suo desiderio di raggiungere la massima esattezza nei suoi ri- lievi; l’altra, il continuo proposito di esaminare quei fatti e quelle condizioni di suolo, che presentassero alcun interesse per le applicazioni della geologia e della mineralogia, alla in- dustria estrattiva, all’agricoltura ed all’edilizia. Epperò gli af- fioramenti ed i filoni metalliferi, le cave di pietre, di cementi e di marmi, la varia natura delle alluvioni rispetto alla coltiva- zione, l’andamento delle acque sotterranee e quant’altro nella geologia può trovare un’utile applicazione alla produzione in- dustriale od agraria, trovavano nel Ragazzoni un cultore vi- gile, appassionato, scrupoloso, sapiente, anche pei viaggi fatti all’estero, sempre allo scopo di istruirsi in quelle discipline, che potevano poi tornare di vantaggio al proprio paese. Sintetico ed ardito, quando si trattava di spaziare nel campo della geo- logia teorica, Egli era altrettanto cauto e preciso quando ve- niva interpellato sopra un dettaglio stratigrafico o paleontolo- gico o mineralogico, risguardante la sua provincia e le regioni finitime, a lui note perfettamente, in particolare l’alto Berga- masco ed il Trentino. E poiché voi mi concederete di certo che io aggiunga l’e- spressione dei miei personali ricordi, essendogli stato amico sincero per oltre un trentennio, non taceri) che da lui ebbi preziose indicazioni non soltanto sulla geologia bresciana, ma ancora quando mi occorse di viaggiare nel Veneto, nella Val- sugana e nelle valli tirolesi. Eziandio l’ultima volta che lo vidi, già ammalato e ca- dente, in occasione di una gita coi miei allievi nella Val LXI1 RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Trompia e nella Val Sabbia, Egli non mancò (li indirizzarmi ancora con mirabile esattezza; ed io gli leggeva negli occhi luccicanti, commosso di pietoso rispetto, il dolore di non po- termi essere compagno. Modesto e saggio, amico incomparabile, coltissimo ed ognora desideroso di sapere, egli sino dalla prima volta che gli venni presentato dallo Stoppani, 35 anni or sono, mi accolse colla sua benevolenza quasi paterna; ed io mi sentii preso di affetto e di venerazione, ed ora sono lieto di potere a queste onoranze portare io pure il tributo di altissima stima e di perenne, dolcissimo ricordo. E ben pensaste, o signori, nel collocare il petroso monu- mento al vostro geologo, adunando dalle vette eccelse i grossi massi raccontatori di storia, qua sul colle Cidneo, accanto ai sacri ricordi degli eroi, di cui va gloriosa la conquista dell’in- dipendenza italiana. Poiché il Kagazzoni fu un patriotta ope- roso ed animoso; poiché non meno sacra e preziosa della indi- pendenza politica, per un popolo civile, é l’indipendenza scien- tifica. Il naturalista e lasciatemi dire, in particolare il geologo italiano, e la Società nostra fino dal suo nascere, assai ci ten- gono a questa indipendenza, e tollerano spiacenti che un palmo solo di terra rimanga da studiarsi a geologi stranieri. Forse nessuna scienza in Italia, al pari della geologia, ha progredito così ampiamente da quando fu costituita l’unità italiana. Scienza ed amore di patria, su questo colle dove pare d’udire il fre- mito delle anime di eroi, si stringono in amplesso fraterno, figlie entrambe del genio latino, che intorno ne aleggia, ecci- tatore e vindice, sacro e fecondo retaggio per la nazione risorta. Nobile immagine del compianto geologo, del maestro diletto, del cittadino esemplare e modesto, ricevi ancora un vale dei soci geologi, per bocca di un amico devoto. Il discorso è salutato da interminabili applausi degli astanti commossi. Ultimata la cerimonia della consegna del monumento alle autorità cittadine ; viene aperto il recinto ed un’onda di popolo si riversa intorno al monumento a fare omaggio al nome del- l’illustre concittadino. TENUTE IN BRESCIA NEL SETTEMBRE 1901 LXI11 Seduta del 9 settembre. L’adunanza ha luogo nella sala dell’Ateneo, e la seduta è aperta alle 17.30'. Sono presenti, il presidente Parona, il vice-presidente Ca- pellini, i consiglieri De Stefani, Mariani Ernesto e Cacciamali, il tesoriere Statuti, l’archivista Neviani, i vice-segretari Bona- relli e Crema, i soci Airaghi, Bettoni, Broggi, Brugnatelli, Bruno, Caffi, Capeder, Cermenati, Chiabrera, Cortese, Dai- nelli, De Alessandri, De Ferrari, Del Zanna, Demarchi, De Pretto, De Stefano, Di Stefano, Dompé, Lotti, Martelli, Mattirolo, Merciai, Meschinelli, Niccoli, Nicolis, Pantanelli, Portis, Beichenbach, Salmoiraghi, Schneider, Sormani, Stella, Tacconi, Taramelli, Tommasi, Tonini, Toso, Zaccagna, Zamara ed il segretario Clerici. Il Presidente Parona rammenta che il verbale dell’adu- nanza del 17 febbraio 1901 fu già pubblicato col 1° fase, del Voi. XX del Bollettino ; e, non essendovi osservazioni, detto verbale si dà per letto e si intende approvato. Quindi partecipa le dimissioni da socio presentate dai signori dott. Giuseppe D’Ancona, Guido Uzielli e Carlo Fino. L’assemblea ne prende atto. Poscia legge le proposte di nuovi soci: Colonnello cav. Giuseppe Zamara a Brescia, proposto dai soci Cacciamali e Parona. Dott. Gaetano Bozzotti a Milano, proposto dai soci De Ales- sandri e Mariani Ernesto. Dott. Paolo Segattini a Pastrengo, proposto dai soci Nicolis e Parona. Cav. Giuseppe Piana a Badia Polesine, proposto dai soci Ni- colis e Parona. L’assemblea approva ad unanimità. LXIV RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Il Presidente comunica inoltre che, in conformità della deli- berazione presa nell’adunanza invernale, la Società aderì al IY Congresso geografico Italiano e fu rappresentata dai soci Issel, Ernesto Mariani e Taramelli. Il socio Mariani presentò poi una relazione sul Congresso, che il Consiglio ha deciso di pubblicare in appendice ai verbali della presente adunanza. Frattanto pro- pone un ringraziamento ai soci suddetti e specialmente al Ma- riani per la sua interessante relazione. L’assemblea approva. Quindi sempre in relazione al Congresso Geografico il Pre- sidente partecipa la seguente lettera : Società Geografica Italiana Roma. 22 luglio 1901. Illino Signore, Uniformandomi a quanto stabilisce l'art. 5 delle norme statutarie per i futuri congressi geografici, approvate dal IIP Congresso Geogra- fico Italiano, mi pregio comunicarle che la S. V. I., per l’ufficio che ri- copre, fa parte del Comitato permanente dei congressi geografici italiani, Sicuro che vorrà portarci di buon grado la sua valida cooperazione, la prego di volermi favorire la sua adesione, affinché io possa ritenerla definitivamente inscritta fra i membri del suddetto comitato. Nel tempo stesso mi permetto rivolgere a lei, come a tutti gli altri, viva preghiera di volermi indicare approssimativamente in qual tempo le sarebbe meno grave di recarsi qui in Roma ad una prima riunione, affinché questa sia fissata in un periodo, che corrisponda alla conve- nienza del maggior numero di persone. L’avverto inoltre che a norma del comma b) dell’art. 3, la S. V. I. ha facoltà di scegliere una volta per sempre, o successivamente per cia- scuna riunione un suo delegato. Nel caso che Ella fosse assolutamente impossibilitata ad intervenire, le sarei grato se volesse indicarmi la persona, che avrà scelto a rappresentarla. Gradisca frattanto, egregio signore, i sensi della mia particolare considerazione. Il Presidente della Società Geografica Italiana Presidente del Comitato Permanente. G. dalla Vedova. Il Presidente propone l’accettazione dell’invito nonché un voto di ringraziamento al Presidente della Società Geografica Italiana. L’assemblea approva ad unanimità. TENUTE IN BRESCJA NEL SETTEMBRE 1901 LXV Poscia si dà partecipazione delle proposte e domande di cambio pervenute alla Presidenza. Dopo breve discussione alla quale prendono parte i soci De Stefani, Pantanelli e Capel- lini, l’assemblea approva il cambio del Bollettino con i Beitrdge sur Palaeontologie und Geologie Oesterreich Ungarns und des Orients redatti da V. Uhlig e G. von Arthaber. Si da quindi partecipazione delle seguenti deliberazioni del Consiglio per le quali richiedesi l’approvazione dell’assemblea: 1° Ai nuovi soci sarà ceduta l’intera serie dei primi venti volumi del Bollettino al prezzo complessivo ridotto di L. 100, fermo restando il disposto del Regolamento per la vendita di un minor numero di volumi. 2° L’Archivista è autorizzato a trattare con le Società, Isti- tuti, ecc. con i quali si fanno Cambi allo scopo di completare la serie delle pubblicazioni. 3° Per le pubblicazioni che si ricevono in cambio verrà d’ora in poi data l’indicazione del primo volume della serie posseduta dalla Società e ciò per opportuna norma dei soci che deside- rassero fare qualche consultazione sulle dette pubblicazioni. L’assemblea approva tutte e tre le proposte. Il Consiglio si è occupato nuovamente della proposta già fatta dal socio Sacco, ed accolta in massima per la pubblica- zione della Bibliografia geologica e paleontologica dell’ Italia, poiché il socio Sacco ha inviato alla presidenza la seguente lettera: R. Scuola degli Ingegneri Gabinetto di Geologia Castello del Valentino Torino. 5 settembre 1901. Illmo Sig. Presidente, Durante Radunanza generale invernale tenuta dalla nostra Società in Roma il 17 febbraio scorso, il sottoscritto ebbe l’onore di presentare alla Società la proposta seguente: che la Società Geologica Italiana si facesse iniziatrice della compilazione e pubblicazione di un 2° Voi. della Bibliogr. géol. et paléont. d’Italie (1881-1900) con aggiunte e correzioni al 1° Voi. Il Consiglio accolse favorevolmente l’idea incaricando il sottoscritto di formulare il progetto di collaborazione e di assicurarne la parte finan- ziaria. LX VI RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI In seguito a ciò il sottoscritto per ottemperare al primo quesito si rivolse a varii Colleghi d’ogni parte d’Italia, sia collaboratori del 1° Vol.t sinora più adatti allo scopo, ed ebbe il gradito piacere di ottenere le migliori accoglienze con accettazione di collaborazione al lavoro biblio- grafico. Anzitutto la Direz. del Comit. geol. ital. promise il suo pre- zioso aiuto, utilissimo per varie parti d’Italia dove non evvi geologo speciale; ricordisi poi fra gli aderenti i seguenti Colleghi: Parona, Issel, Canavari, De Stefani, Bonarelli, Bassani, Matteucci, Seguenza, Bucca, Virgilio, Vinassa, Teliini, Dal Piaz, Pantanelli, Del Prato, Mariani, ecc^ nonché il sottoscritto. Inoltre il Dott. Vinassa de Regny sarebbe un prezioso collaboratore nella compilazione di un utilissimo Indice paleon- tologico del 1° e 2° Volume, secondo un criterio tassonomico, utiliz- zando per brevità ed economia i numeri con cui sono elencati i singoli lavori. Quanto alla parte finanziaria, per la quale si spererebbe l’aiuto degli enti geologici italiani, pur sembrando specialmente opportuna una sot- toscrizione indetta dalla Società, sulla base per esempio di un tanto per foglio di stampa pel futuro volume od in altro qualsiasi modo che parrà opportuno, il sottoscritto, anche perchè non possa neppur sorgere l’idea di una qualsiasi speculazione, dichiara di volersi tenere assolutamente estraneo da detta pubblicazione. Colla speranza che possa presto compilarsi e pubblicarsi il 2° Voi. della Bibliogr. géól. et pale'ont. d’Italie, a g'rande comodità degli stu- diosi e lustro dei geologi italiani, e che a detto Volume aggiunga pregio la preziosa Prefazione promessa dallTllmo Prof. Capellini, il sot- toscritto presenta a Lei, Illmo Sig. Presidente, i sensi della sua più alta stima. Federico Sacco. Il Consiglio sarebbe d’avviso che il socio Sacco e i suoi col- laboratori si ponessero all’opera e consegnassero il rispettivo la- voro. Allora, essendo possibile valutare l’entità di tale lavoro e preventivare la spesa occorrente, il Consiglio studierà e metterà in discussione i mezzi per potervi far fronte. Il socio Portis dice che la discussione è prematura. È con- trario alla pubblicazione di un 2° volume poiché il 1° è esau- rito, preferisce una seconda edizione completata fino al giorno d’oggi. Dice che si potrebbe stampare lo schedario dell’Ufficio Geologico. Il socio Stella vorrebbe che la Società emettesse il voto che il Comitato Geologico si interessasse del modo migliore di utilizzare questo schedario. TENUTE IN BRESCIA NEL SETTEMBRE 1901 LXVII Il socio De Stefani fa osservare che ben diverse cose sono la pubblicazione dello schedario oppure la bibliografia ordinata per provincie. Il vice-presidente Capellini dice che come si ottenne che rUfficio Geologico pubblicando il catalogo della Biblioteca ne distribuisse gratuitamente un esemplare a tutti i membri della Società Geologica, cosi potrebbe desiderarsi avvenisse per la Bibliografia ; come presidente del Comitato promette d’ interes- sarsi della cosa alla prima adunanza e poiché è presente l’in- gegnere Sormani dell’Ufficio Geologico, lo prega a dare qualche schiarimento in proposito allo schedario bibliografico da questo posseduto. Il socio Sormani dice che oltre al catalogo della Biblioteca ed ai supplementi biennali al medesimo, pubblicati a tutto il 1899, l’Ufficio stesso possiede uno schedario bibliografico geo- logico, paleontologico, mineralogico abbastanza completo e te- nuto continuamente a giorno. Questo schedario è in doppio: uno ordinato semplicemente per autore, l’altro pure in ordine alfa- betico per autore ma diviso secondo le varie regioni italiane. Il socio Cermenati osserva che non vedesi un concetto esatto nè nella proposta del Consiglio, nè in quella d’altri e propone la sospensiva per dare agio di ripresentare la proposta al convegno di primavera in forma concreta sia dal lato tecnico sia da quello finanziario. Insiste per la pubblicazione di una seconda edizione riveduta e completata. Il vice-presidente Capellini associandosi alla proposta Cer- menati tributa un ringraziamento al socio Sacco pei aver pro- posto una cosa utile. L’assemblea approva. Il tesoriere Statuti presenta i bilanci consuntivi della So- cietà e del legato Molon pel 1900 e mette a disposizione dei soci il pacco dei documenti giustificativi. LXVIII RESOCONTO BELLE ADUNANZE GENERALI SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Bilancio consuntivo dell’almo 1900. Attivo. 1. Tasse d’ammissione e quote annue . 2. Interessi rendita e depositi . . . 3. Vendita di bollet- tini 4. Partite di giro Totale entrate del 1900 Cassa al 1° Gen- naio 1900. . . Totale Passivo. 1. Stampa del Vo- L. 3 760 — o_ lume XIX . . Estratti relativi al L. 2 329,95 » 1 040,86 suddetto voi. . » 482,50 3. Spese per tavole 196 — e altre illustra- » zioni .... » 508,35 » 874,40 4. Spese dell’ufficio di presidenza . » 45 — 5. Spese della segre- teria ed econo- mato .... » 325,26 6. Spese di cancel- leria e circolari » 81,40 7. Tassa di mano- morta. . . . » 27,52 8. Rimborso spese viaggi al Se- gretario ed al- P Economo . . » 116,35 9. Compensi al per- sonale . . . » 105 — 10. Spese diverse e- ventilali . . . » 253,50 11. Partite di giro . » 874,40 Totale spese del L. 5 871,26 1900 .... L. 5 149,23 Residuo attivo al » 4 820,52 31 Dicem. 1900. » 5 542,55 L. 10 691,78 Totale . . . L. 10 691,78 Amministrazione del legato Molon. Attivo. Cassa al 1° gennaio 1900 .... Interessi diversi . . Totale . . . lì Tesoriere Augusto Statuti L. 1054,77 » 680 - L. 1 734,77 Passivo. 32- Tassa di manomorta. L. Cassa al 31 Dicembre 1900 .... » 1 702,77 Totale . L. 1 734,77 Visto la Commissione pel Bilancio Mario Cermenati - Giovanni Aiciiino Antonio Verri Parallelo fra i bilanci preventivo e consuntivo del 1900. TENUTE IN BRESCIA NEL SETTEMBRE 1901 LXIX © N C © in meno III Ili SII no CD 1 1 \CS 1 1 1 CO co 25 1 CO ■ t-H rH •£ no n0 1 CD O 1 1 I Ol CO co 1 <01 1 1 1 o CJ in più DI co 1 O O i— i 1 1 | 03 no (03 rH CO co n0 iQ 1 CD o <03 no 1 o co o CO 1 03 no CO 1 no 00 1 = (03 CO rQ rO t-H t"- CD no co tH <-» 3 tH o Tf1 Ol CO 03 rH o no I- CO n0 CO 03 (01 <03 | 1 1 1 1 <03 1 i CO 1 o _ > I 1 ' 1 1 no 1 i fiH 1 O o o no o L'- O o T— 1 U* gj o o ics (Ol co Q1 o co <03 co CD n0 03 <03 rH 03 o <03 03 CO 0) Q. co • i O cS a ^ o a o £ «3 ® -e „ CL, 0 "C 1 ^ fi fi yfi a, -r il oq a . ® - a a -h ZIA fi £ 05 05 7 ; tn ® ® y cu os H © o _ ® Vi u '-u ri a, &, oc 'a a o Ij •fi c e ^ C5 DO co co H Ph Ph OC ^ u© OD co eS ® a. m 's a O CD CO (01 CD 05 O CD t— CO o co co CD CD ^-H 05 Ol H CD 05 05 O 0 05 01 o co o o O uO (01 tH co o 0 +-> ctf I— 4J C LU o § fi &© fi 05 Q} T- ,_H fi LXX RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Il socio De Stefani vorrebbe che i bilanci fossero firmati anche dal Presidente dell’anno al quale si riferiscono. Il Segretario legge la seguente relazione della Commissione pel Bilancio. Avendo esaminato il bilancio consuntivo del 1900 abbiamo anzitutto riconosciuto la perfetta sua regolarità contabile. Se si confronta tale bilancio con quello preventivo (vedi prospetto) si osserva una maggiore entrata di L. 926,86 rispetto alla prevista, ed una maggiore spesa di L. 240,83. Le differenze fra le cifre della pre- visione e del consuntivo per i diversi capitoli sono di poco momento e facilmente giustificabili. Ed invero: oltre alla maggiore spesa di stampa del Bollettino, la quale rappresenta la vera operosità della Società, ab- biamo un aumento di circa cento lire nelle spese d’Uffìcio del Segre- tario e del Tesoriere, le quali spese dipendono essenzialmente dalla ac- cresciuta operosità stessa, epperciò non sono da considerarsi come ste- rili: oltre di che l’aumento è compensato in buona parte dalla differenza in meno delle spese di viaggio del Segretario e del Tesoriere, di quelle del Presidente, e del compenso per aiuto al Segretario e al Tesoriere. Nel capitolo delle spese eventuali, per il quale é più difficile la pre- visione, questa non é stata superata che di L. 32,02, sebbene l’omaggio reso dalla Società a S. A. il Duca degli Abruzzi — veramente non pre- vedibile — abbia assorbito qualcosa più di un centinaio di lire. Nella somma di lire 253,50, rappresentante questo capitolo, sono comprese lire 101,40 per l’Esposizione di Parigi. Non abbiamo quindi che a lodarci del retto senso amministrativo che ha presieduto alla nostra Società. Nulla è da osservare intorno al bilancio del Legato Molon. Roma, 7 maggio 1901. Mario Cermenati Ing. Giovanni Aichino Verri Antonio. Messi in votazione, ambedue i bilanci consuntivi vengono, senza discussione, approvati ad unanimità. Quindi il socio Stella, invitato dalla presidenza, riferisce intorno all’argomento delle Carte Agronomiche. Dopo la lettura fatta nell’ultima riunione della Società : « In- torno allo studio geognostico del suolo italiano e alle Carte Agro- nomiche », egli crede inutile insistere sul preciso concetto che bisogna farsi di queste Carte e di questi studi. Ricorda che la Società geologica, per bocca del socio prof.Taramelli, fin dal 1883 TENUTE IN BRESCIA NET, SETTEMBRE 1901 LXXI pose in evidenza l’importanza di tali studi, quando lo Stato iniziava il nuovo Catasto. Sebbene assai limitatamente, si tenne un qualche conto di quel concetto, tacendo cenno delle carat- teristiche strutturali del suolo nei registri delle Giunte Tecniche preposte al classamento parcellare ; cosicché questi dati potreb- bero già essere un punto di partenza per una rappresentazione di carte agronomiche del tipo di molte che negli altri Stati si vanno compilando. E a tale proposito aggiunge, che non bisogna dimenticare, come tali moderne carte agronomiche estere si riferiscono sol- tanto a regioni di pianura — mentre il solo Giappone estende lo studio a tutto il territorio piano e montuoso, ma in modo così sommario e con carte in sì piccola scala, che certo non corrisponderebbero alle esigenze dei nostri agricoltori. Dai quali, se è giusto che venga reclamato un maggiore studio del nostro suolo italiano, è pur necessario, nel domandare l’intervento dello Stato, si tenga conto della mole enorme di tale lavoro; della relativa portata pratica, e delle speciali condizioni del nostro paese, specialmente per l’estensione dei terreni di monte rispetto a quelli di pianura. Ora, tenuto conto che, mediante studi lo- cali o già fatti, o in corso, o imminenti, siamo fortunatamente, per virtù di iniziative locali, già entrati in una fase preparatoria di studi e carte agronomiche, pare al riferente, che il meglio per ora sia lo svolgimento razionale di tali iniziative locali; procurando che gli studi procedano con maggiore unità di cri- teri, e possano fare maggiore assegnamento sull’ambo degl’isti- tuti governativi, come l’Ufficio Geologico e le Stazioni Agrarie. In questi concetti consta, che anche i membri del Comitato pre- posto all’Ufficio Geologico, e parecchi Direttori di Stazioni Agrarie convengono pienamente; deplorando però, che siano insufficienti allo scopo i mezzi finora posti a disposizione di questi istituti. Dopo uno scambio di considerazioni al quale prendono parte principalmente i soci Taramelli e De Stefani viene fra questi e Stella concordato il seguente ordine del giorno: La Società Geologica Italiana : 1° Fa voti che il Ministero di Agricoltura assecondi le iniziative locali per la elaborazione di studi e carte geognostico- LXXII RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI agrari, mettendo in grado anche gli istituti da lui dipendenti di prestarvi una seria cooperazione; 2° Crede necessario, che nella esecuzione di tali studi e carte, pur tenendo conto delle modalità richieste dalle varie con- dizioni locali, si segua unità di criteri; onde invita la propria Presidenza a prendere l’iniziativa di una comune riunione fra geologi, agronomi e chimici, che a tali studii si interessano, per una prossima intesa sull’argomento. Messo ai voti l’assemblea approva ad unanimità (’). Il Presidente presenta alcune circolari d’invito a prender parte al Congresso internazionale di scienze storiche che avrà luogo in Poma nella prossima primavera e poiché il socio Cer- menati è presidente della sottosezione per le scienze naturali. 10 prega di voler accennare agli intendimenti del futuro con- gresso. Il socio Cermenati espone in qual modo siasi progettato il Congresso storico internazionale pel 1902 a Poma; come in esso vi sia una sezione speciale per la Storia delle scienze naturali, ed invita i geologi a prendervi parte. Indi sviluppa una serie di considerazioni intorno alla necessità di coltivare gli studi sulla storia delle scienze geologiche: eccita i colleghi a fare ricerche in proposito e ricorda che fu il bolognese Aldrovandi 11 primo ad usare il nome di geologia. Viene poscia a parlare delle grandi benemerenze di Brescia nei riguardi delle scienze naturali in genere e delle geo-mineralogiche in ispecie dal quat- trocento a tutto il secolo XVIII; ed illustra due bresciani, cui spetta la gloria d’aver precorso i fondatori della cristallografia. Nel seicento Francesco Lana concepì una teoria sulla forma- zione dei cristalli analoga a quella che professò di poi il Linneo e fu accettata da molti naturalisti ; e ne emise un’altra sulla formazione dei filoni, che più d’un secolo dopo apparve negli scritti del mineralogista francese Patrin e che il Werner non (1) Dopo la discussione il socio Cacciamali fece pervenire la co- municazione sui saggi di terre vergini coltivabili della provincia di Brescia raccolti dal prof. G. Ragazzoni che è inserita nell’Appendice a pag. lxxxix. TENUTE IN BRESCIA NEL SETTEMBRE 1901 I.X XIII conobbe. Ai primi del settecento Giambattista Mazini scoprì le cristallizzazioni per fusione nel trattamento dei minerali di ferro, e questa scoperta importantissima, perchè faceva conoscere altri modi di produzione dei cristalli, oltre a quello per via acquea, fu attribuita sessantanni dopo al francese Grignon (:). Applausi prolungati. Il Presidente, dopo la chiara ed interessante esposizione fatta dal socio Cermenati propone che la Società aderisca al Congresso internazionale di scienze storiche e che vi si faccia inoltre rappresentare dal Cekmenati stesso. L’assemblea approva per acclamazione. Il socio Nicolis fa una comunicazione sulla successione stra- tigrafica nella porzione orientale dell’ anfiteatro morenico del Garda (2). La seduta è tolta ad ore 18.40. Adunanza del giorno 11 settembre. La seduta è aperta alle 17.30 nella sala dell’Ateneo. Sono presenti, oltre il presidente Parona, i consiglieri Ma- riani Ernesto e Cacciamali, il tesoriere Statuti, l’archivista Neviani, i vice-segretari Bonarelli e Crema, i soci Airaghi, Bettoni, Broggi, Brugnatelli, Bruno, Caffi, Capeder, Cerme- nati, Chiabrera, Cortese, Dainelli, De Alessandri, Del Zanna, Demarchi, De Stefano, Di Stefano, Lotti, Martelli, Mattirolo, Merciai, Meschinelli, Niccoli, Pant anelli, Portis, Salmoiraghi, SCHNEIDER, SOR MANI, STELLA, TaRA.MELLI, ToMMASI, TONINI, TOSO, i Zamara ed il segretario Clerici. Da parte dei soci Parona e Cacciamali viene proposto a socio il rev. Giovanni Bonomini a Memmo. L’assemblea approva ad unanimità. C) Il discorso completato colle citazioni bibliografiche é riportato nell’Appendice a pag. xeni. (2) Pubblicata per intero nell’Appendice a pag. cxxxiv. LXX1V RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Dovendosi procedere alle elezioni sociali il Presidente no* mina a scrutatori i soci Bettoni e Dainelli perchè coadiuvati dall’archivista Neviani procedano allo spoglio delle schede di votazione. Il Segretario presenta l’elenco delle pubblicazioni giunte in omaggio alla Società dall’ultima adunanza in poi: Artini E.: Su alcuni Minerali di Bovegno, 8°. Milano, 1898. Bassani F. Il Notidanus griseus Cuv. nel pliocene della Basilicata e di altre regioni italiane e straniere, 8°. Napoli, 1901. — Su alcuni avanzi di pesci del pliocene toscano, 8°. Napoli, 1901. — Nuove osservazioni sul bacino Slampiano di Ales in Sardegna, 8°. Na- poli, 1901. Bombicci L. : Di talune recenti idee sulla formazione della grandine e della pretesa potenza dei vorticelli negli spari grandinifughi, 4°. Bo- logna, 1901. Broyvn H. Y. L. : Beport on Geological Exploration of thè Tarcoola di- strict, 8°. Adelaide, 1901. Capellini G.: Balenottera Miocenica del Monte Titano, Bcp. di S. Ma- rino, 4°. Bologna, 1901. Ciofalo S. : La festa degli Alberi (discorso), 8°. Palermo, 1901. — Stazione Neolitica nel castello di Termini Imerese in provincia di Palermo, 8°. Parma, 1900. De Dorlodot H.: Note sur le Coblencien d’Acoz, 8°. Liège, 1892. — Note sur la classification du Frasnien et le synchronisme de ses quatre bandes, 8°. Liège, 1892. — Note sur Vopportunité des légendes spéciales , 8°. Liège, 1893. — Quelques réflexions à propos de la faune de Paire, 8°. Liège, 1893. — Découverte du Waulsortien dans le bassin de Narnur, 8°. Liège, 1893. — Application à la planchette de Dinant de mon essai de classification du calcane carbonifere de Belgique, 8°. Liège, 1894. — Un dernier mot sur la coupé de Pierre-Pétru, 8°. Liège, 1894. — Note sur l’origine orientale de la faille d’Ormont, 8°. Liège, 1894. — A propos de la faille d’Ormont, 8°. Liège, 1894. — Sur le niveau stratigraphique des Cardiola retrostriata de Claminforge . 