V ' (occ- AtfNO XXI. Fascicolo 1° (1° e 2° trimestre 1902). BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. XXI — 1902 ROMA TIPOGRAFIA DELLA PACE DI F. CUGGIANI Via della Pace N. 36 1902 BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. XXI — 1902 ROMA TIPOGRAFIA DELLA PACE DI F. CUGGIANI Via della Pace N. 35 1902 ; . I : . ;.?< i : I. SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA MENTE ET MALLEO fondata in Bologna il 29 settembre 1881 Consiglio direttivo per l’armo 1902 Presidente Giovanni Capellini (Bologna). 1902. Vice-Presidente . . . Antonio Verri (Roma) 1902. Segretario Enrico Clerici (Roma). 1901-1903. Vice-Segretari .... 1 Camillo Crema (Roma). 1902. 1 Paolo Vinassa de Regny (Bologna). 1902. Tesoriere-Economo . Augusto Statuti (Roma). 1900-1902. Archivista Antonio Neviani (Roma). 1900-1902. Consiglieri Luigi di Rovasenda (Sciolze). \ GlUSEPPEDELoRENZO(NapolÌ). f Vittorio Matteucci (Napoli), t l9°°~902- Romolo Meli (Roma) . ... ] Ernesto Mariani (Milano) . \ Luigi Baldacci (Roma) . . . r G. Batta Cacciamali (Brescia), i I9OI_9°3- Carlo Fornasini (Bologna) . 1 Giovanni Di Stefano (Roma). ] Torquato Taramelli (Pavia), f Dante Pantanelli (Modena). ^ I9°2-9°4- Niccolò Pellati (Roma). . . ] Commissione per le pubblicazioni . . Il Presidente J Il Segretario , (prò tempore ) Il Tesoriere 1 Commissione del bi- lancio Giovanni Aichino 1 Mario Cermenati > 1902. Romolo Ragnini ' Sede della Società: Roma, Via S. Susanna, i A, presso il R. Ufficio geologico. IV ELENCO DEI PRESIDENTI. — ELENCO DEI SOCI. Elenco dei Presidenti succedutisi annualmente dalla fondazione della Società in poi. 1881-82. Giuseppe Meneghini 1883. Giovanni Capellini 1884. Antonio Stoppani 1885. Achille De Zigno 1886. Giovanni Capellini 1887. Igino Cocchi 1888. Giuseppe Scarabelli 1889. Giovanni Capellini 1890. TorquatoTaramelli 1 89 1 .Gaetano G.Gemmellaro 1892. Giovanni Omboni 1893. Arturo Issel 1894. Giovanni Capellini 1895. Igino Cocchi 1896. Carlo De Stefani 1897. Dante Pantanelli 1898. Francesco Bassani 1899. Mario Canavari 1900. Niccolò Pellati 1901. Carlo Fabrizio Parona. Elenco dei Soci per Panno 1902 S. A. R. Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi Acclamato socio onorario per deliberazione unanime nell’adu- nanza generale in Acqui del 16 settembre 1900. Soci perpetui. 1. Quintino Sella (morto a Biella il 14 marzo 1884). Fu uno dei tre fondatori della Società, e venne, per il primo, annoverato tra i soci perpetui per deliberazione una- nime nell’adunanza generale tenutasi dalla Società il 14 set- tembre 1885 in Arezzo. 2. Francesco Molon (morto a Vicenza il i° marzo 1885). Fu consigliere della Società, alla quale legava con suo testamento la somma di Lire 25,000; venne iscritto fra i soci perpetui per deliberazione unanime nell’adunanza ge- nerale del 14 settembre 1885 in Arezzo. 3. Giuseppe Meneghini (morto a Pisa il 29 gennaio 1889). Per i suoi insigni meriti scientifici venne acclamato socio perpetuo nell’adunanza generale di Savona il 15 settem- bre 1887. 4. Felice Giordano (morto a Vallombrosa il 16 luglio 1892). Fu uno dei tre fondatori della Società, e venne iscritto tra i soci perpetui per deliberazione unanime nell’adunanza generale tenutasi a Taormina il 2 ottobre 1891. 5. Giovarmi Capellini , senatore del Regno. E uno dei tre fondatori della Società, e venne iscritto tra i soci perpetui per deliberazione unanime nella adunanza gene- rale tenutasi in Taormina il 2 ottobre 1891. ELENCO DEI SOCI V Soci a vita. 1884. 1 Bargagli cav. Piero. Via de’ Bardi, palazzo Tempi. Fi- renze. 1881. Bombicci prof. comm. Luigi. R. Università. Bologna. 1881. Cocchi prof. comm. Igino. Via de’ Pinti, 51. Firenze. 1901. De Dorlodot chan. prof. Henri. Université catholique. Louvain (Belgio). 1881. Delaire ing. chev. Alexis. Boulevard St. Germain, 135. Paris. 1890. Dell’Oro comm. Luigi (di Giosuè ). Via Silvio Pellico, 12. Milano. 1894. Ferraris ing. comm. Erminio , Direttore della miniera di Monteponi. Iglesias. 1881. Hughes prof. cav. Thomas Mac Kenny. University. Cambridge (Inghilterra). 1890. J ohnston-Lavis dr. Henry. Beaulieu (Alpes Maritimes, Francia). 1884. io Levat ing. David. Rue de Printemps, 9. Paris. 1881. Mattirolo ing. Ettore. R. Ufficio geologico. Roma. 1881. Mayer Eymar prof. Carlo. Scuola politecnica. Zurigo. 1881. Niccoli ing. comm. Enrico. Via dell’Indipendenza, 54. Bologna. 1882. Paulucci marchesa Marianna. Villa Novoli. Firenze. 1881. Pélagaud doct. Elisée. Chàteau de la Pinède, Antibe (Alpes Maritimes, Francia). 1895. Roselli ing. Emanuele. Via del Fosso, 1. Livorno. 1882. Silvani dott. Enrico. Via Garibaldi, 4. Bologna. 1886. Stephanescu prof. Gregorio. Universitat. Bukarest (Ru- mania). 1882. 19 Tiircke ing. John. Ufficio dell’Acquedotto. Bologna. Soci ordinari. 1894. Aichino ing. Giovanni. R. Ufficio geologico. Roma. 1898. Air aghi dott. Carlo. Magenta (Robecco sul Naviglio). 1899. Aldinio prof. Pasquale. R. Scuola normale. Lagonegro (Basilicata). 1 Primo anno di associazione. VI ELENCO DEI SOCI 1891. 1892. 1899. 1886. 1898. 1896. I9O2. 1 88 1 . 1 890. 1881. 1901. 1883. 1897. 1885 1900. 1898. 1892. 1885. 1902. 1885. 1897. 1896. 1882. 1893. 1901. '897* 1901 . 1885. 1884. 1891 . 1 889. 1897. Ambrosioni sac. dott. Michelangelo. Chignolo d’ Isola (Bergamo). Angelelli ing. Ettore. Via Bonella, 9. Roma. Anseimo ing. Michele. Capo uff. distretto minerario. Carrara. Antonelli dott. don Giuseppe. Circo Agonale, 14. Palazzo Doria. Roma. Antonelli-Giordani Giuseppe. Corso, 307. Roma. Arcangeli prof. Giovanni. R. Orto botanico. Pisa, io Audenino prof. Lodovico. R. Liceo. Chieri (Torino). Baldacci ing. cav. Luigi. R. Ufficio geologico. Roma. Baratta dott. Mario. Voghera (Pavia). Bassani prof. cav. Francesco. R. Università. Napoli. Bellini dott. Raffaele. R. Museo geologico, Palazzo Ca- renano. Torino. Berti dott. Giovanni. Via S. Stefano, 43. Bologna. Bettoni dott. Andrea. Piazza Museo, 6. Brescia. Biagi prof. Giuseppe. R. Scuola tecnica. Spezia. Bianchi prof. Aristide. R. Liceo. Chieri (Torino). Biblioteca civica. Bergamo. 20 Bonarelli prof, conte Guido. Gubbio (Umbria). Bonetti prof, don Filippo. Via della Pigna 6. Roma. Bonomini rev. Giovanni. Memmo (Brescia). Borgnini ing. comm. Secondo. Direzione generale fer- rovie della Rete Adriatica. Firenze. Bortolotti prof. Emma. Viale Po, io. Roma. Bosco cap. dott. Camillo. Tribunale militare. Firenze. Botti avv. comm. Ulderigo. Reggio di Calabria. Botto Micca dott. prof. Luigi. R. Scuola tecnica. Ven- timiglia. Bo^otti dott. Gaetano. Via S. Celso, 13. Milano. Brambilla prof, don Giovanni. Arciprete. Cingia dei Botti (Cremona). 30 Broggi ing. Ettore. Corso Venezia, 31. Milano. Brugnatelli dott. prof. Luigi. Museo mineralogico, R. Uni- versità. Pavia. Bruno prof. cav. Carlo. R. Istituto tecnico. Mondovì. Bucca prof. Lorenzo. R. Università. Catania. Cacciamali prof. Giovanni Battista. R. Liceo. Brescia. Caetani (dei principi) don Gelasio. Palazzo Caetani. Via Botteghe oscure. Roma. ELENCO DEI SOCI vn 1898. 1883. 1881. 1899. 1892. 1883. 1896. 1896. 1896. 1882. 1890. 1895. 1896. 1887. 1 900. 1901. 1 882. 1882. 1886. 1883. 1899. 1895. 1893. 1881. 1890. 1895. 1 900. 1882. 1895. 1902. 1899. Caffi dott, sac. Enrico. Piazza Cavour, io. Bergamo. Canavari prof. Mario. Museo geologico, R. Università. Pisa. Capacci ing. cav. Celso. Via Vaifonda, 7. Firenze. Capeder prof. Giuseppe. R. Scuola normale femminile. Potenza. 40 Carape\\a ing. Enterico. R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri. Palermo. Cardinali prof. Federico. R. Istituto tecnico. Macerata. Carmignani ing. Giovanni. Pisa. Carniccio prof. Antonio. R. Università. Roma. Castoldi ing. Alberto , deputato al Parlamento. Diret- tore Miniere Montevecchio. Guspini (Cagliari). Cattaneo ing. comm. Roberto. Via Ospedale, 51. Torino. Cermenati dott. Mario. Via Cavour, 238. Roma. Cerulli Irelli dott. Serafino. Teramo. Cettolini prof. cav. Sante. R. Scuola d'enologia. Cagliari. Charlon ing. E. Rue Pierre Duprèt, 25. Marsiglia. 50 Checchia dott. Giuseppe. Museo geologico, R. Università Roma. Chìabrera dott. conte Cesare. Acqui. Chigi Zondadari march. Bonaventura , senatore del Re- gno. Siena. Ciofalo prof. Saverio. Termini Imerese (Palermo). Clerici ing. prof. Enrico. Via del Boccaccio, 21. Roma. Cocconi prof. comm. Girolamo. R. Università. Bologna. Colomba dott. Luigi. R. Museo Mineralogico. Palazzo Carignano. Torino. Conedera ing. Raimondo. Massa Marittima (Grosseto). Corsi ing. Arnaldo. Via Vaifonda, 34. Firenze. Cortese ing. Emilio. Rio marina (Elba). 60 Corti dott. Benedetto. R. Collegio Rotondi. Gorla Mi- nore (Milano). Crema ing. dott. Camillo. R. Ufficio Geologico. Roma. Dainelli dott. Giotto. Via La Marmora, 12. Firenze. D’ Achiardi prof. cav. Antonio. R. Università. Pisa. D’ Achiardi dott. Giovanni. R. Museo mineralogico. Pisa. Dal Lago dott. Domenico. Valdagno (Verona). Dal Pia\ dott. Giorgio. Museo geologico, R. Università. Padova. VIJI ELENCO DEI SOCI IpOO. 1898. 1893. 1883. 1891. 1893. l88l. 1895. 1883. 1886. I9OO. l88l. 1886. 1892. 1881. 1899. 1900. 1882. 1895. 1892. 189O. l88l. 1899. 1881. ! 883 . 1885. 1896. 1901. D’Anna ing. cav. Salvatore. Ufficio genio civile. Ci- vitavecchia. Dannenberg doct. Arturo , Prof, an der kgl. technische Hochschule. Aachen (Prussia renana). De Alessandri dott. Giulio. Museo civico. Milano. 70 De Amicis prof. Giovanni Augusto. R. Liceo Balbo. Ca- sale (Piemonte). De Angelis d’ Ossat dott. Gioacchino. R. Università. Roma. Deecke prof. Wilhelm. Universitat. Greifswald (Prussia). De Ferrari ing. cav. Paolo Emilio. Capo del distretto minerario. Bologna. De Franchis dott. Filippo. Galatina (Lecce). De Gregorio Brunaccini dott. march. Antonio. Molo,. 128. Palermo. Del Bene ing. Luigi. Corso Garibaldi, 39. Spoleto. Del Campana dott. Domenico. R. Museo geologico. Piazza S. Marco, 2. Firenze. Delgado cav. Joaquim Philippe Nery. Rua do Arco a Jesus, 1 1 9. Lisbona. Dell' Erba ing. prof. Luigi. Via Trinità maggiore, 6. Napoli. 80 De Lorenzo prof. Giuseppe. Museo mineralogico, R. Uni- versità. Napoli. Del Prato dott. Alberto. R. Università. Parma. Dei-Zanna dott. Pietro. Poggibonsi (Siena). De Marchi dott. Marco. Borgonuovo, 23. Milano. Demarchi ing. comm. Lamberto. Via Napoli, 65. Roma. De Pian ing. cav. Luigi. Laurium (Grecia). De Pretto dott. Olinto. Schio (Vicenza). Dervieux sac. Ermanno. Via Massena 34. Torino. De Stefani prof. Carlo. Piazza S. Marco, 2. Firenze. De Stefano dott. Giuseppe. Via Aschenz. Reggio Ca- labria. 90 Dewalque prof. off. Gustave. Rue de la Paix, 17. Liège. Di Rovasenda cav. Luigi. Sciolze (Torino). Di Stefano dott. cav. Giovarmi. R. Ufficio geologico. Roma. Dompè ing. Luigi. R. Ufficio minerario. Caltanissetta. Etna cav. Silvio, tenente colonnello 5.0 regg.0 Alpini. Milano ELENCO DEI SOCI IX 1896. Fabani don Carlo. Valle di Morbegno (Sondrio). 1893. F abrini dott. prof. Emilio. Castelfiorentino (Firenze). 1902. Fantappiè dott. prof. Liberto. Via Mazzini, 4. Viterbo. 1898. Fatichi cav. not. Nemesio. Borgo degli Albizi, 9. Fi- renze. 1900. Filippi dott. Domenico. Camerino (Marche). 1894. 100 Fino prof. Vincenzo. Via Arsenale, 33. Torino. 1897. Flores prof. Edoardo. R. Scuola normale femminile L. Bassi. Bologna. 1888. Foldi prof. cav. Giuseppe. Piazza Paleocapa, 2. Savona. 1901. Forma Ernesto. R. Museo geologico, Palazzo Carignano, Torino. 1881. Fornasini dott. cav. Carlo. Via Lame, 24. Bologna. 1892. Franchi ing. Secondo. R. Ufficio geologico. Roma. 1890. Franco prof. Pasquale. Corso Vittorio Emanuele, 386. Napoli. 1902. Frassetto dott. Fabio. R. Museo Geologico. Palazzo Ca- rignano. Torino. 1890. Fucini dott. Alberto. R. Museo geologico. Pisa. 1898. Galdieri dott. Agostino. Via Stella, 94. Napoli. 1891. no Galli prof. cav. don Ignazio, direttore dell’Osservatorio fisico-meteorologico. Velletri. 1882. Gemmellaro prof. comm. Gaetano Giorgio. Senatore del Regno. R. Università. Palermo. 1895. Giacomelli dott. Pietro. S. Giovanni Bianco (Bergamo). 1891. Gianotti dott. Giovanni. R. Scuola normale. Pavia. 1902. Giattini Giovanni Battista. Cingoli (Macerata). 1900. Gnocchi dott. Alessandro. R. Scuola normale. Oneglia (Porto Maurizio). 1887. Go^i ing. Giustiniano. Cesena. 1892. Greco dott. Benedetto. R. Liceo. Cuneo. 1899. Hassert doct. Kurt. Universitat. Tiibingen (Germania). 1881. Issel prof. comm. Arturo. Via Gropallo, 3. Genova. 1881. 120 Jervis prof. cav. Guglielmo. Via Principe Tommaso, 30 Torino. 1883. Lais sac. prof. Giuseppe. Vicolo del Malpasso, 1 1. Roma. 1889. Lanino ing. comm. Giuseppe. Via Rizzoli, 4. Bologna. 1884. Lattes ing. comm. Oreste. Via Nazionale, 96. Roma. 1882. Levi bar. Adolfo Scander. Piazza d’ Azeglio, 7. Firenze. 1896. Levi dott. Gustavo. R. Scuola tecnica. Clusone (Bergamo). 1881. Lotti ing. Bernardino. R. Ufficio geologico. Roma. X ELENCO DEI SOCI 1896. Lupi don Alessandro. Via dell’Anima, 30. Roma. 1895. Luqj dott. march. Gian Francesco. S. Severino Marche (Macerata). 1900. Maglio dott. Carlo. Piazza Borromeo, 4. Pavia. 1882. 130 Malagoli prof. Mario. R. Ginnasio. S. Remo. 1900. Mallet ing. Jacques. 8, Grande rue Mi-Carème. St. Etien- ne (Francia). 1899. Manasse dott. Ernesto. Museo mineralogico, R. Univer- sità. Pisa. 1899. Maravelli dott. Giuseppe. Cagli (Pesaro). 1895. Marengo ing. Paolo. Direttore miniere Boccheggiano (Grosseto). 1886. Mariani prof. Ernesto. Museo civico. Milano. 1900. Mariani dott. Giuditta. Viale stazione. Sondrio. 1899. Mariani dott. Mario. Camerino (Macerata). 1894. Marinelli prof. Olinto. R. Istituto tecnico. Ancona. 1900. Martelli dott. Alessandro. Vinci (Firenze). 1896. 140 Mortone prof. Michele. R. Istituto tecnico. Messina. 1892. Matteucci prof. Vittorio. Museo geologico, R. Univer- sità. Napoli. 1881. Ma\\uoli ing. comm. Lucio. \ ia S. Susanna, 9. Roma. 1881. Meli ing. prof. Romolo. Via del Teatro Valle, 51. Roma. 1883. Mercalli prof. sac. Giuseppe. R. Liceo Vittorio Ema- nuele. Napoli. 1899. Merciai dott. Giuseppe. Via della Faggiola, 3. Pisa. 1890. Meschinelli dott. Luigi. Vicenza. 1895. Me\\ena ing. Elvino. Miniera di Montevecchio, Guspini (Cagliari). 1897. Millosevich dott. Federico. R. Liceo. Benevento. 1900. Monti dott. Achille. Via Carlo Sacchi, 2. Pavia. 1899. 150 Monticolo ing. Attilio. R. Ufficio minerario. Vicenza. 1895. Mor andini ing. Bernardino. Massa Marittima (Grosseto). 1895. Morena ing. Tobia. Cantiano (Pesaro). 1895. Moretti ing. Guido. Brembate di Sotto (Bergamo). 1889. Morini prof. Fausto. Orto botanico, R. Università. Bo- logna. 1887. Moschetti ing. Claudio. Ufficio d'Arte. Saluzzo. 1890. Namias dott. Isacco. Museo geologico, R. Università. Modena. 1897. Nelli dott. Bindo. Via Fra Bartolomeo, 17. Firenze. 1883. Neviani prof. Antonio. R. Liceo E. Q. Visconti. Roma. ELENCO DEI SOCI XI 1 88 1 . Nicolis cav. Enrico. Corte Quaranta. Verona. 1888. 160 Novarese ing. Vittorio. R. Ufficio geologico. Roma. 1901. Olivetti dott. Bonaiuto.V ia Madama Cristina, 33. Torino. 1881. Omboni prof. comm. Giovanni. R. Università. Padova. 1902. Oppenheim dott. Paolo. Charlottenburg. 1901. Pagani dott. Umberto. R. Scuola normale femminile. Cosenza (Calabria). 1899. Pampaioni dott. Luigi. Via Lamarmora, 6 bis. Firenze. 1881. Pantanelli prof. cav. Dante. R. Università. Modena. 1881. Parona prof. Carlo Fabrizio. R. Museo geologico. Pa- lazzo Carignano. Torino. 1899. Pasquali cav. Alfred. Cairo (Egitto). 1892. Patroni dott. Carlo. Via Sacramento a Foria, Palazzo Schisa. Napoli. 1881. 170 Pellati ing. comm. Niccolò. R. Ispettorato delle Miniere. Via S. Susanna, 9. Roma. 1899. Pelloux ten. Alberto. Villa Caterina. Bodighera. 1893. Peola dott. prof. Paolo. R. Liceo. Aosta. 1902. Piana cav. Giuseppe. Badìa Polesine. 1901. Picasso ing. prof. Vittorio Emanuele. Via Arcivesco- vado, 1. Torino. 1891. Platania-Platania dott. prof. Gaetano. R. Liceo. Acireale. 1899. Pompei ing. Augusto. R. Ufficio minerario. Iglesias. 1895. Porro ing. Cesare. Carate Lario (Como). 1 898. Portis prof. comm. Alessandro. Museo geologico, R. Uni- versità. Roma. 1902. Praga avv. Guido. Piazza della Pigna, 6. Roma. 1902. 180 Preda prof. Agilulfo. R. Liceo. Spezia. 1091. Prever dott. Pietro. R. Museo geologico. Palazzo Cari- gnano. Torino. 1883. Ragnini cav. dott. Romolo. Capitano medico. Via Meru- lana, 130. Roma. 1899. Reichenbach ing. Arno. Scafa di S. Valentino (Chieti). 1900. Repossi dott. Emilio. Via Pindemonte, 1. Milano. 1901. Ricci dott. Arnaldo. Via Fiesolana, 3. Firenze. 1896. Ricciardelli dott. Mario. Sansevero (Foggia). 1886. Ricciardi prof. Leonardo. R. Istituto tecnico. Modena. 1894. Ridoni ing. Ercole. Miniera di Montecatini in Val di Cecina. 1885. Ristori dott. prof. Giuseppe. R. Museo paleontologico. Piazza S. Marco. Firenze. XII ELENCO DEI SOCI 1892. 190 Riva dott. Carlo. Corso Magenta, 52. Milano. 1883. Riva Palaci tenente generale Giovanni. Via S. Fran- cesco di Paola, 7. Torino 1898. Roccati dott. Alessandro. R. Museo mineralogico. Pa- lazzo Carignano. Torino. 1890. Roncalli dott. conte Alessandro. Bergamo (alta Città). 1893. Rossi dott. Guido. Via del Colosseo, 29. Roma. 1892. Rovereto march. Gaetano. Via Caffaro, 25. Genova. 1892. Rusconi sac. Giuseppe. Valmadrera (Como). 1885. Sacco prof. Federico. R. Scuola d’applicazione per gl’in- gegneri. Torino. 1881. Salmojraghi ing. prof. Francesco. Piazza Castello, 17. Milano. 1895. Salomon doct. Wilhelm. Universitat. Heidelberg (Baden). 1898.200 Samengo avv. Frane. Saverio. Lungro (Cosenza). 1890. Scacchi ing. prof. Eugenio. Via Costantinopoli, 19. Na- poli. 1881. Scarabelli Gommi Flamini conte comm. Giuseppe. Se- natore del Regno. Imola. 1898. Schaffer doct. Fran^. Rasumofskygasse n. 7. Vienna III 2 (Austria). 1885. Schneider ing. Aroldo. Montecatini in Val di Cecina. 1895. Scott Herbert. Usina Wigg. Miguel Burnier. Minas. Brasile. 1902. Segattini dott. Paolo. Pastrengo (Verona). 1881. Segrè ing. Claudio. Direzione ferrovie meridionali. An- cona. 1900. Seguen^a Luigi fu Giuseppe. Messina. 1894. Sella ing. Erminio. Biella. 1899.210 Serafini ing. cav. Giuseppe. Scheggia (Perugia). 1883. Simonelli dott. prof. Vittorio. Museo geologico, R. Uni- versità. Parma. 1881. Simoni dott. Luigi. Via Cavaliera, 9. Bologna. 1901. Small prof. James , direttore del Victoria College. Jaffna (Ceylan). 1882. Sormani ing. cav. Claudio. R. Ufficio geologico. Roma. 1882. Spezia prof. cav. Giorgio. R. Museo mineralogico. Pa- lazzo Carignano. Torino. 1896. Spire k ing. Vincenzo. Santa Fiora per il Siele (Grosseto). 1882. Statuti ing. cav. Augusto. Via Nazionale, 114. Roma. 1891. Stella ing. Augusto. R. Ufficio geologico. Roma. ELENCO DEI SOCI ini 1882. Strilver prof. comm. Giovanni. R. Università. Roma. 1898.220 Tacconi dott. Emilio. Museo geologico, R. Università. Pavia. 1899. Taeggi-Piscicelli conte Carlo. Via Pier Capponi, 15. Firenze. 1896. Tagiuri dott. Clemente Corrado. Via Roma, 34. Livorno. 1881. Taramelli prof. cav. Torquato. R. Università. Pavia. 1891. Taschero dott. Federico. Mondovì. 1883. Teliini dott. prof. Achille. R. Istituto tecnico. Udine. 1881. Tenore ing. prof. Gaetano. Via S. Gregorio Armeno, 41. Napoli. 1881. Tittoni avv. comm. Tommaso. Via Rasella, 155. Roma. 1889. Toldo dott. prof. Giovanni. R. Liceo. Fermo. 1881. Tommasi prof. Annibaie. R. Università. Pavia. 1898. 230 Tonini dott. Lorenzo. Seravezza (Lucca). 1883. Toso ing. Pietro. Via de’ Serragli, 13. Firenze. 1890. Trabucco prof. Giacomo. R. Istituto tecnico Galileo Galilei. Firenze. 1900. Traverso dott. Gianbattista. R. Stazione agraria. Mo- dena. 1901. Trentanove dott. Giorgio Morando. Luco di Mugello (Borgo S. Lorenzo, Firenze). 1882. Tuccimei prof. cav. Giuseppe. Via dei Prefetti, 46. Roma. 1896. Ugolini dott. Pietro Riccardo. Museo geologico, R. Uni- versità. Pisa. 1881. Ubidii prof. Gustavo. Via S. Egidio, io. Firenze. 1899. Vergè ing. Alessandro. Tocco Casauria (Chieti). 1882. Verri colonnello cav. Antonio. Via Aureliana, 53. Roma. 1898. 240 Viglino ing. Alberto. Stabilimento elettro-meccanico S. Anna alle Paludi. Napoli. 1893. Vinassa de Regny dott. Paolo Eugenio. Museo geolo- gico, R. Università. Bologna. 1882. Virgilio dott. prof. Francesco. R. Museo geologico. Pa- lazzo Carignano. Torino. 1883. Zaccagna ing. cav. Domenico. R. Ufficio geologico. Roma. 1902. Zamara nob. colonnello Giuseppe. Corso C. Alberto, 23. Brescia. 1881.245 Ze\i ing. cav. Pietro. R. Ufficio geologico. Roma. XIV ELENCO DEI CAMBI Elenco (lei cambi (J) Italia. Catania. — R. Accademia Gioenia di sciente, lettere, ecc. a) . Atti [anno LXIX, 1892-93]. b ) . Bollettino delle sedute [fase. XXX, 1892]. Roma. — R. Accademia dei Lincei. a) . Rendiconti della classe di se. Hs. mat. e nat. [serie 3*. voi. VII, 1882]. b ) . Rendiconti delle sedute solenni 1 1 892 1. id. — R. Comitato geologico d'Italia. a) . Bollettino |vol. I, 1870J. b) . Mem. descritt. della carta geol. d'Italia [voi. I, i886|. c) . Mem. per servire alla descr. della carta geol. d’Italia [voi. I, 1871]. d) . Carte geologiche diverse. id. — Ministero di Agricoltura , Industria e Commercio. a). Pubblicazioni varie, id. — Società geografica italiana. a) . Bollettino [serie 2a, voi. VII, 1 882 1. b) . Memorie |vol. V, 1895J. Id. — Società Ingegneri ed Architetti. a) . Bullettino [anno I, 1893]. b) . Memorie [anno I, 1886]. Austria-Ungheria. Budapest. — K. Ungarische Geologische Anstalt. a) . Mittheilungen aus dem Jahrbuche |Bd. I, 1872]. b) . Jahresbericht [1883]. c ) . Fòldtani Kòzlòny |Kòt. XV, 1 885 1. d) . Pubblicazioni diverse. Cracovia. — Académie des Sciences (Akad. d. WissenschaftenJ , a). Bulletin international (Anzeiger) [1889]. 0 Di ogni pubblicazione è indicato da qual volume od anno comincia la serie posseduta dalla nostra Società. ELENCO DEI CAMBI XV Iglò. — Magyarors\àgi Kà rpà tegyesiilet. (Ungarischer Karjpathen- Vercin). a) Jahrbuch [voi. XVII, 1890]. Wien. — K. k. Geologische Reichsanstalt. a) . Verhandlungen [Jahrg. 1880]. b) . Jahrbuch [Bd. XXX, 1880]. id. — K. k. Naturhistoriscìies Hofmuseum. a). Annalen [Bd. I, 1886]. id. — Beitràge pur Palaontologie und Geologie Oester- reich-Ungarns und des Orients. [Bd. XI |. Belgio. Bruxelles. — Società Rogale malacologique de Belgique. a). Annales [voi. XVI, 1 88 1 J. id. — Società Belge de Gàologie, de Paleontologie et d' Hydrologie. a). Bulletin [voi. I, 1887J. id. — Sociàté géologique de Belgique. a). Annales [voi. IX, 1881]. Francia. Bordeaux. — Società Linnàènne de Bordeaux. a). Actes [voi. XXXVI, 1882J. Paris. — Sociàté de Spéléologie. a) Bulletin (Spelunca) [t. I, 1895]. id. — Società géologique de France. a). Bulletin [ser. 3®, voi. X, 1 88 1 1. Germania. Berlino. — Deutsche geologische Gesellschaft. a). Zeitschrift [Bd. 35, 1 883 1. id. — K. preuss. geolog. Landesanstalt und Bergaka- demie. a) . Jahrbuch [Bd. I, 1880]. Bonn. — Niederrheinische Gesellschaft. , a). Sitzungsberichte [ 1 895 J. b) . Verhandlungen (d.naturhistorischenVereins) [LUI, 1 896 1. Freiburg — Naturforschende Gesellschaft. a). Berichte [Bd. IV, 1888J. XVI ELENCO DEI CAMBI Gran Bretagna. Dublino — Royal Dublin Society. a) . Scientific proceedings [N. S., voi. IV, 1885]. b) . Scient. transactions fser. II, voi. Ili, 1885]. Edinburgo. — Edinburgh Geological Society. a). Transactions [voi. VII, 1894). Londra. — Geological Society. a) . Quarterly Journal [voi. XXXVIII, n° 149, 1882]. b ) . Geological literature [n° 1, 1894]. Portogallo. Lisbona. — Direcedo dos trabalhos geologicos. a) . Communica9Óes |t. I, 1883]. b) . Mémoires [alcune). Rumenia. Bukarest. — Biuroulu geologici ì. a). Anuarulu [voi. I, 1882; serie chiusaj. id. — Museulu de Geologia si de Paleontologia, a). Anuarulu [anno 1894I. Russia. Helsingfors. — Commission géologique de Finlande. a). Bulletin [n° 6, 1897]. Novo-Alexandria — Annuaire géologique et minéralogique de la Russie [voi. I, 1896]. Pietroburgo. — Comité géologique. a) . Bulletin [t. I, 1882], b ) . Mémoires [voi. I, 1883]. c) . Bibliothèque géologique de la Russie [t. VI, 1885]. d) . Travaux de la section géologique du Cabinet de sa Majesté [voi. I, 1895]. id. — Russische K. M inera logisc he Gesellschafì . a) . Verhandlungen [Bd. 32, 1896]. b) . Materialien zur Geologie Russland | Bd. 18, 1897]. ELENCO DEI CAMBI XVII Pietroburgo. — Sociètè Imperiale des Naturalistes. a) . Comptes rendus des séances fvol. XXVI, 1 88 5 J. b) . Travaux de la section de Géologie et de Minéralogie fvol. XIX, 1888]. Svezia. Stoccolma. — Geologiska fòreningen i Stockholm. a). Fòrhandlingar [Bd. XII, 1890]. Upsala. — Geological lnstitution of thè University of Upsala. a). Bulletin fvol. I, 1892]. Africa. Cape Town. — Geological Commission Departement of Agri- colture. a). Annual report fi0, 1896J. America. Baltimore — Maryland Geological Survey. a). Reports fvol. I, 1897] Buenos-Ayres — Instituto geografico Argentino. a). Boletin [t. X, 1889]. " Messico. — Instituto geològico de Mexico. a). Boletin fnum. 12, 1889J. Montevideo — Museo Nacional. a). Anales ft. I, 1894]. Parà — Museu Paraense de Historia Naturai e Ethnographia. a). Boletim [voi. I, 1896] Rochester (New-York). — Geological Society of America. a). Bulletin [voi. I, 1890]. Washington — Geological Society of Washington, a). Presidential address [1896]. id. — United States Geological Survey. a) . Bulletin fn° 34, 1883] b) . Annual reports fsixth ann. 1884]. c) . Monographs fvol. I, 1 882 J. d) . Minerai resources [anni 1886-1893: interrotto]. Wisconsin. — University of Wisconsin. a). Bulletin - Science series - fvol. I, 1894J. svili ELENCO DEI CAMBI Asia. Calcutta. — Geological Survey of India. a) . Memoirs fvol. IV, 1865J. b) . Palaeontologia indica [ser. ia, voi. I|. c) . Records [voi. I-XXX, serie interrotta |. d) . Pubblicazioni diverse. Australia. Melbourne. — Australasian Institute of Mining Engineers .. a) . Transactions [voi. IV, 1897J. b) . Proceedings [anno 1 898 J. Sydney. — Geological Survey of New South Wales. a) . Records [voi. IV, 1894J. b) . Memoirs [1894]. e) . Animai report [1894]. d). Minerai Resources [n° 1, 1898]. NB. — 1 cambi sottonotati non ebbero ancora principio. Firenze. — Società di studi i geografici e coloniali. La Piata — Museo de la Piata. Melbourne. — Geological Society of Australasia. id. — Royal Society of Victoria. Montréal — Geological Survey of Canada. RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE tenuta in Roma il 2 febbraio 11)02 Presidenza Capellini. La seduta è aperta alle ore 10 nella sala della Biblioteca del R. Ufficio Geologico. Sono presenti: il presidente Capellini; il vice-presidente Verri; i consiglieri Baldacci, Di Stefano Giovanni, Pellai i; il tesoriere Statuti; l’archivista Ne vi ani; i soci Aichino, Cer- MENATI, CHECCHIA, COCCHI, CREMA, DEMARCHI, De STEFANI CARLO, Fantappiè, Franchi, Lattes, Lotti, Mattirolo, Mazzuoli, Nova- rese, Porro, Sormani, Stella, Zaccagna, Zezi e il segretario Clerici. Scusano la loro assenza: i consiglieri De Lorenzo, Forna- sini, Matteucci, Meli, Taramelli; i soci Bassani, De Angelis d’Ossat, Del Zanna, Dervieux, Parona, Portis, Sacco, Sca- RABELLI e VlNASSA DE REGNY. Il presidente Capellini saluta i presenti e li ringrazia di essere intervenuti all’adunanza. Non essendovi osservazioni, si danno per letti i verbali delle adunanze tenute a Brescia nel settembre 1901, pubblicati nel 4° fase, del voi. XX del Bollettino, e il Presidente li dichiara approvati. Quindi il Presidente informa che i soci Crema e Vinassa de Regny sono stati nominati vice-segretari pel 1902 ; che a far parte della Commissione per la scelta del tema pel concorso al XX RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE VI premio Molon sono stati chiamati i soci Bassani, Cocchi e Parona. Si partecipano le dimissioni dei soci Cappa, Fedeli, Fru- mento e La Valle ; e la radiazione di un socio per morosità di un triennio. L’Assemblea ne prende atto. Da parte dei soci Parona e Clerici si propone l’ammissione come nuovo socio del dott. Domenico Dal Lago di Valdagno. L’Assemblea approva ad unanimità. Si leggono le proposte e domande di cambi e l’Assemblea approva il cambio delle pubblicazioni colla Royal Society of Victoria di Melbourne. Il Tesoriere Statuti presenta i bilanci consuntivi per l’anno 1901 e preventivi 1902 della Società e dell’Amministrazione del premio Molon, e ne riassume i risultati come segue: Bilancio consuntivo della Società. Anno 1901. Entrate dal 1° gennaio al 31 dicembre 1901 L. 5 518,82 Spese » » » 4 832,30 Eccedenza entrate L. 686,52 Cassa al 1° gennaio 1901 » 5 327,62 Eccedenza attiva al 1° gennaio 1902 L. 6 014,44 Bilancio consuntivo dell’Amministrazione del legato Molon. Anno 1901. Entrate dal 1° gennaio al 31 dicembre 1901 L. 680 — Cassa al 1° gennaio 1901 » 1 702,77 Totale entrate L. 2 382,77 Spese dal 1° gennaio al 31 dicembre 1901 e premio conferito. » 1 832 — Eccedenza attiva al 1° gennaio 1902 L. 550,77 TENUTA IN ROMA NEL FEBBRAIO l?02 XXL Bilancio preventivo della Società. Anno 1902. Entrate. Spese. 1. Tasse sociali . . . L. 3 500 — 1. Stampa del Bollet- 2. Interessi del legato tino L. 3 400 — Molon » 340 — 2. Contribuzione p e r 3. Interessi diversi. . » 684 — tavole ed altre il- 4. Vendita bollettini . » 150 - lustrazioni . . . » 500 — 3. Spese del Presi- dente » 30 — 4. Spese d’ufficio. Se- gretario e Teso- riere » 250 — 5. Spese di cancelleria, circolari ecc. . . » 120 — 6. Tassa di manomorta » 30 — 7. Rimborso spese di viaggi al Segreta- rio e Tesoriere . » 160 — 8. Per aiuti al Segre- tario e Tesoriere. » 130 — 9. Spese diverse even- tuali » 54 — Totale entrate L. 4 674 — Totale spese L. 4 674 — Bilancio preventivo dell’Amministrazione del legato Molon. Anno 1902. Entrate. 1. Cassa al 1° gen- naio 1902 . . . L. 550,77 2. Interessi del legato Molon » 680 — Totale L. 1 230,77 Spese. 1. Tassa di manomorta. L. 32 — 2. Residuo attivo al 31 dicembre 1902. » 1 198,77 Totale L. 1 230,77 I bilanci preventivi vengono approvati senza discussione; i consuntivi saranno trasmessi alla Commissione pel Bilancio. Si procede alla votazione per la elezione dei tre Commissari del Bilancio pel 1902. Fungono da scrutatori i soci Checchia XXII RESOCONTO DELL'ADUNANZA GENERALE INVERNALE e Lattes. Compiuto lo spoglio delle schede il Presidente pro- clama il risultato della rotazione. Votanti 26 Eletti i soci: Aichino Giovanni con voti 23 Cermenati Mario » 23 Bagnini Romolo » 19 Dovendosi procedere alla scelta della sede per l’adunanza estiva, il vice-presidente Verri legge la seguente lettera del- l’on. Sindaco di Spezia. Spezia 22 gennaio 1902. On. Signore Comm. Prof. Giovanni Capellini Senatore del Regno Fondatore e Presidente della Società Geologica Italiana. Con giusto orgoglio di concittadino che vede tributato ad una gloria degli studi scientifici italiani un altissimo meritato onore, ho appreso che anche questo anno, per la sesta volta, alla S. V. Orna venne com- messo di presiedere l’adunanza estiva della illustre Società Geologica Italiana. Codesto benemerito sodalizio, che annovera nel suo seno chiaris- simi scienziati, antesignani valorosi e illustratori del nome italiano nel cammino della civiltà, diede alla S. V. Orna un’altra prova di affetto e di stima, chiamandolo nuovamente a Presidente delle dotte adunanze nelle quali il pensiero umano, retto da sapienza, va scoprendo man mano nuovi lembi del velo di mistero onde natura si avvolge; come altra mag- gior dimostrazione aveva dato quando alla S. V. Orna vivente, aveva decretato l’onoranza somma di inscriverlo Socio perpetuo. Del che io sento il dovere di esprimere alla S. V. Orna quanto questa città, che ebbe la fortuna di darle i natali, si compiaccia e si onori, considerando come sua gloria la gloria del figlio diletto. Si abbia pertanto la S. V. Orna le più sincere felicitazioni della sua città natale: ma conceda pure a me, che mi pregio di rappresentarla, di esporre alla S. V. Orna un vivissimo desiderio inteso a procurare alla città nostra l’intima consolazione di veder reso onoro nel suo seno al cittadino amato e venerato. Nell’anno 1865 la città della Spezia fu sede della riunione dei natura- listi italiani: ed allora venne qui fondato il Congresso internazionale di Antropologia e di Archeologia preistoriche che tanta luce ha diffuso TENUTA IN ROMA NEL FEBBRAIO 1902 XXIII per tutto il mondo sulla più remota antichità dell’uomo: e di ciò la Spezia serba carissimo il glorioso ricordo. Memore pertanto dell’onore allora toccato a questa città, conscio che parecchi geologi desiderano di visitare i dintorni della Spezia sotto la infallibile guida di chi, come la S. V. Orna, se ne è già occupato per mezzo secolo profondendo a vantaggio della scienza tesori di studi e di dottrina, rendendomi sicuro interprete dei sentimenti della cittadinanza, rivolgo rispettosa preghiera alla S. V. Orna affinchè nella prima adu- nanza della Società Geologica Italiana voglia proporre questa città come sede della riunione generale estiva. Non è d’uopo che io raccomandi al ben noto affetto della S. V. Illma per la sua città natale di perorare la mia proposta, onde tanto lustro verrà recato alla città nostra, felice di ospitare eletti ingegni e di ren- dere omaggio a quanti contribuiscono al progresso scientifico della no- stra patria. Qualora la città della Spezia sia proclamata sede dell' adunanza estiva si adopererà con gioia e con slancio per facilitare in ogni modo gli studi degli illustri congressisti e le loro escursioni in questa clas- sica regione che ha già fornito messe copiosa per importanti lavori in ogni ramo della storia naturale e principalmente per la Geologia e per la Paleontologia. Fidente di veder concesso alla Spezia l’onore invocato e di poter qui fra pochi mesi ossequiare la S. V. Orna e gli insigni congressisti, ne porgo fin d’ora i più sentiti ringraziamenti e La prego di ricevere i riverenti sensi della mia altissima considerazione. Il Sindaco Giulio Beverini. L’Assemblea applaude e per acclamazione accoglie l’invito di tenere a Spezia il XXI congresso della Società. Il Presidente Capellini svolge per sommi capi uno schema di programma per le adunanze e per le escursioni che potreb- bero farsi nei dintorni di Spezia in tre o quattro giorni della prima quindicina di settembre. Quindi si delibera l’invio del seguente telegramma: Cavaliere Beverini, Sindaco Spezia. Società Geologica Italiana riunita assemblea generale avuta comu- nicazione lettera nobilissima S. V. gentile interprete desiderio nostra Associazione plaudendo evocazione gloriosi ricordi accoglie cortese invito acclamando mia diletta città natale sede XXI Congresso. Presidente Capellini. XXIV RESOCONTO DELLADUNANZT GENERALE INVERNALE Il Segretario legge l’elenco delle pubblicazioni giunte in omaggio alla Società dal 12 settembre 1901 al 1" febbraio 1902. Bellini R. : Les ammonites du calcane rouge ammonitique ( toarcien ) de V Ombrie, 8°. Paris 1801. Bòhm von Bòhmersheim A.: Geschichte der Morànenkunde, 8°. Wien,1901. Colomba L. : Sopra una iadeitite di Cassine (Acqui), 8°. Padova, 1901. Crema C.: Cenni sull’industria delle scorie Thomas, 8°. Roma, 1901. Gentile Giuseppina: Su alcune nummuliti dell’Italia meridionale, 4°. Napoli, 1901. Martelli A.: Paxos e Antipaxos nel mare Ionio, 8°. Roma, 1901. Matteucci R. V.: Das Vorkommen des Breislakits bei der Vesuverup- tion von 1895-99, 8°. Stuttgart, 1901. — Silberfùhr ender Bleigans vom Monte Somma, 8°. Stuttgart, 1901. — Sul periodo di forte attività esplosiva offerto nei mesi Aprile-Maggio 1900 dal Vesuvio, 8°. Modena 1901. — Salmiak vom Vesuvkrater, einem neuen Fundorte, 8°. Stuttgart, 1901. — Sur la production simultanee de deux sels azotés dans le cratère du Ve'suve, 4°. Paris 1901. Tellini A.: Ix acque sotterranee del Friuli e la loro utilizzazione. Parte I, 8°. Udine, 1900. — Determinazione del calcare di alcune terre coltivabili e sabbie fluviali principalmente Friulane, 8°. Udine, 1891. Vinassa de Reony P. : Radiolari cretacei dell’isola di Karpathos, 4°. Bo- logna, 1901. — Trias -Tabulateli Bryozoen und Hydrozoen aus dem Bakony, 4°. Bu- dapest, 1901. Virgilio F. : Le nuove teorie sulla erosione glaciale, 8°. Torino, 1901. Associazione Mineraria Sarda: Resoconti delle riunioni, anno 1901,. 8°. Iglesias, 1901. La Rivista tecnica delle Scienze, delle Arti applicate all’ Industria e del- l’insegnamento industriale, 8°. Torino. The Journal of thè Geologica! Society of Tokyo, (in caratteri giapponesi). 11 Segretario presenta le due seguenti carte topografiche: Jl Vesuvio, al 25 000, con curve di 25 m. Cono Vesuviano, al 10 000, con curve di 5 m. Dette carte furono eseguite dall’Istituto Geografico Militare dietro iniziativa e direzione scientifica del socio Matteucci, il quale, nell’inviarle in dono alla Società, là sapere che tutto il lavoro di rilievo e di aggiornamento e riduzione è opera del topografo sig. Alfredo Fiechter. L’Assemblea delibera un voto, oltre clic di ringraziamento, an- che di plauso al socio Matteucci per la sua lodevole iniziativa ? delibera altresì un voto di gratitudine e di plauso all’lsTiTU'ra TENUTA IN ROMA NEL FEBBRAIO 1902 XXV Geografico Militare per l’accuratissima esecuzione delle carte e per l’interesse grandissimo che offrono a studiosi e turisti, ed elogia l’opera del topografo Fiechter. Il Segretario legge l’elenco delle memorie e note presen- tate per la stampa nel Bollettino: Nicolis E., Successione stratigrafica nella porzione orientale del- l’anfiteatro 'morenico del Garda (16 settembre 1901). Clerici E., Sulle polveri sciroccali cadute in Italia nel marzo 1901. (1° ottobre 1901). Sacco P., Sul valore stratigrafico dalle grandi lueine dell’ Ap- pennino (8 novembre 1901). Vinassa de Regny P., Appunti di geologia monteneqrina (13 no- vembre 1901), Vinassa de Regny P., I calcari da cemento dei dintorni di Mo- di gli ana (13 novembre 1901). Bellini R., Appunti per la geologia dell’Isola di Capri (2 di- cembre 1901). Pampaloni L., Sopra alcuni tronchi silicizzati dell’eocene supe- riore dell’ Impruneta (12 dicembre 1901). Audenino L., Terreni terziari e (piaternari dei dintorni di Chieri (14 gennaio 1902). Sequenza L. fu G., I vertebrati fossili della Provincia di Mes- sina parte seconda, Mammiferi e geologia del piano politico (19 gennaio 1902). Il Segretario informa dello stato delle pubblicazioni e spe- cialmente del fascicolo contenente gii indici dei volumi I a XX che costituisce l’appendice al voi. XX. Il Segretario a nome del socio Nelli legge la seguente rettifica : Il dott. G. Di-Stefano, facendomi l’onore d’una sua critica (Rivista ital. di Paleontologia, anno VII, fase. IV, 31 die. 1901. pag. 75) alla mia nota II Langhiano di Rocca di Mezzo (Boll, d. Soc. geol. it., voi. XX, pag. 346; 1901), forse per meglio obiet- tare altre parti del mio lavoro, pretende che io confonda nel Miocene medio la Pietra di Subiaco, la quale è invece cretacea. Per evitare interpretazioni inutili riporterò le mie precise pa- role: «quivi furono riferiti al Cretaceo, all’Eocene ed all’Oligo- XXVI RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE cene con la Pietra di Subiaco in generale i calcari marnosi compatti e cristallini, ed i conglomerati calcarei con Orbitoides, Ostrea, Pecten, Gasteropodi e denti di pesce dei dintorni di Su- biaco e d’altre regioni non lontane, le quali invece devono esser riferite al Miocene medio»; vale a dire con la Pietra di Subiaco che è cretacea furono riferiti al Cretaceo, all’Eocene ed all’Oli- cene i calcari, ece., i quali devono essere riferiti al Miocene medio. Quanto poi agli esemplari, descritti e figurati dal Viola, ed agli originali provenienti da Subiaco, essi sono soggetti al giudizio di chiunque si occupi di tali terreni. Il socio Giovanni Di-Stefano replica quanto segue: Dalla rettificazione mandata dal dott. li. Nelli, rilevo che la mia breve recensione sul lavoro di lui, Il Langhiano di lìocca di Mezzo (Boll, della Soc. geol. ita!., voi. XX, 1901, pag. 346), pubblicata nella Rivista italiana di Paleontologia (anno VII, fase. IV, 1901) ha indotto questo autore a riconoscere ora in modo preciso l’età cretacea della Pietra di Subiaco. Mi limi- terei a prendere senz’altro atto di tale rettificazione, se in essa non si lasciasse intravedere l’accusa che io abbia inesattamente riferito il senso delle parole del Nelli. Per fortuna l’Adunanza della nostra Società è tenuta oggi nella Biblioteca dell’Ufficio geologico e quindi non mi mancano i documenti per ristabilire la verità. 11 dott. Nelli nella sua Nota sul Langhiano di Rocca di Mezzo ( Abruzzo Aquilano ) ha scritto i seguenti periodi: «Questa località» (Bocca di Mezzo) «dalle poche specie fossili, da me precedentemente indicate, alle quali poche altre dobbiamo aggiun- gere, resulta appartenere al Langhiano di Pareto e Ma ver, il quale dall’ Appennino settentrionale passa in quello centrale, sviluppandosi in una larga zona in quello aquilano per esten- derei pure nei confini della Provincia di Roma, per es. nelle vicinanze di Subiaco. Quivi furono riferite al Cretaceo, all’Eo- cene ed all’Oligocene con la Pietra di Subiaco in generale i calcari marnosi compatti e cristallini, ed i conglomerati calcarei con Orbitoides, Ostrea , Pecten, Gasteropodi e denti di pesci dei dintorni di Subiaco e di altre regioni non lontane, le quali in- vece DEVONO ESSERE RIFERITE AL MIOCENE MEDIO». TENUTA IN ROMA NEL FEBBRAIO 1902 XXVII Il senso di queste parole deve sembrare a tutti chiaro: con esse la Pietra di Subiaco è compresa nel Miocene. Posso assi- curare che non altrimenti di me hanno comprese le parole ora riferite gli autori che più recentemente si sono occupati della Pietra di Subiaco, cioè l’ing. E. Clerici, il prof. R. Meli, il prof. G. De Angelis d’Ossat e l’ing. Viola (1). Nello scrivere quella piccola recensione, attorno alla quale mi pare si voglia solle- vare troppo rumore, io non poteva far di meno di rilevare la confusione in cui era caduto il Nelli, tanto più che egli non ci cadeva per la prima volta. L’ interpetrazione che questo autore vorrebbe dare ora alle sue parole, mi sembra arbitraria, come arbitrario e infondato sarebbe l’accusar me di avere, con inten- zione, male interpetrate le sue parole. Ho già detto che l’opinione espressa dal dott. Nelli sull’età della Pietra di Subiaco non è nuova. In una Nota pubblicata insieme col prof. C. De-Stefani ( Fossili miocenici dell’ Appen- nino Aquilano. Rend. della R. Acc. dei Lincei, s. V, voi. Vili, 2° seni., fase. 2, 1899) a pag. 48 è detto quanto segue a pro- posito della questione che ci occupa: «Tanto i calcari quanto le altre roceie sembrano appartenere alla zona Langhiana, perciò ad una plaga di mare piuttosto profondo. » Dalle cose dette risulta V importanza delle osservazioni fatte dal Chelussi, il quale di già, molto ragionevolmente, aveva riuniti tutti i sopra citati terreni nel Miocene medio. » Questi medesimi terreni sono molto estesi in tutto T Appen- nino centrale. Una volta anche le arenarie e le marne erano attribuite all’Eocene od al Miocene inferiore: il Moderni attri- buisce tuttora all’ Eocene le arenarie del Monte di Mezzo e del Pizzo di Sivo che il Chelussi riconobbe mioceniche. Si attri- buiscono pure all’Eocene e talora perfino alla Creta, i calcari cristallini bianchi, che dai fossili prevalentemente contenuti ben possono dirsi calcari a Pecten. Infatti nell’immediato confine con la provincia di Aquila sono attribuiti al Cretaceo dal De An- O Lo stesso senso ha dato alle parole del Nelli anche il prof. I. Chelussi nella sua Nota: Alcune osservazioni sulla Memoria del dott. Schnarrenberger eoe., Atti d. Soc. ital. d. se. nat. XL. (Nota aggiunta durante la stampa). XXVIII RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE gelis, all’Eocene ed all’Oligocene dal Viola la Pietra di Subiaco (*) ed in generale i calcari marnosi, o compatti e cristallini bianchi, ed i conglomerati calcarei con Orbitoides , Ostrea, Pecten, Ga- steropodi e denti di Pesce dei dintorni di Subiaco; mentre sono attribuiti all’Eocene anche dal De Angelis quelli di Jenne, di Canterano, di Cerneto Laziale. Io » (?) « poi ritengo appartenenti al Miocene e probabilmente al Miocene medio anche le marne calcaree ad Orbitoides di Castel Madama e della valle inferiore dell’Aniene, che altri pose nell’Eocene, ecc. » Mi pare che il senso del brano che abbiamo letto non possa dar luogo ad equivoci: in esso si riprova l’attribuzione al Cre- taceo della Pietra di Subiaco, che, secondo quanto vi si dice, dovrebbe essere riferita al Miocene medio. Or questo giudizio del 1899 il dott. Nelli Io ha riportato, (piasi con le stesse pa- role, nella sua recente Nota sul Langhiano di Rocca di Mezzo. Da quanto ho detto risulta che io sono stato ben lontano dal volere far credere cose inesatte, non avendo nè per ragioni scientifiche, nè per la stessa mia indole, causa o scopo per farlo. Debbo infine osservare che non è certamente degno d’imitazione il sistema di taluni autori, i quali, per uscire dalle difficoltà, ricorrono all’espediente di attribuire alla fantasia dei contradit- tori certe loro affermazioni. Ad ogni modo dalle contestazioni di oggi si trae un van- taggio, cioè si ristabilisce l’accordo sull’età cretacea della Pietra di Subiaco: A quelque cime malheur est boni Dopo brevi osservazioni del socio Carlo De Stefani, il Pre- sidente dichiara chiuso l’incidente. 11 socio Baldacci osserva che nella Memoria Sulla parte meridionale del Capo di Leuca , del dott. Giotto Dainelli, pub- blicata nell’ultimo fascicolo del nostro Bollettino, si trova a pag. 636 il seguente periodo: «L’Eocene, indicato, nelle Carte del Comitato geologico, come » affiorante nella parte meridionale del Capo di Leuca, da me » visitata, e soggetto di questa mia Memoria, non esiste affatto, O L'iiig. Viola invero ha sempre riferita la Pietra di Subiaco al Cretaceo (G. Di-Stefano). TENUTA IN ROMA NEL FEBBRAIO 1902 XXIX » e per ritrovarne il primo giacimento, bisogna risalire al Nord, » lungo il mare, fin presso al Porto di Tricase». La carta cui allude il dott. Dainelli sarà probabilmente quella cartina dimostrativa, alla scala di 71000000, pubblicata nel 1889, basata in varie parti non su studi e rilevamenti diretti dell’Ufficio geologico, che allora non si possedevano, ma su lavori di diversi studiosi. Nel 1890 si iniziò dall’Ufficio geologico il rilevamento delle Puglie, che venne terminato nella prima metà del 1892, e da allora si riconobbe che l’Eocene non affiora nella regione stu- diata dal dott. Dainelli. Un primo risultato di quei nostri rile- vamenti è consegnato e pubblicato nella Carta geologica gene- rale d’Europa (foglio 39 - D VI), in cui il più meridionale affio- ramento di Eocene nella regione è quello di Tricase. Nella carta geologica manoscritta d’Italia a V500000 pre- sentata in varie esposizioni ed esposta permanentemente nei locali dell’Ufficio geologico, carta che viene a mano a mano dove sia necessario compiuta e messa al corrente coi nuovi rile- vamenti, l’Eocene di cui parla il dott. Dainelli non figura nem- meno, come non figura nelle tavolette di campagna a V50000, che serviranno di base per la prossima pubblicazione della Carta geologica di quelle regioni, alla scala di Viooooo- Sin dalle prime gite fatte nella regione di cui si parla (1891) furono raccolti dall’Aiutante ing. Cassetti e da me un gran nu- mero di fossili, che dimostrarono indubbiamente l’appartenenza al Miocene di certi terreni, che una volta erano stati ritenuti eocenici. Questi fossili, che sono in gran parte identici a quelli raccolti e figurati dal dott. Dainelli, vennero mostrati senza alcuna riserva in Ufficio a parecchi studiosi, e le conseguenze che si erano tratte dal loro esame, conformi a quelle che emergevano dallo studio sul terreno, non erano un segreto per nessuno. Sarebbe d’ora in avanti desiderabile che gli Autori, che intendono far oggetto delle loro critiche i lavori del K. Ufficio geologico, precisassero sempre i punti o documenti, secondo loro, suscettibili di modificazioni e di correzioni, poiché è evidente che delle critiche esposte in modo troppo generico non por- tano altro resultato che quello di lasciar credere che esse sieno fatte «in odium auctoris». XXX RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE Il socio Pellati non dubita menomamente che il dott,. Dai- nelli fosse in piena buona fede, nondimeno come capo del servizio Geologico, ringrazia ring. Baldacci di aver posto in rilievo clic da parte dell’Ufficio Geologico non siano da lamen- tarsi per la regione alla quale si riferisce lo studio del Dainelli, errori o dimenticanze. Il vice-presidente Verri presenta da parte del socio De An- gelis d’Ossat il manoscritto di due note intitolate: Un pozzo trivellato presso Napoli , Fauna liasica di Castel del Monte (Umbria): quindi fa una comunicazione sul Vesuvio e sul vulcano Laziale . Il socio Novarese presenta una nota sulla Serpentina di Tra- verserà e ne riassume le conclusioni. Il socio Neviani presenta una nota Sulla Terebripora Man- zonii Iìov. e sulla Protulophila Gestroi llov. Il socio Checchia presenta una memoria sugli Echinidi eo- cenici del monte Gorgano , con due tavole. Il socio Crema svolge una comunicazione sul Petrolio nel territorio di Tramatola (Potenza). Il socio Clerici illustra alcune fotomicrografie relative al suo lavoro sui vegetali fossili dei tufi vulcanici romani , e coglie l'occasione per esternare la sua gratitudine verso il comm. Pel- lati che gli ha concesso di servirsi dell’apparecchio fotografico posseduto dall’ Ufficio geologico. Quindi presenta una serie di campioni di palline sciroccali e di pallottole dei tufi vulcanici. facendone oggetto di una breve comunicazione. Mediante lettera il socio Portis preannuncia una sua nota intitolata: di un dente anomalo di elefante fossile e della pre- senza delVElephas primigenius in Italia. Essendo esaurito l’ordine del giorno il Presidente alle ore 1 1. 45 toglie la seduta. Il Segretario Enrico Clerici. APPENDICE I. SUL VESUVIO E SUL VULCANO LAZIALE Comunicazioni dell’ing. A. Verri V esuvio. Nel l’attendere ad uno studio sul Canale di Sarno, mi sono capitate due sezioni del terreno appiè del Vesuvio. Poiché non mi sembrano conosciute o ricordate, ho pensato di comunicarle. Nel volume pubblicato l’anno 1879, col titolo Pompei e la regione sotterrata dal Vesuvio nell’anno 79, è esposto che Pompei sta sopra la schiena d’una lava, la quale, correndo dalla falda orientale del Vesuvio, si stende alquanto rilevata tra mezzo- giorno e levante, attraverso il territorio di Boscoreale, e fa un poco di maggiore rialto nella collinetta dove è la città. Secondo lo scrittore, appiè della collinetta la lava si abbassa parecchi metri, torcendo un poco più verso levante. Nota egli che un grosso banco della lava fu incontrato nella vigna Cerulli, lungo la strada dei Sette camini, poco più di un chilometro sopra Pompei, scavando un pozzo ; che si vede : lava compatta sotto la scena del teatro coperto e nel triclinio della casa, 3, Reg. I, Is. II; lava scoriacea nella ripa di mezzogiorno sotto al tempio greco, e nella ripa occidentale; un banco di lava, grosso più di sei metri, sotto otto metri di materie detritiche, nella cava De Fusco vicino all’anfiteatro; lava compatta e scoriacea in un rilevato sotto alla cappella diruta di S. Abbondio, allato al Ca- nale del Bottaro. A questi punti sarebbe da aggiungere un altro presso il Ma- cello, dove il Capo Opera m’ha detto che fu anche trovata lava nello scavare: ma probabilmente i giacimenti lavici conosciuti non appartengono ad una sola colata, come è supposto nell’ar- ticolo del Volume succitato. XXXII A. VERNI L’anno 1697 Monsignor Francesco Bianchini pubblicò in Roma un’opera intitolata : La Istoria universale. A pagine 246 e seguenti della seconda edizione fatta l’anno 1747, leggesi: « Alle radici di questo monte (il Vesuvio, in lon- tananza di un miglio circa dal mare, nell’anno 1689 fu sca- vato il terreno, e mentre gli operai s’inoltravano a sufficiente profondità, furono osservate alcune strisce di terra, che pare- vano disposte con ordine, quasi fossero suoli, o pavimenti, col- locati orizzontalmente uno sull’altro. 11 padrone del fondo, in- vitato da quella disposizione a penetrare più avanti, proseguì l’estrazione di nuova terra: ed incontratosi dopo il quarto suolo a cavare alcune lapidi scritte (monumenti di antichità de’ Ro- mani) ordinò che si continuassero le ricerche fino a tanto che l’acqua non la impedisse. Così scavando pervennero a cento e più palmi d’altezza; ed osservarono varii suoli, alternatamente sottoposti, l’uno di terra da coltivare, l’altro di pietra nera ve- trificata ; i quali per maggior fedeltà di racconto esporrò con le stesse parole della notizia, che il già Francesco Picchetti, archi- tetto celebre in Napoli per la sua professione, e molto più per il Museo sceltissimo di antichità erudite da se raccolto, comu- nicò a diverse persone, e tra gli altri al signor Adriano A viano, professore di Matematiche in Roma, e nello studio di esperi- mentale filosofia con molta laude versato. Da lui mi viene be- nignamente indicata la osservazione, e comunicata la nota, o semplice memoria del suddetto signor Picchetti : la quale, senza ornamento veruno, egli ed io trascriviamo come fu allora distri- buita : «Nell’anno 1689 in una cava fatta nella falda del monte » Vesuvio circa un miglio lontano dal mare, nel loco dove era » la villa di Pompeo, si osservò, che la terra soda, e la pietra » vetrificata erano collocate con bell’ordine in diverse regioni: » mentre tanto il terreno, che di continuo cala giù dal monte » alla pianura, e nel mare, quanto il liquore della pietra fusa, » e vetrificata, che in diversi incendi del Vesuvio ha inondato » nella pianura, hanno disposto quelle regioni nel seguente » ordine : » Prima si trova da 12 palmi in circa di terra da coltivarsi; » 12 palmi di terra che si coltiva. Appresso si trova SUL VESUVIO E SUL VULCANO LAZIALE XXXIII »4 palmi di pietra nera vetrificata della quale è lastricata » la città, poi » 3 palmi di terra soda, poi » 6 palmi e mezzo di pietra vetrificata, sotto della quale si » ritrovano alcuni carboni, chiavature di porte di ferro, c due » iscrizioni, le quali dimostravano essere quella stata la villa » di Pompeo, poi » 10 palmi in circa di terra soda, poi » 2 palmi e mezzo di pietra vetrificata simile a quella di » sopra, poi » 8 palmi di terra assai più soda, poi » 4 palmi incirca di pietra vetrificata, ma più squamosa e » leggiera della prima » 25 palmi di terra assai più soda, e di durezza quasi si- » mile al tufo; »16 palmi della solita pietra vetrificata, et assai grave, dopo » 12 palmi di pietra tufo si ritrovò l’acqua dolce c viva, e » in gran quantità, nè permise di cavare più oltre». 11 Bianchini espresse l’avviso che il materiale archeologico appartenesse non alla villa di Pompeo, bensì alla Città di Pompei, e che la materia la quale lo copriva fosse della eruzione de- scritta da Plinio. La nota del Picchetti dà questa sezione sotto al piano di campagna : Materie vulcaniche detritiche metri 3.17 Lava compatta » 1.00 Materie vulcaniche detritiche » 0.79 Lava compatta » 1.59 Strato di oggetti archeologici Materie vulcaniche detritiche » 2.G5 Lava compatta » 0.53 Materie vulcaniche detritiche » 2.12 Lava scoriacea » 1.0G Materie vulcaniche detritiche » G.G1 Lava compatta » 4.23 Tufo vulcanico e sotto falda acquifera .» 3.17 Totale metri 2G.98 ni XXX IV A. VERRI Non accennandosi d’avere incontrato fabbriche, bisogna rite- nere ohe lo scavo fu fatto al nord della città fuori dalla cinta; la distanza dal mare di 1800 a 2000 metri segnerebbe il luogo dello scavo verso la curva della quota 30. Questa sezione mostra cinque distinti banchi di lava, dei quali tre sotto lo strato archeologico, e due sopra. È molto pro- babile che la lava, segnalata dal Volume citato al principio nel sottosuolo della vigna Cernili, appartenga ai banchi superiori. L’altra sezione è tratta da un pozzo, scavato nel territorio di Scafati dai fratelli d’Auria, per impianto idrovoro da servire alla irrigazione. Ho avuta dalla Direzione del Genio militare di Napoli questa nota del materiale, che fu incontrato: Terra vegetale metri 2.00 Lapillo bianco » 2.00 Terra semicompatta (tasso) » 0.80 Kena grossa mista a ghiaietta » 0.00 Terra vegetale » 1.00 Lava con piccolo strato di ferrugine superiormente » 5.00 (col nome di ferrugine sono chiamate le scorie). Nella nota si avverte che la lava scendeva ancora, ma non potersi indicarne la misura esatta, essendosi fermato lo scavo a profondità di metri 13.30. Veramente la somma della gros- sezza dei banchi darebbe 12.30: non ho potuto accertare se l'er- rore sta nella operazione del sommare, oppure nella indicazione della misura di taluno de’ banchi. Nella carta topografica al Vnoonn casa, Dauria è posta circa 4 chilometri a nord-est di Pompei, e sulla curva di (piota 20; sicché il banco della lava nel sottosuolo si troverebbe in quel punto a quota tra 12 e 13. L’altimetria di questo banco confrontata con quella della val- lata mostra che, quando avvenne la colata della lava, la foce del fiume doveva essere presso a poco verso Scafati, e le acque del mare o di stagni salmastri dovevano insellarsi di molto nel- l’estuario del Sarno. Perciò l’eruzione sarebbe anteriore alla si- tuazione geografica, descritta da Strabono nel libro V lìcrwn fi eofiraphi carimi. SUL VESUVIO E SUL VULCANO LAZIALE XXXV Vulcano Laziale. Nel voi. XIX del Bollettino fu inserita una mia comunicazione ( Sulla trivellazione di Capo di Bove), nella quale dovei notare alcune delle sviste ed ommissioni, a mio riguardo, riscontrate nel Volume sul Vulcano Laziale compilato dall’ingegnere Sabatini. Poco fa leggendo il di lui scritto: I)e l’état actuel des recherches sur les volcans de V Italie centrale, pubblicato negli Atti del- l’VIII Congresso geologico internazionale, mi trovo attribuito di avere «avancé que les monts calcaires des environs (del Vul- cano Laziale) se sont soulevés après les éruptions quaternaires des volcans romains». Nel volume XII del Bollettino (pag. (55, 75, 585) manifestai l’opinione, che siano avvenuti movimenti considerevoli nelle mon- tagne vicine al Vulcano Laziale dopo l’espandimento del tufo giallo da costruzione - a pag. 70, accennando alla depressione del settore tra il Vulcano e le montagne di Tivoli, diceva «pro- babilmente, anzi potrei dire certamente, accompagnata da sol- levamento di quelle montagne». La sostituzione d’un après ad un pendant; il significato della frase se sont soulevés, in con- fronto delle frasi da me adoperate, modificano assai il concetto da me espresso, e portano a conclusioni ben differenti. In altro scritto, comunicato al Congresso geografico nell’aprile dell’anno decorso {Un capitolo della geografìa fisica dell' Umbria), ho richiamata l’attenzione sui rapporti tra i momenti dei vul- cani tirreni e l’elevarsi delle montagne umbro-sabine. Non è qui il caso di ripetere ciò che là ho esposto, nulla avendo per ora da aggiungere. Questo soggetto mi sembra che meriti serio esame: ma, per' la serietà della discussione, crederei indispen- sabile eziandio la esattezza coscienziosa nel riferire le osserva- zioni e le opinioni altrui, quando pure si stimino erronee. [ms. pres. 2 febbraio 1902 - ult. bozze 27 febbraio 1902J. XXXVI C. CREMA II. IL PETROLIO NEL TERRITORIO 1)1 TRAMUTOLA (POTENZA) Comunicazione dell’ing. C. Crema Per incarico ricevuto dall’ Ispettorato del R. Corpo delle Miniere, in principio dello scorso autunno dovetti eseguire una sommaria ricognizione delle manifestazioni petrolifere che si osservano in vari punti del territorio di Tramutola (Potenza). Benché la loro esistenza fosse già stata ripetutamente segnalata, tuttavia, per quanto è a mia conoscenza, mancavano notizie un po’ particolareggiate in proposito; non panni quindi inutile di esporre brevemente i risultati delle mie osservazioni. Premetto che per la regione visitata (foglio 190, quadr. II e f. 210, q. I) potei valermi della carta geologica nella scala di 1:50.000 esi- stente manoscritta presso il R. Ufficio geologico e stata rilevata dagli ingegneri Baldacci e Viola. In questa carta già figurava la sorgente petroleifera di cui in appresso. La zona petroleifera considerata ha una superficie di pochi chilometri quadrati, quattro o cinque al più, ed occupa il fondo della parte settentrionale della stretta valle percorsa dal rio (■àvolo, che scorre ad Ovest di Tramutola dirigendosi quasi esat- tamente da Sud a Nord e si versa poi nell’Agri dalla sua destra. I terreni, che si osservano in questa valle, sono, oltre al Qua- ternario: il Trias medio, il Trias superiore, la Creta e l’Eocene superiore. Il Trias medio è essenzialmente rappresentato da cal- cari a noduli di selce che passano superiormente a scisti silicei varicolori; il Trias superiore, dalla Dolomia principale e la Creta, da calcari grigi in grossi banchi. I calcari triassici e cretacei sono tutti assai compatti ed anche gli scisti silicei sono gene- ralmente dotati di un alto grado di compattezza. Su questi ter- IL PETROLIO NEL TERRITORIO DI TRAMUTOLA (POTENZA) XXXVII reni si appoggia poi il Flysch eocenico colla stessa natura che nel restante Appennino e cioè prevalentemente composto da sci- sti argillosi, da calcari marnosi e da arenarie più o meno gros- solane. Non mi dilungo maggiormente sui caratteri di tutti questi terreni già minutamente descritti dal De Lorenzo, dal Baldacci e dal Viola. Il fondo della valle è quasi per intero scavato nei terreni eocenici, i quali per la loro cedevolezza non presentano una grande costanza nell’ inclinazione degli strati, ma nel loro assieme malgrado qualche raggrinzamento subordinato, formano un’anti- clinale sul cui asse il Càvolo scava il suo corso. Quest’anticlinale viene poi disturbata da spuntoni dei sottostanti terreni triassici che, elevandosi in forma di cupole calcaree, spezzate o non, attraversano l’ Eocene e vengono a giorno, specialmente sul ver- sante orientale della valle. La principale manifestazione petrolifera si osserva in un valloncino del versante sinistro della valle all’altezza della re- gione Acqua di Tasso e consiste in una piccola sorgente di acqua mista a petrolio, che spiccia dagli strati eocenici al contatto con un importante spuntone di compatto calcare triassico a circa 200 m. dall’asse della valle principale.Non possiedo altri dati sul regime di questa sorgente, salvo l’assicurazione che essa è perenne. L’acqua contiene delle traccio di cloruro di sodio ; il pe- trolio viene emesso in piccola quantità, ma in modo continuo sotto forma di viscide fìlacciche che vengono trascinate dalla cor- rente impeciando le sponde del ruscello e sprigionando un acuto odore caratteristico. La sorgente emette anche talvolta delle bol- licine gassose. Questo petrolio presenta un colore brunastro-scuro; il suo peso specifico è di 0,9 circa (determinazione dell'ing. Aichino) e quindi molto elevato. Non ebbi opportunità di sottoporlo alla -distillazione frazionata, che sola potrebbe stabilirne con sicurezza il valore commerciale. Altre manifestazioni, ma assai meno importanti, si hanno più a Nord, allo sbocco della valle nella piana dell’Agri. Traccie di petrolio si sono riscontrate in un pozzo scavato presso la Rannera, anche qui al contatto delle due formazioni su indicate, •ed altre ma molto più deboli in alcuni pozzi aperti a piccola XXXVIII C. CREMA profondità nel terreno quaternario che copre l’Eocene del vallone Pietragrattata. Ogni formazione petrolifera comporta, come è noto, l’esi- stenza di rocce porose od almeno molto fessurate, capaci di acco- gliere il petrolio, e la presenza su di esse di strati impermeabili o pochissimo permeabili, che ne impediscano il disperdimento alla superficie. È chiaro poi che il petrolio e gli idrocarburi gassosi, che di solito l’accompagnano, tenderanno sempre a riu- nirsi sotto le anticlinali formate da questi strati impermeabili, essendo essi meno densi dell’acqua. Ora da un attento esame della costituzione della valle ed anche soltanto dal cenno datone, panni emerga che nel nostro caso le sole formazioni capaci di accogliere il petrolio in favo- revoli condizioni di conservazione sono quelle porose dell’Eocene (marne e specialmente arenarie) le quali si alternano con strati impermeabili e sono disposte inoltre più o meno regolarmente ad anticlinale. Viene, quindi, spontaneo il supporre che la roc- cia petrolifera, alla quale l’acqua strappa il petrolio per tra- scinarlo a giorno, debba appartenere all’ Eocene, e tale ipotesi trova conferma nel fatto che soltanto in corrispondenza dell’ Eo- cene, benché le altre formazioni siano tutte ben sviluppate nella regione, hanno luogo manifestazioni petrolifere. Di qualche importanza sono quelle che si osservano dove gli strati protet- tori sono stati fratturati per la presenza degli spuntoni triassici; lo altre sono pressoché insignificanti. La piccola estensione della zona petroleifera di Tramutolar la scarsezza delle manifestazioni alle quali dà luogo, e la poca potenza dei terreni eocenici che verisimilmente racchiudono il petrolio non permettono di nutrire grandi speranze su di essa; tuttavia una tale affermazione appoggiata esclusivamente a dati superficiali è necessariamente alquanto vaga, e sarebbe deside- rabile che una esplorazione in profondità mettesse definitivamente in evidenza l’entità del giacimento. [ras. pres. 2 febb. 1902 - ult. bozze 28 febbraio 1902]. POLVERI SCIROCCALI E PALLOTTOLE DEI TUFI VULCANICI XXXIX III. ANCORA SULLE POLVERI SCIROCCALI E SULLE PALLOTTOLE DEI TUFI VULCANICI Comunicazione dell’ing. Enrico Clerici Nella mia comunicazione sulle polveri sciroccali cadute in Italia nel marzo 1901 (*) ho posto in rilievo l’aggregazione della polvere in seno all’atmosfera e la particolare conforma- zione in palline (2). Rilevai inoltre, sull’esempio fornitomene dalle C) Boll. Soc. Geol. It. voi. XX, pag. clxix-clxxviii. Colgo l’occa- sione per fai:e due rettifiche a quella comunicazione: alla pag. clxxv, dove sono riportati alcuni risultati dell’analisi delle polveri, restò sop- pressa, per equivoco tipografico, una linea ove leggevasi « Anidride car- bonica 3,614 - 2,654 »; nella annotazione a piè della pag. clxxvii, ove riportasi un passo del Zanichelli deve leggersi « Accostai la punta di un coltello ben calamitato ecc. ». A queste omissioni potei riparare nell’estratto. (2) Alla cortesia del prof. Bassani debbo un campione del pulvi- scolo raccolto in Napoli dal prof. Delpino ed un esemplare del fase. 5, voi. VII del Remi. d. Accad. d. Scienze fis. e mat. di Napoli contenente, oltre ad una memoria del prof. Paimeri, una interessante discussione sullo stesso argomento fatta in seno all’Accademia. La polvere caduta -all’asciutto in Napoli, come aveva osservato il prof. Delpino, é conformata in palline. Su queste ho ripetuto le inda- gini fatte per le altre palline cadute a Trapani, Isernia e Roma, e vi ho constatato le stesse proprietà, gli stessi minerali, le stesse diatomee con frammenti di spicule di spugne. Una pallina già rotta era cava, le altre sono piene. Nella sua mem. I pulviscoli tellurici e cosmici e le sabbie a ff ricane. Analisi e considerazioni, il prof. Paimeri vi ha riassunto i suoi studi in proposito da un ventennio. Anche egli ha constatato nelle polveri sci- roccali la assenza del ferro metallico, del nichelio e del cobalto. Ha ese- guito un’analisi particolareggiata del pulviscolo del 10 marzo 1901 ed in base ad essa ha calcolato la probabile composizione del pulviscolo come segue: Acqua igroscopica 4,136 — Acqua combinata e sost. organica 4,052 XL E. CLERICI ceneri del Krakatoa, che anche le polveri vulcaniche lanciate nell’atmosfera possono agglutinarsi e cadere in forma di palline. Questo fatto m’induce a richiamare nuovamente l’attenzione dei Colleglli sulle pallottole contenute nei nostri tufi vulcanici. Tali pallottole sono conosciute da gran tempo anche per i tufi dei dintorni di Napoli. In una apposita escursione che ho tatto a Pompei, seguendo l’indicazione datane da Lyell, ne ho trovate in abbondanza e di varia grossezza nei materiali stratificati che hanno colmato le vie e ricoperto gli edifici. Presento perciò una serie graduale di campioni in cui le pal- lottole sono di diametro sempre maggiore e cioè: Palline sciroccali (Roma, Trapani) . da mm. 0,07 a mm. 0,52 » delle ceneri del Krakatoa (Bata- via 1883) » 0,42 » 0,9 » del Vesuvio ( regione Mauro 1 822) » 0,47 » 2,4 » di Pompei (verso porta Nolana) » 2 — » 12 — Pallottole dei tufi romani (località varie) » K 5 — » 40 — Non si creda con ciò che io abbia la pretesa di dimostrare che così grosse pallottole siano cadute belle e formate. Sarebbe utile ed interessante per lo studio dei nostri tufi poter deter- — Solfato di calcio 2,334 — Cloruri, nitrati, solfati di ammoniaca e sodio 0,039 — Carbonato di calcio 7,860 — Feldspati 64,010 — Argille fer- ruginose 14,408 — Fosfato di ferro 0,355 — Ossido ferroso-ferrico 2,395. Ma la quantità di feldspato mi sembra eccessiva, mentre d’altro lato il quarzo, che é sempre il minerale prevalente del pulviscolo, non vi figura affatto. Nelle Abhandlungen des Koniglich Preussisclien Meteorologischen Instituts Bd. II, n. I. è inserita una interessantissima mem.: Ber grosse Staubfall rovi 9 bis 12 Mare 1901 in Nordafrika , Sud-und Mitteleuropei von G. Hellmann und W. Meinardus la quale contiene moltissime noti- zie per un grande numero di località e due carte colla distribuzione geografica del fenomeno in tutta la Germania. La quantità di polvere caduta in Europa viene calcolata a 1 800 000 tonnellate in cifra tonda (due terzi di essa al sud delle Alpi). Dalle coste africane la polvere avrebbe percorso non meno di 4000 km. per giungere fino ai dintorni di Kostroma e di Perni in Russia. (Nota aggiunta durante la stampa). POLVERI SCIROCCALI E PALLOTTOLE DEI TUFI VULCANICI XOl minare fino a quale grandezza vi è la possibilità che lo siano e fino a quale altra debbano invece la loro origine a goccie d’acqua, più o meno melmosa, cadute sulle ceneri da poco de- poste, oppure ad altre cause. Ritornando alle palline sciroccali mi piace far notare un’al- tra particolarità, che può servire a dilucidare il modo di for- mazione. Alcune palline sono attraversate da un pelo o filamento più o meno lungo, al quale aderiscono. Queste palline sono quasi sempre affusolate nella direzione del filamento e ciò si spiega facilmente poiché la gocciolina d’acqua condensata sul filamento stesso non poteva per capillarità conservare la forma sferica. A causa del piccolissimo numero di tali singolari palline non ho potuto constatare se più spesso si tratti di peli animali o di peli o fibre vegetali. Ho notato però che sono incolori, lucenti, flessibili e provvisti di un canalicolo assiale. La sezione è cir- colare oppure ovale; taluni hanno diametro uniforme, altri si assottigliano sensibilmente. Nella figura annessa ho disegnato, a semplice contorno, al- cune di queste palline: una di esse è attraversata da due fi- lamenti. [ms. pres. 2 febbraio 1902 - ult. bozze 15 maggio 1902]. 14MI - 1 CALCARI DA CEMENTO DEI DINTORNI DI MODIGLIANA Nota del dott. P. Vinassa de Regny Avendo avuto occasione di fare un accurato studio geologico sopra i calcari die danno origine all’industria dei cementi in Modigliana, che ora, sotto una direzione intelligente ed attiva, promette di divenire fiorentissima, do qui alcuni brevi cenni sopra tali rocce, persuaso che possano essere di qualche utilità pratica, tanto più che l’Italia, e specialmente il nostro Appen- nino, è molto ricco di giacimenti simili a quelli di Modigliana, che potrebbero a lor volta venire sfruttati. Modigliana fa parte della provincia di Firenze, quantunque si trovi a poca distanza da Faenza, sul versante adriatico del- l’ Appennino. Nella regione immediatamente circostante si ha la serie completa dal Cretaceo all’attuale. Il Cretaceo è rappresentato prevalentemente da quell’arena- ria a grana finissima, conosciuta col nome di Pietra forte, che, disposta in ampie anticlinali parallele all’Appennino e mista a pochi altri tipi subordinati di rocce, forma il nucleo su cui si appoggiano gli strati più recenti. L’Eocene è rappresentato prevalentemente dal macigno i cui strati presentano spesso grandissime perturbazioni tettoniche; ma non mancano anche calcari alberesi, la così detta Pietra co- lombina. Ascrivo all’Oligocene, concordemente con Sacco, un’impo- nente serie di strati alternanti di conglomerati, molasse, are- narie, marne arenacee e calcari marnosi compatti a frattura granulare, veri e propri calcari da cemento. Non ebbi la ven- tura di trovar fossili in questo complesso, ma quaudo si pensi alla inclinazione quasi uniforme di questi strati ed alla man- 1 2 P. VINASSA DE REGNY canza di gravi disturbi tettonici è facile supporre di aver che fare con un terreno posteriore e diverso dal macigno eocenico. Ma una netta separazione è molto diffìcile, tanto che quell ’aeuto osservatore che fu l’illustre geologo Pareto poteva nel 1862 (‘) scrivere che : « .... avant Portico on a, au lieu du véritable ma- cigno, des couches d’argile marneuse micacée alternant avec des bancs de mollasse. Plus loin encore, après S. Casciano. on trouve des argiles et des calcaires marneux : on ne saurait dire précisément s’ils apparti e nnent encore au terrain éocène... ». Questi strati formano una potente pila di qualche centinaio di metri di spessore, la cui inclinazione prevalente è di circa 15° a N. o NNE. Se difficile è dire dove termina V Eocene e comincia l’Oligo- cene, ancora più dubbio è determinare il principio del Miocene. Questo, nella sua forma tipica, è rappresentato da scisti, mo- lasse, marne e gesso, disposti per lo più in ampie anticlinali dirette, al solito, circa da NW. a SE. Il Pliocene è rappresen- tato come sempre dalle due facies , argillosa c sabbiosa; ed il Postpliocene dalle alluvioni antiche, di cui alcune assai importanti. L’arricciamento degli strati, già notato dal Sacco per il M. Acuto, ma che si ritrova pure a N. di Fiumane in Valle Acereta, a N. di Fregiolo in Val Tramazzo, al M. Lecchio ecc., segna come il limite oltre al quale, verso Modigliana, più non discendono gli strati del calcare da cemento. Questi sono irre- golarmente interstratificati tra le arenarie ed i calcari comuni, cosicché non si può arguire a priori la posizione in cui pos- sono trovarsi. Formano essi dei banchi continui, talvolta di pic- colo spessore, tal’ altra sino a 2 metri di grossezza; il banco è quasi sempre immerso tra due strati di arenarie e tiene sopra e sotto degli straterelli più sottili, di calcare scaglioso, detti cappellaccio. Gli affioramenti di questi strati, molto numerosi, sono stati da me seguiti sino a Tredozio; probabilmente però si spingono anche più lontano da Modigliana ; essi si rinven- gono poi in tutte quante le vallate che irraggiano da questo paese. Come ho già detto, la inclinazione degli strati è assai piccola, per lo più di 10°-15°, e diretta a valle, cioè a N. o ('*) linìì. Soc. géol. France, II* sór., voi. 11), p. 241. I CALCARI DA CEMENTO DEI DINTORNI DI MODIGLIANA 8 NNE. Solo per eccezione ho potuto misurare inclinazioni di 25° o 30". L’escavazione è facilissima, ed inoltre dà anche un utile indiretto, poiché, asportandosi il duro calcare, restano le are- narie che danno origine ad un ottimo terreno agrario. La quan- tità del calcare è tale da poter dare lavoro continuo per pa- recchie diecine di anni. Da questo breve cenno risulta che i calcari da cemento di Modigliana si trovano in condizioni diverse assai da quelle dei calcari di Casale (’) e dell’Incisa (2). Questi sono eocenici ed in condizioni di giacitura diverse, specialmente poi quelli di Casale. Allo scopo di vedere se con analisi fisiche e chimiche si poteva dare un giudizio della bontà o meno di un calcare non ancora provato alla cottura, ho scelto 13 campioni di calcari già noti per i loro risultati, e li ho sottomessi a varie prove. Prima di tutto ne ho determinato il peso specifico, poi ho determinato l’assorbimento dell’acqua, quindi l’igroscopicità. Queste due ul- time determinazioni ho creduto utile intraprendere, avuto riguardo al fatto che molte volte i blocchi di calcare aspettano all’aperto il loro turno per essere cotti. Per ciò è bene sapere se un cal- care assorbe più acqua che non un altro, e quindi se non deve es- sere possibilmente tenuto all’aperto a risparmio di combustibile. Il peso specifico fu determinato, senza precisione assoluta, col picnometro ; per tutti i campioni però nelle condizioni stesse, talché se la determinazione non è esatta in via assoluta, pure il rapporto tra i vari campioni è preciso. L’assorbimento del- l’acqua fu provato con un metodo molto semplice. Tagliati dai campioni dei pezzi tra loro uguali, furono asciugati sino a peso costante, poi immersi in acqua distillata e mantenutivi per un tempo assolutamente identico per tutti, quindi estratti, asciugati rapidamente con carta bibula e poi pesati. Per la igroscopicità ho preso al solito dei pezzi uguali, li ho asciugati sino a peso costante, poi insieme li ho esposti all’aria esterna per alcuni giorni e alcune notti, pesandoli poi tutti (') Sacco F., I materiali da costruzione delle Colline di Toriuo-Casalc- Valenza. Torino, 1898. (2) Ristori G., I calcari marnosi ed i cementi idraulici della Ditta (r. fi. Niccolini presso Incisa (Val damo). Firenze, 1901. 4 1>. V IN A. SSA DB REGNY insieme una mattina. L’aumento di peso dà naturalmente in questi due casi la quantità d’acqua assorbita. Nello specchio seguente ho raccolto le cifre relative a questi tre dati: Peso specifico Acqua assorbita % Igroscopicità %0 (Qualità scadente Campione N° I 2,54 3,20 4,6 II 2,55 1,57 1,5 III 2,35 2,06 7,5 qualità buona Campione N° IV 2,49 1,34 1,4 V 2,50 2,25 1,4 VI 2,46 1,79 3,7 VII 2,44 3,15 2,3 Vili 2,48 1,81 2,0 IX 2,42 1,53 1,2 X 2,40 2,14 2,4 XI 2,46 1,88 2,3 XII 2,46 2,06 2,8 XIII 2,42 2,92 2,4 Da questo specchio si rileva tosto un carattere che può essere assai utile, ed è quello relativo al peso specifico. Per i calcari di Modigliana, buoni da cemento, il peso specifico non dev’essere inferiore a 2,40 nè superiore a 2,50; e questo carattere empirico si è dimostrato praticamente utile. Ho fatto pure delle analisi chimiche assai sommarie, ma accurate, per determinare nei campioni suddetti, essiccati, la por- zione insolubile in acido cloridrico (prevalentemente silice), i sali di ferro e alluminio determinati come ossidi, ed i solfati, come sale baritico. 1 risultati a cui sono giunto sono indicati nello specchio seguente: I CALCARI DA CEMENTO DEI DINTORNI DI MODIGLIANA 5 Insolubile in H CI Ossidi di Fe e Al. Solfati Ossido di Ca C02 (calcolato) Perdite etc. 30,9527,5231,17 5,70 4,53 5,64 34,7237,6934,56 27,2829,6127,15 1,35 0,65 1,48 IV VI VII Vili IX XI XII XIII I 19,9619,8020,2620,55 22,81 22,67 20,4720,65 9,72 9,71 0,06 0,03 5,8010,70 6,25 — tracce 6,13' 6,45 5,49 0,02 - 20,6922,83 5,19 5,88 38,6838,7240,3237,80 38,92 39,2040,1040,5540,8239,50 30,3830,4031,6829,70 30,58 1,20 1,34 1,94 1,25 1,44 30,8031,5031,8532,06 1,20 1,46 1,46' 1,24 30,90 0,89 Pure da questo specchio si vede che i calcari buoni da ce- mento devono contenere almeno 68 per cento di carbonato cal- care, e che il residuo insolubile in pari tempo non deve oltre- passare il 23 per cento. Il campione YI, di un calcare che ha dato ottimi risultati, dà 72 per cento di carbonato calcare e 20 per cento di residuo insolubile. Queste analisi non sono molto diverse da quelle del calcare da cemento dell’Incisa, riportate dal Ristori (’); solo che questo dell’ Incisa è più calcareo e un po’ meno silicifero. Le stesse osservazioni possono farsi anche rispetto al cemento cotto. Un’analisi del cemento a lenta presa di Modigliana ha dato i seguenti risultati: Calce 60,94 Silice 24,15 Ossido di ferro e allumina . 12,92 Diversi e perdite .... 1,99 Nel seguente specchietto si danno le composizioni diverse dei cementi di Modigliana, di Casale e dell’Incisa: Modigliana Casale Incisa Calce 60,94 65,60 69,50 Silice 24,15 22,15 19,90 Ossido di ferro e allumina 12,92 9,56 9,40 Diversi e perdite 1,99 2,33 1,20 (') Op. cit., pag. 31. G P. VINASSA DE REGNY Come per i calcari, anche per il cemento si vede che quello di Modigliana contiene, in proporzione, minor parte calcarea che non quelli di Casale e meno ancora di quelli dell’ Incisa; ma non per questo sono meno buoni pel loro uso. È sperabile che anche in questa industria la nostra patria possa presto rendersi del tutto indipendente dall’estero. Come ho già detto la materia prima non manca, e qualche non dif- ficile studio preliminare sul materiale greggio può dare sufficienti indizi per giudicare della minore o maggiore buona qualità della roccia. Bologna, R. Istituto geologico. [iiis. pres. 13 novembre 1901 - nlt. bozze 27 febbraio 1902]. ALCUNI APPUNTI PER LA GEOLOGIA DELL’ISOLA DI CAPRI Nota del dott. Raffaello Bellini In particolar modo interessante dal lato geologico è la ri- dente Isola delle Sirene , prova ne sia le non poche pubblicazioni di cui è stata fatta oggetto. Essa offre sempre campo a nuove ricerche, causa specialmente i continui scavi, rotture di rocce per tracciar vie, fondamenti di case, che mettono alla luce nuovi elementi per la conoscenza geologica dell’isola. La presente nota, conseguenza di numerose ricerche fatte nelle mie continue escursioni in questa località, ha lo scopo princi- pale di fornire qualche conoscenza sugli interessanti depositi quaternari, da nessuno ancor fatti notare, anche perchè di re- cente scoperti o viemmeglio messi alla luce. La gran massa dell’isola è costituita da un calcare grigio azzurrognolo, compatto, con Capr inidi, Nerinaea, Ellipsactinia e Sphaerulites, sull’età del quale gli autori che han trattato della geologia di Capri non sono completamente d’accordo. Questo calcare è nettamente stratificato solo in pochi punti, in strati inclinanti da S. a N. e ad angolo variante tra 25° (presso i Faraglioni) e 7 0'" (sotto il Faro). La presenza degli Ellipsactinidi, sino a pochi anni addietro ritenuti esclusivi del piano titonico, indusse qualche autore a riferire al titonico il calcare di Capri (Q. C) V. i seguenti lavori sulla geologia di Capri: Steinmann G., Ueber dcts alter des Appenninkal kes voti Capri. Berieht d. naturf. Ges. zu Freiburg, voi. IV, fase. 3°, 1889. Il Canavari tradusse questa memoria ( Sull'età del calcare appenni- nico di Capri in Boll. R. Comit. Geol. Roma, 1889, fase. I-II) ed ag- giunse altri siti dell’isola dove furono trovate Ellipsactinie. 8 K. BELLINI Le osservazioni posteriori sulla posizione stratigrafica degli Ellipsactinidi eseguiti dal Telimi, dal De Lorenzo, dal Baldacci, dal Di-Stefano, hanno fatto conoscere che questi caratteristici fossili si rinvengono anche nel cretaceo inferiore e rimaneggiati nei calcarei eocenici, mentre le Nerinee e le Itierie di Capri appartengono a forme che si raccolgono nei calcari cretacei a facies urgoniana di Sicilia. L’Oppenheim, fondandosi sulla presenza delle Ellipsaetiuie e di alcuni pochi gasteropodi d’origine titonica, riguarda il cal- care di Capri come una facies coralligena del Neoeomiano, o, più propriamente, come una formazione che dal Titonico supe- riore incluso giunge sino all’Hauteriviano (sotto-piano superiore del Neocomiano). Il Di-Stefano, che già nella sua pubblicazione sul Monte Bulgheria nel Salernitano (') rimase in dubbio se ri- ferire al Titonico od all’Urgoniano il calcare di Capri, in una nota posteriore (2) lo ritiene senza dubbio cretaceo perchè « la presenza di qualche rara specie d’origine titonica nei calcari di Capri è dovuta assai verosimilmente al fatto che essi si sono formati a spese d'altri titonici È necessario però rilevare che la grandissima parte delle Ellipsactinie di Capri non sono logorate e fanno corpo con la roccia, il che indica che non pro- vengono dal titonico (3). Oppenheim P., Die Geologie der Insel Capri in Zeitschr. d. deut. geol. Ges., voi. XLII, p. 758-764. Berlin, 1889 — Beitràge zur Geologie der Insel Capri und der Halbinsel Sorrent, 1889 — Das alter der Ellip- saclinien-Kalkes im Alpinen Europa in Zeitschr. d. deut. Geol. Ges., Protokoll d. Nov. Sitz., p. 778 — Ancora intorno all’isola di Capri in Riv. Ital. di Paleont., I, fase. IV, 1895 — Neue Fossilfunde auf Capri in Zeitschr. d. deut. Geol. Ges., voi. XLIX, p. 203-207. Walther J., Ueber die Geologie von Calmi. Zeitschr. d. deut. Geol. Ges., voi. XLI, p. 771-776. Berlin, 1889. V. anche l’importante monografia: Canavari M., Idrozoi titoniani della regione mediterranea appartenenti alla famiglia degli Ellipsactinidi. Mcm. R. Comit. Geol., voi. IV, 1893. (') Di-Stefano G., Ossevazioni sulla geologia del Monte Bulgheria in provincia di Salerno. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XIII, 1894, fase. 2. (*) Di-Stefano G., Il Malm in Calabria. Riv. It. di Paleont., a. VI, fase. I, 1900. C) Id., Il Malm , ccc., p. 4. APPUNTI PER LA GEOLOGIA DELL’ISOLA DI CAPRI 9 Anche il Dr. De Lorenzo è dello stesso parere (’) nel ri- tenere cretacei i calcari ad Ellipsactinidi di vari siti dell’Italia meridionale. Come in Calabria ed in altre località, cosi anche a Capri questi importanti fossili sono associati a Rudiste; nei dintorni del Palazzo di Tiberio, al S. Michele ed in alcuni punti tra Capri ed Anacapri al disotto della formazione principale si rinvengono calcari e Rudiste con Sphaerulites , Radiolites, El- lipsactinia , Sphaer actinia, Plagioptychus, Caprinula, Cydaris glandifera , Goldf., frammenti di brachiopodi e corallarì. I siti più ricchi di fossili sono le vicinanze del paese di Capri (138 m.), di Anacapri (300 m.), della Grotta Azzurra, il Monte S. Michele (245 ni.), il colle del Telegrafo (273 m.) e quello di Tiberio (340 m.). Pochissimi e rari sono gli esem- plari conservati e, stante la compattezza del calcare, difficil- mente isolabili. Ecco una lista delle specie raccolte in parecchi anni dal dott. Cerio e da me: Ellipsactinia ellissoide a, Steinm. Sphaer actinia diceratum, Steinm. Itieria biconus, Oppenh. — austriaca, Zittel (?). — obtusiceps, Zittel Cydaris glandifera, Goldf. Triploporella capriotica, Opp. Actaeonina Picteti, Gemili, il [odiala aequiplicata, Strom. Lima ctenodes, Boehm. Nerinaea ( Diptyxis ) biplicata, Opp. (3) Cerithium sirena, Oppenh. Tenebra, tuia insignis, Zieten. In conclusione, siccome a Capri non è possibile distinguere una formazione titonica da una urgoniana, cosi sembra potersi riferire il calcare dell’isola a quest’ultima età; riferimento 0) De Lorenzo G., Osservazioni geologiche nell’ Appennino della Ba- silicata meridionale. Rend. Accad. Scienze di Napoli, s. 2 , voi. Vili, 189o. (2) Secondo il Di-Stefano (Oss. s. geol. d. Monte Bulgheria, ecc.) questa forma di Capri non sarebbe la specie dello Zittel. (3) 11 Di-Stefano (loc. cit.) propende a riferirla alla Itieria Sden- tata, Gemm. dell’Urgoniano di Sicilia; la Nerinaea pseudohruntutana, Gemm, citata daH’Oppenheim come da lui trovata a Capri, è da stu- diarsi meglio. 2 10 li. BELLINI tanto più fondato in quanto che la fauna del calcare di Capri ha massima analogia con quella delle stesse formazioni in Si- cilia ed in siti dell’Italia meridionale continentale. Al disopra di queste formazioni si trovano depositi eoce- nici, rappresentati da arenarie ed argille, ed anche qui, come nella Penisola Sorrentina (*), a stratificazione discordante col calcare. Il Walther ha esplorato principalmente un lembo di eocene sotto la Punta di Tiberio ed ha raccolto numerosi briozoi, mentre al Dr. Cerio prima, ed a me poi, ha fruttato fucoidi e nummuliti. La presenza di questi fossili e l’esistenza, sebbene rarissimi, della Orbitoides multiplicata, Gitmbel e della Num- mulites variolaria, Sow., fanno riferire questi depositi all’eo- cene superiore, mentre la Nummulites laevigata, Lam., carat- terizzante un piccolo lembo nei pressi della Grotta Azzurra, potrebbe far rapportare quest’ultimo all’eocene medio. Finalmente in molti punti dell’isola, specialmente nelle val- lette e nelle alture, depositi tufacei di trasporto e pozzolane na- scondono il calcare; depositi provenienti da materiali del Vesuvio o degli antichi vulcani flegrei e trasportati dal vento. Notevole è che il fondo del mare dell’isola è ricco di cristalli interi o frammentati d’augite. Anche importantissime e meno note sono le formazioni pos- terziarie o recenti, per le conclusioni che specialmente se uè possono trarre. Al Monte San Michele (245 m.), in una zona che fu dissodata per coltivarla a vigneto, a circa 200 m. sull’attuale livello del mare fu rinvenuta una fascia di creta calcarea rossastra, di du- rezza quasi identica a quella del calcare dell’isola, entro il quale è compresa e di cui numerosi piccoli frammenti vi sono rac- chiusi. Questa fascia calcarea è ricchissima di molluschi marini fossili, tutti appartenenti a specie viventi ancora nel mare del- l’isola. A questo stesso livello una serie di numerose caverne dimo- stra che nell’isola il mare dovè battere a quest’altezza per un tempo ben lungo. (') Puggaard, De script, géól. de la peninsule decorrente. Bull. Soc. Géol. do Franco; Sèrie 11; Tome XIV. APPUNTI PER LA GEOLOGIA DELL’ISOLA DI CAPRI H Le specie principali di questa formazione sono : Eudora pullus, L. sp. Patella caerulea, L. (?) Parvicardium minimum , Phil. sp. Cardium ( Acanthocar dia ) cchinatum, L. La loro separazione è difficile, causa la durezza della roccia. Non lungi da questa località e più in basso (120 m.), nei pressi Ae\V Hotel Faraglioni, mentre si scavavano le fondazioni duina casa, venne fuori la roccia calcarea contenente Lithodomus lithophagus , L. sp., e tutta perforata da questi. Su detta roccia eravi un giacimento di ciottolini arrotondati e solidamente ce- mentati dalla creta calcarea rossastra indurita. In questo depo- sito non si rinvennero fossili perchè fra i ciottolini costante- mente smossi dalle onde che lambiscono le spiaggie, le conchi- glie si stritolano e sono deformate. Nei primi giorni del corrente anno il dott. Cerio, di Capri, si accorse che in un campo a nord dell’ isola era venuta fuori la roccia costituita da conglomerato di ghiaia impastato di con- chiglie; nei mesi di agosto e settembre scorsi, in compagnia del sullodato dott. Cerio, fui parecchie volte ad osservare la lo- calità, che si trova alla stessa altezza della precedente, presso il luogo detto Cosina, ed è veramente importante per l’abbon- danza numerica degli individui fossili, riferibili, almeno i mi- gliori, a tre specie di tipo littorale comunissime nel mare che bagna l’isola, ossia: Conus mediterraneus, Brug. Trochocochlea turbinata , Lana. sp. Cerithium (Thericium) vulgatum, Brug. L’osservazione di questi depositi recenti è importante, per- mettendo di vedere i diversi sollevamenti a cui l'isola e andata soggetta. Phorcus Richardi, Payr. sp. Trochocochlea turbinata, Lam. sp. Cerithium (Thericium) vulga- tum, Brug. Cerithiopsis scaber , Olivi sp. Columbella rustica , Lam. 12 R. BELLINI Un primo sollevamento è dimostrato dal deposito sul Monte San Michele e fece sì che il mare bagnasse l’isola all’attuale livello di 200 m. ; vi fu, vale a dire, una prima spiaggia a quest’altezza ed indi una seconda a 120 m., ossia a livello del- V Hotel Faraglioni, del paese di Capri e di Cesimi, inferiore alla prima di 80 metri. Tra il primo ed il secondo sollevamento dovette correre un tempo abbastanza lungo, come ci vien dimostrato dalle molte caverne esistenti nell’isola all’altezza di 200 metri. Un innalzamento posteriore è visibile dal lato della Ma- rina di Mulo, nel sito dove attualmente per munificenza del Krupp si sta costruendo una nuova e più comoda strada ro- tabile; ne sono prova i depositi stratificati di tufo e pozzolana esistenti ad un’altezza dal mare di circa una ventina di metri. Finalmente un ultimo e più recente sollevamento è visibile a levante ed a mezzogiorno dell’isola sulle roccie a picco, che a 5 metri dalla superficie del mare sono corrose e scavate dai fori dei litodomi. In varie parti il tufo contiene fossili terrestri; nella loca- lità di Tragara, p. es., si raccolgono le due specie: Oampylaea planospira, Lam. (ì. neapolitana, Paulucei. Hyalinia cellaria, Mailer sp. Verso la Marina di Mulo una formazione recente nelle grotte è caratterizzata dalla Giandùia algira, Brug. sp. (non più vivente nell’isola) ed Iberus Surrentina, A. Scimi. E nella località Unghia marina furono raccolti avanzi di Cervus dama, mentre nel conglomerato calcareo della Cala di Matromania è notevole la scoperta fatta dal Dr. Cerio di una costola di un genere della famiglia Ursidae. L’apertura della suaccennata strada dalla Certosa alla Pic- cola, Marina mi . ha. TmhHtO' l’oeeasionc di osservare ancor meglio, lungo le sezioni artificiali delle roccie a Sud dell’isola, l’im- pnrt^urziiodefMepo'sitii'cpmterlmr'ì!. ii-i-mp ili f>n< i.\>; yi •i»WA Visitando' i ilici primi ogiorni Idei settèmbre*' feltri ilio ollnprtbno tratto della strada, poco al disopra della Certosa, u^tórto:"» 13 APPUNTI PER LA GEOLOGIA DELL’ISOLA DI CAPRI forza di piccone e di mina, mi ha colpito imo spaccato arti- ficiale alto circa sei metri dal piano della via. Al disopra del solito calcare compatto si adagiano per una considerevole esten- sione tre strati alti circa mezzo metro e più ognuno; l’inferiore ed il superiore sono d’argilla d’origine lacustre e ferrifera, di color ruggine, contenente ossa di mammiferi ; il medio è invece di tufo vulcanico con pomici in decomposizione, con vari cri- stalli di sanidina, base delle trachiti fìegree. Lo strato infe- riore segue le ondulazioni della roccia su cui si adagia, e tutto il complesso è coperto da grandi blocchi calcarei, caduti dalle pareti circostanti, in modo da mascherare prima dell’apertura della via la formazione inferiore. Intimamente contenuti in un punto dello strato più basso ho rinvenuto frammenti di selce piroinaca scheggiata che non esiste nell’isola; vi fu quindi portata quando lo strato infe- riore era in formazione e di conseguenza in questo tempo l’uomo già abitava la località. Siccome questo strato inferiore è ricoperto dall’altro di ma- teriale trachitico, è evidente che si è depositato quando erano ancora in azione i vulcani flegrei. L’esistenza dell’uomo nell’isola in quest’epoca è anche provata dalle scoperte fatte dal Dr. Cerio nella Grotta delle Felci (1), abitata nei tempi più fiorenti dell’età neolitica. Da quanto ho detto relativamente ai depositi posterziar! di Capri se ne deduce: 1° Che l’isola ha subito almeno quattro sollevamenti, e che tra il primo ed il secondo occorse un tempo maggiore. 2° Che le condizioni del mare e del clima non hanno cam- biato dalla fine del pliocene ad ora; perchè la fauna fossile marina quaternaria è identica alla attuale. (■) V. De Biasio A., Gli avanzi preistorici della Grotta delle Felci nell'isola di Capri. Bollettino di Paletnologia Italiana, anno XXI, nu- meri 4-6, Parma, 1895. Per solo titolo di curiosità dirò che Augusto fu il primo .ad iniziare ricerche preistoriche in Capri ; sebbene, come si potrà immaginare, con scopi non scientifici: Qualia sunt Capreis imma- nium belluarum ferarumque membra praegrandia quac dicuntur gigantum ossa et arma heroum. Svetonio, Vita di Augusto. 14 R. BELLINI 3° Clie l’esistenza dello stato di fossile recente della Helix ( Iberus ) Sorrentina, A. Scimi., caratteristica della fauna at- tuale dell’isola e della vicina penisola sorrentina, viene ancor più a confermare che Capri faceva parte una volta del vicino continente, come si è dedotto anche dagli scandagli batime- trici. La scomparsa dalla fauna attuale caprense e sorrentina della G landina digira, Brug. sp. è un’altra prova a questo riguardo. 4° Che l’uomo visse nell’isola quando erano ancora in azione i vulcani dei Campi Flegrei. [ras. pres. 2 dicembre 1901 - ult. bozze 1 marzo 1902]. SULLA QUESTIONE DELLA STRATIGRAFIA DEI TERRENI DEL BACINO DI FIRENZE Dichiarazioni e rettifiche del prof. Giacomo Trabucco L’ing. Bernardino Lotti, ai dati di tatto da me esposti nella importante discussione sull’età e stratigrafia dei terreni del ba- cillo di Firenze che vanno dal langhiano al smontano, oppone (Q affermazioni erronee ed estranee all’argomento, che mi sarà fa- cile ridurre al loro giusto valore. Vediamolo. L’ingegnere geologo dichiara ed afferma: a) «di non potersi prestare a discussioni col Prof. Tra- » bucco, che vuole continuare nella sua lotta solitaria e collo » stesso sistema » ; b) che non sono stato io il primo a stabilire la verità intorno alla stratigrafia ed età dell’arenaria macigno del bacino di Firenze e che tacqui di proposito le sue precedenti osserva- zioni ; c) che non ho mai scritto niente sul giacimento fossilifero di Barigazzo; d) e finalmente che la mia sezione sui terreni del Casen- tino è geologicamente impossibile. (a) Anzitutto avverto il Lotti che la sua dichiarazione, di non potersi prestare a discussioni col prof. Trabucco, non fa presa (l) Lotti B., Sulla questione del terreno cretaceo dei dintorni di Fi- renze. Dichiarazioni e rettifiche. Boll. Soc. Geol. Italiana, voi. XX, 1901, p. 343. 16 G. TRABUCCO su di me modesto soldato di frontiera, ma anche impenitente difensore della verità e della serietà della scienza. Chi mi conosce ed apprezza l’alto, disinteressato ed imper- sonale sentimento che mi guida, ha reso e rende giustizia alla mia opera franca e leale che, all’ infuori della soddisfazione del dovere compiuto, non mi ha mai fruttato che fatiche, spese e dolori. Non è però la prima volta e solo a mio riguardo che l’in- gegnere Lotti emette consimili dichiarazioni. Fino dal 1885, quasi allo stesso proposito, scriveva (’): «Di essere pronto a di- » mostrare sui luoghi la verità delle sue asserzioni; non potrebbe » perciò accettare la discussione in iscritto, perche trattasi di » fatti e non di opinioni». E questa antica dichiarazione non era fatta evidentemente per me, ma proprio per il prof. C. De Stefani. Quanto poi al continuare nella lotta solitaria, osservo sem- plicemente che il Lotti ha, bene o male, interloquito sei volte (?), ossia proprio tante, quante sono le note da me pubblicate sul- l’argomento. H Lotti scrive:^ «la forma tipica della pietra forte o cal- care psammitico » — altrove (Q chiama granitello la cicerchina e viceversa — confondendo teoricamente e poi praticamente la (Q Lotti B., La Creta e Veocene nei dintorni di Firenze. Proc. Verb. d. Soc. Tose, di Se. Natur., Ad. 20 Maggio 1885, p. 220. (2) Lotti B., L'età geologica dell’arenaria di Firenze a proposito di una nota del Prof. Trabucco su questo argomento. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XIV, 1895, p. 98. — Cenni sul rilevamento geologico eseguito in To- scana durante Vanno 1894. Boll. Coni. Geol. d’Italia, voi. XXVI, 1895, p. 317. — Strati eocenici fossiliferi presso Barigazzo nell’ Appennino Mode- nese. Boll. Coni. Geol. d’Italia, voi. XXVI, 1895, p. 439. — Sul rileva- mento eseguito in Toscana nell’anno 1895. Boll. Coni. Geol. d’Italia, voi. XXVII, 1896, p. 299. — Studi sull’ eocene dell’ Appennino Toscano. Boll. Coni. Geol. d'Italia, voi. XXIX, 1898, p. 62. — Sulla questione del terreno cretaceo nei dintorni di Firenze. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XX, 1901, p. 313. (■’) Lotti B., Rilevamento geologico eseguito in Toscana nell’an. 1893. Boll. Coni. Geol. d’Italia, voi. XXV, 1894, p. 126. O Lotti B., Op. cit., p. 126. — La Creta e Veocene nei dintorni di Firenze , 1885, p. 220, ec-c. STRATIGRAFIA DEI TERRENI DEB BACINO DI FIRENZE 17 pietraforte smonta na col calcare psammitico (arenaria psammite ) intercalato nella grande zona galestrina suessoniana sovrapposta al macigno; il granitello (brecciola) o calcare screziato nnmmu- litico degli autori, che costituisce la base del parisiano, colla cicerchina (puddinga), facies del macigno suessoniano. Ma che colpa ci ho dunque io se il medesimo, confondendo tra loro alcune delle rocce più tipiche ed importanti del bacino, differenti per litologia, fossili, età e posizione, appare poco pre- parato a risolvere le importanti questioni stratigrafiche della regione ! (&) Premetto che: 1) Nelle mie note precedenti, riportai sempre integralmente le conclusioni del Lotti in proposito, scrivendo (*): « Lotti, nella Memoria La Creta e l’eocene, ecc., così divide »i terreni dall’alto al basso: » I. Calcari alberesi bianchi o grigio-chiari con strati di » calcare screziato nummulitico, a Nummulites nella parte supe- » riore. » IL Calcari marnosi grigi, scisti argillosi, arenarie calcaree » (pietraforte) e calcare screziato nummulitico; il tutto in strati »fra loro ripetutamente alternanti a Nummulites, Helminthoida, » Nemertilitcs, Taornurus, Paleodictyon, Chondritcs, Inoceramus. » III. Calcari screziati nummulitici e scisti rossi, a Num- » mulites , Chondritcs, Helminthoida. »IV. Arenaria macigno e puddinga, volgarmente detta gra- » nitrito; Nummulites? dubbie nella parte superiore. » V. Arenaria calcarifera (pietraforte) in banchi alternanti » con sottili letti scistosi ad Inoceramus, Ammoni tes, Turni ites, » Chondrites, Paleodictyon, Helminthoida. » Spiega la promiscuità di Nummuliti e di Inocerami ammet- » tendo eteropicità della fauna delle formazioni II e III, aggiun- (') Trabucco G., Sulla posizione ed età delle argille galestrine e sca- gliose del ftysch e delle serpentine terziarie dell' Appennino settentrionale. Firenze, 189G, p. 15. — Fossili, stratigrafia ed età della Creta superiore del bacino di Firenze. Boll, della Soc. Geol. Italiana, voi. XX, 1901, p. 278, eco. 3 18 U. TRABUCCO » gendo che: le forme nuramulitiche (ossia il graniteìlo) di Mo- » sciano spettano alla zona più antica dell’eocene Appenninico, » l’arenaria macigno del Fiorentino deve ritenersi cretacea, essere » manifestamente impossibile una delimitazione puramente cro- » nologica tra il secondario ed il terziario ». Onde posso ben respingere l’ affermazione di avere taciuto di proposito le sue precedenti osservazioni, essendo al contrario vero che ho sempre riportate integralmente le conclusioni dello stesso studioso e che non potevo essere, a questo riguardo, nè più esatto, nè più corretto. 2) L’illustre e venerato prof. Meneghini aveva subito ben giudicate le ipotesi paleo-stratigrafiche del Lotti, scrivendo (‘): «Sulla comunicazione precedente (del Lotti) Meneghini , osserva » che la parola formazione impiegata dal Lotti nella questione » stratigrafica fa insorgere qualche dubbio sulle sue conclusioni o, » per lo meno, toglie ad esse la chiarezza. La formazione, che » egli denomina calcareo-argillosa e arenacea, risulta, come lo » dice il nome stesso, da una grande varietà di forme litolo- » giehe alternanti e ripetute. Notevole varietà di forme litolo- » giehe è pure al certo nella formazione della così detta pie- » traforte. L’arenaria macigno poi, come il Lotti avverte, si » presenta litologicamente uguale in piani diversi. Benché si » tratti di non grandi distanze, però sufficienti a consentire forme » eteropiehe nello stesso piano, le osservazioni stratigrafiche non » si possono esattamente rilevare che in punti isolati; sembra » quindi difficile il potere con certezza asserire la continuità di » formazioni così complesse e variabili. Difficile del pari è l’am- » mettere il concetto di una formazione che, in non grande spes- »sore, possa complessivamente rappresentare due piani di sistemi » diversi e che nell’ordine cronologico non si susseguono neppure » direttamente». 3) Ad una osservazione precedente del Lotti (*) «che io non »ero stato il primo a collocare alla base dell’eocene l’arenaria (‘) Meneghini G., Proc. Verb. della Soc. Tose, di Se. Natur., Ad. 26 Maggio 1885, p. 222. (') Lotti B., L’età geologica dell' arenaria di Firenze , ecc. Boll. Soc. Gcol. Italiana, voi. XIV, 1895, p. 98-99. STRATIGRAFIA DEI TERRENI DEL BACINO DI FIRENZE 19 » macigno del bacino di Firenze, ritenuta prima cretacea, perchè (*) » era stata ritenuta eocenica da Savi, Meneghini, Cocchi e De » Stefani » ; rispondevo immediatamente (2) : « Innanzi tutto non è vero che Savi, Cocchi, Meneghini, » De Stefani, Lotti od altri abbiano collocato, prima di me, l’a- » renaria macigno alla base dell’eoccne ; cito a conferma gli » ultimi lavori di questi studiosi, anteriori alla pubblicazione » della mia nota preliminare: Sulla positi, del calcare di Mosciano » e degli altri terreni eocenici del bacino di Firenze (Firenze. » 1° Luglio 1894). Savi colloca il macigno sopra il calcare num- » mulitico e la calcarla screziata (:i) ; Savi e Meneghini sopra » gli scisti galestrini che tengono incluso il calcare nnmmulitico (4); » Cocchi dice che le calcaire nummulitique forme la base de ce » terrain (tertiaire inférieur) (5) ; De Stefani ascrive alla creta » l’arenaria macigno del bacino (f:) ; finalmente Lotti crede do- » versi ritenere cretacea l’arenaria macigno nel Fiorentino ('). » Questo per ristabilire la verità dei fatti. Ma se anche qualche » autore antico avesse collocato ( quello che non è) il macigno » alla base dell’eocene, non sarebbe meno artifiziosa l’afferma- » zione del Lotti. » Infatti è chiaro che, affermando che nessuno prima di me » aveva collocato il macigno alla base dell’eocene, intendevo (') Per provare che io non ero stato il primo a collocare il ma- cigno alla base delVeocene, si afferma che il medesimo era stato ritenuto eocenico da quasi tutti i geologi toscani!! O Trabucco G., Sull’età geologica del macigno di Firenze. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XIV, 1895, p. 100. (3) Savi P., Saggio sulla costiiuz. geol. della prov. di Pisa. Pisa, 1863, pag. n. C) Savi e Meneghini, Considerai, sulla geol. stratigraf. della Toscana, pag. 304. (5) Cocchi L, Descript, des roches ignc’es et sédiment. de la, Toscane, p. 37. (6) De Stefani C., I terreni e le acque del bacino di Firenze. Fi- renze, 1891, p. 6. — Le pieghe dell’ Appennino tra Genova e Firenze. Cosmos, 1892, ser. II, voi. XI, p. 138, tav. V, fig. 14. (7) Lotti B., La creta e l’eocene nei dintorni di Firenze. Proc, Verb. Soc. Toscana di Se. Natur., Ad. 10 Maggio 1885, p. 221. 20 G. TRABUCCO » parlare della opinione scientifica generalmente ammessa prima » della pubblicazione della mia nota preliminare (*) stilinocene » del bacino. E che secondo l’opinione scientifica generalmente » ammessa prima della pubblicazione della mia nota, il macigno » fosse ritenuto decisamente cretaceo, è ampiamente provato dai » citati lavori di Lotti e De Stefani ed anche dalla Carta geol. » d’Italia (Coni, geologico) del 1889, ispirata certamente in » questa parte alle idee del Lotti stesso. » Quanto alle nuove conclusioni del Lotti (2), in parte ancora » erronee, come dimostrerò in una nota in corso di stampa, basterà » che io faccia notare che furono precedute dalla citata mia nota » preliminare suH’eocene del bacino. » Il Lotti soggiunge nella sua comunicazione: io pure l’ho » sempre ritenuta eocenica e se per un momento ne dubitai, ecc.; » curioso davvero questo momentaneo dubbio, che si esplica fa- » cendo dipingere cretacea sulla carta geol. d’Italia del 1889 » l’arenaria macigno, dapprima segnata nell’eoccne e che dura » dal 1885 al 1894!» Così, da quanto sono venuto esponendo con dati di fatto inoppugnabili, rimane con evidenza stabilito che non potevo essere nè più esatto, nè più corretto nelle citazioni della nota del Lotti, avendo riportato integralmente le sue conclusioni; che, nella stessa adunanza della Società Toscana del 20 Maggio 1885, l’illustre e venerato Maestro dell’Università di Pisa aveva giudicate le ipotesi paleo-stratigrafiche dello stesso Lotti; che, infine, già precedentemente, in contradditorio dello stesso studioso, avevo provato di essere stato il primo a collocare il macigno nella sua vera posizione e cioè alla base dell’eocene. Ed ora esaminiamo un po’ più da vicino la nuova afferma- zione del Lotti, la quale evidentemente non è, di fatto, che la ripetizione di quella del 1895 e già provata erronea. (') Trabucco G., Sulla posiz. del calcare di Mosciano e degli altri terr. eocenici del bacino di Firenze. Firenze, 1° Luglio 1894. (’) Lotti B., Rilevamento geol. eseguito in Toscana. Boll. Coni. Geol. d'Italia, sor. Ili, voi V, 1894, fase. 2°, p. 115. STRATIGRAFIA DEI TERRENI DEL BACINO DI FIRENZE 21 Egli, dunque, ritenta la poco fortunata prova che io non ero stato il primo a collocare il macigno nella sua vera posizione e cioè alla base cieli’ eocene e scrive (J): «A pag. 274, Trabucco, facendo la storia della geologia dei » dintorni di Firenze, dice die il Murcliison incorse in una grave » inesattezza nella disposizione delle rocce eoceniche e, tanta fu » la sua influenza sui geologi italiani e stranieri, i quali lo segui- » rono, che la verità fu ristabilita solo da lui nel 1894. Questa » inesattezza consisteva, come egli spiega, nell’avere creduto il » Murcliison clic il nummulitico (2) costituisse la base dell’eocene » e sopportasse l’arenaria macigno ed in questo senso tracciò » la sezione , evidentemente errata, di Mosciano, perchè in realtà » è tutto l’opposto. » Ora io nel 1885 (Proc. Verb. Soc. Tose, di Se. Natur., IV, » p. 219) scrivevo: Nei dintorni di Mosciano può osservarsi, » dirimpetto al cimitero del villaggio, affiorar l’arenaria disotto » il nummulitico ed un poco più in basso vedesi una cava di » arenaria ricoperta tutt’attorno dal nummulitico stesso, ed aggiun- » gevo poi : dunque la serie dei dintorni di Mosciano è perfet- » tamente inversa a cpuella data dal Murchison ed accettata poi » dai vari autori successivi. » Veda dunque il prof. Trabucco che la verità non fu sta- » bilita da lui nel 1894, ma da me nel 1885. E non è a cre- » dorsi che il prof. Trabucco non conoscesse quel mio scritto, » perchè esso è proprio quello che specialmente ha servito e » serve sempre di bersaglio ai suoi strali ». Pertanto l’accusa che mi fa il Lotti è di avere scritto che, dopo l’errata sezione di Mosciano del Murchison, la verità, a proposito della disposizione delle rocce eoceniche e specialmente dell’età e stratigrafia del macigno, era solo stata ristabilita da (') Lotti B., Sulla questione del terr. cretaceo nei dintorni di Firenze, Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XX, 1901, p. 313-314. (-) Io non ho scritto nummulitico, ma bensì « calcare nummulitico (granitello di Mosciano e di altri luoghi)»; cosa questa molto differente, poiché, mentre quasi tutte le rocce eoceniche sono nummulitiche, il gra- nitello (calcare screziato), colla sua tipica fauna, costituisce la base del parisiano. 22 G. TRABUCCO me nel 1894, mentre invece questa, fino dal 1885, era stata indicata da lui. Ora, in primo luogo, è evidente che colla sua dizione il Lotti stabiliva la posizione del macigno di Mosciano rispetto al cal- care nummulitico e non rispetto alle serie eocenica e secondaria, cosa molto differente. E perciò, riferendomi io alla disposinone delle rocce eoceniche, ero perfettamente nel vero quando scrivevo che la verità era stata solo ristabilita da me nel 1804. Inoltre la dizione o frase del Lotti (qui sta il nodo della questione) non si può a comodo staccare dalle conclusioni e dalle altre osservazioni che si leggono nella stessa nota. Ora da queste conclusioni ed osservazioni appare che il Lotti: a) confonde teoricamente e praticamente (pag. 220) la pie- traforte col calcare psammitico, il granitello e la cicerchina; b) colloca la serie senoniana sopra il granitello parisiano, che, secondo lui, costituirebbe la base dell 'eocene; c ) dichiara (p. 221) impossibile una delimitazione pura- mente cronologica tra il terziario ed il secondario ed attribuisce l’arenaria macigno alla creta ; cl) confonde tra di loro i calcari (p. 220) e le rocce argil- lose dei differenti piani deH’eocene e della vera creta superiore, collocando sotto quelli che stanno sopra e viceversa. Cosi stando le cose, come è indiscutibile ed appare dalla stessa nota del Lotti del 1885, era o no logico, giusto, vero, esattissimo che io scrivessi che ero stato il primo a ristabilire la verità nella disposizione delle rocce eoceniche del bacino di Firenze, specialmente a riguardo del macigno, collocato per la prima volta nella sua vera posizione e cioè alla base dell’ co- cene ? Gli studiosi non ignorano poi che il Lotti, come se non ba- stasse la confusione da lui, a mio avviso, escogitata intorno alla stratigrafia e posizione dei terreni del bacino di Firenze e di altre regioni della Toscana, in successive note (*) arriva a collocare alla base della serie eocenica le assise marno-calcaree- arenacee langhiane ad A. Aturi, li. pedemontanum, I . Calan- (’) Lotti li., Studi sull’ Eocene dell’ Appennino Toscano. Boll. Coni. Geol. d'Italia, voi. XXIX, 1898, n° 1, ecc. 23 STRATIGRAFIA DEI TERRENI DEL BACINO DI FIRENZE dreìli, S. Dode ricini, L. Dicomani, 0. langhiana, P. rubiconis, di Miccino, Pico mano, della Eo magna Toscana, ecc.! (c) Poco dopo alla pubblicazione del Lotti (>) sulla stratigrafia dei terreni presso Barigazzo, visitai e studiai minutamente quella interessante regione delTAppennino Modenese ed avendo potuto constatare clic, a mio avviso, le conclusioni dello stesso geologo erano dovute ad erronea interpretazione stratigrafica, in una mia successiva nota ( Stratigrafia dei terreni ed elenco delle rocce della prov. di Firenze. Firenze, 1898, p. 11) scrivevo: «Cosi » il Lotti cita due nuove località e cioè i dintorni di Barigazzo » (Appennino Modenese) e di Memmenano (Casentino), dove esi- » steiebbe la pretesa promiscuità di nummuliti e di inocerami » in strati decisamente eocenici. Ultimamente poi lo stesso Lotti » al Prof. D’Andreae, il quale giustamente concludeva (Neues » Jahrbuch fui* Mineralogie, Geologie und Palaeontologie, 1897, » voi. Ili, n° 2) che la presenza di inocerami e bivalvi mioce- » niche in strati decisamente eocenici nei dintorni di Barigazzo » asserita dal Lotti doveva evidentemente attribuirsi a promi- » scuità di strati dovuta a fenomeni tectonici, osservava (1 2) che, » se avesse (il D’Andreae) esaminata la carta geologica e la » sezione relativa ed avesse ponderati i fatti da lui esposti, non » avrebbe certamente precipitato il suo giudizio. Orbene, le mie » minuziose e ripetute osservazioni sui giacimenti • di Barigazzo » e di Memmenano, citati dal Lotti, mi autorizzano francamente » a conchiudere che la pretesa promiscuità di inocerami c di » nummuliti negli strati eocenici di quelle due località è dovuta » unicamente ad osservazioni ed ipotesi strati grafiche grossola- » namente errate , come proverò in una prossima nota, corrobo- » rata anch’essa dai più minuti particolari litologici, stratigra- » fici e paleontologici ». (1) Lotti B., Strati eocenici fossiliferi presso Barigazzo nell’ Appen- nino Modenese. Boll, del R- Coni. Geol. d’Italia, 1895, voi. XX\ I, n°4. (2) Lotti B., Cenni geologici sul Valdarno. Estr. dal Boll. Com. Geol. d’Italia, 1897, p. 2. 24 G. TRABUCCO Pubblicai, successivamente nel Bollettino della Società una memoria stratigrafica sopra i terreni del Casentino, ma non aggiunsi altro a proposito di quelli dei dintorni di Barigazzo, per la semplice ragione che, se dovessi pubblicare una nota tutte le volte che credo errate le conclusioni del Lotti, le mie pubblica- zioni dovrebbero moltiplicarsi all’infinito. Ma, se realmente il Lotti ci tiene ad una mia speciale pubblicazione sui terreni di Barigazzo, ho tutto pronto e lo contenterò il più presto possibile. Ma egli non deve poi lamentarsi di essere bersaglio dei miei strali innocenti ! (d) La mia sezione dei terreni del Casentino, non solo è geologi- camente possibile, non solo rappresenta esattamente (come ognuno può verificare) e con evidenza la disposizione della serie dei ter- reni di quella importante regione, ma ancora si accorda (caso degno di nota) pienamente colle osservazioni del prof. Sacco. E poiché il valore stesso del mio contradditore sembra auto- rizzarmi ad esprimere tutto il mio pensiero colla maggiore sin- cerità e franchezza, così aggiungerò a questo proposito che, a mio avviso, le sue sezioni schematiche dei terreni della Toscana (come ho provato colle pubblicazioni di cui si lamenta (')), sono geologicamente impossibili e non rispondono alla realtà dei fatti che si possono constatare - peggiorate ancora dai numerosi cunei di macigno, coi quali squarcia le viscere dei monti toscani. [ms. pres. 8 settembre 1901 - ult. bozze 1 marzo 1902]. (') Trabucco G., Sulla vera posizione dei terreni eocenici dei monti del Chianti. Boll. Soc. Geol. Italiana, voi. XIV, 1895. — Fossili, stra- tigrafia ed età dei terreni del Casentino. Boll. Soc. Geol. Italiana, vo- lume XIX, 1900. — Fossili, stratigrafia ed età della Creta superiore del bacino di Firenze. Boll. Soc. Geol. Italiana, voi. XX, 1901, ecc. SOPRA ALCUNI TRONCHI SILICIZZATI DELL’EOCENE SUPERIORE DELL’ IMPRIJNETA (PROVINCIA DI FIRENZE) Nota del dott. L. Pampaloni Nel Museo di Paleontologia del R. Istituto di studi supe- riori di Firenze si conservano alcuni tronchi raccolti in parte dal cav. Pasqni nell’anno 1875, in parte dal sig. Vincenzo Ugo- lini, lungo il fosso denominato: «Le Sorrettole» presso l’Im- pruneta (Prov. di Firenze). Questo fosso, partendo un po’ a Nord dell’Impruneta, ed attraversando le località chiamate Bagnolo e Bifonica, si scarica nella Greve. Nel suo percorso attraversa quasi sempre scisti galestrini alternanti con calcare compatto, e le sue acque scorrono generalmente sopra un letto argilloso, mentre qua e là si scorgono gli affioramenti del macigno. — Presso la Villa Pasqui in Bifonica gli scisti galestrini sono più abbondanti, e vengono a formare delle vere e proprie monta- gnole, note eoi nome di reniccioli. Relativamente alla loro età il prof. Trabucco (Q li colloca nell’Eocene inferiore. Il prof. De Stefani invece, nella sua « Carta Geologica dei dintorni di Fi- renze » (2) edita nel 1895 dall’Istituto Geografico Militare, li riporta all’Eocene superiore, perchè sovrastanti ai calcari ad Elminthoide dell’Eocene medio dei Falciani e di Quintole. I tronchi silicizzati in questione giacevano sepolti in questi scisti galestrini; le acque poi colla loro azione erosiva li hanno sca- (') Sulla posizione ed età delle argille galestrine e scagliose del Flysch e delle serpentine terziarie dell’ Appennino settentrionale. — Firenze, tipo- grafia Ricci, p. 22, a. 1896. (2) Osservazioni geologiche sul terremoto di Firenze del IR maggio 1895. (Ann. Uff. Centr. Meteor. e Geod., voi. XVII, p. Ia, a. 1897). 4 26 h. PAMPALONI vati e li hanno rotolati lungo il torrente dove poi sono stati trovati. 1 tronchi dell’Impruneta sono tutti assai ben conservati. Di essi tre, fra di loro somigliantissimi nell’aspetto esterno, sono in perfetto stato di conservazione, e vi si riconosce benissimo la struttura del legno; il quarto è un grosso frammento assai più deformato dei precedenti, però fibroso e facilmente sfalda- bile lungo il piano delle fibre; il quinto, finalmente, differisce dai primi; è un po’ deformato a causa di forti azioni mecca- niche subite, gli spigoli sono smussati e corrosi, e non si rico- nosce all’esterno traccia alcuna di struttura legnosa. Un esame superficiale di questi tronchi non ci potrebbe con- durre a riportarli ad un tipo di piante piuttosto che ad un altro; ma a questa deficienza di dettagli esterni viene in aiuto l’e- same microscopico. Dalle sezioni di questi pezzi, ridotte da potersi esaminare al microscopio, risulta che la più fina struttura interna è oltre- modo conservata, e ciò è dovuto all’essersi la silice compieta- mente sostituita a tutto quanto il tessuto legnoso; solo in alcuni punti la silice viene traversata da numerosi filoncelli di calcite che rendono eterogenea la massa ed impediscono che si scorgano i dettagli di struttura. Cupressoxylon peucinum, Goepp. A questa specie appartengono tutti e quattro i frammenti che mi accingo a descrivere. Tronco N. 1. Esso è il pezzo forse meglio conservato di tutti gli altri, sia per la sua forma esteriore sia anche per la poca quantità di calcite che inquina la massa e spicca sul fondo bruno scuro quasi nero di essa. Queste vene di calcite hanno generalmente un andamento trasversale al tronco; questo mi- sura in diametro 7 centimetri ed in altezza 10 centimetri. Con- servo di esso varie sezioni. Quelle trasversali, benché incom- plete, pure ci danno una chiara idea della struttura del legno, comprendendo più di un quadrante della circonferenza del tronco. TRONCHI SILICIZZATI DELL’iMPRUNETA 27 In queste sezioni esaminate anche ad occhio nudo per tras- parenza, si scorgono benissimo gli anelli legnosi annuali ora più chiari ora più scuri, quasi tutti ugualmente larghi, concen- trici, ben distinti e non molto ispessiti. I raggi midollari sono visibilissimi. Qualche piccola vena di calcite sparsa qua e là impedisce in alcuni punti l’esame del tessuto. La fittissima re- ticolatura che si scorge anche ad occhio nudo è data dal tes- suto cellulare degli anelli legnosi. Sotto il microscopio poi si scorgono benissimo (fig. 2) i lumi dei vasi, delle tracheidi e delle esigue cellule parenchimatiche, che generalmente appari- scono rotondeggianti, qualche volta deformate a causa della compressione. Alcune cellule degli anelli legnosi, con pareti fortemente ispessite, e col loro lume quasi completamente oscu- rato, sono cellule resinifere. Una particolarità degna di nota, e tanto più importante in quanto che costituisce una differenza specifica, è che in queste zone annuali gli elementi alla periferia sono più piccoli di quelli centrali. Cosi che in un anello annuale abbiamo uno strato di cellule a lume assai piccolo, che gradatamente verso il centro della zona vanno aumentando di grandezza, per poi ritornare, sempre per gradi, ad avere un diametro più piccolo là dove termina questa zona e ne principia un’altra. Nelle sezioni longitudinali (fig. 1) del tronco in esame si scorgono in quantità le tracheidi punteggiate, con punteggia- ture areolate, carattere questo di differenziamento generico; non mancano però anche altre forme di punteggiature. I pori sono rotondi piuttosto stretti, ora uniseriati, ora biseriati e contigui (fig. 3). I raggi midollari, numerosissimi, sono formati da una sola fila di cellule in altezza. Queste cellule sono sovrapposte ed in numero che varia dalle tre alle venti. Qua e là si scor- gono poi cellule assai allungate che sono cellule resinifere, men- tre i dotti resiniferi per contro mancano completamente. Da tutto l’insieme di questi caratteri credo di poter con- cludere che: 1° Per la concentricità degli anelli annuali distinti e non molto ispessiti, per le tracheidi a punteggiature areolate, i pori uni o biseriati, le cellule resinifere assai numerose, l’assenza di canali resinosi, ed i raggi midollari costituiti da una sola 28 h. PAMPALONI linea di cellule in altezza questo tronco debba essere riferito al genere Cupressoxylon ; 2° Per lo spessore di circa 4 nini, degli anelli legnosi, e per essere gli elementi periferici della zona annuale più pic- coli di quelli centrali, il tronco in questione appartiene al C. peu- cinum Goep. che per la prima volta venne descritto dal Goep- pert, riferendosi ai tronchi della formazione terziaria dell’Isola di Lesbo. Dietro la scorta di tutti i caratteri sopra citati mi è stato assai tacile di ricondurre anche gli altri tre tronchi (2-3-4) al medesimo genere ed alla medesima specie di quello già de- scritto; per cui mi limiterò a descriverli macroscopicamente. Tronco N. 2. Esso misura in diametro 12 cm. ed in altezza \ 13 cm. E completo, però assai male conservato, forse il peggio conservato di tutti gli altri a causa della grande quantità di calcite che lo ricuopre completamente alle due estremità, e lo inquina fortemente all’interno; perciò mi è stato impossibile farne belle sezioni. E sempre del solito colore bruno scuro, ed altre caratteristiche speciali non ne presenta. Tronco N. 3. E il più grande di tutti ed appartiene senza dubbio ad un tronco, clic, a giudicare dall’andamento degli anelli legnosi doveva avere un diametro di circa 50 cm. La calcite, abbondante negli altri due frammenti, (pii è scarsa. Unitamente alla calcite v’è ancora un'altra sostanza facilmente riconosci- bile per pirite dal suo colore giallo particolare, che spicca sul fondo levigato della massa, che, allorquando il pezzo fu tolto dal Museo per essere studiato, era rivestito da una sottile pa- tina verdiccia di solfato ferroso, dovuta molto probabilmente all’alterazione del solfuro, sotto l’azione dell’umidità atmosferica. Questo pezzo misura in lunghezza 25 cm., è alto 15 cm. ed è largo pure 15 cm. La parte centrale del tronco manca comple- tamente. Tronco N. 4. E l’ultimo dei frammenti dei tronchi da me studiati che abbia cogli altri tre caratteri microscopici perfet- tamente ugnali; però è più piccolo degli altri avendo una lun- ghezza ed una larghezza massime rispettivamente di 8 cm. e di . 1880. Canavari M., I Brachiopodi degli strati a T. Aspasia Mgh. nell’ Ap- pennino centrale, pag. 23, tav. Ili, fig. 4, 5. Lias med. di Monticelli. 7. Terebratula fimbrioides E. Desi. 1863. Deslongcliamps E., Bradi., nella Paléont. fran$aise, pag. 171, tav. 44 e 45, tìg. 1-3. Lias med. di Monticelli. 8. Terebratula sp. 9. Terebratula (Pygope) Coruicolaua Canav. 1881. Canavari M., Alcuni nuovi Bradi, degli strati a T. Aspasia Mgh. nell’ Appennino centrale, pag. G, tav. IX, fig. 6-8. Lias med. di Monticelli (Canavari), di Papigno e della Grotta del Miele (Parona). 10. Terebratula (Pygope) rlieumatica Can. 1883. Canavari M., Contrib. III. Bradi, strati a T. Aspasia, ecc., pag. 83, tav. X, fig. 4-7 (esclusa 6). Lias med. di Sanvicino (Canavari), del Subasio (Canavari e Baldacci). 11. Spirifirina angulata Opp. 1861. Oppel A., loc. cit ., pag. 541, tav. XI, fig. 7 a, b. Lias inf. Hierlatz (Oppel); Sinemuriano sup. di Cantiano (Morena). 12. Spirifirina rostrata Sebi. sp. 1883. Canavari M., loc. cit., pag. 75, tav. IX, fig. 1, 2. In molte località del Lias inf., med. e sup. ; abbondante nel medio. 13. Spirifirina obtusa Opp. 1861. Oppel A., loc. cit., pag. 542, tav. XI, fig. 8 a-e. Possile a Hierlatz (Specie vicina alla S. angulata). 32 G. DE ANGELUS d'OSSAT 14. Spiritivi na linciata Can. 1883. Canavari M., loc. cit., pag. 80, tav. IX, iig. 4. Lias medio di M. Soratte (Canavari), di Papigno e Grotta del Miele (Parona). 15. Leptaena cfr. fornicata Can. 1883. Canavari M., 7 oc. cit., pag. 72, tav. IX, fig. 6. Lias medio di Sanvicino. * * * Non sono necessarie molte parole per dimostrare che la fauna appartiene al Lias medio. A studio completo procurerò di pre- cisare meglio il valore cronologico degli strati di Castel del Monte, i quali pur racchiudono Cefalopodi che, a causa del cat- tivo stato di conservazione, non ho potuto determinare. In una località vicina al giacimento dei fossili ora menzio- nati, con rapporti stratigrafici non evidenti, si trova il rosso ammoniaco, infarcito di Cefalopodi, fra i quali ho riconosciuto le seguenti specie: Phylloceras Nilsoni Héb. Harpoceras bifrons Brug. » comense de Bucli. Coeloceras Dcsplacei d’Orb. fms. pres. 2 febbraio 1902 - ult,. bozze 27 febbraio 1902]. UN POZZO TRIVELLATO PRESSO NAPOLI Nota del doti. G. de Angelis d’Ossat. Dopo la pubblicazione della mia nota intorno al pozzo tri- vellato a Marig-liano (1882) (*), ebbi in dono una piccola serie di saggi provenienti da un’altra profonda terebrazione, eseguita nei dintorni di Napoli. Non feci mai conoscere tanto prezioso materiale, perchè disgraziatamente non riuscii mai a rintracciarne la precisa località di provenienza. Dalle laconiche scritte, che accompagnano i campioni diligentemente conservati, si ricava che il personale addetto ai lavori dovette essere francese. Anzi, il cav. N. Montagna, zio del gentile donatore, mi assicura che i lavori furono praticati dalla nota ditta Chartier in una loca- lità della pianura che circonda da vicino la città di Napoli. Per dileguare il sospetto che il materiale potesse appartenere ad uno dei pozzi già conosciuti ed illustrati, ho consultato la biblio- grafia che li riguarda e cioè i lavori del Cangiano (2), del Teno- re (3), del Gosselet (4), del Paimeri (5), del Johnston La vis (8) C) De Angelis d'Ossat G., Il pozzo artesiano di Marigliano (1882). Atti Accad. Gioenia. Voi. VII, Serie 4a. Catania, 1894. — Ogliarolo- Todaro A., etc., Acqua minerale di Marigliano. Rend. R. Accad. Se. Na- poli 1896, fase. 2. Napoli, 1896. (2) Cangiano L ., Riflessioni stille acque potabili della città di Na- poli. Napoli, 1848. (3) Tenore G., Lezioni di mineralogia. Parte II. Napoli, 1851. C) Gosselet, Observations géólogiques faites en Italie. Ména. soc. irupér. se. de Lille. Ser. Ili, voi. 6 - 1868. Lille, 1869. (5) Paimeri P., Il pozzo artesiano dell' Arenacela del 1888... Spet- tatore del Vesuvio e Campi Flegrei, 1887. (6) Johnston-Lavis H. J., Il pozzo di Ponticelli ( 1886). Rend. R. Accad. Se. Napoli. Ann. XXVIII, fase. 6. Napoli, 1889. o 34 U. DE ANGELIS D’oSSAT e del Baldacci (“). Pregai inoltre il prof. Matteucci a ciò ri- scontrasse il materiale in istudio con quello dei diciotto pozzi che si conserva nell’Istituto Geologico della R. Università di Napoli, e ne risultò negativo l’esame. Non fu però osservato il copioso numero dei saggi di ben sessantadue pozzi, trivellati a Napoli e nei dintorni, i quali sono custoditi nella scuola d’ap- plicazione degli ingegneri di Napoli. Quantunque la sconosciuta provenienza tolga molto interesse ai nostri saggi, pure, per la profondità da cui alcuni furono estratti, stimo che non sia vano farli conoscere. Certamente dallo studio di essi non potremo inferirne molte e notevoli conclu- sioni intorno all’origine del Vesuvio, tuttavia recherà un qual- siasi contributo alla conoscenza del sottosuolo della pianura napo- litana. Passiamo senz’altro a descriverli brevemente: N. d’ordine PROFONDITÀ SOTTO LA SUPERFICIE, metri COMPOSIZIONE DEL TERRENO 1 32,30 — 36,50 Pomice bianca. Un ciottolo arrotondato, dal diametro di centra. 4 circa. Vetro finamente bol- loso ed a struttura fluidale: porta inclusi cristalli e frammentali lavici. 2 41 — 47,04 Tufo vulcanico, terroso, cinereo. Contiene conchiglie marine delle quali alcuna ancora col colore naturale: Gardium tuberculatum L., Venus ovata Pen., Mactra sp. ed altri frammenti inde- terminabili. 3 67,40 — 68,40 Lava leucitica in piccoli frammenti (dia- metro 1-3 centra.), bollosa, alterata. Vi si no- tano porti ricamante inclusi cristalli di augite dal diametro di 3-5 min. 4 75,91 — 78,90 Tufo vulcanico, cinereo, terroso; con visi- bili ciottoletti di pomice bianca e piccoli cri- stallini di augite. C) Baldacci L., Su alcuni recenti studii e tentativi di pozzi trivel- lati in Italia. Annali d’ Agricoltura del Ministero Agr. Ind. e Coniai. Roma, 188G. UN POZZO TRIVELLATO PRESSO NAPOLI 35 N. d’ordine PROFONDITÀ SOTTO LA SUPERFICIE, metri COMPOSIZIONE DEL TERRENO 5 117,10 Cenere torbosa, nera, con materiale pomi- ceo bianco. Molti frammenti di conchiglie a gu- scio sottile, probabilmente di acqua dolce, e placche di Echinus. 6 120,25 — 125 Conchiglie marine con i colori naturali: Ve- nus verruccosa L., Spondylus goederopus L. 7 128 — 132,70 Argilla plastica, grigio-giallastra; porta im- pastati molti frammenti di conchiglie marine e ciottoletti di materiali vulcanici, come: lave, augi te, mica, ecc. Si potè determinare: Cardium echinatum L , Cytheridea subradiosa Roemer, Cytherella punctata Brady. 8 148,76 — 150,78 Argilla giallastra, con molti inclusi brecci- formi piccolissimi, fra i quali predominano i calcari, la selce e gli elementi vulcanici. Inol- tre frammenti riconoscibili di conchiglie ma- rine, spicele di spugne silicee e foraminiferi. Uno studio di tutti i materiali dei pozzi trivellati a Napoli e nei suoi dintorni goderebbe di molto interesse, avendosi a di- sposizione una tanto larga messe di campioni. Quindi ancora una volta « chiudo col manifestare il vivo desiderio che sia in- trapreso uno studio geologico comparativo dei materiali estratti dai vari pozzi artesiani, senza trascurare i residui organici; esso apporterebbe, senza dubbio, gran luce all’intricata storia del Vesuvio e riuscirebbe utile per la conoscenza dell idrologia di tutto il bacino » (loc. cit.). [ms. pres. 2 febbraio 1902 - ult. bozze 2< (ebbi aio 1902 . LA SERPENTINA DI TRAVERSELLA E LA SUA ORIGINE Nota dell’ing. Vittorio Novarese I noti giacimenti (li magnetite di Traversella sono in rela- zione con una grande massa eruttiva dioritica ('), che attraversa quasi normalmente alla stratificazione, una potente formazione di micascisti con intercalazioni di banchi amigdalari più o meno estesi di calcare cristallino. In prossimità della massa eruttiva questi calcari sono stati in parte profondamente metamorfosati in una miscela di silicati; in parte invece sostituiti dai giaci- menti di magnetite, i quali si trovano unicamente in questi banchi calcarei e presso il contatto della massa eruttiva o delle sue apofisi. Nel giacimento della concessione Castiglione, e nei giaci- menti detti di Montajeu e del Gias del Gallo, situati in alto del vallone Bersella, la ganga della magnetite è formata da una sostanza lapidea verdognola, d’aspetto serpentinoso. Questa ganga, che è effettivamente nella sua parte maggiore costituita da ser- pentina, è mescolata alla magnetite in tutte le proporzioni; ora si mostra dentro al minerale in piccoli nuclei ; ora alterna con esso in zone; talora s’incontra anche in piccole masse omo- genee senza clic vi si ravvisi, macroscopicamente almeno, alcuna traccia di magnetite. La serpentina di Traversella è variamente colorata ; ora ha il noto aspetto della varietà nobile giallo-chiara; ora è verde c più o meno granulosa; ora infine è verde-scura, quasi nera, c del tutto compatta. Oltre che dalla magnetite è quasi sempre (') Si veda in proposito la mia nota: L’origine dei giacimenti metal- li feri di Jìrosso c Traversella in Piemonte in Boll, del li. Coni. Geol., 1901, n. 1, pag. 75. IjA SERPENTINA DI TR AVERSELE A E LA SUA ORIGINE 37 accompagnata da calcare o calcare dolomitico, ora in piccoli nuclei, ora finamente disseminato in granelli nella massa, ma quasi sempre riconoscibile ad occhio nudo. Al microscopio la roccia presenta i soliti caratteri e quasi tutti i tipi di struttura attribuiti alla serpentina ; nella maggior parte dei casi pero si scoprono in essa avanzi più o meno impor- tanti del minerale originario, V olivina in grani isolati oppure in ammassi irregolari d’individui senza contorno geometrico. Nella lunga lista dei minerali trovati a Traversala, non figura finora l’olivina, ma è noto che la villarsite di Dufrenoy (*), istituita appunto su campioni provenienti da Traverse] la, altro non è se non una pseudomorfosi di olivina in serpentina, che s’incontra nella dolomite. Dentro alla serpentina si osservano inoltre al microscopio: un minerale isolato in lamelle coi caratteri del talco; clorite; un minerale isotropo verde scuro attribuibile al pleonasto ; magne- tite e pirite, e costantemente calcite in quantità variabile. Non mi trattengo ulteriormente sulle caratteristiche petro- grafiche e mineralogiche della serpentina di Traversella, perchè assai più interessante mi sembra l’investigare il suo modo di origine. La sua associazione colla magnetite è cosi intima che bisogna necessariamente ammettere la contemporaneità dei due minerali. Siccome i giacimenti metalliferi di Traversella sono stati generati per sostituzione dei calcari inclusi nei mieascisti da fenomeni dipendenti dall’eruzione dioritica, cosi dobbiamo necessariamente concludere che a tali fenomeni deve pure la serpentina la sua origine. Credo appena necessario aggiungere che sopra tutta la vasta estensione occupata dalla formazione dei mieascisti in cui i giacimenti sono inclusi, non si trova alcuna massa serpentinosa, e nulla quindi che possa giustificare anche lontanamente il dubbio che la concomitanza delle magnetiti con serpentine col resto dei giacimenti metalliferi sia acci- dentale. Siamo dunque in presenza di una serpentina o se vogliamo di un’olivina generata da un processo pneumatolitico o pneu- (') Dufrenoy, Comp. rend. de l’Acad. des Sciences, 1842, ed Annales des mines, IV, 1, pag. 387. 38 V. NOVARESE mato-idatogenico nell’aureola di contatto di una roccia massiccia intrusiva (*). I)a questa conclusione derivano parecchie conse- guenze molto interessanti. In primo luogo il fatto stesso della presenza dell’olivina come minerale di contatto nell’aureola me- tamorfica di una roccia granitoide è raro, se non nuovo (*). Quale può essere stata l’origine del minerale? Era la massa calcarea preesistente così magnesiaca da potersi ammettere che l’olivina e la serpentina siano state generate dall’azione di vapori o di acque termali cariche di silice, sopra la magnesia del calcare? La cosa è possibile quando si pensi che la costituzione delle lenti calcaree cristalline nei micascisti della regione è piuttosto va- riabile e si va da un minimo del 2 o 3 per 100 di magnesia, fino a dolomiti vere e proprie; questa variabilità si verifica talora dentro ad una stessa lente od in un gruppo di banchi prossimi. Giova anzi notare che la magnetite dei giacimenti di Traversella è costantemente accompagnata da una ganga magne- siaca sotto forma di minerali diversi. Nei giacimenti che ab- biamo nominati è serpentina con nuclei divinici; presso la cava Bertolino è talco in masse ingenti; nel giacimento di Biondello è dolomite che alterna in zone parallele colla magnetite ; in tutti i giacimenti poi si trovano masse steatitose inglobanti grossi (‘) Olivina di origine pneumatolitica è già stata segnalata dentro alle litofisi dell’ossidiana di Lipari dal Rose, e del Yellostowone National Park da Iddings e Pennfield. Non precisamente olivina, ma un mine- rale molto vicino, la monticellite, s’incontra nel Tirolo medionaie, al Monzoni, in un calcare metamorfico incluso nella monzonite, nella loca- lità di Pesmeda; la monticellite é essa pure trasformata ora in un ag- gregato di cristalli di fassoite, ora invece in serpentina (G. v. Rath, Ztschft d. D. G. G. XXVII, 1875, p. 389). 11 Doelter accenna pure ad una massa di calcare nell’alta valle del Monzoni, in cui per azione della roccia eruttiva si sono prodotte serpentina e magnetite (Jahrbuch der l<. k. Geol. Reichsanst. XXV, Vienna, 1875, p. 235). L'olivina degli in- clusi calcarei del Somma ha del resto probabilmente un’origine analoga. (-’) Quasi contemporaneamente ho potuto verificare lo stesso fatto in un’altra località. Dentro ad un calcare metamorfico presso al contatto del granito, incontrato nella miniera di pirite di Gavorrano, datomi per studio dal collega Lotti, ho incontrato dei noduli (divinici parzialmente scr- pentinizzati associati a spinello (Lotti Ih, Sul ) Rovereto G., Briozoi, anellidi e spugne perforanti nel Neogene Ligure. Palaeont. Italica, voi. VII, 1901, pag. 219-234 [1-16], con ta- vola XXVIII [I] e tig. 1-5 intere. (2) Palaeont. Italica, voi. VI, Pisa 1900, pag. 115-266 [1-151], ta- vole XVI-X1X [I-IVJ. 6 42 A. NEVIAN1 die il Sequenza (') ripetuta niente dubita che la specie plioce- nica e miocenica d’Italia sia da riunirsi colla specie eocenica del Fischer, giacche i zoeci sono più allontanati l’uno dall’altro, e quindi sono più lunghi i tubi che li riuniscono. Non credo che questa differenza sia sufficiente per formarne una nuova specie e neppure una varietà, giacche in qualche colonia che ho potuto esaminare, ho notato che la lunghezza dei tubi di comunicazione dei zoeci è abbastanza variabile». Le differenze, secondo il Rovereto, «consistono principal- mente nella lunghezza degli stoloni situati fra le cellule, e nella forma dell’apertura di queste ». Al presente non ho ragione di pensare altrimenti di quanto concludevo due anni or sono. 11 Rovereto ha esaminato l’esemplare di Castrocaro studiato dal Manzoni, ed osserva che fra le cellette (2) intercede uno spazio che può essere anche più lungo delle cellette stesse, mentre nella Ter. Archiaci tipica i canaletti degli stoloni corrispondono al terzo, al massimo alla metà della lunghezza delle cellette. Dà poi la figura di una colletta della Ter. Manzoniì Rov., che a maggior schiarimento di quanto sto per dire, qui riproduco (fig. 3). Io pure ho esaminato l’esemplare raccolto dal Manzoni a Castrocaro, e ne ho ritratto il disegno di alcune cellette (fig. 2). Ora non è diffidi cosa persuadersi che le due figure sono molto (') Sequenza G., Le formazioni terziarie nella provincia di Reggio (Calabria). Meni. Acc. Lincei, s. 3, voi. VI, Roma 1879: pag. 1-446 (estr.), tav. I-XVII. Per la Ter. Archiaci dell’ elveziano di Allibati (pag. 79) l'A. espone semplicemente il dubbio che la sua specie, identica a quella di Castrocaro, si debba associare a quella del Fischer. Alla medesima osservazione si riferisce per gli esemplari del tortoniano di Benestare ed Allibati (pag. 127). A proposito degli esemplari del zancleano di Stilo (p. 197), ripetendo lo stesso dubbio, si riferisce solamente alla lunghezza dei tubi di congiunzione delle cellette. Nella ricca collezione di briozoari, determinati dal Seguenza G. e che con tanta liberalità ebbi in comunicazione dal suo tiglio Luigi, non osservai alcuna specie di Terebriporide, porcai non mi riferirò ulterior- mente agli esemplari di Calabria, nelle osservazioni che seguono. (*) L'A. adopera promiscuamente i termini cellula e celletta ; non credo conveniente l’uso del primo, essendo esso vocabolo classico della istologia. TEREBRIPORA MANZONI1 ROV. E PROTULOPHILA GESTROI ROV. 43 differenti ; quella del Rove- reto Ila cellette subfusiformi, molto allungate ed assotti- gliate posteriormente; mentre in quelle di Castrocaro i mar- gini sono per più che tre quarti o paralleli od alquanto rigon- tiati, come li ha figurati il Manzoni stesso (‘) nella tav. VI, fig. 68; e come sono quelle disegnate dal Fischer (2), per quanto queste ultime tendano ad essere conico-cilindriche (fig. 1); cosicché, se la figura data dal Rovereto è tratta da un esemplare della Liguria, il che non si rileva dalla me- moria (3), ci troveremmo in presenza di una forma ben diversa. La forma conico-cilindrica della specie eocenica di Bras- sempory, potrebbe, per la for- ma, apparire intermedia fra quella cilindrica o subcilin- drica del pliocene antico di Castrocaro e del miocene me- dio di Acqui, e quella subfusi- forme della Liguria (?); la mancanza di riferimento cro- 1 . Terebripora Archiaci Fisch dell’eocene di Brassempory (da Fischer)- 2. T. Archiaci [Fisca.] Manz. delplioc. infer- di Castrocaro (Orig.). 3. T. Mamonii'B.Qv. del neogene ligure (?), (da Rov.). C) Manzoni A., I briozoi del pliocene antico di Castrocaro. Monogr. ili pag. 1-64, tav. I-VII. Bologna, tip. Gamberini e Parmeggiani, 1875. (2) Fischer P., Éiude sur les bryozoaires perforants de la famille des Terebriporid.es. Nouvell. Arch. d. Museuin. Móni. t. 2, pag. 293-313 (tav. XI, f- 3)- . . . . (:i) Nella memoria non ó neppure indicato da quali terreni e da quali località liguri provengano gli esemplari studiati dall’A. Eviden- temente é sfuggito all’ A. il salto di un capoverso o nella trascrizione del ms. o nelle bozze di stampa. 44 A. NEVIANI nologico di quest’ultima impedisce di sapere se la serie delle forme corrisponda alla serie dei terreni. Ma ancorché tutto' questo si conoscesse, occorrerebbe andar cauti nelle conclusioni, giacché non é sempre facil cosa determinare la figura del perimetro delle cellette, perchè se queste sono intere, si intravedono, e non sempre distintamente, per trasparenza, attraverso il guscio del- l’ ospite perforato; e il limite è dato dalla maggiore o minore translucidità della frontale, che può variare per lo spessore e per la qualità del guscio; e se le lamine frontali sono rotte, non sempre i bordi della frattura stanno a rappresentare il pe- rimetro della massima ampiezza della colletta. Quanto alla distanza delle cellette, e conseguentemente alla lunghezza dei tubi stoloniferi, il Fischer (7. c., pag. 302) dice, come riporta pure il Rovereto ( l . r., pag. 221), che esse sono s/parees cntre eìles par un cspace qui varie entro le tiers et la moitié de leur longucur, ma si può anche vedere nella figura data che vi sono disegnati tubi stoloniferi più lunghi di una colletta, per quanto la maggior parte abbiano le dimensioni in- dicate dallo scuopritore. Distanze brevi anche minori di un terzo della lunghezza delle cellette si vedono pure nelle colonie di Castrocaro, come si può rilevare facilmente dalla citata figura del Manzoni e dalla mia; anzi in quella del Manzoni vi è una coppia di cellette che si può dire priva di tubo stolonifero. Dopo ciò non mi rimane che insistere sul mio concetto, che non è assolutamente possibile sopra un carattere così variabile stabi- lire nè una specie, nè una varietà. Un’ultima osservazione anche sulla apertura delle cellette. Nota il Rovereto clic la forma della apertura nella « T. Arckiaci del Fischer è rotonda, con un piccolo intaglio, mentre nella T. Arckiaci del Manzoni è lanceolare senza taglio distinto». Ho potuto in proposito constatare che l’apertura subollittioa de- riva spesso da logorio del peri stoma, essendo sufficiente clic si distacchino due piccoli frammentini, in tal punto esilissimi e fragilissimi, che formano i lati dell' incisimi sottoboccale; inoltre anche in molte schizoporellae (se pure vi ha omologia fra le aperture di questi due gruppi di briozoi), ove è caratteristica l’aper- tura con intaglio, Ini veduto sovente la stessa variazione di forma indipendente da ogni logorio; cosicché la notata differenza non mi TEREBRIPORA MANZONI! ROV. E PROTULOPHILA GESTROI ROV. 45 sembra sufficiente ad elevarsi a carattere specifico (1). Inoltre nel- l’esemplare di Castrocaro si può notare che l’apertura subellittica si continua spesso dapprima in una stretta incisimi e poi in un solco die percorre buona parte della frontale della celletta. Ho chiesto ed avuto cortesemente in comunicazione dall’amico prof. Trabucco G. (?) l’esemplare di Pecten solarium del calcare di Acqui, solcato da una Terebripora determinata dal Trabucco stesso per T. Arditaci Fisch. (3), specie che veramente mi sfuggì di citare nel mio già ricordato lavoro sui briozoari delle Cala- brie. L’esame attento che ho fatto di questo esemplare, che con- tiene una estesissima colonia con numerose cellette, per quanto queste sieno logore, ed abbiano perduto la frontale, mi ha mostrato ad evidenza che la Terebripora del miocene medio di Acqui è identica a quella del pliocene antico di Castrocaro; anche qui troviamo le cellette subcilindriche; anche qui i solchi degli sto- loni sono di variabilissima lunghezza, anzi tutti sono assai più brevi delle cellette, e spesso quasi nulli. In conclusione: la Terebripora Mamonii disegnata dal Ro- vereto ( 1 . c., pag. 221, fig. 1 intere.) mi sembra differente dalla T. Arditaci del Manzoni e del Trabucco, per la quale non si hanno caratteri sicuri per separarla dalla T. Arditaci del Fischer ; ma se pure questa separazione fosse necessaria, allora, per i C) Secondo il mio parere, dubito che la figura data dal Fischer sia esatta; come pure mi sa di artificioso l’uniformità della forma delle aperture che l’A. presenta nella sua tavola; che pur dichiara essere costanti, ma non spiega in alcun punto della sua memoria. L'intaglio, di cui è parola, nelle schizoporellae ed altri briozoari sta a rappresen- tare una parte importantissima ove si incardina l'opercolo; ora nulla sappiamo se tale organo esista e in quali condizioni nelle terebriporidae, e dubito che l’orificio di tal sorta di briozoi perforanti possa essere omologo a quello degli altri non perforanti. (2) Il prof. Trabucco nella lettera con la quale accompagna il sopra- detto fossile, cosi si esprime : «Ho letto le poche righe di Rovereto. Se la Terebripora di Manzoni non è la T. Archiaci, come dice il Ro- vereto, anche la mia non lo sarebbe, perché é perfettamente uguale a quella del Manzoni. Ma io credo che il Rovereto si sbagli». (3) Trabucco G., Sulla vera posizione del calcare di Acqui (Alto Mon- ferrato), studio geo-paleontologico ; con tavola (pag. 24). lirenze, tip. Cen- ni niana, 1891. 4G A. NEVI ANI caratteri clic ci sono noti, la T. Manzonii Rov. della Liguria (?) sarebbe allontanata dalla T. Arciduci Seg., Trab., Nev., perchè più affine alla T. Arciduci deH’eocene francese. I dubbi che sì hanno sopra questa ed altre specie di briozoi perforanti, dubbi che non consistono semplicemente nella discus- sione sui caratteri specifici, che si riducono alla fine a vere quisquiglie, ma che sono assai più scrii ed importanti, come quelli sulla natura delle cellette, che ancora non si sa bene se sieno omologhe ai zoeci. e sulla posizione tassinomia di essi terebriporidi (*); tali dubbi, dico, verranno di molto diminuiti, quando si saranno moltiplicate le osservazioni sopra le forme viventi; ed a questo riguardo assume una importanza speciale la illustrazione che il Rovereto fa della Protulophila Gestroi, dovuta appunto ad una buona osservazione fatta sopra materiale vivente. La Protulophilu Gestroi Rov. visse sopra il tubo della Pro- ludi (Psygmobrunchus) firmu Seg. (?), corrodendone fortemente la superficie; era provvista di «stoloni filiformi, formanti maglie poligonali; zoeci a forma di calice, fissati sui nodi delle maglie per la estremità inferiore e per intero aderenti al supporto » (3). 11 portamento è simile a quello di Hypophorellu expansa Ehi. (') Il Rovereto, a proposito della natura dei terebriporidi (1. c., pag. 221), cosi scrive: «Gregory (The jurassie bryozoa, 1896, pag. 218), per quanto si riferisce alle specie giurassiche, ha escluso Terebripora dai briozoi, ed ha con dubbio riferito la Spathipora incerta Fischer a Ceriopora ». Mi permetto fare una piccola rettifica. La frase «probably noi a Bryozoon » (pag. 218) del Gregory va riferita a Spathipora incerta Fisch. (n° 12), e non alle Terebripora sottosegnate (n‘ 13-18), per le quali l’A. scrive: « The above species of Terebripora are often included amony thè bryozoa ; bui thè author sees no snffìcient reason to reyard thè m as sudi ». Quindi il riferimento a Ceriopora ? riguarda i num. 9-11 precedenti, cioè a Pavotubiyera minuta Rss., Reptomulticava gradata d’Orb. e Se- mimulticlausa orbiynyi Terq. and Fiette. Cade quindi la conclusione del Rovereto «le affinità fra.. Spathipora e Ceriopora ■ e Slamai li opora mi sembrano, non solo apparenti, ma molto spiccate e reali»; mentre ri- mane la stessa conclusione, c ad essa mi associo, per quanto riguarda Terebripora ed Itippothoa. (") Scguenza G., !.. c., pag. 126, 293; tav. XII, f. 11. ( ’) Rovereto G., L. c., pag. 224. TEREIÌRIPORA MANZONII ROV. E PROTULOPHILA GESTROI ROV. 47 (— Délagia chaetopteri Joy.-Laff.) briozoo ctenostomato, da porsi fra le famiglie Vesiculariidae e Buslddae. I tubi di Protula firma, con il nuovo briozoario, proven- gono dal pliocene di «Savona, Albenga in Liguria, a Tabiano nel Parmigiano, Gravina nel Napoletano, Modenese e Astigiano in genere» (1). Per quanto mi sappia è questa la prima volta che viene descritto un briozoo ctenostomato fossile; esso per giunta pre- senta la particolarità interessantissima di conservare i piccolis- simi ed esili tentacoli (2). Tutta la parte molle dei zoeci e degli stoloni è rappresentata oggi da solfuro di ferro, che spicca in nero sul fondo bianco o grigio della Protula. Lo studio per parte dell’A. non fu privo di difficoltà, giacché come esso ci racconta: «Avendone il prof. Issel, al quale debbo schiarimenti e consigli, interrogato parecchi specialisti d’Italia e dell’estero, alcuni esclusero che fosse un briozoo, per modo che lo ritenni per qualche tempo un idroide vicino a Reticu- laria; ma la maggior parte, pur convenendo nel collocarlo fra i briozoi, nulla seppero indicare di preciso. Solo un naturalista del Museo Britannico lo comparava alle flustrélla » (3). Una strana coincidenza mi spinge a far conoscere, per la storia di questo fossile, quanto segue : Sino dal 1890 o 1891, quando ero insegnante al R. Liceo Dante in Firenze, e muovevo i primi passi nello studio dei briozoari, il prof. Carlo De Stefani mi fece osservare buon numero di tubi di anellidi provenienti dal pliocene della Coroncina presso Siena, ricoperti da quelle maglie nerastre, che ora vennero illu- strate dal Rovereto. Il prof. De Stefani pensava che si trattasse di briozoi, ma non volle esso stesso approfondirne lo studio; ed io, allora completamente novizio, non seppi concludere alcun che in proposito. Successivamente in Firenze e in Roma, distratto (*) (*) Rovereto G., L. e., pag. 224. (2) Il Rovereto non ci dice quanti tentacoli abbia contati negli esemplari da lui esaminati, ma nella figura sembra ve ne sieno dise- gnati una diecina, il qual numero concorda con quello della Hypopho- rella expunsa, giacché l’Elilers ne indica 10-11, e Joyeux-Laffuie ne enu- mera 12-14. (3) Rovereto G., L. c.., pag. 224. A. NEVI ANI 48 da altre occupazioni e dallo studio di altri briozoari, non ebbi più occasione di avere per le mani tubi di Protula con i sud- detti briozoi; quando or non è molto, leggendo n a\Y Annualre gcologique universel del 1888 quanto il Dollfus G. F. scrisse a proposito dei briozoari (pag. 11(32-1163), e specialmente intorno alla monografia sulla Delagia chaetopteri del Joyeux-Laffuie (’), mi risovenne delle forme già undici o dodici anni or sono osser- vate sulla Protula della Coroncina, e ne sospettai le relazioni. Mi procurai il lavoro del Joyeux-Laffuie e quello dell’Elilers (2) sulla Hypophorella expansa, alla quale per giusta priorità si deve riportare la Delagia del Joyeux-Laffuie (3), e giunsi presto alla conclusione clic le maglie nere disposte attorno a detti tubi di Protula dovevano realmente ritenersi per impronte lasciate da briozoari ctenostomi, del tutto nuovi nel campo della paleon- tologia (') e, mentre pensavo di scriverne una piccola mono- grafia, incerto ancora sul nome generico da attribuirgli, stabilivo (') Joyeux-Laffuie J., Descriptions du Delagia chaetopteri J. J. L., type d’un nouveau gerire de bryozoaires. Arch. de zool. expér., S. 2, v. VI, p. 135-154, pi. Vili ; Paris, 1888. (2) Ehlers E , Hypophorella expansa. Din Beitrag zur kenntniss der minirenden Bryozoen. Abhandl. d. Physik. cl. d. Konigb Gesell. d. Wissensch. zu Gòttingen, Bd. XXI, 1876; pag. 1-156, tav. I-V. (3) E doveroso constatare che lo stesso Joyeux-Laffuie riconobbe la priorità della scoperta dell’Ehlers (Arch. zool. expér., 1888, pag. xlv). (') Perchè meglio si comprenda l’affinità fra la forma fossile e la vivente, ecco le diagnosi date per quest’ultima dagli scuopritori : Ehlers E. (L. c., p. 131). — Hypophorella n. g. — Bryozoarium stolonibus rectangulatim conjunctis repens, in extremitate articulorum antica dilatata praeter articulum lateralem terminalemque singula ani- malia alternatim in stolonibus collocata, urceolata, juxta aperturam transversam ventralem utroque corniculo armata gignens. H. expansa n. sp. — Stolonum articulis valde elongatis annulatis; animalium oblique affixorum area frontali denticulata, collari nudo, ten- taculis 10 v. 11, gutture simplici; tubos Terebellae conchylegae perfo- rans. Hab. litus maris germanici. Joveux-Laffuik J. ( L . c, pag. 152). — Stolon. — Rampant, aveo renflements réguliérements disposés. Sur chaquo rontleiuent est lixée le plus souvent ime seule zoécie, rareinent deux. Zoecie. — Adhórente, ovoide, en forme d’urne uvee un orifice ova- lairc sub-terminale. Uno sphérulc de chaque coté de Purifico, tixée au TEREBRIPORA MANZONII ROV. E PROTULOPHILA GESTROI ROV. 49 di dedicarne la specie al prof. Carlo De Stefani, come a colui che indubbiamente per il primo aveva intuito la vera natura zoologica di questi singolari organismi (’). A interrompere i miei studi, venne la dotta memoria del marchese Eovereto (5), nella quale, come già abbiamo veduto, l’egregio A. giungeva alle identiche mie conclusioni. Sia essa memoria la benvenuta ; e possa questo caso essere di esempio a quei facili critici, i quali in simili circostanze non sanno pensare altro che ad un plagio. Homa, lì. Liceo « Visconti ». [ms. pres. 2 febb. 1902 - ult. bozze 15 marzo 1902]. stolon par le cóté. Polypide avec un petit nombre de tentacules (12-14) et un gésier. Vit à la surface et dans l’épaisseur de la paroi interne du tube du Chétoptére. (*) Furono testimoni delle mie ricerche e delle mie conclusioni, la distinta naturalista signora dott. E. Bortolotti-Baldanzi, nostra consocia; ed il tiglio dell’insigne paleoetnologo comm. L. Pigorini, il giovane Luciano, il quale pure frequentando il corso universitario di medicina, coltiva con grande amore gli studi delle scienze naturali. (2) Il volume VII della Palaeontographia Italica mi giunse il 25 Gen- naio 1902. La memoria del Rovereto però fu terminata di stampare il 28 Ottobre 1901. GLI ECHINIDI EOCENICI DEL MONTE GARGANO Nota del dott. Giuseppe Checchia PARTE GEOLOGICA. Il Monte Saraceno è uno dei tanti promontori che circon- dano la massa secondaria del Gargano ed il primo che si in- contra andando da Manfredonia verso Mattinata; esso si distacca dal Monte Santangelo, forma varie cime e finisce al mare con la Punta Rossa, alta circa 200 metri. Questo sprone è costituito di calcare eocenico talora tenero e quasi polverulento, tal’altra compatto. Alla parte superiore il calcare è più duro, giallastro e composto essenzialmente di un impasto di nummuliti grandi o di discrete dimensioni e di non rari avanzi di echyiidi; alla parte inferiore è tenero, farinoso, bianco e contiene molti echinidi e nummuliti piuttosto piccole. La stratificazione del calcare è oscura, tuttavia si può talora scorgere che gli strati pendono con un leggero angolo ad Est, cioè verso il mare, e sono in concordanza sopra i calcari cre- tacei. Oggi il Monte Saraceno è in isfacelo : oltre le forze endo- gene, che spesso vi si appalesano con forti scosse di terremoto, quella distruttiva del mare vi opera ancora con molta energia. I vari agenti distruttori minano la base del monte, facendo ca- dere, per mancato sostegno, le parti superiori. Le rocce ridotte a ghiaia e sabbia, depositandosi in luoghi più quieti, hanno for- mato e formano tuttora la spiaggia di Manfredonia e la spia- nata di Mattinata, dimodoché, mentre sotto M. Saraceno il mare guadagna sulla terra, avviene il caso opposto nei due luoghi contigui indicati. GLI ECHINIDI EOCENICI DEL MONTE GARGANO 51 * * * I primi cenni geologici della località descritta si trovano nei lavori di P. de Tchihatcheff ('). Sin d’ allora era nota la straordinaria abbondanza delle nummuliti del Gargano; ma gli strati di M. Saraceno insieme coi sottostanti furono ascritti da questo autore al sistema cretaceo. Quando poi i progressi della geologia dimostrarono che le nummuliti caratterizzavano il ter- ziario inferiore di gran parte dell’Europa, dell’Asia e dell’Africa del Nord, gli strati nummulitici del Monte Saraceno e del resto del Gargano furono dal d’Archiac attribuiti all’Eocene (2). Sin d’allora troviamo citate dal suddetto autore nel Gargano: Num- mulites Carpenteria N. Molli, N. laevigata , N. discorbina, N. Tchihatchefjì, N. Brongniarti, e Assilina spira, As. expo- nens etc. G. 0. Costa cita e figura pure ( Paleontologia del Re- gno di Napoli , p. II, pag. 113, an. 1848-53 ) una Nummulina complanata Link, del M. Gargano, che, a quanto pare, è la N. perforata d’Orb. ma non dà notizie più precise sulla sua provenienza. D’allora in poi, sotto diversi aspetti, altri geo- logi si occuparono di questa località. Ricordiamo per ordine cronologico il Pilla (3) e molto tempo dopo il prof. Bucca (4) il quale a proposito dell’Eocene di Monte Saraceno fa pel primo menzione di alcune specie di echinidi (5) ivi trovati e indica, oltre (') De Tchihatcheff P., Coup d’ceil sur la constitution gcologique des Provinces méridionales du royaume de Naples, etc., Berlin, 1842. — Geognostiche Schilderung des Monte Gargano in den Jahren 1839 und 1840 (Neues Jahrbuch fiir Miner., Geogn., Geol. und Petrefakten- kunde von K. C. von Léonard und H. G. Bronn, Jahrg. 1841). (2) D’Archiac et Haime, Description des animaux fossiles du Groupe nummulitique de linde, précédé d’un résumé géologique et d’une mono- grapliie des Nummulites, Paris, 1853. (3) Pilla L., Illustrazione geologica dei preziosi marmi ed alabastri garganici, Firenze, 1867. — Trattato di Geologia, Pisa, 1847-51. ( ') Bucca L., Il Monte Gargano. Brevi cenni geologici (Naturalista Siciliano, anno I, n° 2, 1° novembre 1881). (•') Costa G. 0., menziona [v. Cenni intorno alle scoperie fatte nel Regno di Napoli nel corso dell’anno 1853 (Rend. Acc. Pontan. 1854, pag. 19)] 52 G. CHECCHIA a frammenti di Porocidaris Veronensis Mér., Echinopsis G acheti Ag., Echinolampas affìnis Goldfuss, Pseudodiadema Susseri Desor, anche Sdii zoster Archiaci Cotteau, Sch. vicinalis Ag. e Sch. rimosus Darnes. Troviamo pare incidentalmente cenni di questa località nel lavoro del Cortese e del Canavari (?) per ultimo in quello del Viola e del Cassetti (2), nei quali scritti è sempre fatta notare la grande abbondanza di nummuliti. La de- scrizione di queste è stata data dal Teliini (3) che le ha stu- diate complessivamente con quelle delle Isole Tremiti e della Maiella. Tenuto conto dell’importanza e della discreta estensione del- l’Eocene di M. Saraceno, ho voluto nel settembre dello scorso anno fare una escursione in quella località per eseguire delle ricerche paleontologiche. Nonostante la rapidità dell’escursione ho potuto raccogliere una abbondante messe di echinidi, fra i quali si distinguono undici specie ben determinabili, oltre a nu- merosi frammenti di altre, che però non sono specificabili per causa della incompleta conservazione. Qui colgo l’occasione per render nota la larga ospitalità che ho trovato presso il R. Ufficio Geologico e per ringraziarne viva- mente la Direzione, perchè oltre di aver avuto a mia disposi- zione la ricca biblioteca dell’Ufficio, ho potuto anche confron- tare il mio materiale con quello già raccolto dal prof. Bucca. Inoltre sento pure il dovere di ringraziare il dott. Giovanni Di-Stefano, Paleontologo del R. Ufficio Geologico, il quale m’è stato sicura guida nell’esecuzione del presente lavoro, onde tengo a dimostrargli la mia sincera gratitudine e devozione. una Galerites castanea (specie cretacea) come proveniente dal M. Gar- bano, della quale però nulla è indicato di preciso, in modo che non pos- siamo giudicarla. (’) Cortese E. e Canavari M., Nuovi appunti geologici sul Gargano (Boll, del R. Comitato Geol., anno 1884, Roma). (2) Viola C. e Cassetti M., Contributo alla Geologia del Gargano (Boll, del R. Comitato Geol., anno 1893, Roma). ( !) Telimi A., Le Nummuliti della Maiella, delle Isole Tremiti c del Promontorio Garganico (Boll. Soc. Geol. Ital., anno 1890, Roma). GLI ECHINIDI EOCENICI DEL MONTE GAKGANO 53 * * * Dando uno sguardo all’ insieme delle specie da me raccolte, si può constatare che esse appartengono agli echinidi irregolari e quasi tutte alla famiglia degli Spatangidi, eccetto YAmblypygus dilatatus Ag. e V Echynocyamus subcaudatus (Des Moulins) Desor, che appartengono rispettivamente ai Cassidulidi e ai Clipea- stridi. Delle undici specie che ho potuto distinguere, le otto se- guenti sono già note : Amblypygus dilatatus Ag., Macropieastes cfr. Deshayesi Ag. sp., Echynocyamus subcaudatus (Des Mou- lins) Desor, Schizaster Archiaci Cotteau, Sch. Studeri Ag., Sch. ambulacrum Desìi, sp., Sch. vicinalis Ag., Pericosmus spatan- goides (Desor) de Loriol. Delle altre tre specie, una appartiene al gen. Brissopsis e l’altra al gen. Ditremaster ; ma non ho potuto identificare queste due con nessuna delle specie appartenenti a tali generi. L’ul- tima è un tipo che non è stato possibile di riferire ad altri già noti nè genericamente, nè specificamente; essa entra tuttavia nella famiglia degli Spatangidi, costituendone una delle specie più evolute. Delle otto specie già note, il Pericosmus spatangoides (Desor) de Loriol, lo Schizaster Studeri Ag., lo Sch. ambulacrum Ag. e lo Sch. vicinalis Ag. avendo una grande diffusione verticale, cioè dairBocene sino all’Oligocene, servono poco per precisare una divisione eocenica od oligocenica. Il Macropneustes cfr. JDeshayesii per causa della cattiva conservazione è stato da me determinato con dubbio, però le analogie di questa forma col M. Deshayesii tipico sono indiscu- tibili. Con dubbio pure è stato determinato l’ Echynocyamus sub- caudatus, perchè di esso possediamo un solo piccolo esemplare : del resto questo genere non ha grande importanza per la netta determinazione dei piani. E Amblypygus dilatatus e lo Schizaster Archiaci a M. Sara- ceno sono invece rappresentati da abbondanti e ben conservati esemplari : queste due specie sono caratteristiche del Parisiano Mayer, non d’Orbigny Luteziano de Lapparent. 54 G. CHECCHIA * * 4= Come è stato detto, a M. Saraceno sono anche largamente rappresentati i foraminiferi, che il prof. Telliui ha studiato in gran parte. Il suo importante lavoro in proposito mi è stato di guida nello esame del materiale da me raccolto: ho potuto così distin- guere quasi tutte le specie citate dal valente nummulitologo e determinarne anche delle altre. I foraminiferi già studiati dal Teliini sono: Nummulites complanata Lmk., N. distans Desìi., N. gizehensis Ehr. var. Lyelli d'Arch. et H., N. obtusa Y. de C. Sow., N. discorbina Schloth., N. subdiscorbina de la H., N. biarritzensis d’Arch., N. Ramondi Defr., N. Melii Teli., Ar. Tchihatcheffi d’Arch., N. latispira Sav. e Menegh., N. densispira Teli., N. Guettardi d’Arch., N. anomala de la H., N. variolaria Sow., N. perforata d’Orb., N. lucasana Defr., N. ovenotria Teli., N. Brongniarti d’Arch. et H., N. laevigata var. astyla Teli., N. italica Teli., N. Molli d’Arch. ; poi Assilina spira de Koissy ; A. subspira de l’H., A. mamillata d’Arch., e Orbitoides papiracea Boubée, O. ephyppium Schiodi., e Operculina ammonca Leym. Noi pos- siamo ora aggiungere: Nummulites Carpenteri d’Arch. et H., N. curvispira Menegh., Assilina exponens Y. d. Sow., e Orbi- toides stellata d’Arch., le cui determinazioni riteniamo esatte, essendo queste forme rappresentate da molti e ben conservati esemplari. * 4= 4= Ora tenteremo di schiarire quale sia il posto da assegnare nell’Eocene al giacimento di Monte Saraceno. Il Telliui ha studiato complessivamente i foraminiferi del M. Gargano, della Maiella e delle isole Tremiti, perchè in queste regioni, come egli scrive, la formazione eocenica si presenta con unità di facies litologica e paleontologica e conclude che in queste re- gioni sono indifferentemente mescolate senza ordine specie che nei giacimenti tipici caratterizzano o il solo Parisiano o il solo Bartoniano; in guisa clic ivi sarà sempre difficile se non im- possibile una distinzione tra il Parisiano e il Bartoniano. GLI ECHINIDI EOCENICI DEL MONTE GARGANO 55 Noi ci dobbiamo qui limitare a trarre le nostre conclusioni solo sugli echinidi e sui foraminiferi del M. Gargano. In que- ste faune si nota un gran numero di specie di echinidi e di foraminiferi (nummuliti, assiline, operculine e orbitoidi) che per la loro grande diffusione verticale hanno poco valore per la de- terminazione precisa di un piano eocenico: però vi si osserva anche un’ associazione di specie (Amblypygus dilatatus , Scliiza- ster Arci itaci, Nummulites curvispira , N. perforata , N. lucasana). le quali nella serie eocenica di non poche regioni del bacino mediterraneo, come per es. a S. Giovanni Ilarione (Vicentino), a Chalosse e nelle Corbière (Francia), nei Pirenei spaglinoli, in Un- gheria, in Crimea, a Wadi Samur e nel Galala (deserto arabico), a Mokattam (Egitto), ecc., caratterizzano il Parisiano Mayer, non d’Orb. = Luteziano de Lapparent. Notiamo anche che la N. com- planata, se è comune nel Bartoniano e nel Parisiano, si trova anche nel Suessoniano e che la N. Tchihatchcffi non è nota solo nel Bartoniano, ma si presenta pure nel Parisiano. Ci pare adunque che l’associazione delle specie, che abbiamo or ora rilevata, per- metta delle conclusioni più precise e indichi che la fauna stu- diata appartiene al Parisiano Mayer, anziché al Bartoniano. PARTE PALEONTOLOGICA. Fam. CASSIDUL1DAE, Agassiz. Gen. Amblypygus Agassiz. Amblypygus dilatatus Agassiz. (Tav. II, fig. 7, tav. Ili, fig. 1 e 2). Amblypygus dilatatus Agassiz, Catalog. syst. Ectyp. foss. Ecliinod. Mus. neocom., p. 5, 1840. » apheles Agassiz, id., 1840. » dilatatus Ooster, Synopsis des Echin. foss. des Alpes suisses, p. 67, pi. II, fig. 7, 1867. » apheles Ooster, id., p. 66, 1S67. » dilatatus Taramelli, Di alcuni Echinidi eocenici delVIstria, p. 14 (Istituto veneto di scienze, lettere ed arte, ser. IV, t. III, 1874). G. CHECCHI A 56 Amblypygus dilatatus » » » » » » de Loriol, Descript, des Ecliin. tertiaires de la Saisse, p. 44, pi. Ili, fig. 8, pi. IV et pi. V, fig. 1, 1875. de Loriol, Monogr. des Ecliin. contenus dans les conches nummulitìques de VEgypte, p. 28, pi. Ili, fig. 2, 1880. Bittner, Beitrdge zur Kenntniss Alttertiàrer Echi- niden Famien der Siidalpen, p. 49, 1880. Cotteau, Paleontologie Frangaise , Terrain Ter- tiaire; Ecliinides éocènes, t. I, p. 448, pi. 130 e pi. 131, fig. 1-3, 1889. Specie di grandi dimensioni, di forma quasi circolare e ta- lora leggermente elittica. Faccia superiore gonfia, regolarmente convessa e alta; faccia inferiore piana, profondamente infossata attorno al peristoma e arrotondita sui lati. Sommità ambulacrale subcentrale, un po’ spostata in avanti. Aree ambulacrali larghe, petaloidi, molto aperte all’estremità. Zone porifere assai sviluppate, composte di pori ineguali che sono appaiati ; gli esterni allungati, gli interni arrotonditi, con- giunti per mezzo di un solco e separati da una leggera costola finamente granulosa. Un po’ al di sotto del contorno le zone porifere cessano di essere petaloidi, si ravvicinano, i pori diven- gono rotondi e piccoli, si aggruppano obliquamente e formano da ogni lato dell’area ambulacrale una serie lineare che si pro- lunga sino al peristoma. Questo è quasi centrale ed è situato in una depressione, disposto obliquamente e di forma subpentago- nale. Periprocto grandissimo, lenticolare, allungato secondo il diametro antero-posteriore, occupante gran parte dello spazio compreso tra il peristoma e il lato posteriore. Apparecchio api- cale compatto, formato di quattro placche genitali perforate, i pori anteriori sono fra loro più ravvicinati dei posteriori; placca madreporica che si prolunga al centro dell’apparecchio ; placche ocellari piccolissime e appena visibili. Tubercoli piccoli, sparsi, abbondanti specialmente verso il contorno, un po’ più grossi ed allontanati vicino al peristoma; granuli intermedi estremamente fini, tendenti a formare dei cerchi attorno ai tubercoli. Questa specie non è rara nel terreno eocenico del Monte Sa- raceno: le sue variazioni consistono nella forma, clic talora è GI.I ECHINIDI EOCENICI DEL MONTE GARGANO 57 più allungata nel senso del diametro antero-posteriore ; nell’ap- parecchio apicale, che può essere spostato di più verso l’avanti, nei caratteri del periprocto, che varia un po’ nella forma più o meno acuminata nelle estremità; e nel peristoma che può as- sumere talora una forma spiccatamente triangolare. Questa spe- cie dell’Eocene medio è stata rinvenuta in altre località italiane, presso Verona, alla Gran Croce di S. Giovanni Ilarione nel Vi- centino ; poi ad Albona e Pzum nell’ Istria, presso Aragona (Spa- gna); a Yberg nel canton di Schwytz (Svizzera); a Saint-Martin, Montagne d’Alaric, Monze (Francia); a Mokattan e Tebe in Egitto e a Selghir in Crimea, ecc. Dimensioni di un individuo un po’ più allungato: altezza 38 inni.; diametro antero-posteriore 76 inni.; diametro trasver- sale 70 mm. Pam. CLYPEASTRIDAE, Agassiz. Gen. Echinocyamvs Van Phelsum. Ecliinocyamus subcaudatus ? (Des Moulins), Desor. Fibularia subcaudata Des Moulins, Ftudes sur les Echin., tableau synou., p. 245, 1836. Ecliinocyamus subcaudatus Agassiz et Desor, Catal. rais, des Ecliin., p. 84, 1847. » » Cotteau Paleontologie Frangaise, Terrain tertiaire; Echinides éoc'enes, t. II, p. 371, pi. 292, 1889. Esemplare piccolo, alquanto più lungo che largo, arrotondito avanti, subacuminato indietro. Faccia superiore mediocremente gonfia e spessa sui lati. Faccia inferiore piana, concava nel mezzo, ove si apre il peristoma. Apice ambulacrale insensibilmente spostato in avanti. Aree ambulacrali subpetaloidi, poco sviluppate, eguali e aperte alle loro estremità. Peristoma circolare, assai grande, centrale e aprentesi in una depressione ben evidente della taccia inferiore. Periprocto superficiale, rotondo, e più piccolo del peri- stoma, e distante dal contorno il terzo della lunghezza che se- para il lato posteriore dal peristoma. Apparecchio apicale esteso, 58 G. CHKCCHIA sporgente e munito di quattro pori genitali. Tubercoli piccoli e di eguali dimensioni su tutta la superficie. Questa specie, quantunque sia vicina alFi?. affìnis Des Moul., se ne distingue perchè in quest’ ultima il periprocto è quasi marginale e la faccia posteriore è dilatata e troncata. Noi rife- riamo però con qualche dubbio questa forma airi?, subcaudatus , perchè di esso possediamo appena un solo esemplare di piccole dimensioni; tuttavia esso s’avvicina alle figure e alla descri- zione che il Cottemi dà dell’ E. subcaudatus. Questa specie dell’Eocene superiore finora non era stata da nessuno indicata in Italia, mentre è comune alla Garoupe au Gap d’Antihes (d’Ault-du-Mesnil), al Bois d’Apollon (Alpi Ma- rittime) e a Gypseuil, Parnes-les-Groux (Oise), ecc. Dimensioni: diametro antero-posteriore 6 mm,; diametro tras- versale 5 mm. ; spessore 2 mm. Fam. SPATANGIDAE, Agassiz. Gen. Macropneustes Agassiz. Macropneustes cfr. Deshayesi Agassiz sp. Micraster Deshayesi » minor Macropneustes Deshayesi » » * » » » » » Agassiz, Catal. Ectyp., 3Ius. neoc., p. 2, 1840. Agassiz, » » » » » , 1840. Agassiz et Desor, Catal. rais, des Echinides, ]). 114, pi. 16, fig. 2, 1847. Desor, Synopsis des Echin. foss., p. 440, pi. 44, fig. 2-3, 1857. Ooster, Synopsis des Echin. des Aìpes suisses, p. 114, pi. XXIX, fig. 1-2, 1865. de Loriol, Descript, des Echin. tertiaires de la Snisse, p. 124, p. xxi, fig. 1, 1875. Cotteau, Paleontologie Franyaise, Terrain ter- tiaire ; Echinides e'ocènes, t. I, p. 141, pi, 31, 32 et 33, 1889. Con qualche dubbio riferisco a questa specie due esemplari di Macropneustes mal conservati, ma che però lasciano scor- gere i seguenti caratteri : specie piuttosto grande con la mas- sima larghezza verso la metà della lunghezza, arrotondila avanti e profondamente intagliata; ristretta e subacuminata indietro; GLI ECHINIDl EOCENICI DEL MONTE GARGANO 59 faccia superiore depressa e leggermente convessa, faccia infe- riore quasi piana. Apice ambulacrale eccentrico in avanti. Solco anteriore largo e poco scavato al suo inizio, che s’approfondisce rapidamente e intacca molto profondamente il contorno prolungandosi sino al peristoma. Aree ambulacrali pari petaloidi, larghe, poco sca- vate, aperte alle loro estremità, le anteriori molto divergenti, le posteriori più ravvicinate al diametro antero-posteriore. Zone porifere composte di pori piccoli, appaiati, separati da una co- stola alta; zona interporifera più stretta di una delle due zone porifere. Peristoma eccentrico in avanti. Apparecchio apicale munito di quattro pori genitali, i due anteriori più ravvicinati tra di loro dei posteriori. Tubercoli grossi, crenulati, perforati, scrobiculati, più piccoli sui lati, e aumentanti di nuovo di vo- lume sulla faccia inferiore. Fasciola peripetalica appena si- nuosa. I nostri esemplari quantunque non presentino caratteri co- muni con altre forme di questo genere, purtuttavia a causa della loro incompleta conservazione sono da noi riferiti con dubbi al M. Desìi ayesi. Questa specie deH’Eocene medio è stata rinvenuta in molte località presso Virroy, Saint-Gervais, Goignon, Chaumont (Seine- et-Oise), TrittHuli presso Einsiedeln, Yberg, Steintach presso Gross (Schwytz), ecc. Gen. Schizaster Agassiz. Schizaster Arcliiaci Cotteau. (Tav. II, fig. 1). Schizaster vicinai ìs cTArchiac, Description des foss. du groupe nummulit. (Mém. Soc. géol. de France, 2e sèrie, t. Ili, p. 426, pi. X, fig. a, b, 1848). » » (pars) Desor., Synopsis des FJchimd.es foss des, p. 390, 1857. » Archiaci Cotteau, Echini des fossiles des Pyrénées, p. 130, 1857. » » de Loriol, Descrip. des Echin. tertiaires de la Suisse, p. 107, pi. XVIII, fig. 6-9, 1875. » » Dames, Die Echiniden der Vicent. und Veron. Tertiàr., p. 56, pi. IX, fig. 1, 1877. 60 G. CHECCHIA fichi za «ter Archiaci Bittner, Beitràgezur Kenn. alttertiàrer Echin.-Fau- nen der Sudalpen, p. 52, pi. VII, fig. 2-4, 1880. » » Cotteau Paleontologie Frangaise, Terrain tertiaire, Echinideli éocènes, t. I, p. 277, pi. 83 et 84, fig. 1 et 2, 1889. Specie di forma allungata, ovale, arrotondila e intaccata avanti, acuminata dietro, con la sua maggior larghezza verso la metà della sua lunghezza. Faccia superiore gonfia e rego- larmente declive nella regione anteriore; il suo punto più ele- vato si trova subito dietro l’apice ambulacrale. Faccia inte- riore leggermente convessa sul contorno e appiattita nell’area ambulacrale impari, la quale talora è più o meno carenata '? faccia posteriore troncata e un po’ scavata al disotto del peri- procto. Sommità ambulacrale molto eccentrica indietro. Solco anteriore allungato, stretto, profondo, scavato e sub- carenato sui lati, attenuantesi verso il contorno che intacca leg- germente, scomparendo nelle vicinanze del peristoma. Area am- bulacrale impari stretta, limitata da pori piccoli, semplici, se- parati da un leggero rigonfiamento granuliforme, disposti da ambo i lati su di una sola fila appaiati e allontanati fra di loro quanto più si avvicinano verso l’orlo. Aree ambulacrali pari strette, molto scavate, ineguali ; le anteriori allungate, fles- suose, ravvicinate al solco anteriore; le posteriori molto più corte, meno flessuose e più arcuate. Zone porifere larghe, com- poste di pori allungati, ineguali, gli interni arrotonditi, gli esterni più stretti, più lunghi, uniti per mezzo di un solco, in numero circa di venticinque nelle zone porifere delle aree anteriori e di circa quindici nelle posteriori; zona interpori fera più stretta di una delle due zone porifere. Aree interambulacrali ristrette e sporgenti attorno all’apice. Peristoma molto eccentrico avanti, semicircolare, non appro- fondito e provvisto di un labbro sporgente. Periprocto circolare, posto alla sommità della faccia posteriore. Apparecchio apicale composto di quattro pori genitali, di cui gii anteriori sono più piccoli e più ravvicinati tra di loro. Fasciola peripetalica molto distinta, la quale avanti si allunga c attraversa il solco anteriore presso il margine; fasciola latero-subanale che si distacca dalla fasciola peripetalica dietro le aree ambulacrali anteriori e di- GLI ECHINIDI EOCENICI DEL MONTE GARGANO 61 scende obliquamente sotto il periprocto. Tubercoli piccoli ed omo- genei su gran parte della faccia superiore, più sviluppati sul con- torno e sulla faccia inferiore, disposti in serie sul -plastron. Nei diversi esemplari da noi studiati si riscontrano alcune leggere variazioni determinate dalla forma più o meno ovale di- pendente dalla maggiore o minore lunghezza del diametro antero- posteriore, dalla maggiore o minore eccentricità delTapparecchio apicale, dalla forma del peristoma che può diventare alquanto ovale ; ma però malgrado queste differenze tutti presentano una grande uniformità nei loro caratteri principali. Questa specie dell’Eocene medio è stata trovata nel Vicen- tino alla Croce di S. Giovanni Tlarione e fuori d’Italia a Blangg (Schwitz), a Saint-Palais (Charente-Inferiore), ecc. Dimensioni di un individuo grande: diametro antero-poste- riore 50 mm.; diametro trasversale 42 nini.; spessore 30 mm. Individuo medio : diametro antero-posteriore 43 mm.; diame- tro trasversale 39 mm.; spessore 23 mm. Scliizaster Studeri Agassiz. (Tav. II, fig. 2). Schizaster Studeri Spatangus Sfoderi Schizaster Sfoderi » » » » » » » » » » y> » » » » » Agassiz. Prod. d’ime monog. des radiaires (Mém. Soc. des se. uat. de Neuchatel, t. Ier, p. 185, 1836). Des Moulins, Études sur les Echin., p. 415, 1837. Agassiz, Catal. syst. Ectyp. foss. Echinod. Mus. neocom., p. 3, 1840. Sismonda, Meni, geo.