8°. Liège, 1894. — Sur un Spirifer nouveau pour le Vise'en, 8°. Liège, 1894. — Observations présentées à la seance du 15 Juillet 1894 à la suite des Communications de M. Lohest et de MM. Lohest et Velge relatives au calcane carbonifere, 8°. Liège, 1895. — Sur la genèse de la créte de Oondroz et de la grande faille. — Quel- ques remar ques sur les rapports entre la tectonique des Alpes et celle du massif primaire de la Belgique, 8°. Bruxelles, 1896. TENUTE IN BRESCIA NEL SETTEMBRE 1901 LXXV De Dorlodot H.: Sur l’àge du poudingue de Naninne et sur la pré- sence du Couvinien dans le bassin de Namur, 8°. Liège, 1895. — Le Calcane carbonifere de la Belgique et ses relations stratigraphiques avee celui du Hainaut Frangais, 8°. Lille, 1895. — Becherches sur le prolongement Occidental du silurien de Sambre-et- Meuse et sur la tcrminaison orientale de la faille du Midi, 8Ul Liège, 1895. — Be'sultats de quelques excursions faites dans le calcane carbonifere des environs d’Arquennés et des Ecaussines en compagnie de M. Malaise, 8°. Bruxelles, 1897. — Études géogéniques. — Ire Elude: Genése de la Créte du Condroz et de la grande faille, 8°. Bruxelles, 1898. — Le Calcane carbonifere des Fonds-de-Tahaux et de la vallee de la Lesse, 8°. Liège, 1900. — Note sur le compte-rendu de la session extraor din aire de la Soc. Géol. de Belgique tenue à Hastiére, à Beauraing et à Houget le 31 Aout et les ler, 2 et 3 Sept. 1895, 8°. Liège, 1900. — La signification des allures horizontales du calcane carbonifere de la colline de Bospèche (Palisolle), 8°. Brun, 1900. De Dorlodot H. et Ch. de la Vallèe Poussin: La Coupé de la Chapelle à Hastiére, suivie des Be'sultats d’une excursion à la Chapelle (Hastiére) et aux Fossés (Anseremme), 8°. Liège, 1892. De Dorlodot H. et Ch. Malaise: Nouvelle observation relative à la discordance du poudingue d’Ombret sur le silurien, 8°. Liège, 1894. De Magistris L. F. : Bibliografia geografica della Begione Italiana. Saggio per l’anno 1899, 8°. Roma, 1901. Féral G.: Observations météorologiques sur les pluies générales et les tem- pétes, 8°. Albi, 1897. Gentile Giuseppina: Contribuzione allo studio dell’Eocene dell’Umbria, 4°. Siena, 1901. Mercalli G. : Notizie vesuviane (luglio-dicembre 1900), 8°. Modena, 1901. Millosevich F.: Perowskite di Emarese in Val d’Aosta, 4°. Roma, 1901. Monti P.: Studio scientifco-letterario-religioso sopra Giacomo Leopardi nel primo centenario della sua morte, 8°. Milano, 1898. — La scienza e le scienze del secolo XIX e il cristianesimo, 8°. Cre- mona, 1899 Picchieri G.: Piccolo Annuario geografico e statistico, suppl. al Testo- Atlante scolastico di geogr. moderna dei prof. G. Boggero, G. Bic- chieri, A. Ghisleri per Vanno 1900-1901, 8°. Bergamo, 1901. Rudzki P. : Sur l’àge de la Terre , 8°. Cracovie, 1901. Sacco F. : Essai d’une classification generale des roches, 8°. Bruxelles, 1900. Salmoiraghi F. : Steatite nella dolomia principale del Monte Bogno (lago d’Iseo ), 8°. Milano, 1901. Stegagno G. : Alcuni cenni sui laghi Euganei ed in particolare sul lago d’Arquci- Petrarca, 8°. Roma, 1901. LXXVI RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Tommasi A.: Contribuzione alla Paleontologia della Valle del Dezzo, 8°. Milano, 1901. Vinassa : Per una bibliografia Paleontologica d'Italia, Bologna, 1901. Virgilio F.: Per la verità e la giustizia, 8°. Torino, 1901. Accad. Se. Cracovia: Katalog literatures naukowej Polskiej, T. I., z. 1, 8°. Krakow, 1901. Associazione Mineraria Sarda: Resoconti delle riunioni, 8°. Iglesias, 1901. Geolog. Soc. London: Geologica 1 literature added to thè geol. Society's library during thè igear ended December 31st. 1900, 8°. London, 1901. Istituto Geografico Militare (Mori A.): Sui recenti lavori del I. G. M., relazioni al IV Congresso Geografico Italiano, 8°. Firenze, 1901. — (Loperfido A.): Sull' Etna, 8°. Firenze, 1901. — Id.: Superficie del Regno d’Italia valutata nel 1884; 3a appendice: Mola di Sardegna, 4°. Firenze, 1901. La Rivista Tecnica delle Scienze, delle Arti applicate all' Industria e del- l’insegnamento industriale, 8°. Torino, anno I, fase. 3-10. Maryland Commissionees to thè Pan-American Exposition: Maryland and its naturai resources prep. by tho Maryland geol. survey W. M. Bul- lock Clark, state Geologist , 8°. Baltimore, 1901. Ministero di Agricoltura Ind. e Comm.: Carta idrografica d’Italia (Per- rone E.) Fiume Marta e lago di Bolsena. Torrente Mignone ed altri minori fra il Marta ed il Tevere, 8°. Roma 1901. Il Segretario legge l’elenco delle memorie e note presen- tate, per la stampa nel Bollettino, dopo radunanza del 17 feb- braio 1901: Portis A., Il Palaeopython Sardus Pori, nuovo pitonide del Miocene medio della Sardegna (18 febbraio). Clerici E., Sulla innondazione del Tevere del Dicembre 1900 (20 febbraio). Meli R., Sulle Chamacèe e sulle Rudiste del Monte Affilano presso Subiaco nel circ. di Roma (25 febbraio). Trentanove G. M., Il Miocene medio di Popogna e Cafaggio nei Monti Livornesi (25 febbraio). Martelli A., Fossili del siluriano inferiore dello Schemi ( Cina) (24 marzo). De Stefano G., Ancora sull’ Elephas meridionalis Nesti ed il Rhinoceros Merli Jaeg. nel quaternario di Reggio Cala- bria (23 aprile). TENUTE IN BRESCIA NEL SETTEMBRE 1901 LXXV1I Viglino A., Il loess del Shan-si settentrionale (6 maggio). Mjllosevich F., Di alcuni giacimenti di Aìunogeno in provincia di Doma (9 maggio). Sequenza L., I pesci fossili della prov. di Reggio (Calabria) citati dal prof. G. Seguenm (10 maggio). Ricci A., Mammiferi post-pliocenici di Kurgan in Siberia (2 giugno). Nelli B., Il Langhiano di Rocca di Mezzo (3 giugno). Toldo GL, Sezioni geologiche riguardanti la coltre alluvionale padana (10 giugno). De Franchis F., Molluschi della creta media del Leccese (27 giugno). Cacciamali G. B., Osservazioni geologiche sulla regione tra Villa Cogozzo ed drago Mella ( Brescia ) (6 luglio). Lotti B., Sulla questione del terreno cretaceo nei dintorni di Firenze (10 luglio). Martelli A., Le formazioni geologiche ed i fossili di Paxos e Antipaxos nel mare Ionio (12 luglio). Cortese E., Escursioni geologiche al Venezuela (20 agosto). De Stefano GL, Alcuni pesci pliocenici di Calanna in Calabria (27 agosto). Bellini R., La Grotta dello Zolfo nei Campi Flegrei (3 set- tembre). De Angelis d’Ossat GL, Sulla geologia della provincia di Roma (8 settembre). Trabucco GL, Sulla posizione ed età del macigno dei monti di Cortona (8 settembre). -T- Sulla questione della stratigrafia dei terreni del bacino di Firenze (8 settembre). Il Segretario preannuncia due note del socio Meli intito- late : Sul pliocene e sul quaternario che osservami lungo il bordo del mare a N. eli Civitavecchia. — Notizie geologiche sulla frana avvenuta in Amalfi il 22 dicembre 1899. LXXVIII RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERAI, I Il socio Dainelli presenta il manoscritto di una sua me- moria intitolata: Appunti geologici sulla parte meridionale del Capo di Leuca. Il socio De Stefano presenta a nome del socio Botti il ma- noscritto di una nota: Sui molari di elefante. Il socio Capeder riassume una sua nota intitolata: Appunti geologici sui dintorni di Potenza, alla quale fa seguito altra nota del socio Prever avente per titolo: Cenni preliminari sulle nummuliti dei dintorni di Potenza. Di ambedue le note viene presentato il manoscritto relativo. Il socio Salmoiraghi fa una comunicazione sul pozzo detto glaciale di Tavernola Bergamasca sul lago d’ Iseo, riservandosi di presentare una nota con figure illustrative. Il socio Clerici riassume una sua comunicazione sulle pol- veri sciroccali cadute in Italia nel marzo 1901 (1). Il Presidente è lieto di comunicare all’assemblea, in prova della fiducia e considerazione, che la Società ha saputo conqui- starsi colla sua opera, una lettera del Sindaco di Bagnocavallo (prov. Bavenna) colla quale lo si prega di recarsi sul luogo, o, nell’impossibilità, di interessare qualche altro collega per stu- diare le condizioni di un pozzo artesiano già perforato con in- successo per ben 120 m. e che l’amministrazione continuerebbe qualora dallo studio geologico della regione potesse risultare la probabilità di rinvenire acqua saliente e potabile. Egli ha risposto ringraziando, e, non potendo accettare l’ incarico, propose il prof. Tarameli i. Il Presidente informa che al concorso pel premio Molon chiuso col 31 marzo 1901 presero parte sei concorrenti e che la Commissione giudicatrice venne costituita dai soci Taramelli. Pantanelli e Di Stefano, i quali hanno ultimato il loro lavoro e presentato una relazione in data 7 settembre, che fu approvata (') Pubblicata nell’Appendice a pag. clxix. TENUTE IN BRESCIA NEL SETTEMBRE 1901 LXX1X dal Consiglio. Prega il relatore Di Stefano di far conoscere all’assemblea il contenuto della relazione. Il socio Di Stefano legge le parti principali della rela- zione (*) la quale termina colle seguenti conclusioni: La Commissione constata con soddisfazione che è stato pre- sentato al concorso un gruppo di dieci ottimi lavori. Era gli otto che, rispondenti alle condizioni richieste, poterono essere giudicati in relazione al conseguimento del premio, emergono, per maggiore importanza, originalità e vantaggio recato alla geologia italiana, i seguenti: G. De Lorenzo, Studio geologico del Monte Vulture, 1900. — Picenus, Descrizione geologica del- V Umbria centrale. — - Anonimo, Studio geologico del gruppo delle Vette ( regione a nord-ovest di Feltre ). I primi due illustrano territori più estesi e investigano que- stioni più complesse ; il terzo studia un territorio relativamente ristretto ; ma i risultati ottenuti con esso non sono meno impor- tanti per la geologia del Veneto, mentre per la concisione e la semplicità dello stile tal lavoro è modello lodevole ed imitabile. Pertanto la Commissione giudicatrice propone che il Premio Molon pel 1901 sia diviso in parti eguali fra gli autori di queste tre monografie. Messe ai voti le predette conclusioni l’assemblea le approva ad unanimità senza discussione. Quindi si procede all’apertura delle buste portanti le scritte Picenus e Mutat enim aetas totius mundi naturata per cono- scere il nome dei rispettivi autori che sono Guido Bonarelli e Giorgio Dal Piaz. L’altra busta colla scritta: Vagliami il lungo studio e il grande amore viene bruciata. Dopo ciò il Presidente proclama vincitori ( ex-equo ) del quinto congresso Molon i soci: Guido Bonarelli Giorgio Dal Piaz Giuseppe De Lorenzo. Propone un applauso ai vincitori ed un ringraziamento alla Commissione giudicatrice. — Approvato. (]) Pubblicata nell’Appendice a pag. cxxxvii. LXXX RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Gli scrutatori avendo ultimato lo spoglio delle schede il Presidente proclama il risultato della votazione: Votanti 142 Schede annullate 2 Vice-presidente pel 1902 eletto: Verri ing. Antonio con voti 99. Consiglieri pel 1902-904 eletti: Dì Stefano dott. Giovanni con voti 124 Taramelo prof. Torquato » 122 Pantanelli prof. Dante » 121 Pellati ing. Niccolò » 112 Consigliere pel 1902-903 eletto: Fornasini dott. Carlo » 107 Ottennero poi maggiori voti: De Stefani Carlo per vice presidente (36 voti) e Tommasi Annibale per consigliere (14 voti). Dovendosi ora bandire il nuovo concorso Molon, il Presi- dente fa sapere che i soci Cermenati, Tommasi e Zaccagna da lui chiamati a costituire la Commissione per la scelta del tema propongono il seguente: « Studio riassuntivo critico bibliografico sullo stato attuale della conoscenza dei terreni terziari italiani, corredato possibil- mente da carte e profili geologici speciali e da una carta d’in- sieme»; apre la discussione sul tema stesso. Il socio Pantanelli ritiene che il tema sia troppo vasto e lo limiterebbe ad uno dei tre grandi gruppi del terziario Anche il socio Taramelli lo trova vasto e proporrebbe di limitarlo ai terreni eocenici e miocenici. Pure il socio Bonarelli vuole una limitazione. Il socio Portis lo modificherebbe in altro senso, richiedendo una carta al 1.000.000 dei terreni terziari d’Italia, a quattro tinte, documentata con un testo senza sviluppo considerevole. Il socio Martelli crede di parlare a nome dei giovani e dice che non è la difficoltà e vastità del tema nè tre anni di lavoro ciò che impensierisce; ma è il risultato dell’ultimo concorso nel TENUTE IN BRESCIA NEL SETTEMBRE IODI LXXX1 quale, il premio è stato suddiviso fra tre autori di lavori di- chiarati ottimi e altri lavori anche buoni nulla ebbero. Portis osserva che l’inconveniente lamentato dal Martelli si deve al fatto che la Commissione ha dovuto giudicare fra oggetti non esattamente paragonabili. Insiste nell’opportunità che il tema sia esattamente definito nei suoi limiti. Bonarelli vorrebbe che il tema fosse ristretto allo studio di alcune questioni controverse come la separazione fra due delle divisioni del terziario, per esempio fra eocene ed oligocene o tra oligocene e miocene. Tommasi della Commissione d’accordo col Presidente pro- porrebbe il tema così modificato: « Studio riassuntivo critico bibliografico sullo stato attuale della conoscenza dei terreni eocenici, oligocenici e miocenici italiani, corredato da una carta d’insieme almeno ad un mi- lione ». Il socio Di Stefano ritiene il tema così modificato ancora troppo vasto e propone senz’altro il rigetto. Clerici rileva che dalla discussione appare manifesta l’im- possibilità di accordarsi ed osserva se non sia il caso di rife- rirsi all’art. 3 del Regolamento pel premio Molon. Il Presidente replica che di fronte alla grande importanza che deve avere il concorso ha voluto interpellare l’assemblea. Cermenati dice che la Commissione ha proposto il tema dopo maturo esame. Non comprende perchè si sia voluto far distinzione fra scrittori giovani e vecchi quando la volontà del testatore è stata quella di premiare il miglior lavoro qualunque sia il socio che l’ha fatto. Un tema paleontologico fu già dato; di geologia descrittiva pure. Quindi è opportuno di cambiare. Si pensò ad un tema di petrografia ma si riconobbe la difficoltà di fissarne i limiti. Col tema proposto si richiede un lavoro d’in- sieme nel quale sia raccolto con ordine e discusso tutto quanto è già stato fatto sul terziario perchè possa servire agli studi successivi. È necessario tentare qualche lavoro di sintesi dopo tanti e minuti scritti analitici sul terziario, tanto più che vi è già un punto di partenza nel lavoro di insieme fatto dal col- lega Carlo De Stefani. Dice che la Commissione accetterebbe qualche limitazione ma in massima mantiene il tema. LXXXII RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Di Stefano insiste nella sua proposta pregiudiziale che è per il rigetto puro e semplice del tema. Messa ai voti tale proposta, dopo prova e controprova, è approvata a maggioranza. Il Presidente dice che durante le escursioni parecchi soci rivolsero il loro pensiero a quei colleghi che per tarda età o per malattia od altro grave impedimento non poterono prender parte al congresso, e che a tali colleghi benemeriti della scienza e del nostro sodalizio per aver ricoperto anche cariche sociali riuscirebbe certamente gradito un saluto od un augurio : propone all’assemblea l’invio di telegrammi ai soci Bassani, Scarabelli, Issel, Botti, Gemmellaro, Cocchi, Omboni e Di Rovasenda. L’assemblea approva ad unanimità. Il socio Mariani propone un voto di plauso al Presidente Parona e agli organizzatori del Congresso e delle gite. Il Presidente Parona propone un voto di ringraziamento al glorioso Ateneo bresciano, al comitato organizzatore ed alle autorità tutte. Ambedue le proposte sono approvate ad unanimità. Essendo esaurito l’ordine del giorno la seduta è tolta alle 19. Il Segretario Enrico Clerici. APPENDICE IL QUARTO CONGRESSO GEOGRAFICO ITALIANO Relazione del prof. Ernesto Mariani Il giorno 10 dello scorso aprile si inaugurò a Milano, sotto la presidenza del senatore G. Yigoni, il IY Congresso Geografico Italiano. Di notevole importanza fu questo Congresso, sì pel ragguar- devole numero degli aderenti - che furono più di 400 - che per le molte e svariate comunicazioni e letture fatte nelle labo- riose sedute delle quattro sezioni (scientifica: economico-com- merciale: didattica: storica). Alla discussione di molti temi svolti nella sezione scientifica, presero viva parte alcuni soci della nostra Società Geologica; da alcuni dei quali vennero inoltre fatte importanti comuni- cazioni. E qui credo non privo di interesse il riassumere lar- gamente quella del prof. T. Taramelli sulla geomorfologia dei dintorni di Lugano e di Varese, e quella del prof. D. Panta- nelli sulFApennino Emiliano dal Reno alla Trebbia, comunica- zioni che hanno uno speciale interesse per gli studi geologici. Nella sua,^comunicazione, il prof. Taramelli espone alcune sue osservazióni sulla orogenesi della regione prealpina, com- presa tra il Yerbano ed il Lario, a complemento di un altro studio analogo sulle nostre valli epigenetiche, presentato al pre- cedente Congresso di Firenze. L’autore ha scelto questa regione perchè essa è tra le più note dell’alta Italia, in particolare per gli studi stati fatti sul territorio varesino e luganese; e perchè, essendo quivi assai grande la varietà dei terreni, con una serie assai complessa di formazioni e di fenomeni posterziari, lo svol- gersi della plastica oro-idrografica si può seguire più agevol- mente. L’autore espose brevemente la serie dei terreni affioranti EXXXIV E. MARIANI nella regione esaminata, tratteggiando con rapidi tocchi i periodi di attività endogena alla fine del paleozoico, attestati dalle ampie formazioni porfiriche; le fasi di emersione o di condizione litoranee, rappresentate dalle formazioni clastiche del trias infe- riore, della creta, dell’eocene, dell’oligocene; le lunghe insidenze del mare aperto nei tempi secondari; infine i più importanti dettagli del corrugamento orogenetico posteocenico, sia in riguardo alle fratture, sia per fissare le principali curve anti- clinali e sinclinali. Il prof. Taramelli distingue le seguenti fratture, tra le meglio evidenti: 1° Ardo - Angera ; 2° Valtravaglia - Bedero - Voldo- mino - Val Solda ; 3° Piambello - Cunardo - Ardena - Campione ; 4° Valganna ; 5° Besano ; 6° Pregazzona - Arogno - Melano ; 7° Gaggiolo presso Stabbio. Delle anticlinali si rivelano come più spiccate le seguenti : 1° Zeda - Camoglie; 2° Pizzoni di Laveno; 3" Campo de’Piori - M. Generoso; 4° Sasso della Corna presso Areisate; 4° quella corrispondente al lago di Comabbio. Le più marcate sinclinali sono tracciate attraverso le seguenti località: 1° Val Cuvia - Ar- dena - San Salvatore ; 2° Poncione di Ganna - Cragno sopra Men- drisio ; 3° Biandronno - Induno - Viggiù - Mendrisio. La frattura Pregazzona - Arogno - Melano, decorrente da nord a sud, tronca bruscamente le sinclinali e le anticlinali suacen- nate, spostando la direzione stratigrafica ; e ciò è uno dei tratti tettonici più importanti della regione. Notevoli sono anche le fratture parallele al Verbano, alla Tresa e al limite settentrio- nale dell’area mesozoica luganese. Esposto lo schema tettonico, l’autore tratta rapidamente della ipotesi dei fyords pliocenici, immaginata per la spiegazione dei laghi prealpini, e la dimostra insostenibile. Indaga, in base ai rapporti altimetrici, quale dovette essere l’idrografia durante il pliocene, mostrando quale poteva essere l’andamento delle cor- renti oligoceniche, le quali, forse dalla massa delle Alpi a ponente dello Spluga, hanno portato nella regione in esame gli enormi massi di rocce cristalline, in particolare le anfiboliche. L’autore ritiene probabile che nel diluviale antico , non esi- stendo ancora i bacini lacustri del Verbano e del Ceresio, le acque dell’alta regione ticinese scendessero al piano pel lago IL QUARTO CONGRESSO GEOGRAFICO ITALIANO LXXXV Delio, pel passo della Stabiazza, poi pel passo del Ceneri ; mentre quelle della vai Maggia e della vai Canobbina giravano per Duino e Margorabbia attorno ai monti di Valtravaglia, con- fluendo presso Laveno con quella di valle Intrasca: in tal modo si formava un grosso fiume, che scorreva per l’attuale conca del lago di Varese e per quella di Comabbio. Una corrente del bacino abduano penetrava nell’area dell’attuale Ceresio, per la depres- sione di Porlezza, e, congiungendosi colle acque del Ceneri presso Ponte Tresa, uscendo dapprima per Arcisate, e più tardi per Men- drisio, abbozzava il complicato bacino lacustre luganese. Il Toce, come è noto, passava allora per la depressione del lago d’Orta ; poi per due vie successive fu catturato dalla depres- sione verbana, preparata durante il diluviale medio dalla con- fluenza dell’alto Ticino colla Maggia, colla Canobbina e colla Intrasca, che abbandonarono il decorso varesino, per raccogliersi in una corrente passante prima a mattina, poi a sera del colle di San Quirico. Nella vai Travaglia è facile scorgere le tracce di un decorso di corrente concentrico alla Margorabbia, ma più ad ovest, rasen- tando i dirupi dolomitici di Bedero - Valtravaglia e di Calde. Nel diluviale medio, le acque abduane, abbandonato il decorso di Porlezza, scendevano a preparare il ramo occidentale del Lario. Nel diluviale recente, durante l’ ultima espansione dei ghiacciai, le enormi masse glaciali raccolte nelle depressioni principali, e così elevate da superare le selle, le quali sono testi- monio degli antichi decorsi di fiumi, hanno colla loro erosione allargate, appianate e approfondite le conche lacustri, meglio deli- mitandole altresì a valle. Quando furono disciolti i ghiacciai, in epoca neolitica, il paesaggio prealpino nell’area esaminata, comparve presso a poco somigliante al presente; tranne una estensione alquanto maggiore delle aree lacustri, che vennero dopo d’ allora ristrette per interrimento e per terrazzamento dei defluenti. Siccome non si conoscono estesi lembi di alluvioni intergla- ciali nell’area esaminata, così è difficile il ricostruire con qual- che sicurezza i fondi di valle pei vari periodi quaternari, prima e dopo le successive espansioni glaciali. Però non mancano le tracce di un evidente terrazzamento orografico, reso ancora più vi LXXXVI E. MARIANI manifesto dalle morene insinuate, che si adagiarono ai gradini di erosione, scavati nella roccia in posto. I più evidenti di tali terrazzi si trovano ad altitudini tra i 1000 e i 000 metri; e l’autore ne indica parecchi attorno al Verbano e al Ceresio, e lungo le valli della Tresa e della Mar- gorabbia, le quali, nella evoluzione idrografica avrebbero subito una inversione di decorso della rispettiva corrente, come fu il caso della Piovermi nella Yalsassina. Di non minore interesse, per la geologia, fu la comunica- zione del prof. D. Pantanelli sull’Apenuino, dalla Trebbia al Peno. Nella prima parte di essa, l’egregio professore, dopo un largo riassunto dei molti lavori di quegli autori che hanno studiata quella regione, viene a dare la superficie di questa per i singoli bacini dei fiumi, e per le zone comprese tra le isoipse di m. 100 e 400, 400 e 700, 700 e 1000, e di quelle superiori a m. 1000. Inoltre, per le stesse zone ricorda le pendenze medie dei fiumi, le loro lunghezze, descrivendo gli spartiacque di destra del Reno, e lo spartiacque della sinistra della Trebbia. Nella seconda parte, la geologica, l’autore divide la regione nei piani seguenti: eocene inferiore, medio e superiore, inclu- dendo nel superiore le serpentine ; oligocene (aquitaniano e ton- griano); miocene inferiore, medio ( langhiano , dveziano , torto- niano) e superiore (strati pontici ); pliocene e quaternario. Meno parte del quaternario, i precedenti piani sono contenuti nella isoipsa di m. 100. L’egregio autore ritiene che nell’Apennino settentrionale non si possa fare una maggiore suddivisione stra- tigrafica, di quella da lui accennata. Dei diversi gruppi il prof. D. Pantanelli dà la superficie: che per V eocene inferiore e medio, colle rocce preterziarie, sa- rebbe di 1242,2 chil. quad.; per V eocene superiore e per le ser- pentine sarebbe di chil. q. 3468,6; per V oligocene chil. q. 1416,5; pel miocene chil. q. 1097,9; pel pliocene chil. q. 417,3; pel quaternario chil. q. 489,3; pel recente chil. q. 246,4. L’autore in seguito, confrontando l’altimetria colla distribu- zione dei diversi piani geologici della regione, prova come alla massima elevazione media, la quale si verifica nei bacini della Trebbia e della Nure, corrisponde il maggiore sviluppo dei ter- IL QUARTO CONGRESSO GEOGRAFICO ITALIANO LXXXVIl reni eocenici , e alla mancanza, o quasi, del miocene e del plio- cene; mentre che nelle parti medie vi ha dapprima un largo sviluppo delle masse oligoceniche e poi quello dei terreni mioce- nici, i quali raggiungono il loro massimo tra l’Enza e il Eeno, venendosi in pari tempo a diminuire l 'oligocene, mentre che Yeocene signoreggia esclusivamente lungo tutto lo spartiacqne Tirreno- Adriatico. Il prof. Pantanelli termina la sua importante comunicazione, col rendere conto delle principali pieghe, riprendendo in esame un noto lavoro del prof. C. De Stefani. Le pieghe, irradiando dal fianco sinistro della Trebbia, parte proseguono nel versante tirreno, parte seguitano parallele a quella che ha determinato lo spartiacque Tirreno-Adriatico, dando alla regione, e special- mente ai bacini dei diversi fiumi, apenninici e subapenninici, la loro speciale configurazione. Nella sezione scientifica del Congresso Geografico, la discus sione di parecchi temi, diede occasione di esprimere parecchi voti, che vogliamo sperare verranno esauditi in un avvenire non molto lontano. Cosi, in seguito alla relazione letta dal tenente di vascello C. Rossetti, sulla necessità di addivenire ad una perfetta cono- scenza idrografica e topografica dei territori dell’Africa orientale amministrata dall’Italia (Somalia italiana), dopo assennate osser- vazioni del nostro socio ing. A. Stella sulla importanza degli studi geologici di quella vasta regione, si approvò il seguente ordine del giorno : « La sezione scientifica del IV Congresso Geo- grafico Italiano fa voti perchè il Governo voglia far iniziare studi topografici, idrografici, geologici e climatici nella Somalia italiana ». Altro voto emesso dal Congresso, in seguito a comunicazioni fatte da un altro nostro socio, il prof. 0. Marinelli, si fu quello intorno alla opportunità di una sollecita compilazione di un catalogo metodico dei segni di riferimento stabiliti in Italia per lo studio di mutazioni fisiografiche (spostamenti di ghiacciai, mutazioni di spiaggie, ecc.). In seguito a una comunicazione del prof. Marson sui nevai di circo e sul carsismo glaciale del M. Cavalllo, dopo alcune osservazioni fatte dal prof. T. Taramelli, daU’ing. A. Stella e lxxxviu E. MARIANI dal prof. 0. Marinelli, venne approvato un ordine del giorno, nel quale si richiama l’attenzione sull’interesse di studio pre- sentato dalle regioni, ove si confondono fenomeni carsici con fenomeni glaciali. Nella sezione didattica del Congresso Geografico, fu inte- ressante la discussione che si ebbe suH’iusegnamento della geo- grafia nelle scuole secondarie e nelle Università, ove viene poco curata, nè svolta sempre con indirizzo moderno. Eicorderò infine come durante il Congresso si tennero pa- recchie importanti conferenze; fra le quali sono degne di essere in special modo ricordate, quella del prof. L. Hugues sui risul- tati scientifici delle esplorazioni polari artiche, e quella del dott. M. Baratta su Leonardo da Vinci e la geografia fisica. Pel Congresso Geografico si ebbero due mostre assai interes- santi : quella organizzata dal Touring Club Italiano, e cioè una mostra retrospettiva di comunicazioni, viaggi e trasporti ; e quella cartografica, che riassumeva la storia topografica della città, del territorio e dell’antico Stato di Milano. Fra i geografi forestieri presenti alle sedute del Congresso, ricordo il dott. Erodij Bela, presidente della Società Geografica ungherese; il dott. Tokuzo Fukuda, professore dell’Università di Tokio, ed il capitano Bertrand di Ginevra, l’esploratore del paese dei ba-Rotsi (Africa Australe), il quale tenne una interessante conferenza su questa regione dell’Alto Zambese. La nostra Società Geologica era ufficialmente rappresentata dal suo presidente, prof. C. F. Parona, dai professori T. Taramelli, A. Issel e dallo scrivente. Maggio 1901. SUI SAGGI DI TERRE VERGINI COLTIVABILI DELLA PROVINCIA DI BRESCIA RACCOLTI DAL PROF. G. RAGAZZONI Comunicazione del prof. G. B. Cacciamali A proposito dello studio geognosticó-àgfario del suolo italiano e delle carte geologico-agronomiche, nou sarà discaro agli il- lustri colleglli della Società Geologica che qui in Brescia venga ad essi ricordato quanto fece in argomento fin dal 1881 il com- pianto Prof. Ragazzoni. In occasione dell’Esposizione Industriale Italiana tenuta in quell’anno a Milano, il Ragazzoni, per incarico avutone dal locale Comizio Agrario, che li faceva esporre, raccoglieva qua- ranta saggi di terre vergini coltivabili della provincia bresciana. Presento qui una copia a stampa dell’elenco di quelle terre, al quale andavano unite due tavole illustrative, nonché una delle poche copie a mano che il Ragazzoni tracciava l’anno prima della Carta Geologica della Provincia. Derivanti dalla decomposizione di roccie in posto. N. » » » » » » » » 1 Terreno granitico dell’alta Valle Camonica (Ponte di legno) 2 » porfirico della media V. Sabbia (Barghe) 3 » dei scisti micacei anti- chi di V. C. (Vione) 4 » dei micascisti della V. Trompia (Bovegno) 5 » dell’arenaria rossa di V. T. (Collio) 6 » del Servino di V. T. (Bovegno) 7 » della calcarea caver- nosa di V. T. (Pez- zaze) 8 » della calcarea metalli- fera di V. S. (Pro- vaglio) 9 » delle marne variegate di V. T. (Lodrino) N. 10 Terreno della dolomia inf. di V. S. (Agnosine) » 11 » della dolomia sup. di V. Garza (Caino) » 12 » del calcare infraliassico di V. T. (Sarezzo) » 13 » del medolo liassico dei Ronchi di Brescia » 14 » del silicifero giurese di Mompiano » 15 » delle marne cretacee inf. di Collebeato » 16 » delle marne cretacee sup. di Gussago » 17 » del calcare miocenico lacustre di M. Badia » 18 » delle marne subapen- nine di Castenedolo » 19 » delle sabbie subapen- nine di Castenedolo » 20 » del Ferretto di Caste- nedolo xc G. B. CACCI AM ALI Provenienti dall’alluvione antica e moderna. N. 21 Terreno di Adro » 22 » Castegnato » 23 » Nave » 24 » Cili verghe » 25 » Bedizzole » 26 » Chiari » 27 » Travagliato » 28 » Fornaci » 29 » Poncarale (colle) » 30 » Pozzolengo N. 31 Terreno di Ludriano » 32 » Azzano » 33 » Leno » 34 » Gliedi » 35 » Montichiari » 36 » Gabbiano » 37 » Cadignano » 38 » Verolanuova » 39 » Pralboino » 40 » Remedello Contemporaneamente lo stesso Ragazzoni pubblicava, coi tipi Rovetta, un opuscolo di 23 pagine in-8° a descrizione della detta raccolta (1). Le terre vergini coltivabili vi sono divise in due gruppi: le venti del primo gruppo sono saggi di terre derivanti dalla decomposizione delle roecie in posto, e quindi: terra della to- nalite, terra del porfido, terra degli scisti cristallini, terra del- l 'arenaria rossa triassica, terra del Servino, ecc. Le venti del secondo gruppo sono saggi di terre del piano, provenienti dalle alluvioni antiche e moderne, e per esse è se- guito un ordine topografico, dividendo la pianura in venti qua- dretti, ed offrendo di ciascuno un saggio. Per dare un’idea dell’interessante opuscolo del Ragazzoni, ne ripeterò qui alcuni brani. Parlando per esempio della terra della tonalite (N.° 1), dice: « Il granito micaceo ed anfibolico occupa un’ estensione consi- derevole nei monti di V. Camonica e del Caffaro, formando la base dei ghiacciai deH’Adamello e del Tredenos, da cui hanno principale alimento l’Oglio ed il Chiese, che ne portano i detriti alle sottoposte valli, e le fanno ricche di pascoli squisiti ed altra rigogliosa vegetazione. Co’ suoi elementi costituisce inoltre una parte importante del terreno diluviale della pianura, ove la loro decomposizione ne mantiene la feracità». (*) (*) Veci, il largo riassunto in: C. F. Parona, Il Terreno — Nuova Enciclop. Agr. Ital., 1898, pag. 143. SAGGI DI TERRE VERGINI DELLA PROV. DI BRESCIA XCI Parlando della terra del porfido (X. 2): « I porfidi quarziferi ed argillosi si mostrano di preferenza nella bassa Y. Camonica, nell’alta Y. Trompia, in V. del Caffaro e nella media Y. Sabbia. Colla loro decomposizione danno luogo a terre feraci, per cui godono credito i pascoli di Toline, Pezzoro, Muffetto, Ronde- nino, Yaja, Pian del Bene, ecc., nonché i coltivi della Pertica, di Provaglio Y. Sabbia, ecc. Buona parte dei loro detriti, tra- dotta al piano dalle maggiori alluvioni attuali, concorre a for- mare gli espandimenti del Chiese e del Media con altri mate- riali di natura calcare a loro riunitisi per via ». E parlando della terra della dolomia principale (X. 11): « Molto diversa da quella dei precedenti si è la fisonomia di questo terreno. E bianco-cinereo, incoerente, in continua frana, come si può vedere percorrendo la via che da Caino per S. Eu- sebio mette ad Odolo. Occupa larghi tratti di paese adagiandosi sulla massa dolomitica che da Yello per Inzino e Marcheno si estende largamente in Y. Sabbia. Povero di vegetazione, ne è qualche volta affatto deserto. Concorre tuttavia a formare sul fondo delle valli alcuni tratti che si coltivano a prato, od anche a cereali, quando vi sieno commisti elementi meno ingrati ». Quanto alle terre della pianura, come esempi ripeterò ciò che il Ragazzoni dice di quelle di Adro, Chiari e Gabbiano (X. 21, 26 e 36) nella parte occidentale della provincia. « Terra di Adro (siliceo-argillosa): Come lo indica la sua composizione, essa proviene dai depositi diluviali che fanno cerchio a sud del lago d’Iseo, e che derivano principalmente dalla Y. Camonica. Essa difetta di calcare, ed è mista a della ghiaia, per cui si risente qualche volta delle arsure estive. Yi fanno buona riuscita i cereali». « Terra di Chiari (siliceo-argillosa) : Molto somigliante nel- l’aspetto a quella di Adro, questa terra ne differisce alquanto per la composizione, contenendo una certa porzione di carbonato di calce, la quale per solito prevale nell’antica alluvione, di quello che nei depositi diluviali che la precedettero. Sussidiato dall’irrigazione, che abbonda in questa plaga, tale terreno riesce molto adatto alla coltura dei cereali e dei foraggi ». « Terra di Gabbiano (siliceo-argillosa) : Analogo nella com- posizione a quello di Chiari, questo terreno ne differisce perchè XCJI G. B. CACCIAMALI contiene un po’ meno di argilla, ed è più sciolto; il che forse dipende dal trovarsi più innanzi nella pianura, ove le correnti tradussero solo i materiali più minuti. Se si considera poi come l’elemento siliceo sia principalmente fornito dai silicati che formano le roccie da cui ebbero origine questi detriti, si com- prenderà come lo stato di loro disaggregazione giovi alla fer- tilità dei campi, rendendo facile ad ogni pianta l’assimilazione dei materiali necessari, onde vi prosperano del pari foraggi, cereali e lino ». Il buon esempio dato dal Ragazzoni or fa un ventennio rimase lettera morta, mentre avrebbe potuto dare a quest’ora i migliori risiili ati; auguriamo che, ripreso oggi lo studio del suolo agrario ne’ suoi rapporti colla geologia, abbia l’agricoltura a riceverne tutto quel vantaggio che è lecito sperare. CONSIDERAZIONI E NOTIZIE RELATIVE ALLA STORIA DELLE SCIENZE GEOLOGICHE ED A DUE PRECURSORI BRESCIANI Discorso del dott. Mario Cermenati Onorevoli Colleglli (‘) Aderendo all’invito che mi rivolge rillustrissimo Presidente, io debbo fare appello alla vostra benevolenza, perchè mi abbiate a prestare attenzione per alcun poco. Nè io abuserò troppo della cortesia vostra, sbrigandomi, più rapidamente che mi sarà pos- sibile, nello svolgimento di quanto sono chiamato a dirvi e di ciò che intendo aggiungere a chiarimento maggiore della mia tesi ed a sincero elogio di questa patriottica Brescia. Nella primavera del prossimo anno — c quasi certamente nel mese di aprile — - sarà tenuto in Roma un Congresso in- ternazionale di scienze storiche. Il solo annuncio del fatto vi spiega tutta la sua importanza, tutta la sua grandezza, tutta la sua modernità. E su questo io non ho bisogno di fermarmi. Vi dirò piuttosto che l’idea felice di radunare nella capitale d’Italia, all’alba del secolo ventesimo, un Congresso mondiale di cultori della storia — presa nel suo più ampio significato ed estesa a tutte le branche numerose dello scibile e dell’atti- vità umana — è venuta al chiarissimo professore Ettore Pais, dell’Università di Napoli, direttore del Museo Nazionale e degli Scavi di Napoli e Pompei. Questo storico valente comunicò il suo pensiero ai migliori che nel nostro paese coltivano siffatti studi, e tutti furono con- O Si completa il discorso con le citazioni integrali e con parti- colari che, durante l’esposizione orale, furono accennati di volo. XCIV M. CERMENATI cordi seco lui sull’opportunità del proposito — data l’importanza storica ed artistica di Roma e constatato il risveglio delle scienze storiche, favorito in Italia dall’unione politica delle sue regioni — di chiamare a raccolta gli studiosi, da ogni parte del mondo, « per discutere le più notevoli questioni sorte in questi ultimi cinquant’anni nel campo delle discipline storiche, ponendo in chiara luce il loro sviluppo presso tutti i popoli civili, e rile- vando sino a qual punto l’Italia abbia partecipato a tale mo- vimento scientifico ». Così dice la circolare, che il Comitato, costituitosi per tra- durre ad effetto l’impresa, ha di questi giorni diramata, e pa- recchie copie della quale io ho deposto al banco della presi- denza, perchè ciascuno di voi, onorevoli colleglli, possa, con suo comodo, prenderne visione, e poi, con perfetta conoscenza di causa, voglia dare, a tempo debito, la propria adesione. Il che, amo credere, sarà per verificarsi. Il Comitato promotore è composto di un centinaio di per- sone, fra cui eminenti scienziati nazionali e stranieri. La pre- sidenza effettiva è toccata, naturalmente e giustamente, al pro- fessore Pais ed hanno accettato la presidenza d’onore i senatori Ascoli, Comparetti e Villari. Come rileverete dalla circolare, il Congresso si dividerà in tante Sezioni quante saranno desi- gnate dalla natura degli studi, ai quali gli aderenti si sono dedicati : fin d’ora, però, se ne sono già stabilite le principali, in numero di diciassette, che la circolare specifica. Una delle Sezioni comprende la Storia delle scienze mate- matiche, fisiche e naturali , ed è questa che deve interessare noi, che spettiamo al genere « naturalista » ed alla specie « geologo ». Di tale Sezione è già costituito l’ufficio di presidenza, che ha l’ incarico di raccogliere ed ordinare il materiale, che dovrà es- sere oggetto di discussione. N’è presidente d’onore il senatore Luigi Cremona, ex-ministro della Pubblica Istruzione, direttore della Scuola d’applicazione per gli ingegneri in Roma. Presi- dente effettivo il prof. Talentino Cerniti, rettore dell’ Università di Roma. La Sezione dividesi in due sotto-sezioni: Storia delle scienze fisico-matematiche e Storia delle scienze naturali. Presi- dente della prima è il prof. Antonio Favaro, l’ illustratore di Galileo ; della seconda chi ha l’ onore d’ intrattenervi. SCIENZE GEOLOGICHE E PRECURSORI BRESCIANI XCV Egli è appunto in tale qualità di presidente della sottose- zione del Congresso, la quale riguarderà la storia delle scienze naturali, e però inclusivamente delle scienze geologiche, che io vi esorto, onorevoli colleglli, a dare collettivamente e singolar- mente la vostra adesione al Congresso medesimo. Già alcuni dei nostri consoci appaiono nel primo elenco degli aderenti, pub- blicato nel decorso luglio, e li citerò a cagion d’onore: Luigi Baldacci, Giuseppe Beliucci, Vittorio Novarese, Dante Panta- nelli, Torquato Taramelli. Ma occorre che questi abbiano molti imitatori ; occorre mostrare, di fronte agli stranieri — i quali di certo interverranno numerosi — che anche in Italia la storia della geologia si vuol tenere, d’ora innanzi, in quell’onore che si me- rita e quale godette ai tempi, che dirò eroici, delle ricerche no- strali intorno alle passate vicissitudini ed alla presente fisio- logia del pianeta su cui viviamo. * * * Signori consoci : ninno fra di voi oserà mettere in dubbio la importanza ed i vantaggi degli studi sulla storia delle scienze. Si capiva l’avversione a simili ricerche ai tempi di Epicuro, quando si trattava di emanciparsi dal giogo tradizionale per iniziare una nuovissima scuola filosofica, od a quelli di Galileo, quando, per naturale reazione agli antichi sistemi, ai dogmi simboleggiati nelle note locuzioni dell’apse dixit e del jurare in verba magistri , urgeva lasciare in disparte il « mondo della carta» come lo chiamava il Galilei stesso, per studiare il mondo sensibile e divenire veri filosofi della natura, non già semplici «dottori di memoria». Ma tale avversione non è più spiegabile, nè compatibile, oggidì, e chi per avventura la professasse ancora, non merite- rebbe certo il titolo di scienziato vero e completo. E però voi tutti sarete meco d’accordo circa l’utilità degli studi storici in- torno alla comune prediletta disciplina. Siffatti studi sono asso- lutamente necessari per il progresso medesimo della scienza. Per tale progresso è indispensabile la ricerca continua me- diante le infallibili vie della osservazione e dell’esperienza; è indispensabile che gli studiosi scoprano tutti i giorni qualcosa XCVI M. CERMENATI di nuovo e portino quotidianamente originale contributo all’edi- ficio della verità scientifica. Ma è altrettanto indispensabile che, parallelamente al filo della scoperta ininterrotta, proceda il filo della tradizione, la quale rammenta ciò che è già stato fatto, ciò che è già stato trovato e, mentre serve di guida per le ri- cerche dell’oggi e dell’avvenire, impedisce ripetizioni superflue, perdite di tempo e traviamenti dannosi. Io plaudo col massimo entusiasmo a coloro che faticano sul campo delle analisi ed accumulano materiali, che viemeglio faci- litano la interpretazione del cosmo ; ed arrivo più in là, e, cioè, non riconosco il diritto di tentare concezioni sintetiche se non a quelli che hanno fortificata la mente con ricerche speciali, anche le più sottili ed in apparenza le meno significanti. Ma io vorrei altresì che coloro i quali si vanno occupando di ri- cerche storiche, bibliografiche e biografiche fossero tenuti in maggiore considerazione e riguardati, non già come inutili topi di biblioteca o rimuginatori di anticaglie, sibbene come validi cooperatori del progresso della conoscenza e benemeriti inter- preti della evoluzione dello spirito umano. Se io non sbaglio, da noi italiani, in questi ultimi anni — e nelle sfere ufficiali, dove si manipola quella che è scienza profes- sionale, — e nelle sfere della coltura pubblica, che subisce la moda, come avviene degli abiti delle nostre signore — gli studi sulla storia delle scienze, e proprio della storia naturale in genere e della geologia in ispecie, non trovarono la fortuna che si meritano. Quasi tutti gli studiosi — preoccupati, sovra ogni cosa, della propria carriera e faticanti a procurarsi i titoli meglio quotati pei concorsi — quasi tutti hanno la smania della scoperta e guardano avidamente in avanti: pochissimi solitari si volgono a contem- plare la via trascorsa e le tappe segnate. E questi ultimi si la- sciano in disparte, come eremiti del monte Athos, o tutt’ al più si regalano di un’approvazione platonica, che ha quasi sempre l’ apparenza d’ un complimento personale, non già la forza di un convincimento preciso e maturato. Avete listo, nella nostra cerchia sociale, pel primo premio Molon: il tema bandito era di carattere storico, ed il concorso, benché ripetuto, non ebbe esito felice! SCIENZE GEOLOGICHE E PRECURSORI BRESCIANI XCVII I geologi attuali mi dàmio l’impressione d’una folla di per- sone che, alla foce di un grandissimo fiume, si divertano ad esaminare minutamente, con tutta la coscienza immaginabile, ed armati d’ogni più perfetto strumento, le innumerevoli particelle pietrose ond’ è composto il delta, lentamente accumulato nel corso dei secoli. Ma niuno di quei valentuomini pensa di risalire il corso del fiume e d’ andare via via discoprendo il punto di origine di ciascuno di quei granuli, fino a spingersi alla primis- sima sorgente del fiume medesimo. E permettetemi un’altra metafora. Tutti questi ottimi lavo- ratori, che vanno ammonticchiando, con febbrile lavorio diuturno, e monografie, e memorie, e note, e noterelle, e semplici foglietti, senza pensare a coordinare il proprio materiale nei riguardi di una sintesi storica e filosofica ben compresa, a me fanno l’ef- fetto d’una falange di operosi manuali, che seguitino senza posa a portare caoticamente pietre e mattoni, per erigere un edificio di là da venire. Verrà giorno in cui sarà tale il disordine degli accumulati materiali, tale l’ingombro nell’area fabbricabile, che l’innalzamento del simbolico edificio, se non impossibile, tornerà estremamente difficile e procederà lento ed incerto. Già il nostro Brocchi aveva detto che « non viene mai disu- tile dimostrare le vie che furono battute per giungere alla co- noscenza della natura, e di svelare gli errori che fu necessario di combattere per rendere manifesta la verità. Tale è di fatto lo scopo della storia delle scienze ». Giorgio Cuvier inaugurava nel 1830 il suo memorabile corso al Collegio di Francia sulla Histoire (Ics Sciences naturelles facendo notare come non esista scienza la cui istoria non sia utile agli uomini che la coltivano, e come la storia delle scienze natu- rali sia al tutto indispensabile pei naturalisti. Invero — - soggiungeva il restauratore della paleontologia — le nozioni di cui si compongono le scienze naturali non potreb- bero essere il risultato di teorie formulate a priori. Esse sono fondate sovra un numero pressoché infinito di fatti, che non possono essere conosciuti se non mediante l’osservazione. Ora, la nostra esperienza personale è talmente limitata dalla brevità della nostra esistenza, che noi sapremmo quasi nulla, ove non conoscessimo che ciò che ci è dato di scoprire da noi stessi. XCVIII M. CKRMENATI E però siamo obbligati di ricorrere alla storia, alla quale sono consegnate le osservazioni degli uomini che ei hanno prece- duto. Ma questa istoria dei fatti occorre integrarla con quella degli scienziati, poiché il valore della loro testimonianza di- pende assai spesso dalle condizioni di luogo, di tempo e di grado sociale in cui si sono trovati. La conoscenza della storia scientifica è poi utile, inquantoehè impedisce agli studiosi di consumarsi in conati superflui per riprodurre fatti diggià con- statati. Risultano, infine, dallo studio di tale storia, due grandi vantaggi : quello, cioè, di far nascere idee nuove, che molti- plicano le nozioni acquisite, e quello d’insegnare il processo d’indagine, che più sicuramente adduce alle scoperte. Voi tutti conoscete quel valente Visconte d’Archiac, che scrisse i nove volumi dell’ Histoire des progrès de la geologie dal 1834 al 1859 e ci lasciò altre pubblicazioni di carattere storico. Egli disse che la storia d’una scienza è come il peristilio d’un tempio: è l’introduzione la più naturale al quadro delle meraviglie, che il suo studio deve rivelarci. Nè ha soltanto un lato utile e d’interesse storico: è un atto di giustizia distribu- tiva, al quale non è permesso di sottrarci; è un sentimento d’equità, che c’impedisce di lasciare nel silenzio i meriti di coloro che, precedendoci, ci hanno tracciata, spianata, facilitata la strada. Ancora: il tempo consacrato nell’apprezzare le opere altrui non è tempo perduto, e lo spirito che non s’è maturato nella meditazione della storia è soventi parziale, anche a sua insaputa. Quand’ anche siffatti studi non avessero altro risul- tato che di renderci più cauti nelle nostre conclusioni, essi sa- rebbero pur sempre degni di tutta la nostra attenzione. Onorevoli colleglli : è tempo che anche da noi si facciano fiorire gli studi storici sulla geologia. Dopo che Giambattista Brocchi ebbe scritto, al principio del secolo che abbiamo se- polto, quel prezioso Discorso sui progressi dello studio della con- chigliologia fossile in Italia — che il nostro padre Lyell ripro- dusse in gran parte nel suo celebre trattato, rendendo così il più disinteressato omaggio alla nostra patria (come l’ aveva reso, ricorderò di passaggio, trent’anni prima il francese Faujas de SCIENZE GEOLOGICHE E PRECURSORI BRESCIANI XCIX Saint Fond, inaugurando il corso di geologia al Museo di Pa- rigi (')) — non vi fu più geologo italiano che di proposito si occu- passe di questo genere di studi. Molti geologi s’ aggrapparono al discorso del Brocchi e lo saccheggiarono a piacimento ogni qualvolta trovaronsi obbligati a dire od a scrivere di storia delle dottrine geologiche. Parecchi altri, sdegnosi del passato, ed infa- tuati di quel poco che personalmente riuscirono a decifrare, non si diedero nemmanco la pena di prenderne superficiale cono- scenza. È bensì vero che Antonio Tomaso Catullo scrisse nel 1824 una brevissima Storia dell’ origine e dei progressi della mine- ralogia; che Leopoldo Pilla nel 1832 pubblicò un Cenno storico sui progressi della Orittognosia e della Geognosia in Italia e nel 1842 tenne un discorso accademico intorno ai principali pro- gressi della geologia; che Achille de Zigno diede alle stampe nel 1843, e ripubblicò dieci anni dopo, un capitolo: Bella Geo- logia e de’ suoi progressi prima del secolo XIX; che Filippo De Filippi, chiamato nel 1840 al Museo civico di Milano, vi apri un corso di geologia trattando nella prolusione: Dei pro- gressi della Geologia fino al principio del secolo XIX (ì) ; che (‘) Dopo aver parlato dei meriti grandissimi dello Spallanzani, da poco decesso, il Fanjas de Saint Fond dice: «Cette belle Italie, de tout temps la pépiniére des savants, des hommes de lettres, et des personne les plus distinguées dans toutes les classes des beaux arts, possède dans ce moment des naturalistes trés-éclairés et trés-célébres qui consacrent toutes leurs veilles aux progrés des connaisances géologiques ». Indi cita il Fortis, il Pini, il Breislak, il Gazola, il Soldani, il Fabroni, il Fon- tana, lo Scarpa, il Mascagni, ecc. per concludere che tali nomi «sont des preuves incontestables du goùt qu’ont les Italiens pour l’étude de la nature» ( Essai de geologie, ou Me'moires pour servir à Vhistoire natu- relle du globe, voi. 1°, pag. 27. Paris, Dufour, 1809). (2) A proposito di questa prolusione, che fu inserita nella Rivista Contemporanea di Torino del 1816, narra il Lessona il seguente aned- doto : «Molti anni dopo la pubblicazione, venutone in mano all’au- tore un esemplare stampato, egli ci scrisse sopra queste brevi parole: Buono per accendere la pipa. — L’autore. Siccome si vede, il De Fi- lippi, giudice severo cogli altri, era tutt’altro che tenero con sé stesso. Non é d’uopo dire che questo giudizio non è solo severo, ma ingiusto... La ragione di questo biasimo immeritato ad un suo proprio lavoro vuol essere cercata nella sua indole scientifica. Egli era scienziato eminen- c M. CERMEtfATl Emilio Cornalia cominciò nel 1847 la serie de’ suoi lavori con un opuscolo: Sui progressi della geologia nel secolo XIX: che Antonio Stoppani inaugurò nel 1861 la sua cattedra all’Uni- versità di Pavia con la prelezione: Priorità e preminenza degli italiani negli studi geologici ; che nel gennaio 1862 Carlo Gemmel- laro lesse all’Accademia Gioenia di Catania una nota dal titolo: Sommi capi di una storia della geologia sino a tutto il secolo X Vili po’ quali si detegge che le vere basi di questa scienza sono state fondate dagli italiani ; che nel 1866 Giuseppe Meneghini trattò magistralmente Pel merito dei veneti nella geologia; che nel 1894 Giovanni Omboni compilò pe’suoi allievi alcuni Brevi cenni sulla storia della geologia ; ma in tutti questi lavori — singolar- mente pregevoli ed utili a consultarsi — non fu detto gran cosa più in là di quanto il Brocchi e, successivamente, il Lyell, ave- vano già consacrato nelle rispettive trattazioni. Una storia compiuta della geologia italiana è ancora da farsi, e di tanti autori italiani, che meriterebbero d’essere illustrati, o come precursori, o scopritori, o cooperatori, non è ancora stato dato il minimo cenno. Nella mia raccolta di libri antichi che, direttamente od indirettamente, hanno attinenza con la scienza che ci occupa, io conservo parecchi volumi od opuscoli del più alto valore, che restarono sconosciuti al Brocchi, e quindi al Lyell e a tutti coloro che a quei due, e non alle fonti ed agli scritti originali, attinsero notizie. E poiché mi cade il destro, noterò che nel grosso Catalogne des bibliographies geologiques, — pubblicato, sotto la direzione del mio amico e compagno di viaggio nei monti Urali e nella Siberia occidentale E. De Margerie, nel 1896 a Parigi — la parte che riguarda l’Italia è assai incom- pleta e piena di lacune ; e sarebbe una gran bella cosa il rime- diarvi seriamente nel caso di una seconda edizione. temente originale, investigatore, progressista. Sovra ogni cosa apprez- zava le ricerche che menano alla scoperta dei nuovi fatti : le compila- zioni gli urtavano i nervi, i lavori intorno alla storia della scienza ave- vano per lui ben poca attrattiva. Il giorno in cui, cadutogli sott’occhio quello stampato, ritrovò sé stesso negli anni passati autore di un lavo- retto storico, n’ebbe dispetto, e si volle punire con quella barbara sen- tenza» (Naturalisti italiani , Roma, 1884). SCIENZE GEOLOGICHE E PRECURSORI BRESCIANI CI * * * Per noi italiani, poi, le indagini relative alla storia delle discipline geologiche — come per tant’ altre — è anche questione di vero ed illuminato patriottismo. Già fu trattata, come sapete, la simpatica tesi della antica priorità e preminenza degli ita- liani in merito alla geologia; ma quanti e quanti nuovi fatti si potrebbero presentare a maggiore e vie più luminosa con- ferma della tesi stessa! Oggidì, bisogna confessarlo, le altre nazioni civili — per un complesso di cause, che troppo mi dilun- gherebbe ove volessi sviscerarlo — fanno più rapidi e vistosi progressi che da noi negli studi geologici. Eppure quante teorie, quante scoperte, quante ipotesi, quanti veri, che altrove menano oggi il campo a rumore e destano Fammirazione dell’universale, ebbero nella patria nostra il primo battesimo ! Vincenzo Monti, assunto alla cattedra di eloquenza in quella Università dove insegna adesso geologia il mio maestro ed amico Taramelli, disse il 26 novembre 1803 una prolusione per la riven- dicazione dell’ingegno e della civiltà degli italiani (*). Io vi con- siglio a procurarvi, a leggere ed a meditare quello splendido discorso, intitolato : Dell’ obbligo di onorare i primi scopritori del vero in fatto di scienze ; nel quale Foratore intese ragio- nare — ripeto le sue parole — dell’ obbligo che vuoisi avere a colui che seppe il primo significare la verità e segnare la strada di conseguirla, moltissimo poi a coloro, che non pur la indicarono, ma già afferrata, se non del tutto scoperta, la mi- sero nelle mani del successore; obbligo per noi male adempiuto, e dagli stranieri assai volte dissimulato. (‘) Pubblicata a Milano (Tip. Sonzogno, 1804) in un raro opuscolo, ch’io posseggo, intitolato: Prolusioni agli studi dell'università di Pavia per Vanno 1804 , recitate da V. Monti. In tale stampa la perorazione fu alquanto modificata, per toglierne certe forti espressioni, che poco gar- bavano alle autorità d'allora: la perorazione, come fu detta, venne rife- rita dal Cantò nello studio: Monti e l'età che fu sua (Milano, Treves, 1879). Il Carducci riportò tutto il discorso, meno però l’esordio e con la chiusa autentica, nelle sue Letture del Risorgimento Italiano (1749-1830). (Bo- logna, Zanichelli, 1896). VII cri M. CERMENATI Così intendeva egli « venir pagando alcun debito di grati- tudine alle ombre di quei valenti italiani, che il postero incam- minarono sulla via delle scoperte più luminose, e che iniqua- mente dimenticati dimandano di esser fatti partecipi d’ una gloria da cui gli espulse ora l’ ingratitudine, ora l’ invidia, e a cui non- dimeno sono altamente chiamati dalla critica e dalla ragione ». Svolgendo l’argomento, il Monti accennò a molte scoperte scientifiche che, fatte da italiani, trionfarono poi altrove o ci furono addirittura rubate, senza che dei nostri si facesse la do- vuta menzione; e, spaziando con la poderosa ala del suo inge- gno nel vasto campo dello scibile, toccò, fra l’altro, delle scienze naturali e della geologia, per dimostrare che anche in questi rami l’Italia ha glorie misconosciute, precursori obliati, scopri- tori defraudati. Così, per esempio, — egli notò — la teoria della terra ond’ ebbe fama il Burnet non è che un bel commento alla teoria del Patrizi nel suo primo dialogo intitolato il Lamberto ('). Ove pertanto si approfondissero le ricerche attraverso le vecchie opere che, in materia di scienze, son venuti adunando i nostri padri — ed ora giacciono inesplorate, polverose e magari intonse, negli scaffali delle biblioteche — io sono certo che molti e brillanti esempi relativi alle scienze geologiche si cavereb- bero, a maggior gloria e più ampia rivendicazione del nome italiano. Ma che dico io! Non già questa o quella ipotesi, questo o quel fossile, questa o quella interpretazione verace son robe genuine o scoperte autentiche d’ italiani : ma lo stesso nome di geologia — usato col valore moderno, e non col puro significato etimologico — è di fabbrica nostra ; è, per dirla barbaramente, di marca italiana. Esso, è vero, venne pubblicamente adoperato, de’ primi, dal tedesco Filippo Cluwer, che avrebbe nel 1619 stampato a Leida un’opera : Geologia, de creatione et formatione globi terrestris (2); dall’inglese Erasmo Warren: Geologia , or (*) (*) Delia retorica, dieci dialoghi di Francesco Patrizio (Venezia, Senese, 1562). Il Burnet pubblicò la sua Telluris theoria sacra nel 1681 a Londra: tre anni dopo fu tradotta in inglese ed altre edizioni usci- rono successivamente. (2) Cito questo libro perchè lo trovo indicato dal Silvestri nella Bibliographie géologique et paléontologique de V Italie (Bologna, 1881, SCIENZE GEOLOGICHE E PRECURSORI BRESCIANI CHI a Biscourse concerning theEarth before thè Deluge (Londra, 1 690) ; e dall’altro tedesco Dethlef Cluwer: Geologia, sive philosophe- mata de genesi ac structura globi terreni, ocler naturliche Wis- senschaft von Erschaffung und Bereitang der Erdkugel, ecc. (Amburgo, 1700); ma io l’ho visto, prima di costoro, usato da un italiano. Chi mi sa dire, fra i colleghi che m’ascoltano, il nome di questo compatriota? Niuno lo conosce? Ebbene, vi annuncierò che, secondo le mie modeste indagini, il vocabolo geologia fu primie- ramente adoperato da quel grande naturalista che fu Ulisse Al- drovandi. Infatti — non nel Musceum metallicum, come avverte il senatore Capellini con la sua gradita interruzione, poiché quel grosso quanto prezioso volume fu compilato da Bartolomeo Am- brosini ed edito solo nel 1648, ossia quarantatre anni dopo la morte dell’Aldrovandi — ma nel testamento steso nel novembre del 1603 e pubblicato molti anni più tardi dal suo biografo Fantuzzi ('), Ulisse Aldrovandi, parlando delle numerose opere inedite eh’ egli lasciava, enumerò fra di esse alcuni volumi che trattano di « Giologia ovvero de Fossilibus , di Botanologia e Zoologia ». Ora a me non consta, finora, che altri abbia adoperato il vocabolo geologia prima dello scienziato bolognese, nè che da alcuno sia stata riconosciuta tale priorità all’Aldrovandi. Il quale Aldrovandi, poi, nelle molteplici peregrinazioni della sua avventurosa giovinezza, capitò anche a Brescia, e qui stette alcun tempo. Qui egli venne mandato dalla famiglia, perchè s’ iniziasse nei traffici commerciali, e però allogato presso un ricchissimo negoziante, con onorevole stipendio. Narra il Fantuzzi ch’egli ben presto si facesse conoscere pel suo talento, sì « che gli altri mercatanti si servivano dell’opera d’ Ulisse ne’ più gravi conteggi e ne’ più intralciati bilanci ». pag. 332); ma, per quanto l’abbia ricercato, io non lo vidi mai, nè con- stami sia ricordato fra le opere di Filippo Cluwer ; all’uopo consultai anche il Meursius ( Athenae batavae ) ed il Niceron ( Mémoires pour servir à Vhistoire des hommes illustres, etc.). Nel 1619 il Cluwer pubblicò la sua Sicilia antiqua, in cui dedicò uno speciale capitolo all’Etna. (?) Memorie della vita di Ulisse Aldrovandi, ecc. (Bologna, 1774). C1V M. CERMENATI E chissà che l’Aldrovandi non abbia cominciato in Brescia ad innamorarsi di quegli studi della natura, ne’ quali doveva poi volare come aquila? Certo l’ambiente bresciano era adat- tissimo a risvegliare in un giovane d’ingegno e di ferrea volontà le tendenze naturalistiche, sia per le naturali bellezze della regione tra cui s’eleva questa antica e forte città, sia per il culto vivo e profondo che in Brescia ognora si ebbe per le speculazioni e per le ricerche di storia naturale. ❖ Ieri il nostro presidente ha evocato con felice parola, e tra i nostri più vivi applausi, i grandi meriti patriottici di questa città che ci ospita, ed ha tratteggiato stupendamente un quadro della geologia bresciana e de' suoi più benemeriti illustratori nel secolo deeimonono. Io vi dirò adesso che Brescia ed i suoi figli tengono un posto onorevolissimo, cosi nella storia degli eroismi con cui fu precorsa, fatta e cementata l’unità italiana, come nella storia dei tentativi e delle speculazioni, da cui ebbero corpo la filosofia naturale e le sue speciali diramazioni, la geo- logia compresa. Brescia ha non poche e brillanti benemerenze aH’ocehio di chi conosca lo sviluppo delle scienze naturali in Italia, dalla Rinascenza in su. Ha osservato il Brocchi, che fra queste mura esercitò il suo genio e la sua erudizione: « Quando nelle Università d’Italia si stipendiavano professori per interpretare Dante, che si ha sem- pre avuto la curiosità d’intendere; quando pubblicamente si com- mentavano Aristotele e Platone, che s’ intendevano probabil- mente meno ancora di Dante, esisteva in Brescia una cattedra, dove si spiegava invece la Storia naturale di Plinio ». Questa notizia il Brocchi la desunse dal discorso premesso all’edizione pliniana del 1783; io vi aggiungerò che, fra i 17 incunaboli dell’opera immortale del naturalista comasco, due videro la luce qui in Brescia, e che nel quattrocento, oltre alla cattedra da cui spiegavasi Plinio, altre se ne istituirono per commentare gli scritti di filosofia naturale dello Stagirita, quelli di botanica e mineralogia di Teofrasto e quelli di zoologia di Eliano. SCIENZE GEOLOGICHE E PRECURSORI BRESCIANI CV Ed umanisti e medici bresciani dei secoli XY e XYI con- tribuirono assai al rinascere delle scienze naturali, aiutandone i cultori a rintracciare, tradurre e commentare i testi antichi sulle virtù e sui caratteri delle piante e delle pietre. Girolamo Donzellini, profondo in greco, fu amico del botanico Mattioli e gli prestò valida mano nel volgarizzamento di Dioscoride: ed Antonio Pasini, altro grecista di polso, esaminò criticamente quelle versioni. Luigi Mondella, che, oltre il greco, conosceva l’arabo e l’ebraico, s’occupò di pietre preziose e richiamò i con- temporanei, infatuati della letteratura araba, composta di plagi e traduzioni infedeli, alle fonti genuine di Ippocrate e di Ga- leno (’). E fra i medici bresciani della Rinascenza ricorderò anche Francesco Cavalli, citato dal Redi, che sullo scorcio del quattro- cento scrisse d’entomologia e d’erpetologia, specie delle vipere (2). Così il gusto per le discipline naturali fu qui efficacemente pro- pagato da tanti fra i valentissimi seguaci della scienza medica, che Brescia contò e molti dei quali fornì iru ogni tempo alle Università italiane. Ed i letterati altresì s’adoperarono al nobile fine, dal dotto filologo e poeta virgiliano del cinquecento, Publio Fontana, che s’innamorò della botanica e fecesi un giardino di rarità vegetali, a Cesare Arici, che cantò il Corallo e X Origine delle Fonti. Or tutto ciò, o colleglli, è testimonianza della vera intellettua- lità di questo nobile centro lombardo, che fu sentinella avan- zata della scienza prima di attingere alle più luminose vette del patriottismo; che vide, ai piedi del Cidneo, rifulgere benefica, in tempi ignoranti, la fiaccola della scienza, e lampeggiare vit- toriosa, in tempi di servaggio, la spada della libertà! Onde a ragione questi antichi padri, accanto al bronzo divino della Vit- C) Pasini, Annotazioni ed emendamenti sulla traduzione del Mat- tioli de’ cinque libri della materia medicinale di Dioscoride (Bergamo 1593 e 1600). Correzioni sul libro d'Ippocrate dell’aria, dell’acqua e dei luo- ghi (1574). — Mondella, Annotationes in Antonii Musae Brassavolae sim- plicium medicamentorum examen (Basilea 1538 e 1543). Epistolae medici- nales (1533, 1543, 1549, 1556). (2) De animali theriacam ingrediente. Nelle Opere di Bartolomeo Montagnana (Venezia, 1497) e nei Consulti di Antonio Germisone (ivi, 1503). evi M. CERMENATI torta alata, avevano alzato statue e marmi votivi a Nottulio, la deità topica che simboleggiava il pensiero. E l’antica tradizione naturalistica fu qui ripresa, allorquando, caduta la Repubblica veneta, il governo provvisorio, che ne prese il posto, istituì in Brescia un ginnasio, con una cattedra di storia naturale, volta più specialmente allo insegnamento della mine- ralogia e della geologia. E fu chiamato a coprirla Giovanni Mar- tinenghi, che aveva studiato a Pavia, a Schemnitz ed a Frei- berg, nella qual ultima città fu assiduo alle lezioni del celebre Werner, di cui doventi) fido discepolo e delle cui teorie fu stre- nuo propugnatore. Il Martinenghi inaugurò le sue lezioni ufficiali con un di- scorso preliminare sulla mineralogia ai 7 dicembre 1798 (') e la sua fu la prima scuola Werneriana in Italia, cui tenne dietro quella di Napoli, quando il Raraondini — altro allievo del Werner, con Faicchio, Savarese, Melograni, Lippi e Tondi, spediti da quel governo, che già pensava ad una carta geologica de’ suoi