-zool. sugli Ech. foss. del con- tado di Nizza, p. 32, tav. II, fig. 4, 1841. Agassiz et Desor, Catal. rais, des Ecliin., p. 121, 1847. Desor, Synopsis des Echin. foss., p. 391, 1855. Laube, Ein Beitrag. zur Kenntniss der Echinod. der Vicentinischen Tertiàrgebietes, p. 30, 1868. Tarameli]', Alcuni echinidi eocenici dell'Istria, p. 24 (Istituto veneto di se., lett. e art., 1873-1874). Dames, Die Echin. der Vicent. und Veron. Tertiàr., p. 62, tav. IX, fig. 3, 1877. Cotteau, Paleontologie Frangaise, Terrain tertiaire, Echinides éocènes, t. Ipr. p. 344, tav. 103, 104, 105, 1889. Botto -Micca, Contrib. allo studio degli Echin. terz. del Piemonte (Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XV, p. 354, anno 1896). 62 G. CHECCHIA Schizaster Studeri Airaghi, Echinidi del Bacino della Bormida (Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XVIII, p. 141, tav. VII %. 4 a, b, 5 a, b, anno 1899). Forma molto gonfia, largamente ovale, strettamente arro- tonclita avanti e subacuminata dietro. Faccia superiore elevata nella regione anteriore, rapidamente declive sui lati, fortemente carenata dietro, avente la sua più grande altezza dietro l’apice ambulatale e la più grande larghezza un po’ avanti all’apice. Faccia inferiore arrotondila sui lati, un po’ depressa attorno al peristoma e gonfiata nell’area interambulacrale impari. Faccia posteriore stretta, troncata, un po’ scavata sotto al periprocto. Apice ambulatale eccentrico indietro. Solco anteriore largo, allungato, profondo, munito sui lati di una carena sporgente, ristretto verso l’orlo, che intacca molto evidentemente, e attenuato nelle vicinanze del peristoma. Area ambulatale impari munita da ambo i lati di una serie di pic- coli pori ovali, appaiati, che si aprono alla base dell’esca vazione in numero di trenta circa compresi nell’intervallo tra l’apice e la fasciola peripetalica; i pori più piccoli sono quelli vicini al- l’apice e man mano che le placche che li sopportano si ingran- discono s’ allontanano e diventano più grandi ; essi sono se- parati da sottili costole, le (piali risalgono lungo la parete dell’esca vazione sino all’orlo superiore. L’area ambulatale nel mezzo è concava e leggermente granulosa. Aree ambulatali pari molto scavate, le anteriori arrotondite alle loro estremità, aperte, larghe, avvicinate al solco ambula- tale, flessuose ; le posteriori acuminate non flessuose, a forma di foglie. Zone porifere pari assai larghe, situate sulle pareti della escavazioni ambulatali e formate di pori oblunghi, uniti per mezzo di un solco, appaiati in numero di trenta circa nelle aree anteriori e di diciotto circa nelle posteriori. Zona interpo- rifera larga quanto una delle due zone porifere. Aree intcram- bulacrali salienti presso l’apice. Peristoma eccentrico in avanti, un po’ allontanato dall’orlo anteriore, semicircolare e labiato. Periprocto ovale nel senso lon- gitudinale. Fasciola peripetalica sinuosa, che segue ad un dipresso il contorno dei petali : ossa forma un angolo quasi retto sulle aree GLI ECHINIDI EOCENICI DEL MONTE GARGANO 63 interambulacrali impari e accompagna un poco il solco prima (T attraversarlo ; fasciola latero-subanale distaccantesi dietro le aree pari ambulacrali anteriori e discendente obliquamente sotto il periprocto. Tubercoli fini, addensati sulla faccia superiore, un po’ più grossi verso il contorno e sulla faccia inferiore. Riassumendo, la specie in esame è ben caratterizzata per le sue dimensioni grandi, per la sua forma regolarmente ovale, per l’apice ambulacrale eccentrico indietro, per il solco anteriore alquanto dilatato nel mezzo, per le aree ambulacrali posteriori molto appuntite e per il peristoma un po’ allontanato dall’orlo anteriore. L’esemplare da noi descritto per la forma più nettamente ovale, per l’apice ambulacrale un po’ più eccentrico indietro e per le aree ambulacrali più larghe ed arrotondite all’ estremità, s’avvicina di più agli esemplari figurati del Dames che a quelli del Cotteau. Il tentativo fatto di voler riunire in una specie sola lo Schizaster Studeri e lo S. africanus de Loriol non ci sem- bra felice, per quanto stia nel criterio d’ogni autore di tenere riunite o separate due forme ; noi per conto nostro crediamo di tener ancora separate queste due specie, perchè il tipico Shiz. africanus si distingue dallo Sdì. Studeri per la sua forma quasi circolare, per la faccia anteriore largamente arrotondata e la posteriore acuminata a causa dell’area interambulacrale posteriore carenata più sporgente in guisa da piegarsi al di sopra del periprocto; inoltre inferiormente è molto meno gonfio e le sue aree ambulacrali anteriori sono più strette. Maggiori sono poi le differenze tra lo S. Studeri e lo S. africanus figurato dal Cotteau, differenze che si spiegano in quest’ultimo per la forma molto più arrotondita in avanti e più fortemente arrotondita indietro. Questa forma, che si estende per gran parte dell’Eocene e per tutto l’Oligocene è stata rinvenuta in parecchie località ita- liane, a Logiro, a Laverda, a Montecchio, a Monte Arziano, ad Avesa, a Priabona, a Monte Torsch nel Vicentino, a Carcare (Tongriano) e a Pian dei Boschi (Elveziano). Fuori d’ Italia a Royau, Klausenberg, nel Caucaso, al Phare Saint-Martin presso 64 G. CHECCHI A Biarritz, alla Garoupe (Bassi Pirenei), a Vaugelade presso Yenee (Var) e a Nizza (Alpi Marittime), ece. Dimensioni di un esemplare ben conservato : diametro antero- posteriore 69 min.; diametro trasversale 58 nini.; altezza 50 min. Scliizaster ambulacrum Desìi, sp. (Tav. II, fig. 3). Spatangus ambulacrum Sdii za* ter ambulacrum » » » » » » » » » » » » » » » » Deshayes, Descript, de coquilles caract. des ter- rains, p. 255, pi VII, fig. 4, 1831. Agassiz, Calai, syst. Ectyp. foss. Echinod. Mus. neocom., p. 3, 1840. D’Archiac, Descnption des foss. dugroupe numm. (Meni. Soc. géol. de France, 2e sér., t. Ili, p. 1427, 1850). Leymerie et Cotteau, Catal. des Echin. des Pyrè- nées (Bull. Soc. géol. de France, 2e sòr., t. XIII, p. 341, 1856). Desor, Synopsis des Echin. foss., p. 392, 1858. Cotteau, Echin. foss. des Pyrénées, p. 131, 1863. Taramelli, Di alcuni Ecliinidì eocenici dell’ Istria, p. 23 (Istituto veneto, t. III, ser. IV, 1873-74). Dames, Die Echiniden der vicentini schen und reronischen, Tertiàrabl., p. 60, pi. X, fig 1, 1877. Cotteau, Paleontologie Frangaise, Terrain ter- tiaire, Echinides éocènes, 1. 1, pag. 320, tav. 95 e 96, 1889. Airaghi, Ecliinidi del bacino della Bormida (Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XVIII, 1899). Specie di forma circolare, subesagonale, tozza, più larga che lunga, arrotondita ed intaccata avanti, alquanto ristretta indietro. Faccia superiore alta, gonfia, elevata, regolarmente convessa dalla regione anteriore alla posteriore, avendo la sua più grande larghezza nella metà posteriore verso il punto che corrisponde all’apparecchio apicale. Faccia inferiore piana, arrotondita sui lati, un po’ depressa attorno al peristoma. Faccia posteriore troncata e fortemente scavata al disotto del periprocto. Sommità ambulacrale leggermente eccentrica indietro. Solco anteriore non molto largo, assai scavato, carenato sui lati c restri ngentesi un po’ verso l’orlo, che intacca evidentemente, c GLI ECHINIDI EOCENICI DEL MONTE GARGANO 65 si prolunga sino al peristoma. Arca ambulacrale impari munita da ogni lato di una fila di piccoli pori aprentisi alla base dell’esca- vazione e separati da un granello sporgente. Delle piccole costole granulose e trasverse s’intercalano tra ogni paia di pori e rimon- tano la parete del solco. Ogni serie si compone di circa 25 paia di pori. Aree ambulacrali pari strette, fortemente scavate, acuminate alle loro estremità, ineguali, le anteriori flessuose, divergenti, molto più lunghe delle aree posteriori ; zone porifere assai larghe, poste sulle pareti delle escavazioni ambulacrali, formate di pori allungati, uniti per mezzo di un solco, in numero di 30 nelle aree anteriori e di 15 circa nelle posteriori; nelle vicinanze dell’apice i pori diventano piccolissimi. Zona interporifera estesa quanto una delle due zone porifere. Aree interambulacrali anteriori sporgenti, carenate e nodu- lose presso l’apice. Peristoma eccentrico in avanti, semicircolare, fortemente labiato ; le aree ambulacrali pari anteriori della faccia inferiore formano da ogni lato del peristoma una depressione allungata, subtriangolare, più evidente che non in altre specie. Periprocto arrotondìto, largamente aperto, posto alla base della carena dorsale, alla sommità di un’area liscia e scavata. Appa- recchio apicale molto distinto e provvisto di quattro pori geni- tali. Fasciola peripetalica sinuosa, seguente ad un di presso le aree ambulacrali e formante dietro un angolo clic penetra nell’area interambulacrale posteriore; fasciola latero-subanale che si distacca dalla fascia peripetalica dietro le aree ambulacrali anteriori e discende obliquamente sotto il periprocto. Tubercoli piccoli, serrati, omogenei su quasi tutta la faccia superiore, un po’ più grossi sui margini e sulla faccia inferiore. Questa specie si distingue dalle sue congeneri per la sua forma subesagonale, tozza, per la faccia superiore regolarmente convessa ed elevata, pel suo apice più centrale che non nelle altre specie dianzi descritte, per le aree ambulacrali pari strette, scavate ed acuminate, per la depressione delle aree ambulacrali pari e per il grande sviluppo del periprocto arrotondito. A prima vista i nostri esemplari mostrano qualche rassomi- glianza con lo Scliis. africanus de Loriol tipico nell’aspetto generale, nella faccia inferiore appiattita, nella forma c posi- G. CHECC1UA 66 zione del peristoma; ma se ne distinguono senz’altro per la forma subesagonale, più larga che lunga, per la posizione sub- centrale dell’apparecchio apicale, per le depressioni che le aree ambulacrali pari formano sulla faccia inferiore, e per lo sviluppo del periprocto arrotondito. Tra le varie specie di Schi zaster da noi studiate ve ne sono alcune che s’avvicinano molto allo Sci), africanus descritto e figurato dal Cotteau, ma per la incompleta conservazione dei nostri esemplari non possiamo assicurare l’esistenza di questa specie a M. Saraceno. Questa specie, che ha una estensione ad un di presso come quella della specie precedente, fu rinvenuta in varie località italiane: a Scaranto, Monteechio Maggiore, Priabona, S. Fiorano, Senago, Monte Colombara nei pressi di Verona; a Carcare (Ton- griano) ; a Penquente, Punta Grossa, Maggia nell’Istria; e, fuori d’Italia, a Biarritz, ecc. Dimensioni di un esemplare grande : diametro antero-poste- riore 54 rum. ; diametro trasversale 50 mm. ; altezza 40 min. Scliizaster vicinalis Agassiz. Schizaster vicina Its » » » » » » » » » » » » » » » » Agassiz et Desor, Catal. rais, des Echin., p. 127, 1847 (pars). d’Orbigny, Prod. de paléont. strat., t. II, p. 829, 1850. Desor, Synopsis des Echin. foss., p. 890, 1858. Cotteau, Echin. foss. des Pyrénées, p. 129, 1863. Laube, Ein Beitràge zur Kenntniss des Echinodermen des vicentinischen Tertiàrgébieies, p. 8, 1867. Dames, Die Echiniden der vicentinischen und vero- nischen Teriiarabl., p. 63, pi. IX, fig. 4, 1877. Cotteau, Paleontologie Franqaise, Terrai n tertiaire, Echinides éoc'cnes, p. 329, pi. 98 et 99, 1885-89. Botto-Micca, Contrib. allo stadio degli Echin. terz. del Piemonte (Boll. Soe. Geol. Ital., voi. XV). Ai ragli i, Echinidi del. bacino della Bormida (Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XVIII, 1899, p. 169). Specie di dimensioni medie, cordifonne, più lunga che larga, arrotondila e intaccata avanti, acuminata indietro. Faccia supe- riori' fortemente declive nella regione anteriore e assottigliata avanti, molto elevata indietro, munita nell’area interambulaerale GLI ECHINI!)! EOCENICI DEL MONTE GARGANO 67 impari di una carena sporgente che si prolunga curvandosi sino al periprocto. La più grande altezza si trova dietro l’apice am- bulacrale. Faccia inferiore arrotondata sui lati e depressa attorno al peristoma. Faccia posteriore troncata e leggermente scavata. Apice ambulacrale eccentrico indietro. Solco anteriore largo, profondo, carenato sui lati, che si restringe alquanto verso il contorno che intacca fortemente e si prolunga distinto sino al peristoma. Area ambulacrale impari, larga, finamente granulosa, mu- nita di due serie di pori: la prima posta presso l’estremità esterna delle placche ; la seconda alla base dell’escavazione formata di pori separati da una granulazione sporgente. Delle piccole costole trasversali si intercalano tra ogni paio di pori e risalgono la parete dell’escavazione sino all’orlo del solco. Aree ambulacrali pari scavate, le anteriori molto più lunghe delle posteriori, arrotondate all’estremità e avvicinate al solco anteriore ; le posteriori corte e poco allontanate. Zone porifere ben sviluppate, formate di pori ovali, uniti per mezzo di un solco; in vicinanza dell’apice i pori diventano piccolissimi ; zona interporifera larga quanto una delle due zone porifere. Peristoma eccentrico in avanti, semicircolare e fortemente labiato. Periprocto longitudinale e aprentesi alla base della carena dorsale. Apparecchio apicale munito di quattro pori genitali, gli an- teriori un po’ più piccoli dei posteriori e più ravvicinati fra di loro. Tubercoli tini, addensati, omogenei su quasi tutta la faccia superiore, un po’ più grossi sui lati del solco anteriore e sopra- tutto sulla faccia inferiore. Fasciola peripetalica sinuosa; fasciola latero-subanale che si distacca dalla fasciola peripetalica dietro le aree ambulacrali pari anteriori quasi ad un terzo della loro lunghezza e discende obliquamente sotto al periprocto. Questa specie che ha una estensione come la precedente, è stata trovata in molte località italiane: a Burga di Bolca, M. Berici, Laverda, S. Fiorano - Avesa ; e, fuori d Italia, a Biarritz (Bassi Pirenei) e a Kef-Irond (Algeri), ecc. U. CHECCHI A (58 Dimensioni : diametro antero-posteriore 50 min. ; diametro trasversale 42 nini. ; altezza 29 nini, Gerì. Pericosmus Pomel. Pericosmus spatangoides (Desor) de Loriol. Hemiaster s pa tangoides Linthia spatangoides Periaster spatangoides Pericosmus spalangoi des » » » » » » » » Desor (Arch. des se. phys. et nat. de Genève, t. XXIV, p. 143, 1853). Desor (Àctes Soc. lielv. se. nat.., 38e sess., Por- rentruy, p. 279, 1853). Desor, Synopsis des Echin. foss , p. 385, 1857. de Loriol, Coup d’ani d’ ensemble sur la faune echin. foss. de la Suisse (Arch. de la Bibl. univers., année 1875, p. 8, 1875). de Loriol, Descript, des Echin. iert. de la Suisse, p. 112, pi. XIX, et pi. XX, fig. 1, 1875. Dames, Die Echiniden der vicent. und verone- sischen Tertiarabl., p. 64, 1877. Botto-Micca, Con trib. allo studio degli Echinidi tertiari del Piemonte (Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XV). Airaghi, Echinidi del bacino della Bormida (Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XVIII, p. 173, tav. VII, fig. 6, a, b, e). Specie un po’ più lunga che larga, cordiforme. Faccia supe- riore regolarmente convessa, ma non molto gonfiata; faccia infe- riore quasi piana, leggermente rigonfia nell’area interambula- crale impari; faccia posteriore troncata e un po’ scavata. Apice arabulacrale eccentrico in avanti. Ambulacri pari poco scavati e ristretti, gli anteriori quasi dritti e perpendicolari al diametro antero-posteriore, i posteriori più corti e molto più ravvicinati. Zone porifere composte di pori oblunghi posti a paia molto avvicinati ; zona inter pori fera, più stretta di una delle due zone pori fere. L’apparecchio apicale poco esteso è composto di 3 pori ge- nitali. Il periprocto trasversale è situato posteriore. alla sommità della faccia GLI ECIIINIDI EOCENICI DEL MONTE GARGANO G9 Per causa della incompleta conservazione della parte anteriore si osserva solamente il principio del solco anteriore o non si può osservare il peristoma. Pur tuttavia tutti gli altri caratteri sono stati sufficienti per farci riferire la presente specie al Pericosmus spatangoides. Questa specie, che ha una estensione eguale alle precedenti, è stata trovata pure a S. Giovanni Ilarione nel Vicentino, a Car- c.are e Dego (Tongriano) e a R. Eavanasco (Aquitaniano) ; e poi a Trittfluh presso Einsiedeln, Stoeckwcid (Schwytz), ecc. Gen. Brissopsis Agassi z. Brissopsis sypontinus Checchia. (TaV. Ili, fig. G, 7 e 8). Specie di medie dimensioni, oblunga, arrotondita, assotti- gliata in avanti e leggermente intagliata, dilatata nel mezzo e ristretta indietro. Faccia superiore leggermente gonfia; faccia inferiore quasi piana e subcarenata nell’area interambulacrale impari ; faccia posteriore troncata obliquamente. Apice ambulacrale centrale. Solco anteriore largo, poco profon- do, il quale si stringe verso il contorno, che intacca appena scom- parendo presso il peristoma. Area ambulacrale impari composta di pori piccoli, disposti a paia e separati da un granulo sporgente. Aree ambulacrali pari petaloidi, mediocremente scavate, sub- eguali e chiuse verso le estremità : le anteriori subflessuose, un po’ divergenti, le posteriori molto avvicinate in guisa da toc- carsi, e più flessuose; i solchi ambulacrali di ogni lato sono disposti in modo da formare un semicerchio. Zone porifere bene sviluppate, composte di pori piccoli allungati; zona interpori- fera molto ridotta. Peristoma labiato, semicircolare ed eccentrico in avanti. Pe- riprocto rotondo e posto alla sommità della faccia posteriore. Sistema apicale munito di quattro pori genitali, gli ante- riori avvicinati tra di loro più dei posteriori. Fasciola peripetalica poco visibile ad occhio nudo; la sub- anale forma un anello tra la base della faccia posteriore e della inferiore. 70 G. CIIECCH1A Tubercoli radi sulla faccia superiore, più grandi e serrati sui margini della faccia anteriore e disposti a serie sull’area interam- bulacrale impari: le aree interambulacrali sulla faccia inferiore sono cosparse di granuli invisibili ad occhio nudo, ma sensi- bili al tatto. A nostro parere questa specie non potrebbe essere riunita ad alcuna di quelle già note di questo genere. Essa sembre- rebbe avvicinarsi al B. elegans Agassiz; ma se ne distingue per essere più depressa, per le aree ambulacrali più corte e meno scavate e inoltre per il solco anteriore meno profondo ed intaccante leggermente il margine anteriore. Inoltre la sua forma allungata le dà rassomiglianza con il B. biarritzensis Cotteau ; ma si distingue da questa specie per essere molto assottigliata anteriormente, per Papi ce ambulacrale più centrale, per le aree ambulacrali pari eguali e poco scavate e per il periprocto ro- tondo. Dimensioni : diametro antero-posteriore 32 min., diametro tras- versale 26 nini., altezza 15 inni. ( ìcn. Ditremaster Munier-Chalmas. Ditremaster Masciae Checcliia. (Tav. Il, fig. 4, 5, e 6). Forma nettamente ovale, più alta nella parte posteriore e alquanto declive nell’anteriore ; gonfiata inferiormente e troncata verticalmente nella parte posteriore. Solco anteriore largo, che scompare del tutto prima di giun- gere all’orlo anteriore. Area ambulacrale impari molto granu- losa, composta di pori appaiati e separati da un granello spor- gente. Aree ambulacrali pari poco scavate, le anteriori lunghe circa due volte le posteriori, larghe, dritte e arrotondite all’estremità : le posteriori superficiali, brevi, a forma di foglie. Zone porifere ben sviluppate, composte di pori stretti, allungati e uniti per mezzo di un solco. Zona interporifcra piti stretta di una delle duo zone pori fere. Aree interambulacrali anteriori più elevate delle posteriori. GLI ECHINI DI EOCENICI DEL MONTE GARGANO 71 Sommità amlmlacrale subcentrale. Peristoma eccentrico in avanti, subpentagonale, posteriormente munito di un labbro mar- ginato. Periprocto allungato nel senso del diametro longitudinale e posto alla sommità della faccia posteriore. Apparecchio apicale munito di due pori genitali, rotondi, grandi e situati sulle aree interambulacrali posteriori. Fasciola peripetalica larga, la quale circoscrive tutti i sol- chi ambulacrali. Tubercoli piccoli e addensati sulla Piccia su- periore, più grandi e più radi sulle pareti del solco anteriore, verso il contorno e sulla faccia inferiore ; disposti in serie sul- l’area interambulacrale impari, lasciando libere le placche am- bulacrali attorno al peristoma. Questa specie, che a Monte Saraceno è rappresentata da molti e ben conservati esemplari, ci sembra ben distinta dalle altre congeneri. 11 JDitrcmaster mix (Desor) Munier-Chalmas e il Ditremaster Degrangei Cotteau, che a prima vista sembre- rebbero avvicinarlesi, si distinguono dalla nostra, perchè il primo ha una forma quasi rotondeggiante e globulosa, un po’ ristretta e subacuminata indietro; l’apice ainbulaerale più eccentrico in- dietro; le aree ambulacrali flessuose; il peristoma semilunare per la forma della fasciola. Il secondo invece ha l’aspetto cor- diforme, troncato in avanti, il solco anteriore molto più profondo, che intacca leggermente il margine anteriore e poi continuasi distinto sino al peristoma, 1’ apice ambulacrale più eccentrico, le aree ambulacrali flessuose e per la forma della fasciola. Oltre la forma tipica che abbiamo descritta e figurata, ci sono degli individui che si distinguono dal Ditremaster Ma- sciae per la forma subglobosa e per l’apice un po’ eccentrico, senza però che se ne possano staccare per riunirli alle altre due specie ora citate. Dimensioni: diametro antero-posteriore 35 mm., diametro trasversale 28 mm., altezza 23 mm. 72 tì. CHECCHI A Gen. Distefanaster Checchia. È stato già altrove descritto l’apparecchio apicale di questo nuovo genere, del quale ora diamo la diagnosi compiuta ('). Questa forma, che per quanto abbiamo tentato, non ci è stato possibile di identificare nè genericamente, nè specificamente con altre già note, appartiene senza dubbio alcuno, per i caratteri della famiglia, a quella degli Spatangidi e propriamente entra a far parte di quella divisione istituita dal Lovèn, detta dei Prymnadetes, la quale è caratterizzata dalla presenza della sola fasciola peri potai ica. Fra le specie degli Spatangidi rappresenta una di quelle che si allontanano di più dal tipo radiale e si avvicinano net- tamente alla simmetria bilaterale e si può considerare come una delle forme più evolute degli echinidi noti finora, in cui la bocca, divenuta bilabiata e trasversale, si è molto spostata verso l’orlo anteriore e il numero dei pori genitali è ridotto solamente a due situati sulle placche basali posteriori. Sicché in questa forma notiamo due caratteri importanti : la presenza di una fasciola peripctalica e quella di due soli pori genitali. 11 primo carattere intanto ha valore generico nella famiglia degli Spatangidi e infatti è in base alla presenza, al numero c alla forma di queste fasciole ( semitae ) che sono state istituite le varie divisioni, che costituiscono la grande famiglia degli Spatangidi. D’altrettanta importanza generica, se non maggiore, è il nu- mero dei pori genitali, perchè il numero di questi modifica gran- demente l’apparecchio apicale; infatti la riduzione delle ghian- dole genitali produce la riduzione dei pori e quindi una ten- denza pure alla riduzione delle placche genitali. (') Checchia (>., Osservazioni sull’apparecchio apicale di alcuni echi- nidi appartenenti alla famiglia degli Epa languii (Boll, della Soc. Zool. Ital., fascicolo I, anno 1902). GLI ECH1NIDI EOCENICI DEL MONTE GARGANO 73 L’importanza generica di questo carattere c stata notata anche da Munier-Chalmas, il quale, dopo molti studi sopra gli echinidi, ha stabilito, che nella determinazione di quelli cre- tacei e terziari devesi dare un valore generico assoluto al nu- mero dei pori genitali ('). E credo qui a proposito di riportare il risultato delle sue osservazioni sull’apparecchio apicale di alcuni echinidi. Egli, oltre ai generi aventi quattro pori genitali, distinse i seguenti con tre: Isaster Desor, di cui si conosce una sola specie proveniente dal Daniano dei Pirenei. Isopneustes Pomel, che è un tipo vicino ai Cyclaster e con- tiene cinque o sei specie senoniane e damane dei Pirenei. Cyclaster Cottemi, con 10 specie terziarie. Pericosmus Agassiz, comune nei terreni terziari e che a torto è stato indicato come avente quattro pori. Inoltre ha indicato con due pori il gen. Ditremaster Munier- Chalmas (comune nell’Eocene medio), il quale prima era ritenuto per Herniaster (Desor) e a torto veniva indicato con quattro pori genitali. Così all : Herniaster mix Desor e all’ Herniaster Covasi Cottemi erano stati sempre attribuiti quattro pori genitali, mentre non ne hanno che due. E probabile quindi che tutti gli Herniaster eocenici debbano rientrare nei Ditremaster. Questo genere eo- cenico dunque differisce dai veri Herniaster, perchè ha l’ap- parecchio apicale munito di due pori genitali. Poi il Pomel ha stabilito il gen. Trachyaster per quelle forme che hanno 4 pori genitali e nel cui apparecchio apicale la piastra madreporica attraversa le basali e si prolunga di là delle ocellari posteriori. Ora questo genere non avrebbe più ra- gione di esistere dal momento che il Gauthier ha dimostrato che presso parecchie specie di Herniaster la piastra madreporica penetra più o meno profondamente nell’apparecchio apicale sino ad attraversare le ocellari posteriori. Allora il gen. Herniaster si continuerebbe nell’ Eocene, restando però sempre distinto dal gen. Ditremaster pel diverso numero dei pori genitali. (0 Munier-Chalmas, Ohservations sur Tappar eil apìcal de quelques échinides crétacés et tertiaires (Compt. rend., tome 101, p. 2). 74 U. CHECCHI A Dopo la pubblicazione della Nota del Munier-Chalmas fu pure dal Pomel istituito il gen. Opissaster, che presenta anch’esso due pori genitali e comprende V Opissaster thebensis de Loriol e VOpiss. thagastensis Pomel. Le specie ora riferite al gen. Opis- saster erano prima determinate come Schizaster ; però per l’as- senza della fasciola latero-subanale e per la eccentricità del- rapparecchio apicale, munito di due pori genitali, un Opissaster si distingue facilmente da uno Schizaster. Tutti questi fatti mostrano che dai vari autori è dato un grande valore del numero dei pori genitali e a conferma di ciò altri esempi ancora si potrebbero addurre. Osserviamo intanto che in questi due ultimi generi ora citati, cioè Ditremaster e Opissaster, oltre alla presenza di due soli pori genitali, vi è anche solamente la fasciola peripetalica, co- sicché essi verrebbero ad avvicinarsi al nuovo genere Distefa- naster per due caratteri anatomici molto importanti; però questo genere, per la forma generale e per la disposizione delle aree ambulacrali, sembrerebbe piuttosto avvicinarsi ai gen. Linthia Mérian e Pericosmus Pomel. Esaminando però i rapporti che esistono tra il gen. Diste- fanaster e quelli da noi menzionati, si osserva che il nuovo genere differisce dai Ditremaster per il solco ambulacrale im- pari che intacca assai più fortemente l’orlo anteriore, per gli ambulacri diritti e più aperti, per gli ambulacri pari posteriori assai più lunghi, per il peristoma molto più ravvicinato al mar- gine anteriore e per la forma della fasciola peripetalica, la quale attraversa il solco anteriore molto vicino alla sommità ambu- lacrale, facendo perciò un angolo rientrante largamente aperto verso l’apice stesso. I)a un Opissaster differisce per l’apice ambulacrale quasi cen- trale, per il peristoma molto più spostato in avanti, per gli am- bulacri anteriori diritti, divergenti e più stretti, per i poste- riori più brevi e per la forma della fasciola peripetalica. Differisce poi dal gen. Linthia, perchè questo, oltre alla fasciola peripetalica, ha anche una fasciola latero-subanale e mostra l’apparecchio apicale fornito di quattro pori genitali invece di due. Inoltre si differenzia anche dal gen. Pericosmus perchè oltre alla fasciola peripetalica in questo si osserva una GLI ECHINJDI EOCENICI DEL MONTE GARGANO 75 fasciola marginale e l’apparecchio apicale fornito di tre pori ge- nitali invece di due. Sicché, concludendo, il nuovo genere da una parte si avvi- cina al gen. Ditremaster c Opissaster, per caratteri anatomici, e dall’altra ai gen. Linthia e Pericosmus, per i caratteri di forma, senza però che si possa con alcuno di questi identificare per causa del complesso dei caratteri distintivi, clic ne costituiscono un genere a sè, indipendentemente dagli altri. Ho dedicato il nuovo genere al dott. Giovanni Di-Stefano e, come si è fatto per la maggior parte dei generi di echinidi, così anche per questo ho conservato la desinenza in aster. Distefanaster garganicus Checchia. (Tav. Ili, fig. 3, 4, e 5). Specie di media grandezza, di lunghezza uguale alla lar- ghezza, moderatamente alta, con la faccia superiore leggermente declive anteriormente e alquanto troncata posteriormente. Fac- cia inferiore pianeggiante, depressa attorno al peristoma e subcare- nata nell’area interambulacrale ìmpari. Il solco anteriore è appena scavato nelle vicinanze dell’apice; poi man mano che da questo si allontana diventa più largo e più profondo, intacca molto il margine e si prolunga distinto ma più ristretto sino al peri- stoma. Area ambulacrale impari granulosa, formata di piccoli pori semplici, disposti a paia in una piccola depressione trian- golare, avvicinati presso l’apice ambulacrale e discostantisi fra di loro man mano che s’avvicinano verso l’orlo anteriore. Aree ambulacrali pari scavate profondamente, non flessuose, lanceolate, lunghe, aperte all’estremità : le anteriori un po’ più lun- ghe delle posteriori, molto divergenti formando un angolo quasi retto coll’asse longitudinale ; le aree posteriori sono più ravvici- nate. Zone porifere composte di piccoli pori, rotondi, situati sulle pareti delle escavazioni ; ogni zona risulta di circa 20 paia di pori nelle aree anteriori e di circa 17 nelle posteriori. Presso l’apice i pori diventano piccolissimi, ma visibili an- che ad occhio nudo. Zone interporifere più larghe di una delle due zone porifere. 76 G. CHECCH1A Aree interarabulacrali pari salienti verso l’apice; la poste- riore alquanto carenata. Apice ambulacrale centrale. Peristorna quasi marginale semi- circolare. labiato. Periprocto circolare posto sulla faccia posteriore. L apparecchio apicale risulta costituito da 5 placche radiali od ocellari e da 3 basali o genitali. Di queste ultime la IP e la IY * (Vedi tav. IH, fuj. 5), cioè la posteriore destra e la po- steriore sinistra, hanno assunto un grande sviluppo: esse sono disgiunte fra di loro dalle placche ocellari 3" e 4% le quali per l’assenza della placca genitale IIP1 sono diventate contigue, e dalla Ia basale o madreporica. Inoltre la placca genitale Va è scomparsa, per cui le ocellari 5:i e P sono diventate conti- gue. Le placche IP e IVa sono quelle clic portano i pori ge- nitali, che si presentano largamente aperti e rotondi. Sicché in questa specie il numero dei pori genitali è ridotto a due e quello delle placche genitali a tre: questa riduzione è degna di nota nella famiglia degli Spatangidi, che è la più elevata degli echinidi, la quale si è allontanata maggiormente dal tipo radiale ed è di una simmetria nettamente bilaterale. La Fasciola peripetaliea distinta attraversa il solco ante- riore molto prossimamente alla sommità ambulacrale. facendo un angolo rientrante verso l’apice stesso. Tubercoli ineguali, piccoli su gran parte della faccia supe- riore, più grandi sui margini del solco anteriore, nella regione marginale e nella zona interambulacrale impari (plastron), dove sono disposti a serie, lasciando libere le zone interambulacrali pari. Dimensioni: diametro antero-posteriore 30 min., diametro tras- versale 31 min., altezza 10 min. Dui Laboratorio di Paleontologia del 11. Ufficio Geologico. [rns. pres. 2 febbraio 1902 - ult. bozze 18 marzo 1902J. Boll. d. Soc. Geol. Italiana. Voi. XXI (Checchia) Tav. Ili GLI ECHINIDI EOCENICI DEL MONTE GARGANO 77 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA IL Fig. 1. Schizaster Archiaei Cotteau (grand, naturale). » 2. Schizaster Studeri Ag. (grand, naturale). » 3. Schizaster ambulacrum Desìi, sp. (grand, naturale). » 4. Ditremaster Masciae Checchia (grand, naturale). » 5. Lo stesso, visto di profilo (grand, naturale). » 6. Lo stesso, visto inferiormente (grand, naturale). » 7. Amblypygus dilatatus Ag. visto di profilo (grand, naturale). SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA III. Fig. 1. Amblypygus dilatatus Ag., visto supriormente (grand, naturale) » 2. Lo stesso, visto inferiormente (grand, naturale). » 3. Distefanaster garganicus Checchia (grand, naturale). » 4. Lo stesso, visto inferiormente (grand, naturale). » 5. Lo stesso, apparecchio apicale, (molto ingrandito). » 6. Brissopsis sypontinus Checchia (grand, naturale). » 7. Lo stesso, visto di profilo (grand, naturale). » 8. Lo stesso, visto inferiormente (grand, naturale). NB. Tutte le specie descritte e figurate in questo lavoro si conser- vano nelle collezioni del R. Ufiicio geologico in Roma. TERRENI TERZIARI E QUATERNARI DEI DINTORNI DI CHIERI Nota del dott. Ludovico Audekino Allo scopo d’illustrare geologicamente il territorio di Cliieri ho fatto, negli anni passati, molte ricerche nei suoi dintorni, che a mio agio ho potuto studiare stante la facilità con cui mi fu dato - dimorando in Cliieri stesso - di farvi numerosissime escur- sioni. Frutto di esse è questo lavoro, che ho presentato quale tesi di laurea e che, modificato in seguito a nuovi e recenti studi, dietro consiglio del prof. C. F. Parona, mi sono risolto a pub- blicare. Esso ha per fine di far conoscere la serie stratigrafica dell’ac- cennata regione, nei suoi rapporti con quella terziaria e qua- ternaria del bacino piemontese, cui appartiene, di notarne le località fossilifere più importanti da me stesso incontrate e di enumerarne infine i numerosi fossili che io vi raccolsi e che ho classificato nel Museo geologico della R. Università di Torino. Chieri è posta sul versante meridionale della catena di col- line conosciuta sotto il nome - oramai classico - diTorino-Valenza, a Sud-Sud-Est di Torino, poco al di sopra del 45° parallelo di latitudine Nord. La città si può dividere in due parti : In porzione bassa e l’alta. La prima- limitata a Sud-Ovest dal rio che proviene dalla valle Ceppi, ben nota pei preziosi fossili del Miocene Medio - fa parte della pianura in cui troviamo le alluvioni quaternarie, al di sotto delle quali si ammettono le formazioni villafran- chiane (l). (*) (*) Sacco, Carta geologica dei colli torinesi alla scala di V«soow . Torino. TERRENI TERZIARI E QUATERNARI DEI DINTORNI DI CHIERI 79 La seconda, che s’eleva sulla precedente di circa 50 m., fa parte di quella serie di collinette astiane, che, dalla valle di S. Bartolomeo ad Ovest, si estendono ad Est oltre a Castel nuovo d’Asti per molti chilometri, e ben si differenziano dalle vicine colline mioceniche. Procedendo verso Nord troviamo estese traccie del Pliocene inferiore, le tipiche marne azzurre del Piacenziano, che d’ordi- nario formano la porzione inferiore della massima parte delle valli esistenti fra le colline astiane. Inoltre, specialmente nella parte orientale, s’incontrano traccie di un terreno appartenente al Miocene, il Messiniano; finalmente formazioni prevalente- mente marnose, il Tortoniano, nel quale, su ridenti colline si scorgono i paesi di Montaldo, Marentino, A vu gl ione. Abbastanza numerosi, come si vede dall’unita bibliografia (x), sono gli autori che accennarono nei loro lavori alle formazioni da (') Per ordine cronologico io ricorderò i principali lavori che par- lano dei terreni chieresi : Provana De Collegno H., Essai géólogique sur les collines de Super ga. Comptes rendus de l’Ac. Se. de Paris (voi. II, part. I); 1835. Provana De Collegno H., Sur les terrains tertiaires du Nord-Ouest de V Italie. Comptes rendus de l’Ac. Se. de Paris, voi. IV ; 1838. Pareto L., Relazione di una escursione fatta a Gassino. Atti della 2a riunione degli scienziati italiani a Torino; 1840. Sismonda A., Osservazioni geologiche sui terreni delle formazioni ter- ziaria e cretacea in Piemonte. Mem. R. Acc. Se. di Torino, s. 2a, n. 5 ; 1842. Michelotti, Description des fossiles des terrains mioc'enes de V Italie septentrionale ; 1847. Martins e Gastaldi, Essai sur les terrains superficiels de la vallèe du Po, environs de Turin, comparés à ceicx de la piaine suisse. Bull. Soc. Géol. Trance, voi. VII ; 1850. Murehison, Memoria sulla struttura geologica delle Alpi, degli Appen- nini e dei Carpazii. Trad. dall’inglese; 1850. Gastaldi, Frammenti di geologia del Piemonte. Mem. R. Acc. Se. di Torino, s. 2a, t. 20; 1860. Pareto, Coupes à travers VApenin des bords de la Mediterranée à la vallèe du Po. Bull. Soc. Géol. France, s. 2a, t. 19 ; 18t>l. Sismonda A., Carta geologica della Savoia, del Piemonte e della Liguria. Torino; 1862. Pareto, Note sicr les subdivisions que Von pourrait établir dans les terrains tertiaires de VApenin septentrional. Bull. Soc. Géol. France, s. II, t. XXII; 1865. 80 t L. AUDEXINO me esaminate; nessuno però ne ha mai fatto oggetto di studi, di ricerche speciali. Intanto, secondo il metodo seguito d’ordinario dai moderni geologi di parlar prima dei terreni più antichi, incomincierò l’esame delle formazioni chieresi dal Tortoniano, che è appunto il più antico della serie dei terreni che compongono il territorio della città di Cliieri. Miocene - Tortoniano. Molto sviluppato si presenta nel territorio chierese questo piano geologico. Esso è generalmente rappresentato da sabbie a Est, oltre Montaldo, mentre ad Ovest è in massima parte marnoso. Nella parte orientale verso Arignano, e in ispecie nei din- torni di Avuglionc, si osservano, anziché le sabbie, degli strati costituiti da marne sabbiose, compatte, grigiastre, non fossilifere (rio della Verhia, strade). Procedendo in direzione di Nord-Ovest tali strati vanno facendosi ghiaiosi e presentano elementi di di- mensione abbastanza considerevole, i quali ci rappresentano l’inizio delle note lenti ciottolose, che sono sviluppate special- mente a Sud di Avuglione stesso e nei dintorni di Marentino. In queste località poi, e precisamente nel versante occiden- tale della collina su cui sorge questo paese, troviamo svilup- Tardy, Esquisse des périodes miocène, pliocène et quaternaire dans l’haute Italie. Bull. Soc. Géol. France, s. II, voi. 29: 1872. Gastaldi, Cenni sulla costituzione geologica elei Piemonte. Boll, li Coni. Geol. d’Italia, voi. Vili; 1872. FuchsT., Studien iiber die Gliederung der jungeren Tertiur-bildungen Ober-Italiens, gesammelt auf einer Rcise im Fruhlinge, 1877. 8° Sitali, d. k. Akad. d. Wissensch. zu Wien. Band. 77, I Abth. Mayer, Sur la carte géologique de la Ligurie centrale, 1877. Portis, Sulla vera posizione del calcare di Gassino. Boll. li. Coni. Geol. It., s. 2a, t. 17; 1886. Sacco F., I terreni quaternari della collina di Torino-, 1887. Sacco F., Il bacino terziario e quaternario del Piemonte-, 1889. Band ti M., Geologia della provincia di Torino; 189.'$. Virgilio F., La collina di Torino in rapporto alle Alpi, all’ Appen- nino ed alla pianura del Po; 1895. TERRENI TERZIARI E QUATERNARI DEI DINTORNI DI CHIERI 81 patissime delle sabbie indubbiamente tortoniane, simili a quelle oramai classiche di Yargo- Stazzano e di T. Borelli nelle vici- nanze di Moncucco. Esse si presentano in istrati di color grigio verdastro, compatti, tanto da formare quasi una speciale marna sabbiosa. D’ordinario vi si riscontrano numerosissimi fossili, rappresentati da conchiglie, generalmente molto piccole, di giovani individui di gasteropodi e lamellibranchi. In taluni luoghi - diversamente da quanto d’ordinario si nota nelle altre formazioni del Torto- niano (marne), in cui i fossili sono sempre disposti in modo irregolare nel terreno inglobante - tali sabbie sono ancora carat- terizzate da un aspetto zonato, dovuto appunto alla presenza dei fossili conservatissimi e molto numerosi, i quali determinano degli strati di potenza variabile da 5 cui. a 50, inclinati da 20-25 gradi e che, col loro colore biancastro, si differenziano nettamente dal resto della roccia. Tra queste sabbie sovente sonvi intercalati straterclli di un’arenaria ad un di presso dello stesso colorito, molto dura, affatto priva di fossili, che talora pure affiorano fra le consuete marne cineree. Nel complesso in tali località, vi è una facies affatto speciale, che ricorda quella elveziana, essendo il Tor- toniano tipico rappresentato da marne, le quali si formarono in mari più profondi. Al contrario i fossili ci rappresentano senza dubbio la fauna tortoniana per l’abbondanza delle Pleurotome, della Turritella vermicularis, dell 'Ervillia 'pusilla, della Mactra tr Lingula, della Leda minuta e specialmente poi per la presenza del Solen subfragilis , della Iiingiculclla auriculata e del Pectun- culus nummarius. Questi strati sabbiosi non solo sono importanti dal lato geo- logico e paleontologico, ma eziandio, e non meno, da quello mi- neralogico, imperciocché numerosissimi e speciali sono i minerali che li compongono, come dimostrò il dott. Colomba ( 1 ), che con cura grandissima ne fece l’analisi riscontrandovi: Quarzo, fel- despato, talco, dori te, serpentino, pirosscno, mica, epidoto, gra- nato, glaucofane, amfibolo, tormalina, magnetite, pirite, cromite, (') Colomba L., Osservazioni mineralogiche su alcune sabbie della col- lina. di Torino. R. Ae. Se. di Torino, a. 1895-96. 9 82 L. AUDENINO spinello, zircone, ridilo, ottaedrite, baritina, menaccanite. Per molti poi cercò di dimostrarne la provenienza dall’alta valle della Dora Riparia. Inoltre in queste località, verso Nord, incominciano le marne caratteristiche del Tortoniano, che si sviluppano specialmente a Sud-Ovest, manifestandosi fin quasi nei dintorni di Pecette. Appaiono esse in straterelli di pochi centimetri di spessore, se- parati da strati sabbiosi, quasi orizzontali, molto ricchi di limo- nite. Hanno una grande potenza nelle vicinanze di V. Majolo, e presentano numerosi fossili perfettamente conservati, ed una facies che s’avvicina moltissimo a quella classica del Tortonese. Noterò poi ancora come ivi si possa osservare il passaggio fra il Tortoniano inferiore e l’Elveziano superiore per mezzo di strati sabbiosi, giallognoli, grigiastri, marnosi, di arenarie, di un conglomerato, talora costituito quasi esclusivamente di un detrito di molluschi, da ghiaia, che a Ovest forma un piccolo rilievo longitudinale, discendente a valle. Rari sono quivi gli strati studiati di sabbie verdognole, d’ordinario sostituiti da piccoli interstrati di sabbia finissima, quasi identica nella sua composizione ad esse, più abbondante però vi è la mica ed il quarzo, affatto priva di fossili. Procedendo verso Ovest-Nord-Ovest la formazione continua marnosa, arenacea, sabbiosa, poco diversa da quella studiata nelle vicinanze di V. Majolo. Vi si riscontrano pure, molto po- tenti, marne argillose, bianchiccie, non fossilifere, per es. a Est di T. Gaietto, in punti che s’ammettono generalmente già apparte- nenti all’ E lveziano : E certo difficilissimo segnare con una certa qual precisione i limiti di due terreni cronologicamente successivi, poiché, mentre essi sono, in generale, molto diversi nella parte mediana, e quindi ben distinguibili, nei limiti estremi si confon- dono, rendendo molto difficile l’opera del geologo che voglia delimitarli, come giustamente il Murchison osserva. A Ovest infine assume definitivamente la sua tipica facies marnosa di deposito di mare tranquillo, a marna però grigia verdognola e che si può ben osservare nel rio di Haldisscro, di valle Vergnano e specialmente poi in quelli di valle Ceppi e di valle Gola, nei fianchi dei quali presenta talora un grande spessore. TERRENI TERZIARI E QUATERNARI DEI DINTORNI DI CHIERI 83 La marna vi è molto compatta, ricoperta all’esterno da mia specie di mantello bianco-cinereo, di vario spessore a seconda della maggiore o minore inclinazione dei pendìi. Rompendo i pezzi di marna, nell’ interno si osserva come un nucleo centrale, una lente di color cinereo cupo, ben evidente. Carattere che si mantiene costante in tutte le lastre di marna che facilmente si possono staccare col semplice aiuto dello scalpello. Tale colora- zione scompare coH’essiccamento. Nella valle Ceppi poi, a Nord, è degno di nota il passaggio al piano inferiore, alquanto diverso da quello descritto. La marna incomincia a farsi molto sabbiosa; in seguito ad essa si alter- nano strati di sabbia grigio-oscuri, di pochi centimetri di spes- sore, con inclinazione di circa 20°. Poco dopo questi assumono una potenza molto maggiore, mentre quella della marna si fa piccolissima, finche questa è sostituita da un’arenaria durissima, cinerea, straordinariamente micacea, alternata a strati sabbiosi, fossiliferi. Si è nell’Elveziano, come pure lo dimostrano le cir- costanti colline, molto più elevate di quelle tortoniane, a ripidi pendìi; ce lo dimostrano i numerosi massi che s’incontrano nel letto del rio, la natura del paesaggio completamente cambiato. Proseguendo verso Pecette i limiti del Tortoniano si fanno assolutamente incerti, anzi riesce molto difficile il trovar traccie delle marne caratteristiche di questo piano, la cui presenza, per quante ricerche io abbia fatto, non potei più constatare in altri luoghi che nel torrente di Yajors, a Sud-Ovest di C. Boero. Il prof. Sacco lo ammette fin oltre il rio di Valle Sauglio, nella parte occidentale, dove è quasi completamente masche- rata dal Loess, dalla coltivazione, fondandosi sulla configura- zione esterna della, regione, che, come è noto, è in diretto rap- porto colla natura delle roccie clic la costituiscono. Di grande difficoltà riesce pure lo stabilire, nella parte occi- dentale, il termine del Tortoniano e l’inizio del piano superiore del Miocene, ossia il Messiniano, c tanto più mancando le lenti gessose, calcaree, che lo caratterizzano oltre ad Avuglione, come possiamo, per es., osservare facilmente poco lontano dal lago di Arignano. Le maggiori altezze delle colline tortoniane si trovano presso l’estremo limite settentrionale, non superano però in generale 84 !.. AUDEN1NO i 440 m., a differenza di quelle Elveziane che raggiungono al- tezze molto maggiori (716 ni., Colle della Maddalena). D’ordi- nario il loro pendio è dolce, attraversato da ampie valli d'ero- sione. Il paesaggio risulta quindi piuttosto monotono. In taluni luoghi però i torrenti dagli alvei grandissimi, colle sponde so- vente molto ripide, con frequenti cascatelle concorrono a ren- derlo vario ed in certa guisa abbastanza attraente. Fossili. — Dalla descrizione fatta delle formazioni torto- ninne riesce evidente che i fossili sono specialmente abbondanti nei dintorni di Marentino e di Avuglione. Le specie da me trovate corrispondono abbastanza bene alle forme tipiche che ne danno i diversi autori, Brocchi, Hòrnes, Bellardi, Sacco, ecc. nonché a quelle esistenti nel Museo geologico di Torino, in cui appunto ho avuto agio di osservare che moltissime delle forme trovate sono identiche a quelle che resero e rendono attualmente celebri le principali località fossilifere italiane. I fossili generalmente abbondano a Nord-Ovest di Chieri, e sono molto ben conservati, in ispecie quelli che presentano le marne cineree di villa Majolo. Fra le specie degne di special menzione ricorderò una forma nuova da me trovata appunto nelle marne, ed appartenente al gen. Jkndrophyllia , studiata e de- scritta dalla Sig.a E. Osasco sotto il nome di Dendrophyllia in- certa (*). Ecco pertanto l’elenco dei fossili tortoniani da me trovati: Ceratotrochus multispina Micht. — Dendrophyllia incerta Ose. — Terebratulina caput-serpenti s Lin. — Anomia ephip- piuni Lin. — Limca strigilata Broc. — Vederi duodecim- lamellatus Bron. — Pecten jacobaeus Lin. — Pcdunculus bimaculatus Poi. — Pcdunculus nunnnarius Br. — Lucina co- l'umbella Lk. — Lucina \ Sismondai Dos. — Leda minuta Br. — Cardila Jouanneti Bast. — Cardi uni obloiigum Chem. Ervillia pusilla Phil. — Vcnus miocenica Nicht. — Lotus ovata Pen. — Solen subfragilìs Eicli. — Mactra triangula Ben. (■orbala Bastcroti Hòrn. — Corbula gibbo Phil. — Teredo 0) Osasco E., Di alcuni corollari pliocenici del Piemonte e della Li- guria. R. Acc. «lolle Se. di Torino, 1896. TERRENI TERZIARI E QUATERNARI DEI DINTORNI DI CHIERI 85 norvegica Speng. — Dentalium Borni Desìi. — Turriteila ver- micularis Br. — Turriteila Archimedis Brug. — Turriteila turris Bast. — Natica epiglottina Lk. — Naticina catena Da Costa. — Neverita josephinia Risso — Pt-ychocerithium gra- nulinum Bon. — Pianella marginata Mart. — Nassa turbi- nellus Br. — Nassa De Gregorii Bell. — Nassa coarctata Eichw. — Nassa magnicallosa Bell. — Murex spinicosta Br. — Mitra contermina Bel. — Sveltia tigrata Br. — Ancillaria glandiformis Lk. — Ancillaria obsoleta Br. — Porfiria Du- fresnei Bast. — Terebrum acuminatimi Bors. — Surcula dimi - diata Br. — Genota Mayeri Bel. — Drillia bifida Bel. — Drillia crispata Joan. — Eingiculella auriculata Men. — Bulla convoluta Br. — Dcndroconus Bergausi Miclit. — Lcptoconus elatus Micht. Messiniano. Poche sono le osservazioni che io posso fare intorno al Mes- siniano dei dintorni di Chieri perchè la sua presenza si può constatare solo nella parte orientale, in cui presenta gli affio- ramenti calcarei, gessiferi, caratteristici di questo piano. È infatti evidente nelle vicinanze di Moncucco, presso Castel- nuovo d’Asti, in cui appunto vi sono le note lenti gessose. Verso Ovest diventa più calcarifero, come si può facilmente notare presso Arignano (C. Calcinara), dove ho incontrato parecchie cave di calcare. È un calcare granuloso, giallognolo, durissimo, con- crezione to. In queste località è ben distinguibile non solo per la natura delle roccie da cui è rappresentato, ma anche dalla configura- zione della formazione. Quindi facilmente si può separare non solo, come abbiamo visto, dal Tortoniano, ma eziandio dal piano superiore, il Piacenziano. Qualche traccia si ha ancora a Sud di Marentino (C. Frut- terò); ma oltre, verso Sud-Ovest, non lo potei più assolutamente constatare, essendo ricoperto dalle formazioni quaternarie. Io ricorderò solamente a tal riguardo che in qualche luogo, in cui si crede esistere il Messiniano, notai la presenza di sorgenti solforose, che, come è noto, sono comuni nel Messiniano (per es. presso v. Savio alla profondità di circa 6 m.). 86 L. AUDEN1NO Questo piano poi nelle località da me esaminate non è mai fossilifero, nè presenta alcuna traccia di quegli strati carboniosi, marnosi, nerastri, che servono cosi bene a seguirne le traccio in altri luoghi (dintorni d’Alba). Pliocene - Piacenziano. Questo piano, come gli altri esaminati, è largamente rap- presentato nella parte orientale, dove affiora eolie classiche marne azzurre (grigio-azzurrognole), che caratterizzano appunto il Plio- cene inferiore, in numerose località ricchissime di fossili, preci- samente come le note valli di Primeglio, Pino e di Castelnuovo d’Asti. Presso il lago d’Arignano, per es., i fossili sono di un’ab- bondanza veramente straordinaria e molto ben conservati. Verso Ovest si riscontra, si può dire, lungo tutte le sponde dei torrenti che solcano le valli. Nel rio di valle Vergnano è talora costituito da una marna giallo-cinerea micacea, che spesso presenta venature brune, e verso Nord — in ispecie nella parte inferiore dell’alveo — di- venta molto dura, compatta, simile a quella che abbiamo visto caratterizzare il Miocene superiore, a cui passa presso c. Ver- gnano, senza che tra un terreno e l’altro si abbia la benché mi- nima traccia del Messiniano. In quello poi di valle Ceppi, nel tratto in cui, avvicinandosi a Chieri, assume il nome di rio dei Molini, hanno uno straordinario sviluppo. In taluni punti le marne diventano oscure ed allora rari sono i fossili, non presentando d’ordinario che qualche resto di legno lignitizzato; talora sono pure giallognole, sabbiose, raramente ghiaiose, ad elementi molto piccoli. Verso Sud-Ovest sono spesso biancastre, durissime, non fossilifere, a frattura di roccia molto facile. Questo fatto si può constatare specialmente in un piccolo affluente del torrente stesso, il quale è incassato, cavernoso e pre- senta sporgenze di grandi pezzi di marna, che gli conferiscono un aspetto affatto caratteristico e lo rendono assai pericoloso per la facile caduta di quelli. Nella regione occidentale io non l’ho potuto osservare che nel rio di f'astelvecchio presso il piccolo lago della Borbogliosa. TERRENI TERZIARI E QUATERNARI DEI DINTORNI DI C1IIERI 87 Quivi io ricorderò come si possa splendidamente constatare il passaggio graduale del Piacenziano all’ Astiano. Inferiormente si ha la marna azzurra, non fossilifera, che forma le sponde del torrente stesso, poi alquanto più in alto uno strato di marna sabbiosa giallo-cinerea (di 2 m. circa di potenza), a cui è sovrapposta altra marna gialla molto argillosa che presenta sottilissimi interstrati bluastri. Finalmente si os- serva una piccola lente ciottolosa, e poi il loess tipico. Tale passaggio tra il Pliocene inferiore ed il superiore, che in nessun altro luogo ho notato così evidente, mi pare tipico al riguardo e non solo litologicamente, ma anche orografica- mente poiché, mentre la roccia piacenziana forma la pianura, quella astiami, o meglio di transizione, costituisce presso la me- desima un’alta collina, a pendio piuttosto ripido; anzi presso all’accennato laghetto essa si eleva quasi a perpendicolo sulla sottostante pianura piacenziana. Si è appunto in questa sezione naturale, determinata evidentemente dal torrente, che si può leg- gere, per cosi dire, il descritto passaggio. Lo si osserva pure, ma non cosi graduale, in molti altri luoghi, ad Andezzeno per cs., presso la strada provinciale che tende a Castelnuovo, uscendo dal paese, in una sezione artifi- ciale, determinato non solo dalla natura litologica delle roccie, ma eziandio dalla presenza dei fossili di mare poco profondo, che caratterizzano in generale l’Astiano. La presenza delle formazioni piacenziane generalmente si può ammettere anche laddove non se ne possono riscontrar tracce, formando esse colline molto depresse, generalmente i tratti pia- neggianti interposti all’astiano, come pure dalla frequenza delle fontane. Del resto in Chieri stesso, sotto al Quaternario, ed al Pliocene superiore, a profondità variabile, si trovano, nella costruzione dei pozzi, potenti strati appartenenti al Piacenziano, i quali appunto, per la loro poca permeabilità, determinano la falda acquea della città medesima. Fossili. — Nodosaria rapìianistrum Lin. — Cristellaria cassis Fieli. — Stephanophyllia imperiai is March. — Caryophyllia calix Miclit. — Flabellwn roissianum E. H. — Cidaris sp. — Ostre.a cochlear Poli. — Limea strigliata Br. — Pecten cristatus Broli. — P. scabréllus Lk. P. duodecimlamellatus Bron. — 88 L. AUDRNINO Arca diluvii Lk. — Pectunculus granulosus Lk. — Nudila pia- centina Lk. — Leda clorata Cale. — L. pellucida Phil. — L. nitida Br. — L. minuta Br. — L. pusio Phil. — Yoldia arctica Cray. — Lucina élliptica Bors. — Z. borealis Lin. — L. spi- nifera Mont. — Loripes leucoma Dnj. Turt. — Cardimi fragile Br. — C. striatulum Br. — Venus Broumi Maj. — V. plioce- nica De Stef. — V. clafhrata Diij. — Donax lucida Eich. — Tellina donacina Lin. — T. pellucida Br. Syndosmia rho- danica Font. — Corbula gibbo Olir. — Dentai ium sexangulum Lin. — 7 ). tetragonum Br. — D. triquetrum Br. — Entalis entalis Cray. — Cadulus ovulum Phil. — Trochus miliaris Br. — Granosolarium millegranum Lk. — Xenofora testigera Brng. — Tugurium plioitalicum Sac. — Fuscoscala mesogonia Brug. — Turritélla subangulata Broc. — Natica epiglottina Lk. — N. mil- lepunctata Lk. — Naticina catena Da Costa. — Subularia sobillata Don. — Niso terebrellum Cileni. — Pyrgostelis rufa Phil. — Odontostomia acuta Mont. — Chenopus attinger ianus Bis. — Prato Icevis Don. — Galeodea echinophora Lin. — Ficaia geometra Bors. — Triton apenninicum Sas. — Ranella margi- nata Mart. — Nassa serrata Br. — N. italica May. — N. ser- rati costa Br. — N. planicostata Bel. — N. turbinellus Br. — N. semistriata Br. — N. subquadrangularis Micht. — Colom- bella thiara Br. — C. nassoides Bel. — Pollili fusulus Br. — erettila mitrceformis Br. — Murex spinicosta Bron. — Typliis phistulosus Br. — Mitra decipiens Bel. — Dromi tra pyrami- della Br. — U. cyprcssina Br. — Bonellitia serrata Br. — Sceltici lyrata Br. — Brocchinia mitrceformis Br. — Striote- rebrum reticolare Pech. — Pleur otoma tur ri cola Br. — Pleu- rotoma rotata Br. — Surcula dimidiata Br. — denota 3 foyer i Bel. — Brillio obtusangulus Br. — T). Allionii Bel. — /). sig- moidea Bron. — Dolichotoma cataphracta Br. — Conospirus anted iluvianus Brug. — Ttingiculclla auriculata Mont. Nel Piacenziano di Chieri tii pure trovato dal Gastaldi (l) lo strobilo di un pino determinato dal prof. 0. Heer col nome di Pinus Ilaidingeri , ed un altro studiato dal Sismonda ( ’) di (') Gastaldi, Cenni sui vertebrati fossili del Piemonte. O Sismonda, Prodrome d’une flore terlinire dii Piè mont. Mem. II. Acc, Se. di Torino, voi. 18, s. ‘2\ TERRENI TERZIARI E QUATERNARI DEI DINTORNI DI CH1ERI 89 cui formava una nuova specie: Pinus Massalonyi. Finalmente il Peola dimostrò (') che i due strobili si dovevano ascrivere unicamente al Pinus lignitum Unir. Astiano. Le tipiche sabbie gialle appariscono nelle colline di Arignano. Andezzeno, dove però si fanno piuttosto marnose, molto com- patte, non fossilifere; così pure nell'altura di Ceresole di Sopra, verso Sud, sotto ad un sottile velo di loess. In cotesta località però presenta piccoli interstrati arenacei, caratterizzati dalla presenza di fossili (molluschi) litoranei. L’esistenza di questa collina, che appare isolata in mezzo alla pianura, si può spiegare pensando alla sua natura litologica, alla resistenza cioè che opposero gli strati sabbioso- arenacei all’azione erosiva delle acque discendenti dalle non lontane colline del Pliocene superiore stesso e del Miocene. Verso Chieri si manifesta in vari punti; ma fra tutti il più importante è, senza dubbio, quello delle Bocchette, dove assume la sua facies tipica di mare basso (lassante a quello di littorale. Le sabbie sono grigie, giallognole, con qualche straterello della sopra citata arenaria, e di un conglomerato, formato in massima parte daresti di conchiglie, che d’ordinario si riscontra nell’ Astiano superiore. Presso Chieri poi e nella città stessa (come si può osservare nella costruzione dei pozzi) in generale sono nuova- mente molto sviluppate quelle sabbie compatte che affiorano ad Andezzeno. Infine, oltre questa città, verso Sud-Ovest, si nota ancora in qualche sezione naturale, poi acquista notevole sviluppo nelle colline di Troffarello, tinche, poco dopo, è ricoperto comple- tamente dai terreni quaternari che formano la pianura padana. Riguardo ai caratteri orografici io aggiungerò che essi dif- feriscono alquanto da quelli tipici che si osservano per es. nei dintorni di Casteluuovo d’Asti; non incontrandosi nell’Astiano ehierese quelle valli incassate, quelle collinette erose, a ripidi pendìi, che danno alla regione un aspetto eminentemente vario. Diversità dovuta al grande sviluppo della sabbia compatta, a (') Peola, Le conifere terziarie del Piemonte-, 1891. 10 90 L. AUDEXINO grandi strati omogenei, che si riscontrano nelle formazioni astiala? esaminate e più facilmente credibili di quelle sabbiose-arenacee. Fossili. — Ceratotrochus duodecimcostatus Gold. — Membra- nipora reticulum Lin. — Terebratula sinuosa Br. — Ostrea cochlear Poli. — 0. lamellosa Br. — Anemia costata Hr. Pecten scabrellus Lk. — P. polymorphus Broli. — P. cristatus Bron. — P. flabelli formis Horn. — P. jacobaeus Lin. — Venus multilamella Lk. — Dosinia orbicularis Ag. — Ve.rme.tus in- tortus Lk. — Balanus concavus Bron. — Balanus mylensis Seg. — Balanus spongicola Bron. — Balanus per foratus Brug. — Balanus Seguenzai De AL (1). Villafranchiano. Per completare lo studio dei terreni terziari io ricorderò come (piesto piano si ammetta esistere a Sud di Chieri, sotto al quaternario, nella grande pianura che si estende tino a Poi- rino, Yillastellone, Villanuova d’Asti e Bottigliere, dove inco- mincia ad essere visibile mostrando banchi sabbioso-marnoso- argillosi, a piccole lenti ghiaiose. Finché poi nei dintorni di Vil- lafranca si è nel Villafranchiano tipico, caratterizzato da marne sabbiose, da sabbie grigie, arenarie, conglomerati durissimi, a stratificazione irregolare, che si formavano sul finire del Plio- cene, sotto l’azione delle correnti acquee, che incominciavano appunto ad originarsi e raggiunsero il massimo sviluppo nel Quaternario, producendo (pici depositi, che caratterizzano l’epoca Diluvio-Glaciale, la prima dell’èra Quaternaria. Ho detto che si ammette, e ciò solo considerando l’orografia della regione, poiché, per quante ricerche io abbia fatto nei dintorni di Chieri, non ne ho trovato traccio. Quaternario. Terminato lo studio delle formazioni terziarie, diamo un ra- pido sguardo a quelle quaternarie. Il Dilurium si può osservare solo in alcuni punti del territorio ehierese, per es., si nota ta- ci Specie rarissima, come osserva il De Alessandri: Contribuzione allo studio dei Cirripedi fossili d’Italia ; 1895. TERRENI TERZIARI E QUATERNARI DEI DINTORNI DI CHIERI 91 Iota nelle sponde dei torrenti che scorrono a Sud-Ovest di Chieri. dove sono molto profondi. È in generale rappresentato dalle note lenti ghiaiose, che sovente si alternano a depositi argillosi, com- patti ed a strati irregolari di sabbia di poco spessore (5-15 cm.). Sviluppatissimo invece è il Loess che maschera largamente non solo i terreni quaternarii, ma anche le colline terziarie: In- tatti superficialmente agli altri terreni noi osserviamo una marna argillosa, sabbiosa, di colore variabilissimo, dal rosso bruno, al giallo, al biancastro, al grigio (in rapporto alla prevalenza degli elementi principali che la costituiscono), ossia il Loess tipico. Come in generale la sua composizione è varia, così pure la sua potenza; privo di stratificazione, presenta numerosissimi ban- chi di quelle speciali concrezioni calcaree, dette miirs, mursi che lo caratterizzano, e molte ostree mal conservate, provenienti in- dubbiamente dai terreni pliocenici sottostanti. Esso è specialmente sviluppato a Sud-Ovest di Chieri, presso Troffarello, Cambiano, Madonna della Scala, Pecetto. In alcuni punti diventa sabbioso, fino a costituire i noti sabbioni , piccoli rilievi biancastri, simili a dune, di sabbia finissima, affatto privi di fossili, che si notano, per es., nelle vicinanze della località in cui la ferrovia di Chieri taglia la strada nazionale. Talora invece (rio di Vajors) è formato da una marna compatta, durissima, nerastra, con venature giallo cupo, micacea. In prossimità di Chieri è molto calcareo, talora bianco giallo- gnolo, polverulento determinando delle brevi zone, di pochi metri di larghezza, che conferiscono un aspetto speciale al terreno, prevalentemente rosso giallognolo oscuro. Verso Nord-Est va in generale diminuendo d’importanza, finche presso Castelnuovo d’Asti, Pino, ecc., è quasi completamente scomparso, cosicché i ter- reni terziarii si manifestano largamente alla superficie del suolo, che assume il colore biancastro proprio delle colline di quelle regioni. Il loess chierese è solo fossilifero presso Troffarello in cui sono comuni diverse specie: Xerophila revigliascina Poi. — Hyalinia fulva Muli. — Buliminus tridens Muli. — Papa mu- scorum Lin. A questo proposito io debbo però ricordare la scoperta fatta dai dott. cav. L. Vergnano nelle vicinanze di S. Silvestro, di 92 L. AUDENIN0 proprietà dell’av. comm. L. Giordano, di un numero ragguarde- vole di ossa fossili di Arctomys marmota, appartenenti ad indi- vidui diversi, studiate dal Gastaldi f1). Assai disparate sono le teorie relative all’origine di questo terreno, escogitate dai diversi autori (Martins, Gastaldi, Tardy, Fuchs, Baretti, Sacco, Virgilio ecc.) e che io non credo opportuno passare in rassegna, terminando coll’aggiungere solamente che - per quanto ora si propenda, in seguito a fatti recentemente osservati, ad ammettere un’ origine eolica - pure la questione non è stata definitivamente risolta e che quindi oggidì si può ancora ripetere col Gastaldi «essere il Loess il più problematico dei terreni quaternarii ». [ms. pres. 14 gennaio 1902 - ult. bozze 20 marzo 1902]. (') Gastaldi, Intorno ad alcuni resti di Arctomys e di Ursus spoéleus Atti R. Acc. Se. di Torino, voi. 1°, 1872. DI UN DENTE ANOMALO DI ELEFANTE FOSSILE E DELLA PRESENZA DELL’ ELEPHAS PRIMIGENI US IN ITALIA Studio del dott. Alessandro Portjs Ho potato da pochi giorni procurare allo Istituto geologico universitario di Roma un piccolo dente elefantino proveniente dalle cave di ghiaia della via di allacciamento tra la Flaminia e la Cassia; che per la lor non grande lontananza dal ponte Milvio passano appunto a Roma sotto la designazione generica di Cave di Ponte Molle. Con piacere accrebbi di questo fossile la raccolta di denti elefantini dei dintorni di Roma, malgrado essa, colle ultime acquisizioni, numeri già alcune centinaia di simili organi; per- chè, appena sommariamente esaminato, lo scorsi suscettibile di fornire ulteriori lumi sopra una vecchia ma pur troppo sempre risorgente questione sulla pluralità e distribuzione delle specie di Elefanti fossili in Italia. Il dente che, perciò, presi subito in esame e del quale pre- sento nell’annessa tavola tre figure: una dalla faccia coronale, una dalla faccia laterale interna, una dalla faccia posteriore, si rivela a primo colpo d’occhio per un primo premolare (nota- zione pei premolari dallo indietro in avanti, quindi nella pro- gressione generale cronologica dei molari elefantini « terzo mo- lare od ultimo premolare o terzo molare da latte ») mascellare sinistro. Le sue dimensioni massime sono : dallo avanti allo indietro mm. 107, da fianco a fianco inni. 69, d’alto in basso compresi i residui di radici mm. 99. Il massimo sviluppo in altezza delle lamine, clic si osserva in direzione prossimale o postica, raggiunge mm. 68. 94 A. PORTIS Il dente è in buono stato di conservazione e, per il suo grado di funzione e di conseguente abrasione, in condizione adattissima per lo studio e la determinazione. Gli elementi laminari son tutti già aperti (*), nessuno è tanto profondamente esportato da aversene completamente smarrite traccie di sua precedente esistenza. Sul margine distale, l’elemento radicale anteriore sporgeva alquanto al di fuori degli apparati laminari. Sulla faccia radicale oltre a detto elemento radicale anteriore scorgesi una coppia di elementi radicali mediani : uno, col mas- simo di sviluppo, opposto all’asse mediano boccale e di forma pseudolaminare orientata obliquamente dall’ indietro e dall’ in- fuori all’asse boccale ed allo avanti; l’altro, l’interno, pur lami- nare (sgraziatamente rotto), orientato parallelamente al margine interno del dente al quale fa seguito per tre centimetri di lun- ghezza circa. Alle radici mediane succedono, nei due quinti pros- simali del dente, le radici posteriori, fuse dai due lati in un grosso e poco aguzzo tubercolo mediano o quasi. La faccia posteriore si mostra dall’alto in basso piegata a curva rientrante per l’inflessione notevolmente accentuata alla sua estremità funzionante od inferiore, verso l’ indietro, dello estremo elemento laminare posteriore. Risulta che esso era già quasi completamente formato ed incrostato quando cominciarono a consolidarsi i primi elementi laminari del primo vero molare successivo; cosichè se si ebbero a produr marche di compres- sione, esse dovettero cagionarsi tutte a spese di questo. (Sul sog- getto non abbiamo che levigazione o marca di scorrimento). Risulta inoltre che la sezione coronale dello intiero dente in esame ap- pare oggidì assai più lunga di una sezione parallela tracciata a tre centimetri più in alto (due centimetri di differenza). Delle due facce laterali la interna è più convessa (offre un arco a curva più stretta) della esterna. Entrambe ci mostrano, per profondo attrito contro oggetti duri, completamente svestiti dal cemento gli elementi laminiforrai; col loro astuccio di smalto o ganeina ora a sua volta corroso per tutto il suo spessore c (’) Financo il tallone posteriore o prossimale è già incompletamente i ntaccato dal l’ab rasione. DI UN DENTE ANOMALO DI ELEFANTE FOSSILE 95 lasciante così trasparire l’avorio; ora invece conservato e spor- gente in fuori delia restante superficie. Gli elementi laminari incontrano la faccia di funzione od abrasa sotto un angolo leggermente ottuso, aperto allo avanti, e misurante 95". Su questa taccia di abrasione osservatisi agevolmente i caratteri die rendono interessante l'individuo in esame. Dapprima, dimen- sioni longitudinali e trasversali o corrispondenti o superiori alle dimensioni massime dello intero dente; e questo potevamo aspet- tarcelo da quanto precede. Diremo quindi: dimensione massima antero-posteriore della faccia di abrasione : mm. 98 : dimensione massima trasversale: mm. 72; contorno della faccia: tra il rego- lare ellittico e l’ooidale. Volendo poi venire alla distinzione dei singoli elementi lami- nari. notasi dapprima un carattere comune a tutti o quasi: quello della notevole sottiglienza della Graneina o parete di smalto. Essa è in media di un millimetro di sezione antero- posteriore. e questa dimensione appai- rinforzata dalla fìtta e regolarissima erispatura rivolta unicamente verso il cemento. Con tal carattere si riesce a tener ben distinti i, sempre limi- tati (in questo esemplare), affioramenti di cemento dai, sempre notevolmente sviluppati, affioramenti della dentina od avorio: sì gli uni che gli altri offrenti la stessa apparenza superficiale per rideposizione del materiale dovuto alla parziale decompo- sizione del composto primitivo. Procedendo dallo avanti allo indietro, osservasi dapprima : scoperta la radice anteriore per la totale abrasione (e corrispon- dente lunghezza) del primo ed irregolare elemento laminiforme o tallone anteriore (probabilmente a fiocco con maggior sviluppo di digitelli verso il margine interno, a giudicarne dalla direzione obliqua dallo indietro e dallo interno allo avanti ed esterno della parete ganeinica del primo vero elemento laminare). Mentre tale parete è, per quanto obliqua, trasversalmente continua, le sue due inflessioni estreme che, dopo aver ciascuna fatta la breve parete esterna (per rispetto all’individuo dentale, non elefantino) dovrebbero contromarciare ad incontrarsi sulla linea mediana (chiudendo così completamente un elemento den- tinico con una parete posteriore ganeinica), esse si arrestano A. P ORTIS 96 ciascuna dopo un centimetro e mezzo di percorso questa volta quasi trasversale e alla distanza di mezzo centimetro l' una dall’altra danno luogo a nuova stretta inversione di direzione colla quale raggiungono di nuovo il margine esterno. Qui, nuova inversione meno stretta dallo esterno verso l’asse mediano: que- sta volta così deciso che i due rami di ganeina vengono fin quasi a mutuo contatto. E ciò malgrado, prima che questo si verifichi, ambo i rami della parete ganeinica tornano brusca- mente e con angolo acutissimo a ripiegarsi allo indietro, poi allo esterno fino ad incontrarne i margini per ritornar ancora una e più volte, ma sempre invano, con tendenza ad incontrarsi, verso l’asse mediano; e ciò con riuscita sempre meno completa, scorgendosi che le anse partenti dal margine interno del dente in generale son respinte più allo indietro di quelle dal margine esterno. Conseguenza di questo ricacciare indietro delle anse o mezze lamine successive destre in confronto delle mezze lamine sini- stre od esterne, è di dover contare sulla sinistra o sulla metà esterna, una mezza lamina od un’ansa di più che sulla metà destra od interna. La parete ganeinica posteriore della sesta mezza lamina interna è finalmente comune e continua colla parete posteriore della settima mezza lamina sinistra od esterna. Suc- cedono, in direzione sempre più prossimale o posteriore, a questa prima continua parete ganeinica, due elementi laminari regolari e completi; ciascuno con ganeina chiudente continuamente sì dallo avanti (die dallo indietro la rispettiva lamina dentimeli regolarmente sottile (corta); e poi il tallone posteriore o prossi- male anch’esso laminiforme, ma molto meno esteso trasversal- mente della lamina posteriore (meno della metà) e, a quanto scorgesi sulla faccia posteriore del dente, inserito, sarei per dire, [ter gemmazione sull’estremo prossimale elemento laminare com- pleto. Con quanto ho detto risulta che la dentina od avorio della prima lamina presente è in continuità sulla linea mediana con quello delle sempre più -prossimali lamine tino alla sesta o rispet- tivamente alla settima; e che ne vicn, per ciò. una espansione mediana pseudoloxodontoide della sezione delle lamine stesse c del materiale dentinico in esso rinchiuso, espansione clic ancor DI UN DENTE ANOMALO DI ELEFANTE FOSSILE 97 si osserva nelle due complete lamine successive alla fusione delle sei, rispettivamente sette, distali. Ne viene altra conseguenza : lo sviluppo molto limitato del cemento il quale non ha più quasi scopo o funzione davanti a lamine direttamente Unenti l’ima nell’altra; e che si limita ad avere uno sviluppo un po’ di conto solo fra le due lamine nor- mali prossimali, fra le quali il suo affioramento misura in senso longitudinale in alcuni tratti fin quasi 5 mm. (Allo esterno comune del dente il cemento è poi quasi totalmente mancante, forse per azioni chimiche e meccaniche esterne e posteriori). E per la numerazione assoluta degli elementi die costitui- scono il dente, noi abbiamo : che risultano o meglio risultavano al momento di teorica perfettezza, a costituire il nostro esem- plare : oltre ai due talloni, non meno di otto completi e non più di nove elementi laminari incompleti con una forinola espri- mibile con : X d 1 2 2 X) oppure X 8 V8 X? oppure X 13/2 2 X? oppure X 8 X, oppure infine X 9 X volendo dare il massimo dell’abbondanza; e che questi 10, rispettivamente 11, elementi componenti il dente si trovan compresi in uno spazio longitu- dinale di non più di 10 centimetri toccando così un solo cen- timetro al massimo a ciascuno degli elementi. Quindi indice dentale piccolissimo. In conclusione: abbiamo davanti un dente elefantino ipselo- disco (mediocremente), latecoronato, brachicoronato, endioganale, tra archi- e loxo-discodonte ; con lamine a breve sviluppo longi- tudinale, crispe, dilatate, sinuose e tortuose; e, finalmente, den- silamellate malgrado l’apparenza parsilamellata. Volendo riferire ad una specie nota un esemplare offrente contemporaneamente tutti questi caratteri i quali son cosi evi- dentemente in contrasto l’uno coll’altro ; e sottoponendolo perciò isolatamente allo esame di studiosi diversi, troverei chi mi ri- sponderebbe determinandolo come di Elephas meridionalis Nesti. basandosi sull’esiguo numero di elementi laminari, sulla sua apparente paehiganalità, sulla sua laticoronalità, sulla sua condi- zione intermedia tra l’archidisco- e il loxodisco-dontismo, e sopra la sinuosità di alcuni elementi laminari; al che opporrei esser la determinazione inattendibile perche il dente è per quella specie troppo ipselodisco, brachicoronato, realmente endioganale, den- A. PORTIS DB silamellato, a lamine troppo crispe, troppo dilatate e troppo numerose. Obietterei a olii lo volesse attribuire &\V Elephas trogon- therii Polii ig, preso come specie definita (siccome la voleva stabilire il Pohlig), ohe anche questa determinazione non può esser sostenuta perchè l'esemplare si presenta, tanto per la ten- denza meridionalipeta che per la priinigenipeta, troppo ipselo- disco, endioganale, brachicoronale, loxodiscodonte, densilamel- lato, a lamine troppo crispe e troppo dilatate. Risponderei ad una determinazione di Elephas primigenia* Riunì, con una denegazione motivata, ricordando che l’esemplare è stato riconosciuto, benché endioganale ed ipselodisco, come brachicoronale e densilamellato : tuttavia sempre loxodiscodonte, a lamine crispe e dilatate: E che, con ciò, il numero degli ele- menti laminari che lo costituiscono sta al disotto del minimo ammesso generalmente per il dente ultimo (rispettivamente primo) premolare de\V Elephas primigmius Riunì. Ed a chi lo determinasse per Elephas africana* Limi, (rispet- tivamente per Elephas priscus Goldf.), io opporrei ancora che non ha considerato come il mio esemplare è ipselodisco late- e bradi i-coronato, endioganale; e, malgrado che loxodiscodonte. tuttavia densilamellato ed a ganeina crispa; e che, come risul- tato di tutte queste incompatibilità colla detta specie, il mio esemplare presenterebbe un numero di elementi laminari asso- lutamente incompatibile, per eccesso, col massimo generalmente accettato per l’ultimo premolare déìVElephas africamis o ri- spettivamente dell’JE. priscus. Rimane ultima specie a disposizione l’ Elephas antiqua* Pale. Ma prima di assegnarcelo e procedere ad un cenno di risposta ad interrogazioni rivoltemi con recenti lavori sopra la presenza o meno del vero El. primigenia in Italia, mi sia per- messo un breve riassunto storico a proposito dell’ Elephas antiqua*. Tutti noi credemmo e giurammo un tempo chi' V Elephas au- tiqtms Pale, fosse una specie stabilita positivamente dal Falerni or con caratteri suoi, con diagnosi sua, eco. eco. No siamo subito disingannati quando noi studiamo questa specie attraverso alle memorie sue o postumamente ristampate o postume addirittura raccolte nei due volumi editi dal Murchison delle Palaeontolo- DI UN DENTE ANOMALO DI ELEFANTE FOSSILE 99 gieal memoirs and notes by Hugh Falcono • pubblicati col 1868: e vediamo: come sia nata, come sia cresciuta la specie stessa: quali esemplari le siano stati in tempi, luoghi ed occasioni di- verse attribuiti; e quali e quanti dopo esserle stati attribuiti siano stati tolti, restituiti e ritolti le quante volte nelle diverse pazienti e dotte peregrinazioni del Falconer in Italia e altrove, ma sovratutto in Italia, ed anche nel termine di una sola pe- regrinazione. E se questa impressione ritenessimo troppo sog- gettiva al lettore, siamo anche subito ed effettivamente disin- gannati dalla nostra supposizione, quando leggiamo a pag. 176. voi 2°, di dette palaeontological memoirs and notes stampata al piede la prima annotazione dell’editore: « The entire description of Elephas antiquus has been compiled troni entries in Doctor Falconerà Note-books. [Ed.] ». E da questa avvertenza siamo spinti ad estender lo studio sull’ illustrazione del concetto specifico dell’#, antiquus anche ad altri lavori del Falconer, ad altri autori contemporanei o posteriori al Falconer, inglesi: Leith- Adams. Boyd- Dawkins, ecc., francesi: Lartet, Gaudry, ecc., italiani: in numero illimitato, e tedeschi. Di questo non fui io il primo, naturalmente, ad accorgermi; se ne accorsero tanti altri cer- cando di completare le conoscenze iniziate e diffuse dal Falconer: B in questi tentativi staccarono e dalle specie primitivamente stabilite: 1’#. meridionalis e 1’#. primigenius materiali per darli all ‘ E. antiquus-. E da essa stessa ne staccarono per ritor- narli alle vecchie o darli ad altre diverse nuove specie create dal Falconer stesso o da altri, o appositamente creande. Ne è nato, associando le sode cognizioni, le serie osservazioni, le in- certezze, le impazienze e le prematnranze. un cumulo enorme di denominazioni di specie fittizie, molte reggentisi sopra un troppo limitato quantitativo di materiali, molte addirittura su anomalie. E merito incontestabile del Poldig (D, dopo una serie pres- soché decennale di peregrinazioni e ripetute visite appo i prin- ( !) Polilig H., Dentition und Kranologie des Elephas antiquus l 'alca - ner mit Beitraegen weber Elephas phimigenifs Blutn. und Elephas me- kidionalis Nesti, in 4", S. 1 4G6, Taf. 1-17, Halle, 1888-1891 Pohlig H., Eine Mephantenlwhle Siciliens und der erste Nachweis dea Oramai- dotnes von Elephas antiquus, Abli-, d. 2te Gl. d. k. Bayr Akad. d. A iss.. Bd. 18, 1 Abth. S. 75-110, ni. 4 Textf., Taf. 1-5. Miinchen, in-4°, 1898. 100 A. PORTI S cipali Musei e raccolte paleontologiche d’ Europa (in special modo d’Italia) ed anche parecchio fuori, di aver fatto man bassa di diecine addirittura (*) di tali denominazioni o specie fittizie ar- recanti seria confusione ed imbarazzo all’esatta delimitazione delle specie di Elefanti fossili ; e, distribuendone i materiali, adattamente per la maggior parte, al limitato numero di specie superstiti. Grazie a questo reale servizio reso alla scienza, possiamo ben perdonargli se, intenerito davanti allo spettacolo di tanta ecatombe elefantina, abbia ceduto alla debolezza di voler ricreare artificialmente una o poche nuove altre specie o variazioni co- stanti: L 'Elephas trogontherii prima fra queste; e che poi, ce- dendo all'impulso determinato dalla poca stabilità della specie, perchè un po’ troppo artificiale, abbia dovuto, per sostenerla, pro- porne altre due o tre, come: le due sottospecie dello stesso E. trogontherii , VE. Nesti , e qualcun’altra. Quando, per studiare e classificare l’abbondantissimo e sempre più crescente materiale elefantino che andavo raccogliendo in queste collezioni dello Istituto geologico universitario romano, dovetti studiare e ristudiare, da un capo all’altro, tutto il vo- lume del Pohlig, passar effettivamente in rassegna tutte le opere e memorie segnalate dal Pohlig e le altre posteriori, estender la conoscenza sul mio materiale con quella su altro simile rac- colto in altre parti d’Italia, dovetti sempre più persuadermi che le nuove specie del Pohlig non avrebbero potuto regger come specie a sè; solo avrebber potuto reggere come stadii di tran- sizione nel lento svolgimento delle specie: Elephas primigeni ns, E. indicus ed E. africanus , attraverso al V Elephas antiqaas. dallo ancor tanto stegodontoide Elephas meridionalis Nesti. Infatti, la nuova specie creata principalmente e le sotto- specie aggiuntevi dal Pohlig, non trovarono nè fortuna nè appli- cazione in Inghilterra e in Francia dove, pur essendo numerosi e svariati i denti elefantini raccolti, non si sentiva il bisogno di dette nuove specie; e, pur essendosi grati al Pohlig per l’ener- gico taglio proposto con sacrifizio di tante vecchie specie inutili. ('*) Sono precisamente 33. Ved.: Pohlig, opera citata , pag. 333 e pag. 459. DI UN DENTE ANOMALO DI ELEFANTE FOSSILE 101 si seguitò a distribuire gli oggetti materiali fra le tre specie principali anteriormente conosciute, o lor varietà o variazioni locali. Non così è avvenuto in Germania ed in Italia. In Germania si interpretarono nelle applicazioni, abbastanza esattamente e generalmente, le deduzioni del Pohlig: soppressione di numerose specie fittizie, introduzione e determinazione di una nuova specie VE. trogontlierii Pohlig. In Italia invece, per sovrabbondanza di materiale, si determinarono due correnti opposte, Puna, che apprezzando l’opera critico-selettiva del Pohlig avrebbe voluto che le sue conclusioni si fossero assai più avanzate del punto a cui il Pohlig le arrestò ; l’altra, che accettò YElephas trogon- tlierii come una specie elefantina di più, magari amplificandola con nuove divisioni e variazioni, senza perciò addivenire alla soppressione totale delle specie indicate nominativamente dal Pohlig come fittizie o facenti doppio impiego. Della prima corrente, che seguito a ritenere la buona, il promotore sono io; tanto più colpevole in quanto la opinione relativa sorse e si sviluppò lentamente, ma tanto più profon- damente in me, quanto più materiale esaminai e quanto più musei italiani e stranieri dovei visitare. Così : in seguito a studii comparativi e bibliografici estesissimi, giunsi nel 1893, magari nel 1891, ad esprimere l’opinione (*) che YElephas meridionalis e YElephas antìquus non costituissero che due gradi o stadii di svolgimento di una sola specie. Questa opinione sviluppai, dimostrai ed illustrai sul concreto nel 1896, magari nel 1895 (2), parlando a proposito deH’Elefante di Riofreddo e di qualche avanzo elefantino di Torino; e, per non dilungarmi a ripeterle, rimando alle pagine che contengon le mie deduzioni. Queste, nel 1896, riassunsi in forma di tavoletta illustrativa di fronte (Q Portis A., Contribuzioni alla Storia fìsica del Bacino di Bontà e studii sopra l'estensione da darsi al Pliocene superiore, voi. 1, in-4°. del 1893 (nota a piè di pagina 9), Torino-Roma, 1893. (2) Portis A., Contrib. alla St. fìs. d. Bac. d. Bontà, ecc., voi. 2, in-4°, del 1896 (a pag. 261-274 e indicazioni bibliografiche a pié di pag. 262-63), Torino-Roma, 1896. 102 A. POIiTIS ad una simile, estratta da una pubblicazione del Gaudry ('), tornai poi a spiegarle ed applicarle nel 1898 (s) in inerito al dente elefantino di La Loggia di Torino, il primo e l’unico in Italia che, resistendo ad una rigorosa e razionale determina- zione, permettesse di stabilire che in Italia si sarebbero potuti trovare avanzi del vero Elephas primigenius Blumb., basato, non solo sulle materiali e primitive determinazioni del Blumenbach, ma anche sopra le correzioni e modificazioni del complesso con- fetto determinatore, introdotte da tutti gli autori che se ne occu- ltarono poi, cominciando dal Cuvier e venendo poi, per scegliere fra i più moderni, tino al Gaudry e al Botile. Per effetto della seconda corrente si ebbero, invece: tanto delle soventi non giustificate determinazioni di resti elefantini, • osi alle specie: Elephas meridianalis Nesti, E. antiquus Falc.. come alle: E. trogonfherìi Pohliged Elephas primigenius Blumb., d onde la erronea credenza della esistenza dell’ .E’. primigenius diffuso in Italia, magari fino al suo estremo meridionale (3), oppure l’altra pure erronea affermazione della coesistenza in Italia dell’/:,', antiquus colle due altre nei così detti terreni (|uaternarii (J): quanto delle riesumazioni delle già soppresse specie Elephas intermedius Lort. et Oli., ed E. odontothyrannus Lichw., per collocarvi avanzi or di Elephas primigenius che non si sapeva riconoscere come tali (5) or di E. antiquus offrenti (•) Portis A., Anomalie riscontrate sull’ atlante di un elefante fossile dei dintorni di Bontà, Riv. ltal. di Paleontologia, voi. 2, 1896, in-8°, pag. 326-332 (a pag. 331), Bologna, 1896. (*) Portis A., Di alcuni ■ avanzi elefantini fossili scoperti presso To- rino, Boll. d. Soc. geol. ital., voi. 17, in-8°, pag. 94-120, Roma, 1898. (3) Flores E., Catalogo dei mammiferi fossili dell'Italia meridionale continentale, Atti d. Acc. Pontaniana, voi. 25, 1895; estr. iu-4°, di p. 48 e tav., Napoli, 1895. (4) Flores E., memoria citata, e De Stefano Giuseppe, //Elephas (Euelephas) antiquus Falc., in Calabria e la sua contemporaneità con V Elephas meridionale Sesti, V Elephas primigenius Blumb. ed il Bhino- ceros Merchi Jaeg. nel postpliocene dell'Italia e dell' Estero. Reggio di Calabria, in-4°, di pag. 29 con tavole, 1901. (5) Ricci A., Il Elephas primigenius della Dobrogett (Rumatila), Rendic. d. R. Acc. d. Lincei, Cl. Se. fis., inat. e nat., ser. 5, voi. 10, 2° seni., pag. 11-17, in-4°. Roma, 1901. DI UN DENTE ANOMALO DI ELEFANTE FOSSILE ioa una qualche variazione dalla caratteristica abituale (*); or delle determinazioni alla nuova specie del Pohlig VE. trogontherii (2); quanto finalmente a venire alla creazione di sottospecie o va- rietà nuove addirittura (3) per reliquie facilmente attribuibili allo Elephas antiquus, secondo il complessivo concetto del Fal- eoner. Tutto questo premesso, veniamo alla chiusa della determi- nazione del nostro dente anomalo. Se non è possibile attribuirlo n\V Elephas meridionalis, nè all’ /F. primigenius, nè all 'E. afri- canus, nè all’ 2?. trogontherii , in quanto ritenuto quale specie distinta, dovremo allora tentar di attribuirla tilV E lephas anti- quus Falc. : E se anche questo nostro tentativo urterà contro la impossibilità derivante dalla discrepanza dei caratteri, non ci rimarrà altro scampo che la creazione di una nuova apposita specie, rifugio tanto comodo dopo quanto vengo di dire. Il nostro dente, volendolo considerare quale di E. antiquus Falc., concorda colla sua caratteristica generale in quanto al numero dei dischi che lo compongono, in quanto mediocremente ipselodisco, in quanto presenta accentuata crispazione dello smalto, dilatazione centrale angolare dei dischi, molto accen- (*) Meli R. citato sub tit. : Sopra alcuni denti fossili di mammiferi ungulati rinvenuti nelle ghiaie alluvionali dei dintorni di Roma (Boll, d. Soc. geol. ital., voi. 16, pag. 187-194, in-8°, 1897); in Ricci A., L' Ele- phas primigenius Blum. nel Postpliocene della Toscana a pag. 125. (2) Ricci A., Mammiferi Postpliocenici di Kurgan in Siberia, Boll, d. Soc. geol. ital., voi. 20, pag. 368-393, tav. 6, in-8°, Roma, 1901. — Ricci A., X’Elephas trogontherii Pohlig di Montecatini in Val di Nievole, Rend. d. Cl. d. Se. fis., mat. e nat. d. R. Acc. d. Lincei, ser. 5, voi. 10, 2° seni., pag. 93-98, in-4°, Roma, 1901. — Ricci A., L’Elephas primigenius Blum. nel Postpliocene della Toscana , Palaeontographia italica, voi. 7, pag. 121-148. tav. 16-18, in-4°, Pisa, 1901. — Flores E., Recensione di due lavori del Ricci A., in Riv. Ital. di Paleontologia, voi. 7, pag. 49, in-8°, Bologna, 1901. (3) Botti U., 1, La grotta ossifera di Cardamone in terra d’ Otranto, Boll. d. Soc. geol. ital., voi. 9, pag. 689-716, tav. 26 (a pag. 709 e 716), 1890. — Botti U., 2, Osservazioni a proposito dellLE1. primigenius e del- V E. Hydruntinus, Boll. d. Soc. geol. ital., voi. 17, pag. xxv-xxvii, 1898. — Botti U., 3, Sui molari di Elefante, Boll. d. Soc. geol. ital., voi. 20. pag. 438-444, in-8°, Roma, 1901. — Botti U., sub tit. 2° citato da Ricci A. nella memoria della Palaeontogr. italica, voi. 7, pag. 127, 1901. 104 A. I’ORTIS tuata e per conseguenza altrettanto marcata fusione loro me- diana, leggera ondulazione dei medesimi. Discorda invece dal- YE. antiquus quale specie rigida per essere endioganale, bra- cliicoronato, polidiscodonte (e quindi densilamellato) a dischi, dove non anomali, marcatamente tortuosi, e per il suo troppo piccolo indice dentale. Dunque: tenendo in mano ed interpretando alla lettera la rigida caratteristica della specie E. antiquus Falc., anche da questa specie noi dovremmo bandire il nostro soggetto, il quale non vi potrà rientrare che mediante una transazione; e che questa permetta alle specie diverse di abbracciar quei suoi sog- getti, i quali tanto si sono allontanati dal proprio, per andar cercando nuovi paesi, da smarrir per via parte del loro costume senza aver tutto acquisito il tratto del paese di approdo. Qui sarebbe il caso, poiché il soggetto trovasi quasi aver raggiunto il mezzo del cammino fra VE. antiquus qual pro- venienza e VE. primigenius quale meta, di chiamarlo col nome di E. intermedius Jourd. Ma, a parte le ragioni che ho esposte altrove, a parte quelle che ho esposte più su. sarebbe la solu- zione proposta una soluzione definitiva? una soluzione razio- nale? no! poiché bisognerebbe fissar, sui caratteri del nostro soggetto, una diagnosi che non sarebbe che da lui solo osservata ; poiché la dovremmo o violare o rendere elastica da bel prin- cipio, non appena cioè noi credessimo di dover attribuire alla nuova specie descritta un secondo qualsiasi esemplare. Fa comodo invece e, non solo fa comodo, ma è più con- forme alle nostre conoscenze morfologiche, evolutive ed anato- miche, il pigliar, per non moltiplicarle a dismisura, le specie sotto un punto di vista un po più largo, un po’ più elastico. E nel nostro caso speciale, il quale non è che la ripetizione per la X centesima volta di un caso analogo, la accettazione di una soluzione proposta dal Pohlig sotto forma di una nuova denominazione torna a proposito. Però: la accettazione della denominazione soltanto, non la accettazione del concetto. 1 1 con- cetto dei Pohlig di un Elephas trogontherii , il quale segua diret- tamente, dall’io’. intridi onalis all' E. primigmius e poi magari allo E. indicus , il cammino, marciando per un tratto di esso parallelamente all’ Elephas antiquus . lascia questa ultima specie DI UN DENTE ANOMALO DI ELEFANTE FOSSILE 105 isolata, senza ascendenti e senza discendenti; ed urta contro la verità dei fatti e la copiosità della rappresentanza in avanzi di essa, per notevole potenza di terreno, per vasta area sua di di- stribuzione: lascia isolata proprio quella specie che è tanto clas- sica dei terreni italiani, tanto e più che l’altra: VE. meridional is, così limitata, sia per distribuzione geografica, che per la cro- nologica. Pigliamola invece come una astrazione, la quale serva a raccogliere in legione una falange di sbandati i quali mate- rialmente non trovavano posto in un punto matematico. Il punto matematico è la diagnosi rigida dell’io, antiquus ed, attorno ad esso, ma sempre con un certo grado di tolleranza, si potranno raccogliere in numero considerevole gli esemplari. Dove nem- manco la discreta tolleranza non basta più a contener gli aber- ranti in qualsiasi direzione c per qualsivoglia motivo, invoche- remo la denominazione-ponte: la cosidetta specie E. trogontherii del Pohlig. Ma questa d en om ina z ione- ponte non può circondare universalmente la sua specie principale. Bisogna che si scinda in tanti ponti effettivi o materiali quante sono le direzioni prin- cipali a cui mirano di preferenza i suoi componenti raccolti in fasci o manipoli ordinati o conosciuti per aspirazioni o mete più o meno comuni ; bisogna che ciascuno di questi ponti abbia una spalla opposta a quella già conosciuta sul terreno della specie E. antiquus. Ed ecco cosi che, creatisi a spese dell’!?, tro- gontherii tutti i ponti dimostratisi necessaria ci si mostra davanti agli occhi un ponte largo e continuo il quale unisce indissolu- bilmente VE. meridionalis all ’E. antiquus, e che si allarga ognor più, e che passando a questo secondo or sopra or accanto, e ten- dendo a divergere e a smembrarsi ed individualizzarsi in pon- ticelli più ristretti man mano che se ne allontana, unisce poi VE. antiquus slIVE. africanus , all’!?, indicus e a\VE. primi- genia. Ecco in questo modo come VE. trogontherii, dopo esser stato introdotto ed adoperato, ha adempiuta e compiuta la sua mis- sione; e non serve più quasi che a titolo di memoria, a titolo di riconoscenza; ecco come per suo mezzo anche la denomina- zione di E. antiquus , aneh’essa, quasi diventa fittizia e non ricorda più a sua volta che uno stadio, un concetto complesso il 106 A. PORTIS di particolare condizione transitoria; clic si avverò per lungo tempo ma sempre avente un carattere passeggero nella continua evoluzione; che ebbe il suo punto di partenza dallo stadio o dalla spalla che noi conosciamo oggi sotto il nome di Elephas meri- dionalis Nesti e che ebbe il suo capo terminale od i suoi termini apparenti nelle cosidette specie viventi o da poco estinte che ho nominato. Così VE. trogontherii rientra totalmente nel concetto deWEle- phas antiquus. L’ E. antiquus rientra totalmente nel concetto de\V Elephas meridionalis. Per la determinazione materiale degli oggetti applichiamo con notevole rigidità le denominazioni, con lor conosciute caratteristiche, di E. meridionalis, E. antiquus , E. primigenius, E. indicus ed E. africanus. Applichiamo invece, con notevole larghezza e condiscendenza, la denominazione e caratteristiche di E. trogontherii; distinguendo poi subordinata- mente in essa le tendenze numerose, siano di regresso alla specie di partenza, siano quelle ancor più numerose dalla specie di sosta o di appoggio E. antiquus alle specie di arrivo; che sono assai più numerose, per quanto non ancor tutte identificate e deno- minate, che non la specie siberiana in un con le due specie viventi. Egli è, applicando questi criterii, che il De Angelis riferendo tàV Elephas trogontherii molti esemplari di provenienze diverse nella gran valle del Po, che dapprima erano stati, magari un po’ sommmariamente, attribuiti sia albi?, meridionalis , che al- V E. antiquus, che all’jfc7. primigenius (‘), veniva, e con ragione, a concludere che: fino al 1896 (rispettivamente al 1897) non era conosciuto nè nella valle del Po nè da altra provenienza d'Ita- lia, alcun esemplare (2) che provasse l’esistenza dello Elephas primigenius Bluin., secondo la caratteristica falconeriana (e subor* (linamente del vero Eliinoceros antiquitatis seu tichorhinus ) in Italia. (') De Angelis d’Ossat G., Sopra alcuni mammiferi fossili della ralle del Po. Estr. di 15 pagg. in-8° dai rendiconti del R. Ist. lomb. di Se. e Leti., Ser. 2", voi. 29; Milano, 1896. (■) De Angelis d’Ossat G., Sulla probahile mancanza in Italia del - /’Eobphas i’KImioknius Plani. Boll. d. Roc. geol. ital.Vol. 16, pag. 32.3- 330, in-8“; Roma, 1897. DI UN DENTE ANOMALO DI ELEFANTE FOSSILE 107 Egli è applicando gli stessi criterii che io, un anno dopo, riesaminando alcuni denti fossili conservati nel Museo di Torino e provenienti e da Carignano e da La Loggia ('), venivo a con- statar l’esistenza per quest’ultima località di un esemplare non determinabile altrimenti che com e E. priniigenius (*)', e, mentre apparentemente contraddivo alle conclusioni precedenti del De An- gelis d’Ossat, in realtà le confermavo e le completavo inquanto seguitando a ritener come di E. trogontherii e (per conseguenza subordinatamente come di E. antiquus ) ciò che egli aveva distac- cato da 11’ IL’, primi gmius , venivo a far conoscere un nuovo soggetto (questa volta di vero e rigoroso E. primigenius), che si aggiun- geva a quelli da lui studiati, e che dimostrava che se quella specie aveva anche potuto svilupparsi od introdursi in Italia, ciò aveva ottenuto in modo così stentato, che fino a quel punto il mio esemplare era l’unico e il solo che fosse conosciuto o meglio razionalmente dimostrato in Italia. Ed i trascritti dubbi del Falconer (che io ho cercato di schiarire) sulla provenienza dalla Germania o proprio dalla Val Padana di quello esemplare, (') Portis A., IH alcuni avanzi elefantini fossili scoperti presso Torino. Boll. d. Soc. Geol. Ital. voi. 17, pa g. 94-120 con tav., in-8°;Roma, 1898. (2) E mio debito fare una rettificazione a quel inio lavoro. In esso si parla di quattro diversi rinvenimenti elefantini dei dintorni di To- rino, dei quali tre certi ed uno affermato solo sulla fede di notizie tratte dai giornali politici del tempo. Anzi nella mia redazione mi mostravo dolente di non averne saputo di più. Grazie alla squisita gentilezza del collega Parona, potei apprendere come: sul numero 83 (23-24 marzo 1892) del giornale Gazzetta Piemontese di Torino, anno 26, fosse comparsa una notizia in proposito, ed avere una copia del foglio. Da questa si rileva: 1° che gli avanzi son bensi stati rinvenuti in una casa in corso Principe Oddone n.° 10, ma non nel suolo né nel sottosuolo, bensi in una cantina; cioè che vi furono portati da altro luogo; 2° che sono fossili bensi ed appartenenti ad un proboscideo, ma che molto più pro- babilmente spettano ad un Mastodonte che ad un elefante; 3° di con- seguenza diretta ed indiretta, che essi molto probabilmente vennero (forse ai tempi in cui il Gastaldi attivamente ricercava e raccoglieva simili resti) raccolti nell’Astigiano, trasportati ed immagazzinati a Torino poi per qualsivoglia causa dimenticati ed abbandonati in quel magazzino; 4° altra conseguenza, che bisogna assolutamente sopprimere quale ori- ginale qualsiasi menzione del quarto rinvenimento di Torino o di via Principe Oddone u.° 10. 108 A. PORTXS qualora fossero stati risolti in senso opposto, avrebbero portato di conseguenza che: non essendo il fossile di provenienza ita- liana, V Elephas primigenius non era ancora mai stato dimo- strato in Italia. Io chiudevo il mio lavoro con un invito a chi potesse prender interesse a tale risultato ed alla questione ad esso inerente, di indicarmi il materiale che mi potesse convin- cere tanto del contrario quanto della verità della mia afferma- zione ; ma la affermazione la espressi recisa, senza ombra di dubbio. Poiché la montagna non veniva a me, cosi andai, dopo aver anch’io esaminato il materiale di Pietroburgo e di Mosca, alla montagna. Cosi fui a Firenze a cercare in quel museo denti di incontestabile E. primigenius di provenienza incontestabil- mente italiana e non ve ne trovai neppur uno. Ma non vidi in esso, malgrado mi se ne parlasse, i denti che più tardi il Picei descrisse come di E. primigenius appartenenti a quel museo. E ciò non per colpa mia, ma perchè in quel tempo quei ma- teriali erano in studio e quindi fuori delle collezioni generali. Li domandai in comunicazione e non li potei avere, sempre per lo stesso motivo. Fui nel museo di Palermo e non vi trovai ombra di vero Elephas primigenius ; vi trovai invece in copiosa messe VE. an- tiquus colle sue modalità e tratti di unione sovratutto in ten- denza alPi?. meridionalis, all’ 7?. indicus ed anche un tantino all’i?. africanus. Fui al museo provinciale di Lecce dove si conserva la mag- gior parte del tesoro di Cardamone procacciato dal Comm. Botti ; e vi fui per cercare frammezzo a quel tesoro amplissimo qual- cosa che attenuasse o distruggesse la mia convinzione sull'if/c- phas primigenius in Italia. Vi cercai il famoso E. primigenius var. lddruntinus Botti; e non trovai, dopo aver visto il tutto, che denti di E. antiquus , tutto al più con qualche aberranza salvabile per mezzo della denominazione E. trogontherii . ÌV Ele- phas primigenius non vi è dimostrabile, nemmanco con un pezzo solo. Di conseguenza, per dirla breve ed esplicita : VE. hydrun- tinus Botti non esiste nè come specie a sé, nè come varietà del primigenius , ma solo come caso àe\V antiquus o tutto al più dello E. trogontherii. DI UN DENTE ANOMALO DI ELEFANTE FOSSILE 109 Poi finalmente studiai le successive note e memorie dello A. Ricci pubblicate nel 1901, più sopra citate, aventi parzial- mente a base quel materiale che era sfuggito malgrado la mia determinata volontà alla mia ricerca, al mio esame, e lo esa- minai quindi, se non più sull’originale, attraverso alle figure, alle descrizioni del Ricci. Ebbene : anche qui si vede che tutto il materiale preso in considerazione non può esser attribuito che all’i?. trogontherii e per conseguenza mediatamente albi?, ari- ti quus ; e se la denominazione adottata dal Ricci suona diver- samente, abbastanza chiaro risulta dalla lettura della nota C) del Ricci sull’elefante della Dobrogea, da quella sull’i?. tro- gontherii (2) di Montecatini in Val di Nievole, e dalla memoria (:,j inserta nella Palaeontographia italica, che l’autore, suggestionato dalla vista e dallo studio esclusivo di troppo numericamente limitati esemplari, volle, fors’anco contro l’evidenza di alcuni contrastanti caratteri, vedere in essi VE. primigenius. E poiché volle venir in tale determinazione, bisognò, per raggiungerla, che egli estirpasse prima il mio esemplare di La Loggia dalla specie per poi modificarne la caratteristica, sì che essa potesse accogliere non più degli esemplari di E. primigenius ma di E. trogontherii ; e, dopo ciò, che egli determinasse come di E. primigenius gli esemplari che aveva in istudio. Ma, ciò facendo, mi fornisce la prova che egli li determinò tutti come E. trogontherii chiamato da lui per errore E. primigenius. E cosi, finiamo per esser perfettamente d’accordo, poiché io, assieme con lui, colloco nella stessa specie : la maggioranza dei denti elefantini di Roma, quelli dal Ricci studiati della Val di Chiana, quelli dal De Angelis esaminati della Val del Po, quelli dal Botti scoperti della grotta di Cardamone, e quelli delle O Ricci A., L’Elephas primigenius delia Dobroc/ea (Bumania). Nota citata dai Rendic. d. R. Acc. dei Lincei, ser. 5, voi. 10, pag. 14 ; 1901 (particolarmente a pag. 17). (2) Ricci A., L’Elephas trogontherii Pohlig di Montecatini in Val di Nievole. Nota cit. dai Rendic. d. R. Acc. dei Lincei, ser. 5, voi. 10, pag. 93; 1901. C) Ricci A., Z/Elephas primigenius Blum. nel postpliocene della Toscana. Memoria citata dalla Palaeontographia italica, pag. 121-148, tav. 16-18 del voi. 7 ; 1901. 110 A. PORTIS caverne del Palermitano, quelli a lor tempo indicati sia dal Flores che dal Giuseppe De Stefano (sia che da loro siano stati battezzati E. trogontherii, che E. mcridìonalis, che E. antiquus, che E. primigenius ), ma ne colloco fuori il mio dente di Torino o meglio di Sa Loggia. Dove raccordo cessa si è nelle conclusioni: il Ricci, in se- guito alla sua non adatta denominazione, asserisce che, contra- riamente alla opinione del De Angelis ed ai dubbi del Portis ('). VEleplias primigenius è non raro in Italia e vi arriva sino al suo continentale estremo meridionale. Io invece sul risultato delle mie ricerche fino ad oggi e sul risultato delle determina- zioni e studii del Ricci, asserisco recisamente che VEleplias pri- migenius è rarissimo in Italia, mancante in tutta l’Italia media (*) ( ') Per la proprietà del linguaggio é da spiegarsi tanto l’opinione del De Angelis quanto i dubbi del prof. Portis. Il De Angelis non espresse una opinione; ma, come conseguenza dei suoi studi, come conseguenza logica di una serie di determinazioni, concluse recisamente a negare resistenza dell’ E. primigenius in Italia e tanto più: che si fosse spinto tino a Roma. La sua conclusione bisognava distruggerla con nuovi fatti con nuove determinazioni razionali. Il Portis non espresse alcun dubbio. Se avesse espressi dei dubbii non si poteva esprimere opinione contraria ai suoi dubbi poiché il dubbio è uno stato di indeterminatezza fra due o più opinioni. Il dubbio bisogna schiarirlo, distruggerlo sostituendo la certezza alla incertezza, cioè risolvendolo. Invece io espressi categori- camente una certezza che: fino a quel punto il mio dente era l’unico sicuro di E. primigenius rinvenuto in Italia; susseguita, come accennai più su, da un invito a farmi conoscere dei fatti, degli oggetti che infir- massero quella mia affermazione. Quando questi fatti mi si fossero offerti a conoscenza e dimostrati esatti, la mia affermazione sarebbe stata men vera, io l’avrei dovuta modificare per ricondurla a corrispondente a verità. Fin’ ora ciò non è avvenuto. (2) L’affermazione inesatta dello Zittel (Handbuch der Palaeozoo- logie, 4le Band (1891-93) pag. 471) che YElephns primigenius arrivi in Italia fino a Roma, in modo abbastanza chiaro risulta, coll’ultimo lavoro del Ricci molto probabilmente attinta al Lartet che la diffuse colla iso- lata determinazione ad E. primigenius di troppo limitati (uno in numero) molari elefantini appartenenti all’/',', antiquus già molto progredito in direzione appunto di E. primigenius comunicatigli dal Ponzi e raccolti in vicinanza di Roma. Esemplari però che posteriormente non poterono venir sostenuti come di E. primigenius ma dovettero ritornare od all’/'.’. trogontherii o meglio all’7'7. antiquus. DI UN DENTE ANOMALO DI ELEFANTE FOSSILE 111 e meridionale, mentre nella superiore non è fin’ ora rappresen- tato che da un unico pioniere smarrito, duello da cui proviene il dente di La Loggia presso Torino da me illustrato nel 1898. Veniamo ora alle conclusioni generali e di questo e dei miei precedenti studii in proposito a molari elefantini e diciamo: I. ° In Italia non si è mai rinvenuta allo stato fossile alcuna specie elefantina allo infuori dello E. meridionalis Vesti s. lat. II. 0 L ’E. meridionalis nel lungo tempo dalla sua indivi- dualizzazione alla sua estinzione, nella vasta area geografica occupata, si scisse in rami e sottospecie or definibili or meno, or transitorie or definitive. Fra le prime (le definibili) vi ebbe VE. antiquus , fra le seconde (le meno definibili) vi ebbe VE. tro- gontherii; fra le terze (le transitorie) vi ebbero VE. antiquus e VE. trogontherii. Fra le definitive vi ebbero VE. primigenia s, oggi estinto; VE. indicus e VE. africanus (aberrante atavico), oggi in via di estinzione. III. 0 In ordine decrescente di frequenza di rinvenimento delle specie 0 rami soprannominati, in Italia, abbiamo: 1° Ele- phas antiquus; 2" Elephas trogontherii ; 3° Elephas meridio- nalis ; 4° Elephas primigenia ; 5° Elephas africanus ; 6° Elephas indicus. Il sesto: VE. indicus non si è mai rinvenuto fossile in Italia. Il quinto: VE. africanus è già stato parecchie volte indicato come fossile in Italia; sempre però nella sua rappresentanza pri- scus che, invece allo stato attuale di nostre conoscenze in pro- posito, non si può più attaccar direttamente allo africanus: di- rettamente invece: ora al trogontherii , ora allo stretto antiquus. Del quarto, de\V Elephas primigenius , non vi ha che un unico rinvenimento accertato in Italia, esso è assai più meridionale della località che forni il caratteristico materiale di E. primi- genius al museo di Lione (Pont-de-Vaux, dép. Ain), ed è poco più settentrionale di Costanza (Cnstendié) sul Mar Nero che pur fornì avanzi di E. primigenius tipico (’). C) Faccio notare espressamente questa posizione dei tre rinveni- menti, essendo noto come nei presenti tempi le linee isoterme pieghino suH’Europa (ed Asia occidentale) notevolmente a sud a misura che noi progrediamo da W. verso 0., andamento che è abbastanza conforme a quello del limite meridionale delli antichi ghiacciai. 112 A. l'ORTlS Del terzo, cioè dell 'Elephas meridionalis tipico, non son nè frequenti, nè ampie, nè abbondanti le aree di distribuzione. Sono in linea discendente di frequenza e di ampiezza d’area, sovratutto: a) Valdarno; b ) Astigiana; c ) Lede; d ) provincie di Perugia e di Roma (saltuariamente). Sempre vi è accompagnato, talor vi è sostituito d) Spoleto, e) Olivola da una o più specie di Masto- donti (‘). Costantemente è in compagnia con rami aberranti verso (') Niuno contesta più la comunanza degli Elefanti coi Mastodonti nel Valdarno e nell’Astigiana magari prolungata lungo il piede Adria- tico dell’Appennino fino al Piacentino, al Bolognese, ecc. Invece qual- cuno lo contesterebbe ancora per Left'e e per la provincia di Roma. Per Leffe affermo che c’è il Mastodonte assieme all 'Elephas meridionalis avente già parecchi caratteri di E. trogontherii ed all’/',', trogontherii già quasi completamente indiscernibile daWantiquus, assieme al Castoro, allo Ippo- potamo, al Bos primigenius, s\V Etruscus ed al Bhinoceros Merchi , ecc. Affermo 1’esistenza qui del Mastodonte malgrado che ricerche personali da me fatte nei musei di Milano e di Bergamo e ricerche fatte da me ripetere in proposito negli stessi musei non abbiano approdato a metter la mano sul materiale oggetto; la affermo sulla autorità del Cornalia il quale lo menziona, per un dente rinvenuto a Left'e, il 29 aprile 1858, alla Società Italiana di Scienze naturali di Milano (Atti della Società geologica residente in Milano. Volume 1°, anni 1855-1859, a pag. 62, in-8°, Milano, 1859), e lo menziona contemporaneamente e distintamente dalla menzione che fa dei recenti rinvenimenti di avanzi «di quella sud- divisione dell' Elephas primigenius che Falconer ha chiamato E. priscns», specificando che il suo dente di Mastodonte di Leffe «appartiene pro- babilmente al Mastodon angusti dens », cioè a quella stessa specie che prima invocò il Sismonda Eugenio quando descrisse lo scheletro di Mastodon arvernensis di Dusino d’Asti. Non certamente si può, dopo simili det- tagli, ammettere che un zoologo come il Cornalia abbia preso denti di Elefante per denti di Mastodonte, e si deve accettar resistenza di que- st’ultimo. (E anzi da notarsi come due anni prima il Falconer, di ri- torno da uno dei suoi viaggi in Italia, nella sua memoria: On thè species of Mastodon and Elephant occurring in thè fossi l state in Great Britain, Part I (Quart. Journ. of thè Geo). Soc. of London, voi. 13, 1857, pag. 307- 360, PI. 11-12), a pag. 343, independentemente segnalasse come carat- teristico degli strati miocenico-faluniani di Europa il Mastodon angu- stidens ed indicasse fra i luoghi di rinvenimento di esso la lignite di Gandino nella Val Seriana di Lombardia: Tale segnalazione è natu- ralmente ripetuta colla riproduzione della memoria nelle Balaeontological memoirs and notes, 1868, voi. 2, pag. 45). E se i pezzi in proposito più non si trovano; abbastanza se ne può spiegar la scomparsa o la distruzione sfo- DI UN DENTE ANOMALO DI ELEFANTE FOSSILE 113 VE. cmtiquus talor con E. antiquus caratteristico; di preferenza, in generale, appartiene allo Astiano. Il secondo: VE. trogontheriì, è frequente in Italia cosi pe- ninsulare che insulare; vi è distribuito nello Astiano e nel Sici- liano; di preferenza nel Siciliano. Può accompagnarsi ai Masto- donti. Si accompagna all’ EJlephas meridionalis ma più all’jB. antiquus. Dove si trovò VE. primi genius. esso ebbe a compagno VE. trogontherii. Il primo, od Elephas antiquus s. str. Falc., è frequentis- simo ed abbondantissimo in tutta Italia geografica sì peninsu- lare che insulare. Sì in Italia insulare che peninsulare, si accom- pagna ai Mastodonti; si accompagna e poi si sostituisce SLÌVEle- phas meridionalis. Di conseguenza, in Italia, è meno frequente nello Astiano, diffusissimo e caratteristico pel Siciliano di cui non varca sempre in Italia i limiti superiori nè manco col suo abito detto specificamente E. trogontherii. È frequentissimamente associato alfi?. trogontherii stesso dal quale può essere anco totalmente sostituito. IV.0 Stante la frequenza de IP Pò antiquus , stante la sua conosciuta relazione di coesistenza con altre classiche specie di mammiferi, stante la definita posizione stratigrafica sua, stante gliando l’aureo libro del Sordelli del 1896: Flora fossìlis insubrica e scor- gendo in parecchi punti di esso come per l’ossidratazione delle piriti con- tenute nelle ligniti di Leffe, tanti preziosi ossami e denti di vertebrati di quel giacimento sieno andati distrutti ; e come, per tal distruzione, sia stata per troppo lungo tempo negatala presenza a Leffe del raro Ippopotamo. Per ragione analoga affermo l’esistenza del Mastodonte in provincia di Roma e a Roma stessa. Non vi darei tanto peso se non si trattasse che del rinvenimento di Castel di Guido, ed oggetti raccoltivi, e relative descri- zioni. Ma quando Castel di Guido è rinforzato da Monte Verde di Roma e quando un Cuvier, un creatore del genere Mastodon, un maestro che insegnò a distinguere il Mastodon dall’ Eleplias ci dice, Oss. foss., ediz. V, 1834-36, voi. 2°, pag. 332, di aver portato a Parigi dei denti di Mastodon raccolti a Monte Verde di Roma, non si può a meno di credergli su pa- rola anche quando cent’anni dopo nei relativi musei non si riesce più a metter materialmente le mani sugli oggetti che Cuvier vi ha intro- dotti e che possono esser andati o distrutti o smarriti o semplicemente scompagnati da indicazione. A questo modo Monte Verde appoggia Castel di Guido come Castel di Guido appoggia Monte Verde; e, in due, fanno entrar Roma in linea di conto. 12 114 A. P0RT1S la quasi totale mancanza in Italia dell’io, primigmius e la to- tale assenza lino ad oggi di avanzi sicuri di Rhinoceros antiqui- tatis Blumb. è facile oggi concludere che manca quasi totalmente in Italia il terreno diluviale e che invece TAlluvio riposa imme- diatamente sul Siciliano. L’Alluvio, senza interposizione di Plei- stocene, sul più giovane Pliocene. In base a queste conclusioni confermo totalmente, malgrado che ad alcuno non paia sia stato molto felice (’), il tentato pa- rallelo da me fatto tra il Pliocene della Campagna Romana ed i terreni Alluvionali e Morenici della Valle del Po. Esso venne tentato reggendosi su una fissa base tettonico-paleontologica ; quella stessa base che lo Stella invocava, a quello scopo pre- ciso. nel suo lavoro: Sui terreni quaternari della Valle del Po in rapporto alla Carta geologica d’Italia (2). [ms. pres. 12 febbraio 1902; ult. bozze 22 aprile 1902]. (') Tarameli] T., Di due casi di idrografia sotterranea nellé-pi'ovincie di Treviso e di Lecce. Nota di 14 pag., in-8°, estr. d. Reud. d. R. Ist. lomb. di Se. e Lett., ser. 2", voi. 32, Milano, 1899 (a pag. 14). (!) Boll. d. Comitato Geologico d'Italia, voi. 26, in-8°, Roma, 1895* pag. 108-136 (a pag. Ili e nota a piede, poi saltuariamente e pag. 134-35)* SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA IV. Fig. l.n II dente di Elephns antiquus di Ponte Molle, presso Roma, veduto dalla faccia coronale. Fig. 2.a Lo stesso veduto dalla faccia laterale interna. Fig. 3.a Lo stesso veduto dalla faccia posteriore. Boll. d. Soc. Geol. Italiana. Voi. XXI (Portis) Tav. IV ROMA FOIOT. DANESI I VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA PARTE SECONDA. MAMMIFERI E GEOLOGIA DEE PIANO PONTICO Memoria del socio Luigi Sequenza fu G. Era mia intenzione, allorché cominciai lo studio della fauna mammologica fossile dei dintorni di Messina, di farne scopo di una sola puntata del mio lavoro sui Vertebrati fossili della nostra regione come praticai per i Pesci (71); però l’aumento con- tinuo del materiale affatto nuovo, proveniente da un lembo sin oggi inesattamente identificato, ed il numero piuttosto rilevante di osservazioni e conclusioni da mettere in evidenza intorno a tale argomento, fecero sì che ho dovuto accontentarmi di illu- strare in questa seconda parte solamente quei resti di Mammi- feri fossili della provincia di Messina che si rinvennero nel detto lembo e da me creduti riferibili al Piano pontico. Il nome di questo piano, instituito, secondo il Botti (6, p. 294), da Barbot de Marny (2) nel 1869 o, secondo il Pantanelli (56, p. 5), da F. v. Hoechstetter (40, p. 376 [12]) nel 1870, servì per indicare quegli strati creduti lacustri o salmastri che stanno tra la fine del Miocene superiore (Tortoniano e Sarmaziano) ed il principio del Pliocene (Piacenziano), chiamati a più riprese Mio- pliocene, Messiniano, Miocene superiore, Prepliocene, Pliocene inf., Meotico, Anversiano e simili, e ritenuti, come si vede da alcuni fra i detti nomi, variamente: sia come ultimo termine del Miocene, sia come serie autonoma, e sia come primo ter- mine del Pliocene. 136 L. SEUUENZA FU G. Fra i tanti nomi applicati ai detti strati, quello di Viano pontico ebbe maggiore fortuna degli altri e pare che oggi sia runico generalmente adoperato. Questo piano presenta tre facies ben distinte: gli strati a Congerie che hanno estesi rappresentanti nella parte orientale di Europa e brevi lembi nel resto di essa ; la formazione gessoso- solfifera che è quasi esclusiva dell’Italia, ove gli strati con la facies precedente sono qualche volta intercalati a questa serie; i giacimenti a fauna Mammologica classici, quali quelli di Pi- kermi, Monte Léberon, Samos, Baltavar, Eppelsheim, Belvedere, Maragha e simili riferiti al Pontico, più per il grado di evo- luzione raggiunto dalla fauna che racchiudono, che per una ubi- cazione stratigrafica esattamente definita. In Sicilia, agli strati pontici venne sin ora rapportata la rilevante serie gessoso-solfifera che affiora estesamente nella parte centrale dell’Isola con i tipici giacimenti a minerali utili (zolfo, gesso, celestina, ecc.), ai quali si associa qualche breve lembo a Congerie e piccoli Candii. Nei pressi di Cimiuna e di Cala- tateli, al disotto degli strati a gesso e con essi concordante, affiora una breccia conchigliare a Peeten aduncus con fauna littoranea, unico termine marino, secondo il Baldacci (1, p. 100), sincrono degli strati pontici, con facies differente, sin ora noto. Nella provincia di Messina, alla zona gessoso-solfifera e quindi al Pontico sono riferiti gli strati marnosi o sabbiosi con ammassi di gesso ed i soprastanti calcari concrezionati silicei senza zolfo. Bella fauna di Mammiferi di questo piano, i cui rappresen- tanti in Italia figurano con qualche specie al Casino di Siena, nessuna traccia fu mai riscontrata in Sicilia, essendoché gli strati lacustri che racchiudono i resti da me studiati, furono riferiti al Tortoniano e come sottostanti a lembo con fauna marina tor- toniana tipica. Stando cosi le cose, ho creduto utile di premettere alla parte descrittiva, che esamina cd illustra le specie, uno studio geo- paleontologico del giacimento, cosicché si possa con facilità iden- tificare la esatta ubicazione stratigrafica della zona a Mammi- feri e degli strati che ad essa zona soprastanno e sottostanno per trarne quelle deduzioni utili che saranno del caso. VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 117 Per ciò fare, premesso un indice delle opere citate nel corpo del lavoro ed un cenno bibliografico sui varii autori che accen- nano alla esistenza dei Mammiferi predetti e sulle varie opi- nioni attorno ad essi emesse, darò una descrizione topografica, stratigrafica e paleontologica degli strati succennati in modo che chiara ne risulti la loro posizione ed i loro rapporti coi terreni coetanei di varie regioni dell’Isola e del continente. Prima di terminare questa introduzione, sento il dovere di rendere pubblici i miei ringraziamenti verso i professori A. Gran- dry, M. Vacek, C. De Stefani, G. Capellini, G. Di Stefano, M. De- pérèt, D. Pantanelli, I. Cafici, i quali cortesemente misero a mia disposizione le loro pregevoli monografie. Soprattutto debbo la mia particolare riconoscenza al profes- sore G. La Valle, Direttore di questo Istituto per avermi for- nito tutti i mezzi richiesti pel buon esito del mio lavoro. Messia, Istituto di Mineralogia e Geologia della R. Università. ELENCO DELLE PUBBLICAZIONI CITATE IN QUESTA MONOGRAFIA 1. Baldacci L. — Descrizione geologica dell’Isola di Sicilia. Memorie descrittive della Carta geologica d’ Italia, voi. I, Poma 1886. 2. Barbot de Marni. — Esquisse géologique du Gouverne- ment de Cherson, 1869. 3. Blain ville H. — Ostéographie ou description iconographi- que comparée des mammifères récents et fossiles, Paris 1839-64. 4. Borch (de) M. J. — Mineralogie sicilienne docimastiqne et métallurgique, etc., suiviede la minérhydrologie sicilienne, eie., Turin 1780. 5. Borson E. — Note sur les dents de grand Mastodonte trou vées en Piémont et sur les dents fossiles prises dans la mine 118 L. SEGUENZA FU tì. de kouille de Cadibone. Memorie delia R. Acc. di Scienze di Torino , Ser. I, voi. XXVII, 1823. tì. Botti U. — Dei piani e sottopiani in geologia, 2* ediz., Reggio-Calabria 1899. 7. Cafici I. — La formazione gessosa del Vizzinese e del Licodiano (Prov. di Catania). Boll, del R. Coni. geol. d’ Italia, anno 1880, f. 1-2, Roma. 8. Capellini G. — Balenottere fossili e Pachyachantus del- l’ Italia meridionale. Atti della R. Acc. dei Lincei , Ser. 3* ; Mem. Cl. Se. fis ., mai., nat., voi. I (1876-77), Roma 1877. 9. Capellini G. — Gli strati a Congerie o la formazione gessoso-soltifera nella provincia di Pisa e nei dintorni di Li- vorno. Atti della R. Acc. dei Lincei, Mem. della Cl. Se. fìs., mai., nat., Ser. 3a, voi. V (1879-80), Roma 1880. 10. Carta geologica dell'Isola di Sicilia nella scala da 1 a 100.000. Rilevata dal 1877 al 1884 e pubblicata per cura del R. Ufficio geologico negli anni 1884-85-80, Roma 1880. 11. Carta geologica della Calabria in fogli 20 con tre tavole di sezioni, scala 1 a 100.000. Rilevata e pubblicata per cura del R. Ufficio geologico, Roma 1901. 12. Cocchi I. — Su due scimmie fossili italiane. Boll, del R. Coni. geol. d’ Italia, voi. Ili, Roma 1872. 13. Cocco L. — Guida geologico-paleontologica per il lato orientale della Sicilia. Parte I, Provincia di Messina, Mes- sina 1895. 14. Cortese E. — Brevi cenni sulla geologia della parte N.-E. della Sicilia. Boll, del R. Coni. geol. d’Italia, anno 1882, f. 5-0, Roma. 15. Cortese E. — Descrizione geologica della Calabria. Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia, voi. IX, Roma 1895. ltì. De Natale G. — Ricerche geognostiche sui terreni dei dintorni di Messina, Messina 1851. 17. De Stefani C. — La Montagnola Senese. Boll, del R. Coni. geol. dr Italia, anno 1880, Roma. 18. Falconer H. et Cautley P. I. — Asiatic. 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Gaudry A. — Auimaux fossiles et geologie de l’Attique, Paris 1862-67. 26. Gaudry A. — Animaux fossiles du Mont Léberon (Vau- cluse). Étude sur les Vertébrós, Paris 1873. 27. Gaudry A. — Sur un Hippopotame fossile découvert à Bone (Algerie). Bull. Soc. gcol. de Franco. 3® sér., tom. IY, Paris 1876. 28. Gaudry A. — Les enchainements du monde animai dans les temps géologiques. Mammifères tertiaires, Paris 1878. 29. Gaudry A. — Les ancètres de nos animaux dans les temps géologiques, Paris 1888. (Trad. tedesca di W. Marsina! in: Weliebers Naturwissenscliaftlicìie Bibliotek , voi. I, Leip- zig 1891. 30. Gaudry A. — Quelques remarques sur les Mastodontes à propos de l’animal de Chérichira. Mémoires de la Soc. geoi- de France , Paris 1891. 31. Gervais P. — Observations sur diverses espèces de Mammifères fossiles du midi de la France. Ann. de Se. nat., zoologie, 3" sér., voi Y, 1846. 120 h. SEGUENZA FU G. 32. Gervais P. — Comptes-rendus hebdomadaires de l’Acc. des Scien. de Paris, toni. 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Peichs., Wien 1870. 41. K aup J. — Description des ossements fossiles des mam- mifères qui se tronvent au Muséum grand-ducal de Darmstadt. Partic I, II, III, Darmstadt 1832-34. 42. Kaup J. — Beitrage zur Kenutuiss der urweltlichen Sau. gethiere. Heft III, Darmstadt 1857. 43. Kittl E. — Beitrage zur Kenntniss der fossilen Sau- gethiere von Maragha in Persien. I Carnivora. Ann. der Wien. Museum, Wien 1887. 44. Lapparent (de) A. — Traité de Géologie. 4m* édit.r Paris 1900. 45. Lapparent (de) A. et Fritel P. — Fossiles caractéris- tiques des terrai ns sédimentaires. Fossiles tertiaires, Paris 1886). 46. Lartet Ed. — Notice sur la colline de Sansan, etc., Auch 1851. VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 121 47. Lartet Ed. — Sur la dentition des Probocidiens fos- siles et sur la distribution géographique et strati graphique de leurs débris en Europe. Bull. Soc. goal, de France, 2me sér., t. XYI, Paris 1859. 48. Lydekker R. — Indiai! tertiary and praetertiary Ver- tebrata. Palaeontologica Indica. Meni. geol. Survey East- India, ser. X, voi. I-IV, 1875-86. 49. Lydekker R. — Catalogne of thè fossils Mammalia in tbe Britisb Museura. Voi. I-V, London 1885-87. 50. Meyer (von) H. — Palaeontologica zur Geschichte der Erde und ihrer Geschopfe, Frankfurt 1832. 51. Meyer (von) H. — Jalirb. von Leonhard und Bromi, voi. del 1839. 52. Meyer (von) H. — Studien iiber das Genus Mastodon. Palaeontographica,v ol. XVII, 1867. 53. Murchison Oh. — Bescription of thè plates of thè « Fauna antiqua sivalensis » from notes and memoranda by H. Falconer, London 1868. 54. Nicotra L. — Diatomeae in schistis quibus messanen- sibus detectae. Bull. Soc. geol. dal., voi I, 1, Roma 1882. 54 bis. Paulow M. — Les mastodontes de la Russie et leurs rapports avec les Mastodontes des autres pays. Meni, de VAcad. I. des se. de S‘-Pétersbourg, Vili sèrie, Classe Physico-mathcm., voi. I, n° 3, 1894. 55. Pantànelli D. — Sugli strati miocenici del Casino (Siena) e considerazioni sul Miocene superiore. Atti della B. Acc. dei Lincei, Memor. della (II. Se. fis., mai., nat., ser. 3a, voi. Ili (1878-79), Roma. 56. Pantanelli B. — Monografia degli strati pontici del Miocene superiore. Meni. li. Acc. di Se., lett., ar. di Modena , voi. IV, sor. II, Modena 1886. 57. Pomel M. — Note sur les Mastodontes. Bull, de la Soc. geol. de France, 2me serie, voi. V, Paris 1848. 58. Pomel M. — Catalogne méthodique et descriptif des Ver- tébrés fossiles dévouverts dans le bassin de la Loire, Paris 1853. 59. Renevier E. — Résumé du Chronograpbe géologique. Eclogae geologiae Helveticie , V, n° 1, Lausanne 1897. 122 L. SEQUENZA FU Cì. 60. Ristori G. — Le scimmie fossili italiane. Boll, del li. Coni. geol. d’Italia, anno 1890, 5-0 e 7-8, Roma. 61. Roth J. und Wagner A. — Die fossilen Knochen-Ueber- reste von Pikermi in Griechenland. Abhand. der k. Bayer. Akad. der Wiss.; Mat. phys. Classe. Rd. Ili, Abth. 1 und Bd. V, Abth. 2, Muucben 1854. 62. Schinz. — Jameson’s-Edimb. New phylos. Journ., voi. V, Edinbourg 1828. 63. Schinz. — Ueberreste organischer Wesen aus den Koh- lengruben des Canton Ziiricli. Denkschrift der allyemeinen sóhw. Gesell. far die Gesam. Natur ., Bd. I, Abth. 2, 1833. 64. Schlosser M. — Die Affen, Lemuren, Chiropteren, Iu- sectivoren, Marsupialen, Creodonten und Carnivoren des Euro- piiischen Tertiars, ecc. Beitr. sur Bai deontologie Oesterr.-Ung. and des Orientes, Bd. VI, Ht. I u. II, Wien 1887. 65. Seguenza G. — Notizie succinte intorno alla costitu- zione geologica dei terreni terziarii del distretto di Messina, Messina 1802. 66. Seguenza G. — Sulla formazione miocenica di Sicilia, Messsina 1802. 67. Sequenza G. — La formation zancléenne ou recherches sur une nouvelle formatimi tertiaire. Bull. Soc. geol. de France , 2* sér., t. XXV, Paris 1868. 68. Sequenza G. — Brevissimi cenni intorno la serie ter- ziaria della provincia di Messina. Boll, del li. Com. geol. d’Italia , anno 1873, Firenze. 69. Sequenza G. — Studii stratigrafici sulla formazione plio- cenica dell’Italia meridionale. Boll, del li. Com. geol. d’Italia, anno 1873 a 77, Roma. 70. Sequenza G. — Intorno ai giacimenti di combustibili minerali nella provincia di Messina. Nota inserita a pag. 7 e seg. in Giannetto S. (36), 1884. 71. Sequenza L. — I Vertebrati fossili della provincia di Messina. Parte I, Pesci. Boll. Soc. geol. ital., voi. XIX, 3, Roma 1900. 72. Spallanzani L. — Viaggi alle due Sicilie ed in alcune parti deU’Appennino, Milano 1825. VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 123 73. Stella A. — Sulla presenza di fossili microscopici nelle roccie a zolfo della formazione gessoso-solfìfera italiana. Boll. Soc. geol. ital ., voi. XIX, 3, Roma 1900. 74. Suess E. — Ueber die grossen Raubtkiere der Oesterr. Te rt i arab lagerunge n . Sitzungsb. der k. le. Akad. der Wissensch., voi. XL, Wien 1860. 75. Vacek M. — Ueber Osterreichiscbe Mastodonten und ih re Beziehungen zu den Mastodonarten Europas. Abhand. der le, Jc. Geol. Reichs., Bd. VII, Hf. 4, Wien 1877. 76. Vacek M. — Ueber Saugethierreste der Pikermifauna vom Eichkogel bei Modling. Jahrb. der le. Jc. geol. Reich., Wien 1900, Bd. 50, Hf. 1. 77. Wagner A. — Urweldiche Saugethier-Ueberreste aus Grieckenland. Abhand. der Jc. Bayer. Alcad. der Wissen., Mat. Phys. Classe, Bd. V, Abt. 2, Mimchen 1848. 78. Wagner A. — Neue Beitriige zur Kenntniss der fossilen Saugethier-Ueberreste von Pikermi. Abhand. der le. Bayer. Akad. der Wissen., Mat. Phys. Classe, Bd. Vili, Abt. 1, Miincken 1857. 79. Weithofer A. — Beitriige zur Kenntniss der Fauna von Pikermi bei Atken. Beitr. zur Paldont. Oest. Ung. und des Orients, Bd. VI, Hf. 3, Wienn 1888. SO. Zitte l C. A. — Trai té de Paleontologie, trad. francese per Ch. Barrois, tomo I , voi. IV ( Verte brés-Mammifères ), Paris 1 894. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE INTORNO AI MAMMIFERI FOSSILI DI GRA VITELLI Sin da epoea remota si aveva notizia dei letti di lignite affioranti nelle argille del villaggio di Gravitelli presso Messina o meglio lungo il torrente fuori Porta della legna o Portalegni, come riportano varii autori del 1600 e del 1700 tra cui il conte De Bordi (4, pag. 187) e lo Spallanzani (72, voi. Ili, pag. 125), e comunemente ritenuto Carbonfossile. Però la prima notizia del rinvenimento di resti di Mammi- feri, raccolti a Gravitelli nelle argille a lignite, si ha dal De 124 L. SEGUENZA FU G. Natale (16, pag. 54 e seg.) ; l’autore nella breve ma erudita memoria sui terreni di Messina, accennando ai varii giacimenti di lignite di Mili, Trernonte, S. Miceli, Salice, Graviteli, che attribuisce tutti al terreno subappennino, ricorda che in questa ultima località fu raccolto un dente di Rinoceronte ('), impronte di pesci e di piante che si conservavano nel Museo Peloritano di storia naturale che oggi fa parte del Museo geologico pro- vinciale di questa R. Università al quale fu riunito alla fon- dazione di quest’ultimo. In seguito vengono varii lavori del prof. G. Seguenza nei quali si trova notizia dei resti in parola. Egli ne parla per la prima volta nel 1862 (65, pag. 9) cennando di passaggio alla formazione con ligniti che ascrive al Miocene senza precisarne il piano ; in detta memoria l’au- tore riporta in unico elenco i fossili sia marini che lacustri come appartenenti alle « argille vicino alle ligniti», e fra essi cita: Sus choeroides Romei. Carcharodon megalodon Ag. (= C. Rondeleti in Seguenza L., 71). Lamna (Od.) contortidens Ag. (= Od. cuspidata id., 71). A queste specie di Vertebrati segue un elenco di molluschi che l’autore dice s’ incontrano più abbondanti nel versante oc- cidentale che sul versante orientale dei colli Peloritani. 11 medesimo autore in un altro lavoro dello stesso anno (66, pag. 5) ricorda che il giacimento del Miocene di Messina è costituito da argille, con depositi di lignite, le quali argille fanno passaggio a sabbie e a molasse che racchiudono impor- tanti masse di gesso. Nella lista dei fossili, alle specie predette, aggiunge un Hippopotamus sp?. Nel 1868 (67, pag. 4(57), l’autore su mmentovato instituendo il piano zancleano ed accennando alla giacitura di esso, dice che poggia quasi in concordanza, quantunque meno inclinato (*) (*) E invece un canino bondanti opercoli di Paludina, una diatonica determinata da N. Pedicino, Echinocyclus Segucnzac : menziona i mammiferi predetti e quindi la fauna malacologica delle soprastanti ar- gille marine specialmente di Gra vitelli. Dopo aver fatto cenno di giacimenti sincroni del versante tirreno dei Peloritani, l’autore conclude col ritenere tale fauna per tortoniana, e ad essa epoca ascrive la serie di strati che la racchiudono. Tale opinione egli riconferma (69, pag. 28, tav. I, fig. 2) nella monografia sul Pliocene dell’Italia meridio- nale ove riporta una interessante sezione. Lanma crassidens Ag. Otodus sulcatus Ag. i — Oxyrhina Spallan- > zanii in Sequenza L. L. SEQUENZA FU G. 126 Il Cortese (14, pag. 81 e seg.) riporta per intero le opi- nioni del Seguenza G. ed i fossili da quest’ultimo citati. Non fa però menzione delle argille marine che stanno tra le lacu- stri ed il triboli. Ascrive quindi al Tortoniano la formazione sino alle argille lacustri inclusive ed il tripoli al Sarmaziano. Nel 1884 il Giannetto (36), intraprese un lavoro chimico sui minerali utili della provincia di Messina; nella prima pun- tata di questo lavoro si occupa delle analisi delle ligniti dei più importanti giacimenti della provincia quali Gesso, Ritiro, Salice, e Gravitelli. Il prof. G. Seguenza, a richiesta dell’Au- tore predetto, inserì a pagina 7 di quel primo fascicolo, una nota (70), riguardante la giacitura della lignite specie di con- trada Gravitelli. In essa nota il G. Seguenza riporta le varie notizie altrove pubblicate con l’aggiunta, per i fossili, di Acer trilóbatum Heer ed Eucaylptus oceanica Ung., e ripete le specie indeterminate di mammiferi e la lista di molluschi marini dello strato soprastante concludendo per confermare come Tortoniana la età delle ligniti e delle argille e molasse che ad esse si accom- pagnano, e ascrivendo al Messiniano i calcari, le argille e le arenarie gessifere. L’ing. Baldacci nel suo lavoro sulla Sicilia (1), pubblicato nel 1886, dà, come conclusione delle sue osservazioni sul Mio- cene superiore, un quadro dal quale riporto ciò che riguarda la provincia di Messina. Tortoniano. Arenaria micacea, conglomerati di porfido rosso. Marne ed argille sabbiose. Gravitelli. Scoppo, Opercoli di Paludina. Conglomerati, arenarie ed argille, tra Messina e Scaletta. Sarmaziano. Tripoli fogliettati molto micacei. Gravitelli. Seoppo. Serie Gessoso- solfifera. Argille azzurrognole con ammassi di gesso. Gesso, Masse, Castanea ecc. Calcare privo di zolfo. Pliocene. VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 127 A pag. 100 e seguenti dell’opera citata menziona riassuntiva- mente le varie zone e ricorda i resti di Mammiferi più volte ripetuti. Varii altri autori, (die per brevità tralascio di enumerare, ricordano la presenza nelle marne di Gfravitelli di qualche mam- mifero indeterminato e ripetono le già accennate opinioni. Riepilogando: lo strato racchiudente i mammiferi fossili di cui è scopo la presente monografia nonché i lembi fra i quali esso giace sono ritenuti appartenenti alle zone geologiche come segue : Tortoniano. Conglomerati e molasse senza fossili. Argilla lacustre con ligniti, Mammiferi, Pesci, Piante, opercoli di Paìudina. Argilla marina con molluschi e denti di squalo. Sarmaziano. Tripoli con Radiolarie e Diatomee. Pontico. Argille ed arenarie con ammassi di gesso. Calcare leggermente silicico senza zolfo. Serie Pliocenica. Tale è la classificazione usata nella Carta geologica di Sici- lia (IO, foglio 253-254). Io stesso nella prima parte di questa monografia (71, pag. 26) accettai tale determinazione stratigrafica allorché studiai i po- chi denti di squalo raccolti nelle argille marine di questa serie sottostanti alla formazione gessosa e soprastanti alla marna con mammiferi, credendo inutile esaminare la intera formazione già illustrata da tutti gli autori predetti. Recentissimamente sulla Carta geologica della Calabria (11, foglio, 254 Messina ) venne nello stesso senso confermato l’ordi- namento dei terreni con le medesime suddivisioni e nomenclatura. 128 L. SEQUENZA L'U G. ESAME GEOLOGICO E PALEONTOLOGICO DELLA SERIE DI GRAVITELLI Allorché intrapresi lo studio dei Mammiferi fossili della nostra regione, i primi a richiamare la mia attenzione furono quelli giacenti nelle argille lacustri di contrada Gravitelli rite- nute tortoniane. A quei cinque o sei resti già esistenti e menzionati gene- ricamente dai vani autori succennati, molti se ne erano aggiunti di tempo in tempo raccolti da cavatori di argilla e più recen- temente alcuni interessantissimi da me stesso incettati. È facile immaginare la mia sorpresa tostochè cominciai a riconoscere la ben nota fauna di Pikermi e dei giacimenti sin- croni fra i mammiferi di Gravitelli raccolti in uno strato che, a credere di tutti, sottostava alle argille marine tortoniane ed ai tripoli sarmaziani. È per ciò che ho creduto bene di rivedere la serie degli strati di Gavitelli ritenuti tortoniani, esaminandone i fossili di ogni zona. A circa mezzo chilometro ad ovest della città di Messina, si apre una valle ad anfiteatro circondata da colline alte fra i cinquanta ed i cento metri, divisa in due parti da una dor- sale che, sporgendo da ponente a levante, allunga i suoi con- trafforti nell’interno della città. Delle due parti della valle così divisa, Duna a sud prende nome di contrada Gravitelli, l’altra a nord di contrada Scoppo (*), mentre sulla parte mediana che divide le due località giace contrada Scirpi. Tali località sono notissime a tutti i geologi che hanno visitato la nostra regione, essendo tanto istruttive per (') Non Scuoppo come segna la Carta topografica dell' I. G. M. e da essa riprodussero varii autori. VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 129 la loro formazione e per le sezioni naturali che frequenti sco- scendimenti e cave di pietra o d’argilla vi hanno messo a nudo. In tutte e tre le località gli affioramenti hanno eguale incli- nazione, struttura e fauna stante che risultano da un medesimo lembo prolungantesi da una località all’altra e di cui è sovente facile seguirne la traccia. La contrada Gavitelli, che è quella che più ha attratto la mia attenzione per gl’interessanti fossili che mi ha forniti, è una valle a forma d’irregolare imbuto chiuso più o meno da tutte le parti meno lo stretto varco del torrente Portalegni che dà sfogo alle acque piovane concorrenti al centro della valle dai pendìi elevantisi all’ingiro. Sulle pareti nord e sud di essa si osserva denudata da fra- namenti e dalla estrazione delle argille, la serie di strati in esame inclinata ad ovest, mentre in alto a ponente si ergono gli strati soprastanti che hanno la parvenza di essere orizzon- tali trattandosi di sezione normale alla direzione dell’inclina- zione. Ecco i varii componenti della serie geologica in valle Gra- vitelli: Bocce arcaiche. — La base e l’ossatura delle colline, che sbarrano ad oriente questa valle, è costituita da micaschisti, gneiss e pegmatiti varie, ultime propagini del massiccio cristal- lino della catena peloritana. Arenarie e conglomerati. — Alle rocce predette si addos- sano arenarie e molasse varie passanti a conglomerati i quali ultimi in questa valle hanno maggiore preponderanza. Tali con- glomerati sono costituiti di ciottoli, sovente di enormi dimen- sioni, levigati ed arrotondati, con cemento sabbioso, provenienti dalla disgragazione delle rocce cristalline delle alture; fra tali ciottoli ve ne è frammisto qualcuno di porfido rosso, roccia che presumibilmente esisteva sui nostri monti e che oggi non s’incontra più in posto. Tale strato a Gravitelli ha lo spessore di m. 50 circa ed è inclinato fortemente ad ovest sebbene non se ne possa misurare il grado con esattezza. Nessun fossile fu mai riscontrato in esso. Questo conglome- rato constituisce due serie di colline lungo il litorale jonio e 13 130 L. SEGUENZA FU G. tirreno e fu ritenuto come la base (lei Tortoniano messinese : tale determinazione a mio credere è alquanto arrischiata in quanto che mancando i fossili e stando tale strato quasi sempre addossato alle rocce arcaiche ed in discordanza con la serie soprastante, manca ogni documento paleontologico o stratigrafico per avvalorare tale asserzione. Strati lacustri. — Gli strati in cui si sono trovati a Gravitei li i resti di mammiferi, impronte di pesci e di piante sono costi- tuiti da argilla tenace, poco terrosa, con qualche granulo di quarzo, abbondanti lamelle di mica, tracce di gesso anch’esso in lamelle informi e noduli di calcopirite e marcasite. Gli strati argillosi in parola sono dello spessore di un metro circa ed in numero di sei o sette alternanti con sabbie quarzose gialle o grigiastre, alquanto più potenti di spessore, nelle quali ultime non si sono sin ora rinvenuti fossili di sorta. I fossili di mammiferi sono piuttosto rari e sparsi senza alcun ordine o accumulo, tanto che la roccia mai prende l'aspetto di breccia ossifera come a Léberon e Pikermi. È probabile che in un centro non ancora messo a nudo o precedentemente denu- dato, esista o sia esistito un importante deposito di tali resti fossili, rappresentanti dei quali sono i pochi avanzi in esame che furono, come è da credere, sparsi nello spessore degli strati dall’azione dell’acqua durante la formazione del sedimento. Dei mammiferi non s’incontrano mai ossa lunghe intere, bensì le sole estremità di queste con altre parti dello scheletro varia- mente frantumate e stritolate probabilmente da carnivori come fu costatato in altre località; la corona dei denti è sovente intera e ben conservata, spesso però mancano le radici; su tali denti, in massima parte, ho basato la determinazione delle mie specie. Insieme a tali frammenti sono comuni i resti di corazza di due specie di Chelonii sin ora non studiati per mancanza di materiali sufficienti. Nel quadro seguente ho connato la serie delle poche specie raccolte c riconosciute a Graviteli ed ho segnato a lato quelle fra esse clic furono riscontrate a Samos ed a Pikermi, località omologhe più prossime a Messina, perchè se ne possa rilevare la coetaneità. SemnopithecusMonspessulanum Gerv.( '). Machairodus ogygia Kaup. sp. Machairodus ogygia Kaup sp. Machairodus ogygia Kaup sp. VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 131 > U o P3 et 0 © © d co X S . © © © te et > © èi th et © o Ph Q, G et « © .© © © CQ © © © S »3 © CO .© 3 > © 0 d X s-/ ré G erv. et 0 O s 3 £ .© o © e Ss ■M .gì 'S s X © -*H> o Ph CO et Ph CO S © © -S co co II .g ° § et M © © et o W CQ § o co fc. § © © co se © © co © et CS © CO o #G *x et O © © è © g e i.i ,§S i * o .§< a tei .2 ^ co rZ .5 et © a © ’x e •e e © S 53 | « ^ XJ .Ss O ^ G , — . *2 H et © o tìq et et ^ G © > © G B et © O © © a, a CO X et et X x t© © 6* a (3) Questa specie è indicata dal Wacek (75 pag. 6) come rinvenuta nei giacimenti austriaci sincroni a quello di Pikermi. 132 L. SEQUENZA FU G. Credo superflua qualunque ulteriore argomentazione per pro- vare che la fauna mammologica raccolta nei giacimenti di Mes- sina è eguale a quella di Sarnos e Pikermi e quindi di tutte le località riferite allo stesso orizonte; più avanti citerò tutti i dati possibili per la esatta identificazione delle specie e le figure che meglio di ogni descrizione potranno avvalorare il mio as- serto. Alla ‘serie di sabbie alternanti con argille a fauna mammo- logica, succedono strati marnoso-argillosi e sovente anche sab- biosi con lenti e letti della cosi detta lignite. Si tratta in vero in alcuni letti, deH’accumulo di tronchi d'albero quasi mai com- pletamente carbonizzati ed in altri dell’ammasso di foglie addos- sate le une alle altre e fortemente compresse tanto da renderne quasi impossibile la determinazione. Tale materiale è stato sempre ritenuto inadatto all’industria per la sua poca potenzialità calorifera e per la mancanza di giacimenti continui e rilevanti. Nello strato a ligniti s‘ interpone uno strato di argille più o meno schistose e terrose in cui si trovano numerosissimi oper- coli e qualche rarissima conchiglia intera ritenuta di Pa- ludi na. La forma di detti opercoli ricorda esattamente i caratteri e le dimensioni di quelli descritti ed illustrati dal Capellini (9, pag. 49, tav. IX, fig. 22) col nome di Bythinia sp. e rin- venuti nel calcare e marna a Melanopsis Bartolini della To- scana. Rivoltomi alla nota cortesia del sig. marchese di Montero- sato per avere la sua opinione circa l’opercolo in parola, egli m’inviò alcuni esemplari di Bythinia tentaculata Lin. sp. rac- colti vivi nelle vasche della Villa reale di Monza. Dal confronto risulta che gli opercoli corrispondono esatta- mente a quelli fossili di Gravitelli, e che la conchiglia ha scul- tura microscopica eguale a quella dei rari frammenti fossili di Gravitelli; cosicché sono quasi certo che trattasi della specie predetta la quale del resto non può darci alcuna deduzione stratigrafica essendo apparsa nel Miocene ed avendo persistito sino ai nostri giorni. VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 133 In alcuni straterelli insieme al detto opercolo si raccoglie la conchiglia intera di altro mollusco palustre che credo possa rife- rirsi a Paludestrina. Anche frequentemente vi si trova un ostra- coclo ben noto, il Cypris faba Desm., specie comune della zona a Congerie. Sciolta l’argilla nell’acqua e sottoposta all’osservazione micro- scopica, rivelansi numerosi frammenti di Biatomacee. Chiamato a visitare un trovante di lignite in contrada Sofìa presso S. Pier Niceto sul versante tirreno dei colli Peloritani, vi ho potuto osservare la seguente serie dal basso in alto: 1° Sabbie ed arenarie quarzose giallicce sincrone dell’ar- gilla e sabbia alternanti di contrada Gravitelli, per avervi tro- vato un frammento di mascella d ’ Hippopotamus della medesima specie di quello i cui resti furono raccolti a Gravitelli. 2° Lignite terrosa in cui poco o nulla vedesi della forma e tessuto primitivo delle piante più per la macerazione che per carbonizzazione. 3° Tripoli bianco farinoso a Biatomacee e Radiolarie. 4° Lignite come sopra alquanto più terrosa. 5° Tripoli bruno alquanto argilloso e meno ricco di fossili. 6° Argilla grigio-bruna tenace con numerosissimi esem- plari di un Planorbis fragilissimo e quindi di difficile estra- zione e determinazione. Argille marine. — In contrada Gravitelli, sopra la detta serie di strati lacustri poggia in concordanza, prima un lieve strato di molasse che è ben arduo potere distinguere se lacustre o marine per l’assoluta mancanza di fossili, ed al di sopra uno strato rilevante di argille grigio-azzurre, poco terrose o micacee che per la loro fauna furono riferite a sedimento marino. In esse furono rinvenuti i resti di Heterocetus menzionati dal Capellini (8, pag. 15 e seg.). In questa memoria è riportata una lettera di G. Seguenza all’autore nella quale è esplici- tamente dichiarato che i resti in parola provengono da giaci- mento mio-pliocenico ; ed io non so spiegarmi perchè il G. Se- guenza predetto dopo avere esattamente determinato la posizione stratigrafica di queste argille marine come dimostra la lettera 134 L. .SEQUENZA FU G. riportata dal Capellini, sia poi tornato a riferirle al Tortoniano nella sua memoria posteriore del 1884 (70). Nelle argille predette si raccolsero inoltre i denti di tre specie di squali variamente riportate da diversi autori e da me attribuiti alle specie seguenti (71, pag. 27): Oxyrlùna Spallanmnii Bon. » hastalis Ag. Odontaspis cuspidata Ag. sp. Insieme ai predetti vertebrati abbonda una forma di Nassa semistriata Br., unita ad altri molluschi, a qualche cirripedo ed a non rari esemplari di Brissopsis. Sottoposte le argille al lavaggio, vi si incontra infine una importante fauna di foraminifere con qualche radiolario, che richiedono uno studio lungo e paziente, e non certo confacien- tesi allo scopo di questa memoria (’). Credo interessante di rivedere qui la fauna di molluschi, cirripedi e pesci riscontrata in questo strato. Quanto alle deter- minazioni, salvo qualche lieve modificazione da me creduta indi- spensabile, manterrò quelle date dal prof. G. Seguenza; quanto al materiale, pur avvalendomi di quello raccolto dal medesimo, ho creduto opportuno di procurarmene io stesso nelle numerose escursioni alla località predetta, per meglio accertarmi della loro provenienza. All’indice delle specie aggiungo la loro distribuzione strati- grafica che mi servirà in seguito per trarne utili deduzioni : (') Da tempo raccolgo il ricchissimo materiale per una monografia sulle Foraminifere fossili di Messina : in essa avrò occasione di dar conto di questa importante fauna microscopica. VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 135 Specie fossili delle argille marine di Graviteli!. Miocene sup. (Tortoniano) PUÒ supe- riore CENE infe- riore Quaternario Viventi Ostrea cochlear Poli (non 0. digitalina) . -1- Amussium cristatum Br. sp -4- » duodecim lamellatum Gold. sp. 4- Arca neglecta Mieli. (’) -1- -4- -4- -4- » diluvii Lk -4- -4- -4- Yoldia Philipp i Bell — -4- -4- -4- Cardila rudista Lk “f— f— Lucina spinifera Mtg -4- -4“ -4— -4- Venus multilamella Lk "4“ “4 — -4- 1 Circe minima Mtg -4- -4- -4- -4- Cytherea rudis Poli —f— -4- -4- Cor buia gibbo Olivi -4- -4- ■4— -4- -4" Thracia praetenuis Pult -4- -4- -4- -4- Pandora inaequiralvis L H- -4- ■4" Dentalium aprinum L -4- Turritella Archimedis (non turris) (2). . -4- » Biepeli ? { 3) Natica josephinia Risso •4" “4- » lielicina Br -4— -4— » sordida Sw. (4) -4- -4* *4- » millepunctata L -4- -4- "4- » tigrina Lk - . -4- -4- (') Hòrnes {Die fossile n Mollusken des Beckens von Wien, 1870, voi. II, pag. 333) mette questa specie in sinonimia con A. diluvii. (2) È una piccola varietà di T. Archimedis non certo T. turris. (3) Questa specie non é accertata; possiedo cattivi frammenti che a mio parere si allontanano da T. Biepeli. (Q II Jeffreys ( Britisli conchology, London 1807, voi. IV, p. 220) la ritiene sinonimo di N. plumbea Lk., specie vivente non europea (da non confondersi con N. sordida Ph.). 136 L. SEGUENZA FU G. Miocene sup. (Tortoniano) PLIOCENE infe supe- riore riore Quaternario | 1 C » > Chenopus Uttingeri Risso sp. (') . . . -4- — 1 — Nassa incrassata Duj -4- -4- » emiliana May. (non prismatica) . -- - » semistriata Br -t- -4- -+- Columbetta subulata Bell -+- Dolichotoma cataphracta Br — r- Baphitoma liarpula Br — --4- » monile Br -4- Coronala bifida Bron -4- —4— H- Scalpellum volgare Leach Odontaspis cuspidata Ag. sp HH -4- -4- Oxyrhina hastalis Ag -4- » Spaliamomi Bon - -4- — 16 33 1 25 20 20 Faccio rilevare che ho modificato le denominazioni di (). digi- talina data ad alcuni frammenti per me riferibili ad 0. co- chlear, N. prismatica in N. emiliana , T. turris in T. Archimcdis. Quanto alla Ancillaria obsoleta non potei rinvenirne alcun esem- plare a Gravitelli, sebbene qualcuno esista nella collezione di G. Sequenza; nel dubbio sulla provenienza ho creduto bene di non tenerne conto. Le specie in discussione, esclusa T. Rieppeli, sono 34, di cui 1(3 si sono riscontrate in giacimenti tortoniani; però, di queste 16 specie, 10 persistettero per i varii periodi successivi e vivono tuttora, 2 persistettero sino al pliocene superiore, e 4 sono comuni col pliocene inferiore. Computando per ogni piano la percentuale delle specie, ab- biamo il 99 % di specie del pliocene inferiore, il 75 % di specie (') LTIornes ( ìoc . cit., voi. I, p. 134,) inette questa specie in sino- nimia con Ch. pes-pelecani. VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 137 del pliocene superiore, il 60 °/0 di specie quaternarie e tuttora viventi, mentre che solo il 48 % è di specie mioceniche, delle quali i due terzi persistettero sino all’epoca attuale. Dato che non conoscessimo la posizione stratigrafica di queste argille come quelle che sovrastano in concordanza a strati con fauna mammologica pontica, la percentuale di forme del plio- cene inferiore ce le farebbe attribuire più a questo piano che al tortoniano, di cui non incontriamo alcuna forma tipica. Una confusione è sorta a causa di numerose affinità litolo- giche fra argille e molasse marine e lacustri del pontico con le sottostanti molasse ed argille marine del tortoniano tipico della prov. di Messina; infatti a S. Pier Niceto, a Rometta ed in varie altre località ove è connato l’affioramento tortoniano con Cardita Jouanneti sia dagli autori che dalle carte geolo- giche, io ho potuto constatare che questo sottostà alle argille con lignite e alle molasse lacustri sin ora sconosciute e quindi peranco studiate, cosa che io mi proverò di fare, appena avrò riunito il materiale ed i dati necessarii. Da ciò ne venne che la fauna degli uni e degli altri strati fu confusamente riunita ed attribuita al tortoniano per le specie tipiche di questo che si rinvennero e furono frammischiate alla fauna di argille marine soprastanti alle lacustri, cioè a dire alle argille della zona in parola. E cosi avvenne che le dette argille di Gravitelli furono, come le altre, riunite al Tortoniano mentre che, sia per la posi- zione come per la fauna vanno assegnate ad epoca più recente. Tripoli. — Le marne fogliettate silicee, comunemente intese col nome di Tripoli, sono estese nella nostra provincia più di quanto si possa credere a prima vista; infatti, oltre gl’interes- santi giacimenti di Spadafora e Condro che hanno una rilevante potenza, numerosi affioramenti s’incontrano a Giardini, Zaffaria, Salice, Fondaco nuovo, S. Lucia, Barcellona ed in varie altre località minori. Un carattere degnissimo di nota è il seguente : in mezzo ai radiolarii ed alle diatomacee che constituiscono quasi per intero questa roccia, non è raro incontrare foraminifere ; più ricchi di tali resti sono i giacimenti di Spadafora, dei quali, stemprando nell’acqua un campione di pochi centimetri cubi, ho potuto trarre 138 L. SEGUENZA FU G. un tubetto di foraminifere galleggianti; nei tr ipoli di Condro che sono forse i più puri di parti terrose o argillose, le fora- minifere sono alquanto meno frequenti, ma non mancano mai. Altro fatto da constatare è che ove le foraminifere abbon- dano diminuiscono in massimo grado diatomacee e radiolari e viceversa. Sulla fauna e flora del tripodi di Messina fece qualche breve studio il prof. L. Nicotra (54) che diede l’elenco di poche specie di diatomee e radioìarie rinvenutevi. A Gravitei li essi soprastanno alle argille con fauna marina predette e sono alquanto micacei ; contengono una interessante serie del genere Coscinodiscus degna di speciale studio. Il tripoli tanto in Sicilia quanto in Calabria, come afferma anche il Cortese (15, pag. 147), poggia d’ordinario in discordanza sopra al tortoniano o a terreni più antichi mentre sottosta in concordanza alla formazione gessosa e zolfifera. Tale sua giacitura lo fece ascrivere al Sarmaziano contri- buendovi la presenza di qualche pesce creduto esclusivamente sarmaziano. Però la posizione che il tripoli occupa nel messinese e che io ho avuto la fortuna d’identificare, lo mette al suo vero posto ove del resto da tempo lo avea piazzato il Lapparent (44, pag. 1545 e seg.) il quale al capitolo Viano politico dice che ad esso deb- bano riferirsi i Tripoli siciliani e calabresi non che quelli della Toscana. Quanto all’essenza stessa del Tripoli , se debba, cioè, o no riferirsi a sedimento marino, la presenza di Foraminifere (Glo- bigerinae ecc.) che ad opinione generale sono animali esclusi- vamente marini, esaurisce almeno per i giacimenti di Sicilia qualsiasi controversia in proposito. La presenza di tali resti marini venne teste fatta conoscere per la zona zolfifera siciliana dall’ ing. Stella in una sua inte- ressantissima nota preliminare (73). In essa l’A. ricordati i fos*- sili sin ora noti di tale zona, comunica di avere scoperto nel minerale utile (zolfo) e nella ganga che lo racchiude, numerosi fòssili microscopici appartenenti in predominanza a Foramini-' feto ed in minor numero a Radioìarie e Diatomee il che esclude la condizione, ritenuta indispensabile, per la formazione degli VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 139 ammassi di gesso e zolfo, della esistenza di lacune di acqua dolce o di estuarii lievemente salmastri, essendo, come dissi, le foraminifere abitanti del mare, o più raramente, di stagni littoranei salati. Strati a gesso. — In contrada Gravitoni manca il caratte- ristico minerale e solo si osserva fra gli schisti fogliettati pre- cedentemente descritti ed il pliocene immediatamente soprastante, alcuni straterelli poco potenti di sabbie argillose includenti qual- che lamella di gesso assai sottile. Però avendo desiderio di trovare nei dintorni della località in esame qualche ammasso rilevante di gesso che potesse stare in relazione con gli strati della valle Gravitelli, fui fortunato di riscontrare in un vigneto di contrada Bianco varie rilevanti concrezioni di gesso. Tale località giace sul versante opposto delle colline di sud-ovest della valle Gravitelli, cosicché è facile arguire che le arenarie argillose racchiudenti concrezioni di gesso in contrada Bianco sono la continuazione di quelle sabbie argil- lose che sul versante opposto delle colline, cioè a Gravitelli, affiorano tra il triboli ed il pliocene e quindi confermano la posizione della zona a gessi già esattamente riconosciuta in nu- merose località della provincia come quella che sta fra i tri- poli ed il pliocene. Giace su tale zona un calcare rossiccio alquanto compatto e duro che rappresenta la zona con minerale utile della serie zolfifera nel messinese, ed è sempre sterile. Assodato che la zona gessifera, con i calcari che l’accom- pagnano, formano l’ultimo strato nella serie descritta, credo utile ricordare gli strati che sovrastano ad essa e che appartengono al pliocene ed al quaternario. Serie pliocenica. — La identificazione degli strati di cui cen- nerò in seguito è stata fatta in base alla ricca fauna raccoltavi e confermata da illustri naturalisti e quindi superfluo che io la riesamini, solo cennerò sommariamente le varie zone, che s incon- trano a Gravitelli : 1° Calcare marnoso con numerosi Gir ripedi, Brachiopodi e Coralli , fra questi ultimi numerosi articoli del genere Isis, in- sieme a molluschi. Tale roccia in aldini punti è quasi per intero costituita dai Corali t. 140 L. SEGUENZA FU G. 2° Marna passante a sabbia con la quale si alterna; rile- vante strato che racchiude una importante fauna di Foramini- fere fra le quali predominano i generi Orbulina e Globigerina dando il vero tipo della fauna abissale. 3° Calcare concrezionato giallognolo senza fossili. 4° Sabbie quarzose passanti a sabbie cementate; questo strato racchiude una fauna di molluschi appartenenti quasi per intero a specie vivente, salvo qualche rara forma estinta; in mezzo alle specie mediterranee s’ incontra qualche specie nor- dica. Insieme ai molluschi s’ incontrano numerose otoliti di pesci e piccoli echini appartenenti anch’essi a specie viventi medi- terranee. Dall’assieme di questa fauna si arguisce facilmente trattarsi, per quest’ultima zona, del piano siciliano , secondo alcuni plio- cene superiore, secondo altri quaternario inferiore. Conviene infine ricordare che le prime tre zone sono con- cordanti fra loro e con la sottostante formazione gessifera tutte insieme inclinate verso ovest, mentre l’ultima zona è quasi ori- zontale e quindi discordante con le sottostanti. Da quanto ho detto sin qui e dalla descrizione delle specie fatta in altra parte di questo lavoro, risulta chiaro che la zona fossilifera più bassa della serie di Gravitelli racchiudente resti di mammiferi, ha fauna eguale ai giacimenti prossimi di Pikermi, Samos, Casino e a quelli più lontani di Conciul, Mt. Léberon, Baltavar, Maragha con qualche specie di Sivalik. Si è discusso dai varii autori che si sono occupati di tali giacimenti, se essi pur avendo fauna eguale, debbano ritenersi sincroni fra loro oppure formazioni omologhe costituitesi succes- sivamente in rapporto alla trasmigrazione della specie, avuto riguardo alla enorme distanza che separa i due giacimenti estremi cioè Concud nella Spagna e Maragha in Persia, e si è concluso accettando quasi generalmente l’ ultima di queste due ipotesi come del resto si ritiene oggi per molte formazioni omologhe affioranti a rilevanti distanze. VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 141 Tale teoria però se è applicabile per i giacimenti estremi di questa zona mammologica, non è esattamente applicabile al caso nostro per i rapporti di coetaneità che passano fra il giacimento di Messina e quelli di Pikermi e Samos e ciò per due ragioni : l’una per la distanza relativamente breve fra i tre giacimenti predetti, l’altra per la fauna che li popola formata in massima parte da ungulati migratori che in breve tempo percorrono distanze rilevanti come si constata nei loro discen- denti d’oggi; ed infatti le specie appartenenti a questo gruppo nel giacimento di Messina sono comuni a quelli di Samos e di Maragha, come sono pure comuni le specie di carnivori che segui- vano come è naturale la emigrazione delle Gazelle e delle An- tilopi colle quali facilmente avevano di che nutrirsi, mentre dif- ferisce qualche specie di pachiderme stazionario il quale sia per le sue abitudini come per le sue mosse assai lente, gran tempo richiedeva per trasmigrare. Per tali ragioni io credo che debbano tutti e tre giacimenti ritenersi oltre che omologhi, sincroni, accordando tutt’al più una lieve anzianità a quelli di Pikermi e Samos. Credo, in oltre, sia la prima volta che lo strato a mammi- feri pontici si rinvenga interposto fra strati che confermino viem- meglio l’età politica di esso. Ed essendo la serie di Gravitelli terminata, al di sotto del pliocene, dagli strati a gesso aneti’ essi ritenuti pontici, perchè sincroni della zona zolfo-gessifera e della zona a Congerie, tutti gli strati da essa serie racchiusi dovranno attribuirsi al pontico e quindi tali debbono ritenersi gli strati lacustri con lignite, le argille marine a N. semistriata ed i Tripoli. Cosicché la serie in esame resta così suddivisa: 142 L. SEQUENZA FU G. Miocene (Tortoniano) ? Molasse ecl argille ) Conglomerato di ciottoli cristallini \ seniia 0881 *' Argille e sabbie lacustri alternanti, con fauna mammo- logica, impronte di foglie e pesci. Marna schistosa lacustre con opercoli di Bythinia, sab- bie ed argille con lenti di lignite e Cypris faba. Prepliocene (Pontico) Argille marine con Nassa semistriata, Brissopsis, denti di squalo, Heterocetus e forami nifere. Marne fogliettate silicee (Tripoli) con foraminifere . ra- diolarie e diatomee. Argille, sabbie o marne con ammassi di gesso. Calcare silicico senza zolfo. Pliocene Calcare con Brachiopodi, Cirripedi, Coralli. Marne alterne a sabbie con foraminifere. Calcare coralligeno. Quaternario Sabbie littorali con fauna uguale alla vivente. Sabbie e ciottoli quarzosi. Alluvione recente. Passando alle conclusioni che si possono trarre dalla po- sizione delle singole zone intercluse fra zone sicuramente poli- tiche otteniamo i seguenti risultati. Quanto alle argille marine è interessante riscontrarle inter- poste fra strati caratteristicamente politici, perchè ciò ci mette in grado di conoscere con esattezza la fauna marina della re- gione mediterranea quasi contemporanea alla fauna mammolo- gica dell’orizzonte di Pikermi. Infatti a mio credere i calcari marnosi con abbondanti esemplari di Nassa semistriata e IJris- sopsis del Vizziuese e del Licodiano (provincia di Catania) rinvenuti dal Calici (7, pag. 41 e 42) che soprastanno alle marne con fauna tortoniana tipica e sottostanno in concordanza agli strati a gesso, debbono ritenersi coetanee a questo lembo di Mes- VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 143 sina sia per la loro posizione sotto i gessi e sopra al Tortoniano, sia per la caratteristica abbondanza della N. semistriata e la presenza di qualche frequente esemplare di Brissopsis; e man- cando ivi la zona lacustre sottostante è da arguire che tali calcari marnosi a Nassa rappresentino, nel catanese, il termine collaterale delle argille lacustri e delle argille marine del mes- sinese, e quindi tanto gli uni che le altre dovranno attri- buirsi al Pontico e non al Tortoniano che, rappresentato tipica- mente nella provincia di Catania (Licodia e Vizzini), sottosta al calcare marnoso in parola. Non è improbabile che uno studio accurato dei varii lembi del Miocene italiano faccia riconoscere nelle zone più alte un ter- mine collaterale delle argille a mammiferi dell’orizzonte di Pi- kermi e delle argille marine a N. semistriata che perciò dovrà riunirsi al Pontico e non al Tortoniano. Quanto ai tripoli, viene esclusa l’ ipotesi che essi si for- marono in paludi o estuari i con acqua dolce o leggermente sal- mastra stante la presenza di Foraminifere a guscio calcareo abitanti esclusivamente in acque salate. D’altro canto viene meglio affermata la loro età incontrandosi interposti fra strati pontici, come a Gravitelli ove la loro posizione è nettamente definita mentre nelle altre località, pur sottostando in concor- danza alla formazione gessosa della quale formano sempre la base in Sicilia e Calabria, poggiano in discordanza su terreni assai più antichi ed è difficile arguirne l’età dalla sola posizione, cosa che riesce agevole e chiara in contrada Gravitelli e nella prossima contrada Scoppo. Altra utile deduzione dà la posizione di tripoli e gessi i (piali sono a ragione ritenuti sincroni dei tripoli , gessi e zolfi del centro dell’isola; trovandosi tali zone in alto della serie in esame, non debbono ritenersi quali termini collaterali della zona mammologica, come si credeva generalmente, ma più recenti e ad essa soprastanti, tanto più se si ha riguardo che la mede- sima zona a Gravitelli è rappresentata da fauna che può rite- nersi come intermedia fra quella di Pikermi e quella del Casino. Viene qui acconcio constatare gli abbassamenti e solleva- menti avveratisi nella nostra regione dal principio del pontico 144 L. SEGUENZA FU G. iu poi; in ciò ci è d’aiuto l’esame delle faune plioceniche so- prastanti al politico stesso. Lungo la costa jonia della nostra provincia si allineano due serie di colline parallele alla catena peloritana ed alla spiag- gia; esse sono costituite da arenaria ed argille su cui poggiano i conglomerati di ciottoli di cui ho fatto cenno altrove. Tali con- glomerati formano due anticlinali al vertice delle due barriere di colline ed una sinclinale fra esse esistente. Queste rocce, ritenute base del tortoniano Messinese, sebbene manchino, a mio credere, documenti sufficienti per definirlo tale, furono spinte in alto a formare le due barriere di colline predette prima che s’iniziasse l’èra pontica, e successivamente nella sinclinale esi- stente fra esse si accumularono tutte le formazioni posteriori. A Gravitelli tale sinclinale servì di ristagno alle acque sor- give e piovane che davano vita a brevi corsi d’acqua lungo le pendici circostanti, e quindi si formò una palude con fondo melmoso o sabbioso a seconda della velocità e quantità di acque che vi si immettevano ; il periodo melmoso rappresenta massima calma e perciò vi poterono lasciare ben conservate la loro im- pronta foglie e frutti della lussureggiante foresta circostante, mentre i numerosi animali che vi accorrevano per dissetarsi e vi facevano vita sedentanea, vi lasciarono i loro resti. Però la soprastante fauna di molluschi marini, foraminifere, echinodermi e squali ci avverte che ben presto l’incanto sparve ed il mare invadendo, per l’abbassamento generale, tutta la regione, tornò ad infrangersi contro le cime della catena pelo- ritana ridiventati aridi scogli. E dubbioso ed arduo il volere stabilire a quali profondità si formarono i triboli ed i depositi gessiferi, però le assise plio- ceniche sovrastanti ci indicano che l’abbassamento continuò salvo eccezionali oscillazioni ed arresti. Infatti il primo strato pliocenico di Gravitelli racchiude fauna a Polipai a cui si sovrappone la zona con fauna abissale rap- presentata esattamente dalle marne e sabbie a foraminifere le quali accennano probabilmente alla massima profondità attinta nelle nostre regioni dal fondo del mare pliocenico. Siegue a questo massimo punto di abbassamento il risolle- varsi del fondo marino ed in fatti Io si può seguire in contrada VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 145 Scoppo limitrofa a Gravitei li, ove sopra le marne a forammifere poggia uno strato ricco a coralli che sovente sono l’esclusivo costituente della roccia come vere e proprie barriere coralline, e su esse uno strato calcareo ricco a JBracliiopodi, che formano zone batimetriche assai meno profonde della fauna a forami - nifere. Da ultimo a tutta la serie si sovrappone una sabbia quarzosa di spiaggia con fauna litorale identica alla tuttora vivente nel Mediterraneo con inclusavi qualche specie nordica e qualcuna estinta; tali sabbie come ho detto altrove appar- tengono all’ultimo piano del Pliocene secondo alcuni od al primo del Quaternario secondo altri. Certo che tali movimenti di sollevamento ed abbassamento non furono nè costanti, nè continui, nè uniformi, e ciò lo si arguisce dal fatto stesso che nella nostra regione il Pliocene presenta zone riconosciute sincrone con fauna batimetrica diffe- rentissima. Ultima deduzione delle mie osservazioni credo sia quella riguardante le relazioni che il Pontico ha con le formazioni antecedenti e seguenti se debba, cioè, riunirsi al Pliocene od al Miocene. Un fatto ovunque costatato si è che la serie del Piano pon- tico sta esattamente fra il Miocene superiore ( Tortoniano ) ed il Pliocene inferiore, quindi è inutile il volere discutere e pro- vare la sincronicità di esso con uno dei predetti piani come si cercò di fare dapprincipio, essendoché trovandosi il Pontico, come dissi, interposto fra essi è più antico delibino e più giovane dell’altro. Ciò nonpertanto sarà utile vedere con quale delle due epoche antecedente o seguente ha maggiori relazioni paleontologiche, per potere cosi ad essa riunirlo con un nome che, pur lascian- dolo autonomo, ricordi le affinità predette come si fece per l’In- fralias che pur essendo Lias è più antico del Lias inferiore e più recente del Trias superiore. Una voluminosa bibliografia c’è da percorrere per potersi fare un concetto delle disparate opinioni degli autori ; ricorderò sola- mente che il Gaudry riferisce il Pontico al Miocene superiore insieme al De Stefani ed a molti altri, mentre il Neumayr con 14 146 L. SEGUF.NZA FU G. un’altra falange di autori lo attribuirono al termine più antico- dei Pliocene. Il Renevier lo avvicina anch’esso al Pliocene col nome di Prepliocene, però incorre in un errore nel suo quadro dei pe- riodi (59); egli infatti mette come collaterale del pontico tipico {zona solfifera ) il pontico a mammiferi di Pikermi e delle loca- lità omologhe ed il calcare a Polipai ( zancleano in parte); io invece in contrada Gravitelli ho potuto constatare che gli strati a mammiferi sono più antichi della formazione solfifera quivi rappresentata dai gessi, mentre poi era ben noto che i calcari e le marne zancleane sovrastanno ovunque alla serie gessoso- solfifera. Le costatazioni che io ho potuto fare in rapporto alle rela- zioni paleontologiche che il piano pontico ha con i terreni fra i quali è interstratificato nel Messinese, sono le seguenti : 1° Nella provincia di Messina il pontico concorda con la soprastante formazione pliocenica, mentre poggia sempre in di- scordanza col Miocene. 2° Che la fauna mammologica in esso raccolta nel Mes- sinese confermando la presenza di alcuni generi, aumenta le relazioni col pliocene anziché col miocene in quantocliè troviamo per la prima volta la comparsa dei generi Gamella, Hippopo- tamns , Semnopithecus tuttora viventi, oltre ai generi Tragocerus , ed Ictitherium esclusivamente politici, ai generi Bhinoceros e Sus che pur essendo comparsi nel miocene vivono tuttora, al genere Mastodon che anch’esso continuò a vivere sino al qua- ternario. 3° La fauna di molluschi e squali delle argille marine dimostrate pontiche non contiene alcuna specie esclusivamente miocenica, mentre ha il 99 % di specie appartenenti al pliocene inferiore delle quali il 60% vivono tuttora. 4° La fauna e flora microscopica ( foraminifere e diato- nico) tanto delle argille predette che dei tripoli pur non essendo stata da me sottoposta a studio speciale completo mi ha rive- late numerose forme tuttora viventi ; infatti alcune foraminifere le ho io stesso riconosciute mentre delle diatomee ebbi informa- zione dall’ amico dott. Cocco, che ne fa scopo di studio spe- ciale, trattarsi di forme quasi tutte viventi ancora. VERTEBRATI POSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 147 Tali dati da me constatati nella serie pontica messinese sono, a mio credere, un interessante contributo per la pliocenicità del piano pontico e quindi per il nome di Prepliocene , proposto dal Renevier, da aggiudicarsi ad esso e che lo riunisce più al Pliocene che al Miocene. DESCRIZIONE DELLE SPECIE Semnopithecus moiispessulamini Gervais. Tav. V, fig. 26-36. 1848-52 Semnopithecus monspessulanum Gervais 33, t. 1, p. 6. 1855 » » Gieb. 37, p. 4, 1. 1, f. 6 a, b, 13 a, b, c. 1859 » » Gerv. 34, p. 10, t. I, f. 7-12. 1867-69 » » Gerv. 35, p. 148. 1872 » » Forsyth Major. 21. 1872 » » Cocchi. 12, p. 17. 1876 » » Fors. Maj. 22, p. 224, 229, 238. 1886 » » Pant. 56, p. 93. 1887 » » Schloss. 64, p. 17. 1890 » cfr. » Rist. 60, p. 193, t. Vili, f. 2-16. 1894 » » Zittel. 80, p. 713. Possiedo cinque denti. Un canino inferiore sinistro, robusto e completo con la ra- dice; esso è acuminato, appiattito ai lati e corroso profonda- mente dall’uso sul lato esterno; dal lato interno lo smalto si arresta più in alto che sulTesterno, formando un angolo rien- trante che corrisponde ad un solco longitudinale sulla radice. Le dimensioni sono le seguenti: altezza completa mm. 27 » della corona » 11.5 diametri alla base della corona » 6. 5X& Un primo e secondo premolare inferiori di sinistra alquanto piccoli, attaccati alla porzione di mascella corrispondente (t. V, fig. 38, 39, 40). 148 L. SEQUENZA FU G. Ili entrambi, come nel canino, lo smalto si arresta più in alto sul lato interno che sull’esterno; i due tubercoli interni di ciascuno di essi molari, sono più avvicinati che gli esterni, i quali sono visibilmente separati sino alla base dello smalto. Essi tubercoli stanno riuniti due a due da una cresta tra- sversale che termina in due spioventi a ino’ di tettoia ; il ver- tice di ogni tubercolo è smussato dall’uso, presentando un forel- lino circolare. Alle estremità a utero-posteriori della corona si osservano due placchette di rinforzo di cui solo la cresta è visibile mentre il resto va a confondersi collo smalto di tubercoli. La radice è divisa in due fìttoni appiattiti, nascosti negli alveoli e corrispondenti rispettivamente ad ogni paio di tuber- coli ; sulla faccia anteriore di ogni fìttone si osserva un solco più o meno appariscente. Le dimensioni sono le seguenti: p- m. 1 p. m. altezza della corona dal lato interno . . mm. 3 3.4 » » dal lato esterno . . » 4 5 massimo diametro antero-posteriore . . . . » 5.8 6 » » trasversale .... 4 5.9 altezza della mascella dal lato interno . . . » 14 » » dal lato esterno . . . » 13 È da rilevare che tali molari decrescono nel diametro tran- sversale procedendo dall’indietro in avanti. Essendosi casualmente rotto il frammento di mascella a cui tali premolari stanno attaccati, ho potuto scorgere nell’ interno di esso due premolari di rimpiazzo, sottostanti ai già descritti che quindi vengono con sicurezza, come era già mia opinione, aggiudicati alla prima dentizione o dentizione di latte. Un secondo molare superiore destro è alquanto più grande dei precedenti e presenta solo qualche frammento di radice (t. V, fìg. 29-30-31). Le sue dimensioni sono: altezza massima della corona, lato interno . . mm. 5 » » » lato esterno . . » 5. 5 massimo diametro antero-posteriore .... » 6. 8 » » trasversale » 5. 6 Un terzo molare inferiore destro che è eguale agli altri in tutti i suoi caratteri, ai quali si aggiunge un tallone posteriore VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 149 che a sua volta è segnato longitudinalmente da un solco che lo divide quasi in due cuspidi ; la radice ha la branca anteriore appiattita come negli altri molari, mentre che la posteriore è a sezione triangolare risultando di tre fittoni insieme saldati e cor- rispondenti rispettivamente ai due tubercoli posteriori ed al tal- lone (t. Y, fìg. 26-27-28). Eccone le misure: altezza massima della corona, lato interno .... mm. 5. 