domini, a perfezionarsi nei migliori centri d’ Europa — salì la cattedra di mineralogia istituita nell’ Università e da quella pro- fessò le cognizioni apprese dal maestro di Freiberg (2). Ripiombati gli austriaci sulle bajonette russe, il ginnasio fu croaticameute soppresso, ed il Martinenghi tornò a Pavia. Vittoriosi nuovamente, con la spada del Bonaparte, i francesi, il pubblico ginnasio risorse, e si invitò alla cattedra ripristinata di storia na- turale Alberto Fortis, uno dei geologi più in vista dell’epoca. Ma il Fortis, che trovavasi allora, e bene, a Parigi, non ac- ri) Discorso preliminare alle lezioni di Mineralogia recitato nella sala del pub. Ginnasio di Brescia ai 7 Dicembre 1798 dal cittadino Gio. Mar- tinenghi, professore di Storia naturale e di Botanica (Brescia, 1798 e Pavia anno X rep. 1802). Il Martinenghi dedicò poi alla «Nazione Bre- sciana» la sua Distribuzione ragionata del Museo Mineralogico dell’Uni- versità di Pavia (Pavia, 1801). ri) Il primo trattato italiano di mineralogia, completamente ispirato al sistema del Werner, fu pubblicato nel 1797 a Torino da Carlo An- tonio Napione, ispettore delle miniere negli Stati sardi ( Elementi di Mi- neralogia esposti a norma delle più recenti osservazioni e scoperte ). Il Napione fu inviato con l’Azimonti a visitare le principali miniere del- l’Europa e scuole annesse, e nel 1788 frequentò per parecchi mesi le lezioni del Werner a Freiberg. SCIENZE GEOLOGICHE E PRECURSORI BRESCIANI CVII «etto : venne in sna vece, proposto daH’tJniversità di Padova, Giambattista Brocchi, che qui rimase dal 1801 al 1809, e qui meditò e scrisse lavori, nei quali fece tosto vedere, come si dice, l’unghia del leone (1). Il soggiorno a Brescia di chi dovente poi uno dei luminari della geologia italiana è tutta una vita di lavoro assiduo, di ricerca profonda, di propaganda efficace. Le sue lezioni erano sempre onorate da numeroso e distinto uditorio. Questa Acca- demia lo accoglieva plaudente a suo membro e lo proclamava suo segretario perpetuo. E, oltre alla cattedra, gli venivano affi- dati l’ispezione ed il ristauramento dell’antico Orto botanico, manomesso e sterpato (2), nonché la formale dimostrazione bota- nica agli alunni di farmacia e medicina, e la cura di allestire un Museo di Storia naturale. E a tutte queste gravi incombenze il Brocchi attese con solerzia pari all’ ingegno, perlustrando atten- tamente queste floride vallate e queste montagne pittoresche, dovunque erborizzando, raccogliendo minerali, roccie e fossili, scandagliando miniere vecchie e nuove, analizzando prodotti d’ogni specie, decifrando antichi cimeli, facendo importanti con- tinue scoperte. Così il Brocchi onorò altamente Brescia col suo soggiorno, e può considerarsi bresciano d’elezione; ma anche Brescia era per davvero degna di ospitarlo! Nell’intervallo fra le cattedre pliniane e quella con cui s’iniziò il moderno insegnamento delle scienze geomineralogiche, tro- ( ') Ecco i lavori bresciani del Brocchi : Memoria Anatomica sul - Voccliio degli insetti, 1802. — Sopra il ferro spatico delle miniere di Val- trompia, 1805 (edito solo nel 1872 a Brescia). — Analisi Chimica di un acciaio di Valtellina, 1808. — Descrizione di una macchina inventala dal fu sig. Ab. Bartolomeo Maffei per trebbiare e sventare il grano , 1808. — Commentarj dell’Accademia di scienze, lettere, agricoltura ed arti del Dipartimento del Mella per Vanno MDCCCVIII. — Catalogo delle piante che si dispensano alla scuola di Botanica nel Liceo del Dipartimento del Mella, 1808. — Trattato mineralogico e chimico sulle miniere di ferro del Di- partimento del Mella, ecc., 1808. Nel 1809 il Brocchi passò a Milano, nominato Ispettore del Consiglio delle Miniere. (2) Già il Martinenghi s’era adoprato a formare l’Orto, ed in nove mesi vi raccolse più di 1200 piante. Cosi afferma il Martinenghi stesso nella prefazione al Colpo d’occhio al metodo che si deve tenere negli studi mineralogici (Pavia, 1802). CVJII M. CERME2JÌATI yiamo che Brescia diede vita ad associazioni di studiosi dirette appunto allo studio dei fenomeni naturali. Anche qui, come nelle altre città italiane, nacquero, con nomi svariati e spesso stravaganti (Vertutici, Occulti , Assidui, Pulpiti, Erranti, Sollevati, Leali), le accademie letterarie, ohe finivano con vuote cicalate e ridevoli smancerie, coi deliri pindarici, che deliziarono il seicento — il qual secolo se fu nullo per le belle lettere, fu però grande per le scienze — o con le arcadiche pastorellerie, con cui bam- boleggiò il settecento; ma qui, in pari tempo, costituivasi una accademia con intendimenti scientifici, detta dei Filoesotici della natura e dell’arte. Ben io so, con voi, che, prima di questa, altre accademie dirette alle investigazioni di fisica e storia naturale erano già sorte altrove (e ricordo, fra le italiane, la Telesiana di Cosenza, quella dei Secreti della natura e più tardi degli Investiganti a Napoli, dei Lincei a Roma, del Cimento a Firenze, della Traccia e poi Filosofica a Bologna, e, fra le straniere, la So- cietà reale di Londra, dei Curiosi della Natura in Germania, e le Accademie scientifiche di Parigi e Copenaghen); ciò nulla- meno l’aver dato qui così presto esistenza alla Nuova atlantide ideata da Bacone è gloria fulgida ed invidiata. Ma prima ancora dei Filoesotici, il genio bresciano aveva già prodotta un’accademia di stampo greco, nella quale, pur lasciando larga parte alle lettere, si cominciò a trattare di scienze ; e questa si costituì a Rezzato, a due passi da Brescia, verso la metà del cinquecento. Ne fu generoso ed intelligente mece- nate Giacomo Chizzola, uomo ricco di quattrini e di studi (il che piuttosto raramente si verifica) ; e venne onorata dalla presenza di Nicolò Tartaglia, che nel 1548 vi fu chiamato ad esporre la geometria euclidea. Rezzato pertanto la vince su tutti i paesi or ricordati, giacché le accademie stesse del Telesio e del Della Porta non sorsero che nella seconda metà del secolo XV T, e la Platonica di Firenze e l’Accademia di Padova (1520) non ebbero vero carattere di scienza sperimentale. L’ « Academia Philoexoticorum naturae et artis » fu fondata nel 1686 — contemporaneamente a quelle dei Fisicomatematici a Roma e degli Aletofili a Verona — e ne fu anima il rino- mato enciclopedico Francesco dei conti Terzi Lana; pubblicò SCIENZE GEOLOGICHE E PRECURSORI BRESCIANI C1X un volume di Atti relativi a questioni di fìsica e di storia naturale ('); ma con la morte del suo ispiratore s’affievolì e cessò. I superstiti continuarono a radunarsi in casa del me- dico Bernardino Boni a fare esperienze di fìsica e di chimica. Nel frattempo anche la botanica coltivavasi a Brescia ; quando nel 1736 il fiorentino Micheli fece qui una visita, vi trovò due buoni Orti botanici, o, come dicevansi allora, « Giardini de’ sem- plici », uno annesso allo Spedale maggiore, l’altro de’ Padri Cap- puccini, custodito da fra Giambattista da Desenzano ; ed il La- lande, che fu a Brescia nel 1766, vi ammirò l’Orto botanico di Vincenzo Averoldi, incominciato vent’anni prima e ricco di piante esotiche. Il medico Francesco Roncalli studiava la flora bresciana, e ne redigeva un catalogo di circa 500 specie, inserito nella sua Medicina Furopae (1743). L’antica Accademia risorse a nuova vita — per iniziativa di alcuni attivi studiosi, specialmente di Federico Sanvitali e di Cristoforo Pilati — nella primavera del 1760, e prese il nome di Accademia di Fisica sperimentale e di Storia naturale. Già nell’accademia privata, che il conte Mazzuchelli aveva istituita nel 1738 in casa sua e che durò venticinque anni, si erano di- scussi problemi di fisica e storia naturale: ma la nuova si sta- bilì sovra una base prettamente scientifica Si divisero in tre classi le materie che formavano oggetto delle esperienze e delle discussioni fra i soci: una prima classe abbracciante la Mecca- nica, l’Idrostatica, l’Areometria e l’Idraulica; una seconda pel- le esperienze elettriche e magnetiche, della luce e del suono e della Meteorologia in genere; ed una terza della Istoria natu- rale, specie ne’ suoi rapporti con l’Agricoltura, della Geografia, della Nautica, della Astronomia e della Architettura civile e militare. Il Pilati ne fu un segretario intelligentissimo, pieno di buona volontà e di arditi progetti: fra gli altri caldeggiò e favorì quello di un Museo delle produzioni naturali del Bresciano. Egli scrisse il Saggio di Storia naturale bresciana , di cui uscì per le stampe solo un primo volume nel 1769, e raccolse i ma- (J) Acta novae Academiae pliiloexoticorum naturae et artis, celsissimo principi J. Fran. Gonzaga dicata. Brixiae 1687, in-8°. ex M. CERMENATI teriali per tale lavoro, in un a quelli pel Museo, percorrendo continuamente la regione con escursioni soventi faticose e lunghe. Lo si può quindi considerare un precursore locale dell' alpinismo (in che fu vero geologo, poiché alpinismo e geologia vanno a brac- cietto); desideroso di raccogliere minerali e fossili d’ogni ma- niera, tormentò le Prealpi cenomani in tutti i sensi, e salì sovra cime allora vergini; egli stesso racconta d’aver più volte dor- mito alla bella stella, contro una pietra qualsiasi, per essere pronto P indomani a spingersi sulle « montagne più alpine e nevose». Accanto alla nuova Accademia altre sorsero per trattare più direttamente qualche materia, e così formaronsi un’Accademia di agricoltura ed una di architettura. Ma è chiaro che in una pic- cola città diffìcilmente potevano sussistere tante associazioni separate, ammenoché tutti gli aderenti dell’ una partecipassero anche alle restanti. D’altra parte si era allora in un periodo di continuate applicazioni a favore della agricoltura (che forma la ricchezza di questi piani fiorenti, ed ebbe qui cultori esimi, come il cinquecentista Agostino Gallo) cosicché si finì per addi- venire ad un’unica Accademia detta di Scienze e d’ Agricoltura. E questa terminò col nuovo stato di cose portato nel 1797 dai Francesi, cedendo il campo al ginnasio, di cui già dissi, ed $l\Y Ac- cademici di scienze, lettere , agricoltura ed arti del dipartimento del Mella, che fu fondata nel 1800, e dal 1810 in avanti assunse la classica denominazione di Ateneo, proprio l’Ateneo nella cui aula magna siamo ora radunati. * * *■ Vedete dunque, onorevoli colleglli, che a Brescia noi ci tro- viamo fra gloriose antiche memorie attinentisi ai progressi sto- rici della filosofia naturale e della geologia. E di speculazioni geologiche e mineralogiche si occuparono financo quei bresciani valenti, che ad altre discipline diedero il forte, equilibrato in- gegno. Il celebre Nicolò Tartaglia, che levò nelle matematiche così chiaro nome, si prese interesse dei minerali ond’è dovi- ziosa questa contrada, ed aveva progettato di trattare, nella sua Scienza nuova, pur troppo rimasta inadempiuta, della natura e SCIENZE GEOLOGICHE E PRECURSORI BRESCIANI CXI della origine dei minerali stessi ('). La dinamica terrestre ebbe in Benedetto Castelli, l’allievo del Galilei, il legislatore delle acque, nn profondo interprete, che il sapere di questo benedettino fu assai vasto e si allargò a più rami della fisica e della filosofia naturale, compresa la botanica, per lo studio della quale egli curò la piantagione di specie rare e forastiere. E perfino nei deliri degli alchimisti, che anche qui a Brescia e nel territorio ebbero il rispettivo tempo di fioritura, troviamo — ove si frughi nella congerie delle dottrine indigeste e fantasiose, e si legga sotto il velame della forma stranissima — notizie inte- ressanti e giudiziosi accenni intorno a roccie ed a minerali. Qualche collega malinconico si metterebbe di buon umore se io sfogliassi qui alcune pagine della Esposizione di Geber o del Legno della vita, dialoghi di Giovanni Braceschi d’ Orzinuovi, stampati più volte anche in latino (2) ; o della Meteoria, over di- scorso intorno alle impressioni imperfette , lmmide, secche e miste così in alto come nelle viscere della terra generate, di Barto- lomeo Amigio, pubblicata in Brescia nel 1568; o Della tramu- tazione metallica, sogni tre di Giambattista Nazari, editi in Brescia nel 1572 e 1599, o del trattatello: La pietra filosofale di Fabio Gliscenti, di Yestone, apparso a Venezia nel 1600 (3), in calce alla Athanatopliilia. 0) Della Scienza nuova mancano i due ultimi libri, i quali dove- vano trattare di chimica applicata alla fabbricazione della polvere e dei fuochi d’artifizio e di mineralogia e metallurgia intorno alla escava- zione e lavorazione del ferro ed altri metalli. (2) La Esposizione di Geber filosofo, nella quale si dichiarano mólti nobilissimi secreti della natura (Venezia, 1544, 1551, 1562, in-12°). Legno della vita, nel quale si dichiara qual fosse la medicina per la quale li primi padri vivevano novecento anni (Roma, 1542, in-8°). Quest’ultimo trattato é anche in calce alle edizioni del primo. Entrambi furono tra- dotti in latino col titolo: De Alchemìa dialogi duo (Lione, 1548, in-8°, Amburgo, 1673, in-8°). Vennero poi inseriti nella collezione alchimistica fatta dal bergamasco Grataroli ( Vera alchem doctr. Basilea, 1561, in fol., 1562, due voi. in-8°; Alchemiae, quam vocant, artisque metallicae do- ctrina, etc. Basilea, 1672, 2 voi. in-12°), nella Bibliotheca chemica del Manget, voi. I, e nel Ginaeceum chimicum (Leida, 1679). (3) Tradotto in latino da Lorenzo Strauff e pubblicato a Giessen nel 1671. CX II M. CEK MENATI Eppure — a parte la celebrità che questi scrittori bresciani trascendentali ebbero a’ giorni loro — io vi posso garantire die, fra le tante cose strampalate, ne dissero anche delle buone, e tali che uno storico dell’evoluzione delle dottrine geologiche non deve affatto trascurare. L’Arnigio, per esempio, parla di terre- moti con bastevole giudizio, attribuendoli alle acque calde nel- l’interno del globo, le quali, trasformandosi in vapore, cercano uno sfogo, e, non trovandolo, scuotono più o meno violentemente la terra. D’altronde anche gli errori — e forse più gli errori delle cose indovinate — sono stati strumenti poderosi del progresso scien- tifico, perchè da uno sbaglio possono rampollare molti preziosi insegnamenti, che adducono ad inattesi splendidi risultati; mentre una scoperta talora non spiega nulla più in là del suo peculiare valore. In fatto di scienze naturali può dirsi che l’errore serve quasi sempre di scorta per trovare la verità, e la storia è li a provarci che la verità scientifica si è aperta la strada, con grande fatica, tra una fitta e rinnovantesi siepe di aberrazioni. Bene ha sentenziato ilMonti nel discorso testé ricordato: «Nella storia dello spirito umano e de’ suoi progressi tutto è prezioso. Gli stessi deliri sono splendidi monumenti d’ ingegno, sono fonti di maraviglia, e i sogni dell’ immaginazione vagliono qualche volta più che le veglie della ragione». Per questi motivi lo storiografo della geologia deve tenere in debito conto anche quel libro, infarcito di aberrazioni paleontologiche, che stampò in Brescia, l’anno 1655, Vincenzo Maria Cimarelli col ti- tolo di Hesoluzioni filosofiche, cui seguirono, sette anni più tardi, le Aggiunte. E sì che in quel libro si leggono cose strabilianti, come questa: la forma dei cristalli è dovuta all’influenza di quelle stelle, che hanno sopra di essi diretto dominio, e singo- larmente della luna, che n’è la dominatrice! Due altri bresciani, scrivendo dei fasti del loro paese, non trascurarono le ricchezze mineralogiche di queste vallate : Elia Cavriolo, nelle Istorie bresciane che furono qui stampate la prima volta nel 1585, ed Ottavio Rossi nelle Memorie bresciane edite nel 1693. Ed il già citato medico Francesco Roncalli, l’illu- stratore delle acque e delle piante bresciane, si spinse nel ter- ritorio della mia Lecco a studiarvi il fiume Caldone, le cui linfe, a SCIENZE GEOLOGICHE E PRECURSORI BRESCIANI CXIll quanto dicono gli storici, erano una volta calde (donde forse il nome) e per lungo tempo furono ritenute ricche di prerogative medicinali (*). * La storia della scienza ci dimostra una relazione strettis- sima fra la costituzione geologica di una data regione e le ipo- tesi, le teorie, i sistemi e le semplici opinioni, che in essa nacquero od ebbero la prevalenza. Così è avvenuto di Brescia. In questi paraggi abbondano le miniere, specialmente di ferro, e le cave di materiali svariati atti all’edilizia ed alla ornamen- tazione: e però gli studi naturalistici che qui ebbero maggior voga furono di mineralogia e di litologia, e fra questi preval- sero le indagini* e le speculazioni riguardo al ferro. Ecco perchè la repubblica veneta stipendiò talvolta appositi mineralogisti per la sovraintendenza delle miniere ferriere bre- sciane — - tra cui, intorno al 1670-80 Marco Antonio Castagna, citato dal Lana, come vedremo, e dal Becher (2) ; perchè qui fu allestita una cattedra in prevalenza mineralogica; perchè il Brocchi dettò nel 1808 quel suo magistrale Trattato mine- ralogico e chimico sulle miniere di ferro del dipartimento del Mella, con V esposizione della costituzione fisica delle montagne metallifere della Val Trompia ; perchè questo Ateneo nel 1811 propose onorifico premio a quello fra i dotti d’Italia che meglio avesse svolto il tema : Quale fu la maniera con cui gli antichi coltivarono le miniere ; e se dai loro documenti noi possiamo trarre gualche vantaggio per la coltura delle nostre. A tale con- corso nessun italiano prese parte ; ma vi fu un tedesco, il pro- fessore Giacomo Bethe di Clausthal (Vestfalia), che — senza aspi- rare al premio, perchè in lui non erano tutte le condizioni vo- lute dal programma — scrisse sull’argomento una dissertazione latina: De antiguitatis re metallica commentatio , e la spedì all’Ateneo, che ne deliberò la stampa ne’ suoi atti. (*) De aquis mineralibus Col doni ad oppidum Leuci in Agro medio- lanensi (Brescia, Ricciardi, 1724). (2) Minerà arenaria perpetua (Londra, 1680). CXIV M. CERMF.NATI Due bresciani hanno, sovra gli altri, il merito di aver primi affrontato argomenti difficili di mineralogia e di cristallografia e d’aver proposto spiegazioni, che più tardi formarono il vanto d’altri naturalisti e contribuirono potentemente al progresso della scienza. Sono questi: il già ricordato Francesco Lana e Giam- battista Mazini; ma i loro nomi chiarissimi tuttavia si cer- cherebbero invano in ciò che venne sinora stampato sulla storia della mineralogia in genere e della cristallografia in ispecie. Solo il Brocchi ha accennato alle loro opinioni geomineralo- giche nel suo studio sulle miniere bresciane, testé elogiato, e, sulla fede di lui, ne ricordò i nomi anche il Pilla. Il Brocchi medesimo, esumando le congetture del Lana sulla formazione dei filoni e mettendole a raffronto con la ipotesi del Patrin, osservava: «Sarebbe inutile svolgere gli antichi libri per ripe- scare sistemi che sono stati dimenticati, o che non hanno mai incontrato fortuna, quando non avesse ciò per oggetto che una sterile erudizione; ma se questi sistemi medesimi sono stati riprodotti dopo una serie di anni, ed in tempi che si reputano più illuminati, è questa una circostanza che interessa allora la storia della scienza ». Splendido tipo di naturalista e di fìsico, di matematico e di meccanico, quel Lana, nato a Brescia il 13 dicembre 1631 e mortovi il 26 febbraio 1687! Se fossero attendibili le fan- tasie frenologiche, bisognerebbe dire che quel vero curioso della natura avesse sviluppatissimo il bernoccolo della scoperta e dell’invenzione. E che belle, interessanti, originali scoperte ed invenzioni egli ha fatto, nelle sue irrequiete peregrinazioni lungo l’Italia, attraverso le scuole ed i musei più reputati dell’epoca, nella sua ardente passione di oculato osservatore e di sagace sperimentatore ! Benché non immune dai difetti del tempo e partigiano di certe teorie stravaganti, pure egli fu per verità degno figlio del secolo di Galileo. Inventò macchine e strumenti d’ogni sorta; precorse Montgolfier con la sua nave volante e costruì quel seminatore, che poi doveva rendere così chiari i nomi dell’inglese Tuli e del francese Duhamel. Ma troppo lunga e varia è la lista de’ suoi ritrovati, perchè io possa qui snoccio- lacela intera: e questi sarebbero ancor più numerosi, ove la salute gli fosse stata più propizia e la vita meno breve. SCIENZE GEOLOGICHE E PRECURSORI BRESCIANI CXV A me preme solo il dirvi che il Lana anche nelle scienze geomineralogiche lasciò orma non effimera; ch’egli, in epoca in cui sembrava follia il solo pensarvi, viaggiò per le montagne bresciane e bergamasche, e, colpito alla vista de’ cristalli sva- riati che raccolse, tentò col nitro e con altri sali d’imitare i pro- dotti della natura, voglioso di scoprire il segreto delle cristal- lizzazioni e precorrendo così i campioni moderni della geologia sperimentale e della mineralogia sintetica, i Daubrée, i Fouqué, i Lévy, ecc., del secolo XIX. E dai tentativi di laboratorio assur- gendo a speculazioni teoretiche, egli concepì una ipotesi intorno alla genesi dei cristalli molto simile a quella che, oltre mezzo secolo più tardi, professò Carlo Linneo. I miei colleghi certo conoscono la ipotesi cristallogenica del Linneo. Veramente questi non trattò l’argomento ex professo: concentrò in poche righe la sua teoria nel Systema naturae e poi, come soleva fare, la diede a svolgere, per tesi dottorale, ad un suo allievo : Martino Kiihler. Ed il Kahler sviluppò a do- vere le idee del maestro; la sua dissertazione: Specimen de crystaUorum generatione fu pubblicata nel 1747 ad Upsala, e poi venne inserita nel primo dei dieci volumi di quelle celebri Amoenitates academicae, nelle quali Linneo raccolse le migliori tesi di laurea de’ suoi scolari, da lui ispirate e rivedute!1). Nel Systema naturae — opera classica, rimaneggiata per ben tredici edizioni consecutive, con varianti ed aggiunte con- tinue — Carlo Linneo, con lo stile conciso, che il Brocchi chiamò « aria franca e dogmatica », così scrisse: « Figura omnis po- lyedra in Regno lapideo (exceptis Retri fcatis ) a salibus; Salia Crystallisationis unica caussa ; salia agunt tantummodo solata , ergo in fluido. Lapides Crystalli dicti a Quartzo et Spato solum figura differunt. Crystalli omnes in fluido natae sunt. Figura CrystaUorum cum Natro aut Nitro eadem; ergo Cry- stalli lapides compositi per Salia. Confrmant haec matrix, locus, color, pelluciditas, proprictates, figura, species, urina, tartarus, stalactites ». Ed il Kahler raccolse nella sua tesi i fatti prin- (4) Trad. in tedesco: M. Kahler’s, Abhandlung von Erzeugung der Krystalle (Graz, 1771). Anche in: Cari Linné’s, auserlef. Abhandlung en, II, Nr. 4 e: Mineralog. Belustigung, I, pag. 331-336. CXVI M. CERMENATt pipali a dimostrazione di questi enunciati, che costituiscono la base del sistema mineralogico linneano; e divise tutti i cristalli conosciuti in quattro classi: salini, il cui precipuo carattere è d’essere solubili nell’acqua; pietrosi, spesso trasparenti e non fumanti al fuoco; Spiritosi, che emanano un fumo sgradevole esposti al fuoco, e metallici, che fondono al fuoco. Il Linneo era venuto in quest’ordine di idee — come osservò l’Hauy (’) — di fronte all’ identità di forme geometriche che affettano sostanze di natura assai differente, cosa che non po- teva a meno di colpire gli osservatori, in un’epoca in cui lo studio dei cristalli era appena in sul nascere. Così egli pensi) che i sali — natrum, nitrum, maria, alumen e vitriolum — dovessero venire considerati come i soli generatori della cristal- lizzazione; che l’unione del tal sale con la tale specie di pietra fosse in certo qual modo una fecondazione, la quale comuni- casse alla pietra la facoltà di cristallizzare nella forma pecu- liare al sale, che faceva la funzione di principio fecondante. Il diamante, per esempio, era una specie d’allume, poiché cri- stallizza come questo sale, e portava il nome di alumen adarnas. In tal modo il Linneo credeva di trovare anche nel regno mine- rale la base del sistema sessuale, così ingegnosamente applicato alla botanica, come il Tournefort ed il Baglivi avevano imma- ginato, davauti alle dendriti, alle stalattiti ramificate e ad altre numerose forme arborizzati, che le pietre vegetassero a guisa delle piante. La cristallogenesi linneana fu poi abbracciata e difesa dal Koiné Delisle, lo stesso che diede le fondamenta geometriche alla scienza dei cristalli ; ed invero, nel suo Essai de cristallo- graphie, pubblicato nel 1772, egli s’esprime così: « La cristal- lisation est si essentielle aux scls, qu’on doit regarder ces corps comme le principe de toutes les formes anguìaires et polyèdres qui se présentent dans les autres substances du regne minéral. Quelque variées que soient ces formes, il y a tant d’analogie entre celles des uns et celles des autres, qu’on ne peut raison- nablement douter que les sels n’aient determine les parties pier- (l) Trcrìté de mineralogie. 4 voi. con atlante (la ediz. Parigi 1801, II. id. 1822). SCIENZE GEOLOGICHE E PRECURSORI BRESCIANI CX VII reuses, pyriteuses et métalliques à prendre ielle ou ielle figure qui est propre à ces sels. Plus on fera de progrès dans la con- noissance des causes naturelles, plus on reconnoitra la vcritè de ce principe , doni plusieurs grands Naturalistes , et entr’autres 31. le Chevalier Von-Linné, ont dejà fait la base de leur sg- stème lapidaire. C’ est en marcliant sur Ics traces de cet fvòinme celebre eque je suis parvenu à trouver de nouveaux rapports entre les différens Cristaux que nous connoissions, et quelques autres qui n’ avoient point encore éte décrits ». Or bene: lo stesso concetto linneano — sviluppato dal Kahler e dal Romé Delisle, ed accettato, come notò quest’ ultimo, da molti grandi naturalisti — secondo cui i cristalli sono corpi che debbono la loro figura ad un principio salino, fu abbozzato dal Lana in alcuni passi della sua grandiosa opera Magisterium naturae et artis, che doveva riuscire composta di nove volumi, ma della quale solo due apparvero a Brescia vivente l’autore (1684 e 86); un terzo uscì, postumo, a Parma nel 1692, e gli altri non videro nè la fine nè la luce (1). È un trattato enciclopedico, come la Magia dello Scliott, nel quale sono svolti problemi di fisica, di meccanica, di chimica, di p) Il Lana fece precedere la sua opera principale da una specie di sommario : Prodromo — ovvero Saggio di alcune inventioni nuove, premesso all’Arte maestra , opera che prepara il padre Lama (Brescia, nizzardi, 1670). Notevole in questo volume é la descrizione della nave volante, la quale descrizione fu ristampata allorquando le novità del- l’areostatica destarono l’ammirazione universale (Lana F., Nuoro metodo per poter viaggiare in aria dentro una barca sostenuta da globi volanti, Roma, 1784). Del Lana, per queste sue menzioni e scoperte di chimica e di fisica, s’occuparono le riviste dell’epoca e gli storiografi delle scienze ; vedi: Giornale dei letterati di Roma (28 settembre 1672, pag. 137); Journal des savans (9 luglio 1685, n. XXI); Anta eruditorum di Lipsia (anno 1685, p. 31; 1688, p. 35); Nuova Mandelliana Raccolta d’opusc.. scientif. (t. XI, pag. 77 e segg.); Baumgarten, Nadir, (t. Vili, pag. 236 esegg.); Fischer, Geschichte der Physik (t. II, pag. 471); Murhard, Gesch. d. Phys. (t. I, pag'. 30); Hoefer, Histoire de la Cliimie (t. II, pag. 283); Libes, Histoire philosophique des progrès de la physique (t. II, pag. 246); Faujas , Hescription des experiences de la machine aerostatique de M. Mont- golfier, tav. IX ; Nuova raccolta di opuscoli, tomo XL ; Journal de Paris (15 marzo e 4 aprile 1782), ecc., per non parlare delle storie letterarie e scientifiche del secolo XIX. Vili exvin M. CERMBNATi botanica, e di mineralogia. Ivi si parla dei perfetti cristalli di quarzo che abbondano al Monte Palosso in Val Lumezzane, sciolti e completi entro una terra ocracea, e, notando il Lana come siffatti cristalli abbiano la forma esagono propria delle cri- stallizzazioni del nitro, venne alla conclusione che il quarzo deve al nitro la sua forma cristallina. Generalizzando il principio, affermò che le sostanze saline sono la causa efficiente della cri- stallizzazione degli altri minerali, i quali si plasmerebbero sul modello di quelle ; e ne trasse il corollario che, una volta cono- sciuta la forma di un cristallo, si può stabilire quale sia il sale che su di essa ha influito. Ecco le sue parole : Sales sunt velati bases et fimdamenta aliarum configurationum. Hinc patet quod dicendum sit de confi- guratione multormi mineraliim , siquidem... cmn ad eorum compositionem concurrant simul mixta diversorum salimi genera, consequenter participare dcbent eorumdem fìguras, ete. (tom. ITI, lib. 13, cap. 2). Ex determinata naturali gemmarmi figura licet arguere cujusnam generis sit spiritus salinus , qui concur- rit ad earum coagulationem (tom. II, lib. 4, cap. 3). Proprio, come vedete, i capisaldi della cristallogenesi adottata dalla scuola di Linneo! Nè basta. Ancora il Linneo nel suo Systema naturae, a pro- posito del cristallo di monte, scriveva: « Natum ex aqua ae- therca, nitro fertili, in cryptis lapidosis diu retenta et quie- sciente; linde a loci frigiditate subcrystallisat atomos innatantes terrestres, inde pellucklitas. Rarissimus quod aquae guttulae scatet ». Ed altresì questa congettura, molto tempo prima che dal celebre naturalista svedese, venne avanzata dal nostro Lana. Nel Giornale veneto dei letterati dell’anno 1671 era apparso un articolo di Marc’Antonio Castagna intorno alla formazione dei cristalli di quarzo: ciò diede occasione al Lana di emettere le proprie idee al riguardo, con una nota al diario medesimo: Censura alla osservatione del signor 31. Antonio Castagna circa la formatione dei cristallini (XI, 20 aprile 1672, pag. 86-87). E questa nota fu subito riprodotta nelle Philosopliical Tran- sactions di Londra (n° 83, 20 maggio 1672, pag. 4068) col titolo: Reflections made by P. Francisco Lana S. J. upon an Observation of Signor 31. Antonio Castagna, saper intendent SCIENZE GEOLOGICHE E PRECURSORI BRESCIANI CXlX of some mines in Italy, concerning thè formation of Crystals: English’d out thè XI Venetian Giornale de’ letterati ('). In essa il Lana raccontava d’aver visitato nel mese di settembre (1671) la Val Sabbia e d’essersi fermato ad un luogo chiamato Le Mezzane, ove sapeva già che i quarzi si «produ- cevano » per fare le necessarie osservazioni in proposito. Egli notò che i cristalli si rinvenivano solo in certe piccole aree affatto sterili : che giammai se ne trovarono sui prati, e nem- meno collo strapparne a bella posta le erbe; per cui concluse che la sterilità di quelle aree era dovuta a vapori nitrosi, che colà sfuggivano alla terra e durante la notte coagulavano la rugiada, formandone cristallini con la forma geometrica propria del nitro. Aggiunse d’aver appunto trovato in quei terreni certi grani di un sale somigliante al nitro per sapore e figura, e con- fermò la sua ipotesi citando i cristalli esagoni della neve, che si formerebbero ancb’essi sotto l’influenza dei vapori nitrosi, alla stessa guisa, diceva, che il vapore o le esalazioni del piombo coagulano l’argento vivo. L’identica congettura è confermata nel Magisterium con le parole : Ros ipse in aliquihus montibus coagulata}' stupra terrae super ficiem, adeo ut ex ilio pellucidae, licei parvae chrystalli sexangularis prismatis formam referentes, generentur, quae du- ritie haucl cedunt crystallo rupeae, cum etìam ignetn excitent , cium chahjbe percutiuntur. Huius rei historiam alibi narralo testis ipse oculatus, una cum pluribus circumstantiis, quae accu- ratam, merentur philosophorum animadversionem (tomo II, lib. IV, pag. 104).... Ex intimis terrae illius visceribus purissima ni- (') Negli Abridgement la nota del Lana fu riassunta da Gio. Low- thorp (tom. II, pag. 465) il quale fece in tre volumi i compendi delle Transactions dal principio (1665) tino al 1700. Di questo lavoro del Lowthorp fu stampato un saggio di traduzione italiana; ma non vi é compresa la nota del Lana, che solo figura nell’indice generale ( Saggio delle Transazioni filosofiche della Società Regia compendiata da Giovanni Lowtliorp. Napoli, Moscheni, 1729). L’articolo del Castagna era così intitolato: Osservatone del si- gnor Marc’ Antonio Castagna, Sovr aintendente Generale alle Miniere, come di un sottilissimo vapore si generino fuori dell’utero della terra in momentaneo tempo le Iridi, specie di gemme delle più inferiori, con che si viene a dimostrare che la Natura nel gran Regno Minerale opera an- cora in un istante, il che non credettero gli antichi n'e i moderni Filosofi. cxx M. CER.ME.N ATI irosa corpuscola continuo effluere, quorum propriwn est Immo- rem aqueum coagulare (tomo II, lib. IY, pag. 120). Ed in un frammento di Storia naturale del Bresciano, die il Lana scrisse poco prima di morire e lasciò inedito fra le sue carte — e che il Pilati nel 1769 trasse alla luce ( 1 ), volgendolo dal latino in lingua nostra — ci sono tre pagine dedicate alla spie- gazione del come si producano i quarzi di Val Lumezzane, ed all’esposizione delle varie esperienze fatte dall’autore per veri- ficare la verità della sua congettura. Tali quarzi, sono « procreati dalla rappresa notturna rugiada ; quando il cielo sereno nelle stagioni principalmente della primavera e dell'estate lasci cadere in quelle sterili zolle l’umore rugiadoso dell’aria, in una sola notte o forse in un solo momento di tempo, le gocciole di celeste rugiada vengono a formare questi lucidissimi parti, in tutto somiglianti al diamante, dotati di una particolare figura, cioè esagonale e che nei due estremi va a finire in ima pi- ramide similmente di sei faccie, lavorati con tale arte e si po- litamente, che appena miglior lavoro potrebbesi aspettare dalla diligente industria di un perito artefice ». E la rugiada si rap- prende cosi in virtù dell’esalazione nitrosa che sprigionasi dal più profondo seno del monte. Tale esalazione « feconda di certo spirito seminale l’umor rugiadoso, che è a guisa di seme, e gli comparte per una certa generatrice virtù la figura esagonale e piramidale dopo di averlo coll’acidità sua coagulato, particolar- mente essendo oramai noto che le concrezioni nitrose sempre mostrano agli occhi nostri la figura di un prisma o di una pira- mide esangolare » (2). Ora voi potrete ridere, onorevoli colleghi, di queste inam- missibili ipotesi, che la scienza moderna ha completamente (!) Saggio di storia naturale bresciana, pag. 13 e seg. (2) Della origine del quarzo ragionarono gli antichi, i quali sosten- nero che il cristallo di monte, ossia la varietà purissima del quarzo, proveniva dal ghiaccio (Vedi in Gimma, Fisica sotterranea, I, 296). Sullo stesso argomento espose buone vedute il toscano Gio. Targioni-Tozzetti, che combattè la ipotesi linneana e d’altri autori che lo precedettero: fra questi non cita però il Lana (in vari punti delle sue celebri Rela- zioni di viaggi ecc.). Dieci anni dopo la ipotesi del Lana ci fu ancora chi sostenne quella del ghiaccio; cosi il Del Papa: Della natura dell'umido e del secco (Firenze, 1681, pag. 33). SCIENZE GEOLOGICHE E PRECURSORI BRESCIANI CXXI distrutte: ma voi ammetterete meco che bisogna pur tenerne calcolo e fare anche su di esse le dovute questioni di priorità. Quantunque fallaci, siffatte congetture del Lana, riprodotte poi dal Linneo, sono state la spinta più efficace ad un maggiore esame delle cristallizzazioni: i naturalisti furono tratti a con- centrare le loro ricerche, osservazioni ed esperienze su questi nobili prodotti del regno minerale; di fronte ai seguaci sorsero gli oppositori, e, gli uni per difendere, gli altri per impugnare, raccolsero fra tutti continui e svariati materiali che, meglio pon- derati, confrontati e classificati, aprirono nuovi spiragli di luce, finché vennero le matematiche, la fisica e la chimica a dare le basi sicure allo studio dei cristalli. Bene diceva cent’anni or sono il Delamétherie: «La minéralogie n’arrivera à sa perfec- tion qu’à force de commettre des erreurs et de les corriger ». E però se il Linneo tiene il suo bravo posto nella storia della cristallografia, a maggior ragione deve assegnarsene uno anche al bresciano Francesco Lana e dare a lui parte del merito che l’Hatiy non esitò ad attribuire al Linneo, quando lo proclamò fondatore della scienza dei cristalli. E chissà che il Linneo non abbia avuto sentore delle ipotesi laniane? A quanto pare, nessuna notizia pervenne allo svedese delle speculazioni del bresciano, perchè nella memoria del Kàh- ler, ove si citano Plinio, Salmasio in Solino, Boerhave, Henkel, Tournefort, e Scheuclizer, non si fa il nome del Lana. Ma è possibile che il Linneo non abbia compulsato pe’ suoi studi le Pliilosophical Transactions ? È possibile che uno scienziato dell’al- tezza sua, accingendosi alla grandiosa opera di sistemazione dei prodotti naturali e di riforma dei metodi fino allora usati, non abbia sentito il bisogno di ricorrere a quelle feconde miniere di notizie scientifiche, che sono gli atti della celebre Società reale di Londra? Nè vide egli mai, nell’ultimo ventennio della sua gloriosa carriera, la Collection Académique (/) con la quale (’) Collection Académique composée des Mémoires, Actes, eie. concer- nant l’Histoire naturelle et la botanique, etc. (Digione e Parigi, 1757, tom. IV de la Partic Étrangère et I.er voi. de VHistoire naturelle sé- parée). Ivi, a pag. 25, la nota del Lana apparsa sulle Philosophical Tran- sactions è riportata per intero, tradotta in francese dal Larcher. Dalla CXX1I M. CERMENATI si (lava ampia notizia degli articoli più importanti delle riviste e degli atti accademici, compresa la nota del Lana sui cristalli? Può darsi benissimo che il Linneo non abbia conosciuto le idee del Lana, ed abbia pensato originalmente le sue: e, per verità, è avvenuto più volte (ed anche il Manzoni ne parla) che due persone arrivassero ad una stessa conclusione o ad una medesima scoperta, senza che l’una sapesse dei lavori o delle idee dell’altra. Ma è logico il dilemma: o il Plinio del Nord non s’interessò di quanto era consegnato nei resoconti della prima accademia del mondo ; o seppe del Lana, e non reputò doveroso di ricordarlo! Un altro merito del Lana è d’aver precorsa la teoria filo- niana di Eugenio Melchiorre Luigi Patrin, esploratore e natu- ralista francese, che si applicò specialmente allo studio dei mi- nerali per considerarli nei loro rapporti con la geologia. Questi viaggiò per dieci anni nell’Asia boreale, raccogliendo un tesoro di cognizioni e di minerali, e pubblicò, oltre a parecchie me- morie speciali nel Journal de Physiqae e negli Annales des mines, un’opera in cinque volumi su \V Histoire naturelle des Miné- raux, come seguito all’edizione buffoniana del Castel (1). 11 Patrin opinò che la materia dei filoni insensibilmente si formi nella roccia incassante e che negli strati terrestri succeda una ininter- rotta circolazione de’ fluidi atmosferici, i quali danno luogo a continue nuove modificazioni delle sostanze con cui vengono a Cóllection Acadèmique la nota passò poi nelle Mélanges d’histoire natu- relle stampate a Lione (Tom. II, pag. 113). Il Lalande conobbe questo lavoro del Lana, giacché nel suo Voyage en Italie, compiuto nel 1765 e ’66, parlando dei cristalli di quarzo di Val Sabbia dice che di essi il «Lana a parlò dans les Transactions phi- losophiques, corame on le peut voir dans la Collection acadèmique. Tome IV, de la partie étrangére» (Terza ediz. voi. VII, pag. 238, Gi- nevra, 1790). (!) Histoire naturelle des minéraux (Paris, Deterville, an. IX, 1801, 5 voi. in-12°). Come appendice AV Histoire naturelle de Buffon, à laquelle on à joint les Observations et les Dccouvertes des plus cel'ebrcs natura- li stes modernes sur la mineralogie. Una seconda edizione è del 1803. Il Patrin nacque il 3 aprile 1742 a Murnant presso Lione e morì il 15 ago- sto 1815 a Saint Vallier (Dròme); tornò dal viaggio asiatico nel 1790; fu deputato alla Convenzione; propenso alle speculazioni teoriche emise varie ipotesi eccessivamente fantasiose. SCIENZE GEOLOGICHE E PRECURSORI BRESCIANI CXXIII contatto. In altri termini, i filoni metallici sarebbero una specie di carie, prodotta da un fermento che attacca gli strati terrestri e progressivamente si estende, come la carie nell’ossa o nel legno, cambiando natura alle roccie. Il Werner scrisse, come v’è noto, un celebre trattato per spiegare la sua teoria sulla formazione dei filoni ( Neue Theorie von der Entstehung der Gange, Freiberg, 1791) e vi premise un sunto delle differenti ipotesi emesse dai vari autori che lo precedettero in argomento, ma non accennò affatto a quella del nostro Lana. La quale si può dire perfettamente analoga a quella del Patrin. E per verità anche il fisico bresciano aveva un secolo prima detto, su per giù, le medesime cose nel suo Magisterium, laddove scriveva, come il Brocchi traduce: « Di rado si possono discernere le fermentazioni nelle viscere della terra ; ma supponendo io che i metalli ed altri corpi d’in- dole minerale si generino quotidianamente nel suolo, e niente generandosi che mediante il proprio suo seme, per conseguenza ne viene che codesti semi inclusi nel seno della terra si svi- lupperanno di continuo in forza di una fermentazione eccitata o dal calore de’ fuochi sotterranei o da quello del sole, che ivi penetra a qualche foggia, o prodotto da qualsivoglia altra causa, che molte ve ne ponno essere, e così cresceranno di mole, tras- mutando nella loro natura la materia che si approprieranno. Yedesi oltracciò che i metalli medesimi giungono poco a poco a maturità, invecchiano, infradiciano in certa guisa, e si cor- rompono, le quali cose tutte non potrebbero effettuarsi senza un fermento» (Tomo III, lib. XIY, cap. 1). Ora può darsi, come vedemmo pel Linneo, che il Patrin non abbia conosciuto l’opera del Lana: ma è deplorevole che il Werner, nella sua rivista storica delle teorie filoniane - la quale rassegna risale fino a Diodoro siculo ed a Plinio, e parla d’Agricola, dell’Utman von Elterlein, del Meier, del Loehneis, del Barba, del Boesler, del Becher, dello Stalli, d’Henkel, d’Hof- man, dello Zimmerman, d’Oppel, del Lehman, del Wallerius, del Bergman, del Delius, del Charpentier, del Baumer, del Gerhard, del Trébra e del Lasius - non abbia accennato anche quella di Francesco Lana, assai più interessante di parecchie fra le citate e ad alcuna di esse molto affine. CXXIV M. CERMENATI * * * Venendo al Mazini, vi diro che anche questo benemerito filosofo — il quale nacque a Brescia nel 1677 e fu a Padova professore di medicina pratica e le cui opere complete vennero qui pubblicate in tre volumi (‘). nel 1743, anno della sua morte (23 maggio) — ha diritto ad un posto di primo ordine nella storia della cristallografìa. Il suo caso è scientificamente più importante di quello del Lana: anche perchè gli studi da lui iniziati quasi duecento anni or sono si potrebbero ripetere con grande profitto oggidì, per determinare esattamente le cri- stallizzazioni cbe si ottengono fondendo i minerali di ferro. Come tutti voi sapete, fino oltre la metà del settecento si è creduto che i cristalli non potessero nascere all’infuori della via acquea. La teoria linneana, di cui parlavo teste, era ben recisa al riguardo; ogni cristallo dovendo prodursi per mezzo d’un sale, non si vedevano che processi di soluzione. Ma le espe- rienze fatte da vari naturalisti intorno alla fusione dei mine- rali ferriferi, li portò presto ad ammettere altri modi di for- mazione dei cristalli, e cioè anche quelli per fusione e subli- mazione, o, come dicevasi allora, per via ignea. Torberno Bergman (l’ illustre mineralogista svedese la cui Sciagrapliia regni mineralis fu tradotta in italiano nel 1783 da quel valente geologo bergamasco che fu Giovanni Maironi da Ponte), nella sua dissertazione: Deformis crystallorum, praesertim e Spato ortis, stampata nei nuovi Atti della Società reale d’Upsala del 1773 e tradotta nella nostra lingua da Giuseppe Tofani (Felice Fontana) (5), scriveva: « L’acqua è il mezzo il più ordi- nario della cristallizzazione, perchè essa si satura facilmente delle materie saline e le presenta in forma concreta quando è sufficientemente diminuita. Si è anzi creduto fino ad ora che non ( 1 ) Opera omnia nume primum tribus tomis dis'ribuita emendata et aucta (Brixiae, Rizzanti, MDCCXLIII) in-4°. (-) Il Fontana tradusse gli Opuscoli chimici e fìsici del Bergman, con le note del Guyton-Morveau, e li pubblicò a Firenze nel 1787-88. Della stessa epoca c’è una edizione di Napoli, Panelli, con aggiunte ed altre note. SCIENZE GEOLOGICHE E PRECURSORI BRESCIANI CXXV fosse possibile di ottenere cristalli senza questo veicolo ». Dopo aver spiegato come avvengano le cristallizzazioni per via di solu- zione, passa a descrivere due altri processi e precisamente quello per fusione e quello per sublimazione; in seguito impugna la teoria cristallogenica della scuola di Linneo. Ed in prova della cristallizzazione per fusione cita « figure regolari prismatiche » ch’egli ottenne dai forni, nei quali aveva fuso minerali di ferro associati a calcari ed altri « ottaedri completi » nelle scorie della fusione del ferro crudo misto a calce. Esperienze consimili a quelle del Bergman furono fatte in Francia, nella seconda metà del settecento, dal Buffon, dal Guyton- Morveau, dal Mongez, dal Grignon e da altri. E noto come il sommo naturalista Buffon — dotato, a differenza della enorme mag- gioranza degli interpreti della natura, di un vistoso patrimonio, che gli fruttava oltre 80 mila franchi di rendita all’anno — avesse impiantato nel 1768, nella terra che portava il suo nome, un grandioso stabilimento per fondere e lavorare il ferro, che estrae- vasi in quei dintorni. Egli spese una somma considerevole (quasi mezzo milione di franchi) in tale industria, dalla quale non trasse certamente guadagni: essa gli fu utilissima, invece, per fare numerose esperienze intorno al calore ed all’azione del fuoco sul ferro, dalle quali cavò ottimi materiali per la sua Teoria della terra e per svariate memorie. Così le fornaci e le officine gli servirono da laboratori e, tra gli altri esperimenti, ne fece appunto, col Guyton-Morveau, parecchi intorno alla cristallizza- zione nell’interno delle masse di ferro fuso. E tanto il Buffon come il Guyton-Morveau narrano nei rispettivi scritti (quest’ul- timo tradusse in francese gli Opuscoli del Bergman corredandoli di note (')) di una geode tutta irta di piccoli ottaedri, otte- nuta dalla fusione di 250 libbre di ferro crudo in un crogiuolo, da un’apertura inferiore del quale fu fatta uscire la colata, dopo che alla superficie erasi già rappresa (*). (’) Opuscules chimiques et phisiques (Dijon, 1780-85). Il Guyton- Morveau fu col Patrin deputato montagnardo alla Convenzione. (2) Anche l’Haiiy cita esperienze di questo genere. Nel suo Traile de mineralogie scrive : « Le fer de fonte est susceptible de prendre une forme réguliére cornine les autres rnétaux, à faide d’un refroidissement lent et gradué. Je n’ai rien vu de plus intéressant en ce genre que ce CXXVI M. CERÌUENATI Ma le migliori e più fortunate esperienze al riguardo fu- rono quelle del Grignon, il quale è considerato appunto da tutti gli scrittori francesi, a cominciare dal Buffon, come il primo che abbia scoperta la cristallizzazione per via ignea. E di fatti, scrive il Buffon nella parte mineralogica della sua Histoire na- turelle: « La fonte de fer tenue très-long-tcms dans le creuset, sans ótre agitee et remuée de tenis en tems, forme quclquefois des boursouflures ou cavités dans son interina où la matièrc se cri- stallise. M. de Grignon est le premier qui ait observé ces cris- tallisations du regale (x) de fer, e l’on à rcconnu dcpuis que tous les métaux et les régai cs des demi-métaux se cristallisoient de ménte à un feu bini dirige et asscz long-tems soutenu ; en sorte qu’on ne peut plus douter que la cristallisation, prise géné- ralement, ne puisse s’ opércr par Vélément da feu cornine par celui de Veau » (2). Questa solenne proclamazione di priorità per bocca di cosi autorevole scrittore, si riferisce alle Mcmoires de physique sur Vari de fabriquer le fer, d’en fornire et forger les canons d’ar- tillerie; sur V Histoire naturelle et sur divers sujets particuliers de physique et d’economie, che Pietro Clemente Grignon, metallurgo ed antiquario assai distinto, direttore delle fonderie di Bayard presso Saint-Dizier, pubblicò a Parigi nel 1775 (654 pag. e 13 ta- vole) frutto delle reiterate esperienze che fece sul minerale, alla cui lavorazione egli presiedeva e volta a volta comunicò all’Ac- cademia parigina delle scienze (3). qu’a obtenu M. Poulain Boutancourt, dans un fourneau de forge où il avait tout disposé de manière à favoriser la cristallisation du méta]. Il en est résulté de trés jolis groupes d’octaédres implantés les uns dans les autres, dont l’assortiment se présente à l’ordinaire sous l’aspect d’une pyramide ». O Col nome di regale (regolo), tolto al gergo alchimistico, designa- vasi il metallo purificato con la fusione ( regale d'or, d’argent, de fer, ecc.) ; l’Haiiy propose di sostituirvi la parola fonte ( fonte de l’or, ecc.). (2) Histoire naturelle generale et particulière. Edizione Sonnini, t. X, pag. 358. (3) Una ristampa di questo libro fu fatta nel 1807 col titolo: L’art de fabriquer le fer, de fondre et de forger des pièces d’artillerie, etc. Il Grignon tradusse poi in francese e commentò la Dissertano de analysi ferri del Bergman (Upsala, 1781) aggiungendovi quattro Mémoires sur SCIENZE GEOLOGICHE E PRECURSORI BRESCIANI CXXV1I Con queste pagine il Grignon impugnò l’affermazione del Komé Delisle, il quale aveva detto nel suo saggio di cristallografia : « On peut établir cornine un principe certain que l’eau, tenue dans son état de fluidité, et aide'e du secours de l’air, est le prin- cipili et peut-ètre Vunique ìnstrument de la nature dans la for- mation des Cristaux métalliques ... On ne peut attribuer la gene- ration des Cristaux métalliques à des fusions violentes qui s’opé- reroient dans le sein de la terre au moyen des feux souterrains qu’on y suppose ; inutilement aussi tenteroit-on d’imiter ces Cris- taux dans nos Laboratoires par le secours du feu ou par la voie seche , plutót que par la voie humide. Les substances métal- liques qui ont été mises en fusion prennent à la vérité par le refroidissement certame figure déterminée, mais il ne faut point s’en laisser imposer par ces apparences trompeuses, ni confondre ces figures ébauchées avec les vraies fornies cristallines qui sont le produit d’une opération lente de la Nature par Vintermede de l’eau » (pag. 321). Ora il Grignon oppose a siffatte vedute il risultato de’ suoi esperimenti e citò gli esempi delle cristallizzazioni ottenute nel raffreddamento del ferro fuso (*). Questi esempi mostrano, così ragio- nava il Grignon, che si possono generare cristalli metallici usando mezzi opportuni, e cioè un fuoco intenso ed un raffreddamento lento e senza scosse: e ciò non solo è vero pel ferro, ma per tutti gli altri metalli, che del pari si possono far cristallizzare al fuoco dei nostri fornelli, come gli ultimi lavori dei chimici la Metallurgie. Il volume fu pubblicato a Parigi nel 1783. Egli posse- deva un museo importante di oggetti naturali e di cimeli antichi che alla sua morte fu acquistato dall’abate di Tersan. Era nato il 24 ago- sto 1723 a Saint-Dizier, e mori a Bourbonne il 2 agosto 1784. Fu grande amico di Buffon. O «Il a trouvé» scrive il Buffon «un morceau de fonte de fer niché dans une masse de fonte et de laitier, qui est restée en fusion pendant plusieurs jours, et dont le refroidissement a été prolongé pen- dant plus de quinze dans son fourneau On voyoit dans ce morceau deux cristaux cubiques de régule de fer, et la partie du milieu étoit formée d’une multitude de petits cristaux de fonte de fer que l’on peut regarder cornine les élémens des plus grands. Ces petits cristaux étoient tous absolument semblables et fort, réguliers dans toutes leurs parties. Il ne différoient elitre eux que par le volume...» ( Op . cit.). CXXVJII M. CERMENATI hanno dimostrato; quindi l’opinione del Delisle è infondata: ogni dissolvente che rende la materia fluida la dispone alla cristallizzazione, ed essa si opera cosi nelle materie fuse dal fuoco, come in quelle che sono sciolte dall' acqua. « Ces deux éle'mens — scrive il Grignon nelle sue citate Memorie (pag. 476) — donnent à peu près Ics mèmcs produits par des procédés differens, avec des substances qui peuvent se modifier egalement par ces deux agens; mais l’eati, qui peut dissoudre et cristalliser tous ìes sels, charier et faciliter la con- densation d’un metal mineralise ou en etat de decomposi ion, élever la citar pente des corps organises, ne peut concourir à donner à aucun metal, en son etat de metallo ite' par fa ite, ime forme régulière , c’est-à-dire, le cristalliser .. . C:est au feu, l’agent le plus actif, le plus puissant de la Nature, que soni reservees ces importantes opérations ; au lieu que Veau y emploie ime longue suite de siccles». Come vedete, la scoperta del Grignon apriva nuovi orizzonti alla cristallografia e ben meritava l’elogio del Buffon, come quello di Gio. Andrea Mongez, che fece lui pure notevoli esperi- menti al riguardo, comunicati all’Accademia di Bigione (1), nonché la citazione dei due valenti chimici Fourcroy e Chaptal, che glie ne confermarono la priorità (2). Ma tutta questa bravissima gente, dal (’) Il Mongez tradusse e commentò il manuale del Bergman : Manuel du minéralogiste ou Sciagraphie du Eegne minerai, mise au jour par M. de Ferber et traduit et augmentée de notes par M. Mongez (Paris, Cuchet, 1784). Una seconda edizione usci nel 1792, con nuove aggiunte fattevi dal de Lamétherie. (2) Antonio de Fourcroy nelle Lezioni elementari di storia naturale e di cliimiea, stampati in più edizioni a Parigi dal 1782 in poi, e tra- dotti due volte in italiano (Venezia 1785 e 1803), cosi scrive: «Il ferro puro ha una forma cristallina che gli é particolare. Si trovarono nei fornelli ove questo metallo si era lentamente raffreddato delle piramidi quadrangolari articolate e diramate, formate di ottaedri impiantati gli uni sovra gli altri. Quest'osservazione è dovuta al signor Grignon, maestro delle fornaci a Bayard in Sciampagna » (pag. 213, voi. II della la ediz. ital. ; pa. 197, tom. Ili della 2a). G. A. Chaptal, negli Elementi di chimica tradotti in italiano sulla terza edizione parrigina da Floriano Caldani (Venezia, 1801), dice: «Il ferro che si lascia raffreddare lentamente si cristallizza in ottaedri pian- tati quasi sempre gli uni negli altri: osservazione che clevesi a Grignon. SCIENZE GEOLOGICHE E PRECURSORI BRESCIANI CXXIX Buffon al Chaptal, non sapeva che più di mezzo secolo prima del Grignon un italiano aveva già fatto la tanto decantata sco- perta: e l’italiano fu per l’appunto Giambattista Mazini. Questo medico bresciano successe alla cattedra di Domenico Guglielmini, il celebre fìsico che tutti riconoscono — - dopo che il Pilla, nel 1832, ne ebbe messo in rilievo le grandi beneme- renze « come giunta al catalogo dei torti che si fanno oltremonti al nome italiano» (*) — quale valoroso precursore della cristallo- grafia per le sue due memorie, intitolata l’una: Riflessioni filo- sofiche dedotte dalle figure de’ Sali, e recitata a Bologna il 21 marzo 1688, e l’altra: De Salibus dissertano, scritta a Pa- dova nel 1704('2). E però il Mazini avrà certamente ereditato, con la cattedra, la tendenza allo studio de’ cristalli: tantoché il suo collega Vallisnieri, avendo ricevuto dalle miniere ferrifere di Forno Yolasco nella Garfagnana un blocco di ferro crudo, vuoto nel mezzo e tappezzato da punte piramidali di grandezza varia ed affastellate le une sulle altre, s’affrettò a passarglielo per uno studio esauriente (3). Ed il Mazini, presasi a cuore la fac- cenda, vi studiò e speculò sopra, confidando poi i risultati del Io possiedo un pezzo di ferro tutto ricoperto di picciole piramidi tetrae- driche appianate e tronche ; alcune di esse hanno la base di una linea ; proviene dalle fonderie del paese di Foix (pag. 311, tomo II). (*) Il Pilla dopo aver riferito in prova diversi brani degli scritti cristallografici del Guglielmini, esclama: «Eppure chi crederebbe che ad onta di meriti cosi singolari il nome di Guglielmini, per non dir altro, non si é veduto giammai figurare accanto a quelli di Bourguet, di Romé de l’Isle, di Bergman, di Haiiy e di altri scrittori benemeriti della cristallografia?» ( Cenno storico sui progressi della Orittognosia e della Geognosia in Italia. Napoli, 1832). (2) La prima fu stampata a Bologna nel 1688 ed a Padova nel 1706 ; la seconda a Venezia nel 1705 ed a Leida nel 1707. Entrambe trovansi poi nelle Opera omnia del Guglielmini (1655-1710) edite in due volumi in-4° a Ginevra nel 1719. (3) Il Vallisnieri cosi descrive il fenomeno : « Nel quagliarsi e indu- rarsi il fuso metallo scoperto già dalla loppa, e di repente bagnato dal- l’acqua, gonfiò nel mezzo a guisa del pane, quando la crosta si stacca, e in foggia di monticello s’ innalza, rotto il quale si vide la parte in- terna, o il volto del medesimo, tutto armato di una densissima selva di ferree piramidi dentate, o guarnite lateralmente da altre minute pira- midi, che sono verso la cima alquanto uncinate ». cxxx M. CERMENATI suo particolareggiato esame ad un grazioso volumetto in-12°, di oltre 200 pagine, con una tavola, stampato a Brescia dal Rizzardi nel 1714 col titolo: Congetture fisico-meccaniche in- torno le figure delle particelle componenti il ferro, dedicate e dirette ad Antonio Vallisnieri ecc. Il Mazini ricorda, anzitutto, un autore francese, Niccolò Har- soecher, che in una sua opera uscita a Parigi nel 1696 trattò delle cristallizzazioni del ferro; poi entra nel suo argomento e lo svolge con tre dissertazioni, rispettivamente intitolate: I. In cui si mostra li solidi, che formano le figure piramidali della ferrea miniera di Forno Volastro (sic), avere le loro molecole com- ponenti di sostanza la maggior parte ferrea, con resolver si i dubbi più principali. II. Si congettura le molecole e le figure piramidali in base quadrata o quadrilatera essere le specifiche e le naturali figure del ferro. III. Si esaminano le particelle ferree osservate nella Neve di Marte per prova delle figure pi- ramidali del ferro. La Neve di Marte, avanti il Mazini, era stata studiata nelle sue forme cristallografiche da certo di Sant’Ilario di Cremona e da Giacomo Zanichelli di Venezia. I ragionamenti del Mazini sentono, è vero, dell’antica filo- sofia ed in alcuni punti si perdono nelle astruserie comuni ai vecchi naturalisti; pur tuttavia non vi sono scarse le sane con- cezioni, le vedute originali, le illazioni veramente scientifiche. Dice che, appena abbozzato il suo studio, una « penna grande » ebbe a criticarlo : e però, enumerando i dubbi che gli furono apposti (o che immagina da se stesso), li va discutendo e, a parer suo, dissipando. Descrive geometricamente quelle piramidi di ferro, osservando che hanno basi quadrate o quadrilatere, sopra le quali si elevano quattro piani triangolari, che termi- nano tutti in un punto comune nel vertice delle piramidi, e che dalle sezioni comuni dei piani triangolari si diramano piramidi piccole simili alle prime, le quali tutte hanno il loro vertice alquanto incurvato. Accettando la proposizione aristotelica: forma ratio sub- stantiae, e dimostrato che quei cristalli sono realmente di ferro (’), (]) E può darsi benissimo che si trattasse davvero di cristalli di ferro puro, poiché, come nota il Wedding nel suodrattato di siderurgia, dentro alle soffiature nelle grosse masse di ghisa si trovano spesso cristalli SCIENZE GEOLOGICHE E PRECURSORI BRESCIANI CXXXl non già, come altri voleva, di sostanze saline, oppure formati da un sale passato in vetro dalla forza del fuoco, o da un sale nitroso, stabilisce il principio che la figura naturale specifica del ferro è quella da lui esaminata. Combatte l’opinione di chi, poggiandosi sul concetto baconiano della figura piramidale della fiamma, voleva attribuire a questa la ragione della istessa figura del ferro; ed invece ricorda con onore la osservazione del suo concittadino Lana, il quale notò che le stellette piramidali del Regolo stellato di Marte sono formate dalle particelle stesse del ferro; osservazione — proclama — degna di un gran filosofo e che si uniforma alle figure piramidali mostrate dal campione di Forno Yolasso. Insomma, senza che in’ indugi oltre a riassumere, vi assi- curo che davvero interessante è il libricciolo del Mazini, ed io lo raccomando a’ miei colleghi che coltivano la cristallografia. Ed avverto che coloro, i quali non fossero tanto fortunati d’avere alla mano il testo originale, potranno tuttavia leggerne un sunto abbondante e ben redatto nel Giornale dei letterati d’Italia (Venezia, 1714; tomo XIX, pag. 177), ove venne riprodotta anche la tavola. Vi troveranno una serie di ingegnosi esperi- menti idrostatici, magnetici e d’altra natura, non escluso l’esame microscopico, con cui l’autore sostenne la sua tesi, e cioè che le molecole integranti del ferro sono tetragone e piramidali e che si uniscono in modo simmetrico per dare vistosi cristalli della stessa figura. Comparando poi queste forme primordiali con altre cristal- lizzazioni di minerali ferriferi o ritenuti per tali, le quali presen- perfetti di ferro metallico, generalmente ottaedri, formanti graziose ar- borescenze. Un’altra fonte di cristalli, ma di ossidi e non di ferro me- tallico, sono i cosiddetti «lupi», che si formano sul fondo dei forni a ferro, costituiti da ferro metallico più o meno decarburato, e che con- tengono cristalli di oligisto e di magnetite. Questi fondi di forno sono del resto una miniera di cristalli diversissimi, perché in essi si raccol- gono e cristallizzano, in virtù della elevata temperatura mantenuta per mesi e mesi, un gran numero di composti formati dalle varie impurità contenute nel minerale trattato e nei fondenti. È una vera collezione : Piombo, di solito molto argentifero, leghe di ferro e piombo, piromor- fite, cerussite, minio, ossido di zinco, un composto