5 » » » lato esterno .... » 4. 5 diametro massimo antero-posteriore » 8. 5 » » trasversale » 5. 5 La massima altezza corrisponde al tubercolo anteriore interno ed il massimo diametro trasversale al paio di tubercoli ante- riori essendo, l’altezza ed il diametro trasversale, decrescenti in senso inverso del primo e secondo premolare e molare, cioè d’avanti in dietro. I denti in esame presentano maggiori affinità col Semnopi- theciis monspessulanum Gerv. rinvenuto nel pliocene inferiore presso Montpellier ed in seguito riscontrato nei giacimenti lacu- stri lignitiferi presso il Casino di Siena. In entrambi i giaci- menti, come del resto anche a Messina, tale specie è solo rap- presentata da pochi denti mentre non se ne conosce ancora l’in- tero scheletro. Fuvvi alquanta controversia circa all’ autonomia di questa specie assai affine al Mesopithecus di Pikermi ed il Gervais sta- bilisce in proposito varii caratteri differenziali fra le due specie, caratteri riportati e dottamente ampliati dal Ristori (60, p. 194 « e seg.). Ed io ho creduto dovere riferire all’ una anziché all’ altra specie i pochi resti in esame per avere riscontrato in essi i carat- teri voluti, cioè : la forma ben distinta del tallone o quinto tuber- colo neH’ultimo molare inferiore; per avere i tubercoli appaiati più simmetricamente ed i lati interno ed esterno della corona molto meno inclinati, anzi quasi perpendicolari, che non nel Meso- pithecus. Certo resta ben dubia la specie basata, come dissi, su pochi denti, ma, a mio credere, questi del messinese rispondono esat- 150 L. SEGUENZA FU G. tamente alla descrizione ed alle figure date dagli autori sotto il nome di Senmopithecus monspessulanum. Tale specie è nuova per la Sicilia ed io l’ho raccolta nelle argille lacustri di Gravitelli. Machairodus og.vgia Kaup. sp. Tav. V, fig. 22-25. 1832? Felis ogygia Kaup. 41, p. 21, t. II, f. 3. 1832? Machairodus parvulus Hensel. 30, p. 568. 1887 » orientai is Kittl. 43. 1888 » Schlosseri Weithof. 79, p. 233, t. XI, f. 1- 1894 » ogygia Zittel. 80, p. 679. Possiedo due denti riferibili a questa specie. Un primo mo- lare (dente ferino) inferiore di sinistra la cui corona è perfet- tamente conservata e della radice si ha solamente il frammento superiore dei due fittoni di cui è costituita; l’anteriore di essi e robusto e appiattito (mm. (3 X 12,5 all’attacco della corona) ed il posteriore molto più sottile e quasi cilindrico (mm. 5 X fi all’attacco della corona). La corona è divisa in due forti cuspidi, anteriore P una e posteriore l’altra, taglientissime nei lati che convergono al cen- tro; in questo punto i tagli si assottigliano formando sul lato interno un semi-imbuto corrispondente al forellino ovale che si osserva sul lato esterno, similissimo a quanto se ne vede nelle figure datene dai varii autori. Alla base anteriore della punta anteriore esterna sporge ben distinto ma assai breve il tuber- colo anteriore. Manca qualsiasi traccia di tubercolo interno (t. V, fig. 23-24-25). II margine inferiore dello smalto è tutt’ attorno lievemente inturgidato, e s’ inarca in basso verso il centro della faccia in- terna ed esterna ; la parte mediana della faccia esterna è levi- gata dall’uso tanto da rendere più affilati i due tagli conver- genti, il resto è lievemente rugoso, più sul lato esterno che sull’interno. Le dimensioni sono: larghezza massima antero-posteriore dalla base della corona mm. 17.2 » » trasversale » » » 7 distanza fra i due vertici » 12 altezza della punta anteriore dal margine dello smalto . . » 9. 2 VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 151 L’altro dente è un canino acuto, robusto e appiattito late- ralmente ; dal lato interno è fortemente corroso e tagliente. La radice è rotta (t. Y, fig. 22). Le sue dimensioni sono : altezza massima mm. 29 altezza della corona dal lato interno » 16 » » dal lato esterno . » 20 diametri alla base della corona , » io X 7 Questa specie, prima variamente determinata e quindi resti- tuita al primo nome specifico datole da Kaup, è sparsa in quasi tutti i giacimenti omologhi d’Europa quali quelli di Eppelsheim, Monte Léberon, Pikermi, Samos, Baltavar, Maragha, ecc. E specie nuova per l’ Italia. In Messina a Gravitelli raccolta nelle argille palustri. Ictitherium hipparionum Gaud. (sp. Ger.). Tav. Y, fig. 1-21. 1846 Hyaena hipparionum Gervais. 31, p. 248. 1850 » » Gervais. 33, p. 121, t. XII, f. 1 (non t. XXIV, f. 2-5). 1859 Palliyaena Gervais. 34, p. 242. 1862 Ictitherium hipparionum Gaudry. 25, p. 68, t. XII, f. 1, 2, 3. 1873 » » Gaudry. 26, p. 18, t. II, f. 7, 8, 9, 10. 1878 » » Gaudry. 28, p. 217, f. 286. 1888 » » Gaudry. 29, p. 120. 1894 » » Zitte l. 80, p. 664. Possiedo la dentatura quasi completa della mascella supe- riore di individuo molto adulto riferibile a questa specie. Tutti i denti sono isolati, e nella numerosa serie di fram- menti di ossa da me posseduti, nessuno credo possa riferirsi a questa specie. La corona di tutti i denti in esame è levigata, lievemente inturgidata al margine inferiore esterno e cinta da un collaretto lungo il margine interno ; lo smalto è color nero-ebano lucente. I denti da me posseduti sono i seguenti : Un incisivo che è certamente il primo ma non si può con certezza distinguere 152 L. SEQUENZA EU G. se di destra o di sinistra; esso è piccolo, arrotondato all’esterno ed interiormente corroso con collare semicircolare; la radice è fortemente appiattita (t. V, fig. 19). Il terzo incisivo di destra e di sinistra; essi sono arcuati e conici lievemente appiattiti, con cercine semicircolare alla base interna della corona; l’apice è smussato; la radice, che esiste solo nel destro, è robusta, lunga e poco appiattita con scanalatura dal lato interno (t. V, fig. 20-21). I canini hanno qualche affinità col terzo iucisivo ma sono assai più robusti, conico-appiattiti con due pieghe anteriore e posteriore alquanto taglienti ; il cercine appare adatto rudimen- tale nel punto ove lo smalto si arresta alquanto più in alto; l’apice è fortemente smussato ; la radice lunga, forte, subcilin- drica, manca dell’estremità nel canino di destra, manca affatto a quello di sinistra (tav. V, fig. 15-16). II primo premolare è rudimentale e somiglia molto agli in- cisivi mediani, a punta di scalpello e poco tagliente; possiedo solo quello di sinistra (tav. V, fig. 17-18). Il secondo e terzo premolare (destro e sinistro) sono egua- lissimi per la forma differendo fra loro solo per le dimensioni ; la corona è formata da un cono tronco tagliente longitudinal- mente ai due lati antero-posteriori ove si aggiungono due co- netti di rinforzo strettamente saldati al cono principale; il mar- gine inferiore è liscio dal lato esterno ed ornato da lieve rigon- fiamento al lato interno, tanto da una parte che dall’altra è bilobo. Lo smalto è lievemente rugoso; la radice è biloba sin dall’origine, la branca anteriore è triangolare alquanto più ro- busta della posteriore che è cilindrica; esse sono parallele fra loro e percorse da un profondo solco per tutta la lunghezza della faccia interna; sono quasi sempre mutilate (tav. V, fig. 3-8 e 13-18). 11 quarto premolare differisce radicalmente dagli altri; consta di un cono smussato breve e rinforzato da piccola placca, quindi da due punte taglienti più alte del precedente, la più interna poco più bassa è bifida; entrambe sono corrose fortemente dal- l’uso; in corrispondenza al cono anteriore sporge un tallone o tubercolo interno conico, quasi isolato; lo smalto è levigato per erosione, il margine inferiore esterno è liscio ed ondulato, fin- VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 153 terno è arcuato ed ornato da forte cercine tagliente. La radice è triloba : un lobo grande, largo e fortemente appiattito corri- sponde alle due punte taglienti; un altro assai più stretto e similmente appiattito corrisponde al cono anteriore; il terzo cor- risponde al tallone interno, anche questo fittone è appiattito ma in senso normale ai due primi ; tutti e tre sono percorsi dal lato interno da un solco longitudinale (tav. V, fig. 1-2 e 8-10). Manca il primo molare e la intiera dentatura inferiore. Ecco le dimensioni dei denti che possiedo: p. m. 4° p. m. 3° p. m. 2° can. altezza del dente intero . . mm. 35 33 27 altezza massima della corona. » 18 14 12 25 diametri massimi della corona » 1 1 X 3 1 ( 1 ) 13 X 22 diametri massimi del fittone 9 X li 11X15 maggiore della radice. . » 7 X 18 11 X 12 8 X 8 12X16 tallone interno, altezza . . » 9 » » diametri alla base. . . » 8 X 9 Gl’incisivi danno le seguenti misure : 1° ine. 3° ine. diametri alla base della corona mm. 7.5X4 9X1 altezza della corona » 7 13 Il confronto fatto tra questi denti e quelli di Pikermi e Léberon illustrati dal Gaudry conferma esattamente la mia opi- nione circa alla loro determinazione. Infatti, fatta astrazione dei canini e degli incisivi che sono comuni per caratteri a Hyaena ed Ictitherium, il secondo e terzo molare si distinguono esat- tamente come appartenenti a quest’ultimo genere per essere anziché a sezione circolare, a sezione ellittica molto allungata, il quarto premolare ( dente ferino ) è anch’esso ben tipico per la forma più appiattita ed il tallone interno ben sviluppato e forte: quanto poi alle dimensioni, sono per i denti omologhi di Icti- therium hipjoarionum, proporzionalmente più grandi di un mil- limetro o due dell’individuo adulto di Pikermi, che è il più grosso sin ora conosciuto, e da ciò io ho potuto arguire che si tratta di individuo molto adulto. (x) Questa misura è presa escluso il tallone interno. 154 L. SEGUENZA FU G. L’ Ictitherium lappa rianimi fu per la prima volta trovato in Francia dal Gervais e riferito al genere Hyaena col quale ha sufficienti relazioni; in seguito il Gaudry a Pikermi raccolse belli esemplari che gli permisero la restaurazione dell’ intero scheletro col nome che tuttora conserva. In seguito detta specie fu raccolta a Maragha, Monte Léberou, Samos. È nuova per l’Italia ed è stata da me rinvenuta nelle ar- gille lacustri di Gravitelli presso Messina. Gazella deperdita Gervais. Tav. VI, tìg. 23-25. 1847 Antilope deperdita Gervais. 82, p. 801. 1848 » capricornis Wagner. 77, p. 367, t. IV (XII), f. 6. 1848-52 » deperdita Gervais. 38, p. 78. 1854 » brevicornis Roth et Wagner. 61, p. 83, t. VII (XIII), f. 4 e 6. 1857 » 1859 » 1861 Gazella 1862-67 > 1873 » 1878 » 1894 > 1894 » brevicornis Wagner. 78, p. 156. deperdita Gervais. 34, p. 140, t. XII, f. 3-3 a. brevicornis Gaudry. 24 bis, p. 397, t. Vili, f. 6-8. brevicornis Gaudry. 25, p. 299, t. LVI, f. 2-4, t. LVII. deperdita Gaudry. 26, p. 57, t. XI e XII. brevicornis Gaudry. 28, p. 163, f. 219. brevicornis Zittel. 80, p. 418. deperdita Zitteu. SO, p. 418. Nelle argille della stessa zona è stata rinvenuta, in varii fram- menti, la parte superiore di un cranio riferibile a questa specie ; di esso si conservano le due corna col loro attacco sul cranio, un pezzo di parietale e di frontale ; alla base del corno destro si osserva la parte superiore dell’arcata orbitale assai somi- gliante alla figura datane dal Gaudry (26, pag. 57, tav. XI, fig. 1), per essere molto larga e situata più indietro dell’attacco del corno. TI corno sinistro è completo meno l’apice che manca; esso, come il destro, è a sezione ovale, poco inarcato indietro e fibroso longitudinalmente. VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 155 Eccone le dimensioni : diametri alla base mm. 26 X 34 diametri all’altezza della seconda frattura. . . * 19 X 26 altezza del frammento » 111 presumibile altezza completa » 145? Come si vede oltre alla forma anche le dimensioni corri- spondono con quelle date dal Gaudry per Gazella deperdita. Tale specie tanto comune a Pikermi, Léberon, Vienna, Samos, è qui rappresentata da questo solo frammento. E per ciò che io facevo rilevare nella prima parte di questo lavoro che il centro ossifero del giacimento Messinese o fu denu- dato o deve essere ancora messo a nudo, non essendo ammis- sibile che di un genere appartenente ad animali che vivono sempre in greggi numerose, si abbia a rinvenire i resti di un individuo isolato. Anche questa specie è nuova per l’ Italia, ed è stata rac- colta nelle argille lacustri della detta località di Graviteli i presso Messina. Antilope sp. Tav. VI, fig. 26-35. Fu rinvenuta la metà destra della mascella inferiore di un ruminante con infissivi cinque denti nel l’ordine in cui vado a descriverli, e strettamente uniti da non dar luogo a dubbio circa all’esistenza di alcuna lacuna tra loro essendo perfettamente con- secutivi l’uuo all’altro, come si può anche constatare nell’im- pronta da loro lasciata nell’argilla essendo la mascella andata in frantumi impalpabili appena estratta dalla roccia lasciando i denti isolati come si osserva a tavola VI. Il secondo molare consta di quattro lamine sottili; quella del lato interno è piegata in sezione di W mentre l’esterna è leggermente gibbosa, in due pieghe che corrispondono ai vertici dei due lobi; le lamine mediane sieguono l’andamento delle esterne ed i vuoti che restano tra esse sono ripieni di cemento bruno ; i lati della lamina esterna sono ornati e constituiti dal- l’incontro di questa con la lamina interna che si accartocciano 156 L. SEGUENZA FU G. insieme; altro pilastro si trova in alto fra i due lobi dal lato esterno, mentre nel vano fra i lobi dal lato interno s’incontra un ben distinto pilastrino basale interno che si addossa al lobo anteriore (tav. VI, fig. 34-35). Il primo molare è esattamente uguale al secondo, solo ne differisce per essere più piccolo, per avere i lobi più obliqua- mente addossati fra loro, e per una piega verticale sporgente a ino’ di pilastro sull’angolo anteriore interno del lobo anteriore Il quarto premolare partecipa in parte della forma dei mo- lari ; è formato di tre lobi a sezione di V di cui il mediano ha una cuspide con due pieghe mentre i due lobi laterali hanno una sola piega per ciascuno dal lato esterno. Nei due vani interni si osservano due pilastrini basali interni ben sviluppati ed addos- sati al lobo mediano (tav. VI, fig. 30-31). Il terzo premolare ha le varie lamine strettamente saldate più verso l’estremità anteriore che è quasi tagliente che verso l’estremità posteriore, e si presenta in forma di cuspide trian- golare con pieghe sulla faccia esterna (tav. VI, fig. 28-29). Il secondo premolare ancora esso triangolare è minutissimo e presenta due pieghe laterali divergenti sulla faccia esterna (tav. VI, fig. 20-27). Data l’esiguità di quest’ultimo dente io stento a credere che nella dentizione di questa specie esistesse un vero primo premo- lare nella dentizione di latte come la presente. Tanto i molari che i premolari sono provvisti di radice a due fittoni cilindrici come nel 2° e 1° molare e nel 4° premo- lare, a sezione ellittica come nel 3° e 2° premolare: di esse ra- dici si conserva un frammento nel 1° molare, due nel 4° e nel 2° premolare. Le dimensioni sono le seguenti : (tav. VI, fig. 32-33). 2n m. altezza massima della corona, lato esterno mm. 8 3. 5 3. 5 3 altezza massima della corona, lato interno » 7. 5 5. 5 3. 5 3. 5 3 » 2 spessore massimo alla base. spessore alla base del lobo anteriore A VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 157 2° m. 1° tu. 4° p. m. 3° p. m. 2° p. m spessore alla base del lobo posteriore ,5.5 5 3.5 2.5 lunghezza alla base della co- rona, lato esterno . . . » 6.5 6.5 8 6 4.5 lunghezza all’apice della co- rona, lato esterno . . . » 8.5 7.5 9 spessore del lobo anteriore all’apice » 3.5 3.5 3 spessore del lobo posteriore all’apice » 4 4 4 altezza del pilastrino inter. (‘) » 3.3 3 2 lunghezza del fittone ante- riore della radice . . . » 9 6 6 diametri del fittone anteriore » 1.5 X 3.5 2.5 X 2.5 2.5X3 diametri del fittone posteriore. » 2.5X3 È fuor di dubbio che si tratti di un’Antilope ma è impos- sibile stabilirne la specie avendo da fare con la dentatura di latte. Un fatto assai strano si è che con molta probabilità questa specie era provvista di tre soli premolari anziché di quattro come osservasi nelle Antilopi, e quindi i denti che io riferisco al 4°, 3° e 2° premolare dovranno essere riferiti al 3°, 2° e 1° premolare stante che quest’ultimo è assai rudimentale da potere pretendere vi fosse un dente ad esso precedente, mentre d’altro canto è certo che i tre premolari erano assolutamente successivi ed intimamente addossati al 1° molare. La presenza di questa specie a Gravitelli, ove fu raccolta, non cambia per nulla le deduzioni da me tratte per mezzo delle altre specie di questa località, essendo il genere Antilope ap- parso nel miocene e continuato negli altri periodi successivi. Tragocerus sp. Tav. VI, fig. 17-22. Possiedo un astragalo sinistro col corrispondente frammento inferiore di tibia che si articola con esso; entrambi provengono da Gravitelli. (*) (*) Pel 4° premolare la misura é eguale per entrambi i pilastrini interni 158 L. SEQUENZA FU G. L’astragalo è appena scheggiato da un lato ed ha molta somiglianza eon quelli di cui dà la descrizione e la figura il Vacek (76, pag. [15] 183, tav. VII. fig. 6), trovati nel giaci- mento di Eichkogel e che l’autore menziona col nome di Tra- gocerus. Egli basa assai giustamente tale determinazione sul l’astra- galo illustrato dal Gaudry (25, pag. 280, tav. L, fig. 10) col nome di Tragocerus amalthaeus e proveniente dal giacimento classico di Pikermi. La estremità inferiore di tibia è intera meno la sporgenza che va a combaciare con la fossetta mediana dell’astragalo, la quale è rotta come si può vedere dalle figure 17-19, tavola vi; il malleolo interno è intero e prominente, e combacia esatta- mente con l’astragalo ; la superficie articolare resta assettata per- fettamente su quella di quest’ultimo. Anche quest’osso pare che abbia i caratteri delle tibie di Tragocerus citate da Gaudry (toc. cit.) [ter Pikermi ; in ogni modo è certo che questa tibia appartenne alla stessa specie ed allo stesso individuo cui appartenne l’astragalo, e ciò oltre che per la esatta concordanza fra i due pezzi, anche perchè furono raccolti insieme riuniti e strettamente articolati. Le dimensioni delle due ossa sono : tibia: diametri massimi della pai’te inferiore . . . . mm. 36X36 astragalo : lunghezza massima » 49. 5 » larghezza massima » 26. 5 » spessore massimo » 26. 5 Possiedo inoltre un frammento di terzo molare superiore di sinistra di individuo poco adulto e molto somigliante al dente omologo figurato dal Gaudry in una serie dentaria di Pikermi ( loc . cit., fig. 4, tav. 48); il mio esemplare proviene dalle argille di Rometta (Messina). Esso è la metà anteriore di un dente probabilmente della prima dentizione, alquanto danneggiato; ciò non pertanto posso constatare la perfetta somiglianza fra esso e i denti di Pikermi e Léberon, illustrati nelle varie monografie del Gaudry e riferiti a Tragocerus amalthaeus. Tali somiglianze se non permettono di identificare in modo esauriente la specie a cui appartennero i tre resti da me rin- VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 159 venuti nei dintorni di Messina, mi fanno credere con sicurezza alla presenza del genere Trayocerus nei giacimenti che ho cer- cato di esaminare, il quale genere è esclusivo dei giacimenti omologhi di Pikermi, Samos, Alcoy, Francia, Vienna, Baltavar, Maragha, ecc.. Tal genere è affatto nuovo per l’Italia, ed io l’ho, come dissi, raccolto nelle argille di Bometta e Graviteli presso Messina. Sus erymanthius Both et Wagner. Tav. VI, fig. 12-16. 1854 Sus erymanthius Roth et Wagner. 61, p. 49, t. V (XI), f. 1-1 a. 1857 » » Wagner. 78, p. 130, t. II (IV), f. 7-8. 1862-67 » » Gaudry. 25, p. 235, t. XXXVII, XXXVIII, XXXIX. 1878 » 1888 » 1894 » » Gaudry. 28, p. 43, 70, 91, f. 33, 81, 101. » Gaudry. 29, p. 137. » ( = major) Zittel. SO, p. 375, f. 282. Furono raccolti in tempo molto remoto dal G. Seguenza due molari ed un premolare di latte che furono da questi determi- nati come Sus choeroides Pomel (65, 66, 67, 68, 69, 70) come io dissi nella prima parte di questo lavoro. I denti che imprendo ad esaminare appartengono alla prima dentizione, e trovano riscontro esatto con i denti omologhi della serie illustrata dal Gaudry (25, tav. 38, fig. 1) sebbene propor- zionalmente più piccoli, dal che deduco trattarsi di denti appar- tenenti ad indivìdui giovani. Due di essi sono insieme riuniti e sono facilmente ricono- scibili come quarto premolare e primo molare superiori di de- stra (tav. VI, fig. 12-13). II quarto premolare è irregolarmente cilindrico con la corona alta il doppio di quella del molare con cui è riunito; consta di tre tubercoli dei quali due dal lato esterno strettamente ravvi- cinati, ed uno dal lato esterno più robusto e molto pieghettato: ad ognuno di essi corrisponde un forte fittone della radice; i lati antero-posteriori sono rinforzati da piastre dentellate. Il primo molare è a sezione rettangolare con quattro cuspidi principali e tubercoli accessorii ben visibili ; è anch’esso riufor- 160 L. SEGUENZA FU G. zato anteriormente e posteriormente; la superficie triturante è erosa dall’uso; tale erosione smussa i tubercoli in piano inclinato ed è indipendente per ogni paio di cuspidi così da formare due piani inclinati quasi paralleli fra loro, ed alla medesima distanza dalla base. AH’imbocco esterno della valle trasversale, che di- vide le due paia di cuspidi, esiste un pilastrino breve ed esile ma ben marcato. La radice consta di quattro fittoni lunghi e robusti. L’altro dente è un terzo molare, superiore destro, isolato e completamente sviluppato; fortemente usato alla superficie tri- turante; tale erosione ha i caratteri menzionati per l’altro mo- lare, anche nella quinta cuspide isolata, cosicché si hanno tre piani inclinati paralleli tra loro ed al medesimo livello. Tra i cinque tubercoli principali si osservano nella linea, mediana longitudinale tre tubercoletti accessorii ; e alla estremità esterna delle due valli trasversali esistono due pilastrini den- tellati ; sul lato anteriore vi è una forte piastra di rinforzo al- quanto pieghettata. Sulla parte inferiore della corona si scor- gono, appena visibili ad occhio nudo, numerose stridine oriz- zontali e parallele fra loro. I fittoni della radice sono rotti; dalla sezione di frattura si osserva che essi dovevano essere piazzati sul margine della corona, ed assai sottili. Ho aggiudicato questo molare ai denti superiori perchè ha la sezione orizzontale della corona a triangolo rettangolo la cui ipotenusa corrisponde al lato esterno, mentre che nel terzo mo- lare inferiore tale sezione è a triangolo isoscele acutangolo. Ecco le dimensioni dei tre denti descritti: diametro massimo trasversale in. 3 m. 1 li. m. 4 16.5 » mediano antero-posteriore » 32 19 14 » trasversale al 1° paio di cuspidi . . . 22 19.5 16 » trasversale al 2° paio di cuspidi . . . » 21 15.5 altezza massimadellacoronaalla 1° cuspide esterna. » 10 6 » » » alla 2° cuspide esterna. » 10 6 » » » alla 1° cuspide interna. » 9 4.5 » » » alla 2° cuspide interna. » 9 7 lunghezza del lato esterno » 34 14.5 » del lato interno » 31 11.5 VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 161 Quanto alla determinazione comincio con l’escludere trat- tarsi di Sus choeroides Pomel, per la complicazione massima dei denti in esame che, confrontati con qualche esemplare, di que- sta specie, proveniente dalle ligniti di Monte Bamboli in To- scana, specialmente i molari terzi, non corrispondono affatto essendo che mancano nel choeroides tutti quei meandri prodotti dalle numerose ripiegature dello smalto nella sezione d’erosione che tanto bene appariscono nel mio esemplare. Trovo invece massima la somiglianza col Sus erymanthius li. et W., specie affine a sua volta col Sus major Gerv. Il Gau- dry (26, pag. 45) fece rilevare chiaramente la somiglianza fra queste due specie e lo Zittel nel suo trattato di Paleontologia (80, pag. 345) li ritiene appartenenti ad una sola specie e li riunisce insieme col nome più antico di Sus major. Mi manca, naturalmente, un materiale sufficiente per potere identificare in modo esauriente la specie di Gravitelli, ma credo bene riferire i tre denti ivi trovati a Sus erymanthius (— Sus major) al quale si avvicinano e somigliano, più che ad ogni altro, nei loro più minuti caratteri. Il Sus erymanthius fu rinvenuto per la prima volta a Pi- kermi ed in seguito in varii altri giacimenti a quello omologhi come a Samos, Troia, Maragha, Baltavar, Valle del Reno, Lé- beron ed altri. E specie nuova per l’Italia essendoché quello riportato come Sus erymanthius var. minor dal Pantanelli (55. pag. 11, tav. Ili, fig. 11-14) è ritenuto dal Forsyth-Major (in De Stefani €., 17, pag. 78) come da riferirsi a Sus provinciali che si distingue dal primo per avere dentatura più piccola ed un molare in più nella serie dentaria. I tre esemplari da me descritti provengono dalle argille lacu- stri di Gravitelli presso Messina e sono i medesimi più volte citati da G. Seguenza, Baldacci, Cortese col nome di Sus choe- roides Pomel. Durante la stampa di questo lavoro ho avuto da Gravitelli un 2° e un 3° molare che meglio confermarono le mie opinioni. 15 162 L. SEGUENZA FIJ G. Hippopotamus (Hexaprotodon) sivalensis Faleoner et Cautley. Tav. VII, fig. 1-2B. 1846 Hippopotamus | Hex.] .snY<7e>is/sFAL€ONEKetCAUTLEV.18,XIX,p.40. 1847 » » » Faeconer et Cauthley. 19, fase, t. 59, 62, 63, 66. 1868 » » » Falconer. 20, I, t. XI. 1868 » » » Murchison. 53, p. 79. 1885 » » » Lydekkek. 48, p. 3, t. IV. 1894 » » » Zitte l. SO, p. 347, f. 283. 1896 » >> » Lydekker. 49, li, p. 297. f. 38. Col nome generico di Hippopotamus il G. Seguenza men- zionava qualche raro dente dell’argille di Gravitelli; ad esso io ho potuto aggiungerne varii altri insieme ad alcune ossa pro- venienti, oltre che dalla stessa località, da altre. Per le caratteristiche comuni che presentano tutti i denti che ho sottocchio credo poterli riferire tutti ad una medesima specie. I molari, di cui possiedo, oltre che gli esemplari appresso illustrati, numerosi frammenti, sono a quattro cuspidi alte, trian- golari ed acute, colla superficie rugosa ed un forte cercine den- tellato che cinge a mo’ di nastro la base della corona special- mente sul lato esterno; le radici sono a quattro fittoni molto lunghi, robusti e grossolani corrispondenti uno per ogni cuspide. I premolari variano nel numero delle cuspidi a secondo della posizione che occupano ed in pari modo varia il numero dei fittoni delle radici; nel resto somigliano ai molari. I canini danno una sezione assai irregolare, come si può vedere dalle figure 12, 14, 16, 19 a tavola VII, per essere per- corsi da un solco profondo per tutta la lunghezza ; la superficie dello smalto è solcata da sottili strie longitudinali rugose. Non ho potuto procurarmi alcun incisivo. Ecco la dettagliata enumerazione dei denti meglio conservati. Un frammento di mascella inferiore di sinistra con infissivi il terzo ed il quarto premolare ed il primo molare, proviene dalle molasse di S. Pier Niceto sul versante occidentale dei Peloritani. Del terzo premolare non esiste che la sezione alla VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 168 base della corona, all’altezza, cioè, del cercine che si presenta in forma di otto e pare che il dente sia stato monoc aspide. Del quarto premolare si conserva tutto il cercine e parte della co- rona mutilata; questa è costituita da due cuspidi bifide varia- mente pieghettate e si avvicina alla forma dei molari sebbene più piccolo ; il cercine circonda la parte esterna ed i lati antero- posteriori della corona, manca sul lato interno. Il primo mo- lare, sebbene anch’esso mutilato, è più completo degli altri due denti ; esso è costituito da due cuspidi bifide circondate attorno a tutta la base della corona da un cercine finamente dentellato ; lo smalto è rugoso (tav. VII, fig. 1-3). dimensioni: 3° p. m. 4° p. in. 1° m. diametri alla base della corona . rnm. 14 — 16 X 30 31 X 34 37 X 40 altezza massima delia corona . » 30 » » del cercine . . » 7 8 Della mascella su cui sono infissi nulla posso dire, avendo questa perduto qualsiasi indizio della forma primitiva. La metà di un secondo molare proviene dalle argille di Gra vitelli ; è fortemente corroso alla superficie triturante che presenta una bella sezione a trifoglio resa più complicata da una forte piastra posteriore di rinforzo (tav. VII, fig. 10-11), DIMENSIONI: diametro antero-posteriore mm. 52 altezza massima della corona dal lato esterno ...» 17 Un premolare di latte assai piccolo con cuspidi acute e lisce e con frammenti di radice, senza cercine alla base della corona, proviene anch’esso dalle argille di Gravitelli (tav. VII, fig. 21). DIMENSIONI : diametro massimo trasversale mm. 22 altezza massima della corona » 20 La metà anteriore di un premolare, forse quarto, proveniente da S. Pier Niceto, con la corona rugosa e cinta sul lato esterno ed ai lati antero-posteriori da cercine pieghettato che manca sul lato interno (tav. VII, fig. 20). 164 L. SEQUENZA FU G. DIMENSIONI : altezza della cuspide anteriore esterna nini. 29. 5 » della cuspide anteriore interna » 27 diametro trasversale » 27. 5 altezza del cercine » 6. 8 Varii frammenti di canini inferiori di giovane individuo; fra questi ne possiedo due completi di cui uno (tav. VII, fìg. 18-19) è quello citato dal De Natale (16, pag. 54) come dente di Rino- ceronte. Esso (n. 1) è lungo, sottile, con lieve solco mediano, forte erosione dal lato interno dell’apice, e striatura fine, longitudi- nale per tutta la superficie. L’altro (n. 2) è più breve, più tozzo, meno arcuato, con stria- tura più appariscente sottilissima e con due solchi dal lato in- terno dell’arco (tav. VII, fig. 15-17). Ecco le misure di questi due canini: dimensioni: n. 1 11. 2 altezza massima 116 78 sviluppo dell’arco interno . . . . 83 55 » » esterno . . . . 122 80 diametri massimi della sezione . . . . 22X19 26X20 Tre frammenti di canino d’individuo adulto: due apparten- gono rispettivamente alle estremità di canino di destra e di sinistra, il terzo appartiene alla base di un canino di sinistra; provengono tutti da Gravitelli. Tutti e tre hanno un solco profondo longitudinale lungo il lato interno della curva e due assai superficiali sulle due facce esterne che danno alla sezione del dente una forma irregolar- mente triloba; tutta la superficie è percorsa da strie longitu- dinali e qualche volta solcata da strioline trasversali; le estre- mità sono smussate fortemente dall’uso sul lato esterno (tav. VII, fig. 12-13-14). dimensioni: massimi diametri profondità del solco maggiore n. 1 . min. 49 X 39 . » 11 n. 2 51X47 16 n. 3 41X47 10 » VERTEBRATI POSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 165 Oltre ai denti predetti possiedo numerosi frammenti di ossa giudicabili dubitativamente & Hippopotamus, però tre soli sono ben determinabili. Un cuneiforme destro clie risponde esattamente alla fig. 26 della tavola 65 di Falconer e Cautley (19) riferentesi ad Hip- popotamus sivalensis ; proviene da Graviteli (tav. VII, tig. 22-23). diametri massimi mm. 56 X 49 X 49 Due astragali di cui uno proviene da Scirpi e l’ altro da Gravitelli; entrambi hanno una perfetta somiglianza con le figure 21, 22, 23, 24 della tavola 66 di Falconer e Cautley (toc. cit.). Entrambi appartengono al lato sinistro (tav. VII, fig. 4-9). fig. 4-7 fig 8-9 diametri massimi . . . . mm. 102X57X69 97 X54X 67 La mancanza della serie dentaria completa è un grave osta- colo alla esatta determinazione dei resti in esame, però dai con- fronti fatti risulta che la massima somiglianza si riscontra col Hipp. sivalensis della paleofauna asiatica; infatti paragonando i varii resti d’ Hippopotamus del messinese con le numerose forme di questa specie illustrate da Falconer e Cautley (toc. cit.. tav. 59, 60, 61, 62, 63, 64, 65, 66), se ne rileva subito la so- miglianza spiccata in tutti i resti omologhi. Sottoposta la quistione al dott. De Angelis d’Ossat, questi riconobbe spontaneamente tale somiglianza e nel darmene co- municazione si esprime in questi termini: « I denti de 1 1 ’ Hippopotamus [ Hexaprotodon ] sivalensis F. e C. » sono quelli che più rassomigliano a questi di Gravitelli. La » somiglianza riconoscibile appena con i denti molari e premo- » lari diviene strettissima con il frammento di canino (tav. VII, » fig. 13 e 14) il quale ci presenta una sezione simile a quella » della fig. 8a e 9a tav. 62 dell’opera di Falconer e Cautley (19) » specialmente con la prima ». A tale autorevole giudizio si aggiunge il rinvenimento di qualche dente, degli astragali e del cuneiforme, rinvenuti dopo ed illustrati qui avanti, i quali maggiormente affermano tale de- terminazione. Bisogna qui ricordare che nei giacimenti interposti tra il Tortoniano ed il Piacenziano di Europa mai furono rinvenuti 166 L. SEQUENZA FU G. resti d’ Hippopotamus se togli quei pochi illustrati dal Panta- nelli (55, pag. 12, tav. IV, fìg. 1-7) col nome di Hipp. [Hex.] Hipponensis Gaudry. Questa specie del Gaudry fu instituita su pochi frammenti raccolti presso Bona in Africa in terreno non identificato, e spe- diti al Gaudry stesso da Papier. Il detto autore trovò in essi resti grande affinità con i congeneri di Siwalik, ma li distinse da essi per la differente posizione degli incisivi che potrebbe forse accettarsi come varietà avuto riguardo che si basa su pochi frammenti. D’altro canto io trovo che il canino di Gravitelli (tav. VII, fig. 15, 16, 17) ha una relazione assai intima colla figura 4 dell’animale di Bona data dal Gaudry (27), nello stesso tempo che la rugosità e dentellature del cercine dei molari e premo- lari risponde esattamente alla struttura indicata nel 2° p. m. il- lustrato a fig. 5 dallo stesso Gaudry ( loc . cit.)\ e nello stesso tempo il canino della mia fig. 13 e 14 ha molta somiglianza con quello figurato dal Pantanelli (55, tav. IV, fig. 1-2) e pro- veniente dal Casino di Siena. Tale somiglianza fra i resti del Casino e di Bona con quelli di Messina ed l 'Hipp. [Hex.] sivalensis confermano sempre più l’affinità di quest’ultimo con Hipp. [ Hex.] Hipponensis fondato su pochi resti e quindi assai dubbiamente. In ogni modo è certa l’affinità dei residui di Messina con quelli di Hipp. [Hex.] Sivalensis Pale, e Caut., la quale era sin ora specie esclusiva di Siwalik in Asia, e quindi è, oltre che per l’Italia, nuova per l’Europa se non si ritiene V Hipp. [Hex.] Hipponensis Gaud. sinonimo di essa specie, nel qual caso troverebbe riscontro nella fauna del Casino di Siena ove fu menzionato con questo nome. I resti da me descritti furono raccolti nelle molasse di S. Pier Niceto e nelle argille lacustri di Gravitelli e di Scirpi presso Messina. VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA Dr MESSINA 167 Rhinoceros (Dihoplus) Schleiermacheri Kaup. Tav. VI, fig. 9-11. 1834 Rhinoceros Schleiermacheri Kaup. 41, p. 33, t. X, f. 1, t. XI, XII, 1854 > » 1857 » » 1862-67 » » 1873 » » 1878 » » 1888 » » 1894 » (Dihoplus) » f. 1-7, t. XIII. Roth et Wagner. 61, p. 61. Wagner. 78, p. 132, t. IV (VI), f. 14. Gaudry. 25, p. 00, t. XXXII. Gaudry. 26, p. 25, t. Ili, f. 3-4, t. IV. Gaudry. 28, p. 48 e 51, f. 40 e 45. Gaudry. 21), p. 131. Zittel. 80, p. 293, f. 234. Possiedo uu solo dente di Rinoceronte ed è assai difficile dedurre da questo solo residuo la specie a cui esso appartenne. Ad ogni modo esso è un penultimo molare superiore di si- nistra; il tubercolo anteriore esterno è ben rilevato, acuminato in cima e sporgente sino alla base; il tubercolo posteriore esterno è leggermente rilevato e finisce in un lobo dilatato; la piega accessoria anteriore è sporgente, ben distinta e quasi tagliente; mancano, perchè mutilati: la cresta, ed i lobi me- diani; i tubercoli interni sono acuminati e smussati alla su- perficie triturante ; ai due lati antero-posteriori della corona esiste un cercine dentellato. La radice manca quasi del tutto. Le dimenzioni: larghezza massima fra i tubercoli interni ed esterni alla base della corona 44 larghezza massima fra la piega accessoria anteriore ed il lembo esterno del tubercolo posteriore esterno a mezza altezza . » 56 larghezza massima alla base della corona » 47 altez. dalla base della corona all'apice del tubercolo anter. esterno » 41 » » » all’apice del tubercolo poster, esterno » 44 » » » all’apice del tubercolo anter. interno » 27 » » » all’apice del tubercolo poster, interno » 31 L’assieme dei caratteri predetti ricorda, più che ogni altro il j R. Schleiermacheri di M. Léberon e delle altre località omo- loghe ove è stato rinvenuto, cioè Pikermi, Croix-Russe, ecc. 168 L. SEQUENZA FU G. Anche questa specie è nuova per l’Italia e fu anche essa raccolta nelle argille palustri di Gravitelli presso Messina. Mastodon Borsonis Hays (’). Tav. VI, fig. 1-6. 1823 Grande Mastodonte Borson. 5, p. 32. co CO r— I Mastodon Borsoni Hays. 38, p. 334. 1848 » Buffonis Pomkl. 57, p. 257. 1858 » Borsoni Gastaldi. 24, p. 10, t. VII, f. 9-10. 1859 » Borsoni Lautet. 47, p. 489. 1867 » Turicensis Meyer. 52, p. 48 (partim). 1877 » Borsonii Vacek. 75, p. 6, t. VI. 1888 » Borsoni Gaudry. 29, p. 126. 1891 » Borsonis Gaudry. 30, p. 4, t. II, f. 8. 1894 » Borsoni Zittel. 80, p. 464. 1894 » Borsoni Paulow. 56 bis, p. 16, t. Ili, f. 1-3. Possiedo due molari sicuramente riferibili a Mastodonte. L’uno è un frammento di molare terzo inferiore di sinistra comprendente l’ultimo paio di colline ed un forte tallone po- steriore (t. VI, fig. 1-3). Le due colline, a forma di cuneo a sezione rettangolare, sono addossate Luna a l’altra e se ne scorgo la divisione solo per un solco, che si osserva tanto su) lato anteriore che sul poste- riore, il quale ne segna la traccia; cosicché le due colline, pur essendo strettamente saldate insieme, sono assai bene delineate. La parte superiore di esse è tondeggiante e termina in una linea tagliente. La collina del lato esterno è più piccola e più bassa di quella del lato interno. Il tallone ha quasi le dimen- sioni e la forma delle colline, solo che è molto più basso ed ha la base a sezione ellittica; tra questo e le colline esiste una profonda valle trasversale che li divide sin dal livello della lieve inturgidatura che si osserva attorno alla base della corona. Tra il paio di colline esistente ed il paio susseguente che manca, vi era un’altra valle trasversale parallela alla precedente, ad (') Il Gaudry (30 pag. 4) lo chiama esattamente M. Borsonis e non M. Borsoni come lo chiamò l'Hays essendo che i nomi in n nel ge- nitivo latino finiscono in nis. VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 169 arguirne dalla levigatura dello smalto che scende sul lato ante- riore delle colline alla stessa altezza che sul lato posteriore. All’estremità esterna della valle trasversale tra le colline ed il tallone posteriore esiste una protuberanza insignificante che ha la parvenza di un tubercoletto accessorio. Nessuna trac- cia di tubercoli accessorii nella parte mediana delle valli tra- sversali, nè traccia alcuna di pieghe ricorrenti. Tanto le facce antero-posteriori delle colline, che quelle del tallone, sono percorse sulla metà superiore da uno o due leg- gieri solchi verticali assai superficiali. La metà inferiore delle medesime come la lieve inturgidatura alla base della corona, sono rugose per una striatura orizzontale affatto superficiale. Le colline ed il tallone inclinano in avanti. Le cuspidi portano lievi segni di erosione prodotta dall’uso. La radice manca. DIMENSIONI : diametro trasversale all’altezza delle colline nini. 67 altez. dal margine inf. della corona all’apice della collina esterna. » 38 » » » » » » interna. » 46 diametro antero posteriore del frammento alla base » 56 altezza dal margine inferiore della corona all’apice del tallone. '> 30 L’altro esemplare è un secondo molare inferiore di sinistra; esso ha gli stessi caratteri del precedente esclusione fatta per il tal- lone posteriore che è proprio del terzo molare (t. VI, f. 4-6). Esso ha la sezione romboide; è costituito da tre paia di colline lisce, profondamente smussate dall’uso; ed inclinate in avanti. Le colline sono appaiate obbliquamente e fra le tre paia di esse esistono due valli trasversali, più profonde agli estremi che al centro, nelle quali non si vede alcuna traccia di tuber- coli accessorii e di pieghe dello smalto; la base della corona è inturgidata all’intorno; sul lato esterno tale inturgidamento si accentua all’imbocco delle valli trasversali; nemmeno in questo dente pare che esista una valle longitudinale accentuata. Lo smalto è levigato e lucente. Della radice esiste solo un breve frammento, come pure manca la terza collina interna e parte della terza esterna. La sezione data dall’erosione delle cuspidi si presenta per ogni paio di colline in forma irregolare di 8. 170 L. SEQUENZA FU G. DIMENSIONI : altezza della corona al 2° paio di cuspidi (lato interno) . . mni. 25 » » » » (lato esterno) . . » 17. 5 diametro trasversale » » » 46 lunghezza antero-posteriore sul lato esterno » 65. 5 Dalla descrizione fatta si rileva facilmente che questi due molari appartengono a quel gruppo di specie del genere Ma- stodon le quali avendo fra loro delle differenziazioni poco mar- cate e meno ben definite, hanno dato luogo a numerose confu- sioni e contestazioni. In ogni modo tenendo presente che il Mastodon turicensis Se. ( — tapiroides ) è caratterizzato dall’esistenza di pieghe ri- correnti e di cuspidi accessorie nelle valli trasversali, caratteri che mancano nei miei esemplari; tenuto conto che la differenza più rilevante tra M. americanus ( = ohioticus , giganteus, ecc.) e M. Borsonis consiste, secondo alcuni, nella profondità della valle longitudinale che nel primo divide quasi completamente le colline interne dalle esterne, mentre nel secondo è appena tracciata così che le colline interne stanno strettamente addos- sate alle esterne, carattere quest’ultimo ben visibile nei miei esemplari; è da concludersi che a quest’ultima specie, cioè a M. Borsonis essi vanno riferiti, come a quella che si avvici- nano più di ogni altro anche pel rilevante spessore delle cu- spidi in rapporto alla loro altezza. A conferma di ciò che ho detto, mi basta ricordare la per- fetta somiglianza nell’assieme e nei dettagli della fig. 2, tav. VI, del Vaeek (75, 3° m. di M. Borsonis) ed ancora più esatta- mente, della fig. 3, tav. II, di M. Paulow (54- bis, 3° m. di M. Borsonis) col frammento di 3° molare da me posseduto. Tale specie instituita dall’Hays (38, pag. 334) su di un fram- mento rinvenuto dal Borson (5, pag. 32) nel Piemonte presso Asti, è stata in seguito riconosciuta nel giacimento di Balta- var ed in qualche altro, sincroni dell’orizzonte di Pikermi. È specie nuova per la Sicilia, ed io l’ho raccolta a Gravi- felli presso Messina nelle argille lacustri. VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 171 Mastodon turicensis Schinz. Tav. VI, fig. 7-8. 1828 Mastodonte appartenente a specie finora sconosciuta ecc. Schinz. 62, p. 27. 1832 Mastodon turicensis fSchinz. manoscr.) Meyer. 50, p. 73. 1833 Mastodonte che per i denti somiglia al Tapiro Schinz. 63, p. 39. 1839 Mastodon turicensis Meyer. 51, p. 1. 1839-64 » tapiroides Blainville. 3, genere Elephas, p. 316. 1848 » JBorsonii Gervais. 33, p. 39. 1851 » tapiroides Lartet. 46, p. 27. 1857 » turicensis Kaup. 42, p. 1859 » Borsoni Gervais. 34, p. 68. 1862 » turicensis Gaudry. 25, p. 152, t. XXIV. 1867 » turicensis Meyer (partim). 52, p. 48. 1877 » tapiroides Vacek. 75, p. 4, t. VII. 1878 » turicensis (tapiroides) Gaudry. 28, p. 174, f. 230. 1886 » turicensis Lapparent et Fritel. 45, t. X, f, , 1. 1888 » turicensis Gaudry. 29, p. 126. 1891 » turicensis Gaudry. 30, p. 4, t. II, f. 6. 1894 » turicensis Zittel. 80, p. 463, f. 380 b. Possiedo un secondo molare superiore di sinistra che ha la metà interna della corona profondamente corrosa dall’ uso sino quasi al margine inferiore. Pare che il dente si componesse in origine di tre paia di colline lisce, appaiate obliquamente ed inclinate in avanti, con tubercoletto accessorio nelle valli trasversali; alle estremità antero-posteriori esistono le tracce di una forte piastra di rin- forzo. Il lato esterno che è meglio conservato si presenta lieve- mente inarcato in fuori, rugoso e col margine inferiore della corona inturgidato. Le tre paia di colline sono sottili e divise da due valli trasversali profonde; per la forte erosione non si può constatare la presenza o meno di valle longitudinale. Carat- tere interessante si è la presenza, sulla faccia anteriore e poste- riore delle tre colline esterne, di due pieghe che partendo dal vertice esterno di ogni collina scendono in fondo alla valle tra- sversale e s’incontrano con la piega simile della collina prece- dente o susseguente. 172 L SEGUENZA FU G. Lo smalto è assai sottile; della radice rimangono pochi fram- menti. Questo dente, pur appartenendo a specie di Mastodon a denti di tipo zygolofodonte, sia per l’assieme che per i dettagli diffe- risce in modo assoluto dai denti precedentemente descritti e aggiudicati a M. Borsonis. Le sue dimensioni sono: diametro trasversale del 1° paio di colline . . . . . . . min. 35.5 » » del 2° paio di colline . . . . . . . » 42 » » del 3° paio di colline . . . . . . . » 42.5 lunghezza ant.-post. alla base del lato esterno. . . . . • » 57.5 » » alla base del lato interno . . . . . . » 45.5 altezza della corona alla la collina esterna . . . . . . . » 18 » » alla 2a collina esterna . , . . . . . » 19 » » alla 3a collina esterna . . . . . . . » 17 A mio credere, sia per le pieghe ricorrenti, sia per lo spes- sore poco rilevante delle colline, questo dente può riunirsi a Mastodon turicensis Schinz, noto oltre che nel Miocene medio, anche nei giacimenti politici di Samos e Pikermi. Tale specie è nuova per l’Italia ed io l’ho trovato a Gravi- teli! nelle argille del Piano politico. [ms. pres. 28 gennaio 1902 - ultime bozze 1 maggio 1902] VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 173 SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE TAVOLA V. Fig. 1-21. Ictitherium hipparionum Gaudry (Gerv. sp.). Fig. 1-2 -quarto premolare superiore sinistro (dente ferino). » 3-4-5 - terzo premolare superiore sinistro. » 6-7 - secondo premolare superiore sinistro. » 8-9-10 - quarto premolare superiore destro (dente ferino). » 11-12 - terzo premolare superiore destro. » 13-14 - secondo premolare superiore destro. » 15 - canino superiore sinistro. » 16 - estremità di canino superiore destro. » 17-18 -primo premolare superiore sinistro. » 19 - primo incisivo (lievemente ingrandito). » 20-21 - terzo incisivo superiore sinistro. Fig. 22-25. Machairodus ogygia Kaup sp. Fig. 22 - canino inferiore destro. » 23-24-25 - primo molare inferiore sinistro (dente ferino). Fig. 26-36. Semnopithecus Monspessulaimm Gervais. Fig. 26-27-28 - terzo molare inferiore destro. » 29-30-31 - secondo molare superiore destro. » 32-33 - canino. » 34-35-36 - frammento di mascella inferiore sinistra col primo e secondo premolare di latte. Tutte le figure di questa tavola (meno la fig. 19) sono a grandezza naturale. Gli esemplari relativi provengono da Gravitelli. TAVOLA VI. Fig. 1-6. Mastodon Borsonis Hays. Fig. 1-2-3 - frammento di terzo molare inferiore sinistro. * 4-5-6 - secondo molare inferiore sinistro. 174 L. SEGUENZA FU G. Fig. 7-8. Mastodon turicensis Scbinz. Fig. 7-8 - secondo molare superiore sinistro. Fig. 9-11. lthiuoceros (Dihoplus) Schleiermacheri Kanp. Fig. 9-11 - penultimo molare superiore sinistro. Fig. 12-16. Sus erymanthius Roth et Wagner. Fig. 12-13 - quarto premolare e primo molare superiore destro » 14-15-16 - terzo molare superiore destro. Fig. 17-22. Tragocerus sp. Fig. 17-18-19 - frammento inferiore di tibia sinistra. » 20 - astragalo sinistro. » 21-22 frammento anteriore di terzo molare (Rometta). Fig. 23-25. Gazella deperdita Gaudry (Gerv. sp.). Fig. 23 - corno sinistro. » 24 - sezione del medesimo. » 25 - frammento di corno destilo con la parte superiore della arcata orbitale. Fig. 26-35. Antilope sp. dentatura di latte. Fig. 26-27 - secondo premolare inferiore destro. » 28-29 - terzo premolare inferiore destro. » 30-31 - quarto premolare inferiore destro. » 32-33 - primo molare inferiore destro. » 34-35 - secondo molare inferiore destro. Tutti i resti illustrati in questa tavola provengono da Gravitelli (meno quelli delle fig. 21-22) e sono riprodotti a grandezza naturale. TAVOLA VII. Fig. 1-23. Hippopotamus (Hexaprotodon) Sivalensis Falconer et Cautley. Fig. 1-2-3 - frammento di mascella inferiore sinistra col terzo e quarto premolare ed il primo molare (S. Pier Niceto). » 4 -5-6-7 - astragalo sinistro (Gravitelli) ['/? della gr. nat.J. Boll. d. Soc. Geol. Italiana. Voi. XXI (Seguenza) Tav. V Roma. Fotot. Daoesi Boll. d. Soc. Geol. italiana. Voi. XXI (Seguenza) Tav. VI 19 Rum» Folol. D»n«i*i Bo». d. Soc. Geol. Italiana. Voi. XXI (Seguenza) Tav. VII ' Roma Kotot. Danesi VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 175 Fig. 8-9 - astragalo sinistro (Gravitelli) [V2 della gr. nat.]. » 10-11 - secondo molare (Gravitelli). » 12 - sezione di un canino adulto (Gravitelli). » 13 - canino adulto (Gravitelli). » 14 - sezione del canino predetto. » 15-17 - canino di giovane individuo (Gravitelli). » 16 - sezione del canino predetto. » 18 - canino di giovane individuo (Gravitelli). » 19 - sezione del canino predetto. » 20 - premolare visto dal lato anteriore (S. Pier Niceto). » 21 - premolare di latte (Gravitelli). » 22-23 - cuneiforme (Gravitelli) [*/, gr. nat.]. Le figure 4, 5, 6, 7, 8, 9, 22 e 23 sono ridotte a metà della gran- dezza naturale, le altre sono a grandezza naturale. A PROPOSITO DI UN RECENTE LAVORO DEL D.‘ PAUL OPPENHEIM SOPRA ALCUNE FAUNE EOCENICHE DI DALMAZIA Nota del dott. Giotto Dainelli Dopo una mia nota preliminare sui fossili del Monte Pro- nómi in Dalmazia ('), ed un breve articolo d’indole generale Q, nei quali ascrivevo al Miocene inferiore quegli strati fossiliferi insieme colle sottoposte ligniti di Sivericli, e quasi contempo- raneamente ad una mia monografia su quella interessante fauna dalmatina (*), è comparso di recente un lavoro del dott. Paolo Oppenheim sopra alcune faune terziarie antiche della Monarchia Austro-Ungarica (4). Siccome vi vengono citati alcuni fossili del Promina, e riferita ancora la loro età all’ Eocene superiore, così credo ili dover fare alcune osservazioni relativamente al riferi- mento cronologico della fauna in quistione. I fossili citati dal- rOppenheim come provenienti dal Promina e dalle sue adia- cenze sono: Par a umilia arntec ristata Iteri ss S. Pattai vphiilli a ci/clolitoides Bell. S Astrocoeniu Hoernesi n. sp. S. I1 *) Dainelli G.. lì Miocene inferiore del Monte Promina in Dalma- zia. Read, della R. Aee. dei Lincei, voi. X, scie 5. fase. 2, 1901. O Dainelli G., Il Monte Promina in Dalmazia. Boll, della Soc. Geogr. 1 1., fase. 8, 1901. (3) Dainelli G., Il Miocene inferiore del M. Promina in Dalmazia. Palaeon'ogi apliia Italica, voi. Vili, 190', pag. 23ó, tav. 29-3'*. U ) Oppenheim 1* , Ueber cinipe alttertinre Faunen der iisterr. unger. Monarchie. Beitr. zar Paliiont. unii Geol. Oe.sterr.-Ung. and des Orienta, Band XIII, 1901, Heft III, IV. SOPRA ALCUNE FAUNE EOCENICHE DI DALMAZIA 177 Pecten Bronni May.-Eym. P. Becten squamiger Schafh.? P. Arca cfr. Pellati Tonni. P. Crassatella cfr. Tournoucri Oppenh. P. Lucina prominensis n. sp. Velupich. Lucina saxorum Lam. Valki Totschek Lucina cfr. Vogti Hébert et Ren. P. Lucina dàlmatina n. sp. P. Cardium dabricense n. sp ? Valki Totschek Cardium Bonellii Bell. Valki Totschek Pholadomya Buschi Goldf. P. Thracia Hoernesi n. sp. P. Thracia prominensis n. sp. P. Turritella prominensis n. sp. P. Velates Schmidelianus Cli. Valki Totschek Natica cepacea Lam. P. Cyclotopsis exarata Sancib. P. Coptochilus imbricatus Sandb. P. Terebellum cfr. fusiforme Lam. P. Cypraedia elegans Defr. P. Harpa cfr. miotica Lam. P. Planorbis conni Brgn. P. Glandina Cordieri Desk. S. Nautilus vicentinus De Zigno S. Nel compilare questo elenco ho contrassegnato con P le specie indicate come provenienti dal Promina, con S quelle di Sive- rioh, indicando poi con precisione le altre poche di diversa pro- venienza, le quali sono state raccolte a Yelupich ed a Yalki Totschek, cioè in località vicine al Promina, e che sono vera- mente eoceniche. Delle predette specie una, la Lucina promi- nensis, è nuova, e non trova riscontro nella fauna raccolta dal prof. De Stefani e da me, come pure la Lucina saxorum Lam. ; il Cardium dabricense, descritto come nuovo da esemplari di Dabrica (Erzegovina), Oppenheim stesso dubita che si trovi presso al Monte Promina, perche gli individui da lui posseduti e a tale specie paragonati, mostrano uguale somiglianza col Cardium obliquimi ; anche il Cardium Bonellii Bell, non ha analogie con alcuno dei nostri fossili, o se pure si avvicina nella forma generale al mio Cardium De Stefanii n. sp., ne diffe- risce per una maggiore regolarità di contorno, per l’umbone meno ricurvo, e per l’assenza dei caratteristici ornamenti; il Velates 16 178 0. DAINKLLl Sckmidelianus C'h. infine non ho affatto trovato al Monte Pro- mina, mentre lo conosco, e ne ho numerosi individui da altre località, eoceniche, della Dalmazia. Lo stesso direi del Terebel- Imn cfr. fusiforme Lam., che viene indicato al Monte Promina, ma che quasi certamente proviene dai terreni eocenici vicini, dove è abbondante, e di dove pure io lo posseggo. Dei tre corallarii, tutti raccolti presso Siverich, uno, la Pa- rasmilia acutecristata Heuss, è oligocenico, come Oppenheim stesso riconosce; l’altro la Pattalophyllia cyclolitoides Bell, è eocenico; il terzo, la Astrocoenia Hoernesi, nuovo; sì che non hanno valore neH’apprezzamento cronologico di quei terreni. Fuori dei citati fossili, dei quali i primi almeno, non del Promina, sono certamente appartenenti in gran parte all’Eocene, restano 18 specie di molluschi, raccolti parte a Siverich e parte al Promina. Di queste, quattro sono nuove, cioè non capaci di darci un’idea esatta della loro età: la Lucina dalmatina, che si avvicina assai o è la stessa specie degli individui da me de- terminati come Lucina Sismondai Dcshayes del terziario supe- riore, e più precisamente di quelli da me rinvenuti negli strati inferiori e che ho nella mia memoria distinti da quelli delle marne soprastanti ; la Thracia Hoernesi e la Thracia promi- nensis non hanno affatto riscontro nella mia raccolta; la Tur- ri iella prominensis ha una corrispondenza nei miei esemplari determinati come Turritclla perfasciata Sacco, oligocenica. Le altre 14 specie, provenienti dal Promina e da Siverich, che ancora rimangono, si possono dividere in due gruppi, se- condo che la loro determinazione è data con certezza o solo come un tentativo di avvicinamento ; e comincerò ad esaminare quest’ultimo costituito da 6 specie: al Preterì squami Iger Sehaf- liaeutl, riconosciuto tra i fossili eocenici di Pinguente (Istria), viene riunito dubbiosamente un individuo del Monte Promina, posseduto dal Museo di Scienze Naturali di Berlino; un mo- dello interno di Arca viene avvicinato all’arca Pellati Tour- nouer; una Crassatella Oppenheim unisce provvisoriamente alla sua Crassatella Tournoueri di Priabona, pure riconoscendola differente; osserverò che è molto vicina alla mia curvicarinafa, (della quale però non presenta la caratteristica curva nella ca- rena posteriore); altri modelli interni sono indicati come Lucina SOPRA ALCUNE FAUNE EOCENICHE DI DALMAZIA 17!) clr. Vogti Hébert et Renevi er, e Harpa cfr. mutica Lamarek; anzi per l’esemplare, clie ha suggerito quest’ultimo confronto, Oppenheim conviene che potrebbe ugualmente appartenere alla oligocenica Harpa submutica D’Orbigny; io aggiungerò che non è inverosimile che appartenga al Lambydium cythara Brocchi, al quale ho ascritto l’individuo trovato da noi. Alla Natica cepacea Lamarek, trovata con sicurezza a Konjavac, a Trebistovo e a Car- pano, vengono riferiti tre imperfetti modelli interni raccolti al Monte Promina; per mostrare quanto incerta sia questa deter- minazione, dirò che Oppenheim osserva che tali modelli, per il loro ombelico molto profondo, hanno una sorprendente somi- glianza con specie del gruppo delle Helix, e che egli non avrebbe esitato a determinarli cosi, se non avesse avuto campioni di Natica cepacea Lamark di S. Giovanni Ilariore e di S. Pietro Mussolino, coi quali confrontare i tre modelli del Monte Pro- mina; questo riferimento è dunque molto dubbio, ed a tale pro- posito osserverò che io ho descritto solo come Natica sp. un modello interno completo, identico ad uno figurato da Kissling come di Natica crassatina Lamarek, mentre l’essere questa spe- cie oligocenica poteva spingermi ad un riferimento che confor- tava la mia opinione sulla età geologica del Promina. Delle ultime 8 specie determinate con sicurezza, due ho rico- nosciute pur io: la Pholadomia ruschi Goldfuss, oligocenica, come dice Oppenheim, ed il Planorbis corna Brongniart, che giunge fin nel Miocene ed i cui esemplari del Promina sono identici, secondo Oppenheim, a quelli oligocenici di Loubers; il Copto- chilus imbricatus Sandberger, riconosciuto in alcuni modelli in- terni, credo sia il mio Coptochilus laevigatus , perchè, possedendo io forme esterne assai buone, ho potuto stabilire una specie nuova, vicina pertanto a quella di Sandberger; il Pecten Bron- nii May .-Ey mar del Promina è riunito a quello caratteristico e frequente dell’Oligocene inferiore e medio di Ofen (Ungheria) e di Haering; io non lo posseggo dal Monte Promina, ma il prof. De Stefani ne ha raccolta una forma vicina o identica a quella figurata da Oppenheim, in terreni dalmatini più antichi; le determinazioni della Giandùia Gordieri Deshayes e del Nau- tilus vicentinus De Zigno, specie eoceniche, non metto in dub- bio che non sieno giuste, ma osserverò che io pure ho una Gian- 180 G. DAINELL1 dina ed un Nautilm, che ho di nuovo veduti, e confrontati con le specie citate da Oppenheim, ma che pure confermo apparte- nenti alla Glandina infiala Eeuss e al Nautilus decipiens Mi- chelotti ; la Cyclotopsis exarata Sandberger e la Cy predia elegans Defrance non trovano riscontro tra i fossili della nostra raccolta. Da quanto sono andato brevemente esponendo fin qui, si vede che gli esemplari descritti dall’ Oppenheim, poco nume- rosi e mal conservati, raggranellati per i Musei pubblici e le collezioni private, e non tutti di certa e precisa provenienza, non possono dare un giusto criterio sull’età degli strati che li contengono; mentre la fauna nostra, assai più abbondante, al- meno negli strati superiori, è stata in grande parte raccolta sul posto dal prof. De Stefani e da me, e presenta i tipici caratteri di una fauna oligocenica. [ms. pres. 18 aprile 1902 - ult. bozze 9 maggio 1902]. BRADISISMI E TERREMOTI D E L L A REGI ON E B E N A C E N S E Nota del prof. G. B. Cacciamali. L’ultimo terremoto benacense del 30 ottobre 1901 mi ha sug- gerita l’idea di presentare alla Società geologica italiana uno studio sull’importante argomento dei fenomeni sismici che così frequentemente percuotono la nostra Riviera, cercando di dare di essi la spiegazione coi fatti che ci vengono rivelati dalla stra- tigrafia della regione. Questo lavoro si compone quindi delle seguenti due parti : 1" Studio dei bradisismi verificatisi in tempi terziari e qua- ternari sulla zona prealpina e pedemontana interessata, bradi- sismi messi in evidenza dalla natura geologica di questa: le ultime pubblicazioni mie e del collega Cozzaglio, citate nella seguente bibliografìa, costituiscono il fondamento di questa prima parte. 2a Studio di collegamento tra effetti e presunte cause, ossia di coordinamento tra i nostri terremoti e le linee tectoniche della regione: le ultime pubblicazioni del Baratta, pure citate nella bibliografia, servono di base a questa seconda parte. Col presente lavoro non reputo affatto di dire l’ultima pa- rola sull’argomento; ma solo ritengo di indicare la via sulla quale si potrà giungere alla razionale ed esatta spiegazione del fenomeno tellurico. BIBLIOGRAFIA. Cozzaglio A. — Osserv. getti, sulla Riviera bresciana del lago di Garda (Boll. d. Soc. Geol. It. pel 1891). Valore e modalità degli spostamenti della regione veneta in confronto della lombarda (Comm. Ateneo di Brescia pel 1899). 182 G. B. CACCIA MALI Cozzaglio A. — 1 paesaggi prealpini c le moderne idee della geologia continentale (Bull. d. Club. Alpino It. pel 1899). — — Ricerche sulla topografia preglaciale e neozoica del lago di Garda (Conmi. Ateneo di Brescia pel 1900). Cacciamali G. B. — Geologia della collina di Castenedolo e connessavi questione, dell’uomo pliocenico (Connn. Ateneo di Bre- scia pel 1896). — — Cariddeghe, altopiano carsico sopra Serie (Boll. d. Sezione di Brescia d. C. A. I. pel 1896). — — Rilievi geologici tra Brescia e M. Maddalena (Comm. Ateneo di Brescia pel 1899). — — Studi geologici sulla regione Palosso- Conche (Comm. Ateneo di Brescia, e Boll. Soc. Geol. It. pel 1901). — — Osserv. geol. sulla regione tra Villa Cogozzo ed t rago Metta (Comm. Ateneo di Brescia e Boll. d. Soc. Geologica It. pel 1901). — — Una lezione di geologia dal Cidneo (Brescia, 1901). Baratta M. — Carta sismica d’Italia per gli anni 1700- 1807. Abbozzo originale (Torino, 1899). — — I terremoti d’Italia. Saggio di storia, geografia e bibliografia sismica (Torino, 1901). - — Sulle aree sismiche italiane. Carta sismica d’Italia (Voghera, 1901). PARTE PRIMA. Bradisismi. È inutile dir qui in che consistano i bradisismi; solo rile- viamo come in complesso sembri dominare il moto ascendente nelle grandi masse continentali e quello discendente nei grandi bacini oceanici. Ora, se consideriamo la maggior estensione dei mari in confronto di quella delle terre emerse, capiremo facil- mente come in generale sulla superfìcie della nostra litosfera abbia a dominare il bradisismo discendente suirascendente: ne viene che il livello del mare tende ad abbassarsi, onde l'appa- rente sollevarsi di moltissime coste. Possiamo anzi ritenere che BRADISISMI E TERREMOTI DELLA REGIONE BENACENSE 183 esista in generale il solo bradisismo discendente (più facile del resto a concepirsi) — che le emersioni dei continenti dalle acque del mare per lo più non sieno state e non sieno tuttora cau- sate da reale sollevamento degli stessi; ma piuttosto da ritiro del mare per ulteriore abbassamento del proprio fondo — e che quando detto bradisismo discendente colpisce anche la terra emersa possiamo avere o l’apparente stabilità della spiaggia dt questa o l’apparente innalzarsi del mare sulla spiaggia stessa. I bradisismi — si sa — bau dovuto generare, come gene- rano tuttora, enormi pressioni laterali, perchè, data la sfericità della terra, le masse che si abbassano debbono necessariamente adattarsi a spazio minore del primitivo; onde i badisismi oriz- zontali ed i corrugamenti degli strati, corrugamenti che pote- rono e possono anche consistere in reali sollevamenti di alcune aree. Si sa del pari che quando l’energia meccanica che è effetto del bradisismo oltrepassa il limite di coesione e di plasticità delle roccie, deve determinare delle fratture — e che avvenuta la frattura, le due masse rese indipendenti continuano ciascuna per proprio conto nel moto discendente ; ma di solito con inten- sità differente, onde abbiamo i salti o rigetti di masse, con su- perficie di scorrimento al loro contatto. Possiamo dunque ritenere che i bradisismi sono causati dal- l’assettamento lento delle masse rocciose della crosta terrestre, a sua volta determinato sia dal contrarsi delle stesse per raf- freddamento o cristallizzazione, sia dalla presenza di minuti vani in molte di esse e di più o meno vaste sotterranee cavità, il tutto poi combinato, s’ intende, col gravitare di dette masse e facilitato dalla maggiore o minore loro relativa plasticità. Essendo poi continua la formazione di nuove roccie per nuove sedimentazioni, continui saranno pure i bradisismi, i quali si manifesteranno più attivamente nelle formazioni più recenti che non nelle più antiche, già da tempo relativamente asset- tate, e formanti anzi specie di nuclei o pilastri di resistenza rispetto ai materiali tuttora in via di assettamento. Con questi concetti generali sui bradisismi ed in base ai fatti rivelatici dalla stratigrafia, possiamo ora ricostrurre le fasi orogenetiche attraverso le quali son passate le nostre regioni durante i tempi terziari e quaternari. 184 G. B. CACCIAMALI Nei primi tempi terziari (eocene) la regione montuosa delle prealpi piemontesi e lombarde doveva protendersi tino press’ a poco all’attuale corso del Po, mentre dovevano essere occupate dal mare le regioni degli attuali colli torinesi, astigiani e del- l’Appennino settentrionale, come pure quelle del piano veneto e di gran parte delle attuali prealpi venete fino alla sponda bresciana del Garda, fin qui (a Manerba p. es.) estendendosi le formazioni marine eoceniche. E tanto le prealpi piemontesi e lombarde attuali ed antiche, quanto l 'allora sommersa area bena- eense-veneta, dovevano essere già colpite da bradisismo, almeno iniziale; cosicché mentre quelle, e per erosione e per bradisi- smo, si andavano abbassando, questa, la sedimentazione lottan- dovi vittoriosamente col bradisismo, si andava elevando. Detto bradisismo ebbe per effetto di mettere in azione in quel mare veneto il vulcanismo, come lo dimostrano i basalti degli Euganei, dei Belici e delle colline veronesi, basalti di cui l’estremo lembo occidentale trovasi a Malcesine: tali eru- zioni erano prevalentemente subacquee, e solo in modo effimero dovettero dar origine ad una specie di arcipelago vulcanico. Ma già fin dalla fine dell’eocene quelle bocche eruttive si spen- sero, e furono poi demolite dall’azione meteorica, ed i prodotti loro stessi parteciparono affatto passivamente ai moti orogenici posteriori. Nel periodo successivo (miocene) un abbassamento del livello del mare deve aver iniziata l’emersione delle prealpi venete meridionali e dell’Appennino, mentre il bradisismo deve aver raggiunto nello stesso periodo la massima sua energia, limitando però la propria area d’azione alla parte meridionale delle prealpi venete stesse e delle lombarde (quelle oggi scomparse ed una piccola parte delle attuali), ma continuandola su tutte le prealpi piemontesi (oggi scomparse). Come conseguenza del bradisismo miocenico si ebbero i più forti corrugamenti e le più forti dislocazioni che noi troviamo nelle nostre montagne: la demarcazione della zona soggetta a quel bradisismo sarebbe infatti precisamente segnata dalle più grandi c note nostre linee di frattura: nel Veneto orientale quella del 'ragliamento (Tolmezzo), seguita dalla linea di V. Sugami (Pieve di Cadore); e più giù la periadriatica (Gemona), seguita BRADISISMI E TERREMOTI DELLA REGIONE BENACENSE 185 dalla frattura di Belluno; nell’alto Veronese quella che corre lungo le laide orientali del Baldo; nel Trentino la Merano- Idro, ecc.; e nella provincia di Brescia, per non citare che le più meridionali, ecco la gran linea (rilevata da Cozzaglio) che da Limone tenendo alto sulle sponde del Garda passa a Dega- gna, a Pavone di V. Sabbia, a Serie ed al fianco orientale di M. Maddalena presso Brescia; ed ecco l’altra linea (rilevata da me) che da Monteclana di Nave si dirige a Cortine, a Bo vezzo, ai Camaldoli, a Gussago, ecc. Le regioni che si trovano a S. o SE. delle nominate linee tectoniche sono state colpite, dopo l’avvenuto loro distacco dalle superiori, da moto discendente più pronunciato; le altre rima- sero relativamente al loro posto originario. E quando più linee di frattura si trovano fra loro parallele o subparallele abbiamo, si capisce, un’alternanza di zone abbassate e di zone non o meno abbassate : tale è il caso della Merano-Idro, di quella della Ri- viera bresciana e di quella del Baldo : le formazioni del ver- sante orientale del Baldo poste a SE. della frattura si sono ab- bassate tanto da costituire la valle dell’Adige — quelle del cri- nale del Baldo per contro si sono abbassate di poco — ma grado grado che discendiamo lungo il versante occidentale del Baldo stesso le vediamo affondate del pari e sempre più fino a costi- tuire la sinclinale benacense — cosi le formazioni della Riviera bresciana sono abbassate rispetto a quelle che si trovano a NO. della frattura Limone-Degagna, rimaste relativamente a posto — ma queste stesse più oltre si trovano a loro volta abbassate ri- spetto a quelle che stanno a NO. della linea Merano-Idro. Notiamo poi qui come la differentissima struttura stratigra- fica che notasi sulle due sponde del Garda — sulla veronese cioè la pila maestosa degli strati del Baldo, poco piegati e non fratturati, e sulla bresciana le stesse formazioni stranamente piegate e fratturate — chiaramente dimostrano che la mole del Baldo, abbassandosi come un sol blocco ha esercitato tali pres- sioni laterali contro le roccie della sponda bresciana (per mezzo s’intende di quelle della sinclinale benacense allora non ancora occupata da lago) da contorcerle in modo così bizzarro e frat- turarle così da ridurle quasi a frantumi. 186 li. B. CACC1AMALI Per giudicare dell’entità dell’abbassamento posteocenico del lembo meridionale delle prealpi bresciane valga il semplice cal- colo del dislivello tra formazioni contemporanee poste rispetti- vamente da una parte e dall’altra delle citate due linee teuto- niche Limone-Maddalena e Nave-Gussago : esso varia secondo i punti dai 500 fin oltre i 2000 metri. L’abbassamento di cui abbiam tenuto parola deve senza dubbio aver determinate potentissime erosioni agli orli dei superiori terrazzi, onde la formazione durante il miocene di grandiose conoidi alluvionali sulla regione affondatasi, conoidi alluvionali di cui ci rimane traccia nei conglomerati del M. Orfano di Le- vato, della collina di Sale di Gussago, di quella della Badia presso Brescia e del M. S. Bartolomeo sopra Salò. Ma detto bradisismo posteocenico — che possiamo chiamare anche miocenico, perocché trattandosi di moti lentissimi c di lunghissima durata si sarà protratto certo a quasi tutto il pe- riodo miocenico stesso — deve aver avuto per conseguenza, al- l’ inizio del successivo periodo pliocenico, la reinvasione del mare sopra una gran parte delle regioni nostre emerse nel miocene (almeno fino all’ indicato limite del bradisismo stesso) e la som- mersione finale delle prealpi piemontesi: il mare padano venne cosi a spostarsi da sud a nord, e sul fondo di esso si andarono poscia depositando i sedimenti pliocenici. Sulla fine poi del pliocene si verificò per una seconda volta la contemporaneità d’un ritiro del mare per abbassamento del suo livello generale e d; una forte ripresa del bradisismo : rie- merse quindi una gran parte delle nostre regioni, rimettendo a giorno i sedimenti eocenici e miocenici, coperti da quelli del mare pliocenico, sedimenti che ora costituiscono le colline tori- nesi ed astigiane, l’Appennino settentrionale e pochi lembi subal- pini — ed insieme si ebbe un altro affondamento ; ma questa volta su area più ristretta, limitata cioè all’ incirca all’attuale linea di demarcazione tra le nostre prealpi e la pianura, inter- nata però ancora alquanto nella regione prealpina veneta. I sedimenti pliocenici messi a giorno nella zona prealpina furono poi facilmente dai punti elevati portati via per dilava- mento, meno per caso fortunato dal S. Bartolomeo di Salò e nella regione piana sepolti iter alluvione, meno su piccolo BRADISISMI E TERREMOTI DELLA REGIONE BENACENSE 187 tratto della collina di Castenedolo, dove furono, del pari fortu- natamente, per moti posteriori del suolo e per azione delle acque, riscoperti e quindi rimessi a giorno. Abbiamo così un dato pre- zioso per stabilire l’entità dell’abbassamento postpliocenico: i sedimenti pliocenici della cima di S. Bartolomeo (568 metri) hanno i loro corrispondenti a 30 metri sotto il crinale della col- lina di Castenedolo (150 metri) : il dislivello è dunque di m. 448. Il limite nord del bradisismo postpliocenico dal bacino bena- cense passa dunque tra Salò, colpita, ed il S. Bartolomeo, non colpito; poi a Gavardo, Paitone, Rezzato, Brescia; indi alle co- noidi alluvionali mioceniche della Badia, di Sale e di Rovato, che dislocate costituirono gli attuali relativi rilievi. Come dopo il bradisismo posteocenico, così dopo quello post- pliocenico si dovettero determinare poderose azioni erosive agli orli degli alti terrazzi, onde il costituirsi dell’antica pianura padana quaternaria, meno nella porzione orientale della regione, ancora occupata dal mare. Ed è qui anche da notarsi come — per quanto il limite settentrionale di detto bradisismo postplio- cenico debba nel Veneto tracciarsi assai più a nord che in Lom- bardia — il bradisismo stesso deve aver agito nel Veneto (almeno nella parte settentrionale dell’area colpita) con molto minor ef- fetto che in Lombardia, perocché colà gran parte di detta area rimase montuosa. A costituire, dopo il pliocene, la nominata antica pianura, oltre alle alluvioni, sopravvennero i ghiacciai colla prima ed in parte colla seconda delle loro invasioni ; e tanto i depositi allu- vionali quanto quelli glaciali si ferrettizzarono di poi. Ma forse già nel secondo glaciale si iniziò, attenuato però e sempre più ristretto, nuovo bradisismo, continuato poi durante il secondo interglaciale : la linea limite sua, ancora abbracciando parte della regione prealpina veneta, entra in territorio bresciano forse tra Manerba e Mouiga, poi passa a nord di Bedizzole, a sud di Ci li verghe, Castenedolo e Capriano, indi probabilmente per Orzinuovi, Sondilo, Romanengo e Crema giunge alla col- lina pliocenica di S. Colombano in provincia di Pavia, per poi ripiegare ad est lungo le falde deH’Appennino. Nel bresciano fanno testimonianza di questo bradisismo tanto il dislivello tra il conglomerato del primo glaciale delle eolliDe di Caivagese, 188 U. B. CACCIAMALI Ciliverghe c Castenedolo c lo stesso conglomerato sepolto sotto posteriori morene od alluvioni a Bedizzole ed a sud di Ciliverghe e Castenedolo — quanto il dislivello tra le morene del secondo glaciale a nord ed a sud di Bedizzole: detti dislivelli son di circa 50 metri. In pieni tempi quaternari dunque l’antica pia- nura s’ è abbassata ai piedi delle citate colline di Calvagese, Ciliverghe, Castenedolo e Capriano, o diremo meglio queste col- line si sono costituite e pel nominato affondamento e per un leggero corrugamento ad anticlinale (evidente a Castenedolo) dell’orlo meridionale della pianura non colpita dal bradisismo. Nel terzo glaciale e nel postglaciale infine morene ed allu- vioni nuove seppellirono l’antica pianura ferrettizzata, costituendo l’attuale e respingendo sempre più il mare verso l’Adriatico. Ma dobbiamo aggiungere che probabilmente nel postglaciale stesso un quarto bradisismo si è ancora verificato ; e questo, del- l’entità di circa 20 metri, avrebbe il suo limite NO. secondo una linea che andrebbe da Desenzano a Carpenedolo: la sua probabilità emerge e dal fatto dell’avvallamento che si incontra andando da Lonato a Desenzano, e dal fatto della cessazione a Carpenedolo della cerchia morenica più esterna. E concludendo: dall’uno all’altro dei quattro periodi salienti del nostro bradisismo prealpino e pedemontano, terziario c qua- ternario, l’area colpita da abbassamento s’è andata sempre più restringendo verso sud e verso est, e forse oggi essa è ancora più ristretta: unica prova diretta del continuare odierno del bra- disismo l’abbiamo nel fatto che il litorale veneto si abbassa di un decimetro per secolo; non possiamo in via assoluta esclu- dere però che, almeno in forma residuale e parzialmente, i movi- menti passati colpiscano ancora gran parte della regione veneta e piccola parte di quella benacense e del basso piano lom- bardo. BRADISISMI E TERREMOTI DEBBA REGIONE BENACENSE 189 PARTE SECONDA. Terremoti. Data la natura così differente del terremoto in confronto del bradisismo, parrebbe ovvio ritenere i due moti tellurici gene- rati da cause anche affatto diverse; tuttavia l’analisi delle due forme di commozioni della crosta terrestre, e lo studio geolo- gico delle plaghe che ne sono il teatro, ci fanno avvertiti che bradisismi e terremoti (parliamo s’intende della grande maggio- ranza dei terremoti, almeno italiani) ripetono cause remote co- muni e cause immediate fra loro strettamente connesse. Ed infatti: è evidente che durante il lento assettamento, che è causa immediata del bradisismo, si debbano produrre talvolta degli improvvisi distacchi di masse rocciose, si debbano deter- minare cioè improvvisamente delle fratture nella crosta, frat- ture più o meno estese e profonde, comunicanti o meno col soprasuolo o con cavità sotterranee — si debbono produrre, in conseguenza delle nominate fratture, dei bruschi spostamenti o scorrimenti delle masse stesse, assettantesi a nuove condizioni di equilibrio — si debbano determinare bruschi crollamenti in sottoposte cavità, dislocazioni subitanee d’ogni maniera, assetta- menti rapidi in una parola delle medesime masse rocciose: ecco che abbiamo allora i terremoti detti appunto di assettamento, di dislocazione, di crollamento, ecc., ed anche orogenici perchè connessi alle cause dei rilievi terrestri, o tectonici perchè con- nessi alle linee direttive dei rilievi stessi. Non è difficile comprendere come ripetano in fondo la stessa origine bradisismica anche i terremoti che si determinano, indi- pendentemente da eruzioni, entro il perimetro di aree vulcaniche (perimetrici), perocché sappiamo che i vulcani stessi sono subor- dinati alle linee di frattura ed agli spostamenti verticali di masse che ad esse sono connessi. Terremoti veramente vulcanici sono invece quelli che pre- cedono od accompagnano le eruzioni, come quelli che coincidono colla riapertura di antichi condotti di eruzione. 190 G. li. CACCI A MALI Sarebbero ili natura vulcanica, benché colpiscano regioni non vulcaniche alla superficie del suolo, anche i cosi detti terremoti dinamici, dovuti sia a focolari di lava privi di comunicazione coll’esterno, sia a mutamenti di tensione od espansioni improv- vise di gaz sotterranei: non possiamo negare tale categoria di terremoti, perocché abbiamo per esempio nelle laccoliti la prova di avvenuti spostamenti di masse fluide interne, di avvenute intrusioni di magma lavici da cavità più profonde a cavità meno profonde, senza che vi sia stata manifestazione vulcanica alla superficie, anzi con reali sollevamenti di suolo; ma tale concetto sull’origine dei terremoti non ha alcun possibile fon- damento di dimostrazione nei terremoti attuali, e probabilmente scuotimenti di suolo di tale natura non sono che fenomeni ec- cezionali. La massima parte dei terremoti, anche italiani, appartiene dunque alla categoria dei terremoti d’assettamento: i confronti che si possono fare tra le carte teutoniche e le carte sismiche tol- gono a questo riguardo ogni dubbio. E venendo precisamente alla plaga nostra, consultiamo, per quanto riguarda la regione lombardo-veneta, le carte sismiche d’Italia recentemente pubblicate dal Baratta: Luna indicativa della maggiore o minore intensità delle scosse, corocentriche od esocentriehe, con riferimento al periodo quasi bisecolare che va dal 1700 al 1897 — l’altra indicativa delle aree di scuoti- mento corocentrico, ossia delle aree più direttamente percosse perchè sovrastanti alle sedi stesse del fenomeno. Nella prima delle nominate carte ecco in complesso tinte più chiare (indicanti minor violenza di terremoti), oltreché sul piano lombardo occidentale, sulla zona del basso Po e sul lito- rale, nelle Alpi propriamente dette, nelle prealpi lombarde ed in quelle trentine ad occidente della linea Merano-Idro; e tinte più cariche (indicanti maggior violenza di terremoti), oltreché nei dintorni di Sondrio, lungo la zona delle prealpi venete, dalle Gamiche per il Bellunese, i Sette Comuni ed i Tredici Comuni fino al Baldo, sull’orlo delle prealpi bresciane e sulla linea Soncino-Pavia. Nella seconda carta — nella quale peri» non sono indicate le aree sismiche del Trentino — ecco ancora: assenza di centri BRADISISMI E TERREMOTI DELLA REGIONE lì E X AC E N. SE 191 sismici lungo il litorale, nel piano occidentale lombardo e nelle Alpi propriamente dette; e quasi assenza nel basso piano pa- dano e nelle prealpi lombarde (meno a Sondrio) — mentre detti centri sono principalmente allineati lungo le prealpi venete e sopra la zona lombarda che fa seguito nella direzione di que- sti per il Benaco, Brescia, Soncino e Pavia. Maggiore coincidenza non si potrebbe dare tra le linee tecto- niche o linee limiti di antichi bradisismi e le attuali zone di scuotimento; onde abbiamo elemento sufficiente per poter abbozzare le seguenti conclusioni sui rapporti tra le due forme di moti tellurici. la Le condizioni del sottosuolo sono omogenee sopra una vasta area: esempio la pianura alluvionale padana; se quest’area viene colpita da bradisismo, esso vi si manifesta: a) dapprima in modo omogeneo, senza darvi luogo a cen- tri di scuotimento, i terremoti che vi si verificano essendo eso- centrici, ossia onde attenuate provenienti da centri sismici più o meno vicini o lontani (ed è in questo senso che abbiamo bradisismi senza terremoti): in tale fase trovasi ora la zona li- torale veneta; i b) poi, in causa di pigiamento laterale, in modo etero- geneo, cioè con pieghe e scorrimenti, dandovi luogo qua e là anche a terremoti corocentrici. All’ inizio di tale fase si trova oggi forse la zona colpita da bradisismo già dai primi tempi postglaciali, e magari anche quella che ne fu colpita fin dal- l’ interglaciale, tutta la pla£a quindi tra S. Colombano pavese e Rovigo da un lato e Romanengo e Moniga dall’altro, plaga che forse prolungasi, sugli orli della prealpe veneta, fino ad Udine. Vi si includerebbero le aree sismiche di Rovigo, Man- tova e Cremona, poi di Soncino, di Desenzano, di S. Martino- Sommacampagna, di Cola-Domegliano, ecc. 2a Le condizioni del sottosuolo, per gli avvenuti corruga- menti e rigetti, si son fatte eterogenee; il bradisismo continuan- dovi, non solo non vi si manifesta più in modo omogeneo, ma nemmeno in modo generale: esso vi si è localizzato in aree speciali non molto più estese delle aree dei terremoti che ne sono la conseguenza. In tale fase si troverebbe la zona inclusa tra la linea limite del bradisismo interglaciale e quella del po- 192 G. B. CACCI AMA Li steoeenico, zona dai forti corrugamenti e dai forti salti strati- grafici e verso la fine del proprio completo assettamento : vi sono incluse le aree sismiche di Pavia, di Treviglio, di Brescia, di Salò, del Baldo, di Riva e poi la massima parte di quelle della prealpe veneta. E cade qui a proposito il notare come la posizione delle prime due tra le nominate aree, ed il fatto che a NO. delle medesime, nel piano occidentale lombardo e nel piano piemontese, non abbiamo altri centri sismici, ci permettano forse di integrare l’andamento ad occidente delle linee limiti dei due bradisismi posteocenico e postpliocenico, la prima delle quali si recherebbe al piede delle Alpi piemontesi, e la seconda dal Montorfano di Rovato volgerebbe a Treviglio, poi a nord ed ovest di Pavia. 3” Le condizioni del sottosuolo son ritornate omogenee, ma nel senso che le masse rocciose vi si sono definitivamente as- settate: il bradisismo, che si andava rendendo vieppiù parziale nella fase precedente, vi è cessato del tutto, e di conseguenza vi è cessato del tutto anche ogni terremoto corocentrico; e la regione, non essendo essa stessa la sede del fenomeno sismico, non riceve che scosse esocentrichc, ossia onde attenuate prove- nienti da centri sismici più o meno vicini o lontani. In tale stato si trovano: a) il piano lombardo occidentale ed il piemontese, dove il distanziamento tra le due linee bradisismiche posteocenica e postpliocenica deve aver permesso alle formazioni sottostanti alla posteriore alluvione un assettamento più omogeneo e più rapido, nel quale cioè gli accidenti tectonici sarebbero assai meno sti- pati di quello che sull’orlo della nostra prealpe e nelle prealpi venete, e nel quale la stabilità definitiva della fase in discorso sarebbe stata raggiunta più presto; b) le prealpi lombarde e le Alpi propriamente dette, dove, pur essendosi verificati bradisismi postmiocenici, l’assettamento vi deve esser stato del pari più rapido — e dove i bradisismi anteriori vi cessarono già da lungo tempo, c le masse rocciose, di èra secondaria o primaria, che ne furono colpite, sono quindi già fortemente assettate. Nel cuore delle Alpi, ed anche qua e là nella prealpe nostra, abbiamo anzi formazioni primarie spesso trasformate in scisti cristallini, che costituiscono una categoria BRADISISMI E TERREMOTI DELLA REGIONE BENACENSE 193 importante di quei nuclei o pilastri di resistenza contro i quali o sui quali si andarono assettando formazioni posteriori. Però in queste regioni, e massimamente nella prealpe, per nuove ma localissime cause, riproduconsi qua e là e i bradi- sismi ed i conseguenti terremoti, onde le isolate plaghe sismi- che di Sondrio, di Lecco, di Yalgoglio, di Breno, di Albino, di Lovere, della V. Trompia (Collio), della Y. Sabbia (Preseglie). L’area bradisismica quasi si identifica con quella sismica; ed è in questo senso che abbiamo terremoti senza bradisismi. Ma fermiamo in ispecial modo la nostra attenzione sui ter- remoti baldensi e benacensi; e distinguo appunto tra baldensi e benacensi perocché si tratta di due aree sismiche tra loro di- stinte, per quanto col legate. L’area baldense è una regione e tectonicamente e sismica- mente ben individuata: essa si estende tra due fratture post- mioceniche, tra loro subparallele divergenti a sud, quella cioè delle alture della Riviera bresciana e quella orientale del Baldo; e subordinatamente tra questa e la postpliocenica che da Salò procede certo lungo la sponda bresciana settentrionale del Be- naco, fratture del pari fra loro subparallele e divengenti a sud. L’area sismica benacense si estende a SO. della baldense, cioè tra Gargnano-Salò sulla sponda bresciana e Bardolino su quella veronese: si trova quindi compresa tra il salto posplio- cenico e l’interglaciale, tra loro divergenti a NE., l’ultimo dei quali attraversando il lago va forse a toccare appunto Bardo- lino, dove incontrerebbe l’estremità meridionale della spaccatura postpliocenica del Baldo. 11 residuale bradisismo della massa grandiosa e compatta del Baldo — formante si può dire un sol blocco, e già forte- mente abbassatasi a sera così da costituire, come si è detto, il bacino del Garda — sarebbe la causa diretta degli scuotimenti periferici del Baldo stesso, e la causa indiretta di quelli del- l’area benacense. I terremoti del Baldo sono molto frequenti e localizzati, e più specialmente si manifestano sul versante prospiciente il lago (Malcesine, Cassone, Castelletto), ma anche sull’altro (Ferrara); citiamo i seguenti: del 18 settembre 1882 a Cassone — del 7 e 26 gennaio 1879 a Malcesine — del 29 aprile 1876 a Cas- 17 194 G. B. CACCI AMALI sone, Malcesine e Ferrara — del 20 febbraio 1808 a Malcesi ne — dell’ 11 agosto 1866 a Castelletto e Malcesine. Anche i terremoti benacensi sono molto frequenti e localiz- zati : sulla sponda bresciana hanno per epicentri principali Salò e Gargnano, e sulla veronese Bardolino; oltre all’ultimo del 30 ottobre 1901 — i cui effetti si fecero sentire più fortemente a Salò e dintorni (Caccavero, Soprazocco, ecc.); ma in modo ab- bastanza forte anche a Maderno e Toscolano (sulla prosecuzione NE. della medesima linea tectonica) ed a Gavardo, Paltone, Go- glione e Brescia (sulla prosecuzione SO. della stessa), nonché a Vobarno e S. Felice (presso Salò), a Moniga e Sermione, ed a Garda (sulla sponda veronese) — citeremo i seguenti: del 16 novembre 1898, ancora a Salò, manifestatosi però contempora- neamente anche nell’area sismica di V. Sabbia (mettendo così in luce certa relazione tra essa e le arce baldense e benacense, certa influenza di queste anche fino alla linea tectonica Mera- no-ldro) — del 5 gennaio 1892, che colpì entrambe le sponde (Salò e Bardolino) — del 14 febbraio 1879 a Gargnano. A dimostrare poi il rannodamento dell’area baldense (prin- cipale) con quella benacense (secondaria) valga tener presente come nei periodi sismici della prima si ebbe spesso a notare un risveglio nei centri della seconda: così il terremoto di Gar- gnano del 14 febbraio 1879 seguì quelli di Malcesine del 7 e 26 gennaio dello stesso anno: è dunque sempre la mole del Baldo che per residuale bradisismo reagisce ancora contro la sponda bresciana del lago. Non lascierò l’argomento senza alcune parole anche sull’area sismica di Brescia, colpita ultimamente dal tipico terremoto del 27 novembre 1894, i cui effetti si estesero fino a Nave da un lato, ad Iseo, Adro e Chiari dall’altro; e colpita nei secoli pas- sati da altri numerosi terremoti, di cui il più memorabile — uno dei maggiori che si verificarono in Lombardia — è quello del 25 dicembre 1222. Con tutta probabilità il centro sismico di Brescia è determinato dai seguenti fatti tectonici: 1° Che presso Brescia passerebbe quel medesimo salto stratigrafìco postpliocenico che passa dietro Salò; e che nelle suo immediate vicinanze montuose passa anche il salto post- miocenico. BRADISISMI E TERREMOTI DELLA REGIONE BENACENSE 195 2° Che quest’ultimo subisce qui una interruzione ed una deviazione : infatti la linea tectonica dell’alta Riviera benacense finisce al M. Maddalena con direzione SSO., e riprende a Nave con direzione ovest. Ne viene che Brescia, mentre trovasi nella zona abbassata rispetto al salto Nave-Gnssago, si trova rispet- to alla Maddalena nelle stesse condizioni del Benaco rispetto al Baldo: infatti alla spaccatura della Maddalena corrisponde quella del Baldo, come alla Val di Botticiuo la Val dell’Adige — la Maddalena, al pari del Baldo, rappresenta una zona rimasta relativamente in posto — e tanto la città quanto il lago sono posti alle falde occidentali di strati abbassati, rispettivamente della Maddalena e del Baldo. Tale duplice contemporaneo affon- damento del lembo prealpino di Brescia fu probabilmente la causa determinante e del locale sbocco della Val Trompia e della locale area sismica. CONCLUSIONI. I. Le lente oscillazioni del suolo (bradisismi) interessano vaste plaghe della superficie terrestre, mentre i rapidi scuotimenti di suolo (terremoti) sono affatto localizzati, per quanto l’onda di questi si possa propagare ad aree anche più estese di quelle colpite da bradisismo (terremoti esocentrici). IL I corrugamenti e le cascate stratigrafiche, le linee di frat- tura con salti e rigetti di masse, ed ogni altro dislivello tra for- mazioni della stessa età testimoniano che i bradisismi si sono verificati in ogni epoca geologica. Le linee limiti dei bradisismi seguono poi andamenti vari: retto, curvo, spezzato o misto — - spesso sono continue per lungo tratto e spesso frammentarie — sovente parallele o subparallele. III. Le principali aree sismiche sono aggruppate in corri- spondenza a dette linee ; i terremoti sono cioè per lo più con- nessi alle accidentalità tectoniche del suolo; la massima parte di essi è quindi intimamente legata ai bradisismi. IV. L’assettamento delle masse rocciose della crosta terrestre è la causa tanto dei bradisismi quanto dei terremoti ; ma questi, al pari dei vulcani, sono subordinati a quelli, che sono il prin- cipal fattore dell’orogenesi. È solo per inveterata tradizione scien- 196 G. B. CACCIAMALl tifica che si suol attribuire ogni terremoto a causa differente dall'assettamento (tensioni, effusioni od esplosioni sotterranee di gaz, movimenti di magma lavici, ecc.) — come è solo per abi- tudine inveterata che, trattando dell’orogenesi, si parla di innal- zamenti di suolo, mentre l’assettamento si risolve per lo più in abbassamenti. Y. Il modo di justaposizione e di giuntura delle masse roc- ciose risultante da un compiuto o quasi compiuto assettamento di una regione è condizione tale che si oppone ad una ulteriore relativa mobilità delle masse stesse ; onde le aree bradisismiche tendono a localizzatisi sempre più fino a confondersi colle aree sismiche, e poi con queste a scomparire. VI. Nella regione prealpina e pedemontana del territorio bresciano e benacense si possono rintracciare le prove di quattro diversi periodi bradisismici, succedutisi in tempi terziari e qua- ternari, in quattro linee principali di dislocazione; e le attuali aree sismiche del territorio stesso sono intimamente connesse a quelle linee. VII. Tra le aree sismiche bresciano-beuacensi hanno mag- giore importanza quella del Baldo, quella di Salò e quella di Brescia. La seconda è subordinata alla prima, ed entrambe sono da attribuirsi, in modo indiretto ed in modo diretto rispettiva- mente, al residuale bradisismo della mole baldense — la terza indipendente, e può spiegarsi col residuale bradisismo d’ima plaga che si trova sulla interruzione con spostamento d’una linea tee tonica. [ms. pres. 8 marzo 1902 - ult. bozze 5 maggio 1902]. SUL MODO DI FORMAZIONE DI UNA CUPOLA LAVICA VESUVIANA Nota del prof. Giuseppe Mercalli. Dal 1895 al 1899 si formò, per lentissimo e graduato accu- mulamento esterno, una cupola lavica di circa 148 metri di altezza al piede occidentale del gran cono vesuviano. Io seguii per quattro anni, con osservazioni quasi giornaliere, riportate in mie precedenti pubblicazioni (x), il primo apparire, e tutte le successive fasi d’accrescimento di questo nuovo colle. Ma i signori W. Branco ed E. Fraas, travisando completamente i fatti, in una recente pubblicazione (2), riferiscono questo fenomeno vesuviano in appoggio dell’antica teoria dei crateri di solleva- mento, che essi tentano, non so con quanto vantaggio della scienza, di far risorgere. Infatti, nell’opera citata a pag. 30, scri- vono: « Matteucci hat uns die allmaklicke Entstehung einer gros- sen, allmahlich bis zur 163 m. bobe (*) emporgepressten Kuppel gescbildert, welclie am Vesuv in Atrio del Cavallo vom 1895-1899 sicb bildete. Er ftìhrt ilire Entstehung zuriick auf den Druck, welchen die von unten ber eingepresste Lava auf die bereits erkaltete Lava ausiibte, dieselbe kuppelfórmig bocbpressend, in der Art eines Erbebnngskraters L. von Buch’s ». (') Notizie vesuviane per gli anni 1895, 96, 97, 98 e 99, pubblicate nel Boll, della Società Sismologica ital. Voi. Il, III, IV, V e VI. (2) Branco W. nnd Fraas E., Das vnlcanische Ries bei Nòrdlingen in seiner Bedeutung fùr Fragen der allgern. Geologie, Berlin, 1901. (3) Nella nuova carta topografica del Vesuvio eseguita nel 1900 dall’Istituto geografico militare la cima della cupola lavica 1895-99 è segnata a 888 metri sul 1. d. m.; e siccome ivi, prima dell’eruzione, l’al- tezza del suolo sul mare era di 740 m. circa, cosi si può ritenere per altezza massima della nuova cupola lavica 148 m. circa. 198 G. MERCALLI I napoletani, leggendo queste parole dei due professori te- deschi, crederanno d’aver sognato, quando, dal 1895 al 1899, nelle belle notti estive, andavano in piazza Municipio per am- mirare l’incandescenza delle lave sovrapponentisi, senza posa, le une alle altre; ovvero rideranno di cuore delle elucubrazioni degli scienziati, i quali, pur di sostenere una teoria, negano un fatto da tutti veduto coi proprii occhi per 50 mesi interi e continui. Anzitutto osservo che il dott. Matteucci non ha mai asserito quanto gli fanno dire i sigg. Branco e Fraas, poiché egli ritiene, come me, che la cupola lavica 1895-99 per i 9/10 della sua altezza, si è formata per accumulamento esterno; solamente afferma che, tra la metà di febbraio e la metà di marzo 1898, la detta cupola au- mentò di 15 metri di altezza per sollevamento endogeno ('). Ma, secondo me, anche questo parziale sollevamento non si veri- ficò; e già, in altro lavoro, ho dato le ragioni di questo mio convincimento ('). Ma credo necessario esporle qui con mag- giori dettagli; poiché niente è più dannoso alla scienza che l 'edificare teorie sopra fatti non bene accertati e, in questo caso, del tutto inesistenti. Comincerò dal riassumere brevemente il modo di formazione della cupola lavica vesuviana 1895-1899, rimandando chi de- sidera maggiori particolari dimostrativi alle mie pubblicazioni già citate. Nella mattina del 5 luglio 1895, presso il piede occidentale del gran cono vesuviano, a circa 750 m. sul livello del mare, il suolo, in luogo quasi piano, si squarciò, e da di- verse aperture, molto vicine tra loro, cominciò a fluire esterna- mente il magma lavico. Poche ore prima, diverse persone visi- tarono la località, e osservarono che il suolo era qua e là frat- turato, e tremava sensibilmente sotto ai piedi, ma in nessun punto mostrava il menomo indizio di sollevamento. Già questo (') Matteucci R., Sul sollevamento endogeno di una cupola lavica al Vesuvio. Read, della R. Accad. delle Scienze di Napoli, 1898. (') Mercalli G., Notizie vesuviane per Vanno 1899, pag. 22-24. — Il dott. Matteucci (nel Boll, della Soc. Sismo! . it., an. VI p. 77) alle mie ragioni rispose con affermazioni vaglie, mostrando di insistere nel suo supposto sollevamento. Perciò sono obbligato, per amore della verità, a ritornare sulPargomento. MODO DI FORMAZIONE DI UNA CUPOLA LAVICA VESUVIANA 199 primo fatto dimostra che le lave vecchie, di cui il suolo era costituito, sotto la pressione interna del magma, che forzava l’uscita, dopo prolungati tremiti, si erano spezzate anziché pie- garsi e sollevarsi. L’efflusso lavico era accompagnato da gran quantità di va- pori, ma senza proiezione di materie detritiche; di modo che le aperture del 5 luglio non funzionarono come crateri di esplo- sione (’), ma solo come bocche di efflusso o bocche di fuoco , ossia come semplici sorgenti di lava. L’efflusso lavico continuò lentamente e tranquillamente, ma senza interruzione, per più di un anno e mezzo sempre dalle stesse bocche, ed il magma, essendo molto denso e poco scor- revole, si accumulò di preferenza in vicinanza ai punti di ef- flusso, e formò, per sovrapposizione esterna, un’ altura irrego- larmente conica, cioè un vero cono di lava, o, come alcuni dicono, un vulcano omogeneo. Durante tutto il 1896 e fino alla fine di gennaio 1897, le lave venivano alla luce da aperture laterali, che si aprivano ora da una parte ora dall’altra nei fianchi della nuova cupola lavica. Tanto che qualche volta ho visto discendere, da parti diverse ed opposte, fin dieci colate contemporaneamente. L’ accresci- mento esogeno, per sovrapposizione esterna, non poteva essere più evidente. Qualche volta i punti di efflusso si aprivano alla parte più alta della nuova collina, ma più frequentemente pochi metri al di sotto della sua cima. E più volte notai che, quando una nuova bocca importante di efflusso si apriva in uno dei fianchi della cupola, la lava cessava di fluire o almeno decre- sceva dalle altre parti. Era, adunque, evidente che nell’interno del monticello lavico in formazione esisteva un condotto appros- simativamente centrale, nel quale il magma si alzava finché, ( ' ) Il dott. Matteucci, (L’apparato dinamico dell’eruzione vesuviana del 3 luglio 1895, in Rend. R. Accad. delle Scienze di Napoli, pag. 11), parla di « blocchi di vecchie lave slanciati in aria nelle esplosioni del 3 lu- glio 1895»; ma ciò non é esatto. L’efflusso lavico del 3-5 luglio 1895 avvenne colla massima tranquillità senza esplosioni eccentriche nè di massi né di scorie, solo con poca cenere e fini detriti. I blocchi, a cui alludo il dott. Matteucci, rotolarono in basso, formando una frana, e non vennero punto slanciati in aria. 200 G. MERCALLI O U» C' cP 4 li é to trovato qualche punto debole nelle lave solidificate precedente- mente, si apriva una breccia e veniva alla luce. In tal modo le lave, accumulate vicino alle bocche del 5 luglio 1895, rag- giunsero, verso il 31 gennaio 1897, uno spessore di 65 a 70 metri. Allora per alcuni giorni lo sgorgo delle lave parve prossimo a cessare ; ma, nella notte del 31 gennaio - 1° feb- braio, improvvisamente si a- prirono nuove bocche d’efflus- so tra la base della cupola lavica 1895-1896 e il piede del gran cono vesuviano. Da queste bocche nuove del 1° febbraio cominciò subito a sgorgare il magma lavico, il quale, accumulandosi special- mente a nord e ad est della cupola lavica 1895-96, ne e- dificò una seconda, la quale, verso la fine del 1897, già aveva superato di poco meno di una diecina di metri l’al- tezza della prima. Fino al dicembre 1897, una sella se- parava le due cupole ge- melle; ma nei mesi seguenti, a poco a poco, questa sella scomparve, ossia venne col- mata dalle lave nuove, le quali poi si riversarono dalla seconda cupola sopra la pri- ma, ricoprendola compieta- mente, come si vede nella fig. 1, e formando una sola, imponente collina lavica t^tìg. 2), che rappresenta la fusione delle due cupole iniziate il 5 luglio bL E CO ■3~-> oO 3 1 o $ 0 MODO DI FORMAZIONE DI UNA CUPOLA LAVICA VESUVIANA 201 1895 e il 1° febbraio 1897. Questa collina continuò a crescere, per sovrapposizione esterna, tino ai primi giorni di settembre 1899, quando l’efflusso lavico cessò, dopo aver durato, senza interru- zione, per quattro anni e due mesi. Fig. 2. — Cupola lavica vesuviana 1895-1899, vista dal terrazzo del R. Osservatorio il 28- III 1899. ( O . Raitheì fot) 202 a. MERCALLI Il modo, con cui le due cupole laviche si fusero in una, risulta evidente dalla fig. 1, nella quale a a' è il profilo della cupola del 1895-96 ; bb' la cupola del 1897, quando ancora esisteva una sella tra essa e quella del 1895; infine cc la cupola del 1897-98, dopo avvenuta la fusione. Questi tre profili sono presi da tre fotografie, da me eseguite sempre dal medesimo punto di vista, cioè dal terrazzo dell’Osservatorio vesuviano. Queste foto- grafie dimostrano pure che, in seguito alla fusione delle due cupole, la cima dell’altura si spostò di parecchie centinaia di metri verso nord, ossia verso il Somma ; poiché — come ben si rileva dalla figura — fino al novembre 1897, la visuale, passante per l’Osservatorio vesuviano e per la cima della cupola, avvicinava l’asse del gran cono vesuviano; invece alla fine del 1898, la stessa visuale cadeva fuori del gran cono verso nord, ossia verso l’Atrio del Cavallo. Alla cima di questo nuovo monticello lavico non si formò nessuna cavità crateriforme ; poiché il magma veniva sempre alla luce dai piccoli squarci aperti dalla pressione del magma stesso sulle lave precedentemente solidificate, dove queste pre- sentavano minore resistenza. E queste piccole aperture, eli’ io proposi di chiamare pseudobocche (’), si spostavano con grande facilità, ossia si aprivano e si chiudevano, in generale a inter- valli di pochi giorni. Talvolta il magma lavico si insinuava e scorreva per un tratto più o meno lungo, al di sotto delle lave già consolidate, come sotto di un tunnel, e poi, più in basso, appariva alla luce. Di solito le pseudobocche si aprivano tran- quillamente, senza nessun fenomeno violento; solo due volte (verso la metà di marzo 1897 e nel 21 gennaio 1898) la crosta lavica venne spezzata con grande violenza, proprio come se al disotto di essa fosse scoppiata una mina. Infine uel punto, dove era stata in azione una pseudobocca, in generale non si formava nessun rialzo; però, quando cominciò l’ultimo sgorgo (agosto 1899), il magma, nell’atto di aprirsi la via per venire alla luce, ha (’) Usai questa parola per distinguerle dalle vere bocche d’efflusso del 5 luglio 1875 e del 1° febbraio 1897, dove il magma lavico sgorgava di- rettamente dall’interno del gran cono vesuviano, mentre nelle pseudobocche la lava risorgeva, attraverso le lave coeve precedentemente solidificate. MODO DI FORMAZIONE DI UNA CUPOLA LAVICA VESUVIANA 203 spezzato, sollevato e sconvolto in mille guise, sopra un piccolo tratto, le lave precedentemente solidificate, formando un conetto di alcuni metri di altezza (*), nel quale si vedono grossi pezzi della lava vecchia squarciata portati in qualche punto sino alla posi- zione verticale, e disordinatamente involti, come grandi inclusi, nel magma nuovo. Bisogna quindi supporre che quest’ ultimo, perchè molto denso, si sia, al punto di efflusso, gonfiato e solle- vato per alcuni metri prima di scorrere lateralmente. In conclusione, eccettuato qualche parziale e poco importante sollevamento della crosta lavica superficiale, una cupola di 148 m. di altezza si è formata sotto i nostri occhi, dal 1895 al 1899, per la sovrapposizione esterna di nuove colate, ammassate le une sopra le altre, presso a poco come lo Scrope imagina che si sia formato il mammellone centrale dell’isola Borbone e il Puy de Sarcouy nell’Alvernia (2). Bisogna, tuttavia, notare due dif- ferenze nel confronto dei due fenomeni, cioè: 1° che il con- dotto per cui saliva il magma, nell’interno della cupola lavica vesuviana non si mantenne semplice come all’isola Borbone, ma si ramificò svariatamente, e perciò molte volte le colate non uscivano dalla cima, ma dai fianchi della cupola stessa; 2° che- le lencotefriti basiche del Vesuvio, per quanto pastose e poco scorrevoli , si mantenevano fluide per un tempo più lungo in confronto colle trachiti acide del Puy de Sarcouy, e perciò il pendìo della cupola vesuviana risultò sensibilmente meno in- clinato (3), come si vede dal paragone delle figure dello Scrope con la mia fig. 2. Mi resta, infine, di esporre le ragioni per cui io non ri- tengo dimostrato il parziale sollevamento endogeno ammesso, come dissi sopra, dal dott. Matteucci. Anzitutto vediamo come egli stabilisca i dati di fatto. (') Una riproduzione fotografica di questo minuscolo conetto si può vedere nella fig. 5 delle mie Notizie vesuviane pel 1901 in Boll. Soc. Sism. it. Voi. VII. (2) Scrope P., Les volcans, trad. par E. Pieraggi, p. 135. (3j Verso ovest, dove il suolo primitivo era, relativamente alle altre parti, più inclinato, la cupola vesuviana presenta un pendìo medio di 15°- 16°; verso sud un pendio appena di 7°-8°. 204 G. MERCALLI Il dott. Matteucci afferma, che verso la metà di febbraio, la cima della cupola lavica raggiungeva 835 metri sul 1. d. m., e che, al 14 maggio 1898, la stessa cima si trovava a 850 m. sul 1. d. m. (*). Orbene, è evidente che, per dimostrare che la cupola lavica si è sollevata di 15 m., proprio tra la metà di febbraio e la metà di marzo, il dott. Matteucci avrebbe dovuto eseguire la seconda misura non al 14 maggio, ma al 15 marzo altrimenti le sue misure non provano nulla; poiché tra queste due ultime date lo stesso dott. Matteucci ammette che l’accre- scimento in altezza della cupola continuò per sovrapposizione esterna di lave. In secondo luogo, il dott. Matteucci non dice, come avrebbe dovuto, con qual metodo e da qual punto prese le sue misure; sembra, però, che abbia fatto le sue osservazioni alla stazione inferiore della Funicolare, dove eseguì la fotografia che ha pub- blicato in appoggio del suo assunto. Ma si è bene assicurato il dott. Matteucci, se, nel febbraio 1898, la vera cima della cupola lavica fosse visibile dal piazzale della stazione della Funicolare ? A me pare che no. Infatti, sia A (fig. 3) il piazzale della sta- A vwfcfl.- ìlAXfc to-W- B Cw joo-Cdt. ColamsCo, IMS- 9 6 C „ 1&97-93 . Ab - m . 750 £t : 36 -&C „ 1 50 Fig 3. zione, AB Y la visuale che limitava, verso la metà di febbraio, la parte visibile della cupola da A. Proprio verso la fine del 1897 e al principio del 1898 la cima della cupola lavica si spostò a poco a poco da B in C cioè quasi 250 m. più verso (') Le parole del dott. Matteucci sono precisamente queste: «il suo punto più elevato (della cupola lavica) raggiunge oggi (14 maggio 1898 ) gli 850 m. s. 1. del mare ». (Matteucci, op. cit. pag. 5). Si noti che lo stesso dott. Matteucci, ripubblicando un anno dopo le sue osservazioni (nel Boll, della Società Sismol. it., Voi. V, n. 2, pag. 0) omette la data 14 maggio . Perché tale omissione, mentre era assolutamente essenziale, per dimostrare il suo asserto, indicare la data delle due misure ? MODO DI FORMAZIONE DI UNA CUPOLA LAVICA VESUVIANA 205 noni, come sopra dimostrai (1). Allora si vede che presso C le lave potevano accumularsi, e si accumulavano di fatto, fino a 12 m. circa di altezza sopra il livello di B, senza essere visi- bili da A. Infatti, sapendo che l’altezza Bb era di 3(5 m. (Mat- teucci), la distanza bA, misurata sulla carta topografica, era di circa 750 in., e la distanza BC di circa 250 m., per la simi- litudine dei due triangoli rettangoli AbB e BCc, si potrà facil- mente calcolare la lunghezza del cateto Cc, e si avrà: = ^ 50X36 750 = 12 metri. Dunque, (piando la parte C della cupola, per accumulamento esterno di lave (come dimostrerò in seguito), giunse a sollevarsi di 12 metri, allora la visuale condotta a B si confondeva con ((nella condotta a C; e, superata questa altezza, cominciava a vedersi da A il profilo di C, che il dott. Matteucci ha creduto sollevato, confondendolo col profilo di B. (5) L’altro dato di fatto, che ritengo non bene stabilito dal dott. Matteucci è il seguente: Egli afferma che, dopo il 15 feb- braio, le lave sgorgavano solamente dal fianco orientale della cupola lavica, e che per tutto un mese cessarono di ammassarsi sulla sua sommità. Ma, siccome questo non è conforme alla realtà dei fatti, così perdono ogni valore dimostrativo la figura schematico- teorica data dal dott. Matteucci e le deduzioni che da essa ne trae. Infatti, se, guardando dalla stazione inferiore della Funi- colare, le lave non si vedevano ammassarsi sulla cima della (*) (*) Lo spostamento definitivo della cima della cupola, come risulta dalla fig. 1, é certamente molto maggiore di 250 m., ma tale si può ritenerlo nel febbraio-marzo 1898, poiché continuò a poco a poco anche nei mesi successivi. Può essere che, all’epoca indicata, fosse già mag- giore, e allora il mio ragionamento acquista più valore. (2) Per spiegare l’equivoco, in cui è caduto il dott. Matteucci, bi- sogna notare che egli tace completamente dello spostamento della cima della cupola lavica, sebbene quando ripubblicò le sue osservazioni nel Soli, della Soc. Sismol. ital., voi. Y, io avessi in un numero precedente dello stesso Bollettino, annunciato e dimostrato tale spostamento ; e ve- ramente questa sua inesplicabile omissione basterebbe a far perdere ogni valore alle misure, che riferisce, per dimostrare il sollevamento endogeno della cupola stessa. 206 G. MERCALLI collina, nel detto periodo di tempo, ciò dipendeva da questo che la cima stessa da tale punto non era visibile. Ma io che, tutte le sere, osservavo il Vesuvio da Napoli, e registravo giornal- mente la posizione delle lave, posso assicurare che queste, con- trariamente a quanto asserisce il dott. Matteucci, nell’epoca in- dicata, scendevano non solo verso est, ma anche verso ovest, nord-ovest e sud-ovest della cupola, e provenivano proprio dalla sua cima, la quale in tal modo continuava ad aumentare in altezza per accumulamento esterno (*). E in conferma di ciò, potrei anche mostrare due schizzi, indicanti la posizione delle lave, da me eseguiti nelle sere del 22 e del 25 febbraio 1898. In (‘) Coni’ é naturale, le lave, che scendevano dalla cima della cupola lavica dalla parte di ponente, si vedevano molto meglio da Napoli che non dalla stazione inferiore della Funicolare. In appoggio di queste mie asserzioni, ricopio dal mio registro giornaliero alcune delle osserva- zioni da me fatte da Napoli nel feldiraio-marzo 1898: Febbraio 22, vedo tre colate molto vive come sono indicate nella fig. 4; Febb. 23, le colate 1, 1, 1 e 3, 3,3 sono vive come ieri, alquanto diminuita la colata 2, 2, 2; Febb. 25, le colate 1, 1, 1 e 3, 3, 3 come ieri; al posto della colata 2, 2, 2 ci sono tre piccoli rigagnoli di lava provenienti dalla cima, verso ovest ; Febb. 26, nuova colata che scende da ovest in direzione della Croccila; Febb. 27, la colata 3, 3, 3 é quasi estinta, le altre colate press’a poco come ieri; Marzo 5, leggero incremento della lava verso la Vetrana; una cor- rente discende dall’alto della cupola e giunge fin presso la base del Somma; Marzo 7-8, dopo mezzanotte, la colata del giorno precedente è vi- vissima; Marzo 10, le colate più forti sono a nord-ovest, ma una piccola colata nuova scende da ovest verso il centro della Vetrana; Marzo 11, incremento delle lave; la colata centrale di ovest é molto viva ; Marzo 12, sera, sebbene sia annebbiato e pioviggini, pure vedo, da Napoli, le lave senza binoccolo; Nel giorno 14 marzo feci un’ escursione alla cupola lavica, e os- servai le colate che sgorgavano dal fianco di est della cupola. Queste correnti non erano visibili da Napoli, meno alcune diramazioni che esse mandavano a nord, verso il Somma. Per completare queste mie osser- vazioni, vedi le mie Notizie vesuviane del gennaio-giugno JS!>8. MODO DI FORMAZIONE DI UNA CUPOLA LAVICA VESUVIANA 207 ambedue si vedono le colate scendere dalla cima della cupola lavica, come mostra la fìg. 4, che riproduce appunto uno di a a Eig. 4. — Le lave fluenti vedute da Napoli nel 22 febbraio 1898. a, a bocche d’efflusso presso la cima della cupola lavica. 1, 1, 1 — 2, 2, 2 — 3, 3, 3 lave in movimento. questi schizzi. Si aggiunga che, tra il 1(3 e il 19 febbraio, forti colate (corrispondenti a quelle segnate 3, 3, 3 nello schizzo) hanno invaso la rotabile Cook, ricoprendola per 214 metri di sviluppo f1); il che non avrebbe potuto avvenire, seie aperture di sgorgo fossero state tutte ad oriente della collina e al di sotto della sua cima, perchè la parte della strada distrutta dalla lava si trovava a sud-ovest di questa, poche centinaia di metri ad oriente del Cancello della Funicolare. Nè si devono confondere queste colate con quelle provenienti dal fianco est della Cupola lavica, le quali, scendendo, piega- vano a sud, in direzione della stazione inferiore della Funicolare, poiché esse non raggiunsero mai la strada rotabile. Invece sono queste colate che, accumulandosi presso il piede del gran cono vesuviano, a poco a poco, hanno esteso di una quarantina di metri verso est la base della cupola lavica; e cosi non hanno lasciato più vedere, dalla stazione, il punto d’ intersezione del profilo del gran cono vesuviano con quello del M. Somma. Ep- però anche questo fatto, citato dal dott. Matteucci, in appoggio della sua tesi, si spiega benissimo senza bisogno della suppo- sizione del sollevamento endogeno. Anzi a me pare che tal fatto neppure^si poteva spiegare come conseguenza del sollevamento, (*) (*) Vedi le mie Notizie vesuviane, gennaio-giugno 1898, pag. 5. 208 G. MERCALLI c quindi non poteva in niun modo servire a comprovarlo. In- fatti, supponiamo per un momento che, per la subtrusione del magma, il mantello esterno della cupola lavica si sia sollevato di 15 metri, ne seguirebbe forse che, per tale sollevamento, la base della cupola si avesse a spostare all' infuori di quasi 50 metri, come indica la figura del dott. Matteucci? No, certa- mente; tanto più che lo stesso dott. Matteucci nella sua figura schematica illustrativa del supposto sollevamento, imagina che le forze sollevanti agiscano solamente verso la parte centrale e sul lato di ponente del mantello lavico. Infine, se un mantello di lave irrigidite si fosse sollevato di 15 metri in cosi breve tempo , per spinta endogena, avrebbe dovuto apparire all’esterno un sistema di fratture radiali intorno al centro di massima spinta. Ciò che non si è punto verificato (*). Nè sono opportunamente citate dal dott. Matteucci le espe- rienze di E. Reyer e precisamente la 12a; nella quale si ve- dono dei sedimenti di fanghiglia, con intercalazioni consistenti, leggermente sollevati e spezzati da una massa intrusiva; e poi si vede una massa eruttiva, che, attraverso la massa di sub- trusione e i sedimenti, trabocca all’esterno. Qui avvenne solle- vamento e frattura, e, dopo , trabocco. Invece al Vesuvio, secondo il dott. Matteucci, verso la metà di febbraio si spaccò la cupola verso est e ripigliò il trabocco abbondante del magma, e poi, dopo, si verificò il sollevamento, ossia i fenomeni sarebbero in- vertiti. Eppure il dott. Matteucci dice che questa esperienza del Reyer è una riproduzione quasi fedele del fenomeno da lui de- scritto pel Vesuvio. Del resto, io capisco il sollevamento di una cupola lavica, per effetto dell’azione espansiva del magma, quando la cupola (’) Il De Lapparent, prevedendo questa obiezione, dopo avere rife- rito il sollevamento endogeno annunciato dal dott. Matteucci, soggiunge: « On remarquera d’ailleurs qu’il s’agit ici d'un gonflement lent et pro- gressif, et non de la brusque intumescence, accompagnée de crevasses étoilées, qu’admettaient les défenseurs de la théorie dea cratères de sou- lèvement ». ( Traité de Geologie, IV éd., p. 4(19). Capisco che il lento e il rapido è sempre relativo; ma a me pare che, trattandosi di una massa di lava irrigidita, che si suppone sollevata senza crevasses, mezzo metro al giorno sia già un movimento non lento ma relativamente rapido. MODO DI FORMAZIONE DI UNA CUPOLA LAVICA VESUVIANA 209 stessa sia chiusa da ogni parte, come avvenne a Santorino nei primi giorni deireruzione del 1866; ma non so spiegarmi come il fenomeno potesse avvenire al Vesuvio, nel febbraio-marzo 1898, mentre la lava fluiva abbondantemente all’esterno non solo da una ma da più parti della cupola lavica. E, per questa ragione, neppure credo si possa paragonare il supposto sollevamento alle laccoliti di Gilbert, nelle quali il magma intrusivo sollevò gli strati sovrapposti appunto perchè non potè romperli e effluire all’esterno ; mentre alla cupola lavica vesuviana si verificava precisamente il contrario. A maggior conferma di questa mia considerazione, farò ri- flettere essere cosa ben nota in vulcanologia, che la forza espan- siva delle materie gassose, che accompagnano i magma eruttivi, producono talvolta sollevamenti locali del suolo; sempre però prima, o all’inizio delle eruzioni, non mai durante l’efflusso lavico nel pieno suo vigore. Così si spiega il ritirarsi del mare prima, o al principio dell’eruzione del Monte Nuovo nel 1538, di quelle vesuviane del 1631 e del 1861; e di quella di Pantellaria nel 1891. Quanto alla recente eruzione vesuviana del 1895-99, un ollevamento endogeno delle lave già solidificate avrebbe po- tuto aspettarsi, quando l’efflusso ricominciò, dopo temporanee sospensioni (4 luglio 1895, fine gennaio 1897 e fine luglio 1899); ma, se in queste circostanze non si verificò, tanto meno poteva avverarsi nel febbraio e marzo 1898, quando le vie d’efflusso erano larghe e molteplici, come si rileva dalle notizie detta- gliate, da me riferite qui e in altre pubblicazioni, intorno alla posizione ed alla estensione delle colate nel detto periodo di tempo. Un’altra causa, che, secondo il dott. Matteucci, avrebbe concorso a determinare la spinta necessaria per un solleva- mento endogeno, è la pressione originata dal dislivello esistente tra l’altezza della colonna lavica nel condotto centrale, e l'al- tezza della lava sgorgante dalle bocche d’efflusso. Ma faccio osservare che questo dislivello era molto maggiore nel maggio e nel luglio del 1898, senza che si verificasse nessun solleva- mento endogeno, ma solo un incremento dell’efflusso lavico. Infatti io trovai al cratere del Vesuvio nel 14 marzo una pro- fondità di circa 200 metri, invece, nel maggio e nel luglio, pro- 18 210 G. MERCALLI fondita non superiori a 60-80 metri (1). E nel maggio vidi il magma lavico traboccare in piccoli rigagnoli sul fondo del cra- tere. Il che dimostra che la colonna lavica riempiva comple- tamente il condotto centrale, e quindi si era alzata di 120 metri almeno, dopo il marzo. Nello stesso tempo la cupola lavica era pure cresciuta in altezza, ma di pochi metri. Quindi il disli- vello, tra le due colonne laviche comunicanti, era, in maggio e luglio, almeno 100 metri maggiore che nel febbraio-marzo. E ciò rende sempre meno probabile a priori il supposto solleva- mento endogeno in questo secondo periodo, durante il quale il vulcano si trovava in condizioni meno favorevoli perchè esso avvenisse. Da quanto venni esponendo mi pare di poter concludere che la teoria dei crateri di sollevamento, rievocata dai pro- fessori Branco e Fraas, non trova nessun appoggio nella realtà dei fatti avvenuti al Vesuvio dal 1895 al 1899. Invece la for- mazione della nuova cupola lavica vesuviana è di grande in- teresse per la orogenesi vulcanica, perchè ci offre un anello di congiunzione tra i domi trachitici a rapidi pendìi dell’Alvernia, e i coni basaltici estremamente appiattiti dell’isola Hawai. Il che si spiega benissimo, riflettendo che la fluidità delle mo- derne leucotefriti del Vesuvio occupa precisamente un posto in- termedio tra la grande viscosità delle domiti acide e l’estrema scorrevolezza dei basalti vetrosi hawaiani. Concludo, infine, che le mie osservazioni, fatte durante il prolungatissimo efflusso lavico 1895-99, mi hanno ripetutamente dimostrato che le lave irrigidite e a superficie unita (Fladen- lava di Heim), sospinte dalla forza espansiva di nuovo magma, cercante un’ uscita, si spezzavano prima di curvarsi e sollevarsi, e, solo dopo fratturate, talvolta accadeva che i pezzi più o meno grandi venivano spostati e sollevati. [ms. pres. 7 aprile 1902 - ult. bozze 9 maggio 1902]. (’) Vedi le mie Notizie vesuviane genn.-giugno e luglio-dicembre 1898. — So che il dott. Matteucci afferma che il cratere vesuviano mantenne dal 1895 al 1899 una profondità costante di circa 200 metri (Matteucci, Su fenomeni magmastatici verificatisi ecc., in Rend. della R. Accad. dei Lincei, Voi. Vili, 1899, pag. 278); ma, dalle mie personali osservazioni, mi risulta che ciò è ben lontano dal vero. UNA CONIFERA FOSSILE DELLMMOLESE Nota dell'ing. Enrico Clerici Con lettera del 27 maggio 1898 l’ou. senatore Scarabelli mi inviava in gradito dono un pezzo di legno silicizzato rinvenuto fra le ghiaie del quaternario dell’Imolese e mi richiedeva « qual- che notizia sulla famiglia o genere di questo vegetale, il quale potrebbe avere avuta sua sede originaria o nelle argille sca- gliose, insieme alle Cicadee che vi si trovano, o fra gli strati dei nostri gessi dove pure furono rinvenuti legni silicizzati ». Risposi nel giugno successivo trattarsi certamente di una coni- fera che, con dubbio, poteva essere riferita ai tipo Cupre.ssino- xylon : rimandai ad altro momento il farne migliori preparati per un esame definitivo. In principio di gennaio di questo anno, sempre per la cor- tesia del senatore Scarabelli, mi pervenne un altro campione di legno silicizzato raccolto nelle argille scagliose della valle del torrente Sillaro nelle vicinanze del Molino dell’Aquila sulla de- stra del fiume. Poiché la provenienza e la giacitura di questo legno era ben certa interessava di esaminarlo subito e di con- frontarlo con quello raccolto fra le ghiaie. Il primo campione è di color chiaro, volgente al giallognolo : mostra sulle superfici di rottura la struttura legnosa abbastanza visibile anche ad occhio nudo, per l’ottimo stato di conserva- zione. È interamente silicizzato. Il secondo campione è di aspetto molto diverso pel suo colore bruno nerastro che non permette di riconoscervi ad occhio nudo la struttura legnosa e rende invece difficile di operare i tagli nelle esatte direzioni necessarie per l’esame microscopico. L’in- tensa colorazione si mantiene anche in lamina sottile ed è spe- 212 E. CLERICI cialmente localizzata alle pareti interne degli elementi o a tutta la loro cavità. È silicizzato interamente, ma contiene qualche venuzza di calcite. In massima parte è mal conservato; mostra spaccature, lacerazioni e deformazioni. Nelle porzioni meglio conservate che permettono l’esame microscopico si riconosce iden- ticamente costituito al primo campione. La seguente descrizione e le figure sono dedotte dal primo campione. Sezione tangenziale Sezione radiale Sezione trasversale (ingrandimento lineare: 05) Seziono, trasversale. Tessuto a cellule generalmente qua- drangolari, poco deformate per mutuo contatto, come nelle coni- fere. Mancano vasi e canali resiniferi. Anelli legnosi poco mar- cati, con tracheidi tardive poco numerose. Alaggi midollari sottili, da 3 a 5 in I min. misurato nella direzione tangenziale. Fra due raggi consecutivi sono comprese da 1 a 13 file radiali di tracheidi; per solito però da 3 a 8. Sezione tangenziale. Alaggi midollari abbondanti, da 10 a 15 in 1 min2; generalmente costituiti da una sola serie verticale di cellule in numero variabile da 2 a 30 e perfino 10 piani; le cifre elevate sono però meno frequenti. In qualche raggio vi sono cellule geminate. Il lume delle cellule c ovale-ellittico, qualche UNA CONIFERA FOSSILE DELL’lMOLESE 213 volta un po’ acuminato alle estremità del diametro varticale; lo spessore è un po’ minore di quanto apparirebbe dalla fig. 1. Tracheidi provviste di una sottile striatimi elicoidale; nelle pareti si intravedono talvolta, in proiezione, le punteggiature delle pareti radiali. Sezione radiale. Tracheidi con punteggiatura a reolata. Areole in grande prevalenza uniseriate; ma anche biserìate, o in parte uniseriate, in parte biseriate nella stessa tracheide. Le areole sono contigue. 11 loro contorno è per lo più arrotondato-ovale Fig. 4. Fig. 5. Sezioni radiali (ingrandimento lineare: 180). Fig. (>. con tendenza, a tratti rettilinei quando non stanno esattamente una sotto l’altra oppure quando sono in due file. Contorno interno ovale. La fig. 2 rappresenta la terminazione di tre tracheidi contigue e le fig. 4 e 5 sono porzioni di tracheidi maggior- mente ingrandite. All’incrocio delle cellule dei raggi midollari colle tracheidi, la striatura di queste presenta interruzioni assumendo l’aspetto di una rete a maglie allungate obliquamente. Nel campo d in- crocio di una cellula con una tracheide vi sono 5, 6, 7, forse anche 8 piccoli pori. Questi sono di difficile constatazione e soltanto in qualche parte del preparato mi è stato possibile di osservarli in modo da poterli ritrarre come nella fig. 6 ; ma per la sottigliezza del preparato mal si vedono i contorni delle cellule e delle tracheidi. 2U E. CLERICI I ledili fossili di conifere vengono usualmente raggruppati intorno a cinque tipi, desumendo i principali caratteri differen- ziali dalla forma e disposizione delle areole nelle pareti radiali delle tracheidi, dalla presenza o assenza di ispessimenti elicoidali nelle tracheidi, dalla presenza o assenza di cellule resinifere e dei veri canali resiniferi; come segue: Areole uniseriale o pluriseriate, contigue; de- formate se uniseriate, esagonali se plurise- riate Areole uniseriate; opposte se Inseriate Cellule resinifere poco abbondanti (mancanti secondo alcuni autori) Cellule resinifere molto abbondanti Presenza di canali resiniferi Tracheidi con ispessimenti elicoidali Arauca rioxylon Cedro.ii/lon Cupressinoxylon Vityoxylon Taxoxylon Di facile conseguenza ne risulta che i due campioni del- lTmolese devono essere esclusi dal tipo Pityoxylon per l’assoluta mancanza di canali resiniferi, e dal tipo Taxoxylon perchè le tracheidi non presentano ispessimenti elicoidali, come quelli per esempio del genere Taxus , coi quali non è da confondere la sottile stri atura già menzionata. La distinzione fra Cupressinoxylon e Cedroxylon è basata sopra un dato relativo, quale l’apprezzamento della quantità maggiore o minore di cellule resinifere, le quali non sempre sono facilmente visibili allo stato fossile e che se mancanti in un preparato, anche di specie vivente, non autorizzano in ge- nerale a concludere che il legno ne sia affatto sprovvisto: poiché è a ritenersi che probabilmente tutte le conifere ne contengano. Dapprima avevo pensato che il fossile dell’lmolese potesse ascriversi al tipo Cupressinoxylon perchè le numerose forme di esso hanno per solito raggi midollari uniseriali e questi nella mag- gior parte dei casi sono a molti piani di cellule (’) ; perchè pre- (’) Però anche nel tipo Araucarioryìon vi sono forme a molti piani; VA. licervi I’.eust ne conta perfino K‘2. UNA CONIFERA FOSSILE DELL’lMOLESE 215 valgono le forme a tracheidi con areole uniseriate, perchè infine vi sono forme con areole molto avvicinate, come per es. nel C. peucinwn Goepp. Ma osservando i preparati a maggiore ingrandimento si può constatare che le areole si toccano e si deformano scambievol- mente, come vedesi nelle fig. 4 e 5, e che l’orlo interno è sempre ovale o ellittico ('). Quindi il fossile può includersi nel tipo iraw- carioxylon, col quale anche meglio si accorda il numero di pori riscontrato nel campo d’incrocio delle tracheidi colle cellule dei raggi midollari. Non essendo il caso di identificare la forma dell’Imolese con altre già conosciute la denomino Araucarioxylon Scarabellii. [ms. pres. 1 aprile 1902; ult. bozze 7 maggio 1902]. (*) (*) Una disposizione analoga ho osservato nella vivente Araucaria Cunninghami, però le deformazioni sono talvolta più accentuate. BRIOZOI CTENOSTOMI FOSSILI Nota del prof. Antonio Neviani Nell’adunanza della nostra Società Geologica Italiana, te- nuta in Roma il 2 febbraio di quest’anno, presentai una breve memoria dal titolo: Sulla Tercbripora Manzonìi Rov. e sulla Protulophila Gestro i Rov. In essa parlando dell’ importante scoperta di quest’ ultima specie, fatta dal marchese Rovereto, dissi: « per quanto mi sappia, è questa la prima volta che viene descritto un briozoo ctenostomato fossile » (Boll. S. G. I., voi. XXI, p. 47). Distribuito l’estratto ; l’esimio specialista, prof. S. F. Harmer dell’Università di Cambridge, gentilmente mi scrisse quanto se- . gue: « It is perhaps worth while to remind you that Vine he believed to be tossii Ctenostomata ( Ascodictyon , Rhopalonaria , Vine Ila). I gave a reference to bis papers on pag. 521 (note) of thè Cambr. Nat. Hist. ». La cartolina del prof. Harmer mi fece avvertito che non avrei dovuto trascurare completamente, come feci, i generi pa- leozoici americani ed inglesi attribuiti a ctenostomi; ma che sarei stato più preciso se la sopra riportata mia affermazione \ fosse stata così completata: « E questa la prima volta che viene descritto un briozoo ctenostoma fossile ben accertato ». Di fatti i generi paleozoici suddetti sono tanto dubbi, che lo stesso prof. Harmer nel suo articolo Polyzoa , inserito nel voi. II della Cambridge Naturai History, pag. 521, parlando dei briozoi fossili, non cita i ctenostomi, e solamente in nota stampa: « See, however, Vine, Nat. Ann. Hist. ser. 5, XIV, 1884, pp. 87, 88, and P. Yorksh. geol. Soc. XII, 1891, p. 74, for possible Palaeozoic ctenostomes ( Ascodictyon , Rhopalonaria , and Vinella ) ». BRIOZOI CTENOSTOMI FOSSILI 217 Nel Traile de Zoologie concrète di Delage et Hérouard, toni. V, Lcs Vermidiens (Paris, 1897), gli autori citano bensì il genere Bhopalonaria (pag. 84) ponendolo in appendice alla tribù Alcyonellina, ed i generi Ascodictyon (pag. 86) e Vincila (pag. 90) assegnati alla tribù Stoloni ferina ; ma prima, parlando in generale dei Ctenostomidae (pag. 79) dicono: «... aussi ne con- naìt-on point de formes fossiles » (!). Ma veniamo ai più volte nominati generi paleozoici e pre- tesi ctenostomi. Non conosco le memorie dell’Ulrich e dei Nicholson et Ethe- ridge, ove detti generi vennero per la prima volta pubblicati; e neppure mi sono potuto procurare la memoria del Vine : Bri- tish Balaeozoic Ctenostomatous Bolyzoa, sopra citata. Ma di quest’ultima trovo una larga recensione nell’Annuaire Géolog. TJnivers., Tomo IX, 1892, pag. 848, fatta da G. F. Dollfus. Eccola integralmente : « M. G. E. Yine a repris l’étude duine sèrie d’organismes problématiques qui ont été signalés par M. M. A. Nicholson et E. Etheridge dans diverses roclies primaires d’Angleterre et d’Amérique sous le noni A Ascodictyon fusiforme, A. stellatimi, A. radians. Allenii des meilleurs naturalistes auxquels ces fos- siles ont été soumis corame Huxley, Brady, Hincks, Wrigbt, n’a osé leur attribuer ime place systématique positive ; c’est sur de nouveaux matèria uix recueillis par M. J. Young, dans les couches earbonifères de l’Ecosse, que M. Vine tente ime attri- bution zoologique non sans quelques réserves. Il pense que ces tubes fìliformes, rampants, irrégulièrement bifurqués et portant soit des perforations soit des ampoules irrégnlières, représentent des stolons de Bryozoaires Ctenostomata, des parties rampantes plus ou moins pénétrantes et articulées, d’une colonie peut-ètre cornée corame les Vallceridae ou les Vesicularidae. Déjà M. M. Ni- cholson et Etheridge, en examinant V Ascodictyon fusiformi, avaient suggéré l’idée qu’il s’agissait de cellules basilaires duine forme voisine de V Anguinaria (Aetca) spatolata actuel, mais cornine il n’y a pas de traces d'auoune portion dressée, ils ont rejetté ce rapprochement. On voit que c’est à un groupe de Bryozoaires un peu différent que M. Vine a été conduit à com- parer ses échantillons et s’est arrété dans sa conclusion. 19 218 A. NEVI A NI Voici le tableau des genres et espèces qui doivent taire partier de ce groupe difficile. Ordre des Gymnolemata Allmann. Sous-ordre des Ctenostomata Busk. Famille des Ascodictyonulae Ulrich, 1890. Zoarium fixé, consistant en zoécies fìliformes, fusiformes ou bulbeuses disposées dime manière rayoimée, unisériales, d une substance cornéo-calcaire. Genre Vinello, Ulrich, 1890. Vinello repens Ulrich. Silurici! super. Wenlock (Shoropshire). » » » Silurien infér. Cincinnati. » » var. contorta Vine. Wenlock. G. Ascodictyon Nidi, et Eth., 1877. Ascodictyon filiforme Vine. Silurien super. (Shoropshire). » radici forme » » » » siluriense » » » „ -t ^ ( Carbonifére d’Ecosse. » fusiforme N. et E. . . ( Devomen de 1 Ontano. » stellatimi N. et E. Dévonien moyen. Ontario. » radiane N. et E. Cale, carbonifere d’Ecosse. » Younyi Vine. Carbonifere infér. d’Ecosse. G. Ehopalonaria Ulrich, 1890. Ehopalonaria venosa Ulrich. Silurien infér. Cincinnati. » botellus Vine. Silurien supér. Wenlock. Une grande partie des espèces anglaises sont figurées, et à lappai, cornine comparaison et rapprochement, lauteur donne la figure grossie du Valigeria tuberosa Heller, espèce virante, d’après un specimen recueilli par le docteur Pergens dans le golfe de Naples, l’analogie est frappante et il est difficile «le croire qu’il s’agisse seulement ici d une coi'ncidence de forme». I caratteri dei tre generi attribuiti non senza qualche riserva dal Vine a etenostomi, li trovo nell’opera : A synopsis of Ame- rican fossi II Bryozoa by J. il/. Aid, Ics and B. S. Bassler (U. S. G. S., n. 173, Washington, 1900, pag. 19). « Rhopalonaria Ulr. Fusiform segmenta (? stolons constricted fusi forni ly) arranged in a more or less pianate manner, impres- sed or almost embedded in thè h«jst. Zooecia unknown (’). (') Di questo genere si conosce una sola specie: Eh. venosa (Journ. Cine. Soc. Nat. Hist. II, p. 26, pi. VII, f. 24, 24 a; 187!»); Ulr. Ci n- BRIOZCII OTENOSTOMI FOSSILI 219 « Ascodictyon Nich. a. Eth. jtin. Zoarium parasitic, of thread- like ramifying stolons, witli bulbous enlargements, arranged irregularly or in stelliform clusters; surface minutely punctate. Zooecia unknown (1). « Vinello, Uno Zoarium parasitic, consisting of exceedingly stender, ramifying, thread-like, tubular stolons, arranged more or less distinctly in a radiai manner. Surface of stolons sometimes faintly lined longitudinally and witli a row of widely separated small pores along thè top. Zooecia unknown. (2) » Ora, quale è la caratteristica messa in evidenza dalle tre riportate diagnosi? Per me la più importante è la negativa: zooecia unlmoim! e domando: è possibile, allo stato attuale degli studi, fondare generi e specie di briozoari esclusivamente su parti secondarie e non necessarie di una colonia, quali sono gli stoloni? Parti secondarie le quali neppur sempre vengono dagli autori egualmente interpretate, come avviene di Rhopa- lonaria, che nell’opera di Delage et Hérouard è posta fra gli Alcyonellina e quindi senza stoloni; mentre Nickles e Bassler, pur ponendo in dubbio la natura di stoloni, dicono apertamente: zooecia unknown? ! Ripeto che lo stesso Vino ha attribuito gli organismi in di- scorso a ctenostomi con qualche riserva; che zoologi e specia- listi del valore di Huxley, Brady, Hincks e Wriglit non ave- vano osato pronunciarsi; e che lo stesso Dollfus, nella recen- cinnati (LoiTaine and Richmond): Clarksville, Waynesville, Oregonia and Hanover, Ohio; Versailles, Indiana. Una specie molto simile fu tro- vata a Clinton, ed un’altra, non descritta, ad Hamilton [da Nickles]. (^Vennero descritte due specie: la tipica è Mse. stellatimi, Nich. a. Eth. jun. (Ann. Mag. Nat. Hist., ser. 4, XIX, p. 464, pi. XIX, f. 1-6; 1877) ; Hamilton: Widder, Ontario; Eighteenmile Creek, New York. La seconda sp. è Atte, fusiforme Nicii. a. Eth. jun. (1. c., p. 463, pi. XIX, fig. 7-8 ; 1877) ; Hamilton: Widder, Ontario ; Alpena, Michigan. Oltre a molte specie non descritte del gruppo di Chester [da Nickles]. (2) La specie tipica è Vin. rcpens Ulr. (Journ. Cine. Soc. Nat. Hist., XII. pag. 174, fig. 1; 1890); Trenton (Black River): St. Paul, Minnesota, Altre specie sono: Vin. radialis Ulr. (Geol. Minn., Ili, p. 113, f. 8 6; 1893); Cincinnati (Lorraine): Cincinnati, Ohio. Vin. radiciformis-conferta Ulr. (1. c , p. 113, f. Se, d; 1893); Niagara: Waldron, Indiana. Altre cinque specie nuove sono distribuite nell’Ordoviciano del Mississipi [da Nickles]. 220 A. NEVIANI sione della memoria del Yine, non ne abbraccia esplicitamente le conclusioni. Ed in ultimo, il semplice fatto di trovare traccia di stoloni, ci dà diritto di pensare esclusivamente a briozoari ctenostomi? Evidentemente no, perchè gli stoloni non sono una particolarità di questa classe di animali; ma li troviamo in ben altri gruppi, e fra questi specialmente fra gli Idroidi. Dopo ciò non mi rimane che chiudere la presente noticina, ripetendo quanto dissi più innanzi, e cioè che collo stabilire la Protulophila Gestroi, il Rovereto fece conoscere agli studiosi il primo briozoo ctenostoma ben accertato. Di fatti in esso non solo conosciamo gli stoloni, ma anche i zoeci e di questi fu sta- bilita la posizione nella rete stolonifera, la forma, e persino la presenza dei tentacoli, grazia la conservazione in solfuro di ferro delle delicatissime parti che ne costituivano l’organismo. Roma, R. Liceo « Visconti », [ms. pres. 7 maggio 1902 - ultime bozze 17 maggio 1902]. IL POZZO DETTO GLACIALE DI TAVERNOLA BERGAMASCA SUL LAGO D’ISEO Nota dell’ing. Francesco Salmojrac.hi Con questa nota presento, raffigurata nella tav. Vili, una jtiecola grotta, che si apre sulla sponda bergamasca del lago d’Iseo presso Tavernola, allo scopo di dimostrare che essa non è un pozzo glaciale , come fu qualificata ed è generalmente ri- tenuta. Anzi tal nome vi fu scritto sulla roccia a caratteri cubi- tali, e lo si legge da quanti navigano il Sebino fra Sarnico o Iseo e Tavernola. E gli abitanti del simpatico lago, fra le cu- riosità naturali che ne abbelliscono il paesaggio — la spelonca di Còvelo, le piramidi di Zone, la balza dei Trentapassi, la cascata di Gòveno, la forra del Tinazzo, il seno del Bogno — additano ora all’ammirazione dei turisti anche il pozzo glaciale di Tavernola. Questa grotta o pozzo, se così vuoisi chiamare, fu scoperta e descritta da D. A. Amighetti ('), che la segnalava ai geologi intervenuti al congresso di Bergamo del 1890 nel loro viaggio lungo il Sebino (1 2). Per consiglio e sotto la direzione del prof. B. Sina ed a spese dell’avv. G. B. Milesi, fu sgombrata dalle materie che la interrivano quasi tutta, e resa facilmente acces- sibile, previo il consenso del proprietaria conte E. Caprioli, il quale lo diede alla condizione non se ne facesse oggetto di lucro e gli eventuali ritrovamenti si collocassero in un museo, e che inoltre contribuì alle opere di accesso. Lo sterro, iniziato nel (1) Amighetti, Nuove ricerche sui terreni gl ac. dei dintorni del lago d’Iseo, 77. Lovere, 1889. — Id. Una gemma subalpina , 578, 645. Lovere, 1896. (2) Tommasi, Tielaz. delle gite in Val Seriana e a Lovere, ecc. Boll. Soc. geol. ita!., IX, 765. Roma, 1890. 222 F. S ALMO JR AGHI marzo 1896, era quasi compiuto nel maggio dell’anno seguente, quando visitai la grotta in una •escursione della Società italiana di scienze naturali ('). Successivamente ne feci il rilievo in compa- gnia di Sina, e in uno scritto sul Sebino (2) ebbi occasione di citarla, senza descriverla, qualificandola per un ramo di cavità carsica , la cui parte superiore venne abrasa dall’assettarsi delle sponde lacuali in conseguenza della escavazione glaciale, e quindi implicitamente riferendola al preglaciale. Nè sarebbe stato prezzo dell’opera il ritornare sull’argomento, se non mi fosse capitato di leggere in un periodico scientifico uno scritto di Amighetti (3), che, enun- ciando singolari teorie sui fenomeni carsici, insiste sulla origine glaciale della grotta di Tavernola, concedendo tutt’al più che si tratti di un pozzo glaciale carsificato! Per quanto minima sia l’importanza dell’argomento, è sempre doveroso adoperarsi per la verità, contro l’errore, specialmente se questo è divul- gato. E la verità non si può dimostrare in questo e in altri casi che col presentare in modo genuino i fatti. Dal monte Bronzone (1334"' s. m.), che domina la sponda destra del Sebino, si stacca, con direzione verso SEE, un con- trafforte, che dopo le selle di Oregia e del Giogo prende il nome di Mondava e divide le valli dei due tributarli del lago, aventi entrambi il nome di Bino , cioè il Rino di Yigolo che scende a Tavernola, ed il Rino di Predore. 11 Mondani è una medio- cre elevazione (957m s. in., quindi 772"1 sul lago), plasmata a morbide curve, tranne che in basso, dove s’avanza nel lago, è troncata in una nuda rupe, detta il Corno di Predore , a metà via circa tra questo villaggio e Tavernola, e segna precisamente il punto, dove il Sebino, diretto da tramontana a mezzodi, si inflette verso ponente. La rupe del Corno di Predore consta di grossi strati di cal- care compatto, con qualche interstrato di dolomia, [tosti sul- (’) Atti Soc. it. di se. nat. e del Museo civ. di st. nat., XXXVII, 113. Milano, 1897-1898. (2) Sai iti oj ragli i, Contributo alla limnologia del Sebino, con un ab- bozzo di carta baioni. Ibid. 202. (3) Amighetti, Il fenom. carsico sul lago d’Iseo. Riv. di tìs. mateni. e scienze nat., I, 472. Pavia, 1900. IL TOZZO DETTO GLACIALE DI TAVEIÌNOLA BERGAMASCA 223 l’indistinto confine tra il lias inferiore ed il retico superiore, diretti mediamente N 77° E, inclinati pure mediamente di 40°, immersi a N, e quindi partecipanti all’ ala meridionale della nota sinclinale liasica di Tavernola, che ivi si eleva appunto verso mezzodì per poi piegarsi a ginocchio tra Predore e Sar- nico. La rupe stessa non tocca il lago, perchè fra l’ima e l’al- tro tu condotta, in parte con mine, in parte con muro fondato sullo scanno costiero, la strada carrozzabile Sarnico-Tavernola. È sul punto più sporgente del Corno di Predore, a circa 8'" d’altezza sulla strada e a circa 10m sul Iago, che giace la so- glia m della grotta di cui si tratta (Tav. Vili). L’interrimento giungeva al livello di questa soglia, e al disopra di esso fino al punto t, per circa 7m, si presentava e si presenta tutt’ora un pozzo A, a parete rigonfia, tagliato obliquamente dall’erta pendice rocciosa, e quindi mostrante soltanto una parte della sua canna a strapiombo. Levato l’interrimento con uno sterro, che cal- colai del volume di circa 102mo, videsi il pozzo stesso approfondirsi sull’asse di altri 2m, e di 3 lateralmente in n, e poi piegarsi in un cunicolo B, inclinato mediamente di 28° verso l’interno del monte, colla volta poco accidentata e il suolo inflesso da un salto di circa 3m. Il cunicolo si estende per oltre 10m e poi finisce con pareti curve in ogni senso, salvo che, sulla fronte in jp, e a sinistra in q , e in un altro punto vicino e superiore a q, ma non rappresentato nelle figure, sonvi delle strette aper- ture, con labbri capricciosamente foggiati ed arrotondati, ostruite da ciottoletti e da limo, che accennano a proseguimenti non ac- cessibili. Il piano verticale mediano della grotta, diretto N 68° 0, non è normale alla pendice esterna, che è mediamente diretta (come in quel punto lo è la strada sottoposta) N 19° 0; quindi la grotta s’interna nel monte, deviando verso destra, cioè verso nord, di circa 41°; così lo stesso piano mediano fa un angolo di circa 35° colla direzione degli strati. Le figure della tav. Vili danno diverse sezioni longitudinali e trasversali e mi dispensano da un’ulteriore descrizione, per quanto non bastino a rappresentare tutti i particolari morfologici, che avrebbero richiesto delle sezioni almeno ogni mezzo metro. Noto soltanto ora, e salvo tornare sull’argomento, che sul fondo della grotta, a circa 4ra dalla sua fronte estrema, e precisamente a 224 F. SALMOJRAGUI piè del salto citato, fu trovata una cavità o buca C, a pareti alquanto contorte, ma pressoché cilindrica, ad asse verticale, con diametri 1"’, 30 - lra, 50 e profondità lm, 25 - lm, 80, avente tutti i caratteri di essere stata trapanata da un vortice d’acqua. Il suo punto più profondo sovrasta di quasi 3m alla magra ordi- naria del lago (zero dell’idrometro di Sarnico). Noto infine die gii strati calcarei in cui s’apre la grotta sono attraversati in r, e qua e là altrove, da litoclasii, larghi pochi centimetri e riem- piti da concrezioni tufacee, che anche sulla volta non hanno dato luogo ad alcuna stalattite. Uno di essi sembra traversi l’anzidetta cavità C e serva tuttora a scolare l’acqua di piog- gia che dall’esterno vi arriva. L’insieme di questi fatti e specialmente la distinta forma di grotta potrebbe essere sufficiente a dimostrare che il pozzo di Tavernola non è glaciale , in qualunque senso s’intenda que- sta qualifica. Ma poiché non si può negare che un lato contro- verso vi esista, e per la forma con cui si apre all’esterno e per la buca che vi è trapanata nell’interno, fui tratto ad uno stu- dio di confronto e quindi a consultare l’estesa letteratura stra- niera, nella quale sono descritte, e spesso anche figurate, cavità analoghe, specialmente dell’Europa nordica, sperando incontrarne qualcuna che presentasse riuniti tutti i caratteri della nostra. La mia speranza fu delusa; ma non mi è parso inutile di qui riassumere lo studio fatto, anche perchè l’argomento in via ge- nerale non fu mai trattato nel nostro Bollettino, e fuori di esso la letteratura italiana conta soltanto, per quanto io sappia, le memorie di Virgilio e di qualche altro, clic saranno più avanti citate, e alle quali le linee che seguono potranno servire di complemento c di continuazione. * Fra le forme di erosione conservate nelle rocce sono note ) Apollonio, I pozzi glaciali di Vezzano. Ann. Soc. Alpin. trident. 1879-1880, 37. Rovereto, 1880. — D. E. G., Id., Ibid. 1878-1879, 281. Borgo, 1879. (2) de Cobelli, La marmitta dei giganti della valle Lagarina ecc. IX pubblio. Museo civico. Rovereto, 1886. (3) Lovisetto, Di alcune marmitte di giganti nel Trentino. Ann. Soc. Alpin. trident. XIX, 17. Rovereto, 1896. C) Trener. 1 pozzi glaciali di Nago. Tridentum, II, 325. Trento, 1899. — Un altro gruppo di marmitte esiste presso Nago, già indicato da Stoppani, ma, sembra, non ancora descritto. (Tridentum, III, 42. 1900). (5) Stoppani, I.e marmitte dei giganti a Spiróla presso Lecco. Per- severanza, N. 11023. Milano, 18 giugno 1890. — Id., op. cit. 1891. (6) Cermenati, Le marmitte dei giganti scoperte a Lecco. Riv. ital. di se. nat. X, 90, 101. Siena, 1890. — Riv. mens. C. A.I. IX, 381. To- rino, 1890. (T) Corti, Le marmitte dei giganti nella valle della Cosia in comune di Camnago Volta. L’Ordine. Como, 20 dicembre, 1892, — Id., Sopra una marmitta dei giganti nella ralle della Cosia. Riv. mens. C. A. I., XII, 39. Torino, 1893. (8) Viglino, Escursioni e studi! preliminari sulle Alpi marittime. Boll. C. A. !.. XXX. 244. Torino, 1897. 240 F. SALMOJRAUHl marittime, e da Brian (*) alle piccole cavità, sparse sul ver- sante settentrionale dell’Àppennino parmense tra i monti Mal- passo ed Orsaro, alcune in rocce in posto, altre in pietre isolate. Il ragionamento, che si suol fare, è lo stesso che fece prima- mente Charpentier davanti alle marmitte di Sion e dopo di lui molti altri stranieri. Una marmitta, cioè, che non è riferibile ad acque attuali, se si trova nell’area invasa da un antico ghiac- ciaio, viene ritenuta glaciale e quindi generata da un mulino. Raramente poi mancano sproni rocciosi laterali nelle vicinanze; e questi si invocano da taluni per spiegare, coll’ostacolo creato al movimento del ghiacciaio, la persistenza dei crepacci e quindi dei mulini; mentre è ammesso da glacialisti antichi (2) e mo- derni (3) che i mulini si formano soltanto dove il ghiacciaio è poco fessurato, perchè ivi solo possono scorrere grossi ruscelli. Con ciò non faccio che esporre il fatto della tendenza seguita nell' interpetrare l’origine delle marmitte italiane, non intendo menomamente interloquire su quella interpetrazione nei singoli casi accennati, tranne che per il pozzo di Tavernola, solo og- getto di questa nota : tanto più che alcuni degli autori citati, e fra di essi principalmente Trener, hanno adottato la ipotesi dei mulini con piena conoscenza delle obbiezioni mosse contro di essa dai geologi d’oltralpe. E dopo ciò vengo alle seguenti conclusioni. Se i fenomeni che si compiono sotto i ghiacciai sono tuttora oscuri e la più grande divergenza esiste fra i glacialisti in riguardo special- mente alla intensità dell’erosione glaciale, che gli uni limitano alla striatura e levigatura delle rocce, altri estendono all’esca- vazione di circhi, fiordi, valli e laghi (4), pure non può mettersi in dubbio che le acque di ablazione, scorrenti sotto i gliiac- (') Brian, Val di Cedra. Boll. C. A. I., XXXI, 01. Torino, 1808. — Id , Sulle marmitte d’origine gìac. dell' Appenn. parmense. Atti Soc. lig. di scienze nat. e geogr. XII, 154. Genova, 1001. (') Agassiz, Nouv. étud. et exper. sur Ics glaciers a etnei s, etc., .'140. Paris, 1847. (3) Heim, op. cit., 232. 1885, (4) Salomon, Kònnen Gletscher in anstehendem Fels Rare, Seebeclen und Thdler erodiren? N. Jahrb. f. Min. Geol. u. Pai., II, 117. Stuttgart, 1900. II, POZZO DETTO GLACIALE DI TAVERNOLA BERGAMASCA 241 eiai, oltre incidere sul loro letto solchi e canali vd trapanino delle marmitte. Lo provano le molteplici osservazioni fatte sulle sedi abbandonate dei ghiacciai attuali nelle loro fasi di regresso. Importanti sono al riguardo quelle recenti sul ghiacciaio infe- riore di Grindelwald, (') dove furono fissati dei capisaldi per misurare in avvenire l’entità dell’erosione glaciale. Se ciò è, a maggior ragione devono essersi formate delle marmitte sotto i ghiacciai antichi, più potenti degli attuali, e queste marmitte sono giustamente qualificabili per glaciali . La questione poi se esse si formano o si formarono anche agli sbocchi instabili delle cascate di mulini, si connette con quella del tempo necessario perchè una marmitta venga scavata dall’acqua. Non conosco in proposito dati sperimentali, tranne quelli di poco valore di Meunier (2); si hanno però dei dati di osservazione. Collegno (1. c., 1845) riferisce che l’acqua del Tarn, presso Albi in Francia, invadendo un’adiacente superficie piana, formata di micascisto, può scavarsi in una sola piena marmitte di 2 o 3 decimetri. Sul fondo roccioso di un canale esistente a Oena presso la cascata di Trollhiitta in Svezia, Erdmann (3) trovò, quando si mise in asciutto dopo 8 o 9 anni dalla sua costruzione, che si erano formate delle pic- cole marmitte, di cui una profonda circa 0m, 50. Il canale di Hagneck, costruito nel 1878 tra l'Aar e il lago di Bienne in Svizzera, traversa in trincea un colle di molassa. Baltzer (4) dopo 6 anni vi trovò il fondo sparso di marmitte, di cui la maggiore pro- fonda lm,00. Siccome il canale in origine non era stato sterrato per tutta la sua profondità, ma si era lasciato che l’acqua corrodendo lo appro- fondisse, così ritiensi che quelle marmitte si sieno modellate in un paio di anni. f1) Verhandl. d. schu-eiz. naturforsch. Gesellsch ., LXXV Jahresver- samm., 62. Basel, 1892. — Arch. Genève, XXVIII, 461, 1892. — Nouv. mém. de la Soc. helv. d. se. natur., XXXIII, 2 liv. Zurich, 1898. (2) Meunier, La géol. expérim , 68, 132. Paris, 1899. (3) Erdmann, JBidrag till kànnedomen om Sveriges quartiire bild- ninger. Stockholm, 1868. — Di quest’opera ho già citato il sunto in francese pubblicato dall’autore, dove però il caso delle marmitte di Oena fu omesso. ( ') Baltzer, TJeber einen Fall von rascher Strudellochbildung. Mittheil. d. naturforsch. Gesell. a. d. J. 1884, 40. Bern, 1885. 242 F. SA1.M0JRAGHI Yogel (') sgombrò una marmitta che si era formata su di un argine, larga 0m,50, profonda 0,31, lasciandovi alcuni ciottoli tra cui uno ovale coi diametri di 0,33 e 0.30, e trovò, dopo un anno, durante il quale l’acqua aveva agito su quella marmitta per 5 soli mesi, che la sua pro- fondità era divenuta 1,33, ed i diametri del ciottolo si erano ridotti a 0,14 e 0,12. In un canale di scarico per lo sbarramento della Maigrauge presso Friburgo, scavato dal 1870 al 1872 in melassa tenera, nel quale l’acqua può arrivare all’altezza di lm, e tino a 4™ nelle grandi piene, ma dove per il restringersi della sezione si formano dei gorghi, Brunhes (2) os- servò nel 1897, delle marmitte, di cui la più grande aveva il diametro medio di 0m,64 ed una profondità di 1,21 ; e a piè di una scala di pesci costrutta nel 1879-1880 ne trovò una del diametro di 1"° e con pro- fondità superiore a 3m,27. Quindi se in circostanze singolarmente favorevoli di rocce tenere le marmitte possono formarsi in un tempo relativamente breve, l’obbiezione sollevata contro la loro genesi dai mulini non è eliminata. Però non si può negare la possibilità che una marmitta iniziata dallo sbocco di un mulino, e poi sospesa per lo spostarsi dello sbocco stesso, venga ripresa successivamente in una prossima o remota stagione ventura dal riprodursi del cre- paccio nello stesso posto, o venga ripresa da un ruscello sottogla- ciale; o viceversa quella iniziata da un ruscello venga appro- fondita dallo sbocco di un mulino. Circostanze eccezionali di persistenza dello sbocco in un punto non possono escludersi, sol che la constatazione se una data marmitta sia stata fatta da un mulino o da un ruscello si presenta di difficile soluzione. Pro- babilmente le due cause si associano e, se ciò è, la divergenza tende a sparire e quindi la controversia può chiudersi. In so- stanza è la stessa acqua di ablazione, che dall’ interno del ghiacciaio va sulla sede rocciosa che lo sopporta. Scavi una marmitta mentre passa da quello su questa, o mentre scorre su questa, la cosa non ha somma importanza. Importante è solo (') Vogel, Jakltagelse ofver en jàttegrytas bildande. Geol. Funai. Fòrhandl. Vili, 28, 1883. — N. Jahrb. II, 159, 1889. (2) Brunhes, Sur quelques phénom. d’e’rosion et de corrosion fluviales. Compì, remi. CXXYI, 557. Paris, 1898. — lei., Les marmites du barrage de le Maigrauge etc. Bull. Soc. fribourg. de se. natur. VII, 169, 1899. — Arch. Genève, X, 236, 1900. II. POZZO DETTO GLACIALE DI TAVERNOLA BERGAMASCA 243 che non si abbia il concetto, che è quello veramente errato, di un’unica cascata, precipitantesi sotto il mulino in un tubo verticale fino al letto del ghiacciaio, come fu rappresentato da Brbgger e Beliseli (' ) per le marmitte di Cristiania, poi da Stoppani nella figura teorica inserita nel Bel paese, successivamente da Viglino per i pozzi del Marguareis, come infine fu supposto da Corti, il quale per la marmitta della valle della Cosia stabilì anche l’altezza approssimativa della cascata in 420. m * ❖ * Dopo questa lunga digressione e dopo avere accertato, in quanto mi fu possibile, che non esiste altrove un caso uguale e nemmeno simile a quello del pozzo di Tavernola, torno ad esso, per esaminare se le sue dimensioni, la forma e la posi- zione guidano a svelarcene l’origine. Le dimensioni danno scarso criterio. Le marmitte, comunque generate, secondo i dati e le figure che trovai nella letteratura con uno spoglio di 270 casi, hanno diametro e profondità molto variabili, che cominciano da meno di un decimetro, per quelle appena iniziate o parzialmente cancellate da una posteriore azione (che Brbgger e Beliseli chiamarono cocci) e dall’anzidetto minimo salgono fino ai massimi di 12 e 15m, rispettivamente pel diametro e per la profondità. Non contai però alcuni casi straordinari i, come ad esempio la conca formatasi sotto il Nia- gara, che vuoisi profonda 50"' (2) ; e così non contai le cavità in forma di pozzi o camini, che probabilmente non spettano a fenomeni di trapanamento, benché da alcuni ritenute per tali; sono le voragini carsiche e gli organi geologici. Le dimensioni abituali stanno però entro confini più ristretti. La maggior parte delle marmitte ha profondità inferiore a 3m, quelle da 3 a 6 sono in grande minoranza, rare da G a 9, rarissime oltre 9. per ciò il pozzo di Tavernola, se si volesse considerare una f1) Op. citata 1874, edizione tedesca. In quella inglese dello stesso anno la figura indicante P andamento delle cascate sotto i mulini fu omessa. (?) Penk, Moi’phologie der Erdoberflàche, I, 313. Stuttgart, 1894. 244 F. S ALMO JK AGHI marmitta, starebbe fra quelle che hanno le maggiori profondità. Meno importante è il rapporto fra diametro medio esterno e profondità, che trovai oscillante fra limiti molti discosti da 0,08 a 13,00; più abitualmente sta fra 0,33 e 2,00; e cioè il dia- metro nella maggioranza dei casi varia dal terzo al doppio della profondità. Rispetto alla forma, il pozzo di Tavernola può considerarsi come diviso in tre parti principali. La cavità più profonda C è una marmitta perforata da un vortice; non si può avere su di ciò alcun dubbio. Lo dicono chiaramente la sua forma, e la sua parete interna levigata con tracce di solchi elicoidali, ed il suo fondo conservante le protuberanze caratteristiche, cui Gil- bert (*) nel Colorado diede pel primo un significato genetico e che Brunhes (1. c. 1898) ritiene un segno di trapanamento non compiuto o perchè il vortice si è arrestato, o perchè vi cad- dero detriti che l’acqua fu impotente ad espellere. — La parte A che si apre all’ esterno come una mezza canna di pozzo, sup- posta completata nel lato mancante, accenna ad una forma ri- gonfia, che non è comune, ma pur si trova specialmente nelle marmitte piccole prodotte da deboli vortici in rocce tenere o nelle marmitte molto profonde; la sua parete inoltre non è sen- sibilmente levigata. Però tutto ciò non basterebbe ad escludere per essa una genesi per trapanamento, perchè i segni di questo possono essere stati cancellati dall’azione del tempo. — Infine la tratta inclinata B a partire dal fondo del pozzo A fino alla fronte esterna è conterminata da superficie curve, che in diversi punti sono perfettamente levigate, in altri rugose ; in parte sono convesse, per lo più sono concave, come mostrano del resto le sezioni longitudinali e trasversali. Queste concavità non seguono curve continue, ma diverse curve indipendenti, che s’incontrano con spigoli salienti molto ottusi. L’aspetto di tali superficie ram- menta quello dei campi solcati, dove però gli incavi sono più accentuati, hanno andamento longitudinale e il loro incontro avviene con spigoli acuti anche in forma di tramezzi e creste. Può darsi che quelle concavità abbiano avuto la stessa ori- gine per soluzione chimica che si attribuisce ai solchi carsici. (*) Wheeler, op. cit. 1875. IL POZZO DE'ITO GLACIALE DI TAVERNOLA BERGAMASCA 245 ma nulla osta si interpetrino anche per tracce di marmitte ini- ziate e non proseguite. Specialmente hanno distinto aspetto mar- mittiforme la carità n sottostante alla canna A, e quella s all’estremo, tagliata a destra della sezione 4\ Quindi il pozzo di Tavernola, considerato rispetto alla forma delle diverse parti che lo compongono, può apparire un pro- dotto di trapanamento; ma nel suo insieme questa apparenza vien meno. Infatti parrai che le marmitte, in qualsiasi circostanza for- mate, posseggano tutte un carattere costante : la rettilineità del- l’asse di trapanamento. Questo asse è per lo più verticale, o di poco deviante dalla verticale, nelle marmitte scavate dal- le cascate, e quindi anche in quelle dovute eventualmente a sbocchi di mulini glaciali; è parimenti verticale nelle mar- mitte formate da gorghi o da cascatelle nell’alveo di fiumi o torrenti, e quindi anche nell’area percorsa dai ruscelli sottogla- ciali. L’asse può deviare maggiormente dalla verticale fino a diventare poco inclinato sull’orizzonte od anche orizzontale, spe- cialmente su sponde di torrenti incassati o su rupi costiere. Anche uno sbocco di mulino glaciale contro una parete verti- cale può trapanarvi una marmitta ad asse orizzontale, come, fra le altre, quelle trovate da Mercanton (*) al ghiacciaio infe- riore di Grindelwald. In ogni caso, ripeto, l’asse è rettilineo, può talora per eccezione biforcarsi (2), ma non inflettersi. Nel pozzo di Tavernola invece l’asse segue una linea spez- zata, pressoché verticale nella parte esterna A, poi inclinata nell’interna B e di nuovo verticale nella parte più profonda C. Questa è un reale ed esclusivo fenomeno di trapanamento; se lo fossero anche le altre parti, non si saprebbe spiegare per quale causa e attraverso quali fasi sia avvenuto un cambiamento di direzione. L’uniformità della roccia concorre ad escluderlo. (x) Mercanton, Marmites des géants en paroi verticale. Bull. Soc. vaud. des se. natur. XXXII, xx. Lausanne, 1896. (2) Un caso singolare di biforcazione presentasi nella marmitta di Vezzano, che fu dedicata al nome di Stoppani. Essa, aprendosi su strati inclinati, si è infossata contemporaneamente o successivamente in due direzioni, una normale, l’altra parallela agli strati. 24(5 F. SALMOJRAGHI Rispetto alla posizione la canna A si apre su di una pen- dice ripida e in un punto, che sottostava di almeno 400m al dorso dell’antico ghiacciaio all’epoca della sua massima espan- sione (ciò in base ad un profilo che in altra occasione (') de- dussi dalle più elevate tracce di morene laterali), e sovrastava al fondo del ghiacciaio stesso di oltre 200"', stando alla pro- fondità che ora ha il lago in corrispondenza al Corno di Pre- dore. alla quale cifra deve essere aggiunta la potenza, non va- lutabile, dell’interrimento lacustre. In tale posizione è difficile imaginare, che rescavazione sia stata prodotta, nè da ruscelli sottoglaciali, i quali se dovevano scorrere, oltreché sul fondo del ghiacciaio, anche sulle falde che lo conterminavano late- ralmente, non potevano scegliere un dosso convesso, come è il Mondara; nè per la stessa ragione da torrenti posglaciali; nè dal fiume preglaciale, che pure solcò la valle Sebina, e del quale sono rimaste tracce in lembi di alluvioni, spesso cemen- tale, sparsi, per lo più a maggiore altezza, lungo le due sponde del lago. Così non può pensarsi ad una cascata ordinaria, poi- ché nessuna traccia appare, ivi e nei dintorni, di un torrente analogo a quelli che al Bagnadore di Marone, a Portirone e al- trove hanno l’impluvio inflesso e quindi con un salto affluiscono al Sebino. Infine è da escludersi l’azione di onde, le quali, se possono generare marmitte anche su sponde lacuali, come ad esempio quelle del lago di Neuchàtel (2), danno luogo ad esti- vazioni piccole ed irregolari. D’altronde le onde del lago d’Iseo sono deboli; e non vidi mai tracce marmittiformi sulle rupi che lo conterminano. Non rimarrebbe quindi che ricorrere allo sbocco di un mu- lino glaciale; ma indipendentemente dalla difficoltà che s’in- contra ad ammetterne la persistenza nello stesso punto per il tempo necessario a scavare una marmitta profonda un 10"' (se si limita il trapanamento alla canna A colla sottoposta cavità n) ed a scavarla in una roccia compatta e di discreta durezza, tro- pi Salmo) raghi, Le piramidi di eros, ed i terreni td Amphibia in thè British Museum . Part. Ili, Ord. Cheionia. London, 1889. (3) Catalogne of Tortoises in British Museum, 1844, pag. 27. Lydek- ker, Catal. of thè foss. Rept. ece., pag. 118; 1889. 268 G. DE STEFANO anteriori di quello del quinto della stessa serie; mentre la scaglia posteriore occupa il campo della parte posteriore del quinto pezzo neurale. più tutto il sesto ed il settimo della stessa serie non che l’ottavo. Il Lvdekker (l) ha di già giustamente rapportato al gen. Chrysemys le Emys testudiniformis Owen (') e bicarinata Bell (3) delle argille di Londra. L’esemplare descritto non si identifica con nessuna delle due, nè è rapportabile a varie Emys del miocene europeo, quali, V Emys Laharpi Pictet e Humbert (4) e V Emys Renevieri Portis (5) dell’Aquitaniano di Losanna, V Emys (Platyemys) Lacliati Souvage (G) deH’Aquitaniano di Volx nelle basse Alpi, V Emys Mellingi Peters (7) delle ligniti mioceniche d’Eibswald in Stiria, le quali dal Depéret (8) furono anche esse recentemente incluse nel gen. Chrysemys Gray. Io, dunque, ritengo che l'esemplare studiato spetti ad una nuova specie, differente dalle note Chrys. testudiniformis Owen e Chrys. bicarinata Bell. dell’Eocene inglese, per la conforma- zione e disposizione dei pezzi ossei e delle scaglie neurali, non che per le dimensioni complessive della corazza, e sopra tutto per le sculture ornamentali che si osservano sulla superficie delle piastre vertebrali e costali. Io propongo che il nuovo chelonide pigli il nome di Chry- semys sculptata De Stefano. (') Cat. of. thè foss. Rept. etc., pag. 118 e 120. C) Rep. Brit. Assoe., pag. 61; 1842. (3) Owen e Bell, Reptilia of London Clay etc. Mon. Pai. Soc., voi. I, pag. 73; 1849. (4) Che'l. foss. de la mollasse suisse. Màt. pour la pai. suisse, 1856, pag. 25, PI. IV et V. (:>) Les chélon. de la mollasse vavdoise. Meni, de la Soc. pai. suisse, 1882, pag. 24, PI. VII et Vili. (fi) Bull, de la Société géol. de France, 3e sèrie, tonici, pi. Vili, pag. 371. (7) Zur Kenntni 88 Wirbelthier fauna Eibsivald. Denks. Akad. Wissens. Wien. 1886, pag. 14, Tav. III. 0) Les animaux du pliocène du Roussillon, 1890, pag. 163. CHELONIANI FOSSILI CENOZOICI 269 IL V " Ocadia „ (Emys) “ sansanieiisis „ (Lartet) I)e Stefano, dell’Elveziano in Francia. Tav. IX, tìg. 2. Gray per il primo (l) Boulenger (2) e Lydekker (3) in se- guito, separarono col nome generico di Ocadia Gray quei che- lonidi della Cina, nei quali il solco umero-pettorale scalfisce od intacca l’entopiastrone, lo sterno è unito alla corazza per una considerevole lunghezza, ed i pezzi ossei neurali hanno forma esagonale allungata. Il genere sopra citato è conosciuto allo stato fossile per al- cune specie, come V Ocadia (Emys) Nicoleti (Pictet e Humbert) (4), V Ocadia crassa (Owen) (5), V Ocadia 0 treni Lydekker (6), la prima della mollassa miocenica svizzera, le altre due dell’eo- cene superiore d’Inghilterra e del sud-est della Francia. Recentemente, anche il Reinach (A. v.) col nome di Ocadia essleriana Reinach ed Ocadia protogaea , ha fatto conoscere due specie del miocene inferiore tedesco, la prima a forma allun- gata, la seconda a scudo dorsale molto slargato (7). Fra i chelonidi fossili del calcare miocenico (miocene medio) di Sansan in Aquitania menzionati da E. Lartet (8), e mai de- (‘) Suppl. Cai. Shield. Reptiles etc., pag. 35; ]870. (2) Catalogne of thè Chelonias, Rhynchoceplmlyans eie., pag. 85, tìg. 24; 1889. (3) Catalogne of thè foss. Rept. and Amphibia etc. Part III, Cheionia, pag. 108; 1889. (4) Matériaux pour la Paléont. suisse. Chélon. de la mollasse etc., pag. 42, PI. XV-XVI ; 1856. (5) Owen, Reptilia of London Claxg etc. Mon. Pai. Soe., pag. 76, tìg. 24; 1849. Scelv, Quart. Journ. Geol. Soc., voi. XXXII, pag. 445, 1876. (°) Catal. of thè foss. Rept. and Ampli . Order Cheionia, pag. 115; 1889. (7) Schildkrò temeste ini Mainzer Terticirbecken und in benachbarten, ungefàhr gleichdlterigen Ablagerungen. Abhand. herausgegeben von der Senckub. naturf. Gesellsch. Frankfurt a. M., 1900. (8) Notice sur la colline de Sansan (Extrait de PAnnuaire dn Dépar- tement du Gers, pag. 38-39; 1851). 270 G. DE STEFANO scritti, perciò poco noti in Paleontologia, esiste un esemplare col nome di Emys sansaniensis. Esso è conservato nel Museo di Storia Nat. a Parigi; ed in base alla sopra citata denomi- nazione del Lartet, il chelonide è ora considerato come una Emys Dura. Ma la diretta osservazione del fossile in parola, e la sua comparazione con le Ocadie Gray dell’Europa centrale, dimostrano che esso deve ascriversi a questo ultimo gruppo. Difatti, sebbene il piastrone dell’esemplare non conservi intatta che la sola parte estrema del lobo anteriore, pure in essa si vede che il solco umero-pettorale intacca l’entopiastrone; mentre, d’altra parte, si riconosce che lo sterno doveva essere unito alla corazza per una considerevole lunghezza. Dimensioni: Lunghezza approssimativa del clipeo 260 mm. Larghezza approssimativa dello stesso 105 mm. È da presumersi che, allo stato completo, la corazza, data la sua lunghezza e larghezza, non dovesse essere molto rigonfia. La sua linea longitudinale mediana non presenta traccie di ca- rena: ed il rigonfiamento parrebbe più accentuato nella regione anteriore anzi che in quella posteriore. Piastre ossee debmatiche. 1. Clipeo. Vertebrali. — Lo stato di conservazione del fossile è tale che solo dopo un paziente esame si riesce a rintracciare le su- ture di questi pezzi ossei, suture, per la maggior parte scom- parse. Tuttavia si può dire con sicurezza che la prima neu- rale è più lunga che larga e di forma rettangolare. La seconda e la terza sono due esagoni presso a poco eguali nelle loro di- mensioni, coi bordi anteriori curvati per ricevere nell' ingranaggio quelli anteriori delle antecedenti nella serie. Esse sono un poco più lunghe che larghe. La quarta e quinta sono tanto lunghe che larghe, anch’esse di forma esagonale. La sesta è più larga clic lunga; e così dicasi della settima, la quale ha più piccole CIIELONIANI FOSSILI CEN'OZOICI 271 dimensioni della sesta. L’ottava, la più piccola fra tutte, è un esagono irregolare, il cui lato più sviluppato è l’anteriore, cur- vato sensibilmente, per ricevere il bordo posteriore dell’antece- dente. Per lo stato di conservazione del fossile non si distin- guono bene le suture della pigaie: tuttavia, da quanto rimane, essa sembra che dovesse essere di forma pentagonale, ed in superficie, vasta tre volte l’ottava. Una conformazione presso a poco identica alle neurali della specie di Sansan hanno quelle della Ocadia protogaea Reinach del miocene inferiore tedesco. Le prime quattro in questa ultima però sono più piccole, c la settima è molto più larga che lunga della sesta. Costali. — Sui caratteri delle piastre costali si può dire ben poco: fatta eccezione del primo paio costali, dal secondo al sesto, le suture appaiono parallele fra esse. Quelle della re- gione posteriore racchiudono una superficie, stretta in alto, ed elargata inferiormente. Le piastre anteriori, relativamente alla loro altezza, sono strette. Non è così in quelle posteriori, dove si osserva una certa proporzionalità fra la lunghezza e la lar- ghezza. La prima costale appare col margine superiore ingranata alla prima neurale ed alla metà anteriore della seconda di quest’ ultima serie. Il secondo paio costale ha il margine su- periore che ingrana con quelli laterali posteriori della seconda neurale più i laterali anteriori della terza della stessa serie. La terza e la quarta costale difettano di suture. La quinta appare suturata alla quinta neurale, più la porzione anteriore della sesta. L’ottava costale resta suturata al bordo laterale posteriore dell’ottava neurale. II. Piastrone. Il calcare, che investe la parte posteriore e mediana del piastrone, non lascia scoperto che l’estremità del lobo anteriore, ammesso pure che le altre porzioni piastronali non siano state distrutte. Ciò che non credo possa essere avvenuto del tutto, poiché una delicata operazione di raschiamento mi ha potuto far togliere un po’ di marna e mettere allo scoperto quasi tutto 272 G. DE STEFANO l’entopiastrone. Esso lui i margini anteriori e posteriori curvati, racchiudendo una superficie di forma irregolarmente circolare, la quale è solcata ed intaccata dalla sutura umero-pettorale. L’epi piastrone è costituito da due pezzi molto più larghi che lunghi, i quali sono spinti in avanti della scatola ossea. Scaglie del clipeo. Vertebrali. — Esse sono saldate fra loro e con le costali da suture, l’andamento delle quali non si può seguir bene per lo stato di conservazione del fossile. Tuttavia si può dire con certezza che le neurali sono delle scaglie a vaste dimensioni e di forma quadri laterale: la prima è più lunga che larga; la seconda, la terza e la quarta sono più larghe che lunghe; e la quinta è pentagonale, col quinto lato che ingrana col margine posteriore della quarta, e col vertice saldato all’estremità superiore della sutura limite fra le due marginali posteriori. Dimensioni in millimetri: la 2a 3n 4a 5" Diametro antero-posteriore . . . 45 40 40 46 42 Larghezza massima . . . . . . 32 49 49 55 ? La prima scaglia vertebrale ha il margine anteriore più stretto di quello posteriore. I margini laterali destro e sinistro, ai due terzi della loro lunghezza si allargano formando due no- tevoli espansioni su quelle costali. Il margine anteriore della scaglia in esame si articola col bordo marginale interno della sopranucale e delle collaterali marginali. Il margine poste- riore, più largo, è ingranato con l’anteriore della vertebrale seguente per mezzo di una sutura stretta e poco profonda. I margini laterali si articolano con la porzione anteriore dei bordi superiori delle scaglie del primo paio costali. La seconda scaglia neurale ha il margine anteriore largo quasi quanto quello posteriore (37 nini.). I margini laterali si dilatano alquanto nella loro parte mediana, e sono ingranati coi margini interni posteriori delle prime costali (primo paio) e con quelli interni anteriori delle costali del secondo paio. La terza CHEIiONIANI FOSSILI CENOZOICI 273 vertebrale non è ben conservata, e mal si distinguono gl’ingra- naggi tra i suoi margini laterali con quelli interni delle costali. La quarta appare col margine anteriore leggermente curvato con convessità verso la regione anteriore: il margine posteriore è convesso verso quest’ultima parte. I margini laterali, arenan- dosi e protendendosi in fuori, si presentano suturati con la metà dei margini superiori del terzo e quarto paio costali. La quinta neurale, come si è già detto, ha forma di pen- tagono con il vertice rivolto inferiormente. Il suo margine an- teriore si presenta curvato. I margini laterali anteriori ingra- nano con le porzioni superiori dei margini laterali posteriori del quarto paio costali. I margini latero-posteriori ingranano con le marginali sopra-codali. Costali. — Le scaglie costali che si osservano sul lato si- nistro del chelonide in diagnosi, astrazione fatta della prima, sono molto più larghe che lunghe, carattere del quale bisogna tener conto, perchè messo in opposizione all’altro, che ho no- tato per le neurali e che andrò a dire per le marginali, fa comprendere che esso non spetta alle vere Emys. Dimensioni in millimetri: la 2a 3a 4a Lunghezza 57 42 45 45 Larghezza 62 68 62 57 La prima costale ha i margini superiore e posteriore che s’incontrano ad angolo retto: essi convergono alla metà lun- ghezza del margine laterale della seconda scaglia vertebrale. Il margine anteriore è curvato ad arco di cerchio. Perciò la superficie comprendente la prima scaglia costale è identica al- l’area di un quadrante. La linea suturale del margine superiore è alquanto ondulata: quest’ultimo ingrana col margine laterale della prima neurale, più con la metà anteriore del margine la- terale della seconda neurale. Il margine posteriore è regolar- mente suturato con l’anteriore della seconda costale. 11 margine anteriore ingrana con i bordi interni della serie marginale, vale a dire con i margini interni delle prime cinque anteriori. 274 G. 1)E STEFANO La seconda costale ha forma quasi rettangolare: i margini anteriore e posteriore sono paralleli fra loro, ond’è che la su- perficie della scaglia rimane costantemente della stessa lar- ghezza in tutta la sua estensione. Il margine superiore è leg- germente curvato ed ingrana con la parte posteriore del latero- marginale della seconda ncura-le, più la metà anteriore di quello laterale della terza della stessa serie. Il margine inferiore della seconda costale è suturato con quello interno della sesta mar- ginale (metà anteriore) e con metà di quello della settima. In fine, il margine posteriore della seconda costale è regolarmente suturato con l’anteriore della terza, La quale scaglia ha una superficie ugualmente larga in tutta la sua lunghezza, in modo che i margini anteriore e posteriore sono fra loro paralleli. 11 margine superiore, curvato, ingrana con la porzione posteriore del margine laterale sinistro della terza scaglia neurale e la metà anteriore di quello laterale della quarta della stessa serie. Il margine posteriore ingrana con l’anteriore della quarta. Il margine inferiore, come quello superiore leggermente curvato, ingrana con la metà posteriore dell’interno della settima mar- ginale e con tutto il bordo interno dell’ottava di quest’ ultima serie. La quarta scaglia costale ha la parte superiore alquanto più stretta della inferiore, in causa del non parallelismo dei suoi margini laterali: essi hanno direzione convergente dal basso in alto. Il suo margine superiore, curvato, riceve nel- ringranaggio i margini anteriori e posteriori della quarta e quinta neurale. Il margine inferiore è suturato con il bordo in- terno della nona placca marginale e con porzione di quello della decima. Il margine posteriore è suturato con quello la- terale anteriore della quinta neurale. La quinta, sesta, settima ed ottava costali godono rispetti- vamente le proprietà della quarta, terza, seconda e prima. Marginali. — Al margine sinistro del clipeo si contano do- dici scaglie marginali, oltre la sopranucale. La parte posteriore estrema del fossile mancando, non si può argomentare con cer- tezza se una scaglia impari alla regione coda le costituisse una sopracaudale larga e poco alta. CHELONIANI FOSSILI CENOZOICI 275 La sopranucale è stretta, non molto allungata, e di forma rettangolare. Essa si mostra intimamente suturata con la parte centrale del margine anteriore della prima vertebrale e con i bordi laterali delle vere marginali collaterali. Le dodici vere scaglie marginali presentano tutte presso a poco forma quadrangolare. Le prime due anteriori e le ultime due posteriori sono alquanto più vaste delle altre. Esse for- mano un contorno esterno regolare, e la loro saturazione per justaposizione è molto intima. La terza, quarta, quinta, sesta e settima, sono rivolte obliquamente in avanti. L’inclinazione diminuisce gradualmente dalla terza alla settima. Sulla loro su- perfìcie, che è un po’ scabrosa, non si osserva nessuna orna- mentazione. La saturazione dei loro bordi interni con quelli inferiori delle costali forma un contorno ondulato, segnato da un solco poco profondo. Dimensioni in millimetri: Sopranucale. Lunghezza 25 Larghezza 12 Marginali sinistre. Lunghezza Larghezza 1" . . . 