di titanio, azoto e cianogeno (Az3 Ti5 Cy), solfuri varii, grafite, silice pulverulenta e fibrosa (asbesto ed amianto marziale), ecc., ecc. CXXXII M. CERMENATI tavansi come ottaedri, o prismi quadrangolari, o « palle poli- gone a faccie quadrilatere », cercò di dimostrare come queste non fossero che il risultato delle combinazioni di quelle, poiché — scrisse — « i prismi quadrangolari constano di due piramidi, che hanno i loro vertici in senso contrario, come l’ottaedro nasce da due piramidi unite base a base, e come le palle poligone deri- vano da una congerie delle piramidi stesse che hanno i vertici tutti nel centro ed il piano della base alla superficie». E pro- fetizzò: «Verrà un tempo in cui dall’ingegno umano si troverà l’arte di scoprire le figure naturali, non solo del ferro, ma ancor facilmente quelle degli altri minerali ». Egli frattanto, genera- lizzando le sue conclusioni, enunciava i seguenti principi : che i minerali hanno facoltà di formarsi, unirsi ed accrescersi secondo determinate figure; che la figura naturale d’un minerale (cri- stallizzazione) non è che la ripetizione della figura primitiva de’ suoi componenti (particelle integranti o molecole) come avviene del nitro, che appare sotto figure prismatiche con base esagona, perchè i suoi componenti sono formati da prismi esagoni, e cosi pel vetriolo, per l’allume ecc. ; e che l’azione del fuoco sui mine- rali è diretta a purificarli, onde dare ad essi il modo di pren- dere la figura naturale propria a ciascuno. Non vi pare, onorevoli colleglli, che qua dentro, in questo volumetto — citato bensì dai contemporanei, come il Roncalli, il Giiuma ed il Della Torre G), ma rimasto sconosciuto agli storiografi stranieri, dal Gronovius al Wallerius, dal Gatterer al Marx e dal Whewell al Kobell (2) — ci sia qualcosa di più della scoperta del Grignon, e precisamente anche qualche barlume di quella teoria sulla struttura dei cristalli, che fu poi la gloria dell’Hauy, il G) Roncalli, De aquis brixianis (Brescia, 1724; pag. 46). — Gimma, Della fisica sotterranea (Napoli, 1730; tomo II, pag. 127). — Della Torre, Scienza della natura (Venezia, 1750; parte II, pag. 132). (2) Gronovius L. Theod., Bibliotheca Regni animali atque lapidei ecc. (Leida, 1760). — Wallerius Job. Gotsch., Brevis introductio in Historiam Litterariam Mineralogicam, ecc. (Holm, Upsal ecc. 1779). — Gatterer Christoph Wilhelm Jakob, Verzei clini ss der vornehmsten Schriftsteller iiber alle Tlieile des Bergwerksivesens (Gottingen, 1785-86). Allgemeines Repertorium der mineralogischen, Bergtcerks- und Salzwerkswissenscliaf- tlichen Literatur , nebst beygefiigten kritischen Bemerkungen iiber den Wertli der einzelnen Schriften (Giessen, 1798-99; 2 voi.). — Marx C. M., Ge- schichte der Krystallkunde (Carlsruhe, 1825). — Whewell W., History of SCIENZE GEOLOGICHE E PRECURSORI BRESCIANI CXXXIII principale fondatore della cristallografia, l’autore dell’immortale Essai d’une théorie sur la structure des cristaux (Parigi, 1784), quegli che, entusiasmato della sua grande scoperta, esclamò : J’ai tout trouvé!? Ma io non vi tratterrò oltre, pago di avervi ricordato due fatti locali, il cui valore, spero, avrete saputo apprezzare. E volo alla conclusione. Gli esempi che ho evocati dei due bresciani Lana e Mazini vi lasciano intravvedere quanta bella materia ci si appresti per trattare degnamente della storia della geologia e della mineralogia e per mettere in maggior luce i grandi meriti degli italiani in queste discipline. Onde io mi auguro che parecchi de’ miei col- leglli, dedicandosi a così doverose e patriottiche ricerche, pos- sano trovarsi in grado di presentare qualche bel lavoro al pros- simo Congresso storico internazionale di Roma, e mi raccomando specialmente ai giovani, poiché, più che ai vecchi, gli studi storici servono a coloro che fanno le prime armi nell'arena scien- tifica, rendendoli più sicuri nelle ricerche ed insieme più guar- dinghi prima di gridare l 'eureka della novità. A Roma io vi attendo tutti per quell’epoca: l’occasione è anche propizia, sotto ogni riguardo, per visitare la città eterna, nelle sue grandezze antiche e nella sua realtà presente. Vi saranno facilitazioni di viaggio ed infinite attrattive di istru- zione e di svago ad un tempo : suvvia, io mi permetto di rivol- gervi, chiudendo il mio discorso e ringraziandovi della cortese attenzione, un sicuro e cordiale arrivederci. Laggiù, nella capitale d’Italia, evocando i trionfi passati nel vastissimo imperio delle scienze geologiche, trarremo, superbi e fiduciosi, i migliori auspici pei trionfi infallibili delle età presenti, ed anche delle future, memori dell’aforismo leibnitziano : il presente è figlio del pas- sato e padre dell’avvenire. Arrivederci ! tlie Inductives Sciences ecc. (Londra, tre ediz., 1837, 1847, 1857); tradu- zione tedesca del Littrow (Stuttgart, 1840-41). — Kobell Franz., Gescliichte der Mineralogie von 1650-1860 (Monaco, 1864). — Il lavoro del Manzini è citato appena appena nel Biographisch-Literarisches Hand. wòrterbuch des Poggendorff (Lipsia, 1863). IX SUCCESSIONE STRATI GRAFICA NELLA PORZIONE ORIENTALE DELL’ANFITEATRO MORENICO DEL GARDA Nota preliminare di Enrico Nicolis Le ultime incisioni del torrente di Val Sorda (Monte Moscai- Bardolino), di continuo osservate dal suo valoroso sistematore, R. Ispettore Forestale V. Pellegrini, confermano le tre esten- sioni glaciali accompagnate dai rispettivi depositi interglaciali ( loess e terreno alterato), così bene sezionate e messe in evi- denza in detta valle (1). Ora ho l’onore di esporvi preliminarmente, riservando le con- clusioni a rilievo compiuto, come recenti osservazioni mi fanno ritenere, che il grande piano diluviale stratificato, terrazzato, ferrettizzato e superiormente decalciticato, costituente l’alta pia- nura veronese, si sottende ai rilievi neomorenici, precisamente affiorando in larghe e pianeggianti estensioni circoscritte e co- ronate dai rilievi stessi. Queste plaghe intermoreniche presentano, dopo lieve spes- sore di ferretto con ciottoli prevalentemente porfirici, il sottosuolo composto di ghiaie bianche e sabbioni, tutto regolarmente stra- tificato e di provenienza retica, precisamente come l’alta pia- nura extramorenica con la quale partecipano appunto la sopra- ossidazione superficiale. Così, salvo la promiscuità del talus, in alcuni punti, come al Belvedere di Praja (S. di Colà), si vede come e dove i cu- muli morenici poggiano sul grande piano ferrettizzato riuscendo ben manifesta la tipica e sostanziale differenza di colore, di composizione e di struttura, superficiale ed interna, dei due terreni. C) Nicolis E., Triplice estensione glaciale ad oriente del lago di Garda . Atti del R. Ist. Veneto. Venezia, 1899. ANFITEATRO MORENICO DEL GARDA CXXXV Qualificante riesce eziandio l’idrologia retta dalle due for- mazioni in esame: un mio lavoro in corso, sulle acque latenti, arriverebbe alle seguenti conclusioni, che cioè: l’acqua interna delle morene — sensibile alle fluttuazioni meteoriche — è go- vernata dalla loro morfologia superficiale o scheletrica, quasi tutta a catini, indipendenti fra loro ed obbliganti la scaturigine a manifestarsi lungo la parete esterna o scaglione che gli so- stiene. Invece entro i piani stratificati diluviali risiedono potenti falde acquifere, leggermente e regolarmente inclinate, mante- nentesi in lungo ed in largo equilibrate idrostaticamente e per nulla, salvo in profonde incisioni o nella zona di rinascimento, affioranti; lo che appunto si verifica nelle circostanze qui in esposizione, che anzi allorquando il rialzo morenico, isolato o quasi, elevato solo qualche metro sul piano, è attraversato inte- ramente da un pozzo, questo va ad attingere entro a,\Yaves del grande piano. Un profilo dal Garda (Bonclii presso Peschiera) a traverso Palli, Mariannina, Prajetta, S. di Sandra, S. di Pa- lazzolo, San Vittore, Mezzacampagna, Chievo, terrazzo dell’Adige presso Verona (cioè fino alla valle alluvionale dell’Adige attivo) taglia una plaga del grande piano ferrettizzato affiorante tra i rilievi glaciali per poi sottendervisi e sbucar fuori a formare l’alta pianura terrazzata. Questa plaga diluviale comprende i dintorni del palazzo Cos- sali di Castelnuovo, di S. Giorgio in Salici, Praja, Prajetta, Mariannina, Colombara, parte di Palù Pesenati, ecc., e lo strato acquifero corrispondentevi, poco discosto dal suolo, mantiene il pelo a circa 100 m. sul mare, poco rispecchiando le variazioni d’ordine meteorico. Tale grande piano diluviale, sia che si voglia ritenerlo per una facies di una sola fase glaciale, oppure ascriverlo al dilu- vium medio, mantenendo nel diluvium superiore il neomorenico, di questo è certamente più antico. Un altro pianoro diluviale, intercluso fra colline neomore- niche, 50 m. più elevato, ed a N.-E. di quello sopradescritto (158 m. s. m.), collegato verisimilmente con il classico altopiano di Le Molle, a valle della Chiusa (160 a 180 m.), cosi tipica- mente terrazzato dall’Adige e dal Tasso, si stende a Levai. Ivi il ferretto risulta ancor più caratteristico, denso, perchè in qualche CXXXVI E. NICOLIS punto venne forse accumulato dal lavaggio, e privo di ciottoli calcarei; qui pure lo strato acquifero interno e continuo, quasi orizzontale, tutto idrostaticamente collegato e col pelo freatico assai prossimo alla superficie. Non posso ancora affermare se dal piano di Praja si sale a quello di Levai con regolare acclività interna oppure per mezzo di gradini; comunque, questa maggior elevazione la spiegherei per la sua maggior vicinanza alla generatrice fiumana retica. ora fiume Adige. * Fossili del “ diluvium „ stratificato e ferretti zzato. Si sa che nelle ghiaie diluviali stratificate ben pochi, e punto notevoli, fossili finora si rinvennero e soltanto indeterminabili frammenti di ossa di vertebrati. Una nuova scoperta di ben poco arricchisce la fauna di questo grande ammasso di terreni di trasporto. Gentilmente avvisato, nell’aprile dell’anno in corso, da mio cognato Cav. Tullio Donatelli, ingegnere capo del Municipio di Verona, che nell’arginone intermedio fra i due corsi d’acqua nel Basso Acquar (presso Porta Nuova di Verona) sviluppanti la forza idraulica e precisamente presso il nuovo impianto per aumentare l’energia elettrica, erano state trovate, quasi riunite, nel banco di ghiaia vergine acquigene, degli ossami, mi recai sul luogo che constatai elevato 46,55 m. s. m., essendo il suolo ferrettizzato del piano generale diluviale, ivi inciso ed esportato dall’Adige, circa a 64 m. Le ossa vennero tolte a m. 0.70 sotto il pelo freatico, in piena falda acquifera; erano 12 pezzi, alcuni assai rammolliti si sfracellarono subito, altri riuscirono indeterminabili ; solo 4 presentaronsi come avanzi, poco conservati, di cervidi; tali li riconobbe anche il D.1 Dal Piaz. Penso trattarsi del diluvium medio, il punto fossilifero sog- giacendo come si disse m. 17.45 al piano di ferro della stazione di Porta Nuova ed al Campo di Marte, piano che alla vicina Sommacampagna sopporta le colline dell’ultima estensione gla- ciale. [ms. pres. 16 settembre 1901 ; ult. bozze 28 dicembre 1901]. RELAZIONE DELLA COMMISSIONE GIUDICATRICE DEL QUINTO CONCORSO AL PREMIO MOLON SCADUTO IL 31 MARZO 1901 Il quinto concorso al Premio Molon fu aperto dalla Società geologica italiana con circolare del 20 Settembre 1898 sul se- guente programma proposto dai professori De-Stefani e Issel e dall’ing. Novarese: Il premio sarà dato al miglior lavoro geologico che illustri, specialmente con osservazioni morfologiche, stratigrafiche e pa- leontologiche, un territorio di qualsiasi parte d’Italia. I lavori da presentarsi, redatti in lingua italiana , potranno essere manoscritti o stampati: non però anteriormente al 31 di- cembre 1898. I manoscritti potranno essere contrassegnati da un motto, da ripetersi sopra una scheda suggellata, contenente il nome dell’autore. Al concorso furono presentati dieci lavori, cbe vennero co- municati ai sottoscritti commissari, eletti dal Presidente e dal Consiglio direttivo della Società, per farne l’esame e proporre l’assegnamento del premio. La Commissione si costituì nominando presidente il prof. Ta- ramelli e relatore il dott. Di-Stefano. La Relazione, compilata dopo uno scambio d’idee per ripetute comunicazioni letterali, è stata poi discussa, compiuta e approvata in tre lunghe riu- nioni tenute a Brescia dai commissari nei giorni 5, 6 e 7 Set- tembre. I lavori comunicati alla Commissione giudicatrice sono i se- guenti : Giulio De Alessandri. Fossili cretacei della Lombardia (Estr. dalla Palaeontographia italica, voi. IV, 1898) — 1 voi. stampato in-4°, di pag. 34, con 3 tav. pai. CXXXVIII RELAZIONE DELLA COMMISSIONE GIUDICATRICE Giulio De Alessandri. Osservazioni geologiche sulla Creta r sul- l’Eocene della Lombardia (Estr. d. Atti d. Soc. ital. di Se. nat., voi. XXXVIII, 1899) — 1 voi. stampato in-8°, di pag. 68, con 1 carta geol. a colori. — — Sopra alcuni fossili aquitaniani dei dintorni di Acqui (Estr. d. Boll. d. Soc. geol. ital., voi. XIX, 1900) — 1 opusc. stampato in-8°, di pag. 6. — — Appunti di geologia e paleontologia sui dintorni di Acqui , 1901 — 1 voi. stampato in-8°, di pag. 176, con 1 tav. pai. e 1 di sez. — — Nuovi fossili del Senoniano lombardo (Estr. d. Rend. d. R. Ist. lomb. d. Se. e Lett., s. II, voi. XXXIV, 1901) — 1 opusc. stampato in-8°, di pag. 20, con fig. nel testo. Giuseppe De Lorenzo. Studio geologico del Monte Vulture (Estr. d. v. X, s. II d. Atti d. R. Acc. di Se. fis. e mat. di Napoli, 1900) — 1 voi. stampato in-4°, di pag. 207, con 1 carta geol. a colori, 1 tav. di sez., varie tav. fotogr. e sez. nel testo. Olinto Marinelli. Descrizione geologica dei dintorni di Tar- cento in Friuli, 1901 — 1 voi. stampato in-8°, di pa- gine 98, con 1 carta geol. a colori, 1 schizzo oro-tet- tonico, 3 tav. pai. e 1 di sez. Picenus. Descrizione geologica dell’ Umbria centrale. — 3 voi. ms. in forni, protocollo, di 235 pag. nell’insieme, con 1 grande carta geol. a colori, varie cartine topogr., geo- log. e tettoniche, 2 tav. pai. e figure di sez. e di foss. nel testo. Anonimo (distinto dal motto: Vagliami il lungo studio e il grande amore). Il Monte di Cetona e i suoi fossili. Studio geologico e paleontologico — 1 voi. ms. in form. pro- tocollo, di pag. 396, con 1 tav. di sez., 1 carta geol. a colori e 23 tav. pai. in fotogr. Anonimo (distinto dal motto: Mutai enim aetas totius mundi naturam). Studio geologico del gruppo delle Vette ( Le- gione a nord-ovest di Feltre) — 1 voi. ms. in form. protocollo, di pag. 201, con 8 tav. pai., sez. e fotogr. panoramiche nel testo, accompagnato da 1 busta, con- tenente 1 carta geol. a colori e sez. DEL QUINTO CONCORSO AL PREMIO MOLON CXXXIX Prima di esaminare le Memorie citate, la Commissione ha riconosciuto di non potere occuparsi dei lavori essenzialmente paleontologici e di dover giudicare la sola parte geologica degli scritti in cui quella paleontologica sia di molto prevalente o tale da assumere il carattere di una monografia speciale. Questo criterio è imposto dalle condizioni del concorso, che, successo immediatamente a quello in cui fu accordato il premio per la paleontologia ('), è stato bandito solamente per lavori geologici. Esso, del resto, ha il vantaggio di non pregiudicare l’eventuale presentazione degli studi ora esclusi ai futuri concorsi della So- cietà. In generale gli autori hanno mal comprese le condizioni del tema e hanno aggiunte ai loro lavori delle tavole paleon- tologiche purchessia, anche dichiarando talvolta che esse non hanno importanza, oppure hanno presentate delle compiute mo- nografìe paleontologiche. La Commissione quindi è stata co- stretta di esaminare solo l’introduzione geologica della estesa monografìa paleontologica di autore anonimo intitolata II Monte di Cetona e i suoi fossili. Studio geologico e paleontologico, e di non ammettere al concorso due delle Memorie del dott. G. De Alessandri ( Fossili cretacei di Lombardia, 1899, e Nuovi fossili del Senoniano lombardo, 1901), perchè non costituiscono delle osservazioni sussidiarie nel lavoro dello stesso autore Osser- vazioni geologiche sulla Creta e sull’ Eocene della Lombardia, ma sono due studi paleontologici speciali, distinti e separati da quello. Pertanto qui appresso è esposto un breve riassunto critico delle monografìe esaminate, perchè serva a giustificare le con- clusioni di questa relazione. È stato possibile di riassumere solo i fatti principali; ma su di essi la Commissione ha usato libe- ramente del suo diritto di critica. Se i nostri soci concorrenti sono talvolta contraddetti, pensino che la critica dei commis- sari è obbiettiva e che essa nasce dal vivo desiderio di veder condotte le indagini geologiche e la loro esposizione con rigore scientifico, sobrietà ed efficacia. f1) Lagonegro, 5 settembre 1898. CXL RELAZIONE DELLA COMMISSIONE GIUDICATRICE RIASSUNTO CRITICO I. Giulio De Alessandri. Osservazioni geologiche sulla Creta e sull’ Eocene della Lom- bardia, 1899. È un lavoro pubblicato da quasi tre anni e quindi non è necessario di riassumerlo minutamente. L’autore dichiara di non voler fare uno studio compiuto delle formazioni cretacee ed eoceniche di Lombardia, ma di darne solo delle notizie stratigrafiche e litologiche. Premesso un esame della ricca bibliografia relativa ai terreni studiati e un breve cenno sugli strati iufracretacei lombardi, il De Alessandri descrive un gruppo di roccie clastiche giacenti in trasgressione su questi. Egli crede che in esse siano rappresentati il Turo- niano e forse qualche porzione del Cenomaniano. Su questa serie sta in concordanza il gruppo superiore del Cretaceo lombardo, rappresentato dal Piano di Sirone e dal sovrapposto Piano di Brenno. Il primo fu una volta riferito al Turoniano ; ma i fos- sili ne dimostrano l’appartenenza al Senoniano medio (Sauto- niano); il secondo rappresenta il Senoniano superiore (Campa- niano). L’autore si occupa brevemente anche della tettonica di questi terreni. Dobbiamo rilevare che il riferimento dei Piani di Sirone e di Brenno rispettivamente al Santoniano e al Campaniano è stato contraddetto dal Douvillé, che vede in essi solo due sud- divisioni del Campaniano. Il De Alessandri, in altro lavoro, ha combattute le obbiezioni dello scienziato francese; tuttavia la que- stione rimane ancora controversa, perchè il livello superiore ad Ippuriti di Gosau (Nefgraben), al quale il Douvillé e il De Ales- sandri si riferiscono riguardo al Piano di Sirone, è superiore alle marne con Schloenbachia texana , le quali potrebbero rap- DEL QUINTO CONCORSO AL PREMIO MOLON CXLI presentare tutto il Senoniano nel senso stretto, e non è ancora ben dimostrata l’affermazione del De Grossouvre che il Senoniano superiore sia rappresentato a Gosau dai sedimenti salmastri e d’acqua dolce. Il dott. De Alessandri esamina quindi l’ Eocene, che dice difficilmente divisibile dal Cretaceo superiore, perchè comprende una porzione della Scaglia. Egli dà un elenco di 28 specie, il quale è importante, essendo noti finora pochi elementi pa- leontologici dell’ Eocene lombardo. In generale si osserva che la tettonica dei terreni cretacei ed eocenici non è sottomessa a uno studio definitivo. Nelle masse tra il Serio e il lago d’Iseo, specialmente alle falde del M. Misma, la tettonica, secondo il prof. Taramelli, che ne ha rilevata la Carta, sarebbe più com- plessa che il De Alessandri non abbia rilevato. Nella seconda parte del lavoro è data una descrizione regio- nale, in cui sono esposte altre notizie sulla composizione, sulla distribuzione, sulla tettonica e sui cambiamenti di facies dei vari piani. Per mezzo di osservazioni proprie l’autore rettifica parecchie opinioni di autori precedenti per quanto riguarda l’età di alcuni gruppi di strati e i limiti di taluni piani. L’ Eocene è diviso in Parisiano e Bartoniano, al quale l’autore attribuisce i sedimenti a levante del lago di Comabbio studiati dai professori Salmoiraghi e Mariani, come, del resto, aveva fatto il prof. Sacco. Però la distinzione di questi due gruppi nei pochi lembi dell’Eocene lombardo, pigiati tra le pieghe del Cretaceo, non sembra abbastanza giustificata. L’appartenenza della molassa di Varano al Bartoniano, è, checche si dica, lungi dall’essere dimostrata. I piani Tongriano e Piacenziano e i terreni quaternari sono appena indicati dal De Alessandri. La Memoria è accompagnata da una Carta geologica a co- lori, nella scala da 1 : 100.000, divisa in due fogli. Su questi fogli sono dati anche otto profili colorati per chiarire la composizione e la tettonica delle formazioni esaminate. L’autore ha adottata pel Cretaceo in esame la divisione in due gruppi già proposta dal prof. Taramelli ; però ne ha più nettamente separato il Turoniano, il che è un vantaggio per la geologia lombarda. CXLII RELAZIONE DELLA COMMISSIONE GIUDICATRICE Il lavoro del dott. De Alessandri è pregevole per le varie notizie date sulla composizione stratigrafica e sulla distri finzione dei gruppi cretacei ed eocenici, nonché per le rettificazioni di vari fatti accennati da altri studiosi; però non mostra l’origi- nalità degli studi paleontologici sul Cretaceo della Lombardia da lui pubblicati, che la Commissione è dolente di non aver potuto esaminare. Sopra alcuni fossili aquitaniani ilei dintorni di Acqui, 1900. Con questa piccola Nota preventiva l’autore pubblica una lista di fossili di tre luoghi dei dintorni di Acqui. Egli giudica che il Calcare di Acqui appartenga alla parte superiore del- l’Aquitaniano e quello di Visone e le arenarie del Colle Ferri all’ inferiore. Nel riassunto del lavoro che segue avremo occa- sione di esaminare tali conclusioni. Appunti di geologia e paleontologia sui dintorni di Acqui, 1901. Il De Alessandri, data una storia concisa degli studi geologici anteriori sui dintorni di Acqui e un brevissimo cenno sulle roccie cristalline della regione, si occupa dei terreni terziari e quaternari, che sono descritti in modo compiuto nella composizione litolo- gica, nei mutamenti di facies, nella distribuzione, nella tettonica e nella loro importanza agraria o industriale. Egli esamina i piani Bormidiano, Aquitaniano, Langhiano, Elveziano, Torto- niano, Messiniano, Piacenziano e Astiano oltre che il Quater- nario. Anche l’autore dimostra che il Tongriano e lo Stampiano sono facies di uno stesso piano, in modo che forse varie con- troversie saranno così rimosse. Egli aggiunge che l’insieme di questi due gruppi di strati costituisce il Bormidiano del Pareto. Il De Alessandri indaga l’origine dei conglomerati tongriani, dell’Appennino settentrionale; ma egli crede che, per spianarsi la via a spiegarla, debba prima discutere quella dei conglome- rati sincronici della Collina di Torino. Così fa una lunga digres- sione per criticare le varie ipotesi emesse sulla genesi di quella formazione e ne presenta una eclettica propria. L’autore non DEL QUINTO CONCORSO AL PREMIO MOLON CXLIIL crede che sia dimostrata 1’esistenza di elementi appenninici nei conglomerati di Torino e dà dell’origine di quelli dell’Appen- nino settentrionale una spiegazione che è quella del comm. Maz- zuoli, con qualche lieve aggiunta. Quindi l’autore si occupa dell’Aquitaniano, la cui esistenza nel territorio di Acqui è stata negata. Egli pubblica di quel piano un elenco di 52 specie, tra denti di pesci, eirripedi, cefa- lopodi, gasteropodi, lamellibranchi, echinidi (già studiati dal dott. Airaghi), coralli, litotanni e Palaeodyction. Di tali resti egli dà un’illustrazione lodevole per chiarezza, sobrietà ed esat- tezza di confronti; però, da quanto dice l’autore, si rileva che parecchie determinazioni di specie importanti sono eseguite solo sopra modelli interni. In una tavola sono rappresentate in foto- grafìa 14 delle specie illustrate (denti di pesci, molluschi e un corallo). Purtroppo il De Alessandri non figura le specie più interessanti pel suo caso, cioè quelle di provenienza oligoce- nica. Egli crede che tale lista di fossili provi senza dubbio l’Aqui- taniano e, dal fatto della predominanza di specie elveziane, trae la conseguenza che tale piano debba aggregarsi al Miocene, come già hanno fatto il Fallot, il Sacco e il Renevier. Nondi- meno è da osservare che la controversia sull’esistenza dell’Aqui- taniano nei dintorni di Acqui non viene rimossa dall’elenco da lui pubblicato. Quella fauna ha carattere prevalentemente elveziano, nè l’esistenza di poche specie oligoceniche può essere da tutti ri- guardata come ragione sufficiente per collocarla nell’Aquitaniano. Per l’autore anche gli strati di Loibersdorf, Gaudendorf ed Eg- genburg (Bacino di Vienna) sono aquitaniani; ma non è questa l’opinione di Fuchs, Déperet e Fallot, che li pongono in una divisione del terziario corrispondente alla parte inferiore del Mio- cene medio. Il De Alessandri del resto non esclude che Aqui- taniano e Langhiano possano rappresentare due facies di uno stesso piano. L’autore s’intrattiene quindi della difficile questione del va- lore cronologico dei Pteropodi ; ma sarebbe stato utile che egli avesse discusso l’argomento in modo più esauriente, perchè giunge a provar solo che strati con Pteropodi possono essercene in vari e differenti piani, il che non è contestabile. CXLIV RELAZIONE DELLA COMMISSIONE GIUDICATRICE La descrizione dei piani Langhiano, Elveziano, Tortoniano, Messiniano, Piacentino, Astiano e dei depositi quaternari non dà luogo ad osservazioni che meritino di essere qui riassunte. Sono importanti le conclusioni tratte dall’autore sul valore cronologico e stratigrafico dei piani terziari dei dintorni di Acqui. Egli stabilisce, d’accordo con Pareto, Mayer, Sacco, Trabucco e Schaffer che in tale regione il Langhiano, l’Elveziano, il Tor- toniano e il Messiniano 1° rappresentano fasi successive e di- stinte di sedimentazione. Lo stesso egli ritiene che avvenga in altri luoghi d’Italia, nel bacino del Rodano e in quello di Vienna; però, trovando citati molti fatti che contraddicono tale opinione, troppo si affretta a dichiararli tutti come dovuti ad osservazioni non bene accertate. Il volume termina con alcune considerazioni tendenti a di- mostrare che nella determinazione dei terreni terziari lo studio delle faune non deve disgiungersi da quello della loro posizione stratigrafica; ma per stabilire tale savio criterio si avvale di esempi non sempre calzanti. Questo lavoro mostra nell’autore adeguata conoscenza della regione studiata ed estesa coltura geologica e paleontologica. Esso è pregevole perchè ci offre un quadro riassuntivo com- piuto della geologia dei dintorni di Acqui ; senonchè mette in luce ben pochi fatti nuovi, il che è spiegabile, occupandosi di un territorio precedentemente studiato da parecchi geologi. II. Giuseppe De Lorenzo. Studio geologico del Monte Vulture, 1900. Il lavoro del dott. De Lorenzo, per l’estensione, i molti fatti complessi e importanti esaminati e la ricchezza delle osserva- zioni, difficilmente si può riassumere in modo breve. I limiti e il carattere di questo Rapporto non permettono del resto di dame un resoconto esteso ; ma giacche si tratta di una monografìa ben conosciuta, basterà di riportarne qui appresso le osservazioni e le deduzioni principali. DEL QUINTO CONCORSO AL PREMIO MOLON CXLV Il lavoro, al quale è premessa una pregevole storia biblio- grafica del Vulture, è diviso in quattro parti: I. La base sedi- mentaria ; IL II vulcano ; III. I laghi ; IV. Il vulcanismo. I. La base sedimentaria. L’autore descrive i terreni che formano la base del vulcano e vi distingue il Trias superiore, già indicatovi dagTingegneri Baldacci e Viola, il Cretaceo, l’Eo- cene con il dubbio Miocene; il Pliocene e il Pleistocene ma- rino e terrestre. L’ indicazione dei terreni terziari è sussidiata da elenchi di fossili. L’autore fa notare l'importanza dei conglomerati pliocenici e pleistocenici che sostengono il Vulture e dimostra che si for- marono sulle coste con i materiali trasportati dalle acque scor- renti superficiali durante la regressione del mare cominciata sul finire del Pliocene. I blocchi di roccie cristalline che tali con- glomerati contengono, furono strappati a quelli eocenici, di dubbia origine, e non a scogliere sottomarine scomparse nel sollevamento pliocenico, come suppose il Deecke. Il dott. De Lorenzo, per causa dei lenti passaggi dei sedi- menti e delle faune del Pliocene superiore a quelli del Plei- stocene, emette l’opinione che tutti gli strati subappennini della Basilicata e della Puglia debbano riunirsi in un sol tutto, come depositi di profondità diverse di uno stesso mare. Tale impor- tante affermazione avrebbe bisogno di essere meglio provata, perchè finora non è dimostrato che in quelle regioni i tufi cal- carei con fauna pliocenica passino lateralmente ai sedimenti pleistocenici, mentre i passaggi di faune nel senso verticale non sono una buona ragione per riunire dei gruppi estremi so- vrapposti con notevoli differenze faunistiche. La verità è che la massima parte dei terreni subappennini basilischi e pugliesi ap- partengono a vari orizzonti del Pleistocene e che il Pliocene classico è in essi raro. La tettonica della base sedimentaria è studiata con molta cura. È mostrato, anche per mezzo di sezioni opportune, che i terreni triassici di S. Tele e di Avigliano formano delle cupole elissoidali, alterate da fratture scorrenti a gradinate, e che quelli eo-miocenici, costituenti la piattaforma del vulcano, sono così rag- grinzati e sconvolti da non far seguire per lungo tratto una dislocazione. Il De Lorenzo dichiara immaginarie le fratture CXUVI RELAZIONE DELLA COMMISSIONE GIUDICATRICE convergenti verso il Vulture, indicate dal Deeeke, e mostra che quelle reali non intaccano la base sedimentaria. Nei luoghi in cui dovrebbe esistere un bacino di sprofondamento, si osserva invece che gli strati sono piegati, senza fratture, verso il vul- cano per costituire una conca sinclinale. L’autore, con argomenti originali tratti dallo studio della regione e da quello dei golfi di Salerno e di Napoli, dimostra che la genesi del Vulture è indipendente dalla tettonica e che nemmeno è provabile una correlazione tra tale vulcano e quelli partenopei, come anche aveva asserito lo Scacchi. Infine è descritta l’orografia della base sedimentaria; ma, nel delinearla, il valente dott. De Lorenzo non imita la sem- plicità dei maestri della scienza. La parte che abbiamo appena riassunta è importante, perchè schiarisce la composizione e la struttura della base sedimenta- ria, le quali erano mal conosciute, nonostante il lavoro del Deeeke. II. Il vulcano. L’autore studia il modo col quale è stato costrutto il Vulture e i mezzi per i quali tale costruzione fu operata. Le lave, gli agglomerati e gl’inclusi sono diffusamente descritti. La base del vulcano è costituita dai materiali clastici delle prime esplosioni, ai quali si sovrappongono verso l’alto gli ef- flussi lavici. Di questi l’autore esamina le forme di consolida- zione e la struttura. Egli distingue infine nove tipi di lave, cioè fonolite hauy- nica (trachite dello Scacchi), che si presenta in blocchi sparsi ed è stata rigettata nelle prime esplosioni del vulcano ; fonolite anortoclasica (trachite hauynica dello Scacchi), che fu emessa da un centro eruttivo indipendente e forma la cupola lavica del Toppo S. Paolo; tefriti hauyniehe, tefriti leuco-hauyniche, basaniti leuco-hauyniche, basalti leucitici, leucititi, nefeliniti e hauynofiro della collina di Melfi, prodotto d’un’altra bocca erut- tiva eccentrica posteriormente ai maggiori incendi del vulcano. L’autore fa di queste roccie un’analisi piuttosto lunga, illustrata da belle fotografie di lamine sottili eseguite dal dott. Carlo Eiva. La parte petrografica del lavoro è notevole per le varie di- stinzioni litologiche che vi vengono indicate, le quali non potè- DEL QUINTO CONCORSO AL PREMIO MOLON CXLVII vano trovarsi nei lavori oramai antichi di Scacchi e di Àbich, nè sono in quello recente del Deecke. L’autore vi fa mostra di una coltura petrografica che molti geologi non hanno. Pertanto è da osservare che la mancanza quasi generale di analisi chimiche, e la determinazione dei minerali costitutivi, specialmente dei feldspati, eseguita con mezzi non sempre sufficienti per pervenire a una rigorosa conclusione, potrebbero far sollevare dei dubbi sopra alcune di quelle distinzioni. Gli agglomerati sono oggetto di studio accurato nella loro natura, giacitura, origine e distribuzione. È spiegata la genesi delle brecce a frammenti angolosi di lave saldati, intercalate a quelle del circo principale di esplosione, e della terra tufacea giallastra, pure con frammenti di lave, ricoprente la parte esterna del vulcano. Essa è dovuta probabilmente a grandi alluvioni di breve durata, e a tale opinione parve inclinasse lo Scacchi, il quale però la confuse con i conglomerati alluvionali di Ye- nosa, che sono inferiori alla grande massa dei depositi vulturini. L’esame degl’inclusi è fatto sulla scorta dei lavori del Fon- seca, dello Scacchi e del Lacroix. In generale gl’inclusi di roccie sedimentarie, provenienti dal Fly.scm eo-miocenico e dal Pliocene sono poco o nulla alterati. Non se ne osservano con certezza di sedimenti più antichi dell’Eocene, il che può spiegarsi col fatto che le esplosioni avvennero a un livello molto elevato. Fra quelli cristallini ce ne sono certamente appartenenti a forme di consolidazione granitiche dello stesso magma; ma l’autore, per analogia con i fatti osservati sul Somma, crede che taluni di questi inclusi, a elementi minuti e friabili, possano essersi generati al contatto del magma con roccie di piani anche più bassi del- l’Eocene. Chiarita la natura dei materiali costituenti il Vulture, il dott. De Lorenzo esamina il modo secondo il quale sono disposti per formarne la compagine. Lo studio della tettonica del vul- cano e della genesi della sua forma è fra i migliori di questa monografìa. Un’ esposizione efficace, delle sezioni dimostrative e delle fotografìe panoramiche ben riuscite danno un concetto chiaro della struttura, dell’aspetto e dell’origine del monte. Il Vulture è un vulcano continentale formatosi dentro una preesi- stente vallata pleistocenica a fondo ineguale, il che ne spiega CXLVIII RELAZIONE DELLA COMMISSIONE GIUDICATRICE l’irregolarità della base. La dosimetria del cono centrale è dovuta ad esplosioni eccentriche. L’autore spiega anche la causa del modo di disposizione dei materiali eruttati dal cratere di- stoma di Monticchio, ammettendo che l’asse eruttivo di questo fosse inclinato a N.-E. Egli crede inoltre che nella base del Vulture si sia prodotto un piccolo bacino d’insaccamento per causa del peso dei materiali eruttivi accumulati e del conse- guente vuoto formatosi sotto. Per giustificare tale ipotesi, che è stata fatta per altri vulcani, il De Lorenzo adduce dei fatti positivi, come l’altezza dell’orlo della base sedimentaria intorno al monte e la posizione dei conglomerati a grandi elementi vul- canici. A questo insaccamento egli attribuisce l’origine e lo svuotamento del lago pleistocenico di Venosa, come diremo più sotto. Il De Lorenzo s’intrattiene anche dell'origine dei terremoti vulturini. D’accordo con Scacchi e Palmieri, non li crede vul- canici, secondo invece ritenne il Deeke: ma, più razionalmente, li considera come funzione regionale delle dislocazioni che crea- rono la base sedimentaria. Nel terzo capitolo è descritta l’orografia del vulcano. E fatto rilevare il lavorio di denudazione e di successiva deposizione dell’acqua meteorica e di quella delle sorgenti. III. I laghi. La terza parte della monografia del dottor De Lorenzo è la più originale e la meglio condotta e serve a completare l’altra importante pubblicazione di lui sulle Reliquie dei grandi laghi pleistocenici nell’ Italia meridionale, 1897. Il prete Tortorella, morto nel 1837, aveva ammesso che ì tufi vulcanici della collina di Melfi si fossero depositati in un piccolo bacino d’acqua dolce; ma nessuno aveva avuto sospetto dei grandi laghi pleistocenici di Vitalba o di Atella e di Ve- nosa, nè aveva saputo convenientemente chiarire il fatto dei materiali vulcanici del Vulture distesi fin oltre Palazzo S. Ger- vasio. L’autore lo ha spiegato col provare l’ esistenza di quei due notevoli bacini lacustri. Egli ne dà una illustrazione estesa e compiuta. Descrive i terreni che ne formano la conca, i con- glomerati alluvionali a blocchi vulcanici del fondo e i sedi- menti, composti di pozzolane, tufi vulcanici con avanzi di pa- chidermi e manufatti litici, e di marne e calcari intercalati. DEL QUINTO CONCORSO AL PREMIO MOLON CXLIX Quivi ha trovato Dreissmsice e altri molluschi terrestri e lacu- stri, che enumera. L’origine dei laghi, della quale ha già parlato nel capitolo sulla tettonica, é attribuita all’azione della massa del vulcano. Questo sbarrò la valle pleistocenica preesistente in modo da far nascere a monte il lago di Vitalba. A valle le acque super- ficiali continuarono a scorrere verso oriente, dando origine al conglomerato a grandi elementi vulcanici. Sopra di essi si formò il grande bacino lacustre di Venosa, prodotto daH’abbassamento della base del vulcano nella regione Réndina e non da un solle- vamento della valle verso Palazzo S. Gervasio. Continuando però l’insaccamento della base del Vulture, le acque del lago furono obbligate a defluire in senso contrario, verso occidente, come oggi scorre la fiumara di Venosa, finché con l’opera erosiva della sponda finirono col cagionare lo svuotamento del lago. L’importanza dell’argomento per la geologia dell’Italia me- ridionale e la eccellente illustrazione con profili e fotografie rendono molto utile e attrattiva la lettura di questa terza parte del lavoro. IV. Il Vulcanismo. L’autore fa rilevare l’ importanza del vapor d’acqua come agente principale di eruzione ed emette l’ipotesi che il Vulture, lontano dal mare, sia dovuto ad eruzioni provocate dall’ infiltrazione dell’ acqua di straordinarie piogge quaternarie. Egli entra quindi in una serie di considerazioni teoriche sul vulcanismo, nelle quali prodiga troppo, quella eru- dizione letteraria e filosofica che fa di lui uno dei più colti giovani geologi italiani e per mezzo della quale crede di dover venire a conclusioni sconfortanti per la scienza positiva. La monografia è chiusa da un breve riassunto ed è accom- pagnata da una nitida Carta geologica a colori nella scala di 1:100.000, nonché da una Cartina in quella di 1:1.000.000 per indicare la distribuzione dei ghiacciai, laghi e vulcani quater- nari della Lucania. La Carta geologica fa desiderare un rileva- mento dell’area del vulcano in proporzioni maggiori; però essa, rispetto alle vecchie Carte di Abich e di Scacchi e a quella più recente del Deecke, rappresenta un grande progresso per una più esatta e razionale determinazione di età dei terreni sedi- CL RELAZIONE DELLA COMMISSIONE GIUDICATRICE mentali e indicazione di limiti e per le nuove e varie distin- zioni stratigrafiche e litologiche elle vi sono introdotte. Il lavoro del dott. De Lorenzo ha certamente il difetto della pletora dell’esposizione, troppo carica anche di citazioni let- terarie; ma esso è senza dubbio il prodotto di un forte in- gegno, dotato di spiccate attitudini per i lavori geologici, dal quale molto può attendere la geologia italiana. I risultati otte- nuti nell’ esame della base sedimentaria e delle sue relazioni con i materiali eruttivi; in quello della tettonica del vulcano e della genesi della sua forma; lo studio dei laghi pleistocenici di Vitalba e di Venosa e le eccellenti illustrazioni mettono questa monografia tra le più importanti presentate al concorso. Essa ha soprattutto il merito di aver fatto conoscere un vulcano, che, nonostante i lavori precedenti, rimaneva ancora geologicamente quasi ignoto. III. Olinto Marinelli. Descrizione geologica dei dintorni di Tarcento in Friuli. La Memoria del Marinelli è composta di 64 pagine defi- nitivamente stampate e 34 in bozze ; ma questa parte pre- sentata al concorso corrisponde a poco più della metà dell’in- tero lavoro, come afferma l’ autore in una lettera esplicativa diretta ai membri della Commissione giudicatrice. La monografia è accompagnata da una Carta geologica a colori nella scala di 1:100.000, uno schizzo orografico allo stato di bozza, tre tavole paleontologiche a fotografia e una di sezioni. Il lavoro comincia con una rapida rassegna degli studi pre- cedenti sulla regione esaminata; dà quindi la descrizione geo- logica, della quale sono presentati solo quattro capitoli. Nel primo è studiata la serie triassica, che viene divisa in due gruppi (Raibliano e Dolomia principale). Vi si accenna anche al dubbio dell’esistenza del Retico e del Lias inferiore. Nel secondo si fa un esame accurato della serie giurese e della cretacea, descrivendone prima i sedimenti con facies di DEL QUINTO CONCORSO AL PREMIO MOLON CL1 cefalopodi e poi quelli con facies di camacee. Appartengono alla prima i calcari selciferi variegati, sovrapposti alla Dolomia prin- cipale (nei quali l’autore crede siano rappresentati il piano con Asjoidoceras acantMcum oppure il Titonico) e i pochi lembi di Sca- glia rossa, che attribuisce alla Creta media e superiore. Egli non esclude punto che nella regione studiata ci sia il Titonico; ma non riesce stabilire se nei calcari selciferi giuresi ci siano i due piani citati sopra o solamente l’ uno o l’ altro. Riteniamo però che 1’esistenza del Titonico ad Ospedaletto sia certa, perchè i fossili raccoltivi dal prof. Teliini, donati poi all’Ufficio geolo- gico, lo dimostrano. L’autore fa uno studio minuto dei calcari della seconda fa- cies. Egli rileva la serie nell’elissoide del M. Bernardia, grazie alle incisioni del Torre e del Cornappo, e stabilisce sette oriz- zonti locali, uno inferiore con Itieria e Diceras, rappresentante il Giurese superiore, e gli altri cretacei. Per determinare l’età di questi livelli, i cui fossili sono speciali del Friuli o del Veneto, il Marinelli li mette in confronto con quelli che è possibile rilevare nei territori adiacenti. Fondandosi essenzialmente sulle osser- vazioni dei professori Taramelli, Pirona, Boehm, Futterer e Sta- die, egli fa un esame comparativo delle formazioni cretacee del Friuli, del Veneto, dell’Istria e della Dalmazia e costituisce così una serie di orizzonti dei quali cerca, come può, di chiarire il posto cronologico. Come abbiamo detto, il più basso orizzonte friulano a camacee spetta, secondo l’autore, al Titonico o forse a un piano appena più antico. La stessa età crede che abbiano i calcari con Ellipsactinidi della regione fra l’Arzino e il Tagliamento, ritenuti come proba- bilmente cretacei dal Teliini; ma la dimostrazione che il Mari- nelli ne dà è insufficiente. Gli altri livelli appartengono all’In- fracretaceo e al Cretaceo. Base della classificazione dell’autore è la determinazione di un orizzonte costante di scisti e calcari bituminosi che paragona a quello ittiolitifero di Monte Santo (Gorizia), riferito al Cenomaniano per gli studi del Kramberger- Gorjanovic'. Il fatto più importante di questo tentativo di or- dinamento dei terreni cretacei è l’attribuzione delle faune del Col di Schiosi e della Bocca di Crosis (Friuli), al Turoniano infe- riore (malgrado le conclusioni del Douvillé e le savie osserva- CLII RELAZIONE DELLA COMMISSIONE GIUDICATRICE zioni del prof. Parona) perchè superiori all’orizzonte bituminoso ritenuto cenomaniano, e inferiori a quello con Hippurites cfr. gi~ ganteus. creduto del Turoniano superiore. La classificazione proposta dal Marinelli è la prima che viene tentata con tanta estensione pel Cretaceo friulano. Essa però non sempre è fondata su basi sicure, perchè in vari casi non sono ben note le relazioni dei membri delle singole serie tratte in esame e in altri è dubbia la corrispondenza delle suddivi- sioni dei vari gruppi, come lo stesso autore riconosce. Forse un confronto delle serie dei dintorni di Tarcento, del Col di Schiosi e della Bocca di Crosis con quella del Col di Medea, studiata però in base a nuove osservazioni, avrebbe meglio schia- riti i loro rapporti di quanto si poteva ottenere con l’esame com- parativo di località relativamente lontane. Intanto all'attribuzione della fauna del Col di Schiosi al Turoniano inferiore fa contrasto il riferimento di essa al Cenoma- niano inferiore sostenuto recentemente dal dott. Schnarrenberger, in un lavoro dove, del resto, sono varie affermazioni inesatte sulla cronologia del Cretaceo italiano. Tutto questo consiglia di essere cauti nel tentare per ora dei paragoni tra i nostri calcari con rudiste e camacee e nel proporre classificazioni. Il prof. Marinelli tratta quindi delle relazioni tra le due facies dei terreni giuresi e cretacei e presenta uno schizzo della loro distribuzione. Egli nsserva che i limiti delle formazioni ete- ropiche corrispondono alle più importanti pieghe della regione. Nel capitolo terzo è studiata in modo speciale la serie eoce- nica. Vi sono stabiliti cinque principali livelli, che vengono de- scritti in modo compiuto, col sussidio di estese liste di fossili. Come ha fatto pel Cretaceo, l’autore tenta un paragone dell’Eo- cene dei dintorni di Tarcento con quello del resto del Friuli, dellTstria, della Dalmazia, del Trevigiano, del Bellunese, del Yicentino e del Veronese. Infine cerca di stabilire il sincronismo tra la serie nummulitiea friulana e quella delle principali re- gioni del bacino mediterraneo, per venire alla conseguenza che i livelli da lui stabiliti corrispondono alle divisioni principali del Calcare grossolano del bacino di Parigi. Il Marinelli, rilevando che in generale mancano nel bacino mediterraneo i rappresentanti dei piani più antichi dell’Eocene, DEL QUINTO CONCORSO AL PREMIO MOLON CL1II crede di potere spiegare questo fatto con l’ammettere una discor- danza tra i più alti strati della Creta e i calcari nummulitici o con l’ipotesi che le faune mediterranee siano trasmigrate du- rante l’Eocene inferiore nei bacini dell’Europa settentrionale, per causa di mutamenti climatologici, nel qual caso i comuni criteri per stabilire sincronismi esatti fra i terreni delle due ragioni sarebbero fallaci. Questa ipotesi poco probabile manca del neces- sario sviluppo; del resto anche il Suessoniano è indicato con buone ragioni in alcune terre circummeditarranee. La costata- zione del fatto della lacuna che tanto spesso si osserva nei territori mediterranei tra la Creta e l’Eocene è formulata dal Marinelli in modo improprio. Egli stabilisce infatti che nella massima parte di essi c’è discordanza tra la Creta e l’Eocene, inten- dendo dire che vi si osserva un hiatus, mentre tutti gli autori che si sono occupati di tale importante questione più esattamente affermano che c’è bensì un hiatus, ma una concordanza di stra- tificazione. Nel capitolo quarto è studiata la tettonica delle Prealpi Giulie occidentali. È impossibile di riassumere qui l’analisi fatta dall’au- tore. Egli determina una serie di pieghe anticlinali e sinclinali, diritte o rovesciate, complicate di pieghe-faglie; degli ampi elis- soidi e un rovesciamento delle formazioni eoceniche lungo il margine della pianura friulana, al quale dà il nome di rovescia- mento pedemontano. Una serie di sezioni disposte sopra un’unica tavola chiariscono la composizione e la struttura della regione esaminata. L’autore mostra la spiccata tendenza teorica ad escludere l’intervento di faglie propriamente dette nello spiegare delle anomalie tettoniche. Così nei casi in cui il prof. Taramelli e il Futterer ammettono l’esistenza di tali fratture per chiarire il contatto anormale di due terreni, egli ricorre all’opera di pieghe- faglie. Or, tutto sta a vedere se per la ragione studiata al con- cetto di faglia nel senso proprio sia sempre preferibile quello di piega-faglia, il che non sembra, come p. es. nel caso della frattura di Aviano. Crediamo però che abbia ragione l’autore quando esclude le fratture ammesse principalmente dal Futterer per spiegare la supposta grande profondità dei laghi Lepisini, la quale, secondo quest’ultimo, sarebbe di 800-900 m., mentre CLIV RELAZIONE DELLA COMMISSIONE GIUDICATRICE gli scandagli hanno provato al Marinelli che quella del lago di S. Croce giunge a in. 34 e a 56,5 quella del lago Morto. Infine il Marinelli determina l’età del corrugamento oro- genico e fa qualche cenno di storia orografica della regione in esame. Il lavoro qui rimane incompiuto. Mancano il capitolo quarto, nel quale, secondo scrive l’autore nella lettera di cui si è par- lato avanti, sono studiate le formazioni continentali ed è pro- vata l’esistenza di due serie glaciali nell’ amfìteatro morenico friulano, e il quinto, che serve ad esaminare i rapporti tra la tettonica e l’orografia. Mancano anche tutto il testo della parte paleontologica, che l’autore dice senza importanza, e la spiega- zione delle tre tavole relative. In tali condizioni non è possi- bile di emettere un giudizio esatto e compiuto sulla monografia in relazione con gli altri lavori presentati al concorso; però la Com- missione constata che la Memoria del Marinelli è importante per le varie notizie date sopra una regione finora non bene conosciuta; per la dimostrazione dell’esistenza del Giurese nel- l’elissoide del M. Bernardia; per avere stabilita una serie mi- nuta nella Creta e nell’Eocene e determinato l’andamento delle pieghe principali. IV. Picenus. Descrizione geologica dell’Umbria centrale. È una grossa monografia di 235 pagine manoscritte, divise in tre volumi di formato protocollo, abbondante di osservazioni originali, ma non scevra di ripetizioni, sicché riesce difficile di darne un riassunto breve. Essa comincia con un cenno generale sull’orografìa dell’Um- bria centrale e con una importante rassegna dei lavori geologici relativi a questa regione e all’Appennino centrale; quindi dà la descrizione geologica, che è divisa in tre capitoli. Nel primo sono studiati i terreni mesozoici dei monti Tezio e Malbe, dei quali è descritta estesamente l’orografia. L’autore DEL QUINTO CONCORSO AL PREMIO MOLON CLV esamina gli affioramenti del Calcare massiccio e vi distingue l’Infralias, l’Ettangiano e il Lias inferiore. Non crede vi si trovi il Trias superiore, che è invece indicato nell’ Appennino centrale. Per ragione dell’esiguo spessore che il Calcare massiccio mostra nel Tezio ritiene che si possa escludere in questo monte l’esistenza dell’Infralias. L’Ettangiano è teoricamente indicato in alcuni strati di calcare grigio-cupo o nerastro con sezioni di dubbie bivalvi megalodontiformi, giacente in concordanza sul Retico. I calcari del Sinemuriano sono divisi dall’autore in due gruppi, dei quali il superiore non è nettamente separabile dal Lias medio, salvo che sul versante S.-E. del M. Tezino. Il Lias medio è rappresentato da calcari biancastri strati- ficati, nei quali l’autore ha trovato un solo frammento di Arie- ticeras, genere che meglio sarebbe chiamare Seguenziceras Levi. Il così detto Rosso ammonitico è molto fossilifero nel Tezio e nel Malbe ed è costituito dal Toarciano e dall’Aleniano, dei quali Picenus dà estesi elenchi di fossili, anzi egli inserisce nel testo le fotografìe di tre cefalopodi del primo e una tavola, con figure anche fotografiche, di parecchi altri comuni del secondo. La serie giurese è così costituita : Giura inferiore (Bajociano, Batoniano, Kellowiano); Giura medio (Oxfordiano e Sequaniano) ; Giura superiore (Kimmeridgiano). Il Giura inferiore, indicato in pochi strati di calcare biancastro senza fossili, è distinto solo per analogie con altri calcari dell’ Appennino centrale. Al Giura medio sono attribuiti gli Strati con Aptychus , costituiti di dia- spri e calcari compatti o scistosi varicolori, ritenuti finora del Titonico inferiore, e al Kimmeridgiano la parte inferiore della Majolica, nella quale ha rinvenuto solo un frammento di Pe- risphinctes. L’appartenenza degli Strati con Aptychus dell’Umbria cen- trale all’Oxfordiano non si può ritenere, almeno per ora, dimo- strata, tanto più che non conosciamo quale parte del Titonico sia compresa in quella parte della Majolica inferiore ; nè molto meno è dimostrata l’affermazione eccessiva di Picenus che tutti gli Strati con Aptychus della Toscana, con lo stesso tipo lito- logico e la stessa fauna di quelli umbri, siano pure con cer- tezza da riferire al Giura medio. Del resto egli crede lo stesso per quelli dell’Appennino centrale e della Lombardia. Se così CLVI RELAZIONE DELLA COMMISSIONE GIUDICATRICE fosse, anche gli strati simili della Calabria (Rossano) e della Sicilia sarebbero oxfordiani. La massima parte dei fossili degli Strati con Aptychus si raccolgono, è vero, in orizzonti giuresi un po’ più bassi del Kimmeridgiano ; ma sono anche comuni nel Titonico ; è anche vero che buone ragioni fanno credere al- l’esistenza di vari livelli giuresi nel cosi detto Bosso con Aptici di Lombardia; però il Mariani e il Corti indicano nella parte superiore di questo anche una fauna certamente titonica. Ma se pur non fosse così, è certo, secondo gli autori, che per al- cuni gruppi di Strati con Aptychus si verifica precisamente quella condizione che Picenus crede dimostrativa per indicare il Giura superiore: essi sono infatti legati da intime relazioni stra- tigrafiche con l’Infracretaceo, come avviene nelle Alpi Apuane e a Monsummano (Zaccagna, Meneghini) e in Sicilia. Non inten- diamo negare che ci possano essere in Italia Strati con Apty- chus giuresi più antichi del Titonico ; ma le conclusioni troppo generali dell’autore non sono accettabili in quella forma. Stabilita questa serie, Picenns trae la conseguenza che nel Giurese dell’ Umbria centrale non vi sono nè lacune, nè tra- sgressioni. Il sistema cretaceo è anche suddiviso in modo minuto. L’au- tore non vi ha trovato fossili che eccezionalmente; sicché la sua classificazione è fondata in modo essenziale sopra analogie litologiche o di posizione con i sedimenti cretacei dell’Appennino centrale, i quali tuttavia hanno bisogno di essere ancora studiati. Su queste basi egli presenta una serie composta dei seguenti gruppi, piani e sottopiani, così compiuta come mai si è riusciti finora di rilevare in Italia: Infracretaceo (Majolica superiore, nella quale è compreso il Barremiano e TAptiano); Albiano (Scisti policromi con fucoidi); Cenomaniano o Calcare ippuritico (Cal- cari bianchi senza fossili, equivalenti, secondo Picenus , a quelli che nel Suavicino, nelle Marche, fornirono al prof. Canavari un esemplare di Badiolites finora non determinato); Turoniano in- feriore (Scisti neri selciferi, bituminosi, con calcari bianchi); Turoniano superiore e Senoniano inferiore (Calcare rosato); Se- noniano superiore, parte inferiore, ossia Campaniano ( Scaglia rosata ); Senoniano superiore, parte superiore, ossia Dordoniano ( Scaglia cinerea) ; Daniano dubbio (Pisciar o inferiore ). DEL QUINTO CONCORSO AL PREMIO MOLON CLVII L’autore non crede, che la Scaglia cinerea sia eocenica. Col nome di Bisciaro inferiore l’autore indica pochi metri di cal- cari alberesiformi, intercalati nella parte superiore di detta Sca- glia. Egli è convinto che tali strati siano cretacei, perchè vi ha rinvenuti gli stessi fucoidi della Scaglia cinerea ; mentre rico- nosce l’età eocenica del Bisciaro urbinate e metaurense. Picenus non circonda la sua minuta serie cretacea con le necessarie riserve ; nondimeno essa è da ritenere come provvisoria in buona parte fino a quando altri studi sulTOmbria e sull’Àp- pennino centrale non ne avranno saggiato il valore. Però sono molto lodevoli gli sforzi fatti dall’autore per tentare di suddivi- dere il Griurese e il Cretaceo umbro, servendosi degli elementi che ha avuti a disposizione. L’autore per mezzo di questa serie esclude anche che nel Cretaceo umbro e appenninico ci siano lacune e trasgressioni. Come le sue affermazioni sulla compiuta mancanza di lacune e trasgressioni in tutto il Mesozoico umbro siano conciliabili con quelle contrarie dell’ing. B. Lotti, potranno solo dirlo i lavori venturi. Il Lotti scrive (Boll. d. B. Comit. geol., voi. XXX, 1899) che al C. Tanella gli scisti con fucoidi (Albiano di Picenus) stanno sul Retico; tra il M. Tezio e il M. Tezino il calcare rosso (Tu- roniano superiore e Senoniano inferiore di Picenus) poggia su quello fossilifero del Lias superiore ; tra il M. Tezino e il M. Ci- vitella gli Strati con Aptychus (Oxfordiano e Sequaniano di Picenus) giacciono sul Lias inferiore; sul M. Nero la Scaglia rossa (Campaniano di Picenus) sta sul Lias, ecc. Era necessario che Picenus avesse discussi in modo particolare questi fatti. Nel capitolo secondo sono studiati ampiamente i terreni ce- nozoici deH’Umbria centrale. La redazione di questo capitolo è un po’ confusa ; nondimeno esso è il più importante di tutto il lavoro per le varie questioni complesse e controverse che vi sono esaminate sulla base di osservazioni originali. L’autore riesce a far comprendere quali siano i quesiti da risolvere sulla discussa serie terziaria umbra. Egli pertanto distingue i seguenti quattro gruppi principali dal basso in alto: 1. Serie mamoso-argillosa e marnoso-arenacea, in concor- danza sul Bisciaro cretaceo (Eocene inferiore e medio o Flysch suessoniano-luteziano) . CLVIII RELAZIONE DELLA COMMISSIONE GIUDICATRICE 2. Argille scagliose passanti a marne policrome, con cal- cari nummnlitici, dei quali cita molte specie (Bartoniano). 3. Calcari, brecciole ed arenarie intercalati nella parte superiore del l’insieme delle argille scagliose (Orizzonte di Pria- bona). 