26 ... 2S 2a . . . 80 ... 28 3il . . . 29 ... 26 4a . . . 27 ... 27 5a . . . 28 ... 29 6a . . . 29 ... 28 7a . . . 26 ... 30 8a . . . 31 ? 9a . . . ? ? 10a . . . 28 f. lla . . . ? ? Lo stato di conservazione dell’ottava, della nona, della de- cima e dell’undecima, non consente di valutare con esattezza le loro dimensioni. Tutte le scaglie marginali esaminate si pre- sentano a superficie poco convessa. 276 G. DE STEFANO Scaglie del piastrone. Ho già detto che del piastrone la sola parte visibile è la estremità anteriore, che, con paziente lavoro, io ho cercato di estendere quanto più mi è stato possibile, fino al principio del- l’iopiastrone; tutto il rimanente dello scudo inferiore, restando probabilmente occultato dal blocco marnoso sul quale è avve- nuta la fossilizzazione. Il fatto che l’estremità anteriore del- l’epipiastrone sporge più che un centimetro e mezzo dal limite esterno della sopranucale, deve probabilmente attribuirsi a cause accidentali, e non a naturale conformazione della corazza. La parte piastronale in esame presenta una superficie esterna ab- bastanza convessa, ed il margine esterno libero delle golari, nella sua parte mediana, è leggermente curvato in dentro. Golari. — Hanno forma allungata e triangolare. I loro mar- gini interni longitudinali corrispondono alla linea suturale me- diana del piastrone. I loro margini laterali esterni si presen- tano intimamente suturati con quelli anteriori delle scaglie ume- rali, e sono diretti obliquamente in avanti, con leggiera ondu- lazione. Umerali. — Queste scaglie hanno forma trapezioidale, e sono vaste più che il doppio delle golari. I loro margini esterni sono regolarmente curvati; quelli interni transversali ingranano con gli anteriori delle pettorali per mezzo di una sutura, quasi perpendicolare a quella mediana longitudinale, la quale si svi- luppa leggermente ondulata e divide la superficie dell’entopia- strone in due regioni ; una anteriore vasta, una posteriore molto breve, distando un centimetro dal margine posteriore dell’en- topiastrone. Comparazione. Data la fatta descrizione del Chelonide miocenico di Sansan, non è dubbio ehe bisogna ascriverlo fra le forme del gen. Oca- dia Cray. Delle note specie Ocadia Nicoleti (Pictet c Hnmbert), O. crassa (Owen), 0. Oweni (Lydekker), 0. Essleriana (Reinach), 0. proto- CHELONIANT FOSSILI CENOZOICI gaea (Reinach), fatto un accurato confronto fra esse e l’esemplare di Sansan, quest’ultimo presenta i maggiori rapporti di affinità con V Ocadia protogaea del miocene inferiore tedesco. Di fatti, nei due tipi specifici si nota uno scudo dorsale elargato abbastanza relativamente alla sua lunghezza. Anche la conformazione e disposizione delle piastre neurali è presso a poco identica: nella specie del miocene tedesco però le prime quattro sono più piccole, e la settima è molto più larga che lunga della sesta. La seconda e la terza scaglia neurali sono più vaste nell’esemplare di Sansan; quelle costali poco più sviluppate; la scaglia nucale un po’ più lunga. Inoltre, le di- mensioni in lunghezza e larghezza dello scudo dorsale sono di- verse nei due tipi specifici. Nell’ Nicoleti (Pict. e Humb.) il bordo anteriore della nucale è leggermente rilevato come nell’O. Sansanicnsis (Lartet): ma essa, come nelle specie precedentemente notate, ha forma rettangolare, più lunga che larga; e le linee di separazione delle scaglie costali e marginali dei diversi pezzi, passano al- quanto al di sotto della sutura delle piastre ossee costali e mar- ginali; fatto che si osserva sempre nelle Emys, e fa compren- dere quali rapporti di affinità esistano fra queste ultime e le Ocadie. In un esemplare di Ocadia crassa (Owen), costituito da una corazza e da un piastrone, si osservano gli stessi fatti notati per V 0. Nicoleti. La corazza nominata di 0. crassa (Owen) comprende la quarta, quinta, e sesta neurali. e terza, quarta e quinta costali. Ocadia di Sansan il solco umero-pettorale intacca l’en- topiastrone a circa un centimetro di distanza dal suo vertice posteriore. Le Ocadie attuali della Cina formano un gruppo naturale e ben definito di Chelonidi, che, verosimilmente, sono una diretta discendenza di quelli deU’eocene superiore e miocene inferiore dell’Europa centrale. 278 G. DE STEFANO III. La “ Clemmys precaspica ,, De Stefano «lei pliocene di Mansourah in Africa. Tav. X, fig. 1-2. Fra la raccolta dei chelonidi terziari della Francia e del- l’Estero che figurano nel museo di Paleontologia al giardino delle piante di Parigi, è un esemplare proveniente dalla pro- vincia di Costantina nell’Africa settentrionale. Si tratta di un modello interno di una corazza di tartaruga rinvenuto insieme ad ossami di grandi mammiferi, fra i quali vanno segnalati denti di Ippopotamo e di Elefante, nel tufo travertinoso plioce- nico, il quale forma gli strati superiori di Mansourah. Il modello in esame è un calcare cristallino, duro, di color bianco giallastro ; e riproduce sulla sua superfìcie la regione media della corazza del chelonide distrutto, non che una no- tevole parte dei pezzi ossei anteriori e le linee suturali dello sterno. Il cartellino annesso al sostegno sul quale è montato il mo- dello del fossile, porta scritto: Emys sp. Tuttavia, data un’accurata comparazione dell’esemplare in esame con qualche forma dell’esteso gruppo Emys , oggi vivente nell’Africa settentrionale, non è difficile identificarne la specie. La forma complessiva del modello è abbastanza allungata in rapporto alla sua larghezza. Le ricerche comparative con i chelonidi viventi assicurano prima d’ogni altro clic il fossile spetta alla tribù delle Eucliclonina delle odierne classificazioni ed alla sottotribù Chryptoderinea , vale a dire, a quei chelonidi che anticamente si solevano includere fra le così dette Eloditi cryptodere , e che tra gli altri notevoli caratteri anatomici pre- sentano nella serie cervicale due vertebre anficirtiane, delle quali, una occupa sempre l’ottavo posto, e l’altra d’ordinario il terzo od il quarto. Àncora l’esame comparativo induce a ritenere con certezza che il chelonide non spetta nò alle ( 1 istud o propriamente dette, 279 CHELONIANI FOSSILI CENOZOICI nè ni IHychogaster Poinel. uè al gen. Palaeochelys Meyer o a tinello dei Dithyrostcrnon Pietet e Humbert, ma va invece incluso fra le Emys. Di fatti, la forma del clipeo, che è un po’ più allungata del piastrone, non è molto rigonfia rispetto al suo asse longi- tudinale mediano ed a quello transverso ; ma è ovale ed un po più elargata nella regione posteriore anzi che nell’anteriore. Inoltre, essa appare unita solidamente al piastrone da dieci pezzi marginali, comprendenti il terzo, quarto, quinto, sesto e settimo paio. Dimensioni in millimetri: Lunghezza del clipeo 178 Altezza (attuale) dello stesso 57 Lunghezza del piastrone 115 Larghezza dello stesso 108 Lunghezza del lobo piastronale anteriore 49 Lunghezza del lobo posteriore dello stesso 52 Pezzi ossei dello scudo dorsale. Dopo quanto ho detto intorno al clipeo, aggiungo che tutta la superficie, la quale sopporta le piastre margino-laterali, è cosi poco inclinata sullo sterno, che ad esso riesce quasi per- pendicolare. Invece si osserva che le porzioni anteriori e posteriori, che sopportano le placche marginali, hanno una posizione molto più inclinata; e la porzione margino-nucale, fa comprendere una piastra nuca le corta, un po’ più stretta al margine anteriore che a quello posteriore. Delle piastre neurali sono visibili la seconda, la terza, la quarta e la quinta. Esse hanno forma di esagono irregolare ; strette al margine posteriore, col margine antero-posteriore più sviluppato di quello transverso; si presentano quasi tutte della stessa grandezza. Delle piastre costali si osservano solo i pezzi delle prime cinque paia. Essi appaiono tutti solidamente suturati fra loro e con le piastre marginali corrispondenti : sono inegualmente larghi : il loro bordo neurale è più sviluppato di quello mar- 280 G. DE STEFANO ghiaie nel terzo c quinto paio. La prima piastra costale è molto larga: ingrana, superiormente, con le prime tre piastre neu- rali, ed inferiormente, con le tre prime marginali. Il bordo posteriore ingrana con l’anteriore della seconda costale. Nelle piastre marginali si osserva che il quarto pezzo in- grana con porzione della prima e seconda piastra costale, ed il quinto pezzo marginale con porzione della seconda e terza costale; mentre la sesta piastra marginale ingrana interamente con la quarta. Pezzi ossei del piastrone. I pezzi dell’epipiastrone sono allungati transversalmente : il loro margine anteriore manca in gran parte ; quello posteriore si articola con l’entopiastrone e l’ iopiastrone per mezzo di una sutura molto sinuosa. L’entopiastrone ha il margine posteriore quasi arrotondato ; il margine anteriore dello stesso forma un angolo acuto. La superfìcie del pezzo osseo in esame è attraversata da un solco mediano diretto dall’avanti in indietro, lungo circa un centi- metro, e terminante all’estremità posteriore con un foro che sembra approfondirsi nello spessore dell’osso. L’ iopiastrone e l’ ipopiastrone sono fra loro saldati da due linee articolari che si tagliano ad angolo retto sulla sutura me- diana del piastrone, il cui punto d’ intersezione occupa presso a poco il centro di questo ultimo. I due pezzi iopiastronali ed i due ipopiastronali sono solidamente ingranati al terzo, quarto, quinto, sesto e settimo pezzo marginale destro e sinistro. Inol- tre, i su mentovati quattri pezzi sternali sono solidamente uniti allo scudo dorsale da quattro apofìsi ossee, le cui impronte sono profondamente impresse sul modello calcareo del fossile. Sullo xifìpiastrone non si può fare alcuna particolare dia- gnosi. Sistematica. Le forme del gen. Cìemnys Wagl. differiscono essenzial- mente dalle Emys (senso stretto), il cui tipo è l' Emys orbi- cularis L. dell’Europa, per il modo di articolazione del pia- CHELONIANI FOSSILI CENOZOICI 281 s trono con la corazza, che si verifica per suture ossee nelle prime, e per 1 intermediario di un legamento nelle seconde. Alle Clemmys Wagl., dunque, bisogna ascrivere il fossile di Mansourah. Il genere in diagnosi non pare che risalga a tempi geologici più antichi di quelli del miocene, nel quale esso è rappresentato dalla Clemmys pygolopha Peters (') delle ligniti della Stiria. Nel pliocene dell’Europa meridionale il De- péret C. ha determinato, or non è molto, la Clemmys Gaudryi (?), la quale, differisce dalla prima, perchè essa è tricarinata, con la prima scaglia vertebrale più lunga che larga, e Tentoster- nale appuntito in indietro. Non pertanto i due tipi specifici presentano dei caratteri di affinità per le forti ornamentazioni concentriche e per l’esistenza di una incavatura semicircolare della parte posteriore del piastrone. Oggi, il gen. Clemmys comprende due specie perimediter- ranee, la Clemmys caspica Gmel. e la Gl. (JEmys sigriz) leprosa Sclnveig., non che altre poche specie delle regioni cinesi e del- l’America del nord. Il chelonide descritto ha rapporti di affi- nità con le due specie di Clemmys su mentovate del bacino mediterraneo. Alla CI. leprosa Sclnveig. si accosta perchè la linea mediana del modello del clipeo parrebbe sormontata da una carena più accentuata sulle tre ultime piastre vertebrali ; ma tale carattere non è positivo, e d’altra parte si sa che anche la CI. caspica Gmel. possiede una linea longitudinale mediana sormontata da carena, per quanto questa ultima non sia pro- minente su tutta la lunghezza della regione mediana. Nel modello dell’esemplare descritto la corazza ha una forma ovale allungata, e le prime cinque piastre costali lasciano tali impronte per cui esse non si possono considerare egualmente larghe su tutta la loro lunghezza. Esse, come ho già accennato, appaiono alternativamente più strette al bordo marginale e più larghe a quello neurale, o viceversa. Tale fatto, secondo il Cu- vier (:i) sarebbe una eccezione alla regola, poiché non si veri- ( 1 ) Peters, Zar Kenniniss Wierbéltliier fauna Eibsicald. Denks. Akad. Wissens. Wien, 1868, pag. 18. (2) Depéret, Les animaux du Roussillon, pag. 161, PI. XVII, iig. 1-6, 1890. (3) Recherches sur les oss. foss., 4e édit, tome IX, pag. 466. 24 282 G- I)E STEFANO fica fra le tartarughe eli acqua dolce, ma fra le Chersiti delle antiche classificazioni. È da notare ancora che, contrariamente a quanto ha luogo nelle Emys , nel chelonide dell1 Africa la quarta piastra marginale ingrana con la prima e la seconda costale in luogo di articolarsi solamente con la seconda. Anche la quinta marginale ingrana con la seconda e terza costale ; ed infine, il sesto pezzo marginale si articola interamente con la quarta piastra costale. La forma e la direzione delle impronte lasciate sul modello del fossile dalle quattro apofisi che univano i due pezzi iopia- stronali a quelli ipopiastronali, sono tali, per cui bisogna rite- nere che tali apofisi fossero robuste e prossime le ime alle altre all’asse antero-posteriore del piastrone, più di lineilo che si suole verificare nei chelonidi terrestri. Le due apofisi anteriori appaiono saldate solamente al terzo pezzo marginale, e si do- vevano articolare con la seconda piastra costale: mentre le due apofisi posteriori appaiono saldate con l’ottavo pezzo marginale e la sesta piastra costale. Ora, tanto nella Clemmys leprosa quanto nella CI. cospira, la forma esagonale delle piastre nenia li è più regolare : tali piastre sono un po’ meno allungate di quelle del modello del- l’esemplare descritto. Le piastre costali nelle due specie vi- venti sono quasi della stessa larghezza in tutta la loro lun- ghezza, si eccettuino quelle del primo paio ; ed hanno ancora le loro suture parallele fra loro. Non è da trascurarsi il fatto clic nella Clemmys leprosa Schweig. esiste un pezzo marginale suppplementare, in modo che la quarta piastra marginale in- grana interamente con la seconda costale, la quale ultima ri- ceve ancora la parte anteriore della quinta piastra marginale. Vero è che nella specie vivente può darsi il caso di undici pezzi marginali, ed allora l’articolazione di essa si presenta come nel caso del fossile dell’Africa settentrionale. Nella Clemmys leprosa il piastrone ha il margine anteriore meno arrotondato e più allungato di ciò che si osserva nel fos- sile di Mansourah. La sutura posteriore è molto meno sinuosa : i margini deH’entopiastrone hanno forma regolare c sub-penta- gonale. Le apofisi anteriori si uniscono alla seconda e terza piastra marginale, -escluso il pezzo supplementare. Le apofisi CHELONIANI FOSSILI CENOZOICl 283 posteriori ingranano con la settima ed ottava piastra marginale, non compreso il pezzo supplementare. Tutti i fatti dianzi esposti mi fanno ritenere il fossile di Mansourali più prossimo alla Clemmys caspica anziché alla Cl. leprosa. I caratteri della forma descritta, da me già fatti notare, quali la conformazione e grandezza del pezzo nucale, le dimen- sioni delle costali, sono presso a poco identici a quelli che io ho potuto osservare in buon numero di esemplari di Clemmys caspica conservati nel museo di zoologia al giardino delle piante. Nel- l’esemplare di Mansourah, nè l’estremità anteriore, nè quella posteriore del piastrone, arrivano lino all’altezza dei margini esterni dei pezzi liticale e pigaie. Il piastrone si osserva leg- germente più largo al lobo anteriore anzi che al lobo posteriore. L’entopiastrone ha la stessa conformazione, e, presso a poco, le stesse dimensioni di quello della Clemmys caspica Schw. ; e, come in quello di questa ultima specie, i vertici opposti delle suture coincidono con la linea suturale mediana longitudinale, presentandosi ingranato all’epipiastrone per mezzo di suture strette e profonde; ed i primi tre pezzi piastronali ci rappre- sentano il lobo anteriore dello scudo ventrale. In altri termini, i caratteri di differenza fra la Clemmys leprosa ed il fossile di Mansourah sono maggiori di quelli esi- stenti fra questo ultimo e la CI. caspica. Fra il fossile descritto e quest’ultima specie, oltre a notare identità, 1° nella forma e nel rigonfiamento dello scudo dorsale, 2° nella forma stretta ed allungata delle piastre neurali, 3° nella inegualità delle piastre costali e nel non paral- lelismo fra le rispettive suture, che in molti esemplari adulti di Cl. caspica si riscontrano, si ha eguale, o presso a poco tale, conformazione nel piastrone. I caratteri già notati di quest’ultimo mi dispensano da ulte- riori confronti. Ond’è che io, date tali differenze formali ed i caratteri di affinità su mentovati, credo che tra il fossile descritto e la CL caspica Schweig. siano tali rapporti da poterlo in certo (piai 284 G. DK STEFANO modo rapportare a detta specie, proponendo per esso il nome di Clemmys precaspi ca I)e Stefano. E riassumendo, si può concludere : La Clemmys pliocenica dell’Africa settentrionale, descritta eoi nome di Cl. precaspica De Stef., al pari della Clemmys Gaudryi Depéret del pliocene dell’ Europa meridionale (Roussillon in Francia) fa parte di un piccolo gruppo di Clemmys che ai nostri giorni è rappre- sentato da due specie circum-mediterranee, la Cl. caspica del- l’Oriente e la Cl. leprosa della Spagna e del settentrione del continente africano. La Clemmys precaspica De Stef. è così vi- cina alla caspica da poterla considerare come il tipo ancestrale pliocenico della specie vivente. Il gruppo delle tartarughe di acqua dolce esaminato, vale a dire, delle Clemmys , a quanto sembra, nei tempi del plio- cene, aveva un’estensione geografica più settentrionale di quella che ha ai nostri giorni. IV. Sopra un avanzo di “ Cistudo „ Fieni. dell’Ypresiano (?) della Francia meridionale. Tav. XI, tig. 1. Nel Museo di Storia Naturale a Parigi esiste un chelonide fossile indeterminato, la cui etichetta porta scritto semplice- mente quanto segue : « Grande tortile lacustre, trouvée dans un champ au milieu de la piaine, à Pépieux (Azillanet, Yillage de Hérault) ». Le affermazioni del preparatore della galleria di Paleonto- logia del Museo, signor Thévenin, riferiscono il fossile alEeocene medio di Pépieux, vale a dire, all’ Ypresiano superiore od al Luteziano inferiore della Francia meridionale ; il primo rap- presentato dalle argille variegate della Provenza e del Delti- nato : il secondo, nel bacino di Parigi, rappresentato dal noto calcare grossolano (calcaire grossier). CHELONIANI FOSSILI CENOZOJCJ 285 Il chelonide che, posto sotto studio, io includo fra le Emy- didae Gray, consiste in un clipeo, privo della regione ante- riore, e nella parte posteriore di un piastrone, mal conservato. Le sue dimensioni in millimetri, sono : Lunghezza dal margine esterno del pezzo pigaie lino al margine anteriore della quarta piastra neurale . . . 2B7 Larghezza approssimativa, misurata lungo l’asse transverso al margine anteriore del quarto pezzo neurale . . . 254 Elevazione verticale al quarto pezzo neurale 79 Dai sopra scritti dati si rileva che la corazza del chelonide in esame è molto depressa. Io ritengo che la sproporzionata larghezza in confronto alla lunghezza del clipeo, e la sua poco accentuata elevazione verticale, dipendono in parte da defor- mazione subita dal fossile per compressione avvenuta dall’alto in basso. Il lobo posteriore del piastrone, relativamente alle dimensioni del clipeo, si presenta molto stretto, e con la estre- mità posteriore libera dello xifi piastrone che resta indietro del pezzo codale di ben quasi quattro centimetri. Così, dal l’esame generico del fossile, risulta quanto segue: esso ha una corazza completamente ossificata, ed uno scudo dorsale depresso ; le piastre vertebrali sono in genere più lunghe che larghe, e tutte di forma esagonale ; la piastra pigaie è allungata e più lunga delle neurali ; le placche marginali sono ricurvate obliquamente verso il ponte marginale ; le scaglie vertebrali, sono larghe, e quelle pigali, in numero di due, hanno forma quadrangolare ; lo xifipiastrone è stretto ed allungato ; vale a dire, il chelonide di Pépieux spetta con certezza alle Emydidac Gray. Piastre del clipeo. Vertebrali. - — Compreso il pezzo pigaie, lungo la serie me- diana dello scudo dorsale si osservano otto piastre, delle (piali sette sono le neurali. Esse hanno tutte forma di esagono irrego- lare: le prime due anteriori (quarta e quinta della serie com- pleta), relativamente alla loro larghezza, sono molto allungate; la terza è più larga che lunga; la sesta è più larga che lunga; la settima è ancora più larga che lunga. 236 li. DE STEFANO Le loro dimensioni in millimetri sono: 4a 5a ga ?a ga ya jga Diametro antero-posteriore . . 36 39 28 29 24 21 26 Larghezza massima 28 31 30 27 40 29 41 Se ben si osserva la disposizione dei pezzi ossei neurali del ehelonide in studio, non che le loro dimensioni, si constata che esso si discosta dal tipo ordinario delle Emys, nelle quali tali pezzi sono sempre un po’ più lunghi che larghi. D’altro canto, esso si avvicina un po’ alle Testudo per l’alternanza in gran- dezza che si riscontra dalla quinta all’ottava piastra. Le più grandi fra quelle esaminate della serie vertebrale sono la quarta e la quinta: vengon poi gradatamente la sesta e la sopracodale. Il quarto, il quinto ed il settimo pezzo hanno i margini anteriori arcuati in indietro, perchè essi si adattino alla curvatura del bordo posteriore degli antecedenti della serie. 1 margini laterali dei primi quattro pezzi (4°, 5°, 6" e 7° della serie completa) sono rettilinei; quelli del quinto pezzo sono ar- cuati, con concavità verso l’esterno; l’ultima piastra ha il mar- gine posteriore curvato in avanti per adattarsi al bordo interno della pigaie. Costali. — L’esemplare possiede cinque paia di pezzi ossei costali, vale a dire, mancano quelli del primo, secondo e terzo paio. Essi sono piuttosto alti e stretti, coi margini laterali di- sposti alquanto diversamente da ciò che si osserva nelle Emys viventi e fossili meglio conosciute, vale a dire non sono pa- ralleli. Ma non alternano nemmeno in grandezza, come si suole riscontrare fra i chelonidi del genere Testudo. Le piastre co- stali in esame sono tutte costantemente più strette al margine vertebrale e più larghe a quello marginale od inferiore. Il rap- porto differenziale fra la larghezza neurale e quella marginale aumenta dai pezzi del quarto paio costali tino a (nielli dell’ot- tavo. Un altro notevole fatto, per il quale il ehelonide dell’Eo- cene francese si discosta dalle Testudo a tipo ordinario, è quello che i su accennati pozzi costali ingranano costantemente ognuno di essi con due pezzi neurali. Così, quelli del quarto paio si suturano con i margini Intero-posteriori del quarto pezzo neu- CHE LONTANI FOSSILI OEXOZOICI 287 mie e quelli latero-anteriori del quinto di quest’ultima serie; i pezzi del quinto paio costali ingranano con i margini latero- posteriori del quinto pezzo neurale e quelli latero-anteriori del sesto della stessa serie ; quelli del sesto paio ingranano con la sesta e settima piastra neurali ; quelli del settimo con la settima ed ottava neurale. In fine, i [lezzi dell’ottavo paio costali si suturano con i margini laterali del nono pezzo neurale e del sopracodale. Marginali. — La pigaie è più alta che larga, di forma rettangolare, più stretta al margine interno che in quello esterno libero. Il fossile difetta di tutti i pezzi marginali anteriori e la- terali sinistri della serie. Quelli posteriori sono così mal con- servati, che una diagnosi attendibile si può fare solamente sulle collaterali alla pigaie : esse sono un pò più larghe di questa ultima, in particolar modo al margine libero esterno. Scaglie del clipeo. Le scaglie vertebrali sono un pò più larghe che lunghe, e di forma esagonale. Delle tre che si osservano, l’anteriore oc- cupa il campo della quinta piastra neurale, più la porzione posteriore della quarta e l’anteriore della sesta, non che le parti superiori dei pezzi del quarto, del quinto e del sesto paio co- stali. Il suo margine anteriore è un pò più largo di quello po- steriore ; ed entrambi, protendendosi in avanti, sono leggermente sinuosi. I margini laterali sono, irregolari, sinuosi, e si diri- gono un pò obliquamente dall’avanti in indietro, e dall’esterno all’interno. La seconda (mediana) scaglia neurale occupa il campo del settimo [lezzo osseo della sua stessa serie, più il posteriore del sesto e l’anteriore dell’ottavo, non che le parti superiori dei [lezzi ossei del sesto, settimo ed ottavo paio costali. Anche essa come l’antecedente, ha il margine posteriore alquanto più stretto di quello anteriore; e quelli laterali sinuosi e molto irregolari. Della scaglia posteriore, si può dire che essa occupa il campo della nona e decima piastra mediana, più le parti su- periori dell’ottavo paio costali e della pigaie. 288 G. DE STEFANO I margini laterali della scaglia anteriore e mediana formano degli angoli ottusi, diretti in indietro che corrispondono presso a poco alla separazione delle scaglie costali. Le scaglie costali hanno la loro linea di unione che cade sopra i pezzi ossei costali di numero pari. Il punto di partenza di tale linea corrisponde, come ho accennato, presso a poco all’angolo esterno delle scaglie vertebrali, ed alla stessa distanza del margine anteriore e posteriore di tali pezzi. Le scaglie marginali posteriori, che sono le sole sopravvis- sute della serie, hanno forma presso a poco quadrangolare, col diametro che le traversa nel senso radiale quasi eguale a quello transverso, come avviene in molti tra i chelonidi del gen. Etmjs. Le linee di unione fra le diverse scaglie marginali sono quasi parallele alle identiche linee delle scaglie dorsali. Le due sca- glie pigali sono quasi tanto alte che larghe, col margine in- terno arrotondato ed un pò più stretto dell’esterno libero. Piastrone. La porzione dello sterno che si conserva è allungata e stretta. Essa consta della regione posteriore dell’ipopiastrone e di tutto lo xitipiastrone. Benché l’ ipopiastrone non sia interamente con- servato, pure si può riconoscere dalle impressioni lasciate dalla sua parte anteriore sulla roccia argillosa, che forma il modello interno del fossile, che le ali dei pezzi iposternali erano cur- vate in alto, e dovevano essere unite allo scudo dorsale per mezzo di cartilagini. Il piastrone, inoltre, deveva essere tron- cato in avanti ; e risulta ancora evidente che tra le placche pet- torali e le placche addominali esisteva una cerniera la quale divideva il piastrone in due metà mobili. Questa mobilità do- veva essere estesa, come avviene nelle Cistudo viventi e nelle Stemotere , perchè al contrario di quello che si osserva nei Pty- chogaster fossili, il cui piastrone ha l’articolazione dei pezzi iposternali e xitisternali che non corrisponde alla congiunzione delle piastre dermatiche, nel caso del chelonide in studio, la congiunzione delle piastre dermatiche corrisponde esattamente alla sutura dei pezzi ossei; sì che il giuoco della cerniera è completo. CHELONIANI POSSILI CENOZOICI 289 I pezzi xifipiastronali sono molto allungati ; più larghi an- teriormente, più stretti posteriormente. La superficie piastronale è perfettamente piatta; ciò che si verifica fra le Cistudo. La disposizione delle scaglie femorali non è bene accessi- bile, poiché le linee suturali anteriori difettano : la linea su- turale mediana del piastrone si sviluppa leggermente ondulata ; ciò che si verifica in alcune Emys ( Ocadie Gray) dell’eocene inglese e tedesco. Le scaglie anali, piccole, hanno i loro margini anteriori di- rette obliquamente dall’avanti in indietro : il loro margine in- terno segna sulla linea mediana un intervallo di 13 millimetri. I margini posteriori determinano, per la loro congiunzione all’estremo posteriore della sutura mediana, una larga insena- tura ad angolo acuto, limitata sui lati, dalla sporgenza dell’an- golo postero-esterno di ciascuna di queste scaglie. Sistematica. Dai caratteri dati risulta che il fossile descritto spetta ad un nuovo tipo specifico di Cistudo Fieni, che io propongo di chiamare col nome di Cistudo eocaenica De Stefano. Essa, di fatti, comparata con le specie attuali del gen. Ci- studo che vivono nell’Europa, nell’America del nord e nelle Indie orientali, presenta con esse poche affinità e molte diver- genze. La Cistudo carolina Gray, che si trova nell’America set- 7 tentrionale, dalla baia di Hudson fino alle Floride, ha la co- razza ovale, molto elevata, corta e carenata. La seconda, terza e quarta placca neurali dello scudo dorsale sono esagonali, col diametro transverso più esteso di quello longitudinale; ed i loro angoli costali sono eccessivamente aperti. L’ultimo pezzo neurale, meno grande dei precedenti della serie, è proporzio- nalmente più elevato. Inoltre, nella Cistudo carolina i pezzi dell’ottavo paio costali sono pentagonali; tutte le scaglie cor- nee del clipeo sono più o meno striate, ed in tal modo, che le strie si presentano strette e sinuose: sulle vertebrali esse sono molto vicine al margine posteriore e verso la parte mediana; nelle costali, in vicinanza dell’angolo postero-vertebrale. Lo 290 G. DE STEFANO sterno della specie in discorso lui lo xifipiastrone allargato e poco lungo. La Cistudo ornata Boulenger del Nebraska, Kan- sas, Jowa, Missouri, Illinois, è una forma a corazza depressa, la quale può considerarsi come una distinta varietà della Ci- studo Carolina Gray. Le Cistudo amboniensis Gray e C. tri fase iuta Grav, oltre che per le loro complessive dimensioni, non sono rapportabili al tipo specifico descritto; la prima, per la corazza ovale, su- bangolosa, carenata, per la disposizione e conformazione delle piastre neurali e costali; la seconda per la corazza ovale al- lungata e tricarinata. benché lo sterno sia stretto posteriormente. La Cistudo lutaria Marsilii, che si trova in tutta l’Europa meridionale e centrale fino a Koenigsberg, che allo stato fos- sile fu rinvenuta nelle torbiere di Suède, nel pleistocene inglese, nel tufo calcareo diluviano di Cannstadt c di Lurgtonna in Tu- ringia, a Lette nell’alta Italia, etc., come ognun sa, non è pei suoi caratteri rapportabile alla Cistudo eocaenica De Stef. Anche la C. tur fa Meyer (H. v.) la quale può considerarsi come una varietà molto vicina alla C. lutaria , Mars., rinvenuta nella torba di Francoforte ed a Durrheim nel granducato di Baden, differisce dalla eocaenica per le stesse ragioni che la precedente. Fra le Cistudo meglio conosciute determinate dal Pictet (*) e quelle dal Golliez e Lugeon (;), tutte rinvenute nel miocene svizzero, noto : La Cistudo Razoumowskyi Pictet e Humbert (3) differisce dalla C. eocaenica per le dimensioni e la conformazione della corazza, per i pezzi neurali e costali, non alternanti in grandezza, per la conformazione dello xifipiastrone dello sterno, molto allargato c corto. La Cistudo Mortoti Pictet e Humbert (4) non è stata deter- minata dagli autori che su dei frammenti tali, pei (piali non si possono bene apprezzare i caratteri specifici della corazza ; quan- ;*) Matériaux pour la Paléont. suisse. Monographie des Che' Ioni ens de la inoli, ecc., 1856. (-) Note sur quelques cheloniens noureaux de la Mollasse J.anghienne de Lausanne. Mém. Soc. Pai. suisse, voi. XVI, 1889. (3) Pictet et Humbert, Meni, cit., pag. 85, PI. XI, XII, XIII. (*) Loc. cit., pag. 38, tav. XIV. CHEI.ONIANI FOSSII.I CENOZOICI 291 tunque il Pictet e l’Humbert, ritengano detta specie prossima alla C. Pazoumowskyi, per la relativa larghezza dei pezzi, e che da essa differisca per la forma dell’iosternale più lungo che nella C. RazoumowsJcyi , per le protuberanze più larghe che for- mano il fondo delle insenature umerali, poco distanti l’ima dal- l’altra. La Cistudo Hecri Portis (*) della mollassa miocenica media di Losanna, che recentemente il Reinach (A. v.) (?) ha fatto rientrare fra i Ptycogaster Pomel, ma che io ritengo apparte- nere al gen. Cistudo, quando si consideri effettivamente come un tipo specifico miocenico di quest’ ultimo, differisce dalla C. eocaenica De Stef., per le complessive dimensioni della co- razza, la quale è più corta ed elevata verticalmente. Di fatti, la C. Hceri Portis ha le seguenti dimensioni : Lunghezza dello scudo dorsale 235 min., Larghezza mediana . . . • 160 ram., Elevazione 110 min.. Si distingue ancora, per la disposizione e grandezza delle scaglie neurali, costali c marginali, per lo xifipiastrone corto ed elargato, per le scaglie anali, relativamente grandi e trian- golari, aventi una piccola incavatura arrotondata sull’angolo posteriore dei margini estremi, regolarmente arrotondati. In fine, la C. Hecri Portis, ha le scaglie del piastrone ornate da solchi successivi e concentrici, corrispondenti a linee di accrescimento. La Cistudo Portisi Golliez e Lugeon (3) della mollassa lan- ghiana di Losanna, una delle meglio conosciute del miocene dell’Europa centrale, si distingue dalla C. eocaenica per la lun- ghezza del suo scudo dorsale (280 min.) per la sua larghezza mediana (150 nini.), per la curvatura della sua corazza, la quale (') Les Chéloniens de la mollasse vaudoise conserves dans le muse'e géol. de Lausanne. Mém. de la Pai. suisse. Voi. IX, 1882, pag. 47, PI. XVIir, XIX et XX. (2) Schildkrótenreste ini Mainzer Tertiàrb. und in benachbarten un- gefàhr ecc. Abhandl. Senckenb. Naturf. Gesell. Frankfurt a. M., 1900, pag. 40, tav. XVII-XIX. (3) Note sur quelques chéloniens nouveaux ecc., pag. 5, PI. I, li, III, IV, V. 202 G. DE STEFANO è poco notevole alla regione anteriore, per i pezzi neurali, dato che il quarto ed il quinto sono dei quadrilateri più lunghi che larghi, il sesto ed il settimo dei quadrilateri più larghi che lunghi, e l’ottavo un esagono. Benché si verifichi nella C. Portisi ciò che ha luogo in genere nelle Emys e nelle Cistudo viventi, vale a dire che i pezzi costali sono in rapporto ognuno con due pezzi neurali, fa eccezione a questa regola il secondo co- stale. I pezzi costali nella C. Portisi sono lunghi e stretti, e sono alternativamente un po’ più larghi o più stretti in alto anzi che in basso ; carattere questo, che l’avvicina ai chelonidi terrestri. Dei pezzi marginali, la lineale è molto grande, e le vere marginali, mancando, sono in numero ignoto. La Cistudo Kunei Golliez e Lugeon (') anche essa della mollassa miocenica (Langhiano) svizzera, e dal Reinach (2) im- propriamente fatta rientrare nel gen. Ptychogaster , è un tipo specifico fondato sopra un solo chelonide un po’ mal conservato, i cui pezzi neurali sono relativamente piccoli in ragione della estrema larghezza delle scaglie. Tali pezzi ossei neurali hanno forma irregolarmente esagonale, se si eccettui la prima che è un quadrato molto irregolare ; ed hanno il loro diametro antero- transverso sempre il più lungo fra tutti. I pezzi costali sono sopra tutto lunghi e stretti ; le loro estremità, come nelle Te- st udo, sono alternativamente più larghe e più strette, ma tale differenza è poco sensibile ; ed ognuno di essi si articola con due pezzi neurali. La seconda e la terza scaglia neurali sono dei quadrilateri più larghi che lunghi, coi margini laterali in forma di grappa molto accentuata. Le scaglie costali non sono ben definite : quelle marginali, per quanto ricostrutte teoricamente dagli au- tori, non lasciano tuttavia ben comprendere i loro più notevoli caratteri. (’) Golliez et Lugeon, Loc. cit., pag. 18, tav. YI-IX. (2) Reinach (H. v.), Loc. cit, pag. CHELONJ ANI FOSSILI CFNOZOICI 293 Riassunto. La Cistudo eocaenica De Stef. è, in conclusione, un tipo specifico che si allontana molto dalle Cistudo viventi: 1° per la conformazione complessiva della sua corazza, depressa e molto elargata; 2° per la disposizione e grandezza dei pezzi neurali, nei quali si osserva una certa alternanza come nelle tartarughe terrestri ; 3° per i pezzi costali, sempre più stretti in alto e più larghi in basso, ciò che non ha luogo quasi mai nella famiglia delle Emydidae. Con le Cistudo mioceniche fino ad ora studiate e meglio conosciute, quali, la C. Heeri Portis, la C. Portisi Golliez e Lugeon, la C. Kunzi Goll. e Lug., il tipo specifico della Francia meridionale differisce per la complessiva conforma- zione della corazza, per la disposizione e grandezza dei pezzi neurali, costali e marginali, per le scaglie allargate per il piastrone appiattito e con lo xifipiastrone molto allungato, ed in fine, per le sue dimensioni, come lo prova il seguente breve specchietto. C. eocaenica, C. Heeri, 237 inni, 235 min. 254 » 160 » 79 » 110 » C. Portisi, 280 mm. 150 » 90 >, C. Kunzi. 215 mm. Lunghezza 165 » Larghezza 80 » Elevazione Nello esame delle date dimensioni bisogna badare che la la lunghezza del clipeo della C. eocaenica si riferisce solo all’in- tervallo che passa fra la piastra pigaie ed il margine ante- riore del quarto pezzo neurale. Noi, dunque, ci troviamo d’innanzi ad un tipo specifico di Cistudo alquanto diverso da quelli che fino al giorno d'oggi si sono rinvenuti nel terziario medio e superiore dell’Europa. Vale a dire, la Cistudo eocaenica De Stef. ci fa comprendere quali dimensioni potessero raggiungere, e quali caratteri possedessero le forme del genere in discorso nei primi tempi del cenozoico, in Europa. 294 G. DE STEFANO V. Sulla “ grande Tortile (Time espèce indéterniinée „ (lei calcare miocenico del dipartimento (lelPAllier in Francia. Con l’etichetta « grande tortue d’une espèce indéterniinée (Saint-Gérand-le-Puy, Cat. n" 502) » esistono nel Museo di Pa- leontologia a Parigi alcuni avanzi dello scheletro di tartarughe fossili del calcare di acqua dolce del miocene inferiore di Saint- Gérand-le-Puy (Dipartimento dell’Allier) in Francia. Essi consistono in parti della corazza ed ossami dell’artro- scheletro, non che qualche frammento di bacino. A questi ul- timi avanzi appartengono: 1° un femore destro intero, 2° un femore sinistro intero, 3° un omero rotto (parte distale) sinistro, 4° un cubito destro, 5° un radio sinistro con la parte prossimale rotta, 6° Un frammento (parte prossimale) di iliaco, 7° Un osso ischiatico destro. 8° un frammento di parte prossimale del pube. (ili avanzi dello scudo sono cinque grandi pezzi, fra quelli del clipeo e quelli piastronali. Essi consistono : 1° in una porzione mediana (regione neurale) di scudo dorsale, 2° in una porzione margino-anteriore di clipeo, 3° in una porzione margino-laterale di clipeo, 4° in una porzione latero-anteriore di piastrone, 5° in una porzione piastronale comprendente lo xifipia- strone e poca parte posteriore dell’ ipopiastrone. Gli avanzi scheletrici, essendo già tutti montati sopra uno stesso sostegno, sul quale aderiscono legati da robusti fili di rame, non possono andar soggetti ad una estesa diagnosi. Essi si presentano molto robusti o sviluppati, e, avuto ri- guardo alle loro proporzioni in lunghezza, si può ritenere con molta verosomiglianza che spettino ad individui adulti della stessa specie. CHELONIANI FOSSILI CEXOZO'.CI 295 Il femore è lungo 143 min., ed ha la fossa trocanterica larga e profonda. Il suo corpo, nella parte mediana, è sub-ci- lindrico; e le scabrosità dei condili interni sono prominenti. Gli ossami in esame di Saint-Gérand-le-Puy poco avanti elen- cati, posti in comparazione con gli omonimi della vivente Ci- stuclo (Emys) europaea L., hanno gli stessi caratteri di questi ultimi, salvo, come facilmente si comprende, una molto minore gracilità ed il notevole sviluppo in lunghezza e grossezza. Il cubito destro comparato con lo stesso osso di una Emys europaea L., proporzionalmente alle sue dimensioni, si mostra molto pili massiccio e con la faccetta articolare per l’articola- zione dell’omero meno inclinata e più vicina della direzione normale del cubito stesso di ciò che si osserva nello identico osso della specie vivente. Tali caratteri sono sufficienti per in- durre che gli ossami notati appartengono ad un chelonide, o più, avente delle abitudini terrestri, vale a dire, ad un chelo- nide dell’esteso genere Testudo L. La porzione margino-laterale del clipeo consta di tre piastre ossee dermatiehe, e di tre scaglie. La prima piastra o anteriore, causa il cattivo stato di con- servazione del fossile, non si osserva bene. La mediana ha il diametro transverso molto più piccolo di quello misurato nel senso radiale ; ciò che induce a concludere che allo stato com- pleto il Chelonide doveva avere uno scudo dorsale molto ele- vato verticalmente e curvo, al contrario di quello che si veri- fica nelle Emys, nelle quali i due diametri transverso c radiale sono eguali, o pure il primo è poco più sviluppato del secondo, donde ne deriva la forma più o meno appiattita del clipeo in tutte le specie del gruppo. Il carattere sopra notato conferma sempre più 1" idea da me espressa che gli avanzi in studio vanno riferiti alle vere Testudo. Tornando alla piastra marginale in esame, bisogna aggiun- gere che essa è più larga posteriormente anzi che anteriormente. Della terza vera marginale non si ha che la sola parte ante- riore, la quale gode gli stessi caratteri della seconda. Le tre scaglie, che si osservano in corrispondenza ai tre sottostanti pezzi ossei, sono ben conservate. La prima, contando dall’anteriore, è quasi tanto vasta quanto la seconda : la terza, 296 G. DE STEFANO fra le tre della serie marginale, è la più grande. Le suture fra le diverse scaglie nominate sono larghe e profonde : i margini esterni liberi si presentano arcuati, e formano un contorno a lobi. La seconda porzione di scudo dorsale comprende la regione anteriore di un clipeo, formata dalla prima piastra neurale e un pezzo anteriore della prima costale destra, più la sopranu- cale, la collaterale destra vera marginale, e porzioni della se- conda e terza vera marginali. Da quanto rimane della prima scaglia vertebrale si può dire con certezza che essa doveva essere di forma esagonale più larga che lunga, e doveva essere ancora di grandi dimen- sioni, dato che i bordi marginali sono ognuno lunghi 72 nini. La lineale è vasta, quasi tanto lunga che larga. La porzione che rimane della prima costale destra, è mal conservata : d’altra parte, la nucale investe lo spazio delle due marginali collate- rali fino ai due terzi del loro bordo interno. Le vere marginali hanno forma quadrilaterale, col bordo esterno libero più sviluppato dell’ interno, e le suture limiti prominenti. I bordi esterni della nucale e delle vere marginali formano un contorno continuo ed arrotondato. Lo xifipiastrone di Saint-Gérand-lc-Puy, elencato col n° 5, ha forma trapezoidale. La sutura che lo unisce ad una por- zione destra posteriore dell’ ipopiastrone, è larga c profonda; essa si sviluppa dalla sutura mediana longitudinale con dire- zione obliqua, dall’avanti in indietro, e leggermente ondulata; inoltre, essa forma con la linea suturale mediana degli angoli ottusi, sulla superficie xifipiastronale, acuti, su quella ipopia- stronale. Delle scaglie femorali che coprono la parte anteriore dello xifipiastrone in esame, quella destra è ben conservata; della sinistra non rimane che la sola parte postero-laterale. La scaglia femorale destra è vasta quasi quattro volte più della seguente anale, ed ha forma quadrangolare, col margine esterno molto più sviluppato dell’interno, perchè in tale regione il contorno piastronale, arcuandosi notevolmente dal di fuori al di dentro, descrive una curva fino all’ estremità suturale esterna fra la scaglia femorale e quella anale. La sutura fra la femorale e CHELONIANI FOSSILI CENOZOICI 297 la scaglia addominale si sviluppa leggermente arcuata, ed è prominente. La linea suturale che separa l’ipopiastrone dallo xifipiastrone divide la scaglia femorale in due regioni, una an- teriore e l’altra posteriore; quest’ultima, in grandezza quasi il doppio della prima. Ben conservate sono le scaglie anali, di forma elargata e poco lunga, quasi rettangolare, La porzione di piastrone latero-anteriore, elencata al n° 4 degli avanzi di Saint-Gérand-le-Puy, conserva buona parte del- l’epipiastrone. Sul lato di tale osso sternale ed al livello del margine posteriore della scaglia gelare si ha una tale confor- mazione per cui la parte mediana di detto episternale si pro- ietta tutta in avanti. Passando alla parte sistematica e comparativa degli avanzi osservati, dirò prima di ogni altro, che essi spettano senza dubbio ad un tipo specifico appartenente alle vere Testitelo. Fra le Testudo del miocene europeo conservate in museo non esiste alcun tipo specifico che si adatti a quello di Saint- Gérand-le-Puy. Solo trovo che fra le Testudo mioceniche men- zionate e figurate dal compianto Gervais P. (’) la così detta T. eurysternum (Pomel) (5) identifica completamente con gli avanzi studiati. Difatti, il piastrone figurato dal Gervais, come quello ora esistente in musco, al livello posteriore delle scaglie golari si spinge in avanti, ciò che determina la proiezione in avanti della parte mediana degli episternali. Gli avanzi figurati dal paleontologo francese sono quelli della collezione Feigneux, ed appartengono allo stesso giaci- mento miocenico di Saint-Gérand-le-Puy. Allora risulta evi- dente che i resti rinvenuti nel deposito su mentovato, attribuiti da prima dal Pomel (3) alla Testudo gigantea Bravard, spet- tano tutti alla stessa specie; la quale, anche dopo quanto io ho scritto, non resta ben definita. Dall’ esame dei pochi ed (') Zoologie et Paleontologie Fravcaises, 2e édit., Tome premier, pag. 436, Paris, 1859. (2) Loc. cit., pag. 436, PI. 53, fig, 7, 8, 8a. (3) Mémoire pour servir à la geologie paléontologique des terrains ter- tiaires du département de VAllier. Bull. d. la Soc. géol. de France. T. Troi- siéme, 2e sér., pag. 371, Paris. 1845-46. 25 298 G. DE STEFANO incompleti avanzi della collezione Feigneux ohe si conservano in Museo, risulta che la Testudo enrysternum (Porne!) non è rap- portabile ad altra specie miocenica. Si può non pertanto dire che, avendo qualche carattere di adir ita con la Testudo pirenaica Depéret (') del pliocene di Roussillon, per la conformazione generale della corazza, da questa ben si allontana, perchè di più grandi dimensioni, e perchè la parte mediana dei pezzi epipia- stronali si proietta tutta in avanti della scatola ossea. VI. La Testudo canetotiana „ (Lartet) del miocene medio di Sansan in Aquitania. Tav. XI, fig. 2. Col nome di Testudo canetotiana (Lartet) esistono in Mu- seo due corazze di chelonidi provenienti dal noto giacimento calcareo miocenico (miocene medio) di Sansan in Aquitania, le quali non furono mai descritte ; e solo il Lartet F., riferen- dole a quelle degli altri chelonidi da lui osservate nello stesso deposito, scrisse molti anni fa: « Autre espèce dont la cara- pace pouvait avoir de huit à neuf pouces de long, très rap- prochée par la forine de ses memhres de notre Tortile grecque (2) ». 11 fatto dianzi esposto, l’essere la Testudo canetotiana co- nosciuta solo nominalmente in Paleontologia, tra l’altro non essendo stata mai figurata, ed il desiderio espresso recentemente dal Depéret (3) di una illustrazione completa dei chelonidi di Sansan, mi hanno indotto a rendere noti i risultati dello studio da me fatto intorno al tipo specifico considerato. Descrizione. Gli esemplari da me esaminati sono due, segnati in catalogo col numero d’ordine 8319 e 8320. (') Les animaux pliocènes du Roussillon ecc., pag. 148, PI. XVI, iig. 1-7. (Móni. Soc. géol. de Franco, 1890). (2) Lartet E., Nolice sur la colline de Sansan. pag. 38, 1851. (3) Les animaux fossiles du Roussillon, 1890, CIIEL0NIAN1 FOSSILI CENOZOICI 299 10 descriverò solamente quello che porta il numero 8320, perchè è il meglio conservato. Anche nella figura dell’annessa tavola è riprodotto il fossile di numero 8320. In esso, il con- torno posteriore della corazza si presenta presso a poco arro- tondato : la regione anteriore appare più elargata di quella po- steriore ; ciò che si verifica nelle viventi specie, Testudo grami e T. mauritanica. Piastre. — I pezzi ossei dello scudo dorsale sono del tipo ordinario delle Testudo, vale a dire, lungo la linea mediana esistono dei pezzi che presentano una certa alternanza, si ec- cettuino il pezzo nucale ed il pezzo pigaie, i quali veramente non fanno parte della serie neurale, e sono molto più grandi di quelli di tale serie. 11 tipo ordinario delle Testudo ha dieci placche impari, com- preso il pezzo nucale ed il pigaie, mentre nel fossile di Sansan se ne contano undici compresi gli ultimi due ; vale a dire, esiste un pezzo soprannumerario, che può considerarsi come una seconda piastra sopracodale. Nel chelonide in studio, i pezzi di numero impari sono più stretti e più piccoli di quelli di nu- mero pari. Tale alternanza, è regolare e notevole dal secondo al sesto. La prima piastra invece è molto allungata e stretta; la settima è più larga che lunga. La seconda sopracodale è un q uadrilatero irregolare. Come nelle viventi Testudo , i pezzi costali del chelonide di Sansan sono in numero di otto, alternativamente ristretti e di- latati ; ma tale carattere è meno accentuato di quanto si os- serva nelle tipiche Testudo. Nella regione posteriore l’articola- zione dei pezzi costali è irregolare. Nella regione anteriore i pezzi dilatati si articolano ognuno di essi con tre pezzi verte- brali, mentre quelli ristretti in alto, ognuno con due soli pezzi. Non si distingue bene l’ ingranaggio del secondo pezzo so- pracodale ; ma si nota che nella regione posteriore non esiste simmetria completa fra le coste opposte di uno stesso paio : ciò forse devesi in parte alla dislocazione dei pezzi e ad effetto della fossilizzazione. I pezzi marginali hanno il loro diametro che li traversa nel senso radiale più lungo di quello che si osserva nel senso transversale. Sapendo che, nelle Emys il diametro transverso 300 G. DE STEFANO e quello radiale sono quasi eguali, o pure il primo qualche volta è superiore al secondo, si deduce [ter l’esemplare di Sau- san che bisogna includerlo fra le Testudo. La pigaie è vasta, di forma quadrangolare allargata, col margine interno più svi- luppato di quello libero esterno. Scaglie. — La traccia delle linee scagliose si osserva netta- mente in tutti e due gli esemplari. Bisogna notare un’ impor- tante particolarità: la presenza di una scaglia nucale, stretta ed allungata. Le scaglie sopracodali sono larghe: esse investono la metà superficie dei pezzi marginali dell’ultimo paio, ed hanno il margine esterno libero molto arcuato. Le prime quattro scaglie vertebrali sono un pò più larghe che lunghe, e di forma esagonale; la quinta è un quadrilatero irregolare, col margine posteriore molto più sviluppato dell’ante- riore. Nell’esemplare della Testudo canetotiana che porta il nu- mero d’ordine 8319, gli accennati caratteri si osservano netta- mente. Il fossile a causa di uno schiacciamento per pressione verticale presenta la superficie del clipeo pianeggiante. Per nessuno dei due esemplari conservati in Museo si può dire con molta approssimazione il rapporto esistente fra il dia- metro transverso e quello longitudinale della loro corazza, la quale difetta in entrambi del piastrone o sterno. Il clipeo meglio conservato, tinello che porta il n° d’ordine 8320, è un pò deformato alle regioni dorsale e costale ante- riore; e difetta di una buona parte marginale antero-laterale. Dimensioni: Lunghezza del clipeo 240 mm. Larghezza approssimativa dello stesso 197 mm. Comparazione. Malgrado i due sentanti di un tipo un pò a desiderare restano ben definiti chelonidi studiati di Sansan, come rappre- specifico fino ad ora non descritto, lascino per la mancanza dei loro piastroni, pure qualora si faccia una comparazione anali- CIIELONI ANI FOSSILI CENOZOICI 801 tica con gli altri diversi noti fossili e con le specie viventi, in ispecial modo con quelle del gen. Testitelo a tipo mediterraneo. La presenza di una scaglia lineale e la conformazione della scatola ossea allontanano la Testitelo canctotiana (Lartet) dal gruppo delle Testitelo asiatiche viventi. Così, ad esempio, la T. elegans Scliapff. dell’India, ha la corazza molto convessa, e i pezzi marginali posteriori rilevati e dentellati. Le Testitelo dell’ Africa del sud, quali, T. sulceita Gmel., T. pardalis Bell., ete., si allontanano anch’esse dal chelonide di Sansan per la conformazione generale della loro corazza, per le dimensioni di quest’ultima e per l’assenza di una scaglia nucale. Comparato alle specie viventi eircum-mediterranee, quali la Testitelo greteca L., la T. manritanica Sch., la T. marginata , la T. Leithii, il chelonide di Sansan ad esse si approssima, e specialmente alla T. graeca, per la conformazione e dimensioni della corazza, e per la presenza di una scaglia nucale. Dal confronto che io ho potuto fare con le specie viventi, mi sembra, riassumendo, che il tipo specifico del miocene fran- cese non appartenga al gruppo delle tartarughe viventi, e tanto meno si rapporta al tipo di quelle ora abitanti nelle regioni dell’Africa australe ed in quelle tropicali delle Indie, con le quali non esistono identità, nè legami di discendenza. Non per- tanto esso mostra di avere qualche rapporto di affinità con le specie del bacino mediterraneo, e specialmente, con la T. graeca. Fra le Testitelo fossili, descritte o segnalate nel terziario europeo, trovo che la T. lamanonis Cuvier (') non permette comparazione di sorta per il suo cattivo stato di conservazione. Non parlo della T. gigas Bravard (2) dell’oligocene di Francia, non rapportabile all’esemplare di Sansan, per le dimensioni della corazza, per la conformazione e disposizione dei pezzi ossei neu- rali e costali, e perchè difetta di scaglia nucale. La Testitelo (') Lamanon, Journal de physique, t. XVI, pag. 878, PI. Ili, 1780. Cuvier, Recherches sur les ossements fossiles etc. Quatriéme ódit., Tome neuvième, pag. 486, PI. 241, fig. 9 et 11, 1836. (*) Bravarci, Considérat. s. les Mani. foss. d. départ. du Puy-de-Dume, pag. 33, 1844. Gervais, Zool. et Paléont. frangaises , 2e éd., pag. 436, PI. 54, lig. 1-2, 1866. (J. DE STEFANO 302 eurysternwn (Ponici) (‘) di Saint-Gcrand-Ie-Puy e la T. lama- nensis Bravard (2) del miocene inferiore francese non sono an- cora ben definite. Cosi dicasi per la serie delle Tartarughe ter- restri del miocene dell’Aquitania, citata dal Lartet (3), e mai descritta. La Testudo antiqua Broun (4) del gesso di Hohenhoven, che si presenta così diffusa nel miocene europeo (Heggan, Steinheim, Pfrungen, Grive-St-Alban, etc.) e che per la presenza di una scaglia nucale si rapporta alle specie mediterranee attuali, ha la scatola ossea poco globosa ed allungata; e differisce dal tipo specifico di Sansan per l’alternanza dei pezzi neutrali e per le dimensioni. La Testudo proeceps Haberlandt (5) del miocene di Kalks- burg vicino Vienna è un tipo specifico basato sopra un modello interno, del quale non si possono apprezzare i caratteri più im- portanti, quali, la presenza o l’assenza di una scaglia nucale, non che la grandezza e disposizione dei pezzi ossei. Fra le tartarughe del miocene in Svizzera, la Testudo Escheri Pictet e Humbert (6) si avvicina alla forma di Sansan per la corazza non molto elevata, per le scaglie vertebrali più lunghe che larghe, ma ne differisce completamente per tutto il resto. La Testudo promarginata Reinach (7) del miocene tedesco si avvicina alle viventi Testudo a tipo mediterraneo per la presenza di una scaglia nucale, ma differisce dal chelonide di Sansan per (*) (*) Bull. d. ìa Soc. Gioì, de Trance, pag. 371, 184 1. Ibidem, pag. 382, 1847. Pomel, Catalogne me'thod. des vertébrcs de la Loire et de VAllier, pag. 119. Gervais, Zool. et Pai. franpaises, pag. 438, lig. 7, 8, 8 a. (2) Considerai, etc., pag. 434. (:i) Notice sur la colline de Sansan, pag. 38, 1851. Notice presentante quelques aperpus géologiques dans le Depar t. du Gers, pag. 30, 1851. (4) Bronn, Nova acta nat. cur., t. XV, part. Il, PI. 63-64, 1831. Meyer (H. v.), Palaeontographica, tav. XV, 1867. (5) JJeber Testudo proeceps, die erste fossile Landschil dicrote d. Wiener Beckens. Jahrb. geni. Reiehs., t.. XXXVJ, pag. 243, tav. XVI, 1876. (6) Monographie des chéloniens de la mollasse suisse, pag. 17, PI. 1- III, 1856. (') Schildkròtenreste im Maineer Tertiàrhecken anditi hniachbarten etc.. pag. 7, tav. I-III, 1900. CHELONIANI POSSILI OENOZOiCI 803 la maniera d’alternarsi dei pezzi neurali, per le dimensioni della corazza, ete. La Testudo vicloturana Biederman (x) è più grande della precedente. La Testudo marmorum Gaudry (2) del piano poli- tico in Grecia si rapporta di più, per l’assenza di una scaglia lineale, alla Testudo pyrenaica Depéret (3), clic non al tipo spe- cifico di Sansan, meno globoso. Le tartarughe di Monte Léberon scoperte dal Gaudry (4) sono troppo incomplete per reggere ad un buon confronto: tuttavia quella che l’aut. sopracitato indica eoi nome di « Testudo de grandeur moyenne » non è affatto rapportabile al tipo dell’Aquitauia, per le dimensioni della co- razza, per la conformazione della sua parte posteriore, per le piastre vertebrali che alternano in modo più pronunziato, e per le scaglie costali più alte. La Testudo craweri Portis (5) del miocene dell’Italia setten- trionale si rapporta alla T. pyrenaica, per la corazza allargata e globosa, per l’identica alternanza dei pezzi neurali e costali; per quanto da essa differisca a causa della presenza di una scaglia lineale. La già citata Testudo pyrenaica (6) alla sua volta non si approssima molto al chelonide studiato, per la sua scatola ossea rigonfia, per la notevole altezza dei pezzi costali e marginali, etc. La Testudo amifiac (J) Pantanelli, del miocene superiore nei pressi di Montebamboli è una forma allargata, prossima alla pyrenaica Depér. ed alla Testudo globosa Portis (s). Quest’ultima, del pliocene in Italia, ha una forma elargata, l’alternanza dei pezzi vertebrali poco notevole, i pezzi marginali molto alti, la scaglia nucale non molto vasta. (!) Ghéloniens tertiaires des environs de Winterthur etc. (2) Gauclry, Les animaux foss. et géol. de V Attigue, PI. LX, fig. 1-2. (3) Animaux fossiles du Roussillon, PI. XVI, pag. 155-1, tig. 1-7. (') Animaux fossiles de moni Léberon, pag. 71, PI. XIV. (5) Meni. Acc. Scien. di Torino, t. XXXII, pag. 129, tav. Ili, fig. 12. (6) Depéret, Animaux fossiles du Rouss. ecc., pag. 160. (7) Atti d. Soc. Toscana di Se. Nat., Mera., voi. XII, e proc. verb., 15 maggio 1892. (s) I rettili pliocenici di Val d’Arno superiore, pag. 3, tav. I, 1890. 304 G. DE STEFANO Fra le specie plioceniche trovo: la Testudo Sloanei Lydek- ker (*) del terziario in Turchia, ha molti rapporti di affinità con la T. par dai is dell’Africa e la T. radiata del Madagascar. Delle altre Testudo , come la T. atlas Falconer e Cautley (2), si può dire che non sopportano comparazione di sorta col ehe- lonide di Sansan, principalmente per le dimensioni della loro corazza. Perciò la T. perpiniana Depéret, del pliocene in Fran- cia (3), la Testudo* robusta Leith-Adams (4) dei depositi post- pliocenici di Malta, ed altre, sono piuttosto affini alla Testudo nigra ( elephantopus ), vivente nelle isole Gallapagos, la quale, per le sue dimensioni, ci rappresenta una fra le Testudo giganti del gruppo americano. E concludo. La Testudo canetotiana (Lartet) presenta carat- teri di affinità con altri chelonidi miocenici ; ma resta da essi isolata, e, come tipo specifico, per la presenza di una scaglia nucale non che per la complessiva conformazione della sua co- razza, fa parte di un gruppo naturale di tartarughe terrestri, tutto affatto distinto dalle forme tropicali delle Indie e del- l'Africa e molto prossimo alle specie mediterranee ora viventi. Non è difficile che il tipo specifico studiato appartenga allo stesso gruppo naturale probabilmente rappresentato nel miocene medio di Vienna dalla Testudo proeceps Haberl., nel miocene superiore dell’Italia dalla Testudo craweri Portis, nel miocene superiore di Pikermi in Grecia dalla Testudo marmorum Gaudry. E non è nemmeno inverosimile ritenere che le attuali tartarughe del bacino Mediterraneo, quali la Testudo graeca, la Testudo Leitldi, etc., siano le discendenti lontane del gruppo considerato. [ms. pres. 19 febbraio 1902 - ult. bozze 2S luglio 1302]. ( 1 ) Catalogne of thè foss. Peptilia and Ampli, in thè British Museum Order Cheionia, pag. 89, 1889. (2) Proc.Zool. Soc., pag. 54, 1844. Journ. As. Soc. Beng , pag. 358, 1837. Journ. As. Soc. Beng., pag. 20, 1880. (r) Depéret, Les animaux pliocènes du Poussillon. Móni. Soc. géol. de France, 1890, pag. 141, PI. XIV et XV. (4) Quart. Journ, Geol. Soc., pag. 178, 1877. Lydekker, Catalogne of thè foss. Bept. and Ampli, in (he British Museum, pag. 73, 1889. Milano - U arzilli o Pezzini fig. 2 Boll. d. Soc, Geol. Italiana, XXL (De-Stefano) Tav. X Milano - Garzini e Pezzini fig- 2 Boll, d. Soc. Geol. Italiana, XXI. (De-Stefano) Tav. XI. Milano - Uarziui e l’ezziul OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUI DINTORNI DI CAMERINO Nota del dott. Mario Mariani Una cinta di maestose montagne incornicia il bacino, in mezzo al quale, dalla cima di un alto colle, torreggia la città di Camerino. I fianchi dirupati di questi monti limitano d’ogni intorno il bello, ma non troppo vasto panorama che si offre a chi guarda dalle mura castellane la campagna sottostante, che, fertile e ridente alle falde del colle, diviene sempre più mon- tuosa e selvaggia, man mano clic si allontana dalla città. Que- sta, fondata in una posizione resa inespugnabile dalla eleva- tezza del colle e dalle altissime mura che la cingono, ebbe una grande importanza militare nei secoli scorsi, specialmente al tempo delle piccole repubbliche e dei principati del medio evo e dei primi secoli dell’evo moderno. Fin dall’epoca romana Ca- merino ebbe onorevole posto fra le città in cui fu grande il culto delle armi. Ora però nulla o poco le resta che valga a ricordare la sua passata gloria di repubblica e di ducato, se ne togli il Palazzo dei Varani ora spogliato completamente di qual- siasi grandiosità principesca, la Rocca, fortezza a Sud-Ovest della città fatta costruire da Cesare Borgia e pochissime porte che, insieme con qualche tratto delle mura, conservano ancora alcun che dell’aspetto antico. La regione circostante, di cui intendo parlare, attraversata da strade che serpeggiano per vallate e colline cosparse di nume- rosi e ridenti villaggi, è racchiusa da due catene di monti, quasi parallele, di direzione presso a poco da Nord a Sud, le quali abbracciandola tortuosamente, danno, all’occhio di chi la guarda 2tì a volo d’uccello dalla città, l’idea che essa ne sia circondata da ogni parte. Questo bacino, tutto compreso nella Provincia di Macerata, contina a Nord col territorio di Matelica e Gagliole, a Sud con Fiastra, Fiordimonte e Montecavallo, ad Est con Sanseverino e Caldarola, ad Ovest con Pioraco, Sefro e Serra- valle del Chienti. È attraversato da due fiumi, il Chienti e il Potenza, i quali scaturiscono da montagne che fanno parte della corona del bacino, raccolgono le acque dei torrenti numerosis- simi, dovuti alla accidentalità dei nostri luoghi, e mettono foce nell’Adriatico. Il primo risulta di un ramo che viene da oltre Pievetorina, e di un altro, il maggiore, il quale sgorga poco sotto Paltipiano di Colfiorito, antica palude che fu quasi total- mente prosciugata dalla mano dell’uomo, e trasformata in fertili campi. Fino a Pontelatrave ha direzione da Ovest ad Est, poi volta verso Nord e passando per Polverina, Sfercia, Valcimarra e Caldarola, prosegue, mantenendosi costantemente diretto verso Nord-Est, fino all’Adriatico. Sbocca presso Porto-C’i vitanova -dopo un percorso di 87 Km. Il Potenza, sorge a M. Pennino, ne gira le falde, fra mon- tagne rocciose del cretaceo, attraversa il territorio di Fiuminata ed entra nel giura-lias della gola di Pioraco. Ivi l’acqua, ob- bligata dall’asprezza del fondo della gola a correre per mille meandri scavati sempre in mezzo alla roccia viva, produce con- siderevoli formazioni di calcare di incrostamento, analogo al travertino del quaternario. Uscito il fiume dalle strette di Pio- raco, attraversa Tal lu viale, dovuto al suo terrazzamento, lam- bendo le mura del Castello di Lanciano e della Torre del Parco. Poi prosegue per un tratto in mezzo alle arenarie mioceniche, sfiora, quasi, il giura-lias delle Grotte di S. Eustachio, attra- versa di nuovo il miocene nel Sanseveriuate, per dirigersi defi- nitivamente a Nord-Est fino all’Adriatico in cui mette foce presso Porto-Kecanati, dopo un percorso di 96 Km. L’orizzonte, limitato ad Ovest e Sud-Ovest dalla giogaia che va da M. Igno (1434 m.) a M. Gemmo (1259 m.), verso Nord- Est si allarga molto, fino al Catria, al M. delle Streghe e al M. S. Vicino (1485 m.), tutte vette eccelse e per buona parte dell’anno coperte di nevi. Percorrendo con rocchio l’ estremo del panorama da Nord verso Est, si nota l’improvviso cambia- OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUI DINTORNI DI CAMERINO 307 mento dell’ aspetto delle montagne che contornano il bacino. 1 monti dai fianchi dirupati, alpestri e brulli cessano ad un tratto per dar luogo ad altri adagiati, quasi tondeggianti, senza scogli nè burroni, di un calcare rosato chiaro e tutti fino alla cima più o meno coltivabili. Tali sono i monti di Gagliole, di Crispiero, d’Aria, di Letegge, di Capolapiaggia, di Yaldiea, di S. Maroto ed altri meno importanti. Questo calcare rosato di mediocre durezza, si rompe in large lastre, ha frattura concoide ed è ricchissimo di silice di color rosso-carne. A Sud del M. di S. Maroto ricominciano improvvisamente le montagne di calcare cenerognolo e brulle analoghe a quelle che ho già nominato. È notevole il fatto che i monti di calcare rosato arrivano al più a toccare i 1000 m. di altezza e quando da Camerino si guarda il M. di S. Maroto e si vede elevarsi su di esso il Ra- gnolo (1558 m.) aspro e scosceso, l’accennato distacco è più che mai sensibile. Procedendo ancora verso Sud le montagne cre- scono di altezza man mano che si accostano al Gruppo della Sibilla dove raggiungono e sorpassano i 2000 m. Le più ele- vate sono : il Pizzo della Regina, il Pizzo di Berrò, il Pizzo dei tre vescovi, il M. della Sibilla, tutti superiori a 2200 m., ed il Vettore di cui da Camerino si vede solo una piccola parte che spinge la sua vetta a 2477 m. A proposito del Vettore giova ricordare il Lago di Pilato, ampia e bellissima conca tondeg- giante, situata sul fianco Sud-Est, del monte, dovuta ad un lago di formazione glaciale. A Sud-Ovest del Vettore si stende in forma di Y V altipiano del Castelluccio lungo circa Km. 5, in mezzo al quale è fondato sopra un piccolo colle uno dei più pittoreschi paeselli del nostro Appennino. Tutte queste cime, che in qualche burrone conservano perennemente alti strati di neve, sono tappezzati da una vera flora alpina, fra cui si notano gli Edehveiss, il ginepro alpino, piccoli cespugli di erbe aromatiche, muschi e licheni. Per poco che si discenda da tale zona si tro- vano subito boschi immensi di faggi secolari, alcuni dei quali hanno tutto l’aspetto di vere foreste vergini. Tali sono, in poche parole, le montagne che formano i due bordi rialzati della sinclinale, data da terreni secondari, in mezzo alla quale si trova la città di Camerino. Sono numero- sissime e interessanti le vallate e le gole esistenti in mezzo a 308 M. MARIANI questi monti, però due di esse meritano speciale menzione, quella di Pioraco e quella della Grotta di S. Eustachio. La gola, in mezzo a cui è annidato il paese di Pioraco, si apre fra M. Primo e M. Gemmo ; il Potenza velocissimo e tortuoso vi scorre sul fondo e rumoreggia. Questo fiume, dopo aver lasciato il territorio di Fiuminata, obbligato ad in- calanarsi nella vallata fra M. Gemmo e M. Gualdo, attualmente attraversa una splendida pianura del quaternario che si mani- festa subito come fondo dell’antico lago glaciale che qui do- vea esistere prima della enorme frattura che dette luogo alla gola. Il nome stesso del paese, derivato da prope lacum , si ac- corda con tale ipotesi. Questa pianura, racchiusa, come è, dalle già nominate montagne, dà l’ idea di un gigantesco anfiteatro di cui l’arena sia data dal piano in mezzo a cui scorre tortuoso, ma tranquillo, il Potenza, simile ad un nastro d’argento disteso sopra verde tappeto, e le pareti siano grandiosamente rappre- sentate dai fianchi dirupati delle montagne. La vallata si re- stringe bruscamente nel punto in cui è fondato il paesello. Qui il fiume, ricevendo le acque dello Scarzito che viene dalla adia- cente valle di Sefro, passa sotto il ponte Marinone, di costru- zione romana, attraversa tutto il fabbricato di Pioraco e dopo averne alimentato le rinomate cartiere prosegue verso Est. In questo punto la gola si restringe ancora di più riducendosi ad- dirittura alla poca larghezza del fiume, che, divenuto ad un tratto come furibondo, si contorce e spumeggia fra gli scogli che sembrano quasi volergli chiudere il passo e si precipita da una altezza di una quindicina di metri, formando una ca- scata bellissima a vedersi. Poi prosegue più tranquillo lam- bendo il piede di scogli pittoreschi che, talora verticali e mo- nolitici, come lo Scoglio Sasso alto o Scoglio del Paradiso (80 in.), si drizzano sulla sponda del fiume. Le pareti delle mon- tagne mostrano l’andamento sconvolto degli strati, le faglie, gli scorrimenti ed i rovesciamenti da essi subiti. 11 paesaggio è di una bellezza rara ; un ponte in legno, e due strade, la vec- chia e la nuova, l’una a sinistra e l’altra a destra del fiume, che quasi con timore sembrano inoltrarsi nella gola adattandosi OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUI DINTORNI DI CAMERINO 309 tortuosamente all’asprezza del luogo, lo rendono paragonabile alle più belle vedute della Svizzera. Il fiume, uscito, dalla gola di Pioraco, diremo così, a rive- der le stelle attraversa di nuovo 1’ allindale dei piani di Lan- ciano e della Torre del Parco, passando per Castelraimondo, ecc., come si è già detto. Le colline che lo fiancheggiano sono costituite di terreni miocenici sotto forma di arenarie, di marne grigie e di argille. Passando a dire due parole della valle delle Grotte di S. Eu- stachio, comincerò col notare che, dato l’aspetto, uniforme, ton- deggiante, e morbido dei due monti che la formano, quello d’Aria e quello di Crispiero, non si direbbe certo che in mezzo ad essi possa nascondersi una gola così stretta, aspra e pitto- resca. Chi da Camerino si dirige verso tale località, dopo aver guadagnato il dorso del M. della Torre di Beregna, comincia a discendere per la mulattiera che conduce alle Grotte e per un lungo tratto, benché si trovi in mezzo a boschi cedui che lo circondario da ogni parte, tuttavia nulla gli fa supporre che all’ improvviso il paesaggio debba del tutto cambiare. Ad una svolta del viottolo, questo apparisce in tutta la sua orrida bel- lezza. Altissimi scogli che si drizzano a picco sul piccolo tor- rente e sulla strada, mostrano la nuda roccia cenerognola, e sembrano minacciare il viandante che passa ; pochi ispidi ce- spugli, qua e là interrompono con il verde delle loro foglie il colore melanconico di quelle balze. Ogni tanto apparisce la nera e misteriosa apertura di una grotta che rovai e spini selvatici rendono quasi impraticabile; l’aspetto di questa gola alpestre e solitaria desta un senso di sgomento jn chi vi si addentra. Delle molte grotte che vi sono, due sono le più interessanti e le più vicine alla strada. La prima è a sinistra, ha una bocca molto bassa e larga una ventina di metri, il fondo è pianeg- giante ed è praticabile per settanta od ottanta passi, un muro a secco impedisce di andare più oltre e chiude l’ultima parte che si sprofonda nella montagna, in cui dicono si siano spesso perduti molti capi di bestiame. La ampiezza della grotta, il suolo piano e l’apertura abbastanza ristretta hanno invitato al- cuni scienziati a praticare ivi degli scavi per cercarvi avanzi trogloditici, ma fino ad ora i risultati sono stati molto scarsi. 310 M. MARIANI L’altra ad un trecento metri di distanza, si trova a destra della mulattiera che discende e conduce poscia verso il Potenza. Questa ha una larga apertura, alta più di venti metri ed è poco profonda, però in fondo ad essa si apre una fessura oriz- zontale e lunga che si addentra di molto nella montagna, il suolo però, dopo i primi passi, diviene quasi impraticabile per la fortissima pendenza. Del resto il geologo nella gola delle Grotte di S. Eustachio, ha cose molto più interessanti da fare anziché esplorare le caverne, poiché molti punti sono abbon- dantissimi di fossili liassici, e altri destano il massimo inte- resse per studi stratigratìci. Una graziosa e bianca chiesetta gotica situata alF imboccatura di quest’ultima grotta, fa uno strano contrasto con l’aspetto selvaggio della valle. Molti scienziati italiani e stranieri si occuparono di parec- chie delle località a cui ho brevemente accennato. I primi che studiarono le Marche e toccarono dei dintorni di Camerino, furono due vere illustrazioni della scienza, lo Spada e l’Orsini, i quali pubblicarono insieme, prima nel 1847 e poi nel 1855, un importante studio sull’Appennino Centrale, diffon- dendosi principalmente sul Marchigiano. Tale lavoro inserito nel Boll, della Soc. Geol. di Francia è intitolato: Quclques observations géologiques sur les Apennins de V Italie Coltrale. In esso parlarono molto dei Monti Sibillini, del Catria, di M. Cucco, illustrando i terreni secondari del nostro Appennino, ma poco dissero dei dintorni di Camerino. Spetta tuttavia ad essi l’onore di essere stati i primi a trattare scientificamente delle nostre regioni. Venne poi l’illustre prof. Zittel della Università di Monaco, che si trattenne per parecchi mesi nelle Marche, occupandosi anch’egli esclusivamente del secondario, ne raccolse grande quan- tità di fossili e pubblicò in parecchie riprese i risultati delle sue ricerche. La prima volta nel 1863 sotto il titolo: Die Ce - phalopoden der Stramberger Schichten, Palaeontologische Mittei- lungen a us den Koenigl. Bayer., ecc. ; poi nel 1869 con Geolo- gische Beobachtungen aus den Central Appennin; e nel 1870 con : Die Fauna der aelteren Cephalopoden fuehrenden Tithon- bildungen. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUI DINTORNI DI CAMERINO 311 Di questo tempo vanno pure ricordati Alcuni studi sull’ Ap- pennino Centrale del prof. Piccinini. Dopo di lui fino al 1878, anno in cui il nostro chiarissimo prof. M. Canavari fece le prime pubblicazioni, nulla di note- vole fu edito in proposito, tranne un piccolo lavoro di G. Orsi: Un ’ escursione al M. Vettore , ed un altro di L. Spada : Due settimane nell’ App. Centr. (ossia St. Nat. e cenni storici di Pioraco e dintorni). Il Canavari, quantunque abbia toccato an- che del terziario, si è, si può dire esclusivamente, occupato del secondario, nel Camerinese, cbe ha studiato profondamente, e dif- fusamente illustrato. Su tale argomento ha fatto un gran numero di pubblicazioni inserite in riviste e bollettini scientifici italiani e stranieri. Ricordo fra le altre: Il Titonico di M. S. Vicino ; Le Grotte di S. Eustachio; Il lembo di Lias sup. di 31. Gemmo; ed II lias inf. nelle Marcia; in genere. Anche il prof. Meneghini pubblicò una memoria: Nuovi Ce- falopodi di 31. Frèmo. In seguito, nel 1882 il prof. De Loriol di Ginevra illustrò gli Echinodermi del Camerinese, trovati in gran parte a Campo- bonomo, a S. Ilario, e alla Vignacela; il suo lavoro è prece- duto da una breve nota stratigrafica del Canavari sui dintorni di Camerino. Dall’82 in poi nessun altro scienziato, all’ infuori di questi si è occupato del nostro bacino. Per tacere di pubblicazioni mi- nori che da allora in poi ha dato alla luce, basta ricordare: La fauna degli strati ad Aspidoceras acanthicum di 31. Serra presso Camerino, lavoro importantissimo inserito nella Paleo- graphia Italica, splendida pubblicazione che egli fondò e dirige. Per quanto non interessino i dintorni di Camerino credo tuttavia degne di nota due memorie scientifiche dei signori dott. De Angelis d’Ossat e Enzi Sui fossili dello Schlier del Sanseverinate (Boll. Soc. geol. it., 1897 e 98). Per chi volesse poi oltre che della geologia, interessarsi an- che della topografia e storia del camerinese, può riuscire molto utile un libro stampato a Camerino in due volte, nel 1872 e 1874, per opera del prof. A. Conti e che porta il titolo: Ca- merino e i suoi dintorni. 312 M. MARIANI Secondo questi autori, nel Camerinese, è rappresentata più o meno chiaramente tutta la serie geologica dei terreni che vanno dal Trias a tutto il Miocene. Prima di entrare a parlare del Terziario, di cui mi sono più specialmente occupato, credo opportuno di fare un brevis- simo cenno dei singoli terreni secondari, già studiati, e di in- dicare le località più fossilifere e più istruttive; ciò per comodo di chi volesse, visitando i nostri luoghi, interessarsi della loro geologia. L’annessa carta geologica, rilevata con tutta l’esat- tezza di cui sono stato capace, varrà a dare un’ idea abbastanza precisa della configurazione geologica del bacino. Seguirò l’or- dine cronologico della formazione dei singoli terreni: Trias superiore. — Esso si presenta in pochi punti del no- stro Appennino, ed è dato da un calcare bianco, duro, massic- cio o in grossi strati, saccaroide, e piuttosto povero di fossili. Si vede con apparenza dolomitica a M. S. Vicino, nella gola di Pioraco, alle Grotte di S. Eustachio, nei monti Sibillini e specialmente a M. Vettore. I pochi fossili che ne sono stati raccolti, sono dovuti prin- cipalmente al Canavari che li trovò quando studiò il S. Vicino. Le specie più comuni sono queste: Gyroporella triasiana, Ci- lindrella Silesiana , Turbo cfr. solitarius. Lias inferiore. — Questo è il primo terreno importante del- l’App. camerinese. E soprastante al trias superiore in tutte le loca- lità qui sopra nominate, con cui spesso ha in comune l’apparenza dolomitica; è massiccio, bianco, o giallastro-chiaro. A volte ha macchie rossastre e vacui che rendono la roccia cavernosa, non di rado ha struttura oolitica. 1 fossili più caratteristici e co- muni sono: Rhynchonella variabilis, R. suavis, Terebratula Mi- di, T. Eustachiana , T. cfr. sphaenoidalis, Pleurotomaria cfr. ro- tuncla, P. Suessi, Posidonomya Janus oltre a molti Arietites e Cidaris. Lias medio. — Comprende quei calcari compatti e ben stra- tificati, ricchi di pirite, riconoscibili dalle frequenti macchie rug- ginose della superficie. La frattura spesso è concoide, bianco- giallastra, o grigia. Questi calcari furono detti dallo Zittel a Terebratula Aspasia. In alcuni punti sovrastano ad un calcare rossastro, argilloso, abbastanza fossilifero, che probabilmente OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUI DINTORNI DI CAMERINO 313 spetta al Lias inf. Sempre nei luoghi già detti, questi sono i fossili più comuni : Amaltheus spinatus, A. emarginatus, Pleu- rotomaria sim. anglica, Spiri ferina rostrata, Terebratula Aspa- sia, Pectcn cfr. aequivalvis, Belenmites sim. breviformis, Phyl- loceras mimatense. Lias sup. — Sopra al calcare ora descritto si trovano delle marne calcari, rosso-mattone, notevoli per la ricca fauna di cefalopodi che contengono; spiccano anche a grande distanza in mezzo al grigiastro delle altre roccie. Spesso queste marne, senza dubbio del Toarsiano, sono intercalate con alcuni banchi di calcari più compatti ora rossastri, ora bianco-verdastri a superfìcie nodosa, e con straterelli di silice di vario colore. Le marne rosse hanno una potenza che varia dai 2 ai 15 metri. Fra i punti accennati è notevole il lembo che affiora con grande abbondanza di fossili a M. Gemmo. Nel Camerinese furono, fra le altre, raccolte le specie seguenti: Harpoceras (bifrons, radians insignis, Mercati, subarmatus), Ammonites (crassus, sternalis, falcifer), Phylloceras (lieterophyl- lum, Nilsoni), Lytoceras ( cornucopiae , dorcadis), Terebratula dipinga , ecc., più varie foraminifere. Schisti ad aptici. — Gli ultimi strati delle marne rosse sono a contatto con sottili strati verdastri intercalati con veri filari di piromaca che variano dai 2 o 3 ai 30 o 40 cm. Questi schisti più duri delle marne sottostanti hanno una potenza di 20 o 30 m., quantunque negli strati più bassi tendano aneli ’essi al rossastro, tuttavia sono ben distinti da quelle dalla presenza di abbon- danti Aptycus ( punctatus , lamellosus, laevis, obliquus , ecc.). Fra questi strati ed il Tifoideo che prima si faceva arrivare fino ad essi, il Canavari ha dimostrato la necessità di distinguere un’al- tra formazione geologica, chiamata da lui Strati ad Aspidoceras Acanthicuni; tale studio è inserito nella Paleontographia Italica. Pitonico. — Il Titonico, abbastanza esteso nel nostro bacino, affiora sotto forma di un calcare biancastro in grossi e sconvolti strati, come a M. Gemmo, M. Primo, M. Gualdo, M. di Gaglioffi e alle Grotte di S. Eustachio. È ricco di fossili fra cui noto i più frequenti: Brachiopodi (Terebratula, Bhynchonella) ; Echino- dermi (Cidaris); Gasteropodi (Pleur otomaria, Cerithium, Trochus, Natica. Phasianella, Cypricardia); Acefali ( Cardenia, Arca, Opis, 314 M. MARIANI Pecten, Lucina , Straparollns); Cefalopodi ( Belemnitcs, Ammo- nites, Phylloceras , Aspidoceras, Perisphinctes, Ly foce ras Aptycus). Neocomiano o calcare rupestre. — 11 Titanico spesso sostiene un altro calcare bianco-grigio, dato in masse compatte, attra- versate da una rete di vene spatiche, che appartiene al Neo- comiano. Esso forma la volta di intere giogaie di monti a cui dà il così sterile, pietroso e selvaggio aspetto già notato. Tal- volta ha apparenza quasi dolomitica, tal altra di roccia selcifera regolarmente stratificata di chiara sonorità e a frattura concoide. I pochi fossili che vi sono stati trovati sono: Phylloceras, Lyto- ceras, Ammonites, e Terebrutulae. Creta media e sup. — Il Neocomiano è seguito da un com- plesso potente di strati di roccia rossastra o variegata, poveris- sima di fossili, a cui è difficile assegnare giustamente il nome geologico che le compete, tuttavia credo che sia riferibile alla Creta media e sup. Calcare rosato. — A questo punto la roccia variegata cessa, e viene ricoperta senza transizione da un bel calcare rosato, di mediocre durezza, frattura concoide e regolarmente stratificato. Questo giacimento si presenta con grande uniformità, anche in punti fra loro molto lontani. E poco resistente alle intemperie, e si rompe in larghe e grosse lastre che nel loro spessore mo- strano straterelli di silice rosso-carne. Questo calcare, privo di fossili, clic spesso tocca i 100 m. di potenza, ha avuto, dopo il Neocomiano, la parte più importante nella formazione del nostro Appennino. Scaglia ( Creta Senoniana). — Essa si trova sopra al calcare rosato e si distingue per il colore rosso più vivo e per l’abbon- danza di piromaca. La parte inferiore è di un bel rosso-mattone e ricca di corniola rossigna, clic in straterelli ed arnioni si pre- senta in mezzo allo schisto calcare. Più in alto il colore diviene più pallido, si avvicendano fra loro, parti rossastre, verdastre e grigie; la piromaca scompare, aumenta la schistosità della roccia che si fa terrosa e cavernosa. Da ultimo predomina il colore cenere e la scaglia prende a poco a poco il carattere del ma- cigno terziario sopra concordante, dal quale talvolta non è facile distinguerla. 1 pochi fossili conosciuti sono principalmente: Pecten, Ostrea, Inoceramus, Cardiaster. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUI DINTORNI DI CAMERINO 315 Questa é la più recente formazione del Mesozoico. Il prof. Canavari sul vertice di alcune montagne ha trovato le Num- muliti del terziario intercalate con la scaglia, cosa che la fa sup- porre in parte eocenica , come fu rilevato dal prof. Yinassa de Kegny per le Alpi Venete. Èra neozoica. Tutto il fondo della sinclinale scavata nei terreni secondari di cui abbiamo parlato fino ad ora, è coperto da terreni neo- zoici, che si estendono su vastissima superficie; tutte le colline del bacino appartengono a tale èra geologica. Di questa vi è rappresentato V Eocene, V Oligocene ed il Miocene. Nel Cameri- nese non è stata ancora scoperta traccia di Pliocene. Eocene. — Dopo il graduale passaggio dalla Scaglia Se- noniana al terziario, manifestato dal fatto dell’essere essa dive- nuta nummulitica, alle falde delle due catene parallele di mon- tagne già descritte, si trova un altro calcare, ora più ora meno ricco di argilla, scaglioso e di colore rosato, o cenerognolo chiaro. Questi strati hanno tutti in comune l’inclinazione verso Est, e l’uniformità del modo con cui si sono formati; general- mente non mostrano sconvolgimenti. Al M. di Casale, p. es., il calcare eocenico, anziché scliistoso, è compatto, ben stratifi- cato, di colore chiaro e abbastanza puro; questo è uno dei pochi punti del nostro bacino in cui si trovano le Nummuliti. Una località che mostra chiaramente il passaggio dalla Scaglia al- l’Eocene, all’Oligocene e al Miocene, è il lungo tratto del monte della Torre di Beregna, a destra della strada che da Camerino conduce a Crispiero, dopo passata la cosi detta Pintura. Per quanto scarso sia il numero delle specie fossili ivi trovate, sono tuttavia sufficienti ad appoggiare l’ipotesi della eocenicità di tale terreno, dedotta dallo studio della stratigrafia della re- gione. Le pochissime, ma caratteristiche forme che vi ho rac- colto sono: Taonurus e Nummuliti. Taonurus sp. Le impronte di queste piante, poiché come tali le ritengono i più, ebbero, come si sa, il più grande sviluppo nell’Eocene e nel nostro calcare scaglioso, rosso o grigio, coprono BIG M. MARIANI degli interi chilometri quadrati. Però quasi tutte sono mal conser- vate e indeterminabili. Anche nei casi più favorevoli, dice lo Zittel, è difficile ricostruire la forma di queste grandi piante marine; dalle impronte che sono rimaste si può solamente dedurre che queste alghe dovevano avere una parte fortemente allargata e schiacciata. Sul M. di Sala e su quello della Torre di Beregna ne ho raccolti molti esemplari, alcuni dei quali mostrano ab- bastanza chiaramente le loro parti espanse a vortice e a pen- nacchio e delle lunghe digitazioni. Nummuliti. Nel Camerinese non sono così abbondanti come si potrebbe supporre dalla considerevole estensione occupata dall’ Eocene. Tuttavia spesso si trovano calcari che ne conten- gono, generalmente mal conservate. Ho già detto che il pro- fessor Canavari ne ha raccolte sulla cima di molte nostre mon- tagne e specialmente al M. di Casale dove le ho trovate anch’io. Di esse spero di potermi occupare in un altro lavoro. Oligocene. — Negli ultimi strati, questo calcare schistoso, diviene gradatamente sempre più tenero e argilloso, i Taonurus si fanno sempre più rari, finché cede il posto ad una vera marna cenerognola, ricchissima di argilla, a strati sottili, che presen- tano brusche curve e forti inclinazioni. Tale terreno è privo di fossili, raramente vi sono state raccolte impronte indetermina- bili, forse di fucoidi. Credo che l’andamento sconvolto, così diverso da quelli eocenici, l’aspetto litologico perfettamente di- verso e le altre osservazioni praticatevi, possano, non ostante la mancanza di fossili, giustificare l’ipotesi mia di credere oli- gocenica tale marna. Questa dà un caratteristico aspetto di ste- rilità ai luoghi in cui affiora, ed è visibile anche da lontano per lo speciale colore cenerognolo che resta sempre scoperto a causa delle continue frane a cui è soggetta. Spesso le parti più esterne si frantumano riducendosi ad un vero polverume; gli strati sono quasi sempre fortemente inclinati, come ad es. il punto in cui shocca, dopo il Torrone, la via mulattiera che con- duce alle Vigne. Ivi hanno direzione da Nord a Sud e sono quasi raddrizzati. Al bivio della strada di Crispiero e quella di Sabbieta di sopra, si osserva a destra una piccola sella di piegatura locale, ove gli strati pur conservando lo stesso senso da N. a S. hanno 35° di inclinazione verso Est. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUI DINTORNI DI CAMERINO 317 Miocene. — Il passaggio dall’Oligocene al Miocene, in ge- nerale si effettua molto gradualmente ed è manifestato dal fatto che gli strati, prima sottili e uniformi e dati da una marna molto argillosa e priva di fossili, diventano più grossi ; la marna è molto più calcare, più dura, un po’ arenacea e abbastanza fossilifera. In tal modo si va man mano trasformando fino ad assumere la facies Langbiana, caratteristica del così detto Schlier. In questo, pur rimanendo forte 1’ inclinazione degli strati, spariscono le pieghe brusche, si alternano strati duri e teneri, il colore diviene più chiaro, ed i fossili sono abbondantis- simi ; ci si trova un po’ di tutto : corallari, spicole di spugne bracliiopodi, echinodermi, gasteropodi, acefali, e avanzi di pesci e di mammiferi. Sono pure molto frequenti alcune concrezioni cilindracee, speciali dello Schlier , che variano dalla grossezza di una matita a quella di un braccio d’uomo, spesso ramificate e appiattite. La superficie loro è sempre ineguale; quelle non molto voluminose, proprie degli strati inferiori, presentano nu- merose e piccole protuberanze uguali e, direi, alveolini formi, le altre più grosse, ora sono striate, ora coperte da un affastella- mento di rilievi aghiformi che somigliano a grossi aculei di Echinidi. Io ne ho sezionate parecchie, ma nulla vi ho trovato che potesse darmi indizio sul modo con cui si sono formate, e a che cosa si debbano attribuire. Lo Schlier , insieme con le arenarie Elveziane, forma quasi tutto l’interno del nostro bacino, ed è in tutto simile allo Schlier del Bolognese e dell’Anconitano, studiato dal Capellini e dal Manzoni. Tanto le marne come le arenarie mioceni- che contengono numerosissime, ma molto ristrette lenti e in- tercalazioni di argilla abbastanza pura, schistosa, untuosa al tatto, di colore cenerognolo piuttosto cupo, e molto fossili- fera. Le diverse condizioni batimetriche, per cui nello stesso tempo si sono formate le arenarie e le marne, hanno influito profon- damente anche in seno alle sole arenarie, a dar loro una grande varietà di struttura. Infatti esse ora sono date da un sabbione a grossi elementi, giallo, friabile, massiccio, che dà sovente ori- 818 Al. MARIANI gine a noduli sferici o allungati di notevole durezza, che si sfaldano in strati concentrici; ora, come a Valeano, S. Luca, ecc,, sono compatte, in grossi strati, dure, micacee e simili nella struttura al macigno porr citano. Frequentemente hanno un co- lore azzurrastro-piombo, e quando sono in grana fina, in tal caso hanno maggior compattezza e sono adoperate nelle costru- zioni con migliore esito. Del resto, quasi sempre, l’ arenaria azzurra è mescolata con la gialla, onde accade spesso che rom- pendone un blocco, parte della superfìcie di frattura è appunto di quel colore, detto volgarmente palombino. Il colle di Camerino è tutto costituito da tal roccia sempre in strati orizzontali o poco inclinati e molto fossilifera, anzi alla parte superiore essa diviene un vero conglomerato conchi- glifero che si ritrova in tutti gli scavi che si fanno per le co- struzioni. In essa predomina grandemente la Mactra triangula , in generale però in cattivo stato di conservazione. Come nello Schlier, così anche nelle arenarie sono di fre- quente intercalate le argille. Degna di nota è la località dei Ponti dove queste argille si presentano in mezzo all'are- naria in strati ben delineati che variano dai 5 ai 40 cm. di spessore. Ivi le due roccie hanno la comune inclinazione verso Ovest di 20 gradi e direzione da N. a S.; ho notato che i punti in cui l’argilla è più ricca di fossili sono quelli in cui il colore cenere è più incerto, ed essa è meno pura. Vi abbondano gli Echinodermi con predominio di Brissopsis, i pesci sono molto più rari, mentre abbastanza comuni sono le impronte di foglie. I pesci trovati ai Ponti, dice il Canavari, sono stati studiati dal De Bosniaski, il quale ha riconosciuto dei resti come appar- tenenti agli Scomberoidi ed altri ad una nuova specie di Leuci- scus e ne ha concluso che queste argille rappresenterebbero il tr ipoli, da lui posto nel Tortoniano. Questa formazione, che i più collocano nella parte più antica del Miocene superiore, for- merebbe, secondo la serie geologica dei terreni, l’anello di con- giunzione fra le nostre arenarie del Miocene medio e la zona dei gessi e zolfi. I gessi però, sono molto scarsamente rappresentati nel ba- cino camerinese. Mentre tutte le altre parti delle Marche ne OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUI DINTORNI DI CAMERINO 319 abbondano, nei dintorni di Camerino non affiorano che in due o tre punti presso il Colle, delle Fere vicino alla Villa I)e Sanctis fra Castelraimondo e Matelica; anzi una località ha appunto, in causa di ciò, il vocabolo Gesso. Questi gessi, si presentano sotto forma ili roccia compatta, ben stratificata, non molto pura e di colore cenerognolo-ardesia. È adoperata, in modo molto limitato, come pietra da costruzione, e, data la sua scar- sità, per farne il cemento comune in uso in tutte le costruzioni, nel Camerinese si prende abitualmente la pietra di gesso dei dintorni di Caldarola o di Matelica. In ogni modo essendo facile averla in larghe lastre, grazie alla sua struttura schistosa, viene di frequente usata per farne scalini, ed un po’ anche come pietra ornamentale. In mezzo ai gessi del Camerinese ho cer- cato accuratamente e a lungo, per trovarvi i fossili che altrove sono molto frequenti in formazioni geologiche analoghe, però devo confessare di avere avuto risultati quasi negativi. All’ in- fuori di pochi resti vegetali, mal conservati e indeterminabili, nulla ho potuto raccogliere che meriti di essere ricordato; tut- tavia credo che debba contenere fossili, specialmente dei pesci. Per avvenire spero potervi far qualche scavo con maggior fortuna. Dò qui sotto l’elenco delle specie fossili che, nelle nume- rose escursioni che ho fatte nel bacino per compilarne la carta geologica, ho potuto raccogliere in tutto il nostro Miocene. Piante. Salix varians Gòppert. Questa specie propria della flora terziaria è data da una impronta di foglia, molto bene conservata, raccolta nelle argille dei Ponti. Populus aceroides Gbpp. La fillite che ho riferito a tale specie di pioppo, si trova in cattivo stato; tuttavia la nervatura della foglia, la sua forma ca- ratteristica e parte del contorno ancora discretamente conservato, mi hanno fornito dati sufficienti per determinarla. Loc. i Ponti. 320 M. MA RIAMI Protozoi. Ho trovato molte foraminifere e radiolari, difficilmente de- terminabili, in tutte le marne dello Schlier e nelle argille. Le arenarie non ne contengono affatto. Antozoi. Trocìiocyathus obesus Michtti. Questa specie, molto comune, secondo ciò che dice il pro- fessor Simonelli, nello Schlier del Bolognese, è stata raccolta da me nel territorio di Piastra. L’esemplare è ben conservato ; ha il calice mascherato dalla roccia, perchè non ho potuto isolarlo completamente senza cor- rere il rischio di sciuparlo, onde per farne la determinazione mi sono dovuto accontentare di studiarne i caratteri specifici esterni. Loc. Colpolina di Piastra. Echinodermi. Parecchi Echinodermi, di cui alcune specie nuove, furono raccolti nelle Marne mioceniche, nelle argille e nella Scaglia rossa, dal prof. Canavari, e furono studiati dal prof. De Loriol di Ginevra. Parecchi ne ho trovati anch’io in escursioni fatte nei luoghi più fossiliferi; le specie determinate sono queste: Hemiaster Canavarii De Lor. Questo Echinide raccolto alla Yignaccia, è molto comune nel nostro Schlier e nelle argille. Di solito si presenta schiac- ciato e sformato dalle enormi compressioni che gli strati mo- strano di aver subito; lo stato di conservazione non è mai molto buono, tuttavia negli esemplari migliori si scorgono, sem- pre abbastanza bene, i raggi ambulacrali e le placchette carat- teristiche. Ne ho raccolto parecchi esemplari anche nelle argille dei Ponti. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUI DINTORNI DI CAMERINO 321 Brissopsis Ottnangensis Horii. Questa specie è un po’ meno comune della precedente. Loc. ibidem. Echinolampas angulatus Meriam. VE. angulatus è frequente nello Schlier dove, di solito, è assai meglio conservato che nelle argille. È stato raccolto da me al Torrone e alla Vignacela, dove lo avea già trovato il Canavari. Echinolampas Contii De Lor. Specie piuttosto rara. Loc. Vignaccia, S. Ilario. Echinanthus camerinensis De Lor. Loc. Vignaccia. Cidaris rosaria Bronn. Questa specie di Cidaris è stata trovata solo nelle arenarie Elveziane. Loc. Colle dell’Arena. Cidaris Canavarii De Lor. Loc. Vignaccia, Campobonomo. Linthia Capellina De Lor. Loc. Vignaccia. Spcitangus Canavarii De Lor. Loc. Vignaccia, Campobonomo. 27 322 il. MAIUANI Cleistechinus Canavarii De Lor. Loc. Vignacela, Campobonomo. Briozoi (Cleistomata), Eschara sp. Un resto di molluscoide di tal genere, ma di difficile deter- minazione specifica, l’ho trovato sul Colle sopra il Convento dei Cappuccini. Brachiopodi. Terébratula Rovasendiana Seg. Questa Terebr. è molto comune in tutto lo Schlier del bacino camerinese, tanto clic ne ho potuti raccogliere parecchi esem- plari, quasi sempre abbastanza bene conservati. Loc. Vignaccia, Caselle, Torrone. l'erebratuta sp. Esemplare indeterminabile. Loc. Caselle. Terebratula sp. Es. indet. Loc. Caselle, Torrone. Gasteropodi. Eudolium fasciatimi Borson. Gasteropode comunissimo nello Schlier. Credo che quasi tutti gli esemplari raccolti e studiati da me, siano riferibili alla va- rietà praecedens, che, secondo il Sacco, sarebbe caratteristica dell’Elveziano del Piemonte. Loc. Vignaccia, Pianelle, Caselle, Torrone. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUT DINTORNI DI CAMERINO 323 Scalaria lamellosa Br. Questa Scalarla è molto meno frequente fàWEud. fasciatimi, però non è raro trovarne nelle nostre marne mioceniche, dove, di solito, è ben conservata. L’esemplare studiato da me proviene dallo Schlier della Vignaccia. Lamellibranchi. A differenza dei Gasteropodi, in vero non molto numerosi nel terziario camerincse, i Lamellibranchi vi si trovano in enorme quantità. Le nostre arenarie spesso sono un vero conglomerato conchiglifero, dato specialmente dalla Mactra triangola , Venus sp. e Lucina sp. Nello Schlier il genere più diffuso è YOstrea delle specie Langhiana e cochlear. Ostrea langhiana Trai). Specie molto piccola, di cui sono abbondantissime tutte le nostre marne mioceniche; si trova con una grande uniformità di forma e grandezza. Ne ho raccolto numerosissimi esemplari. Loc. Yignaccia, Caselle, Carischio, Colle Gaiani, Pianello e Col- polina di Piastra. Ostrea cochlear Poli. Frequente in grandi e spesso ben conservati esemplari. Al Torrone, ne ho trovato uno che ho creduto di poter riferire con sicurezza alla var. navicularis. Loc. Yignaccia, Caselle, Torrone. Ostrea sp. Loc. Vignacela. Teredo norvegica Spengi. Tale specie si trova raramente in stato da poterne fare una determinazione attendibile. Dagli esemplari migliori che ho stu- 324 IVI. MARIANI diato, mi sono formato il concetto che si tratti della T. norve- gica. È frequentissima in tutto il nostro Schlier. Loc. Caselle, Torrone, Pianello, Vignacela. Corbula revoluta Brocchi. Non molto comune. Loc. Strada di Muccia, a circa 1 km. dalle Caselle. Corbula gibba Olivi. V E in piccoli esemplari e molto numerosi. Ne ho trovato uno bellissimo al Colle di Carischio. Pholadomya Vaticani Ponzi. Questa Ph. è di considerevole dimensione, toccando spesso i 3 o 4 cm. di lunghezza. Nel Camerinese è frequente nello Schlier, non l’ho mai trovata in altri terreni. Pholadomya (Procardia) Canavarii Siili. Questa specie, comune nello Schlier del Bolognese e del- l’Anconitano, si trova in abbondanza anche nel nostro bacino. Loc. Vignaccia, Caselle, Soprafonte. Tellina planata Linn. Piccola specie comune in tutto lo Schlier. Loc. Caselle, Colpolina, Torrone. Neaera elegantissima Horn. Piccoli esemplari, ben conservati, ma piuttosto rari. Credo opportuno notare che questa specie non era sta ta an- cora raccolta nello Schlier di nessuna parte delle Marche. Ho avuto la fortuna di trovarne due. Loc. Carischio. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUI DINTORNI DI CAMERINO 325 Vcnas multilamella Lamk. Specie molto piccola e frequente raccolta dal Can avari e anche da me nelle argille e nelle arenarie. Il più delle volte è mal conservata ; molte altre Venus indeterminabili ho tro- vato a Soprafonte e alle Caselle. Loc. Ponti, S. Luca. Arca diluvii Lamk. Due buoni esemplari raccolti nello Schlier del Torrone. Cardimi oblongum Chemn. Dopo averne esaminato un gran numero, in grazia della sua frequenza nelle nostre marne, ho creduto di poter ascrivere a questa specie gran parte dei piccoli Cardimi che non erano stati ancora determinati. Loc. Caselle, Torrone, Vignaccia, Pianelle, Calve. Leda cfr. pellucida Philip. Indico in tal modo una piccola Leda raccolta al Torrone presso la casa Sabbietti, che mi sembra prossima alla pellucida. Non è molto frequente. Limopsis aurita Br. Numerosi e piccoli esemplari comuni nello Schlier. Loc. Caselle, Vignaccia. Cardimi fragile Br. Frequente, ben conservato. Loc. Vignaccia, Torrone, Caselle. Ervilia podalica Eichw. Piccola e non comune. Ne ho raccolto due esemplari alle Caselle. 326 M. MARIANI Pecten Malvinae Dub. I Pecten, in generale, e questi specialmente sono i fossili me- glio conservati dello Schlier. Nel Camerinese sono molto nu- merosi. Ne ho raccolto parecchi, tutti buoni esemplari, al Tor- rone, alle Caselle, alle Calve e a Colpolina. Pecten duodecimlamellatus Bromi. Specie frequente, secondo il Manzoni, nello Schlier di Ot- tnang, è comune anche nel nostro. Il migliore esemplare è stato trovato al secondo poggetto, presso la strada da Camerino alle Caselle. Pecten sp. Altri e numerosi Pecten , indeterminabili, per quanto di unico tipo, sono stati raccolti in tutto lo Schlier e soprattutto alle Ca- selle, Torrone e Vignaccia. Crostacei. Scalpellimi molinianum Seg. Sono scarsissimi gli avanzi fossili di Artropodi in tutto il bacino camerinese. Di questo tipo non ho trovato che un ben conservato frammento di S. molinianum , nello Schlier nella nota località delle Caselle. Pesci. Invece sono molto frequenti nelle marne, nelle argille e nelle arenarie, i resti di pesci, specialmente denti e squame di Selaci. Ho già detto clic nelle argille dei Ponti, dove è facile tro- vare delle interessanti ittioliti, il prof. Canavari ha raccolto parecchi avanzi di Leuciscus e di Scomberoidi, studiati dal De Bosniaski. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUI DINTORNI DI CAMERINO 327 I fossili di teleostei che ho potuto esaminare erano tutti così incompleti e mal conservati, che a me non è stato possi- bile farne alcuna determinazione; ho avuto però modo di tro- vare il genere, e di alcuni anche la specie di parecchi denti di pesci cartillaginei. Lavina sp. Piccolo dente di difficile determinazione specifica. Loc. Ca- selle. Carcharodon sp. Numerosi e grossi denti, indeterminabili, forse di C. angu- stidens, frequenti nello Schlier. Loc. Torrone, Caselle. Oxyrhina Desor i A g. Denti, ben conservati generalmente, comuni nelle marne e nelle arenarie. Loc. Torrone, Carischio, Caselle. Mammiferi. Squalodon sp. Credo di poter riferire a tal genere alcuni denti trovati nel nostro Miocene, presso Crispiero, gentilmente favoritimi dal pro- fessor Canavari. Il loro stato di conservazione non buono, non mi ha permesso di poterne stabilire la specie. Nelle arenarie Elveziane, ho trovato un frammento di omero di mammifero marino genericamente indeterminabile e nello Schlier una epifisi che credo di femore ugualmente indeterminabile. CONCLUSIONE. La regione studiata mi ha dato modo di esaminare ampia- mente lo Schlier e di convincermi, nel modo più assoluto, della sua miocenicità, anche per il bacino camerinese, cosa che alcuni geologi vogliono impugnare, riportando lo Schlier a piani più 328 M. MARIANI antichi. Secondo questi scienziati adunque nel nostro bacino, di miocenico non ci sarebbe che l’arenaria, l’argilla, e i gessi. Ora le osservazioni geologiche, diligentemente praticate, hanno avuta completa conferma dalla mia abbondante raccolta di fos- sili, che mi ha mostrato un gran predominio di forme mioce- niche, quasi tutte trovate nello Schlier. Credo utile fare un elenco riassuntivo delle più importanti. Trochocyathus obesus Mchtt. Brissopsis Ottnangensis Hornes. Echinolampas angulatus Meriam. Cidaris rosaria Bromi. Terebratuìa Bovasendiana Seg. Eudolium fasciatavi Borson. Scalaria laviellosa Br. Ostrea cochlear Poli. 0. langhiana Trabucco. Corbula revoluta Br. C. gibba Olivi. Pholadomya Vaticani Ponzi. Ph. Canavarii Simonelli. Tellina planata L. Neera elegantissima Horn. Venas multilamella Lamk. Arca diluvi! Lamk. Cardium oblongum Chemn. C. fragile Br. Ervilia podolica Eichw. Limopsis aurita Br. Pecten Malvinae Dubois. P. duodecimlamellatus Bromi. Scalpellavi Molinianum Seg. Oxyrhina Desori A g. Squalodon sp. Di tutte queste forme nessuna è anteriore al Miocene. Ora essendo ciò in perfetto accordo con la tettonica e la stra- tigrafia, basta per dimostrare, secondo me, la miocenicità dello Schlier anche nel bacino di Camerino. Giunto al termine del lavoro, mi è grato esprimere i sensi dell’animo mio devoto e riconoscente all’ illustre prof. comm. Giovanni Capellini, Senatore del liegno, il quale mi diede, per oltre due anni, ospitalità nel E. Istituto Geologico della R. U. di Bologna, da Luì diretto, mettendo a mia disposizione i libri e il materiale scientifico del Museo, e dirigendo i miei primi passi nella scienza geologica. Rivolgo pure sentite grazie all’egregio prof. doti. Paolo Eugenio Vinassa de Regny, libero docente di Geologia e Pa- leontologia, e assistente all’Istituto geologico di Bologna, che mi fu sapiente guida nelle mie ricerche. [ms. pres. 15 aprile 1902 - ult. bozze 12 agosto 1902] Boll. d. Soc. Geol. Italiana. Voi. XXI. (Mariani) Tav. XII. TT1- ****<* ìn.^o£t^v«j<.(u? IfOò 6 Cf' c/e/titrenj fi/fùonc Il Saxèuflu i * 1f'i3 o /b/en/ttrctn, S/rsos 2f0**r» ' 4*** Strafa firn a no in . òx SxitxSc . A ?<* ÌTKSx>p*vU4ó * '■ in.^cw A »<«* in.&^o ■>» fi. ?l v-» 1 1072 J O (, ^ Ssy« ' r,v ■' 'sanr/fi-. ’ '.. • S farfara ’J cfsfiafihoeia Cigna no lùtea JVt.(Of) Con mono S.ttlC/i S.fitareet/o forano lece* Storia À/ttrto fioccamo/ tra vU A 1,4.3 di 'fìlu.ccù* A 94£ ART A GEOLOGICA :i TERHÌTORIO 01 CAMERINO ■*W" — — /rii Cretaceo |£| focene Cuccili ¥' fonte /a tra ré Fafftcetoo Cofa fiere tot .55#9 fcw//, t30rt/»t,»s • ■'•••' Nvm . /uria ita A 914 c fiume iftevslorin»^ Amar» finti eo fotta no ya frenfii/a Al fiiyni S. //ano Caste //e / y or iti in on / e Carn/xtian fi /.crrnzo I BRIOZOI PLIOCENICI E MIOCENICI DI PIANOSA RACCOLTI DAL PROF. V. SIMONELLI E STUDIATI DAL DOTT. G. GIOL1 Memoria del prof. A. Nf.viani Il prof. Vittorio Siraonelli in una escursione geologica all’isola di Pianosa, fatta nel 1883, raccolse una quantità notevole di materiale, che servi ad una illustrazione che l’Autore pubblicò nel 1889 (*); lasciando lo studio dei briozoari al dottor G. Gioii, il quale diede alle stampe la monografìa nello stesso anno (*) ; nè io so che d’allora ad oggi altri si sia occupato di questa fauna fossile interessante. Recentemente il prof. M. Canavari, cui debbo i più sinceri ringraziamenti, volle affidarmi la revisione di molto materiale (briozoi) conservato nel museo geologico della R. Università di Pisa, e fra l’altro tutto quello che servì di base allo studio del dottor Gioii. Un primo sguardo mi fece accorto che il dottor Gioii non si curò della determinazione di molte specie, cosicché la sua memoria succitata non sta a rappresentare che lo studio di una parte dei briozoi fossili di Pianosa; non sarà quindi discaro agli studiosi che ne pubblichi un nuovo elenco il quale viene così quasi raddoppiato, e nello stesso tempo rettifichi quelle determinazioni che ho riconosciute inesatte. (') Simonelli V., Terreni e fossili dell’isola di Pianosa nel Mar Tir- reno ; Boll. Coni. Geol. d’Italia, XX, 1889, pag. 193-237, tav. Ili- VII. (2) Gioii G., Briozoi neogenici dell’isola di Pianosa nel Mar Tir- reno; Atti Soc. Tose. Se. Nat., X, 1889, pag. 251-266, tav. XIV. 28 330 A. NEVJAXI Gli esemplari di Pianosa sono, nella collezione avuta in comu- nicazione, numerati dal 108 al 260; di essi faccio seguire un breve esame, prima di dare l’elenco complessivo delle specie da me riscontrate. Esame della collezione. 108. — Membranipora escharina ; pliostocene (1). — Sopra un echinoderma sono incrostanti alcune colonie di Membranipora goleata Bk., di Membr. Bumerilii And. sp., ed altre non deter- minabili. 109. — Ceriopora; pliostocene. — Frammento appena bifor- cato di Microporella verrucosa Peach sp., molto ben conservata. 110. 111, 112. — Non sono briozoi. 113. — Eschara Planariae ». sp. Gioii; miocene. — (Gioii, 1. c., pag. 260, tav. XIV, fig. 7). Il frammento corrisponde indub- biamente a quello studiato dal Gioii ; ma esso non è altro che Smittia cervicornis Pali. sp. ; lo stato poco perfetto dell’esem- plare fu certamente la causa della falsa interpretazione data dall’Autore. 114. — Defrauda cespitosa Gioii n. sp.; pliocene. — (Gioii, 1. c., pag. 252, tav. XIV, fig. 1). Conservo la determinazione dell’A., per quanto questa colonia sia completamente sessile, mentre fra i caratteri assegnati a Defrauda (meglio Befranceia) trovo clic le colonie sono peduncolate. La colonia è aderente ad un frammento di Ostrea, sulla quale vi sono colonie di Mem- branipora Dumcrilii Aud. sp. 115. 117. — Hornera hyppolitlws Befr.; miocene. — (Gioii, 1. c., pag. 252). Non so riscontrare alcuna differenza colla comune Hornera frondiculata Lmx. 116. — Entalophora cfr. Icaunensis 0.; pliocene. — (Gioii, 1. c., pag. 256, tav. XIV, fig. 4). Frammento di Entalophora proboscidea M. Edw. La figura disegnata dall’ A. non fa vedere, come realmente si vede sull’esemplare, il percorso di ciascuno dei zoeci tabulari, lungo il fusticino. (') Le mie osservazioni sono precedute dalle determinazioni ed altre indicazioni della lista fornitami dal prof. Canavari. KRIOZOI PLIOC. E MIOC. DI PIANOSA 331 118. — Entalophora clavata Busi,-; pliocene. — (Gioii, 1. (*., pag. 257). Anche questo è un frammento di Entalophora pro- boscidea M. Edw. ; l' ingrossamento terminale interpretato dal- l’Autore per una clava, è il principio di una biforcazione. 119. — Ho mera cfr. hyppolithus Defr.; miocene. — (Gioii, 1. c., pag. 253). Concludo come al mira. 115. 120. — Entalophora cla vata Bh. ; pliocene. — Frammento in- determinabile. 121. — Hornera frondiculata Lmx.; miocene. — (Gioii. 1. c., pag. 253). Due frammenti esattamente determinati. 122. — Fasciculipora ramosa Orò.; pliocene. — (Gioii, 1. c., pag. 257, tav. XIV, fig. 5). Colonia di Frondipora verrucosa Lmx.; in Fasciculipora ramosa d’Orb.i rami sono assai più robusti ed i zoeci diversamente disposti. L’A. fu tratto in inganno dalla posizione della colonia aderente alla roccia colla superficie zoe- ciale; scopertane con cura una discreta porzione, ho potuto fare il suddetto riferimento. L’esemplare è una giovane colonia quasi intera, corrispondente con la massima esattezza ad altra della mia collezione, proveniente dal golfo di Napoli. 123. — Idmonea disticha Goldf. ; pliocene. — (Gioii, 1. c., 1». 254). Frammento ben conservato di Idmonea atlantica Forb. 124. — Hornera sp. ind.; miocene. — L’esemplare non cor- risponde affatto con quanto è detto dal Gioii a pag. 254 ; certa- mente vi è stato scambio di numerazione. Il frammento che ho sott’occhi è una Crassohornera arbuscnla Kss. sp. 125. — Idmonea cfr. disticha Goldf.; miocene. — Questo esemplare corrisponde realmente alla descrizione data dall’A. a pag. 254, ma va riferito a Crisma cancellata Goldf. sp. 126. 127, 128. — Idmonea portimi Rss.; miocene. — (Gioii, 1. c., pag. 254). Il primo frammento determino come il prece- dente; il secondo è troppo logoro perchè si possa determinare ; quanto al terzo, le tracce lasciate dai zoeci tutto attorno al brio- zoario, lo fanno ritenere per una Entalophora , ma non è pos- sibile passare ad una classificazione specifica. 129. — Idmonea compressa Bss.; miocene. — Gioii), 1. c., pag. 255). Indubbiamente l’esemplare è compresso, ma per que- sto solo carattere non lo si può disgiungere da Crisma can- cellata Goldf. sp., colla quale ha in comune tutti gli altri caratteri. 332 A. NEVIANI 130, 131. — Idmonea multipunctata Gioii ; miocene. — (Gioii, 1. c., pag. 255, tav. XIV, fig. 2). In due monografìe pub- blicate nel 1900 (') avevo preveduto, in base alla descrizione ed alla figura pubblicata dall’A., che si trattasse della Crisma can- cellata Goldf. sp. L’esame degli esemplari mi ha convinto del- l’esattezza del giudizio dato. 132. — Adeonella cfr. polymorpha Rss.; pliocene. — (Gioii, 1. e., pag. 261, tav. XIV, fìg. 8). Due frammenti di Microporella polystomella Rss. sp. appartenenti all’ estremità di due rami coloniali, e perciò con zoeci giovani, come figurai in Brioz. neog. delle Calabrie, tav. II, fig. 1. 133. — Biflustra bipunctata Rss.; pliocene. — (Gioii, 1. c., pag. 262). Il tubetto in esame contiene quattro frammenti di Membranipora reticulum Limi, sp., una colonia di Membr. irre- golari d’Orb. aderente a Smittia cervicornis Pali, sp., ed altro pezzetto indeterminabile. 134. — Biflustra bipunctata Rss. ; pliocene. — Sono tre pic- cole colonie di Membranipora reticulum Linn. sp., una di esse è incrostata da Schizoporella vulgaris Moli sp. 135. — Biflustra bipunctata Rss. ; pliocene. — Anche per questo tubetto vi deve essere stato scambio di numero, giacché ora contiene un frammento di Crisina cancellata Goldf. sp. 136. — Retepora cellulosa Linn.; pliocene. — (Gioii, 1. c., pag. 262). I frammenti non presentano caratteri zoeciali ben distinti, ma possono appartenere benissimo alla specie indicata dall’A. 137. — Ccllepora globulari ; pliocene. — (Gioii, 1. c., pag. 263, tav. XIV, fig. 9). La determinazione è esatta; da tempo però la C. globulari del Bromi si unisce alla C. coronopus S. W. per la quale specie io uso il termine generico Osthimosia del Jul- lien. Questo esemplare, come la massima parte dei numerosi che compongono questa collezione, presentano i noti fori della Cryp- tangia parasita E. et H. Ricordo in proposito che il profes- sore Carlo De Stefani mi espose più volte verbalmente il dub- bio clic la Ccllepora raccolta dal Simonelli fosse una spugna ; (') Neviani A., Ber. yen. br. foss. Hai.; I, Idmonee; Boll. Soc. Geol. It., XIX, 1900, pag. 18; Br. neog. Cai.; Paleont. Ital., VI, 1900, pag. 228. BRIOZOl PLIOC. E MIOC. DI PIANOSA 333 posso assicurare l’esimio geologo che trattasi realmente di un briozoario. L’esemplare segnato col num. 137 è incrostato da colonie di Meni b ranipora reticulum Limi, sp., Cribrilina fignlaris Johnst. sp., e Smittia Skenei Sol. sp. 138. — Cellaria cuculiata JRss. (Salicorn. ?); miocene. — (Gioii, 1. c., pag. 258). E realmente un piccolo frammento di Micropora cuculiata Rss. sp. La specie di questa località venne anche citata dal Waters in Nort-Italian Bryozoa, pag. 15. 139. — Salicornaria sinuosa Massai; miocene. — (Gioii, 1. c., pag. 258). Non comprendo come l’A. dichiari non esservi nei due esemplari in discorso, gli ovicellari e gli avicellari ; esistono gli uni e gli altri e questi ultimi fanno riferire la specie alla comu- nissima Melicerita fistolosa Linn. sp. ILO. — Membranipora sp. ind.; pliocene. — (Gioii, 1. c., pag. 258). I caratteri stessi riferiti dall’ A. sarebbero in parte sufficienti a far riconoscere in questa specie la Membranipora annulus del Manzoni, che da tempo però viene fatta sinonimo di Membr. goleata Busk. ILI. — Lcpralia cfr. ansata Johnst. ; pliocene. — (Gioii, 1. c., pag. 259). La mancanza d’incisione nel labbro boccale inferiore, come nota l’A., era carattere sufficiente per allontanare di molto la specie in esame dalla L. ansata John.; difatti si tratta di una Microporella ciliata Linn. sp. con portamento celleporoide. 1L2. — Lcpralia resupinata Manz.; pliocene. — (Gioii, 1. c., pag. 259). E una parte di colonia di una delle tante varietà di Smittia coccinea Abildg. sp., ma non corrisponde esattamente alla specie del Manzoni ; essa incrosta una piccola lamina di Membranipora Dumerilii And. sp. 1L3. — Idmonea cristata Gioii n. sp.; pliocene. — (Gioii, 1. c., pag. 255, tav. XIV, fig. 3). Allorché feci la revisione di tutte le Idmonee fossili italiane (]) scrissi a proposito della specie del Gioii : « Può darsi che si tratti di una parte di colonia appartenente ad una delle specie altrimenti denominate, e rigonfia per la presenza di un ovicello ». (x) Neviani A., I. c., pag. 14. 334 A. NEVI ANI Nell’esemplare ora esaminato ho potuto, come avevo preve- duto, vedere l’ovicellario che serpeggia fra le serie zoeciali ; esso esemplare poi corrisponde con meravigliosa precisione ad altro della collezione di Idmonee del museo zoologico di Cam- bridge, contenuto nel preparato num. 28, per campioni raccolti a Plymouth a 30 — 40 fathoms e determinati per Tubuli pora ! Marra Pali. ~ Idmonea serpens Auctt. Una figura che giusti- fica questo ravvicinamento è data da Harmer, Developm. Tu - bulipora , 1898, tav. Vili, tìg. 9. A questa stessa sp. deve ripor- tarsi anche Idmonea cridata del pliocene superiore della Far- nesina (1). 144, 145, 146. — Idmonea sp. ind.; miocene. — (Gioii. 1. c., pag. 256). In due tubetti sono contenuti due esemplari breve- mente descritti dall’A., essi sono da riferirsi a Crisma cancel- lata Goldf. sp. ; un terzo frammento è di Sfornerà frondicu- lata Lmx. 147. — Bi (lustra bipunctata; pliocene. — Sono due pezzetti di colonie escaroidi di Membranipora Savartii Aud. sp. ; in uno di essi, stupendamente conservato, si osservano alcuni dei den- ticeli marginali interni. 148, 149, 150. — Retepora cellulosa Limi. ; pliocene . — Dovrei ripetere quanto già dissi per il num. 136. 151. — Cellepora ylobularis Br.; miocene. — E l’esemplare figurato dal Gioii a tav. XIV, fig. 9; esso è Osthimosia coro- nopus S. W. sp. con Cryptangia parasita E. et IE, come già dissi al num. 137. Sulla colonia ne ho osservate alcune piccole di Schizotheca stellata Seg. sp. 152. — Retepora cellulosa ? Linn.; pliocene. — Di questo esem- plare non è tenuta parola nella monografia del Gioii. Si tratta di una colonia di più che due centimetri quadrati, spezzata in due frammenti rimasti vicini l’uno all’altro ed aderenti alla roccia. Questo esemplare va indubbiamente riferito al mio genere Vibraculina (') ; i zoeci formano sottili bastoncelli diritti, sub- paralleli con portamento flabelliforme e riuniti da trabeccole (') Neviani A., Br. foss. Farnesina e M. Mario, 1895, pag. 131. (?) Neviani A., Nuoro gen. e nuove sp. di briozoi fossili; Riv. ital. paleont., I, 1895, pag. 82 ; Briozoi Farnesina e M. Mario. 1895, pag. 92. BR10Z0I PLIOC. E MIOC. DI PIANOSA 335 trasverse, ortogonali ai bastoncelli zoeciali in modo da lasciare spazi subrettangolari abbastanza eguali, e da dare all’ insieme della colonia l’aspetto di una Fenestella. Non potendosi però, per lo stato di conservazione della colonia, fare un esame accurato dei caratteri zoeciali, non mi è possibile passare ad una deter- minazione specifica; però dallo insieme propenderei ad avvici- narla alla Vibraculina Conti Nev. 153, 154, 155. — Cellepora gloibularis Br.; pliocene. — Vari frammenti di Hippoporina imbellis Bk. sp. con portamento escaroide. 156. — Cellepora parasitica Michl.; miocene. — (Gioii, 1. c., pag. 265). L’esemplare corrisponde bene alla figura data dal Busk in « Crag polyzoa » tav. IX, tig. 11, 13, ove sono dise- gnati zoeci con orificio schizognato e non osservati dall’A. Questa specie mi sembra si possa includere nel genere Osthimosia Jul- lien. Sulla cellepora vi ho notate incrostanti colonie di Mem- branipora reticulum Limi. sp. e di Smittia Slcenei Sol. sp.; forse è quest’ultima specie che il Gioii ha determinato per Lepralia ansata John, (vedi num. 187). 157. — Celleporaria cfr. vesciculòsa Mgh. sp.; pliocene. — (Gioii, 1. c., pag. 265). Due frammenti di colonie adulte di Umbonula ramulosa Limi. sp. 158. — Myriozoon punctatum Piti/.; miocene. — Piccolo fram- mento di Smittia cervicornis Pali. sp. 159. 160. Myriozoon punctatum Phil.; pliocene. — (Gioii, 1. c., pag. 266). Mentre pochi autori tengono distinti il Myrio- zoum punctatum Phil. per le forme mioceniche, dal Myr. trun- catum Pali. sp. per le forme plioceniche e viventi, la maggior parte li riunisce in sinonimia dando logicamente preferenza alla antica specie del Pallas. 161. — Lepralia incrassata n. sp. Gioii; pliocene. — (Gioii, 1. c., pag. 260, tav. XIV, tig. 6). Su di un frammento di Ostrea vi sono varie colonie di Micropora impressa Moli sp., Cribri- lina radiata Moli sp., Microporella decorata Kss. sp. e Schi- zoporella unicornis John. sp. Evidentemente sono gli individui di quest’ultima specie che il Gioii determinò come specie nuova; l’A. giudicò che l’orificio fosse circolare perchè la colonia è alquanto calcarizzata e in alcuni zoeci l’ incisimi sottoboccale 336 A. NEVIANI caratteristica delle Schizoporelle è ostruita; ma se questo è avve- nuto per alcuni zoeci, la maggior parte lo hanno conservato; tutti gli altri caratteri corrispondono esattamente a quelli della citata comunissima specie. 162. — Multiescharellina subnobilis d'Orb.; pliocene. (Gioii, 1. c., pag. 261). È una delle solite voluminose colonie di Micropora impressa Moli sp. incrostata da molte specie di brio- zoari per lo più indeterminabili, vi ho scorto però : Membra- nipora Dumerilii And. sp., Mernbr ani por ella nitida John, sp., Chorizopora Brongniartii And. sp., Osthimosia coronopus S. W. sp. e Lichenopora hispida Fiera. Il Gioii cita esemplari consimili di Staggia e di S. Lorenzo posseduti dal museo di Pisa e deter- minati dal prof. Meneghini; questi esemplari, li ho trovati nella collezione in esame e sono segnati con i numeri 95-105 e cor- rispondono difatti alla succitata specie del Moli. 163, 1 64. — Cellepora polythelc Bss. var. subglobosa Fuchs ; miocene. — (Gioii, 1. c., pag. 264). Nulla ho da dire sui due esemplari di Pianosa, corrispondenti esattamente a quelli di Calabria. 165. — Cellepora cfr. globularis Br.; pliocene. — (Gioii, 1. c., pag. 264). Nel tubetto vi ho rinvenuto Myriozoum truncatum Pali. sp. e Onychocella anguiosa Rss. sp. 166. — Myriozoum punctatum Chili.; miocene. — Un fram- mento di Myr. truncatum Pali. sp. 167 a 171. — Cellepora globularis Br.; pliocene. — Vari esem- plari della Osthimosia coronopus S. W. sp., tutti attraversati dai fori della Cryptangia. Nell’esemplare 167 vi ho notato incro- stanti colonie di Cribrilina radiata Moli sp., Microporella Oliata Linn. sp., var. castrocarensis New, Micr. decorata Rss. sp., Hip- poporina imbellis Bk. sp., var. a zoeci minuti, Schizoporella biaperta Michl. sp., Schizotheca stellata Seg. sp. Sull’esemplare num. 168 sono colonie di Membranipora irregularis d’Orb.; Membr. galeata Bk., Schizoporella linearis Hass. sp. 172 a 186. — Quindici tubetti tutti compresi nell’elenco del prof. Canavari coll’indicazione: Tubi confusi (da ritrovarsi). Segue un elenco di poche specie che vi dovrebbero essere con- tenute. Ecco quanto ho potuto determinare. BR10Z0I PI.IOC. B MIOC. DI PIANOSA 337 Alcuni frammenti, specialmente di cellepore, indetermina- bili (174, 180, 181); fra questi però dovevano trovarsi gli esem- plari riferiti dal Gioii a Cellepora rarepunctata Rss. (1. c., pag.265). Colonia di Membranipora minax Bk. aderente ad un radiolo di Cidaris (172). Vari frammenti di Microporella polystomella Rss. sp. (176, 178, 184). Secondo le indicazioni ricevute, uno dei pezzi più grossi di una colonia adulta sarebbe il Myriozoum sp. ind. del Gioii (1. c., pag. 266). Pezzetti di Myriozoum truncatum Pali. sp. (179, 186). Principio di colonia di Retepora cellulosa Linn. sp. (175). Alcuni frammenti di Smittia cervicornis Pali. sp. (173. 177, 182). Una colonia di Heteropora stellulata Rss. sp., certamente del miocene (183). Nel tubetto 185 ho trovato: Membranipora reticulum Linn. sp., Onychocella anguiosa Rss. sp., Heteropora stellulata Rss. sp. 187. — Sp. ind.; pliocene. — Su di una valva di Fecten sono varie incrostazioni di Micropora impressa Moli sp., Mi- croporella decorata Rss. sp., Hippoporina delicatula Mnz. sp. e Schi zopor ella unicornis Johnst. sp. Quest’ultima ha l’identico portamento della colonia osservata al num. 161, e dall’A. rite- nuta per nuova specie. Debbo qui notare che il Gioii a pag. 259 cita Lepralia ansata Johnst. aderente ad Osthimosia parasitica Miclil. sp., ma non l’ho potuta trovare; sembra che P A. si rife- risca all’esemplare 156 sul quale trovai altre specie. 188, 189. — Sp. ind.; pliocene. — Bella colonia di Hippo- porina imbellis Bk. sp. con Membranipora reticulum Linn. sp. e frammenti di Mernbr. irregularis d’Orb. 190. — Myriozoum punctatum Filili.; pliocene. — Fram- mento cilindrico di Cellepora indeterminabile. 191. — Biflustra bipunctata Rss.; pliocene. — Si tratta di una colonia di Onychocella anguiosa Rss. sp. con portamento escori forme. 102. — Myriozoum punctatum Filili.: miocene. — Il tubetto contiene frammenti di Myr. truncatum Pali, sp., colonie di Heteropora stellulata Rss. sp. ed altre non determinabili. 338 A. NEVIANI 193 a 201. — Nove esemplari tutti del pliocene e compresi colla seguente indicazione: Specie bidet. (Bagni d’ Agrippa sulla battuta). Fra essi ho riconosciuto: Membranipora ir regala ris d’Orb., Membr. goleata Bk., Micro por a impressa Moli sp., Mi- cro-parelio ciliata Pali, sp., Smittia cheilostoma Mnz. sp., Osthi- mosia coronopus S. W. sp. e Osth. parasitica Michl. sp. ; que- st’ultima identica all’esemplare num. 15(5. 202 a 237. — Tutti questi esemplari portano Tunica indi- cazione: Cale, a Brioso i ( Porto del Marchese). La maggior parte degli esemplari sono più o meno volumi- nosi frammenti di Osthimosia coronopus S. W. sp. con i soliti fori di Cryptangia. Sopra queste colonie le specie determinate sono le seguenti: Membranipora reticulum Limi, sp., id. var. diadema Rss. sp., Membr. irreguiaris d’Orb., Membr. iJume- rilii And. sp., Membr. goleata Bk., Onychocella anguiosa Rss. sp., Cribrilina radiata Moli sp., Microporella ciliata Limi, sp., id. var. castrocarensis Nev., Hippoporina sp., Smittia coccinea Abildg. sp.. Sm. rentricosa Hass. sp., Stomatopora repens S. W., Diastopora simplex Bk. Oltre alle predette specie tutte più o meno comuni nei gia- cimenti pliocenici italiani, ho trovate alcune colonie della mia nuova specie che feci conoscere con una breve nota precedente- mente presentata alla nostra Società Geologica (’), eolie denominai Bhyncopora incurvata Nev. A detta memoria rimando il lettore per le relative indicazioni. Ho riferito ad Osthimosia parasitica Michl. sp. vari esem- plari (212, 223, 224, 225, 228, 230, 232) su alcuni dei quali sono: Membranipora irreguiaris d’Orb., Membr. Dumerlii Aud. sp., Microporella ciliata Aud. sp., Schizoporella linearis Hass. sp., Smittia coccinea Abildg. sp. var. affine alla Lepralia ma- miilata S. W. del Crag (in Busk), Bhyncopora incurvata Nev. Stomatopora repens S. W. Il num. 210 è una colonia di Micropora impressa Moli sp. Una bella colonia molto ramificata di Umbonula ramulosa Limi. sp. porta il num. 218. (*) (*) Neviani A., Iihyncopom incurvala n. sp., Boll. Soc. Geol. I tal., XXI, 1902, pag. 2fi0. BRIOZOI l’LIOC. E MIOC. DI PIANOSA 839 I mini. 214, 210, 229 sono frammenti di lame! li branchi con colonie di Mernbranipora irregularis d’Orb., Membr. Dumerilii Aud. sp., Membr. tuberculata Bosc, Micropora impressa Moli >sp., Cribrilina radiata Moli sp., Microporella dilata Linn. sp., Schizoporella squamoidea Rss. sp., Schiz. goniostoma Rss. sp., Iìhyncopora incurvata New II mini. 231 è una colonia laminacea di Hippoporina im- bellis Bk. sp. I mini. 226, 233, 234 sono dati ad esemplari di Myriozoum t ran- catimi Pali, sp., su alcuni dei quali sono: Mernbranipora irre- gularis d’Orb., Membr. galeata Bk., Onychocella anguiosa Bss. sp. e Osthimosia coronopus S. W . sp. Nel tubetto mini. 237 ho notato: Myriozoum truncatum Pali, sp. ; altro frammento dello stesso con Smittia ventricosa Bss. sp., Cycloporella (?) crassa Mnz. sp. ed Osthimosia coronopus S. W. sp. I num. 202 e 235 non hanno briozoi. 238 a 259. — Anche tutti questi esemplari sono riuniti sotto l’indicazione generale di « Calcare a Briozoi ( Pliocene della Marina del Marchese ) ». Tolti i num. 238, 245, 246, 252 che non sono briozoi o non sono determinabili, gli altri li possiamo dividere nei seguenti gruppi: (num. 241, 248, 249, 250, 251, 257) Colonie di Osthi- mosia coronopus S. W. sp. per lo più con i noti fori di Cry- ptangia e con incrostazioni di Mernbranipora reticulum Linn. sp., Membr. irregularis d’Orb., Membr. galeata Bk., Onychocella anguiosa Bss. sp., Hippoporina sp., Smittia coccinea Abildg. sp. var. mamillata S. W. sp., Iìhyncopora incurvata New, Stonia- topora rcpcns S. W. ; (num. 239, 244, 247) Colonie di Osthimosia parasitica Michl. sp. incrostate da Mernbranipora reticulum Linn. si»., Mi- croporella ciliata Linn. sp. var. a grandi zoeci lateralmente espansi, Smittia cfr. marionensis Bk. sp., piccola colonia con caratteri alquanto incerti, Rhyncopora incurvata New, Biasto- pora simplex Bk. ; (num. 253, 254) Due colonie di Cycloporella (?) crassa Mnz. con incrostazioni di Mernbranipora reticulum Linn. sp. e Scliizothcca stellata Seg. sp. ; 340 A. NEVIANI (num. 242, 255) Due colonie di cellepore indeterminabili con altre incrostanti di Membranipora irregularis d’Orb., Mernbr. goleata Bk. e Stomatopora major John.; (num. 240) Colonia di Mieropora impressa Moli sp. ; (num. 243) Frammento di Anomia con Membranipora Da- merini And. sp.; (num. 256) Lamina di Hippoporina imbellis Bk. sp. ade- rente a frammento di roccia; (num. 258, 259) Due tubi contenenti frammenti di Osthi- mosia coronopus S. W. sp., Mgriozoum francatimi Pali, sp., Hippoporina imbellis Bk. sp., Membranipora reticulum Linn. sp. e Mernbr. irregularis d’Orb. 260. — Sp. imi.; pliocene. — Valva di Ostrea largamente incrostata di Hippoporina delicatula Mnz. sp. ELENCO DELLE SPECIE. N. B. — Sono contrassegnate con (p) le specie plioceniche e con (ni) le specie mioceniche. Delle detex-minazioni del dottor Gioii ho qui tenuto conto solamente di quelle pubblicate nella monografia. Non ho trovato in collezione gli esemplari corrispondenti alle seguenti determinazioni del Gioii : Cellepora rarepunctata Rss. (pag. 265) ; Lepralia ansata Johnston (pag. 259). Neviani. Gioli. 1 p 2 p 3 p 4 p, m 5 p 6 p 7 P Vibraculma sp. Membranipora goleata Bk. » irregularis d’Orb. » reticulum Linn. (Millepora). » reticulum var. dia- dema Rss. sp. » Savartii Aud. ( Flustra). » Damerini Aud. ( T lustro). Membranipora ? sp. ind. (p. 258). Bitlustra bipunctata Rss. (p. 262). ' c. s. BRI0Z01 PLIOC. E MIOC. DI PIANOSA 341 Neviani. 8 P Membranipora minax Bk. 9 P » tuberculata Bosc 10 P, m Onychocella anguiosa Rss. ( Célie - pora). IL P Micropora [ Calpensia ] impressa Moli (Eschara). 12 m » [Gargantua] cuculiata Rss. (Cellaria). 13 m Melicerita fistulosa Linn. (Escha- ra ). 14 P Membraniporella nitida John. (Le- pralia). 15 P Cribrilina radiata Moli ( Eschara ). 16 P » [Figularia] figularis John. (Lepralia). 17 P Chorizopora Brongniartii Aud. (Flustra). 18 P Microporélla [ Fenestrulina ] ciliata Linn. ( Sertularia ). 19 P » var. castrocarensis Nev. 20 p , m » [Reussina] polysto- mella Rss. (Escha- ra). 21 P » [Calloporina] deco- rata Rss. ( Celle- por a'\ 22 P » [ Diporula ] verrucosa Peach (Eschara'';. 23 P Hippoporina imbellis Bk. (Ideate- seli ara). 24 P » delicatula Mnz. ( Le- pralia). 25 P » sp. 26 p, m Myriozoum truncatum Pali. (Mil- lepora). 27 P Schizoporella goniostoma Rss. (Le- pralia). 28 P » squamoi dea Rss. (Le- pralia). 29 P » linearis Hass. (Le- pralia). 30 P » biaperta Mie, hi. (E- schara). Gioli. Cellepora cfr. gìobularis Bronn (p. 264). Multieschcirellina subnobi- lis d’Orb. (p. 261). Salicornarìa ( Céliaria ) cu- culiata Rss. sp. (p. 258). Salicornarìa sinuosa Haas, (p. 258). Lepralia cfr. ansata John, (p. 259). Adeonella cfr. polymorpha Bk. (p. 261), Myriozoum sp. ind. (p. 266). Myriozoum punctatum Phil. (p. 266). 342 A. NEVIANI 31 P 32 P 33 p, m 34 P, m 35 p, m 36 p, m 37 P 38 P 39 p, m 40 P 41 P 42 P 43 p, m 44 P 45 P 46 P 47 m 48 i m 49 m Nevi ani. Schizoporella vulgaris Moli (E- scharà). » unicorn is J ohn. ( Le- pralia). Schizotheca stellata Seg. ( Lepra - Ha). Osthimosia coronopus S. W. (Cel- lepora). » parasitica Michl. (Cel- lepora). Retepora cellulosa Linn. ( Mille - pora ). Smittia cheilostoma Mnz. ( Lepra - Ha). » cfr. marionensis Bk. (Le- pralia). » Smittia [ Marsillea ] cerei- cor nis Pali. (Millepora). » [Mucronélla] coccinea Abildg. ( Cellepora '. » var. immillata S. W. sp. » ( Mucronélla) ventricosa Hass. ( Lepralia ). » [ Palmicellaria ] Skenei Sol. ( Millepora). Rhyncopora incurvata Nev. Umbonula ramniosa Linn. ( Celle- pora). Cycloporella (?) crassa Mnz. ( Cel- lepora). » polythele Rss. ( Celle- pora) var. subglo- bosa Fuchs. Hornera frondiculata Lrax. (Re- tepora). Crisma cancellata Goldf. (Rete- pora). Gioli. Lepralia incrassata n. sp. (p. 260). Cellepora globularis Bronn (p. 263). Cellepora parasitica Micht. (p. 265). Retepora cellulosa Linn. (p. 262). Eschara Planariae n. sp. (p. 260). Lepralia resupinata Mnz. (p. 259). Cellepora cfr. vesciculosa Mgh. (p. 265). Cellepora polythele Rss. var. subglobosa Fuchs (p.262). H. frondiculata Lmx. (p. 253) ; H. hippolithus Def r. (p. 252) ; li. cfr. hippoli- thus Defr. (p. 253). Idtn. cfr. disticha Goldf. (p. 254), Idm.pertusa Rss. (p. 254), Idm. compressa Rss. (p. 255), Idm. mul- tipunctata n. sp. (p. 255), Idm. sp. ind. (p. 256). BRIOZOI PLIOC. E MIOC. Di PIANOSA 343 Nevi ani. Gioli. 50 P Idmonea atlantica Forb. 51 V » serpens Linn. ( Tubipora). 52 V Tubulipora [ Stomatopora ] major John. (Alecto). 53 P » {Stoni.} repens S. W. 54 V » [Diastopora] simplex Bk. ( Diastopora ). 55 P Entalophora proboscidea M. Edw. ( Pustulopora ). 56 P Defranceia cespitosa Gioii. 57 P Lichenopora liispida Flem. (Di- scopora ). 58 P Heteropora stellala ta Rss. 59 m Crassohornera ardiscala Rss. ( Ce- riopera 1. 60 P Frondipora verrucosa Lmx. Idm. disticha Goldf. sp. (p. 254). Idm. cristata n. sp. (p. 155). Eni. cfr. Ieaunensis Orb. (p. 256); Eni. ( Pustulo - poro) dovala Bk. (p. 157 ). De frauda cespitosa n. sp. (p. 252). Hornera sp. ind. (p. 254). Fascio ulipor a ramosa Orb. (p. 257). Roma, R. Liceo “E. Q. Visconti,,. [ms. pres. 6 agosto 1902 - ultime bozze 19 agosto 1902]. DUE NUOVI DINARITES NEL TRIAS INFERIORE DELLA VAL DEL DEZZO Nota del dott. Annibale Tommasi È noto che il Dezzo, dalle sue scaturigini tino a poco sotto Viiminore, scorre incassato in un alveo che, inciso il mantello morenico, segna una linea-limite quasi decisa tra gli argillo- schisti, le arenarie e le puddinghe del Trias inferiore , che si ergono a Nord del corso del torrente, ed i calcari del Muschel- kall -, i calcari nerastri — o marnosi od arenacei — ed i cal- cari dolomitici bianco-grigiastri della formazione di Wengen, che si rizzano a Sud. Da queste roccie calcaree, più recenti del Trias Inferiore , provenne una discreta copia di fossili, buona parte dei quali ho fatto conoscere con una mia memoria pub- blicata nell’estate dello scorso anno (1). Ma le pazienti e fortu- nate ricerche del sig. Marino Mai di Schilpario, studente in questo Ateneo, ebbero a mettere alla luce anche un buon numero di fossili del piano dei Werfener- Schiefer, già noti, per la mag- gior parte, nella Val di Scalve, alcuni però non ancora ivi rin- venuti od affatto sconosciuti per l’ innanzi. La località donde provengono giace appena a Sud di Schil- pario, ed è il Monte Rena, ove uno spaccato naturale mette a nudo la serie degli strati dai banchi più profondi delle arenarie va- riegate fino alla dolomia cariata, presentando uno spessore com- plessivo di circa 500m. Le roccie sono: arenaria rossa, argillo- schisti, schisti bluastri con arenarie bianchirne. In esse stanno (') Tommasi A., Contribuzione alla Paleontologia della Valle del De zzo — Memorie del R. istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Classe di Scienze Matematiche e Naturali, voi. XIX, - X della Serie III, Mi- lano 1901. DUE NUOVI DINARITES NEL TRIAS INFERIORE 345 inoltre intercalati sei bandii di siderite di vario spessore ma non eccedenti i tre metri. I più potenti sono i due più bassi (banco Panello e banco Gruff'one ) di 3 metri ciascuno, cui se- guono il banco Pignola (lm 40), il Lignolino (0ra 40), il banco Gruffela di fondo (lm) ed il più alto detto Gruffela di cielo (lm). A circa 4 metri sul banco Lignolino esiste uno strato (strato di cielo della Lignola) composto di argilloschisti e di scarsa side- rite, come ebbe a comunicarmi il nominato sig. Mai, che rilevò con molta diligenza quello spaccato. Negli strati dell’arenaria rossa più profonda non furono tro- vati fossili : questi invece si presentano, o sporadicamente od in banchi, negli argilloschisti e nelle arenarie soprastanti, che ri- cettano pure i banchi di siderite. I fossili, che potei determinare, sono i seguenti : Tirolites cassianus (Quenst.) Mo.js. (sopra la Lignola ). » illyricus. Mo.js : . ( » » Gruffela). Dinarites muchianus (Hau.) Mo.js. ( » » » ). » dalmatinus (Hau.) Mojs . ( » » » ). Turbo rectecostatus Hau. . . . ( » » Lignola ). Nati cella costata Mitnst. . . . ( » » Gruffela). Natica Gaillardoti Lefroy. . ( » » Lignola ). Pleurotomaria (Worthenia?) sp. . ( » » » ). Pseudomonotis (Avicula) Venetiana Hau. sp. ( » » » ). » aurita Hau. sp. . . . ( » » » ). Myophoria costata Zenk. . ( » » » ). » ovata Groldf ( » » » ). Pleuromya canalensis Cat. . ( » » » ). Passando sotto silenzio i gasteropodi ed i lamellibranchi, ai quali appartengono le specie più diffuse nel Trias Inferiore, non tralascierò di far notare la presenza del Dinarites muchia- nus, del D. dalmatinus e del Tirolites illyricus , che, trovati a Much inferiore nella Dalmazia ed il primo anche in diverse località in Istria (al Terglou), in Ungheria, ed in Carinola, non erano ancora conosciuti nel Trias Inferiore della Lombardia e del Veneto. 29 346 A. TOMMASI A queste s’aggiungono poi due specie, che non potei rife- rire a nessuna di quelle già note e delle (piali faccio seguire la descrizione e le figure. Dinarites Pezzoamis n. sp. Tav. XIII, Fig. 1, 2, 3. I)i questa forma, interessante anche per le sue eccezionali dimensioni, è conservato poco di più della camera d’abitazione, essendo il resto molto eroso o ricoperto dalla roccia includente. Quel che rimane dell’ultimo giro presenta fianchi pochissimo rigonfi ed una parte esterna quasi piatta. Questa è separata dai fianchi da due spigoli attorniati, ottusi e non molto marcati. Il margine dell’ombelico è arrotondato e la parete ombelicale cade a perpendicolo sul giro precedente. Il margine esterno si rileva di tratto in tratto in nodi robusti, ottusi ed obliquamente diretti dall’ indietro all’avanti: da essi partono delle pieghe poco di- stinte, basse e piuttosto larghe, che, seguendo una linea leg- germente curva, decorrono fino al margine ombelicale, presso il quale di regola s’ingrossano senza però darvi origine a veri nodi. La sporgenza sul margine esterno dei nodi che lo adornano dà al contorno della conchiglia una forma poligonale, come si osserva anche nel D. liccanus (Hauer) Mojs, e nel J). dalma- tinus (Hauer) Mojs. (’). Il pili to di massimo rigonfiamento della camera d’abitazione è presso il margine ombelicale; la figura della sezione boccale è probabile fosse ovoidale-triangolare. Della linea dei lobi non restano, e molto erosi, che il lobo laterale, posto circa sul mezzo del giro, ed un lobo ausiliare, la cui gamba interna coincide col margine ombelicale. Si può osservare anche la sella laterale, che c quasi della stessa lar- ghezza del lobo ausiliare. Questa specie presenta non poca affinità col T). liccanus (Hauer) Mojs., sia per la forma poligonale del contorno, sia (') Mojsisovics v. Mojsvar Ed., Die Cephulopoden der mediterranen Trias- Provi nz pag. 8 e 10, Tav. I, Fig. 7-8 e Tav. IV, Fig. 1. DUE NUOVI DINARITES NEL TRIAS INFERIORE 347 per la presenza di due righe longitudinali, visibili sotto certe incidenze di luce, quasi sulla metà dei fianchi della camera di abitazione. Si distingue però da quello per la maggiore gros- sezza, per la mancanza di veri nodi ombelicali e per la diversa forma della sezione dell’ultimo giro, che è quasi rettangolare nel D. liccanus , mentre è ovoidale nella specie ora descritta. Dimensioni: Diametro 160m"’ Altezza 'j 78mm dell’ultimo giro Spessore ^ 3 8 111 m Ampiezza dell’ombelico. . 40ram circa Loc.: Nei pressi di Schilpario al Monte Rena sopra Lignola. Dinarites laevis n. sp. Tav. XIII, Fig. 4, 5. Conchiglia con giri a lento accrescimento, alti e lisci, colla parte esterna abbastanza larga, tondeggiante e che, senza limiti ben marcati, si sfuma nei fianchi, i quali sono discretamente rigonfi e scendono con una parete quasi verticale sull’ombelico. Questo è piuttosto angusto e profondo. Sull’esemplare quasi completo da me esaminato esiste buona porzione del guscio, il quale non lascia vedere traccia alcuna di ornamentazione, eccetto che sulla parte anteriore della camera d’abitazione, che presso al margine della bocca presenta una strozzatura larga e discretamente profonda e, dietro a questa, due o tre pieghette assai deboli, che movendo dal margine om- belicale oltrepassano di poco la metà dell’altezza del giro per poi svanire. La linea lobale mostra un lobo esterno piuttosto alto e bi- forcato, una sella esterna larga, non molto profonda e giacente completamente sul fianco: il lobo laterale stretto ed un po’ più basso deiresterno è posto sulla giusta metà dell’altezza del giro; la sella laterale più larga ma meno profonda dell’esterna ; un lobo ombelicale abbastanza distinto. È ovvio che questa forma si debba riferire al gruppo dei Dinarites nudi del Mojsisovics ; ma non rassomiglia a nessuna 348 A. TOMMASI delle quattro specie dall’autore descritte. Forse più che alle altre è vicina al I). nudus Mojs., da cui però si distingue, non foss’altro, per la minore larghezza dei giri. D’altra parte essendo troppo laconica la diagnosi di quella specie data dal Mojsi- sovics e non rappresentando la figura che un semplice modello interno, credetti prudente di non tentare alcuna identificazione di quelle due forme. Dimensioni: Diametro 51mm Località: Nei pressi di Schilpario al Monte Lena sopra Lignola. Tre esemplari. Collezione del Museo Geologico dell’Univer- sità di Pavia. Dal Museo di Geologia e Paleontologia della R. Università di Pavia. [ms. pres. 21 maggio 1902 - ult. bozze 15 agosto 1902J. Altezza dell’ultimo giro Larghezza > Ampiezza dell’ombelico . . SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA XIII. 8 6 Eig. 1, 2, 3. — Dinarites Dezzoanus n. sp. del naturale.) » 3 . . . — Lobi del fianco destro. » 4, 5 . . — Dinarites laevis n. sp. Boll. d. Soo. Geol. Italiana. Voi. XXI. (Tommasi) Tav. XIII. ELIOT. CALZOLARI it TERRARIO. MILANO 350 A. MARTELLI Devoniano. Eccone infatti la nota segnando con un asterisco le forme peculiari del livello in parola: Brachiopodi: * Spiri fer Vemeuili March. * » » » var. Archiaci Murch. » » » var. subarchiaci nov. * » » » var. disjunctus Sow. * » » » var. Lonsdalii March. » » » var. subcxtensus nov. * » Anossofi De Vera. Schizophoria Paronai sp. nov. * Productus subaculeatus Murcli. Alcionari: * Autopora tubaeformis Groldf. Venni: Spirorbis ompìialodes Goldf. — Nella descrizione paleontologica avremo occasione di fare in proposito delle osservazioni anche sull’affinità delle forme nuove con specie dello stesso orizzonte. — Nella quarta parte dell’opera del Richthofen, Kayser prende ad esaminare le ricche collezioni di fossili provenienti dalla Cina, ed ha così modo di studiare un’ abbondante fauna devo- niana costituita quasi per intero da brachiopodi ; senonchè, mentre insieme col Richthofen riconosce nello Schensì la pre- senza di formazioni siluriaue e carbonifere, non può fare altret- tanto per quelle devoniane, giacche i mille e più esemplari di forme del devouico in gran parte acquistate nelle farmacie cinesi allo Schangai e a Hang-tshóu-fu, e in piccola parte pure rac- colte dal Richthofen stesso presso al contine nord-est della pro- vincia del Sze-tshwan, sono tutte provenienti dalla parte sud occidentale della Cina. Anche gli esemplari studiati dal Kayser, sono, al pari dei nostri, in un eccellente stato di conservazione che ricorda quello dei fossili devonici superiori del Belgio me- ridionale e della regione di Ferques presso Boulogne. Kayser, prima di descrivere le 28 specie distinte nel com- plesso de’ suoi mille esemplari devoniani, fa una rapida rassegna dei precedenti e parziali contributi apportati da taluni autori, i quali avevano avuto occasione di riconoscere e di studiare in complesso 14 specie di brachiopodi, provenienti dalle formazioni IL DEVONIANO SUPERIORE DELLO SCHENSI 351 devoniche della regione cinese del Sze-tslnvan e della provincia del Kwansi (a circa cento leghe a nord di Canton). Non riporteremo qui quanto scrive in proposito l’ Autore e senza intrattenerci sulle considerazioni paleontologiche relative all’insieme de’ suoi esem- plari, diamo senz’altro un rapido accenno alle sue conclusioni poiché esse sono pure in gran parte riferibili alla piccola rac- colta dei fossili devoniani dello Schernì, la quale tanta analogia presenta, non per la quantità ma sibbene per la comunanza delle proprietà specifiche, con la fauna descritta nel 3° capitolo del IV volume di China. In generale, sebbene rimanga ancora incompleta la cono- scenza della fauna devoniana della Cina, pure è facile di os- servare gli spiccati rapporti di affinità che essa presenta con quelle coeve di altri territori ; e infatti, detta fauna appare estre- mamente povera di forme peculiari mostrando, all’opposto, un carattere assai spiccato di cosmopolitismo. La stretta affinità col devonico europeo è pure, secondo Kayser, in massimo grado notevole, ed anche Davidson (’) che ebbe oc- casione di studiare taluni brachiopodi cinesi, ne notò le strette analogie con quelli del territorio renano-belga, con cui Kayser ha infatti trovato a comune 7 specie, sulle 28, oltre le 13 co- smopolite. Dall’insieme di queste constatazioni parziali, Kayser trae la conseguenza che la fauna devoniana cinese è molto più affine a quella dell’Europa occidentale che non a quella dell’America del Nord e dell’Australia, sebbene queste siano, geograficamente parlando, più prossime alla Cina; e conchiude infine che le for- mazioni del meno antico Devoniano comprese nell’area immensa del vecchio mondo, che giunge nella parte meridionale fino al 20° di latitudine Nord, sono in strettissime relazioni e formano un grosso insieme che conserva il suo carattere faunistico in modo sorprendente, fino a distanze così grandi come si trovano fra le rive dell’oceano Atlantico e le rive dell’oceano Pacifico. Venendo poi a discutere sul livello che le sue 28 specie possono rappresentare nel Devoniano della Cina, ritiene probabile (*) (*) Davidson, On some fossi! Brachiopods of i he Devonian Age from China. Quart. Jonrn. Geol. Soc. Voi. IX, (anno 1853). 352 A. MARTELLI che quelle (13) raccolte presso Ta-kwan, siano del Devoniano medio perchè dalla nota che di esse dà (confr. op. cit. Bd. IV, pag. 102) risulta che, anche fuori dell’Asia, talune specie sono esclusive e le altre prevalentemente del Givetiano ed Eifeliano. Al contrario, le rimanenti 15 specie di fossili acquistati nelle farmacie apparterrebbero tutte senza eccezione all’orizzonte im- mediatamente superiore. Ad avvalorare questa opinione milita per primo la circostanza che fra i numerosissimi esemplari acquistati nelle farmacie non si trova nemmeno una sola forma esistente nel Kwansi, e in secondo luogo il fatto che le due specie che vi si trovano più abbondanti sono lo Spirifer Verneuili Murch. e la Cyrtia Murchisoniana de Kon., che da per tutto dove si conoscono sono limitate al Devoniano superiore. Distribuendo le nostre specie secondo i criteri seguiti da Kayser (') dovremo ascrivere la nuova Schizoplioria Paronai alla categoria delle specie nuove proprie della Cina ma con- frontabili con forme esotiche a cui si assomigliano; e tutti gli altri fossili alla categoria delle specie cosmopolite, osservando che di questi, solamente lo Spirifer Anossofi de Vera, non era conosciuto in Cina. Potrà sorprendere il fatto di aver noi distinte sei forme di- verse dello Spirifer Verneuili, ma siccome si tratta di una specie variabilissima, gli autori che in precedenza si sono occupati di brachiopodi consimili, sono caduti in due eccessi. Taluni, e sono in gran parte coloro che avevano un abbondante materiale a disposizione, non hanno tenuto conto di questa variabilità ed hanno perciò fatto delle lunghe sinonimie a proposito di questo Spirifer, mentre autori, principale il Murchison, i quali si sono dedicati con minuzioso dettaglio all’esame di pochi fossili de- voniani, hanno creduto opportuna la distinzione di più specie. Del resto, che lo Spirifer Verneuili abbia subito anche in Cina, come in Europa, delle possibili oscillazioni morfologiche è dimostrato tanto dalle figure date dal Kayser, quanto dalle misure riportate nel testo. Quantunque lo stesso Kayser non si soffermi a descrivere le singole varietà dello S. Verneuili . rico- (‘) Confi-. Richthofen und Kayser, China. Band. IV, pag. 98-99. IL DEVONIANO SUPERIORE DELLO SCHENSI 353 nosce come noi la convenienza di tener conto delle costanti va- riazioni che questo brachiopodo — nonostante la persistenza de’ caratteri specifici dati dall’apparato cardinale e dalla forma complessiva della conchiglia — presenta ognora a chi attenta- mente lo esamini. Sempre nella parte paleontologica dell’opera del Richthofen, a proposito dello S. Vemeuili si legge infatti che anche in Cina si ritrovano le varietà Archiaci, Lonsdalii ecc. distinte come specie a sè dal Mureliison. Per ciò che si riferisce al livello geologico noi troviamo che tutte le nostre specie, meno s’ intende le forme nuove, corri- spondono a quelle che il Kayser assegna con tutta probabilità al Devoniano superiore; di più anche lo S. Anossofi De Vera, è da ascriversi allo stesso orizzonte, al pari della Schizophoria Pa- ronai incrostata anch’essa AAY Aulopora tubaeformis Goldf., perchè insieme con lo S. Vemeuili è ben conosciuto nel Devo- niano superiore di Germania, Belgio, Inghilterra, Spagna, Russia e Nuova Galles del Sud. Non crediamo quindi priva d’interesse l’illustrazione della raccolta dei fossili cinesi del Museo di Torino, giacche essa vale a farci riconoscere anche nello Schensì, la presenza di quelle formazioni del Devoniano superiore, che fin’ora si credevano solo limitate alla parte sud-occidentale della Cina. Brachiopodi. Spirifer Vemeuili March. Tav. XIV, fig. 1-3. 1840 Spirifer Vemeuili — Murchison, Coquilles fossiles dans les couches devoniennes du Bas-Bou- lonnais, Bull. Soc. Géol. de France, Voi. XI, pag. 252, tav. II, fig. 3«-e. 1864-65 Spirifera disjuncta Sow. — Davidson, British fossi 1 brachiopodo. Part. VI ( The devonian brachio- poda) pag. 23, tav. V, fig. 1, tav. VL fig. 1, 3. 1876 Spirifer disjunctus Sow. — De Koninck, Becherches sur ics fos- siles paléozoiques de la Nouvelle Galles du Sud, pag. 100. 354 A. MAIÌ'] 1883 Spiri fer Verneuili Murch. — 1892 » disjunctus Sow. — FELLI Kayser, in Richthofen’s China - Band IV (palaeont. Theil) pag. 88, tav. X, fig. 3 d-c. Hudleston, Fossils from thè Hindu Khoosh, The Geolog. Magaz. New* ser. Dee. IV, Voi. IX, pag. 54, tav. II, fig. 9 a-c. Nella piccola ma interessante collezione da noi presa a stu- diare, otto esemplari presentano assai distinte le caratteristiche di questa specie che vari autori designano come sinonima dello Spiri fer disjunctus Sow. Noi abbiamo conservato ad essa il nome di Spirifer Verneuili Murch. non solo perchè di poco più antico, ma anche perchè, come più avanti vedremo, lo S. disjunctus altro non può considerarsi che una varietà del secondo. I)e Koninck (op. cit. pag. 101) ritiene che molti Spirifer di- stinti con i nomi specifici da lui riportati in sinonimia debbano con- siderarsi come varietà di una sola e stessa specie. Anche Davidson e Kayser hanno in parte condivisa questa giusta opinione giacché nell’esame di una determinata quantità di Spirifer devoniani provenienti dalla stessa località, accade di frequente di trovare degli esemplari che presentano lente transizioni a forme distinte con nomi specifici differenti, mentre in realtà non mostrano nessun costante carattere che consenta una netta separazione fra queste pretese specie in esame. Infatti lo Spirifer Verneuili March, è soggetto a numerose varianti sia per i differenti rapporti fra i diametri, sia per le dimensioni dell’area cardinale e pel nu- mero delle coste. Passiamo intanto ad una breve descrizione degli esemplari da noi raggruppati nella forma tipo dello S. Verneuili. Riguardo alle conchiglie, prevale la dimensione trasversale nelle forme più giovani e quella subquadratica nelle adulte, ma non vi abbiamo trovato traceie di espansioni laterali molto pro- nunciate, come si può osservare negli esemplari descritti e figurati dal Murchison. Le valve sono convesse e la ventrale è in altezza circa il doppio della dorsale. Dimensioni di vari individui a, h, c, d, rispettivamente meno giovani, date dalle misure tutte perpendicolari fra loro e prese orientando gli esemplari in modo che la linea cardinale e la IL DEVONIANO SUPERI0UE DELLO SCHENSI 355 jiorzione postero-laterale dei margini, siano su di un piano oriz- zontale : a) !>) e) d) Diametro antero-posteriore mm. 13.8 mm. 17.3 mm. 21.4 mm. 23.7 » margino-laterale » 18.2 » 23.5 » 25. 5 » 26.2 » dorso-ventrale » 15.1 » 15.9 » 17.7 » 22.5 L’area è triangolare, molto sviluppata, leggermente concava e ricoperta da un sottile reticolato di striature. Il pseudodeltidio è pure sviluppato e zonato, c dove esso è negativo si ha l’aper- tura triangolare isoscele. La valva ventrale è assai gibbosa e termina posteriormente con un umbone alquanto ricurvo. La depressione mediana (seno) della valva, s’inizia presso l’apice dell’uncino e si prolunga fino alla fronte aumentando di ampiezza e di profondità. Ad essa corrisponde il netto rilievo della valva dorsale, delimitato da solchi più grandi di quelli che separano le coste fra loro. Ciascuna valva è ornata di strie semplici, che accrescendo pure di numero ed assottigliandosi, divengono dicotome nel distendersi lungo il seno. Le coste sono, come nel tipo, in numero di 22-25 ai lati del seno e del rilievo ventrale, e appaiono spesso interrotte da numerose e concentriche zone di accrescimento. Mentre la maggioranza delle forme da ascriversi allo S. Ver- neuili hanno strie piuttosto sottili e numerose specialmente nella depressione della valva ventrale, un esemplare adulto dalle di- mensioni seguenti : Diametro antero-posteriore mm. 23.5 » margine-laterale » 26. 7 » dorso-ventrale » 22. - presenta un minor numero di coste (13-15) su ciascuna parte, e nel seno e sul rilievo. Però, tanto le coste di questo individuo quanto di quelli precedenti, man mano che si prolungano verso la fronte vanno aumentando di spessore, mentre, come abbiamo già veduto, non lo stesso avviene lungo il seno od il rilievo corrispondente, dove anzi le coste, causa la frequente dicotomia vanno sempre più assottigliandosi verso la fronte. Inoltre, sola- 356 A. MARTELLI niente quelle coste che hanno origine non prossima all’umbone, ma bensì alla seconda metà del bordo cardinale, sono ancora più fini delle altre e non di rado si fondono insieme nelle alette presso l’estremità della linea cardinale, la cui lunghezza, nei nostri esemplari, corrisponde ordinariamente al diametro margino- late- rale. Il Kayser descrive questa specie a proposito delle formazioni devoniane del sud-ovest della Cina. In Inghilterra, Belgio, Ger- mania, Russia, Stati Uniti e Nuova Galles del Sud è pure assai comune lo S. disjunctus (S. Ver umili) nei terreni del Devoniano superiore. Spirifer Yerneuili Murch. var. Archi aci Murch. Tav. XIV, fig. 11-12. 1840 Spirifer Archiaci — Murchison , Coquilles foss.danslescouch. dev. da Bas-Boulon. Bull. Soc. Géol. de Fr. Voi. XI, pag. 252-253, tav. II, fig. 4. 1845 » » Murch. — De Verneuil, Geologie de la Russie d’ Europe et des montagnes de VOural. Voi. II, part. Ili ( paleontologie ) p. 155. I principali autori i quali si sono occupati di simili bra- cbiopodi, ad eccezione dei due menzionati, non s’intrattengono molto sullo S. Arcliiaci giacche lo considerano sempre come specie sinonima dello Spirifer Verncuili o disjunctus. Anche gli individui così classificati vanno soggetti a va- rianti rimarchevoli, tanto che lo stesso De Verneuil considerando lo S. Archiaci come specie autonoma, ne prende in esame quattro distinte varietà (A. B. C. D.). Nessuna però di quelle da lui figurate e descritte corrisponde al Fi 1 lustrazione degli esemplari del Murchison, ai quali ultimi invece intieramente si possono riferire due Spirifer della collezione in parola. Se — come hanno osservato Davidson, De Koninck, Kayser, Hudleston ecc. — non vi sono ragioni sufficienti per tenere distinta la specie S. Verncuili dallo S. Archiaci , non si deve però disconoscere che taluni caratteri secondari, come quelli dati dal minore sviluppo dell’area e delle conchiglie non che da una rimarchevole curvatura dell’umbone, IL DEVONIANO SUPERIORE DELLO SCHENSI 357 offrono una differenza non trascurabile con la forma tipo della specie Verneuili. Senza dilungarci molto a descrivere questi esemplari della Cina, giacche per essi ci riferiamo a quanto ha scritto il Mur- chison, facciamo notare come, dalle annesse misure appaiono incostanti anche in questa varietà dello S. Verneuili , i rapporti fra le lunghezze, le larghezze e lo spessore. Dimensioni : Diametro antero-posteriore min. 20. - j min. 23.- » margino-laterale » 29.- » 29.8 » dorso-ventrale » 16.3 » 11.7 I Le valve sono quasi ugualmente gibbose e ricoperte da sottili costole, semplici e numerose. L’area ventrale è piuttosto stretta e concava, e la linea car- dinale è lunga quanto il diametro trasversale. La sommità unciniforme dell’umbone ventrale sporge sul- l’area al di sopra dell’apertura triangolare. Appunto nella spe- ciale disposizione dell’umbone e nella ristrettezza dell’area si trova il carattere differenziale che ci permette di distinguere come varietà della precedente specie questi esemplari da noi così determinati. Infatti, allorché la conchiglia si osserva di pro- filo, la valva ventrale appare molto convessa; e l’umbone spor- gente, nella parte posteriore, fino sopra alla linea cardinale, sfiorata a metà dal piccolo ambone dell’altra valva. Anche il seno iniziandosi alla sommità dell’umbone ricurvo si va allargando fino alla fronte, senza però che nella valva opposta vi corrisponda un rillievo pronunciato come nella forma tipo. Questa varietà è assai comune in Russia, in Francia e nel Belgio e si trova, quasi costantemente, a caratterizzare in dette regioni i depositi del Devoniano superiore. Spirifer Yerneuili Murch. var. subarchiaci Martelli Tav. XIV, fig. 4-7. De Verneuil non dà soverchia importanza all’altezza del- l’area, e perciò, rifuggendo dall’accrescere il numero già abba- stanza grande di specie consimili, riunisce allo S. Archiaci forme 358 A. MARTELLI che si scostano alquanto dall’ esemplare del Murchison. Anche noi riteniamo conveniente la riunione delle forme intermedie della variabilissima specie S. Verneuili, ma avendo osservato notevoli varianti in taluni esemplari, siamo di avviso di non trascurare di distinguere e di fissare le varietà non ancora de- scritte, se non altro per apportare un contributo più esatto alla conoscenza dei branchiopodi paleozoici della Cina. Gli individui che De Verneuil raffigura come S. Archiaci si approssimano assai ai due esemplari da noi distinti nella nuova varietà subarchiaci, per ogni carattere relativo al complesso della conchiglia, al seno ed al rilievo. Principalmente vengono però a differenziarsi da quelli, per una minore gibbosità della valva ventrale che ha un umbone per nulla ricurvo e pochissimo spor- gente sull’area estesa, triangolare e leggermente concava. E infine da notarsi che mentre nelle forme precedentemente descritte la sommità della valva ventrale sporge in modo no- tevole sopra la linea cardinale, in questa invece gli amboni delle due valve si trovano allo stesso livello come agevolmente si può constatare orientando di fianco gli individui in esame. Dimensioni : Imi. giov Ind. ad. Diametro antero-posteriore nini. 15. 2 nim. 20. 6 » margino-laterale » 23.8 (linea cardinale) » 30.2 » dorso-ventrale » 14.4 » 21.- Rimarchevole è lo spessore dovuto pure al forte e ben di- stinto rilievo dorsale. Il bordo cardinale termina a punta e l’apertura triangolare ha un’altezza pari a quella dell’area. Il seno è molto profondo e nettamente delimitato; poche e semplici coste (4-6) si prolungano dall’inizio fino alla fronte suddividendosi in fini pieghe costituite da piccole e numerosis- sime granulazioni (confr. De Verneuil. op. cit. Tav. IV, fig. 5 e). Coste semplici e solo di rado dicotome ricoprono le valve, le quali per ogni altro carattere partecipano della forma tipo. Abbiamo dato a questa varietà il nome di subarchi aci per tener presente la stretta analogia che tali nuove forme presen- tano con gli spiriferidi che De Verneuil ascrive alla specie Archiaci. IL DEVONIANO SUPERIORE DELLO SCHENSI 359 Spirifer Verneuili March, var. disjunctus Sow. Tav. XIV, fig. 13-14. 1840 Spirifera disjuncta — Sowerby, Trans, of thè geol. Soc. of London, 2 ser. Voi. V, tav. 53, fig. 8, e tav. 54, fig. 12, 13. 1845 Spirifer disjunctus Sow. — De Verneuil, Géoì. de la Bus. d’Eur. et des mont. de VOur., Voi. II, part. Ili ( paleontologie ) pag. 157, tav. IV, fig. 4 a, li. 1864-65 Spirifera disjuncta Sow. — Davidson, Brit. fos. bradi., Part. VI (The dev. bradi.) pag. 23, tav. V, fig. 5. • De Koninck, Foss. palèoz. de la Nouv. Galles da Sud, pag. 100. Ivayser, Richthofen’s China, Band IV ( palaeont.Th.)pag.88,tav.X,f.3a-c . Hudleston. Foss. fr. thè Indù Khoosh, The Geol. Magaz. New. ser. Dee. IV, Voi. IX, pag. 54, tav. II, fig. 12 a c. 1876 Spirifer disjunctus Sow. 1883 Spirifer Verneuili Murch. 1902 » disjunctus Sow. Ciò che costituisce la principale differenza dalle forme che a questa molto assomigliano fino a confondersi insieme, è la caratteristica dell’umbone dorsale alquanto uncinato. Gli esem- plari figurati dal De Veneuil (Tav. IV, fig. 4) mettono assai bene in evidenza questo carattere. Si tratta indubbiamente della stessa specie degli individui riprodotti dal Kayser al numero 3 a-cl della X tavola, nonostante che in essi rumbone sia ancor più ricurvo sull’ area, giacche avendo sotto occhio vari esemplari ci siamo convinti dell’estre- ma variabilità degli spirifer consimili, tanto che, anche nella piccola collezione che stiamo studiando, bisognerebbe distinguere lo S. Verneuili var. disjunctus a coste più sottili e fitte, e a coste come nello S. Verneuili (tipo). Anziché ritenere lo S. disjunctus sinonimo dello S. Verneuili , crediamo che esso rappresenti una varietà del secondo, col quale, eccettuata la diversità prodotta daH’umbone, ha a comune ogni 360 A. MARTELLI altro carattere specifico, come le coste delle valve, l’estensione della linea cardinale, del seno e del rilievo. Dimensioni medie degli individui più piccoli e degli individui più grandi Diametro antero-posteriore mm. 19.6 mm. 23.5 » margino-laterale » 28. 6 » 29. 2 » dorso-ventrale » 416. » 21. - Fra i brachiopodi da noi presi a studiare non mancano esem- plari che corrispondono a quelli distinti e figurati dall’Hudle- ston (loc. cit. Tav. II, fig. 1) come forme quadratiche dello S. di- sjimctus. Tutti gli autori fanno una lunga sinonimia dello S. disjunctus. Per avvalorare il concetto che lo S. disjunctus rappresenti solo una varietà dello S. Verneuili , osserviamo che lo stesso De Verneuil pur descrivendoli provvisoriamente come specie di- verse, riconosce la loro stretta affinità ed anzi si dimostra pro- penso a considerare il primo appunto come varietà del secondo. Queste forme caratteristiche tanto in Europa quanto in Asia delle assise devoniane, si ritrovano in Russia e nel Belgio assai abbondanti nelle formazioni del Devoniano superiore e nei ter- reni, riferibili allo stesso piano, dell’ Irlanda, dell’Inghilterra, della Francia, Stati-Uniti e Nuova Galles del Sud. Spirifer Verneuili Murch. var. Lonsdalii Murch. Tav. XIV, fig. 8-10. 1840 Spirifer Lonsdalii — Murchison, Coquil. foss. dans les coiteli. dev. du Bas-Boulon. Bull. Soc. Géol. de France, Voi. XI, pag. 251, tav. II, fig. 2 a-c. 1883 » Verneuili Murch. — Kayser, Richthofen’s Cina. Band IV (palaeont. Th.) pag. 88, Tav.X, f. 3 f-h. 1902 » disjunctus Sow. — Iludleston, Foss. from thè Indù Khoosh, The Geol. Magaz. NewSeries, Dee. IV, Voi. IX, pag. 54, tav. II, fig. 11. Gli esemplari che così abbiamo determinato sono per la massima parte in buono stato di conservazione, senonchè alcuni di essi si mostrano alquanto asimmetrici a causa della conti- nua pressione a cui vennero assoggettati nelle loro assise scistose. IL DEVONIANO SUPERIORE DELLO SCHENSI 361 Se noi ci siamo risoluti a tener conto della specie S. Lons- dalii, instituita da Murchison e solo menzionata come sinonima della forma tipo dai successivi autori che si sono occupati di intiere faune paleozoiche di branchiopodi, è perchè nel minu- zioso esame di non numerosi esemplari presi a studiare, ci sono apparsi come non trascurabili taluni costanti caratteri che men- tre dimostrano strette analogie con la specie tipo, consentono pure di riferire ad una varietà del Verneuili le forme descritte dal Murchison come S. Lonsdaliì. È superflua una descrizione particolareggiata dei nostri esem- plari giacché essi non si scostano dalla forma tipo altro che per l’estensione e lo sviluppo dell’area, per la forma della valva dorsale e per la striatura delle coste. Diremo solo che appunto come forme intermedie fra lo S. Verneuili (tipo) e la varietà Archiaci, raggruppiamo diversi esemplari, la cui area dorsale è più ristretta che nella forma tipo e più sviluppata che non nella varietà Archiaci. Di più, mentre rumbone della prima si erge molto sulla linea car- dinale e quello dell’altra si ricurva su di esso, in questa var. Lonsclalii , l’apice della valva ventrale non si solleva molto sull’area e non vi si ricurva; anzi, rimane solo poco più in alto dell’umbone dorsale e contribuisce a rendere leggermente concava l’area della conchiglia stessa. Altra variante è quella che mentre, per es., nella var. disjunctus gli arresti laterali della valva dorsarale sull’area sono subparalleli alla linea cardinale, in questa invece, dall’estremità dell’area convergono all’umbone venendo così a delimitare la striata area triangolare in mezzo alla quale si ha l’apertura pure triangolare e di dimensioni medie fra quelle del tipo e della var. Archiaci. Le coste, interrotte da numerose zone di accrescimento, sotto talune incidenze di luce mettono in evidenza le loro striature ben distinte dal Murchison, il quale attribuì ad esse un valore specifico. Il numero delle coste corrisponde a quello dato per la specie Lonsdalii, tanto sui lati, quanto nel seno e sulla piega ventrale, che assai bene risalta negli individui più adulti. La conchiglia è trasversale, ma le sue sommità marginali, sono poco o punto prolungate. 30 362 A. MARTELLI Diamo senz’altro le medie dimensioni dei migliori individui di questa varietà conservati nel Museo geologico di Torino. Individui Diam. antero-posteriore Diam, margino -laterale Diam. dorso-ventrale a) nini. 15.9 nini. 23.6 nnn. 12 V) » 17 » 24.8 » 13.2 c) » 17.2 » 25.6 » 13.4 d) » 17.4 » 27.7 » 15.6 e) » 18.4 » 29.8 » 16.2 f) » 19 » 32.7 » 17.6 9) » 20 » 33 » 18 h) » 23 » 34.5 » 18.6 (Per diametro margino-laterale abbiamo riportata la lunghezza della linea cardinale che corrisponde alla massima dimensione trasversale). Spirifer Yeriieuili Murcli. var. subextensus nov. Tav. XIV, fig. 15-17. Raggruppiamo in questa nuova varietà talune forme che po- trebbero ascriversi allo S. Yemeniti var. extern us , se il carat- tere della depressione ventrale e del rilievo dorsale fosse molto spiccato. Riferendoci in parte alla descrizione che l’Hudleston ( Foss . fr. thè Hindu Khoosh, The Geol. Mag., Voi. IX, pag. 53, Tav. II, fig. 8 a-d ) dà dello S. extensus, facciamo osservare come cin- que individui della piccola collezione in esame — mentre presen- tano una stretta analogia tanto con le forme tipo quanto col detto S. extensus per ciò che riguarda il complesso dei carat- teri specifici — si distinguono con facilità dagli altri Spirifer descritti, per la loro conchiglia visibilmente alata e per una mi- nore gibbosità delle valve in conseguenza del leggero rilievo dorsale. L’area ripete i caratteri della var. disjunctus e le coste quelli della forma tipo. Trattandosi di brachiopodi variamente compressi non si può dare un gran valore alla posizione dell’umbone ventrale rispetto alla linea cardinale: ma ad osmi modo abbiamo notato che l’um- IL DEVONIANO SUPERIORE DELLO SCHENSI 363 bone in luogo di essere uncinato e di curvarsi sull’area, pre- senta la stessa disposizione riscontrata nella var. Lonsdalii. Come caratteristiche della var. subextensus diamo una note- vole prevalenza della dimensione trasversale e della lunghezza della linea cardinale su tutti gli altri diametri ; una valva dor- sale leggermente convessa e pochissimo gibbosa; un seno che iniziandosi dalla sommità della valva ventrale diverge fino alla fronte senza però sollevare molto, a differenza delle varietà pre- cedenti, il margine anteriore rendendo in tal modo poco spic- cata la piega dorsale. Dimensioni : Diam, Diam. Lungi. Diana, ant.-post. marg.-lat. della linea card. dorso-ventr. Indiv. più de- pressi ...16.9-21.8-23.2 28-28.9-29.3 31.5-32-33.8 12.-13.5-15.3 Indiv. meno depressi . . 15.2-16.6 27.4-27.8 28.7-30.6 13.-13.5 Soltanto dopo numerosi confronti e minuziose ricerche e, tenendo conto soprattutto della costanza dei caratteri surricordati, ci siamo risoluti a distinguere come nuova varietà questi esemplari che differiscono poco da quelli raggruppati dall’ Hudleston nello S. extensus Sow., il quale però in ultima analisi non presenta ca- ratteri tali per essere considerato come specie autonoma, ma bensì per essere riunito alla variabilissima specie Verncuili. In seguito a ripetute verifiche non abbiamo constatato che forme consimili si ritrovino nelle formazioni più antiche o più recenti del Devoniano superiore, per cui riteniamo che il loro habitat sia in comune con quello del tipo, tanto più che anche sulle valve di questi esemplari si possono riconoscere traccie di alcionari e briozoi, identici a quelli che per lo più incro- stano i rappresentanti delle forme già note da noi descritte. Spirifer Anossofi De Vera. Tav. XIV, fig. 18-20. 1846 Spirifer Anossofi — DeVerneuil, Ge'oì. de la Buss. d’ Europe et des moni, de l’Oural, Voi. II, part. Ili (pa- léont.) pag. 153, tav. IV, lig. 3. 364 A. MARTELLI 1900 Spirifer Anossofi De Vera. — Frech und Arthaber, Ueber das Paldo- zoicum in Hocharmenien und Persien, Mittheil. des palaont. Inst. der Univ. Wien. Band. XII, pag. 195, tav. XV, fig. 11. Con tutta sicurezza ascriviamo a questa specie due esemplari in buono stato di conservazione e corrispondenti a pieno alla descrizione del De Verneuil. La conchiglia, alquanto rigonfia, presenta la sua maggior larghezza presso la metà della linea antero-posteriore, i margini arrotonditi e la fronte alquanto prominente a causa del rilievo prodotto dal seno. L’area è piuttosto concava, triangolare ma poco estesa, tan- toché la lunghezza della linea cardinale raggiunge appena la metà del diametro margino-laterale. Questo carattere offre un’im- portantissimo termine di confronto con le varietà della specie precedente. L’umbone uncinato si ricurva fin sopra all’apertura triango- lare senza però raggiungere la sommità dell’altra valva, come si verifica nella maggioranza degli esemplari tipici descritti dal De Verneuil. Il seno che s’ inizia in modo appena percettibile presso l’apice della valva ventrale, si amplia sempre più e si approfondisce appressandosi alla fronte. Ad esso corrisponde il rilievo sulla valva opposta, rilievo che acquista un maggiore ed evidente ri- salto nelle forme più adulte, ma tanto i limiti del seno che quelli della piega dorsale non sono nettamente definibili. Le coste delle valve sono numerose, appiattite e, separate fra loro da solchi filiformi, vanno aumentando di grandezza dal- l’apice posteriore delle valve fino ai margini anteriori. Esse sono in numero di 22-25 sui lobi e di 9-11 sul seno e sul rilievo. Dimensioni: Diametro antero-posteriore . . . non. 23 — 24.2 » margino-laterale ...» 27. 2 — 29. 2 » dorso-ventrale » 24. 6 — 28. 8 Lunghezza della linea cardinale. » 13 — 16 IL DEVONIANO SUPERIORE DELLO SCIIENSI 365 Questa specie è considerata come una delle più caratteri- stiche delle assise devoniane superiori della Russia centrale, e nelle località riportate dal March ison e dal Keyserling si trova sempre insieme con lo S. Vernati li. L’Hudleston (confr. op. cit.) illustra uno Spiri fer che con ogni probabilità è da riferirsi a questa specie, conosciuta soltanto nelle formazioni sincrone caratterizzate dall’abbondanza delle forme devoniane più sopra descritte. Schi zophoria Paronai sp. nov. Tav. XIV, tig. 21-24. In una precedente nota su taluni fossili paleozoici cinesi (') abbiamo avuto occasione di ricordare come tutte le Orthis com- prese nella divisione delle Sinuatae, venissero poi distinte nella nomenclatura col nome generico di Schizophona (King. 1850); perciò nel riconoscere anche fra questi brachiopodi cinesi due indi- vidui che hanno una stretta analogia con V Orthis resupinata Mart., abbandoniamo per tali forme — le quali pur avendo un apparato cardinale simile in tutto a quello delle Orthis si scostano dalla gran maggioranza di esse per il costante carat- tere del seno ventrale — il nome generico seguito nelle opere classiche di De Verneuil e di Davidson, per adottare in modo definitivo quello di Sclnzophoria. Gli individui che abbiamo così determinato presentano i se- guenti caratteri specifici: Conchiglia poco globosa e con predominio della dimensione trasversale. Valva ventrale piuttosto depressa e percorsa per tutta la sua lunghezza da un seno poco profondo, che allargandosi rapidamente fino alla fronte solleva alquanto il margine anteriore della valva opposta. L’umbone non è molto ricurvo, ma si scosta dalla linea car- dinale e sporge notevolmente oltre la sommità dell’altra valva. (!) Martelli A., Fossili del Siluriano inferiore dello Schemi. Boll. Soc. Geol. It. Voi. XX, pag. 302. 366 A. MARTELLI I margini laterali sono affilati e rotondeggianti. La linea cardinale è circa la metà del diametro trasversale, e nel mezzo dell'area leggermente striata si distingue per intero l’apertura triangolare. Sui lobi si contano 22-25 coste semplici, separate da solchi filiformi, e appiattite, le quali appressandosi alla fronte vanno aumentando di grossezza; soltanto sul rilievo della valva dor- sale e sul seno esse divengono dicotome. Dimensioni : Diametro antero-posteriore . . . mm. 18. 5 min. 23. 5 » margino-laterale .... » 23. 8 » 16. 5 » dorso-ventrale » 12. 4 » 12. 6 Lunghezza della linea cardinale. » 11.3 > 12.- Rapporti e differenze. — Confrontando questa nuova specie con la Orthis resupinata, risalta subito la grande differenza data dalle coste, le quali, sulla conchiglia assai più globosa della specie descritta dal De Verneuil (Geo/, de la Russie d’Eur. ecc., voi. II, par. Ili, pag. 185) sono fini, dicotome e in numero di 125, mentre nella S. Paronai sono semplici, appiattite, grosse e poco nume- rose. Di più, mentre nell’O. resupinata il rilievo dorsale non è rimarcabile, nella nostra specie invece detto rilievo — quantunque poco notevole — si distingue nettamente lungo tutta la linea me- diana della valva. Considerando inoltre che la (). striatula Schlotli. rappresenta piuttosto una varietà della 0. resupinata anziché una specie autonoma, a parte tutte le differenze a comune con la forma tipo, troviamo pure un buon termine di confronto per tener distinta la nostra specie, nel fatto che la var. striatula ha la valva dorsale che, in conseguenza del suo rigonfiamento presso la cerniera, presenta l’apice un poco più sollevato sulla linea cardinale che non l’umbone ventrale, mentre abbiamo veduto che ciò non si verifica nella S. Paronai. Orizzonte. — L’asserzione di Hall (*) tendente a limitare il gruppo delle 0. sinuatae al Siluriano non può essere assoluta giacche le 0. resupinata e striatula sono peculari del Devoniano (*) Hall. J., An Introd. io thè study of thè Brachiopoda, pag. 272. Ann. Rep. of thè state Nev-York Goolog. Albany, 1892. IL DEVONIANO SUPERIORE DELLO SCHENSI 367 e non si trovano mai, come asserisce il De Vernenil (op. cit.) in terreni più antichi. È però probabile che solamente le forme liscie quali la Schizophoria Poloi Martel. abbiamo il loro habitat limi- tato al Siluriano, e che le Schizophoriac o Orthis sinuatae net- tamente costate si estendano a tutto il Devoniano. Productus subaculeatus Murch. 1840 Productus subaculeatus — Murchison, Coquill. foss. des cou- ches devon. du Bas-Boulonnais, Bull. Soc. Géol. de Fi-ance, Voi. XI, pag. 255, tav. II, fìg. 9. 1883 * » Murch. — Kayser, Richthofen’s China , Band IV (palaeont. Th.) pag. 93, tav. XIII, fig. 5. Ad incrostare la valva di uno Spirifer, abbiamo un piccolo esemplare di questa specie, con mrn. 4 di diametro margino- laterale e mm. 3.3 di diametro antero-posteriore. Non si presenta al nostro esame altro che la valva dorsale (molto concava e nettamente zonata da linee concentriche d’ac- crescimento) la sommità deH’umbone e la linea cardinale. Oltre i tubercoletti (spine) rari e appena percettibili della valva concava, ci sono serviti di guida nella determinazione le espansioni marginali presso l’estremità del cardine. Il piccolo umbone si ricurva sull’area angusta, la quale presso la valva dorsale viene delimitata da una linea cardinale diritta e di poco inferiore alla massima lunghezza trasversale della conchiglia stessa. Questa piccola forma di Productus già nota nella Cina, è assai interessante, perchè, a detta del Murchison, rappresenta una delle prime comparse nei terreni paleozoici post-siluriani, di quei productidi che acquistano poi tanto sviluppo nel Carbo- nifero. Il P. subaculeatus è un brachiopodo prettamente devo- niano. 368 A. MARTELLI Alcionari. Àulopora tubaeforiiiis Goldf. Tav. XIV, sulla fig. 3. 1829 Àulopora tubaeformis — Goldfuss, Petra facta Germanìae, pag. 83, tav. 29, fig. 2. 1883 » » Goldf. — Kayser, Richthofen’s China.BA. IV, ( palaeont . Th.) pag. 96, tav. X sulla fig. 3 d. Questo piccolo alcionario incrosta molti dei brachiopodi de- scritti, ricoprendo le loro valve di un reticolato irregolare e a maglie piuttosto larghe. Questa specie è rappresentata da co- lonie di individui a forma di piccoli corni tendenti a sollevarsi un poco presso l’estremità del calice. L’accrescimento avviene per gemmazione non lungi dalla cavità caliciforme degli individui preesistenti, in modo che i nuovi vengono col tempo a formare appunto una rete concate- nata ma irregolare. L’apertura del calice è infundibuliforme e l’epiteca è liscia. La lunghezza dei tubuli (stoloni) varia fra min. 3 e mm. 5, mentre il diametro massimo del calice è di mm. 1.8-2. Molta incertezza regna sempre fra gli autori ne 11’ ascrivere questo genere fra i briozoi piuttosto che fra i corallari, dove i più lo hanno riunito come forma però d’incerta sede. Gli ultimi studi e le ultime opere di Paleontologia collocano V Àulopora fra gli Alcionari. Non si può mettere in dubbio la corrispondenza di questa forma cinese, già riconosciuta e descritta dal Kayser a propo- sito delle formazioni devoniane del Sud-Ovest della Cina, con quella tipica del Goldfuss. Si tratta, del resto, di una specie assai comune nelle assise del Devoniano superiore del Belgio, della Russia e dell’America del Nord. Boll. d. Soo. Geol. Italiana. Voi. XXI. (Martellìi Tav. XIV. ELIOT, CALZOLARI & TERRARIO. MILANE IL DEVONIANO SUPERIORE DELLO SCHENSI 3G9 Vermi. Spirorbis omphalodes Goldf. 1833 Serpula omphalodes — Goldfuss, Petrefacta Germaniae, pag. 225, tav. 67 fig. 2. 1879 Spirorbis inornaius —Hall, The fauna of thè Niagara Group, pag. 181, tav. 31, fig. 14-15. Ann. Rep. Neiv-York State Museum Nat. Hist. Albany. 1883 Spirorbis omphalodes Goldf. — Kayser, Richthofen’s China. Bd. IV pag. 95, tav. XI, sulla fig. 2 e 5. 1901 Spirorbis inornatus Hall. — Martelli, Fossili del Siluriano inf. dello Schernì. Boll. Soc. Geol. It. Voi. XX, pag. 308. Frequente pure sulle valve di S. Verneuili sono gli esem- plari di questi semplicissimi ed inornati clietopodi, riferibili con tutta probabilità alla specie S. omphalodes Goldf., che tanto spesso si trova ad incrostare fossili paleozoici. In un precedente lavoro (confr. sinonimia) distinguemmo im- propriamente questa stessa specie col nome di 8. inornatus Hall, mentre per identità di forma e per debito di precedenza avremmo dovuto conservare il primo attributo specifico dato dal Goldfuss. Ricordiamo finalmente che sulle valve dei brachiopodi da noi studiati si hanno pure traecie di altri piccoli organismi, quali briozoi, clietopodi, alcionari, ecc., i quali però non si pre- stano nemmeno ad una esatta determinazione generica. [ms. pres. 11 maggio 1902 - nlt. bozze 18 agosto 1902] 31 A. MAKTEI/I.l 370 SPIF1GAZIONE DELLA TAVOLA XIV Fig. 1-3. Spirifer Verneuili Murch. (tipo). 1. Parte ventrale. 2. » laterale. 3. » dorsale con Aulopora tubaeformis Goldf. » 4-7. Spirifer Verneuili Murch. var. subarehiaci nov. 4. Esemplare piccolo, parte dorsale. 5. » » parte ventrale. 6. » grande parte laterale. 7. » parte posteriore. » 8-10. Spirifer Verneuili Murch. var. Lonsdulii Murch. 8. Esemplare piccolo, parte laterale. 9. » grande, parte anteriore. 10. » » parte dorsale. » 11-12. Spirifer Verneuili Murch. var. Archiaci Murch. 11. Parte posteriore. 12. » dorsale. » 13-14. Spirifer Verneuili Murch. var. disjunctus Sow. 13. Parte dorsale. 14. » posteriore. » 15-17 Spirifer Verneuili Murch. var. subextensus nov. 15. Esemplare grande, parte dorsale 16. » minore, parte ventrale. 17. » » parte dorsale. » 18-20. Spirifer Anossofi De Vern. 18. Esemplare grande, parte ventrale. 19. » » parte dorsale. 20. » minore parte posteriore. » 21-24. Schizophoria Paronai sp. nov. 21. Parte posteriore. 22. » laterale. 23. » dorsale. 24. » ventrale. ECHINOFAUNA OLIGOMIOCENICA DELLA CONCA BENACENSE Nota del dott. Carlo Airaghi Diversi sono i punti della conca benacense, in cui si rin- vennero degli echinidi; vi sono i depositi del M. Brione, l’erto rilievo di Manerba, quelli di Moniga nell’alveo del Chiese, del M. Baldo, del M. Moscai li e di Rocca di Garda. In generale, com’è noto, in dette località si hanno calcari arenacei bianchi, grigio-giallastri, o vere arenarie e marne gial- lo-grigie, di cui, tra gli altri, se ne occuparono il Paglia, Lepsius, Bittner, Nicolis, Bassani, Giimbel, Sacco, Schaffer, Oppenheim ('). p) Paglia E., Sopra i terreni terziari specialmente del bacino del Garda. Att. Soc. venet. trent., 1875. Lepsius, Bes Westliche sud Tiro l. Berlino, 1878. Bittner A., Ber fjeol. Bau des sudi. Baldo Gébirges. Yerhan. der k. k. geol. Reich., 1878. Nicolis E., Note illustrative della carta geologica della Provincia di Verona. Verona, 1882. Id., Sul terziario nelle Prealpi Betiche ad oriente del lago di Garda. Boll. Soc. geol. ital., 1883. Td , Oligocene e Miocene nel sistema del M. Baldo. Meni. Acc. d’Agric. Arti e Coni. Verona, 1884. Id., Geologia e Idrologia della regione veronese. Verona, 1892-900. Id., Intorno al supposto Miocene medio tipico nelle vicinanze im- mediate di Verona. Riv. ital di Paleont., 1902. Bassani F., Intorno ad un nuovo giacimento ittiolitico ecc. Atti Soc. ven. trent. Scien. nat., 1880. Giimbel C., Ueber die Grunerde vomì M. Baldo. Sitzb. der mat.- phys. Classe der k. bayer. Akad. der Wiss. Miinchen, 1896. Sacco F., L’anfiteatro morenico del lago di Garda. R. Acc. d’Agric. di Torino, 1896. Id., La valle padana. Torino, 1900. Schaffer F., Die Fauna des Gla.uk. vom M. Brione ecc. Jarb. d. k. k. geol. Reich., 1899. Oppenheim P., Ancora il Miocene di Verona, Riv. it. di Paleontologia, fase. ITI, 1902. C. AH* AGII i 372 Naturalmente non rifarò la storia tli tutto ciò che scrissero questi geologi, e rammenterò che mentre la maggior parte di detti depo- siti vengono considerati come oligocenici, al M. Moscai li invece, secondo il Nicolis e il Bassani, in base alla ittiofauna ivi tro- vata, oltre che l’oligocene vi sarebbe anche il miocene, che il Sacco escluderebbe assolutamente, conclusione quest’ultima che ritengo forse un po’ troppo recisa, qualora si consideri l’aqni- taniano come parte del miocene. Gli echinidi fin’ora rinvenuti sono pochi, e di essi ne do un elenco nella pagina seguente. Da esso si vede come quest’echinofauna, stante la Scutella subrotundaeformis Schauroth, e i diversi Clypeaster, sia propria di un mare litorale, poco profondo, come indica anche la natura della roccia entro cui si trova. Da detto elenco si rileva pure come i diversi affioramenti abbiano dei legami di parentela assai stretti tra di loro, e come non si possano separare in base agli echinidi, gli uni dagli altri, se si escludono gli strati superiori del M. Moscalli come dirò più avanti, caratterizzati da una grande abbondanza della Scutella subrotundaeformis Schauroth, che in essi si rinviene. Le specie delle altre località, M. Brione, M. Baldo, Moniga, Bocca di Garda, M. Moscalli (strati inferiori) sono co- muni al tongriano del bacino della Bormida come il Clypeaster pentagonalis Michtti., il Clypeaster placenta Miehtti., VEcìnno- lampas globulus Lite., V Euspatangus minutus Lbe., e all’oligo- cene di Priabona come l’ Fchinolampas globulus Lbe., e V Euspa- tangus minutus Lbe., fatto questo che mi induce a considerare i detti depositi come oligocenici. Questo mio modo di vedere trova poi una conferma nell’avere trovato insieme agli echinidi diverse nummuliti, tra le quali di- stinsi la Num. budcnsis Hantk. esubbudensis n. sp. in tutti quanti gli affioramenti accennati, la Num. Fiditeli Michtti. e la Num. Boucheri de la Harpe, pure in tutti gli affioramenti tranne che al M. Brione, l’ Orthophraginina Bra tti Michel in a Moniga e al M. Baldo, la Num. intermedia d’Arcli. al M. Baldo, YOrtho- phrag. stellata d’Arch. a Manerba, specie tutte eooligoceniche. Al M. Baldo poi trovasi anche in abbondanza la Ho tuiaria spirulea, e in tutti gli affioramenti si trova il Vecten arcua tus tranne che al M. Brione. EC1T I NOE A INA (>LIU< > MIOCENI (A DEI LA CONCA HKNACKNSE 373 o o ►fi tì CD O £ •fi o fi! •ctf < +3 0> fi ^ ^ 2 o c fi! o C3 fi 0) T3 O +-» o *c Ci 3S P co I o fi fi ■? I s ® ►— i 03 r-i -fi 03 o „ fi 3 ^ o O ci jg c ^ 03 ^22 0 *>P 73 03 02 03 O v— ( 03 03 — : ci o 03 > V f-\ 00 .S =2 O CO ~z * 302 O Q- se 4-* Ci , ® Eh o S ^ o Sfin, 5,13 CD M >-— ' 1 02 P P CÌ 03 rH ci o o 03 fi ci > CÌ tó .2 s 2 03 ci CO — - CO o ci S^D af « "3 S? ’5 «5 a°- ci O o sh 5 D fi • o 2 2 O 2 ^ 33 cn d Ci *fi C •— 03 03 -+-> *-— < '■*— HrH '"fi -*-* t-fi fi O — t; t> 4= > «3 D; *-> co _x «e o rt . rt © CO P ^ - -2 '° =3 c d 2 -•§ CÌO3~*_,03fiCi03 « od 3 .5 *5 3 -g ~ ?D^ >0^0 dPSPrS «il S-So -O fi 22 ? **4 rt_® bfi ® .3 " 3^ d <*> co Ci 03 fi - s s- rt 0 03 r* O 0 « ® g (T) !h ^ M fct) cq O ^3 ci o fi. ci fi bQ CO VZ a O S3 .0 © ^.i O fc» 1 rt 03 r0 z s § 2^ cr^S 5 ^ ^ 03 ' 03 ° té 2 - ci 03 rq ^ . ^ GO c a ir-H ir ^ « m cj O 2 V,'t, o SpQ^. O VH fi, fi: ^ ci fi3 03 -T «2 bì ° 03 .Erfi? 03 fi o w • co I ci £ fi ci o 0 N ci ci 03 03 03 CO C o £ d, Ci > r^i 03 .l^d g-s- r-J SÌ • ri rt 0 O-S- 03 fi ~fi5 fi _C < 0 g g s co r^> 1— 1 # . , . . . . . • . . 3 • •’~ 1 • ci • 03 • ci * pi 0 ce w * 2 -4-> fi 00 03 03 CO CO 03 0 HH 0. ^3 _ ?* ■♦0 .0 CD 2 rO- O p c c <» CJ .co r~~- .P ^c* V co •eo s co f*0Ì S: r»D Cd Q Cc 1 ^ — se s T. >0 p co 0 0 co ■r» 00 Si ^3 co 1- « ^ "S 2 « H a> S §5 fc;o co ^3 Co p oà 5I Cd s 0 & A p 5C *e» § A Co 0 .CJ « P s, co *«? Kl S5 s « rH OÌ CO ifi té 30 vj3 d t-H T-H rH stello di Schio 374 C. Al K AGHI Ma poiché la maggior controversia riguarda alla stratigra- fia del M. Moscalli, credo conveniente considerare maggiormente i pochi echini ivi trovati. 11 valente geologo veronese Nicol is, distingue al M. Moscalli le seguenti zone : 1. Luinachella a Num. intermedia, Fiditeli. 1 2. Arenarie e calcari impuri con Euspatangus, Cardita oligocene Laurae, Cardita Arduini, Saltella tenera, ecc. ecc. 3. Calcare impuro a Saltella subrotunda. 4. Calcare bianco compatto con Lithothamnium, Echino- dermi, Pecten deletus, Echinolampas conicus, Clyp. placenta, Clypeaster sentimi, ittiodontoliti, ecc. > miocene 5. Calcare cristallino a Myliobates, Carcharodon, Sar- gus, ecc. 0. Arenaria a piccolissimi Echinocyamus cfr. affìnis. Ma se si considera che la Saltella subrotunda e la Saltella tenera del M. Moscalli non sono altro che la Saltella subrotun- daeformis Sehauroth, che il Clypeaster placenta e Clyp. scutum di questo deposito entrano nella sinonimia del Clyp. martinianus Desmoul., specie queste che, come al M. Moscalli, si trovano insieme all’ Echinolampas discus Desor, e al Pericosmus monte- rialensis (Sehauroth), anche al Castello di Schio, credo che le zone 3 e 4, e parte della seconda, si possano riunire in una sola, zona ch’io ritengo sincrona ai calcari di Schio. Questa conclusione viene confermata non solo dall’essere gli echiuidi degli strati superiori del M. Moscalli tutti quanti noti per l’echinofauna di Schio, ma anche dall’abbondanza vera- mente notevole in tutte due le località della Saltella subrotun- daeformis Sehauroth, dall’identico stato di conservazione dei fossili, e dalla medesima natura del calcare, a grana abbastanza grossa, di color bianco-giallastro. A proposito della posizione stratigrafìca poi dei depositi di Schio, e quindi del M. Moscalli, debbo far osservare che stante all’echinofauna in cui figurano parecchie specie rinvenute nel tongriano come il Clyp. placenta Miehtti., il Clyp. Michelinii Lbe., e dell’aquitaniano, come il Clyp. Michelotti Mieli., il Perir, monferialensis Sehauroth, e nes- suna delle specie proprie del miocene medio, si debba escludere EOHINOEAUNA OLIGrlUVUOCENIGA DELLA CONCA BENACENSE 37B in via assoluta, contrariamente a quanto alcuni vorrebbero, eli’ essi siano elveziani. I detti depositi si debbono considerare sottostanti al miocene medio, ossia aquitaniani, come li ritiene il dott. Oppenheim, profondo conoscitore del terziario veneto. Rimane però ancora da risolvere l’importantissimo problema, se cioè l’aquitaniano debba considerarsi come oligocene o come miocene, a cui lo riferisco, questione che non credo si possa risolvere basandosi solo sugli echinidi. DESCRIZIONE DELLE SPECIE Echinocyamus sp. ind. È un solo esemplare di forma subpentagonale, un po’ più lungo che largo, arrotondato e subangoloso all’avanti, dilatato posteriormente, colla faccia superiore mediocremente rigonfia, quella inferiore concava attorno al peristoma, colla sommità ambnlacrale mal conservata, e col periprocto e peristoma pure in cattivo stato, cosicché, conoscendo quanto siano polimorfe alcune delle specie di questo genere, con un solo esemplare in esame, e per di più mal conservato, non oso fare dei riferimenti specifici. Località: M. Moscalli (zona superiore). Scutella subrotundaeformis Schauroth Tav. XV, fig. 2. 1865 Scutella subrotundaeformis Schauroth, Verzeichniss der Verstein. herzogl. Min. Kabinet zu Coburg, pag. 189, tav. IX, fig. 1. 1871 » subrotunda Laube, Echin. vicen. tert. (Denk. der kais. Akad. der Wiss.), pag. 19. 1878 » » Dames, Ecliin. vicen. veron. tert. (Pa- laeontographia), pag. 22. 1882 » » Bittner, Echin der Sudalpen (Bei-Pa- laeon. bst.-ung.), pag. 110. 1883 » tenera Nicolis, Sul terziario nelle Prealpi Ec- tiche, ecc. (L. c.), pag. 5. 1883 » subrotunda Nicolis, lei., pag. 5. 1897 » j> Giimbel, Ueber die Grùnerde von M. Bal- do (L. c.), pag. 585. 376 1899 Scutella subrotunda c. A IRA GUI Schaft’er, Die fauna des Glauk. vom M. Brione (L. c.), pag. 660. 1902 » subrotundaeformis Oppenheim, lìev. der tert. Echin. Few. und des Trentino ecc. (L. c.) pag. 192. Specie di grandi dimensioni, subcircolare, arrotondata alle- vanti, subondulata e dilatata posteriormente. Faccia superiore fortemente mammellonata nella parte centrale, depressa e sottile lungo il margine. Faccia inferiore piana. Sommità ambulacrale quasi centrale, leggermente spostata all’ indietro. Aree ambu- lacrali fortemente petaloidee, larghe, quasi eguali tra loro, leg- germente più lunga 1’ impari anteriore ; occupano un po’ più (un centimetro o due) della metà dello spazio compreso tra la som- mità e il margine. Zone porifere larghe, arrotondate all’estre- mità, composte da pori disuguali, gli esterni stretti, allungati, gli interni piccoli, rotondi, uniti tra loro da un piccolo solco, disposti per paia obliqui. Zone interporifere diritte, un po’ acute all’estremità, leggermente convesse, larghe tanto quanto una zona porifera. Le aree ambulaerali, sulla faccia inferiore, sono molto sviluppate vicino al peristoma e si biforcano a un terzo circa della distanza che v’ha tra questo e il margine, dove si suddivi- dono in ramificazioni secondarie poco marcate. Tubercoli pic- coli, stretti, omogenei su tutta la. superficie del fossile. Periprocto inframarginale. Apparecchio apicale subpentagonale grande, con quattro pori genitali, dei quali i due anteriori sono più vicini tra loro. Di questa specie tengo in esame un numero alquanto rile- vante di esemplari (20), provenienti non solo dal bacino del Garda, ma anche dal Vicentino, dal Castello di Schio, S. Libera di Malo, Valviene, Montecchio Maggiore, epperò non v’ha dubbio clic la Scutella subrotunda ricordata dal Laube, Dames, Bittner debba entrare nella sinonimia di questa specie. La Scutella subrotundaefcrmis Schauroth si distingue dalla Scutella subrotunda Lam. per il margine meno sinuoso, meno sottile e talora ripiegato all’ insù, per la faccia superiore forte- mente mammellonata nella regione centrale, e non piatta c uni- formemente convessa, per gli ambulacri sempre un po' più corti, di poco più lunghi della metà che v’ha tra il margine e la sommità apicale e non mai i due terzi di questo spazio come EEHINOEAIJNA OLIUOMloCENIOA DELLA CANOA BENACENSE 377 quasi sempre avviene nella Saltella subrotunda Lam. ; per gli ambulacri più diritti, più acuti alla loro estremità, e infine per le ramificazioni degli ambulacri sulla faccia inferiore meno nu- merose. Affinità maggiori presenta invece colla Saltella striatala M. de Ser. di cui dispongo dei belli esemplari del Museo geo- logico di Torino provenienti da Sarcignan e del modello in gesso dell’esemplare tipo, specialmente per il margine largo, sottile, e talora rivoltato in alto, ma anche da essa si distingue facil- mente per gli ambulacri alquanto più sviluppati e per la faccia superiore fortemente mammellonata e non leggermente conica nella parte centrale (‘). (') Riguardo alla Scutella striatala M. de Ser. credo utile fare un'osservazione: ad essa si deve riferire la Scutella di Malta oppure no? Detta Scutella dal Wright venne prima riferita alla Scutella subrotunda M. de Ser., di poi alla Scutella striatula Lam., e come tale la considerò anche Gregory, ma recentemente il Lambert (Eev. de Paleozoologie par M. Cossmann, voi. VI, num. 2, pag. 92) la classificò nuovamente come Scutella subrotunda , mentre invece io ritengo che non la si possa riferire assolutamente né all’una specie né all’altra, e che sia una specie auto- noma, tranne che si vogliano ammettere peH'oligocene di Malta più specie di Scutella, fatto tutt’altro che probabile, poiché quanto ne dicono i sopita citati autori, in parte corrisponde agli esemplari che tengo in esame e che figuro (Tav. XV, fig. 1). La Scutella melitensis n. sp. si distingue nettamente dalla Scutella striatula e dalla Scutella subrotunda se non foss’altro per la posizione del periprocto, posto molto lontano dal margine, a un terzo circa della distanza che v’ ha tra questo e il peri- stoma e tutt’altro quindi che inframarginale, e poi per gli ambulacri più lunghi se la si paragona alla prima, più brevi se la si paragona alla seconda. Questa nuova specie si avvicina maggiormente invece al gruppo della Scutella Faujasii Defr., a periprocto lontano dal margine, ma anche da questa e dalla Scutella propinqua Agass. (vedi in propo- sito: L. Agassiz, Monog. des Scutel ., 1840, Neuchatel), delle quali dispongo di buoni esemplari di Turenna e dei modelli in gesso degli esemplari tipici, la si distingue per la faccia superiore non uniformemente con- vessa, ma maggiormente piatta e molto meno alta, per la forma non più larga che lunga, ma viceversa, per gli ambulacri non tutti eguali tra loro, ma quelli pari anteriori alquanto più brevi degli altri, e tutti poi più chiusi e più acuti alla loro estremità. Dalla Scutella Paronai Air. poi, che il Lambert (L. c.) vorrebbe identificare con questa specie di Malta, la si distingue per la diversa disposizione del periprocto e diversa conforma- zione degli ambulacri. È una Scutella insomma di grandi dimensioni, più 378 C. A IH AGHI Questa specie venne già trovata a S. Libera di Malo, Val viene, Montecchio, Castello di Schio. Località : M. Moscai li (zona superiore, abbondantissima), Mo- nica, M. Brione. Cl.vpeaster pentagonalis Michtti. 1861 Clypeaster pentagonalis Michelotti, Etud. sur le mioc. inf. de V Italie sept. f Soc. Holl. des Se. Haarlem), pag. 25, tav. II, fig. 9-10. 1891 » biarritzensis Cotteau, Echin. eoe (Palaeon. frane.), pa- gina 228, tav. CCLX. 1899 » pentagonalis Airaghi, Echin. bac. della Bormida (Boll. Soc.geol. ita].), pag. 13, tav. VII, fig. 9-10. 1901 » » Airaghi, Echin. terz. del Piemonte e della Li- guria (Palaeontographia italica), p. 179, tav. XX. 1 diversi esemplari del M. Baldo raccolti nella zona a Num. intermedia corrispondono perfettamente a quelli trovati tanto abbondantemente nel tougriano del bacino della Bormida. lunga che larga, colla faccia superiore depressa, quasi piatta come quella inferiore, col contorno poco intaccato specialmente in corrispondenza degli ambulacri pari anteriori, rostrata posteriormente; coll’apice ambu- latale centrale con quattro pori genitali ; con aree ambulatali lunghe la metà dello spazio compreso tra la sommità ambulatale e il margine, petaloidee, ovali, larghe, e quasi perfettamente chiuse alla loro estremità ; spazio interporifero sempre più largo di una zona porifera; periprocto a un terzo della distanza che corre tra il margine e il peristoma che è centrale. Synon.: 1753 — — Scilla, De corporibus marinis lapidescentibus, tav. Vili, fig. 1-3. 1855 Scutella subrotunda Wright, Foss. Echinod. Malta (Ann. Mag. Nat. Hist.), pag. 118. 1855 » striatala Wright, Id., pag. 119. 1864 » subrotunda Wright, Malt. 2?c7miod.(Quart. Jour.Geol. Soc.), pag. 479. 1892 » striatala Gregory, On thè malt. foss. echin. (lì. Soc. Edin- burgh), pag. 597. subrotunda Lambert, Rev. de Paleozoologie par M.Cosstnann, voi. VI, num. 2, pag. 92. 1902 » ECUINOFAUNA OI.IUOM IOCENIOA DELLA CONCA BENACENSE 37!) E una specie di mediocri e grandi dimensioni, oblunga, pen- tagonale cogli angoli arrotondati, col margine sinuoso, colla faccia superiore depressa, quella inferiore quasi piana, con aree ambulacrali petaloidee, grandi, lunghe e molto aperte alla loro estremità, con peristoma centrale, pentagonale, e periprocto pic- colo, vicino al margine. Non vedo questa specie citata nell’ echinofauna oligocenica veneta, colla quale, quella del bacino del Garda, ha stretti rapporti, epperò credo che talora sia stata confusa col Clypeaster pla- centa Michtti, e col Clypeaster martinianus Desmoul., specie ad essa molto affini. Questa specie è nota a Biarritz in Francia, a Dego, a Sas- sello, Cassinelle, Mioglia, Giusvalla, ecc., nel bacino della Bormida. Località: M. Baldo (Acque Negre). Clypeaster placenta Michtti. Di questa specie citata per la fauna fossile del M. Brione presso Riva da Giimbel e da Schaffer non tengo in esame alcun esemplare, pur tuttavia, fidandomi dei valenti paleontologi tede- schi, ho creduto bene di citarla. È una specie già nota per rechinofauna di Dego e di Schio. Località: M. Brione. Clypeaster martinianus Desmoul. 1837 1840 1847 1857 1857 1863 1871 Clypeaster martinianus Desmoulins, Etud. sur les Echin. (Boll. Soc. Lin. Bordeaux), pag. 218. » scutellatus Agassiz, Cai. syst. ect., pag. 6. » » Agassiz et Desor, Catal.rais. des Ecliin., pag. 73. » folium (pars) Desor, Synopsis des Echin. foss., pag. 243. » scutellatus (pars) Desor, Ibid., pag. 242. » martinianus Michelin, Monog. des Clyp. foss. (Ména. Soc. géol. de France), pag. 134, tav. XXXV, fig. 1). » scutum Laube, Echin. vicen. tert. (L. c.), pag. 18, tav. Ili, fig. 2. » martinianus Dames, Echin. vicen. veron. tert. (L. c.), pag. 24. 1878 BSO 1902 Clypeaster scutum c. A I li A GII 1 Oppenheim, Rev. der ieri. Echin. Ven. and des Trentino, ecc. (L. c.), pag. 191. Specie di grandi dimensioni, subpentagonale, cogli angoli arrotondati, eoi margini alquanto rigonfi e sinuosi, colla faccia superiore depressa, rigonfia nella regione ambulacrale, quella inferiore piana, leggermente depressa attorno al peristoma. Som- mità apicale mal conservata, subcentrale. Aree ambulacrali peta- loidee, un poco rigonfie, grandi, più lunghe della metà dello spazio compreso tra l’apice ambulacrale e il margine. Area ambu- lacrale impari anteriore più lunga, più larga e più aperta delle altre. Zone porifere larghe e leggermente depresse. Aree inter- ambulacrali strette vicino alla sommità apicale e meno rialzate che le ambulacrali. Peristoma e periprocto mal conservati. Questa specie venne prima confusa dall’Agassiz col Clypea- ster scutellatus , di poi dal Desor col Clypeaster scutellatus, Clyp. follimi, Clyp). Michelottii, Clyp. laganoides e Clyp. latirostris, ed è merito del Micheli n se ora si conoscono i confini di questa specie. Il tipo di essa è il P. 28 del catalogo di Agassiz, di cui tengo in esame un modello in gesso che corrisponde esattamente all’esemplare del M. Moscalli. Ksso si distingue dal Clypeaster scutellatus M. Ser., perchè meno dilatato posteriormente, per il margine più sinuoso e gli ambulacri più aperti e meno disu- guali tra loro, e per avere, anziché gli ambulacri pari anteriori, l’ambulacro impari anteriore più lungo degli altri. Dal Clypea- ster Michelottii Agass. si distingue nettamente per la faccia superiore meno alta, meno uniformemente conica, avendo i mar- gini alquanto dilatati. Dal Clypeaster laganoides Agass. si di- stingue per la faccia superiore maggiormente alta nella regione ambulacrale, per i margini più dilatati, più sinuosi e più rigonfi, Ma più che colla specie sopra accennata credo che presenti mag- gior affinità col Clypeaster placenta Miehtti, che, pur avendo i margini grossi, ma meno sinuosi, è più depresso e uniforme- mente convesso sulla faccia superiore. In omaggio alla priorità ho lasciato a questo raro Clypeaster il nome datogli dal Desmoulins nel 1887, benché il doti. Op- penheim, nel suo recentissimo lavoro, preferisca chiamarlo col nome datogli dal Laube nel 1871. ECH IN'Ol-'A UNA 01.IG0MI0CENICA DEI, LA CONC A BENACENSE 381 Questa specie venne già trovata a Martigues in Francia, a Colalto di Monfumo, a Castello di Siez, a Castello di Schio, a Monte Sgreve di S. Urbano nel Veneto. Località : M. Moscalli (zona superiore). Ecliinolampas glolmlus Lbe. 1867 Echinolamp as globulus Laube, Echin. vicen. tert. (L. c.), p. 24, tav. IV, iig. 5. 1877 » » Daines, Echin. vicen. veron. tert. ( L.c.), pag. 35. 1880 » » Bittner, Echin. der Sudalpen (L. c.), pag. 41. 1891 » » Cotteau, Echin. eoe. (L. c.), pag. 143. 1899 » » Airaghi, Echin hac. della Bormida (L. c.), pag. 21, tav. VI, tig. 6. 1901 » » Oppenheim, Die Priahon. und Fauna (Palaeontographica) pag. 101. Questa specie, connine nel bacino della Bormida e nel Veneto, sembra pure comune anche nel bacino benacense; infatti venne trovata a Rocca di Garda e al M. Baldo nella località deno- minata Acque Negre. È una specie di piccole dimensioni, sub- pentagonale, leggermente ovale, arrotondata all’avanti e dilatata posteriormente, colla faccia superiore alta, convessa, quella infe- riore quasi piana, concava nella regione del peristoma. Sommità ambulacrale subcentrale, spostata all’avanti; aree ambulacrali petaloidee aperte alla loro estremità, ineguali, quelle posteriori più lunghe che le altre, quella anteriore più corta, più diritta e più aperta. Zone porifere relativamente larghe; zone inter- porifere leggermente convesse e larghe il doppio d’una zona porifera. Peristoma pentagonale. Periprocto molto vicino al mar- gine trasversale. Apparecchio apicale relativamente grande con quattro pori genitali. Questa specie, specialmente quando si tratta di piccoli esem- plari, si avvicina molto al 1 ’ Ecliinolampas Francei Desor, da cui si distingue per la regione posteriore molto più inclinata, meno rialzata, per la sommità ambulacrale più eccentrica al- l’avanti, e per una forma in generale meno angolosa. V Echino- lampo* inflatus Lbe., dal Daines messo nella sinonimia di questa 382 C. Al K AGHI specie, e dal Cotteau considerato come specie autonoma, per la forma più globulosa, più rigonfia all’avanti, per gli ambu- lacri più corti e meno convessi e per il periprocto meno mar- ginale, e l’area interambulacrale impari meno carenata, recen- temente dairOppenheim venne di nuovo riunito al V Echin. glo- bulus Lbe. Fin’ora questa specie venne trovata in Italia a S. Giovanni Ilarione, Priabona, Carcare; nell’Egitto a Mokattan presso Cairo. Località : Rocca di Garda, M. Baldo (Acque Negre). Echino lampas discus Desor. 1857 Echinolampas discus Desor, Synopsis des Echin. foss., pag. 307. 1868 » conicus Laube, Echin. vicen. fert.(L.c ), pag. 25, tav.V, fig. 2. discus Danies, Echin. vicen. veron. ieri. (L. c. ), pag. 43, tav. Ili, fig. 1. » Cotteau, Echin. eoe. (L. e.), pag. 141. conicus Gi'unbel, Ueher die Grunerde rom M. Baldo (L. c.), pag. 585. » Schaffer, Die fauna des Glauk. vom M. lirione (L. e.), pag. 660. » Oppenheim, Rev. der tert. Echin. Ven. und des Trentino, ecc. (L. e.), pag. 216. 1877 1801 1897 1899 1902 » » È una specie di grandi dimensioni, subcircolare, arrotondata, alta, subconica alla faccia superiore, piatta nella faccia infe- riore, coi margini arrotondati. Sommità ambulaorale quasi cen- trale, spostata leggermente all’avanti. Aree ambulacrali larghe, aperte, lunghe fin quasi vicino al margine ; quelle pari poste- riori sono alquanto più lunghe delle anteriori e molto meno divergenti; quella impari anteriore è molto più diritta delle altre e più aperta alla sua estremità libera. Zone porifere leggermente depresse, strette e pressapoco egualmente lunghe in ciascuna area ambulacrale. Zone interporifere larghe almeno tre volte una zona porifera e leggermente convesse. Peristoma piccolo, trasversale, posto nella parte più bassa della faccia inferiore. Periprocto trasversale molto vicino al margine. Tubercoli fitti e minuti e scrobicolati, sulla faccia superiore più grossi che non sulla faccia inferiore. EC1IINOFAUNA OLTGOMIOCEN1CA DELLA CONCA BEN A GENS E 383 Tl Laube, studiando gli ecliinidi terziari del Vicentino, aveva fondato una nuova specie, Echinolampas conica s, e l’aveva distinta dall 'Echinolampas discus Desor per gli ambulacri più stretti e per l’apice ambulacrale più centrale, caratteri che più tardi dal Dames, facendo una revisione degli ecliinidi della stessa regione, e avendo un maggior materiale in esame, non vennero ritenuti valevoli per farne una specie autonoma, epperò la specie del Laube venne identificata con quella, del Desor. Gli esemplari che ho in esame pure permettono di convalidare maggiormente il modo di vedere del Dames, essendo che gli esemplari tra loro variano un poco sulla maggiore o minore eccentricità dell’apice ambu- lacrale e sulla larghezza degli ambulacri. Questa specie, di cui tengo in esame anche il modello in gesso dell’esemplare tipo, richiama alla mente VE 'chinolampas haemisphaericus (Lam.), proprio dei terreni terziari recenti, e si distingue da questo per la faccia superiore meno uniformemente convessa, ma maggiormente conica, per gli ambulacri più lun- ghi, meno petaloidei, più aperti alla loro estremità libera. Dal- V Echinolampas Studcri Agass. si distingue per la faccia infe- riore maggiormente piana, per gli ambulacri leggermente più brevi, per le zone interporifere più strette e sempre più rigonfie. Delle affinità infine questa specie presenta pure anche col- V Echinolampas Laurillardii Agass., dal quale si distingue per la faccia superiore più alta, più conica, e per la sua forma molto più rotondeggiante meno rostrata nella parte posteriore. Questa elegante specie venne già trovata in Italia a S. Li- bera di Malo, Castello di Schio, M. Sgreve di S. Urbano nel Vicentino; in Spagna nella provincia d’Alicante a Callosa de Eusarria. Località : M. Moscalli (zona superiore), Rocca di Garda. Echinolampas bathystoma Oppenh. 1902 Echinolampas bathystoma Oppenheim, Ito;, der tert. Echin.u. des Treni., ecc. (L. c.), pag. 216, tav. IX, fig. 6. Di questa specie recentemente illustrata dall’ Oppenheim, tengo in esame due esemplari. Sono di forma arrotondata al Lavanti, rostrata posteriormente, colla faccia superiore poco 384 C. AIR AGHI alta e uniformemente convessa, quella inferiore quasi piana. Sommità ambulacrale eccentrica all’ avanti. Aree ambulatali petaloidee, lunghe, aperte, disuguali; quella impari anteriore più corta e più diritta e aperta dalle altre. Zone porifere lar- ghe, depresse, composte da pori disuguali, gli interni rotondi, gli esterni allungati. Zone interporifere larghe e leggermente convesse. Tubercoli piccoli, omogenei. Peristoma centrale, sub- pentagonale. Periprocto subtriangolare, trasversale, molto vicino al margine. Apparecchio apieale subpentagonale, granuloso con quattro pori genitali. Questa specie, come ha fatto notare l’Oppenheim, è alquanto vicina all 'Echin. Kleinii Goldf. e al V Echin. angulatus Mer., dai quali la distinguo per la faccia superiore meno alta e il peristoma più profondo. Località : Manerba, Rocca di Garda, M. Brione. Pericosmus montevialensis (Schauroth) Daraes. 1865 Schizaster montevialensis Schauroth, Verzeich. der Verstein. ini her- zogl. Nat. Cab. zu Cobivrg., pag. 193, tav. XII, fig. 2. 1868 Periaster Capellini Laube, Echin. vieni, ieri. (L. c.), pag. 29, tav. IV, fig. 3. 1877 Pericosmus montevialensis Barnes, Echin. vicen. reron. tert. (Ti. e.), pag. 65, tav. X, tig. 3. 1890 » » Cotteau, Echin. eoe. (L. c.), pag. 441. 1899 » spata'ngoides Ai rughi, Echin. bac. della Bormida (L. c.', pag. 35, tav. VII, fig. 6. \ E una specie cuoriforme, alta, rigonfia superiormente, forte- mente intaccata all’avanti, ristretta posteriormente, colla faccia inferiore quasi piana, rialzata nella regione del piastrone e for- nita di due mammelloni abbastanza pronunciati nella parte po- steriore sotto il periprocto. Sommità ambulacrale eccentrica al- l’avanti. Solco anteriore largo e profondo vicino al margine. Aree ambulacrali pari diritte, escavate, ineguali, le anteriori molto divergenti e più lunghe delle posteriori, aperte alla loro estre- mità. Zone porifere formate da pori rotondeggianti e larghe tanto quanto uno spazio interporifero. Peristoma ellittico, eccentrico F. CHINO J'AIJNA OI.IGOMIOCENIC A DELLA CONCA BENACENSE B85 allevanti. Periprocto trasversale posto all’ estremità superiore della faccia posteriore. Questa specie la distinguo dal Pericosmus spatangoides (De- sor), per la faccia superiore più alta, per gli ambulacri più depressi; dal Pericosmus Marianiì Air., che dal doti. Oppenheim, nella sua recentissima revisione degli echinidi terziari del Veneto, non viene erroneamente considerata come specie autonoma, pure per la faccia superiore più alta, gli ambulacri più profondi e per i mammelloni della faccia inferiore molto più piccoli. Questa specie venne già trovata al M. Pilato, al Castello di Schio, Marostica, Cava Brocchi di Bussano nel Veneto, nel Rio Ravanasco nel Piemonte. . Località: M. Moscalli (zona superiore), Rocca di Garda. Euspatangus minutus Lbe. 1868 Euspatangus minutus 1878 » » 1891 » » 1896 Maretta grignonensis 1896 Euspatangus navicella 1899 » cfr. de Koninkii 1900 » sp. ind. 1900 » minutus 1901 » » Laube, Echin. vicent. tert. (L c.), p.35, tav. VI, fig. 4. Dames, Echin.vicent. vtron. tert. (L.c.), pag. 81, tav. Vili, fig. 3. Cotteau, Ecliin. eoe. (L. c.), pag. 81. Botto Micca, Contrib. allo studio degli echin. terz. del Piemonte (Boll. Soc. geol. ital.), pag. 30. Botto Micca, Ibid , pag. 29. Airaghi, Echin. bac. della Bormida (L. c.), pag. 38, tav. VI, fig. 11,12. Lambert, Ber. de Paleozoologie par M. Cosraann, voi. IV, num. 2, p. 92. Oppenheim, Die Priabon. und Fauna (L. c.), pag. 116, tav. X, fig. 2 (cimi syn.). Airaghi, Echin. terz. del Piemonte e della Liguria (L.c.), pag. 214, t. IX, fig. 2. Questa specie è alquanto comune nell’oligocene del Piemonte e del Veneto! è di piccole dimensioni, oblunga, colla faccia supe- riore convessa, carenata posteriormente, quella inferiore quasi piana, rialzata sul piastrone. Sommità ambulacele eccentrica all’avanti. Solco anteriore quasi nullo alla sommità e ben distinto 32 386 C. A1RAGHI verso il margine. Area ambulaerale impari diritta, aree ambu- lacrali pari petaloidee, subflessuose, le anteriori, divergenti molto di più delle posteriori, colle zone porifere depresse e più strette dello spazio interporifero. Tubercoli grossi e limitati alle aree interambulacrali circoscritti dal fasciolo peripetalo; crenellati, perforati, scrobicolati. Peristoma vicino al margine, labiato. Peri- procto grande, subcircolare. È una specie, come ho già fatto notare in un altro mio lavoro, che si distingue dal V Euspatangus de Koninkii Wright per gli ambulacri anteriori più divergenti e flessuosi e pei tubercoli più numerosi. Euspatangus Tournueri Cott. si distingue per il contorno più cuoriforme, gli ambulacri anteriori più divergenti, quelli inferiori meno divergenti e più grandi. Venne già trovata a Cassinelle, Carcare, Dego, Sassello, Pareto, Giusvalla, Mioglia, Reboaro nel Piemonte; a Laverdà, Montecchio Maggiore, Priabona nel Veneto. Località: Rocca di Garda, M. Moscalli, (zona inferiore). Spataiigus euglyplius Lbe. 1865 Spatangus Desmaresti 1865 .Euspatangus ornalus 1868 » euglyplius 1877 » » 1897 » » 1899 » » 1902 » » Schauroth, Verzeich. der Verstein (L. c.)t pag. 192. Schauroth, Ibid ., pag. 192. Laube, Echin. vicen. tert. (L. c.), pag. 35,. tav. VI, fig. 5. Dames, Ecliin. vicen. reron. tert. (L. c.), pag. 83. Giimbel, Ueber die Grunerde roniM. Baldo (L. c.), pag. 585. Schaffer, Die fauna des Gl aulì, vom M. Brion e (L. c.), pag. 660. Oppenheim, Iiev. der ieri. Echin. Ven. und des Trentino, ecc. (L. c.\ pag. 272. Specie di mediocri dimensioni, subcircolare, cuoriforme, colla faccia superiore alta, subconica, quella inferiore quasi piana, rialzata nella regione del piastrone. Sommità ambulaerale «piasi centrale. Aree ambulacrali petaloidee, leggermente depresse, le anteriori più divergenti delle posteriori e tutte quante appuntite alla loro estremità. Tubercoli grossi, abbondanti. Peristoma semi- ECHINOFAUNA OLIGOMIOCEN1CA DELLA CONCA BENACENSE 387 circolare eccentrico allevanti. Periprocto posto alla parte supe- riore della faccia posteriore. Questa specie per l’altezza della faccia superiore richiama alla mente il Mariania Marmorae (Desor) Air., il quale però (') (') A proposito del genere Mariania da me stabilito nel lavoro: Echinidi terziari del Piemonte e della Liguria (Palaeon. it., voi. VII, pag. 149, 218, tav. XIX, XXVII), credo utile dire qualche parola, inquan.- toché, mentre il valente echinologo francese, signor Lambert, profondo e acuto critico della Rivista del Cossmann (Rev. de Pai. par M. Cossmann, voi. VI, n. 2, pag. 91), si mostra solo titubante sulla necessità della sua conservazione, il dott. Checchia, noto tra gli echinologi per un lavoro in cui descrive 11 specie d’echinidi ( Echin . eoe. del M. Gargano , Boll. Soc. geol. ital., voi. XXI, fase. I), facendo una relazione critica del mio sopra- citato (Riv. ital. di paleon., voi. Vili, fase. I), assolutamente non lo am- mette. Ma curioso si è che delle due specie da me riferite al nuovo genere Mariania , benché fornite dagli stessi caratteri da me ritenuti generici, l’una, ossia il tipo, il Macropneustes Marmorae Desor, egli l’in- globa nel genere ffgpsospatangus, l’altra, lo Spatangus chitinosus Sism.. la considera ancora come un vero Spatangus; e a proposito di ciò, di- mostrando d’aver una superficiale conoscenza di questo genere, dice che a torto io nella diagnosi del genere Mariania lo differisco dal genere Spa- tangus solamente perchè gli ambulacri sono aperti all’ estremità. A simile osservazione non ho altro a dire che gli ambulacri del genere Spatangus, almeno cosi li intese il Cotteau, sono pétaloìdes, superficielles, effflées à leur extrémité (Echin. eoe., voi. I, pag. 19), e che perciò la specie del Sismonda, cogli ambulacri diritti, aperti, non può assolutamente entrare in questo genere, ma piuttosto nel genere Macropneustes o Hypsospa- tangus, in cui appunto gli ambulacri sono cosi conformati (Cotteau, Echin • eoe., voi. I, pag. 140). Ma da cosa nasce cosa, e l’apprezzamento del signor Lambert alquanto diverso di quello del dott. Checchia, ha fatto sì che rivedessi nuovamente le specie in questione, il che mi convinse maggiormente della necessità dell’istituzione del genere Mariania, distinto dai generi affini, quali il Macropneustes, Hypsospatangus,Megapneustes ecc., non solo pei tubercoli disposti su tutta quanta la faccia superiore for- mando dei chevrons su ogni assula, per gli ambulacri diritti, lunghi, aperti e non perfettamente superficiali, ma anche per la mancanza del fasciolo peripetalo e forse anche di quello subanale; e dico forse di quello subanale perché i miei esemplari non si prestano ad un minuto esame della faccia inferiore. Però é utile ricordare che il Cotteau, che aveva già espresso il dubbio che il Macropneustes Marmorae Desor non rappresentasse un vero Macropneustes e nemmeno uno Spatangus, (Echin. tert. de la Corse, pag. 321, Bull. Soc. d’Agr., Hist. nat. de Lyon, 1877), sui suoi esemplari, malgré leur belle conservation, non abbia trovato traccia né dell’uno nè dell’altro fasciolo. Qualora le cose stessero in 388 C. AIRAGHI non può essere riferito al genere Spatangus come disse già il Cotteau, per gli ambulacri larghi e aperti e non appuntiti. Vera- mente affine invece è allo Spatangus Allunai Lambert, ( Echin . foss. de la prov. de Bare ., Mém. Soc. géol. Frali.), dal quale si distingue per il solco anteriore maggiormente sviluppato, pei tubercoli meno numerosi, per gli ambulacri meno lunghi, meno flessuosi. È una specie già nota pel terziario veneto essendo stata trovata a Val Manina, a Santa Libera, a Monteviale, Marostica di Bussano. Località: M. Brione. [ms. pres. 17 giugno 1902 - ult. bozze 25 agosto 1902]. questo modo, il genere Manania si avvicinerebbe al genere Leiopneustes privo di fascioli (Cotteau, Echin. eoe., voi I, pag. 18), ma caratterizzato di grossi tubercoli sulle aree interambulacrali pari. Veramente curioso é pure il disparato giudizio dei critici riguardo l’altro mio genere, Eovasendia , stabilito nel lavoro citato. Infatti, mentre il signor Lambert lo ammette, e colpendo bene, chiama la specie tipioa, una specie brissiforme, ma cogli ambulacri superficiali, il dott. Checchia invece dice che i caratteri di questa specie, ossia forma piccola, oblunga, alta, ovolare coi tubercoli uniformi, si possono conside- rare come dei caratteri specifici, e che però il nuovo genere non ha ragione d’esistere, dimenticando cosi che oltre ai caratteri sopra accen- nati io ho fatto notare anche quest’altri: mancanza di solco anteriore, ambulacri petaloidei chiusi, superficiali, caratteri certo non specifici ma generici. Strano finalmente é il giudizio complessivo del dott. Checchia, che qualifica il mio lavoro come in gran parte di revisione in cui sono descritte le specie di Echinidi terziari determinati dal 1842 in poi dal Sismonda, Michelotti, Desor, ecc., e in cui vi sono istituite delle nuove specie su esemplari di cattiva conservazione o talvolta su caratteri diffe- renziali insuff denti, e dico strano perché questo giudizio generale con- trasta perfettamente con quello del signor Lambert che lo giudica invece (vedi 1. c.), un precieux et bel ouvrage qui fait le plus grand honneur à son auteur et à la Science italienne. Il fare le critiche ai lavori altrui non é cosa facile inquantocbò vi si richiede non solo ingegno, ma anche vasta e profonda coltura, qua- lità di cui non sempre può disporre un giovane. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA XV. 1. Scutella melitensis n. sp. (Malta) 2. » subrotundaeformis Schauroth (M. Moscalli) Boll. d. Soo. Geol. Italiana. Voi. XXI (Airaghi) Tav. XV. Eliot calzolari $ ferrario- Milano UN NUOVO CHELONIDE DELLA FAMIGLIA TRIONYCHIDAE APPARTENENTE ALL’EOCENE FRANCESE Nota del dott. Giuseppe De Stefano Il prof. Munier-Chalmas, direttore del Museo geologico del- l’Università della Sorbona, durante la mia dimora a Parigi, mi comunicò in studio un certo numero di chelonidi fossili, inediti, e conservati fra le collezioni paleontologiche del suddetto Museo. Io cercherò di illustrare tali chelonidi in una serie di note, a cominciare della presente, nella quale descrivo un nuovo tipo generico. Esso fu trovato anni sono (1896) nella regione sub- pirenaica, in vicinanza di Massai presso Castres, nella mol- lassa bartoniana con Lophiodon e Palaeotherium , che affiora in quella località. Il fossile in quistione consiste in una corazza dorsale, di forma allungata e subovale, non troncata posterior- mente, poco rigonfia, ed alquanto deformata alla regione po- stero-laterale sinistra per compressione latero-verticale subita da essa. In detta corazza manca qualsiasi traccia di pezzi marginali posteriori e laterali; vi si osservano soltanto: 1° una piastra lineale ; 2° otto piastre vertebrali ; 3° otto paia di piastre costali ; 4° un frammento di piastra marginale che si estende fr la prima costale destra e la nucale. Dello scudo difetta la porzione antero-laterale sinistra com- prendente gli estremi della nucale e delle prime tre piastre costali. Mancano anche, perchè rotte, le estremità delle ultime tre costali sinistre, non che tutta la regione posteriore dell’ul- timo paio. La superficie esterna del pezzo nucale, non che quella dei pezzi costali, è ornata da sculture vermiculari, appena accen- tuate ed uniformi prossimalmente alla regione mediana dello G. DE STEFANO 390 scudo, più marcate distalmente; dove assumono una direzione quasi parallela al margine esterno delle piastre costali. La piastra lineale è, relativamente, vasta e di forma esago- nale: il suo maggior diametro transverso è più breve di 32 mm. di quello longitudinale. I suoi margini latero-posteriori, che sono i più sviluppati fra i sei, attaccano con quelli anteriori del primo paio costali : il margine posteriore, che è il più breve, attacca con l’anteriore del primo pezzo vertebrale. La serie vertebrale comprende pezzi, a partire dal terzo fino al settimo, allungati e di forma esagonale: l’allungamento si attenua gradualmente dal terzo al settimo. Inoltre, le summen- tovate piastre sono più larghe anteriormente e più strette po- steriormente. Il primo pezzo vertebrale, che è il più largo fra tutti quelli della serie, ha forma rettangolare, col margine anteriore con- vesso esternamente : anche i margini laterali sono convessi verso l’esterno; ma si restringono alquanto posteriormente. Il secondo pezzo vertebrale (pezzo diaframmatico), che, ec- cezion fatta per l’ottavo, è il più piccolo fra tutti della serie vertebrale, ha, come l’antecedente della stessa serie, forma ret- tangolare, col margine posteriore convesso esternamente, e quelli laterali rettilinei. La notata picciolezza del secondo pezzo vertebrale stabilisce una notevole alternanza in grandezza fra le prime tre piastre di detta serie. L’ottava piastra vertebrale è un pentagono irregolare, la cui massima larghezza eccede di qualche millimetro l’asse longitu- dinale. I margini posteriori con vergono sulla linea mediana longitudinale, formando un angolo ottuso. 11 loro punto di at- tacco con i margini antero-superiori corrisponde al punto di attacco della sutura che unisce i pezzi del sesto e settimo paio costali. Il margine anteriore attacca esattamente con quello po- steriore del settimo pezzo. I sedici pezzi costali, relativamente alla loro larghezza, sono in generale corti. Quelli del quarto paio sono collocati in una direzione normale alla lunghezza dello scudo; mentre quelli della serie che li precede o li segue, sono più o meno obliquamente diretti in avanti ed indietro, secondo la loro rispettiva posizione. UN NUOVO CHELONIDE DELLA FAMIGLIA TRIONYCHIDAE 391 i pezzi dell’ottavo paio costale, per la posteriore conformazione dello scudo, sono allungati, ed i loro margini anteriori inclinano fortemente indietro, formando con l’asse mediano due angoli ottusi. Quanto al rapporto fra i pezzi vertebrali e costali, ciò che colpisce a prima vista, è l’attacco del primo paio costale con tre piastre vertebrali, essendo che il pezzo diaframmatico oc- cupa il secondo posto della serie. I rimanenti pezzi costali at- taccano con due piastre vertebrali, ad eccezione di quelli del settimo paio, che restano suturati con la sola ottava piastra ver- tebrale, e quelli dell’ottavo costali che non attaccano con nes- suna neurale. In fine, il rapporto esistente fra i pezzi vertebrali e quelli costali, dopo il primo paio di questa ultima serie, è tale che, ciascun pezzo costale si articola non solamente col pezzo ver- tebrale corrispondente, ma si appoggia ancora posteriormente al pezzo vertebrale immediatamente consecutivo nella serie; e per una notevole lunghezza. In altri termini, nel nuovo chelonide di Castres, indicando con V i pezzi vertebrali e con C quelli costali, il rapporto fra la serie vertebrale e la serie costale, schematicamente è rappresentato cosi : V, v, V3 \ / V3 V, > C2 V, V. > C3 V- vl > C4 V- > c_ a v7 v; > > c. — > r '-'8 (') Io ritengo utile, non solo per semplificare la nomenclatura, ma anche per non essere prolissi, adottare il metodo da me introdotto in 392 G. DE STEFANO Tali essendo in breve i caratteri generali della corazza del chelonide dell’eocene di Castres, si può dedurne quanto segue: Per la presenza delTossiticazione esosclieletrica ed entosche- letrica, detto chelonide appartiene ai Thecopora del Dolio. Se si ammette poi che detta corazza, allo stato dell' ani- male vivente, non avesse posseduto placche marginali posteriori, egli è evidente che bisogna collocare quest’ultimo fra le Trio- nychidae. Se invece essa ha avuto delle placche marginali poste- riori, Tanimale fossile si allontana un po’ da tale gruppo. In favore della prima ipotesi stanno: y) il fatto che le placche costali destre conservate, dopo quella del primo paio, si arrestano simmetricamente, ciò che non può essere effetto del caso; fi) il fatto della superficie esterna dell’armatura dermica vermiculata, il quale indica evidentemente l’assenza di scaglie cornee, o, in altri termini, dimostra che l’animale vivente pos- sedeva un rivestimento di pelle continua. Posto che il cheionio di Castres appartenga alle Trionijclù- dac, per la conformazione del suo scudo, per il numero, la di- sposizione e conformazione dei pezzi ossei di questo ultimo, esso non può essere incluso in nessun dei generi: Chitra Cray (1); Pelochelys Cray (!) ; questo lavoro; quello cioè, di indicare il rapporto fra i diversi pezzi della corazza di un chelonide con termini simbolici, termini che in un quadro comprensivo ci pongono subito sottocchio l’ ingranaggio di una armatura scheletrica. (') G ray J. E, Synopsis reptilium ; or short descript ions of thè spe- cies of reptiles. Part I. Cataphracta, Tortoises, Crocodiles and Enalio- saurians, pag. 47 (London, 1831). — Lydekker R., Catalogne of thè fossil Reptilia and Amphibia in thè British Museum (Naturai History). Part 111. Order Cheionia, pag. 4 (London, 1889). (2) Gray J. E., Catalogne of Shield Reptiles in thè collection of tlic British Museum. Part I. Testudinata (Tortoises), pag. 70 (London, 1855). — Gray J. E., Proc. Zool. Soc., pag. 89 (London, 1864). — Gray J. E., Sappi. Cai. Sh. Rept., pag. 90 (London, 1870). UN NUOVO CHELONIDE DELLA FAMIGLIA TRION YCHIDAE 393 Emyda Gray (*); Cyclanorbis Gray (2). Procyclanorbis Portis (3). Quest’ultimo genere rappresentato da forme fossili molto pros- sime a quelle viventi del gen. Cyclanorbis Gray, e perciò, se- condo me, non differenti l’uno dall’altro (4). Tanto meno può essere compreso nel gen. Aulacochelys Ly- dekker (5); o rapportato a quelle forme dell’eocene americano dal Cope battezzate coi nomi di Axestus e Plastommus (?), le quali sono caratteristiche ; le prime, per un piccolissimo xifi- Q) Gray J. E., Synopsis Reptilium, eie., pag\ 49 (1831). — Gray J. E., Suppl. Cat. Sh. Rept., pag. 117 (1870). — Strauch A., Chenologische Stu- dien, mit besonderer JBeziehung ciuf die Schildkròtensammlung der kai- serlichen Akademie der Wissenschaften, su St Petersburg, pag. 56 (Mem. Acc. Se. S. Pietroburgo, 1862). (2) Gray J. E., Proc. Zool. Soc., pag. 135 (1852). — Duméril et Bibron, Erpetologie generale ou Hist. Nat. complète des Reptiles. Voi. II, pag. 499 (Parigi, 1835). (3) Portis A., Il Procyclanorbis sardus Port. Nuovo Trionichide fos- sile della Sardegna. Boll. Soc. Geo!. Ital., voi. XX, fase. I, Roma, 1901; pag. 51-79; tav. I. (4) Nel nuovo gen. Procyclanorbis, il Portis include la Trionyx (Aspi- donectes ) Gergensii Meyer (H. v.) ed una forma dell’Elveziano superiore ( Procyclanorbis sardus Port.) di Cagliari in Sardegna. Ecco in proposito le testuali pai-ole dell’ autore, dopo averci reso noto che la specie magonzese è prossima molto al Cyclanorbis sardo: « . . . tanto da obbligarci a ripeter per essa la stessa discussione che ab- biamo fatto a proposito dello esemplare o degli esemplari sardi ed a venirne ad una conclusione simile a quella di trasmutar di sottofamiglia e di genere il trionichide magonzese tino a collocarlo nello stesso genere che abbracci il sardo, chiamandolo non più Aspidonectes, nè Trionyx Gergensii o Gergensi, come lo chiamarono rispettivamente l’H. v. Meyer ed il Lydekker, ma bensì Cyclanorbis, o (come dovrò modificare il nome generico pei rappresentanti fossili, essendovi più che autorizzato, costretto dalle modificazioni evolutive posteriormente subite dai discendenti) Pro- cyclanorbis Gergensi, come il sardo dovrà chiamarsi anch'esso Procycla- norbis sardus » ( Loc . cit., pag. 72). (5) Lydekker R., Ann. May. Nat. Hist., serie VI, voi. Ili, pag. 53 (1889). — Calai, of thè fossi! Rept. and Ampli., ecc., pag. 22 (1889). 394 Cr. DE STEFANO piastrone e per l’assenza di ornamentazioni rugose vermiculari ; le seconde per un iopiastrone ed un ipopiastrone che richia- mano in mente quelli di certe Emydi (*). Lo stesso dicasi per il gen. Cycloderma del Peters (*). Comparato il chelonide di Castres cogli attuali generi. Aspi- culus Gray ( — Aspinodoctes p. p. Schweigg. (3); Cryptopus Duméril et Bibron (4) ; Trionyx Geoftroy (5) ; presenta delle ana- logie con questo ultimo gruppo; eppure, a rigor di termine, non può essere incluso in esso, nè può essere confuso con nessuna forma di Trionyx vivente o fossile. Nella comparazione, lascio da parte le note forme viventi, Trionyx subplanus Geoffr., T. fe- rox Sehn., T. spinifer Lesueur, T. emoryi Agass., T. triunguis Forsk, etc. (6), in tutto una quindicina di specie, come quelle che sono abbastanza note agli specialisti di erpetologia. Consi- dero invece alcune tipiche forme eoceniche del genere, sia euro- pee quanto americane, trattandosi che il fossile di Castres ap- partiene all’eocene. 1° Trionyx gergensi Meyer (= Aspidonectcs gergensi Me- yer) (T) dell’oligocene medio tedesco (Darmstadt). Tale tipo spe- cifico presenta: sette pezzi vertebrali, stretti anteriormente ed (*) Cope E. D., Proceedings of thè American Philosophical Society, pag. 457 (1872).— Cope E. D., The Vertebrata of thè ter tiary formati om of thè West. Book I. Report of thè United States geological survey of thè territories. Voi. Ili, pag. 162 (Washington, 1884). (2) Peters K., Beitràge zar Kenntniss der Schildkrotenreste aus den oesterreichischen Tertiàrablagerungen. I. Th. Denksehrf. d. Mathem. Nat- viss. Klasse der K. Akad. d. Wiss. zìi Wien. Bd. IX, pag. 216 (1854)- — Strauch A., Chenologisclie Stud., mit besonderer Beziehuvg, etc., pag. 55 tl862). (3) Gray J. E., Notes on thè families and genera of Tortoises (Te- studinata) and on thè characters afforded by Thestudy of their slculls. Proc. Zool. Soc. of London. N. XII, pag. 216 (1869). (') Duméril et Bibron, Erpetologie generale on Hist. Nat., ecc., voi. II, pag. 483 (1835). (5) Annoi, da Muscum d’Hist. Nat.,v ol. XIV, p. 1 (1809). (G) Boulenger G. A., Catalogne of thè Chelonians, Bhynchocephalians, and Crocodilians in thè British Museum (Naturai History), pag. 242- 272 (London, 1889). C) Meyer H. v., Neues Jahrb., p. 565 (1884). — Lydekker R., Cai. of thè foss. Rept. and Ampli, etc. pag. 11 (1889). UN NUOVO CHELONIDE DELLA FAMIGLIA TRIONYt'HIDAE 395 clargati posteriormente , eccettuati il primo ed il pezzo diafram- matico; il pezzo diaframmatico è il quinto della serie; il rap- porto tra i pezzi vertebrali e quelli costali è espresso come segue : V, > C\ V v1 > C* V 2 2 V, V3 V, > c3 > c4 V4 V. o Ve V_ Y. > ce > C7 > 2° Trionyx henrici Owen (*) ; Trionyx barbarne Owen (2) ; Trionyx marginata. s Owen (3). In questi tre tipi specifici del- l’eocene inglese, si hanno: sette piastre vertebrali, ristrette an- teriormente ed et argute posteriormente (si eccettui, al solito, il primo pezzo, ed il pezzo diaframmatico); il pezzo diaframma- tico è il (plinto della serie; il rapporto fra le piastre vertebrali e quelle costali, in tutti e tre i tipi identico, come è quello della Trionyx gergensi (Meyer). 3° Le trionici eoceniche ed oligoceniche del Veneto, illu- strate principalmente dal Negri A. {*), T. Gemmellaroi Negri ; T. Capellina Negri; T. affinis Negri; hanno i caratteri gene- (’) Owen R., Monograph of thè fossi l Reptilia of London Clay. Part. I, Cheionia. Palaeontog. Soc. London (1849), tav. XIV. (2) Owen R., Loc. cit.; tav. XVI A. (3) Owen R., Loc. cit.; tav. XIX. (4) Negri A., Trionici eocenici ed oligocenici del Veneto. Società Ita 1. d. Scienze detta dei XL, tomo Vili, ser. 3a, 1892. — Negri A., Nuove 396 0. DE STEFANO rali dei tipi specifici dell’eocene inglese, avanti citati, cioè, sette piastre vertebrali, elargate posteriormente e ristrette anterior- mente; il pezzo diaframmatico è il quinto della serie; ed il rap- porto fra i pezzi vertebrali e quelli costali non varia. 4° In fine, per non fare ancora delle inutili citazioni e rendermi con ciò inopportunamente prolisso, dirò che identici fatti si riscontrano nelle Trionyx radulus Cope (') ; T. con- centricus Cope (?); T. scutamentiquum Cope (3), dell’ eocene degli Stati Uniti d’America. Ciò constatato, per quanto le Trionyx presentino variazioni abbastanza notevoli in uno stesso genere, vuoi nella forma e nei rapporti delle piastre, vuoi nella reticolazione superficiale del clipeo, i caratteri del chelonide di Castres sono tali, da non poterli considerare come variazioni individuali o specifiche, do- vute a differenza di età, di sesso, od altro. Nel chelonide di Castres si riscontrano tali caratteri da non potere essere in dub- bio intorno al suo posto nel sistema. Il fossile dell’eocene francese, in conclusione, si distingue dalle forme del gen. Trionyx: 1° per lo scudo , non troncato posteriormente ; 2° per il posto che occupa nella serie vertebrale il pezzo diaframmatico (secondo posto); 3° per il numero dei pezzi vertebrali (otto); 4° per la conformazione dei predetti pezziì elargati ante- riormente e ristretti posteriormente (nelle Trionyx viventi e fos- sili si verifica l’opposto); 5° per il rapporto in generale fra le piastre vertebrali e quelle costali ; notizie sopra i Tuonici delle ligniti di Monteviale. Padova, 1893. — Sacco F., Trionici di monte Polca. Atti d. R. Accademia delle Scienze di Torino, voi. XXIX, 1894. C) Cope E. D., The Vertebrata of thè iertiary formations of thè West. Book I, etc. (1884), pag. 120, tav. XVI, fig. 2. (2) Cope E. D., Loc. cit., tav. XVI, fig. 3-6. (:ì) Cope E. D., Annual Jieport U. S. Geol. Suri'. Terr., pag. 617 (1873). — Cope E. D., The Vertebrata of thè tertiary etc. (1884) pag. 121, tav. XVI, fig. 1. Boll, d Soc. Geol. Italiana. Voi. XXI. (De Stefano) Tav. XVI. Castresia Munieri De Stei. LOUIS SOHIER FOTOOR. OH*MPIONY-8UR-M»RNE ELIOT CALZOLARI & f E RRARIO - MILANO UN NUOVO CHELONIDE DELLA FAMIGLIA TRIONYCHIDAE 397 6° per la combinazione particolare di V, V2 > C\, che non si osserva in nessuna forma vivente e fos- V3 sile di Trionyx , per lo meno fra quelle che sono giunte a mia conoscenza. Il fossile di Castres viene perciò ad arricchire di un nuovo genere la importante famiglia dei chelonidi Trionichydae ; nuovo genere, che io propongo di chiamare col nome di Castresia, dalla località dove esso fu trovato dedicando runica specie che se ne conosce all’illustre direttore del Museo geologico della Sorbona. Castresia Manieri De Stefano Gius. Tav. XVI. Caratteri. — Scudo dorsale non troncato posteriormente, privo di piastre marginali posteriori e laterali. Serie vertebrale composta di otto pezzi, elargati in avanti, ristretti indietro. Pezzo diaframmatico occupante il secondo posto della serie. Pezzi co- stali in numero di sedici. Rapporto del primo paio costale con tre piastre vertebrali. Armatura dermica ornamentata da ver- miculazione scultorea. Giacimento. — Bartoniano (eocene superiore). Località. — Mussali, presso Castres. Resti conosciuti. — Una corazza conservata fra le colle- zioni paleontologiche dell’Università della Sorbona di Parigi. [ms. pres. 1° agosto 1902 -ult. bozze 24 settembre 1902]. FAUNA DEL LIAS INFERIORE DI CIMA ALLA FOCE NELL’ALPE DI CORDINO Nota del doti. Gustavo Levi Nel 1898 pubblicai una nota preventiva (’) sopra questa fauna Fasica raccolta dal prof. Cocchi a Cima alla Foce nell’Alpe di Cortine (circondario di Castellino vo Garfagnana). Le specie da me esaminate sono 23 : Apiocrinus ? , Terebratula (Pygope) Aspasia Mgh., Ter Arra- tal a core.goncnsis Mgh., Diotis pisana Fuc., Neaera liasica sp. nov., Cardimi sp. nov., Cardimi subirmi ticostatum D’Orb., Natica Corfmii sp. nov., Pleurotomaria sp. nov., Atractites orthoceropsis Mgh., Coroniceras monticellense Can., Caloceras cfr. liasicum D’Orb., Caloceras ligusticum Cocchi, Caloceras coregonense Sow., Caloceras spediense Cocchi e Mgli., Pleuracanthites biformis Sow., Ectocentrites Meneghina E. Sism., Lytoceras articulatum Sow., Lytoceras agnatum Can., Lytoceras subbiforme Can., Phylloceras lune use Mgh., Phylloceras cylindricum Sow., Jlhacophyl l ites apen- ninicus sp. nov. Delle conclusioni stratigrafiche ho tenuto parola nella mia nota preventiva, mostrando che questi fossili corrispondono esat- tamente alla zona ad Angulati del Lias inf. del promontorio occidentale della Spezia. Apiocrinus ! Sono riuscito ad isolare dalla roccia alcuni articoli basali di Crinoide. Ritengo trattarsi di Apiocrinus simile per l’altezza (') Sui fossili del IAas inf. di Cima alla foce nell’Alpe di Corfino (Boll. d. Soc. Geol. It., voi. XVII). FAUNA DE[, LIAS INFERIORE DI CIMA 399 e per gli ornamenti all’M. Meriani Desor, ma l’imperfetta con- servazione dei miei esemplari mi impedisce di fare dei raffronti sicuri. Tenebratila (Pygope) Aspasia Mgh. Di questa specie ho alcuni frammenti che io credo dover riferire alla vai*, minor Gemm., non Zittel. Questa specie è diffusissima in tutto il Lias italiano. Terebratula (Pygope) coregonensis Mgh. A questa specie ascrivo, alcune piccole conchiglie la cui forma quasi arrotondata e la lieve insenatura vaivare sono quali si presentano negli individui giovani della Ter. coregonensis Mgh. descritti dal prof. Canavari (*). Cardium n. sp. Altezza min. 6, 3 Lunghezza » 8 Conchiglia piccola, più larga che alta, poco inequilaterale, ornata di sottilissime strie trasversali, senza coste longitudinali ; amboni non molto rigonfi, margine anteriore leggermente ricurvo, quello posteriore più lungo, incurvato; margine palleare poco convesso. Simile per la forma al C. PhiUppianum Dunker, ne diffe- risce per l’assenza delle coste radianti e per le dimensioni assai più piccole. Cardium submulticostatum d’Orb. 1847 Cardium submulticostatum, D'Orbigny, Prodrdme, Voi. I, pag. 235. 1890 » cfr. submulticostatum, Parona, I fossili del Lias inf. di Sai- trio, pag. 32, tav. IL fig. 11. 1892 » submulticostatum, Fucini, Molluschi e brachiopodi del Lias inf. di Longobucco. Estr. <ì. Boll. d. Soc. Malac. It, p. 54, Tav, II, fig. 8 a, b. (J) Canavari, Fauna del Lias inferiore di Spezia (Menu d. Coni. Geol., voi. Ili, pag. 65, Tav. I, fig. 3, 4). 400 G. LEVI I)i questa specie posseggo solo un modello interno di valva sinistra. Però è visibilissima l’impressione dei dentelli del mar- gine palleare, identica a quella degli esemplari del Parona. La specie in Italia è stata trovata a Saltrio ed a Longobucco. Diotis pisana Fucini. 1895 Diotis pisana Fucini, Fauna dei calcari bianchi ceroidi, Atti d. Soc. Tose. d. Se. Nat., Voi. XIV, pag. 227, Tav. Vili, fig. 3. Di questa specie posseggo un solo esemplare di piccole dimen- sioni però le strie di accrescimento palesi anche sulle orecchiette, come nella specie del Fucini e la forma non tanto arrotondata della conchiglia mi fanno escludere che possa trattarsi della Diotis Janus Mgh., e mi inducono a riferirla alla Diotis pisana della quale presenta tutti i caratteri. Neaera liasica n. sp. Fig. 1. Conchiglia inequilaterale, piriforme, leggermente arrotondata in avanti, assottigliata, con breve rostro posteriormente. La super- ficie della conchiglia è attraversata da strie sottilissime. Simile per la forma alla Cuspidaria cuspidata Bromi, pliocenica, ne differisce per il rostro più breve, meno acuminato. Se non erro, è la prima specie di questo ge- nere trovata nel Lias. Natica Corfmii n. sp. Fig. 2, 3. Fig. 1. Neaera liasica, n. sp. (ingrandita 4 volte). Altezza inni. 4 Larghezza » 5 Conchiglia di piccole dimensioni più larga che alta, spira corta, anfratti lisci, ricoprentisi quasi interamente; ultimo anfratto grandissimo, ombellico stretto, bocca ovale-arrotondata. FAUNA DEL l.IAS INFERIORE DI CIMA 401 Dissimile assai dalla Natica Savii Can. accennata nel Lias inf. della Spezia. Fig. 2 Fig. il. Natica Cor/iuii n. sp. (ingrandita 2 volto). Pleurotomaria n. sp. Altezza dell7 ultimo anfratto min. 8 Altezza della fasciola » 1 Conchiglia trocliiforme, con spira crescente con un angolo regolare ; ultimo giro quasi rettangolare, ornato di numerosissime costolinc longitudinali (circa 38), separate da spazi poco mag- giori, però alternate, nella parte inferiore, da altrettante costo- line più depresse che formano colle strie di accrescimento un fittissimo reticolato. La fasciola è situata non nell’angolo supe- riore, ma nel mezzo del giro; è piuttosto stretta, depressa, attra- versata da due costoline. Simile per gli ornamenti alla VI. subrcticuìata D’Orb. (’) differisce per la sezione più rettangolare dei giri, per la mag- giore ampiezza dell’ombelico e per avere la fasciola depressa, anziché rilevata come in questa, c situata nella parte centrale, anziché nel terzo superiore come nella specie del D’Orbigny. Atractites orthoeernpsis Mgh. 18.')1 Belemnites orthocerop.tis, Savi e Meneghini. Contiti, s.geol.str. <7. Toscana, png. 301, n. 30, pag. 380, 394, 401 (ex parte). 1807-81 Aulacoceras » Meneghini, Monog. du cale, rouge amm. de Lombardie ccc., pag. 134-39. (!) D’Orbigny, Paleontologie franraise, Terra-ina jarassiques, T. Il, pag. 494, Tav. 392, fig. l à 402’ 188G G. LEVI Atraetites ortkoceropsis. De Stefani, Lias inf. ad Arieti d. App. Sett. (Atti (1. Soc. Tose. d. Se. Nat.., Mem. Voi. Vili, fase. I, pag. 47). 18BG » » Canavari, Contributo allo studio ecc., pag. 81. Tav. I, fig. 15-19. 1894 *> » Fucini, Fauna d. cale. cer. del M. Pisano pag. 220, Tav. Nili, fig. 10. 1896 > » Fucini, Fauna d. Lias medio di M. Calvi presso Camp. Mar. (Paleontog. It. Voi. II, pag. 294). A questa specie riferisco alcuni frammenti di fragmoconi : per foltezza delle foggio, la sezione quasi rotonda e per l’an- golo di divergenza, corrispondenti tutti allL4. orthoccropsis tipico. Questa specie è' abbondantissima nel Lias italiano inferiore e medio. Coroniceras Monticellense Can. 1882 Arietites MouliceTlensis, Canavari, Bei Ir. sur Fauna destini. Lias von Spesili ( Palaeont. XXIX Rd. Ili Lief., pag. 176|541, Taf. XX[VIJ, fig. 3-4). I miei esemplari preserdano qualche mostruosità; così: in uno due coste partenti dal contorno ombelicale, dopo breve percorso, si congiungono c si fondono in una sola costa ; in un altro alcune coste, oltre il tubercolo presso la regione dorsale, ne presentano un altro in prossimità dell’ombelico. Caloceras n. sp. cfr. liasieum D’Orb. Fig. 4. II mio unico esemplare trova il perfetto riscontro in alcuni esemplari della Spezia, appartenenti alla collezione Cocchi del Museo di Firenze, i quali però, non figurando nell’opera del Canavari, si avvicinano parzialmente alla figura che questi dà ì\q\Y Arieti ics n. sp. — A. Conifbecm ' Haiver non Sow. (’), ma ne differiscono per la maggiore convessità dei fianchi e per la mi- nore profondità dei solchi presso la carena. C) Canavari, Contr. alla fauna d. Lias inf. d. Spesi a, Tav. TX. fig. 10. FAUNA DEL MAS INFERIORE DI CIMA 403 Non potendo fare l’esame della specie sopra il mio esem- plare, perchè imperfetto, ho fatto il mio studio su quelli della Spezia che, come ho detto, sono identici al mio. La conchiglia dimostra un ac- Fig. 4. Cciloceras cfr. liasieutn, d’Orb. frammento di giro di un esemplare della Spezia. crescimento assai lento. Le coste sono numerose, leggermente incur- vate sui fianchi ; il dorso è munito di debole carena limitata da solchi poco profondi. La sezione è subqua- drangolare più larga nella regione ventrale che verso l’interno. Presenta affinità voWAriet. IÀasicus D’Orb. f1), per l’accre- scimento lento della conchiglia, per il numero e l’andatura delle coste, per la sezione dei giri; ma ne differisce per la carena dorsale molto più larga e sviluppata nella specie del D’Orb.; per la forma della carena si avvicinerebbe invece all’^d. liasicus Hauer non D’Orb. (2), ma questo presenta coste molto più rade e più curve e conchiglia più depressa di quello che non pre- senti la nostra specie. Parrebbe adunque che la nostra forma fosse intermedia fra *y la specie del D’Orbigny e quella dell’Hauer. I lobi pure, per quello che si può vedere, sono dello stesso tipo delle dette due forme; sono, cioè, assai stretti e lunghi; per il rimanente ne diversificano assai. La linea lobale è composta di lobi profondi e stretti ; la sella laterale termina difilla con la foglia interna tendente a bipartirsi e più sporgente di quella esterna che è intera; lad- dove nella sp. del D’Orbigny termina trifilla ed in quella del- l’Hauer difilla ma colla foglia esterna tripartita e più spor- gente di quella interna. 0) D'Òrbigny, Pah Frani;. Terr. Juras., Tomo I, pag. 199, Tav. 48, fi g- 1-3. (2) Hauer, Ueber die Ceph. aus dem Lias der Nordòstl. Aìpen (Aus dem XI Bd. der Denkschr. d. math.-naturw. Cl. der k. Akad. der Wiss. besond. abgedr., pag. 23, Taf. V, fig. 4-tì). 404 G. LEVI Caloceras ligusticiim Cocchi. 1882 Arietites ligusticus, Canavari, Beitr. zur. Fauna des unt. Lias von Spezia (Palaeont. XXIX Bd., Ili Lief., pag. 18, Taf. XXI [VII] fi g. 7-8). Il mio unico esemplare corrisponde esattamente ad uno tipico della Spezia della collezione Cocchi e si avvicina molto alla fig. 8 del Canavari (op. cit.). Nel mio esemplare è ben visibile la carena con accenno di solchi e le coste vi si riuniscono ad angolo. Caloceras coregonense Sow. 1833 Ammonite s coregonensis, Sowerby in De la Bèche, Geol. Man., pag. 333, fig. 68. 1879 » biformis, Reynés (cfr). Monog. des Arnm., Lias, Atlas, * pi. XLII, fig. 12-14. 1882 Aegoceras coregonense, Canavari, Beitr. zur fauna des unt. Lias von Spezia (Palaeontog. XXIX R. S. pag. 51, Taf. XIX [V], fig. 12-15). 1888 Arietites coregonensis, Waehner, Beitr. zur Kenntn. der tief. Zonen des unt. Lias e tc., (Beitr. zur Pal.Oester- Ung. etc., V Th, pag. 31 1 [168], Taf. XXI, [XLJ fig. 1-3 ; Taf. XXII [XLIj, fig. 1-4; Taf. XXIII [XLII], fig. 1-4, Taf. XXIV [XLIII], fig. 1-6). Posseggo un solo individuo di questa specie che corrisponde esattamente agli esemplari della Spezia. In Italia è stata tro- vata sinora, in modo sicuro, alla Spezia dal Canavari. Esem- plari di questa specie ha trovato il Waehner in alcuni luoghi delle Alpi Nord-Orientali. Caloceras spediense Cocchi e Meneghini. 1833 Ammonites IÀsieri, Sowerby in De la Beche, Geol. Man., pag. 333, fig. 66, (non A. Listeri Sowerby, Min. Condì., Tab. 501, fig. 1). » » Savi e Meneghini, Consid. sulla strutt. geol. della Toscana; App. al Murehison, Mem. sulla strutt. geol. d. Alpi, d. App. ecc., pag. 353, n. 15. 1851 FAUNA DEL LI AS INFERIORE DI CIMA 405 1882 Aegoceras Listeri, Canavari, Beitr. zur Fauna des uni. Lias von Spezia (Palaentogr., XXIX Bd. Ili Lief., pag. 174 [52], Taf. XXI [VII], fig. 12-16). 1886 Arietites » Waehner, Beitr. zur Kenntn.der tief.Zonen des unt. Lias ecc. (Beitr. zur Pai. Oesterr-Ung. etc III Th., pag. 206 [105], Taf. XXVII fig. 13, 14. I miei pochi esemplari coincidono colla descrizione che il Canavari fa dell 'Arietites Listeri; tengo però a far notare che studiando VA. Listeri sugli esemplari della Spezia, ne ho tro- vati molti forniti di carena alquanto visibile ed alcuni in cui le coste, prolungandosi s’ incontrano ai lati della carena for- mando un angolo : caratteri questi non riscontrati dal Cana- vari. II Savi e Meneghini (op. cit., pag. 354) affermano che per questa specie, essendo ben distinta dal vero Ammonites Listeri Sow. e appartenendo perfino ad un genere molto diverso, può ritenersi lo stesso nome specifico che per errore gli fu dato la prima volta dal Sowerby stesso; ma il Meneghini più tardi si ricredette e, riordinando la collezione della Spezia del Museo Geologico di Firenze, in unione al Cocchi, l’appellò A. spedi en- sis per distinguerla dal vero A. Listeri Sow. Così ho reputato conveniente di conservargli quel nome che gli dettero il Cocchi ed il Meneghini onde non confonderlo col vero Goniatites Listeri Sow., paleozoico. Pleuracantliites biformis Sow. 1833 Ammonites 1861 » 1879 » 1883 Lytoceras ? biformis, Soverby in De la Béche, Man. Conch., pag. 333, fig. 67 (non 65). Hermanni, Giimbel, Geogn. Besdireib. des Bayr. Al- peng., pag. 474. biformis, Reynés, Monog. des Amm., Lias, Atlas, PI. XXXIII, fig. 4-6. » Meneghini, Nota dei foss. rinv. daìl’Ing. Zaccagna in Lunigiana Atti d. Soc. Tose. d. Se. Nat. (Proc. verb.), Voi. Ili, pag. 220. Canavari, Contributo alia fauna del Lias inf. di Spezia. (Meni. d. R. Comit. Geol. d'Italia, Voi. Ili, pag. 67, Tav. Ili fig. 7-12 e 18). 1888 Pleuracanthites » 406 G. LEVI 1895 Fleuracanthites biformis Eucini, Fauna dei calcari bianchi cer. etc. (Atti d. Soc. Tose. d. Se. Nat., Voi. XIV, pag. 337). Posseggo di questa specie un solo esemplare di individuo giovane, per cui non riscontro in esso il carattere notato dal Waehner (*) di avere, cioè, gli adulti il dorso provvisto di carena. Del resto questo carattere non fu confermato dal Canavari nè dal Fucini per esemplari forse ancora imperfetti. Questa specie è stata trovata alla Spezia ed al M. Pisano ed è stata indicata in molti luoghi del Lias inferiore delle Alpi Nord-Orientali sotto il nome di Ammonitcs Hermanni Glimb. Ectocentrites Meiiegliiiiii E. Sism. 1851 Ammonites articulatus non Sow., Savi e Meneghini, Consid.s. (/eoi. strat. d. Toscana^ App. al Mur- chieon Meni. s. strutt. geol. d. Alpi, d. App. etc., p. 357, n. 25). 1888 Ectocentrites Meneghini Sism., Canavari, Contr. alla Fauna d. Lias inf. d. Spezia (Mem. d. R. Comit. Geol. d’Italia, Voi. IH, pag. 128, Tav. Ili, fig. 22-23 ; Tav. Vili, fig. 2). 1891 » » De Stefani, Le pieghe delle Alpi Apuane, pag. 28. Ho riferito il mio esemplare a questa specie perchè, come questa, ha la regione sifonale piana ed i fianchi poco convessi ed i tubercoli marginali assai sviluppati; però il numero delle coste nel giro esterno, a differenza dei giri interni, è assai mag- giore di quello che non sia wzW Ectocentrites Meneghina , e per tali caratteri si avvicina invece all’i?. Italicus Cam, onde non mi sembra improbabile l’opinione del Waehner che cioè non si tratti che di una sola specie. E stato trovato alla Spezia e nelle Alpi Apuane. C) Lettera al Canavari, in data 16 giugno 1887. FAUNA DEL LIAS INFERIORE DI CIMA 407 Lytoceras articulatum Sow. 1833 Amvioniies articulatus, Sowerby in De la Beche, Geol. Man., p. 407, fig. 63. 1884 Lytoceras articulatum, Parona, Sopra ale. foss. d. Lias inf. nelle Prealpi Bergamasche (Atti d. Soc. Ital. di Se. Nat., Voi. XXVII, pag. 4). 1886 » » Rothpletz, Geol. Pai. Monogr. der Wilser Al- pen etc. (Palaeontog. XXIII Bd., pag. 25. 1888 » » Canavari, Contributo alla fauna d. Lias inf. d. Spezia (Meni. d. R. Coni. geol. d’Italia, Voi. Ili, pag. 113, Tav. Ili, fig. 4-7; Tav. IX, fig. 8). Non ho che un solo esemplare allo stato di frammento; la spira crescente lentamente e l’andamento pianeggiante del dorso mi fanno escludere possa trattarsi del Lytoceras subbiforme Can. Trovasi alla Spezia, nelle prealpi bergamasche, nelle Alpi di Vils e dal Waelmer è stato trovato pure nelle Alpi Nord- Orientali. Lytoceras agnatum Can. 1882 Lytoceras agnatum, Canavari, Beitr. zur Fauna des unt. Lias non Spezia (Palaeontogr. XXIX Bd., III Lief., pag. 153 [31], Taf. XVII [III], fig. 19-20). 1895 » » Fucini, Fauna dei cale, bianchi cer. ecc. (Atti d. Soc. Tose. d. Se. Nat., Voi. XIV, p. 335). Questa, specie è abbondantissima trai miei fossili. Come osserva il Canavari, è molto vicina al Lytoceras Phillipsii Sow., dal quale, però, si distingue per rornamentazione differente, giacche mentre questo ha anfratti lisci, il Lyt. agnatum li ha attra- versati da numerose costoline. Il Canavari ne conta circa 14 ed io ne ho riscontrato un numero molto maggiore. È stato trovato alla Spezia e nel Monte Pisano. Lytoceras subbiforme Can. 1882 Lytoceras ? subbiforme Canavari, Beitr . zur Fauna des unt. Lias ecc. ecc., (Pai. ecc., pag. 157 [35] Taf. XVII [III], fig. 12). 408 1886? Lytoceras subbiforme G. LEVI Geyer, Ueb. die Liass. Ceph. des Hierlatz bei Haìlstatt, pag. 229. 1889 Lytoceras » De Stefani, Le pieghe delie Alpi Apuane ecc. pag. 28. 1*95 » » Fucini, Fauna dei cale, bianchi cer ., ecc. (Atti Soc. Tose. Se. Nat., Voi. XIV, pag. 335). Nel mio unico esemplare si nota bene raccrescimento rapido della conchiglia e la convessità maggiore nella regione dorsale che distinguono questa specie dal L. artìculatum Sow., ma non si scorgono i nodicini che furono notati negli esemplari della zona ad Angulati della Spezia ed in quelli del M. Pisano. Il Waehner unisce questa specie al Lyt. artìculatum Sow., ma il Canavari osserva che i caratteri differenziali sono tali che con- viene formarne due specie diverse. 11 Geyer dice di aver trovato questa specie negli strati di Hierlatz. Oltre che alla Spezia ed al M. Pisano, in Italia, è stata trovata dal De Stefani alla Pizza nelle alpi Apuane. Phylloceras lunense Mgh. 1867-81 Phylloceras lunense , Meneghini, Monog. des foss. du cale, rouge de Lombardie ecc., pag, 92. 1888 » » Canavari, Contr. alla fauna del Lias inf. d. Spezia , pag. 103, Tav. II, fig. 14. Posseggo di questa specie un solo piccolo esemplare. Come osserva il Canavari questa specie del Meneghini non va con- fusa col Fh. lunense De Stef. (‘) col quale non ha alcun rap- porto laddove presenta molta affinità con un’altra specie del De Stefani: il Fh. ancylonotus. Phylloceras cylindricum Sow. 1878 Ammonites cylindricus Soverby in De la Béche, Geol. Man., pag. 333, tig. 62. 1878 Phylloceras cylindricum Geininellaro, Sopra ale. faune giur. e liass., pag. 234, Tav. XXII, fig. 1-4. 0) De Stefani, lÀas inf, ad Arieti, ecc., pag. 67, Tav. Ili, fig. 1, 2. fausa dei, lias isfbkiore di cima 409 1884 Phylloc&ras cylindricum Parona, Sopra ale. foss. <1. Lias iti f. di Ca- renilo etc., pag. 4. 1886 » » De Stefani, Lias inf. ad Arieti ecc. (Atti Soc. Tose. Se. Nat., Voi. Vili, pag. 50). 1888 » » Canavari, Contr. allo studio d. fauna ecc. pag. 99, Tav. II, fig. 8-11. 1895 « « Fucini, Fauna d. cale, bianchi cer. ecc. (Atti Soc. Tose. Se. Nat , Voi. XIV, pag. 831, Tav. XIII, fig. 7). I miei esemplari, benché tutti di piccolissime dimensioni, somigliano strettamente a quelli tipici della Spezia. Questa specie era stata già notata all’Alpe di Corfino dal De Stefani (op. cit., pag. 50) ed è stata trovata inoltre alla Spezia, nel calcare spatico di Gerfalco in Toscana, a Carenilo, nel Bergamasco, nelle montagne di Casale e Beilampo in Sicilia e nel M. Pisano. Tengo a ripetere che non deve confondersi il Ph. cylindricum Sow. col Ph. convexum De Stef. (op. cit., pag. 49), giacche questo ne differisce per la maggiore convessità dei fianchi e, secondo quanto dice il Geyer ed anche il Fucini ('), anche per i lobi. A questo tipo credo dovrebbero riportarsi quelle specie della parte superiore del Lias inf. e della parte inferiore del Lias medio che furono riunite al Ph. cylindricum ; così fra gli altri il Ph. cylindricum Geyer non Sow., della fauna di Hierlatz. Rliacopliyllites apenninicus n. sp. Fig. 5, 6, 7. Conchiglia di piccole dimensioni, discoidale, compressa, in- voluta. I giri assai alti presentano il loro massimo spessore presso il contorno ombelicale, donde vanno restringendosi gradatamente verso la regione dorsale. I fianchi sono piani ed ornati da nume- rose costoline appena visibili, le quali, partendo dal contorno ombelicale con convessità all’indietro, giunte presso il terzo esterno si ripiegano con convessità opposta, scomparendo gra- datamente verso il dorso, descrivendo in tal guisa una curva (!) Fucini, Cefalopodi liasici del Monte di Cetona (Pai. It., voi. VII, 1901, pag, 21). 410 U. LEVI leggermente sigmoidale. Il dorso è arrotondato, liscio, privo di solchi e di carena. La linea lobale, per quanto è visibile offre gli stessi caratteri di quella dei Rhacophyllites. Fig. 5. Fig. 6. Fig. 7. fthaccpyllites apenninicus n. sp. (Grandezza naturale). Avevo dapprima confuso la mia specie cogli Psiloceras per l’analogia della forma e l’andamento delle coste, ma ho poi riconosciuto avere questo, per quanto sigmoidale in ambedue, curvatura inversa e riscontrato nei miei esemplari caratteri dei Rhacophyllites. E molto vicino al Rh. strila Sow., per la forma identica della conchiglia, ma ne differisce per gli ornamenti; giacche, mentre questo è affatto liscio, il mio è invece ornato di costi- cine, del resto appena visibili. [ms. pres. 10 agosto 1902 - ult. bozze 2 ottobre 1902]. SUL VULCANO LAZIALE Nota dell’ing. A. Verri. L’ing. Sabatini lia inviate al Presidente della Società geo- logica rettifiche relative alla mia Nota, inserita nel voi. XXI del Bollettino (fase. 1°, pag. xxxv). Letta dal Segretario, nel- l’adunanza del 9 settembre, la lettera del Sabatini, fu osser- vato dai Soci clic non potrebbe essere ammessa negli atti, non appartenendo egli alla Società. Allora fu deciso di rimetterla a me, perche la comprendessi in una comunicazione, se credessi opportuno pubblicarla nel Bollettino. La lettera è questa: 'Roma, 3 giugno 1303. Iìhno Sig. Presidente della Società Geologica, Mi rivolgo alla di Lei grande cortesia per pregarla di voler far inserire nel Boll, della Soc. Geol. la presente rettifica. Io ho detto che secondo il Col. Verri i Monti calcarei dei dintorni del Vulcano Laziale: « Se sont sonlevés aprés les érnptions qnaternaires des volcans ronmins ». Era sottinteso che io parlavo di « aprés les érnptions qua- » ternaires des tufs lithoi'des des volcans romains ». Difatti a pag. 52 della mia memoria Sul Vulcano laziale, (riga 1 4a dal basso) è scritto che il « — Col. Verri è obbligato ad ammettere che il sollevamento dei » Monti Lepini e dei Prenestini sia avvenuto dopo le eruzioni di que- » sti tufi ». Con ciò si vede clic il lettore poteva completare da sé la frase detta da me in fretta al Congresso di Parigi; ma che tale completamento non poteva corrispondere alla sostituzione di « pendant » al mio « aprés », senza produrre qualche equivoco. Con profondo ossequio di Lei devotissimo V. Sabatini. Gli appunti ebe feci all’articolo delFing. Sabatini furono due: di uno colla rettifica fatta è quistione finita; l’altro riguar- dava la frase se sont soulcvcs. Come si vede, il Sabatini racconta su tale proposito, di avere scritto nella pagina 52 della sua Memoria sul Vulcano Laziale clic il «... Col. Verri . . . è obbli- gato ad ammettere clic il sollevamento dei monti Lepini c dei Prenestini sia avvenuto dopo le eruzioni di questi tufi » (i gialli). Tale periodo ha due significati. Può esprimere essere di lui giudizio, che condurrebbero a conseguenze simili alcune delle 412 A. vi-: lì RI vedute da me esposte circa la genesi dei tufi gialli; può essere inteso nel senso che io stesso abbia formulata sì fatta ipotesi. Se egli vi attribuisce il primo significato, attendo clic lo dimostri per le risposte che saranno del caso. Se invece vi attribuisce il secondo, avverto subito clic non riproduce la mia idea, accen- nante soltanto a parziali mosse di corrugamento, delle quali ho {tarlato estesamente nella recente Memoria sulla Geografia fisica dell’Umbria. Difatti, stando alla lettera, non aveva scritto clic la depressione del bacino delle acque allude fu accompagnata dal sollevamento delle montagne di Tivoli-Palestrina, sì bene da sollevamento: espressione che limita l'estensione della mossa; diverse altre dichiarazioni sulla materia facevano inoltre cono- scere su questo punto il mio pensiero (Boll. Soc. geo}., voi. XII, pag. 40, riga 13 ecc.; pag. 51, riga 24 ecc. : pag. 65, riga 18 eco.; pag. 70, riga 1 ecc.; pag. 75, riga 26 eco.; pag. 579, riga 17 ecc.: pag. 585, riga 1 1 ecc.). La bibliografia è cosa molto delicata; più clic mai quando deve andare a corredo di pubblicazioni d’un Istituto, i cui studi e stampe sono eseguiti a spese dello Stato. Il critico intelligente e coscienzioso avverte le circostanze di tempo, e delle cogni- zioni preesistenti sull’oggetto trattato dal libro clic analizza; ricerca il pensiero dello scrittore nel complesso dell'opera; tiene conto delle evoluzioni di quel pensiero, e particolarmente delle sue ultime manifestazioni; si guarda dal porre in bocca all’au- tore opinioni, clic questi nemmeno abbia sognato di avere, tanto più se giudica erronee quelle opinioni; pone in rilievo le parti dello scritto nelle quali trova alcun pregio, tanto da assimilarle nella propria opera. Chiudo con queste idee, per mettere qualche nota meno arida in una polemica noiosa a base di rettifiche; e chiudo augurando all’ing. Sabatini risultati brillanti nelle ricerche, poiché gli abbon- dano per raggiungerli quei mezzi clic difettano a noi semplici dilettanti, attratti verso la scienza dal puro desiderio di com- prendere la natura delle cose: ma augurandogli altresì di evi- tare sviste, che mi sembra debbano nuocere alle pubblicazioni dell’Istituto cui appartiene. jras. pres. IH settembre 1902 - alt. bozze 1° ottobre 1902 1. AVVERTENZE PER I SOCI Dal contratto con la Tipografìa Cuggiani. Le pagine di corpo 8 in più di ’/5 di pagina per le note, e di una pagina di testo per ogni foglio di stampa, saranno pagate in ragione di una lira ciascuna. Le tabelle in più di una per ogni tre fogli di stampa, coste- ranno L. 1,55 per pagina. Ciascun foglio di composizione dovrà essere stampato nel ter- mine di tre mesi dalla consegna delle prime bozze, detratto il tempo in cui esse bozze rimarranno presso la tipografia per le varie correzioni ; trascorso il qual termine sarà corrisposto un compenso di L. 3,50 per mese e per foglio. I soci avranno una prima bozza in colonna, ed una seconda impaginata. Le correzioni straordinarie si pagheranno in ragione di una lira per pagina. Crii estratti per conto degli autori sono regolati dalla seguente tariffa : Per ogni 50 copie con copertina muta: per 1 foglio di stampa, L. 4; per y, foglio, L. 2; per V 4 di foglio, L. 1. Prezzo della copertina stampata, sino a 100 copie, L. 2,50. Dal Regolamento per le pubblicazioni. Art. 9° Se le memorie oltrepasseranno il numero dei fogli di stampa stabilito anno per anno dal Consiglio (4 f.) la spesa eccedente sarà tutta a carico dell’autore, anche per la parte relativa agii estratti concessi gratuitamente dalla Società. Art. 10° Sono a carico degli autori le spese in più per le pagine in corpo 8 e per le tabelle; così pure le spese straordinarie per correzioni maggiori del consueto, per cambiamenti o rifusione di paragrafi e per composizione annullata. Art. 17° Gli estratti che spettano agli autori avranno fron- tispizio e copertina stampata, se la memoria raggiungerà un foglio di stampa; altrimenti avranno copertina semplice. Art. 20° Gli estratti si spediscono in assegno. Per Tindice delle materie contenute nel presente fascicolo vedasi la seconda pagina della copertina. Nel 3° fascicolo (4° trimestre) sarà inserita la relazione del Congresso tenutosi a Spezia nello scorso settembre ; frattanto si partecipa il risultato delle elezioni: Vice-presidente pel 1903 Meli prof. Romolo con voti 91 Consiglieri pel triennio 1903-906 Parona prof. Carlo Fabrizio con voti Bassàni prof. Francesco » Gemmellaro prof. Gaetano Giorgio » De Stefani prof. Carlo » 131 129 98 88 Finito di stampare il 4 ottobre Il Bollettino della Società Geologica Italiana si stampa in fascicoli trimestrali. Il Presidente responsabile : Giovanni Capellini. Anno XXI. Fascicolo 3° (4° trimestre 1902), BOLLETTINO DELLA ITALIANA Voi. XXI — 1002 ROMA TIPOGRAFIA DELLA PACE DI F. CUGGIANT Via della Pace N. 86 1903 BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Volumi finora pubblicati. Voi. I. (1882) 2 fase. 260 pag. 4 tavole. » II. (1883) 3 » 314 » 6 » » III. (1884) 2 » 188 » 1 tavola. » IV. (1885) nn voi. 528 » 18 tav. e 3 carte geologiche a colori. » V. (1886) 3 fase. 516 ■» 11 » » VI. (1887) 4 » 570 » 18 » e una carta geologica a colori. » VII. (1888) 3 » 430 » 14 » » » » » » Vili. (1889) 3 » 600 » 3 » » » * » » IX. (1890) 3 » 826 » 25 » » » » » » X. (1891) 5 » 1023 » 21 » e 2 carte geologiche a colori. » XI. (1892) 3 » 702 » Il » » XII. (1893) 4 » 892 » 7 » » XIII. (1894) 3 » / 317 » 5 » » XIV. (1895) 2 » 324 » 7 » » XV. (1896) 5 » 802 » 17 » » XVI. (1897) 2 » 370 » 9 » » XVII. (1898) 3 » clii-275 pag., 4 tav. e una carta geol. a colori. » XVIII. (1899) 3 » lxxv -515 pag., 9 tav. e una carta geol. a colori. » XIX. (1900) 3 » cxl-752 pag., 1 1 tav. e una carta geol. a colori. » XX. (1901) 3 » CLXXXYJ- ■694 pag., 12 tav. e 3 carte geol. a colori. » » » 1 » Appendice. Prospetti ed indici relativi ai voi. I-XX (1882-1901), pag. iv-127 e tre tavole. » XXf. (1902) 3 » clxvi-584 pag. e 18 tavole. Per l’acquisto dirigere lettere e valori al Tesoriere Cav. Ing. Augusto Statuti , Via Nazionale III (palazzo Caprauiea del drillo). Roma. SE AL SOLLEVAMENTO ENDOGENO DI UNA CUPOLA LAVICA AL VESUVIO POSSA AVER CONTRIBUITO LA SOLIDIFICAZIONE DEL MAGMA Nota del prof. R. V. Matteucci “ Es ist nicht tlrunlich, den Vorgang bei derEruption der gewaltigen,ausSprtin- gen bervorgetretenen Decken von dem Vor- gange des Eindringeas der Laccolithen zu trenrea „. Suess, Das Antlitz der Erdc. La IL Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche di Napoli, nell’adunanza generale dell' 8 gennaio 1899, approvò alcune lusinghiere parole — forse di immeritato elogio — dette dal suo chiaro Segretario, prof. L. Pinto, a proposito di alcuni modesti miei lavori pubblicati nell’annata precedente (*). Gradiscano l’Accademia, ed in particolare il prof. Pinto, eh’ io esprima loro i sensi della mia più viva compiacenza per l’onore a cui sono stato fatto segno; e, nel tempo istesso, ch’io non tardi a chiarire maggiormente alcune mie vedute teoriche, giac- che è l’alta stimabilità della persona, che ha rilevato una omis- sione in uno dei suaccennati miei lavori, che mi consiglia a tor- nare brevemente sull’argomento. L’appunto che mi è stato mosso riguarda i criteri! che mi guidarono all’interpretazione di un interessantissimo fenomeno geologico offerto dal Vesuvio: del sollevamento endogeno di ima cupola lavica che io ho seguito e studiato col mio solito scru- polo e con quella cura che il significato del soggetto meritava. Il rapporto dice infatti: « Il Matteucci attribuisce questo solle- (') Pinto L., Rapporto sui lavori compiuti dalla R. Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche nell’anno 1898, letto nell’ adunanza gene- rale dell’ 8 gennaio 1899, Rend. dell’Acc. d. Se. Fis. e Mat., ser. 3a, voi. A . (Anno XXXVIII), fase. 1°, Napoli, gennaio 1899, pag. 7-9. 34 414 R. V. MATTEUCCI » vamento ad un aumento di pressione sproporzionato alle vie » di efflusso ed alla tendenza del magma fluido a raggiungere » l’equilibrio di livello; e, col non farne parola, esclude compie- » tamente ogni variazione di volume susseguente alla solidifica- » zione. In breve, egli attribuisce tutto il sollevamento che subì » la cupola e l’altro contemporaneo che subì il fondo del cra- » tere, allo estrinsecarsi o al trasformarsi in uno speciale lavoro » esterno, contro le masse sovrastanti, di una parte della enorme » energia latente che il magma ha nel periodo intratellurico, » quando cioè è tutto fluido, ha la temperatura di oltre 1000 gradi, » è sotto fortissima pressione ed è carico di sostanze gassose, » forse tutte allo stato di dissociazione ». In altre parole, fra le cause determinanti codesto sollevamento, io avrei trascurato di tener conto della variazione di volume dovuta alla solidifica- zione del magma. E l’omissione sarebbe grave, anzi gravissima, qualora fosse provato che la variazione di volume, che consegue il totale rapprendimento dei magma terrestri, consistesse nella espansione. Quantunque il sollevamento endogeno verificatosi al Vesuvio abbia formato oggetto di una pubblicazione di non lontana data, pure stimo necessario ripetere qui la descrizione ch’io allora ne feci e la spiegazione eli’ io credetti darne. Ecco le mie parole (') : « Il 3 luglio 1895, squarciandosi il cono vesuviano nel senso » N.W.-S.E., la fratturazione giunse all’esterno nel solo qua- » drante di N.W., dove si disegnò per mezzo di un sistema » abbastanza complicato di fenditure che, dal vertice, scesero » giù fino al piede del gran cono e si prolungarono ancora nel » piano inclinato sottostante, nella direzione dell’Osservatorio, » fino a 1050 m. da questo, ed anche più a Sud, verso l’iinboc- » calura del Fosso Grande. La lunghezza del sistema sinuoso di » fenditure fu di m. 1600, e la distanza delle più inoltrate lesioni, » dall’asse eruttivo, fu di circa 1500 metri. Le dette fenditure, » che io ritengo abbiano implicato la massa del monte in un (') Matteucci R. V., Sul sollevamento endogeno di una cupola lavica al Vesuvio. Remi. d. R. Accad. d. Scienze Fisiche e Matematiche di Na- poli, fase. 6° e 7°, giugno-luglio 1898 (Adunanza del di 14 maggio 1898), pag. 286-289 e 293-294. SOLLEVAMENTO ENDOGENO DI UNA CUPOLA LAVICA AL VESUVIO 415 » medesimo istante per tutta la loro lunghezza e profondità, die- » dero luogo a diverse manifestazioni esterne, che si seguirono » cronologicamente dall’alto al basso. Cosi, avutosi la mattina » del 3 luglio, alle ore 8, il primo sentore di una nuova eru- » zione, alle ore 13,15 si erano già aperte 11 bocche sul fianco » del cono (di cui, la più bassa, a ni. 925 s. 1. del mare), alcune » delle quali di esplosione, e le altre di efflusso. Il giorno 5 poi » si aprì una dodicesima bocca a 1300 m. ad Est dell’Osserva- » torio ed all’altezza di m. 750 s. 1. del mare, dalla quale è » sgorgato il magma per la durata di 19 mesi (cioè fino al 30 gen- » naie 1897), ammassandosi su se stesso e formando una collina » di 95 m. di altezza. La lava che aveva avuto un conti- » nuato alimento da questa bocca, fino a salire per 95 m. al » disopra di essa, e a formare la sommità della detta collina, » trovò in seguito, in tale penetrazione ascendente, un irnpedi- » mento maggiore di quello che le si offriva cambiando via e » prendendo quella di un’ altra fenditura più a monte. Questa » mi è sembrata la logica spiegazione del fatto che il 31 gen- » naie 1897 una 13* bocca di efflusso si è localizzata a in. 790 » s. 1. del mare, e cioè (si noti bene) 40 metri più alta che la » precedente del 5 luglio 1895. Nella primavera del 1897 resi » noto che da questa 13a bocca continuava a sgorgare abbon- » dante magma, il quale si allagava, crescendo ogni giorno più » in altezza, e colla tendenza ad ammassarsi anche sulla sud- » detta collina. Anzi allora aggiunsi che, siccome nel fianco N.W. » del gran cono sono rimaste sempre aperte molte fenditure, non » si poteva escludere che il fenomeno verificatosi il 31 gen- » naio 1897 potesse rinnovarsi in seguito ('). In questo senso » mi espressi anche dipoi (2), e con più ragione debbo tornare » a ripeterlo oggi (aprile 1898) che l’ammassamento della lava » è tale da offrire una maggiore opposizione al magma costretto » a penetrarlo per scaturirne dalla sommità. Le lave, alimentate (*) Matteucci R. V., L'apparato dinamico dell’ eruzione vesuviana del 3 luglio 1895. Read. d. R. Accad. d. Se. Fis. e Mat. di Napoli, fase. 4°, 1897. (*) Matteucci R. V., Relazione sulla escursione fatta al Vesuvio dalla Società Geologica Italiana il 19 febbraio 1898. Boll. d. Soc. Geol. Ital., voi. XVII, Roma, 1898, pag. xxxiv. 416 K- V. M ATTE UCCI » dalla ricordata 13a bocca, superarono in altitudine la suddetta » collina e cominciarono a riversarsi su di essa, aumentandone » di parecchi metri l’altezza. Per tal modo la cupola lavica andò » grado grado a svilupparsi in ogni senso, raggiungendo la elc- » vazione di m. 835 circa s. 1. del mare, ossia di 30 metri circa » sopra il livello della stazione inferiore della funicolare. Verso » la metà di febbraio 1898 però le aperture di sgorgo, sempre » alimentate dalla detta 13a bocca, si spostarono repentinamente » verso Est, e le lave colarono giù pel fianco orientale della » collina, piegando in parte anche a Sud e a Nord, cioè verso » la stazione della funicolare e verso il Monte Somma, cessando v completamente di ammassarsi sulla sommità della collina stessa. » Contuttociò questa, in un mese (dalla metà di febbraio alla metà » di marzo circa), crebbe ancora di una quindicina di metri; per- » modochè il suo punto più elevato raggiunge oggi (14 mag- » gio 1898) gli 850 metri s. 1. del mare Escluso, come ho » detto sopra, che la cupola abbia subito in quell’epoca un accre- » scimento per la sovrapposizione di nuovo materiale lavico, » non si può trovare altra spiegazione del fatto che ammettendo » un sollevamento per via endogena. Mentre la cupola lavica » veniva cosi lentamente sollevata, si avvertiva anche un innal- » za mento del fondo craterico. Il vasto cratere formatosi per » sprofondamento al principio dell’attuale eruzione (3 luglio 1895) » era rimasto fin’ allora della profondità su per giù stazionaria » di 200 m.; ma verso la metà di febbraio 1898 il suo fondo » erasi innalzato di oltre una cinquantina di metri e, fin verso » la metà del marzo successivo, la profondità del cratere si inan- » tenne di 140 m. circa. Dopodiché avvenne un nuovo sprofon- » damento. Il lento lavorìo di ricostruzione per cui le voragini » crateriche di sprofondamento a poco a poco si riempiono, a » spese di piccole correnti laviche ma, più che altro, di mate- » riale esplosivo, è troppo noto perchè io debba qui soffermar- » mici. Ho voluto solo farne cenno perchè, essendo questo il modo » in cui ordinariamente diminuisce la profondità dei crateri, ossia » per via esogena, desideravo, per contrapposto, richiamare l’at- » tenzione sul modo eccezionale di innalzamento del fondo cra- » terico avvenuto in quei mesi di febbraio c marzo, contempo- » rancamente al sollevamento della nuova cupola. Durante quel- SOLLEVAMENTO EN DOG lì NO DI UNA CUPOLA LAVICA AL VESUVIO 417 » l’epoca, al cratere non si notava che un’ attività esplosiva » estremamente debole ; per cui devesi assolutamente escludere » che il suo fondo si sia innalzato per accumulazione di mate- » riale frammentario — Resasi assai difficile la penetrazione del » magma attraverso la cupola, di cui esso doveva raggiungere » la sommità, per scaturirne fuori, la lava si rapprese superfi- » cialmente. In seguito a tale rapprendimento, ed alla conseguente » ostruzione dei meati di efflusso, il magma ancora diramantesi » nelle viscere della cupola sforzò la parte superiore di questa, » a tal segno da gonfiarla, mentre ne andava ad occupare il » vano che via via, continuando l’azione sollevatrice, tendeva » ad aumentare di capacità. L’effetto utile della spinta ascen- » sionale, di cui era dotato il magma, fu impiegato, in parte, » a sollevare la calotta consolidata sovrastante, a cui partecipò » un lento movimento che si rese manifesto mercè uno sposta- » mento inclinato della sua superfìcie, e in parte a far pene- » trare il magma stesso per un nuovo canale ed a farlo sgor- » gare all’esterno in nuove correnti ». Dopo aver parlato del sollevamento del fondo craterico, avve- nuto contemporaneamente a quello della cupola lavica, io di- ceva (') che la causa prima, comune a questi due fenomeni con- comitanti, era da ricercarsi in un aumento di attività, pel quale la portata del magma fluido subì un aumento sproporzionato alle vie di efflusso; infatti, resesi queste vie insufficienti, ed aumentando la pressione interna, questa doveva risolversi pel tramite del condotto centrale e di quello eccentrico, sotto forma di sollevamenti. Io dissi pure che, al sollevamento della cupola, una non piccola parte deve aver preso anche la tendenza spie- gata dal magma fluido a raggiungere l’equilibrio di livello; ed aggiunsi alcuni dati, dai quali risultava che le condizioni magma- statiche nell’ interno del vulcano erano tali che il dislivello tra la lava soggiornante nel cratere e quella sgorgante dalle bocche di efflusso, era di circa 200 metri, corrispondente ad un peso approssimativo oscillante fra i 14 ed i 25 milioni di chilogrammi. Aggiungendo, a questa pressione, lo sforzo dovuto ad un incre- mento di attività, pervenni alla interpretazione del fenomeno in (*) (*) Matteucci R. V., Sul sollevamento endogeno, ecc , pag. 297-298. 418 R. V. MATTE UCCI discorso; e conclusi: a) che i magma fluidi, fino all’ultimo mo- mento del loro periodo intratell urico, sono dotati di una certa spinta ascensionale dovuta soprattutto ai lenti e incessanti restrin- gimenti dello sferoide terrestre, ed esercitano una pressione sul suolo che ne ostacola il trabocco all' esterno; b) che i magma incandescenti sono indubitatamente sollecitati, nella loro salita, anche dagli aeriformi ad elevata tensione in essi ritenuti assor- biti tino oltre il primo momento del periodo extratellurico; c) che al risultato finale di un sollevamento può intervenire anche l’e- nergia acquisita dai magma per dato e fatto del dislivello fra il punto di deviazione della materia liquida dal condotto vul- canico ed il luogo di efflusso laterale: in una parola, per legge di magmastatica; d) che ai magma vulcanici, sia per causa delle contrazioni terrestri, sia per le loro condizioni fisico-chimiche, non si può disconoscere un’attività tutta propria ed una spe- ciale capacità di produrre spostamenti nelle masse che loro sovra- incombono. Da quanto ho detto, e in gran parte riportato dalla mia citata Memoria, chiaro trasparisce eh’ io non parlo e non ho par- lato affatto di un’altra causa — sia pure secondaria — che eventualmente possa aver influito sul sollevamento: della varia- zione di volume, cioè, a cui va soggetto il magma nel suo pas- saggio dallo stato liquido a quello solido. Io ho tralasciato di considerare la solidificazione del magma come una delle possi- bili cause determinanti un sollevamento endogeno perchè, se- condo quanto io ritengo, non avrei potuto addurla quale argo- mento onde spiegare il fenomeno del sollevamento stesso. Parlai implicitamente, è vero, di rigonfiamenti a cui vanno soggette le correnti laviche già rapprese alla superficie, per dato e fatto della presenza di un magma attivo sottofluente o sottostagnante, attribuendo a questi le stesse cause che ho attribuite al solle- vamento della cupola e del fondo craterico; e dissi per di piò come le correnti laviche, in gran parte consolidate, si fendano anche longitudinalmente, facendo però notare che, in questo se- condo caso, le squarciature dipendono da tutt’ altra causa, ben diversa da quelle che producono i rigonfiamenti e le squarcia- ture in sistema stellato. Io mi espressi così: È un fatto comu- nemente conosciuto che potenti correnti laviche, dopo aver subita SOLLEVAMENTO ENDOGENO DI UNA CUPOLA LAVICA AL VESUVIO 419 una superficiale consolidazione — che può raggiungere anche parecchi metri di spessore — si squarciano. Alle volte questi squarci sono lineari e seguono su per giù l’andamento delle cor- renti. Altre volte essi sono assai più complicati: si partono da un punto, dirigendosi in senso radiale, formando un sistema di crepacci grossolanamente stellato. Grli squarci del primo tipo dipendono per solito dal solo rapprendimento delle correnti; quelli del secondo tipo invece — preceduti, accompagnati e se- guiti da più o meno significanti sollevamenti — sono in diretta connessione con la spinta esercitata dal magma fluido sottosta- gnante o sottofluente; e si originano in quei punti dove le co- late, di già rapprese alla superficie, ricevono nuovo alimento di lava dal disotto. Agli squarci di questo secondo tipo, e pel loro tramite, succede immediatamente la penetrazione di nuovo magma che dà luogo a nuovi rigurgiti ('). Con ciò volli significare che solo le squarciature longitudi- nali possono ripetere la loro origine dalla variazione di volume, dipendente dal cambiamento di stato fisico, del magma; e venni cosi implicitamente ad accennare alla contrazione del magma quale conseguenza immediata del suo rapprendimento. Certo che, siccome ivi era sottintesa l’idea che le fenditure longitudinali delle correnti laviche avvengono previo restringimento della massa, sarebbe stato forse opportuno l’addurre fenomeni consi- mili: del ritiro e rottura che subiscono, nel disseccarsi, l’argilla umida e tante altre materie allo stato gommoide, vetroso o pla- stico; dello scricchiolìo che si ode nella scoria fluida estratta dai forni metallurgici, fino alla sua completa solidificazione; ecc. Assai spesso nelle colate a superficie unita del Vesuvio ed anche in quelle pressoché simili del 1651 e del 1669 all’Etna, ad esempio, mi sono imbattuto in certe limitate plaghe che mo- stravano segni manifesti di accasciamento, e innanzi alle quali non sono potuto rimanere in forse sulla loro genesi. Si imma- gini che in una vasta cavità, lasciata da precedenti lave, ven- gano a riversarsi le successive fino a colmarla, e che la lava, nuova arrivata, prenda poi subito un’altra via. Si immagini an- cora che il magma, ammassatosi entro quel gigantesco recipiente, (l) Matteucci R. V., Sul sollevamento endogeno , ecc., pag. 292. 420 R. V. MATTEUCCI abbandonato a sé, e consolidatosi già alla superficie, si raffreddi e consolidi lentamente pure nelle parti profonde. Che cosa av- verrà se la solidificazione è accompagnata da restringimento? evidentemente, ciò che io ho notato sempre in Simili casi: abbas- samento della superficie. Lievemente diverso da questo dovette essere il fenomeno avvertito dallo Scacchi nell’eruzione vesu- viana del 1850, e cioè che «nelle tante crepature per le quali i torrenti di lava si son fatta strada all’aperto, invece di for- marsi il benché minimo sollevamento di suolo, si sono, in alcune di esse, osservati notevoli sprofondamenti » (1). Dunque io, non solo trascuro di enumerare la consolidazione del magma fra le possibili cause che determinarono il solleva- mento endogeno della cupola lavica, ma la cito invece, per di più, come causa che influisce sul fendersi longitudinalmente di certe correnti, ossia su fenomeni di natura differente. Per cui l’omissione, per le considerazioni da me stesso suggerite, aumen- terebbe di entità. Senonchè la questione, nei termini in cui va a risolversi, panni non avrebbe più luogo d’esistere, per la sem- plice ragione che i magma vulcanici, nel passare dallo stato fluido a quello solido, invece di aumentare, credo che diminui- scano di volume. Ed io evidentemente, persuaso di ciò, non po- teva prendere in esame questa proprietà, e tanto meno valer- mene, (piando si trattava di spiegare un fenomeno che, per veri- ficarsi, dovrebbe ammettere nei magma vulcanici proprietà per- fettamente contrarie a quelle che in realtà essi forse posseg- gono. L’aumento di volume, che corrisponde alla diminuzione di densità, importerebbe senza dubbio — qualora esso si verificasse nelle masse laviche in via di consolidazione — un innalzamento nella loro parte superficiale già rappresa; ma, se le masse che si consolidano aumentano invece di densità, e quindi diminui- scono di volume, le loro parti superficiali — qualora non en- trino in giuoco altre cause, come un incremento di attività o (J) Scacchi A., Incendio vesuviano dell’ anno 1850. Tn: Guarini G., Palmieri L. e Scacchi A., Memoria sullo incendio vesuviano del mese di maggio 1855, preceduta dalla relazione dell’altro incendio del 1850. Na- poli, 1855, pag. 27. SOLLEVAMENTO ENDOGENO DI UNA CUPOLA LAVICA AL VESUVIO 421 un aumento di energia espansiva dipendente da un aumento di dislivello — anziché ad innalzarsi, tendono ad abbassarsi. Relativamente alla densità delle lave fuse sono state fatte osservazioni da diverse autorità scientifiche ; fra le quali ram- mento il Mecatti e lo Spallanzani, dai quali si accennò al fatto che blocchi di lava solida non affondano in quella liquida. 11 Palmieri assegnò di poi alla lava liquida un peso specifico nien- temeno che doppio di quello della lava solida, ossia uguale a 5, basandosi anch’egli sul galleggiamento di lave solide su lave liquide. Johnston-Lavis, all’ incontro, si mostrò d’avviso che la lava solida è più densa di quella liquida. E non parrà strano che questi due ultimi autori, in brevi anni d’intervallo, seguendo lo stesso metodo di ricerca, e sperimentando sul medesimo magma vesuviano, siano pervenuti a risultati perfettamente contraddi- torii, qualora si accetti che il suaccennato galleggiamento fu erroneamente attribuito a differenza di pesi specifici. Io, per parte mia, ho una prova da addurre in favore della mia tèsi, che la densità dei magma vulcanici è minore di quella delle corrispondenti rocce solide, che cioè la loro solidificazione è accompagnata da condensazione: questa prova è data da al- cuni espressivi esemplari che io posseggo di leucitite del Monte Somma. Quivi, fra i tanti elementi cristallini di piccole dimen sioni, sono alcune grandissime segregazioni leucitiche perfetta- mente isolate e terminate in tutte le loro parti; le cavità, con cui peraltro non combaciano più, sono dei cristalli negativi altrettanto perfetti ; e lo spazio interposto fra queste grandi leu- citi e la massa fondamentale non può essersi originato che pel restringimento subito dalla detta massa fondamentale nell’atto della sua consolidazione. In ogni modo, con quel poco che si è scritto e meno spe- rimentato su questo argomento, non si può certo considerare la questione come definitivamente risolta. Però le esperienze ini- ziate da Bischof, Ch. Sainte-Claire Deville, Delesse, Nasmyth e Carpenter, e le idee espresse dal Mallet, dallo Scacchi, dal Reyer e dallo Zirkel possono costituire già un ben solido ter- reno su cui basare una teoria. Io ritengo che si possa già asse- gnare fondatamente alle lave solide una densità maggiore che 122 K. V. MATTEUCCI il quelle liquide ('); mentre non nego che la teoria, per assur- gere a legge, esigerebbe una ulteriore e seria conferma speri- mentale (*). Da quanto ho esposto, e per quello che si sa fino ad oggi sulla densità dei magma fluidi, mi credo autorizzato di poter ritenere che il passaggio dallo stato liquido allo stato solido del magma non può avere partecipato al sollevamento endogeno della cupola lavica al Vesuvio, e tanto meno poi a quello del fondo craterico dove, evidentemente, il magma non ha subito alcuna solidificazione; non solo, ma, all’incontro, la consolida- zione del magma che ha dato luogo alla laccolite in seno alla nuova collina potrebbe aver esercitato, se mai, sulla calotta della cupola, un’azione tutt’aftatto negativa, riducendo forse parzial- (*) Un accenno al più basso peso specifico della lava fusa lo feci già allorché, discutendo le cause che produssero il sollevamento endo- geno, dissi che esso era in gran parte dovuto al dislivello del magma nel vaso comunicante fra il camino vulcanico e le aperture di sgorgo, ed assegnai allora al magma fuso — tanto per fissare un termine per un calcolo approssimativo — la densità di 2.50. Dissi, é vero, che questa cifra fu scelta arbitrariamente; ma, siccome le lave vesuviane solide hanno un peso specifico oscillante entro i limiti di 2.65 e 2.90, cosi io ho voluto rappresentare con 2.50 non esattamente la densità (che non conosco) della lava fusa, ma solo sottintendere che il suo peso specifico è minore di quello che esso acquista in seguito a totale rapprendimento ( Sul sollevamento endogeno, ecc., pag. 296). (2) Indagini di questa natura rientrano nel vasto campo della tìsica dei magma fluidi, nel quale io ho già fatto qualche cosa, sperimentando e pubblicando una prima Nota Sull’arresto artificiale della cristallizza- zione nella massa fondamentale (Rend. d. R. Accad. d. Se. Fis. e Mat. di Napoli, fase. 6° e 7°, giugno-luglio 1898). Questo, della fisica delle lave fluenti, è un argomento esteso, di somma importanza, ed attraen- tissimo. Io ora non faccio che ripetere di volermene occupare, spe- rimentando sulle correnti laviche, prima, e ripetendo poi le ricerche in laboratorio. Colgo anzi l’occasione per render noto anche alla nostra Società Geologica che, in seguito a mia domanda, validamente appog- giata dal signor Direttore deH’Istituto Geologico e dal signor Rettore di questa Università, i Ministeri della Guerra e della Marina mi hanno accordato di intraprendere esperienze sulla fusione delle lave, ecc., nelle officine di questa città, da loro dipendenti. Ed all’officina di artiglieria, usufruendo dei forni fusorii, e ponendomi nelle stesse condizioni in cui opera la natura, ho già riprodotto delle piccole correnti laviche che sono riuscite assai eleganti ed istruttive. SOLLEVA MENTO ENDOGENO DI UNA CUPOLA LAVICA AL VESUVIO 428 mente l’eftetto utile prodotto dal magma per la propria energia originaria di espandimento, e per la statica a cui obbedisce. Fin qui, la discussione serena e proficua che è stata pro- vocata da quel dotto che è il prof. L. Pinto, e il cui frutto è sempre un contributo positivo e reale al progredire delle scienze. A lui, quindi, i miei migliori ringraziamenti. Ora mi assumo l’ingrato compito di difendermi dagli attacchi mossimi dal prof. Mercalli. 11 sollevamento endogeno di una cupola lavica, di cui io continuo a discutere tranquillamente le cause determinanti, feno- meno di somma importanza geologica e a cui nessuno nega un alto significato, come ad uno dei capisaldi per la filosofia del vulcanismo e dell’orogenia in genere, è stato messo in dubbio dal detto sig. Mercalli ('), che non se ne accorse (?). Mentre la cupola lavica formatasi al piede dei Cono Vesu- viano si sollevava lentamente, sollecitata da una spinta interna, la stessa spinta si esercitava dal basso all’alto anche sul fondo del cratere terminale, il cui condotto comunicava direttamente con le viscere della cupola. Ma il sig. Mercalli non dà peso a tutto ciò, e non se ne occupa. Eccomi dunque ora a distruggere, punto per punto, tutte le sue gratuite asserzioni che tenderebbero a cancellare una delle più belle pagine della storia del Vesuvio. La mia Nota Sul sollevamento endogeno di una cupola la- vica al Vesuvio , datata aprile 1898, fu presentata alla R. Ac- cademia delle Scienze Fisiche e Matematiche di Napoli nell’a- dunanza del 14 maggio successivo, e. dopo pochi giorni, era pub- (') Mercalli G., Notizie vesuviane (anno 1899). Boll. d. Soc. Sism. Ital., voi. VI, n° 1, pag. 28-30. (-) Mercalli G., Notizie vesuviane (gennaio- giugno 1898), Boll. d. Soc- Sism. Ital., voi. VI, n° 6, Modena, 1898. — Se qualcuno avesse vaghezza di leggere le notizie di febbraio e marzo, con le rispettive note, vedrebbe che, fra le osservazioni dell'epoca, nessun accenno egli fa a codesto sol- levamento. 424 R. V. MATTEUCd blicata. 11 sig. Merealli abita a Napoli al pari di me, ed anzi allora, e dopo d’allora, mi vedeva assai spesso; ma ha evitato di entrare meco in discussione sull’argomento. Che avesse egli divisato fin d'allora di valersi del soggetto per le sue comu- nicazioni periodiche? Questo egli non dice; ma certo è che, dopo due anni circa, datate febbraio 11)00, comparvero le sue Notizie vesuviane per Vanno 1890 , dove, per amor del vero, le due più belle pagine sono riserbate al più bel fenomeno ch’egli non abbia mai visto, al sollevamento endogeno della nostra cupola lavica, trattandolo però, s’intende, come un sup- posto sollevamento (*). In fondo: fu una notizia vesuviana nega- tiva destinata ad elidere quella positiva da me data due anni prima. Egli infatti scrive: « io non ritengo sufficientemente dimo- » strato quanto asserisce il dott. Matteucci che tra il 15 feb- » braio e il 15 marzo 1898 la cupola lavica in discorso sia » aumentata di 15 metri di altezza per sollevamento endogeno. » Infatti il dott. Matteucci afferma che dopo il 15 febbraio 1898 » le aperture di sgorgo si spostarono verso Est e le lave cessarono » di ammassarsi sulla sommità della collina, e contuttociò questa » in un mese crebbe ancora di una quindicina di metri. Ora, » dalle mie osservazioni giornaliere che facevo in quell’epoca da » Napoli, mi risulta, invece, che durante la seconda metà di » febbraio le lave fluivano anche sul fianco occidentale della » cupola lavica provenendo dalla sua cima » e, a provarlo, ripro- duce uno schizzo da lui fatto da Napoli il 22 febbraio. Innanzitutto ho da osservare che io ho detto essersi verifi- cato il fenomeno dalla metà di febbraio alla metà di marzo circa e non dal 15 al 15. Nella metà del mese circa possono rientrare anche i giorni che corrono dal 10 al 14, oppure dal lt> al 20, a me sembra. Il Vesuvio non mi teneva al corrente di ciò clic intendeva fare, e (]uindi io non fui lì a sorprenderlo nei due istanti in cui il lento innalzamento ha avuto principio e, termine. In secondo luogo si noti che mentre io seguilo il fenomeno sul posto e, recandomi all’uopo spessissimo anche sulla (’) Merealli G., Notizie vesuviane (anno 1899). Boll. d. Soe. Sism. I tal., voi. VI, n° 1, pag. 28-30. SOLLE vr AMENTO ENDOGENO DI UNA CUPOLA LAVICA AL VESUVIO 425 sommità della cupola dove non vidi mai, cogli occhi miei , sgorghi di lava, il sig. Mercalli faceva le osservazioni da Napoli, e da Napoli vedeva ciò che lassù non avveniva, e da Napoli faceva ila se gli schizzi che poi dovevano provare che io mi ingan- navo! Del resto, dalle sue stesse Notizie vesuviane pel gennaio- giugno IH 08 risulta che egli non si è recato al Vesuvio dal 23 gennaio al 14 marzo di quell'anno. Poi continua: « si aggiunga che nel giorno 19 dello stesso » mese di febbraio una potente colata ha invaso la rotabile » Cook ricuoprendola per 214 metri di sviluppo; il che non » avrebbe potuto avvenire se le aperture di sgorgo fossero state » tutte ad oriente della collina, e al disotto della sua cima » come afferma il dott. Matteucci, poiché la parte della strada » distrutta dalla lava si trovava a Sud-Ovest della collina ». Il sig. Mercalli si inganna. Le lave che interruppero il tran- sito nella rotabile che mena dall’Osservatorio alla stazione in- teriore della funicolare Cook non effluirono affatto quel 19 feb- braio ma nei giorni precedenti. Quel 19 febbraio 1898 i Colle- glli della nostra Società Geologica che io ebbi il piacere di accompagnare, per cortese invito del nostro Presidente, videro bensì insieme a me alcune piccole correlitene di lava che scen- devano lentamente verso Ovest, ma nè io nè loro vedemmo potenti colate in movimento. Nella relazione di quella gita scrissi ('): « Durante questa eruzione (principiata il 1 895), codesta strada Cook » è stata ricostruita quattro volte, e sempre le lave la riguada- » gnarono e la ricopersero. Richiesto io in questi ultimi tempi » sull’opportunità di rifarla, espressi il mio modesto parere e ne » sconsigliai la costruzione, almeno fintanto che le lave avessero » perdurato ad affluire da quel lato. Io non posai ad indovino ; » ma volle il caso che, proprio in questi ultimi giorni (e le mie » parole si riferivano al giorno della gita, al 19 febbraio), rico- » strnita che fu la strada, una corrente lavica con un fronte di » una novantina di metri la ricoperse in parte in una nottata». Tuttavia, qualche piccola corrente esisteva da quelle parti, e cosi « si ebbe l’opportunità di vedere le lave fluenti. Alcuni dei » socii si fermarono al fronte della corrente ; altri vollero seguirmi C) Matteucci R. V., Relazione sulla escursione , ecc., pag. xxxm. 426 li. V. MATTKUCCJ » fin dove questa, incassata nei suoi argini, aveva una velocità » di circa un metro al minuto primo. La corrente era earatte- » risticamente scoriacea, sicché solo qua e là, al disotto dei rot- » tami e delle scorie superficiali, si presentava il magma incan- » descente e scorrevole » (’). Vuoisi considerare inoltre : 1° che non si videro le boccile di efflusso perchè erano già in via di inoltrata ostruzione ; 2° che le dette correntelle possono benissimo aver continuato a scen- dere lentamente nei giorni successivi, ma io non me ne occupai poi più perchè erano addirittura insignificanti e molto lontane dalla cima della cupola, e quindi topograficamente e geognosti- camente estranee alla regione implicata dal sollevamento in pa- rola. Il sig. Mercalli non prese parte alla escursione, quindi non vide quello che vedemmo noi. Ecco come si spiega che egli in quel giorno 19 febbraio 1898 fa invadere la rotabile Cook per uno sviluppo di 214 metri, mentre noi tutti ci recammo dal- l’Osservatorio alla stazione della funicolare passando bellamente a piedi per viottoli fatti su lave già rapprese. « Del resto, aggiunge il sig. Mercalli, io capisco il solle- » vamento di una cupola lavica, per effetto dell’azione espansiva » del magma (sic), quando la cupola stessa sia chiusa da ogni » parte, come avvenne a Santorino nei primi giorni dell’eru- » zione del 1866; ma non so spiegarmi come il fenomeno po- » tesse avvenire al Vesuvio, nel febbraio-marzo 1898, mentre la » lava fluiva abbondantemente all’esterno non solo da una, ma » da più parti della cupola lavica ». Certo, Stiibel, Fouqué ed altri rimarranno edificati dalla confessione che fa il sig. Mer- calli, di capire quanto avvenne a Santorino nel 1866; ma si potrebbe domandargli se egli vide eoi proprii occhi che la invo- cata cupola (?) della Nea Kaimeni era chiusa da ogni parte, o se non credesse invece più logico di accettare che un solle- vamento endogeno possa benissimo aver luogo ogniqualvolta le aperture di sgorgo non esistono o, pur esistendo, sono insuf- ficienti alla fuoruscita del magma? E, entrando in quest’ordine di idee, non ammetterebbe egli che una calotta di lava già solida possa essere sollevata (come infatti avvenne al Vesuvio) quand’an- (') Matteucci R. V., Relazione sulla escursione, ecc., jtag. xxxvi. SOLLEVAMENTO ENDOGENO DI UNA CUPOLA LAVICA AL VESUVIO 427 che qualche meato, relativamente troppo angusto, permetta una insignificante penetrazione del magma fluido sottostante? E vor- rebbe egli accordarmi ch’io pensassi con ragione che, ad esem- pio, al disotto del vecchio cratere della Solfatara di Pozzuoli esiste un quid paragonabilissimo ad una laccolite che rimonta all’epoca dell’ultima eruzione ivi avvenuta, malgrado che, pre- sumibilmente allora, come oggi del resto, siano rimaste aperte delle comunicazioni, siano pur ristrette, coll’esterno? Ma ecco che al sig. Mercalli non pare che si possa para- gonare alle laccoliti l’ammasso magmatico che diede luogo al sollevamento. Egli sa che eos’è una laccolite o batolite che dir si voglia, e saprà anche ridurre a questo termine geologico quasi tutti, se non tutti, i massivi granitici, dioritici, gabbrici, ecc., dai quali si dipartono ben numerose apofìsi coeve di corrispon- denti membri petrografici filoniani che non raramente fanno anche capo ad efflussi di corrispondenti membri petrografici di trabocco. Quando mai ha dunque egli trovato menzionato che tutte le forme laecolitiche del Colorado, delle Henry Mountains o di altrove si siano costituite in ambienti ermeticamente chiusi? E non sa egli dunque che dalle laccoliti si diramano apotisi di rocce filoniane, nonché divagazioni di rocce metamorfosate per processi pneumato litici; cose tutte, che provano all’evidenza un qualche sfogo — però insufficiente — durante l’intrusione magmatica? * * * Fin qui la pubblicazione del signor Mercalli, datata feb- braio 1000, alla quale risposi nel modo seguente : « Il solleva- » mento endogeno di una cupola lavica, checche ne dica l’egre- » gio prof. Mercalli, è realmente avvenuto nei mesi di febbraio- » marzo 1898. Egli non se n’è accorto e dichiara di non saperselo » spiegare; ma ciò non è sufficiente per ritenere ch’io sono caduto » in un equivoco, nè toglie affatto importanza al superbo feno- » meno. Io l’ho avvertito, l’ho studiato, l’ho descritto e l’ho » discusso; e ciò è sufficiente per la scienza. Se il sig. Mer- » calli, in due anni di tempo, avesse creduto più utile di entrare 428 R. V. MATTE UCCI » meco in discussione verbale sul solo modo cV interpretarlo, non » lo avrebbe certo considerato come un supposto sollevamento » (1). Dopodiché credetti che egli si fosse persuaso che io non ero adatto disposto a cedere alle sue asserzioni nè ai suoi schizzi presi da Napoli. Ma il sig. Mercalli che, ripeto, abita a Napoli al pari di me, ha sfuggito ogni occasione di intavolare meco una discussione sull’argomento. Questa volta non si può rima- nere in forse : egli ha voluto valersi di nuovo del soggetto per le sue comunicazioni periodiche. E, dopo altri due anni (7 aprile 1902), ha presentato alla Società nostra una Nota sul modo di for- mazione di una cupola lavica vesuviana (5), come se egli vera- mente vi avesse assistito, e come se il vero modo di formazione di questa cupola non si fosse conosciuto già, per mezzo mio, quattro anni prima. * * * Comunque sia, vediamo in quale campo di idee nuove egli ci trasporta. Comincia col dirci : « io seguii per quattro anni, con osser- » vazioni quasi giornaliere, riportate in mie precedenti pubbli- » cazioni (:i), il primo apparire, e tutte le successive fasi d’ac- » crescimento di questo nuovo colle. Ma i signori W. Branco ed » E. Fraas, travisando completamente i fatti, in una recente » pubblicazione (4), riferiscono questo fenomeno vesuviano in » appoggio all’antica teoria dei crateri di sollevamento, che essi » tentano, non so con quale vantaggio della scienza, di far risor- » gere. Infatti, nell’opera citata, a pag. 30, scrivono: « Matteucci » hat uns die allmàhliche Entstehung einer grossen allmàhlich » bis zu 163"1 Hohe emporgepressten Kuppel geschildert, welclie C) Matteucci R. V., Sul periodo di forte attività esplosiva offerto nei mesi di aprile-maggio 1900 dal Vesuvio. Boll. d. Soc. Sism. Ital., voi. VI, n° 9, pag. 279 (pag. 77 dell’estratto), nota. (2) Mercalli G., Sul modo di formazione di una cupola lavica vesu - viana. Boll. d. Soc. Geol. Ital., voi. XXI (1902), fase. 1, pag. 197-210. (:ì) Mercalli G., Notizie vesuviane per gli anni 1895-99. Boll. d. Soc. Sism. Ital., voi.' II-VI. (') Branco W. und Fraas E., T)as vul Vani sche Bies bei Nòrdlingen in seiner Bedeutnng fùr Fragen der allgemeinen Geologie, Berlin, 1901. SOLLEVAMENTO ENDOGENO DI UNA CUPOLA LAVICA AL VESUVIO 429 » am Vesuv im Atrio del Cavallo von 1895-1899 sicli bildete. » Er filhrt ilire Entstehung zuriick auf den Druck, welchen die » von unteli ber eingepresste Lava auf die bereits erkaltete Lava » ausUbte, dieselbe kuppelformig hochpressend, in der Art eines » Erhebungskraters L. von Buch’s ». I napoletani, leggendo que- » ste parole dei due professori tedeschi, crederanno d’aver sognato, » quando, dal 1895 al 1899, nelle belle notti estive, andavano » in piazza Municipio per ammirare l’incandescenza delle lave » sovrapponentisi, senza posa, le ime sulle altre; ovvero ride- » ranno di cuore delle elucubrazioni degli scienziati, i quali, » pur di sostenere una teoria, negano un fatto da tutti veduto » coi proprii occhi per 50 mesi interi e continui. Anzitutto osservo » che il dott. Matteucci non ha mai asserito quanto gli fanno » dire i signori Branco e Fraas, poiché egli ritiene, come me, » che la cupola lavica 1895-99 per i 9/io della sua altezza, si » è formata per accumulamento esterno; solamente afferma che, » tra la metà di febbraio e la metà di marzo 1898, la detta » cupola aumentò di 15 metri di altezza per sollevamento endo- » geno. Ma, secondo me, anche questo parziale sollevamento non » si verificò; e già, in altro lavoro (*) ho dato le ragioni di » questo mio convincimento. Ma credo necessario esporle qui » con maggiori dettagli; poiché niente è più dannoso alla scienza » che l’edificare teorie sopra fatti non bene accertati e, in questo » caso, del tutto inesistenti ». Intanto, per osservazioni quasi giornaliere il sig. Mercalli vuol intendere quelle fatte da Napoli, giacché, come si è veduto sopra, per lo meno dal 23 gennaio al 14 marzo 1898 egli non é andato al Vesuvio, quando io mi ci recavo spessissimo. Infatti nel mese in cui é avvenuto il nostro sollevamento io non l’ho mai incontrato nè nei pressi dell’Osservatorio, nè lungo la rota- bile Cook, nè alla funicolare, nè sulla cima della cupola, nè al cratere! È così, alla distanza di 13 o 14 chilometri (tanto dista, in linea retta, Napoli dal luogo dove sorge la collina), ch’egli ha seguito tutte le fasi d’accrescimento della cupola, e che ha fatto lo schizzo dove si vedono tre correnti laviche dia scen- dono dalla cima, lungo il fianco occidentale della collina. Per (') Mercalli G., Notizie vesuviane (1899). 35 430 R. V. MATTKUCCI quanto ovvio, a questo proposito giova notare come, a quella distanza, alcuni chiarori allineati, visibili di notte, possono sempre e da chiunque esser ritenuti prodotti da lave fluenti mentre bene spesso non sono che serie di punti luminosi localizzati ed anche spostantisi su correnti laviche già ferme e purtuttavia incan- descenti, specie se le lave sono - come quelle di quell’epoca - molto scoriacee, i cui rottami scendono qua e là, lasciando sco- perte le sottostanti plaghe infuocate, hi ciò, se gli schizzi a di- stanza si prendono di notte. Che, se poi si prendono di giorno, allora sono gli aeriformi esalantisi dalle lave anche non più fluenti che possono trarre facilmente in errore chi le guarda da lungi; giacché si sa che le lave scoriacee sono molto cariche di gas i quali continuano ad estrinsecarsene fino all' ultimo stadio del passaggio da magma a roccia consolidata e fredda. A tal proposito devesi anche riflettere che la bassa temperatura del - Fatmosfera nei mesi di febbraio e marzo contribuisce non poco a rendere più appariscente lo sviluppo degli aeriformi, aumen- tando la condensazione del vapor d’acqua ecc., senza che per questo sia necessario lo scorrere della lava. Poi, dopo d’avere studiato certo attentamente tutta quanta l’opera di Branco e Fraas, che io, e molti con me, rispettiamo e veneriamo come nostri maestri, si duole cli’essi abbiano ad- dotto il sollevamento endogeno della cupola vesuviana a soste- gno delle loro profonde riflessioni, e tralascia forse involonta- riamente di riportare le altre loro parole (’): « Zum ersten Male, » sagt Matteucci, ist liier die Bildung eines solchen Erhebungs- » kraters kleinsten Massstabes in seinem Entstehen beobachtet » worden ». L’errore o, meglio, la svista che i due autori tede- schi hanno commesso basandosi sull’altezza totale della cupola quando invece avrebbero dovuto addurre il sollevamento avve- nuto per una sola quindicina di metri, riferendosi alla mia Nota inserita nei Comptcs rrndus de l’Académie de Franco, non è di alcuna entità; giacche essi, a sostegno delle loro idee sul Kies vulcanico di Nòrdlingen, hanno inteso di citare solo un cono di sollevamento che fosse stato osservato durante il suo formarsi. Essi non han fatto che basarsi sulle mie parole: « c’est la pre- (') Branco W. und Frass E., ì. c. SOLLEVAMENTO ENDOGENO DI UNA CUPOLA LAVICA AL VESUVIO 431 » miòre f ois que la naissance d’un accident de ce genre est » «prise sur le fait, et, s’il n’en résulte pas que l’on doive revenir »à l’ancienne théorie des cratères de soulèvement, cela prouve » que tout n’était pas faux dans cette coneeption » (1). Branco e Praas, secondo lui, hanno travisato i fatti: forse perchè hanno parlato di ciò che il Vesuvio a ine ha svelato e a lui ha celato? Che colpa hanno loro in tutto ciò? e con qual diritto il signor Mercalli fa loro rider dietro dai napoletani? A pag. 198-199 della sua Nota Sul modo di forma- zione ecc., per dimostrare che le lave indurite non possono sollevarsi per via endogena, il sig. Mercalli cita la frattura- zione del suolo osservata da diverse persone la mattina del 5 lu- glio 1895, quando si stabilirono le prime bocche d’efflusso al piede del Gran Cono, e dice che questo « fatto dimostra che le » lave vecchie, sotto la pressione interna del magma, che for- » zava l’uscita, dopo prolungati tremiti, si erano spezzate anzi- » che piegarsi e sollevarsi ». È egli sicuro che quelle tali diverse persone si fossero proposte e fossero in grado di fare osserva- zioni minuziose di tal fatta, specie in quei momenti in cui il suolo tremava sotto i loro piedi? oppure crede che il verificare un lento sollevamento endogeno sia alla portata di tutti? E non gli pare che esista una certa contraddizione fra quelle sue linee della pag. 199 e le altre di pag. 209, dove dice: « essere cosa ben nota in vulcanologia che la forza espansiva » delle materie gassose, che accompagnano i magma eruttivi, » producono talvolta sollevamenti locali del suolo, sempre però » prima, o all’inizio delle eruzioni? » In ogni modo, che le lave indurite possano piegarsi e sol- levarsi, anche senza spezzarsi, lo si apprende, se non altro, dai principii di stratigrafia, dove si parla dell’elasticità e pieghe- volezza delle rocce. Ed è cosi che a tutti sono note tante anti- clinali e sinclinali acutissime formate anche da potenti strati di rocce ben meno tenaci che le lave vesuviane, come ad esem- pio molte quarziti, dolomie cavernose e cristalline, anageniti, ecc. (') Matteucci R. V., Sur les particularités de V éruption du Vésure. Comptes rendus des séances de l’Académie des Sciences, tome CXXIX, séance du 3 juillet 1899. 432 R. V. MATTEUCCI A pag. 208 della stessa Nota si obietta che « se un raan- » tello di lave irrigidite si fosse sollevato di 15 metri in così » breve tempo (sic), per spinta endogena, avrebbe dovuto appa- » rire all’esterno un sistema di fratture radiali intorno al centro » di massima spinta. Ciò che non si è punto verificato ». E in nota: « Il De Lapparent, prevedendo questa obiezione, dopo » avere riferito il sollevamento endogeno annunciato dal dottor » Matteucci, soggiunge: On remarquera d’aillcurs qu’il s’agit » ici d’un gonflement lent et progressi!', et non de la brusque intu- » mescence, accompagnée de crevasses étoilées, qu’admettaient » les défenseurs de la théorie des cratères desoulèvement» ( Traité de Geologie , IV* éd., pag. 469). « Capisco (sic) che il lento e » il rapido è sempre relativo; ma a me pare che, trattandosi » di una massa di lava irrigidita, che si suppone sollevata senza » crevasses, mezzo metro al giorno sia già un movimento non » lento ma relativamente rapido ». Già, s’intende, il lento ed il rapido sono sempre relativi, specie se per lenti sollevamenti si volessero intendere soltanto i bradisismi secolari. E come vor- rebbe il sig. Mercalli che una calotta tanto estesa , nel solle- varsi inclinatamente di appena 15 metri in un mese circa, si fosse fratturata radialmente? E, quand’anche fratture radiali si fossero stabilite « intorno al centro di massima spinta », le frat- ture non avrebbero dovuto essere delle esilissime screpolature? E come avrebbero dovuto queste apparire all’esterno, se la cupola è rivestita dovunque, da rottami di lave cordate e da lare sco- riacee? E, in ultima analisi, se ha afferrato il concetto del prof. De Lapparent, come fa a dire che questi ha preveduto la sua obiezione che nel sollevamento della cupola vesuviana si sarebbero dovute stabilire dei crepacci radiali, mentre il pro- fessor De Lapparent opina proprio tutto il contrario, qu’il s’agit ici d’un gonflement lent non accompagnò de crevasses étoilées? Sappia poi il sig. Mercalli che la mia Nota Sur Ics partimi- cularités de l’éruption du Vésuve è stata presentata all’Acadé- mie des Sciences proprio dal prof. De Lapparent che mi ha di- mostrato un grandissimo interessamento per la parte in essa contenuta, riguardante il sollevamento endogeno della cupola vesuviana. SOLLEVAMENTO ENDOGENO DI UNA CUPOLA LAVICA AL VESUVIO 433 Quanto poi alle esperienze del Reyer, se cioè furono da me inopportunamente citate in appoggio dell’interpretazione del sol- levamento endogeno, il sig. Mercalli si persuaderà che esse sono « una riproduzione quasi fedele del fenomeno di sollevamento e trabocco da me descritto », ogniqualvolta sarà disposto a pren- dere in più accurato esame il fenomeno naturale vesuviano e queste imitazioni artificiali, anche senza tener conto che gli esperimenti del laboratorio di Vienna, per quanto ben riusciti, non sono e non potrebbero mai essere la stessa cosa (dico, la stessa cosa ) delle manifestazioni del nostro Vulcano da gabi- netto (1). 11 sig. Mercalli dice inoltre, a pag. 204: «Il dott. Mat- » teucci afferma, che verso la metà di febbraio 1898, la cima » della cupola lavica raggiungeva 835 metri s. 1. del mare, e » che, al 14 maggio 1898, la stessa cima si trovava a 850 metri » sul 1. d. mare. Orbene, è evidente che, per dimostrare che la » cupola lavica si è sollevata di 15 m., proprio tra la metà di » febbraio e la metà di marzo, il dott. Matteucci avrebbe do- » vuto eseguire la seconda misura non al 14 maggio, ma al 15 » marzo, altrimenti le sue misure non provano nulla ». E tutto questo egli dice, sapendo che la mia Nota fu scritta nell' aprile (?) e fu presentata all’adunanza del 14 maggio della R. Accademia delle Scienze di Napoli (3). Ma, per chi noi sa, aggiungo uno schiarimento. Siccome, dopo avvenuto il sollevamento endogeno, nel rimanente mese di marzo, nell’aprile, e fino al 14 maggio, non si ebbero efflussi lavici sulla cima della cupola, e siccome proprio pochi giorni prima della metà di maggio mi fu comu- nicata l’altezza della collina, determinata esattamente dall’ in- gegnere E. Treiber della funicolare Cook, da me pregato al- (Q Reyer Ed., Esperimenti di geologia e di geografìa. Fase. IL Masse eruttine ed eruzioni vulcaniche. Trad. Fr. Virgilio. Torino, 1893, pag. 36 e 43, fig. 169 e 188. — Matteucci R. V., Sul sollevamento endogeno ecc., pag. 293-295 (11-13 dell’estratto). — Mercalli G., Sul modo di forma- zione ecc., pag. 208. (2) Si veda la data in fine della mia pubblicazione Sul solleva- mento endogeno ecc. (3) Si veda la data in principio della mia pubblicazione Sul sol- levamento endogeno ecc. 134 R. V. MATTEUCCI l’uopo, così, dove descrissi il superbo fenomeno, a pag. 287 della mia Nota Sul sollevamento endogeno ecc., dissi che men- tre la cupola aveva prima 835 m. di altezza s. 1. del mare, il suo punto più elevato raggiungeva dipoi gli 850 metri. Dun- que, la data 14 maggio fu aggiunta e fu posta da me in paren- tisi unicamente perchè la pubblicazione era datata aprile, e perchè tino al 14 maggio l’altezza della cupola era rimasta in- variata. Sempre a pag. 204, dicendo eli’ io non accenno al metodo nè al punto da cui feci le mie osservazioni, sembrerebbe che il sig. Mercalli non avesse letto interamente la prima e la terza pagina della citata mia Nota, dove per l’appunto espongo il metodo da me seguito, che fu di riferirmi « a due punti di rapporto fissi, a ino’ di traguardo » e ripetendo le osservazioni ponendomi « nelle identiche condizioni, guardando cioè da un medesimo punto della stazione inferiore della funicolare ». Ma invece non è così, perchè egli stesso, a sostegno del non avve- nuto sollevamento endogeno, aggiunge una dimostrazione ma- tematica basata proprio sul metodo da me adottato e sul mio punto di osservazione. La sua dimostrazione, del resto, cade da sè, inquantochè l’accrescimento esogeno eia lui contrapposto non sarebbe stato neppure visibile dalla detta stazione della funi- colare. Per conto mio, c di quanti sono osservatori coscienziosi , non è dal signor Mercalli che accetto la sentenza che «niente è più dannoso alla scienza che l’edificare teorie sopra fatti non bene accertati e, in questo caso, del tutto inesistenti ». Si rechi al Vesuvio, il sig. Mercalli, anziché fare gli schizzi da Napoli, e giri dappertutto: allora osserverà anch’egli i fatti che a me non passano inosservati. Quanto al considerare poi del tutto inesistenti certi fatti da me avvertiti e resi di pubblica ragione come veri, e su cui la scienza può davvero edificare teorie e leggi, ponendoli il sig. Mer- calli anche lontanamente in dubbio, è una smentita ch’egli mi dà. e che io non raccolgo. E qui faccio punto, aspettando che egli stimi più utile com- pletare le sue notizie vesuviane del tempo col far cenno dell' in- nalzamento endogeno del fondo craterico che, a quanto pare. SOLLEVAMENTO ENDOGENO DI UNA CUPOLA LAVICA AL VESUVIO 435 è sfuggito alle sue osservazioni giornaliere da Napoli, ed alla lettura della mia Nota Sul sollevamento endogeno di una cupola lavica al Vesuvio: fenomeno concomitante di capitale importanza, che, non mi meraviglierei punto di veder ritenuto anch’esso, ine- sorabilmente, dal sig. Mercalli, come un supposto sollevamento. R. Università di Napoli Agosto, 1902. [ms. pres. 8 settembre 1902 - ult. bozze 21 novembre 1902]. OSSERVAZIONE DEL FENOMENO DEI MIS TPOEFFERS IN ITALIA Nota del Comm. Ulderigo Botti. Avendo osservato che da qualche tempo si è introdotta anche in Italia la discussione' del fenomeno misterioso dei Mistpoef- fers (*), sollevata per primo dal dotto Segretario della Società belga di Geologia, Paleontologia e d’idrologia, prof. Ernest Van den Broeck (?), stimo non inopportuno portare alla medesima il mio piccolo contributo col render nota una osservazione del fenomeno stesso, che ebbi occasione di fare, prima di ogni altra, io credo, in Italia, nei due ultimi giorni dell’Ottobre 1896, al quale oggetto io non ho che da riprodurre la corrispondenza che scambiai in proposito col prelodato Van den Brocck, del tenore seguente : « M. Ernest Van den Broeck. — Bruxelles. » Reggio-Calabria (Italie), le 8 Novembre 1896. » Monsieur et cher Confrère, » Peut-étre vous ne vous attendez pas à recevoir de la Méditerranée des nouvelles de Mistpoeffers, mais, cornine j’ai l’idée d’en avoir entendu, je m’empresse de vous faire part des circonstances relatives (avec les réponses ci-jointes à votre Questionnaire simplifié) pour la considération que vous trouverez bon de leurs accorder. (J) Issel A., Considerazioni supplementari al terremoto umbro-mar- chigiano del 18 Decembre 1897. (Boll, della Soc. sismologica ital., voi. V, fase. 2° e 3°, pag. 59-71). Modena, 1899. Cancani A., I rombi laziali del 16 Febbrajo 1900. (Rend. R. Aec. dei Lincei, s. V, voi. IX, fase. 9°, 1° seni., pag. 304-309). Roma, 1900. Cancani A., Rombi sismici. (Boll. Soc. sismologica ital., voi. VII, n.° 1, pag. 23-47). Modena, 1901. (2) del et Terre. (Revue populaire d’ Astronomie, de Métóorologie et de Physique du Globe, tomes XVI et XVII. Années 1895 et 1896). OSSERVAZIONE DEL FENOMENO DEI MISTPOEFFERS 437 » A cause de ma santé quelque peu delabrée, j’ai été paaser la se- conde moitié du dernier mois à Taormina en Sicile, charmante station elimatique, plus connue aux étrangers qu’à mes compatriotes. » Logé à l’Hòtel Bellevue, le matin du 30 Octobre, la chaleur étant trop forte pour aller promener, j’ai du me piacer avec mon livre dans le petit jardin de l’Hótel, qui regarde la mer et, bien qu’absorbé pal- la lecture, je ne faillis pas de remarquer des détonations qui parais- saient venir de la mer, mais sans y accorder beaucoup d’attention, ne me souvenant alors de Mistpoeffers, phénomène que d’ailleurs je croyais limité à la Mer du Nord. » Le jour suivant, 31 Octobre, placé au méme endroit dans le jardin, j’entendis, tout en lisant, les mémes détonations, et lorsque l’on me dit qu’on les entendait souvent, alors seulement j’ai pensé aux Mistpoeffers. » Malheureusement, je devais quitter Taormina ce méme jour 31 Oc- tobre, mais si vous croyez qu’il soit utile d’y pratiquer des observa- tions, vous pourriez me remettre d’autres Questionnaires, que j’adres- serais à M. Crescenti fils, personne trés intelligente, qui pourrait se prèter lui-mème, ou engager d’autres personnes à des observations ulté- rieures. » C’est dommage que la saison soit si avancée, parceque les condi- tions atmosphériques ( mistpoeffériennes) , à présent si favorables à la pro- duction du phénomène, iront tantòt changer ; mais à Taormina il y aura peut-étre, méme en biver, des journées calmes et chaudes. »Veuillez agréer, Monsieur et cher Confrére, l’assurance de mes sentiments les plus distingués. »Ulderigo Botti». QUESTIONNAIRE SIMPLIFIÉ. 1. Taormina, station elimatique en Sicile, à 250 métres au dessus du niveau de la mer, dans le jardin de l’Hótel Bellevue, presqu’à pie sur la cote faisant face au S.-E. Marèe inconnue: presque nulle dans la Méditerranée. 2. Entre dix heures du matin et midi du 30 et 31 Octobre 1896, j’ai entendu plusieures détonations, mais cornine d’abord je ne pensais pas aux Mistpoeffers, que je croyais limités à la Mer du Nord, je ne pourrais dire leurs nombre; certainement elles s’entendaient avec une certaine fréquence. Cela d’ailleurs n’exclut pas que d’autres détonations ayent pu se vénder avant ou aprés les deux heures susdites. 3. Intervalles entre les détonations: variables, de quelques minutes à un quart d’heure. 36 438 U. BOTTI 4. Temps beau, mais brumeux. Ciel serein, mais voilé par des va- peurs. Mer à-peu-près calme, ou légérement mouvementée par le vent faible de S.-E. La température ne fut pas verifiée, mais elle était tré» élevée pour la saison, à cause du sirocco, et devait se trouver entre 20° et 25° C. 5. Pas d’orages, ni avant ni aprés. 6. Le son paraissait venir du midi. 7. De trés loin, bas sur l’eau. 8. Le matin du 31 Octobre, quelques autres personnes se trouvant dans le jardin, je demandais la cause des détonations que l'on entendait, et M. Crescenti fils, l’un des propriétaires de l’Hòtel, me dit qu’on les entendait souvent; alors l'on discuta s’ils pouvaient provenir des exer- cices de vaissaux de guerre ou des beuglements (boati) de l'Etna, qui se trouve tout près au sud de Taormina; mais l’on vinta la conclusion qu’il ne s’agissait pas ni de l'une ni de l’autre cause, et la question resta ouverte. En effet le bruit du canon a quelque chose de violent, ressemblant à l’explosion d’une soupape, suivie d’un roulement, comme une mani- festation de colere, tandis que les détonations provenantes de la mer donnaient l’impression des sons uniformes, douces, comme plaintifs; l’Etna, d’ailleurs, était trop proche, parfaitement en repos, et pas dans la di- rection d’où semblaient provenir les détonations. 9. Pas d’autres remarques. 10. L'on ne connait pas qu’il y ait eu de tirs de canon ou d’autres, dans les jours 30 et 31 Octobre, dans les parages de la Sicile. Ed ecco quanto scriveva in risposta il prof. E. Vanden Broeck: « M. U. Botti, » Reggio-Calabria (Italie). » Bruxelles, le 14 Novembre 189G. » Monsieur et cher Confrére, » Je vous suis extrèmement reconnaissant de votre eommunieation qui in’a fait le plus grand plaisir et m’a présenté le plus vif intérét. » Je serais extrèmement désireux de voir poursuivre les études quo vous avez si bien commencées et je considére cette proposition comme trés agréable pour moi. »Je vous envoie avec la présente quelques questionnaires et for- mulaires, qui me sera trés agréable de voir remplis à l’occasion. » L’enquète devra ètre completée si possible par les annotations d’un correspondant posté dans la région de l’Etna. Une chose est certaine d’ailleurs, c’est que nos connaissances sur Y aconstiqne atmos'phSriqm re- clament une étude approfondie basée sur ce fait, que ce que j’appellerai les conditions « mistpoefferiennes » de l’atinospliére permettent un’exten- sion de propagation des sons, qu’il s’agisse de canon, ou d’un phénoméne OSSERVAZIONE DEL FENOMENO DEI MISTPOEFFERS 439 nature!. De plus il y a dans l’audition des sons. dans ces mèmes cou- ditions, des points sonores et des points morts, des noeuds et des centres absolument analogues à ceux d’une corde vibrante! La transmission des sons quelconques peut donc s’effectuer plus loin et bien plus lors qu’en un de ces points morts, ou l’on n’entend rien. Ceci confirme d’ailleurs les curieuses expériences de Tyndall, exposées dans la deridere édition anglaise de son beau livre sur ìe son. » Ce que j’appelle les conditions mistpoefferiennes c'est le calme et Yhomogénéité de l’atmosphére, le facteur présent d'une surface liquide, bien en repos et légérement brumeuse par évaporation et chaleur. » Dans de telles conditions, les bruita artificiels (canon, explosion, con]) de mine, etc.) s’entendront au loin aussi bien que le phénomène naturel des Mistpoeffers, des volcans, etc. » Mais je suis bien d’accord avec vous sur la différence de carac- tòre acoustique des Mistpoeffers d’avec le bruit du canon. »Croyez bien que la Mer du Nord n'est pas seule sujette au phé- noméne. Il se produit en des régions bien diverses et non seulement au voisinage de la mer, mais encore de celili des grands lacs suisses, ita- liens, allemanda, écossais, etc. M. le Comte Jeppelin l’étudie depuis des années, ai j’appris récemment, sur les bords du lac de Constance, où le phénomène est si fréquent, qu’il y a regu un nom populaire particulier. » Je vous ai envoyé hier mon premier fascicule extrait du del et Terre et je serai heureux que cette compilation préliminaire puisse vous offrir quelqu’attrait. »Vous réitérant tous mes remerei ements pour votre intéressante et précieuse communication, ainsi que pour vos offres, je vous prie, Mon- sieur et cher Confrére, de me croire » Votre reconnaissant et dévoué » Ernest Van des Broeck ». Sulla origine e la essenza del fenomeno io non saprei pro- nunziarmi; può essere atmosferico, marino o sismico; io fornisco un elemento di osservazione, ma mi sento incompetente a giu- dicare della sua vera natura. La inchiesta aperta dal Van den Broeck (l) potrà dare qual- che resultato, ma per ora abbiamo soltanto: un fenomeno miste- rioso ! [ms. pres. 8 settembre 1902 - ult. bozze 7 novembre 1902J. 0) Van den Broeck E., Un phénomène mystérieux de la Physique du Globe. Fase. I, pag. 1-75. — Bruxelles, P. Weissenbruch, 1895-1896. I VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA PARTE TERZA MAMMIFERI PLIOCENICI E (jUATERVAIU Nota del socio Luigi Seguenza fu G. In questa terza parte della mia Monografia sui Vertebrati fossili della provincia di Messina (ved. n. 12 della seguente bi- bliografia), poche specie vi sono che non siano conosciute come siciliane ed anche come rappresentate nella provincia di Messina; però ho creduto bene di riunire in quest’ultimo fascicolo tutto ciò che finora si è studiato, su questo tema, perchè serva di compimento al mio lavoro. Essendo stata la nostra regione sommersa durante il Plio- cene, ne viene di conseguenza che nelle formazioni di quell’e- poca nessun rappresentante della ricca fauna pliocenica terre- stre italiana vi s’ incontra ; solamente qualche raro dente di Delfino e qualche osso timpanico del medesimo, resti già citati da G. Seguenza (9, pag. 15), si raccoglie nel calcare marnoso Astiano di San Filippo inferiore e di Scoppo. Nelle sabbie littorali del piano Siciliano si rinvengono raris- simi denti di grosso mammifero terrestre verosimilmente tra- sportativi dalle correnti fluviali. Vengono in seguito da esaminare le varie caverne ossifere ed i manufatti in esse rinvenuti che, a mio credere, sono da riferirsi all’epoca Miolitica, come la chiama l’Issel ((» pag. 216), la quale è caratterizzata da stronfienti litici scheggiati meno rozzamente di quelli paleolitici e da fauna in parte estinta, in parte emigrata, in parte tuttora esistente nella nostra regione. Tra esse grotte la più interessante è certamente quella sco- perta dall’Anca nel 1859 il, pag. 688) ricchissima di ossa ed armi. I VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 441 e della quale l’autore medesimo ne riparlò nel 1867 (2, pag. 8), mentre nello stesso anno, nella monografìa sugli Elefanti fos- sili di Sicilia (3) fatta in collaborazione col prof. G. Gemmellaro, dava estesamente conto delle specie di questo genere rinvenute a suo tempo nella grotta di San Teodoro predetta. Di un’altra grotta diedi notizia io stesso allorché trattai deH’Hippopotamus Pentlandi Pale, di Taormina (IO). Una terza grotta fu recentemente scoperta in contrada Grotte presso Santa Teresa di Riva, ma fu subito rinterrata dai lavori di estrazione che ivi si fanno dei calcari Massici a scopo d’ in- dustria. Infine due armi dell’epoca neolitica e varii resti di animali estinti o emigrati vennero raccolti erratici nell’alluvione (piater- naria dei dintorni di Messina. Come si vede, ben poco c’è da aggiungere al già noto, e sopratutto, nessuna nuova deduzione se ne può detrarre: mi accontenterò quindi di descrivere i giacimenti, le grotte e gli oggetti in essi rinvenuti in attesa che un più ricco e meglio conservato materiale mi permetta uno studio più profondo. Ho creduto inutile per questa puntata di dare figure, avuto riguardo che in massima parte si tratta di specie ed oggetti già noti. Messina, luglio 1902. Istituto di Geologia e Mineralogia della R. Università. BIBLIOGRAFIA 1. Anca Fr. - Note sur deux nouvellcs grottcs ossifères dccou- vertes en Sicile en 1859. -Bull, de la Société géologique de France, sèrie II, toni. XVII, pag. 681. - Paris, 1860. 2. Anca Fr. - Paleoetnologia sitala . - Palermo, 1867. 3. Anca Fr. e Gemmellaro G. G. - Monografia degli Elefanti fossili di Sicilia. - Palermo, 1867. 442 L. SEQUENZA FU O. 4. Coppi Fr. - Monografia ed iconografìa della terramara di dar za no ossia monumenti storici e preistorici del bronzo e della pietra. Volume II - Modena, 1874. 5. Di Stefano Giov. - Su Francesco Anca, barone di Man ga- iavita. - « Il Naturalista siciliano », anno 1887, pag. 94. - Palermo. (3. Issel A. - La nuova carta geologica delle riviere liguri e delle Alpi marittime. - Boll, della Società geologica ita- liana, voi. VI, pag. 200. - Roma, 1887. 7. Pohlig H. - Ausgrabungen ciuf Sizilien. - Zeitscli. d. deutsch. geol. Gesell., Bd. XLV, H. I. - Berlin, 1893. 8. Sequenza G. - Su di una scure di pietra pulita rinvenuta presso Messina. - Atti della Società italiana di scienze naturali, anno 1867. - Milano. 9. Sequenza G. - Studii paleontologici sulla fauna malacolo- gica dei sedimenti pliocenici depositati a grandi profon- dità, I e II. - Boll, della Società malacologica italiana, anno 1875. - Pisa. 10. Sequenza L. - L’ Hippopotamus Pentlandi Falconer di Taor- mina. - Atti dell’Accademia dei Zelanti di Acireale, anno 1900. 1 1 . Sequenza L. - Nuovo lembo del Lias inferiore nel Messi- sinese. - Boll, della Società geologica italiana, anno 1900. 12. Sequenza L. - I vertebrati fossili della provincia di Messina. Parte I. Pesci, loc. cit., anno 1900; Parte II. Mammiferi e geologia del Piano Pontico, loc. cit., anno 1902. - Roma. MAMMIFERI DEL PIANO ASTIANO. Tursiops (Delpliinus) Cortesii Desia, sp. (non Cuvier). 1873-77. Drtphinu8 Cortesii Cuvier-G. Sequenza, 0, pag. 15. 11 prof. G. Seguenza riferisce a questa specie, due denti iso- lati; io ne ho rinvenuti degli altri, cosicché tra interi e fran- tumati ne possiedo quattordici. Ve ne sono di varie dimensioni, ma tutti corrispondono agli stessi caratteri, cioè : radice tozza, irregolare, dritta o arcuata lateralmente, larga il doppio della corona ed alta il triplo, costi- I VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 448 tuita di lamine verticali radiali di smalto, ricoperta esterna- mente da cemento, con piccolo vuoto mediano. Corona regolar- mente conica, ricoperta di smalto come nei denti degli squali, più o meno arcuata indietro negli esemplari grossi, più accen- tuatamente nei piccoli. È impossibile riconoscere la posizione che il dente occupava nella bocca dell’animale, solo vi si po- trebbe arrivare con uno studio accurato fatto su numeroso ma- teriale e su una bocca di specie vivente, specialmente esami- nando la forma, le dimensioni e la curvatura della radice e della corona; cose che io non posso constatare per mancanza di materiale di confronto. Anche la determinazione specifica resta sempre alquanto dubbia, trattandosi di generi che possiedono una unica forma di denti quasi comune a tutte le specie e quindi difficilissimi ad identificare da soli. Darò qui le dimensioni del dente più grosso e più piccolo che possiedo. Dimensioni : Altezza completa del dente . mm. 54 1/e 32 » della corona .... » 21 13 Diametri alla base della corona » IOXI‘2 8X8 » massimi della radice » 12Xlò 9X10. Avendo recentemente visitato varii Musei geologici d’Italia, mi sono accorto che i numerosi denti così determinati esistenti nelle varie collezioni sono più piccoli di quelli da me posseduti, pur corrispondendo nella, forma. Questa specie si rinviene nei calcari a brachiopodi e coral- larii d q\V Astiano di contrada Scoppo e di S. Filippo inferiore presso Messina. Tursiops (Delpliinus) Broccliii Balsamo-Crivelli sp. 1873 77. Delpliinus Brocchii Balsamo-G. Sequenza, 9, pag. 15. Possiedo un solo dente che differisce dalla specie precedente semplicemente per le dimensioni e per la forma della radice 444 L. SRGUENZA FU G. conica, anziché appiattita ed alquanto flessuosa. La corona è più slanciata e meno arcuata. Gr. Seguenza riferisce questo dente alla specie del Balsamo Crivelli, alla quale certamente assomiglia. Manca però nei denti un appiglio per potere con sicurezza stabilire le differenze tra questa specie e le sue congeneri; io credo che le determinazioni tanto di questa che della specie precedente restano sempre dub- biose, sino a che ai denti non si aggiunga qualche altro resto perfettamente definibile. Questo dente fu raccolto nel calcare marnoso Astiano di con- trada Scoppo presso Messina. Tursiops sp. Possiedo un osso timpanico destro appartenente con certezza alla famiglia dei Delfmidi per la sua forma tipica e per la ben nota striatura radiale alla superficie delle due apofisi. Lo riferisco ma con dubbio, a questo genere per averlo rinve- nuto, insieme ai denti di T. Cortcsii, nelle marne sabbiose astiane della contrada Scoppo, presso Messina, ove questo genere è runico rappresentante dei Cetacei , malgrado le ricerche pa- leontologiche praticate da oltre mezzo secolo in quella località. Dimensioni : Lunghezza da un’apofisi all’altra mm. 41 Larghezza dal bordo deH’apofisi anteriore alla parte semisferica » 32 Diametri della superficie striata dell’apofisi poste- riore » 17X1' Diametri della superficie striata dell’apofisi ante- riore » 19X12 Diametri della parte semisferica » 14X1 9 Spessore massimo al centro del timpanico ... » 20. MAMMIFERI DEL PIANO SICILIANO. Elephas (Loxorioii) meridionali Nesti. Nelle sabbie quarzose con fauna marina littorale rappresen- tata da specie viventi nel Mediterraneo e con specie del mare I VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 445 del nord, affioranti in contrada Graviteli presso Messina, fu raccolto un molare di Elefante certamente trasportatovi dalle correnti fluviali nell’epoca della formazione del sedimento. 11 dente in esame è un molare di latte, probabilmente infe- riore sinistro, formato da sei lamine di cui le due anteriori sono frantumate e l’ultima posteriore rudimentale. Le lamine sono increspate più o meno leggermente e ordinate un poco di tra- verso, lo smalto è spesso ed increpato lievemente, la superficie triturante è concava, più corrosa sul lato interno. Dimensioni: Diametri massimi della superficie triturante Altezza massima del frammento . . . . Spessore medio dello smalto Spessore medio delle lamine min. 91 X di » 82 » 3 » 12 Credo inutile di insistere sui dettagli che secondo me accer- tano trattarsi di Elephas (Loxodon) mcridionalis Nesti, quan- tunque, secondo alcuni, tale specie non persista oltre V Astiano. In varie località della provincia si è rinvenuto qualche fram- mento di difesa di Elefante indeterminabile che certamente nulla aggiunge o toglie alle conoscenze stratigrafiche del giacimento a cui appartiene. GROTTE OSSIFERE. Grotta di S. Teodoro, (f) La grotta di S. Teodoro si apre nel monte di S. Fratello, nella frazione di Acquedolci, territorio di Sant’Agata di Mili- tello. La bocca si apre in direzione nord-est, a 65 metri sul livello del mare ed a 1041 metri dalla riva. Essa è scavata, contrariamente a quanto dice il bar. Anca che ritiene la roccia appartenente all ' ippuritico ( cretacico ), nel calcare subcristallino del Lias inferiore. Le sue dimensioni sono: m. 19 massima larghezza per m. 70 di profondità; l’altezza varia progressivamente. (') Prendo queste notizie dai lavori del barone F. Anca. 37 446 L. SEGUENZA FU G. Gli scavi fattivi hanno messo a nudo la seguente sezione: m. 0,40 terreno di trasporto. » 0,30 breccia ossifera con selci lavorate. » 0,80 terra con frammenti di calcare della volta. » 0,50 terra come sopra con denti di Elephas af ricamisi » 0,50 terra con frammenti di calcare. Il ricco materiale, determinato dall’Anca, si conserva nel museo geologico della R. Università di Palermo. Nel suo primo lavoro, l’Anca dà la seguente nota dei fossili (1, pag. (393) corroborata dall’autorità del Lartet: Carnivori » » » - Iena macchiata. - XJrsus prossimo all’orso bruno delle Alpi Ursus arctos? - Canis lupus. - Canis vulpes più piccola della volpe della Francia. Roditori » Pachidermi » Solipedi » Ruminanti » » » Batraci Uccelli Molluschi terr. marini » » » Porco spino. Lepus cuniculus Elephas antiquus? Elephas africanus ? Hi ppopotamus una o due specie. Sus, probabilmente Sus scrofa somigliante al Sus dell’Africa settentrionale. Eq uus asino s ? Bue, di dimensioni medie. Bue più piccolo e molto slanciato. Cervus (una o due specie). Montone o altro ruminante vicino. Grosso rospo. Specie indeterminata. Helix aspersa Aitili. Ostrra larga ? Cardium edule Lin. I VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 447 Nel lavoro posteriore (2, pag. 9) lo stesso autore riportando la lista dei fossili precedentemente citati, aggiunge le seguenti specie : Elephas armeniacus » meridionalis » militensis (melitensis) Equus cabaìlus - Europa Capra Ovis e conferma le seguenti specie date con dubio precedentemente : TJrsus arctos Elephas antiquus » africanus A questo materiale si aggiunge una numerosa collezione di selci lavorate che l’Anca ( loc . cit., pag. 10) riunisce nel modo seguente : Armi: Punte di freccia (a peduncolo acuminato, con e senza barbetta) Punte di lancia (le più lunghe ed acuminate). Punte di picche (le più tozze). Utensili: Coltelli di varia dimensione e forma. Punteruoli Scalpelli Selci di forma varia e di uso indeterminabile. Vi si raccolsero, inoltre varii utensili di corno di cervo e qualche manufatto di terra cotta. Nello stesso tempo GL G. Gemmellaro occupandosi insieme all’autore predetto, degli Elefanti fossili di Sicilia, confermò nella monografia (3, pag. 12) le determinazioni predette della fauna degli Elefanti della grotta di S. Teodoro. Il dott. Giovanni Di Stefano in una commemorazione del bar. Anca, riporta l’elenco dei fossili di S. Teodoro (5, pag. 98) 448 L. SEQUENZA FU G. con qualche lieve modificazione. Io sarei stato lietissimo di stu- diare minutamente i resti di S. Teodoro; ma non avendoli sotto- mano nè potendo risiedere a Palermo per tutto il tempo che tale studio richiederebbe, mi contento di riportare qui la nota data dal Di Stefano la cui competenza paleontologica dà sicuro affi- damento sulla esattezza delle seguenti determinazioni: Hyaena Inimica Thumb. Ursus arctos Lin. Canis lupus Lin. » vulpcs Lin. Le pus cuniculus Lin. Hystrix sp. Eleplias antiquus Pale. » africanus Blumb. Sus scrofa Lin. Hippopotamus sp. Equus asinus Lin. Cervus sp. Ovis sp. Grotta di Taormina. Sulla collina clip sorregge il castello sovrastante alla città di Taormina, nel calcare dolomitico riferito prima al Trias poi al Lias inferiore, fu scoperta una piccola grotta anzi una vera tana di m. 5 X 6 di superficie per m. 1,50 di altezza, ricolma di ciottoli cementati eguali a quelli che formano la panchina quaternaria su cui è costruita la città stessa di Taormina. Al suolo di questa grotta, in un terriccio simile a fango indurito furono rinvenuti denti ed ossa di Hippopotamus Pmtlandi Pale., tra i quali io ho potuto riconoscere la dentatura quasi completa ed alcune ossa di un individuo adulto insieme a frammenti indeterminabili. Di tali resti diedi già notizia in una mia nota (IO) nel 1000. Insieme alla specie predetta fu rinvenuto il frammento intc- riore di un corno di Cervus rlaphas Lin. Questo fossile costa del terzo inferiore di un corno destro: sul lato anteriore una I VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 449 caviglia rotta, e più in alto, dallo stesso lato, a 54 nini, dalla base si stacca un’altra caviglia più sottile, rotta aneli’ essa; nell’assieme il corno è di forma appiattita, con sezione ellittica alla base, sezione che va diventando circolare o man mano si procede verso l’apice; la superficie è rugosa -fibrosa, la base cinta da una corona granulosa. Dimensioni : Diametri alla base » della caviglia inferiore » della caviglia superiore » della caviglia maggiore alla seconda biforcazione mm. 40 X 52 » 36 X 21 » 20 X 15 » 38 X 29 Dalla forma e dalle dimensioni credo si tratti di quella razza, più piccola del tipo, che il Pohlig (7) chiama Cervus (elaphus) Siciliae. Grotta di contrada Grotte presso S. Teresa di Eira. A circa 1700 metri in linea retta dalla spiaggia salendo parallelamente al torrente di Savoca, s’incontra una collina roc- ciosa ed erta che spicca fra le circostanti che sono tondeggianti e di origine alluvionale, mentre essa è costituita dai calcari a crinoidi del Lias medio e in basso dai calcari compatti nero- grigi del Lias inferiore come ho io stesso costatato in una mia nota (11). Su tutta la superficie della collina sono sparse numerose buche e piccole caverne che diedero nome di con- trada Grotte alla località in esame. Nello estrarre il calcare per uso di costruzione, alcuni contadini scopersero una delle tante grotte, ed in essa trovarono varii oggetti interessantissimi; però, ignari dell’entità della loro scoperta, misero da parte i pochi frammenti trovati casualmente, e continuando il loro la- voro riinterrarono la grotta in modo che probabilmente sarà assai difficile fare delle ricerche. Debbo alla squisita cortesia del dott. L. Cocco, al quale esterno (pii i miei ringraziamenti, se posso dare qui conto del materiale ivi rinvenuto. 450 L. SEGUENZA FU Ci. In primo luogo ho avuto due frammenti dell' accumulo di gusci di molluschi terrestri che verosimilmente servivano di pasto agli abitatori della caverna. Tali molluschi appartengono in massima parte ad Helix (Campylaea) benedicta Kobelt in- sieme a qualche raro esemplare di Helix Mazmllii Jan., e sono misti a fango e cementati da carbonato di calce proveniente dalle infiltrazioni di acqua nella quale era in soluzione e che gocciolava dalla volta della caverna; in mezzo a quest’impasto si rinvengono frammenti di calcare compatto usato alla super- ficie e che probabilmente servi ad uso domestico a quei tro- gloditi. Ho anche avuto alcuni pezzi di breccia ossifera nella (piale ho potuto riconoscere le seguenti ossa pctrificate: Uccelli: frammenti di sterno e degli arti, indeterminabili. Piccoli carnivori: frammenti di arti indeterminabili. Sus scrofa Lin., due denti: un primo ed un secondo molare inferiore di sinistra. Homo: una mascella inferiore mancante dei denti; qualche frammento di costola, qualche falange della mano e del piede. Furono, insieme alle cose predette, rinvenuti i seguenti ma- nufatti: Un 'olla di terra cotta, frantumata ma in buona parte ricostruibile; ovale, appiattita, con manico a mo’ di orecchietta rotto, molto somigliante a quella illustrata dal Coppi (4-, pag. 81, tav. LX1, fig. 7) e rinvenuta nella terramara di Gorzano; dif- ferisce però da quest’ultima per avere il fondo sferico anziché piano, la pancia tondeggiante anziché ad angolo sporgente, meno alta e con la bocca più piccola. Un altro frammento é appartenente ad un vaso assai basso con la bocca eguale al diametro massimo di esso; a fondo piatto; il manico che si attacca a questo frammento é assai slanciato e rozzamente elegante ed é saldato con una branca vicino l’orlo della base e con l’altra poco sotto del bordo superiore del vaso, mentre entrambe le branche si riuniscono convergendo ad angolo molto acuto c superando di molto l’orlo del recipiente. La sezione delle due branche del manico é rettangolare e va progressivamente decrescendo sino a che riunendosi finiscono in unica punta. Il bordo é assottigliato, il fondo é alquanto più spesso dei lati. I VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 451 Mi manca sottomano una figura alla quale potere rimandare il lettore perchè si formi nn concetto della elegante forma del manico di questo laterizio; mi basti però ricordare che detta forma di manichi ad angolo acuto e prominenti in alto s’in- contra, certo assai più elegante ma della stessa sagoma, in al- cuni tipi di orcie egiziane. 11 vaso somiglia a quello illustrato dal Coppi (4-, tav. LX, fig. 11). Altri cocci mi furono comunicati provenienti dalla medesima località, ma non si può ricavare nulla nè sulla loro forma nè \ sulle loro dimensioni. E mia intenzione di praticare degli scavi, se sarà possibile, nella località in parola e mi riprometto un materiale più ricco e meglio conservato dal quale si possano detrarre quelle conclusioni che non mi fu possibile cavare dal materiale esaminato. ARMI DI PIETRA NEOLITICHE. 11 prof. G. Seguenza ebbe nel 1867 una scure di pietra pu- lita, raccolta erratica sulle colline del Faro; di essa, l’autore predetto, diede la descrizione in una comunicazione presentata alla Società italiana di Scienze naturali (8, pag. 435); mi ba- sterà perciò darne qui un accenno. L’utensile in parola somiglia alle numerose ascie illustrate in tutti gli atlanti di paleoetnologia, per esempio alla forma figurata dal Coppi (4, tav. XXXVIII, fig. 1) alla quale si avvi- cina di molto. Nel centro è a sezione ellittica, che decresce procedendo verso le estremità; in alto finisce a punta smussata dall’uso, in basso termina in un taglio quasi retto. La roccia di cui è costituita è, secondo G. Seguenza, una sienite ; gli elementi sono minutissimi e difficilmente riconosci- bili per la levigatura; in ogni modo vi si riscontra: quarzo in abbondanza, mica bianca e nera, e feldispato indeterminabile; per gli elementi lo riferirei, meglio che a sienite , a granulite o a diorite quarzifera, a seconda della specie di feldispato che con- tiene e che non è definibile macroscopicamente. In ogni modo ben si appone l’autore predetto allorché dice che in Sicilia non esiste roccia eguale a questa. 452 L. SEQUENZA FU G. Dimensioni : Altezza mm. 100 Diametri della sezione mediana .... » 25 X 40 Lunghezza del taglio » 34. Un’altra arma di pietra pulita fu rinvenuta a Messina verso il 1879 praticando lo scavo per le fondazioni degli odierni ma- gazzini generali. È di forma trapezoidale appiattita e nella parte superiore delle due faccie presenta due scanalature orizontali che verosimilmente servivano per legarla ad un manico. Il lato inferiore è obliquo ed è certamente quello che serviva a per- cuotere; questo lato, sebbene assottigliato assai, in rapporto al lato superiore, non può dirsi tagliente. Il lato anteriore è più spesso del posteriore. La roccia che costituisce questo strumento litico è diaspro rosso-bruno levigato. Qualche arma di forma simile si conserva nel Museo geologico dell’ Università di Pa- lermo. Dimensioni: Altezza del lato lungo mm. 116 Altezza del lato breve » 70 Lunghezza del lato superiore » 113 Lunghezza del lato obliquo (taglio) .... » 105 Spessore massimo del lato lungo » 43 Spessore minimo della parte scanalata dello stesso lato » 33 Spessore massimo del lato breve » 22. Altri pochi oggetti litici dell’industria umana preistorica furono rinvenuti presso Castanea delle Furie, come raschiatoi e simili, i quali sia per la forma ben nota, sia per essere stati raccolti erratici, poco o nulla chiariscono la paletnologia della provincia di Messina. I VERTEBRATI FOSSILI DELLA PROVINCIA DI MESSINA 453 RESTI ERRATICI DI MAMMIFERI QUATERNARIE Dico resti erratici, perchè quei pochi frammenti dei quali dirò qualche parola furono trovati superficialmente nelle ghiaie e nei conglomerati dell’alluvione quaternaria antica. Ovis 'ì Un frammento di mascella inferiore sinistra con sopra at- taccati il primo, secondo e terzo molare, fu rinvenuto in una lente di argilla intercalata nelle alluvioni quaternarie di con- trada Trapani presso Messina. Certamente appartenne ad un ovino , ma trattandosi di dentatura di latte è ben arduo volere stabilire con esattezza a (piale specie appartenne. Bos sp. Nell’ alluvione quaternaria antica che costituisce le colline del Faro, e precisamente in contrada Mortelle fu raccolto un frammento di mascella di Bos con infissivi il primo e secondo molare superiore destro. Anche per questo frammento trovo im- possibile identificare la specie su così scarso materiale. Debbo questo frammento alla cortesia dell’ingegnere Ludovico Molino- Foti al quale esterno qui i miei ringraziamenti. Hippopotamus Pentlandi Falconer. Oltre ai residui di questa specie rinvenuti in una grotta nei pressi di Taormina di cui do conto precedentemente, un molare, probabilmente l’ultimo inferiore di sinistra, fu raccolto nelle ghiaie quaternarie di contrada Graviteli presso Messina. È a cinque cuspidi ammassate, corrose, che danno la sezione carat- teristica del genere. Il dente è leggermente logorato da roto- lamento. Eleplias (Loxodon) antiquus Falconer. Praticandosi, presso il villaggio di Faro Superiore, alcuni scavi nel l’Alluvione quaternaria antica costituente quasi per intero le colline che fiancheggiano la punta del Peloro, fu rin- 38 L. SEQUENZA EU 0. 454 venuto e regalato al prof. F. Sacco un deute elefantino ; questi sapendomi occupato nello studio dei vertebrati fossili della pro- vincia di Messina, con gentile pensiero, me ne fece dono, del che torno a ringraziarlo anche ora. Il dente in esame è costituito di dodici lamine, delle quali, le sette anteriori sono completamente aperte dall’uso, l’ottava e la nona cominciano da poco ad essere erose, le ultime tre sono completamente chiuse e digitiformi ; le lamine mediane dalla terza all’ottava sono fortemente arcuate dall’alto al basso; lo smalto è spesso ed increspato fortemente con piega mediana più sporgente; le lamine sono riunite da abbondante cemento ora calcinato ; i lati delle lamine sono corrosi da rotolamento. Pel numero delle lamine credo si tratti di un terzo molare, ed essendo la erosione maggiore sul lato interno che sull’esterno, ritengo poterlo riferire al lato inferiore destro. Dimensioni : Lunghezza massima del dente .... Altezza massima (all’ottava lamina) . . Larghezza massima (all’ottava lamina) Spessore dello smalto nelle lamine anteriori mm. 225 » 103 » 80 » 3. Quanto alla specie a cui riferire questo dente, è cosa abba- stanza ardua in seguito alle recenti controversie sulla determi- nazione di denti elefantini. Certo il numero delle lamine, lo spessore e l’increspatura dello smalto, l’esile spessore del dente in rapporto alla sua lunghezza me lo fanno inscrivere ad Eìr- phas antiquus Falconer (seri, kit.)] ciò non toglie però che abbia qualche attinenza, in alcuni dettagli, con Elephas meridionaìis Nesti, del quale 1 1 Elephas antiquus Pale, è discendente e forse anche semplice permutazione, non tenendo conto àeìVElephas trogontherii Pohlig che è senz’altro il termine di passaggio fra quelle due specie e che può a volte riunirsi, a seconda dell’at- tinenza degli esemplari ad esso rapportati, ora all’ima, ora al- l’altra specie. [ms pres. 8 settembre 1002 - tilt, bozze 24 novembre 1002j. MOLLUSCHI POCO NOTI DEI TERRENI TERZIAR1I DI MESSINA TROCHIDAE E SOL ARIID AE Nota del socio Luigi Sequenza fu G. Nella monografia di 0. Seguenza sulle formazioni plioce- niche dell’Italia meridionale (Boll, del R. Comitato Geologico d’Italia, anni 1873-77) che costò all’autore un ventennio di la- voro assiduo, e che creò quel monumento scientifico che sono le di Lui collezioni private del Terziario superiore, s’incon- trano citate numerose specie nuove, appena accennate dall’Au- tore, senza descrizione e figura, in maniera che restano scono- sciute ai naturalisti i quali, non avendo l’occasione di visitare le collezioni predette, non possono accettare nuove specie di cui ignorano forma e caratteri. Era impossibile pretendere da G. Seguenza l’illustrazione completa di tante specie nuove in un così breve lasso di tempo nel quale si pubblicò la memoria predetta (1873-77), tanto più se si ha riguardo che nel contempo cominciava ad affluire nelle diari i dell’Autore un ancora più ricco ed importante ma- teriale, quello cioè delle formazioni giurassiche del Messinese, le quali stornarono su di se gli sguardi di G. Seguenza e lo assorbirono sino alla sua immatura morte. Io ho creduto doveroso ed utile per le conoscenze paleo- conchiologiche dell’Italia, avendo in mano il ricco materiale citato in quella monografia, e sotto gli occhi gli affioramenti dai quali proviene, di iniziare la illustrazione con figure e de- scrizioni delle specie nuove instituite senza diagnosi alcuna da G. Seguenza. Non userò ordine cronologico nella illustrazione di detto ma- teriale, ma pubblicherò a gruppi le specie e le varietà, dei ge- 456 !.. SEQUENZA FU O. neri i quali, sia per ricchezza di forme come per caratteri dif- ferenziali ben spiccati, reputo più interessanti a far conoscere. Ho giù iniziato questo mio lavoro, dirò così, di esumazione in una mia monografìa sui Ilissoidi neogenici, in corso di stampa, ove, insieme a varie specie sconosciute o nuove del Messinese, illustro le forme nuove di G. Seguenza e di A. Aradas, mai figurate ed in parte mai descritte. In questo fasciscolo descrivo le specie e le varietà del neo- gene di Messina dei Trochidi e Solaridi instituite da G. Se- guenza nella monografia più volte citata, ma certamente non ancora accettate dalla maggioranza dei naturalisti per la man- cata conoscenza dei caratteri differenziali di esse. Istituto di Geologia e di Mineralogia della Tt. Università. Messina, Agosto 1902. Genere SOLARIUM Lamark, 1790. Sottogenero Solarium (sen. str.). Solarium Alleryi G. Seguenza. Solarium moniliferum Monterosato e Tiberi (non Broun). Tav. XVII, fig. 6, 7, 8. r 1873-77 S. moniliferum (Broun) Allery — G. Seguenza, St. str. forni, plioc., pag. 104, 156. » » S. Alleni — G. Seguenza loc. cit., pag. 230. Conchiglia alta inm, 2,5, larga mm. 5.5: quasi egualmente convessa sul lato superiore ed inferiore; anfratti quattro, piani, carenati, granulosi ; con due cingoli di granuli più grossi lungo il bordo esterno; suture lineari; base granosa come il resto della conchiglia con strie lungo il bordo esterno; bocca quasi triangolare, peristoma semplice, acuto, dritto. Il Monterosato ed il Tiberi riunirono questa forma, tuttora vivente, al S. moniliferum Bronn; G. Seguenza nelle prime di- MOLLUSCHI POCO NOTI ORI TERPENI TERZIARI! DI MESSINA 457 spense della sua memoria citata ne seguì l’esempio, pur facendo rilevare la differenza di questa forma dal tipo del Bromi, ma allorché descrisse gli strati del Pliocene inferiore nelle ultime puntate dell’opera predetta, si decise a separarla definitivamente avendola raccolta insieme alla moniliferum del Bromi dalla quale si differenzia. Infatti si differisce per la scultura più grossolana pur avendo dimensioni minori, e perchè il S. moniliferum ha doppio numero di cingoli. Tali furono le ragioni che lo persua- sero ad istituire la nuova specie che egli dedicò al sig. T. Allery marchese di Monterosato. Lascio questa forma nel sottogenere Solarium (sen. str.) seb- bene abbia i margini alquanto depressi e la superfìcie granu- losa come nel sottogenere Granosolarium Sacco e ciò per due ragioni: l’una perchè questa forma ha ombelico stretto e quindi manca un carattere generico fondamentale, l’altra perchè Io stesso Sacco mette nel sottogenere Solarium (s. s.) il S. moni- liferum Bromi, dal quale presumibilmente deriva la specie in parola. Questa si raccoglie in tutti i piani del Pliocene della pro- vincia di Messina; solo nel Pliocene inferiore s’incontra insieme alla specie tipica del Bromi. Ne possiedo di Gravitelli, Scoppo, Trapani (Messina), Kometta. Solarium contextum G. Seguenza. Tav. XVII, fig. 3, 4, 5. 