4. Arenarie con intercalazioni di conglomerati e puddinghe poligeniche (Orizzonte del Giovine macigno o Oligocene infe- riore). Il primo gruppo è riferito al Suessoniano e al Luteziano senza prove paleontologiche, ma solo per la sua posizione in- feriore; il secondo al Bartoniano per i fossili. Nel terzo l’au- tore ha rinvenute delle nummuliti bartoniane associate con Or- bitoidi di carattere oligocenico; per queste ragioni egli riguarda tale gruppo come appartenente al Piano di Priabona, il quale sarebbe per lui un membro di passaggio all’Oligocene. La di- stinzione di questo terzo orizzonte dal sottostante Bartoniano non sembra ben provata paleontologicamente da Picenus, perchè simili miscugli di specie sono comuni nell’Italia centrale e me- ridionale in istrati che per la loro posizione e per le nummuliti che contengono non potrebbero essere riferiti al Piano di Pria- bona. Altri studi potranno stabilire se questo gruppo sia netta- mente individuato neH’Umbria. Infine il quarto orizzonte è ri- ferito all’Oligocene, perchè, secondo Picenus, contiene un gruppo di Orbitoidi caratteristiche di quel piano. La determinazione nell’ Umbria di un gruppo di arenarie e conglomerati dell’Oligocene, corrispondenti a quelli che si osser- vano in altre parti dell’Appennino, è il fatto più importante messo in luce dall’autore e tale da servire a porre ordine nella conoscenza di quella serie terziaria, se però non sarà infirmato. Noi solo possiamo osservare, confortati anche dal parere del prof. A. Telimi, che le arenarie della sommità del M. Murlo, ritenute pure oligoceniche da Picenus, non potrebbero esser tali, perchè oltre alla Nummulites striata d’Orb. e a una Orbitoide oligocenica, distinta dal prof. Telimi, ma ancora inedita ( Ori) . Cameranoi Teli.), contengono Orb. papyracea Boubée, Num- mulites Guettardi d’Arch., N. Tchiliatcheffi d’Arch., ecc. L’autore nelle linee generali è d’accordo col Lotti nel rife- rire all’Eocene tutta la formazione marnoso-arenacea dell’Um- DEL QUINTO CONCORSO AL PREMIO MOLON CLIX bria; la divergenza principale sta in questo: il Lotti crede che il gruppo riferito al Bartoniano dall’autore sia talvolta compreso tra due arenarie eoceniche, mentre Picenus è convinto che questo fatto è un’apparenza dovuta a fratture. Per dimostrare in contraddizione col Verri, che nell’Umbria vi è un solo livello di arenarie oligoceniche, Picenus dà la se- zione geologica di tre contrafforti che si staccano dal Colle di Castelrigone, nei quali sembra che tre volte si ripetano le for- mazioni eoceniche e le arenarie da lui riferite all’ Oligocene. Però, secondo l’interpetrazione dell’autore, anche questo fatto è un’apparenza dovuta a fratture. Una buona parte del capitolo secondo è destinato all’esame della controversia sull’esistenza del Miocene in Umbria. L’autore nota che quanto il Verri e il De Angelis riferiscono al Mio- cene si divide in tre orizzonti: 1° Orizzonte con Pettini ; 2° Oriz- zonte con Lucine ; 3° Orizzonte con Pteropodi. Dopo qualche considerazione sul valore cronologico e batimetric-o di questi tre livelli, per dimostrare che quello con Lucine va unito nella stessa zona batimetrica delle Marne a coralli isolati (Verri e De Angelis) e non a quella dell 'Orizzonte a Pettini, l’autore riconosce finalmente che questo rappresenta il Miocene, e in una tavola dà le figure fotografiche di varie specie del noto giaci- mento di Tocerano presso Città di Castello, sebbene sia fuori dell’area esaminata in questo lavoro. Egli ammette però una generale discordanza del Miocene sugli strati terziari inferiori dell’Umbria, ma dobbiamo osservare che a Tocerano tale discor- danza non si rileva. V Orizzonte con Pteropodi è da Picenus riferito senza dubbi all’Eocene medio, per la posizione che occupa. L’autore non crede che i Pteropodi indicativi siano bastevoli per fissare l’età di un terreno. Anch’egli discorre del poco valore cronologico di questi molluschi; ma su tale argomento, importante per la geologia italiana, fa, dal lato paleontologico, una discussione che, per mancanza di sviluppo, non riesce molto persuasiva. Picenus studia tutti gli strati che il Verri e il De Angelis hanno riferiti al Miocene, corredando spesso la sua esposizione con dei profili schematici, e afferma di aver sempre trovato dell’Eocene nei luoghi studiati, salvo dei massi sporadici di Cai- CLX RELAZIONE DELLA COMMISSIONE GIUDICATRICE care sabbioso con l'ecten. Così egli intende diversamente dal Verri la struttura dei terreni terziari dei Monti eugubini, del M. Bagnolo (gruppo del Tezio), del M. Facciano, del Fosso Piazzo di Volpe a ovest del M. la Guardia, del M. Morcino- vecchio a ovest di Perugia (Verri e De Angelis), uel qual luogo lia trovato blocchi di Calcare a Petiini nel Pliocene, delle col- line di Prepo (Verri e De Angelis >, ecc. Tutte queste osserva- zioni potranno dar luogo a non poche controversie, (piando sa- ranno pubblicate ; ma esse dimostrano che l’autore ha una estesa conoscenza della regione descritta. Picenus fa anche un esame speciale della serie dei Monti derutani e bevanati (Sistema delle Ci vitelle), negandovi resi- stenza del Miocene: in quella serie marnoso-arenacea con Pte- ropodi non vede che dell’Eocene inferiore e medio. Egli presenta una sezione dei monti di Deruta, mettendola in paragone con quella del Verri, per dimostrare che interpetra in modo diffe- rente dal Verri e dal De Angelis la struttura di quel gruppo. Per l’autore il Calcare con Lucine del Poggio S. Lorenzo (De- ruta) non è l’avanzo di una lente intercalata nelle marne con Pteropodi: quel calcare, secondo lui, sta sopra le argille con marne policrome del Bartoniano, che gli autori precedenti non videro. Riconosce però che la posizione di tal calcare rispetto all’Oligocene ( Giovine macigno ), non è chiara. L’autore con- chiude che per ora la questione dell’età del Calcare con Lucine non è risolvibile, dipendendo dallo studio degli altri omotipici del resto d’Italia. Egli però inclinerebbe a credere tale oriz- zonte come oligocenico e aggiunge che le condizioni di giaci- mento del calcare della cava di Poggio S. Lorenzo non esclu- dono che possa esser tale. In una tavola Picenus presenta le fotografie di vari mol- luschi AeW Orizzonte con Lucine dell’Umbria; ma di questi fos- sili indica o la sola determinazione generica o il gruppo specifico al quale appartengono. Nel quarto paragrafo del capitolo secondo l’autore si occupa delle formazioni plioceniche lacustri, citandone i caratteri pa- leontologici e descrivendone estesamente la composizione e la distribuzione. DEL QUINTO CONCORSO AL PREMIO MOLON OLXI Infine sono esaminati i terreni neozoici, nei quali comprende le alluvioni, distinte in pleistoceniche, antiche e recenti, i de- triti di falda, i travertini, i coni di dejezione e le frane antiche. Il terzo capitolo tratta della tettonica ed è importante, ma poco bene illustrato. L’autore stabilisce che il M. Tezio, il M. Malbe e il sistema delle Civitelle costituiscono dei sistemi anticlinali; la valle del Tevere, il piano di Assisi e la depressione del Pe- rugino meridionale delle sinclinali; i monti di Preggio, di Castel- rigone e Magione, di Vergnano e il gruppo di quelli di Agello dei sistemi uniclinali. Il Malbe e il Tezio sono spezzati in vario modo da fratture longitudinali, trasversali ed oblique, il che spiega la loro struttura complessa. Noteremo che anche pel Verri il M. Tezio è un elissoide molto fratturato. Un riassunto della storia orografica umbra chiude la mono- grafia. La Carta geologica a colori che accompagna il lavoro è nella scala di 1:25.000 e comprende poco più di 1000 kmq. di terreno. Essa, a dir vero, manca di molti di quei particolari che possono richiedersi in un rilevamento in quelle proporzioni. Le minute distinzioni di piani indicate nel testo non vi sono spesso più mantenute, come anche l’autore fa notare, aggiun- gendo che la sua è una Carta geognostica, più che geologica. Le fusioni di vari membri in uno, se in alcuni casi di esiguo spessore sono giustificate, vanno però un poco troppo oltre per una Carta al 25.000. Pertanto sono riuniti in unica tinta, ri- spettivamente, Infralias e Sinemuriano inferiore; Sinemuriano superiore e Lias medio; Giura superiore e Infracretaceo; Al- biano, Cenomaniano e Turoniano inferiore; Turoniano superiore (non distinto nel testo dal Senoniano inferiore) e Campaniano; Dordoniano e Daniano incerto. La monografia di Picenus mostra le tracce di una redazione affrettata ; ma nel contenuto ha molta importanza, perchè rap- presenta un poderoso tentativo di sintesi geologica di una re- gione di cui non si avevano nè una descrizione generale, nè una Carta. Intorno a queste il valente autore ha speso molto lavoro e molto ingegno e va quindi incoraggiato per poterle mi- gliorare. clxii RELAZIONE DELLA COMMISSIONE GIUDICATRICE V. Anonimo (distinto dal motto: Vagliami il lungo studio e il grande amore). Il Monte di detona c i suoi fossili. Studio geologico < pa- leontologico. Abbiamo dette avanti le ragioni per le quali la Commis- sione non ha potuto esaminare la parte paleontologica di questo volume. Essa è accompagnata da ventitré tavole fotografiche di cefalopodi e occupa 345 pagine sopra le 39t> che costituiscono tutto il lavoro. Si tratta quindi nell’insieme non di uno studio geologico, come richiedevano le condizioni del concorso, ma di una estesa monografia paleontologica con una prefazione geologica relati- vamente breve. Però quest’ultima, corredata di molte sezioni e di Carta, illustra la geologia di una montagna importante e ha il diritto di essere ammessa al concorso. L'autore vi fa in principio la rassegna dei lavori che in modo diretto o indiretto si occupano della geologia del Monte di Cetona e delle sue acque termali; però gli sfugge quello dell ing. B. Lotti ( Relazione dei rilevamento geologico eseguito in Toscana nel 1894. Boll. d. R. Com. geol. 1895), nel quale sono esposte con particolari le condizioni geologiche e tettoniche del monte e, con tre sezioni parallele, è messo in evidenza il rovescia- mento della serie, contemporaneamente al Simonelli, ma in modo più compiuto. Egli dà quindi la descrizione geologica, nella quale studia assai bene il Retico, il Lias, il Malm, l’Eocene, il Miocene, il Pliocene, il Post-pliocene, il Quaternario e le alluvioni della pianura in mezzo alla quale scorre l’Astrone. Dei piani sono indicati tutti gli affioramenti, i caratteri litologici e paleonto- logici. Sono importanti le considerazioni fatte dall’autore sulla serie Massica, nonostante che i fossili da lui studiati siano stati rac- colti promiscuamente nel suolo e che egli non abbia potuto ese- guire escavazioni speciali per ripartire le specie secondo i già- DEL QUINTO CONCORSO AL PREMIO MOLON CLXII1 cimenti. Il Lias è completo e l’autore ne cita e ne esamina le fanne estesamente, come finora non era stato fatto per quella regione. Nel Lias inferiore sono indicate le due divisioni del Sinemuriano della Toscana, cioè i calcari ceroidi bianchi e i sovrapposti rossastri o grigi ( Calcari ammonitiferi inferiori di Savi e Meneghini). L’autore crede che nei primi siano contenute le zone dal Letico a quella con Arietites Bucklandi Sow. sp.; nei secondi quelle più alte del Lias inferiore (Z. con A. obtusus Sow. sp., Z. con Ox. oxynotus Quenst sp., Z. A. raricostatus Ziet. sp.). Egli ritiene però che nei calcari rossi toscani sia contenuta anche una porzione della parte inferiore del Lias medio. Il Lias medio, del quale riporta molti cefalopodi, è rappre- sentato dalle zone superiori e, per i suoi caratteri, serve a ri- legare i terreni liassici toscani con quelli dell’Umbria. L’esistenza del Titonico nel Monte di Cetona (diaspri e cal- cari con Aptychus ), messa in dubbio dal Lotti, è ben provata dall’autore. Il Miocene medio viene indicato per la prima volta in un lembo di brecciola calcarea con Clypeaster. Il Pliocene, che ricinge il monte, è descritto minutamente ne’ suoi membri, che l’autore, nonostante la loro sovrapposizione, crede siano diffe- renti facies di uno stesso piano, per causa di osservazioni fatte in altri luoghi. Non esclude però che per i calcari con Amphi- stegina e per quelli con litotamni si possa giustificare una di- stinzione cronologica dagli altri membri di quel Pliocene. I travertini del Monte di Cetona sono attribuiti dall’autore al Post-pliocene, che l’autore intende come intermedio tra il Pliocene e il Quaternario. In questo colloca la terra rossa, che copre la superficie di alcuni ripiani e riempie le cavità dei cal- cari dellTnfralias e del Lias. Il riferimento di quegli abbon- danti travertini ad un piano intermedio tra il Pliocene e il Qua- ternario non è abbastanza dimostrato, tanto più che la terra rossa potrebbe appartenere alle parti più elevate del Quater- nario o essere recente. La tettonica del monte è illustrata con molta chiarezza ed evidenza. L’autore, per mezzo di dodici sezioni parallele, ben disegnate e colorite, fa osservare che il Monte di Cetona è co- CLXIV RELAZIONE DELLA COMMISSIONE GIUDICATRICE stituito di un’anticlinale, normale e fratturata a sud e rovesciata nelle parti media e settentrionale della regione. Nel rovescia- mento sono compresi i terreni dal Retico all’Eocene. Il passag- gio della piega anticlinale normale a quella rovesciata si fa per mezzo di un’altra elicoidale, che l’autore ha osservato tra le regioni Cancelli e Fonterucola. Una sezione da N. a S. serve per compire la conoscenza della struttura del Monte di Cetona. La Carta geologica a colori annessa al lavoro è accurata e bene eseguita. I fatti stratigrafici e tettonici indicati nel lavoro esaminato sono quasi tutti contenuti in riassunto nella Nota dell’ing. Lotti, della quale abbiamo parlato. La determinazione delle due di- visioni del Lias inferiore, quella del Miocene e gli argomenti per rimuovere i dubbi sull’esistenza del Titanico appartengono all’autore. Questo lavoro ha il pregio di aver dati esatti criteri paleontologici per la determinazione dei piani e di essere con- dotto con lodevole chiarezza e sobrietà di forma. Se esso, per originalità ed estensione, non può reggere al confronto di altri presentati al concorso, è sempre però la descrizione più com- piuta del Monte di Cetona e un’ottima prefazione per la mo- nografia di quei cefalopodi. VI. Anonimo (distinto dal motto: Mutai enim cetas totius mundi naturavi). Studio geologico del gruppo delle Vette (Regione a nord- ovest di Fcltre). È un volume manoscritto di pagine 201, diviso in due parti. Nella prima è data la descrizione geologica e tettonica; nella seconda sono riunite le osservazioni paleontologiche. Alla descrizione geologica è premesso un conciso esame della bibliografia relativa al gruppo montuoso delle Vette presso Feltre e alle regioni circostanti. Nel secondo capitolo della prima parte è descritta l’orografia del territorio studiato, che forma un alti- piano originato da un’anticlinale, interrotta a nord da una frat- DEL QUINTO CONCORSO AL PREMIO MOLON CLXV tura e ripiegantesi in sinclinale al sud. Vi sono anche esami- nati l’opera della degradazione, l’origine dei valichi (cavalade) per demolizione delle roccie e i rapporti tra i caratteri morfo- logici dei monti e la natura dei materiali che li costituiscono. Degli schizzi a penna e delle fotografìe ben riuscite illustrano questo capitolo. Quindi è studiata la tettonica, sulla cui interpetrazione c’è disaccordo tra il prof. Tara nielli e il Mojsisovics, poiché mentre il primo spiega l’apparente discordanza degli strati a sud con l’ammettere l’esistenza di una piega distrutta e poi mascherata da frane, il secondo intende chiarirla col supporre una frattura. L’autore ha esaminata di nuovo la questione e ha potuto pro- vare, confermando le idee del prof. Taramelli, che i terreni liassico-giuresi e cretacei costituenti il gruppo delle Vette, oriz- zontali o quasi sull’altipiano, si piegano a sud e a nord in un’ar- dita curva a ginocchio, difficile a rintracciarsi, perchè profonda- mente erosa. Questo fatto è reso evidente dall’autore per mezzo di sezioni in grande scala e di fotografìe dimostrative. Il quarto capitolo è destinato alla descrizione stratigrafìca. L’autore con attente ricerche ha ottenuti risultati che costitui- scono un grande progresso nella conoscenza geologica delle Vette. In una regione, la cui stratigrafia era stata solo deli- neata a grandi tratti, egli ha potuto individuare, oltre i depo- siti glaciali, l’ Eocene, il Cretaceo, il Giurese e il Lias. Nel Cretaceo distingue la Scaglia e un gruppo inferiore con Crioceras Duvali e Holcostephanus Astierianus. Egli dice di non aver potuto stabilire nettamente l’età di questa parte infe- riore; tuttavia avrebbe potuto dare indicazioni più precise, perchè tale associazione di specie è quella del livello con Crioceras Duvali (Hauteriviano). Del Giura era stato già indicato solo il Titonico, ma in via generale; l’autore ha invece trovati ricchi giacimenti fossiliferi, che non solo dimostrano bene 1’esistenza del Titonico, ma anche q uella dei piani Kimmeridgiano, Oxfordiano, Batoniano e Bajociano. La descrizione di questi piani è fatta con semplicità di stile, senza inutili e prolisse discussioni. Di ognuno sono indicate le specie principali, mentre nella parte paleontologica del lavoro sono poi riportati gli elenchi completi dei fossili. XI CLXVI RELAZIONE DELLA COMMISSIONE GIUDICATRICE Anche importante è lo studio delle suddivisioni della serie liassica. Egli, prendendo a tipo il profilo del Coston delle Vette, distingue nel Lias le seguenti zone, dall’alto al basso: 1° Zona con Ludwigia Murchisonae Sow. sp. — 2° Zona con Lioceras opalinum Rein. sp. — 3° Zona con Lytoceras jurense Ziet. sp. e Posidonomya Bromi/ Woltz sp. — 4° Zona con Hildoceras bifrons Brug. sp. — 5° Zona con Harpoceras faìciferim Sow. sp. — 6° Zona fillitiea. Come si vede, l'autore fa terminare il Lias con la zona a Lud. Murchisonae. Egli studia con molta cura tre sezioni e viene alla conseguenza clic mentre ad ovest del territorio studiato gii strati si succedettero regolarmente, ad est si formò una breccia sopra la zona con Lud. Murchisonoe; invece il passaggio è re- golare tra questa e quella con Lioc. opalinum. Qui l’autore di- scute la questione dei limiti tra il Lias e il Giura e dichiara di accettare le idee del Vacek, perchè corrispondono ai fatti osservati nella regione delle Vette. Avrebbe potuto aggiungere però che la questione è risolvibile in modo differente secondo i luoghi. La zona fillitiea , che è la più bassa di quel Lias, è rappre- sentata da calcari marnosi con piante. L’autore non è sicuro che corrisponda a quella di Rotzo nei Sette Comuni, sebbene gli sembri che quest’ultima vada a sfumare in quella delle Vette; ma egli si propone di fare altri studi per chiarire tali rapporti. Le zone Massiche distinte sono tutte di esiguo spessore (qual- cuna si riduce a in. 0.25): tuttavia l’autore ne indica spesso anche le suddivisioni. La Posid. Bronni è indicata da lui nella zona più alta di quel Toarciano (Z. con A. jurense), la cui esi- stenza viene dimostrata solo per mezzo di tre specie, di cui una è dubbia. I eefalopodi citati in questo lavoro nella zona con Harp. falciferum sono comuni a quella con Hild. bifrons in Inghilterra e altrove. Questi fatti e quello che fino ad ora sono falliti i tentativi di suddividere il Toarciano italiano in varie zone, fanno temere che l’autore abbia ricercato una corrispon- denza teorica con la serie liassica extralpina; però la Commissione non ha argomenti di osservazione locale per poterlo affermare. Il Lias medio è diviso in tre orizzonti che sono i seguenti, dall’alto al basso : 1° Calcari giallastri, compatti o scistosi con Daonellce; 2° Calcari bianchi con piccoli Pecten; 3° Calcari DEL QUINTO CONCORSO AL PREMIO MOLON CLXV1I oolitici bianchi con Harpoceras alyovianum Opp., ArmUheus margarìtatus Montf. sp. e brachiopodi. L’autore scrive dunque di aver trovato delle Daonelle nella parte superiore del Lias medio ; ma su tali fossili non dà, nè quivi, nè nella parte paleontolo- gica speciale, sufficienti notizie. Vanno rilevate le osservazioni fatte dall’autore nei dintorni di Sospirolo, che è fuori dell’area esaminata. Egli ha rinvenuto in posto la fauna descritta dal prof. Uhlig e si è convinto che essa appartiene al Lias medio. Riconosce però che l’Uhlig, in- sieme con le specie di questo piano, ne descrisse altre del Lias inferiore. Il Lias inferiore, in istrati orizzontali come il medio, è for- mato di calcari grigi con selce, ed è ricco di fossili, fra i quali YArietites geometricus. Esso ha molta analogia con quello di Hierlatz e con quello a brachiopodi di Taormina. L’Infralias è in- dicato in una dolomia farinosa, talvolta bituminifera con molti fossili di determinazione non sicura. E dubbio se una dolomia cristallina, che affiora nella valle di S. Martino, rappresenti il Trias superiore. L’autore sussidia la dimostrazione di questi fatti, che sono osservati da lui per la prima volta, con sezioni, fotografie pa- noramiche e una Carta geologica a colori nella scala di 1 : 10.000, ingrandita su quella rilevata al 25.000. Essa comprende un ter- ritorio di circa 25 kmq. Nella seconda parte è dato con ordine l’elenco dei fossili di tutti i piani, con le principali notizie bibliografiche, e una succinta indicazione dei caratteri specifici essenziali. Su otto tavole sono rappresentati da fotografie e da qualche schizzo a penna molti dei fossili citati, segnatamente cefalopodi e bra- chiopodi. Le determinazioni sono in generale esatte ; talvolta però lasciano in dubbio per l’insufficienza del numero delle figure e delle indicazioni date nel testo, che è necessariamente troppo laconico. Sono spesso figurati dei tipi d’importanza secondaria e trascurati altri, specialmente del Lias, che era utile di rappre- sentare. Questo catalogo ragionato dei fossili non ha punto il carattere di una monografìa paleontologica speciale, ma quello di osservazioni complementari ; nondimeno l’autore avrebbe fatto meglio se si fosse limitato a figurare ed illustrare però in modo CLXVIIt RELAZIONE DELLA COMMISSIONE GIUDICATRICE compiuto solo le specie più importanti della ricca collezione da lui raccolta, riportando per intero gli elenchi dei fossili nella parte geologica. Le leggiere mende che abbiamo indicate non diminuiscono il molto valore di tutto il lavoro. L’eliminazione dei dubbi sulla tettonica del gruppo delle Vette, la determinazione e lo studio speciale delle serie giurese e basica e il fatto delle abbondanti faune che ne sono state tratte fuori, dimostrano che le accu- rate ricerche dell’autore hanno molta importanza per la geologia di quel gruppo e del Veneto in generale. La monografia esami- nata, per la sobrietà e la chiarezza dell’esposizione, pel modo elegante e dimostrativo con cui illustra la parte geologica, si può riguardare come la meglio condotta. CONCLUSIONI. La Commissione constata con soddisfazione che è stato pre- sentato al concorso un gruppo di dieci ottimi lavori. Fra gli otto che, rispondenti alle condizioni richieste, poterono essere giudicati in relazione al conseguimento del premio, emergono, per maggiore importanza, originalità e vantaggio recato alla geologia italiana, i seguenti: G. De Lorenzo, Studio geologico del Monte Vulture, 1900. — Picenus, Descrizione geologica del- V Umbria centrale. — Anonimo, Studio geologico del gruppo delle Vette ( regione a nord-ovest di Feltrò). I primi due illustrano territori più estesi e investigano que- stioni più complesse ; il terzo studia un territorio relativamente ristretto ; ma i risultati ottenuti con esso non sono meno impor- tanti per la geologia del Veneto, mentre per la concisione e la semplicità dello stile tal lavoro è modello lodevole ed imitabile. Pertanto la Commissione giudicatrice propone che il Premio Molon pel 1901 sia diviso in parti eguali fra gli autori di queste tre monografie. Brescia, 7 settembre 1901. Torquato Taramelo Dante Pantanelli Giovanni Di-Stefano, relatore. SULLE POLVERI SCIROCCALI CADUTE IN ITALIA NEL MARZO 1901 Comunicazione dell'ing. Enrico Clerici Esaminai dapprima micrografìcamente e microchimicamente la polvere sciroccale caduta in Roma il 10 marzo scorso e da me raccolta in parecchi punti della città: quindi, allargando il mio studio e mercè la cortesia del dott. Palazzo direttore del- l’Ufficio centrale di meteorologia, che mi procurò i campioni, esaminai la polvere e l’acqua di pioggia caduta in altre parti d’Italia: (Urgenti, Mineo, Trapani, Palermo, Taranto, S. De- metrio Corone, Picerno, Casamicciola, Isernia e Modena. Ebbi pure a mia disposizione molti altri campioni di polveri cadute, specialmente in Sicilia, nell’ultimo ventennio (*), e, come termini di confronto, vari campioni di sabbie del deserto di Sahara. E grazie alla ospitalità gentilmente accordatami dal prof. Giorgis nel laboratorio di chimica della R. Scuola d’Applicazione degli Ingegneri potei compiere alcuni saggi quantitativi sulle polveri stesse. (l) Date e località seguenti: 17. V. 1879 Palermo; 7. Vili. 85 Ter- mini Imei-ese; 9. II. e 20-21. V. 86 Palagonia; 15. III. 86 S. Maria di Leuca; 7. III. e 11. VI. 86 Termini; 1-2. VI. 86 Perugia; 18. V. e 7. X. 87 Palagonia; 4. Ili e 4. Vili. 88 Termini; 17. V. 88 Palagonia; 27.11.89 Palagonia; 27-28. II. 89 Terranova di Sicilia; 14. V. 89 Massa Carrara; 14. V. 89 Novi Ligure; 15. V. 89 Parma; 1. VI. 89 Termini; 11. V. 93 Termini; 28. III. 94 Termini; 7. III. 98 Castellaneta; 6-7. III. 98 Cata- nia; 6-7. III. 98 Girgenti; 11. III. 99 Vico Garganico: 23. III. 99 Termini. Sorprende che al ripetersi di un fenomeno tanto frequente la stampa quotidiana e parte de’ naturalisti continui ad adoperare denominazioni che risentono troppo delle superstizioni medioevali. CLXX E. CI.ERICI Le conclusioni preliminari del mio studio sono le seguenti: Tutte le polveri sciroccali italiane hanno presso a poco lo stesso colore giallognolo volgente al rossastro (‘): contengono gli stessi minerali, le stesse diatomee, e tra queste prevalgono quelle specie denominate da Ehrenberg (5) Gallimella granulata e Discoplea atmosphaerica che appartengono, la prima, al genere Melosira e, l’altra, parte a Gyclotella parte a Stephanodiscus (cfr. St. astraea ) (3). Il loro colore non è dovuto a speciali organismi o più ge- nericamente alle materie organiche che contengono, come avevano concluso taluni predecessori, ma agli ossidi di ferro allo stato di ematite e di limonite. Infatti si ravviva per l’azione del calore; persiste se le polveri si fanno digerire in acido nitrico fumante. Le polveri sciroccali contengono particelle magnetiche con certezza determinabili come magnetite. Gli stessi minerali delle polveri sciroccali si riscontrano nelle sabbie del deserto di Sahara. Talune diatomee delle polveri sciroccali e particolarmente quelle già ricordate, esistono in un campione di posatura d’acqua raccolto in Egitto presso le piramidi. Nella mia collezione ho anche preparati di un saggio lacustre preso presso Oar-es-Sa- laam nel quale è frequente la Melosira granulata insieme ad altre specie ed a spicele di potamospongie. A questo riguardo spero di poter giungere in possesso di altri materiali diatomei- feri più concludenti. Un particolare molto interessante, che non trovo menzionato neppure dall’Ehrenberg che per ben trent’anni studiò le polveri atmosferiche, è che le polveri cadute all’asciutto nel marzo di quest’anno a Roma, a Isernia e a Trapani erano conglutinate e conformate in pallottoline. (') Quando non sono miste a materiali locali, che fanno volgere il colore al cenerognolo oppure al bruno. (s) Vedasi spec. Passatstaub und Bìutregen. Ein grosses organisches unsichtbares Wirken und Leben in der Atmosphàre. Abandl. d. k. Akad. d. Wissensch. zu Berlin. J. 1847. Berlin, 1849 — Uebersicht der seit 1847 fortgesetzten Untersuchungen uber das von der Atmosphàre unsichtbar getragene reiche organisclie Leben. Ibid. J. 1871. Berlin, 1872. (3) Vi ho veduto anche foraminifere e spicule di spugne. POLVERI SCIROCCALI CADUTE IN ITALIA CLXXI Tali palline si disgregano immediatamente al contatto del- l’acqua: restano inalterate nell’alcool assoluto, nell’etere, nel cloroformio, nel benzolo, nello xylolo, nella trementina. Fanno un po’ d’effervescenza cogli acidi, per la calcite che special- mente contengono in minutissimi romboedrini di sfaldatura. Calcinate conservano la loro forma, perdono però fino a circa Fotomicrografia della polvere sciroccale caduta in Roma il 10 marzo 1901 (ingrand, lineare 33). il 20 °/0 del loro peso (materie organiche, acqua igroscopica, 3-5 °/0, e combinata, etc.), assumono un colore rossastro più vivace e non sono più disgregabili dall’acqua. Determinata, colla boccetta, la densità delle palline di Roma calcinate trovai 2,4966 a 18° C. Ho fatto molte preparazioni ciascuna col materiale di una sola pallina e in tutte vi si trova almeno mezza dozzina di diatomee con qualche frammento di spicule di spongiari (tal- volta certamente potamospongie). CLXXII E. CLERICI Ho fatto anche sezioni sottili di palline per verificare se i vari granali, di svariatissime dimensioni, componenti le singole palline, vi fossero disposti secondo una regola qualsiasi. Evaporando la goccia d’acqua in cui siansi stemperate alcune palline si ottengono sempre cristalli cubici di cloruro di sodio e in maggior quantità monoclini di solfato di calcio idrato (gesso ■: lo stesso avviene con l’acqua di lavatura della sabbia del de- serto. Colle reazioni microchimiche vi si può constatare cloro, potassio, sodio, calcio e magnesio ed acido solforico. Goccioline di acqua che cadano sopra un materiale polve- rulento vi possono generare delle pallottoline, ma questa spie- gazione non vale al caso presente perchè, almeno in Roma, le palline caddero belle e formate. Sorge spontanea un'altra spiegazione. La colonna d’aria che, nei pressi del Sahara, od anche del deserto arabico (’), aspor- tava la parte più sottile delle sabbie mobili si raffreddava nel- l’ascesa provocando la condensazione del vapore acqueo favorita dai granuli del pulviscolo'; i quali cosi inumiditi potevano, nel rimescolio atmosferico, agglutinarsi e, per l’adesione di succes- sivi elementi, costituire le palline che la corrente sciroccale spinse verso l’Italia. Per via avvenne anche una selezione; infatti le palline ca- dute a Trapani sono molti) più grosse di quelle cadute ad Isernia e queste di quelle cadute a Roma. La polvere più fina potè ( 1 ) L’opinione che le polveri sciroccali abbiano origine dal deserto di Sahara e regioni limitrofe è condivisa da molti: il fenomeno sarebbe determinato da perturbazioni cicloniche dell’atmosfera. Altri seguono quella di Ehrenberg (v. op. cit.), il quale suppose resistenza di un anello di polveri sospese nelle alte regioni dell'atmosfera da tempo incalcola- bile per effetto della rotazione della terra. Infine vi è ancora chi le ritiene di origine cosmica. Dei resti organici delle polveri taluni sono fossili, altri provengono verosimilmente da posature disseccate e pur facile preda del vento. Quanto ai fossili, é noto che in parecchi punti del deserto si tro- vano sciolti fra le sabbie. Rammento poi gli ostracodi caduti in abbon- danza or son tre anni presso Lione (Lortet: Chute de crustacés ostra- codes fossile-s observée à Oullins, pr'es Lyon, le 24 sepfembre 1898. Comptes rendus, voi. 127, pag. 1231). POLVERI SCIROCCALI CADUTE IX ITALIA CLXX1II essere trasportata molto più lontano, e, a quanto dicesi, anche in Germania. In modo analogo le ceneri vulcaniche lanciate nell’atmosfera durante l’eruzione, possono agglutinarsi e cadere in forma di palline. Infatti ne ho trovate nelle ceneri del Krakatoa Cadute a Batavia nell'agosto 1883 (’). Un altro particolare che recherà meraviglia si è che nel ma- teriale da me raccolto al Pincio in Roma (?), oltre alle palline identiche a quelle raccolte in altri punti della città, vi erano delle pallottoline nere lucenti fortemente magnetiche. È noto che altre volte si rinvennero nel pulviscolo atmosferico palline ma- gnetiche e si attribuì loro un’origine metoritica o cosmica (3). La particolare posizione del luogo mi fece sospettare altra origine; infatti posso ora affermare dopo la girandola che si incendia al Pincio in occasione della festa dello Statuto, che siffatto spettacolo pirotecnico disperde nell’atmosfera una rilevante quan- (r) Il diametro di tali palline é di 428 a 900 y. In un campione che posseggo di quelle raccolte al Vesuvio, sulla lava del Mauro nel 1822, le palline hanno per diametro da 468 a 2400 y. (2) Altre cadute di polveri sciroccali con o senza pioggia furono già avvertite in Roma. Ricordo qui quelle del 20-21 febbraio 1861, del 28 febbraio- 1° marzo 1866, del 13 febbraio 1870. Un saggio della polvere del febbraio 1864 fu presentato dal padre Secchi aH’Accademia pon- tificia dei nuovi Lincei, ed il Ponzi «osservò, che quelle sabbie, supposte africane dal p. Secchi, dietro le apparenze, potrebbero essere di origine subappennina » (v. tomo XVII, pag. 216). Il Ponzi dipoi pubblicò su questo argomento una nota: Sopra una pioggia di sabbia caduta presso Roma nella notte dal 21 al 22 febbraio 1864 (Atti Acc. pont. nuovi Lincei, v. XVII, 1863-64, pag. 320-22. Roma, 1864). (3) Vedasi per es. Tissandier G., Sur V existence de corpuscules ferru- gineux et magne tiques dans les poussières atmospliériques. Comptes rendus, voi. 81, 1875, pag. 576 (con figure). Tissandier G., Analyse microg raphique comparative des corpuscules ferrugineux atmospliériques et de fragments de'tachés de la surfa.ee des météorites. Comptes rendus, voi. 83, 1876, pag. 76 (con figure). Tissandier G. et Meunier Stan., Présence de spliérules inagnétiques, analogues à ceux des poussières atmospliériques, dans des roclies appar- tenant aux anciennes périodes géologiques. C. r., voi. 86, 1878, pag. 450. Silvestri O., Sopra un pulviscolo meteorico contenente abbondante quantità di ferro metallico, piovuto a Catania la notte dal 29 al 30 marzo 1880. Atti R. Acc. Lincei, Trans., voi. IV, 1880, pag. 163 (con figura). CLXXIV B. CLERICI tità — ed io ne ho buona provvista — di palline di ossido di ferro magnetico. La forma delle palline sciroccali è prossimamente sferica; le più grandi, però, specialmente di Trapani, sono un po' de- presse da una parte e vi presentano talvolta una specie di uni- bilico. La superficie è sempre scabra e vi si scorgono dei puntini scuri, meglio visibili bagnando le palline coi liquidi clic non le disgregano. Mediante setacciai di seta ho fatto una separazione per grandezze. Fra le palline cadute in Roma, le più grosse misu- rano fino a 390 a; ma sono pochissime quelle che superano i 300 \).. Un grande contingente è dato dalle palline con diametro compreso fra 200 e 269 rescia raccolti dal prof. G. Pagazzoni . . lxxxix III. Cermen ati M. — Considerazioni e notizie relative alla storia delle scienze geologiche ed a due precursori bresciani . . xeni IV. NicÒlis E. — Successione stratigrafica nella porzione orien- tale dell'anfiteatro morenico del Garda cxxxiv V. — Relazione della Commissione giudicatrice del quinto Con- corso al premio Molon, scaduto il 31 marzo 1901. . . . cxxxvii VI. Clerici E. — Sulle polveri sciroccali cadute in Italia nel marzo 1901 clxix. VII. — Resoconto sommario delle escursioni fatte nei dintorni di Brescia clxxix La tavola Y posta alla (ine ilei presente fascicolo (leve essere allegata alla meni, del prof. Cacciamali: Osservazioni geologiche sulla regione tra Villa Cogozzo ed Urago Mella. pubblicata nel 3° fascicolo. Finito di stampare il 31 dicembre 1901. Il Bollettino della Società Geologica Italiana si stampa in fascicoli trimestrali. Il Presidente responsabile : Carlo Fabrizio Parona.