1873-77 S. contextum — G. Seguenza, St. str. forvi, plioc., pag. 228. Conchiglia alta min. 6, larga nini. 13, spira ottusa, anfratti acutamente carenati, convessi al margine interno e concavi al margine esterno superiore ed inferiore, bordo crenato, superficie degli avvolgimenti solcata da 6-10 strie longitudinali e da sot- tili e numerose stridine trasversali; ombelico stretto c profondo, crenato al margine; base finemente striata radialmente e con- centricamente. Specie affine a S. semisquamosum Bromi, ma se ne distingue per avere il margine crenato, senza cingolo, e per l’ombelico più stretto. Quest’ultimo carattere mi impedisce di riunire questa 458 Ij. sequenza fu g. forma a Granosolarium Sacco al quale si avvicina per gli altri caratteri, fra citi principalissimo l’avere il margine concavo infe- riormente e superiormente. Si raccoglie nelle sabbie del Pliocene inferiore del Messinese e nelle marne Astiane di Reggio Calabria. A Rometta e Trapani (Messina). Sottogenere Philippia Cray, 1847. Pliilippia hemisphaerum (G. Seguenza). Tav. XVII, tig. 9, 10. 1873-77. S. hemispliaerum — G. Seguenza, St. str. forni, plioc., pag. 102, 150, 230. Conchiglia alta min, 13, larga inni. 20; spira ottusa, assai meno che in tutte le altre specie di Solarium ; anfratti sei, qua- drangolari, a superficie esterna piano-convessa, superficialmente striati da dodici solchi longitudinali e paralleli; sutura lineare con sottile cingolo che l’accompagna. Tali caratteri danno alla conchiglia un aspetto emisferico da cui G. Seguenza detrasse il nome specifico. La base è piano-oonvessa con strie longitudinali e con strie trasversali di accrescimento rilevanti che terminano con granuli attorno all’ombelico profondissimo che quindi appare a bordo elegantemente crenato; bocca quadrangolare intera con peristoma semplice ed acuto. Gli esemplari giovani sono con spira più ottusa c quindi pianeggianti. Non trovo di confrontare questa forma con le con- generi a me note per i caratteri spiccati nella forma generale. Credo che essa vada, per i detti caratteri, riunita al sotto- genere Philippia Gray, però la mancanza dell’opercolo m'im- pedisce di farlo con sicurezza. Si rinviene in tutti i piani del Pliocene di Messina. Trapani (Messina), Scoppo, Gravitelli, Salice, Rometta. MOLLUSCHI POCO NOTI DEI TERRENI TERZIARI! DI MESSINA 459 Sottogenere Torinia Gray, 1840. Torinia zanclea (G. Seguenza). Tav. XVII, fig. 11, 12. 1873-77 S. sancleum — G. Seguenza, St. str. forni, plico., pag. 230. Conchiglia alta mm. 5, larga mra, 10,5; anfratti cinque esternamente piani, grossolanamente ornati da pieghe liscie longi- tudinali; suture lineari accompagnate da un cordoncino rilevato; ombelico poco largo ma profondo con bordo crenato dalle estre- mità delle strie di accrescimento; base convessa, ornata al mar- gine esterno da 4-6 cingoli longitudinali lisci e molto rilevati ; bocca intera, irregolarmente triangolare; peristoma semplice, sottile, retto. Questa specie ha numerose affinità con le forme del sotto- genere Torinia Gray al quale la riferisco, sempre dubbiosa- mente, perchè non conoscendone l’opercolo su cui si basano i principali caratteri differenziali dei sottogeneri di Solarium , resta sempre l’ incertezza su quale di essi far rientrare le specie in esame. In ogni modo questa forma si può assumere come termine di passaggio tra i sottogeneri di Solarium, con anfratti carenati ( Solarium s. s., Philippia Gray, Granosolarium Sacco) e quelli con anfratti tubolari ( Torinia Gray). G. Seguenza chiamò questa forma S. Zancleum perchè la si rinviene esclusivamente nelle sabbie del Pliocene inferiore ( Zan - cleano Seg. G.). Specie rara di Scoppo, Trapani (Messina), Rometta. Genere GIBBUTA Risso, 1826. Sottogenere Gibbula (sen. str.), (libimi a Luciae G. Seguenza. Tav. XVII, fig. 15, 16. 1873-77 Gibbula Luciae — G. Seguenza, St. str. forni, plioc., pag. 254. Conchiglia alta mm. 6,2, larga mm. 7,5, dimensioni mas- sime, a cui arrivano i numerosi esemplari da me posseduti. 460 L. SEGUENZA FU G. Spira breve, poco acuta; anfratti convessi, l’ultimo lieve- mente carenato da carena tondeggiante; base convessa; ombe- lico profondo, imbutiforme; numerosi cingoli sottilissimi, e vi- sibili con forte ingrandimento. A colpo d’occhio si confonderebbe con G. semigranularis Cantr. sp. per la forma generale, però si riconosce la marcata differenza nei dettagli; infatti in G. semigranularis i cingoli sono pochi e ben distinti da solchi profondi sin dai primi an- fratti anche nelle forme giovanili, e manca sempre una stria- tura trasversale, mentre in G. Luciae i cingoli sono assai più numerosi e sottili, traversati da strie oblique più sottili ancora che danno alla conchiglia una microscultura elegantissima (iìg.l 6); ne differisce anche per le dimensioni costantemente minori. Nel Pliocene di Messina si raccoglie poco frequente; nei calcari marnosi di Scoppo {Astiano) e nelle sabbie di Kometta e contrada Trapani {Pliocene inf.) Gibbuta Maurolici G. Segucnza sp. Tav. XVII, fig. 17. 1873-77 Zyziphinm Maurolici — G. Segucnza, Si. str. forvi, plioc., pag. 252. Conchiglia alta mm. 23, larga inni. 28; dimensioni mas- sime dei numerosi esemplari che possiedo. Anfratti fortemente convessi e sporgenti, con 5-0 cingoli acuti, prominenti, dei quali gli ultimi due qualche volta crenati, separati da solchi mar- cati qualche volta bipartiti da cingoli secondarii; base con nu- merosi solchi concentrici, equidistanti, più lievi di quelli che ornano la superfìcie degli anfratti. Questa forma è vicina a G. Indiata Phil. sp.; però que- st’ultima ha gli anfratti piani, l’ultimo dei quali con carena arrotondata, cingoli pochissimo prominenti; mentre che G. Mau- rolici ha anfratti assai convessi, l’ultimo dei quali molto meno carenato che in G. ballata, e cingoli assai prominenti. Qualche affinità la si riscontra con G. semigranularis V antr. sp., ma la forma costantemente depressa e la scultura di que- st’ultima, ne la separano radicalmente. MOLLUSCHI POCO NOTI DEI TERRENI TERZIARII DI MESSINA 461 G. Sequenza, nel suo indice dell’opera più volte citata, dà notizia di tre varietà che io ho potuto riscontrare assai bene spiccate: Varietas brevis G. Seg., forma più depressa e più larga alla base. Yarietas laevis G. Seg., forma con cingoli sempre sottili e mai crenati. Varietas tenuicostata G. Seg., forma con cingoli meno prominenti e più numerosi. Questa specie si raccoglie non raramente nei calcari mar- nosi del Pliocene astiano di Scoppo e S. Filippo inferiore presso Messina. Genere TKOCHOSOLAKIUM nov. Forma depressa; anfratti imbricati, lisci, o lievemente striati; ombelico stretto e profondo; base convessa, radialmente striata; bordo dell’ombelico crenato e carenato come nei Solarium. Non avendo potuto piazzare la forma che appresso descrivo nè tra i Trochus, nè tra i Solarium , pur avendo caratteri degli uni e degli altri, credo di dovere istituire questo nuovo genere col nome di Trochosolarium, che ricorda i caratteri comuni ai due gruppi di molluschi. Trochosolarium solarioides G. Seguenza sp. Tav. XVII, fig. 1, 2. 1873-77 Gibbuta solarioides — G. Seguenza, St. str. forni, plioc., pag. 254 Conchiglia alta mm. 4, larga nini. 6. Forma che partecipa dei caratteri dei Trochus e dei Solarium. Anfratti imbricati e convessi (5) di cui il primo e secondo perfettamente lisci, il terzo ornato da (3-8 tenui strie longitudinali e da eleganti solchi trasversali più sottili e numerosi, quarto e quinto levi- gati o solo striati dall’accrescimento; base convessa ornata da strie radiali che partendo dall’orlo dell’ombelico arrivano a metà della superfìcie inferiore dell’anfratto ultimo, che è più 462 L. SEGUENZA FU G. grosso il doppio degli altri anfratti; ombelico vero, largo e profondo; bocca semplice con peristoma dritto dal lato dell’om- belico e ovale dal lato opposto. Guardando questa forma dal lato della base, ricorda il So- larium humisimplex Sacco, solo che nella specie messinese le strie sono meno numerose. Però dal lato dell’apice ricorda be- nissimo il genere Oxystele Phil. Tale, per così dire, dimorfismo mi persuase a separare questa forma da tutti i gruppi di Solarium e Trochus cono- sciuti. Questa specie si raccoglie rarissima nel Pliocene inferiore di Scoppo e di Kometta nella provincia di Messina. Genere CALLIOSTOMA Swains, 1840. Sottogenere Calliotropis nov. (tipo Calliotropis Ottoi Pbilippi sp.). Forma affine ad Ampullotrochus Monterosato ; differisce per avere anfratti bicarenati spiccatamente sporgenti al di sopra della sutura, pianeggianti o più o meno lievemente convessi. Studiando due forme nuove di Trochus instituite da G. Se- guenza e confrontandole con Trochus Ottoi Pliil., mi accorsi dei caratteri comuni che li riunivano in un gruppo e li allontana- vano da Ampullotrochus Monti1.; è per questo che mi sono per- suaso a separarle definitivamente dando loro il nome di Cal- liotropis che ricorda la bella forma di carena che è il carattere più spiccato di esse. Calliotropis formosissinms G. Seguenza sp. Tav. XVII, fig. 14. 1873-77 Zùyphinus formosi ssimus — G. Seguenza, »S't. str. forvi, plioc., pag. 252. Conchiglia alta min. 28, larga mm. 25; spira acuta costi- tuita da otto anfratti carenati da doppia carena il cui angolo sporge al disopra delle suture che sono lievemente cana lidi late; apice globosa: primo anfratto liscio; gli altri pianeggianti o lieve- MOLLUSCHI POCO NOTI DEI TERRENI TERZIARI! DI MESSINA 463 mente depressi, striati longitudinalmente; l’ultimo proporzional- mente più grande e leggermente convesso nell’ultima metà; bocca intera, semplice, obliqua; peristoma acuto e sottile; base con- vessa e striata come il resto della conchiglia; scultura costituita da linee longitudinali, sottili, parallele, finamente ed elegante- mente crenate, assottigliantisi e decrescenti di numero grada- tamente procedendo dalla bocca verso l’apice; tra le strie maggiori se ne intercalano sovente più sottili e parallele alle prime. \ E una forma elegantissima che non trova riscontro con alcuna delle forme a me note e ben merita il nome datole da G. Seguenza. Si raccoglie nelle sabbie di Salice, Kometta e contrada Tra- pani presso Messina ( Pliocene inferiore ), poco frequente. Calliotropis forni osissimus G. Seguenza sp. varietas paucicarinata nov. Bella varietà in cui i due angoli della carena essendo meno acuti di quanto sono nel tipo, danno alla conchiglia una forma meno angolosa. Trovata insieme al tipo a Salice. Calliotropis Sayanus G. Seguenza sp. Tav. XVII, fig. 13. 1873-77 Zizyphinus Sayanus — G. Seguenza, St. str. forni, plioc., p. 160, 252. Conchiglia alta mm. 19, larga min. 18. Spira acuta, costi- tuita da anfratti a sezione poligonare, dei quali il primo è liscio con apice globosa, il secondo e terzo elegantemente scolpiti di tre pieghe longitudinali incontrantisi con costole di eguale spes- sore, gli altri quattro anfratti sono concavi o pianeggianti, con carena biangulata in basso, superficie liscia o sottilmente striata longitudinalmente; sutura profonda, canalicolata, finamente cre- nata al bordo superiore; base piano-convessa con cingoli con- centrici presso il bordo esterno e attorno alla columella; bocca semplice, poligonare; peristoma sottile, acuto, dritto. È caratteristico il canale fra i due angoli della carena negli anfratti che sovrasta la sutura e che negli ultimi avvolgimenti è ornato da due sottili strie marginali parallele ai due lati di esso, e da una linea di piccole punte sporgenti sul bordo inferiore. 4(34 L. SEQUENZA FU G. Questa specie si raccoglie nei calcari marnosi del Pliocene medio di Scoppo e nelle sabbie del Pliocene inferiore di Roinetta sempre raramente. Troehus gemmala G. Seguenza. tav. XVII, fig. 18. 1878-77 Troehus geni mula — G. Seguenza, St. str. forni, plioc. Il prof. G. Seguenza instituì questa nuova specie, clic io riporto a titolo di curiosità, su di un unico esemplare incom- pleto e piccolissimo (mm. 2,5 per nini. 1,8). Ha spira acuta con anfratti cancellati, sutura scanellata, bocca tondeggiante a peristoma semplice e ripiegato lievemente in fuori. Dall’assieme della conchiglia mi son formato il concetto che si tratti di giovane conchiglia di qualche specie del genere Calliostoma appartenente a sottogenere non ben definibile da un solo individuo mal conservato. Tale esemplare fu raccolto nel Pliocene inferiore di Trapani presso Messina. [ms. pres. I!) settembre 1902 - ult. bozze 12 dicembre 1902], SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA XVII Fig. 1 e 2. » 3-4-5. » 6-7-8. » 9-10. » 11-12. » 18. » 14. » 15. » 16. » 17. 18. Trochosolarium (nov. gen.) solarioides, G. Seguenza sp. (ingrandito). Solarium (sen. str.) co niextum, G. Seguenza (ingrandito). Solarium (sen. str.) Alleryi, G. Seguenza (ingrandito). Solarium (Philippia) hemisphaerum , G. Seguenza (grandezza naturale). Solarium (Torinia) zanai ara, G. Seguenza (ingrandito). Calliostoma (Calliotropis nov. sot. gen.) Sayanus, G. Se- guenza sp. (grandezza naturale). Calliostoma (Calliotropis) formosissimus, G. Seguenza sp. (grandezza naturale). Gibbula Luciae, G. Seguenza (ingrandita). » » » (scultura fortemente ingrandita). >■> Maurolici, G. Seguenza sp. (grandezza naturale). Troehus gemmala, O. Seguenza (fortemente ingrandito). » Boll. d. Soo. Geol. Italiana. Voi. XXI (Seguenza) Tav. XVII. ELIOT CAlZOlArt:fl 34, 35. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 469 vari punti assolutamente errate; le curve poi sono del tutto immaginarie. Cosicché spesso nelle regioni più importanti il rilievo geologico doveva andare pari passo con quello topo- grafico. Con questo non intendo assolutamente fare un appunto all’Istituto austriaco. Tutt’altro anzi ; poiché una carta, anche mal fatta, è sempre utile, anzi indispensabile per le ricerche geologiche. E spiacevole solamente che la carta trigonometrica al 42 mila rilevata dal corpo di stato maggiore russo negli anni 1879-82 non sia stata mai resa di pubblica ragione. Sia per la scala, sia per la esattezza del metodo del rilievo, questa carta avrebbe un valore grande, e probabilmente superiore a quello della carta austriaca, che resta però sino ad oggi la sola possibile per un viaggio nel Montenegro. Prima di progredire nel mio lavoro sento il dovere di rin- graziare pubblicamente tutte le autorità del Principato e più specialmente S. A. li. il Principe Nikita ed i suoi ministri, che mi furono larghe di aiuti e gentilezze d’ogni genere. Considerazioni generali morfologiche, orografiche e idrografiche. Il Montenegro, la Zrnagora, é il tipo del paese montuoso per eccellenza; la sua altezza media si può infatti valutare in- torno ai 1200 metri. Tolta la monotona pianura attorno al lago diSkutari, che é però in gran parte turca, quelle di Nikscic, di Zettinje, di Danilovgrad, di Grahovo, e poche altre insignificanti, tutto il Montenegro é un accatastarsi immenso e apparentemente disordinato di cime e di catene, alcune delle quali imponenti per misura ed al- tezza. Ma questo caos di montagne e di colline, coi suoi profondi canon fluviali, osservato attentamente, si risolve in un sistema molto semplice ed anche assai uniforme di rilievo terrestre. Il Montenegro fa parte integrante insieme alla Dalmazia ed alla Bosnia della grande porzione nord-occidentale della penisola balcanica, nella quale le grandi pieghe hanno prevalente la direzione di NW.-SE., che é la linea di sollevamento delle Alpi dinariche e deirAppennino. Una muraglia immobile di rocce 39 470 P. VINASSA DE REGNY antiche fece ostacolo alle pieghe delle rocce più recenti, e le costrinse a prendere la direzione di SE., la quale poi al Sciar-Dag si muta ancora in SSE. E la piegatura fu potentissima e sva- riata a seconda delle varie rocce. È noto infatti che gli scisti ad esempio si piegano più dei calcari; oltre a ciò nel Monte- negro risulta pure che la piegatura fu molto più forte nel Trias e nel Giura che non nella Creta, la quale assume in ge- nerale forme più pianeggianti. Queste danno appunto al paese il tipo, sempre predominante, di altipiano, ed al corso dei fiumi quello pure predominante, se non esclusivo, di forre più o meno imponenti. Anche oggi continua il processo orotettonico, ed i terremoti che avvengono lungo la faglia di Antivari ci dimostrano che altri movimenti si preparano, che la depressione adriatica continua, e le fratture periadriatiche sono tuttora in moto. Sono state date parecchie divisioni del Montenegro a se- conda della sua scultura superficiale, e tra tutte è forse più razionale, sebbene assai minuta, quella del Hassert. Effettiva- mente noi possiamo distinguere oltre la pianura, delle catene, o meglio una catena principale, quella costiera; una porzione, pre- valentemente altipiano, a netto tipo carsico, ed un altipiano, sul quale stanno altre alture, spesso esse pure allineate in ca- tena. Questa divisione semplice risponde a quella ammessa dallo Zvi.jic (*) che oltre la pianura distingue nella sua bella carta una « Karstzone mit kurzen Graten (Humina, Rudina) » che nel Montenegro giunge alla valle della Zeta, a Nikscic, e a Daga, ed una « Zone der Hochplateaux (Povrsc, Rrda) » più verso l’in- terno. Delle pianure abbiamo veduto essere la più importante quella attorno al lago di Scutari, che arriva all’Adriatico oltre Dulcigno, e resta montenegrina sino alla lenta corrente della Bojana. Questa pianura rappresenta il riempimento dell’antico golfo del Drin, tal quale come la piana attorno ad Antivari rappresenta 1’ interrimento del preesistente golfo oggi ridotto ad un insignificante specchio d’acqua, come del resto avviene anche per altre insenature della costa orientale adriatica. (*) Morphologische und glaciale Studien aus Bosnicn, der Hercego- vina und, Montenegro. Abli. k. k. geogr. (teseli. Wien, II, 1900, Tafel IX. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 471 Presso alla Bojana il deposito fluviale è maggiore che non l’abrasione e il trasporto dei venti e del mare, ma in altri punti il mare lavora più dei fiumi. Dune marine sono assai co- muni lungo la costa, ed esse non vengono che raramente vinte dai corsi d’acqua. Cosichè la pianura è divenuta paludosa e deserta. Alla piana attorno al lago sono unite le piccole pianure della Zrmniza e quella della Zeta, che è una diretta continuazione della depressione scutarina. Per terminare della pianura oc- corre dire anche due parole sui poljen, una formazione di valle caratteristica del sistema dinarico. Sono questi dei grandi ba- cini, chiusi da ogni lato, nel cui fondo le acque spesso affio- rano, producendo inondazioni annue : sono in sostanza delle grandi doline, ed anzi tra le doline molto profonde ed i poljen, anche idrograficamente, non si ha differenza alcuna. Per questo fatto, quando l’origine delle doline si credeva essere mio spro- fondamento per rottura di caverne sotterranee, l’origine dei poljen si credè pure dovuta ad una serie di sprofondamenti. Secondo le recenti osservazioni del Zvijic (') l’origine dei poljen e delle doline è invece diversa; essa è connessa intima- mente coll’andamento della stratificazione. Le conche carsiche, le Uvalla (2), corrispondono ai poljen perchè il loro asse mag- giore corrisponde alla direzione degli strati; solamente il loro fondo non è pianeggiante come nei poljen, e anche quelle uvalla che sono soggette ad essere inondate, non sono, come i poljen, inondate periodicamente ogni anno. Le conche carsiche, le uvalla, sono senza dubbio uno stadio primitivo dei poljen, ove la de- nudazione ha agito meno che in questi. La denudazione car- sica fluviale è minima; le acque agiscono orizzontalmente, e quando la denudazione è molto progredita allora sono poste allo scoperto le acque di fondo, che danno così origine alle parti- colari condizioni idrografiche, caratteristiche di queste formazioni. La porzione montuosa dicemmo che si può dividere in un gruppo, la vera Zrna Gora, ove le montagne sono a forma di catena, e la cui altezza massima non oltrepassa mai i 2000 m., p) Op. cit., II, p. 76 e seg. Vienna, 1901. (?) Crederei che questo nome, quasi valle ad U, potesse venire ac- cettato per designare le tipiche vallate carsiche. 172 P. VINASSA DE KEGNY c la Brda, la « montagna », ove il tipo di altipiano, con tal- volta soprapposte alture anche a catena, è prevalente, ed ove le altezze superiori ai 2000 in. non sono rare. Nella porzione costiera, e più specialmente nella regione che separa il lago di Skutari dall’Adriatico, la forma di catena è nettissima. Questa catena, parallela all’Appennino, comincia nel Krivoscije e termina a Dulcigno. Essa, obbedendo alle ben note leggi morfologiche, ha pendenza molto forte lungo l’Adriatico, mentre verso l’interno ha inclinazione minore. Fra le altezze mag- giori della catena è il Lovcen, a cui segue poi, tra il lago di Skutari ed il mare, il dossonc del Eumija, che dà il suo nome a questa porzione speciale, assai stretta. La ripida pendenza lungo mare, indica chiaramente la frattura di questa montagna, e fa sì che sulla costa siano rarissime le insenature un po’ forti, se si eccettuano le vallate sommerse, come le bocche di Catturo. Oltre Aliti vari però, lungo mare, alla catena costiera che va lentamente degradando di altezza, si addossano altre piccole zone parallele alternanti di flysch e di calcare. Il flysch are- naceo, essendo più erodibile, ne risulta una quantità di insena- ture, alcune, come la Val Kruci e più ancora la Val di Noce presso Dulcigno, assai profonde e importanti. Alla catena costiera principale segue una zona di depres- sioni, come le valli di Njegusc, di Zettinje, di Dobrsko Selo, di Rijeka e di Skutari, esse pure allineate nella stessa direzione di NW.-SE. Dopo di che e prima di arrivare alla valle della Zeta, il paese è un altipiano fortemente alterato pei fenomeni carsici, nel quale si può anche tentare di riconoscere come un andamento di catena, ma che effettivamente non lo è. Lo sembra però perchè si trova tramezzo a due linee di depressione rela- tivamente abbastanza ravvicinate e parallele tra loro. La porzione occidentale del Montenegro, secondo Hassert, non ha un vero e proprio tipo di altipiano, se si escludono i Banjani; la sua altezza media è di 700 od 800 m. e le diffe- renze di altezza sono assai limitate. Essa degrada a scaglioni verso sud ed anche verso occidente, cosicché questa parte di territorio va morendo verso il lago di Skutari e verso il mare. Al di là della depressione Duga-Nikscic-Zeta comincia un altro tipo, prevalentemente altipiano, di cui la porzione più OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 473 sud- occidentale, sempre spiccatamente carsica, forma il passag- gio tra la regione della Zrna Gora, il vecchio Montenegro, e la Brda, o la « montagna » per eccellenza. La Brda è un altipiano nel quale si possono distinguere diverse regioni, che qui sarebbe troppo lungo riportare. Come paesaggio è variabilissima, poiché in essa si trovano desolate regioni carsiche c fresche vallate ricche d’acqua e pascoli al- pini splendidi. L’altezza dell’altipiano è varia: così nella massa del Vojnik, ove la natura di altipiano è meno spiccata, si ar- riva facilmente ai 2000 m., partendo da una baso assai bassa ; nel massiccio centrale, così detto da Hassert, si hanno dai 900 ai 1400 m., e nella Sinjavina, ove la natura di altipiano è spiccatissima, l’altezza dello zoccolo, base alle sovrapposte montagne, varia da 1200 a ben 1700 m. Le cime o pianeg- gianti o dentate non hanno quindi mai un’altezza relativa molto grande. Il Durmitor, la più alta cresta montenegrina, la cui cima più alta (Bobotov Ivuk) arriva a 2528 m., oscilla tra i 500 ed i 1000 m. di altezza relativa sul circostante altipiano. Il Durmitor è considerato dall’Hassert come un massiccio indi- pendente; ma Rovinski e Baldacci lo ritengono una continua- zione delle Alpi erzegovesi. E questa opinione sembra più ac- cettabile, specialmente se si considera la sua connessione geo- logica col Volujak e colla Prenj planina. La massa che fino a poco fa si credeva superiore in altezza al Durmitor, il Kom, è pure una catena di altitudine relativamente piccola, soprapposta ad un altipiano di circa 1800 m. Ma se il Durmitor è orrido anche per l’aspetto desolato e morto della circostante regione, il Kom si trova invece in mezzo alle ver- deggianti boscaglie ed ai fioriti pascoli dei Vasojevici. Le pro- paggini del Kom, molto più estese di quelle del Durmitor, si spingono sino in Albania, e assumono il tipo di altipiano spe- cialmente fra Andrijeviza e Kolascin. Presso al confine albanese, nei monti di Shiovo, la direzione della catena è perpendicolare alla già nota e prevalente, esten- dendosi da SW. a NE. Qui si hanno i maggiori distacchi tra altezze e incisioni, poiché il canon della Zijevna, profondo più che 700 m. e fiancheggiato da montagne di 2000 m., è uno degli 474 P. VINASSA DE REGNY esempi mirabili e forse il maggiore di tutta l’Europa di simili formazioni. In un paese di questo genere, ove è predominante la forma di altipiano, è naturale che i fiumi abbiano decorso e forme di vallata ben diverse dal solito. La linea di spartiacque adria- tico-pontica è assai irregolare e sinuosa ed è molto prossima all’Adriatico. La Tara col suo affluente Piva ed il Lini appar- tengono al bacino politico; la Moratscia coi suoi affluenti Zeta e Zijevna sbocca nel lago di Skutari e quindi nell’Adriatico. Trattandosi di un paese carsico per eccellenza sono assai comuni le acque scomparenti. Uno dei fiumi scomparenti più noti nel Montenegro è la Zeta, che sparisce in una frattura, un ponor, dei calcari del Planiniza ai margini della conca di Nikscic e ricompare assai più bassa di Danilovgrad.LaCrnojevizkaRijeka die sbocca poco sopra questa città e scende con lievissima pen- denza a Skutari, è invece un fiume per la maggior parte sotterra- neo, poiché esso è già un vero fiume al punto della sua nascita dai calcari oltre Dobrsko Scio. Ed in rapporto alla natura geologica del suolo, poiché i quattro quinti della regione sono calcari ed un quinto scisti, è naturale pure che qui siano le maggiori quantità d’acqua, sotto forma di abbondanti e numerose sorgenti e di fiumi ricchi di acque perenni. La mancanza d’acqua nella porzione carsica, calcarea, la quale è pure una delle regioni di Europa più ric- che in pioggia, è terribile; e questo contribuisce fortemente alla miseria ed alla poca, o meglio alla nessuna pulizia degli abi- tanti. La medesima natura geologica influisce anche sulla presenza degli affluenti. Infatti questi sono numerosi nella regione degli scisti, e mancano del tutto nella regione carsica, cosicché i fiumi, come la Zijevna e la Moratscia nell’ultima parte del loro percorso, durante la magra, per mancanza di affluenti, sono ridotti quasi all’asciutto. I fiumi scorrono nel Montenegro prevalentemente in valli di erosione, che facilmente, nella porzione calcarea, arrivano ad essere profondi e ripidissimi canon. Uno dei più imponenti è quello della Zijevna. Tali forre profonde sono ottimi confini na- turali ; il passare da una parte all’altra, anche a distanza di 0SSEKVAZI0N1 GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 475 pochi chilometri in linea d’aria, obbliga ad un lungo cammino ed a fatiche grandissime. Come nelle montagne del nostro Appennino, i pastori mon- tenegrini e albanesi si chiamano e corrispondono telefonicamente dalle due rive del profondissimo fiume. I laghi del Montenegro, ad eccezione del grande Skadarsko jezero, hanno dimensioni molto limitate. Se ne conoscono però in assai buon numero, circa quaranta, tutti prevalentemente si- tuati nella regione calcarea, là dove però affiorano gli scisti o altre rocce impermeabili. Notizie geologiche. Veduto così brevemente e la natura del paese e la sua pla- stica nelle linee generali, passeremo a dare un sunto di quanto geologicamente se ne conosce sino ad oggi, trattando adesso naturalmente soltanto della porzione da me visitata, e riferen- doci al resto del Principato soltanto quando ciò sia necessario per meglio comprendere ed esplicare le condizioni speciali di qualche terreno. Geologicamente parlando la regione da me visitata, è tra le meno note. Facendo astrazione dai vecchi ma sempre im- portanti lavori di Boué (*), non si hanno che i lavori di Tietze del 1884 (2), di L. Baldacci del 1890 che non diede se non una breve nota preventiva (3) lasciando il lavoro importante solamente manoscritto (4) e fu peccato; e finalmente del Has- (') Boué A., Esquisse géólogique de la Turquie d’ Europe. Paris, 1840. (2) Tietze E., Geologische Uebersicht von Montenegro. Jahrb. der k. k. geolog. Reichsanstalt, 1884. (3) Baldacci L., Boll. R. Comit. geolog. it., 1886, XVII, p. 416. Non citato nella bibliografia del Hassert, come del resto non è citato il la- voro di Canavari, Idrozoi titoniani , nel quale sono descritte le Ellipsaeti- nie del Durmitor. (4) Il lavoro dell’ ing. Baldacci, d’indole prevalentemente mineraria, accompagnato però da importanti osservazioni geologiche e da una carta, fu presentato manoscritto a S. A. R. il principe Nikita. Ne com - parve una traduzione in serbo sul giornale Prosvjeta, lisi za crkm , skolu i poulcu, 1890, e quindi inaccessibile ai più. L’ing. Baldacci ebbe però la cortesia di mandarmi copia del suo manoscritto, della qual cosa tengo qui a ringraziarlo pubblicamente. 476 P. VINASSA I)E REGNY sert (;) del 1895, clic non solo riassume i lavori precedenti, ma aggiunge di suo una quantità di osservazioni interessanti. Il Hassert, clic veramente è quello che ha studiato con amore e passione il Principato sotto i vari punti di vista, e clic chiama da sé il Montenegro con ragione « sua patria scientifica » è un benemerito della nostra scienza. Egli con profonda coltura ha saputo darci del Montenegro una descrizione accurata, esatta e quasi completa, basata sopra numerosi viaggi e fondata sopra una solida preparazione scientifica. Anche il geologo deve a lui gratitudine, poiché egli ha saputo notevolmente accrescere le indicazioni date da Tietze e Baldacci, quantunque egli stesso non sia geologo di professione. All’egregio professore ed amico vada il mio riverente ed affettuoso saluto. Prima di descrivere partitamente la regione da me studiata, credo utile di brevemente riassumere quanto di essa fu detto da Tietze, da Baldacci c da Hassert. Seguendo l’esempio di Tietze credo pure comodo dividere in tante parti separate la regione visitata. E queste parti sono le seguenti: I . Catta ro-Podgor i za . II. Confine albanese. III. Dintorni del Kom. IV. Andrijeviza e valle del Lini. V. Kolascin e valle della Tara. VI. Ljeva Kjeka e Moratscia inferiore. VII. Virpazar-Antivari. Vili. Antivari-Dulcigno. Nella regione da Catturo a Podgoriza il Tietze non ha avuto occasione di fare molte osservazioni. Accennando alle antiche scoperte di Hbfer (2) e di Lipold (3) egli ammette l’esistenza del Giura e del Trias. I calcari da Njegusc a Zettinje sono trias- sici, e cretacei quelli da Zettinje a Rjeka. 1 calcari bituminosi (') Hassert K., Beitriige zur physischen Geographie voti Montenegro. Petermann’s Mitteibmgen, Erganzungs Heft n° 115, Gotha, 1895. (2) Hofer, Verh. der k. k. geol. Reichsanstalt, 1872, p. 68. (3) Lipold., Die geologischen Verhnltnisse zwischen Cattnro und Cet- tinje. Verh. k. k. geol. Reichsanstalt, 1859. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 477 sono caratteristici del Cretaceo. Anche Baldacci aggiunge poche cose a quanto dice il Tietze, solamente accenna alla probabile esistenza di calcari del Lias inferiore ed alla presenza di El- lipsactinie giuresi nei calcari da Catturo a Zettinje. Il Hassert nega ciò, come del resto fa assai spesso, in quanto che il rife- rimento al Giura di vari calcari, che forse dal Baldacci è stato un po’ troppo esagerato, viene costantemente e spesso anche aspramente combattuto dal Hassert, il quale difende a spada tratta il Tietze, che non ammetteva, o quasi, la presenza del Giura, dando invece una grande estensione, esagerata anch’essa, al Trias. Il Baldacci fa notare anche, molto giustamente, la concomitanza di dolomie con calcari cretacei, avvertendo come questo fatto possa indurre spesso in errore. Sulla regione di confine albanese, nella quale comprendo tutta la grande estensione, prevalentemente calcarea, che dalle montagne ad est di Podgoriza giunge sino al contine col Paleo- zoico di Rikavaz e alla Moratscia, poco è stato scritto. Il Tietze non l’ha visitata: Baldacci nota soltanto presso Medun arena- rie, argille e calcari che egli crede eocenici, e che Hassert rife- risce invece al Flysch cretaceo. Ma del resto nemmeno il Bal- dacci ha visitato la regione ed il Hassert, che pure vi è stato, nulla ha trovato da notarvi, se si tolgono le importanti tracce glaciali dei monti dell’interno. La terza regione comprende il territorio dei Elici da Rikavaz sino al Kom, e quello dei Vasojevici sino ad Andrijeviza ed alla Kutscka Rjeka. Qui le notizie che si hanno sono assai più numerose, trat- tandosi di una regione classica nel Montenegro: le opinioni dei geologi sono anche assai concordi; secondo il Tietze le cime del Kom sono costituite da banchi di calcare grigio e di dolomite indubbiamente triassici, e della stessa età sono pure i calcari che coronano le vicine alture. Gli scisti sottostanti non vanno riferiti al piano di Werfen, che qui non esiste, ma sono invece paleozoici e specialmente carboniferi. Dal Kom ad Andrijeviza si hanno prevalenti scisti ed arenarie paleozoiche che conten- gono dei calcari intercalati. Baldacci aggiunge qualche altra indicazione sulle rocce del Kom. 478 P. VINASSA DE REGNY I calcari rossicci sottostanti al calcare grigio ed al calcare saccaroide dolomitico che in banchi quasi orizzontali coronano il Kom sono da riferirsi forse al Trias inferiore e cosi pure gli scisti. Ma gli scisti sono più probabilmente paleozoici, anzi pre- sumibilmente siluriani. Baldacci accenna poi alla presenza di dioriti porfiritiche in grandi masse a Babo potok nella Kutscka Rjeka. II Hassert ci dà per primo le indicazioni geologiche a co- minciare dal lago di Rikavaz, dove ha principio la stretta zona degli scisti di Werfen che poi si continua a traverso il Mon- tenegro in diagonale sino alTErzegovina: zona di scisti erro- neamente segnata dal Tietze. La serie salendo a Scirokar è ben netta; sopra agli scisti paleozoici vengono dei calcari triassici, che nei punti ove sono erosi mostrano la presenza di strati di Werfen. 11 Hassert poi fa notare la presenza del Verrucano a Zarine sotto il Kom, e accenna alla questione dei calcari che costituiscono il Mali ed il Yeliki Krsc che non si sa se siano triassici o paleozoici: egli però nella carta li segna triassici. Anche in questa regione egli accenna a numerose tracce glaciali. La regione quarta comprende i dintorni di Andrijeviza, la valle del Lini, compreso il Scekulare sino ad oggi ignoto quasi del tutto. Anche questa è regione prevalentemente paleozoica. Tietze da Andrijeviza a Zezun descrive un calcare grigio brec- ciato, che crede paleozoico, poi scisti argillosi e arenarie, poi calcari con tracce di erinoidi, e poi ancora scisti talcosi e scisti quarzosi. Non sa però da dove provengano le rocce eruttive dei ciottoli della Zlorjesciza. Baldacci, dopo aver fatto anch’esso no- tare la presenza delle terrazze quaternarie del Lini, accenna alle svariate rocce scistose e quarzose certamente paleozoiche ed ai calcari anche dolomitici che essi pure sembrano riferirsi al- l’epoca stessa. Il Hassert aggiunge a queste notizie le indica- zioni esatte delle rocce eruttive (porfiriti diabasiche), come pure indica la presenza di scisti e altre rocce paleozoiche a Murino ed a Luge, nella valle del Lini. Accenna poi alla somiglianza del calcare con erinoidi di Hasaiiaz con quello paleozoico di Zezun. Quanto ai calcari ai due lati del Lini e della Zlorjesciza il Hassert non sa se siano paleozoici o triassici; ma mentre nel OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 479 testo (op. cit., pag. 18) propende a ritenerli triassici, nella carta li segna paleozoici. La regione quinta comprende tutta la montagna tra il Lini e la Tara, i dintorni di Kolascin e la valle della Tara dal con- tine col Sangiaccato sino allo spartiacque pontico-adriatico. Questa pure è regione assai nota, poiché da tutti visitata. Anche qua si ha prevalenza di Paleozoico, e solo sono da notare in più le grandi masse eruttive del Kljuc e della Stitariza. Da Andrijeviza a Kolascin Tietze nota quarziti, calcari scuri immersi negli scisti, che sono argi Ilo-scisti micacei ; accenna ai filoni di quarzo del Bac, quindi ai conglomerati, alle are- narie ed alle rocce verdi con diaspri. Attorno a Kolascin, ove sono anche terrazze quaternarie, predominano calcari probabil- mente triassici. A Trebaljevo invece sono arenarie, dopo di che si trovano le grandi masse diabasiche intruse negli scisti. A Stitariza sono pure arenarie rosse, rispondenti a quelle Grodno. Da Kolascin tornando verso l’ interno del Montenegro il Tietze nota a Matescevo rocce paleozoiche caratteristiche. Gli scisti della base del Kom scendono a Kralj e sopra hanno arenarie. A Veruscia, presso lo spartiacque, si hanno pure scisti seguiti da are- narie presso alla stretta del torrente, che è formata da calcare grigio interstratificato agli scisti e quindi paleozoico. La de- scrizione di Tietze di questa regione è così esatta ed accurata, che Baldacci non vi ha fatto quasi nè modificazioni, nè aggiunte, salvo che l’età di alcuni calcari lungo la Tara, triassica per Tietze, è paleozoica per Baldacci. Il Hassert pure ha poco da aggiungere e da notare, se si escluda l’accenno ad arenarie di Grodno al Kljuc. La regione sesta comprende tutta la regione della Ljeva Rjeka sino alla Moratscia ed al lago di Skutari. Anche questa è regione assai nota, e tutti i viaggiatori, anche profani, sono stati colpiti dal cambiamento a vista che si produce quando, lasciati gli scisti paleozoici e triassici che si spingono sino a Jablan, si entra, proprio accanto a questo gruppo di case, nella porzione calcarea, carsica del Vecchio Montenegro. Qui nel cal- care dei Bratonoshici il Tietze non potè distinguere piani, e riferì tutto al Trias od al Cretaceo. Cretacei pure sono per Tietze i calcari bituminosi presso Bioce ed altri attorno di Podgoriza. 480 P. YINASSA DE KEGNY Il Baldacci invece fu più fortunato poiché al Vjeternik presso Jablan trovò nettissimo il Giura con Ellipsactinie e Nerinee. Gli altri calcari sono pur per il Baldacci cretacei. Il Hassert, accen- nato alla presenza di arenarie di Grodno a Ljeva Ejeka e al calcare triassico che forma lo spartiacque tra Tara e Ljeva Rjeka, ammette pure il Giura trovato da Baldacci, soprapposto ai cal- cari triassici i quali si spingono sino a metà strada tra Pelijev Brijeg e Klopot. Tutta la regione interna del Shijovo verso il confine albanese è segnata dal Hassert come triassica con tracce glaciali. La regione settima comprende la catena costiera sino ad Antivari. Anche qui le osservazioni precedenti sono assai com- plete e importanti. Il Tietze accenna ad una specie di verrucano sotto al cal- care triassico di Virpazar, quindi alla presenza di scisti a tipo di Werfen ed alle rocce eruttive di Bukowik e Limljani in rela- zione cogli scisti. I primi calcari più bassi sono triassici, alcuni di tipo dolomitico, ma in alto al Sutorman è il Cretaceo. Scen- dendo verso Antivari tornano fuori i calcari triassici, poi a metà discesa si trovano degli scisti con Spiriferma fragilis interca- lati stranamente nel complesso calcareo triassico. Forse rappre- sentano gli strati di Wengen. Dopo questi scisti tornano i cal- cari presso a Tugemilie, poi gli strati di Werfen come a Lim- ljani nell’altro versante, ma ipsometricamente più bassi. Attorno ad Antivari tutto il calcare è triassico. La medesima successione di strati dà su per giù anche Bal- dacci ; egli nota in più i calcari rossi triassici di Boi jevici sovrap- posti agli scisti di Werfen traversati dalla diabase porfirica. Tali calcari rossi si trovano pure sull’altro versante, verso l’A- driatico, sotto al calcare cretaceo della vetta; e si ritrovano pure nel vallone sopra ad Antivari dal quale proviene l’acqua potabile per la città. Per Baldacci sotto agli scisti di Werfen variegati stanno scisti paleozoici. Di altri terreni il Baldacci accenna ad un pro- babile calcare liassico tra Vir e Godinie, come pure al Giura clic si rinviene in tutti i punti tra il Trias ed il Cretaceo. Bal- dacci avverte pure la presenza di rocce eruttive sul versante adriatico sopra ad Antivari. Hassert poco aggiunge a quanto OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUI. MONTENEGRO 481 sopra si è riportato, solamente, combattendo sempre l’opinione di Baldacci rispetto alla presenza del Giara, ripete come questo autore abbia esagerato l’estensione di questo terreno, e come il Giura si limiti a piccoli affioramenti presso Godinie, Spizza ed Aliti vari (op. cit ., pag. 82), mentre sulla carta è segnato solo una lunga striscia presso Godinie ed una massa assai grande sotto il Sutorman. La regione ottava ed ultima comprende la regione costiera da Antivari alla Bojana con tutta la grande catena del Rurnija, dal lago di Skutari all’Adriatico. Questa parte di territorio è pure in parte assai nota. Il Tietze distingue tra Antivari e Do- bravoda arenarie e scisti a tipo di Flyscli, simile a quello di Budua. La grande faglia di Cattaro si continua anche (pii, e lungo questa faglia appunto avvengono terremoti. Da Dobravoda a Pesciuriza sono calcari nummulitici, poi torna ancora Flyscli con arenarie e scisti, quindi altro calcare, poi ancora Flysch e finalmente, prima di Duleigno, ancora cal- care. Lungo mare è neogene nulliporico di cui il Tietze non sa dire se sia miocene o pliocene. Il Baldacci, confermando quanto dice il Tietze, riferisce al pliocene il lembo neogenieo lungo mare e l’altro presso Pisctuli senza però darne le ragioni. Il Hassert non si occupa di tale importante questione uscendone con un riferimento al neogene, ed accenna soltanto alla possi- bilità che le vette della catena del Rumja siano cretacee. Son queste, per sommi capi, le cose già note della geologia del Montenegro. Naturalmente anche in altri lavori sono conte- nute osservazioni più o meno attendibili sulla natura del suolo del Principato. Baumann ('), Rovinski (2), Schwarz (3) tra gli altri hanno su per giù ripetuto quanto era stato detto dal Tietze, aggiungendo poco di nuovo e forse qualche errore, come la pre- senza della Exogijra colmnba nei calcari di Danilovgrad citata da Schwarz; informazione che il Tietze (4) dimostra del tutto (') Baumann C., Bei se durch Montenegro. Mitt. k. k. geograpk. Gesell. Wien, 1883 e 1891. (2) Rovinski P. A., Cernogorija va eja proslom i nastojastem. 2 voi. Pietroburgo, 1888, 1893. (3) Schwarz B., Montenegro. Leipzig, 1883, 1888. (') Tietze, op. cit., pag. 73. 482 P. VINASSA DE REGNY errata, e che il Hassert (*), non so comprendere come, riporta nel suo lavoro. Anche A. Baldacci, nella descrizione dei suoi numerosi viaggi fatti nel Montenegro e nelle regioni prossime per raccogliere piante, parla talvolta della natura dei terreni, ma, come osserva Hassert, non essendo egli geologo, assai poco è da rilevarsi da tali indicazioni. Invece sono molto utili i lavori di Bukowsky (2) sulla regione di Spizza, data la sua somi- glianza colle formazioni costiere di Antivari e del Sutorman : ed anche il Hassert (3) negli ultimi suoi lavori, avendo trovato fossili al Monastero di S. Luca, ha potuto modificare in parte la sua carta geologica del 1895. Descrizione geologica speciale. Veduto cosi brevemente ciò che si sapeva della regione da me visitata avanti che vi andassi, esporrò adesso le mie osser- vazioni seguendo l’ordine stesso sopra indicato. I. Da Catturo a Podgorìm. La via che da Catturo conduce alla piccola capitale del piccolo Principato è meravigliosamente bella. Sale con un numero grandissimo di ampie svolte sino a 963 in. ove raggiunge Krstaz. Sotto agli occhi ammirati si svolge lo splendido panorama delle Bocche di Cattaro, mentre tutt’ attorno è un pauroso accatastarsi di montagne orride e brulle, che spingono nude il loro capo grigio ad altezze grandissime. Sovrasta a tutte il Lovcen, la sacra montagna montenegrina, dalla doppia cima, lo Stirovnik (1759 m.) ed il Jezerski Vrh (1657 in.) coronato da una bianca chiesetta, prossima al piccolo lago torboso, che dà il nome alla cima (Jezero = lago). Dal passo di Krstaz a Zettinje siamo in pieno paesaggio carsico dalle numerose doline imbutiformi, dalle creste numerose e irregolari che si susseguono con una confu- (>) Hassert, op. cit., pag. 25, in nota. p) Bukowsky, Varie note nelle Verh. (ler k. k. geol. Reichsanst, del 1895 e 1896. (:!) Hassert K., Meine Beise in Montenegro ini Sommer 1900. Mitth. k. k. geogr. Gesell. Wien, 1901. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 48?? sione inestricabile sino all’ampia depressione nel cui centro bian- cheggiano le case della capitale. Si traversano prima gli strati del Flysch presso Cattare, scisti argillosi grigi o rossicci, for- temente inclinati a WSW., e nei quali rinvengo numerose fu- coidi ; quindi oltrepassata la faglia nettissima che si continua poi lungo mare per Budua, Spizza ed Antivari sino alla pianura della Bojana, si trova un calcare cretaceo con avanzi di rudiste, quindi un calcare di tipo dolomitico, concordante col calcare ippuritico e che quindi credo dover riferire al Cretaceo quan- tunque privo di fossili. Già il Baldacci ha fatto menzione della presenza di calcari dolomitici associati a calcari decisamente cretacei, facendo anzi notare la grande importanza di questo fatto, poiché occorre molta attenzione per non confondere questo calcare dolomitico cretaceo coll’altro più antico triassico. Oltrepassato di poco il contine si ha una vera dolomia com- patta, bianca, indubbiamente triassica, poiché essa è identica a quella fossilifera con Meyaloclon e Gyroporella del prossimo Lovcen. Noto presso a Krstaz del calcare grigio con selce che presenta forti disturbi stratigrafici. Tutta la grande massa calcarea del Lovcen dei dintorni di Njegusc e di Zettinje é certamente triassica. Nel Dugi Do presso Njegusc ho raccolto infatti un calcare marnoso pieno zeppo di piccoli Megalodon, e salendo da Bajze al Jezerski Vrh per il Jezerski Do si passa a traverso una enorme pila di strati cal- carei e dolomitici inclinati a SW. assai debolmente. Forse nei banchi inferiori di questo potente complesso può essere rappre- sentato qualche piano più basso del Trias, verso l’ alto vi ho raccolto in quantità, in una bella dolomia bianca tipica, 1 Me- galodon, Gyroporella e Lwcenipora, un interessante corallario descritto recentemente dal signor Giattini (*). Non vi ha quindi alcun dubbio per il riferimento di queste dolomie e di questi calcari ad esse associati al Trias superiore. Per quante ricerche io abbia fatte non sono riuscito assolu- tamente a dimostrare la presenza di terreni intermedi al Trias ed alla Creta. Nessuna traccia ho trovato sulla costa da Cattaro (') Giattini G. B., Fossili del Lovcen nel Montenegro. Riv. it. Pa~ leont.., Vili, fase. II— III, p 64. 484 P. VI NASSA DE REGNY a Krstaz di terreni giuresi. Essi iterò devono esistere certamente più a sud, inquantochè il Lipold ha trovato strati ad Aptici presso il forte abbandonato di Stanzevic sul contine di Budua, ed il lembo di calcare bianco, ricco di Ellipsactinie, che ho tro- vato a Sozina e che si continua pure tra Spizza e Budua, molto presumibilmente deve spingersi anche assai verso Cattaro. Il Giura sarebbe in tal modo addossato in modo più o meno continuo alla massa dei calcari triassici, che come vedemmo è inclinata a SW. cioè verso il mare. E nemmeno il Lias dovrà mancare in quella potente pila calcarea, e non solo qui, ma anche in altre parti del Monte- negro. Ma poiché non ho avuto la ventura di trovare alcun fossile di questo periodo nulla posso dire sul suo sviluppo e la sua distribuzione. Nel Lovcen sono innegabili tracce glaciali. Queste, suppo- ste dal Penck, dimostrate poi pel primo dal Zvijic, e succes- sivamente descritte e dal Penck e dallo Zvijic e dall’ Oestreich per tutta la penisola balcanica, sono state ultimamente ricer- cate e studiate con attenzione dal Hassert che vi pubblicò sopra un interessante lavoro ('). Nel Lovcen si vedono al Jezerski Vrh rocce arrotondate ed un netto circo glaciale con morene. E anche la ripida valle tra Jezerski Vrh e lo Stirovnik è ripiena di morene distintissime; cosicché, anche essendo un poco scettici sul grande e forse ecces- sivo numero di tracce glaciali che oggi si vogliono trovare ovun- que, non vi può esser dubbio sulla decisa glaciazione delle vette del Lovcen. I dintorni di Njegusc. e quelli di Zettinje sono pianure (pia- ternarie, che si debbono interpretare come avanzi di antichi laghi, che, secondo Hassert, erano appunto nutriti dalle acque glaciali provenienti dal Lovcen. Nella pianura di Zettinje sono numerosi i ciottoli i quali indicano chiaramente che vi doveva un giorno scorrere un fiume (!) Hassert K., Gletscherspuren in Montenegro. Verh. des XIII dcut- schen Geograplientages zu Breslau, 1901. Berlin, D. Reimer. Vedasi in questo lavoro la bibliografia sul glaciale della penisola balcanica. A complemento delle notizie di Hassert vedasi pure la mia già citata nota pubblicata nei Kend. d. R. Acc. d. Lincei. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 485 oggi del tutto scomparso. Secondo Tietze, dalla grandezza rela- tiva dei ciottoli, si potrebbe forse credere che il fiume scorresse in direzione di Rijeka. Questa supposizione di Tietze è confer- mata poiché appunto dal Lovcen scendevano a Zettinje le accpie glaciali. Tutt’attorno a Zettinje sono montagne calcaree parte trias- siche e parte nettamente cretacee, i cui strati hanno prevalente pendenza a W. o SW. Anche qui nessuna traccia di terreni di altro periodo interposti ad essi ho potuto rinvenire. Una separazione netta tra calcari di un’ epoca e quelli di altra è difficilissima; il Tietze infatti segna il confine tra Trias e Creta in questa regione in modo affatto soggettivo, e il Has- sert lo segue in tutto e per tutto senza cambiarvi una linea. È indubitato però che Tietze ha avuto, anche nelle divisioni soggettive, un colpo d’occìiio veramente sorprendente. E mentre si può ammettere che i calcari, dolomitici prevalentemente, a W. ed a S. di Zettinje siano triassici, quelli più ad E. verso Rjeka sono cretacei. Ma nella grande massa triassica che da Zettinje si estende verso la costa fra Traste e Castel Lastua esiste pure certamente il Giura come pure alcune alture sono quasi certamente coronate da calcare cretaceo. Per tal modo, a mio parere, in questo punto la carta del Hassert che segna Trias uniforme sino alla costa, rappresenta un peggioramento della carta del Tietze, che, forse esageratamente, ma pure indi- cava la presenza di queste formazioni sulla regione costiera dal- matica. Da Zettinje a Podgoriza è pure una bellissima strada, ricca di splendidi punti di vista. Quando, uscendo dal viluppo inestricabile dei monti, ci si presenta all’ultima soglia e si dà uno sguardo airimmenso spec- chio d’acqua morta del lago di Skutari si resta veramente im- pressionati; nè meno bella e caratteristica è la Rijeka, che porta le sue lente acque ricoperte di ninfee, tramezzo alle ripide pa- reti a picco delle montagne laterali sino al lago. I calcari, che esclusivamente costituiscono la porzione di ter- ritorio da Zettinje a Rijeka, contengono qua e là avanzi di rudiste e sono pure in alcuni punti bituminosi. Sono quindi rife- ribili effettivamente al Cretaceo, poiché anche nelle prossime 40 -183 P. V IN A SS A DE KKGNY regioni il Tietze avvertì che la presenza del bitume è caratte- ristica di calcari decisamente cretacei. Anche qui ai calcari chiari sono associate dolomie con ip- puriti certamente cretacee, e presso a Dobrsko Selo sono pure calcari con selce. La inclinazione degli strati è assai variabile; in alcuni punti però i calcari sono a masse così compatte che non si distingue bene la stratificazione. La direzione principale degli strati è però sempre quella di NW.-SE. come ho potuto benissimo vedere presso Dobrsko Selo. Qui anzi esiste una anticlinale assai netta poiché mentre dalla parte di Dobrsko Selo gli strati pendono verso SW., dalla parte di Rijeka pendono invece a NE. La inclinazione prevalente verso N. o NE. si ripete anche tanto lungo la Rijeka quanto più a nord ancora, come a Gradaz; regioni assai note e studiate, poiché contengono scisti bitumi- nosi di non grande importanza sui quali i montenegrini avevano però fondato speranze esagerate. Questa inclinazione a N. o NE., in opposizione all’altra a S. o SW. che vedemmo presso al Lovcen e sino a Dobrsko Selo fa supporre la presenza di una grande anticlinale diretta circa da NW. a SE. Numerose altre pieghe si vedono poi nella regione presso Podgoriza, ma di importanza assai più limitata; così ad es. il Velje brdo a NW. di Podgorica presenta una netta e regola- rissima anticlinale con pendenza quasi decisa ad E. e a W. Se vi può esser dubbio sul confine esatto tra calcari trias- sici e cretacei presso Zettinje questo dubbio sparisce del tutto avvicinandoci a Rijeka ed a Podgoriza ed in tutta la regione circostante, poiché le ippuriti vi si trovano in quantità gran- dissima. Non avendo però avuto la possibilità di raccogliere di questi fossili nel durissimo calcare non posso in alcun modo entrare in dettagli sul piano o sui piani precisi cretacei ai quali tali calcari andranno riferiti. 1 luoghi ove le ippuriti sono più comuni in questa regione calcarea tra Zettinje, Podgoriza e Nikscic, che é certamente la massa cretacea più imponente di tutto il Montenegro, sono: Dobrsko Selo, Gradaz, Roghetic ed in generale tutta la strada da Podgoriza a Nikscic, Kokoti, tutta la estensione tra Grahovo. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 487 Nikscic e Zettinje, Danilovgrad, ecc. ecc. La supposizione del Tietze clic credeva la Creta si spingesse sino a Danilovgrad ed oltre era quindi giustissima. II. La regione di confine albanese. Questa regione è stata molto raramente visitata: ne Tietze, nò Baldacci vi hanno posto piede; Hassert soltanto ne ha visi- V tato una grande porzione. E questa certamente una regione assai malagevole, ed in certi casi anche assai pericolosa per le con- tinue scaramucce che hanno luogo tra le tribù confinanti alba- nesi, cui appunto appartiene la tribù dei Trijepsci, oggi soggetta al Montenegro. Il paese è povero, deserto e desolato; poco verde allieta l’occhio, manca l’acqua quasi ovunque, i boschi sono ra- rissimi. L’aspetto di fortezza inaccessibile che hanno natural- mente tutte le montagne calcaree carsiche si ripete anche qui in modo imponente, cosicché faticoso è il cammino benché ricco spesso di bei punti di vista, e ferace di importanti dati geo- logici. Traversando la grande piana quaternaria di Podgoriza ho l’occasione di raccogliere parecchi ciottoli calcarei a forma roz- zamente piramidale, che somigliano grandemente ai così detti Dreikanter prodotti dal vento. E nella pianura di Podgoriza che si estende sino al lago di Skutari, ed è aneli ’essa antico lago, il vento ha molta forza: manca però la levigatura e la verni- ciatura lucente che in generale presentano i tipici Dreikanter, cosicché non azzardo dire che tali ciottoli caratteristici siano da considerarsi come prodotti dal vento. Tra questi ciottoli ne ho trovato uno di calcare grigio scuro contenente una valva di brachiopode, indeterminabile, ma di un’innegabile apparenza antica, portato giù presumibilmente dalla Moratscia nel suo corso a traverso ai calcari paleozoici e triassici. Al. margine orientale della pianura sorge la ingrata Kaka- riska gora, dagli aguzzi e scanalati massi calcarei, in alcuni punti di tipo cavernoso. La Kakariska gora è segnata dagli autori come cretacea. Ma già dal primo momento, salendola, fui colpito dalla somi- glianza che ha il calcare cavernoso con quello triassico dell Italia 488 1\ VINASSA DE KEGNY settentrionale e specialmente con quello retico (lei Dachstein die costituisce una parte dei nostri Monti Pisani. Salendo ancora più verso Premici, innanzi di arrivare alle falde del Helm ove il terreno è certamente cretaceo, trovai un calcare dolomitico bianco, riccamente fossilifero, e quindi scisti alternanti con cal- care grigio brecciato. Questo complesso di strati è inclinato ad E. di 30°. Nella dolomia di Premici ho rinvenuto, insieme a foramini- feri, briozoi e corallari: Gyroporella triasina v. Schaur. Diplopora annulata Schaft. Phasianella cfr. palmi ina ris Mnstr. Non mi pare vi sia dubbio, anche se non vi fossero altri fossili, die questo bel calcare dolomitico bianco vada riferito alla porzione superiore del Trias medio, e più specialmente al calcare di Esilio. Gli scisti che si trovano nel potok di Premici e che alter- nano col calcare brecciato, sembrerebbero riferibili al Werfen, essendo assai simili a questi tipici scisti micacei così comuni nel Montenegro. Ma non è del tutto da escludere un riferimento al Trias superiore, considerando die anche in Dalmazia, sulle dolomie con Gyroporella sono scisti e calcari che vengono comu- nemente riferiti al piano di Hallstatt. I rapporti però di giaci- mento della dolomia fossilifera con questi scisti non sono molto chiari, ma sembra che la dolomia sia sottoposta agli scisti. La presenza del Trias medio, sotto forma appunto di dolo- mia con Gyroporella nella Kakariska gora lui grande interesse; poiché in questo complesso creduto uniformemente cretaceo com- parisce invece il Trias del tipo costiero, del tutto diverso dal Trias interno. Questo fatto dimostra una volta di più come ri- cerche speciali e accurate nelle apparentemente uniformi masse calcaree faranno scoprire una quantità di piani diversi là dove si segnava o Creta o Trias con criteri soggettivi. Oltrepassato Premici e dirigendosi verso la parrocchia dei Trijepsci la carta austriaca è veramente insufficiente. 1 due punti trigonometrici dell’ Helm (989) e dell’Hum Orahovski (1823) OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 489 servono però assai bene per orizzontarsi e segnare all’ incirca la strada seguita, per Ciafa helmit, ed i punti più importanti. Si trova qui la celebre vallata di Fundina, ove avvenne il tremendo macello dei diecimila turchi di Suleiman pascià. Per la legge del taglione, poiché i turchi non seppelliscono i morti montenegrini, cosi anche oggi biancheggiano al sole le ossa inse- polte dei turchi sgozzati in quella feroce nottata, che forma il soggetto di numerose piesme patriottiche, che i guzlari cantano nelle veglie montenegrine sul loro tradizionale strumento. Dall’Helm in avanti non vi può esser dubbio sul riferimento al cretaceo dei calcari di tutta quanta la regione. Le ippuriti sono comuni ovunque, e così pure altri fossili cretacei. La vetta dell’Helm è costituita da masse di conglomerati, scisti calcarei ed arenarie che hanno un tipo di tlysch carat- teristico. Ma questo tlysch è ben diverso da quello litorale; e poiché mancano piegature e rovesciamenti nel cretaceo, in modo che va escluso qualunque impigliamento eocenico, cosi questo tlysch è da riferirsi al cretaceo. Una formazione simile, che Baldacci riferiva erroneamente all’eocene, si trova pure a Medun e ad XJbli, come pure nei dintorni immediati di Podgoriza a Zlatiza e Dol.jani. Sempre in mezzo ai calcari cretacei fossiliferi si raggiunge la parrocchia dei Trijepsci (780 m.) ai piedi del M. Kashenik. Nel Kashenik sono strati di calcare bituminoso e numerosi fos- sili, essi pure cretacei. I banchi regolari del Kashenik sono incli- nati 20° a W., dimodoché la regione dei Zatrijebac dall’Helm al Kashenik risponderebbe ad una grande sinclinale, diretta da N. a S. A pochi passi dalla parrocchia dei Trijepsci si raggiunge il bordo della grande forra della Zijevna (albanese Zeni). E questo certamente uno dei più imponenti canon europei, ed è indimen- ticabile l’effetto pauroso e mirabile che si prova affacciandosi a quella immensa forra, che quasi a picco si sprofonda per al- meno 700 metri. Giù nel fondo scorre, come un nastro d’argento, il fiume tramezzo a bianche casette che sembrano giuocattoli, in alto si sollevano le brulle e inesplorate Prokletije albanesi. Un rompi- collo di sentiero, la Skala Smedez, conduce al ponte nel fondo P. VINASSA UÈ REGNV 4 i»0 della incisione, là dove è anche il confine colla Turchia; confine naturalissimo, ma che non si sa come si continua nel fondo soltanto sino al Han Grabom, per poi risalire e seguire il cri- nale dei monti immediatamente a destra del fiume. Criterio molto errato questo e che ha dato e dà tuttora origine ad una infinità di questioni non sempre incruente tra le tribù di frontiera. Tutti i banchi calcarei sino al fondo del Zeni sono cretacei. E cretaceo pure si continua nella Sciroka borita e nell’Hum Orahovski, dove è un grande giacimento di ferro oolitico. Esistono poi, nella regione, degli scisti particolari, come ad esempio presso Eadovici, notati dall’Hassert e da lui provviso- riamente riportati agli scisti cretacei della Duga. Non avendoli veduti, non saprei che cosa dirne, ma non è improbabile si tratti di scisti intercalati e forse separanti due piani cretacei, come avviene a Gretscia in territorio albanese, ove appunto tra i calcari cretacei fossiliferi inclinati 30" a E NE. sono interca- lati straterelli di scisti argillosi rossicci o verdastri. Il territorio di Gretscia è molto interessante, non solo per la presenza di fossili, ma anche perchè vi si rinvengono tracce net- tissime di ghiacciai. Due morene frontali concentriche, una delle quali freschissima e magnificamente conservata, non lasciano dubbio alcuno che dai monti soprastanti a Gretscia, come il Kupi Ivostic scendesse altra volta un ghiacciaio verso la Zijevna al di sotto di Selze. Ma le tracce glaciali non si limitano a queste morene di Gretscia, ma si continuano nella Kosticia, dove un vallone ad U, tipico (forma di cui già parlammo e che gli indigeni chiamano Uvalla), svela la sua origine glaciale. E altre tracce indubitate sono più a nord a Rikavaz, Scirokar, Bukomirsko jezero, tracce che contemporaneamente erano descritte, a mia insaputa però, dal Hassert che pure trovò morene e circhi glaciali nella Shjovo planina, che io non avevo visitato. E questa quindi una delle più estese regioni glaciali montenegrino che si conoscano. La Shjovo planina, la cui cima raggiunge 2133 m., presenta netti circhi glaciali, e più basso, verso la strada sopra Krshanje, si trova anche una morena, che spicca nettamente per la sua forma e natura, come pure per la sua vegetazione, sul terreno circostante. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 491 Al di là della Zijevna, oltre Selze, si continuano i calcari, che debbono essere certamente cretacei, essendo una continua- zione di quelli al di qua del fiume; essi hanno però inclina- zione diversa. Infatti, mentre a Gretseia si ha una inclinazione prevalente ENE., sopra Selze l’inclinazione è invece NW. Sa- lendo da Gretseia verso la Kostieia, non si trovano più fossili; il calcare però si mantiene assai simile a quello di Gretseia, cosicché esso pure sembra cretaceo. Esso ha però una inclinazione nettissi- ma verso SSW. Tramezzo alle tracce glaciali della Kostieia, dei fianchi del Kodra (17(30 circa) e dell’Ibala (2100 circa), per la Ciafa mal (1610 circa), che è molto più a sud di quanto non sia segnato sulla carta, si arriva tra la Prasiza e la Biesceza (2000 m. circa) (‘) ad un punto ove gli strati sono inclinati a NE. e con tale inclinazione si continuano sino a Rikavaz. Si tro- vano qui calcari brecciati, simili a quelli rinvenuti presso Pre- mici e una dolomia bianca, che credo si possa veramente rife- rire al Trias. E così questa grande massa calcarea, che il Tietze ha carteggiato solo in parte ed erroneamente, e nella quale il Hassert assegnava nella sua carta un grande predominio al Trias, è invece prevalentemente cretacea. Le rocce prevalenti dei dintorni di Gretseia sono scisti argil- losi rosso-vinati o nerastri, ma più che altro calcari, bianchi ceroidi, nerastri bituminosi, grigiastri, bianco-rosati selciferi, argillosi con macchie rosse, e vi si rinviene pure della selce rossa in rognoni. I fossili che vi predominano sono le ippuriti, le quali non sempre sono determinabili, e che non ho ancora sottoposto ad uno studio accurato. Pur tuttavia, con tutte le riserve, credo che in questo complesso possano distinguersi vari piani o per lo meno varie facies. Poco oltre Premici, alla Ciafa helmit, alcuni mal conservati esemplari, immersi in un calcare durissimo, offrono somiglianze assai nette con le Caprina. p) Questo monte porta nella carta austriaca il nome di Yelika Kostieia. 492 P. VINASSA I>K REGNY Più avanti ancora fra Benkaj e Poprat è netta la facies coralligena con numerose Actaeonella. Tra gli altri fossili vi ho riconosciuto : Calamophyllia sp. Astrocoenia sp. Pseudochaetetes sp. Le ippuriti sono rare assai, e le Actaeonella sono le pre- dominanti. A Gretscia invece, nei calcari sotto agli scisti cretacei inter- calati, le ippuriti sono più numerose, e vi ho pure riconosciuto uno Sphaerulites , che si avvicina assai allo Sph. ctr. stiriacus Zitt. del cretaceo di Gosau. I calcari quindi da Ciafa lielmit a Gretscia apparterrebbero al Turoniano. Anche a Gosau la facies con Actaeonella si trova superior- mente a quella con ippuriti e stenditi; e qui pure i calcari di Gretscia si trovano sotto a quelli di Poprat. Gli scisti intercalati sarebbero una facies di flyscli che è così comune in tutto il Cretaceo superiore europeo. Considerando randamento e l’ inclinazione degli strati in que- sta regione, si può ammettere l’esistenza di una grande sincli- nale tra la Kakariska gora ed il Kashenik alla quale segue un’altra grande anticlinale dal Kashenik e la Kosticia sino a Rikavaz. Le dolomie triassiche di Premici, al fianco sud-occidentale della sinclinale, si sprofondano sotto alla grande copertura cre- tacea, la quale solo nei punti in cui è erosa, come nella discesa dalla Ciafa mal a Rikavaz, mostra scoperta la formazione trias- sica, dolomitica e scistosa. La seguente sezione schematica da Gretscia a Rikavaz potrà dare un’idea del come ci si possa rappresentare quanto sopra si è detto. Invece più a NW. nella regione che si estende verso la Mala Rijcka il Trias sembra aumentare di importanza. Buona parte se non tutta la massa del Shijovo è infatti triassica. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 493 Ma anche in questa porzione calcarea occorreranno studi ac- curati e dettagliati per quanto lo permetterà la malagevole natura Sezione schematica dal Kupj Kostic a Rikavaz 1 : 75.000 a. Calcare cretaceo. — b. Calcare e dolomia triassica. — c. Scisti di Werfen. del suolo. E fuor di dubbio infatti che nella massa della Shijovo Planimi si dovrà trovare il cretaceo, ed è anche molto proba- bile che vi si rinvenga qualche massa di Giura. Il giurcse del Yjeternik infatti, che è una continuazione di altre masse poste a NW., si deve continuare al solito, obbedendo alla legge già enunciata, anche a SE., e quindi dovrà presumi- bilmente rinvenirsi anche nel Shijovo. E forse anche esso si tro- verà pure nel territorio albanese di Gretscia in masse isolate che potrebbero essermi sfuggite. III. I dintorni del Kom, dal Lago di Falcava z ad Andrijevim. È questa una delle regioni più belle ed interessanti di tutto il Montenegro. Lasciata la desolata regione carsica, che per un poco oltre Eikavaz si continua sino al Magliz, si entra nella regione degli scisti paleozoici. Qui fonti perenni, acque cor- renti in grande abbondanza, foreste di una ricchezza meravi- gliosa, pascoli erbosi e grande fertilità nel terreno. L’occhio riposa sul verde, i sentieri sono meno scoscesi. Il calcare ormai non resta che a coronare le alte cime delle montagne circo- stanti come la Planiniza, il Sulii Vrh, le due vette del Kom, rilijine glave, Hasanaz planina ecc., che si dimostrano avanzi 494 P. VINASSA DB REGNY di una antica copertura triassica molto più estesa e continua, nella quale la erosione ha così lavorato da render visibili gli scisti sottostanti. Come tutto il cammino da Gretscia a Rikavaz è una serie non interrotta di formazioni glaciali più o meno nette, così Rikavaz, e tutta quanta la regione circostante di Scirokar sino a Mokro, al Bukomirsko jezero e tutta la mon- tagna di Sliiovo è un estesissimo campo glaciale. Ai laghetti di questa regione non si può intatti supporre altra origine, e del resto non mancano nè rocce arrotondate, nè rocce striate e nemmeno morene tipiche. Non ho visitato la regione del Mo- nojevo, ma avendo inviato alcune mie fotografìe al prof. Hassert, questi mi scriveva gentilmente che la morena di Gretscia era grandemente simile a quelle da lui vedute nella regione del Shjovo e di Monojevo. E morene si trovano pure attorno al pic- colo lago Bukomirsko, sull’altipiano di Scirokar, e crederei pure formazioni moreniche dei grandi argini erbosi, quasi terrazzati, che si vedono scendendo da Scirokar nel polje di Mokro e che si trovano proprio all’estremità nord-occidentale del polje. È questa la regione forse la più estesa di tutto il Monte- negro, che presenti indubitate traccie di ghiacciai. Questi erano certamente numerosi, e scendevano dalle alture in direzioni di- verse. Così dalla Kosticia un ghiacciaio non molto grande scen- deva a SW. verso Gretscia e la Zijevna; ed un altro assai mag- giore tra l'I baia e la Bijesceza si spingeva verso Rikavaz. Dal Sliiovo scendevano pure altri ghiacciai, a SE., verso Krshanje; e dall’altipiano tormentato di Scirokar avevano origine almeno due ghiacciai più importanti, di cui uno pel Bukomirsko scendeva alla Yeruscia e quindi alla Tara, e l’altro si inabis- sava verso la profonda conca di Rikavaz (l). Il glaciale si estende poi anche, secondo Hassert, alla Planiniza e al Mojan ove esistono circhi glaciali assai distinti, e forse anche al Kom. Ma sono in ogni caso tracce di una importanza limitata. Ogni vestigio glaciale cessa poi quando si entra nella regione paleozoica dei Vasojevici. Molto giusta- (') Vedasi per maggiori spiegazioni il lavoro di Hassert sopraci- tato, c la mia nota sul glaciale del Montenegro. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 495 mente il Hassert trova una spiegazione di un tal fatto nella natura geologica del suolo (’). Lasciati i calcari triassici, che si continuano nella conca di Eikavaz sino al lago, si vedono adesso sporgere a metà proprio del lago gli scisti rossi o giallastri o verdi arenacei di Werfen, che segnano in tutto il Montenegro un orizzonte molto nettamente e facilmente distinguibile, e che si continua da un lato verso l’Albania e dall’altro verso l’Erzegovina in una zona per lo più non molto larga, salvo che nella sua porzione mediana. A Eikavaz questi scisti sono sottoposti ai calcari triassici che si trovano a coronare le alture circostanti al lago come il Kukura (?), lo Sboriscte ecc. E in alcuni luoghi sembra anche che essi siano intercalati con banchi calcarei, nei quali interesse- rebbe fare delle ricerche accurate, poiché probabilmente sa- ranno fossiliferi. A buon conto il Hassert ha trovato la Nati- cella costata al Monastero di S. Luca. Gli scisti arenacei di Werfen ed i calcari sono soprapposti immediatamente ad altri scisti decisamente paleozoici, che si ve- dono bene salendo dal lago a Scirokar. Il lago di Eikavaz, di origine glaciale, è oggi assai pic- colo, mentre in altri tempi raggiungeva altezza e dimensione maggiori, come lo provano le terrazze circostanti di cui tre al- meno sono nettissime. La inferiore si trova a circa 25 m. sul livello del lago, la seconda a poco più di 50 m. e la supe- riore a circa 100 m. sullo stesso livello. E notevole il fatto che tutte queste terrazze hanno una inclinazione assai spiccata ad Est, sono cioè più basse verso la sella oltre la quale comincia la Skrobotuscia in territorio turco. Questo fatto può essere spie- gato considerando che da W. proviene un torrente, il Gerlo potok, quasi sempre asciutto, ma che durante le pioggie sca- rica nel lago le acque provenienti dalla soprastante conca ove giace il paese di Eikavaz. Anche adesso infatti mentre tutt’ attorno il lago ha pareti a picco assai profonde, dal lato (>) Hassert, Gletscherspuren in Montenegro, pag. 222. (2) Questo monte non é segnato sulla carta; corrisponde per posi- zione circa al Vrh od Joce, nome ignoto nel paese; é soltanto un poco più verso la Skrobotuscia. In questa regione, del resto, la carta au- striaca ha bisogno di profonde e notevoli modificazioni. 496 P. VI NASSA DE REGNY del paese a occidente è invece una specie di pianura paludosa, coperta d’acqua solo nell’inverno, e che poco a poco va mo- rendo nel lago, inclinandosi verso Est. La sella che oggi separa il lago di Rikavaz dalla poetica e boscosa per quanto infida valle della Skrobotuscia è costituita in basso da scisti e in alto da calcari, che a destra ed a sinistra vanno a formare le vette del Kukura e dello Sboriscte. Essa è alta poche decine di metri, cosicché era in altri tempi oltre- passata dalle acque del lago, che avevano allora libero il de- flusso alla Skrobotuscia e alla Vermoscia. Oggi le acque si inabis- sano per un foro sotterraneo, un ponor, che si trova sulla riva sud-occidentale. La salita dal lago a Scirokar è terribilmente faticosa, benché le immaginarie curve quotate della carta segnino un declive assai dolce. Qui l’erosione é stata fortissima poiché compariscono già gli scisti paleozoici ricoperti qua e là dal calcare triassico. Ove questo calcare é parzialmente eroso si vedono nuovamente gli scisti arenacei di Werfeu comparire; così avviene ad esempio proprio presso al gruppo di catoni di Scirokar. Gli scisti paleozoici hanno una inclinazione verso N. assai più forte che non i calcari triassici soprastanti. Scendendo da Scirokar a Mokro predomina un calcare brec- ciato triassico, sul quale sono nettissimi, come già dicemmo, tracce ed avanzi glaciali. Si trovano qui pure degli scisti argil- losi paleozoici, con vene calcaree, rosso scuri o nerastri lucenti, di tipo molto simile a (nielli di Krstaz sopra Vuklj nella Prokle- tija albanese. Al lago Bukomirsko salendo i fianchi della Ccbeza si tro- vano in basso gli seisti arenaceo-micacei di Werfen, poi il cal- care triassico. Ma in alto alla vetta é un calcare nel quale sono tracce assai nette di fossili, e che quasi certamente é ippuritico. Il cretaceo quindi, che come vedemmo si spinge a Nord molto più che non si supponesse e non risultasse dalle carte di Tietzc e di Hassert, deve ritrovarsi anche in lembi isolati forse sulle vette più alte, come le cime del Monojevo per spingersi sino presso la Cebeza, ove raggiungerebbe il limite più settentrionale sino ad ora noto nella regione. Salvo la massa del Torac, ove la inclinazione sembra essere localmente meridionale, tutte le mon- OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 497 taglie calcaree o scistose sono prevalentemente inclinate verso nord. Salendo infatti il Maglie per andare verso il Kom si trovano dei calcari brecciati grigi durissimi in grandi banchi nettamente inclinati di circa 30u a NW. Il prossimo monte Groblje è com- posto di scisti calcarei zonati rossastri o verdastri, concordanti coi calcari e inclinati essi pure quindi a NW. Oltrepassata la Ciafa ot prolissa, che è il passo tra Maglie e Groblje, ove belle fontane tradiscono tosto la presenza degli scisti, si entra veramente nella regione ove gli scisti paleozoici sono prevalenti. Non si veggono calcari se non nelle cime più alte tutt’at- torno. Gli scisti paleozoici hanno in generale una stratificazione assai irregolare e tormentata; ma nella regione che si estende dal Magliz al Kom si può rilevare che hanno una prevalente inclinazione verso nord. In mezzo a boschi di faggio e di abeto, bellissimi per quanto mal tenuti, avendo a destra il magnifico Yelopolje e la valle della Vermoscia che si allarga e si prolunga sino alla misteriosa e tremenda Gusinje, per il Kurlaj ove pure trovasi del calcare grigio triassico, si raggiunge, sotto la Planiniza, una massa cal- carea dolomitica grigio-chiara, triassica, assai estesa, che sporge direttamente sopra gli scisti paleozoici. Al contatto sgorga la magnifica fonte di Bijela Voda (’) che raccoglie tutte le acque del soprastante calcare, nel quale sono anche tracce, sebbene assai poco nette, di glaciale. Oltre Bijela Yoda tornano gli scisti che contengono anche conglomerati, per lo più a piccoli elementi quarzosi, e che hanno il tipo di verrucano. Gli scisti che si trovano avvicinandosi a Zarine ed al Kom assumono un aspetto talmente identico a quello degli scisti permo- carboniferi del Monte Pisano, che non esito ad ascriverli appunto a questo periodo. Baldacci, come vedemmo, propenderebbe a crederli siluriani, Tietze li dice carboniferi. Ed io credo che (*) (*) Anche questa fontana dell’ «Acqua bianca» non è segnata sulla carta. Si trova nel punto di incrocio dell? strade sotto Bindsha, al prin- cipio della valle del Kurlaj che sbocca nell’Opasaniza. 498 P. VI NASSA DK KEGNY siano appunto o del Carbonifero superiore o del Permiano infe- riore. Ma trattandosi di una massa cosi grande ed imponente non è da rigettare nemmeno l’idea che ve ne possano essere altri di più antichi in altre regioni. La somiglianza coi Monti pisani e con quelli della Spezia, alla quale ho già accennato precedentemente (') è addirittura sorprendente. Anche qui si hanno e verrucano tipico, e marmo nero venato di giallo, vero e proprio portoro, e dolomie caver- nose e calcari grigi con selce simili al nostro Ketico con Avicula contorta. Non un fossile però ho trovato a confermare queste mie supposizioni: ma quantunque creda che il criterio litologico non possa bastare a darci un’ idea esatta dell’età di un terreno, mi sembra che in presenza di una serie così nettamente identica a quella dei nostri monti permotriassici non vi possa essere ombra di dubbio. E sono quasi certo che ricerche più lunghe ed accurate nella regione, che io potei visitare solo rapidamente, porteranno alla scoperta di fossili caratteristici. I calcari e le dolomie delle ripide e abrupte vette del Kom sono quasi orizzontali, avendo solo una leggera inclinazione di circa 10° a NE. Sotto ad essi sembrano mancare del tutto gli scisti arenacei di Werfen. Sono presenti alcune arenarie micacee per lo più di colore oscuro, di aspetto pernio-triassico. 11 Trias inferiore sarebbe, secondo Baldacci, rappresentato da alcuni cal- cari rossicci. Dal Kom sia verso la Opasaniza, sia verso la Drka Rijeka continuano non interrotti gli scisti paleozoici, coronati solo nelle alte cime, come il Salii Vrh (2028 m.) da calcari triassici, o interrotti, come dietro al Kom, da masse di rocce verdi diori- tiche. Scendendo per il Vardar alla Perusciza nel territorio di Konjuhe si trovano, oltre agli scisti micacei ed argillosi di vari colori ed ai conglomerati per lo più ferruginosi rossi o nerastri, alle quarziti c alle arenarie micacee, anche dei calcari. Questi calcari per lo più grigio-chiari e ceroidi non si distinguono lito- logicamente da quelli triassici, i quali del resto sono di tipo svariatissimo. Cosicché si possono avere dei dubbi sopra la loro (’) Appunti di geologia montenegrina, pag. 577. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 499 età; ed infatti dei calcari che Tietze ha segnati paleozoici sono triassici per Baldacci e viceversa. Quando non vi siano condi- zioni stratigrafiche favorevoli è del resto molto difficile dare un giudizio esatto sull’età di questi calcari, mancando sempre i fossili. Per quelli di Konjuhe non mi pare però che vi possa esser dubbio alcuno. Essi sono prima di tutto ipsometricamente molto bassi, e poi continuandosi essi a destra ed a sinistra della Pe- rusciza si vedono nettamente intercalati agli scisti ed ai conglo- merati paleozoici. La loro inclinazione è molto forte ad ENE. Oltre ai calcari, negli scisti sono pure interposte rocce erut- tive, dioriti porfiriche, come per es. a Balio potok sul versante settentrionale della Hasanaz planina, ove gli scisti hanno iucli- nazione meridionale, e di faccia sotto a Vardar, ove si trova una seconda massa di tali dioriti. Ma mentre ai due lati della valle della Perusciza i calcari sono certamente paleozoici, come lo è pure il calcare di Sokò (*) di faccia a Krnize e Giulici, salendo dal Konjulie alla cresta che forma lo spartiacque tra la Perusciza e la Kraljisctiza, e che è tutta costituita da scisti, conglomerati e arenarie paleozoiche, si trovano dei calcari che sono triassici. I due Krsc, Yeliki (1450 m.) e Malj (1310 m.) che si in- contrano nella via per Boshici ed Andrijeviza sono certamente triassici. Difatti non solo essi non sono intercalati agli scisti, ma sono invece soprapposti a questi. E tra il calcare grigio- scuro compatto, inclinato a NNE., e gli scisti sottostanti, sono anche interposti strati di bellissima anagenite verrucana. I due Krsc quindi sono da considerarsi, come già accennò il Hassert, quali decisamente triassici. Tutta quanta la regione fertile e boscosa che scende dolcemente verso Lazi, Kralji e Andrijeviza è costituita prevalentemente da scisti paleozoici. È interessante accennare alla presenza di travertini nella Kutscka rijeka, poiché non furono da alcuno notati nella regione, sebbene i travertini non siano rari nel Principato. (*) Questo nome non è segnato nella carta. Si tratta di un’altura calcarea posta nell’angolo settentrionale della confluenza della Perusciza colla Kutscka rijeka in faccia a Giulici (nella carta Bufici). 500 P. VINASSA DE UEGNY Poco si può dire sulla tettonica di questa regione. La incli- nazione verso N. o NE. è la prevalente, salvo piccoli cambia- menti locali come quelli del Torac e degli scisti di Hasanaz. Del resto, come già vedemmo, gli scisti paleozoici sono sempre fortemente tormentati e disturbati. IV. I dintorni di Andrijeviza, la vallo drl Lini e. il Scekularr. Continua anche in questa porzione del Principato la preva- lenza del paleozoico e quindi la fertilità del suolo e le magni- fiche boscaglie. Andrijeviza, la capitale dei Vasojevici, unica cittadina del Montenegro che non progredisca come le altre, causa la sua posizione estrema nel Principato a contatto della ancor selvag- gia Albania, è posta sopra delle terrazze quaternarie del Lini, assai sviluppate. Ma tutt’attorno ha scisti, arenarie, conglome- rati e calcari del paleozoico. Da Andrijeviza si possono fare varie escursioni irraggianti sia lungo la Zlorijesciza e la Kutscka Rijeka, sia risalendo o scen- dendo il Lini. Lungo la Zlorijesciza si trovano prima delle masse di scisti, poi dei calcari di vario colore brecciati, quindi nuovi scisti ed arenarie, poi altri calcari, poi ancora scisti, prevalentemente cloritici e quarzosi. In faccia a Bojevici sono calcari; parlammo già del calcare grigio compatto o venato di Sokò sulla sinistra della Zlorijesciza; e altro calcare è pure tra Zrnagora e Hasanaz; ma le masse prin- cipali sono date dalla Jarinja glava (1548 m.) costituita da calcare brecciato, sino a Krnize ove i banchi hanno una spiccata pen- denza ad est. A Zezuni il calcare grigio scuro presenta tracce di articoli di crinoidi. fisso è interposto a scisti micacei con are- narie paleozoiche. I crinoidi sembrano di tipo identico a quelli che si hanno nel calcare di Hasanaz. A Krnize oltre al calcare, per lo più roseo o vinato, si ha pure un Hornstein, derivato dal contatto delle prossime rocce verdi diabasiche. Altre rocco verdi si trovano a Giulivi insieme a calcari rosei-grigi selciferi, a scisti arenaceo- micacei, a quarzite violacea ed a vera e propria lava- gna, tutte paleozoiche. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 501 Anche in questa regione comparisce un calcare clic essendo direttamente sovrapposto agli scisti e non intercalato, deve con- siderarsi triassico. Tutta la cima del Zeletin e dello Baljasta glava è costituita da questo calcare triassico. Oltrepassare il confine a Hasanaz è cosa del tutto impos- sibile: la vicinanza di Gusinje toglie ogni volontà di azzardarsi in quei paraggi, e tanto più nel momento in cui mi tro- vavo ad Àndrijeviza, dacché appunto in quei giorni si segui- vano le zuffe sanguinose, e tutti i Yasojevici erano in armi per far la guardia alla frontiera. Interessante e più sicura era invece una gita nel Polimje sino ali’Arshaniza ed a Velika per l’alta valle del Lini. Uscendo da Àndrijeviza, oltrepassate le terrazze del fiume, si rientra nella regione paleozoica prevalentemente scistosa. La grande massa della Jarinia glava col suo calcare rosso incli- nato ad E. occupa tutto lo sprone tra Zlorijesciza ed il Lini. Di faccia i calcari si continuano nel Balj sopra Seoze. Tutti questi calcari sono intercalati agli scisti e quindi vanno senza dubbio riferiti al paleozoico. Altri calcari pure intercalati a scisti pa- leozoici si trovano poco oltre Luge ai due lati del Lini. Nel resto di tutta la grande massa è prevalente la forma- zione scistosa, filladica quasi, mista ad arenarie ed a conglo- merati a minuti elementi. Sono presenti pure delle quarziti vio- lacee in tutto simili a quelle di Giulici e del Konjuhe. In mezzo a queste rocce sporgono qua e là delle masse dio- riticbe, come ad esempio presso Luge sotto la Jarinja glava, e sopra a Murino, alle falde del Zelentin, in luogo presso al con- fine del Zaparenik (') là dove due torrenti, il Mesheshi potok e il Zorski potok, sboccano nella Murinska Rijeka. Le dioriti di Murino sono molto ricche di pirite. Altre masse dioritiche si devono trovare sparse verso l’alto del Zelentin, poiché i tor- renti che ne scendono ne portano seco dei ciottoli. Ma per quanto ne avessi desiderio dovei rinunziare alla visita del Golesc, del Krsc Siklov e del Visitor causa il pericolo grave che avrei (!) Zaparenik si chiamano le cime su cui passa il confine, proprio pa- rallelamente alla vetta del Visitor. Il Zorski potok é il primo torrente a destra della Murinska Rijeka, il Mesheshi potok, non segnato, è posto parallelo al primo un poco più a valle. 41 1\ VINASSA DB REGNY Ó02 corso avventurandomi in quegli infidi paraggi infestati dagli abitanti delle sottostanti Piava e Gusinje. Mi dovei quindi limitare a constatare dai punti accessibili più vicini, come anche queste montagne fossero per la massima parte costituite da scisti paleozoici, da vere filladi, con filoni quarzosi. E scisti paleozoici costituiscono pure la regione di Velika, celebre per la disfatta subita dai Montenegrini, che vi perirono numerosi, e l’Arshaniza, quella lingua di territorio turco che si incunea stranamente nel Montenegro da poco oltre Murino sino a Velika. Per quanto fossi sconsigliato dall’attentarmi nella regione di confine con Berane, pure riuscii a persuadere l’ottimo maggiore comandante di Murino, che finalmente cedendo, mi forni con grande gentilezza di una piccola scorta colla quale per la Gra- scianiza, la regione di Trescnjevo ed il Seekulare potei spin- germi sino quasi a Berane. La regione, ricca di acque, di pascoli e di foreste, è molto bella ed interessante. Il Hassert l’ha in parte carteggiata, ma solo sino alle vette visibili dalla valle del Lini. Qui la carta austriaca ha ancora bisogno di profonde modi- ficazioni, mancando essa di molti nomi ed indicazioni, altre es- sendo del tutto errate. Oltrepassato il Lim e seguendone la riva destra sino oltre Mascniza sono tutti scisti; da qui si sale verso il dossone che dal Lim di fronte a Luge si spinge sino alla Sjekiriza e la cui cima più alta ha il nome di Grascianiza (1680 m.). Gli scisti sono ancora predominanti, ma non mancano calcari intercalati come presso Bare ('), e anche quarziti c arenarie. E rocce simili si continuano anche nel Piscevo, al Zrveni Krsc prima di giungere alla Kerlaza (?). (') Gruppo di case non segnate nella carta; si trova poco più che a mezza costa, salendo la Grascianiza. (2) Il Zrveni Krsc, nome assai comune in tutta la montagna raonte- negrina, è costituito di una roccia eruttiva alterata rossa con macchie verdi, e si trova poco oltre la cima della Grascianiza. La Kerlaza è l’altura che segna il contine tra il Polimje e Trescnjevo. Il Piscevo ha OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 503 Il Piscevo, il cui nome albanese indica pino, era un giorno ricchissimo di foreste. Oggi esso è assai diboscato, causa lo strazio che degli alberi fanno gii abitanti. Per tagliare un pic- colo pezzo di legno son capaci di abbattere un intero abete, e toltone il necessario, fanno marcire il resto all’aria aperta. Giungono persino al punto, e questo anche in altre regioni del Principato, che per ottenere pochi metri di terriccio da se- minarvi pochi grani di segale, distruggono, bruciandoli, dei ma- gnifici tronchi c delle porzioni di foresta. Tutte queste cime sono scistose, e la loro forma tondeg- giante lo dimostra. Tra gii scisti non mancano al solito, ma in via molto subordinata, le rocce eruttive, i calcari, le arenarie ed i conglomerati. In alto della Scekularska Kijeca, sotto alla Scekularska Brai- niza ed alla Tornova giaviza (’) sono assai sviluppate rocce verdi dioritiche simili a quelle già vedute nella valle del Lim. Scisti ed arenarie si trovano pure sulla destra della Sceku- larska rijeka nel versante montenegrino dell’alta catena di con- fine tutta coronata dai bianchi corpi di guardia militari tur- chi, le kula. La inclinazione di questi strati è variabile, e spesso la loro stratificazione è assai tormentata. Ma prevalente è la inclina- zione a N. o NNW. come ad esempio a Boricine, a Kriva brecia (2) ove si trovano anche calcari intercalati più o meno scistosi, un po’ argillosi e di colore svariato. Quando la intercalazione è evidente non vi è da esitare sul riferimento al paleozoico di questi calcari ; ma talvolta vi è da restare in dubbio, perche effettivamente i calcari sembrano so- vrapposti agli scisti; in tal caso si tratta evidentemente di Trias; tre cime principali, l’Omorska giaviza, il Kostrec e la vetta di Pusta boina, che vuol dire senza erba, anch’essa denudata per lo strazio che si fa della foresta. Q) La Tornova giaviza è la punta, innominata nella carta austriaca, che si trova tra la Sipoviza e la Mokra planimi: la Scekularska brai- niza é la punta pure innominata, ad ovest della precedente, a poca di- stanza da essa. (?) Boricine e Kriva brecia, non segnati nella carta, sono punte tra la Scekularska rijeka ed il contine sotto al Pescter. P. VINASSA DE REGNY 501 sarebbero perciò triassiche le masse calcaree che coronano al- cune alture come la Planiniza, la Mitrava Stijena ecc. (‘). Scendendo dal Pescter verso Kula Negotin, e risalendo il Lini sino al nuovo ponte di Lukufir (*) oltre ai calcari si tro- vano scisti arenaceo- micacei, e conglomerati la cui inclinazione a NNE. di 30° è nettissima. In questo punto il corso del fiume è molto ristretto: lo sprone calcareo in altri tempi deve aver fatto ostacolo alle acque e prodotto un piccolo lago di sbarramento. Esiste infatti una bella terrazza a monte della stretta, e la piana che si stende sotto Trepcia ha avuto origine evidentemente dai depositi di questo antico lago. Le terrazze del resto non sono, come avviene anche per gli altri fiumi montenegrini, niente rare. Ad Andrijeviza se ne hanno delle bellissime alla confluenza della Zlorijesciza col Lini, e lungo tutto il Lini continuano sino a Berane ed oltre. V. Dal Lini alla Tara, i dintorni di Kolascin e la valle della Tara. Una grande massa di montagne prevalentemente paleozoi- che, ove le rocce eruttive raggiungono un forte sviluppo e cer- tamente il più grande di tutto il Montenegro, occupa tutto lo spazio di paese interposto tra la riva sinistra del Lini e la valle della Tara dalle sue origini al confluente della Opasaniza colla Veruscia sino al confine col Bijelo Polje. La regione è stata varie volte visitata ed è quindi assai ben nota nelle sue linee ge- nerali. Mentre il signor Giattini, come ho già detto, giungeva al Krivi Do sotto al Bac per la via della Kralijsctiza da Andrije- viza, io giungevo allo stesso punto venendo giù dal Scekulare per la valle del Lira e per Trebtscia e Zabrgje. E anche da Kolascin il signor Giattini ha fatto qualche piccola escursione nei dintorni, facendomi cosi risparmiare un gran tempo, meglio ini- (*) Sulla carta indicata come Zrvena stijena, nome ignoto nella regione. (i) 11 Luknfir-most varca il Lini un poco più a S. dello sbocco della Scekularska. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 505 piegato da me per la escursione alla grande massa eruttiva dioritica e diabasica della Stitariza. In tal maniera, in minor tempo, la regione è stata assai minutamente visitata. Seguendo la valle del Lim sono sempre visibili gli scisti ed i conglomerati paleozoici sui quali si trovano calcari. E poiché al di sopra di questi compariscono nuovamente scisti, così non vi ha dubbio che anche questi calcari che si rinvengono lungo il fiume risalendolo da Berane a Treptscia non siano paleozoici. Nella regione di confine sino al Bac, ma più specialmente attorno al Lim sono molto malsicure ed incomplete le indica- zioni date dalla carta, cosicché anche qui il rilievo geologico dovè essere spesso accompagnato da quello topografico per quanto sommario. Crii scisti paleozoici associati a conglomerati ed a quarziti sono predominanti nella regione. Tra questi scisti argilloso- micacei sporgono sopra Zabrgje a Slatina dei bei calcari scuri interca- lati. Gli scisti presso Ivralje hanno delle venature quarzose. E sui calcari di Slatina si hanno pure belle quarziti. Ma veri e propri filoni di quarzo si rinvengono in alto della Gradiscniza, presso al Bac. Questi filoni di quarzo contengono venature di siderose e sono anche auriferi. Tutta la grande massa scistosa lungo la Gradiscniza ha una inclinazione assai forte e spiccata a nord, inclinazione che, come già vedemmo, è quella che predomina nella grande massa degli scisti paleozoici. In mezzo a questi scisti sono pure zone silicee chiare, quarziti rosee e diaspri. Invece salendo al Bac la inclinazione varia, essendo essa in- vece a SW. Infatti hanno una tale inclinazione i calcari rosei e gialli più o meno selciferi intercalati agli scisti, alle quarziti, agli svariati conglomerati, alle ftaniti ed alle belle anageniti che formano la vetta del Bac stesso e che si continuano sino a metà del declive che guarda il Krivi Do. Le anageniti e gli scisti fi Badici e i calcari sono del tutto simili a quelle che si trovano nei dintorni del Kom e di Andrijeviza. La fresca vallata, boscosa e ricca d’acque, il Krivi Do, o “ Valle curva ,, separa le vette del Bac da un lato da quelle della Bijelasctiza, dall’altro da quelle del Kljuc. Continuano an- cora qui gli scisti filladici ed i conglomerati, le ftaniti rosse e 1*. ViNASSA DE KEGNY E 06 verdi, le arenarie e le anageniti, ma oltre ad essi fanno la loro comparsa delle masse verdi eruttive. Così presso la Biela- sctiza sono rocce verdi mineralizzate. Ma la massa più importante di tali rocce verdi si ha al Kljuc. Quivi sulle arenarie e gli scisti calcarei e quarzosi pa- leozoici si hanno anche calcari grigi non intercalati, che, anche per la loro grande altezza (1929 m.), sono presumibilmente trias- sici. In tali calcari, posti in immediato contatto delle rocce verdi, sono comuni i fenomeni di metamorfismo. In tutta quanta la re- gione poi dal Bac al Kljuc si trovano qua e là quarzo in filoni, quarziti e diaspri rossi. Il Hassert cita al Kljuc anche le arenarie di Grodno, che io non riuscii à identificare. Scendendo a Kolascin si trovano nuovi calcari e dolomie che seguendo l’opinione dei miei predecessori e mancando fossili, continuo a ritenere ancora come triassici. Poi prima di Kolascin lungo la Svinjaza tornano ancora una volta gli scisti e final- mente si entra nella pianura quaternaria con terrazze bene svi- luppate, di cui bellissima quella larga e bassa a N. della città sulla riva destra della Tara. Proprio a poca distanza dalla città, nel Pashan potok, si trova un’altra massa diabasica, che contiene una grande quan- tità di pirite in filoni quarzosi. In complesso quindi la regione dal Lini alla Tara per quanto bella e pittoresca offre poco campo a minute investigazioni geologiche. I boschi e le culture rico- prono in gran parte il terreno, e del resto la predominanza asso- luta degli scisti, colle poche rocce ad essi associate in via subor- dinata, dà un paesaggio geologico assai poco svariato. Attorno a Kolascin e nella parte della Tara che scende al confine si ha invece maggiore cambiamento nella successione geologica. In faccia a Kolascin, sulla sinistra della Tara, si trovano delle masse calcaree assai grandi di tipo e colore svariatissimo, per lo più grigie, ma anche rosse e venate. Tali masse furono dal Tictze riferite al Trias, e da Baldacci invece molto più giu- stamente considerate paleozoiche. La intercalazione infatti di tali calcari negli scisti è così evidente, che non mi sembra vi possa esser dubbio sulla loro età. Il Hassert accetta pure questa opinione di Baldacci, poiché nella sua carta segna come paleo- OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGHO 507 zoici tali calcari. Del resto le somiglianze con altri calcari pa- leozoici nella regione sono molto spiccate Negli immediati dintorni di Kolascin non si trovano poi altro che scisti essi pure di tipo e colore svariato, e più verso il Kljuc le dolomie triassiche già accennate, rocce verdi e con- glomerati. Discendendo la Tara verso il Bijelo Polje si passa sempre nel quaternario con terrazze, mentre le montagne a lato mostrano al solito i calcari e gli scisti paleozoici. Ma nella piana di Vratlo a 950 m. di altezza addossati al Markovo brdo sotto all’Osclag (') sono alcuni argini, paralleli, diretti circa da E. a W. col loro fianco settentrionale molto ripido, che hanno tutta l’apparenza di formazioni moreniche. Ciò del resto non deve meravigliare, poiché tanto allo Sto quanto al Vutscje sulla destra della Plascniza, come pure al Jablanov Vrh ed al Vucitscevaz sulla sinistra sono, secondo Hassert, spiccatissime tracce glaciali. Nulla di più na- turale quindi che i ghiacciai, seguendo la vallata della Plascniza, abbiano depositato le loro morene nella pianura presso la Tara (2). Non ho potuto estendere le mie ricerche nella valle della Plascniza, essendo questa regione fuori del mio itinerario; non posso quindi entrare in dettagli su queste tracce glaciali. Mi limito perciò a richiamare l’attenzione degli studiosi del glaciale montenegrino su questa parte di territorio, assai interessante. Nella pianura di Vratlo il quaternario ha grande sviluppo ; dopo di che, entrando nella stretta valle che si continua sino al confine, esso è limitato ai depositi del fiume che scorre assai rapido in mezzo a rive a picco però non molto profonde. Alla stretta formata a sinistra dal Markovo brdo e a destra dal Bor (3) si entra in un punto geologicamente molto interes- sante, e che ripete su per giù quanto vedemmo a Rikavaz. (!) L’Oselag, alto circa 1650 m., non è segnato nella carta; è la punta innominata che si trova sopra Plana, in faccia al Gusar. (D È da notare che i Vratlo sono due. Uno è quello di cui qui si tratta, posto a 950 ni. sotto Platina, allo sbocco della Plascniza; l’altro ò un luogo di katuni a 1761 m. sul versante opposto, a W. del Jabla- now Vrh. (3) Anche questo nome manca nella carta; é una collina calcarea non molto alta posta tra il Boshanje brdo e Trebaljevo (nella carta erro- 508 P. VINASSA DE RKGNY Si hanno oioè ancora gli scisti arenacei di Werfen, posti sopra a dei calcari rossi, che formano la base, e coronati da grandi masse abrupte e franose di calcare grigio. Tutto questo com- plesso di strati triassici che comincia subito alla curva dopo Vratlo e si continua sino a Trcbaljevo ha una inclinazione di 30° a NW. Presso a Trehaljevo si hanno alla stretta del fiume nuove are- narie e scisti paleozoici, oltrepassati i quali, si entra nella grande massa eruttiva diabasica e dioritica che arriva sino a Jablanov Vrh a sud, e a nord si estende sino oltre la Stitariza sulla sinistra della Tara; mentre a destra di essa per quasi uguale estensione si spinge pel Golisc sino alla Melaja non lungi dalla Bjelasctiza. Altri scisti paleozoici si trovano oltre questa massa diaba- sica, dopo di che tornano i calcari triassici che formano la mag- giore estensione della Sinjavina planina. Anche qui il Tietzo ha ritrovato delle arenarie rosse che riferì al piano di Grodno. Risalendo la Tara lungo la fresca e pittoresca strada che conduce a Veruscia si passa sempre tramezzo agli scisti filla- dici, vere lavagne talvolta, ai conglomerati puddingoidi e alle arenarie del paleozoico che tengono al solito intercalate delle masse, in generale non molto grandi, di calcare, come ad esempio poco oltre la Bistriza, ed, oltrepassato Retscine, alla stretta prima dello sbocco della Drka Rijeka ai fianchi dell’Ostroviza a sini- stra, e della Bukova poljana a destra. Al Han Matescevo oltrepassato il ponte sulla Tara continuano gli scisti con conglomerati, arenarie e quarziti, senza calcare. Ma questi però poco oltre Jabuga tornano a presentarsi in mezzo agli scisti. In questo punto la inclinazione è di 25° a NNW. La medesima inclinazione si continua ancora più avanti al Han Garantscic, ove tornano altre masse calcaree. In questo punto gli scisti paleozoici che dall’Opasaniza giungono al Kom e che si trovano tutt’attoruo al Han, contengono tracce bellissime di fucoidi e di impronte fisiologiche. imamente Grebaljevo); sulla pendice meridionale del Bor si apre una caverna a poche decine di metri sulla Tara, la quale però non ebbi tempo di esploi’aro. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 509 A Veruscia, prima della stretta del torrente, si trovano, iso- lati, alcuni scisti di Werfen con arenarie, ricoperti dai calcari che hanno tipo oolitico. In questo punto il Tietze dimostrò la presenza di una sella negli scisti e nei calcari triassici. Gli scisti micacei di questa località presentano avanzi di piante. Oltre la stretta è una piccola erbosa pianura, ove stanno alcune abitazioni ed il Han di Veruscia, la quale pianura era certo un antico fondo di un piccolo lago di sbarramento; vi sono visibili almeno 4 terrazze molto ben conservate. Salendo alla graziosa chiesetta di Lijeva Rijeka torniamo nuovamente sopra gli strati di Werfen, che qui hanno una esten- sione assai grande, di cui il piccolo lembo presso Veruscia non è che la continuazione posta allo scoperto dalla erosione. Con questa regione termina la porzione paleozoica e scistosa del Principato che aveva avuto principio poco oltre Rikavaz. VI. La Lijeva Rijeka e la Moratscia inferiore. È anche questo un paesaggio molto interessante, specialmente per il netto distacco che si nota tra le formazioni scistose del Trias e del Paleozoico e quelle calcaree successive, e per l’ef- fetto di desolazione che si prova quando, abbandonate le verdi regioni piene di boschi e di acque sino ad ora vedute, si rientra a Jablan nella deserta porzione carsica del vecchio Montenegro, E questo effetto è tanto maggiore in quanto che il paesaggio dei Bratonoshici, nel quale si entra dopo Jablan, è forse uno dei peggiori e dei più desolati di tutto il Montenegro. Delle masse di calcari variamente colorati ed appartenenti al Trias coronano le alture che ci rappresentano uno tra gii importanti spartiacque europei. A NE., infatti, sono i numerosi torrentelli che, discendendo dal Magliz e dal Kom, danno vita alla Tara che appartiene al bacino politico; mentre a sud la Lijeva Rijeka scende alla Moratscia e con essa al bacino medi- terraneo. Sotto ai calcari stanno, al solito, gii scisti di Werfen, la cui continuazione trovammo a Rikavaz: solamente mentre a Rikavaz la zona scistosa era molto sottile, qui invece, come ve- demmo, ò assai larga ed estesa. 510 P. VI NASSA DE REGNY Il Ptic e le alture di Lopate ai lati del fiume sono costi- tuiti in basso da questi scisti, in alto dai calcari triassici rossi a macchie verdi cloritiche. In questi scisti non mancano tracce di vermicolazioni e di fucoidi, che rinvenni più specialmente al ponte presso Jablan, e che in poco o nulla si distinguono da quelle che si trovano negli scisti paleozoici di Han Garantscic e dell’Opasaniza, e che naturalmente non possono avere alcun valore cronologico. I disturbi stratigrafici sono anche qui assai grandi: alcune masse di scisti e di calcari sono quasi raddrizzate, altre hanno inclinazione verso W. Ma sempre predominante è la inclina- zione a NNE., che si riscontra nettissima lungo tutta la valle di Lopate, presso la chiesa di Li) e va Rijeka. Lo spartiacque rappresenterebbe una piccola curva sinclinale. Vedemmo infatti alla stretta di Veruscia l’esistenza di una sella anticlinale limi- tata, il cui lato meridionale pendeva a SW., cioè verso la Lijeva Rijeka; qua gli strati pendono invece a NNE. verso la Ve- ruscia. Questa inclinazione è nettissima al ponte prima di salire a Jablan, ove sono scisti e calcari triassici inclinati di 25° quasi decisamente a N. A Jablan cambia del tutto terreno, perdendosi ogni traccia di scisti e con essi l’acqua ed il verde che ci avevano accom- pagnato sin (pii. Il caldo che tra quei massi brulli calcarei si soffre nelle ore meridiane della giornata è veramente feroce, e si saluta con soddisfazione la cisterna del Vjeternik, alla quale convengono da tutte le capanne delle montagne vicine, ben- ché in essa sia un’acqua torbida, calda e piena di ogni ben di Dio. II Vjeternik è alto 1284 metri, c rappresenta tettonicamente un’anticlinale. Nel Vjeternik, erroneamente creduto dal Tietze triassico, il Baldacci ebbe la ventura di scoprire bellissime El- lipsactinie che erano però così incassate nella roccia, che non potè estrarne campioni. Io non vidi al momento queste Ellipsactinie nel Vjeternik e me ne dolse assai. Solamente più tardi, riguardando con più calma, i campioni raccolti in un pezzo di calcare preso presso la cisterna del Vjeternik, riuscii a scoprire una Ellipsactinia, OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 511 per quanto non molto ben conservata. Mediante sezioni e accu- rati confronti, potei determinare in quel pezzo i generi seguenti: Ellipsactinìa ellypsoidea Steinm. Spliacractinia sp. Plcicosmilia sp. Ma se fui poco fortunato nel trovare le Ellipsactinie, e se posso solamente confermare la scoperta di Baldacci, ebbi la ventura di rinvenire nelle pendici settentrionali del Yjeternik dei bellissimi fossili cretacei. Le Radiolitì sono molto numerose, e benché non ne abbia ancora determinato esattamente la specie pure crederei poter asserire che si tratti qui di cretaceo infe- riore. Anche le condizioni stratigrafiche confermano questo riferi- mento, poiché questo lembo di calcare cretaceo è a contatto del Giura, ed è molto probabilmente di un orizzonte assai basso. Oltrepassato il Vjeternik gli strati cominciano a pendere verso SW. mentre verso Jablan pendevano a NNE. Per il Yje- ternik passa quindi l’asse di una anticlinale diretta NW.-SE. Ma presto nella grande massa calcarea, oltre Peljev Brijeg la inclinazione cambia ancora e diviene SSW., poi a nord di Klopot è NW. In questo punto quindi si trova una sinclinale nettis- sima. Sull’età dei calcari oltre Jablan si può solo in parte di- scutere, poiché oltrepassato di poco Peljev Brijeg le ippuriti fanno la loro comparsa, ed il riferimento al cretaceo è indubi- tato. Si tratta quindi di vedere se esiste o no la striscia di calcare triassico segnata dal Hassert tra il Giura del Vjeternik ed il Cretaceo di Klopot, che il Tietze ha grandemente esage- rato. Mancano i fossili e difficile è il giudizio. Ma se si con- sidera che il Vjeternik rappresenta una anticlinale, sul cui fianco settentrionale esiste, come ho detto sopra, il Cretaceo, si può con bastante sicurezza asserire che la erosione del Cretaceo ha posto allo scoperto solo il Giura sottostante, e che il calcare triassico si limita alle porzioni sovrastanti agli scisti di Werfen a N. del Vjeternik. 512 P. VINASSA DE REGNY Potremmo indicare questa condizione stratigrafìca colla sezione schematica seguente. Sezione schematica da Klopot a Jablan 1:75 000. a. Cretaceo. — b. Giurese. — c. Calcare triassico. — d. Scisti di Werfen. È da notare che tutta la regione dei Bratonoshici è pianeg- giante a causa della piccola inclinazione che hanno gli strati cretacei. Oltrepassato Klopot, la strada orribile lungo la Mala Rijeka, passa a traverso ai calcari ippuritici sino alla confluenza colla Moratscia. Oltre ancora si continua il Cretaceo, e sono rappresen- tati anche calcari bituminosi, simili ai già veduti presso Rijeka. Anche in questo tratto come già altrove ai calcari cretacei si associano calcari dolomitici. Al Han Begova Drekaloviza sopra al Bulin Most, il bel ponte sulla Mala Rijeka, termina la dolo- rosa strada, e si riveggono fichi e viti cariche di uva, con una indicibile soddisfazione. Siamo adesso presso alla civiltà, a poca distanza da Podgoriza, a cui si giunge per una strada assai buona, tagliata al solito nei calcari cretacei, sui quali però ben presto si appoggiano le grandi masse di conglomerato, che formano la maggior porzione del sottosuolo in* tutta quanta la pianura formata dalla Zeta, dalla Moratscia e dalla Zijevua e dagli altri minori corsi d’acqua circostanti. L’inclinazione dei calcari è sempre prevalentemente a NE. Ma nelle colline attorno a Podgoriza è, come già dicemmo, assai svariata: così presso Zlatiza, come ha anche osservato il Tietze, la Moratscia taglia una sella anticlinale. Qui si trova pure una formazione a tipo di flyscli, che va riferita, come quella di Medun, al Cretaceo. La pianura che dalla montagna si stende a Plavniza ed al lago, la cui base è formata da conglomerati ben visibili nelle prò- OSSEltVAZrONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 513 fonde incassature dei corsi d’ acqua, è interrotta qua e là da dossoni di calcare cretaceo, fossilifero in alcuni punti, che spor- gono ad altezze assai piccole, anche in territorio ottomano, a Tuzi, a Vranj, ecc. Tutte le montagne calcaree che circondano la pianura, come pure quelle che attorniano il Gora j e blato sopra Shabljak, pre- sentano in generale una stratificazione ben distinta, inclinazioni varie per quanto poco forti, e più che altro leggere ondulazioni. VII. La catena costiera da Virpamr ad Antivari. Una serie non interrotta di alture assai considerevoli separa da Dulcigno in su il lago di Skutari, lo Skadarsko jezero, dal- l’Adriatico. Per quanto la vetta più alta, il Pumi) a, non sia che 1593 m. e quindi assai più bassa che non gli altri colossi della montagna montenegrina, che oltrepassano i 2500 m., pure la catena costiera fa un effetto imponente. Mentre infatti le montagne maggiori del Principato hanno la loro base a note- vole altezza e sono circondate da altre montagne minori, nella catena costiera le alture si elevano direttamente dalla pianura, che, come il lago di Skutari, è a pochi metri sul livello del mare. La catena è quasi continua, ed i pochi valichi si trovano tutti ad una grande altezza. La catena costiera quindi è una vera muraglia di difesa quasi inaccessibile. E così di fatto fu nei passati tempi. Infatti tutto il litorale adriatico era in rela- zione coll’ Italia e giunse quindi rapidamente alla civiltà latina, mentre la regione più interna, separata dalla imponente catena costiera rimaneva nella barbarie avendo invece solamente con- tatto coll’Ungheria e la Serbia. Ed anche oggi venendo dal- l’ interno e scendendo all’Adriatico si sente che ci troviamo in paese affatto diverso. Una bella strada carrozzabile conduce da Antivari a Virpa- zar, ma questa strada è purtroppo quasi abbandonata, poiché Antivari, che dovrebbe essere il vero porto montenegrino, non ha alcun valore per il commercio del Principato, che si fa tuttora per la via di Cattaro, ed è quindi in mano all’Austria. La via che da Virpazar deve condurre a Rijeka e da qui a Zettinje è tracciata ma non ancora terminata, di porto ad Antivari non 514 P. VINASSA DE REGXY si parla, cosicché aveva perfettamente ragione quell’alto fun- zionario montenegrino, che mi diceva il Montenegro essersi costruita la casa dimenticandosi però di farci la porta ! Per tutto quanto il percorso costeggiando il lago da Rijeka a Vir predominano prima i calcari cretacei, poi quelli triassici; non sono riuscito a scoprire qui alcuna traccia del Giura. Tra Vir e Godinje, Baldacci credè di poter riconoscere il Lias, ma semplicemente per somiglianze litologiche con quello di altre regioni italiane. A Godinje si ha pure una zona poco estesa di Giurese, notata dal Hassert, e che per la sua direzione si potrebbe supporre una continuazione di quella già notata a Bijelosci. Subito dopo Vir è il verrucano, sopra al quale è un calcare ed una dolomia pulverulenta che ha una lievissima inclinazione a sud. Salendo per la Zrnmiza verso il Veli Rasovataz, sopra ai calcari a Sato- llici si trovano zone verdi porfirichc e quindi degli scisti di Werfen, in breve nuovamente interrotti da altre rocce verdi, attorno a Bukowik. Sovrastano i calcari con una anticlinale diretta da E. ad W. assai spiccata. La inclinazione a S. dei calcari nel fianco meridionale della anticlinale risponde su per giù a quella già notata nei calcari e nelle dolomie sopra Vir. Ma qui si tratta probabilmente di due pieghe consecutive, poiché alla fonte prima di Boljevici si trovano scisti di Werfen incli- nati a NNE. sopra ai quali sono bei calcari rossi. Agli scisti sono associati conglomerati e tutt’attorno al paese di Limljani sono masse verdi molto estese, tutte quante più o meno ricca- mente mineralizzate. Sopra agli scisti presso Limljani si trovano diaspri e poi calcari e dolomie triassiche. Oltre Limljani l’ in- clinazione degli strati è verso Sud, e quindi passa per questo punto l’asse di una anticlinale, che è probabilmente la medesima già accennata per Bukowik, e riconosciuta a suo tempo dal Tietze. Tutte queste masse calcaree e dolomitiche sono triassiche, come pure triassici sono i bei calcari rossi soprastanti agli scisti a Bolje- vici. Anzi un calcare dolomitico bianco che si trova poco oltre Bo- ljevici è quasi del tutto identico a quello di Premici che ve- demmo corrispondere alla dolomia di Esilio. OSSERVAZIONT GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 515 Invece più in alto ancora i calcari sono più recenti appar- tenendo essi al Giura ed al Cretaceo. Il Giura è rappresentato da un calcare bianco oolitico, sviluppato pure nella vicina re- gione di Spizza, posto in discordanza sulle dolomie ed i calcari triassici. Il Bukowik che non vi aveva trovato fossili caratte- ristici, poiché dice che è un “ calcare oolitico con corallari ,, non sapeva se riferirlo al Giura od alla Creta. Ora tal calcare oolitico bianco si continua nella Soziua pla- nimi e contiene là delle splendide Ellipsaetinie. Nessun dubbio quindi sulla sua età giurese. Vi ho riconosciuto le seguenti specie. Ellipsactinia ellypsoidea Steinm. Sphaer actinia sp. Trochosmilia sp. Vi sono pure avanzi di gasteropodi e altri corallari, non ancora determinati, ma che non influiscono sulla determinazione dell’età, per la ((naie bastano le suddette forme. Questa striscia di calcare giurese bianco comincia presso all’Ili jino brdo sul confine con Pastrovicchio, si continua oltre il Gluhi do, da dove si gode una meravigliosa vista sull’Adria- tico e sul lago, sotto al Divlij vrh a Sozina, e da qui entra anche nel territorio occupato dall’ Austria alla Trojiza, a SW. dell’ Orlov krsc, nel Mikov do estendendosi anche nel Monte- negro, ed oltre la Vrsciuta; è assai ridotto ma sempre net- tamente distinguibile al passo del Sutorman, e da qui proba- bilmente deve estendersi sino al lago anche nella catena del Rumija. La inclinazione di questi strati è quasi sempre a NNE., o anche decisamente a nord. In alto al passo del Sutorman sono altri calcari ippuritici, questi però fortemente inclinati a SSE. Tali calcari cretacei, spesso brecciati si spingono anche sopra al giurese ma per poco spazio nella Sozina planina e molto più verso la catena del Rumija, ove il calcare triassico segnato così grandemente avvi- luppato dal Tietze è invece assai ridotto. I calcari rossicci, verdastri, soprapposti agli scisti triassici, talvolta verniciati di malachite, dai quali sotto al passo di Su- olG P. VINASSA UÈ KEGNY torman sbocca la sorgente di Bascina Yoda(') sono triassici, c sopra di essi si vedono nettamente gli strati calcarei bianchi oolitici del Giura e ippuritici del Cretaceo. Appena oltrepassato il passo di Sutorman la inclinazione viene ad essere subito a NNE., cosicché la vetta del Sutorman rappresenta una sinclinale. A questa piega ne seguono altre minori, poiché si veggono nuovamente comparire i calcari brecciati rossi e verdi metal- lizzati, simili a quelli del versante settentrionale, soprapposti ad altri calcari dolomitici, simili a quelli che si trovano poco sopra Vir, i quali sono inclinati nuovamente a SSW., e final- mente prima di Zrni kamen si trovano dei calcari rossi fossi- liferi soprapposti a scisti varicolori e a dolomiti, i quali sono nuovamente inclinati a NNE., inclinazione che ormai resta pre- dominante sino ad Antivari. A questi calcari rossi sono soprap- posti calcari grigi a crinoidi e sottoposti calcari bianchi e ce- roidi. La posizione stratigrafica di questi calcari è nettamente ca- ratterizzata da alcune sezioni naturali che si veggono chiaris- sime salendo in alto al Sutorman. Passando infatti per la vecchia mulattiera, che rappresenta la scorciatoia della grande svolta che si spinge verso lo Sto, e salendo verso il passo del Sutorman, si vede sotto alla Kula Sciarapoff ( ’) una sezione ove chiaramente si vede come i calcari rossi con brachiopodi siano sottostanti ai calcari grigi con cri- noidi. Al punto di contatto di questi due calcari sono zeppi di crinoidi anche i calcari rossi. (') Bascina Vocia, e non Pascina Voda come è segnato sulla carta austriaca, si trova sul versante scutarino del Sutorman e non su quello adriatico ove è invece indicata; essa dà origine al Bijesckaze Potok che sbocca nella Zrmniza, e che non è nominato nella carta. Anche i nomi delle cime verso il Rumija o sono errati o sono incompleti. Cosi tra Kosa e Lonaz c’è la Kameniza; poi ove è la quota 932 metri è il Tsciu- kulioski Vrh; Suga Galin nome turco è invece detto in albanese Ku- mora. Tra Skala e la vetta del Rumija è Koshak alla quota 1142. (2) È la Kula innominata nella carta, posta accanto al varco di Sutorman a SW. della Kosa. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 5L7 La inclinazione di questa massa essendo a SW. risulta che questa parte di strati appartiene alla porzione settentrionale della sinclinale. A poca distanza da questa massa, ma più a sud, sopra al nuovo Han di Sutorman si ha la medesima successione di strati, ma però con inclinazione nettissima a NE. Siamo quindi nel- l’altro lato della sinclinale, il cui asse corrisponde quindi quasi esattamente al valico. Una ricca fauna ho potuto rinvenire in questi calcari, com- posta di echinidi, crinoidi, brachiopodi e molluschi, di cui ecco qui l’elenco, escludendo le specie nuove : * Spiriferina IwvesJcalliensis Suess in Bockh. Sp. pia Bittn. var clinarica Bittn. f lietzia Mojsisovicsi Bockh . * li. Schwageri Bittn. var. Spirigera trigonella v. Schloth. sp. Sp. Miinsteri Bittn. * Hhynchonella Meniseli v. Buch. sp. * Uh. decurtata Gir. sp. f Uh. delicatula Bittn. Uh. trinodosi Bittn. var. * (?) Terébratnìa sulcifera v. Schaur. * Waldheimia angusta v. Schloth. sp. * W. angustaeformis Bockh. Encrinus cfr. liliiformis v. Schloth. En. cassianus Laube. En. granulosus v. Mnstr. Pentacrinus sp. Cidaris transversa May. C. Wissmanni Des. Macrodon esinensis Stop]). Pecten stenodictyus Sai. Aequipecten sp. Cyclonema cfr. circumnodosuin Kittl. Marmolatella cfr. ingens Sai. Non vi può esser dubbio che questa sia una fauna del tipico Muschelkalk. Dei brachiopodi, che sono quelli stratigraficamente 42 518 I>. V! NASSA DE KEGNY più importanti, quelli segnati coll’asterisco * sono caratteristici dei calcari di Recoaro. Quelli colla crocellina y sono dei cal- cari dello Schreyeralm che è superiore al calcare di Recoaro. Se si pensa poi alla presenza della EhynchoneUa trinodosi ca- ratteristica e vero fossile guida del Muschelkalk superiore, e che esiste pure la Spingeva Ministeri di S. Cassiano insieme ad altre forme e di S. Cassiano e della Marmolata e quindi superiori al tipico Muschelkalk non vi può esser dubbio che i calcari rossi con brachiopodi del Sutorman sono appartenenti al Muschelkalk superiore. I calcari grigi con crinoidi rappresenterebbero un orizzonte forse un poco superiore e si potrebbero riportare al piano di S. Cassiano. Le numerose dolomiti che si hanno poi nel resto della mon- tagna devono appartenere esse pure al Trias superiore e medio. Gli scisti che si veggono sottostanti a questi calcari fossi- liferi, a circa metà discesa, prima di giungere a Tugemilje sono molto strani ed interessanti. 11 Baldacci li ha erroneamente rife- riti al Paleozoico, mentre Tietze vi aveva trovato esemplari di Spiriferina fragilis , e li aveva quindi ritenuti triassici e rispon- denti agli strati di Wengen ; ma sono forse più antichi. Tali scisti non sembrano rappresentati sull’altro versante del Sutorman, sono quindi forse da interpetrarsi come una intercalazione locale, che si ripete del resto, come ha mostrato il Bukowsky, anche nel territorio di Spizza, ove questi strati in forma di marne scistose e arenarie con Spir. fragilis poggiano sulle dolomie. Gli strati di Wengen non si ritrovano poi in tutto quanto il Mon- tenegro se non al Durmitor. Sopra a Tugemilje si ritrovano calcari brecciati simili a quelli già veduti nel versante scutarino e poi calcari alternati con tipici scisti di Wcrfen che riproducono, sebbene ipsometri- camente più bassi, le condizioni già vedute a Limljani. Tutto questo complesso di strati triassici, sino al punto in cui comin- cia il Flysch eocenico costiero sopra Antivari, ha una netta inclinazione a NNE. Ma questa inclinazione pur predominante non è la sola, poiché al primo ponte oltre Tugemilje, ad esempio, gli scisti OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 519 varicolori fortemente contorti hanno una spiccata e decisa pen- denza a nord. E pure presso a Tugemilje al ponte maggiore successivo è nettissima nel calcare una sella inclinata, quasi rovesciata, volta a nord e pendente a sud. Tale sella, visibilissima, era già stata osservata dal Tietze. Anche su questo versante, sebbene assai meno sviluppate, si trovano masse verdi di diorite porti rica associate al solito a diaspri rossi. Tali masse allineate da NW. a SE. seguono una linea quasi non interrotta da Ogliza sotto alla Yelja glava in territorio di Pastrovicchio per la regione di Spizza sino a Sustasc e oltre nel Montenegro. Tali masse verdi sono più o meno ric- camente mineralizzate. A Sustasc le masse eruttive hanno prodotto nei circostanti calcari triassici dei fenomeni di metamorfismo di contatto molto spiccati. Giungendo ad Antivari si oltrepassa la grande faglia per la quale i calcari triassici, inclinati a NNE., del Sutorman, ven- gono a contatto coi terreni del Flysch. Le rocce che costituiscono gli strati del Flysch sono preva- lentemente arenarie riferite all’oligocene, a cui si associano anche calcari con nummuliti e con orbitoidi. Le arenarie sono sviluppate attorno alla pianura sotto Anti- vari tanto a NW. oltre il fiume di confine Zeljezniza, quanto a SE. sino alla catena di Yoloviza lungo il furioso torrente Ki- tscianaz, ove comincia invece il calcare eocenico. La pianura attorno a Antivari ai piedi del Kurila è bassa e acquitrinosa, tanto che al Pristan di Antivari, ove è un simu- lacro di porto, impera la malaria. Durante Pinverno i torrenti lasciati liberi rovinano il territorio e asportano intere porzioni della strada postale. E cosi fu interrato tutto quanto il golfo, una volta amplissimo, di Antivari, e tuttora continua 1 interri- mento del piccolo seno rimasto al mare. Lo stesso avverrebbe anche per gli altri golfi, se in essi esistessero, come ad Antivari, torrenti ricchi di ciottoli e di materiali melmosi. 520 1*. VINASSA DE REGNY Vili. La catena costiera da Antivari a Dulcigno. Lungo la costa dagli innumerevoli golfi azzurri, al di sotto della massa imponente del Rumija, per una strada turca, a grandi massi levigati e sdrucciolevoli, si va dalla città di An- tivari alla ridente Dulcigno. Camminando al basso non si vedono che gli strati del Flyscli eocenico alternanti con strati calcarei nummulitici; ma su verso il Rumija e il Lisin si ritrova ancora il Trias ed in alto la Creta. Fra Antivari e Dobravoda si ha a destra nella Voloviza una catena calcarea eocenica nummulitica, che è la continua- zione di quella di Budua; a sinistra torna invece il Flyscli sotto forma di arenarie molto inclinate a Sud. Questo Flyscli si estende molto a NE. attorno ad Antivari ; sopra ad esso, nella valle ove sono le sorgenti di acqua potabile, si trovano i cal- cari rossi rinvenuti già al Sutorman e ricoperti da altri strati calcarei che formano il Lisin e l’Osnoviza e che sono tutti triassici. Come il nummulitico della Voloviza è la continuazione di quello di Budua, interrotto dalla grande erosione che ha for- mato i golfi di Castellastua e di Spizza, così questa striscia di flyscli è pure la continuazione di quello di Cattaro e Budua, ma che, per essere più interno, ha lasciato maggiori avanzi sulla costa. La massa eocenica di Voloviza si continua lungo la costa sin verso la punta di Dobravoda, dopodiché, continuando nella sua direzione di NW.-SE. entra nell’interno. A poca distanza a Nord di Pesciuriza si trova a contatto col Flyscli di Antivari di cui si è detto sopra; e nuovo Flyscli si trova poco a Nord di Kunja. Sono quindi in questo punto già tre strisele terziarie, eoceniche, parallele, non molto grandi, di larghezza su per giù uguale ed uniforme. La Plocia goranska è eocenica, sotto di essa sono arenarie del flyscli, che alla Moschea sopra Kunja (325 ni.) sono for- temente raddrizzate, ma pur tuttavia lasciano riconoscere una inclinazione a NE. molto spiccata. Fra Kunja c Kruci ai piedi del Mushnra, nella ampia do- lina, ove ho veduto forse la maggiore massa di terra rossa che OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SOL MONI ENEGUO 521 abbia incontrata in tutto il Montenegro, vi sono nuovi calcari eocenici. Ma salendo verso l’alto del Mushura, là dove tanto la carta dal Tietze quanto quella del Hassert segnano l’Eocene, si trova invece il Cretaceo con magnifiche ippuriti, in grandi strati calcarei inclinati a Nord. Un esemplare tra questi mi sembra, per l’ornamentazione, si possa avvicinare albi/. Heberti Mun. Chalm, che sarebbe ca- ratteristico del Senoniano superiore, e più particolarmente del Campaniano. Effettivamente il Tietze in corrispondenza press’a poco del Mushura, ma però più in basso verso Euscia Zogai a Golumbe segnò il cretaceo: e non posso comprendere come il Hassert non se ne sia occupato, segnando invece in questo punto tutto eocene, e indicando un piccolo lembo cretaceo molto più a Nord verso il Jezero Scias. Scendendo dal Mushura, addossate a questo dossone cretaceo, sono nuovamente arenarie del Flyscli molto inclinate al solito verso Sud. La vegetazione stessa indica chia- ramente il confine tra le due formazioni. Guardando infatti da Sud il Mushura lo vediamo tutto coperto di boschi e di culture sino ad una linea nettissima di distacco sopra la quale spor- gono nude le grigie rocce cretacee, tuttora seminate dalle im- provvisate fortificazioni dell’ultima guerra sanguinosa tra i mon- tenegrini invasori e gli albanesi. Questo Flyscli arenaceo, in banchi spesso del tutto scoperti come grandi lastroni, che ri- copre il Mushura, cede il posto a nuovo calcare eocenico a Bratiza, il quale costituisce tutto il Mal barz o Bijela Gora sino alle prime case di Dulcigno. Nelle arenarie del Flyscli, tolta qualche rara impronta, non ho trovato fossili; mentre nei calcari eocenici, specialmente in quelli marnosi di Bratiza, i fossili non mancano. Vi ho rico- nosciuto: Nummulites sp. Ortitoides nummulitica Giimb. 0. papiracea Boub. 0. radians d’Arch. le quali specie parlano chiaramente per il tipico eocene. 522 1\ V1NASSA DE KEGNV Sono queste in complesso sei zone alternanti, tre arenacee e tre calcaree, tutte inclinate variamente a Sud. Nell’ultima zona eocenica calcarea, presso Dulcigno, gli strati sono ricca- mente bituminosi e inclinati di 20u a S. Finalmente lungo mare, tutt’attorno al piccolo porto di Dulcigno sino alla pianura, com- parisce un terreno nuovo, assolutamente mancante nel restante Principato e anche lungo la costa a Nord. E questo un calcare con litotamni di notevole spessore, con straterelli calcarei più compatti intercalati e arenarie giallastre friabili le quali a lor volta riposano sopra calcarei grigi compatti. Tutta questa massa di strati è inclinata di 20° a SW. Non mancano i fossili, specialmente i Pectcn, ma sino ad ora non si era ancora sicuri sull’età di questi strati. Il Tietze non potè, a causa del poco tempo a sua disposizione, farvi molte raccolte. Non vi riconobbe di sicuro altro clic il Pecten latissima^. Un’altra forma fu dal Fuchs considerata come identica al P. flabelli- formis e quindi i terreni furon creduti pliocenici. Ma nuovi studi mostrarono come quel creduto P. flabelli formis avesse so miglianza anche col P. bardi (jalensis miocenico, e che una de- terminazione sicura era impossibile. La forma di Dulcigno, senza essere nessuna delle tre, si avvicinava a P. Vindascinus Font., a P. Sievringensis Fuchs e a P. Besseri Àndrz. In conclusione quindi non si poteva decidere se si trattasse di miocene o di pliocene. Il Baldacci invece riferisce questi terreni decisamente al pliocene, dandone per ragione le somiglianze con quelli plio- cenici italiani. Il Suess, nell’ultimo volume comparso della sua opera ma- gistrale dà molta importanza, come del resto aveva già fatto il Neumayr però in senso opposto, a questi depositi. Egli dice testualmente ('): «La forma del paese (attorno ai laghi di Ochrida e Presba) potrebbe farci credere che questo bacino ter- ziario (della Macedonia e della Tessaglia) fosse stato in comu- nicazione col mare verso SE. Ma questa direzione ci porta nella regione Egea, ove non si ha traccia alcuna di sedimenti simili... p) Antlitz cler Erde, III, 1, p. 410. Wien, 1001 (dalla traduzione italiana di Vinassa in corso di stampa). OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 523 Mentre l’antico collegamento verso NW, ci è dimostrato dalla presenza di depositi del primo e secondo piano mediterraneo, che Boué e M. Hornes fecero conoscere della depressione alba- nese tra Durazzo e Tyrana sino a Kroja, e la cui continuazione il Tietze trovò a Dulcigno. Mentre in tal maniera a Sud di Dui cigno si può ammettere lo sbocco di un lungo seno diretto a NE. dal terziario medio sino al secondo piano mediterraneo, un poco più a Sud non si conoscono che sedimenti del terzo piano mediterraneo ». Come si vede il riferimento al miocene, intuito dal Suess genialmente tramezzo ai dubbi del Tietze, ha una grande importanza. E che effettivamente si tratti di miocene, e di miocene medio tipico, lo prova la fauna relativamente assai ricca dei calcari a litotamni e delle arenarie, nella quale ho potuto ri- conoscere le specie seguenti: Lithotìiamnium cfr. glonieratum Capeder. Pecten latissimus Br. P. scabrellus L. P. opercularis L. P. cfr. cleletus Mclit. P. multistriatus Poli var. tauroperstriata Sacco P. cfr. Fuclisi Font, (an n. f. ?). P. solarium Hornes. Ostrea laméllosa Br. 0. crassissima Lk. Ostrea cochlear Poli var. navicularis. La presenza del P. solarium , del P. multistriatus nella sua varietà tipicamente miocenica, e delle altre due forme avvici- nate alle mioceniche P. cleletus e P. Fuchsi, non lasciano dubbio alcuno sulla età di questi calcari a litotamni, che sono quindi tipicamente miocenici. E maggiore importanza acquista il riferimento al miocene quando si consideri che sedimenti simili si trovano pure ad Est del Mushura, a Pisctulj ('). Quivi si hanno, dal basso all’alto, (i) La carta segua erroneamente Pisctulj in alto, sotto la cima di Mushura, mentre si trova presso la pianura, in regione Golumbe, poco oltre Kodra. 524 P. VINASSA DE KEGNY a) Strati argillosi alternanti con banchi di lignite incli- nati 20° a SW. b) Calcare a litotamni con gli stessi fossili che si hanno a Dulcigno, inclinati essi pure a SW. c) Conglomerati a ciottoli quasi liberi in strati orizzon- tali. Colla presenza di questi strati miocenici a Pisctulj il con- torno orientale del golfo miocenico è reso anche più manifesto. Il conglomerato che ricopre questi strati rappresenta un de- posito dell’antico e tranquillo bacino lacustre di cui il lago di Skutari è l’avanzo, e che nelle pianure ad esso circostanti, esse pure formate da conglomerati di varia grandezza, ha lasciato i suoi depositi. RIASSUNTO. Riassumendo quanto si è detto nella descrizione particolareg- giata, nella porzione orientale e meridionale del Montenegro noi troviamo una serie ricchissima di terreni. Ad eccezione di alcune varietà di rocce si può dire che in queste regioni appunto si trovino rappresentate tutte quante le formazioni distinte sino ad oggi in tutto il Montenegro. La regione da me non visitata, e prevalentemente calcarea, del restante Principato offre assai meno particolarità ed è di tipo assai più uniforme. La parte calcarea rappresenta del resto i 4/5 di tutto il territorio; infatti di 8325 kmq. secondo Baldacci, solamente 1038 kmq. appartengono alla zona prevalentemente scistosa attorno al Kom. Le rocce are beane mancano del tutto, ed anche il paleo- zoico inferiore non sembra rappresentato. Sebbene alcuni scisti, secondo Baldacci, somiglino a quelli siluriani della Sicilia, pure mancando i fossili, non si può dire quanto sia giusto questo riferimento. Quella che sembra certa è la presenza del paleozoico superiore; infatti, se non tutti, almeno la parte maggiore degli scisti paleozoici va riferita al permo-carbonifero, per le grandissime somiglianze che si hanno colla serie litologica del M. Pisano. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 625 Questi scisti sono prevalentemente micacei, di colori svaria- tissimi, talvolta argillosi, vere e proprie filladi. Intercalate agli scisti sono zone cristalline, e calcari più o meno cristallini, rossicci o azzurrastri od anche scuri, sulla cui età però non sempre i geologi son d’accordo. Accompagnano gli scisti nella loro parte superiore arenarie, quarziti, anageniti e conglomerati, tipo di verruca no che rap- presenta il paleozoico superiore se non anche il Trias infe- riore. La posizione di questi scisti paleozoici è esclusivamente nella porzione nord-orientale del Principato; essi sono diretti da NW. a SE., e sono la diretta continuazione della zona centrale della Bosnia. Essi passano senza dubbio anche in Albania, e quivi si estendono anche assai più a Sud, poiché, come ho già detto (') nella mia nota preventiva, si trovano a Krstaz sopra Vukli nella « Prokletija Planimi », la « Montagna maledetta » albanese. È notevole il lembo isolato di scisti che si trova sotto al Castello di Skutari, e che si trova in tal modo a grandissima distanza dalla massa principale. La stratificazione, come già accennammo, è molto tormentata, e non è raro il caso che scisti paleozoici e scisti triassici siano intimamente connessi causa la loro forte e ripetuta piegatura. Il Trias ha un grande sviluppo nel Montenegro. Questo fu esagerato dal Tietze, ma purtuttavia, anche dopo le correzioni apportate alla sua carta, resta assai importante. Il Trias inferiore è rappresentato dagli strati diWer- fen, un orizzonte caratteristico, rappresentato da scisti variegati, prevalentemente rossicci e verdastri. Nessun fossile fu trovato in questo complesso, ma la giacitura di questi scisti parla chia- ramente in favore di questa determinazione cronologica. Infatti essi sono soprastanti agli scisti paleozoici ed alle rocce del ver- rucano, e sottostante a dolomiti nettamente triassiche. xVnclie la natura litologica parla a favore di questo riferimento, tanto più che associate ad essi si trovano anche arenarie rosse, simili a quelle di Grodno, e nemmeno mancano in alcuni punti il gesso (!) Appunti di geologia montenegrina, pag. 567. 526 P. V1NASSA UK KKGNY ed il sale; caratteristici delle formazioni di Werfen. Inoltre in Bosnia si hanno scisti simili che hanno fornito fossili tipici del trias inferiore. Questi scisti caratteristici e che segnano nel Montenegro una zona nettissima di separazione seguono la solita direzione diNM -SE. e si trovano a destra ed a sinistra del lago di Rikavaz, e si ripre- sentano assai estesi, insieme a verrucano probabilmente trias- sico, alla base del Sutorman. Sembrano in generale esser sem- pre interposti agli scisti paleozoici ed al calcare triassico, tanto che spesse volte non si arriva a sapere se si tratti di scisti paleozoici o triassici. Associati agli scisti sono vari tipi di rocce eruttive, con quarzi rossi e diaspri, le quali sono prevalentemente porfidi, dia- basi e dioriti, secondo le ricerche del Foullon ('). È rarissimo che tali rocce si trovino in terreni più recenti degli strati di Werfen, come pure è raro che siano associate agli scisti paleo- zoici. La loro principale diffusione è esclusivamente negli scisti di Werfen. Come già abbiamo veduto, il massimo sviluppo di queste rocce si ha a N. di Kolascin nella Stitariza e nel Pre- pren, al Klijuc e nella catena costiera specialmente sopra Yir- pazar. Agli scisti seguono i calcari, spesso dolomitici, e vere c pro- prie dolomie saccaroidi, nei quali le suddivisioni sono diffici- lissime. I caratteri litologici, in generale sempre assai insuffi- cienti, sono in questi calcari del tutto inutili. Solamente i fossili possono indicarci qualcosa di sicuro. Tietze non aveva distinto nei calcari altro che Trias e Creta con pochissimo Giurese. Bal- dacci aveva aumentato molto, forse troppo, l’estensione del Giura. E nel Trias il Tietze, ad esempio, non aveva potuto accen- nare se non a dubbiosi strati di Wengen, e riportare al Retico i calcari del Lovcen in base ai ritrovamenti del Hofer. T calcari triassici, un giorno ampiamente estesi per tutto il Montenegro orientale, oggi erosi ed asportati, coronano solamente C) Ueber die Eruptivgesteine Montenegros in: Tietze Geologiche TJéber- sicht voti Montenegro , pag. 102-108. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 527 le vette più alte della regione paleozoica. Ulteriori ricerche faranno certo rinvenire in questa massa di strati numerose sud- divisioni del Trias medio e superiore. Intanto dalle mie ricerche risulta la presenza, basata sui fossili, dei seguenti piani: Mu- schelkalk, Dolomia d’ Esilio, Eetico. Il Muschelkalk è riccamente fossilifero nella catena costiera sotto al Sutorman. Esso comincia cogli strati di Werfen con Spiriferina fra- gilis, rappresentati dagli scisti e dalle arenarie che si trovano intercalate ai calcari sul versante Adriatico, e poco sopra alle rocce verdi. Si continua poi con dei calcari dolomitici, brecciati e ceroidi ed è coronato dal calcare rosso che contiene la ricca fauna già elencata, ed il cui riferimento al Muschelkalk superiore non può essere dubbio. La dolomia bianca di Premici con Gyroporella, come vedem- mo, rappresenta il tipico piano Esilio. Tale dolomia manca, a quanto pare, al Sutorman. Forse si potrà rinvenire nel ver- sante settentrionale del Rumija. Il Trias, così isolato, della Kaka- riska gora non si può connettere con altro se non con quello appunto delle montagne a Sud del lago di Solitari. Del resto il piano di Esilio è rappresentato nella regione di Spizza. Il Re ti co fossilifero si trova al Lovcen, nei calcari dolo- mitici del Jezerski Do, e in quelli marnosi, con piccoli Mega- lodon, del Dugi Do presso Njegusc. Per criteri stratigrafici e litologici, mi sembra che non vi possa esser dubbio nel riferire pure al Eetico il portoro, e i calcari grigi con selce, e le dolomie della vetta del Kom e delle montagne vicine con esso connesse. * Il Giura è stato dimostrato nel Montenegro, in quantità notevole, dal nostro Baldacci. Il Tietze, pur supponendone la presenza nelle masse calcaree che uniformi, come deposte inin- terrottamente, si presentano dal Trias alla Creta, non lo segnò che in tre o quattro punti, ove o furon rinvenute ammoniti del Giura superiore o criteri litologici lo consigliarono. Il Baldacci invece dimostrò l’assoluta esistenza del Ti to- ni ano in parecchi punti del Principato. 528 P. V INA SSA DE REGNY L’EIlipsactinie del Durmitor furono studiate dal Canavari (') e da lui riferite a E. africana trovata pure al Gebel Ersass in Tunisia e al M. Gargano. Il Hassert invece combatte, un po’ aspramente, le idee di Baldacci e riduce il Ginrese ai minimi termini. Ritorna poi sulla questione dell’età delle Ellipsactinie, questione che ormai sembra risoluta, tanto più quando non si tratta, come dice il Hassert, di fossili mal conservati e quindi mal determinabili, ma di ban- chi immensi di fossili magnificamente conservati ed associati ad altre forme giuresi, come ad esempio sono i calcari bianchi di Sozina. Questa specie di repulsione ad ammettere il Giura non è certo giustificata. Vedemmo già come esso invece effettivamente si trovi in vari luoghi c anche assai sviluppato. Non dirò, come Baldacci, che il Giura si trovi sempre tra il Trias e la Creta in ogni luogo. Ma esso certamente è rela- tivamente comune. Basterà osservare lo sviluppo che esso ha sulla catena costiera per persuadersene. Ed è pure da notare il fatto che il Giurese del Durmitor, che secondo Hassert sarebbe isolato, si continua invece nella medesima direzione prevalente, di NW-SE., anche nel resto della regione confinante come al Volujak, al Povrscje, al Kantar nel Prenj ecc. Questa comparsa del Giura con Eli ipsacti nidi, in masse isolate e non in zone continue, è naturale quando si pensi clic si tratta di una formazione di scogliera. Per questa ragione io sono più che sicuro che accurate ricerche, anche là dove non potei rin- venire strati giuresi, questi potranno trovarsi in masse isolate; e questo non solo nella regione meridionale ed orientale, ma anche nel resto del Principato, nella gran massa calcarea appa- rentemente uniforme, riferita al Trias o alla Creta. E risulterà quindi che il Baldacci aveva molta ragione quando sosteneva la presenza del Giura in quantità notevole nel Principato. La Creta è ampiamente sviluppata nel Montenegro, ed è quasi esclusivamente rappresentata da calcari c da dolo- (*) (*) Idrozoi titoniani appartenenti alla famiglia delle Ellipsactinidi. Mcm. R. Coni. geol. it. IV, p. 48. Roma 1893. OSSEKVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 529 miti. Le ippuriti vi sono frequenti ed anche assai ben conser- vate. Come nell’ Appennino anche qui la massa calcarea è così uniforme che i vari piani non vi possono distinguere se non basandosi sui tossili. La presenza di scisti intercalati ai calcari, come se ne trovano a Gretscia, può servire per distinguere gli orizzonti ; ma questi scisti cretacei non sono molto comuni, ed i calcari dei vari orizzonti hanno tra loro troppa somiglianza. In generale i calcari bituminosi sono cretacei, ed anche questo carattere può avere qualche valore per la determinazione cro- nologica. Si può considerare come rappresentato il Cretaceo inferiore nei calcari ove predominano le Radioliti : e ciò aveva giusta- mente osservato anche il Baldacci, che riferiva all’ Urgoniano, piano oggi abbandonato, questi terreni. Del Cretaceo superiore, con ippuriti prevalenti, è sicuris- simo il Turoniano nelle due facies ad Acteoneìla e ad ippuriti e \ sferuliti come a Gosau. E probabile poi la presenza del Seno- niano superiore nel Cretaceo della costa al Mushura. Anche la facies di Flyscli è rappresentata, sia con intercala- zione di scisti nei calcari cretacei, ippuritici, sia sotto forma di arenarie e scisti o intercalati o soprapposti ai calcari. Questo flyscli fu da Baldacci e da Tietze creduto eocenico, da Hassert molto più giustamente riferito alla Creta. Per sup- porre che il Flyscli delle conche di Medun, del Helm ecc. fosse Eocene rimasto impigliato nei calcari cretacei occorrerebbe tro- varsi in una regione di pieghe molto contorte e disturbate. Ed invece il Montenegro non presenta esempi di tali pieghe se non nella regione degli scisti, ed anche qui assai rari. Il cretaceo poi tra tutti quanti i terreni è quello più dolcemente e più rego- larmente ondulato. Cosicché la formazione del Flyscli all’ interno è da riportarsi al Cretaceo, e solo quello costiero è terziario, eocenico od oli- gocenico che si voglia ammettere. Il Terziario è rappresentato esclusivamente dai depositi litorali addatici. L’Eocene si trova nei calcari bianchi o grigi, brecciati, talvolta cristallini, o anche marnosi che molto raramente con- 530 1‘. V1NASSA 1>E KEGNY tengono nnnnuuliti. Tietze infatti non ne ha trovata neanche una, e Hassert le dice rarissime. Il riferimento però è sicuro perchè non solo queste colline litorali sono la continuazione di ((nelle di Catturo, ma le orbitoidi da ine trovate a Bratiza non lasciano dubbio sul riferimento all’ Eocene superiore di questi calcari. Il Flyseh che alterna coi calcari stessi è, secondo i più, appar- tenente all’ Oligocene. Tale determinazione è però data con criteri litologici e per somiglianze con depositi simili, ma non è confermata da alcun fossile. Abbiamo già veduto di quanta importanza sia il Miocene di Dulcigno e di Pisctulj sulla cui età, in presenza ai numerosi fossili da me trovati, non può ormai più insorgere alcun dubbio. Il Pliocene manca del tutto : se pure non si vogliano con- siderare come pliocenici i depositi più profondi delle piane allu- vionali. Il Quaternario è rappresentato specialmente dalle masse di conglomerati, le quali sono sviluppatissime nella regione della Moratseia. Ma del resto non mancano terrazze anche in altri fiumi e basterà qui ricordare quelle della Tara a Kolascin e quelle del Lini ad Andrijeviza. Alcuni fiumi portano solamente calcari, altri, come la Mo- ratscia, depositano attorno Podgoriza ciottoli delle più svariate rocce, detriti delle masse da loro traversate. Le doline e le valli chiuse sono riempite dallo sfatticcio delle rocce circostanti, salvo il caso che in essi sbocchi qualche corso d’acqua, e che vi apporti materiali da lontano. Tutti questi conglomerati possono trovarsi ad altezze assai notevoli, sino a 60 m. Infatti i fiumi montenegrini appartengono alla categoria dei fiumi giovani, e trattandosi di terreno preva- lentemente calcareo, si sprofondano ogni anno in solchi sempre più bassi. Ma non solo si hanno terrazze fluviali di conglome- rato ma anche terrazze lacustri. Ricorderemo quelle già accen- nate a Rikavaz ed a Veruscia. I pol.jen e le grandi doline hanno il loro fondo pianeggiante c riempiuto di terreno agrario, e spesso, anzi quasi sempre, sono ricchi di umidità. Questo riempimento delle conche carsiche è OSSERVAZIONI UEOLOUIOllE SUL MONTENEGRO 531 fatto anche talvolta da pura terra rossa, la quale non è però nel Montenegro così sviluppata come in altre regioni carsiche. Il massimo sviluppo di questa terra rossa si ha sulla catena costiera oltre Antivari verso Dulcigno. In alcuni punti, come a Dobravoda, si ha un vero e proprio ferretto. Di altri terreni quaternari sono formate le grandi pianure attorno al lago di Scutari, che occupano uno spazio di 1500 kmq. e che s’estendono ampiamente oltre la Bojana. Probabilmente, poiché il riempimento della bassura tra il Rumija e le Alpi albanesi deve aver cominciato dopo il Miocene, gli strati più bassi della pianura sono da riferirsi, come già dicemmo, al Pliocene. Seguono ad essi i depositi alleviali e quelli anche attualmente deposti dai fiumi, tra cui la Moratscia porta preva- lentemente ciottoli, la llijeka, la Zeta e la Bojana invece pre- valentemente limo. La depressione era divisa dal golfo adriatico dai monti che a Scutari vengono quasi a contatto. La forma della deposizione infatti attorno all’attuale lago dimostra, come osserva giustamente Hassert, che si trattava di un lago interno e tranquillo e non di un golfo marino più o meno agitato. La potenza dei conglomerati si stima a 75m. Essi coronano come già vedemmo, il Miocene delle collinette di Pisctulj che sono alte circa 60 metri. Più ci si allontana dallo sbocco dei fiumi nella pianura e più aumenta il limo e il terreno coltivabile nel quale dapprima sono rarissimi e poi spariscono del tutto i ciottoli. E tra le for- mazioni recenti sono notevoli i travertini sviluppati qua e là lungo i fiumi, e specialmente nella Kutscka Rijeka non lungi da Andrijeviza. Ed infine ricordiamo le formazioni moreniche, svi- luppate specialmente nella regione di confine albanese. Per riassumere in modo semplice e chiaro le condizioni geo- logiche del Montenegro orientale e meridionale, segnamo nella tabella seguente i vari terreni sulla cui presenza nella regione possiamo essere quasi del tutto sicuri. X*. VINASSA DK REGNY 532 ( Inferiore e medio (?) - Scisti Paleozoico Mesozoico Cenozoico Ì Scisti permocarboniferi, con calcari inter- calati. Anageniti del Verrucano. Trias : Verrucano - Scisti di Werfen, Arenarie di ' Grodno. / Muschelkalk - Calcare di Esino [ Dolomie superiori (?) Retico - Calcari dolomitici e marnosi Lias (?) Calcari Giura Creta \ Inferiore (?) - Calcari ( Superiore - Calcari titoniani con Ellipsactinie Inferioi'e - Calcari con Radioliti Turoniano - Calcari e scisti Superiore ' I Senoniano (?) - Calcari Eocene Calcali nummu litici con Orbitoidi. 01igocene(?) Arenarie del Flysch Miocene ) , , . T _ . Calcare ed arenarie con Litotamni e Federi. (Leithakalk) ) Pliocene (?) Depositi profondi delle pianure Quaternario ] Conglomerati e depositi alleviali, e > Morene. Recente Travertini. Tettonica. Abbiamo già veduto nel corso del lavoro alcune indicazioni relative all’andamento stratigrafico delle rocce rinvenute nella regione. Potremo quindi brevemente riassumere e completare queste indicazioni per dare una idea generale della tettonica di questa parte del Principato. Secondo il Tietze si avrebbero alcune probbabili linee di faglia anche nelle porzioni interne calcaree del Principato, ed il Has- sert sembra molto disposto ad ammetterle egli pure. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 533 Non posso assolutamente dir niente della regione da me non visitata, ma mi sembra di poter affermare con tutta sicurezza che nella porzione orientale del Montenegro manca ogni traccia di taglie. Anche le piccole fratture dei calcari non arrivano mai a produrre negli strati differenze di livello di qualche impor- tanza. Dimodoché l’unica faglia di questa regione resta quella di Antivari-Dulcigno, continuazione dell’altra ben nota settentrio- nale dalmatica. Effettivamente però questa dislocazione non è nemmeno una vera e propria faglia, ma piuttosto una flessura con scivolamento degli strati terziari, di cui alcuni lembi sono rimasti nell’ interno, sui calcari mesozoici, e dovuta allo sprofon- damento adriatico. I terremoti che avvengono lungo questa linea di frattura accennano al perdurare del movimento e ad un fu- turo allargamento del bacino adriatico. Il solco nel cui fondo scorre la Zeta, che il Hassert dubbio- samente tenderebbe a supporre anche una faglia, per quanto ne abbia potuto giudicare nella breve escursione che vi ho fatto andando a Nikscic, è veramente una frattura nel calcare cretaceo. Ai due lati della valle infatti i terreni cretacei, fossiliferi, con belle ip puliti, sono rispondenti, e quindi non si può parlare di faglia, ma di semplice frattura ampliata poi dal fiume e dagli agenti esterni. Se rare sono le faglie sono invece assai numerose le pie- ghe, che dimostrano come questo territorio sia stato fortemente spinto verso il massiccio centrale balcanico diretto meridional- mente, e die costrinse quindi la massa rocciosa a prendere la direzione di SE, che come già dicemmo, è la prevalente nella Bosnia e nel Montenegro. Le altre direzioni che assumono alcuni strati sono di secondaria importanza e sono una conseguenza dei movimenti complessi della massa. Gli strati scistosi paleozoici e triassici sono molto più forte- mente piegati e disturbati che non siano i soprastanti calcari, e questo non tanto perchè abbiano subito una spinta più forte, quanto perchè la natura più plastica della roccia ha fatto minor resistenza alle pressioni laterali. Dei calcari il più fortemente piegato è il Giurese, quindi il Trias, meno di tutti il Cretaceo, che in varii punti è quasi 43 534 P. V1NASSA DE REGNY pianeggiante, e contribuisce notevolmente a dare al paese il tipo, che vedemmo prevalente, di altipiano. Di queste pieghe alcune sono molto piccole e di importanza limitata, altre sono ampie sinclinali ed anticlinali, in generale assai regolari. Se noi ad esempio immaginiamo una sezione ideale che dal Lovcen giunga a Kolascin, noi troviamo i calcari triassici del Jezerski do inclinati a SW., ma al Tscelinaz i calcari cretacei sono inclinati a NNE., quindi è questa una prima antielinale, cui segue un’ampia sinclinale corrispondente a quella di Pelev Brijeg, con varie piegature secondarie, e nuovamente un’anti- cliuale al punto in cui compariscono gli scisti triassici e paleo- zoici. La direzione degli strati è qui regolarmente da NW. a SE. E similmente una sezione ideale dall’Adriatico presso Castel- lastua al Kliuc ed oltre ci fa vedere tre sinclinali e tre anti- clinali principali. Infatti lungo la costa si ha una inclinazione a NE. preva- lente e quindi una sinclinale che si spinge sino oltre Gragiani. Ad essa segue una antielinale amplissima con numerose pieghe secondarie che arriva a Klopot; qui comincia una sinclinale alla quale segue una antielinale al Vjeternik e una nuova pic- cola sinclinale allo spartiacque pontico-adriatico e finalmente la grande antielinale degli scisti paleozoici sino al confine ed oltre. Anche queste pieghe hanno prevalente la solita direzione di NW-SE. E nella catena costiera, tra l’Adriatico e il lago di Scutari, si mantiene su per giù la stessa direzione non solo nella grande massa del Sutorman e del Rumija, ma anche nelle piccole catene terziarie parallele che si trovano lungo mare. La catena è prevalentemente costituita da un’amplissima sinclinale, quasi uniforme sul versante adriatico, salvo le piccole pieghe di Tugemilje, un poco più irregolare verso il lago di Scutari ove si possono riconoscere una antielinale Bukovik-Limljani ed una piccola sinclinale sopra a Virpazar. Nella regione orientale invece si hanno diversità assai note- voli; infatti dai dintorni di Podgoriza sino a Gretscia la direzione degli strati è decisamente da N. a S. Le pieghe sono in prin- cipio assai piccole e poco notevoli, ma poi sono ampie e bene sviluppate. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 535 Il Velje brdo al margine della pianura è un’anticlinale, la valle della Zeta e una sinclinale, presso Zlatiza e Doljani è una nuova anticlinale; dalla Kakariska gora al Kashenik tutta la regione dei Zatrijebac è una sinclinale a cui segue un’anticli- nale sino a Gretscia. Le inclinazioni dei fianchi di queste pieghe sono quasi sempre decisamente ad E od a W cosicché qui la direzione meridiana della catena è innegabile. E direzione simile hanno pure il Shijovo ed il Monojevo. Ma dal lago di Rikavaz in avanti torna la solita direzione degli strati predominante da NW. a SE. Anche il Kom, quan- tunque orograficamente sia diretto a NE., pure obbedisce esso 536 P. V1NASSA DE REGNY pure a questa legge. Nuovo esempio, se ancora ve ne fosse bisogno, per dimostrare qual differenza si abbia tra la scultura orografica e la stratigrafia. La direzione meridiana non si ritrova altro che nella Jarinia glava e nel Zeletin, sebbene non molto spiccata. Il Scekulare obbedisce nuovamente alla legge solita, avendo i suoi strati diretti da NW. a SE. Nella figura schematica inserita nella pagina precedente ho cercato di dare un’idea dell’andamento degli strati nella por- zione meridionale ed orientale del Principato, aggiungendo pure la indicazione orografica, rilevandola dalla bella cartina pub- blicata dal Hassert (Op. cit ., pag. 84). Da questa figura si vede come, a differenza di quanto sem- brerebbe dal semplice rilievo orografico, le direzioni meridiane sono assai rare, e sempre prevalenti sono invece quelle da NW. a SE., e che iJ gran numero di catene diversamente orientate è da riportarsi esclusivamente ad un fenomeno di scultura super- ficiale, per niente in rapporto coll’andamento stratigrafico. Materiali utili e culture. Quantunque non sia stato mio scopo di fare anche osserva- zioni speciali sui materiali utili e sui terreni agrari della regione, pur non ostante ho avuto occasione di vedere giacimenti mine- rari già noti e di scoprirne e studiarne altri, come pure di osservare e la natura del suolo e le culture. Come complemento quindi alla descrizione puramente geolo- gica già fatta, credo utile trattare brevemente anche dei mate- riali utili del Principato. Il Montenegro non è stato certo favorito dalla fortuna di grandi ricchezze minerarie, ma pur tuttavia quello che esso pos- siede non è poi così disprezzabile quanto si è spesso detto c scritto. Molti materiali naturalmente sono oggi di poco o punto valore a causa della mancanza assoluta di strade, ma potranno averlo in un avvenire più o meno prossimo, quando sarà costruita una ferrovia, che s’impone ormai, alla quale l'Italia non dovrebbe OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 537 rimanere indifferente poiché rappresenterebbe per lei un ser- vizio di transito immenso ; la ferrovia, cioè, che da Antivari pel Montenegro e il Sangiaccato raggiunga in Serbia la linea interna per Costantinopoli e l’Oriente. Il primo effetto di questa ferrovia sarebbe pel Montenegro lo sfruttamento delle sue immense foreste, che rappreseutano pel Principato un valore inesauribile, oggi latente e spesso negletto a causa della nessuna protezione dei boschi. Citerò, dal solo punto di vista dell’ interesse mineralogico, la presenza di minerali di rame, piombo, zinco e antimonio. Il rame è contenuto in alcune piriti, come ad esempio in quelle di Murino, ma sempre in quantità così piccola, che non si può dire di avere una vera e propria calcopirite, ma sibbene una pirite leggermente cuprifera. Il rame esiste pure al Sutorman, ove si hanno nei calcari delle leggere verniciature di malachite, di nessun valore indu- striale. Sotto forma di minuti cristallini di galena ricorderò la pre- senza del piombo nei calcari metallizzati del Sutorman e di Sozina : e pure nella stessa Sozina planimi accenno alla presenza della blenda, che a mio sapere non venne sinora citata nel Mon- tenegro. Un poco più sparso è l’antimonio, sotto forma di stibina, che ho trovato tanto nella Bijelasciza sopra Kolascin, quanto presso a Boljevici. Di maggiore importanza sono l’oro, il ferro, il manganese, i bitumi e le ligniti. L’oro si trova esclusivamente nella re- gione a confine della Vecchia Serbia, nei Vasojevici, certo non in quantità molto notevole, ma tuttavia tale da permetterne pro- babilmente una conveniente estrazione. Era noto che la Gra- discniza aveva sabbie aurifere. Baldacci trovò che delle pagliette d’oro erano nei quarzi a. filoni del Krivi Do. Tali filoni di quarzo sono molto sviluppati in quelle montagne. Se la tenuta in oro dei quarzi si dimostrerà sufficiente è da notare che le condizioni locali per una comoda e facile estrazione sono ottime. Le acque correnti sono ricche, e facilmente potrebbero impie- garsi sia come forza motrice, sia come lavaggio. 538 P. VI NASSA DE REGNY Nè sono da dimenticare le piriti, di cui il Principato ha grande dovizia. Niente di più facile che alcune di esse si di- mostrino aurifere, come si è verificato per quelle prossime e simili per giacitura della Serbia e della Bosnia. Può offrire grandi probabilità la pirite di Kolascin del Pashan potok, la quale è contenuta in un filone quarzoso. Il ferro è il minerale più comune nel Principato. Si può dire che non vi sia roccia che poco o molto non ne contenga. Ne sono una prova le terre rosse provenienti dalla dissoluzione dei calcari. La forma di minerale di ferro più comune è la pirite, di cui si trovano masse molto estese, oppure minuti cristalli nei calcari, in molti luoghi del Principato da me visitati, come a Babo potok presso Andrijeviza, a Murino, nella Bijelasciza, a Kolascin, al Lonaz sopra il Sutorman, a Sozina, ecc. Ma le pi- riti, ove non tengano associati minerali nobili, hanno una im- portanza industriale quasi nulla. Sono importanti invece la limo- nite ed ematite. 11 ferro bruno di Sozina era noto da tempo, ed attualmente, sebbene credo con poco frutto e certo con molta parsimonia, è pure scavato. Ma ha grande importanza, secondo me, il giacimento di ferro oolitico quasi puro che sotto al Hum Orahovsky si stende l»er tutta la Sciroka korita, e la cui estrazione si presenta fa- cilissima. Anche il manganese, sotto forma di pirolusite, è assai sparso nel Principato. Talvolta come a Bugi Do, nella Perusciza, al Crai Kamen sotto al Sutorman il minerale è molto terroso, e quindi inutile; ma la massa che si trova a Boljevici sembra non solo di buona qualità, ma si presenta ancora in quantità molto grande. Il bitume si trova sparso nei calcari, prevalentemente cre- tacei, quasi ovunque. Da Premici a Gretcia, p. es., non vi è calcare che non sia più o meno bituminoso. Talvolta si può trovare anche un poco di bitume ammassato, come al Kaslienik sopra la parrocchia dei Trijepsci, ove è scavato a scopi domestici. Ma tutte queste manifestazioni, come quelle già note di Plotcia c Gradaz non hanno alcun valore. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 539 Talvolta le sorgenti passando a traverso ai calcari bitumi- nosi si caricano di olio, e allora, come a Bukowik, si può cre- dere di avere una sorgente interessante, che accenni a petrolio, mentre, come dimostrò Baldacci egregiamente, è di nessun valore. L’unico giacimento di bitume un po’ importante, è (pie! lo di Basci Buljuk a Dulcigno. 11 calcare riccamente bituminoso si estende grandemente nei dintorni della città, e la sua estra- zione si presenta facilissima e a buon mercato. Il Baldacci nel suo già citato lavoro lui dimostrato colle cifre come questo gia- cimento darebbe un buon utile. E pure presso a Dulcigno, a Pisctulj, lungo la pianura sono delle colline mioceniche con ligniti in grande quantità. Anche questa lignite si presterebbe ad una facile e lucrosa escava- zione. Naturalmente essa dovrebbe consumarsi in paese, a causa delle spese di trasporto, e forse la maggiore e migliore appli- cazione potrebbe farsi adoprandola per la distillazione del bi- tume del prossimo Dulcigno. Quanto ai materiali da costruzione del Principato il calcare è naturalmente quello che tiene il primo posto. Ma anche le lavagne e gli scisti dei Vasojevici possono essere utili; ed ottime pietre da macine potrebbero ricavarsi dalle anageniti e dalle quarziti della porzione paleozoica del Principato. Senza contare che dallo sfatticcio di queste roccie, come si fa nel Monte Pisano, possono ottenersi buoni laterizi refrattari. Tra le pietre ornamentali, suscettibili di bel pulimento, è da citare il portoro, quantunque non di prima qualità, che si trova al Kom, i calcari rossi e variegati, e le rocce verdi, tra cui alcune in grandi masse offrono venature e chiazzature ele- gantissime. Quanto alle acque termali e medicamentose occorre subito dire clic esse sono rarissime. Molte fonti che gli abitanti van- tavano si sono manifestate semplicemente di acqua pura. Sembra però che attorno a Dulcigno effettivamente si abbiano sorgenti medicamentose: questo sarebbe ottima cosa, poiché Dulcigno per la sua graziosa posizione, pel suo clima bellissimo si pre- sterebbe ottimamente come stazione balnearia e climatica. E finalmente è da ricordare il carbone bianco , l’acqua cor- rente di cui il Principato ha grande ricchezza. La Zrnojevizka 1*. VINASSA Oli RICGNY 540 Rijeka potrebbe dare alla città di Rijeka notevole forza mo- trice, e Podgoriza che si avvia a diventare la città industriale del Principato, potrebbe ricavare la forza dai numerosi corsi di acqua che vengono a morire nella sua pianura. Non parlo poi della regione orientale e settentrionale ove la Tara e il Lim, per non dire dei minori corsi, potrebbero dare una forza idraulica grande e facilmente usufruibile. In quanto alla vegetazione ed alle colture si può dire che il Montenegro sia, relativamente, uno dei meglio coltivati di tutta l’Europa. Ciò può sembrare un paradosso, ma non lo è, se si consideri clic colla natura ingrata del suolo, e la difficolta grande dovuta alla mancanza d’acqua e alla lontananza delle abitazioni, pure i pochi pezzi di terreno agrario sono sfruttati egregiamente. Del resto anche per questo lato il Montenegro è il paese dei contrasti. « Che differenza tra la pianura della Bojana e gl’inaccessibili e ripidi canon dei fiumi, tra le dune di sabbia presso Dulcigno e il mare di blocchi dei Bratonoshici. Quale diversa impressione si prova a vedere i prati alpini fioriti sotto al Kom in confronto del desolato deserto roccioso dei Banjani. E che diversità di condizioni devono aversi perchè ad Antivari verdeggi l’ulivo, mentre al Durmitor crescano i pini nani! » (1). Per la vegetazione e le culture possiamo distinguere cinque tipi diversi. Il calcare carsico, gli scisti, le doline ed i polje, le vallate e le pianure. Inoltre la catena costiera ha un tipo di cultura e di vegetazione speciale. Sul calcare carsico denu- dato solo qua e là si trovano pascoli, in generale assai magri, pel quali però tra le tribù vicine sono avvenute risse sangui- nose. Per non esaurire i pascoli le tribù ogni tanto cambiano alloggio, e portano gli armenti a pascolare altrove. Oltre al pascolo sul calcare si trovano anche boschi, ma di poca altezza. La vera foresta è oggi assai rara ma pur tut- tavia resta a testimoniare l’antica ricchezza di boschi della regione oggi desolata del Carso. Infatti non è esatto dire clic il calcare è brullo e retrat- tario alla vegetazione. I boschi che tuttora coprono porzioni (') Tietze, Op. cit., p. 101. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 541 calcaree ci mostrano che solo il diboscamento ha ridotto il cal- care nudo, e quindi lo ha reso sottoposto agli agenti esterni, dando così origine a quello che si chiama il fenomeno car- sico. Ma come fenomeni carsici possono prodursi anche sopra rocce non calcaree, così non tutte le rocce calcaree danno ori- , \ gine al fenomeno carsico. E la inconsulta distruzione dei boschi che ha reso così desolato il Carso, ed ha prodotto ormai danni tali che tutta la regione circostante ne soffre immensamente; e non si vede rimedio a questo, poiché ormai il calcare, spoglio da ogni terriccio agrario, spazzato dalle acque e dal vento, non si presta più nò a coltivazione nè al rimboschimento. E quasi è da augurare al Montenegro che tardino ancora a giungere nel suo interno strade e ferrovie; poiché di pari passo con esse verrà la furia incivile e rabbiosa della distru- zione del bosco, con incalcolabile danno pubblico ! Ed il bosco è pel Montenegro una ricchezza che potrà essere saviamente sfruttata. Immense sono infatti le boscaglie sugli scisti, nella regione nord-orientale. Sono milioni e milioni di tronchi, alcuni addirittura immensi. Per le foreste del Kurlaj, del Konjuhe, del Scekulare si cammina ore ed ore in mezzo ad un sacro silenzio, che parla così fortemente al cuore di chi ha vivo il culto della selva, vergine e sterminata. Nella porzione scistosa poi, specialmente verso il fondo delle valli, si hanno coltivazioni di cereali, di patate, di frut- teti, ecc. Nelle doline e nei polje la cultura prevalente è il granturco e la patata. Il granturco in basso, la patata anche al di sopra dei 1500 m. Il Montenegrino coltiva anche pochi centi- metri di terra: se nella frattura di una roccia si è accumu- lata un poco di terriccio si può star sicuri che esso verrà col- tivato. Ed in alcune doline la cultura è veramente difficile perchè ci son più sassi clic terra ! Nelle vallate e nelle pianure le culture sono più ricche e svariate. Scendendo dal desolato deserto dei Bratonoshici e ar- rivando alla valle della Moratscia è con una vera gioia che si possono rivedere e gustare dell’uva squisita e dei buoni fichi. E più giù verso Podgoriza ai cereali, alla vigna, alle frutta d’ogni 44 542 1\ VINASSA DE REGNY genere si aggiunge il tabacco, che si avvia ad essere oggi una rendita pel Principato. Sulla catena costiera la fertile e poetica vallata della Zrmniza è un verde smeraldo in mezzo ai calcari carsici. Sull’altro versante la coltivazione è del tutto simile a quella delle nostre campagne. L’ulivo, questa eredità veneziana, che verdeggia su quasi tutta la costa orientale adriatiea è grande- mente, sebbene molto male, coltivato da Antivari a Dulcigno. Insomma, anche nelle coltivazioni il contrasto è sommo. Il Carso minato dall’incuria umana si trova presso a terreni fertilissimi. Auguriamoci che anche il calcare desolato possa tornare a verdeggiare sotto un rinnovato manto di bosco, per la salvezza delle pianure e per il bene del paese. Sono così giunto al termine del mio lavoro sulla geologia del Montenegro meridionale ed orientale, e lo presento al giu- dizio degli scienziati, quantunque io stesso sia più che con- vinto delle mende e delle lacune grandi che in esse si trovano. Di queste spero che mi sarà usata venia, considerando di quanta difficoltà sia la geologia montenegrina, e considerando altresì che questo è il primo lavoro su quella regione nel quale si possa, coi fossili, documentare i riferimenti cronologici. In- fatti in tutto quanto il lavoro di Tietze si parla solo tre volte di fossili, e due di queste con gran dubbio. Baldacci ha avuto il merito di dimostrare, contro l’idee di Tietze, lo sviluppo del Giura citando le Ellipsactinie; ma nessun altro fossile, salvo le comuni ippuriti, egli pure ha citato. Hassert solo nel suo ultimo lavoro (*) cita di suo la Naticella costata , col qual fossile una parte di quanto egli credeva Creta, passa nel Trias. E poiché solo coi fossili si fa la geologia sicura, così mi sembra che i ritrovamenti da me fatti abbiano importanza grande, poiché or- mai per quelle località e per quegli strati non vi può essere dubbio sull’età; e basandosi su questi ritrovamenti si potrà anche servirsi dei criteri litologici con maggior probabilità di esattezza. Il Montenegro è un paese geologicamente assai diffi- cile, e ben dice il Hassert quando scrive: « Die Geologie von (') Aitine Reise in Montenegro ivi Sommer 1900. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL MONTENEGRO 54 3 Montenegro ist Uberhaupt selir schwer, und wird nodi manche harte Nuss zu knacken geben ». Mentre sono assai facili gli studi nella stesa uniforme degli scisti nordorientali, sono invece difficilissimi quelli nei calcari, prevalenti nel principato. E mentre gli scisti per la loro natura si prestano a facili ed assai comode escursioni, ed i fiumi che vi scorrono permettono di vedere chiaramente gli strati sotto- stanti, i calcari sono tremendi per le strade impossibili, privi di acqua e deserti, ed i fiumi che vi scorrono sono per lo più sprofondati in torre dalle ripe a picco quasi inaccessibili. Occorrerà quindi molto tempo e fatica, e saranno necessarie copiose raccolte di fossili per poter fare ulteriori suddivisioni nella grande massa calcarea, nella quale sono riuscito a dimo- strare soltanto pochi dei numerosi orizzonti che certamente vi devono esistere. Auguro che altri più di me fortunati e provveduti di mezzi finanziari maggiori di quelli che poteva consentirmi la mia modesta tasca personale, riescano a contribuire maggiormente alla conoscenza geologica del nobile Principato, che tanti vin- coli legano alla nostra Italia, e che sarà destinato, forse in giorno non lontano, ad assumere una parte notevole negli av- venimenti che si preparano sulla riva orientale del nostro Adriatico. Bologna, II. Istituto geologico. [ms. pres. 9 settembre 1902 - ult. bozze 16 dicembre 1902]. MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE PER L’ANNO 1901 Comunicazioni del dott. Guido Bonarelli I. Sulla presenza dell’Aleniano nelle Prealpi bresciane. La costituzione geologica delle Prealpi bresciane ini era in parte già nota fin dalla primavera del 1897, allorché le visitai per la prima volta in compagnia del nostro collega dott. A. Bet- tolìi. In quella circostanza, ed in altre che seguirono, le mie ricerche si erano limitate ai soli terreni Basici, giuresi e cre- tacei, e più specialmente a quelli della riviera henacense da Gargnano a Salò, delle vicinanze di Tormini allo sbocco della Val Sabbia, dei Colli di Rczzato, del Monte Maddalena (‘) presso Brescia, del Monte Doraaro in Val Trompia e dei dintorni di Iseo (2). Nella stagione estiva di quest’anno ho rivolto la mia atten- zione anche ai terreni triassici della Val Trompia, della Val Sabbia e della regione compresa fra queste due valli. I risultati di tutti questi studi saranno pubblicati, a suo tempo, quando avremo completato il rilevamento geologico delle sud- dette regioni, rilevamento che per molte cause procede assai (’) La carta geologica del Monte Maddalena, rilevata da me e dal Bettoni, fu presentata alla Società nella riunione di Perugia. (2) Il Bettoni per suo conto, ha potuto estendere le ricerche a pa- recchie altre località, proseguendo con amore lo studio di quelle bel- lissime Prealpi e facendovi numerose osservazioni geologiche e paleon- tologiche, in parte già pubblicate. MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE 545 lentamente. (Accennerò soltanto alla notevole estensione dell’area che ci siamo prefìssi di illustrare). Ora pertanto credo opportuno di far qui particolare men- zione di una piccola scoperta per la quale viene confermata la presenza (già da me presupposta) dell’Aleniano nella pro- vincia di Brescia. Nel colle occidentale di Molvine, poco più in basso della vetta, verso Est, a circa duecento metri dalla casa omonima, ho trovato un piccolo lembo di calcari ammandolati rossi, stra- tificati, perfettamente identici a quelli che in parecchie loca- lità deH’Appennino centrale rappresentano l’Aleniano. In questi calcari raccolsi un grosso modello interno di Hammatoceras f. ind.ta appartenente al gruppo aleniano del- V Hammatoceras planinsigne Vac.; ed in questo modello interno rimane compreso un esemplare di Erycites faìlax Ben. del quale si vede allo scoperto buona parte dell’ ultimo anfratto. Bastano questi fossili a dimostrare l’età aleniana dei calcari in cui si rinvennero; i quali calcari hanno una facies litologica tutta particolare e non la facies di « medolo », come altri ha scritto riferendo all’ Aleniano alcuni affioramenti di « Medolo domeriano ». Nel giacimento di Molvine i calcari aleniani presentano inclinazione media a Sud, riposano in concordanza sulla serie toarciana (che in questa località ha uno spessore rimarchevole) e sopportano pochi strati calcarei (Dogger pr. d.) cui succede immediatamente la classica formazione giurese degli « schisti ad Aptici » (Maina). II. Roccie porfìritiche nei dintorni d’Ivrea. Nello scorso anno pubblicai alcuni cenni relativi al rinve- nimento, da me fatto, di roccie porfìritiche nei dintorni d Ivrea (*). Allora parlai di un « limitato spuntone di roccia porfiritica » (‘) Miscellanea 1000. Boll. Soc. geol. it. voi. XX, 1901 p. 217. 546 G. BONAUELLI osservato lungo la strada die dal paese di Moutalto Dora sale al Castello omonimo. Ora posso aggiungere che in seguito a ripetute escursioni eseguite in quella località durante la prima- vera del presente anno, sono giunto a stabilire che la suddetta porfiritica roccia costituisce, nel colle di Montalto, una formazione continua; un potente ed esteso banco, intercalato alla nota serie degli « Scisti ftanitici ecc. », costituenti la base di quel colle. Tal condizione di cose confermerebbe l’opinione autorevole dell’egregio dott. C. Riva il quale, studiando alcuni campioni della roccia in discorso, vi riconobbe i caratteri soliti delle porfiriti effusive. III. Nuove osservazioni geologiche sulPAppennino settentrionale. Riserbandomi di riferire con altra pubblicazione, corredata di carte e profili, intorno alle mie ricerche geologiche sull’Ap- pennino settentrionale, riassumerò ora per sommi capi alcune mie opinioni in merito alla costituzione ed età geologica di alcune delle formazioni costituenti detta porzione appenninica, basandomi principalmente sulle osservazioni che ebbi campo di farvi durante la scorsa estate. 1. Gli « subisti e diaspri verdastri, giallastri, rosso-bruni, violacei » (Zaccagna, Lotti, Sacco) dei quali si hanno così note- voli affioramenti intorno alla massa principale delle Apuane, nel gruppo del Monte Pisano, nei dintorni di Spezia, come pure qua e là in varii punti dell’Appennino settentrionale, e che gli autori in genere riferiscono al Pitonico rappresenterebbero, a mio avviso, tutta quanta la serie giurese, escluso forse precisamente il Pitonico. Essi riposano in concordanza sul Lias superiore (« schisti a Posicìonomya » ecc.) e in concordanza ad essi suc- cedono i così detti « calcari neocomiani » (Zaccagna, Lotti) stratificati. Si presentano perfettamente omotipici al « Rosso ad Aptici » di Lombardia e agli Aptychcnschiefcr (Zittel) dell’Ap- pennino centrale, intorno all’età delle quali formazioni ho già trattato in parecchi mici lavori. MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE 547 2. Dovrassi piuttosto riferire al Titonico la parte infe- riore o basale dei calcari stratificati che succedono a detti « Schisti » e che gli autori in genere riferiscono al « Neoco- miano » (*), mentre a mio avviso dovransi di preferenza chia- mare « infracretacei » perchè rappresentano non il solo Neoco- miano, ma tutto, o quasi, l’Intracretaceo (2), oltre il Titonico. Per tal modo detti calcari stratificati titonico-infracretacei ver- rebbero ad essere un equivalente omotipico e sincrono della « Majolica » di Lombardia e clell’Appennino centrale. 3. I « calcari e scisti marnosi rossi, verdicci e grigi » che succedono, in alto, ai suddetti « calcari neocomiani » e che, secondo gli autori, si dovrebbero riferire al Senoniano sincro- nizzandoli con la « scaglia » del Veneto e dell’Appennmo cen- trale, devono, se non erro, riferirsi piuttosto all’Albiano o Gault e forse in parte al Cenomaniano inferiore, e ritenersi identici alle « marne variegate » di Lombardia (3) ed agli « scisti po- licromi a Pucoidi » dell’ Appennino centrale (4). Giova notare che la formazione in discorso giace in concordanza sulla pre- cedente. 4. Succede in concordanza, a detti « calcari e schisti po- licromi», una sorta speciale di arenaria «Macigno », a strati di vario spessore, associata per lo più a schisti marnosi ed ar- gillosi giallo-scuri o brunastri. L’affioramento più esteso di questa formazione è quello di Fosdinovo-Carrara-Massa, riferito al- F Eocene inferiore nella carta dell’ing. Zaccagna. Più impor- tante peraltro è l’affioramento di Vezzano Capitolo perchè ha O Alcuni geologi italiani persistono ad usare questo termine Neo- comiano conservandogli lo stesso significato che gli si attribuiva ai tempi di Spada e Orsini ; significato che oramai fa parte della preistoria della geologia. Grazie poi allo sminuzzamento che alcuni geologi fran- cesi vengono facendo deH’Intracretaceo, oggi non si sa più con preci- sione che cosa si debba intendere per « Neocomiano »! (2) Neocomiano, Barremiano, Aptiano. Quanto aH’Albiano, alcuni lo tengono neH’Infraeretaceo, altri lo pongono alla base del Cretaceo pr. d. (3) Si consulti in proposito l’assai pregevole memoria del De Ales- sandri, Osserv. sulla Creta e sull’ Eoe. della Lombardia , Atti Soc. it. Se. nat., Milano, voi. XXXVIII, 1899. (') Zittel, Canavari, Bonarelli, ecc. 548 G. BONARELLI dato (l) la Schloenbachia cfr. tricarenata (d’Orb.) [ — Turri- lites Cocchi (Mgh.), nel quale fossile si ha la conferma della età preterziaria di detto « Macigno » ch’io ritengo appunto do- versi riferire al Cretaceo (Cenomaniano, Turoniano e Scnoniano inf.). Per tal modo esso verrebbe a rappresentare, nei dintorni di Spezia e nel sistema Apuano, quei medesimi piani che nella parte più settentrionale dell’Appennino adiacente sono costituiti in prevalenza da argilloschisti plumbei con rare intercalazioni di pietraforte psammitica (2): quei medesimi piani che nel ba- cino di Firenze sono rappresentati in basso da « pietraforte » tipica alternante con esili strati di scisti marnosi ed argillosi ed in alto da calcari marnosi grigiastri con ammoniti e argil- loscisti scuri associati a potenti banchi di pietraforte con Ino- cerami. Verrebbe pure ad essere cronologicamente sincrona della « creta cloritica [ — arenarie, calcari psammitici e conglome- rati ippuritici] » (Curioni) di Lombardia (3) e dei calcari « ip- puritico » e « rosato » dell’Appennino centrale (4). 5. Sopra alla descritta arenaria riposa, in concordanza, nell’Appennino settentrionale, una esile formazione di schisti mar- nosi grigi, giallastri, rossicci, con Spyrophyton e Cylindrites , i quali appunto vi rappresentano, secondo il mio parere, il piano della « scaglia » senoniana e che gli autori talora non distin- guono da altri galestri eocenici. Il prof. Sacco, ad esempio (5), riferisce alla sua « facies niceaua » dell’Eocene inferiore alcuni affioramenti di questo orizzonte. Riassumendo, risulterebbe dal fin qui detto la seguente serie cretacea dell’Appennino settentrionale. (') Vedi Sacco. Boll. Soc. geol. it., voi. XII, 1893, p. 631. (2) Come si vedono nell’alta Valle Scrivia, nella Valle Polcevera (Bonarelli. Boll. Soc. geol. it., voi. XX, 1901, p. 219, 220), nella Val Lavagna, nell’alta Val di Trebbia, ecc. (3) Vedi De Alessandri, op. cit. p. 16. (') Compresa in parte la « Scaglia rosata ». (5) Si consultino i suoi lavori sull’App. sett. GIURA INFR ACRETACEO CRETACEO MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE 549 Senoniano sup. Schisti marnosi policromi con Spyrophyton e Cy- lindrites (Esile formazione) [Val di Taro, ecc.] Senoniano inf. Turoniano Cenomaniano sup. Argilloschisti psammoschisti plumbei [Ap- pennino ligure, AltaValleTreb- bia, eoe.] Arenaria-ma- cigno con Ammo- niti [Alpi Apua- ne, dintorni di Spezia (Vezzano Capitolo), ecc.J Schisti con pietraforte Pietraforte [Toscana] Cenomaniano inf. Albiano Calcari e schisti marnosi policromi («Senonia- no » auct.) con Fucoidi nerastre [nelle stesse lo- calità qui sotto indicate] Aptiano Barremiano Neocomìano Titonico « Calcari compatti, stratiformi, selciferi ; bianchi, palombini e verdicci (Zaccagna). [Alpi Apuane, Monti di Spezia, Giaredo presso Pontremoli, Gruppo del Monte Pisano, ecc. ecc.] 6. L’ Eocene inferiore-medio (Suessoniano-Luteziano) è rap- presentato, in quasi tutto l’Appennino settentrionale, dai Cal- cari marnosi ad Helminthoida (« Albarese » Zaccagna ex p.) i quali appunto perchè molto simili ai veri calcari albaresi si potrebbero chiamare « pseudo-albaresi ». I fossili più comuni in questa formazione sono V Helminthoida lahyrinthica H. e le solite Chondrites ( Cli . Targioni Mgh., ecc.). Le maggiori estensioni superficiali di questo orizzonte si hanno : a) fra la Yal Polcevera e la Val di Trebbia (gruppo del Monte Antola); b) presso S. Stefano d’Aveto e Bedonia nelle alte valli delTAveto e del Ceno; c) nella Valle di Magra, fra Pontremoli ed Aitila; d) nel bacino di Firenze. 550 G. BONARELLI Nell’ Umbria settentrionale il corrispondente sincrono di questo orizzonte è costituito dalla formazione marnosa intercalata ad esili strati di arenarie schistoidi tanto potente ed estesa nel territorio di Gubbio. 7. L’Eocene « bartoniano » è rappresentato, nell’Appen- nino settentrionale, dall’orizzonte dei galestri policromi con le « Argille scagliose » e le altre roccie concomitanti, compresi alcuni affioramenti di marne caleareo-sabbiose nummulitifere e numerose intercalazioni di calcare albarese. 11 vero calcare albarese si trova appunto in questa formazione; forma sovente, nella parte più alta della medesima, una pila di strati più o meno potente. Poco notevoli e poco estesi sono gli affioramenti di questo orizzonte nel versante tirrenico dell’Appennino (Val di Magra e Val di Vara, Monti Livornesi e Volterrani, bacino di Firenze e Casentino). Molto potenti invece, e molto estesi, sono gli affio- ramenti del versante adriatico nel Piacentino, Parmense, Reg- giano, Modenese e Bolognese, nonché nei dintorni della Repub- blica di S. Marino. Questo fatto mi sembra molto importante e degno di nota come dirò in altra circostanza. 8. Sopra l’Eocene bartoniano, oppure direttamente sopra tutte le altre formazioni finora indicate e talora anche sopra formazioni più antiche, riposa, in discordanza una formazione calcareo-arenacea, nummulitifera di spessore variabile. Questa è la formazione (molto potente ed estesa, specialmente in Gar- fagnana) che molti autori pongono alla base dell’Eocene, mentre le nummuliti che vi si rinvengono sono tutte di tipo più re- cente ('). Oltre di che giova notare che nell’ Eocene inferiore- Suessoniano, se si eccettua il calcare parigino (che, fra paren- tesi, è più recente del Suessoniano inferiore) non peranco si riscontrarono tante e così svariate Nummuliti, nè vere e pro- prie formazioni nummuliticne. 0) Cosi la Numm. Fratti d’Arch., citata in parecchi elenchi di Nu ni- nnili ti toscane, è una forma, riscontrata finora solamente nell’India. La Numm. Pratti di Toscana è piuttosto una Numm. del gruppo della Posai Teli, e della miocontorta Teli., comunissime negli strati basali oligocenici del bacino piemontese. MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE 551 E qui potrei diffondermi ad enumerare le ragioni e le con- siderazioni per le quali mi è sembrato di poter ritenere che la formazione in discorso debbasi riferire, con ogni probabilità al Priaboniano, ma sarà bene eh’ io mi riserbi di far ciò nel lavoro del quale ho già annunciato la pubblicazione nelle prime linee della presente Nota, sia per non togliere a codesto lavoro ogni importanza (se ne avrà ! ), sia perchè ancora mi restano a stu- diare molti fossili per completarne la parte paleontologica. 9. In molte regioni la suddescritta formazione nummuli- tica non si riscontra, ed allora direttamente, in discordanza, sulle altre formazioni più antiche dei sistemi apuano ed appen- ninico, riposa il vero « Macigno » eh’ io ritengo doversi rife- rire all’ Oligocene. Intercalate sovente al Macigno tipico, sono alcune lenti con- glomeratiche ad elementi di svariata grandezza e natura lito- logica, lo studio dei quali, trascurato finora quasi completamente, sarebbe di non lieve interesse per quegli studiosi che vogliono contribuire efficacemente alla risoluzione dei vari problemi rela- tivi all’ Eogene appenninico, visto e considerato che la scarsità dei fossili riscontrati finora in questo Eogene non concede alla paleontologia di porgere all’uopo un valido soccorso. Io, per mio conto, credo opportuno di ripetere (riserbandomi di ripar- larne più ampiamente in seguito) che in questi conglomerati insieme a svariati tipi di roccie cristalline, eco., si riscontrano non infrequenti tipi di calcari albaresi e pseudo-albaresi indub- biamente eocenici (‘). Il Macigno oligocenico dell’Appennino settentrionale sarebbe dunque una formazione di mare aperto ed alquanto profondo, contemporaneo delle formazioni conglomeratiche (« Tongriano » Sacco) e marnose («Stampiano» Sacco) del bacino terziario piemontese. Nella parte basale del suddetto macigno si hanno intercalazioni calcaree, marnose, in cui si rinvengono talvolta alcuni fossili. Cito fra questi VOrbitoides Giimbeli Seg. ed altre Orbitoidi di tipo oligocenico (2). Ritengo inoltre che i calcari (>) Miscellanea 1900 , p. 226 (De Angelis). (2) È ormai trascorso parecchio tempo dacché il Seguenza collocò neirOligocene il « Macigno » messinese, descrivendone la fauna. G. BONARELLI e le arenarie con le famose grosse Lueine (L. globulosa Desìi., L. Dicomani Mgh., ecc.) riscontrate in parecchi punti dell’alto Appennino settentrionale sieno lenti fossilifere intercalate alle altre rocce della formazione in discorso. L’estensione del Macigno oligocenico nell’Appennino setten- trionale è, su per giù, quale si vede segnata nelle carte del prof. Sacco, nelle quali peraltro il Macigno è riferito all’Eocene medio ( facies arenacea del Parisiano). Si può dire invece, o per lo meno io credo, che i giacimenti arenacei dell’ Appennino settentrionale riferiti dal prof. Sacco al l’Oligocene (Castelnuovo di Monti, Pavnllo, Montese, Monte Yigese, Preappennino roma- gnolo, ecc.) debbano piuttosto, come già scrissi (*), riferirsi pre- valentemente al Miocene medio {facies sublitoranea dell’ Elve- ziano). Fa eccezione il giacimento arenaceo « di Borgotaro » (riva sinistra del Taro), l’età oligocenica del quale, riconosciuta primieramente dallo stesso prof. Sacco, venne in seguito con- fermata dal prof. De Stefani (5). A proposito di questo giacimento arenaceo di Borgotaro non posso a meno dal chiedermi perchè, avendolo riferito all’Oligo- cene, siensi invece riferite al Suessoniano-Luteziano le masse arenacee che formano le prospicienti vette maggiori dell’Appen- nino, alla destra del Taro, fra Borgotaro e Pontremoli, fra l’Emilia e la Val di Magra, mentre le roccie possono dirsi le stesse per tutti i loro caratteri litologici e, aggiungo anche, tettonici. La questione relativa all’età del Macigno e delle altre for- mazioni eogeniche dell’ Appennino settentrionale è, come tutti sanno, una questione di grande importanza, essendoché essa interessa tutto quanto il sistema appenninico ed altre regioni, anche extraitaliane. Mi proverò, a suo tempo, di tratteggiare som- mariamente la storia di tale questione, sia pure con pericolo di ripetere cose già note. Ora non posso esimermi dal riportare qui le opinioni di quegli autori che in questi ultimi anni maggior- mente si occuparono dell’ Appennino settentrionale e dei suoi ter- reni eogenici. Intendo parlare dell’ing. Zaccagna, del prof. Sacco, 0) Miscellanea MOl, p. 222. H Boll. R. Com. geol. it, voi. XXVI, 1895, p. 205. MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE 553 dell ing. Lotti, ai quali la geologia dell’Appennino settentrionale va debitrice di pregevolissimi studii. Diro primieramente che questi egregi autori sono tutti e tre ben d accordo nel ritenere, come generalmente si ritiene, che il « Macigno », coi sottostanti calcari nummulitici, costituisca la base dell’Eocene. Partendo da questo principio essi giungono a conclusioni del tutto opposte. E siccome nelle loro conclusioni furono già preceduti e sono attualmente seguiti da altri autori, essi mi rappresentano ora i più attivi ed autorevoli seguaci di tre scuole fra di loro in contrasto per la cronologia dell’Eogene appenninico. L’ing. Zaccagna, seguace della scuola classica toscana, della quale fecero parte i più illustri studiosi dell’Appennino setten- trionale, riconosce in questo sistema montuoso la seguente serie eocenica : Ìsup. — «Calcari albaresi» e «acl Hehninthoida». medio — « Galestri » (Argille scagliose auct.). inf. — «Macigno», con calcari nummulitici alla base. Secondo questo schema il Macigno costituirebbe appunto l’Eo- cene inferiore. Ogni qual volta (e non è cosa rara ! ) lo si vede chiaramente sovrastare agli altri terreni eogenici, allora, se si vuole sostenere che il Macigno è più antico di questi, bisogna ricorrere all’idea di un rovesciameato per spiegare la suddetta condizione tettonica. Cosi, per esempio, nelle sezioni geologiche dell’Appennino settentrionale pubblicate dal prof. De Stefani (’) e da altri seguaci della antica scuola toscana si osservano parecchi rovesciamenti, coi quali appunto sarebbe spiegata la sovrastanza del Macigno, sui galestri, riscontrata in parecchie località. Ma non sempre codesti autori hanno dovuto ricorrere all’idea di tali rovesciamenti, perchè in taluni casi è loro sembrato che, in condi- zioni normali, fosse ben evidente la sovrapposizione dei galestri sull’arenaria-macigno. Così, per esempio, la porzione dell’ Appen- nino che separa l’Emilia dalla Val di Magra sarebbe, secondo l’ing. Zaccagna, una semplice anticlinale lungo il di cui asse mediano emergerebbe il Macigno, allo scoperto, per erosione, dalle rocce eoceniche « più recenti (galestri, calcari albaresi ) ». C) « Cosmos » di Guido Cora, voi. II, fase. 2, 1892. 554 G. BONARELLl Ove ciò realmente fosse, una sezione, supponiamo, fra Bor- gataro e Pontremoli passando per la « Dogana Vecchia » dovrebbe risultare secondo il seguente schema: Macigno, Galestri. e la famosa galleria ferroviaria che attraversa questo sprone appenninico sarebbe stata scavata per lungo tratto nel macigno dopo avere attraversato, dalla parte di Borgotaro, pochi strati di « galestri » più o meno inclinati a Nord-Ovest. Si è verificato invece perfettamente il contrario. La sud- detta galleria è praticata quasi per intero attraverso la forma- zione delle « argille scagliose » o « galestri » che dir si vo- gliano, come lo mostrano tuttora i materiali estratti, deposti presso la stazione di Borgotaro ('). Gli strati di queste roccie si riscontrarono pressoché orizzontali nell’interno della galleria. Questa toccò il macigno non so se una o due volte soltanto, dalla parte di Pontremoli. E pertanto risulterebbe da questi fatti confermata la possibilità che la costituzione geologica di quella porzione appenninica corrisponda piuttosto al seguente schema: ^ ) Macigno . Argille scagliose. in cui si vede appunto che i « galestri » sottostanno al macigno. (*) D’onde le numerose difficoltà (plasticità della roccia, scaturi- gini, ecc.) incontrate durante la perforazione e il rivestimento di questa galloria ornai famosa negli annali d’ingegneria ferroviaria. MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE 555 Spetta al prof. Sacco il merito di avere appunto riconosciuto e sostenuto valorosamente che la formazione dei « galestri » od « argille scagliose » è sottostante al macigno. Ma di fronte a tale constatazione di fatto l’egregio autore piuttosto che indursi a ringiovanire il macigno, giunse alla opposta conclusione che, se il macigno si trova alla base dell’Eocene, le formazioni sot- tostanti, ossia le argille scagliose, debbono riferirsi al Cretaceo. A questa conclusione il prof. Sacco giungeva quando già egli aveva percorso la porzione piacentino-ligure dell’Appennino set- tentrionale. E pertanto, avendo egli riconosciuta l’età cretacea della serie schistosa (schisti plumbei, argillosi e psammitici) della Val Polcevera, dell’alta Valle Scrivia, dell’alta Val di Trebbia, della Val Lavagna, ecc., ed avendo riferito all’Eocene inferiore-medio i calcari ad Helminthoicla soprastanti a quella serie schistosa, egli dedusse da questi fatti che gli schisti plum- bei (della Liguria, ecc.) e le argille scagliose (dell’Appennino in genere) fossero contemporanei, e che pure fossero contempo- ranei i calcari marnosi ad Helniintoida ed il macigno. Il prof. Sacco proseguì il rilevamento dell’ Appennino se- guendo appunto tali criteri di contemporaneità che riassumo nel seguente schema: APPENNINO SETTENTRIONALE Parte settentrionale Parte Parte media meridionale Eocene inferiore-medio Calcari marnosi (« Calceschisti ») ad Helminthoida Facies di Macigno Facies Calcarea Facies di Macigno Facies niceana dell’Eocene inferiore Cretaceo Scisti plumbei (Liguria, ecc.) « Argille scagliose » Pietraforte di Toscana dal quale risulta che secondo l’egregio Autore i varii tipi sin- croni delle formazioni cretacee ed eoceniche dell’Appennino si 556 G. BONARELLI presenterebbero alternativamente e si escluderebbero a vicenda appunto come egli ci mostra nelle sue carte geologiche. A parte la considerazione, che mi sembra alquanto insolito questo alternativo ripetersi di formazioni cosi ben distinte fra loro, senza mai avere un solo giacimento con evidenti caratteri intermedi, osserverò piuttosto un altro fatto rimarchevole il quale chiaramente emerge dai lavori del prof. Sacco. Questi non trova quasi mai difficoltà stratigrafiche quando si tratta di mostrare che il macigno sovrasta alle argille scagliose e che i calcari ad Helminthoida sovrastanno agli argilloscisti plumbei del cretaceo. Viceversa poi quando vuol dimostrare che detti calcari ad Hel- minthokla sovrastanno anche alle vere argille scagliose, allora l’egregio autore è quasi sempre costretto a ricorrere all’idea di forti pieghe più o meno rovesciate. In altre parole, il prof. Sacco deve necessariamente ammettere una complicazione stratigrafica quando vuol collegare le vere argille scagliose agli argilloschisti plumbei del Cretaceo. Ora ricorderò che gli autori sono oramai quasi tutti d’accordo nel ritenere che le vere argille scagliose appartengono all’Eocene superiore, mentre le idee del prof. Sacco non contano che ben pochi seguaci. In ogni caso, io sono d’ac- cordo col prof. Sacco nel sostenere che il macigno è superiore alle argille scagliose. L’ing. Lotti, mano mano che dall’Appennino settentrionale è venuto proseguendo le sue esplorazioni verso il Sud, ha de- rogato in parte dalle idee dogmatiche, della antica scuola toscana, alle quali sono informate le sue prime pubblicazioni. Prima di tutto egli ora ammette che vi sieno due macigni; uno inferiore (Eocene inferiore) ed uno superiore (Eocene superiore), quest’ul- timo sovrastante, o talvolta intercalato, alle argille scagliose. Egli pertanto, non sempre, a mio avviso, ha riconosciuto il suo macigno superiore, perchè, ad esempio, nel suo lavoro sul Ca- sentino egli pone nell’Eocene inferiore le arenarie oligoceniche costituenti le vette maggiori delle montagne (Pratomaguo ad Ovest, Monte Penna-Camaldoli ad Est) le quali fiancheggiano l’alta valle dell’Arno delimitandone il bacino. Ma di questo intendo parlare più avanti. Intanto resta il fatto che l’ing. Lotti ammette clic almeno una parte del macigno appenninico sia posteriore alle argille MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE 557 scagliose. Mi piace aggiungere che anche ring. Zaccagna am- mise recentemente che vi possa essere del macigno superiore ai suoi « galestri » ('). Tali concessioni sono per me di una grande importanza perchè mi inducono a sperare che gli inge- gneri Lotti e Zaccagna vorranno, con ulteriori studi e ricerche giungere almeno alla conclusione che di macigno « superiore » (« giovane macigno » Doderl. ex p.) se ne ha in Italia più di quanto si è creduto finora. 10. I momenti principali della storia geologica dell’Appen- nino settentrionale sarebbero, a mio avviso i seguenti : a) Verso la metà del Bartoniano si verificò il diastrofismo orogenico dell’ Appennino ligure, dei monti di Spezia e del sistema apuano (con le sue propaggini meridionali, e le sue pieghe secondarie orientali), a ridosso della Tirrenide. b) Durante il suddetto diastrofismo, mano mano che si formava il dislivello fra la regione emergente e la contigua depressione adriatica, le argille scagliose scivolarono in gran parte lungo tale pendìo accumolandosi o raggrinzandosi più o meno alla rinfusa nella zona preappenninica dell’Emilia (d’onde appunto il fatto che le argille scagliose sono quivi più potenti e più rimaneggiate che non lungo il versante tirrenico dell’Appen- nino), e convogliarono numerosi frammenti di roccie d’età diversa, provenute dallo sfacelo iniziale della nuova terra ferma, (d’onde i blocchi ed ammassi di roccie esotiche [pietre verdi, psammoschisti, cretacei fossiliferi ecc.] così frequenti nelle argille scagliose). c ) Durante il Bartoniano superiore le anticlinali emerse andarono soggette a graduata erosione. d) Alla fine del Bartoniano, l’intera zona emersa, ridotta per erosione allo stato subpianeggiante, rientrò ben presto nel dominio dell’ Oceano, per ricevere prima, sporadicamente nei bassifondi la deposizione della serie priaboniana (calcareo-num- mulitica), quindi la deposizione del Macigno oligocenico, più potente e più esteso del nummulitico sottostante. e) Al principiar del Miocene, il grande sistema apuano e le sue pieghe secondarie, nonché buona parte deirAppennino (>) Boll. R. Coni. geol. it., voi. XXX, 1899, p. 26 della Relaz. uffic. (Escursioni). 45 558 G. BONAKELLl adiacente, emersero nuovamente per adattarsi una buona volta al redime continentale. Durante questo secondo movimento di- strofico non si determinarono, nel sistema apuano, nuove linee tettoniche; si operò quasi soltanto un maggiore raggrinzamento delle pieghe preformate. Per questo ulteriore raggrinzamento, alcuni lembi di calcare nummulitico priaboniano, poggianti in discordanza sulle roccie triassiche delle Apuane centrali rima- sero impigliati e quindi rinchiusi in alcune pieghe di queste roccie (d’onde il fatto di nummuliti raccolte nel Trias apuano!). A sua volta, l’Appennino adiacente emerse a guisa di piatta- forma più o meno ondulata, terminante in forma di falaise lungo il litorale adriatico. /') Durante il Miocene medio, mentre il mare batteva in breccia codesta falaise di Macigno oligocenico (veggasi la seguente figura schematica) ed erodeva più o meno profondamente le sot- tostanti roccie eoceniche, si deposero nel suo fondo, direttamente sulle roccie eoceniche od anche sulle cretacee, spesso con pseudo- concordanza (* ) i depositi eteropici dell’Elveziauo : litorali (con- glomerati, ecc.), sublitorali (calcari arenacei) e di mare profondo (« Schlier »). E qui faccio punto, perchè il resto non interessa la questione che ho trattato nella nota presente. (') Questa è la più frequente condizione di giacitura dei numerosi depositi Elveziani delPAppennino emiliano e romagnolo, nonché dellTm- bria settentrionale. Dovrò riparlarne più avanti. MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE 559 IV. Affioramenti di serpentine preterziarie nell’ Appennino settentrionale. Tratterò qui brevemente di alcune osservazioni geologiche da me praticate valicando l’Appennino ligure fra S. Stefano d’Aveto e Bedonia. Partendo da S. Stefano d’ Aveto e risalendo ai casolari di Roncolungo, ai lati della vallecola riempiuta da materiali more- nici, si elevano il Monte Bocco ed il Monte dei Preti costituiti da calcari marnosi ad Hélminthoida. La inclinazione degli strati è ad 0. S. 0. Proseguendo l'ascensione per la regione Cagno Secco, allo scoperto dai numerosi detriti e grossi frammenti di roccie verdi che ingombrano quei luoghi e derivano dallo sfacelo del Massiccio serpentinoso del Monte Bue, si osservano estesi affiora- menti di schisti marnosi policromi indubbiamente, per me, seno- niani, perchè sottostanti ai Calcari marnosi ad Hélminthoida , ed inclinati pur essi ad 0. S. 0. Ancora più avanti, poco prima di giungere al colle del Casone, fra il Monte Bue ed il Monte Tornarlo, si vedono sottostare ai suddetti schisti senoniani con la medesima inclinazione, gli schisti argillosi, marnosi e psam- mitici del Turoniano e Cenomaniano. Si avrebbe dunque an- che qui la solita serie cretacea dell’Appennino settentrionale- ligure. Ma il fatto locale degno di nota è questo: Ai suddetti schisti argillosi, marnosi e psammitici si intercalano alcuni straterelli arenacei (una specie di « grès verde ») costituiti quasi esclusiva- mente da piccoli granuli di roccie verdi: questi granuli assumono talvolta dimensioni notevoli talché si possono chiamare piccoli ciottoli , di serpentina, ecc. Codesti straterelli si formano dunque a spese di roccie verdi preesistenti, e non molto lontane. Ora, le vette del Monte Bue e del Monte Tornarlo sono costi- tuile da roccie verdi. Questi due monti formano parte del mag- giore allineamento di emersioni serpentinose fra i numerosi che si riscontrano neirAppennino settentrionale; di quello cioè che 560 li. BONAKELLl partendo dalla riviera ligure, poco più in alto, ad ovest, dei Monti di Spezia, giunge fino a toccar l’Appenino pavese. Ad ovest del Monte Tornarlo, verso Gavadi, si intercalano alla serie cretacea alcune breccie e conglomerati ofiolitici. I casolari di Gavadi si trovano al limite fra l’Eocene ed il Cre- taceo. L’Eocene si estende ad ovest verso Casafredda, Ambor- zasco ecc., conservando ovunque una inclinazione media ad 0. S. 0. Superato il Colle del Casone, la strada per Bedoiria volge per un certo tratto a S. S. E. in mezzo a detriti di roccie verdi che ricuoprono la serie cretacea; subito dopo, sotto Monte To- rnarlo, ricominciano i calcari ad Helminthoida, che contorti in principio, assumono quindi, sotto Casalporino, nella Valle del Ceno, una decisa inclinazione ad E. N. E. Tale medesima incli- nazione conservano nella massa del Monte Segarino (riva destra del Ceno) fino ai casolari di Manarolo e Costa-Nobili, dove incomincia la sovrastante formazione delle argille scagliose che si prosegue fin quasi a Bedonia. A N.N.E. di Bedonia si erge la massa del Monte Polpi costituita da Macigno oligocenico. La figura qui appresso è destinata a meglio chiarire quanto ho detto nei precedenti periodi in merito alla interpretazione che, secondo il mio parere, devesi dare alla struttura geologica а. Argilloschisti e psammoschisti del Cretaceo con intercalazioni di con giorno rati ofiolitici e di arenarie “ verdi „. б. Eocene inf.-medio. c. Argille scagliose. (I. Macigno oligocenico. S. Pietre verdi del M. Tornarlo. della regione appenninica, compresa fra S. Stefano d’ A veto e Bedonia. In questa figura le roccie verdi costituenti la vetta del Monte Tornarlo sono segnate come se appunto costituissero uno spuntone di formazione antica emergente alla sommità di un’anticlinale cretacea, e tali, in verità, io le ritengo. A questa MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE 561 opinione sono indotto, oltreché dalla condizione tettonica della suddetta località, anche, e principalmente dal fatto che nella serie cretacea del Monte Tornarlo si trovano intercalate frequenti arenarie serpentinose nonché breccie e conglomerati oliolitici i quali mi attestano la necessaria preesistenza e vicinanza di antiche regioni continentali costituite da roccie verdi, a spese delle quali dette arenarie e conglomerati si originarono. E qui mi compiaccio di ricordare come Bartolomeo Gastaldi ebbe più volte ad affermare esser sua convinzione che le roccie verdi appenniniche debbono, cronologicamente, come lo possono litologicamente, identificarsi alle omotipiche roccie verdi alpine. Mi si permetta peraltro di far seguire a questo ricordo alcune considerazioni atte a significare quale limite ed importanza avreb- bero per me le affermazioni del Gastaldi chè, se per molti gia- cimenti « ofiolitici » dell’Appennino settentrionale (e sarebbero principalmente giacimenti originari ) sarei propenso a seguire la opinione del grande geologo piemontese, credo peraltro che per moltissimi altri giacimenti (e sarebbero in prevalenza giacimenti secondarii), tale opinione non possa accettarsi e sia necessario ricorrere ora all’ima ora all’altra delle diverse e numerose ipo- tesi escogitate finora dai vari autori che si occuparono delle roccie verdi appenniniche, della loro origine, della loro età e dei loro caratteri di giacitura. Farò osservare primieramente che rimane tuttora a deside- rarsi un dettagliato ed esauriente studio petrografico delle sud- dette roccie condotto secondo i recenti criteri della più progre- dita litologia. Son ben poche le pubblicazioni che ne illustrano qualche tipo o qualche sporadico affioramento, mentre così nume- rose sono oramai le descrizioni e le carte geologiche, parziali o generali, dell’Appennino settentrionale, pubblicate specialmente in quest’ultimo ventennio. Noto ora come nel maggior numero di codeste carte geolo- giche, le « roccie verdi » sono generalmente contraddistinte da una sola tinta ('). Così pure, nelle pubblicazioni le quali illu- (!) Fanno esemplare e lodevolissima eccezione, con poche altre fra le recenti, le carte dell’ing. Zaccagna, nelle quali sono distinte, ad esem- pio, le « diabasi » dalle serpentine, ecc, 662 G. B CHIARELLI strano la costituzione geologica della regione in discorso, non sempre è data la determinazione specifica dei tipi litologici onde sono costituiti i singoli affioramenti che passano comunemente sotto il nome, molto improprio, di affioramenti « ofìolitici ». Prendiamo ad esaminare, per citare un esempio, le carte geologiche del prof. Sacco. L’egregio Autore vi adopera una bella tinta verde per indicarvi gli affioramenti « ofìolitici ». Ora, ho più volte osservato che con questa tinta vi sono com- presi indifferentemente parecchi tipi di roccie ben distinti fra loro per origine, per età, per giacitura, come a dire: diabasi, serpentine, ofìcalci, conglomerati ofìolitici, detriti quaternari e massi erratici (di serpentine, ecc.). Ne consegue dunque che da coteste carte non è possibile rilevare se le roccie dei varii af- fioramenti « ofìolitici » che vi sono segnati appartengono all’uno piuttosto che all’altro dei seguenti, possibili, diversissimi tipi che si riconoscono comunemente nel gruppo così eterogeneo e così artificiale delle cosidette «roccie verdi »: , A. . , « . . .. ( intrusive (laccoliti, ecc.) a) torme tipiche fondamentali . . ,. ... ' 1 ( efhisive (espandimenti); b) differenziazioni magmatiche (acide, basiche; leucocratiche, melanocratiche) ; ve) modalità periferiche e fenomeni di contatto; Id) modificazioni endogene per metamorfismo (metasomatiche); e) derivazioni epigeniche; f) neoformazioni o ricostituzioni (drusiformi, veniformi, filoni- formi); g) prodotti superficiali d’alterazione chimica; « s « si li) breccie endogene; i brecciosi, / originatisi per degrada- i) sedimenti allotigeni ciottolosi, > zione meccanica, a spese ì sabbiosi, l dei tipi precedenti (*). I) massi erratici e « Klippen » J (!) Possiamo inoltre considerare il caso di sedimenti allotigeni pro- fondamente modificati per metamorfismo chimico o per alterazione su- perficiale; che, se ad esempio certe varietà di serpentine, e certe terre limonitiche, argillose ecc. si ritengono derivate da roccie (originarie) diabasiche, gabbriche e simili, altre a mio avviso, si possono ritenere prodotte da metamorfismo chimico o da alterazione superficiale di breccie MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE 563 E pertanto, nelle carte dell’ Appennino settentrionale rile- vate con il metodo suindicato le roccie verdi costituenti la vetta del monte Tornarlo ed il conglomerato ofiolitico presso Gavadi verrebbero indicati con la medesima tinta mentre sono due tipi diversissimi di roccie: mentre le prime presentano tutti i ca- ratteri di un giacimento originario anteriore alla sedimenta- zione cretacea, mentre il secondo, evidentemente, è un deposito intercalato alle roccie cretacee: mentre delle prime si può dire con il Gastaldi che non si hanno convincenti ragioni da rite- nerle, per età e per natura, diverse dalle alpine consorelle, mentre per il secondo non v’ha dubbio che si tratti d’ un giacimento secondario formatosi a spese delle prime. Dal quale caso particolare risalendo alla grande questione , mi sembra di poter concludere che a più d’un ventennio di distanza dalle discussioni tenute a Bologna « Sulla origine delle serpen- tine... ecc. ecc. », si attende ancora, ripeto, quel dettagliato e coscienzioso studio geognostico, tettonico e sopratutto petrogra- fico dal quale, più che da sterili e premature accademie, potrà risultare finalmente quali delle numerose ipotesi emesse in pro- posito sieno accettabili e quali non. Dico quali e non quale, perchè, come si è visto, anche nello studio di tale questione sembra doversi procedere con criterio analitico tendente ad un certo . . . eccletismo, essendo ormai per sufficienti indizi ben di- mostrato che, stabilita la posizione sistematica di ciascuna « roc- cia verde » appenninica, a seconda del gruppo cui deve rife- rirsi, le vedremo corrispondere una data età, una data origine, un dato rapporto di giacitura con le altre formazioni del sistema appenninico. Io faccio voti perchè altri, assai più di me competente ed autorevole in materia, si accinga a simile impresa, tanto più ardua quanto più si consideri che non pochi sono i problemi che alla questione principale si connettono e non pochi gli au- tori discrepanti da persuadere e condurre ad un completo ac- ci conglomerati diabatici, gabbrici e cosi via. Tale, ad esempio, sarebbe la origine di tante oficalci ed ofisilici che si vedono il più sovente in intimo rapporto con le breccie e conglomerati « ofiolitici ». 564 G. BONARELLI cordo. Mi spiego con un esempio ritornando al caso partico- lare (1). Il giacimento « ofiolitico » costituente la vetta del monte Tornarlo mi è sembrato uno spuntone di roccia antica emergente alla sommità di una anticlinale cretacea. Esso peraltro può es- sere, e fu già, interpretato diversamente da altri autori (da quelli sopratutto, i quali persistono ancora a ritenere che le « roccie verdi » appenniniche appartengano tutte ad un mede- simo periodo, oppure che presentino tutte i medesimi caratteri di giacitura e che una sola spiegazione sia sufficiente per de- terminare la origine dei loro numerosi affioramenti. a) Rispetto all’età del suddetto affioramento non si pos- sono ammettere che tre diverse ipotesi: 0 le roccie che lo co- stituiscono sono anteriori al Cretaceo (e tali a me sembrarono); oppure sono cretacee (come ad esempio si ritiene dal profes- sore Sacco); ovvero invece sono posteriori al Cretaceo e più precisamente eoceniche (e questo è il parere di molti autori). b) Rispetto alla sua giacitura sono possibili quattro di- verse opinioni : 0 sottosta in discordanza alla serie cretacea, o si trova intercalato a questa serie; ovvero attraversa le roccie cretacee; oppure finalmente poggia in discordanza alla sommità d’un’anticlinale cretacea. c ) Rispetto alla sua natura ed origine bisognerà risolversi per l’una o per l’altra delle seguenti spiegazioni : 0 fa parte di un antico spandimento di materiali diabasici, gabbrici, ecc.; oppure è la porzione visibile d’un complesso di roccie eruttive di natura filoniana attraversanti la serie cretacea; ovvero invece fu già un sedimento allotigeno formatosi a spese di roccie verdi preesistenti ed ora profondamente modificato e mineralizzato per fenomeni metasomatici, epigenici, ecc. Ora sappiamo che tra i diversi caratteri (età relativa, con- dizioni di giacitura, natura od origine) di un sedimento roccioso esistono intime c necessarie relazioni, talché, determinata ad 0) Questo caso per quanto particolare, é sempre di grande impor- tanza poiché quanto può dirsi del Monte Tornarlo vale anche per l'in- tero maggiore allineamento di emersioni « serpentinose » deU’Appennino settentrionale. MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE 565 esempio la natura ed origine di una certa roccia, abbiamo già facilitato il compito a quel geologo che, avendo chiesto invano un qualche valevole sussidio alla paleontologia ed alla strati- grafia, voglia purtuttavia determinare quali possibili rapporti intercedano fra quella roccia ed altre sue vicine o consimili. Fra i diversi caratteri delle « rocce verdi » appenniniche, e dei loro numerosi giacimenti esistono le intimità di rapporti che sono indicate nel quadro seguente : Età Giacitura Natura ed Origine o p o co p O 2 P p p ci -4-J P Ui O p co . o o CO ci SJ p ci : ^ • r-4 o o CO ^ | o p o p co p P P cS P Sh o o P ci > o oS a 02 2 co 03 «l-H P co O co . •F-> flA fi bC s p ~ a § «8 _ s ® ^ ci •<-* co co ^11 s a poggiano in di- scordanza sopra al- tre roccie più an- tiche ( eoceniche , cretacee); in questi casi possono essere resi- dui, più o meno modificati (per me- tamorfismo chimico, per neoformazioni epigeniche, per al- terazioni superfi- ciali), di espandi- menti più o meno antichi, di mate- riali diabasici gab- brici, ecc. ; ovvero attraver- sano le roccie del ! Cretaceo c quelle se sono j (|eip Eocene infe- eoceniche, i 1I0ie ’ in tal caso con- servano sempre ì caratteri delle sive ; I p g o 'bi C p ci I p 3 o i— ' .3 o a p P 'ri 02 ci a e --B O 1111 OCU1()10 l teri comuni / roccie intra- [ ovvero invece sono comprese nella formazione delle ar- gille scagliose eoce- I niche, in forma di ! affioramenti e bloc- chi più o meno iso- | lati ; eallorasonofram- menti di roccie ver- di (Massi erratici e Klippen) distaccati da giacimenti anti- chi e convogliati dalle argille sca- gliose ; p W) jO 15 P P 35 p 02 P u p 05 o o m m O P p 2 33 o a P p *42 O P o P af 2 ‘3 rO rO P bX) cf 42 .3 *3 P rO P ci nu P «2 O P, P > P .° ^ *3 .2 p p P p *3 02 CD P p Ph o p £ § ’S 3 « -r B- Ph o ci ■fH ci 3 o 02 P P P P< P > P O o p 02 P P, ce £66 G. BONARELLI Kisulta da questo quadro che quando l’uno o l’altro carat- tere principale delle rocce verdi appenniniche non è evidente di per se stesso, nè direttamente determinabile, bisognerà rife- rirsi, per giungere a tale effetto, alle conclusioni fornite dalla determinazione degli altri caratteri. Nel caso mio particolare si trattava di stabilire quale sia veramente l’età relativa e quali i rapporti tettonici delle roccie verdi costituenti la vetta del Monte Tornarlo rispetto alla formazione cretacea che le circonda. Io ho creduto pertanto di dovermi principalmente riferire ai caratteri petrografici di quelle roccie. Ed è appunto in base ai criteri più elementari della litologia che le suddette roccie mi sembrarono costituire la porzione visibile d’un giacimento ori- ginario di roccie endogene effusive più o meno alterate (mentre i loro caratteri escludono la possibilità che si tratti di mate- riali allotigeni e tanto meno che sieno di natura intrusiva); di quella stessa litologia la quale insegna a mantenere le debite distanze fra una diabase, una serpentina, un conglomerato ofio- litico; di quella stessa litologia, mercè la quale si evita il pericolo di commettere un grave errore attribuendo ad una roccia deri- vata una età più antica delle roccie originarie a spese delle quali si formò, come credo sarebbe il caso quando si volessero ritenere cretacee c peggio ancora poscretacee le roccie verdi costituenti la vetta del Monte Tornarlo mentre già nella serie cretacea di quel monte si hanno intercalazioni di sedimenti allo- tigeni conglomeratici ed arenacei, costituiti in prevalenza da frammenti di dette roccie C) o per lo meno di roccie identiche per tutti i loro caratteri. (*) (*) L’argomento trattato nella pi-esente Nota riceverà un più ampio sviluppo nel lavoro che intendo pubblicare sull’Appennino settentrionale. Sarà data allora la debita estensione alla illustrazione petrografica delle roccie costituenti il monte Tornarlo. Prevedo intanto la possibilità che molte idee svolte in questa nota e nella precedente non sieno per incontrare il favore di alcuni studiosi e dubito piuttosto che susciteranno qualche polemica. Ai maestri indul- genti, ai colleglli benevoli, agli ottimi amici rivolgo la preghiera di attendere per breve tempo la pubblicazione del promesso lavoro prima di schierarsi definitivamente prò o contro le mie idee. Mie, devo dire, fino ad un certo punto; ed a suo tempo mostrerò quanto vi sia di veramente mio nelle idee che sono venuto esponendo MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE 567 V. Sulla costituzione geologica (lei Casentino. Memmenano in Casentino è un villaggio di poche case, sulla riva sinistra dell’Arno, a metà strada fra le stazioni fer- roviarie di Poppi e di Bibbiena. E fabbricato sopra una pic- cola collina; vi si accede per una breve carrozzabile al piede della quale, e più precisamente in una trincea della contigua linea ferroviaria, si rinvennero recentemente dall’ing. Lotti al- cuni esemplari di Inocerami. Questi Inocerami sono ormai fa- mosi negli annali della nostra geologia per le discussioni che suscitarono in merito alla età della formazione in cui si rin- vennero. L’ing. Lotti riferì questa formazione all’Eocene superiore (*). Le ragioni che lo indussero a tale riferimento sarebbero giu- stissime se la premessa a cui si appoggiano (generalmente am- messa dagli autori) fosse altrettanto valida. Egli infatti partì dal principio che l’arenaria « macigno » costituente le maggiori elevazioni appenniniche ai due lati dell’alta valle dell’Amo, così alla sinistra di questo fiume (contrafforte Camaldoli-Poggio Baralla), come pure alla sua destra (contrafforte Consuma-Pra- tomagno), debba riferirsi all’Eocene inferiore; e in questo sono d’accordo con lui la maggior parte dei geologi, compresi quelli che non convengono ora coll’egregio Autore sulla eocenicità degli Inocerami di Memmenano. e quanto vi sia di spigolato in quei rigogliosi e vasti campi di idee che sono i lavori dei Capellini, dei Curioni, dei Doderlein, dei Manzoni, dei Murchison, dei Pantanelli, degli Scarabelli, dei Seguenza, dei Taramelli, degli Zittel e di tanti altri. Allora potremo dire insieme che anche nel caso presente é quasi vero l’antico proverbio: Nil sub sole novi ; e che se un qualche minimo merito si può attribuire a questi miei scritti, desso è piuttosto quello d’avere raccolto in una sintesi più o meno omogenea un certo numero di opinioni e di ipotesi già emesse da altri autori sulla costituzione geologica dell’Appennino settentrionale. (>) Boll. R. Coni. Geol. It., 1899. Roma. 568 G. BONARELLI I quali geologi lui fanno l’impressione di non volere accet- tare la logica conclusione d’un sillogismo dopo avere essi stessi ripetutamente affermata la verità delle sue premesse. Poiché, se è vero che l’arenaria « macigno » rappresenta l’Eocene in- feriore, se è vero che l’orizzonte delle « argille scagliose » e quello dei « calcari marnosi ad Helminthoida » sono più gio- vani del « Macigno », allora devesi pure ammettere per neces- saria conseguenza che l’arenaria ad Tnocerami di Memme- nano è anch’essa una formazione eocenica, posteriore al ma- cigno. Infatti, i rapporti di questa arenaria rispetto alle altre for- mazioni geologiche del Casentino sono resi manifesti dal se- guente profilo schematico passante per Memmenano e normale alla vallata del Casentino, ossia diretto da SO. a NE., e più /h a. Arenaria “ macigno „. b. Orizzonte delle “ argille scagliose „. e. Orizzonte dei calcari marnosi “ ad ffeltninthoida „. d. Arenaria con fnocerami . e. Valle dell’Arno — Quaternario. H — t — I — i — h- Pliocene continentale. precisamente dal Poggio Latello al Poggio Varalla. E dall’esame di questo profilo chiaramente risulta che, se si ammette per prin cipio la precedenza cronologica dell’arenaria « macigno » rispetto alle altre formazioni eogeniclie casentinesi allora ha ragione l’ing. Lotti di affermare che l’alta valle dell’Arno è una de- pressione sinclinale e che l’arenaria ad Inocerami, costituente una parte del fondo di questa sinclinale devesi riferire all’Eo- cene superiore. Questa appunto sarebbe la. struttura geologica del Casentino, secondo l’ing. Lotti, e tale dovrebbe essere per tutti (pici geo- logi i quali ammettono che l’arenaria « macigno » devesi rife- rire aH’Eocene inferiore e, peggio ancora, ritenere sottostante miscellanea di note geo logiche e paleontologiche 569 alle « argille scagliose » ed ai « calcari marnosi ad Helmin- thoida ». In caso diverso, una delle tre: o bisogna immaginare delle complicazioni stratigrafiche che non esistono ; ovvero, peggio, bisogna acconciarsi a fare come hanno fatto altii geologi e paleontologi, i quali danno ragione all’ing. Lotti quando ammettono che esemplari di Inocerami riferibili a forme a etcìcee si possano trovare nell’ Eocene superiore ; ovvero, meglio, bisognerà ammettere che le opinioni da me già espresse (') in merito alla costituzione geologica dell’Ap- pennino, siano applicabili anche al Casentino. Io, per mio conto, avendo avuto occasione di percorrere il Casentino, non tardai molto a persuadermi: 1° che l’alta valle dell’Arno, in Casentino, è una valle anticlinale, come rappresenta la seguente figura; P ^Zate/fo Memmenano PP'JBaraìla. 2° che l’arenaria ad Inocerami (indicata con d ) ne costi- tuisce la formazione più antica; 3° che immediatamente al di sopra di questa formazione si hanno degli schisti marnosi grigiastri e rossastri con Cylin- drites e Spyrophyton identici a quelli (Senoniano sup.) del- l’ Appennino centrale («galestri policromi» di Lotti); 4° che al di sopra di codesta esile formazione riposa in concordanza la potente formazione dei calcari marnosi ad Hel- mintlioida (e) intercalati a marne grigie in potenti banchi ed a sottili strati schistoso-arenacei ; tutte roccie tipiche dell’Eocene inferiore-medio appenninico ; 5° che le « argille scagliose » (indicate con b) sovrastanno ai « calcari marnosi ad Helminthoida e sottostanno alla potente formazione d’arenaria « macigno » costituente le vette maggiori dell’ Appennino casentinese; (>) Vedi Nota III della presente Miscellanea. 570 G. BONARELU 6° che codesta arenaria « macigno » (indicata con a) doven- dosi per la sua posizione stratigrafica riferire all’oligocene, come la più gran parte del Macigno appenninico, cade logicamente la premessa che autorizzava in certo qual modo l’ing. Lotti a ritenere eocenica la formazione arenacea con Inocerami del colle di Memmenano. [ms. pres. 8 settembre 1902 - ult. bozze 16 dicembre 1902]. ANCORA SULLA GEOLOGIA DELL’ISOLA DI CAPRI Nota del dott. Raffaello Bellini. Questa comunicazione fa seguito a quanto mesi addietro feci noto sullo stesso argomento (Q. Importanti sezioni artificiali al Sud dell’isola sono state ese- guite nel costruire una strada, che, con ardita concezione, il sig. Krupp di Essen, ha fatta per congiungere il tratto compreso tra la roccia su cui è posta la Certosa e la Marina piccola o di Mulo. Per un buon tratto del suo decorso orizzontale la strada è fiancheggiata da una serie di formazioni stratificate, in alcuni punti interrotte, ma il cui complesso, tra la roccia nascosta dal detrito calcareo che giunge al mare ed il terreno vegetale al disopra, è dall’alto in basso così costituito: Detrito calcareo. Deposito di fine ed impalpabile pozzolana rossiccia. Deposito di pozzolana mista a detrito calcareo. Detrito calcareo caduto dall’alto della roccia. Questo complesso di strati fra loro paralleli e concordanti formano nei punti ove l’osservazione è agevole un angolo con l’orizzonte di 43° a 45°. Gli stessi depositi riempiono anche grotte piuttosto profonde e si trovano, non con la stessa regolarità però, anche in altri luoghi dell’isola. Il rinvenirsi dei suddetti strati sempre con la stessa incli- nazione, sebbene non precisamente alla medesima altezza, ed il trovarsi anche nelle grotte, cosa che non può esser successa a causa dei venti come potrebbe credersi per i depositi all’aperto, (■) Bellini R., Alcuni appunti per la geologia dell’isola di Capri. Boll. Soc. Geol. Ital., anno XXI, fase. I, 1902. 572 R. BELLINI sono elementi che forniscono dati importanti riguardo ai vari sollevamenti a cui l'isola dopo la sua emersione è andata soggetta e già accennati nella mia precedente nota. Siccome non è ammissibile che nel fondo del mare i depositi stratificati si disponessero obliquamente, così è da ritenersi che l’emersione del detto fondo dovette per un buon tratto di tempo succedere inegualmente; ossia alcuni punti dovettero sollevarsi più di altri. L’alternanza nel complesso delle stratificazioni di materie vulcaniche e calcaree della stessa isola c’induce a credere che l’origine delle prime, provenienti, perchè sanidiniche, dai vulcani flegrei o da qualche cratere oggi forse distrutto dal mare, dovette dipendere da periodi di eruzione con intervalli di riposo di attività o da variazioni nella direzione dei venti. In ogni caso le eruzioni furono rapide e di breve durata, ma intense, come ci vien dimostrato dallo spessore e dall’assenza d’impurità degli strati in parola. Nell’epoca del suddetto irregolare sollevamento Capri doveva esser sommersa in buona parte tra la valletta del paese ed il Capo di Tiberio ad Est, mentre il Monte Solaro, oggi la più alta elevazione dell’ isola, raggiungeva dal mare un livello di gran lunga inferiore. Gli strati inclinati hanno infatti la loro massima altezza dal piano dell’orizzonte verso NO. In questi tempi, pliocenici superiori o glaciali, erano ancora coperti dalle acque i Faraglioni, la metà occidentale del territorio d’Auacapri e la sella tra le due marine, nella quale, perchè più profonda, si depositavano sedimenti moderni al disopra delle arenarie ed argille eoceniche, che alla lor volta si trovavano riparate al fondo della frattura tra le pareti a picco del Monte Solaro e di Castiglione, separate evidentemente da un’immane violenza, coincidente forse col primo dislocamento tra l'isola e la prossima penisola. Il piccolo lembo di eocene sotto Tiberio si trova in quel sito certamente per una frana derivata dalla sommersione della base rocciosa su cui poggiava, mentre la quasi totalità della formazione di cui faceva parte essendo in alto c non riparata fu portata via dalle acque o da altre cause. I depositi vulcanici stratificati si formarono dopo il secondo sollevamento dell’isola (v. precedente Nota); infatti la zona a ANCORA SULLA GEOLOGIA DELL’ISOLA DI CAPRI 573 litodomi presso Capri ed allo stesso livello il bellissimo deposito di spiaggia a Cosina sono superiori alle suddette materie vul- caniche, formatesi quindi quando il mare raggiungeva l’altezza del paese di Capri e quando la Grotta delle Felci , stazione neolitica, in questi tempi già era abitata, come dimostrai nel- l’altra mia Nota, ma la sua altezza dal mare era quasi nulla a paragone di quella a cui oggi si trova. Non fu certo per poco tempo che il mare dovette battere allo stesso livello, come lo dimostra la profondità di alcune grotte; ma all’azione meccanica disgregante delle onde andò unita quella fisico-chimica dell’acqua di pioggia carica d’anidride carbonica. Ai quattro sollevamenti a cui l’isola è andata soggetta cor- rispondono quattro serie di caverne a differenti livelli. 1° Caverne prova del primo e più antico sollevamento : Grotta di stalattiti sul Monte San Michele ed altre piccole impraticabili. 2° Caverne dimostranti il secondo sollevamento : Grotta di Castiglione, Grotta dell’Arco, Grotta di Cocuzzo a Sud del Solavo. 3° Caverne del terzo innalzamento : Grotta di Fra Felice sotto la Certosa, Grotta di Matromania. 4° Caverne al livello del mare o quasi, prova dell’ultimo sollevamento ancora in azione : Grotta sotto il Salto di Tiberio, Grotta azzurra, Grotta dell1 arsenale, ecc. (1). (') Delle attuali grotte a livello del mare qualcuna non era dagli antichi conosciuta, come p. es., la tanto famosa Grotta azzurra. Dico non conosciuta perché nessun autore dell’epoca ne parla ; ma era vera- mente questa ignota o piuttosto lo splendido fenomeno allora non vi si produceva? Nell’interno della caverna esistono alcuni ruderi dell’epoca romana, dai quali si potrebbe dedurre che la grotta fosse servita per via d’accesso dal mare sino alla soprastante ed esterna villa augusto- tiberiana. I riflessi azzurri cominciarono ad apparire dopo l’epoca romana ed in seguito ad un abbassamento e conseguente restrizione dell’aper- tura d’entrata, causato da moti bradisismici. La grotta fu rintracciata nel secolo XVIII da un pittore tedesco. Qualche autore di questo segolo cita un’altra grotta, la Grotta oscura, che non si é potuta ritrovare. Ne leggo la prima notizia in una rarissima opera conservata nella libreria del dott. Cerio di Capri ; ha per titolo : I. Addison, Remarlcs on severaì parte of Jtahj, etc., in thè 46 574 R. BELLINI Un fatto importante ad esser notato è che le prime tre serei di grotte sono in una linea non parallela al livello del mare, ma inclinata nel senso delle stratificazioni vulcaniche ; ciò viene ancor meglio a confermare il sollevamento obliquo a cui l’isola per un certo tempo andò soggetta. Riferendomi a quanto più in alto ho detto, una prova im- portante dell’antica unione tra Capri e la vicina penisola è data anche dall’esistenza nella Bocca Biccola, dove lo scandaglio rag- giunge i 500 metri, di una sporgenza conica che si arresta a 70 o 75 metri sotto il livello dell’acqua. È situata presso Massalubrense e può ritenersi un residuo dell’antica comunica- zione (1). La separazione dell’ isola dalla prossima penisola certamente fu lenta e si compì in due o tre fasi. La prima grande frat- years 1701, 1702, 1703. London 1767. A pag. 154 vi si legge: « Intered one (si riferisce ad una grotta) which thè inhabitants cali Grotto Obscuro, and after thè light of sun was a little worn of my eges, could see all thè parts of it distinctly, by a glimmering reflexion that played upon them from thè sur face of thè tea ter. The mouth is loie and narrow The roof is vaulted, and distile fresh water from every part of it, which fell upon us as fast as thè first droppings of a shenver Noi far from this grotto lye thè Sirenum Scopoli, ecc. ». Quest’autore non cita la Grotta Azzurra. In conclusione il fatto importante di una grotta oggi ad apertura bassissima, ma una volta molto più alta da permettere comodo accesso alle interne costruzioni (Grotta azzurra), e di un’altra forse scomparsa sott’acqua (Grotta oscura), starebbe a provare che l’attuale ed ultimo sollevamento di Capri, di cui si vedono le traccie a 5 m. dal mare, é stato interrotto da un periodo di sommersione in coincidenza forse con le oscillazioni delle spiaggie flegree. (Q Nulla esclude che questa altura sottomarina abbia avuto origine da un vulcano, comparso contemporaneamente o poco dopo alla sepa- razione delle due masse. Il Walther ( I vulcani sottomarini del golfo di Napoli in Boll. R. Comit. Geol., Roma 1886, n. 9 e 10) ritiene residui di vulcani sottacquei le numerose secche del golfo di Napoli ; questo bacino sarebbe stato originato da due dislocazioni; appenninica, avvenuta alla line del cre- taceo, e tirrenica la seconda, prodottasi nell’oligocene o poco dopo. Que- ste dislocazioni avrebbero avuto per effetto delle rotture che si tagliano ad angolo retto in aree quadrangolari, ai cui vertici, punti di massima rottura, si sarebbero prodotti i vulcani. ANCORA SULLA GEOLOGIA DELL’ISOLA DI CAPRI 575 tura spezzò le due masse dal Solaro e di Castiglione e l’altra contemporaneamente la punta di Tiberio da quella della Cam- panella. Questo fatto dovette avvenire al chiudersi del creta- ceo e forse in conseguenza della dislocazione appenninica del Walther. Uno scoscendimento più intenso e quindi una più profonda separazione si ebbe dopo la deposizione dei sedimenti eocenici in seguito alla dislocazione tirrenica. Ho già accennato come questi depositi si trovino nella vailetta tra le due marine ricoperte da recenti formazioni e sotto il capo di Tiberio in se- guito alla sommersione della sottoposta base. Ma una certa unione tra Capri ed il continente dovette esi- stere sino al grande cataclisma glaciale, epoca in cui i vulcani flegrei erano nella loro intensa attività; da questo periodo la separazione continuò lenta e coincidette col terzo sollevamento dell’isola, quando questa, obliquamente innalzandosi, la parte verso Monte Solaro fu spinta molto più in alto del corrispon- dente lato orientale, che per necessario equilibrio dovette de- primersi determinando la completa separazione di Capri dal continente vicino. In conclusione sarebbe per la nostra isola successo un fatto analogo a quello che suppone il Ponzi avvenuto, anche ai tempi glaciali, tra l’Africa e la Spagna, tra la Calabria e la Sicilia, tra questa e l’Africa (*). Come nei citati casi la prova oltre che dalla geologia è data dalla zoologia, così anche in Capri notiamo, come già dissi, l’esistenza di alcune forme di molluschi, e credo anche di arac- nidi, che si trovano solamente ed esclusivamente nel vicino con- tinente, a simiglianza dei camaleonti e delle scimie di Gibil- terra che il mare separò dalla loro patria. Gli avanzi di Cervus dama nella località di Unghia marina e la costola di Ursus rinvenuta dal dott. Cerio nel conglome- rato di Matromania, sono prove preziose per confermare l’ac- cennata condizione di Capri in un’epoca da noi storicamente remota, ma geologicamente attuale, nella quale l’isola ridente} (>) Ponzi G., Cronaca subappennina od abbozzo d’un quadro generale del periodo glaciale. Atti dell’XI Congresso degli Scienziati Italiani in Roma, p. 305. 576 R. BEI. LINI l)en diversa dal presente nella sua configurazione e forse non ancora isola, era già abitata dall’uomo riparatosi nella Grotta delle Felci, allora battuta dalle onde, spettatore intelligente delle imponenti eruzioni flegree, che, modificando la tìsonomia della regione, formavano le colline di Napoli e stendevano i loro ma- teriali eruttati sui piani e nelle valli della Campania Felice. [ms. pres. 21 settembre 1902 - ult. bozze 18 dicembre 1902]. SOPRA ALCUNI TRONCHI SILICIZZATI DI OSCHIRI IN SARDEGNA Nota del dott. Luigi Pampaloni Nel primo fascicolo del volume ventunesimo della Società Geologica italiana io rendeva conto di alcune osservazioni da me fatte sopra i tronchi fossili dell’ Eocene delTImpruneta (prov. di Firenze), che ho riportato a due tipi ben differenti : Cupres- soxylon ed Alnus. Questi frammenti sono conservati nel Museo paleontologico di Firenze, in unione ad un’altra serie di fram- menti silicizzati provenienti da altre località italiane, e non ancora tutti determinati. I frammenti in questione furono raccolti in parte dal Prof. De Stefani, in parte dal prof. Adolfo Targioni Tozzetti ad Oschiri, in Sardegna, e precisamente nella regione denominata Signora Paula, nell’anno 1859. Sono di un colore cenerino chiaro e vari nelle loro forme; in nessuno apparisce manifesta la struttura legnosa, che però comparisce subito tagliando questi pezzi perpendicolarmente alla loro lunghezza. Si può dire che la silice si è completamente sostituita al legno, senza che la massa sia fortemente inquinata da venirne di calcite o di altro minerale. Dall’esame di varie sezioni ho potuto riportare questi fram- menti ad una sola specie di Conifera. Enumererò ora i caratteri resultanti dallo studio delle varie sezioni : Sezioni trasversali (Fig. 1). — Le cellule hanno pareti alquanto ispessite, e lume cellulare molto piccolo. La loro sezione è general- mente quadrangolare, qualche volta ovale o circolare, pochissime sono quelle che hanno subite deformazioni. Le zone annuali di accrescimento sono in cerchi concentrici abbastanza bene distinti, ed in ciascuna si distingue benissimo la differenziazione fra legno 578 L. PAMPA LONI di primavera a larghi fori, e legno di autunno a fori ristretti. In alcuni punti sono abbastanza bene visibili le punteggiature Fig. 1. areniate delle tracheidi, mentre che invece in nessuna sezione si scorgono traccie di canali resiniferi. I raggi midollari, costituiti da cellule minute, sono sottili ed assai numerosi, di modo che se ne contano fino a 20 per cm.2, e la distanza fra 1’ uno e 1’ altro è generalmente occupata da un numero di tracheidi che sopra una medesima linea variano da due a cinque. Inoltre le tracheidi non hanno tutte una mede- sima grossezza, ma generalmente sono più piccole in vicinanza dei raggi midollari, più larghe al centro. Per le più piccole la massima grandezza è di 4 jjl, per le più grandi di 18u. Sezioni radiali (fig. 2). — In queste si riscontrano tracheidi, talora provviste di punteggiature areolate, con aureole sempre ■ ! O i® © ;© © » 0) r o r ? I V rQl ©! i’ig 2. uniseriate e contigue a contorno esterno ed interno circolare od ellittico. Qualche volta queste tracheidi presentano nel loro interno SOPRA ALCUNI TRONCHI SILICIZZATI DI OSCHIR1 IN SARDEGNA 579 delle stilature clie in sezione appariscono situate obliquamente rispetto alla tracheide stessa. Questa stilatura si rende bene visibile con un ingrandimento molto forte (450 dm. circa), essendo le tracheidi assai piccole. Tale struttura è sempre manifesta anche là dove i raggi midollari vengono ad intersecarsi colle tracheidi, di modo che si ha una divisione del tessuto in tanti scompartimenti rettangolari, più o meno grandi a seconda della grossezza delle tracheidi e dei raggi midollari. Entro questi scompartimenti esistono dei pori generalmente in numero di uno o due per scompartimento, e numerose granulazioni giallastre dovute con grandissima probabilità ai residui di composti tannici, pure essi silicizzati. Sezioni tangenziali (Fig. 3). — I raggi midollari che in queste sezioni si scorgono benissimo sono costituiti da un’unica serie di cellule disposte verticalmente. Dai numerosi esami fatti ho potuto constatare che il numero di queste cellule non è mai inferiore a tre nè superiore a venti, con preferenza però di un numero che varia da quattro a dodici. Queste cellule hanno un contorno generalmente ellittico. Inoltre nelle tracheidi si distingue appena una debole striatura delle loro pareti. Ho voluto confrontare l’esame di queste sezioni con quello di altre sezioni di legni viventi di Conifere. Benché nel loro assieme le sezioni dei vari legni di Conifere siano molto simili fra di loro, pure ne differiscono per la presenza o l’assenza di certi caratteri, o la speciale disposizione di alcune parti del 580 L. PAMPA LONI tessuto. Così un carattere speciale è l’assenza di canali resi- niferi propri delle piante appartenenti ai generi Abies, La- rix, Cedrus in contrapposizione alla maggiore o minore abbon- danza. di cellule e canali resiniferi nei generi Taxus, Pimis, Araucaria, Cupressus, ecc. Lo stesso dicasi per la disposizione dei raggi midollari, che a seconda dei vari generi sono formati in larghezza di una sola fila o di più file di cellule. I tronchi fossili da me esaminati appartengono a quel tipo di Conifera che ne rappresenta l’organizzazione più semplice, vale a dire a quel tipo che in Paleobotanica racchiude in se i generi Abies, Larix, Cedrus, che è stato chiamato : Cedroxylon. Però io credo di poter giungere, per i legni fossili di Sarde- gna, dato il loro perfetto stato di conservazione, a dei resultati più completi. Infatti, constatato che per l’assenza di canali re- siniferi e per la disposizione speciale dei raggi midollari si potevano riferire al tipo Cedroxylon , ho voluto ancora confron- tarli colle sezioni dei generi viventi, raggruppati sotto questo tipo, e cioè a dire colle sezioni di fusti di Abies, Larix, Ce- drus, ed ho potuto convincermi che la somiglianza, sia per la grossezza delle cellule sia per la forma delle tracheidi è perfetta col genere Larix. Non esito quindi a credere che si tratti di un tronco fossile di Larix, tanto più che questa pianta è caratte- ristica del terreno miocenico, al quale appunto appartengono i tronchi testò descritti. Per quante ricerche abbia fatto, non ho potuto riferire questo Cedroxylon a delle forme fossili già conosciute; ne faccio perciò una specie nuova che denomino: Cedroxylon laricinum. Àncora altri materiali mi restano a studiare, che farò sog- getto di altre prossime note. Dal Laboratorio Botannico del R° Istituto di studi superiori di Firenze. [ms. pres. 6 ottobre 1902 - ult. bozze 81 dicembre 1902]. RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI tenute in Spezia nei giorni 7-10 settembre 1002 Nell’adunanza del 2 febbraio 1902 in Roma venne delibe- rato di tenere il XXI Congresso della Società Geologica Italiana nella città di Spezia. Con circolare del 1° agosto fu distribuito ai soci il programma delle escursioni e quello delle adunanze col seguente Ordine del (fiorito : Lettura per l’approvazione del verbale dell’adunanza del 2 febbraio. Comunicazioni della Presidenza. Nomina di nuovi soci. Discussione per l’approvazione dei bilanci consuntivi 1901 della Società e dell’amministrazione del Legato Molon. Proposta del tema al nuovo concorso Molon (da bandirsi pel triennio 1902-1904). Affari eventuali. Comunicazioni scientifiche. Elezioni alle cariche sociali: vice-presidente pel 1903; quat- tro consiglieri pel 1903-1905. Adunanza inaugurale del 7 settembre. Presidenza delVon. Senatore prof. G. Capellini. L’adunanza ha luogo alle ore 10 nella grande sala del Ca- sino Civico, gentilmente concessa, gaiamente adornata di piante e di bandiere : alle pareti sono dispiegate la grande carta geo- logica d’Europa e la carta geologica delle Alpi Apuane. IV XL1 V RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Sono presenti, oltre il presidente Capellini, il vice presi- dente Verri, i consiglieri Baldacci, Di Rovasenda, Di Stefano, Mariani Ernesto, Pantanelli, Pellati, Taramelli, il tesoriere Statuti, l’archivista Nevi ani, i soci Ambrosioni, Berti, Brugna- telli, Caffi, Capacci, Cerulli-Irelli, Cortese, Crema, Dainelli, Dal Lago, De Pretto, Glutini, Greco, Mattirolo, Niccoli, Pa- rona, Portis, Reichenbach, Rosselli, Sacco, Segrè, Seguenza, Tommasi, Tonini, Vinassa, Zezi ed il segretario Clerici. Assistono alla seduta il R. Commissario cav. Menzinger, S. E. De Nobili sottosegretario di stato per il Tesoro, gli am- miragli Frigerio e Coltelle™, il cav. Podestà rappresentante il sottoprefetto, Fon. avv. Fiamberti, il prof. Arzelà che rap- presenta la R. Università di Bologna, il prof. Corio del liceo di Spezia, i membri del Comitato d’onore per il ricevimento dei congressisti, molte signore e signorine e scelto pubblico. Il Segretario presenta lettere e telegrammi di scusa per l’assenza e di saluto ai colleglli dei soci: Bassani, Bruno, Cac- ciamali, Chigi Zondadari, Dal Piaz, Demarchi, Del Zanna, De Stefani, Fantappiè, Flores, Lotti, Mariani Mario, Meli, Moschetti, Platania, Serafini, Sormani, Spirek, Toldo, Tra- bucco. Si presentano pure telegrammi del comm. Garroni prefetto della provincia di Genova, dell’on. Bruschi, deputato provin- ciale, del prof. Ciamician della R. Università di Bologna. Il presidente Capellini pronuncia il seguente discorso: Allorché nella adunanza generale in Acqui nel 1900 venivo designato a presiedere una sesta volta il nostro Convegno estivo, non potevo immaginare che avrei avuto la fortuna di inaugu- rare un Congresso della Società Geologica Italiana in questa classica Regione che già fu detta la chiave della geologia toscana. Ma appena fu nota la mia nuova elezione, varie proposte furono fatte relative alla sede del Convegno estivo nel 1902, e mentre pendevamo incerti sulla opportunità della scelta il coni- TENUTE IN SPEZIA NEL SETTEMBRE 1902 XEV pianto Sindaco Cav. Avv. Beverini, con lettera nobilissima, evo- cando i gloriosi ricordi della seconda Riunione dei Naturalisti italiani e la fondazione del Congresso internazionale di Antro- pologia e di Archeologia preistoriche che qui pure sotto la mia presidenza ebbero luogo nel settembre del 1865, rendendosi inter- prete dei sentimenti della mia diletta città natale, cortesemente ci proponeva di eleggere la Spezia per sede di questo nostro XXI Congresso. Il grazioso invito, che preveniva il vivo desiderio della mag- gioranza dei colleglli, fu accolto per acclamazione nella adu- nanza generale del 2 febbraio in Roma e con sentiti ringrazia- menti la lieta notizia fu subito telegrafata all’ottimo Sindaco che, già colpito da morbo inesorabile, del nostro voto si ralle- grava, delegando il Consigliere Cadetti a rispondere in vece sua. In pochi giorni il cavaliere Beverini rapito all’affetto della intera città, lasciava vivo desiderio di se in quanti lo conobbero e imperituro ricordo delle molte sue benemerenze; nè io dimen- ticherò mai che per la squisita gentilezza del compianto concit- tadino oggi mi è dato di trovarmi con voi, colleglli dilettissimi, per fare insieme escursioni nei dintorni di questo Golfo incan- tevole. E poiché anzitutto ho dovuto ricordare la dolorosa gravis- sima perdita subita dalla città che cortesemente ci ospita, per non tornare tra poco a tristi note dirò subito che, dopo la nostra ultima adunanza iemale, abbiamo altresì da lamentare la per- dita del Socio Ing. Aroldo Schneider, figlio di quello Augusto Schneider che, nel principio del passato secolo, chiamato da Freiberg per dirigere i lavori della celebre miniera di rame di Montecatini in Val di Cecina, riattivò altresì la miniera di lignite di Caniparola già più volte abbandonata, e ne ebbe pure la dire- zione dal 1826 fino al 1835. Aroldo Schneider morì sulla breccia, poiché nella visita di una miniera di rame presso Pomarauce contrasse una bronco-pneumonite che in soli quattro giorni lo trasse al sepolcro. Altra perdita dolorosissima e inaspettata è quella del bravo e buono Dott. Carlo Riva, assistente di Mineralogia e libero Docente di Petrografia nella R. Università di Pavia. XI.VI RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Carlo Riva, vittima dell’Alpinismo per una valanga clic lo travolse insieme eoi giovane compagno nobile Prinetti, appena trentenne già si era acquistato fama per lavori molto interes- santi : amato da tutti, la sua perdita immatura fu rimpianta da quanti lo conobbero in Italia e all’Estero; lo ricordano i col- leglli del Congresso internazionale di Pietroburgo che presero parte alla grande escursione in Siberia e da parecchi di essi giunsero sincere sentite condoglianze. Alla cara memoria del cavaliere Beverini e degli amati colleglli Sclineider e Riva che furono tra i primi a desiderare di ritrovarci qui in Spezia voli in questo giorno solenne un nostro pensiero mesto e affettuoso. 11 cavaliere Menzinger clic Sottoprefetto a Salò or fa un anno salutava i geologi del Congresso di Brescia, oggi R. Com- missario pel Municipio di Spezia siede tra noi come Presidente del Comitato d’onore. Mirabilmente secondato da egregi citta- dini animati da nobilissimi sentimenti di tradizionale ospitalità e cortesia, il gentile Cavaliere lui premurosamente e con ogni maggior cura disposto perchè il nostro programma si possa svol- gere senza difficoltà; rendendo anche possibile, per tutti indi- stintamente, di approfittare senza disagio della interessantissima escursione che faremo domattina a Monte Parodi. A tutti, in nome di tutti, fin da questo momento grazie sincerissime. Per gentile concessione di S. E. il Vice Ammiraglio Frigerio, Comandante il 1° Dipartimento marittimo, oggi stesso potremo ammirare la fragile nave che il nostro primo Socio onorario S. A. R. il Duca degli Abruzzi, rinnovando le tradizioni di Co- lombo e di Marco Polo, spingeva arditamente tra i ghiacci {io- lari per piantare il vessillo italiano in latitudini da nessuno prima raggiunte. Al valoroso collega che probabilmente avrebbe onorato di sua Augusta presenza questo nostro convegno se per adempimento di dovere non avesse dovuto salpare da questo golfo già da più giorni, vi invito a mandare reverente affet- tuoso saluto, bene augurando per nuove gloriose imprese a incre- mento della scienza e per la grandezza della patria. A Sua Eccellenza il Ministro per l’Agricoltura, l’Industria ed il Commercio dal quale dipendono l’Ufficio ed il Comitato por la Carta geologica d’Italia in grande scala, rivolsi parti- TENUTE IN SPEZIA NEL SETTEMBRE 1902 XLVII colare invito ]»er assistere a questa nostra Riunione. Sua Eccel- lenza trattenuto da impegni precedenti, mi ha espresso il vivo suo rincrescimento di non potere accondiscendere al nostro desi- derio ed ha inviato caldi voti e vivissimi ringraziamenti. Il Ministro della Marina, i! Municipio della nobile città di Carrara, il Cavaliere Carlo Andrea Fabbricotti, il Marchese Gia- como Gropallo e il Direttore della Fonderia di piombo argen- tifero a Pertusola avendo cortesemente accolte le domande della presidenza per accrescere importanza alle nostre escursioni e per agevolarle in ogni maniera, meritano di essere segnalati alla gratitudine di quanti hanno a cuore l’incremento dei nostri studi; sicché rendendomi interprete dei sentimenti della intera Società geologica a tutti porgo le più sincere espressioni della imperitura nostra riconoscenza. Il volume degli Indici del Bollettino che vi sarà distribuito attesta eloquentemente quale sia stata l’attività della Società nostra nel suo primo ventennio di vita. Anche in quest’anno si contano oltre a 50 pubblicazioni quasi tutte relative alla geologia della nostra penisola e la operosità di alcuni nostri Soci si manifestò anche in non facili esplorazioni nel Venezuela nell’Arcipelago greco, nel Montenegro e Albania, e nella Tripo- litania. La Carta geologica di Europa della quale a Fabriano nel 1883 vi presentavo la topografìa corretta del celebre geografo Kiepert, spero che potrà essere quasi ultimata per il Congresso internazionale che avrà luogo a Vienna nell’agosto del venturo anno. Frattanto, con gentile annuenza del mio caro collega del Comitato geologico il Comm. Nicolò Pellati, ho pensato di presen- tarvi i fogli ultimati perchè vi rendiate conto della felice riu- scita dell’immane lavoro. Dopo ciò, riservandomi di fare ancora appello alla vostra cortese attenzione per parlarvi delle ricerche c osservazioni di Spallanzani a Porto Venere e nei dintorni di Spezia verso la fine del secolo decimottavo, dichiaro inaugu- rata la XXI adunanza generale estiva della Società Geologica Italiana. Applausi. XLvm RESOCONTO DEUUE ADUNANZE GENERACI Il R. Commissario, sottoprefetto cav. Menzingen prende la parola e elice: Illustre Presidente, illustri geologi, gentili Signore, Autorità e Cittadini qui convenuti, oggi più che mai sento alto l’onore di rappresentare questa nobilissima città; e da questo sentimento, che è sentimento di dovere, traggo forza per vincere la natu- rale esitazione, che provo nel prendere la parola dinanzi a così elevato e solenne uditorio. La città della Spezia venera tra’ ricordi suoi più cari la la- pide apposta sulla facciata di questo Palazzo Civico, che Le rammenta la Riunione de’ naturalisti italiani del 1865, tenuta in questa stessa sala, Presidente lo stesso Presidente d’oggi, rap- presentante il Municipio, per strana coincidenza, un altro Regio Commissario, nella quale adunanza sorse qui ed assunse forma concreta l’idea grandiosa del Congresso internazionale di Antro- pologia e di Archeologia preistoriche. Molto cammino nel campo indefinito della scienza hanno fatto gli studi sulla più remota antichità dell’uomo promossi dal Congresso internazionale qui fondato e che ebbe per l’Italia a sua sede luminosa Bologna la dotta; e molto cammino ha fatto la città della Spezia nel campo altrettanto indefinito del pro- gresso sociale ed economico, che quelli fra Voi che furono all’a- dunanza del 1865 più non riconoscerebbero la città di quel tempo, tanta e così meravigliosa è stata la forza di espansione, più unica che rara, di questa laboriosa popolazione, la quale più che triplicata in men di 30 anni, ha così forte alito di giovi- nezza e di vitalità da guardare secura il suo avvenire. Quelli però tra Voi che furono al Congresso del 1865 non durerebbero fatica a costatare come esista perenne, carissimo e centuplicato il glorioso ricordo dell’onore allora toccato a questa città; e di ciò è causa anche un legittimo orgoglio cittadino della Spezia, che ha seguito con alletto filiale il cammino glo- rioso di un suo figlio diletto: di Giovanni Capellini che giova- nissimo presiedette il memorando Congresso, che raccolse col senno suo e con l’operosità larga messe d’onori in Italia ed all’estero: che fu Presidente del grande Congresso internazionale di Bologna: che fu sei volte Presidente della Società Geologica Italiana la quale gli decretò l’onoranza somma di inscriverlo TENUTE IN SPEZIA NEL SETTEMBRE 1902 xux socio perpetuo, e che oggi, sempre giovane di mente e di cuore, siede commosso al seggio presidenziale di questa adunanza scien- tifica di cui nuovamente si compiace ed onora la Spezia. Il compianto Sindaco Giulio Beverini, al cui ricordo un fre- mito di dolorosa commozione invade sempre gli animi di tutti i cittadini della Spezia e scuote altrettanto dolorosamente me che da tre mesi vivo intensa la vita di questa città, si rese degno e securo interprete di questa cittadinanza, rivolgendo con una nobilissima lettera viva preghiera a Voi, di fissare la Spezia a sede della riunione generale estiva di quest’anno. Scriveva il Sindaco: « Qualora la città della Spezia sia proclamata sede dell’adu- » nanza, estiva si adoprerà con gioia e con slancio per facili- » tare in ogni modo gli studi degli illustri congressisti e le loro » escursioni in questa classica regione, che ha già fornito messe » copiosa per importanti lavori in ogni ramo della storia natu- » rale e principalmente per la Geologia e per la Paleontologia ». Il voto fu appagato ; ma non è più colui che così nobilmente lo espresse, nè, per fatalità di cose, lo sostituisce altri che oggi sia naturale rappresentante della città. Tocca quindi a me di porgervi il ringraziamento della Spezia, che per vostra cortesia vede oggi appagata una sua aspirazione; e conscio della mia insufficienza ad offrirvi quella larga ospi- talità clic è vanto degli Spezzini, mi conforta il pensiero di sen- tirmi validamente appoggiato da un Comitato d’onore d’egregi cittadini e meglio ancora il fatto di vedervi radunati sotto la presidenza di un illustre Spezzino, di cui è ben noto l’affetto per la sua città natale. Scienziati illustri qui accorsi da tutte le regioni dell’Italia nostra, io vi rivolgo il saluto riverente ed affettuoso della città che rappresento e che è orgogliosa di ospitarvi : invio a mezzo vostro un saluto alle città d’onde venite e nelle quali prestate l’opera vostra proficua a prò della scienza, e meglio ancora della scienza applicata all’industria alla quale sono rivolte le mag- giori speranze dell’Italia; ed un saluto speciale voglio rivolgere alla « Leonessa d’Italia », alla forte e patriottica Brescia, alla città che fu sede del vostro ultimo Congresso, la quale oggi stesso festeggia il centenario del suo glorioso Ateneo con il Con- L RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI gresso delle Società di Fisica e di Sismologia, alla patria, del grande statista italiano, alla patria di Giuseppe Zanardelli, il quale forse a quest’ora stessa affascina con la sua presenza e con la sua parola eloquente i vostri colleglli scienziati ivi riu- niti a congresso. A Lui, gloria del nostro Paese, cui ricorre sempre il pen- siero riconoscente del cittadino italiano amante della libertà : a Lui. cui per analogia di solennità corre oggi specialmente il pensiero nostro, il mio saluto affettuoso e riverente, e bene augu- rante per la grandezza d’Italia. Applausi vivissimi. Il Segretario legge le proposte di nuovi soci : Ing. Federigo Ammann ad Abbadia S. Salvatore (Siena), proposto dai soci Capellini e Capacci. Prof. cav. Cesare Arzelà a Bologna, proposto dai soci Ca- pellini e Vinassa. Ing. Adolfo Ciampi a Castelnuovo Yaldarno (Arezzo), pro- posto dai soci Dai nel li e Vinassa. Prof. Francesco Corio a Spezia, proposto dai soci Capellini e Vinassa. , Eliotipia Calzolari e Ferrario a Milano, proposta dai soci Airaghi e Mariani Ernesto. Dott. Aristide Rosati a Roma, proposto dai soci Clerici e Statuti. Prof. Paolo Taglierini a Palermo, proposto dai soci Di Ste- fano e Crema. Ing. Carlo Viola a Roma, proposto dai soci Capellini e Clerici. L’assemblea approva ad unanimità. Quindi si approva l’invio del seguente telegramma: Bonardi — Presidente Ateneo, Brescia. Società Geologica Italiana memore cortesi accoglienze forte Brescia bene augurando saluta Ateneo festeggiatile primo centenario. Presidente Capellini. TENUTE IN SPEZIA NEL SETTEMBRE 1902 LI Il Segretario Clerici dice: rammenterete, egregi colleghi, che nell’adunanza di Taormina il senatore Capellini e il comm. Giordano come fondatori della Società insieme con Q. Sella, vennero proclamati soci perpetui; orbene, si è pensato che al prof. Capellini nostro amatissimo presidente oggi potrebbe far piacere di avere un ricordo di tale nomina ed io ho l’onore di presentargli a nome dei colleghi una apposita pergamena. Vive acclamazioni al Presidente. L’archivista Neviani presenta alcune copie dei Prospetti ed indici retativi ai voi. I-XX (1882-1001) del Bollettino, per farne omaggio alle Autorità e ne legge la seguente applaudita prefazione : « Nel 1894 si pubblicava dalla nostra Società, per opera dei consoci Sacco P. e De Amieis G. A., l’indice dei primi dieci volumi che vanno dal 1882 al 1891. Si presentava ora naturale la necessità di pubblicare l’ indice relativo al secondo decennio. Se non che si pensò se non era il caso di dare a questo nuovo indice una maggiore estensione e di aggiungere una serie di tabelle che presentassero a colpo d’occhio i dati relativi all’Uf- ficio di Presidenza, al movimento dei Soci, all’amministrazione della Società e del legato Molon; di compilare gli indici delle varie adunanze tenute dalla Società, delle necrologie, delle prin- cipali bibliografie, ed anche di tutti i nuovi generi e nuove specie fossili pubblicate nei venti anni. Giunti a tal punto, la Presidenza credè suo dovere di dare al fascicolo un assetto completo e non esitò di deliberare la fusione in uno solo, degli indici relativi alle memorie dei due decenni, e corredarlo, a complemento di quanto già scrisse il con- socio prof. Pantanelli, per la storia della Società (voi. XIX, 1900, pag. cxl), di un facsimile del foglio sul quale posero le firme Coloro che, a Bologna il 29 settembre 1881, si riunirono per costituire la Società Geologica Italiana, ed un altro dell’auto- grafo di Q. Sella che, incaricato dai presenti a quell’adunanza, nominò per il primo anno la Presidenza ed il Consiglio diret- tivo. A perpetuare poi la memoria di Chi più meritò della nostra Società, si arricchì il fascicolo di una tavola colla effigie dei MI RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI defunti Q. Sella e F. Giordano, due dei tre fondatori; di G. Me- neghini che fu il primo Presidente; di Fr. Molon che fu nostro Consigliere e con grande liberalità legò un cospicuo capitale per la istituzione di premi ; e del vivente G. Capellini, l’ insigne geologo, terzo dei fondatori della Società, nostro ben amato Presidente e Socio perpetuo, cui auguriamo di presiedere ancora l’assemblea che solennizzerà il cinquantesimo anniversario del nostro sodalizio. Frattanto la Società, aliena sempre da infeconde lotte che ne turbino la sua unione, possa avere continuamente maggiore sviluppo, assurgere a più alte cime, abbracciare più vasti oriz- zonti, e tenendo alto il concetto dei nostri prediletti studi ed il nome della nostra amata Patria, porsi degnamente a fianco delle maggiori Società geologiche del mondo ». Il prof. Arzelà prende la parola e dice: « Io ringrazio dell’onore reso al prof. Capellini, giacche di ogni onoranza resa a lui, si illustra la facoltà di scienze di Bo- logna, che io qui rappresento e alla quale, da oltre quarantanni, egli ha dato la sua mirabile attività di scienziato e di inse- gnante. Dirò di più: se ne illustra la stessa Università nella quale egli ha pur tenuto più volte l’ufficio di Rettore. E mi si conceda di ricordare che, come Rettore, egli, tra altro, legò il suo nome a quelle indimenticabili feste dell’ottavo centenario, alle quali, per onorare la gran madre degli studi e l’Italia insieme, si dette convegno tutto il mondo civile. Per virtù di lui, quelle feste non rimasero uno sterile omaggio, ma furono occasione a porre la prima base a quell’opera di amplia- mento e completamento dell’Università che, proseguita poi dai suoi successori, ebbe, per l’avveduta perseveranza dell’attuale Rettore, prof. Puntoni, pieno, o quasi pieno coronamento, in questi ultimi anni. Noi dunque di Bologna non vediamo in Capellini solamente lo scienziato illustre, il professore insigne, ma ricordiamo ancora l’antico e previggente Rettore. E quindi naturale che delle onoranze rese a lui altamente ci compiacciamo. E sicuramente non se ne compiacciono meno TENUTE IN SPEZIA NEL SETTEMBRE 1902 LUI i suoi concittadini i quali ricordano le non liete condizioni di fortuna, in cui egli, giovinetto, iniziava le sue ricerche in questi meravigliosi dintorni di Spezia: e associando ora la rievocata immagine di quel modesto studente alla presente figura dello scienziato di fama mondiale, del Senatore del Regno, debbono pur ammirare nella vita di lui un nobilissimo esempio di quello che l’ingegno accompagnato da una forte e costante volontà può dare ad un uomo. Mi si conceda in fine di esprimere la squisita soddisfazione che mi dà il vedere a questo convegno di uomini di scienze, insieme a tanto fiore di gentilezza cittadina, una così cospicua rappresentanza del Parlamento nazionale, dell’esercito e dell’ar- mata. Qui, da noi, il cedant arma togae non ha significato: le armi e le toghe sono fraternamente unite in quell’ideale altis- simo, che ha condotto tra i ghiacci del polo un Principe Sa- baudo: l’ideale di far grande la Patria Italiana». Il presidente Capellini legge un applaudito discorso sulle ricerche ed osservazioni di Lazzaro Spallanzani a Porto Venere e nei dintorni di Spezia (*). La seduta ò tolta ad ore 11.30. Il Segretario Enrico Clerici. * ❖ ❖ Dopo la seduta inaugurale viene offerto ai congressisti un lunch a cura del Municipio di Spezia. Frattanto il presidente Capellini distribuisce la sua Carta geologica dei dintorni del golfo di Spezia e di Val di Magna inferiore , nonché altre sue pregevoli pubblicazioni. La Società Gerolamo Guidoni per la diffusione e l’incre- mento degli studi naturali offre in omaggio un opusculo inti- tolato: Una nota inedita di Gerolamo Guidoni sulla Lavina di Corniglia (Spezia, tip. eredi Argiroffo, 1902). C) Pubblicato per intero con allegati in Appendice a pag. lxxv. L1V RESOCONTO DELI, E ADUNANZE GENERALI Alle ore 14.30 i congressisti si riuniscono al K. Arsenale dove, guidati dai tenenti di vascello Casabona e Pittoni e dal capitano macchinista Arata, procedono alla visita dei grandi bacini e della regia nave « Stella Polare ». Durante la visita ai bacini il prof. Capellini fornì ampie spiegazioni su quanto riguarda gli antichi contini del golfo di Spezia, dedotti dapprima sui materiali ottenuti colle trivellazioni, poscia confermati con quanto è venuto in luce durante le esca- vazioni. Con un fremito di commozione si pose piede sulla « Stella Polare » che si visitò minutamente dalle anguste cabine alla stiva ove sono tuttora visibili le deformazioni prodotte dalla immane pressione dei ghiacci. Ed in quella fragile nave, il cui nome è ormai caro agli italiani, il pensiero corse rapido dai disagi e pericoli delle lontane regioni polari al Principe valo- roso ed ai suoi degni compagni, eroi di una spedizione che è gloria nazionale. Dall’Arsenale si passò a visitare il Museo civico accolti dal direttore sig. Mazzini, ed ove venne offerto un rinfresco. Richia- marono in particolar modo l’attenzione dei congressisti la col- lezione ornitologica, i resti di balenottera rinvenuti negli scavi dell’Arsenale, i materiali provenienti dalla caverna presso Pegaz- zano (M. Parodi) con resti di Ursus spelncus, dalla grotta presso Santa Teresa, con resti di Hippopoiamus ampli ibi un , illustrate dal prof. Capellini e quelli abbondanti della grotta dei Colombi (Palmaria) esplorata da Capellini, Regalia, Carazzi, Mazzini. 1 soci sono poi invitati ad un sontuoso banchetto offerto dal Municipio, che ha luogo alle ore 19 nello splendido salone del- l’ Hotel Croce di Malta, al quale prendono parte anche le auto- rità civili e militari. Applauditi brindisi inneggianti alla scienza ed alla patria furono pronunciati dai prof. Capellini e Tara- nielli, dal R. commissario cav. Menzinger e dall’ammiraglio Eri- gono. Gentilmente invitati dalla Direzione della Società Canottieri Velocior, molti soci assistettero alla distribuzione dei premi e TRNUTE IN SPEZIA NEL SETTEMBRE 19.12 LV ad un trattenimento in onore dei vincitori delle regate, dato nella sede della detta Società. Seduta del 9 settembre. L’adunanza ha luogo nella sala del Casino civico, e la se- duta è aperta alle 1B.30'. Sono presenti: il presidente Capellini, il vice-presidente Verri, i consiglieri Di Rovasenda, Di Stefano, Mariani Ernesto, Pan- tanelli, Taramelli, il tesoriere Statuti, l’archivista Neviani, i soci Berti, Brugnatelli, Caffi, Capacci, Corto, Crema, Dai- nelli, Dal Lago, De Pretto, De Stefani, Gtattini, Greco, Mattirolo, Niccoli, Parona, Portis, Rosselli, Sacco, Salmoi- raghi, Segrè, Seguenza, Tommasi, Yinassa, Zamara, Zezi ed il segretario Clerici. Il presidente Capellini domanda se nessuno abbia da fare osservazioni sul verbale dell’adunanza del 2 febbraio 1902 pub- blicato nel 1° fase, del voi. XXI del Bollettino; non essendovi osservazioni, si dà per letto e si intende approvato. Il Segretario presenta e legge una lettera dell’ing. Y. Sa- batini, indirizzata alla presidenza e tendente a fare inserire nel Bollettino una rettifica relativa alla comunicazione del vice- presidente Verri pubblicata in appendice al verbale della seduta invernale di quest’anno. L’archivista Neviani osserva che l’ing. Sabatini non è socio e perciò la lettera, per l’articolo 1° del regolamento per le pub- blicazioni, non può essere pubblicata nel Bollettino. Il Segretario vorrebbe essere assicurato che la pubblica- zione della lettera di cui ha dato lettura non possa venire im- posta in base alla legge sulla stampa. Il presidente Capellini ritiene che non sia il caso. Il vice-presidente Verri osserva che siccome la lettera è stata letta egli, avendo qualche appunto da farvi, crede neces- saria la pubblicazione della lettera. Il socio Portis propone che la lettera sia pubblicata inte- gralmente nella risposta del socio Verri. MI RESOCONTO DELI. E ADUNANZE GENERALI L’archivista Neviani insiste nella sua opposizione e dice che la sua proposta di non pubblicare la lettera a se nel Bollettino deve avere la precedenza su qualunque altra. Il Presidente pone ai voti la proposta Neviani la quale è approvata. Quindi il Presidente propone che la lettera sia rimessa al Verri perchè eventualmente la inserisca nella sua risposta nel modo che crederà opportuno. L’assemblea approva. 11 Segretario legge la seguente relazione del consigliere Baldacci il quale era stato incaricato di rappresentare il presi- dente della Società nell’adunanza del Comitato permanente dei Congressi geografici italiani. Illiìio Sig. Presidente della Società Geologica italiana - Poma. Secondo l’ incarico ricevuto ho rappresentata la S. V. Illilia, (piale delegato della nostra Società geologica, all’adunanza del Comitato per- manente dei Congressi geografici, tenutasi in Roma nei locali della Società geografica il 2 aprile 1902, sotto la Presidenza del prof. comm. Dalla V edova. Erano presenti, oltre al Presidente ed allo scrivente i Signori Cora prof. comm. Guido, De Negri comm. Carlo. Marchi prof. Sallustio, Mari- nelli prof. Olinto, Massari comandante A. M., Murari Bra tenente colon- nello Vittorio, Palazzo prof. Luigi, Bicchieri prof. Giuseppe, Vinciguerra professor Decio. Fu deferita al Presidente la nomina delle persone destinate alla costi- tuzione dell'ufficio di presidenza, cioè di un vice-presidente e di due segretari. Vennero poi esaminati diversi voti formulati nel IV Congresso Geo- grafico a Milano; fra questi, i voti riguardanti la Società Geografica erano già stati presentati al relativo Consiglio e da quello discussi; quelli diretti al Ministero della Pubblica Istruzione erano stati presen- tati al Ministro dal Presidente stesso. Oltre a vaine cose di minore importanza fu poi deliberato: 1° di nominare una Commissione incaricata di studiare le norme Statutarie e Regolamenti dei Congressi e proporre eventuali riforme, secondo il deliberato del Congresso di Milano. La nomina della Com- missione fu deferita al Presidente; 2° richiamare l’attenzione del Ministero della Pubblica Istruzione sulla opportunità di istituire insegnamenti speciali di Storia e Geografia nel Ginnasio; TENUTE IN SPEZIA NEL SETTEMBRE 1002 LVl 1 3° presentare al Consiglio della Società Geografica i voti 1° e 2° della Sezione Storica. Per la raccolta dei dati toponomastici contenuti nelle schede dell'ul- timo censimento, il comm. De Negri informò che il Ministero di Agri- coltura aveva disposto affinché le buste del censimento fossero conse- gnate alla R. Accademia dei Lincei e fornì altre utili informazioni suU’argomento, presentando anche una pratica proposta. Dei rimanenti voti alcuni furono riconosciuti come troppo generici, altri verranno partecipati a chi di ragione per cura della Presidenza. La prossima adunanza del Comitato avrà luogo non prima del ven- turo autunno. Con profondo ossequio Roma, 2 maggio 1902. Devino L. Baldacci. Il Segretario legge l’elenco degli omaggi pervenuti alla Società del 2 febbraio 1902. A Giovanni Omboni nel cinquantesimo anno dalla laurea. Padova, 29 mag- gio 1902, 4°. Padova, 1902. Alpi Giulie: Rassegna bimestrale della Società Alpina delle Giulie, 4°. Trieste 1902, anno VII, n. 1 a 4. Associazione mineraria sarda: Resoconti delle riunioni , 8°. Iglesias, 1902, Boegan E.: Le grotte dell’ Altipiano di S. Servolo (Istria), 8°. Trieste 1901. — La grotta di Corniole, 8°. Trieste, 1897. Bombicci L. : Alcune obbiezioni circa i supposti cristalli liquidi ed i pre- tesi cristalli viventi, 4°. Bologna, 1901. — Di un sensibile aumento di volume itegli aghetti di Rutilo (Sagenite) di/fusi nei limpidi cristalli di Quarzo, 4°. Bologna, 1991. — Sui probabili modi di formazione dei cristalli di granato, 4°. Bolo- gna, 1902. Capellini G.: Note esplicative della Carta Geologica dei dintorni del Golfo di Spezia e Val di Magra inferiore, 2a edizione 1881, 8°. Ro- ma, 1902. Checchi a G. : Nuove ricerche paietnologiche nella Capitanata, 8°. Par- ma, 1902. — Osservazioni sull’apparecchio apicale di alcuni echinidi appartenenti alla famiglia degli spatangidae, 8°. Ascoli Piceno, 1902. LVIIl RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Féeal G.: Observations Météorologiques sur les pluies géne'rales et les Tempétes , 8°. Albi, 1897. First report of thè Geological Survev of Natal and Zululand, 4°. Pie- termaritzburg, 1901. Giattini G. B.: Fossili del Lovcen nel Montenegro , 8°. Bologna, 1902. Gortani M. : Nuovi fossili raibliani della Carnia , 8°. Bologna, 1902. Inaugurazione del Monumento al prof. G. Meneghini nel campo santo urbano di Pisa, dieci anni dopo la sua morte. — Relazione del Se- gretario del Comitato. — Prima lesione del prof. G. Meneghini nel- l'università di Pisa ( Febbraio 1849), 8°. Pisa, 1902. Journal of thè College of Science, imperial University of Tokyo, Japan, voi. XVI, art. 1, 2, 6, 8°. Tokyo, 1902. Journal of thè geological Society of Tokyo, 8°. Tokyo, 1902. Kahlbaum G. W. A. : Namenverzeichniss und Sachregister der Bande G bis 12, 1875-1900 der Verandlungen der Naturforschenden Geliseli, in Basel, 8°. Base!, 1901. Kokex E. : JDie deutsche geologische Gesellschaft in den Jahren 1848-1898 rnit einem Lebensalniss von Ernst Beyrich, 8°. Berlin, 1901. Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio; (Terrone E.) Carta idrografica d’ Italia - Arno, Valdichiana e Serchio, 8°. Roma, 1902. Naturforschbnde Gesellschaft in Basel, Verhandlungen, Bd. XIII, Heft. 2, 8°. Basel, 1901. Newton R. B. and Holland R.: On some fossils from thè Islands of Formosa and Riu-Kiu (= Loo-Chou), Tokyo, 1902. Omroni G.: Appendice alla nota sui denti di Lophiodon del Polca, 8°. Pa- dova, 1902. Sequenza L. : Sulla priorità di alcuni studi di G. Seguenza, 8°. Bolo- gna, 1902. Società Zoologica Italiana: Sulle condizioni della Società durante il 1901, con cenni sull'opera compita nel primo decennio. Relazione del pre- sidente effettivo, comm. prof. Antonio Carruccio, 8°. Roma, 1902. Stella A. : Il Montello descrizione geognostico -agraria (Meni, descr. d. carta geol. d’Italia), 8°. Roma, 1902. Vi nassa de Regny P. : Note geologiche sulla Tripolitania, 8°. Bolo- gna, 1902. Vinassa de Regny P.: Paleontologia, 16°. Milano, 1902. (Dono dell'Edi- to re Hoepli). Il tesoriere Statuti presenta i bilanci consuntivi della So- cietà c del legato Molon pel 1901 c deposita sul tavolo della TENUTE IN SPEZIA NEL SETTEMBRE ì 902 UIX presidenza il pacco dei documenti giustificativi, a disposizione dei soci che desiderassero esaminarli. Bilancio consuntivo delPanno 1901. Attivo. 1. Tasse d’ammissione e quote annue . 2. Interessi rendita e depositi . . . 3. Vendita di bollet- tini 4. Partite di giro Totale entrate del 1901 Cassa al 1° gen- naio 1901. . . Attivo. Cassa al 1° gennaio 1901 . . . . Interessi diversi . . L. 3 690 — Passivo. 1. Stampa del Vo- lume XX . . L. 3 094,40 » 1 057,22 2. Spese per tavole e altre illustra- zioni .... » 428,80 » 230 — 3. Spese dell’ ufficio di presidenza . » 30 — » 541,60 4. Spese della segre- teria ed econo- mato .... » 288,56 5. Spese di cancel- leria e circolari » 99,65 6. Tassa di mano- morta. ...» 33,28 7. Rimborso spese viaggi al Se- gretario ed al- l’ Economo . . » 130,40 8. Compensi al per- sonale ...» 105 — 9. Spese diverse e- ventuali ...» 80,61 10. Partite di giro . » 541,60 L. 5 518,82 Totale spese del 1901 . . . . L. 4 832,30 » 5 327,62 Residuo attivo al 31 dicem. 1901. » 6 014,14 L. 10 846,44 Totale . . . L. 10 846,44 astrazione del leg.ato Molon. Passivo. Tassa di manomorta. L. 32 — L. 1 702,77 Premi conferiti. . . » 1800- » 680 — Cassa al 31 dicembre 1901 .... » 550,77 L. 2 382,77 Totale ... IL. 2 382,77 Il Tesoriere Augusto Statuti v LX RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Il Segretario legge la seguente relazione della Commissione del Bilancio. La Commissione del bilancio, avendo esaminato il bilancio consun- tivo del 1901, ne ha riconosciuto la perfetta corrispondenza con i do- cumenti che lo corredano, e non può che elogiare nel miglior modo l'an- damento amministrativo della Società. Roma, 24 luglio 1901. Dott. Romolo Ragnini. Ing. Giovanni Aichino. Dott. Mario Cermenatl Dopo ciò, senza discussione e con distinte votazioni, ambedue i bilanci vengono approvati all’unanimità. Il Segretario legge l’elenco delle memorie e note presen- tate per la stampa nel Bollettino dopo il 2 febbraio: Portis A., Di un dente anomalo d’elefante fossile e della pre- senza delV Elcphas primigenius in Italia (12 febbraio 1902). De Stefano Giuseppe, Cheloniani fossili cenozoici (19 febbraio 1902). Cacciamali G. B. , Bradisismi e terremoti della regione Bena- cense (8 marzo 1902). Clerici E., Una conifera fossile dell’ Imolese (1° aprile 1902). Mercalli G., Sul modo di formazione di una cupola lavica vesuviana (7 aprile 1902). Mariani Mario, Osservazioni geologiche sui dintorni di Came- rino (15 aprile 1902). Dainelli G., A proposito di un recente lavoro del dott. Paul Oppenheim sopra alcune faune eoceniche di Dalmazia (18 aprile 1902). Salmoiraghi F., Il pozzo detto glaciale di Tavernola Berga- masca sul lago d’ Iseo (6 maggio 1902). Neviani A., Briozoi ctenostomi fossili (7 maggio 1902). Martelli A., Il devoniano supcriore dello Schensi (Cina) (11 maggio 1902). Tommasi A., Due nuovi Dinarites nel trias inferiore della Val del Dezzo (21 maggio 1902). TENUTA IN SPEZIA NEL SETTEMBRE 1902 LXl De Peanchis P., Molluschi della creta media del Leccese (28 mag- gio 1902). Lotti B. , Conclusione sulla polemica geologica Trabucco- Lotti (1° giugno 1902). Airaghi C., Echinofauna oligomiocenica della conca Benacense (17 giugno 1902). Neviani A., Bhyncopora incurvata n. sp. (27 luglio 1902). De Stefano Giuseppe, Un nuovo chelonide della famiglia Trio- nychidae appartenente alVeocene francese (1 agosto 1902). Neviani A., I Briozoi pliocenici e miocenici di Pianosa raccolti dal prof . V. Simonelli e studiati dal doti. G. Gioii (6 ago- sto 1902). Levi G., Fauna del lias inferiore di Cima alla Foce nell' Alpe di Corfi.no (10 agosto 1902). Botti U., Sul fenomeno dei Mistpoeffers in Italia (8 settem- bre 1902). Matteucci V., Se al sollevamento endogeno di una cupola la- vica al Vesuvio possa aver contribuito la solidificazione del magma (8 settembre 1902). Ad eccezione delle memorie Botti e Matteucci, ricevute in Spezia, e di quella De Pranchis per la quale non sono ultimati gli accordi per la esecuzione di una tavola annessa, le altre o sono state già stampate nel 1° fascicolo del Bollettino oppure sono già in corso di stampa col 2° fascicolo, e di talune fu anche possibile rimetterne l’estratto. 11 socio Dainelli fa una comunicazione sull’ attuale ritiro dei ghiacciai del versante italiano del Monte Posa (*). Quindi si stabilisce di rimandare all’indomani lo svolgimento delle altre comunicazioni scientifiche. La seduta è tolta ad ore 20. Il Segretario Enrico Clerici 0) Pubblicata per intero in Appendice a pag. lxxii. LX1I RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Adunanza ilei 10 settembre. La seduta è aperta alle ore 10.30' nella sala del Casino Civico. Sono presenti: il presidente Capellini, il vicepresidente Verri, i consiglieri Di Rovasenda, Di Stefano, Mariani Ernesto, Pan- tanelli, Taramelli, il tesoriere Statuti, l’archivista Neviani, i soci Ambrosioni, Berti, Brugnatelli, Caffi, Capacci, Cerulli- Irelli, Corio, Cortese, Crema, Dainelli, Dal Lago, De Fer- rari, De Pretto, Di Stefano, Giattini, Greco, Mattirolo, Nic- coli, Pampa loni, Parona, Portis, Reichenbach, Rovereto, Sacco, Salmoiraghi, Segbè, Sequenza, Tommasi, Tonini, Vinassa de Re- gny, Zamara, Zezi ed il segretario Clerici. Assiste il R. Commissario cav. Menzinger. il presidente Capellini informa che S. E. il Ministro per l’Agricoltura, Industria c Commercio ha accolto favorevolmente la sua domanda che la carta geologica d’Europa esposta nella sala sia donata al Municipio di Spezia in ricordo dell’adu- nanza dei geologi italiani : propone un ringraziamento al Mi- nistro, che è approvato ad unanimità. Quindi viene distribuito ai soci un grazioso ed assai gradito album di fotografie di Spezia e dintorni, recante la dedica : Bicordo del Municipio della Spezia ai Geologi Italiani nel XXI Congresso del settembre MDCCCCII. Il Segretario legge la seguente lettera della Commissione per la scelta del tema per il nuovo concorso al premio Molon : Illiho Signor Presidente, Onorati dalla fiducia della S. V. Illiua e del Consiglio direttivo della Società geologica italiana, ci pregiamo proporre il tema seguente per il nuovo concorso al premio Molon : Descrizione sintetica, in base a studii proprii ed altrui, dei terreni eruttivi pliocenici e quaternarii dell’Italia continentale e insulare, spe- cialmente dal punto di vista della natura dei materiali eruttati, della disposizione da essi assunta , e delle più probabili cause della loro genesi, anche in rapporto coi fenomeni analoghi dei precedenti periodi ter ziarii. TENUTE IN SPEZIA NEL SETTEMBRE 1902 UXI11 Forse, a prima vista, questo tema potrà sembrare troppo ampio e complesso, e tale da non corrispondere pienamente alle esigenze degli ordinarii concorsi banditi dalla nostra Società. Ma, nel pensarlo e nel formularlo, ci siamo anzitutto lasciati guidare dal desiderio, espresso dai colleglli in più di un’assemblea, di interrompere la serie dei temi su soggetti monografici, analitici e speciali; in secondo luogo, abbiamo avuto riguardo al reale bisogno, esistente presso di noi, di lavori sintetici, fatti da geologi italiani, sulla geologia italiana. Giova osservare inoltre che un tema sintetico, come questo da noi proposto, non presuppone di necessità un'opera vasta e complicata, ma può essere efficacemente svolto con una sintesi rapida, succosa e chiara, alla quale la molteplicità di osservazioni e di analisi potrà certo aggiungere ulteriore interesse, ma non ne aumenterà di molto il pregio fondamentale, che dev’essere rap- presentato dal metodo sintetico, con cui tutto il lavoro va nel suo insieme organizzato e fuso. Nella speranza di aver corrisposto al mandato affidatoci, Le por- giamo i sentimenti della maggiore considerazione, dichiarandoci Maggio 1902, di V. S. Illiìia devotissimi Fr. Bassani. — C. F. Parona. — Igino Cocchi. Il Presidente dichiara aperto il concorso al VI premio Molon sul tema proposto dalla Commissione e cioè : Descrizione sintetica, in base a studii proprii ed altrui , dei terreni eruttivi pliocenici e quaternarii dell’ Italia continentale e insulare, specialmente dal punto di vista della natura dei materiali eruttati, della disposizione da essi assunta e delle più probabili cause della loro genesi, anche in rapporto coi fenomeni analoghi dei precedenti periodi ter ziarii. e propone, e l’assemblea approva, un ringraziamento alla Com- missione. Il Presidente partecipa le dimissioni del socio Malagoli, che sono accettate. Partecipa inoltre con piacere che il Consiglio direttivo ha confermato nella carica di tesoriere 1 ing. Statuti ed in quella di archivista il prof. Neviani. Dovendosi procedere alle elezioni sociali, si raccolgono le schede di votazione. Il Presidente nomina a scrutatori i soci Cerulli-Ieelli, Dainelli e Pantanelli. LXIV RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Mentre si fa lo spoglio delle schede si svolgono le comuni- cazioni scientifiche. Il Segretario legge una lettera del socio Dal Piaz su al- cune impronte vegetali nei micascisti del Trentino: Feltre, 3 settembre 1902. Ilhtio Sig. Presidente, Non potendo, con mio dispiacere, intervenire personalmente al prossimo congresso che la nostra Società conta di tenere sotto la sua presidenza, La prego di voler avere la cortesia di comu- nicare, in quella seduta che Ella crederà più opportuna, la pre- sente lettera, conia quale, nell’ intendimento di portare un mo- desto contributo alla nostra scienza, rendo conto di un rinveni- mento, da me fatto nello scorso agosto, nel niicascisto dell’alto Trentino. Trattasi di alcune impronte vegetali, analoghe a quelle de- scritte dal Sismonda e scoperte nel già noto ciottolo erratico di gneiss di Rezzano. Le impronte da me raccolte sono a contorno irregolarmente circolare, del diametro di circa 18 millimetri, formate da nume- rose nervature radianti da un’area centrale rappresentante la sezione di un internodo. Queste nervature sembrano, in alcuni punti, dicotome, ma tale fatto può essere, forse, soltanto appa- rente, dovuto cioè alla parziale sovrapposizione di due o più nervature vicine. La loro disposizione lascia intravedere che esse sono divise in gruppi, ciascuno dei quali costituiva una lamina, il cui insieme forma una guaina a contorno molto male conservato. In una delle impronte, l’estremità delle nervature è tripar- tita, ciò che fa ricordare il modo di terminazione delle nerva- ture àt\V Equisetum tridentatum Heer. Dai pochi caratteri citati e dall’esame delle fotografie che Le trasmetto, sia che le nervature non si dividano, sia che vadano realmente dicotomizzandosi, panni risulti abbastanza chiaro trat- tarsi di resti di Calumar ire. TENUTE IN SPEZIA NEL SETTEMBRE 1902 LXV Riguardo il riferimento generico, noto, prima di tutto, da quanto posso giudicare da una sbiadita fotografia dell’esemplare di Rezzano, che gli avanzi da me raccolti somigliano, nel loro insieme, a quello illustrato dal Sismonda (’) dal quale però si staccano per la mancanza del solco che attraversa longitudi- nalmente i singoli raggi. E aggiungo, a questo proposito, come lo Schimper (?), esaminando accuratamente l’esemplare di Toriuo lo abbia riferito ad urd Annidar ia. Le caratteristiche particolarità delle annularie p. d., note- volmente diverse da quelle dell’esemplare del Sismonda , non mi fanno accettare le opinioni dello Schimper, mentre condi- vido quelle del Brongniart (3) secondo le quali trattasi di una nuova specie di Equisetum. Se si ritiene poi, che la dicotomia delle fibre, neH’eseiu- plare proveniente dal Trentino sia soltanto apparente, resterebbe pure escluso che si tratti di uno Sphenophyllum. Riserbandomi, appena mi sarà possibile, di riprendere ed esaminare accurata-mente l’argomento, mi limito, per ora, a riaf- fermare che le impronte da me raccolte, appartengono alle Ca- lamariee somiglianti (ma non certamente identiche), a quella del Sismonda che il Brongniart giudicò assai vicina a WEqui- setum in fundibuli forme ( Macrostachya infundibuliformis) del Carbonifero. La località donde provengono le descritte impronte, si trova ai confini fra l’alto Trentino e il Tirolo occidentale, nei monti che formano il fianco sinistro della valle di Sole, presso Bre- simo all’est di Rabbi. La roccia fa parte di quella larga zona di micascisti che nella parte superiore della stessa valle di Sole sono strettamente legati e in alcuni siti intercalati col gneiss. Aggiungo in fine che questo rinvenimento porta un nuovo contributo alle opinioni di coloro che vogliono notevolmente ringiovanita anche l’età degli scisti cristallini delle citate regioni. (!) Sismonda A., Gneis con impronta di equiseto. Mem. R. Acc. di Torino, Serie 2a, voi. XXIII, 1865. (2) Schimper W., Congrès botanique de Florence. Revue des deux mondes, 1874, Tom. IV, pag. 458. C) Brongniart, Op. cit. del Sismonda, pag. 8. LXVI RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Chiudendo questa lettera, per far ritorno alle mie escursioni su queste Alpi bellunesi, mi è grato inviare a Lei e a tutti i congressisti i miei più vivi saluti. Obblrno D.r Giorgio Dal Piaz. Il socio Pakona osserva che da dieci anni ha sott’occhio il fossile del Sismonda, non crede sia un vegetale, ma una dendrite. Il socio Poktis è della stessa opinione da trenta anni. Il presidente Capellini aggiunge che egli ha avuto l’esem- plare e la fotografia del Sismonda e ne ha parlato con Heer e con Schimper: ha creduto si tratti di sole apparenze. P ortis dice che sarebbe opportuno invitare a riflettere il Dal Piaz prima di pubblicare la sua comunicazione. Il socio Brugnatelli vorrebbe che si consigliasse il dott. Dal Piaz di aggiungere una descrizione esatta della roccia, anche sotto l'aspetto petrografico, perchè assolutamente necessaria. Parona avverte che la fotografia del Sismonda non corri- sponde all’originale ma che la negativa dovette essere ritoccata. Il consigliere Tarameli.! presenta la carta geologica della regione dei tre laghi, dal lago d’Orta alla valle del Brembo e svolge una comunicazione intitolata: Di alcune condizioni tecto- niche nella Lombardia occidentale (’). Il socio Vinassa de Regny riassume una sua memoria dal titolo: Osservazioni geologiche sul Montenegro orientale e meri- dionale. 11 socio Cortese espone interessanti notizie ed osservazioni geologiche e minerarie raccolte nel suo viaggio al Venezuela. Il socio ingegnere Claudio Segre presenta, in nome della Direzione dei Lavori della Rete Adriatica, una monografia avente per titolo : Note sulla struttura dei terreni considerata riguardo ai lavori ferroviari eseguiti dalla Società, delle Strade Ferrate (') Pubblicata per intero in Appendice a pag. cxvii. TENUTE IN SPEZIA NEL SETTEMBRE 1902 LXV1I Meridionali (*), premettendo le seguenti considerazioni in ordine allo sviluppo dato, a simili studi di geologia applicata, dal pre- fato Ufficio delle Ferrovie Meridionali. « Nel 1880-81, quando si svilupparono studi e lavori inerenti alla costruzione delle ferrovie Benevento-Campobasso-Termoli nell’Abruzzo meridionale (Molise) e nella Campania; Aquila- Rieti-Terni, nella regione umbro-abruzzese, la Società delle Strade Ferrate Meridionali, ben ricordando le gravi difficoltà contro le quali dove lottare per la natura infida dei terreni lungo il valico appenninico della linea Foggia-Napoli, volle che si traesse par- tito dalle indagini, dalle considerazioni, dai suggerimenti che gli studi geologici invitano a fare e permettono di dare in or- dine alle costruzioni stradali. E la Società Geologica Italiana non deve scordare come sia stato il compianto ing. Giuseppe Pessione, Direttore dei Lavori delle ferrovie meridionali, a rico- noscere talmente l’utilità pratica di queste discipline, da volere che gli studi geologici fossero introdotti nella Direzione dei Lavori, tenuto conto, oltre che delle questioni inerenti alla sta- bilità dei terreni, anche di quelle riguardanti la circolazione sotterranea delle acque e la ricerca dei materiali da costru- zione. A quest’ultimo proposito occorre anzi ricordare che presso la Direzione medesima vennero pure intrapresi studi metodici sperimentali riferentisi alla resistenza dei materiali da costru- zione, pei quali studi fu impiantato un apposito Laboratorio che andò man mano sviluppandosi per modo da poter corrispondere alle esigenze ognor crescenti dei lavori, in riguardo ai recenti metodi costruttivi ed ai materiali nuovi messi in commercio dalle industrie, e da lasciare piena libertà alle imprese costrut- trioi di provvederseli ove credono più conveniente, avendosi col suddetto Laboratorio il mezzo di assicurarsi della buona qualità di qualsiasi materiale. Assunto dalla detta Società l’esercizio della Rete Adriatica in seguito alla legge del 1885 per le Convenzioni ferroviarie, anche gli studi geologici presero a svilupparsi maggiormente, sia per C) Monografia della quale fa seguito un riassunto a pag. cxxix. LXVI1I RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI la cresciuta estensione della Rete, sia per le successive nuove costruzioni ferroviarie affidate alla Società per effetto della Con- venzione del 20 luglio 1888, la quale comprendeva nella Basi- licata e nelle Puglie il gruppo delle tre linee ofantine : Roc- chetta-S. Antonio-Potenza; Rocchetta-S. Antonio-Gioia del Colle e Barletta-Spinazzola; nell’Abruzzo la linea Sulmona-Isernia, nella Valtellina la linea lacuale Lecco-Colico. Con speciali Convenzioni si aggiunse poi la costruzione della linea Lecco-Corno nella regione Briantea e del tronco da Car- pinone (sulla Sulmona-Isernia) a Boiano, onde completare col successivo tronco Boiano-Bosco Redole, la linea allacciante Iser- nia con Campobasso. Di questo complesso di linee, attraversanti regioni della peni- sola fra loro ben distanti e di tanto varia configurazione e strut- tura geologica, vennero appunto raccolte ed ordinate le note sulla natura dei terreni, quale fu rilevata durante le costruzioni, corredandole di piani e profili geologici riassuntivi desunti da quelli a grandi scale esistenti in Ufficio. Simile lavoro non aveva per iscopo che di rendere manifesto agli ingegneri sociali e spe- cialmente a quelli che vennero adibiti alle nuove costruzioni, i risultati ottenuti, in ordine all’esame dei terreni attraversati, grazie al coordinamento eseguito delle osservazioni metodiche e continuate compiute durante i lavori in modo diligente ed accu- rato per parte anche degli ingegneri medesimi, seguendo le norme impartite dall’Ufficio centrale. Gli appunti, le relazioni, i rilievi in piano ed in profili lon- gitudinali e trasversali riferentisi allo esame dei terreni, com- piuto durante gli studi dei vari tracciati, venivano ad integrarsi e collegarsi, nel lavoro di cui qui trattasi, con gli analoghi elementi raccolti per esigenze costruttive mentre si effettuavano i lavori, completandosi cosi, per quanto vogliasi riassuntiva- mente, il quadro geologico delle plaghe attraversate, dando in pari tempo un criterio per valutare le difficoltà superate durante i lavori. Queste note non hanno quindi la pretesa di possedere un valore scientifico, ma è puramente per uno scopo pratico e per così dire ferroviario ch’esse furono compilate. Tuttavia la Dire- zione dei Lavori R. A. le offre in omaggio alla Società Geoio- TENUTE IN SPEZIA NEL SETTEMBRE 1902 LX1X gica Italiana, ritenendo doveroso che chiunque abbia avuto occasione di investigare il sottosuolo, porti alla Società medesima il contributo delle proprie osservazioni, specialmente se queste erano dirette ad uno scopo pratico, quale è appunto l’applica- zione delle discipline geologiche alle pubbliche costruzioni. La prefata Direzione si lusinga poi di poter far seguire queste note da altre riferentesi al precedente gruppo di linee costruite nel Molise e nelle regioni umbro-abruzzesi durante il periodo 1881-83. Per queste ulteriori notizie di geologia ferroviaria i mate- riali già comparvero all’Esposizione di Torino nel 1884 e di essi ebbe ed occuparsi a suo tempo il Bollettino del R. Comi- tato Geologico. Precedentemente la Società Geologica Italiana, alla riunione tenutasi a Fabriano nel Settembre 1883, era già stata informata degli studi di geologia applicata alle costruzioni ferro- viarie che si compivano presso la Direzione dei Lavori delle Fer- rovie Meridionali ed anzi da una comunicazione allora presentata risultava come le osservazioni eseguite durante gli studi inerenti al tracciato e la successiva costruzione della ferrovia Aqui la- Rieti, avevano contribuito a precisare la tettonica della importante massa dell’Appennino Centrale Abruzzese compreso fra l’Aterno ed il Salto. Ritornando alle note di cui ora trattasi, cioè a quelle riferen- tisi alle tre linee ofantine, alla Sulmona-Isernia con diramazione da Carpinone per Campobasso, alla Lecco-Colico c Lecco-Conio, diremo che esse sanzionano il fatto, e da qui ripetono quel po’ d’ importanza che forse si può loro attribuire, della necessità riconosciuta da una società privata, esercente e costruttrice di ferrovie, di trarre profitto da studi geologici, eseguiti da un per- sonale proprio a beneficio delle costruzioni ferroviarie e con van- taggio della manutenzione delle linee in esercizio; talché alla osservazione fatta da un congressista alla riunione tenutasi lo scorso anno a Budapest dalla Associazione internazionale per Vanificazione dei metodi di prova dei materiali da costruzione, che non solo sui materiali, ma che altresì occorreva portare gli studi sulla natura del terreno, su cui svolgonsi e s’appoggiano le opere stradali, la Direzione dei Lavori delle Ferrovie Meri- dionali, che partecipa a detta Associazione, potè far presente, LXX RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI mercè i cenni che precedono la nota illustrativa sul proprio Laboratorio (nota che viene pure offerta in omaggio alla So- cietà Geologica Italiana), che essa aveva fatto procedere di pari passo, fin dal 1881, le due categorie di indagini teorico-pra- tiche, integrando così fin d’allora fra i propri Uffici quello il cui scopo può definirsi: Studio della resistenza dei terreni e dei materiali da costruzione ». Il socio Sequenza presenta il manoscritto e fa il riassunto di due suoi lavori intitolati: I vertebrati fossili della provincia di Messina, parte terza - Mammiferi pliocenici e quaternari. Molluschi poco noti dei terreni terziari di Messina - Tro- chidae e Solariidae. II socio Pampaloni riferisce sopra i resti organici rinvenuti nel disodile di Medili (prov. di Siracusa). Questa sostanza (che si presenta in lamine giallastre, elastiche, che bruciano facil- mente alla fiamma), allorché venga fatta bollire con una solu- zione piuttosto debole di potassa, si divide in tante scaglie minu- tissime, fra mezzo alle quali è facilissimo rinvenire molti residui organici, appartenenti per la massima parte alla microfauna ed alla microflora. Così per la microflora il dott. Pampaioni ha rinvenuto, oltre una Saprolegniacea determinata per la prima volta dal prof. Bac- carini col nome di Pythium disodilis, anche due nuove specie di Peronospore, e dei nuovi generi, fra cui figurano dei Chae- thomites , Monilites Microthyrites, Perisporites, Uncinulites, Eri- siphites etc., oltre numerose spore benissimo conservate. Nella microfauna figurano in special modo gli acaridi coi nuovi generi: Oppites, Belbites, Tyroylyphites , Carabodites, una larva di un Libellulide, l’apparecchio masticatorio di un Cara- bice, varie larve di Heterodera, ed alcune bellissime Cocciniglie. Questo materiale ed altro ancora, ultimamente rinvenuto, verrà descritto e figurato in prossime memorie. Lo stesso Pampaloni preannuncia una sua nota Sopra alcuni tronchi silicizzati di Oschiri in Sardegna. TENUTE IN SPEZIA NEL SETTEMBRE 1902 LXXI Il socio Parona preannuncia la presentazione da parte del dott. Bonarelli del manoscritto intitolato: Miscellanea di note geologiche e paleontologiche per l’anno 1901. Gli scrutatori avendo ultimato lo spoglio delle schede, il Pre- sidente proclama il risultato della votazione: Votanti 138 Vicepresidente pel 1903 eletto: Meli prof. Romolo con voti 91 Consiglieri pel triennio 1903-905 : Parona prof. Carlo Fabrizio con voti 131 Bassani prof. Francesco » » 129 Gemmellaro prof. Gaetano Giorgio » » 98 De Stefani prof. Carlo » » 88 Ottennero poi maggiori voti : De Stefani Carlo per vice- presidente voti 37; per consiglieri Brugnatelli Luigi voti 36, Trabucco Giacomo voti 20. Il vice-presidente Verri, interpretando il sentimento dei colleglli, rivolge parole di riconoscenza e vivo ringraziamento al R. Commissario cav. Menzinger, al Comitato d’onore, alla dire- zione del Casino Civico, alle Autorità civili e militari, alla direzione del Museo Civico, a quella della Società Canottieri Velocior, al march. Gropallo, al cav. Fabbricotti, alla cittadi- nanza, in una parola a tutti coloro che con infinite agevola- zioni ed accoglienze hanno contribuito alla ottima riuscita di questo congresso; un ringraziamento è dovuto anche al presi- dente Capellini maestro e guida instancabile. Applausi. Essendo esaurito l’ordine del giorno, la seduta è tolta alle ore 12. Il Segretario Enrico Clerici. APPENDICE SULL’ATTUALE RITIRO DEI GHIACCIAI DEL VERSANTE ITALIANO DEL MONTE ROSA. Comunicazione del dott. Giotto Dainelli. Mi recai Tanno scorso, durante la estate, nel gruppo del Monte Rosa, onde iniziarvi, per quanto mi sarebbe stato possi- bile, delle osservazioni metodiche sui movimenti di progresso e di ritiro dei ghiacciai del versante italiano. Rilevai per allora sommariamente le fronti dei ghiacciai del Lys, d’Indren e di Bors, posi segnali di riferimento a questi e a quelli di Verrà e di Macugnaga, e compii rapide escursioni nell’ intero gruppo, onde farmi un’ idea sullo stato attuale dei ghiacciai del Monte Rosa anche del versante svizzero. Di queste mie escursioni resi già brevemente conto, aggiun- gendo anche, dietro ricerche bibliografiche e cartografiche e notizie orali, la storia approssimativa dei regressi e dei pro- gressi delle fronti dei ghiacciai maggiori del Lys e di Macu- gnaga nel secolo XIX ('); ma più ampia relazione uscirà quanto prima nel Bollettino del Club Alpino Italiano. Nel passato agosto, per quanto condizioni di salute me lo vietassero, mi recai di nuovo nella valle di Gressoney, onde con- statare gli eventuali cambiamenti che le fronti dei ghiacciai da me osservati l’anno scorso avessero, per caso, sofferto, e veri- ficare in quale periodo, se di avanzamento o di ritiro, si tro- vassero in questo momento. E feci difatti alcune escursioni; se- nonchè la grande quantità di neve conservatasi dall’ inverno e dalla primavera e recentemente caduta, copriva del tutto le fronti dei ghiacciai di Bors e di Indren, senza nemmeno lasciar supporre i loro limiti inferiori, nè riconoscere i segnali di rife- ci Dainelli G., Stato attuale dei ghiacciai del Monte Uosa. Itemi, della R. Acc. dei Lincei, voi. II, ser. 5, fase. 1, pag. ‘24; 1902. G. DA1NELL1 1.XX1U vi mento da me posti per l’ innanzi. Molti dei circhi e quasi tutte le selle da me trovati sgombri di neve l’anno passato, erano adesso invece coperti di un bianco mantello; maggiore, cioè più alta e più estesa, la cresta ghiacciata al colle delle Pisse ; per metà coperto da ghiaccio il lago superiore dei Sa- lati; tutto nevoso il triangolo stesso dei Salati, e molto più estesa la neve nell’intero gruppo del Monte Rosa. La sola fronte del ghiacciaio del Lys, il quale, per avere una lingua, si protende assai in basso nella valle dello stesso nome, si mostrava scoperta; e in essa verificai che la bocca si era ritirata di circa 25 metri dall’estate scorsa; la misura pre- cisa di questo ritiro non ho potuto rilevare, perchè la bocca stessa si è alquanto spostata verso occidente, ed il primo tratto del torrente glaciale è diretto appunto verso il segno di riferi- mento, e, stante il suo corso impetuoso non l’ho potuto esatta- mente misurare colla corda metrata (10 agosto 1902, ore 15 lji ; barometro 59.5, termometro 13°). Il ritiro, del resto, era anche evidente a prima vista, e ce ne eravamo subito avvisti tanto io che Carlo Squindo di Gres- soney St. Jean, guida del C. A. I., il quale mi aveva accom- pagnato anche nelle escursioni dell’anno precedente. La forma stessa della fronte del ghiacciaio mi è apparsa alquanto modi- ficata: assai più accentuata la concavità centrale, nella quale è appunto la bocca; più assottigliato il fianco sinistro; ed in conseguenza ha assunto forma più stretta e allungata il mam- mellone che si protende in avanti da questa parte; lo stesso, ma in minori proporzioni, è avvenuto per quello destro. Quanto alle due piccole morene frontali, esse erano assai deteriorate nella loro forma, in specie quella sinistra, la quale veniva continuata verso la vicina protuberanza del ghiacciaio da un ammasso irregolare di detriti e di massi ; a destra della bocca, addossato proprio alla fronte, vi era un alto cono more- nico, di formazione del tutto nuova, causato unicamente dal forte ritiro che si è prodotto nell’ultimo anno. (') (!) Vedasi, per confrontare questi cambiamenti: Dainetli G., Alcune osservazioni sui ghiacciai del versante italiano del Monte Rosa. Bollet- tino del C. A. I., 1902. LXXIV SULL ATTUALE RITIRO DEI GHIACCIAI Queste sono le poehe osservazioni che per circostanze con- trarie, di tempo e di salute, ho potuto fare quest’anno; abba- stanza importanti però, perchè ci dicono che per il ghiacciaio del Lys siamo adesso in pieno periodo di ritiro, cosa che io so- spettavo, ma per affermare la quale non avevo alcun dato suf- ficiente. Del resto, per gentile comunicazione del prof. Brugna- telli deirUniversità di Pavia, so che anche il ghiacciaio di Macugnaga si trova attualmente nel medesimo periodo ; onde, per le osservazioni che feci Tanno precedente, e che in questa breve comunicazione non starò a ripetere, credo che lo stesso succeda per le numerose vedrette o ghiacciai sospesi, che si trovano sul versante italiano del Monte Rosa, e dei quali, per la grande quantità di neve caduta, non ho potuto vedere, quest’anno, le fronti. [ms. pres. 5 dicembre 1902 - ult. bozze 27 dicembre 1902]. SULLE RICERCHE E OSSERVAZIONI DI LAZZARO SPALLANZANI A PORTO VENERE E NEI DINTORNI DELLA SPEZIA DISCORSO DEL PRESIDENTE G. CAPELLINI CON ALLEGATI Nei brevi Cenni sulla Storia naturale dei dintorni del Golfo della Spezia, nel 1865, ricordavo sommariamente le Os- servazioni e gli studi di Spallanzani durante la sua dimora a Porto Venere nel 1783. Conoscevo allora quanto, fino dal 1784, ne aveva pubblicato in due lettere indirizzate a Carlo Bonnet, dalle quali era tacile di capire che il grande Naturalista aveva preparato note copiose per ponderoso lavoro. Infatti nella prima lettera del 15 gennaio 1784 dichiara che nell’anno antecedente volendo tornare al mare, aveva data la preferenza alla riviera di Levante di Genova, e aveva fissata la sua dimora a Porto Venere, « per essere un paese contiguo al golfo della Spezia, » tanto famoso nelle storie sì antiche che moderne, c tanto degno » di esserlo pel sicuro asilo che presta ai bastimenti d’ogni » maniera, che dentro vi approdano, ma tutt’ insieme adattissimo » per la calma quasi continua che vi regna ad appagar le voglie » degli avidi ricercatori ». Accenna quindi d’aver ivi soggior- nato più di due mesi e mezzo senza lasciare di uscire dalle bocche del golfo per inoltrarsi con legni pescherecci in alto mare verso Livorno e la Corsica, occupandosi di produzioni marine. « senza trascurare l’esame delle adiacenti littorali montagne e » delle prossime iso lette, notando le molte e varie circostanze » che insieme concorrono a rendere il golfo non men vago sopra » ogni credere e dilettoso, che unico in tutta Europa ». E dopo avere dichiarato come, stando a Porto Venere, s’era innamorato delle Panie (Alpi Apuane) che rapivano i suoi sguardi vi l.XXVI G. CAPELLINI e lo invitavano a visitarle, e dopo aver detto come, visitate le Panie, senti il bisogno di visitare l’Apennino per opportuni con- fronti orittologici, aggiunge che per contentare l’amico avrebbe ristretto in due lettere i risultati delle principali sue osserva- zioni, promettendo di scriverne altre parecchie , quando avesse avuto bastante ozio per esse; ma quell’ozio non ebbe mai, che l’anno dopo già si preparava pel viaggio a Costantinopoli e in seguito si trovò sempre per nuove escursioni e nuove ricerche occupatissimo. La prima lettera divisa in XYII paragrafi tratta di diverse produzioni marine; la seconda col titolo: Sopra diversi oggetti fossili e montani , consta di IX paragrafi, dei quali i primi due sono per noi particolarmente interessanti, perchè si riferiscono alle cose osservate nei dintorni di Porto Venere e Spezia, e questi ho creduto opportuno di completare con preziose note fin qui rimaste inedite. I tipografi editori Torreggialo e C. di Reggio Emilia nel 1841 liberarono per la stampa il primo volume d’ima Raccolta di lettere di illustri italiani dei secoli XVIII e XIX ai loro amici, aggiungendo nel frontispizio: E dei massimi scienziati e lette- rati nazionali e stranieri al celebre abate Lazzaro Spallanzani e molte sue risposte ai medesimi. Ma, terminato di stampare il volume settimo, pubblicando l’ottavo, aggiunsero altro fronti- spizio, col titolo: Lettere di Lazzaro Spallanzani a’ suoi amici , ed opuscoli inediti, e così dalla corrispondenza e dai Temetti manoscritti conservati nella Biblioteca di Reggio, trassero ma- teria per altri due volumi. Io non conoscevo affatto quella pubblicazione, allorché coi Naturalisti italiani solennemente inauguravo a Porto Venere le lapidi commemorative per chi, principalmente investigando - nei dintorni di queU’estrema pittoresca scogliera, aveva arric- chito la scienza di tesori incomparabili e aveva eternato la sua fama; nè oggi mi fermerò a lodare o a criticare, quanto vi ha di buono o da emendare in quella pubblicazione, dirò solamente che nel secondo Opuscolo del volume IX, furono stampate per la prima volta due Note aventi per titolo l ‘una : Pietra con pirite, e l’altra: Viaggio al di là della Spezia terrestre a che ritengo opportuno di correggere e ristampare. LAZZARO SPALLANZANI A PORTO VENERE LXXVII Nel 1897, la festa giubilare della Stazione zoologica di Napoli, mi porse occasione di tornare col pensiero a Lazzaro Spallan- zani, poiché in quella circostanza i Naturalisti di tutto il mondo dovettero riflettere ed esplicitamente riconobbero che la prima stazione zoologica era stata in Porto Venere nella modesta casa nella quale l’immortale scandianese, nel 1783, studiò e speri- mentò con tanto successo sugli Animali marini. Allora mi in- teressai di ricercare se nei taccuini o tometti del sommo Natura- lista vi fosse ancora qualche cosa di inedito per ciò che riguar- dava le sue Osservazioni geologiche nei dintorni del golfo della Spezia, e, assicuratomi che tra i manoscritti v’erano pure i Tometti del viaggio a Porto Venere, Massa e Carrara, per cortese deli- berazione della Giunta municipale di Reggio Emilia e gentil- mente aiutato dal prof. .Tona e dal bravo bibliotecario cav. Fer- rari, ai quali oggi ripeto sentite grazie, da quell’archivio muni- cipale ebbi a mia disposizione tutto quanto poteva interessarmi. Dirò subito che quei Tometti, nei quali sono notate le nume- rose svariate giornaliere osservazioni fatte nei dintorni del golfo, scritte nitidamente e senza pentimenti, rivelano un genio vera- mente superiore, uno spirito che mai non posava, sempre affannato nella ricerca di nuovi veri, e per di più una fibra adamantina. Per quanto abbia investigato, non mi è riescito di trovare qualche nota di Spallanzani relativa a una sua prima visita al golfo della Spezia nel 1781, oppure nel 1782 ; però dal Tometto CXD, 130 : Viaggio nel Mediterraneo nel 1781, si ricava che già allora aveva preso nota, come era sua abitudine, delle osservazioni che intendeva di fare a Porto Venere: Sull’ abbonacciamento delle onde per via dell’Oglio (sic), su strumenti, libri da portar seco. Intorno alla Polla di Cadimare della quale intendeva di interes- sarsi in modo particolare, aveva copiato in quel Tometto quanto ne aveva scritto Vallisneri nel suo classico lavoro : Sull' origine delle Fontane. Leggendo alcune di quelle paginette sui luoghi stessi ove quel Grande si era trattenuto per osservare e meditare, ebbi a verificare che parecchie cose da esso registrate, in seguito erano sfuggite anche ai più diligenti investigatori del nostro golfo, e più volte mi sono sentito sinceramente umiliato e profondamente commosso ! LXXVIII G. CAPELLINI E dopo che quei Torneiti mi furono compagni di escursione, dalle caverne del Tiro e della Palmaria fino alla punta di Cadimare davanti alla quale sgorgava la famosa Polla, ogni scoglio, ogni spiaggetta dei dintorni di Porto Venere mi parla di Lazzaro Spallanzani. Nel viaggio fatto a Genova, a Marsiglia e in altri luoghi nel 1781 (Tometto CX, E, 58) in compagnia del padre Cap- pello olivetano, non vi ha alcun cenno che, prima o dopo, fa- cesse pure una visita al golfo della Spezia; ma dalla lettera sulla Torpedine che il 23 febbraio 1783 indirizzava al marchese Lucchesini, Ciambellano di S. M. il Ee di Prussia, si può ar- gomentare che già avesse visitato il golfo della Spezia forse nel 1780. In detta lettera inflitti si legge a proposito dei suoi studi sulle torpedini: « essendo andato due anni sono nel Mediterraneo » per quel fine medesimo per cui quest’anno mi sono recato su » l’Adriatico, feci le maggiori ricerche per queste torpedini. » Diverse difatti mi riuscì di averne quando io mi trovava a » Porto Venere, a Genova, a Nizza, a Marsiglia. Ma per disgrazia » eran morte ». Se vuoisi intendere che dicendo in quest’anno intenda la precedente stagione estiva autunnale, si dovrebbe concludere che a Spezia fosse nel 1780; ma se i due anni sono si dovessero intendere letteralmente, allora avrebbe visitato Spezia andando da Genova a Marsiglia nel 1781. Il 23 luglio 1783 partendo da Parma in calesso giunse a Fornovo, e poiché ivi terminava la strada rotabile, con una cavalcatura proseguì il suo viaggio passando per la Cisa e giunse la sera di quello stesso giorno a Pontremoli ove pernottò. Il giorno seguente, sempre con cavalli, riprese il suo viaggio dirigendosi alla Spezia, passando probabilmente per la vecchia strada mulattiera detta delle Lame tra Aulla e Santo Stefano; non è detto ma è probabile che sia giunto in Spezia la sera (24 luglio) e che ivi abbia pernottato. Dalle Note di viaggio scritte il 20 luglio in Porto Ve- nere resulta che era arrivato la sera del 25; è quindi fuor di dubbio che in Spezia si trattenne gran parte della giornata 25 luglio e, probabilmente, in quel giorno ebbe un primo in- LAZZARO SPALLANZANI A PORTO VENERE LXXIX contro col barone Luigi d’Isengard il quale, come pochi anni dopo ne scriveva lo Spadoni a Ottaviano Targioni-Tozzetti, era giovane operosissimo, e di cognizioni al Forestiere assai utili fornito (1). Il 26 luglio 1783 in Porto Venere nel Tometto CX, E, 58 a pag. 47 incomincia la descrizione del suo viaggio, rendendo conto di quanto aveva avuto ad osservare strada facendo, discor- rendo soprattutto dei temporali e della nebbia dei quali pure tanto si interessava. Sulla nebbia e sui temporali continuò le sue osserva- zioni fino alla fine di luglio, notando che nel maggior calore del giorno 28 il termometro era salito a 22° e il 30 luglio alle ore 15 d’ Italici a 23° */V Ma fino dal 28 luglio si occupa della notomia degli occhi della Seppia. Sempre in data 2 agosto nota che il termometro raggiunse quasi 26°, che il giorno prima era a 25°, che vi era nebbia sulle Panie ma nulla a Porto Venere (v. Allegato A). Alla pagina 253 del Tometto CX, D, 130, dopo dodici carte bianche riservate per la probabile continuazione delTargomento che è trattato precedentemente a pag. 222 e si riferisce alle Stelle marine, con la data 2 agosto 1783 descrive la Stratifi- cazione delle rupi da Porto Venere per andare alla Fontana, dalla parte di sera. (') Il barone Luigi d’Isengard aveva allora 29 anni e quantunque in nessun scritto, in nessuna lettera di Spallanzani mi sia riescito di trovare ricordato chiaramente il suo nome, pure per quanto egli ebbe a narrarne più volte a mio padre e a Girolamo Guidoni, gli fu guida e compagno in alcune delle sue escursioni intorno al golfo. Anzi, nelle Note sul golfo della Spezia da me pubblicate, il barone d’Isengard parlando della Polla di Cadmiare dice chiaramente: «Fu tal sorgente visitata dal Vallisneri »nel 1705 e nell’autunno del 1783 dall’abate Spallanzani che con una » macchinetta da me costrutta ebbe luogo di assaggiarne il vero fondo » e 4 trovò dolce » (*)• Nel Seguito sulle lucciole marine, con la data 24 set- tembre 1783 si legge: « Non mi arresto a dirne di più perchè il sig. Luigi ne dà la tig.a » dirò soltanto che le uova da un lato sono 14, dall’altro 15 ». Chi era il sig. Luigi? Suppongo che fosse il barone Luigi d’Isen- gard che era anche bravo disegnatore. (*) Capellini, Il barone Luigi d’Isengard e la sua storia del golfo della Spezia verso la fine del secolo XVIII, pag. 36. Genova, 1892. LXXX G. CAPELLINI Premesso che le rupi che si incontrano, da Porto Venere andando verso la fortezza di S. Maria e al Lazzaretto, sono della stessa natura dello scoglio sul quale è fondato Porto Venere, accenna le piccole caverne di erosione che qua e là si osservano e descrive gli strati piegati, rotti e contorti in tutti i versi che si osservano fino alla punta della Castagna e nella antica cala dei Corsi fino al Lazzaretto. Inoltre nota che la fortezza di S. Francesco (oggi scomparsa) è sostenuta essa pure dal mede- simo scoglio , i cui strati hanno direzione poco all' orizzonte in- clinata, e finalmente cosi conclude: « Fino adesso tutti questi » scogli, come quelli su cui è fondato Porto Venere, l’Isola Pal- » maria, il Tiro e il Tiretto sono composti, per quanto mi pare, » della medesima pietra ». In quella escursione verso la Polla (') avendo speso la mat- tinata, rientrato a Porto Venere continuò ad occuparsi, per quel giorno, principalmente di geologia. Infatti, sempre con la data 2 agosto 1783 descrive la escursione fatta dopo pranzo attorno all’Isola Palmaria, escendo dal golfo rasentando lo scoglio , e ove questo è a picco ed altissimo incontra la prima grotta (quella che altrove ho chiamato la grotta azzurra), la descrive breve- mente, ne dà le principali dimensioni, parla dei rondoni che vi avevano i nidi e del fresco che vi si godrebbe, se le enormi pietre che sembrano volersi staccare dalla volta e il cupo rumoreggiare dell’onda in fondo alla caverna non facesse raccapricciare. Spallanzani escito dalla grotta azzurra, che non indica con alcun nome, notò altra caverna il cui ingresso paragonò a una berretta semichiusa; nè omrnise di ricordare una grotticella sulla fronte della quale v’ è una piccola fontana d’acqua dolce che cresce, piovendo , ma che è vivace anche in tempo di siccità. E poco dopo, sempre costeggiando l’Isola, osservò la grotta principale detta della Cala grande e notò: oltre gli strati sassosi grossi ri sono tra mezzo una moltitudine di sassi che sembrano fui tati. Dopo questa grotta ne registrò un’altra più innanzi un quarto di miglio e, arrivato al Capo dell’Isola, piegò verso levante per (*) (*) Da alcune note col titolo: Cose relative alla Storia delle Gortjovie, in data 30 luglio, resulta che a tal fine crasi recato il giorno innanzi alla fonte d’acqua dolce. LAZZARO SPALLANZANI A PORTO VENERE LXXXI tornare a Porto Venere, passando di fianco alla Scola, e si limitò ad osservare ancora una curiosità che si presenta a scirocco ed è una stratificazione singolarissima , essendo formati gli strati della rupe come quelli di un tonno. Il giorno seguente, 3 agosto, recatosi all’Isola Tiro, si inte- ressò in modo particolare delle rovine della chiesa e del mona- stero, già degli Olivetani, nel quale era stato S. Venerio ; parla d una casetta a breve distanza dal convento, che sopra aveva una stanza scoperchiata e abbandonata e sotto altra stanza ad uso di stalla per pecore. Scendendo dalla Eovina al mare dal lato di levante, osservò 13 gradini o tacche nello scoglio ed altre ne contò prima di arrivare al mare, e avendo notato che i due ultimi gradini erano bagnati, ne concluse: dal tempo che furono fatti a questa parte, il mare qui non si è alzato nè abbassato. Proseguendo il cammino con la barca attorno all’ isolotto, nel sito che corrisponde a libeccio vide una grotta che ritenne meritevole di essere descritta. Anche in quella grotta, che cor- risponde al punto più elevato della piccola isola, notò i rondoni a pancia bianca ( Cypselus melba) che ricordava di aver pure veduti in grande quantità nella chiesa di Berna. Dalla corri- spondenza degli strati della Palmaria con quelli del Tiro ne deduce che le due isole dovettero un tempo essere unite, e lo stesso accenna dovesse essere stato pel Tiretto (v. Allegato B). Riguardo alla osservazione che il mare non si era nè alzato nè abbassato intorno all’Isola Tiro dopo la costruzione del convento degli Olivetani, bisogna riflettere che allora erano recenti e nuove le osservazioni di Celsio e Linneo sui lenti movimenti di innal- zamento e di abbassamento sulle coste della Scandinavia e sulle rive del Baltico. Tutti i fisici, tutti i naturalisti si affaticavano per verificare e constatare cambiamenti di livello del mare rispetto alle terre emerse, e Spallanzani non poteva fare a meno di occuparsene seriamente. Frattanto, e per questo motivo e per avere qualche notizia sicura intorno al tempo in cui era stato edificato il convento del Tiro, si rivolse all’abate Mazza che in proposito gli rispondeva con una importantissima lettera in data 23 gennaio 1784 da Parma. Questa lettera che ho trovato attaccata con ceralacca nel Tometto CX, D, 130 ritengo opportuno di pubbli- LXXXII G. CAPELLINI care anche perchè la lettera dello Spallanzani, 10 tebbr. 1784, pubblicata nel volume edito per cura dell’Università di Pavia nel I Centenario della sua morte, è semplicemente la lettera con la quale ringrazia l’ abate Mazza per le notizie che gli aveva fornite e gli spiega il motivo pel quale gliele aveva richieste (v. Allegato C). Nella seconda lettera a Carlo Bonnet, lettera che prima aveva progettato di mandare a Lorgna, dopo avere insistito sulla in- cessante devastazione delle rupi di Porto Venere e delle conti- gue isole per opera del mare, si riserva di far meglio apprezzare la importanza di quei naturali scoscendimenti per studi strati- grafici in un’ opera della quale si capisce che quelle lettere potevansi considerare come prodromo. E poiché ivi delle grotte non discorre, accennando all’opera progettata dice : « Quivi farò » anche parola di varie buche ed ampie caverne nel vivo sasso » prodotte dall’ impeto dei marosi, atte esse pure a fornirci utili » cognizioni, mirandole ben bene con l’occhio e ponderandole » con la mente » (v. Allegato D). Quando lo Spadoni, che pure si interessava delle caverne, alcuni anni dopo visitò l’ isola Palmaria, ricordò la Grotta dei Colombi non registrata da Spallanzani, ma neppure da esso visi- tata, e nulla disse delle altre importanti caverne littorali (così diligentemente descritte nel Tometto CX, D, lasciatoci dal natu- ralista Scandianese), alcune delle quali erano pure sfuggite alla mia attenzione fino al 1897 quando in quel Tometto le trovai indicate. Conseguentemente, quando nel 1896 scrissi delle caverne a brecce ossifere dei dintorni del golfo della Spezia registrai solamente, la Grotta Azzurra, la Grotta della Cala grande, la Grotta dei Colombi e il Buco del Bersagliere. Due giorni dopo che Spallanzani aveva fatto la prima sua escursione intorno alle isole, vi fu una furiosa libecciata che egli così descriveva il 6 agosto 1783. « Ieri sera il mare era grossissimo a motivo d’un forte libee- » ciò spirato ieri. I marosi urtando contro gli scogli di S. Pietro » e delle sue vicinanze si sollevavano ad altezza grandissima con » immenso romore e producevano un’acquerugiola che guardata » contro il principio dell’ Isola (stando io a casa) pareva una ;> nebbia e questa nebbia andava a bagnare tutto Portovcnere. LAZZARO SPALLANZANI A PORTO VENERE LXXXUI » La bocca stretta poi era un bollimento continuo, un continuo » alzamento de’ marosi, una continua agitatissima spuma. 11 » rompersi dei marosi grossissimi contro gli scogli, il rompersi, » dividersi e ridursi a minute gocce d’acqua ad una nebbia, » potrebbe compararsi a quella specie di farina bianchissima » prodotta dallo stritolamento de’ marmi carraresi venuti giù, » anzi fatti precipitare dall’alto della montagna e spezzati, stri- » tolati, sfarinati per le grandi cadute per quelle dirupatissime » balze da masso immenso di marmo preparato alla signora » Duchessa di Modena quando andava a vedere le cave de’ suoi » marmi ». Dal terribile e insieme grandioso spettacolo quando imper- versano i venti di scirocco e libeccio, lo Spallanzani restò tal- mente impressionato che principiando la sua seconda lettera Sulle sostanze fossili osservate a Porto Venere , scriveva a Bonnet « che allora i marosi si sollevano a tanta altezza e con tanti» » impeto contro gli scogli che servono di parapetto e difesa a » quella antica terriceiuola, che sembra che il mare minacci di » interamente inghiottirla ». Alla pagina 105 del più volte citato Tometto, ho trovato poi la descrizione di una terribile libec- ciata e del salvataggio avvenuto nell’anno precedente, avuta, a quanto mi pare, dall’arciprete Podestà che doveva averla prima narrata al suo ospite. Unitamente alla detta lettera si trova in quel Tometto un foglio con la indicazione dei pesci che sono pescati nelle diverse stagioni a Porto Venere, e anche questa deve essere redatta dall’arciprete (v. Allegati E, F). Dopo una forte libecciata, d’ordinario a Porto Venere torna il bel tempo, e così deve essere accaduto dopo quella del 5 ago- sto 1783 descritta da Spallanzani; infatti dopo le osservazioni fatte nei giorni 7 e 8 agosto nel seno di Porto Venere e alle Grazie sul Picciol granchio , denominato Bernardo V Eremita. sulle Gorgonie e su altri animali marini, la mattina del 9 agosto andò alla pesca delle Balancelle, fuori delle bocche alla distanza di 8 miglia circa, e incominciò le sue importantissime osserva- zioni sulle Torpedini, delle quali continuò ad occuparsi alacre- mente, sopratutto nei giorni 14, 16, 17, 18, 22, 23 agosto, a bordo alle Balancelle e in Porto Venere, aiutato dal suo servi- tore e talvolta alla presenza dell’arciprete Podestà, al quale LXXXIV G. CAPELLINI il 22 agosto dettava le sue osservazioni mentre il servitore e quattro marinai lo coadiuvavano nelle numerose interessantis- sime sperienze. Dalle svariate note sulle Torpedini riscontrate nel più volte citato Tometto resulta che di esse si occupò inces- santemente tino alla fine di agosto non solo; ma per tutto il mese di settembre che è quasi dire fino a che si trattenne in Porto Venere, e reca meraviglia che gli editori Torreggiani che in gran parte pubblicarono quelle esperienze le ritenessero fatte a Marsiglia, senza riflettere che dal 20 luglio al 2 ottobre 1783 Spallanzani aveva dimorato in Porto Venere. Nel Tometto CX, E, 58, con la data 18 agosto, torna ad oc- cultarsi dei dintorni di Porto Venere ; descrive il borgo, ripete un brutto confronto che aveva già fatto anche per Antibo e fa opportune considerazioni litologiche e stratigrafìche (v. Alle- gato 0). Il 19 si occupa della Descrizione della famosa polla o fontana posta nel mare alla distanza di piedi 05 circa (!), e pare che in quel giorno per la prima volta ne scandagliasse la profondità e ne ricercasse la qualità nel fondo centrale. E poiché dice precisamente: Con uno sf fomento si è fatto in guisa che un cono di latta ha ricevuto nel fondo centrale l’acqua e si è sùbito chiuso, cosi si potrebbe credere che non fosse solo a fare quella esperienza e che, evidentemente trattandosi della macchinetta che l’ lsengard disse di aver egli inventata, forse avesse com- pagno il signor Luigi. Ma, pure in data 19 agosto, col titolo: Miscellanee su diverse cose marine, a pag. 109, cosi cominciava altra nota : « Trovandomi solo al lido in vicinanza della polla » d’acqua dolce, e non avendo altre occupazioni, ho cominciato » a considerare i diversi animaletti che sono alla spiaggia dentro » l’acqua ma in poco fondo ». Dunque, o l’ lsengard neppure in quel giorno era con Spallanzani, oppure dopo il tentativo per avere l’acqua dal fondo della polla s’era congedato ed era tor- nato in Spezia. Il 20 agosto registra alcune osservazioni sulla nebbia c sui venti più o meno favorevoli segnatamente per andare a Lerici : (') II fortino o piccola torre che si trovava direttamente di faccia alla polla si chiamava: Forte S. Michele. LAZZARO SPALLANZANI A PORTO VENERE LXXXV quindi in data 23 agosto torna a parlare delle sue escursioni nei dintorni di Porto Venere e segnatamente delle cave del fa- moso marmo di Porto Venere, allora non molto sfruttate, alla estremità dell’isola Palmaria e delle quali erano proprietari i padri Olivetani delle Grazie. In quelle note giova rilevare che discorrendo dei marmi già cavati e dirozzati che esso considera come grossi tavoloni , dice: Girando l’occhio attorno su diversi rottami attornianti questi tavoloni, ho veduto in uno un’ im- pronta d’una lumaca. Evidentemente, se a Porto Venere non trovò fossili abbon- danti come nel calcare terziario del Finale, ne avvertì qualcuno nel calcare nero dell’isola Palmaria. Reca però sempre grande me- raviglia che nulla dica delle impronte allora frequenti negli scogli in vicinanza delle caverne sotto S. Pietro, che egli semplicemente ricorda, perchè allora Grotta Arpaia non doveva essere quale oggi l’ha resa la incessante devastazione che nello scorso secolo ha notevolmente cambiato la faccia del luogo. Dopo breve escursione dal lato di ponente verso la Rossa, torna ad occuparsi della polla, e il 26 agosto col solito sgo- mento ne ottiene dal fondo acqua torbidiccia ma pochissimo salata (v. Allegato H). Il 27 agosto descrive la cava de’ marmi vicino alle Grazie e nota che sebbene all’isola Palmaria erano molti secoli che si cavava un tal marmo, allora si dava la preferenza a quello delle Grazie per essere di più riuscita e di maggior pulimento e bellezza. Osserva che vi sono cave di marmo anche nella opposta montagna la più alta (intendeva la Castellana), ma che il ca- varlo ivi e altrove era dispendioso dovendo liberare il marmo buono dal marmo berrettino che lo attornia (v. Allegato I). Si hanno in seguito parecchie note litologiche e mineralo- giche con le date 28 agosto, 4, 8, 9 settembre; ma le nume- rose sperienze e ricerche intraprese sopra svariati animali ma- rini non gli concedevano di occuparsi maggiormente di oggetti fossili e montani. Il 26 settembre, dopo avere determinata l’altezza del Castel- letto di S. Pietro sul livello del mare, valutata in piedi 153, e dopo avere accennato alle devastazioni del mare da quella parte, alle ore italiane 23 circa calò un termometro all’ingresso della LXXXVI G. CAPELLINI bocca stretta, in un punto ove aveva verificato la profondità di 70 piedi. Dei resultati di quella esperienza e delle considera- zioni relative a quella interessante ricerca sulla temperatura del fondo del mare, tratta maestrevolmente nella nota che unisco agli altri allegati, nota che è completata con poco lusinghiere considerazioni e confronti tra i Lericini e i Chiaverini; aggiunge in fine considerazioni sulla pesca delle bilancelle e sulla pro- fondità del mare verso levante e verso ponente (v. Allegato K). Ma Spallanzani era a Porto Venere per studiare principal- mente gli animali marini, epperò di essi si occupò per quasi tutto il mese di settembre e preparò molte notizie che dove- vano servirgli per l’opera ideata, ma che per la maggior parte sono appena accennate nella prima lettera a Carlo Bonnet. Gli editori Torreggiani e C. nel secondo volume degli opuscoli di Spallanzani (tomo IX della raccolta) pubblicarono le note sui Ricci marini che si riferiscono a osservazioni registrate da Spallan- zani con le date 4-8 e 18, 20 settembre, quelle relative alle Spu- i yne , 21, 24, 25 settembre, e terminarono il volume con le osser- vazioni relative alle Coralline nel senso di Pallas, 24, 27, 28, 30 settembre e le note sulle Ortiche fisse chiamate a Porto Venere Fidellini di mare; note che portano le date 9, 10, 12, 25, 27 settembre 1783 (*). Ma in quel tomo secondo, nel quale furono altresì pubbli- cate le importantissime Osservazioni fatte a Massa e Carrara , che incominciano con la data 8 ottobre, alla pag. 224 sono pure stampate le Note del 16, 17 settembre, col titolo: Viag- gio al di là della Spezia terrestre. Quelle note, clic ritengo oppor- tuno di unire in allegato, perchè sieno ristampate, si riferiscono: la prima alla Sprugola di Maggiola, alla grotta di Cantarrana (Bocca lupara), alla fontana detta Nympharum domas e caverna o baratro di Zegori, intorno al quale il nostro Naturalista attinse notizie dal parroco di Marinasco (v. Allegato L). La nota poi del 17 settembre tratta delle cave di manga- nese nel territorio di Casale, delle quali due anni prima ne O Da una interessante lettera di Tissot, datata da Losanna 3 di- cembre 1783, ho ricavato che il 28 settembre Spallanzani gli aveva scritto da Porto Venere, e la lettera era stata in viaggio ben 43 giorni. LAZZARO SPALLANZANI A PORTO VENERE LXXXVII erano state aperte cinque, ma allora ne erano malamente col- tivate appena due e il prodotto si vendeva a Venezia. In questa seconda nota parla dei rapporti delle caverne col calcare caver- noso, e ricorda la caverna di Pignone, intorno alla quale inter- rogò un vecchio chirurgo ottuagenario e uno zio dello stesso chi- rurgo in età di ben 97 anni, ma sanissimo di mente e che ogni giorno celebrava messa. Col secondo volume degli opuscoli (IX della raccolta) non essendo esaurita la messe copiosa di osservazioni inedite tro- vate nei Tometti di Spallanzani, pubblicarono un volume terzo nel quale, in mezzo a discorsi per Lauree, Studi nelle isole Lipari visitate da Spallanzani nel 1790, ricerche mineralogiche in Pavia nel 1792, lezioni diverse, discorsi relativi agli Ele- fanti, ai giganti patagoni, agli antropofagi e alla Grotta del cane, stamparono ancora, osservazioni dell’agosto e settembre 1783 in Porto Venere. Le osservazioni registrate con le date 30 e 31 agosto 1783 si riferiscono al Polipo simile in parte a quello dell’ Ellis chia- mato Corallina tributaria, e le note dei giorni 1, 2, 3, 6, 12, 13, 17, 18 settembre 1783 hanno per titolo: Altro nuovo po- lipo dentro una borsa. Nella pagina 102 dei prezioso Tometto CX, E, 58, si ha notizia delle osservazioni di Spallanzani negli ultimi giorni della sua dimora in Porto Venere. In quella pagina di carattere che per accurati confronti crederei fosse del barone Luigi d’Isen- gard, si hanno le seguenti indicazioni : « Profondità maggiore del seno della Castagna: Piedi tren- » tasette. » Maggior profondità del seno di Verignano: Piedi cinquan- tatre. » Profondità maggiore del seno delle Grazie : Piedi trentotto e mezzo. » Profondità maggiore del seno di Panigaglia detto S. An- » drea: Piedi trenta». Segue poi di pugno di Spallanzani : « Profondità maggiore del seno dell’Oliva, che è il primo » dopo Porto Venere per andare alla Spezia, è di piedi 39. » Questo seno doveva preceder quello della Castagna, ma io me LXXXVUI G. CAPELLINI » lo era scordato. Tutti gli altri vanno con ordine per andar da » Porto Venere alla Spezia. Queste misure sono state prese la » sera del 1° ottobre 1783 ». Il 2 ottobre scrive ancora: « La notte scorsa tirando dal fondo del mare ad una pro- » fondita di piedi 31 una corda, ad essa corda si è trovata at- » taccata una luccioletta. Onde vedesi che costoro si trovano » anche a profondità considerabile ». E probabile che le sopra riferite misure siano state prese mentre Spallanzani si avviava a Spezia ove forse pernottò la sera del 1° ottobre; in ogni modo è certo che il due di otto- bre era in viaggio per Massa, poiché nel pomeriggio del 3 otto- bre scriveva di cose vedute in casa del signor Albioni, e nel 1783 non si andava certamente in mezza giornata da Porto Venere a Massa. Le importantissime Osservazioni fatte a Massa e Carrara cominciano con la data 8 ottobre; con la data 23 ottobre dà la Descrizione della Grotta sopra Forno Volasco , il 25 era in viaggio da Caste Innovo per Modena. Quelle osservazioni furono pubblicate dal Torreggiani, come ho già accennato, ma meriterebbero di essere ristampate e dif- fuse perchè interessantissime. E a Pavia l’infaticabile Naturalista proseguì lo studio dili- gente delle copiose raccolte d’ogni genere relative al suo se- condo viaggio nel Mediterraneo e, tornando col pensiero a Porto Venere e alle montagne di Carrara, con la data 15 novem- bre 1783 scrive ancora diffusamente intorno alla nebbia e a quanto aveva osservato insieme all’ arciprete di Porto Venere. E scrivendo di nebbia e di temporali e istituendo confronti tra le osservazioni fatte nel golfo della Spezia, in Garfagnana, a Mi- lano, a Pavia; guardando dalle sue finestre dei mezzanini di casa Bianconi trapelare il sole oltre Po quando in Pavia è la nebbia, conclude sdegnosamente : « Qual meraviglia adunque se in paesi sì bassi, sì nebbiosi, sì paludosi sono sì rari i bei in- gegni ». E, per associazione di idee, ripensando a Porto Venere, Car- rara e Massa, termina col fare della Etnografia comparata, in modo veramente lusinghiero per gli abitanti di Massa e Car- LAZZARO SPALLANZANI A PORTO VENERE LXXXIX rara, soprattutto per il gentil sesso; ma tutto all’opposto peri Portoveneresi indistintamente. Anelie quelle pagine ho pensato di riunire in allegato, con ciò che si riferisce alle osservazioni e studi di Spallanzani nel golfo della Spezia (v. Allegato M). ALLEGATI RACCOLTI DILIGENTEMENTE NEI TOM ETTI DI LAZZARO SPALLANZANI RELATIVI AL VIAGGIO NEL MEDITERRANEO NEL 1783. Allegato A, v. pag. lxxix. Tometto CX. E. 58, pag. 47. 26 Luglio 1783. — Jeri sera sono giunto a Portovenere. Oggi co- mincio a fare la storia del mio viaggio e a riferire le mie osservazioni. Ho preso la strada di Parma, e sono andato in calesse per la posta fino a Fornovo : poi ho dovuto servirmi di cavalli per seguire il viaggio e venire fino a Portovenere, o a dir meglio alla Spezia dove sono prima andato: giacché tale strada non è punto calessabile. Da Fornovo fino a Pontremoli ho trovato montagne, per ascendere e discéndere : sono asceso fino al luogo detto la Cisa e qui si entra negli Stati del Gran- duca di Toscana ; La fine di questa ascesa porta ad un monte alto assai, quantunque ne abbia un più alto notabilmente verso mezzo giorno dalla parte di Levante. Qualche miglio prima d’entrare in questo monte che è di ragione di detto Principe si perdono i castagni, che prima eran frequenti e si trovano i faggi : i castagni vicino ai faggi hanno i ricci della grossezza cosi O e O , con que’ filamenti che forse saranno o gli stami, o i pistilli, quando i castagni prima di arrivare a Fornovo hanno già buttati da lungo tempo essi filamenti, che anzi si trovano secchi in terra, e i ricci sono da otto volte per lo meno più grossi. Ciò nasce qui dal caldo, là dal freddo: difatti accostandosi a quella sommità, che comincia ad essere del Gran Duca si sente fresco, e quando poi si ar- riva a detta sommità si ha freddo; e il termometro là marcava gr. 16 quando a Fornovo ne marcava 23. La maggiore altezza si conosce anche dalle nubi, che quivi corrono con velocità, e toccano quasi tal sommità, il monte poi più alto mentovato di sopra lo coprono in parte, quan- tunque tali nuvoli sieno stati temporaleschi, per aver fatto sentire de’ tuoni. Ho detto di sopra che vi sono in gran quantità de’ faggi, e per alcune miglia, anche discendendo, si trovano, poi si perdono, e tor- xc G. CAPELLINI nano ad apparire i castagni, e venendo più basso prima di andare a Pontremoli si trovano gli olivi, quantunque non in tanta copia, come nelle riviere di Genova. Quando si entra negli Stati del Granduca si comincia a vedere la strada ben tenuta anzi rifatta di fresco, e seguita per tutto il suo Stato (dove prima era guasta) per entrare nel Genove- sato e venire alla Spezia. L’Inverno scorso non può essere stato più penurioso. Che ha fatto adunque per isminuire la miseria quel Principe, vero Padre de’ sudditi suoi? Ha fatto lavorare durante tutto l’inverno i poveri montanari neH’accomodare la mentovata strada, e cosi dalla paga in tal lavoro che facevano hanno potuto campare assai bene : ot- timo espediente perché non soffrissero la fame. Si dice che vi abbia speso da zecchini. In questo viaggio montuoso non ho mai trovato granito: cosi fu pure quando molti anni addietro vidi l’Appennino a S. Pellegrino, e dopo vidi ventotto volte. In questo viaggio (e cosi nell’altro duppli- cato) non ho trovato che pietre calcarie, parte a blocchi, parte in filoni, aventi gli strati rare volte orizzontali, ma all’orizzonte d’ordinario obliqui. Oltracciò vi ho veduto in varj luoghi diverse cinghie di pietra bianca sfogliantesi, simile a quella di Montebabbio, e ch’io giudico argillosa. Il viaggio da me Pitto da Fornovo a Pontremoli è stato li 23 luglio. Il tempo é stato vario: la mattina a Fornovo tuonò verso la montagna, e cadde una spruzzagli d’acqua : facendo poi cammino su l’alta mon- tagna. vennero varj temporali in diversi luoghi. Prima era stata la nebbia famosa che si era fatta vedere per tutta quasi Europa: quel giorno ne era anche un avvanzo e qualche avvanzo si vedeva pure per i burroni, alle falde ed alla sommità di dette montagne: era un velo che impediva di veder nettamente le montagne. Ho fatta questa osser- vazione: quando é piovuto forte, col cadere un rovescio, se prima vi era della nebbia si dilegua : non cosi succedeva li 23 detto : la nebbia restava come prima. Quando sono giunto alla Spezia, ve l’ho pur tro- vata ma rarissima, li 24. 25. e 26, cioè oggi nel mare ve n’é altresì un pocolino, ma pare che di giorno in giorno vada finendo. Li 23 giugno di quest’anno medesimo partj da Pavia e venni a Scandiano per la Lunga del Po. Era da molti giorni che in Pavia, e ne’ contorni vi si trovava, ma allora fitta in modo che si vedeva a poca distanza. Siccome lo Stato Pavese e Pavia stessa sono nebbiosis- simi, naturalmente io credeva che tal nebbia fosse propria di que’ luoghi, ma l’ho trovata a Modena, Reggio, e Scandiano. Per le relazioni poi avute so che n’é stata per quasi tutta l’Europa. Nella Lombardia di quando in quando si sublimava, formava temporali, senza niente o quasi niente di gragnuola, con poca pioggia e moltissimi fulmini. Tali fulmini sono caduti a Gualtiere, Reggio, Scandiano, Castelgraiule ; nel Parmi- giano però non è caduto fulmine alcuno per quanto mi é stato detto. Intorno a’ temporali osservo che nell’appennino si formano e sol- levano nuvoli, altri de’ quali hanno direzione verso il mare e quivi for- LAZZARO SPALLANZANI A PORTO VENERE XCI mano pure temporali, e questo l’ho osservato altre volte: sicché nelle stesse montagne altri de’ venti cacciano le nuvole al sud altri al nord; e questo l’ho osservato mille altre volte. Oggi alle ore IH circa d’Italia si é fatto un temporale su le Panie, dove ha tuonato, e grandinato: anzi il tuono e la grandine si sono fatti sensibili sul mare medesimo dove sono la Fonte dolce e le gorgonie. 27 Luglio 1783. — Verso le ore 19 V2 su le stesse Panie si é for- mato un altro temporale, ma piccolo, avente la direzione verso Carrara. Non ostante il chiarissimo sole qui a Portovenere ho veduto nel % del temporale un Lampo, e dopo qualche tempo ho sentito il tuono. Osser- vazione generale. Questa è che su le montagne singolarmente alpestri, si formano assai più spesso i temporali, che su le pianure. Io l’ho ve- duto assai volte nel nostro Appennino, due anni sono nelle Panie, e quivi comincio pure a vederlo di nuovo adesso. Ciò nasce perché su le montagne si formano molto più frequentemente i nuvoli che nel piano. Sono que’ fumarélli che nascono in vetta a monti. Ma perché vi na- scono ? Sarebbe mai perché la neve colà si squaglia, e cosi forma quella atmosfera vaporosa ? Le cime della Pania senza neve presentemente, e che sono nudi scogli petrosi distruggono questa osservazione. 0 piuttosto perché quelle cime sono come conduttori della materia elettrica, la quale reca seco i vapori dell’aria? Quest’ipotesi mi sembra pressoché precaria. 28 Luglio 1783. — Rozza notomia degli occhi della Seppia. À pag. 56 seguita così: Messo un termometro a tramontana, non però che abbia potuto re- stare esente affatto dalla riflessione. In questi tre giorni 26, 27, 28 nel maggior calore é asceso a gr. 22. Anche oggi nelle Panie vi é tempo- rale: le nubi però avendo direzione verso il nord non formano il tem- porale dalle nostre parti. 30 Luglio 1783. — Ieri ed oggi é spirato e spira scirocco e in questi due giorni é nebbia sul mare, e su' monti, non però tanta, quanta nei giorni passati. Mi si dice, che in tempo che si è veduta si a lungo la nebbia, dominava lo scilocco. Oggi alle ore 15 d’Italia il termometro é a gr. 23. V3. 2 Agosto 1783. — Il calore ne’ giorni seguenti è cresciuto. Jori fu a gr. 25, ed oggi é giunto quasi a 26. Secondo il solito su le panie si vanno formando verso il mezzogiorno o dopo dei temporali, e qui a Portovenere niente. NB. Nella stessa facciata continua: — Polipo marino. — Continua le osservazioni il 3 e 1’ 8 agosto. ^ i hanno pagine bianche, quindi a pag. 66: — Pennatule. — 14 agosto, 15, 18. vn xcn G. CAPELLINI (Il 18 a bordo alle bilancelle), 19, 20 agosto. 21 Agosto: Note in parte di pugno dell’Arciprete? 23 Agosto. La sera. — 26, 30 Agosto. 11 Settembre — 27 settembre 1783. NB. Termina a pag. 82, accennando che la continuazione sulla Pennatule si trova nell’altro Tometto. A pag. 83 si ha: — Abbozzo di Storia delle Mentale marine. — 3 Agosto, 14, 17 Agosto 1783. — 7 Settembre, 30 Settembre. Poi due pagine bianche e continua: Seguito del Capo intitolato: Sbozzo di Descrizione di Portovenere. Allegato 11, v. pag. lxxxi. Tometto CX. I). 130, pag. 253. Stratificazione delle rupi da Portovenere per andare alla Fontana, dalla parte di sera. 2 Agosto 1783. — Considerata la rupe che da Portovenere conduce verso la fonte si vede che è lo stesso scoglio, su cui è fondato Porto- venere, che continua. La fortezza S. Maria è pure sul medesimo sco- glio e lo stesso é del Lazzaretto. Il mare battendo nello scoglio ha prodotto qua e là delle caverne, nate dall’aver fatto cadere dei pezzi di strati sottoposti o più alti. E impossibile di descrivere la direzione di questi strati, giacché sono a tutti i versi. Ye n’ha di quelli che for- mano un arco, che con i due estremi termina nel mare: e quell' arco ora é di poca altezza, ora di molta. AH’improvviso cessa talvolta l’arco, e gli strati divengono orizzontali, poi tornano a piegare, e a fare degli archi, talvolta con gli strati concentrici, il più picciolo e interno dei quali é di meno di 2 piedi. Succede il Lazzaretto, dopo la fortezza, esso pure fondato sul medesimo scoglio il quale ha la sua stratifica- zione in molti luoghi orizzontale. Seguita dopo la fortezza di S. Fran- cesco, sostenuta essa pure dal medesimo scoglio, i cui strati hanno di- rezione poco all’orizzonte inclinata. Noto in generale che gli scogli fin qui descritti, dove son battuti dall’onde hanno mine per tutto, essen- done in buona parte caduti de’ pezzi in mare ed altri essendone cadenti. Dalla parte più avanti su cui è altresì fondato detto forte gli strati continuano ad essere all’orizzonte obliqui Andando avanti verso la fon- tana non si presentano che i medesimi scogli. Fino adesso tutti questi scogli, come quelli su cui è fondato Portovenere, l’ Isola Palmaria, il Tiro e il Tiretto, sono composti, per quanto mi pare, della medesima pietra. LAZZARO SPALLANZANI A PORTO VENERE XCIII 2 Agosto 1783. — A dopo pranzo. All’entrar nell’isola Palmaria in faccia a ponente, dopo l’essere uscito dal golfo, rasentando lo scoglio si presenta una bellissima grolta nello scoglio, a cui corrisponde per di fuora lo scoglio dell’Isola palmare, a picco ed altissimo. La grotta mano mano che s’ interna si va restringendo. È d’ ogni intorno e su la cima formata di lastroni grossissimi, e pendenti, con qualche stalattite rozza. Il vedere tal grotta fa qualche raccapriccio da quelle pietre pendenti : il principio può essere palmi 20 e restringesi sempre andando a finire in un angolo. La sua lunghezza è di palmi 100 circa. Il mare vi entra dentro e va romoreggiando fino in fondo: la profondità del mare alla bocca della caverna è di piedi parigini 42. Dentro ne’ crepacci della caverna vi trovo molti rondoni, che vi ave- vano i nidi. Il fresco in questa grotta è qualche cosa di maraviglioso. Andando più avanti si presenta un’ altra caverna, che ha la dire- zione non in lungo, ma in largo (il largo non è però molto), e il bello si è che é fatto alla maniera d'una berretta semichiusa, che ha l’apertura in fondo e la cima della berretta in alto. L’altezza sarà più di 120 piedi. Più avanti, andando sempre attorno all’Isola palmaria, si presenta un grotticello, su la fronte del quale vi è una piccola fontana d’acqua dolce.. . piovendo la fontana cresce, nelle grandi siccità però, come adesso, é anche vivace. Poco dopo, radendo sempre l’Isola si vede un’altra grotta, più larga della prima e allargantesi piuttosto coll’andare innanzi: è però assai più corta della prima. Oltre agli strati sassosi grossi, vi sono tra mezzo una moltitudine di sassi che sembrano fluitati. Vi sono molte stalattiti ma rozze, massime al lato sinistro. Quasi _JL un quarto di miglio più avanti si presenta un’altra grotta fatta così ab è l'ingresso r la line. È tutta illuminata a riserva del- la cima inferiore tanto alta che non vi si vede il fondo. Tutti gli strati a >> dello scoglio sono verticali. Seguitando più avanti attorno all’Isola palmare il viaggio in barca si veggono gli stessi strati sassosi che contornano l’isola, senza però che vi sia nulla di singolare. Una curiosità sola si presenta a scirocco: ed é una stratificazione singolarissima, essendo formati gli strati della rupe come quelli di un tonno. 3 Agosto 1783. — Questa mattina sono andato al di là dell’ Isola Palmaria, che per il mare guarda mezzogiorno e dalla parte opposta ha Lerici in faccia. Essa avrà di circuito un miglio circa, come 1 Isola palmaria 3 miglia. Tale è la posizione di questa Isola in faccia ad un Monastero diroccato, che era degli Olivetani, e che è famoso per esservi stato S. Venerio, quel medesimo Santo che noi Reggiani abbiamo in Reggio. Andando sul sito vi si vede qualche avanzo di balaustrata, con tre colonnine di marmo di Carrara. Si osserva la parte superiore della chiesa diroccata. Il Campanile è in parte caduto, e in parte minaccia di cadere, essendo i pezzi di muro in gran parte staccati l’uno dall altro. XOIV G. CAPELLINI Tutta la fabbrica in generalo (che è assai meschina cosa, anche quando era in piedi) è composta del sasso dello scoglio di questa Isola, e della palmaria. Solamente i sassi sono prima stati tagliati. Verso sera al mu- nistero diroccato vi é una casetta, che sembra essere cosi antica come lui, che di sopra ha una stanza o salotto rettangolare ma che é sco- perchiato ed abbandonato. Al di sotto vi è un’altra stanza meno sman- tellata, dove si tengon le bestie come pecore ecc. Scendendo dal luogo diroccato al mare verso Levante vi é una strada che conduce al mare, cioè su lo scoglio vivo vi sono delle tacchette, o gradini, i quali sono sensibili al numero di 13, poi si perdono (non già che sieno stati rosi, ma forse perché non ve n’era bisogno per essere il sentiero sul sasso dolcemente inclinato); in seguito sempre calando all’oriente se ne tro- vano altri quattro, ma mal fatti, e poco profondi : poi se ne trovano altri 8, meglio fotti, gli ultimi due dei quali sono bagnati dal mare. Più basso non se ne trova di sorta, segno chiaro che dal tempo che furono fotti a questa parte il mare qui non si è alzato nè abbassato. La distanza tra l’Isola del Tiro e la palmaria, nel sito di maggior vicinanza è un tiro di schioppo da una punta all’altra e la punta del Tiro corrisponde appunto al Monastero sudetto: é adunque il mare in quel luogo d’una larghezza di tiro di schioppo. Considerata la natura della pietra di queste due Isole, la stratifi- cazione la lor posizione, chiaro apparisce che una volta le due Isole erano una sola. Radendo quest’ Isolotto con la barca oltre alle diverse piantine, che sono attorno allo scoglio bagnato dall’oude, vi si trovano moltissime patelle ora bagnate dal mare ora in asciutto lasciate: e pare amino questi siti più di qualunque altro, almeno sotto l’acqua a molta profon- dità non se ne vede. Quello che dico delle patelle, lo dico d’una im- mensità di piccioli balani : ma questi per essere immobili, restano mol- tissimi morti ne’ siti più alti dove l’onda quando il mare è basso non arriva, all’opposito le patelle discendono in acqua. Di questi balani se ne osserva in più luoghi lo scoglio per tutto gremito all'altezza di 12 e più piedi. Proseguendo il cammino attorno all’ isolotto sudetto nel sito che corrisponde a libeccio si vede una grotta che merita di esser descritta. Lo scoglio è affatto a picco. Si fa un allargamento nella bocca della a caverna che sarà una sessantina di palmi, si va restringendo cosi r ar l’apertura, b l’estremità. La lunghezza della caverna è breve ma si solleva in altezza, formando come un cammino, che ne ha anche la somi- glianza per essere di pietra nera. La stratificazione è curiosissima, per essere gli strati altri obliqui un poco aH’orizzontc altri affatto verticali incroccichiantisi. Questa grotta corrisponde al sito più alto dell’Isola del Tiro. Al di fuori di questa grotta nel sito più alto dello scoglio vi fanno molti rondoni bianco-neri, quelli che hanno per voce uno strido LAZZARO SPALLANZANI A PORTO VENERE XCV allungato e che lio veduti nella cattedrale di Berna in massima quan- tità. Hanno la pancia bianca e la schiena nera. Passando dopo all’Isola palmaria, dalla parte che guarda nel mare il mezzogiorno, ho trovato, sebbene in minor copia di questi rondoni. Allegato C, v. pag. lxxxii. Nel Tometto CX. D. 130 (’). Viaggio nel Mediterraneo nel 1781. Parma 23 del 1784. Ornat.mo Sig.r Prof.e Dopo sei, o sette giorni ch’io ebbi il contento di qui riabbracciarla nel rapido suo passaggio in Novembre, fui d’improvviso assalito da tor- mentosa pertinacissima doglia reumatica al manco lato, della quale porto tuttora le fastidiose reliquie. Ed eccole in parte il perché, Sig.r Abate venerat.’"0, mi sono a questo punto sospesa la sodisfazione di servirla del riscontro che mi comandò, sull’antichità del Monistero di S. Venerio in vicinanza di Portovenere. Ho detto in parte, poiché non le voglio dissimulare, che se la infedele mia memoria in questa occasione non me ne avesse fatto una delle sue, alcun poco prima d’ora avrei pagato questo debito, che per caso sul principio dell’anno mi richiamò a mente Angelo mio fratello, che sine fine la riverisce. Ho poscia dovuto indu- giare ancora qualche poco più pel difetto di dato certo, che mi scortasse con sicurezza nella indagine della bramata notizia, la quale in damo mi lusingai di scontrare negli annali del Mabillon, o ne’ secoli Bene- dettini del medesimo, che non ne ha sillaba; e in vano pur confidai di esserne chiarito dallo storiografo Olivetano Lancellotto, e dal Lubino nelle sue abbazie d’Italia, i quali scrivono di quel Monistero tanto con- fusamente, che un Edipo ci vuole per comprendere cosa ci vogliono dire. Fatto io certo finalmente da Reggio, che l’uffizio di S. Venerio, le cui reliquie riposano in quello già fu nostro Monistero di S. Pietro traspor- tateci da Portovenere, si celebra il dì 13 di Settembre, ho potuto senza andar tentone metter le mani negli agiografi Bollandiani; i quali se non mi hanno fornita con la desiderata precisione la notizia, che cerchiamo, hannonci però dato in mano il filo di Arianna, percui senza smarrirmi ho potuto scorrere il labirinto della storia di quel Monistero, e fissare con certezza un’epoca della sua antichità, che, se non é quella della erezione del medesimo, tale è certamente al creder mio, che bastar deve all’oggetto della illuminata curiosità di Lei. È però lasciando stare la non improbabile opinione di que’ dotti accuratissimi scrittori, i quali (3) Questa lettera é attaccata con ceralacca alla pagina 107 del To- metto. XCVI G. CAPELLINI giudicano molto verisimile il pensiero di Giuliano Lamorati nella vita di S. Venerio, che fissa la fondazione del Monistero in quistione poco prima della metà del secolo VII, appena morto il Santo; e lasciando pur anco stare, che, essendo mera congettura, comecché assai ragione- vole, il pensiero del Lamorati, potrebbesi forse quel Monistero dire con probabilità pari lo stesso, in cui si suppone educato S. Venerio, e che fioriva nel VI. secolo a tempi di S. Gregorio; certa certissima cosa é che la sua fondazione é per lo meno anteriore di molto al XI. secolo. A questa scoperta mi ha guidato come per mano un autentico docu- mento di quel Monistero del 1085 prodotto negli atti Bollandiani, nel quale esso Monistero vien detto Monasterium S. Mariae et Venerii, quod est constructum in insula, quae nuncupatur Tyrus. Tale deno- minazione mi ha richiamato alla memoria come un buon numero di simili documenti spettanti al Monistero medesimo vengono riferiti dal celebre Muratori nelle sue antichità estensi, che quindi da me consultate me ne hanno presentati di assai più vecchia data, che non quello del 1085; e sopratutto uno del mille nel quale, come in tutti gli altri, assai antico si suppone il Monistero, che perciò vorrà dirsi del IX. secolo per lo meno. Io non hò ben presente a qual’oggetto Ella mi si mostrasse tanto premuroso della notizia di quella fondazione; mi ricordo si bene però, ch’Ella avrebbe goduto di saperla con sicurezza antica di alcuni secoli. Ne le bastano nove? Eccola servita senza equivoco, o dubbiezza. E se ne è soddisfatta me ne accerti col replicato onore de’ suoi comandi e mi creda sine fine penetrato da verissima stima. Di Lei Sig.r Prof.e Gentil.™0 che prego de’ miei più rispettosi con- venevoli al chiarissimo P. Fontana, ed all’ottimo P. abe Perondoli Divot.mo Obbl.mo Se ed a0 Cold.™0 D. Andrea Mazza. Lettera di Spallanzani in risposta alla precedente del IJ. Mazza, già pubblicata dall’Università di Pavia. Veneratiss.™0 P.r« Abb.® ed A.co Preg.mo Uno dei Problemi che nel mio soggiorno a Portovenere, e in quelle vicinanze esercitò la mia curiosità fu quello di cercare se in que’ luoghi il mare si alza, o si abbassa. Dalla parte di Massa , e Carrara ebbi prove non equivoche, che si abbassa, giacché da non molti anni a quesfa parte si é allontanato per circa mezzo miglio da que luoghi altre volte da esso bagnati. E la cagione di tale allontanam.10, o apparente abbassalo.'0 é derivata, e deriva dalle continue deposizioni do’ fiumi, segnatami® dalla Magra, che colà metton foce in mare. Per l’opposito a Portovenere, dove non sono questi influenti, credo di aver prove decisive che il mare non si é alzato, né abbassato. Una di queste io la cavo da un’osservazione da me fatta nell’isola 'Tiro, che é la seguente. Quasi dal piede del celebre LAZZARO SPALLANZANI A PORTO VENERE XCVII monastero in questione fino al livello dall’acqua del mare vi si trovano nove gradini incavati nel vivo scoglio, formante un rigido piano incli- nato, che si vede che servivano per passare dal monastero al mare, e montare in barca. L’ultimo gradino rasenta il pelo dell’acqua, e più basso di quest’ultimo non ve ne sono altri, quantunque continui lo scoglio a piano inclinato sott’acqua. Dal tempo adunque che fu scolpita questa scala sul sasso vivo, che è mezzo logora dall’età, il mare non si è colà alzato, né abbassato: non alzato, giacché avrebbe coperto qualche gra- dino: non abbassato, mentre sarebbe al disotto più o meno dell’ultimo gradino. A me premeva dunque moltissimo di sapere l’epoca presso a poco della formazione di detto monastero, che cosi a un dipresso aveva anche quella della scala, giacché é credibilissimo che venisse formata da que’ Religiosi che cominciarono ad abitar detto monastero, e che pe’ loro bisogni dovevano passare dall’Isola al mare. Da queste premesse vede Ella dunque P.re Abbate veneratiss."10, quanto io debba saper grado alla bontà sua per le importanti e sicure notizie che su tal proposito si é compiaciuta favorirmi nell’obhligante suo foglio. In conseguenza di queste rimane dunque provato che per nove secoli circa il mare in quel luogo é restato alla medesima altezza. Posso accer- tarla che me le professo sornmam.10 tenuto. I P.ri Fontana, e Perondoli (’), che hanno gustata assaissimo la di Lei scnsatiss.ran lettera, le ricambiano i loro affettuosi compiilo.11. Io mi vò disponendo pel viaggio che ha (sic) primavera inoltrata farò a Costantinopoli col Bailtf veneto che va colà, avendone già ottenuto il grazioso permesso da S. A. R., e dal Governo di Milano (2). La pregherò col S.r Ang> e con la sua S.™ de' miei affettuosi con- venevoli e pieno della più viva riconoscenza sono, e sarò tino alle ceneri con pienezza di stima, ossequio ed affetto di Lei P.re Abb.e Veneratiss.1"0 Pavia 10 Febbraio 1781. Dev.™° Obb.mo Servo e A.co y.ro Jj.ro Spallanzani. Allegato 1), v. pag. lxxxii. 4 agosto 1783. — Intorno all' Isola Palmaria fo questa osservazione. Dalla parte che é fuori del golfo, tutta l’Isola è scoscesa, dirupata, orribile; ed é quivi dove si vedono quelle grotte, quegli scogli a picco etc. di cui ho parlato. All’opposto dentro il Golfo l’ Isola rappresenta una (*) (*) 11 P. Gregorio Fontana dello Scuole pie, il P. Stanislao Peron- doli della congregazione olivetana: amendue, come è noto, Professori a Pavia. (?) Lo effettuò soltanto l’anno dopo. XCV1II G. CAPELLINI collina che comincia al mare, e che va scendendo fino alla cima, dove in parte cominciano quegli orrori. Tal collina é erborizzata da mol- tissimi pini selvaggi e da olivi in copia. Anzi una volta era colti- vata da moltissime vigne quando la popolazione era maggiore a Porto- venere, delle quali vigne non esiste ora quasi l’ombra. La ragione per cui l’Isola palmaria fuori del Golfo è si orrida e dentro è amena, é a mio avviso questa. Fuori domina orribilmente il libeccio, il mezzodi (oltre il scirocco, e il Levante) dentro questi venti non possono imperversare: non portano dunque via il terreno, e le pietre, come fuori. L’Isola palmaria considerata ben bene (e lo stesso è dell’Isola detta Tiro e dell’altra più piccola detta Tiretto) non è che uno scoglio della già descritta pietra con una crosta terrosa più o meno profonda su cui nascono e moltiplicano le piante che vi si veggono. La ragione della disparità soprallegata riceve maggior peso dal vedere che per andare alle Grazie in faccia al forte detto la Scola, la sponda che guarda la sera é tutta dirupata a motivo del Levante e sirocco, che dalla parte di detto forte vengono dirittamente a battervi contro. E a motivo d’un tal vento doppio non si può quando spirano forti venire dalla Spezia a Portovenere. 9 Agosto. — Ho fatto altrove questa riflessione, che l’Isola palmaria per di fuori è tutta orrida a motivo de’ venti fui-iosi che la battono; lo stesso, aggiungo adesso, è dell’Isola Tiro che essa pure per di dentro ha un pendio erborizzato e colto quanto basta. L’Isola palmaria ha di circuito 3 miglia circa. 21 Agosto 1783. — Gli scogli dell’Isola palmaria, che guardano le- vante, o tra levante e mezzodì hanno in due luoghi una stratificazione che par quello d’uno sturione o piuttosto d’un tonno. Vengo assicurato che la pietra (che é marmo) bianchiccia che cir- conda il marmo di Portovenere in tanti luoghi, sia da lavorare assai più dura di tal marmo. 1° 7bre 1783. — Ho detto in un luogo de’ miei Giornali che l’arena tra la Spezia e Lerici trovata allo spiagge del mare è in massima parte selciosa. Ma è stato detto dopo che tal arena vien giù dalle montagne del continente, come è naturale, onde non é maraviglia se non c cal- care, come in massima parte sono calcari le arene dell’Isola. Il luogo dove si cava tale arena si chiama Pitélli. Tale arena si fa venire a Portovenere per fabbricare giacché attorno a Portovenere non ve n’é, almeno in copia. La distanza tra l’Isola Palmaria e il Tiro può essere di piedi 250. Jeri mattina (25 7l,re) passando rasente l’Isola suddetta per la parte di fuori vidi che dall’alto di quegli scogli eran caduti di fresco alcuni pezzi insigni di pietra in mare, a cagione delle antecedenti pioggie pe- netranti le fratture di quegli scogli sconnessi. Mi dicono altresì che in alcuni anni si sente il rumore da Portovenere di pezzi di scogli cadenti in mare dalla parte di fuori. LAZZARO SPALLANZANI A PORTO VENERE XCIX La grossezza del muro, o angolo di muro che a S. Pietro fu ro- vesciato molti anni sono con un colpo di mare, è di due piedi, e la muraglia era di pietra di scoglio legata con calce. Allegato E, v. pag. lxxxiii. Nei giorni scorsi del mese di ottobre del 1782 si ebbe in Porto- venere un forte vento di Mezzodì e sirocco che gonfiava non poco il mare: nella notte poi dell’11 saltò il vento a libeccio che accrebbe a dismisura la gonfiezza del mare: continuavano ad infierire il vento e il mare nella mattina del giorno 19 nella quale si scoprì a Ponente di Portovenere un bastimento che faceva ogni sforzo per guadagnare la bocca del Golfo. Essendo a me stato riferito di questo bastimento, mosso dalla curiosità, mi portai sull'ala per vederlo non potendosi senza ba- gnarci andare a S. Pietro. La spuma del mare, lo spruzzo dello stesso che del tutto copriva come di una caligine non mi faceva che travedere rindicatomi bastimento : ritornai indietro a ripigliare il canocchiale per fissarlo un po’ meglio. Cosi munito giudicai che lo stesso fosse lontano da 4 miglia da terra : faceva ogni sforzo per continuare a Levante e lasciarsi dietro i scogli del Tiro e del Tiretto: ma mentre io ero col canocchiale a considerarlo mi accorsi che mutò direzione, e che a dirit- tura si pose a venirsene verso terra. M’ innorridì una sì fatta risolu- zione: esso aveva incontro una catena di altissimi scoglii, che a per- pendicolo mettono in mare, e dove lo stesso si rompeva nella più forte maniera: altro scampo non le si parava dinanzi che la bocca stretta, passo in quelle circostanze poco meno terribile dei stessi scoglii. Giu- dicai subito che la sua risoluzione era quella di un disperato. Mi portai immediatamente in Chiesa diedi un segno colla campana e fatto radu- nare il popolo dissi la Messa, e scoperto il santuario di N. Sig.a per viemmaggiormente eccitare il popolo, feci da tutti pregare per quei mi- seri naufraganti. Finita la messa la più parte della gente portossi nello stesso luogo dell’ala per veder l’esito di quel bastimento, e parte montò su d’un forte e nuovo liuto s’avvicinò por quanto le venne permesso dalla furia del mare alla bocca, e là si mantenne con una bandiera spie- gata per indicare al bastimento la strada, che doveva tenere, quando le fosse riuscito di entrare, e per cacciar delle corde, alle quali si po- tessero apigliare i naufraghi, nel caso che miseramente rompessero. Frattanto avvicinavasi la nave alla terra, e l’esperto pilota ebbe il ri- guardo di mantenersi più a ponente della bocca per poterla prendere più sicuramente e non lasciarsi trasportare dalla furia del mare a le- vante della stessa nei scogli della Palmaria, nel qual caso inevitabile sarebbe stata la perdita della nave e la morte di quanti la montavano. Non si lasciò sgomentare dall’orrido scoglio di S. Pietro che allora ve- niva quasi ad ogni tratto coperto dal mare: mà l’andò radendo sino c G. CAPELLINI alla vicinanza d’un tiro di pistola, e le riuscì finalmente di prendere la bocca : già la prora della nave era diretta dentro al seno, e già gli al- beri della stessa si scorgevano quasi del tutto a levante di S. Pietro, quando all’improvviso, e al maggior uopo le mancò il timone rompen- dosi la corda, colla quale veniva regolato : le vele quasi del tutto strac- ciate non poterono suplire al difetto, e spingere dentro la nave, sicché la stessa fu costretta a rivoltarsi da prora a poppa: di modo che in un istante cambiò direzione, e dove avea la poppa si rivoltò colla prora. Tutti i spettatori allora disperarono della sorte della nave, altro più non si aspettava che un colpo di mare, che la gettasse nello scoglio, dal quale non era distante che 304 braccia: quando un’onda più del- l’altre maggiore, e che aveva intieramente la direzione a Greco la ri- mise nel pristino stato, e la portò immediatamente dentro la bocca, e la spinse in salvo. Le lacrime e i lamenti de’ spettatori si cambiarono in un grido di giubilo. m\. l 'originale trovasi attaccato alla pagina 105 del To- metto CXD, 130. Suppongo che sia di carattere dell’Arciprete Podestà. Allegato F, v. pag. lxxxiii. Pesca di Portovenere. Nei mesi di gennaio e febbraio continuano lo bilancelle a prendere e triglie e naselli e sogliole e rombi e in minor quantità qualche pic- cola ombrina e in maggiore le razze, la terrazza, la torpedine, il gat- tuzzo e la nocciola. Le sciabiche adoperandosi allora colla maglia più stretta prendono i bianchetti e i rossetti: sono questi piccoli pesciolini della lunghezza poco più di un pollice e della grossezza di due circa linee, i primi bianchi e rossi i secondi. Si vuole da alcuno che sieno specie di pesce che non crescono di più: altri pretendono che sieno i primi i piccoli naselli le piccole acciughe etc. e i secondi i figli delle triglie dei capponi degli organi etc. vero che questi piccoli pesci poco o niente si rassomigliano, fuori che ne’ colori, a maggiori pesci nomi- nati. Nelle sciabiche oltre questi pesciolini e qualche scorpena s’incontra ben di rado in questi mesi altro pesce. I paramiti prendono oltre i na- selli delle bellissime aragne di 3 a 4 libbre e dei piccoli spada di 6 a 10 libbre. Le nasse in questa stagione portano i più grossi gronghi e le più grosse morene e mostelle. Quando la staggione (sic) il permette escono alla sera i pescatori con un singolare istrumento che si chiama gangaro. È questo un cerchio di ferro intorno al quale v’é attaccata una rete che va a finire in forma di sacco. Il cerchio é piegato nella metà in modo che nella piegatura fa un angolo retto: calandosi in mare la metà posa nel fondo e l'altra metà tiene sospesa in alto la rete c forma un'apertura eguale alla bocca LAZZARO SPALLANZANI A PORTO VENERE CI d’un forno. Strascinandosi un siffatto stromento intorno alle rive del Golfo dove evvi poco fondo e allora libero dall’alga raccoglie una quan- tità ben grande di piccoli pesci e moltissimi insetti marini. I mesi di Marzo, Aprile e Maggio sono la staggione nella quale passano i muggini e le boghe, in Marzo cominciansi a prendere dalle sciabiche in una quantità indicibile le parase che si credono le piccole sardine: queste si pescano abondantemente in Aprile, nel qual mese finisce la pesca delle bilancelle. I paramiti hanno finito di prendere il pesce spada ma i belli naselli che cominciansi a prendere in Maggio ci fanno ricordare e sperare i maggiori del venturo Giugno. Lo stesso mese di Maggio comincia a regalarci di qualche arragosta. Giugno e Luglio. Il primo di questi mesi abbonda in naselli alcuni dei quali arrivano sino alle 14 libbre. L’uno e l’altro ci provede le belle acciughe da salare. Passano in questi tempi le palamie: alcuna volta prendesi qualche piccolo tonno. Abondanza d’arragoste. Agosto. La calma eccessiva di questo mese non è propizia alla pesca. Si prende per altro qualche pesce volante, qualche ombrina da scoglio e qualche mostella; più comodamente che in altro mese si rompono i scogli dei datteri. Negl’ultimi giorni di questo mese cominciansi a la- sciarsi vedere gli Agoni. 1hre. Si ripiglia la pesca delle bilancelle: si prosegue a prendere gli agoni con più profitto che nel mese andato. Le sciabiche ci danno poche sardine qualche pagaro e qualche sarago. Le nuove acciughette cominciano nel finire del mese. 8,,re. Le acciughette fine colla sciabecca i pesci spada e le aragne co’ paramiti, oltre i soliti prodotti delle bilancelle sono il frutto della pesca di questo mese. 9bre e Xhre. Danno presso poco i pesci dei mesi di Gennaio e Feb- braio. Allegato G, v. pag. lxxxiv. Tometto CX. E. 58 a pag. 158. Sbozzo di descrizione di Portovenere, e sue adiacenze. 18 Agosto. — Per godere bene la vista di Portovenere fa d uopo guardarlo a poca distanza nel Golfo, essendo l’Osservatore a Levante, ed avendo Portovenere a Ponente. Allora se si ponga in un punto equi- distante alle due estremità del prospetto, o facciata che corrisponde al mare, si vede questo picciol borgo nel punto più vantaggioso. Si sol- leva alle sponde del mare, e dolcemente si alza sul dorso di una collina, formando come una parte di anfiteatro avente all’estremità che guarda il libeccio una chiesa detta S. Pietro che una volta era la Cattedrale, e l’altra estremità verso tramontana la Cattedrale moderna, con dissopia un picciol Forte; e questa Cattedrale é la più bella fabbrica del Paese. Mano a mano innalzandosi sul colle detto Borgo si veggono le Case in C1I G. CAPELLINI modo che alcune di quelle di dietro non rimangono coperte da quelle d’avanti: quelle poi che sono al mar più vicine cadono più sotto all’occhio e farebbero la migliore comparsa se fossero buone fabbriche; ma tutte senza eccezione sono ordinarissime, e si rendono curiose per una immen- sità di finestre che stanno senza ordine, senza simmetria disposte ; e tal numero di finestre é stato fatto in grazia di volere ciascun abitante godere il più che può la vista del mare. L’Ingresso di Portovenere mostra subito al forestiere la miseria del sito. Si può dire che non siavi che una contrada tollerabile, ed è quella che si presenta, entrando dentro alla porta, giacché può dirsi che non ve ne sia che una: tutto il resto del paese non ha propriamente contrade, ma viottoli, andirivieni e più che altro somiglia a un cattivo ghetto di Ebbrei (sic). Una quantità di case sono rumate, e dov’eran le case ci sono degli orticelli, ma per lo più incolti: e una quantità d’altre Case sono ruinose e perciò abbandonate. Tutto Portovenere è composto della pietra del luogo, che é uno scoglio su cui é piantato il Paese, e ciò si vede per tutto e singolarmente alle sponde del mare, giacché quivi si osserva piantato sul vivo scoglio. Tale scoglio é duro assai, e di sostanza calcare: messone dei pezzettini nel- l’acqua forte comincia a sciogliersi con grande effervescenza, e si scioglie quasi tutta. Portovenere é quasi all’estremità d’una lingua di terra, che é peni- sola: del vedere che l’estremità che dà in mare di questa penisola ha la medesima obliquità di strati, la medesima natura di pietra, che l’estre- mità dell’Isola palmaria, interrotta dall’estremità della penisola per un brevissimo tratto di mare, si accorge facilmente che la penisola faceva una volta con l’Isola palmaria un tutto solo rotto dall’impeto del vento di fuori! All’Isola palmaria oltre ai pini selvatichi ve ne fanno anche alcuni pochi domestici. 20 Agosto 1783. — Volendo da Portovenere andare a Lerici, la tra- montana é favorevolissima, venendo sempre equabile, quantunque tal- volta fresca assai, quando tal vento per andare di qui a Genova é so- vente cattivo per venire, a cagione delle montagne, a raffeghe , come dicono. Per raffega e spolverino intendesiquel vento vorticoso, che é fatale alle vele: il rospo per andare a Genova, che é una conca d’un alto monte, é infame per li naufragi che fa. Essa tramontana é pur ottima per uscir dalle bocche, ed andare in alto. Questa cessa prima del mezzodì, viene quasi tutti i giorni verso mezzodi il ponente (quando é bel tempo) che riconduce felicemente a Portovenere. Col sirocco si va felicemente a vela a Lerici, e da Lerici a Portovenere. Il solo Libeccio é cattivo pel Golfo, quando é favorevolissimo per i bastimenti francesi e spaglinoli, che vengono da Cadice, e Marsiglia alle nostre parti. Sono due giorni che é tornata la nebbia d’un mese fa. Alla distanza di poche miglia non si vede più nulla quindi si sono rose invisibili le panie, o almeno stentatissimamente si vedono. lazzaro SPALLANZANI A PORTO VENERE CHI Ha cominciata la nebbia al cominciar d’un Ponente, che a riserva di alcune ore la notte e qualche ora la mattina ha sempre durato. È piut- tosto forte. 23 Ag. 1783. — All’estremità dell’Isola palmaria che guarda Le- vante è il tamoso marmo di Portovenere. Questa cava di marmi dà nel mare e si vede non essere che una continuazione dell'altro marmo, o scogli, che formano l’Isola suddetta ed anche su cui è l'istessa borgata di Portovenere, se non che tali scogli sono ora neri, ora bigi, ora oli- vastri quando quello di Portovenere ha di belle macchie gialle. I Padri Olivetani delle Grazie ne sono i Proprietarj. Questo marmo dalla parte contigua al mare è pieno di baianetti. È a grossi strati e questi strati inclinano verso il mare. Alla parte vicina al mare si vedono dei cavamenti considerabili di detto marmo. Questo marmo grezzo al di fuora è nericcio con quelle macchie giallicce, che però così non fanno figura. Uno strato non è diviso dall’altro con istrati d’altre materie ma è il medesimo masso o filone marmoreo che resta cosi diviso leggermente in tanti strati. Andando poi più in alto dalla stessa parte che guarda l’oriente si vedono altri scavi del suddetto marmo considerabilissimi, come pure tanto al basso (luogo già descritto) quanto qui all'alto de’ grossi tavoloni di marmo già dirozzati. Girando l’occhio su diversi rottami attornianti questi tavo- loni, ho veduto in uno un impronta d’una lumaca. Seguendo ad andare all’insù si veggono altri scavamenti. Il modo di staccar pezzi di marmo dal masso enorme è quello delle mine. Qui gli strati hanno direzioni diverse, e affatto irregolari. Queste stratifi- cazioni si osservano verso la superficie; internamente per altro e ne’ siti stessi dove si vedono i fori de’ succhielli per le mine il marmo è tutto un masso non stratoso, ma continuato. Sebbene andando un po’ più alto, e guardando più in grande la cosa, veggo che per la stratificazione io mi era ingannato: voglio dire che dove sono nel marmo i filoni, questi continuano la loro direzione obliqua verso il mare, come per appunto i contigui, o vicini al medesimo. Tal marmo non é tutto macchiato in giallo, ma si veggon dei pezzi grandi puramente neri, e solamente in- terrotti da sottili venamenti spatosi, i quali venamenti si trovano anche nel macchiato in giallo. Seguendo il cammino più insù della montagna si veggono altri luoghi scavati, ed una quantità di pezzi di pietra, non cosi belli all’ occhio, e che oltre al non aver macchie gialle, non son neri ma bigi, e d’un bianco-sudicio. Arrivando alla sommità della montagnola si vede un altro insigne scavamento a mano diritta andando all’insù (e gli altri scavamenti son pure dall’istesso lato) con una immensità di frantumi messi a sinistra con qualche spazio inter- medio e per andarvi e per cavare comodamente il marmo. Anche qui i filoni hanno la stessa direzione al mare sebbene non tanto obliqua. Qui però come altrove buona parte del marmo non ha filoni, ma è tutto un masso. E qui pure per ottenere gli scavamenti si osservano le stesse C1V G. CAPELLINI botte (li fuoco. Più alto a destra parimenti si trova una cavernetta con stalattiti giallo-rossicce al di fuori, e al di dentro sucido-bi anche, che non m’arresto a descrivere per averne meco recato un pezzo. Final- mente si arriva al sommo della montagnola e tutt'aH’improvviso dalla parte opposta si trova il mare a libeccio, guardando aH’ingiù da un’al- tezza a piombo strepitosa, dalla quale si vede da oriente fino a Ponente. Lo spettacolo dopo Tessersi raggirato dentro alle cave, ed esservi re- stato come sepolto non può riuscir più nobile, più maestoso, quantunque il guardare al basso la profondità del mare faccia orrore. E qui si vede che anche tal rupe a picco è tutto dello stesso marmo ; e però il cavato é un nulla a petto di quello che può cavarsi. Questo marmo a motivo della china della montagna é facilissimo a recarsi in mare. Sono in se- guito uscito dalla bocca dell’Isola palmaria, e passando sotto quella rupe che prima vedeva per dissopra, ho veduto che da cima a fondo è il medesimo marmo, il quale seguita poi nel rimanente dell’Isola a riserva, come dicea, della grana più o meno pura, del colore, delle macchie. Guardati per di fuori dell’Isola gli andamenti degli scogli quan- tunque sieno tanto diversi di posizione, come io ho detto altrove, pure considerati in una vista generale si trova che sono obliqui al mare, andando a un di presso come gli strati del marmo di Portovenere. So- lamente l’obliquità é maggiore o minore. Tale andamento obliquo si os- serva anche all’ingresso della bocca stretta in Portovenere, tanto dal- l’estremo dell’Isola, quanto dall’altro lato opposto su cui è S. Pietro, l’obliquità in generale è verso levante e il nord. Nell’entrare in Portovenere dalla piccola bocca fo un’osservazione ed é che il sasso su cui sono fondate le case contigue al mare, é il me- desimo medesimissimo marmo che quello di Portovenere, cioè a dir nero con le stesse macchie venamenti, gialli. Nell’andar oggi dopo pranzo verso l’Olivo veggo qui la stratifica- zione irregolai-e, e che non può dar regola. Ho girato quetamente tutto quel seno che si trova prima d’andare al Forte vicino al Lazzaretto. L’acqua è tranquilla e chiara. Quello che dico di questo seno, lo dico di tutti gli altri vicini a Portovenere. Dunque è un vero piacere vedere all’altezza di più uomini chiaramente il fondo del mare cosi che si può dir con Ovidio numerabilis alte calculns omnis erat. Adunque oltre a pesci di varie grandezze guizzanti nell’acqua, tutto il fondo (in vicinanza però delle sponde) è erboso variamente e sono veri prati subacquei. Moltissimi scogli vi sono, ma tutti o quasi tutti adorni di bellissimi tap- peti verdi. Oltre l’alga che occupa grande spazio vi sono diversissimi altri vegetali, pe’ colori bianco, gialletto, rossigno, verde ece. rallegranti la vista. Ma passando da’ vegetali agli animali sul fondo si osserva un immensa quantità di ricci marini, che sono si preziosi per le salse, e che si mangiano anche crudi. Si veggono le ortiche dette non impropria- mente fidéllini marini che a guisa di tanti stafiletti grigi si vedono attaccati ai sassi, agli scogli ecc. Oltracciò le stelle marine d’un bellis- LAZZARO Sl’ALLANZANI A PORTO VENERE CV simo colore scarlattine : con una quantità di granchietti, per lo più ora bagnati dall’acque ora in asciutto: fra questi animali si A-eggono mol- tissime conchiglie, e moltissimi bernardì. Sotto poi a quelli scogli erbosi covano le murene, i grangoli, e le arragoste. E nel veleggiare su questi seni si trovan sovente i Pescatori che con nasse vanno a prendere questi pesci, o che li hanno presi. I seni mentovati sono si sicuri che non evvi esempio di bastimenti naufragati: e gli stessi sono tutti fatti dalla Natura quando diversi Porti fatti dall’arte non sono immuni da’ naufragj come tra gli altri quello di Genova. Una parte poi de’ colli circondanti Porto- venere hanno olivi: anzi dei colli intieri ne sono pieni. Essendo in barca in compagnia di abilissimi natatoj posso farmi prender sott’acqua e al fondo quella pianta, quell’insetto, quell’animale, quel frutto di mare che io voglio. Facendo la descrizione di Portovenere con la dovuta moderazione di lode cade il destro di criticare (almeno in una nota) l’eccedente mera- viglia di Mr. de Lue nelle sue lettere. Nella quale occasione si può toccar l’estasi, e le sorprese di Mr. Bourret quando meco viaggiò nella Sviz- zera, e dire in generale come alcuni Ginevrini sono più facili per far meraviglie che gli Italiani. Il Sig. Saussure sembra però fare un ecce- zione. La montagna che è la prima nel mio viaggio da Parma a Pontre- moli, ad essere di ragione di S. A. R. il Gran Duca di Toscana, dopo lo Stato di Parma, si chiama la Cisa, quella dove vi è un Bettolino e dove bebbi. Notare che nell’Isola Palmaria vi sono molte pernici e che le sento cantare dalla finestra. 29 Agosto 1783. — Negli scogli di Portovenere, bagnati dal mare, ora non bagnati, si trovano molte vene bianche di pietra diversa dalla calcaria che a guisa di croste o coste si veggono risaltare dagli scogli pumicosi, e si vede che sono tante rosette, di cristalli spatosi formanti come tanti raggi dal centro alla circonferenza : al centro terminano in punta e alla circonferenza in largo. La lunghezza de’ raggi é d’un buon pollice, e tutti sono insieme incastrati, formando un sol corpo, che é una sfera. Sebbene riguardo agli strati suddetti, ne ho trovato in un luogo de’ grossi un braccio e più d’un braccio: non m’attendo a descriverli, per recar meco gli esemplari. 25 Agosto 1783. — Pietra con pirite e fonte nell’acqua salata (‘). Alla distanza d’un miglio e mezzo da Portovre per andare a Genova fra tante altre trovasi una rupe scoscesa altissima, detta la rossa in luogo chiamato Albano. Acconciamente si dice rossa, per esser di fatti di tal colore, la qual rupe è frammezzata da strati verdicci, con di piu (') Questa Nota che per la prima parte si riferisce a Albano presso Porto Venere, fu stampata in un medesimo capitolo con la seconda parte; fonte nell’acqua salata , che con la data 26 agosto ho unita alle altre evi G. CAPELLINI di altri più rari e più sottili strati bianchi, che io giudico quarzosi (e lo sono di fatti) e che esaminerò a suo luogo. La parte verdiccia della rupe è tenera, ma di mano in mano che si stacca e sente le impres- sioni dell’aria, indura. Alla spiaggia del mare si vedono varii pezzi di tal terra o pietra tenera, già indurita, tollerabilmente scissile, la quale contiene varie macchie dendritiche piuttosto belle con della pirite, a mio avviso, tessulare incastrata qua e là in essa pietra. In questo viaggetto per andare a quella rupe considerando le altre rupi contigue, esse pure altissime e affatto intiere anzi perpendicolari, e riflettendo che di tali rupi se ne trova per tutto quasi nella riviera anche di Ponente, anzi a Monaco, Nizza ed anche verso Marsiglia, rifletto esser ciò l’effetto dei due fortissimi venti Libeccio, e scilocco, che bat- tendo le sponde accennate a poco a poco hanno fatte quelle grandi cor- rosioni che adesso si veggono. E difatti, come altrove rifletteva, ne’ siti bagnati dal mare ma dove non vi è urto considerabile, come parlando di dentro al golfo, le mon- tagne scendono a poco a poco, e terminano dolcemente in mare e sono coltivate: e forse una volta dovevano essere le altre battute dal mare e scendere pur esse a poco a poco ma questo ultimo urto le ha rotte, e si vede che le va rompendo sempre più. Ne’ contorni di Portovenere non si sa che vi sieno miniere. Ne’ giorni passati alle bilancelle lontano da Portovenere otto miglia circa, verso mezzodì preso un poco del fondo marino, che a profondità di 200 piedi trovavasi attaccato alle corde che tiran su le reti, e messolo nel- l’aeqna forte si è trovato in massima parte calcario. Allegato H, v. pag. lxxxv. Descrizione della famosa polla o fontana posta nel mare alla di- stanza di piedi 65 circa. 19 Agosto 1783. — La polla manifestantesi alla superficie del mare è circolare circa, e il suo diametro è di piedi 20 circa. Si distingue la superficie di tal polla dai gorgoglietti che fa quà e là da un alzamento sensibile su tutta la superficie del mare che fa la polla, e da una super- ficie quieta a riserva di que’ gorgogli che occupali tutta la polla super- ficialmente, all’opposto che al di là della accennata superficie vi è del- l’increspamento. E la ragione è chiara, giacché quella polla dall’impeto che ha non permetterebbe si facilmente all’altr’acque marine di entrarvi . Scandagliato il mezzo della polla con un piombino si è trovata la pro- fondità di piedi 41 %. Con uno strumento si è fatto in guisa che un cono relative alla polla. Gli editori Torreggiani soppressero la seconda parte del titolo e cosi non riesce di capire che solo incidentalmente le due note si trovavano unite. Inoltre invece di dire: « nuova visita alla fon- tana nel mare », gli editori stamparono: nuova visita «alla fornace»! LAZZARO SPALLANZANI A PORTO VENERE CVII di latta ha ricevuto nel fondo centrale l’acqua e si é subito chiuso. Esa- minata quest’ acqua si è trovata salata, meno però dell’ acqua marina ordinaria. Peraltro presa l’acqua eziandio alla superficie e nel mezzo della polla si è trovata sottosopra egualmente salata come l’altra nel fondo. Ma mi riserbo ad altro tempo a fare sperienze più esatte. Miscellanee su diverse cose marine. 19 Agosto 1783. — Trovandomi solo al lido in vicinanza della polla d acqua dolce, e non avendo altre occupazioni, ho cominciato a consi- derare i diversi animaletti che sono alla spiaggia dentro l’acqua, ma in poco fondo. Varj fuchi adunque ed altre piantine sono state da me poste in un vaso di vetro con acqua, per poter meglio vedere ciò che vi era dentro. Si dice che in terra non vi é pianta che non abbia i suoi ospiti: ma si può dire assai più del mare. Adunque posto l’occhio armato di lente nell’acqua del vaso vi ho scorto dentro una moltitudine o a dir meglio farragine di animaletti. Altri anguilline che con moto divinco- latone ascendono e discendono e che seno sempre irrequieti. Altri sono pidocchietti, pulci, ed altrettali minuti viventi che vanno, vengono, cor- rono, vanno a salti, a guizzi, ecc. Altri sono lumachine di specie diffe- rente dalle grandi, le quali strisciano più o meno lentamente o su le pareti del vaso o su le piante. Altri sono gamberetti che si lanciano a salti: altri chioccioline bivalve; altri lombrichetti che strisciano, o al- meno animaletti simili: Se invece di queste piante radicate su i sassi quasi a fior d’acqua, se ne cavino altre alla profondità p. e. di 100 piedi, si presentano altri insetti, vermi etc. di specie affatto diverse. Onde si vede che le diverse altezze o profondità del mare, hanno diversi piccoli abitatori, come si osserva anche nei pesci, altri dei quali soggiornano sempre in poca acqua di mare, altri in vicinanza degli scogli, altri a notabile profondità, come parlando delle torpedini, sfoglie etc. Se si osservino i sassi littorali, ora bagnati dall’acqua, ora no, si vedono tutti pieni di forellini prodotti da’ Litofagi vermi. Rotte diverse di quelle pietre bucate non vi ho trovato dentro i Litofagi, ma in quella vece molti forellini erano pieni d’insettucci forestieri. Rompendole ho veduto che per lo più la parte più interna, il nucleo erano intatti, solo le parti superficiali erano bucherate : mi trovo però a vere qualche pietra della grossezza circa di 2 pollici, internamente anche bucata. Tai pietre bucate per lo più sono calcaree. Ne’ siti dove si trovano le pietre bucate dai litofagi (e questi buchi sono piccolissimi e talvolta anche microsco- pici) si trovano anche moltissime bucate dai dattili (mytilus lithophagus). I buchi dei dattili hanno una singolarità che é di ingrandire a poco a poco dentro il sasso : niente di ciò (almen regolare) si osserva nei fori dei litofagi. Oltraciò que’ sassi medesimi (molti almeno) sono tempestati tutti di quelle lumachine che si osservano anche attaccate a granchi, specialmente turchini: vi é pure una farragine di piccole serpole: e dove Vili CVIII G. CAPELLINI sono serpole e dove non sono si vede in moltissimi luoghi ed anche sui crostacei stessi, un incrostamento fatto tutto di escare che lascian vedere anche ad occhio nudo i forellini dei polipi. Frugando poi sotto queste pietre ora bagnate dal mare, ora no, si trovano que' lombrichetti, o vermi lombriciformi, che servono d’esca per gli ami ai piccioli pesci. Scordavami notare su i sassi una quantità di baianetti. 26 Agosto 1783. — Visita nuova alla Fontana nel mare per essere andata non troppo bene la prima. 11 piombino con lo stromento per cavar l’acqua della polla é dato veramente nel mezzo. In mezzo e dal fondo ascendono alla superficie delle gallozzole d’aria. Cavata l’acqua collo stromento mentovato, questa è uscita torbidissima e piena d’arena e di fango, non ostante che l’acqua vi sia entrata per di sopra allo stromento, non per di sotto. Quindi è che l’acqua anche alla superfìcie della polla é sempre torbidiccia. Gustata poi quest’acqua si è trovata pochissimo salata. Nel mezzo e nel fondo non si é sentito vortice, o agitazione, almeno comunicatasi alla corda, o allo stromento. Tal vortice però non può non esservi, dalla torbidezza dell’acqua medesima al fondo. Un uomo dalla ripa è venuto a nuoto ed è entrato nella periferia della polla e in quell’istante ha sentito un freddo grande; il qual freddo nasce dall’acqua dolce uscita di sotterra. Ala un altra volta col termo- metro si misurerà il grado del freddo al fondo della polla. 11 Battello era nel mezzo della polla e per farvelo stare si sono fissati tre punti, cioè a dire tre corde fissate per via di ancore. Allora la polla non ha punto potuto trasportare fuori di lei il battello posto nel mezzo. Si è ripetuto l’esperimento, similmente nel mezzo, ma è andato male. Adunque tratto dall’acqua il cono di latta (che ho già in mente e che descriverò a suo luogo) si è trovata l’acqua rinchiusa niente più che torbidiccia e molto più salata dell’altra. L’inconveniente è nato dalla apertura in un lato della base del cono per la quale apertm-a é entrata l’acqua del mare. Questa apertura è nata da uno sforzo provato dalla latta nel lato della base, come appa- risce dal l’ammaccatura che vi si è trovata. Quindi dir bisogna che vi sia stato qualche sasso nel fondo, od altro corpo duro produttore di tale ammaccatura; ma di ciò con altre prove si potrà meglio venire in chiaro. La profondità nel mezzo della polla é piedi parigini 38 '/8. La nota del 29 settembre 1783 si riferisce ancora alla polla. 29 7',re 1783. — Questo dopo pranzo andando alla Spezia vi era molta maretta cagionata da tramontana. Tal maretta non appariva però nella polla, la cui acqua era tutta unita, non rotta, quantunque alquanto agitata; Lo che nasce dalla violenta forza dell’acqua dolce espellente dal centro alla circonferenza l’acqua marina. La ragione per cui il catino di Portovenere non si sminuisce, ma il mare riman sempre al medesimo livello, si è perché nissun fiume vi mette dentro ne tampoco a qualche distanza. LAZZARO SPALLANZANI A PORTO VENERE CJX Allegato 1, v. pag. lxxxv. 27 agosto 1783. — Marmo vicino alle Grazie. La cava de’ marmi vicini alle Grazie guarda la tramontana. Il marmo è similissimo a quello di Portovenere e tal cava é distante dal mare mezzo miglio. Anche a questo marmo succede la stessa cosa che all’altro, voglio dire che anche questo (che è nero con le solite macchie e vene gialle) è attorniato da un altro marmo d’un berettino scuro, che si rigetta, probabilmente perché non ha quel bell’occhio del- 1 altro, ed é osservabile come il marmo che qui si cava adesso è uno strato della crassizie di due piedi circa che di sopra è vestito di molti strati di color berettino dell’altezza di 9 piedi circa, tino cioè alla super- ficie della terra e il cavare del marmo buono é dispendioso per doversi levare tutto il marmo berettino attorniante. In altra parte dello stesso monte e nell’opposto in dirittura, che è assai più alto, se ne cava pure ed anche in questi altri luoghi come in tutti gli altri altrove si fa fatica ad avere il vero marmo di Portove- nere, perché attorniato dal solito berettino. La montagna dove si cava il marmo suddetto é quasi sterile allatto. L'opposta poi dove pur qualche poco se n’é cavato è sterilissima e tal montagna é tutta spelata e sassosa ed é la più alta nelle vicinanze di Portovenere, e dalla parte del Libeccio, alla sua sommità guarda il mare, formando immediatamente una delle solite rupi scoscese, che a picco corrispondono in mare. La ragione per cui ora si cava il marmo piuttosto alle Grazie che all’Isola é per giudicarsi di più riuscita e di maggior pulimento e bel- lezza il primo che il secondo. All’Isola sono molti secoli che si cava un tal marmo. Allegato K, v. pag. lxxxvi. 28 Agosto 1783. — Negli scogli lungo il mare dentro il Golfo e fuori si trovano degli strati sottili spatosi sopra lo scoglio stesso: il colore é giallognolo-rossigno o grigio. Questo spato spesso é amorfo, fatto di lastre sopra lastre: ma in più luoghi é anche cristallizzato: varie cri- stallizzazioni sono come le ordinarie quarzose : ma alcune altre sono in ciò singolari, che sono come stati corrosi dall’acido marino come la pietra calcaria. Toltine alcuni pezzi ho trovato che sono molto duri. Li avrei giurati quarzosi, ma nell’acqua forte con effervescenza si sono quasi tutti sciolti. Battuti però con l’acciarino in alcuni luoghi scintillano pro- babilmente per qualche granello di quarzo. Ho già meco qualche esem- plare. ex G. CAPELLINI 4 7tre 1783. — Fra la Spezia e S. Terenzo nella spiaggia si é preso dell’arena di quella spiaggia, la quale si é trovata quasi tutta silicea, essendo riinasta immobile nell’acqua forte a riserva di pochi granelline 8 7bre 1783. — In due siti dell'Isola palmaria si venivano a cavare dai Corsi le pietre calcari per far calcina, che sono quel marmo sudicio cenerigno duro di che ho parlato altrove e si veggono di grandi sca- vamenti. Ma dopo che la Corsica è stata presa da Francesi non ci ven- gono più. 9 7bre 1783. — Più volte dietro all’Isola, e verso Levante conside- rando gli strati si stranamente svariati che metton nel mare dove la calma é maggiore, ho potuto chiaramente vedere a considerabile pro- fondità che gli scogli subacquei sono una continuazione dei sopracquei. Lo stesso ho veduto in molti luoghi delle due Riviere della Provenza e a Rovigno. Ieri sera presi all' Isola dell’arena bagnata dal mare. Non vi ho trovato corni d’ammone, né altre conchigliette marine: é però in parte calcare, siccome lo fa veder l’acqua forte e in parte selciosa. Nell’Isola, e altrove in vicinanza a Portovenere non ho trovato niente di corpi marini fossili a differenza di Finale. 26 7bre 1783. — La distanza del mare al castelletto di S. Pietro è di piedi 153 supposto però un poco di scarpa degli scogli soprastanti in vicinanza del mare. E tale altezza di 153 piedi è stata qualche rara volta superata da colpi di mare nelle maggiori libecciate. Anzi sono molti anni che un colpo di mare atterrò un largo angolo di muro di pietra grosso piedi due posto similmente a S. Pietro il qual muro é alto 153 piedi meno 25. Alle ore italiane 23 circa si é calato all’ingresso della bocca stretta un termometro dove vi era di profondità piedi 70. Il termometro era in un tubo di legno a vite, e il tubo involto nella stoppa era chiuso in un tubo di latta, cilindrico e del diametro di poli. 2 % circa: il cilin- dro poi all’estremità inferiore era saldato ad un cono inverso e nella superiore aveva un coperchio pure di latta: La lunghezza di tutto l’istro- mento era pollici 13. Vi è restato in tal fondo tre quarti d’ora. Tira- tolo alla superficie si é trovato il tubo di latta schiacciato grandemente in tre siti, per cui veniva a formare tre angoli, senza che di schiac- ciamento apparisse al sito del cono e del luogo del coperchio, né quali due luoghi é chiaro che la resistenza dovea esser maggiore. Il fenomeno mi é giunto impensato. Facea un poco di maretta. Direm noi che là in fondo sia stata questa maretta? Ma vi giungeva? e se vi giungeva, era capace di far questo? Direni noi che sia stata piuttosto l'arena che mossa dall’acqua abbia fatto un tal giuoco? 0 parte l’arena parte l’acqua? L’acqua per via della maretta entrava con qualche legger impeto dentro la bocca. Può darsi, che a motivo di tal ingresso l'acqua abbia ivi mag- gior forza al fondo che altrove. Il termometro poi, anzi neppure il tubo non avean sofferto: ma quanto al colore il termometro era presso a poco LAZZARO SPALLANZANI A PORTO VENERE CXI come quando vi si è posto dentro. Onde temo che in si poco tempo, l’acqua non abbia in fondo penetrato col suo freddo seppure colà vi ha maggior freddo. La cordicella sostenente il Termometro in fondo, era attaccata alla parte superiore ad una grossa falda di sugghero perchè si potesse sapere il sito dove il Termometro era stato posto. Nfi. Trascrivo le note sui Lericini, Chiaverini e Portove- neresi che fanno seguito, ma che non hanno rapporto con le pre- cedenti osservazioni. Quanto abbominevoli sono i Lericini marinai, ed altri uomini del popolo, per le ragioni che esporrò, altrettanto sono commendabili i Chiaverini. 11 nome de’ primi é esecrato: quello de’ secondi sentito con approvazione, e que’ di Chiaveri per allegare ad altri che sono gente onesta, basta lor dire che sono di Chiaveri per esser creduti, e perchè anche senza che paghino si diano loro a credenza mercanzie. Non si trova un forestiere di garbo, che viaggiando nel mare di Genova non vada a vedere il golfo di Portovenere. Se in Portovenere crescesse la popolazione, potrebbe vivere con la pesca: Le bilancelle prendono molto pesce: ma bastimenti più grossi muniti di reti più grandi potrebbero andare in più alto mare e pren- dere maggior pesce. La profondità alle bilancelle è di piedi 200 circa: mi assicurano i medesimi che andando più in alto essa diviene maggiore; che altresì il mare é sempre più profondo quanto più si va verso sera, e meno profondo, quanto più si va dalla parte di levante. Allegato L, v. pag. lxxxvi. Viaggio di là della Spezia terrestre. 16 7bre 1783. — Alla distanza di mezzo miglio dalla Spezia al suo ponente si trova un catino d’acqua di piedi trenta di diametro in sito detto Maggiola nella Parocchia di Pegazzano, nel qual catino vi è acqua a qualche considerabile profondità. Ne’ tempi piovosi esce 1 acqua dal catino sollevandosi all’altezza di 7 in 8 piedi e straripa. A un lato del catino ne’ tempi piovosi sollevasi un gorgoglio d’acqua del diametro di molti piedi segno che l’acqua fontana vegnente dal di sotto è la pro- duttrice dell’acqua del catino. Dal gorgoglio vengono unitamente pezzi grossi di legno. Da tutte le parti il catino è circondato da montagne a riserva la parte di Levante. Dei mulini sottostanti alla polla vanno in grazia della medesima, uno però dopo l’altro e mediante lo stesso canale. In questo tempo di siccità l’acqua è umile e la polla sotterranea non apparisce. Accostandosi poi alla Spezia lungi un tiro di schioppo CX II G. CAPELLINI dalle mura al ponente della Spezia vi sono tre laghetti perenni più scarsi però ne’ tempi secchi che nei piovosi da’ quali ha origine un picciol mulino. Scendendo la montagna che guarda tra Levante e greco in sito detto Cantarrana, nel Comune di Marinasco, lungi dalla Spezia un miglio si presenta un bellissimo scoglio incavato, ed alto, dal cui cavo pendono grossissime e rozze stalattiti. In fondo allo scoglio s’apre una bocca simile a quella d’un forno, per entrare nella quale conviene incurvarsi: poi s’entra dopo qualche tratto in piedi e si veggono come varie pic- cole stanze che mettono poi in una sala alta 16 piedi e larga a propor- zione. Una volta si andava più avanti ma adesso non si può più per esser caduto un pezzo di volta. Tutte queste camerette e la sala tutta son piene di stalattiti che mi riserbo a descrivere con gli originali da- vanti: Le stalattiti non son fatte a candelotti, ma striate, e stravolte, e siccome dalle stalattiti geme acqua, cosi quell’acqua in gocce cadendo in terra forma dei tumori stalattitici, che sono cavi nel mezzo, dove cioè l’acqua cade. A motivo delle stalattiti pendenti e giacenti in terra, tutte le volte ne sono piene e il terreno è tutto alzato per la moltiplicità di tai tu- mori : in una parte poi del piano soggetto s’incava un condotto, dentro cui scorre l’acqua che esce fuori : quest’acqua fontana è perenne mag- giore però assai in inverno e quando piove, che in altri tempi. Adesso il fonte è scarso. Nell’istessa situazione di Cantarrana nella villa de’ signori Spinola si trova una fontana detta Nympharum domus: lontana un tiro di fucile dalla prima descritta. L’acqua che esce da un foro è più copiosa del- l’altra descritta. Non ha entrando camere, né sale, ma è una stradic- ciuola a biscia bova di qualche altezza di vuoto andando dentro la quale scorre l’acqua per tutto. Vengo assicurato che va avanti più di mezzo miglio, sempre a biscia bova, e a schiena d’asino in cima. Non vi sono che poche stalattiti. Fuori sul limitare vi si trova in marmo statuario vecchio queste parole: Nympharum domus. Da mezzogiorno a tramontana si trova un torrente detto Zigori di- stante dalla Spezia miglie due e mezzo in mezzo a montagne onde nasce tal torrente: questo torrente conduce sassi grossi che sono i più di na- tura arenaria. Questo torrente ora è secco ma nelle piogge è rigoglioso. Cotal torrente va a nascondersi in un baratro entro lo scoglio; gittando sassi in questo baratro cadono, dopo lungo mormorio nell’aria, in un lago d’acqua con un rumor grande: alla parte superiore del torrente prima, d’entrar nel baratro è una apertura della larghezza di piedi '20: e si vede che tal larghezza si è fatta maggiore di quel che era prima dagli immensi sassi che si trovano sul fondo prima che il torrente entri nel baratro. Si vede però che al tempo del Vallisneri l’apertura superiore era di gran lunga più angusta. LAZZARO SPALLANZANI A PORTO VENERE CXIII L’acqua del torrente si perde interamente in quel baratro: é voce «ostante che nell'anno 1776, l’acqua di questo torrente nel mese di gen- naio, o almeno d’inverno, essendo gonfio il torrente e non potendo entrar nel baratro a motivo d’un piede grosso di castagno offertosi alla bocca •del baratro, ed empitosi d’altre materie, l’acqua retrocedesse in maniera che allagò le parti superiori all’altezza di piedi 100. La bocca di que- sto baratro é piena di .... immensi. Prima poi di entrare nella grotta si presenta un prospetto a guisa d’anfiteatro, tutto ornato d’ellere ed altre piante. Lungo il torrente tornando indietro alla distanza d’un tiro di schioppo si vede a man diritta sul piano del torrente in un suo fianco un altra piccola caverna che dopo di essersi internata alquanto si divide in due rami: ma per l’acqua che vi entra con l’arena a poco a poco s’interri- scono. Parlerò a suo tempo delle stallattiti cilindriche che vi si trovano. Guardando la struttura di tali scogli si vede tutta bucata, e la medesima struttura è pure negli scogli dell’altre due caverne osservate stammane, e quegli scogli continuano con questi. Io però penso che tra l’acqua entrata nel baratro suddetto, e perdentesi sotterra, tra quella che si nasconde su tutta quella lunga serie di scogli bucati abbiano origine i laghetti fuori della Spezia, e fors’anche la famosa fontana «he esce dal mare tanto più che questi siti sono sì alti relativamente al mare che si può spiegare quell’alzamento della polla d’ acqua dolce in mare. Onde mi lusingo di avere scoperta forse la sua verace origine. Alla descrizione del torrente che mette nel baratro bisogna che io ne aggiunga un altro che dalla parte superiore della caverna precipita nell’istesso baratro in direzione contraria e però si vede quant’ acqua ne’ tempi piovosi entra dentro a quel baratro. Circa il rigurgito dell’acqua dal baratro senza ricorrere a tanti alberi od altri (sic) obici, per la sola soprabbondanza dell’acqua prodotta da esterminante pioggie si può capire il fenomeno; di fatto il Parroco del sito mi assicura che due o tre volte egli ha veduto questo disor- dine cagionato dalle sole pioggie ; onde poi scemate le pioggie tutto torma come prima. 17 7bre 1783. — Cerchiara é il sito dove si cava il manganese nel territorio di Casale, lungo un miglio al suo ponente. Si trovano masse in alcune bassure, sotto e sopra il piccol rivo. Sono due anni circa che hanno cominciato a cavarle. Cinque sono state le cave che si sono aperte ma tre erano le migliori. Al presente son due che si cavano. Non mi attento a descrivere la qualità del manganese, e la pietra che lo accom- pagna, perchè lo farò a Pavia con gli esemplari sott’occhio. I cavatori e chi presiede alle cave sono ignorantissimi. Scavano soltanto a fiore di terra, senza far l’ingresso della cava né galleria alcuna ecc. : quindi è «he quel poco cavo fatto quasi alla superficie, venendo pioggie, che por- tali seco per il pendio del monte la terra, detti cavi si riempion subito. La pietra che accompagna il manganese è rossa ed ha in alcuni luoghi CXIV Ir. CAPELLINI delle bellissime dentriti nere. Questo manganese fu trovato per un puro accidente di uno cioè intendente di tai cose che capitò per azzardo in que’ luoghi. Si vende a Venezia particolarmente. Ritornando indietro alla Spezia ho osservato che quella qualità di pietra bucata che si osserva a S. Benedetto, dove è quel baratro, si osseina pure in tutti gli altri monti che hanno la stessa direzione fino alla Spezia: e quindi, girandoli, vi si trovano caverne per tutto. Io adun- que sono sempre più di parere che Tacque di quel baratro dieno ori- gine alla famosa polla del mare. Circa que’monti cavernosi ho osservato che coll’andar del tempo si vanno via via struggendo cadendo de’ pezzi. Al Pignone fuori appena del Borgo, a Levante trovasi una grotta insigne. L’apertura non può esser più bella, essendo ampissima. Poi si interna nel sasso, che è calcare, e fa molti giri e rigiri nell’interno del monte per più miglia, ma questi rigiri sono angusti, e ci si va mala- mente. Un vecchio di anni 80 che è il chirurgo del luogo mi dice di aver sempre veduta tal caverna come si trova adesso. Lo stesso vien confer- mato da un suo zio Prete dell’età d’anni 97 ; sanissimo ancora di mente e che celebra tutti i giorni. Sopra Pignone dalla parte di mezzodì alla distanza di mezzo miglio circa sono state ultimamente trovate delle cave di un marmo verdic- cio. Avendone meco un saggio, mi riserbo descriverlo a Pavia. Allegato M, v. pag. lxxxix. 15 9bre 1783. — Finché mi ricordo noto alcune cose relative alla nebbia dell’estate passato e alli temporali che l’hanno accompagnata. Non so se abbia notato che per osservazione mia e dell’Arciprete di Portovenere questa nebbia ricompariva allo spirare un ponente. A me sembra di aver tutte le prove che essa fosse locale, non venuta altrove. Alcuni giorni prima di lasciar Pavia era ne’ contorni pavesi assai densa: vennero alcuni temporali forti, e dopo la caduta di replicate violenti pioggie non cessava di farsi vedere all’istesso modo. Li 23 giugno partii da Pavia ed andai a Casa per la Lunga del Po. Ve la trovai così nel Po che ne’ contorni all’istessa maniera. Li 2ó, verso mezza mattina strada facendo in un temporale molta pioggia, senza che la nebbia si sminuisse punto. La notte de" 27 a Gualtiere fu un temporale accompagnato da molti fulmini: la mattina seguitava anche a piovere e tuttavia la nebbia durava all'istesso modo. Ne’ giorni consecutivi piovve ora in un sito, ora nell’altro del Reggiano, e del Modenese: e la nebbia era la stessa. Dopo S. Pietro trovandomi in Modena ed essendo nel giardino del Duca un dopo pranzo, nel mentre che spirava un ponente piuttosto forte, la nebbia seguitava all’istessa maniera. LAZZARO SX’ALLANZANI A PORTO VENERE CXV Strada tacendo per andare da Fornovo a Pontremoli vedeva la nebbia egualmente ne’ buroni de’ monti, che nelle sommità. Non era di quella nebbia che si solleva dalle montagne, e che si addensa in nugoli, e che crea pioggia. Questa nebbia mò la vidi in più luoghi di quelle montagne, anzi da essa ebbi qualche regalo di pioggia intanto che la nostra nebbia restava la stessa. Non era dunque composta di vapori ma di esalazioni; e tali esalazioni erano locali. In alcuni luoghi de’ suddetti monti la vedeva uscir dalla terra: e quella stessa che copriva il mare, per essere della stessa qualità, ho fondamento di credere che non venisse dall’acqua, ma che venisse dalla terra, e che fosse venuta su di esso: giacché non so capire come esalazioni asciutte venissero dal mare. Dico asciutte mentre essendo stato io dentro a della nebbia non mi ha punto bagnato. Dissi dissopra che quella nebbia non creava mai nugoli, almeno come succede nelle montagne producitori di pioggie. Tai nugoli io li ho veduti operar così nelle panie, e molte volte segnatamente nelle panie. Vedeva che parte de siti non altissimi di esse, parte dalla loro sommità si alzava visibilmente la nebbia: questa appoco appoco guadagnava il disopra delle loro vette restandone perù anche su di esse: prendeva il nuvolone cosi formato in seguito la direzione che avea l’aria e creava la pioggia. In tal modo la nebbia nostra non ho mai veduto che for- masse nuvoli piovosi. Per altro non nego che non formasse nugoli so- venti volte generatori di temporali, e di gragnuola e di fulmini. Oltre adunque la nebbia sottostante alle nuvole, si vedevano esse nuvole che occupavano un immenso spazio nel cielo, e che duravano parecchie gior- nate (lo che non succede negli altri temporali) cagionando soltanto tal- volta quà e là temporali furiosi. Tai nuvoli alti-esì differivano dagli ordinari temporaleschi. Al dissopra vi era la nuvola bianca, torreggiante in alcuni siti: al di sotto una nuvola bigia, piuttosto bassa, e il tratto della nuvola non era molto grosso. Non infrequentemente scoppiavano molti fulmini senza piovere, o piovendo poco: così mi accade in mare quando pranzai alle bilancelle. Questi fulmini avevano un suono diverso dagli altri. Parevano il suono d’un bastone percuotente una tavola. Ful- mini, uno dopo l’altro, in tempo eguali : questo fenomeno è perù stato da me in altri tempi osservato. Di pili questi fulmini sembravano la più parte piccioli. Quando era a Portovenere, dopo qualche tempo la nebbia non v’era più. Si levù un... ponente appresso molti giorni e ricompari. Con inchiostro molto scuro e diverso vi hanno nella stessa pagina le seguenti osservazioni probabilmente scritte dopo la pubblicazione della lettera a Bonnet. Io credo di aver notato altrove che alla sommità, e in vicinanza della sommità delle panie vedevo talvolta levarsi e con ascensione veloce la nebbia: questo l’ho pur veduto ne' siti bassi, massime ne’ tempi pio- cxvi G. CAPELLINI vosi: a prima fronte parebbe che fosse l’aria che sollevasse i vapori; ma é assai più verosimile che sia una vera precipitazione. Veggasi su tal proposito la dissertazione inserita negli Opuscoli. Credo altresi di aver notato altrove che tal nebbia giunta copra le panie, segue la dire - zione del vento, o almeno che dove va il vento si faccia più forte. Dissi in altro luogo che da Casteluovo di Garfagnana montando un poco su l’ Appennino si vede la sottoposta nebbia. L’opposito appunto succede passando tante volte in inverno da Milano a Pavia, giacché se a Milano é bel tempo accostandosi verso Pavia come quando si arriva a Rinasco si trova la nebbia, e questa si rende più folta di mano in mano che si accosta a Pavia: e la nebbia veramente più folta é dove è Pavia, poiché nell’oltrepò vi é sereno; e stando anche alle mie finestre dei mezzanini di casa Bianconi e guardando l’oltrepò quando in Pavia é la nebbia, si vede in esso oltrepò trapelare il sole. Qual meraviglia dunque se in Paesi si bassi, si nebbiosi, si paludosi sono si rari i bei ingegni. Seguita ciò che è nel foglio 103, che ha poco da fare con la nebbia ma che si riferisce al poco ingegno. Da Portovenere a Carrara vi sono 14 miglia circa. Ma in si poca distanza qual diversità negli abitanti ? A Portovenere uomini e donne sono di temperamento secco, sono brutte: a Cari-ara, e così dicasi a Massa sono nodi-ite assai bene, gras- sotte cioè e belle. A Portovenere in generale si osserva stupidità negli abitanti, a Massa e a Carrara brio vivacità, e talento indipendentemente anche dal vantaggio della lingua. A far breve, passando da Portovenere a Carrara sembra che si passi da una specie di selvaggi o a dir meglio di Ourang-Outang ad uomini ingentiliti. Eppure l’aria, la distanza dal mare sono quasi gli stessi. L’educazione credo v’abbia molta parte. \ E interessante di notare che qui finisce bruscamente su questo argomento, e continua così: « Redi, T. I, p. 7, degli animali viventi parla di animali marini e non « marini che cominciando a imputridire risplendono ». DI ALCUNE CONDIZIONI TEUTONICHE NELLA LOMBARDIA OCCIDENTALE Nota del prof. T. Taramelli Sta per vedere la luce, edita dalla Casa Editrice Artaria di Milano, una mia carta geologica sulla regione dei Tre Laghi, dal lago d’Orta alla valle del Brembo, della quale carta ho l’onore di presentare una copia ai miei egregi colleghi, per discorrere di talune condizioni tectoniche, le quali a me parve di ravvisare o seppi rilevate da altri, ma che attendono la con- statazione definitiva da parte di coloro che eseguiranno il rilievo definitivo, in scala sufficiente, di questa importantissima e molto amena porzione delle Prealpi. Aveva dedicato questo mio lavoro all’amico stimatissimo Senatore Gaetano Negri, ma fatalmente egli non potè vederlo stampato; è nota la di lui morte pietosa per caduta accidentale in una passeggiata, presso Varazze, e fu deplorata da quanti in Italia avevano conoscenza degli scritti e dell’opere di lui come patriotta e come amministratore, ed io 10 rammento coll’animo addolorato anche in questa adunanza di geologi: poiché il compianto, per alcuni anni, ha dedicato 11 versatile ed acuto ingegno alla geologia, collaborando collo Spreafico e collo Stoppani allo studio, rimasto classico, della Lombardia occidentale e del Canton Ticino meridionale e collo scritto assai pregevole sulla geologia d’ Italia, pubblicato dal Val lardi nel 1870. Poiché io non mi faccio alcuna illusione sui risultati delle fugaci mie gite ed anche, me lo permettano i miei colleghi, su quelli dei geologi nostri o forestieri, che studiano alcuue parti isolate di una regione montuosa per qualche settimana. I na regione per essere nota geologicamente, deve aver subito una anatomia minuta, come ad esempio le prossime Alpi Apuane, a CXVIII T. TABAMELLI merito specialmente dell’ ingegnere Zaccagna; di guisa che sieno sciolti il meglio possibile tutti i dubbi riguardo alla interpreta- zione dei terreni e delle relazioni strati grafiche, anche là dove mancano i fossili, pur essendo le formazioni sedimentari e non azoiche. Di tali studi l’Italia non ne conta ancora molti; ma già comincia a comparire un fatto, che sarà stato certamente anche da altri avvertito e che da vari anni mi preoccupa. Come va, che talune regioni sono corrugate e nello stesso tempo infrante, con accavallamenti e salti strabilianti, come le Prealpi appunto sino al lago di Como; mentre altre, come le Alpi Apuane, le Alpi occidentali e Liguri, le stesse Prealpi svizzere, ove si tolga il fatto dello scivolamento delle catene secondo l’ ipotesi dello Schardt, sono piegate morbidissimamente e si dura fatica a trovarci una frattura od un piano di acca- vallamento? Evidentemente non è questione di scuola o di metodo di rilevamento; perchè per parecchi di tali corrugamenti e di tali scorrimenti tutti sono d’accordo, e più si studiano i detta- gli, più si moltiplicano i salti, come fanno fede i risultati otte- nuti dal Tornquist e da me per alcune valli del Vicentino. La ragione deve consistere nelle condizioni, nelle quali si è com- piuto il corrugamento orogenetico e nei fatti endogeni, che inter- vennero dappoi nel terziario recente e nel quaternario, prima dell’ultima glaciazione. Nelle Alpi occidentali, nelle Liguri e nelle Apuane, le curve erano così pigiate da non lasciar luogo a scorrimenti sopra estensioni ragguardevoli. Sarà intervenuta una minuta frattura- zione, talora, a facilitare l’arricciamento; ma per quanto dimo- strano anche i più recenti rilievi, non esistono delle fratture e dei piani di scorrimento paragonabili a quelli, che si pronun- ciavano colà dove le due catene, delle Alpi e deH'Appennino settentrionale, cominciavano ad allontanarsi. Ne venne che par- tendo da Como, dove viene a terminare un allineamento di ter- reni bormidiani, che parte probabilmente dai dintorni di Torino, l’allargarsi dell’arco tra le due catene permise che alla curvatura si aggiungesse una fratturazione, che andò col tempo sempre più accentuandosi, e che forse arriva al suo massimo nel Vi- centino a ponente dell’Astico. CONDIZIONI TECTONICHE NELLA LOMBARDIA OCCIDENTALE CXIX Nei sette comuni incomincia a comparire il tipo Carsico e le Alpi si decompongono in tavolieri a gradinate, più o meno corrugati e corrosi. Cli studi del prof. Cozzaglio sulla regione del Garda sono a questo riguardo assai importanti e si collegano strettamente alle ricerche orogenetiche, in particolare a quella sull’origine dell ampia e profonda conca Gardense; vi si raccordano i risul- tati dei dettagliati rilievi del prot. Cacciamali e quelli del prof. Baltzer, il quale ha confermato quanto da noi già si sapeva da un pezzo sulla geologia del Lago d’Iseo. Attendo di cono- scere gli ultimi risultati degli studi del signor conte Cesare Porro sulla tectonica della catena Orobica, ma per quanto ne seppi dalle precedenti di lui pubblicazioni e da quanto l’egregio gentiluomo ebbe la cortesia di comunicarmi, posso concludere che la fratturazione di questa catena è enorme, con scorrimenti sopra piani poco inclinati, anzi quasi orizzontali, in vero sor- prendenti; come nel gruppo della Presolana. Se sta questa diversa natura di rapporti tectonici nel ver- sante meridionale delle Alpi, la regione dei Tre laghi deve presentare il passaggio tra i due tipi di condizioni tectoniche: cioè, quello di semplice corrugamento e quello di curve accom- pagnate da sempre più ampi scorrimenti e da sempre più acci- dentata fratturazione. Se non erro, è appunto questo il fatto che si osserva ; poiché nell’area tra il Yerbano ed il Lario troviamo bensì numerose fratture, che verrò numerando, ed altre molte saranno di certo dimostrate da un rilievo più dettagliato; ma di queste una sola presenta rimarchevole continuità, decorre da nord a sud e separa a levante ed a ponente due masse di ter- reni secondari aventi direzione rispettivamente ortogonale: a nord-est, pel tratto da Arena ai pressi di Mendrisio, ed a nord- ovest, pel tratto più a mattina. È la nota frattura Pregassona- Melano, che fu già rilevata dallo Spreafico e venne meglio con- terminata e dimostrata dal dott. Emilio Repossi. Il contatto del mesozoico coi terreni cristallini avviene però quasi dovunque per discordanza, con scorrimento di questi verso sud. Se moviamo dal Lario verso est, troviamo sempre più accen- tuati gli accavallamenti delle gambe delle anteclinali coricate a sud ; come si avverte nei pressi di Asso e di Ganzo, nel gruppo cxx T. TARAMELI,! delle due Grigne e nelle montagne presso al Resegone, secondo le osservazioni dei signori B. Corti, Bonarelli, Backer, Schmidt, Philippi e mie. Più a levante ancora, seguono le fratture con accavallamento rilevate dal signor conte Porro, dal Baltzer e dal Cozzaglio. Siamo al principio dello studio di questa interessante particolarità della tectonica prealpina ed io, pur troppo, non posso che indicare ai miei giovani amici quel poco che mi fu dato osservare in escursioni saltuarie e fugaci, quasi tutte com- piute lietamente ma assai presto cogli allievi, quando mi riesci di persuadere il R. Ministero a fissare qualche assegno per tali escursioni. Il paesaggio prealpino comincia a movimentarsi ed i profili geologici si fanno sempre meno teoretici. Scendendo ora ai particolari, nel tratto esaminato ho distinto da nord a sud e da ovest a est le seguenti curve e fratture: a) Sinclinali: 1° Silici. V. Vigezzo-Losone; 2° Sincl. Val- Cuvia-Ardena-San Salvatore, continuantcsi con direzione sud-est nella valle Intelvi, oltre l’ accennata frattura di Pregassona- Melano; 3° Sinclinale del Poncione di Ganna, forse continuan- tesi a levante della detta frattura colla sinclinale evidentissima di Cagno, nel versante sud del M. Generoso; 4° Sinclinale Va- rese-Viggiù, continuantesi, mutata similmente la direzione oltre la detta frattura, colla sinclinale Mendrisio-Valle del Cosia; 5° Sinclinale con scorrimento tra le due Grigne; 6° Sinclinale del pari con scorrimento attraverso la Valle Assina; 7° Sincli- nale del Resegone, con forte accavallamento di una lastra di dolomia principale sul raibliano e sugli scisti retici, secondo gli studi del Philippi ; 8° Sincl. Pusiano-Brivio ; 9° Sincl. Centemero- Carvico. b) Anticlinali : 1° Ant. Zeda-Camoghè, di terreni scistoso- cristallini recenti ; 2° Ant. della V. Travaglia, forse continuan- tesi con quella del M. Galbiga, a ponente della detta lunga frattura; 3° Ant. del Campo dei Fiori, allargatesi a cupola variamente infranta in corrispondenza al massimo sviluppo dei porfidi permiani del Luganese, e continuantesi, mutata la dire- zione, colPanticlinale che passa a nord della vetta del M. Ge- neroso; 4° Ant. di Arcisate, che oltre la detta frattura si con- tinua col ginocchio a sud della sinclinale di Cagno; 5' Ant. a CONDIZIONI TECTONICHE NELLA LOMBARDIA OCCIDENTALE CXX1 sud di Bellagio; (3° Ant. a sud di Canzo; 7° Ant. della Grigna meridionale; 8° Ant. della Corna Camozzera e del M. Albenza. c) Fratture senza molto rimarchevole scorrimento : 1° Frat- tura Arona-Angera; 2° Frattura Angera-Arolo; 3° Frattura della Val Travaglia; 4° Frattura di Voldomino ; 5° Frattura limite del mesozoico a sud-est di Lugano ed in V. Colla; *3° Frattura Cunardo-Ardena ; 7° Fratture presso Federo e Brinzio; 8° Frat- ture nel versante nord del Pianbello di Val Ganna, rilevate in parte colle precedenti dal geologo giapponese Harada; 9° Frat- ture di Besano tra le due masse di porfidi permiani; 10° Frattura Pregassona-Melano; 11° Frattura presso Argegno; 12° Frattura del Gaggiolo; 13° Frattura della V. Sassina. d) Fratture con ampio accavallamento, di solito nel senso della direzione delle curve stratigrafiche : llJ Frattura a nord di Carlino-Asso; 2° Frattura tra le due Griglie; 3° Fratture a sud della Griglia di Mandello; 3° Fratture nel versante sud del Resegone. Sembrami probabile che queste fratture sieno avvenute dopo che era incominciato, anzi quand’era quasi compiuto il corru- gamento posteocenico; e si può notare a proposito che quasi ugualmente per le formazioni mesozoiche e per le eoceniche, dal- l’uno all’altro lato della frattura Pregassona-Melano, muta la di- rezione anche il terreno bormidiano, delle puddinghe ed arenarie comensi; terreno sviluppatissimo, come compare dai molti affio- ramenti distinti tra le morene. Quando si scavarono in questo terreno le gallerie di Cimbro e di Intimiano, osservai frequen- tissimi i liscioni di salto sulle pareti delle fratture, così del- l’arenaria come della puddinga; epperò la detta fratturazione deve essere, almeno in parte, avvenuta dopo il miocene infe- riore. In tutte le cave, anche delle rocce porti riche attualmente impiegate in larga scala per la pavimentazione di Milano, si avvertono piani di frattura con scorrimento e conseguenti liscioni, spesso orizzontali o quasi; d’onde si arguisce che i terreni furono sconnessi anche dopo il corrugamento. A comodo dei rilevatori della futura Carta geologica in grande scala di questa amenis- sima contrada, aggiungo in nota alcune indicazioni tectoniche, raccolte da me ed altre favoritemi dal collega prof. Francesco CXXII T. TARAMELLI Salmoiraghi, al quale porgo vivo ringraziamento per la cortese collaborazione. Ho detto della formazione bormidiana del conglomerato co- mense e ritorno sulla medesima formazione, perchè essa mi pare assai importante come punto di partenza dello studio orogene- tico dell’area in esame. Già lo Spreafico, il Negri e lo Stop- pani avevano osservato, ed io ho potuto confermarlo, che le rocce prevalenti nel costituire i grossi e grossissimi massi di questo conglomerato littoraneo. provengono dalla regione a po- nente dell’attuale Lago Maggiore. Bisogna però ammettere che questa direzione delle scomparse correnti fosse in parte ripresa dopo la transitoria e parziale sommersione pliocenica delle falde insubri ed orobiche; perchè la spiegazione dei tronconi di Valle della 'fresa, della Morgorobbia, della V. Curia, della depres- sione di Gavirate e di quella del Lago di Comabbio richiede che si ammetta che per quivi passassero delle correnti, che scen- devano da oltre il Verbano. Quella corrente che preparò il fondo di questo lago prima che fosse ridotto a bacino lacustre dalla erosione glaciale e dai movimenti di massa quaternari, ha mano mano catturato e deviato (presti fiumi, come ha deviato il Ticino, che prima passava pel ramo occidentale del Ceresio. Alla stessa guisa il ramo orientale del Ceresio corrisponde ad un antico decorso delle acque abduane passanti per la sella di Fortezza; poi queste si raccolsero a preferenza nel ramo di Como; poi si diressero pel ramo di Lecco, incrociando gli antichi decorsi della corrente di Val-Brona, clic discendeva dalla Griglia meridionale, e queiraltra dalla Val-Sassina, che si continuava per la Val- Madrera. La Tresa, la Morgorobbia e la Pio verna ebbero il loro corso invertito prima ancora che scendessero un’ultima volta i ghiacciai al limite precisamente segnato dagli anfiteatri more- nici del Verbano, della valle di Arcisate, della valle di Men- drisio, del ramo di Como, del ramo di Erba, del ramo di Lecco e del ramo di Pontida. Non ho potuto, per difetto della vista, studiare attentamente le altimetrie dei terrazzi orografici; ma sembrami che almeno lungo il Vulcano scorrano regolari, inclinati sempre a valle; nel bacino lariano, il Baltzer ne avrebbe notati taluni inclinati verso monte; osservazione stata fatta ma non pubblicata dal CONDIZIONI TECTONICHE NELLA LOMBARDIA OCCIDENTALE CXXIII collega Brugnatelli. È uno studio tutto da farsi. Se la geologia tosse più ditìusa tra gli alpinisti, questo sarebbe un problema per alcuno di essi; ed il raccogliere i dati per risolverlo sa- rebbe assai meglio che arrischiare inutilmente la vita in salite disastrose. Poiché non occorre propriamente di essere geologi per confrontare le quote dei terrazzi orografici e per distinguere se questi siano tutti od in parte scolpiti nella roccia in posto, oppure del tutto dovuti ad addossamento di morene. Ho poi notato che verso le quote tra gli 800 ed i 600 metri sono in particolare frequenti tali terrazzi per lunghi tratti di valle; ed importa notare che se ricostruiamo le conoidi delle alluvioni diluviali interglaciali, queste portano il loro apice verso od oltre i 500 metri. Dal che si deve indurre, se non erro, che i solchi vallivi più bassi sono relativamente assai recenti ; perciò, nella ricostruzione della orografia pliocenica, è molto probabile che più non ricompaia la ipotesi del Peschel sui fijord, in seguito convertiti in laghi. Come altro elemento per ricostruire questa orografìa pliocenica, ricorderò il fatto che da Balerna, presso Mendrisio, sino ad Almenno, allo sbocco della valle Brembana, almeno sino ad ora non venne trovato alcun lembo di pliocene marino, nemmeno nei pozzi, che numerosi e molto profondi attraversano nella Brianza le morene ed il diluvium. È proba- bile quindi che in questo tratto si distaccasse dal lido plioce- nico lombardo una penisola, alla quale accennerebbero altresì le secondarie ondulazioni stratigrafiche dei terreni cretacei ed eocenici della Brianza, a sud della sinclinale Centemero-Carvico. Questa penisola faceva riscontro a queU’altra che, pur essa in rapporto alla tectonica dei terreni terziari, si staccava dal lido appennino nei pressi di Stradella. Per lo studio dei fenomeni e dei terreni posterziari, racco- gliendo quanto venne osservato dai miei colleghi, in particolare dai signori Sacco e Stella, e da me, ho segnato sulla carta che presento le distinzioni dei tre piani diluviali, nei quali si con- venne, almeno temporaneamente, di suddividere le alluvioni anteriori all’ultima ritirata dei ghiacciai alpini. All’Ufficio geo- logico esistono molte tavolette rilevate nella scala di 1 : 25000, che sino ad ora non si poterono pubblicare, nemmeno racco- gliendone le indicazioni sopra una carta a scala minore. Ma IX CXXIV T. TARAMELLI vorrei che anche fuori d’Italia si sapesse che non siamo stati colle mano alla cintola e che non sentivamo per nulla il biso- gno che geologi forestieri venissero ogni giorno ad intralciare i nostri lavori; come ha fatto anche recentemente il prof. Baltzer » di Basilea, che ha pubblicato una carta geologica del Lagod’Iseo meno dettagliata di quella che da anni io aveva rilevato della stessa regione e che si voleva poi combinare coi risultati degli studi esattissimi del collega prof. Salmoiraghi. Il mondo è tanto grande! Che abbiano un poco di pazienza, questi signori geo- logi forestieri, quasi sempre tedeschi; il nostro paese lo studie- remo da noi. Che vadano altrove a guadagnare i titoli acca- demici! Ed il nostro governo, non sente l’onta ed il danno di questa invasione scientifica, la quale procede alla pari con quel- l’altra, che giù dal Brennero si dilaga nel Trentino e sul Garda; che insidia alla italianità della valle di Fassa; che, non arre- stata, è capace di spingersi alle porte di Verona? I miei allievi ed io facciamo del nostro meglio ; ma siamo in pochi e manca la coordinazione e la continuità del lavoro. Forse quando si sappia che nelle Prealpi si è iniziato un rilievo governativo, l’Accademia Reale di Berlino troverà qualche altro sito fuori dell’alta Italia da indicare ai giovani geologi tedeschi, ai quali essa assegna laute retribuzioni e premi ; perchè non si può am- mettere che non si pratichi anche oltr’alpe quella delicatezza, che tanto validamente contribuisce a mantenere i buoni rap- porti, così tra le persone come tra le genti. Raccolgo alcuni dati sulla posizione degli strati sedimentari e sui piani di fessurazione delle rocce massicce, nei dintorni di Porto-Ceresio : Dolomia infra raibliana tra Cà del Monte e M. Arzolo, dir. N, 50° E, incl. 80° SE; Micascisto tra M. Arzolo e Besano, dir. N, 45° 0, incl. 70° SO; Arenarie e puddinghe del Roth a Cà Mora, presso Pojana, dir. N* 60° E, incl. 30° SSE; Calcari selciosi, retici ? sopra Arogno, variamente inclinati a NO; Calcari marnosi keuperian i a nord del Sasso delle Corna, di Arei- sate, alla quota 1033, dir. N, 70° O, incl. prima a nord, poi a sud; presso la quota 500 si cangia in dir. N, 70° E, incl. verso SE; CONDIZIONI TECTONICHE NELLA LOMBARDIA OCCIDENTALE CXXV Dolomia infraraibliana sopra Brusimpiano, dir. N, 60° E, incl. N, 80° O; Micascisto gneissico presso la Cà Mora, dalle Cantine di P. Ceresio verso Brusimpiano, dir. N, 50° 0, incl. SSO di 45°-55°; Idem tra Quasso al Monte e Brusimpiano, dir. N, 40°-30° 0, quasi verticale ; Calcare retico alle cave di Arcisate, dir. N, 60° 0, incl. 80° SO, con piani di taglia inclinati di 50° ad 0, e scorrimento orizzontale. Calcare marnoso rosso ammoniaco del Lias superiore presso il Gag- giolo, nella località sul versante sud della collina, dir. N, 35° 0 incl 50° SO; Calcare selcifero del lias medio presso la Rosa di Viggiù, dir. N, 60° E. incl. 32° SE ; presso il Cimitero di Viggiù, dir. N. 20° 0, incl. 20° NE; all’estremità nord-ovest del paese di Viggiù, dir. N, 50° 0, incl. 32° SO; alla cava della prederà a nord-ovest di Viggiù, dir. N, 70° E, incl. 25° S ; Arenarie e puddinghe del Rdth sotto Pojana, dir. N, 75° 0, incl. 30° SO ; Calcare del trias medio, appena sopra le arenarie precedenti, sotto Pojana, dir. N, 75° 0, incl. 30 SO; Calcare marnoso keuperiano sotto Pojana, dir. 35° E, incl. 32° NO; gli stessi presso Bisuschio, dir. N, 00° O, incl. 25° SO; Calcari selciosi del lias inferiore, presso il cimitero d’ Arcisate, dir. N, 65° E, incl. SE; Dolomia del trias medio, V. Gama, dir. N, 55° 0, incl. 30° SO; Calcare ammonitico del lias superiore a nord di Induno, dir. N, 80° E, incl. 50° SE ; Calcare selcioso del lias inferiore sopra Fraschirolo, dir. N, 40° E, incl. 80° SE; Calcare marnoso retico alla fornace di Monteallegro, dir. N, 80° 0, incl. 80° S; Calcare retico presso Brenno, dir. EO, incl. 25° N ; Idem alle falde del M. di Luseria, dir. N, 75° 0, incl. SSO; formando anteclinale col precedente, la quale curva poi si continua nelle adia- cenze di Viggiù e di Clivio; Dolomia infraraibliana presso Marzio, dir. N, 70° E, quasi verticale ; Calcare keuperiano bituminoso tra Marzio e S. Pietro, dir. N, 20° E, incl. 85° NO ; Micascisto ad ovest di M. Marzio, dir. EO, incl. 45° S; Idem a sud di Arbizzo, dir. N, 20° 0, incl. 70° SO; Idem presso Viconago, dir. N, incl. 55° E; Idem sotto il paese di Viconago, dir. NO, incl. 40° SO ; Idem presso Cavegliano, dir. N, 30° 0, quasi verticale; Scisti ad Halobia sotto Pojana, dir. N, 60° E, incl. SE di 35° ; Dolomia del trias medio di Besano, dir. N, 50° E, incl. 40° SE; CXXVl T. TARAMELLI Idem del M. Cariano presso Ponte Tresa, dir. N, 10° E, incl 14° NO; ma più visibile la fessurazione verticale, con direzione E; Scisti bituminosi di Besano, antiche cave, dir. N, 60° E, incl. 65° SE; con liscioni orizzontali su piani diretti a NE ; Dolomia principale al passo dell' acquedotto da Besano a Viggiù, dir. N, 35° E, incl. 40° SE. Fessurazione delle rocce massicce: Porfido bruito alla Dogana di Brusinaraizio, tre piani di forma- zione: 1° verticale diretta a NE; 2° diretto a NO inclinato di 40° a SO; 3° diretto a NOO, incl. 40° NEN ; Filone di Besano, al Vallone, dir. N, 5° E, incl. 60° O; Porfido rosso alla Cantina di Brusimpiano, fessurazione lamellare diretta a N, 20° O, incl. 75° NE; Porfido bruno a Cà dell’Uomo, presso Porto Ceresio, fessurato a N, 25° E, incl. 45° SE; Porfido rosso presso il Tedesco, fessur. dir. N, 25° E, incl. N, 75° O; Granitile di Borgnano, cave, fratturazione principale dir. N, 48° E, incl. 80° S; Idem al ponte di Quasso al Piano, presso la Cascata, due piani di fessur.: 1° dir. N, 80° E, incl. 55° NO; 2° dir. N, 35° E, verticale; dal- l’incontro risulta l’acuto sprone attorno al quale gira il torr. Cava- lasca ; Filone di Brusimpiano di solfuri argentiferi con ganga di fluorite e quarzo, dir. E, incl. 75° N, potente in media un metro; Porfido rosso al ponte di Borgnano, fess. principale dir. N, 15° E, incl. 75° O ; Filone di barite presso la Madonna di Rossaga per Pojana, dir. N, 10° O, incl. 80° NE; Filone pure di barite presso Brusimpiano, dir. N, 35° O, incl. 78° SO. Le osservazioni precedenti, raccolte in un area limitata, dimostrano che la fessurazione più frequente è secondo piani normali alla prevalente direzione delle rocce sedimentari ricoprenti la formazione portìrica e fortemente inclinata. Quanto alla posizione della serie triasica dei din- torni di Porto Ceresio, essa non corrisponde al salto indicato dal Har- rain, ma accenna piuttosto ad una anticliuale; al più si può riferire ad uno sconcerto locale il contatto dei due porfidi, il rosso ed il bruno, presso Besano, quando questo non dipenda da una intrusione del primo nel secondo, come è molto probabile. Importa anche di notare che una porfirite molto alterata presso il ponte di Quasso al Piano, attraversa la granitite, e che nella vallata del piano del Fò, presso il Tedesco, i porfidi bruni abbracciano la granitite così da portarsi essi direttamente sotto alla arenaria con puddinghe del Ròth. Noto inoltre che nella regione di Brusimpiano e Quasso al Monte il micascisto è attraversato da un fitto reticolato di filoni di porfido rosso; quindi i filoni lungo la CONDIZIONI TECTONICHE NELLA LOMBARDIA OCCIDENTALE CXXV1I sponda del lago non sono che un particolare di un fatto più esteso. Il compianto dott. Riva ha osservato fenomeni di contatto nei micascisti colà attraversati dalla roccia emersoria. Tra i più grossi erratici visti nella regione ricorderò i seguenti: un gruppo di grossi massi di gneiss, sulla granitite di un dosso a nord- est di Pojana; un grosso masso di gneiss scistoso presso il Gaggiolo, circondato da grosse querce ; un masso di porfido bruno presso il seti- ficio Lesmo di Clivio ; altro masso della stessa roccia appena a nord di Saltrio, ed altro ancora presso 850m sul versante meridionale del M. Orsa. Il signor prof. F. Salmoiraghi, coll’abituale cortesia, acconsente che io pubblichi quest’altre osservazioni raccolte da lui nei dintorni di Co- mabbio, distribuite per terreni. Majolica; Cazzago Brebbia, direzione variabile da N, 71° 0 a N, 79° E, incl. 60° N. Calcare nummulitico; Chiosetto presso Travedona (Ceva), dir. N, 47° 0, incl. 15° SO. Villa Megnini, presso Travedona, dir. N, 47° 0, incl. 15° SO. Cà Bronzina, per S. Maria di Ternate fino a S. Sepolcro, diverse cave ; a quello di S. Sepolcro sul lago di Comabbio, dir. N, 12° E, incl. 50° O. Alla cava abbandonata presso il lago, dir. N, 61° E, incl. 40° NO. Lago di Comabbio di fronte a Comabbio, cava abbandonata, dir. media N, 33° 0, incl. 25° SO. Sotto Varano; affioramento ora non più visibile, dir. N, 49° E, incl. 57° SE. Presso Oneda, cava, dir. variabile da N, 32° E a N 67° E, media N 44° E, incl. 40° NO. Marna e molassa fossilifera (miocene inferiore) ; presso Lomnago, dir. N, 75° E (misura incerta), incl. 53° S. Tra Inazzo e Bernate, dir. N, 42° 0, incl. 45° SO. Presso Fabucco, sotto Bernate, tra questo paese e Varano, dir. varia da N, 74° E a N, 84° E, incl. N, 79° E ; incl. 40°-50° S. Parte nord della trincea ferroviaria della Boffalora, presso Varano, dir. varia da N, 15° E a N, 46° E, media N. 57° E; incl. 67° SE. Gonfolite (miocene inferiore), Casale presso il Cimitero, dir. N, 88° E; incl. 28° S. Sotto Tordera sup. contiguo e sopraposto all’ affioramento della marna presso Fabucco, non presi misura ma ad occhio concorda con quella. Parte meridionale della trincea ferroviaria della Boffalora, presso Varano, dir. N, 37° E; incl. 67° SE. Rivo Dondi, presso Verziate, dir. varia da N, 28° E a N, 38° E, media N, 33° E: incl. 15°-30° SE. Mercallo, dir. N, 37° E, incl. 35° NO. cxxvin T. TARAMELLI Trincea ferroviaria al Lavaggione tra Coquio e Lisanza, dir. varia da N, 49° E, e N, 53° E, inedia N, 51° E; incl. 20°-26° NO, presso Oca, Sesto Calende, dir. N, 9° E, incl. 12° 0. La posizione della majolica discordante dalle formazioni poste riori, per quanto rilevata in un sol punto, accenna ad una sinclinale sotto al lago di Varese. Gli strati di calcare nummulitico, di molassa e marna fossilifere e di gonfolite, ad onta di qualche variabilità della loro po- sizione, sono abbastanza concordanti e si modellano in una anticlinale col vertice eroso, i! cui asse coincide con quello del Lago di Comab- bio, come già fu accennato dallo stesso prof. Salmoiraghi in una nota inserita nel 1882 negli Atti della Soc. it. di Se. nat. di Milano. [ms. pres. 9 settembre 1902 - ult. bozze 19 ottobre 1902]. SULLA STRUTTURA DEI TERRENI CONSIDERATA RIGUARDO AI LAVORI FERROVIARII ESEGUITI DALLA SOCIETÀ DELLE STRADE FERRATE MERIDIONALI (') t Comunicazione dell’ing. Claudio Seguè Dall’avvertenza che precede la monografia che riassumiamo risulta, come le osservazioni geologiche, compiute a partire dal- l’anno 1881 per studi e costruzioni ferroviarie, riguardano lo Appennino Centrale Umbro-Abruzzese fino al Molise, la Basili- cata e la Puglia (Terra di Bari) riferendosi alle linee Terni- Rieti-Aquila, Sulmona-Isernia-Campobasso, Benevento-Campo- basso-Termoli, Rocchetta S. Antonio (Ponte Santa Venere) per Potenza e per Gioia del Colle. Spinazzola-Barletta ; che rilievi sulla struttura dei terreni si svolsero altresì nella Brianza e nella Valtellina per le linee Lecco-Corno e Lecco-Colico; neH’Appenuino marchigiano in occasione di studi di tracciati per la S. Arcan- gelo-Fabriano, costruita per ora tino ad Urbino dal R. Governo ; nella Campania per la linea Rocchetta Sant’Antonio (Ponte Santa Venere)-A veliino costruita poi dalla Mediterranea, e nella Val- tellina e Grigioni in occasione dello studio pel tracciato di mas- sima per una linea da Chiavenna a Coira attraverso lo Spluga. Nè in quelle brevi note si parla delle applicazioni degli studi geologici fatti in occasione di ordinaria e straordinaria manu- tenzione della Rete in esercizio. Degli studi geologici che si riferiscono alle ferrovie costruite nel periodo 1881-83 fece cenno il Bollettino del R. Comitato O Note litografate negli uffici della Direzione dei Lavori R. A. corredate da n° 8 tavole cromolitografate di piani e profili geologici. Nel presente riassunto della suddetta monografia, pure compilato per cura della prefata Direzione, questa vi inserì ulteriori considerazioni e notizie per meglio chiarire lo scopo di simili studi nei riguardi della stabilità della via e della ricerca e distribuzione d'acqua pei bisogni ferroviarii. ex XX C. SEGRÈ Geologico rendendo conto dei rilievi sulla struttura dei terreni eseguiti dalla Direzione dei Lavori delle Ferrovie Meridionali, riguardanti le linee Benevento-Campobasso-Termoli ed Aquila- Kieti-Temi e pubblicati dalla Direzione medesima in occasione della Mostra nazionale del 1884 (1). E la Società Geologica Italiana ebbe ad essere informata in diverse occasioni segnata- mente di quegli studi geologici che interessavano F Appennino Centrale Abruzzese (2). (x) Cfr. Bollettino del R. Comitato Geologico Italiano, N.' 7 e 8. 1884: Studi geologici presentati alla Esposizione Nazionale di Torino dalla Società Italiana delle Strade Ferrate Meridionali. (2) Cfr. Bollettino della Società Geologica Italiana, volume II, 1883, pag. 123: Sulla costituzione geologica dell’ Appennino Abruzzese. È da questa nota che risulta come il coordinamento fatto lungo il profilo della ferrovia Aquila-Rieti-Terni delle osservazioni geologiche compiute durante la sua costruzione e la scoperta del Megalodon Ginn- beli Stop, fatta nel 1882 nella massa di calcari dolomitici attraversata coi sotterranei di Antrodoco, abbiano permesso di ordinare la succes- sione stratigrafica dei terreni in quel nodo importante dell1 Appennino Centrale Abruzzese. Quelle masse dolomitiche, le cui proprietà dal punto di vista costrut- tivo in relazione alla loro chimica composizione, avevano dato argo- mento ad uno studio speciale riassunto nella breve nota precedentemente pubblicata nel Bollettino della nostra Società (Voi. I, 1882, pag. 233), apparterrebbero all’Infralias se non addirittura al Trias superiore e costituiscono l’imbasamento fondamentale di quella plaga ove la ferrovia dal crinale appenninico di Sella di Corno scende pel thalweg del Bra- pella nella conca reatina. Data l’importanza di questo capo-saldo per la stratigrafia dell’ Appennino Centrale Abruzzese, vennero confrontati i rapporti stratigrafici della massa calcareo-dolomitica di Antrodoco coi terreni sovraincombenti che s’incontrano sia passando dal versante Adriatico al versante Mediterraneo per l’anzidetto valico, sia giungendo alla massa medesima valicando il displuvio di Torrita dopo aver rimon- tato il thalweg del Tronto per discendere nuovamente a quello del Velino per le gole di Sigillo, e di questi studi s’informava pure la Società Geologica nella sua adunanza di Arezzo (Bollettino della Società Geo- logica, voi. IV, pag. 511), nella quale si accennava altresì all’apparizione del detto imbasamento a Rivodutri Val Ortigara, sulle coste di Lisciano e di Lignano ecc. in quel di Rieti, ed al riguardo è bene ricordare i colle- gamenti delle masse dolomitiche del Giano e del Terminillo nonché il rife- rimento allo stesso orizzonte della massa dolomitica del Gran Sasso fatta dall’ingegnere Baldaoci (Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia, 1884, pag. 349); e più recentemente l’aiutante ing. Moderni rilevava SULLA STRUTTURA DEI TERRENI ex XXI La monografia eli cui ora trattasi non discorre però che delle ferrovie riguardanti l’ultimo periodo delle costruzioni affidate alla Società esercente la IL A. e cioè delle due linee staccan- tesi da Ponte S. Venere e dirette rispettivamente a Potenza e a Gioja del Colle e della terza linea Ofantina che da Spinaz- zola discende a Barletta, della Sulmoua-lsernia con dirama- zione da Carpinone a Bojano per Campobasso, e finalmente delle due linee settentrionali Camerlata (Como)-Leceo-Colico (*). Nel secondo capitolo della monografia, riferentesi alle gene- ralità, oltre ad accennare al metodo seguito in questi studi di geo- logia applicata, è detto del modo con cui venne organizzato il servizio di osservazioni e rilievi sui terreni attraversati colle gal- lerie e coi pozzi d’estrazione, per parte degli ingegneri preposti alle costruzioni. Al qual riguardo non si ritiene privo di inte- resse qui riprodurre il modulo grafico e descrittivo che doveva riempirsi dagli ingegneri medesimi coi dati stratigrafici e lito- logici dei terreni attraversati, aggiungendo le indicazioni rela- tive : alle pressioni eventualmente esercitate dalle roccie, alle sorgive, agli sviluppi di gas. Per tal guisa riescivano chiarite le circostanze per cui veni- vano adottate le diverse modalità costruttive nei rivestimenti, pure indicate nel modulo. Il saggio di diagrammi qui unito a titolo d’esempio corri- sponde precisamente ad un tratto di poco oltre 1700 m. del sot- affioramenti delle stesse dolomie al Colle Prato Pecoraro al Sud-Est di Leonessa (Bollettino del R. Comitato Geologico d'Italia, 1900: Note geolo- giche preliminari sui dintorni di Leonessa in provincia d’Aquila, pag. 33S. Questi importanti affioramenti e la frequenza con cui si scoprono, man mano che si vanno accuratamente investigando i nodi dell’Appennino Centrale Abruzzese, confermano quanto si accennava nella ricordata breve comunicazione fatta alla riunione di Arezzo circa l’andamento abbastanza continuato, quantunque molto sinuoso, dei calcari dolomitici e dolomie dell’ Infralias, se non del Trias superiore, nell’ Appennino medesimo. (l) Delle applicazioni della geologia ai lavori ferroviarii fatte dalla Società delle Meridionali, si occupò pure recentemente la Rivista geo- grafica Italiana, Anno IX, Fas. Vili, 1902. — De Magistris L. F., Con- tributi geologici e geografici forniti dalla Direzione dei Lavori per le Strade Ferrate Meridionali (B. A.). CXXXII C. SEORÉ terraneo di Monte Pagano (linea Sulmona-Isernia) dalla parte dello imbocco Sulmona. I moduli-diagrammi effettivamente di- stribuiti agli ingegneri e da riempirsi durante le costruzioni, erano alle scale 1 : 2000 per le distanze e 1 : 200 per le altezze pel profilo longitudinale della galleria. Nei successivi capitoli vengono descritti succintamente i ter- reni attraversati con ciascuna delle ferrovie costruite, e preci- samente, per ciascuna di esse, premesso un cenno sull’andamento generale del tracciato, si descrivono poi, seguendo le progressive chilometriche, i terreni attraversati quali risultano dai tagli ope- rati cogli scavi di fondazione, colle trincee, coi sotterranei. Fa seguito un raggruppamento geologico delle stesse masse soventi attraversate a più riprese anche per ragioni di sviluppo ferro- viario causa la configurazione del suolo. Ogni nota termina con un breve accenno ai materiali da costruzione ove questi presen- tarono qualche speciale interesse per difficoltà di ricerca o per altre ragioni costruttive. La descrizione per ogni linea è completata da una rappre- sentazione grafica riassuntiva costituita da un piano e da un profilo longitudinale, dai quali elementi risultano i rapporti ge- nerali tettonici della ferrovia descritta, per rapporto alle masse adiacenti e sottostanti. Questi rapporti vennero anche meglio dichiarati sia mediante sezioni attraverso località opportunamente scelte, sia svolgendo in maggiore scala certi tratti del profilo geologico longitudinale. Per tal guisa, ove occorreva, restavano anche meglio chiarite le difficoltà superate durante le costruzioni onde procurare alla ferrovia una sede stabile, si rendevano pos- sibili, nonostante la brevità impostaci della descrizione, oppor- tuni confronti fra linee svolgentisi in plaghe prossime fra loro, o fra strutture geologiche di diversi valichi attraversati dalle stesse linee, risultava ben dichiarata la tettonica di qualche in- teressante nodo appenninico, restavano chiarite per qualche caso speciale, strutture varie di uno stesso deposito geologico, per cui questo assumeva caratteri ben diversi dal punto di vista costrut- tivo, e si poteva infine illustrare qualche falda acquifera im- portante. Naturalmente i pochi casi descritti non rappresentano che una scelta opportuna, fra i molteplici che trovansi in Ufficio Pianta Profilo Boll. d Soc. Geo!. Italiana Voi XXI Linea Galleria di Iwiga m. Indicazioni relative alla natura dei terreni attraversati dalle acque, emanazioni gazose, spinte, ecc. Grossezza iW rivestimenti in calotta Iulersez"' ilei piani di separazione degli strati eoi piano verticale passante per l’asse della galleria Quoto al inailo delle rotaie (904. G3)"1 Grossezza dell'arco rovescio Ijivello del mare (900) Quote del terreno - Progressive (Ettometri e Chilometri) Intere, dei piani di separazione degli strati col piano orizzontale (lassante per l’imposta della galleria 11 ° ; ’M .ji6.Ul '/\ J32.U1 Vili. ia ’ ! T .3«.i»/m,i»»|" t.m ; Indicazioni relative al terreni attraversati § Argille Argille marnose ->i a pone e scatarrili £f; compatte > arenacei Marne ed argilla fogllettntn con interposti straterelli aremvee Id. relative alle pressioni esercitate dai ter- reno contro le murature dei rivestimenti Forti spinte Non si verificano spinte molt Filtrazioni Filtrazioni abbondanti leggiere Data in cui collo scavo ili avanzata si è incontrato un determinato terreno 1 Osservazioni speciali Produzione di fornelli Fughe di gas idroca Struttura d. terreni consid.rig. lavori Ferroviari Terreni generalmente asciutti Abbondanti filtrazioni d’ acqua Leggiere ma permanenti fughe gazose Notevoli 1 foghe ; ì di gas Svolgimenti notevoli di gas idrocarburi 22. HI - l jik 3.81 ~1 1 5.81 i; Argille marnose ! Argille | a struttura scagliosa ! scagliose ibili Fortis- sime scinte Spinte notevoli Argille marnose a struttura scagliosa con lenti arenacee Stratificazioni calcaree eoo interposte argille marnose C 1170.60 SULLA STRUTTURA DEI TERRENI CXXXI1I svolti ed illustrati in piani e profili a grandi scale, per dare un’idea del modo con cui molte questioni costruttive vengono chiarite da esatte notizie circa la struttura e la disposizione dei terreni. Ciò premesso, veniamo ad indicare brevemente i fatti più salienti risultati dallo esame geologico di ognuna delle ferrovie di cui trattasi. Linea Rocchetta- S. Antonio (Ponte S. Venere sull’ 0 fan to)- Po- tenza (’). L’imbasamento generale della regione attraversata da questa ferrovia è costituito da terreni dell’ Eocene superiore e medio. L’ Eocene superiore è quivi rappresentato da stratifica- zioni più o meno inflesse di calcari marnosi, marne galestrine e scisti ftanitici, cui succedono calcari in fini strati con inter- poste argille variegate talvolta predominanti (terreni di Ponte S. Venere e coste sovraincombenti al Colle del Solorso,'a Barile, a Rionero), argille marnose a struttura scagliosa e argille fogliet- tate vari-colori (sotterraneo alla Sella del Cardinale) con svi- luppo di gas idrocarburi facenti coll’aria miscele tonanti. Questi depositi costituirebbero un primo orizzonte di forma- zione ad argille scagliose (parte inferiore dell’Eocene superiore). Ma coi lavori al valico appenninico di Potenza si sarebbe attra- versato un secondo orizzonte di analoga formazione, colla quale si passerebbe forse all’Eocene medio. E i due terreni ad argille scagliose sarebbero fra loro separati da calcari in istrati gene- ralmente fini con argille frapposte, quali si vedono al vallone S. Tecla (Appennino di Potenza). La formazione inferiore ad argille scagliose, le frequenti interposizioni di calcari più o meno C) Questa Nota è seguita da rappresentazioni grafiche riassuntive costituite da : piano - profilo longitudinale - sezione attraverso il V alture estesa ai due versanti dell’Ofanto e da cui risultano le corrispondenti posizioni geologiche delle ferrovie che, partendo dal fondo del thalweg dell’Ofanto a Ponte S. Venere, si dirigono rispettivamente ad Avellino, a Potenza, a Gioia del Colle, e finalmente da una sezione: dal nodo appenninico del Carmine al quadrivio di S. Nicola. Un profilo longitudinale semplicemente geometrico dimostra i i ei- santi e le valli secondarie percorsi colla ferrovia oltre alle ampiezze generali delle rispettive gronde Adriatica e Ionia occupate dalla feri o via medesima. CXXXIV C. SEGHE marnosi, le emanazioni di gas idrocarburi sono in questo am- biente più scarse (galleria dello Appennino sotto il S. Angelo - alle falde orientali del crinale di Monte Carmine - gronda Ionica), talvolta cessano le interposizioni calcaree e si svilup- pano essenzialmente le argille fogliettate ed allora le emana- zioni di idrocarburi si fanno molto abbondanti (galleria di Pie- trac-olpa al nord di Potenza). I molteplici corrugamenti del terreno eocenico fecero emer- gere frequentemente le formazioni ad argille scagliose e fogliet- tate lungo il tracciato ferroviario a partire dalla valle dell ’O- fanto al Ponte S. Venere (220 m. sul livello del mare) e suc- cessivamente alla Sella del Cardinale (522 m.), al displuvio appenninico fra il Carmine ed il S. Angelo (794 m.) ed al Colle di Pietracolpa (748 m.) (*). Al nodo appenninico dove si hanno le due creste montane che danno luogo alle tre gronde: Adriatica (NO), Mediter- ranea (SO), Ionica (E), la ridda della serie terziaria diviene molto complicata; talché se lungo una sezione trasversale che parte dal Cannine con direzione NO-SE. le stratificazioni hanno un andamento sinuoso ma relativamente dolce, in dire- zione ad essa normale, quella cioè secondo cui è tracciata la galleria detta dell’ Appennino (S. Angelo), le inflessioni sono invece molto sentite; e mentre ad occidente la serie dell’Eocene superiore è abbastanza sviluppata ne’ suoi termini, verso oriente invece, per rapporto al sotterraneo dell’Appennino, s’ innalza rapidamente il sottostante terreno ad argille scagliose. Questi fenomeni tettonici, sui quali non è stato forse inop- portuno indugiare un po’ anche in questo breve resoconto, risul- tano manifesti colle rappresentazioni grafiche geologiche alle- gate alle note, le quali rappresentazioni, quantunque in modo molto sintetico, concorrono a dare un’idea delle difficoltà in- contrate per potersi fare un criterio ben concreto ed esatto della posizione e dello andamento delle anzidette formazioni interes- sate anche da un ingente sviluppo di argille scagliose e clic quindi tanto preoccuparono il costruttore; ciò specialmente di- (') Le quote s. 7. d. m. si riferiscono sempre alla piattaforma stradale. SULLA STRUTTURA DEI TERRENI CXXXV casi per la plaga che doveva attraversarsi con sotterranei al SO. dèi nodo appenninico Carmine-S. Angelo. Da qui gli studi lunghi e laboriosi, anche dal punto di vista geologico, intrapresi fin dall’epoca dei primitivi studi di massima del 1885 per la linea di cui trattasi. Meglio dichiarate alle prime investigazioni riescirono le emer- sioni delle masse di argille e marne scagliose alla Sella del Cardinale, posta al culmine della salita da Ponte SantaYenere verso Melfi, ed al colle di Pietracolpa, situato al vertice della salita dal Riviseo verso Potenza. Linea Bocchetta S. Antonio (Ponte Santa Venere) - Gioia del Colici)). Mentre la ferrovia per Potenza taglia frequentemente, come s’ò detto, la formazione ad argille scagliose e fogliettate, quella per Gioia del Colle abbandona simile formazione dopo aver percorso breve tratto, dalla Stazione di Rocchetta, assieme alla linea di Potenza, per ripiegare sola a settentrione nel thalweg dell’Ofanto e correre verso l’altipiano di Spinazzola, appoggiandosi prima su depositi plistocenici e pliocenici e svol- gendosi poi sulle ondulazioni murgesi di Gravina ed Altamura fino a raggiungere quelle decisamente calcaree del cretaceo superiore di S. Bramo per discendere infine al bacino pliocenico di Gioia del Colle. Ben diversamente che per quella di Potenza, lungo questa ferrovia la serie terziaria è incontrata nei termini più alti, ed anzi si raggiungono in parecchi punti dei depositi quaternari e ricoprimenti alluvionali recenti, e lungo la fiumara di Venosa (che immette nell’Olivento, confluente di destra del- l’Ofanto) la linea si svolge sopra depositi limno-vulcanici. Ed è singolare a notarsi l’appoggio diretto lungo questa linea, oltre il piano di Palazzo S. Gervasio, del terreno pliocenico, senza (*) (*) Nota illustrata da piano e profilo geologici-riassuntivi, e da un profilo geologico in maggior scala pel tratto che partendo da Spinaz- zola discende alla Conca del Paredano verso Gioia. Questo tratto è comune anche alla linea per Barletta, e dal relativo profilo risulta il rapporto fra quel deposito quaternario ed il sottostante terreno plioce- nico colle interposte falde acquifere nella zona di separazione dei due terreni. Un profilo geometrico longitudinale dimostra: l'andamento alti- metrico della linea, i tratti da essa percorsi sulla gronda Adriatico- Ionica, nonché sull’altipiano murgese. CNXXVI C. SEGRÈ l' intermezzo di alcun altro membro terziario, sul calcare del Cretaceo superiore costituente l’imbasamento fondamentale della regione ed il cui ampio affioramento è attraversato dalla fer- rovia a Gravina, ad Altamura ed a S. Bramo. Questo accenno è sufficiente a dimostrare come non sia stato difficile dare una sede stabile alla ferrovia per Gioia, salvo brevi tratti nei quali si dovè provvedere contro l’incoerenza dei ter- reni argillo-sabbiosi pliocenici. Linea Barletta- Spinatola (1). I terreni plistocenici vengono attraversati nella discesa dalla stazione di Spinazzola alla valle del Paredano con quattro piccoli sotteranei lunghi da 100 a 500 metri circa, comuni anche alla ferrovia per Gioia, e dopo i quali la linea si svolge sui depositi pliocenici nei loro termini superiori (argille marnose e sabbiose). Il contatto fra i due terreni è segnato da strati acquiferi che vennero in località opportuna investigati ed utilizzati. I terreni pliocenici si attraversarono fino a Canosa, salvo la calcarea del cretaceo superiore attraversata (3 km. prima e 3 km. circa dopo la stazione di Minervino, che per sua parte è ada- giata sul deposito quaternario di cui altra lente è tagliata all’uscita dalla calcarea suddetta. Appena oltrepassata la stazione di Canosa, la ferrovia si appoggia fino al litorale sulla grande formazione plistocenica che oltre l’Ofanto va a costituire il Ta- voliere. (') Il piano geologico che illustra la breve Nota riferentesi a questa ferrovia, mostra la singolare estensione presa dai depositi quaternari dal litorale verso S O., ricoprenti le formazioni plioceniche che alla loro volta s’appoggiano direttamente sul Cretaceo superiore come s’ è detto per la linea di Gioia. Questo ampio e singolare deposito quaternario è tagliato dall’Ofanto che ne lascia la maggior parte alla sua sinistra. La sommaria rappresentazione geologica di questa plaga pugliese è com- pletata da una sezione fra la Murgetta calcarea di Spinazzola al NE. di questa borgata e il corso del Basentiello, attraverso la conca acqui- fera del Roviniero nella quale si eseguì la presa che alimenta la con- dotta di 68 km. che distribuisce l’acqua a tutta la linea fino a Barletta. Questa sezione dimostra la successione stratigrafica assai semplice che interessa la ferrovia; in fatti ai calcari ippuritici succedono ivi depositi argillo-marno-sabbiosi e tufi calcarei pliocenici ricoperti da conglo- merati e sabbie plistocenici. SULLA STRUTTURA DEI TERRENI CXXXVIl Linea Sulmona- Isemia. Questa ferrovia dopo essersi svolta attraverso i nodi montani clic sono al sud della Maiella per discen- dere in fondo alla valle del Sangro, risale serpeggiando lungo la catena appenninica abruzzese, parte meridionale, taglian- dola per ben tre volte lungo un percorso inferiore ai trenta chilometri ed avvicinandosi ancora al crinale appenninico che ritaglia una quarta volta subito dopo il distacco della dirama- zione per Campobasso. Questa caratteristica della linea Sulmona-lsernia vale da sò a far compredere quanto interesse geologico abbiano potuto pre- sentare i relativi studi di tracciato e la successiva sua costru- zione. Riassumendo assai succintamente la serie dei terreni in posto ed i depositi accidentali attraversati man mano coi lavori, di- remo innanzi tutto che dopo aver percorso per oltre 20 km., cioè fino a Pettorano, la grande conoide sulmontina di detriti più o meno cementati, questa linea volgesi nello sperone di cal- cari più o meno marnosi eocenici fra i valloni del Gizio e del Cfrassito, per poi appoggiarsi, fino alla gola fra il Porrara e la Sella Ciamaruehclla, sulla massa di calcari ippuritici che taglia col sotterraneo di culmine di 2485 m., salvo che per uno svi- luppo complessivo di circa 5 km., in cui s’appoggia sui depo- siti detritici di falda più o meno impastati, prima di giungere all’anzidetta gola (Q. (*) (*) La Nota riferentesi alla ferrovia Sulmona-lsernia é accompa- gnata da due tavole. La prima comprende un piano e due profili lon- gitudinali, l’uno geologico, l’altro semplicemente geometrico dimostrativo dell’andamento altimetrico della linea coll’indicazione dei versanti, delle valli e degli altipiani attraversati. Il piano geologico comprende altresi nna delle principali varianti studiate ed abbandonate principalmente per la natura instabile dei ter- reni (Eocene superiore e medio); vi sono pure indicati gli affioramenti dei terreni in posto sul versante meridionale della Maiella, onde dimo- strare come ad essi si accordano quelli rilevati in adiacenza ai tracciati ferroviarii. La seconda tavola comprende rilievi particolareggiati riferentisi alle seguenti località caratteristiche della regione che ci interessa: a) Passaggio dell’altipiano del Cerreto (Cretaceo superiore con ricoprimento detritico di falda) all'altipiano Quarto di S. Chiara (cal- cari eocenici con ricoprimenti di argille lacustri) attraverso alla gola CXXXVIII C. SEGRE La ferrovia corre poi a svilupparsi sui piani lacustri di « Santa Chiara » e del « Barone », ove raggiunge il culmine massimo alla quota di 1260 m., che supera non solo quella di tutti i valichi ferroviari appenninici, ma altresì quello delle Alpi Marittime al Colle di Tenda e quello alpino della galleria del S. Gottardo che è a 1152 m. e solamente per 50 e per 98 m. è superato dai culmini dei sotterranei deH’Arlherg e del Ce- nisio che sono i più alti attraverso le Alpi. Per discendere successivamente a Castello di Sangro la fer- rovia, dopo attraversato col sotterraneo del Macello (di 728 m.), poco oltre Tanzidetto culmine, un contatto fra argille marnose forse oligoceniche ed argille scagliose dell’Eocene superiore e (formazione ippuritica) chiusa fra i monti Porrara e Pizzalto. Sul piano di questa sezione, molto importante dal lato costruttivo, sono altresì proiettate le falde eoceniche del Porrara e di Serra Malvone, onde resti meglio dichiarata la tettonica di questo valico prescelto pel tracciato definitivo. b) Discesa dall’altipiano «Il Prato» fra Rivisondoli e Roccaraso, alla valle del Sangro ad A Ifedena rappresentata in piano ed in profilo; sullo stesso piano verticale di quest’ultimo sono proiettati i terreni delle falde orientali di Costa Calda (Turoniano ed Urgoniano), Maiuri (calcari dolomitici liasici frequentemente friabili), Arazecca (calcari turoniani e sottostanti urgoniani corrispondenti a quelli di Costa Calda), Spino Rotondo e Morrone (banchi calcarei sub-cristallini biancastri e sovrastanti calcari più o meno marnosi grigiastri con interposizioni di scisti argillosi - Eocene inferiore - di Scontrane). Mercé queste rap- presentazioni grafiche, resta ben dichiarata la successione di terreni ter- ziari e mesozoici lungo quella discesa, interessata da importanti gal- lerie (fra cui quella scavata nelle falde dell’Arazecca), viadotti, muri di sostegno, nonché il coordinamento tettonico di quelle masse studiate negli estesi affioramenti, nelle trincee e nei sotterranei ferroviarii. I lavori poi fra Casadonna e Scontrane, vicino al Sangro, tagliarono altresì de- positi di argille più o meno marnosi con intercalazioni arenacee del Miocene inferiore. e) Valico del crinale appenninico al Monte Pagano (passaggio dalla Val del Sangro - versante Adriatico - a quella del Volturno - ver- sante Mediterraneo) valico del Monte Totila dalla Valle del Trigno (versante Adriatico) a quello ancora del Volturno. Entrambi questi valichi sono rappresentati in sezioni verticale e orizzontale al piano della piattaforma stradale. Col primo sotterraneo si attraversò una gran massa inflessa di argille e marne scagliose con interposizioni calcaree (parte inferiore dell’Eocene superiore), frequentemente ricoperte in super- SULLA STRUTTURA DEI TERRENI CX XX IX poi il deposito lacustre del piano « il Prato » costeggia l’alto ver- sante destro del Tor. Paio fino a raggiungere il Sangro ad Alfedena tagliando, con lunghe gallerie e trincee, calcari del Cre- taceo superiore ed inferiore a due riprese, fra l’ima e l’altra delle quali vi ha una massa di calcari dolomitici liasici fre- quentemente farinacei costituenti il nucleo di un’antielinale. Il contatto fra i detti due terreni mesozoici verificasi verso Sul- mona nella galleria del Camoscio (di 975 ni.) e verso Isernia in quella dell’Arazecca (di 1063 m.). La ferrovia dopo essersi ap- poggiata nella stessa costa di sinistra su terreni argillo-sabbiosi miocenici e su depositi di detriti di falda corre nella valle del Sangro a destra fino alla stazione di Castello di Sangro, dopo la quale la linea svolgesi su terreni del terziario medio ed infe- riore senza affioramenti di terreni mesozoici, serpeggia attorno fide da depositi di detriti di falda, da masse alternate di argille e marne e perfino di enormi massi di calcari dolomitici non in posto (Klippen?). Frequenti ed abbondanti emanazioni di gas idrocarburi aumenta- rono le difficoltà già create nei lavori dalla spinta delle argille sca- gliose, e dairirruzione delle acque portate là ove le intercalazioni cal- caree prendevano un certo sviluppo. Mentre la galleria di Monte Pagano non interessò che masse dell’Eocene superiore e medio, il suc- cessivo sotterraneo di 2176 m. al valico di Monte Totila è invece carat- terizzato dalla massa centrale di calcari del Cretaceo superiore perfo- rata per circa 800 in. e costituente il culmine di un anticlinale spezzata cui si sovrappongono calcari eocenici sub-cristallini e successivamente calcari marnosi, scisti galestrini, argille e marne scagliose. Questi membri eocenici sono molto sconvolti e sopportano finalmente argille più o meno marnose mioceniche attraversate nelle zone d' imbocco e nelle trincee d’approccio. Dalle note e dai rilievi geologici riassuntivi accennati risulta ma- nifesto quanto migliore sia dal punto di vista della natura dei terreni il tracciato descritto ed eseguito che raggiunge gli altipiani popolati dagli abitati di Pescocostanzo, Rivisondoli, Roccaraso e che discende a Scontrone e ad Alfedena, anziché quello che partendo da Campodi- giove sarebbe giunto a Castello di Sangro svolgendosi a monte di Pa- lella, sulle falde NO di Pizzoferrato e successivamente sul versante sinistro del Sangro per passare di fronte a Rocca Cinque Miglia su quello di destra. Il breve accenno fatto nelle note di cui parliamo su tali discussioni di tracciati, offre un saggio del contributo portato dall’esame geologico nelle discussioni medesime. x CXL C. SEGRÈ al crinale appenninico che taglia una prima volta con sotterraneo di 3110 m. sotto Monte Pagano attraversando masse essenzial- mente argillo-marnose a struttura scagliosa con intercalazioni calcaree, una seconda volta fra Vasto Girardi e Carovilli con breve galleria (333 m.) nelle argille sabbiose che imprimono il carattere franoso al tratto fra la valle della Vandra e Caro- villi, ed una terza volta fra Pescolanciano e Sessano con sot- terraneo di 2175 m. a nucleo di calcari del Cretaceo superiore preceduto e seguito da masse eoceniche calcaree e di argille e marne scagliose e galestrine con frequenti interposizioni calcaree. I fatti geologici degni di nota che si constatarono mercè le osservazioni compiute lungo la Sulmona-Isernia e che portano un contributo allo studio della tettonica di questa importante regione appenninica, sono pertanto i seguenti: 1. Sviluppo della massa calcarea ippuritica fra Ganzano e Campodigiove, insinuantesi nella gola che fa seguito ove affio- rano i calcari dell’ Eocene inferiore; detta massa cretacea si raccorda con quella che da Pacentro, ad Est di Sulmona, affiora lungo tutto il versante meridionale del nodo della Maiella. II. Anticlinale lungo la linea montana chiudente a destra la valle del Raso, con sviluppo centrale di calcari dolomitici liasici e grandi ricoprimenti di calcari dell’urgoniano e del tu- roniano e successive masse calcaree eoceniche a monte di Rivi- soudoli e Pescocostanzo da un lato, verso Scontrone ed Alfedena dall’altro, con largo mantello di argille più o meno sabbiose, marne ed intercalazioni molassiche mioceniche sulle falde a si- nistra del Sangro, interrotto da depositi detritici, estendentesi sulle falde di destra della valle e costituente la gran plaga di terreni incoerenti miocenici che va da Castel di Sangro alla Vandra ed a Carovilli, ma interrotta dalla emersione eocenica di Monte Pagano (1). C) Gli scavi del ponte-viadotto sul Raso a valle dell’abitato di Roccaraso ed allo imbocco Sulmona della galleria del Calvario permi- sero di scoprire sotto un ingente deposito detritico, il contatto imme- diato delle testate delle stratificazioni eoceniche sviluppantesi sul ver- sante di sinistra, del Raso contro quelle calcaree cretacee del Colle Cal- vario. Questo spostamento di terreni per faglia forse determinò la risvolta che quivi presenta il Raso. SULLA STRUTTURA DEI TERRENI CXLI III. Struttura scagliosa delle argille e marne dell’Eocene superiore e medio nel crinale appenninico di Monte Pagano; apparizione del nucleo centrale di Monte Potila con breve affio- ramento in superficie, celato da depositi detritici, delle ondula- zioni del Cretaceo superiore; esportazione per erosione dei depo- siti essenzialmente argillo-scagliosi dell’Eocene superiore e medio nella successiva parte del crinale appenninico, con sviluppo dei calcari nummulitici e calcari a noduli di focale dell’Eocene in- feriore della Valle del Carpino. Per quest’ultimo fenomeno, fortunato dal punto di vista co- struttivo, non era possibile rinvenire la formazione argillo-sca- gliosa nel sotterraneo di Castelpetroso, attraversante il displuvio appenninico omonimo subito dopo il distacco da Carpinone della linea per Campobasso ('). Dai corrispondenti elementi grafici geologici risulta come nello interno di questo importante sotterraneo (di m. 3443) si at- traversarono a diverse riprese, e per tratti più o meno considere- voli, emersioni di masse calcaree cretacee che lungo il tracciato non farebbero che una brevissima apparizione a giorno e pre- cisamente allo sbocco del sotterraneo nella valle del Rio. Però l’affioramento di questi calcari senoniani andrebbe allargandosi procedendo sulla falda SO. Nelle zone del sotterraneo interposte fra dette emersioni cal- caree del Cretaceo superiore, si attraversano concordanti strati- ficazioni di calcari eocenici con strati di marne e scisti argil- losi. Talvolta in questa formazione dell’Eocene inferiore i cal- cari sub-cristallini prendono un singolare sviluppo. Queste masse calcaree senoniane attraversate col sotterraneo di Castelpetroso corrisponderebbero a quelle costituenti la parte stratigraficamente superiore del Matese. C) La Nota che si riferisce a questo sotterraneo, costituente l’opera più importante del tronco Carpinone-Boiano della linea di diramazione per Campobasso, è illustrata da una tavola contenente il piano, una se- zione longitudinale e due trasversali alla scaladi 1:50,000 dimostranti la struttura d’ insieme dei terreni attraversati con questo sotterraneo, i quali risultano meglio dichiarati con una sezione longitudinale alle scale di 1 : 25,000 per distanze e 1 : 10,000 per altezze. CXL1I C. SEGRÈ Linee Lariana e Briantea. Le Note di cui trattasi terminano con due appunti riferentisi rispettivamente alla ferrovia lacuale Lecco-Colico ed a quella attraverso la regione briantea Lecco- Corno. Queste due linee percorrono campi di studio ben noti perchè assai largamente esplorati da molti ed insigni geologi, per cui la relativa illustrazione dal punto di vista dei lavori fer- roviari si è limitata alla sommaria esposizione della serie dei terreni attraversati coi lavori medesimi, sviluppando solamente con particolare dettaglio quei tratti del profilo geologico in cor- rispondenza ai quali maggiore fosse l’ interesse dal lato tettonico e costruttivo ad un tempo. Linea Lecco-Colico (*). Questa ferrovia da Lecco a poco prima di Bellano (24 km. circa) attraversa quasi totalmente calcari magnesiaci e dolomie del Trias superiore e calcari nerastri net- tamente stratificati e sottostanti dolomie saccaroidee del Trias medio e per gli ultimi 700 m. circa all’approccio Lecco della galleria di Biosio e nello interno di questa arenarie variegate, conglomerati porfirici del Permiano appoggiati coll’ intermezzo di scisti cristallini (scisti di Casana) alle roccie cristalline (mi- caseisti e roccie cristalloidi finamente scistose con interclusioni quarzifere) pel rimanente della linea. Nell’interno del sotterraneo di Biosio verificasi il contatto fra il Permiano e gli scisti di Casana i quali continuano oltre la stazione di Bellano e precisamente fino alla zona d’imbocco della galleria omonima ove vanno ad appoggiarsi ad una roccia cristallina gneissica. La ferrovia in discorso attraversa saltuari ricoprimenti di depositi attuali e glaciali. La disposizione stratigrafica delle masse triasiclie e permiclie ed il loro rapporto tettonico colle masse fondamentali cristalline e coll’interposizione delle roccie scistose cristalline di Bellano risulta nettamente dichiarato dal profilo particolareggiato del (') La tavola relativa a questa linea, oltre la rappresentazione geo- logica riassuntiva in piano e profilo, contiene la rappresentazione stra- tigrafica alquanto più dettagliata dei terreni fra Varenna e Dorio (chi- lometri 10 V2) in profilo da 1 : 25,000 per distanze e 1 : 10,000 per altezze. SULLA STRUTTURA DEI TERRENI CX LI II tratto da V arenila a Corenno. Nella galleria di Corenno si sono incontrati depositi assai incoerenti d’origine glaciale con grave disturbo pei lavori di scavo e di rivestimento. Linea Lecco- Como (1). Per soli cinque chilometri sopra la lunghezza totale di 37 della linea, questa si appoggia sopra terreni terziari e mesozoici ; per tutto il rimanente essa svolgesi sopra depositi d’origine glaciale, mentre questi ultimi costitui- vano parte ben piccola del percorso della Lecco-Colico, il che basta già a caratterizzare l’indole assai diversa delle due linee dal punto di vista costruttivo. Dato il singolare sviluppo dei depositi glaciali lungo la Lecco- Corno e 1 ’ importanza che essi assumono a seconda del loro stato di coesione per riguardo ai lavori, di essi venne fatto un rilievo assai particolareggiato ; ed un saggio di tale rilievo è dato nel profilo a parte fatto pel tronco compreso fra le stazioni di Albate e di Anzano del Parco. In tale profilo scorgesi la disposizione di questi vari depositi sopra le testate dei terreni miocenici eoce- nici e cretacei, la singola loro struttura ed estensione. Nel bacino dell’Adda e precisamente nel tratto compreso fra le stazioni di Sala al Barro e Lecco i depositi torbosi (singo- larmente sviluppati a Camerlata e fra le stazioni di Mojana ed Oggiono) le alluvioni quaternarie e i depositi glaciali si appog- giano sui terreni giuresi e Basici, che trovano i loro corrispon- denti sui versanti di sinistra dei laghi di Lecco e di Gar- bate. Data l’estrema compressibilità dei terreni torbosi e la fre- quente poca coesione dei depositi glaciali, specialmente di quelli non rari nei quali predominano i nuclei sabbio-argillosi, si può fare un’ idea delle difficoltà che si dovettero superare nella costruzione di quella linea onde darle una sede sta- bile. (!) La relativa tavola contiene gli stessi elementi di quelli corri- spondenti alla linea Lecco-Colico. Il tratto sviluppato con profilo in maggior scala é quello di 11 km. compreso fra Albate ed Anzano. CXLIV C. SEGliÈ * * * Studi e ricerche sulla circolazione sotterranea delle acque. Premettiamo che neH’accenno affatto sommario che ora faremo, oltre al menzionare quanto in proposito si è detto nella mono- grafia che si è riassunta, citeremo altresì alcuni altri fra i pro- blemi più interessanti presentatisi sulla Rete Adriatica onde meglio risulti lo sviluppo che necessariamente venne dato a simili studi che tanta luce ricevono dall’esame geologico dei terreni (1). Nella ricordata monografia vennero inseriti due appunti circa tale argomento. L’uno di essi riguarda la circolazione sotterranea d’acqua nei bacini plistocenici e pliocenici del Barese, l’altro si riferisce alle numerose fonti che scaturiscono nella valle del Carpino, studiate allo scopo di provvedere al servizio d’ acqua nelle stazioni di Carpinone e di Isernia e nel tronco interposto. A proposito del primo appunto occorre notare che trattavasi nella « Puglia siticulosa » di provvedere d’acqua le stazioni di Spinazzola e di Gioia del Colle, la intiera ferrovia Spinazzola- Barletta, e specialmente quest’ultima stazione del litorale, resa più importante per la diramazione della nuova linea Ofautina. Questi studi riguardano le ultime costruzioni ferroviarie, ma problemi analoghi, come è facile prevedere, si presentarono per molte altre stazioni delle ferrovie in esercizio, specialmente nelle regioni meridionali della penisola. Così ad esempio dalla sta- zione di Acquaviva si trasporta l’acqua ocorrente a quella di Bari, ed un accenno a quel bacino acquifero poteva quindi riuscire di un certo interesse. In questi studi una parte essen- ziale viene affidata allo scandaglio diretto del sottosuolo ed al collegamento della struttura del terreno così esplorato con quella degli affioramenti. (') Vedansi a questo riguardo gli interessanti studi compiuti per cura del Ministero di Agricoltura Industria c Commercio per l’illustra- zione della Carta idrografica del Regno ed iniziati coi lavori originali del compianto ingegnere di miniere Giuseppe Zoppi. SULLA STRUTTURA DEI TERRENI CXLV Studiato con questi mezzi il bacino di Acquaviva, risultò che la sua alimentazione riceve un contributo dal passaggio di acque cir- colanti in masse calcaree più o meno fessurate, per entro quella conca stabilita nei calcari mesozoici c riempita da depositi pianeg- gianti plistocenici e pliocenici più in basso costituiti da materie sabbio-argillose e da conglomerati. I pozzi della stazione rag- giungono la circolazione sotterranea nell’ambiente pliocenico. Kicerche laboriose e costose intraprese altresì la Società delle Meridionali nel fondo del Vallone del Massellala a 4 km. dalla stazione di Bari sulla linea per Taranto, dietro invito e col concorso del Ministero di Agricoltura, cercando mediante un pozzo a grande sezione e profondo metri 26.50 (col fondo cioè a 7.65 sotto il livello del mare) e cunicoli laterali dello sviluppo complessivo di 127 metri, di usufruire direttamente della circolazione sotterranea che effettuasi in quella calcarea cretacea, approfittando della sinclinale che trovasi in quel val- lone. Ma mentre la portata integrale raccolta mercè quei lavori sotterranei, corrispose alle previsioni, la qualità invece subì un continuo peggioramento, attesa specialmente l’ abbondanza dei cloruri alcalini, analogamente a quanto si verificò nell’antico pozzo della stazione di Fasano profondo metri 65, cioè raggiun- gente circa il livello del mare ed attraversante 24 metri di sabbioni calcarei (pliocene) e per tutto il rimanente la calcarea del Cretaceo superiore come in quello del Massellala. Importante a ricordarsi è la ricerca in terra d’Otranto ope- rata nel pozzo della stazione di Lecce coll’ulteriore suo affon- damento spinto fino a raggiungere la profondità di 65 metri, e cioè fino a 15 metri sotto il livello del mare. Con questo pozzo si attraversò il terreno del miocene inferiore costituito da un calcare alquanto marnoso a struttura arenacea assai uniforme, (pietra leccese) passante, al contatto coi calcari eocenici, ad una specie di conglomerato calcareo compatto con pasta di calcare a struttura arenacea (pietra leccese bastarda). L’infiltrazione nel detto pozzo avviene in modo uniforme ed a guisa di trasudamento specialmente dal diedro volto a setten- trione. Coll’ultimo ulteriore affondamento si evitò di penetrare nella sottostante accennata stratificazione calcarea onde non correre CXL.VI C. SEGRE il pericolo di entrare in un ambiente impregnato d’acque clo- rurate mentre la portata integrale già conseguita era sufficiente ai bisogni ferroviari (250 metri cubi circa nelle 24 ore al fondo del pozzo) ('). Questi accenni sembrano dimostrare come le investigazioni dirette sulla circolazione che si effettua nello ambiente della calcarea del Cretaceo superiore delle Puglie non danno in generale affidamento a ritrovar acque idonee per gli usi potabili o per l’ali- mentazione dei generatori, mentre le filtrazioni effettuantesi nei sovrastanti depositi pliocenici e miocenici possono di frequente più o meno utilmente sfruttarsi a tali scopi. Così alla stazione di Gioia del Colle si integrarono i trasu- damenti e le venuzzole di acqua idonea per potabilità e pei generatori, mediante cunicoli stabiliti al contatto fra quel piano plistocenico e le sottostanti argille più o meno marnose plioce- niche, appoggiate alla loro volta direttamente sulla calcarea ippuritica. Alla stazione di Venosa si condussero le acque delle sorgive scaturienti sulla costa di sinistra di quella Fiumara al contatto fra i conglomerati e le sottostanti argille marnose. Questa formazione lungo la Fiumara di Venosa è alla sua volta ricoperta dai depositi attuali limno-vulcanici che terminano appunto nella località clic ci interessa. Al contatto fra i depositi quaternari e quelli pliocenici abbiamo: i sortami della valle del Paredano, i nappi acquei tagliati coi lavori della ferrovia nel tratto in discesa da Spinaz- zola alla suddetta conca, le sorgive del profondo pozzo di quella Q) Onde poter utilizzare in qualsiasi circostanza la massima portata di questo pozzo di eccezionale profondità, cioè la portata che si ottiene quando le sorgive sono mantenute al livello minimo, avendosi allora il massimo battente del nappo esterno alimentante, si dovè provvedere a che le pompe fossero insommergibili. A tal uopo venne stabilito nel pozzo, che ha una sezione media di 2.50X2-50, un tubo verticale di m. 21 a sezione circolare del diametro di m. 1.20 in cemento armato a pei1- fetta tenuta, terminato inferiormente da una camera pure cilindrica del diameti'o di 2 m. racchiudente le pompe i cui tubi aspiranti attraver- sando il fondo di detta camera vanno a raggiungere il fondo del pozzo. La bocca superiore del tubo viene a trovarsi alquanto sopra al livello massimo che possono raggiungere le acque freatiche quando non funzio- nano le pompe. SULLA STRUTTURA DKI TERRENI CXLVII stazione, e quelle infine importanti del Roviniero che alimen- tano la ricordata condotta che va sino al litorale. Le maggiori difficoltà in questo genere di ricerche s’incon- trarono lungo la Rocchetta-Potenza, stante la grande estensione degli affioramenti delle masse argillose dell’Eocene superiore e medio, talché la poca produttività dei pozzi a Rocchetta S. An- tonio, alimentati dalla circolazione dei terreni della costa a monte, obbligò ad nna presa sussidiaria con galleria filtrante stabilita senz’altro nell’alveo del fiume, portando l’acqua nel pozzo del rifornitore mediante sifone mantenuto sempre adescato dalle pompe. Pel suddetto motivo scarse sono le sorgive rinvenute fra Rionero e Potenza sulla costa di Forenza e scarse pure risul- tarono le portate di regime, ossia dopo il primitivo ed in gene- rale abbondante scarico, delle filtrazioni che si verificano nelle gallerie dei Quattrocchi, dell’Appennino e di Pietracolpa. Fa eccezione il tratto sviluppantesi nella zona vulcanica del Vul- ture, i cui depositi costituiscono un’immensa spugna che, al con- tatto coi sottostanti terreni eo-miocenici, dànno sorgenti numerose ed abbastanza copiose che in piccola parte vennero utilizzate per le stazioni Melfi, Barile, e Rionero (Q. Lungo la Sulmona-Isernia le ricerche d’acqua condussero in generale ad un buon risultato, poiché frequenti vi si rinvengono i depositi detritici attuali o sabbiosi incoerenti del Miocene o calcarei più o meno fratturati dell’Eocene superiore sopra terreni argillo-marnosi a struttura scagliosa, onde lungo quasi tutta la linea fu possibile distribuire con condotta forzata l’acqua occor- rente ai rifornitori ed al personale. Qualche difficoltà s’ebbe Q) Molto istruttiva é stata la galleria di Barile per lo studio della indipendenza delle varie sorgive che scaturiscono sia in quel sotterraneo che nei pressi dell’abitato o nei prossimi valloni e per la determinazione dei raggi d’azione delle plaghe alimentanti quelle sorgive in dipendenza della posizione dei punti di presa e del grado di porosità dei depositi vulcanici sovrincombenti ai terreni eocenici affioranti in detta località, e di questi studi speriamo dare in seguito una descrizione particolareg- giata. Ricordiamo altresì l’antico progetto di massima dell ing. Angelo Filonardi che appunto mirava ad utilizzare le sorgive di Rapolla-Rio- nero-Atella, sentimenti alle basse falde vulturine in prossimità all’anzi- detto contatto coi terreni eo-miocenici, per distribuire le acque allacciate alla Terra di Bari. (Roma, Tipog. Eredi Botta, 1891). CXLV1II C. SEGRÉ solamente lungo il piano inclinato da Sulmona a Ganzano, cadendo esso in una plaga in cui le acque circolanti nella calcarea cre- tacea sono richiamate nel sottostante thalweg del Gizio ove sca- turisce r omonima importante sorgente che ricorda per molti ri- guardi quella del Peschiera nella valle del Velino. Nella monografia di cui trattiamo venne poi, come s’è pre- messo, aggiunta una Nota speciale, illustrante l’interessante cir- colazione delle acque che verificasi nella valle del Carpino, la quale conclude col dire che le masse permeabili cui devonsi le numerose sorgenti che vengono a giorno in detta valle, o che si determinarono colla perforazione del sotterraneo di Castelpe- troso, sono in gran parte costituite dalle formazioni calcaree eoceniche con numerose litoclasi, costituenti il nodo appenninico che dal monte Potila viene a sovrastare ad oriente il piano di Sessano passando a mezzogiorno per Castelpetroso, mentre le altre masse calcaree assorbenti dal crinale di monte Potila scen- dono verso le tre conche di Sessano, di Carpinone e di Isernia. Questa grande massa permeabile alimentante la circolazioue sot- terranea, di cui le sorgenti suddette costituiscono alcune mani- festazioni, è ricoperta da masse impermeabili di scisti argilliferi e marnosi lungo la ferrovia tra Sessano e Carpinone. Al piano di Sessano il manto impermeabile è costituito in- vece dalla parte argillosa superficiale del deposito plistocenieo per cui l’acqua alla così detta fonte « La Gatta » uscendo dalle testate calcaree va ad impregnare gli strati ghiaiosi pure plisto- cenici sottostanti a quelli anzidetti argillosi. Lo studio delle opere di presa venne quindi ivi fatto con opportune trivellazioni. Molti altri ambienti ben diversi fra loro, e di frequente poco promettenti, dovè investigare e studiare la Direzione dei Lavori IL A. lungo le linee della rete in esercizio onde raccogliere l’acqua necessaria sia pei rifornitori sia per gli usi potabili e valgano a dimostrarlo i seguenti accenni oltre i casi già citati: a) Agro Brindisino. In questa terra ove i Romani dovet- tero sviluppare parecchi chilometri di gallerie filtranti attraverso i sabbioni calcarei cd i conglomerati a piccoli elementi del plio- cene onde integrare l’acqua occorrente a quel loro iinportantis- SULLA STRUTTURA DEI TERRENI CXLIX simo porto (1), venne esplorato pei bisogni ferroviari il vallone che confluisce nel seno di Ponte Piccolo, ma quel sottosuolo non diede affidamento di ottenere, almeno senza lavori sotter- ranei assai estesi, l’acqua nella quantità necessaria. Miglior risultato diedero le ricerche nel compluvio del Siedi ove ven- nero esplorati i depositi plistocenici superficiali soprastanti ai conglomerati pliocenici molto permeabili appoggiati alla loro volta ad argille pure plioceniche, che determinano in vicinanza del mare dei considerevoli ristagni d’acque. I cunicoli di presa sono incassati nei detti conglomerati acquiferi e fanno capo ad un edificio di raccolta da cui parte una condotta di 12 chitoni, che va ad alimentare il rifornitore della stazione di Brindisi. b) Tavoliere di Puglia. Il deposito quaternario del Tavo- liere esplorato al compluvio del Candelaro ove questo attraversa la ferrovia fra Termoli e Foggia venne opportunamente attra- versato con pozzo profondo metri 22 a grande camera di fondo ove si raccolgono le filtrazioni provenienti dalle sottostanti sabbie gialle e dai conglomerati pliocenici. Le buone acque così integrate, raggiungenti al fondo del pozzetto collettore la portata di 250 metri cubi in 24 ore, ven- gono sollevate e spinte meccanicamente alla stazione di Apricena mediante condotta di 3 chilom. circa. c) Studi di prese d’acqua da alvei in cui i corsi super- ficiali sono assai scarsi ed anche mancanti d’acqua: (') Il cunicolo filtrante murario, uno dei più interessanti testimoni della grandezza romana, e che raccoglieva le acque per la città e pel porto di Brindisi aveva uno sviluppo di oltre 12 chilom., considerati i rami secondari, giungendo fin sotto all'alveo del corso dei Lapani ove terminava con gran pozzo a cunicoli radianti. La maggior parte di questo acquedotto è rovinata od interrata ed ora non funziona che il tratto che giunge all’abitato per una lunghezza di 3,400 metri d’onde si ricavano circa 3 litri al 1", unica risorsa attuale della città in fatto di acqua potabile. Il cunicolo romano volto a guisa di grand’arco verso al litorale adriatico integra i filaretti acquei provenienti dalle falde a monte attraversanti i sabbioni ed i conglomerati calcarei, e quasi sempre s’appoggia sulle argille turchinicce pure plioceniche. È a notarsi infine che tutte le acque del sottosuolo brindisino sono più o meno clorurate, ed in molti casi sono decisamente e molto salmastre d'onde l’estrema difficoltà di trovar acque appena appena potabili ed idonee ai genera- tori di vapore. CL C. SEGRE 1 0 Marecchia. In seguito ad opportuni scandagli e ricerche intese a fornir d’acqua la stazione di Rimini, si potè trovare la località nell’alveo del Marecchia, la più prossima alla stazione ed ove, ad un tempo, lo strato impermeabile si alza repentina- mente per modo che ivi le opere di presa poterono raggiungere la minor possibile profondità attraverso l’alluvione ghiaiosa (‘). Una galleria filtrante, lunga 80 m., permise di raccogliere acqua limpida e nella quantità occorrente, in una posizione in cui l’alveo è singolarmente dilatato (circa un chilometro) e l’acqua f (') Con gli scandagli eseguiti nel letto alluvionale del Marecchia si è verificato che con bastante approssimazione le variazioni di portata Q in relazione alla profondità H ed alla lunghezza L delle opere di presa si possono rappresentare colla forinola parabolica Q! = 2j:>HL dove si assume per variabile H od L a seconda dei casi. Al Marecchia si é eseguito un pozzo di esperimento e quindi un tronco di cunicolo filtrante lungo 20 m., profondi entrambi m. 4.25 sotto il pelo delle prime sorgive. Dal pozzo (tenendo costante L) si é rica- vato il parametro K=juL relativo alla profondità di strato alluvio- nale sotto il pelo freatico, cui si riferisce resperimento, e si ebbe: Iv = 0.03 circa. Dalla galleria (tenendo costante H) si è ricavato l’altro parametro Iv1 = pH, riferentesi all’estensione orizzontale di strato allu- vionale occupata dalla galleria medesima; si ebbe: lv1 = 0.132, che con- K‘ 0.132 corda col precedente, avendosi infatti: — = - =0.03 circa. H 4.25 La forinola serve a fissare le modalità delle opere di presa in un dato deposito alluvionale acquifero; basterà perciò eseguire uno o più pozzi e mediante misure di portata, determinare il valore di K. Cono- scendo la massima profondità H a cui è possibile spingersi per una cir- costanza qualsiasi, si calcola la portata Q a questa profondità; qualora dopo ciò occorra estendere le opere in senso orizzontale (per ottenere la necessaria portata) se ne determina la lunghezza ricavando dalla forinola il valore di L dopo sostituito al parametro K il prodotto K XH. Ben inteso che anche questa forinola non può dare che indicazioni approssimative; specialmente perchè una lieve alterazione nella costi- tuzione dell’alluvione introduce variazioni nei risultati senza confronto maggiori di quelle date dalle varie forinole; per cui anche qui vale quanto disse Bazin pel calcolo dei canali e cioè: «che le espressioni più semplici e maneggevoli devono avere la preferenza anche quando diano luogo a qualche obiezione puramente teorica» (Bazin, Des for- mules nouvellement proposées pour caìculer le debit des canaux découverts. Annales des ponts et chaussées, 1871). SULLA STRUTTURA DEI TERRENI CLl superficiale scorre generalmente in quantità assai esigua ed in adiacenza alla sponda opposta. Notisi che sotto lo strato essenzialmente argilloso imper- meabile su cui si appoggia l’alluvione sabbio-ghiaiosa attuale, si ha un antico deposito alluvionale analogo che stabilisce l’oriz- zonte artesiano sfruttato con pozzi tabulari nella città di Ri- mini f1), e uno dei quali fu pure con buon risultato eseguito nella stazione. 2° Reno. Analoghi studi ed indagini si fecero per poter concretare il progetto delle opere necessarie per sfruttare il sotto-alveo del Reno a monte della Chiusa di Pontecchio onde alimentare la condotta che venne proposta per la stazione di Bologna (2). In questa valle, presso Bologua, si verifica lo stesso feno- meno che in quella del Mareccliia presso Rimini, poiché al disotto dello strato impermeabile, su cui appoggiasi l’attuale deposito alluvionale, ve ne ha uno antico in cui circolano acque artesiane che se non possono giungere al livello del suolo, fu- rono tuttavia egualmente sfruttate, per esempio, dalla fabbrica degli zuccheri con parecchi pozzi tabulari allacciati tutti ad una camera collettrice centrale. L’acqua di questo aves è di qualità inferiore a quella del- l’acqua del sotto-alveo fluviale a monte in cui si propose la derivazione per la ferrovia; ciò è dovuto alla zona gessifera interposta fra le due località e i cui detriti invadono anche il suddetto aves inferiore. 3° Alveo dei Fiumi Uniti (Ronco e Montone). Dovendosi provvedere d’acqua la stazione di Ravenna e non essendo il f1) Vedasi lo studio dell’ing. Enrico Niccoli, Pubblica fonte e pozzi di Rimini , Bologna, Società cooperativa tipogr. Azzaguidi, 1895. (2) Dagli esperimenti fatti sul grande pozzo definitivamente fissato per la presa in seguito ai molti scandagli praticati sia a monte che a valle della Chiusa di Pontecchio, risultò una circostanza degna di no ta, e cioè che la minima portata del pozzo ad una data quota non corri- spondeva al minimo livello dell’acqua corrente nel fiume, per cui restava confermato che quel pozzo, stabilito alquanto lungi dalla corrente, non era alimentato dall’acqua sopra alvea, ma da vene laterali o prove- nienti da monte sulle quali la secchezza si faceva sentire con un certo ritardo in confronto a quanto verificasi nella corrente del fiume. CLII C. SEGRÈ caso di procedere a terebrazioni per le circostanze di cui è cenno nel § e) si ricorse ad una presa principale d’acqua, me- diante filtri a doppia parete metallica ed intercapedine di ghiaia e ad una presa sussidiaria con tubi porosi di argilla cotta, dal finissimo deposito alluvionale sabbio-argilloso del canale detto dei « Fiumi Uniti ». Si noti che questo alveo è per parecchi mesi dell’anno senza corso superficiale. In questa circostanza si dovè procedere allo studio dell'estensione della plaga alluvionale alimentante dette prese, offrendoci così occasione di porre in confronto gli studi teorici del Lembke (’) con quelli teorici e sperimentali dell’ ing. Fossa Mancini (2) per alluvioni supposte costituite da materiali fini omogenei ed uniformemente impre- gnati (3). d) Dune del Litorale veneto. L’ alimentazione del rifor- nitore di Chioggia diede occasione di studiare l’ immagazzina- mento d’acqua dolce, proveniente direttamente dalle pioggic, che si verifica nello ambiente delle dune e che costituisce una vera risorsa in quelle plaghe salmastre, cui ricorse assai utilmente il comune di Chioggia e quindi la stazione. Le dune furono C) Du mouvement et captage des eaux souterraines. Revue Uni ver- sene des mines et metallurgie. Février 1888. (2) Sulla portata dei pozzi nei terreni acquiferi. Considerazioni tecniche e risultati sperimentali. Ingegneria Civile ed Arti industriali. Torino Camillo e Bertolero, anno 1889. (3) Recentemente il prof. Dante Pantanelli in un suo pregevole lavoro (1 Efflusso dell’acqua per le sabbie. R. Osservatorio geofisico di Modena. Società tipografica Modenese, 1902), dimostrò col sussidio di dati di esperienze proprie che le forinole di Darcy concordano abbastanza coi risultati sperimentali, impiegando per filtri sabbie omogenee a diverse scale di grossezze per gli elementi. In pratica non potendosi riscontrare la perfetta omogeneità degli elementi onde sono costituiti i depositi nei quali praticansi pozzi e gal- lerie filtranti, dobbiamo aspettarci, come accade in fatto, un forte divario fra i risultati conseguiti e quelli dati dalle forinole del Lembke, Fossa Mancini, Thiem, Darcy, Dupuit, Smreker ed altri, le cui applicazioni devono intendersi fatte con largo criterio, quando, all’infuori dei filtri propriamente detti per acque potabili, voglionsi applicare agli studi della circolazione sotterranea dell'acqua, nel qual caso occorre tenere in opportuna considerazione l’effettiva costituzione dell’ambiente in cui circolano le acque da raccogliersi. SULLA STRUTTURA DEI TERRENI CL1II pure utilmente attraversate con alcuni pozzi ordinari lungo la linea Adria-Chioggia. e) Tozzi tubulari. Alla presa d’acqua mediante pozzi tubolari si ricorse assai largamente per provvedere agli usi domestici del personale in servizio della rete che si svolge nella estesa pianura padana e principalmente nel grande àmbito dei depositi di estuario. Naturalmente l’ufficio procede all’accurato rilievo e coordinamento delle principali terebrazioni ivi già esi- stenti e a quelle man mano eseguite per riguardo ai terreni attraversati ed alla qualità delle acque, onde averne utile norma nelle successive perforazioni. Ed uno studio speciale fece la Direzione dei Lavori nella plaga circostante a Ravenna in seguito al quale venne esclusa la possibilità di procurar acqua in quantità sufficiente a quella stazione mediante terebrazioni, per cui fu decisa una derivazione dall’alveo dai Fiumi Uniti. (Vedi § c. 3). La Società delle Ferrovie Meridionali dacché assunse l’eser- cizio della Rete Adriatica eseguì nella pianura Padana a tutt’oggi 120 pozzi tubolari di profondità variabile da 20 a 80 metri. Sulla linea Pistoia-Pisa. nella valle del Serchio ne stabilì n. 25. Degne di nota sono le perforazioni eseguite in numero di cento distribuite opportunamente a destra ed a sinistra della ferrovia Aquila-Rieti lungo il breve tratto di circa 800 metri svolgentesi nella piana di Cittaducale presso le sorgenti del Peschiera, allo scopo di studiare il grado di stabilità di quel sottosuolo dove si verificarono parecchi e notevoli sprofonda- menti. Queste terebrazioni, la cui profondità variò dai 30 ai 50 metri, permise anche lo studio di quella singolare circolazione sotterranea di cui si darà conto in apposita nota. f) Acque freatiche. Uno studio speciale compì la Società per incarico del Ministero di Agricoltura Industria e Commercio sulla variazione settimanale dei peli freatici dal giugno 1889 al luglio 1891 lungo le ferrovie interessate dal tracciato del canale Emiliano, ossia su 548 pozzi distribuiti lungo 625 km. di ferrovie. Senza entrare ora in particolari su tale esteso lavoro, si dirà solamente che dette osservazioni raggiunsero il numero comples- sivo di 57,000 oltre quelle relative alla qualità delle acque, ed alle variazioni meteorologiche dell’atmosfera. CLIV C. SEGRÈ Di tali osservazioni quelle compiute nell’àmbito parmense furono altresì comunicate a quella Provincia per studi inerenti alla pubblica igiene. Si sta ora anche completando il rilievo generale per tutta la Eete delle condizioni in cui trovansi le prese di acqua frea- tiche per gli usi domestici del personale, sia riguardo alla por- tata media come alla qualità dell’acqua che si attinge. I quadri relativi a queste determinazioni verranno altresì, per quanto sarà possibile, messi in relazione coll’altezza di pioggia che annualmente cade nelle regioni percorse dalle sin- gole linee. jm8. pres. 11 novembre 1902 - ult. bozze 30 dicembre 1902]. RESOCONTO SOMMARIO DELLE ESCURSIONI fatte uei dintorni di Spezia e di Carrara nel settembre 1902 Intervennero a tutte o ad alcune delle gite i soci: Ambro- sioni, Arzelà, Baldacci, Berti, Brugnatelli, Caffi, Capacci, Capellini, Cerulli-Irelli, Clerici, Copio, Cortese, Crema, D’A- chiardi A., D’Achiardi G., Dainelli, Dal Lago, De Ferrari, De Pretto, De Stefani, Di Rovasenda, Di Stefano, Dompè, Giattini, Greco, Mariani E., Mattirolo, Neviani, Niccoli, Pam- paloni, Pantanelli, Parona, Portis, Praga, Reichenbach, Ros- selli, Rosati, Rovereto. Sacco, Salmoiraghi, Segrè, Sequenza, Statuti, Taramelli, Tommasi, Tonini, Verri, Vinassa de Regny, Zaccagna e Zamara. Le escursioni furono preparate e dirette dal prof. Capellini col concorso dell’ing. Zaccagna, e, favorite dal bel tempo, riu- scirono ordinatissime ed assai interessanti e proficue. Il prof. Capellini aveva molto opportunamente provveduto i soci della sua Carta geologica dei dintorni del golfo di Spezia e Val di Magra inferiore (2a ed., 1881) con annesse Note espli- cative edite per la circostanza, e che compendiano i suoi studi su questa classica regione. La carta è nella scala di 1 a 50.000 con curve orizzontali di 50 in., e con 17 tinte per l’indicazione dei vari terreni, che, secondo le vedute del prof. Capellini, si riassumono come segue: Recente e post-pliocene . Sabbie, ghiaie, argille, brecce ossifere, rubile drift (Palmaria). Miocene Conglomerati, mollasse, argille lignitifere con Tapirus, molluschi e fiditi ( = Strati a Con- gerie parte inf.). / Gabbro con smaragdite, diabase, serpentina „ i bastitica e oficalce (Ponzano e Falcinello). Masse onolitiche < „ . . , t „ . » ... . j Principalmente oficalce e ofisilice (Campa- ( rola e Nicola). Eocene Scisti galestrini, calcare argilloso con fucoidi (alberese); arenarie (macigno). (JLVI RESOCONTO SOMMARIO DELLE ESCURSIONI Cretaceo superiore . Cretaceo inf.o Neocomiano Titonico Lias Infralias o Retico . . I Trias j Permo-carbonifero . . . Paleozoico indeterminato. Scisti galestrini, calcare, pietraforte (arenaria) con ammoniti (Schloembachia Cocchii a Vez- zano), nemertiliti, fucoidi. Scisti rossi e verdi con dendriti di manganese e rame carbonato (S. Caterina di Campiglia). Calcare grigio-chiaro con selce. Diaspri rossi e ftaniti chiare con Radiolari (Carpena). Scisti varicolori con aptici, novaculite verda- stra e amigdale di calcare. sup. Scisti varicolori a Posidonomya Bronni. med. Calcare rosso e chiaro con arietiti ed entrochi. inf. Calcare grigio-chiaro intercalato con scisti lionati ammonitiferi, Arietites, Phylloceras, Acgoceras, Terebratula aspasia, eec. Calcare dolomitico con portoro ( . Hettan- giano). Calcare nero e scisti fossiliferi (Tino, grotta Arpaia, Castellana); calcare a Cardita di Capo Corvo; calcare grigio dolomitico con Avicula contorta e scisti a Myacites e Bac- trylUum del Pezzino. Calcare cavernoso e breccia di scisti. Quarzite (S. Bartolomeo, Pitelli). Anagenite (Ameglia, Capo Corvo). Psammiti rossastre e bigie, cloritescisti, pud- dinga calcareo-scistosa, cipollino, bardiglio, marmo sacearoide. Scisti talcosi e scisti nodulosi di Santa Croce del Corvo. 8 settembre. Escursione a Monte Parodi. Alle 5.30 i congressisti si riuniscono in piazza del Teatro civico, prendono posto in quattordici vetture e si parte, seguendo la strada della Foce. Con questa prima escursione il sen. Capellini aveva per iscopo di mostrare la costituzione della catena occidentale del golfo. RESOCONTO SOMMARIO DELLE ESCURSIONI CLVII nella quale, oltre a calcare cavernoso attributo al trias, appaiono i terreni del retico, lias, titonico, neocomiano ed eocene. Mentre nella parte settentrionale di Monte Parodi i terreni si succedono nel loro ordine stratigratìco, e la dolomia cavernosa ne costituisce la base e sorregge il calcare dolomitico col portoro, nella parte meridionale la dolomia superiore col portoro è sottoposta ai cal- cari e scisti fossiliferi con inversione della serie, dimodoché il retico trovasi sovrapposto al lias e questo al giurese e agli altri terreni più recenti. Ciò sarebbe dovuto, secondo il prof. Ca- pellini, ad una torsione, che ha generato altresì numerose lito- clasi e pieghe, per la quale gli strati sono drizzati verticalmente fra Carpena e Parodi, e a nord e a sud hanno inclinazioni ri- spettivamente opposte. Da La Foce che è sul calcare cavernoso, la strada assai ben tenuta, passa sul retico a Myacites e Bactryllimn e quindi sugli strati ad Avicula contorta, che però vi è rara, ed elevandosi ra- pidamente permette di godere di un panorama sempre più vasto e ridente. Nei pressi del forte si giunge al calcare dolomitico rappresentante del retico superiore. Si raggiunge di poi la vetta di M. Parodi (m. 073) e si visita il forte, guidati dal colonnello Durelli, e si resta lassù a lungo nella affascinante contemplazione di impareggiabili vedute. Discesi dal forte, viene distribuita la colazione contenuta in eleganti panierini e che si va a consumare in un boschetto di pini lì presso, sugli scisti del lias sup., raccogliendo frattanto buoni esemplari di Posidonomya Bronni. Il prof. A. D'Achiardi con elevato discorso ringrazia il R. commissario cav. Menzinger, che, oltre ad averci onorato colla sua compagnia, ha provveduto a tutto. Il ritorno procede rapido pel vallone di Biassa : ci si sof- ferma al Bramatane per esaminare l’arenaria eocenica e gettare uno sguardo sulla bella valle di Riomaggiore ricca di vigneti, dai quali si trae in gran parte il celebre vino delle Cinque Terre (‘). All’abitato di Biassa si traversa la scaglia cretacea, (*) (*) Col nome di Cinque terre sono indicati i cinque paesetti che si trovano lungo il littorale della punta di Porto Venere a Levante e sono: Riomaggiore, Manarola, Corniglia, Vernazza, Monterosso. CLVIII RESOCONTO SOMMARIO DELLE ESCURSIONI quindi il titonico ed i vari piani del lias ed infine il retico. Presso la foce di Biassa alcuni si soffermano, guidati dall’ing. Zaccagna, per raccogliere fossili delle varie formazioni ed in- fatti trovano cefalopodi negli strati di calcare del lias inferiore, tauto grigio che rosso; Astarte Canavarii Fuc., Lytoceras nothum Mg., Phylloceras Zoies d’Orb., nel calcare grigio selcifero del lias medio ed abbondanti esemplari di Posidonomya Provini negli scisti varicolori del lias superiore. Presso Pegazzano il Capellini indicò la ubicazione della Caverna ossifera da lui re- centemente illustrata. Verso le 13 si giunse a Spezia. 9 settembre. Escursione alia foce di Magra. Si parte colla ferrovia alle 5.36 per discendere alla stazione di Limi, ove sono ad aspettarci il marchese Gropallo ed il ca- valier Carlo Andrea Fabbricotti. Fatte le presentazioni, si prende posto in vetture che ci conducono alla fattoria Gropallo ove si visita un interessante e ricco museo comprendente marmi, scolture, terre cotte, armi, utensili, ossa umane e di animali, conchiglie, tutti avanzi della antica città di Limi. Viene offerto caffè e liquori: dipoi, passando per campi ac- curatamente coltivati, si visitano gli avanzi di una chiesa e del- l’antiteatro o Colosseo che è ancora relativamente ben conservato. Riprese le vetture si traversa la pianura di Limi, costituita da sabbie argillose del quaternario recente, sempre fra campi coltivati, e si giunge alla foce del Magra che si traghetta con barche e vaporini del cav. Fabbricotti. Salendo la comoda strada che conduce al castello Fabbri- cotti incomincia l’interesse geologico della escursione. Infatti in questa porzione meridionale della catena orientale si trovano i terreni i più antichi della regione : cioè gli scisti talcosi quasi gneissici attribuiti al paleozoico indeterminato, quindi il pernio- carbonifero con psammiti, scisti cloritiei, cipollino, bardiglio e marmo saccaroide; poscia le anageniti, le quarziti ed il calcare cavernoso del trias. Malgrado attivo martellare e accurata ri- cerca negli scisti non si ebbe fortuna di rintracciare fossili nè RESOCONTO SOMMARIO DELLE ESCURSIONI CLIX animali, nè vegetali, che colla loro presenza avrebbero potuto convalidare la correlazione di questi scisti col permo-carbonifero del Monte Pisano, secondo quanto ritiene il prof. Capellini op- pure far decidere se detti scisti non possano incorporarsi nel tiias, date certe analogie colle roccie delle Alpi Apuane. Visitato il castello si sedette a lauto banchetto, dato dal cav. Fabbricotti, in una spianata appositamente preparata fra i 5 4 3 2 I La Punta Bianca 1. Cipollino - 2. Marmo - 3. Puddinga - 4. Scisti cloritici - 5. Scisti violacei. (Da una fotografia del dott. Dainelli). castagni. Ammirato il delizioso parco e visitata l’antica chiesa di Santa Croce, ove è fama che avvenisse l’incontro di Dante con frate Ilario, si scese al mare ove era giunto un rimorchiatore della R. Marina per ricondurci a Spezia. Preso commiato dal cav. Fabbricotti che ci aveva usate tante cortesie, ed imbarca- tici, si incominciò a moderata velocità la visita della costa che dirupata e pittoresca offre belle sezioni. CLX RESOCONTO SOMMARIO DELLE ESCURSIONI Lasciando dietro gli scisti talcosi inferiori e le altre roccie attribuite al pernio-carbonifero, si raggiunge la Punta Bianca, così denominata dalla vistosa lente marmorea che ne sta alla base. Presso Capo Corvo si vedono le anageniti e quarziti, molto raddrizzate e contorte, il calcare cavernoso del trias e quindi per lungo tratto i calcari e scisti del retico, alquanto accar- tocciati. Nel seno di Fiascarina presso Telaro appare il lias, quindi ritorna il trias in alcuni promontori presso Lerici e a Santa Teresa, quest’ultima località interessante per la breccia ossifera a Hippopotamus amphibius scopertavi nel 1878. Approdati a Pertusola ed accolti da una rappresentanza della direzione, si visitò minutamente l’ importante Fonderia, ove si trattano annualmente circa 40,000 tonnellate di minerale di piombo argentifero. Opportunamente guidati nella visita dei vari forni e del macchinario si ebbero completi ed istruttivi ragguagli di tutte le fasi della lavorazione. Rimontati sul piroscafo, si passò dinnanzi a S. Bartolomeo ove prende grande sviluppo la quarzite del trias, e verso le 18 si era di ritorno a Spezia. IO settembre. Escursione a Portorenere. Alle 14 circa si prese posto sul B. rimorchiatore che ci aveva trasportato il giorno innanzi e si salpò direttamente verso l’isola Palmaria. Veduto il lato orientale e girata l’isola del Tinetto, si esaminò a breve distanza il lato occidentale delle isole del Tino e di Palmaria, per intero costituite dal calcare con por- toro e dagli scisti fossiliferi che, per il rovesciamento subito, sovrastano al calcare. Al Tino il complesso fossilifero di calcari sottilmente stratificati e di scisti calcareo-argillosi a Plicatula ìntusstriata e Cardita austriaca con molti altri molluschi, co- ralli e brachiopodi ha potenza di una ventina di metri. Il prof. Capellini tre anni fa vi raccolse pure uno stupendo esem- plare di calcare nero a Gyroporella cylindrica Gtimb. L’isola Palmaria è ben nota per le sue caverne e brecce ossifere. Poco oltre il Capo dell’ Isola, la cui breccia ossifera RESOCONTO SOMMARIO DELLE ESCURSIONI ULXI forni resti di Bos e di Sus, si vide sulla parete a picco, ad oltre 50 in. sul livello del mare, la bocca della celebre grotta dei Colombi, illustrata pure dal Capellini, che fu abitata dairuomo nell’epoca neolitica. Nell’ansa, fra le ardite rupi del Pitone e del Pitouetto, poco lungi dalla Grotta dei Colombi, all’erta scogliera dolomi- tica si addossa un lembo di conglomerato grossolano o rubble drift che, adattandosi nelle pieghe e fratture della massa retica, costituisce la volta e parte delle pareti di un’ altra grotta che Ti netto e Tino (Da una fotografia del dott. Carlo Capellini). si apre al livello del mare; mentre il rubble drift arriva fino al semaforo a ben 180 m. di elevazione. Oltrepassata la punta di S. Pietro si vide la grotta Arpaia già da antica data ce- lebre per gli studi di tanti geologi e oggi impropriamente \ ali- tata come Grotta di Byron; essa è scavata nel complesso fos- silifero. La punta del Muzzerone, ove sono antiche e rinomate cave del marmo nero venato di giallo detto comunemente por- toro, attirò la nostra attenzione perchè ivi presso corrisponde una faglia di grande importanza. .Ritornati indietro ed imboccato lo stretto si scese a Porto- venere, mentre le truppe della ditesa locale compievano la mesta La Punta di S. Pietro presso Portovenere, col forte degli Spagnuoli e la Grotta Arpaia (Da una fotografia del prof. V. Simonelli e del dott. Carlo Capellini). CLXII RESOCONTO SOMMARIO DELLE ESCURSIONI 1 -2. Piega degli strati fossiliferi, in corrispondenza della faglia del Muzzerone — 3. Castello — 4. Molini a vento abbandonati 5. Grotta presso la Piana del Soldato — 6. Grotta Arpaia — 7. Mura verso S. Pietro. CLXT1I RESOCONTO SOMMARIO BELLE ESCURSIONI cerimonia di deporre una artistica corona di bronzo sul monu- mento a Umberto I ivi eretto per cura di un Comitato presie- duto dal senatore Capellini e pel quale lo scultore R. Roma- nelli ha prestato gratuitamente l’opera sua. Saliti a S. Pietro diruto, si raccolsero abbondanti campioni di Plicatula intusstriata e riattraversato il paese si fece sosta al villino del sen. Capellini ove, ricevuti dalla sua gentilissima signora, venne offerto un lauto rinfresco. Frattanto il professore faceva dono di altre sue pubblicazioni e mostrava una ricca raccolta di disegni e rilievi, fra cui alcuni del Le Clerc, di gran- dissima importanza storica locale. Imbarcati nuovamente, incominciò il ritorno, passando din- nanzi alla punta della Castagna, al Forte S. Maria, al Vari- gnano, quindi al Pezzino, ove gli strati a Bactryìlium che se- gnano la base della serie fossilifera stanno solamente a 5 m. sul mare, indi a Fezzano, a Cadmiare ove più non esiste la celebre polla d’acqua dolce illustrata da Vallisnieri, Spallanzani, Broc- chi, Capellini ed altri, ed alle 16 aveva termine la bellissima escursione. 11 settembre. Escursione a Carrara. Partiti da Spezia alle 5.36 si scese ad Avenza per prendere la ferrovia di Carrara la quale, sfiorata in sul principio l’arenaria eocenica, passa in seguito sull’alberese e poi sul quaternario antico terrazzato che forma il piallò della città. A Carrara ove si giunse alle 8, fummo festosamente accolti dal valente scultore Alessandro Biggi, sindaco, dal sig. Cirillo Muraglia, vice presidente della Camera di Commercio e da altre autorità. Una breve sosta si fece alla Camera di Commercio per ammi- rare il rilievo in gesso della regione marmifera carrarese nella scala di 1 a 5000 eseguito dal sig. Aureli del R. Ufficio geo- logico e colorito geologicamente in conformità della splendida Carta geologica delle Alpi Apuane dell ing. /accaglia, pubbli- cata nella scala di 1 a 50.000 dal R, Ufficio geologico nel 1894. OLXIV RESOCONTO SOMMARIO DEI, LE ESCURSIONI L’ing. Zaccagna frattanto fece rapida sintesi della geologia delle Apuane in particolar modo della regione che ei accingevamo a visitare. Le maggiori elevazioni che incorniciano, per così dire, la regione sono il Sagro (1749 m.) colle sue popaggini di M. Mag- giore (1396 in.), di M. Novello ecc., fra i quali sono incisi i valloni di Canal Bianco, Ravaccione, Canalgrande, Vaibona, Fossa- cava e Colonnata. L’intera serie delle roccie più antiche può dividersi in quat- tro zone; zona degli scisti gneissiformi, talcosi, micacei e car- boniosi con lenti di calcescisti fossiliferi, del permiano; zona dei grezzoni cioè calcari compatti fossiliferi e brecciformi, del trias medio; zona dei marmi cioè dei calcari marmorei, bar- digli, statuari e dolomiti saccaroidi, del trias superiore; zona degli scisti superiori micacei, cloritici, cipollini, con altre lenti marmoree e di grezzoni superiori, pure del trias superiore. Gli scisti inferiori appaiono oltre Colonnata ad oriente ed a qualche distanza da Carrara. La zona dei marmi appartiene ad una grande lente il cui spessore va dai 300 ai 1000 m. e forse di più, con una inclinazione dei banchi da 25 a 40° verso SO., cioè in condizione molto favorevole per l’industria marmifera. La zona degli scisti superiori che rivestono la grande lente marmorea, contiene ancor essa una minore lente di marmi pregiatissimi di circa altri 300 m. Sulle roccie triasiche della formazione marmifera stanno le roccie infraliasiche, cioè calcari grigi e brecciformi e cavernosi, scisti e calcari fossiliferi e dolomie con portoro, disposte in una plaga in immediata vicinanza di Carrara a NE. e diretta appros- simativamente da NO. a SE. Su queste formazioni si appoggiano i terreni più recenti della scaglia e dell’eocene i quali contor- nano verso sud il bacino di Carrara. Nelle sale della residenza Comunale ebbe luogo un ricevi- mento con offerta di caffè e liquori, dopo di che si prese posto in un treno speciale della Ferrovia marmifera cortesemente messo a nostra disposizione dal direttore ing. Conti. Ben presto si resti» ammirati del felice sviluppo dato alla linea superando le molteplici difficoltà presentate dalla regione CLXV RESOCONTO SOMMARIO DELLE ESCURSIONI che, in altro ordine di cose, offre inaspettate e sorprendenti ve- dute panoramiche. Si passo dapprima su conglomerati del quaternario antico che ricopre il retico, qua e là appariscente, cogli stessi ca- ratteri che ha nei dintorni di Spezia, fino a Miseglia. Qui si esaminò un lembo di scisti triasici sottostanti al retico e soprastanti agli strati marmiferi. È notevole che questi scisti, ridotti qui a piccolo spessore, formano invece nella montagna opposta della Brngiana la totalità della massa nella quale si alternano le varie roccie già vedute a Capo Corvo. Dipoi la linea con un regresso che conduce a Torano, attraversa le dolo- mie ed i calcari cavernosi del retico, quindi i calcari dolo- mitici o grezzoni superiori del trias medio. Con un altro regresso si riattraversano in senso inverso i terreni ora indicati, e la galleria di M. Croce ed il viadotto di Vara sulla formazione marmorea e si prosegue fino a Tarnone, ove la linea si biforca: quivi si imbocca nella grande galle- ria di M. Novello tutta scavata nella lente principale dei marmi e soprastante calcare con selce. Si oltrepassa la fermata di Canal Grande dove la valle è attraversata da altro grande viadotto e si prosegue in altra lunga galleria che passa sotto alle numerose cave della regione Fantiscritti interessante la zona marmorea, quivi sfruttata fin dal tempo dei Romani che vi hanno lasciato numerose traccie delle loro escavazioni, come per esempio dei tamburi delle colonne monumentali. Si scese a Ravaceione, ove la ferrovia termina, in alto della valle di Torano nella quale già si era passati col primo tratto della linea fer- roviaria. Chi vede per la prima volta questa località, e così era per parecchi congressisti, resta meravigliato per la grandiosità ed arditezza dei profili, le cui vette sorpassano anche i mille metri, dalla bianchezza abbagliante delle roccie e della immensa quan- tità, vere montagne, di detriti di lavorazione, spogli di vege- tazione, delle molteplici cave sparse ovunque, dei lavoratori disseminati a tutte le altezze, della disinvoltura e precisione colla quale quei lavoratori calano giù, o con funi, o con carri o buoi dei veri e giganteschi pacchi di blocchi marmoiei di tutte le grandezze, rozzamente squadrati, l’un sopra e accanto CLXVI RESOCONTO SOMMARIO DELLE ESCURSIONI all’altro disposti e tenuti insieme da non più che un giro di fune o di catena, e in modo originale frenati nella ripidissima discesa da uno o due blocchi legati e serpeggianti al termine di una fune, noto col nome di ritenuta. Poggio di Ravaccione (Da una fotografia del dott. Dainelli). Sopra una spianata artisticamente ricavata nel mezzo di un monte di detriti si sedette a mensa offerta dal Municipio di Carrara, colle autorità che ci avevano onorato colla loro com- pagnia. Il presidente Capellini, ringraziati gli ospiti ed inneg- giato alla prosperità di questa industre regione, toccò la storia geologica delle Apuane, provocando una lunga acclamazione al l’ing. /accaglia. Quindi, a mezzo della ferrovia marmifera, si ritornò a Car- rara, ove il convegno ebbe termine. I congressisti, ancor più affratellati dei pochi giorni troppo rapidamente trascorsi insieme, si accomiatarono scambievolmente ripromettendosi di rivedersi almeno al convegno dell’anno venturo. Enrico Clerici. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XXI Rendiconti. PAG- Consiglio direttivo per l’anno 1902 ni Elenco dei Presidenti dalla fondazione della Società . iv Elenco dei Soci per l’anno 1902 ivi Soci perpetui ivi » a vita v » ordinari ivi Elenco dei cambi xiv Resoconto dell’Adunanza generale invernale tenuta in Roma il 2 febbraio 1902 xix Appendice: I. — Sul Vesuvio e sul vulcano Laziale , comunicazioni dell’ing. A. Verri xxi — II. — Il petrolio nel territorio di Traina- tola (Potenza), comunicazione dell’ing. C. Crema . xxxvi — III. — Ancora sulle polveri sciroccali e sulle pallottole dei tufi vulcanici, comunicazione dell’ing. E. Clerici [con una fig. nel testo| xxxix Resoconto delle Adunanze generali tenute in Spezia nei giorni 7-10 settembre 1902 xliii Adunanza inaugurale del 7 settembre ...... ivi Discorso del presidente Capellini xliv Discorso del R. Commissario Menzinger xlviii Discorso del prof. Arzelà dii Adunanza del 9 settembre lv Adunanza del 10 settembre LXI1 Tema pel VI concorso al premio Molon ... LXIII Di alcune impronte vegetali nei micascisti del Tren- tino, lettera del dott. G. Dal Piaz .... lxiv Note sulla struttura dei terreni riguardo ai lavori ferroviarii , comunicazione dell ing. C. Segrè . lxvi 47 582 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XXI PAG. Sopra i resti organici rinvenuti nel disodile di Me- nili, comunicazione (lei dott. Pampaloni . . . lxx Elezioni sociali lxxi Appendice: I. — Dainelli G , Sull’attuale ritiro dei ghiacciai del versante italiano del Monte Rosa . . LXX li — II. - — Capellini G., Stille ricerche e osser- vazioni di Lazzaro Spallanzani a Porto Venere e nei dintorni della Spezia (con allegati) .... LXXV — III. — Taramelli T., Di alcune condizioni tectoniche nella Lombardia occidentale CXVII — IV. — SegrÈ C., Sulla struttura dei ter- reni considerata riguardo ai lavori ferroviarii ese- guiti dalla Società delle Strade ferrate Meridionali [con una tavola| cxxix — V. — Resoconto sommario delle escursioni fatte nei dintorni di Spezia e di Carrara (con 4 fig. nel testo) clv Memorie. Fascicolo 1° (81 maggio 1902). Vinassa de Regny P. — I calcari da cemento dei din- torni di Modigliana 1 Bellini R. — Alcuni appunti per la geologia dell’ isola di Capri 7 Trabucco G — ■ Sulla questione della stratigrafia dei terreni del bacino di Firenze 15 Pampaloni L. — Sopra alcuni tronchi silicizzati del- V eocene superiore dell’ Impruneta (provincia di Fi- renze) |con una tavola, I] 25 De Angelis d’Ossat G. — Fatina liasica di Castel del Monte ( Umbria ) 30 De Angeli8 d’Ossat G. — Un pozzo trivellato presso Napoli 33 Novarese V. — La serpentina di Traversella e fa sua origine 30 Neviani A. — Sulla Terebnpora Manzonii Rov. e sulla Protulophila Oestroi Rov. |con 3 fig. nel testo | . . 41 Checchi A G. — Gli echinidi eocenici del Monte Gar- gano |con due tavole, II e III | 50 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XXI 583 PAG. Audenino L. — Terreni terziari e quaternari dei din- torni di Chieri 7g Portis A. — Di un dente anomalo di elefante fossile e della presenza dell' Elephas primigenius in Italia |con una tav., I V j 93 Sequenza L. fu G. — I vertebrati fossili della provin- cia di Messina, Parte seconda. Mammiferi e geo- logia del piano poetico [con tre tav., V, VI e V II | 115 Dainelli G. — A proposito di un recente lavoro del doti. Paul Oppenheim sopra alcune faune eoceniche di Dalmazia 176 Cacciamali G. B. — Bradisismi e terremoti della re- gione Benacense 181 Mercalli G. — Sul modo di formazione di una cupola lavica Vesuviana |con 4 fig. nel testo] .... 197 Clerici E. — Una conifera fossile dell' Imolese [con 6 fig. nel testo| 211 Neviani A. — Briozoi Ctenostomi fossili ..... 216 Salmojraghi E. — Il pozzo detto glaciale di Tavernola Bergamasca sul lago d’Iseo |con una tav., Vili | . 221 Fascicolo 2° (4 ottobre 1902). Lotti B. — Conclusione sulla polemica geologica Tra- bucco-Lotti 258 Neviani A. — Rhyncopora incurvata n. sp. [con una iig. nel testo] 260 De Stefano Gius — Cheloniani fossili cenozoici [con tre tav., IX, X e XI] 263 Mariani Mario — Osservazioni geologiche sui dintorni di Camerino |con una tav , XII] 305 Neviani A. — 1 Briozoi pliocenici e miocenici di Pia- nosa raccolti dal prof. V. Simonelli e studiati dal dott. G. Gioii . 329 Tommasi A. — Due nuovi Dinarites nel trias inferiore della vai del Dezzo |cou una tav., XIII] .... 344 Martelli A — Il devoniano superiore dello Schensi (Cina) [con una tav., XIV] 349 Airaohi C. — Echinofauna oligomiocenica della conca Benacense [con una tav., XV] 371 584 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XXI TAG. De Stefano Gius. — Un nuovo chelonide della fami- glia Trionychidae appartenente all' eo cene francese |con una tav , XVI | 389 Levi G. — Fauna del lias inferiore di Cima alla Foce nell'Alpe di Corfino |con 7 figure nel testo| . . 398 Verri A. — Sul vulcano Laziale 411 Fascicolo 3° (31 gennaio 1903). Matteucci R. V. — Se al sollevamento endogeno di una cupola lavica al Vesuvio possa aver contri- buito la solidificazione del Magma 413 Botti U. — Osservazione del fenomeno dei Mistpoejfers in Italia 436 SEGUENZA L. fu G. — 1 vertebrati fossili della pro- vincia di Messina. Parte terza. Mammiferi plioce- nici e quaternari 440 Seguenza L. fu G. — Molluschi poco noti dei terreni terziari di Messina. Trochidae e Solariidae |con una tav., XVII| 455 ViNASSA DE Regny P. — Osservazioni geologiche sul Montenegro orientale e meridionale |con tre fig. nel testo| 465 Bonarelli G. — Miscellanea di note geologiche e paleon- tologiche per l'anno 1901 |cou 6 fig. nel testo | . . 544 Bellini R. — Ancora sulla geologia dell'isola di Capri 571 PampaLONI L. — Sopra alcuni tronchi silicizzati di Oschiri in Sardegna |con 3 fig. nel testoj . . . 577 ERRATA-CORRIGE. Alla pag. 244, linea 26, invece di esterna leggasi estrema. AVVERTENZE PER 1 SOCI Dal contratto con la Tipografia (foggiani. Le pagine di corpo 8 in più di l/5 di pagina per le note, e di una pagina di testo per ogni foglio di stampa, saranno pagate in ragione di una lira ciascuna. Le tabelle in più di una per ogni tre fogli di stampa, coste- ranno L. 1,55 per pagina. Ciascun foglio di composizione dovrà essere stampato nel ter- mine di tre mesi dalla consegna delle prime bozze, detratto il tempo in cui esse bozze rimarranno presso la tipografia per le varie correzioni; trascorso il qual termine sarà corrisposto un compenso di L. 3,50 per mese e per foglio. I soci avranno una prima bozza in colonna, ed una seconda impaginata. Le correzioni straordinarie si pagheranno in ragione di una lira per pagina. Gli estratti per conto degli autori sono regolati dalla seguente tariffa : Per ogni 50 copie con copertina muta: per 1 foglio di stampa, L. 4; per V* foglio, L. 2; per 1 4 di foglio, L. 1. Prezzo della copertina stampata, sino a 100 copie, L. 2.50. Dal Regolamento per le pubblicazioni. Art. 9° Se le memorie oltrepasseranno il numero dei fogli di stampa stabilito anno per anno dal Consiglio (4 f.) la spesa eccedente sarà tutta a carico dell’autore, anche per la parte relativa agli estratti concessi gratuitamente dalla Società. Art. 10° Sono a carico degli autori le spese in più per le pagine in corpo 8 e per le tabelle ; cosi pure le spese straordinarie per correzioni maggiori del consueto, per cambiamenti o rifusione di paragrafi e per composizione annullata. Art. 17° Gli estratti che spettano agli autori avranno fron- tispizio c copertina stampata, se la memoria raggiungerà un loglio di stampa; altrimenti avranno copertina semplice. Art. 20" Gli estratti si spediscono in assegno. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE FASCICOLO M emorie. PAG. Matte ucci R. V. — Se al sollevamento endogeno di una cu- pola lavica al Vesuvio possa aver contribuito la solidifica- zione del Magma 413 Botti LT. — Osservazione del fenomeno dei Mistpoeffers in Ita- lia 436 Sequenza L pu G. — I vertebrati fossili della provincia di Messina. Parte terza. Mammiferi pliocenici e quaternari 4-10 Seguenza L. fu G. — Molluschi poco noti dei terreni terziari di Messina. Trochidae e Solariidae [con una tav.] . . . 455 ViNASSA de Regny P. — Osservazioni geologiche sul Montene- gro orientale e meridionale [con tre fig. nel testo] . . . 4G5 Bona rulli G. — Miscellanea di note geologiche e paleontolo- giche per Vanno 1901 [con 6 tig. nel testo] 544 Bellini R. — Ancora sulla geologia dell’isola di Capri . . 571 Pampuoni L. — Sopra alcuni tronchi silicizzati di Oschiri in Sardegna [con 3 fìg. nel testo] 577 I\J endiconti. Resoconto delle Adunanze generali tenute in Spezia nei giorni 7-10 settembre 1002 xltii Adunanza inaugurale del 7 settembre ivi Discorso del presidente Capellini xliv Discorso del R. Commissario Menzi'ger xr.vm Discorso del prof. Arzelà ur Adunanza del 9 settembre lv Adunanza del 10 settembre i.xii Tema pel VI concorso al premio Molon i.xii i Di alcune impronte vegetali nei micascisti del Trentino, lettera del dott G. Dai. Piaz i.xiv Note sulla struttura dei terreni riguardo ai lavori ferroviari, comunicazione dell’ing. C Segrè i.xvi Sopra i resti organici rinvenuti nel disodile di Melilli, comu- nicazione del dott. Pampai.oni ixx Elezioni sociali lxxi Appendice I. Dainell^G. — Sull’attuale ritiro dei ghiacciai del versante italiano del Monte liosa i.xxii II. Capellini G. — Sulle ricerche c osservazioni di lazzaro Spallanzani a Porto Venere e nei dintorni della Spezia (con allegati) i.xxv III. Taramelli T. — Di alcune condizioni tectoniche nella Lombardia occidentale cxvn IV. Suo RÉ C. — Sulla struttura dei terreni considerata riguardo ai lavori ferroviarii eseguiti dalla Società delle Strade fer- rate Meridionali [con una tav.] cxxix V. — Resoconto sommario delle escursioni fatte nei dintorni di spezia e di Carrara (con 4 fìg. nel testo) clv Finito di stampare il 31 gennaio 1903. Il Bollettino della Società Geologica Italiana si stampa in fascicoli trimestrali. TX Presidente responsabile : Giovanni Capellini.